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Voci dall'anima. La Dea e l'Arcangelo
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Voci dall'anima. La Dea e l'Arcangelo

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Voci flebili come il respiro ci parlano dalla profondità dell'anima, sensazioni, intuizioni, sincronicità esprimono la saggezza di Colei che nelle fiabe è la vecchina saggia, l'aiuto magico e nei sogni indica la strada. È Colei che sa, la Dea cancellata dalla scena in un mondo che crede nella rigorosa logica e non nel magico apporto della Saggezza della vita. Vi è stato un tempo in cui Dio aveva un volto femminile e creava tessendo o danzando, che ispirava e parlava al cuore. Seguì l'era del Patriarcato e la Dea si nascose nell'anima delle donne che sapevano ascoltarla. Sta tornando l'era della Divina Sofia a conciliare gli opposti in armonia, con la spada dell'Arcangelo Michele che recide i nodi e la lancia che canalizza e trasmuta le possenti energie del drago. La vita parla e ci instrada, a me con un "buco al cuore" che la chirurgia ha risolto e che mi ha lasciato il messaggio di aprire il cuore. Inizia così l'avventura alla cerca della Dea perduta.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 15, 2019
ISBN9788831600279
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    Voci dall'anima. La Dea e l'Arcangelo - Maria Grazia Lopardi

    Lopardi

    Quando la vita insegna

    Nel silenzio dell’ego appare il Maestro

    Avviene quasi per caso di accorgersi, ad un certo punto dell’esistenza, che ogni evento, ogni incontro della vita quotidiana, se si presta la dovuta attenzione, reca un messaggio; nessun fatto è banale, né esiste la banalità se non per l’incapacità della coscienza di cogliere il sussurro che dall’universo è rivolto proprio a noi…

    Mi presento: sono una donna, moglie, madre, avvocato, affamata di divino, sorella di tanti fratelli che si riconoscono figli di un genitore - genitrice unico/a. Le etichette che mi contraddistinguono non sono elencate in ordine di importanza perché mi riuscirebbe difficile farlo; quel che so per certo è che sono molto riconoscente alla Vita per avermi permesso di essere queste ed altre cose ancora e, al contempo, per avermi lasciato nel cuore un pungolo per non farmi mai essere troppo appagata dei miei pur preziosi tesori, con il rischio di dimenticare cosa la mia anima sia venuta a fare nella scuola dell’esistenza. L’incontentabilità umana è un grosso difetto se rende insaziabili di fronte ai desideri terreni; diviene uno strumento di risveglio se impedisce di fermarsi sugli allori, di addormentarsi nella convinzione, normalmente subito scossa dalla vita, di essere arrivati. Dunque un velato malessere accompagnava anche i migliori momenti e spesso prendeva il sopravvento acuendosi come una morsa allorché una qualsiasi occasione mi metteva al cospetto del dolore del mondo. Pur felice di esistere e capace di apprezzare in pieno tutti i lati belli della vita, ho sempre convissuto con una sottile malinconia, una nostalgia data dalla sensazione di dover cogliere un’opportunità che è l’obiettivo stesso della vita.

    E’ difficile spiegare qualcosa che non so nemmeno dire se sia uno stato d’animo o fastidiosi pensieri sulla natura umana, così limitata e vittima del perpetuo oscillare tra gioia e dolore pur necessari- a quanto avevo compreso- per caricarsi di energia nei momenti belli e per diventare consapevoli in quelli duri. Che la gioia sia piacevole non ci sono dubbi, ma incredibilmente anche il dolore ha il suo ruolo positivo perché senza la sofferenza l’uomo è portato a…dormire e i grandi saggi hanno insegnato all’umanità che, come le più belle emozioni, anche il dolore va attraversato e non evitato. Per svegliarmi e per dare un senso più profondo alla mia vita, fin da adolescente mi ero tuffata nel mistero, dapprima interessandomi di parapsicologia, poi di yoga e filosofie orientali che mi avevano spalancato un portone enorme ed affascinante, idoneo a colmare il vuoto del nulla eterno che mi era tanto caro ai tempi del Ginnasio e che spesso traspariva nei miei temi scolastici. Guardando indietro nella mia esistenza mi rendo conto di aver salito una scala dove ogni scalino è propedeutico al successivo…e così dopo lo yoga mi imbattei in alcune scuole iniziatiche, ognuna in grado di portarmi fino ad un certo punto per rendermi comprensibile la tappa successiva. Arrivata all’incirca a metà della vita media attuale-già, come Dante, Nel mezzo del cammin di nostra vita…- mi sembrava di essere molto fortunata ad aver seguito un percorso di conoscenza, ma avevo anche una consapevolezza che non mi rendeva soddisfatta: mi potevo considerare una persona colta in esoterismo, in grado di spiegare forse simboli e rituali, ma pur essendo certo cambiata per il mero fatto di aver vissuto - è noto che l’unica vera maestra è la vita- tuttavia avevo sempre desta in me la vocina angosciosa che mi ingiungeva di ricordare qualcosa, qualcosa che mi avrebbe trasformata veramente.

    Teoricamente sapevo di dover risvegliare dentro di me il ricordo di una dimensione divina, della vera patria di cui c’è rimasta una vaga reminiscenza che si esprime come pungolo, come nostalgia per una condizione evidentemente nota ad una parte del nostro essere; sapevo anche di dover compiere un cammino di morte e rinascita segnalato da tutte le tradizioni iniziatiche e la mia mente era così brava da avermi fatto individuare tutte le fasi che avrei dovuto vivere, ma i piani della mente si trovano spesso a fare i conti con una realtà che disillude.

    Ero tanto cambiata e cresciuta nel rifugio delle mie scuole spirituali, ma potevo dire di aver veramente vissuto il processo di smascheramento dell’ego e manifestazione dell’Uomo divino dalle sue ceneri? La piccola creatura il cui cuore palpita e trema è sempre lì, alle prese con le proprie ferite, fragile sotto le maschere con cui si protegge. In attesa del momento magico del grande cambiamento il mio tempo passava non certo inutilmente, ma la mia ricerca mentale mi faceva correre il rischio di pensare di essere una quasi - iniziata perché sapevo tante cose, mentre avevo solo riempito la mia testa di tante nozioni il più delle volte altrui.

    Non posso negare quanto mi sia stato d’aiuto frequentare serie scuole esoteriche che hanno indirizzato la mia ricerca e che hanno fatto sì che ascoltassi il richiamo del divino con lo strumento a me più congeniale: la mente. Essendo come sono non avrei potuto essere attratta da un gruppo mistico, mentre mi hanno affascinato i discorsi che parlano all’intelligenza e che la utilizzano per accrescere la consapevolezza di essere in un mondo provvisorio e di vivere con una coscienza del tutto limitata. Insomma la mia strada spirituale aveva solcato i sentieri della mente e solo quelli poteva solcare sulla base della mia natura mentale, probabilmente esaltata dagli studi giuridici. Forse dipende dal fatto di essere nata a giugno, sotto l’influenza del segno zodiacale dei Gemelli e Mercurio mi condiziona con le sue caratteristiche: fatto sta che la Vita poteva istradarmi solo così. Avviene però in un momento inaspettato della nostra esistenza che un fatto sconvolge tutti i nostri piani e manda a rotoli la normalità di un quotidiano abbastanza monotono ma tanto tranquillizzante…

    Invero avviene più volte che uno scossone vanifichi i nostri progetti di vita serena, ma voglio raccontare in particolare un episodio verificatosi quando già ero in grado di coglierne la portata e di captarne gli insegnamenti. Mi ero molto agitata per una causa di notevole valore per la quale l’amministrazione interessata non mi mandava i documenti necessari a predisporre la difesa. Il mio programma interiore, quello che condiziona le nostre reazioni alla vita, non mi permetteva di disinteressarmi essendo molto responsabile e fin troppo gravata dal senso del dovere: mi fu molto più facile farmi venire delle extrasistole così forti da indurmi a consultare un cardiologo. Già il cuore mi saltava e fu così, per caso, che scoprii di avere un difetto interatriale, in altri termini un buco al cuore di ben due centimetri, tra i due atri. Avevo tante volte letto che la malattia rende onesti e fu grazie al buco nel cuore che fui fulminata dal messaggio che la Vita stava dando alla ricercatrice tutta testa: Apri il cuore.

    E come si apre il cuore a prescindere dall’intervento chirurgico a cuore aperto? Fu a questo punto della mia esistenza che scattò uno strano meccanismo secondo il quale, se mi abbandonavo fiduciosa, senza fare i miei soliti programmi mentali, tutto si accomodava per il meglio.

    Dopo le numerose visite dal cardiologo al cardiochirurgo dell’Ospedale di Teramo, centro molto quotato per la competenza dei medici che vi prestano la loro opera, mi misi tranquilla in lista d’attesa: mi era stato detto a giugno che per fine settembre, inizi di ottobre, sarei stata chiamata. Venne ottobre ed anche novembre e qualcuno mi suggerì di sollecitare o di trovare il sistema per segnalarmi al cardiochirurgo.

    Dopo lo choc iniziale era subentrata in me una inspiegabile fiducia che mi induceva ad attendere pazientemente che la Vita stabilisse il momento giusto per l’intervento: non volevo essere io a decidere, anzi sapevo di non poter controllare gli eventi, né di volerlo fare…Dell’operazione, ormai accettata come male necessario, l’aspetto che non digerivo assolutamente era di dover essere aperta come un pollo, di subire la rottura dello sterno, così prezioso, secondo le mie conoscenze teoriche per permettere alla luce divina di entrare nel mio sistema elettromagnetico.

    Orbene durante la mia paziente attesa del momento scelto dalla vita per entrare in ospedale, ricevo la telefonata di un amico e ricercatore dello Spirito che vive in Romagna: era dal dentista e mentre sfogliava una rivista gli era caduto l’occhio su un articolo in cui veniva intervistato un cardiochirurgo di un ospedale del nord Italia che aveva adottato una nuova tecnica per operare al cuore in maniera non invasiva. L’articolo era apparso su una rivista del 14 dicembre 1997 ormai ritirata dalle edicole per cui vado al deposito dei giornali dove faticosamente riesco a procurarmela.

    A distanza di qualche giorno compro un’altra rivista che abitualmente non leggevo e vi trovo un articolo sullo stesso cardiochirurgo e sulla sua tecnica mini invasiva, evidentemente una novità dei progressi della cardiochirurgia. Subito dopo tal evento mi telefona un’amica che mi segnala che alla televisione è stato intervistato… sempre lo stesso personaggio. Mentre l’ospedale di Teramo, che mi è stato riferito essere normalmente puntuale, continua a tacere, prendo ciò che mi era accaduto come un chiaro messaggio della Vita che mi dice di attivarmi.

    Ho telefonato dapprima all’ospedale dove operava l’ormai famoso cardiochirurgo, per avere la conferma che anche per il mio caso fosse applicabile la nuova tecnica che evitava l’apertura del torace e del cuore, dopo di che ho preso appuntamento per la visita. I miracoli non avvengono solo in forma eclatante, spesso per coglierli bisogna saperli vedere ed io avevo incominciato a scorgere il primo di una serie di miracoli che avrebbero caratterizzato il mio problema di salute.

    Mi disse il cardiochirurgo che avevo scoperto il difetto interatriale al momento giusto perché fino a quel momento il cuore, sebbene la parte destra fosse diventata ipertrofica, aveva compensato, tanto che mi ero permessa di fare agonismo di judo, passeggiate in montagna, nuoto e salite ripidissime in bicicletta; se fosse passato altro tempo sarebbe stato troppo tardi per rimediare perché non sarebbe stato più possibile operare e sarei andata incontro ad un trapianto di cuore e polmoni! Come non ringraziare il Cielo per tanto tempismo? Ero proprio fortunata e tale mi sentivo perché ormai avevo la certezza di essere condotta per mano sulla giusta strada.

    A distanza di qualche giorno dalla visita, mi arriva la lettera di prenotazione della camera e, mentre l’ospedale di Teramo continua a tacere, il 29 aprile 1998 entro in quello di Pavia, accompagnata da mio marito Giulio e da un amico fraterno, Angelo, che aveva lasciato famiglia ed ufficio per darci il suo appoggio (anche questo è un miracolo). Dimenticavo una coincidenza molto rassicurante avvenuta la sera precedente quando, arrivati nella città dell’intervento con il nostro camper-che avrebbe dovuto fungere da comoda ambulanza per il ritorno a casa-, siamo andati a mangiare in un gradevole locale del centro: colpita da una frase della Baghavad Gita, testo sacro indù, avevo escogitato un piccolo trucco per farmi coraggio per affrontare la situazione, immaginavo cioè di stare in un fiore di loto ai piedi del Signore dove nulla di male sarebbe potuto accadermi. Ad un certo punto entra nel ristorante un giovane che poggia sui tavoli degli avventori, al fine di ricevere un’offerta, dei pupazzetti di plastica a forma di animali: solo sul mio tavolo poggia una bambolina…dentro un fiore! L’esperienza più toccante l’avrei vissuta la sera prima dell’operazione slittata al 4 maggio per urgenze che avevano richiesto la priorità. L’ospedale, ed il reparto di cardiochirurgia in particolare, sono ottimi strumenti per far ridimensionare i problemi perché si è circondati da persone che sarebbero molto felici di fare a cambio di situazione. Ho visto chi viveva nella speranza di un trapianto, altri trapiantati che non avevano tuttavia finito con il penoso giro di ospedale in ospedale, una donna, più giovane di me, costretta a letto con le gambe rattrappite ed incapaci a mantenere la posizione eretta, con l’ossigeno per respirare e non in grado di controllare gli sfinteri.

    Io aveva solo un buco al cuore ed un cuore che iniziava a indebolirsi per l’eccesso di lavoro determinato dal difetto interatriale: ero molto fortunata e mi guardavo bene dal lamentarmi. Ero molto fortunata anche perché avevo mio marito Giulio ed il nostro amico Angelo- di nome e di fatto-, erano venuti a trovarmi Luciana, un’amica-sorella e anche mio fratello.

    Inoltre tanti amici telefonavano ogni giorno al cellulare di Giulio facendomi sentire il loro affetto. Ero fortunata infine perché…mi sentivo condotta per mano in un’atmosfera di magia che mi rendeva fiduciosa e attenta a quel che si manifestava.

    Nel mio letto, alla vigilia dell’intervento, in attesa del sonno che naturalmente tardava a farmi precipitare nell’oblio, quasi senza rendermene conto, mi sono trovata ad entrare nello spazio segreto del mio cuore dove ho costruito con la mente un luogo speciale, un lago dalle acque limpide, illuminate da una luce luminosissima e non abbagliante e con fiori di loto galleggianti: nel più grande, quello ai piedi del Signore, ero solita mettermi allorché le mie scarse forze di essere umano mi inducevano ad affidarmi a Dio. Sul bordo del mio lago si aprono delle grotte ed in una, nella quale filtrava una luce indaco-violetta da un’apertura in alto, mi sono trovata a parlare di me ad una Presenza, che invero sapeva già tutto, ma ero io ad aver bisogno di vedere e dire con chiarezza cosa pensavo e provavo.

    Quando l’esperienza che ci aspetta è un intervento al cuore, si affaccia l’idea della morte perché da un’operazione al cuore ci si può non risvegliare. Pensavo che non mi sembrava di aver fatto volutamente e seriamente del male e neppure di temere la morte, ma poi vedevo con gli occhi della mente mia figlia e mio marito ed ho detto alla Presenza che non volevo lasciarli…Credo di aver capito cosa sia una confessione, che non richiede necessariamente l’intervento di un altro uomo perché nessuno ci impedisce di parlare direttamente con il nostro Dio interiore; confessarsi vuol dire mettersi a nudo, prendere coscienza di ciò che si è e si desidera, vuol dire liberarsi dalle maschere dell’io che diventano assurde quando ci confrontiamo con la Presenza in noi a cui non si può mentire.

    Confessarsi vuol dire essere più veri possibile e, soprattutto, comprendere ciò che veramente siamo, almeno in quel momento, anche se la cangiante natura umana fa sì che le mascherine delle varie occasioni ci confondano a tal punto da non capire più quale sia la nostra autenticità. Il mio parlare intimo non credo che sia durato a lungo, perché, di fronte alla possibilità di morire, ciò che conta è molto poco, anzi si riduce all’essenziale: non lasciare debiti, aver detto ai nostri cari che li amiamo e poi…poi si è imposto quel pensiero: sapevo di non volerli lasciare.

    Dopo sono rimasta in silenzio, forse per poco tempo, senza nulla attendere… semplicemente non avevo altro da dire…

    Non so dire quando sono rimasta in tale condizione di sospensione… Ecco che si è manifestata in me una risposta non fatta di parole o di pensieri, ma di un’ondata di pace che mi ha letteralmente attraversata.

    La consapevolezza di ciò che mi stava accadendo mi ha fatto trasalire di emozione e di gioia: avevo avuto una rassicurante risposta, ero serena e rilassata, anzi felice. Sorridendo interiormente ho ringraziato e mi sono messa nel mio fiore di loto dove il sonno mi ha colta, ai piedi del Signore. Al mattino di buon ora sono entrate nella mia stanza le infermiere che dovevano prepararmi per l’ingresso nella sala operatoria: ero ancora serena e con uno sguardo d’amore ho salutato Giulio ed Angelo e sentivo che avevano più bisogno di aiuto loro che io. Non credo che sia tanto comune entrare in sala operatoria per un intervento al cuore fiduciosa che tutto sarebbe andato bene. Dopo varie ore mi sono risvegliata in una camera diversa da quella in cui stavo la sera prima: ero sola ed avevo una complessa apparecchiatura che registrava le mie condizioni.

    Non vi era nessuno con me ed era piuttosto buio eppure…non mi sentivo sola né spaventata; il mio primo pensiero è stato: che bello sono viva ed ho ringraziato in cuor mio, poi, siccome ogni tentativo di movimento mi faceva sentire dolore, con un controllo mentale che solo la calma può consentire, ho applicato il metodo yoga per il rilassamento totale del corpo e poiché, nonostante la mascherina dell’ossigeno, faticavo enormemente a respirare, mi sono inventata una respirazione accelerata che mi consentisse di passare la notte. Intorno a me c’era…Amore, non sapevo se quello di Giulio ed Angelo, quello dei miei amici lontani o…della Presenza: posso solo dire che nella stanza non c’era nessuno, ma non ero sola.

    L’effetto di questa esperienza si è perpetuato anche durante la convalescenza: non solo mi sono ripresa prestissimo, ma soprattutto non sono passata per la depressione, che mi era stata preannunciata come conseguenza dell’intervento al cuore. Ancora, mi era stato detto dall’anestesista, che aveva il compito di illustrarmi l’intervento per l’assenso, che l’uso del dilatatore per aprire un varco tra le costole, avrebbe inevitabilmente provocato lo schiacciamento dei nervi per cui avrei avuto dolori fortissimi per mesi tanto che, nella mia confessione, avevo detto alla Presenza di temere il dolore fisico: orbene oltre ai normali effetti della ferita, non ho avuto alcun dolore di nervi.

    Durante il periodo in cui la malattia mi ha costretto a fermarmi rompendo il ritmo delle mie giornate frenetiche, sono stata gioiosa come mai ed ho conservato a lungo la certezza di essere circondata d’amore tanto che in occasione del mio compleanno ho organizzato con Giulio una festa per ringraziare gli amici che ci sono stati vicini, ma ero consapevole che la calda sensazione che mi faceva stare così bene da meravigliare chiunque, derivava dalla preziosa esperienza vissuta la sera prima dell’intervento.

    La calma delle forzate vacanze ha creato la condizione ideale per assimilare quel che mi era accaduto e per cercare di comprendere il forte messaggio che la Vita aveva voluto darmi: la mia ricerca intellettuale del divino era da integrare, ora dovevo aprire il cuore, vivere quella conoscenza che i greci chiamavano gnosi e che non passa per l’intelletto, ma per l’esperienza. La Spiritualità è esperienza, si vive…

    Si può parlare di Spiritualità, ma se non diviene parte della vita è come parlare di Dio senza averlo mai incontrato. Molte altre cose ho compreso grazie ad un buco tra gli atri, confermatemi da altri elementi come un corso di psicologia che ho frequentato ed una cura omeopatica: il cuore è legato alle emozioni e stando alla docente del corso ed all’omeopata, il mio estremo controllo mentale impedisce alle mie emozioni di fluire liberamente. Ho capito che un problema, non risolto a livello sottile diviene manifesto per indurci all’onestà e che ciò che il nostro ego rifiuta come cattivo e doloroso è un’opportunità che la vita ci ha fornito per crescere verso l’integrità. L’origine remota del male è radicata nella nostra d’ombra, costituita da tutte le possibilità rifiutate dal nostro io in formazione, che richiede di essere portata alla luce della coscienza e di essere accettata.

    Quando il bambino incomincia ad interagire con l’ambiente sceglie dei comportamenti che gli sembrano garantire l’amore di chi si prende cura di lui; conseguentemente rigetta quelli non scelti perché ritenuti poco graditi: nel momento della formazione dell’io, l’essere umano finisce con l’identificarsi con le opportunità selezionate, ignorando che trattasi solo di tecniche di sopravvivenza, di maschere da mostrare al mondo per essere considerati, ma tutto ciò che non è stato scelto continua a lavorare malignamente dall’interno perché si tratta di energie non lasciate libere di fluire. La Psicologia aiuta portando ad una presa di coscienza, ma le vie iniziatiche suggeriscono un processo radicale con l’aiuto di una Energia così potente da far saltare tutte le identificazioni.

    I tentativi dell’io di migliorarsi sono sempre dei meccanismi difensivi per mitigare la paura del rifiuto e della mancanza d’amore, eppure l’amore che ci manca non è quello espresso dalla benevolenza altrui, ma è quello divino, che può esprimersi ed irradiare se l’io si mette al servizio, se muore nei suoi limiti permettendo alla Fonte che è nel cuore umano di manifestarsi generando un Uomo Nuovo.

    Quell’Amore, nella più mistica delle esperienze vissute, quantomeno io l’ho sentito e ne sono grata alla vita: ho toccato qualcosa che la mia razionalità non sa proprio catalogare e controllare. La malattia che colpisce diviene uno degli strumenti per realizzare le fasi di questo processo di morte e di rinascita perché ci mette in condizione di vedere quel che non volevamo o non riuscivamo a mettere a fuoco. Così il mio cuore, la sede dei sentimenti e delle emozioni, mi mostra un buco, nella carne, misurabile, visibile sugli apparecchi, indubitabile e mi dice: Apri il cuore.

    Se mi osservo senza barare, mi accorgo che non solo la mia ricerca spirituale è stata condotta in particolare con la mente, ma che rischio di far spezzare il mio cuore per una serie di repressioni frutto del controllo mentale: il mio timore di essere privata della libertà - almeno così mi sembra -, mi induce a non farmi coinvolgere molto nei rapporti e quindi ad evitare i confronti, mantenendo un atteggiamento sorridente e tranquillizzante che neutralizza l’altro e mi permette di non andare a fondo nella relazione; reputo poco dignitosa la paura avendo privilegiato la maschera del cavaliere senza macchia e senza paura tanto che chi mostra paura invece che coraggio di fronte alla vita mi suscita disprezzo più che compassione e questo il mio cuore me lo rimprovera come pure la bambina timorosa che è in me la quale vuole avere il suo spazio e considerazione.

    Il dovere di essere forte, di affrontare gli ostacoli, di non chiedere aiuto e conseguentemente di essere poco capace a darlo, rende il mio cuore chiuso e mi induce a trincerarmi in una fortezza minacciata dall’ansia in cui si esprimono le energie non accettate ed anche ad evitare situazioni impegnative in cui il mio coraggio venga messo a prova.

    Se spietatamente questo ho visto in me dopo aver appreso dell’esistenza del difetto interatriale, devo aggiungere di aver tentato mentalmente di riequilibrare la situazione, sforzandomi di affrontare ciò che mi spaventava, scegliendo la via più difficile e sostituendo il coinvolgimento interiore con una disponibilità eccessiva che si esprimeva nell’incapacità di dire no.

    Il mio problema cardiaco mi ha messo davanti ad un altro aspetto di me: da bambina ho separato nettamente il bianco dal nero disconoscendo il grigio nelle sue varie gradazioni; inoltre reiterando i modelli familiari che più hanno inciso nella mia formazione di persona, ho aggiunto la mia parte nel costruirmi decisamente bianca. Ecco che il mio buco al cuore determina una confusione almeno parziale del sangue arterioso e venoso, di quello puro e di quello impuro, insegnandomi l’esistenza della mescolanza, del grigio. L’intervento al cuore mi ha insegnato il recupero dell’equilibrio anche nel campo del lavoro, mettendomi in condizione di assentarmi dall’ufficio dopo venti anni di presenza costante, persino quando mia figlia piccina era malata: il dovere innanzitutto mi ammoniva il mio programma interiore, come se quello di recuperare la salute o di accudire mia figlia-comunque in buone mani- non lo fosse stato, ma per consentirmi di riposarmi sottraendomi al lavoro avevo avuto bisogno di una giustificazione molto consistente, addirittura un’operazione al cuore.

    E’ stato sconvolgente rendermi conto di come i valori veicolati dal mio sangue e le convinzioni della mia mente mi avessero messo alle strette, facendomi provare avversione per chi facilmente riusciva ad assentarsi facendo quel che il mio programma non mi consentiva. Per di più l’esigenza di essere efficiente ed affidabile si scontrava con l’ansia con la quale la bambina interiore spaventata si vendicava, quell’ansia di chi non si permette la cosa più comune per un essere umano, quella di sbagliare. Per tenere tutto sotto controllo dovevo fare appello ancora una volta alla mia mente, sempre vigile e dominante rispetto al cuore che invocava sommessamente una tregua, un riposo dall’efficienza, dal dovere, dalla competizione coraggiosa, dall’ansia. Quante cose mi ha insegnato il mio cuore trascurato: direi che come il buco è un chiaro invito ad aprire il cuore, al contempo mi segnala un altro problema legato alla eccessiva sensibilità

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