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[NdR: in memoriam del più grande aristofanista italiano del Novecento...]
A c. di Claudio Giunta, sul Domenicale del Sole 24 Ore.
---
Cfr. anche dall'obituary del collega barese, prof. Luciano Canfora (Corriere della Sera 27 luglio 2013):
"La forma mentis di Carlo Ferdinando Russo era la sintesi originale di tre vettori: l'imponente modello paterno, lo storicismo filologico fecondo e per molti versi insuperato di Giorgio Pasquali (suo maestro alla Scuola Normale di Pisa) e la austera filologia formale di Günther Jachmann (suo maestro a Colonia).A Bari, Russo approdò come docente di greco nel 1950 e vi insegnò fino alla fine (1992) il greco e soprattutto - per molti anni - la filologia classica attraverso lo strumento tuttora insostituibile (sempre che l'università voglia restar tale) del seminario intorno ad un testo. Modernizzò una università che rischiava il provincialismo.Dell'opera sua filologica restano e resteranno, oltre al grande libro su Aristofane (1963), che da decenni vive in traduzione inglese molto fortunata, i commenti esemplari ad Esiodo, a Seneca, a Giuliano l'Apostata, ad Achille Tazio, nonché la decifrazione della più antica iscrizione greca superstite (la «coppa di Nestore»). L'esperienza del teatro, anche moderno, e della realtà scenica vista da vicino e dall'interno (da giovanotto aveva insegnato la dizione italiana ai cantanti d'opera a Salisburgo) fu centrale per il suo Aristofane autore di teatro. Ed è operante anche negli studi omerici degli anni più recenti, sorti dalla giusta considerazione della teatralità implicita nell'epos arcaico. Quegli studi, così volutamente criptici e così criticati perché sconcertanti nella forma, costituiscono la traccia di un grande problema che fu il filo conduttore di tutta la sua opera di filologo: come un autore compone, quali gli aspetti artigianali del comporre, quali i ferri del mestiere, in una parola le regole non scritte della disciplina artistica"
[NdR: in memoriam del più grande aristofanista italiano del Novecento...]
A c. di Claudio Giunta, sul Domenicale del Sole 24 Ore.
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Cfr. anche dall'obituary del collega barese, prof. Luciano Canfora (Corriere della Sera 27 luglio 2013):
"La forma mentis di Carlo Ferdinando Russo era la sintesi originale di tre vettori: l'imponente modello paterno, lo storicismo filologico fecondo e per molti versi insuperato di Giorgio Pasquali (suo maestro alla Scuola Normale di Pisa) e la austera filologia formale di Günther Jachmann (suo maestro a Colonia).A Bari, Russo approdò come docente di greco nel 1950 e vi insegnò fino alla fine (1992) il greco e soprattutto - per molti anni - la filologia classica attraverso lo strumento tuttora insostituibile (sempre che l'università voglia restar tale) del seminario intorno ad un testo. Modernizzò una università che rischiava il provincialismo.Dell'opera sua filologica restano e resteranno, oltre al grande libro su Aristofane (1963), che da decenni vive in traduzione inglese molto fortunata, i commenti esemplari ad Esiodo, a Seneca, a Giuliano l'Apostata, ad Achille Tazio, nonché la decifrazione della più antica iscrizione greca superstite (la «coppa di Nestore»). L'esperienza del teatro, anche moderno, e della realtà scenica vista da vicino e dall'interno (da giovanotto aveva insegnato la dizione italiana ai cantanti d'opera a Salisburgo) fu centrale per il suo Aristofane autore di teatro. Ed è operante anche negli studi omerici degli anni più recenti, sorti dalla giusta considerazione della teatralità implicita nell'epos arcaico. Quegli studi, così volutamente criptici e così criticati perché sconcertanti nella forma, costituiscono la traccia di un grande problema che fu il filo conduttore di tutta la sua opera di filologo: come un autore compone, quali gli aspetti artigianali del comporre, quali i ferri del mestiere, in una parola le regole non scritte della disciplina artistica"
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[NdR: in memoriam del più grande aristofanista italiano del Novecento...]
A c. di Claudio Giunta, sul Domenicale del Sole 24 Ore.
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Cfr. anche dall'obituary del collega barese, prof. Luciano Canfora (Corriere della Sera 27 luglio 2013):
"La forma mentis di Carlo Ferdinando Russo era la sintesi originale di tre vettori: l'imponente modello paterno, lo storicismo filologico fecondo e per molti versi insuperato di Giorgio Pasquali (suo maestro alla Scuola Normale di Pisa) e la austera filologia formale di Günther Jachmann (suo maestro a Colonia).A Bari, Russo approdò come docente di greco nel 1950 e vi insegnò fino alla fine (1992) il greco e soprattutto - per molti anni - la filologia classica attraverso lo strumento tuttora insostituibile (sempre che l'università voglia restar tale) del seminario intorno ad un testo. Modernizzò una università che rischiava il provincialismo.Dell'opera sua filologica restano e resteranno, oltre al grande libro su Aristofane (1963), che da decenni vive in traduzione inglese molto fortunata, i commenti esemplari ad Esiodo, a Seneca, a Giuliano l'Apostata, ad Achille Tazio, nonché la decifrazione della più antica iscrizione greca superstite (la «coppa di Nestore»). L'esperienza del teatro, anche moderno, e della realtà scenica vista da vicino e dall'interno (da giovanotto aveva insegnato la dizione italiana ai cantanti d'opera a Salisburgo) fu centrale per il suo Aristofane autore di teatro. Ed è operante anche negli studi omerici degli anni più recenti, sorti dalla giusta considerazione della teatralità implicita nell'epos arcaico. Quegli studi, così volutamente criptici e così criticati perché sconcertanti nella forma, costituiscono la traccia di un grande problema che fu il filo conduttore di tutta la sua opera di filologo: come un autore compone, quali gli aspetti artigianali del comporre, quali i ferri del mestiere, in una parola le regole non scritte della disciplina artistica"
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