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CAPITOLO QUINTO LA SCELTA EUROPEA 1. I/ Piano Marshall ' Dopo la ratifica del trattato di pace, I’Italia era pronta a rientrare a pieno titolo tra gli altri Stati, avviando una politi- ca estera? originale, che ai rapporti bilaterali privilegiava la 1 Cf. Michael J. Hogan, The Search for a «Creative Peacey: The United States, European Unity, and the Origins of the Marshall Plan, in «Diplomatic History», 6 (1982); Allen Welsh Dulles, The Marshal! Plan, Oxford, Providence, 1993; I/ Piano Marshall ¢ 1'Europa, a cura di Elena Aga Rossi, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1983; The Marshall Plan: A Retrospective, a cura di Charles S. Maier e Stanley Hoffmann, London, Boulder, Westview Press, 1984; Daniel Yergin, Shattered Peace. The Origins of the Cold War and the National Security State, Boston, Houghton Mifflin, 1977; Le Plan Marshall et le relévement économique de /'Europe, Parigi, Imprimerie nationale, 1993; Ernst H. Van der Beugel, From Marshall Aid to Atlantic Partnership. European Integration as a Concern of American Foreign Policy, Amsterdam-London-New York, Elsevier Publishing Co., 1966; Klaus Schwabe, Der Marshall-Plan und Europa, in Histoire des débuts de la construction européenne (mars 1948-mai 1950), a cura di Raymond Poidevin, Bruxelles, Bruylant, 1986, pp. 47-69; Ottavio Barié, L’adesione dell’Italia al Piano Marshall scelta del sistema economico occi- dentale?, in «Storia delle relazioni internazionali», VII (1991), n. 1, pp. 89-110; Dean Acheson, Present at the Creation. My Years in the State De partment, New York, W.W. Norton, 1970; Alan Milward, The Reconstruc- tion of Western Europe, 1945-1951, London, Methuen and Co., 1984; George F. Kennan, Memoirs 1925-1950, Boston-Toronto, Little Brown and Co, 1967; John Gimbel, The Origins of the Marshall Plan, Stanford, Stanford University Press, 1976; Carlo Sforza, Italy, the Marshall Plan and the «Third Force», in «Foreign Affairs», 1947-1948, n. 26, pp. 454-455. 2 Sulla politica estera dell’Italia in quel periodo la bibliografia ¢ am- plissima, anche se spesso restia a percepire Poriginalita della posizione italiana. Cfr. tra gli altri, Alfonso Sterpellone, Venti anni di politica este- ra, in La politica estera della Repubblica italiana, a cura di Massimo Bo- nani, Milano, Ed. di Comuniti, 1967; La politica estera italiana del dopo- guerra, a cura di Pietro Pastorelli, Bologna, Il Mulino, 1986; Paolo Ca- 289 collaborazione multilaterale in una prospettiva planetaria. Ammaestrato dagli stravolgimenti prodotti dalla seconda guerra mondiale e modellato dal pensiero e dall’azione di una /eadership che aveva saputo leggere il cambiamento dei tempi, il governo italiano abbandonava anacronistiche vel- leita di politica di potenza nazionale’ e si accingeva alla co- struzione di una nuova Europa, su basi federalistiche, nel nuovo contesto del sistema mondiale degli Stati. Era chiara la percezione che, proprio in virti del suo passato prossimo di Paese sconfitto e dilaniato al proprio interno, I’Italia era pit pronta rispetto ad altri Stati europei a entrare in una nuova dimensione dei rapporti internazionali. Certo, non mancavano resistenze, soprattutto in quegli ambienti dell’amministrazione statale e della diplomazia an- cora troppo impregnati di quella cultura nazionalistica che con il fascismo aveva vissuto Papogeo. Fu cosi che, come si avra modo di documentare in seguito, non furono rari i casi in cui proprio quegli ambienti costituirono un ostacolo, spesso non ininfluente, alle politiche innovative di De Ga- speri e Sforza. Lo stesso puo dirsi per molti uomini politici di governo, soprattutto della nuova generazione, spesso in- consapevolmente guidati dall’educazione ricevuta nel Ven- tennio. Il contesto internazionale stava rapidamente mutando. La crisi iraniana nella primavera del ’46, quella turca e greca nell’autunno-inverno 1946-1947, la sostituzione nei Paesi dell'Europa orientale dei governi di coalizione nati durante la guerra con governi comunisti, ’espulsione dei partiti co- cace, Venti anni di politica estera italiana 1943-1963, Roma, Bonacci, 1986; Edoardo Del Vecchio, Lineamenti della politica estera italiana dalla firma dell 'armistizio di Cassibile all'adesione della Repubblica al Patto Atlanti- co e al Consiglio d'Europa, Padova, Ediz. Libreria Rinoceronte, 1994. 3 «Si badi — affermera Sforza annunciando al parlamento la decisio- ne del governo di partecipare al Patto Atlantic ~ che questa non @ “po- litica di potenza” (...). Noi non abbiamo gli strumenti di una politica di potenza, né desideriamo averli». Discorso di Sforza, 15 marzo 1949, in C. Sforza, Cingue anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 189 ¢ 234. Al riguardo, si veda in particolare Brunello Vigezzi, De Gasperi, Sforza, la diplomazia ita- liana ¢ la politica di potenza dal trattato di pace al Patto Atlantico, in L'ltalia € Ja politica di potenza in Europa, vol. 11, 1945-1950, cit., pp. 3-57. 290 munisti dal governo in alcuni Paesi dell’Europa occidentale, avevano ormai definitivamente sancito la divisione dell’Eu- ropa e del mondo in due sfere d’influenza. Gli europei co- minciavano a prendere atto della nuova realta: ’Buropa era divisa. I] primo era stato Churchill, con il famoso discorso a Fulton, il 5 marzo del ’46, in cui aveva affermato che da Trieste a Stettino era calata una «cortina di ferro», indicando nel contempo anche Pesigenza di una «new unity in Euro- pe». I] successivo appello di Zurigo per la creazione di «a kind of United States of Europe», fondati sulla riconcilia~ zione franco-tedesca € con il determinante appoggio anglo- americano, del discorso di Fulton doveva rappresentare Lowvia prosecuzione. La transizione dalla guerra alla pace eta stata ovunque catastrofica‘. Allinizio del ’47, ’Europa era ancora strema- ta. Dopo la liquidazione del UNRRA, una grave crisi ali- mentare attanagliava il continente, a partite dalla Germania. Qui, nel ’46, le razioni erano scese sotto il livello della sussi- stenza, mentre le scorte erano sul punto di esaurirsi. Le e- conomie olandese, belga e danese, che strutturalmente era- no legate a quella tedesca, avevano sentito subito il peso del suo crollo. A loro volta, i britannici avevano raggiunto livel- li di razionamento senza precedenti. Ma le cose non, anda- vano certo meglio altrove. In Italia la situazione era disa- strosa, al punto che il tenore di vita del ’38 sembrava quasi un miraggio. La crisi investiva il livello elementare della sus- sistenza e quello superiore dei rapporti economici tra Paesi; provocava malcontento sociale e inflazione, con il conse- guente pericolo di rivolgimenti politici. 115 giugno 1947, tre mesi dopo lo storico discorso con cui Truman aveva annunciato, il 12 marzo, Pimpegno ame- ricano a sostenere «tutti quei popoli liberi che avessero inte- so resistere ai tentativi di sovversione interna da parte di 4 Cfr. David W. Ellwood, L’Europa ricostruita, Politica ed economia tra Stati Uniti ed Europa occidentale 1943-1955, Bologna, Il Mulino, 1994 (edizione originale: Rebuilding Europe. Western Europe, America and Post- war Reconstruction 1945-1955, London-New York, Longman, 1992) 291

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