Ho letto che Ella ha radunato una Commissione per trovar modo di far studiare il latino a quelli che non lo vogliono studiare. Col suo fine accorgimento Ella avrebbe detto: omai il greco se n' ito, guardiamo di salvare il latino. Ma crede V. E. che ci siano leggi e regolamenti che possano far amare una lingua, o peggio, studiare una lingua che non si ami? Ma, sa V. E. perch non si studia e non si ama il latino? La causa pi apparente quel rammollimento di ogni forza che ci ha colpiti da qualche anno, che segna la decadenza del popolo, come pure di quelli che lo rappresentano; l'astuzia, la menzogna ha supplito l'ingegno. Purtroppo fin li vi da indignarsi, ma vi poco da fare; colpevoli ne siamo tut ti. E forse, pi di tutto, ne causa quella troppo rapida fortuna che ci ha colti impreparati. Ma, se questa mollezza esiste pel latino, esiste anche per t u t t i gli altri studi, oramai non ridotti pi che ad una simulazione per furacchiare una laurea e colla laurea un posto non meritato. Ma, contro il latino, esiste un'altra ragione pi speciale; la stessa che pel greco: la sua completa ed istintivamente avvertita inutilit. Per quanto noi siamo fossili, misoneici, amanti del vecchio e incapaci di comprendere il nuovo, abbiam capito (e a capirlo non ci voleva molto) la sua completa inutilit. Viviamo in un'epoca in cui i giorni sono anni e gli anni secoli; e vogliamo far vivere i nostri giovani in un'atmosfera di migliaia d'anni fa. Non hanno, nemmeno gli ingegni pi forti, tempo che basti, nella loro giovinezza, per abbracciare quella parte di scibile che necessaria a t u t t i (come la storia naturale, l'igiene, la storia, il disegno) e vogliamo che la consumino tutta per
imparare a balbettare malamente una lingua morta; il tutto
poi, non per gustare, ma per fingere di gustare autori che, bisogna confessarlo, hanno scritto mirabilmente bene; ma li potessero gustare almeno, mentre, di cento che anche ne studiano la lingua, non ve ne sono dieci, non cinque, che giungano a gustarli per intero. Ma, dato pure che vi giungessero tutti e cento; ma siamo veramente in un'epoca in cui l'estetica sia cos vantaggiosa da primeggiare su tutte le altre ricerche? Non troveremmo ridicolo che si insegnasse ai nostri figli per dieci o dodici anni a fare dei fiori o dei solfeggi? Ma non sarebbe pi utile, non dico imparare una lingua viva che ci aumenti i contatti coi popoli civili, ma un mestiere che aumenti le nostre ricchezze? Oh! non dell'estetica che abbiamo bisogno. La fiumana della vita moderna, tutta impregnata di fatti, ci passa avanti e noi non ce ne avvediamo, tutti assorti dietro alla forma, alle parole ed alle fantasime di un bello, di cui ci facciamo gli ammiratori per mestiere. Quando la miseria ci avr spolpati completamente (e la strada breve) e i figli dei nostri ex-ricchi cercheranno all'estero, come ora quelli dei coloni, un modo di vivere, avranno un bel da fare, col loro latino e col greco, a cavarsela dinanzi agli Australiani e agli Americani che vorranno compensarli solo per lavori produttivi e solidi! Molti non sapranno balbettare nemmeno una parola nella lingua dei popoli a cui mendicheranno il pane. Ma vi un'ultima ragione che dovrebbe spingere all'abolizione graduale del latino nello scuole: la degenerazione del carattere. Quella menzogna perpetua verniciata di retorica in cui viviamo, che ci rende l'ultima delle nazioni latine, oltre che dall'imbeverci di una vita la quale non la nostra, dipende dall'abito di correr dietro alla forma, al suono delle cose pi che alla sostanza e dalla lunga abitudine,
continuata per tanti anni della giovinezza, di ingannarci e
ingannare nell'apprendimento di una lingua alla quale non ci interessiamo punto; di supplire alle i nut i l i fatiche colle arti dell'adulazione, dei falsi, delle raccomandazioni. Poi l'abitudine fatta si estende alla vita di studente, di dottore, di deputato, di ministro. A tutto ci s'aggiunge la degenerazione profonda del sistema nervoso, che induce nei pochi studiosi la stanchezza mentale; e noi, classi governanti, seguitiamo sempre a dichiararla, ma poi, invece di scaricare il basto (e qui la parola proprio giusta), seguitiamo a sopraccaricarlo. E dopo ci si capisce che abolire del tutto il latino non si possa; le leggi che governano le cose umane (1) vogliono che nessun mutamento si faccia d'un tratto, perch altrimenti solleva reazione e disgusto. Ma, per dio, che almeno si cominci; che almeno a coloro, che del latino non avran bisogno per tutta la loro vita, che non si danno all'arte e all'estetica, che almeno a quelli sia risparmiato! Nessun medico, ch'io sappia, e credo ben pochi avvocati ebbero a giovarsi del latino qualche volta nella loro carriera; e i migliori dei nostri pensatori ignorano o sanno male il latino, ignorano del tut to il greco. Io ho studiato il latino con passione; ho pubblicato giovanetto tre monografie di archeologia e di filologia latina; ne ho gustato piaceri, lo confesso, grandissimi; ma son certissimo che nessun vantaggio me ne venuto per i miei studi, per la mia pratica; so che ho pi guadagnato in un'ora studiando i cristalli, che in dodici anni studiando il latino e il greco. Scrivo questo per sfogo di coscienza; so benissimo che non ne avr altro vantaggio, che di destare le ire degli aridi classicisti e lo scandalo pi o meno sincero di coloro che, non sapendo o non ricordando pi una parola di
greco e di latino, gettano le alte grida contro chi li voglia
aboliti, anche per meglio nascondere la loro ignoranza. Torino, ottobre 1893.
_______
CESARE LOMBROSO.
(1) LOMBROSO E LASCHI: Delitto politico.
(1) Avevamo appunto in animo di scrivere qualche cosa su questo argomento e di divertirci alla commedia di certe lagrime sulla decadenza del greco e del latino, quando il prof. Lombroso quasi antivenendo l'intenzione nostra, ci invia questo articolo. Figurarsi se siamo lieti di sostituire alla nostra la sua parola, di tanto pi autorevole ed efficace! (Nota della Direzione). ----------------------------------------------------------------------------------NOTE [NdR: C.L. nel 1893 ader al Partito socialista, di cui dal 1902 al 1905 fu consigliere comunale a Torino] Cfr., anche, C.Lombroso, Tre tribuni studiati da un'alienista, Torino, 1887, p.ix-x: "La nostra educazione classica, classica cos per dire, che nel fondo la maggior parte non fa che imparare (Dio sa con qual vantaggio!) come lo stesso oggetto si chiami e si declini in vecchie lingue, portandoci via i pi begli anni e le pi belle forze della nostra giovinezza, non ci lascia, si pu dire, un margine sufficiente per le cognizioni pi solide e pi utili. Non v' nessuno della buona societ che ignori chi sia Romolo o Ulisse, o ignorandolo non se ne vergogni; ma, viceversa, cosa sieno i terribili bacteri che sono i padroni della nostra vita, come si respiri e come e perch si cammini, oh! questo pochissimi sanno, e pochissimi si vergognano d'ignorarlo" Da tenere a mente anche che il Lombroso giovinetto "Dato il clima repressivo del Lombardo-Veneto, lascia le scuole pubbliche e studia privatamente". Per quanto, cfr. Arnaldo Momigliano: "The Jews of Italy" in Ottavo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1987, p.367: "The future mother of Cesare Lombroso put only one condition to her father, a Piedmontese Jew, when he was going to arrange her marriage: the husband should be a subject of Austria where education for Jewish children was better. So it happened that Cesare Lombroso, the erratic genius who revolutionized psychiatry and much else, was born in Verona and there he has his monument".