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Letteratura italiana Einaudi

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di Alba De Cspedes
Edizione di riferimento:
Mondadori, Milano 1938
Letteratura italiana Einaudi
iii Letteratura italiana Einaudi Letteratura italiana Einaudi
I 1
II 108
III 186
IV 227
Sommario
1 Letteratura italiana Einaudi
I
Sulla grande casa grigia il portone sapriva come una
gola oscura; una vetrata che divideva landrone fermava
lultima luce del crepuscolo e, oltre questa, si vedevano
passare, per attimi, imprecise forme nere. Fuori, sulla
piazza, la gente passeggiava adagio, per trattenersi
nellora e nella stagione; era giorno ancora e per gi le
selci sillividivano, sembravano farsi gelate. Nel gomito
di strada in salita ove stava la grande casa, volava bassa
una rondine, un volo fiacco, pigro: dietro la rondine
svolazzava una nttola, giravano assieme, sfioravano i
balconcini.
Spenti ancora tutti i lumi della citt: soltanto sulla
grande casa grigia quattro finestre in fila, a pianterreno,
trasparivano di luce calda. La luce era incerta, come di
candela; di l trapelava un voco monotono, docile. Era-
no, si capiva, voci giovani.
Alle ultime parole della suora che aveva letto la pre-
ghiera della sera, il coro svogliato delle ragazze rispose:
Cos sia. Poi cadde un silenzio assoluto, ma venato
dimpazienza: qualcuna soltanto fissava le candele dellal-
tare che le mettevano barbagli rossastri negli occhi, le al-
tre guardavano il fondo della cappella spiando il segnale.
Neppure parlavano tra loro, ansiose di uscire. Uscirono
infatti, poco dopo, a due a due, formando una colonna
compatta, traversarono cos lampio vestibolo quasi buio,
ma presso la scala, come a un altro misterioso segnale,
gettarono via i veli dalla testa e si sciolsero. Erano tutte ra-
gazze gi grandi, vestite disparatamente e per, forse per
la poca luce, formavano una macchia uniforme. Il silenzio
si mut in un fitto cicalare, il ridere sudiva farsi di som-
messo via via pi franco e ardito. Parlavano di professori,
di universit, altre si confidavano con occhi ghiotti. Ma le
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voci si placarono quando una suora giunse presso di loro
e, battendo leggermente le mani, disse:
Basta, figliole, basta, salite nelle vostre camere.
Era la sola suora alla quale le ragazze non osavano re-
plicare. Non per timore, ma piuttosto per simpatia, una
simpatia non espressa, istintiva e segreta. Non era una
suora come le altre; alta e ancor giovane, aveva voce mu-
sicale e mani bianchissime; non sembrava, suor Lorenza,
una vera suora: quando ella parlava le ragazze restavano
a pensare; e intanto, senza volerlo, ubbidivano.
Anche stavolta, infatti, tacquero e presero a salire la
scala; soltanto Vinca, la spagnola, chiese come ogni sera:
Posso salire a telefonare, suor Lorenza?
Qualcuna delle compagne pi prossime, di scatto si
volse per udire che accadeva, anzi Valentina tir Vinca
per la manica cos forte da farla traballare. La suora ri-
spondeva:
tardi, questa sera, Vinca; potrai chiamare domani
mattina, certo la tua non cosa urgente.
Invece, suora..
No, no, non urgente, telefonerai domattina. Ades-
so va a dormire o a studiare. Buonanotte.
Intorno alla spagnola le compagne ridacchiavano per la
sconfitta. andata male, andata male mormoravano.
E Vinca, avvezza ad agire sempre a dispetto delle suore:
Lo fa per rabbia replicava perch lei sta chiusa
qui dentro e io domattina esco e invece di andare
alluniversit vado a spasso con lui. Non fa niente: ades-
so ho sonno, vado a letto.
Salgo con te anche io; sono stanca le disse Augu-
sta. Era la pi anziana delle ragazze, non si capiva come
ancora fosse tra le studentesse del Grimaldi. Dimo-
strava oltre trentanni: era alta, ma grassa, i capelli, che
aveva neri e ricciuti, erano tagliati a zazzera. Sarda era,
un tipo singolare. Dopo aver salutate le suore, prese
Vinca per il braccio e si avviarono.
2 Letteratura italiana Einaudi
Intanto una bionda pienotta e bassina passava lesta
tra le ragazze, raggiungeva le amiche, diceva piano:
Lappuntamento stasera al 63.
Le ragazze annuivano con guardinghi fugaci cenni del
capo come in un complotto. Poi si perdevano nellom-
bra dei lunghi corridoi, scomparivano nelle stanze.
Nella camera della ragazza calabrese cera odore di li-
bri e di fichi secchi ripieni; ne riceveva grandi cesti da
casa e li metteva sullarmadio: le compagne, se ne aveva-
no voglia, montavano sulla sedia e pescavano nel cesto,
anche senza essere invitate. Silvia sdraiata sul suo letto
sembrava dormire. Da quando era al Grimaldi, vesti-
va sempre a lutto, pi di tre anni ormai, quei lutti pesan-
ti della bassa Italia. Aveva opache trecce nere avvolte in-
torno alla testa, la pelle del viso olivastra, gli occhi scuri
e lievemente strabici, sotto le palpebre grevi e lucide
quasi fossero unte.
Il lutto vestiva anche la camera, per quegli indumenti
neri appesi alle pareti o perch, avendo la finestra in an-
golo, di giorno risultava meno illuminata delle altre: nel-
la camera cera odore grasso e selvaggio. Sembrava che i
capelli di Silvia dovessero anchessi odorare cos.
In questa camera piccola e raccolta, le ragazze si riu-
nivano spesso dopo la cena, a studiare; il pi delle volte
avrebbero avuto voglia di andare a letto, a dormire, vin-
cersi costava uno sforzo; lunica ad essere sveglia sempre
era Xenia; le guardava, diceva: Andiamo, allora e al-
cune non trovavano il coraggio di rifiutarsi.
Poca luce dalla lampada bassa calava sopra la testa di
Valentina che leggeva, rattrappita sulla sedia per il fred-
do; sera alla met di novembre, ma linverno sannun-
ciava rigido. La ragazza, alzando lo sguardo dal libro, si
rivolse verso il letto, chiese: Dormi, Silvia?
No. Penso.
Dormivi...
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3 Letteratura italiana Einaudi
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No. Pensavo che domani al mio paese festa; stase-
ra certo la mamma avr preparato la pizza con luva sec-
ca, domani nel camino si brucer un ceppo pi grande e
i cugini verranno a mangiare in casa nostra.
Vorresti trovarti l?
No. Poi soggiunse, incerta: Cio, non so. Doma-
ni s, per il ceppo, e per quei dolci che si sgranocchiano
accanto al focolare. Per credo che se dovessi tornare a
casa dimprovviso, non toccherei cibo e mi roderei pen-
sando a voialtre e a ci che devo fare. Non c tempo da
perdere.
Hai ragione fece Xenia; certe notti mi prende
come una smania, la smania di far presto a finire per
uscire di qui: e non chiudo occhio e mi tormento pen-
sando che, mentre io sto ingabbiata in questa clausura
di monache, fuori la vita scorre, forse buone occasioni si
presentano, chi sa? la fortuna, e passano, e io non ci so-
no. Nella vita bisogna buttarsi a capofitto, prenderla pel
collo. E io aspetto di cogliere il mio momento perch a
Veroli non ci ritorno, anzi...
Fu interrotta da Anna che entrava dicendo: Avete
visto, ragazze, che luna c stasera? Saccost alla fine-
stra e lapr; saffacci un momento esclamando: Che
notte luminosa! Poi si volse alle altre e fece cambiando
tono: Augusta andata a dormire, Vinca sconfitta
perch non ha potuto telefonare. Non so quanto darei
per sapere che cosa dice a Luis tutte le sere.
Che vuoi che gli dica? replic Xenia le stesse co-
se che noi diciamo in italiano.
Che noi non diciamo a nessuno, piuttosto precis
Valentina quelle che io studio su Abelardo ed Eloisa.
Non viene neppure Milly? E la nuova del 28?
Non so nulla disse Valentina le ho avvertite, ma
poi...
Milly non viene fece Xenia che aveva ripreso a
studiare stanca, va a letto, lei dice, e poi legge fino a
4 Letteratura italiana Einaudi
tardi. Si rovina la salute con i libri. La nuova ha detto
che verr, ma forse far come iersera.
Io non capisco che sta a fare qui Silvia osserv dal
letto. Non studia, hai visto? e qui si viene per studiare;
in camera non ha neppure un libro, vuole studiare la
storia dellarte, dice, vedremo, ma mi sembra ignoran-
tella, sa il francese, linglese... insomma listruzione di
quelli, sapete? quelli che non sanno niente. E tuttavia
non una ragazza comune, a me d quasi fastidio per-
ch in fondo ci domina.
Non vero.
vero, s. lunica alla quale, appena arrivata, ab-
biamo offerto senza esitare di venire con noi. Quando si
mise a tavola in refettorio, facemmo silenzio tutte guar-
dandola, quasi imbarazzate.
Perch era tutta dipinta.
No. Anche Vinca si dipinge appena fuori del porto-
ne. Tacemmo perch sentimmo che cera, che era lei.
Poi tu, Xenia, sbito le dicesti Resta con noi di lettere
e cominciasti a dire che quelle di medicina puzzano di
acido fenico e che quelle di musica sono buone tuttal
pi per cantare in cappella la domenica.
Non vero, forse?
S, ma significava volerla per forza con noi.
Ne sei pentita?
No, ma...
Allora, basta. Spegniamo la luce, invece, godiamoci
la luna.
Prima che le altre approvassero, Xenia gir linterrut-
tore; dal vano della finestra chiuso per met da un te-
laio, si rovesci sul pavimento della stanza un lembo
bianco di luna. Valentina, che sedeva al tavolo, ne fu in-
vestita e salz di colpo schivando la luce. Tutte ebbero
un oh! di maraviglia, poi rimasero assorte. Sud la vo-
ce di Silvia: Con questa luna, al paese, certo saranno
usciti a cantare.
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5 Letteratura italiana Einaudi
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Vedevano soltanto un rettangolo esiguo di cielo: su,
su, oltre le cime brune e gonfie degli alberi della vicina
Villa, le stelle stavano immobili, stelle da firmamento di
teatro.
C gente che passeggia nella Villa a questora dis-
se Valentina piano.
Gi, gente libera piano soggiunse Xenia. E di
nuovo tacquero, immerse nella pace lunare.
Erano al buio quando Emanuela entr: a tutta prima
non riconobbe le ragazze, anzi credette di aver sbagliato
camera. Disse: oh!... scusate. E fece per andarsene.
Ma Xenia la richiam: Entra, entra, siamo proprio
noi. Si contemplava la luna; puoi accendere, se vuoi.
No, no.
Richiusa la porta, Emanuela rest in piedi, senza par-
lare; guardava le ragazze, a una a una, nella penombra.
Lei, passando per i corridoi e vedendoli tutti chiarit
aveva provato il desiderio di spalancare le finestre, affac-
ciarsi; ma i finestroni erano sprangati e chiusi con luc-
chetti. E poi pensava che se le nuove amiche lavessero
vista, lavrebbero derisa di sicuro. Non aveva mai pensa-
to che quelle ragazze che si nutrivano di libri potessero
accorgersi di ci che accadeva nel cielo. Invece arrivan-
do su le trova al buio, in estasi.
Una voce part dal letto: Che sei venuta a fare?
Emanuela rimase un attimo perplessa non sapendo se
quelle parole erano dirette a lei, ma ne ebbe la certezza
dal silenzio delle altre. Risentita rispose: Xenia che
mha invitata, e Valentina mi ha detto che dovevo salire
al 63. Me ne rivado sbito.
Sciocca! Volevo dire: che sei venuta a fare in colle-
gio?
E tu?
Io studio. Ma tu che puoi vivere senza far niente, in-
vece di venire qui a mangiare zuppa di cavoli perch
non sei rimasta a casa tua?
6 Letteratura italiana Einaudi
Emanuela indugi a rispondere, poi come scusandosi
disse: Non posso.
Xenia incalz: Sei orfana?
No disse. Sent che tutte stavano nellattesa di al-
tre spiegazioni onde soggiunse: I miei sono in viag-
gio... in America.
In America? Un viaggio da gran signori osserv
Xenia.
Adesso comincio a capire disse Silvia.
In America! ripet Valentina.
Intanto guardavano la tenda della finestra, gonfiarsi
allalito della sera.
Al grido si scossero tutte e Xenia accese la luce, chiu-
se la finestra. La voce passava nei corridoi fatta monoto-
na dallabitudine: Luce, luce! E la u si prolungava
smisuratamente come il lamento delle sirene duna fab-
brica al cessare del lavoro.
Anna spostava le sedie, accostandole al tavolino, Va-
lentina aveva preso da uno scaffale, che conteneva un
po di tutto, un lume a petrolio e laccendeva.
Che fai? le chiese Emanuela.
Non hai inteso? Ha gridato luce.
E allora?
Gi, tu sei al primo piano, come Milly; pagate di
pi, ma vi lasciano la corrente, potete leggere tutta la
notte, se volete; ma noi alle dieci, se vogliamo vederci
dobbiamo arrangiarci cos. Tra un momento questo pia-
no sar buio.
E i corridoi?
Anche.
E perch?
Perch la luce costa caro, noi siamo povere e le suo-
re avare.
Spilorce precis Xenia.
Emanuela si preoccupava: E io come far per scen-
dere?
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7 Letteratura italiana Einaudi
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Come noi: a tentoni. Oppure ti presteremo una can-
dela le disse Xenia. Noi adesso ci mettiamo a studia-
re. Prendi un libro anche tu, te lo scelgo io, un libro
adatto per te. Ecco, tieni, questo andr bene: sono i poe-
ti del dolce stil novo. Li conosci? Mettiti a sedere, fa fin-
ta di studiare, se no ti mander in camera tua.
Chi?
Non vi fu bisogno di risposta: la porta si spalanc co-
me per una ventata. Una piccola suora apparve nel va-
no, magra, pallida, con lenti spesse che davano sguardi
smisurati ai suoi occhi senza ciglia. Zitta rimase a guar-
dare le ragazze che cominciavano a sghignazzare: Suor
Prudenzina! Suor Prudenzina! Ella osservava attenta-
mente nella camera cercando di scoprire qualche cosa di
anormale, di colpevole, perfino sotto il letto indagava
con lo sguardo, sempre restando immobile, la mano sul-
la maniglia. Emanuela ricord quando, giorni prima, al
suo ingresso in collegio, questa stessa suora le aveva det-
to con acre gioia: Via quella roba dalla bocca accen-
nando al rosso delle labbra; sentiva ancora la piccola
mano fredda sfiorarle il vestito, mentre la voce mormo-
rava: Seta. Adesso Emanuela stava in piedi presso il
letto di Silvia e la teneva pel braccio per darsi coraggio.
Aveva paura di tutto l dentro.
Che fa lei quass? le chiese la suora. Adesso qui
tolgo la luce, scenda in camera sua.
E quella le avrebbe ubbidito se Xenia non si fosse op-
posta:
No; stasera Emanuela resta con noi, deve studiare.
Vada, vada, suor Prudenzina, custode della notte. Sa co-
me la chiamiamo noi? La luce nel pugno.
Risero tutte e Xenia and fino sulla porta per inveirla
quasi.
Spenga, vada a spegnere. Ma usciremo di qui un
giorno! stasera abbiamo il lume a petrolio, domani la
candela. Ma usciremo... ..
8 Letteratura italiana Einaudi
Silvia linterruppe: Taci, Xenia, stanotte siamo ric-
che, c la luna.
Gi, c la luna. Quella non la pu spegnere, no?
suor Prudenzina. Vada, vada a spegnerci anche la luna.
Ridevano e seguitavano a schernire la suoretta. Ma le
voci erano scherzose; solo in quella di Xenia si sentiva il
rancore. La suora continu a guardarle duramente e
quando tacquero: Ragazzacce disse scherzando e se
ne and.
Emanuela fissava Xenia, stupita: Sei pazza! Non sei
mica qui in prigione! Perch hai fatto cos?
Perch una strega. Appena arrivata, i soldi per la
candela non li avevo. Neppure quelli. Perch mi guardi
cos? ti meravigli? Neppure quelli. E mai che lei me ne
avesse offerto un mozzicone.
Fuori si ud gridare ancora: Luce! La u fu pi
lunga del solito; poi il buio si abbatt sulla camera fin-
ch il grasso chiarore del lume a petrolio non riverber
sul tavolo, sui libri aperti. Anna si volse a Xenia e le con-
sigli: Clmati adesso, non ci pensare pi, tra pochi
giorni tu hai finito: pensa a prepararti piuttosto. Lal-
tra non rispose, sedette accanto alle amiche, per studia-
re. Emanuela trov il suo libro aperto a un sonetto di
Guido Guinicelli. Lo lesse una volta, due volte, non ave-
va voglia di andare avanti, neppure di voltare la pagina.
Chi sa perch mha scelto questo libro... Voleva dire
forte: Ho finito e andarsene, ma non osava, teneva gli
occhi bassi per far credere che leggeva. Ripeteva tra s
lultimo verso, ogni tanto guardando di sottecchi verso il
letto ove il corpo di Silvia faceva una gran macchia nera.
Ma la ragazza, immobile, certo oramai dormiva.
*
Ogni sera Emanuela si diceva: Non salgo, perch
temeva di ridiscendere sola fino alla sua camera, nella
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9 Letteratura italiana Einaudi
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completa oscurit dei corridoi e della scala. Mai aveva
avuto il coraggio di chiedere la candela; le altre vagava-
no sicure nel buio, come sonnambule, conoscevano gli
angoli, gli spigoli dei mobili, li evitavano per abitudine;
sapevano il numero dei gradini che dividevano un piano
dallaltro, facevano le scale a occhi chiusi: uno, due, tre,
quattro, cinque...
Ogni sera Emanuela si proponeva di restare. E inve-
ce, quando era lora, saliva nella camera dove le sette
amiche si riunivano, una sera qui, una l, tutte camere
uguali, diverse soltanto nellodore, ognuna aveva un suo
proprio odore. Dapprima parlavano, pi tardi si mette-
vano a studiare. Vinca di nascosto fumava le sigarette.
Ormai anche Emanuela ogni sera studiava.
Ma uscendo, dopo aver detto con voce tranquilla:
Buona notte appena richiusa la porta si trovava
sprofondata in un buio compatto. Buio e silenzio. Il san-
gue le scottava nelle vene, le dava un gran caldo umido
fin sul collo, unondata negli orecchi, il martellare fitto
sulle tempie. Cominciava a camminare soltanto perch
temeva che le compagne, riaprendo la porta, la trovasse-
ro ancora l, imbalordita dallo spavento. Camminava
leggermente, perch il suo passo non levasse eco tra le
alte pareti. Corridoio a destra, corridoio a sinistra; e se
mapparisse un morto? Ecco la scala, uno, due, tre,
quattro, cinque... e se sentissi adesso una terribile mano
sulla spalla? Ecco il pianerottolo, avanti il piede con
precauzione, ecco la nuova rampa, uno, due, tre, quat-
tro... e se svoltando nel corridoio del mio piano, trovo
uno scheletro in piedi? Tendeva la mano avanti a s
per essere certa che nulla avanzasse verso di lei, linsi-
diasse. E poi veniva colta dal timore che la sua mano in-
contrasse un corpo viscido, freddo, e subito la ritraeva.
Restava ferma, allora, inchiodata dallo spavento, occhi
spalancati nella tenebra senza misericordia. Sentiva un
urlo dorrore salirle non dalla gola, ma da tutta la carne,
10 Letteratura italiana Einaudi
e la gola serrarsi, inaridirsi, soffocandola. Il cuore pare-
va scoppiarle in petto come una melagrana. Per darsi
aiuto cercava di convincersi della sua perfetta innocen-
za: Non ho fatto niente di male, niente di male. Poi
dun tratto pensava alla bugia, sussultava: Certo avanti
alla mia porta trovo uno spirito. La bugia, quella terribi-
le bugia, bisognerebbe parlare alle ragazze, dire, non so-
no quella che credete, tutte bugie, falsit, non mi date
pi fiducia, sapete chi sono io? di dove vengo? sapete di
Stefano, la storia di Stefano? Tutte bugie vi ho detto.
Faccio parte del vostro gruppo. Giuramento sul tavolo
come i moschettieri. Otto per una, una per otto. E ades-
so io so tutto di loro che con le altre sono cos segrete e
schive. E loro di me che sanno? Tutte bugie. Ieri, la mia
festa, in camera un gran mazzo di fiori. Stavano nascoste
dietro la porta spiando la mia sorpresa. Poi sono entrate
rumorosamente, mi hanno baciato. Mi vogliono bene, a
chi vogliono bene? E quale sono io veramente? Per
non ho fatto nulla di male, nulla di male. E seguitava a
camminare pi serena.
Prima dimboccare lultimo corridoio sempre le pare-
va dudire un passo o uno scricchiolo.
qui il morto, maspetta, mi salta addosso. Dio, la
bugia, la bugia. Appiattita contro il muro non aveva il
coraggio di proseguire fino alla porta della sua stanza.
Certo l trovo il fantasma e mi prende alle spalle, maf-
ferra, mi strozza.
Soltanto dopo aver rinchiuso la porta della camera
dietro di lei, accesa la luce, i suoi nervi incominciavano a
distendersi. La camicia spiegata sul letto, la cartella
aperta sul tavolino, i libri, le fotografie. La fronte ancora
madida di sudore: Che sciocca pensava ecco, sono in
camera mia, non esistono gli spiriti. Oltre la parete Milly
dorme. Ieri per non aveva avuto il coraggio di entrare
nella sua camera. Le era tornato in mente un racconto di
Silvia: Al paese, una mia amica appena sposa, morta
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11 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
di parto a ventanni. Abitava di contro alla nostra casa; i
suoi urli riempivano la strada. Io, dopo aver sbarrato le
finestre, mero messa a letto, la testa sotto le coperte per
non sentirli: ma quelli, sai? nel silenzio, era notte, arriva-
vano lo stesso fino a me. Infine tacque. Al mattino si
seppe che era morta.
Dopo questo discorso iersera Emanuela era sicura di
trovarlo, un morto bianco in camera sua, quella sposa
magari, stesa sul letto in una pozza di sangue. E allora
scorto un filo di luce sotto la porta di Milly, sera rifugia-
ta da lei, entrando di corsa, come inseguita.
Milly studiava musica. Malata di cuore, studiava stando
seduta in poltrona. Spesso non scendeva a tavola: Non
sta bene, Milly? E la suora scoteva la testa. Talvolta,
quando si sentiva in forze, Milly andava nella cappella per
sonarvi larmonium. La casa era vuota; le ragazze tutte
fuori, chi alluniversit, chi in biblioteca. Emanuela spesso
rimaneva in casa, a scrivere lettere o senza far nulla, butta-
ta sul letto a pensare. Dalla finestra si scopriva lalto muro
del cortile tutto ricoperto di viti dAmerica, rossa perch
sera dautunno. Un giorno gonfie e lente salirono dal cor-
tile le note dellarmonium. Non era musica sacra, lieder
erano, canzoni di Schumann che per uscivano da quello
strumento con una voce mistica. Stupita Emanuela si af-
facci: erano aperte infatti, le due finestre della sagrestia.
Scese nella cappella: nessuno; ma a quelle note la cappella
sembrava gonfiarsi, contorcersi. Nella penombra si vede-
vano solo le sagome scure delle panche, una lampada ros-
sa, scintillava qualche lucentezza dori sullaltare.
Emanuela si arrischi dietro laltare. Era Milly che
suonava, ne riconobbe da dietro le lunghissime trecce
biondo pallido. Laveva vista nei corridoi, a tavola qual-
che volta: ma non le aveva mai rivolto la parola, non
sembrava una ragazza vera, pareva che a toccarla doves-
se disfarsi, svanire. Quando non si sent pi sola Milly si
volse di scatto, sgomenta.
12 Letteratura italiana Einaudi
Continua Emanuela disse cos bello!
Ma laltra, rossa in viso, vergognosa di essere stata
sorpresa in tanta intimit: Sei quella del 28, vero? le
chiese.
S.
Ieri sera disse perch Emanuela fosse colta sul vi-
vo ieri sera, tho sentito piangere.
Quindi facendole segno di accostarsi si gir di nuovo
sullo sgabello e riprese a suonare. Da quel momento fu-
rono amiche.
Emanuela, svegliandosi, bussava alla parete e laltra,
che gi da tempo alzata studiava al tavolo, si levava, cor-
reva a bussare anche lei, rispondendole. Milly che era
sempre rimasta appartata, cercava la compagnia di Ema-
nuela; la guardava e guardandola silluminava, forse per-
ch era tanto diversa da lei, cos vitale. Senza che laltra
le chiedesse nulla Milly le raccontava di s, della ragione
per la quale era partita da Milano, studiava cos lontano
da casa sua.
Sai? diceva io, a Milano, mi ero innamorata del
suono dellorgano che udivo a San Babila alla funzione
del vespro. Una sera malzai dalla panca come per anda-
re a confessarmi e invece lesta presi per una scaletta di
legno, e mi trovai sul palco dellorgano. Hai mai vista
una chiesa dal palco dellorgano? strano, sembra des-
sere gi in paradiso, da cos vicino le note dellorgano
gonfiano gli orecchi, stordiscono. Sotto, la gente a gran
voce cantava, una folla in ginocchio, a capo chino; allora
io guardai lorganista: era grigio, tutto grigio e portava le
lenti nere. Era cieco. Ma ormai non potevo pi tornare
indietro, giovane o vecchio ero innamorata di lui. Tu
avessi visto che mani aveva! E da allora ogni sera salivo
lass. Parlavamo di musica per lo pi, lui ama Bach e
Haydn. Poi la gente usciva, le luci si spegnevano. Egli,
per scendere, appoggiava la mano alla mia spalla. Hai
mai dato la spalla a un cieco? Allora soltanto si apprezza
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13 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
il valore dei propri occhi. Guardava nel vuoto, e anche
i suoi occhi chiarissimi parevano occhi da cieco: sempre
fissando davanti a s riprese, come se sognasse: Un
mattino, a maggio, andammo ai Giardini Reali. Tu co-
nosci Milano? i Giardini? Oh! devi andarci! Nel mezzo
dun laghetto c un piccolo tempio dedicato a Eros e
immensi alberi dintorno, romantico ottocento, dicono
che Foscolo vi andasse a passeggiare. Lui non vedeva
nulla, ma io gli spiegavo, gli dicevo, ecco, adesso il la-
ghetto si fatto tutto rosa. Quando pap si accorto di
questo, in ventiquattrore mi ha fatto partire per venire a
studiare a Roma dove il clima mi fa bene alla salute. Ma
io sono felice, qui; posso suonare larmonium, e scrivo a
lui con quellapparecchio l, tutto buchi, lalfabeto
Braille, fatto apposta per ciechi, ho imparato, scrivo be-
ne, e lui legge passandovi sopra le mani, cos, vedi? cos.
Sfiorava intanto leggermente le dita di Emanuela.
Quella sera Milly studiava nella poltrona, quando vi-
de entrare Emanuela ansante, richiudere la porta, ap-
poggiarvisi sfinita; non salz, ma la guard con appren-
sione.
Che c? le chiese.
Ho paura. Ho paura di sera per questi corridoi. Te-
mevo che nella mia camera vi fosse una morta ad atten-
dermi, e non ho avuto il coraggio di entrare. ridicolo,
vero? Scusami, sono sconvolta. Poi cercando di pensa-
re ad altro, singinocchi sul tappeto dinanzi a Milly,
guard il libro aperto che la ragazza teneva in mano.
Che cosa studi?
Armonia. Senti, Emanuela: fa a meno di salire su
domani sera.
Non posso la ragazza rispose.
Aveva appoggiato la testa sulle ginocchia di Milly e si
lasciava accarezzare la fronte, gli orecchi, i capelli, rasse-
renandosi. Nella sua camera si sentiva riafferrare dai ri-
cordi, dalle responsabilit, cerano le lettere chiuse a
14 Letteratura italiana Einaudi
chiave nei cassetti, le fotografie, i vestiti che sempre ci ri-
cordano unepoca precisa. Erano le compagne a darle la
certezza di questa sua nuova personalit che indossava
al mattino come un abito; e vicino a loro si sentiva vive-
re, personaggio nuovo, innocente, Emanuela di tanto
tempo fa.
Non posso farne a meno ripeteva e per il buio
mi sgomenta e mi sento chiusa, imprigionata, non so
spiegarti, non ne posso pi.
Ti capisco approv Milly cos per tutte, al
principio: manca laria. Per me forse stato meno duro:
ero abituata a vivere impaurita, in soggezione. Tu non
conosci mio padre, sarebbe lungo a spiegarti. Io respiro
pi liberamente qua dentro, anche rinchiusa. Ma tu...
Tu non devi rimanere tanto tempo sola in camera. Esci,
va con le compagne alluniversit, oppure va a spasso,
c la Villa qui accanto. Non ti piace la Villa? Le tocca-
va le mani, le affilava le dita, le accarezzava le unghie.
Se potessi ti accompagnerei, ma io sto male. Dovresti
uscire con Xenia o con Vinca. Anzi proprio con Vinca
che prende tutto facilmente. Lei rimasta soltanto qual-
che giorno sconcertata arrivando qua dentro, s ripresa
sbito. Vedi? Se invece di venire da me fossi entrata in
camera di Vinca, neppure ti saresti messa a piangere.
Ma Emanuela scoteva la testa, ripeteva: Non ne
posso pi, non ne posso pi! Nessuno avrebbe potuto
sollevarla, n Xenia, n Vinca.
Quando di sera Vinca parlava al telefono, la suora
passeggiava impaziente in su e in gi davanti a lei, facen-
do ciondolare la chiave della stanza per farle intendere
che bisognava far presto, si doveva richiudere. Ma la ra-
gazza, per dispetto, si sedeva graziosamente, assestando-
si la gonna sui ginocchi, appoggiando la testa al muro e
discorreva senza fretta sorridendo; parlava in spagnolo,
gettando a ogni frase un fiotto di parole nel microfono; e
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
15 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
intanto fissava la suora con occhio indifferente, senza
darle importanza, sicura dietro il suo idioma straniero.
Qualche parola soltanto si capiva ed era peggio: la suora
intuiva la conversazione e sirritava. Le compagne, in
cinque, sei, stipate su due sedie, parlottavano tra di loro
nel vedere il viso arguto di Vinca la quale, quando aveva
visto la suora giungere al colmo dellesasperazione, pren-
deva il tono del commiato, salzava e finalmente diceva
in italiano col suo buffo accento: Addio. Riappeso il
ricevitore, aggiungeva con voce compunta: Suor Lo-
renza, io la ringrazio e usciva seguita dalle altre.
Salendo alle camere, per le scale, le amiche le chiede-
vano: Che dicevi? Che dicevi? S, che dicevi quando ti
sei messa a ridere? Quando lo vedi, quando lo vedi?
Domani nel pomeriggio.
Il domani fino allora dellappuntamento faceva tolet-
ta, si strappava i sopraccigli. Entrava nelle stanze delle
compagne, in pantofole, una vecchia vestaglia addosso,
spettinata, le pinzette in una mano, lo specchio nellal-
tra. Mentre parlava, ogni poco, storcendo la bocca, sti-
rando la fronte, zac!, si strappava un pelo dei sopraccigli
e riprendeva a discorrere facendosi il massaggio col pol-
pastrello. Non era bella, ma aveva capelli bruni abboc-
colati, lucidissimi, e occhi neri umidi. La bocca sgrazia-
ta, i denti piccoli e aguzzi come quelli dei topi.
Quando usciva nel pomeriggio, appena fuori del por-
tone, dopo aver spiato di qua e di l, in fretta si dipinge-
va le labbra, si ravvivava lincarnato delle gote. Luis
laspettava l presso; la salutava appena, la prendeva pel
braccio e camminavano.
Sbito Vinca ritrovava il piacere fisico di parlare la
sua lingua. Liberata, discorreva avidamente, come si
mangia un dolce che piace; a certe espressioni dialettali
di Luis rideva quasi le udisse per la prima volta. Erano
andalusi entrambi, di Crdova, si erano conosciuti qui
dove stavano per studiare: Luis studiava architettura;
16 Letteratura italiana Einaudi
spesso finivano a parlare del loro paese e cos si confor-
tavano di esserne lontani. Hai capito allora, dov che
abito io? gli chiedeva Vinca c quella fontanella in
mezzo alla piazza... Carina quella fontana, vero, Luis?
Gli si faceva pi vicina, la sera era piena di quellacqua
che scorreva nella fontanella di Crdova. E a marzo
poi seguitava Vinca si va a cogliere la ginestra, brac-
ciate cos, come grano.
Ho limpressione diceva Luis che perfino il co-
lore della nostra terra sia diverso, pi rosso, ribollente,
ulivo e frumento, distese allinfinito di pane e olio.
strano osservava la natura la prima cosa che io sen-
to avversa quando sono allestero, eppure una foglia di
qui dovrebbe essere simile a una foglia delle nostre.
Gi... Con gli uomini sembra pi facile, vero? Sembra,
per: perch, in realt, basta un nulla per ricordarti che
sei straniero.
Immalinconiti, si prendevano sottobraccio, si stringe-
vano: ognuno aveva nella mente una casa diversa, un di-
verso patio; ma come se laltro potesse vederlo: era, co-
munque, unaltra casa spagnola.
Certe volte Luis proponeva: Andiamo al cinemato-
grafo? E, deciso, savviava verso un cinema di quartiere
che nel pomeriggio era poco frequentato. Vinca lo segui-
va, ma era contrariata; le sembrava che tutti dovessero
sapere la cassiera per esempio, la quale strappando i
biglietti la sbirciava che loro andavano l dentro per
sbaciucchiarsi. Si sedevano, guardavano attenti il film,
ma, dopo un po, Luis immancabilmente diceva: stu-
pido e sassestava sulla sedia, passando un braccio in-
torno alle spalle della ragazza. Negli intervalli si scosta-
vano esageratamente; lei, tutta la bocca sbavata di
rossetto, si specchiava, si passava la cipria. Uscendo,
Vinca, stordita, pensava: Non ci vengo pi e neppure
cercava il braccio di Luis, camminavano discosti quasi
fossero estranei. Poi lui accendeva una sigaretta, le mo-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
17 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
strava il pacchetto, le diceva: Spagnole, me le ha porta-
te un amico.
E lei lo pregava: Uh!... me ne di una? la fumo in
camera mia stasera.
E suor Prudenzina?
Che mimporta di suor Prudenzina?
Erano gi accese le luci delle vetrine e loro talvolta si
fermavano, osservando le esposizioni, senza neppure
scambiarsi le loro impressioni. Certe volte a bruciapelo
Luis esclamava: Chi sa quando torneremo in Spa-
gna!...
Io, se seguito a studiare cos, vi torner a cin-
quantanni.
A cinquantanni la bella mha lasciato... cantic-
chiava lui tra i denti. Era una canzone delle sierre, tanto
tempo che non la udivano; Vinca gli diceva: Continua,
mi piace. E quando finiva: Conosci anche Sul ramo
del ciliegio c un fiore?
Chiacchierando giungevano presso la porta del colle-
gio. L si arrestavano; la grande piazza aveva angoli
dombra, ma i due giovani non riuscivano a isolarsi; le
macchine andavano silenziose, se le trovavano accanto,
gente da dentro li osservava, loro erano fermi dinanzi a
un negozio di statue, deserto come un museo. Vinca
aspettava che qualcosa lacquetasse, una parola di lui o
uno sguardo, ma egli fissava gli alberi che saffacciavano
al muraglione della Villa, sopra la nicchia settecentesca
che stava al gomito della strada. Pareva distante col pen-
siero. Finch lei stessa gli chiedeva: Quando ci vedia-
mo? sperando che egli le promettesse domani. Ma
la risposta di lui era invariabile: Te lo dir al telefono.
Vinca rispondeva: Va bene intimamente malcon-
tenta.
Restava a guardarlo mentre sallontanava, le mani in
tasca, fumando. Valeva la pena di far cos tardi per
lui! E sentiva contro Luis rabbiosa irritazione; avrebbe
18 Letteratura italiana Einaudi
voluto richiamarlo, dirgli: Basta, che ti credi? e inve-
ce continuava a seguirlo con lo sguardo e suonava il
campanello soltanto dopo che lui era scomparso dietro
langolo della piazza.
*
Appuntamento al 40.
Una camera sotto il terrazzo, affocata destate, fred-
dissima adesso, di novembre: dalla finestra entrava
lodore morto delle foglie che cadevano dagli alberi del-
la Villa. Ma era la sola stanza dove si sentiva che qualcu-
no viveva veramente: forse perch Augusta vi abitava gi
da tre anni, e aveva il gusto della casa. Aveva portato og-
getti dalla Sardegna, un tappeto a fasce rosse e verdi, di-
ceva Augusta che al suo paese le serve li lavorano din-
verno con la lana di capra, cos come la coperta del letto
e quel centrino sopra il com. Il tavolino stava in mezzo
alla camera, sopra vi pendeva la lampada con un paralu-
me verde. Quando lei era seduta a studiare, il suo grosso
seno occupava lo spazio tra le due pile di libri, sover-
chiava il tavolino, lo rimpiccioliva; pareva una bambina
davanti ai suoi giocattoli. Studiava lettere e dicevano che
fosse di dieci anni in ritardo con gli esami. Le pi giova-
ni la chiamavano la zitella.
Per terra, attorno a una larga foglia di lattuga stava la
testuggine che Augusta aveva battezzato Margherita.
Era in autunno, savvicinava lepoca in cui si nascondeva
sotto il com, e l, in letargo, dormiva come morta, im-
balsamata. Gi i suoi movimenti erano divenuti pi pi-
gri. Ha sonno spiegava Augusta con voce pietosa,
quasi parlasse di una bambina. E le lucidava il guscio
con una penna intinta nella brillantina, la teneva in ma-
no con le zampe che annaspavano, poi diceva tendendo-
la alle amiche: Sentite? profumata, adesso. Ma po-
che vincevano il ribrezzo e la toccavano. Augusta la
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
19 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
rimetteva in terra, va, va, povera Margherita: sudivano
le dure unghie della testuggine battere sullimpiantito.
Le ragazze salirono da lei gi tardi, la luce era spenta;
la trovarono che leggeva placida, sembrava avesse il ta-
volino sui ginocchi. Vedendole entrare salz dignitosa,
le ricevette come per una visita ufficiale. Le altre rumo-
rosamente si buttarono sul letto come su unaltalena.
Silvia si sedette per terra, passando la mano sul tappeto,
come su una bestia viva. Augusta, tratto un sacchetto
dal comodino, offriva caramelle. In ogni suo gesto cera
una composta solennit.
freddo disse Anna molto freddo.
Come sarebbe bello se questa tua stanza fosse una
grande cucina! esclam Silvia. Castagne sul fuoco e
una vecchia serva che racconti. La nostra conosce terri-
bili storie, di quando cerano ancora i briganti. In fondo
un peccato che non ci siano pi briganti: non ci sono
pi avventure. Io, se fossi vissuta a quel tempo, avrei vo-
luto sposarne uno.
Con il tuo carattere ti avrebbe governato con la fru-
sta!
Avrei preso anche quella.
Augusta fece, scotendo la testa: Parlate del matri-
monio con troppa leggerezza.
Valentina prese a parlare, disse che si sciupavano tut-
te le serate in baldoria, in chiacchiere senza concludere
nulla: Poi a luglio, nottate, rossi duovo, esaurimento
nervoso.
Hai ragione.
E Augusta propose: Domani sera si potrebbe fare
una seduta di spiritismo.
Sei pazza?!
Perch pazza? rispose da molto tempo ci penso;
io le facevo spesso al paese. Un tavolino a tre gambe,
tutti vi appoggiano sopra le mani, il tavolino bussa.
Ogni colpo una lettera.
20 Letteratura italiana Einaudi
Ma proibito dalla religione! interruppe Anna.
Tante cose obiett Vinca sono proibite.
Augusta era decisa: Domani sera, allora.
Ma Valentina torn a ribellarsi: Io non vengo. E tu,
Emanuela? cosa decidi?
Quella rispose ridendo; otto per una, una per otto.
Anche tu devi venire.
Non hai paura?
Emanuela esit, poi rispose: No.
Non aveva pi paura. Non faceva nulla di male, nulla
di male. E poi anche il coraggio unabitudine, tutto sta
nel vincere la prima impressione; adesso girava nei cor-
ridoi sicura nel buio. Era forse lo studio a darle questa
sicurezza: la certezza che la sua vita ormai sera fatta si-
mile alla vita delle altre, la sensazione che il passato si
fosse dissolto in lei, fosse svanito. E questa intima sensa-
zione si rifletteva nel suo aspetto esteriore: portava come
le altre i tacchi bassi, i vestiti di lana: viveva come a di-
ciotto anni, dimostrava diciotto anni.
Silvia ripet pensierosa: Otto per una, una per otto.
Per quanto tempo? un anno, due anni. Oh! se almeno
uscissimo di qua tutte insieme, non si sentisse il vuoto di
quella che se ne va, come per una morte. Siamo tutte le-
gate adesso, ogni avvenimento comune, se ho un taglio
alla mano lo sapete, se ho mal di capo, o se ho paura
dellesame. Insieme dal mattino alla sera... E poi tra uno,
due, tre anni, luna non ricorder pi il nome dellaltra.
impossibile fece Emanuela.
possibile ribatt Augusta: eppure qui ci siamo
scelte tra tante, si direbbe, per autentica affinit. Ma sol-
tanto la familiarit continuata di ogni giorno che ci lega;
appena questa cade si scava fra di noi unincolmabile di-
stanza. Senti: lanno scorso andata via una di qui, ha spo-
sato, una di quelle che divideva ogni ora con noi: neppure
una cartolina ha mandato. Eppure aveva promesso che...
Sposare unaltra cosa Valentina soggiunse
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
21 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
passare allaltra sponda. Che cosa avrebbe pi da dire a
noialtre?
Silvia disse: Io non mi sposer mai.
E il brigante?
Appunto, perch briganti non ce ne sono pi as-
sent ridendo.
Augusta di nuovo porgeva alle amiche il sacchetto
delle caramelle. Emanuela le chiese sottovoce: Quanti
esami devi dare? E quella ebbe un gesto evasivo.
La porta sapr piano, entr Xenia. Sbito Valentina
le domand: Dove stavi? tho cercato, la tua camera
era chiusa a chiave.
Xenia non rispondeva: pallida, i grandi occhi immo-
bili, le narici arrossate dal pianto.
Xenia, che hai fatto?
Xenia, rispondi, Xenia!
Gli occhi fermi nel vuoto, la ragazza spieg infine con
voce incolore: oggi ho dato la tesi. andata male.
La tesi? ma se dovevi darla dopodomani?...
Vho detto una bugia. Non volevo che veniste
nellaula, avevo paura, paura perfino di aspettare con
voi il momento di rientrare a sentire il risultato.
Paura di dirlo a noi?...
S. andata male. Laspettiamo a marzo mi ha
detto Trecca. Tu non me lo perdoni, vero, Silvia? daver
fatto fiasco?
Non questo. Noi e accentu questa parola, noi
avremmo voluto esserti vicine. Noi non ti perdoniamo la
bugia.
Dimpeto Emanuela corse verso Xenia e labbracci:
Non ascoltarla, Xenia! Non guardare cos fisso.
Dicci: e i tuoi genitori?
Ah! tu hai capito, tu. Che vuoi che facciano i miei
genitori? Devo tornare a casa piangendo si strinse
allamica e non ci torno, mai pi, mai pi, piuttosto,
vedi?, piuttosto mammazzo!
22 Letteratura italiana Einaudi
Xenia! esclam Anna.
E per un momento fu silenzio attorno al pianto acco-
rato della ragazza.
Siediti, siediti, clmati, ci sar un rimedio, ti lasce-
ranno qui fino a marzo.
Xenia scoteva la testa: Non possibile, non hanno
soldi, neanche un soldo. Per farmi studiare pap ha fatto
lipoteca sulla vigna. Valeva la pena! diranno al paese e
rideranno tutti. Ma non ci torno, la soddisfazione non
glie la do. Ricominciava a piangere: Che colpa ne ho
io? Ho fatto tutto quello che ho potuto. Al mattino voi
dormivate, io malzavo quando sentivo la prima campa-
na delle suore. Trecca si lisciava i baffi: Laspettiamo a
marzo, signorina Costantini. Poi ha guardato lorolo-
gio, forse aveva fame. Cane, cane assassino! Sarrest
perch i singhiozzi la soffocavano. Riprese accorata:
Non posso rimanere neppure un giorno, impossibile,
giusto: i miei hanno mangiato patate tutto lanno per te-
nermi qui. La colpa mia, capite? e si batteva la fronte
con la mano aperta: Mia, mia...
Le altre, sbigottite, non trovavano parole; dun tratto
Xenia smise di piangere e fece: Perdonatemi. Perdo-
natemi tutte. Scusate. Che stavate facendo? Studiavate,
vero?
Si sentiva in questa domanda tanto rimpianto che Au-
gusta rispose: No, si parlava. Siediti, prendi la mia se-
dia, siediti qui con noi.
Xenia rifiut con gentilezza: No, scusatemi, ma non
ho voglia di chiacchierare; sono salita un momento sol-
tanto per informarvi di questa rovina. Sto gi meglio,
adesso, ritorno in camera mia.
Sola? fece Emanuela non possibile, io vengo
con te.
No. Ti prego, Emanuela, no: ho bisogno, molto bi-
sogno di stare sola.
Agitata cos? Non possibile.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
23 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Non aver paura, non salto dalla finestra. Ci ho pen-
sato. Sono vigliacca. Vado a dormire. Ma forse stavolta
che potrei dormire fino a mezzogiorno non dormir.
Con un gesto salut in giro. Alta, il suo viso quasi non
si vedeva, era al di sopra del cerchio di chiarit della
lampada. Tutte sentivano che avrebbero dovuto accom-
pagnarla, confortarla, e per non sapevano che cosa dir-
le. Rimasero l pensando: vado, non vado attendendo
ognuna che laltra si muovesse; e in questa loro incertez-
za, Xenia aveva aperto la porta, era scomparsa.
*
Il giorno dopo erano tutte moge; finora nessuna ave-
va pensato di poter fallire alla tesi. E ora la faccia stra-
volta di Xenia metteva timori nel cuore di tutte. Alla le-
zione di Belluzzi, neppure sedettero vicine, si
ritrovarono alluscita, si riunirono in crocchio: solo
Emanuela che era venuta con Silvia, sorrise alle altre e
fece allegramente: Guardate un po che ho ricevuto!
e tese loro un biglietto. Lo lessero tutte, curiose: qualcu-
na per le scale dellUniversit, certe nel portone, non si
contentavano di udirlo leggere da unaltra, volevano ve-
dere la scrittura, la firma. E col nuovo avvenimento,
sembravano aver ritrovato lallegria. Vacci, vacci
consigliavano.
Silvia pregava: Non la tormentate cos. Deve fare
quello che vuole.
E Anna: Hai ragione; io dico soltanto che un ra-
gazzo intelligente, serio, attento, non ha mai scherzato
con nessuna.
Emanuela camminava quasi sospinta dalle altre che le
si serravano intorno. Era incerta: Non so che far. Mi
sembra strano andare.
Per ne hai voglia, confessa che ne hai voglia.
Che c di male? insisteva Vinca. Non uno sco-
24 Letteratura italiana Einaudi
nosciuto. amico nostro, collega, te labbiamo presen-
tato, ogni volta che venivi alle lezioni gli hai parlato.
Va bene, ma...
Lappuntamento era per la sera dopo alle sei, davanti
alla fontana del Mos, al Pincio: Emanuela avrebbe vo-
luto andare; arrivare cinque minuti in ritardo per dargli
un po di trepidazione facendogli pensare che non sa-
rebbe venuta. Presentarsi uscendo dal vialetto, aspettare
che egli parlasse, spiegasse. Lanziani, un ragazzo dinge-
gno. Ma soprattutto lattraeva quellattesa fino a doma-
ni; presentarsi fresca nel vestito grigio, benissimo. Augu-
sta le diceva sempre: Lessenziale, nella vita, avere
unattesa. E lei seduta dietro il tavolinetto, grassa, coi
fili bianchi nei capelli, aspettava chi sa che.
Vacci, vacci.
Parlando, ridendo, svegliarono col loro ingresso il
freddo collegio; il pavimento, ovunque nellistituto, era
a quadri bianchi e neri, nelle alte pareti grigie saprivano
lunghi finestroni per met opachi, perch non ci si po-
tesse invogliare del mondo di fuori. Le ragazze entraro-
no briosamente nel refettorio: dai finestroni si vedeva il
cortile, ornato da rigidi bamb e palme basse: soltanto
in un angolo, dove al mattino cadeva un raggio di sole,
cera un gruppetto di vasi di geranio.
Molte ragazze erano gi alla tavola, sudiva il represso
brusio delle voci, lo smuoversi delle posate: nel fondo
del refettorio suor Lorenza attendeva a scodellare.
Le amiche presero i loro posti ridendo, niente affatto
preoccupate della suora che era rimasta col mestolo a
mezzaria, la fronte corrugata. Spiegarono i tovaglioli, si
versarono lacqua, il vino, parlando forte.
Al posto di Emanuela una lettera era poggiata al bic-
chiere, veniva da Firenze, una lettera di pap, ne ricono-
sceva la minuta calligrafia. Smise di ridere e dette unoc-
chiata in giro per vedere se le altre avessero notato il
timbro, seguito i suoi gesti; ma le compagne erano di-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
25 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
stratte, stavano raccontando ad Augusta il fatto del bi-
glietto di Lanziani: Fattelo leggere, lei non vuole an-
darci, figurati...
Intanto Emanuela aveva aperto la lettera; dopo averla
scorsa in fretta, la richiuse, attenta a che nessuno avesse
letto nel foglio con lei. Le compagne non debbono sape-
re che pap a Firenze: pap in America, ritorner a
primavera.
Valentina le chiese: B, hai deciso, Emanuela?
S, ho deciso: non ci vado.
Augusta le domand: Fammi leggere la lettera.
Quale?
Ma a che pensi? Quella di Lanziani, no?
Emanuela glie la tese e, dopo essersi assicurata che le
compagne non la osservavano, riapr quella di suo pa-
dre, la rilesse. Diceva: Domenica, se vuoi, puoi andare
a trovare la bambina.
La domenica era per il collegio come un grande sbadi-
glio. Le ragazze si svegliavano di buonora per abitudine,
istintivamente facevano per gettarsi gi dal letto, poi ri-
cordavano: festa e si lasciavano scivolare di nuovo
nel tepore, a poltrire. Ma avevano la sensazione di ruba-
re quellora; perci finivano con lalzarsi presto lo stesso.
A una a una le finestre saprivano, le ragazze saffac-
ciavano e parlavano tra di loro del programma della
giornata prima ancora di lavarsi la faccia.
Emanuela era pigra. domenica, oggi pensava, e
anche lei si sentiva liberata dal peso della settimana; di
domenica il cielo le appariva pi limpido. Voci partiva-
no dalle finestre chiamandola; lei, infine, rispondeva,
andava alla finestra, cercava le compagne con gli occhi.
Augusta soltanto non saffacciava, la domenica usciva
per tempo al mattino a comperare fiori per la camera, la
lattuga per Margherita, poi cambiava i centri sardi sui
mobili, spolverava i libri, diligente. Una ragazza di giu-
26 Letteratura italiana Einaudi
dizio, dicevano le suore; le compagne pensavano che or-
mai giovanissima non era pi, negli studi non riusciva
avrebbe potuto farsi suora anche lei. Quando le dice-
vano questo ridendo, ella scrollava il capo, offesa, e ri-
batteva: Ho ben altro per la testa.
Che fai oggi, Emanuela?
Sto con voi; che facciamo?
Rimanevano incerte, affacciate su quel giorno di vacan-
za obbligata. E non sapevano come fare a divertirsi in una
citt estranea, nella quale le sole cose consuete e amiche
erano lo studio e il collegio. Emanuela le scoteva da que-
sta loro timidezza, pensava un poco, poi decideva: oggi
andiamo a vedere le scimmie allo zoo. oppure: Al ci-
nema. Pago io. E le altre approvavano con entusiasmo.
Quella domenica invece rispose: Oggi... Oggi ho da
fare.
Valentina le chiese: Hai avuto un altro biglietto di
Lanziani?
Oh!... no, no: altra cosa, una parente.
Xenia che si limava le unghie disse, senza alzare gli
occhi: Per, se ti piaceva, hai fatto male a non andare.
Emanuela parl daltro, volutamente; il giorno prima
aveva seguito minuto per minuto lattesa del ragazzo, vi-
cino alla fontana del Mos, sul principio si sar distratto
guardando i giochi dei bambini che mettevano le barche
nella vasca, avr pensato a qualche suo veliero di infan-
zia, poi avr cominciato a guardare lorologio, di fre-
quente, sempre pi di frequente, a poco a poco avr vi-
sto le possibilit diminuire, svanire, infine avr preso il
cammino del ritorno, chi sa dove abitava Lanziani, e la
sera non avr studiato volentieri; ma ormai lei non si
rammaricava pi di nulla, attendeva che qualcosa acca-
desse. Disse, perch le altre non notassero la sua preoc-
cupazione: Fa bene ogni tanto la domenica e si di-
vag seguendo alcune nuvolette diafane che si
stracciavano al sole.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
27 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ormai sempre domenica per me Xenia disse.
Era calma, al mattino svegliandosi sera messa a cantare.
Suon la prima campana: avevano mezzora soltanto
per prepararsi; si ritrassero dalle finestre facendo affret-
tati cenni di saluto, e dalle camere venne rumore dac-
qua e di brocche.
Scesero poi tutte pettinate, odorose di pulito; incon-
travano altre compagne, si salutavano con aria di festa,
si prendevano sottobraccio giocondamente. Scendevano
le scale in fretta, attratte da quellodore di caffellatte e
pane fresco. Un odore mattinale e invitante che saliva
non si sa come dalle scale, dai cortile, un odore proprio
di collegio e di scuola, che mai pi avrebbero sentito
passati quegli anni; e annusando, uno stimolo di fame al-
lo stomaco, scesero, fluirono nel refettorio, si sedettero
innanzi alle bianche ciotole, strizzarono nelle mani il pa-
ne crocchiante.
Tutte, meno Anna. Lei al mattino della domenica
sempre usciva presto; aveva un piccolo cappello nero
con un mazzetto di fiori che tremavano sullala. Prende-
va il tram, si recava nei quartieri vecchi dove cera mer-
cato. Le dispiaceva che il collegio fosse in un quartiere
elegante: le sarebbe piaciuto come al suo paese in Pu-
glia, abitare in campagna e poi, semplicemente vestita,
scendere per la strada, prendere parte alla vita di essa.
Questa era la sua vita e la sua vacanza. Stanca dei bei li-
bri, adesso ascoltava i dialoghi semplici della strada, ma
era umiliata di non essere conosciuta da nessuno, di sen-
tirsi forestiera. Certe donnette, al mercato, rivoltolavano
per ore le castagne arrosto sulla brace: lei ne comperava
e indugiava parlando con la venditrice. Quella neppure
alzava la testa per guardarla: Eh s, freddo rispon-
deva mettendo le castagne sulla palma della mano che
vedeva tesa, sei soldi di castagne. Anna le faceva scivola-
re nella tasca del cappotto e andava a mangiarsele affac-
ciata al parapetto del Tevere.
28 Letteratura italiana Einaudi
Il fiume scorreva lento, greve, mota gialla sembrava
invece dacqua, le sponde erano brevi e spoglie. Anna
sgranocchiava le castagne, mangiandone lodore piutto-
sto, godendo di quel caldo tra le mani, guardava il fiu-
me andare pacifico alla sua mta, e pensava a s. Incon-
tro cerano vecchie case povere coi balconcini guarniti
di fiori. Sopra, il cielo era nitido, pieno di confidenza,
domenicale. Un anno ancora, poi sarebbe tornata al
paese, col pezzetto di carta nella valigia da mostrare a
pap e mamm; avrebbe potuto alzarsi presto al mattino
e scendere nei prati, senza linutile ingombro del cap-
pello, poi, a sera, aprire la finestra e annaffiare con un
annaffiatoio verde piccolo cos, tutti i fiori del davanza-
le. Cos sognando, passava il tempo; a mezzogiorno tut-
to il cielo si scoteva in un fragore di campane. Anche il
fiume sembrava accogliere quel suono; il mercato san-
dava spogliando, gi la citt piombava nel tedio della fe-
sta. Anna allora, impigrita, cercava nella tasca del cap-
potto, non c pi neppure una castagna, peccato,
sentiva che tirava un venticello rigido, e prendeva a
camminare, passando per le vie pi strette tornava al
collegio.
Quella domenica rientrando trov le compagne che
complottavano. Stasera dicevano stasera. In came-
ra di Vinca.
Ma Vinca si opponeva: Intanto io non ce lho il ta-
volino a tre gambe. E poi se lo spirito viene tra le mie
pareti, dopo chi me lo caccia?
Perch chi lo caccia?
S, cos dicono da noi; quando lo spirito scende,
simpossessa del tavolo e non lo abbandona pi, prende
asilo nella casa, bisogna chiamare quelle donne che san-
no le parole magiche per fugarlo.
In Spagna, questo diceva Augusta. Ma qui... In-
somma stasera si fa lo spiritismo.
Xenia ripet: Stasera e rest pensierosa. Poi si vol-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
29 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
se a Emanuela e le chiese bruscamente: Tu esci, vero,
oggi?
S rispose imbarazzata. Perch mi chiedi que-
sto?
Oh, nulla nulla, cos, dicevo.
Se volete Anna fece conciliante potete venire in
camera mia.
Soddisfatte le ragazze si sciolsero sul pianerottolo di
Emanuela e Milly. Le altre salirono ripetendosi lappun-
tamento per la sera: Al 58, allora, da Anna. E sallon-
tanarono per le scale.
Dinanzi alla camera di Emanuela, Milly prese lamica
pel braccio, chiedendole: Perch vai a questa seduta?
Quelle sono fanatiche. Dopo avrai ancora pi paura a
scendere.
No, sai? Non ho paura pi, erano i primi giorni, co-
me tu dicevi. E dopo averla salutata entr nella sua ca-
mera.
La finestra era aperta ed Emanuela rabbrivid; chiuse
i vetri e lenta cominci a svestirsi. Si rivest con attenta
cura, come da tempo non faceva; si scelse un vestito che
non metteva da quando era in collegio, un vestito nero,
e un mantellino di pelliccia nero anchesso. Cos vestita
pareva di qualche anno pi vecchia, certo per quel velet-
to sugli occhi. La borsa, il denaro nella borsa, forse met-
terebbe anche lo smeraldo? Lo guard, lo gir, no, non
poteva metterlo; da un pacco di carte che teneva chiuso
nella valigia trasse una fotografia, un uomo, un aviatore;
la chiuse nella borsetta, guard intorno: tutto a posto
pens, e usc.
Appena fuori sent che tutta la spensieratezza della vi-
ta di collegio in un attimo sera dispersa in lei; si ritrov
chiusa in pene antiche, preoccupata. Come se scendesse
allora dal treno che da Firenze laveva condotta qui.
Tante volte quandera ancora a casa aveva cercato di
immaginare il collegio nel quale abitava Stefania; temeva
30 Letteratura italiana Einaudi
che fosse tetro e freddo. Era invece una villa bianca, sul
Monte Mario, in campagna, sotto un immenso arco di
cielo. Il portoncino sapr piano ed ella entr in un gran-
de atrio dove cerano statue sacre e piante di fucsia. Nel
fondo del vestibolo si vedeva il verde aereo del giardino.
Vorrei Emanuela disse vorrei la bambina Ando-
ri?
Il parlatorio era una veranda chiara, tutta calda di so-
le, piante di geranio, di begonia nei vasetti di terra lungo
la vetrata. Nessun altro aspettava e ne fu sollevata: cera
tra quelle pareti bianche un silenzio di ospedale. Tin-
tinn una campanella nel giardinetto e poco dopo entr
una vecchia suora, che inchinandosi rispettosamente
chiese: Buongiorno, signora: ella vuol vedere la picco-
la Stefania?
Emanuela assent, la gola stretta.
Lei ...
Emanuela pieg la testa, poi disse a bassa voce: S,
la mamma.
Di nuovo la suora sinchin: Abbiamo ricevuto la
lettera di suo padre; la bambina stata felice allidea di
rivederla. cresciuta. brava. E prima che Emanuela
replicasse, aggiunse: qui.
Emanuela guard verso lingresso: la commozione la
soffocava, le formava un groppo doloroso in petto.
La bambina apparve sulla porta e l sarrest guardan-
do la madre con occhi intenti. Era una cosettina bionda,
Stefania, alta cos, le treccine annodate sugli orecchi, il
viso aggrottato per lintensit dello sguardo. Poich la
suora era scomparsa, Emanuela singhiozzando si preci-
pit sulla figlia, la strinse, la sollev. Stefania fissandola le
chiese tranquilla: Mammina, hai portato le caramelle?
Emanuela rest come presa in fallo: Oh! no, no le
caramelle, Stefania...
La cioccolata, allora?
Neppure.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
31 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ho capito: la bambola. E la piccola cerc attor-
no.
Nulla, amore mio! oggi non ho portato nulla, ma
domani, vedrai? domani...
Tutte le mamme portano le caramelle o i giocattoli.
Le suore dicevano che mi avresti portato i dolci tornan-
do dallAmerica. Hanno detto la bugia. Dicono anche
loro le bugie. Non ci sono dolci in America?
S, ce ne sono...
E allora perch non li hai portati? E ripeteva:
Tutte le mamme portano i dolci. E io sono stata buona.
Trs sage.
Brava Stefania, e di, mi vuoi bene? La bambina
accennava di s con la testa. Hai aspettato la mamma,
vero? Sempre Stefania diceva di s, tutta occupata a
toccare la pelliccia della madre. Sei contenta che io sia
qui?
Certo. E verrai anche domenica?
Oh! sicuro, tutte le domeniche, sempre, sempre
verr.
Ecco: e allora domenica portami le caramelle.
Emanuela promise; e poi non sapeva pi cosa chiede-
re. Mangi bene? ti senti bene? La piccola annuiva.
Sono gentili le compagne? E cos di seguito, finch la
bambina le domand: Posso aprire la borsetta? Feli-
ce, Emanuela glie la tese; ma prima le disse, seria: Ste-
fi, qui dentro c una fotografia per te, del babbo.
Dammela.
Dopo che lebbe avuta rest un attimo a guardarla,
poi dimprovviso battendo un piede per terra disse du-
ramente: Voglio che venga, il babbo, che venga subito.
Emanuela guard sgomentata la figliola. Vuoi bene,
vero a bassa voce le chiese vuoi tanto bene al babbo?
S Stefania rispose distrattamente. Sai? le com-
pagne non credono che il mio babbo aviatore: voglio
che venga, cos lo vedranno se aviatore. Mi porter un
32 Letteratura italiana Einaudi
piccolo aeroplano? Non dette alla madre neppure il
tempo di risponderle, aggiunse con impazienza: Senti?
le compagne giocano. Adesso torno con loro.
Era finito, Emanuela pens, finito. Questo colloquio
dunque era la cosa per la quale lei aveva tanto lottato,
sera difesa. Non aveva desiderato che questo incontro,
questo per due anni era stato il suo segreto scopo e ades-
so le sembrava che tutto fosse dissolto, svanito, unillu-
sione. Avrei dovuto portare le caramelle, si diceva, certo
tutto dipeso dalle caramelle. Ma come avrebbe potuto
pensare a questo? era divorata dallansia. La colpa
mia, la colpa mia, aveva voglia di piangere. Credette
che da un nuovo contatto con la figlia qualcosa sarebbe
rinato, non era tutto distrutto, forse. Perci prese sui gi-
nocchi la bimba, le carezz i capelli, le guancette sode,
la guard negli occhi. Aveva occhi severi, poco infantili.
Tacevano, non sapevano pi che cosa dirsi; guardan-
do al di sopra delle spalle della madre Stefania ascoltava
attenta le voci, le risa delle compagne; si mostrava tanto
impaziente che Emanuela la lasci scivolare dai ginoc-
chi. Torner domenica le disse sono venuta a Ro-
ma apposta per esserti sempre vicina, ti porter le cara-
melle, la cioccolata, la bambola. Come la chiamerai la
bambola?
Vorrei chiamarla come te. Ma tu come ti chiami,
mamma?
Fuori la porta del collegio era aperta campagna; Ema-
nuela sincammin a piedi guardando, sotto il viale, alla
lontana, la citt stendersi bianca e rosa al sole. Non era
freddo, apr la pelliccia, sollev la veletta. Pensava a
pap e mamm, la villetta di Maiano, la sua camera, il
letto con la coperta a fiorami, la sala da pranzo, le cene
sotto il grande paralume verde che spandeva un cerchio
di chiarit sulla tavola. Pranzi silenziosi, ostili; da quan-
do Stefania era stata tolta alla nutrice in Svizzera ed era
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
33 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
stata mandata in collegio a Roma senza che lei potesse
rivederla, inventando con le suore quel suo viaggio in
America, Emanuela non parlava quasi pi ai genitori.
Buonasera pap, buonasera mamm. Ogni pochi giorni
la solita scena. La ragazza entrava nello studio del padre
verso il crepuscolo; egli usava sedere accanto alla fine-
stra aperta, una coperta sui ginocchi, contemplando Fi-
renze, le colline, i tetti rossi delle case che spuntavano
tra il verde. Nello studio semibuio, il quadrato di luce
della finestra illuminava la faccia del vecchio. Lei comin-
ciava sempre cos:
Pap...
Emanuela...
Senti, pap...
Che c?
Voglio andare a Roma, da Stefania.
deciso che tu rimanga qui.
Ma pap, capisci inumano, non posso vivere senza
la bambina, Stefania...
deciso cos, Emanuela.
Il vecchio riprendeva a leggere o a guardare fuori; la
ragazza usciva piangendo, e la madre neppure ardiva
chiederle comera andata. Emanuela saliva in camera
sua, si buttava sul letto, al buio. Non cera rimedio; co-
me avrebbe potuto fare? Andarsene da Firenze senza un
soldo, era impossibile, non possedeva che lanello di
Stefano. La madre spesso diceva: Il babbo ha ragione,
Emanuela; da allora, hai visto? ha cambiato umore, co-
me se lavessimo perduto, renditi conto anche tu, Ema-
nuela. Lei si rendeva conto, infatti: usciva a piedi sola
per lunghe ore, talvolta incontrava le amiche: Oh! Ema-
nuela, non ti si vede pi, sei smagrita. Nessuno sapeva
la verit. Tornava a Maiano a piedi, cos in attesa tra-
scorrevano giornate inerti, mesi, finch una sera entran-
do nello studio del padre Che faresti, pap, se io me
ne andassi? chiese.
34 Letteratura italiana Einaudi
Che dici, Emanuela?...
Dicevo che vado via, a Roma, lavorer, far qualun-
que cosa, ma basta cos, lo so, sono colpevole, sono il di-
sonore della famiglia. Ma basta, adesso seguitava riso-
luta ho deciso che basta. Me ne vado, ho ventiquattro
anni e me ne vado, pap.
Nella penombra dello studio il vecchio scrutava il vi-
so ardito della figliola. Diceva la verit, se ne sarebbe an-
data. Chin la testa, si guard le mani sempre scosse da
un tremito:
Vedremo, Emanuela, rifletter.
La ragazza uscendo disse alla madre: Ha detto che
rifletter. E anche lei cap che la figlia se ne sarebbe
andata.
Trascorsero ancora giorni dattesa: Emanuela diceva
buonasera al padre con maggiore dolcezza; guardava gi
con rimpianto la vecchia casa, il giardinetto, sapendo
che li avrebbe abbandonati tra poco; girava per Firenze
come una forestiera. Era la fine di settembre, non era
pi caldo: le foglie dei viali morbidamente cadevano e
formavano a terra un tappeto giallo che scricchiolava
sotto il solitario passeggiare della ragazza. Il cielo aveva
una lucida purit gi autunnale. Certe volte Emanuela
saffacciava al Ponte Vecchio verso sera quando saccen-
devano i lumi delle botteghe, gente saliva scendeva il
ponte, prendeva acqua alla fontanella. Ma lei guardava i
ponti scavalcare il fiume dun balzo, gi gi fino alla
Carraia, guardava sulla riva destra le case nascere
dallacqua annerite dal tenace sciacquo della corrente.
LArno scorreva cos placido che non si capiva da che
parte andasse; se una foglia cadeva nellacqua il fiume
tranquillo comera la portava a spasso, in trionfo. Ema-
nuela aspettava la decisione; basta finalmente con la bu-
gia che pap metodicamente scriveva a Roma, al collegio
di Stefania: mia figlia in viaggio, in America. Pensa-
va forse che lei a poco a poco avrebbe dimenticato la
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
35 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
bambina. Vorrei che tu ti rifacessi una vita, una vita co-
me deve essere, cos le diceva sempre.
Emanuela rientrava appena in tempo per la cena; il
giardino era gi umido dombra, la terra bagnata emana-
va un odore che le era familiare. La tavola era pronta
sotto il grande occhio di luce. Buonasera pap, buona-
sera mamm. Si toglieva il cappello, si passava la mano
sulla fronte, la minestra calda le metteva dentro un tepo-
re benefico. Una sera discorrendo fece: Quando sar a
Roma... Il babbo non la contraddisse e lei, prima di
andare a coricarsi, senza parlare, labbracci. Ormai
pensava alla bambina come se gi lavesse l, le pareva di
vedere dun tratto aprirsi la porta e Stefania entrare. Ri-
pensava a quando si trovava nella clinica in Svizzera,
giorni umilianti: la mamma lassisteva, ma come se fosse
malata di un altro male, mai parlava della bambina. Era
come se, pur essendo vicino a lei nella culla, Stefania
non esistesse. Ricordava quando, dopo, andava a trovar-
la dalla nutrice: due ore di treno secondario, una collina
chiara, dove di prato in prato rimbalzava il dindinno
delle mucche. Quella volta che arrivando la intese dire:
Mamma rest l in un improvviso stupore, pensando
Mamma sono io e tuttavia non le sembrava vero, poi-
ch andava a trovarla soltanto ogni quindici giorni, non
la vedeva crescere accanto a lei, era come se ogni volta
trovasse una bambina nuova. Chi sa come lavrebbe tro-
vata cresciuta adesso, due anni che non la vedeva.
Finch una sera il babbo la chiam dallo studio:
Emanuela...
Lei stava leggendo nella stanza accanto; dapprima
credette daver sentito male, pap non chiamava mai
nessuno, nessuno doveva entrare quando egli stava nello
studio, seduto alla finestra. Ma la voce la cercava di nuo-
vo, inquieta: Emanuela... Forse ha freddo, vuole una
coperta. Accorse.
Entra, Emanuela, chiudi la porta, siediti.
36 Letteratura italiana Einaudi
Lo conosceva bene, pap, aveva tutto un discorso sul-
le labbra: certo si trattava di Stefania.
Cara voce di pap.
Adesso cammina adagio, Emanuela; oltrepassata la
periferia, non ci sono pi alberi, ma strade nuove, asfal-
tate, lucide: lei cammina e riode in s quella voce con
laccento commosso di quella sera al crepuscolo.
Ho riflettuto, Emanuela. giusto che tu vada a Ro-
ma.
Dallo sgabello la ragazza si lasci scivolare ai ginocchi
del padre, la faccia nel caldo della coperta, contro il du-
ro dei ginocchi piegati. Da un anno lottava e in quel mo-
mento, invece, scoteva la testa come se non volesse par-
tire pi.
Cammina Emanuela, gi dentro la citt e risente
contro la gota il calore rude della coperta. Mamm
aspettava seduta nella stanza da pranzo, una mano sulla
tavola, povera mamm, com sua abitudine. Tutte tre
sapevano chera inevitabile; tutte tre avevano il cuore
stretto come una noce; e tuttavia la pena di Emanuela
era pi leggera; era una ragazza giovane, la sua vita pote-
va ricominciare.
La luce calava a stento; nella penombra si distingue-
vano solo i chiari occhi di pap. Pap parlava, diceva
che era giusto che lei andasse a Roma, laveva capito, ma
sola no, con loro due nemmeno, come era possibile? La
mamma qui ha il giardinetto, la macchina, le sue ami-
che, alla nostra et non si fanno pi nuove amicizie, tan-
te cose, e poi soffre sempre per i reni e a lui basta del
mondo quello che vede dal quadrato della finestra e
quello che legge nei libri. Poi tutto ci lo ha scosso trop-
po, vecchio ormai e non vuole affaticarsi e morire, co-
me potrebbe morire lasciando quella figlia cos? a meno
che per i tanti dispiaceri il cuore un giorno non gli si
schianti... S, s, non ti scusare, sei stata vittima anche
tu, ormai, vedi? non ti dico pi nulla, non ti rimprovero,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
37 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
ma il fatto c, il fatto esiste e bisogna portarne le conse-
guenze, anche la bambina, poverella, non piangere figlia
mia, ma insomma il colpo stato tremendo e quella po-
vera donna di tua madre da allora s ridotta cos. A Ro-
ma sola dunque no; perch finora giudizio con gli uomi-
ni non hai dimostrato di averne e gi basta questa
tragedia che ti devi portare per tutta la vita; a Roma sola
dunque, non si deve, non si pu. C a Roma un colle-
gio... s, un collegio per signorine, come si dice ades-
so?... un pensionato, si esce durante il giorno quanto si
vuole, per studiare, a quella data ora si rientra... Che
ora? oh, non so, le sette, le otto... S, suore sono. E per-
ch? Chi dovrebbe saperlo che vai a trovare la bambi-
na? Tu esci e nessuno ti domanda dove vai. Dirai alle
suore che sei l a studiare un po finch noi torniamo da
un viaggio, un lungo viaggio in America. Anche qui a Fi-
renze, agli amici, si dir che vai a studiare; eh gi, s, lo
so, penoso mentire, ma si dir cos, non si pu altri-
menti, per me, la posizione mia, si dir che vai a Roma a
studiare la storia dellarte non si pu far sapere a tutti
che c una bambina e cos senza padre... disgraziato an-
che quello, s, ma trentanni aveva, un uomo che vola ed
sempre esposto al pericolo, pace allanima sua, ma po-
teva pensarci.
Era una domenica cos, come ora che Emanuela cam-
minando ripensava a tutto ci: il cielo era tutto arriccia-
to da cirri che parevano di panna montata, spirava
unaria mite intorno, le famiglie passeggiavano lenta-
mente, le donne con passo molle, muti i bambini che si
volgevano passando dinanzi a ogni caff per vedere se
sentrava a mangiare la pasta. Le pareva di non essere
mai stata a vedere la figlia; ogni sensazione era gi svani-
ta. Le rimaneva solo nella mente qualche parola: Mi hai
portato le caramelle? Tutte le mamme portano i dolci.
Tutte le mamme. E che mamma era lei? Si vergognava
di esserlo. Aveva una fotografia di Stefania accanto al
38 Letteratura italiana Einaudi
letto. Chi quella bambina? le aveva chiesto Milly.
Lei aveva risposto distrattamente: Ah, una mia nipoti-
na. E intanto si proponeva di togliere di l quel ritratto
perch non potessero supporre nulla, le compagne. E
che compagna era lei?
Si scostava di dosso la pelliccia, che giornata tiepida,
proprio un tepore domenicale, pap e mamm a Firenze
saranno usciti a passeggiare in macchina. Pensano alla fi-
glia. Si prendeva il loro nome, i loro denari, mandava po-
che lettere; lettere di collegio: Pap, sto bene; mamm,
sto bene. In casa, al Grimaldi e con Stefania, ovun-
que ella aveva una vita diversa, e un volto per ciascuna.
Ma comera lei veramente? Bisognava avere la forza di
chiamare le compagne, dire: Sentite, tutte bugie vho
raccontato... Ma forse tutte si sarebbero allontanate sa-
pendo che lei era sullaltra sponda. Dicevano sempre
cos: Questa la sponda dellattesa. E dopo questo
scoraggiante incontro con la figlia, Emanuela temeva di
non aver niente da attendere dalla vita, pi nulla.
*
Una grande stanza alta e oscura, quella della Madre
superiora; in un angolo il letto bianco dissimulato da
una cortina bianca, sembrava il catafalco di un bambi-
no. Bianche le pareti, linginocchiatoio. Il cuscino
dellinginocchiatoio era gonfio e intatto: si capiva che el-
la non vi pregava mai. Le sedie ricoperte di rosso, rosso
il tappeto sul tavolino. La stanza era pregna di odore
dincenso e di cera, come se lei ne riportasse ogni giorno
un poco su dalla cappella, tra le pieghe dellampia gon-
na. Vecchia era la badessa, vecchissima; aveva le mani
grasse, burrose come il viso. Il suo solo compito era or-
mai quello di farsi accompagnare, sorretta, gi nella
cappella, il suo solo sacrificio quello di risalire le scale.
Per il resto della giornata sedeva in poltrona nellangolo
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
39 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
pi buio della stanza, i piedi sul panchettino; entrando
non la si vedeva, si pensava: a letto; sotto il catafalco
bianco, adesso apre uno spiraglietto. E invece si udiva
il rosario tinnare, la voce chiedere severa: Chi c? e
sulla guida della voce si vedevano due occhi di pietra
grigia, fissi, guardare nella penombra.
Quando lei entrava in cappella le ragazze chinavano
la testa come se passasse una morta in odore di santit.
Due giovani suore la sorreggevano, e con cautela la de-
ponevano sulla poltrona nel fondo della cappella, dove
ella le congedava con un cenno della mano che era insie-
me di sufficienza e di benedizione; quelle scalpicciavano
via leste, sgonnellando molli inchini di qua e di l; la su-
periora incrociava le mani sul grembo e guardava incu-
riosita laltare, quasi aspettando che uno spettacolo in-
cominciasse. A funzione finita le due suore
delicatamente la riportavano su come un oggetto fragile.
Faceva le scale a fatica, ansando, ma rassegnata si proi-
biva di lamentarsi. In sua vece sospiravano le suorette; a
ogni scalino dove ella si soffermava per riposarsi, una di
loro sbatteva svelta svelta le palpebre sul bianco delloc-
chio alzato al cielo.
Chi comandava, in realt, era Suor Lorenza; bastava
vederla quando scodellava la minestra alle ragazze: gira-
va gli occhi attorno, contando le teste delle fanciulle co-
me capi di bestiame: Tutte, ci sono tutte. E intima-
mente gioiva sentendole rinchiuse con lei dietro i
finestroni che imprigionavano la loro giovinezza, le loro
notti, i loro risvegli.
Era lei ad aprire la posta al mattino. Ragazze scriveva-
no da ogni parte dItalia, dallestero, anche. Ella rispon-
deva con una calligrafia chiara, invitante, scriveva con
tenerezza materna; e quando quelle avevano risposto
che accettavano, venivano, ripeteva molte volte il loro
nome tra s, lo accarezzava quasi, poi bruscamente lo
trasformava in un numero, ripeteva nome, cognome, nu-
40 Letteratura italiana Einaudi
mero. Quando una nuova ragazza giungeva e la campa-
nella la chiamava al parlatorio, lei si acconciava in capo
il velo specchiandosi nel vetro della finestra, si chiedeva,
ansiosa: Come sar? come sar?, poi entrava, le parla-
va con contenuta dolcezza. Ma non parlava mai in prima
persona: era sempre la superiora che... la superiora
vuole... dir alla superiora che..., lasciando immaginare
misteriosi colloqui tra lei e la vecchia badessa. Godeva
vedendo che la nuova arrivata, ascoltandola, osservava
le sue labbra, le sue mani fini, la figura alta, snella.
Destate, quando le ragazze andavano a casa, suor Lo-
renza impallidiva, veniva presa da un gran malessere.
sfinita dicevano le compagne. Ma quando le sere co-
minciavano ad accorciarsi, verso il tramonto saliva a re-
citare il suo ufficio sul terrazzo: un terrazzo alto sulla
citt, sulla Villa. Ridiscendeva stringendosi nello scial-
letto per il fresco. Si sente che autunno pensava ral-
legrandosi. In autunno ritornavano le ragazze. Hai
passato bene le vacanze, figliola mia? Ma non voleva
sapere nulla della casa dove abitavano, anzi evitava di
parlarne. A sera, saddormentava beata.
Nella camera della superiora era acceso un lume fa-
sciato di bianco. In quella luce flebile le cose prendeva-
no fantastici aspetti, le mani della superiora parevano
davorio. Suor Prudenzina, immobile vicino allinginoc-
chiatoio, taceva, poi dimprovviso si muoveva, faceva
due passi, finch sentendo tintinnare il rosario si ricor-
dava dessere in camera della Madre e si riaccostava alla
parete, le mani sotto il grembiule. Era gi tardi: avevano
udito le ragazze salire nelle loro camere, parlando ad al-
ta voce nelle scale; suor Prudenzina traendo di tasca
lorologio appeso al cordoncino nero: Tra poco dovr
salire a spegnere la luce disse. Avrebbe voluto parlare
con la Madre, ma questa seguitava ad agitare il rosario
in silenzio, forse dormiva.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
41 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Infine la porta sapr adagio e suor Lorenza apparve:
suor Prudenzina la fiss interrogativamente, anche gli
occhi assonnati della Madre si volsero a lei.
Niente fece suor Lorenza sconsolatamente. Voi
avete ragione, suor Prudenzina. La suora portiera dice
che lha vista uscire con un pacco sotto il braccio.
Avrebbe forse dovuto chiederle...
Ma sorella, ogni ragazza pu uscire con un pacco!...
Laltra apr le braccia, disse: vero.
Chioccia sud la voce della superiora: Non c che
dire, ormai: scappata.
Tutte tre rimasero a immaginare la fuggitiva; la vede-
vano sgusciare dal portone del collegio, correre per le
strade, volgendosi intorno circospetta. Suor Lorenza ri-
cordava di averla vista a mezzogiorno in refettorio, le era
passata dinanzi salutandola con un lieve cenno del capo,
come sempre; aveva gi preso la sua decisione, a
quellora; e lei se lera lasciata sfuggire di mano senza ac-
corgersene. Un carattere difficile, quella ragazza, ina-
sprita dalla povert, veniva a pagare la pensione con i
denari contati.
E i soldi?
Gi, e i soldi?
Bisogna avvertire i parenti sugger la Madre;
scrivete voi, suor Lorenza, chi sa che non sia andata a
casa.
Ma intanto, le compagne?
Si dir che tornata a Veroli.
Non lo crederanno, le scriveranno e...
S, lo sapranno sbito e invogliate scapperanno tut-
te, a una a una insinu con un sorriso suor Prudenzina.
Rimasero assorte, angosciate; suor Lorenza avrebbe
voluto scendere sulla porta ad aspettarla, era fuggita
allaperto, chiss, certo con un uomo. Suor Lorenza non
avrebbe potuto dormire, la notte, quel vuoto nel letto
della camera 33 le avrebbe tenuto il sonno sospeso.
42 Letteratura italiana Einaudi
Scapperanno tutte. No, si sarebbe messa lei stessa sul
portone, le avrebbe fermate, dove vai, figlia mia?, le
avrebbe riportate nelle loro camere.
Suor Lorenza la scosse la voce della superiora,
direte alle compagne che andata a casa, ch la madre
stava male; non si deve sapere che da noi, al Grimaldi,
una ragazza scappata.
Tutti lo sapranno disse freddamente suor Pruden-
zina; sono cose che non si nascondono.
Suor Lorenza fece: Gi. E poi, noi lo sappiamo.
Tintinn il rosario nelle mani della badessa: la sua vo-
ce irritata ribatt: Noi non lo sappiamo. Una ragazza
tornata a casa sua, niente altro. Noi non sappiamo altro,
avete capito, suor Lorenza?
Udirono bussare alla porta dello studio attiguo; le
due suore si guardarono; la badessa tornava a chiudere
gli occhi, non avvezza a vegliare cos tardi. Si picchiava
pi forte alla porta. E allora suor Prudenzina and ad
aprire.
Dalla stanza contigua giunse la voce di Silvia:
Voglio parlare alla Madre.
La Madre dorme a questora.
Suor Lorenza, allora.
in camera sua, adesso io salgo a spegnere la luce.
No, suor Lorenza l dentro, voglio parlare alla
Madre.
Allora suor Lorenza si mostr: Che vuoi, Silvia?
chiese sul solito tono che sembrava ostile. Anche la ra-
gazza sirrigid.
Voglio sapere dov Xenia.
Xenia partita fece laltra con calma, tirando la
tenda che separava lo studio dalla camera della Madre.
andata a Veroli, Xenia.
No. La sua roba qui. E non sarebbe partita senza
salutarci.
Un carattere strano.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
43 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ma a noi non avrebbe fatto questo. Ci voleva bene.
Ha detto che rimaneva in casa. Dove andata, suor Lo-
renza?
Ti dico che a Veroli. E ora tu va a dormire, va a
studiare. Basta, Silvia, davvero.
Ma laltra impallid.
Suor Lorenza, ce lo dica. E poi grid: S am-
mazzata?!
Un silenzio si ghiacci tra di loro. Silvia spaventata
dal suono delle sue parole sera messa a singhiozzare. La
suora era rimasta impietrita; la ragazza insisteva: Noi
siamo le sue compagne, lo dobbiamo sapere: dica, co-
s, vero?
Suor Lorenza scoteva la testa: Non lo so, figlia mia,
non sappiamo nulla. andata via con un pacco, oggi, e
non ritornata. Neppure un rigo, una parola. Hai visto
la camera? Tutto in ordine. scappata. Non mi ha detto
nulla. andata via.
Ha portato la roba con s?
Sembra, qualcosa...
Forse la colpa nostra. Labbiamo accusata di aver
agito segretamente, invece dovevamo aiutarla, offrirle
tutto ci che avevamo. Dove sar adesso?
Suor Prudenzina cominci: Silvia, tu devi dire alle
compagne...
La verit, dir la verit, perch pensano che abbia
fatto una pazzia, e piangono.
La suora sorrise agro e disse: Mi sembra che...
S, anche questa una pazzia..., ma in fondo lesi-
stenza sua, pu farne ci che crede. Eppure la sua ca-
mera vuota ci sembra un cimitero. Fece una pausa,
poi. Vado su soggiunse vado su, buonanotte suor
Lorenza, buonanotte suor Prudenzina, ah! gi, lei sale
per la luce, passi pure, sar terribile stare a lume di can-
dela stasera, siamo impressionate, passi passi, suor Pru-
denzina.
44 Letteratura italiana Einaudi
Suor Lorenza rimase sola nello studio: sul tavolo era
aperto il registro con i nomi delle ragazze. Scorse le pa-
gine, and alla lettera C.: Coppola, Corsi, Costantini,
Costantini Xenia. Scrisse la data: 2 dicembre 1934. Poi
cancell nome e cognome con due linee diritte, la penna
intinta nellinchiostro rosso.
Emanuela, ritornando dal collegio di Stefania, stanca
per aver lungamente camminato, sera stesa sul letto,
prima di scendere a cena; era svuotata dalla desolazione
nella quale laveva gettata lincontro con la figlia. Le pa-
reva una catastrofe senza rimedio, alla quale bisognasse
rassegnarsi; e tuttavia non credeva possibile che tutto
quanto ella aveva patito e lottato si disfacesse cos,
unaerea cattedrale di piume, di fronte allindifferenza
della bambina. A poco a poco sera addormentata; si de-
st dimprovviso allenergico bussare di Silvia alla porta:
C Xenia da te?
Xenia? No, no, perch? Dormivo, entra.
Ma gi laltra si era allontanata, bussava alla stanza di
Milly, ripetendo la domanda: C Xenia da te?
Chi sa perch la cerca da Milly, pens Emanuela, non
ci va mai, quando Xenia o Vinca parlano Milly le ascolta
senza comprenderle come se parlassero una lingua di-
versa. tardi, molto tardi, non ho neppure mangiato,
Silvia ci veniva a chiamare per la seduta spiritica. Le
sembrava di essersi destata nel folto della notte. Erano le
nove e mezzo: il cappello, la pelliccia, la borsa, tutto
buttato l come quando era entrata. Apr il cassetto per
riporvi la borsa, i denari nella scatola, insieme con lo
smeraldo. Dov lo smeraldo? Ansiosamente si guard
intorno; no, non lo aveva messo, cerc, sollev, sfogli i
fazzoletti, apr di nuovo la scatola, la scosse, come se lo
smeraldo di Stefano dovesse venire fuori da un doppio
fondo, nulla, nulla, forse sul comodino, sul tavolo, biso-
gna cercare con calma, nella borsetta, no, impossibile
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
45 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
nella borsetta, forse per terra, sotto il com, accese un
fiammifero, polvere, lanugine, nulla, uno smeraldo si ve-
de subito, grosso. Non c: lo smeraldo di Stefano non
c.
Suon due tocchi alla conversa e quando entr la
scrut con diffidenza: Sei entrata in camera mia?
S, ho rifatto il letto.
S, ma dopo...
No, dopo no.
Non hai visto uno smeraldo?
Uno smeraldo?
S, un anello con una grande pietra verde, uno sme-
raldo.
Laltra scosse la testa, disse: No, mai visto.
Ma Emanuela era piena di sospetti: Chi hai visto en-
trare oggi qui, nessuno?
La signorina Milly insieme con lei; poi la signorina
Xenia venuta, ha bussato per sentire se lei cera, en-
trata, la cercava, si vede...
No, non le signorine. passato nessuno?
Le suore...
Ma no! Volevo dire estranei, non so, operai...
Operai? No, no, che verrebbero a fare gli operai?
Tutto in ordine. Nessuno venuto.
Va bene. Grazie.
Laltra usc fuori: era zoppa, sembrava ebete. Fa be-
ne la parte; ma io vado subito da suor Lorenza pens
Emanuela. Gir ancora gli occhi intorno e fece per usci-
re. Mentre richiudeva la porta vide tornare Silvia. Sen-
ti, Silvia... ma la vide sconvolta, anche lei era agitata.
Lo sai, Emanuela? Lo sai gi? Xenia scappata.
Dove? che ha fatto?
Scappata. Non si sa. Ha portato via un fagotto, un
pacco, la camera in ordine, le suore volevano negare,
pensavamo che si fosse ammazzata, scappata, era senza
un soldo.
46 Letteratura italiana Einaudi
Xenia?!
S, Xenia.
(La signorina Xenia venuta... entrata...)
Ah! fece Emanuela.
Ma non dici nulla? sai qualcosa?
Io? no. Non so nulla.
Dove vai? vieni su?
Andiamo... s, vengo su per la seduta.
Che seduta vuoi fare? Ma che hai, Emanuela? Non
hai capito ancora che Xenia scappata di collegio?
Certo, ho capito, appunto per questo sono stordita.
Salgo con te, saliamo.
Raggiunsero le altre in camera di Augusta che sedeva
con la tartaruga in grembo carezzandola come un gatto;
stavano in piedi tutte. Anna schiacciava noci coi denti,
poi le apriva pungendosi le mani.
Silvia disse: Non sapeva nulla, Emanuela.
Non mi pare ancora vero questa aggiunse.
E Augusta: Non par vero a nessuna di noi: temeva-
mo, capisci? che si fosse ammazzata.
Valentina disse piano: Ma non siamo sicure del con-
trario.
No fece Emanuela, no certo, non si ammazzata.
Sei sicura, tu?
E che ne sai? le chiese Vinca.
Ma... non hai inteso? andata via col pacco. E poi
quando uno si uccide, lascia una lettera; pensi che non
avrebbe scritta una lettera a noi?
Gi. Ma perch allora questa fuga? Se ci avesse
chiesto qualcosa, lavremmo aiutata.
No fece Augusta duramente: lo diciamo adesso,
nessuno lavrebbe aiutata. Lei sapeva questo e perci se
n andata cos.
Sud la voce della suora gridare: Luce! Augusta si
mosse, accese il lume, lo pose sul tavolo, accanto al qua-
le Silvia affranta sera seduta.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
47 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
notte ormai: le dieci. Non rientra pi, non rien-
trer neppure domani. Per noi, nonostante questo, tutto
sguita, vedete? Suor Prudenzina grida luce, le altre
compagne non sanno nulla e noi non possiamo neppure
andare a cercarla.
Sarebbe ridicolo, impossibile.
S, ma gi sarebbe fare qualche cosa per lei. Invece,
non facciamo nulla, non possiamo fare nulla. andata
via. Chi sa dov.
Non pu essere che con un uomo fece Valentina.
Che farebbe sola?
No, disse Emanuela, sar sola invece, se fosse
andata via con un uomo ce lo avrebbe detto, andata a
tentare la vita.
Se sta con un uomo felice.
E che ne sai tu? disse Augusta. Forse orribile.
Non lo sappiamo nessuna, se una di noi lo sapesse, non
la vorremmo pi con noi, poich sarebbe gi scesa alle
ragioni profonde della vita.
Appena fu buio Valentina si mise a piangere: Ho
paura, penso che a tutte ci debba accadere qualcosa di
male, forse Xenia morta, s buttata nel Tevere, galleg-
gia sullacqua, ho paura, Dio, Dio.
Anna seguitava a stritolare le noci, Valentina, smet-
tendo di piangere, dimprovviso mormor:
Forse dorme accanto a un uomo. Forse la sua vo-
ce partiva dal fondo della camera e si sentiva timorosa
forse questa la sua prima notte.
Su questa frase tutte rimasero a pensare: Xenia dun-
que aveva sempre covato un segreto, anche quando divi-
deva ogni ora con loro; ieri dormiva l vicino, appena ol-
tre la parete, e ora forse dorme accanto a un uomo.
Tacevano tutte come per un istintivo pudore, si finge-
vano distratte e intanto ricercavano nella memoria il vol-
to di Xenia, i grandi occhi accesi, certo suo modo di ri-
dere, riudivano la sua voce dura, improvvisa.
48 Letteratura italiana Einaudi
Se cos Anna disse infine Xenia in peccato
mortale.
Allora Silvia irruppe: S, ma io non so se c Dio. Cer-
te volte ne dubito, lo sapete? Bisogna che ve lo confessi,
ascoltate: terribile. Dicendolo ad alta voce mi sembra di
bestemmiare: eppure talvolta quando siamo nella cappel-
la e preghiamo e cinginocchiamo io penso che forse fac-
ciamo tutto ci a vuoto. Chi di noi certo delle dottrine
che professiamo? Se riflettiamo bene sono cose assurde,
favole. Tutto ci vive e si regge soltanto sulla nostra fede.
Ma pensate se mentre stiamo pregando saffacciasse un
grosso uomo dal fondo della cappella e nel nostro raccol-
to silenzio dicesse ridendo: Che state a fare l inginoc-
chiate? Che aspettate? Non sapete che non c nulla? Dio
non esiste. Che cosa faremmo noi, allora? Le altre per-
plesse tacevano; e lei continu: Quando penso a questo
la mia fede vacilla, dubito, comincio a credere che si tratti
di un fenomeno di suggestione collettiva, mi ribello, sto
leggendo adesso un libro sulla creazione della terra, s
creata da s, incontri di atomi, di corpi, di masse. E per-
ci non voglio sentire parlare di peccato mortale.
una morale comoda la tua ribatt Vinca; io
credo, e penso che Xenia ha fatto male ad agire cos.
Ha fatto male replic Silvia, forse s, ha fatto
male, ma non per il peccato, per la sua intima coscienza
davanti alla quale dovr giustificarsi. Abbiamo ognuno
una religione segreta. Quando questa crolla allora vera-
mente tutto finito. In fondo noi siamo rassegnate a
morire perch speriamo che al di l si ricominci a vivere
una vita come questa con un altro volto e un altro nome.
Se fossimo certi che non c nulla, ci uccideremmo per
risparmiarci il tormento dello scolarsi dei giorni. Xenia
ha creduto che ci fosse qualcosa, fuori: lo diceva sem-
pre: Non ci ritorno a Veroli, le strade sono strette,
buie, la casa odora di aglio. andata a vedere che cosa
c. come quelli che muoiono.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
49 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ma quelli non ritornano.
Neppure Xenia, ritorner a dirci che cosa c di l.
Tutte fecero silenzio. Valentina dimprovviso sus-
sult, disse: Ssss! un passo. Ma fuori era silenzio.
nulla disse Anna. E anche le altre, guardando la
porta, scossero la testa.
*
Il vecchio, poi che ebbe finito di leggere la lettera di
suor Lorenza, la ripieg con cura, la fece scivolare in ta-
sca. Forse adesso la porta si apre e Xenia entra dicendo:
Sono stanca come lei faceva. Forse Xenia in camera
sua, forse arrivata e non ha osato mostrarsi.
Nella camera di Xenia, dalle persiane socchiuse entra-
va la luce del crepuscolo, cos tenue che, si capiva, tra
poco la notte sarebbe scesa soffice e densa; nessuno, nel-
la camera. Ieri preparando per il suo ritorno il padre e la
madre dicevano: Il tavolo lasciamolo libero, ci metter
tutti quei libri. Attendevano timorosi questo ritorno. Si
sarebbe chiusa in camera, avrebbe pianto chi sa come, o
sarebbe scappata a passeggiare fuori del paese. Non vo-
glio vedere nessuno, nessuno, aveva scritto. No; in ca-
mera Xenia non cera. Eppure la lettera di suor Lorenza
spiegava chiaramente: Xenia uscita di qui domenica
alle quattro. Domenica alle quattro egli stava giocando
a tressette al caff. Non aveva sentito che a quellora, co-
me diceva la lettera, con un pacco sotto il braccio la fi-
glia se ne andava. Proprio non cera in camera, e allora
richiuse la porta, and alla soglia di casa, guard fuori.
Abitavano a pianterreno, di qua, di l, si stendeva la stra-
da polverosa. Nel gran prato di contro ai piedi della col-
lina si smuoveva dolcemente un ciuffo di pioppi sotto il
quale Xenia in estate si sedeva a studiare. Tornava entu-
siasmata: Vedrai, questinverno diceva, poi raccontava
avidamente assaporando le parole con ghiottoneria, pro-
50 Letteratura italiana Einaudi
gettava: quando avr preso la laurea.... Diceva sempre
cos. Neppure in lontananza si vedeva la sua alta figura
per la strada. impossibile che non venga, verr forse
domani, nervosa come quando, durante le vacanze, rin-
casava tardi la sera: Sono stata a prendere aria. Mangio
adesso: perch si deve sempre mangiare alle otto? ho or-
rore, capite? orrore delle vostre consuetudini. Sarebbe
tornata dicendo: Perch dovevo arrivare il giorno pre-
ciso che ho detto? Non ho salutato nessuno in collegio,
ho orrore dei commiati. Sicuramente era cos, egli pal-
pava la lettera in tasca rassicurandosi. Avrebbe scritto a
Suor Lorenza: Lei conosce il carattere della mia figliola,
arriver, certo arriver. E pacato accese la pipa. Ma il
fumo gli si intopp in gola, un nodo spinoso come quan-
do si manda gi un grosso boccone di pane, e, toglien-
dosi la pipa di bocca, toss.
Gente passava in bicicletta senza rumore sulla polve-
re; soltanto le ombre si distinguevano ormai. notte
il vecchio pens. E intanto vide davanti a s la moglie
che tornava dal paese; insieme rientrarono.
Non c, vero? ella gli chiese. Sono andata al tre-
no. Eppure diceva: Arriver. Forse verr con un altro
treno. Non venite alla stazione, non voglio che si parli di
ritorno. Chi sa perch ha scritto cos... Sono andata lo
stesso, tenendomi lontana perch non potesse vedermi.
Non devi angustiarti il vecchio rispose. arriva-
ta una lettera della suora, suor Lorenza, sai? dice che
Xenia tarder qualche giorno... uno, due giorni.
E i soldi?
Non fa nulla. Dicono... dicono che non pagher. E
cos tu sta tranquilla.
Dov la lettera?
La lettera?... La lettera... Oh, guarda, debbo averla
lasciata al caff, vado a prenderla dopo, purch non
labbiano buttata via, ma ti dico, cera scritto proprio
cos: due o tre giorni.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
51 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
La donna gir attorno per la stanza, disse: Mero
abituata allidea che sarebbe stata qui stasera.
Eh, s, anche io, ma Xenia...
S, forse lei sar contenta. Io penso che ho fatto be-
ne a non preparare la pizza, stasera. C il brodo, la car-
ne la lasceremo per domani, che ne dici? Potrebbe arri-
vare anche domani.
Eh s, forse domani: lasciamola, la carne.
Buio fuori, buio fitto. La donna si muoveva tra i mo-
bili seguendo un fioco barlume che penetrava dalla por-
ta. Notte. Il padre si sgomentava. notte. Quanto pi
la luce saffievoliva gli nasceva dentro uninquietudine
sempre pi insistente, lansia gli tremava sulla pelle, sul-
le labbra. Non poteva star fermo e tuttavia voleva dimo-
strarsi sereno per non inquietare la moglie. Si ripeteva
mentalmente le parole della lettera, cercava di convin-
cersi che non era cosa importante, Xenia sarebbe torna-
ta, domani o forse tra unora. Ma era buio ormai, notte.
Dovera Xenia? Avrebbe voluto uscire per le strade,
chiamarla, o meglio andare alla stazione, aspettare ogni
treno, Xenia, notte.
La moglie sera seduta alla tavola, le braccia incrocia-
te, in attesa. curioso fece ma mi sembra che sia
qui, che sia uscita in paese e debba ritornare da un mo-
mento allaltro.
Egli le afferr il braccio, le chiese: Ti pare, vero? an-
che a me. E presa una sedia sedette guardando la por-
ta, accanto alla moglie che ripeteva tranquilla: Sono
proprio contenta, vedi? di non aver fatto la pizza.
Xenia si trovava a disagio entrando, sola, al ristorante.
Si faceva coraggio pensando: Si vede che sono forestie-
ra, si vede che sono in viaggio.
E poi cera limbarazzo di scegliere sulla lista delle vi-
vande. Non sapeva decidersi: leggeva, rileggeva, e finiva
per ordinare una cosa che non le piaceva. Imbarazzata,
52 Letteratura italiana Einaudi
non sapeva dove guardare, per questo sempre portava
un giornale con s e lo leggeva attentamente, temeva di
trovarvi scritto: I genitori supplicano la loro Xenia di
tornare a casa, tutto sar sistemato. A volte neppure si
rendeva conto di essere fuggita. Il giorno della fuga,
allora solita stava per riprendere la via del collegio: le
sembrava che scappare dovesse essere una cosa molto
pi difficile. Erano le quattro quando usc dal collegio:
entro in un cinematografo, ma era troppo agitata, non
poteva interessarsi della pellicola, vedeva sullo schermo,
come in sovrapposizione, tutti gli avvenimenti della sua
pericolosa giornata; e poi era infastidita da un uomo vi-
cino a lei che la guardava anche attraverso il buio e le
sussurrava ogni poco qualche parola allorecchio, un in-
vito. Usc per liberarsene, girovag nelle strade, imba-
razzata dal fagotto e, verso sera, entr in un alberghetto.
Precedendola per una scala stretta e male rischiarata:
sola? il facchino le domand e poi le chiese i docu-
menti. Fu quello il solo momento nel quale ella temette
di essere scoperta; ma luomo che laveva accompagnata
alla camera se ne and tranquillamente e Xenia sedette
aspettando che qualcosa succedesse. Nel corridoio si
aprivano, si chiudevano porte, si udivano voci. Mi cer-
cano, mi trovano, ormai avranno saputo che sono qui.
La notte infittiva. Ormai se ne sono accorte al colle-
gio. Ma gi il Grimaldi le appariva come uno di quei
paesaggi visti in sogno: cercava di rivedere i volti delle
compagne, ma non li ritrovava, si dileguavano, non po-
teva neppure immaginare che cosa le sue amiche faces-
sero a quellora, sapeva solo che stavano chiuse l den-
tro. Si sforzava di riafferrare le loro voci: erano tutte
simili e opache, come se parlassero sommessamente. Ri-
cordava con chiarezza soltanto la camera di Emanuela, il
com, il cassetto che resisteva. Soldi non cerano. Dove
nascondeva i soldi? Frug dappertutto, anche tra la
biancheria, apr la scatola di pelle. Che bellanello! Dap-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
53 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
prima lo infil al dito: che cosa meravigliosa avere un
anello cos. Esit un attimo, poi lo fece scivolare nella
tasca del grembiule, richiuse il cassetto, usc lesta e pre-
se a camminare nel corridoio con disinvoltura. Poco do-
po, come in una domenica qualunque, usc.
Trascorse la sera seduta sulla sedia a pensare: saugu-
rava che il mattino giungesse presto, ma le ore passava-
no lentamente; allora si spogli, si mise a letto respiran-
do piano come se ogni rumore la spaventasse, si
rannicchi e rimase immobile, intimorita da quella stan-
za sconosciuta, dai passi che udiva nel corridoio.
And via presto al mattino. Si diresse l dove tante
volte passando aveva visto gente entrare gente uscire con
aria misteriosa. La citt dove viveva da quattro anni, quel
mattino le apparve diversa: citt di vacanza, davventura.
Dentro cerano molte persone gi pratiche del luogo.
Xenia attese che tutti se ne andassero, perdendo il suo
turno parecchie volte. Finch una faccia bolsa si sporse
dallo sportello, chiam: Signorina...
Lei si avvicin, porse lanello, disse: Questo. E
aspett emozionata come quando entrava nellaula dopo
gli esami per udire il voto. Temeva che la pietra fosse
falsa, nella notte questo pensiero le aveva tolto il sonno:
Emanuela non lo metteva mai.
Luomo con un occhio incapsulato in una lente che
glielo ingrandiva smisuratamente, esamin la pietra con
attenzione; poi rivolgendosi alla ragazza, un occhio
strizzato, laltro enorme dietro il cristallo, domand:
Cosa vuole?
Xenia rispose stupita: Denaro.
Eh gi, ma quanto? Mille?
S, mille.
Egli studi di nuovo lanello, scrisse sui registri; a
tratti sollevava la testa e il suo sguardo tondo scivolava
addosso alla ragazza: le chiese nome e cognome, indiriz-
zo. Xenia dette un nome qualunque, un indirizzo qua-
54 Letteratura italiana Einaudi
lunque. Non si sa mai quella l mi denunciasse. A uno
a uno luomo cont i biglietti facendoli schioccare.
Alla stazione le dissero che il treno per Milano partiva
alle dodici: due ore dattesa. Xenia sedette nella sala
daspetto: accanto a lei cera una vecchia con un bambi-
no dalla testa fasciata e un marinaio. Le pareva spesso di
vedere dietro i vetri passare fisionomie conosciute, gen-
te del pensionato, delluniversit; allora arrossendo vol-
geva la testa vivacemente dalla parte opposta. Aspettava
che un passo savvicinasse a lei, una mano si poggiasse
sulla sua spalla: Xenia.... Le vene le si gonfiavano di
sangue fino a dolerle. Poi lemozione si dissipava e lei ri-
prendeva ad attendere, senza impazienza, assestandosi
sulla dura panchetta, il pacco accanto a s. Avrebbe po-
tuto comperare un libro, ma non era tranquilla e leggere
sarebbe stato impossibile. Si divagava guardando i lumi
accendersi sugli scambi, i facchini passare coi carrelli
che portavano le valige.
Nel treno si sedette nella stessa posizione della sala
daspetto, come al cinema, come allalbergo, immobile,
tesa: guardava dal finestrino come sullo schermo di una
lanterna magica. Vide passare gente, alberi, case, strade
sconosciute. Di nuovo la sera cadde. Nei lucidi nastri
dei fiumiciattoli il giorno indugiava, ma gi i lumi sac-
cendevano divenivano punti vividi nel buio. Cos arriv
a Milano.
Lalbergo di Milano era simile a quello di Roma. Xe-
nia si coric subito e in breve saddorment per la gran-
de stanchezza. Lultimo suo pensiero fu: Bisogna rida-
re il denaro a Emanuela.
S, s, una bistecca di filetto.
Con patate?
Con patate.
Forse anche oggi non avrebbe concluso nulla. Avreb-
be dovuto tentare di avere pi denaro da quellanello;
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
55 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
da domani poteva mangiare solo caffellatte. Bisognava
cercare una camera, pagando tutto il mese in anticipo, i
denari se ne andavano non si sa come, li ricontava ogni
sera: Non possibile che abbia speso tanto, certo li ho
perduti, e ricontava, di nuovo sommava le spese.
E il conto sbito.
Niente frutta?
Frutta? Oh s, frutta.
La minestra uno e ottanta: filetto con patate quattro
e cinquanta: fanno sei e trenta, frutta, servizio, coperto,
insomma saranno dieci lire. Caro: domani devo spende-
re meno. Dunque: sei e trenta, larancia sar una lira: s,
avrebbe potuto spendere meno. Facendo mentalmente
questi calcoli la bistecca sera esaurita senza che ella ne
gustasse il sapore. Alla banca bisognava presentarsi alle
due. Lannuncio diceva: alle quattordici precise.
Nella sala daspetto altre ragazze aspettavano le quali
allo scattare della porta si volsero verso di lei che entra-
va e la scrutarono, pensando certo: Cosa pu valere
questa qua.... Passate le due, cominciarono a dare segni
dimpazienza. Una bionda ossigenata diceva: Io me ne
vado quasi stesse l per far piacere alla direzione. Bal-
zarono tutte in piedi quando, sulla porta, comparve il
capo del personale, un grosso uomo, la pancia festonata
di catene doro. Con un gesto accenn alla pi prossima
dicendo: Saccomodi... e la porta si richiuse. La
bionda si gett di nuovo su una poltrona, sospirando, e
scopr le gambe fino al ginocchio. Xenia fu una delle ul-
time.
Universit? Bene. Ha la laurea?
No... dicevo...
Ah!... appena iscritta, allora. Ha il liceo?
Oh, no, no appena iscritta, proprio alla laurea che
sono stata bocciata, capisce? alla laurea.
Quale facolt?
Lettere.
56 Letteratura italiana Einaudi
Lettere... sempre lettere. Come si fa a scegliere let-
tere nellepoca nella quale viviamo!... Cose pi impor-
tanti ci sono... Il suo nome?
Costantini Xenia.
Costantini... Milanese?
No.
Dica dica. Paternit maternit, dica dica. Scriveva
agitando ampollosamente il pugno che reggeva la pen-
na. iscritta al Partito?
Al Guf.
Ha la tessera dellufficio di collocamento?
Ecco, anche qui la stessa cosa. Anche oggi niente.
No.
Non si pu allora, noi parastatali non possiamo. Lei
deve andare... E le sue referenze?
Non ho referenze. Non sono mai stata in un ufficio.
Le ho detto, ho dato la laurea dieci giorni fa.
Famiglia, amici, parenti ai quali...?
Xenia rispose alzandosi: Nessuno.
Prima che laltro la congedasse, chin la testa, salu-
tando; egli la guardava senza posare la penna, sera tolto
gli occhiali per guardarla.
Perch se ne va, signorina?
Vado via prima che lei mi congedi. Non posso esse-
re assunta, lo so, non sono iscritta allufficio di colloca-
mento, non ho referenze. Lo so, non colpa sua, il re-
golamento. E intanto io vado a morire di fame.
Non piangeva, ma la voce sera mutata, sotto la pelle
cera una densa umidit che minacciava di sgorgare in
pianto. Ascoltando le cortesi parole delluomo Xenia
scoteva la testa: No, non possibile, allufficio di col-
locamento vorranno le referenze. Io sarei unottima im-
piegata, so il francese, linglese, un po di tedesco. Le di-
co la verit, sono scappata di collegio per non tornare al
paese. Adesso che le ho detto tutto questo, mi prende?
mi prende?
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57 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Appoggiandosi al tavolo si protendeva verso luomo:
poi si ritrasse, seria.
Lo sapevo. Le ho detto questo perch... Anche per-
ch avevo bisogno di sfogarmi. Lei molto gentile. il
regolamento: giusto. Io potrei... potrei anche essere
una ladra, no? fece sorridendo amaramente. Queste
ragazze invece sono venute tutte col loro pezzetto di
carta in tasca, forse vivono a casa con pap e mamm, la-
vorano per comprarsi le belle calze.
Quello lascoltava interessato.
Mi scusi la ragazza continuava la disperazione.
S, s, torner se avr le referenze, grazie. Oh, grazie!...
E prese il biglietto da visita che luomo le tendeva. S,
certo, lei buono, grazie. Piegando appena la testa di-
gnitosamente usc. Unaltra ragazza stava pronta dietro
la porta, la bionda attendeva ancora: le chiese come a
tutte le altre: Bene?
No.
E laltra disse: Se mi fanno aspettare ancora un po
me ne vado.
Xenia usc leggendo sul biglietto di visita: Paolo Reni.
Era un biglietto da visita pretenzioso con i titoli donori-
ficenza abbreviati, ma gonfi in litografia inglese; ci si ve-
deva in falsariga anche la grossa catena doro. La ragaz-
za scese le scale, fu nel portone; gente camminava di
passo lesto sulla strada, gente che lei non conosceva,
gente che andava a spasso o a lavorare. Nellandrone
cera odore di freddo; Xenia alz gli occhi e un raggio di
sole metallico la fer; rimase incerta sul portone, davanti
alla sua giornata vuota, incerta se, uscendo, dovesse
prendere a destra o a sinistra.
*
Tre giorni soli mancavano a Natale. Poche ragazze
erano andate a casa, suor Lorenza le convinceva: bello
58 Letteratura italiana Einaudi
il Natale in collegio. Ma a tutte, nonostante la prospet-
tiva dei dolci che stavano forse gi cuocendosi, nasceva
in cuore uninvincibile nostalgia. A sera parlavano della
famiglia. Certe dicevano: Io la mamma non lho pi.
Ogni pena riaffiorava in quei giorni. Altre parlavano dei
fratellini, dei regali di Natale. Invece della letizia dei
giorni di vacanza sera sparsa tra le ragazze una blanda
tristezza. Qualcuna avrebbe avuto la possibilit di anda-
re a pranzo nei giorni di festa, da parenti, da amici. Ma
non lo facevano: meglio essere qui tutte insieme, tutte
sole. Dopo la cena, invece di salire nelle camere, si riuni-
vano adesso in una grande sala di soggiorno: uno stan-
zone alto e semivuoto, un grande tavolo ovale; dato il ri-
gore del freddo avevano ottenuto due grandi bracieri;
scrivendo, le mani gelavano, allora le ragazze salzavano,
andavano a scaldarle presso il fuoco. Si riunivano tutte,
anche quelle di legge, perfino quelle di musica che for-
mavano sempre gruppo a parte. Stavano vicine, appog-
giate luna allaltra: eppure ognuna era chiusa in s,
profondata in un mondo che le altre non conoscevano,
nel quale non potevano raggiungerla. Pi tardi tutte re-
spingevano i libri verso il centro del tavolo ove saccata-
stavano, la filosofia accanto alla scienza commerciale;
stanche, le braccia incrociate sul tavolo, prendevano a
parlare. Certe sere Emanuela non scendeva con le altre.
da Milly che sta peggio.
Anche Augusta mancava: studiare con le altre, lei
che aveva pi di trentanni, le appariva ridicolo, fuori
stagione. Come lamore dei vecchi. Le azioni delluomo
hanno ciascuna la loro et. Per questo, forse, frequenta-
va poco la facolt. Ma sotto la sua porta si vedeva la lu-
ce fino a tarda ora. Leggeva i russi, Anna pretendeva.
In questi giorni di Natale Augusta era divenuta ancor
meno socievole. Soltanto chiamava Valentina, talvolta,
che sintendeva di letteratura moderna, e insieme di-
scutevano.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
59 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Se Milly non si alza, si dovr rinunciare ad avere
della buona musica per Natale.
Nessuno suonava larmonium come lei. Lanima dello
strumento non cantava che sotto le sue mani: soltanto la
sua era veramente musica sacra.
In camera di Milly il lume fasciato di carta celeste
diffondeva una livida chiarit. La ragazza sedeva nel let-
to, i capelli sciolti sopra una soffice giacchetta di lana, la
testa affondata nel cuscino, un poco riversa, nello sguar-
do una fissit estatica; udendo qualcuno entrare sus-
sult, ma vedendo Emanuela:
Ah, sei tu fece rasserenandosi: entra. Leggevo.
Non aveva nessun libro in mano e non avrebbe potuto
leggere con quella lampada velata. Emanuela avvicinan-
dosi le vide tra le mani un foglio strettino tracciato di pic-
coli fori con lorlo rilevato. Milly vi passava sopra i polpa-
strelli con la stessa levit di quando suonava larmonium.
Anche il suo sguardo era lo stesso, trasognato e vacuo.
Mha scritto disse. E mostr il foglio bianco.
Carezzava la lettera del cieco, vi passava e ripassava le
dita leggermente, gli occhi fissi alla parete bianca, la fac-
cia trasfigurata come per un benessere fisico che dilagas-
se in lei.
Vedi? spiegava arrestandosi molto pi bello,
cos. Le parole, attraverso le dita, entrano nei pori, si
fondono col sangue, il nostro essere le assimila come
laria. Ti accorgi forse tu di respirare? Eppure la vita en-
tra in te. E lo stesso maccade per le parole di lui. Le
mani di Milly sembravano medianiche. Dice che suo-
ner anche lui quelloratorio, alla messa di Natale. Biso-
gna che io guarisca, capisci, Emanuela? per scendere; se
no sarebbe un tradimento.
Come ti senti?
Bene adesso, ma stanotte stato tremendo. Non
puoi immaginare che cosa sia. Chi sta bene neanche
saccorge daverlo, il cuore. Io lo sento invece, come se
60 Letteratura italiana Einaudi
fosse un cuore artificiale: sapre, si chiude, il sangue pul-
sa, di colpo affluisce alla gola, sembra che debba colar-
mi dalle narici, dalla bocca, tanto potente londa calda
che massale. Poi il cuore comincia a galoppare, sempre
pi forte, sempre pi svelto, tutto il buio si colma del
mio palpitare. E infine una mano di ferro mi tira i capel-
li indietro, gi, gi, riversa nel baratro; unaltra mano
pi molle, ma inesorabile, mi accarezza dapprima la go-
la, poi stringe, stringe, mi soffoca. Moccorre tutta la
forza per trovare ancora in me un po di respiro. Ma do-
mani star bene. Debbo scendere a provare loratorio
allarmonium, capisci? e scender.
Non puoi, ancora.
S, potr.
Riprese a far scorrere le dita sul foglietto, sempre fis-
sando avanti a s nel vuoto; la sua vita pareva concentra-
ta nel tatto. Pesava attorno un silenzio da stanza di mala-
ta grave. Il dottore aveva detto: Pu essere oggi o fra
due anni, ma fatale. Intorno a lei si respirava unumi-
dit di lacrime. Anche quando stava bene le compagne
entravano in punta di piedi: Perch cos piano? ella
chiedeva, e le metteva in imbarazzo. Dopo Natale forse
il padre lavrebbe ripresa con s. Nellultima crisi il pol-
so sera tanto affievolito che suor Prudenzina laveva
sentito mancare. Basta! basta di queste responsabilit!
aveva detto la sera alle altre, voleva farla ripartire sbi-
to per Milano. A casa sua, a casa sua! diceva. Invece
suor Lorenza aveva scritto al padre: Questa vita sana e
lieta del collegio potr giovare molto alla Milly. La not-
te sogn che Milly era morta e saliva al cielo mutata in
cometa, la faccia non si vedeva pi, il corpo, i capelli lu-
minosi, incandescenti formavano la grande sca
dellastro nella sua corsa traverso il firmamento. Le pas-
savano cos vicini da toccarli, una fluente morbidit di
seta. Qui il sogno era finito bruscamente, ma la sensa-
zione le era rimasta sulle dita.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
61 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Milly continuava: Senti che cosa scrive. Anchio
suoner loratorio, aspetter quellora, quellattimo, lu-
ce dellanima mia. Debbo scendere a provarlo domani.
Luce dellanima mia. cieco, lo sai, che pu dirmi di
pi?
Milly era la sola a non soffrire del Natale che savvici-
nava, tutta presa dal contatto spirituale con lamato.
Neppure desiderava di vederlo e lui, del resto, anche
quando erano vicini non poteva vederla mai. Comunica-
vano cos, attraverso i pori o meglio i loro pensieri li rag-
giungevano direttamente per laria come unonda di
suono. E questo amore non umano li sollevava al diso-
pra dei limiti del tempo.
Emanuela invece, sera anche lei intristita in quei
giorni: passeggiava per le strade che fervevano di festa
prossima. Si soffermava a lungo davanti alle vetrine dei
negozi, dove gli oggetti esposti formavano una massa
compatta. Dietro di lei gente sostava, parlava, gli uomini
con le mani in tasca, pensierosi. La ragazza si sentiva
esclusa da tutti i riti natalizi; andava di negozio in nego-
zio col silenzio che le pesava in bocca, ipnotizzata da
quel Natale che vedeva in vetrina. Aveva comperato
molti giocattoli per Stefania, perch con ognuno le sem-
brava di partecipare un poco alla festa degli altri; il suo
Natale era in quella ricerca, in quel peso del pacco sotto
il braccio. Quando glie li avrebbe portati la gioia sareb-
be stata gi finita. Era bello ancora perch i giocattoli
stavano chiusi nel suo armadio e aprendolo poteva ritro-
varli, anche se le sembravano meno belli di quando era-
no esposti in vetrina.
La bambola al negozio pareva viva; in camera Ema-
nuela la trasse dalla scatola, la prese in braccio, la strin-
se a s, la scost, la contempl: era splendida; torn ad
abbracciarla credendo cos di suscitare in s un po di
tenerezza, ma rest freddissima. Si ricordava che da
bambina le accadeva lo stesso. Sestasiava davanti alla
62 Letteratura italiana Einaudi
vetrina, affascinata, e, avuta la bambola, la portava a ca-
sa in braccio, fieramente; ma quando la mamma le dice-
va: Gioca e la lasciava sola con lei, non sapeva che
cosa farne. Le bambole a quellepoca avevano gli occhi
fissi, due rigide pupille di cristallo, i denti bianchi, aguz-
zi nella bocca di porcellana. Stupida! Emanuela le
diceva piano. Stupida! Questo era il solo loro collo-
quio. Talvolta la spogliava, palpava le giunture, il mer-
lettino della camicia, la rivestiva senza divertimento e
poi labbandonava sulla poltrona. Una volta le dette
uno schiaffo e sirrit perch quella seguitava a sorride-
re. Disgustata savvicinava alla finestra, appoggiava il vi-
so al davanzale, seguiva i voli delle rondini, le nuvole
che vagavano e mutavano forma: era il suo gioco prefe-
rito. La mamma la sorprendeva cos: E la bambola?
Poi diceva al marito: Anche la piccola ha la smania di
stare alla finestra, come te. Qualche volta veniva
unamichetta a trovarla, sbito Emanuela le proponeva
di giocare con la bambola, era curiosa di sapere come
facessero le altre a divertirsi con quella cosa di stoffa e
porcellana. Quella cominciava a parlare alla bambola
con una strana voce in falsetto, poi con mani abili la
spogliava, la rivestiva, non sentiva ribrezzo di quella
morta nudit. Anche Emanuela allora provava, ma sbi-
to doveva smettere; non sapeva trarre fuori una simile
voce, i suoi gesti erano maldestri e non si divertiva.
Lamica scoteva il capo: Non sei una vera mamma, tu;
si capisce che un gioco.
Era goffa anche con Stefania; eppure ogni domenica
vedendola provava una grande emozione. Forse perch
Stefania era cos dura, mai un bacio che venisse dimpe-
to. O forse colpevole era lei. Non sono simile alle altre
pensava. E continuava a comperare giocattoli come fa-
cevano le altre mamme.
Le compagne sinasprivano, adesso che savvicinava il
Natale. Perfino Vinca non era pi allegra, non diceva
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
63 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
pi nulla contro le suore; anzi una sera aveva chiesto
con tono umile: Ci faccia passare un bel Natale, suor
Lorenza.
Il giorno prima Luis le aveva detto: Prendiamo il
tram. Un lungo giro, la linea fiancheggiava il fiume,
passarono sul lungotevere frondoso di platani, alla Lun-
gara. Anche Luis era ammalinconito dalle prossime fe-
ste. Non Natale questo qui diceva: Natale quel-
lo del nostro paese, qui non si pu mangiare neppure il
porcellino di latte infarcito. Ne ho parlato alla padrona
di casa, mha sbarrato gli occhi in faccia. Noi ha ri-
sposto a Natale mangiamo il cappone. Vedo gi la
gran bestia bollita, le zampe allaria. E poi mangiano
certi dolci duri come sassi. Vinca che era in Italia da
tre anni gi conosceva tutto ci.
Infine scesero e il ragazzo le guid per vecchie stra-
duzze dalle finestre strette soffocate di panni stesi: la
citt vecchia dove a lui piaceva abitare. Qui respiro
meglio diceva le donne sono simili alle nostre don-
ne, il popolo sassomiglia in ogni latitudine. Vedi i gera-
ni alle finestre? solo il popolo mette i fiori alle finestre.
Mai il signore ha un fiore sul balcone; li fa morire nei
vasi dei salotti. Qui ci sono fiori alle finestre come in
Spagna.
Si fermarono in un larghetto dove cera un portonci-
no con un bel fregio del Rinascimento. Ti piace?
Luis le chiese.
Molto rispose lei, e con lo sguardo scorse la fac-
ciata.
In alto, la gran lastra di vetro di una finestra facendo
specchio alla luce crepuscolare saccendeva di rosso.
Vedi lass? egli le indic: il mio nuovo studio.
Forse avevo dimenticato di dirti che ho cambiato casa,
abito qui con un compatriota, pi libero, mi piace di
pi, anche se lontano dallaccademia. Vuoi salire?
E quellaltro?
64 Letteratura italiana Einaudi
Oh! fece lui con un sorriso malizioso sapeva che
venivo, se n andato.
No, grazie rifiut Vinca decisamente.
Perch non sali? Di l si vedono certi tetti dardesia,
certe vecchie terrazze...
Tientele lei replic con durezza io non le vedr
mai.
Sei una sciocca egli insist tirandola pel braccio.
Vieni su. Di che cosa hai paura?
Non ho paura. Ma puoi fare a meno di telefonarmi
se speri che col tempo ci verr. Ora rientro in collegio.
Sincammin irritata, e Luis la segu in silenzio. Sboc-
carono dal quartiere vecchio sul lungotevere gi buio. I
lampioni, riflessi nel fiume, lucevano come stelle cadute.
Luis la teneva pel braccio ed ella andava di passo svelto,
desiderosa di lasciare il quartiere, di liberarsi da lui. Egli
si ferm per accendere una sigaretta, cera vento, faceva
schermo alla fiamma con le dita, lei attese un momento,
poi spazientita riprese a camminare. Pensava a Xenia:
certo era andata via con uno cos, tutto finisce in questa
maniera, prima o dopo. O forse Valentina aveva ragio-
ne, Xenia si era buttata nel fiume; a certi momenti non si
vede altro mezzo per liberarsi dello schifo di questa por-
ca vita. Luis la raggiunse: Perch scappi? le chiese.
Vinca non rispose. Lei stessa non sapeva perch correva
cos; ormai la casa era lontana, e del resto un attimo solo
era rimasta incerta, abbagliata dalla lastra dellalta fine-
stra. Sera ripresa sbito, padrona di s.
Altre coppie passeggiavano lungo il parapetto del fiu-
me; forse a ognuna di quelle donne il compagno una se-
ra aveva detto: Vuoi salire da me?. Ormai che aveva
risposto di no, era inutile affrettarsi. Eppure non vedeva
lora di lasciarlo, quasi temesse, finch Luis era l, che vi
fosse ancora la possibilit di tornare indietro. Perch
non se ne va? Che aspetta? Intanto da lui non ci vado e
neanche al cinema, mai pi.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
65 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Non correre cos, Vinca. Se vuoi me ne vado.
S, vattene, vattene gli soffi astiosa; andata
male, vero? Che stai pi a fare qui?
Zitto il ragazzo seguitava a camminarle a fianco, sot-
tobraccio, e lei attendeva che parlasse, per potergli ri-
spondere, sfogarsi. Domani mi metto a studiare notte e
giorno pensava come Silvia, come Silvia, basta, basta
di questa disgustosa storia, neppure mi parla, cinico,
neppure dice: scusami, ti voglio bene. Luis regolava
il suo lungo passo ai passi di lei arrampicati su tacchi al-
ti. A piazza di Spagna si fermarono, era gi buio, i fiorai
riponevano i fiori nei cesti. Loro due venivano a piedi
dal Trastevere: la stanchezza pesava nei ginocchi della
ragazza. Addio gli disse duramente. E sarm contro
quello che lui avrebbe detto. Ma lui rispose solamente:
Addio , si tocc il cappello e sallontan.
Vinca rimase ferma sperando che egli tornasse indie-
tro. Adesso che se nera andato avrebbe dovuto corrergli
dietro, richiamarlo, Luis!, andare a cercarlo nella trat-
toria dove mangiava: S, ci vengo, ci vengo, purch tu
non mi lasci cos. La trattoria doveva essere l vicina,
presso il fiume, neppure sapeva dove, egli le nascondeva
tutto, aveva cambiato casa senza dirglielo: Vado con gli
amici diceva. Che amici? Architetti. E con quella
parola lescludeva dal loro mondo, spesso diceva gente
di architettura e faceva intanto una mossa vaga con la
mano. Tante volte ella aveva cercato di accostarsi al lavo-
ro di lui; ma Luis scrollava la testa: Non puoi capire,
inutile!. Non le parlava mai del suo lavoro: gente di
architettura diceva. Adesso era andato con loro.
Sempre in ritardo, tu la suora le rimprover ve-
dendola entrare.
Rientrer presto, domani.
Domani la vigilia di Natale.
Bel Natale si preparava ! Bisogna finire, finire. Lanno
passato quando laveva conosciuta, egli le aveva chiesto:
66 Letteratura italiana Einaudi
Sei fidanzata?
No, e tu?
Io neppure, ma c una ragazza in Spagna... a casa
mia volevano... A me piace vivere libero.
E lei pronta: Come si chiama?
Dopo un attimo di esitazione Luis aveva risposto: Si
chiama Sol.
Adesso quel nome tornava a ossessionarla: Sol, Sol,
Sol. A Sol forse non avrebbe offerto di salire lass, die-
tro quella vetrata incendiata dal tramonto. Bisognava
studiare, studiare, studiare, non pi preoccuparsi di al-
tro. Luis le domandava sempre: Quando di gli esami?
e la scuoteva, la trattava male: Che fai tutto il gior-
no? Studia la incitava, e lui intanto oziava con la gente
di architettura.
Vinca salut appena le compagne sedendosi a tavola;
poi, respingendo il piatto, fece: Non mangio questa
roba.
Emanuela le mise la mano sul braccio: Vinca, abbi
pazienza.
Perch mi dici questo?
Perch so che tu pensi al tuo paese. Che cosa man-
giate in queste serate?
Aringa carpionata e baccal con salsa di pinoli. Si
mangia tardi, la sera, alle undici. Saccendono le candele
sulla tavola... Aveva scostato le posate e, incrociate le
braccia sulla tovaglia, seguitava a parlare appassionata:
Si appende luva passa ai candelabri... Ma adesso chi sa
che cosa c laggi, certe chiesette dove andavamo alla
messa di Natale sono distrutte, gli amici dispersi, e la
calma nelle Asturie non che apparente. Mi sento cos
distaccata dal vostro Natale!
Tutte siamo malate come te disse Silvia anche se
siamo in patria. Io ho scritto ai miei, stasera, Augusta
pensa alla sua grande cucina dove sono appesi i sonagli
e le selle.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
67 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Valentina sera alzata, era andata vicino a Vinca, le
aveva messo una mano sulla spalla:
Vuoi che anche noi domani accendiamo le candele
sulla tavola, come al tuo paese? Deve essere suggestivo.
Oh, no, sembrerebbe un funerale.
Il Natale non nel cibo, nel cuore disse Augu-
sta.
-S approv Silvia e noi siamo stonate perch sia-
mo uscite da una consuetudine senza essere ancora en-
trate in unaltra. Il Natale di chi non ha pi o non ha
ancora pensiero dellavvenire: dei vecchi o dei bambini.
Io mi struggo stasera per la mia casa: e in fondo una
casa povera, i fratellini strillano, sono noiosi, pap e
mamm ormai non mi capiscono pi, ma la famiglia
insomma. Eppure continu sempre pi mi convinco
che un desiderio, uno struggimento immaginario, per-
ch noi, in realt, siamo gi distaccate dalla famiglia,
lamiamo ogni giorno un po meno. unabitudine, sol-
tanto unabitudine. Ormai, dopo anni di collegio, sen-
tiamo solo il dolore del distacco, la gioia del ritrovamen-
to. Ma idealmente pi che altro, una concessione che
facciamo al nostro sentimento. Non il sangue.
vero insist Emanuela non il sangue: se a una
madre presentano il bambino che le appena nato, lei lo
ama anche se glie lo hanno cambiato, anche se un al-
tro. Credo che lamore materno dapprima sia un dovere,
si sa che si deve amare quel fagottino di carne, dare la
propria vita per lui se necessario, poi labitudine.
Gi Silvia riprese mia madre dice sempre: Ogni
giorno che passa vi amo di pi. Perch labitudine si
consolida, si fortifica; adesso che sono lontana mi ama
differentemente dalle altre figliole.
Non credo fece Anna.
S, invece: prega per me, a sera, come dice i requiem
per i morti.
Basta, basta proruppe Vinca non parlate pi di
68 Letteratura italiana Einaudi
tutto ci o impazzisco. Dio! Come si sente la mancanza
di quello che a casa appariva naturale! E poi per me, ci
sono altre cose, stasera: mi sento disorientata, ho paura
di quello che verr, domani.
Gi riprese Anna avremmo bisogno di appog-
giarci ai muri di casa per sentire una certezza. Le ragaz-
ze che sono in famiglia, non sentono questa responsabi-
lit, si lasciano vivere; noi invece guardiamo allavvenire
come a un vuoto oscuro. Xenia vi precipitata; chi di
noi, ogni tanto, non pensa a Xenia?
Quando ormai non sapeva pi come fare per vivere,
Xenia aveva trovato un posto di commessa in un nego-
zio di guanti. Lo doveva a una nuova conoscenza, una
ragazza che aveva incontrato aspettando negli uffici di
collocamento; una buffa ragazza grassoccia, della sua
stessa et, ma sveglia ed esperta, che gi aveva pratica
delle attese inutili. Questa ragazza, la quale si chiamava
Vandina, era stata assunta da una societ mineraria per-
ch conosceva la stenografia. Molto pi utile la steno-
grafia, per vivere, di tanti libri che Xenia aveva letto.
Erano state a mangiare insieme e Vandina aveva offerto
il pranzo per festeggiare lavvenimento.
Ma tu non sai fare, non sai arrangiarti diceva a Xe-
nia. Perch ti ostini a volere un impiego? Hai letto che
ai Grandi Magazzini cercano commesse? Non storcere
la bocca! Domani non potrai mangiarti i volumi
delluniversit o il diploma della licenza liceale. Bisogna
adattarsi, ecco il grande segreto.
Intanto si lucidava le unghie col tovagliolo.
Cambierai dopo, non devi morire ai Magazzini. L si
accontentano pi facilmente, per le informazioni d che
si rivolgano a me, d che sono una cugina, d quello che
ti pare. Ti daranno pochi soldi, vedrai, ma ti serviranno
per le calze, il rosso delle labbra e per mangiare una mi-
nestra invece del caffellatte. Andiamoci insieme, vuoi?
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
69 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Niente ai Grandi Magazzini. Fu assunta invece da un
guantaio, perch sapeva il francese, e fuori cera la scrit-
ta on parle franais. Entrare subito, il giorno dopo; al
vederla cos distinta e riservata, al sentirla parlare, nep-
pure chiesero le informazioni.
Uscendo Vandina le disse: Hai visto? cos si fa, e in-
tanto si comincia. Una di queste sere ti far conoscere
certi amici, gente che nel commercio, grosse aziende; e
si trover qualcosa di meglio per te.
Questa incerta promessa aiut Xenia a sopportare il
disagio del quale soffr al negozio del guantaio. Anche i
proprietari si trovarono in imbarazzo con lei che, corte-
se, abilissima coi clienti era invece, senza volerlo, ostile
alle colleghe: non apprezzava il loro modo di parlare, gli
argomenti dei loro discorsi, anzich chiacchierare con
loro preferiva guardare da dietro la vetrina passare la
gente, le automobili. La disgustava il continuo contatto
con le mani degli altri, che ella doveva, sorridendo, ca-
rezzare sulle dita, alle giunture. Quando riaccompagna-
va il cliente alla porta, restava un po a respirare laria
fredda di fuori, finch di dentro giungeva una voce:
Oh, chiudi, chiudi, vuoi farci prendere una polmonite?
A sera rientrava stanca nella stanza, e mangiava un
panino imbottito rannicchiata sulla sedia, leggendo per
tenersi compagnia. Talvolta, la notte, sognava che cera-
no tanti clienti nel negozio, e lei sola a servire, e tante
mani tese verso di lei che sesauriva in quel movimento
di strofinare le dita altrui, non cera pi polvere di talco
nel barattolo, per ogni paio impiegava moltissimo tem-
po, gli altri clienti simpazientivano, pestavano i piedi
finch i padroni, scontenti, la cacciavano via e lei doveva
ritornare a Veroli.
Aveva scritto a casa dicendo che sera impiegata in un
ufficio e presto sarebbe tornata, stava studiando per ri-
tentare la tesi. Mamm le aveva mandato un golf di lana
perch Milano una citt fredda.
70 Letteratura italiana Einaudi
Vandina venne a prenderla due volte alluscita; rac-
cont che allufficio si trovava mica male, il commenda-
tore aveva preso a proteggerla, ma la segretaria che, si
capiva, era lamica di lui, le faceva la guerra. Se ne sareb-
be andata presto. E poi, lo stipendio era pochino: ades-
so veniva linverno e aveva bisogno del palt.
Molte cose di questa ragazza spiacevano a Xenia: cer-
te espressioni che fiorivano i suoi discorsi, quellinsi-
stente occhieggiare gli uomini che passavano, i capelli
biondi opachi, arruffati, epper quando la vedeva si sen-
tiva incoraggiata dal viso stesso di lei, pienotto, viva-
mente dipinto di rosso sulle guance, da quella certezza
di arrivare, arrivare, come sempre diceva. Anche Xenia
suggestionata ripeteva: S, s; arrivare. Presto il
chiacchiero di Vandina la stancava, ma temeva la solitu-
dine della sua stanza dove tutto era povero e squallido,
era stanca di leggere, non poteva comperare libri nuovi,
i libri di studio avevano la polvere sopra, capiva che era
inutile ritentare; e perci quando lamica faceva per la-
sciarla: Aspetta ancora un po la pregava. Ma Vandi-
na aveva sempre da fare: Amici diceva; o, pi spesso:
il mio amichetto.
Una sera Vandina arrivando le disse: Senti, ho pen-
sato a te. Non voglio che resti sola domani sera, la sera
di Natale. Verrai a cena con noi. Oh, dove non lo so, de-
cideremo, vengono con la macchina, vedessi che mac-
china! Chi sono? Amici in gamba, gente che un giorno
potrebbe aiutarti a tirarti fuori dalle trecentocinquanta
lire del negozio. Domani hai anche il pomeriggio libe-
ro... Come, lavori fino a tardi? Che barba! Come puoi
fare a restare ancora l dentro? Io avevo mezza festa, ma
ho detto al commendatore che volevo avere libera la
giornata. Bisogna che tu ti vesta elegante e ti dipinga un
po, eh? Ho annunciato che sei una bellezza. Vero! Ve-
ro! Non te ne accorgi che per strada ti guardano tutti?
Xenia aveva un solo vestito e lamica offr di prestar-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
71 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
gliene uno. Sei pi alta, ma io sono pi grassa, una co-
sa per laltra, dovrebbe andarti, sali da me a provarlo.
Abitava come Xenia a subaffitto, ma la camera era ar-
redata pretenziosamente a salottino; entrando sbatac-
chi luscio, parl forte. Il vestito poteva andare, andava
bene, anzi. Vandina la guardava ammirata: Che bel
corpo hai! E poi inutile, vero quello che ho pensato
appena tho vista: tu hai laria distinta.
La sera dopo Xenia and a vestirsi da lei; mai la gior-
nata le era sembrata tanto lunga al negozio: si vestiva e
intanto raccontava: Vandina, quanta gente! Sembrava
che tutti si fossero ricordati oggi solo di avere un paio di
mani da coprire; il padrone non voleva lasciarmi uscire,
sai? Per quelle poche lire che mi d, dici bene, tu! Alla
fine, dopo avere accompagnato un cliente, sono andata
a mettermi il cappello, mezzora dopo lorario duscita,
capirai! e passando dinanzi alla cassa, molto cortese-
mente ho detto al padrone: Buonasera, buon Natale.
Si capiva che avrebbe voluto trattenermi, ma non ha
osato. Era eccitata, aveva temuto di passare il Natale
sola nella sua stanza, udendo la festa nelle vie fino a not-
te inoltrata.
In strada una macchina americana le aspettava;
uscendo dal portone Vandina le sussurr: Te lavevo
detto, eh? Guarda che roba!
Due uomini giovani, vestiti con esagerata eleganza,
sciarpa al collo, pelliccia, scesero, salutarono, Vandina
present Xenia, salirono e la macchina part. I tre parla-
vano animatamente, Vandina si sporgeva sul sedile no-
minando persone, luoghi ignoti a Xenia che taceva e
non volendo sembrare sciocca sorrideva ogni poco. Gli
uomini non le rivolgevano la parola, Vandina sembrava
non ricordarsi pi di lei.
Al ristorante la tavola era prenotata e dei due uomini
uno, il pi giovane, pareva essere molto conosciuto. Due
orchestre suonavano, quando luna taceva laltra attac-
72 Letteratura italiana Einaudi
cava, la tovaglia era lucida come seta, i bicchieri leggeri
leggeri.
Quando si tratt di ordinare il vino, il giovane che
chiamavano Dino ordin sciampagna: sbito Vandina
dette una gomitata allamica come per dire: Vedi? S,
Xenia vedeva.
Gli uomini finalmente saccorsero di lei; fu nel chie-
derle: Sogliola o aragosta? che Dino, la lista delle vi-
vande in mano, sincant a guardarle gli occhi, e disse ri-
volto a Vandina, come se Xenia non fosse presente:
Avevi ragione, proprio bella la tua amica.
Si cominci a parlare del negozio di guanti. Xenia
parlava vivacemente come se fosse una cosa gi sorpas-
sata; no, no, davvero non poteva rimanere l in mezzo al-
la volgarit di quella gente, e mentre parlava beveva, il
vino non le piaceva, ma le piaceva il gesto del bere, quel
dondolo del liquido nel bicchiere fine. Certe volte,
mentre gli altri parlavano, si distraeva da loro e osserva-
va intorno. S, questa veramente festa, veramente Na-
tale. Non le dispiaceva neppure di dover tornare al ne-
gozio del guantaio, neppure di essere l col vestito di
Vandina. Lessenziale era di esserci. Arrivare, arrivare.
Bastava volere; non era gi qui a bere autentico sciampa-
gna? E gli altri a questora? A Veroli, le strade sono
buie, scoscese, le famiglie si riuniscono attorno al panet-
tone che ha gi il coltello infilato nella pancia, le solite
facce, quellambiente meschino, se lavessero vista l sa-
rebbero morti di rabbia. E al Grimaldi? Tolta Ema-
nuela che era una vera signora e bisognava assolutamen-
te restituirle quel denaro, le altre, tutte pezzenti che
sudano sui libri. Adesso la gente del paese le appariva
mista alle compagne del collegio come attori di una pel-
licola vista tanto tempo fa, sbiadita.
Ballarono fino a tarda notte. Vandina che aveva bevu-
to troppo, raccontava barzellette piccanti con un volto
da scolaretta in vacanza. Dino aveva avvicinata la sua se-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
73 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
dia a quella di Xenia e macchinalmente tirava palline di
cotone colorato sulle spalle di quelli che passavano, co-
me se ci fosse un vero divertimento.
Andarono via tra gli ultimi; ma non avevano voglia di
andare a dormire, dicevano: Andiamo altrove, altrove.
Vagavano per le strade con la grossa macchina, sarre-
stavano, scendevano, entravano in ogni locale aperto,
ma ovunque era troppo triste, dicevano, non volevano
rimanere e poi finirono per andare a prendere la ciocco-
lata calda in una latteria della periferia dove cerano gi
tranvieri che prendevano in fretta il caff.
Al portone di Xenia scesero e si salutarono con effu-
sione, si sarebbero ritrovati presto, assai presto, domani,
no? Vandina laccompagn nellandrone, le dette un ba-
cio, le disse: Auguri e poi aggiunse sottovoce: Che
signori, eh? Tanto denaro, cena, sciampagna, e poi, hai
visto? neppure un bacio.
*
Dopo la lezione di Guido Balduzzi, gli studenti lascia-
vano i banchi, saffrettavano verso luscita; soltanto
quelli che facevano la tesi con lui, se avevano qualcosa
da dirgli savvicinavano alla cattedra. Silvia, seduta, rac-
coglieva le dispense, gli appunti, li chiudeva nella cartel-
la. Guardava il professore, intanto, lo ascoltava parlare
con quella sua mite voce che suonava monotona dappri-
ma e poi penetrava, proprio per quella sua lentezza ar-
moniosa. I capelli di lui, bianchi, brillavano sotto il chia-
rore della lampada. Dietro le lenti, gli occhi turchini
guardavano con benevola fermezza.
La ragazza stava andandosene quando egli la chiam:
Custo...
Silvia si volse, si guard attorno: Io? . Si prepara-
va alla tesi con lui, ma soltanto poche volte gli aveva
parlato.
74 Letteratura italiana Einaudi
S, lei. Non ha da chiedermi nulla, stasera?
Grazie, no, niente, professore.
Io s, invece, avrei qualche cosa da chiederle.
A me?
Proprio a lei. Potrebbe venire da me domani; do-
mani... facciamo alle quattro?
Oh! certo.
Non ha da fare, a quellora, da studiare?
No, no davvero, professore.
Bene. Allora ci vedremo domani.
Il giorno dopo alle tre e mezzo, Silvia era gi a casa di
Belluzzi: Belluzzi abitava in una vecchia casa, al centro
di Roma, lingresso dellappartamento era vastissimo,
pieno di statue, di pezzi di archeologia, ella lo aveva per-
corso intimidita, dietro la cameriera, cercando di fare,
camminando, il minimo di rumore possibile. Entr in
una grande biblioteca dallalto soffitto dipinto, che ave-
va le pareti rivestite di scaffali zeppi di libri; vi stagnava
un silenzio austero, come se ivi pesasse la fatica di quelli
che avevano scritto quei volumi. Vecchi libri, autori
morti, sepolti: ma quelle loro ore di lavoro erano ancora
l, restavano, non erano state inutili, come tante altre ore
adesso inghiottite dal nulla.
La tepida luce del pomeriggio maturo sfiorava i dorsi
dei libri, ravvivava i fregi, oro sulloro. Nel fondo cera
la porta chiusa dello studio del professore.
Chi sa che voleva da lei. Forse voleva dirle: Lasci sta-
re, Custo, dia retta a me, torni al paese. Cosa poteva
ancora avere da dire lei, di fronte a tutto quello che gi
era stato scritto? Quale parola nuova avrebbe potuto di-
re? Sollevare lumanit! Quando si diceva questa frase
Xenia rideva. troppo pesante, nessuno la sollever
mai. Xenia, certo, se nera andata per amore. In fondo,
le donne pensavano soltanto allamore. A Silvia lamore
pareva un sentimento angusto, egoistico. Se avesse do-
vuto scegliersi un mestiere, forse sarebbe andata in Asia
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
75 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
a curare i lebbrosi. E invece era rimasta magata dai libri,
cari libri che a toccarli le davano brividi di gioia.
Custo...
Dalla porta Belluzzi linvitava nel suo studio: ma non
sedette dietro la scrivania come quando Silvia era anda-
ta da lui la prima volta per parlargli della tesi; sedettero
insieme sul divano, egli le offr:
Un caff?
Oh, no, grazie.
Prenda il caff, buono a casa mia. Parlava bona-
riamente e Silvia pensava che quelluomo poteva senza
difficolt passare dallausterit della cattedra allospita-
lit accogliente, paterna.
Lho fatta venire perch vorrei proporle una cosa.
Io lho notata da tempo, signorina Custo. Ella molto
intelligente, attenta e tenace.
Grazie, oh, grazie.
Lei far strada.
Silvia taceva e il suo volto silluminava. I suoi occhi
sempre gravati di cerchi bruni ora, per la loro vivezza,
parevano schiariti. Un luminoso sorriso fluiva sul bruno
della sua pelle, dei suoi capelli, del suo vestito.
E io vorrei proporle di lavorare con me... ma segre-
taria non la parola adatta, collaboratrice piuttosto. Ho
sempre bisogno di fare nuove ricerche, di... insomma ho
bisogno di una persona che mi capisca. Poi spieg:
Che capisca. Fece dopo una pausa: Ho avuto per
molti anni con me una signorina. S sposata, questa si-
gnorina, e pensavo che non avrei trovato da sostituirla.
Poi ho visto lei, lho vista lavorare. Guardava adesso
oltre i vetri della finestra le tetre case di faccia, e giocava
con le dita come alle lezioni. Lei vorrebbe, signorina
Custo?
Oh, certo. Non so cosa dirle, professore.
Non mi dica nulla, allora, non mi dica nulla. E pensi
al suo Natale; io mauguro che lei passi un felice Natale.
76 Letteratura italiana Einaudi
Adesso s, professore.
Bene, anche io sono soddisfatto. Laspetto, dunque,
dopo le feste. Il sette gennaio, va bene? Lei verr qui al-
le tre. Le far conoscere mia moglie. E sorridendo
salz in piedi: Laccompagno, signorina... Per il suo
compenso...
Non me ne parli, professore, non me ne parli, la
prego.
Come vuole, ne parleremo poi.
Traversarono la biblioteca, la grande sala dingresso.
Silvia, ansiosa di essere sola, sinchin frettolosa e scom-
parve; quando la porta fu chiusa, scese due scalini in
fretta, poi, come sfinita, sappoggi al muro e cos rima-
se, una mano premuta sul cuore, a pensare.
Non seguiva nessun pensiero preciso, lasciava che nel
suo petto la gioia dilagasse, le si spandesse per le vene, le
scorresse col sangue. Dopo un momento, adagio riprese a
scendere, fu in strada. Poca gente passava nella stretta
via, Silvia camminava inebbriata, stordita, come una sera
al paese che avevano sturato la botte del vino nuovo e lei
ne aveva bevuto troppo. Laria le sembrava creata per la
sua gioia, il vento le penetrava nelle nari, le pungeva gli
orecchi, e lei sorrideva beatamente come se gi fosse al
sommo della lunga scala e da l potesse spiccare il volo
verso linfinito. Il sette gennaio, sarebbe andata a lavorare
da Belluzzi, anzi a collaborare lui aveva detto; e ci la
colmava dorgoglio. Talvolta, quando usciva con le ami-
che, notava che gli uomini, passando, guardavano sempre
Vinca o Emanuela, e si sentiva umiliata, avvilita del suo
fisico scostante. Ma iersera alla lezione Belluzzi, tra tante,
aveva scelto lei. Custo... Io, proprio io, s. Lho vista
lavorare... lei far strada. E per queste sue parole ella
avrebbe voluto sbito compiere qualche cosa di grande,
sentirlo esclamare: Mai vista una donna cos.
Molta gente passava nella strada accanto a lei, la sfiora-
va, nessuno intuiva la sua contentezza, piccoli gridi le si
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
77 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
soffocavano in gola; la gioia le opprimeva il petto, sentiva
la necessit di condividerla per alleggerirsene; avrebbe
chiamato le compagne, adesso: Xenia mancava. Valenti-
na insisteva nel dire: Ho sognato Xenia che galleggiava
sul fiume. Rivedeva gli occhi di lei irrequieti, ingordi.
Non me lo perdoni, eh? Silvia, di aver fatto fiasco?
Troppo severa era stata; e forse quella per tema di lei, del
suo giudizio, se nera andata. Le pareva adesso di riudire
la voce di Xenia, aveva il tono ironico che usava con le
suore: Parli bene tu che sei protetta da Belluzzi! Co-
me avrebbe potuto spiegare: Io non ho chiesto niente,
stato proprio lui a chiamarmi: Custo.... Forse neppu-
re le altre avrebbero creduto, nessuno avrebbe creduto.
Bisognava scriverlo a pap e a mamm. Vado a lavorare
con Belluzzi. Ma loro non sanno chi Belluzzi, non leg-
gono i giornali, non capiscono tante cose, la mamma
sempre scoteva la testa quando Silvia parlava delle sue
aspirazioni. Altra le diceva deve essere la vita delle
ragazze. Chiss che non avesse ragione, ma come rinun-
ciare adesso? Pap e mamm facendola partire dicevano:
Torner. Anche lei temeva di tornare, ma oggi non
pi, oggi no, sa che far strada, lha detto Belluzzi.
Una mano s posata sulla sua spalla, una voce le ha
detto avanti. S, s, proprio come quando al paese i
fumi del vino nuovo le salivano alla testa, le pizzicavano
il naso.
Le compagne, eccitate dai preparativi per la seduta di
spiritismo, neppure ricordavano che Silvia era andata a
parlare con Belluzzi, e perci accolsero senza stupore la
notizia. Vinca le chiese: Quanto guadagni? e ci lof-
fese. Soltanto Augusta cap: un punto fermo per te,
questo disse.
E Silvia saggrapp alle sue parole: Vero? tu capisci
che una certezza? Per ho paura di deluderlo, di non
essere quella che lui crede.
78 Letteratura italiana Einaudi
Ma Augusta la rassicur: No; tu non deluderai mai
nessuno, tu sei quella che sembri.
Nel frattempo le altre spingevano il tavolo in mezzo
alla camera e il buio le sorprese prima che avessero avu-
to il tempo di preparare il lume. Valentina sbito chiese
sgomenta: Dove siete? E allung una mano a toccare
la pi vicina.
Vinca accese la lampada, la sollev per allargare il
chiarore, vederle tutte, chiese: Ma perch volete fare
questo? Resteranno maledette le pareti.
Finiscila! grid Augusta. Hai tanta paura? Se-
diamoci.
E Vinca pos il lume sopra la libreria: la luce pioveva
sulle teste chine delle ragazze che, gli occhi fissi sulle di-
ta, trattenevano il respiro. Tutte le mani, dapprima in-
certe, si stesero sul tavolino scuro, luna accanto allal-
tra, a cerchio.
Valentina chiese: E adesso?
Aspettiamo cos, senza pensare a nulla.
Sembrava a ognuna che il tavolino palpitasse. Nessu-
na riusciva ad arrestare i pensieri che, incoerenti e tu-
multuosi, salivano a galleggiare dal fondo della loro tre-
pidazione. Come certe volte in chiesa, quando si chiude
la faccia nelle mani, nascono in testa pensieri cattivi; ci
si rimprovera, si sente una disperata volont di scacciar-
li e quelli tuttavia non se ne vanno, restano l imprigio-
nati.
Fu Augusta la prima a dire piano: Si muove.
E il tavolo sobbalz. Tutte di scatto tolsero le mani
per riaccostarle poi, timidamente.
Che si fa? balbett Valentina.
E adesso?
Fa tu, Augusta!
Si parlavano sommessamente, come se qualcuno dor-
misse nella stanza. Augusta interrog: Chi sei? e la
sua voce usc strozzata, intimorita da quella domanda
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
79 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sospesa nel buio. Tacevano le altre trattenendo il respi-
ro, aspettando quasi che una voce di suono non umano
sorgesse dal tavolo.
Sudiva bussare leggermente alla finestra, impaurita
Vinca cerc uno sguardo per rinfrancarsi: Emanuela le
disse col solo moto delle labbra:
la pioggia.
vero, vero che si muove ! esclam Vinca e tol-
te le mani dal tavolino le incroci sul petto: Ho paura,
Dios mio, ho paura!
Valentina, presa dal contagio, sollev anche lei le ma-
ni. Le altre continuavano attente, i loro occhi sembrava-
no scavati dentro fosse livide; per il riflesso del lume si
disegnavano sulla bianca parete ombre mostruose, teste
di giganti. Il tavolo adesso si scrollava urtando i ginocchi
di Vinca e di Valentina che stavano immobili, il sangue
gelato nelle vene.
Chi sei? di nuovo chiese Augusta. Le due ragazze
la guardavano ammirate: era molto coraggiosa. diffici-
le anche entrare in una stanza vuota e parlare da s ad
alta voce. Cos poi, terribile, con quella lampada, quelle
ombre, parlare aspettando che un morto risponda
dallal di l. Valentina e Vinca si cercavano le mani per
fare delle loro paure una paura unica.
Oltre le pareti altre compagne dormivano; nel silen-
zio ovattato dal loro sonno, sudiva lacqua crepitare su-
gli alberi della Villa. Il lume a petrolio esalava un filo di
fumo verso il soffitto. Valentina pensava: Perch ab-
biamo fatto tutto questo? mentre con voce esitante Au-
gusta insisteva: Chi sei?
Il tavolo trabalz.
Tutte spiavano Augusta; non era pi la loro compa-
gna ormai, la sua faccia era severa e smorta; le gote che
aveva pienotte, parevano improvvisamente smagrite.
Aveva acquistato un nuovo aspetto, non era neppure
pi come quando diceva: Da noi lo spiritismo si fa
80 Letteratura italiana Einaudi
sempre, al paese. Tutte la sbirciavano con diffidenza,
pur senza distogliere gli occhi dal tavolo.
Sei una donna?
Emanuela avrebbe potuto giurare di aver sentito sot-
to le sue mani un affannoso respiro umano.
La domanda di Augusta rimaneva librata nellaria so-
lenne.
Sei un uomo?
Dopo un attimo il tavolino dette un balzo. S.
Un uomo: un uomo in mezzo a loro, in camera di An-
na. La camera fu invasa da questa presenza; egli era dap-
pertutto, dietro le spalle di Valentina, stava per posarle
una mano sul collo, una mano senza carne, era appog-
giato al com, era l tutto bianco, incontro agli occhi
spaventati di Vinca, era supino sotto le loro mani. Un
morto, pens Emanuela. E le parve orribile ci che sta-
vano facendo. Valentina temeva che la stanza venisse in-
vasa dalle fiamme, senza lasciare scampo. O forse una
fandonia, Vinca credeva, le compagne agitano il tavolo
per burla, dopo si metteranno a ridere.
Un uomo conferm Augusta, mentre la sua grassa
mano seguitava a sfiorare il tavolino.
Era macabro tutto questo. Emanuela simmagin se-
duta a cerchio con le amiche attorno a un feretro. Un vi-
vo imprigionato rispondeva bussando contro il coper-
chio; un feretro lungo come quello di Stefano. Mai era
rimasta sola quella mattina, i quattro avieri sembravano
di piombo nella loro divisa, rigidi, occhi distanti, larme
al fianco, con le baionette nude che nello sbattimento
della fiamma delle candele lampeggiavano.
Come ti chiami? Augusta chiese.
Anna supplic: Basta, basta! Se un nome fosse
stato detto, un fantasma duomo con quel nome per vol-
to si sarebbe introdotto tra le pareti, mai pi ne sarebbe
uscito: ogni sera rientrando lavrebbe trovato ad atten-
derla col suo nome umano, preciso, basta, basta!
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
81 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ma Augusta, inesorabile, contava i colpi che il tavolo
picchiava sul pavimento. Anche Valentina e Vinca,
strette, recitavano lalfabeto, senza suono: A, B, C, D...
Il nome, Emanuela laveva visto inciso sulla targa
dottone della cassa. Comandante Stefano Mirovich. S,
era il nome di Stefano, ma non era possibile che lui fosse
morto e giacesse l in quella cassa levigata, con le bor-
chie dottone polito, dentro un mobile, insomma: qui
dentro non ci pu essere Stefano.
H, I, L, M...
Non conosceva il viso di Stefano morto; Stefano mor-
to: parole che non avevano senso: tutti possono essere
morti, meno Stefano, sono cose che cpitano agli altri,
impossibile che morisse lui, uno di loro due.
... Q, R, S... Non va pi avanti. Nel silenzio pauro-
so la voce ora arrochita di Augusta chiedeva: S?... af-
fermava: S. Dopo uninterruzione il tavolo ricomin-
ci a sobbalzare, Augusta riprese:
A, B, C, D...
I morti non rispondono, pens Emanuela, sono pazze
costoro se credono di poter parlare collal di l come per
telegrafo. Ella provava ancora sui ginocchi il freddo
dellimpiantito dellospedale. E intorno a lei inginoc-
chiata, tutto era immobile: la cassa, i soldati, i fiori, la
grande bandiera stesa sulla parete; solo le fiamme dei
ceri tremolavano. Ella mormorava: Stefano, fammi
sentire che proprio tu sei qua dentro, o non lo creder
mai. Un segno, dammi un segno, e allora, solo allora cre-
der. Ad un tratto saccorse che le parole le si forma-
vano nella mente come una preghiera, come si parla a
Dio; allora cap che veramente Stefano era morto. E fu
scossa da fremiti gelidi, le tremarono dentro il sangue e
le ossa.
S, T... Un nome che comincia per S T. Sempre ri-
volta allo spirito, Augusta domand: Io chiedo e tu
conferma: Stanislao?... Steno?... Stefano?...
82 Letteratura italiana Einaudi
A questo nome Emanuela scatt in piedi, scroll il ta-
volo come per scacciarne qualcosa, stacc dal tavolo le
compagne a una a una mettendo loro la mano sul petto,
le vide alzarsi sorprese: Basta! Basta! grid. Basta!
Questo non ve lo permetto! uno scherzo, una comme-
dia, vergognatevi, non credo mica che sia vero, se non
ha risposto a me, non pu rispondere a te, Augusta! La
luce chiedeva accendete la luce sbito! E sotto gli
occhi stupefatti delle ragazze, gir linterruttore pi vol-
te a vuoto. La fioca luce odorosa di petrolio, filava al
soffitto in una lingua nera e molle.
Pazze siete, pazze e cattive. Come avete fatto a sape-
re?
Poi apr la finestra, cercando aria pura: entr un fred-
do penetrante, umido; ancora pioveva, il cielo che si ve-
deva al di sopra del telaio era bianco, compatto di nuvo-
le. Emanuela sappoggi al davanzale e piangendo
chiese: Perch mavete fatto questo?
I suoi singhiozzi si scandivano nel silenzio, come un
grido duccello notturno. Le compagne, serrate in grup-
po, si sentivano colpevoli, ma senza sapere di che cosa,
forse dei nomi che avevano pronunciato o pi precisa-
mente di quel penetrare nel mondo sovrumano. Stavano
moge come per una burla finita in tragico; Silvia per pri-
ma si mosse, savvicin a Emanuela, pur senza osare
parlarle, chiederle. E quando la ragazza alz la testa, la
vide, avanti al gruppo delle compagne, muta domandare
la ragione di questa improvvisa pazzia: allora le spieg,
con la voce umida di pianto: Ho perduto qualcuno
che si chiamava Stefano.
Silvia disse rattristata: Scusaci. Ma non lo sapeva-
mo. Non stato uno scherzo, Emanuela, mai lo avrem-
mo fatto.
Dovevo immaginarlo, infatti, non ho pi capito nul-
la.
Era il tuo fidanzato? Valentina le chiese.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
83 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
S... Oh, no, una cosa di tanti anni fa, ma la coinci-
denza mi ha impressionato.
Ti capisco fece Silvia anche io questa sera ero
agitata. Abbiamo fatto male.
Cominci a mettere a posto le sedie, Augusta pose di
nuovo i libri, gli oggetti sul tavolo perch la stanza riac-
quistasse il suo normale aspetto e laccaduto apparisse
ancor pi lontano, fosse cancellato addirittura. Sentiva-
no la necessit di sapere di pi, Valentina chiese con cu-
riosit: Stefano si chiamava?
Ed Emanuela chin la testa assentendo.
Nella notte il buio della camera di Emanuela fu pieno
di quei colpi sordi del tavolo. A, B, C, D; la voce di Au-
gusta riempiva i suoi orecchi come un ronzo. Piangeva:
allora non aveva potuto piangere per Stefano, gli eventi
non glie ne avevano lasciato il tempo; pianto s, aveva,
ma per ci che avveniva attorno a lei, come quando si
vedono le case abbattute dal terremoto. Pap laccusava,
mamm laccusava, in fondo la morte di Stefano, pi
che come una tragedia, era caduta su di lei come una
cattiva azione.
Stesa nel letto, supina: la pioggia aveva ripreso a cade-
re monotona, pareva il rumore di un corso dacqua, un
torrentello che scorresse oltre la finestra. Lampi rivela-
vano il cielo ferrigno, poi il buio ripiombava nella came-
ra. Emanuela pensava a Stefano, a Stefano vivo; quando
laveva visto la prima volta non immaginava che tutta la
sua vita sarebbe mutata per lui. Non aveva avuto il tem-
po di amarlo veramente, pochi mesi! cinque mesi, da
quella sera che laveva conosciuto. A Firenze si parlava
molto di lui, sempre ai posti pi rischiosi, un asso; veni-
va dal campo di Portorose. Le donne dicevano che era
alto e bello. Lei quando lincontr una sera a casa di
amici, dovette riconoscere che s, avevano ragione, do-
veva essere veramente un uomo straordinario, il corag-
84 Letteratura italiana Einaudi
gio gli si vedeva negli occhi; tuttavia neppure si era sen-
tita lusingata quando egli le aveva chiesto: Balliamo
tutta la sera insieme, io e lei? Pensava che era cosa do-
vuta, aveva un alto concetto di s, Emanuela: tutta la se-
ra erano rimasti insieme; e quando ella dopo mezzanotte
si lev per andarsene, lui fece rammaricandosi:
Oh, gi a casa, cos presto?
S, noi abitiamo lontano, a Maiano, sotto Fiesole.
Fiesole egli aveva ripetuto: non so perch questo
nome mi ricorda sempre i quadri dei primitivi toscani.
Ha una casa grigia, un giardinetto con un cipresso?
S ella aveva risposto sorpresa ridendo proprio
cos, una vecchia casa grigia, un giardinetto con un ci-
presso.
ci che io desidererei avere: ma noi non possiamo
avere una casa, non sappiamo mai dove saremo il domani.
Dopo qualche giorno laveva incontrato sul Lungar-
no. Era il crepuscolo, ella voleva voltare al Ponte Vec-
chio, prendere la via del ritorno, ma lora era cos bella
che lei, indugiando, aveva deciso di proseguire e pren-
dere laltro ponte. Due passi dopo, lui. Si scus perch
aveva la barba lunga, veniva dal campo. Oh! che im-
porta? non si vede Emanuela disse; e segretamente te-
meva che, per questo, egli la lasciasse subito. Invece pre-
sero a camminare accanto sul Lungarno quasi deserto;
uomini a cavalcioni del parapetto pescavano con la len-
za, immobili come statue. Anche loro due saffacciarono
al parapetto del fiume guardando gi; sullaltra riva le
case nascevano silenziosamente dallacqua come a Vene-
zia. Si parlava bene, cos, senza fissare luno gli occhi
dellaltro, vagando con lo sguardo sul fiume: da lontano
si vedeva il verde dei colli e anche le rive dellArno era-
no erbose e fresche.
Io conosco poco, molto poco, Firenze diceva Ste-
fano Mirovich, ma ogni giorno ne vedo dallalto le cu-
pole, quante chiese avete a Firenze! e seguo lArno da
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
85 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
lass, seguo il corso del fiume come se andassi in bar-
chetta.
Le presenter Firenze, allora ella aveva detto con
scherzevole ostentazione.
Si vedevano spesso, quasi ogni giorno. Qualche volta
incontravano gente di conoscenza per la strada ed ella
era felice che vedessero Mirovich con lei, ne era lusinga-
ta. Si studiava di apparirgli diversa dalle altre, una don-
na superiore, un po bizzarra e romantica; si proponeva
di piacergli e saccorgeva di riuscirvi. Sentiva che egli
cominciava ad amare in lei la graziosa maniera di muo-
versi, la calma sorridente degli occhi. Istintivamente ri-
cercava per i loro incontri una cornice suggestiva, che le
desse risalto. Lo guidava in antiche chiesette romite do-
ve appena qualche donnetta stava inginocchiata.
questo Emanuela diceva e gli mostrava sopra lacqua-
santiera un piccolo San Giovanni, levigato, polito, patito
di vecchiaia, o una pala daltare, o un pergamo. Certe
volte si sedevano sulle panche e poi restavano a parlarsi,
bisbigliando, ridendo sommessi, tre, quattro persone
nella chiesa, non pi.
Una volta scesero in una cappella sotterranea, una
cripta. Cera l sotto un freddo umido, da sepolcro, e so-
lo una lucerna era accesa che diffondeva attorno una
tremolante luce rossiccia. Era pauroso essere soli l den-
tro; un grande Cristo bizantino sgranava le dure pupille
nelliride di un bianco lattiginoso e spalancava le braccia
sopra la croce che pendeva sullaltare. Emanuela sarre-
st nel mezzo della cappella, incerta. La sua ombra per
terra si stendeva allinfinito. Stefano era dietro di lei e le
prese le spalle, quasi a darle coraggio. Restarono un atti-
mo cos, zitti; poi egli la baci piano sulla nuca, dove gli
ultimi riccioli formavano una lanugine appena.
Stefano! ella lo rimprover a voce soffocata, inti-
morita dal sacrilegio. E poi insieme ripresero a salire la
scaletta ripida che menava alla chiesa superiore, accosti,
86 Letteratura italiana Einaudi
quasi abbracciati. Uscendo trovarono che era giorno an-
cora e ne furono sorpresi. Stefano nel salutarla le diede
del tu.
Su su, nel vecchio tramvetto che la riportava a Maia-
no, fermate, sobbalzi, campanelli, niente sentiva. Una
febbre interna, gioiosa le affluiva alle gote, arrossando-
gliele. Entr in casa, pap e mamm erano gi a tavola,
via il cappello, occhi lucidi, denti lucidi, com buona la
minestra!
Il giorno dopo, contemplando il giardinetto di dietro
i vetri della sua finestra, aspettava che le ore passassero;
i giorni avevano gi la fretta del primo autunno. Il cielo
era alto e trasparente, le acace si spogliavano, i rami dei
platani lungo il viale erano nudi. La ragazza si vest, ogni
giorno un vestito diverso, voleva cogliere lammirazione
negli occhi di lui, e scese a piedi fino a Firenze, nellodo-
re sfatto della stagione.
Vedendola egli le and incontro, le baci la mano, e
poi la prese sottobraccio; cominciarono a camminare in
certe straduzze solitarie dove le statue sonnecchiavano
nelle vetrine degli antiquari tra i damaschi rossi e doro.
Sono innamorata ella pensava. Una sensazione lie-
ve e dolce che non faceva male. Emanuela divorava ogni
giornata, nellansia dellora degli incontri, avrebbe volu-
to arrivare agli appuntamenti di corsa. Stefano che sem-
pre camminava tenendo il braccio sotto quello di lei, le
lasciava sulla manica il sentore delle sue sigarette ed
Emanuela temeva che in casa avvertissero quellodore
inconsueto. Ma erano distratti, i suoi, mamm faceva in-
terminabili lavori a maglia, seduta al pallido sole del
giardinetto, pap leggeva sempre; sovente, quando ella
andava a Firenze, lincaricava di comperare un libro per
lui. Ecco il libro, pap e temeva che le chiedesse:
Dove sei stata?
Venuto linverno, Emanuela e Stefano andavano a
prendere il t nel cortile coperto di un antico palazzo,
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87 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
dietro via Tornabuoni, frequentato da vecchie inglesi le
quali prendevano il t leggendo; nella sala cera anche
una piccola biblioteca; casti romanzi rilegati in tela ros-
sa. Bisognava parlare sottovoce se no, da dietro gli oc-
chiali, sguardi minacciosi si svegliavano. Emanuela e
Stefano si soffiavano le parole negli orecchi, mangiavano
biscotti salati o paste al cioccolato. Mai cera unaltra
coppia come loro. Sotto qualche tavolo delle vecchie in-
glesi, cani sonnecchiavano.
Un giorno, poco dopo che ella era arrivata allappun-
tamento, lui disse: Prendiamo un tass. E lei approv
sorridendo senza sapere dove sarebbero andati, incurio-
sita e tuttavia con una punta dincertezza nel fondo
dellanima. Una traversa del Viale dei Colli, una stradet-
ta in discesa, pietrosa; il tass sobbalzava, infine sarrest
a una porticina. Emanuela scese leggera e guard attor-
no volendo apparire disinvolta, ma non sapeva che cosa
significava questo, n dove fossero. Egli apr con una
chiavetta, maldestro, poi spinse luscio e la lasci passa-
re. Sempre Emanuela sorrideva. Dentro cera odore di
vernice e di chiuso; pochi mobili: un ampio divano, un
grande specchio con la cornice doro nuovo; quasi buio,
appena un po di chiarore passava dalle persiane. Stefa-
no le spalanc: sotto sapr tutta Firenze, lArno rigonfio
come una treccia, le case rosse, i ponti che scavalcavano
il fiume. Emanuela ebbe unesclamazione di maraviglia
e saffacci: ma linterna inquietudine non cessava. Non
osava dire: Andiamocene, che siamo venuti a fare
qui?
A lungo contemplarono insieme Firenze, zitti, vicini,
turbati da quella solitudine. Stefano le carezzava il collo,
le spalle, facendole socchiudere gli occhi per la gioia.
Lentamente fuori imbruniva; entrambi rabbrividirono
di freddo; allora Stefano richiuse la finestra, strinse
Emanuela nelle braccia, a lungo la baci, poi la prese.
88 Letteratura italiana Einaudi
Ritornando a Maiano, Emanuela stringeva tra le dita
la chiavetta che Stefano le aveva data lasciandola. Do-
mani andiamo a prendere il t al Cortile, vuoi? E dopo-
domani domenica: potremmo mangiare qui, una cola-
zione fredda, buona, non ti diverte? sar un giorno tutto
per noi. Puoi essere libera? Ella aveva annuito sempre
muta, poi laveva baciato a lungo, come grata, prima
duscire fuori. Freddo acuto, nella stretta via sassosa.
Arriv a casa in ritardo e spossata, a tavola non aveva la
forza di parlare: pap le chiese a un tratto: E il libro,
Emanuela? e lei guardava attenta nel piatto della mi-
nestra, senza osare dincontrare gli occhi di lui; poi dis-
se: Non lho preso, pap. Adesso egli avrebbe alme-
no domandato: che hai fatto, dove sei stata? Disse
invece: Domani allora e lei promise rinfrancata:
Domani.
Inverno rigido; ormai Emanuela e Stefano si trovava-
no spesso nella casetta del Viale dei Colli. Quando Ema-
nuela entrava, trovava Stefano che leggeva i giornali o,
in piedi dietro i vetri della finestra, guardava accendersi
i lumi della citt. Ella entrava raggiante, si toglieva il
cappello e i guanti, andava ad abbracciarlo proprio co-
me se entrasse in casa propria. Mai aveva detto: Per-
ch abbiamo fatto questo, Stefano? Era felice. Provava
una gioia quasi infantile nel riconoscere lodore dei ca-
pelli di lui, nel ritrovare quel gesto abituale che egli ave-
va di toccarsi il collo, la gola, sapeva quanti bottoni ci
sono alla divisa e come si fa a sciogliere il nodo della cra-
vatta, lo aiutava a rimettere i gemelli nei polsini, mentre
lui le dava piccoli baci sulla nuca china, sui capelli. Le
piaceva questa loro intimit segreta, di avere domesti-
chezza con la vita di lui. Neppure si doleva che Stefano
non le avesse mai detto: Ti amo.
A lungo distesi accanto sul divano parlavano fuman-
do. Quella era lora migliore; una grande calma posava
su di loro, una distesa pace. Parlavano dei voli di Stefa-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
89 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
no. Quando lui parlava di aeroplani, Emanuela, mutan-
do improvvisamente la voce, gli diceva: Ho paura. E
lui: Io non ho pi paura da quando ci sei tu. So che
maspetti e devo ritornare.
Una volta fece: Purch non mi promuovano. E s-
bito Emanuela esclam: Oh! sarei felice. Ma Stefano
taceva. Non saresti contento? Emanuela gli chiese.
Se mi promuovono egli spieg certo mi cambiano
destinazione.
Tacquero entrambi: non avevano acceso la lampada,
dalla finestra entrava la luce giallastra di un fanale che so-
litario ardeva nella viuzza; nel buio della camera si vede-
vano ravvivarsi le punte rosse delle sigarette, tornare a
spegnersi dopo un attimo. Emanuela trov per prima la
forza di parlare: Lontano? chiese. Non so, lontano o
vicino, non so. Ma non posso pensare di andare in una
citt dove tu non ci sia, Emanuela. Nulla avrebbe pi sco-
po per me: nemmeno il volare. La ragazza pensava: Se
ne va, se ne va: per questo adesso mi dice che mi ama.
Pi volte si vide nellombra ravvivarsi la punta rossa della
sigaretta di lei: sud un passo nella stradella, due passi,
voci alzarsi nel silenzio, tacersi. Stefano fumava guardan-
do sul soffitto proiettarsi a cerchio la luce del fanale.
Ho pensato che prima di questo io e te dovremmo
sposarci. Se anche tu come me, naturalmente, non puoi
fare a meno di... di... tutto ci.
S, anche io ella disse come te.
Stefano le carezz i capelli a lungo, zitto; poi parlaro-
no daltro. Lindomani le port lo smeraldo ed ella tor-
nando a casa annunci: Sono fidanzata.
Pochi giorni dopo Stefano conobbe la casa, il giardi-
netto, il cipresso.
Una settimana ancora non era passata: Emanuela, en-
trando nella casetta dal viale, trov buio dentro, una lu-
ce ultima sui vetri. Nessuno nella camera: ella grid ri-
90 Letteratura italiana Einaudi
dendo: Stefano! no, no, Stefano, ti prego, non mi fare
paura! Era nascosto, certo, e sarebbe uscito fuori di
soprassalto: No! Stefano, no! I suoi gridi rimasero
appesi al buio. Accese la lampada, guard di qua, di l.
Non c davvero, Stefano. Forse gi venuto e ha lascia-
to un biglietto. Non c nulla. Sono appena le quattro e
mezzo! Senza togliersi i guanti, la pelliccia e il cappello
and ad accostarsi al termosifone, si strinse l per riscal-
darsi. Un passo discendeva la strada: Eccolo; che dir
vedendomi questa pelliccia nuova? gi sorrideva Ema-
nuela. Il passo super la porta scese in basso, tacque.
Le cinque. Ormai aveva letto tutto il giornale che fino
due giorni prima aveva dimenticato sul tavolino. Certi
momenti, interessata dalla lettura, si dimenticava perfi-
no di stare aspettandolo. Che sia andato al t del Corti-
le? No, sera detto qui, proprio qui. Sar stato trattenuto
per servizio, adesso arriver. Aspettava cercando di
pensare ad altro, perch il tempo passasse pi presto. E
invece rimaneva tesa in ascolto ai rumori della strada;
essendo la camera poco alta sulla via, sudivano i discor-
si delle persone che passavano. Nellappartamento di
sopra un pianoforte suonava. C ancora chi studia il
pianoforte. Quanti anni di studio, da bambina, ore e
ore dinverno: la maestra picchiava con la bacchetta sul-
le mani intirizzite e doveva soffocare limpeto di ribel-
larsi; attendeva lora della lezione con terrore quasi, se la
maestra ritardava di cinque minuti pensava: che bellez-
za, non viene pi, non viene pi e invece dun tratto
squillava il campanello. Quanto tempo passato! quan-
to tempo era che non sentiva studiare il pianoforte! si
sente certe volte in campagna, destate, nelle ore pome-
ridiane; questo il valzer triste di Sibelius. Appena tor-
no a casa apro il pianoforte, mi metto a suonare. Buia,
tutta buia la camera, la strada piombata in una grande
pace, pare ascolti anche lei la musica. Dopo poco anche
il pianoforte tacque. Vado via ora, vado a telefonare.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
91 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Passa una donna sulla strada, si sentono battere i tac-
chetti. con lei una bambina che piange, e lei la trasci-
na, si sente, senza neppure badarle. Si chiude un por-
toncino e il pianto tace.
Emanuela usc, la strada era deserta, davanti alluscio
chiuso attese un poco prima di avviarsi. Nessuno. Sopra
la sua testa il pianoforte aveva ripreso a suonare.
Trov il telefono in un bar a Porta Romana: gente fuma-
va, beveva, sudiva lurtare sordo delle palle del biliardo.
Pronto... laeroporto?
S.
Vorrei parlare al comandante Mirovich.
A chi?
Al comandante Mirovich.
Al comandante Mirovich?... Non si ud pi nulla,
eppure certo laviere era rimasto l, al microfono; Ema-
nuela insist: Pronto, pronto.... Infine dallaltra parte
la voce rispose: Attenda.
Attese molto tempo; la ragazza del bar ogni tanto la
guardava, anche gli uomini che sedevano ai tavolini la
guardavano, laria era densa di fumo, sudivano cozzare
le bilie, ridere i giocatori; nel microfono, silenzio. For-
se stata tolta la comunicazione. Le tornava alla mente
una frase di Stefano: Questi maledetti apparecchi nuo-
vi... Inquieta seguitava a chiedere nel microfono:
Pronto, pronto.
Qualcuno rispose infine, una voce diversa dalla pri-
ma, certo un ufficiale; chiedeva:
Chi parla?
Voglio parlare al comandante Mirovich.
Chi parla?
Per la prima volta ella disse, sperando di ottenere
qualche cosa di pi: La sua fidanzata.
Ma anche lufficiale come laviere tacque; disse dopo
un momento: Il comandante fuori, in volo.
In volo? A questora?
92 Letteratura italiana Einaudi
S.
Ma dove?
Non sappiamo; in volo.
accaduta una disgrazia? Mi dica!
Disgrazia? no, no, signorina.
Ma lei aveva gi riattaccato il ricevitore. Usc dal bar,
cominciava a piovere, le gocciole le cadevano sul viso,
cammin, gir di l intorno, non cerano tass, che dispe-
razione, faceva segno a tutti i tass che passavano, la gente
da dentro la guardava stupita: non vede la bandierina ab-
bassata? Il freddo le mordeva le caviglie: come si fa, come
si fa, pensava, bisogna andare al campo. E infine un tass
vuoto pass, ella disse: Al campo daviazione, presto,
pi presto che pu, lautista borbott: Si slitta... e
part lentamente. Passavano avanti agli occhi di Emanue-
la case sempre pi rare, lampioni, distributori di benzina,
pioveva, pioveva: il tass sarrest a un cancello. qui.
Quando si trov in presenza dellufficiale Emanuela
cap sbito che si trattava di cosa grave. Era, lo ricordava
perfettamente, alto e bruno, forse dabitudine doveva ave-
re un colorito roseo, ma allora era pallido, spiegava affret-
tatamente, diceva che era un volo lungo, molto lungo, ma
la ragazza, mentre lui parlava, scoteva la testa vieppi reci-
samente e intanto pensava che se fosse stata cosa da nulla,
un piccolo incidente, gi glie lo avrebbero detto, ormai il
povero tenente alto cos, grosso cos, pareva un bambino,
non sapeva pi che dire e, temendo che fra di loro si for-
masse il silenzio, seguitava a dare particolari. Poi tacque.
Allora Emanuela chiese recisa: Dove caduto?
Come se non avesse parlato affatto, come se le sue pa-
role di prima non fossero state udite, lufficiale rispose
piano: Vicino Bologna.
Serena, quasi senza soffrire, ella domand: Morto?
grave.
Dove sta?
Allospedale di...
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
93 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
L giunse che era notte profonda. Non una vettura alla
stazione, sulla piazzetta un solo lampione infreddolito.
Dov lospedale?
Di qui, poi volti a destra, poi a sinistra, su, su il viale
grande.
Buio compatto, silenzio che le faceva sembrare colpe-
vole il battere delle sue scarpe sul selciato. Temeva che
qualcuno si affacciasse alle finestre e lei dovesse scusarsi
di essere l, dare spiegazioni. Buio. Ora a destra, a sini-
stra. A qualche cantonata un lampione, dagli usci soc-
chiusi delle stalle sfiatava un caldo odore di strame,
sembrava che ombre sgusciassero fuori dei portoncini,
lungo il viale gli alberi si disegnavano in aspetti fantasti-
ci e spaventosi, ed ella, quasi dimenticandosi di Stefano,
cominciava a temere per s. Non sentiva pi che se stes-
sa, provava la sensazione di essere in unimpresa eroica.
Infine apparve il fanale rosso dellospedale.
Era arrivata e si rassicur, non pensava pi che Stefa-
no poteva essere morto; sent che la sua peripezia not-
turna era finita, prov una sicurezza di porto raggiunto:
sarebbe entrata in una stanzetta, avrebbe potuto buttar-
si sul letto di Stefano, raccontargli i disagi del viaggio,
dirgli tutto quello che aveva fatto per sapere la verit,
per giungere fino a lui, e lincubo di quel buio avventu-
roso.
Lunga attesa prima che le venisse aperto, intorno tut-
to era sepolto nelloscurit, eppure ella pens, tra
poco lalba.
Entrando chiese con voce dimessa. Sono venuta per
vedere il comandante Mirovich.
Non si pu, fino a quando non lavranno incassato
rispose linfermiere.
Neppure pens di aver capito male. Morto: gi finito
tutto, la cassa. Pens queste cose calmamente, appena un
pi vivo battere del cuore, un doloroso gricciore ai polsi,
nella pelle. Morto. Ed ella l ferma a parlare con linfer-
94 Letteratura italiana Einaudi
miere, Stefano non poteva pi saperlo che era giunta fin
l, lei, ancora viva. Le balen unimmagine di quando era
bambina, a scuola; un giorno in cui la maestra dovette di-
re a unalunna che, tornando a casa, avrebbe trovato la
madre... malata, la madre grave, s, insomma, la madre
morta. La ragazzina url. I corridoi, laula, tutta la scuola
si scosse allurlo; un secondo urlo pi roco e infine il no-
me, il nome, un invocazione straziante, urtava le pareti:
Mamma! mamma! senza pianto; poi tacque e croll
in terra, svenuta. Cos ella avrebbe voluto, adesso forse
un urlo disumano esploderebbe, ma no, no, non cade,
resta l, zitta senza perdere la conoscenza vivendo ogni
attimo di quellora tremenda.
Disse: Vorrei vederlo sbito, chiudergli gli occhi...
Oh, gli occhi... figlia mia, non ci sono pi gli occhi...
Disse questo con crudele dolcezza. Alle sei sarebbe
potuta entrare, alle sei, che aspettasse qui in sala.
Cos Emanuela rimase chiusa nella stanza fredda che
odorava di disinfettante, il pianto la stringeva, ma non
riusciva ancora a sciogliersi; pensava sempre a quella fra-
se dellinfermiere: Non ci sono pi gli occhi. E adesso
ricercava gli occhi di Stefano, li rivedeva in ogni partico-
lare, quella girandola gialla nel verde delliride, i cigli fol-
ti e neri, una piccola cicatrice allangolo dellocchio sini-
stro. Non una ferita gloriosa diceva una caduta in
Accademia. Non ci sono pi gli occhi di Stefano. Non
poteva dimenticare gli occhi duri che aveva quando dis-
se: Questi maledetti apparecchi nuovi... Dove sono gli
occhi di Stefano? Soltanto questa domanda torturante
nella mente, forse questo per lei era come piangere, come
un singhiozzo, forse in quella domanda si estenuava, e
anche quando fu inginocchiata vicino alla bara e osserva-
va gli occhi vivi degli avieri, rabbrividendo immaginava
Stefano composto l dentro, nelluniforme azzurra, liscia-
to e pettinato s, ma con due vuoti orrendi nelle orbite,
due rosse caverne. Dove sono gli occhi di Stefano?
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
95 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Mai pianse: inginocchiata, seduta sui calcagni, le dita
intrecciate in gesto di preghiera: immobile anche lei nel
silenzio gelido. Cos trascorse il primo mattino: finch
ad un tratto, oltre la porta sud un pianto straziato, e
linfermiera entr bisbigliando: arrivata la madre.
Era come stare fuori dellaula, a scuola, mentre urlava la
ragazzina che ormai era orfana. Dove sta? dove sta?
Emanuela si ritrasse verso il muro, vicino alla ghirlan-
da dalloro. Intanto sapriva la porta. Figlio! Una
forma nera entr, cadde sulla bara. La ragazza non ne
scorse il volto, solo ud quel grido, vide quelle mani ta-
stare il legno: usc fuori, riprese il viale grande, part.
Rest qualche giorno in letto malata, una febbre da
nulla, una febbre nervosa, lesse sul giornale che in un
volo di prova, per cause imprecisate un apparecchio
dellaeroporto Luigi Gori era precipitato; il pilota, co-
mandante Stefano Mirovich, che non aveva potuto usare
il paracadute, era deceduto. Niente pi di queste due
righe. Accanto cerano i nuovi prezzi del grano, sotto la
notizia dellarrivo in Italia di Jeannette Mac Donald.
Fu colpita dalla parola: deceduto. Stefano era dece-
duto. Niente pi di questo: un avviso anagrafico. La ma-
dre se lera portato via, a Fiume, a casa, forse neppure
sapeva che non cerano pi gli occhi. Tutto scomparso,
anche il ricordo dellArno che insieme avevano guardato
scorrere placido, anche la casetta del viale dei Colli, quel
buio nel quale si vedevano accendersi le teste rosse delle
sigarette, sudivano le loro voci. Nessuno sapeva tutto
ci, era come se non fosse mai stato. Ella aveva cono-
sciuto poco della vita di lui, la loro era una strana inti-
mit, quella vera stava per cominciare. Ed ecco Stefano
era deceduto. Provava un gusto aspro nel ferirsi con
questa verit, telefonava al campo per sentirsi risponde-
re: Non sa? morto, il comandante Mirovich, poi
riappendeva il ricevitore. Per farsi male come, quando le
doleva un dente, saccaniva con lunghia contro la gengi-
96 Letteratura italiana Einaudi
va. Ma si tappava gli orecchi quando sulla casa passava il
rombo dun aeroplano.
Un soffrire opaco e mite che somigliava a una grande
stanchezza. Le pesavano addosso le membra; sedeva in
giardino inoperosa, le mani sul grembo, mani fredde co-
me pietre; altre volte sattaccava alle sbarre del cancello
e guardava la gente che passava fuori, andava verso Fi-
renze, seguiva i loro passi finch poteva, come imprigio-
nata e trattenuta da una misteriosa inerzia.
Quando cominci a temere che la cosa terribile po-
tesse essere vera, allora torn a sentirsi viva. No, non era
possibile. Ormai che Stefano era morto, come poteva
ancora tenerla legata a s? Non doveva avere seguito la
loro storia, altrimenti egli non avrebbe potuto andarse-
ne cos; come fare? ella cominci allora a uscire, per di-
strarsi, per convincersi che tutto seguitava, che ogni co-
sa, e anche la sua vita, seguiva il suo corso normale.
Tuttavia non poteva pensare ad altro, quel pensiero era
l fisso, un chiodo, neppure pi le cose le faceva vedere,
neppure un attimo labbandonava. Stefano, andava
mormorando per la strada; non possibile, dentro il suo
petto sagitava una grande ribellione, no, no, che dir a
pap e mamm? Le ripugnava il pensiero di avere in lei
una creatura viva che accaparrava il suo sangue, la sua
vita, che cresceva in lei a suo dispetto, che era padrona
della sua esistenza gi prima di nascere. Ogni giorno che
passava questessere sordamente maturava in lei. Come
potrebbe nascere un figlio senza padre, senza nome? Se
proprio sicuro ella pensava serenamente c sem-
pre un rimedio: mi butto nellArno. Adesso aspetto, non
devo disperare. Si calmava pensando che alla peggio un
giorno avrebbe potuto fare un salto dal ponte e tutto si
sarebbe risolto. Ma non si pensava veramente morta,
soltanto la sua pena sarebbe morta con quel gesto, le
sembrava quasi che, se si fosse gettata, sarebbe bastato
rimanere un po di tempo tuffata, senza respirare, e cos,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
97 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
come in un sonno, avrebbe lasciato cadere questo peso
nel fiume; ella sarebbe risalita sulla sponda, avrebbe ri-
preso la sua vita liberata da questincubo, dal timore del
figlio, dalla scomparsa di Stefano. Era come se tutto ci
restasse nel fondo del fiume, niente accaduto, e lei,
Emanuela Andori, di nuovo a spasso per le vie di Firen-
ze sorridente nel fermento della nuova stagione.
Non pu nascere, bisogna che faccia il salto, non c
altro rimedio, semplice: cos pensava una sera seduta
nella sala da pranzo; la madre lavorava accanto a lei.
deciso. Cerc di rasserenarsi nella certezza della decisio-
ne presa; e per, pensando che morire significava essere
poi chiusa in un mobile lungo e stretto come Stefano,
essere dimenticata, s, dimenticata, chi vive pi per i
morti? chi pensa che sono stati creature vere? non avere
pi occhi, non vedere pi, non pi toccarsi la pelle e
sentirsi viva e calda, neppure soffrire la pena di vivere,
allora, udendo nel suo silenzio il ticchettio dei ferri della
madre, ad un tratto si volse verso di lei e cominci a
piangere, senza dir nulla, a piangere, a singhiozzare, fin-
ch non la vide accostarsi, chiederle che avesse, mamm
cos vecchia, mamm cos diversa da lei; e quando ne
sent il calore della gonna, le sbarr gli occhi in faccia,
grid: Mamma mia, sono rovinata!
Sei anni, gi passati sei anni e Stefano ormai uno
scheletro nella fossa, proprio solo uno scheletro. Terri-
bile. La divisa sar afflosciata, ci sar ancora la divisa?
spaventoso tutto ci, Emanuela non osa guardare attor-
no, forse ora entra, entra e mi parla con una voce di ve-
tro o di metallo. Che voce avranno i morti? Forse era ve-
nuto nel tavolino stasera a raccontare come era stata la
fine, c un rumore assordante nelle orecchie di Ema-
nuela, come se il motore stesse al piano di sopra o nella
camera di Milly, un fracasso assordante, cadendo forse
passato sulla casa, lapparecchio brancola..., cade, sav-
vita nel cielo, risale, lasciando una sca luminosa, accesa
98 Letteratura italiana Einaudi
di rosso, rosso come il fanale dellospedale, gttati! Ste-
fano, presto, gttati col paracadute!, ma non facile,
non facile come buttarsi gi dal ponte, il ronzo del
motore le lacera gli orecchi, c la voce di pap, la voce
di mamm, la voce di Stefania, tante voci, tante persone,
Stefano caduto, bruciato, a pezzi, non ci sono pi oc-
chi; chi sa, uno di qua, uno di l; niente rimasto di lui,
neppure lo smeraldo, Xenia se l portato via, solo lap-
parecchio gira nel cielo come una cometa, ingigantisce,
ingigantisce, volteggia attorno alla terra, tutti sono affac-
ciati e strillano, credono che sia la fine del mondo, scap-
pano, si salvano, lei sola qui, legata al centro della terra,
attaccata qua perch ha Stefania e non pu scappare.
Stefania fugge, le compagne fuggono, labbandonano, il
ronzo savvicina, la cometa cade, la urta, si sente preci-
pitare, precipita.
*
Il giorno di Natale a Roma nevic; e questo fu per il
Grimaldi la sola ragione dallegria; il cortiletto si face-
va bianco, le mimose incanutivano, anche i bamb ac-
quistavano nobilt da quel candore, pareva spuntassero
finalmente i fiori tra le foglie ostili. Piovve tutta la notte
e poi invece al mattino, dapprima trasparente e impalpa-
bile, poi veloce e fitta, la neve cadde per molte ore di se-
guito. Infine, quando tutto fu bianco, cess. La malinco-
nia delle ragazze sembrava essere blandita da
quellalbore che le riportava verso anni innocenti e di-
menticati. Fissavano la neve calare morbida, in bioccoli,
e rivedevano lovatta che si posava sui loro alberi di Na-
tale quando erano bambine. E stavano sospese in attesa
di qualcosa, come quando, allora, attendevano impa-
zienti fuori la porta del salotto, dentro il quale pap traf-
ficava con le lampadine e i fili elettrici attorno al prese-
pio, mamm avvolgeva i doni nella carta velina rosa.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
99 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Vergognose di lasciarsi sorprendere nei ricordi cerca-
vano di apparire allegre, ma era uneffervescenza che si
placava presto. Ognuna si chiudeva di nuovo nei propri
pensieri: cercavano soltanto di tenersi legate perch dal
patire comune nascesse una sorta di forza rasserenatrice.
Vinca diceva: Fino a ieri credevo di soffrire per la lon-
tananza dal mio paese; ma adesso ho capito: Luis.
Pap mha scritto che ormai in Spagna si vive in calma,
se voglio posso tornare. Mi sono sentita agghiacciare
allidea di partire; poi ho dato la colpa alla matrigna,
pensavo: perch non voglio tornare a vivere con lo-
ro. Tu non puoi capire, ma terribile vedere una ra-
gazza giovane, che ha quasi la tua et, che la moglie di
pap e ogni sera si chiude in camera con lui, dove dor-
miva la mamma. Sai? ha due anni soltanto pi di me,
buona, vorrei averla per amica, ma cos... Per me come
se mio padre si portasse in casa unamante. E invece mi
sono accorta che non per lei; per Luis. Ieri quando
gli ho detto Parto ha risposto: Beata te! Non avrei
mai pensato che mi abbandonassi tanto presto. Per fai
bene ad andare. Mentre mi parlava cos ero decisa a
partire: Che gliene importa? pensavo, e invece tor-
nando a casa ho scritto a pap che resto qui a studiare, e
avevo in me una rabbia profonda, verso Luis, una cos
potente ribellione al fatto di non poter agire come vo-
glio, per cui sbito ho capito che finito, non sono pi
io, m caduta la tegola in testa, sono innamorata.
Terminato il pranzo rimasero a discorrere quasi per
ritardare lapprossimarsi di un pomeriggio vuoto. Che
pu fare chi solo in una citt il giorno di Natale? Tutto
era bianco oltre le finestre, il riflesso della neve illividiva
i volti delle ragazze. Gi cominciavano a tacere. Suor
Lorenza savvicin e disse loro: Cantiamo.
Le sentiva lontane: dopo la fuga di Xenia temeva di
non possederle pi, aveva capito che tutte, in fondo,
non desideravano che liberarsi, uscire. La sera andava a
100 Letteratura italiana Einaudi
toccare il cancello per assicurarsi che fosse ben chiuso,
certe volte neppure dormiva, lorecchio teso. Una notte
le era sembrato di udire passi scendere cauti le scale,
raggiungere il vestibolo; sera vestita in fretta ed era sce-
sa ravvolta nello scialle, neppure la cuffia in testa. Ma
tutto era normale, dietro le porte delle ragazze cera son-
no e respiro.
S, cantiamo.
Le ragazze stavano sedute: in piedi in mezzo a loro
suor Lorenza batteva il tempo con le mani. Tutte aveva-
no voglia di cantare: il canto le riportava verso anni tra-
scorsi, anni leggeri, sereni; cantavano senza guardarsi,
fissando un punto nel vuoto, ad ognuna nella mente
sapriva una casa che le altre non conoscevano, volti,
abitudini ignote. Si riposavano nella maestosa vecchiez-
za del canto appreso da bambine. E intanto guardavano
battere le mani della suora che placavano lamarezza co-
mune.
Quando fu finito nessuna si mosse, anche la suora re-
st con le mani incrociate come se dovesse ricominciare.
Finch Emanuela levandosi di scatto chiese: E adesso?
Augusta fece: Andiamo in camera mia.
Alle cinque mangiarono i fichi secchi del cesto di Sil-
via, bevvero il vino delle tenute di Anna, si fecero porta-
re le castagne arrosto. A poco a poco per il loro fiato si
fece pi caldo nella stanza, un caldo animale. Perfino
Milly che era sempre pallida, aveva le gote accese.
Riscaldate dal vino le ragazze parlavano eccitate, face-
vano progetti per il futuro, narravano degli interessi co-
muni, come se le case che stavano in Puglia, in Sarde-
gna, in Toscana, fossero una sola casa comune.
Vinca descriveva la sua casa che era vicina a quella di
Luis, a Crdova, e diceva della pena che entrambi ave-
vano, in questi giorni, ad essere fuori di Spagna: Io so-
no pi abituata, il terzo anno, ma lui...
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
101 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Valentina linterruppe bruscamente come seguendo
un suo pensiero: Che fa Luis? ti sposa?
Che ne so? Non so neppure se veramente mi vuol
bene. A volte torno a casa convinta che madora, altre
volte che si diverte con me e poi sposer quellaltra.
Quale altra?
Sol, una che c in Spagna.
Sol... Sole vuole dire? domand Milly.
Gi.
Che bei nomi avete voi laggi. Sol... S mai inteso
un nome pi bello?
Vinca tacque infastidita. E Valentina insisteva: Io lo
saprei se mi ama.
Storie, come faresti?
Se ti ama, ti sposa.
Davvero? E se invece amasse me e sposasse quella
che sta laggi? Sta vicino a casa sua, i loro poderi for-
merebbero una bellissima propriet sotto locchio com-
piaciuto dei parenti. Io non ho niente, niente, e studian-
do cos, davvero non prometto di guadagnare. Soltanto
gli uomini ormai arrivati nella vita possono sposarsi una
ragazza senza un soldo e neppure quelli lo fanno. Lo ha
fatto pap, per esempio, il quale non pensava che a
quella ragazza e non ha avuto pace finch non lha avu-
ta con s, ogni ora, ogni gesto per lui. una forma
degoismo, avarizia anche quella. Per i giovani il matri-
monio come una seconda laurea, quella che serve di
pi.
Ma Luis un artista! osserv Silvia.
Anche per questo, doppiamente per questo. A un
architetto che fa la fame sar affidata tuttal pi la costru-
zione di un pollaio razionale. E quello rimane contento
perch porta a casa qualche giorno di pagnotta per la
moglie e i ragazzini. Chi oserebbe affidare meno della co-
struzione di un ministero a un architetto che si presenta
nella sua otto cilindri e quando tinvita a pranzo ha il ser-
102 Letteratura italiana Einaudi
vitore in guanti bianchi che ti cambia i piatti? Da noi ce
ne saranno molti di ministeri da ricostruire!
E Sol ricca?
Che ne so? Chi la conosce? certo che lo sar. Che
interesse avrebbero i genitori di Luis verso una ragazza
povera?
Milly linterruppe: Mi fai sempre male, Vinca,
quando parli cos. Ella sedeva accanto a Emanuela,
per lei soltanto era venuta su. Spogli le cose di ogni
poesia. Non pensare a nulla, ama il tuo Luis. Che impor-
ta il resto se le vostre anime sono vicine? Voi potete an-
dare a passeggiare insieme, tu parli certe volte di aver
percorso con lui bellissimi sentieri, ne riporti le foglie,
ce le mostri, e poi ora ti amareggi cos.
Perch lo amo e penso al futuro. Prima mi piaceva
di lui soltanto quella nostra lingua spagnola, era un pez-
zo di casa mia che mi sentivo vicino, per quella mi la-
sciavo baciare. Adesso ho capito che gli voglio bene, che
far sempre ci che lui vorr, contro tutto e contro tutti.
Se cos, io non capisco come tu possa dire di
amarlo adesso soltanto. Si pu coltivare lamore come
una pianticella sul davanzale?
Gi: la pianticella era sul davanzale, ma io non ave-
vo ancora aperta la finestra.
Non ti capisco.
Silvia le interruppe: Come potreste capirvi?
Anna chiese a Vinca: Perch oggi non sei uscita con
Luis?
Ecco, brava, tu oggi va a capire se mi ama. Dice che
doveva uscire con gente di architettura.
Su questo tacquero e ripresero a far cricchiare le buc-
ce delle castagne, poi Milly disse:
Ognuna di noi ha una diversa maniera di pensare
allamore.
Qualcuna anche fece Augusta non vi pensa affat-
to.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
103 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Non vero ribatt Vinca. Soltanto c chi lo
confessa e chi no.
Perch dici questo? soggiunse Silvia. Augusta ha
ragione.
Vinca insisteva scrollando la testa: Ipocrisia, ipocri-
sia! Hai confessato fino a ieri, che nessuno mai ti ha
guardata; tu ammetti che questo mondo esiste poich
taccorgi che ti esclude, e cerchi di convincerti che sei tu
a tenertene fuori. Allora ti butti nel lavoro: il lavoro
per te un surrogato dellamore tra uomo e donna. Ti di
a lui come a un uomo, sei venuta a dirci che avevi il po-
sto da Belluzzi e avevi una faccia... Non te ne sei accorta
che per la prima volta avevi un viso da donna? La tua
femminilit si esaurisce nel cervello. Bisogna bene che
quellesuberanza che in noi vada a qualche cosa, se
non si vuole passare nella vita come un gatto o un cane.
vero ammise Valentina.
Vinca insisteva: E quando esci dalla tua stanza dopo
aver scritto quattro pagine della tesi oggi quella, doma-
ni altra cosa hai la faccia scomposta, stanca, scommetto
che ti senti la stanchezza sotto gli occhi, nelle gote, vero?
proprio come quando io esco dal cinema con Luis.
Vinca!
Perch toffendi? Da bambine eravamo ugualmente
innamorate di qualcosa, un oggetto o magari la maestra
di scuola, una compagna. Lamore in noi fin da quan-
do si nasce, allo stato potenziale. Io mi scrivevo il nome
di una compagna, Bellita, con la punta di uno spillo sul-
la pelle di un braccio. Non glielho detto mai. Natural-
mente se vi penso adesso, ne rido.
Tutte abbiamo fatto cose simili fece Augusta.
E Valentina si sforz di ridere: C unaria di con-
fessionale qua dentro.
Silvia giocherellava col lapis, assaporava lentamente il
vino, poi disse: Hai ragione, Vinca, quasi mhai offeso,
volevo alzarmi e andarmene, ma no: hai ragione. La sola
104 Letteratura italiana Einaudi
cosa che io possa il lavorare. Ma sentite; a costo di stu-
diare, logorarmi gli occhi tutta la vita, alla fine riuscir.
Seguitavano a confidarsi: da principio sembrava aves-
sero tutte un po di pudore delle loro aspirazioni, poi, a
poco a poco, mettevano la carne al vivo, perfino savvici-
navano, si toccavano per meglio comunicare, finch Sil-
via osserv: Per bello stare a discutere cos tra noi,
tutte donne: se ci fosse un uomo, non avremmo osato
parlare, neppure davanti a mio padre io avrei potuto,
anzi con lui meno che con gli altri. Noi donne siamo sin-
cere soltanto tra donne. C una solidariet singolare tra
noi. Intorno alla donna che sta per avere un bimbo, le
donne accorrono per un istintivo bisogno di solidariet
in quel momento che loro soltanto patiscono. Luomo si
sente respinto, scacciato quasi, non sa pi dove volgere
lo sguardo, nessuna di quelle che l ha pensiero per lui,
appena gli rispondono. Non cos? C sempre ostilit
verso luomo. Se non altro quella di non poter fare a me-
no di lui, non fosse che per nascere.
lharem disse Valentina. Credete che non fos-
se onesto e giusto lharem?
Anche gli uomini hanno i loro conciliaboli segreti
osserv Anna. Da noi al paese, dopo la cena, gli uomi-
ni accendono il sigaro, mettono il cappello, dicono: va-
do al caff. Evadono dalla famiglia. In famiglia sono cir-
condati da donne, vanno anche loro a parlare di quelle
cose che a noi non dicono mai, come noi a loro. Quando
pap uscito di casa, io e la mamma parliamo pi libe-
ramente.
S, vero fece Augusta direi che usiamo perfino
unaltra voce.
Avvicinate, unite, Milly ed Emanuela ascoltavano
senza prendere parte; luna per leccessiva timidit, lal-
tra perch sempre si sentiva infastidita da questi discor-
si, come una persona che ha il dono della vista, in mezzo
a un gruppo di ciechi che brancolano.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
105 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Tu pensi che si debba restare oneste? dimprovvi-
so Valentina chiese.
Io penso Silvia rispose che lessenziale nella vita
sia prendere una strada e seguirla fino in fondo, anche
se sbagliata purch sabbia fede che sia la buona.
E allora Emanuela saccorgeva di andare qua e l, in-
certa, nel buio. Le sembrava di essere come una spia in
campo nemico; travestita cos bene che i nemici, pove-
racci, non se ne avvedono, laccolgono tra di loro, le fan-
no dividere la mensa, le dicono che hanno paura della
battaglia. E quella li ascolta, anzi d loro colpetti sulla
spalla, sulle mani, per far coraggio, e non dice che sa gi
ci che li aspetta. Emanuela le defraudava della sua ri-
spettabilit, vivere con loro significava essere una ragaz-
za onesta, niente accaduto, stava a Roma come loro per
studiare storia dellarte. Stefania, al mattino, dopo aver
preso da lei tutti quei giocattoli era scappata via sbito,
dicendo appena: Au revoir, maman. Stefi, neppure
grazie mi dici? E la bambina laveva guardata con stu-
pore: Non mhai detto che stato il bambino Ges?
Lei era in realt un personaggio che non esisteva. Due
Emanuele false: quella che assisteva ai torturanti discor-
si delle compagne, quella che bussava al collegio della fi-
glia. Tutta lesistenza sulla bugia, come andasse in giro
con un nome falso. Qual era lei, insomma? Ma era sua
davvero la bambina? In fondo non ci appartiene che
quello che la vita e la gente ci riconosce. Se si ha un mi-
lione sotto il materasso e nessuno lo sa, come essere
poveri.
Non parli? le chiese Anna.
Vi sto a sentire.
uno strano Natale.
No Silvia fece. il solo Natale che possa esservi
per noi. Un Natale senza tradizioni, senza precedenti n
seguito. Sarebbe inutile preparare lalbero, agghindarlo
e conservare poi le palline di vetro colorato. Non tutte
106 Letteratura italiana Einaudi
saremo qui lanno prossimo. Ecco: come se noi fossi-
mo al passaggio di un ponte. Si costruiscono forse case
sul ponte? Siamo gi partite da una sponda e non siamo
ancora giunte allaltra. Quello che abbiamo lasciato
dietro le nostre spalle, neppure ci voltiamo per guardar-
lo, quello che ci attende una sponda dietro la nebbia.
Neppure noi sappiamo cosa scopriremo quando la neb-
bia si scioglier. Qualcuna si sporge a guardare il fiume,
cade e affoga. Qualcuna, stanca, si siede per terra e sul
ponte saddormenta. Le altre, quale bene, quale male,
passano allaltra riva.
-Brava! rise Emanuela un bel pezzo di letteratu-
ra.
Ma le altre tacevano perplesse.
Zitta disse piano Augusta: non senti che ha det-
to una cosa vera?
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
107 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
II
Milly mor in primavera.
Peggiorava da qualche tempo, ma nessuno se ne ac-
corgeva; spinta dal desiderio dellaria nova e leggera, si
levava dal letto, si metteva a studiare accanto alla fine-
stra. Studio armonia. Nessuno sapeva precisamente
che cosa quella parola armonia significasse, ma pare-
va fatta per Milly. Adesso che le sere sallungavano, do-
po le lezioni le ragazze vagolavano per le strade, rincor-
rendo la stagione. Il cielo terso stava alto sulle case, si
ritraeva dattorno ai campanili; nel giardino delle suore
un albero di mimosa lasciava salire alle finestre un odore
polveroso di stoffa profumata; le ragazze per questo for-
te sentore si passavano la mano sulla fronte quando stu-
diavano. Tutte prendevano i ricostituenti per lo sfini-
mento dato dalla stagione.
Augusta era stata la prima a dare lannuncio: un gior-
no a colazione aveva detto solennemente: S svegliata
Margherita. Mi sono alzata presto stamani e lho trovata
che, uscita di sotto il com, sera portata in mezzo alla
camera. Poi guardando oltre i vetri il sole calare nel
cortiletto aveva aggiunto: primavera.
Verso la fine di marzo Milly aveva chiamato Emanue-
la, le aveva detto: Ho paura di stare peggio. Ma quel-
la in fretta laveva convinta: Anche io ho una mollezza
nei ginocchi e mi fa male il cuore come te, certi palpiti
affrettati e senza ragione; ma questo il fermento della
nuova stagione, non preoccuparti.
Milly insisteva: Sar cos come tu dici, ma io sento
che sto peggio; ieri la suora ha detto che vuole scrivere a
pap. Se scrive mi verr a prendere sbito: e se torn
con lui a Milano muoio davvero Ci sono molte cose, sa-
rebbe difficile spiegarti, dovresti conoscere mio padre.
E poi io sto in vita per quelle lettere, sai? e l non potrei
108 Letteratura italiana Einaudi
pi riceverle. Cos so che lontano e non potrei in alcun
modo vederlo, l, quando suona a San Babila, quasi pos-
so sentirlo dalla finestra, tanto vicino. Poi qua gi
primavera: l sar inverno ancora per un pezzo. La mia
camera guarda un cortile grigio dove scorre unacqua
monotona. Non voglio tornare a Milano. Tu devi aiutar-
mi, Emanuela, le suore ti ascoltano: parlerai, vero?
S, s, parler.
Nessuna delle ragazze si preoccupava della malattia
di Milly, non erano forse quindici mesi che era tra di lo-
ro, e sempre malata? Perch non usciva fuori a godersi il
tepido del sole piuttosto, perch non andava a sedersi
alla Villa?
Anna che rimaneva in casa a studiare per la tesi spes-
so saliva a tenerle compagnia. La trovava sempre vicino
alla finestra, un cosino di lana sulle spalle. Anna soltanto
sera accorta che Milly impallidiva.
Ne parl alle altre, a tavola. Quelle mandavano gi
cucchiaiate di minestra, dicevano: Va bene, dopo cena
andremo a trovarla. Ma prese dalla rinascita della sta-
gione non potevano pensare alla malattia della compa-
gna. Ridevano, parlavano ad alta voce, la malattia di
Milly rappresentava per loro un momento di meditazio-
ne, come una preghiera, non sempre avevano voglia di
farlo. Nessuna pensava che Milly potesse morire davve-
ro, la sua normalit di vita era appunto in quella fragi-
lit, quel platonico amore col cieco. Pure Emanuela la
evitava, infastidita da quella mania che aveva la ragazza
di prenderle le mani, di lisciargliele a lungo mentre di-
scorrevano. La infastidiva quel suo continuo parlare di
morire, si sarebbe detto che se ne compiacesse, forse era
un vezzo; e perci, talvolta, neppure si prendeva la pena
di compatirla; distrattamente ascoltava quei suoi eterni
racconti di Milano, del cieco che suonava.
Il dottore non veniva pi, le aveva riempito il marmo
del com di boccettine che la ragazza neppure toccava e
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
109 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
che le converse spolveravano ogni mattina. Anni, aveva
detto il dottore, o un giorno.
Ora Milly era tranquilla; suo padre viaggiava di fre-
quente, non parlava pi di farla tornare a Milano. Il cie-
co le aveva mandata una fotografia ed ella la mostr ad
Emanuela misteriosamente: lui.
Era un uomo gi anziano, grigio, col viso grassoccio e
la bocca femminea, gli occhi coperti dalle lenti nere.
Cos una fotografia senza sguardo? Ah! fece Ema-
nuela e non seppe dire altro. Ma Milly non aspettava ri-
sposta; riprese la fotografia, vi pass sopra la mano con
gesti da cieca, una fotografia gi un poco gualcita.
Una notte Emanuela si svegli al rumore di passi che
affrettati andavano su e gi nel corridoio, si sedette sul
letto, in ascolto: sapriva, si chiudeva luscio della came-
ra vicina. Balz dal letto e accorse in vestaglia; era stata
male, molto male Milly, il lume era di nuovo fasciato
dazzurro, e lei respirava a fatica, ma tranquillamente,
come se quello fosse il suo modo abituale. Vedendola
sorrise e disse: Anche tu ti sei alzata! Grazie. Ma ba-
stava soltanto una persona, una che venisse a mettermi
questo cuscino dietro le spalle. Era seduta sul letto co-
me una bambina che vogliano costringere al riposo e
abbia voglia di giocare. Andate badava a dire conti-
nuamente andate. Suor Lorenza invece rimase linte-
ra notte sulla poltrona, Emanuela vegli un poco anche
lei, poi quando vide Milly addormentata torn in came-
ra sua.
Stava meglio il domani, salz, si mise a copiare certa
musica col sistema dei ciechi. Sempre si muoveva con
quei gesti bendati, dava i brividi come limprovvisa ap-
parizione di una sonnambula. A sera Emanuela scen-
dendo a pranzo la lasci seduta in poltrona.
Vuoi che rimanga ancora?
No, no, a che scopo? Ho finito di copiare Bach per
lui, e, vedi? sto bene. Adesso rilegger la lettera arrivata
110 Letteratura italiana Einaudi
stasera. Dice che forse verr, se verr potremo uscire in-
sieme, sar come ai Giardini Reali. Va, Emanuela, va.
Le disse questo duramente, gi rassettata nella poltro-
na, lo scialletto sulle spalle, la lettera sui ginocchi. Poi
aggiunge pentita: Grazie.
Quando Emanuela, dopo la cena, risal da lei con Sil-
via, apr adagio la porta e la trov con la testa riversa, le
mani aperte sul foglietto, gli occhi fissi nel vuoto. Mil-
ly chiam piano. E dun sbito, spaventata afferr il
braccio di Silvia. Milly chiam ancora in fretta,
strozzata. Poi corsero a chiamare le suore.
La voce si propag in un attimo: Milly... Milly.
Soltanto il nome: nessuno osava dire: morta. Suor
Prudenzina nel corridoio prese la mano della ragazza
pi prossima, glie la strinse fino a farle male, intim:
Ordine. Prima di tutto ordine. inutile affannarsi, ora-
mai.
Le ragazze, raggruppate nel corridoio, spiavano il ta-
glio di luce che passava da sotto la porta. Suor Lorenza
era entrata dentro con Emanuela e Silvia ed aveva ri-
chiuso luscio. Milly era immobile, gli occhi fermi nel
vuoto; e per quello era un suo atteggiamento consueto
tanto che sembrava dovesse a un tratto muoversi e ride-
re, come se avesse finto tutto ci per burla. Ma Milly
non usava scherzare. Pare ancora viva! disse Ema-
nuela e pensava che veramente viva non era stata mai.
Una suora, accorsa con laceto e le pezze, aveva capito
che tutto era inutile; sul com la bacinella esalava un
acuto odore. Suor Lorenza dopo aver toccato il corpo
della ragazza ancora una volta, disse: Bisogna far pre-
sto, molto presto, gi fredda.
Suora, prima la lasci vedere alle compagne.
impossibile, Silvia.
Noi di lettere, suora, solamente noi.
Prima della risposta Anna, Augusta e Vinca erano en-
trate, Valentina rimaneva nel corridoio resistendo a Sil-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
111 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
via che la voleva fare entrare per forza. No, no, mi fa
impressione, non voglio vederla cos, povera Milly.
Laltra quasi la tirava pel braccio mentre le domanda-
va con sprezzante maraviglia: Non vuoi vedere la no-
stra compagna?
No, credi, non posso.
Anche altre due o tre entrarono, una di musica che fa-
ceva il corso con lei e Loretta che studiava medicina. Ma
non saccostavano, trattenute da un orrore fisico, resta-
vano sulluscio: gi Milly non era pi la loro compagna,
ma una morta. Aprendo grandi gli occhi guardavano cu-
riose quella cerea immobilit, sempre pi la fissavano
avidamente per ritenere quellimmagine, tuttavia,
nellintimo, desiderose di allontanarsi. Soltanto Vinca
piangeva; le altre, abbattute dalla disgrazia, fissavano
Milly come attendendo da lei la spiegazione di quello
che era accaduto; ma se dun tratto ella si fosse rivelata
viva, mai pi avrebbero avuto il coraggio di toccarla.
Le converse arrivavano con panni bianchi, catinelle,
acqua; suor Prudenzina frugava nellarmadio per trova-
re il vestito, le calze. La roba di Milly era divenuta gi
dominio degli altri, cose che erano appartenute ad una
persona morta, roba senza padrone. Quando tutto fu
pronto, suor Lorenza disse: Adesso andate, ragazze.
Ed esse senza opporsi indietreggiarono guardando nella
stanza finch poterono: videro due converse avvicinarsi
a Milly, alzarle le braccia; poi la porta fu chiusa.
Nel corridoio le ragazze, a gruppi contro il muro o
nei vani delle finestre chiuse, parlavano; severe e fretto-
lose passavano le suore con gran fruscio di vesti, e le ra-
gazze le seguivano con gli occhi finch non scompariva-
no in camera di Milly. Silvia ed Emanuela avevano
dovuto ripetere tante volte come era avvenuta la sco-
perta.
... Milly... abbiamo chiamato, e quando abbiamo
112 Letteratura italiana Einaudi
inteso che non rispondeva, abbiamo sbito capito che
era morta.
Ma come stava lei, come stava?
Cos, riversa, ma lo sguardo...
Lo sguardo?...
Sbarrato, fisso, uno sguardo di vetro.
Oh! orribile!
Come stava, non ho inteso io, come stava?
S, quando io ed Emanuela siamo entrate abbiamo
chiamato: Milly....
Ma tu lavevi lasciata poco fa?
S, anzi maveva detto: Va, Emanuela, va pure.
Dietro la porta sudiva spostare il letto, muoversi perso-
ne, passi affrettati e gi cauti da camera mortuaria.
Quando una conversa pass con due candele, si fece nel
corridoio un reverente silenzio. Poi le ragazze ripresero
a chiedere a Emanuela Dicevi che stava con gli occhi
aperti?
Loretta raccontava: S, pure laltra mattina allospe-
dale linfermiera entra in corsia per fare la sveglia e ti
trova una che non risponde, la chiama, la scuote; pro-
prio cos: il cuore. Morta e gi fredda. Ventitr anni.
Augusta pensava: a questora Milly gi sa cosa c
dallaltra parte. Non ha capito nulla: meno male: deve
essere terribile dirsi: tra poco muoio, e subito, appena
dato lultimo respiro, mi trovo nellal di l. Chi sa se
lanima fatica per liberarsi dal corpo come da una guai-
na stretta o se si solleva dun balzo, simile a un pallonci-
no al quale abbiano tagliato il filo. E trovarsi di colpo
davanti a Dio. Come sar? terribile a pensarci. Forse
Dio seduto in trono in mezzo ad un accecante bianco-
re di nubi gonfie e Milly se lo trova di faccia dimprov-
viso; al vederla cos, con quei capelli biondi, angelica
come noi la conoscevamo, certo Dio le dir: Entra, sei
un angelo; o pu essere che Dio sappia altre cose di
lei, i suoi pensieri che noi non potevamo conoscere, e
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
113 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
un Dio terribile come Mos, armato di folgori, le dir i
suoi peccati senza misericordia, poi le indicher una
strada in discesa. Milly prenderebbe a camminare, rag-
giunta da un calore prima blando, poi insopportabile,
infine lurlo di Milly si perderebbe insieme allurlo di
una moltitudine di peccatori. Silvia sostiene che non c
nulla di l, lanima si spegne in un soffio come una can-
dela e dove essa era accesa piomba il buio. Non possi-
bile pensa Augusta con spavento non possibile
che tutto quanto si lotta per affinare il proprio spirito,
per renderlo aguzzo e nitido, migliore, che la nostra
sofferenza, i nostri sforzi, lo studio, il denaro, lambi-
zione, tutto si dissolva cos, nella tenebra. Milly adesso
conosce la verit.
Poco prima, quanto? poco pi di due ore, ella era an-
data a salutarla: come ti senti, Milly? Stava bene, sorri-
deva. E adesso tutto era finito per lei, anche la musica.
Quando la porta sapr cadde una luce gialla e calda
sul pavimento del corridoio. Le suore si fecero da parte
e lasciarono passare le ragazze. Cera odore daceto, di
spirito, di cera calda. Milly era composta sul letto, i ca-
pelli sciolti, ma gi parevano di stoppa, non pi suoi. Le
compagne intorno, occhi sgranati; ad un tratto Valentina
che piangeva forte nel fazzoletto, guard le compagne
tremando come per chiedere aiuto e poi cadde svenuta.
Loretta e Anna la sollevarono. Fuori mormoravano
le altre, fuori, fuori.
Nella sua camera si riebbe odorando laceto dei sette
ladri. Le suore attorno a lei erano come indemoniate.
Che centrava ora questa commedia?
No, suora, non posso dormire sola, non mi lasciate
sola supplicava disperata.
Dormir io con te fece Anna. E Valentina le si ab-
bracci.
Emanuela, Silvia, Augusta e Vinca restarono a fare la
veglia, il rosario tra le mani, senza pregare.
114 Letteratura italiana Einaudi
*
Al funerale cerano tutte le ragazze del collegio e mol-
te compagne delluniversit, anche se non la conosceva-
no, impietosite dallimprovvisa sciagura.
Il padre era arrivato il mattino seguente la disgrazia,
vestito di scuro. Era giovane, le ragazze fecero il conto
sulle dita, non poteva avere pi di quarantanni, ma gi i
capelli diradavano, ancora biondi, appena pi scuri di
quelli della figliola. Era rimasto chiuso unora nella ca-
mera di Milly, solo con lei, poi era uscito pi pallido, ma
sereno: appariva rassegnato, come se la morte di Milly
non fosse cosa recente. Neppure si rammaricava di non
essersi trovato l la sera prima, di aver rivisto la figliola
quando gi pareva una statua di marmo. Imponeva sog-
gezione, e si comprendeva che Milly preferisse viverne
lontana; ma era gentile, compitissimo, a tutte le ragazze
aveva stretto la mano dicendo: grazie, grazie come se
gli avessero fatto le congratulazioni.
Alluscita della chiesa, quando il corteo si sciolse, il
padre si volse alle ragazze che volevano seguire il carro
fino alla stazione e le conged con un inchino cortese e
freddo. Scalpitavano i cavalli, impazienti. Il ritorno di
Milly a Milano affliggeva le ragazze. Emanuela riud ne-
gli orecchi la voce mite dellamica: Non voglio tornare,
tu devi aiutarmi. E insieme una gran vampa di calore le
saliva dalle gambe su su per la vita alla gola, alla faccia,
lacrime le scendevano sul viso, tu devi aiutarmi, tu devi
aiutarmi, Emanuela; che poteva fare ormai? e sentiva
nelle mani un sudore freddo come quello che le suscita-
vano le carezze di Milly sulle dita, un gelo, le pareva di
avere sulla nuca un pezzo di ghiaccio. Qualcuno la prese
pel braccio, la condusse in un bar vicino.
Un fernet luomo disse forte.
Era Andrea Lanziani, e le chiedeva: Sta meglio ora?
Sta meglio?
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115 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Lei rispose maravigliata: S, ma come ha fatto lei a
intuire? per poco non cadevo, quando ho visto Milly an-
darsene.
Non ci pensi, non ne parli pi. Deve essere stato
terribile per voi del Grimaldi. E anche noi, tutti...
Lei la conosceva?
Lavevo vista una volta con la Costantini.
Con la Costantini? Oh... mi sembra impossibile.
Erano cos diverse!...
Comera la poverina?
Comera Milly? Ella era rimasta negli occhi di Ema-
nuela con quel viso di cera, negli orecchi con quellultima
sua voce che chiedeva: Tu devi aiutarmi, Emanuela.
Era... Era pallida, bionda, aveva una voce mite.
E studiava musica?
S, studiava sempre armonia.
Erano usciti dal bar, camminavano vicini, zitti. An-
drea la prendeva pel braccio quando dovevano traversa-
re una strada, la guidava pel gomito, sicuro, la lasciava
non appena erano di nuovo sul marciapiedi. La ragazza
lo esaminava minutamente, era molto pi alto di lei e
bruno, aveva occhi neri vicini, e il mento forte.
Quando furono in piazza di Spagna Emanuela sarre-
st, disse: Aspettiamo ancora, non ho lanimo di rien-
trare in collegio.
Non rientri, allora. Telefoni e dica che resta a cola-
zione fuori. Far colazione con me.
Con lei?
S. Senta: andremo in una piccola trattoria che co-
nosco, qui vicino, c sempre poca gente, vecchi pensio-
nati, impiegati. presto, non ci sar nessuno ancora.
A colazione con lei?
Perch no? fece Andrea; accese una sigaretta e poi
di nuovo volgendosi a Emanuela: Andiamo? disse.
Il ristorante era l vicino; aveva una grande finestra
che dava su di un cortiletto soffocato dai glicini penduli,
116 Letteratura italiana Einaudi
macchiato qua e l di sole inquieto: sei sette tavole, non
pi; e vuote. Soltanto un grasso uomo mangiava in una
tavola dangolo, ma la faccia non si vedeva, sprofondata
nel giornale, sudiva il rumore delle posate, dei bicchie-
ri, il frusco della carta.
Ecco, da qui pu telefonare le disse Andrea, acco-
standosi allapparecchio: Mi dica il numero... 66438?
Tenga, libero.
Emanuela spieg alla suora che restava a colazione in
casa di una parente, una zia, poi, riappeso il ricevitore,
fiss di nuovo il giovane, in attesa.
Sediamoci egli disse, e intanto mostrandole intor-
no: Ho scelto bene? le chiese.
Emanuela assentiva contenta e guardava in giro: quat-
tro pareti bianche, due boccali di maiolica a fiori su una
mensola, ma era veramente piacevole, anche i tovaglioli,
spiegandoli mandavano un grato odore.
Andrea sceglieva sulla lista delle vivande perplesso,
giocando con le dita sulla punta del naso; disinvolto le
chiese:
Risotto?
Risotto.
E dopo filetto di tacchino?
Benissimo.
Il vino bianco, fresco.
Posata la lista, si volse sorridendo alla ragazza: Lei
studia poco, molto poco, vero?
Ma io non studio lettere, studio... poi anche lei ri-
se e disse: veramente non studio nulla, tutto ci che
faccio andare in qualche galleria con un trattato di sto-
ria dellarte sotto il braccio.
Ha visto il pergamo di Santa Maria in Cosmedin?
No.
I mosaici di Santa Prassede?
Neppure.
Tutto da fare, allora. Bene. Ce la condurr io.
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117 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
La ragazza non diceva n s n no. Sorrideva e guar-
dandolo lo ascoltava parlare: diceva che si sarebbe lau-
reato lanno prossimo, aveva perduto un corso per un
incidente, una maledettissima caduta di sci. Cosa ne
avrebbe fatto poi di una laurea in lettere, non sapeva be-
ne, ma aveva scelto quella facolt per le lezioni di Bel-
luzzi e perch non sapeva esattamente se due pi due fa
quattro o cinque.
Anche lei per Belluzzi? una mania.
Perch?
Anche io vengo in facolt per sentirlo. Silvia Custo,
sa? la calabrese, da due mesi lavora con lui e va in estasi.
Ma lei scrittore, mhanno detto.
Non sono scrittore veramente. Mhanno fatto littore
due anni fa, perch gli altri scrivevano peggio di me. Da
allora non ho fatto pi niente di buono. Per tre giorna-
li hanno pubblicato la mia fotografia e sono stato richie-
sto da una casa cinematografica per interpretare un film
sportivo.
Si serviva il risotto ridendo: Formaggio?
E mentre glie lo spargeva sul riso, le disse: Sa che
lho aspettata per due ore quella sera al Pincio?
Due ore?
Due ore, s. Ho imparato a memoria una filastrocca
che cantavano alcune bambine vicino a me. Vuole che
glie la dica? quella delle numerose bellissime figlie di
Madama Dor.
Emanuela rideva rideva, poi chiese con artefizio:
Perch ha aspettato tanto?
Semplicemente egli rispose: Oh, lei sa bene il per-
ch.
Silenzio di Emanuela e intanto un suo intimo compia-
cimento per quella frase, rapida pens: forse ho il naso
lucido allangolo delle narici.
Pi tardi, mentre prendevano il caff, i tovaglioli but-
tati di qua e di l, la tavola in disordine, egli disegnava
118 Letteratura italiana Einaudi
dietro la scatola vuota delle sigarette la pianta della sua
camera: Qui c il letto, un letto divano, uno di quei
congegni scomodi che non sono n luna n laltra cosa,
qui c il tavolo, ma cos ingombro di libri che non pos-
so scrivervi e finisco per andare a lavorare sul tavolo del-
la sala da pranzo. Qui la sedia del gatto, s, un gatto vec-
chissimo, mezzo cieco, non piacciono a lei gli animali?
Era mio amico da quando ero bambino, come si fa a
cacciarlo via? Ecco e volse il pacchetto da questaltra
parte c posto perch lei mi disegni la sua camera.
Aveva un modo di parlare insieme armonioso e deci-
so; passava da un argomento allaltro volubilmente e ob-
bligava Emanuela a seguirlo, a dirgli ci che egli voleva.
Finirono per parlare delle compagne; Emanuela insiste-
va: Silvia, le dico che Silvia un genio.
Sar, ma brutta, non sembra nemmeno una don-
na.
Oh, mi dispiace sentir dire cos, la migliore delle
compagne.
Non ne dubito, ma non una donna. E la spagnola
che tipo ? Deve essere mezzo matta; laltro giorno a
momenti schiaffeggiava un collega perch le aveva fatto
un complimento passando. Lo ha rincorso con lombrel-
lo. La Ortiz... Quella s una bella ragazza.
Emanuela non rispose. Era ora dandarsene; il risto-
rante era tutto vuoto, ormai.
Alla porta del collegio Andrea la lasci; accese unal-
tra sigaretta, si tolse il cappello, domand: Domani a
che ora ci vediamo?
Ella ripet sorpresa: Domani?
Andrea assent col capo, occupato a riaccendere la si-
garetta.
Emanuela tacque un poco; pens: Non ci debbo ve-
nire, non sta bene, Stefania, un ragazzo singolare, pec-
cato! ma s, domani lo vedo, domani soltanto e poi ba-
sta; gli rispose piano: Qui, alle cinque.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
119 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Nel collegio pesava la morte di Milly; ma Emanuela
rientrando non se ne accorse, lesta sal nella sua camera,
gioiosamente. Andrea Andrea Andrea. La sua conten-
tezza sembrava riflettersi sulle cose che le apparivano
migliori, brillanti, la nuda mobilia della stanza di colle-
gio pareva abbellirsi. Tutto era chiaro e accogliente.
Tocc il tavolo, pose le palme sullo specchio freddo, poi
si guard, sempre sorridendo, accost per gioco il viso
alla lastra, vicino, vicino, aveva le gote accese, mormor
appannando col fiato lo specchio: Sono proprio bella.
E poi di nuovo aspirando forte come se non le bastas-
se laria, lo spazio, lasci lo sguardo scorrere su ogni og-
getto, avvivandolo. Un attimo sarrest sulla fotografia
di Stefania, un attimo soltanto, immediatamente lo di-
stolse. Basta. Le doleva il ricordare che era a Roma per
la bambina, in verit, non per studiacchiare la storia
dellarte, non per andare a mangiare con uno studente
in una trattoria appartata.
Pap ha ragione. Bisogna liberarsi. La piccola andr
in un collegio allestero. Nessuno sa nulla: nessuno deve
saper nulla. Cos potr, se voglio, rifarmi una vita. A
ventiquattro anni non posso guastarmi lavvenire per
questa faccenda di Stefania. Un amore, quel ragazzo, un
amore, col suo vecchio gatto sulla sedia e la sua presun-
zione. Un amore. Finch nessuno sapeva nulla cera ri-
medio a tutto. Una cosa cos lontana, cos passata!
Allestero, Stefania. Vi sono collegi bellissimi in Svizze-
ra, era nata in Svizzera la bambina, sarebbe stata benissi-
mo. Quei collegi dove si fa tanto sport, simparano le
lingue, tante cose. Intanto un giorno, i figlioli, irricono-
scenti, egoisti, i figli, prendono la loro strada, come ho
fatto io, in fondo, mai pi si ricordano dei sacrifici che
hai compiuto per loro.
Bussarono alla porta. Ah, Silvia, entra.
chiuso a chiave.
Eccomi.
120 Letteratura italiana Einaudi
Silvia era pronta per andare da Belluzzi, cappello cal-
cato fino sulla fronte. Ha ragione Andrea; neppure sem-
bra una donna.
Silvia...
Dicevo che sarebbe bene richiedere le suore di
quelle lettere del cieco. Il padre ha lasciato tutta la roba
qui; gli si deve spedire.
Quale padre?
Ma, il padre di Milly!
Ah!... s, s, certo, vuoi che gliele chieda io?
Tu, s, io debbo uscire adesso.
Senti, Silvia: neppure mi hai domandato dove sono
stata.
Quando?
Oggi, a colazione.
Oh, s; infatti ce lo domandavamo, a tavola.
Sono stata con Lanziani.
Con Lanziani?
S. E, senti: ho paura dessere innamorata.
Silvia la guardava meravigliata. Forse era vero, aveva
unaria nuova, pi sciolta, non era mai stata cos lumi-
nosa.
Brava, senza dirci nulla.
Te lo dico.
Adesso.
Ma lo sono da stamattina soltanto.
Stamattina cera stato il funerale di Milly.
Le ragazze erano rientrate in casa disfatte. Non pote-
vano pensare ad altro. Come Emanuela avesse scelto
proprio quel giorno per innamorarsi, Silvia non capiva:
loro non potevano uscire dallincubo di quella tragedia
svoltasi l, tra le loro pareti. Vinca a tavola si chiedeva:
Credete che io labbia offesa la sera di Natale, povera
Milly? Questo pensiero non mi d pace. E poi laveva-
no intesa in camera sua recitare il rosario fitto fitto in
spagnolo. Negli orecchi di tutte era rimasto quello scal-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
121 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
pitare dei cavalli, di continuo rivedevano gli occhi di-
stanti del padre; avrebbero voluto sapere cosa cera tra
queste due persone, la figlia e il padre.
Mi dirai stasera, adesso tardi, debbo andare. E
in fretta la lasci.
Pi tardi Emanuela savvide che cera sul cassettone
una lettera. Gir e rigir la busta prima daprirla. La cal-
ligrafia le sembr nota, veniva da Milano. Quando leb-
be tagliata ne cadde un biglietto da cento e una ricevuta
verde. Era di Xenia. Emanuela ebbe un sussulto come
se avesse visto una lettera firmata da Milly. Nessuno di
loro aveva saputo pi nulla della Costantini. Valentina
diceva daverla sognata morta, allinferno, che si torceva
tra le fiamme e urlando la chiamava. Suor Prudenzina
nominandola diceva: quella disgraziata.
Xenia scriveva cos: Cara Emanuela, so che sei abba-
stanza intelligente per non mostrare questa lettera alle
suore e alle compagne. Tho fatto una porcheria, ma
avevo lacqua alla gola, neppure un attimo ho pensato
che tu avresti potuto denunciarmi. Sai bene che non so-
no una ladra. Lanello impegnato per mille lire al
Monte di via Pi di Marmo, quella strada stretta dove
sempre si passava per andare alluniversit. Sar incre-
scioso per una ragazza come te andare a ritirarlo, ma
credi che io ho patito di pi quella mattina andando a
portarlo: e non per il fatto che lanello non mappartene-
va, ma per il modo col quale la mia esistenza incomin-
ciava. Ho fatto la fame per due mesi, poi ho lavorato da
commessa in un negozio di guantaio bel successo do-
po luniversit, ma credi che praticamente tutte quelle
frottole l non servono a niente! e adesso sono impie-
gata in un ufficio di rappresentanza di olii americani per
automobili. Una delle innumerevoli X and X and X
Company. Guadagno abbastanza bene, ma devo vivere;
e per questo potr mandarti solo cento lire il mese fino a
liberarmi di questo debito verso di te, che mossessiona.
122 Letteratura italiana Einaudi
Non ti do il mio indirizzo: ormai avremmo ben poco da
dirci. Forse tu mi giudichi male; ma io seguito a volerti
bene, Emanuela; tu sei la sola che mi piacesse veramen-
te, laggi. Mi sono messa in testa di arrivare. Arrivare
un po vasto, vero? Ma arriver. Ti abbraccio. Xenia.
Sotto aggiungeva: Suor Prudenzina alle dieci spegne
sempre la luce?
La X and X and X Company era un ufficio piuttosto
disordinato. Gente entrava, gente usciva sbattendo la
porta, facce trafelate, cappello in testa. Una diecina
dimpiegati tra i quali due donne: Xenia e la segretaria
del direttore. Per quello che Xenia aveva da fare, seicen-
to lire al mese erano una fortuna; eppure a sera ella usci-
va stanca e faticava a riprendere il contatto con la citt,
impossibilitata di togliersi immediatamente dallambien-
te dellufficio, come faceva Vandina; quando questa la
veniva a prendere le diceva: Che hai con quella faccia?
poi, a poco a poco, anche Xenia si riprendeva. Non
era un lavoro intellettuale, il suo, e per ella cercava di
fare ogni cosa particolarmente bene per farsi notare: se-
deva alla macchina, un telefono di qua, un telefono di l,
il primo comunicava collesterno, il secondo col diretto-
re. Copiava lettere sempre uguali: In risposta alla pre-
giata vostra... ma doveva interromperle a ogni momen-
to: Pronto... s, la X and X and X Company... il
direttore non c... va bene... venga alle otto. Pronto...
la X and X and X Company... chi parla?... vedo sbito
se il direttore in ufficio... mi dispiace, uscito in que-
sto momento. Pronto... le passo il direttore. In pochi
giorni Xenia aveva capito a chi si doveva dare luna a chi
laltra risposta; generalmente alle voci femminili biso-
gnava rispondere di s. Tutto sta diceva Dino nel
comprendere bene lingranaggio. Il direttore era un
uomo simpatico; quando Xenia gli portava la corrispon-
denza da firmare le chiedeva sempre: Come va, come
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
123 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
va, signorina Costantini? Le aveva promesso di au-
mentarle lo stipendio, a luglio. Ma luglio era lontano e
Xenia voleva per quellepoca procurarsi un posto mi-
gliore. Questo non arrivare.
Spesso vedeva Dino il quale le aveva fatto ottenere
quellimpiego; i primi giorni egli le era sembrato molto
compito e invece adesso lo vedeva entrare in ufficio,
spingendo il battente con la spalla, anche lui col cappel-
lo in testa, la giacca sbottonata, senza panciotto bench
si fosse ancora daprile.
C il direttore, Xenia?
Se il direttore non cera, si sedeva vicino alla macchi-
na di Xenia, fumando, e la ragazza seguitava a scrivere, a
rispondere al telefono. Mi ci vorrebbe una segretaria
come te sovente le diceva. Aveva preso a darle del tu,
ed ella non aveva osato farglielo notare perch gli dove-
va limpiego. Saspettava anzi che cominciasse a farle la
corte, un giorno o laltro. Invece la trattava come
unamica, come trattava Vandina. Fin da principio Van-
dina aveva detto a Xenia: Senti, io capisco bene quello
che tu supponi e ti dico sbito che per me Dino non
che un amico.
Davvero? pensavo che fosse lui quello che tu chia-
mavi il tuo amichetto.
Oh, no! lui molto pi povero. Per mica cos basso
e magro come Dino. Te lo far conoscere, ma un orso.
distinto, sai, come te, studente. Ma ti ripeto: un or-
so; poi sempre senza soldi e allora non mi piace portar-
lo fuori e fargli fare cattiva figura. Te lo presenter. Ma
davvero credevi che fosse Dino il mio amichetto?
Dopo queste spiegazioni pi spesso Xenia usciva con
Dino dopo lufficio: lui veniva a prenderla con la sua
grossa macchina e ci la lusingava. Era, come egli stesso
diceva, una macchina spettacolosa. Con maravigliata
invidia sempre tutti guardavano la macchina e la donna
che ne scendeva. Andavano a cena al ristorante, e l
124 Letteratura italiana Einaudi
qualche volta amici di lui lattendevano; in principio, ac-
cadeva che Dino dimenticasse di presentarla e allora Xe-
nia si trovava a disagio, si diceva tra un minuto malzo
e me ne vado, finalmente egli si accorgeva di lei ed
esclamava: Oh!... scusa... che stordito!... Ma, hai inte-
so? si parlava di affari. La presentava e poi riprendeva
a parlare di automobili.
Ormai durante tutta la giornata ella non sentiva parla-
re che di macchine; in ufficio: minor consumo per le
macchine, maggior rendimento per le macchine; poi, la
sera, i discorsi di Dino con gli amici: Hai venduto? che
hai venduto? hai visto quel nuovo tipo? qualche volta
Dino con condiscendenza la metteva al corrente degli
affari. Ti spiego il movimento diceva: unazienda
in grande, compravendita di automobili, denaro che va,
denaro che viene, grosse combinazioni. I privati, capirai,
quelli si prendono per il collo. Si compra a cinque e si ri-
vende a dieci. S, a dieci almeno. In questo momento,
poi, che le macchine non si trovano... Naturalmente bi-
sogna fare in modo che il cliente ti dica sempre grazie,
credendo di aver fatto lui laffare. Xenia conosceva
lufficio di lui, tutti mobili lucidati, poltrone comode.
Bisogna lusingare il cliente, perch ci creda, e sempre ci
crede, pare impossibile dopo tante fregature che si pi-
glia, ancora ci crede. Dirgli: Ho tenuto da parte questa
macchina per lei, soltanto lei pu avere una macchina
come questa... Si parla, si offrono sigarette americane.
Lazienda vasta e, certo, alcune volte si rischia. Molte,
molte volte si rischia.
Tra gli amici di Dino tre erano molto assidui: Tom
Barchi, un ragazzo che aveva vissuto due anni in Ameri-
ca e sempre ne parlava, diceva all, please, portava abiti
sportivi, cravatte di flanella gialla, grosse suole di gom-
ma; la sua amica, una bionda slanciata e smilza che si
chiamava Maria e lui chiamava Mary. pi distinto,
diceva, come la regina dInghilterra.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
125 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Il terzo personaggio era Raimondo Horsch, un mezzo
tedesco, alto, quasi calvo e grigio. Era lui che teneva le
redini dellazienda bench sembrasse non immischiarse-
ne. Veniva a pranzo o, pi spesso, li raggiungeva in
qualche bar, dove loro sedevano ore e ore a una tavola,
davanti a cinque bicchieri e cinque pagliuzze. Mangiava
soltanto legumi bolliti, pasteggiava con sugo darancia
spremuto in un bicchiere con molto zucchero. La sua
conversazione era piacevole e intelligente. Xenia parlan-
do con lui si riposava delle automobili di Dino,
dellAmerica di Tom Barchi, del telefono della X and X
and X Company.
Mary ascoltava e tossiva. Tutti sapevano che era mala-
ta di petto, e la vita che faceva non era certo la pi adat-
ta per guarire. Ma vi era abituata, se lavessero rinchiusa
in sanatorio allora si sarebbe accorta di essere veramen-
te malata, si sarebbe disperata. Vorrei curarmi ella
diceva rattristandosi riposarmi, ma come posso? Ci si
abitua al solito tran tran, non si ha il coraggio dinter-
romperlo. Anche Xenia ormai sera abituata a questo
nuovo genere di vita. Aveva lottato in primo tempo: al
mattino, alzandosi, aveva i ginocchi pesanti, le palpebre
gonfie. Stasera vado a letto presto si proponeva. Poi,
uscendo dallufficio, trovava Dino che laspettava pas-
seggiando su e gi pel marciapiede.
Dove si va stasera, piccola?
Vado a casa, ho sonno.
A casa? Oh, che idee malinconiche, che vuoi andare
a fare a casa, gallinella mia?
Ti dico: ho sonno, sono stanca.
Va bene. Allora, senti: andremo a cena da Icaro, un
posticino tranquillo e poi, dopo, neppure un piccolo
whisky, sbito ti accompagno a casa. Non vorrai farmi
cenare solo!
Appena ella lo vedeva sul portone sapeva che non sa-
rebbe andata a casa, lottava un poco per giustificarsi. Na-
126 Letteratura italiana Einaudi
turalmente rincasava alle tre. Dino le apriva il portone, le
ridava la chiave, le diceva soltanto: Buonanotte, piccola.
Da tre mesi cos: eppure lui la trattava con unintimit
sconcertante, come se fosse stato il suo amante o una
sua amica. Ma niente pi di questo: rientrando, Xenia si
guardava nello specchio. Non gli piaccio, ognuno sa i
suoi gusti, forse preferisce le bionde grassocce, non gli
piaccio. E mentre erano insieme lo spiava, quasi a voler
sorprendere la cagione dellindifferenza di lui.
Quando in ufficio si sedeva accanto a lei egli le chie-
deva a bassa voce:
Come ti trovi, Xenia? Ti tratta bene il vecchio gufo?
Benissimo.
Ma non puoi rimanerci: ti sfrutta, guadagni una mi-
seria. Seicento, dicevamo?
S. Ma, in fondo, non un lavoro faticoso.
Comunque una miseria. Non pu andare cos.
Troveremo di meglio. Sai? il momento brutto. Troppa
gente che vuole sistemarsi e i posti mancano, le aziende
si restringono. Anche noi, con questa penuria di ferro,
tra poco finiremo a vendere automobili di latta per i ra-
gazzini.
Quando cera il direttore, Dino entrava nello studio
di lui come un colpo di vento, senza neppure lasciarle il
tempo di annunciarlo. Non ho bisogno di lasciapassa-
re io. Tu, ragazza mia, non hai ancora capito chi sia Di-
no Ricci. Ha pi bisogno lui di me che io di lui e se fac-
cio anticamera soltanto per stare a guardare i tuoi
occhi, bella mia!
Queste le sole cose gentili che le dicesse. E Xenia se
ne indispettiva perch Dino le piaceva molto. Quando
andavano con gli amici a ballare, la sera, raramente Di-
no linvitava; diceva piuttosto a Tom Barchi: Perch
non fai ballare Xenia? e stava a guardarla mentre lei
saltellava per la sala, appesa al collo del ragazzo che bal-
lava alla maniera americana.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
127 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Per il suo compleanno Dino le aveva regalato una vol-
pe argentata: Non puoi uscire cos, senza niente al col-
lo. Le regal anche una borsa, un vestito. Quando eb-
be queste cose, Xenia, per la prima volta, ripens al
collegio. Quelle laggi facevano la stessa vita di allora. Si
lavavano con lacqua fredda. Le sembr ridicolo pensa-
re che ella avesse studiato tanto per laurearsi, che fosse
stata sul punto di uccidersi dopo linsuccesso, e tutto
questo per poter insegnare a declinare il rosa rosae a un
po di mocciosi in un liceo ginnasio di provincia per po-
che lire al mese. Aveva mandato il secondo biglietto da
cento a Emanuela, senza lettera stavolta, soltanto un fo-
glietto con la firma, niente affatto curiosa di sapere che
cosa facessero quelle sue compagne di tanti anni. Ades-
so che era sicura di non ritornarci, sovente pensava al
paese. Mamm e pap scrivevano che avevano molto da
fare per lorto, la semina, le dicevano che i suoi pioppi
serano coperti di foglie nuove. Nasceva in lei il rimpian-
to per certe giornate di primavera, quando andava per le
vie di campagna, sola, o si recava alla fontana a vedere le
donne riempire dacqua la conca di rame, metterla in ca-
po, parlando tra loro con laccento aspro del dialetto; o
per certi cibi rustici che la mamma usava prepararle
quando tornava dal collegio per le vacanze, certi dolci
che le piacevano da bambina.
Immaginava certe volte di tornare al paese con la
macchina di Dino, la volpe argentata sulle spalle, far
provare alla madre come si stava bene su quei cuscini
morbidi della grande automobile, ascoltando la radio
mentre si andava per le autostrade. Tornare soltanto per
fare illividire i visi delle amiche di una volta, mangiare la
pizza rustica, vedere i pioppi, ripartire.
I genitori si lagnavano soltanto di quella ipoteca sulla
vigna. E una sera Xenia scrisse loro enfaticamente:
Verr un giorno, miei cari, che anche questo pensiero
svanir. Pregate Dio che mi faccia sempre lavorare. Ed
128 Letteratura italiana Einaudi
era sincera scrivendo cos, sapendo tuttavia che con il la-
voro avrebbe potuto fare ben poco cammino. Ma prova-
va un intimo desiderio di sacrificio e di bont. Eppure
se Dino le avesse chiesto di sposarla, gli avrebbe rispo-
sto di no.
Pensava che invece, ecco, avrebbe sposato volentieri
Raimondo Horsch; ma egli aveva gi moglie e una figlia
grande, gente che lei non conosceva; ma Xenia pensava
cos per gioco di pensare. Raimondo Horsch era un per-
sonaggio importante: quando veniva in ufficio il diretto-
re lo riaccompagnava e la sollecitava: Signorina, la
porta. Ella aveva chiesto a Dino di che cosa si occu-
passe e lui: Affari aveva risposto. E poi aveva parlato
daltro.
A maggio Dino le chiese: Non sei stanca delle seicen-
to lire che ti danno? ci sarebbe un posto di segretaria in
unimpresa di cementazioni. Ho parlato col consigliere
delegato. Entreresti a novecento, ma nette, senza la tir-
chieria di quelle ritenute. Io ho detto che parli corrente-
mente il francese, che sai rispondere al telefono in ingle-
se. Oh, dico, per non mi farai fare una brutta figura?
No, Dino, certo no.
Era di domenica, domenica mattina piena di luce, e
loro se ne andavano lentamente in automobile lungo il
Naviglio; egli le aveva proposto di andare a colazione
fuori: A Pavia? non conosci Pavia? eppure c quellaf-
fare l, la Certosa, che monumento nazionale; ti con-
durr in un ristorante dove si mangia benissimo. Apr
la radio, ma cera unaudizione di arpa che lo fece be-
stemmiare. Oh! basta. E tornarono a parlare dellim-
piego.
Mi dispiace lasciare il direttore fece Xenia.
uno spilorcio. Ieri glielho detto anche a proposi-
to di un affare. Sai, Xenia? Ho fatto un affare buonissi-
mo. Una partita di autotreni da mandare in Libia. Una
grande combinazione. E naturalmente c dentro la ma-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
129 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
no di Horsch che ha fatto la parte del leone. Ma per me
rimasta una bella fetta. Allora ho pensato che si po-
trebbe fare un programmino. Tu lasci limpiego alla fine
del mese... ma s, ma s, otto giorni di preavviso bastano
per quel gufo, e ti prendi una settimana di riposo prima
di entrare in quellaltro. Io posso partire, Tom sinteres-
sa delle mie cose, non una cima, Tom, ma per quello
che avr da fare, andr benissimo. E noi due filiamo in
Riviera, San Remo e magari Nizza o Cannes. Hai il pas-
saporto?
No.
un peccato. E allora Nizza e Cannes saranno per
unaltra volta. San Remo, adesso. un posto abbastanza
allegro. Sar un bel viaggetto. Perch penso che, in fon-
do, sarebbe lora che io e te sandasse a letto insieme,
no?
Xenia non rispose; avrebbe voluto in quel momento
aprire lo sportello e lasciarsi cadere gi dallauto in cor-
sa, per rialzarsi malconcia, ferita, s, possibilmente ferita,
debolissima per il sangue perduto, oppure avrebbe vo-
luto che Dino fermasse la macchina e la baciasse, frene-
ticamente la baciasse sulla bocca, questo aspettava, e per
ci gli mise la mano sulla gamba, tante volte lisci il tes-
suto ruvido del vestito. Dino invece aveva aperto la ra-
dio, diceva: Oh! finalmente un po di musica allegra!
*
Al collegio adesso che si avvicinava il tempo degli esa-
mi le ragazze stavano meno insieme, meno di frequente
la sera si riunivano a parlare. Non avevano neppure il
tempo di godere della stagione, dicevano: Era bello
linverno! perch allora studiavano quasi per diletto.
Adesso, dopo cena, ognuna si chiudeva nella propria ca-
mera. Sul muro del cortile saccendevano i rettangoli
delle finestre, al tavolo si vedevano le ragazze, chine. Il
130 Letteratura italiana Einaudi
silenzio era perfetto, monotono per quello scorrere
dellacqua nel cortile; se quello si fosse taciuto forse la
notte si sarebbe alleviata. Oltre il cortile era lestate, l
dentro una stagione nella quale faceva caldo e bisognava
studiare di pi.
Emanuela sarebbe rimasta molto sola se non avesse
avuto Andrea; sul principio la notizia dei loro incontri
aveva incuriosito le ragazze, le chiedevano mille partico-
lari, attente stavano ad ascoltarla in cerchio; erano venu-
te a conoscenza del carattere di lui, delle sue preferenze,
dicevano a tavola: Questo piatto piacerebbe ad An-
drea, come se egli fosse il fidanzato di tutte. Poi anche
questo era passato nella consuetudine come le conversa-
zioni telefoniche di Vinca; soltanto Valentina spesso le
chiedeva: Mi fai vedere la fotografia? e desiderava
leggere quelle lettere che egli le scriveva la sera da casa e
le dava al mattino; perch Andrea scriveva bene ed era-
no quelle sue lettere a rendere pi lieve la solitudine di
tutte.
A volte, di sera, Vinca ed Emanuela, affacciate alla fi-
nestra, si mettevano a parlare, al buio, fumando bench
fosse proibito, godendo di questo sotterfugio.
Nel silenzio udivano battere lorologio della Trinit
dei Monti. Le dieci Vinca diceva e noi siamo chiu-
se qui dentro. Non potremmo uscire se volessimo, gi
nel vestibolo buio, il cancello chiuso a chiave, la suo-
ra dorme certo con la chiave sotto il cuscino. Hai notato
che, a mezzo del vestibolo, c un cancello, inutile dopo
la vetrata dingresso, il portone esterno? un simbolo
forse; fu la cosa che mi colp di pi appena arrivata, mi
intimor. Che fa Andrea, di sera?
Studia. E Luis?
Che ne so? Credo che esca, sembra che vada in un
caff a parlare di politica. Hai inteso? da noi ricomincia
la battaglia. Pap scrive che tra poco lasceranno la casa
di citt e andranno in campagna. Abbiamo una casa vi-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
131 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
cino a Crdova, se vi ritorner dovresti venire a trovar-
mi. Nel giardino niente altro che aranci. Una casetta,
sai? Ma carina, perch ci stavano i nonni e vi sono bei
mobili di quando eravamo ricchi. Tutti sono stati ricchi
una volta, anche noi. Vendevamo arance.
bello.
S. I fiori hanno quel profumo che mette addosso
lindolenza, un profumo che tuttuno con laria del
paese. Luis dice che le cose si mettono male e se conti-
nua cos tra poco scoppier la guerra civile. Pensano a
questo, adesso, invece di studiare, lui, altri studenti, an-
che il figlio dellambasciatore. Vanno a scrivere: Viva la
Spagna, sui marmi dei tavoli al caff. Bevono e fumano
fino a tarda ora. Poi, al mattino ha sonno, non studia e
perde lappuntamento con me.
Anna e Silvia che davano la tesi in ottobre stavano
chiuse per ore in biblioteca, si soffocava l dentro, dice-
vano; appena entrate l dentro, le loro voci, senza voler-
lo, sappannavano; era quel silenzio che le opprimeva,
quel muto andare dei giovani tra i cataloghi, le schede,
quel vederli curvi sui libri. Non sembrava che avessero
ventanni.
In casa Belluzzi appena saccorgevano di Silvia. Forse
perch quando il professore era nello studio ella cammi-
nava in punta di piedi, gli posava le carte sul tavolo, pia-
no richiudeva la porta. Aveva per lui un meravigliato ri-
spetto: egli era sempre cos assorto, cos distante dalle
cose che non aveva il coraggio di fargli notare la propria
presenza. Stava tutto nascosto dietro gli occhiali doro,
andava, veniva dallUniversit senza neppure vedere le
strade dove passava, pieno dingenue distrazioni. Nella
stradetta buia ritrovava il portone di casa per abitudine,
saliva in dignitosa fretta la scala di larghi gradini di pietra
grigia, infilava piano la chiave nellalta porta e seguitava a
camminare in casa sua con la stessa aria preoccupata che
aveva in strada. Talvolta i pensieri lo arrestavano nel cen-
132 Letteratura italiana Einaudi
tro dello studio. Nei momenti di pi intenso lavorio men-
tale, faceva distinto scorrere il polpastrello del pollice
sulle altre dita, come a levigarle. Per molti mesi il lavoro
di Silvia sembr passare inosservato. Finch una sera ella
entr, gli mise sul tavolo un fascio di carte dentro una
cartella grigia e rest cos senza togliervi le mani di su.
Egli le chiese: Che cos, signorina, tutta questa roba?
il materiale per la conferenza.
E intanto pensava: troppo, troppo, ora si mette a
ridere e mi dice: Quanta fatica sprecata!
Il professore si volt sulla poltrona, assestandosi sul
naso gli occhiali: Ha fatto lei questo?
Silvia si schermiva: S, capisco, sar insufficiente o
troppo, o inutile, ma insomma, penso che le servir, mi
dica lei che cosa debbo fare ancora.
Egli scorreva i fogli: Vedremo, le dir, signorina, ve-
dr stasera.
La ragazza rientr in casa sconfortata pensando. Ci
vuol altro per riuscire. Applicazione la sua, buona vo-
lont, un piccolo ingegno, niente pi di questo. Rest
tutta la sera mortificata, and a letto presto, dicendo che
aveva male alla testa e forse le doleva davvero: guard
con commiserazione tutti gli scartafacci della sua tesi e il
domani attese impaziente lora di andare dal professore
perch egli la chiamasse. La chiam, infatti; laspettava
accanto alla scrivania come quando doveva dire cose im-
portanti.
Cara Custo le disse quello che lei ha fatto ec-
cellente. Dove mai ha trovato tante cose? Oh, certo io
non avrei fatto meglio. E mi domando onestamente se
sono proprio io a dare questa conferenza e mi trovo a
disagio, nellappropriarmi la sua fatica facendola passa-
re per mia. La sua intelligente fatica. Sono contento di
averla scoperta io, in facolt, allultimo banco; perch si
mette sempre allultimo banco? sono contento perch
lei far strada e si ricorder di me.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
133 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Silvia non sapeva che dire. Un sorriso incolore le illu-
minava la faccia, un sorriso di riconoscenza servile di chi
dalla nascita avvezzo alle sottomissioni. Che cosa era-
no infatti i suoi genitori? Poco pi che contadini. Qual-
che volta, certo, qualcuno che si godeva met della loro
fatica, avr detto anche a loro bravi; Silvia era soddi-
sfatta di quella lode anche se rimaneva ignorata, chiusa
l dentro tra loro due. Anzi avrebbe voluto fare di pi,
promettergli: Senta, professore, non alzer pi gli oc-
chi dai libri, lavorer anche la notte. Non mi avr dato
questa fiducia invano.
Cos commossa, fu sorpresa dalla moglie di Belluzzi
che entrava con in mano una tazza di t. Era una donna
non pi giovane ma che non voleva smettere di esserlo,
molto bruna di capelli, vestita di chiaro, grassa, le braccia
bianche rigurgitavano dalle maniche. Sempre guardava
con stupore quella ragazzola nera che frugava per ore e
ore nelle carte del marito. Silvia la salutava deferente-
mente, senza smettere di lavorare. come una bestia in
casa Dora diceva alle amiche: un vecchio cane. Non
discuto la sua intelligenza, ma cos nera sembra sporca
sempre, non so come fa Guido a vedersela dattorno.
Quel giorno Silvia era cos commossa che vedendola
entrare rimase muta arrossendo, quasi fosse stata sor-
presa in colpa. Il professore scorgendo la moglie si ri-
schiar, usc dalla sua composta freddezza, si tolse gli
occhiali e le and incontro:
Oh, grazie, grazie, Dora, sempre ti ricordi di me...
Aveva in viso una viva compiacenza, per lei soltanto si
scuoteva, quando la vedeva entrare. E davanti a quella
tazza di t, Silvia sent che la sua fatica rimpiccioliva.
Aveva passato intiere notti al tavolino fregandosi gli oc-
chi per non addormentarsi sopra quel lavoro che non
era suo: Vinca dormiva nella camera vicina, quasi le pa-
reva di udirne il respiro regolare, le dava il contagio del
sonno: allora per tenersi sveglia si tirava gli orecchini,
134 Letteratura italiana Einaudi
due grappoletti neri, di lutto, e al mattino si vedevano i
forellini infiammati.
Gli aveva posato sul tavolo tutta quella fatica. Non
nulla, non nulla andava ripetendo tra s gi dimenti-
cato. Anche luomo pi intelligente si perde davanti a
una donna, a un gesto femminile, a quel modo di entrare
grazioso e disinvolto, in questa stanza della quale ella
non capisce nulla, come se fosse un gabinetto di chimi-
ca, entrare con questo profumo, questa cipria in faccia e
la tazza di t. Ella entra come una donna mentre io sto
accanto a lui come un compagno. Non si accorge nep-
pure di non essere pi solo quando io entro nello studio.
Io sto di qua, dalla parte degli uomini.
Silvia, stupita, guardava la signora Dora parlare al
marito come se davvero lo amasse: Silvia sapeva che la
donna, appena rientrata in camera sua, si metteva il cap-
pello e usciva; il marito non le chiedeva dove vai?. La
strada, la gente, non esistevano per lui, isolato in quella
operosa solitudine. Andava dallamante lei, ecco, quasi
vecchia, andava dallamante. Spesso telefonava a lungo e
Silvia senza volere, attraverso la parete sottile, aveva udi-
to parecchi colloqui. Chioccolava piano piano con vezzi
infantili e sorrisetti, risa sommesse. In quelle conversa-
zioni al professore era rimasto soltanto il pronome:
lui. Lui uscito, lui tornato, appena esce lui. Terza
persona singolare. Niente pi di questo. Prima di uscire
portava a lui una tazza di t. E per tutta la giornata a
lui ne restava in bocca la dolcezza.
Molte volte Silvia aveva pensato di andarsene da
quella casa; non poteva sopportare dessere testimone di
quel tradimento. Pensava che ai due dovesse mancare
proprio il gusto dellinganno e che per questo, forse, si
sarebbero stancati presto. Lui non saccorgeva di nul-
la. Era come sgozzare un vitello nel sonno.
Silvia penava a tenere questo segreto, talvolta provava
il desiderio di dirglielo, al professore, o almeno raccon-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
135 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
tarlo alle compagne, sfogarsi di quellingiustizia. Dora
poteva lasciarlo se voleva, ma non tradirlo. Un uomo co-
me Belluzzi non si tradisce. Era venuta dal nulla e lo tra-
diva. Perch non gli diceva: Ciao, me ne vado, io qui
mannoio? Ma no, non voleva rinunciare alla cameriera
con la galina bianca in testa, al salotto dorato.
Avrebbe desiderato sfogarsi, ma poi nulla diceva, per-
ch non voleva che dietro le spalle di lui, alle lezioni, le
compagne immaginassero i due che parlavano al telefo-
no dicendosi insulse parole damore; tutta la sala sareb-
be stata piena di quelle parole e anche del profumo che
si sprigionava dalla pelle bianca e grassa della donna,
tutti avrebbero visto, e avrebbero deriso lui, sordo e cie-
co, che continuava con gesti misurati a commentare i so-
netti del duecento.
Una sera Augusta disse a Emanuela: Devi studiare
stasera? Se no, ti pregherei di salire su da me, ho da par-
larti.
La camera di Augusta risentiva dellestate; la tartaru-
ga si moveva per terra, sotto la finestra, erano scomparsi
i tappeti sardi, i cuscini, e una pianta di ortensia lilla
screziata ornava il com.
Vuoi il caff? Te lo preparo.
Volentieri.
Augusta sera messa a trafficare intorno alla macchi-
netta a spirito mentre Emanuela osservava le fotografie
nelle cornici. Tutti ritratti di gente sarda, facce scabre in-
tagliate nella vecchia pietra dei nuraghe, rilevate da zigo-
mi massicci; sotto le masse compatte dei capelli dun ne-
ro forte e selvaggio come le criniere dei cavalli, il pallore
arido, desolato del volto: volti solcati dalla malinconia se-
colare duna razza assuefatta a patire, non illuminati ma
trafitti dalla cupa intensit degli occhi, in cui sembrava
riflettersi la disperata tristezza dei pascoli sassosi, brucati
dalle greggi lanute e percorsi dal brivido delle febbri.
136 Letteratura italiana Einaudi
Si sta bene in questa camera: si sente che ci vivi.
S; voialtre non pensate che ad andarvene, per ci le
vostre sono simili a camere dalbergo. Chi ci lascia qual-
cosa di s? Esitate a mettere fuori la roba dalla valigia,
perch cos vi pare di non legarvi a queste pareti. O for-
se perch non tutte ci patiscono qui dentro.
Era proprio vecchia, Augusta; si scoprivano nei suoi
capelli numerosi fili dargento; doveva essere vicina ai
quaranta. Un giorno ella scherzando aveva chiesto ad
Anna: Quanti anni mi di? Trenta la ragazza aveva
risposto. E Augusta aveva sorriso: Sei buona -; per
senza confessare quanti ne avesse in realt.
Perch patisci?
Te lo dir, tho chiamato per questo, non possibi-
le che vada avanti cos tieni il caff, c gi lo zucchero
e ho pensato che solo tu avresti potuto capirmi.
Emanuela era amica di tutte, pareva impossibile che
la stessa persona che era simpatica a Xenia potesse esse-
re stata tanto amata da Milly, e Augusta la chiamasse in
aiuto. Forse perch in Emanuela agiva una facolt intui-
tiva rapida e sempre vigile: quella di rivelare e dillumi-
nare di s a chi lavvicinava, laspetto che nellaltro pote-
va suscitare una concordanza di simpatia. Ed ella si
avvaleva di questo mimetismo psicologico, senza avve-
dersene, spontaneamente, come se portasse con s una
forza magnetica che poteva orientare a suo piacimento.
Cos ognuno vedeva riflessa in questo specchio umano
la propria immagine e, se pur lo specchio era di molte
facce, egli scopriva soltanto la buona, quella che si ani-
mava e viveva di lui. E questo gioco di riflessi era una
continua rivelazione anche per Emanuela, la quale vede-
va sorgere dal profondo di s, e apparire alla superficie,
sempre nuovi e fino allora ignorati aspetti della sua per-
sonalit. Rischiarata dal di fuori, messa in luce dal suo
contatto con gli altri, la sua vera fisonomia le usciva cos
a poco a poco e in modo sorprendente dallombra.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
137 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ti piace il mio caff? continuava Augusta.
buono, vero? Lo faccio da me, perch quello delle suore
sciacquatura di piatti. Ha ragione Vinca quando dice
che quello buono se lo bevono loro. Vorresti un biscot-
tino? Senza attendere la risposta, con diverso tono ri-
prese: Dunque non ti sei mai domandata cosa faccio io
in collegio? E pensare che io tante volte me lo sono chie-
sto di te...
Ma lo sai bene, Augusta, perch fai queste insinua-
zioni? Sto qui per studiare storia dellarte e perch i miei
sono ancora lontani, torneranno alla fine del mese...
Ma ti scrivono da Firenze... Insomma un pastic-
cio. Del resto tutto questo non minteressa. Io esami non
ne do. Ma siccome sono iscritta alla facolt voi credete
che studi. Non studio. Nemmeno quando vedete accesa
fino a tarda ora la luce io studio.
Oh, per lamor di Dio, Augusta, che fai mai?
Lei attese un istante prima di rispondere. Qualcosa
nel suo viso sera sciolto, si vedeva che desiderava aprir-
si con la compagna, e che tuttavia ci le costava grande
sforzo. Disse infine: Scrivo.
Scrivi?
S.
Che cosa scrivi?
Scrivo romanzi, novelle. Questo e trasse dal cas-
setto un pacchetto di cartelle minutamente tracciate del-
la sua esatta scrittura tutto il lavoro di stanotte.
Dici davvero?
Certo. un romanzo, un grande romanzo. E adesso
ti confesso tutto. Senti: io patisco, mi logoro e nessuno
vuole saperne della mia roba. Forse bisognerebbe avere
aiuti, conoscere persone...
Non conosci nessuno, in Sardegna?
Oh, in Sardegna! L, dopo il fatto della Deledda
ogni donna che abbia una finestra sul monte, una bella
cucina e unaia si mette a scrivere della sua casa e della
138 Letteratura italiana Einaudi
sua infanzia. Laggi non si pu pi, ormai. Quella riu-
scita perch aveva il dono di Dio. Non era nella Sarde-
gna il miracolo, era in lei. E invece adesso tutte credono
che il miracolo sia nella terra. Forse io stessa...
Ma di che scrivi?
Damore, tutte storie damore.
Frugava nel cassetto, ne trasse un rotolo di fogli legati
da un nastrino.
Tho chiamata perch voglio leggerti questo; un
racconto. E tu mi devi dire la verit, se ti piace o no. Un
mese di lavoro. Lho mandato a un giornale, un giornale
letterario nel quale si stampano certe ignobili cose futu-
riste con tanti onori quanti ne avrebbe la Commedia. Io
ho scritto due volte, sempre accludendo i francobolli
per la risposta; e loro, silenzio, neanche una parola, fi-
nalmente alla terza lettera rispondono di no, che non
adatto, dicono che gli manca la spina dorsale, come dire
che non sta in piedi. Tu sei una ragazza intelligente, tu
hai letto, hai viaggiato. Non sei la prima venuta tu, an-
che se non fai luniversit. Che centra luniversit? Le
altre sono chiuse nel loro mondo impolverato della bi-
blioteca, non capirebbero, non hanno il senso delluni-
versalit. Ti spiego: voglio da te un giudizio. I giornali-
sti, gli editori, tutta gente poco seria, stampano per
raccomandazione oppure per incoraggiare lo stile nuo-
vo, certa roba strampalata di gente senza preparazione.
E quando cpita una cosa buona, sai che fanno? neppu-
re la leggono. Con che sistema procederanno io non ca-
pisco. Giorni fa leggevo questo, guarda, una recensione
di tre colonne sul libro di una donna, perfino la fotogra-
fia. Che dovevo fare? Lho comprato. Lo compro, lo
leggo, lo leggo tutto in una sera... Niente. Una storia
piatta di una donna e tre operai; neppure si capisce bene
come vada a finire. Eccoti il libro, guardalo, dodici lire,
uno dei migliori editori, tre colonne di recensione... E
allora che dice il pubblico? Il pubblico guarda la foto-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
139 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
grafia e deve dire che s, tutto questo va bene, abbiamo
capito, una bella ragazza. Questo stesso editore mi ha
risposto che il mio libro non lo pu stampare, perch,
per il fatto della cellulosa, manca la carta; e mi ha riman-
dato il manoscritto. Deve avere fatto molto comodo in
quellambiente il fatto della cellulosa. Che puoi dire
avanti a un argomento simile?
Hai ragione.
Adesso ti leggo questo. Snod il nastrino e mentre
apriva i fogli riprese: Tu sempre avrai pensato: Augu-
sta deve essere bene ottusa se neppure prova a dare gli
esami. Io dico che li dar, gli esami. Intanto queste ra-
gazze entrano, escono, vanno, tornano al paese, si sposa-
no, fanno, e mai pi si ricorderanno di me.
Ma fino a quando rimarrai qui dentro?
Fino a quando avr fatto qualche cosa. Magari sem-
pre a marcire con le suore, ma in Sardegna ci torno due
mesi destate, e basta.
I tuoi sanno che sei qui per questo?
Lo sanno. E anche se non fosse per questo, a casa
non tornerei lo stesso. Non si pu pi tornare. Se i geni-
tori sapessero questo non ci manderebbero in citt. Per-
ch dopo, se anche torniamo, siamo delle cattive figlie,
delle cattive mogli. Chi pu dimenticare di essere stata
padrona di se stessa? E poi, per i nostri paesi, dopo esse-
re state qualche anno, sole, in citt, torniamo con la re-
putazione di donne perdute. Quelle che sono rimaste,
che sono passate dalle mani della madre alle mani del
marito, non ci perdonano di aver visto cose nuove, nuo-
ve facce, di aver avuto la chiave della nostra stanza, usci-
re entrare allora che si vuole. E gli uomini non ci perdo-
nano di saperne quanto loro. Questo, sintende, per le
giovani. Io sono ormai gi... gi matura. Quando mi fi-
danzai dissero che Loris lo faceva per interesse. Forse
avevano ragione. Adesso, non potendo dire che ho una
140 Letteratura italiana Einaudi
condotta immorale, dicono che sto facendo un fiasco in
letteratura.
E che timporta di quel che dicono?
Gi? bisognerebbe fare cos. Ma quando si arriva ad
essere al disopra di questi apprezzamenti, segno che
molte cose nella vita sono gi sfiorite. Quando non si
piange pi delle sconfitte segno che non si crede pi
nelle vittorie. Che la vita scorre sopra di noi senza farci
n bene n male.
vero.
E adesso basta. Non tho chiamata qui per discorre-
re.
La suora grid nel corridoio, apr tutte le stanze vio-
lando ogni intimit. Le trov l, calme, Augusta intenta a
preparare il lume, e delusa disse buona notte gettandosi
sulla porta vicina da dove udiva partire voci e risate. Au-
gusta attese il brusco distacco della luce, poi rest ferma
un attimo abituando le pupille al fievole chiarore del pe-
trolio, si raschi la gola come una cantante, e cominci.
Una storia rachitica come un tema di licenza liceale.
Tutto in ordine, i personaggi fotografati, descritti dal
colore dei capelli a quello delle scarpe. Un mondo che
non oltrepassava il telaio che vietava le finestre del colle-
gio; pulito, lucidato, era proprio un lavoro di zitella, co-
me i merletti a fil.
Questa fu limpressione di Emanuela; eppure quando
Augusta le chiese: Ti piace? lei rispose gentilmente:
bello. A che sarebbe valso dire la verit?...
Lo so, bello; ma lo rifiutano. Dimmi: quando
che ti piace di pi?
Quando dice del fiume.
E invece no, in quel punto poco moderno. La
chiusa invece, ecco, quella cosa nuova, la chiusa. Ti
ringrazio, Emanuela, avevo bisogno che qualcuno sapes-
se; un segreto, quando si porta da soli, pesa di pi.
Adesso tu scendi e io mi metto a lavorare.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
141 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
A questora?
Oh, sono appena le undici! questa lora nella qua-
le lavoro meglio, nel silenzio. Mi faccio un altro caff.
Ho bisogno di fare presto. Io non ho tanto tempo avanti
a me. A questa novella che sto scrivendo tutte le porte
saranno aperte, ne sono sicura. Parlava a scatti, quasi
parlasse da sola, ad alta voce, la mente arruffata di paro-
le. una storia... no, no, non ti voglio dire nulla: quan-
do sar finita, limata, te la legger.
*
Andrea glie laveva telefonato appena uscito dalluni-
versit: Benone, Nuela, trenta. Emanuela era andata
a bussare alla porta di Augusta: Sai? Andrea ha preso
trenta. Qualcuna laveva gi saputo in facolt, tutte
dissero bravo Andrea.
Era un mattino afoso pieno di minacce di burrasca.
Ella che stava aspettando la notizia e guardava ogni po-
co il cielo grigio, pensava: Adesso piove. E temeva il
cattivo presagio. Invece a mezzogiorno di tra le nubi
basse si spinsero lividi raggi di sole. Un vento leggero
scacciava le nuvole, apparvero chiazze turchine, poi laz-
zurro dilag, invase il cielo. Il tramonto fu bellissimo.
Andrea laspettava dietro il collegio per la salita che
porta a Villa Medici; la vide venire verso di lui a piccoli
passi affrettati, impaziente. Quando le fu vicina prese
svelta a parlare. Bravo, oh, bravo, anche le compagne
hanno detto, bravo caro.
Egli senza parlare la prese affettuosamente per il
braccio e cominci con lei a camminare, prendendo
landatura lenta della passeggiata: savviarono nel gran-
de viale dove altre coppie camminavano avanti a loro,
dietro a loro, quasi a far parte di un corteo. A tratti il
frusco delle foglie che percorreva i platani metteva fre-
miti nel sereno crepuscolo.
142 Letteratura italiana Einaudi
S, sono proprio contento infine egli disse cos
tra poco ho finito. Questo il penultimo prima della
laurea: trenta, sono contento; ma sai, lesame lascia sem-
pre un po delusi, anche quando va bene. Si studia si
studia e poi sesce dallaula allo stesso punto di prima.
Le coppie avanti a loro avevano lo stesso passo molle
di processione; tante coppie, gi gi fino al bivio dove
un braccio del viale saliva allalto del Pincio e si vedeva
formicolante di ombre nere. E cera attorno un gran si-
lenzio: sudivano soltanto, sotto gli innumerevoli passi,
cigolare le foglie accartocciate che cadevano di dosso ai
platani; le parole erano appena bisbigliate, qualche volta
taciute, anche. Ogni coppia era chiusa in un cerchio di
completa solitudine, come se la Villa fosse aperta ad essa
solamente. Di frequente sudiva un grido di ragazzo, ma
non si vedevano correre i bambini, non si capiva neppu-
re dove si nascondessero a giocare. Il sole incendiava le
vetrate della citt che rosseggiava bassa sotto il viale, irta
di campanili e folta di cupole, metteva qua e l bagliori
di porpora come fuochi dartifizio.
Emanuela e Andrea sedettero vicino a una fontana
cinta da un emiciclo di mortella.
Qui si sta bene egli disse, sembra che sia il giar-
dino di casa nostra.
E la ragazza consent: S, s.
Dammi la mano.
Lacqua scorreva soffice come da una polla su di un
prato, un rumore ovattato, sommesso.
Quando io e te avremo una casa, voglio avere un
giardinetto cos, con un rumore dacqua. Oggi, per que-
sto esame, la nostra casa mi sembra pi vicina. Eppure
penso che il giorno della laurea mi sentir come oggi:
contento, ma inutile. Non potr presentarmi in un Mini-
stero, per esempio, dire: Guardi, io sono quello che ha
preso la laurea questa mattina e l allora tutti salzano,
corrono a me, mi mostrano una stanza in bello stile falso
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
143 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Rinascimento e mi dicono: Ecco, si sieda, quella la
sua poltrona, laspettavamo. No? Andare ad insegnare
non so dove... con quello stipendio che ti darei da man-
giare, moglie?
Rideva e poi proseguiva serio: Rifacciamo i conti,
Emanuela?
Il giorno se ne andava con indolenza. Gente passava
senza guardarli; egli diceva: Cinquecento la casa... e
seguitava addizionando, ma sempre concludeva: An-
che rinunciando tu al salotto e io alle partite di calcio e
alle sigarette, non possiamo fare a meno di duemila lire.
E non possiamo privarci di queste cose, dopo poco la vi-
ta in comune ci diverrebbe insopportabile. E allora due-
mila cinquecento.
Tra me e te.
Va bene. E se poi mi fa male un dente e debbo far-
melo tirare? E se tu vai a farti la permanente? Ti prego,
Emanuela, non mi ripetere che tu hai il tuo denaro, ap-
punto per questo io devo avere il mio.
E allora il problema insolubile.
Deve essere solubile, invece, perch io non rinuncio
alla gioia di bussare a una casa sulla quale sia scritto il
mio nome, n a quella di vederti venirmi incontro sorri-
dendo, di sentire rientrando lottimo odore darrosto,
vedere la tavola apparecchiata per due, il dottor Lanzia-
ni e sua moglie, uno di qua e uno di l. Ma penso, per
contro, a tanti miei amici sposati che fanno la fame, loro
hanno gli occhi tristi, la moglie ha gli occhi tristi, il ra-
gazzino pallido e ha gli occhi tristi anche lui, no, credi,
terribile. Siamo stati abituati bene, io e te.
E allora?
Allora ti puoi immaginare la faccia di pap stamani
a tavola quando lui si congratulava con me dellesame e
io gli ho detto: S, va bene, sono molto contento, ma
dopo la laurea vengo a lavorare a negozio con te.
Tu hai fatto questo?!
144 Letteratura italiana Einaudi
S, e non sai quale discussione ci fu, quando
miscrissi alluniversit. Tre generazioni di gioiellieri, la
corona reale sulla vetrina e tu, e tu... diceva cos, pap,
si disperava: ma io ero irremovibile: Io ho orrore del
vostro mestiere, stare dietro un banco... Insomma non
puoi immaginare che cosa accadde in quei giorni, pap
non mi parlava, muso lungo, mamm correva dalluno
allaltro... Si calm quando mi fecero littore, perch il
mio nome comparve sui giornali. Perci oggi rimasto a
bocca aperta; io ho seguitato: Vengo a negozio e mi di
quelle duemila lire al mese che mi promettesti se non
entravo in facolt. E la laurea? dice lui. Lattac-
cher in un quadretto, o mi servir per poter offrire i
gioielli in versi sciolti. Insomma io continuavo su que-
sto tono e lui esplode, butta via il tovagliolo, urlando di-
ce: Ma per lamor di Dio, Andrea, che significa tutto
questo?. Sentissi, Nuela, un vocione, pap quando
arrabbiato, ma io che lo conosco calmo rispondo: Si-
gnifica che ho bisogno di guadagnare perch mi sposo.
Hai detto cos, proprio cos?
Proprio cos. Vedi la scena, no? pap grida, salza, il
pranzo va per aria, la cameriera arriva con la carne, papa
strilla: Non mangio pi, non mangio pi. Ma io so co-
me fatto. Tra un mesetto ti porto a casa. Domani met-
to sul comodino la tua fotografia.
Fino allora Andrea aveva parlato con orrore della vita
di negozio: detestava tutto, dallo strappo della saracine-
sca ai velluti della vetrina, allattesa servile ed esasperan-
te del cliente, pensava perfino che, a guardare sempre le
pietre con la lente, ci si guasti la vista, tutti i gioiellieri
portano gli occhiali. Odio quella vita che essi trascina-
no da anni, pap che mostra le pietre come se maneg-
giasse strumenti di precisione, i commessi che vanno
con passi feltrati, mamm seduta nel retrobottega, una
stanzetta calda e mobiliata come una stanza di casa, va l
ogni pomeriggio, si toglie il cappello, cuce, se un cliente
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145 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
entra, posa il lavoro sui ginocchi, tende lorecchio, poi
riprende a lavorare. Quando il negozio vuoto, pap
siede con lei leggendo il giornale. E adesso Andrea ave-
va accettato tutto questo, per lei. Era questo il momento
di parlare, dire: Senti, Andrea, devo dirti una cosa, una
cosa passata, finita, figurati lui morto, ma intanto ri-
masta la bambina; andr in Svizzera, tu sei un ragazzo
intelligente, capirai. Era necessario parlare, altrimenti
tutti questi discorsi, questi disegni davvenire appariva-
no inutili, macabri, come preparare i panni per un figlio
che, si sa, nascer morto.
Senti, Andrea...
No, non sento nulla. So bene che vuoi parlarmi del
tuo denaro. Va bene, ci sar il tuo denaro, ma col mio.
O ti vergogni dessere la moglie di un negoziante invece
che di un professore di filosofia?
Non era possibile parlare. Egli aveva ripreso a dire
della casa.
Voi donne non potete capire, per voi anche la casa
dei genitori la vostra casa, ma noi siamo estranei in
qualunque casa che non sia la nostra, voglio dire la casa
dov la nostra donna, dove nascono i nostri figli. E io
voglio avere uno scaffale dove poter ordinare i miei libri
senza che pap vi metta accanto i suoi romanzi gialli,
rientrare e sapere che qualcuno aspetta me, proprio me.
Ma forse vorrai venire anche tu qualche volta al negozio
come la mamma. Ridendo aggiunse: Quando io por-
ter gli occhiali. E le batt la guancia affettuosamente.
Come dire ad un tratto: Andrea, io ho una bambi-
na?
Una bambina egoista che viveva in un suo mondo do-
ve gli altri entravano solo per servire le sue comodit.
Quando la madre andava a trovarla, dopo un po che
erano insieme la bambina esprimeva il desiderio di tor-
nare a giocare con le compagne. Non avevano mai nulla
da dirsi salvo cose insignificanti. Che ti porto, che mi
146 Letteratura italiana Einaudi
porti. Appena Stefania aveva preso il pacco ed Ema-
nuela glie laveva dato non avevano pi nulla da fare in-
sieme. Emanuela voleva stringerla, abbracciarla, sentire
lodore dei suoi capelli; ma solo per un attimo poteva
godere di questo, presto la bambina si staccava, si divin-
colava, cercava una sua propria autonomia. Non vale la
pena pensava la madre di farli, patirli, i figlioli, se
neppure si possono stringere un momento tra le brac-
cia. La sua maternit esisteva solamente dietro la porta
di quel collegio che pareva un ospedale, le bastava usci-
re di l per liberarsene. Il fastidio per lei era solo quello
di dover inventare qualche bugia per andare a trovare la
bambina, il timore che Andrea si avvedesse dellingan-
no. Non osava neppure dirgli: Vado a trovare una mia
nipotina per tema che egli le chiedesse dimprovviso:
Non sar tua figlia invece?.
Comprendeva che, seguitando a tacere, la situazione
peggiorava ogni giorno e tuttavia non poteva parlare,
provava solo uno struggimento interno quando udiva
Andrea fare questi disegni per il futuro; allora le saliva-
no le lacrime agli occhi, egli credeva che fosse per la
commozione e la trattava da sciocca, le apriva la borsa,
le metteva lo specchietto davanti agli occhi per mostrar-
le come fosse buffa quando piangeva, poi le prendeva le
mani, glie le stringeva, diceva: Cara moglie senza ca-
pire che lei piangeva perch tutto ci non avrebbe potu-
to essere mai. Perci Emanuela decise: pi semplice
continuare cos, pap mi aiuter, parler lui, alla vigilia
del matrimonio; Andrea mi adora, Andrea non potreb-
be vivere senza di me.
La sera raccont alle compagne della decisione di An-
drea.
Silvia osserv colpita: Quanto deve amarti per ri-
nunciare al suo lavoro!
E Valentina le chiese .se non si sentisse straordinaria-
mente felice.
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147 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Pochi giorni dopo Emanuela e Andrea andarono con
Vinca a vedere il nuovo studio di Luis. Andrea aveva re-
sistito sul principio: Mi piace poco quella ragazza. Che
rapporti ci sono tra quei due? neppure sono fidanzati.
Ti dir: non mi sembra serio per te. E poi una ragazza
che non studia, non fa nulla, perch non ritorna al suo
paese? Perci Emanuela temeva che lincontro fosse
freddo. Invece Andrea sinteress ai discorsi di Luis.
Costui non era bello come Vinca laveva descritto; piut-
tosto basso e bruno, aveva una larga bocca che mostrava
denti bianchi, equini; parlava un suo italiano comica-
mente mescolato di parole e cadenze spagnole, gesti vo-
luminosi accompagnavano la sua conversazione.
Lo studio non aveva di notevole che il vecchio por-
toncino con quel fregio del Rinascimento; la scala era
angusta e poco rischiarata. Mentre i tre salivano, una
porta sapr e lasci sfuggire un odore di fritto e il pianto
di un bambino. Lultima rampa era pi stretta e ripidis-
sima; bisognava andare luno dietro laltro; poi si trova-
rono in uno stanzone disadorno, col tavolo da disegno
in un angolo, le pareti coperte di progetti architettonici;
due divani-letto, un servizio da t. Ma ogni cosa era an-
nobilita dalla luce che entrava da una grande vetrata
dalla quale si vedeva un pittoresco insieme di casuzze, di
archetti e, dietro, tutto il morbido verde del Gianicolo.
Luis li aspettava con Pepe e altri studenti. Adesso
meglio che tutti noi spagnoli stiamo insieme, diceva e
perci aveva voluto che Vinca conoscesse i suoi amici.
Ma ella rimaneva impacciata, non si sentiva compatriota
degli altri come di Luis. In fondo pensava non ci si
abbraccia mica con tutti quelli che hanno il nostro stes-
so passaporto. Egli la trattava come unamica, come
Emanuela, e ci la indispettiva; se non voleva far sapere
agli altri del loro amore, perch laveva fatta andare las-
s? Andrea e i ragazzi parlavano di politica, gli spagnoli
ad alta voce, Andrea con il suo tono risoluto e calmo. Le
148 Letteratura italiana Einaudi
fanciulle serano sedute sul divano-letto, Vinca era cos
stonata che neppure pensava qui dorme Luis, si tene-
va accosta a Emanuela, ma anche con lei si sentiva diver-
sa; non era come al collegio; qui, in mezzo agli altri, non
sapevano che discorsi fare. Salzarono per guardare i
progetti attaccati al muro: molti portavano la firma di
Luis, altri di amici, ugualmente spagnoli. Case alte con
piatte facciate turchine, larghe vetrate che si sarebbero
arroventate al sole. Una villetta rossa che sembrava un
grosso dado e aveva finestre tonde ad obl: quattro ci-
pressetti, rigidi come giocattoli, erano dipinti avanti
allingresso della villa e rappresentavano lunico guizzo
di poesia dellarchitetto. Vinca estatica guardava i pro-
getti, ripeteva: Che artista! E volgeva lo sguardo a lui
che animato discuteva, parlava di Spagna rossa, di Spa-
gna martoriata, chiese sventrate dalle bombe, donne
gettate a mare nei sacchi, bimbi con le mani tagliate; nei
cimiteri i morti erano disseppelliti; la mamma di Vinca
era sepolta in Spagna: la ragazza sussult: S disse
volgendosi, bisogna che finisca. Non possiamo fare
niente noi, tutti noi? dobbiamo restare con le mani in
grembo a vedere la distruzione del paese?
La sua improvvisa esclamazione fece tacere i ragazzi:
Luis si lev, le mise una mano sulla spalla affettuosa-
mente, disse: Que hacer? Che fare, Vinca mia?
A questo punto una donna non pi giovane, con i ca-
pelli rossicci, il viso biaccato, grassa, che indossava un
chiaro vestito a fiori, spinse la porta e irruppe nella stan-
za seguita da una ragazza pallida e da un giovane in oc-
chiali. Erano, i tre, altri spagnoli; la ragazza era fidanzata
con Pepe e il fratello di lei, Ignacio, studiava con gli altri
architettura; molte volte Vinca aveva udito parlare di lo-
ro. La madre si sedette pesantemente sul divano, ma per
la sua corporatura doveva restare sullorlo, tutta ansante
per la lunga scala salita, per il caldo che cominciava a di-
venire opprimente. Luis faceva le presentazioni e lei da-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
149 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
va la mano sorridendo, ma distratta, svagata dalla sua
stanchezza. Parlava a voce alta, stridula e cadenzata.
Ay! diceva. Abbiamo tenuto che venire a piedi,
niente vetture sulla piazza e Pilar diceva: aqui vicino,
aqui vicino. Stanca me sento; y le scale le scale. Pero bel-
lo quass, perch no abrir un poco la finestra?
Il sudore le colava sul viso dipinto. Pilar sera avvici-
nata a Vinca, si sorridevano senza parlare, manifestando
luna per laltra una timida simpatia come avviene negli
incontri dei bambini. La signora osserv Emanuela e
Vinca con locchialetto e poi esclam: Dios! Che in-
canto! Que bellezas! Qual di queste due la fidanzata
di Luis?
Era la prima volta che Vinca si sentiva nominare cos
e non osava rispondere, ma, avendola Emanuela sospin-
ta per il braccio, rispose affrettata: Io... io...
Vieni che ti miri! Fatti vedere, quanti anni hai?...
Ventuno? Como la mia Pilar! Hai visto la mia Pilar?
Poi distolse lo sguardo; Vinca non linteressava pi.
Era agitata per una visita che aveva ricevuto al mattino,
non poteva pensare ad altro, e ansava smaniosa di rac-
contare.
Esta mattina entra in camera mia la criada, como di-
te? la cameriera e mi fa: C una signorina che viene
dalla Spagna. Figurese! Stavo cos, spettinata, in vesta-
glia, ma dalla Spagna, aveva detto, vengo subito, ri-
spondo, che aspetti, che aspetti. Vado e trovo una crea-
tura preciosa, bellissima, bionda, snella, bionda platino,
proprio come unartista del cine. La mandava da me
unamica mia, una vecchia amica, alla quale quelle belve
hanno ammazzato il figlio cos, ni os ni Dios, una pallot-
tola nella schiena, pum, l, a ventidue anni. Dunque, la
ragazza era pallida, di cera, la pobrecita: salva per mi-
racolo, che volevano fucilarla perch fidanzata con un
falangista. stata carcerata un mese, con altre donne,
gente dellaristocrazia, due monache e una donna incin-
150 Letteratura italiana Einaudi
ta. Lhanno arrestata in mezzo alla strada, venga con
noi, e lei subito aveva pensato: me matano. Dunque lar-
restano...
Pilar linterruppe: S, ma d prima che lei non spa-
gnola, che al consolato...
Ah, vero, vero, lei dunque nord americana, ma le
piace la Spagna, ya lo creo, la madre spagnola, lei vive
in Spagna. Al consolato americano le dicono stia tran-
quilla, lei suddita americana non possono farle nulla,
non la toccano, ma quelli s, mica ti domandano le car-
te. Carcerata dunque in un sotano, como si dice? una
cantina, con quelle altre, due ne uscirono per essere fu-
cilate. Le chiamano dicendo cos: Vamos de paseo
una passeggiata e non ritornano pi. arrivata qui
esausta, morta di fame, mi raccontava tutto ci mentre
le davo la minestra; notte e giorno le monache pregava-
no e la donna incinta piangeva, finch un giorno comin-
cia a lamentarsi, poi si mette a urlare, son le doglie del
parto. Ventiquattrore di doglie, e strilli, e strilli, quelle
belve neppure saccostavano, e loro bussavano alla por-
ta, niente, sole l, come cani, al buio, le monache aiuta-
vano quella poveretta, che, il giorno dopo, finalmente si
libera.
Morto, il bambino interruppe Pilar. Donna Inez
la guard male perch le aveva tolto di bocca le parole e
leffetto. Poi continu pi piano: Gi, morto. E la ma-
dre mezzo dissanguata, l, nel sudiciume, a piangere, a
disperarsi, a scaldare col fiato il nio perch tornasse a
vivere. Dopo due giorni si portano via il cadavere, la ma-
dre aveva la febbre forte, linfezione, smaniava. Le mo-
nache avevano ripreso a pregare, quel borbotto, dice la
muchacha, faceva diventar pazzi. Il domani una di quel-
le belve apre la porta, dice: Es domingo, si mangia ar-
rosto oggi, lepre arrosto. Lo divorarono tutte, affama-
te, anche le monache, anche la puerpera. E quelli dopo,
in due tre sulla porta a ridere, a smascellarsi. Bueno,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
151 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
no? chiedevano, e ridevano come ubriachi. Sapete
cosera la lepre? Gi, la lepre, era il bambino!
Le ragazze ebbero unesclamazione dorrore; gli uo-
mini stavano ad ascoltare, pallidi. Emanuela sera stretta
ad Andrea e donna Inez, affannata dal lungo discorso,
di nuovo si sventolava col grande ventaglio, si scostava il
vestito dal petto sudato.
E lei? chiedeva Luis. Come s salvata?
S salvata cos. Il giorno dopo, tornano le belve e si
portano via le monache. Las pobrecitas se van como al
martirio. Ma tornano poi, e non pregano pi, stanno
buttate in un angolo, senza pi le cuffie, i capelli corti
disordinati. E dopo poco chiamano lei, la muchacha:
Vamos dicono a pasear. Mha detto che non aveva
paura, si capisce che di sangue freddo, meglio morire
che questincubo, pensava, le altre piangevano e lei se ne
va con loro. Dice che aveva deciso: prima che sparino
strillo: Viva la falange!, almeno il fidanzato lavrebbe
saputo. E poi, sai? come nei film, allultimo momento,
arriva il console e se la porta via svenuta. stata dieci
giorni in casa di lui, delirando; sempre gridava: Viva la
falange! Viva la falange! e sputava perch sentiva in
bocca il sapore di quel bambino morto.
Donna Inez, soffocata dalla commozione, sarrest,
toss e continu: Riparte domani, il console la rimanda
in America del Nord, io le ho dato quanto ho potuto, si
dispera perch teme che le abbiano ammazzato il fidan-
zato, una bellezza, la muchacha. Poi vedendo che gli
altri non osavano pi dire parola, impietriti da quel rac-
conto, fece: Basta. Cos sta la nostra patria, ma tra po-
co... le truppe nazionali si stanno preparando, ci sar la
guerra, la guerra.
I giovani ascoltavano senza guardarsi. Se c la guer-
ra pensava Vinca, Luis parte. Pilar aveva preso il
braccio di Pepe e lo stringeva. Emanuela e Andrea era-
no spaventati come se quella tragedia dovesse travolgere
152 Letteratura italiana Einaudi
anche loro. Donna Inez seguitava a parlare facendosi
vento con un grande ventaglio sivigliano sul quale era
dipinta una piazzetta cinta di maioliche azzurre, una ca-
sa con i gerani ai balconi e la torre della Giralda che so-
vrastava, appuntata alla stecca mediana. Vinca seguiva
con gli occhi il ventaglio e la donna se ne avvide.
Che guardi, chica? La Giralda? Ay! e si premette
il ventaglio sul cuore. Chi sa se la veremos pi, la Gi-
ralda! Non c un po dacqua, Luis? Ho sete. Grazie,
hijo. Ay, la Giralda! Pilar, bevi anche tu. Dicono dun-
que che sia questione di giorni.
Mentre gli altri scrollavano la testa in un silenzio rac-
colto, Pilar disse con voce recisa:
Io voglio sposare, se Pepe parte. Non resto sola co-
s, mi muoio. E scoppi a piangere. Simbruttiva per-
dendo quella gravit degli occhi e la compostezza del vi-
so. Donna Inez strill: Hija, no me piangas per carit!
Chi dice che Pepe parte? Restano, restano tutti i ragazzi.
Che fanno loro quattro lass, contro tanti di quei barba-
ri cinici? Che fanno loro tre?
No, donna Inez Luis la interruppe, io parto.
Gli altri due lo ascoltavano tacendo, egli riprese:
Parto: al primo annuncio, me ne vado alla falange.
Chi resta? Voi potete restare?
Donna Inez sbigottita guardava il figlio, ma Ignacio
scosse la testa. Pepe insisteva: Tu vorresti che io rima-
nessi, Pilar?
Fu donna Inez a smagare la scena; disse: Ma perch
parliamo di questo? Vamos vamos, ragazzi, son discorsi
questi, si parla per parlare, nessuno parte, nessuno par-
te, Pilar, alma mia, no se mueve Pepe, no se mueve, va-
mos, vamos. E cambi discorso: Luis, non ci mostri i
progetti?
Egli prese un fascio di disegni dallo stiratore e li mo-
str. Questo il progetto che ha partecipato al con-
corso per la colonia estiva: fiasco. Siamo stranieri. Que-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
153 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sto un progetto di casa popolare. Vi abbiamo lavorato
in tre; Pepe, Ignacio e io. Niente di fatto.
Pilar ripet: Tu tambin, Pepe?
Yo tambin.
Questo il progetto di una villa, una villa razionale,
terrazzo solarium, garage nel giardino, tennis, piscina...
Ma prima di mostrare in giro il disegno, chiese per-
plesso: Si costruiranno pi, da noi, ville, piscine?
Nessuno os rispondere; erano tutti sotto il peso di un
incubo, in tutti vagava quella parola tremenda: guerra.
Infine donna Inez disse: Hijos, voi siete giovani. Avete
tempo di costruire ville, molte ville. Pero nosotros, noso-
tros... torneremo a passeggiare al Retiro, noi, i vecchi?
Andrea ed Emanuela se ne andarono dallo studio per
i primi; si sentivano mortificati come se fossero stati co-
stretti a esibire la loro fiorente salute in un tubercolosa-
rio. Vinca sarebbe tornata in collegio accompagnata da
Luis. Nelle strade del vecchio quartiere le donne ciabat-
tavano spappate dal caldo, i ragazzini uscivano dal por-
tone in camicia.
Emanuela respir sollevata: Fa bene essere fuori,
come quando si rientra in patria subito dopo aver varca-
to la sbarra di frontiera. Un passo, ma gi casa propria.
Qui non si sente pi la pena di quella parola: guerra.
S, poveracci. Che faremmo noi esiliati dalla patria?
la cosa che temerei di pi al mondo. Fare qualunque
lavoro, portar pietre sulle spalle magari, ma qui nella
terra nostra, sentire la nostra lingua... Potresti vivere
fuori dItalia, tu?
Non so, una vita nuova mi attrae sempre, il princi-
pio sarebbe duro, certo, ma poi madatterei.
Io no, mai. E mi dispiace che tu dica cos. Io sarei
come loro sono: disperato. Anzi, ti dir che ho cambiato
idea sulla piccola spagnola.
Su Vinca?
154 Letteratura italiana Einaudi
S.
Perch?
Sai? Quella volta che minacci un compagno con
lombrello, perch le aveva detto non so che cosa pas-
sando, mi parve squilibrata. Pensavo che tu, al suo po-
sto, avresti seguitato a camminare fingendo di non aver
udito.
Non so.
S, tu avresti fatto cos. Ma ci non vuol dire che lei
sia pazza e tu ragionevole. Vuol dire soltanto che lei
spagnola e tu italiana. Certe cose non vanno giudicate
secondo i caratteri e leducazione, ma secondo i paesi.
Cos quando, appena entrati, ho inteso parlare quei gio-
vani, ho pensato che si trattasse dun gruppo desaltati.
Invece poi ho capito che se ci sar la guerra saranno,
certo, i primi ad arruolarsi. Ho capito anche che Vinca
ama Luis. Lho capito quando ha trovato meravigliosi i
progetti. Mai qualche cosa solamente bella per uno
spagnolo. Deve essere bellissima, almeno. Tutta la loro
lingua fatta di superlativi.
Infatti: quando la signora parlava di me e di Vinca,
della nostra... s, insomma, della nostra bellezza, mi sono
sentita a disagio, offesa, come se ci avesse spogliate in
pubblico.
Ecco. E invece Vinca era raggiante. questione di
latitudine.
S; giusto ci che dici: Vinca ci ha raccontato per
esempio che a Crdova chi nellannata caduto in grave
peccato, segue la processione del venerd santo incap-
pucciato, scalzo, portando sulle spalle una croce.
Forse non affatto pentito, e dopo Pasqua ricomin-
cia da capo. Ma aver dato pubblica espiazione come es-
ser lavato dalla colpa. Per appunto per questo livello su-
periore dentusiasmo nel quale vivono, la Spagna bella.
Dopo un silenzio riprese: Mi piacerebbe andare a
Siviglia con te. O in montagna. Due cose diverse. Ma
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
155 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
debbo far nascere in te lamore della montagna, dovrai
abituarti. Sarebbe bello fare un viaggio di nozze, sacco
in spalla, di rifugio in rifugio. Originale, no? non si
avrebbe la faccia degli sposi novelli. Ma quale donna
avrebbe il coraggio di passare dallabito bianco, il velo,
alle scarpe chiodate e ai calzoni?
Emanuela non rispondeva ed egli riprese: Vedi?
Neppure tu sei entusiasta del programma. Potresti alme-
no dire di s per compiacermi. Un treno secondario, si va
in terza classe e, dopo, un viaggio di nozze a piedi. Sareb-
be bello al mattino aprire la finestra su quelle albe rosee
di alta montagna. No? In ogni caso hai tempo di pensar-
ci su. Be, sei arrivata, Nuela, ti lascio. Guarda di studiare
un po stasera, se no non ti porto pi a spasso; non per-
derti in chiacchiere come sempre. Sono gi le otto ed
ancora giorno. Addio, bisogna che sia puntuale. Sai? da
ieri pap mangia dietro il giornale: ha alzato le mura di
Gerico. Invece con la mamma si fanno progressi, mi ha
domandato come ti chiami e quanti anni hai: Che te ne
importa? ho risposto se non volete saperne?
Ma poi le ho detto tutto. Ciao, adesso. E studia stase-
ra quel mio disegno di viaggio in montagna...
Rientrando Emanuela davvero ripensava alle parole
di lui: il vestito bianco, il velo...; sarebbe stato difficile
evitare tutto questo. Un treno secondario, gli scarponi
ai piedi, terza classe..., Forse era meglio tacere fino al-
lora, poi nella debole luce dello scompartimento, pren-
dergli le mani: Senti, Andrea, debbo confessarti una
cosa, una cosa grave, ma tu sei un ragazzo intelligente,
un ragazzo che capisce....
*
La conferenza di Belluzzi ebbe grande successo: per
aiutarlo Silvia aveva trascurato i suoi studi, lavorando
per s soltanto la notte; andava a dormire alle quattro, si
156 Letteratura italiana Einaudi
alzava alle sei e mezzo, si rimetteva al tavolo nel puro si-
lenzio del mattino, apriva con fatica le cartelle, lancinata
da un sordo dolore nella schiena che lobbligava ogni
poco a rialzare vivamente il busto.
Alla vigilia il professore glie laveva letta, lui in piedi
dietro la scrivania, lei seduta nella poltrona: una prova
generale, con le mosse addirittura, quei brevi gesti sec-
chi, ritrosi, che egli usava quando parlava in pubblico.
Venga a sentirla e le aveva dato il biglietto dinvito.
Poi venga qui da me, a casa.
Ella and e si sedette nellultima fila. Molta gente ele-
gante in quella gran sala adorna di specchi e dorature;
sul soffitto, paffuti angioletti danzavano reggendo grevi
corone di rose.
Tra gli invitati tutti si conoscevano, Silvia si sentiva
isolata. Gente accanto a lei la scrutava dallalto al basso,
intimidendola. La signora Dora aveva preso posto in
prima fila dove cerano le poltrone dorate, ma ogni poco
si alzava per andare incontro alla gente come se fosse la
padrona di casa; indossava un abito verde, in testa un
grande cappello nero con una lunga piuma verde che
ondeggiava mollemente quando lei piegava la testa per
salutare.
Un brusio alto, un fitto cicalare; sulla pedana la pol-
trona rossa e il tavolo con la bottiglia attendevano: Silvia
sapeva che il professore sagitava ogni volta che doveva
parlare in pubblico, sempre come se fosse la prima vol-
ta, perci avrebbe voluto trovarsi con lui nella saletta
dove egli aspettava, solo, o con gente che lo infastidiva.
La signora Dora, ora riceveva due signori alti e bianchi,
vestiti di nero, che dovevano essere importanti perch la
gente si scostava lasciandoli passare e dietro di loro
commentava a bassa voce.
I due signori importanti si sedettero nelle pi vistose
poltrone, gomito sul bracciolo, mano al viso, in attesa.
Anche la signora Dora sedette e dietro di loro il pubbli-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
157 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
co, al quale ogni tanto lei rivolgeva occhiate dintesa e di
compiacimento. Piano la porticina sapr; Belluzzi ap-
parve frettoloso a capo basso, sal sulla pedana, salut
con due piccoli cenni della testa il pubblico che applau-
diva. Anche i due signori importanti batterono le mani
leggermente. E, dopo un colpo di tosse, lui cominci.
Silvia seguiva il moto nervoso della mano del profes-
sore che voltava i fogli della conferenza, la loro fatica.
Negli occhi degli uditori gi si scorgeva affermarsi il suc-
cesso; i due signori molto importanti ascoltavano, tesi.
Tra un quarto dora tutto sarebbe stato finito e Silvia tra
pochi giorni avrebbe dovuto ricominciare a correre in
biblioteca, ricercare per lui i dati per una difficile mono-
grafia.
Quando Belluzzi fin di parlare, la folla saddens di-
nanzi alla pedana, come gli studenti dopo la lezione. Sil-
via rest qualche istante in piedi nel fondo della sala,
guardandolo sorridere, ringraziare. Deve essere un bel
momento questo per lui. Chi sapeva che quella donnet-
ta nera aveva lavorato con Belluzzi? Lei soltanto, lo sa-
peva. Lentamente usc dalla sala, discese la grande sca-
lea, i valletti la guardavano sorpresi, come mai costei
venuta qui? Ma Silvia si sentiva ebbra come per un suc-
cesso suo.
Vide Belluzzi il luned seguente la conferenza perch
il giorno appresso era festa e lei rest al Grimaldi a
non fare nulla, neppure studi. Non trov il professore
in casa, sul tavolo cerano biglietti, telegrammi di con-
gratulazioni. Li lesse compiaciuta, standosene in piedi
presso la finestra. Lestate non entrava nella casa del
professore, la stagione sannunciava solo con le fodere
bianche che vestivano le sedie. Quando egli giunse le
mosse incontro a mani tese.
Sa che sabato tornai subito a casa, per lei? Non
venuta alla conferenza e allora potrei anche dirle che
andata male, vero?
158 Letteratura italiana Einaudi
No, professore, non potrebbe, perch cero, ho se-
guito tutto col batticuore e me ne sono andata, felice del
suo successo.
Cera e non venuta a salutarmi?...
Tanta gente, professore...
Ma lei non tanta gente, cara Custo. Mi trover
molto male quando lei avr preso la laurea e se ne andr.
Io rester, professore.
Non possibile, lei deve farsi la sua strada, no? Che
cosa potrebbe offrirle il rimanere con me? Perdere qual-
che anno, nulla di pi. E nella vita non ci sono mai anni
da perdere.
C tempo per pensarci, professore.
S, c tempo. Dopo una breve pausa seguit guar-
dando il cielo arrivata dimprovviso lestate, questan-
no. Me ne sono accorto oggi, accompagnando Dora alla
stazione. Tacque, poi aggiunse: partita.
Oh! mi dispiace.
S. E io pure partir tra breve.
Anche lei, con la signora, ad Abbazia?
Oh, no! una mia casetta in campagna, nel Veneto;
vecchia e malandata. Era la casa di mio padre; e io mi ri-
trovo bene l, ogni anno. Direi quasi che mi sento ringio-
vanire; forse perch vi ho abitato da ragazzo. Sono le co-
se intorno a noi che fanno let, vero, Custo? E poi ci
vuole un poco di respiro prima di riprendere lanno.
E la signora verr a raggiungerla, naturalmente.
Oh, no, no. Ci venne un anno per farmi piacere. Ma
sannoi tanto, povera Dora, quasi ne fece una malattia.
Sorrideva al ricordo. Come potrei pensare di sacrifi-
carla cos? Sa, Dora molto diversa da noi, un altro ca-
rattere, a lei piace la gente, il movimento, le cose inutili;
cos piena di vita, Dora, cos donna; donna proprio...
proprio donna, ecco. Che si pu dire di pi? Accanto a
lei io non posso parlare del mio lavoro e ci mi riposa.
Noi che pensiamo, studiamo sempre, dobbiamo avere
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
159 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
accanto a noi una persona che non pensi affatto, se no
soffocheremmo. Per me quando ritrovo Dora a pranzo,
la sera, come se prendessi una boccata daria fresca.
Quella sua meravigliosa ignoranza di cose che per noi
sono vitali, mi dimostra che ogni arte essenziale solo
per chi la fa.
Non so, professore, forse.
Lei ancora molto giovane, se ne accorger anche
lei.
Il professore aveva detto: Donna proprio... proprio
donna, ecco. E Silvia non capiva ancora se questo vo-
lesse essere una lode o un benevolo compatimento. Da
qualche giorno la signora Dora non telefonava pi, si
chiudeva in camera sua a scrivere, sul delicato scrittoio
maggiolino, lunghissime lettere che chiudeva in buste
allungate, violette. Scriveva ad Abbazia ed oggi era par-
tita. Donna, proprio donna, ecco.
Quando Silvia era bambina amava giocare a correre
con i maschietti della sua et, mentre le sorelle intreccia-
vano ghirlande, ricamavano, ascoltavano le favole accan-
to al camino. Ella, tuttal pi, cuciva fronzoli alla sella
del muletto; se intanto le serve narravano si fermava ad
ascoltare, quando erano storie di banditi pregava:
Continua.
Al mattino, indossati i calzoni del fratello maggiore,
andava a cavallo lungo il canale; poi, legato il cavallo, si
stendeva sul prato a leggere o a pensare.
A tredici anni chiese alla madre dimprovviso: Dite-
mi, mamma, sono proprio brutta, vero?
Chi ti dice questo?
Lo hanno detto certe ragazze che giocano con le so-
relle. Ridevano, anche le sorelle ridevano e insistevano:
Non lavete vista con i calzoni del nostro fratello? un
maschio anche lei.
Perch di ascolto alle chiacchiere, Silvia?
E allora, ditemi voi: sono proprio brutta, vero?
160 Letteratura italiana Einaudi
La madre le carezz i capelli e disse: Nessuna crea-
tura brutta che nasce nel segno di Dio.
Poi la mandarono in citt: le sorelle restarono nella
grande cucina ad aspettare il marito. Immacolata era gi
promessa.
Hanno fatto bene, non sarei stata una buona moglie.
Non saprei vivere aspettando che una porta si apra e il
marito venga a parlarmi di cose che non minteressano,
che forse non interessano neppure lui. Non sono una
boccata daria fresca. Potrei sposare soltanto il bandito
che portasse sulla sella anche me. Ma pure in quel caso
credo che preferirei avere il mio cavallo e galoppargli
accanto.
Ritrov le compagne dopo la preghiera; la cappella
era fresca, satura di odore di giglio. Ai primi caldi
dellestate la Madre superiora in cappella si lasciava co-
gliere dal sonno. Augusta che riceveva le confidenze di
suor Lorenza, disse che si parlava di rimandarla a Geno-
va, alla casa madre, dove stavano tutte le monache vec-
chie aspettando di morire.
Che far chiese Valentina nella casa di riposo?
Quello che fa qui, niente. Stanno sulla terrazza al
sole, pregano, hanno una cura gelosa del proprio stoma-
co, del proprio intestino.
Tutte vecchie cos?
Tutte disse Augusta.
Devessere terribile esclam Emanuela vedere
scomparire una delle compagne, il posto accanto al pro-
prio, qui la compagnia di noi giovani doveva darle un
senso di sicurezza nella salute.
Non tanto replic Silvia; forse invece la nostra
giovent le dava coscienza della sua vecchiaia. L sono
tutte uguali, tutte inoperose. Quando qualcuna muore,
le altre hanno lavida gioia di sentirsi ancora vive, di resi-
stere, simile al brivido che ci d il pericolo che ci ha evi-
tato sfiorandoci.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
161 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Adesso qualche volta, dopo la preghiera, le ragazze
uscivano a discorrere nel cortiletto. Sul cielo ancora
chiaro neppure si vedevano le stelle che pi tardi inva-
devano la notte. Nella camera che era stata di Milly
adesso abitava una ragazza che suonava il violoncello;
cera la luce accesa e sudivano da lass cadere le note
strascicate di una barcarola di Offenbach; le ragazze sta-
vano bevendo la notte e la musica, quando Vinca, che
era salita a prendere il giornale, ridiscese con il cappello
in testa, pallida, stravolta; mostr alle amiche il giornale
che aveva in mano; diceva che la Spagna era in guerra.
Voglio uscire esclamava smaniando, esco, vado
da Luis, anche lui avr letto i giornali.
Oh, Vinca, tardi ormai.
Che mimporta? Esco, dormir da donna Inez,
mha detto che quando voglio posso andare a casa sua,
con Pilar. Che mimporta di dormire? Debbo uscire.
Precipitosamente corse nellingresso e si trov davan-
ti alla suora portiera che gi spegneva la luce: Suora,
mi lasci uscire!
Uscire a questora? Sei pazza?
Debbo uscire. C la guerra da noi, capisce? Non
posso stare qua dentro, lei deve aprirmi subito.
Di notte? ora sono quasi le dieci. Non possibile,
Vinca; uscirai domattina.
E chi potrebbe dormire? Mi apra, suora, le dico.
Picchiava rabbiosamente alla porta. La vecchia suora
aveva suonato la campanella e suor Lorenza era accorsa.
Vinca, che hai?
Debbo uscire, bisogna che esca, capisce? Da noi c
la guerra, bisogna che anchio vada con gli altri, dopo la
notizia si saranno riuniti.
Quali altri?
Gli altri tutti, perch mi guarda cos? S, anche Luis,
perch mi fa quella faccia? Che, non lo ha sempre sapu-
to di Luis?
162 Letteratura italiana Einaudi
Ora gridava: Insomma, mi lasci uscire, ho detto!
Suor Lorenza cercava di calmarla: Non vuoi telefo-
nare, piuttosto? Vieni, uscirai domattina.
Ma Vinca seguitava a bussare con i pugni sulla porta:
Mi apra, suora, mi apra, abbia piet. E se partono?
Ha detto che al primo annuncio raggiunge la falange.
Che diritto ha lei di tenermi chiusa qui dentro, suor Lo-
renza?
Anna ed Emanuela intanto la convincevano a risalire,
e quella insisteva:
No, Emanuela, no, proprio tu non devi farmi cos.
E se partono? Se parte, che faccio io, d, Emanuela?
La trascinarono in camera che gridava, smaniava: La
guerra, proprio la guerra. E io chiusa qui dentro, sepolta
viva. Lho sempre detto che mi sentivo prigioniera. E se
Luis parte?
Ma non possibile, pensaci, che parta cos allim-
provviso!
Tutto possibile per lui. Mi lascia un biglietto, sai
come fa? C la guerra, capite? Parte per la guerra.
Deve partire per forza?
Come potrebbe restare? Parte, ha ragione. Prima
era la rivoluzione nelle Asturie, lontano da casa nostra,
ma adesso si battono dove abbiamo sempre vissuto. Par-
te e non lo vedo pi! Dite: e se me lammazzano?
Singhiozzava e le altre sammutolivano, sentivano che
la guerra era una catastrofe solamente sua, per la prima
volta saccorgevano che Vinca era una straniera; la rovi-
na del suo paese non le toccava. Come se fosse malata la
spogliarono, la misero a letto, suor Prudenzina port
unaltra candela, una tazza di camomilla. Quando la vi-
de, Vinca le grid avventandosi: Potevate lasciarmi
uscire piuttosto! E poi, volta alle compagne: Non vi
sentite tutte prigioniere? Si soffoca qua dentro, si soffo-
ca, tra queste vecchie zitelle consacrate nel loro egoi-
smo!
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
163 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Il suo singhiozzare si smorz in un pianto lungo, taci-
turno. Accanto a lei le compagne parlavano piano, Silvia
leggeva larticolo del giornale. Brutta faccenda! pen-
sava storcendo la bocca. Poi uscirono caute. Ma uden-
dole andarsene Vinca apr gli occhi sgomenta, sag-
grapp alle mani di Emanuela, chiese con un filo di
voce: Dimmi, vero che hanno inventato certi gas che
fanno diventare ciechi?
Luis part dopo una settimana. Regal a Vinca una
carta geografica della Spagna e le bandierine nazionali
per seguire lavanzata. Anche Pepe partiva, e Ignacio.
Altri due che davano la laurea in ottobre li avrebbero
raggiunti subito dopo. Per Luis diceva: Per
quellepoca siamo gi di ritorno, che vi pare? Verremo
perch ci paghiate da bere il giorno della laurea. Non ve
la cavate cos! Adesso che andiamo noi, la guerra si vin-
ce in una settimana.
Scherzavano, anche Vinca tentava di scherzare, per
ogni momento chiedeva a Luis: Mi scriverai? sempre
mi scriverai? Li lasci a me i progetti? E poich lui ave-
va gettato via le vecchie pantofole, ella raccolse anche
quelle per conservarle.
Vinca sarebbe andata ad abitare con donna Inez. S,
vieni, cara, le aveva detto: Cos non mi rimane sola la
mia Pilar. Tutti insieme, tutti insieme. Non si pu resta-
re tra estranei, che non capiscono quello che noi stiamo
passando. Era ricca donna Inez; per nella sua casa di
campagna, a Ozuna, i rossi avevano fatto una specie di
quartier generale.
Quelle belve in casa mia! L c il ritratto del re con i
figlioli, firmato: Alfonso XIII. Dove star tutto questo? E
la Virgen de Guadalupe che stava sopra il letto dei ragazzi?
Vinca, esaltata dal cambiamento, neppure si doleva di
lasciare le amiche. Suor Lorenza aveva trovato per lei al-
cune lezioni di spagnolo, e lei, riconoscente, le aveva ba-
164 Letteratura italiana Einaudi
ciato le mani. Di studiare ormai non parlava pi. Il pa-
dre sera rifugiato con la moglie in Portogallo, e da l
aveva telegrafato alle suore che consentiva a Vinca di
andare ad abitare da donna Inez. Due giorni prima di
abbandonare il collegio, Vinca girava gi per le stanze
salutando le compagne: Non mi sembra di lasciarvi
poich rimango a Roma diceva, ci vedremo sempre,
ogni giorno. Chi sa che dopo lestate non ritorni in colle-
gio?... Distratta da tanti avvenimenti, neppure pi si
preoccupava della partenza di Luis. Era come un incu-
bo svanito; saccorse che egli partiva veramente il giorno
in cui entrando nello studio lo trov che preparava le
valige. Era solo, Pepe aveva condotto via Pilar che non
aveva potuto reggere ai preparativi della partenza.
Gi? chiese, e impallid.
Domani sera partiamo. Alla frontiera sapremo la
destinazione.
Se ne andava veramente. Nel giornale di ieri Vinca
aveva letto: centodiciannove morti in uno scontro. Mol-
to lontana la Spagna, almeno tre giorni per avere una
lettera.
Scriverai, amor mio?
S, quando potr.
Quando potr... Forse un giorno non avrebbe potu-
to, la guerra, al fronte si va per combattere. Niente po-
sta, oggi. Forse neppure Pilar avrebbe ricevuto notizie
di Pepe, n donna Inez del figliolo, dIgnacio. Il giornale
avrebbe recato notizie tremende; duemila morti. E nien-
te posta oggi. Per le strade la vita sarebbe continuata pa-
cifica anche se non arrivava posta di Luis.
Ascolta, Luis.
Dimmi.
Io ti amo.
Era la prima volta che glie lo diceva. Il giovane smise
di piegare le cravatte, la guard, e vedendola cos tre-
mante, le si avvicin, la strinse a s. Nelle braccia di lui
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
165 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Vinca scoppi in pianto. Egli le batteva piccoli colpi af-
fettuosi sulle spalle, lei sentiva che erano mani diverse
da quelle mani del cinematografo. Domani a questora
non sarebbe stato pi qui.
Luis: porti con te la mia fotografia?
Certo, quella che ti feci al Gianicolo quel giorno che
poi si litig.
Che altro posso darti?... Tieni. Questa la mia pen-
na stilografica. quella con la quale prendevo appunti
in facolt. Non mi serve pi. Portala via. Se no, come fa-
rai per scrivermi dal fronte? Ricordi bene lindirizzo di
donna Inez?
S, certo.
Con dolcezza egli laccarezzava per calmarla. Il sole
ultimo calava sulla vetrata e laccendeva come quel gior-
no che Luis chiese a Vinca: Vuoi salire? Adesso Luis
partiva per la guerra.
Luis...
Vinca...
Ricordi quel giorno, quando venimmo a vedere lo
studio dalla strada?
Quando?
La prima volta. E io non volli salire. Si stringeva a
lui, gli carezzava il collo, i capelli.
S, mi ricordo.
Vinca lo baciava sul collo, gli soffiava le parole sulla
gola: Senti... diceva. E aveva una nuova voce, adesso,
pi ferma. Tu parti, Luis, vero? Tu parti? lo fissava
con occhi disperati. Vuoi? vuoi?
Egli esit dapprima: Che cosa, Vinca? finch, ve-
dendola cos tremante, il viso molle di pianto, cap.
Scosse la testa, lattrasse di nuovo a s, le prese le mani.
No, Vinca, no.
Voglio io. Perch non vuoi?
No disse scrollando la testa: Era altra cosa, allo-
ra, adesso si parte, c la guerra.
166 Letteratura italiana Einaudi
Perch non vuoi? Ti amo, non senti quanto ti amo,
Luis?
S, lo so egli fece seriamente ma adesso c la
guerra. Torner, sai? o tu verrai laggi, tutti torneremo
al paese. Non ti ricordi i discorsi che facevamo dellAn-
dalusa? Tu maspetti, io ritorno.
Il sole aveva abbandonato la vetrata, lo stanzone nu-
do sera fatto grigio, pieno dangoli dombra. Vinca, av-
vinghiata al collo di Luis, singhiozzava:
No me dejes, Luis! Non mi lasciare!
*
Dino glie lo ripeteva spesso: -Vedrai, a San Remo, che
albergo! Io, sai? quando viaggio sono abituato a viaggia-
re bene. E mi piacciono le donne a posto.
Cos aveva fatto accettare a Xenia due vestiti, molte
paia di calze.
Partirono il pomeriggio di un sabato. La sera prima
avevano cenato con Vandina e, dopo, anche Horsch era
venuto. Gli uomini serano messi a parlare daffari e le
ragazze ne avevano approfittato per farsi confidenze:
Vedi, Xenia, sono felice della tua fortuna.
Fortuna?
S, questo che ti cpita, il viaggio, i vestiti e poi, ve-
drai, non finir qui. Non sarai mica innamorata di Dino?
No, ma... mi piace, ecco.
Meglio. Proprio quello che ci vuole. Hai visto che fa
certe volte il destino?... Tu vai a presentarti per lavorare,
incontri unaltra, una poveraccia come te che cerca lavo-
ro, si fanno due chiacchiere, si diventa amiche e poi...
una cosa tira laltra. Vedi come sono io? Lho capito su-
bito che eri un tipo fine e saresti piaciuta. Unaltra, al
posto mio... magari tavrebbe lasciata a sbrigartela da
sola. Io invece sono contenta quando vedo le persone
felici. A San Remo andate? Metti un luigi per me sul
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
167 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
ventidue. il mio numero. Tutto maccade il ventidue.
Sono nata il ventidue aprile, poi un altro ventidue... s,
insomma, mi capisci, voglio dire che se morivo il giorno
dopo quel ventidue, non sarei pi potuta salire in para-
diso a cantare nel coro degli angeli... E un ventidue ho
incontrato il mio amichetto, quando avevo ventidue an-
ni. Che te ne pare? Aspetta, aspetta, un ventidue ebbi
un piccolo incidente dauto che mi ha fruttato quattro-
cento lire dallassicurazione, per un taglio al piede e poi
il dottore fu molto carino, e neppure mi fece pagare.
Horsch tacque in principio; pi tardi Dino disse a
Xenia che lamico aveva i nervi per certa sua bega.
Sempre sul filo del rasoio, lui. E quando credi che se ne
vada sotto, allora che meglio si regge in equilibrio.
Si rianim dopo due o tre whisky e anzi bevve alla
fortuna del loro viaggio. Tutti sapevano che partivano
insieme e questo metteva Xenia a disagio. Aveva scritto
a casa che partiva, per lufficio naturalmente, cos avreb-
be potuto mandare qualche cartolina e limpiegata della
posta lavrebbe raccontato allintero paese.
Giunsero a San Remo per lora del pranzo. Avida du-
rante tutto il percorso Xenia aveva guardato di qua e di
l senza parlare, per non distrarsi: solo talvolta si rivol-
geva verso il suo compagno, gli prendeva le mani, gli di-
ceva: Grazie, oh, grazie e poi di nuovo tornava ad
ammirare avidamente il paesaggio, lasciandosi scorrere
le immagini veloci negli occhi. Non poteva impedirsi di
pensare: Io arrivo sempre dove voglio.
Correvano lungo la costa, uscivano entravano in gal-
lerie. Una svolta ed era un paesino ordinato, le casette
rosse con le false finestre dipinte sul muro; altra svolta e
si trovavano soli tra le rocce; altra svolta: gi gi dal
monte scendevano terrazze digradanti di ulivo e di fiori.
E sotto il morbido sventolo della mimosa, i gerani e le
cappuccine scaturivano dalle rocce, color di porpora e
doro come i drappi dei giorni di festa.
168 Letteratura italiana Einaudi
Ma egli non era entusiasta di tante esclamazioni. Par-
lava della macchina: Hai visto: cento di media, e il
consumo? sette chilometri, quanto una vetturetta utilita-
ria, quasi.
Allalbergo Dino entr da padrone: ebbero due ca-
mere vicine e un bagno tutto bianco e lucido. molto
gentile Dino Xenia si disse giungendo le mani per la
gioia. E stup pensando: Due camere. Forse un viaggio
da amici, cos si usa, adesso.
Cenarono nella sala da pranzo dellalbergo, alquanto
vecchia, dove suonavano musiche classiche per violino.
Bevi egli la spingeva. E Xenia godeva nel pensare
che quella macchina alla quale scriveva per ore, fino ad
avere, alla spalla, un dolore trafiggente come uno spillo
infocato nella carne, quella macchina che le spezzava le
unghie era lontana, a Milano: e lei a San Remo. Aveva
ragione Dino: proprio un vecchio gufo quel direttore.
Ora gli avrebbe chiesto se si poteva ritardare ad entrare
in quellaltro ufficio della cementazione, le avrebbe gio-
vato molto un mesetto di riposo.
Presero il caff, quasi senza scambiarsi parola, poi egli
gett via il tovagliolo e uscirono nella limpidissima notte.
Tanti anni che Xenia non vedeva il mare! Quando vi era
andata per lultima volta aveva forse dodici anni; una gi-
ta di un giorno; un torbido viaggio nel treno arroventato,
nelle stazioni lafa prendeva alla gola; ma, giunta sulla
spiaggia, il vento le rec un fresco odore di scoglio che
disciolse in lei ogni stanchezza. Era un mare piatto e lu-
cido: certe virgole scure che si vedevano allorizzonte
erano le paranze. Il sole ultimo faceva allargare, sul
piombo violaceo dellacqua, chiazze di luce sanguigna.
Xenia avrebbe voluto vedere il sole coricarsi, il mare
spegnersi, ma i genitori la trascinavano, pap volle entra-
re subito in una trattoria, rinomata per il pesce fritto.
Andiamo a vedere il mare?
Il mare?... Oh, Xenia, non lo vedi di qui, il mare?
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
169 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
C bisogno di camminare fin l? Andiamo piuttosto a
giocare qualche luigi al Casino.
Il Casino: una specie di grande ufficio, i tavoli gremiti
di gente sotto il paralume verde. Tutti stavano zitti:
sudiva solo, di tratto in tratto, il saltellare della pallina
nella roulette, la voce del croupier. I giocatori perdeva-
no, vincevano, impassibili. Al sopraggiungere di Xenia e
Dino, al rumore dei loro passi, quelli che erano seduti
attorno al tavolo levarono verso di loro sguardi astiosi.
Molto difficile? ella chiese a Dino.
Semplicissimo. Metti uno di questi gettoni sopra un
numero. Vediamo, che numero?
Il ventidue, perch Vandina...
Ecco, ventidue. Adesso aspetta. Dopo un momen-
to esclam: Hai perduto.
Rimasero tre ore l dentro. Xenia era stanchissima;
quasi sempre era stata in piedi vicino a Dino, il quale,
divenuto di pessimo umore, aveva cambiato posto due
volte. Quando, finalmente, incass un grosso colpo,
neppure si volse verso di lei, soltanto arross. Adesso el-
la avrebbe voluto dire: Andiamo a vedere il mare? Ma
pensava che egli non avrebbe voluto e poi era stanca,
aveva sonno, era ansiosa di giungere in albergo, di cono-
scere che cosa lattendeva.
Egli si alz, si diresse al banco per cambiare i gettoni.
Intasc parecchi biglietti di mille, poi la prese per il
braccio e la spinse al bar.
Hai vinto, o hai perduto? Xenia gli chiese.
Non hai visto? ho vinto. Mero ridotto allultimo
gettone. Ma io lo so. quando sono proprio gi che mi
rifaccio: tutt nel saper cogliere il momento buono,
sempre cos anche nella vita. Ho vinto cinquemila lire.
Poi tolto un biglietto dalla tasca, in presenza di tutti le
disse: Tieni, questo per te.
Per me?
Ti spetta, perch mhai portato fortuna.
170 Letteratura italiana Einaudi
Ma non ho fatto nulla!
Insomma, prendilo ti dico!
Ella guard attorno un attimo, poi accett, fece scivo-
lare il denaro nella borsetta e rise. Aveva una gran voglia
di ridere, di essere allegra, di stringersi a Dino. Bevvero
e dopo uscirono; egli camminava con le mani in tasca,
fumando, e raccontava di una famosa sera a Montecarlo,
nella quale, se avesse avuto pi coraggio, avrebbe vinto
somme favolose.
il coraggio che sempre bisogna avere. Quale credi
che sia il segreto di Raimondo Horsch? Il coraggio.
Ella pensava alla fuga di collegio, allanello di Ema-
nuela. Coraggio, aveva avuto. E adesso si trovava a San
Remo a passeggiare con mille lire nella borsetta. In fon-
do il coraggio fatto di gesti semplicissimi. La fuga non
era stata altro che uscire e non pi rientrare in collegio.
Ti guarda Horsch, eh? lho capito che gli piaci.
un uomo simpatico.
Ssss... e poi lui ha sempre il coltello dalla parte del
manico. Sai che tiene la moglie e la figlia a Menaggio in
una casa modestissima, facendo credere loro che lui, a
Milano, si arrabatta per guadagnare? Un uomo di venti
milioni! ...
Salivano verso lalbergo, fiaccamente. Dino neppure
le si avvicinava e lei si stringeva nelle spalle perch era
fresco. Hai freddo? sbito egli le chiese affettuosa-
mente. Ella disse di no; intanto pensava: Che razza
duomo ? Insomma come se fossimo in viaggio di
nozze e ancora non mi ha dato un bacio. Forse quel
giorno in automobile ha scherzato. Scherza sempre Di-
no! Adesso lui andava raccontando di altri paesi che
aveva veduto, gi non sembrava pi entusiasta di que-
sto, pareva volerle guastare la gioia. La strada saliva, ri-
pida salita, tra due alti muri, ville ricche, con viali di
ghiaia illividiti dalla luna, odore polveroso di gerani,
odore zuccherato di glicini.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
171 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Bello essere a San Remo. Un anno fa ero in collegio;
piangevo sulle mani di Silvia. Silvia, come? ... ah ! Silvia
Custo.
Oh! fermiamoci un momento, Dino, il mare!
Cos a una svolta, dimprovviso sotto di loro si stese il
mare. Tutti i lumi erano spenti fuorch la luna, il paese
digradava dolcemente verso la riva. Xenia guardava,
pensava: Certo adesso mi bacia. Invece, tirandola pel
braccio, lui riprendeva a camminare.
Cos giunsero fino alle loro stanze. Egli la salut sulla
porta. Fai le cose con calma le disse: Io faccio sem-
pre la doccia la sera. E ordiner che portino su una mez-
za di sciampagna perch ho fumato troppo. Vieni a ber-
ne un sorso anche tu.
Entrata nella camera Xenia rimase pensierosa: era ve-
ramente per prendere un bicchiere di spumante che lave-
va invitata? Una situazione indefinibile. Che faceva Dino,
dove voleva arrivare? I loro amici parlando di lei diceva-
no: Xenia, lamica di Dino. Amica, in quel caso, aveva
un suo preciso significato. Niente affatto amica. Neppure
Vandina credeva che la situazione fosse veramente tale.
Sar... diceva e si capiva che restava della sua opinione,
anzi dispiaciuta dalla mancanza di confidenza da parte
dellamica. Certe sere, pensando a Dino, Xenia non pote-
va dormire. E poi concludeva cos: Non gli piaccio.
Ora, di l, Dino stava facendo la doccia. Tra poco va-
do da lui e divento la sua amante, sono una ragazza fini-
ta. Aveva indossato la camicia da notte, era andata di-
nanzi allo specchio. Una bella camicia di seta col
merletto: valeva la pena di diventare lamante di un uo-
mo anche solamente per farsi vedere con quella camicia.
come una camicia da sposa, ma quella bianca e sa-
rebbe stato di cattivo gusto mettere una camicia bianca.
Eppure bianco vuol dire purezza: io sono pura. Ma pu-
ra davvero la donna che va a prendersi un amante? O
impura anche se intatta? S, forse cos, certamente
172 Letteratura italiana Einaudi
cos. Io gi sto sullaltra sponda: questa la notte di noz-
ze. Epper disdegnava quel suo segreto agire, avrebbe
desiderato essere partita sotto quel sorridente e misterio-
so compiacimento che avvolge la cerimonia nuziale. Di-
no lavrebbe trattata cos se fosse stata sua moglie? Non
le avrebbe certo offerto il denaro a quel modo.
Si mosse, infil la vestaglia, torn allo specchio. Un po
troppo lunga questa vestaglia. Bisognava andare ormai,
bussare alla porta di lui con naturalezza. Eppure non riu-
sciva a vincere unemozione che la prendeva come un ma-
lessere fisico, un leggero bruciore sulla pelle, unarsura in
gola. Forse non avrebbe trovato la forza di arrivare fino
alla porta di Dino, poteva andarsene se voleva, senza nep-
pure salutarlo, fare in fretta la valigia e via, partire, aveva
le mille lire nella borsetta, ma si era licenziata dalla X and
X, non sapeva neppure dove fosse precisamente la societ
di cementazioni alla quale doveva lavorare. Mille lire fini-
scono presto. Avrebbe dovuto tornare alla vita del paese.
Alle dodici la colazione, alle otto la cena, due chiacchiere
e a letto, pettegolezzi, miseria, mamm soffre ai reni, pap
si lamenta per le tasse. Puzza quella maledetta pipa di
pap, solo al ricordo Xenia ne ha le nari piene. Noiosi i
genitori vecchi; se ai legami affettivi che il tempo logora,
non subentrasse il senso del dovere, che rapporti ci sareb-
bero ancora tra la vita nostra e la loro? Chi li scegliereb-
be, cos diversi da noi? Neppure per amici li vorremmo.
Libert. Bella cosa la libert. Tutto il resto unubbia
dei tempi andati; cercava di convincersi che, di questepo-
ca, la famiglia, il matrimonio, ormai non avessero pi
grande importanza; tentava di riderne perfino. Forse la
verit che tutti si mascherano dipocrisia, pochi hanno il
coraggio di confessare quello che pensano, di passare so-
pra le tradizioni. Mi va un amante, s, me lo piglio.
E invece dentro le nasceva il desiderio di una borghese
passeggiata domenicale, accanto al marito, il figlio per la
mano. Chi sposerebbe una ragazza come lei? Dalla sua
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
173 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
amarezza riaffiorava il ricordo di certi discorsi che Vandi-
na faceva con ironia: Mi fanno ridere queste ragazze per
bene. Sanno fare le cose quelle l, pap e mamm pensano
alla vita, mangiare, bere, lautomobile, non sanno che co-
sa voglia dire guadagnarsi da vivere. Vanno a ballare,
lestate al mare, linverno a sciare, sole per le montagne
con gli uomini, tanto loro sono ragazze per bene e trova-
no il marito perch ci sono i soldi di pap. Uno strascico
bianco di qui a l, si fanno lamante dopo, quando a farse-
lo neppure ci vuole un po di coraggio, perch il marito,
anche se lo sa, siccome non vuol perdere i soldi, si sta zit-
to. Puah! Xenia preferisce giocare la sua vita cos.
Spense la luce, usc nel corridoio dove una debole lu-
ce batteva sulle lucide porte bianche. Al suo bussare Di-
no rispose: avanti e Xenia entr.
Il giovane indossava una vestaglia a fasce azzurre, fru-
sciante come un indumento femminile, azzurro il pigia-
ma, un fazzoletto azzurro al collo. Xenia pens che do-
veva stare scomodissimo combinato cos; e tuttavia le
parve molto elegante. Egli stava disponendo le spazzole
sul com, i pettini, lo specchio, la lima delle unghie, nel-
lo stesso ordine nel quale si trovavano nella valigetta.
Siediti, siediti, Xenia, adesso apro la bottiglia, un
minuto solo, sai? Io sono molto ordinato, maniaco addi-
rittura. Pensavo aggiunse con tono di rammarico che
potevo arrischiare qualche altro colpettino al Casino.
Xenia, senza rispondere, guardava le mani di lui muo-
versi sul marmo del cassettone, lo guardava andare e ve-
nire tra il bagno e la camera. Poi egli si mise a piegare i
calzoni, ne toglieva di tasca i denari, li metteva sul co-
modino, in ordine, tutto largento in una pila, quindi
stendeva i calzoni delicatamente sulla sedia: Non po-
trei dormire, io diceva, se ogni sera non facessi cos,
anche se torno a casa alle quattro debbo vedere tutto in
ordine attorno a me.
La ragazza considerava: Sto in camera di Dino, vedo
174 Letteratura italiana Einaudi
che piega i calzoni, che posa la camicia tutta aperta sullo
schienale della seggiola, che mette le scarpe fuori della
porta, e ancora non mi ha dato un bacio.
Dino... chiam.
Eccomi, ho fatto. Ci voleva adesso questa mezza
qui, no? Ho fumato troppo. E toss seccamente. Tolse
la bottiglia dal ghiaccio, la stur. Hai laria triste, sta-
sera. Vieni qui, bevi, ti fa bene. Insieme bevvero, poi
sbito la ragazza esasperata:
Dino... fece ancora e gli gett le braccia al collo.
Allora egli la baci sulla bocca, le sollev il viso per il
mento e disse con un sorriso: Hai visto? sapevo che lo
spumante ti avrebbe fatto bene. Di nuovo la baci e
intanto con mani leggere le andava togliendo la vesta-
glia. Proprio candida questa camicia. E la spinse ver-
so il letto, la coric. Xenia tremava per un improvviso
freddo interno. Anchegli si tolse la vestaglia, la sciarpa,
si stese accanto a lei. Xenia batteva i denti pi forte:
Freddo? Dino le chiese, ella annu senza guardarlo e
intanto luomo lattirava a s per riscaldarla. Lei si
calm, apr gli occhi, lo preg: Spegni quella lampada.
Come vuoi egli acconsent dopo un attimo.
E fu buio. Un buio colmo, greve di respiro, Xenia non
vedeva pi il volto delluomo, ma ne sentiva il fiato qua e
l attorno a lei. Mani che venivano dallombra, mani sen-
za padrone e un gran caldo nelle vene, un caldo che le fa-
ceva scottare gli orecchi, le tempie. Adesso se ne avesse
avuto la forza avrebbe chiesto: Accendi il lume di nuo-
vo, voglio vederti. Era Dino quel corpo accanto al suo
corpo, odoroso di seta nuova? Sue quelle sconosciute
mani? E non pareva pi la sua, quella voce che, poco do-
po, esclam: Che magnifici seni hai, bambina mia!
Si svegli presto nel primo mattino perch dalle persia-
ne aperte laurora saffacciava nella camera; la testa indo-
lorita, la bocca amara, gli occhi stanchissimi come quan-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
175 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
do rincasava tardi, a Milano, e aveva poco tempo per dor-
mire. Chi sa che ora ?: lalbergo era silenzioso, nel ba-
gno una goccia cadeva ad intervalli. questa goccia che
mi ha svegliata. Poi sobbalz al ricordo della notte tra-
scorsa e sent, senza volgersi, luomo che dormiva dietro
le sue spalle. Dino dormiva sulla schiena, la bocca semia-
perta, le nari lucide come se sudasse. Rest attenta a guar-
darlo, curiosa del suo sonno. Avrebbe voluto chiamarlo
dolcemente, scuoterlo, dirgli: Dino... sono qui ma te-
mette invece il suo risveglio, e pi che per pudore di que-
sta loro intimit per quel disordine delle lenzuola e della
camera: la bottiglia aperta, la vestaglia per terra, tutto ri-
chiamava le immagini della sera precedente. Fissava il
giovane e poi ne distoglieva lo sguardo quasi temendo
che egli, svegliandosi improvvisamente, dovesse rimpro-
verarla di quellindiscrezione. Cautamente, mise le gambe
gi dal letto, si lev, and ad aprire la finestra.
Bianco il mare, respirava appena; solo qualche onda
passava lenta sotto la superficie come una vena sotto la
pelle di una mano. Il paese taceva, veniva dalla riva qual-
che voce marina, richiami; le case avevano le finestre
chiuse, la strada era fredda, deserta. Soltanto la fanciulla
era desta in quel sonno degli uomini e delle cose: un son-
no lieve, prossimo al risveglio. Dormivano pure le foglie
delle grandi palme. Finch, piano, chi sa dove, un petti-
rosso dapprima timido, infreddolito, cominci a cantare.
E fu lannuncio del mattino. Poco dopo una donna apr le
imposte di una casa, sbadigli e guard il cielo facendosi
schermo agli occhi assonnati con la mano. Xenia allora si
ritrasse; quel biancore del mare e quella cristallina tersit
del mattino le avevano messo freddo sulla pelle. Torn a
coricarsi e il tepore la ripos. Dormir ancora pens. E
invece chiudendo gli occhi rivide chi sa perch adesso
penso questo il gesto compassato che aveva suor Loren-
za nel versare il caffellatte nelle tazze al mattino e sent di
nuovo linvogliante odore di pane fresco che si diffondeva
176 Letteratura italiana Einaudi
nel refettorio. Mander una cartolina a Emanuela. Ma
no, meglio no, che sanno loro? neppure capiscono che
vuol dire essere a San Remo. Che direbbero sapendo che
sono lamante di Dino? Qui il suo pensiero sarrest.
Lamante di Dino. Anche questo era vissuto, compiuto;
pi facile della fuga dal collegio, una cosa naturale; gliene
restava una grande stanchezza nelle membra, ma si senti-
va monda, senza vergogna. Poich tutto era stato nel buio
della notte, al buio serano addormentati, non si erano
guardati in viso, dopo. Dieci giorni insieme, dieci notti
cos. Ma poi allufficio non ci ritorno. Oh, no, proprio no.
Dino non vorr adesso, tutto mutato adesso. Come
cambia nella vita il valore delle cose, a seconda del mon-
do nel quale si vive. Se ora mi dicessero che la laurea
qui, pronta, sul comodino, neanche alzerei la mano per
prenderla: ora ho sonno, dormo.
Il primo giorno Dino la condusse per le vie di San Re-
mo, in giro con lautomobile per i paesi vicini, il secon-
do cominci a dire che trovava San Remo meno diver-
tente degli altri anni, il terzo desider di trovare qualche
amico e il quarto, per fortuna, ne trov. Strani amici,
che vivevano a Parigi e stavano nelle macchine anche
loro. Uno alto che fumava in un bocchino dambra, era
molto influente e da lui dipendevano molte combina-
zioni. Viaggiava con loro una donna, una francese, che
aveva nome Yvette. Xenia riscosse simpatie. Un tipet-
to fine, la tua amica dissero a Dino, ed egli ne fu lusin-
gato. Una studentessa spieg, anzi aggiunse: lau-
reata. Xenia lasciava dire, ma pi tardi gli chiese:
Perch non hai detto la verit?
Quale verit?
Che sono impiegata.
Perch dovevo dirlo?
Ti vergogni?
No davvero.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
177 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
S, ti vergogni; e anchio sono stufa di esserlo. Tu
non sai con quale sollievo mi lascio crescere le unghie
senza timore di spezzarle sui tasti della macchina. un
mestiere faticoso, a sera una spalla mi duole forte come
se avessi un coltello infilato nel muscolo.
Egli taceva masticando la sigaretta spenta, camminava
guardandosi la punta dei piedi. Non gli va il discorso
pens Xenia, non gli va. E tuttavia coraggiosamente
insist: Non vero che un mestiere faticoso?
E lui approv: Uhm... gi, capisco.
Con gli amici si vedevano di sera: Yvette si alzava tardi,
nel pomeriggio addirittura: detestava la luce solare; in casa
sua, a Parigi, teneva le persiane chiuse e le lampade accese
anche al mattino; non usciva di casa che la sera per andare
a sedersi in un bar. Sto male confidava a Xenia: la
morfina. Non posso fare a meno di pungermi. Presto mo-
rir: da un anno ho un ago dentro di me che passeggia e
finir per infilarmi il cuore. Gli amici lascoltavano devo-
tamente. Lago di Yvette era divenuto la palma del suo
martirio, se ne parlava a bassa voce, con rispetto. Dopo si
faceva un attimo di silenzio mentre ella fissava lontano.
Uno dei francesi, grassoccio e bianco, la guardava in ado-
razione, poi le prendeva una mano e gliela baciava.
In mezzo a loro Xenia si sentiva a disagio; si trovava
provinciale, provava per quel gruppo un senso di repul-
sione e tuttavia le pareva che per quella sua condizione
di donna normale quelli dovessero compatirla un po.
Essi avevano una maniera di parlare beffarda, pungente
che le dava voglia di alzarsi, andarsene, chiamare Dino,
dirgli: Accompagnami allalbergo. Ma lui avrebbe
chiesto: Sei pazza?. E cos era obbligata ad ascoltare
racconti di Parigi, di abitudini e persone che non cono-
sceva, dicevano di un giovane molto ricco, molto origi-
nale, che al mattino faceva colazione intingendo pane e
burro nello sciampagna; unaltra, una pittrice che viveva
con un musicista, dormivano nello stesso letto, ma fra-
178 Letteratura italiana Einaudi
ternamente, perch poi erano innamorati di altri due, fa-
cevano cos per risparmiare. Un popolo diverso Xenia
osserv proprio un popolo diverso. Dovera la brava
Francia poetica, dei romanzi di Balzac?
Lultima sera Dino vinse settemila lire.
Sono contento per te, sai, Xenia le disse. Ho un
disegno. Te lo dico, s, ora te lo dico. Sei una brava ra-
gazza e mi hai portato fortuna. Anche con quegli amici
di Parigi ho combinato un affare. Tutto sta adesso che
anche Horsch entri a far parte della combinazione.
Di che si tratta?
Questa cosa mia. Le donne in queste faccende...
Bench tu sei una ragazza intelligente, lo dicono tutti:
hai la mente quadrata e non ti manca il coraggio, faresti
fortuna negli affari. La vita degli affari pericolosa co-
me il baccar: ma alla fine chi ha pi coraggio, vince.
Come sarebbe a dire?
Be, adesso non ti posso spiegare. E non tanto per
me, quanto per quei di Parigi e per Horsch: se sapesse
che ne ho fatto parola con qualcuno non vorrebbe immi-
schiarsi pi. Se laffare va bene, ti porto in America. Che
ne diresti, eh? di un viaggio in America? Hai visto come
faccio le cose io? da signore. Per la miseria!... Non te lo
sognavi, eh? Io neppure mi sognavo certe cose di te.
Poi la fece sedere sui suoi ginocchi, le disse: Tienti
forte, non barcollare. Arriva la .sorpresa. Tu hai ragione
continu: io non posso avere per amica unimpiega-
ta: una questione di prestigio. Eccoti le settemila: puoi
affittare una casetta, tre stanze bastano per te. Ci compri
le cose pi utili intanto: il resto lo prenderemo a rate, si
pagheranno. E se faccio laffare andiamo in America.
Xenia rest interdetta, il denaro nelle mani: E tu,
Dino, e tu?
Prendilo, no? non mi serve. A me basta questa e si
batt la fronte questa. Chi ha combinato laffare delle
trattrici? E quello degli autotreni? Io, sempre io.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
179 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Che farebbe Horsh senza di me? Io combino tutto, io
parlo, io metto la firma. Ma se questo di Parigi va, dopo
non ho pi bisogno di lui.
Xenia non lo seguiva: ripeteva, meravigliata, per con-
vincersene: Per me? una casa per me?
Certo, per te Dino diceva sorridendo, poi aggiun-
se malizioso: Dio mio, se una sera piover e sar senza
tetto, spero che non mi manderai a dormire sotto i por-
tici di Piazza del Duomo?
A Milano, Vandina, sentendo lamica raccontare que-
ste cose, rest sconcertata; ma presto si riebbe e disse:
Eh! che vuoi fare? questa fortuna! Del resto io non
avrei mai potuto far questo per via del mio amichetto; e
poi tu hai listruzione. Lho capito sbito io.
Xenia le regal una borsetta e andarono insieme a
cercare la casa. Tutte erano troppo care, finalmente ne
trov una che andava bene. Dino le fece fare tutto come
voleva. Ella una sera gli chiese incerta: Potrei mettere
il mio nome sulla porta? E laltro non la finiva pi di
ridere: Certo, che nome ci vorresti mettere? tua la
casa. E questa frase Xenia se la ripeteva spesso tra s,
La casa mia. Firmato il contratto di affitto, chiam
gli operai. Quando Dino vide lappartamentino e lei gli
chiese, preoccupata: Ti piace? , egli approv: Dio
mio, non una reggia, ma tu hai fatto le cose con giudi-
zio e con gusto. Gi sulla porta brillava la targhetta di
ottone col nome per esteso: Xenia Costantini.
Erano a cena insieme una sera e Dino le disse:
andato, sai? il grosso affare con quei francesi.
Horsch ha detto di s, si comincia.
Di che si tratta?
Stavolta una cosa diversa.
Non si tratta dautomobili?
S e no; s, anche automobili. Ma una cosa com-
plessa, desportazione. Horsch ha mollato oggi. Ma il la-
180 Letteratura italiana Einaudi
voro a me. Se ne lava le mani, lui, del rischio. Oggi quasi
abbiamo avuto a che dire per causa tua.
Mia?
Tua, s. Sera venuto a parlare di San Remo: tu capi-
sci, no? bambina mia, discorsi di uomini, dicevo dunque
che mero proprio affezionato a te anche per la pelle.
Anzi si viene ai particolari e lui mi fa lincredulo: e io in-
sistevo: Eh, non sono mica un imbecille! Vergine, ver-
gine lho avuta!. Pretendeva che fosse una mia vante-
ria. Perch, dico, se neppure lo sapevo? Insomma
c rimasto male. E continuava a scuotere la testa. Lho
lasciato perch se no finiva male, e non posso inimicar-
melo.
Taceva Xenia, mangiava le ciliege dure, ghiacciate che
quasi quasi facevano male ai denti. Che cretino era stato
Dino a dire cos! Perch era andato a raccontare questa
storia? Come rispondendo al pensiero di lei egli disse:
Sai? ci tenevo.
Ella, fingendosi distratta, propose: Usciamo di qui,
fa caldo. E chiese appena fuori: Voglio guidare io.
Dino glie lo aveva insegnato e a lei piaceva condurre
la macchina, sentire che ubbidiva alla sua volont; era
cosa che saddiceva al suo carattere. Era irritata per
lironica incredulit di Horsch, per il carattere chiuso di
lui, quel mezzo tedesco. E le pareva che Dino, con quel
discorso, lavesse ammesso nella intimit di lei, come se
gli avesse permesso di entrare in una stanza dovella si
trovasse, spogliata. Forse, pensava, o Horsch mi ha
calcolata finora come una di queste, come Vandina o la
Mary; e ha ragione, in fondo. Ci vivo in mezzo: ma far
vedere a lui, a tutti. Irata, spingeva la macchina a forte
andatura. Erano alla periferia, smilzi alberelli passavano
velocemente.
Dove vai? Dino le chiese, timido. Capiva di aver
detto qualcosa che laveva messa in questo stato, ma non
sapeva quale.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
181 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Dove vuoi che vada? gli rispose stizzita. Si deve
sempre avere una mta? Vado cos, perch mi va di
prender aria.
*
Una domenica di mezzo luglio la superiora part.
Una giornata assolata, caldissima. Cera stata al colle-
gio una colazione solenne. Ma una festa di congedo non
riesce mai allegra: le cariche si abbandonano per imperi-
zia o per vecchiaia o perch qualcuno pi abile si fa la-
sciare il posto per prenderselo lui. Questa cerimonia di
oggi sembrava essere un acconto sul funerale della ba-
dessa, alla quale, ormai che diveniva innocua, si poteva-
no riconoscere tutte le virt. Forse il suo funerale sareb-
be stato meno triste: Era vecchia avrebbero detto
tutte, e basta.
La superiora si sentiva gi unospite: aveva smesso
quellaria di rancore che le stava negli occhi vitrei; bene-
volmente baci sulla fronte la pi giovane delle ragazze
che le offr un mazzo di fiori, e sorrise bonaria come un
malato che abbia preso il viatico. Sembrava meno vec-
chia ora che la vecchiaia non doveva scusare la sua ino-
perosit.
Il dolce, una torta gigantesca come un monumento
sepolcrale, lasci in ognuna una stucchevole saziet; si
sparse nel refettorio una stanchezza assonnata, lafa gra-
vava attorno ai finestroni, i fiori nel giardino boccheg-
giavano. Anche la superiora era stanca e rispondeva ap-
pena, mezzo addormentata. Svelta e fresca, niente
affatto appesantita dal cibo e dallora, suor Lorenza pre-
parava la partenza della vecchia. La sua nomina non era
ancora ufficiale, ma tutti lo sapevano gi: la nuova supe-
riora era lei.
Ragazze e monache uscirono sulla porta per salutare
la badessa, saffollarono, curiose, non volendo perdere
182 Letteratura italiana Einaudi
un gesto o una parola di quella che fino allora avevano
considerato un vecchio oggetto. Davanti alla porta, sulla
piazza fulminata dal sole, una carrozza attendeva: il ca-
vallo batteva sordamente uno zoccolo sulle selci. Nel ri-
spettoso tacere delle ragazze la superiora sal, si sedette;
si sparse attorno a lei la gonna viola. Accanto, nel poco
spazio rimasto sinstall una suoretta sedendosi appena.
Un minuto di silenzio impacciato, poi, alla grassa mano
che sagitava nel saluto, tante mani giovani risposero, in-
numerevoli sorrisi. Nella piazza deserta la carrozza mise
alto il rotolio delle ruote. Le ragazze restarono a guar-
darla allontanarsi mezzo sorridenti, mezzo commosse,
finch suor Lorenza, rientrando, ordin di rientrare. Da
quel momento ella fu la superiora.
Suor Lorenza aveva gi preso possesso della camera
della superiora. Non vi dormiva ancora, attendeva la let-
tera ufficiale, ma gi considerava suo quanto era intor-
no. Lo studio le apparteneva da tempo, i registri erano
riempiti della sua scrittura, solo, qua e l, qualche firma
incerta della Madre. Avrebbe durato fatica ad abituarsi
alla camera, tutto era ancora pregno del soggiorno della
vecchia: la poltrona ne serbava limpronta, nei cassetti
restava un odore di cose di persona anziana. Suor Lo-
renza era abituata ad entrare in quella camera in punta
di piedi. Quando la Madre era in letto, malata, le parla-
va senza mostrarsi, da dietro i tendaggi bianchi: e anche
se non la si vedeva, la camera era piena di lei, come
adesso. Spost le tende per essere certa che non cera
pi. A questora in treno. Tuttavia non si sentiva an-
cora pienamente la padrona. Questo interregno glie lo
facevano notare !e suore sue compagne, le quali, bench
ormai sapessero che la carica sarebbe spettata a lei,
ostentavano dignorarlo, per trattarla ancora da pari, per
lesinarle qualche centimetro dinchino.
Suor Lorenza temeva che le altre prendessero le redi-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
183 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
ni di tutto e la respingessero, lisolassero; unaltra avreb-
be tenuto i registri, la corrispondenza, ella sarebbe stata
costretta a passare le giornate sulla poltrona rossa dor-
micchiando, fingendo di recitare il rosario. Impossibile,
impossibile! Ma non era stata lei stessa a creare questo
alone di timoroso rispetto attorno alla figura della Ma-
dre superiora? A poco a poco le aveva tolto di mano tut-
ta la casa, dolcemente, ipocritamente, non aveva mai
permesso che certi discorsi arrivassero fino a lei. Lei
aveva abituato le compagne a questa finzione verso la
superiora: tutte avevano timore della Madre, era in suo
nome che sempre aveva trasmesso gli ordini pi severi.
Quando volle allontanare una ragazza francese che ave-
va in antipatia, le disse proprio cos: per ordine della
Madre che ti parlo, figlia mia... E la vecchia non ne sa-
peva nulla, credeva che la francese abbandonasse il col-
legio per ragioni di salute. Anche quando la Costantini
era venuta a chiederle uno sconto sulla pensione: La
Madre ha rifiutato. La Madre, sempre la Madre; forse
adesso le ragazze al suono di questo nome provavano
unistintiva ostilit. E adesso la Madre era lei.
Saffacci alla finestra sul cortile; le altre suore sedeva-
no a tondo chiacchierando, era lora della ricreazione.
Suor Luisa leggeva una storia sacra in un libretto. Non
lavevano chiamata. Chi ormai avrebbe osato disturbar-
la? Suor Luisa smise di leggere e si rivolse alle altre:
Certo parlano di me. quella suor Luisa, una veneta
intrigante. Chiacchiera sempre con le ragazze, insegner
loro a isolarmi; adesso che partono per le vacanze, forse
scriver loro; tutte partono, anche Emanuela, i suoi geni-
tori sono tornati, chi sa se rientrer a ottobre, alcune non
tornano pi, la Fanti si laureata in medicina, la Ortiz
andata a vivere con quegli spagnoli. Augusta rimane, e la
piccola Bongiovanni che ripete lesame. Augusta sa tutto
delle ragazze, lei certo potr dirmi che cosa si dice di me;
andr a parlarle pi tardi, cos, come per caso.
184 Letteratura italiana Einaudi
Lesta scese le scale, apparve nel cortiletto; le mona-
che erano tutte l sedute, tre delle pi giovani facevano
un ingenuo girotondo canticchiando. Vedendola tac-
quero e talune salzarono in piedi, compunte. Ella atteg-
gi il viso a sorpresa: Perch vi alzate, sorelle?
Non seppero dare spiegazioni, rimasero zitte a guar-
darla.
Di che parlavate? domand accostandosi. Sedia-
moci di nuovo.
Le avevano lasciata libera una sedia, ma essa fece fin-
ta di non avvedersene e prese il suo posto abituale sulla
panca tra suor Luisa e suor Prudenzina. Poich le altre
tacevano, incroci le mani sul grembo ed attese. Ma non
ripresero a parlare: dopo un minuto di silenzio suor Lui-
sa riapr il libretto, incerta ricominci a leggere. Que-
sta fu dunque la prima apparizione della Vergine alla
pastora Bernadette....
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
185 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
III
Un viaggio affaticante fino in fondo alla Puglia; nelle
prime ore del pomeriggio, il treno, estenuato, neppure
aveva pi la forza di soffiare: rallentava come sopraffatto
dalla gran calura; le case sonnecchiavano sulla desolata
pianura, il caldo sfriggeva dinnumerevoli cicale. Anna e
Valentina, i volti lucidi di sudore, serano affacciate al fi-
nestrino per cercare un po di refrigerio; ma il vento era
caldo, un fiato. Sotto la pensilina della stazione le cam-
panule, afflosciate, sembravano farfalle morte.
I genitori di Anna erano venuti a prenderla con la car-
rozza; pap sbito la soffoc di parole, mamm sudava
nello sfarzoso vestito estivo. Le due ragazze si separaro-
no abbracciandosi e Valentina savvi con la madre ver-
so casa; gi, appena arrivata, si sentiva addosso la legge-
ra malinconia dei desideri soddisfatti, delusa che il
momento dellincontro con la madre fosse trascorso,
vissuto. Le vacanze: tutto qui, non era stata una grande
emozione come credeva. Era il suo primo anno di uni-
versit, sempre scriveva da Roma: Immagina, mamma,
quando torner.... E adesso, ecco, era tornata.
Anna entrando in casa sarrest, stupefatta: Oh!...
esclam rammaricandosi. Cera, nel tinello, una mobilia
novecento, le pareti erano verniciate di verde pallido,
non si capiva da dove venisse la diffusa illuminazione.
Bello, eh? fece il padre orgogliosamente.
Non mavevate scritto niente...
No. Abbiamo voluto farti la sorpresa. Tutto viene
da Bari, il diffusore lho portato io da Milano.
In fretta la madre aggiunse: Metteremo a nuovo la
casa cos; a meno che... s, insomma ti diremo tutto a ta-
vola.
Ma il babbo attendeva: Non hai ancora detto se ti
piace... Ti sembra meschino, forse?
186 Letteratura italiana Einaudi
Oh, no, no davvero. Non maspettavo, ecco. Pare...
Pare dessere in citt. Poi vedendo che i genitori aspet-
tavano altro da lei, aggiunse: bellissimo. Bellissimo.
Deve essere costato molto.
Molto. Ma si vede, no? che una cosa di lusso?
Non denaro buttato.
Giungevano i servi a salutarla, alcuni lavevano vista
nascere; rimanevano sulla soglia senza osare di mettere
piede nella nuova sala da pranzo. Sembrava questa una
stanza di unaltra casa, pur essendo cos vicina al vec-
chio atrio dove stavano ancora appesi i fucili del nonno.
Infine Anna sal e i servi si sparsero nellaia dove i fiori
crescevano in vasi di cemento: fiori che non si potevano
toccare da quando se ne occupava un giardiniere.
La camera di Anna era al secondo piano con la fine-
stra soffocata di rampicanti; ella temette che il rinnova-
mento le avesse tolta anche quella, entrando e ritrovan-
dola uguale respir forte, sollevata dal timore. Guard
attorno golosamente e poi, colma di pace, si volse alla
mamma che laveva seguita, e labbracci dicendo: So-
no felice dessere tornata. Rimase a occhi chiusi sul
petto della madre, sentendo il respiro di lei, lodore del-
la carne profumata e molle, un odore diverso dallodore
che aveva tanti anni fa; si diceva: Son qui, a casa, tutto
ci che intorno a me mi conosce e mi appartiene. Ta-
ceva commossa; ma dun tratto scostandosi chiese, come
impaurita:
E la nonna?
Giusto. bene che tu vada a salutarla subito. Va
peggio con lei, sempre peggio, non si domina pi, non
scende pi a mangiare nel tinello adesso, insomma nella
sala da pranzo. In cucina voleva mangiare, figurati! in cu-
cina. Glie lo abbiamo impedito; allora mangia qualcosa in
camera, ma nasconde gli avanzi nei cassetti che odorano
di muffito; e ruba, una mana, ruba e nasconde; ha rubato
in cucina tutto lo zucchero che ha potuto, lo ha tolto dal-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
187 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
la zuccheriera. Pensa, giorni or sono, Alfonso ha ricevuto
quelli di Milano, della societ... gi tu non sai, ti diremo
dopo, insomma forestieri, gente di riguardo, e la nonna
scende con lo scialle in capo. Noi non alziamo la testa,
fingiamo di non averla vista sperando che gli altri non la
notino, che la scambino per una contadina, quando ecco
lei si presenta e chiama: Alfonso, vieni da tua madre.
Quelli allora salzano, salutano, lei neppure risponde,
chiede al figlio: Chi ti ha permesso di toccare quel vino
vecchio?. E allora tuo padre, poveraccio, con i migliori
modi a convincerla che tornasse in camera sua. Ges!...
Che scena! Di giorno esce, gira per i campi, d ordini ai
coloni, ruba la frutta; di sera si mette alla finestra e canta:
La padrona sono ancora io!. La madre sospir, poi ri-
prese: Va, lvati e subito scendi per la cena.
Anna sal, buss alla porta della vecchia, nessuno ri-
spose, allora spinse luscio adagio, chiam: Nonna An-
tonia... L dentro cera odore di vecchio, di conserva-
to. Era buio: nel vano della finestra si scorgeva un cielo
limpidissimo, quasi mattinale: e le prime stelle. Appog-
giata al davanzale, la vecchia mangiava.
Entra, Anna disse, entra. E dopo averla ab-
bracciata: Sono contenta che tu sia tornata; avevo bi-
sogno di parlarti. Sai? si va in rovina, qui. Siediti e le
accenn uno sgabello basso accanto a lei.
Cos, al buio?
Ci si vede ancora: un peccato sprecare la luce. Hai
visto dove sono finita a mangiare? Povera me, come se
gi fossi sottoterra. Ogni giorno tua madre entra e mi
domanda: State bene?. Vede che resisto, che sono di
buona fibra. Benissimo rispondo anche se ho lacidit
allo stomaco, e intanto con le dita faccio le corna sotto le
vesti. Benissimo, sempre benissimo. Resisto. La padrona
sono ancora io, le terre sono mie. E loro continuano a
gettare denaro a manate, come la semina. Hai visto il ti-
nello? Ah! Mai ho voluto metterci i piedi, io.
188 Letteratura italiana Einaudi
Non piace neanche a me, il tinello. Ma che volete
farci? Non bisogna che tra voi e pap...
Oh, non lui, non lui. tua madre. La disgrazia
caduta sulla nostra casa dal giorno che Alfonso ha disub-
bidito a me e lha sposata. Ma io vivo ancora e vedo tut-
to, sorveglio pi che posso. Accumulo roba nei cassetti,
per te, Anna mia. Ma mi hanno rivolto contro anche i
servi e tutti mi respingono quass, mi rinchiudono quas-
s, quando possono. Oh, chi lavrebbe detto, Anna?
La vecchia cominci a piagnucolare. La nipote le carez-
zava le mani rugose, le spalle magre avvolte nello scialle,
ma distrattamente: guardava il cielo, la chiarit notturna
le sbiancava il viso. Tutto era lunare, ma la luna non si
vedeva, stava alta sulla casa; i campi si stendevano allin-
finito, in quella pace luminosa. La vecchia fiottava e An-
na dovette rinunciare a udire il timido fritino dei grilli.
Poi la nonna repentinamente salz, si diresse al casset-
tone sicura nella penombra, e lo apr traendo la chiave di
sotto la gonna. Tutto chiuso debbo tenere, vedi? se no,
quando io sono fuori, vengono e frugano nella roba mia.
Cercava con mani sicure e infine tese alla nipote alcuni
dolcetti di mandorla ammuffiti.
Tieni le disse, mangiali, ma non farti vedere. Li
ho nascosti una sera che tuo padre aveva ospiti e faceva-
no lorgia nel tinello.
Saranno, forse, relazioni daffari...
Che affari, affari! I suoi affari debbono essere la ter-
ra. Da dove gli viene il denaro che sperpera? Dalla terra;
e lui invece non sinteressa di ci che accade nei campi. Il
Tinca ruba le olive e nessuno se ne preoccupa. In cucina
lolio corre a rivoli. Tua madre vuole comperare lauto-
mobile, lautomobile, capisci? E neppure sa dove stanno
le case dei coloni, nella tenuta. Hanno ordinato la radio.
Raccontava tutte queste cose in fretta, come se da un
pezzo le stessero sul cuore e provasse sollievo a liberar-
sene.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
189 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Adesso io debbo scendere, nonna. Parleremo do-
mani. Venite gi anche voi?
No disse, io adesso vado a letto. Taccompagno
alla porta perch debbo chiudermi a chiave. Se di notte
tu avessi bisogno di me bussa tre, no, quattro volte. Al-
trimenti io non apro a nessuno, anzi appendo una sedia
alla maniglia perch cos se qualcuno la tocca... Del re-
sto, non dormo mai. Molte volte ho inteso che tentavano
di entrare.
Anna, senza risponderle, le carezz una spalla e usc
lasciandola che borbottava tra s, mentre chiudeva a
chiave.
Pap e mamm erano gi seduti a tavola; Anna disse:
Scusatemi... la nonna...
S, s, hai fatto bene ad andare subito.
La vecchia serva giungeva con la zuppiera, si muoveva
sicura tra i nuovi mobili, ma senza trattarli con domesti-
chezza. Anna sedeva impettita come quando si mangia
fuori di casa propria; si sentiva confusa, era stata colta al-
la sprovvista; aveva immaginato questa prima cena sotto
la luce del vecchio lume a gas adattato per lelettricit.
Prima cerano, sulle pareti, fotografie di lei bambina, del
nonno, di sua madre con vestiti passati di moda: sul da-
vanzale, nei vasi di terra crescevano rose sorrette dalle
canne, gerani bianchi e scialbi. Tutto scomparso, adesso:
le pareti erano nude, la luce fredda. Anche pap e mam-
ma tra quei mobili non parevano pi gli stessi, mancava
quellintimit familiare che lei sempre rimpiangeva in
collegio. Era come se qualcosa di nuovo e diverso stesse
per aver principio. Pap e mamm parlavano della non-
na che agiva da pazza: Certo, quando la vecchiaia ci
rende simili alle bestie, meglio cento volte morire. Non
vuol vestirsi che con abiti campagnoli, va in giro cos,
sembra che lo faccia apposta per metterci in imbarazzo.
Capisco disse Anna, ma perch volete costrin-
gerla? vecchia, i vecchi non possono uscire dalla loro
190 Letteratura italiana Einaudi
et, non si mutano, restano chiusi in quello che stato il
loro tempo migliore. E non dobbiamo vergognarci di
lei, non te ne vergognavi quando eri bambino.
Gi, tu parli in teoria. Ma quando sei qui con gente
e lei tarriva e...
Non forse tua madre?
Alfonso, ti prego interruppe Matilde. inutile
discutere con Anna su questo soggetto. Domani anche
lei si metter le scarpe di pezza, andr per i campi e sai
come torner? Mangiando un pomodoro a morsi come
le contadine.
vero, mamma. Ma perch dovrei agire diversa-
mente se cos mi piace vivere e questa sempre stata la
vita dei miei?
Sempre fino a ieri. Oggi diverso. Tu studi in citt,
anche noi siamo stanchi di vivere lontani dal mondo e
dalla vita. Bisogna progredire.
Qui i giornali arrivano vecchi... fece il padre.
Non c sarta che sappia cucire un vestito.
Anche il denaro che abbiamo pu sfruttarsi meglio,
in ottimi affari.
Dille, dille della societ.
Gi fece il padre e sassest al suo posto come per
cominciare una conferenza. Sto per entrare a far parte
di una societ milanese con succursali a Roma, a Bari,
una cosa interessante che non ti spiegher minuziosa-
mente perch sarebbe lungo e non capiresti. Insomma
un lavoro per me, quale si addice al nostro livello di con-
dizione sociale. Abbiamo strette nuove conoscenze e...
Dille dille fece rivolto alla moglie.
S, perch hai paura di dirlo? Insomma avremmo
deciso per lanno prossimo di stabilirci in citt.
Anna rest un momento in silenzio, poi disse calma:
Non possibile. E la terra?
Ci sono i coloni, per la terra. Assumeremo un am-
ministratore, una persona fidata, ho pensato a Beppe
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
191 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Conti che ha tenuto per tanti anni lamministrazione dei
De Angelis. E poi si tornerebbe destate, uno, due mesi
destate.
Pure tu forse, che ormai sei abituata in citt... dis-
se la madre.
Oh, mamma, io smaniavo di laurearmi per torna-
re!...
Ma no, Anna, tu non puoi fermarti a questo punto.
Non vuoi proseguire ancora? Abbiamo pensato che for-
se vorresti divenire professoressa, ne abbiamo parlato
anche in paese, potresti avere la libera docenza, non ba-
do ai denari per la stampa delle pubblicazioni.
Anna taceva; comprendeva adesso la sala da pranzo
novecento, gli amici di Milano. Mai pi avrebbe visto
cadere lautunno sul paese; in treno andava dicendo a
Valentina: A ottobre partir per lultima volta; le pe-
savano i libri nella valigia e tuttavia voleva prepararsi be-
ne alla tesi, per chiudere il capitolo della citt, salutare le
compagne, tornare ai suoi campi, uscire senza cappello,
non pi udire lo stridere del tram sulle rotaie, solo, ogni
tanto, da lontano, il fischio del treno dilaniare il placido
silenzio della pianura.
Non ho pi voglia di studiare, voglio tornare a casa
mia.
Anche in citt sar casa tua.
Non la stessa cosa; e poi sono stanca di studiare.
Perch debbo divenire professoressa? Pensavo che vi
sareste accontentati della laurea. Non ho bisogno di
guadagnare, dite sempre che siamo molto ricchi, non vi
basta la laurea? Spero di prenderla a pieni voti, ho fatto
tutto per questo, finora mi sono sempre sottomessa alla
vostra volont.
Lo diciamo per il tuo bene, perch tu sia istruita.
Lo sono, babbo. Che vuoi di pi? Che ne far di
tutto questo latino, quel greco, lepigrafia, due lingue
moderne? Che ne faccio?
192 Letteratura italiana Einaudi
Ma fino a questo punto sar arrivata anche Valenti-
na che di condizione inferiore alla tua.
E con questo? Pap, senti: io andrei incontro a de-
lusioni, vado avanti solo per buona volont, non per ve-
ro ingegno, m costato molto arrivare fin qui, voi non lo
sapete, non ve ne rendete conto; lo facevo per vedervi
contenti, ma ero stanca, avevo il cuore stretto come un
pugno, non pensavo che a questo: tornare. E adesso...
Quasi piangeva, il largo volto abbandonato a una
smarrita espressione di scoramento. Il babbo la consol:
Ma niente deciso, ancora, non taffliggere cos.
Al che ella rispose con ferma dolcezza: lo non ab-
bandoner questa casa.
Sopraggiunsero entrando rumorosamente dallaia al-
cuni amici del babbo, con le mogli. Venivano a salutare
Anna; ella li accolse con cordialit, gente che conosceva
da bambina; entravano nella sala con vero rispetto,
chiedendo a lei, con sorrisi entusiasti, che cosa pensasse
della nuova mobilia. Dicevano tutti ammirati: Sembra
proprio dessere in citt! e si sedevano sulle nuove se-
die molleggianti, sulle poltrone a esse. Fu servito il
caff, poi il vino, in breve la sala si riemp di fumo. Gli
uomini si riunirono attorno al tavolo a giocare; quattro
giocavano e un quinto, seduto dietro le spalle di don
Alfonso, lo consigliava muto mettendo un dito sulla
carta da giocare. Anna presto si conged perch era
stanca.
Sappiamo le disse unamica di sua madre nel salu-
tarla che vuoi divenire professoressa.
La ragazza si avvi alla sua camera, ma sarrest
nellatrio vedendo, oltre le arcate del portico, stendersi i
prati illuminati dalla luna, ergersi le cupe ombre degli
alberi. Sul cielo, qua e l, piccole nubi sarricciavano le-
ziosamente, laria era di un limpido argento. Anna sent
il cuore palpitarle affrettato nel petto per la contentezza.
La notte dormiva, perfino i grilli tacevano e fu con passo
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
193 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
leggero che Anna usc fuori sullaia per bearsi dello spet-
tacolo. Tutto si rivelava luminoso, irreale, paesaggio da
favola. Un lampione ardeva sulla strada che menava al
paese, e sembrava una vigile pupilla. Lontano, oltre il
giardino, ai limiti della vigna, si rizzava il canneto, palli-
do, quasi bianco. Un ruscelletto divideva il seminato, un
rigagnolo che adesso certo faceva da specchio alla luna.
Tutto era intatto, come lanno passato, come quando el-
la era bambina. Anna sedette per terra stringendo a s le
ginocchia, annusando attorno un fresco odore di menta.
Sui pi alti rami della magnolia strideva un uccellino
notturno, il cane dopo aver latrato due volte sera ac-
quetato. Alle sue spalle ella udiva a tratti il ridere delle
donne, le esclamazioni dei giocatori. Che cercano pi
di quanto qui attorno? si domand. E si rattrist ri-
cordando quelle fredde e umide pareti del collegio,
quelle camere senza sesso, quelle monache senza paese.
Tutti insieme, adesso, le pesavano addosso i libri che
aveva studiato, che aveva imparato a memoria, certe vol-
te senza neppure comprendere appieno, quelle parole
straniere che pronunciava con laccento legato del suo
paese. lultima volta che torno, pensava, poi ri-
marr. Domani sera avrebbe pregato la Tita di cantare
sullaia e, con le altre, avrebbe fatto coro. Sarebbe anda-
ta a trovare le famiglie dei coloni, si sarebbe seduta,
nellafa pomeridiana quando tutto dormiva e solo ansa-
vano le cicale, sullerba umida e fresca del prato che sta-
va allombra del canneto. Se fossero andati ad abitare in
citt tutte le stanze sarebbero state uguali alla sala da
pranzo.
Piano travers latrio, sal la scala di legno che cigol,
cigolava cos da quando era bambina; pass davanti
alluscio della nonna. Chi avrebbe smosso la nonna dalla
sua terra? Morta, si sarebbe fatta portare a braccia dai
servi fino al cimitero dove stava il marito. Pens rassere-
nata: lo rimarr con lei.
194 Letteratura italiana Einaudi
*
Alla prima punta del giorno, quando ancora la casa
era gonfia di sonno e un pesante respiro sembrava, fil-
trando tra le imposte, andare a pesare sul prato, sudiva
per la scala di legno il ciabattare sordo della vecchia che
scendeva in cucina. Nel corridoio era buio ancora, un
buio notturno e ottuso, dalle finestre il primo giorno en-
trava come una lama fredda. I passi della nonna soffoca-
vano tra le gonne ampie e scure; quando era nella cucina
sospirava e sarrestava, giunta. Poi, la prima cosa, stacca-
to un mestolo di rame dalla parete, lo riempiva dacqua,
beveva, lo riappendeva al chiodo. Lacqua fredda finiva
di svegliarla: allora toglieva il panno da sopra la gabbia
degli uccellini, spiava nel cielo le previsioni del tempo,
inutilmente cercava di entrare nella dispensa ove le
provviste erano chiuse. Lo sapeva, ma tentava ogni mat-
tina, sperando, chi sa, che avessero dimenticato la chia-
ve. Sempre chiuse. Dal finestrino che, in alto, sapriva
sulla cucina, veniva odore di mele, di buon lardo. Non-
na Antonia restava l avanti braccando, poi chinava la te-
sta e andava a svegliare i servi.
Le donne dormivano mezzo vestite, le braccia buttate
di qua e di l. Mute salzavano, si passavano una mano
bagnata sulla faccia, e ancora intontite dal sonno pren-
devano a lavorare; andavano per la casa con le scope, i
secchi dacqua, spalancavano le finestre. La vecchia sac-
quetava; si sedeva in mezzo a loro, beata. Spesso guarda-
va al soffitto verso il piano di sopra dove il figlio dormi-
va con la nuora.
Presto andava a svegliare la nipote, bussava alla porta
e quando la sentiva rispondere scendeva di nuovo le sca-
le, affaratissima. Dava ordini che nessuno eseguiva, co-
me se comandasse a un branco di sordi, preparava la
ciotola per la colazione di Anna che andava a mangiare
sullaia nel puro silenzio mattutino. Sulla strada che por-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
195 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
tava al paese i contadini passavano per andare al lavoro,
salutandola alla voce. Spesso Nonna Antonia raggiunge-
va la nipote.
Vedi? le diceva. Questa lunica ora nella quale
mi pare di essere ancora ai tempi antichi, poi, alle dieci,
scende tua madre, e io me ne vado pei campi.
Quasi ottanta doveva averne, eppure, anche sotto la
gran calura dagosto, appena udiva la nuora scendere
per le scale, gettava rapide occhiate qua e l, e sallonta-
nava; temeva che quella le ordinasse di risalire in camera
sua e sapeva che, contro la propria volont, piagnuco-
lando, le avrebbe ubbidito.
Oggi andr a trovare il mezzadro; indietro col la-
voro, i figli sono piccoli, la moglie giovane e batte la
fiacca.
Savviava curva e arcigna, entrava nelle cucine dei co-
loni, si sedeva a parlare loro da uguale, non da padrona.
I contadini sapevano che le sue parole non dovevano es-
sere tenute in nessun conto, ma, nonostante questo, ella
era sempre la padrona vecchia e lunica che conoscesse
la terra come loro. Certe volte li trattava duramente, ma
almeno sapeva quel che diceva.
Anna si tratteneva a lungo in camera a studiare: la ca-
mera sembrava un nido nel folto di due elci che cresce-
vano nel giardino; vedeva di lass le terre arse dal sole, il
granoturco secco e spoglio, le verdi distese di vite. Stu-
diare era gravoso per quella sonnolenza che rendeva
opache le idee; era molto caldo. Dalla cucina, saliva una
voce: era la serva che cantava piano avanti allacquaio,
messa in allegria dallo zampillo che rimbalzava sul mar-
mo. Anna, alzando la testa dal libro, guardava fuori, nel
riverbero del sole, fimo a vedere macchie doro e viola-
cee annuvolarle le pupille. Le dolevano gli occhi, li chiu-
deva su un mare di latte, latte sanguigno. La divagava il
grande ansare delle cicale: veniva da ovunque: dalle ma-
gnolie, dal noce, dagli elci che sfioravano la finestra. An-
196 Letteratura italiana Einaudi
na non aveva mai visto una cicala e le sembrava che
ognuna fosse parte di un gigantesco mantice dorgano.
Tutto il mattino era luce e ansima di cicale in frenesia.
Pi lontano si vedeva la rossa casa degli Aponte: i vetri
delle finestre chiuse splendevano abbaglianti, la torretta
svettava fra gli alberi, i campi attorno erano uno squallo-
re. Hanno lasciato il figlio quasi in miseria racconta-
va pap; il padre aveva il vizio del gioco, la madre vive-
va con un altro da tanti anni. Passeggiando Anna
arrivava talvolta fino al recinto del giardino che circon-
dava la casa rossa, vedeva le aiuole intricate di cattive
piante, la terra arsa; ma cera attorno grande frescura,
per quel freddo dei giardini abbandonati.
Nel pomeriggio Anna scendeva al paese, il silenzio
delle strade la colmava di gioiosa meraviglia, la gente
passava dalla parte dellombra che era grigia come cene-
re calda, la zona di sole rimaneva solitaria, accecante. Il
suo passo salzava tra le case basse e mute. Il paese le ap-
pariva pieno di poesia; dapprima pens la gioia del ri-
torno. Eppure quando tornava a Roma provava solo
una rassegnata ostilit verso le cose. Questo era diverso
dagli altri ritorni; qui amava tutto: il colore grigiastro
degli scalini della chiesa, la ptina della fontana, le lastre
di pietra sconnesse del corso tra le quali crescevano ciuf-
fi derbetta: tutto portava limpronta di una vita fedele e
continuata, di un tramandarsi di tradizioni e di riti. Sua
madre detestava il paese, vi scendeva raramente guar-
dando di qua e di l, disdegnosa; cittadina era, suo pa-
dre gestiva una trattoria e dovette fuggire per fallimento
doloso. Non ne parlava mai, diceva: Mio padre era
commerciante, mio padre era nel commercio. Tra po-
co avrebbe detto. Mio padre era nellindustria. Pas-
sando per le vie storceva il naso allodore che usciva dal-
le porte; chiedeva ironica alla figlia: buono, non trovi?
Anna rispondeva: Non so se buono, forse no, ma
mi piace. Qualcuno amava Anna, qualcuno la giudica-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
197 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
va un po troppo placida, altri addirittura sciocca. A tut-
ti sua madre diceva che la figlia faceva tutto ci, una po-
sa, per farle dispetto.
Anna rifuggiva i pettegolezzi del paese, le riunioni di
gente che passava il tempo a chiacchierare; verso il cre-
puscolo se ne andava in bicicletta, sola. Conosceva certi
viottoli romiti che dividevano i poderi nella sterminata
pianura; incontrava appena qualche contadino con la
grande falce sulle spalle che lampeggiava nel sole, qual-
che bambino che la fissava incantato, un cane seduto
sullorlo di un campo. La bicicletta scivolava sulla polve-
re del sentiero come sulla cipria. E la poca fatica
dellesercizio le dava lebbriet di un volo per quel vento
che le sfiorava gli orecchi; dopo aver vagabondato a lun-
go, abbandonava la bicicletta in un prato e si stendeva l
vicino, la faccia al cielo. La bicicletta abbandonata, ri-
versa sullerba dava ad Anna la coscienza del proprio
benefico riposo; la ragazza allargava le braccia e sincan-
tava nel nitido azzurro della gran volta che sapriva so-
pra di lei. Godeva nel sentirsi nulla, una foglia o un filo
derba, si sentiva vivere di vita vegetale, come se le scor-
resse linfa nelle vene invece di sangue. Dopo queste so-
ste ritornava a casa filando tra gli alberi, i prati, le basse
siepi, leggera leggera, si dimenticava di essere in bici-
cletta, le pareva di andare per forza propria, le alucce ai
piedi come Mercurio.
Talvolta, verso il tramonto, andava a trovare Valenti-
na.
La casa dellamica era lontana, bisognava traversare il
paese. In collegio le due ragazze erano alla pari e invece
qui Valentina si trovava umiliata di abitare in quella casa
povera, con un palmo di orto soltanto. Quando Anna
entrava in casa di lei, Valentina le diceva ogni momento:
Scusa, scusa. Questa sua grande amicizia con la figlia
dei Bortone le aveva dato lustro in paese; ella sperava
dopo ci di trovar marito pi facilmente.
198 Letteratura italiana Einaudi
Anna voleva sempre andare a sedersi sul terrazzo; l
cerano cose vecchie buttate alla rinfusa per sgombera-
re, legni infraciditi dalla pioggia e fiori nelle vecchie
pentole. Ma questo terrazzo sapriva sulla vallata bosco-
sa, di l si godeva un panorama pittoresco. Cera quiete:
eppure spesso Valentina, interrompendo di parlare,
spiava in casa, poi rassicurata diceva: Niente, niente.
Dimmi pure.
Nella casa cadeva loscurit, sul terrazzo invece la
notte restava sollevata come per un respiro; le forme
delle ragazze apparivano brune, fredde contro la gri-
giazzurra trasparenza del cielo. Sedevano sul parapetto,
guardavano sbocciare le stelle.
Anna diceva: Non si vede mai una stella nascere,
anche se rimani ore e ore a fissare quel pezzo di cielo, te
la trovi accesa senza averla vista spuntare. un miraco-
lo: o forse aspetta lattimo nel quale tu sbatti gli occhi
per uscir fuori.
A te piace assai la campagna, vero?
Mi piace il tono, lodore della vita di campagna; qui
ogni cosa si assapora. Chi guarda mai le stelle in citt?
Non ci saccorge neppure che esiste il cielo.
Ma ci sono tante altre cose in citt...
Quali cose? Nessuna che abbia per me il valore di
queste. Qui hanno importanza gli elementi essenziali
della vita: il sole, il vento, la stagione. Non pi impor-
tante questo che lorario dapertura del cinematografo?
bello sentir dire ai coloni con timore che alle dodici il
vento caler e verr a piovere. Quando sereno salzano
e vanno al lavoro cantando; sempre si parla di queste co-
se perch da queste viene la vita, il benessere. Sai cosa
mi piace ascoltare alla radio? Quando trasmettono i dati
meteorologici per i bastimenti in navigazione. Una voce
calda, lenta, che, si sa, li raggiunger nella loro solitudi-
ne marina. Le parole che usano sono piene di fantasia.
Confrontale con quelle che adoperano per dare i prezzi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
199 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
della Borsa. Nervose, irte di numeri, le altre piene di so-
nori aggettivi. Cos per la vita di citt e quella di cam-
pagna.
E i tuoi parlano ancora di trasferirsi?
Non lo so; s, credo: dietro le mie spalle. E il parlar-
ne nascostamente prova che sanno di aver torto. Io pen-
so continu seria che sia un errore voler uscire dalla
propria classe sociale ed entrare a forza in unaltra. Mi
sembra che molti inconvenienti della vita di oggi nasca-
no appunto dal fatto che tutti vogliono condurre una vi-
ta superiore al proprio livello e alle proprie possibilit.
Non credi? Intanto poi fatalmente cpita un discenden-
te che ha nel sangue le primitive aspirazioni dei suoi avi.
Come me. Io rimango qui, ho deciso. Ho ventidue anni.
Chi potrebbe obbligarmi a partire?
E la laurea?
La prender: parto con te e poi ritorno. A meno che
non dovessi fare un fiasco. E aggiunse: Un fiasco co-
me Xenia. Chi sa che fine avr fatto Xenia?
Nessuno mi toglie dalla testa che morta.
Gi, temevamo. Ma non stato cos, certo. Quando
una muore si sa: certe cose si sanno; e poi lei non era di
quelle che si ammazzano; era in gamba. Ancora non ca-
pisco perch non sia riuscita: aveva un intelligenza avi-
da...
Unintelligenza non adatta per i nostri studi.
Pu darsi.
Di nuovo cadde il silenzio tra loro; Anna ascoltava il
suono dellultima campana raggiungerla, vibrando sulla
pianura.
quando le notti sono cos belle che io temo di pren-
dere una malattia e morire, non vedere pi nulla...
Valentina linterruppe: Ssss!... taci un minuto! E
tese lorecchio verso la casa. Nulla, nulla, continua.
Ma di chi hai paura?
Paura? No, veramente. per i fratelli.
200 Letteratura italiana Einaudi
Una volta che ud un calessino arrestarsi davanti alla
porta salz, prese lamica pel braccio, le disse: Senti,
adesso meglio che tu vada via, scusa, sai? scusa.
Uscendo Anna sincontr con due uomini nellatrio,
due uomini di una certa et; uno pi basso, zoppo, lal-
tro alto, tarchiato: erano i famosi fratelli. Non incuteva-
no paura, ma il pi giovane, lo zoppo, aveva unaria di
beffa maligna. Il giorno dopo Valentina and a trovare
lamica e le spieg.
Sono i fratelli del babbo. Da quando il babbo
morto ci mantengono, per piet. Pagano tutto loro, an-
che i miei studi, il collegio. Mica cattivi in fondo, sai?
Altri non farebbe neppure questo.
E allora?
Allora... ecco, ti rinfacciano a ogni momento quel
che hanno fatto, quello che fanno: ogni boccone di pane
che mangi. Hai visto la mamma? S invecchiata in pochi
anni, perch quasi non ha il coraggio di toccare pi cibo.
Io sono giovane e passo sopra a tante cose. Ma per lei...
E in fondo i terreni erano di tutti e tre i fratelli, la parte
del povero babbo dovrebbe essere la nostra adesso, non
vero? Ma loro dicono: il nostro terreno, il nostro de-
naro. Non volevo che mi trovassero a parlare con te,
inoperosa. Quando insegner e mander i denari a mia
madre, allora sar unaltra cosa. Io, per, non sono nata
per lavorare; mi piacerebbe sposarmi, sposarmi in citt.
Ma nessuno mi vorr, ci penso notte e giorno. Aveva
gli occhi bagnati per questa sua antica e costante pena.
Perch dici questo? Non hai ancora ventanni.
Non let che conta; io sono povera e avr la
mamma a mio carico. Non posso lasciarla. E chi mi
vorr cos? Singhiozzava, le parole le sboccavano a
fiotti, umide: Oh, se sapessi, se sapessi! le amiche din-
fanzia si sposano, altre sono fidanzate, vengono a trovar-
ti, te lo dicono con aria di vittoria... E intanto ti fissano
sorridendo, come per dirti: Tu ancora a casa, eh?. E
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
201 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
quando non si tratta di loro vengono a dirti di amiche
comuni per ferirti ugualmente. Sai? si sposa la tale. Un
matrimonione!. Magari neppure vero. E io sempre l,
sempre l. Sapessi che vita la mia! La sera: i fratelli fu-
mano sigari, ammorbano laria, noi sfaccendiamo attor-
no alla tavola servendoli, poi sciacquiamo quegli orribili
piatti grassi, prepariamo i letti. Al mattino, quando sal-
zano lasciano nella camera lafrore del vino bevuto la se-
ra allosteria. Hai saputo che anche Linda si sposa?
Gi, ma non linvidio. Prende il figlio dei Toma, un
mezzo scemo.
Comunque, si sposa.
Ah, s, comunque.
Tutte cos, Anna pensava: affamate. Si sposano come
capita e poi guaiscono sotto le botte. Lessenziale di
poter dire alle amiche: mi sposo. Vedere le altre cre-
pare di rabbia.
Anche in collegio seguitava Valentina molte
hanno trovato.
Molte? non mi sembra.
Come no? Vinca, per esempio. Ed Emanuela. Ema-
nuela lha conosciuto con noi, alluniversit. Apposta
aveva preso gusto alle lezioni...
molto bella, Emanuela.
S, e soprattutto molto ricca. E Barbara di scienze
politiche? Dopo la laurea sposa un collega, che ha cono-
sciuto in facolt.
vero disse Anna non ci pensavo. Per siamo
quasi cento al Grimaldi.
Ma non potevo essere io fra queste?
Donna Antonia sera affacciata alla finestra e cantava:
una vocetta esile e stonata che dava fastidio a sentirla.
pazza tua nonna, vero?
No, no, perch dici questo? I pazzi mi spaventano.
vecchia, molto vecchia, un po fissata. Quando fa cos
impressiona.
202 Letteratura italiana Einaudi
La vecchia scorgendo le ragazze sera taciuta: faceva
cenno con la mano che accorressero; poi chiam con vo-
ce misteriosa: Anna, Anna.
Quando furono sotto la finestra, domand: Chi
con te?
Valentina.
Ah, gi, la figlia della Liberata. Brava ragazza. -
Cominci a piagnucolare infantilmente, mettendosi i
pugni sugli occhi, come una bambina.
Nonna, che c?
Mhanno chiusa dentro. Sperano di trovarmi morta.
Ma io canto per far sentire loro che resisto. Vieni ad
aprirmi, figlia, per carit.
Chi vha chiusa dentro?
E che ne so? Tua madre certo, tua madre sar stata.
Vieni Anna, benedetta figlia, vieni a liberare questa po-
vera vecchia. Hanno fatto cos perch c gente e non
vogliono farmi vedere il vino che si sciupa.
Riprendeva a cantare e le ragazze per non pi udirla
si decisero a salire. Traversando latrio videro che vera-
mente cera gente nella sala da pranzo. Un giovanotto
vestito di lutto parlava con don Alfonso, questi scorgen-
dole le invit ad entrare. Valentina si rassett con le ma-
ni i capelli, sussurr allamica: Aponte, Mario
Aponte.
Lospite salz in piedi e salut le ragazze. La madre
di Anna present Valentina con un sorriso di condiscen-
denza per far rilevare che la ragazza era di condizione
inferiore alla loro. Don Alfonso parlava vivacemente.
Che non si ricordavano pi di Mario? Avevano giocato
insieme da bambini, con Anna almeno, Dio quante cor-
se avevano fatto. Anna ammise: S, mi pare di ricorda-
re, un giorno che sand a mangiare languria da un
mezzadro e io caddi e mi feci male al ginocchio. S, ri-
cordo come un sogno.
Io Valentina fece decisa io ricordo perfettamente.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
203 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Mario parlava poco, reso triste da quel lutto cos gra-
ve. Negli intervalli di silenzio, sudiva di nuovo il canto
della vecchia alla finestra. Allora Anna si scus: Io sal-
go dalla nonna un momento. Valentina non si mosse
per seguirla, rest ad ascoltare il giovane: egli aveva do-
vuto abbandonare gli studi, era stato allestero, veniva a
stabilirsi qui per rimettere in efficienza il podere, la casa,
tutto andava alla malora, neppure pi i vetri alle fine-
stre, i contadini si sono approfittati del terreno, il castal-
do ha rubato finche ha potuto e adesso non si sa pi
neanche dove sia. Nei campi crescono erbacce.
Ho visto stamani tanta ruggine sullaratro.
La nonna non era chiusa a chiave in camera. Mi so-
no sbagliata diceva: ma tante volte lo fanno. E se-
guitava a compatirsi. Spesso parlava di s in terza perso-
na: Povera donna Antonia rinchiusa come un maiale,
ti sfoghi a cantare, eh? tanto poi un giorno finalmente si
crepa.
Anna si propose di superare la ripulsione che provava
per le mani della vecchia, la quale le adoperava invece
del fazzoletto, di sopportare lodore sgradevole della ca-
mera e rimaneva pi a lungo accanto a lei. la nonna
si diceva, quasi per convincersene. A una certa et
pensava i vecchi smettono anche di essere i cari stretti
parenti che sono stati, divengono soltanto dei vecchi.
Le dispiaceva di rinunciare alle sue ore di libert dopo
lo studio, soprattutto alla sua solitudine.
Infatti il giorno seguente si rec con la nonna in giro
per i campi a vedere le case dei coloni: bianche di calce,
affocate dal sole. I ragazzi andavano attorno completa-
mente nudi, le teste rasate di fresco, grigie come topi. Se
Anna li interrogava neppure rispondevano, la fissavano
a bocca aperta e poi ridevano dietro le sue spalle. Ave-
vano invece domestichezza con la vecchia che li chiama-
va tutti per nome, qualche volta li sculacciava. Mastica-
vano le foglie, le bacche, facevano pupazzi e palline con
204 Letteratura italiana Einaudi
lo sterco dei muli. Le femmine presto divenivano utili; a
cinque sei anni portavano le brocche dacqua in testa,
dignitosamente, e spazzavano laia.
Anna era accaldata, sudata, aveva bevuto acqua a
ogni casolare, la nonna invece camminava svelta, strin-
gendosi sotto il mento il fazzoletto nero.
Tua madre cerca di avvelenarmi diceva; ma io
me ne accorgo e non tocco il cibo che mi manda; ieri era
nelle polpette, come si fa per i cani. E sto preparando un
tiro. Sai che vogliono la mia firma per un affare di tuo
padre a Milano? S, s, io dico docile, s che la do la fir-
ma. E poi, allultimo, niente. Rideva mostrando i denti
gialli. E intanto gli sto sollevando contro tutti i conta-
dini. Un giorno verranno sotto il balcone con le falci e
con le roncole. Vogliamo la padrona vecchia! urleran-
no. Quel giorno tua madre si far prendere da uno sve-
nimento dei soliti. Lei pensa, lo so: Non muore mai
quella vecchiaccia.
Non sinterrompeva di parlare neppure vedendo Ma-
rio Aponte sulla soglia della casa. Seguitava a dire, anzi:
Oggi chi sa dove me la metter, la polverina.
Mario adesso, pranzava spesso in casa dei Bortone: ad
Anna riusciva simpatico per quel suo modo di parlare
pacato e riflessivo, per lamore che portava alla sua ter-
ra: ogni tanto egli ricordava gli studi con rammarico.
Don Alfonso gli consigliava: E allora vendila la terra,
cos potrai tornare in citt.
No egli rispondeva, non si vende la terra, porta
male.
Frottole che raccontavano ai tempi andati. Vendila,
se ti piace.
Ecco: forse non mi piace.
Anna ebbe un tuffo di gioia sentendolo rispondere co-
s, avrebbe voluto approvarlo ad alta voce, ma le sembr
eccessivo. Alz verso di lui lo sguardo, incontr i suoi oc-
chi e allora, dopo un attimo dimpaccio, gli sorrise. Pap
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
205 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
seguitava a parlare: diceva che la terra rende poco, una
miseria. Piove, il raccolto va alla malora, troppo caldo o
troppo freddo, c sempre qualcosa che non va.
Gi, gi Mario annuiva: un lavoro caparbio, un
lavoro di tenacia. Mi attrae proprio per questa lotta. E
fece con le mani massicce il gesto di voler piegare qual-
cosa, un ferro.
Sal dalla strada maestra il suono di un organetto; lo
strumento aveva due voci, una pi bassa, cupa, quasi
uscisse da uno strumento a fiato, e laltra tutta scintillan-
te, fatta di note argentine che svariavano sul canto, roto-
landosi luna dietro laltra. Era una voce estiva come
lansima delle cicale: chi pensa agli organetti dinverno?
Quel suono sollev la bassa afa del meriggio, sventagli
per laria un po di frescura. Anna soffoc limpulso di
alzarsi, correre alla finestra. Donna Matilde esclam
soddisfatta: Che distrazione, la musica! Sar altra cosa
quando avremo la radio!
Dallorganetto una scala di note si gettava a capofitto
come acqua che scaturisca e rimbalzi di roccia in roccia.
No, Anna? insist la madre.
Anna non rispose.
*
Giungevano lettere di Vinca, lettere di Emanuela. A
Valentina e ad Anna queste lettere parevano venire da
un altro mondo. Scrisse anche Augusta, rimasta a Roma,
in collegio; parlava di suor Lorenza, di suor Luisa ed
erano come personaggi di favole. Davvero le due ra-
gazze si chiedevano davvero abbiamo vissuto con loro
mesi e mesi? Svanivano le loro figure nella lontananza.
Nel paesello arso dal sole, dove nellombra ferma dei
cortili ragazzini seminudi si rivoltolavano nella sporci-
zia, come immaginare le fredde pareti del collegio, tra le
quali stagnava lodore di monaca?
206 Letteratura italiana Einaudi
Di sera, qui, nel silenzio bianco di luna, sotto qualche
finestra i giovani cantavano. Valentina ascoltava le voci
passare sotto la sua finestra, allontanarsi, perdersi. Era
sconvolta da quelle lettere delle amiche che parlavano
sempre damore. Di notte mormorava Andrea, Luis
per gustare il suono di quei nomi come esse lo gustava-
no. Piano, perch la madre, che dormiva accanto a lei,
non ludisse.
Vinca non parlava che di Luis; lettere sconclusionate,
in cattivo italiano. Scriveva a Luis, andava in chiesa a
pregare per Luis, aspettava Luis, Luis era un eroe. Le
lettere di lei scottavano le mani. Descriveva la sua vita in
casa di donna Inez, tre donne in attesa, boccheggianti di
caldo. Pilar si consuma, poverina. Io ho dato lezioni di
spagnolo, qualcuna, ma ieri quasi rompo la borsetta in
testa a una ragazzina la quale diceva che gli spagnoli so-
no tutti buffoni, buoni per la corrida. Me ne sono anda-
ta e non voglio il danaro. Sono stata al collegio; ho tro-
vato Augusta a scrivere, s smagrita, pallida. Suor
Lorenza mha abbracciata, mha stretta, mha domanda-
to se ritornavo l, a ottobre. Che sono matta? le ho ri-
sposto e allora lei mha chiesto cos affettuosamente:
Perch? Ti sei trovata male? che io subito mi sono
messa a piangere pensando a Luis. Luis mi ha scritto
una lettera appoggiato a un tamburo, scrive poco e be-
ne. Le lettere di Pepe a Pilar sono molto pi lunghe. Ma
Pepe non Luis.
Le lettere di Emanuela erano pi calme. Era andata a
Firenze, prima, e poi era partita per un viaggetto in mac-
china con pap e mamm. Mandava cartoline sovente,
da ovunque; forse in ogni paesello dove si fermavano
anche solamente per fare benzina, Emanuela scendeva,
andava dal tabaccaio, spediva la cartolina.
Se dimentica di mandarne una, forse rimane tutto il
giorno con lamaro in bocca diceva Anna con un sorri-
setto.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
207 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Perch riderne? rimbeccava Valentina. molto
affettuosa, sempre si ricorda di noi.
Tu credi che le mandi per noi? Solamente pi tardi
si comincia a viaggiare per se stessi. In principio si viag-
gia soltanto per gli altri. Lei ci scrive cos spesso, perch
a noi, soffocate dallafa in questo paese, nasca linvidia
di quei freschi colli, o delle Dolomiti. Ma io preferisco
essere qui; vorresti essere al suo posto?
Io s.
Ormai, Valentina e la madre mangiavano addirittura
in cucina. I fratelli neppure le chiamavano a cena, si
mettevano a tavola sudati, bevevano, davano le ossa al
cane, un mezzo bracco pieno di pulci. Se sorprendevano
la nipote senza far nulla, non la rimproveravano, ma le
dicevano: Perch non ti fai mantenere dalla Bortone
che t tanto amica? E poi prendevano a parlare vol-
garmente di Anna, delle sue forme prosperose. Allo
zoppo, mentre parlavano di ci, saccendevano gli oc-
chi. Beveva, poi si passava la lingua sulle labbra e la
schioccava. Vieni qui, Valentina, dicci un po: lhai ve-
duta in camicia al collegio? La ragazza si mordeva le
mani per la rabbia; la madre la calmava: Buona, buo-
na, che vuoi fare? questione di poco; quando avrai
preso la laurea... Tutto finiva con questa frase, era co-
me il miraggio della Mecca. E una sera Valentina scop-
pi a piangere: Mamma, che cosa sperate? Due anni ci
vogliono ancora, poi avr una supplenza. Lavora, cor-
reggi i compiti, lavora, sempre lavora! questo che mi
prospettate come avvenire?
E and a rifugiarsi sul terrazzo, sbattendo forte la ve-
trata. Piangeva: un pianto rabbioso, irrefrenabile. Sta
buona, sta buona, la laurea. Vedeva gi cosa sarebbe
stato dopo la laurea, si sentiva fin da ora spossata per
tutte le giornate nelle quali avrebbe dovuto lavorare; an-
ni e mesi gettati nella voragine comune, impiegata, for-
se, a patire per un lavoro non proprio, che non fa strada
208 Letteratura italiana Einaudi
al proprio nome, un lavoro oscuro, una fatica che nessu-
no conosce, navigare senza scorgere mai il faro del por-
to. E tutto questo era l davanti a lei, un vuoto nero co-
me lo strapiombo che sapriva sotto il terrazzino nella
fosca vallata.
Il domani giunse ancora una lettera di Emanuela, di-
ceva: Andrea mi scrive sempre, tanto carino. Mette-
va questa tra due frasi qualunque: Il tempo bello...
Domani saremo sul Lago di Braies.
Spesso Valentina andava a letto presto, appena le
rondini avevano finito di girare attorno al campanile
della chiesa vicina; volavano stridendo, calavano basso,
certe volte sembrava dovessero sbattere alle imposte.
Erano notti formicolanti di stelle, tacevano le rondini,
incominciava il cri cri dei grilli, qualche rana urlava nel
pantano. Valentina non riusciva ad addormentarsi; ac-
canto a lei la madre stanca dormiva, un grosso respiro le
sfuggiva di tra le labbra semiaperte. Valentina, desta,
immobile, aspettava che dallombra venisse a lei il sogno
consueto, la consueta immagine. E invece il chiarore che
passava dalla finestra prendeva forme decise: ora An-
drea, ora Luis. Valentina immaginava di rubarli alle ami-
che. Andrea muoveva verso di lei che stava seduta tra le
compagne nel cortile del collegio o coricata con loro in
un immenso dormitorio e la sceglieva: Tu, Valentina.
Allacciati sallontanavano. Sentiva il braccio di lui intor-
no alla vita, bruciava, la carne doleva.
Finch le immagini maschili dileguavano e invece, dal
buio, nascevano i volti delle amiche, si tendevano verso
di lei, soltanto i volti, come maschere: savvicinavano,
savvicinavano, le soffiavano in faccia: Sono fidanzata.
Lei stava china al tavolo, correggendo i compiti dei ra-
gazzi, sepolta tra una montagna di quaderni neri e lucidi
come scarafaggi. Tutte queste sommesse voci formavano
un bruso sibilante, un ululo di vento. Sono fidanzata,
sono fidanzata. Dopo sudiva un ridere dapprima re-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
209 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
presso, poi scrosciante. Ridevano. E lei tentava di non
alzare gli occhi dal lavoro, ma infine quel riso lossessio-
nava, doveva tapparsi gli orecchi, non resisteva pi, ba-
sta, basta, per piet! Si svegliava affannata, dilatava le
pupille nella tenebra della camera silenziosa e tranquilla.
Adesso unaltra immagine spesso la tormentava: Ma-
rio. Ci pensava notte e giorno, andava da Anna speran-
do di vederlo, insisteva perch Anna smettesse di studia-
re: Andiamo a spasso la prendeva sotto braccio e
come per caso la spingeva verso il podere degli Aponte.
Mario era sempre l attorno con gli operai che riattava la
casa. Si fermava volentieri a parlare con le ragazze, spes-
so le riaccompagnava. A sera Valentina si rimproverava:
Ho parlato troppo oggi: Anna forse linteressava di pi
con il suo sorriso di Gioconda. Sudavo, il vestito era
macchiato sotto le ascelle: smuovendomi sentivo un for-
te odore, lavr sentito anche lui.
Mario sembrava non sentire nulla, soccupava soltan-
to della casa e della terra: passava le mani sui muri di ca-
sa come per essere sicuro che non cadessero. Le famiglie
dei nuovi coloni erano entrate nei casolari dipinti di fre-
sco, gente del Veneto. Erano venuti dalla stazione con
un carro, i ragazzini sopra in piedi traballando, che scesi
serano presi per mano, stretti alla madre, attoniti, spa-
ziando lo sguardo per la nuova terra. Correvano per i
campi, avevano fatto amicizia con i figli dei coloni dei
Bortone; senza parlare, perch gli uni non capivano il
dialetto degli altri, sedevano insieme passandosi le pie-
tre, i pugni di terra.
Valentina credeva che Mario fosse innamorato di lei.
Spesso quando sedeva sul terrazzo a rammendare, si
volgeva di scatto e le pareva di vederlo entrare. Ecco-
mi le diceva sono venuto o entrava di notte nella sua
stanza. Si chinava sul suo letto per baciarla. Come mi
bacer? La bocca di lei sinumidiva per lattesa, un gran
sudore la bagnava e il respiro le si faceva affrettato; ma
210 Letteratura italiana Einaudi
cercava di liberarsi da questa immagine, ricercava attor-
no a lei quella che ogni notte la raggiungeva. Cos le ore
passavano, i rintocchi della campana a tratti scuotevano
la notte: certe volte vedendo lalba nascere infreddolita
dietro i vetri, Valentina si proponeva: Adesso dormo.
Poi ricordando i sogni ai quali volontariamente sera ab-
bandonata, si spauriva del peccato commesso: Dio,
Dio perdonami. Ma tutto era cos facile e molle in
quelle notti destate.
Alla festa del patrono i genitori di Anna non presero
parte: detestavano quelle manifestazioni popolari. Ma
nonna Antonia volle assolutamente accendere i lumi a
olio sulle finestre anche se la processione passava di lon-
tano. Nella sera, smossi dal lieve fiato del vento, i lumi
tremavano; anche alle case dei coloni un lume era acce-
so. La vecchia, seduta sullaia, sbocconcellava il pane
dolce che era duso mangiare in quel giorno. Anna era
andata con Valentina e Mario a vedere la fiera.
Ancora vagolava per il corso e per la piazza lodore
dellincenso bruciato appresso al Santo che, tutto di le-
gno rosso e doro, si stagliava nel cielo occiduo e trabal-
lando sulle spalle dei portatori mandava bagliori dagli
occhi di vetro. Era rientrato nella chiesa dove i fiori am-
massati sullaltare spandevano sentore di funerale. La
gente dianzi contrita, passava in festa sulle selci ancora
imperlate di cera. Lamentosi e modulati sudivano i ri-
chiami dei venditori di noccioline e di banane, lenti co-
me una ninna nanna araba.
Dietro labside della chiesa esplodevano i fuochi dar-
tifizio. Valentina e Anna agli scoppi si tappavano gli
orecchi con le dita; avevano bevuto certo vino pastoso,
avevano mangiato i croccanti, i sorbetti; ammollite dalla
festa si lasciavano urtare dai bambini che correvano suo-
nando nelle trombe di cartapesta, senza ribellarsi. Mario
le teneva entrambe pel braccio, Valentina gli si appog-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
211 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
giava un poco, messa in languore dal vino. Anna godeva
di sentirsi attorno la folla, una grande famiglia, salutava,
sorrideva a tutti. Sulla piazza, nel recinto dellosteria,
numerose coppie di paesani danzavano.
I ballerini sedevano sulle panche, gli uomini di qua, le
donne di l. Una ragazza rossa andava attorno coi bic-
chieri del vino; poi, quando la musica riattaccava, si
metteva da parte. Salzavano allora i giovani, sassestava-
no i calzoni alla cintola e savvicinavano alle ragazze che
mute attendevano con le mani in grembo; e sbito, ce-
dendo allinvito, si mettevano a ballare. Lenta la danza e
cadenzata da quei rantoli della fisarmonica. Se il compa-
gno saltava, anche la ragazza saltava senza per mutare
la ferma espressione del volto o muovere la testa. Il ballo
apparteneva alle gambe soltanto e agli zoccoli di legno
scalpitanti. I lunghi orecchini saltellavano ai lati del viso
austero.
La musica finiva di scatto, di scatto i due si separava-
no, in silenzio, neppure una parola si dicevano: forse
con quei visi, la notte, le spose si staccavano dai loro uo-
mini per dormire. Riprendevano il loro posto sulle pan-
che, i giovani di qua, le ragazze di l, senza neanche
scambiarsi un sorriso, aspettando dalle mani del suona-
tore il momento di alzarsi di nuovo, ricominciare.
Nelle gambe di Anna e Valentina si agitava una gran
voglia di ballare; ballare fino ad essere esauste, cadere
per terra, dormire. E per non ardivano di mescolarsi ai
contadini, forse quelli avrebbero smesso per rispetto.
Sopra la cupola della chiesa i bengali rossi dilaniavano
loscurit, luminose meteore irraggiavano, ricadevano
molli, sannientavano nellombra. Mario condusse le ra-
gazze alla giostra.
Tre cavalli: Anna si sedette sul cavallo come unamaz-
zone, intrepida sattaccava alla criniera, guardava i fero-
ci occhi dellanimale, le froge dilatate, dipinte di vermi-
glio, e incitava: Andiamo, andiamo!
212 Letteratura italiana Einaudi
Tutto ci le dava una gioia infantile, irrefrenabile.
Sullorganino della giostra un omino di legno in bautta
batteva il tempo duna flebile antica musichetta: Anna
scoppi di gioia alludirla, Valentina la guardava:
pazza, dice bene sua madre: posa. Anche lei si sentiva
stordita, ma per quella vicinanza di Mario, quel braccio
di lui contro il suo. Per Mario cavalcava vicino ad An-
na e lei doveva dar loro le spalle.
Il carosello si mosse. Poco dopo la testa di Anna pre-
se a girare a vortice, come se le girassero gli occhi nelle
orbite.
Attorno attorno alla giostra un fitto cerchio di gente
guardava gli altri divertirsi. Anna sentiva tutti gli sguardi
su di lei, e il tondo sguardo di Mario non abbandonarla
un momento. Ha paura che cada, ha capito che sono
ubriaca. Che vergogna, che vergogna! ma non riusciva
a vergognarsi veramente, anzi sorrideva, un sorriso mec-
canico come lalzarsi e labbassarsi del braccio nellomi-
no di legno in bautta che batteva il tempo. Anche lo
sguardo di Valentina sentiva fisso su di lei. Tutti, tutti la
guardavano, la musichetta le ronzava negli orecchi, in-
sopportabile come il canto della nonna alla finestra. Ep-
pure si divertiva tanto, mai si era divertita tanto cos. Un
anno, tutto un anno deve trascorrere perch ritorni que-
sta festa. Chi dice che la citt bella? Mario la guardava
serio. Domani bisogna di nuovo tornare a studiare. E
lansia per lo studio, la tesi, tutto ci le appariva ingiusti-
ficato e lievemente ridicolo, come quando si vede gente
ballare dietro una vetrata senza udire la musica.
Scesero e a stento si fecero largo tra la folla che sac-
calcava sulla piazza, attenta alla tombola che si estraeva
dal balcone della Casa del Fascio. La testa Anna
mormorava la testa...
Qui, qui disse Mario qui c pi aria.
Discosti dal baccano, si fermarono a guardare la lumi-
naria accesa ai balconi; sappoggiarono a un muretto,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
213 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sotto di loro era lo strapiombo detto del Ladro per un
malvivente che vi si era ucciso ai primi anni del secolo e
del quale ancora si narrava la storia. Valentina scrutava
nel fondo cupo dombra: precipitare laggi, restare
morti e freddi come Milly. Perch non riusciva a liberar-
si dal fantasma della ragazza?
Su di loro scendeva la lieve amarezza del divertimen-
to goduto. Fu Anna la prima a riprendersi, disse:
tardi, adesso bisogna andare a casa. Non guardava
Mario, ma si sentiva fissata da lui; dal principio della se-
ra la fissava cos. Adesso dopo aver accompagnato Va-
lentina avrebbero dovuto tornare insieme, soli. Per evi-
tare questo propose allamica: Vuoi venire a dormire
da me?
Ma laltra, dopo aver riflettuto un poco, rifiut: No.
La mamma starebbe in pena. E i fratelli saccanirebbero
contro di lei. No, non posso.
Per un vicolo scesero fino alla casa di Valentina. Dalle
osterie aperte venivano voci di uomini che giocavano a
carte e, per le strade, sudivano canti di gente che aveva
bevuto troppo. La festa adesso disgustava un po, come
gli avanzi di un copioso pasto. Nellaria, per gli scoppi
dei mortaretti, era rimasto odore di polvere bruciata.
Anna e Mario riattraversarono il paese in silenzio: de-
siderosi di aria pura affrettarono il passo, passarono lar-
co grigio che metteva sulla strada della campagna. Qui
Anna sarrest, disse: Com bello il silenzio!
Mario rimaneva muto, ma lei sentiva lo sguardo del
ragazzo avvolgerle le spalle, soffermarsi sul nodo dei ca-
pelli che ella usava portare basso sulla nuca. Messa a di-
sagio da quellinsistenza, ogni poco doveva alzare gli oc-
chi verso di lui e sorridergli. Oltrepassarono un fanale,
un grande cerchio di luce gialla; poi fino al prossimo la
strada ricadde nelloscurit. La notte era senza luna, ma
le stelle mettevano brividi in cielo, la via lattea si gettava
come una sciarpa attraverso il lucido brulichio. Dinanzi
214 Letteratura italiana Einaudi
al cancello di Anna si fermarono ed ella rest appoggia-
ta al pilastro, sul quale pendeva la campanina, guardan-
do il suo compagno di sotto in su. Era molto difficile la-
sciarsi dicendo addio come sempre; ed era altrettanto
sciocco agire in modo diverso, poich nulla era cambia-
to, proprio nulla. Il cane, latrando, venne verso di loro,
mise il muso tra le sbarre, saccoccol, tacque. Anna,
per spezzare quel silenzio che lossessionava, disse:
Quante stelle! adesso mi affaccer per guardarle.
Quale finestra? quella? e il giovane lindic.
S, quella.
Anche io mi metter alla mia.
Anna rise: Ma non ci vedremo, lontano. Vi sono
di mezzo i campi, gli alberi... Poi tacque imbarazzata.
Non importa disse Mario, poi soggiunse: io ti
vedr, Anna.
Sulla strada passava un carro: dondolava tra le ruote
il lume giallastro, gli zoccoli battevano sordamente sulla
polvere. Anna e Mario restarono attenti a quel rumore, a
quella luce; quando il carro si fu allontanato, il ragazzo
disse appena addio e lento sincammin verso la sua
casa.
*
Nei giorni che seguirono, Anna evit di trovarsi con
Mario. Studiava tutto il giorno, a Roma avrebbe dovuto
soltanto far copiare e rilegare la tesi, prepararsi per di-
scuterla, tutto fatto grazie a Dio e, vada come vada, era
finito. Dalla finestra della camera seguiva Mario che an-
dava per i campi, vedeva un puntolino bianco, era lui in
maniche di camicia che parlava ai coloni, al nuovo ca-
staldo, che andava sul muletto fino agli angoli pi remo-
ti del podere. Forse non era amore il suo, eppure una
mite dolcezza si diffondeva in lei allorch guardando
quel puntolino bianco si diceva: lui che lavora.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
215 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Mario non la cercava; e lei per questo pensava, un po
delusa, che quegli sguardi e quel suo tono di voce, la sera
della festa, al cancello non fossero proposte damore. For-
se soltanto contentezza di sapere che lei cera, esisteva.
Lo vide una settimana dopo, uscendo con Valentina a
passeggiare nella tenuta. Si spinsero fino alla rete di fer-
ro che separava il giardino degli Aponte da un campo
dei Bortone. Il grano era gi tagliato da tempo, la terra
appariva devastata, arsa di stoppie. L presso nellaffoca-
ta pianura quanti pagliai? dieci, venti, e altri ne innalza-
vano i contadini pi in l. Presso il fossato Valentina
chiese: Qui? Anna non replic e sedettero. Nel giar-
dino Mario non cera, ma si udiva la sua voce. Valentina
prese a parlare forte, a ridere per attirarlo. Poco dopo
infatti venne e si sedette, le gambe in croce, di l dalla
rete. Calmo e soddisfatto, masticava tra i denti forti un
lungo filo derba.
Ho fatto gi molto diceva ma molto ancora ho
da fare. Il bestiame, il pollaio, bisogna riportare tutto
come prima. La casa uno squallore; e il giardino? Un
po per volta anche il giardino. Bruscamente chiese:
Mi vorrebbe aiutare a scegliere... s, insomma a sistema-
re il giardino, Anna?
Valentina guard prima luno e poi laltra, insospetti-
ta; piena dimpaccio Anna rispose: Volentieri; ma tra
poco parto.
Gi: parte fece Mario: sar per il suo ritorno.
Ecco.
Un silenzio penoso: placida scorreva lacqua nel fos-
sato trascinando foglie e sterpi, i pagliai gettavano mac-
chie dombra sui campi, le galline passavano impettite.
Valentina taceva: se avesse aperto bocca sarebbe stato
per piangere. O si sarebbe volentieri gettata su Anna,
lavrebbe colpita in pieno viso, le avrebbe fatto mettere
la bocca sul prato.
La rete di ferro metteva ombre sul viso calmo di Ma-
216 Letteratura italiana Einaudi
rio, che seguitava a masticare il filo derba. Come se
nulla fosse o Valentina pensava e intanto mhanno gio-
cata.
Salz di scatto, fece: tardi e prese Anna pel
braccio. Niente affatto sorpreso, egli disse: Bene e
salutate le ragazze con la mano sallontan zufolando.
Nonna Antonia era alla finestra, vide Anna arrivare
con lamica e la chiam: Presto! Presto! diceva con
voce soffocata. La nipote non laveva vista in tutto il
giorno, aveva saputo che era andata al casolare del colo-
no Mattia, il quale aveva la moglie in parto, portando
con s soltanto un pezzo di pane e un pomodoro.
Senti, Anna le disse nel vederla neppure il pane
posso pi mangiare. Tua madre me lha avvelenato; ho
avuto i dolori di pancia lintera giornata. Non lavevo
mangiato tutto, per fortuna! E adesso, sai che fa? Ho vi-
sto entrare da lei lAddolorata, quella che fa le carte e le
fatture. Adesso mi fa buttare addosso la moria. Vedrai
che ci riesce. Da ieri mi batte una palpebra: segno di
disgrazia. Infatti tuo padre mi aspettava nellatrio, vole-
va la firma. Che firma? ho chiesto. Quella che avete
promesso, liberare le cartelle per quellaffare di Milano,
torneranno raddoppiate, almeno. Non mi ricordo,
non ho promesso nulla. Non faccio firme, ho dett.
Sai? perch tutto va in malora e sono senza soldi. Che
affare di Milano! Servono per le orge, per i vestiti di tua
madre. Donna Antonia Bortone non firmer. La casa si
riempita di strilli, non hai inteso? -
No, ero fuori con Valentina.
Bene. E sai che mha risposto il sangue mio? il frut-
to delle mie viscere? Singhiozzava accorata. Mha ri-
sposto che mi far rinchiudere al manicomio.
impossibile, nonna.
S, s, tua madre ci riuscir. Dicono che rubo, che
rubo in cucina. Fiottava adesso: Un po di zucchero,
ho preso. Zucchero per te, se viene tempo di carestia
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
217 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
adesso che c stata la guerra e, come accadde nel 18,
non se ne dovesse trovare pi. E vuole farmi rinchiude-
re. Dice che il tribunale mi toglier la firma perch sono
pazza. Povera Antonia! Pazza! seguitava a fiottare e
Anna non sapeva che dirle. A un tratto la vecchia salz
in piedi, secca e ossuta che pareva la morte vestita, batt
una mano sul davanzale, disse: E domani vedrai che
accadr.
A sera Anna parl a lungo col padre, ma dovette dar-
gli ragione. Per adesso poteva fare a meno della firma;
domani sarebbe partito in viaggio, Milano, Biella; ma al
ritorno sarebbe passato per Bari e avrebbe messo la cosa
nelle mani dellavvocato. Malata di persecuzione, clep-
tomane, irresponsabile: ce nera quanto bastava. No, no,
che manicomio! laveva detto per spaventarla.
Il domani, un giorno grigio, pesante, don Alfonso
part; la nonna pass la mattinata in giro e rientr sorri-
dente. A tutti, quel tempo minaccioso dava il malumore,
i lampi squarciavano il nero tumultuoso del cielo: verso
sera dai campi venne un gruppo di coloni seguiti dalle
mogli con i figli per mano. Giunti che furono sullaia
uno di loro domand di parlare al padrone.
Non c rispose la serva partito.
Ah! partito ripet Nicola, che aveva parlato per
tutti, poi passato uno sguardo con gli altri, chiese: La
padrona giovane allora.
Poco dopo donna Matilde scese con la figlia: sarrest
maravigliata dagli sguardi cupi e fermi dei contadini,
strinse a s la vestaglia come per difendersi: Che c?
domand, ansiosamente.
Quelli si guardavano in silenzio aspettando che qual-
cuno si decidesse a parlare, poi, a una gomitata della
moglie, Nicola si decise: disse che erano venuti a sapere
delle intenzioni dei padroni, che don Alfonso vendeva il
terreno a gente forestiera e infatti era partito, che da un
giorno allaltro li avrebbe messi tutti fuori senza badare
218 Letteratura italiana Einaudi
ai patti e al dovuto. Perch faceva questo? Loro avevano
donne e figliuoli, non volevano vederli morire di fame.
Donna Matilde cercava di protestare, ma quello insiste-
va con una ottusa tenacia: no, no, la padrona non negas-
se, tutto sapevano, loro in citt con la radio e lautomo-
bile, la figlia professora e la padrona vecchia al
manicomio. Perch la padrona vecchia al manicomio?
Era lunica che andava per i casolari a vedere se loro non
erano crepati e come crescevano i figlioli. Perch al ma-
nicomio? Perci erano venuti a dire che loro dalla terra
non se ne sarebbero andati, i figli in mezzo alla strada
non li avrebbero messi. E don Alfonso si ricordasse che i
suoi padre e madre erano stati contadini, ecco.
Un sordo brontolo si lev dietro di lui. Una donna
tendendo il pugno, con occhi lucidi dodio, lanci una
maledizione.
Matilde protest che non era vero, chi aveva detto
questo doveva essere pazzo. E Nicola rise ironico: Paz-
zo da manicomio? Tutti i contadini ebbero uno sghi-
gnazzare cattivo. Ma a noi non ci caccia, che, se no,
cacciamo noi a lui.
Allora Anna si fece innanzi alla madre e and in mez-
zo a loro: A me dovete credere, io sono stata sempre
tra voi, nelle vostre case. vero? Io vi dico che nessuno
ha mai parlato di vendere la terra. Don Alfonso partito
per affari, altri affari, niente a che vedere con la tenuta.
Non vero che si rinchiude la nonna in manicomio.
Non si vende la terra che ha dato da mangiare a voi e a
noi. Don Alfonso verr a parlarvi al ritorno. Nessuno to-
glie il pane ai vostri figlioli.
I contadini volevano bene ad Anna; invece la padrona
giovane, certuni quasi non la conoscevano. Si guardaro-
no luno con laltro perplessi. Andiamo? Alcuni ri-
presero la via dei campi; Nicola aggiunse: Ce ne andia-
mo, ma siamo pronti a tornare. Poi and dietro agli
altri nel cammino dei casolari.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
219 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Anna non fece in tempo a trattenere la madre: gi
questa era salita per la scaletta e si precipitava in camera
della vecchia. La trov presso la finestra che fingeva di
recitare il rosario, ma certo aveva seguito tutto chera av-
venuto sullaia.
Questo, questo avete fatto a vostro figlio, vero? per-
ch magari lammazzino quando ritorna, no? Ma che
siete voi, una belva? Avete atteso che fossimo sole io e la
figlia. Poi il rosario ci dite sopra, vero? Ma c Dio, c
Dio lass!...
Mentre la vecchia si difendeva e diceva che lei non sa-
peva nulla, che cosa era accaduto? chi volevano ammaz-
zare? Anna trascin via la madre che in carnera sua sac-
casci in un mezzo deliquio sul letto.
La notte cal, nuvole bianchicce nascondevano le
stelle; lafa umida toglieva il respiro, cupi boati passava-
no nellaria, il temporale girava attorno senza scoppiare.
Anna stava in camera sua, le braccia sul davanzale, irri-
tata dal tempo e dagli avvenimenti. La madre, dopo aver
bevuto una tazza di camomilla, ormai dormiva; in came-
ra della nonna dopo passi e rimestari adesso sera fatto
silenzio.
Anna guardava verso la casa di Mario dove nessun lu-
me ardeva, gli alberi e i pagliai le toglievano la vista della
finestra di lui. A un tratto nella tenebra grigia le parve di
vedere uno sprazzo, una macchia, una lingua di fuoco
insorgere sul pagliaio. Non possibile. Ma gi la serpe
di fuoco correva e fulminea sallargava nella notte.
Allora a voce altissima grid: Fuoco, fuoco sui pa-
gliai!
Scese le scale a precipizio, apr le stanze ove i servi
dormivano, sempre urlando: Fuoco, fuoco! entr in
cucina, stacc un secchio, altri ne prendevano i servi so-
pravvenuti. Uscendo sullaia vide che il fuoco ardeva sul
lato destro del pagliaio. Tutti correvano, nel buio urta-
220 Letteratura italiana Einaudi
vano contro le piante, scavalcavano i fossati. Fuoco,
fuoco! Dalla casa dei coloni gente accorreva. In un at-
timo, dal ruscello al pagliaio, si form una catena di gen-
te chinata che si passava i secchi da mano a mano, ne
gettava lacqua sul fuoco, svelta li rimandava. Scacciato
dal basso del pagliaio, il fuoco adesso raggiungeva la ci-
ma arrossandola, lass lingueggiava il cielo, un fumo
giallo e acre si dilatava a pennacchio nellombra.
Anna sera accostata alla rete di ferro: Mario! Ma-
rio! chiamava: Mario! Ma egli gi accorreva con al-
tri uomini portando due secchi; scavalcarono la rete;
Anna gli si fece vicina, gli gett le mani sulle spalle:
Mario! Aiutami, Mario!
Egli si stacc le braccia di lei dal collo, corse verso gli
altri, si mise allopera.
Come un gigantesco ceppo il pagliaio ardeva: attorno
i campi, gli alberi, la casa, tutto ne era illuminato quasi
per festa. Adesso il fuoco serpeggiava anche sul campo
pi prossimo che era coltivato a ricino. Scintille crepita-
vano, lafa del cielo basso e il fumo toglievano il respiro.
Anna passava i secchi e intanto chiedeva: Com
stato, com stato? Nessuno sapeva nulla, tutti taceva-
no, le schiene curve; quelli che attingevano lacqua ave-
vano gi i piedi nel guazzo formatosi lungo il ruscello. Il
fuoco sul campo sera spento, ma un ciliegio infiammato
dalle faville divampava. Com stato, com stato?
domandava Anna. Dun tratto nella rossa luce dellin-
cendio vide di contro a s la nonna.
A bocca aperta la vecchia guardava le fiamme salire,
balzare verso il cielo, minacciare di appiccarsi al pagliaio
vicino. Guardava e teneva le mani sulle vesti sollevando-
sele sui ginocchi con mossa nervosa. Allora, di colpo,
Anna cap: Nonna, che avete fatto, nonna? Il suo ur-
lare era pieno di raccapriccio. La vecchia non ludiva:
seguitava a fissare il fuoco con un sorriso di soddisfazio-
ne. Abbandonato il secchio in mano alla vicina, Anna
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
221 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
corse verso la vecchia, la prese pel braccio, la scosse:
Siete stata voi, vero? La nonna la guardava, ebete. An-
na scoppi a piangere disperatamente: Che avete fatto,
nonna, adesso tutti i pagliai bruceranno, e poi i campi,
gli alberi, il raccolto, avete capito? Tutto brucer, tutto,
la terra finita!
Come se soltanto allora la vecchia comprendesse la
gravit di quel che stava accadendo, cominci a urlare
anche lei con le labbra che tremavano, si batteva il pet-
to, si tirava i capelli grigi e fiacchi, urlava: La terra! La
terra! Poi volgendo le spalle allincendio prese a corre-
re, a fuggire traballando.
Il fuoco assaliva il ciliegio, si vedevano i suoi rami cor-
si da serpenti di fiamme, le sue braccia stecchite salza-
vano nellombra rossastra e fumante. Anna savvicin a
Mario: il ragazzo sudava, le mani irritate dal rapido pas-
sare dei secchi. Mario, Mario, stata la nonna, la non-
na, pensa! Brucer tutto, vero? D, Mario! Chino,
passando sempre pi lesto i secchi, Mario rispose ango-
sciato: Ci si far? Ci si far? Il fumo e il calore pren-
devano alla gola, gli uomini che si passavano i secchi co-
minciavano a tossire, raddrizzavano per un momento la
schiena indolorita. Guardavano verso il pagliaio, ansiosi;
nella luce rovente dellincendio i loro volti lucidi di su-
dore parevano di rame.
E allora avvenne il miracolo.
Prima a gocciole rade e larghe, cadde la pioggia. Gri-
da salzarono qua e l: Piove, piove! e i contadini le-
varono la faccia al cielo, ma senza rallentare lopera. An-
na si gett in ginocchio accanto a Mario, le palme stese a
raccogliere lacqua: San Nicola fate la grazia! San Ni-
cola! La pioggia infittiva, cadeva a raffiche, sempre
pi furibonda. La fiamma schiaffeggiata sabbassava, si
risollevava vivace, esausta ricadeva; tutti gridavano co-
me pazzi e seguitavano a gettare secchiate dacqua sul
pagliaio, Anna diceva: Mario, guarda, si spegne!
222 Letteratura italiana Einaudi
A poco a poco le serpi di fuoco scivolavano di dosso
al ciliegio: i contorni dellalbero divenivano violacei, ap-
pena. Con una violenza rabbiosa folate dacqua investi-
vano la campagna, formavano pozze, cominciavano ad
apparire chiazze buie sul pagliaio, lincendio resisteva,
ma sempre pi debolmente. Si diffondeva gi nellaria
un odore di bruciaticcio.
Le camicie degli uomini erano appiccicate alla pelle,
acqua e sudore, e loro seguitavano a gridare e a rovescia-
re i secchi sulle fiamme. Anna con i capelli intrisi dac-
qua, il viso colante e il vestito fradicio, ripeteva a se stes-
sa: La terra salva, la terra salva! Poco dopo, sotto
il formidabile acquazzone il pagliaio si spense, ma gli
uomini, non convinti, correvano attorno, gettavano an-
cora acqua, forse il fuoco cova sotto, no, no, tutto era
nero e arso, spento.
E la pioggia rallentava il ritmo, proprio come un mi-
racolo, adesso quellacquazzone di ultima estate rispet-
tava la campagna. Tutti rimasero l, in attesa come se ad
un tratto il fuoco dovesse divampare di nuovo; zuppi, i
secchi in mano, fissavano ancora il pagliaio, increduli. I
contadini furono i primi a riprendere la strada dei caso-
lari; borbottavano tra loro perch la pioggia avrebbe in-
fracidato luva. Anna esausta sappoggiava a Mario:
Grazie mormorando: grazie!
Mario le mise un braccio attorno alle spalle e cos sav-
viarono verso la casa, spesso volgendosi indietro, pareva
loro che le fiamme dovessero nuovamente levarsi come
due ore prima e, stavolta indomabili, raggiungere i cam-
pi, fino a quelli rasi dal taglio del granturco. Erano stan-
chi, grondanti e ancora pioveva, ma piano, a ventate.
In casa donna Matilde piangeva pensando che certo
un giorno o laltro la vecchia avrebbe messo fuoco alla
casa. La nonna non cera: Anna, Mario, i servi battevano
i denti per lumidit; lo spavento provato aveva messo
indosso a tutti uninquietudine, unagitazione nervosa.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
223 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
La nonna? Anna chiedeva. Dove sar la nonna?
Uscirono fuori a cercarla con le lanterne; la chiamaro-
no dallaia, si spinsero dietro la casa, nellorto; tesero
lorecchio in ascolto, ma nulla si udiva. I campi erano un
pantano, i passi sinvischiavano nel fango. E ancora pio-
veva. Scostavano le fratte di confine di dove lacqua crol-
lava improvvisamente. I servi gridavano: Donna Anto-
nia! Donna Antonia! Le lanterne passavano come
occhi su e gi pel fossato: Forse si rifugiata nelle case
dei coloni. Questi li accolsero duramente: Che c?
che altro brucia? No. No. Non cera donna Antonia.
Rientrarono in casa sotto la pioggia, scoraggiati; si se-
dettero nellatrio aspettando, sussultando ad ogni fru-
sco, eccola, no, sempre lacqua o il vento. Poi, stanchi,
alcuni si addormentarono l, per terra. Anna, Mario e
Matilde in attesa, diritti sulle sedie, cos tutta la notte.
La trovarono allalba. Allultimo limite del podere,
bocconi nel fossato. Emergeva la gonna nera, una mano
bianca. Attorno fragili arbusti strappati mostravano do-
ve lei sera aggrappata per non cadere. Sullerba melmo-
sa si vedevano ancora le orme dei suoi passi. Tra i denti
stretti erano fili derba e fango.
*
Il settembre fu bellissimo. A sera gente passava per le
strade cantando. Dietro le finestre chiuse di casa Borto-
ne, Anna, vestita di nero, studi tutto il mese faticosa-
mente. Si sentiva, da quel lutto, imprigionata nella pro-
pria camera, le pareti sembravano stringersi attorno a
lei; ma seguitava a studiare.
Quando usc fu per partire, con Valentina, come era
arrivata. Molta gente and a salutarla, dissero che era
una buona nipote perch appariva afflitta e smagrita.
Anche uno dei fratelli venne, quello zoppo, poich la ni-
pote partiva con la Bortone. Cera nella stazioncina una
224 Letteratura italiana Einaudi
silenziosa aria di tragedia, quasi ancora tutti fossero sot-
to lincubo della notte dellincendio. Se il treno fosse ar-
rivato in orario tutto sarebbe stato semplice, ma il treno
ritard. Snervata dallattesa, donna Matilde stringeva a
s la figlia, la chiamava dicendo parole sconnesse: Che
tragedia! Che scandalo, figlia mia! Commossa e stor-
dita abbracci anche Valentina.
Mario, venuto allultimo, ebbe il tempo di avvicinarsi
ad Anna, poich donna Matilde si sentiva male e la gen-
te si preoccupava di lei. Si ritrovarono soli e fu come
quella sera al cancello. Mario la guardava: dopo tante
cose tristi il suo sguardo fu, per Anna, la prima cosa se-
rena. Restarono muti in quel ritrovamento e calmi come
se dovessero avere tanto tempo avanti a loro, non pochi
attimi. E quando scampan il segnale darrivo affrettata-
mente Mario le disse: Sposeremo appena tu ritorni,
vero, Anna? Altre parole che lui diceva si perdettero
nel rombo della locomotiva. Ella gli fece, s, s con la te-
sta e poi vide braccia tendersi verso di lei, mani che la
toccavano, bocche, baffi accostarsi al suo viso, parole,
lacrime di sua madre, addio, addio, sorrisi, poi il pre-
dellino, la valigia, c posto? s, c posto, dov la vali-
gia, dov la valigia, eccola; e gi il treno riparte, lento,
non ci si accorge di partire, un gruppo di gente saluta,
mani, fazzoletti, chi li distingue pi, anche Mario l in
mezzo e non si distingue, passa il berretto del capo sta-
zione, passano le aiuole, la fontanella, la locomotiva
svolta, tutto scomparso.
Nello scompartimento vuoto Anna e Valentina, zitte,
scosse dal movimento del treno. Sopra la testa di Valen-
tina cera il Duomo di Orvieto, sopra quello di Anna
lArena di Verona. Appesa alla reticella una sorridente
bocca di donna dondolava, pubblicit di un dentifricio.
Odore di carbone. Insetti che come pazzi si schiaccia-
vano contro i vetri del finestrino, tramortiti dal crepu-
scolo.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
225 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Cos rimasero senza parlare per molto tempo. Anna
stava a occhi chiusi, pensava. Allora Valentina le chiese
con intenzione: Ti dispiace, eh? di essere partita.
Ma lei calma scroll la testa: Perch? disse. Ri-
torno.
226 Letteratura italiana Einaudi
IV
La nuova dignit impediva a suor Lorenza di scende-
re per prima incontro alle ragazze come usava una volta;
dalla sua stanza ove ella era seduta leggendo, udiva il
suono della campanella che chiamava suor Luisa in par-
latorio e sobbalzava; le pareva di percepire fin laffretta-
to frusco della gonna di lei, per le scale. Nessuno veniva
a chiamarla e tuttavia ella ogni volta lo sperava; certe
volte non resisteva pi, usciva fuori, domandava: Per-
ch non mi avete chiamato? Non volevamo disturbar-
vi, Madre. Ed ella senza replicare ritornava su.
Pi tardi, preceduta dalla giovane suora veneta, la
nuova arrivata veniva presentata a lei. Misteriosi bisbigli
la guidavano verso lo studio della superiora; dinanzi alla
Madre le ragazze prendevano unaria compunta e poco
naturale, qualcuna tentava perfino di baciarle la mano;
dopo le poche domande convenzionali, suor Luisa le ri-
conduceva. Appena fuori di quellorribile stanza col
tappetino rosso, la poltroncina rossa, le ragazze si riani-
mavano. Suor Lorenza, rimasta sola, apriva il registro,
cercava i nomi, le date.
La sola che rientrando in collegio dopo le vacanze
venne sbito a salutare lei fu Silvia Custo. Entr, prese
la sedia, sedette senza essere invitata, e parl della tesi
pochi giorni ormai e dopo, chi sa? purch non dovesse
lasciare Belluzzi. Poi guard dalla finestra gi nel corti-
le, le pianticelle ordinate, le panche delle monache:
Sempre tutto uguale qui disse.
Ti sembra proprio tutto uguale? le chiese suor Lo-
renza, con amarezza.
S. E mi pare impossibile che tutto continuer cos
anche quando noi non ci saremo pi. Vede: strano: al
paese non ricordavo quasi pi comera fatta la mia ca-
mera, dove stava il cassettone e perfino i volti delle com-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
227 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
pagne mapparivano difficilmente e solo in certi partico-
lari atteggiamenti, anche il suo volto, suor Lorenza, Ma-
dre, certe volte era proprio, scusi, distante, diluito, come
certe figure viste in sogno, di lei ricordavo la voce piut-
tosto. Mi sembrava che il collegio dovesse esser caduto
in letargo durante la mia assenza, persone e cose, e ades-
so che ci sono, invece, mi sembra di non averlo lasciato
mai. Anzi, le dir: sono rientrata in collegio appena mes-
so il piede in treno.
Dopo tornarono Anna e Valentina. Ultima fu Ema-
nuela.
Sabbracciavano poi restavano sorridenti, senza sape-
re che dire: stai bene, ti sei ingrassata, ti sei divertita?
Anna spieg mostrando il lutto: Ho perduto la nonna.
E le altre fecero il volto contrito, ma per un attimo sol-
tanto. Si sa che un giorno tutte le nonne muoiono.
Silvia disse: Mia sorella Immacolata aspetta un fi-
glio. Emanuela parl del viaggio. Ma le altre che non
conoscevano quei luoghi vi si interessarono poco. La lo-
ro amicizia era nata l dentro e viveva delle cose che le
circondavano.
Augusta non scendeva mai incontro a nessuna.
Quando Emanuela sal a trovarla e spalanc la porta per
farle una sorpresa, la trov come laveva sempre imma-
ginata in quei due mesi: seduta al tavolo, che leggeva;
Margherita si trascinava per terra accanto a lei. Augusta
salz per andarle incontro, la baci, le chiese: Come
mi trovi?
Bene.
No; non sto bene. Non vedi come sono smagrita?
Un poco...
Molto. il lavoro. Ho lavorato notte e giorno, sfia-
tata dal caldo, certe volte neppure mangiavo. A proposi-
to, grazie delle cartoline. Non ti ho risposto, avevo per-
duto la testa. Ho quasi finito: un grande romanzo.
Un romanzo?
228 Letteratura italiana Einaudi
S, vedrai che questo non lo rifiuteranno. Ti dir,
un romanzo di tipo universale. Un romanzo contro gli
uomini. Sostengo, insomma, che si pu benissimo fare a
meno di loro, dimostro che se li sopportiamo soltanto
per crearci una situazione sociale, non per attrazione del
sesso. Dico anzi dellorrore istintivo che la donna ha per
questa belva; dellassurdit della posizione sociale della
donna nel matrimonio. Un libro rivoluzionario. Si svol-
ge allestero in gran parte. E mi vendico. Hai notato che
in ogni romanzo straniero se c una parte brutta da fa-
re, una parte losca, la fanno sempre fare a un italiano?
Gli americani, soprattutto. Mi vendico. Due figure di
mariti traditi ci sono: due stranieri. Ti dico, un romanzo
internazionale. Tutte le donne italiane lo leggeranno.
Sono curiosa. Lo potrei vedere?
Vuoi che te lo mostri? Aspetta.
Tirando indietro il grosso seno, trasse dal cassetto del
tavolino un pacco di cartelle; lo prese con mano leggera,
lo guard, lo soppes e quindi lofferse allamica dicen-
dole: Eccolo.
Attendeva una parola da lei, come se al solo contatto,
alla sola vista ella dovesse esclamare, dire: Oh! splen-
dido! Emanuela prese il manoscritto, lo scorse, tutte
cartelle uguali, folte, tante, quante, trecento forse. Poi
guard Augusta: era davvero smagrita, aveva unaria af-
faticata, e sotto gli occhi un solco livido; si vedeva che
tutta lestate era passata su di lei seduta l, a quel tavoli-
no. Sinceramente ammirata disse: Quanto devi aver la-
vorato!
Augusta, traendo un sospiro, annu: Tanto.
E rest pensierosa. Nei mesi trascorsi, al crepuscolo
veniva dalla Villa un invito: laria stagnava su la soglia
della finestra, il collegio era deserto, anche le suore usci-
vano a giocare nel cortiletto. Incerta ella guardava fuori,
lasciava che i suoi occhi sabbacinassero nel grigio me-
tallico del cielo. Esco, non esco. Infine si vinceva: No,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
229 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
rimango. E sapeva che bisognava farlo, sacrificarsi, le
ore pesavano come giorni, le settimane come anni. Non
c tempo, non c tempo. A1 paese gli increduli aspet-
tavano sorridendo: e niente ancora era deciso. Anzi tut-
to la respingeva a vivere in quella sbadigliante parentesi
dattesa, sospesa in una giovinezza fittizia, senza il co-
raggio di abbandonare decisamente luna e passare
allaltra sponda.
Tanto ho lavorato ripet tanto. Fece una pausa
e poi avvedendosi di aver parlato soltanto di s chiese a
Emanuela: E tu che hai fatto?
Io? Ho viaggiato. Ma pap non sta bene: gi. Mi
sono fidanzata ufficialmente.
Quando sposi?
Dopo la laurea di Andrea: tra un anno.
Augusta neppure si congratul con lei; si alz, prese
dal com una bottiglia che pareva di medicinale, e due
bicchierini: Vuoi? chiese allamica un liquore
derbe. Roba sarda, roba selvaggia. Ha un gusto strano,
non so se ti piacer: assaggialo.
Vers il liquore e bevve in silenzio, assaporando: poi
domand a bassa voce: Sei contenta di sposare?
Sicuro.
Sei proprio innamorata? Tanto da non poter fare a
meno di lui?
Certo.
Di nuovo Augusta tacque e accese una sigaretta: ave-
va preso gesti e costumanze maschili, teneva la sigaretta
tra le labbra di traverso, la lasciava pendere. Il corpo era
invece grasso, di femmina flaccida.
Fumi anche, adesso? le chiese Emanuela.
S. Lho imparato lavorando, per tenermi sveglia.
Crollavano tra di loro imbarazzanti silenzi. Emanuela
sentiva che lamica si preparava a un discorso ed istinti-
vamente avrebbe voluto evitarlo. Era il crepuscolo, om-
bre lente invadevano la stanza, Emanuela desiderava ac-
230 Letteratura italiana Einaudi
cendere la luce, ma, chi sa perch, non osava; attraverso
lombra i piccoli occhi scuri di Augusta la fissavano at-
tenti.
Emanuela, tha baciata Andrea?
La ragazza avrebbe voluto ribellarsi allinterrogatorio,
ma restava soggiogata dallamica: era forse let di lei, o
il suo portamento, o quella esistenza isolata e un po mi-
steriosa che conduceva, ecco: la temeva quasi.
S rispose.
Baciata... sulla bocca?
S, s.
E ti piace? continu a pi bassa voce, in confiden-
za. Senti: tu ti sposi. Ebbene, non avrai pi un mo-
mento per te; pi nulla di tuo, neppure il tuo nome, an-
che un tuo figlio sar suo, gli dovrai tutto, perderai la
tua personalit, sarai soltanto la moglie del signor Lan-
ziani, egli avr il diritto di sapere ogni tuo pensiero, e se
glie lo nasconderai sar un tradimento, avr il diritto di
entrare nella tua stanza anche di notte, di metterti le ma-
ni addosso a ogni ora del giorno se vuole, guardarti
mentre ti pettini, mentre dormi, ti dir usciamo e tu
dovrai seguirlo. E tutto ci che finora stato solamente
tuo non tapparterr pi, ma egli ti porter il ricordo di
innumerevoli altre donne, di un passato che non sai. Ti
piace veramente quella sua maniera di baciare? Io ho
ancora sulle labbra un bacio, s... di molti anni fa e se ci
ripenso sputo. Eravamo in giardino. Fuggii verso la ca-
sa, affannata. Tanti anni sono passati. Ma chi dimentica?
Quellora sempre qui, nel mio ricordo. Hai pensato a
tutto questo, Emanuela?
S, sempre vi pensava e attendeva; sarebbero ritornate
finalmente ore simili a quelle passate con Stefano nella
casetta del Viale dei Colli. La luce spenta, il crepuscolo
azzurro, e quello smarrimento: dopo, quel grato accuc-
ciarsi contro il petto e lascella di lui che aveva un forte
odore, un odore duomo. Bisognava dire: Che donna
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
231 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sei, Augusta? Io lho provato, bellissimo. Le tue sono
ubbie da zitella, come scrupoli davanti al confessore.
Ma invece godeva a recitare quella parte di ingenua. E
perci rispose solamente:
S, vi ho pensato.
Temo che dovrai pentirti. Tu sei ricca, molto pi
ricca di me, io ho appena quanto basta per vivere mode-
stamente. la povert che rende le donne schiave degli
uomini. Molte, altrimenti, non saprebbero come fare.
Ma tu, tu!... Potresti viaggiare, andare ad ascoltare la
musica. Non ti piace la musica? Io quando vado ai con-
certi e sto l, zitta, la testa tra le mani, allora s mi sento
divinamente smarrire, trattengo il respiro in certi pianis-
simo, temendo di rompere lincantesimo. Poi torno a ca-
sa e mi metto a scrivere. Da piccola, quando ascoltavo la
musica, pensavo che lamore dovesse essere una sensa-
zione simile a quella. Non ti piacerebbe vivere cos?
S; Andrea e io infatti viaggeremo, andremo a senti-
re la musica, leggeremo la poesia.
Augusta trasse lultima boccata dalla sigaretta e spe-
gnendola soggiunse: Gi. come essere ciechi nati.
Pochi sono i veggenti; per questo io sto scrivendo il li-
bro. Sar come lo squillo di una formidabile tromba
dargento. Dopo una pausa, chiese: E tuo padre, che
ne dice?
Che deve dire mio padre? contento.
Che aveva detto suo padre? Era andata a dirglielo la
mattina prima della partenza per il viaggio in Alto Adi-
ge, sul Garda; laveva trovato in maniche di camicia che
preparava la valigia. Era unoperazione che egli amava
fare con calma e avvedutezza, e perci forse il momento
non era scelto bene; ma ormai era entrata con la faccia
delle grandi occasioni. Pap, vecchio caro pap, nella
camicia bianca, con i calzoni bianchi, la testa calva e
bianca, sembrava una vecchia cera. Quello che doveva
232 Letteratura italiana Einaudi
dirgli lo avrebbe scosso: ma ella non se ne preoccupava;
era sempre entrata con la sua vita nella vita di lui, dim-
provviso. Cos era entrata a dirgli che era fidanzata con
Stefano, che era incinta, che voleva riconoscere la figlia,
che voleva raggiungere Stefania, laveva tormentato per
Stefania e adesso, dopo tante tragedie, tranquillamente
andava a dirgli che voleva sposarsi. Tornata dal collegio
appariva docile e benevola, mai pi aveva avuto il volto
cupo, chiuso, era tornata con una chiarit dadolescente;
si moveva e si vestiva con semplicit, era pi attiva; negli
occhi aveva una luce dinnocenza. una madre, una
vera madre il vecchio aveva pensato s appagata nella
vicinanza della figlia. E ora? Comprese che lappaga-
mento veniva dal romanzetto damore.
Anche di questo sei lamante?
Emanuela rispose con un fiato di voce lamentosa:
Oh, pap, perch mi giudichi cos ormai? Non posso es-
sere brava, essere saggia, come prima, prima di... di ci
che accaduto?
Egli rimase un momento a guardarla, poi disse.
S, forse lo puoi ancora; sei giovane. Ma c Stefa-
nia.
Potrebbe andare in un collegio allestero; tu hai
sempre detto che Stefania non avrebbe dovuto influire
sulla mia vita.
S, ma tu dopo mi convincesti del contrario.
Ho sbagliato.
Quante volte hai sbagliato, figlia mia?
Ella tacque contrariata.
Quante volte hai sbagliato? riprese il padre. Mi
sembra che ormai, dato lo stato delle cose, sia molto dif-
ficile eliminare Stefania dalla tua vita, e tu mi hai con-
vinto che non sarebbe neanche giusto. Lui che ne dice,
s, insomma... questo ragazzo, questo Lanziani, che ne
dice?
Andrea non lo sa.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
233 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
E allora? eruppe irritato. Non capisci lassurdit
di discutere questo argomento? Digli tutto e dopo, se
ancora lui vorr, ne parleremo, vedremo.
E riprese a riporre le camicie, le spazzole, premendosi
a tratti la fronte corrugata perch quei discorsi lavevano
distratto da questa cura essenziale: fare bene la valigia.
Il pensiero di Emanuela saccan contro la bambina:
Stefania era in villeggiatura ad Amalfi, con le suore; col-
legio di primordine, villa magnifica, compagne titolate,
mangiava, beveva, si divertiva. Non abbastanza tutto
questo per lei? Perch esiste pu impedire a me di esi-
stere?
Avrebbe dovuto seguire il consiglio di suo padre, al-
lora: con le nuove organizzazioni i trovatelli stanno be-
nissimo, studiano e quando escono hanno lavvenire as-
sicurato, sono liberi, felici, neanche la seccatura di avere
i genitori, assisterli, dovere loro rispetto e obbedienza,
mantenerli. Era in una situazione difficile. Non voleva
ancora parlare con Andrea, bisognava averlo fatto il pri-
mo giorno o tacere, aspettando. Pap, lui, prepara la va-
ligia pel suo viaggetto annuale e se ne infischia. Stefania
mangia, beve, gioca; indifferente e capricciosa come suo
padre quando non si controllava.
Suo padre... Aveva un padre veramente, Stefania? era
stata veramente vissuta quella storia di Stefano? Tutto
ci le appariva, adesso, come un racconto fantastico, di
quelli che sinventano per gli altri e a forza di ripeterli
diventano veri anche per noi. Le sembrava che la conce-
zione di Stefania fosse dovuta a lei soltanto, una sorta di
tumore. Un tumore maligno. E se raccontasse ad An-
drea che era stata una disgrazia, una di quelle aggressio-
ni che si leggono sui giornali, come al tempo dellinva-
sione dei tedeschi? Tornando a casa da Firenze a
Maiano, la strada solitaria... No, no, era assurdo, e poi
pap non si sarebbe prestato alla commedia. Lesistenza
di Stefania, linvisibile presenza di lei costringeva la sua
234 Letteratura italiana Einaudi
vita, lopprimeva, le toglieva il respiro. Dunque non
avrebbe mai avuto il diritto di disporre di s, del suo av-
venire? Venticinque anni. E avanti a ogni suo disegno,
inesorabile salzava quellostacolo: Stefania.
Partirono, il viaggio fu una sofferenza. Nellautomobi-
le taceva guardando fuori dai vetri. Certe volte, annoiata,
saddormentava. Non era pi padrona della sua volont
come al collegio; era pap che decideva tutto. S, s, Au-
gusta aveva ragione, come si pu tornare a rinchiudersi
dopo avere assaporato la libert? Tutte pensavano cos,
tutte, ragazze intelligenti al di sopra della media. Aveva
fatto bene Xenia ad andarsene; ma questi sono privilegi
che possono avere i poveri di buttare la propria vita allo
sbaraglio, per gli altri c il mondo, ci sono gli interessi. E
poi, malgrado le proprie idee libere, quando si vive in un
certo ambiente non si ha il coraggio di mandare allaria le
tradizioni, magari sar uno stupido rispetto umano, ma
invincibile. Molte cose che sono giustificate quando si
assillati dalla miseria, non sono ammissibili, invece,
quando si ha un bel nome e molto denaro. Molto denaro:
eppure con tutto ci i genitori sempre si preoccupavano
di scovare gli alberghi meno cari, i ristoranti modesti.
Stefania, finiti gli studi in Svizzera, avrebbe avuto una
buona dote con quel denaro. Si sarebbe sposata certa-
mente. Il denaro conta pi del nome.
Ogni giorno parlava a pap, ogni giorno lo convince-
va un pochino. Egli lascoltava e intanto puliva gli oc-
chiali, perplesso, mamm aggiungeva una parola buona:
S, davvero, mi sembra, Bepi... Emanuela non faceva
che parlare del suo diritto di rifarsi una vita: Andrea,
un bravissimo marito, chi non conosce i Lanziani a Ro-
ma? Unesistenza ordinata come avresti desiderato per
me, prima, quando crescevo e divenivo una ragazza
grande. Debbo rinunciare a tutto questo?
No, no incalzava la madre: perch dovrebbe ri-
nunciare?
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
235 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ed Emanuela prometteva: Appena a Roma parler
ad Andrea, trover il momento adatto.
Quando furono di ritorno a Maiano e pap trov sul
tavolo la lettera di Andrea, stanco del viaggio, preso
distintiva simpatia verso il ragazzo attraverso le sue pa-
role, assillato dalla moglie e dalla figlia, rispose che s, il
suo consenso lavrebbe dato. E non parl di Stefania.
Che deve dire mio padre? contento. -
Dopo una pausa Augusta assent: Bene. Poi avve-
dendosi che era quasi completamente buio: tardi
Osserv: scendiamo a mangiare.
Nel corridoio incontrarono altre ragazze che scende-
vano, le nuove serbavano unaria smarrita; una di queste
studiava il canto e si diceva che sarebbe divenuta una
grande soprano. Era lei che suonava e cantava allhar-
monium al posto di Milly. Per questo le ragazze non
lavevano in simpatia: suonava diversamente. La sua vo-
ce, bellissima voce, scoteva la cappella senza commuo-
verla, si capiva che era una donna a toccare i tasti e non
langelo. La prima volta che la nuova cant, Emanuela
scoppi a piangere e ricord quando Milly le accarezza-
va piano piano le dita, glie le lisciava, quando leggeva
con le mani le lettere del cieco. Era stata trascurata con
lei negli ultimi tempi, per causa di Andrea, se lo rimpro-
verava acerbamente, adesso.
La nuova ragazza, passando accanto ad Emanuela e
Augusta disse con voce melodiosa: Buona sera. Si ca-
piva che avrebbe voluto unirsi al loro gruppo, anima in-
telligente del collegio. Ma le due amiche le risposero
buonasera gelidamente, senza riuscire a vincere una
istintiva ostilit.
No a tavola disse Silvia nessuna nuova deve en-
trare tra di noi. Ci estingueremo a poco a poco come un
nobile casato. Xenia scappata, Milly morta, Vinca...
Gi! Vinca? Emanuela interruppe.
236 Letteratura italiana Einaudi
Non lhai vista?
No.
Venne qui dopo larrivo di Anna e Valentina, tu eri
a Firenze, ancora: sta come prima, aspetta. andata ad
aspettare in casa di donna Inez, quella spagnola fanati-
ca. Non parla che di Luis, si fissata. D lezioni di spa-
gnolo, fa qualche traduzione. Va a trovarla. Abita qui vi-
cino, in via Sistina, 87.
*
In via Sistina 87, una vecchia casa malandata. Un lun-
go portone oscuro e scale sconnesse di peperino; sulla
porta il campanello gracidava come una ranocchia. Ma
dentro era Spagna.
Poche camere ingombre di tutto quello che i profughi
avevano potuto portare via dalla rovina. Alcuni arredi
testimoniavano la passata ricchezza: coppe di argento,
vecchie porcellane, cristalli, luno accanto allaltro, sui
piani dei mobili. Alle pareti, ritratti dei principi, ritratti
di Pilar e Ignacio bambini, cartoline che gli amici man-
davano dalla Spagna c che le donne infilavano da per
tutto, nelle cornici dei quadri, per formare paesaggio ca-
salingo; un pianoforte, ventagli aperti, oggetti di rame
sbalzato di lavorazione gitana, alcuni scialli buttati sui
divani, le frange pendenti in terra. I nuovi eventi aveva-
no fatto s che sotto il profilo borbonico del re esiliato
fosse appiccata con le puntine una fotografia del genera-
le Franco ritagliata da un giornale italiano: in mezzo alla
tavola su due asticciole debano sventolavano due ban-
diere spagnole nazionaliste; per il pranzo non si mette-
vano fiori sulla tavola e quelle due bandierine erano
lunica guarnizione. Su tutte le cose regnava un impolve-
rato disordine.
Donna Inez e Pilar restavano in letto fino allora del
desinare; questo al principio parve addirittura indecente
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
237 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
a Vinca, abituata agli orari del collegio. Appena alzata
svegliava lamica che dormiva nel lettino attiguo: Alza-
ti, Pilar !
Che c? perch mi debbo alzare?
tardi. Sono le nove.
Io dormo.
una vergogna, Pilar!
Ma no, perch, che faccio in piedi?
Pilar si mostrava energica soltanto in questa difesa del
suo sonno; anche nella lontananza da Pepe, dava prova
di rassegnazione. Di quelle rassegnazioni che un giorno
per possono buttarsi dalla finestra.
Se al mattino Vinca usciva per dare una lezione, tor-
nando trovava le due donne ancora in vestaglia. Donna
Inez saffaccendava per la casa dietro la donna di servi-
zio o scriveva, scriveva lunghissime lettere seduta alla ta-
vola da pranzo e, quando apparecchiavano, lei scostava
un piatto e continuava; scriveva a tutti; erano, le sue,
piacevoli lettere dal tono sinceramente appassionato.
Della Spagna cercava continue notizie; e perci i giorna-
li sammucchiavano sulle sedie, a ogni battaglia spostava
le bandierine sulla carta, con una competenza geografi-
ca, acquisita per loccasione. Ora per ora viveva la guer-
ra; le ore pomeridiane, naturalmente, poich al mattino
non poteva a meno di dormire.
Invece Pilar attendeva lora del desinare seduta avanti
alla toletta spazzolandosi i capelli: questa era la sua pre-
diletta cura; aveva capelli neri lunghissimi, divisi nel
mezzo da una scrupolosa scriminatura, cadevano di qua
e di l della fronte, politi come lonice nera. Meccanica-
mente li lisciava, passando la spazzola con diligenza dal-
la radice fino alla punta, poi li accarezzava con la mano
gustosamente e, sempre desiderosa di una maggiore per-
fezione, ricominciava.
Spesso Vinca sedeva di faccia a lei e cos discorreva-
no, parlavano dei due assenti e sopportavano il peso del-
238 Letteratura italiana Einaudi
la giornata nellattesa della posta che dordinario arriva-
va verso sera; perci non uscivano di casa nel pomerig-
gio, e seguendo luso spagnolo si mettevano alla finestra
tutte tre. Donna Inez a destra, Pilar a sinistra e Vinca in
mezzo affacciate come al palchetto di un teatro.
Era quello il solo momento nel quale si concedessero
un po di distrazione; si sedevano l, pettinate, incipriate,
con le pantofole ai piedi che intanto non si vedevano; at-
tente guardavano la strada come uno spettacolo; la gen-
te andava a passo lento, le donne indugiavano davanti
alle vetrine. Alcune si recavano alla piazza Trinit dei
Monti per un appuntamento damore e avevano unaria
speciale pi risoluta, o guardinga. Spesso rifacevano la
via in due, sottobraccio. Le spagnole li conoscevano or-
mai, li rivedevano con simpatia. Vinca che era la pi im-
maginosa ricostruiva le vicende di quei passanti, come
un romanzo. Questa qui certo va per lufficiale Op-
pure: Questi due hanno lappuntamento il gioved.
Quando non vedeva passare una coppia per lungo tem-
po, se ne rammaricava e poi diceva: Forse non finito,
forse si dnno appuntamento altrove.
Ad un tratto una di loro annunciava: Eccolo. E
con un unico sguardo le donne seguivano il postino il
quale entrava nei negozi, nei portoni, oppresso sul ven-
tre dalla grossa borsa, come da unobesit; infine spariva
nel portoncino di casa loro. Trascorrevano minuti di in-
dicibile angoscia per le tre donne che tacevano, il cuore
in tumulto, fingendo di osservare ancora fuori della fi-
nestra per ingannare questa atroce attesa. Il tempo pas-
sava, la portiera lenta, le scale sono molte, certo si
fermata a parlare.
Troppo tempo passava, certe volte. Una di loro osava
dire, infine: Non c nulla.
Quando invece gracidava la rana della porta, salzava-
no tutte tre, gli occhi spalancati come allucinate. Cal-
ma, calma! raccomandava donna Inez. La posta, il pi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
239 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sovente era per Pilar, Luis e Ignacio erano pigri. La ra-
gazza andava a leggerla in carnera sua, seduta alla toletta
come quando si pettinava. Le altre, che aspettavano,
trovavano sempre troppo lungo lintimo colloquio, poco
riguardoso addirittura.
Se anche non arrivavano lettere di Luis, sempre quel-
le di Pepe parlavano di lui; Pilar le rileggeva ad alta vo-
ce, dicevano che era molto bravo, sempre bravissimo era
stato, alcuni falangisti erano poco pi che adolescenti e
Luis faceva loro animo, era un esempio per tutti. Vinca
poteva essere orgogliosa. Vinca era orgogliosa.
Quando Emanuela and a trovarla, not che la ragaz-
za pareva avere una febbre interna, sotto la pelle, sem-
pre le nari le palpitavano: la bocca, dalle labbra disordi-
nate, sembrava avvizzita. Era pur sempre, per gli occhi e
il corpo slanciato, una ragazza assai bella. Portava la
stessa vestaglia che al collegio, pi sporca.
Siete tornate? Ci siete di nuovo tutte? disse con
voce rigata di nostalgia. Si sentiva che avrebbe rimpian-
to di non essere con loro se lassenza di Luis le avesse la-
sciato posto per altri rimpianti. Rammenti? Lanno
passato ceravamo tutte. Tu arrivavi nuova e fu Xenia a
volerti con noi... Chi sa che fine avr fatto, Xenia... Si
stava pur bene! Non potr mai dimenticare! Che tempo
felice! un peccato che ci si avveda di aver vissuto una
felicit solo quando trascorsa! Quante cose in un an-
no... Ti ho mostrato la fotografia che Luis mi ha manda-
to dal fronte?
Lho vista; sta benissimo.
S, sta bene. Fece una pausa e riprese pi adagio:
Io non sto bene. A quel tempo non amavo, non amavo
veramente. Un giorno senti che un tarlo ti rode lanima,
la salute, qualcosa ti opprime, ti gonfia il cuore, tintossi-
ca finanche laria che respiri: allora lamore. Una ma-
lattia. Ricordi come ero allegra in collegio, ridevo, face-
vo i dispetti alle suore, cantavo? E ora chi avrebbe pi
240 Letteratura italiana Einaudi
fiato per cantare? Il fiato se ne va in amore come il san-
gue. Sai quando veramente amore? Quando credi che
se quelluomo ti manca tu ti ammazzi, quando egli tap-
pare lessere pi perfetto del mondo, senza difetti. Tutti
gli esseri umani hanno difetti; quando non li vedi pi
segno che sei innamorata: quando li ritrovi non lo sei
pi. Se una donna dice: Lho lasciato perch era trop-
po geloso, vuol dire che non era pi abbastanza inna-
morata da sopportare la sua gelosia. Non cos? Se dice:
Lho lasciato perch faceva il ladro vuol dire che sera
stancata di lui, se no gli avrebbe chiesto: Quando mi
porti a rubare con te?. Non credi?
S rispose Emanuela e intanto si domandava se era
cos che lei amava Andrea.
Vedi? Adesso io vivo per lora della posta: lunci-
no al quale appendo le mie giornate: se mi mancasse sa-
rei senza centro di gravit, rotolerei nel buio.
Non avevo mai considerato quanto la Spagna fosse
lontana: giornate di treno. Adesso conosco lorario dar-
rivo e di partenza dei treni; studiando queste cose
maiuto a rimanere viva. Magari la posta non porta nes-
suna lettera, ma intanto si attesa quellora con speran-
za e poi, appena passata quellora, si comincia ad atten-
dere quella del domani, con uguale speranza. La posta
arriva alle dieci e alle sei, io maffaccio alla finestra, apro
la porta sulle scale, conto i minuti, il cuore prende a bat-
termi, non so pi quel che dico, divento nervosa. Se un
giorno lora passasse per me e lo squillo dei campanello
mi sorprendesse pensando ad altro allora comincerebbe
il declino. Vero, Emanuela?
S; almeno questa la tua maniera di amare.
No. Ci sono molti modi di amare, ma lamore uno
solo, come larte. Mille forme, ma larte c o non c.
Cos il mio amore non diverso da quello di una senega-
lese o di una svizzera. Sia qua che l o si ama o si gioca.
Bastava guardarla per capire che lei non giocava;
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
241 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Emanuela la fissava maravigliata, e non poteva a meno
di osservare anche quanto cera di povero in lei, le calze
rammendate, la vestaglia sudicia. Ella lo cap e disse
quasi rispondendo a una domanda dellamica:
S. E in queste condizioni non mimporta neppure
di essere senza soldi; molti se ne vanno per la posta, scri-
vo ogni giorno, per via aerea. La vita cara. Sono vestita
male; ma intanto adesso Luis non c. Quando torner
mi far un cappotto nuovo.
Quando torner?
Non si sa, non si sa nulla. Lessenziale che ritorni.
Tu lo capisci, no? le disse prendendole le mani io
certe volte penso se, se... non tornasse pi. Ogni giorno
che non c posta penso che forse... forse non scriver
mai pi e Pilar, Pilar pensa lo stesso...
Adesso gli occhi parevano tremarle sotto le lacrime, i
suoi nervi si indovinavano cos tesi che Emanuela salz,
laccarezz, la baci per consolarla. Perch dici que-
sto, Vinca, non dire questo...
Non lo dico mai, nessuna di noi lo dice, la sola co-
sa della quale mai si parla. Ogni giorno nei giornali ap-
paiono le fotografie di quelli che non scriveranno pi,
quelli che hanno la medaglia. Io non parlo, Pilar non
parla, donna Inez non parla. Lei ha il figlio, Ignacio, sai
bene. Eppure a noi pare che la sua pena debba essere
minore. Se Pepe viene in licenza Pilar sposa subito.
E tu?
Io? Io che ne so? Non ne abbiamo mai parlato. Pri-
ma era come uno scherzo per me, uscivo con lui per re-
spirare aria di casa, poi quando gli ho voluto bene dav-
vero, partito. Ma Luis deve pensare a studiare. Hai
visto quel giorno nello studio, che stupendi progetti? un
grande ingegno, Luis. Chi ha mai parlato di matrimo-
nio? E tu, quando sposi?
Emanuela rispose evasivamente e cambi discorso, per-
ch di fronte allamore di Vinca si sentiva umiliata. Presto
242 Letteratura italiana Einaudi
la lasci e per distrarsi passeggi fino allora dellappunta-
mento con Andrea. Si domandava se il suo era veramente
amore, non ne aveva mai dubitato finora, ma adesso si
scopriva troppo calma nei confronti di Andrea: eppure
Andrea era cento volte migliore di Luis: Luis le era sem-
brato duna intelligenza mediocre, di poca raffinatezza,
anche di scarso talento: brutti i disegni, comune il suo mo-
do di parlare. Ma Vinca non lo vedeva cos. Ella invece
conosceva i difetti di Andrea; la presunzione prima dogni
altra cosa, ma quella la malattia di tutti i giovani di oggi,
e poi era ombroso e ritroso come un puritano. Anche le
poesie che egli le aveva letto non le sembravano grande
cosa; parole vaghe e non legate fra di loro: cose moderne,
lui diceva. Per Andrea vestiva molto bene.
Egli lattendeva in piazza di Spagna, la guard scen-
dere la scalinata con aria di soddisfazione.
Sai? le disse appena le fu vicino. Ho sempre di-
menticato di dirti che ci che pi mi colp in te, quando
ti vidi la prima volta, fu il tuo modo di camminare.
molto importante, in una donna; alcune mostrano la
preoccupazione di farlo bene; ed cosa detestabile. Tu
dovevi camminare cos anche quando muovevi i primi
passi disse ridendo. Sei armoniosa in tutto. Non ci si
volge a vedere il tuo vestito quando passi, ma avendoti
accanto ci si avvede che sei squisitamente elegante an-
che nei particolari. Piena di orgoglio dopo quanto ho
detto, no? fece, stringendole il braccio.
Sorridendo ella rispose: Un poco. Sei stata dalla
spagnola?
S.
Che fa?
Ama.
Non poco. E lui?
Combatte.
Due maniere intense di vivere, no, Nuela? Ascolta:
c qualcosa di molto importante per noi oggi; pap ha
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
243 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
approvato il nostro matrimonio. Ha aggiunto che, se vo-
glio, disposto a passarmi ugualmente un assegno men-
sile senza che io lavori al negozio, per aiutarmi a farmi
strada nel giornalismo o nelle lettere. Gli ho risposto
che rifletter. Mancano ancora sei mesi alla laurea; ma
bisogna pensare a questo seriamente, Emanuela. Non so
se vorr approfittare cos di mio padre; stato inverosi-
milmente comprensivo e per questo io vorrei essere con
lui altrettanto franco. La letteratura oggi non una car-
riera, forse lo era ai tempi di Lorenzo il Magnifico. Allo-
ra forse sarei stato nominato poeta di corte e avrei avuto
un bellissimo appartamento alla reggia con un gran letto
di quelli che oggi si fanno in imitazione. No? Ma chi vi-
ve con le lettere soltanto, ora?
Meglio mettersi a fare il giocatore di calcio. Rimane
linsegnamento; mi daranno una cattedra a Bitonto, per
esempio. Aveva ragione pap quando mi sconsigliava
questa strada. I vecchi hanno sempre ragione; hanno
con s lesperienza; ma, vedi, lesperienza esclude lim-
previsto, lo chiude fuori. E perci non mi attrae, una
pietanza che non sveglia lappetito. Ma tutto questo va
finch noi siamo soli, pensato a noi, pensato a tutto;
per viene un giorno... Vuoi essere la moglie del profes-
sore di Bitonto? Mi pare difficile che tu possa esserlo
con quel modo che hai di camminare. Sei una donna im-
pegnativa, tu.
Perch dici questo, Andrea? mi addolori.
Ma al contrario, sciocca, proprio per questo che
mi piaci. Dunque linsegnamento, no. Temo che pesare i
diamanti sia ancora la cosa migliore. Nessuno poi mim-
pedir di scrivere, la sera, mentre tu leggi accanto a me.
Ma sar strano un poeta gioielliere, no? Larte agli an-
tipodi del commercio.
Le parlava e intanto la conduceva di passo svelto tra
la folla, come se avesse una mta precisa.
Dove stiamo andando, Andrea?
244 Letteratura italiana Einaudi
Al negozio. I vecchi non lo sanno: una sorpresa.
Adesso? cos? No, no!
Aveva deciso che non sarebbe giunta a questo punto
prima di aver detto tutto ad Andrea e ora, cos, in mezzo
al Corso come poteva? Forse era bene prendere quel
momento, ma sul marciapiedi esiguo, la gente li urtava,
li divideva. E poi sapeva che quel cappello non le stava
troppo bene, temeva di fare cattiva impressione, non era
neppure ondulata di fresco. Avrebbe voluto portare due
fiori alla madre di Andrea, gli uomini non capiscono
queste sfumature. Insomma era necessario che parlasse,
prima.
Andrea.. fece, risoluta a tutto.
Erano gi dinanzi al negozio: egli le fece cenno di ta-
cere e spi dalla vetrina.
Andrea... ella insist. Ora avrebbe parlato: Senti,
Andrea, ti debbo dire... ho una bambina. S, s, l in
mezzo al Corso, un momento come un altro, quellistan-
te doveva pur venire. Ma egli disse: Non c nessuno,
e la spinse a entrare.
I loro passi soffocarono sul tappeto marrone: era un
negozio elegante e sobrio: in una piccola vetrina illumi-
nata, le gemme rilucevano; un commesso che sedeva in
un angolo, salz vedendo Andrea; il ragazzo lo salut
con la mano e si diresse a una porta dissimulata da una
tenda. L dietro, in una stanzetta calda, sedevano i due
vecchi come Andrea aveva descritto. Lei lavorava, lui
leggeva il giornale. Udendo la porta aprirsi il padre
guard al disopra degli occhiali. Andrea fece con un
sorriso: Ecco, vho portato Emanuela.
La ragazza aveva pensato tante volte a questo incon-
tro, voleva portare i fiori per entrare con un atto di sim-
patia, poi bisognava andare incontro alla vecchia, ba-
ciarla. E invece rimase stretta ad Andrea, impacciata. Fu
egli a spingerla avanti; essi sorrisero: erano due vecchi
simpatici, grassi e bonari, due genitori allantica, come i
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
245 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
suoi. Presto limbarazzo si sciolse e le due donne si ba-
ciarono, anche il padre la baci. Emanuela non poteva
riuscire antipatica, non riusciva mai antipatica a nessu-
no, inoltre era bella e molto distinta. Tutti hanno piace-
re che la moglie del proprio figlio sia bella e molto di-
stinta.
Decisero che lei avrebbe fatto colazione in casa loro
la domenica seguente. Andrea era contento, una conten-
tezza espansiva, spumante, quasi puerile.
Domenica? fece Emanuela indecisa.
S, domenica conferm Andrea.
Domenica... Ogni domenica, alle due bisognava an-
dare al collegio per vedere Stefania. Forse avrebbe potu-
to farne a meno oppure, ecco, vi sarebbe andata in mat-
tinata.
Domenica lei con gioia accett.
Andrea la riaccompagn al collegio: era una mite sera
dottobre, dolcissima; egli la teneva sottobraccio stretta,
teneramente come mai aveva fatto. Dordinario era alle-
gro, parlava molto, e ora, invece, taceva: taceva e la por-
tava come un fiore allocchiello. La guidava tra la gente
che a quellora gremiva le strade del centro; quando at-
traversavano i crocevia, saettanti dautomobili, egli la
conduceva al marciapiede opposto con decisione. Un
uomo, Emanuela considerava, un vero uomo. Si cammi-
nava facilmente in quella pace della sera e dellanima;
Emanuela non pensava a nulla. Egli le disse ad un tratto:
Hai visto come tutto stato facile? Ella annuiva chi-
nando la testa, annusando ghiottamente laria; un buon
fresco penetrava dalle nari, si propagava nei polmoni
aperti. Tutto sarebbe sempre stato facile, ne era sicura.
In fondo aveva fatto di tutto per evitare Andrea, presa
dalla coscienza della sua situazione, non era andata al
primo appuntamento, non ci pensava pi. Era stato il
destino, proprio il destino a farli incontrare il giorno del
funerale di Milly. Milly lavrebbe protetta, avrebbe
246 Letteratura italiana Einaudi
provveduto a tutto, ora che lei, da lass, conosceva la
verit. S, era cos, non poteva essere altrimenti.
Mi vuoi bene, vero? gli chiese.
Egli non le rispose, neppure la guard, ma le strinse il
braccio contro il suo, le si avvicin di pi: lasciandola le
baci a lungo la mano, scostando il guanto. Poi le disse
con dolcezza: Buona notte, Nuela, mia Nuela.
La segu con gli occhi mentre lei suonava alla porta
del collegio, diceva il nome allo sportello, lieve con le
labbra gli accennava un bacio.
Neppure glie lo rese, seguit a guardarla finche fu
scomparsa.
Ella sal le scale leggermente con il fiato sospeso, apr
la porta della sua camera, la richiuse, vi si appoggi con
la schiena. Attorno a lei, ovunque, sommesse udiva
quelle parole: Buonanotte, Nuela, mia Nuela; e a oc-
chi chiusi sorrise nel vuoto, beata.
*
Usc presto di casa la domenica seguente; arriv in
fretta al collegio di Stefania cos fuori mano, cos fuori
mano! e pagando il tass spi di qua e di l, quasi te-
mendo di vedere dalla polverosa siepe che fiancheggiava
la strada o da un altro tass che lavesse seguita, sbucare
Andrea che prendendola pel polso le chiedesse: Che
vieni a fare qui? Ma in quella via non passava mai nes-
suno.
Suon alla porta, chiese della bambina ansietatamen-
te, facendo capire che era venuta a quellora inconsueta
per forza maggiore. Ud la campanella dindinnare nel
cortile e, poco dopo, invece di Stefania una suora com-
parve: Ecco ella pens non fanno scendere le bambi-
ne a questora, monache, sempre monache pignole, ma
io sono venuta, a ogni modo. E invece la suora spieg
che Stefania era malata, stava allinfermeria.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
247 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Volevamo avvertirla da ieri, signora, ma non abbia-
mo il suo indirizzo, anzi sarebbe opportuno che lei...
Malata? niente di grave, vero? chiese.
La scarlattina.
La scarlattina! esclam impaurita. Una sua sorella
era morta a sei anni di scarlattina, ripet perplessa:
Dio mio, la scarlattina!...
Ieri aveva la febbre a quaranta, oggi soltanto a tren-
totto e cinque: delirava stanotte, una pena... S assopita
allalba. La guido allinfermeria.
Traversarono chiostri e cortiletti; tutto era bianco e
pulito, candidi crisantemi riempivano le aiuole dei giar-
dini rinchiusi. bello, qua dentro, molto bello, pens
Emanuela camminando, stanno benissimo, stanno me-
glio che in casa. E intanto giunsero. Era un ramo spe-
ciale dellinfermeria, riservato per le malattie infettive.
In una cameretta bianca stava Stefania.
Appena vide Emanuela sulla soglia, la bambina
esclam: Mamma...
Mai laveva accolta cos, aveva una faccina dimessa,
una vocetta torbida, velata: le trecce non si arrampicava-
no pi annodate sugli orecchi, ma pendevano sul petto
morbidamente.
Perch non sei venuta prima, mamma?
Non sapevo amore mio, Stefi, non sapevo... E si
sentiva invadere da una lacrimosa tenerezza.
Linfermiera disse sottovoce, che la bambina ricomin-
ciava a vaneggiare, aveva lampi di lucidit, poi ricadeva.
La febbre era salita di nuovo a quaranta. Come rasse-
gnata la voce della bambina sal dal letto: Lo so, lo so
che ho il febbrone. Sento tutto, capisco tutto. proprio
vero che Simonetta venuta a tirarmi le trecce, mamma,
sai? Non il delirio.
La suora ammicc ad Emanuela e allora questa disse:
Oh! una cattiva bambina cotesta Simonetta, certo sar
messa in castigo.
248 Letteratura italiana Einaudi
Ma gi Stefania non rispondeva pi. A occhi chiusi
annuiva appena, le guance arrossate dalla gran febbre.
Riprese poco dopo: Mamma, non te ne vai, vero?
No, no.
Sai, ho tutto il corpo coperto di puntine rosse, come
fragolette. Biascic le ultime parole e di nuovo tacque.
Intanto la suora diceva a Emanuela che il dottore sa-
rebbe venuto verso il tocco (al tocco si va a tavola ave-
va detto la madre di Andrea; bisognava essere puntuali,
comprare i fiori...) la suora insisteva: Potr parlare col
dottore lei stessa. Naturalmente se in questi giorni ella
vuole trascorrere la notte presso la bambina, il regola-
mento non lo vieta, faremo mettere un letto...
Perplessa, Emanuela chiese: Ah, il regolamento non
lo vieta? e non aggiunse altro.
Adesso Stefania aveva ricominciato a vaneggiare con
voce lamentosa: una vocetta che non era pi la sua cos
asciutta e autoritaria, una voce simile a quella di chi par-
la in trance: Non sono stata io, Simonetta, il panino
dietro la finestra, lasciami stare le trecce, Simonetta! e
scuoteva la testa come per liberarsi. Poi apr gli occhi,
come spaventata guard intorno, chiese: - venuto
pap?
Smarrita, Emanuela non rispose: linfermiera le stava
di faccia, la suora dietro le spalle, forse soltanto la suora
conosceva le generalit della bambina: Stefania Andori
di padre ignoto e di Emanuela Andori. Una cosa orribi-
le; Stefania chiamava adesso quel padre ignoto. Che ri-
sponderle? Emanuela taceva, sperando che la bambina
si divagasse in altri pensieri. Ma Stefania, dopo due o tre
frasi sconclusionate, ripet chiaramente: venuto
pap?
Cercando di non sentire alle spalle la presenza della
suora, Emanuela le sussurr: Pap lavora.
Sempre quegli aeroplani?
Sempre.
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249 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Digli che gi s rotto quello che mha mandato. E
poi era un giocattolo, non un aeroplano vero.
La fronte della bambina ardeva, tanta febbre e nep-
pure una goccia di sudore. Come scotta! esclam
Emanuela rivolta allinfermiera. E quella rispose per ras-
sicurarla: Sono le dodici e un quarto; al tocco verr il
dottore.
Pass un quarto dora come un lampo, la bambina a
occhi chiusi sembrava dormire, certe volte con le labbra
faceva delle bollicine di saliva, quasi per gioco. Emanue-
la attese ancora un minuto, come se potesse valere qual-
cosa, poi fermamente, cercando attorno con lo sguardo
un po di compassione si spinse sullorlo della seggola,
dicendo: Io debbo andare via.
Era detto. La suora guard linfermiera e poi disse in
tono di maraviglia:
... Ma il dottore verr tra mezzora.
Non posso, proprio non posso, debbo essere al cen-
tro alluna, assolutamente.
Se volesse telefonare, forse... fece la suora accen-
nando a precederla.
Telefonare?... no, no, non potrei, un appuntamen-
to in istrada.
La suora tacque e guard in terra, poi alz di nuovo
gli occhi e chiese: E per questa notte?
Stanotte?...
Era un supplizio, un supplizio. Emanuela aveva vo-
glia di mettersi a piangere, implorando che non la tor-
mentassero cos: come poteva rimanere? e daltra parte
era possibile che abbandonasse Stefania in quello stato?
che poteva fare?
Al collegio avrebbe potuto dire dun viaggio, ma ad
Andrea? cosa dire ad Andrea? avrebbe detto taccom-
pagno alla stazione, lavrebbe messo sul treno, e poi un
viaggio improvviso necessitava una ragione importante,
pap malato, ma egli avrebbe telefonato a Firenze per
250 Letteratura italiana Einaudi
sapere notizie. Come poteva? e intanto gli occhi della
suora attendevano. Una tortura. Stanotte? ella ri-
pet. Poi ingoiando un nodo amaro disse: Non posso
stare qui la notte.
Vi fu un silenzio; quindi la suora cortesemente fece:
Come crede. E linfermiera aggiunse conciliante: Ci
sono io.
Verr pi tardi, torner pi tardi promise Ema-
nuela. Ma ormai la suora stava sulla porta per accompa-
gnarla, non lascoltava pi. Ella salz; al rumore che fe-
ce la sedia, la bambina apr gli occhi in un sussulto:
Dove vai, mamma?
Fu linfermiera che rispose: Va in direzione, per te-
lefonare.
Non mi lasci, vero, mamma?
Emanuela si chin sulla fronte ardente, la baci, un
buon odore veniva dai capelli biondi e fini.
Te ne vai via, mamma!
No, Stefi, no, scendo a telefonare, non hai inteso?
E intanto si sentiva vergognosa di dover ricorrere a
quella bugia, come se dovesse confessare a se stessa, agli
altri che agiva male, andandosene cos. Per un capriccio
improvviso, la figlia le disse: Lvati il cappello, lvati il
cappello!
Ed ella sorridendo se lo tolse. Pens: la prima vol-
ta che Stefania mi vede senza cappello; e questo pen-
siero la commosse. Intanto la bimba rasserenata aveva
abbassato di nuovo le palpebre.
Emanuela usc dalla camera in punta di piedi, traver-
s il collegio dietro lo sgonnello frusciante della suora,
mise il cappello, usc.
Al tass che lattendeva dette lindirizzo, disse: Pre-
sto, presto. E partirono.
Fuori, la malattia di Stefania non esisteva pi, come
non esisteva pi Stefania; Emanuela aveva il cuore umi-
do come per un incubo dissipato, il tass correva, la
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
251 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sbatteva, la faceva inclinare alle voltate, e lei godeva del-
la gioia di essere libera, ne sorrideva internamente, an-
che la fronte le si stirava, tutto finisce sempre bene,
pensava, adesso tutto regolare. Arrivava in orario,
solo doveva rinunciare ai fiori, aveva temuto che la suo-
ra non la lasciasse uscire. Che momento terribile! ma era
passato, finito.
Mancavano due minuti al tocco quando ella dopo es-
sersi assestata la giacca, i guanti, suon alla porta di An-
drea. Era salita leggera guardando di qua e di l, le scale
dove Andrea saliva sempre, quante volte la mano di lui
aveva richiuso il cancelletto dellascensore? Sarrest a
una porta scura dagli ottoni lucidi. Attese sullo zerbino,
pens per un attimo: Avr pianto, Stefania, quando s
accorta che sono andata via. Ebbe un rimorso, ma co-
me per una colpa commessa in sogno, un rimorso breve,
perch la porta sapr, la cameriera sorrise, lei sorrise ed
entr.
La colazione fu piacevolissima; nella sala da pranzo
un po antiquata si respirava unaria familiare; Emanuela
dapprima era impacciata e questa sua timidit piacque.
Aveva gi venticinque anni eppure serbava una sempli-
cit infantile che conquistava; prendendo il caff, nel
muoverlo, macchi la tovaglia. Rossa in viso, fece: Oh,
mi dispiace... e guard attorno smarrita.
La madre di Andrea sorrise: Non nulla, proprio
nulla, figlia mia.
E Andrea rise addirittura: Perch lhai fatto notare?
Noi avevamo fatto finta di non vedere. in questo
leducazione, nel fingere di non avvedersi. nel volgersi
abilmente dalla parte opposta quando il vicino sta per
avere il singhiozzo o quando si capisce che ha un ossici-
no in bocca e vorrebbe metterlo sul piatto; ci si volge co-
me per caso, si osserva qualcosa con attenzione e quan-
do si torna a guardare il vicino, il singhiozzo passato o
252 Letteratura italiana Einaudi
lossicino sta sullorlo del piatto. Quello convinto di
essere stato educatissimo, mentre non lo sarebbe stato
pi se tu te ne fossi accorto. Pensa che disagio, in alber-
go, sotto locchio ironico del cameriere, mangiando il
pollo far schizzare una patatina sulla tovaglia! Una tra-
gedia: sarrossisce fino alla punta dei capelli. Invece a
casa tua, prendi la patatina con due dita e te la metti in
bocca. Un umorista diceva che veramente educato co-
lui che prende le zollette di zucchero con le molle anche
quando solo.
Ridevano tranquillamente. Era proprio una bella
giornata, una bella domenica: un raggio di sole scialbo
entrava dai vetri della sala e andava a battere sui mobili
vecchi, lustri e solenni. Tra i quattro spirava una confi-
denza familiare e commovente di festa patriarcale; le co-
se erano antiche, alcune erano fuori moda, ma non si sa-
rebbe trovato come sostituirle. Se un solo oggetto di
gusto moderno fosse stato posto tra quelli, allora la casa
sarebbe divenuta decisamente brutta, per loggetto
non cera.
Si levarono dalla tavola per passare nel salottino con-
tiguo: Emanuela ed Andrea si sentivano compiutamente
felici, appagati ed espansi. Prima di sedersi Andrea dis-
se: Vieni, Nuela, voglio mostrarti la mia camera.
Era in fondo alla casa, una delle ultime porte bianche
e lucide del corridoio. La ragazza appena entrata
esclam, volgendo gli occhi intorno: Oh! ma carino,
molto carino, qui! Intanto pensava che la camera era
piuttosto brutta, daspetto vecchiotto.
semplice disse Andrea: qui studio; per ti pre-
go, non guardare il disordine del tavolo, eppure ho fatto
un lavorone per sistemare un po giacch venivi, ma sen-
za riuscire, vedi? questi sono i miei libri, ed ella li
tocc con una mano che voleva essere rispettosa. Vedi
la tua fotografia? Ma vecchia, ne vorrei unaltra ora,
una grande.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
253 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
S, era vecchia, molto vecchia; fatta da Stefano sei an-
ni fa al giardino di Boboli. Non aveva avuto scrupoli a
mescolare cos Andrea a Stefano. Nella sua vita ormai
tutto era commisto, il passato al presente, la bugia alla
verit.
Andrea laveva presa per le spalle e parlava: Tanto
desiderio avevo di vederti qui, tra le cose mie, le vecchie
cose alle quali sono abituato. Rest zitto un momento,
quindi le domand affettuosamente: Ti ricordi di quel
ristorante dove andammo, il primo giorno? Ti disegnai
la pianta della mia camera sul rovescio di un pacchetto
di sigarette... Chi sa, forse immaginavo che un giorno vi
saresti entrata. Non era intenzionale seguitava. il
destino: tu giri, vedi tante ragazze, ridi se ti si parla di
matrimonio, gli amici si sposano e tu ridi. Poi un giorno,
non si sa come... ne incontri una, prima pensi soltanto:
carina, poi... Com stato, Nuela?
Tu mi scrivesti quel biglietto...
Gi. E tu non venisti. Mero infreddolito aspettan-
doti, cerano quei bambini che cantavano. Perch non
venisti?
Mi pareva...
Capisco...
Rimasero assorti: dimprovviso egli la strinse a s, la
baci sulla bocca, senza allentare labbraccio. La sua
mano dalla vita saliva a cercarle il seno rotondo sotto il
vestito leggero, il suo sguardo spiava gli occhi che la ra-
gazza aveva chiusi: ma dun tratto scossa come se a quel
contatto egli dovesse subitamente intuire il vero essere
fisico di lei, con moto brusco Emanuela gli stacc la ma-
no dal seno, si divincol, sallontan: poi temendo che
tanta improvvisa durezza dovesse essere intesa male,
con un sorriso infantile si riaccost a lui e gli poggi la
testa contro il petto.
Egli le disse dolcemente: Perdonami. E appariva
tuttavia assai turbato di lei. Torniamo di l.
254 Letteratura italiana Einaudi
Savviarono, ma appena nel corridoio egli le prese un
braccio e le chiese a bassa voce: Oh, guarda, non ho
mica rossetto sulle labbra? E al cenno negativo di lei,
sicuro riprese a camminare.
I vecchi, vedendoli entrare, sorrisero.
Lansia per Stefania la riafferr alla sera, in collegio:
durante la giornata, ogni volta che il pensiero della bam-
bina sorgeva in lei, lo scacciava duramente. Ma in cappel-
la, alla preghiera della sera, era soffocata dallansia.
terribile, pensava, essere chiusi in questa prigione. E
prima di salire in camera, non potendo resistere, telefon.
Pronto fece e si guard attorno. Vorrei sapere
notizie della bambina Andori.
la mamma?
S. Disse questo s in un soffio, come per esserlo
un po meno. E poi attese un tempo infinito, era sola,
ma temeva che qualcuno entrasse. In fine venne al mi-
crofono la suora e parl senza riguardi: Molto grave,
molto grave Stefania, il dottore non ha nascosto le ap-
prensioni, la febbre altissima, la bambina delirando
chiamava lei.
Ah! Ho capito, va bene. Buonasera. Ella disse
questo con gelida voce sommessa e riattacc il ricevitore
con fare misterioso.
Usc fuori nel vestibolo quasi buio, deserto; il portone
era gi sprangato; sal lentamente, un peso enorme nei
ginocchi, esausta; suor Prudenzina vigilava che tutte le
ragazze rientrassero nelle loro stanze, mansuete come
pecore; non serano mai amate, suor Prudenzina e lei; la
suora aveva subito intuito nella ragazza qualcosa che
sfuggiva al suo controllo; tra poco al grido Luce! il
cancello dellatrio avrebbe cigolato chiudendosi, le ra-
gazze sarebbero partite verso un mondo di tenebra e di
sonno. Se Emanuela avesse gridato: Mia figlia sta mo-
rendo! non lavrebbero lasciata uscire.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
255 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Molto grave, molto grave Stefania, la suora aveva detto.
Emanuela la rivedeva delirante nel letto, tutta rossa
dalla febbre, riudiva con crescente insistenza quella
nuova voce mite della figliuola che chiedeva: Non te
ne vai, vero, mamma? Laveva tradita abbandonando-
la sorridendo, il cappello in mano. Falsa: falsa con lei
come con tutti. Tutta una bugia la sua vita, unaerea cat-
tedrale costruita sullinganno, una cattedrale di vetro,
presto tutto sarebbe crollato con gran fragore. I vari
personaggi che erano in lei, di colpo si sarebbero trovati
di faccia, smascherandosi luno con laltro. Avrebbe per-
duto tutto: Andrea, le amiche, anche la figlia. Molto gra-
ve, Stefania: pu morire stanotte e mamma non c.
Come una demente ripeteva tra s infinite volte que-
sta frase, mormorava: Mamma non c, mamma tua
non c, non c. Si torceva le mani, andava di qua, di
l nella stanza, smaniando: Che posso fare? che posso
fare? Questa domanda le saliva tante volte alle labbra,
una domanda angosciosa come un singhiozzo, che le li-
mava lanimo. Con la malattia della bambina tutto sa-
rebbe stato scoperto, adesso, era inevitabile.
Ah! eruppe ad alta voce. Stefi, quanto male mi
hai fatto! Il male adesso, lass al collegio, delirava, sta-
va per morire.
E se fosse morta?
Bisbigli questa domanda e quindi, terrorizzata, ri-
mase in ascolto. Forse dopo questa domanda la camera
crollerebbe su di lei, schiacciandola; le pareva che la
porta si sarebbe dovuta aprire per lasciare entrare un
Dio severo, tutto vestito di bianco. Timorosa, lenta, vol-
geva la testa attorno. Nulla. Nulla accadeva. Allaria in-
torno con voce confidente chiese ancora:
E se morisse?
Nulla si scosse. Intanto il suo pensiero andava rispon-
dendo alla sua domanda: Se morisse, niente pi discor-
so con Andrea. Avrebbe seguito il funerale sola con
256 Letteratura italiana Einaudi
lombra di quel padre ignoto, quel padre ignoto che fab-
bricava aeroplani. Sola, un lungo velo nero in faccia. Ec-
co, si proteggeva anche da quella evenienza; un male
acuto la stringeva nel ventre, come se le sue viscere si ri-
fiutassero, esse che avevano portato la bambina. Epper
insisteva nel pensare: se morisse niente pi discorso con
Andrea, bastava, s, bastava un po di commedia la sera
delle nozze, egli non avrebbe sospettato di niente, era
un ragazzo primitivo, Andrea, chiaro e semplice. Nulla
risultava sulle sue carte, un matrimonio regolare, un lun-
go strascico, un odoroso mazzo di gardenie. Odoravano
cos acutamente da stordirla, e lorgano suonava cos
forte che la sua testa nera piena. Tutto sistemato, tutto
regolare, se Stefania moriva era come se non fosse stata
mai viva. Per chi era viva quella bambina? Per nessuno,
e quindi non esisteva.
La morte di Stefania lavrebbe riportata indietro di
tanti anni, leggera, leggera, come in punta di piedi, fino
al giorno che Stefano laveva incontrata sul Lungarno.
Tutto era dipeso da un attimo, quella tragedia, bastava
che ella avesse svoltato al Ponte Vecchio, invece di pro-
seguire. Ecco, se Stefania moriva sarebbe stato come se
quel giorno Emanuela avesse svoltato sul Ponte Vec-
chio. Una ragazza sale sul ponte, un aviatore passa pel
Lungarno. Un attimo. E non sincontreranno mai pi.
Muore, s, certo muore. E mi libera.
Sergeva sulla punta dei piedi come pronta per volare.
Quante bambine muoiono a cinque anni? Sua sorella
era morta a sei di scarlattina. Scarlattina. Scarlattina. E
unonda di piet linvase per quella vocina che aveva
detto: tutte puntine rosse come fragolette. Pianse. La-
crime incerte saffacciavano agli occhi poi come pazze si
buttavano a capofitto, ruzzolavano per le guance. Soffri-
va come se qualcosa la costringesse a portare sua figlia
in sacrificio. per il suo bene, per il suo bene, anda-
va convincendosi. Ovunque avrebbe dovuto esibire
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
257 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
quella vergogna originale: di padre ignoto, di padre
ignoto. Forse un giorno sarebbe andata a trovarla e ama-
ramente le avrebbe rimproverato: Mamma, perch
non mi hai ucciso da bambina?
Stava in piedi nel mezzo della stanza, inchiodata, e
fissava la porta, a occhi sbarrati: qualcuno adesso sareb-
be entrato a darle la notizia. Ma tutto era silenzio nella
casa, i lumi erano spenti. Emanuela si sentiva ardere,
una febbre che le pareva di eroismo la consumava den-
tro. cos, ormai, cos, tutto saccomoda, pensava,
a cinque anni non si capisce la vita, non si soffre di mo-
rire. E tremava e si torceva le mani. Finch esausta
sabbandon sul letto, tesa in ascolto, aspettando che in
lei si consolidasse questa certezza: Stefania morir.
Saddorment cos, vestita, senza avvedersene. Allal-
ba la luce livida che veniva dalla finestra la svegli, con
brividi di freddo. Stefania... ella subito pens e prov
la spaventosa sicurezza che a questora la piccola non ci
fosse pi, fosse morta. Un delitto, un atroce delitto. So-
no io che lho uccisa. E cominci a darsi pugni sulle
tempie, mormorando: Assassina, assassina! Infine la
campanella delle suore dette i primi tre rintocchi. Di
buonora Emanuela usc dal collegio, corse lass; e ap-
pena vide la suora dellinfermeria le disse piangendo:
Non potevo stanotte, sorella, proprio non potevo, lei
non sa... e appariva cos accorata che quella la
confort battendole una mano sulla spalla. Pass tutto il
giorno al letto della figlia. Neppure un attimo lasci la
mano della bambina, ogni poco la chiamava timidamen-
te: Stefi... Stefi... Ed era come se volesse dirle: Per-
donami. Non si mosse neppure per mangiare, scoteva
la testa quando linfermiera le diceva se volesse riposar-
si: Sto qui rispondeva. Infine alle quattro Stefania
apr gli occhi, chiese: Mamma, ho fame. Laveva sen-
tita, aveva capito che era stata l sempre, senza muoversi.
258 Letteratura italiana Einaudi
Alle sei la bambina cominci a sudare, perle sulla fronte,
sulle labbra, la febbre calava. Stefania dormiva quando,
alle sette, Emanuela senza parlare se ne and.
A tavola le compagne laccolsero con occhiate dinte-
sa, ella si sedette, spossata, salut in giro con la mano,
affond il cucchiaio nella zuppa, prese a mangiare a te-
sta bassa. Silvia le disse sottovoce: Tira brutto vento
per te.
Per me?
Eh, si capisce! Ieri a colazione fuori, oggi a colazio-
ne fuori, ma dove sei stata tutto il giorno? Suor Pruden-
zina ha parlato alla superiora.
Ah!
Non dici nulla?
No. Che devo dire?
Pi tardi in camera di Anna quando furono tutte riu-
nite, udendo la suora arrivare, Silvia saffrett a metterle
un libro davanti: Studia le consigli. Studia. Cos
la suora, aprendo, la trov tutta intenta e per fece iro-
nica, prima di richiudere la porta: Lei studia molto,
Andori, lei studia troppo.
Valentina, Silvia e Anna alzando gli occhi dai libri
guardarono Emanuela, e allora ella spieg: B, non ho
fatto niente di male: ieri e oggi sono stata a colazione in
casa dei genitori dAndrea.
Valentina linterruppe: Ti hanno dato lanello?
No, non ancora.
Il fatto disse Silvia che da due giorni hai laria
stravolta. Non se ne sarebbero accorte, magari, ma Va-
lentina ha fatto notare il tuo posto vuoto a tavola. Dopo
c stato un gran parlottare tra le maggiori sottane, cre-
do che non si rendano conto di quello che tu stai facen-
do. Ti dir che lanno passato non me ne rendevo conto
neppure io.
Studio: per studiare non c bisogno di essere iscrit-
te alluniversit.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
259 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
No rispose Silvia no, certo. Ma ti piace studiare?
chiese e siccome laltra non rispondeva: Forse ti pia-
ce di pi non fare nulla.
O andare a spasso con Andrea rise Valentina.
Neppure insist Silvia: Non far nulla, ecco. E
volevo proprio convincerti di questo: che non si pu,
nella vita, non fare nulla.
Allora secondo te, chi non dotato per le lettere do-
vrebbe buttarsi a fiume?
Emanuela avr la sua casa, i suoi bambini... disse
Anna.
Non credo che questo la interessi molto Silvia dis-
se. Noi oggi non ci appaghiamo pi di quello, un be-
ne o un male, non so, ma tutto progredisce e la casa va
da s, le calze si fanno a macchina, anche i figli sembra-
no avere minor bisogno di noi.
Non credo replic sorridendo Anna.
S, s, invece. Emanuela non altro che una consu-
matrice di denaro. E forse non se lo gode neppure.
Perch stasera ti accanisci contro di me, Silvia, che
hai?
Non mi accanisco, ti dico quello che penso, da ami-
ca; a che servirebbe essere amiche se non a dirsi quello
che si pensa?
Tu credi effettivamente che lamicizia serva a qual-
che cosa? fece Anna ironicamente.
No, forse no, per il fatto che non si scelgono mai i
propri amici; cpitano. Con alcuni ci conosciamo da
bambini e allora lamicizia unabitudine. Quando am-
miriamo qualcuno al punto che volentieri gli saremmo
amici, di rado abbiamo occasione di divenirlo. E allora
si tira avanti con gli amici occasionali. Ma che stavamo
dicendo? Ah! ... che tu dovresti fare qualche cosa. Tu
conosci la soddisfazione intima, profonda, di costruirsi
giorno per giorno la strada su cui camminare, di guarda-
re al domani come a un maturante frutto da cogliere? E
260 Letteratura italiana Einaudi
la gioia di sentirsi stanchi la sera, stanchi non daver vis-
suto unaltra giornata, ma dessersela fatta con le pro-
prie mani, quella giornata, cos come un operaio squa-
dra la pietra?
Parole, queste disse Emanuela sorridendo, paro-
le che ti ripeti per convincerti, ma in realt sai che cos
che ti spinge? lambizione.
Lambizione? Silvia ripet, e poi rest a pensare.
Guardava avanti a s e, per quei suoi occhi strabici, si
sentivano guardate tutte. Assent a pi bassa voce: Pu
darsi, s, forse lambizione. Ma non lambizione di es-
sere creduta dagli altri una creatura superiore, bens
quella di sentire in s una propria superiorit, e di fare
ogni sforzo per conquistarsi questa coscienza. S, ag-
giunse forse tu hai ragione, Emanuela: tutto questo
lambizione. E tu non hai neppure quella.
Vuoi umiliarmi, Silvia?... Io, ho una vita cos com-
plicata.
Ecco, appunto: ci che complica lesistenza la
noia; chi ha la vita occupata non pensa neppure che sia
complicato viverla. Pensavo che tu potresti, per esem-
pio, fare un corso per infermiera della Croce Rossa.
Io? esclam Emanuela. Ma impossibile! Io ho
orrore del sangue, i morti mi fanno paura, dopo me li
sogno per un mese intero, poi dovrei prendere uninfer-
miera per curare me...
Altra cosa allora...
Allora tutti questi discorsi sono inutili, non ho biso-
gno di far nulla, di trovare nulla: io a giugno mi sposo.
Gi, vero, c anche il matrimonio. Io me ne di-
mentico sempre disse Silvia sorridendo; poi mise un
braccio attorno alle spalle di Emanuela, con affetto.
Tu hai ragione. Sono io che sono diversa dalle altre e
sempre lo dimentico. Ci sono molte cose oltre quelle
che preoccupano me. Ognuna di noi ha la sua vita di-
nanzi a s. Quante volte te lho detto? Noi siamo su un
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
261 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
ponte, e, passato il ponte, chi prende una strada, chi lal-
tra. Un transito, questo, insomma.
Tra poco Osserv Anna rester deserto il ponte.
No, mai deserto. Noi si scende, altre salgono. Ri-
mase a occhi bassi, pensierosa, poi disse cambiando to-
no: Studiamo adesso.
A mezzanotte, rientrando in camera sua, Valentina
deponeva i libri sul tavolo quasi con liberazione, acqui-
stava unaria di sollievo come una donna che si sia tolta
il busto, si specchiava, si pettinava, si spogliava in fretta
ed entrava nel letto. Ma ogni gesto era compiuto ghiot-
tamente come se lintera giornata fosse stata sopportata
sulla promessa di quellora. Anche la povera nudit del-
le cose attorno si trasfigurava, le dava un senso di bene-
fico ritrovamento.
Nel letto sadagiava supina, sassestava con piccole
scosse, brividi, le braccia allungate lungo i fianchi, il len-
zuolo che le radeva il mento. Sorrideva deliziata al tepo-
re del suo corpo che le coperte trattenevano attorno a
lei. Poi stendeva una mano, spegneva il lume, attendeva.
A occhi chiusi, tutti i sensi raccolti, attendeva.
Lenta la finestra si schiudeva, laria che penetrava nella
camera era dolcissima e lievemente profumata di magno-
lia. Fuori tutto era chiaro e lucido di luna, enormi stelle
lucevano sul cielo dun cupo azzurro. Sopra la ghiaia del
fantastico giardino pavoni passeggiavano, cigni candidi
scivolavano nella fontana di vetro. Oltre il muro di cinta
si vedevano cupole di templi orientali, e minareti.
Valentina sassestava meglio, e tendeva avida il volto
come per dire: Ecco, ora comincia.
La porta sapriva ed egli entrava tacito sulle scarpe di
velluto, il morbido tappeto spegneva il suo passo, ma
frusciava la seta dei larghi calzoni; le sue mani erano ca-
riche di anelli, i capelli bruni e lucenti sondulavano sul-
le tempie.
262 Letteratura italiana Einaudi
Dormi, le chiedeva piccolo fiore?
S, mio signore, dormivo.
Era una soave e tepida sera, calava dalla finestra una
striscia di luna, il corpo della fanciulla era appena velato
dazzurro, sotto il velo diafano la carne palpitava, ogni
poro aveva un suo respiro; la fanciulla chiudeva gli oc-
chi scusandosi di essere cos viva e bella. La camera or-
mai era tutta occupata dalla vita del suo corpo. Sugli esi-
li polsi dove traspariva i1 delicato rametto delle vene,
gravavano pesanti monili dargento.
Sono venuto alla perla dellharem.
Cantano di l, le donne?
S, non odi? cantano.
Nel perfetto silenzio lunare sudivano armonie di chi-
tarra o darpa. Anche una voce giunse, distante, fievolis-
sima; la fontana del giardino sera taciuta per ascoltare.
Cantano egli ripet: ma io ero stanco di loro.
Tutte le ho guardate negli occhi e in nessuna ho trovato
le pallide viole.
Dal giardino il forte profumo dei fiori sinoltrava nel-
la camera, metteva un cerchio doloroso intorno alla
fronte. Egli sedette sul letto e la fanciulla in un sussulto
si ritrasse. Il principe le chiese teneramente, fissandola
negli azzurri occhi: Perch ti ribelli, piccolo fiore?
Aveva, la sua voce, soavissimi accenti; le sue mani era-
no lisce e morbide come il petalo della magnolia.
A poco a poco, nelle braccia di lui, dolce fu il non ri-
bellarsi; dolce come cedere al sonno.
*
Una donna numero uno dicevano gli amici di Dino
parlando di Xenia. Non la chiamavano neppure per no-
me come facevano con le altre: lei era la Costantini. Di-
no ascoltava annuendo appena; fumava, scrollava la cene-
re dalla sigaretta, tuttal pi diceva con condiscendenza:
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
263 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Per una donna, s, una ragazza intelligente.
Lamica gli costava caro, ma aumentava il suo presti-
gio come la grossa automobile. Spesso di sera, invece di
andare per i bar, la compagnia si riuniva nel piccolo ap-
partamento di Xenia. Per Dino era piacevole sedere fu-
mando davanti a un bicchiere di cognac, poi, udendo gli
altri entrare, alzarsi un po a fatica per riceverli come se
linterrompimento delle proprie abitudini prodotto dal-
la visita fosse una degnazione e un sacrificio per lui.
Una scoperta del Ricci, la Costantini.
Se amici forestieri erano di passaggio per Milano, altri
della combinazione automobilistica, si offriva loro di
andare dalla Costantini di sera. Tre camere arredate con
gusto sobrio, tre camere diverse da come le avrebbero
fatte le altre donne che loro conoscevano; pochi mobili,
luci intime, calde, due o tre bei quadri e molti libri, alcu-
ni in lingua straniera, neppure un libro giallo o una rivi-
sta con fotografie pornografiche. Entrando, i vecchi di-
cevano ai nuovi amici: Carina, molto carina, eh?
mostrando attorno la casa con la mano; e intanto gli toc-
cavano il gomito come per dire: Ti piace la donna?
Xenia sera fatta pi bella, assai pi bella. Il suo corpo
acquistava sveltezza nei nuovi vestiti eleganti. Negli oc-
chi quel lampo cupido sera quetato, o si nascondeva pi
in fondo. Il suo gusto sera raffinato; arredare la casa era
stata per lei occupazione prediletta. Spesso raccontava di
una villa che i suoi genitori abitavano nel Lazio, tutti mo-
bili antichi, di famiglia; e un parco con grande sventolo
argenteo di pioppi sullo stagno. A forza di ripeterlo cre-
deva di aver veramente vissuto in quella casa immagina-
ria, ne vedeva chiaramente, come lo descriveva, latrio
con le finestre che saprivano sulla collina e la stanza di
soggiorno con le poltrone accanto al caminetto.
In casa sua donne non ne venivano: Vandina cap che
sarebbe stata di troppo e seppe mantenere le distanze.
Andava a farle visita nel pomeriggio, la trovava distesa
264 Letteratura italiana Einaudi
sul divano con i libri vicino, le sigarette. Secondo lei, da
quando andavano bene le cose, Xenia posava un po.
Altre amiche non aveva, salvo la Mary del Barchi. E
con questa non riusciva ad entrare in intimit: si vedeva-
no ogni sera, i loro amici avevano interessi comuni, la
Mary cercava di rendersi simpatica e lo era, Xenia rico-
nosceva che lo era; eppure, nonostante ogni buona in-
tenzione, i suoi sentimenti verso di lei non riuscivano a
sorpassare quelli di una semplice conoscenza; se non
lavesse pi vista, forse se ne sarebbe accorta dopo un
mese.
La sera gli uomini giocavano; era stato necessario
comprare i gettoni per il poker, le carte: attorno al tavo-
lino si formava una nube grigia di fumo, spesso gli uo-
mini sinasprivano, soltanto Horsch manteneva la sua
calma. Dino chiedeva: Xenia, dacci da bere. E lei
serviva i liquori, con molto garbo, il whisky. Il giorno
dopo diceva a Dino: I liquori costano, ho bisogno di
altro denaro. E lui le rispondeva: Che vuoi fare?
necessario, quando si ha una casa gli affari si ingranano
meglio, gli amici non sfuggono; del resto tra poco avre-
mo gli incassi di quel grande affare degli autotreni.
Xenia non sentiva in s molta riconoscenza per Dino,
per il denaro che spendeva: alla fine dellestate lei gli
aveva detto. E allora, questo posto alla societ delle ce-
mentazioni? Ma egli aveva risposto: Che, vuoi rimet-
terti a lavorare adesso? ci penseremo. E lei aspettava;
la colpa, pensava scagionandosi, non era sua. Perci ac-
cettava facilmente il denaro, quasi dovuto le sembrava,
come un indennizzo per quello che avrebbe potuto gua-
dagnare e al quale rinunciava per causa di lui, di Dino.
Nella giornata oziava; si trascinava da un divano
allaltro, con le sigarette, un certo suo cuscino preferito,
i libri: i libri avevano ripreso una parte importante nella
sua esistenza. E apprezzava i gravosi studi che le aveva-
no appreso questo godimento. Ma tutto il resto della sua
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
265 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
vita di collegio le appariva ingenuo: ore sprecate dietro
inutili illusioni. Chi sa che fine avr fatto Vinca con quel
suo spagnolo senza un soldo che la portava a fare lunghe
passeggiate in tram e poi al cinema da due lire! Adesso
ripensando al furto dello smeraldo rideva: Potevo te-
nermelo, era una bellissima pietra, di molto valore. Ri-
vedeva lalbergo nel quale aveva passato la notte, il viag-
gio verso Milano, in terza classe col fagotto, e il negozio
del guantaio... Come lontano tutto questo, anche se sol-
tanto pochi mesi erano trascorsi! Le sembrava di aver
vissuto tutto ci non per necessit, ma per amor dav-
ventura. Le sarebbe piaciuto che il collegio fosse stato l,
a Milano, per alzare il ricevitore, chiedere alle amiche:
Volete venire a trovarmi? Sto in via tale, numero tale.
E vederle entrare con quei loro vestiti dimessi, offrire lo-
ro il whisky, i marrons glacs. Ma non si poteva, che fi-
gura avrebbe fatto con Dino, con la cameriera? Se le
avesse incontrate per la strada forse avrebbe fatto finta
di non vederle.
Durante il giorno Dino la lasciava quasi sempre sola,
egli era in giro per i suoi affari, cercava persone, affan-
nato in quel suo ampio cappotto sportivo: andava da lei
dopo colazione a prendere il caff; parlava degli affari,
ma vagamente, senza specificare, alcune volte Tom Bar-
chi era con lui, ed entrambi si mostravano irritati contro
Horsch. Ci tiene le mani legate, dicevano, non ci
lascia muovere. Un giorno, entrando, Dino disse a Xe-
nia:
Sai? il vecchio gorilla...
Quale?
Ma quello dove lavoravi tu, quello della X and X
and X Company...
S, ebbene?
saltato. Tutta la societ in aria, qualcuno finir in
galera. Qualcuno che non sar Horsch, naturalmente.
E rideva.
266 Letteratura italiana Einaudi
Raimondo Horsch appariva a Xenia un personaggio
sempre maggiormente misterioso. La sua conversazione
era piacevolissima, sapeva molte cose, vedeva le esposi-
zioni darte, leggeva i libri in voga. Ma quando fate
tutto questo? Xenia stupiva. Egli sorrideva con un
enigmatico sorriso; aveva una gradevole voce lenta e
grave, bisognava per forza fare attenzione quando parla-
va, anche perch parlava piano. Talvolta mandava fiori a
Xenia, ma non senza un pretesto, dopo un invito a pran-
zo, per esempio; sempre gli stessi fiori: orchidee. Lei le
poneva in un vasetto, mai le appuntava sul vestito, forse
le pareva di non potersi ancora permettere di distrugge-
re in unora quei costosi fiori; cercava piuttosto di con-
servarli il pi a lungo possibile. Dal divano ove amava
stendersi li contemplava con unintima ammirazione:
enormi erano, magnifici mostri dai petali ansanti come
lingue danimali. Quando vedeva Horsch gli diceva con
cortesia distratta: Grazie dei vostri fiori -, come se le
avesse mandato un mazzo di violacciocche.
Ogni mese Xenia spediva un po di denaro ai suoi,
ogni volta attendeva che la lettera di suo padre fosse fi-
nalmente violenta, che le dicesse: Ma insomma che me-
stiere stai facendo? Tienti i tuoi soldi e non ti fare pi vi-
va. Invece, regolarmente, a giro di posta, il padre la
ringraziava sul foglietto rigatino. Non sospettavano di
nulla o, Xenia si domandava, trovavano pi comodo
non accorgersi di nulla. Non sapeva che al paese si mor-
morava, senza sapere nulla di preciso; e proprio quelli
che credevano il lavoro la vera fonte dei guadagni di Xe-
nia facevamo circolare voci calunniose sul conto di lei,
perch non potevano tollerare lidea che la ragazza fosse
riuscita a crearsi una posizione onestamente. Se avessero
saputo che faceva la mantenuta non se ne sarebbero oc-
cupati pi; era lintelligenza, il sacrificio di Xenia che
volevano negare. I genitori forse erano i soli a pensare la
verit, ma non osavano neppure confessarselo. Quando
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
267 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
si cos vecchi e cos poveri si accettano le cose senza
chiedersene la ragione. Cosa potevano fare? partire? an-
dare a vederla? Era pi facile continuare cos.
A questa loro cecit Xenia si ribellava; giustificava
pienamente la propria vita, ma non ammetteva che i ge-
nitori la giustificassero. E le doleva questo cos forte che
certe volte cercava di convincersi: No, no, certamente
non sanno. Perch quando sentiva la necessit di umi-
liarsi, di riconoscere la bassezza della strada che aveva
scelto, per intenerirsi aveva bisogno di ricordare il grem-
biule nero di sua madre, i tempi nei quali andava con lei
a messa ogni mattina. Aveva bisogno di portare da sola
il peso della propria condotta, come un atto di ribellione
allonest della propria famiglia e non come un mezzo
accettato da tutte tre per vivere con maggiore como-
dit.
Ma pap rispondeva: Grazie, cara figlia. Tua madre
s comperata le calze elastiche per quelle vene che laf-
fliggono; Dio ti benedica e non ti stancare troppo. Ab-
biamo piacere di vedere il buon esito del tuo lavoro Il
lavoro, il lavoro!... neanche sanno dove sono impiegata,
penseranno che faccia anche di peggio. Ipocriti, ipocri-
ti! e strappava la lettera.
Le accadeva di giudicare la sua vita sopra tutto quan-
do pensava a Silvia: ai suoi piccoli occhi un po strabici,
alla sua veste nera di lunghi lutti; se fosse stata nella stes-
sa citt, forse Silvia sarebbe venuta a trovarla senza esse-
re invitata; sarebbe entrata difilato, e avrebbe chiesto:
Perch fai questo, Xenia? e Xenia non avrebbe trova-
to la forza di ridere come faceva sempre quando sentiva
parlare delle persone per bene. Aveva preso a motteggia-
re come Vandina faceva: Queste donne oneste... cer-
cando quasi di togliersi la polvere di dosso, leggermente,
con la mano. E poi non riusciva a considerarsi disonesta;
disonesta sarebbe stata se avesse tradito Dino. Che im-
portava se non erano sposati? Si deve essere fedeli al
268 Letteratura italiana Einaudi
proprio uomo, non a unistituzione. Ma non avrebbe po-
tuto rispondere cos a Silvia; se le altre compagne fossero
andate da lei sarebbe stato diverso: Vinca lavrebbe per-
donata per amore, Valentina le avrebbe chiesto cosa si
provava, Emanuela avrebbe ammirato la casa, le orchi-
dee di Raimondo Horsch. Silvia cercando i suoi occhi le
avrebbe chiesto: Perch fai questo, Xenia?
A questa precisa domanda che nasceva in lei, Xenia
sapprofondiva nel divano, guardava attorno, metteva in
bocca un dolce e tornando con gli occhi al libro si rispon-
deva ad alta voce: Perch? O bella, perch mi piace.
Cos inoperosa la sorprese Raimondo Horsch.
Era il tramonto e tuttavia Xenia ancora non aveva ac-
ceso la lampada. Nel primo pomeriggio era stata a pas-
seggio ricercando sui marciapiedi il linfatico sole milane-
se. In lei, dimprovviso, era nato il desiderio di un pino:
e ricordava quello che vedeva dalla finestra del collegio
aprire placidamente lombrello dei rami irsuti. Questo
pensiero le aveva messo in petto una segreta ansia, unin-
sofferenza di quel pigro e grigio novembre che la imma-
linconiva. Dir a Dino di condurmi in Riviera di nuo-
vo. Ed era tornata a casa tutta presa dimpazienza.
Oh, scusate, scusate, buio gli disse vedendolo
entrare e pens che aveva le pantofole ai piedi e il viso
lucido.
Laltro attese che Xenia linvitasse a sedere; poi disse:
Perch volete accendere la luce? Non preferibile
questa penombra?
Io s, preferisco. Dino non ancora venuto, ma non
pu tardare, non lho visto da ieri. Non maveva detto di
prepararmi per uscire stasera. Usciamo a cena, vero?
chiese divertita.
Non so.
Tra loro cadde il silenzio. Era difficile condurre in-
nanzi il discorso con lui che taceva e cos al buio. Non si
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
269 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
pu abbordare un soggetto dimprovviso, bisogna esser-
vi condotti. Xenia osserv guardando la finestra: Che
cielo livido!
Laltro volse la testa alla vetrata ed annu.
Pensavo la donna continu di andare qualche
giorno in Riviera. Per non essere presa dalla noia
dellautunno, non vero?
Giustissimo.
Ne parler a Dino.
La Riviera non era un soggetto preferito da Horsch,
poich tacque di nuovo ed incroci le mani sulle gambe,
guardandola; se almeno le avesse lasciato accendere la
lampada tutto sarebbe stato pi facile.
Dove andremo, stasera? Xenia riprese. Vediamo
di trovare qualcosa dl nuovo, di geniale. Forse Dino
avr qualche idea; Dino ha sempre nuove idee, non ve-
ro? Se vi ha dato appuntamento non pu tardare.
Dopo un momento quasi seguendo in ritardo le paro-
le di lei, Horsch disse:
Dino non mi ha dato appuntamento.
Ah no? rispose Xenia. E non sapeva che pensare,
il tono di voce delluomo era misterioso. Sar felice di
vedervi, allora.
Ma laltro come se non lavesse udita continu:
Dino non pu venire: stato arrestato.
Quando Horsch se ne and, molto pi tardi, Xenia
richiuse la porta e rimase inebetita ad ascoltare i passi di
lui per le scale. Passi pesanti, decisi, che sallontanava-
no, si smorzavano, si perdevano nellandrone. Tacquero
infine, e sud il tonfo sordo del portone che si chiudeva.
La casa ne fu scossa, trem, poi ripiomb nel sonno.
Dino... ella chiam piano. Dino...
Nel silenzio la sua voce assumeva un che di macabro:
lo chiamava come un morto, per trafiggersi, sapendo
che lui non poteva pi rispondere. Sono andati a casa
270 Letteratura italiana Einaudi
sua stamattina presto Horsch aveva detto. Lei certo a
quellora dormiva; uno di loro poteva andarsene in pri-
gione, laltro a dormire, due esseri rimangono sempre
due cose distinte. Dov Dino? Come sono le carceri?
Non riusciva a immaginarle e allora appoggiava la sua
immaginazione al ricordo di carceri viste in pellicole,
una cosa spaventosa. Non le sembrava possibile che egli
fosse rinchiuso in una di quelle gabbiette buie. buio a
questora in carcere, buio pesto. Se lei andasse a cercar-
lo Dino non potrebbe uscire, se lo chiamasse non la
udrebbe. Dapprima non sera spaventata. Arrestato?
forse s, ma tra unora spiega tutto ed qui. Andiamo a
cercarlo, a dire... Horsch scoteva la testa: Inutile an-
dare, inutile cercare, diceva, un imbroglio grosso, ho
paura che non sar tanto facile cavarsela. E allora Xe-
nia aveva sentito il peso della propria vita caderle sulle
spalle. Prima ancora di domandare la ragione dellarre-
sto, prima di temere per Dino, particolari materiali le si
affollarono nella mente: il prossimo mese scade il trime-
stre daffitto, la cambiale dei mobili. Mangiare. Soltanto
seicento lire in tasca. Come era possibile che arrestasse-
ro Dino se lei rimaneva cos? Preoccupata da questo
sera messa a piangere.
Ammanettato? aveva chiesto fra le lacrime.
No, che ammanettato!
Da tre o quattro giorni infatti Dino era nervoso. Gli
autotreni? Xenia gli aveva chiesto. Gi, gli autotreni
aveva risposto. Niente pi di questo. E per mai pi
aveva nominato Horsch senza dire quel porco. Hor-
sch sedeva di fronte a Xenia, nella poltrona, libero, tran-
quillo, appena un po angustiato, forse per salvare lap-
parenza. Era sua la colpa, lui la cagione di tutto. Gli
chiese rabbiosa:
Ma voi?...
Laltro calmo linterruppe: Io non ne so nulla.
E Xenia non aveva osato replicare. Avrebbe dovuto
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
271 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
dire che s, lui sapeva, che sua era la colpa come per gli
altri l, della X and X and X Company, ma qualcosa
dentro le impediva la ribellione. Soprattutto qualcosa le
diceva che soltanto Horsch avrebbe potuto liberarla
dalla situazione. Si taceva remissiva e mite. Avrebbe do-
vuto scacciarlo di casa, almeno, e invece laveva pregato:
Non mi lasciate sola.
Ora camminava su e gi, si guardava allo specchio
per aver coscienza della sua faccia devastata dalla gravit
di quellora, batteva i pugni luno contro laltro fino a
farsi dolere le giunture, mormorava: Bisogna, bisogna
trovare una soluzione. Capiva che la faccenda di Dino
era seria. Voglio andare a trovarlo aveva detto a
Horsch. Non si pu ancora, tra giorni forse, dopo lin-
terrogatorio, ne parler allavvocato. C gi un avvo-
cato? S, ho provveduto oggi stesso.
Dino, Dino; il passo della donna diveniva via via pi
inquieto, a tratti lei si fermava in ascolto come se doves-
se giungerle di lontano la voce di lui. Ma la notte taceva:
allora Xenia riprendeva a camminare sempre pi nervo-
samente, i pugni sempre pi stretti. Camminava cos
quella notte al collegio quando alla fine decise di fuggi-
re. Scappo... S, scappo, scappo. E questa decisione,
allora, le aveva dato la calma immediata, quietamente
sera coricata, aveva letto alcune pagine di un libro pri-
ma di dormire. Vado via anche da qui, ma immediata-
mente, stanotte, unaltra citt, Genova. Ma che faccio a
Genova? Trover da lavorare, ho il ben servito della X
and X and X Company, ( saltata, Dino aveva detto, fal-
lita, qualcuno va in galera), Genova una citt daffari...
Scappo, arrivo in un albergo... Ramment la desolata
vacuit dei suoi primi giorni a Milano, da un ufficio
allaltro, in alcuni non le davano neppure il tempo di
spiegarsi, il personale al completo, scendeva le scale
pi lenta, di quando era salita, il rumore della strada
soffocava i suoi passi inutili, la stordiva, che faccio, che
272 Letteratura italiana Einaudi
faccio? le notti erano interminabili, di notte non si pu
andare a bussare agli uffici e finalmente, un giorno, ecco
Vandina. Doveva tutto a Vandina. Un caso, altrimenti
dove sarebbe adesso? Forse bisognava parlare con Van-
dina... Ma ormai la ragazza non avrebbe pi saputo aiu-
tarla, era venuta giorni prima a chiederle in prestito cin-
quanta lire, ormai Vandina poteva soltanto domandarle
aiuto, non dargliene. Perch era andato via Horsch?
avrebbe avuto bisogno di parlare, chiedere, di giorno
tutto sarebbe stato pi lieve, ma la notte non concede
distrazioni, e poi lunga, inesorabile, la notte. Non ave-
va cenato, aveva detto alla donna di servizio: Va a let-
to, va a letto. Doveva decidere. Forse poteva andare a
trovare quel tale pezzo grosso della Banca. Serano in-
contrati un giorno in una pasticceria, e lui, riconosciuta-
la, laveva salutata rispettosamente, lei aveva arrossito,
quasi vergognosa di non essere pi povera come allora.
Ora aveva le referenze della X and X and X Company,
Horsch avrebbe potuto aggiungervi le sue. Chi non co-
nosceva Horsch a Milano?
S, ma come liberarsi della casa? Due anni di contrat-
to e quelle cambiali per i mobili, ogni cosa era a suo no-
me. In una banca guadagnerebbe cinquecento lire al
massimo. Il mattino presto, dinverno, al tavolo delluffi-
cio. Lanno passato, svegliandosi, trovava i ghiaccioli sui
vetri della finestra. E penosa la vita delle impiegate: en-
trano, firmano sotto lorologio, campana dentrata, cam-
pana duscita, escono in branco, felici di non portare pi
il grembiule nero, senza accorgersi che, anche quando
sono per la strada, dipinte, il cappellino in testa, portano
con loro laria del grembiule nero.
Meglio tornare a Roma. Vendere la volpe, alcuni mo-
bili, realizzare un po di denaro, tornare al collegio. Mi
perdoni, suor Lorenza, mi faccia perdonare dalla Ma-
dre, credevo che.. E poi di sorpresa entrare nelle ca-
mere delle compagne, mentre studiano la sera col lume
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
273 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
a petrolio, chiedere loro: Fatemi ancora posto accanto
a voi Che momento sarebbe stato, che commozione!
Questa era lunica via duscita: rimettersi al punto di
partenza.
Di sera, nei corridoi del collegio stagna un grande si-
lenzio: oltre le porte delle camere sodono conversare le
ragazze, discutere: sempre parlano davvenire. E Xenia,
di colpo, saccorse che tutto ci era inattuabile: le man-
cava ci che solo rende possibile lattesa: la fede.
Porcheria il mondo, bassezza! Sillude, Silvia, se vuo-
le arrivare ad avere una cattedra dovr farsi raccoman-
dare al preside, chi sa che vecchio schifoso, anche Va-
lentina sillude, marito non lo trover perch non ha
soldi, anche se rimasta onesta; lonest ti d quanto ba-
sta per morire di fame. Come tornare in mezzo a loro
conoscendo tutto questo? N con loro, n al paese. Non
poteva pi credere in tante cose, da quando sapeva che
si possono distruggere. Il peccato non la spaventava pi,
non vero che lanima pesa dopo il peccato, pesa
nellincertezza di compierlo, quando compiuto non
pi peccato, diviene consuetudine di vita. Certi princpi
esistono solo fino a quando si comprende che si vive lo
stesso facendone a meno. Nella sua disperazione pensa-
va che non era stato peccato essere lamante di Dino, col
marito si compiono gli stessi gesti. C la differenza che
cos giochi la tua vita, va o spacca, e, se va male, resti a
sbrigartela da sola.
Sola, sola, s, sola e intanto la gola le sussultava in sin-
ghiozzi secchi e rochi. Forse adesso, straziato da quella
sua pena qualcuno apparirebbe, qualcuno, uno qualun-
que, sulla spalla del quale poter appoggiare la testa e
dormire. Dino in prigione, Dino, Dino, con quella sua
mania di grandezza, di signorilit. Che freddo deve fare
in prigione! Pi freddo del collegio, certo; Dio mio, non
aveva mai pensato a quanto pu essere fredda una pri-
gione. Sera rovinato per lei, sera messo nella faccenda
274 Letteratura italiana Einaudi
degli autotreni per darle pi denaro, lasciandosi giocare
da Horsch.
Horsch... ripet ad alta voce. Lo vedeva come po-
co fa nella poltrona, calmo, battendo leggermente la
punta delle dita, mano contro mano, e intanto la guarda-
va. Ti guarda Horsch... un giorno Dino le aveva detto.
E da allora Xenia laveva notato: s, Horsch la guardava.
Subitamente and in camera sua, si specchi: aveva
gli occhi lucidi, irritati, le labbra strette, macchie rosse
di pianto sulla pelle. Batt i pugni luno contro laltro,
parl alla sua immagine conctatamente per darsi corag-
gio: Passare questo primo momento bisogna, domani,
di giorno, tutto saccomoda, sempre tutto saccomoda.
Si tir la fronte con le mani, si ravvi i capelli, si lisci il
viso, sorrise e poi si disse piano, guardandosi negli oc-
chi: Horsch deve... Horsch deve... Horsch deve...
*
La discussione della tesi era fissata al ventotto di no-
vembre per Silvia, al tre di dicembre per Anna. Le due
ragazze si erano chiuse in una rigida regola di vita, si te-
nevano appartate dalle altre. Anna appariva stanca, ras-
segnata: le compagne talvolta avrebbero voluto andare a
distrarla sicure di farle piacere; a Silvia invece non
avrebbero osato accostarsi tanto appariva accigliata e se-
vera. Scendeva a mangiare, risaliva, talvolta senza scam-
biare parola chiusa in s. Sotto la porta della sua camera,
si vedeva la luce rossa della candela passare fino a notte
inoltrata.
Soltanto, ogni giorno alle due, usciva per andare da
Belluzzi. A quellora, appesantita dal pasto veniva colta
da sonnolenza, la stanchezza le gravava sulle palpebre,
se le stropicciava per tenersi desta, poi, vincendosi, met-
teva il cappello, usciva; le strade erano pigre di sole
nellora pomeridiana che intiepidiva lacredine del no-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
275 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
vembre. A poco a poco la sonnolenza si dissipava, ma
dolorosamente. Non ce la faccio pi la ragazza pensa-
va; nel vecchio portone di Belluzzi una folata daria geli-
da finiva di destarla.
Sera smagrita, lansia la mangiava, il viso dove saccen-
devano i piccoli occhi graziosamente strabici, si mostrava
piccolo e ossuto come quello di un rosicante. E per ave-
va acquistata unaria pi sicura che le veniva dalla certez-
za di essere divenuta necessaria al professore: questo
pensiero la tonificava, la rialzava dinanzi a se stessa.
Un giorno, alle tre, mentre stava rispondendo a certe
lettere arrivate al professore, la porta sapr piano, la ca-
meriera saffacci cauta guardandosi intorno e chiese a
bassa voce: C? indicando con fare misterioso la
porta chiusa dello studio.
No Silvia rispose alzando appena la testa non
ancora tornato.
Sbito la ragazza cambi tono, si avvicin a Silvia e
disse concitata: Signorina, venga, venga, la signora ha
preso il veronal!
Sulla poltrona della sua camera la signora Dora stava
abbandonata, pallida, a occhi chiusi e respirava faticosa-
mente. Udendo che unaltra persona entrava insieme
con la cameriera sbarr gli occhi. Vedendo Silvia rest
per un momento interdetta, e cominci a piagnucolare,
alzando le pupille al cielo.
Silvia si rivolse alla cameriera: Quando lha preso?
Quando?
Adesso, proprio adesso, vede il tubetto l sul como-
dino? Sono entrata e ho visto che buttava gi qualche
cosa, ho capito di che si trattava perch da quando ar-
rivata la lettera non fa che piangere, le ho detto: che fa,
signora? e lei mha risposto che la lasciassi, che voleva
morire.
Silvia prese il tubetto sul comodino: quattro ne man-
cavano, soltanto quattro; rest un momento perplessa,
276 Letteratura italiana Einaudi
poi risoluta ordin alla cameriera: Portami un bicchie-
re dacqua calda. E avvicinatasi alla signora Dora le
disse autoritaria: E lei venga con me, bisogna che resti-
tuisca sbito, ha capito? sbito!
Quella piangeva pi torte, le lacrime le colavano per
la faccia dipinta, dalla vestaglia aperta si vedeva il grosso
seno alzarsi abbassarsi in un affannoso respiro.
Mi lasci, signorina mia, mi lasci, lei non pu capire,
non ce la faccio pi, voglio finirla, mi lasci morire, si-
gnorina...
Ma Silvia, vincendo unistintiva ripugnanza, laveva
presa pel braccio grasso e bianco: Non muore, solo
quattro ne ha prese, bisogna che restituisca, se no non
farebbe che soffrire e poi lo scandalo, mi capisce? pensi
allo scandalo! venga, le dico.
La donna resisteva, e allora Silvia duramente le disse:
Presto, su, presto! Vuole che rientri il professore?
A quel nome la donna si scosse, ma prese a piangere
pi forte: No, no, disse povero Guido, ha ragione,
signorina, povero Guido, lei buona, ma se muoio
meglio per me, finisco di patire... Intanto la seguiva
nel bagno. L si ferm imbalordita nel centro della stan-
za, pallidissima disse: Mi gira la testa, si lasci cadere
allindietro quasi facesse la prova di uno svenimento, ma
non riusc. Agitava le braccia, si portava la mano alla go-
la come se soffocasse. Dio! Dio! diceva con accento
tragico Dio, fatemi morire! E quando Silvia le mise
in mano il bicchiere colmo dacqua calda, le chiese
smarrita: Che debbo fare?
Bere, sbito. E Silvia glielo portava alla bocca.
Si sforzi, deve rovesciare tutto quello che ha preso, ha
capito? che le debbo dire? si tocchi la trachea, qui, qui.
E le spingeva un dito sulla fossetta della gola. La si-
gnora Dora, ingozzata lacqua, rest un attimo come al-
lucinata: Non voglio, non voglio, mi lasci morire.
Allora Silvia irritata le spinse il bicchiere tra i denti, le
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277 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
impose: Beva, beva ancora e poi tossisca, dico, provi,
si metta un dito in gola, via, via, un dito in gola. Le
prese la mano, le cacci il dito grasso in bocca a viva for-
za.
E quella vomit. Vomitava piangendo, storcendo gli
angoli della bocca, sembrava uno di quei bambini. enor-
mi che si portano in giro per le fiere; il viso le si arrossa-
va per lo sforzo, ormai non si teneva pi, ogni poco un
nuovo fiotto le saliva alla bocca, le lacrime le avevano
formato chiazze nere sul volto per la tintura degli occhi.
Silvia ne provava ribrezzo e tuttavia non poteva a meno
di immaginare quel volto cos disfatto sormontato dal
cappello con la gran piuma verde che la signora portava
il giorno della conferenza. Lo specchio era incontro a lo-
ro; forse adesso si vede Silvia pensava si vede cos e
ritorna in s, capisce. Invece limmagine della sua sof-
ferenza impietosiva la donna, la quale saccarezzava i ca-
pelli che le colavano sul viso scomposto. Sappoggiava
con la testa al muro, si tergeva sulla fronte il sudore; poi
si fissava con occhi gravi e tristi, mormorava: Povera
me; perch non mi avete lasciato morire!
Che commedia, pensava Silvia, neppure morire
seriamente avrebbe saputo. Forse il tubetto era gi co-
minciato; forse ne ha mandata gi soltanto una, forse,
anche se la cameriera non entrava, non le avrebbe in-
goiate tutte, fa la tragedia per mettere sotto gli occhi di
tutti la sua sporca delusione sentimentale. Non ha ver-
gogna della serva che domani racconter laccaduto a
tutto il vicinato.
Con un filo di voce la signora Dora chiedeva: Porta-
temi sul letto, mi sento svenire, svengo.
Di qua e di l, sorreggendola, Silvia e la cameriera
laccompagnarono. Presso al letto la serva lasci ogni
cura a Silvia e saffrett a tirare gi la coperta di seta, a
sprimacciare il guanciale. Quando ella si fu faticosamen-
te distesa la copr con un piumino.
278 Letteratura italiana Einaudi
La signora Dora respirava appena, un alito: svengo,
svengo gemeva: chiedeva aiuto come se la morte doves-
se coglierla adesso naturalmente. Frasi spezzate dallaf-
fanno le sfuggivano dalle labbra.
... lei non sa, signorina... lei non sa... e intanto le
cercava la mano ... lei giovane, non pu capire... che
vigliaccheria, che accadr di me?... Lei non sa nulla,
neppure immagina, neppure... che rovina, che tragedia,
mi perdoni,... lei non sa, lei stata tanto buona, povera
signorina, non avrei mai creduto... Improvvisamente
taceva e tratteneva il respiro come per far credere che
era morta.
Silvia le teneva la mano con diffidenza e frattanto os-
servava il grasso corpo di lei, floscio, una vecchia,
pensava, proprio una vecchia, ammassata sul letto, i
ginocchi grossi, le caviglie troppo sottili, i capelli dun
rosso carico e il viso impiastricciato di cipria, lacrime e
bistro.
La signora Dora, visto che trattenere il respiro non
bastava a farla morire, riprendeva a parlare come in deli-
rio, parole scucite, oscure.
Buona, lei, tanto buona, anche Guido buono si
interrompeva, le lacrime le annegavano gli occhi pove-
ro Guido, molto buono, ma voi non capite, lei non sa.
Tante volte ripeteva questa frase per darle un significato
misterioso: Lei non sa, voi state chiusi con i libri, un
egoismo il vostro, lei non conosce la passione, lei giova-
ne, molto giovane, forse un giorno mi capir. Che male
alla testa!... La bocca amara... Dio... e assaporando la
saliva sabbandonava sul letto, lamentandosi, esausta.
Allora Silvia fece cenno alla cameriera che tirasse le
tende, facesse buio nella camera. Al rumore che produs-
sero gli anelli della tenda nello scorrere, la signora Dora
sobbalz, apr gli occhi a tondo, poi subitamente rassicu-
rata, fece: Ah! e sorrise, un sorriso angelico. Come
potete pensare che dorma? Non c pi riposo per me.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
279 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Grosse lacrime rigavano di lucido il roseo molle del
suo viso; piangeva silenziosamente come per non distur-
bare, per fare con la sua tragedia il minimo di rumore
possibile, anima eroica. Che capiscono quelle due ragaz-
zole del suo dramma? E abbassando le palpebre mor-
morava: Chiudete, chiudete pure e andate, andate, po-
verelle, grazie, chiudete accompagnando le parole con
un moto della testa, mite e sottomesso. Ogni poco, im-
provvisi sospiri le sollevavano il petto gonfio.
Le ragazze aspettavano impassibili; quando, dopo al-
cun tempo, Silvia vide che ella non sorrideva pi e anzi
dalla bocca socchiusa le usciva un respiro rumoroso e
uguale, salz, si mise in tasca il tubetto del veronal e, fa-
cendo segno alla serva di uscire con lei, and a riprende-
re il suo lavoro nella biblioteca.
Il professore rientr poco dopo, pass vicino a Silvia
a testa bassa, quasi senza vederla, poi ritorn e le disse
con un sorriso soddisfatto:
Ho preparato la lezione per domani, tutta qui. E
si batteva il dito sulla fronte. Poi le dett gli appunti.
Piuttosto adesso mi dica, se la sa, com la seconda
quartina di quel sonetto di Chiaro Davanzati: Io son
cierta messer che voi mamaste...
Sicura Silvia continu: Ed io amai voi, e del mio
amor pilgliaste...
-Ah, vero, vero fece egli colpito, poi lo ripet svelto
tra i denti: dopo, pensando ad altro, chiese:
Vogliamo farci portare una tazza di t, se Dora...
Ma Silvia linterruppe: La signora stata poco bene,
un piccolo disturbo, forse qualcosa mangiato a colazione.
Poco bene? e gli occhi di lui si rivelarono dietro le
lenti. Vado subito da lei.
Silvia lo richiam: No, no, guardi, adesso no, gi
passato, gi riposa, dorme. E sorrise per rasserenare le
sue parole.
Allora egli torn indietro a piccoli passi, come usava,
280 Letteratura italiana Einaudi
quasi in punta di piedi: Ah, dorme ripet. E si cap
che la sua mente gi sera volta tranquilla ad altri pen-
sieri. Suoniamo alla cameriera, allora, per avere un t,
un buon t caldo. Camminava ripetendo di nuovo di-
stratto quei versi: Io son cierta messer... e poi si
ferm guardando la ragazza: un gioiello, il sonetto ve-
ro, Custo?
S, professore.
Ella lo guardava muoversi, sereno nellaria dei suoi
pensieri come in unisola irraggiungibile dai rumori e
dalle voci del mondo; lo guardava con tenerezza appun-
to per quella sua ignoranza di ogni cosa, come si guarda
un bambino che orfano e non lo sa.
Quel capoverso, soprattutto, dove dice: e nulla co-
sa credo riserbaste chio non la desse in la vostra poten-
za. Non vero, Custo?
S, professore ella rispose dolcemente. E gli sorri-
se come una donna. Ma lui, che si guardava le mani, non
la vide.
Torn in collegio stanca, nauseata, non poteva di-
menticare quel volto della donna, quel piagnucolare in-
fantile. Si chiuse in camera sua e attendendo lora della
cena prese un libro. Ma presto Anna venne a bussare.
Ah! ci sei finalmente! esclam, felice di trovarla.
Sono tornata da poco, che c?
Ha telefonato Vinca chiedendo di te o di Emanuela,
che andaste subito a casa sua. Tu non ceri, Emanuela
neanche, io dovevo studiare. andata Valentina: Luis
ferito.
Ferito?! e Silvia pens che quella era la giornata
degli avvenimenti straordinari . Gravemente?
Non credo, ma non hanno ancora notizie precise.
Lo ha scritto il fidanzato di Pilar. Valentina dice che
Vinca in uno stato!...
Tacque. E ambedue rividero il volto consunto di Vin-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
281 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
ca, come quando venne a trovarle lultima volta. La
notte non riesco a dormire, sempre maspetto qualche
disgrazia diceva.
E io non potr andarci domani... Come faccio? Bi-
sogna che ci vada Emanuela, non la lasci sola. Ti ricordi
la sua esaltazione quando seppe della partenza di Luis?
S, ma non bisogna esagerare, il suo carattere.
Silvia scosse la testa: Credo che sia lamore, invece;
sai bene, io sorrido quando odo questa parola, lho sem-
pre considerato una debolezza; ma quando vedo Vinca
penso che vero, s, che esiste e mappare come una for-
za. E quando sento parlare lei maccorgo di essere sola e
povera. Non cos?
S, innamorata, non c che dire, ma il suo amore
durer?
Non me lo sono domandato. Ho sempre pensato
che lamore non possa servire di base nella vita, altri va-
lori esistono, pi solidi, se non pi umani.
La famiglia? chiese Anna.
Anche la famiglia per chi la sente. O forse nessun
sentimento pu essere da solo base di vita. Forse lessen-
ziale nel dare a qualcosa tutto di se stessi, no? Non una
piccola parte e tante cose diverse. Vivere, comunque ad
alta tensione. E allora lamore, la famiglia, il lavoro, tut-
to assume un identico valore . Rest un momento so-
pra pensiero, poi riprese: Che dolore per Vinca! Non
tornata Emanuela?
No, almeno fino a poco fa.
Indugiava a rientrare, Emanuela; il collegio era fred-
do, un gelo di cantina umida si fermava nel vecchio an-
drone.
Spesso prendeva il t in casa di Andrea, con la madre,
mentre lui studiava. La vecchia ricamava e le diceva:
Perch non porti un lavoro anche tu? Ma lei sperava
sempre che Andrea smettesse di studiare, venisse in sala
282 Letteratura italiana Einaudi
da pranzo con loro. Una grande stanza antica poco illu-
minata, piuttosto triste: nelle pause della conversazione,
mentre la vecchia ricamava, Emanuela pensava che sareb-
be stato sempre cos. Lorologio suonava mettendo in ca-
sa un gran frastuono di campane, poi tutto ripiombava
nel silenzio. La ragazza si consolava pensando che a casa
sua tutto sarebbe stato diverso, anche le pareti, anche i
mobili, tutto chiaro e giovane. Per temeva il nuovo
aspetto di Andrea che le si era rivelato, un Andrea fami-
liare e casalingo, il quale la voleva elegante s, bella s, ma
chiusa l dentro con sua madre, ad aspettarlo, ricamando.
Quando era bel tempo, invece, uscivano: ma non era-
no pi incontri segreti, i loro, e il fascino era sminuito.
Andrea la conduceva a visitare musei dove si conserva-
vano antichi dipinti, come ai primi loro incontri; ma in
queste passeggiate Emanuela non riusciva pi a ritrova-
re sapore romantico. Avrebbe preferito, perci, andare
dove cera gente, in luoghi mondani, ma lui scoteva la
testa: Che?! diceva impossibile, non resisto in quei
locali, io. Ma se vuoi . Lei lo seguiva per compiacer-
lo: egli scambiava questo per comune desiderio. Sei si-
mile a me le diceva . Non potrei vivere con altra don-
na che con te. Eppure certe volte vorrei scoprire
qualcosa in te che mi piacesse meno, per tenerlo in ser-
bo, per affrancarmi . E allora Emanuela si convinceva
che, al punto nel quale erano, non si poteva parlare pi,
avrebbe fatto meglio a partire, lasciando una lettera che
dicesse: Non mi domandare nulla, non mi ricercare,
come si legge nei romanzi, piuttosto che distruggersi agli
occhi di lui raccontando la verit. E andava pensando
che alla fine avrebbe fatto cos.
Quella sera erano andati a passeggiare alla periferia,
lungo il fiume: adesso, di novembre, alle sette il cielo gi
era stellato. Emanuela alzando lo sguardo esclam, ram-
maricandosi: Quanto tempo che non vedo la notte
altro che dai finestroni del Grimaldi!...
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
283 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Andrea le disse: Tra poco avremo tutte le notti per
noi.
Forse egli parlava delle stelle, forse delle notti da con-
templare, ma Emanuela ebbe un fremito.
Ci pensi? insist lui.
Ci penso.
Tacquero, poi Andrea riprese: Hai visto che certe
volte neanche ti bacio? perch ti desidero troppo e un
bacio non mappagherebbe. E non voglio sciupare nul-
la. Voglio che tu mi rimanga cos, tutta ignota.
Erano seduti sopra un muricciolo che bordava un
prato cupo dombra. Un fanale ardeva su unantenna e
sembrava una gigantesca stella, rossa di sangue. Andrea
guardava ogni lume che saccendeva nella folta oscurit.
Vedi quel lume?... l a destra.
Quello piccolo?
S.
Ebbene?
Senti... e prese a parlare con dolcezza: potrebbe
essere nostro, quel lume, acceso da te. Il lume di una caset-
ta che guardasse il prato. Sta zitta, lasciami parlare. Mi pia-
cerebbe abitare una casa cos con te. un sogno, lo so, ma
lascia che ti dica il sogno. Una casa a un solo piano, che
appena si uscisse dalla camera al mattino si avessero i piedi
sullerba. Accanto ci vorrei qualche pino: i pini a ombrello
sai? quelli marini. Lontano il mare; e, sul mare, la luna. Ma
non qualche volta; sempre, la luna. Ti piacerebbe?
S.
Sta zitta, senti. Per terra i mattoni rossi, quelli che,
lavati, paiono dipinti. Pochi mobili, pochissimi. E non ci
vorrei la luce elettrica: mi piacerebbe girare per le stanze
con la candela, lasciandomi cadere il buio dietro.
S approv Emanuela, eccitata da quel fantastico
discorrere: S, come al collegio, la candela che proietta
sulle pareti ombre smisurate; ma l non avrei paura per-
ch ci saresti tu.
284 Letteratura italiana Einaudi
Soli egli continu: vicini, nessuno. La gente, pas-
sando sulla strada provinciale, dovrebbe dire come noi:
Guarda quel lumicino e fare tante supposizioni.
E poi?
Che cosa?
La casa: d ancora.
Ti piace?
S.
Penso che al mattino non si potrebbe dormire a
lungo, per gli strilli dei passeri sugli alberi, per quel pro-
fumo della terra che si bagna, allalba. Senti, non avrem-
mo domestici; solamente una vecchia donna, una conta-
dina col grembiule turchino. La donna si chiamerebbe
Rosa, mettiamo, si chiamano sempre Rosa quelle donne
cos: tu le diresti: Senti, Rosa, fa da mangiare, io stendo
la tovaglia, qua fuori sullerba, metti tutto per terra e te
ne vai. Rosa, forse, ci prenderebbe per matti. Non cre-
di anche tu che Rosa ci prenderebbe per matti?
Si scost per guardare Emanuela che era rimasta seria
seria, assorta; allora Andrea rise:
Ecco, so bene, taci perch hai paura di mangiare
male per terra, ti fanno ribrezzo le formiche Rideva
e quel riso cadeva addosso a Emanuela, la faceva rabbri-
vidire.
Allora lei scatt in piedi, riprese il viale:
Dove vai?
A cercarla.
Che cosa?
Quella casa.
Rientrando Emanuela sincontr con le altre nel cor-
ridoio oscuro che conduceva al refettorio. Riconobbero
la sua ombra, la chiamarono: Emanuela, Emanuela...
Che c?
Risposero tutte insieme, concitatamente: Vinca...
Luis ferito... Ti cercava... Devi andare da lei, domani.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
285 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ferito? fece . Non sar morto piuttosto e le
avranno detto cos per prepararla?
Su da lontani ricordi, un rigurgito, riaffiorava il viso
di quellufficiale che accolse lei allaeroporto, tanti anni
fa. Parlava, spiegava, diceva... E Stefano gi dal mattino
era morto, non cerano pi gli occhi.
Sar cos insisteva sempre si dnno queste noti-
zie a poco a poco, con precauzione.
Restarono colpite, tutte; Valentina che aveva visto
Vinca, parlava animatamente.
Se fosse morto, quelle altre me lo avrebbero detto
diceva . Per, veramente non siamo mai rimaste sole.
Avevano certe facce devastate... s, s, se ci penso...
possibile che sia cos. Oppure le altre non sanno niente
e quello spagnolo, Pepe, proprio lui ha scritto cos per
prepararle. Certo, appena lo sa, Vinca sammazza!
Quando salzarono al cenno delle suore, Anna disse:
Preghiamo che non sia cos!
Ma Augusta replic: Se morto, ormai la preghiera
non cambierebbe nulla . E mettendosi in fila savvi
con le altre alla cappella, entrarono, si sparsero, singi-
nocchiarono, le loro voci risuonarono tranquille come
sempre. Solo quando suor Luisa inton il De Profundis,
le amiche di Vinca rabbrividirono.
*
Emanuela usc dalla casa di Vinca che era giorno an-
cora; usc rassicurata, Vinca aveva ricevuto una nuova
lettera di Pepe: una cosa di poco conto, la ferita di Luis,
il braccio destro, ma niente di grave e anzi sarebbe stato
mandato in licenza, a casa, per un mese. Luis non pote-
va scrivere, ma raccomandava a Vinca di essere tranquil-
la, lui stava bene, era contento di rivedere i suoi. Poich
Luis ordinava cos, Vinca tentava di essere serena, di
sorridere e parlava del paese. Almeno uno di loro due
286 Letteratura italiana Einaudi
tornava a casa e certo, prima che la licenza di Luis aves-
se termine, la guerra sarebbe finita. Lo immaginava a
Crdova, adesso, lo seguiva, parlava delle case, delle
strade; poi si scusava di discorrere cos a lungo di cose
che Emanuela non conosceva.
la patria, sai? La lontananza la fa pi cara.
Presto anche tu ritornerai laggi.
E allora Vinca scoteva la testa: Non ci torner pi.
Lo sapevo da quando chiesi a mio padre dandarmene:
forse anche lui lo sapeva, ma fingeva di credere che ve-
nissi qui per desiderio di studiare. E sua moglie mi ha
detto: Torna, sai? questa sempre casa tua. Quel vo-
lermene rassicurare dimostrava appunto che ormai casa
mia non era pi. Allora era di moda venire a studiare in
Italia. Sai che per me, in principio, fu grande fatica stu-
diare? S, s, devi crederlo, ero stata abbastanza ignoran-
te fino allora. Poi intesi che in collegio, alluniversit mi
chiamavano: la Spagnola. Questo, senza volerlo, mir-
ritava. dispregiativo, scostante, come quando i france-
si chiamavano Maria Antonietta lAustriaca. Vuol di-
re, insomma la Straniera. Mi consolai pensando che
sarei stata sempre meno straniera qui che in casa di mio
padre, qui almeno non lo vedo a sbaciucchiare quella ra-
gazza, posso costruirmi unimmagine di lui, un pap di-
verso, che in realt non esiste, che mi ama e desidera il
mio ritorno . Fece una pausa: Adesso Luis sta a casa.
Prima non mi sembrava che fosse tornata in patria, il
fronte uguale dappertutto. Invece da stamattina non
faccio che pensare alla Spagna.
Siccome si commoveva donna Inez disse: Vamos,
vamos, non piangas per questo. Pensa che Luis no es
grave e che poteva ser peggio.
vero. Cosa conta il resto?
Fuori Emanuela si sent liberata: quando era con
quelle tre donne dubitava che fuori ancora tutto proce-
desse normalmente, era come quando si va a trovare le
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
287 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sepolte vive. Donna Inez, Emanuela pens malignamen-
te, portava la parrucca, e sembrava unartista di canto.
Soprano drammatico. No. Soprano leggero, quelle che
dicono tante parole in fretta, parole incomprensibili e
poi inchiodano la sala su un acuto in falsetto. Tale era
donna Inez.
Emanuela sollevata, leggera camminava e vedendo gli
oggetti nelle vetrine pensava soddisfatta: una cosa mi
piace, posso entrare, comperarla. Camminava pi eret-
ta da quando sera accorta che un uomo la seguiva. Cer-
te volte sbirciava con la coda dellocchio per vedere se
cera ancora. Cera sempre. Un bel ragazzo. Si guard in
una vetrina e pens: Questo vestito mi sta proprio be-
ne. Doveva essere sempre quello il suo modo di vestire,
niente fogge complicate.
Luomo ogni tanto le si avvicinava per meglio guar-
darla, sussurrarle qualche parola: lei assumeva una faccia
contegnosa e provava una piccola emozione. Com di-
vertente, pensava, e si deliziava in quella passeggiata. Poi
ramment le tre donne di via Sistina, e per non rattri-
starsi le accus di essere noiose. Quanta gente muore a
ogni istante? Non bisognava farsi travolgere dalle disgra-
zie altrui. Aveva compiuto una buona azione andando a
trovarle, e basta. Chi si preoccupava di lei, in fondo? Chi
mai le veniva in aiuto? Bisogna portare le proprie disgra-
zie con disinvoltura e non farne un lutto nazionale. Allo-
ra pens ad Andrea e a Stefania, un attimo; il vento fre-
sco, spolverandole il viso, disperdeva le loro immagini.
Era contenta che Andrea oggi avesse voluto restare in
casa a studiare: fa bene ogni tanto un po di libert, non
si vuole essere libere per approfittarne, che faceva di ma-
le? niente, ma era bello essere sola, traversare la strada
quando voleva, non essere costretta a parlare e risponde-
re: a forza di essere in due si dimentica che divertente
anche andare a spasso da soli. C ancora quel giova-
notto. E un sorriso interno la solleticava.
288 Letteratura italiana Einaudi
Vedendo che ella savviava allangolo oscuro di piazza
di Spagna, il giovanotto affrett il passo. Emanuela,
sempre pi divertita, suon alla porta del collegio, en-
tr, la suora richiuse. Quello sul marciapiedi incontro
rest deluso. E lei sorrise soddisfatta come per uno
scherzo ben riuscito.
Era allegra e tutto prendeva un aspetto umoristico ai
suoi occhi: chi sa perch era allegra, forse perch le sta-
va bene quel vestito, o senza ragione. Neppure sintrist
vedendo le suore scivolare pei corridoi, sommesse come
bisbigli, le porte uniformi, i finestroni sprangati. Saliva
le scale saltellando, a passo di danza; a ogni pianerottolo
cera accoccato un altarino con fiori di carta, la Madon-
na pareva fatta di zucchero come le pecorelle di Pasqua.
Le mand un bacio sulla punta delle dita, poi entr in
camera di Silvia che leggeva al tavolino:
Come fai a studiare cos al buio? disse e accese la
luce del centro.
Silvia le si rivolse come assonnata, gli occhi gonfi di
studio. Emanuela si sedette sul letto, facendolo sobbal-
zare, esclam, il cappello tra le mani: Che bellissimo
autunno!
Sbito Silvia le chiese: E Vinca?
Allora laltra sattrist e prendendo unaria doccasio-
ne le disse: Non nulla di grave, sai? in fondo ieri sera
siamo state noi a creare la tragedia. Un graffio al braccio
e se ne va a casa in licenza. Ora capisco perch sono tan-
to allegra; mi sono tolta lincubo della morte di Luis.
Vinca parlava della Spagna. Me ne ha messo addosso la
voglia. Ci andr. Naturalmente, quando avranno finito
di sparare.
A tavola Augusta fece a Emanuela, sottovoce: Vieni
su da me, dopo.
Le offr ancora di quel rustico liquore e sigarette; lei,
parlando, se ne vers un secondo bicchierino, senza
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
289 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
neppure pi invitarla a bere, seguendo unabitudine pre-
sa essendo sola. Emanuela le parl d Vinca che, tran-
quilla per Luis, aveva ripreso a piangere per la Spagna.
S Augusta assentiva sono quei paesi che non ci
abbandonano, anche se ce ne andiamo lontani, come la
Sardegna. I paesi nei quali ancora vivono i miti e le tra-
dizioni; si pu andare dovunque, mescolarsi a gente di-
versa, sempre sardi si resta. Tu, per esempio, non parli
mai di Firenze.
Ti sembra? stup Emanuela e dopo un attimo di
riflessione, ammise che s, forse era vero, quasi laveva
dimenticata. Eppure amava quel solitario passeggiare al
tramonto, raccogliendo lultimo oro sui ponti; ma sera
adattata facilmente qui, in fondo sadattava facilmente
dappertutto.
Palpeggiando le cartelle che aveva avanti a s, sul ta-
volo, Augusta raccontava che, nel pomeriggio, era stata
a una conferenza interessantissima. Emanuela pensava
che Augusta sarebbe divenuta una di quelle zitelle che
sono lassiduo pubblico di certe speciali manifestazioni.
Poi pass a parlare di suor Lorenza: Sta diventando
maniaca, smagrita, hai visto? Teme che le sovvertano
le alunne. venuta da me per domandarmi se suor Lui-
sa ci d disposizioni in suo nome, a dirmi che lei non sa
nulla, nulla, la tengono alloscuro di tutto, dice che scri-
ver a Genova. Per incontrandosi con le altre si fanno
il lieve inchino con la testa, pregano e cantano insieme,
una sola voce. Questa la pace del chiostro!...
Di tutto parlava fuorch del romanzo e allora Ema-
nuela la richiese: E il tuo lavoro?
Prima di risponderle Augusta accese unaltra sigaretta.
Ho detto anche alle altre del romanzo, sai? fece
ma vagamente... Lo leggeranno poi, stampato. Silvia far
un po dironia.
Augusta non amava Silvia. Questa era tanto semplice
e limpida che appariva spietata; dinanzi a lei chi aveva
290 Letteratura italiana Einaudi
qualche cosa da nascondere si sentiva come guardato
addentro. Anche Emanuela si sentiva a disagio quando
parlava con Silvia, mai avrebbe osato mostrarsi a lei
comera veramente e per piacerle si truccava di sempli-
cit. Silvia non perdonava, forse la sua intransigenza
morale non era che saggezza e pedanteria di donna brut-
ta, di chi non ha nulla da farsi perdonare. Emanuela sta-
va per chiedere ad Augusta: Credi che Dio giudicher
nella stessa misura la donna bella che vive in mezzo alle
tentazioni e una povera storpia che hanno fatto mona-
ca? Credi che le considerer ugualmente donne? Ma
guardandola tacque.
Augusta riprendeva: Adesso ti racconto. Ancora so-
no oppressa dalla fatica. Voi disse con una punta di
sprezzo nella voce voi non sapete cosa costa tutto que-
sto. Quando passate avanti alle vetrine di libri guardate
come si guarda una vetrina di piatti: i colori, le figure
delle copertine. Quante ore di fatica dietro ogni libro,
quanti patimenti, quanto sangue, non carta, ma carne vi-
va. Se la vetrina contenesse, col libro, tutta la passione
dello scrittore la vetrina esploderebbe. Michelangelo,
mandando in dono a Vittoria Colonna un Crocefisso
scolpito da lui, dietro vi incise: Non vi si pensa quanto
sangue costi. Sangue. Sangue. E la gente passa e ripassa
avanti alla vetrina, va oltre, il libro l con tutta la sua
ansia contenuta tra pagina e pagina, a casa lo getta tra gli
altri, lo legge mentre aperta la radio, per godere di due
cose alla volta. Poi alla fine, magari torce la bocca.
Emanuela ricord invece di aver letto in un romanzo
di Huxley che un buon libro e un cattivo libro costano
la stessa fatica. Augusta aveva gi preparato il lume per-
ch il buio non la sorprendesse. Le raccont la trama del
romanzo a voce bassa come se si confessasse; raccont a
lungo alzandosi spesso per bere; parlava con un tono di
voce cos fosco e misterioso che Emanuela ne fu impres-
sionata.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
291 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Che deve fare la donna per liberarsi dalla tirannia
delluomo? Bisogna che si sostituisca a lui. Una vita au-
tonoma, affrancata anche dalla servit dei sensi: piena
indipendenza dello spirito e della carne.
La grande trovata del romanzo era qui: i personaggi
avevano nomi irreali, compivano azioni irreali. Alla fine
luomo era scacciato dalla vita della donna come Luci-
fero dal Paradiso; le donne di giorno lavoravano, di
notte ascoltavano la musica senza sbadigliare o deside-
rare di pi.
E poi Augusta continuava chinandosi verso lami-
ca, parlandole sul volto, quasi, sommessamente e poi
cos nessuna di noi temer pi la vecchiaia, il disfarsi
della propria bellezza. una morte, sai? vedere a poco a
poco sfiorire, afflosciarsi il proprio corpo. E tutto que-
sto ci spaventa perch ci sono loro, gli uomini. Quando
ognuna di noi avr una propria vita indipendente, di
questo non si preoccuper pi. Se la donna invecchia,
lartista rimane sempre giovane; anzi con lavanzare
degli anni che raccoglier le maggiori soddisfazioni, o,
se lavora nel commercio, nellindustria, che ricoprir le
cariche pi elevate. una salvezza, capisci?
Se Emanuela avesse letto un simile libro, forse si sa-
rebbe messa a ridere, ma era suggestionata dallambien-
te, la casa che taceva, quella luce oleosa che sulla bian-
chezza del soffitto disegnava unaureola di cerchi
concentrici, la voce di Augusta e Augusta stessa che ap-
pariva qualcosa come una medium o una zingara. La tesi
del suo romanzo laveva tanto presa da toglierle quanto
ancora fosse di femminile in lei. Sembrava che il suo pae-
se le stesse dietro le spalle come quando narrava di certe
mage e di certe superstizioni, di certe storie avvenute nel
suo villaggio che era a un gomito di bosco, solitario, di
quel raccogliersi in cucina attorno al fuoco, mentre il
vento ululava sinistramente: diceva che ognuno, allora, si
cercava nel cuore il peccato, ne chiedeva perdono a Dio.
292 Letteratura italiana Einaudi
Cos convinta a questa nuova religione Emanuela a occhi
sgranati annuiva e si dimostrava persuasa.
S, Augusta aveva ragione, bisognava che tutte si con-
vincessero. Le avrebbe convinte tutte. Immaginava Au-
gusta andare per la campagna, per i boschi, girare in una
carretta, fermarsi sulle piazze dei paesi, chiamare a rac-
colta e parlare. Forse le donne lavrebbero seguita la-
sciando le loro case; sarebbero andate ad accamparsi
tutte insieme, chi sa dove, creando una citt nuova. Non
vi sarebbero pi state pene per Stefania e per Andrea;
sarebbe stata in pace ad ascoltare la musica come predi-
cava Augusta.
Ma quella gi non le badava pi. Aveva parlato sola-
mente per udire il suono delle sue parole e convincersi
che vivevano anche al di fuori di se stessa. Tutto di lei
era ormai divenuto solitario: il gusto di bere e di fumare,
il godimento delle lettere e della musica. La presenza di
Emanuela estatica e trasognata, l, davanti a lei, la di-
sturbava. Salz congedandola e, concludendo, disse
riunendo le cartelle in un bel pacco ordinato: Tra
quindici giorni lo mando a un editore, un editore intelli-
gente che capir.
Emanuela usc, si ritrov nellombra fitta; scivolava
lungo il muro e il frusco del suo vestito somigliava quel
pauroso sibilare del vento attorno alla fattoria di Augu-
sta. Scendeva le scale, incerta, e intanto riandava a quei
giorni passati con Stefano, nascosti, segreti e ai sotterfu-
gi che doveva architettare per vedere Stefania. Bisogna-
va parlare ad Andrea; troncarla definitivamente. Cera-
no sempre, in questa vita comune di uomini e donne,
cose taciute, celate e bisognava uscirne, avere una limpi-
da vita alla luce del sole. Ma chi ha veramente la vita
limpida? chi non mente? chi conosce cosa c dietro la
fronte di ognuno? Luomo che siede accanto a noi in
tram forse stato dieci anni in prigione per assassinio e
questo non si sa, non si vede, la sua colpa non esce a
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
293 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
macchie sulla pelle, siamo tutti uguali perch abbiamo
la comune difesa della fronte dietro la quale nessuno
pu seguirci. E dietro la fronte tutti custodiscono qual-
cosa dinconfessato del quale si potrebbe arrossire. Cer-
to al buio tutti hanno paura e tutti hanno paura della
morte.
Giunse avanti alla porta della sua stanza e istintiva-
mente avrebbe voluto andare oltre, ritrovare Milly. Per-
ch non cera pi Milly? Avevano ragione le compagne
di chiedersi se mai era stata. Forse ella in ognuna rap-
presentava solo il desiderio di bont, nascosto, quasi mi-
stico che nessuna sapeva raggiungere, la parte migliore
di noi che ci libera. Forse pensando a lei tutte provava-
no il desiderio di poter abolire la fronte senza arrossire.
Eppure a Emanuela tutto ci che era tra le pareti del
collegio le appariva fantastico, una vita anormale di gen-
te rinchiusa e avida che si arrovella la testa in discussioni
e problemi. Si pass la mano sulla fronte per liberarsi
dalla suggestione delle parole di Augusta. Aveva voglia
di uscire allaria, non pi sentire parlare delle cose soli-
te, neppure di Andrea. Dico cos pensava amaramen-
te e poi domani torner con Andrea perch non so che
fare, non ho altro e torner su da Augusta ad ascoltare i
suoi discorsi, proprio per provare una scossa, come
quando si va a vedere il castello delle streghe al Luna
Park.
*
Sbito dopo larresto di Dino, Tom Barchi era parti-
to. La Mary, temendo di essere ricercata anche lei, era
andata a trovare Xenia, ma guardandosi attorno, timo-
rosa. Era arrivato un foglio che invitava Tom a presen-
tarsi in questura ma lui gi stava al largo. Per sarebbe
ritornato presto, lavvocato aveva detto che per lui non
cera da temere. Tutte le firme erano di Dino, tutto stava
294 Letteratura italiana Einaudi
sulle spalle di Dino e lui, certo, non avrebbe trascinato
gli amici con s. La Mary, pi pallida del solito, tossiva
di frequente. Per la prima volta parl del suo male.
Sai? diceva la tisi una malattia che non si vede,
non deforma, e per questo mai sembra veramente grave.
Siccome ci si sente bene alcuni giorni neppure si mette il
termometro, non ci si pensa pi. Quando dicono: Vada
in montagna, sembra quasi che sia per divertimento e
si prova rimorso di stare lass senza far nulla a spendere
quattrini. Come si pu morire sentendosi bene? La feb-
bre... S, ma in fondo la febbre... Quando per accade
una disgrazia, allora ti ricordi di aver anche quel male
dentro che ti rode la vita e lo senti ingigantire, gonfiarsi,
capisci?
Mary era molto graziosa, bionda e alta, pareva unin-
glese per quella calma degli occhi acquosi, senza intelli-
genza: sotto la pelle sembrava non avere sangue, ma lat-
te freddo. Tom, con quel vestito a grossi quadri, la
giacchetta corta, la pipa e quel suo camminare barcheg-
giante, non era luomo adatto per lei; ma la vita non la-
scia tempo di scegliere e i due andavano daccordo.
Mary era sempre quieta e remissiva, sembrava vivere di
riflesso come la luna. Saccese soltanto quando disse che
Horsch era un farabutto.
Tu sai come sono andate le cose, sai che laffare era
di lui, di Horsch. Ma spingeva avanti Dino sempre, Di-
no che era un po facilone negli affari. E credeva a tutto
perch, in fondo, lui era onesto e per sera lasciato at-
trarre dalla vita facile.
S approv Xenia: difficile rifiutare la vita faci-
le.
Mary sospir assentendo; e poi riprese:
Sai? quella di Dino cosa complicata, unaltra vol-
ta, anni fa, gi aveva avuto, s..., insomma, unaltra gra-
na, e se lera cavata. Adesso , come si dice? lha detto
lavvocato: recidivo.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
295 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Non lo sapevo, ma capisco.
E ti sembra giusto che Horsch...? Io lo disprezzo.
No, non giusto. Ma appunto, tu dici bene; tutto
quello che noi possiamo fare disprezzarlo. Bisogna im-
parare a sopportare molte cose dolorose. Ti sembra giu-
sto, per esempio, che noi siamo messe a bando dalla so-
ciet, s, confessiamolo adesso che siamo sole, soltanto
perch un uomo ci mantiene? Ma quante si fanno man-
tenere dal marito e lo tradiscono? E quello lavora, le
ama teneramente, patisce e fatica per il loro benessere.
Ti sembra onesto questo? Sera alzata e camminava
nervosamente, ferita dalla crudezza delle sue stesse pa-
role; a tratti sarrestava per fissare lamica in faccia.
No, non onesto. Ma al mondo non ci sono onesti e di-
sonesti. Ci sono poveri e ricchi; e i poveri inutile che
vadano a gridare sotto la Bastiglia. C una sola forza al
mondo e sai qual ? il denaro. Con quello puoi compe-
rarti anche lonest.
Tacque e rimase meravigliata a considerare quello che
aveva detto, come se fosse stato espresso da unaltra per-
sona; ragionava cos da un po di tempo e per nelludir-
si se ne sorprendeva. Tutto sera capovolto in lei; ci che
prima le era apparso irreparabile disgrazia, era stato
quello che aveva sistemato le cose per il meglio. Dove
sarebbe adesso, se avesse preso la laurea? Se avesse avu-
to le referenze adesso lavorerebbe con quella Banca: pa-
reva tanto gentile, quel pezzo grosso, ma poi, chi lo sa...
In fondo doveva tutto a Vandina, o neppure, perch
Vandina non si rendeva conto di farle del bene, altri-
menti, forse non glie lo avrebbe fatto, avrebbe cercato di
farselo per s, senza riuscirvi, perch non era destino. Il
destino al disopra di noi sulla nostra testa e regola ogni
persona per i fili. Il destino fatto da brevi istanti, da in-
contri. Epper certe cose si prevedono; lei aveva sempre
intuito che il suo soggiorno al paese era provvisorio, che
qualcosa laspettava e non doveva sedersi rassegnata.
296 Letteratura italiana Einaudi
Aveva aspettato ed ora, ecco, era arrivato Raimondo
Horsch.
Horsch andava da lei ogni giorno perch non sabbat-
tesse; un giorno che non venne, Xenia, inquieta, gli te-
lefon. Non poteva venire, era sabato: il sabato partiva
sempre per Menaggio.
A Menaggio, Dino aveva detto, abitavano la moglie e
la figlia: Xenia cercava di immaginare la casa dove que-
ste due donne vivevano, si diceva, in grande modestia;
ma non le riusciva, poich arrivando alla casa di lui, il
suo pensiero se ne ritraeva con discosto rispetto. Le im-
maginava silenziose, solenni. E il luned accolse Horsch
con insolita allegria, gli chiese:
Avete passato una buona domenica?
Lui rispose con unaltra domanda:
E voi?
Non bisognava insistere, Xenia cap: nella vita di Rai-
mondo Horsch il sabato e la domenica dovevano essere,
per lei, una zona oscura. Si sent ferita al principio, e poi
anche questo divenne cosa normale, saccorgeva che a
poco a poco tutto sarebbe divenuto cosa naturale nelle
sue abitudini di vita. E a Horsch non avrebbe osato ri-
bellarsi.
Xenia aveva soggezione di quei gesti misurati, di quelle
parole misurate, di tutto ci che di lui non sapeva, perch
egli si scopriva pochissimo. Lei ogni giorno chiedeva:
Quando potr vedere Dino? Egli rispondeva: Presto,
molto presto ed esaurito questo dovere si mettevano a
parlare daltro. Xenia ricordava Dino con un po di con-
discendenza, come le amiche di collegio; se fosse stato ri-
messo in libert non avrebbe saputo come fare.
Spesso rammentava il frusco setoso del pigiama di
Dino in quella loro prima notte. Adesso, abituata alla fi-
nezza di Horsch, alla sua conversazione, riconosceva
che Dino, veramente, era un po volgare. Avanti a Hor-
sch si sorvegliava sempre, e si maravigliava che quelluo-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
297 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
mo l, con quella intelligenza, un uomo come lui, fosse
innamorato di lei. Io pensava guardandosi allo spec-
chio, proprio io, questa qui. Horsch le diceva spesso:
Voi siete una donna non comune, Xenia; nessunaltra
vi somiglia . Deve essere proprio vero, ella pensava,
fin dallinfanzia lo aveva creduto. Che cosa cera in lei di
misterioso fino dalla nascita? Era veramente figlia di
quei genitori, lei, con quelle sue mani fini e quellarmo-
nioso modo di parlare e di muoversi? Tutto ci era mi-
racolo.
Horsch le aveva detto: Partite, perch non volete
pi adesso? prima desideravate andare in Riviera.
E lei non aveva chiesto neppure: E i soldi chi me li
d? Aveva obiettato: E la casa? per sentire cosa ri-
spondeva, se si faceva invischiare, legare.
Penser a tutto, sistemer tutto. Sar bene liquidar-
la la casa, sarebbe malinconico per voi tornarvi ad abita-
re e poi una casetta meschina, in un quartiere popola-
re. Non vi preoccupate di nulla, pensate a partire.
Il giorno dopo, per la prima volta, le dette danaro; lei,
senza guardarlo, lo mise tra le pagine di un libro e disse
graziosamente: Vi ringrazio, poi torn a parlare di
altro. Cosa contava molto danaro per una donna come
lei?
Infatti, una volta che raccontava del collegio, della
sua fuga, Horsch, senza farglielo notare, laveva interrot-
ta. Era stata una mossa falsa, ella lo cap, non si deve pi
parlare del passato; anzi, perch non inventarne addirit-
tura un altro, differente? Bastava ascoltare il tono con il
quale Horsch congedandosi le diceva: Buona notte,
amica mia per capire che quellinfanzia nella miseria,
quel passato mediocre non poteva essere stato di lei. E
pensare che la notte dellarresto di Dino sera tanto di-
sperata!... Telefon a Mary e le disse di non venire il do-
mani, doveva uscire, una cosa importante. Se no pen-
sava quella ricomincia con i discorsi della giustizia.
298 Letteratura italiana Einaudi
La sera che Horsch le port una spilla di rubini, Xe-
nia, prima ancora di ringraziarlo, esclam: Oh!.. io che
amo tanto i rubini! Lo disse come se sempre nella sua
vita ne avesse avuto la scelta tra le altre pietre. Sbito si
sent soddisfatta del modo col quale lo aveva detto. Poi
gli vers il whisky, si rannicchi sul divano e parlando
cercava di non guardarsi quella fiamma rossa sul petto:
per se la sentiva ardere. E quando egli fu andato via
corse a guardarsi. Non poteva a meno di pensare a Ema-
nuela, tante pene per quello smeraldo. Poi si rammaric
di tali pensieri, comprendendo che in questa istintiva
meraviglia era la prova della straordinariet della sua for-
tuna. Io faccio finta di non maravigliarmi di nulla. Inve-
ce debbo effettivamente non maravigliarmi di nulla.
Horsch le telefon che il gioved seguente ella avreb-
be potuto vedere Dino, lavvocato aveva ottenuto un
permesso speciale: lei fece soltanto: Ah, bene . Ma il
cuore prese a batterle forte come quella prima sera,
quando tutto intorno a lei sembrava crollare travolgen-
dola. Il mercoled Horsch and di nuovo a trovarla; vo-
leva portarla fuori a cena, per distrarla, ma lei rifiut:
Ancora no disse, quasi pregandolo di rispettare un lut-
to troppo recente.
Pranzarono a casa di Xenia, era la prima volta; lei nel
dire alla cameriera: Il signore pranza con me cap
che la cosa cominciava veramente. E fu la tacita indiffe-
renza della domestica a confermarle che ormai anche
questo diveniva normale. Sedettero a tavola silenziosi,
quasi imbarazzati. Xenia osservava Horsch attentamen-
te nella luce che lo colpiva dallalto. Era calvo, un po
grasso, di portamento giovanile. Deve avere almeno
quarantasei anni pens, e intanto andava guardandogli
le mani mentre si serviva; mani grasse da parroco, me-
glio da monsignore, per quella rotonda bianchezza. Ma-
ni gi vecchie. S, certo, doveva avere pi di quarantasei
anni.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
299 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Pomeriggio del gioved: il cielo era piovoso e basso,
un velo dacqua faceva specchianti le strade; le finestre
delle case erano cupi occhi neri. La gente camminava ra-
sente i muri, ammollita dallacqua, senza testa con un
gran fungo nero e lucido sulle spalle, scompariva nei
portoni con sollievo. Sbili seguivano il lento passare
delle automobili. Xenia mise limpermeabile, un cappel-
lo calato, usc per tempo e and a prendere il tram; non
poteva arrivare a San Vittore in tass, uscire dalla sua ca-
sa comoda, calda e in un salto farsi trasportare l, quasi
andasse al teatro. La pioggia le bagn le scarpe, i piedi.
Il tram non passava mai, con lei aspettavano tante altre
persone, poi salirono insieme, rifiatando. Nel tram lac-
qua sgocciata dagli ombrelli formava pozze e irrigava il
linoleum infangato. Lungo i vetri dei finestrini, correva-
no gocciole rapide, incerte: lei si guardava nel vetro di
contro, immagine evanescente: la pioggia rigava il suo
volto come se lacrimasse; nella vettura gremita le scosse
la sbattevano di qua, di l, secondo le svolte, le facevano
strofinare il suo braccio ad altre braccia bagnate. Scese
dal tram, sal in un altro. San Vittore era molto lontano
da casa sua. La gente a ogni fermata scendeva, si span-
deva; infine, confusa in un gruppo, Xenia scese, sallon-
tan. Portava addosso tutti quei contatti. Nessuno certo
aveva pensato che lei andasse alle prigioni, una signori-
na cos distinta. Quando entr nel portone, la stanchez-
za e lo smarrimento le davano un aspetto afflitto. Era
questa la prigione della quale da tanto tempo si parla-
va in tono bisbigliato e sommesso. Si rivolse al guardia-
no con quellaria speciale che si assume per chiedere di
vedere un innocente che sta l per isbaglio. Mostr il
permesso, disse, ringrazi con tanta gentilezza quasi per
indurre quello a pensare: Amico di questa qui non pu
essere che una persona per bene.
Il parlatorio, uno stanzone color polvere, che prende-
va luce da un lucernario inferriato, era diviso a met da
300 Letteratura italiana Einaudi
due grate parallele, tra le quali una guardia passeggiava.
Dalla parte dei visitatori come dallaltra, davanti ad
aperture, grandi appena lo spazio di una faccia, erano
messi sgabelli di legno. Odore di rinchiuso e di sudore,
nel silenzio cadenzato dal passo greve della guardia che
andava in su e in gi, gli occhi a terra.
L dentro cera gi una donna in colloquio con un
vecchio seduto a gambe aperte per la pinguedine; sulla
nuca una piega di grasso e un solco profondo come una
cicatrice. Sorrideva, con un sorriso rassegnato e sotto-
messo, e ascoltava la moglie facendo s, s con la testa
mentre sbucciava unarancia che lei gli aveva portato e
che spandeva attorno un fresco odore; attento a non la-
sciar cadere i pezzi di buccia, se li metteva in tasca simi-
le ad un bambino che abbiano sgridato perch ha insu-
diciato il pavimento. La donna portava un padellino in
testa e un palt di pelusce. Sta tranquillo gli diceva
sta buono. C lavvocato che ci pensa, devi uscire sbi-
to, ha detto che cosa di giorni, hai capito? Gli parla-
va in un tono blando, come susa coi malati e coi bambi-
ni. E lui taceva e continuava a fare s, s, mettendosi in
bocca gli spicchi dellarancia.
Quando Dino entr, Xenia balz in piedi pallida e lo
chiam, avrebbe voluto abbracciarlo, ma la grata stava
tra di loro; egli sappoggi alla grata e disse con voce che
voleva essere sicura:
Non pu mica andare sempre bene, vero, piccina?
E fece un gesto a mostrare intorno, s, insomma era
questa che lui aveva sempre chiamato la galera. Vole-
va sorridere, ritrovare la sua spavalderia e invece, imba-
razzato, si cacci la mano in tasca e rimugin come cer-
cando qualcosa. Senza colletto, il vestito sciattato, la
barba di due giorni: uno straccio, pareva.
Anche Xenia taceva, non sapendo che dire; infine gli
chiese dolcemente: Come stai? Parlarono di cose in-
significanti, anche del tempo che faceva, i minuti passa-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
301 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
vano ed essi nulla trovavano per uscire da quel vano di-
scorrere. Tutti e due si sentivano impensatamente vuoti
come una canna.
Mangi? gli chiese Xenia.
S, mangiava; pagando si pu avere quello che si vuo-
le, buono il vitto, ma certe volte manca la voglia, allora
dava il suo pranzo a quelli che non lavevano, cos fu per
la bistecca di ieri sera. Io la mando sempre a un pove-
raccio che passando per andare a prendere aria nel cor-
tile mette gli occhi alla mia grata; tre dita di latta buche-
rellata, la grata, non pi; dunque dicevo, lui mette gli
occhi l, dice: Coraggio, sai? I primi giorni sono molto
duri. Non il primo, magari. Il primo saspetta che da un
momento allaltro la porta si apra e ti rimettano fuori;
passeggi, neppure ti siedi, inutile, tanto si uscir subi-
to, adesso. Ogni passo nel corridoio sembra essere quel-
lo di chi ti deve liberare, riportare per la strada; il secon-
do poi, sei sicuro che ti faranno uscire, non pu tardare,
ci sono gli amici, fuori, che diamine, se ne interesseran-
no. Il terzo... Il quarto disperante, quando vedi che le
ore passano, senti suonare la campana a una chiesa vici-
na, la luce se ne va, unaltra notte savvicina e non viene
nessuno e sei solo, solo, proprio solo, non sai a chi parla-
re, con chi sfogarti e non puoi chiamare quelli di fuori,
forse neppure se ne ricordano, non fanno niente. Quan-
do s fuori non si pensa a chi sta qui dentro . Fece una
pausa, sorrise, disse: Poi ci si abitua.
Allora Xenia lo confort: Ma sai bene, la cosa in
mano al Ranieri, sai che avvocato , sta tranquillo, si
tratta di giorni . E savvide che le sue parole erano
uguali a quelle della donnetta, la donnetta che adesso
stava in silenzio, infreddolita stringendosi nel paltonci-
no di pelusce; il marito di fronte la guardava, le mani tra
le gambe, e tacevano entrambi aspettando il momento
di andare lei fuori, lui dentro.
Quando la guardia passava davanti a Xenia e Dino,
302 Letteratura italiana Einaudi
loro due non si vedevano per un attimo ed era come se
fossero sbalestrati ad incommensurabile distanza, basta-
va quel corpo tra di loro perch non esistessero pi
luno per laltro.
Lo sguardo di Dino era divenuto simile a quello
dellaltro detenuto, vacuo, come duno che sogni a occhi
aperti attendendo qualcosa di straordinario, un miraco-
lo. Anche lui faceva con la testa s, s, diceva: Vero? s,
lo so bene, questione di giorni . E si rallegrava. Intan-
to Xenia losservava: un uomo finito, finito. Non era
possibile che fosse lo stesso di quella sera che cenavano
in albergo a San Remo, bevevano, e lorchestrina suona-
va Mozart; erano pure state ore felici! Non parlava mai
damore, Dino, e ogni giorno, per, faceva per lei quello
che poteva, andava anche in prigione. Forse non imma-
ginava che il suo guaio fosse cos serio, che gli altri non
pensavano che a cavarsi loro dagli impicci e tutto ormai
ricadesse soltanto su di lui. Xenia lo guardava con infini-
ta tenerezza come un ricordo che si vuole trattenere per
un attimo prima che scompaia per sempre.
Dino fece affettuosamente.
Gi. E tu come te la passi?
Non ti preoccupare per me.
Gli fece intendere che s, adesso bisognava che stesse
tranquillo, che pensasse a lui, il suo caso era il pi im-
portante, per il momento.
E lui consentiva pianamente creando in s la fiducia,
anzi la certezza, s che: Tanto, sai bene, tra poco esco
con voce sicura soggiunse.
Forse Dino con questa frase aveva voluto allontanare
ogni spiegazione, pens la ragazza: non si occupa pi di
me, accetta che debba occuparmene io ormai, tutto fi-
nito e sono libera... Cos lei credette di comprendere, e
lo ringrazi dun sorriso. Povero Dino, con tutta la sua
biancheria di seta come s ridotto, adesso! Ma aveva ca-
pito che non poteva sacrificarla a lui. E forse, invece,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
303 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
egli aveva parlato cos soltanto perch stava l dentro
chiuso, coi suoi pensieri duomo sotto chiave, e lei era li-
bera, viveva della vita di fuori, dove non si pensa alle
prigioni, ai carcerati: e quelli l dentro non ricordano
che fuori vi sono le necessit di danaro, i debiti, laffitto.
Fuori aria libera. E nella loro solitudine non pensano
che a questo: alla libert, e il loro ossessionante tormen-
to rimbalza tra le quattro pareti sorde logorando a poco
a poco il cervello e il loro essere umano.
Dino chiese: E Tom? buon figliolo, Tom.
Ti vogliono molto bene, anche la Mary. venuta
sempre a trovarmi, lui stato qualche giorno in viaggio,
sai?... adesso tornato.
Ah, tornato.
S, ieri.
Ieri disse piano Dino, ieri hanno fatto quindici
giorni dal mattino che sono stato preso. Sedici, oggi.
A testa bassa Xenia attendeva laltra domanda, la sen-
tiva gi negli orecchi: E Horsch?. Non poteva mentir-
gli: S, anche Horsch venuto avrebbe risposto. E Di-
no avrebbe compreso. Che dovevi fare, povera Xenia?
S, come te infatti, anche tu non potevi fare altrimenti,
povero Dino. Lonest una gran soddisfazione, sempre
gli idealisti lo ripetono, ma gli idealisti non parlano mai
di denaro, di come si fa per tirare avanti, per mangiare.
E ci sarrangia, allora. Un po meno di idealit, un po
pi di denaro. Ma Dino non domandava nulla, giocava
con le dita.
Entr il custode annunciando che il colloquio era fi-
nito e rest sulla porta ad aspettare. I due detenuti sal-
zarono in fretta, ansiosi di mostrarsi ubbidienti. Sacco-
starono alle donne e dissero loro: Addio, sorridendo
come se andassero in giardino a giocare. Dino mise la
mano nellapertura delle sbarre, Xenia gli dette la sua, le
trattennero unite guardandosi: Forza, eh? bambina .
Pareva tornato il Dino di una volta; ma fu un attimo sol-
304 Letteratura italiana Einaudi
tanto, poi si volse al custode per rassicurarlo che andava
sbito e disse a Xenia: Torna eh? agitando la mano
in segno di saluto.
Essa annu sorridendo e lo vedeva indistintamente,
povero Dino, perch aveva gli occhi appannati per le la-
crime; i due scomparvero oltre la porta laterale. La don-
netta, rimasta accanto a Xenia, la guardava: Esce pre-
sto? fece indicando con la mano la porta dove i due
uomini erano scomparsi.
S, s, presto.
Savviarono insieme, affettuosamente. Poco discosto
dalla porta del parlatorio, un detenuto vestito a strisce
alterne marrone chiaro, marrone scuro, lavorava a ripa-
rare alcuni fili elettrici. Xenia lo fiss con gli occhi sbar-
rati e si ferm per vederlo da vicino. un galeotto
pens e senza volerlo immagin Dino vestito con quelle
strisce, con quelle scarpe. Laltro, sentendola ferma l
presso, da chinato comera, lev la testa a guardarla di
sotto in su e, scorgendola giovane e bella, le sorrise. La
ragazza riprese a camminare in fretta e intanto pensava
con orrore: Ridono, stanno qua dentro, vestiti cos, e
ridono. La vecchietta accanto a lei seguitava a discor-
rere:
Il mio non uscir presto. Chi sa quando andr il
processo. Lui crede davere la libert provvisoria; ma
non uscir. Di che si tratta... il suo?
Di che?... Affari.
Truffa? la vecchia corresse.
E Xenia non replic, chiese anzi: E lei?
Quella scosse la testa: No. Tentato omicidio. Ma
sempre per questa e si batt la mano sulla bocca.
Fame. Uno che lavorava con lui e non gli riconosceva la
sua parte. Lo sfruttava da tanti anni . Pi piano aggiun-
se: Non lha preso, per . E si capiva che se ne ram-
maricava. Poi inclinando la testa in un moto dintesa
confidente, chiese: il marito?
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
305 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Xenia assent. E intanto si sforzava di ritrovare la fac-
cia del vecchio, una faccia pingue, bonaria, chi sa da
quanti anni sopportava. Non onesti e disonesti, ma po-
veri e ricchi vi sono, al mondo. Adesso il vecchio sorri-
deva, appagato.
La donna le camminava accanto dondolandosi, e sul
portone si ferm; alz gli occhi al cielo, fece: Ancora
piove. Io, scusi, vado in fretta, devo ancora preparare la
cena . E con un cenno daddio la lasci. Xenia la
guard allontanarsi, curva, nella pioggia.
Horsch non si fece vivo in tutto il giorno, e Xenia non
lo cerc; era immersa nella grigia atmosfera delle carce-
ri, sentiva perfino sulle mani lodore dellarancia che il
vecchietto sbucciava, con calma. Doveva essere di que-
gli uomini tranquilli che resistono, resistono, docili, fin-
ch un giorno freddamente ti saltano al collo e stringono
con una forza insospettata. Poi prendono il tram e van-
no a costituirsi al pi vicino commissariato.
Terribile la prigione, vivere rinchiusi con tante diver-
se tragedie; un mondo stravolgente; laveva compreso
vedendo Dino cos, con la barba lunga, senza cravatta,
avvilito. Non se limmaginava cosera la prigione, Hor-
sch: contro di questi la prese una ribellione improvvisa.
Non lo cerc. Era irritata contro di lui per quella sotto-
missione che era nella voce di Dino. Forse egli vedeva
oltre i muri della prigione Horsch che gli portava via la
donna come gli aveva portato via la libert; per fame. E
allora Xenia riconobbe che si diceva cos per compatirsi;
non fame, ambizione. Al mattino, uscendo, mentre si
metteva certe costose scarpe nuove, riebbe tra le mani,
nel pensiero, le fangose scarpe malandate che portava al
paese, sulle calze fitte di rammendi. S, ambizione, per-
ch, insomma, gli voleva bene povero Dino ma non po-
teva per questo rinunciare al proprio avvenire. Il giorno
dopo telefon a Horsch: egli le disse che sarebbe andato
306 Letteratura italiana Einaudi
da lei la sera. Quando giunse la trov in salotto pronta
per uscire: Andiamo un po fuori? gli chiese.
Come volete.
Uscirono. Nella sala egli volle domandare: Ieri?
Ma Xenia linterruppe prendendogli il braccio. Perch
parlare di ieri? Parliamo di stasera; dove andremo? E
pensava che non questa soddisfazione non glie la avreb-
be data, di dire che aveva visto Dino dietro la grata, fini-
to. No, di ieri non se ne parla, vengo con te, sono con-
tenta di venire, ma basta. Perch offenderlo ancora, quel
povero Dino?
Egli pens un momento; poi disse: Andiamo a cena
al circolo.
Il circolo, un luogo molto elegante, Horsch non per-
metteva a nessuno di andarlo a trovare l, se avevano
qualcosa a dire che telefonassero, e anche questo gli gar-
bava poco perch, diceva, al centralino stavano sempre
in ascolto. Giocava l la sera, l aveva tutti i suoi grossi
amici. Xenia sussult di contentezza, ma approv, cal-
ma: Bene; al circolo.
In fondo, poco dopo Xenia pens, la foresteria di un
circolo elegante piuttosto noiosa. Non era una casa
privata, n un ristorante. Cera poca gente, silenziosa:
sulle pareti, rivestite fino a met di finto cuoio, stampe
inglesi rappresentanti cavalli che avevano vinto corse ce-
lebri, almeno trentanni fa. Cavalli bai, cavalli morelli, in
sella il fantino stringato di rosso, celebri fantini, celebri
cavalli, fantini morti, cavalli morti. un posto dove si
sta bene perch di buon gusto dire di trovarcisi bene:
infatti Xenia osserv, spiegando il tovagliolo: Si sta
molto bene qui.
I camerieri andavano attorno silenziosi sul tappeto,
nella grande sala a volta dellantico palazzo. Sudivano
tinnire i bicchieri, le posate; i commensali, pochi, si salu-
tavano in silenzio, con gli occhi, come facenti parte di
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
307 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
una confraternita: vecchi scapoli erano, e avevano le lo-
ro piccole mane: uno si lamentava perch avevano sala-
to la verdura, che il suo regime voleva sciocca, laltro
borbottava che era stufo dattendere, sinnervosiva, con-
traeva le mani sulla tovaglia. Pi tardi entrarono altri
uomini, pi gioviali ed espansivi, che Horsch invit a
prendere il caff: uomini settentrionali robusti e lucidi
che ridevano facilmente e smuovendosi frusciavano nel-
le giacche foderate di seta. Erano i grossi nomi dellin-
dustria: la Gomma, i Tessili, ancora i Tessili, gli Asfalti.
Horsch disse presentando Xenia: La signora Costanti-
ni . Deferentemente gli uomini sinchinarono a baciarle
la mano.
Signora, egli aveva detto, e lei ne rimase colpita. Chi
sa perch dice cos? Si vergogna di me. E allora arross,
violentemente. Ieri qualcuna laveva presa per una don-
na maritata, la vecchietta della prigione. Mio marito
in galera per affari; s, per truffa. E fu con un brivido
che saccost nella sua nuova personalit di signora Co-
stantini.
Al contrario di ci che accadeva quando era con Di-
no, qui ella fu il centro della conversazione; gli uomini,
parlando si rivolgevano verso di lei e Horsch la spingeva
a parlare. La sua conversazione era spigliata e vivace,
aveva sempre osservazioni intelligenti. Uno dei pi an-
ziani, la Gomma, che pareva interessarsi molto a lei, le
chiese:
Lei romana, signora, vive a Roma?
E prima che Xenia potesse rispondere Horsch spieg:
La signora di passaggio a Milano, ma desidera stabi-
lirvisi.
Ella graziosamente annu: Mi piace tanto Milano.
La Gomma, gli Asfalti, i Tessili sorrisero compiaciuti.
Horsch e Xenia senza guardarsi sintendevano, gi
complici: niente pi Dino, dunque, dopo quellattimo,
niente fuga da Roma, chi parla pi del guantaio? ella non
308 Letteratura italiana Einaudi
ha mai vissuto a Milano. Horsch senza neppure chiedere
il suo consenso le ricostruiva la vita; sappropriava il suo
passato, lo riduceva a seconda dei suoi desideri. Vandina,
Tom e la Mary. Chi nomina pi quelle persone? Tutto fi-
nito. Adesso, forse, Horsch le creerebbe un marito im-
maginario, un barone, magari, ecco, un barone, ufficiale
di cavalleria. Il barone morto. Morto, mettiamo, nella
guerra dEtiopia. Troppo recente, per. E allora morto in
un incidente di automobile. Benissimo. Adesso la signora
per distrarsi, poverina, viaggia e si stabilir a Milano; do-
ve, la signora non sa, non sa nulla, la sua vita passata e fu-
tura dipende dal grosso signore calvo che le siede accan-
to, i Trasporti Automobilistici. Niente cambiato tra di
loro eppure da stasera egli non pi un estraneo, forse
per quella tacita intesa di non parlare pi di quel povero
Dino. E c gi tra loro qualcosa per il quale Xenia capi-
sce che bisogna trattare la Gomma col maggiore riguar-
do; anche se la Gomma ha lacidit di stomaco e non
piacevole sedergli accanto; Horsch glie lo ha presentato
con un particolare sorriso, gli ha ceduto il posto vicino a
lei e li lascia parlare, fuma, sembra assente e invece la
guarda, guarda la bocca, gli occhi vivi e assapora, quasi fa
scorrere sulle dita tutto ci che lei dice e lo trova perfetto;
sembra a lei che Raimondo le ripeta ancora: Voi siete
una donna che non somiglia a nessunaltra.
Giungono altri due: il Legno, e un piccolo signore
tondo, provinciale, che parla con accento pugliese e si
chiama semplicemente Alfonso Bortone. Il signor
Alfonso Bortone viene al circolo per la prima volta, si
guarda attorno, si siede sullorlo della sedia, la fissa sor-
ridente. Evidentemente al signor Alfonso Bortone piac-
ciono le donne. Ma egli non n la Gomma, n gli
Asfalti; dallocchio amabilmente indifferente di Horsch,
Xenia ha compreso che il nuovo arrivato trascurabile.
Beve, Xenia; un vino delizioso, quasi incolore, ambra
pallida, un vino di Francia che scorre facilmente e lascia
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
309 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
un amaro asciutto in bocca. Xenia pensa: Ho gi udito
questo nome: Bortone. S, una cosa di molti anni addietro,
ma dove, dove?. E poi dimprovviso trova: ecco, in colle-
gio, Anna Bortone, quella bianca e olimpica Anna Borto-
ne che mangiava le castagne crude e diceva che voleva tor-
nare in campagna. S, s, Anna, amica o parente di quella
Valentina alla quale vibravano le narici quando si parlava
di uomini. Questo signore tondo forse parente di Anna.
Ora tutti discorrono e fanno disegni sulle vacanze
delle feste di Natale. Vanno in montagna, in riviera o ai
laghi, nominano alberghi di lusso. Il pugliese dice inve-
ce: Noi usiamo rimanere in casa, a Natale. E io sono in
lutto, vede? e le mostra la faccia sul braccio. Ho per-
duto mia madre . (Xenia ride tra s: il vinetto, forse,
ma quanti anni deve aver mai avuto la madre del Borto-
ne? Orfano, poveretto, come si fa a non ridere?) E poi
noi Egli insiste usiamo passarlo in casa, il Natale .
(S, s come a Veroli, odore di noia, gesti tramandati di
generazione in generazione, il cappone che sempre du-
ro, ma dusanza, luva che pende in cantina e sa di
muffa, ma dusanza anche quella.) Torner a gen-
naio per il consiglio damministrazione, se potr. Ma
proprio in quei giorni, alla fine di gennaio, mia figlia si
sposa. a Roma, studia, deve laurearsi in questi giorni e
poi allarg le braccia come per mostrare limpotenza
della sua volont: poi torna e si sposa.
Xenia voleva esclamare: Anna, si sposa Anna?, ma
si trattenne: non esiste il passato, quindi per lei non esi-
ste pi Anna. La signora Costantini vedova del barone,
ufficiale di cavalleria, lanno passato non poteva essere
in collegio, laltranno era a passare il lutto nella sua villa
del Lazio dove gli antichi mobili sono disposti con tanto
buon gusto. Certo cos avrebbe detto Horsch. Ed ella
tacque, infatti.
Le cose, dunque, sono andate avanti al collegio: An-
na si laurea, esce, si sposa, chi sa con chi si sposa. Lei in-
310 Letteratura italiana Einaudi
vece scappata e fa la mantenuta. S, la mantenuta, per-
ch non avere il coraggio di pronunciarla questa parola?
Al collegio, senza di lei, tutto continuato lo stesso; nel-
la sua immaginazione le amiche erano rimaste ferme a
quel giorno, a quellanno; invece gli studi finiscono, An-
na si sposa e lei fa la mantenuta. Come potrebbe dire al
Bortone: Sa? io conosco sua figlia. Cosa? Non pos-
sibile farebbe quello. Ma s, s, al collegio. Il signor
Bortone penserebbe forse che al Grimaldi lambiente
era un po misto. Che piccolo guscio il mondo! Anna
esce e si sposa; e lei avrebbe sempre continuato a imma-
ginarla l dentro. Se esce Anna, anche Silvia uscir, era-
no dello stesso corso. Chi sa come sta Milly, quella
bionda linfatica che parlava come in sogno. A una a una
escono, si spandono pel mondo, adesso se lei volesse
potrebbe ancora ritrovarle, riprendere quel suo pezzo
di vita lasciato interrotto al collegio; e tra un mese, inve-
ce, o tra un anno, tutte saranno disperse. Chi ricorda
pi che c stata una Xenia Costantini?, quel suo pezzo
di vita si scioglierebbe nel nulla. Questo il padre di
Anna, vorrebbe toccargli il braccio, chiedergli: Signor
Bortone, quando sposa sua figlia? Vorrebbe che in
quel giorno Anna, che in collegio dormiva di l dalla pa-
rete della sua camera, ricevesse un bel dono da Xenia,
Xenia quella che scapp, o meglio senza nome, perch
Xenia, quella, non c pi; come se si fosse buttata nel
fiume per disperazione e il suo corpo riposasse adesso
sulla melma del fondo. S, meglio senza nome: ma il si-
gnore che siede accanto a lei ha deciso che tutto ci non
stato, e per questo ella non pu mandare doni ad An-
na che si sposa. Ormai la signora Costantini non deve
interessarsi dei casi onesti e provinciali della signorina
Bortone. cos, una fortuna che sia cos. Ma negli oc-
chi della signora Costantini, trema il cavallo baio che
vinse il Derby Reale a Londra, nel maggio del milleno-
vecentotr.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
311 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
*
Piovve tutta la notte. Attorno al pesante silenzio del
collegio questo rovesciarsi di pioggia metteva brividi
paurosi. Suor Lorenza, sveglia, ascoltava: le cortine
bianche del letto lisolavano dal mondo. Era come esse-
re avvolta in una vela e placida navigare in mezzo al ma-
re in tempesta, tutta la vita del mondo confinata in una
lontananza irraggiungibile. Prima, accanto alla sua ten-
da cerano le tende delle compagne; era gi un contatto
umano, altri naufraghi sul mare. Dal giorno in cui era di-
venuta Madre superiora aveva capito cosa significava es-
sere monaca; fino a quando aveva potuto agire si era
sentita commista alla vita delle altre donne del mondo,
la sola differenza era in quella cuffietta nera sulla testa.
Non aveva mai rimpianto la libert e adesso invece rie-
vocava il paesello ligure dove era nata e la sonora voce
delle onde. Sentiva il desiderio di scendere scalza sulla
spiaggia, immergere il piede nellacqua, sollevarlo, ve-
derne cadere i puri diamanti, lasciarsi scivolare nel mare
a braccia aperte, il sole sulla faccia. Vita operosa e paci-
fica nel paese, solo, nelle sere di libeccio, tutti accorreva-
no sulla baia per vedere i brigantini rientrare col gran
ventaglio delle vele squassato dal vento. Ella studiava in
un convento che stava a picco sul mare come uno sco-
glio; a marzo il sole intiepidiva il cortile della scuola; lei
si sedeva con le compagne sulle panche lunghe. Era bel-
lo stare tutte insieme nella mite dolcezza della comunit
femminile. Le ragazze pi piccole si raggruppavano in-
torno a lei, poi la campana levava la sua voce serena nel
declinare del giorno. Non cera altra vita, in paese, al di
fuori di questa. Non si sa come, ma naturalmente, forse
perch non avrebbe potuto essere altrimenti, un giorno
si trov sulla lunga panca vestita da monaca; accanto a
lei altre monache sedevano.
Adesso, inchini a destra, inchini a sinistra: quando la
312 Letteratura italiana Einaudi
madre entra nel refettorio le ragazze tacciono e scattano
in piedi, non si lagnano, non dicono neppure pi che la
minestra cattiva, come faceva la Costantini: attendono
soltanto che lei se ne vada.
brutto, pensava, arrivare al sommo della scala. Si
diviene un estraneo per tutti, chiuso nella propria insod-
disfazione; quando una cosa raggiunta, perde valore,
ci si dimentica della lunga tensione del desiderio. Gi la
volont si tende verso altri desideri insoddisfatti. E non
si ha il diritto di lagnarsi, si arrivati a ci che si mirava
dal punto di partenza. Era tormentata dallidea di non
conoscere pi lanimo di quanti la circondavano; sorrisi,
inchini, ma poi che cosa complottavano alle sue spalle?
Le pareva di udire, dietro il suo passaggio, misteriosi
commenti, bisbigli. Assillata da questi dubbi, passeggia-
va per ore nello studio, come una belva rinchiusa.
Un giorno la sorprese suor Prudenzina: suor Pruden-
zina viene dalla campagna, negli occhiali tondi c appe-
na spazio per riflettere limmagine di Dio.
Madre, le ha detto voi avete perduto la pace del
cuore.
Chi parla cos alla Madre? Chi osa? La suoretta in-
contro a lei la guarda inesorabile, forse sinchiner se la
Madre vorr accusarla di poco rispetto, ma rimarr tran-
quilla nella sua opinione; la Madre non nega, mormora
soltanto: Le ragazze...
Non pensa che a questo notte e giorno, si sveglia la
notte di soprassalto: Le ragazze, le ragazze: unos-
sessione questa parola, le cova nel cuore, una voce che
di continuo echeggia nella sua testa, se anche scuote il
capo non se ne libera, se si tura gli orecchi ugualmente
la ode: Le ragazze, le ragazze... Non conosce le nuove
arrivate, le vecchie a poco a poco se ne vanno. Da qual-
che tempo ha sempre un tremore sulle labbra, le dita si
contraggono nervosamente, se non la liberano, la Madre
impazzir. Ma suor Prudenzina non capisce le ragazze,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
313 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sono soltanto strumenti che mettono a prova la sua pa-
zienza per leternit. Dice: Bisogna molto pregare. An-
che per le ragazze.
Suor Prudenzina forse non sente la presenza della di-
vinit nei suoi campi: suor Lorenza invece amava Dio
nel mare, Dio nelle ragazze che crescevano a fianco a lei,
Dio nel sole. Suor Prudenzina si porta Dio nel petto,
bianco e celeste come la statua della cappella, si muove,
dorme, mangia perch necessario far tutto ci per ave-
re la forza di adorare Dio, la sua vita si esaurisce, si
svuota in quella adorazione.
Bisogna molto pregare: anche per le ragazze.
Come pregare per loro? le adolescenti sono cos mi-
steriose, non si sa che cosa pensino, che cosa vogliano,
anche se ci si accosta a loro non si riesce a superare il se-
greto nel quale sono strette: dicono solo la met di ci
che pensano, il resto rimane loro annidato negli occhi.
Le suore rimangono adolescenti tutta la vita. Non parla-
no mai della casa, dei parenti, non si sa perch, a un cer-
to punto, si siano chiuse l dentro. Suor Lorenza non sa-
peva di rinunciare. Pensava anzi che fosse un egoismo
vivere la vita di una sola famiglia, piuttosto che avere
ogni giorno un nuovo contatto, un nuovo compito. Bi-
sogna molto pregare, ma la preghiera non ha unazione
immediata, per questo non poteva soddisfarla.
La pioggia scrosciava, batteva i vetri con disordinata
violenza. Suor Lorenza avrebbe voluto tornare al suo
paese, unire la propria attesa a quella delle donne che
hanno la gente in mare. Ormai per lei nessuno pi parte,
nessuno pi ritorna. Non conosce ancora una ragazza
che da due giorni arrivata al collegio. Impazzir, im-
pazzir. La pioggia lopprimeva, le tende bianche del
letto erano soffocanti. Accese il lume.
Sulla facciata buia del cortile sapr locchio giallo del-
la sua finestra.
Laltro occhio giallo che vegliava era la finestra di Sil-
314 Letteratura italiana Einaudi
via. Il mattino seguente alle dieci, avrebbe discusso la te-
si. Le compagne lavevano lasciata con un abbraccio e
lei avrebbe voluto supplicarle: Perch mi lasciate sola?
Forse fallir, come Xenia. Ma non le avrebbero potuto
dare aiuto, come non ne avevano dato a Xenia. Non ave-
va che poche ore avanti a s, ormai superflue, una goccia
in un vaso colmo. Va a dormire, piuttosto le aveva
consigliato Anna.
A che scopo andare a dormire? Se appena avesse tro-
vato un po di sonno, avrebbe sognato la grande aula pa-
rata di verde nella quale era entrata qualche volta per as-
sistere alla tesi di una compagna; si sarebbe detta anche
dormendo: Entro, faccio il saluto romano, poi siedo
(quante volte nel pensiero aveva spostato la sedia con la
mano?), apro la cartella della tesi, ma che lapro a fare?
so tutto a memoria, guardo la commissione, aspetto.
Nel fondo dellaula c il busto del Re. Le voci partono
di l sotto. Quale professore avrebbe parlato per primo?
Trecca? Aveva lincubo che la voce non riuscisse a uscir-
le dalla gola. Perch non risponde, signorina Custo? e
lei avrebbe voluto parlare, le parole erano pronte nel
petto, sapeva tutto, ma non riusciva ad aprire la bocca.
Perch non risponde, signorina Custo?. Non poteva,
non poteva.
Nel pomeriggio Belluzzi le aveva posato una mano
sulla spalla per rassicurarla: Stia tranquilla, una cosa
perfetta, molto pi di una tesi . Ma da qualche tempo
non era pi lui, era mutato, Silvia sentiva qualcosa di
nuovo nella casa, che a lei sfuggiva. La signora Dora
aveva sempre evitato di trovarsi sola con lei, non era
morta, stava bene e ingrassava.
Quando le compagne vennero a prenderla, al mattino,
la trovarono gi pronta, odorosa di sapone, i capelli pi
tirati del consueto; indossava un vestito di seta nera che
le dava unaria di festa. Sorrideva impacciata e le altre
non osavano parlarle allo stesso modo degli altri giorni:
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
315 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Coraggio le dicevano sei pronta? come quando si
vanno a prendere i congiunti di un defunto per accom-
pagnarli al funerale. Silvia guard dalla finestra il grigio
mattino come se dovesse vederlo per lultima volta, poi
prese la cartella, vi ripose il fascicolo della tesi. Le com-
pagne, il cappello in testa, la fissavano quasi con rispet-
to: anche le loro voci erano sommesse. Andiamo dis-
se decisa Augusta. Silvia avrebbe voluto dire:
Aspettiamo ancora un po, non avviarsi, non incomin-
ciare la pericolosa avventura, e invece cap che ormai
non cera scampo, bisognava andare. Chiudendo la por-
ta pens: Quando torner quass tutto sar fatto.
Scesero la scala in silenzio, scalpicciavano i loro passi
sul marmo, Anna la teneva sotto braccio come per sor-
reggerla, erano tutte piene di premura e lei lasciava fare
senza ribellarsi. Emanuela voleva portarle la cartella, no,
grazie, la cartella la porto io.
Prese nel gruppo il posto di personaggio principale e
uscirono; le suore, le altre compagne, vedendola passa-
re, la guardavano con occhi impietositi, le facevano un
cenno della mano, un sorriso.
Per la strada camminavano in fretta; Silvia appariva
preoccupata e le altre dicevano che, si sa, quello un
brutto momento, ma poi passa e ci si sente liberati, i
quattro anni stanno tutti in quel minuto. Accanto a loro
la gente passava senza notarle, un gruppo di ragazze che
va a scuola; niente di pi. Silvia pensava che per gli altri,
forse, questo suo grande giorno era un giorno qualun-
que; persone entrano, escono dai negozi, vanno a spas-
so, passa il tram, niente di speciale scuote landamento
delle cose. Anche Xenia passata di qui, la tesi andata
male, quattro anni di fatica perduti e nessuno intuiva
questo; era una ragazza che tornava da scuola; e forse la
donna che sedeva accanto a lei nel tram era felice perch
aspettava un figlio. Che mistero, quello! Una donna ti
passa accanto, e anche se non lo vedi pu portare unal-
316 Letteratura italiana Einaudi
tra creatura in s. In fondo Silvia concludeva amara-
mente la vita soltanto propria: nessuno pu accostar-
visi interamente, se ne deve portare da soli lorgoglio o
lumilt. Poich Silvia taceva, le compagne si erano di-
stratte, avevano preso a parlare daltro. Ma Anna che la
teneva pel braccio:
terribile, vero, Silvia? le chiese. E allora lei si
scosse e disse sorridendo:
Infine non che una laurea.
Niente altro che una laurea; se ne accorse allUniver-
sit: erano arrivate in anticipo e dovettero attendere; in
quel momento non sapevano che cosa dirsi. Erano come
fuori di una sala operatoria, aspettando il turno.
Dallampio finestrone entrava un mattino velato e bian-
co, gi invernale, senza misericordia, il sole era debole, il
raggio che cadeva sul pavimento sembrava fatto di pol-
vere.
Infine sudirono scorrere gli anelli duna tenda e
lusciere fece cenno a Silvia dentrare. Ella guard le
compagne come per un addio estremo; poi scomparve
oltre la porta. Le altre la seguirono trattenendo il fiato,
si lasciarono cadere sulla panca nel fondo dellaula.
Silvia intimidita dal suo ruolo di protagonista sorride-
va emozionata: la sua anima grave e triste traspariva nei
piccoli occhi un po strabici, in quello sguardo stonato.
Sedette, apr il fascicolo e sent per la prima volta che
quel fascicolo non era pi interamente lei, ma una cosa
fatta da lei che stava per essere giudicata. Scorrendo con
gli occhi la tesi, le sembr cosa meschina, e sbigott. Alle
spalle immaginava gli sguardi intenti delle compagne, li
sentiva aggrappati alla sua nuca e invece di darle corag-
gio sembravano trarla in un gorgo. Di contro, dietro il
tavolo, i professori; non riusciva a distinguerne i volti:
un solo professore, insomma.
Voci la interrogarono: la sua voce rispose quasi non le
appartenesse; la sentiva alzarsi nella vasta sala: tutto le
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
317 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
appariva facile come stare ad ascoltare unaltra. Bastava
tacere, appartarsi, una grande calma era in lei. La voce
da sola discuteva, ritrovava senza fatica le parole prepa-
rate nella notte, e da giorni e da tempo, sicura voce. An-
che la voce di Belluzzi le parve sconosciuta. Cap che in
quel momento nulla poteva aiutarla se non lei stessa:
nessuno avrebbe potuto accostarlesi, tutti discosti, e lei,
sola, con la sua voce che risuonava alta sotto le volte
dellaula. Mentre la voce parlava, i professori si tendeva-
no verso Silvia attenti, convinti: la voce non se ne sgo-
mentava. Silvia s, che cercava di rinchiudersi in se stes-
sa, sperando che non la notassero, le perdonassero di
essere l; ma la sua voce, quella che veniva da tante ore
di raccolto studio, di pene e di speranze, quella s, limpi-
da e chiara, saliva e simponeva alle altre voci che adesso
le sembravano sommesse.
Quandebbe finito le parve di galleggiare su unacqua
straordinariamente calma, in un luminoso silenzio. Si
alz e usc. Anche le compagne uscirono: ricadde dietro
di lei la portiera, le ragazze le strinsero le mani, labbrac-
ciarono, le dissero, entusiaste, brava, brava, come a
uneroina, anche Vinca era venuta, anche Andrea, e Sil-
via rideva nervosamente, ma era come se piangesse.
Quando fu chiamata saffacci esitante sulla soglia
dellaula; la luce vaga degli occhi sera abbassata come la
fiamma della candela sotto il fiato del vento. Linvitaro-
no a farsi pi avanti, e lei a piccoli passi avanz torcen-
dosi le mani. Fu Belluzzi a dirle che si era laureata in let-
tere con centodieci e lode, e ad esprimerle il plauso del
Collegio.
La ragazza sorrise, salut appena, si volse, le parve di
non giungere mai alla porta.
Andrea presto le lasci, capiva dimpacciarle: aveva-
no bisogno di rimanere sole accanto a Silvia comerano
state in tutti quegli anni di sforzi e di fatica. Rest a
318 Letteratura italiana Einaudi
guardarle allontanarsi, in mezzo a loro Emanuela cos
diversa, cos pi fine. Silvia adesso era impallidita come
dopo scampato un pericolo: uscendo dal portone
dellUniversit sera arrestata un attimo, aveva percorso
landrone con uno sguardo lento, affettuoso, poi aveva
detto: sciocco e sera rimessa a camminare.
Le ragazze ridevano, sollevate; Vinca pareva tornata
una di loro; nellanimo di Silvia invece era caduta una
lieve malinconia da festa di ballo finita. Ormai non do-
veva temere pi, poteva adagiarsi, incrociare le mani
aspettando; e invece mai si era sentita inappagata come
ora. Pesa la gioia pensava e la dolcezza amara. Bi-
sognava telegrafare a casa, dire che era andato tutto be-
ne, mettere fine alle novene che da mesi, per il suo suc-
cesso, recitava la mamma. Si diffondeva in lei la
soddisfazione di aver compiuto qualche cosa; ma lopera
compiuta lascia dietro di s il vuoto dellansia acquetata.
La laurea: una parola che si portava via una bella fetta di
vita, peggio, come diceva Augusta, una bella fetta di gio-
vinezza. La laurea: niente altro che questa parola per
tanti anni: lezioni, biblioteca, odore polveroso di libri,
notti di studio: fino alla notte scorsa, e la pioggia che
martellava i vetri. Anche la pioggia aveva quella voce:
La laurea, la laurea. Unossessione.
Tutto finito ormai, era stata cosa semplice: centodieci
e lode. Vivere gli avvenimenti molto pi facile che im-
maginarli. Le avrebbero dato una pergamena col suo
nome svolazzante tra fregi rossi e oro.
E adesso, Silvia? adesso?
Niente era mutato, solo quel dott. che poteva met-
tere davanti al suo nome. Bisognava fare tutto da s.
Aveva provato questo lasciando il paese, quando si
trov nel treno, sola. Part di sera. Il cielo da fosco, a po-
co a poco cominci a stellarsi: era cos agitata che non
chiuse occhio. Le pareva di perdere, dormendo, attimi
preziosi. E invece, arrivata al Grimaldi, aveva trovato
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
319 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
che le ragazze menavano una vita normale, studiavano
s, ma poi mangiavano bevevano, uscivano tranquilla-
mente, facevano allamore, dicevano anche qualche vol-
ta: Accidenti ai libri! Quasi sbito divenne amica di
Xenia che come lei ardeva di diventare qualcuno e aveva
il gusto del ragionare.
Ripensava a tutto questo ed era rimasta un po indie-
tro nel gruppo, come affaticata; le ragazze ora entravano
in un caff poich, comera duso, Silvia doveva offrire il
vermut: un antico caff della via dei Condotti dove negli
anni scorsi gli artisti usavano riunirsi. Era deserto. Forse
gli uomini hanno paura delle ombre pi grandi di loro.
Sederono sui divani di velluto rosso senza prenderne
possesso appieno. Non avvezze a stare al caff, questa
era per loro una festa inusitata e imbarazzante.
Si diffuse una sorridente freddezza, tutte guardando
Silvia cercavano di ritrovare latmosfera consueta, ma
non era possibile, qualcosa stagnava, erano prese da un
invincibile impaccio.
Che accaduto? Silvia chiese e poi insist: Sia-
mo tutte stravolte, io per la prima.
Niente accaduto, lemozione, forse fece Augu-
sta.
No. Io lo so di che si tratta; non sono pi delle vo-
stre e nonostante quelle protestassero, ella prosegu:
Lasciatemi parlare. cos: finito. bastato un nulla,
quellora dellaula, e io ho staccato la mia vita dalla vo-
stra. Vi fra noi una distanza enorme, io vi guardo con
rimpianto, voi con rammarico. Oh, terribile!
Perch dici questo? chiese Anna.
Non lo senti? non lo vedi che non sappiamo pi co-
sa dire? Quante sere abbiamo passato insieme? Una di
noi parlava ed era la voce di tutte. Ora, se io parlo, la
mia voce distante. Io ho finito e voi attendete. Non c
pi ragione che io rimanga; se me ne andassi sareste sol-
levate.
320 Letteratura italiana Einaudi
Silvia! esclam Emanuela.
cos, non c via di mezzo. Quando Vinca lasci il
collegio, il giorno dopo gi non la sentivamo pi parte
nostra come il giorno prima, confessiamolo, s, Vinca,
cos, in fondo non ti abbiamo neppure rimpianta: per-
ch dovreste rimpiangere me? Stasera non avr pi da
mettere i miei libri accanto ai vostri, non pi la mia atte-
sa e la mia ansia: adesso la vita non pi la nostra, la
mia. Avvenimenti potrebbero distruggermi e non toc-
carvi affatto.
S Vinca interruppe ha ragione. Anche io ho
provato questo, uscendo: si riprende la propria esistenza
che si consegnata entrando, nelle mani della suora
portiera. Ed sconfortante aggiunse perch prova
che nulla dura, nulla resiste.
Come sta Luis? le chiese Silvia dopo una pausa,
per mutare volutamente il discorso.
Sta meglio; mi ha scritto un bigliettino con la mano
sinistra. Non pu usare la destra, ancora. Quando sar
partito la guerra certo sar finita, e torner.
Quando?
Non so quando. Che importa quando? torner .
Sorrise e il suo sorriso si propag, tutte parvero riani-
marsi a quella sua pacata fiducia. Parlavano ognuna dei
propri progetti. Soltanto Augusta seguitava con Silvia.
Tu dici bene, Silvia. La vita appartiene solamente a
noi, ormai chi tornerebbe a darla ai propri genitori?
Poich siamo capaci a viverla da sole, poich siamo,
diciamolo, ragazze intelligenti. Quante vorrebbero scio-
gliersi da questa responsabilit? Non capiscono che sol-
tanto ci che nasce da noi soddisfa.
Anche un figlio fece Anna.
S, anche un figlio, ma il lavoro ci appartiene di pi.
Nessuno pu togliercelo, nessuno contestarcelo. Altre
preferiscono appoggiare la propria vita a quella degli al-
tri, altre si fanno portare dal vento.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
321 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Nelle pupille di Silvia luceva una radiosa gioia delle
proprie conquiste. Emanuela rabbrivid pensando che,
tra di loro, lei era quella che si faceva portare dal vento.
Chi sa dove, chi sa dove.
Era venuto fuori il sole, e prima di rientrare al colle-
gio le ragazze andarono a goderselo alla Villa. Sedettero
su due panchine, beatamente, il tardo mattino taceva.
Gli alberi magri sembravano disegnati a matita sul gri-
gio trasparente del cielo. Certi uccelli infreddoliti saltel-
lavano sopra la ghiaia del viale. Sei ragazze sulla panchi-
na. Cinque ragazze e una laureata, pensava Silvia, e
dentro di s rideva. Dolorosamente si staccava di dosso
la possibilit di essere una donna come le altre. Sorride-
va tra s pensando: Donna brutta. Forse adesso
avrebbe voluto cavalcare al galoppo e incontrarlo, il bri-
gante nero come lei, che prendendo le redini del cavallo
le dicesse. Scendi e la facesse salire sul suo. Se ella gli
avesse detto: Sono laureata in lettere il brigante non
avrebbe capito che cosa questo significava: lavrebbe
condotta al suo rifugio, le avrebbe ordinato ugualmente:
Donna, accendi il fuoco.
Avanti a loro un gruppo di bambini giocava ai soldati.
Un biondo che aveva occhi azzurri fermi e decisi, por-
tandosi avanti agli altri, disse: Non voglio . Forse non
era il pi bello, ma certo era un ragazzo diverso dagli al-
tri; sembrava gli stesse sui sopraccigli aggrottati un di-
verso destino. Nella destra stringeva minacciosamente
un pugnaletto di legno. Gli altri, infastiditi, attendevano
che egli si spiegasse, avrebbero voluto non occuparsi di
lui, e tuttavia non osavano riprendere a giocare. Il ragaz-
zo, che aveva una grande testa strana sotto i chiari capel-
li, insisteva: Non voglio. No. Non star nel plotone. Io
debbo essere quello che cammina in fuori . Se lavesse-
ro contraddetto certo si sarebbe allontanato scagliando
il pugnaletto in faccia al primo che gli capitava. Gli altri
322 Letteratura italiana Einaudi
ragazzi lo fissarono, egli non abbass i duri occhi azzur-
ri; allora uno acconsent, disse piano: Lui il capitano,
allora . E gli cedette la draghinassa di legno. Gli occhi
del ragazzo biondo si mutarono, si sciolsero, divennero
affettuosi: egli guard sorridendo gli amici, li abbracci
con uno sguardo limpido e molle. Aveva lunghe gambe
e snelle: con un passo fu fuori dal plotone: Attenti !
schiocc duramente. Marsc! poi prese baldo a cam-
minare e gli altri lo seguirono.
Tacevano le ragazze impigrite. Ecco, Silvia pensava, bi-
sogna saper essere quello che cammina in fuori. Non star
nel plotone, nel branco: le donne, spesso, si lasciano am-
mansire dai sensi o dalla poca fiducia che hanno di loro
stesse; altre si allontanano dallamore con ribrezzo, come
Augusta, senza sforzo: difficile allontanarsi da ci che
piace. In certe ore molli di primavera il lavoro pesa; non si
pu pi continuare, tutto dentro di noi inerte e languido,
disposto ad acconsentire. Odora forte il caprifoglio, un
odore che fa male alla testa, stridono le rondini in pazza, il
giorno indugia; allora, al paese, le donne si siedono sulle
soglie delle case e attendono luomo che ritorni dai campi;
ogni poco, la mano alla fronte, spiano sulla strada; le zane
dondolano, certe sommesse ninne nanne inteneriscono il
cuore. allora che inconsciamente Silvia attende il richia-
mo del brigante dallalto della collina. Bisogna chiudere gli
occhi sulla stagione, non vedere, non udire. No: non ac-
cender il tuo fuoco, brigante. Me ne andr sola per la
montagna in cerca di una grotta tutta mia.
Al collegio la suora portiera disse a Emanuela nel ve-
derla rientrare con Silvia e le altre: Salga dalla Madre,
lei; deve parlarle.
A me?
S, a lei.
Emanuela rest perplessa: era inutile salire: la Madre
doveva aver saputo tutto di Stefania, si capiva, lavreb-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
323 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
bero scacciata, che vergogna! Perch salire? Distinto si
volse per fuggire, come una ladra che non ha pi scam-
po e getta la sedia sulla lampada elettrica, ma la porta
era chiusa, la chiave penzolava alla cintola della suora
portiera. Sal.
La Madre si lev dalla poltrona per andarle incontro
e il suo sguardo era cos benigno e doloroso che Ema-
nuela si rassicur: Non sa nulla.
C un telegramma per te, Emanuela. necessario
che tu parta sbito, tuo padre sta male.
Emanuela ripet soffocata: Pap?!...
S, pap. Il treno delle 14,15 per Firenze rapido.
Neppure pianse, Emanuela: andava ripetendo a bassa
voce, sordamente: Pap, pap, pap . Vide le compa-
gne farsi attorno a lei, circondarla, prepararle la valigia,
Silvia non labbandonava e Augusta la teneva pel brac-
cio con laspetto delle grandi occasioni, pap, pap
telefonarono ad Andrea, Andrea laccompagn alla sta-
zione pap, pap lansima del treno e il rumore degli
stantuffi sembravano ripetere quelle due sillabe infantili
che le scrollavano il petto come un singhiozzo: pap,
pap e la fretta di raggiungerlo, pap, e la sensazione e
il rammarico di non aver fatto mai nulla per dargli un
po di gioia, di non avergli mai permesso di accostarsi al-
la sua anima, di essergli rimasta sempre sconosciuta, co-
s chiusa e ostile, anzi, indifferente pap, pap mai lo
aveva accompagnato fuori a passeggio, mai era rimasta a
leggere vicino a lui, a goderselo che ormai era vecchio
pap, pap e solo di lui aveva ricordato i rari castighi,
le durezze e quelle poche volte che laveva rimproverata,
mai i suoi perdoni aveva ricordato, faceva apposta a trat-
tarlo cos, come un estraneo; pap che faceva tanto per
lei, che voleva ricostruire la vita, accettava tutto come
dovutole, non era egli il padre? lo teneva a distanza dal-
la nuova generazione, chiusa nel suo egoismo, lei gli ave-
va dato un po di pace, mai gli aveva detto: Pap, sono
324 Letteratura italiana Einaudi
felice sempre scontenta, buon giorno, buona sera, solo
adesso che era malato lo capiva; e il treno che la sbatteva
di qua e di l, le sbatteva anche quella parola nel petto:
pap, pap e lansia di tutte quelle cose che in venti-
cinque anni mai aveva fatto, mai aveva voluto dirgli e
che adesso finalmente gli avrebbe detto.
Non glie le disse. Pap era morto di colpo, la notte.
Se nera andato portando con s il silenzio di lei, lindif-
ferenza. Altro non avrebbe saputo mai.
Emanuela si trov proprietaria di una grande fortuna;
non immaginava tanto; e mentre il notaio leggeva il te-
stamento, la ragazza di tratto in tratto si volgeva alla ma-
dre rimpicciolita dai veli neri e saccorgeva che neanche
lei sapeva dessere ricca cos. Nellultimo viaggio, pap
cercava di risparmiare sugli alberghi, sulla benzina. Chi
sa perch pap non aveva mai speso di pi, nella vita!
Non soltanto per lasciare un bel patrimonio dietro di
lui; la figlia comprese che lessere pi ricco non avrebbe
potuto dargli una gioia maggiore. Prendeva quanto gli
bastava, il resto non linteressava. E il denaro saccumu-
lava. Ricchissima era. Alla fine del testamento cera la
clausola: Il tutto vincolato a mia nipote Stefania e agli
altri futuri discendenti di mia figlia.
Le due donne restarono in silenzio: il notaio sembra-
va non meravigliarsi. Sapeva tutto. Parve ad Emanuela
che il padre le mettesse la bambina tra le braccia. Gli oc-
chi colmi di pianto, chin la testa, accettando.
Una grande calma aveva invaso la madre di Emanue-
la, sembrava non soffrire, viveva come prima, come se
nulla fosse accaduto. Parlava del marito senza commuo-
versi, quasi fosse ancora vivo, solamente diceva: il po-
vero Bepi. Emanuela spesso le domandava: Mamma,
e che diceva, che diceva di me, il pap?
Sempre diceva: Bisogna che Emanuela parli a quel
ragazzo. Se tu fossi arrivata in tempo te lo avrebbe det-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
325 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
to. Quella sera, quando gi non parlava pi, pareva tut-
tavia dirmelo con gli occhi, povero Bepi, guardando la
tua fotografia.
S, mamma, lo far, lo far subito, la volont di
pap.
Forse adesso pap, di lass, capirebbe perch ella
non lo avesse ancora fatto, tante volte aveva tentato, an-
che pochi giorni prima, quando Stefania era voluta usci-
re per forza con lei, in carrozza, per la prima volta dopo
la scarlattina, ed ella temendo di essere stata vista da
Andrea aveva deciso di parlare, di farla finita con quella
bugia. Ma egli le era andato incontro sorridendo, le ave-
va detto: Sai che cosa ho fatto? Indovina. Ho compe-
rato un frigidaire . Un frigidaire? ella aveva escla-
mato. Ma s, per la nostra casa, non la cosa pi utile,
dirai tu, meglio la camera da letto o la batteria di cucina.
S, lo so, avresti ragione di dirlo, ma era molto bello, e
poi, ti dir, venuto a propormelo un mio amico, un ca-
ro vecchio amico, che fa la fame, lui, la moglie e due fi-
gli, due gemelli; figrati! Ma anche molto bello, sai?
tassicuro: fa il ghiaccio tutto a cubettini; non mi guar-
dare cos, Emanuela! Lho avuto a rate . E rideva. Co-
me dirglielo dopo questo? Altra volta... S, quella volta
era stato penosissimo. Lei aveva cominciato cos: Ti
piacciono i bambini? E lui aveva risposto duramente:
Li detesto; mi piacciono soltanto quando piangono
perch allora li portano via.
Adesso, ad ogni costo, avrebbe parlato; ma prima,
pensava malignamente, avrebbe fatto capire ad Andrea,
quanto era cospicua leredit del babbo. Dopo... ecco,
non sapeva come cominciare, tutto l, le prime parole, e
poi le cose vanno da sole. Si sentiva vincolata dai nume-
rosi legami, perseguitata da un destino avverso; la morte
di Stefano e la bambina, tante altre ragazze fanno le stes-
se cose senza cos gravi conseguenze, tutto era sempre
stato contro di lei. Forse il suo carattere, con quel rina-
326 Letteratura italiana Einaudi
scere continuo di speranze e di entusiasmi, era la prima
cosa che aveva contro di lei. Altre Silvia aveva detto
si fanno portare dal vento. Ora ecco, il vento laveva
portata fin qui, bisognava decidersi, agire. Temeva che
Andrea labbandonasse, non volesse sposare una donna
con un passato: aveva udito spesso questa frase quando
era pi giovane, Una donna con un passato. Ed ella si
figurava una donna formosa e matura, con un gran cap-
pello guarnito di piuma, fine ottocento. La donna con
un passato non poteva esser lei, venticinque anni, tacchi
bassi, pensionante dellistituto Grimaldi. Eppure era
cos; nulla pu distruggere, annientare un passato: tu ac-
curatamente lo nascondi, lo occulti, nessuno ha visto,
nessuno ha saputo, fuorch te stessa, e tu non parlerai
mai. E invece sguita a vivere, il passato, ti vincola e ti
nega il futuro e tu stessa finirai per parlare un giorno, lo
risolleverai, lo scuoterai dalla polvere, eccolo il tuo pas-
sato, e ti accorgerai ch vivo, che sei venuta costruendo
la tua vita su quello come una farfalla il bozzolo. Chi lo
dimentica? Nessuno pu dimenticarlo. Forse il passato
la sola cosa veramente immortale.
Perch lho fatto? Emanuela si chiedeva. In fondo
non era stata molto innamorata di Stefano, e i sensi si
dovrebbero vincere; sembra, almeno a distanza, che si
possano vincere; il passato, appunto perch gi passato,
appare semplice e piano: eppure soltanto dopo averle
vissute si giudicano e si pesano esattamente le cose. Do-
mani questora di oggi sar il passato. Bisognerebbe
sempre essere sicuri di non rimproverarselo.
Adesso bisogna tornare a Roma e dire: Senti, An-
drea o scriverglielo. Ecco, aveva trovato: pi facile,
molto pi facile, scriverglielo. Salz per prendere la car-
ta, farlo subito. Ma no: cos egli rileggerebbe tante volte
la lettera e la cosa ingigantirebbe attraverso le stesse pa-
role di lei. Bisognava dirlo come una cosa semplice. E s,
poi, alla perduta, mi lascer.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
327 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ma non voleva che la lasciasse.
Cera sempre in lei un sentimento indefinito che le fa-
ceva desiderare a volte la pace, a volte la spingeva a
sfuggirla, liberarsi dalla monotonia. Si fabbricava a fati-
ca un affetto, una certezza; ma non aveva forza abba-
stanza per trattenerlo, se lo lasciava sfuggire di mano e,
dopo, neppure se ne disperava, constatava soltanto la
desolata vacuit della sua esistenza senza porto, senza
aspirazioni. Nulla di quanto aveva vissuto laveva soddi-
sfatta; cambiava per trovare qualcosa che la soddisfaces-
se, ma la scontentezza era in lei insieme a una profonda
nostalgia di darsi tutta agli altri, patire per gli altri, sacri-
ficare la propria esistenza per il benessere di qualcuno.
Adesso andava costruendo un mito attorno alla figura di
suo padre; ne parlava a voce bassa, a occhi sgranati, con
venerazione. Finch era vivo: buon giorno, buona sera.
E ci che le dava inquietudine era linconsapevole cer-
tezza di non avere ancora scoperto nulla di s, lattesa di
questa rivelazione.
Firenze le era divenuta insopportabile, la casa senza il
pap; mamm teneva sempre le persiane chiuse, la luce
bassa; sera ripiegata su se stessa, la si udiva certe volte
parlare ad alta voce nelle sue camere, da sola. Il freddo e
il silenzio invadevano la villetta; forse Emanuela avrebbe
dovuto restare vicino a mamm; ma si erano sempre ca-
pite cos poco, lei era nata quando la madre era gi an-
ziana, cera tra di loro una inevitabile distanza di idee. O
forse era vecchia soltanto perch era la mamma. Stefania
aveva chiesto ad Emanuela un giorno: Mamma, mo-
strami qualche tua fotografia, di quando eri giovane .
Emanuela aveva riso mentre la bambina la guardava se-
ria, senza comprendere quella improvvisa ilarit. Pi
tardi Emanuela cap che la figlia aveva ragione. Le ma-
dri hanno unet unica: non ci sono madri giovani, ma-
dri vecchie, madri belle o brutte: ci sono le madri.
Adesso mamm sarebbe rimasta proprio sola: biso-
328 Letteratura italiana Einaudi
gnava almeno offrirle di restare; Emanuela glie lo disse a
tavola interrompendo il silenzio di quei loro tristi desi-
nari, senza neppure guardarla, cercando col cucchiaio le
stelline della minestra, vedendo il proprio viso riflesso
nel brodo ondeggiare pieno dombre nel fondo della
scodella.
Mamma, vuoi che rimanga con te?
La madre, crollando la testa, rispose: No, ti ringra-
zio, figlia mia.
Ma s, rimango, sei sola; ormai non siamo pi che io
e te.
Di nuovo la madre ebbe un cenno di diniego: No
fece: sono stata sempre sola. Tu non sei mai stata pro-
prio mia, se ti facevi male, anche da bambina andavi da
tuo padre. Non so perch, questo; stata la pi grande
pena della mia vita. Ho patito tanto; quando te ne sei
andata, per me stato come la prova generale della mor-
te; e adesso che mi sono abituata voglio restare sola dav-
vero.
La mamma, dunque, aveva sempre capito, aveva te-
nuto segreto in s un pensiero fisso. La sua vita sembra-
va essere soltanto nelle mani che facevano interminabili
lavori a maglia nellombra del giardino. E nessuno aveva
mai sospettato che, invece, covasse quel suo cruccio, lei
sempre cos docile, sempre pronta ad accorrere, a giova-
re agli altri.
Emanuela la guard per scoprirla in questo nuovo
aspetto coraggioso, ma la mamma aveva chinato di nuo-
vo la testa sul piatto: di lei si vedeva solo la testa grigia
con la scriminatura rada dei capelli sulla pelle bianca e
lucida.
*
Xenia giunse di sera a Nizza pilotando lei stessa lau-
tomobile. Disse il suo nome al portiere:
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
329 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Bene arrivata, signora baronessa . Dietro di lei sali-
rono numerosi bagagli.
Va bene la camera?
Benissimo.
Appena fu sola, Xenia prov un senso di sollievo, di
riposo; lungo e faticoso il viaggio, lattenzione tesa dalla
strada tutta curve e la lunga sosta alla frontiera, quellor-
rido del ponte San Luigi, dove, dallaltra parte, non era
pi Italia. Dalla finestra, si vedeva illuminato il lungo
viale di palme, qualche lume cera sul mare: Xenia, stan-
ca, si sedette sullorlo del letto presa dalla gioia di abita-
re una camera tutta sua; ogni cosa le piaceva, anche i
tendaggi sbiaditi. Perch era sola e tranquilla.
Fece colare lacqua nella vasca da bagno. Poi trasse
da una valigia gli oggetti per la notte, gli oggetti da tolet-
ta; erano oggetti assai belli, davano piacere a toccarli.
Guard le altre valige chiuse e mentalmente rivide quel-
lo che contenevano. Soddisfatta strinse le mani luna
contro laltra golosamente.
Oltre la porta sudivano passi sul tappeto del corri-
doio, gente scendeva le scale. Nessuno poteva fermarsi a
bussare, nessuno la conosceva; e questo pensiero faceva
fluire in lei una gran pace.
Niente di pi tonificante che un bagno caldo quando
si stanchi: Xenia beata guardava il breve laghetto az-
zurro immobile. Sorrideva senza ragione, sorrideva
guardandosi nello specchio e gli occhi neri erano stel-
lanti. Gett nellacqua una pallina verde che si sciolse
spandendo un grato odore di spigo, aspir forte, poi im-
merse la mano, colma dacqua la risollevo, lodor e di
nuovo sorrise. Piano mise i piedi nellacqua, e, nuda, si
sedette sullorlo della vasca, poi agit piano le gambe,
indolentemente come fanno i bambini. Le pareva che
tutta la sua felicit, il suo benessere potesse essere rac-
chiuso in quellingenuo gesto di muovere i piedi di qua e
di l, lasciar cadere le gocciole, vedere le unghie rosse
330 Letteratura italiana Einaudi
trasparire nellacqua sul fondo della vasca, sotto lacqua
verdazzurra. Tanti anni fa, quanti anni?, andava a mette-
re i piedi, cos, nellacqua del torrentello che scorreva al
limite delloliveto; Xenia vi entrava cauta tirando su la
vestina di frustagno e passeggiava guardando gi: cera-
no sul fondo ciottoli bianchi e politi; ma lacqua era geli-
da ed ella poco dopo era costretta ad uscire fuori perch
la pelle delle caviglie le formicolava per il freddo. Una
volta, sullorlo del campo confinante saffacci unaltra
bambina della sua et che prese a guardarla con occhi
incantati; lei allora si ribell: Perch mi guardi? va via
. Ma quella timida disse: Voglio fare come te . Xenia
dopo averla considerata rispose sprezzante: Non ti di-
vertiresti . Laltra aveva gambe tozze e scure. Xenia
adesso pensava: Forse unaltra non sarebbe felice come
me per un bagno; cos in fondo, un bagno? e cosera
quel torrentello?. Si lasci scivolare in ginocchio, poi
con un brivido si stese.
Perch in questo periodo pensava cos spesso a quan-
do era bambina? Ricordava sempre che da piccola certe
volte dubitava di esistere. Vivo? si chiedeva: Vivo
davvero? e toccava un oggetto per essere sicura che
quella sensazione del tatto fosse sua, si meravigliava di
poter vedere le cose, e finalmente tossiva, o diceva ad al-
ta voce il suo nome: Xenia per udirsi. Esistere, o
meglio averne la coscienza, le sembrava miracoloso, tale
pensiero a vicenda lossessionava o la inebriava; questo
fino a dodici o tredici anni: poi non vi pens pi. E
adesso tornava di nuovo. Era proprio lei, Xenia Costan-
tini, immersa in quel bagno profumato, nel pi grande
albergo di Nizza? Era sua quella macchina in garage, la
pi bella macchina di Milano? A lei le sartorie pi ele-
ganti avevano mandato scatole di vestiti? Suo quel titolo
che ormai pareva vero: Baronessa Costantini? Cose che
si leggono nei romanzi. Alcune volte leggendo, nel prato
incontro alla casa dove sventolava quel gruppo di pioppi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
331 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
bianchi, pensava che a lei certe cose non sarebbero capi-
tate mai, finch fosse rimasta chiusa in quel paese; e tut-
tavia era sicura del suo avvenire, si sente nel petto un de-
stino straordinario, pesa di pi. Ogni cosa le riusciva
facile, studiava poco ed era la prima sempre, senza sfor-
zo; appena fu adolescente saccorse che tutti gli uomini
la guardavano, guardavano lei anche se era in compa-
gnia di altre sue amiche pi compiutamente belle. Dopo
le prolungate soste in lettura rientrava esaltata, accesa,
era ci che sua madre chiamava: montarsi la testa con i
libri. A casa le cose andavano sempre peggio, spesso
non cerano neppure i soldi per comprarsi le scarpe. Fu
lei un giorno a decidere: Cos non si va avanti, voglio
lavorare . Pap e mamm si guardarono, ma ella era ri-
soluta: aveva finito il liceo, sarebbe entrata in universit.
Misero lipoteca sulla vigna, si decise che pap non
avrebbe pi fumato, mamm avrebbe risparmiato sulla
spesa. E part.
Adesso chiudendo gli occhi pensava a quante amiche,
al paese, avevano sposato uomini di laggi, che andava-
no allosteria, la sera, stanchi rincasavano, le prendevano
assonnate: e ogni nove mesi un figliolo. Apr gli occhi
per guardarsi il ventre liscio e bianco. Lacqua ondulava
attorno a lei. Da bambina si lavava con lacqua fredda in
una catinella di zinco; forse, certe volte, per timore del
freddo restava anche un po sporca. S, s, restava anche
un po sporca. Rise a questo pensiero. Fece schizzare
lacqua coi piedi, grondante salz e tese le braccia in al-
to con infinita soddisfazione.
Si stese nel letto ghiottamente: questa era la pi bella
sua sera, la prima sera di vera felicit. Se un uomo fosse
entrato nella stanza, il miglior uomo del mondo e avesse
voluto baciarla, ne sarebbe rimasta profondamente an-
noiata. Vi sono donne fatte per vivere in due, altre per
vivere sole. A lei, di tutti i piaceri questo solo pareva de-
lizia ineffabile: godere di se stessa, della sua compagnia,
332 Letteratura italiana Einaudi
della sua immagine; niente poteva soddisfarla di pi; ci
sono donne che farebbero pazzie per un uomo. Oh, no,
no, per carit, distruggere il proprio benessere, la pro-
pria calma per un uomo! Gli uomini sono piacevoli
quando si accontentano di alcune ore della giornata; ma
un uomo, invece, invade la vita di una donna dal mattino
alla sera. Come dire ad un uomo: Non posso stare con
te oggi, vorrei leggere questo libro? un piacere spesso
superiore ad ogni conversazione. Leggi, leggi pure egli
risponde: Io sto qui, taspetto. Ma lessere vincolata a
quellattesa distrugge anche la gioia del pensiero. Lui so-
lo si serba una via duscita. Si chiude nel proprio studio,
dice: Adesso io lavoro . Spesso proprio in un momen-
to nel quale la donna avrebbe voglia di chiacchierare.
Come possono vivere in armonia due egoismi? Xenia ri-
conosceva di non possedere, in fondo, nessuno spirito
davventura; ne aveva avuto finch era necessario per
conquistarsi la possibilit di dormire in un letto morbi-
do, sotto un copripiedi di piuma, avere attorno un im-
mobile silenzio vegliato dalla lampada che spande tanto
di luce che basti a illuminare il libro aperto. E ora che
aveva finalmente ottenuto tutto questo, anche ci che
davvilente era nella sua avventura le parve giustificato.
Ma non poteva leggere; il benessere fisico sommerge i
gesti, anche i pensieri: abbass le braccia sulle lenzuola,
un fresco benefico le sal fino ai gomiti, poi strofin i
piedi luno contro laltro e chiuse gli occhi. Certa gente
pensa che la felicit venga soltanto dallamore; ella era
profondamente felice eppure non si era mai innamorata.
Dino, Dio Dio, povero Dino, tra un mese andr la cau-
sa! S, Xenia riconosceva, ella non era mai stata innamo-
rata che di se stessa.
Il sonno sarebbe sopraggiunto come uno sfinimento,
lei non avrebbe mai avuto la forza di alzare il braccio
per spegnere la luce: lavrebbe presa cos distesa, il libro
tra le mani. S, veramente tutto ci che aveva patito
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
333 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
scompariva di fronte a quel solitario benessere. Tutto,
pens. Poi improvvisamente, sotto le palpebre abbassa-
te gli occhi le si allagarono di pianto.
No, tutto no, non tutto. A Milano cera Horsch. Hor-
sch tanto preso di lei. Era un uomo piacevolissimo e lei
gli doveva tutto: la macchina, il conto in banca, il bril-
lante, i vestiti, la villa che aveva affittato, tutto, anche il
passato, il titolo, anche quellalone di donna perbene
che egli aveva saputo creare attorno a lei. Ma poi cera la
notte. Erano quelle ore notturne che la terrorizzavano.
Ormai ogni sera uscivano insieme. Si diceva a Milano:
Horsch e la baronessa, come una sola persona: Xenia
sapeva tutto, dei piccoli, dei grossi affari, egli non agiva
mai senza domandarle consiglio. Gli affari di Raimondo
erano ormai affari comuni di loro due. Due sere la setti-
mana Horsch restava con lei; e fin dal mattino Xenia co-
minciava a inorridire per quel momento; neppure i ve-
stiti e la macchina dissipavano il suo malumore.
Laffettuosa amicizia che aveva per lui si tramutava: co-
minciava a odiarlo da quando chiudeva la porta della ca-
mera dietro di loro. Le mani di lui, i suoi gesti calmi,
quelladorazione sottomessa che era nel suo modo di
guardarla, 1inorridivano. Al buio, mentre egli la cerca-
va, gli occhi le si dilatavano per lorrore e avrebbe volu-
to gridare; tutto dentro di lei gridava ed era strano che
non sudisse quellurlo disumano che si strappava in lei,
di repulsione. Dopo, egli dormiva e lei si teneva disco-
sta, sveglia, temendo che nel sonno quel disgusto la co-
gliesse di nuovo in un incubo. Desta, immobile, vedeva
nascere le prime luci. Egli la lasciava presto al mattino,
le faceva una carezza sulla fronte, la baciava castamente
sui capelli. Sorridendo stanca, come dopo una lunga
malattia, lei lo salutava affettuosamente: Ciao, Rai-
mondo . E chiudeva gli occhi e si sentiva alleviata, in
convalescenza, e si lasciava prendere da quellineffabile
benessere della solitudine. Saddormentava serena.
334 Letteratura italiana Einaudi
Serena come ora, con sulla gota una lacrima che,
asciugandosi, aveva formato una macchia tonda opaca.
Nei giorni che seguirono Xenia si divert a scoprire le
novit di quella vita. Provava una dolce e lieve storditez-
za a passeggiare nelle strade tepide di sole, dopo il bru-
moso inverno a Milano; era divertente essere allestero,
sola, parlare francese, ritrovare facilmente le parole.
Comperava molti oggetti, silludeva che fossero a buon
mercato, unoccasione. Al mattino si svegliava con entu-
siasmo, decideva accortamente il programma della gior-
nata, poteva fare quello che desiderava, era libera, dopo
poco poteva cambiare idea, se voleva, le giornate erano
sempre troppo corte per tutto quello che aveva voglia di
fare. Di sera andava a teatro sola, rientrava a piedi in al-
bergo. Ogni gesto poich non dipendeva che dalla sua
volont le appariva colmo di fascino. Finalmente, stan-
do sdraiata sul balcone, poteva contemplare a lungo il
mare. Si disegnava in cielo un esile quarto di luna. Come
quando era bambina, Xenia godeva nellabbandonarsi
alla consapevolezza di esistere.
Dopo pochi giorni aveva contratto alcune amicizie:
una signora olandese, matura e ancora bella con due fi-
gliole da marito, due figliole strabiche; bei corpi, bei ca-
pelli, bei denti, ma gli occhi storti e quella disorientante
tristezza degli strabici. Vederle accanto raddoppiava la
sciagura; era come se ognuna di loro avesse quattro oc-
chi storti. La madre, invece, aveva occhi celesti pieni di
rattenuta inquietudine. Ella camminava sempre un pas-
so avanti e le figlie la seguivano guardando in quel loro
mondo strampalato. Invitavano molta gente in albergo,
molti uomini giovani; ma quelli, invece, si mettevano a
corteggiare la mamma. E lei finiva col cedere, forse spin-
ta dal sentimento di fare quello che poteva per irretire
un buon partito alle figliole le quali facilmente si sotto-
mettevano a quella superstite prepotenza di giovent.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
335 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Per il senso del dovere presto ritornava alla madre che,
pentita, lasciava subito andare il nuovo amante.
Le ragazze, poco dopo che Xenia era arrivata in al-
bergo linvitarono di lontano con sorrisi; quando la co-
nobbero la circondarono di affetto: erano due creature
adorabili. Xenia aveva poco pi della loro et; cos gio-
vane gi vedova! per confortarla le carezzavano le mani,
povera baronessa! Quel difetto fisico, invece di renderle
maligne, le rendeva angeliche; correvano incontro a Xe-
nia e la prendevano sottobraccio una di qua e una di l,
facendole le feste come due cagnolini. E Xenia godeva
della loro spontanea sottomissione.
Le tre olandesi abitavano a Nizza quattro mesi allan-
no; la madre giocava al bridge, le figlie giocavano al ten-
nis. Fu con loro che Xenia conobbe Maurice.
Maurice de Langes aveva ventisette anni ed era cam-
pione di Francia di tennis. Xenia, sapendo questo, lo
guard con aria di compatimento: come si pu credere
di aver raggiunto qualcosa nella vita per il fatto che s
tirata con pi abilit degli altri una palla di gomma di l
da una rete? Perci dapprima lo giudic fatuo e di limi-
tata intelligenza. Parl con lui appena per educazione,
ma alla fine della serata, aveva dimenticato che egli era
anche campione di tennis e pensava solamente che era
un ragazzo molto intelligente.
Maurice parlava di argomenti profondi con aria in-
fantile: sembrava che discutesse di cose superiori e ina-
datte alla sua et. Il suo viso non era proprio bello: aveva
occhi neri e scavati che vibravano di luce calda. Non era
molto alto, ma aveva il corpo agile, svelto. Dissimile da-
gli altri giovani della sua et, non ballava mai, parlava
poco di s e della sua destrezza, usava un tono moderato
di voce. Non faceva nulla tutto lanno; viaggiava. E i
viaggi erano per lui una vera occupazione intellettuale:
ne discorreva con spirito acuto che dava rilievo e colore
alle cose vedute. Xenia in principio gli parl di tennis
336 Letteratura italiana Einaudi
credendo che quello fosse per lui lunico argomento in-
teressante; egli rispose senza spavalderia; trovava lo
sport ottimo per la salute e si faceva perdonare facil-
mente di essere pi bravo degli altri. Poi egli cominci a
parlare dellItalia e degli italiani: era ella pens il so-
lo francese che parlando dun popolo straniero non tin-
gesse le sue parole di condiscendenza e dironia. Non
conosceva i bar degli alberghi di Roma, n esaltava le
canzonette napoletane; parl invece dellantica pittura
italiana. Alla fine spieg: Dipingo . Disse questo con
semplicit, giocando con le mani, per far intendere che
la sua arte non valeva gran cosa, appena un passatempo.
Eppure per un rossore che gli sal alla fronte Xenia cap
che quella sola cosa veramente lo interessava.
Maurice de Langes, che qualche volta giocava al ten-
nis con le ragazze olandesi, andava a trovarle allalbergo,
di sera, si sedeva e ascoltava ci che gli altri dicevano,
spesso senza interloquire. Da quando Xenia era nel
gruppo egli sempre cercava di sedersi accanto a lei: se il
posto era occupato se lo conquistava a poco a poco con
una sorta di astuta tenacia. Di buonora le due ragazze
salivano a coricarsi; salutavano la compagnia, le vecchie
dame con un inchino, abbracciavano Xenia con effusio-
ne. La madre restava a giocare al bridge; i giovani si
mettevano a ballare. Allora Maurice sembrava svegliarsi,
sanimava, parlava con Xenia, la incitava a raccontare.
Una sera lei and al teatro e lui il giorno dopo le fece:
Non vi ho trovata iersera . Poi sorrise impacciato e la
ragazza pens che non sarebbe andata pi al teatro.
Rientrata in camera sua, quella stessa sera, Xenia an-
dava chiedendosi che cosa intendesse fare con lui. In-
tanto si spogliava, riponeva gli oggetti, per convincersi
che quel pensiero non occupava tutta la sua mente. Un
ragazzo pensava niente altro che un ragazzo. Per
sinteneriva ricordando quel modo di ridere di Maurice,
che esplodeva improvvisamente, risuonava un attimo,
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
337 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
secco e nervoso, e rapido si placava, lasciando negli oc-
chi di lui un sorriso evanescente come la spuma di
unonda che si ritira sulla sabbia. Un ragazzo. E per
adesso lamore per la solitudine diveniva frettoloso, le
ore della giornata le parevano interminabili, prendeva in
macchina le due ragazze e andava in giro con loro, spe-
rando di incontrare Maurice. Durante il giorno chiss
dove si nascondeva. Forse avr unamica, naturale al-
la sua et, avr unamica. Lui invece spieg che a
quellora dipingeva.
Molta gente in albergo ballava fino a tardi, la notte; la
musica suonava ininterrottamente, dando appena un
minuto di respiro. E le coppie affaticate parevano trasci-
nare attorno per la sala lo sforzo di divertirsi. Quelli che
non ballavano, guardavano, seduti a tondo intorno alla
pista. Le coppie giravano come figure dun carosello;
sallontanavano, ritornavano, sallontanavano sorriden-
do, sorridendo ritornavano. Il fumo stagnava nellaria,
come una nuvola afosa.
Senza darsi pi pensiero della gente, Xenia e Maurice
sisolavano; passavano sotto gli occhi delle ragazze stra-
biche che sorridevano loro con simpatia e andavano a
sedersi in un angolo. Parlavano a lungo, di cose perso-
nali, per quellansia di conoscersi che domina i primi in-
contri. Egli raccontava della sua infanzia, ricordava il
rammarico provato, da ragazzo, quando sua madre non
voleva farlo scendere in cortile a giocare con gli amici.
Aveva a momenti arie di ragazzino per bene che ancora
risentivano di quella proibizione; se ricordava quel fatto
era perch senza avvedersene se ne accorava ancora:
certi dolori infantili incidono tutta la vita.
Ero, da bambino, piuttosto taciturno, amante della
solitudine raccontava mi credevano malaticcio, per-
ch, per raccogliermi nel mio silenzio, dicevo sempre di
avere il mal di testa. E non capivano: i grandi non capi-
scono mai i bambini. Certe volte mi accadeva di sentir-
338 Letteratura italiana Einaudi
mi sdoppiato, unaltra persona si staccava da me, non
unombra, ma una creatura vera, viva, con un suo nome:
Ren. Sapete chi era Ren? Un personaggio creato dalla
mia fantasia, lessere, in certo modo, che io sarei voluto
divenire. Pittore, naturalmente. Io passavo con la mam-
ma lungo un fiume, ad esempio, e Ren mi camminava
accanto con nobilissimo passo, composto. Cerano sul
fiume mobili chiazze dombra, o vi si specchiavano lam-
pioni che per londulare dellacqua sembravano pallon-
cini legati a un filo. La mamma non mi permetteva mai
di fermarmi, mi tirava pel braccio, Ren, invece, apriva
la scatola dei colori, sappoggiava sul parapetto per di-
pingere. E io, sapendolo l, beato dellarte prediletta,
mallontanavo consolato, in me una soddisfazione di
vendetta compiuta . Poi arrossiva e si scusava: Scioc-
chezze, vero? ma ero cos. Voi siete la prima persona al-
la quale racconto queste cose. Lunica.
Chiese a Xenia perch avesse quel nome, se le venisse
da qualche parente russo.
Russo? oh, no, no. Mi chiamo cos da un romanzo
che mia madre leggeva quando aspettava che nascessi,
leroina di un romanzo che le piacque . E pens che
molte cose nella sua vita erano dipese dal fatto di porta-
re, in un paesetto, quel nome straordinario. Tutti se ne
sorprendevano: Xenia? ti chiami Xenia? che nome ?
E poi: Brutto dicevano o Bello o Buffo, ma in-
somma dicevano qualche cosa; era un nome raro che si
scriveva con una consonante rara; certi nomi sono impe-
gnativi, non si pu portarli come altri pi semplici.
Xenia Maurice disse vuol dire straniera.
Egli parlava senza smettere dinterrogarla con lo
sguardo, attonitamente rispettoso. La musica suonava e
loro tacevano a lungo. Xenia appoggiava la testa sul di-
vano. Stando cos egli una sera le prese la mano, lieve-
mente, come per gioco.
Ormai non potevano pi stare separati; la grande
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
339 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
macchina di Xenia rimaneva in garage; .Maurice veniva
a prenderla con la sua piccola macchina francese, vec-
chiotta, che usava chiamare sorridendo: Ma bonne
lose. Andavano a spasso, parlavano avidamente co-
me per rifarsi del tempo passato lontani. Xenia era pro-
prio orgogliosa che lui fosse campione di tennis, Mauri-
ce era cos magnificamente giovane.
In fondo egli diceva la vita che faccio non quel-
la che vorrei. Mi piacerebbe abitare unantica citt di
provincia, in una casa alla Proust, piena dombre e col
granaio, avere un grande studio, mobili scuri massicci, e
un soffitto a volta, altissimo, che si perdesse. La finestra
sulla corte, una corte con la fontanina, o un pozzo come
dinanzi a certe case di Venezia. E l starmene a lavorare,
suonare il violoncello. Questo vorrei, e invece che fac-
cio? ho bisogno della doccia, dellautomobile, vedo gen-
te, mi ci diverto, e la vita che faccio in fondo mi soddisfa.
Ma cos per tutti, credimi. Nessuno contento
della propria vita, idealmente sempre ne cerchiamo una
migliore, eppure da quella che viviamo non usciremmo,
perch s venuta formando sul nostro carattere, a no-
stra insaputa. Laltra non che unaspirazione estetica.
Non so. Per me non cos, forse. Io porto in me da
anni questo desiderio di abitare una vecchia casa mia.
La mia famiglia, un tempo, aveva un castello nel nord
della Francia, in Vandea. Conosci laVandea? Un popolo
duro, segreto, puoi vivere in mezzo a loro cento anni,
mai li comprenderai bene. Il sabato e la domenica si pu
visitare il castello. Io ho voluto andare a visitarlo in uno
dei miei viaggi, ma sono rimasto male quando ho dovu-
to pagare lingresso. Pagare per entrare nella casa dei
miei. C ancora lo stemma nella corte, il nostro stem-
ma... Ho girato ore e ore nel castello, solo, dai sotterra-
nei alla torre, ho visitato tutto minutamente. I muri mi
chiamavano. Dalla finestra della torre si dominava il
parco boscoso, si scorgevano montagne ferrigne e nude:
340 Letteratura italiana Einaudi
ma il parco era cos bello, e il prato dolce e invitante, e
lacqua del fossato cos chiara e luminosa che sentii sor-
gere in me limpeto di buttarmi gi. Fu un attimo, non
so come mi trattenni.
Perch volevi farlo?
Non so. Credo che fosse perch la mia vita, di fronte
alla vita di quel castello, nel quale gente del mio sangue
aveva vissuto, aveva lasciato traccia, la mia vita presente
mi sembrava desolatamente vuota. Che cosa ho raggiun-
to finora? So fare tante cose, ma nessuna perfettamente.
Dipingere. Non ho avuto nessun vero successo. Certe
volte penso: Gli altri riescono perch hanno fortuna.
Si ha sempre paura di riconoscere che gli altri riescono
per ingegno. Sono un mediocre pittore, io; e la medio-
crit in arte mi inorridisce. So giocare bene a tennis... ma
che conta il tennis? che cosa conta nella storia !abilit di
un giocatore di tennis? in me c talvolta lo spirito dei ca-
valieri di ventura, talvolta quello del provinciale: viaggio,
marrischio, s, ma in fondo mi piace avere il pane sicuro.
Una contraddizione sono, tutto una contraddizione.
Quando sono occupato in opera dello spirito, il corpo si
ribella e chiede laria, il sole: quando faccio lo sport pen-
so ai quadri che sono incompiuti, alle bellezze che sono
pel mondo e che non conosco. Erano meno distratti di
noi, negli altri secoli. Oggi molto difficile essere giova-
ni, appunto perch tutto tanto facile e vario. Insomma
non c nulla di intero e valevole in me se non lamore
che ti porto . Ed era questa incertezza di lui che ella
amava, lentusiasmo con il quale cercava di conoscersi e
quella limpida chiarit che gli illuminava gli occhi.
Dimmi del tuo passato Maurice le chiedeva spes-
so: Ti sei sposata molto giovane...
Molto lei rispondeva. E subito divagava, non sape-
va mentirgli, raccontare la solita storia, no, no, a lui no.
Niente, Xenia pensava, niente contava pi se non lui,
Maurice, i suoi occhi, la sua nuca magra, le labbra che
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
341 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
parevano imbronciate. Ascoltare Maurice parlare, anda-
re con Maurice nella vecchia vetturetta in gita fino a
Cannes, fino ad Antibes, vederlo muovere con quei gesti
graziosi e misurati. Amarlo senza pensare a nulla, beati
come quando si soli.
Egli abitava una casetta remota, nei giardini prossimi
al campo di corse.
Vieni? le chiese.
S, verr Xenia promise. E lui non chiese quando;
alla fine del mese Xenia sarebbe partita. Ma Maurice
non se ne rattristava. Che importa? diceva io verr
a Milano, ti prendo sulla macchina, facciamo dei piccoli
viaggi. Io potr rimanere anche un mese, due mesi a Mi-
lano. Tu verrai a Nizza ogni inverno . E lei prometteva
s, s che questo era molto facile.
Maurice non sapeva che cera Horsch a Milano, che
aveva la chiave della villa, che senza di lui Xenia non sa-
rebbe stata la baronessa Costantini, senza di lui mai
avrebbe messo piede a Nizza, a lui doveva i vestiti che
metteva per piacere a Maurice e tutto il resto. Raimondo
laspettava e non si poteva continuare cos, bisognava fi-
nire. Perch, vivendo con Maurice, Xenia aveva scoper-
to qualcosa di molto importante nella vita: la giovent.
Xenia aveva soltanto ventitr anni, ma non doveva abi-
tuarsi al sapore della giovent; dopo, non avrebbe pi
sopportato di rinchiudersi in una vita di benessere pura-
mente materiale. Solo essendo lamante di Horsch pote-
va avere lamore di Maurice, egli lamava come ella era;
credendola ricca, le proponeva cose e viaggi costosi; di-
segnava di recarsi con lei in Argentina; voleva andare l
per dipingere certi laghi stretti e lunghi come fiordi, che
riflettono la neve vergine delle montagne. Desiderava
costruirsi una casa in una penisola che si chiamava Llao-
Llao. Ma, pensava Xenia se avesse saputo la verit,
Maurice lavrebbe lasciata con la intransigente durezza
dei giovani: Non sopporto che un solo dei tuoi pensieri
342 Letteratura italiana Einaudi
non mappartenga le diceva sovente. E Xenia non po-
teva dargli nulla, perch nulla di lei le apparteneva, nep-
pure il passato. Vicino a Maurice si sentiva giovane co-
me certe sere al collegio quando si mettevano tutte
insieme a ridere, a cantare. Le suore aprivano la porta,
intimavano il silenzio e loro non potevano smettere,
qualcosa era pi forte della loro volont di ubbidire; co-
s come lei e Maurice avevano tentato il primo tempo di
nascondersi, e poi non era stato possibile. Ma la gio-
vent che si viveva in collegio era una giovent com-
pressa, porte e finestre sbarrate, unattesa afosa, mai un
filo daria nuova: con Maurice invece era lespandersi
fresco, vivace, rigoglioso della giovent.
No. Xenia poteva avere tante cose, ma a questa dove-
va rinunciare. Se no, mai pi avrebbe potuto trascorrere
una sera nella foresteria del circolo tra le vecchie pance
degli industriali, ascoltando i discorsi di Horsch, mai
pi toccare le mani flaccide di lui, la grassa bocca. Il gri-
do di repulsione che da tempo tratteneva in s sarebbe
esploso, e lei gli avrebbe gridato in faccia: Vattene,
vattene, ho ribrezzo di te! Poi avrebbe gettato il nome
di lui, forte: Maurice! come per difendersi. E Hor-
sch, dopo averla salutata con un inchino, avrebbe chiuso
silenziosamente dietro di s la porta della villa, lavrebbe
abbandonata, e la vita di Xenia sarebbe rotolata nel
buio. Era buono, Raimondo, non meritava che lei lo in-
gannasse. Certi aspetti di Horsch le sfuggivano, capiva
che molte cose nella vita di lui le sarebbero rimaste sem-
pre sconosciute e per sentiva che, in fondo, a lui soltan-
to ella poteva mostrarsi qual era, con la sua ambizione e
la sua rapacia. Raimondo la capiva, cera tra loro due
una segreta affinit: quella darrivare dove si voleva con
qualunque mezzo.
Cercava di convincersi che nulla amava veramente al
di fuori della sua solitudine, del suo benessere. Una ca-
mera nella piacevole penombra e i fiori e il libro e le si-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
343 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
garette e i dolci, immersa in un silenzio soffice: in quelle
ore la pace scendeva su di lei e la bagnava come unac-
qua miracolosa. O viaggiare sola, confusa avanti alla na-
tura, niente mi piace pi della natura, e sentire agitarsi
nel petto le esclamazioni di maraviglia che doveva ratte-
nere e che le scatenavano dentro una grande commozio-
ne. Quando si viaggia in due, dire al proprio compagno:
bello, gi distrugge met dellincanto, gi scarica. E
poi pensava la giovent passa, la bellezza passa, tutti
ci lasciano soli, bisogna abituarsi, prima, a non soffrire
di essere soli. Niente mi piace di pi della solitudine. A
Milano la casa nuova, un morbido divano, il libro, la pe-
nombra, le sigarette, magari uno di quei dischi rochi.
S, s, rinunciare bisognava. Mai andare nella villetta
dei Giardini che Maurice, arrossendo, aveva descritto
ingombra di colori e cavalletti, non pi vederlo giocare
al tennis, i muscoli delle gambe tesi, fuori dei brevi cal-
zoni bianchi, mai pi, mai pi nulla. E questo lango-
sciava. Andarsene sbito. Insistenti, ossessionanti, le ri-
tornavano alla mente alcune espressioni di lui e laria
umile con la quale le chiedeva: Mi vuoi bene?
Pass la notte in un dormiveglia finch piomb in un
sonno profondo; nel sonno le apparve Maurice: la con-
duceva lontano, in Argentina, nella casetta della peniso-
la Llao-Llao, lei piantava i fiori, mentre Maurice faceva i
bagni di sole. Poi sogn che Maurice, disperato per la
sua partenza, voleva gettarsi dalla torre del castello. Sta-
va dritto sul davanzale della finestra, spingeva il piede
nel vuoto. No! Maurice, no!
Di soprassalto si dest: il cuore le batteva furiosamen-
te. Era tardi al mattino; si calm, a poco a poco, su di lei
scese una rassegnata tristezza. Si fece dare Milano al te-
lefono: Pronto...
Disse a Horsch che era stufa di stare a Nizza, domani
incominciava il carnevale, troppa baldoria, troppa gen-
te: se ne tornava a Milano.
344 Letteratura italiana Einaudi
Mi vieni incontro a Genova?
Se vuoi Horsch rispose, nella voce una repressa
gioia, non intaccata dal tono svanito con il quale Xenia
parlava, guardando nel vuoto avanti a s, assente. Do-
mani mattina a Genova.
Rest cos, su queste parole, seduta nel letto, le mani
intrecciate; e aspettava di sentire in s, dimprovviso, il
sollievo della decisione presa. Ecco, fatto, parto, me ne
vado, e mi libero. Invece, dentro di s, nel petto, in gola,
le si formava un nodo che le rendeva faticoso il respiro.
Basta, arrivo a Milano, mi compro tanti vestiti, non c
niente di pi divertente che comprare dei vestiti. Cerca-
va dimmaginare come sarebbero stati questi vestiti e in-
vece rivedeva Maurice seduto al volante della bonne
lose, sarebbe venuto a prenderla nel pomeriggio?
avrebbe provato un gran dolore: Partita? S, partita,
scappata, unaltra fuga, liberarsi di queste pazzie, vedere
la vita com veramente, se seguito a star qui rovino tut-
to. Arrivo a Milano e subito moccupo della villa, orga-
nizzo il bar nella cantina. piaciuta anche a Raimondo
lidea. Com contento di rivedermi, Raimondo! S. Gi.
Ma con Raimondo mai avrebbe potuto fare una corsa in
un prato, sarebbe stata una scena pietosa una corsa in
un prato con Raimondo. Maurice con quei muscoli delle
gambe tesi... Le stava negli occhi adesso il viso infantile
di Maurice. Maurice giovane, anchio sono giovane.
Gi, bella roba, non te la mangi mica la giovinezza! Ve-
ro, vero, ma non era colpa sua se non riusciva a toglier-
sela di dosso questa maledetta giovinezza, se ne era ac-
corta qui, a Nizza, specialmente quando era vicino a
Maurice, dopo che lui aveva giocato a tennis e smoven-
dosi mandava attorno quellodore di buon sudore e sole.
Maurice le aveva chiesto: Vieni da me domani sera?
E lei aveva promesso di andare. A questora sta rasset-
tando i colori. Ci vado, parto dopo, sbito. No, bella
porcheria, e forse dopo non me ne andrei pi. Maurice
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
345 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
diceva sempre: Il primo viaggio che faremo insieme
sar a Siena . Lascio tutto e vado a Siena con Maurice,
tutti ci guardano quando stiamo assieme, io e Maurice.
Raimondo, a Genova, domani, e domani sera viene e mi
chiede: Non sei stanca, vero, cara? Dio, Dio, Dio.
Come fare, Dio, a togliersela di dosso questa maledetta
giovent? Fa bene piangere: solleva; piangere forte co-
me da bambini.
Preparate il conto, per favore.
Volete aiutarmi a fare le valige, per favore?
Fate scendere il mio bagaglio: 118, per favore.
Salita in automobile rest pensierosa, fissando la stra-
da, il mare. Cera molta gente sul viale: e lei se ne anda-
va, aveva fatto tutto a precipizio, ma era assurdo tutto
questo, che sciocchezza! E Maurice? Maurice? Sarebbe
stato meglio rivederlo, parlargli, forse... Bisognava an-
darsene sbito, invece, adesso, senza esitare; e per le
sembrava che questa fuga fosse pi importante e doloro-
sa della prima, come se ella dovesse addirittura fuggire
da se stessa, abbandonarsi per sempre.
Il portiere, con altro personale, era sulla soglia dellal-
bergo, attendeva che la macchina partisse. E Xenia ri-
maneva l, ferma al volante, tentata di scendere. Certo
quelli si domandavano: Che fa? Che aspetta? Ella in-
dugiava. Non era facile andarsene, scappare. Finiva tut-
to con questa partenza. E come avrebbe potuto guidare
se non vedeva chiaro avanti a s per le lacrime che le ap-
pannavano gli occhi?
Maurice mormor Maurice... Maurice...
Accese il motore, tolse il freno, ingran la marcia,
spinse lacceleratore.
*
Mesi e mesi che la guerra durava. Per le tre donne di
via Sistina lattesa era divenuta consuetudine di vita; la
346 Letteratura italiana Einaudi
politica, per Donna Inez, una sorta di mania senile. Ne
parlava con chiunque; se andava nei negozi, parlava del-
la guerra di Spagna al primo venuto: una volta che si
sent chiedere: Anche gli spagnoli si battono in Spa-
gna? ne fece una malattia.
Cani, siamo, cani, niente altro.
Era lei che teneva accesa la vita in casa; le due ragazze
erano malinconiche, il silenzio di Pilar raggiungeva
lostinatezza; non parlavano pi neppure delle loro sof-
ferenze. Adesso che era inverno, non essendo la casa ri-
scaldata, si raccoglievano in un angolo della sala da
pranzo. L avevano riunite le fotografie, gli oggetti pi
cari: Vinca correggeva i compiti degli allievi, accovaccia-
ta accanto al braciere. Le lezioni erano per lei grande sa-
crificio; ma non se ne lagnava. Donna Inez cercava di
scuoterle; le incitava a badare alla casa che, trascurata
talvolta per molto tempo, aveva assunto un aspetto di-
sordinato e poco pulito. Ma gli oggetti erano cos nume-
rosi che il disordine permaneva e le donne, scoraggiate,
nascondevano i bauli sotto vecchi scialli spagnoli, tirava-
no tende con antiche stoffe, rendendo la casa opprimen-
te. A sera rimanevano accanto al fuoco fino a tarda ora,
spesso in silenzio. Nella strada sudiva calare una saraci-
nesca, una voce savvicinava, si perdeva, passava unau-
tomobile e la luce dei fari rapidamente sfiorava la fine-
stra. Da pi di un mese Luis non dava notizie.
Spesso, per consolare le ragazze, donna Inez faceva le
carte. Era come se per lenirle narrasse una favola. Senza
scostarsi dal braciere, stendeva le carte sopra una tavoletta
posata sui ginocchi. Diceva sempre le stesse cose; persona
che ritorna, inquietudine dissipata, lettera. S, lettera, al
massimo entro tre giorni: e mostrava alle ragazze le due
carte unite per rassicurarle. Tre di quadri, due di cuori:
proprio cos, non diceva bugie. E quelle, rassicurate da lei,
attendevano. Eppure donna Inez aveva la pena pi gran-
de da portare: il figlio lontano, quellansia e quel brivido
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347 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
nella carne che provano soltanto le madri, e il continuo
presentimento di qualche disgrazia che le correva per la
pelle, e il vedere quelle due ragazze cos scoraggiate e taci-
turne. Allora lei, quando le vedeva pi abbattute, faceva le
carte; le faceva con seriet anche se Pilar e Vinca, ascol-
tandola, neanche alzavano la testa. Le carte erano divenu-
te le custodi della speranza. Tre di quadri, due di cuori;
posta entro tre giorni. Tante volte erano passati tre giorni:
Luis non aveva scritto, le lettere di Pepe non davano noti-
zie di lui: Pepe era al fronte, Luis a Crdova. Vinca si sen-
tiva distante da lui sbalestrata nellinfinito, e tuttavia ten-
tava di racconsolarsi: Io so come fatto Luis. Non
scrive, e poi un giorno suona alla porta, ritorna. Non tor-
ner al fronte, vedrete, viene qui, deve studiare.
E le altre la incoraggiavano, approvando: Certo,
certo cos, proprio il suo carattere.
Ma stanca dattendere, Vinca disse un giorno: Per-
ch mincoraggiate? Sapete anche voi che non cos,
qualcosa accaduto. tornato al fronte. morto.
Tornando dalle lezioni certe volte andava a letto, sen-
za mangiare. Pilar, entrando in camera, la trovava al
buio, ne udiva il respiro affannato, capiva che aveva
pianto fino allora. Ma non sapendo che dirle, fingeva di
credere che dormisse. Tutto ci che poteva fare era di
leggerle le lettere di Pepe, dove per non vi era detto
mai nulla di Luis: Vinca si rassicurava pensando che se
vi fosse stata qualche cattiva notizia, Pepe ne avrebbe
parlato di certo.
Una volta donna Inz propose cercando di avere un
tono naturale: Andiamo al cinema, stasera?
Non ne aveva voglia, nessuna voglia: quando accom-
pagnava i figli al cinema si metteva tra loro due e son-
necchiava; ma sperava che le ragazze avvedendosi che
esisteva unaltra vita sinvogliassero di tornare a viverla,
e si sciogliessero dal nodo dinerzia angosciosa che le
stringeva.
348 Letteratura italiana Einaudi
Andiamo al cinema, dunque? ripet con un sorri-
so allettante.
Le ragazze, senza darle risposta, levarono verso di lei i
loro occhi tristi: la guardavano per convincersi che vera-
mente aveva fatto simile proposta. E allora lei con
unaria convinta: Bene, disse bene, come volete.
Il giorno dopo arriv una lettera di Pepe: Vinca era in
casa e vedendola nelle mani di Pilar sillumin: soltanto
quando cap che lamica non accennava di rileggerla ad
alta voce, chiese ansiosa: Che dice?
Pilar ripiegando la lettera, rimettendola nella busta
fece: Il solito.
Che cosa?
Niente di nuovo.
E di Luis?
Di Luis?
Gi: e di chi se no?
Di Luis, niente.
Fredda Vinca disse: Non vero.
Donna Inez vedendo lo sguardo della figlia, e la fret-
ta con la quale aveva ripiegato la lettera, cerc di aiu-
tarla:
Ma se ti dice cos perch non deve essere vero?
Vinca senza badare a lei insisteva; si vedeva che forza-
va se stessa per mantenersi calma.
Fammela leggere.
Che dice di Luis?
Niente.
Giura.
Che cosa?
Che non dice niente, niente di Luis.
Ma certo interruppe donna Inez son cose, sai
bene, cose di fidanzati. Lasciala, sua la lettera.
Vinca seguitava a insistere duramente: Giura.
Non necessario.
Fammela leggere, allora e si avvicinava minaccio-
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349 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sa: Pilar infine, cambiando tono implor con dol-
cezza lacrimosa: Ti prego, Pilar.
Non posso.
Allora portandosi le mani al viso Vinca dette un urlo:
morto?
Donna Inez pens che adesso Vinca sarebbe caduta
per terra, fulminata, savvicin per sostenerla, ma, con
maraviglia, vide Pilar, pallida, color di terra addirittura,
scuotere la testa dicendo: No, sta tranquilla, no.
Giura! le grid Vinca.
Giuro.
Vinca le spiava gli occhi incredula, non smetteva di
fissarla, temeva uno sguardo dintelligenza con la ma-
dre. Questa chiese con ansia: Ma che c allora? Non
le pareva possibile che dopo quel viso tragico della fi-
glia, Luis non fosse morto davvero.
Pilar ripeteva: Sta bene. C una cosa.
Non importa Vinca andava ripetendo: qualun-
que cosa, non importa, purch sia vivo. Ma forse hai
giurato il falso: in un caso simile non ha importanza .
Poi la guard fissa dolorosamente e la supplic: Pilar,
qualunque cosa sia, ti prego, anima, dimmi la verit.
Vi fu un silenzio. Le tre donne si guardarono, atten-
devano, Pilar attendeva la forza necessaria per parlare.
Un venditore grid nella strada e quelle tre, cos prive di
volont, lo ascoltarono, seguirono il suo richiamo mo-
dulato, come lunica cosa esistente ed importante. Una
voce che era lombra della voce di Pilar, infine disse:
Ha sposato.
Per due giorni Vinca raccontava a Silvia non ho
creduto che fosse vero, non era possibile; come potevo
credere? Trovavo possibile che morisse al fronte, ma
che si sposasse no, questo mai. Poi ho chiesto a Pilar:
Chi , lei? Non so; Sol de Montalvo si chiama, una
del suo paese. E allora ho capito che era vero. Sai?
350 Letteratura italiana Einaudi
quella. Era sempre rimasta, dunque, nella sua vita. Una
piccola storia, la nostra; non laveva toccata. Era vero.
Parlava come unallucinata. Silvia laveva trovata se-
duta per terra, in vestaglia, davanti un mobiletto dal
quale traeva le lettere di Luis per rileggerle. Non si sape-
va che cosa dire per confortarla. Se Luis fosse morto sa-
rebbe stato pi facile, assai pi facile, trovare parole di
consolazione. Poich alla morte il loro amore sarebbe
sopravvissuto; le si sarebbe potuto dire che era stata una
cosa bella, immensa; ci avrebbe potuto darle forza; ma
questa pena era ben pi grande. Era stata Pilar a chia-
mare Silvia per telefono: Vinca cos calma che abbia-
mo paura, la mamma e io, tanta paura, siamo sotto un
incubo, venga.
Sono tanto buone Vinca diceva mi portano il
brodo caldo come se con quello potessi guarire. stra-
no: quando si soffre moralmente, il fisico acquista per
gli altri unimportanza enorme, ed naturale, in fondo,
cercano di curare la sola cosa curabile. Mi mettono per-
fino i cuscini dietro la schiena . Poi mostrava le lettere:
Vedi? Tutte sue, questa lultima. Trentadue giorni
fa. Dieci giorni prima di sposare. Adesso te la traduco.
Dunque... mi amor... amore mio s ma questo non
ha importanza e scorreva con lo sguardo le righe.
Ecco, questo, ecco senti... volver... torner, dice,
presto, forse non andr di nuovo al fronte. Ecco, sen-
ti qui, Qualunque cosa accada, pensa che ti amo.
Adesso capisco che cosa voleva dire. Non mi ha scritto
pi dopo questa. Ha sposato il tre gennaio. Chiss che
facevo io quel giorno? Non vero che si sentono certe
cose, non c il tuffo del sangue.
Silvia, seduta, guardava Vinca rannicchiata, per terra,
livida di freddo, le labbra bianche; negli occhi si vedeva
come un gran buco nero. Dun tratto il viso di lei si fuse
in un pianto senza singhiozzo; le lacrime le scorrevano
sul viso contratto inondandolo silenziosamente. Mise la
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
351 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
testa sui ginocchi di Silvia disse: terribile, terribile!
Parlava con voce spezzata. atroce, Silvia, tu non
sai; non puoi capire, sarebbe meglio che morissi, che vi-
vo a fare? Lamica le accarezzava i capelli, commossa,
e intanto ricordava di aver udito le stesse parole dalla
moglie di Belluzzi, il giorno di quella disgustosa scena. E
perci la pregava: Taci, taci . Ma quella insisteva sin-
ghiozzando. Tu non sai, tu non sai, Silvia . Non sape-
va. Epper intuiva che quella sofferenza dovesse essere
bella, come la sua sofferenza di aprirsi una strada con la
sola forza della volont.
Io so, invece. Non c bisogno di essere innamorata
per capire.
Vinca intanto stringeva a s le lettere: Queste mi ri-
mangono diceva.
Lo ami ancora! Silvia esclam stupefatta.
La ragazza la guard dal basso. Ti maravigli, eh?
Eppure un malato grave ama di pi la vita, perch sente
che forse sta per perderla. Come potrei dimenticare in
un giorno? Perch lui non mi ama pi? Non lo so se non
mi ama. Forse avr sposato laltra perch ricca; mi fa-
ceva capire che era molto ricca, questa Sol. E poi lim-
portante che io labbia amato, io lo ami. Ti sembra as-
surdo? E invece io mi rassegno pensando che nessuno
potr togliermi questa ricchezza. Ricordi Proust, il no-
stro Proust? Nellamore non condiviso, sarebbe a dire
nellamore. Forse lho sempre amato io soltanto, che
importa? Io ero la privilegiata. Forse lho arricchito con
la mia immaginazione . Tacque; riprese piano: Ades-
so finito. Non mi sembra vero. Cerco di convincermi
che ha sposato, che unaltra donna vive, mangia, dorme
con lui, conosce la sua voce, la sua maniera di baciare.
Vedi? La gelosia soltanto fisica: il pensiero che unal-
tra donna porti il suo nome mi indifferente, ma il pen-
siero che unaltra donna conosca certe espressioni dei
suoi occhi, le sue mani, m intollerabile. Ma forse tutto
352 Letteratura italiana Einaudi
ci una favola: io non conosco questa donna, per me
come se non esistesse. Era una cosa cos bella, com
possibile che sia finita?
Negli occhi di Vinca stava una sorta di pazzia lucida.
Sai? continuava gli altri hanno tante cose nella vita:
Luis sapeva che io non avevo nulla. Adesso tutto ci che
la sua presenza alleviava pesa di nuovo su di me. Mac-
corgo di esser sola in un deserto. destino che io sia
sempre sola. Da bambina passavo ore intiere seguendo i
giochi delle nuvole, o infilando le margheritine: non mi
si permetteva mai di accostare altri bambini; io non so
perch ci fosse precisamente, mi si diceva che gli altri
bambini potevano contagiarmi di malattie infantili. E
cos io ero malata di questa precauzione di bambina sa-
na. Nessuno mai si occupava di me. Ero, dicono, una
bambina violenta. Soltanto un giorno, tutti vennero
presso di me, le zie mi presero in braccio; io capii che
qualcosa di straordinario doveva essere accaduto e, in-
vece di rallegrarmi, intimorita, scoppiai a piangere. In-
fatti era morta la mamma. La mamma che da tempo era
malata e viveva in unala remota della casa, dove io non
potevo entrare perch facevo chiasso. Capisci? fece
sorridendo amaramente sempre tutto negato, neppure
una risata nel giardino di casa mia, non fare chiasso,
chiasso, zitta, mamm dal balconcino mi faceva cenno di
tacere. Non ho mai avuto nulla, Silvia, non il ricordo di
unora dolce prima dellincontro con Luis, di quando si
usciva insieme a passeggiare. Non pu esser finito, Sil-
via, dimmi che non possibile. E queste, perch tutte
queste allora? Aprendo desolatamente le braccia mo-
str le lettere sparse intorno a lei, poche lettere tracciate
di una scrittura disuguale.
Riprese a lamentarsi: Porto con me questo destino,
da bambina. inutile lottare: noi spagnoli abbiamo una
fede rassegnata nel destino, come gli arabi. Da noi i con-
tadini si siedono per terra fuori delle case, guardano il
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
353 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
cielo e aspettano. Le mosche calano, si posano loro sul
naso, sulle mani e quelli neanche si muovono. Poi un
giorno scoppia la rivoluzione. Tu non lo senti il destino?
Io lo sento come una persona viva, un gigante potentis-
simo, che mi tiene pel braccio, stretta, mi guida dove
vuole. inutile cercare di liberarsi. Forse domani il de-
stino sar di buon umore; noi diciamo sempre cos:
Maana: domani. Rimandiamo. Bello sarebbe adesso
pungersi con una siringa, e dormire; magari solo fino a
domani. Ho pensato duccidermi. Mi ucciderei ma non
posso perch c Dio. Tu credi poco, vero? Gi, lo so.
Mi puoi dimostrare coi discorsi che Dio non esiste, la
terra s composta da s, noi siamo scimmie raffinate.
Me lo spiegheresti cos bene che forse alla fine ti darei
ragione. Tu hai ragione, ma io credo lo stesso. Dio esi-
ste. Un Dio che ti hanno messo nel sangue fin da quan-
do succhiavi il latte. come la cicatrice della vaccinazio-
ne, la porti fin che campi. Dio c. E la prova questa:
che in questo sfacelo di me, io ho tuttavia la forza di
mangiare, di bere, di parlare. Se no, se Dio non ci fosse,
al primo istante avrei dovuto scavalcare la finestra e but-
tarmi gi.
Le amiche si presero la mano in silenzio; Silvia riflet-
teva che nessuno finora aveva compreso lanimo di Vin-
ca. Nonostante tutti questi suoi patimenti aveva avuto la
forza di rallegrare per loro la vita del collegio; forse il
Dio di Vinca esisteva veramente. Laltra continuava a
parlare come se fosse sola e tuttavia nei suoi occhi si leg-
geva una richiesta daiuto.
Che faccio? si chiedeva che faccio? La camera
sabbuiava, i tendaggi creavano ombre paurose, Silvia si
alz per accendere la luce e Vinca volgendosi la segu
con la sua domanda: Che faccio?
Non torni in Spagna?
La ragazza scosse la testa: No.
Perch non ci ritorni?
354 Letteratura italiana Einaudi
Non ho pi casa a Crdova, quella della moglie di
mio padre. Preferisco essere straniera qui che a casa
mia. La sera loro stanno abbracciati nel patio, si odono
risate sommesse e, certe volte, baci. la casa dove mia
madre morta; tutto ci m insopportabile . Soggiun-
se: E a Crdova c Luis.
vero, potresti incontrarlo.
Ma Vinca, prendendole la mano, le disse: No, Sil-
via, ti dir: andrei a cercarlo, lo pregherei: Tienimi con
te lo stesso, anche cos.
Tu faresti questo?!
Ti pare strano, vero? ma lo farei. Gli direi: Anche
cos. Gli parlerei come per farmi perdonare, io, la sua
colpa. Mi disprezzi? S, devi disprezzarmi. Anche io mi
disprezzerei: perci non voglio tornare a Crdova. Per
non disprezzarmi.
Una pausa lunga. Sud suonare il campanello e Vinca
sussult. Qualcuno corse ad aprire.
Vinca spieg a voce bassa: la posta . Tacque, poi
aggiunse: Me ne vado, sai, me ne vado di qui.
Torni al Grimaldi?
No, io non posso esser imprigionata, non nel mio
carattere. Tutto ci era facile quando avevo Luis, tante
cose erano facili allora. Adesso tutto cambiato. No,
non torno al Grimaldi, neppure rimango qui; che ri-
mango a fare? Loro sono chiuse in una vita alla quale io,
ormai, sono estranea: sammazzino pure tutti al fronte,
non mimporta pi, sono tanto presa della mia distruzio-
ne che non posso neppure preoccuparmi della distru-
zione del mio paese. Lho gi detto a donna Inez, che
me ne vado: s messa a piangere. ingrato da parte
mia, lo so, ma credo che neanche verr a trovarle. Per
me qualcosa s chiuso definitivamente. stata tanto
buona donna Inez! Vinca continuava sorridendo. Mi
diceva stamani che sposer un italiano e sar molto feli-
ce. Capisci? sorrideva. Lei forse pensava che io fossi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
355 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
disperata perch era andato a monte un matrimonio.
Donna Inez vecchia e sa che spesso si ricomincia. Non
pensa che nessuno sposerebbe mai una straniera povera.
Ci vuole molto denaro per farsi perdonare da un marito
linevitabile indifferenza che tu porti al suo paese, lin-
comprensione per le sue idee, le sue abitudini, perfino il
gusto diverso dei cibi. Non vero?
Tu sei pi saggia di noi tutte, Vinca.
Io? e Vinca sorrise amaramente: Ma no! Ti ri-
cordi al Grimaldi?
S, Silvia ricorda. Vinca ride. Vinca rientra tardi, Vin-
ca si dipinge le labbra alluscita del collegio, Vinca non
sta mai attenta alle lezioni, Vinca balla il fandango in
piedi sul tavolino, le suore entrano e si fanno il segno
della croce. Vinca dice un giorno: Ho incontrato un ra-
gazzo spagnolo, andaluso come me, si chiama Luis.
Fuori Silvia sincammin piano, noncurante dellaria
fredda e secca. Se avesse avuto denari avrebbe aiutato
Vinca. Ma Vinca non si preoccupava di quello. Andr
ad abitare in una camera mobiliata, in un vecchio quar-
tiere, a Luis piacevano i vecchi quartieri. Lavorer.
Che genere di lavoro? Silvia le aveva domandato.
Che so fare io? Dar lezioni. Vorrei fare delle tradu-
zioni, per il cinematografo, possibilmente, dicono che si
guadagna molto, quello che trover da fare, insomma.
La compagnia si sgretolava. Dopo la partenza di Sil-
via sarebbero rimaste al Grimaldi solamente Valenti-
na e Augusta; ma questultima ormai, viveva isolata nella
sua camera, in quellodore di vino e sigarette, accuden-
do alla tartaruga, odiando il mondo che non voleva ac-
corgersi del suo romanzo. Emanuela sarebbe rimasta l
fino al matrimonio. Ma Emanuela non era mai stata ve-
ramente una di loro; ella aveva la vita facile, era facil-
mente innamorata, facilmente felice.
Anna, la sera della laurea, una laurea con novanta del-
356 Letteratura italiana Einaudi
la quale era stata pienamente soddisfatta, aveva detto:
Torno al paese sbito perch mi sposo . Poi aveva ag-
giunto: Scusatemi. Non ho saputo dirvi nulla prima,
contro la mia volont, non ho saputo, lamore per me
un sentimento segreto, non avrei potuto fare altrimenti,
parlandone mi sarebbe parso di distruggerlo. Il mio
amore per vivere ha bisogno di silenzio. Mario come
me. Ancora non ci siamo neppure detti: Ti amo.
qualche cosa di pi, qualche cosa di meno dellamore.
il senso che qualunque cosa accada io sono l per lui, lui
per me, senza bisogno di dircelo, di dirlo . Pi tardi
aveva spiegato illuminandosi: Avremo una grande ca-
sa, una grande terra.
Dopo il discorso di Anna, Valentina sera levata dim-
provviso, esclamando ironicamente: Ah! lamore,
lamore, lamore! E aveva dato in una grande risata
nervosa prima di andarsene.
Valentina Silvia pensava una ragazza isterica. E
per considerava che, in fondo, malgrado la confidenza
che nasceva da giornate, anni di vita e patimenti comuni,
tutte erano rimaste sostanzialmente nascoste in loro stes-
se. Non si pu fare di tante anime unanima sola, lanima
non si pu donare interamente ad altri. N lanima n i
pensieri; pure credendo di comunicarli tutti, qualcuno
inevitabilmente resta per noi, senza che ce ne accorgiamo.
Con qualche tristezza Silvia saccorgeva che la vita delle
compagne, la vita di ogni essere umano, inevitabilmente
gira come un satellite attorno a un pianeta: lamore.
*
Valentina, dopo che ebbe chiuso ridendo la porta
della camera di Anna dove le amiche stavano raccolte, si
trov sola nel buio con quel suo riso e se ne impaur.
Sgran gli occhi e rest dietro luscio in ascolto; certo
adesso le compagne avrebbero cominciato a parlare di
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
357 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
lei. Ma no: la voce di Anna riprendeva a raccontare della
campagna, della terra, di Mario. Posa, dice bene sua ma-
dre: posa. Sar andata di notte a vedere la campagna
con Mario. Comodo essere vicini, appena una rete di
ferro tra le due propriet. Mario abita solo: comodissi-
mo. Lo ha incantato con quei suoi atteggiamenti virgilia-
ni. So bene; sar poi di quelle che, una volta sposate, vo-
gliono abbandonare tutto, andare in citt con la
pelliccia. Ha i suoi soldi. E intanto se lo sposa.
Scese le scale a tentoni, disorientata dalla sua ango-
scia. Questa s era stata troppo forte; Anna aveva saputo
tacere fino a oggi, zitta era stata, contadina, proprio
contadina. Chi sa che lettere le scrive Mario! Deve esse-
re molto innamorato per non vederla com, sembra fat-
ta di mollica di pane. Lui affogher in quel grasso; tra
due anni, al primo figliolo, Anna diventer enorme. La
casa, la terra: storie, fandonie. Quello che voleva era il
marito. Ce lha fatta.
Nella stanza accese la candela. Maledette suore spi-
lorce! Mostruosa contro la parete bianca si proiettava la
sua ombra, vi si stendeva, si piegava alla sommit, la te-
sta si affacciava sul soffitto. La ragazza masticava una
grande amarezza, si sentiva schernita da quella frase di
Anna: Mi sposo . Laveva detto semplicemente senza
abbassare la fronte alta e ampia: ma in quella semplicit
era molta fierezza; parlando non la guardava neppure.
Certo, Mario aveva scritto ad Anna di quella lettera che
lei gli aveva mandato da Roma: egli le aveva risposto con
una cartolina appena, contadino anche lui. Uno zimbel-
lo era stata. I due si parlavano appena davanti a lei, e
poi, di notte, certo, Anna cauta sgattaiolava per i prati
fino alla casa di Mario: non si spiegava altrimenti questo
matrimonio affrettato, questa cosa segreta, misteriosa.
Forse Anna era incinta.
Lenta cominci a spogliarsi. Si spogliava con movi-
menti goffi, ripiegava la biancheria nascondendo gli in-
358 Letteratura italiana Einaudi
dumenti pi intimi sotto il vestito grigio. Rabbonita
mormorava:
Vado a letto a pensare . Ma non poteva liberarsi da
questo chiodo fisso, il matrimonio di Anna. Sulla parete
anche lombra si spogliava con gesti smisurati. Mani enor-
mi che racchiudevano nulla. Ventanni. Ma gi a ventan-
ni si prevede come va a finire la propria vita. Avrebbe
sempre abitato una camera come questa, sola, libri sul ta-
volino; ragazzi, petulanti ragazzi che studiano, passano,
vengono vanno, senza fare altro che deridere la signori-
na. Chi non ha deriso la signorina? Alla fine del mese
mandare a mamm quei pochi soldi che le sarebbero ser-
viti per farsi trattare meglio dai fratelli, che non le dessero
da mangiare sprezzantemente, come le ossa al bracco che
attende bavando. Piuttosto che vivere cos, meglio non
essere mai nata. Non giusto che ella sia nata sottomessa,
povera, altre ricche e libere come Emanuela.
Spogliata, si avvicin allo specchio e, per meglio ve-
dersi, prese in mano il candeliere; a sprazzi, in quella lu-
ce tremolante, il suo viso si ravvivava quasi per un im-
provviso affluire di sangue. Il calore della fiamma le
lambiva il viso. Alz il candeliere al disopra della testa; il
suo viso si mut e impallid; la luce cadendo dallalto le
scavava fosse livide sulle gote e gli occhi chiari sembra-
vano incupire. Bella pens appena un po troppo
grassa. Con laltra mano tolse la forcina dai capelli e la-
sci che scivolassero sul petto. Bellissima. Non pot a
meno di rievocare quella regina che travers la citt sul
suo cavallo, vestita dei soli capelli. Questo pensiero lin-
vitava. La regina si chiamava Isabeau. Doveva somiglia-
re a lei, Isabeau. Si carezz la gola, il mento, dove la pel-
le era pi delicata e bianca: bianchissima. Non la pelle
rude di Anna. Se Mario lavesse vista cos, mezzo spo-
gliata, con quei capelli biondi, le avrebbe detto, certo:
Dammi la tua lampada . Ferma davanti allo specchio,
con quel braccio alzato, le parve di stare a compiere un
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
359 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
misterioso rito. Pazze. La bellezza dura poco, gli anni
corrono, corrono, passano, scivolano via come rena tra
le dita. Che cosa conta la bellezza? Abbass di nuovo la
luce, la pose sul tavolo, rest, la mano sul paralume, a
pensare. Pazze, s, pazze E cominci a ridere piano pia-
no, a carezzarsi i capelli con lentezza. Guardava le pare-
ti come se volesse penetrarle: chiss se le altre, come lei,
si guardavano a lungo nello specchio. Nessuna aveva
mai voluto la sua intimit. Si accorgeva dessere, nel
gruppo delle sue compagne, una figura secondaria.
Sempre cos: figura secondaria. Rideva, rideva, e pensa-
va che sarebbe stato bello cadere morta per terra in
mezzo ai suoi capelli biondi. Prese la cinta del vestito,
una cinta di pelle, e si strinse la vita sopra la camicia leg-
gera, forte, sempre pi forte fino a farsi male, poi lav-
volse attorno alla gola e strinse, strinse fino ad averne il
respiro faticoso. Allora, leggermente, gli occhi allucinati,
senza pi ridere, cominci a graffiarsi la pelle delle brac-
cia, bella pelle liscia, fine, e poi distogliendo lo sguardo
prese a mordersi anche, piano. Quante ragazze facevano
altrettanto nelle loro stanze? Chi immaginava che lei
stesse facendolo? Forse nessuna simile a me, certo a
nessuna sono dati cos spaventosi e dolci sogni, la notte.
Stanotte avrebbe immaginato di passeggiare per la citt
coperta dei soli capelli, come Isabeau.
Infine la porta si schiudeva e appariva il principe in-
diano. Godeva di trovarla cos discinta e bella. Egli ama-
va la morbida seta dei suoi capelli. Vestiva di azzurro, il
principe, una perla gli tremava sulla fronte, tinnivano i
bracciali doro ai suoi polsi. Ella indietreggiava contro la
parete, si ritraeva; il principe stasera le faceva paura.
Sentiva che non era un uomo vero, che sarebbe scom-
parso di colpo, annegato nel sonno di lei, dileguato co-
me unombra; al mattino non lavrebbe trovato accanto
a s. Un essere inesistente, il suo uomo: fatto di nulla,
dombra, di desiderio. Non poteva liberarsene, era in
360 Letteratura italiana Einaudi
lei; lei stessa gli dava vita. Oggi, domani, sempre: un
connubio misterioso. Questa strana immagine,
questuomo vestito da orientale, la ossessionava da
quando era bambina, da allora veniva ogni notte a tro-
varla, e lei era sua, sua, di lui; mai di altri avrebbe potuto
essere che del fantasma.
Lasciami, lasciami, la ragazza avrebbe voluto urla-
re, ma il suo grido era fatto di nulla come luomo, le pa-
role che egli le diceva, nascevano e si spegnevano in lei.
Indietreggiava e lui la seguiva insistente, sorridendo con
un falso sorriso sui denti di vetro, tendeva verso di lei le
sue mani adunche e brune. Ella udiva sempre pi da
presso il tintinnio dei bracciali, diveniva nei suoi orecchi
un ronzo addirittura. Si rifugi nel letto, vi si nascose,
rialz le coperte fin sopra la testa. Ma egli, che era fatto
daria, la raggiunse anche l sotto, le mise le mani sui ca-
pelli, le parl per ammansirla. Cos da tanti anni: al pae-
se, mentre la mamma dormiva, egli entrava ugualmente,
disponeva attorno a lei i suoi scenari. Adesso, alle parole
di lui, Valentina avrebbe perduto volont, avrebbe di-
menticato tutto, si sarebbe abbandonata. E al risveglio,
non lo avrebbe trovato pi, creatura della sua fantasia
notturna. Ne soffriva per tutta la pelle. Lasciami, la-
sciami. Ma restava li, unita a lui, sposata a lui. S, pro-
prio cos: ella era per destino, fin da quando era nata, la
sposa di questuomo dombra.
Ansava, singhiozzava, il suo petto nera scosso; senti-
va che mai avrebbe potuto sottrarsi a lui, nessuno avreb-
be fatto mai nulla per liberarla. Se un uomo vero fosse
venuto verso di lei, ella sarebbe stata salva, il principe si
sarebbe dissolto. E invece cos, ogni notte, egli tornava
coi fantasmi dei suoi giardini, dei suoi tappeti, con le sue
parole suadenti e quella musica lontana.
Dagli occhi chiusi lacrime sfuggivano, colavano sul vi-
so della fanciulla.
Al suo pianto, il principe spar.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
361 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
*
Silvia era stanca; piombavano, su di lei inerte, tutte le
passate ore di fatica. Adesso che le era necessaria la mas-
sima energia per cominciare, avrebbe voluto invece se-
dersi vicino al fuoco, a casa sua, dormire. Sua sorella
Immacolata aspettava un bambino; e Silvia si sorprende-
va a invidiare la sorella, che sedeva placida senza pensie-
ro, mentre una vita nuova si maturava in lei. Immacolata
sorrideva, cantava. Poi taceva a lungo, occupata in lavo-
ri femminili, alzava la testa e immobile guardava lonta-
no, verso le montagne, seduta sulla porta di casa, la-
sciando che intanto le sue mani andassero: Che pensi?
Silvia le aveva chiesto nelle vacanze, quando era a ca-
sa; e quella aveva risposto sorridendo: Io non penso
mai . Alacremente andavano le mani: il figlio poteva
trovar vita anche se lei non pensava, si formava in lei con
la materia soltanto, distaccato dalla sua anima.
Anche Silvia avrebbe voluto sedersi senza pensare, at-
tendere che la vita maturasse, le si donasse, pronta: la sua
mente invece non aveva mai un attimo di tregua, sempre
si chiedeva la ragione di tutto. Ora la partenza di Anna
aveva finito di dividere le amiche. Emanuela era tornata
da Firenze molto cambiata; discosta, diversa, una donna.
Doveva aver molto sofferto per la morte del padre. Ep-
pure non ne parlava mai e il suo umore era leggero.
Avevano ripreso ognuna la propria solitudine, come
appena arrivate, prima di accostarsi. Non erano pi che
quattro: Vinca, lasciata la casa di donna Inez, abitava in
subaffitto in una casa fredda oltre il Tevere. Nessuna
aveva avuto il coraggio di andare a trovarla. Emanuela
respingeva lidea di questa visita, diceva: Poi, poi.
Le nuove compagne avevano invaso il collegio. Timi-
de dapprima, adesso erano loro che cantavano nel corti-
le. Matricole: tutte con le speranze intatte nella valigia,
tutte con un grande avvenire. Quando si affacciavano
362 Letteratura italiana Einaudi
nella finestra del cortile guardavano le anziane spavalda-
mente, senza pi temerle, come superstiti di una vecchia
guardia moritura.
Belluzzi aveva detto a Silvia: Debbo parlarle , ed
ella aveva capito che era per congedarla. Forse aveva fat-
to male, un mattino, a mettergli sul tavolo un rametto di
mimosa; egli era rimasto imbarazzato, forse sera accor-
to che ella non era soltanto una macchina da scrivere o
di ricerche, ma anche una donna: e preferiva la macchi-
na da scrivere.
Custo, venga domani alle due.
Ella andava da lui tutti i giorni alle due: perch
quellinvito speciale? Domani alle due egli le avrebbe
detto di andarsene.
Da qualche tempo il professore non era pi lo stesso.
Certe volte, parlando, la sua voce, che di solito pareva
assente dal suo spirito, sanimava, si sentiva che parteci-
pava al discorso. Erano attimi: gli occhi perdevano
quellapparenza di occhi di vetro, divenivano occhi veri,
e guardavano. Un giorno apr la finestra della biblioteca
nella quale Silvia lavorava e saffacci, si trattenne a os-
servare i passanti. Questo fatto parve a Silvia cos incon-
sueto che ella si alz in piedi di scatto, pronta a qualun-
que cosa che dovesse accadere: ma il professore si volse
verso di lei e le disse calmamente: Questa fine di gen-
naio molto dolce . Poi pass la mano sul davanzale
dove batteva un fioco sole, quasi a carezzarlo.
Appena entrata ella travers il vasto atrio delle statue,
come il primo giorno impacciata al rumore dei suoi pas-
si. Non si tolse il cappello, il palt, entr dal professore
come in visita. Belluzzi lavorava: Silvia rimase a guardar-
lo rispettosa e commossa, quasi lo vedesse per la prima
volta. Egli alz il capo e, vedendola, sorrise.
Custo, ho una buona notizia per lei.
Per me?
Per lei. Quando d gli esami di stato?
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363 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Ai primi del mese.
Egli ripet approvando: Ai primi del mese, bene. Il
quindici il suo posto laspetta a Littoria.
Silvia non parlava neppure: muta lo guardava, poi
chiese: E il concorso?
Non c bisogno del concorso. Ho cercato di fare
per lei quanto potevo: uninsegnante ha dovuto abban-
donare il posto per causa di salute. Lei, cara Custo, an-
dr a sostituirla.
Il professore sorridendo aspettava che Silvia espri-
messe la sua gioia. E Silvia non riusciva ad essere con-
tenta, non era colpa sua se non riusciva a staccare una
parola. Pot solo pronunciare un fiacco grazie.
Ma il professore insisteva: Lei contenta, vero? non
contenta?
Distogliendo lo sguardo Silvia disse: S . Poi guar-
dandolo finalmente in faccia, aggiunse rammaricandosi:
Non potr pi venire da lei.
Il professore le prese la mano nelle sue mani fredde:
Che le dissi io, un giorno? Lo rammento, perch
tante volte me lo sono ripetuto. Lei far molta strada,
Custo. Da tanti anni frequento i giovani. Li conosco or-
mai, intuisco sempre quello che diverranno. Lei far
strada. Io ho avuto molto caro di tenerla presso di me,
di avvicinarla al nostro lavoro. Ma non qui il suo avve-
nire. Littoria una citt nuova: di buon augurio, l co-
mincia la sua vita nuova.
Parlava come dalla cattedra, usava le stesse espressio-
ni. I giovani. Gi lei non era pi Silvia Custo, ma uno
di quei giovani dai quali egli si sentiva inesorabilmen-
te lontano: aveva dimenticato di essere entrato tante vol-
te da lei per domandarle consiglio; fino allora i giova-
ni erano stati gli altri, loro due si trovavano a un livello
diverso, pi elevato.
Silvia lo preg ancora: Mi lasci con lei, mi faccia ri-
manere.
364 Letteratura italiana Einaudi
Non possibile. Me lo rimprovererei, lei stessa se lo
rimprovererebbe un giorno. Adesso la sua vita incomin-
cia . Sorrise e fece scherzosamente: Non ha mica pau-
ra, vero? A Littoria lei preparer quel libro del quale mi
parl prima della sua laurea. Lo rivedremo insieme,
vuole? il suo libro uscir con una mia prefazione, perch
rimanga qualcosa del nostro lavoro comune.
Silvia non poteva pi replicare: doveva dire che s, era
contenta, non poteva dire altrimenti, chi sa che non lo
fosse veramente, e, come quel giorno della laurea, la
troppa gioia le mettesse in petto una grande amarezza.
Del resto egli cominci con altra voce. Posava
con calma le mani sui ginocchi, i suoi occhi apparivano
limpidi dietro gli occhiali: Del resto, anche la mia vita
cambia, cara Custo . Parlava con quella voce nuova,
che da poco Silvia gli conosceva, non quella della catte-
dra, non quella casalinga affrettata e arida; ma con la vo-
ce sonora e calda di quando diceva: Grazie, Dora ac-
cettando dalle mani della donna la tazza del t. Una
voce che veniva da tempi lontani, forse una voce poco
usata in giovent, intatta.
La mia vita cambia riprese: non glie ne ho detto
prima la ragione, perch mi pareva che dovesse rimane-
re segreta, tanto grande mappariva. O perch temevo di
sembrarle ridicolo in questa mia gioia giovanile . Sar-
rest di nuovo, si guard le unghie attentamente, poi
spieg: Aspettiamo un bambino.
Dopo una pausa continu: Allora lei capisce, molte
cose che prima apparivano essenziali, adesso appaiono
secondarie. Tutto si trasforma, un miracolo. Non so che
cosa far, la vita cambier, cambier molto. Non so se
seguiter a lavorare . Poi si riprese: S, certo, inse-
gner, lavorer, pi di prima . Ma dette con quel tono
di voce adesso quelle parole non erano altra cosa che
due verbi al futuro.
Capisco disse Silvia. Gli occhi di lui erano di nuo-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
365 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
vo spariti dietro gli occhiali, era un vecchio bianco, di-
stratto e lontano, con le mani di cera. Dietro la figura di
lui Silvia immagin la scena di quel giorno: la donna di-
scinta che vomitava, le lacrime che colavano dagli occhi
dipinti, laffanno del grosso seno sotto la vestaglia: Lei
non pu capire, signorina, non pu capire.
Capisco ripet Silvia e poi istintivamente sent il
bisogno di battere una mano sulle mani del vecchio:
Caro, caro professore gli disse, come a un bambino.
Pi tardi anche la signora Dora venne per salutarla: la
maternit le dava un senso di effuso benessere. Nella
scollatura del vestito il petto si vedeva chiazzato di rosso.
Grazie le disse la signora Dora con intenzione .
Lei stata sempre molto buona, molto buona, anche
con me.
E Silvia rispose: Io non ho fatto mai nulla per lei.
Era vero. Per lei, mai nulla. Non sarebbe potuta re-
stare l dentro neppure unora di pi. Tutto le era dive-
nuto insopportabile: il corpo grasso e flaccido di lei; la
remissivit del marito, la casa vecchia, i libri, quel museo
di statue che biancheggiava nellatrio.
Erano in piedi tutti e tre, ora; il professore e la moglie
vicini, la ragazza di fronte. Una cortina era scesa tra i
due che per tanti mesi avevano lavorato assieme: forse
neppure lui ci crede al lavoro, anche lui come gli altri,
bastato un nulla per sviarlo: le loro ultime parole ave-
vano il tono amabile della cortesia conclusiva dei com-
miati; potevano rimanere ancora unora insieme a parla-
re, nessuno avrebbe trovato nulla di vero da dire.
Allora Silvia fece: Buona sera, professore ; salut la
signora, si volse, usc da sola, in fretta.
*
Dopo la partenza di Silvia, per spirito di conservazio-
ne, le superstiti del gruppo, Augusta, Valentina ed Ema-
366 Letteratura italiana Einaudi
nuela, non si lasciavano pi. Augusta ed Emanuela ac-
compagnavano Valentina in facolt, prendevano appun-
ti per lei. Non erano mai state tanto unite: si formava tra
di loro una nuova e pi forte intimit. Spesso Valentina
fu tentata di rivelare loro le notturne visite del principe,
Emanuela di confessare lesistenza di Stefania. Eppure
apparivano cos diverse tra di loro che le altre, vedendo-
le passare, non capivano come Emanuela potesse resi-
stere con quelle due.
A sera si ritrovavano in camera di Augusta. Valentina
studiava, il libro sui ginocchi, la matita tra le labbra, a
tratti levando la testa per ascoltare le amiche; poi ripren-
deva svogliata.
Dietro il com sotto il quale Margherita dormiva, Au-
gusta teneva il vino: il sentore si spandeva quasi emana-
to dalla sua pelle. Era come una malattia nascosta e le al-
tre facevano le viste di non saperlo, per non umiliarla; la
rimproveravano invece perch fumava troppo, una siga-
retta dopo laltra; e quando per ella replicava: Non
ho altro si tacevano. Anche il nuovo romanzo era stato
respinto: leditore aveva detto che aveva uno spirito ori-
ginale, ma pareva visto da dietro un vetro, non vissuto
veramente. Augusta lo aveva riposto nel cassetto, senza
pi parlarne. Aveva cominciato a scriverne un altro; ne
raccontava la trama alle amiche, presentava loro i perso-
naggi, ne discorreva come se fossero veramente esisten-
ti. Diceva che se li vedeva entrare dalla porta, li faceva
sedere, li ascoltava parlare.
Beveva per potere scrivere; scriveva e beveva la notte,
fino a tardi. Valentina che era entrata da lei un mattino
di buonora quando era ancora in letto, disse che la ca-
mera era satura di fumo e fiato pesante.
Le suore sopportavano tutto ci perch Augusta era
la pi anziana del collegio e sembrava volervi rimanere
per sempre. Adesso suor Prudenzina, aprendo la came-
ra prima di spegnere la luce, sorrideva alle tre ragazze.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
367 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Le discussioni, il chiasso, le voci partivano da altre ca-
mere; a quelle saffacciava con volto severo. Sera forma-
to un nuovo gruppo attorno ad una specie di pazza, una
svedese magra e bionda che aveva nome Ingrid e studia-
va, insieme, legge e ginecologia.
Adesso Valentina, Augusta ed Emanuela entravano
luna nella camera dellaltra senza neppure domandare:
permesso?. Discutevano per ore, sottovoce, si pone-
vano problemi, problemi luno dopo laltro. Spesso il di-
scorso si aggirava attorno alla questione uomo e donna.
Emanuela guardandole rifletteva: Non pensano ad al-
tro.
Augusta e Valentina rimproveravano a Emanuela il
suo matrimonio come un tradimento: era nata in loro la
speranza che lei abbandonasse Andrea, dicesse un gior-
no: Rimango. Questo segretamente attendevano met-
tendole nel cuore, con le loro parole, quasi un rimorso.
Te ne vai, te ne vai, ci abbandoni.
Di questi loro inviti ella si liberava con ansiet, sera
affondata nella loro compagnia, perch sapeva di avere
ancora poco tempo per assaporarla. Ma restare l den-
tro sempre, dietro i finestroni chiusi, no, no, tra le gonne
delle suore, in mezzo alla morbosa curiosit delle com-
pagne che stavano sveglie la notte per pensare al mistero
della procreazione, no, no.
Non vi lascio, sar come se fossi sempre con voi,
verr a trovarvi . Augusta che la sentiva risolutamente
sfuggire, scuoteva la testa:
No, non la stessa cosa. Non verrai pi, dopo, e del
resto, che verresti a fare? Pochi giorni prima di Natale
venuta a trovarci Clara. Non era la prima volta che veni-
va, ma ogni volta la sentivamo pi lontana. Tu non hai
conosciuto Clara? Ha sposato un anno fa, una ragazza
straordinaria, studiava architettura. stata sempre bel-
la, ma adesso una bellezza diversa, che non ci pi do-
mestica: venuta con un vestito che non le conosceva-
368 Letteratura italiana Einaudi
mo, la pelliccia, neppure si tolta il cappello. Una volta
andammo a casa sua, noi di lettere: fu una scena ridico-
la. Non sapevamo che dirci: cercavamo di aggrapparci ai
ricordi. Ti rammenti? Si diceva sempre cos. Doveva-
mo appigliarci ad avvenimenti passati che, a distanza, ci
apparivano piuttosto banali. Lei cercava di discorrere
un po con tutte e intanto noi la fissavamo, Clara, la no-
stra Clara, e ci sembrava che movesse le labbra senza pa-
rola, come i muti. Poi ci serv un gran rinfresco, cosa da
gente di riguardo, a noi che avevamo per anni mangiato
insieme con lei zuppa di cavoli. Questo fin di intimidir-
ci e tuttavia mangiammo spropositatamente. Dopo ce ne
rammaricammo, anche lei avr pensato che avevamo
esagerato, ma non avevamo fatto cos per vera fame, so-
lo per occupare la bocca e le mani mentre stavamo l a
guardare Clara. Quando venuta qui anche lei si tro-
vata imbarazzata; ha guardato attorno, ha detto: Quan-
ti anni ho vissuto qui!. Il tono era tenero, ma si capiva
che ne stupiva. Eppure vi era stata felice; era molto ami-
ca di Xenia e di Silvia, ne eravamo un po gelose tutte .
Dopo una pausa seguit: Credi, niente pi fatalmen-
te condannato delle amicizie di collegio. Sai perch?
Perch in questepoca non siamo veramente noi stesse,
ma tentiamo varie trascrizioni della nostra personalit.
Se dopo saremo diverse, non vorremo farci vedere. Ci
assale un gran pudore del nostro nuovo essere. Basta un
passo, un gesto, per essere dallaltra parte.
Forse non cos per tutte.
cos. Bisogna avere il coraggio di sopportare an-
che questo distacco. Tutto questione di coraggio nella
vita. Formarsi unesistenza, non tentarne diverse. Il re-
sto, tutto il resto, non importa.
Scroll la cenere dalla sigaretta, abbassando la testa,
la mano in tasca; i suoi gesti divenivano ogni giorno me-
no femminili. Gonfie borse appesantivano i suoi occhi.
Desiderava che le amiche se ne andassero, si vedeva che
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
369 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
gi smaniava di essere sola per lavorare e bere. Forse
non sapeva di arrivare a questo il giorno che aveva preso
il piroscafo per venire nel continente; forse affacciata al
bordo avr guardato il cielo, le stelle, senza desiderate
nulla precisamente. Forse allora voleva soltanto andar-
sene da casa e lasciare che il destino si formasse, tutto
nuovo per lei. Adesso aveva acquistato unaria tranquilla
e inesorabile. Tra lei e Valentina, Emanuela si sentiva
prigioniera. Ricorreva allora a tutto ci che la divideva
da loro per accertarsi della sua diversit. Il suo passato
le appariva una risorsa nascosta. Non ho vissuto come
loro; non vivr come loro. E sallontanava dal cancello
del collegio sotto braccio ad Andrea, con sollievo. Forse
quante erano l dentro, dalle suore alle ragazze tutte
sodiavano, si stringevano luna allaltra soltanto per es-
sere certe che nessuna sfuggisse, nessuna si liberasse.
Ma lei s, vi sarebbe riuscita. Certe volte si sentiva op-
pressa come se le mancasse laria, il respiro. E fuggiva
via, cercava Andrea; per da qualche tempo quando era
con lui veniva presa da insofferenza; il ragazzo le appari-
va troppo severo e intransigente. Egli lamava con devo-
zione, era sincero, quadrato, onesto; ma troppo ragione-
vole, forse, non aveva mai unuscita imprevedibile, una
piccola vena di pazza. Era marzo ed Emanuela si sent-
va in subbuglio per la gioia del ritorno della facile sta-
gione. Avrebbe voluto a lungo restare per la strada, sor-
rideva, guardava di qua e di l; Andrea appariva
contento, ma non sconvolto, come lei, la osservava tra
stupito e scandalizzato, le chiedeva: Dove guardi?
Ci irritava la ragazza, che gli rispondeva con un lieve
risentimento: Guardo. Non posso guardare?
Era divenuto, il loro, un amore tranquillo, senza con-
trasti, naturale. Fidanzati, si sarebbero sposati tra pochi
mesi. I genitori erano contenti, tutti erano contenti, non
cera pi niente da fare, niente da conquistare, nessuna
sorpresa. Andrea landava a prendere alle cinque, la
370 Letteratura italiana Einaudi
riaccompagnava alle otto. Al mattino Andrea studiava,
lei usciva sola o con le compagne, talvolta andava a tro-
vare Stefania. Ormai queste erano le ore della giornata
che le piacevano di pi. Allora veramente usciva di casa
leggera, ansiosa. Forse, adesso, quando usciva con An-
drea neppure camminava pi cos bene come piaceva a
lui. Usciva dal portone, lui laspettava allangolo, sapeva
gi le parole che le avrebbe detto, conosceva la sua ma-
niera di baciare, la sua maniera di dire: ti amo. Temeva
che su questo il loro amore si addormentasse, non fosse
pi gioco continuo sul filo dellimprevisto, ma un placi-
do affetto. Era tentata, certe volte, di dirgli tutto, di Mi-
rovich, di Stefania, perch egli si scuotesse, per gettare
una pietra nello stagno.
Marzo ancora, ma gi nella stagione si sentiva qualco-
sa maturare, anche stavolta sarebbe nata la primavera.
Una nuvola grigia e gonfia che prometteva tempesta
sera disfatta al vento e, squarciandosi, aveva mostrato
una gran macchia dazzurro; lazzurro dilagava, invade-
va il cielo, respingeva le nuvole lontano: il sole ormai
sadagiava sui tetti delle case, colava per le vie, metteva
fosforescenze nei cristalli dei negozi. Diafane nubi di un
tenue rosa passeggiavano nel cielo, lente per non sciupa-
re il mattino.
Emanuela appena fuori del collegio prese a cammina-
re nel sole; ogni vetrina la rifletteva, ed ella si vedeva
passare come una donna nuova, perch aveva il vestito
nuovo. Camminava sicura, traversava le strade, guar-
dando di qua e di l a testa alta, senza neppure pi fissa-
re le vetrine, presa dalla gioia di muovere un piede dopo
laltro, nel sole, per la strada in poca salita che menava
alla Villa. Dai portoni la gente si rovesciava sulla strada,
certe ragazze indugiavano un poco sulla soglia, fissavano
il sole abbacinate, abbassavano lo sguardo e sorridendo
si mescolavano alla folla. Emanuela avrebbe voluto esse-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
371 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
re in cima alla salita per vedersi arrivare, vedersi per la
prima volta in quel vestito nuovo.
Neppure il pensiero di ci che stamani avrebbe dovu-
to dire ad Andrea riusciva a smorzare un sorriso che
sentiva fluire sotto la pelle, negli occhi che erano umidi
e chiari come se dentro vi fosse caduta una goccia di ma-
re. Un uomo passando la guard, anche un altro, e due
donne per meglio osservarla si volsero.
La Villa era tutta illuminata di foglie giovani; i passi di
Emanuela svegliarono la ghiaia silenziosa, i cespugli cu-
pi dombra; si sedette e attese, la faccia al sole. Pi in l
bambini giocavano, la raggiungeva qualche loro grido,
sbito spento come uno strido di rondine. Anche nel
giardino di Stefania c il sole, dallapertura del chiostro
cola, si stende sul verde; eppure non sembra lo stesso
sole, Emanuela pensava, imprigionato, simile a quel-
lo che batte alla finestra di Augusta quando ella apre le
persiane al mattino per lasciare uscire il fumo delle siga-
rette accumulatosi la notte.
Ci voleva molto coraggio per parlare ad Andrea, in un
mattino come questo; era intorpidita e sentiva che non
avrebbe dovuto turbare questa delizia, doveva abbando-
narsi, anzi, godersela senza preoccupazione delle nuvole
che saffacciavano sulla sua giornata. Chi alza la testa
per guardare le nuvole? Non preoccuparsi, non agire.
Aspettare accogliendo nel petto questo grato e caldo
mattino. Ma era ossessionata, ormai, non aveva pi pa-
ce; rientrando in collegio, a sera, i discorsi di Augusta la
prendevano per le spalle, la scuotevano; sul comodino
cera la fotografia di pap: bianco, tutto bianco, il viso, i
capelli, solo gli occhi neri che la seguivano per la came-
ra, la frugavano, le domandavano, inquieti, se aveva par-
lato S, s, bisogna, bisogna. Ma adesso le piaceva soltan-
to sedere sulla panchina al sole, e aspettare: sarebbe
stata contenta se Andrea fosse giunto in ritardo. Soven-
te, quando Andrea era con lei, Emanuela si sentiva in-
372 Letteratura italiana Einaudi
soddisfatta; avrebbe desiderato che egli le dicesse molte
cose e lui taceva, invece. A che pensi? gli chiedeva.
Egli rispondeva: Ti amo . Perch non dirlo, allora?
Forse a lui pareva che questa certezza dovesse trasfon-
dersi in lei col contatto delle braccia, col calore delle
mani; ma invece quei silenzi la staccavano da lui, le da-
vano la sensazione di non avere in comune che laccordo
momentaneo del passo. Altra cosa quando lo attendeva
e Andrea era trasfigurato dalla sua immaginazione; allo-
ra lui le stava nel petto, nel sangue.
Sentiva scorrere a uno a uno i minuti dellattesa. Non
era possibile ritirarsi, ormai, gli aveva detto al telefono:
Debbo vederti, s, proprio stamani. Ho da parlarti .
Sera lanciata, ormai; riappeso il microfono al gancio era
rimasta immobile a pensare. Perch stamani e non ieri,
non domani? Domani sarebbe stato meglio. Era assurdo
avere atteso tanto tempo, aver occultato tutto con timo-
rosa cura e poi oggi, dimprovviso, aver detto al telefono
quasi senza volerlo: Ho da parlarti . Non era soltanto
perch ieri Andrea aveva annunciato che bisognava pen-
sare a cercarsi la casa. Era forse perch da tempo trova-
va un doloroso bisogno di liberarsi dalla sua bugia; una
cosa troppo complicata, fastidiosa. O anche per questa
nuova stagione che savvicinava e nella quale non le
sembrava di poter godere appieno, costretta da Stefania,
da Andrea, dalle amiche, dalla preoccupazione della sua
menzogna. Era stanca pure di quel cupo collegio, disgu-
stata di Augusta, di Valentina. Non voleva pi restare al
Grimaldi e neppure voleva rinunciare a sposarsi, alla
bella casa che avrebbe potuto avere con tutto il suo de-
naro. E finalmente una vita dischiusa, da donna; voleva
distruggere quel segreto fisico che cera tra lei e Andrea,
altrimenti sarebbe finita anchella a ubbriacarsi, la sera,
per disperazione. Non posso, non posso dirglielo,
pensava, non ne avr il coraggio, troppo certo di me,
troppo fiducioso, me ne andr un giorno, scapper sen-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
373 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
za avergli confessato nulla. Lossessionava il timore che
Andrea sapesse prima che lei potesse parlare, in queste
alternative la notte non riusciva ad addormentarsi. Nelle
camere vicine a quellora le compagne dormivano, lei
sola era sveglia, come una ladra.
Ho da parlarti. Andrea a questora gi stava salen-
do da Piazza del Popolo verso la Villa, quasi ne udiva i
passi. Le avrebbe chiesto subito: Che volevi dirmi,
Nuela?. Bisognava riprendere le fila del discorso; co-
me aveva deciso di cominciare? Senti, Andrea, solo
questo sapeva: Senti, Andrea, eppoi bisognava but-
tarsi a capofitto, parlare, parlare senza lasciargli il tem-
po di replicare, dirgli della bambina, di Stefano. Ma
adesso tutto questo sembrava una storia inventata: di
vero non cera che il sole. Lintorpidimento la prendeva
tutta, dalle braccia su su, fino alla memoria. Larco del
cielo era immenso, si sentiva uninfima cosa, vuota di
ogni ricordo, senza storia senza passato, una bambina al
sole. Nulla.
Andrea giunse e si sedette vicino a lei, le prese la ma-
no, la baci, la tenne tra le sue teneramente, poi disse
socchiudendo gli occhi al sole:
Sono stanco.
un bel mattino.
S; ma sono stanco, ho studiato stanotte fino a tardi.
dura la tesi: gi, tu lo sai bene, ci vivi in mezzo: il
Grimaldi unincubatrice di tesi, ordinaria ammini-
strazione. Ma ci non impedisce che io ti dica lo stesso
di essere tanto stanco. Due pacchetti di sigarette, sta-
notte.
Oh! hai fatto male!...
Lo so disse e tacque anche lui, preso dal sole. Su-
bitamente poi si scosse, e volgendosi verso di lei chiese:
Che c, Nuela?
Come che c?
374 Letteratura italiana Einaudi
S, che volevi dirmi? che accaduto?
Emanuela prima di rispondere lo guard: quella di
Andrea era immagine a lei familiare: forse non lavrebbe
visto pi, il cuore le si strinse e tuttavia il suo timore le
sembrava esagerato, un timore da commedia; ci sarebbe
stata una lite, poi Andrea sarebbe ritornato. Lei non vi
avrebbe rinunciato a nessun costo.
Mi ami? gli chiese dolcemente.
Ti adoro. Che cosa accaduto?
Sempre fissandolo ella disse: Cose e fece un gesto
vago con la mano. Cose lontane.
Dimmi.
Sinfreddoliva a stare ferma al sole, bastava scuotersi
un poco per accorgersene, un brivido le saliva per la
schiena.
Dimmi egli ripeteva incuriosito.
D, d tante voci intorno a lei sembravano insistere;
d, d, la spingevano sul precipizio, ella lottava, si di-
fendeva, ma ormai troppe forze la costringevano, dove-
va abbandonarsi, rotolare. Cose. Che stupida parola!
Cose tutto quellorrore, Stefano e la bambina: cose.
D, d, parla, parla. Si smarr e le labbra ebbero un
tremito convulso, angosciata mormor, come se soltanto
allora sentisse tutta la gravit del fatto:
una cosa terribile . E lo fissava smarrita, si sco-
stava da lui come se avesse paura di contagiarlo. Una
cosa terribile, amore, Andrea, amore mio.
Andrea impallid, e sconvolto aspettava, guardandola;
infine la prese pel braccio e scotendola ripet: D, d.
(D, d, parla, parla. Gran silenzio attorno, il sole,
la gente che passava, d, d, parla, parla. Adesso mi
dar uno schiaffo.)
terribile, Andrea.
(Appena un fiato di voce, una voce spezzata, un fred-
do per le ossa, gli occhi giravano nellorbita, cos mori-
re.)
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
375 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Non tho mai detto la verit, Andrea e un tremi-
to per la pelle, il sangue trema, sagghiaccia, punge.
Tho sempre nascosto glop glop glop, il cuore sem-
bra scoppiare per la tensione, tutto il corpo di Emanue-
la non che sangue agghiacciato e cuore che fa glop
glop Tho sempre nascosto davere una bambina.
Che racconti?!
Emanuela lo vide sobbalzare, impallidire. E lei conti-
nuava come incosciente: S, s, una bambina, lasciami,
picchiami, che posso fare? Andrea, s, una bambina,
non te ne andare Andrea!
Andrea se ne and dopo avere dalla voce rotta di
Emanuela ascoltato ogni cosa, impassibile, spaventosa-
mente calmo: D, d la incoraggiava ogni volta che el-
la smetteva di parlare, e la guardava con occhi taglienti,
severi. D, d sempre faceva quando ella sarrestava.
Una cosa passata, neppure la ricordo pi, nessuno
ne sa nulla. S, a Firenze, un ufficiale daviazione... Ti di-
co tutto, vedi? Ti racconto tutto e tu capirai che cosa sia
stato per me, tu sei un ragazzo intelligente Andrea
era pallido, come dissanguato, ma la lasciava parlare,
ascoltava. Si chiamava Stefano Mirovich, sette anni fa,
che colpa ne ho io? ero tanto giovane, una bambina,
senti, Andrea E lui sentiva, attento, le diceva soltan-
to: D, d sempre con forza crescente, la spingeva a
parlare, non voleva che nascondesse nulla, voleva sapere
tutto, tutto. D, d.
Poi morto, una cosa terribile, laeroplano in fiam-
me, non sapeva ancora della bambina, non lo sapevo
neppure io, fu cos, senza che io lo volessi, senza render-
mi conto di quello che facevo. Una cosa passata. Nep-
pure lo amavo. Ti giuro: non lo amavo.
Allora Andrea, scattando in piedi, le grid sul viso:
Mi fai schifo! e senza pi guardarla, rapido sallon-
tan.
376 Letteratura italiana Einaudi
*
Sera al collegio.
Negli angoli dei corridoi ombre alte sembrano appo-
state a sorprendere: sotto le porte passa un taglio di luce
gialla, alcune ragazze studiano, altre rientrano stanche,
infreddolite, buttano i libri qua, la cartella l, via il cap-
pello. Un campanello suona persistente, lacerante, il ri-
chiamo corre duscio in uscio, le sveglia, le scuote.
Sodono smuoversi seggiole, porte aprirsi, chiudersi,
passi, voci nei corridoi, per le scale, le ragazze scendono,
invadono il refettorio. Breve bruso della preghiera, poi
uno stropicco di sedie, duecento posate in movimento,
acqua, vino, le voci vorrebbero levarsi, spandersi, ma
qualcosa le trattiene: il sibilo a fior di labbra della suora,
che come un bavaglio sulla bocca delle ragazze.
Che hai, Emanuela?
La testa...
Mangia, vedrai che passa.
S, s, mangio.
Il refettorio odora di mandarino: le ragazze salzano,
si mettono in colonna, i veli sulla testa: nella cappella, la
sera sta immota, blandita da quegli ori e da quei ceri.
Una sera nascosta, rinchiusa, diversa dalle altre sere del
mondo. Fuori, la gente passa e ripassa avanti alle fine-
stre che imprigionano la sera delle ragazze. Alle ultime
parole la preghiera saffloscia, si sfiata; qualche ragazza,
volgendosi, spia il segno che le invita ad alzarsi: ma la
Madre ha gli occhi fissi allaltare, suor Luisa prega svelta
svelta, contrita. Le ragazze sentono una fitta dolorosa ai
ginocchi, si siedono sui calcagni e pensano; una pensa
alla scuola, laltra che deve rammendarsi le calze. Valen-
tina sussurra a Emanuela: Ho un cachet di sopra, lo
vuoi?
Un cachet? No, grazie, vado a letto.
La notte lunga, interminabile. Nella camera di Ema-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
377 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
nuela cadono i rintocchi della campana notturna, sordi
rintocchi, una scossa alla notte. Dormire, potessi dor-
mire: forse, se conto, dormo: uno due tre quattro cin-
que... cento novantanove novantotto. Anche i numeri
hanno quel suono, anche lombra ha quel suono, e an-
che la campana; sempre nei suoi orecchi quella terribi-
le frase e lurta e la spinge e la investe: Mi fai schifo!
La testa pesa, colma di quelle parole. Andrea pronun-
ciandole storceva la bocca come per irrefrenabile ribrez-
zo. Il buio gira intorno a lei, che, a poco a poco, esausta,
cade in un sonno agitato.
Qualcuno ha smosso la porta. Emanuela salza a sede-
re, sbarra gli occhi nel buio: Andrea. Entra e la stroz-
za. Morire liberarsi di tutto, un gran sonno. Ma qual-
cuno tenta la finestra: Andrea. Entra, la guarda, le
grida ancora: Mi fai schifo! , le strappa la camicia di
dosso, tende verso di lei il dito: Schifo, schifo! Zitto,
zitto, Andrea... si sveglieranno le compagne, sentiran-
no Mi fai schifo! Sodono passi affrettati per le
scale: le suore, le compagne accorrono in camicia, come
fantasmi: andarsene impossibile, Andrea non la lasce-
rebbe fuggire, vuole che tutti sappiano, per vendicarsi.
Emanuela trova voce soltanto per supplicare: Zitto!
zitto! Andrea, per carit! Ma lui, ride, la mostra cos
seminuda alle compagne, dice: Guardatela adesso
com, mi fa schifo, schifo!
Andrea, le compagne, le suore, la fissano con occhi
severi. Quanti occhi? Un solo occhio gigantesco; tutti ri-
petono adesso: Schifo, schifo! Un vociare assordan-
te, un clamore.
Mai giunge lalba.
*
Neppure io ho potuto dormire le rispose Andrea,
poi sinterruppe perch savvicinava il cameriere. Che
378 Letteratura italiana Einaudi
prendi? la birra? e, senza aspettare la risposta di lei,
ordin: Due birre.
Emanuela fissava sul tavolo la tovaglietta a quadri
rosso e azzurro, proprio l, dove cera una macchia di
ruggine. Non poteva a meno di notare che cera quella
macchia di ruggine, anche se tutto crollava attorno a lei;
tante volte erano venuti in quella birreria, anche desta-
te, a prendere il fresco nel giardinetto. Entravano grup-
pi di preti, assetati e giocherelloni; schioccavano attorno
a loro i mantelli, le sottane. Sedevano facendo crocchio,
le mani al bicchiere di birra, tutti come ciechi dietro gli
occhiali spessi. Emanuela si domandava: Chi sa perch
tutti i preti sono miopi, forse per vedere il mondo pi di
lontano. Andrea era l che si guardava le mani, ella
aspettava che parlasse, stava attenta, pronta, ma egli
continuava a tacere e lei non poteva impedirsi di pensa-
re a cose disparate.
Mi sarebbe assai pi facile perdonarti, infine lui
riprese continuando il discorso interrotto, io non ho
dormito stanotte appunto per convincermi che perdo-
narti impossibile. Tu stessa non vorresti che io ti per-
donassi.
Io, Andrea?
Tu. Non oggi, oggi mi saresti grata, avresti voglia di
baciarmi le mani, vero? Ma non dimenticheresti mai che
ti ho perdonato.
Sei pazzo?
Non credo. Non ancora. Impazzir domani, quan-
do capir che veramente finito. Stanotte sapevo che
tavrei rivista, per spiegarti. Era come se non fosse finito
del tutto, cera questa speranza. Ma dopo, tra poco, tra
unora... Non piangere. No... cos come sei non ti amo
pi: chi ti conosce? LEmanuela che conoscevo io, quel-
la che mero fatta, insomma, se fosse andata a dormire
con qualcuno almeno lavrebbe fatto per amore. Invece
no, neppure lamavi, hai detto, lhai fatto cos, eh? per
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379 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
sapere cosera. Dovevo accorgermi fin da principio che
sei di quel genere di donne che detesto. Come si chiama
la pupa? Stefania? La tieni in collegio, vero? Nessuno
deve saperlo, capisco. Ma che timporta se tu lo sai, e
che centra la bambina? Ma tu non ami neppure lei; chi
ami? No... no, no, ti prego, se mi avessi amato avresti
agito altrimenti, ami te stessa soltanto, quella che vorre-
sti essere, tinnamori dellimpossibile.
Lasciami parlare.
Che parli a fare? Diresti altre bugie. Non ti credo
pi. Adesso spiegami: quando andavi a trovarla? La do-
menica?... E io dove credevo che tu fossi?... Ah, ho ca-
pito, ogni volta ti giustificavi con una scusa diversa...
Che sciocco! Timmaginavo con le suorette a pregare, o
con le compagne. E tu invece... Forse come hai fatto
adesso per la bambina, avresti fatto dopo, per andare da
un uomo, per vedere cosera il gusto di tradire. S, s...
tho capita adesso, sei di quelle che vogliono togliersi
tutte le curiosit. E io non ti toccavo per non distrug-
gerti, che stupido! Vedi, sono tanto stupido che adesso
vorrei dirti: Non vero, non mi hai detto nulla. E ri-
vederti come ieri mattina, prima che parlassi . Fece
una lunga pausa, poi riprese accorato: Perch hai par-
lato? Forse non me ne sarei accorto la sera delle nozze,
tu sei abbastanza abile, e io tanto innamorato! Perch
hai parlato? Sarei stato felice. Non avrei mai saputo
niente di te, avrei avuto una moglie di fantasia, tutta im-
maginaria, tutta creata da me, tutta diversa dalla realt;
tutta una bugia. Ma non lavrei saputo mai. Perch hai
parlato? Adesso sono io che ti rimprovero di essere sta-
ta sincera.
Andrea seguitava a parlare per farsi male, ed Ema-
nuela piangeva, aveva gli occhi colmi di lacrime e pensa-
va che era stanca, soltanto molto stanca. Tutto le si era
presentato sempre tragico, difficilissimo; sera trovata
sempre di fronte a posizioni insormontabili. Come spie-
380 Letteratura italiana Einaudi
garlo? Che poteva fare? Avrebbe dovuto buttarsi
nellArno quando le nasceva dentro la bambina. Neppu-
re il danaro le serviva nulla. Il vento portava anche quel-
lo. Avrebbe voluto che gi questo colloquio fosse finito,
la birreria si faceva oscura, e lei si sentiva vincolata, infa-
stidita.
Che parlava a fare Andrea se voleva finirla? La la-
sciasse andare, allora.
Devo esserti sembrato ben sciocco, no? Perci ave-
vi per me talvolta carezze e sentimenti materni, adesso
capisco certi tuoi atteggiamenti, certi tuoi sguardi assen-
ti quando io parlavo del futuro; sorridevi e annuivi co-
me per blandire un bambino. Venivi da me mascherata;
per il tuo carattere questo doveva essere la maggiore at-
trattiva. Certo la sera pensavi: Quel caro povero An-
drea!... E rest sospeso su questa frase, Emanuela
non lo contraddisse ed egli riprese: Stanotte mi sono
domandato se io ero stato sempre franco con te, se mai
tavevo mentito: ma fin dal primo momento sono stato
sincero, non ho neppure cercato di apparire migliore
per conquistarti, tho mostrato dessere nervoso, duro,
alcune volte. Lunica cosa che tho nascosto di aver
avuto qualche volta una donna, una donna mai vista pri-
ma, cos, come prendere unaspirina quando hai mal di
testa. Ma dopo quando rientravo nella mia camera, ve-
dendo la tua fotografia, quel sorriso infantile che hai,
quellaria calma e sicura, mi facevo orrore. Ridicolo tut-
to questo per un uomo, no? S, ridicolo, lo so, ridicolo
soprattutto ai nostri tempi. Forse i nostri nonni erano
pi dissoluti di noi, molto di pi. Noi abbiamo una mo-
rale pi ferma; gli uomini sono oggi come dovrebbero
essere le donne, credono a sentimenti ai quali voi non
credete quasi pi. forse una reazione. Tu non hai mai
saputo a che punto fossi amata. Lo sa solo mia madre,
che mi ha visto cambiare, chiudermi, isolarmi, tendermi
tutto verso unattesa, gi estraneo alla casa, a loro, gi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
381 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
tutto preso di questa casa mia che mattendeva, di que-
sta mia donna. Che stupido!
Vi fu un silenzio lungo ed Emanuela intanto cercava
inutilmente che cosa dire, ma non sapeva che ripetere:
Avevo paura di perderti, tanta paura di perderti, An-
drea.
E non soffriva pi, quasi, ripeteva queste parole per-
ch doveva dire ogni poco qualche cosa, ma si sentiva
dentro unanima fredda fredda che stava l a guardare la
disperazione di Andrea, infastidita e dolente di non sa-
per anche lei affliggersi cos.
Non vero. Non potevi temere di perdermi, poich
non mi amavi. No, non insistere, o almeno mi amavi a
tuo modo, un modo che non vero amore, gioco,
una cosa qualunque. Se mi avessi amato come io volevo,
avresti sentito il bisogno di dirmi tutto di te, perch io ti
conoscessi interamente, anche in quella che poteva esse-
re una tua vergogna. Avresti preferito perdermi che con-
tinuare cos.
Sabbuiava il giorno. Erano seduti nel fondo della bir-
reria, vedevano per 1apertura della porta che dava sulla
piazza di San Pietro i tram passare stridendo sulle ro-
taie, i fanali accesi. Emanuela stordita, snervata avrebbe
voluto alzarsi, gridare: Basta, basta!, non pi udire la
implacabile voce delluomo accanto a lei. Lasciarlo,
uscire fuori allaperto, sentirsi sconsolatamente sola e
camminare, camminare e ripetersi: finito, finito,
andare lungo i muri senza vedere la gente, passando tra
loro come cieca, lasciandosi urtare, assente, svagata, poi
alla fine chi sa dove, ma lontano, cadere per terra esau-
sta e dormire. Dormire a un angolo di strada, svegliarsi
senza pi pensieri.
Quando ti vidi la prima volta in facolt Andrea
continuava mi apparisti sbito diversa dalle altre. E se
pure mi parve un po affettato quel tuo libretto di pelle
in cui prendevi gli appunti, sentii che in quel gruppo di
382 Letteratura italiana Einaudi
goffi orsacchiotti tu eri una donna. Ascoltavi Belluzzi
parlare, con grandi occhi ammirati, non avevi unaria di
studentessa. Infatti non lo eri. Sai che fui contento quasi
quando non ti vidi al Pincio allappuntamento? Fu per
me la conferma che tu eri diversa dalle altre. Poi ci fu il
funerale di Milly... Dicevano che lei avesse per te un af-
fetto quasi morboso.
vero.
Milly... sapeva?
Emanuela scosse la testa.
Nessuno Andrea riprese sorridendo nessuno sa-
peva. Tutti ti abbiamo creduto unaltra. Che artista!
Mai, ti sei tradita. Hai lasciato che io amassi quellaltra,
che Milly amasse quellaltra, che le compagne dessero fi-
ducia a quellaltra, quellaltra che non esisteva e tu, lon-
tana, indifferente, stavi a goderti lo spettacolo. Perch
non me lo hai detto quel primo giorno al ristorante?
Forse ti avrei amata ugualmente, avrei potuto...
S, Andrea, senti, tu puoi, tu puoi, io far... senti, io
potrei. .
No, Emanuela, no, tu non puoi pi nulla ormai: n
io n te possiamo. Mai pi potremo fare qualcosa luno
per laltro.
Rest alcuni giorni a letto, supina, alloscuro. Veniva-
no a trovarla le suore, le compagne.
Hai la febbre?
No.
Hai mal di capo?
No.
Hai mal di gola?
No.
Sempre ripeteva a bassa voce: Sono stanca.
Le altre la lasciavano dormire. Nella penombra data
dalle persiane chiuse, inerte, raccolta, Emanuela riflette-
va: Adesso ho parlato, finito, non avevo mai compre-
so Andrea, sono stata sciocca, bisognava... Ma ora fini-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
383 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
to. Restava lunghe ore a pensare: sera costruita nella
mente la casa che avrebbero avuto insieme, la luce mite
della lampada che avrebbe illuminato le loro sere si
spandeva attorno e la bagnava della sua chiarit. Tutto
ci pareva vero e adesso era finito. Questo pensiero le
dava un senso di desolata tristezza e insieme di sollievo.
Era libera, e bisognava prendere unaltra strada, passare
il ponte, scegliersi una vita, non lasciarsi vivere un gior-
no dopo laltro, a caso.
Augusta le aveva chiesto un giorno: Ti piace ascoltare
la musica? Ecco questo avrebbe fatto. Insieme sarebbe-
ro andate a sedersi nella grande sala e avrebbero udito
scendere su di loro la musica, bagnarle di uninnocente
dolcezza. Poi avrebbero comperato libri e fiori e avrebbe-
ro preso insieme un buon t caldo, in camera guardando,
dalla finestra, smuoversi le cime dei frondosi alberi della
Villa. Dalla finestra il cielo si sarebbe spinto nella camera
come uno sguardo. Superare la giovinezza, come Augusta
predicava; certe volte in pochi anni si vive intera una vita.
Questo era stato il suo destino. Vinca diceva sempre
che il destino ci conduce inesorabilmente, e non c nul-
la da fare per affrancarsi, per sciogliersi. Presto i suoi oc-
chi si sarebbero cerchiati come quelli di Augusta, per lo
studio, per laria viziata della camera, per la cruda soli-
tudine. Gi soffriva di questa futura miseria fisica; ma
sotto questa pena, palpitava la remota certezza di qual-
cosa che sarebbe sopravvenuto a salvarla. Andrea: An-
drea che non poteva fare a meno di lei, Andrea sarebbe
ritornato una sera, lavrebbe attesa alluscita della sala
dei concerti, lavrebbe presa pel braccio, le avrebbe det-
to: Vieni con me.
E Stefania? Stefania?
Un incubo, unossessione Stefania: s, non cera dub-
bio, bisognava rinunciare a tutto per Stefania, anche al
collegio, anche alla solitudine, anche alla musica, era lei
che la teneva pel braccio, Stefania.
384 Letteratura italiana Einaudi
Perch piangi, Emanuela?
Sono stanca.
Le amiche si dicevano tra loro: un esaurimento
nervoso; lemozione della morte del padre.
Non piangere cos, Emanuela. Vuoi sentire la lette-
ra che ha scritto Silvia?
Se Silvia fosse stata qui, forse Emanuela a lei avrebbe
parlato. Siediti qui vicino a me, Silvia, ho da parlarti.
Cosa devo fare, Silvia? Stupita Silvia lavrebbe guar-
data con attonita maraviglia.
qui, Silvia?
Qui? ma che cosa dici, Emanuela? Valentina le
chiese e poi guard Augusta con preoccupazione: Sil-
via a Littoria. Vuoi sentire la lettera? Emanuela apr
gli occhi, guard le compagne. Valentina, grassa e bion-
da, sembrava cresciuta troppo in fretta, come certi frutti
che sono tutta apparenza e niente sapore; Augusta, ve-
stita in abito a giacca, le appoggiava la mano sulla spalla,
e laltra stava composta e sorridente, simile a un cane
sotto la carezza del padrone. Erano brutte e stravaganti,
ed Emanuela mai le avrebbe scelte per amiche, ma, co-
me diceva Silvia, le amiche non si scelgono, cpitano. E
queste le erano capitate.
S, s, leggete.
Scriveva, Silvia, che Littoria una citt nuova, e una
citt nuova dapprima non accoglie, respinge. Chi arriva
in un posto nuovo un poco come un povero, ha biso-
gno di tendere la mano a qualcuno: talvolta ha bisogno
anche di nascondersi e l non era possibile. Poche stra-
de e ampie, aperte, molto illuminate. Tutto limpido,
trasparente, ti specchi da per tutto, la tua immagine ti
viene incontro in mille modi, mai puoi dimenticare che
esisti. Una citt nuova manca di tradizioni, e perci sem-
bra che tutti aspettino di sapere quello che debbono fa-
re. Nessuno ha una propria vita intima, ancora si sente
bisogno della comunit organizzatrice, che aiuti a vince-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
385 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
re il freddo degli edifici e delle strade. Tu sai, Augusta,
che io ho sempre bisogno di un rifugio; se avessi fede
andrei in chiesa a pregare, bench questa chiesa nove-
cento dove i passi si specchiano nel marmo del pavimen-
to non inviti a rifugiarsi; ma, lo sapete bene, io sono in-
capace di pregare, di credere, mi rifiuto di accettare
ciecamente tutto ci che gli altri hanno gi preparato
per me: ho sempre quel maledetto bisogno di ragionare.
Vho cercato la prima sera, le prime sere: mi apparivate
a distanza astronomica, ingoiate da un baratro, mai esi-
stite. Cercavo di convincermi che ogni principio diffi-
cile e freddo. Ogni cosa mera ostile come al mio arrivo
in collegio. Vivo insieme con gli altri insegnanti, e per la
prima volta ho provato un disagio fisico di me stessa,
per i miei occhi storti che non possono invitare gli altri a
guardarmi perch non si sa mai dove io guardi precisa-
mente. Temo di non avere uno sguardo sincero. un
terribile disagio questo, ho bisogno che gli altri si abitui-
no a me, e che io mi abitui a loro, la mia timidezza divie-
ne sempre pi invincibile, perci, voi che mi conoscete,
comprenderete che il pi grande sforzo stato quello di
traversare dietro al preside, nellaula, lo spazio dalla
porta alla cattedra; i ragazzi erano in piedi e mi osserva-
vano. Il preside ha parlato di me, mi ha presentata in
modo lusinghiero, avrei dovuto esserne contenta. Quan-
do egli se ne and avrei voluto andarmene con lui; rima-
nemmo invece soli, i ragazzi ed io: seconda ginnasio, do-
dici tredici quattordici anni, ragazzi alti quanto me, in
piedi, mi consideravano: sedici ragazzi, trentadue occhi
che sentivo addosso a me come punture, anche io li
guardavo, in piedi, le mani sulla cattedra: e il coraggio
mi venne proprio dal contatto con quel legno. Pensai
che era la prima cattedra mia e che da l la mia voce si
poteva alzare con parole mie, idee mie. Sorrisi, e i ragaz-
zi mi sorrisero. Cos cominciato. Alcune sere sono
molto stanca, ma il lavoro non mi pesa, mi pesa la re-
386 Letteratura italiana Einaudi
sponsabilit di me stessa, la mia esistenza sulle spalle,
che non debbo sciupare. Comincio a temere che la vita
sia troppo breve, ho tante cose da fare, tante cose da ap-
prendere e da dire, che mi impaurisco della morte, che
mi colga a tradimento prima che io abbia finito.
Ho ricevuto qui la partecipazione di nozze di Anna.
Quando sposa Emanuela? Datemi il nuovo indirizzo di
Vinca. Sarete ben sole, adesso. Che tempo fa, a Roma?
Qui bello; domenica, gran silenzio; io guardo dalla
finestra e maccorgo che siamo alle soglie della primave-
ra.
Valentina, che leggeva, abbass il foglio sui ginocchi.
Augusta la guard, le batt affettuosamente sulle spalle,
la preg: Continua, cara.
La ragazza rispose: Non pi la stessa: pi legge-
ra, pi serena, forse nemmeno si tormenta pi.
S, s fece Augusta appagata . E poi insist:
Continua.
Passarono giorni incolori; Emanuela si era alzata, la
testa vuota, disorientata come dopo una lunga malattia,
in convalescenza. Doveva riprendere abitudini interrot-
te che non le parevano pi naturali, faticava a riallacciar-
si ai giorni trascorsi e tuttavia si sentiva pervasa da un
benessere di guarigione insperata. Non usciva dal colle-
gio quasi temendo di trovare fuori una citt diversa, sco-
nosciuta, nella quale dovesse soffrire per dirigersi e am-
bientarsi. Una sera, risalita in camera sua dopo la
preghiera, si sedette al tavolo per scrivere una lettera al-
la madre, raccontarle, spiegarle, smuovere con quellatto
la nebulosa nella quale viveva. E prendendo la penna in
mano non sapeva se alla fine avrebbe scritto: Vengo o
Vieni tu, mamma mia. Stava cos, la mano sospesa sul
foglio bianco quando la porta sapr e Valentina saffac-
ci sulla soglia. Emanuela, che sera volta di soprassalto
allo scatto della maniglia, linvit sorridendo: Entra.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
387 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
No ella rispose: devi salire su da noi. Dobbiamo
dirti qualche cosa.
Che c?
Vieni su.
Adesso vengo.
Va bene, taspettiamo . E se ne and.
Che aveva? Negli ultimi tempi Valentina era profon-
damente mutata. La sua fresca allegria sera dissipata: il
continuo contatto con Augusta pareva averla appassita,
averle dato un odore di chiuso e di vecchio quale pren-
dono i vestiti che stanno a lungo negli armadi. Anche il
suo parlare sera fatto sentenzioso e sostenuto, con qual-
cosa di amaro nel tono della voce. Erano sempre insie-
me: Augusta, pur serbando su Valentina lautorevole
prestigio che le derivava dalla maggiore et, era piena di
premure per lei; spesso la chiamava: cara. Pi di rado
invitavano Emanuela a salire da loro; e se lei entrava nel-
la camera di Augusta, le trovava che leggevano versi, le
mani nelle mani, come se mescolassero le loro fantasie e
i loro respiri.
Un giorno Ingrid, la svedese stravagante, domand a
Emanuela: Non te la fai pi con quelle due? e solo
allora questa saccorse che da qualche giorno le due
amiche serano pi che mai distaccate da lei, la schivava-
no. Ingrid volse uno sguardo interrogativo sul cerchio
delle compagne, poi chiese a Emanuela: Vuoi venire
con noi?
Era un gruppo di giovanissime. Pochi anni, in fondo,
le dividevano dal vecchio gruppo di Emanuela, che sera
via via andato disfacendo. Eppure erano diverse, come se
ci fosse di mezzo unintera generazione. Sprezzanti, voli-
tive, temperate dironia, tutte tra loro si somigliavano: le
stesse pettinature, gli stessi vestiti, e anche i lineamenti
dei loro volti parevano tratti da uno stesso stampo. Ema-
nuela riud in s le parole che Xenia, due anni innanzi, le
aveva rivolto, quando era entrata al Grimaldi: Vieni
388 Letteratura italiana Einaudi
con noi di lettere? Noi di lettere era un gruppo che pa-
reva tenuto compatto dalla diversit delle ragazze che lo
componevano: tutte differenti, singolari di intelligenza e
di estri, con un gusto vivace per la polemica e i contrasti.
Nelle nuove, ogni gusto di discussione era scomparso; le
loro personalit parevano levigate e coperte della mede-
sima vernice. Spesso parlavano di sport.
Ma Emanuela intu che la sua posizione nel nuovo
gruppo sarebbe stata identica a quella nellaltro; anche
qui avrebbe dovuto costruirsi la sua nicchia di menzo-
gne, e vivervi sostanzialmente separata dalle compagne,
E infine, un giorno, inevitabilmente, troncare il suo fitti-
zio legame con loro.
No, grazie, rispose con gentilezza.
Quelle rimasero deluse perch Emanuela ispirava
simpatia.
Fa come vuoi Ingrid disse. Poi si volse alle altre ed
Emanuela cap che non lavrebbero cercata pi.
Quando Emanuela sal, trov Augusta e Valentina se-
dute accanto; fumavano. Lei fece entrando: Ciao, ra-
gazze e le guard. Che cera? Qualcosa cera. Si im-
paur; adesso Valentina assomigliava ad Augusta: la
guardavano accigliate. Avrebbe voluto andarsene e inve-
ce chiese, aggressiva: Che volete? poi fece un passo
indietro, verso il muro, quasi a difendersi da un colpo
inaspettato le spalle. Questa camera era isolata dal resto
del pensionato, le altre compagne erano distanti, non
potevano avvedersi di ci che accadeva l dentro. Sudi-
va di tratto in tratto venire dal piano di sotto un rumore
di voci.
Augusta lentamente si alz, lentamente mosse incon-
tro a Emanuela. Aveva le labbra contraffatte, gonfie, gli
occhi appesantiti da due borse livide, violacee, lo sguar-
do fisso, puntato sulla compagna ignara, come unarma
lungamente affilata e che ora va diritta al segno. Pareva
che con quel lento muoversi, con quella fissit inesora-
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389 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
bile dello sguardo ella si studiasse di non sciogliere e
dissipare in un gesto improvviso, in un moto inconsulto
il groppo dacredine che le serrava la gola.
Cos savanz verso Emanuela, le fu vicina, immobile
come a fiutarla, poi alz una mano e glie la lasci ricade-
re sul viso. Lo schiaffo risuon seccamente nella camera,
ricolm il vuoto del silenzio attonito che sera formato
intorno alle tre ragazze.
Augusta! Emanuela esclam e arross, pi che per
il colpo, per la vergogna. Guard Valentina cercando
aiuto, ma cap che era inutile.
Allora si lasci cadere, seduta sul letto, e le fiss stra-
volta attendendo da loro chiss che altra rovina, senza
pensare a ribellarsi, comprendendo di essere completa-
mente in loro bala. Il busto piegato, il viso accanto al vi-
so di lei, anelante, Augusta le diceva con voce soffocata
e torbida: Ladra! , riprendendo fiato, poi tornava a
ripetere quella parola come se, cercato nelle pause
uningiuria pi forte, confusa dallira, non riuscisse a
trovare che quella: Ladra! Ladra!
Emanuela ascoltava immobile, sbattendo le palpebre
ogni volta, come se fosse stata schiaffeggiata di nuovo.
Ladra! Augusta ripeteva astiosa: sappiamo tutto.
Andrea ha parlato con Valentina stamani. Due anni che
sei qui e sai tutto di noi, tabbiamo detto cose che non
tavremmo detto se tavessimo conosciuta. Sei venuta a
rubare. Ladra! Ladra.
Linsulto soffiato con voce fosca sembrava assorbire
tutta laria della stanza, le basse pareti lo trattenevano
attorno a Emanuela: era caduto un pauroso silenzio nel
quale i secchi singhiozzi della ragazza restavano sospesi.
Tutto infieriva contro di lei, inutile difendersi, non sape-
va pi dove rivolgersi, la bugia la stringeva, la soffocava,
ne sarebbe morta.
Che sei venuta a fare qui? non era luogo per te. Te
lavremmo detto. Che aspettavi? Credevi che, tacendo-
390 Letteratura italiana Einaudi
lo, il passato potesse distruggersi? Rammento che Silvia
sbito ti sent diversa. Disse: Che cosa venuta a fare
qui? Tu allora con occhio tranquillo incominciasti a
snocciolare bugie. Pensavi che cambiando lo scenario
anche tu ti saresti cambiata, saresti ritornata quella di
prima. Non sai che tutto possibile nella vita, fuorch
tornare indietro? Le strade sono tante, ognuno crede di
prendere la buona, va, va, e poi a un tratto saccorge che
ha sbagliato. Tutti vorremmo ricominciare. Ma gli atti
che ci hanno accompagnato fin l, sono alle nostre spalle
attraverso la strada, a fare argine. E indietro non si pu
tornare. Nessuno torna indietro. la pi inesorabile
forma di eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alle leg-
gi della vita . Fece una pausa e poi riprese: Xenia non
pi venuta a bussare alla porta del collegio, chi sa
dov, che fa, continua a camminare, noi non torniamo
alle nostre case e tu volevi...
Non sono io che ho voluto, Augusta, credimi, ascol-
tami, non ho mai voluto nulla, ho trovato sempre tutto
pronto e non m restato che adattarmi, mettermi a vi-
verlo.
Neppure laltro giorno, quanderi a letto, hai parla-
to; neppure il dolore di lasciare Andrea ti ha fatto per-
dere il controllo. Te stessa, sempre avanti a tutto. Noi
capivamo che la cosa era finita, il matrimonio andato a
monte, senza domandarti ragione eravamo pronte ad ac-
coglierti, Valentina e io, nella nostra vita. Ma abbiamo
intuito, come Silvia al primo giorno, che qualcosa di te
ci sfuggiva, che tu ti nascondevi dietro la tua ombra.
Valentina non parlava, sappoggiava al braccio
dellamica. Non erano pi che una sola persona, indefi-
nibile e scostante.
Devi andartene, adesso. Che stai a fare qui? qualun-
que essa sia la tua vita migliore della nostra. Qualcosa
di te rimarr: tua figlia. Anche quando tu muori quella
continua. Io volevo stasera, avanti a tutte, dirti: Vatte-
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391 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
ne! Poi ho pensato che non colpa tua: ci sono esseri
che nascono come te gi mancati, indifferenti. La tua co-
sa migliore, tua figlia, forse sar venuta a te senza che tu
la volessi.
Il grido della suora lacer laria. Luce!. Poi il buio
si franse nella stanza; a tentoni Valentina accese la lam-
pada.
Il buio, il buio mormor Emanuela.
Scendi al tuo piano, c la luce. Che timporta del
buio che resta qua dentro? Tu domani sei fuori, te ne
vai.
Vi fu un silenzio penoso. Nei corridoi porte sapriva-
no, si chiudevano; adesso nellattenta pace si udivano
venire voci dalle camere vicine, Ingrid discuteva con le
amiche; in ogni camera cera una lampada accesa: questa
era la vita del collegio.
Poteva scendere, cercare Ingrid, dirle: Vengo con
voi . Ma dopo quanto stasera era accaduto, il mescolar-
si di nuovo a quella vita, allo spirito con il quale le ragaz-
ze trascorrevano quel periodo dattesa, le apparve cosa
puerile, come un adulto che si metta a giocare a nascon-
derella con i bambini. Non cera pi nulla da difendere
ormai, nulla pi da salvare. E pap, poverello, parlava in
retorica: la vita si rif, la vita si ricostruisce: non una
casa abbattuta dal ciclone, la vita. La vita sguita, i mesi
gli anni rotolano e noi con loro. Emanuela era stanca,
stanca, alz gli occhi verso le amiche perch la vedessero
cos disfatta e ne avessero piet. Augusta aveva preso
una sigaretta per lei, una per Valentina. Le loro mani
grasse avevano gesti simili, comandati da uno stesso
istinto; poi colm il suo bicchiere, quello dellamica, le
disse: Tieni, cara . Era gi come se Emanuela non fos-
se pi nella camera: il bicchiere in mano, le ragazze la
guardavano quasi a chiederle che cosa aspettasse.
Me ne vado Emanuela disse alzandosi. E le altre
due non la trattennero.
392 Letteratura italiana Einaudi
*
La ragazzina sudicia che apr la porta fiss Emanuela
e, senza toglierle gli occhi di dosso, le indic una porta
grigia nel fondo del corridoio. La casa odorava di soffit-
to, le porte delle stanze erano spalancate e mostravano
un vecchio seduto nella poltrona a dondolo, un bambi-
no accovacciato per terra. Emanuela buss alla porta
grigia, chiam: Vinca Da dentro sud una sedia
spostata di scatto, la ragazza accorreva.
Oh ! Emanuela!...
Vestiva, Vinca, in foggia maschile: portava calzoni
grigi lunghi, pantofole e una camicia semplice con le
maniche rimboccate. Appariva pi magra, consumata
da dentro. I capelli, tagliati appena pi corti del solito,
sabboccolavano, ricadevano senza arte e tuttavia con
morbidissima grazia. Gli indumenti mascolini che la ra-
gazza indossava non riuscivano a dominare la spontanea
femminilit del suo aspetto e dei suoi gesti. Sorrise a
Emanuela con entusiasmo e la tir nella stanza tenendo-
la quasi abbracciata.
La camera non era cos sporca e ripugnante come il
resto della casa: alle pareti cerano i disegni di Luis,
qualche veduta di Spagna, di Crdova. Negli scaffali i
trattati di architettura, sul tavolo le squadre, le righe, i
compassi. Accanto al letto di Vinca molte fotografie di
lui. Questi che Vinca portava erano i suoi calzoni.
Spieg che aveva ripreso questi oggetti dallo studio.
Non li ha richiesti. E se li richiedesse non glie li da-
rei; ma lui certo non pensa pi a queste cose . Cambi
discorso volutamente: Ti piace questa camera? penso
che abbia un suo carattere, non ti sembra?
Si moveva per la stanza cercando di mettere un po
dordine, confusa dallimprevista visita dellamica. Su un
tavolo cerano gli avanzi di un pasto: un pacchetto di sa-
lati, pane, una mela; lei dissimul tutto questo dietro una
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
393 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
pila di quaderni, pass una mano sul tavolo a scacciarne
le briciole e, presa una sedia, sedette accanto a Emanuela.
Scusami le disse un bazar, qua dentro. Senti
odore di spirito? La macchinetta difettosa. Trovi un
po di tutto. Sai, mangio qui, lavoro, dormo, il disordi-
ne delle stanze di noi donne sole. Per mi ci trovo bene;
i padroni di casa sono brava gente e mi piace il quartie-
re, la strada caratteristica, tutte queste finestre tengo-
no compagnia, mi sembra di prender parte alla vita di
quelli che abitano nel vicolo. Di sera, spesso, spengo la
luce per non essere vista e mi metto alla finestra, allos-
servatorio. In una casa, proprio di contro, abita per
esempio una famiglia di operai. Il padre torna a casa,
dopo il tramonto, stanco; si butta a sedere alla tavola, la
moglie gli mette davanti un piatto di minestrone freddo,
gelato, che si potrebbe tagliare a fette come la polenta. I
figli, cinque, alti cos, si dispongono a cerchio attorno al-
la tavola, in piedi, ci arrivano a pena con la testa; e fissa-
no il padre che trangugia quella minestra, la divorano
con gli occhi sgranati dal desiderio. Lui, ogni poco,
prende su una cucchiaiata e imbocca un figlio, a turno,
senza parlare; quando il piatto vuoto, incrocia le brac-
cia sul tavolo e dorme, i ragazzini se ne vanno.
pittoresco.
S, la miseria sempre pittoresca. Al piano di sotto
invece c una sarta, si vedono i manichini nella cucina
e... Ma che te ne importa di tutto ci? Senti, hai fatto
proprio bene a venire. Io non ho pi visto nessuna di
noi di lettere. Mi ha scritto Silvia che sta bene, ha molte
soddisfazioni; un tipo in gamba, Silvia, non trovi? Ecce-
zionale, diritta, tutte vorremmo essere come Silvia.
vero rispose Emanuela eppure certe volte mi
dava limpressione che avrebbe voluto essere come noi.
Forse. Ma non potr mai divenirlo, qualunque cosa
accada. Io ho cercato di rendere la mia vita simile alla sua,
il mio modo di pensare, senza riuscirvi. Che vuoi fare?
394 Letteratura italiana Einaudi
Sei pi tranquilla, Vinca?
Secondo quello che tu intendi per tranquillit. Mi so-
no trovata molto sbandata sul principio, ho faticato per
trovare un orientamento. Adesso ho parecchie ore di le-
zione la settimana, mi bastano per vivere, mi sono potuta
anche comperare un paio di scarpe Poi si chin verso
Emanuela, poggi i gomiti sui ginocchi, disse pi piano:
Se questa che tu chiami tranquillit. Per il resto... Sai
quando tremendo? Quando torno a casa, la sera, apro
la porta, la camera al buio e debbo accendere la luce.
Mi costa grande fatica girare linterruttore e rivelare que-
sta mia sconsolata solitudine. Certe volte mi metto a par-
lare da sola ad alta voce per tenermi compagnia. Un gior-
no mha udito il figlio della padrona, non so se lhai visto
entrando, un bel bambino, e s messo a ridere.
Non parlava di Luis: lo teneva vivo attorno a lei ve-
stendo gli abiti di lui, contemplava i disegni, rileggendo
le lettere; forse in certi momenti ella stessa non sapeva se
era Vinca o Luis. Entrando nella camera dopo le lezioni
si vestiva cos ed era come se lo ritrovasse l ad attender-
la; parlava ad alta voce, illudendosi di sentirlo parlare.
Questo mescolarsi di oggetti maschili e femminili, della
sua personalit e di quella di lui, le faceva credere in una
loro vita comune. Non era triste, non parlava del passa-
to. Non sapeva neppure che Emanuela aveva lasciato il
collegio, che abitava in albergo, che stava per partire per
un lungo viaggio.
Vai anche in Spagna? le chiese; e alla risposta ne-
gativa si disinteress dellitinerario, come se altri paesi
non esistessero. Sei contenta di partire?
Molto contenta.
E Andrea che dice?
Andrea?... Gi, tu non sai. Andrea... finito tutto.
Non ti dir la ragione, altre te la diranno per me.
Che importa la ragione? finito fece Vinca tran-
quilla.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
395 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Era vero. Adesso in Emanuela le sofferenze passate
riaffioravano e tutta la pena di Andrea e del collegio e lo
strazio che aveva provato uscendo, udendo richiudersi
la grande vetrata dietro di lei e quel senso di smarrimen-
to che laveva colta l, nella strada, nellautomobile che
la conduceva allalbergo, tutto ci andava a raggiungere
un altro mondo distante e dimenticato, dove stavano
Stefano, suo padre e Milly. Un mondo di morti. Cose e
persone diverse da lei che la intenerivano senza che tut-
tavia le comprendesse; non aveva compreso Stefano, n
pap, n Milly.
Questi ultimi giorni a Roma erano pieni di tedio e
dimpazienza. Il senso di provvisorio delle sue giornate
la infastidiva come il rodo dei tarli in una vecchia casa
abbandonata. Tutto: persone, sentimenti, idee, che ave-
vano formato il tessuto della sua vita di ieri ormai sal-
lontanava, sfumava, perdeva anche il suo rilievo come
ricordo, come sensazione vissuta. Ma una fresca gioia si
diffondeva in lei come un sangue nuovo: la gioia di rico-
minciare, di rifarsi da capo, di aprire una finestra su un
giardino ignoto. Andava incontro a cose e persone sco-
nosciute: tuttun mondo da scoprire. E di questo si ralle-
grava, perch sempre le piaceva accostare gente nuova,
esperimentare il suo potere di fascino sugli altri. Le ulti-
me parole di Andrea lavevano amareggiata, afflitta: solo
Andrea laveva compresa a fondo, laveva messa brutal-
mente a nudo rivelandole unEmanuela umiliata e me-
schina, ed ella sentiva ora un prepotente bisogno di libe-
rarsi da quella cruda e molesta immagine come dun
abito misero col quale si fosse inaspettatamente trovata
vestita in una sera di festa.
Eppure, solamente adesso, dopo averla sbatacchiata
di qua e di l, lesistenza la portava al vero punto di par-
tenza per una vita adatta a lei; una vita intima e sofferta
le sarebbe stata impossibile. Non avrebbe resistito nep-
pure unora in questa stanza di Vinca che guardava una
396 Letteratura italiana Einaudi
squallida strada dietro il Tevere; quel museo di cose
morte, tenute in vita per imbalsamazione, le avrebbe fat-
to orrore. E Vinca, invece, l in mezzo appariva serena.
Emanuela parlava, raccontava con entusiasmo del
viaggio. Pochi giorni mancavano alla partenza e avrebbe
voluto chiudere gli occhi, averli gi trascorsi. Stefania
aveva accolto la notizia freddamente: Un viaggio?
S, un lungo viaggio su un grande bastimento. An-
dremo a vedere i moretti.
I moretti? e le scimmie anche?
S, anche le scimmie.
Me ne comperi una?
Ti compero tutto quello che vuoi.
Ah! bene, sono contenta.
Niente pi di questo. Intima con tutti, estranea a tut-
ti, Stefania; si sarebbe detto che avesse il carattere di
Emanuela eppure, in verit, era molto diversa da lei.
Emanuela, nel lasciare il Grimaldi, commossa, diceva:
Addio addio a ogni angolo della scala, al cortile, alla
cappella. Stefania era uscita dal collegio senza voltarsi
indietro, aveva preso tranquillamente la mano dellisti-
tutrice che non conosceva, era entrata nellalbergo come
se vi avesse sempre vissuto. Era di unaltra generazione,
ancor pi ragionatrice e indifferente.
Ora Emanuela si domandava perch fosse venuta a
trovare Vinca: non poteva raccontarle tutto quello che
laveva condotta a lasciare il Grimaldi, a partire, sa-
rebbe stato penoso, e non era certa di essere compresa.
Nei giorni scorsi era rimasta a lungo indecisa se salutare
Vinca o no; e poi aveva voluto vederla, senza precisa ra-
gione, sperando istintivamente qualcosa da lei. Ma non
sapevano parlare altro che di cose e persone del pensio-
nato: le loro esistenze nuove sarebbero rimaste inesora-
bilmente chiuse alluna e allaltra. Emanuela raccontava
della Madre superiora che sedeva, ormai rassegnata, al
posto di quella vecchia.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
397 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Entri e quasi non la vedi, sta l che dice il rosario o
legge lImitazione di Cristo. Ha lottato, s ribellata, te-
mevano che impazzisse, notte e giorno sudivano i suoi
passi nello studio, nella camera, senza pace. Ma le altre
monache non si lasciavano sopraffare, la tengono prigio-
niera al posto che lei stessa s creato, e sinchinano ri-
spettosamente avanti a lei. Non torner mai ad essere
suor Lorenza di prima. Vieni avanti, figlia mia, mha
detto; e abbiamo parlato un poco. Neppure conosce le
nuove che sono arrivate. rimasta ferma a noi, al nostro
gruppo, a quello insomma che lei ha accolto in parlato-
rio. Segue il suo corso adesso, invecchia, forse la crede-
vamo molto pi giovane. Sta l seduta e aspetta che ven-
ga il suo turno di andare a Genova per morire.
Ma non credi tu che, in fondo, tutti non aspettiamo
che questo? le chiese Vinca.
No, che dici mai, alla tua et? Silvia ha scritto che
teme di morire prima di aver compiuto tutto ci che
vuole. Anche io ho paura di morire; mi sembrerebbe di
non aver vissuto che un attimo. Tu non hai paura della
morte?
Io? io no, forse perch ho gi esaurito tutto quello
che era nelle mie possibilit di gioia e di sofferenza.
Rimasero fino a tardi a parlare; cercarono di accostar-
si il pi possibile luna allaltra, al mondo dove avevano
vissuto, un mondo che si disfaceva, si perdeva nel nulla.
Non avevano il coraggio di lasciarsi; Vinca la pregava:
Rimani . Ed Emanuela indugiava, cercava di prolunga-
re quegli attimi che erano, tutte due lo sentivano, lulti-
mo lembo di una stagione della giovinezza.
Sabbracciarono sulla porta due volte tre volte. Ema-
nuela guardava Vinca affettuosamente, cos magra in
quei calzoni larghi. Vinca le carezz la guancia e si la-
sciarono sorridendo, senza tristezza. Gi della loro esi-
stenza comune ormai non le legava pi che un affetto te-
nace e distante, come un ricordo.
398 Letteratura italiana Einaudi
*
Appena a bordo, sistemati i bauli nella cabina, Ema-
nuela risal sopra coperta attendendo che il piroscafo
partisse; ma era arrivata molto in anticipo, si capiva che
era la prima volta che si accingeva a un viaggio cos im-
portante e temeva che la nave potesse andarsene senza
di loro. Era un mattino chiaro, ma non caldo, ella saf-
facci al bordo e guard nel quieto specchio di mare ove
lAmazonia era ormeggiata, opalescenti macchie brune
aprirsi, richiudersi come occhi. Sembrava un mare artifi-
ciale, odorava di nafta invece che di salso.
Imbarazzata per essere arrivata tanto tempo prima
della partenza, osservava attorno con interesse quasi a
mostrare che era venuta presto per questo; per non riu-
sciva a distinguere nulla con chiarezza, il suo sguardo ir-
requieto vedeva solo, su, su, per la collina, oltre il bian-
cheggiare della citt, le macchie verdi degli alberi che,
gonfi e cupi, sembravano trattenere una precoce calura
estiva. I marinai, gli ufficiali si movevano tra arnesi e co-
se a lei inusitate, andavano e venivano chiusi in occupa-
zioni, orari a lei sconosciuti; nessuno le badava e lei si
sentiva estranea come i primi giorni al Grimaldi da-
vanti alle abitudini delle ragazze.
Finiva per volgersi alla figlia e carezzarla sorridendo-
le: Stefania ogni poco le chiedeva sempre con uguale in-
tonazione: Quando partiamo, mamma? quasi che la
madre dovesse dare il segnale della partenza. Ed Ema-
nuela rispondeva, per quietarla: Adesso, Stefi, adesso.
Per la passerella gente saliva; bagagli chiari ondeg-
gianti sulla schiena curva dei facchini. Emanuela pens
con piacevole curiosit: I miei compagni di viaggio.
Cinque mesi di viaggio, un passatempo per gente ricca.
Si salpava alla soglia dellestate, si tornava col primo
freddo autunnale. E le sembrava che in questo tempo,
mentre lei era lontana, nelle citt dovera vissuta fino al-
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
399 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
lora, tutto ci che di lei era stato dovesse disfarsi, discio-
gliersi, il vento dovesse disperderlo, Emanuela Andori
morta, poveraccia, sua madre la dimentica e cos An-
drea, le compagne.
Partiamo, mamma?
S, s, amore, sta buona, adesso partiamo.
Saliva sulla passerella una signora grigia con tre figlio-
le; la minore di esse che aveva ancora le trecce sul petto,
conduceva al guinzaglio un cane. Ladolescente si guar-
dava attorno spaurita da questo insolito avvenimento
della partenza che si svolgeva tanto rapidamente da non
aver il tempo di goderlo. Erano gi sulla coperta, le so-
relle parlavano animatamente cercando di rendere que-
sto momento simile a ogni altro, far finta che non si ac-
corgevano di partire, la nave avrebbe salpato e loro non
avrebbero interrotto il discorso per un avvenimento di
cos poca importanza. E questo pareva alla minore una
crudelt, perci tirava a s il cane, per sentirsi accanto
una cosa casalinga, abituale.
Lady Royl sal sorridendo, quasi fosse la madrina del
bastimento al varo; il comandante lattendeva, un lungo
asciutto calvo comandante, anche gli altri ufficiali sin-
chinarono; e lei sembrava aver ragione di essere cos pie-
na di s. Era bruna e alta, quarantanni almeno; e perle
agli orecchi, perle al collo, perle alle dita; vestiva di ne-
ro, portava un grande cappello come se andasse a una
cerimonia.
Emanuela, vedendola salire con tanti onori, si scopr
infastidita dessere l sola con la bambina, in disparte.
Non conosco nessuno, mi annoier in questo viaggio,
ho fatto male. E Stefania chiedeva: Quando si parte,
mamma?
Le rispose stizzita: Che ne so, Stefania, adesso si
parte . E intanto seguiva con gli occhi lady Armilda
Royl che sorridendo imboccava la porta di una cabina
sul ponte.
400 Letteratura italiana Einaudi
Quasi avesse atteso larrivo della nobile dama, la sire-
na url. Quella sirena elettrica era lunica cosa a bordo
che sapesse veramente di mare, avesse odore di scoglio,
una voce prettamente marina, come se, di sottacqua,
qualcuno soffiasse in una gigantesca conchiglia.
Gridava cos la suora a sera, quando le ragazze dove-
vano partire tutte insieme per le tenebre; ogni sera a
quel grido le ragazze sussultavano. Emanuela sent il
cuore batterle violentemente, soltanto a quellurlo della
sirena saccorse che partiva veramente. Intimorita
avrebbe voluto correre per il ponte, fino alla passerella
che gi veniva ritirata, Un momento, un momento! e
scendere di nuovo a terra, ansante, riposarsi sulla ban-
china, rinfrancata come per un pericolo scampato. E in-
vece stava l immobile: nessuno immagina che pensi
queste cose. Accanto a lei Stefania eccitata dalla novit
aveva preso a saltellare: la madre le si rivolse duramente:
Sta ferma.
Africa Cina Giappone. Potrei prendere qualche ma-
lattia, non tornare pi. Nessuno le aveva detto: Sei
pazza, che vai a fare? Lavevano abbandonata, lei e la
bambina. Negli ultimi tempi sera annoiata a Roma, an-
noiata di tutto; voleva disfarsi di quella vita monotona.
E adesso pensava invece con rimpianto: Chi sa che fa
Andrea a questora, non sa che il piroscafo parte. E loro,
le compagne
Sono l, saffollano sulla banchina per salutare Ema-
nuela che se ne va: sono venute tutte, non unillusio-
ne, le vede chiaramente, sono venute per vederla unul-
tima volta. La nave si stacca, completo silenzio, non ci
sono rumori attorno, ma sarebbe inutile urlare, adesso,
troppo lontana, solo si vedono le loro mani agitare
fazzoletti bianchi. Vinca venuta vestita da uomo e fa
addio senza sorridere. Augusta e Valentina si tengono
per mano, Andrea col cappello buttato allindietro, la
faccia stravolta come quel mattino che lei gli parl, al
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
401 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Pincio. Qualcosa duole qua nel petto se riode la voce di
lui: Nuela. Ma non parla, non sorride, Andrea: la
guarda. inutile che lei gridi: Aspettatemi, ritorno;
non udrebbero. Bisognerebbe lasciarsi scivolare gi,
nellacqua che si squarcia al passaggio della nave, torna-
re a nuoto, neppure tornare, lasciarsi cadere gi, nel
fondo.
La scosse il rumore di qualcuno accanto a lei che si
soffiava ripetutamente il naso; era listitutrice della bam-
bina che scaricava cos la sua voglia di piangere, le guan-
ce, gli occhi, il mento accesi. Alzando il naso dal fazzo-
letto disse, quasi a scusarsi: sempre triste una
partenza, Madame.
*
Alle cinque il t: nellangolo migliore della coperta, al
riparo, cera la tavola di lady Royl. Soltanto quando il
suo gruppo abituale era riunito attorno a lei, ella che sta-
va sdraiata su di una poltrona, si sollevava dai cuscini,
deponeva la sigaretta, cominciava il rito. La stagione era
gi avanzata per quella bevanda calda e tutti, dopo aver-
la sorbita, si sentivano salire le fiamme al viso, alla testa.
Il t disseta, il t rinfresca diceva lei io non prendo
che t . E gli altri sorridevano, volentieri bevevano.
Cera nel gruppo un pastore anglicano, biondo, ro-
seo, con gli occhiali spessi sugli occhi miopi. Passeggia-
va sopra coperta leggendo la Bibbia, poi sarrestava, ap-
poggiava un fianco al bordo e segnando con un dito la
pagina interrotta chiudeva il libro, restava a pensare.
Era affabile, quasi galante: Emanuela fu felice di cono-
scerlo: Se ne parla tanto di questi pastori presbiteriani
adesso, sono cos alla moda, non si pu aprire un ro-
manzo inglese senza trovarne uno. E sattendeva sem-
pre che egli compisse qualcosa di straordinariamente
crudele con occhio limpido come si conveniva al perso-
402 Letteratura italiana Einaudi
naggio. Ma invece lui si contentava di passeggiare verso
sera, la Bibbia tra le mani; un pastore per bene.
Emanuela apprezzava al giusto valore il privilegio di
trovarsi nel gruppo di lady Royl, ne era quasi intimorita
anzi, ci la rialzava ai suoi stessi occhi. Non si divert
molto, sul principio, ma notava che quando loro stavano
tutti insieme, gli altri passeggeri li guardavano con am-
mirata invidia e come se essi soltanto gioissero dun vero
divertimento. E cos lei stessa se ne convinse.
Lady Armilda Royl, che viaggiava con un passaporto
inglese, parlava italiano, francese, tedesco, qualche volta
anche inglese. Compariva sul ponte solo pochi minuti
prima della colazione che prendeva alla tavola del co-
mandante: i suoi vestiti erano sempre accurati e fru-
scianti, vestiti pomposi, Emanuela appena la vide pens:
una donna affascinante. E avrebbe voluto assomi-
gliarle, muoversi come lei, parlare con quel tono indo-
lente e disinvolto. Invece lei i primi due giorni non sep-
pe uscire dalla vita familiare che faceva con la bambina,
passeggiava per il ponte tenendola per mano. Non cono-
sco nessuno perch ho la bambina, pensava, tutti hanno
paura del chiasso, sono fastidiosi i bambini, nessuno
saccosta a chi ha bambini. Invece proprio a causa di
Stefania conobbe lady Armilda Royl. Fu lei a parlarle, le
chiese: sua quella bambina singolare? Le ho offerto
una caramella e lei facendomi un inchino cortesissimo
mi ha risposto: Noi non ci conosciamo, signora . Ri-
cordando lepisodio, lady Royl rideva e il viso gi un po
sfiorito si ringiovaniva di quel riso. Cos, una parola do-
po laltra, lady Royl non smetteva di guardare Emanuela
negli occhi, poi la prese sottobraccio e con lei cominci
a camminare sul ponte con quellaria di protezione che
aveva per tutti, e certo, intanto, pensava che Emanuela
vestiva con molta eleganza, vestiti di buon gusto, vestiti
cari. La present al gruppo. la madre di quella bam-
bina.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
403 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Sybil le fece subito posto accanto a lei, sul divano a
dondolo; e ricominciando a dondolarsi le sorrise. Una
ragazza americana di madre scozzese: aveva i capelli ros-
si, gli occhi verdi e la pelle bianca imperfetta. Dopo po-
chi minuti che la si conosceva raccontava che una volta
le era stato detto chera di tipo italiano, un tipo del Ti-
ziano. E rideva, un bel sorriso tondo, pieno di denti.
Sconcertante, ma attraentissima. Ho diciannove anni,
ma a dodici avevo gi bevuto il mio primo whisky di-
ceva.
Di fronte a lei Emanuela rimase intimidita; i due fra-
telli inglesi che sempre accompagnavano Sybil e lady
Armilda, erano cortesissimi, ma parlavano poco, non ri-
devano affatto. Il maggiore di questi, mani ossute, rosee
alle giunture, diceva seriamente barzellette, difficili gio-
chi di parole; ma non era mai il primo a riderne. Un pia-
nista polacco che era nel gruppo e non parlava bene lin-
glese, sorrideva scioccamente mentre gli altri si
divertivano. Emanuela parlava bene inglese, francese,
tedesco: piacque.
Una creatura adorabile disse sottovoce lady Royl
al vecchio principe.
Un vecchio principe che viaggiava con una dama di
compagnia, unantica infermiera; viaggiava tutto lanno;
scendeva da un piroscafo e dopo pochi giorni partiva
con un altro, sempre in mare viaggiava. Era colto, amava
la conversazione; mentre parlava traeva dalla tasca un
fogliettino di carta bianca liscia e cominciava a piegarlo
e ripiegarlo fino a formarne una barchettina: appena
laveva formata, interrompeva il discorso, la guardava
un attimo, e la posava l vicino, dove poteva, sul tavolo,
per terra. Certe volte accanto a lui si aggruppava una
flotta di barchettine candide, perfette. Linfermiera non
aveva altro compito che andare dietro di lui, raccogliere
le barchette, preparargli foglietti di lucida carta bianca,
tagliati tutti uguali, precisi.
404 Letteratura italiana Einaudi
A sera si riunivano in una saletta, sappartavano, non
volevano mescolarsi agli altri passeggeri, spesso il polac-
co apriva il grande piano a coda, spegneva la luce, e suo-
nava; nella penombra si vedevano appena biancheggiare
le perle di lady Royl, le barchette che il vecchio metteva
sul nero lucido del pianoforte. La ragazza americana
non amava la musica, pure ascoltava mansueta, fuman-
do, vuotando il bicchiere di whisky. Emanuela invece
ascoltava a occhi chiusi, beata, e intanto pensava a certe
parole di lady Royl: Creda, mia cara, nessuna cosa vale
pi di viaggiare, conoscere, vedere gente di altri paesi, di
altre abitudini. In Egitto le presenter un mio grande
amico, egiziano, che vive a pochi chilometri dal Cairo, in
una casa fastosa e bizzarra. Un tipo che sinnamora di
tutte le donne, sinnamorer anche di lei. E lei aspetta-
va tutto questo e pensava che s, lady Armilda aveva ra-
gione, bisognava uscire dalla vita monotona che aveva
condotto fino allora, aveva abbastanza danaro per fare
ci che voleva, i suoi non avevano saputo goderselo, era
giusto che se lo godesse lei. E solo questo ambiente vale-
va la pena di essere conosciuto.
Nessuno si domandava nulla, da dove si veniva, dove
si sarebbe andati una volta scesi dai piroscafo. Chi sa
perch tutti facevano quel viaggio, chi era lady Royl e
perch la ragazza americana a diciannove anni viaggias-
se sola bevendo ogni sera cos, e per qual ragione il pa-
store se ne stava cinque mesi lontano dalle sue pecore, a
fare il giro del mondo. Nessuno chiedeva nulla. Pensava
che invece avrebbe potuto invecchiare nella vita borghe-
se di Andrea, del padre, della madre, negozianti borghe-
si, felici, appagati solo perch avevano la corona reale
sulla porta. Tre generazioni di gioiellieri sempre ri-
peteva il padre: ricordando questo, Emanuela ne aveva
il solletico al naso per il ridere. Se non avesse avuto la
bambina a questora sarebbe la moglie di Andrea, pro-
vava un brivido per la schiena, adesso, a questidea.
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
405 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
Adorabile Stefania, non sera mai accorta, la madre, di
come in realt quella bambina fosse bella, fosse intelli-
gente, lo dicevano tutti che era una bambina interessan-
tissima. Neppure di quello che valeva lei stessa sera resa
conto, finora. Che era molto colta, molto colta. Al colle-
gio le pareva di essere sempre lultima, la trattavano con
aria di compassione: era per umiliarla, per soffocarla,
adesso lo capiva, avevano paura di lei. Qui era sempre
pi colta delle altre; col vecchio principe parlavano
spesso di pittura, e lei poteva dire tutte quelle belle cose
che sapeva sul Correggio, che era il pittore che preferi-
va, e quegli aneddoti. Si capiva che al vecchio, il quale
era modenese, tutto ci faceva piacere. E infine ci che
valeva era dessere arrivata a vivere secondo i propri de-
sideri, il proprio carattere, lo diceva sempre anche Sil-
via. Silvia aveva tanti difetti, si lavava poco, non era una
donna, ma ogni tanto diceva qualche cosa giusta.
Finito il notturno il pianista sullultima nota reclinava
la testa sul petto e restava cos, le mani sulla tastiera.
Biancheggiavano sul pianoforte le barchettine candide,
tutte uguali, perfette.
Ha ecceduto, s ammise lady Royl, dopo lo scalo a
Istanbul ma sono cos le americane, prendere o lascia-
re . E la prendeva perch era figlia di certe miniere di
rame importantissime.
Sybil a Istanbul sera ubriacata. Erano scese, lady Ar-
milda, Sybil e lei, insieme ai due ragazzi inglesi e al po-
lacco. Sybil scolava un bicchiere dopo laltro, e intanto
simpinzava di stucchevoli dolci turchi, polverosi. Sem-
brava resistere benissimo, fu di colpo che si rivel ubria-
ca. Si mise a cantare con lorchestra e il suo volto gi
aveva una sorridente incoscienza. Cant poi per le stra-
de, sul ponte, nella lancia che li riconduceva a bordo.
Emanuela non aveva mai visto una donna ubriaca, quei
gesti molli, svagati, e locchio fermo in unespressione di
406 Letteratura italiana Einaudi
animale beatitudine. Sul principio ne fu disgustata, ma
dopo, vedendo che gli altri ne ridevano divertiti, rise an-
che lei; tutti raccontarono di qualche volta che serano
ubriacati e lei cerc di cambiare il discorso per non con-
fessare di non averlo fatto mai. La questione , pensava,
che dopo il secondo bicchierino io proprio non ho pi
voglia di bere.
Ha ecceduto, s, ma era molto divertente. Gli ameri-
cani continuava lady Royl bevono troppo perch non
sanno contenersi, non hanno lesatta misura, come i
bambini che mangiano troppi dolci e poi hanno lindige-
stione. Sono giovani gli americani: Sybil una bambina.
Passeggiavano sul ponte, lady Armilda le si appoggiava
marcando non si capiva se la sua et o il suo diritto. Ema-
nuela sentiva sul suo braccio il braccio di lady Royl, pelle
liscia, molto liscia, non pi giovane. Le perle davano iri-
descenze al biancore delle sue mani. Odorava di limone,
freschissima: Emanuela era proprio contenta dessere
con lei a passeggiare sottobraccio sul ponte. Lascoltava
attenta, quando venne a raggiungerla Stefania.
Che cosa c, cara?
Emanuela le parlava sempre con tono sdolcinato e di-
stante, carico di tenerezza e di noia.
Sono inquieta.
Che c, tesoro?
Mademoiselle dice che non posso avere ancora un
gelato.
Emanuela sorrise ampiamente. Sorrideva cos da
quando era sulla nave, un sorriso che le stava benissimo.
Anni ci vogliono, diceva lady Royl, prima di cono-
scere quello che ci sta bene; si conosce certe volte pro-
prio quando si sta sul punto di perderlo. Anche il saper
fare e dire le cose bene , come il ben vestire, questione
di esperienza.
Ma s, certo, tesoro, puoi averlo, amore, il gelato .
Diceva queste parole con strascicata dolcezza, per far
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
407 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
notare che faceva qualunque cosa per la bambina, nien-
te conta per lei pi di sua figlia, che bambina fortunata,
dieci, venti gelati, e i biscotti. Quindi, come stanca di
questo sforzo, si volse di nuovo a lady Armilda, e la
bambina scapp via di corsa pensando che bisognava
sempre domandare qualche cosa alla mamma quando
c gente.
Lady Royl riprendeva:
Vede i due fratelli, invece? Non sanno divertirsi,
ognuno di loro specchia ogni giorno la propria noia sul
volto dellaltro. Hanno un castello vicino al mio, in In-
ghilterra. Ci venga, quando saremo sbarcati e le pren-
deva la mano per invogliarla s, mia cara, ci venga. Le
presenter i miei amici. Organizzeremo una caccia, va a
cavallo, lei? oh, benissimo allora: una caccia. Io vado in
Inghilterra per riposarmi. Viaggiare in fondo mi affatica,
ma la sola cosa che mi piaccia, vado in Inghilterra a fa-
re penitenza. E allora leggo, in nessun paese si legge be-
ne come in Inghilterra, sto sdraiata in poltrona su uno di
quei prati verdi, quei prati che ci sono soltanto l. Cono-
sce la storia? Si dice che un americano chiedesse a un in-
glese che sistema usassero in Gran Bretagna per ottene-
re quei prati verdi morbidi perfetti. semplicissimo,
rispose linglese, si semina e poi si taglia, lerba cresce, si
taglia di nuovo. Ma tutto ci per sette secoli di seguito.
Molto inglese la risposta, no? E lady Armilda rise. E
per d esattamente la sensazione della differenza che
passa tra i due paesi. Razza vecchia, gli inglesi, esausta,
amano le cose serie e taciturne, le cose da vecchi: leggo-
no, giocano al golf. Mentre fanno tutto questo pensano,
per . Volubilmente cambiando discorso lady Armilda
disse: Vorrei fare un bridge, stasera. Uno dei due fra-
telli gioca abbastanza bene ma, naturalmente, senza fan-
tasia. Lei, io... e si potrebbe dire a quellufficiale, come
si chiama?, Venier, deve essere dei Venier di Venezia,
simpatico, un signore, ormai tanto difficile trovare in
408 Letteratura italiana Einaudi
marina persone cos. S; lo diremo a Venier, le fa la cor-
te, no? Mi pare.
Un piccolo bridge soltanto, stasera, aveva detto lady
Armilda: Bisogna andare qualche volta a letto presto,
fa bene, dopodomani saremo ad Alessandria; e da l si va
al Cairo. Il mio amico egiziano sa che arriviamo, chi sa
che accoglienza ci preparer. Io sono sempre di buon
umore quando sbarco in Egitto.
Sybil stava al bar bevendo coi due studenti americani,
cos ogni notte, fino allalba; molto divertente, Sybil; e
loro giocavano in un salottino raccolto, una lampada sul
tavolo. Ogni poco qualcuno dei passeggeri apriva la
porta per vedere che si faceva l dentro.
Presso lobl, chiacchierando con laltro fratello in-
glese e il pastore, stava appoggiato il vecchio principe;
parlavano di politica, calmi, con grandi parentesi di si-
lenzio nelle quali il vecchio tirava fuori il foglietto di car-
ta, e cominciava a ripiegarlo mentre alzava gli occhi al
soffitto, scrollava la testa con aria dubbiosa; eh s, non
c che fare, il mondo va in rovina.
Arrivavano ai quattro giocatori brani della loro con-
versazione: E la Cina? Che far la vecchia Cina? Lin-
glese tirava boccate di fumo dolciastro dalla pipa e il vec-
chio, imbarazzato dalla barchetta che aveva nelle mani,
finiva per gettarla dallobl, sul lucido mare. Poi, libera-
to, guardava in faccia il pastore, quasi per attendere da
lui la spiegazione, apriva le braccia: Che pu fare la Ci-
na? I giocatori parlavano soltanto alla fine di ogni parti-
ta, poi avevano grandi pause di silenzio, appena le parole
necessarie al gioco, giocavano seriamente. Emanuela che
sedeva di fronte a Venier guardandolo ripensava a ci
che lady Royl le aveva detto: Le fa la corte, Venier. E
lei sera schermita. Non le faceva la corte, davvero. Le
aveva detto soltanto: Ha fatto male a scendere a Istan-
bul con gli altri. Perch non scesa con me? Io le avrei
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
409 Letteratura italiana Einaudi
Alba De Cspedes - Nessuno torna indietro
mostrato Istanbul mia, cio una Istanbul che non pu
rassomigliare a quella di nessun altro. Ognuno ha un suo
modo di guardare una citt, di interpretarla, di decifrarla,
direi. A taluno poi certe citt si negano addirittura: ri-
mangono per lui mute, segrete, inviolabili. Una volta con-
dussi per Napoli un mio amico francese; gli feci vedere
Napoli con i miei occhi. Vi torn da solo qualche tempo
dopo: e quando lo rividi, mi disse che la citt gli era parsa
unaltra. naturale: laveva guardata coi suoi occhi. Cre-
do che lei farebbe bene a scendere con me in Egitto: an-
che il mio Egitto avrebbe questa volta unanima nuova.
Era caldo; i silenzi ronzavano del respiro vorticoso
del ventilatore che smuoveva aria calda, infastidendo
senza recare refrigerio.
Si sente che vicino lEgitto disse lady Armilda
caldo: un caldo diverso, afoso.
Un caldo umido corresse Venier.
Tre mani, centocinquanta punti sotto segnava
lady Royl: le carte sono a lei, Venier . E poi, non te-
nendosi pi, gli chiese volubilmente: Dei Venier di
Venezia, vero?
Egli dando le carte, uno, due, tre, quattro, annu con
un cenno della testa: S uno due tre quattro s, la
mia famiglia di Venezia; ma io, tanti anni che viaggio e
non so pi quale sia il mio vero paese. Si esce di casa a
sedici anni, lAccademia, e da allora finita la casa, finita
la famiglia. Dopo tanti viaggi si finisce per non apparte-
nere pi a nessun paese, n a quello dal quale partiamo,
n a quello al quale arriviamo. In fondo uno due tre
quattro la nostra vera patria il ponte.
Aveva finito di dare le carte, sollevava le sue, le apri-
va.
Lady Armilda continuava a lagnarsi del caldo, che se-
te, si versava selz nel whisky. Emanuela ricordava che
Silvia sempre diceva non so che del ponte. E Venier ri-
prese:
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C ogni volta lentusiasmo di partire, di ricomincia-
re. Tanti anni che viaggio e ogni volta, quando odo la si-
rena, lo credereste? mi batte il cuore.
Anche a lei? chiese. Emanuela, sorpresa.
Anche a me; ogni volta come se partissi per la pri-
ma volta, anzi milludo che sia veramente la prima. E
questo forse lessenziale.
E al ritorno? fece ancora Emanuela.
Gi, ecco: ad ogni ritorno sento di avere un viaggio
di pi sulle spalle, e che gli anni passano.
Lady Armilda, finito di bere, accese la sigaretta, prese
le carte e gli altri la imitarono.
Due cuori.
Due picche.
Calmamente il vecchio principe seguitava a far scivo-
lare barchette dallobl; e poi avvicinava la testa
allapertura, quasi per seguirle nel viaggio. Dense volute
di fumo partivano dalla pipa dellinglese, si sfacevano
mollemente. Il pastore guardava il mare che pareva un
cupo smalto. E tacevano.
Dice bene lady Armilda: bisogna riposarsi ogni tanto,
non ci si pu divertire sempre, ma divertente anche
stare qui a giocare, il bicchiere del cognac vicino. Co-
gnac con selz. A forza di berlo, a poco a poco, piace.
Quattro picche.
Contre.
Sta bene.
Venier che gioca: dei Venier di Venezia, quelli del
Doge. Ha ragione lady Royl: difficile trovare un uffi-
ciale cos.
Si giocano quattro picche, allora.
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411 Letteratura italiana Einaudi

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