di Chiaro Davanzati
Edizione di riferimento:
Sommario
Tenzone con frate Ubertino
I
In gran parole la proferta fama
I
Se lalta disclezion di voi mi chiama
I
Puro senno e leanza
II
Novo savere e novo intendimento
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
1
3
4
6
8
10
12
15
17
19
21
23
25
27
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30
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33
36
39
41
43
44
47
49
52
53
55
Sommario
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
XXXVIII
XXXIX
XL
XLI
XLII
XLIII
XLIV
XLV
XLVI
XLVII
XLVIII
XLIX
L
LI
LII
LIII
LIV
LV
LVI
57
61
65
66
69
71
74
76
77
79
82
85
87
89
90
93
95
98
100
103
104
107
108
109
112
113
115
118
120
122
iv
Sommario
LVII
LVIII
LIX
LX
LXI
LXI a
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
Di lontana riviera
Madonna, poi mavete
Nesuna gioia creo
Sio mi parto da voi, donna malvagia
A San Giovanni, a Monte, mia canzone
Or nel campo entrato tal campione
Qualunque madimanda
Ringrazzo amore de laventurosa
Da tut<t>i miei pensier mi son diviso
Cos divene a me similemente
I aggio cominciato e vo far guerra
S come il cervio che torna a morire
In tal pensiero ho miso lo mio core
Un sol si vede, chogni luminare
S mi distringe il dolce pensamento
Io voglio star sovra laudar lamore
La spene e lo disio e l pensamento
Volete udire in quante ore del giorno
Lo disoso core e la speranza
Guardando, bella, il vostro alegro viso
Gentil mia donna, poi chio namorai
Partir convienmi, lasso doloroso
Tutta la pena chio ag<g>io portata
Ahi lasso, in quante guise son dolente
Gentil mia donna, sag<g>ia
Io non son degno, donna
Cos gioioso e gaio lo mio core
Va, mio sonetto, essai con cui ragiona?
Molti omini vanno ragionando
De la fenice impreso ag<g>io natura
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129
131
133
136
139
139
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141
141
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143
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145
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147
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149
149
150
151
151
152
153
153
154
Sommario
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30
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54
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155
156
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157
158
159
159
160
161
161
162
163
163
164
165
165
166
167
167
168
169
170
170
171
172
173
173
174
175
vi
Sommario
55
56
57
58
59
60
61
62
63
175
176
177
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178
179
180
180
181
183
184
184
185
186
187
187
188
189
190
190
191
192
193
193
194
195
vii
Sommario
Terza tenzone con Madonna
81 Assai aggio celato e ricoverto
82 Se ricelato lungo tempo siete
83 Io non posso, madonna, ritenere
Quarta tenzone con Madonna
84 A guisa di temente incominzai
85 Foll chi follemente si procacc<i>a
86 Madonna, amor non chere gentilezza
87 La voglia chai non ven di sag<g>io loco
88 Madonna, al primo fui ben conoscente
89 Non mi bisogna n talenta tanto
90 Madonna, i ag<g>io audito spessamente
91 E son servigi, ch ben degna cosa
92 Il vostro onor non chero dibassando
93 Se del tuo core nonn-ha segnoria
94 Madonna, unque per forza non dimando
95 I mi disdico chi non ho tuo core
96 Madonna, a lamor piace, ed i l diletto
97 Lom pote in s aver tal disanza
98 Madonna, io nonn-udivi dicer mai
99 Per sodisfar lo tuo folle ardimento
Quinta tenzone con Madonna
100 Vostro piagente viso ed amoroso
101 S mabelisce vostro parlamento
102 Lo vostro disinore io nol diletto
103 Assai mi piace, sire, tua acontanza
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211
212
212
Tenzoni
Con Monte e con Maestro Rinuccino
104 Di pic<c>iolo alber grande frutto atendo
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196
197
197
198
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200
200
201
202
203
203
204
205
206
206
207
208
209
209
viii
Sommario
104 a
104 b
105
106
106 a
106 b
107
108
108 a
108 b
108 c
108 d
109
109 a
110
110 a
111
111 a
112
112 a
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114 a
115 a
115
116 a
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220
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223
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226
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229
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231
232
233
234
235
ix
Sommario
116 b
116
117
117 a
117 b
118
118 a
119 a
119
120 a
120
121 a
121
122 a
122
236
237
238
239
239
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245
246
246
247
248
249
250
250
251
252
253
253
Sommario
D. 5
D. 6
D. 7
D. 8
D. 9
D. 10
D. 11
D. 12
D. 13
254
255
255
256
257
257
258
259
259
260
261
262
262
263
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265
265
xi
10
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50
I
(V CC)
2
Se lalta disclezion di voi mi chiama
(per altrui voce, non per mio aprovato)
loda, s per sag<g>iar, nonn-ha salute:
ma, qual chio sia, lo mio cor si richiama,
per vostro onor seguire e fare a grato,
di quanto pi avesse in me vertute.
E son certo che siete colorato
dambra e di moscato; lo sapore
dognaltro megliore:
onde salegra mia mente e sta sana
quando vadirizzate a mia quintana.
Chi vuole di valor sag<g>io lusanza
le vie di verit ha tut<t>e acorte:
per altrui fallo sua grazza non pre;
e quei conversa ben, chi ha lenza,
e l confessar ragion nolli par forte
ma diletta, chi usa tal mestere.
Dunqua, sag<g>io planete a grande altura
e ciascunha lo suo corpo formato,
celestal nomato
fu per celestal tereno usare:
per ciaschedun si salva meo parlare.
Non de lom molto dir l ov la scienza,
ch breve detto di molti ntendente,
ch lunghe aringherie odo noiose:
sapore vene damara semenza,
caldo fredurha temperatamente,
chi l mezzo segue ha gioi pi saporose.
Per chi per planeta si conduce
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55
(V CXCVIII)
FRATE UBERTINO
Puro senno e leanza,
alto savere e plena veritate,
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55
II
(V CCI)
Novo savere e novo intendimento,
novel dimando e nova risponsione,
a nuovo fatto, nuovo consigliato:
vert non par per poco mostramento?
poco dimostro da grande intenzione
folle fa sag<g>io, pregio <fa> blasmato?
Dagua ven foco e foco se ne spegne;
tai cose son laudate non son degne,
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III
(V CCII)
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25
30
35
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55
60
di tutta la valenza
senza nesuna intenza;
l ov mia donna fa dimoramento:
dille che mi perdoni
saggio fallato in dire,
chio non posso covrire
chio di lei no ragioni:
chamore ed essa mhaffatto credente
che pi gioia che illor non sia neiente
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70
IV
(V CCIII)
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15
10
ma damare la via
omo di sua ofesa render pace;
e tut<t>o ci disia
lo mio cor, sa voi piace,
e comoro in fornace
ci afina tutavia.
Se voi par villania
da me voi ricepere
lo parlare e l vedere,
guardate a lo savere,
come valere
po<tesse> donna sanza cortesia.
Cortesia sofrire
doglia per istagione:
tut<t>o ci vuol ragione,
chapresso oltra<ggio> nasce l<o> disire;
sio misi mia intenzione
in voi per me gradire,
veg<g>io che v languire,
partir non pos la mia openone.
Ma questa la cagione
ca tut<t>o ci chio dico m<> arivato
in bono usato:
che chi amato
s blasmato,
se non ama, <ed> in fallo si ripone.
Ponesi in fallimento
donna senza pietate;
non saven protestate
l ov argogliamento;
la vostra richitate
venne in dibassamento,
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45
11
50
55
Lumiltate mi guida
a una dolze speranza,
ch l chieder petanza
nesun amante isfida.
Visto lho per usanza
che lo leon per grida
cresce in vita e rafida
li figli suoi di pic<c>iola possanza:
cos illeanza
poreste voi di me, bene allegrando:
sio per usando
merz chiamando,
uno vostro comando
mi doneria possanza.
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V
(V CCIV)
La mia vita, poi <ch> sanza conforto,
forzatamente ho misa in disperanza,
perch pietanza non mi val cherere;
tant lo gran martiro ched io porto
chognaltra cosa tegno in obranza,
ed in crudel pesanza
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14
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VI
(V CCV)
Lungiamente portai
mia ferita in celato
e fui temente di dir mia doglienza;
tut<t>o in me maginai
vostro prencipio stato,
credendo in voi campar per ubidenza:
ch la valenza di voi, donna altera,
fueme pantera e presemi damore
come daulore
<che> dessa <ven> si prende ognaltra fera:
cos di voi mi presi inamorando;
merc chiamando, istato son cherente,
se fosse a voi piacente,
di dare ancor ci che dimostro in cera.
Acci chio pi celare
non posso il mio tormento,
gentil donna, lo dicer mi convene:
tanto mi sforza amare,
chio nonn-ho sentimento:
conosco ci chi ho che da voi vene;
e gioia e pene e quantho di possanza
mi veste amanza pi chio non so dire.
Del mio ag<g>echire
convene ormai a voi aver pietanza,
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16
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VII
(V CCVI)
Or vo cantar, e poi cantar mi tene
ch l merito damor con benenanza,
in allegranza affanno m tornato:
mille merc a lamoroso bene
che dispiet ver me con orgoglianza,
poi dumilianza mha rico<r> donato.
A tal mha dato che mi fa parere
gioia la pena e l<o> tormento gioco,
ag<g>endio parte e loco
nel suo nobil savere;
chio gi per me contare io no l savria
la sua bieltade quant poderosa,
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VIII
(V CCVII)
Quando mi membra, lassa,
s com gi fui damore,
pensando alore
ben dovra languire,
veg<g>endo lo meo sire
me non guardare: e passa
e gli oc<c>hi bassa;
mostra chio sia dolore.
Ma io nonn-ho valore
nullaltro ma pesanza:
veg<g>endo la mia amanza dipartire,
voria morire
o ritornare a la sua benenanza.
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IX
(V CCVIII)
Troppo ag<g>io fatto lungia dimoranza,
lasso, cho non vidi
la dolze speme a cu i mera dato:
sonne smaruto e vivone in pesanza,
ohim, ch non mavidi
del folle senno mio, che mha nganato
ed allungiato da lo suo comando:
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35
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22
a tal sembianza,
canzon, vatene in corso
ad ogne fino amante ovunque sede,
che deg<g>iano per me gridar merzede;
ch se per lor non m fatto socorso,
fra i ternafin del disperar son corso.
45
X
(V CCIX)
Gravosa dimoranza
faccio, poi che disparte
convenmi contro a voglia adimorare,
metendo la speranza
l ove non ag<g>io parte
altro che solamente tormentare,
da poi non veg<g>io possasi partire
da me punto languire:
pi disando l dovaio spera,
penando, trovo fera
per me piet e la merc calare.
Se l dimoro cheo faccio
col pensier non malena,
la mia vita <por> durare poco;
meglio la morte avaccio,
che vivendo con pena:
forse cha laltro mondo avrag<g>io gioco,
ch lo tormento in esto mondo avere
per laltro tenere,
do<vo>gni bon <sofrente ha bon> membrato
secondo io veg<g>io usato:
ma per me, lasso, so ch tut<t>o foco.
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24
XI
(V CCX)
In voi, mia donna, misi lo mio core:
ben more
damore,
e neiente lo posso dipartire.
Io vivo in gra<n> temenza ed in tremore
tutore;
valore
non ag<g>io, ch sento lo cor partire.
Pre chi cor non ave,
ma troppo cosa grave
a disturbar la morte,
ch forte,
che no la p om neiente fug<g>ire.
Serrato lamore ave
lo cor con forte chiave
e dentro da le porte
s forte,
che per voi, bella, volesi morire.
Se lo cor more, morire io non voglio:
cordoglio
chio soglio
aver, non averia, n nulla pena;
ma quanto vivo sanza cor, pi doglio,
e sfoglio
dorgoglio
la mia persona, ch cor no la mena,
per che n voi lo misi
e no lo ne divisi:
faccio giusta vendetta
pi dritta
che sio morisse, ch vivo in catena.
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26
chavere
non pote donna pregio veramente,
se gaia e bella ste
e gi non provedete
ci che vi fa valere
e dispiacere:
pietate ed umiltate solamente.
Canzonetta, di presente tinvia,
in cortesi<a>,
chi ha balia
di consigliare amante disamato;
ch per sua diletosa gentilia
gi m n obria
lor compagnia:
no mabandoni perchio sia afondato;
ma per me umilmente
<vadane> a lavenente
ch s dispetosa,
s che gioiosa
tornasse inver di me per sua preghera;
che, s mha lungiamente
perdente,
la mia vita dogliosa
e tenebrosa
non fosse sempre di cotal manera.
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85
XII
(V CCXI)
Quand contrado il tempo e la stagione
ed omo ha pena contro a suo volere,
co lo pensere adoppia suo tormento;
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XIII
(V CCXII e CCXXXVIII)
Oi lasso, lo mio partire
non pensai che fosse doglia;
credea co lamor gioire
ed esser tut<t>o a sua voglia:
ed io ne sono alungato
e no lo posso vedere;
morag<g>io disconfortato
di tut<t>o il mo piacere.
Non mi credea, perchio gisse,
esser con doglia pensoso
che lo mio core ismarisse:
comio lo sento dottoso!
Or vivo in pi disperanza
che sio fosse giudicato:
levata m lalegranza,
chag<g>io lamor mio lasciato.
Ma quest lo meo disio:
ca per lungo adimorare
ver in gioia lo voler mio,
s chio por alegrare;
e, saltro damore avene,
non ser pregio a lamore,
chio afino per <mie> pene
a cui sono servidore.
Servire con umiltate
a chi l fa diven gioioso:
compie la sua volontate
di ci ch stato pensoso.
Ma io non posso servire:
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XIV
(V CCXIII)
Gentil donna, sio canto
non vi deg<g>ia spiacere,
ch lo mi fa volere
il vostro adorno viso e la bieltate
e l valore, ch tanto
chognaltro dispare<re>
fate; tant il piacere,
chogni doglienza in gioia ritornate.
Dunqua lo mio cantare
nasce di tanta altura,
che sio l volesse, amor no lo voria:
s mi stringe e disia,
che vuol chio canti sanza ricelare,
conservando lamare
umilemente, sanza villania.
Madonna, rimembrando
ove credo avenire,
non m noia languire,
ma disosa vita veramente:
per mi vo alegrando,
sonno de lo disire
chaio di pervenire
a ladornezza che n voi piagente:
ch l ove asate
non p parir nebiore,
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XV
(V CCXIV)
Quantio pi penso, e l pensier pi mincende,
e quando io mi sog<g>iorno di pensare
amore non mi lascia rechare;
inmantenente tra<r>mi a s simprende:
e vuol chio sia servo, ancor chio franco sia:
e lungiamente io son stato servente,
di crudel pene umle e soferente,
voglioso di seguir tut<t>a sua via.
Poi al suo volere acordai lo talento,
e dipart quantho al suo piacere;
ci fei in quel punto contro a mio volere:
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XVI
(V CCXV)
1
<Messere>
Io non posso celare n covrire
ci che maduce, donna, il vostro amore,
ed ho temenza, sio ne fo sentore,
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XVII
(V CCXVI)
2
<Madonna>
Orato di valor, dolze meo sire,
alegra son, se l vostro gentil core
canta del fino amore,
vogliendo il mio comincio perseguire:
chassai m gioia avervi a servidore,
e quandio sento chag<g>iate disire,
obrio ogne martire
e sol di benenanza ag<g>io savore:
ca, voi mirando, amor tut<t>a mavinge,
s chio ho n obrio ogne altro intendimento
e se non fosse blasmo che pavento,
io seguirei l ove lamor mi pinge;
ma lo dolze sperare ag<g>io del pome,
lo qual credo compir como mavinse,
che quando cominciai tanto mi vinse,
che, pur tempo aspetando, dico: Oh me!.
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38
XVIII
(V CCXVII)
Di cantare ho talento,
membrando ci chamore
mhaffatto di martri in gioia tornare;
ma tutora pavento,
sed io faccio sentore,
non paia quello chio vorei celare.
Massio voglio mostrare
de la mia benenanza,
ch ben saria fallanza
sed io alquanto non mi ralegrasse
e con gioia cantasse,
ricelando la mia dolze speranza
laonde nasce tal disio menare.
Disio ho di valenza
quant lo mio piacere,
ch son ruscito di gran manentia,
e son dato a servenza
l ov tut<t>o valere,
pregio ed onor, larghezza e cortesia.
E di mia gran follia
certo son commendato,
comom cha disato
lo suo gravoso danno e disinore,
poi, me conoscidore,
ritorn al dritto stato
seguendo il bene, e lo suo male obria.
Obrar mi convene
lo tempo cho perduto,
e umilemente fino amor seguire;
e lo grande mio bene,
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40
XIX
(V CCXVIII)
Chi mprima disse amore
fall veracemente:
chillui crede presente
punne dire amarore;
chi lo segue, lo sente
ci che mostra di fore:
nonn- tale 1 sapore
s come lo comincio primamente:
ch con piagente isguardo omo innamora;
ci che mostra di fora
gi mai nol vuol seguire;
con pene e con martre
lo nodrisce a tutora,
lontan di gioia e presso di finire.
Amore amaro dico,
guerra daffanno e dira;
assai forte sospira
quegli che gli pi amico;
chi collui pi si smira
fa di dolor notrico;
per mi ci fatico,
che lopera di lui ria mi ci tira.
Chassai a buon tolle e a malvagi dona;
a tal mette corona
che nolli saveria,
e tal mette in obria
e sovente il cagiona,
che fora degno aver gran segnoria.
Amaro amor, tormento,
dolor dogne pesanza,
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<..............anza>
primer di piacimento,
e poi tolle allegranza;
segue lo tradimento:
in ci ferma talento
ed ogne poso mette in obranza;
e s come lo foco colorato,
bello a vedere: usato,
chi lo toc<c>a, cocente,
e divora presente
ci che gli dimostrato,
e la grande alegrezza fa dolente.
Amore a che cagione
aquista li serventi?
Credo per far dolenti
de la sua openone.
Ahi Dio, quanti valenti
mortha sanza cagione!
Villano amor fellone,
comave acorto i venti!
Ca ben pu dir chassai lavori invano
quei che lo serve umano:
e senza gioia lo tene,
nodriscelo di pene:
ma quei fa ben, chi pi li sta lontano
e chi la sua amistate poco tene.
Canzonetta, agli amanti
di presente tinvia:
ciascun che n pene sia
lo partir fac<ci>a avanti;
non seguan la follia
e falsi sguardi tanti:
ciascun daltro samanti,
non entri in sua balia:
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XX
(V CCXIX)
Greve cosa latendere
quello chomo ha n disia:
ira, e danno, e maninconia
ave chi ha speranza dessaprendere:
chllunga atesa obra disanza
e mette in disperanza
ci chom crede aquistare;
li bon face bassare
<e> chi pi vale, pi sente pesanza.
Dun s lontano ateso
donna, vostra impromessa
tardata m e dimessa,
ed in me tormentoso foco ha preso,
s chio son pi che prima doloroso:
dimpromessa non sono disoso,
ma tutor la pavento:
me foria per un cento
chio fosse come mpria chera gioioso.
Donna, di voi mavene
a semblanza del foco
che mprima pare gioco,
ma chi lo toc<c>a ha pene;
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XXI
(V CCXX)
Fami sembianza di s grande ardire
damarmi coralmente
la mia donna, cui mi son tut<t>o dato,
che par chio nag<g>ia tut<t>o il meo disire;
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e credetelo, gente:
glorificando me in grande stato,
fate s come apone
lo savio, sormonando
che, la cera guardando,
lo voler dentro si pu giudicare.
Ben <n> tut<t>o ragione
che tal chiarore spanda
chentha chi la mi manda,
per zo che naturalmente il de fare.
Nome di re non val senza podere;
pi vale ascosto bene,
che gran bene pregar lom che simprenda;
chi sta nel foco gi non de volere
chaltri dica: Egli ha bene
e credalo, e non quello che gli afenda:
chaltro sentenza il morto.
Nulluom non indovino:
ragione <ha> del mischino
che non vuol palesare la sua noia;
de lom col male a porto
di gran gente venire,
ch tal lo po sentire
che l male cha li fa tornare in gioia.
Per pregio di richezze chio non hoe
non vo parer chio goda,
da che l mio cor di pena non si parte;
sel<l>a mia donna sembra, chio dire
questo ciascheduno oda:
ched io illei nonn-eb<b>i anc<or>e parte.
Forse che ci chio dico
non credete neiente,
ma chio ne sia dicente
ad arti per torervene credenza;
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XXII
(V CCXXI)
Sesser potesse chio il potesse avere,
anzi che grande avere,
tanto vorei savere,
madonna, pur unora,
chio scrivere sapesse quante <ho> pene,
o chio il mio core pingere savesse
con quante pene avesse,
in guisa che paresse
chent il mal ch<i> tutora
per star lontan di voi, dolze mio bene;
e zo chio dico avendo,
sovrano mi teria co<m> ragione,
ch col mio cor non prendo
altro disio, che n voi creder mi doglia,
ed i questo averia,
chi pingere mi cor essua cagione,
e voi lo manderia,
e saria ric<c>o di compiuta voglia.
Creder voglio lo mal cho in grazza avere
con trmi ognaltro avere:
ed io fac<c>io savere
<non si fe tale ancora>
che navr gioia e uscer di pene:
ch<unque> avesse <o>ro e mal savesse
guerir del mal chavesse
per lor o non paresse,
folle saria quellora:
ch star ne lor ed arder non bene.
Oro ed argen<t>o avendo,
non mi toria mia doglia di ragione;
or dunque ben maprendo
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XXIII
(V CCXXII)
Allegrosi cantari,
molta merz vi chero,
ch mi facc<i>a dimossa,
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XXIV
(V CCXXIII)
Sovente il mio cor pingo
ad amore, chll
penson avere avento:
credo incarnare, eo pingo;
nonn-ho vigor chellha:
cos son di gio avento.
Mando lo cor, non torna;
ma lo corpo ratorna:
non si racorge a loco,
tanto li piace loco.
Cos perdo che fo:
credo ben far, non fo.
Co la credenza inganno
la mia mente e me stesso:
credo parlare a boc<c>a.
S come l pesce a nganno
prende a lamo se stesso,
cos il mio core imboc<c>a
ci chamore li d:
credene aver, no ndha:
mostrali gioco a punta,
prendelo a taglio e punta.
Son caduto, or mapiglio:
neiente ci chio piglio.
Va, mia canzone, al sag<g>io
cha l nome per contraro:
dilli chio son turbato,
perch, di valor sag<g>io,
di me intenda il contraro,
ischiari l mio turbato:
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XXV
(V CCXXIV)
Ahi dolze e gaia terra fiorentina,
fontana di valore e di piagenza,
fior de laltre, Fiorenza,
qualunque ha pi saver ti ten reina.
Formata fue di Roma tua semenza
e da Dio solo data la dotrina,
ch per luce divina
lo re Fiorin ci spese sua potenza;
ed eb<b>e in sua seguenza
conti e marchesi, prencipi e baroni,
gentil daltre ragioni:
cesati fuor dorgoglio e villania,
miser lor baronia
a ci che fossi de laltre mag<g>iore.
Come fosti ordinata primamente
da sei baron che pi avean daltura,
e ciascun puose cura
ver sua parte, com fosse pi piacente;
da San Giovanni avesti sua figura,
i be costumi dal fior de la gente,
da savi il convenente;
in planeta di Lo pi sicura,
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XXVI
(V CCXXV)
Quando lo mar tempesta,
per natura che gli ne,
de lo suo tempestare gitta londa;
e n quella guisa alpesta
spesso, ch grandne
la cagion che tempesta <s> gli abonda.
Vede londagitare,
gi mai non vede posa,
infin che quella cosa
che lo fa tempestare
non si parte dallui,
perch natura illui
di cos far, quando i giunge quellora.
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la tempesta il maroso,
d<ov>unque l ove inchiuder non si pote:
dunque elli in cui lo getta
fior ch tempestoso
e che gioie per stagion menare pote.
E da ch cos certo,
bene faria fallanza
chi ponesse fallanza
in chio lo metto sper<t>o:
facesse in ci pur duna
guisa, com so, mal sona,
ch mare, com tempesta, londa butta.
Tanto mi par lo dire,
chag<g>io fatto, certano,
che di parlare ancora no ridotto
quel che mi fa languire,
ancora che lontano,
massai dirllo, come sia condotto.
Ci natura distina:
s comha sua natura
ciascuna cratura,
ritraie indi gioi fina;
a quella chio avea
traea, da che dovea,
e come pesce per lo mare stava.
Istando pi gioioso
ne lo mar dogni gioia,
ed unra crudele comincie
a farlo tempestoso,
pur per me donar noia,
ondo morte tosto navere;
ch per suo tempestare
mi lasci smisurato:
con unonda abutato
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XXVII
(V CCXXVI)
Chunque altri blasma
per torto che li face,
bene si de laudare
di chi li fa ragione,
ch l ben de star come l male in parvenza.
Chi pur lo torto blasma
e l ben celar li piace,
ben este da blasmare
duna falsa cagione,
s come il falso pien di scanoscenza.
E zo credendo la mia canoscenza,
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XXVIII
(V CCXXVII)
Da che mi conven fare
cosa ch da biasmare
e da tenere grande fallimento,
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ma voglia nonn-e.
perchio collui mi dovesse ferire.
Come Cain primero
di far crudele e fero
micidio fu, posso dire che sia
el<l>a prima chapare
di s gran fallo fare
in tale guisa, sanza dir bugia.
Dunque saria ragione
che n aer e<d> in foco
come Caino stesse,
perch <la> tradigione
in ciascheduno loco
similemente pales<at>a stesse.
Ora <ch>avete audito
s come son tradito,
di ci chio faccio mai non mincolpate,
chio non poria far quella
che degna non fossella
a gravezza di lei in veritate:
per che lamava eo
pi chanche fosse amata
donna da amadore;
tut<t>a gioia cha il cor meo
dava a la rinegata,
lassa, cui piacean doglie nel mi core.
Donne chonore avete,
donzelle che l volete,
intra voi ragionate zo cho detto;
<ed> es<s>a biasimate
di s gran falsitate,
ch tenute ne siete per iscritto.
Per non blasmar lo male
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XXIX
(V CCXXVIII)
Or tornate in usanza, buona gente,
di blasimar lo mal quando si face,
se no il mondo perir in presente,
tanto <ci> abonda la gente fallace
che tutor grana de li frutti rei.
Vostro socorso sia sanza fallanza,
a ci che de lo mal far sia dottanza,
ch non periscan li bon per li rei.
Lo biasmo date com convene<nte>;
ed intendete una gran falsitate
che mha fatto una donna, cui servente
mio core stato in molta laltate:
mostrandomi damar pi domo nato,
fallito mave per altro amadore:
ondio mi doglio che n s vano core
lungo tempo lo mio amore ho dato.
A Giuda ben la posso asumigliare
che baciando ingann Nostro Segnore;
mai nessuno omo non si pu guardare
da quei che vuole ingannar con amore.
Vergilio, chera tanto sapente,
per falso amore si trov ingannato:
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XXX
(V CCXXIX)
Uno disio m nato
damor tanto corale,
che non posso altro chello:
come fuoco stipato,
tutor sormonta e sale,
raprendendomi n ello.
Or sono al paragone:
che samor per ragione
dona morte per uso,
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Asdegn<and>ome gesse,
inver le sue altezze
maraviglia no mne,
chanche pintura in gesse
di cotante adornezze
non si fece nd ne.
A lo sol d chiarore,
ogni sperha splendore
dalli, quanta splende;
ogni vert ne scende;
lamar la doteria,
tantha di segnoria.
Cos, samor comanda
e vuol pur che lami io,
ello fa gran pecato
sed ello allei non manda
ne lo core disio
damor bene incarnato,
che, comio lamo, mami
e per sembianza chiami
lo mio core e conforti
ched io amor le porti
o, comaltri amadori
com mia donna la nori.
Gli amador tut<t>i quanti,
le donne e le donzelle
che damore hanno cura,
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XXXI
(V CCXXX)
Molti lungo tempo hanno
de lamor novellato
e divisatamente
che Amore e dondha nascimento;
ed ancora non hanno
propio vero trovato
meravigliosamente:
di zo mi fate lo conoscimento.
Mover mi face in trovare canzone
erro di lor cagione,
per diffinir tenzone,
ragion provando ci ched io dirne.
Dice lo Vangelisto
che Dio fue primamente,
chEllo cri quanto ie
con grande disider<>o dAmore:
dunque lAmor Cristo
e dalLui vegnente,
da che lAmor non ie
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A cui e si convene
loro de esser dato,
e l piombo, chi pi su ha,
nonn- degno che da prosedere.
Amore per Amore sinantisca:
non per Amor fiorisca
n dar pregio gradisca
voler donna com pecato seguisca.
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XXXII
(V CCXXXI)
Maravigliomi forte
chag<g>io trovato assai
cha lamor danno blasmo,
che dicon che d morte
crudel, piena di guai;
chillha n s bene blasmo:
e foragione fan lo<r> fallimente,
ch nonn- discendente
di lui altro che bene:
savio e cortese sanza noia vene
chi dallui distretto;
e que ch ric<c>o face dispendente,
( . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ente)
e pagato si tiene,
e colli rei non vene:
tut<t>i gli ha in dispetto.
Amor fa cui distringe
parlar pensatamente
e dir bon senza reo;
ed omo che ristringe
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volenterosamente
ogne mal far ten reo;
e sempre lalte cose disare
e l core umilare
e servir sanza detto
(...........-etto)
e dona guiderdono,
ch dipo servire fa mperare
e del guiderdonare
al servidor perfetto
non falla, cotant leale e netto,
sommo di tut<t>o bono.
Le doglie a lomo face
pacente portare,
n disperar nolascia;
fino, valente face
cui stringe daquistare,
e gi mai non salascia.
Certa<na>mente non sente damore
que che i pone follore,
chamor d ta<l> plagenza,
che mai dallui non si vuol far partenza.
N tanto non si nhae
come per sogno si crede spesse ore
far zo che non fa fiore:
blasmando di fallenza
amor, credo blasmha cui fa ncrescenza:
di lui bono si nhae.
Fac<e> amore om leale
e molto vertudioso
e buon pregio li de.
Somo n tanter<r>o sale
che parla il contrarioso
a zo che lamor fae,
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XXXIII
(V CCXXXII)
Om <ch>e va per ciamino
e ten verso levante
per giungere al ponente,
nonn-aver rifino
dandare al suo vivante,
perch non fia giungente;
perch, quanto pi va, vene lontano
cos grand cagione
sempraffannando se non trova porto:
cos non divereb<b>e prosimano
nullo, senza ragione,
a la dritta sentenza di conforto.
Chi non entra per via
che sia dritta, gi mai
non trover lamore,
n sapreb<b>e che sia:
cercar potreb<b>e assai,
e vivere in erore.
A le vere scriture omo dee
ricorrer, per savere
le diffinite sentenze e le cose:
per loro s truova fondo a ci che
secondo lor valere,
chllag<g>io ben per ver vertudose.
Secondo la scrittura
verace amore Deo,
e Deo lamore ne:
una propia figura,
secondo che veg<g>io eo,
come il pro cha bene.
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XXXIV
(V CCXXXIII)
Quanto ch da mia parte,
di voi mi tegno amico,
credendomi esser di voi ben cangiato;
ed io perci, fuor parte,
con verit vi dico
laonde <di> voi tutora sto gravato:
non perchd io mategna a tal disio,
ma per buona amistate,
sapiando cha vo grava,
riputando lo vostro male mio.
De la vostra amistate
non voglio troppo dire:
da sentenza il fatto, non parole;
dico a voi che membriate
che non par inantire
lo civaliere che nantir non vole
a lo torneio, vogliendo cavalcare
ad unor due civalli:
e zo ben ragione,
ch ciascun de avere suo guidare.
Ben fuor di ragione
chunque far volesse
laqua inver<so> del cielo <su> piog<g>iare,
e grand la cagione:
se per zo chom volesse,
e non potendo, <s>afondasse <n> mare,
greve blasimo a tal ben si convene:
ch zascun de volere
quello chaver si pote,
e lasciar quello che gi mai non vene.
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Se om da blasmare
che vuol ci che non dee,
ben ste da blasmare, zo mi sembra,
ch voi volete stare
papa e mper<>o, che
contra ragione, ed avenir ta membra.
Prendete luna de le due richesse,
e pensate chaugello
mai non avreb<b>e posa,
volando ello, se mai non si ponesse.
Non dottate servire
a quella segnoria
che grada voi, perch<a l>altra ne gravi;
e di quel chavenire
possa, profeterai
non fate, ch pensier son come navi;
seguite s come va la ventura
servendo lalmente
l dov il vostro core,
chella vi pu dar porto forancura.
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XXXV
(V CCXXXIV)
Li contrariosi tempi di fortuna,
il soferire affanno malamente,
dimostrar lom sac<c>ente e vigoroso:
chalor si pare sha bontate alcuna
in met<t>er lo suo core e la sua mente
in quel che sia piagente e corag<g>ioso.
Ch <n> soferire om gioia ed alegranza
di soverchianza nonn- gi laudato:
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XXXVI
(V CCXXXV)
Talento ag<g>io di dire
ci che celar voria,
ma lamorosa via
nol mi lascia covrire:
ch lo meo cor disia
a voi, dolze meo sire,
sovente ore venire
a dir sua vita ria:
come lontanamente
in voi ho disato,
fedele amor portato
a tutora ubidente;
e di ci ch vogliente
in voi non ha trovato:
perch s sia incontrato
saver nol p neiente.
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in voi lo potere.
Quando mi risovene
come non p capere
in voi per suo valere,
sospiri nag<g>io e pene:
ch so che sag<g>io siete
in ogne altra scenza,
ma de la mia ubidenza
contraro vi tenete
e gi non provedete:
la mia fedel voglienza
in celato e n parvenza
con voi sempre movete.
Auditag<g>io nomare
che n gentil core amore
fa suo porto, e lo core
sol si mantien damare;
e quando al servitore
piacegli meritare,
no atende dimandare,
ch desto n ad ognore.
E n voi gentilezza,
credo, senno e misura;
di ci coreg<g>e e dura
ogne orata richezza:
se n voi regna ferezza,
parmi contra natura,
o mia disaventura
vaduce in tale asprezza.
Per lungo temporale
fue la mia vita spesa
in voi serv<i>re, intesa
di quanto porta e vale:
non fe malvagia impresa
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XXXVII
(V CCXXXVI)
<MESSERE:>
Donna, la disanza
chag<g>io di voi veg<g>endo,
vami lo cor prendendo
di fina namoranza:
perz merz cherendo
son voi con umilianza
che nag<g>iate pietanza,
chio non perdatendendo:
che se tarda lo fin coninzamento,
lo tempo passa: per tardar non vene
alcuna cosa a bene,
ma fero ismarimento;
ma, s perseverato il coninzare,
psi la fine in gioia giudicare:
ondio che spero, atendo compimento.
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<DONNA:>
Sire, se voi atendete
di me alcuna cosa,
sonne maravigliosa
forte che lo dicete:
ch, poi chio fui vogliosa
de lo disio chavete,
ben so che voi savete
che non mera noiosa
vostra contigia avere,
chassai temp chio lag<g>io disiata;
e fue mia coninzata
damoroso volere,
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<MESSERE:>
Donna, lo namorare
natura ave del foco,
chal primo pare un poco,
poi cresce in breve stare.
Quandi fu neloco
lndio atendea alegrare,
presivi a risguardare:
laondio ne ncendo e coco:
che sio vadimandai, in parte ni,
ma non gi s comera mia credenza:
per feci partenza,
non da li pensier mei,
ma solamente chamor mincendea;
e ancor lo grande dolore chavea,
chio non ne presi quando sola vi.
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<DONNA:>
Sire, poi maquistaste,
voi me in unitate
di pura volontate,
voi non madimandaste;
e per altre fiate
a meve ritornaste,
alquanto ne pigliaste:
pia<c>quemi in veritate.
Se alent da vostra parte amore
mostrando chio vi fosse rincresciuta,
faceste dipartuta
non di buon servitore.
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<MESSERE:>
Donna, sovente usag<g>io
chamor viene n obria,
e smarisce la via
di lui lo folle e l sag<g>io:
ch quanto om pi disia,
si mette in pi servag<g>io;
talor viene in dannag<g>io
chi pi tien cortesia:
chamore ha usanza e ven di tal manera,
che nullo ne pote esser conoscente;
tal crede esser gaudente
che perde ci che spera
e<d> amarisce per lungo tardato:
piac<c>iavi e siavi a grato
di proveder lo mio cor che non pra.
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<DONNA:>
Sire, l mio core vole
e amore matalenta
che da me gioia senta
lo vostro cor, se dole;
la mente ci contenta
assai pi che non sle;
e gi amor non disvole
gioia cheno abenta.
Per vi confortate in bona voglia
ed isperate di me gioia tutora:
presente fia quella ora
chio vi trar di doglia
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XXXVIII
(V CCXXX)
La gioia e lalegranza,
la voglia e lo talento
che nfra lo mio cor sento,
mha messo in disianza
di far cominzamento
ed i<n> cantar mostranza
per la gioia chavanza
laltre di piacimento,
poi che veduto lag<g>io,
lo suo ric<c>o bellore,
che luce e d splendore
pi che l sole di mag<g>io:
ch tanto chom la vede
non poria mal pensare
n mai alcun follore adoperare;
e vada a lei veder chi no l mi crede.
I non poria ac<c>ertire
in tut<t> a sua valenza,
ch de la sua piagenza
millaltre avrian disire:
chll ove fa aparenza
lo scuro fa chiarire,
e face il sol venire
l ovunque n presenza:
li suoi cavei dorati
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e li cigli neretti
e vlti comarchetti,
con due oc<c>hi morati,
li denti minotetti
di perle son serrati;
lab<b>ra vermiglia, li color rosati:
cui mira, par che tut<t>e gioie saetti.
Chi llei non va a vedere
non sa che gioia sia,
chi damorosa via
vuol pregio mantenere;
ch l ov cortesia
adornezze e piacere
de la bielt tenere
sovra gnaltra che sia.
Dunque, amorosi amanti
perch pi vi tardate?
perch no ladorate
giorno e notti davanti
e sempre rimirate
li suoi dolzi sembianti?
Gioite ed alegratevi di canti:
sempre le sue bellezze rimmembrate.
Ben credo Dio volesse
quando la fe in primero,
che l suo visag<g>io altero
sovrogne altro paresse;
e quelli fosse impero
ched illei sintendesse,
salvo sallei piacesse
la ntesa e suo mestero;
a cui donasse amore
avesse la corona,
ed ogne altra persona
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tenesselo a segnore.
Che val chi no ragiona
sempre del suo valore?
Poco, ch <gi> non credo chag<g>ia core
a cui no mette n isperanza bona.
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XXXIX
(V CCXXXIX)
Madonna, lungiamente ag<g>io portato
amore in core, e nollho discoverto
per tema non vi fosse a dispiacere;
e ciascun giorno m pi doplicato,
riguardando lo vostro viso aperto
che passa ogne altro viso di piacere
e ave pi valeree nsegnamento
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XL
(V CCXL)
Dunamorosa voglia mi convene
cantare alegramente, rimembrando
comio partivi da la donna mia,
ca dolzemente mi dicea abrazzando:
Se vai, meo sire, non ag<g>e n obria
tornare a lamoroso nostro bene,
ma rimmembra lo nostro fin diporto,
a ci che di tornare ag<g>e voglienza;
prendi lo core e me ne la tua baglia,
s che mi porti avanti tua parvenza,
pinta in core, comio sono n intaglia:
di simile voler farag<g>io porto.
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XLI
(V CCXLI)
La mia fedel voglienza
che nel mio core stata
gran tempo adimorata
ferma con ubidenza,
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Di ci piange la mente
e gli oc<c>hi miei dogliosi,
pensando de la vostra dipartenza
che fue per mia doglienza:
ma riconforto a l<o> vostro amonire,
ch diceste, veg<g>endomi languire:
Sale<n> e doli, s<> fo similmente.
Similemente, io creo,
madonna, madivene
come quelli che tene
da buon segnore in feo,
che tantha bona spene
che conforta lo reo.
Voi siete lo mi Deo
onde l baldor mi vene,
e credomi salvare
per questa detate,
e commendare ognaltro mio pecato.
Madonna, se v n grato
mia fedalia in vostro rimembrare,
nul<l>altra gioia aver mai non mi pare
che sol a voi servire in veritate.
In verit voi siete,
madonna, quella cosa
in cui sempre riposa
lo core e me chavete,
tanto siete pietosa;
so ben che conoscete
le mie voglie sagrete,
cho n voi, vertudiosa.
Non son per dirvi oltrag<g>io,
villania o dispregio,
ma fac<c>ione oratoro e sagrestia;
credo che lalma mia
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XLII
(V CCXLII)
Non gi per gioia chi ag<g>ia
diletto lo cantare,
ma per molto pensare,
che tanto mincorag<g>ia
che mi fa travagliare
e d vita salvag<g>ia,
e sovente mi sag<g>ia
di gravoso penare.
Vogliendo ricelare
di mio greve dolore,
quel ca dentro ho, di fore
a nullo altro non pare:
con amoroso foco
dentro marde ed i<n>cende,
ma di for non displende,
anti par chag<g>ia gioco:
e tal mi pregia cho vita gioiosa,
che, se l savesse, diceria dogliosa.
Lo mal che mi dimena
sol la rimembranza
de la mia disanza:
altri nha gio e io pena;
prendene <n> abondanza,
ed io la veg<g>io a pena;
la chiara ara serena
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per me n discuranza,
ch quei che llha in possanza
nha pi che non disia,
ed io nho carestia
e largo di pesanza.
Per, sogne altra gioia
avesse in me presente,
pensando in ci, neiente
prezzeria pi che noia:
e la sua dolze cera riguardando,
mi faria ric<c>o un sol motto parlando.
Ahi lasso malauroso,
ben mha Dio giudicato,
cha l mio disio sposato
ad altro aventuroso
chel si tene abrazzato,
ed io ne sto doglioso.
Maladetto sia sposo,
sllho caro acatato!
Chll dov il pregio contato
di valore e di bieltate,
altri lave in potestate,
ondio ne moro trapensato;
e non mi creo s alto regno,
que chellha, aver lo dovesse;
dunque mai, sa Dio piacesse,
di tal gioia non degno:
chvere io sol di lei un piacere
non curerei mai daltro avere.
Quando penso meo languire,
lira e la maninconia,
s masale gilosia
chio vorei quasi morire,
rimembrando che ver sia
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XLIII
(V CCXLIII)
Novella gioia che porta?
Amante in bene amare
nonn- detto savere
partir per cagion pena,
ch de lamor porta
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XLIV
(V CCXLIV)
Amore, io non mi doglio
per mie pene sentire,
perchio voglia partire
da vostra segnoria,
n perch pi chio soglio
doppiato ag<g>ia martire:
ma voglio alquanto dire
mia crudel vita e ria;
chi macontai di pria
a voi di fin corag<g>io,
perseverando mag<g>io
divenir chio non era;
cha simil di pantera
faceste per usag<g>io,
chognaltra fera prende per olore:
voi mi prendeste, amore,
lo core e me, veg<g>endo vostra spera.
La spera chio guardai,
amor, di voi primero,
fu lo visag<g>io altero
chio vidi a lavenente:
di ci minamorai,
chu<n> spiro inver me fero
al cor mi die pensero,
s chogne membro presemi e la mente,
e fecemi credente
che nonn- pi chamare:
ca sol per un guardare
la vita ho mantenuta;
or la sento ismaruta,
ch la veg<g>io celare.
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XLV
(V CCXLV)
Madonna, di cherere
merz non fino mai,
a ci che sia vertate
che regna in gentil core;
n l cor nonn-ha valere
n poco nd assai,
se nonn-ha in s pietate
o volont damore.
E n voi l cor gentile,
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valore e piacimento,
di pregio il compimento
pi din altra vivente:
dunqua, sio son cherente
merz a voi, amorosa,
dovete esser pietosa,
ch fina donna aiuta suo servente.
Madonna, sio vichero
umilmente merzede,
or non perda in voi prova
sua nobel segnoria:
ch per mercede spero
ci che l core mio crede,
sol che piet si mova
da vostra gentilia
primero chio perisse:
ch poi non mi varia
merz, madonna mia;
di me ag<g>iate pietanza,
ch n voi saria fallanza
lasciastemi perire,
potendomi guerire
e dandomi alegranza.
Madonna, mag<g>ior pena
non si trova n amare,
chatender lom davere
la cosa che disia:
ch mai no gli solena,
veg<g>endola tardare,
ma radoppia dolere
in gran manenconia.
Ed io che pur atendo
come fedele amico,
fate come l nemico
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XLVI
(V CCXLVI)
Valer voria sio mai fui validore
o sunque valsi per saver ben dire,
chal punto son chello vorei seguire
e dimostrare a lingua ci chi ho in core.
Ma dopo lausignuolo a suo cantare
si leva la corniglia a simiglianza:
lo primo loda, e s pone in bassanza.
A me ver vostro dir simile pare,
ma seguo luso di que cha talento
di prender, che di s fa avanzamento.
Sio vo valere e non ho valimento,
convenmi l ov il senno fare inchino:
e io il voglio a voi far, mastro aretino
Guitone, in cui di pregio l valimento.
E lo nchinar chio fo lubidenza
con talento di voi sempre servire:
ma dubito nonn-ag<g>ia folle ardire
volere di s altero benvoglienza;
ma chi lo poco vuol moltipricare
convien che mpronti e sappiasi avanzare.
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XLVII
(V CCXLVII)
Lo mio doglioso core
e langosciosa mente
mi fa novellamente
piangendo risentire,
membrando lo dolore
ondio son soferente,
chassai voria sovente
pi volontier morire,
pensando cho smaruto
lo pi ric<c>o aquistato,
cha nullo altromo nato
fosse mai conceduto;
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e nollag<g>io veduto,
lungo tempo passato,
onde l cor mha colpato
d<a>ver tal gio per<d>uto.
Sio piango e mi lamento
od ho vita dogliosa,
non credo nulla cosa
possami rallegrare,
ch l mio namoramento
venne da lamorosa;
illei sog<g>iorna e posa
la mia voglia e l penare:
dunque gi non poria
per altra gioia avere,
ch sol di lei vedere
era la vita mia.
Deo, che il m<i c>ontraria
non credo il suo savere;
forse ch l non-potere,
cha alquanta gelosia.
Lasso, non veg<g>io come
campare possa mai:
cor meo, perch non vai
davanti a lavenente?
Domandala che nome
ave lo mal ched hai,
o se campar porai
per esser buon servente;
Ch se dallei non vene,
non pi gi mai guerire,
ma ti conven partire
da tut<t>e gioie e bene,
e consumare in pene
se non ti degna audire:
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or ti renda lardire
chavei, ch lo ti tene.
Quandomo ave improntato
ci chegli ha in disianza,
aven che per usanza
non crede mai dolere;
poi sel vene fallato,
mag<g>ior la pesanza
che non fu lalegranza
de lo prencipio avere:
dunque mag<g>ior doglienza
la gioia cho smaruta,
che sion lavesse avuta
davanti mia parvenza.
Per la dolze acoglienza
chavea de laveduta,
pareami aver tenuta
dogne mia benvoglienza.
Ahim, come ferag<g>io?
Morir convemi, lassol
Che val chi mi dilasso
in dire altra ragione?
Campare eo non porag<g>io,
chamore, ad ogne passo
chio fo ver lui, par lasso
ver la mia openone.
Alcun dirmi: Folle,
perch damor ti<n>speri?
Dir: I tormenti feri
amor per me li volle;
lag<g>io, che mi ritolle
li sguardi piagenteri:
piacegli pur chio peri,
poi la mi cela e stolle.
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XLVIII
(V CCXLVIII)
La mia gran benenanza e lo disire
mi stringe di cantare alegramente,
membrando, bella, la vostra bieltate:
ch non pote esser doglia n languire
ma gioia ed alegranza veramente
in quella parte l ove dimorate:
ed ogne altra passatedi valore:
di voi risurge e vene lalegranza;
mirando voi, nonn- s gran pesanza
che non torni alegranza con baldore:
dunque voi siete spera e viva luce,
per cui ogne adornezza si conduce.
S come il sol che schiara ogni nebiore,
quando li rag<g>i manda di sua spera
sormonta in allegrezza ogni scurato,
cos quando aparite, alente fiore,
in gioia ritorna ogne turbata cera,
ciascuno viso fate inamorato.
Ahi, giorno aventuratopien di gioia
fue quando Dio form vostra statura!
che non volle che simile figura
di clarit ver la vostra sapoia,
ma sola, sanza para dadornezze,
dogni valore orato e di bellezze.
Gentile donna, assai poria laudari
e non tanto che n voi pi ben non sia:
ma dotto per laudar non si paresse;
ch l gran ricore non potom celare
n gioia damore mettere in obria:
ma celare vora, so potesse,
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XLIX
(V CCXLIX)
Amor mha dato in taloco a servire
che di contrado viver mi convene
l ove savenegioia ed alegranza,
s come il cecere quand al perire,
che termina cantando le sue pene,
contasi in bene quel che gli pesanza;
a tal speranza porto la mia vita,
che di doglienza fo novel cantare,
per dimostrar chi ag<g>ia gioi in parere;
ma lo sperar davere me nodrisce
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L
(V CCL)
Non gi per gioia chag<g>ia mi conforto,
ma perchio veg<g>io un uom morto damore
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LI
(V CCLI)
Tut<t>o laffanno, la pena e l dolore
chio mai portai in mia vita passata
fue gaudimento, lasso, apo chor sento:
chanima, mente, volontate e core
ogne vertute mia consumata
in doppio pi che non fu gi tormento.
Ispre<i>o pensamento di valere,
e sio unque valsi, maladico lora
per quel chogni vertute mi adolora;
gli oc<c>hi di pianger non posso tenere,
pensando cho fornito altrui di canto
e me<ve>, lasso, di dolore e pianto.
Sempre servi, lasso me, volontieri,
di quel poco poder chi ag<g>io avuto,
a cui piacesse il mio adoperare:
talento, forza, volont e pensieri,
ho messo tut<t>o in ci chag<g>io potuto
a chi lo mha voluto adimandare;
pesami e dole chio veg<g>io mentire
per mia disaventura un detto usato
che molti savi gi lhanno aprovato:
che gi perduto mai non fu servire;
ed io per me lo nego, ch fallace
e per me perde sua vert verace.
Non mio servire, lasso, non mi vale
lo diservire in doppia parte e loco;
cui servo non diletta mia amistate:
ahm, chio non veg<g>io a cui ne cale!
Per se mio servir lo mio foco,
lo diservire non m gi bontate:
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LII
(V CCLII)
Per la grande abondanza cho sento
di gioia e<d> alegranza al cor venire
per nulla guisa posso soferire
che di cantar non facc<i>a movimento;
ma dubito non mo possa fornire
in profere<r> ci chi ho in pensamento,
ch di tal parte lo ncominciamento
cha savio om non seria leg<g>er di dire.
Ed io che non son sag<g>io, son temente,
sio laudo, no l mio laudo ag<g>ia valore:
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LIII
(V CCLIII)
Lo namorato core,
messere, se paventa,
nonn da blasimare,
ch fino amor nonn sanza temere:
da poi ch nato amore,
non par chelli consenta
mai chelli pensare,
co rimembranza di sua gioia vedere;
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e sforza di valere
che piacc<i>a a se medesimo ed altrui:
chamor dato a cui?
a cortesia, a pregio ed a piacere,
e per me<r>z cherere
passar durezza e divenire umile;
e quest cor gentile,
sir meo, a render vita a quei che pre.
Ed io, che namorai
di voi solo veg<g>endo,
ch fino amor costrinse
lo core e la vertute e l pensamento,
e perci coninciai
a disar temendo,
vostra lab<b>ia mavinse,
volle chio mi movesse ad ardimento.
Ondio ag<g>io pavento,
ch greve p lamor far permanenza
iloco di valenza,
se nonn daguaglianza il valimento;
lo vostro asultamento
vegnente gaio e di magna potenza:
se nonn-ha provedenza
ver me, dunque destai lo mio tormento.
Tormento n pesanza,
non dico ci mi sia,
madonna, in voi amare,
ma <n> rimembrar la mia propia statura,
che nonn- daguaglianza
con vostra giovania,
n di bilt non pare
in simiglianza di vostra figura.
Adunque ag<g>io paura:
chio vamo, sire, s teneramente,
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chavendovi presente,
pensando lo partire, ag<g>io rancura:
chamore l cor mi fura
e tut<t>a la vertute e l pensamento;
e qual il mio pavento
non vi smarisca, e la mia morte dura!
Coma lo cervio avene
voria che mavenisse,
che suo gran temporale
rinuova, secondo ag<g>io audito dire,
e giovane diviene;
le pene i son dimesse
per cibo cha lui vale;
ma io non posso: quest il mio languire;
ca sol per voi servire
voria valer, pi che per mia piagenza:
ch a voi la potenza
de la mia morte e pena, e del disire.
Non mi poria avenire
a questo mondo s alto ricore
sanza lo vostro amore,
che mi piacesse offossemi a gradire.
La speme e lo disio
che s fedel vi porto,
per la temenza chave
ci cha di voglia non sa proferere:
ma di voi tiene in fio
quantha gioia e conforto,
n di sua pena grave
non fa mostranza, tantave disire:
per de provedere
vostra nobilit ver la mia cera,
chen ci alcuna fera
che, pur servendo lei, doni dolere,
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ma di su gran potere
contra natura fa suo portamento;
vostro gran piacimento
tegnami a servo, comio vho a mesere.
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LIV
(V CCLIV)
Amoroso meo core,
Deo, quantha pensamento,
rimemorando al ben chai proseduto!
e sovenendo alore
del tuo gran piacimento,
tormenti e doli l ove son venuto.
Poi che se s lontano
da la tua gioia vedere,
non puoi gi mai piacere
ned essere sovrano,
se no ritorni a simile diletto:
lasso, che son distretto
di non potervi essere prosimano!
Di gioia e dalegranza
comaltro innamorato
soleva avere e <di> grazza abondosa:
ahim, quantho pesanza,
quandag<g>io ben pensato
chio son disparte da la pi amorosa,
in cui sempre dimora
valore e caonoscenza,
bieltate con valenza!
Ognaltra impar ne fora,
ch l dov<unqu>ella <suole> apare<re>
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LV
(V CCLV)
La mia disiderosa e dolze vita,
madonna, rimembrando il vostro viso
e la compiuta gioia di valenza
cho riceputo, che m s gradita
che sono in quella disanza asiso:
voglioso, mai da ci non fo partenza.
Fo come lepretasso odo che face,
che trag<g>e a chi lapella per amore:
tant di fedel core
che va a morire e pareli verace;
e io sospiro e piango, e gioia dimeno:
per non turbare, lo meo mal rafreno.
Non dico che lo cor mio senta male
in voi, gentil mia donna ed amorosa,
per cosa chavenire li potesse:
ch, com pi pena, tanto pi ne vale;
e sempre porta e ave in s nascosa
la sua gioiosa gioia che non paresse;
ma che li dole la grande abondanza
de la sagreta vostra vita altera,
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LVI
(V CCLVI)
Di lungia parte aducemi lamore
spesso gioia e pena, rimembrando
chio son lontan da tut<t>o mio disio;
la mente nonn- meco n lo core,
ch lavenente lave in suo comando,
ed io quantag<g>io, tegnol dallei in fio:
di che dimeno gioia ed alegranza,
rimembrando de la sua gran bieltate
e che le piace chio le sia servente;
e di questo ag<g>io doglia con pesanza,
chio son disparte di quelle contrate
col dove dimora lavenente.
Lavenente e l mio cor fan compagnia,
e chiamano la mente e lo ntelletto
che vegnano a veder chi segnor nera
e chi per amor prese la balia
del pi piagente e nobile diletto
cheffosse mai inullaltra riviera:
ca manti sono chan gioia riceputa,
ma non che nver la mia sian di parag<g>io:
di ci pi doppiamente ag<g>io doglienza,
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LVII
(V CCLVII)
Di lontana riviera
sospirl e pensamento
maduce amor, memblando a lavenente,
de la sua dolce cera
e l sag<g>io parlamento
chio nava, ondio nera gaudente;
or che sono alungato,
dimoro sanza core,
sovente travagliando in mia pesanza,
ch di nulla alegranza,
lasso, non mi sovene,
se non torna e rivene
la mia bona ventura al primo stato.
Sa la mia gioia non torno,
non posso gioia avere
nd alegranza ondio alegro sia;
e com pi fo sog<g>iorno
pi ho greve dolere,
rimembrando la sua gran cortesia,
che non credo Tisbia,
Alna n Morgana
avesson di bielt tanto valore:
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LVIII
(V CCLVIII)
Madonna, poi mavete
in vostra segnoria,
perch mi tormentate,
da poi son vostro pi chio non son mio,
e l cor con voi tenete
e la speranza mia?
Sennonn- in voi pietate,
tormento e dico: lasso, com faccio?
Ca voi disiderando,
madonna, e voi guardando,
sempre ne presi vita:
e ora m fallita la speranza,
ch la dolze impromessa
chavea, or m dimessa;
lamoroso sguardare,
ch lo veo celare, honde pesanza.
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Pesanza m dogliosa,
madonna, chio non veo
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LIX
(V CCLIX)
Nesuna gioia creo
che n esto mondo sia ver cortesia
o pregio di valenza prosedere,
ch per asempro veo,
chi non si amisuria co maestria,
che fina canoscenza non p avere:
ch verit tenere
loco di danno e o<n>ta,
e lo mentire pronta
e vale talfata:
per pi laudata
la gioia chomo ave in grato,
che l giusto adoperato:
non serve ci che richiede volere.
Ove dimora e posa
cortesia e valore? In gentil core,
chaltrove non poria far dimoranza:
ch pi poderosa
la fiam<m>a di splendor che di calore,
onde lo cor gentil ne prende usanza
che fa perseveranza
pi di servire e ama
che lo poder non chiama,
ma stringelo misura:
l ove non forza dura
lo poco valor vale,
e talfiata svale
s come lumilt per orgoglianza.
L ove pog<g>ia noranza
per cortesia mantene e monta e vene,
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(V CCLX)
Sio mi parto da voi, donna malvagia,
non parto di cantare;
sio il volesse celare,
paria mi fosse a noia ci chadagia:
ch molti han gioia, e par loro penare,
e ci che li disagia
dimenano <n> gran ragia
per erro o per follia damore amare.
Ma non son io di simigliante erore,
chio sento che n amore
via men danno, chi si sa partire,
che <n pur> seguir lo malvagio segnore.
Per, malvagia donna, la partenza
m gran gioia e disire,
ma mi convien maldire;
di ci mi duole ed ho grave increscenza,
ma so chassai pi vostro fallire
che la mia proferenza:
per nho percepenza,
visando chogne reo veste in disire:
ca, per vendere altrui vostra bieltate,
assai vi riparate
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LXI
(V CCLXXXV)
A San Giovanni, a Monte, mia canzone,
tinvia inmantenente e non far resto;
di chio gli mpianto e nesto
al suo stato conforto in mio sermone,
s n udenza e dintendere desto.
Lo savio il dice, ed ver paragone,
omo in sua passone
membrar lo scampo, come sa presto:
ch mal per mal no aleg<gi>a, ch maggiore
aluma foco e ardore,
e per sovrabondanza trasnatura
senno e misura, reo face peggiore;
ma chi nel mal conforta sua natura,
audo che men li idura
che <n> soferire al mondo omo ricore:
caunoscidor nonn- sanza rancura.
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LXI a
(V CCLXXXVI)
MONTE
Or nel campo entrato tal campione
in mio socorso, che dir posso questo:
lo contrado che vesto
in sua sentenza non p aver quistione;
conoscenza, savere nonn-ha in presto,
ch le prosiede bene in sua magione;
e, chi parla menzone,
dico che n amendar lui richesto.
E poi che non m dato dal Fatore
che n me sia poco o fiore
di sodisfar chi ha n me fede pura,
disaventura di me guidatore:
a far me grazze temo ed ho paura,
perch gra<n> pagatura
servigi oltrar, nollaudar pagatore:
sia amendator de la mia vita dura.
So che per molti si sa ed creduto
cha le vert del mondo la<uro> chiave;
ha n cor porto soave,
di ciascun ha il potere, fa saputo
e fa cernir, nonch l busco, la trave,
ch tesauro di quanto tempo suto:
cui non conceduto
dirag<g>io bene a che posta sarave.
Diciam chom sia di tut<t>e bont rede,
sano dal capo al pede,
libero, giovan da sedere in panca:
tut<t>o lo sfranca, e dico a nulla riede
se di ricore fuori, e peg<g>io anca,
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1
(V 350)
Qualunque madimanda per amore,
comegli sag<g>io, vo chi li risponda.
E rende altrui giustizza de lo core,
n con martri pi gi non confonda:
11
14
2
(V 352)
Ringrazzo amore de laventurosa
gioia e d<e l>allegrezza che mha data,
ch mi don a servir la pi amorosa
che non fue Tisbia o Morgana la fata,
139
11
14
3
(V 353)
Da tut<t>i miei pensier mi son diviso
e solo in un mi son miso ed acolto,
ed in questo procaccio e son pi fiso
che l pregione di pene es<s>ere sciolto,
11
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140
4
(V 354)
Cos divene a me similemente
coma lacel che va e no rivene:
per la pastura che trova piagente
dimora illoco e dessa si contene;
11
14
5
(V 355)
I aggio cominciato e vo far guerra:
chi me nonn-ama, faccia difensione;
e credo, guerando, aquistar terra,
perchio fuor tutto son sanza cagione;
141
11
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6
(V 356)
S come il cervio che torna a morire
l ov feruto s coralemente,
e l cecero comincia a rispaldire,
quando la morte venire si sente:
11
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142
7
(V 357)
In tal pensiero ho miso lo mio core,
che n amoroso foco arde ed incende
duna s fresca ed aulorita fiore,
che quantio pi la guardo, pi mi prende;
11
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8
(V 378)
Un sol si vede, chogni luminare
dispare per lo gran sprendor che rende,
e per li razzi che manda per lre
dinamorare alcun non si difende,
143
11
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9
(V 379)
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144
10
<V 380>
Io voglio star sovra laudar lamore
e biasimar la ria gente noiosa:
bene ag<g>ia chi leanza tien tuttore
e quale nora sua donna amorosa;
11
14
11
(V 545)
La spene e lo disio e l pensamento,
lo core e la vertute e quanto i ag<g>io
in segnoria damore tutto sento
ed in voglienza di fedele omag<g>io;
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12
(V 546)
Volete udire in quante ore del giorno
amor mi volge e gira al suo talento?
Chal primo chio mi movo, miro intorno
de la mia gioia: sed io <no> la sento
11
14
146
13
(V 547)
Lo disoso core e la speranza
cho di voi, fina donna ed amorosa,
mi fa di canto e di gran benenanza
rinovellar la mia vita gioiosa,
11
14
14
(V 548)
Guardando, bella, il vostro alegro viso,
lo cor dal corpo mio tosto si parte
e l ove siete s dimora asiso:
del mondo mai non vuol pi gioia n parte.
147
11
15
(V 549)
Gentil mia donna, poi chio namorai
del vostro adorno viso riguardando,
di nesuna altra cosa non pensai
se non <> dubidir vostro comando;
11
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148
16
(V 550)
Partir convienmi, lasso doloroso,
da quella gioia che n vita mi mantene
e gire in altra parte, ohim, pensoso:
lasso, perch la morte non mi vene?
11
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17
(V 551)
Tutta la pena chio ag<g>io portata,
donna, da vo istandovi lontano,
grazza di<r> vi, ch n gioia m ritornata
da poi chio vi son fatto prosimano:
149
e or conosco ch pi namorata
la cosa chomo aquista per afano.
11
14
18
(V 552)
Ahi lasso, in quante guise son dolente
ne la dogliosa mia vita pensando!
chio pur disio ed amo lavenente,
ed ella sempre il mio amor va cessando;
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150
19
(V 553)
Gentil mia donna, sag<g>ia ed avanante,
di me servente ag<g>iate rimembranza:
quandio passo l dove siete avante,
mostratemi per vista e per sembianza
11
14
20
(V 554)
Io non son degno, donna, di cherere
a voi la cosa ondio ag<g>io talento,
ch so che nonn--me tanto valere
che l vostro core stessevi contento;
151
11
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21
(V 555)
Cos gioioso e gaio lo mio core,
che nol savria co lingua divisare:
arimembrando che l meo dolze amore
ritornato, che navea penare,
11
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152
22
(V 556)
Va, mio sonetto, essai con cui ragiona?
co lamorosa cha l nome di fiore,
quella che di bieltate ha la corona,
lo pregio e ladornezze e lo valore.
11
14
23
(V 557)
Molti omini vanno ragionando,
dicendo che lamore degna cosa,
e face il folle assai gire amendando,
lo scarso, largo con grazza copiosa,
153
11
14
24
(V 558)
De la fenice impreso ag<g>io natura,
che sarde se medesma, per venire
giovane e fresca, e non ca<n>gia figura:
per aver gioia sofera languire;
11
14
154
25
(V 559)
Il parpaglion che fere a la lumera
per lo splendor, ch s bella gli pare,
saventa ad essa per la grande spera,
tanto che si conduce a divampare:
11
14
26
(V 560)
Come Narcissi, in sua spera mirando,
sinamorao per ombra a la fontana;
veg<g>endo se medesimo pensando,
ferssi il core e la sua mente vana;
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11
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27
(V 561)
Come lo lunicorno, che si prende
a la donzella per verginitate,
e va a la morte, gi non si contende
dallei, poi che no gl<i> usa veritate;
11
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28
(V 562)
La salamandra vive ne lo foco,
ed ogni altro animale ne perisce;
ed allei sola par sollazzo e gioco,
e solamente dentro si nodrisce;
11
14
29
(V 563)
S come la pantera per alore
comprende laltre fiere di plagenza;
urlando lei, vi trag<g>ono a romore,
ed ella le comprende dincrescenza:
157
11
14
30
(V 564)
Come la tigra nel suo gran dolore
solena ne lo speglio riguardando,
e vede figurato lo colore
de li suoi figli, chel<l>a va cercando;
11
14
158
31
(V 565)
Come il castoro, quando egli cacc<i>ato,
veg<g>endo che non pote pi scampare,
lascia di quello che gli pi ncarnato,
e tutto il fa per pi in vita regnare;
11
14
32
(V 566)
La splendiente luce, quando apare,
in ogne scura parte d chiarore;
cotantha di vertute il suo guardare,
che sovra tutti gli altri l suo splendore:
159
11
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33
(V 567)
Io non posso, madonna, ritenere
la voglia che mi stringe e lo talento,
chio nol vi mostri alquanto in profere<re>,
avegna che tutora nho pavento
11
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34
(V 568)
Tutte le pene chio gi mai portai
inver quelle chio sento fuor neiente,
ch simigliante gi no le provai,
n le prov nesuno altrom vivente:
11
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35
(V 569)
Madonna, s maven di voi pensando
come quelli ch in periglioso mare
e vede la tempesta sormontando
e non si turba, tantha disare:
161
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36
(V 570)
Io so chi non ho tanta di potenza
chio meritar potesse lo donato
cho ricevuto da vostra valenza,
sanza penar chio non ag<g>io provato;
11
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37
(V 571)
Di grazze far, madonna, mai non fino,
n di servire stanco non veria,
pensando il diletoso giorno e fino
chio presi frutto in vostra segnoria:
11
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38
(V 572)
Non vo che temi tanto nel tuo core
che di parlare perdi intendimento,
ch stato non se tanto fallatore
chio non ti possa far perdonamento:
163
11
14
39
(V 573)
Madonna, io temo tanto a voi venire
pensando, tant forte la minacc<i>a,
ch mi vi par veder sempre ferire
co li mi oc<c>hi avanti de la facc<i>a;
11
14
164
40
(V 574)
Chi non teme non p es<s>ere amante,
ched lamor temenza; e lo temere
s come cortesia simigliante,
che si coreg<g>e per misura avere;
11
14
41
(V 575)
Io porto ci che porta me pensando,
e tegno chi mi tiene in segnoria,
e chi mi cerca, vo di lui cercando;
di lunga parte comparto la via,
165
11
14
42
(V 576)
Di voi amar, madonna, son temente,
ch non son degno aver s alta ntesa
n di tal segnoria es<s>er servente
e sed io sono, faccio folle impresa;
11
14
166
43
(V 577)
Lo dragone regnando pur avampa,
n greve intenza alcuna no gli punta;
ver la spos<s>ata possa quasi giunta
diverso intendimento chognor lampa:
11
14
44
(V 578)
1
Molto diletto e piacemi vedere
a giovane possente validore
dolze parole e umle proferere,
e dipo la parola benfatore;
167
11
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45
<V 579>
2
Molto mi piace veder cavaliero
cortese e savio, e sia ben costumato,
leale e puro e fermo veritero,
in tutto facc<i>a bono <ad>operato;
11
168
14
46
(V 585)
3
Ancor mi piace veglio canoscente,
di ci chegli ha fallato ripentuto,
e ritornare a Dio umilemente,
e rimembrar lo tempo ov venuto;
11
14
169
47
(V 586)
4
Ancor mi piace veder mercatante
ad un sol motto vender su mercato,
di laltate fermo, adoperante
ed istudioso e desto ed ispacc<i>ato,
11
14
48
(V 587)
5
E piacemi e diletto certo assai
veder sergente desto di servire
fator, che non si veg<g>ia stanco mai
di volont compresa dubidire;
170
11
14
49
(V 588)
6
E s mi piace vedere pulzella,
piana ed umile e con bel reg<g>imento,
bassare gli oc<c>hi suoi quando favella,
poche parole, non gran parlamento;
11
171
14
50
<V 589>
7
Ancor mi piace a vedova pensare
come suoi figli possa mantenere
in bei costumi, e del mal gastigare,
e che mantegna ben lo lor podere;
11
14
172
51
(V 590)
8
E s mi piace padre argomentoso
in mantener suo figlio costumato
di bei costumi, e faccial temoroso;
e che laprenda s che sia laudato,
11
14
52
(V 591)
9
Ancor mi piace chi suo padre inora
e nagialo di ci che gli piagente,
e se n sua ubidenza ben dimora
e mostrasi di lui servir vogliente;
173
11
14
53
(V 592)
10
E piacemi vedere rilegioso
casto ed amanito di ben fare,
e che non sia leg<g>iadro e vizoso,
e de la morte sempre ricordare,
11
174
14
54
(V 593)
Palamidesse amico, ogni vert
secondo loverar de lomo cerne:
savere e maestria assai governe:
dunque, per <che> cagione falli tu?
11
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55
(V 594)
Chi ntende, intenda ci che n carta impetro:
che l ben damor mi piace, e no madagro;
175
11
14
56
(V 351 e 595)
Lamore ave natura de lo foco,
chal primo par di pic<c>iola possanza,
sormonta e sale in grande altura il poco,
inmantenente fa gioia di pesanza;
11
176
14
57
(V 596)
Quandomo aquista damor nulla cosa,
molt gran senno se ben la mantene;
ch, se la lascia, ripigliar non ne osa
altrui che s, che non sareb<b>e bene:
11
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(V 597)
Adimorando n istrano paese,
di voi, mia donna, a tutora pensava,
177
11
14
59
(V 598)
Cos maven com Pals sua lanza,
ca del suo colpo om non potea guerire
mentre chun altro a simile sembianza
unaltra fiata non si fea ferire.
11
178
14
60
(V 599)
Poi so chio fallo per troppo volere
s come impronto che trag<g>e al tegnente
e talor va e prende per cherere,
cos del mio conincio similmente:
11
14
18
179
61
(V 600)
In ogni cosa vuol senno e misura
perch valor pregiato insegna fare:
ch non lom laudato pericura,
ma per i<s>forzo di ben costumare;
11
14
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62
(V 601)
Non dico sia fallo, chi l suo difende
o chi del dritto fa bona posanza;
ch la ragion sentenza dritto atende,
e n ci conven che lomo ag<g>ia speranza;
180
11
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63
(V 602)
Com forte vita e dolorosa, lasso,
pate chi n altrui forza e balia!
ch tutto suo pensier ritorna in asso
e face mille morti notte e dia:
11
14
181
Tantho dis<a>ventura,
credo per mio pecato,
che la divina altura
ver per me spietato.
18
182
11
14
183
65
(V 723)
2
<MADONNA>
Vostra merz, messere, se mamate,
chi amo voi a tutta mia possanza
ed ag<g>io amato, e so che lo pensate,
e di questo son certa per leanza;
11
14
66
(V 724)
3
<MESSERE>
Madonna, iag<g>io audito soventore
che nulla cosa dipartir poria
184
11
14
67
<V 725>
4
<MADONNA>
Messere, omo vol cosa talfata
che non n la voglienza da laudare,
ma tra la gente n forte blasmata,
e dipo il biasmo non si pu amendare:
185
11
14
68
(V 726)
5
<MESSERE>
Madonna, sio credesse veramente
ci che voi dite, meco ragionando
che fosse verit veracemente
i credo chio maucideria, pensando
11
14
186
69
(V 727)
6
<MADONNA>
E no mi piace, sire, la partenza
da vostra fina donna ed amorosa
ma piacemi le stiate ad ubidenza
s come buon segnor de far a sposa-
11
14
70
<V 728>
7
<MESSERE>
Madonna, or veg<g>io che poco vi cale
di me, che vostro servo sono stato:
187
11
14
71
(V 729)
8
<MADONNA>
Io vag<g>io amato, sire, e voglio amare
ed unque non cangiai di ci talento
e per inanzi no lo credo fare,
n di ci nonn-ag<g>iate pensamento:
188
11
14
72
(V 730)
9
<MESSERE>
Madonna, io lamerag<g>io sag<g>iamente
in tutto ci cha donna si convene,
e servir allei gichitamente
di quel piacere onde lamor mantene:
11
14
189
73
(V 731)
10
<MADONNA>
In un regno convenesi un segnore,
e se pi ve navesse, disnorato,
secondo chag<g>io udito sovente ore;
ed da savi lungo asempro dato
11
14
74
(V 732)
11
<MESSERE>
Ahim lasso dolente, che farag<g>io,
madonna, poi la mia morte vi piace,
190
11
14
75
(V 733)
12
<MADONNA>
Io son certa, messer, che voi mamaste
di pura ed incarnata benvoglienza,
e sovra tutte cose disaste
a me servire e stare ad ubidenza:
191
11
14
76
(V 734)
13
<MESSERE>
Madonna, or provedete ad una cosa,
ch lungiamente lag<g>io udito dire,
che buono amor non fu nd essere osa
sunque gi mai dallui na<c>que partire:
11
14
192
77
(V 735)
14
<MADONNA>
Io non dico, messer, che voi pechiate
per vostra donna amare e riverire,
n vamonisco che da me partiate
lo vostro amor, ma solo lo disire
11
14
78
(V 736)
15
<MESSERE>
Grazze e merz, madonna, sempre sia
al vostro dolze ed amoroso core,
193
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11
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(V 738)
2
<MADONNA>
Dolze meo sire, assai m gran placenza
pensando ched i vag<g>ia in mi balia,
e daltro che di voi l meo cor non penza:
alegra son seo vi veg<g>io la dia;
11
195
11
14
196
82
(V 740)
2
<MADONNA>
Se ricelato lungo tempo siete,
sire, di non mostrar vostro talento,
s contro a mio onor, certo facete
s come saggio cha buon sentimento:
11
14
83
(V 741)
3
<MESSERE>
Io non posso, madonna, ritenere,
quando ci passo, ched io non vi miri,
197
11
14
198
11
14
85
(V 743)
2
<MADONNA>
Foll chi follemente si procacc<i>a
e chi pensiero mette in suo danag<g>io,
e se ben sede, selli imprende cacc<i>a
la qual non crede giungere a passag<g>io;
11
14
199
86
(V 744)
3
<MESSERE>
Madonna, amor non chere gentilezza
n grande massa chomo ag<g>ia davere,
ma ponesi col dovha bellezza:
in basso e n alto segue lo piacere;
11
14
87
(V 745)
4
<MADONNA>
La voglia chai non ven di sag<g>io loco
ch foll chi simpronta di volere
200
11
14
88
(V 746)
5
<MESSERE>
Madonna, al primo fui ben conoscente
ca degna cosa a me gi non saria
chio di parag<g>io amar fosse credente
o di voi fermamente aver bala:
201
11
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89
(V 747)
6
<MADONNA>
Non mi bisogna n talenta tanto
lo tuo mestiere, chio ne sia vogliosa
che per cherer merz tacolga acanto,
ondio fra laltre fosse vergognosa;
11
14
202
90
(V 748)
7
<MESSERE>
Madonna, i ag<g>io audito spessamente,
chi serve un basso, chne pi laudato
che se servisse un alt<er>o, potente,
di gran valore, aposto in alto lato:
11
14
91
(V 749)
8
<MADONNA>
E son servigi, ch ben degna cosa
che l bisognoso siane proveduto;
203
11
14
92
(V 750)
9
<MESSERE>
Il vostro onor non chero dibassando,
madonna, per mia volont seguire,
ma solo per segnore ladomando,
ed io come ubidente per servire;
204
11
14
93
(V 751)
10
<MADONNA>
Se del tuo core nonn-ha segnoria,
dunque come lo mio poresti avere,
ch ci che tu talenti contraria
a me, e di neient eo ci ho volere?
11
14
205
94
(V 752)
11
<MESSERE>
Madonna, unque per forza non dimando
vostra gentil persona a segnorag<g>io,
ma per merz tutora a voi chiamando,
ed io fedele sempre al vostro omag<g>io:
11
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95
(V 580 e 753)
12
<MADONNA>
I mi disdico chi non ho tuo core,
e sio lavesse, io lo ti renderia;
206
e se mi se oferto servidore,
io non ti voglio per mia villania;
ma quando fosse in servigio donore,
i son certa chassai mi piaceria.
11
14
96
(V 581 e 754)
13
<MESSERE>
Madonna, a lamor piace, ed i l diletto,
disanza damore fedelmente,
e dunque in disperanza non mi getto,
chio vistho duna pietra solamente
207
11
14
97
(V 582 e 755)
14
<MADONNA>
Lom pote in s aver tal disanza
chaffanna tutto tempo e non vaviene,
e foria me savesse temperanza
al primo che giungesse ne le pene:
11
14
208
98
(V 583 e 756)
15
<MESSERE>
Madonna, io nonn-udivi dicer mai
che la merz fallisse ad omo ancora:
ed io con cor la chiamo e la chiamai,
non me ne gitto in disperanza fora;
11
14
99
(V 584 e 757)
16
<MADONNA>
Per sodisfar lo tuo folle ardimento
ti voglio alquanto dare di speranza,
209
11
14
210
11
14
101
(V 759)
2
<MADONNA>
S mabelisce vostro parlamento
de ladimando, sire, che facete,
che buonamente ci ag<g>io lo talento
in aservare quello che dicete;
11
14
211
102
(V 760)
3
<MESSERE>
Lo vostro disinore io nol diletto
e no lo dilettai al mio vivente;
e questo verit, ben vimprometto:
ch sempre de lonore fui vogliente,
11
14
103
(V 761)
4
<MADONNA>
Assai mi piace, sire, tua acontanza
ed amola e diso fortemente;
212
11
14
213
TENZONI
I
TENZONE CON MONTE
E CON MAESTRO RINUCCINO
(104-108 d)
104
(V 633)
1
Di pic<c>iolo alber grande frutto atendo,
ed in bona speranza mi riposa
chio sono in guerra e pur pace contendo
e guerra far neiente m noiosa;
11
14
214
104 a
(V 634)
2
MONTE
Di quello frutto onde fai atendo,
se l conquidi per guerra, fai gran cosa,
per chamor egli <n>dha per difendo,
chaltrui d l pruno ed a s tien la rosa;
11
14
16
215
104 b
(V 635)
3
MONTE
Questo saria, amico, it mio consiglio:
inver lamore star pur da la larga.
Non vo ti facc<i>a di ci maraviglio,
per che le sue pene a doppio varga;
11
14
16
216
105
(V 636)
4
Se per onore a voi grazze rendesse,
porial ben far per ci chi veg<g>io e sento;
ma seria fallo, se lo ver tacesse:
eo lodo, se mia loda crescimento.
11
14
106
(V 637)
5
Bono sparver non prende sanza artiglio,
e chi ben cacc<i>a prender non si larga;
chi dona il cor per un levar di ciglio
uno proverbio chusan quei da Barga;
217
11
14
106 a
(V 638)
6
MONTE
A fare onor qual omo saprendesse,
lo suo pregio de stare in montamento,
e non mi piace chi l fallo covrisse,
di tale guisa fora il fallimento.
11
218
14
16
106 b
(V 639)
7
MONTE
Lom poria prima cercar tutto il mondo
che l cuor dun uomo a quello che satende:
se del suo affanno amore te nha mondo
e di sua gioia nel tutto taprende,
11
14
16
219
107
(V 640)
8
Omo . c auene . a bene . e po sauere
quant<o> . ai dir<e> chiaro . chiaro . jn tuo cor<e> sag<g>io
como . Si uene . e mene . lo ciascire
<jn>canto . ch e suaro . l aro . per oltrag<g>io
4
como . n a pene . mene . e lo spiaciere
canto . cafaro . jnparo . a dur<e> passag<g>io
pomo . di pene . ene . cio e a dire
pianto . se paro . taro . gir<e> pur ag<g>io
11
14
108
(V 641 e 776)
9
Lo pensamento fa salire amore
come lo fiato chac<c>ende lo foco,
e lusamento li d gran valore,
ch tene irimembranza quello gioco;
220
11
14
17
108 a
(V 642)
10
MONTE
Del vino greco levatag<g>io sag<g>io,
ma l parlare non ag<g>io ancora conto:
per risposta, amico, non farag<g>io
perch di grande altura fatthai smonto,
221
11
14
16
108 b
(V 645)
11
MAESTRO RINUCCINO
Tu che di guerra colpo nonn-atendi
e vivi pur ad amorosa spene,
questo consiglio, se ti piace, intendi,
chad ogni dritto amante si convene:
11
222
108 c
(V 644)
12
MAESTRO RINUCCINO
Se l ner non fosse, il bianco non saria,
n l ben per mal non perde benenanza;
ma ci chelluno a laltro contraria
ciascun ne cresce in forza per usanza.
11
14
108 d
(V 643)
13
MAESTRO RINUCCINO
Amore ha nascimento e fiore e foglia,
poi ven lo frutto ch lungo aspetato;
223
224
11
Ed io ve nadimando veritate,
segli o no cos como si chiama,
ch la certezza in ci saver voria.
14
109 a
(V 671)
2
PACINO
Cortesemente fate proferenza
del vostro dir piacente ed amoroso,
ondio malegro, s forte magenza:
ch fortemente son stato pensoso
11
14
225
110
(V 672)
3
Vostro consiglio chaudo asai mabella,
ch so che n fede lo mavete dato,
secondo chio vi dissi la novella,
per consigliarmi con sotil pensato:
11
14
110 a
(V 673)
4
PACINO
Ben trae a segno ta vostra marella
comomo chaltre volte n usato;
tutora aprende chi con voi favella,
226
11
14
111
(V 674)
5
Quando larciere avisa suo guardare,
fallo per ben colpir dirittamente,
poi, selli falla, nonn- da laudare,
se l colpo nonn-ag<g>iunge veramente;
11
227
14
111 a
(V 675)
6
PACINO
Larcier chavisa per pi dritto trare
i l<o> ne lodo assai ne la mia mente:
poi che pur falli, nonn- da blasmare
come quei chessafretta per neiente;
11
14
228
112
(V 676)
7
Assai vho detto e dico tuttavia
<se mintendete non sacc<i>o neiente>
chamore Dio e Dio la sua via:
e voi ve ne mostrate discredente.
11
Lo confessare a me no mi dispregio
ch quegli sag<g>io chusa veritate:
or provedete ben ci ch valegio.
14
112 a
(V 677)
8
PACINO
Io so ben certo che si pu trovare
in det amor verace e vero;
229
11
14
18
113
(V 678)
9
Da che savete, amico, indivinare
ci ched io penso dentro dal mio core
tutto mavete fatto trapensare
cad io non sacc<i>a, o voi ne siete fore:
230
11
14
Rispondo a ritornello
ch n su logo ragione:
la sentenza no apello
ma vada so<r>gozzone.
18
231
11
14
114 a
(V 691)
2
MONTE
La vostra lauda nver me tanto fina
cha voi grazze mai render non dimetto;
coreg<g>e l meo labor pungente spina,
per che del vostro consiglio son netto:
11
232
14
16
IV
TENZONE CON MONTE ANDREA
<115 a-115>
115 a
(V 768)
1
MONTE
S come ciascun om pu sua figura
veder, lo quale ne lo speglio smira,
similmente voria ca per natura
dognom, l ove sua opera tira,
11
14
233
15
115
(V 769)
2
Come l fantin ca ne lo speglio smira
e vede a propiet la sua figura,
s gli abelisce, di presente gira,
parte per quel veder da s rancura;
11
14
234
V
TENZONE CON MONTE ANDREA
(116 a-116)
116 a
(V 770)
1
MONTE
Lo nomo ca per contradio si mostra
a dritta mostra, secondo chi odo
(vo mac<c>ertir de la potenza vostra),
sed egli in vostra guida, tanto lodo.
11
14
16
235
116 b
(V 771)
2
MONTE
So<l> volont mi porta sio folleg<g>io,
e poco senno, ch ne son dischesto,
ed ancor molto male chio posseg<g>io:
ma chi l senn a<ve>, colui richesto,
11
14
16
236
116
(V 772)
3
Certo io vi dico in pura veritate
chio feci impiutamente la mbasciata
la qual mi deste, e dissigli in bontate
di quella chesta de laltra fiata.
11
14
237
VI
TENZONE CON SER CIONE
(117-117 c)
117
(V 773)
1
Io vo sanza portare a chi mi porta,
e porto amore ed io non son portato;
non dico nulla ed ho la lingua acorta,
sio dico nulla, s son ripigliato;
11
14
238
117 a
(V 774)
2
SER CIONE
Al tempestoso mar lo buon conforto
conduce l marinaro a la speranza;
ch mante fiate lomo a rio porto
ch sbigotisce, e quest la perdanza;
11
14
117 b
(V 775)
3
SER CIONE
Grazza ed alegrezza insiemormente
som<m>a di graricore ha n potestate;
239
11
14
117 c
(V 777)
4
SER CIONE
Consiglio bene chi si d ad amare
<che> guardi prima a ci chelli savene,
e non sadiri, prima che l penare
sormonti illui, o biasimi le pene:
240
11
14
VII
TENZONE CON PACINO
DI SER FILIPPO ANGIULIERI
(118-118 a)
118
(V 791)
1
Imparo m pervenire a lamore;
amor mi pinge, s ched io non paro;
imparo getto, sio penso lamore;
amor mi prende comAlna Paro.
11
241
14
118 a
(V 792)
2
PACINO
Imparo sempre condizion damore;
damor son pi ched in vista non paro;
non paro credo aver servo damore:
damore amare eo pur sono for paro,
11
14
242
VIII
TENZONE FRA MONTE E SER CIONE,
SER BEROARDO, FEDERIGO GUALTEROTTI,
CHIARO, MESSER LAMBERTUCCIO
FRESCOBALDI
(119 a-119)
119 a
(V 882)
1
MONTE
Se ci avesse alcuno segnor pi campo
che speri di volere essere al campo
con que cha l giglio ne lazzurro campo,
quanto li piace e vuol prenda del campo
11
14
16
243
119
(V 886)
2
Con adimanda magna scienza porta
mavete, amico, per <i>scritta porta,
di quei che ne lazzurro giglio porta:
venut al campo segnor che lo sporta,
11
14
244
IX
TENZONE CON DANTE <DA MAIANO?>
<120 a-121>
120 a
1
DANTE
Tre pensier aggio, onde mi vien pensare,
ed hovvi inctuso tutto l mio sapere;
e ciaschedun per s mi d penare,
communemente fannomi morere.
11
14
245
120
2
Per veresperenzia di parlare
sento chavete nello cor podere
di signoria damore desiare
e desser servo a donna con piacere;
11
14
121 a
3
DANTE
Gi non magenza, Chiaro, il dimandare,
ma che magenza amare e non cherere
ch nullo uom deve sua donna pregare
di cosa che pu lei danno tenere,
246
11
14
121
4
Se credi per beltate o per sapere
la donna chami sia damor s accesa
chella ti dica s senza cherere,
di ci chi ho ditto mi puoi far ripresa;
11
14
247
X
TENZONE CON DANTE DA MAIANO
<122 a-122>
122 a
1
DANTE DA MAIANO A DIVERSI COMPOSITORI
Provedi, saggio, ad esta visone
e per merc ne trai vera sentenza.
Dico: una donna di bella fazzone,
di cui el meo cor gradir molto sagenza,
11
14
248
122
2
Amico, proveduto ha mia intenzione
a ci che mi narrasti per tua scienza:
saggia la mi porgesti per ragione,
ma non ne so ben trar vera sentenza.
11
14
249
11
14
D. 1
(V 680)
2
Disidero lo pome ne lo fiore
<per>ch conosco llbore ond nato;
250
11
14
D. 2 a
(V 681)
3
Conosco il frutto e l fiore de lamore
e saccio sua natura e dond nato
e posso giudicar lo pome e l fiore,
ch sono in tal natura naturato:
251
11
14
D. 2
(V 682)
4
Di penne di paone e daltre assai
vistita, la corniglia a corte andau;
ma no lasciava gi per ci lo crai,
e, a riguardo, sempre cornigliau;
11
14
252
D. 3
(V 358)
Non saccio a che coninzi lo meo dire,
di s gran gioia face movimento,
ca per un cento de lo meo servire
ho ricevuto doppio pagamento;
11
14
D. 4
(V 359)
Non me ne maraviglio, donna fina,
se ntra lalt<e>re mi parete il fiore,
o se ciascuna bieltate dichina
istando presso del vostro valore:
253
11
14
D. 5
(V 360)
Donzella gaia e sag<g>ia e canoscente,
in cui dimora tutora ed avanza
bont e senno e valore valente
e bielt tanta, chio credo in certanza
11
14
254
D. 6
(V 361)
Lo <mio> folle ardimento mha conquiso,
che mi tramise ad essere servente
di voi, avenente ed amoroso viso,
per cui sospiro e doglio spessamente.
11
14
D. 7
(V 362)
Gentil e sag<g>ia donzella amorosa
in cui tutto bono insegnamento,
la vostra cera angelica gioiosa
som<m>a dafinato compimento:
255
11
14
D. 8
(V 363)
Qualunque donna ha pregio di bieltate
consiglio che da voi, bella, si guarde;
che non vegna a lo loco l ove siate,
ca se ci vene, non fia chi la sguarde.
11
14
256
D. 9
(V 364)
Tanto sono temente e vergognoso
a tutte lore chio vi sto davanti,
che non dico laondio son disioso
e non mardisco pur di far sembianti;
11
14
D. 10
1
Si fussi andanico e l cor di diamante
e di cuoio di balena il vestimento,
a non poder soffrir pene <co>tante
s dovre giovar consumamento,
257
11
14
D. 11
2
Dacch parlar non possovi celato,
cantando vi diraggio mio volere,
cherendovi merz che vi sie grato
secondo mie gran pene provedere:
11
14
258
D. 12
3
S come l sol che tra laltura passa
e sempre alluma sua clarita spera
e nver di noi giammai nente abassa
ed nel mondo de li occhi lumera;
11
14
D. 13
4
Non credo al mondo pi <gran> gioia sia
che fermamente per amore amare
ed acquistar di lui la signoria
e pi dogni altra cosa disare;
259
11
14
260
11
14
D. 14 a
(V 795)
2
PACINO
Lo mio risposo invio a lo camino
l dove siete per la dritta via
a voi cha sumiglianza del Merlino
parlate sag<g>io, a la scienza mia;
11
14
261
D. 15
(V 794)
3
Auditho dire che mante persone
credon veracemente al distinato,
per chio rinuovo mia intenzione
di ci cha lo prencipio fue formato;
11
14
D. 15 a
(V 796)
4
PACINO
Poi chio son tutto a la giu<ri>dizione
damore, a cui sog<g>etto son donato,
ellui non piace facc<i>a risponsione
262
11
14
D. 16
(V 799)
5
Amore mha s vinto e ricreduto
che ben non so che sia del giorno unora,
e s coralemente mha feruto
che chi l savesse naveria rancura;
11
263
14
D. 16 a
(V 800)
6
PACINO
Io vag<g>io inteso, poi che v piaciuto,
a ci chavete detto, e posto cura:
rispondovi, poi che ne son tenuto,
secondo che conosce mia natura:
11
14
264
D. 17
Io son tanto temioso e vergognoso
a tutte lore chio vi so davanti;
spesse volte io mi muovo coraggioso
per fare e dire quel che fan gli amanti:
11
14
D. 18
Aggio talento di parlar con voi
e vovi dire tutto el convenente:
di voi so preso pi chio mai non fui,
pur raguardando voi, donnavanente;
265
11
14
266