INDICE
nozioni elementari. richiami
v
0.1 Punto materiale
v
0.1.1 Esempio: pendolo semplice
0.2 Sistemi di particelle
ix
vi
i meccanica analitica
1
1 principio di dalembert ed equazioni di lagrange
2
1.1 Vincoli
2
1.1.1 Definizioni
2
1.1.2 Classificazione dei vincoli
2
1.2 Gradi di libert e coordinate lagrangiane
3
1.3 Principio di dAlembert ed equazioni di Lagrange
3
1.3.1 Esempi nel caso statico
7
1.3.2 Esempio nel caso dinamico
8
1.4 Potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione
9
1.4.1 Potenziali generalizzati
9
1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabili
da un potenziale
10
1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella immersa in un campo elettromagnetico
12
2 principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange
15
2.1 Principio di Hamilton
15
2.2 Applicazioni del calcolo delle variazioni
19
2.2.1 Cammino pi breve fra due punti in un piano
19
2.2.2 Il problema della brachistocrona
21
2.3 Leggi di conservazione
24
2.3.1 Coordinate cicliche
24
2.3.2 Funzione energia
26
3 applicazioni delle equazioni di lagrange
28
3.1 Problema dei due corpi
28
3.1.1 Movimento in un campo centrale
29
3.1.2 Il problema di Keplero
33
3.2 Piccole oscillazioni
37
3.2.1 Impostazione del problema
37
3.2.2 Riepilogo
41
3.2.3 Osservazioni
41
3.2.4 Un particolare problema
42
4 formalismo hamiltoniano
47
4.1 Equazioni di Hamilton
47
4.1.1 Un esempio
52
ii
indice
Notazione simplettica
53
Coordinate cicliche e metodo di Routh
54
Principio variazionale di Hamilton modificato
57
Parentesi di Poisson
58
Trasformazioni canoniche
60
Equazioni di Hamilton-Jacobi
70
Variabili angolo-azione nel caso unidimensionale
72
4.8.1 Esempio: loscillatore armonico unidimensionale
Riferimenti bibliografici della parte i
75
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
ii
73
118
122
123
iii
indice
iv
124
0.1
punto materiale
Lidea di punto materiale uno dei concetti di base della meccanica analitica. Il
punto materiale caratterizzato dalla sua massa. La posizione di un punto materiale in un sistema di riferimento Oxyz, supposto inerziale salvo avviso contrario,
determinata dal raggio vettore r = x x + yy + zz.
Definiamo velocit
v=
dr
= x x + y y + z z,
dt
quantit di moto
p = mv,
e accelerazione
a=
dv
d2 r
= 2.
dt
dt
dp
dv
=m
= ma,
dt
dt
(0.1)
(0.2)
y,
z;
t) .
mz (t) = Fz ( x, y, z; x,
Assegnate le condizioni iniziali r (0) = r0 e v(0) = v0 , se in un intorno di (r0 , v0 , 0)
le funzioni Fx , Fy e Fz sono buone (per esempio sono lisce, cio sono di classe
C ), allora il sistema di equazioni (0.2) per t > 0 ammette, almeno in un intorno
di (r0 , v0 , 0), ununica soluzione. Viene cos soddisfatto, almeno localmente, il
principio deterministico newtoniano. Le equazioni (0.2) sono dette equazioni del
moto.
Osservazione. la quantit di moto si conserva, cio p costante, se F = 0 identicamente.
(0.3)
(0.4)
Z B
A
F dr =
1 2 1 2
mv mv = TB TA .
2 B 2 A
v2
,
l
mg sin = maT
vi
l
T
U=0
m
P
v=
dt
dt
dv
d
r + r n ) = rr + r n + r n + r n r 2 r =
a=
= (r
dt
dt
= (r r 2 )r + (r + 2r 2 )n.
da cui ricaviamo
g
+ sin = 0.
l
(0.5)
Questa una equazione differenziale non lineare e la soluzione una funzione ellittica. Lequazione diventa lineare se supponiamo che le oscillazioni siano piccole
in modo da poter porre sin . In questo caso risulta:
g
+ = 0.
l
La soluzione di questa equazione
= 0 cos(t 0 )
dove 0 e 0 sono determinati dalle condizioni iniziali, mentre =
pendolo oscilla con periodo
s
l
2
= 2
.
T=
vii
g/l. Il
Nel caso in cui le oscillazioni non siano piccole, si dimostra che il periodo del
pendolo dato da
s
1
32
l
2 m
4 m
1 + 2 sin
+ 2 2 sin
+ ,
T = 2
g
2
2
2 4
2
dove m lampiezza angolare delle oscillazioni.
Lequazione del moto del pendolo pu essere ricavata anche nel modo seguente:
x = l cos
=
y = l sin
x (t) = l sin
.
y (t) = l cos
(0.6)
E=
viii
Esercizi
1. Studiare il moto di una particella di massa m soggetta alla forza
F = kr v
(k, > 0)
sistemi di particelle
iN=1 mi ri
,
M
iN=1 mi vi
.
M
mi vi = MvCM .
i =1
Osserviamo che la quantit di moto una grandezza additiva. Ogni particella del
sistema interagisce con le altre particelle e con il mondo esterno. Sia Fij la forza
che la j-esima particella ( j 6= i ) esercita sulla i-esima. Se vale la forma debole del
principio di azione e reazione allora
Fij + Fji = 0.
Per la seconda legge della dinamica
N
d pi
(e)
= Fi = Fi + Fji ,
dt
j =1
j 6 =i
ix
dove Fi la forza totale agente sulla i-esima particella, Fi la forza totale esterna
agente sulla i-esima particella e N
j=1,j6=i Fji la forza totale interna agente sulla
N
N
i-esima particella. Poich i=1 j=1,j6=i Fji = 0 allora
N
d pCM
(e)
= Fi = F (e) ,
dt
i =1
dove F (e) la risultante delle forze esterne. Se F (e) = 0 allora pCM costante e
quindi il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme, assumendo che la
massa M sia costante. Definiamo momento angolare del sistema di N particelle
puntiformi rispetto a O
LO =
ri pi .
i =1
Osserviamo
che se vale la forma forte del principio di azione e reazione, cio se
ri r j Fji = 0 i, j 6= i, allora
NO =
(e)
ri Fi
i =1
(e)
= NO .
(e)
Se NO = 0 allora LO costante.
Sia ri0 il vettore posizione delli-esima particella rispetto al centro di massa, cio
si ha ri0 = ri rCM . Allora
LO =
i =1
2 mv2i .
i =1
Z 2
i =1 1
Fi dri = T2 T1 ,
Z 2
i =1 1
Fi dri =
Z 2
(e)
i =1 1
Fi
dri +
Z 2
i =1 j =1 1
j 6 =i
Fji dri
e inoltre
Fji dri + Fij dr j = Fji dri dr j = Fji dr ji
con Fji dr ji 6= 0 in generale.
Se tutte le forze sono conservative allora
L=
i =1
(e)
Ui
(e)
(1) Ui
(2)
1 N
Uij (1) Uij (2) .
2 i,j=1
j 6 =i
(e)
T + U = T + Ui
i =1
1 N
Uji = costante.
2 i,j
=1
i6= j
Esercizi
1. Dimostrare che
dLCM
= NCM .
dt
2. Dimostrare che
LCM =
i =1
xi
Parte I
MECCANICA ANALITICA
1.1
vincoli
1.1.1 Definizioni
Fissato un sistema di riferimento inerziale, la posizione di una particella puntiforme , a ogni istante, individuata dal vettore r (t). La particella libera se non
soggetta ad alcuna condizione che ne limiti la traiettoria; in caso contrario si
dice che essa vincolata. Allo stesso modo per un sistema di N particelle, se
tutte le particelle che costituiscono il sistema sono libere, il sistema detto libero;
altrimenti si dice che vincolato.
La presenza di vincoli comporta lintroduzione di forze che agiscono sulle particelle limitandone la mobilit. Queste forze sono dette forze vincolari o reazioni
vincolari. Chiameremo attive le forze che non sono dovute a vincoli.
1.1.2 Classificazione dei vincoli
Classifichiamo i vincoli:
In base alla forma delle relazioni che legano le coordinate delle particelle:
vincoli olnomi: possono essere espressi da relazioni del tipo
f (r1 , r2 , . . . , r N , t) = 0.
(1.1)
(i = 1, . . . , N ).
Definiamo spostamento virtuale infinitesimo di un sistema un cambiamento di configurazione relativo a una variazione ri delle coordinate, compatibile con le forze
e i vincoli a cui il sistema sottoposto a un dato istante t. Chiamiamo tale spostamento virtuale per distinguerlo da uno spostamento reale dri in cui si considera
un intervallo dt nel quale variano forze e vincoli.
Fi ri = 0,
(1.2)
i =1
(a)
Fi
i =1
ri + i ri = 0.
(1.3)
i =1
Assumeremo dora in avanti che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullo, cio iN=1 i ri = 0, e che i vincoli siano olonomi bilaterali e lisci. Allora
possiamo scrivere la (1.3) come
N
(a)
Fi
i =1
ri = 0,
(1.4)
che il principio dei lavori virtuali. Osserviamo che i ri , con i = 1, . . . , N, non sono
(a)
in generale linearmente indipendenti e quindi i Fi non sono automaticamente
nulli.
Siano q1 , q2 , . . . , qn le coordinate lagrangiane del sistema scelte. Allora
r i = r i ( q1 , q2 , . . . , q n , t ) ,
ri =
(1.5a)
ri
qk qk ,
(1.5b)
k =1
con i = 1, . . . , N. Supponendo che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullo
si ha
!
N
N
n
n
N
r
r
(a)
(a)
(a)
i
i
L = Fi ri = Fi
qk = Fi
qk =
q
q
k
k
i =1
i =1
k =1
k =1 i =1
( a)
Qk
k =1
qk ,
dove
(a)
Qk =
(a)
Fi
i =1
ri
qk
(k = 1, . . . , n)
L = 0 = Qk = 0
(k = 1, . . . , n).
(1.6)
(i = 1, . . . , N )
ri
qk qk
k =1
n
dri
r
r
vi =
= i qk + i .
dt
qk
t
k =1
(1.8)
i =1
k =1
Fi ri = Qk qk ,
dove Qk = iN=1 Fi ri /qk . Osserviamo che le qk non hanno necessariamente le dimensioni di una lunghezza, cos come le Qk non hanno in generale le
dimensioni di una forza. Consideriamo ora
!
N
n
N
d pi
dvi ri
dt ri = mi dt qk qk =
i =1
k =1 i =1
(
(1.9)
)
n
N
ri
d ri
d
mi vi
mi vi
qk .
=
dt
qk
dt qk
k =1 i =1
Osserviamo che dalla (1.8) si ricava
vi
dri
r
=
= i.
q k
q k dt
qk
(1.10)
2 r i
2 r i
qk q j q j + qk t =
j =1
d ri
=
.
dt qk
vi
=
qk
q j
j =1
ri
qk
q j +
t
ri
qk
=
(1.11)
mi vi
qk =
dt q k i
2
qk i
2
=1
=1
k =1
n
d T
T
qk ,
=
dt q k
qk
k =1
dove T = iN=1 mi v2i /2. Allora il principio di dAlembert nel nostro caso equivalente alla relazione
n
d T
T
dt q k qk Qk qk = 0.
k =1
Dato che gli spostamenti virtuali infinitesimi qk , con k = 1, . . . , n, sono indipendenti, possiamo scrivere n equazioni del moto
d T
T
= Qk .
(1.12)
dt q k
qk
Se supponiamo che le forze attive siano tutte conservative e derivino da un unico
potenziale U, si ha Fi = i U (con i = (/xi , /yi , /zi )) e quindi
Qk =
Fi
i =1
N
U
ri
r
= i U i =
.
qk
qk
qk
i =1
(T U )
( T U ) = 0.
dt q k
qk
Definendo
L = TU
(1.13)
L
L
= 0.
dt q k
qk
(1.14)
L = P r = P
(l cos ) x + (l sin )y =
oppure
= .
k
x
R
P
y
Esercizi
1. Si consideri il sistema in figura formato da due aste di lunghezza l e massa
m, incernierate in A e O, in un piano verticale. Lasta AB reca al suo estremo
un carrello connesso in O da una molla di costante elastica k e lunghezza a
riposo nulla. Si determinino le eventuali condizioni di equilibrio.
2. Il sistema in figura formato da una lamina quadrata di lato l e massa m,
poggiata su un piano orizzontale senza attrito, e da unasta incernierata in
O di lunghezza l e massa m. Lasta appoggiata in un punto nel lato AB
della lamina (senza attrito) e nel punto B applicata una molla di costante
elastica k e lunghezza a riposo nulla. Si determini il valore di k per cui lasta
in posizione di equilibrio formi un angolo di /6 con lorizzontale.
1.3.2 Esempio nel caso dinamico
Riprendiamo in considerazione il pendolo semplice (vedi Figura 0.1 a pagina vii).
Il sistema ha un grado di libert, quindi sar sufficiente scrivere una sola equazione di Lagrange. Valgono sempre le (0.6), dunque lenergia cinetica data
da
T=
1 2
1
1
mv = m( x 2 + y 2 ) = ml 2 2 ,
2
2
2
1 2 2
ml mgl (1 cos )
2
e lequazione di Lagrange
ml 2 + mgl sin = 0
che equivalente alla (0.5).
1.4
dv
d2 r
v
= m 2 = q E+ B .
dt
dt
c
1 A
,
c t
(1.17)
(1.18)
(1.19)
1 2
q
mv q + A v =
2
c
1
= m( x 2 + y 2 + z 2 ) q( x, y, z, t)+
2
q
x ( x, y, z, t) + yA
y ( x, y, z, t) + zA
z ( x, y, z, t)).
+ ( xA
c
Esercizi
1. Scrivere le equazioni di Lagrange di una carica puntiforme in un campo
elettromagnetico. Dimostrare che esse coincidono con le equazioni del moto
di partenza.
2. Scrivere la lagrangiana e le equazioni di Lagrange per i seguenti sistemi:
a) pendolo piano semplice;
b) pendolo piano doppio;
c) pendolo piano il cui punto di sospensione libero di muoversi orizzontalmente su una retta liscia .
3. Due punti materiali, uno di massa m1 e laltro di massa m2 , sono collegati
da una fune (inestensibile e di massa trascurabile) che passa attraverso un
foro in un tavolo perfettamente liscio, in modo che m1 , per t = 0, abbia un
moto circolare uniforme sulla superficie del tavolo ed m2 rimanga sospesa.
Nellipotesi che m2 possa muoversi solo in direzione verticale, si scriva la
lagrangiana e si ricavino le equazioni di Lagrange. Discutere la presenza di
integrali primi del moto .
10
1
( x v2x + y v2y + z v2z ),
2
k =1
La
1 N
( x v2kx + y v2ky + z v2kz ).
2 k
=1
= Qj
(1.21)
dt qj
q j
dove le Q j sono le forze generalizzate associate alle forze viscose e non derivabili
da un potenziale, e L la lagrangiana, scritta tenendo conto di tutte le forze
conservative. Sappiamo che:
Qj =
k =1
Fa,k
N
N
rk
r
= vk F k =
q j
q j
k =1
= vk F
k =1
F
vk
= .
qj
qj
+
= 0.
dt qj
q j
qj
Evidentemente siamo in grado di scrivere esplicitamente le equazioni del moto
conoscendo le due funzioni scalari L e F.
2 In realt questi coefficienti dipendono oltre che dal mezzo anche dalla forma e dalle dimensioni del
corpo immerso nel fluido.
11
L0 =
Allora per j = 1, . . . , n
L0 (q, q,
t)
L(q, q,
t) F (q, t)
=
+
qj
q j
q j
L0 (q, q,
t)
L(q, q,
t)
dF (q, t)
=
+
.
q j
q j
q j
dt
Supponendo che
dF (q, t)
d F (q, t)
=
q j
dt
dt q j
12
= 0
dt q j
q j
F (q, t)
d F (q, t) L0
d L0
+
= 0
dt q j
dt q j
q j
q j
t
d L0
L0
= 0.
dt q j
q j
2. Siano q1 , . . . , qn un insieme di coordinate generalizzate indipendenti di un
sistema a n gradi di libert con lagrangiana L(q, q,
t), dove q = (q1 , . . . , qn )
e q = (q 1 , . . . , q n ). Si supponga di passare a un altro sistema di coordinate
generalizzate indipendenti s1 , . . . , sn per mezzo di una trasformazione puntuale qk = qk (s, t) con k = 1, . . . , n ed s = (s1 , . . . , sn ). Dimostrare che la
forma delle equazioni di Lagrange invariante rispetto alle trasformazioni
puntuali.
Dimostrazione. Per j, k = 1, . . . , n abbiamo
q j =
q j
si si +
i =1
q j
q j
q j
=
=
t
s i
si
L q j
L q j
q j sk + q j sk
j =1
j =1
n
L q j
L q j
=
q j sk q j sk
j =1
j =1
n
n
d L q j
L d q j
dt q j sk + q j dt sk =
j =1
j =1
n
n
d L q j
L q j
=
+
.
dt q j sk j=1 q j sk
j =1
L
=
s k
L
d
=
dt s k
=0
dt q j
q j
per j = 1, . . . , n,
d
L
L
=
dt s k
sk
n
n
n
d L q j
L q j
L q j
=
+
+
dt q j sk j=1 q j sk j=1 q j sk
j =1
n
n
L q j
d L
L q j
=
= 0.
q j sk
dt q j
q j sk
j =1
j =1
13
( j = 1, . . . , n)
dove T = T (q, q,
t) lenergia cinetica, T dT/dt e Q j la j-esima forza
generalizzata.
Dimostrazione. Partiamo dalle equazioni di Lagrange (1.12), valide anche in
presenza di forze attive generalizzate non conservative. Osserviamo che:
dT (q, q,
t)
=
dt
T
T
T
q j +
q j +
q j
q j
t
n
T
+
q j +
q k q j
j =1
n
T
+
q j +
q j q k
j =1
d T
+
.
dt q k
j =1
T
T
=
q k
qk
T
qk
T
qk
Allora
T
T
2
= Qk
q k
qk
d T
T
T
+
2
= Qk
qk
dt q k
qk
d T
T
= Qk .
dt q k
qk
14
=
2 T
T
=
q j +
q k q j
t q j
T
T
q j +
=
q j q k
t q j
2.1
principio di hamilton
(2.1)
(2.2)
15
q2
(1)
q2
(0)
q2
(0)
(0)
q1
q1
q1
Figura 2.1: Alcune traiettorie ammissibili in uno spazio delle configurazioni bidimensionale
Z t1
t0
(2.3)
dove q(t) un moto ammissibile (cio q(t0 ) = q(0) e q(t1 ) = q(1) ). Osserviamo
che S [q(t)] ha valori in R e non una funzione di funzione (non una funzione
del tempo), ma un integrale di linea che dipende dal moto q(t). Il valore che
S [q(t)] assume dipende ovviamente dal moto ammissibile q(t) scelto.
Introduciamo il
Principio (variazionale di Hamilton) - Tra i moti ammissibili del sistema compresi
tra gli istanti t0 e t1 , il moto reale quello che rende stazionaria lazione.
Ricordiamo cosa si intende per punto stazionario di una funzione f : R R di
classe opportuna. Si dice che x0 R un punto stazionario di f se f 0 ( x0 ) = 0.
Un punto stazionario (o critico) di una funzione pu allora essere un estremante
relativo (di massimo o di minimo) o di flesso orizzontale oppure n estremante
relativo n flesso orizzontale. Inoltre se x0 un punto stazionario si ha
f ( x0 + e) f ( x0 ) = f 0 ( x0 )e + O(e2 ) = O(e2 ).
In modo analogo diremo che lazione stazionaria lungo una certa traiettoria
se su di essa assume, a meno di infinitesimi di ordine superiore al primo, lo
stesso valore corrispondente a traiettorie che differiscono da quella considerata
per uno spostamento infinitesimo. Pi precisamente se indichiamo con q(t) un
moto ammissibile che rende stazionaria lazione e con q(t, e) = q(t) + eh(t) una
traiettoria diversa, dipendente dal parametro e R (assumiamo |e| 1) e dalla
funzione vettoriale h(t) = (h1 (t), . . . , hn (t)) soggetta alla condizione
h ( t0 ) = h ( t1 ) = 0
(2.4)
16
(infatti q(t, e) deve essere un moto ammissibile e pertanto q(t0 , e) = q(0) e q(t1 , e) =
q(1) ), abbiamo che
S [q(t, e)] S [q(t)] = O(e2 ).
(2.5)
Vogliamo ora provare che una traiettoria ammissibile q(t) che rende stazionaria
lazione soddisfa le equazioni di Lagrange
d L(q, q,
t)
L(q, q,
t)
=0
(k = 1, . . . , n).
(2.6)
dt
q k
qk
Abbiamo infatti:
S [q(t, e)] S [q(t)] =
Z t1 h
i
=
L q(t) + eh(t), q (t) + e h (t), t L (q(t), q,
t) dt =
(2.7)
t0
Z t1 n
L (q(t), q (t), t)
L (q(t), q (t), t)
=
hi ( t ) +
hi (t) e dt + O(e2 ).
qi
q i
t0 i =1
Osserviamo che
d L
L
d L
h i ( t );
hi ( t )
hi ( t ) =
q i
dt q i
dt q i
t1
Z t1
d L
L
hi (t) dt =
hi ( t ) = 0
q i
q i
t0 dt
t0
perch valgono le (2.4). Allora la (2.7) pu essere riscritta come
S [q(t, e)] S [q(t)] =
n Z t1
d L (q(t), q (t), t)
L (q(t), q (t), t)
hi (t)e dt + O(e2 ).
=
q
dt
q
t
i
i
i =1 0
(2.8)
Se imponiamo la condizione che lazione sia stazionaria lungo q(t), valga cio la
(2.5), e teniamo presente che hi (t), con i = 1, . . . , n, sono funzioni di classe C
arbitrarie, soggette soltanto alla condizione hi (t0 ) = hi (t1 ) = 0, abbiamo
Z t1
L (q(t), q (t), t)
d L (q(t), q (t), t)
hi (t) dt = 0
(i = 1, . . . , n). (2.9)
qi
dt
q i
t0
Vogliamo ora provare che queste equazioni implicano che
d L (q(t), q (t), t)
L (q(t), q (t), t)
=0
(i = 1, . . . , n),
qi
dt
q i
cio sono soddisfatte le equazioni di Lagrange. Vale il seguente
Lemma (fondamentale del calcolo variazionale) - Se una funzione liscia f : [t0 , t1 ]
R verifica la propriet
Z t1
t0
f (t) g(t) dt = 0
(2.10)
per ogni funzione liscia g : [t0 , t1 ] R, soggetta alla condizione g(t0 ) = g(t1 ) = 0,
allora f (t) = 0 t [t0 , t1 ].
17
qi (t) dt.
qi
dt q i
i =1 t0
Questo risultato ci dice, anche per il lemma precedente, che se lazione stazionaria lungo q(t), cio se S = 0, allora valgono le equazioni di Lagrange. In modo
sintetico possiamo scrivere:
L(q, q,
t)
d L(q, q,
t)
S = 0
=0
(i = 1, . . . , n)
qi
dt
q i
e vale il viceversa.
Osservazione. Abbiamo visto che le equazioni di Lagrange (o di Eulero-Lagrange)
nelle ipotesi fatte (sistemi, cio, olonomi e monogenici) discendono da una legge
generale, il principio variazionale di Hamilton. Non possiamo stabilire, a priori,
se il moto reale q(t), che soddisfa le equazioni di Lagrange, ha la propriet di
minimizzare lazione, anche se il principio di Hamilton spesso detto principio
della minima azione.
Osservazione. Nel Capitolo 1 abbiamo visto che le equazioni di Lagrange sono
invarianti per la trasformazione
L0 = L +
dF
.
dt
18
2.2
Possiamo utilizzare il principio variazionale per studiare le propriet di stazionariet o estremali di funzionali diversi dallazione.
Supponiamo in particolare di avere una famiglia di curve in uno spazio ndimensionale, ognuna descritta da una funzione vettoriale liscia y( x ) con x
[ x0 , x1 ], tutte soggette alle condizioni y( x0 ) = y(0) e y( x1 ) = y(1) , e una funzione scalare liscia U = U (y( x ), y ( x ), x ). Vogliamo determinare y( x ) che rende
stazionario il funzionale
J [y( x )] =
Z x1
x0
u (y( x ), y ( x ), x ) dx.
Notiamo che possono esserci casi pi complessi, in cui per esempio U funzione anche di derivate di ordine superiore al primo di y( x ), oppure x Rm con
m 2. La trattazione del problema pu anche essere portata avanti esattamente
come nel caso dellazione: si ricerca y( x ) che rende stazionario il funzionale J.
Non sempre semplice stabilire poi se la funzione trovata abbia la propriet di
minimizzare o di massimizzare J. Ricordiamo che condizione necessaria perch
y( x ) sia un minimo o un massimo locale per J che esso sia un punto stazionario. Si arriver ovviamente a n equazioni scalari che continueremo a chiamare di
Lagrange o di Eulero-Lagrange:
d
u
u
=0
(k = 1, . . . , n).
dx yk
yk
2.2.1 Cammino pi breve fra due punti in un piano
Siano dati A( x0 , y0 ) e B( x1 , y1 ) in un piano (vedi Figura 2.2). Supponiamo che
x0 < x1 . Se indichiamo2 una generica curva regolare3 con y = y( x ) di estremi A
e B e con s lascissa curvilinea, abbiamo che:
q
q
2
2
ds = (dx ) + (dy) = 1 + y 2 ( x ) dx.
In questo caso allora
Z x1 q
J [y( x )] =
1 + y 2 ( x ) dx.
x0
p
Ovviamente u = u(y ) = 1 + y 2 ( x ) e y( x ) nel nostro caso una funzione scalare.
Adoperando le equazioni di Eulero-Lagrange:
u
d u
= 0.
dx y
y
2 Se x0 = x1 possiamo considerare funzioni del tipo x = x (y).
3 In realt possiamo sempre supporre che y sia liscia.
19
y1
y0
A
x0
x1
Esercizi
1. Verificare che il moto reale di una particella libera e isolata rende minima
lazione.
2. Una particella soggetta al potenziale U ( x ) = Fx, con F costante. La particella si muove dal punto x = 0 al punto x = a nellintervallo di tempo
t0 . Si assuma che il moto della particella si possa esprimere nella forma
x (t) = A + Bt + Ct2 . Trovare i valori di A, B, C che rendono minima lazione.
20
y1
U=0
( x [0, x1 ])
y ( x1 ) = y1
Consideriamo la solita ascissa curvilinea s a partire da A:
q
q
ds = (dx )2 + (dy)2 = 1 + y 2 ( x ) dx.
Supponiamo i vincolo olonomi e lisci. Fissiamo in y = 0 il livello 0 dellenergia
potenziale (relativa alla forza peso). Allora:
p
1 2
mv mgy = 0 = v = 2gy,
2
dove g laccelerazione di gravit e v la velocit in y (notare che y > 0, v > 0 se
x (0, x1 ]).
s
ds
1 + y 2 ( x )
dt =
=
dx
( x (0, x1 ]).
v
2gy( x )
21
Poniamo
s
u(y( x ), y ( x )) =
1 + y 2 ( x )
y( x )
quindi
p
2g
Z T
0
dT J [y( x )] =
Z x1
0
u(y( x ), y ( x )) dx.
Fra tutte le traiettorie, passanti per A e B, quella che rende stazionario il funzionale J (condizione necessaria per il minimo) soddisfa le equazioni di Lagrange con
x (0, x1 ]:
d u(y, y )
u(y, y )
= 0.
(2.11)
dx
y
y
Ora,
u
y
= p
y
y 1 + y 2
e dunque
y
u(y, y )
y 2
+ p
= p
2
y
2y y 1 + y
y (1 + y 2 )3
p
1 + y 2
u
=
.
y
2y y
d
dx
(2.12)
(2.13)
y( x )
dy =
c y( x )
Posto
y=
c
c
(1 cos ) = dy = sin d
2
2
22
dx.
(2.14)
cos
c
0
0
2
x=
sin
d
=
sin 0 d 0 =
c
c
0) 2
0) 2
c
(
1
cos
(
1
+
cos
0
0
2
2
v
u
0
0
Z u
Z
c sin2 2 c
sin 2 c
0
0
t
=
sin d =
sin 0 d 0 =
0 2
0 2
2
0
0 cos
c cos 2
2
Z
0
0
c sin
d 0 =
2
2
Z
c
c
= ( sin ).
2
(1 cos 0 ) d 0 =
1 + x 2
y
risulta
p
2g
Z T
0
dt = F [ x (y)] =
Z y1
0
= 0.
dy x
x
Poich /x = 0, / x = costante, abbiamo
x
1
=
a
y 1 + x 2
2
x 2
y
dx
ay
=
=
=1
2
1 + x
a
dy
y
23
e2
2
Z y1
0
x x h 2 (y) dy + O(e3 ) 0
ovvero F [ x (y) + eh(y)] F [ x (y)], se h (y) non identicamente nulla, cio x (y) un
minimo.
2.3
2.3.1
leggi di conservazione
Coordinate cicliche
=0
dt
q
qk
(k = 1, . . . , n)
1
m x 2 + y 2 + z 2 U ( x, y, z).
2
Si vede che
L
= m x p x ,
x
L
= my py ,
y
L
= mz pz ,
z
dove p x , py e pz sono le componenti rispettivamente lungo x, y e z della quantit
di moto. In analogia nel caso pi generale possiamo chiamare
pk =
L (q, q,
t)
q k
il momento canonico o momento coniugato alla coordinata generalizzata qk . Osserviamo che se L/qk = 0, cio se la lagrangiana non dipende esplicitamente da qk , si
ha
d L
d pk
=
= 0.
dt q k
dt
Allora pk costante rispetto al tempo. Diamo allora la seguente
24
Definizione - Una coordinata generalizzata si dice ciclica o ignorabile se la lagrangiana L, pur essendo funzione esplicita di q k , non dipende esplicitamente da
qk .
Possiamo pertanto enunciare la seguente propriet: il momento coniugato a una
coordinata generalizzata ciclica si conserva. In modo equivalente possiamo dire che
il momento coniugato a una coordinata ciclica un integrale primo del moto, in
quanto si traduce in una relazione del tipo f (q1 , . . . , qn , q 1 , . . . , q n , t) = costante.
Se qk una coordinata ciclica, allora L invariante rispetto a una trasformazione
qk qk + , con costante. Ora, se qk , coordinata ciclica, uno spostamento, si
ha che una traslazione rigida lungo tale direzione non ha effetto alcuno sul moto
del sistema e il corrispondente momento coniugato, che una quantit di moto,
si conserva. Se invece la coordinata ciclica qk un angolo il sistema invariante
per rotazioni intorno allasse corrispondente e il relativo momento coniugato, che
un momento angolare, si conserva.
Troviamo per esempio i momenti generalizzati nel caso di una particella in
moto in un campo elettromagnetico. Abbiamo visto che la lagrangiana di una
particella di massa m e carica4 q in un campo elettromagnetico data da:
L=
1
q
m( x 2 + y 2 + z 2 ) q + A v
2
c
25
qk +
qk + .
=
dt
q
q
t
k
k
k =1
Poich per k = 1, . . . , n si ha, dalle equazioni di Lagrange,
d L
L
=
qk
dt q k
allora:
n
dL
=
dt
k =1
dt
"
d L
dt q k
q k +
n
L
d
L
L
L
=
qk +
q k +
q k
t
dt
q
t
k
k =1
#
L
L
q k q k L + t = 0.
k =1
(2.15)
q k q k L.
k =1
k,j=1
A jk (q, t)q k q j
26
e quindi
n
q i q i = 2T.
i =1
Allora
h=
q i q i L = 2T T + V = T + V
i =1
27
3.1
m1 r1 + m2 r2
,
m1 + m2
(3.1)
(3.2)
r1 = R
(3.3)
(3.4)
1
1
m1 kr 1 k2 + m2 kr 2 k2 U (r ).
2
2
(3.5)
m1 + m2 2 1 m1 m2
k Rk +
kr k2 U (r )
2
2 m1 + m2
(3.6)
28
prendere in ogni caso come sistema di riferimento proprio quello del centro di
massa e avremo:
m1 r1 + m2 r2 = 0
m2
r1 =
r
m1 + m2
m1
r2 =
r.
m1 + m2
Dunque la lagrangiana sar nella forma:
L=
1
kr k2 U (r ).
2
1 2
mv U (r ),
2
dU
r.
dr
1
m(r 2 + r2 2 ) U (r ).
2
(3.7)
29
(3.8)
= 0
dt r
r
U (r )
mr mr 2 +
= 0.
r
(3.9)
l02
.
mr3
l02
U (r )
+
= 0.
3
mr
r
Osserviamo che nel nostro caso la lagrangiana non dipende esplicitamente dal
tempo e che lenergia cinetica una funzione omogenea di secondo grado rispetto
Ne consegue che la funzione energia h una costante del moto ed proprio
a r e .
lenergia totale della particella E. Possiamo, allora, scrivere:
L
L
r + L =
r
1
1
1 l02
= m(r 2 + r2 2 ) + U (r ) = mr 2 +
+ U (r )
2
2
2 mr2
E=
30
(3.10)
1 l02
+ U (r ).
2 mr2
(3.11)
dr 0
Z r (t)
r0
2
m (E
Ueff (r 0 ))
(3.12)
l0 1
l0 1
dr
q
dt =
2
2
mr
mr
2
m ( E Ueff (r ))
dr 0
Z r (t)
1
r0
q
02
2
m (E
Ueff (r 0 ))
2l0
m
dr 0
Z rmax
1
rmin
q
02
2
m (E
Ueff (r 0 ))
= 2
j
n
(3.13)
dr 0
Z rmax
rmin
2
m (E
Ueff
(3.14)
(r 0 ))
il periodo della funzione r = r (t) (stiamo supponendo che il moto sia limitato e
che r [rmin , rmax ]), dopo un tempo pari a nT0 , si avr una variazione di pari
a 2j (multiplo di 2) e, pertanto, il vettore posizione ritorner a essere quello
iniziale, cio r (nT0 ) = r (0).
In generale, per un potenziale generico U (r ), supponendo lesistenza di moti
limitati, la traiettoria non unorbita chiusa.
31
E2
rmin r0
rmax
E1
E0
Figura 3.1: Andamento del potenziale efficace nel problema dei due corpi.
Teorema (di Bertrand) - Le uniche forze centrali che danno luogo a orbite chiuse per
ogni condizione iniziale corrispondente a moti limitati sono:
quella proporzionale allinverso del quadrato di r (come la forza gravitazionale);
quella corrispondente alla legge di Hooke (dipendenza lineare da r).
Supponiamo ora che F = k/r2 r o, in modo equivalente, U (r ) = k/r, con
k > 0. Per il teorema di Bertrand, le orbite relative a moti limitati sono chiuse. Il
potenziale efficace, in questo caso, :
Ueff =
1 l02
k
.
2 mr2
r
Per r = r0 = l02 /(mk ), Ueff ha il valore minimo, esattamente pari a mk2 / 2l02 .
Dal grafico di Ueff (si veda Figura 3.1) possiamo ricavare le seguenti informazioni:
E = E0 = mk2 / 2l02 , r (t) = 0 = r (t) = r0 costante. In questo
caso lorbita della particella circolare. Il moto circolare uniforme con
frequenza = l0 /(mr02 ) (questa espressione discende in modo immediato
dalla (3.8)).
Se E = E1 mk2 / 2l02 , 0 , il moto limitato con r [rmin , rmax ]. Si pu
dimostrare che la traiettoria unellisse.
Se E = E2 0, r (t) inferiormente limitato e superiormente non limitato.
Si pu dimostrare che la traiettoria per E2 = 0 una parabola e per E2 > 0
uniperbole.
32
F2
F1
Esercizio
1. Nellipotesi che la forza centrale sia F = k/r2 r dimostrare che il vettore
A = p l mkr
una costante del moto. A detto vettore di Laplace-Runge-Lenz. Calcolare
inoltre A l.
3.1.2 Il problema di Keplero
Ricordiamo lespressione dellellisse in coordinate polari e alcune sue propriet.
Detti a il semiasse maggiore e b il semiasse minore, lequazione dellellisse in
coordinate cartesiane
x2
y2
+
= 1.
a2
b2
Siano F1 = (c, 0) e F2 = (c, 0) (con c 0) i due fuochi e Q = ( x, y) un punto
generico dellellisse (vedi Figura 3.2). Allora, per definizione di ellisse abbiamo
che
QF1 + QF2 = 2a.
Inoltre vale la relazione
c2 = a2 b2 .
Il quadrato della distanza del punto Q dal fuoco F1 dato da:
2
33
x2
1 2
a
Q( x, y)
r
F2
F1
a2 b2 2
c2 2
2
x
2xc
+
a
=
x 2xc + a2 = e2 x2 2eax + a2 =
a2
a2
= ( a ex )2
QF1 =
da cui
QF1 = a ex.
Analogamente si trova che
2
QF2 = ( a + ex )2 = QF2 = a + ex
ed quindi soddisfatta la condizione QF1 + QF2 = 2a. In coordinate polari fissiamo come polo uno dei fuochi, per esempio F1 (vedi Figura 3.3), quindi QF1 = r.
Le coordinate ( x, y) di Q sono date da
x = ea + r cos
y = r sin
pertanto
QF1 = r = a e(ea + r cos ) = a(1 e2 ) er cos =
r (1 + e cos ) = a(1 e2 ) = r ( ) =
a (1 e2 )
.
1 + e cos
Ponendo P = a(1 e2 ), detto parametro dellellisse, otteniamo lequazione dellellisse in coordinate polari:
r ( ) =
P
.
1 + e cos
34
Inoltre
b2 = a2 c2 = a2 e2 a2 = a2 (1 e2 ) = b = a
1 e2 =
P
1 e2
P
= a (1 e )
1+e
P
= a (1 + e ).
1e
d =
dr
E
2
1 l0
2 mr2
k
r
.
Introducendo la variabile
w=
1
1
= dw = 2 dr
r
r
abbiamo
d = q
dw
2mE
l02
2km
w
l02
w2
= r
dw
2mE
l02
k 2 m2
l04
w
km
l02
2
2mE k2 m2
+ 4 0
l02
l0
con il segno di uguaglianza che vale quando E assume il valore minimo. Ponendo
x = w km/l02 e integrando abbiamo
=
w km
x
l02
q
= arccos + costante = arccos
+ costante =
2 2
2mE
A
A2 x 2
+ k lm4
l2
dx
= arccos
l02
w
km
q
1+
2El02
mk2
+ costante.
35
Quindi risulta
l02 1
1 =
mk r
2El02
cos( + 0 )
mk2
1+
s
2
2El0
1
mk
= 2 1 + 1 +
cos .
r
mk2
l0
Ponendo inoltre
s
e=
1+
2El02
(0, 1)
mk2
abbiamo
r=
l02
mk
1 + e cos
P
1 + e cos
l0 dt = l0 T = 2mab
l02
mk
2| E|l02
mk2
k
,
2| E |
quindi
2mab
2m 2
=
a
T=
l0
l0
r
m
3/2
= 2a
.
k
2m 2
1 e2 =
a
l0
2| E|l02
= 2a2
mk2
2m| E|
=
k2
36
3.2
piccole oscillazioni
i = 1, . . . , n.
j = 1, . . . , n
e V (q01 , . . . , q0n ) una costante che pu essere posta uguale a zero senza perdere in generalit,2 abbiamo in definitiva, fermandoci al termine quadratico dello
sviluppo:
1 n
2 V
1 n
V ( q1 , . . . , q n ) =
j k =
V jk j k .
(3.15)
2 j,k=1 q j qk q=q
2 j,k
=1
0
37
j,k =1
V jk j k 0,
qkj q j
j =1
= v2k =
r r
qki qkj q i q j .
i =1 j =1
Ne consegue:
1 n n
T=
2 i =1 j =1
r r
mk qki qkj
k =1
!
q i q j
T = mk
=
Tij i j .
(3.16)
i j
2 i,j=1 k=1
qi q j q=q
2 i,j
=1
0
i,j=1
Tij ai a j > 0
a = ( a 1 , . . . , a n ) Rn \ { 0 } .
1 n
1 n
Vkj k j .
kj k j
2 k,j
2 k,j
=1
=1
(3.17)
3 Indichiamo con rk il vettore posizione della k-esima particella rispetto a un punto O solidale con un
sistema di riferimento inerziale
38
=0
dt k
k
e cio
1
2
Tkj j + 2 Vkj j = 0.
j =1
(3.18)
j =1
T (t) + V (t) = 0.
(3.19)
(3.20)
( 2 T + V ) aeit = 0 (V 2 T ) a = 0
dove 2 = ha il significato di autovalore e a 6= 0 di autovettore corrispondente.
Non si tratta per di un classico problema agli autovalori: infatti si tratta qui
di determinare gli autovalori della matrice V rispetto alla matrice T .5 Sar importante far vedere che tutti i nostri autovalori sono maggiori o uguali a zero,
perch altrimenti non sarebbe reale.6 Gli autovalori di V rispetto a T sono dati
dallequazione:
det(V T ) = 0.
(3.21)
39
T = U T MU.
(3.22)
T = U T M1 M1 U = ( M1 U )T M1 U.
(3.23)
V = ( M1 U )T V M1 U.
(3.24)
( M1 U )T M1 U (t) + ( M1 U )T V M1 U(t) = 0 =
( M1 U )T [ M1 U (t) + V M1 U(t)] = 0 =
M1 U(t) = 0
M1 U (t) + V
Se poniamo M1 U(t) = (t), otteniamo (ricordando che M1 U una matrice
costante)
(t) + V (t) = 0.
(3.25)
V = ST S.
Lequazione (3.25) diventa perci:
(t) + S T S(t) = 0 S
(t) + S(t) = 0.
40
Posto S(t) = Q(t) = ( Q1 (t), . . . , Qn (t)) (ricordiamo che S una matrice costante) abbiamo in definitiva
Q (t) + Q(t) = 0
(3.26)
(k = 1, . . . , n)
(3.27)
cio n oscillatori armonici disaccoppiati; ciascuno di essi vibra con una propria frequenza (modo normale). Le Qk vengono dette coordinate normali o principali. Osserviamo che le k2 non sono tutte necessariamente distinte e che se k = 0, la k-esima
equazione del tipo Q k = 0, quindi non si tratta di un oscillatore armonico.
3.2.2 Riepilogo
Q(t) = S(t) = (SM1 U )(t).
Osserviamo che se T = In , con > 0, allora M1 =
S(t).
Se sono noti (0), (0), stato iniziale, si ha:
(3.28)
In , U = In e Q(t) =
(3.29)
C T V C = Diag(1 , . . . n ) =
(3.30)
41
T (t) + V (t) = 0 =
C T T (t) + C T V (t) = 0 =
C T T CC 1 (t) + C T V CC 1 (t) = 0 =
(3.31)
Q = C 1
C 1 (t) + C 1 (t) = 0 =
Q (t) + Q(t) = 0.
3.2.4 Un particolare problema
Siano dati N + 1 oscillatori di costante k vincolati agli estremi come in Figura 3.4.
Siano gli N oggetti a essi vincolati di massa m. La lunghezza a riposo di ciascuna
molla sia l0 cosicch la distanza tra le pareti sia ( N + 1)l0 . Indichiamo con x j (t) la
posizione della j-esima particella allistante t e con la x0,j la sua posizione iniziale.
A riposo risulta x0,j x0,j1 = l0 . Posto x0 = x N +1 = 0, lenergia potenziale
elastica associata al sistema
V=
N
1 2
1
1 N +1
kx1 + ( x j x j1 l0 )2 + kx2N = k ( x j x j1 l0 )2 .
2
2
2 j =1
j =2
1 N +1
1 N +1
2
k (q j + x0,j q j1 x0,j1 l0 )2 = k (q j q j1 ) .
2 j =1
2 j =1
1 N 2 1 N +1
m
q j k (q j q j1 ).
2 j
2 j =1
=1
42
2 1 0 0
0
1 2 1 . . . 0
q1
q2
0 1 2 . . . 0
= kV 0 = 2 V 0 .
q=
V = k
0
..
. . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
qN
..
0
. 2 1
0
0
0
0
0 1 2
La matrice V 0 (e quindi anche V ) simmetrica definita positiva. Infatti sia
assegnato un vettore x di dimensioni opportune,
xT V 0 x =
N 1
i,j
1
1 N
1
1
(q, V q) = kq21 + k (q j q j1 )2 + kq2N .
2
2
2 j =2
2
(3.32)
( x, V 0 x) = ( x, x) = ( x, x) = x2j = k xk2 .
j =1
( x, V 0 x) = x12 + ( x j x j1 )2 + x2N .
j =2
Inoltre
N 1
j =2
j =2
x2j =
x2j + x2N ,
N 1
j =2
i =1
x2j1 =
xi2 = x12 +
N 1
j =2
x2j
43
(3.33)
quindi
N
j =2
j =2
j =2
(x j x j1 )2 2 x2j + 2 x2j1 =
= 2x2N + 2
N 1
j =2
N 1
x2j + 2
= 2x12 + 2x2N + 4
N 1
j =2
j =2
x2j + 2x12 =
x2j .
Pertanto
( x, V 0 x) 3x12 + 3x2N + 4
N 1
j =2
(3.34)
Lultima maggiorazione stretta perch, dovendo essere x 6= 0 in quanto autovettore deve risultare necessariamente x1 , x N 6= 0. Infatti, partendo dallequazione
(V 0 I ) x = 0 abbiamo che la prima componente
(2 ) x1 x2 = 0.
Ma se x1 = 0 allora x2 = 0. La seconda componente del vettore
x1 + (2 ) x2 x3 = 0
che implica x3 = 0. Procedendo in questo modo si troverebbe quindi che x = 0.
Confrontando la (3.33) con la (3.34) ricaviamo che 0 < < 4.
Per trovare gli autovalori procediamo ora nel modo solito. Indichiamo con
D N () = det(V 0 IN ). Osserviamo che
D1 = 2 ,
2 1
= (2 )2 1.
D2 =
1 2
In generale, vista la struttura della matrice si vede che D N () = (2 ) D N 1 ()
D N 2 (). Per risolvere questo problema adottiamo un sistema simile a quello che
si pu utilizzare per trovare la forma chiusa della successione di Fibonacci (si
veda lAppendice B), cerchiamo cio soluzioni del tipo D N () = N , con 6= 0.
Lequazione diventa:
N (2 ) N 1 + N 1 = 0 2 (2 ) + 1 = 0 =
p
2 (2 )2 4
= cos i sin = ei
1,2 =
2
dove si effettuata lopportuna sostituzione 2 cos = 2 (in virt del fatto
che ]0, 4[) e si tenuto conto delle relazioni di Eulero. Ora occorre trovare
a, a C tali che D N () = a()eiN + a ()eiN e affinch la soluzione sia reale a
44
i = 0
( a 1)ei + ( a 1)ei = 0
bei + be
ove si posto b = a 1. Risolvendo il sistema si ha
b() =
ei
ei
=
a
=
,
ei ei
ei ei
a =
ei
.
ei ei
Perci:
D N () =
sin [( N + 1) ]
ei ( N + 1 ) e i ( N + 1 )
2i sin [( N + 1) ]
=
=
i
i
2i sin
sin
e e
Poich siamo alla ricerca degli zeri della funzione, occorre che sia
sin[ ( N + 1)] = 0,
cio
m =
m
N+1
m = 1, . . . , N.
m
.
2( N + 1)
m
.
2( N + 1)
(
2
)
x
x
=
0
xm,1 = m sin m
m
m,2
m,1
...
...
xm,N 1 + (2 m ) xm,N = x0
xm,N = m sin( Nm )
Possiamo perci scrivere:
m
sin
N + 1
2m
sin
x m = m
N
+
1
...
Nm
sin
N+1
45
1 cos(2jm )
=
2
j =1
2
1 = k x m k 2 = m
sin2 ( jm ) = m2
j =1
2
= m
2
N cos(2jm )
j =1
2
m
( N + 1).
2
cos(2jm ) = <ei2j
j =1
j =1
= < ei2jm .
j =1
j =1
j =1
Perci m =
autovettore
m
N + 1
r
2m
2
sin
xm =
.
N
+
1
N+1
...
Nm
sin
N+1
sin
Smj q j
j =1
46
FORMALISMO HAMILTONIANO
4.1
equazioni di hamilton
Vedremo ora una formulazione diversa della meccanica, nota come formulazione
hamiltoniana. La sua rilevanza risiede nel fatto che in grado di fornire unimpostazione teorica adatta a essere estesa ad altre aree della fisica. Cos, per esempio
lapproccio hamiltoniano costituisce il linguaggio con cui formulata la meccanica
quantistica.
Nella formulazione hamiltoniana della meccanica si descrive il modo di un sistema di particelle con un insieme di equazioni differenziali del primo ordine
(ricordiamo che le equazioni di Lagrange, tipiche della formulazione lagrangiana, sono equazioni differenziali del secondo ordine). Il numero complessivo di
condizioni iniziali in grado di determinare in modo univoco il moto dovr sempre essere uguale a 2n, dove n il numero di gradi di libert del sistema di
particelle. Di conseguenza nellapproccio hamiltoniano dovranno esserci 2n equazioni differenziali del primo ordine, le quali descriveranno levoluzione del punto
rappresentativo del sistema in uno spazio 2n-dimensionale, detto spazio delle fasi.
Avremo allora 2n coordinate indipendenti in grado di definire lo stato del sistema.
Un modo naturale, anche se non unico, per introdurle , nota la lagrangiana del
sistema, associare a ogni coordinata generalizzata qk , con k = 1, . . . , n, unaltra
coordinata data dal momento coniugato a essa, cio pk = L/q k . Le variabili
(q, p) sono dette canoniche. Si passa, in ultima analisi, dal sistema di variabili (q, q,
t), proprio della formulazione lagrangiana, al sistema di nuove variabili
(q, p, t), con il quale possiamo formulare la meccanica hamiltoniana. Il metodo
che ci permette di passare da un sistema allaltro fornito dalle trasformazioni
di Legendre (per un approfondimento sulle trasformazioni di Legendre si veda
lAppendice A). Studieremo prima un caso semplice, cio un sistema a un solo
t) la lagrangiana del sistema. Abbiamo:
grado di libert. Sia L = L(q, q,
dL =
L
L
L
L
dq +
dq +
dt = p dq + p dq +
dt
q
q
t
t
(4.1)
(4.2)
47
Notiamo che lhamiltoniana risulta in realt funzione di (q, p, t) solo dopo aver
t)/q.
Valespresso q in funzione di (q, p, t) utilizzando la relazione p = L(q, q,
gono le seguenti relazioni:
dH =
H
H
H
dq +
dp +
dt
q
p
t
(4.3)
L
L
dt = q dp p dq
dt
t
t
H(q, p, t)
= q
p
H(q, p, t)
= p
q
(4.4)
(4.5)
e
H
L
= .
t
t
(4.6)
n
L
L
L
dq
+
q j j q j dq j + t dt =
j =1
j =1
n
j =1
L
dt
p j dq j + p j dq j +
t
(4.7)
d L
dt q j
= p j ). Posto p = ( p1 , . . . , pn ),
possiamo come prima definire lhamiltoniana del sistema in funzione di (q, p, t)
mediante la trasformazione di Legendre
H(q, p, t) =
q j p j L(q, q, t).
(4.8)
j =1
Avremo allora
dH =
j =1
H
H
dq j +
dp j
q j
p j
H
dt
t
48
(4.9)
j =1
j =1
(q j dp j + p j dq j ) ( p j dq j + p j dq j )
L
dt =
t
L
= (q j dp j p j dq j )
dt.
t
j =1
Dalla (4.9) e dalla (4.10) si deduce che per i = 1, . . . , n
H(q, p, t)
= q i
pi
H(q, p, t)
= p i
qi
(4.10)
(4.11)
e
H
L
= .
t
t
(4.12)
Le equazioni (4.11) vengono chiamate, come nel caso di un solo grado di libert,
equazioni di Hamilton e costituiscono 2n equazioni differenziali nelle variabili
canoniche q e p.
In conclusione, la costruzione dellhamiltoniana avviene attraverso i seguenti
passaggi:
si costruisce la lagrangiana L in funzione delle coordinate generalizzate q,
delle velocit generalizzate q ed eventualmente del tempo t attraverso la
relazione L = T V (supponendo le forze derivanti da un unico potenziale
o potenziale generalizzato);
si definiscono i momenti coniugati pi attraverso la relazione
pi =
L(q, q,
t)
q i
(i = 1, . . . , n);
(4.13)
si scrive lhamiltoniana del sistema utilizzando la trasformazione di Legendre (4.8) (ovviamente in questa scrittura intervengono q, q,
p e t);
a partire dalle (4.13) si cerca di ottenere q in funzione di q, p e t;
con lausilio del risultato precedente si pu, infine, esprimere lhamiltoniana
H in funzione di q, p e t.
Esercizi
1. Si consideri una particella di massa m in un campo conservativo. Sia U =
U (r ) lenergia potenziale. Scrivere lhamiltoniana del sistema
a) in coordinate cartesiane;
b) in coordinate sferiche;
49
c) in coordinate cilindriche.
Soluzione. In coordinate cartesiane x, y, z la lagrangiana della particella
L=
1
m( x 2 + y 2 + z 2 ) U ( x, y, z).
2
Abbiamo:
L
px
= m x = x =
x
m
py
L
= my = y =
py =
y
m
pz
L
= mz = z = .
pz =
z
m
px =
Quindi, per la (4.8) e tenendo presenti le relazioni fra le velocit generalizzate e i momenti coniugati appena determinate, lhamiltoniana
x + yp
y + zp
zL =
H = xp
1
1
= ( p2x + p2y + p2z )
( p2 + p2y + p2z ) + U ( x, y, z) =
m
2m x
1
=
( p2 + p2y + p2z ) + U ( x, y, z).
2m x
In coordinate sferiche r, , la lagrangiana della particella
L=
1
m(r 2 + r2 2 + r2 sin2 2 ) U (r, , ).
2
mr
p
L
2
2
p =
= mr sin = =
.
2
mr sin2
pr =
Dunque lhamiltoniana
L=
r + p + p
H = rp
p2
p2
p2r + 2 +
r
r2 sin2
1
=
m
1
2m
p2r +
p2
p2
+
r2
r2 sin2
2m
!
p2
p2
p2r + 2 +
r
r2 sin2
+ U (r, , ) =
+ U (r, , ).
1
m(r 2 + r2 2 + z 2 ) U (r, , z).
2
50
mr2
L
pz
pz =
= mz = z = .
z
m
pr =
1 2
q
mv q + A v.
2
c
1
q
p A .
m
c
Allora lhamiltoniana :
H = v pL =
1 1
q 2
1 2 q
q
q
A p A =
=
p A p m 2 p A + q
m
c
2 m
c
mc
c
2
2
1
q
q
1
q
=
p2 2 A p + 2 A2
p A + q =
m
c
c
2m
c
1
q 2
=
p A + q.
2m
c
51
x =
=
px Ax + q
p x
m
c
p x
H
1
q
y =
=
py Ay + q
py
m
c
py
H
1
q
z =
=
pz Az + q
pz
m
c
pz
H
1
q A x
q
p x =
=
q
px Ax
x
m
c
c x
x
H
1
q q Ay
p y =
=
py Ay
q
y
m
c
c y
y
1
H
q q Az
=
q .
p z =
pz Az
z
m
c
c z
z
Se i potenziali e A non dipendono esplicitamente dalle coordinate allora
il momento coniugato p risulta costante.
4.1.1 Un esempio
Supponiamo che le equazioni che definiscono le coordinate generalizzate non
dipendano esplicitamente dal tempo e che le forze in gioco derivino da un potenziale V funzione solo delle coordinate generalizzate. Vogliamo vedere come
possiamo scrivere lhamiltoniana del sistema. Siano n i gradi di libert e siano
q1 , . . . , qn le coordinate generalizzate. semplice dimostrare che lenergia cinetica
si pu scrivere
T=
1 n
ij (q)q i q j
2 i,j
=1
L
=
q i
ij (q)q j .
j =1
La matrice simmetrica = ij definita positiva ed quindi invertibile. Allora
q j =
i =1
ij
pi .
q i pi L(q, q ) = T + V.
i =1
52
Osserviamo che
n
1 n
1
1
(
q
)
pk pl =
ij
2 i,j
ik
jl
=1
k,l =1
1 n 1
=
ik il pk pl =
2 i,k,l
=1
n
1
= 1 p i p k .
2 i,k=1
ik
T=
1 n 1
p i p k + V ( q ).
2 i,k
jk
=1
4.2
1 n 1
p i 2 + V ( q ).
2 i
ii
=1
notazione simplettica
(i = 1, . . . , n)
i + n = p i .
Il vettore colonna cos costruito dato da
q1
..
.
qn
=
p1 .
.
..
pn
Si ha ovviamente
H
H
=
,
i
qi
H
H
=
.
i+n
pi
(i = 1, . . . , n)
53
0n In
In 0n
2n
Jkj j
j =1
(k = 1, . . . , 2n)
o in maniera sintetica
= J
H
.
1
0
0
0
p 1
0
1
p 2 .
0 q 1
q 2
0
Sia H = H(q, p, t) lhamiltoniana del sistema di particelle con n gradi di libert, dove q = (q1 , . . . , qn ) e p = ( p1 , . . . , pn ) sono le coordinate canoniche (indipendenti).
Si ha:
dH
=
dt
q j q j + p j p j +
j =1
j =1
H
.
t
(4.14)
(4.15)
54
Abbiamo avuto gi modo di osservare che, se le equazioni di trasformazione che definiscono le coordinate generalizzate non dipendono esplicitamente dal
tempo e se il potenziale dipende solo dalle coordinate generalizzate, allora H coincide con lenergia totale ed una costante del moto. Il fatto che H coincida con
lenergia totale e sia una costante del moto sono due risultati in qualche modo indipendenti. Possono cio verificarsi situazioni in cui lhamiltoniana una costante
del moto ma non uguale allenergia totale, e viceversa.1
Se qn una coordinata ciclica, allora pn = L/q n una costante del moto. In
questo caso lhamiltoniana del sistema sar funzione della costante pn e non, ovviamente, di qn . Ponendo pn = , abbiamo H = H(q1 , . . . , qn1 ; p1 , . . . , pn1 ; ; t),
cio lhamiltoniana di fatto funzione di sole 2(n 1) coordinate, essendo
costante. Possiamo poi studiare levoluzione temporale delle coordinate generalizzate qn attraverso lequazione canonica q n = H/.
Si possono combinare i vantaggi della formulazione hamiltoniana nel trattare le
coordinate cicliche con quelli della formulazione lagrangiana per lo studio delle
coordinate non cicliche con un metodo dovuto a Routh. In sostanza si effettua
una trasformazione di Legendre per passare dal sistema (q, q ) al sistema (q, p)
solo per le coordinate cicliche, ricavando per esse le equazioni del moto in forma hamiltoniana mentre le rimanenti equazioni del moto rimangono espresse in
forma lagrangiana.
Supponiamo che qs+1 , . . . , qn siano coordinate cicliche. Introduciamo la seguente funzione di Routh (o routhiana):
R(q1 , . . . , qn ; q 1 , . . . , q s ; ps+1 , . . . , pn ; t) =
j = s +1
q j p j L(q1 , . . . , qn ; q 1 , . . . , q n ; t) (4.16)
dove L , ovviamente, la lagrangiana del sistema (notare che nella (4.16) non
stata ancora inserita linformazione che qs+1 , . . . , qn sono cicliche). Dalla (4.16)
otteniamo:
n
s
L
L
dR = (dq j p j + q j dp j )
dq j +
dq j +
q j
q j
j = s +1
j =1
(4.17)
n
L
L
L
dq j +
dq j .
q j
q j
t
j = s +1
Tenendo presente che per j = s + 1, . . . , n
L
= pj
q j
L
=0
q j
la (4.17) diventa:
dR =
j = s +1
q j dp j
j =1
L
L
dq j +
dq j
q j
q j
L
.
t
(4.18)
1 Per una discussione articolata, arricchita da esempi, rimandiamo alla lettura di Goldstein, Poole e
Safko [4, pagine 328332].
55
L
R
q j
q j
per j = 1, . . . , s
R
L
q j
q j
=0
q j
per j = s + 1, . . . , n
R
= q j
p j
Allora le equazioni di Lagrange per j = 1, . . . , s si possono scrivere mediante la
funzione di Routh:
d R
R
= 0.
dt q j
q j
In conclusione la funzione di Routh una funzione di Hamilton in rapporto alle coordinate cicliche qs+1 , . . . , qn e una funzione di Lagrange in rapporto alle
coordinate non cicliche q1 , . . . , qs . Osserviamo ad abundantiam che le coordinate
cicliche non compaiono esplicitamente nella lagrangiana e, quindi, nella funzione
di Routh, cio:
R = R(q1 , . . . , qs ; q 1 , . . . , q s ; ps+1 , . . . , pn ; t)
dove, per j = s + 1, . . . , n, i p j sono integrali primi del moto.
Vediamo un piccolo esempio. Una particella di massa m si muove in un campo
di forze centrali il cui potenziale U = U (r ) con r distanza della particella dal
centro di forza. Sappiamo che il moto avviene in un piano (sempre che il momento
angolare rispetto al centro di forza, che costante, sia diverso da zero). Possiamo
esprimere la lagrangiana della particella in tale piano in coordinate polari. Si ha:
L=
1
m(r 2 + r2 2 ) U (r ).
2
1 p2
1
mr 2 + U (r ).
2
2m r
2
R
r
R
= 0,
r
56
cio
mr
p2
+ U 0 (r ) = 0
mr3
t1
t0
p j q j H(q, p, t)
j =1
dt
(4.19)
t1
t0
p j q j H(q, p, t)
j =1
dt = 0.
p j q j H(q, p, t)
p j q j H(q, p, t) = 0
dt q k j
qk j
=1
=1
p k +
57
H
= 0,
qk
d
dt
p k
"
p j q j H(q, p, t)
#)
j =1
pk
"
p j q j H(q, p, t)
j =1
q k
= 0
H
=0
pk
p j q j H(q, p, t) +
j =1
dF (q, p, t)
dt
(4.20)
parentesi di poisson
Supponiamo di avere un sistema lagrangiano con n gradi di libert. Indichiamo come al solito con q = (q1 , . . . , qn ) le coordinate generalizzate e con p =
( p1 , . . . , pn ) i momenti coniugati individuando cos il nostro sistema (q, p) di coordinate canoniche. Sia H(q, p, t) lhamiltoniana del sistema. Supponiamo di avere
una funzione f (q, p, t) : F R R di classe opportuna, indicato con F lo spazio
delle fasi. Una funzione siffatta detta anche variabile dinamica. Tenendo conto
delle equazioni di Hamilton si ha:
n
df
f
f
f
=
q j +
p j +
=
dt
q
p
t
j
j
j =1
n
f H
f
f
f H
+
= { f , H}q,p +
=
q j p j
p j q j
t
t
j =1
dove
{ f , H}q,p =
j =1
f H
f H
q j p j
p j q j
58
Pi in generale, se abbiamo due variabili dinamiche f (q, p, t) e g(q, p, t), si definisce parentesi di Poisson di f e g rispetto alle coordinate canoniche (q, p) la quantit:
{ f , g} =
j =1
f g
f g
.
q j p j
p j q j
(4.21)
f
g
{ f , g} =
, g + f,
;
t
t
t
{ f , qj } =
f
f
e { f , pj } =
p j
q j
(4.22)
Osserviamo come lasimmetria delle equazioni di Hamilton scompaia utilizzando le parentesi di Poisson.
Esercizi
1. Dimostrare lidentit di Jacobi nel caso in cui n = 1.
2. Dimostrare che se due variabili dinamiche f e g, che non dipendono esplicitamente dal tempo, sono entrambe integrali primi del moto, allora anche
{ f , g} un integrale primo del moto (Suggerimento: utilizzare lidentit di
Jacobi e il fatto che d f /dt = 0 { f , H} = 0, dove H lhamiltoniana).
59
trasformazioni canoniche
Le equazioni differenziali del moto, nel formalismo hamiltoniano, bench del primo ordine, non semplificano, in generale, i calcoli rispetto a quelle del formalismo
lagrangiano. La novit nellapproccio hamiltoniano risiede nel fatto che le coordinate e i momenti coniugati hanno la stessa rilevanza. Esistono casi in cui tutte
le n coordinate generalizzate sono cicliche; in tale circostanza tutti i momenti coniugati sono costanti del moto. Se poniamo per semplicit pi = i (costante) per
i = 1, . . . , n, allora q i = H(1 , . . . , n )/i = i , valore costante, e quindi integrando si ha qi (t) = i t + qi (0). Abbiamo visto come sia possibile, in questo caso,
integrare banalmente le equazioni del moto.
Il fatto rilevante che esistono problemi meccanici (quelli cosiddetti integrabili)
per i quali possibile avere n coordinate generalizzate cicliche. Naturalmente punto fondamentale saper passare da un sistema di coordinate canoniche (q, p) a
un altro sistema di coordinate canoniche ( Q, P ), anche per ricercare, ove esistano,
coordinate generalizzate cicliche.
Un modo, potremmo dire naturale, per ottenere nuove coordinate canoniche relative a un sistema meccanico lagrangiano (e quindi hamiltoniano) di partire da
trasformazioni nello spazio delle configurazioni Q = Q(q, t), esprimere la lagran ottenere i momenti coniugati corrispondenti tramite
giana in termini di Q e Q,
60
le, avere nello spazio delle fasi una trasformazione simultanea delle coordinate
generalizzate e dei momenti coniugati, cio:
Q = Q(q, p, t)
(4.23)
P = P (q, p, t)
con (q, p) e ( Q, P ) vecchie e nuove, rispettivamente, coordinate canoniche. Trasformazioni di questo tipo, nello spazio delle fasi, sono dette canoniche e permettono, in termini delle nuove coordinate canoniche ( Q, P ), una nuova descrizione
equivalente della dinamica del nostro sistema meccanico, se, ovviamente, esiste
una nuova hamiltoniana funzione di ( Q, P, t), che dia luogo alle equazioni di
Hamilton. Possiamo in definitiva dare la seguente
Definizione (di trasformazione canonica) - Se (q, p) un sistema di coordinate
canoniche con hamiltoniana H(q, p, t),
Q = Q(q, p, t)
P = P (q, p, t)
una trasformazione canonica se esiste una nuova hamiltoniana K( Q, P, t) che
permette di scrivere le equazioni del moto nella forma
Q i =
Pi
,
K
Pi =
Qi
con i = 1, . . . , n.
Sottolineiamo una propriet rilevante delle trasformazioni canoniche (propriet
che sar evidente in seguito): le trasformazioni canoniche sono indipendenti dal
problema fisico specifico. In altre parole la trasformazione (q, p, t) ( Q, P, t),
se canonica per un particolare sistema meccanico, canonica per tutti i sistemi
meccanici con lo stesso numero di gradi di libert.
Abbiamo visto che le equazioni di Hamilton possono essere ottenute dal principio di Hamilton modificato, cio
!
Z
S =
t1
t0
pi q i H(q, p, t)
i =1
dt = 0.
i =1
pi q i H(q, p, t) =
i =1
Pi Q i K(Q, P, t) +
i =1
61
dF
dt
(4.24)
dove F (q, p, t), che supponiamo liscia, detta funzione generatrice della trasformazione canonica (4.24). La relazione (4.24) pu essere scritta:
n
i =1
i =1
(4.25)
i =1
i =1
n
pi dqi Pi dQi (H K) dt =
=
n
F1
F1
F1
dqi +
dQi +
dt
q
Q
t
i
i
i =1
i =1
Di conseguenza, per i = 1, . . . , n:
F1
qi
F1
Pi =
Qi
F1
.
K = H+
t
pi =
(4.26)
(4.27)
(4.28)
(4.29)
e tramite la (4.28)
P = P (q, Q, t).
Invertendo poi la (4.29), si ottiene Q = Q(q, p, t); si pu pertanto esprimere anche
P in funzione di (q, p, t). Osserviamo che linversione garantita dalla propriet
di non degenerazione
p
2 F1
= det
6= 0.
Q
q Q
Possiamo riassumere il discorso appena fatto nel modo seguente:
3 Ovvero la matrice jacobiana p/Q = pk /Q j assunta non singolare.
62
Fi
pi =
qi
F
Pi = i
Qi
e dalla formula inversa Q = Q(q, p, t), canonica; a ogni hamiltoniana
H(q, p, t) corrisponde lhamiltoniana K = H + F1 /t. In particolare,
se F1 /t = 0, K = H.
Vediamo alcuni esempi di trasformazioni di tipo 1 per sistemi a un grado di
libert:
Sia F1 = qQ la funzione generatrice di tipo 1 (n = 1). Allora p = Q e P = q.
Vale a dire, (q, p) ( p, q) una trasformazione canonica. Inoltre K = H.
Notare che la trasformazione canonica indipendente dal sistema fisico in
esame.
p
F1 = q2 Q2 /2. Allora: p = F1 /q = qQ2 = Q =
p/q e P =
2
F1 /Q p= q Q = p = q pq. La trasformazione canonica
F = F2 (q, P, t) Qi Pi .
i =1
i =1
i =1
i =1
i =1
ovvero
n
i =1
i =1
(4.30)
K = H+
(4.31)
(4.32)
F2
t
(i = 1, . . . , n).
63
F = F3 ( p, Q, t) + qi pi .
(4.33)
i =1
La funzione generatrice si dice in tal caso di tipo 3. La relazione (4.25) diventa per
la (4.33)
n
i =1
i =1
i =1
dq
i dqi Pi dQi (H K) dt = dF3 + qi dpi + p
p
i i
i =1
i =1
da cui
F3
,
pi
F3
Pi =
,
Qi
F3
K = H+
t
qi =
(4.34)
(4.35)
(i = 1, . . . , n).
q
F3
me det p
Q (condizione di non degenerazione). Proponiamo alcuni esempi di
funzioni generatrici siffatte sempre nel caso di sistemi a un grado di libert:
64
q
6= 0
P
(4.36)
e
n
i =1
i =1
F = F4 ( p, P, t) + qi pi Qi Pi .
(4.37)
i dqi P
i dQi (H K) dt =
p
i =1
i =
1
= dF4 + qi dpi + p
i dqi Qi dPi P
i dQi =
n
i =1
i =1
i =1
i =
1
i =1
da cui
F4
,
pi
F4
Qi =
,
Pi
F4
K = H+
t
qi =
(4.38)
(4.39)
(i = 1, . . . , n).
2
F4
La condizione det P 6= 0 pu essere scritta in base alla (4.38) come det P
p 6 = 0.
Per esempio, se, per n = 1, F4 = pP, allora q = F4 /p = P P = q
e Q = F4 /P = p. La trasformazione canonica , pertanto, la seguente: (q, p)
( p, q), con K = H.
Osserviamo, infine, che una funzione generatrice non deve essere necessariamente una dei quattro tipi per tutti i gradi di libert. Si pu usare una funzione
generatrice che mescoli i quattro tipi. Cos per n = 2
F = F23 (q1 , p2 ; P1 , Q2 ; t) Q1 P1 + q2 p2
rappresenta una funzione generatrice di tipo 2 per il primo grado di libert e di
tipo 3 per il secondo.
Accenniamo infine (senza dimostrazioni) a una bella propriet riguardante le
parentesi di Poisson e le trasformazioni canoniche.4 Sia data una trasformazione
canonica:
Q = Q(q, p, t)
.
(4.40)
P = P (q, p, t)
4 Per una dimostrazione di questa propriet si veda Landau e Lifits [5, pagina 211].
65
{ f ( Q, P, t), g( Q, P, t)}Q,P =
= { f ( Q(q, p, t), P(q, p, t), t), g( Q(q, p, t), P(q, p, t), t)}q,p ,
ovvero le parentesi di Poisson sono invarianti per trasformazioni canoniche. In particolare abbiamo
{ Q j , Qk }Q,P = { Q j , Qk }q,p = 0
(4.41a)
{ Pj , Pk }Q,P = { Pj , Pk }q,p = 0
(4.41b)
{ Q j , Pk }Q,P = { Q j , Pk }q,p = jk .
(4.41c)
Inoltre si pu far vedere che, se (q, p) sono coordinate canoniche, le trasformazioni (4.40) sono canoniche solo se sono soddisfatte (4.41). In definitiva, assegnate
le trasformazioni, il test basato sulle parentesi di Poisson conclusivo per stabilire se esse sono canoniche senza passare per le funzioni generatrici o precisare
specifici problemi fisici.
Esempi
1. Si consideri un oscillatore armonico monodimensionale. Usando la funzione
generatrice di tipo 1
F1 (q, Q) =
1
mq2 cot Q
2
con m, costanti positive, determinare la trasformazione canonica e integrare le equazioni del moto.
Soluzione. Dalla funzione generatrice abbiamo:
F1
= m cot Q
q
F1
1
1
P=
= mq2 2 .
Q
2
sin Q
p=
Ricaviamo q e p in funzione di Q e P:
r
2P
q=
sin Q
m
p = 2Pm cos Q.
Se k = m 2 la costante elastica, lhamiltoniana rispetto alle usuali coordinate :
H=
1 p2 1
+ m 2 q2 ,
2m
2
66
= P.
1 2Pm
1
2P
cos2 Q + m 2
sin2 Q =
2 m
2
m
Dunque Q una coordinate ciclica e il suo momento coniugato P costante, inoltre lenergia coincide con lhamiltoniana e quindi si conserva.
Dallequazione di Hamilton risulta:
K
Q =
=
P
e lequazione del moto si riduce a
Q = t + Q0 ,
dove Q0 una costante di integrazione da determinare dalle condizioni
iniziali.
2. Data la trasformazione del secondo tipo a un grado di libert
3/2
2
P
F2 (q, P) =
2am
+q
,
3
ma
con m, a costanti positive, determinare le trasformazioni canoniche Q =
Q(q, p), P = P(q, p). Scrivere lhamiltoniana H(q, p) di una particella di
massa m in moto unidimensionale con accelerazione costante a. Effettuare inoltre la trasformazione canonica su questa hamiltoniana: K( Q, P) =
H(q( Q, P), p( Q, P)) e integrare le equazioni del moto.
Soluzione. Dalla trasformazione abbiamo:
1/2
P
F2
p=
= m 2a
+q
q
ma
1/2
F2
2a
P
Q=
=
+q
.
P
a
ma
Dividendo membro a membro:
Q
1
p
=
= Q =
p
ma
ma
e, dalla prima equazione:
P=
p2
maq.
2m
1 p2
maq = P.
2m
67
p(t)
,
ma
{ Q, P}q,p = { p, q}q.p = 1
quindi la trasformazione non canonica.
4. Siano (q, p) le coordinate canoniche. Determinare se la trasformazione
(
Q = 2q + p2
p
P=
2
canonica.
Soluzione. Risulta:
F2
p =
= 2P
q
Q = F2 = 2q + 4P2
P
68
log p (q p) log p (q p)
= q 1 .
q
p
p
q
F1
= eQ
p =
q
F1
P =
= qp
Q
Integrando la prima equazione si ottiene:
F2 = qeQ + g( Q)
con g( Q) costante di integrazione dipendente da Q. Sostituendo nella seconda abbiamo:
F1
= qeQ + g0 ( Q)0qeQ = g( Q) = c
Q
dove c una costante di integrazione. Posto c = 0 la funzione generatrice :
F1 = qeQ .
69
4.7
equazioni di hamilton-jacobi
F
= 0.
t
(4.42)
Se facciamo lipotesi che la funzione generatrice sia del secondo tipo, abbiamo
che:
pi =
F2 (q, P, t)
qi
(i = 1, . . . , n).
(4.43)
La (4.43) nota come equazione di Hamilton-Jacobi ed , per la funzione generatrice, unequazione differenziale alle derivate parziali prime nelle n + 1 variabili
(q1 , . . . , qn , t). F2 , in letteratura, indicata usualmente col simbolo S. La funzione
S detta funzione principale di Hamilton. Supponiamo che esista una soluzione
completa del tipo S = S(q1 , . . . , qn ; 1 , . . . , n+1 ; t) dove 1 , . . . , n+1 sono costanti
di integrazione indipendenti. Lequazione di Hamilton-Jacobi non d informazioni sui nuovi momenti Pi da cui dovrebbe dipendere S. Sappiamo che questi nuovi
momenti sono tutti costanti. Osserviamo che nella (4.43) la funzione S non compare direttamente ma solo mediante le derivate parziali rispetto a qi e a t. Allora,
5 In realt, come vedremo, S dipende in generale anche da n + 1 costanti arbitrarie
70
(4.44)
Possiamo benissimo scegliere queste costanti esattamente uguali ai nuovi momenti: Pi = i . Questa scelta non contraddice lipotesi iniziale che la funzione generatrice della trasformazione canonica sia di tipo 2 e quindi che p = p(q, P, t). Si
possono scegliere i nuovi momenti, essendo costanti, assegnando al tempo t = 0
q e p. In particolare, sappiamo che
pi =
S
(q; ; t)
qi
(4.45)
S
= i
i
(costanti).
(4.46)
Le costanti i possono essere calcolate conoscendo i valori al tempo t = 0 delle coordinate canoniche. Possiamo poi, invertendo le trasformazione canoniche,
esprimere le vecchie coordinate canoniche (q, p) in funzione delle nuove ( , ):6
q = q( , , t)
(4.47)
p = p( , , t)
Queste relazioni ci dicono che possiamo ottenere, mediante una trasformazione
canonica, le coordinate canoniche (q, p) in funzione del tempo, cio di determinare il moto del sistema nello spazio delle fasi una volta che siano assegnate le
condizioni iniziali. Le relazioni (4.47) ci danno, in altre parole, la soluzione delle
equazioni di Hamilton, noti q(0) e p(0).
Da un punto di vista matematico abbiamo ottenuto unequivalenza tra unequazione differenziale alle derivate parziali in n + 1 variabili del primo ordine e
2n equazioni differenziali ordinarie del primo ordine. Questa equivalenza pu
essere, nel nostro caso, imputata al fatto che sia lequazione di Hamilton-Jacobi
sia le equazioni di Hamilton derivano dal medesimo principio di Hamilton modificato. Possiamo ora cercare di comprendere il significato fisico della funzione
generatrice del secondo tipo S. Osserviamo che, essendo quantit costanti,
dS(q, , t)
=
dt
qi q i +
i
S
.
t
(4.48)
pi q i +
i
S
=
t
pi q i H
i
6 = ( 1 , . . . , n ), = ( 1 , . . . , n ).
71
(4.49)
dove abbiamo tenuto conto della (4.42). Balza evidente dalla (4.49) e da quanto
detto sul principio di Hamilton modificato che S rappresenti (a meno di costanti
additive) lazione.
Vediamo un caso particolare.7 Supponiamo che H non dipenda esplicitamente
dal tempo. Allora la funzione principale di Hamilton deve avere la seguente
struttura:
S(q, , t) = W (q, ) at
(4.50)
S
W
=
.
qi
qi
Allora
W
dW
=
q i = pi q i
dt
qi
e quindi
W=
4.8
pi dqi .
Sia H(q, p) lhamiltoniana nel nostro sistema a un solo grado di libert, con (q, p)
coordinate canoniche.
Supponiamo che il sistema abbia un moto periodico e che esista una trasformazione canonica (indipendente dal tempo) (q, p) (, J ), indotta da una funzione
generatrice di tipo 1 F1 (q, ) indipendente dal tempo, in modo tale che sia
ciclica.8 Ovviamente il nuovo momento coniugato J una costante del moto e
H = H( J ). Abbiamo, per la prima equazione di Hamilton, = H ( J )/J =
(costante), da cui (t) = t + 0 .
Poich, per ipotesi, il moto periodico, le coordiante canoniche q e p saranno
funzioni periodiche. Avremo come conseguenza che il moto deve essere periodico
in . Assumiamo che il periodo sia 2. La nuova coordinata generalizzata
detta variabile angolo, mentre J detta variabile azione e assume il ruolo di momento
angolare. Per quanto detto, F1 (q, ) deve essere periodica rispetto a di periodo
2:
F1
F1
dF1 =
dq +
d = p dq J d.
q
dF1 =
p dq J
Z 2
0
d =
p dq 2 J = J =
1
2
p dq.
Questa relazione pu essere presa proprio come definizione della variabile azione.
7 Vi invito a leggere e a studiare anche gli esempi riportati in Goldstein, Poole e Safko [4, pagine 413418].
8 Ricordiamo che lhamiltoniana non cambia, cio K = H.
72
H=
H=
dF1 = p dq J d =
Z q
Z
2
2
2
=
2mE m q dq J d.
Per calcolare I =
Rp
m/(2E)q. Allora
Z r
Z
m 2 q2
2E
E
sin 2
2
I = 2mE
1
dq =
cos d =
+
,
2E
2
p
dove ovviamente = arcsin( m/(2E)q). Osserviamo che in questi casi abbiamo
J=
1
2
p dq =
1
2
p dq =
E
,
cio
E = J.
In base poi al calcolo di I possiamo scrivere esplicitamente F1 (q, ) in funzione di
e , cio:
E
sin 2
F1 =
+
J.
2
Poich F1 deve essere una funzione periodica, E/ J = J ( ) = 0 cio
= . In base a questultimo risultato,
E
sin cos .
p
Poich sin = sin = m/(2E)q,
F1 =
E=
m 2 q2
sin
73
e, in definitiva,
F1 (q, ) =
1
mq2 cot .
2
Allora
p=
F1
= mq cot
q
J=
F1
1 q2
= m 2
2 sin
1
= mq2 (1 + cot2 )
2
1
1 p2
E
= mq2 +
= .
2
2 m
In conclusione
= arccot
p
mq
2
1
J = mq2 + 1 p
2
2 m
74
Mauro Anselmino, Sergio Costa e Enrico Predazzi. Origine classica della fisica
moderna. Contiene una trattazione su tutti gli argomenti del corso. Torino:
Levrotto & Bella, 1999.
[2]
[3]
[4]
[5]
Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifits. Meccanica. Volume 1. Fisica teorica. Roma: Editori Riuniti university press, 2009. (Citato a
pagina 65).
75
Parte II
RELATIVIT RISTRETTA E INTRODUZIONE ALLA
MECCANICA QUANTISTICA
RELATIVIT SPECIALE
Avvertenza! In questo capitolo indicheremo i tensori in grassetto, v, mentre i vettori saranno
indicati secondo la notazione ~v.
5.1
trasformazioni di lorentz
5.1.1 Premessa
Le equazioni di Maxwell, che hanno permesso di unificare sia i campi elettrici e magnetici sia lottica geometrica, non sono invarianti per trasformazioni di
Galileo. Premettiamo due semplici considerazioni.
Nelle equazioni compare esplicitamente la velocit di propagazione dei se
gnali elettromagnetici: c = 1/ e0 0 . Secondo il principio di relativit di
Galileo passando da un sistema di riferimento inerziale a un altro le velocit
si sommano come vettori, dunque la velocit di un segnale luminoso dipende dal sistema di riferimento inerziale e sar diversa al cambiare del sistema.
La spiegazione che si dette sulla comparsa del modulo della velocit di un
segnale elettromagnetico nelle equazioni si bas sullesistenza di un mezzo
(estremamente rigido e rarefatto) le cui deformazioni dovrebbero corrispondere ai campi elettromagnetici. Il mezzo come sappiamo fu chiamato etere
e si pose il problema di individuare il sistema di riferimento a esso solidale.
Le equazioni di Maxwell, cos come formulate, dovevano essere valide in
tale sistema di riferimento.
La presenza di asimmetrie in alcuni fenomeni elettromagnetici, quando si
passa da un sistema di riferimento inerziale a un altro, non trova una spiegazione nellambito della teoria della relativit di Galileo. Per esempio, una
carica puntiforme q ferma in un sistema di riferimento inerziale genera un
campo elettrostatico, ma la stessa carica per un altro sistema di riferimento
inerziale in moto e genera anche un campo magnetico.
Inoltre lesperimento di Michelson e Morley dimostr, senza ombra di dubbio,
che letere non esiste e che la velocit della luce (nel vuoto) non dipende dalla
velocit della sorgente.
5.1.2 Concetto di evento
Lidea che alla base della teoria della relativit di decomporre tutto ci che
accade in eventi. Un evento rappresenta la minima determinazione possibile, individuata dallassegnazione di tre coordinate spaziali euna temporale. In altre
77
78
y
S0
~v
O0
x x0
z0
0
y = y0 ( x, y, z, t)
(5.1)
z0 = z0 ( x, y, z, t)
0
t = t0 ( x, y, z, t)
sulla base dei due postulati. Supponiamo che si sia proceduto a sincronizzare gli
orologi in ognuno dei due sistemi di riferimento inerziali e che quando O0 O,
t = t0 = 0 ( il modo pi semplice di sincronizzare due orologi,2 uno solidale con
S, laltro solidale con S0 ). Osserviamo che poich lo spazio isotropo abbiamo potuto scegliere, assolutamente in generalit, i due sistemi inerziali come precisato
sopra. Una prima osservazione: lipotesi di omogeneit dello spazio e del tempo
richiede che le (5.1) siano lineari. Altre osservazioni:
1. Poich continuamente lasse x coincide con lasse x 0 , o in modo equivalente
0
y=0
y =0
,
z=0
z0 = 0
y0 e z0 sono espressi mediante una combinazione lineare di y e z.
2. Il piano x y (caratterizzato dallequazione z = 0) si deve trasformare nel
piano x 0 y0 (cio z0 = 0); analogamente il piano x z (caratterizzato dallequazione y = 0) si deve trasformare nel piano x 0 z0 (cio y0 = 0). Allora y0
devessere proporzionale solo a y e z0 deve essere proporzionale solo a z.
3. Si pu far vedere che unasta posta lungo lasse y solidale con S deve avere
la stessa lunghezza in S0 ; ci comporta che y0 = y. Analogamente si prova
che z0 = z.
2 Non assolutamente detto che due orologi, uno solidale con S e laltro con S0 , battano il tempo allo
stesso modo.
79
(5.2a)
(5.2b)
(5.2c)
(5.2d)
y = y,
z = z,
t = a(v) x + b(v)t.
Il nostro scopo ora quello di determinare le costanti , a e b utilizzando il secondo postulato della relativit. Supponiamo che, quando O O0 , cio al tempo
t = t0 = 0, unonda elettromagnetica sferica venga emessa da O O0 . In base
al secondo postulato della relativit londa elettromagnetica si propaga in tutte le
direzioni con velocit c (velocit della luce nel vuoto) sia in S sia in S0 . Consideriamo allora un punto del fronte donda ( x, y, z) al tempo t in S. Le coordinate
spaziotemporali ( x, y, z, t), che definiscono levento in S, dovranno soddisfare la
seguente relazione:
x 2 + y2 + z2 = c2 t2 .
(5.3)
Lo stesso evento in S0 avr coordinate spaziotemporali ( x 0 , y0 , z0 , t0 ), che, per quanto detto, dovranno essere legate dalla relazione:
x 02 + y 02 + z 02 = c 2 t 02 .
(5.4)
(5.5)
La relazione (5.5) deve coincidere con la (5.3) per ogni x, y, z, t. Si ha, allora,
2
2 2
c a = 1
2
(5.6)
v + c2 ab = 0 .
2 2
2
2
2
c b v = c
Tenendo presente che se v = 0, b = 1 dalle (5.6) otteniamo:
1 v2 /c2
v
.
a = 2
b =
80
(5.7)
(5.8a)
y = y,
(5.8b)
z = z,
(5.8c)
v
t0 = t 2 x ,
c
(5.8d)
con
=
1
1 v2 /c2
(5.9)
(5.10a)
y=y,
(5.10b)
z = z0 ,
v
t = t0 + 2 x 0 .
c
(5.10c)
(5.10d)
Notiamo che se v c, allora 1 e inoltre dalle (5.10) si riottengono le trasformazioni di Galileo. Siano ( x, y, z, t) le coordinate spaziotemporali in S di un
evento e siano ( x 0 , y0 , z0 , t0 ) le coordinate spaziotemporali in S0 dello stesso evento.
Notiamo che:
v 2
c2 t02 x 02 y02 z02 = c2 2 t 2 x 2 ( x vt)2 y2 z2 =
c
2 2
2
= c t x y2 z2 .
Allora c2 t2 x2 y2 z2 (che, come vedremo tra poco, pu essere riguardato
come la distanza al quadrato nello spaziotempo fra il nostro evento e levento
di coordinate (0, 0, 0, 0)) una quantit scalare invariante per trasformazioni di
Lorentz.
Poniamo x0 = ct e sinh = v/c2 2 = , con = v/c. Si ha ovviamente
1v /c
q
2
cosh = 1 + sinh = . Allora le trasformazioni di Lorentz (relativamente
alle due coordinate che cambiano) posson essere scritte anche nel modo seguente:
x00 = cosh x0 sinh x,
(5.11a)
x = cosh x sinh x0 .
(5.11b)
Da queste relazioni si evidenzia una certa analogia con le rotazioni in due dimensioni:
x 0 = cos x sin y,
y0 = sin x + cos y.
81
Questa analogia si estende al fatto che, mentre le rotazioni conservano le lunghezze x2 + y2 , le (5.11) conservano la quantit x02 x2 , che, come abbiamo accennato,
rappresenta ancora una distanza al quadrato nello spaziotempo. Le trasformazioni di Lorentz, come si evince dalla (5.11), possono allora esere considerate come
rotazioni generalizzate nello spaziotempo. Supponiamo di avere un evento A
definito da ( x A , y A , z A , t A ) e un evento B definito da ( x B , y B , z B , t B ) nel sistema
di riferimento inerziale S. Possiamo definire il quadrato della distanza tra i due
eventi nel modo seguente:
s2 = c2 (t B t A )2 ( x B x A )2 (y B y A )2 (z B z A )2
= c2 t2 x2 y2 z2
(5.12)
dove, ovviamente, t2 rappresenta lintervallo temporale tra i due eventi al quadrato e x2 + y2 + z2 lintervallo spaziale al quadrato. Nel sistema S0 la distanza al quadrato tra i due eventi data da s02 = c2 t02 x 02 y02 z02 , con
t0 = t0B t0A , x 0 = x 0B x 0A , y0 = y0B y0A , z0 = z0B z0A . Si pu agevolmente
dimostrare che s2 = s02 . Possiamo riscrivere la (5.12) in forma differenziale
ds2 = c2 dt2 dx2 dy2 dz2 .
Il fatto che le coordinate spaziali e quelle temporali abbiano segni opposti nella
definizione di distanza al quadrato tra due eventi una caratteristica dello spaziotempo. Osserviamo che per un segnale luminoso ds2 = 0. Se una particella
si muove con velocit inferiore alla velocit della luce, si ha ds2 > 0 e, quindi ds
reale. In tal caso si dice che lintervallo di genere tempo. Se invece ds2 < 0
lintervallo detto di genere spazio. Gli intervalli per i quali ds2 = 0 si dicono di
tipo luce.
Tardioni si dicono i punti materiali che si muovono con velocit inferiore a quella
della luce, tachioni i corpi (immaginari) che si muovono con velocit superiore a
quella della luce. I corpi che si muovono alla velocit della luce si dicono di tipo
luce.
Osserviamo che due eventi separati da un intervallo di tipo tempo non possono
mai essere simultanei, cio non esiste un sistema di riferimento in cui tali eventi
risultino simultanei. Invece possibile trovare un sistema di riferimento in cui
i due eventi si verifichino nello stesso luogo, cio lintervallo spaziale tra i due
eventi sia nullo.
In relazione a un determinato sistema di riferimento inerziale S, possiamo rappresentare gli eventi associando agli assi cartesiani x, y, z un quarto asse, quello
del tempo. Per facilitare la visualizzazione consideriamo un solo asse spaziale,
quello delle x (figura 5.2). Gli assi x e ct sono assunti ortogonali; si tratta di una
scelta di pura convenienza. Fatta questa scelta, in un altro sistema di riferimento inerziale S0 , che si muove rispetto a S con velocit costante diretta lungo la
direzione positiva dellasse x, x 0 e ct0 non sono pi ortogonali. Il punto O rappresenta levento (0, 0). Il moto rettilineo uniforme di una particella con velocit
V < c, passante per x = 0 al tempo t = 0, rappresentato da una retta passante per O e formante con lasse ct un angolo inferiore a /4. Le due rette limite
rappresentano la propagazione di segnali che viaggiano alla velocit della luce.
82
ct
tempo futuro
Futuro assoluto
Altrove
Altrove
io
osservatore
Passato assoluto
d
spaz
no
iperpeiasente
pr
spa
zio
tempo passato
Allinterno della regione (cono) aOc abbiamo c2 t2 x2 > 0, cio lintervallo tra
levento ( x, t) e levento (0, 0) di tipo tempo. In tale regione t > 0, cio ogni
evento ha luogo dopo levento O. Poich due eventi, separati da un intervallo di
tipo tempo, non possono mai essere simultanei in alcun riferimento inerziale, non
possibile scegliere un sistema di riferimento in cui un arbitrario evento, posto
allinterno della regione aOc, abbia luogo prima di O, cio avvenga al tempo t < 0.
Tutti gli eventi allinterno di aOc sono, allora, posteriori a O, fanno cio parte della
regione del futuro assoluto (la quale, nel caso si consideri pi di una dimensione
spaziale, un cono o un ipercono, detto appunto cono del futuro).
Nello stesso modo si pu far vedere che ogni evento posto in dOb avviene prima
dellevento O, e questo vero in qualunque riferimento inerziale. La regione dOb
detta appunto del passato assoluto (cono del passato).
Sottolineiamo che gli eventi posti nel passato e nel futuro possono essere messi
in relazione causale con levento O.
Gli eventi allinterno delle regioni aOd e cOb sono separati dallevento O da un
intervallo di tipo spazio. Se D un evento in tali regioni, si pu sempre trovare
un riferimento inerziale in cui D e O sono simultanei, anche se non possono mai
avvenire nello stesso luogo per alcun riferimento. Esistono sistemi di riferimento
in cui D avviene prima di O e altri in cui avviene dopo. La regione tra il cono del
futuro e il cono del passato indicata come il presente di O (o anche come laltrove
assoluto di O, perch, come abbiamo detto, in nessun sistema di riferimento un
evento, che appartiene a questa regione, e levento O possono verificarsi nello
stesso luogo).
Gli eventi posti lungo le bisettrici appartengono al cono-luce e sono connessi
per lappunto allevento O da segnali luminosi.
Riassumendo in relativit
il futuro individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > | x |;
il presente individuato dagli eventi che soddisfano la relazione |ct| < | x |;
il passato individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > | x |.
83
dx (t)
dt
Vy =
dy(t)
dt
Vz =
dz(t)
.
dt
Vz0 =
dz0 (t0 )
.
dt0
dx 0 (t0 )
dt0
Vy0 =
dy0 (t0 )
dt0
dx
V0 + v
= x v 0,
dt
1 + c2 Vx
(5.13a)
Vy0
1
dy
=
,
dt
1 + cv2 Vx0
(5.13b)
dz
1
Vz0
=
.
dt
1 + cv2 Vx0
(5.13c)
3 Supponiamo assegnata in S la legge oraria della particella ( x (t), y(t), z(t)) e la corrispondente legge
oraria in S0 ( x 0 (t0 ), y0 (t0 ), z0 (t0 )).
84
8
7
6
5
4
3
2
1
0
0.2
0.4
0.6
0.8
Vy = Vy0
Vz = Vz0 .
Vx0 =
(5.14a)
(5.14b)
(5.14c)
lim ( ) = +.
0+
V0 + v
,
1 + cv2 V 0
Vy = 0,
Vz = 0.
(5.15)
85
x2 = ( x20 + vt10 )
x2 x1 = ( x20 x10 ).
(5.16)
Il sistema S0 , che in moto rispetto allasta, misura, pertanto, una lunghezza minore della lunghezza propria dellasta. Questo fenomeno noto come contrazione
delle lunghezze.
Esercizio
La lunghezza dellasta rispetto al sistema di riferimento S0 pu essere determinata considerando i suoi estremi nella stessa posizione in tempi diversi? In caso
affermativo, qual la relazione tra questa lunghezza dellasta e la sua lunghezza
a riposo?
5.2.3 Dilatazione dei tempi
La dilatazione dei tempi una delle conseguenze pi straordinarie della relativit
ristretta. Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali S e S0 come in figura
5.1 e supponiamo che un orologio, a riposo nel sistema di riferimento inerziale
S0 , misuri in uno stesso punto dello spazio x00 un intervallo temporale tra due
eventi A : ( x00 , t0A ) e B : ( x00 , t0B ), con t0B > t0A . Lintervallo temporale tra i due eventi
86
= t0B t0A detto tempo proprio. La loro distanza ovviamente di tipo tempo.
Nel sistema S i due eventi A e B hanno le seguenti coordinate spaziotemporali:
x A = ( x00 + vt0A ),
v
t A = t0A + 2 x00 ,
c
x B = ( x00 + vt0B ),
v
t B = t0B + 2 x00 .
c
Allora
t = t B t A = > ,
(5.17)
cio lintervallo di tempo tra i due eventi, misurato in S, risulta maggiore dellintervallo di tempo proprio. Questo risultato ci dice che lorologio mobile rispetto a
S ha una frequenza minore. Possiamo, in altre parole, affermare che la frequenza
di un orologio mobile rallenta rispetto a quella di un orologio fermo. Notiamo
che in S0 i due eventi avvengono nello stesso luogo e il loro intervallo temporale
misurato da un solo orologio posto in quel punto (intervallo di tempo proprio),
mentre nellaltro sistema di riferimento S i due eventi si verificano in punti diversi
dello spazio e occorrono due orologi per misurare il loro intervallo di tempo (non
proprio).
Vediamo di capire meglio con un esempio. Supponiamo che in S0 una sorgente
luminosa posta nellorigine emetta al tempo t0 = 0 un raggio di luce in direzione dellasse y0 e che uno specchio, posto a distanza L, rifletta il raggio di luce
facendolo tornare in O0 (figura a). Ovviamente avremo = 2L/c. Questo il
tempo complessivo che il raggio di luce impiega per tornare in O0 nel sistema
S0 . Lintervallo di tempo trovato , naturalmente, proprio. Vediamo ora quale
ragionamento fa il sistema S, supponendo che al tempo t = t0 = 0 (quando viene
emesso il raggio di luce) O O0 . Lo specchio solidale con S0 che si muove con
velocit v nella direzione positiva dellasse delle x. Il raggio luminoso avr in S
una traiettoria come quella in figura in b. Il sistema S ha bisogno di due orologi,
uno in O laltro in R (ovviamente sincronizzati) per valutare lintervallo temporale
87
t, che il raggio luminoso impiega per tornare sullasse delle x. Tenendo presente
la figura precedente in b si ottiene facilmente:
ct
2
2
vt
2
2
+ L2 ,
c2 t2 = v2 t2 + 4L2 ,
2L/c
t =
= .
1 v2 /c2
Ritroviamo, cio, nellesempio specifico, la formula (5.17) relativa alla dilatazione
dei tempi.
5.3
lo spazio di minkowski
(5.18)
x 02 = x 2 ,
x 03 = x 3 .
x 0 = x
(5.19)
dove
= ( ) =
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
.
0
1
alle (5.19). Ricordiamo che in si indica lelemento alla -esima riga e -esima
colonna.
5 Da qui in poi, nello spazio di Minkowski, useremo la convenzione che gli indici greci (, , . . . , ,
, . . . ) assumono valori 0, 1, 2, 3, invece gli indici latini (i, j, k, . . . ) assumeranno i valori 1, 2, 3.
88
1 0
0
0
0 1 0
0
g = ( g ) =
0 0 1 0 .
0
(5.20)
x10 = ( x1 + x0 ),
(5.21)
x20 = x2 ,
x30 = x3 .
Queste relazioni possono essere scritte in forma matriciale nel modo seguente:
x0 = (1 ) x
(5.22)
dove
0 0
0 0
.
=
0
0 1 0
0
0 0 1
(simbolo di Kronecker)
89
x 0
dx
x
si ha:
x 0
.
x
A0 = A
cio nello stesso modo delle coordinate controvarianti di un punto evento. Osserviamo che, se A = A ( x),7 allora
A 0 = A 0 ( x 0 ).
Un quadrivettore covariante { A } un insieme di quattro quantit ( A0 , A1 , A2 , A3 )
che, per effetto di una trasformazione di Lorentz, si trasformano come le coordinate covarianti di un punto evento:
A0 = A (1 ) .
Osserviamo che possiamo ottenere A moltiplicando il corrispondente quadrivettore controvariante per il tensore metrico covariante, ovvero:
A = g A .
Inversamente si ha
A = g A ,
dove g il tensore metrico controvariante.
6 Prendendo la forma quadratica differenziale per definire la metrica includiamo anche il caso in cui
il tensore metrico dipende dal punto.
7 Con x intendiamo ( x0 , x1 , x2 , x3 ).
90
T 01 ,...,n = 11 22 nn T 1 ,...,n .
Un quadritensore di rango n completamente covariante ha la forma T1 ,...,n e si trasforma nel modo seguente:
T0 1 ,...,n = T1 ,...,n (1 )11 (1 )22 (1 )nn .
Un quadritensore di rango n p volte controvariante e q volte covariante ha la forma
,...,
T11,...,q p e si trasforma nel modo seguente:
0 ,...,
,...,
p
1
T1 ,...,
= 11 pp (1 )11 (1 )qq T11,...,q p .
q
Osserviamo che:
un quadritensore di rango 1 un quadrivettore;
un quadritensore di rango 0 uno scalare ed invariante per trasformazioni
di Lorentz ( detto anche scalare di Lorentz).
I quadritensori di rango 2, che hanno, ovviamente, 16 componenti, si trasformano
nel modo seguente:
0 = ( 1 ) ( 1 ) T ;
tensori completamente covarianti: T
tensori misti: T = (1 ) T .
In generale si dice che il tensore metrico covariante abbassa gli indici, il tensore metrico controvariante li innalza. Un quadritensore di rango 2 T si dice
simmetrico se T = T ; si dice antisimmetrico se T = T . Un generico
quadritensore pu essere sempre scomposto in una parte simmetrica e una anti
simmetrica. Infatti Ts = ( T + T ) /2 un quadritensore simmetrico, mentre
Ta = ( T T ) /2 antisimmetrico; infine T = Ta + Ts .
Il prodotto scalare tra due quadrivettori A = { A } e B = { B } definito come
A B = g A B = A0 B0 A1 B1 A2 B2 A3 B3 . Un quadrivettore A = { A }
si dice di tipo tempo se A A > 0, di tipo spazio se A A < 0, di tipo luce se
A A = 0.
Esercizi
Dimostrare che, se S( x ) uno scalare di Lorentz ed di classe opportuna, allora S( x )/x un quadrivettore covariante, mentre S( x )/x un
quadrivettore controvariante.
91
quadrivelocit e quadriaccelerazione
dx
dx
dx
=
=
ds
c d
c dt
(5.23)
dove
=
1
1 v2 /c2
il fattore di Lorentz della particella, non di un sistema di riferimento. Chiaramente u = {u } un quadrivettore controvariante perch si trasforma come
u0 = u . Osserviamo che:
8 Nel caso di una particella di massa nulla o di un raggio luminoso, poich ds2 = 0 occorre introdurre
un parametro scalare diverso dal tempo proprio.
9 Alcuni definiscono la quadrivelocit come u = cdx /ds. In tal caso u ha le dimensioni di una
velocit, mentre nel nostro caso adimensionale.
92
u u = g u u =
v2
1 2
c
= 1.
(5.24)
d2 x
du
=
.
ds
ds2
du
= 0 g u w = 0 u w = 0.
ds
w0 =
con i = 1, 2, 3, ( a1 , a2 , a3 ) = ( a x , ay , az ) e (v1 , v2 , v3 ) = (v x , vy , vz ).
5.5
dinamica relativistica
Si pu facilmente constatare che in relativit ristretta, a causa della legge di composizione delle velocit, se il momento di una particella avente massa a riposo
m0 definito come ~p = m0~v, allora la conservazione del momento di sistemi di
particelle isolati non pi valida in ogni sistema di riferimento inerziale.10 Se richiediamo che la conservazione del momento in sistemi isolati sia una legge della
Fisica, bisogna allora definire in relativit il momento come:
~p =
m0
1 v2 /c2
~v = m(v)~v
(5.25)
= m0
(5.26)
dove
m(v) =
m0
1 v2 /c2
93
(5.27)
d
~v = ~F
dt
(5.29)
(5.30)
3
m0 ~v ~a + m0 2 v2 (~v ~a) = ~F ~v
c
2
m0 (~v ~a) 1 + 2 v2 = ~F ~v
c
3
m0 ~v ~a = ~F ~v
(5.31)
~v
= ~F
c2
!
~F ~v
~F
~v .
c2
m0 ~a + (~F ~v)
m0~a =
(5.32)
Notiamo che se ~F, ~v,~a sono vettori paralleli, allora la (5.32) diventa
m0 3~a = ~F
(basta tener conto che in questo caso ~F (~F ~v)~v/c2 = ~F/2 ).
94
5.6
Sia ~F la forza totale agente su una particella di massa a riposo m0 . Vogliamo ora
vedere come determinare lenergia cinetica della particella. Lidea di partire, in
analogia a quanto avviene in meccanica newtoniana, dalla relazione dT = ~F d~r,
cio la variazione infinitesima di energia cinetica, dT, supposta uguale al lavoro
elementare della forza totale. Teniamo presente che ~F d~r = ~F ~v dt = m0 3~v ~a dt
in base alla (5.31). Possiamo pertanto scrivere
dT = m0 3~v ~a dt = m0 3~v d~v =
Poich
1
2
R v2
0
T=
1
m0 3 dv2 .
2
m0 c2
(5.33)
(notare che nel ricavare la precedente abbiamo supposto nulla la velocit iniziale).
Per v/c 1, allora
T=
1
m0 v2 + O(v4 ),
2
p
=
m20 v2 2 = m20 c2 .
c2
c2
(5.34)
(5.35)
95
da cui11
E=
p2 c2 + m20 c4 .
(5.36)
(5.37)
Ovviamente le espressioni E = m0 c2 e ~p = m0~v in cui compare la massa perdono di significato per una particella di massa nulla. Se m0 = 0 lenergia rimane
finita senza annullarsi, in quanto v = c. Notiamo che bisogna fare il doppio limite
m0 0+ e v c : ci rende finita e non nulla lenergia.
Stesso discorso vale per il momento. Sottolineiamo che, nel caso di particelle
con massa nulla, vale certamente la (5.37), che stabilisce un preciso legame tra
energia e momento. In natura esistono, effettivamente, particelle di massa nulla,
come per esempio i fotoni. In base alla relazione di Planck-Einstein, lenergia di
un fotone di frequenza data da
E = h
(5.38)
E
h
h
=
= = } = }k
c
c
(5.39)
11 Nello scrivere la (5.36) abbiamo considerato solo la soluzione positiva e scartato quella negativa. Si
pu far vedere nellambito della fisica classica che non vi sono motivi per ammettere stati di energia
negativi. Discorso diverso va fatto per la meccanica quantistica, dove non possibile ignorare, a
priori, stati di energia negativa.
96
p1 = m0 v x p x ,
p3 = m0 vz pz .
01
p = ( p1 p0 )
.
(5.40)
p 02 = p 2
03
p = p3
Le precedenti possono essere scritte in termini di E, p x , py , pz come:
0
E
E
p
x
c
E
0
px = px
.
c
p0 = py
y0
pz = pz
Nel caso in cui m0 = 0 (particella di massa nulla) si ha g p p = 0: il quadrimomento ovviamente di tipo luce. Possiamo definire il tensore del momento
angolare (controvariante di rango 2 e antisimmetrico) come
L = x p x p .
(5.41)
Nel caso di una particella libera di massa m0 sappiamo che d~p/dt = 0 e dE/dt =
0, dove ~p = m0 ~v e E = m0 c2 . Poich le componenti del quadrimomento sono
date da p = ( E/c, ~p) evidente che le precedenti equivalgono alla condizione
dp
= 0.
(5.42)
ds
La (5.42) costituisce, allora, lequazione covariante del moto di una particella libera e pu essere anche scritta, tenendo presente che p = m0 cu = m0 cdx /ds
come
d2 x
= 0.
ds2
97
dp
.
ds
(5.43)
du
= m0 cw = F.
ds
Si pu enunciare anche in meccanica relativistica il principio variazionale di Hamilton, dal quale poi ricavare le equazioni del moto delle particelle materiali.
Consideriamo, prima, il caso di una particella materiale libera. Come possiamo
esprimere lazione? Ovviamente dobbiamo richiedere che lintegrale, che esprime
lazione, sia invariante per trasformazioni di Lorentz e, quindi, sia uno scalare di
Lorentz. Per una particella libera viene naturale pensare, come scalare di Lorentz, allintervallo infinitesimo ds o pi in generale ad ds con costante. Lidea,
allora, di considerare lazione data da:
S=
Z b
a
ds
(5.44)
98
Se ora teniamo conto che per una particella materiale ds = c 1 v2 /c2 dt, la
(5.44) pu essere scritta
Z t1 r
v2
1 2 dt ,
(5.45)
S[ x (t), y(t), z(t)] = c
c
t0
dove v2 (t) = x 2 (t) + y 2 (t) + z 2 (t). Dalla (5.45) si deduce che la lagrangiana data
da:
r
v2
L = c 1 2 .
(5.46)
c
Se procediamo esattamente come nel caso non relativistico, per il principio variazionale di Hamilton abbiamo:
d L ~
=0
dt ~v
(5.47)
perch L non dipende esplicitamente da ~x. Dalle relazioni (5.46) e (5.47) si ottiene:
c
L
vx
=
= costante
2
2
v x
1 v /c c2
vy
L
c
=
= costante
vy
1 v2 /c2 c2
c
vz
L
=
= costante
vz
1 v2 /c2 c2
quindi
2
2
v2
~v
=
= costante
c 1 v2 /c2
c2 1 v2 /c2
da cui discende che v2 una quantit costante. Inoltre dalla (5.47) abbiamo anche
~v
d L
d
=
= ~0
dt ~v
d
c 1 v2 /c2
quindi
d~v ~
= 0 ~v(t) = costante,
dt
cio il moto della particella libera che rende stazionaria lazione quello rettilineo
uniforme.
Sia m0 la massa a riposo della particella. La sua lagrangiana data dalla (5.46).
Per v/c 1 questa diventa:
4
1 v2
v
L = c c 2 + O
,
2 c
c4
99
dove c una costante che non influenza le equazioni del moto. Nel caso non
relativistico invece (a meno di costanti additive):
L=
1
m0 v2 .
2
~p =
L
m0~v
=
~v
1 v2 /c2
(esattamente il valore che, come abbiamo detto, permette che la conservazione del
momento di sistemi isolati sia una legge della Fisica). Notiamo, solo per inciso,
che nel caso esaminato (particella libera) d~p/dt = 0. Possiamo chiamare energia
la quantit:
E = ~p ~v L =
m0 c2
1 v2 /c2
= m0 c2
(esattamente il valore ottenuto per altra via). Poich L non dipende esplicitamente
dal tempo, lenergia una costante del moto (vedi (5.47)). Osserviamo che ~p =
E~v/c2 e che E2 p2 c2 = m20 c4 . Lhamiltoniana data da
q
H = c p2 + m20 c2 .
Se v/c 1, H m0 c2 + p2 /(2m0 ). Possiamo anche enunciare il principio
variazionale con il formalismo quadridimensionale
S = m0 c
Z b
a
ds = m0 c
Z bq
a
dx
dx = m0 c
Z bq
a
g dx dx .
Z bq
a
g dx (e) dx (e).
q
S[ x (e)] S[ x ] = m0 c
g dx (e) dx (e) g dx dx
a
Z b q
q
(5.48)
= m0 c
g (dx + e d )(dx + e d ) g dx dx .
100
=
g (dx + e d )(dx + e d )
e
e =0
+ e d ) d + g (dx + e d ) d
g
(
dx
1
q
=
=
2
g (dx + e d )(dx + e d )
e =0
g dx d
g (dx + e d ) d
p
=
=
= q
g dx dx
g (dx + e d )(dx + e d )
e =0
dx d
=
.
ds
Dalla (5.23) abbiamo dx = u ds, quindi
u ds d
dx d
=
= u d .
ds
ds
Allora la (5.48) diventa
S = S[ x (e)] S[ x ] =
Z b
q
= m0 ce
g (dx + e d )(dx + e d )
+ O(e2 ) =
a e
e =0
= m0 ce
Z b
a
u d
u d =
Z b
a
d( u )
Z b
a
du =
Z b
a
du =
Z b
du
a
ds
ds
risulta
S = m0 ce
Z b
du
a
ds
ds .
Z b
du
a
ds
x ds
101
~ Ora
noti il potenziale scalare e il potenziale vettore A.
V dt =
q~
q
q
(c dt) A
d~r = A dx
c
c
c
q
m0 c ds + A dx ,
c
a
S = S[ x (e)] S[ x ] =
Z b
q
q
=
m0 c dx (e) dx (e) m0 c dx dx +
S=
Z
q b
(5.49)
(5.50)
A ( x (e)) dx (e) A ( x ) dx .
Il primo integrale si calcola come visto nel caso della particella libera, per il
secondo integrale abbiamo, sviluppando in serie di potenze di e:
A ( x (e)) dx (e) A ( x ) dx = A ( x + e ) d( x + e ) A ( x ) dx =
A
= e A ( x ) d +
dx + O e2 .
x
Inoltre, con la solita condizione | a = |b = 0 risulta:
Z b
A
e
dx =
A ( x ) d +
x
a
Z b
A
=e
d( A ( x ) ) dA ( x ) +
dx =
x
a
Z b
A
dA ( x ) +
=e
dx =
x
a
Z b
A
A
dx +
dx =
=e
x
x
a
Z b
A
A
=e
dx +
dx .
x
x
a
102
Nellultima uguaglianza abbiamo potuto invertire gli indici e del primo termine poich si tratta di una somma su e . Dunque, ponendo e = x , la (5.50)
diventa
Z b
q A
q A
du
dsx +
x dx
x dx =
S =
m0 c
ds
c x
c x
a
Z b
du
q A
A dx
=
m0 c
dsx =
ds
c x
x
ds
a
Z b
q A
A
du
=
m0 c
u dsx .
ds
c x
x
a
In definitiva abbiamo
du
q
S = 0 = m0 c
=
ds
c
A
A
x
x
u =
q
F u .
c
(5.51)
0 Ex Ey Ez
Ex
0
Bz By
.
F =
Ey Bz
0
Bx
Ez
By
Bx
q~
A
c
103
(5.52)
(5.53)
~
da cui ~p = ~
P q A/c.
Ora
H = ~v
q ~ 2
L
m0 c2
L=
+ q = (H q)2 = m20 c4 + c2 ~P A
~v
c
1 v2 /c2
da cui
r
H=
q ~ 2
P A
m20 c4 + c2 ~
+ q
c
Lelettromagnetismo prerelativistico superava in modo piuttosto goffo la presenza della costante c nelle equazioni dei campi elettrico e magnetico ipotizzando
lesistenza di un mezzo, letere, che permeasse lintero universo e rispetto al quale
la luce si muoveva appunto con velocit c. Letere era pensato come un mezzo del
tutto singolare, sottile e capace di permeare completamente il cosmo, dotato dellunica propriet di essere il mezzo attraverso il quale la radiazione si propagava.
Per avere una qualche stima della velocit della Terra rispetto a tale mezzo Albert
Abraham Michelson, singolarmente nel 1881 e poi assieme a Edward Morley nel
1887, mise a punto un esperimento in cui si intendeva rilevare il vento detere
mediante tecniche interferometriche. Il dispositivo messo a punto dai due sperimentatori schematizzato in Figura 5.4 ed era montato su una lastra di pietra
fatta galleggiare su mercurio liquido: questo permetteva di mantenere la lastra
orizzontale e di farla girare attorno a un perno centrale.
Supponiamo ora che la Terra si muova rispetto alletere con velocit v. Il fascio
luminoso che parte dalla sorgente S viene scomposto dallo specchio semiargentato in due raggi normali tra loro; il raggio 1 si propaga verso lo specchio R1 ,
viene da questo riflesso, subisce una deviazione di /2 a causa dello specchio
semiargentato e perviene al cannocchiale C; il raggio 2 invece si dirige verso lo
specchio R2 e dopo la riflesione attraversa pressocch indisturbato lo specchietto
semiargentato per poi giungere anchesso nel cannocchiale. Ci che si dovrebbe
osservare nel cannocchiale una serie di frange di interferenza dovute al fatto che
il tratto AR1 dovrebbe essere percorso dalla luce in un arco di tempo diverso rispetto al tratto AR2 , a causa della composizione delle velocit che consegue dalla
presenza del mezzo luminifero. La differenza di fase tra i due raggi nel momento
in cui si ricongiungono in A genera linterferenza.
Il tempo impiegato dal raggio 1 per percorrere AR1 (andata e ritorno)
T1 =
L1
L
2L
1
+ 1 = 1
.
c+v cv
c 1 v2 /c2
(5.54)
Per il raggio 2 bisogner tener conto del fatto che, nel sistema delletere, la luce si
propaga sempre e comunque a velocit c. Dunque la velocit vy con cui viene per-
104
L2
1
L2
=2
.
vy
c 1 v2 /c2
c2 v2 .
(5.55)
.
T = T2 T1 =
c
1 v2 /c2 1 v2 /c2
(5.56)
.
(5.57)
c 1 v2 /c2
1 v2 /c2
Perci
L1 + L2
T T = 2
c
0
1 v2 /c2 1 v2 /c2
(5.58)
L1 + L2
.
c3
(5.59)
105
106
6.1
Un corpo nero un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riflette). Se introduciamo il concetto di potere assorbente
come la frazione di energia raggiante incidente che viene assorbita dal corpo, si
conclude che un corpo nero un oggetto che ha potere assorbente 1. Kirchhoff
riuscito a dimostrare nel 1859 che il potere assorbente di un corpo dipende solo
dalla temperatura del corpo e non dalla sua natura. Kirchhoff stesso, per esempio,
ha provato che un ottimo esempio di corpo nero un contenitore a temperatura
costante sulle cui pareti praticato un piccolissimo foro, di modo che la radiazione che entra attraverso di esso abbia probabilit praticamente nulla di uscirvi e
venga assorbita dal corpo in seguito alle numerose riflessioni interne.
Sia dunque u la densit di energia allinterno del contenitore e indichiamo con
u d la densit di energia delle componenti che cadono nellintervallo (, + d).
Il risultato di Kirchhoff cui si accennato pu esprimersi nel seguente modo:
fissata , u = u ( T ). Stefan aveva dimostrato che
U=
Z +
0
u d = T 4
(Legge di Stefan)
=4 .
3 T dT
T
T dT
dT
T
(6.1)
(6.2)
(Legge di Stefan-Boltzmann)
107
Z +
0
Z +
0
= T4
3 F
d =
pongo =
T
T 3 3 F () T d =
Z +
0
3 F () d.
|d|
|d|
=
|d| = d.
Perci
u d = u d = u |d|
da cui
u =
c4 c
F
.
5
T
108
0.6
5000 K
0.5
u (MJ/m4 )
0.4
0.3
0.2
4000 K
0.1
0
3000 K
0.5
1.5
2.5
(m)
Figura 6.1: Curve di Planck per diversi valori della temperatura a confronto con i risultati
previsti dalla teoria classica di Rayleigh-Jeans. Sulle ordinate riportata la
densit di energia per unit di volume per unit di lunghezza donda, quindi
lintegrale delle curve rappresenta la densit volumetrica di energia.
allora u d = u dN ()/V.
Nota lenergia media dei detti oscillatori u,
Poich vale il principio di equipartizione dellenergia e per ogni oscillatore,
avendo esso due modi possibili, u = 2(k B T/2) = k B T, ricorrendo alla distribuzione di Boltzmann si ha:
P(u) = ce
k uT
B
= R +
0
k uT
k uT
B
du
R + u
dove c = 1/ 0 e k B T du una costante che soddisfa la condizione di norR +
malizzazione 0 P(u) du = 1. Pertanto il valore medio pu essere ottenuto
da
R + u
Z +
ue k B T du
u =
uP(u) du = R0 + u
= k B T.
0
e k B T du
0
Perci
u ( T ) d = u
dN ()
8
= k B T 3 2 d.
V
c
(Relazione di Rayleigh-Jeans)
Si vede subito che integrando tra 0 e + lintegrale diverge (poich tale fatto
legato al contributo delle alte frequenze si parla di catastrofe ultravioletta o catastrofe
di Rayleigh-Jeans). La relazione ottenuta ammettendo che gli scambi energetici
avvengano con continuit.
109
Nel 1901 Planck propose invece che lenergia potesse essere scambiata solo secondo quantit multiple di h. In questo caso, detto un = nh lenergia scambiata,
P(un ) = ce
knhT
B
knhT
n =0 e
n khT
B
= (1 e
khT
B
)e
n khT
B
un P(un ) = h(1 e
khT
n =0
ne
n =0
n khT
B
h
e
h
kB T
ovvero
u =
h
8 3
h
.
3
c
e kB T 1
leffetto fotoelettrico
110
1. esiste, in funzione del tipo di metallo di cui costituito il catodo, una frequenza di soglia 0 della radiazione incidente, al di sotto della quale non
si verifica nessuna emissione di fotoelettroni, qualunque sia lintensit della
radiazione;
2. esiste un potenziale darresto V0 , indipendente dallintensit della radiazione incidente, in corrispondenza del quale nessun elettrone raggiunge lanodo; questa propriet sta a significare che lenergia cinetica massima dei
fotoelettroni appena emessi dal catodo verifica lequazione Tmax = eV0 dove
e la carica dellelettrone in modulo;
3. lemissione dei fotoelettroni istantanea qualunque sia lintensit della radiazione, purch > 0 ;
4. la corrente fotoelettrica i, ovvero il numero di elettroni emessi nellunit di
tempo, dipende dallintensit I della radiazione incidente.
La teoria classica della radiazione prevede
a. lesistenza di una intensit di radiazione di soglia I0 al di sotto della quale
leffetto non avviene, in contrasto col punto 1;
b. la dipendenza di Tmax , e quindi del potenziale darresto V0 , dallintensit
della radiazione I in contrasto col punto 2;
c. che lemissione debba avvenire dopo che un elettrone ha assorbito, a spese
della radiazione incidente, abbastanza energia da superare il potenziale, detto di estrazione, che, in condizioni normali impedisce allelettrone di uscire
dal metallo: per tale ragione lemissione pu verificarsi solo dopo un certo
intervallo di tempo dallarrivo della radiazione incidente, intervallo ovviamente tanto maggiore quanto pi bassa lintensit I, in contrasto col punto
3;
d. che la corrente, dovuta ai fotoelettroni, debba aumentare al crescere di I, in
accordo col punto 4 (sempre che > 0 ).
Allora, almeno tre delle caratteristiche principali delleffetto fotoelettrico non sono
spiegabili mediante la teoria classica della radiazione. Nel 1905 Einstein propose una spiegazione delleffetto assumendo che la radiazione fosse costituita da
pacchetti, o quanti di energia, detti fotoni: una radiazione elettromagnetica monocromatica di frequenza consiste di fotoni di energia h, dove h = 6.6 1034 J s
la costante di Planck. Abbiamo visto che, per spiegare lemissione del corpo
nero, Planck aveva ipotizzato un simile comportamento per lenergia della radiazione elettromagnetica allinterno di una cavit. Vediamo ora come, con lipotesi
di Einstein, possibile fornire una spiegazione esauriente delleffetto.
Possiamo assumere, per semplicit, che lelettrone sia a riposo allinterno del
metallo.2 Un elettrone, dopo aver assorbito un fotone di energia h, emesso
2 Osserviamo che lenergia termica circa 102 eV mentre i fotoni, nel visibile e nellultravioletto,
hanno unenergia di circa 1 10 eV.
111
effetto compton
h
(1 cos )
me c
112
(6.4)
4
4
m2e
c
+ c2 p20 + c2 p2 + 2me c3 ( p0 p) 2c2 pp0 =
m2e
c
+ c2 p2e .
(6.5)
(6.6)
=
(1 cos ) =
me ch
0
0
h
0 =
(1 cos ).
(6.7)
me c
In conclusione, nelleffetto Compton i fotoni si comportano proprio come dei corpuscoli cui compete energia h e momento h/c. La diffusione Compton pu
essere considerata come un assorbimento di radiazione elettromagnetica seguito
da emissione, mentre leffetto fotoelettrico un assorbimento puro e semplice.
6.4
La radiazione elettromagnetica ha manifestazioni ondulatorie e presenta, nel contempo, comportamenti corpuscolari come nella radiazione del corpo nero, nelleffetto fotoelettrico e nelleffetto Compton. Il legame tra questi due aspetti
rappresentato dalla costante di Planck h. Sappiamo infatti che, se la frequenza
di unonda elettromagnetica monocromatica, questa pu essere pensata in certi contesti come formata da quanti, fotoni (particelle di massa nulla), a ognuno
dei quali compete unenergia h e un momento h/c. Poich h interviene anche nella condizione di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld, Louis de Broglie nel
1923 si chiese se non fosse possibile, per cos dire, un percorso inverso, cio che
113
oggetti (come gli elettroni) pensati sempre come particelle potessero presentare,
in particolari situazioni, un comportamento ondulatorio. Consideriamo nel modello atomico di Bohr un elettrone in orbita attorno al nucleo; la condizione di
quantizzazione la seguente:
I
p dq = nh
n N.
nh
.
p
h
h
=
.
p
2mE
(6.8)
h
2mE
6.626
2 9.11 1031
1.6 1019
(come nei raggi X), pari alle dimensioni atomiche. Per un oggetto di 1 kg ed energia di 1 J gli effetti quantistici si avrebbero a distanze pari a 1034 m, del tutto
trascurabili rispetto alle oscillazioni termiche degli atomi. Notiamo che, mentre
per i fotoni inversamente proporzionale
a E, per le particelle (non relativisti
che) inversamente proporzionale a E. Inoltre maggiore la massa, minore ,
a parit di energia, la lunghezza donda. Nel 1927 Davisson e Germer hanno provato che gli elettroni presentano effettivamente un comportamento ondulatorio e
sono caratterizzati da una lunghezza donda data proprio dalla (6.8). Analoghi
comportamenti ondulatori sono, poi, stati provati per protoni, neutroni, atomi di
He, ecc. Stabilito il carattere ondulatorio delle particelle materiali, bisogna vedere
a quale grandezza fisica si riferisce il fenomeno, cio quale sia il significato fisico
della grandezza o delle grandezze oscillanti che chiamiamo funzioni donda e per
la quale ipotizziamo unequazione lineare in analogia con le onde meccaniche e
quelle elettromagnetiche.
Normalmente quando si in presenza di una propagazione ondulatoria, si
pone il problema di quale sia il mezzo che porta londa e quale la grandezza
114
che ne misuri lampiezza. Nel caso elettromagnetico alla prima domanda non
c risposta, o meglio il vuoto, mentre le grandezze che misurano lampiezza
sono il campo elettrico e il campo magnetico. Ci chiediamo nel caso delle onde di
materia di de Broglie chi sostituisce questi campi (assodato che esse si propagano
nel vuoto). Lesperimento di Davisson e Germer fornisce una risposta a questo
quesito. Nellesperimento, mediante rivelatori, viene testata la presenza o meno
di elettroni a un particolare angolo. Alla fine, pensando di ripetere pi volte
le misure, ogni volta con un solo elettrone nel fascio, viene di fatto misurata
la frequenza con cui lelettrone rivelato ai diversi angoli, cio misurata una
probabilit di presenza dellelettrone.
Le idee di de Broglie sulle onde di materia avranno uno sviluppo fondamentale
con la Meccanica Ondulatoria di Schrdinger.
115
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
[7]
[8]
[9]
116
Parte III
APPENDICI
LA TRASFORMATA DI LEGENDRE
a.1
definizione
(A.1)
(A.2)
g( p)
x
x ( p)
118
A.1 definizione
In base a quanto visto finora la (A.1) pu essere anche scritta nel seguente modo:
g( p) = x ( p) p f ( x ( p)).
La trasformata di Legendre gode di una propriet molto importante: essa involutiva, ovvero se g( p) la trasformata di Legendre di f ( x ), allora la trasformata
di Legendre di g( p) ancora f ( x ). Le due funzioni f e g si dicono dunque duali
secondo Young. Inoltre essendo per definizione px f ( x ) g( p) allora vale la
cosiddetta disuguaglianza di Young:
px f ( x ) + g( p).
(A.3)
2 f
xi x j
g( p) = max{( p, x) f ( x)},
x
dove
( p, x) =
pi xi .
i =1
i = 1, . . . , n
(A.4)
o, equivalentemente,
f ( x) = p.
Quindi
x = x ( p)
e la trasformata si pu anche scrivere come
g( p) =
xi ( p) pi f (x ( p)).
(A.5)
i =1
Come abbiamo visto,1 la trasformazione di Legendre permette di passare dalla lagrangiana L(q, q,
t) (intesa come funzione delle variabili q)
allhamiltoniana
1 Si veda pagina 47. Nel caso dellapplicazione della trasformazione di Legendre alla fuzione L le
ipotesi di convessit sono in genere soddisfatte. La lagrangiana di un sistema fisico ha infatti
solitamente la forma L = 21 i mi q 2i V (q): evidentemente la matrice
!
2 L
= (mi ij )
q i q j
definita positiva.
119
A.1 definizione
x R. Imponiamo la condizio-
p
,
2
p R.
La trasformata dunque:
g( p) = x ( p) p f ( x ( p)) =
p2
p2
p2
= .
2
4
4
x R. Imponendo la condizione
x
= p = x ( p) = 2p
2
f 0 ( x ) = p x 1 = p x = p 1 .
Allora
1
g( p) = x ( p) p f ( x ( p)) = p 1 p
120
p 1
1
=
p 1 .
A.1 definizione
tradizione porre
1
1
1
1
=
=
+ = 1
1
per cui
g( p) =
p
.
x
p
+ .
p R+ .
x = 4x1 2x2 = p1
1
= 2x2 2x1 = p2
x2
p1 + p2
x1 ( p1 , p2 ) =
2
.
p
+
2p2
1
x2 ( p1 , p2 ) =
2
+
2
2
2
2
2
p2 + 2p1 p2 + 2p22
p1 + 2p2
= 1
.
2
4
121
LA SUCCESSIONE DI FIBONACCI
La successione di Fibonacci (sequenza A000045 della On-Line Encyclopedia of Integer Sequences), descritta dal matematico pisano Leonardo Fibonacci (1170 - 1250)
nellopera Liber abaci del 1202, una successione di numeri interi definita per
ricorrenza da
Fn = Fn1 + Fn2
F =0
0
F1 = 1
Oltrech per ricorrenza, la successione di Fibonacci pu essere espressa in forma
chiusa, cio con una formula che, dato n, fornisca il valore di Fn senza dover
calcolare tutti i precedenti n 1 numeri della successione. Per determinare tale
formula bisogna risolvere un problema alle differenze finite. Si cercano soluzioni
del tipo Fn = n , con 6= 0. Dalla definizione della successione abbiamo:
n = n1 + n2 2 = + 1
da cui si ricava
1,2
1 5
=
.
2
(B.1)
a = b
a+b = 0
b =
a1 + b2 = 1
1
2 1
a =
5
b =
5
.
2
2
5
La relazione trovata nota con il nome di formula di Binet.
122
1 MeV = 106 eV
1 GeV = 109 eV
123
Simbolo
c
h
kB
2 5 k4B
=
15h3 c2
G
e
me
mp
mn
m
4e0 h 2
a0 =
m e e2
m e e4
R= 2 3
8e0 h c
0
e0
e}
B =
2me
e2
=
4e0 }c
NA
F = eNA
R = k B NA
124
Valore
299 792 458 m/s
6.626 089 6 1034 J s
1.380 650 5 1023 J/K
5.670 40 108 W/(m2 K4 )
6.674 1023 m3 /(kg s)
1.602 176 487 1019 C
9.11 1031 kg = 0.511 MeV/c2
1.672 1027 kg = 938.3 MeV/c2
1.675 1027 kg = 939.6 MeV/c2
107 MeV/c2
5.292 1011 m
1.0974 107 /m
1.256 637 061 44 106 N/A2
8.854 187 817 1012 F/m
9.274 015 4 1024 J/T
7.297 353 1 103
6.022 136 7 1023 /mol
96 485 C/mol
8.314 51 J/(K mol)
INDICE ANALITICO
angolare, momento
conservazione, vi, 25
meccanico, vi
parentesi di Poisson, 60
problema delle forze centrali, 29
relativistico, 97
simmetria sferica, 29
tensore, 97
totale, x
variabile azione, 72
velocit areolare, 30
angolo
variabile, 72
anolonomo, vincolo, 2
areolare, velocit, 30
attrito
vincoli scabri, 3
autovalori
di una matrice rispetto a unaltra,
39
piccole oscillazioni, 39, 43
azione
e reazione
forma debole, ix, 28
forma forte, x, 28
funzionale, 16
integrale sullorbita, 72
oscillatore armonico unidimensionale, 73
variabile, 72
Bertrand, teorema di, 32
Bohr
atomo di, 114
condizione di quantizzazione di
Bohr-Sommerfeld, 113
Boltzmann
costante di Stefan-Boltzmann, 107
distribuzione di, 109
legge di Stefan-Boltzmann, 108
brachistocrona, 21
125
Indice analitico
equivalenza massa-energia, 95
conservazione, vi
forze centrali, 30
densit di, 107
funzione, 26
conservazione, 26
in un campo centrale, 30
meccanica, principio di conservazione, xi
potenziale, vi
principio di equipartizione, 109
relativistica, 95, 100
relazione di Planck-Einstein, 96
equazione del moto
di Minkowski, 98
particella carica in campo elettromagnetico, 103
equilibrio, 4
forze generalizzate, 5
instabile, 37
piccole oscillazioni, 37
stabile, 37
etere, 77, 104
eV, definizione, 123
evento, 77
normali, 41
polari, 29
principali, 41
corpo nero, 107
legge dello spostamento di Wien,
108
legge di Planck, 110
legge di Stefan-Boltzmann, 108
relazione di Rayleigh-Jeans, 109
Coulomb
gauge di, 26
covariante
equazione, 97
formulazione, 92
hamiltoniana, 100
quadrivettore, 89
dAlembert, principio di, 5
Davisson e Germer, esperimento di,
115
de Broglie, 113
onde di materia di, 115
relazione di, 114
diagonalizzazione, 39
diffusione
Compton, 113
dilatazione dei tempi, 86
dissipazione, funzione di
di Rayleigh, 11
forza, v
attiva, 5
centrale, vi, 29
centro di, 29
conservativa, vi
di Lorentz, 9
generalizzata, 4
legge dellinverso del quadrato, 32
lineare di richiamo, 32
momento di una, vi
non derivabile da un potenziale,
10
vincolare, 2
fotoelettrico, effetto, 110
fotone, 96
frequenza
di soglia, 111
modo normale, 41
funzione
126
Indice analitico
per traslazioni, 25
caratteristica di Hamilton, 72
generatrice, 62
funzione principale di Hamilton, 70
mista, 65
parentesi di Poisson, 66
variabili angolo-azione, 72
Galileo
principio di, 77
trasformazioni di, 77, 81, 85
gauge
di Coulomb, 26
di Lorentz, 103
trasformazioni di, 12
generalizzata
coordinata, 3
forza, 4
generalizzato
potenziale, 9
gradi di libert, 3, 11
N particelle, 3
piccole oscillazioni, 37
Lagrange
equazioni di, 6
derivazione dal principio di Hamilton, 17
forze non derivabili da un potenziale, 11
lagrangiana, 6
campo elettromagnetico, 12
potenziali generalizzati, 7
Laplace-Runge-Lenz, vettore di, 33
Legendre, trasformazione di, 47, 118
Levi-Civita, eijk simbolo di, 60
liscio, vincolo, 3
Lorentz
forza di, 9
gauge di, 103
scalare di, 91
trasformazioni di, 78, 81
lunghezza propria, 86
Hamilton
equazioni di, 48
notazione simplettica, 54
funzione caratteristica di, 72
funzione principale di, 70
principio variazionale di, 16
principio variazionale modificato,
57
Hamilton-Jacobi, equazione di, 70
hamiltoniana
covariante, 100
notazione simplettica, 53
particella carica in campo elettromagnetico, 104
Hooke, legge di, 32
massa ridotta, 28
matrice
autovalori, 39
definita positiva, 38
diagonale, 40
identit, 39
ortogonale, 40
piccole oscillazioni
energia cinetica, 38
energia potenziale, 38
simmetrica, 38
simplettica standard, 54
Maxwell, equazioni di, 77
Michelson e Morley, esperimento di,
77, 105
identica, trasformazione, 64
inerzia, principio di, 78
invarianza
di Lorentz, 81, 84, 98
parentesi di Poisson, 66
per rotazioni, 25
127
Indice analitico
di estrazione, 111
energia, 6
generalizzato, 7, 9
elettromagnetico, 9
scalare , 9
vettoriale A, 9
potere assorbente, 107
prodotto scalare
nello spazio di Minkowski, 89, 91
punto materiale, v
minima azione
principio di, 18
Minkowski
diagramma di, 83
equazione di, 98
spazio di, 88
modo normale, 41
momento
angolare, vi
totale, x
canonico, o coniugato, 24
generalizzato, 25
torcente, vi
monogenico, sistema, 15
quadritensore
p volte controvariante e q volte
covariante, 91
completamente controvariante, 91
completamente covariante, 91
elettromagnetico, 103
quadrivettore
controvariante, 88
covariante, 89
quadriaccelerazione, 93
quadriforza, 98
quadrimomento, 97
quadrivelocit, 92
quantit di moto
conservazione della, v
di un sistema di particelle, ix
di una particella, v
olonomo, vincolo, 2
omogenea, funzione
energia cinetica, 26, 30, 38
orbita
chiusa, 31
circolare, 32
ellittica, 32
iperbolica, 32
limitata, 31
piano dellorbita, 29
oscillatore armonico, 66, 73
corpo nero, 108
oscillatori accoppiati, 42
piccole oscillazioni, 37
scabro, vincolo, 3
128
Indice analitico
scleronomo, 2
virtuali
principio dei lavori, 4
spostamenti, 3
viscosa, forza, 10
scleronomo, vincolo, 2
simmetria sferica, 29
simplettica, notazione, 53
spazio
delle configurazioni, 15
delle fasi, 47
spaziotempo, 78
spostamento
legge dello, 108
Stefan
costante di Stefan-Boltzmann, 107
legge di Stefan-Boltzmann, 108
successione di Fibonacci, 122
Wien, 108
costante di, 108
legge dello spostamento di, 108
tachione, 82
tardione, 82
tempo proprio, 87
tensore metrico
controvariante, 89
covariante, 89
tipo luce, 82
trasformazione
canonica, 61
funzione generatrice, 62
identica, 64
parentesi di Poisson, 65
di Galileo, 81
di gauge, 12
di Legendre, 47, 118
di Lorentz, 81
variabili
canoniche, 47
dinamiche, 58
variazionale
principio di Hamilton, 16
principio di Hamilton modificato, 57
vincolo
anolomono, 2
liscio, 3
olonomo, 2
corpo rigido, 2
reonomo, 2
scabro, 3
129