I coniugi Orlof
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I coniugi Orlof - Maksim Gorkij
autore
Griska e Matrena
Quasi ogni sabato, prima dei vespri, si sentivano uscire, dal sottoscala di una vecchia e sporca casa, che apparteneva al mercante Petunnikof, le grida furiose di una donna, le quali si spandevano nello stretto cortile ingombro di ogni specie di tritume, e dove erano costruite dispense e tettoie di legno, ma il tutto così vecchio da reggersi appena in piedi.
Fermati! Fermati! Ubbriacone!
gridava una donna con voce da contralto.
Lasciami!
rispondeva una voce maschile da tenore.
No, non ti lascerò… non ti lascerò… assassino!
Sì, che mi lascerai!
Uccidimi pure ... ma non ti lascerò.
Tu menti... eretica che sei!
Ah! Padri miei!… mi ha uccisa! Ah, padri miei!
Mi lascerai?
Ammazzami pure, belva che sei, ammazzami!
Ci vorrà tempo!
Fin dalle prime parole di quel dialogo presso a poco sempre uguale, Sienka Fringuello, il garzone del pittore di stanze Sutkof, che passava giornate intere a stemperare colori sotto una delle tettoie del cortile ne usciva lesto come un dardo e, con i suoi occhietti neri e scintillanti come quelli di un topo, gridava a squarciagola: I calzolai Orlof si stanno battendo!… Oh! Oh!
Amante appassionato di qualunque incidente, correva verso le finestre degli Orlof, si coricava sulla pancia, lasciava penzolare la sua testa arruffata di pessimo soggetto, dal magro muso astuto, tutto sporco di colori, e guardava giù con gli occhi spalancati e avidi nel buco nero e umido da dove usciva un odore di roba marcita, di vecchio cuoio e di colla di pesce. Lì, in fondo, si agitavano furiosamente due forme umane, che emettevano grida rauche, gemiti e invettive.
Mi ucciderai!
diceva la donna, ansante.
È cosa da nulla!
rispondeva l'uomo, sicuro del fatto suo.
Si udivano colpi pesanti e sordi cadere sopra qualche cosa di molle, dei sospiri, delle grida acute, l'ansare di un uomo che solleva un forte peso.
Oh! Oh! Oh! Che bel colpo le ha assestato con la forma!
Il Fringuello descriveva il succedersi degli avvenimenti nel sottosuolo, e il pubblico raggruppato intorno a lui - i sarti, l'usciere Levcènko, il suonatore di fisarmonica Kisliakof, - e altri amatori di divertimenti gratuiti, interrogavano continuamente Sienka, e, nella loro impazienza di notizie, lo tiravano ora per i piedi, ora per i calzoni tutti unti e bisunti di colori oleosi.
E ora… ora, che fa?
È a cavallo su di lei e le strofina il muso a terra!
raccontava Sienka, che pareva godere con voluttà dello scontro.
Anche il pubblico si chinava verso le finestre degli Orlof, preso dal desiderio cocente di vedere da sé le peripezie della lotta e benché tutti conoscessero da sempre la tattica di Griscka Orlof quando era in guerra con la moglie, pure la ammiravano e se ne stupivano sempre.
Ah, quel diavolo! L'ha conciata per le feste!
Ha il naso tutto insanguinato!… e come scorre!
confermava Sienka.
Ah! Dio mio!… Dio buono!
esclamavano le donne. Che assassino!… Che carnefice!
Gli uomini, invece discutevano in modo meno soggettivo.
Finirà certamente per accopparla!
dicevano.
Il suonatore di fisarmonica aggiungeva, con fare da profeta: Ricordatevi di quello che vi dico: le aprirà la pancia con una coltellata. Vedrete: un giorno si stancherà di percuoterla a quel modo e la finirà con un buon colpo!
È finita!
diceva Sienka a mezza voce e, rialzandosi di scatto, rimbalzava come una palla dalla finestra a un altro angolo del cortile, dove andava a occupare un altro posto di osservazione, perché sapeva che Griscka Orlof non avrebbe tardato a uscire.
Gli altri si sperdevano al più presto, non volendo essere visti dal feroce calzolaio: ora che la battaglia era terminata, aveva perso interesse ai loro occhi. D'altronde, Griscka era un essere da evitare. Perciò quando Orlof saliva dal suo sottosuolo, nel cortile non c'era più anima viva (eccetto Sienka.)
Ansante, con la camicia lacera, i capelli scarmigliati, il volto graffiato e madido di sudore, gli occhi iniettati di sangue, gettava di soppiatto uno sguardo intorno al cortile, poi, con le mani dietro la schiena, si avviava lentamente verso una vecchia slitta che giaceva rovesciata, vicino alla parete di legno della tettoia. Talvolta si metteva a fischiare fra i denti con aria spavalda e intanto si guardava attorno, quasi volesse provocare tutti gli inquilini della casa Petunnikof. Dopo di che, si sedeva sui pattini della slitta, si asciugava con la manica della camicia il sangue e il sudore che gli scorrevano dal volto, e immobilizzandosi in un atteggiamento stanco, guardava con occhio triste il muro sporco della casa, tutto scalcinato e striato da strisce di vari colori: i pittori di Sutkof, tornando dal lavoro, erano soliti pulire i loro pennelli su quella parte del muro.
Orlof aveva circa trent'anni. Aveva un volto nervoso, tratti regolari, piccoli baffi neri che facevano spiccare le sue labbra rosse e carnose. Il suo gran naso aquilino era sormontato dalle sopracciglia così folte che quasi si univano. Sotto di esse si aprivano gli occhi neri, perennemente accesi da una fiamma inquieta. Capelli ricci, arruffati sul davanti, ricadevano dietro sopra un collo bruno e taurino. Di media statura, un po’ curvo dal lavoro, avrebbe potuto essere un bell'uomo. Rimaneva a lungo sulla slitta e contemplava, in una specie di sonnolenza, il muro dipinto, mentre il suo petto robusto e abbronzato dal sole, respirava profondamente.
Quel giorno, il sole era tramontato, ma non c'era un soffio d'aria nel cortile. Vi si sentiva solo un puzzo di pittura a olio, di catrame, di cavoli fermentati e di roba marcita. Canti e urla uscivano da tutte le finestre dei due piani della casa: qualche rara faccia anemica, china dietro una imposta, guardava un momento Orlof, poi scompariva con un sorriso.
I pittori tornavano dal lavoro, passavano davanti al calzolaio, lo guardavano di sbieco, ammiccando con l'occhio fra di loro, e dopo aver riempito il cortile del loro lesto dialetto di Kostroma, si preparavano chi ad andare al bagno, chi alla cantina. Dal secondo piano, scesero zoppicando i sarti - tutta gente lacera, anemica, dalle gambe storte - e incominciarono a burlarsi di quelli di Kostroma, a causa del loro parlare rapido, a scatti.
Tutto il cortile era pieno di rumori, di risa, di scherzi, di motti di spirito: solo Orlof rimase seduto al suo posto, in disparte, in silenzio e senza guardare alcuno. Nessuno gli si avvicinò, nessuno gli diede retta, nessuno si arrischiò a scherzare sul suo conto, perché tutti sapevano che, in quel momento, era una bestia feroce.
Rimase lì, in preda a una sorda e pesante collera, che gli opprimeva il petto e gli rendeva difficile il respiro. Ogni tanto, le narici gli fremevano e gli davano l'espressione di un uccello da preda. Quando le sue labbra si contraevano, scoprivano due file di denti gialli, grossi e solidi.
Qualche cosa d'informe e di oscuro sembrava spandersi su di lui, macchie rosse, indecise gli ballavano davanti agli occhi, mentre sentiva le viscere rose dall'angoscia e da una sete sfrenata di acquavite. Sapeva che quando avrebbe bevuto, si sarebbe sentito alquanto meglio, ma il giorno era ancora chiaro e aveva vergogna di andare in cantina, malconcio e lacero com'era, lungo la via dove tutti lo conoscevano…
Non voleva uscire per servire di