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INDICE

INTRODUZIONE .....1
1. LA NATURA DELLIMPRESA ... 3
2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA ... 7
2.1 La composizione del Bilancio .. 7
2.1.1 Lo Stato Patrimoniale ..... 8
2.1.2 Il Conto Economico .. 15
2.1.3 Il Rendiconto Finanziario ..19
2.1.4 Come si costruisce il Bilancio ... 22
2.1.5 I principi contabili IAS/IFRS .... 30
2.2 Riclassificazione di bilancio ... 36
2.3 Indici di bilancio ..... 41
2.3.1 Indici reddituali di primo livello ... 41
2.3.2 Indici reddituali di livelli successivi . 44
2.3.3 Indici di liquidit e indici patrimoniali . 48
2.4 Il Bilancio Consolidato ... 53
2.5 Il Bilancio Sociale .. 59
3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE .. 61
3.1 I costi aziendali ... 61
3.1.1 La funzione di costo dellimpresa ..... 63
3.2 Le tecniche di costing ..... 68
3.2.1 Job order costing ...72
3.2.2 Process costing ..74
3.2.3 Activity based costing (ABC) .... 84
3.3 Le tecniche di budgeting 90
3.3.1 Analisi degli scostamenti .. 92
3.3.2 Scostamenti dei ricavi ... 92
3.3.3 Scostamenti dei costi .....94
4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI .. 102
4.1 Il valore dellimpresa ....... 102

4.1.1 La valutazione patrimoniale ... 103


4.1.2 La valutazione finanziaria e le tecniche DCF . 104
4.1.3 La valutazione reddituale .... 114
4.1.4 La valutazione mista ..... 115
4.1.5 Residual Income: Economic Value Added (EVA) .. 115
4.1.6 Multipli comparabili ... 117
4.2 La valutazione degli investimenti .118
4.2.1 Valore attuale netto (VAN) di un investimento ...... 119
4.2.2 Tasso interno di rendimento (TIR) ......122
4.2.3 Profitability index (PI) 123
4.2.4 Tempo di ripagamento (PB) 124
4.2.5 Flusso annuo equivalente .... 128
4.2.6 Interazione fra decisioni di investimento e finanziamento . 129
4.2.7 Rischiosit di un investimento: equivalente certo e VAR (value at risk) 135
4.2.8 Opzioni strategiche ..142
4.2.9 Durata ottima di un investimento 147
4.3 Le tecniche di valutazione non monetarie .... 150
5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE ... 152
5.1 La strategia dimpresa .. 152
5.2 La pianificazione strategica .. 153
5.2.1 Il vantaggio competitivo ..154
5.2.2 Le strategie di business ....155
5.2.3 Strategie di gruppo: diversificazione, integrazione, outsourcing 160
5.2.4 Le competenze distintive .163
5.3 La pianificazione operativa ...... 165
5.3.1 Gestione della produzione ...166
5.3.2 Gestione delle vendite . 167
5.3.3 Gestione degli investimenti .176
5.3.4 Gestione delle scorte ... 180
5.3.5 Gestione dei crediti . 187
5.3.6 Gestione della liquidit ... 188
5.3.7 Pianificazione fiscale .. 192

5.4 Lorganizzazione delle risorse umane .. 193


5.4.1 La visione tayloristica . 193
5.4.2 Il paradigma della lean production....194
5.4.3 La teoria della contingenza ..... 195
5.5 Le tendenze attuali nella pianificazione delle risorse ... 199
BIBLIOGRAFIA .. 201

INTRODUZIONE

Scrivere un libro arrivare ad un certo punto della propria attivit universitaria,


guardarsi indietro e sentire lesigenza di raccogliere in forma organica materiale,
conoscenze, esempi, definizioni, formule, finora relegate a qualche angolo della
memoria o qualche foglio appuntato. anche loccasione per approfondire parte di
quelle conoscenze ancora marginali, e consolidarle in un quadro esaustivo
attraverso un percorso logico.
Scrivere due libri in uno quindi moltiplicare per due gli sforzi, ma con
lambizione di fare qualcosa di nuovo, che si aggiunga al contributo di chi ci
precede. Ecco perch lidea di scrivere non uno ma due volumi, Gestire le Risorse
dellImpresa dedicato allEconomia Aziendale, e Finanziare le Risorse
dellImpresa dedicato alla Finanza Aziendale. Il filo conduttore dei due volumi
lanalisi delle risorse dellimpresa, cos come compaiono nello Stato Patrimoniale
di Bilancio: il primo volume dedicato alla gestione delle attivit dellimpresa, e a
come il loro valore viene determinato, mentre il secondo volume dedicato alla
gestione delle passivit, e cio come le attivit e gli investimenti sono finanziati dal
capitale.
Sono per del tutto convinto che la scrittura di un libro unattivit caratterizzata
da economie di scala, e in questo caso, anche di scopo. Pagina dopo pagina, la mia
convinzione che i temi dellEconomia Aziendale e della Finanza Aziendale si
intrecciano cos strettamente si rafforzata, e lo dimostrano i numerosi segnalibri
inseriti qua e l nel testo, che rimandano dalluno allaltro volume e viceversa, per
ulteriori approfondimenti. Lo sforzo stato anche quello di inserire numerosi
esempi e, ogni tanto, il punto della situazione, per dare modo al lettore di
evidenziare i concetti pi importanti.
Laudience a cui si rivolge il libro sono senza dubbio gli studenti dei corsi di
Laurea di primo e secondo livello dellUniversit, in particolare Ingegneria
Gestionale per il taglio decisamente quantitativo e modellistico dei capitoli, ma
anche gli studenti dei Master e del Dottorato, per quegli argomenti che
inevitabilmente non si riesce mai a trattare approfonditamente nei corsi di Laurea.
1

INTRODUZIONE

Ci non toglie che chi intende avvicinarsi ai temi della Gestione dImpresa per un
interesse professionale oltre che didattico potr trovare del valore aggiunto in
questa doppia edizione. Ovviamente non ci si aspetti di trovare un corpus organico
di una disciplina, quale la Gestione dImpresa, cos vasta e dinamica, che spazia
in diverse aree qui solo marginalmente trattate, quali la Gestione della Produzione,
la Gestione dei Progetti, lEconomia Industriale.
Certamente questo lavoro non avrebbe potuto essere realizzato senza il background
di appunti, letture e libri ereditati dai corsi di Ingegneria Gestionale al Politecnico
di Milano, in particolare dei professori rigorosamente in ordine alfabetico
Giovanni Azzone, Umberto Bertel, Francesco Brioschi, Luigi Buzzacchi, Sergio
Mariotti, Rocco Mosconi, Stefano Paleari, Andrea Rangone.
In questa terza edizione, il lavoro ha beneficiato inoltre di diverse revisioni ed
integrazioni, grazie alle segnalazioni di colleghi e studenti, e di alcuni
aggiornamenti, legati allevoluzione della normativa (in particolare lintroduzione
dei principi contabili IAS/IFRS, la riforma del diritto societario del 2004 e la
riforma della tassazione del reddito dimpresa).
Non so se questo lavoro riuscir effettivamente ad incrementare (anche di un
epsilon direbbero gli ingegneri) lutilit dei suoi lettori. Io credo di s. E comunque,
come Frank Sinatra cantava: And more, much more than this, I did it my way.
Giancarlo Giudici
giancarlo.giudici@polimi.it

1. LA NATURA DELLIMPRESA

Perch nel sistema economico sono necessarie le imprese? Cosa pu fare


unimpresa che non possa fare da solo ogni singolo individuo?
Questo problema vecchio quanto la storia umana. Gi Aristotele, nellEtica
Nicomachea distingueva lattivit economica fra laffitto di risorse, che egli
approvava e riteneva essenziale per il funzionamento di una societ, e il commercio
per profitto, che egli considerava invece del tutto privo di virt. Solo dal
Rinascimento lattivit imprenditoriale ha acquistato nuovo vigore, rimanendo per
confinata spesso nellambito commerciale e artigianale.
La rivoluzione industriale, imponendo il modello della fabbrica manifatturiera ha
sollecitato le prime riflessioni sulla natura e sulla funzione dellimpresa
capitalistica. Secondo Adam Smith (1776) linteresse personale dellimprenditore
che governa la missione e gli obiettivi dellimpresa. Secondo Ricardo (1817) e
Marx (1867) il lavoro dei salariati la vera fonte del valore aggiunto dellimpresa,
destinato ad essere espropriato dal capitalista. In linea con questa visione limpresa
rappresenta dunque un elemento sociale conflittuale, la cui identit fortemente
associata a quella del proprietario.
Nel secolo scorso la teoria dellimpresa stata arricchita da numerosi contributi,
relativi sia alla sua natura istituzionale, sia ai suoi meccanismi di funzionamento, e
quindi di gestione (si pensi ai contributi delle maggiori business & management
schools come Harvard).
Ma quale il fine ultimo dellimpresa? Friedman (1970), Premio Nobel per
lEconomia nel 1976, afferma che lobiettivo dellimpresa uno solo: accrescere il
profitto dei suoi proprietari fintanto che essa permane nelle regole del gioco e
cio intraprende una concorrenza libera e aperta. Questa idea che nega
allimpresa una responsabilit sociale sembra per essere superata da tempo, a
favore di una visione meno egoistica dellimpresa (identificata come CSR,
corporate social responsibility) come attivit positiva verso la societ.
In realt non affatto scontato che limpresa abbia una propria identit, in termini
di obiettivo e motivazione. Nellapproccio contrattualista, ad esempio, essa
3

1. LA NATURA DELLIMPRESA

unistituzione che realizza il coordinamento e assicura la struttura di incentivi


adatti a far s che i singoli agenti economici caratterizzati da funzioni di utilit
eterogenee cooperino con un esito efficiente. Il coordinamento viene attuato
attraverso contratti che cercano di vincolare il comportamento di ogni agente.
In realt, non obiettivo di questo libro indagare approfonditamente sulla natura
teorica dellimpresa. Assumeremo semplicemente che essa rappresenti una
funzione di produzione super-additiva rispetto alle singole risorse apportate da tutti
i suoi protagonisti (proprietari, lavoratori, finanziatori). In altre parole limpresa
fonda la sua ragione dessere nella capacit di combinare capitale, materie prime,
lavoro e tecnologia in maniera pi efficiente (in termini di output produttivo)
rispetto a quanto potrebbe fare ogni singolo individuo.
Ci chiederemo come le singole risorse interagendo fra loro possano creare valore
economico, e quali sono i modelli di gestione pi opportuni per indirizzarne la
funzione di produzione in maniera ottimale.
Prima di proseguire nella trattazione per opportuno introdurre una minima
terminologia di riferimento, e un quadro delle regole del gioco, cos come sono
state recentemente sancite dalla riforma del diritto societario in Italia (D.L. 6/03
entrato in vigore il 1/1/2004 noto come Riforma Vietti).
Dal punto di vista giuridico, le imprese si distinguono fra: (i) imprese individuali,
(ii) societ di persone e (iii) societ di capitale.
Le imprese individuali sono riconducibili ad un unico imprenditore, che svolge
unattivit in proprio (ad esempio un artigiano, piuttosto che un consulente o un
professionista) aprendo una partita IVA.
Le societ di persone sono imprese costituite da pi individui che conferiscono
beni o servizi per lo svolgimento in comune di unattivit economica, per le quali
vige il vincolo della responsabilit illimitata. Ci vuol dire che se limpresa fallisce
o viene liquidata, e i creditori non vengono interamente remunerati, il socio deve
sopperire con il patrimonio personale, oltre a quello messo a disposizione
dellimpresa. Esse possono prendere la forma di societ in nome collettivo (Snc)
in caso di attivit commerciale, societ in accomandita semplice (Sas) o societ
semplice (Ss) in caso di attivit non commerciale.

1. LA NATURA DELLIMPRESA

Le societ di capitale si distinguono in societ a responsabilit limitata (Srl),


societ per azioni (Spa) o societ in accomandita per azioni (Sapa). Esse si
costituiscono obbligatoriamente con atto pubblico, depositato in appositi registri,
che definisce loggetto sociale (lattivit dellimpresa) e che conferisce loro natura
di persona giuridica. Di conseguenza nelle societ di capitale viene separata la
responsabilit dei soci da quella dellimpresa, che risponde delle obbligazioni
assunte nei limiti del proprio patrimonio. In altre parole, la responsabilit dei soci
limitata al capitale conferito nellimpresa (il capitale sociale che si divide in
azioni per le Spa o quote per le Srl) e se limpresa risulta inadempiente verso un
qualche obbligo, gli azionisti non sono chiamati a sopperire con la loro ricchezza
personale. Ogni socio titolare di una frazione del capitale, e quindi detiene un
certo numero di azioni o quote dellimpresa, proporzionalmente al valore delle
attivit conferite; il suo potere decisionale legato al numero di azioni o quote
possedute (one share one vote).
Il capitale minimo di una societ a responsabilit limitata pari a 10.000 , mentre
quello di una societ per azioni pari a 120.000 . Le Spa possono deliberare la
costituzione di un patrimonio separato legato ad uno specifico affare: ci pu
essere utile per separare investimenti, costi e ricavi di un particolare progetto dai
destini di tutte le altre attivit. Esse possono anche deliberare lemissione di
categorie di azioni con diritto di voto differenziato.
La societ in accomandita per azioni si distingue dalla pi comune societ per
azioni per il fatto che alcuni soci, detti accomandatari, non godono della
responsabilit limitata tipica delle societ di capitale, ma rispondono
illimitatamente degli obblighi dellimpresa con il loro patrimonio. Per contro, essi
sono amministratori di diritto e non possono essere sostituiti senza il loro consenso.
Gli altri soci sono classificati come non accomandatari.
In quanto persona giuridica, la societ di capitale soggetto autonomo di imposta
fiscale sul reddito prodotto (nelle societ di persone il reddito viene tassato
direttamente in capo ai soci). Essa governata da organi deliberativi (lassemblea
dei soci) e da organi amministrativi (gli amministratori) la cui composizione
definita nello statuto dellimpresa insieme alle regole di funzionamento delle
attivit interne.
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1. LA NATURA DELLIMPRESA

Lassemblea dei soci si riunisce per approvare il bilancio annuale e nominare gli
amministratori, e per decidere su delibere di carattere straordinario rispetto alla vita
dellimpresa (fusioni, scissioni, aumenti di capitale, investimenti rilevanti). Gli
amministratori possono essere pi di uno (in tal caso essi si riuniscono nel
Consiglio di Amministrazione, CdA, che pu essere affiancato da un comitato
esecutivo, da un presidente e da un amministratore delegato) oppure uno solo
(amministratore unico). Le Spa devono obbligatoriamente dotarsi, infine, di un
collegio sindacale, nominato dagli azionisti, che verifica e controlla il regolare
funzionamento degli organi amministrativi davanti ai soci.
La Riforma Vietti, entrata in vigore nel 2004, ha introdotto anche la possibilit per
le Spa di dotarsi di un sistema di governo dualistico, in cui accanto al Consiglio
di Amministrazione, che ha compiti amministrativi e gestionali, viene costituito il
Consiglio di Sorveglianza (che ha invece compiti di controllo). Una terza variante
il sistema monistico in cui il comitato di controllo viene individuato allinterno
del CdA, invece che allesterno.
Fra le societ di capitale, sono soggette ad un particolare regime le societ
finanziarie, il cui oggetto sociale la concessione di finanziamenti, la raccolta e
sollecitazione del pubblico risparmio, il collocamento conto terzi o lassunzione
per conto proprio di partecipazioni e titoli finanziari. Si tratta di attivit che sono
poste sono la regolamentazione statale e la vigilanza di organi indipendenti, come
la Banca dItalia, la CONSOB, lUfficio Italiano Cambi.
Esistono infine le societ cooperative, caratterizzate da statuti particolari e finalit
di mutuo beneficio dei soci, e quelle consortili, costituite da enti pubblici. In queste
societ ogni azionista conta un voto, indipendentemente dal numero di azioni
possedute (one head one vote).
Una societ di capitale pu essere sciolta dagli azionisti al momento della
liquidazione, oppure dalle autorit giudiziarie se non riesce ad assolvere il
pagamento dei contratti stipulati (fallimento). In tali evenienze, le risorse di
propriet dellimpresa vengono cedute; il ricavato viene utilizzato per assolvere i
pagamenti in sospeso, ed in misura residuale (sempre che resti qualcosa) viene
assegnato agli azionisti.

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Il bilancio rappresenta lo strumento pi noto e pi diffuso di analisi delle risorse


dellimpresa. Esso consente ai managers e agli azionisti, ma anche al mondo
esterno, di conoscere come sono composte e finanziate le risorse dellimpresa, e
come sono impiegate nei diversi investimenti. Si tratta dunque dello strumento di
comunicazione e di informazione pi importante fra limpresa e il mondo
economico.
2.1 La composizione del Bilancio
La redazione del Bilancio in Italia stata regolamentata dal D.L. 127/1991, e pi
recentemente dalla Legge 306/2003 e dai D.L. 394/2003 e 38/2005, a seguito delle
Direttive UE sullarmonizzazione della contabilit dimpresa.
Il Bilancio deve essere obbligatoriamente depositato presso la Camera di
Commercio della provincia ove ha sede legale limpresa (ove pu essere richiesto
in copia da chiunque, dietro pagamento dei diritti di segreteria) e si compone di
diversi documenti:
a) lo Stato Patrimoniale;
b) il Conto Economico;
c) la Nota Integrativa (o Note al Bilancio).
A questi documenti fondamentali si aggiungono eventualmente:
d) il Rendiconto Finanziario;
e) il Prospetto delle Variazioni delle Voci di Patrimonio Netto;
f) la Relazione sulla Gestione redatta dagli amministratori;
g) la Relazione di certificazione dei Sindaci;
h) la Relazione di certificazione da parte di una societ esterna di auditing;
i) il Bilancio Consolidato di gruppo;
j) il Bilancio Sociale.
Il bilancio ufficiale viene redatto una volta allanno obbligatoriamente da tutte le
societ di capitale, in coincidenza della chiusura dellesercizio. Ciononostante, la
pressione degli investitori esterni, in particolare per la societ quotate in Borsa, ha
7

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

spinto le imprese a produrre documenti contabili sempre pi frequenti, su base


semestrale, e persino trimestrale, in maniera da fornire informazioni tempestive e
aggiornate sullandamento corrente della societ.
I principi contabili che guidano la relazione del Bilancio dimpresa sono
essenzialmente:
a) la partita doppia, secondo la quale ogni transazione registrata nel bilancio
coinvolge diversi conti, le cui scritture aggregate si elidono a vicenda, rispetto
alle variazioni positive o negative;
b) il principio di competenza economica, secondo cui ogni transazione registrata
nel Bilancio rilevante non per la sua manifestazione finanziaria (ovvero la
liquidazione effettiva della transazione), ma per la sua correlazione economica
con il periodo considerato (indipendentemente dalla regolazione finanziaria del
contratto, che pu essere anche anticipata o posticipata);
c) i principi di neutralit, rappresentazione veritiera e di prudenza, secondo cui
bisogna tenere conto di transazioni i cui termini sono oggettivi, imparziali,
ragionevolmente certi (true and fair view), e non significativamente aleatori o
rischiosi.
importante notare che il Bilancio definisce le risorse dellimpresa nel suo
aggregato, e quindi solo le transazioni che avvengono fra limpresa e lambiente
esterno hanno un impatto sul Bilancio, mentre le transazioni interne al processo
produttivo e alle attivit di supporto non hanno alcuna influenza sul Bilancio
stesso.
Principi contabili specifici (che si rifanno ai principi contabili IAS, International
Accounting Standard, descritti nel Paragrafo 2.1.5) devono essere attualmente
applicati dalle societ i cui titoli finanziari (azioni e obbligazioni) sono quotati sui
mercati borsistici, e prevedibilmente tali metodi contabili saranno resi
gradualmente obbligatori anche per le imprese minori.
2.1.1 Lo Stato Patrimoniale
Lo Stato Patrimoniale un documento contabile che rappresenta in valore
monetario lo stock di risorse dellimpresa (nella parte dellAttivo, o assets) e
linsieme dei diritti vantati sullimpresa (nella parte del Passivo, o liabilities). In
8

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

altre parole, esso definisce tutti i claims vantati da soggetti con cui limpresa ha
contratto obblighi (gli azionisti, i finanziatori, i salariati, i fornitori, i clienti, )
sulle risorse stesse. Esso rappresenta una fotografia dellimpresa relativa ad un
determinato istante, che in genere coincide con la chiusura dellesercizio annuale.
LAttivo di Stato Patrimoniale (si veda lo Schema 2.1) si divide in:
a) crediti verso soci: si tratta di crediti vantati verso soci dellimpresa che non
hanno ancora versato interamente il capitale sociale, pur avendolo sottoscritto
in firma;
b) immobilizzazioni: rappresentano gli investimenti di lungo termine
dellimpresa, e sono classificate in immobilizzazioni fisse o materiali (ad
esempio impianti e immobili), immobilizzazioni finanziarie (titoli finanziari di
lunga scadenza in portafoglio, ad esempio titoli azionari od obbligazioni o
prestiti di lungo periodo versati ad altre imprese), immobilizzazioni
immateriali (brevetti, licenze, concessioni, costi di ricerca contabilizzati come
investimenti invece che spesati in Conto Economico1, lavviamento relativo
allacquisizione di altre imprese ad un costo superiore rispetto al valore
contabile dei loro cespiti). Le immobilizzazioni non finanziarie (con
leccezione di alcune attivit fra cui i terreni) sono caratterizzate da una certa
vita utile, ovvero il periodo di tempo in relazione al quale si prevede che
linvestimento possa avere unutilit per limpresa; esse vengono iscritte al
bilancio al netto degli ammortamenti cumulati effettuati, che rappresentano la
trasformazione in costo dellasset legato alla sua progressiva perdita di utilit
(si veda il successivo Paragrafo 2.1.2);
c) attivo circolante: si tratta di risorse di breve termine e di facile liquidazione,
come depositi di cassa (ad esempio in conto corrente bancario), titoli finanziari
di breve termine, crediti verso fornitori e clienti, rimanenze di magazzino
(ovvero il valore delle scorte sia di materie prime, sia di prodotti ancora in fase
di lavorazione, sia di prodotti finiti). Rappresentano dunque le risorse di pi
1

Ci consente di spalmare nel tempo i relativi costi attraverso gli ammortamenti


periodici, invece che contabilizzarli direttamente in Conto Economico, con un impatto
immediato. La capitalizzazione in Stato Patrimoniale ha un effetto meno dirompente
sullutile di Bilancio, ma anche sul risparmio fiscale legato alla deducibilit.
9

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

facile smobilizzo, contrapposte alle immobilizzazioni che rappresentano risorse


scarsamente liquide. Il valore di bilancio coincide spesso con il loro valore di
acquisizione, salvo eventuali svalutazioni o rivalutazioni; in particolare per le
rimanenze, la contabilizzazione pu risultare problematica se non facile
discriminare i lotti di magazzino rispetto al prezzo di acquisizione: in tal caso
bisogna adottare delle convenzioni (metodi FIFO, LIFO, ..) che saranno meglio
introdotte nel capitolo successivo;
d) ratei e risconti attivi; si tratta di voci contabili di aggiustamento delle entrate e
uscite di cassa rispetto a costi e ricavi contabilizzati di competenza
dellesercizio: in particolare, i ratei attivi sono relativi a entrate di cassa (ricavi)
posticipate rispetto alla competenza economica, mentre i risconti attivi a uscite
di cassa (costi) anticipate. Ne consegue che liscrizione a Bilancio di un rateo
attivo accompagnata alliscrizione di un ricavo, e la sua cancellazione
successiva ad unentrata di cassa. Per contro, liscrizione a Bilancio di un
risconto attivo accompagnata alliscrizione di unuscita di cassa, e la sua
cancellazione ad un costo (si veda la successiva Figura 2.1).
Le risorse dellimpresa acquisite dallesterno e iscritte nelle attivit sono
generalmente iscritte a bilancio al costo storico di acquisizione; non vi in
generale quindi alcuna relazione fra il valore contabile e il valore di mercato al
quale le risorse possono essere cedute a terzi.
Scorrendo la lista precedente, risulta chiaro che purtroppo molte risorse
dellimpresa (la tecnologia, le competenze dei lavoratori, limmagine presso clienti
e fornitori, in generale le risorse intangibili dellimpresa) non possono essere
rappresentate adeguatamente, e tantomeno valorizzate nel bilancio. Si pu quindi
affermare che lAttivo di Stato Patrimoniale non riporta esaustivamente tutte le
risorse dellimpresa, ma solo quelle di pi facile contabilizzazione e
individuazione.

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2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA


Schema 2.1 Lo Stato Patrimoniale (Quarta Direttiva UE).
Attivo
A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
B) Immobilizzazioni:
I Immobilizzazioni Immateriali
1) Costi di impianto e di ampliamento
2) Costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicit
3) Diritti di brevetto industriale
4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili
5) Avviamento
6) Immobilizzazioni in corso e acconti
7) Altre immobilizzazioni immateriali
II Immobilizzazioni Materiali
1) Terreni e fabbricati
2) Impianti e macchinari
3) Attrezzature industriali e commerciali
4) Altri beni
5) Immobilizzazioni in corso e acconti
III Immobilizzazioni Finanziarie
1) Partecipazioni azionarie
2) Crediti finanziari
3) Altri titoli
4) Azioni proprie
C) Attivo circolante
I Rimanenze
1) Materie prime
2) Prodotti in corso di lavorazione
3) Lavori in corso su ordinazione
4) Prodotti finiti e merci
5) Acconti
II Crediti
1) Verso clienti
2-3-4) Verso imprese controllate, collegate,
controllanti
5) Verso altri enti
III Attivit finanziarie non immobilizzate
1-2-3) Partecipazioni in imprese controllate e
collegate
4) Azioni proprie
5) Altri titoli
IV Disponibilit liquide
1) Depositi bancari e postali
2) Assegni
3) Denaro e valori di cassa
D) Ratei e risconti attivi

TOTALE ATTIVO

Passivo
A) Patrimonio netto
I Capitale sociale
II Riserva sovrapprezzo azioni
III Riserva di rivalutazione
IV Riserva legale
V Riserva per azioni proprie
VI Riserve statutarie
VII Altre riserve
VIII Utili (perdite) portati a nuovo
IX Utili (perdite) dellesercizio
B) Fondo per rischi e oneri
1) Per trattamento di quiescenza
2) Per imposte
3) Altri fondi
C) Trattamento di fine rapporto (Fondo TFR)
D) Debiti:
1) Obbligazioni
2) Obbligazioni convertibili
3) Debiti verso banche
4) Debiti verso altri finanziatori
5) Acconti
6) Debiti verso fornitori
7) Debiti rappresentati da titoli di credito
8-9-10) Debiti verso imprese controllate,
collegate o controllanti
11) Debiti tributari
12) Debiti verso istituti di previdenza e di
sicurezza sociale
13) Altri debiti
E) Ratei e risconti passivi

TOTALE PASSIVO
11

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Il Passivo di Stato Patrimoniale si divide in cinque sezioni:


a) patrimonio netto: la somma di capitale sociale e riserve; il capitale sociale
corrisponde al valore monetario delle attivit conferite allimpresa dagli
azionisti, ed dato dal valore nominale delle azioni dellimpresa (detenute
dagli azionisti proporzionalmente alla quota sociale) per il loro numero totale,
mentre le riserve sono distinguibili in diversi fondi (la riserva sovrapprezzo
azioni, generata dalla sottoscrizione di azioni ad un prezzo superiore al valore
nominale, le riserve stanziate obbligatoriamente per legge o in virt di vincoli
derivanti dallo statuto sociale, gli utili non distribuiti e accumulati negli
esercizi precedenti, lutile dellesercizio appena concluso). importante
sottolineare che nello Stato Patrimoniale il patrimonio netto viene riportato a
valore contabile (book value), e mai a valore di mercato (market value, che
coincide invece con la capitalizzazione sui mercati borsistici). Il capitale pu
essere composto da diverse tipologie di azioni, a seconda del diritto di voto
associato e dei privilegi associati nella distribuzione del dividendo; ad esempio,
in Italia le imprese possono emettere azioni ordinarie (con diritto di voto
pieno), azioni di risparmio (a cui non associato alcun diritto di voto in
assemblea, ma che danno diritto alla riscossione di un dividendo maggiorato
rispetto alle azioni ordinarie) e azioni privilegiate (il cui diritto di voto in
assemblea limitato, ma che hanno priorit nella distribuzione del dividendo);

Il segnalibro

Le tipologie di titoli azionari che unimpresa pu emettere, e in particolare le


caratteristiche delle azioni di risparmio e privilegiate, sono presentate nel Volume
Finanziare le Risorse dImpresa, nel Capitolo 4, Paragrafo 4.1.
b) fondo per rischi e oneri; si tratta di accantonamenti effettuati per liquidare in
futuro le imposte e i trattamenti di quiescenza, e in via precauzionale per
contenere limpatto di eventi accidentali e straordinari;

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2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

c) fondo TFR: il fondo di trattamento di fine rapporto, accantonato per legge


dallimpresa nel tempo e liquidato in caso di interruzione del contratto di
lavoro;
d) debiti: si tratta del capitale versato da finanziatori esterni sotto forma di titoli di
debito (debito bancario, obbligazioni, carte commerciali) e dei crediti
commerciali vantati da fornitori e clienti.

Il segnalibro

Le diverse tipologie del debito dimpresa, in particolare titoli obbligazionari e


debito bancario, sono analizzate nel Volume Finanziare le Risorse dImpresa, nel
Capitolo 3, Paragrafi 3.2 e 3.5.
Il debito bancario acceso presso intermediari finanziari, mentre le
obbligazioni sono titoli emessi dallimpresa sul mercato mobiliare. Il debito in
genere viene remunerato con interessi passivi (a volte con tasso costante, a
volte variabile) e la restituzione del capitale avviene alla scadenza del prestito,
oppure a rate periodiche; in altre parole attraverso il debito limpresa ottiene
denaro contante, in cambio della promessa sia di restituzione del denaro sia di
pagamento degli interessi;
e) ratei e risconti passivi; anche in questo caso si tratta di aggiustamenti delle
entrate e uscite di cassa; questa volta i ratei passivi sono relativi a uscite di
cassa (costi) posticipate rispetto al periodo di competenza del Bilancio, mentre
i risconti passivi a entrate di cassa (ricavi) anticipate. Ne consegue che
liscrizione a Bilancio di un rateo passivo accompagnata alliscrizione di un
costo, e la sua cancellazione successiva ad unuscita di cassa. Per contro,
liscrizione a Bilancio di un risconto passivo accompagnata alliscrizione di
unentrata di cassa, e la sua cancellazione ad un ricavo. La Figura 2.1 riassume
la definizione di ratei e risconti nello Stato Patrimoniale.

13

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA


Figura 2.1 Ratei e risconti.
Flusso di cassa, rispetto alla competenza economica
Anticipato
Posticipato
Ricavo

Risconto passivo

Rateo attivo

Costo

Risconto attivo

Rateo passivo

Come appare dallo Schema 2.1, molte volte nel Bilancio viene evidenziato per ogni
voce contabile la frazione relativa a transazioni effettuate con societ controllanti,
controllate, o collegate. Nel primo caso si tratta di imprese che detengono la
maggioranza dei diritti di voto della societ; nel secondo caso si tratta di imprese in
cui la societ detiene la maggioranza dei diritti di voto; nel terzo caso le imprese
sono consociate nello stesso gruppo, sotto il medesimo controllo.
Nello Stato Patrimoniale il totale dellAttivo deve coincidere con il totale del
Passivo. Ci accade in conseguenza del principio contabile della partita doppia, e
comporta che i diritti vantati sullimpresa da azionisti e altri soggetti siano n pi
n meno la somma delle attivit possedute dallimpresa. In altre parole, il totale
dellAttivo, cio linsieme delle risorse detenute dallimpresa, viene finanziato
completamente ed esclusivamente dalle Passivit, e le remunera nel tempo
attraverso la generazione di reddito. La remunerazione, come si vedr, compete a
tutti i detentori di claims sullimpresa (creditori, fornitori, impiegati, ..) e in misura
residuale agli azionisti.

Il punto

Lo Stato Patrimoniale composto da due sezioni. La prima (Attivo) rappresenta


linsieme delle risorse correnti e immobilizzate, fra cui investimenti produttivi,
titoli finanziari, scorte e liquidit di cassa. La seconda (Passivo) rappresenta
linsieme dei diritti vantati sulle risorse da azionisti e altri claimants in un
determinato istante temporale.
14

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

2.1.2 Il Conto Economico


Il Conto Economico un conto scalare di flussi economici registrati fra limpresa e
lambiente esterno in un arco di tempo (in coincidenza dellesercizio annuale).
Schema 2.2 Il Conto Economico (Quarta Direttiva UE).
A) Valore della produzione:
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni
2. Variazione delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti
3. Variazione dei lavori in corso su ordinazione
4. Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
5. Altri ricavi e proventi
B) Costi della produzione
6. Per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
7. Per servizi
8. Per godimento di beni di terzi
9. Per il personale
10. Ammortamenti e svalutazioni
11. Variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
12. Accantonamenti per rischi
13. Altri accantonamenti
14. Oneri diversi di gestione
Differenza tra valore e costi della produzione (A-B)
C) Proventi e oneri finanziari
15. Proventi da partecipazioni
16. Altri proventi finanziari
17. (Interessi passivi e altri oneri finanziari)
D) Rettifiche di valore di attivit finanziarie
18. Rivalutazioni (di partecipazioni, di immobilizzazioni finanziarie, di titoli)
19. (Svalutazioni (di partecipazioni, di immobilizzazioni finanziarie, di titoli))
E) Proventi e oneri straordinari
20. Proventi straordinari (plusvalenze, sopravvenienze attive, altri proventi)
21. (Oneri straordinari (minusvalenze, sopravvenienze passive, altri oneri))
Risultato prima delle imposte (A-B+C+D+E)
22. Imposte sul reddito di esercizio
Risultato dellesercizio

15

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Differentemente dallo Stato Patrimoniale, il Conto Economico non rappresenta una


fotografia dellimpresa in un determinato istante, quanto una registrazione di
diversi flussi aggregati. Esso definisce, a partire dal valore della produzione, come
viene generato il reddito dellimpresa, e come esso remunera i fattori della
produzione (ad esempio le materie prime), il lavoro, il capitale sia degli azionisti
sia dei finanziatori esterni, e anche lo Stato attraverso il pagamento delle imposte.
Lo Schema 2.2 riporta il modulo di Conto Economico, distinguendo fra:
a) valore della produzione: rappresenta il valore aggregato delle risorse prodotte
dallimpresa nellesercizio contabile; in particolare, dato dalla somma del
fatturato (il prodotto effettivamente venduto nellesercizio annuale considerato,
pronta cassa oppure con pagamento dilazionato) e della variazione positiva o
negativa delle relative rimanenze (ovvero dello stock di prodotti finiti o
semilavorati detenuti in magazzino) tenendo conto anche di altre voci minori.
Se il valore della produzione superiore al fatturato, vuol dire evidentemente
che le rimanenze di prodotti finiti e semilavorati sono aumentate; viceversa, se
il valore della produzione inferiore al fatturato, vuol dire che parte delle
vendite sono state costituite dalle rimanenze esistenti allinizio del periodo;
b) costi della produzione; si tratta delle risorse effettivamente consumate
dallimpresa durante il periodo considerato, distinte fra materie prime
impiegate nel processo produttivo (tenendo conto quindi non solo dellacquisto
di materie prime ma anche della variazione delle scorte di materie prime
esistenti), servizi acquistati dallesterno, salari per il lavoro e altri oneri. Per
quanto riguarda le materie prime, importante sottolineare che non il loro
acquisto che genera un costo, ma solo ed unicamente il loro impiego del
processo produttivo. Lo Schema 2.2 evidenzia, infatti, che il semplice acquisto
di materie prime viene compensato da una variazione positiva delle scorte di
magazzino, senza originare costi di produzione (le voci B.6 e B.11 si
compensano). In altre parole, si registrano costi solo se: (i) si consumano
materie prime contabilizzate a scorta (voce B.11), oppure se (ii) si acquistano
materie prime impiegandole immediatamente nel processo produttivo (voce

16

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

B.6) senza passaggio dal magazzino2. Fra i costi della produzione compaiono
anche gli ammortamenti contabilizzati nellarco del periodo (il valore cumulato
degli ammortamenti viene direttamente sottratto al valore di carico delle
immobilizzazioni nellAttivo di Stato Patrimoniale): essi rappresentano voci di
costo non cash che quindi non corrispondono a esborsi di cassa, ma
rappresentano la perdita di valore degli impianti fissi e delle altre
immobilizzazioni a disposizione dellimpresa legata al deperimento (nel senso
di logorio), allobsolescenza (nel senso della tecnologia) e allinadeguatezza
(rispetto alla domanda di mercato); la contabilizzazione degli ammortamenti
viene in genere effettuata secondo rate costanti nellarco della vita utile
dellimmobilizzazione, cosicch alla fine il valore di carico di bilancio risulta
nullo3. Anche gli accantonamenti rappresentano voci di costo non cash, ed
importante notare che il costo generato dallaccantonamento stesso e non dal
prelievo dal relativo fondo (ad esempio la liquidazione del trattamento di fine
rapporto, piuttosto che la liquidazione delle tasse dal fondo imposte), che
invece determina semplicemente unuscita di cassa: il costo infatti gi stato
contabilizzato nei periodi precedenti alla formazione del fondo;
c) proventi e oneri finanziari; si tratta del saldo della gestione finanziaria (che
viene distinta dalla gestione operativa e produttiva caratteristica), ovvero di
interessi passivi pagati sul debito (voce di costo) e proventi finanziari attivi
derivanti da titoli che compaiono fra le attivit immobilizzate e correnti;
d) rettifiche di valore di attivit finanziarie; si tratta di correzioni che vengono
effettuate sul valore contabile dei cespiti iscritti a bilancio fra le attivit, senza
che avvenga una loro cessione; molto spesso tali rettifiche sono dettate
2

Questa procedura contabile (ovvero misurare il consumo delle materie prime


considerando gli acquisti dallesterno al netto della variazione delle scorte di magazzino)
viene adottata perch certamente pi facile e agevole, dal punto di vista delle
informazioni raccolte, che misurare esattamente le risorse consumate in ogni reparto
aziendale.
3
La normativa a volte permette alle imprese di anticipare gli ammortamenti
(ammortamenti accelerati), per ottenere benefici fiscali. In tal caso le rate degli
ammortamenti non sono costanti, ma sono maggiori nel breve termine, per poi decrescere
successivamente. La somma cumulata degli ammortamenti converge comunque al valore di
carico del cespite.
17

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

dallandamento del mercato (ad esempio dalle quotazioni sul mercato


borsistico dei titoli finanziari in portafoglio fra le attivit) e sono regolate dalla
legge, altre volte sono discrezionali; se la correzione negativa, si ha una
svalutazione (il valore di bilancio del cespite si riduce), al contrario si ha una
rivalutazione (il valore di bilancio si apprezza); come gli ammortamenti, anche
questi flussi non rappresentano delle entrate o uscite di cassa reali finch non
avviene leffettiva cessione dellattivit;
e) proventi e oneri straordinari; si tratta del saldo della gestione straordinaria;
viene determinato tenendo conto di eventuali plusvalenze o minusvalenze
maturate dalla cessione di cespiti; la plusvalenza emerge quando il cespite
venduto ad un prezzo superiore al valore di carico contabile di bilancio (ed
pari proprio alla differenza fra prezzo di cessione e valore di carico), mentre la
minusvalenza emerge quando venduto ad un prezzo inferiore (ed pari alla
differenza fra valore di carico e prezzo di cessione).
Laggregato di tutte le voci precedenti determina il risultato prima delle imposte. Il
risultato netto (o utile netto) viene ottenuto sottraendo da questo aggregato le tasse
di competenza dellesercizio in corso. La rilevanza del Bilancio quindi anche di
natura tributaria, in quanto il risultato del Conto Economico fa testo rispetto alla
determinazione del reddito imponibile. Va comunque detto che limponibile fiscale
non coincide esattamente con il risultato prima delle imposte: la differenza data
da eventuali rettifiche operate in base a normative tributarie (ad esempio, crediti di
imposta, deduzioni di determinati oneri che non compaiono in Conto Economico,
ammortamenti accelerati, piuttosto che proventi in sospensione di imposta).
Dopo la chiusura dellesercizio, lutile netto pu essere distribuito sotto forma di
dividendi (con unuscita di cassa ma senza contabilizzazione di costi), oppure
reinvestito nellimpresa, destinandolo a riserva ed incrementando il patrimonio
netto. La relativa decisione viene presa dallAssemblea dei Soci, chiamata ad
approvare il Bilancio stesso.
Le imposte che colpiscono le imprese si possono distinguere in imposte indirette
(che gravano sul costo delle risorse acquisite dallimpresa, come ad esempio le
accise, le imposte su carburante, gas, acqua potabile, elettricit) e imposte dirette
(che gravano sul reddito dimpresa).
18

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

In Italia le imposte dirette sul reddito dimpresa sono attualmente due: (i) lIRES
(Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche) che colpisce il risultato desercizio
con unaliquota ordinaria fissata ogni anno dalla Legge Finanziaria, e (ii) lIRAP
(Imposta sul Reddito delle Attivit Produttive) che colpisce il valore aggiunto
netto, con aliquote differenziate a seconda dellattivit dellimpresa. Nel caso il
reddito imponibile di unimpresa sia negativo, esso pu essere portato a nuovo
nellesercizio successivo, oppure compensato con quello positivo di altre imprese
consociate appartenente allo stesso gruppo (consolidato fiscale).

Il punto

Il Conto Economico descrive come, nellarco di un periodo temporale, il reddito


prodotto dallimpresa, in termini di valore della produzione, remunera le risorse
produttive esterne (materie prime) e interne (lavoro) e il capitale di terzi, e in
maniera residuale il capitale azionario attraverso lutile netto dimpresa.
2.1.3 Il Rendiconto Finanziario
Come detto, oltre a Stato Patrimoniale e Conto Economico, il Bilancio
completato dalla Nota Integrativa (che riassume i principi contabili e le
convenzioni adottate nella valutazione dei cespiti, ed elenca uninsieme di
informazioni rilevanti, come le variazioni delle immobilizzazioni, lelenco delle
partecipazioni possedute e dei crediti e debiti di lungo termine, il numero di
dipendenti), dalla Relazione degli Amministratori (che presenta il Bilancio
nellambito della strategia e delle opportunit dellimpresa) e da una serie di
relazioni, la pi importante delle quali dal punto di vista economico il Rendiconto
Finanziario (Cash Flow Statement). La sua utilit correlata alla necessit di
evidenziare il saldo dei flussi di cassa generati dallattivit dimpresa,
indipendentemente dalla contabilizzazione di costi e ricavi (che come abbiamo
visto possono anche non determinare flussi di cassa in uscita o in entrata, come nel
caso degli ammortamenti).

19

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA


Schema 2.3 Il Rendiconto Finanziario (Cash Flow Statement).
Disponibilit di cassa a inizio periodo
(+) Flusso di cassa generato dalla gestione reddituale
Ricavi di cassa (+)
Costi di cassa (-)
(+) Flusso di cassa da variazione capitale circolante netto
Riduzione/Incremento delle rimanenze (+/-)
Riduzione/Incremento dei crediti commerciali (+/-)
Riduzione/Incremento dei debiti commerciali (-/+)
Riduzione/Incremento ratei e risconti (+/-)
(+) Flusso di cassa per investimenti e alienazioni
Riduzione/Incremento delle immobilizzazioni (a prezzo di realizzo o valore di rimborso) (+/-)
Riduzione/Incremento dei debiti per investimenti (-/+)
Riduzione/Incremento dei crediti immobilizzati (+/-)
(+) Flusso di cassa da attivit di finanziamento
Incremento/Riduzione del patrimonio netto (+/-)
Incremento/Riduzione del debito (+/-)
Pagamento di dividendi ed oneri finanziari (-)
Incasso di proventi finanziari e interessi attivi (+)
= Disponibilit di cassa a fine periodo

Il Rendiconto Finanziario, analogamente al Conto Economico, riporta una serie di


flussi aggregati relativi allesercizio contabile. In particolare, il saldo finale di cassa
determinato a partire dal saldo iniziale, rispetto al quale si sommano
(sottraggono) gli introiti (esborsi) di cassa relativi a quattro tipi di gestioni:
a) la gestione operativa; si tratta delle entrate e uscite di cassa relative al processo
produttivo in senso lato (fatturato, costi di produzione, acquisto di materie
prime, costo del lavoro, ); contrariamente al conto economico, in questo caso
lacquisto delle risorse a generare un saldo di cassa, non il loro effettivo
impiego nel processo produttivo;

20

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

b) la gestione del capitale circolante; si tratta delle risorse liquide assorbite dagli
incrementi delle attivit a breve termine (rimanenze, crediti commerciali, ) o
generate dalla riduzione delle passivit a breve termine;
c) la gestione degli investimenti; si tratta delle risorse liquide immobilizzate in
nuovi investimenti, impianti, brevetti, scorte di beni, ma anche degli incassi
relativi ad una loro alienazione;
d) la gestione finanziaria; si tratta dei flussi di capitale provenienti da finanziatori
(azionisti, banche e obbligazionisti) al netto degli oneri di remunerazione
(dividendi, interessi passivi) e dei rimborsi di capitale.
Il saldo delle transazioni relative allesercizio rappresenta la generazione netta di cassa
(NCF, net cash flow) relativa allesercizio contabile. Il flusso di cassa netto rappresenta
un parametro importante di valutazione dellimpresa, come si vedr nel Capitolo 4,
perch indica la capacit dellimpresa di generare liquidit attraverso la gestione delle
risorse, cos da remunerare il capitale investito e auto-finanziare nuovi investimenti.
La differenza principale fra il Conto Economico e il Rendiconto Finanziario
quindi determinata dal fatto che il primo documento tiene conto sia dei costi cash
sia dei costi non cash (come ammortamenti e accantonamenti) mentre invece il
secondo documento considera solo i costi cash. Per contro, il Conto Economico
ignora le transazioni che riguardano unicamente variazioni dello Stato Patrimoniale
(ad esempio lacquisto di un immobile, oppure la riscossione di un credito, o
laccensione di un debito finanziario) mentre tali operazioni nel caso in cui
riguardano uscite o entrate di cassa non vengono ignorate dal Rendiconto
Finanziario.
Esiste per una relazione fra lutile netto determinato dal Conto Economico e il net
cash flow NCF riportato nel rendiconto finanziario, a capitale investito costante:
NCF = CF I OWC = Utile netto + Costi non cash I OWC
dove CF rappresenta il cash flow generato dallimpresa (pari alla somma di utile
netto e dei costi non cash, come gli ammortamenti), I la variazione positiva

21

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

delle immobilizzazioni e OWC la variazione positiva del capitale circolante netto


operativo diverso dalla liquidit di cassa (operating working capital)4.
Infatti, dallo Schema 2.3 possibile intendere che il net cash flow deriva da tre
diverse gestioni: quelle operativa e finanziaria (riassunta dal valore della
produzione al netto delle voci di costo cash, o se si preferisce dallutile netto pi le
voci di costo non cash) e quella degli investimenti (riassunta dalla variazione delle
immobilizzazioni e delle attivit correnti).
2.1.4 Come si costruisce il Bilancio
La redazione del bilancio si fonda sullapplicazione dei principi contabili elencati
allinizio del Paragrafo 2.1, e sul metodo della partita doppia, che detta quale
effetto debbano avere le attivit dellimpresa sul Bilancio. In particolare, le
transazioni che avvengono fra limpresa e lambiente esterno possono essere
classificate in tre categorie:
a) transazioni che non modificano il totale dellAttivo e del Passivo, ma che
implicano solo una diversa loro distribuzione; in questa categoria, a titolo
esemplificativo, rientrano queste operazioni:

acquisto di un impianto produttivo, pronta cassa;

acquisto e destinazione a magazzino di materie prime;

incasso di crediti commerciali;

estinzione di un rateo attivo;

aumento di capitale gratuito, ovvero senza versamenti da parte di soci;

b) transazioni che modificano il totale dellAttivo e quindi del Passivo, ma senza


alcun effetto sul Conto Economico; ad esempio:

acquisto di un impianto produttivo, a credito;

accensione di un prestito bancario;

estinzione di un rateo passivo;

rimborso di obbligazioni;

Nel caso vi siano entrate o uscite di cassa relative alla gestione del finanziamento (ad
esempio accensioni o restituzioni di prestiti) esse vanno ad affiancarci a quelle relative alla
gestione operativa.
22

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

c) transazioni che modificano il totale dellAttivo e quindi del Passivo, ed hanno


pure effetto sul Conto Economico; si tratta, per esempio, di:

fatturazione di prodotti e/o servizi, pronta cassa o a credito;

impiego di materie prime nel processo produttivo;

ammortamenti delle immobilizzazioni;

pagamento di interessi passivi su un prestito bancario;

accantonamento al TFR;

estinzione di un risconto passivo;

svalutazione di titoli finanziari detenuti in portafoglio.

Limpresa mantiene un registro delle transazioni (libro mastro), in cui la sezione


sinistra chiamata dare e quella destra avere (Figura 2.2). Nella sezione dare
vengono annotati: (i) gli incrementi delle voci dellAttivo di Stato Patrimoniale, (ii) i
decrementi delle voci del Passivo di Stato Patrimoniale (iii) le diverse tipologie di Costi
di Conto Economico. Nella sezione avere invece vengono annotati: (i) i decrementi
delle voci dellAttivo di Stato Patrimoniale, (ii) gli incrementi delle voci del Passivo di
Stato Patrimoniale (iii) le diverse tipologie di Ricavi di Conto Economico.
Figura 2.2 Conto di libro mastro
DARE

AVERE

- Incrementi Attivo SP

- Decrementi Attivo SP

- Decrementi Passivo SP

- Incrementi Passivo SP

- Costi CE

- Ricavi CE

Il principio della partita doppia richiede che ad ogni transazione sia associata una
serie di scritture, che generano lo stesso effetto aggregato sulle sezioni dare e
avere di ogni sezione contabile. Alla chiusura del Bilancio, le variazioni
aggregate determinano il saldo delle voci di Stato Patrimoniale, e il flusso delle
voci di Conto Economico. Lesempio seguente mostra, sulla base dei casi elencati
nella lista precedente, lapplicazione della partita doppia.
23

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Esempio
Si considerino gli effetti delle seguenti transazioni sulle voci di Stato Patrimoniale
(A: Attivo, P: Passivo) e di Conto Economico (CE).
- acquisto di un impianto produttivo per un valore di 100, pronta cassa:
Immobilizzazioni fisse (A)

Cassa (A)

100

100

acquisto e destinazione a magazzino di materie prime per un valore di 80;


Rimanenze di materie prime (A)

Cassa (A)

80

80

incasso di crediti commerciali per un valore di 50;


Crediti commerciali (A)
50

50

estinzione di un rateo attivo precedentemente iscritto ad un valore pari a 20;


Rateo attivo (A)
20

24

Cassa (A)

Cassa (A)
20

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

aumento di capitale gratuito, ovvero senza versamenti da parte di soci;


Capitale sociale (P)
150

Riserve (P)
150

accensione di un prestito bancario, importo finanziato pari a 200;


Cassa (A)

Debiti bancari (P)

200

200

estinzione di un rateo passivo, precedentemente iscritto ad un valore pari a 20;


Cassa (A)
20

Rateo passivo (P)


20

rimborso di obbligazioni, per un valore pari a 130;


Cassa (A)
130

Obbligazioni (P)
130

25

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

fatturazione di prodotti e/o servizi, per un valore di 380, met pronta cassa e
met a credito;
Fatturato (CE)

Cassa (A)

380

190

190

impiego di materie prime nel processo produttivo, per un valore di 60;


Rimanenze di materie prime (A)
60

Crediti commerciali (A)

Costi per materie prime (CE)


60

ammortamento delle immobilizzazioni, per un valore di 100;


Ammortamenti (CE)

Immobilizzazioni fisse (A)

100

pagamento di interessi passivi su un prestito bancario;


Oneri finanziari (CE)
60

26

100

Cassa (A)
60

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

accantonamento al TFR, per un valore di 35;


Fondo TFR (P)
35

35

estinzione di un risconto passivo;


Ricavo di competenza (CE)
20

Costi per il personale (CE)

Risconto passivo (P)


20

svalutazione di titoli finanziari detenuti in portafoglio, per un valore di 90;


Svalutazione partecipazioni (CE)
90

Immobilizzazioni finanziarie (A)


90

Una volta chiuso lesercizio contabile, i conti di libro mastro vengono interrotti e si
calcola il saldo finale. Per quanto riguarda le voci di Stato Patrimoniale, il saldo
determiner la variazione dallo stock iniziale, e quindi anche la consistenza finale.
Per quanto riguarda il Conto Economico, il saldo coincider con il flusso aggregato
relativo allesercizio.
Per come stata applicata la regola della partita doppia, chiaro che la differenza
finale fra lo stock aggregato delle attivit e lo stock delle passivit nello Stato
27

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Patrimoniale determinato da tutte quelle transazioni che hanno effetto sul Conto
Economico (e quindi hanno effetto o solo sulle attivit o solo sulle passivit). Tale
differenza coincide con il risultato finale dellesercizio (cio con lutile di Conto
Economico). In altre parole, un utile di bilancio positivo deriva da un incremento
dello stock di attivit senza un contestuale incremento delle passivit, e rappresenta
il profitto residuale dellimpresa, di competenza degli azionisti.

Esempio

Riprendiamo lEsempio precedente, e supponiamo che lo Stato Patrimoniale alla


chiusura dellultimo esercizio dellimpresa considerata sia il seguente:
STATO PATRIMONIALE A FINE ESERCIZIO PRECEDENTE
Attivo di Stato Patrimoniale
Passivo di Stato Patrimoniale
Immobilizzazioni nette
300
Capitale Sociale
Immobilizzazioni finanziarie 100
Riserve
Cassa e liquidit
160
Fondo TFR
Rimanenze
120
Debiti commerciali
Crediti commerciali
130
Debiti finanziari
Ratei e risconti attivi
40
Ratei e risconti passivi
Totale attivo
850
Totale passivo

300
250
30
0
230
40
850

Ipotizziamo che le transazioni da rilevare nellesercizio successivo siano tutte e


solo quelle considerate nellEsempio precedente. Aggregando tutti i conti nelle
sezioni dare e avere per ogni voce di Bilancio si pu costruire il nuovo Stato
Patrimoniale (in questo caso attenzione a tenere conto anche dello stock iniziale!) e
il Conto Economico (in questo caso invece ogni flusso ha un valore di partenza
nullo).
Ad esempio per la voce Cassa e liquidit abbiamo saldi positivi pari a 460 (50
+20 +200 +190) e negativi per 390 (100 +80 +20 +130 +60).

28

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA


STATO PATRIMONIALE A FINE ESERCIZIO ATTUALE
Attivo di Stato Patrimoniale
Passivo di Stato Patrimoniale
Immobilizzazioni nette
300+100-100 = 300 Capitale Sociale
300+150 = 450
Immobilizzazioni finanziarie 100-90 = 10
Riserve
250-150 = 100
Cassa e liquidit
160+460-390 = 230 Fondo TFR
30+35 = 65
Rimanenze
120+80-60 = 140
Debiti commerciali
0
Crediti commerciali
130-50+190 = 270 Debiti finanziari 230+200-130 = 300
Ratei e risconti attivi
40-20 = 20
Ratei e risconti passivi 40-40 = 0
Risultato dellesercizio 55
Totale attivo
970
Totale passivo
970
CONTO ECONOMICO DELLESERCIZIO
Valore della produzione
380
Altri ricavi
20
Costi della produzione
(60)
Costo del lavoro
(35)
Ammortamenti
(100)
Oneri finanziari
(60)
Svalutazioni
(90)
Risultato dellesercizio
55

Come si nota, il totale dellattivo e del passivo a fine esercizio coincidono, a meno
del risultato di Conto Economico, che viene riportato nelle passivit (parte sar
accantonata al fondo imposte, parte imputata fra le riserve del patrimonio netto,
salvo essere distribuita successivamente come dividendo).
Per quanto riguarda il Rendiconto Finanziario abbiamo:
RENDICONTO FINANZIARIO DELLESERCIZIO
Disponibilit di cassa a inizio periodo (si veda lAttivo di Stato Patrimoniale a fine
esercizio precedente):
160
Flusso di cassa generato dalla gestione reddituale: +190, dato da:
Ricavi di cassa:
+190 +20 (estinzione rateo attivo)

29

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA


Costi di cassa
-20 (estinzione rateo passivo)
Flusso di cassa da variazione capitale circolante netto: -30 di cui:
Incremento delle rimanenze
-80 (materie prime)
Riduzione dei crediti commerciali
+50
Flusso di cassa per investimenti e alienazioni:
-100 di cui:
Incremento delle immobilizzazioni
-100
Flusso di cassa da attivit di finanziamento:
+10
Incremento/Riduzione del debito (+/-)
+200 (debito bancario) 130 (obblig.)
Pagamento di dividendi ed oneri finanziari (-) -60
Disponibilit di cassa a fine periodo (si veda lAttivo di Stato Patrimoniale a fine esercizio
attuale):
230 (pari a 160 +190 -30 -100 +10)

2.1.5 I principi contabili IAS/IFRS


Dal 2005 in Italia le societ i cui titoli finanziari sono quotati su un mercato
borsistico o comunque diffusi presso il pubblico dei risparmiatori, nonch le
societ bancarie e assicurative, sono obbligate a redigere alcuni documenti di
Bilancio secondo la normativa IAS (International Accounting Standard) recepita
negli IFRS (International Financial Reporting Standards) emanati dallUnione
Europea con Regolamento n. 1606/2002/CE. Prevedibilmente, tale obbligo sar
gradualmente esteso anche ad altre tipologie di imprese (che comunque pur non
essendo obbligate hanno facolt di migrare al nuovo sistema contabile), con
lobiettivo di armonizzare le normative contabili a livello mondiale.
Vi sono alcune novit introdotte dal sistema IAS/IFRS, che possono essere
riassunte in questi punti5:
1) la possibilit di iscrivere le risorse nellAttivo di Stato Patrimoniale non al
costo storico di acquisizione, ma al loro valore corrente (fair value); i principi
IAS suggeriscono (in particolare per le propriet immobiliari e i titoli finanziari) di
rettificare il valore di carico dellasset considerando il suo valore di mercato, o il
suo valore di sostituzione; la rettifica (negativa o positiva) non deve per transitare
nel Conto Economico come svalutazione o rivalutazione, ma in unapposita riserva

30

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

del Patrimonio Netto; si prevede comunque che le imprese periodicamente rilevino


eventuali perdite durature di valore di tutti gli assets (test di impairment);
2) liscrizione in Stato Patrimoniale di assets su cui non esiste un diritto di
propriet, ma che comunque generano un contributo allutilit dellimpresa (quindi
andranno iscritti nellAttivo anche i beni utilizzati in leasing o in usufrutto, e allo
stesso tempo se del caso andranno iscritti i relativi oneri nel Passivo a titolo di
debito);
3) la classificazione dello Stato Patrimoniale secondo il criterio della liquidit (si
veda il successivo Paragrafo 2.2), distinguendo fra attivit (e passivit) correnti e
non correnti (Schema 2.4);
4) limpossibilit di capitalizzare nello Stato Patrimoniale fra le immobilizzazioni
immateriali i costi relativi a impianti e ampliamento (si veda la voce B.I.1 nello
Schema 2.1); i principi IAS impongono per questo tipo di operazioni la
contabilizzazione come costi in Conto Economico, e ammettono liscrizione in
Stato Patrimoniale dei soli costi relativi ad attivit puramente immateriali;
5) la cancellazione di Ratei e Risconti, che andranno riclassificati fra crediti e debiti,
6) la cancellazione dei Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti e delle
azioni proprie in portafoglio (che vanno a decurtare il Capitale sociale nominale);
7) il criterio LIFO (si veda il successivo Paragrafo 3.2) per la contabilizzazione
delle scorte non pi ammesso;
8) nel Patrimonio Netto le diverse tipologie di riserve vengono contabilizzate in
aggregato, sebbene debba essere riportato un dettagliato prospetto delle variazioni
in un documento apposito (Variazioni delle poste di Patrimonio Netto);
9) devono essere riportati in appositi fondi o riserve i piani di stock options
(assegnazione di opzioni su azioni dellimpresa a managers e dipendenti) che
potranno generare debiti e/o costi per limpresa, altrimenti non visibili a Bilancio;
10) nel Passivo di Stato Patrimoniale i fondi contabilizzati (come il fondo TFR, il
fondo imposte, il fondo di quiescenza) devono rispecchiare delle obbligazioni
future legali o implicite, e non semplicemente prudenziali (il fondo rischi non
5

Per una maggiore dettaglio, si rimanda al sito Internet dellInternational Accounting


Standard Board http://www.iasb.org e, per la normativa specifica italiana, al sito Internet
dellOrdine dei Dottori Commercialisti http://www.cndc.it.
31

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

quindi ammesso); inoltre il loro valore di Bilancio deve rispecchiare il valore


attuale6 dei flussi di pagamenti previsti in futuro;
11) anche le passivit finanziarie, come le attivit, possono essere periodicamente
rettificate al fair value di mercato, con eventuale compensazione positiva o
negativa in Conto Economico;
12) il Conto Economico non distingue pi fra gestione ordinaria e gestione
straordinaria ma separa costi e ricavi originati dalle attivit ancora in
funzionamento a fine esercizio, e da quelle destinate a cessare (Schema 2.5); esso
deve riportare lutile per azione (ovvero lutile netto rapportato al numero di azioni
dellimpresa);
13) lobbligatoriet del Rendiconto Finanziario.
Schema 2.4 Lo Stato Patrimoniale (Principi Contabili IAS/IFRS).
Attivo
Passivo
Capitale e riserve:
Attivo immobilizzato:
Capitale sociale versato
Immobili, impianti e macchinari
Riserve
Investimenti immobiliari
Riserva da rivalutazione
Avviamento e attivit immateriali a vita
Utili/perdite a nuovo
non definita
Utile/perdita dellesercizio
Altre attivit immateriali
Partecipazione in imprese
Passivit correnti:
Altre attivit finanziarie
Indebitamento finanziario a breve termine
Imposte differite attive
Debiti commerciali
Altre attivit non correnti
Debiti tributari
Debiti vari e altre passivit correnti
Attivo corrente:
Rimanenze
Passivit non correnti:
Crediti commerciali
Indebitamento finanziario a lungo termine
Crediti tributari
Fondi relativi al personale e assimilati
Lavori in corso su ordinazione
Passivit fiscali differite
Disponibilit liquide
Debiti vari e altre passivit non correnti
Altre attivit correnti
TOTALE ATTIVO

TOTALE PASSIVO

Il concetto di valore attuale introdotto nel successivo Capitolo 4.

32

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA


Schema 2.5 Il Conto Economico (Principi Contabili IAS/IFRS).
Attivit in funzionamento:
Ricavi
Altri ricavi e proventi operativi
Incremento (decremento) delle rimanenze di prodotti finiti e in corso di lavorazione
Consumo di materie prime, sussidiarie e merci
Costo del lavoro
Costi per godimento di beni di terzi
Ammortamenti e variazioni di valore delle attivit non correnti
Svalutazioni
Altri costi operativi
= Utile operativo
Utili da societ controllate, collegate e partecipate
Proventi finanziari da attivit di investimento
Oneri finanziari
Altri proventi e perdite
= Utile lordo da attivit in funzionamento
Imposte sul reddito
= Utile netto da attivit in funzionamento
Attivit destinate a cessare:
Ricavi e perdite da attivit destinate a cessare
= Utile netto dellesercizio
Utile per azione

Esempio

Riprendiamo di nuovo lesempio del Paragrafo precedente, e ipotizziamo di dover


redigere il Bilancio secondo i nuovi principi IAS/IFRS.
Sono note queste informazioni:
1) il valore di mercato dei titoli finanziari rimasti in portafoglio a fine esercizio e
gi svalutati precedentemente pari a 5 (impairment test);
2) fra le immobilizzazioni nette, vi sono terreni il cui valore di bilancio 50,
mentre il valore di mercato (fair value) 90;
3) limpresa utilizza in leasing un furgone, con valore del contratto pari a 8;

33

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

4) la ricontabilizzazione delle scorte (precedentemente valorizzate secondo il


metodo LIFO) ne aumenta il valore a 145;
5) limpresa ha assegnato delle stock options ai dirigenti, che comporteranno
lassegnazione di azioni per un valore di 3;
6) il valore attuale dei pagamenti futuri connessi al TFR pari a 71;
7) il 10% del fatturato e dei costi di produzione delle materie prima generato da
attivit destinate a cessare;
8) il 30% dei debiti finanziari iscritti a bilancio scadranno entro i successivi 12 mesi;
9) il capitale sociale composto da 150 azioni.
Applicando i principi IAS/IFRS riportati nelle pagine precedenti, si rendono
necessarie alcune rettifiche sia allo Stato Patrimoniale (Attivo e Passivo) sia al
Conto Economico a fine esercizio.
Nel dettaglio:
Immobilizzazioni nette: adeguamento del valore di carico da 50 a 90, contro
incremento di 40 della riserva di rivalutazione, in Patrimonio Netto.
Titoli finanziari: riduzione del valore di carico da 10 a 5, contro riduzione di 5 della
riserva di rivalutazione.
Leasing finanziario: iscrizione del furgone fra gli assets immobilizzati per un
valore pari a 8, contro iscrizione di un relativo debito.
Rimanenze: aumento del valore di carico di 5, contro un equivalente aumento della
riserva di rivalutazione.
Stock options: iscrizione di un costo di conto economico pari a 3, contro iscrizione
di unapposita riserva di Patrimonio Netto.
Fondo TFR: rivalutazione a 71, contro riduzione di 6 della riserva di rivalutazione.
Attivit destinate a cessare: i relativi ricavi e costi vanno evidenziati a parte in
Conto Economico.
Ratei e risconti: devono sparire ed essere contabilizzati fra crediti e debiti (in
questo caso nella voce crediti commerciali e altri).
Il 30% dei debiti finanziari andr iscritto nelle Passivit non correnti.

34

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Costruiamo ora il Bilancio secondo la normativa IAS:


STATO PATRIMONIALE A FINE ESERCIZIO ATTUALE - IAS
Attivo di Stato Patrimoniale
Passivo di Stato Patrimoniale
Attivit non correnti:
Patrimonio netto:
Immobilizzazioni nette
348
Capitale Sociale versato
450
Immobilizzazioni finanziarie
5
Riserve (e stock options)
103
Attivit correnti:
Utile dellesercizio
52
Cassa e liquidit
230
Riserva di rivalutazione
34
Rimanenze
145
Passivit non correnti:
Crediti commerciali e altri
290
Fondi TFR / personale
71
Debiti e leasing
278
Passivit correnti:
Debiti
30
Totale attivo
1.018
Totale passivo
1.018
CONTO ECONOMICO DELLESERCIZIO - IAS
Ricavi (attivit in funzionamento)
Costi delle materie prime (att. in funzionamento)
Costo del personale
Costo del personale (stock options)
Ammortamenti
Utile operativo da attivit in funzionamento
Oneri finanziari
Altre perdite (svalutazioni)
Utile da attivit in funzionamento
Ricavi da attivit destinate a cessare
Costi da attivit destinate a cessare
Utile dellesercizio
Utile per azione

360
(54)
(35)
(3)
(100)
168
(60)
(90)
18
40
(6)
52
0,3467

Si noti come lapplicazione dei principi IAS abbia comportato paradossalmente un


incremento delle attivit totali di bilancio dellimpresa e una diminuzione dellutile
di conto economico.

35

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

2.2 Riclassificazione di bilancio


Lanalisi di bilancio si pone lobiettivo di estrarre le informazioni salienti
sullimpresa dalle risultanze del Conto Economico e dello Stato Patrimoniale. Ci
pu essere di interesse quando si deve confrontare il Bilancio di unimpresa
rispetto a quello dellesercizio precedente, o piuttosto rispetto a quello di unaltra
impresa nello stesso esercizio annuale.
Un primo strumento in tal senso la riclassificazione di bilancio, che consiste in
una ricombinazione delle diverse poste contabili secondo criteri economici. Un
metodo di analisi molto conosciuto la riclassificazione dello Stato Patrimoniale
secondo il criterio della liquidit, ovvero secondo lattitudine di una risorsa a
trasformarsi in liquidit di cassa nel breve termine. Lobiettivo quello di
analizzare la composizione delle risorse dellimpresa, in relazione ai claims vantati
sulle risorse stesse, e alla loro esigibilit pi o meno immediata.
Tabella 2.1 Riclassificazione dello Stato Patrimoniale secondo il criterio della liquidit.
Attivo (Impieghi)
Attivit correnti:
Cassa ed equivalenti
Crediti a breve
Ratei e risconti attivi
Rimanenze
Attivit immobilizzate:
Immobilizzazioni materiali nette
Immobilizzazioni immateriali
Immobilizzazioni finanziarie

Passivo (Fonti)
Debiti a breve:
Debiti commerciali a breve
Debiti finanziari a breve
Ratei e risconti passivi
Debiti consolidati:
Debiti operativi a lungo
Debiti finanziari a lungo
Fondo TFR
Patrimonio netto

La Tabella 2.1 evidenzia come, applicando il criterio della liquidit, le attivit


ovvero gli impieghi del capitale totale - vengano distinte in: (i) attivit correnti,
ovvero caratterizzate da elevato grado di liquidit, e (ii) attivit immobilizzate,
ovvero caratterizzate da basso grado di liquidit. Fra le attivit correnti vengono
considerati i depositi di cassa, i crediti commerciali e finanziari a breve termine,
36

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

ratei e risconti e le rimanenze di materie prime e di prodotto finito, sempre che


siano liquidabili a breve. Le altre risorse, ovvero le immobilizzazioni, vengono
considerate a parte.
Fra le passivit ovvero le fonti di finanziamento - vale analoga distinzione fra
debiti a breve (quelli pi liquidi nel breve termine) e debiti consolidati (quelli a
lungo termine). Il patrimonio netto viene considerato ovviamente a parte: la sua
liquidazione corrisponde al fallimento dellimpresa!
Le attivit correnti vengono spesso individuate come capitale circolante lordo
(CCL). La differenza fra attivit correnti (CCL) e passivit correnti il capitale
circolante netto (CCN):
CCN = Attivit correnti Passivit correnti
Il CCN un indicatore dellequilibrio finanziario fra fonti e impieghi nel breve
periodo. Quando il suo saldo positivo, limpresa non dovrebbe correre rischi di
scoperti di liquidit (cash shortage). Al contrario quando il suo saldo negativo
limpresa potrebbe avere problemi nel rimborso delle passivit di breve termine
(difficolt nel pagamento dei crediti e di oneri finanziari per mancanza di cassa).
Un altro aggregato di bilancio il margine di tesoreria (MT), definito come:
MT = CCN Rimanenze
Il MT un indice analogo al CCN, ma non considera come risorsa liquida le
rimanenze e le scorte. Pu risultare di maggiore utilit per le imprese i cui prodotti
sono molto specifici, poco standardizzati, e quindi liquidabili con difficolt o a
condizioni penalizzanti.
Una variante del CCN il CCNO (capitale circolante netto operativo, ovvero
operating working capital). Esso considera solo le risorse impiegate in attivit di
tipo operativo, e quindi esclude la cassa, perch rappresenta le risorse tenute a
disposizione dallimpresa, e pronte per essere investite.
CCNO = CCN Cassa ed equivalenti
37

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Una ulteriore statistica il margine di struttura (MS). Esso viene definito come la
differenza fra patrimonio netto e attivit immobilizzate, che contabilmente coincide
con la differenza fra capitale circolante lordo e debiti totali:
MS = Patrimonio Netto Attivit Immobilizzate = CCL Debiti a breve Debiti consolidati
Il MS rappresenta un parametro della struttura delle fonti di finanziamento
dellimpresa. Quando esso positivo, significa che le attivit immobilizzate sono
interamente finanziate dal capitale proprio, mentre quando esso negativo significa
che esse sono parzialmente finanziate da capitale di terzi.
Un secondo criterio di riclassificazione dello Stato Patrimoniale che si va sempre
pi diffondendo il criterio funzionale.
Tabella 2.2 Riclassificazione dello Stato Patrimoniale secondo il criterio funzionale.
Capitale investito netto
Capitale immobilizzato:
Immobilizzazioni

Coperture
Patrimonio netto

Capitale di esercizio netto:


Indebitamento finanziario netto:
Scorte
Debiti finanziari
Crediti commerciali
(al netto di) Cassa / equivalenti
Ratei e risconti attivi
(al netto di) Debiti commerciali
(al netto di) Fondi per benefici ai
dipendenti
(al netto di) Ratei e risconti passivi

La differenza rispetto al criterio della liquidit sta nel fatto che le poste di bilancio
vengono riaggregate calcolando il saldo fra poste attive e passive, laddove
svolgono la stessa funzione operativa (si veda la Tabella 2.2). Viene infatti
individuato il capitale di esercizio netto che corrispondente alla differenza fra
attivit correnti (senza considerare per la cassa) e passivit correnti di tipo non

38

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

finanziario e fondi destinati a benefici per i dipendenti (come il TFR e il fondo


stock options). In pratica esso indica la frazione delle fonti di capitale
dellimpresa che vengono impiegate in risorse di breve/medio termine. Sommato
alle immobilizzazioni (che funzionalmente rappresentano invece impieghi di lungo
termine) d il capitale investito netto, ovvero gli impieghi totali dellimpresa al
netto degli impegni che ha preso la societ verso clienti e lavoratori.
Nella sezione destra abbiamo le coperture ovvero le fonti di finanziamento ultime
del capitale investito netto.
Il patrimonio netto lo stesso che compare nel Bilancio.
Lindebitamento finanziario netto (o posizione finanziaria netta, PFN) un
parametro molto utilizzato nellanalisi della copertura finanziaria dellimpresa.
Esso pari al totale dei debiti finanziari contratti dalla societ, al netto della
liquidit disponibile. Va da s che quando esso troppo alto rispetto al capitale
investito netto (o a maggior ragione rispetto al capitale di esercizio netto),
limpresa corre il rischio di non essere solvibile nel medio/lungo termine.

Il punto

La riclassificazione dello Stato Patrimoniale (attraverso il criterio della liquidit o


il criterio funzionale) classifica le fonti di finanziamento (passivit) e gli impieghi
(attivit) rispettivamente secondo la loro capacit di trasformarsi in risorse
monetarie nel breve termine, o secondo la correlazione con lattivit operativa.
La riclassificazione del Conto Economico invece si basa sullindividuazione di
diversi saldi intermedi, fra il valore della produzione e lutile netto, che mettono in
evidenza lincidenza delle diverse gestioni (operativa o caratteristica, finanziaria,
patrimoniale o accessoria, straordinaria).
Il primo saldo il valore aggiunto lordo (VAL), che pari alla differenza fra
valore della produzione e costi esterni della produzione di tipo cash
(essenzialmente costi per materie prime e servizi, vengono esclusi i costi del
lavoro, gli ammortamenti e gli accantonamenti). Esso rappresenta lincremento di

39

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

valore delle materie prime acquistate presso terzi, ottenuto grazie alla funzione di
produzione dellimpresa.
Tabella 2.3 Riclassificazione del Conto Economico
Valore della Produzione
(Costi esterni)
Valore Aggiunto Lordo (VAL)
(Costi del lavoro)
oppure (Ammortamenti e accantonamenti)
Margine Operativo Lordo (MOL)
oppure Valore Aggiunto Netto (VAN)
(Ammortamenti e accantonamenti)
oppure (Costi del lavoro)
Margine Operativo Netto (MON)
Saldo della gestione finanziaria
Risultato della gestione caratteristica
Saldo della gestione straordinaria
Utile ante Imposte o Risultato ante imposte (RAI)
(Imposte)
Utile netto

Il secondo saldo il margine operativo lordo (MOL) identificato anche nella


contabilit anglosassone come EBITDA (earnings before interests, taxes,
depreciation and amortization). Si tratta del VAL al netto dei costi del lavoro, che
rappresentano una risorsa interna allimpresa. Esso rappresenta il margine di
reddito realizzato sul costo delle risorse produttive interne ed esterne allimpresa
Il terzo saldo il margine operativo netto (MON, o earnings before interests and
taxes, EBIT), che si ottiene dal MOL al netto delle voci di costo non cash
(ammortamenti e accantonamenti). Esso rappresenta il margine di reddito
realizzato sul costo di tutte le risorse produttive e del capitale immobilizzato.
In alternativa, dal VAL possibile ricavare il valore aggiunto netto (VAN), solo
sottraendo le voci di costo non cash. Ovviamente, vale la relazione:
VAN = MON + Costi del lavoro

40

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Il margine operativo netto (MON) quindi originato dalla sola attivit operativa
dellimpresa. A valle, sommando il saldo della gestione finanziaria (proventi e
oneri finanziari) si ottiene il risultato della gestione caratteristica (ovvero delle
gestioni operative e finanziarie). Tenendo conto ulteriormente del saldo della
gestione straordinaria (plusvalenze, minusvalenze, svalutazioni, rivalutazioni) si
ottiene lutile lordo, ovvero lutile ante imposte.
Lutile netto si ricava sottraendo le imposte dallutile lordo (o utile ante imposte, o
risultato ante imposte, RAI).
Unaltra variante consiste nel considerare il Fatturato al posto del Valore della
Produzione. Sottraendo da esso il Costo del Venduto, ovvero il costo legato al
consumo di risorse non per tutta la produzione, ma solo per quella venduta, si
ottiene sempre una misura del margine operativo. La differenza che
nellapproccio della Tabella 2.3 si considera anche il reddito immobilizzato nelle
scorte, mentre in questo approccio si considera solo il reddito effettivamente
incassato dalle vendite.
2.3 Indici di bilancio
Un secondo strumento di analisi del Bilancio sono gli indici di Bilancio. Essi
rappresentano una statistica dei dati contabili, nel senso che aggregano diverse
informazioni contabili in un unico indicatore di sintesi. Si dividono in:
1) indici reddituali (di primo e di secondo livello);
2) indici patrimoniali;
3) indici di liquidit;
2.3.1 Indici reddituali di primo livello
I principali indici reddituali7 sono il ROE (return on equity), il ROA (return on
assets) e il ROI (return on investment):

ROE =

Utile netto
Patrimonio netto

41

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

ROA =
ROI =

MON
Totale attivo
MON
Capitale investito netto

Il ROE definito dal rapporto fra utile netto e patrimonio netto (equity) e
rappresenta una misura della capacit dellimpresa di generare reddito per i suoi
azionisti, con riferimento a tutte le gestioni dellimpresa (operativa, finanziaria,
straordinaria) mentre il ROA una misura simile, ma riguarda la capacit
dellimpresa di generare reddito per tutti i suoi investitori (in particolare non solo
per gli azionisti, ma anche per i detentori del debito) facendo riferimento
unicamente allattivit operativa caratteristica. Per questo il ROA viene definito dal
margine operativo netto (che non dipende direttamente dalla struttura finanziaria
del passivo) sul totale delle risorse dellattivo (che coincide anche con il totale del
capitale investito).
Il ROI una variante del ROA, perch al denominatore considera non il totale
degli assets di Bilancio, ma il capitale investito netto, determinato con la
riclassificazione di Tabella 2.2. La differenza sta nel fatto che: (i) non si considera
come risorsa investita la liquidit (che in genere viene tenuta a disposizione
dallimpresa) e (ii) vengono sottratte alle attivit le passivit di tipo non finanziario
come debiti commerciali e fondi (che dal punto di vista economico vanno a ridurre
il capitale a disposizione dellimpresa).
Esiste una relazione, nota come leva finanziaria, che lega contabilmente il ROA e
il ROE. Se per semplicit si ipotizza8 che non vi siano partite straordinarie in Conto
Economico, che la pressione fiscale sia nulla, e che al Passivo di Stato Patrimoniale
compaiano solo patrimonio netto (E, equity) e debito finanziario (D) remunerato ad
un tasso annuale r, vale:

Nel Capitolo 4 presenteremo altre misure di redditivit del capitale (come il Residual
Income) di tipo per assoluto e non percentuale.
8
In caso contrario, la relazione di proporzionalit vale ancora ma leggermente pi
complessa.
42

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

ROE =

(MON r D) (D + E)
Utile netto
MON - r D
=
=
=
Patrimonio netto
E
(D + E)
E

D
MON (D + E) D
(D + E)
D
= ROA +
(ROI r )

r = ROA
r
E
(D + E)
E
E
E
E

dove r D rappresenta il flusso di oneri finanziari (interessi passivi) sul debito.


La leva finanziaria evidenzia che limpresa, se in grado di generare dalle risorse
dellattivo un rendimento superiore rispetto al costo del capitale di debito (se
quindi ROA > r), pu generare valore per gli azionisti grazie a un incremento del
ROE (si veda la Figura 2.3). Incrementando lindebitamento, limpresa pu dunque
fare leva sul differenziale dei rendimenti. Si noti per che se limpresa fosse
costretta a remunerare il debito ad un tasso superiore rispetto alla redditivit
dellattivo (ovvero r > ROA), indebitandosi distruggerebbe reddito per gli azionisti.
Figura 2.3 La leva finanziaria, ovvero il legame fra ROE e ROA.

ROE

ROE

D/E (ROA r)
ROA
r

D/E

In altre parole, leffetto leva positivo se limpresa pu indebitarsi e raccogliere


denaro ad un tasso di interesse inferiore rispetto al rendimento che in grado di

43

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

ottenere investendo il denaro in progetti profittevoli. Tanto pi elevato


lindebitamento, tanto maggiore sar il margine disponibile per gli azionisti sulla
differenze di rendimento.

Il segnalibro

La relazione della leva finanziaria ampiamente ripresa nel Volume Finanziare


le Risorse dellImpresa nel Capitolo 2, Paragrafo 2.2, laddove si mostra che
laumento della redditivit attesa per gli azionisti si paga con un aumento del
rischio, in termini di volatilit dellutile netto rispetto al margine operativo
dellimpresa.
2.3.2 Indici reddituali di livelli successivi
Pu essere interessante disaggregare lindice ROA in diverse componenti, con lo
scopo di evidenziare il contributo dei diversi saldi analizzati nella Tabella 2.3 alla
formazione del reddito.
Ci pu essere utile ad esempio per individuare le motivazioni di un eventuale
miglioramento o peggioramento di un indicatore di redditivit.
In particolare, introducendo ad un primo livello di disaggregazione lindice ROS
(return on sales) e lindice RA (rotazione dellattivo), vale la relazione:

ROS =

ROA =

MON
Valore della produzione

RA =

Valore della produzione


Totale attivo

Valore della produzione


MON
MON
=

Totale attivo
Totale attivo
Valore della produzione

ROA = ROS RA
Il ROS definito dal rapporto fra margine operativo netto e valore della
produzione, ed una misura dellefficienza del processo produttivo, nel senso che
misura la percentuale del valore delloutput che non viene consumata dalla
remunerazione dei fattori produttivi (materie prime, lavoro, capitale

44

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

immobilizzato). Esso dipende in gran misura dalla capacit dellimpresa di


contenere i costi rispetto al valore del fatturato.
A sua volta, il ROS pu essere scomposto in diverse grandezze:

ROS =

MON
Valore della produzione

ROS = 1

Costi esterni + Costi del lavoro + Ammortamenti


Valore della produzione

Calcolare lincidenza dei costi esterni, del costo del lavoro e degli ammortamenti
sul valore della produzione pu quindi fornire ulteriori informazioni utili, in una
disaggregazione di secondo livello.
Il gross margin (GM) simile al ROS, ma invece del margine operativo netto
utilizza il margine operativo lordo:

GM =

MOL
Valore della produzione

Ovviamente risulta:

GM = ROS +

Ammortamenti
Valore della produzione

Il reddito netto percentuale (RNP) una ulteriore misura dellefficienza


dellimpresa, che per comprende anche la gestione finanziaria e straordinaria
dellimpresa oltre a quella caratteristica operativa, e riguarda quindi gli azionisti.

RNP =

Utile netto
Valore della produzione

45

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Lindice di rotazione dellattivo (RA) definito dal rapporto fra valore della
produzione e capitale investito, ed una misura di produttivit del capitale, nel
senso che rileva la capacit dello stock di risorse dellimpresa di generare un output
il cui valore pi o meno elevato. Imprese con indice RA basso sono spesso
societ capital intensive, ovvero societ operanti in business in cui sono necessari
investimenti elevati in tecnologia, infrastrutture, reti (si pensi alle
telecomunicazioni, piuttosto che alla farmaceutica). Imprese con indice RA elevato
sono invece identificate come societ labour intensive nel senso che gran parte
del valore aggiunto della produzione deriva dal costo di trasformazione delle
materie prime attraverso il lavoro (e non il capitale tecnologico e gli impianti).
Lenfasi che molte imprese pongono sullessere snelle e quindi sul contenimento
di scorte, crediti e investimenti, va proprio nella direzione di migliorare la
redditivit attraverso lindice RA.
Lindice di rotazione dellattivo evidentemente condizionato dalla composizione
delle risorse di bilancio necessarie per generare il fatturato. Pu quindi essere
scomposto esaminando levoluzione del capitale circolante netto (CCN) e del
capitale circolante netto operativo (CCNO), cos come definiti nel paragrafo
precedente.
Tre misure disaggregate di secondo livello della rotazione delle risorse sono il
tempo medio di incasso dei crediti commerciali, il tempo medio di pagamento dei
debiti commerciali e la giacenza media delle rimanenze. Ottimizzare questi indici
vuol dire migliorare lefficienza dellimpresa, attraverso la sua capacit di generare
un certo reddito immobilizzando meno risorse in crediti e scorte.
Lindice di rotazione dei crediti commerciali (RC) definito come:

RC =

Crediti commerciali
360 giorni
Fatturato

Esso rappresenta, sulla base dellanno commerciale di 360 giorni, il tempo medio
di liquidazione dei crediti commerciali vantati dallimpresa.
Affermare che unimpresa ha un indice di rotazione dei crediti pari a 60 giorni,
equivale ad affermare che in media nel Bilancio della societ i crediti commerciali
46

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

ammontano durante lanno a 1/6 del fatturato, ovvero che mediamente limpresa
riscuote i suoi crediti dopo due mesi.
Analogamente pu essere definito un indice di rotazione dei debiti commerciali
(RD), rispetto al costo del venduto:

RD =

Debiti commerciali
360 giorni
Costo del venduto

Linteresse dellimpresa dovrebbe essere quello di ridurre quanto pi possibile la


rotazione dei crediti e ritardare la rotazione dei debiti, con lobiettivo di
salvaguardare la disponibilit di cassa. Ovviamente senza per pregiudicare
loperativit, e quindi senza rischiare di perdere clienti o fornitori.
Lindice di rotazione delle rimanenze (RR) rappresenta il tempo medio di
permanenza a magazzino delle rimanenze di materie prime e di prodotto finito:

RR =

Rimanenze
360 giorni
Costo del venduto

Affermare che unimpresa ha un indice di rotazione delle rimanenze pari a 90


giorni, equivale ad affermare che in media nel Bilancio della societ le scorte
ammontano durante lanno a 1/4 degli acquisti, ovvero che mediamente limpresa
mantiene in magazzino le scorte per tre mesi.
La somma algebrica dei tre diversi indici di rotazione esprime il ciclo di
conversione della cassa (CCC):
CCC = RC RD + RR
Esso rappresenta il tempo che mediamente trascorre fra listante di pagamento
delle merci che limpresa acquista, e listante in cui essa incassa le fatture relative
al prodotto ottenuto dalla trasformazione delle materie prime stesse. Si tratta di un

47

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

parametro molto importante per la gestione della tesoreria di cassa e degli


affidamenti bancari.

Esempio

Una societ a fine anno registra i seguenti dati contabili:


- fatturato pari a 360;
- crediti commerciali a bilancio per 75;
- debiti commerciali a bilancio per 50;
- scorte a magazzino per 20;
- costo della produzione venduta: 200.
Possiamo calcolare gli indici di rotazione di crediti, debiti e scorte:
RC =

Crediti commerciali
75
360 =
360 = 75 giorni
Fatturato
360

RD =

Debiti commerciali
50
360 =
360 = 90 giorni
Costo del venduto
200

RR =

Rimanenze
20
360 =
360 = 36 giorni
200
Costo del venduto

CCC = RC RD + RR = 75 90 + 36 = 21 giorni
Dunque il ciclo di conversione della cassa per limpresa pari a 21 giorni.
2.3.3 Indici di liquidit e indici patrimoniali
Gli indici di liquidit segnalano la capacit dellimpresa di far fronte ai propri
impegni di cassa nel breve periodo. La verifica della liquidit importante, perch
un eventuale sbilancio fra entrate di cassa (determinate dalle attivit correnti, come
depositi a breve scadenza o crediti di breve periodo) e uscite di cassa (causate dalle
passivit correnti, come debiti a finanziari a breve termine o debiti commerciali)
costringerebbe limpresa a dismettere investimenti o cedere immobilizzazioni
sostenendo dei costi - per raccogliere la liquidit necessaria. Al contrario,
unelevata liquidit in eccesso potrebbe essere investita a tassi di rendimento pi
elevati rispetto alla remunerazione di conto corrente.

48

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Il quoziente di liquidit corrente (CR, current ratio) cos definito:


Attivit correnti
Passivit correnti

CR =

Un basso valore dellindice, inferiore a 1, segnala che le attivit correnti non


coprono il fabbisogno di liquidit nel breve termine. In altre parole, segnala che
limpresa potrebbe essere insolvente nel breve periodo, poich deve ad esempio
pagare un debito commerciale, o rimborsare capitale, senza disporre per della
liquidit necessaria.
Una misura simile il quoziente secco di liquidit (QR, quick ratio, o acid test),
che non considera le rimanenze di magazzino come fonte di liquidit immediata:
Attivit correnti - Rimanenze
Passivit correnti

QR =

Una terza misura ancora pi severa delle precedenti il quoziente di liquidit


immediata (IR, instant ratio), che tiene conto esclusivamente delle attivit di
immediata liquidazione:

IR =

Cassa + Titoli a breve termine


Passivit correnti

Gli indici patrimoniali infine sono delle statistiche relative alla struttura finanziaria
dellimpresa e allequilibrio fra capitale proprio e capitale di terzi.
Un indice patrimoniale gi considerato il leverage D/E dellimpresa, ovvero il
rapporto fra capitale di terzi (debito finanziario) e patrimonio netto (equity):

D/E =

Capitale di terzi
Patrimonio netto

49

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

La stessa informazione pu essere riassunta nellindice di composizione degli


impieghi, definito alternativamente dai rapporti fra capitale di terzi e totale delle
attivit, e patrimonio netto e totale delle attivit.

Il punto

I pi comuni indici di redditivit sono il ROE (return on equity) e il ROI (return on


investment), che sono legati fra loro dalla relazione della leva finanziaria. Possono
essere ulteriormente scomposti in indici di rotazione delle risorse (attraverso
lindice RA) e margini di costo rispetto al valore della produzione (attraverso
lindice ROS).
Gli indici di liquidit e gli indici patrimoniali misurano rispettivamente lequilibrio
delle uscite ed entrate di cassa nel breve termine, e la composizione del capitale
dellimpresa, distinto fra capitale proprio e capitale di terzi.
Lanalisi di bilancio effettuata attraverso la riclassificazione delle poste contabili e
la sintesi degli indici offre una visione globale dellandamento dellimpresa. I suoi
pregi sono nellimmediatezza e nella completezza, mentre i suoi limiti sono nello
scarso orientamento al lungo termine, dal momento che il Bilancio riporta dati
passati di consuntivo dellimpresa, o al pi presenti, senza riferimento al futuro.
Inoltre, il Bilancio non in grado di dare informazioni disaggregate adeguate
sullattivit delle diverse funzioni, aree di business e divisioni allinterno
dellimpresa.
Un altro limite rilevante la frequente non correlazione fra valori iscritti a bilancio
delle risorse dellimpresa e valore di mercato delle risorse stesse. In altre parole, le
informazioni fornite dallanalisi di bilancio spesso non fanno riferimento
esplicitamente alla vera ricchezza delle attivit dellimpresa. Molte volte, non
sono nemmeno in grado di indicare quali sono le fonti del suo vantaggio
competitivo.
Lesempio seguente riassume quanto abbiamo visto sulla riclassificazione e analisi
di bilancio.

50

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Esempio
Di seguito sono riportati i bilanci annuali semplificati di unimpresa, in due esercizi
contabili successivi. Lobiettivo quello di analizzare i documenti attraverso gli
indici reddituali, patrimoniali e di liquidit (sapendo che in genere un quarto dei
debiti finanziari a bilancio sono a breve scadenza).
Attivo di Stato Patrimoniale 31/12/06 31/12/07 Passivo di Stato Patrimoniale 31/12/06 31/12/07
Immobilizzazioni nette
400
420
Capitale Sociale
300
300
Cassa e liquidit
80
100
Riserve e utile desercizio
50
80
Rimanenze
50
50
Fondo TFR
40
30
Crediti commerciali
90
110
Debiti commerciali
40
40
Ratei e risconti attivi
10
5
Debiti finanziari
200
235
Totale attivo
630
685
Totale passivo
630
685
Conto Economico
Valore della produzione
Costi esterni
Costo del lavoro
Ammortamenti
Proventi finanziari
Oneri finanziari
Imposte
Utile netto

2006
370
(90)
(100)
(60)
10
(20)
(40)
70

2007
430
(100)
(120)
(65)
10
(25)
(45)
85

utile ricostruire alcuni saldi impiegati negli indici:


Saldi
Patrimonio netto
Margine operativo netto
Debiti finanziari a breve
Capitale circolante netto
Capitale investito netto
Posizione finanziaria netta

Esercizio 2006
350
120
50
140
470
120

Esercizio 2007
380
145
58,75
166,25
515
135

51

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Nella seguente Tabella vengono riassunti i risultati dellanalisi degli indici definiti
nelle pagine precedenti:
Indici:
Esercizio 2000
ROE (return on equity)
20,0%
ROI (return on investments)
25,5%
ROA (return on assets)
19,0%
ROS (return on sales)
32,4%
Costi esterni / Valore della produzione
24,3%
Costi del lavoro / Valore della produzione
27,0%
Ammortamenti / Valore della produzione
16,2%
RA (rotazione dellattivo)
0,587
QR (quick ratio)
2,00
D/E (leverage)
57,1%
r (remunerazione media del debito)
10,0%

Esercizio 2001
22,4%
28,1%
21,2%
33,7%
23,2%
27,9%
15,1%
0,628
2,18
61,8%
10,6%

I commenti che si possono trarre sono i seguenti:


-

la redditivit dellimpresa migliorata, grazie in particolare al miglioramento


della gestione operativa, riferito sia allefficienza nei costi sia alla produttivit
del capitale;
il contenimento dei costi legato in particolare alla gestione dei costi esterni e
degli ammortamenti; lincidenza dei costi del lavoro sul margine operativo
invece aumentata;
la migliore produttivit del capitale stata evidente nel contenimento delle
rimanenze, nonostante lincremento del fatturato;
la liquidit dellimpresa buona nel breve termine ed ulteriormente
migliorata;
lincremento percentuale del debito, pur se accompagnato da un lieve rialzo
della sua remunerazione media (che comunque rimane ben inferiore alla
redditivit del capitale investito), ha consentito di sfruttare la leva finanziaria
contribuendo allincremento della redditivit per gli azionisti.

52

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

2.4 Il Bilancio Consolidato


Vi sono diversi casi in cui la dimensione economica dellimpresa non coincide con
i suoi confini giuridici. Lesempio pi rilevante quello dei gruppi di imprese. Un
gruppo di imprese pu essere definito come un insieme di societ giuridicamente
indipendenti ma connesse da legami azionari, e sottoposte alla medesima direzione
unitaria.

Il segnalibro

Determinanti e conseguenze della formazione dei gruppi di imprese sono discusse


nel Volume Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 6, Paragrafo 6.4.
In particolare, possiamo distinguere fra:
a) gruppi di imprese piramidali o gerarchici: in questo caso individuabile una
societ capo-gruppo (holding) che controlla a cascata diverse societ operative,
possedendone in maniera diretta o indiretta (attraverso societ sub-holding) la
maggioranza del capitale votante;
b) gruppi associativi: in questo caso le societ sono legate da partecipazioni
azionarie reciproche, e non individuabile una societ capogruppo, quanto
invece un centro di coordinamento (spesso una societ finanziaria).
Dal punto di vista economico, il gruppo di imprese simile alle divisioni di una
singola societ, ma dal punto di vista del diritto societario le due situazioni sono
molto diverse. Nel caso della societ multi-divisionale il bilancio dimpresa
considera tutte e solo le transazioni che avvengono nei confronti dellesterno, senza
riferimenti alle transazioni fra le singole divisioni. Nel caso del gruppo ogni societ
avr un proprio bilancio, dal quale non facile distinguere, se non attraverso
eventuali informazioni dalla Nota Integrativa, le transazioni infra-gruppo da quelle
condotte con lambiente esterno.
Per superare questa difficolt, i gruppi sono tenuti (D.L. 127/1991) a redigere
anche un Bilancio Consolidato. In passato, la diffusione del Bilancio Consolidato
era facoltativa, ed eventualmente sollecitata dalla CONSOB per le societ quotate
in Borsa. Oggi, solo i gruppi di piccola dimensione (con attivo totale di bilancio

53

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

inferiore a 5 milioni di euro, fatturato aggregato inferiore a 10 milioni euro e meno


di 250 dipendenti), non sono tenuti a presentare il Bilancio Consolidato.
Dal 2005 le societ quotate in Borsa sono obbligate a redigere il Bilancio
Consolidato secondo i principi contabili internazionali (per i quali valgono i criteri
descritti nel precedente Paragrafo 2.1.5).

Il punto

Il Bilancio Consolidato di una societ capogruppo aggrega nello Stato Patrimoniale


Consolidato e nel Conto Economico Consolidato le poste contabili delle societ
controllate e partecipate appartenenti allo stesso gruppo, come se fossero divisioni
di una stessa grande azienda.
Il Bilancio Consolidato per la verit non si riferisce ad un gruppo, ma ad una
singola societ capogruppo, nella quale vengono inglobati i bilanci delle societ
da essa controllate a valle, che definiscono il perimetro di consolidamento. Nello
stesso gruppo, vi possono essere dunque pi bilanci consolidati, riferiti alle diverse
societ holding e sub-holding. Il controllo viene definito sulla base della
disponibilit della maggioranza dei voti in assemblea, o comunque dellesercizio di
una influenza dominante sulla societ partecipata. I gruppi creditizi e assicurativi
sono soggetti ad un regime particolare, essendo sottoposti alla vigilanza
rispettivamente della Banca dItalia e dellISVAP.
Il consolidamento del bilancio si fonda su alcuni principi contabili:
a) larmonizzazione dei principi contabili adottati nella redazione dei singoli
Bilanci (ad esempio la valuta di riferimento nel caso ci siano consociate
straniere, il periodo considerato, i criteri di valutazione delle scorte, );
b) leliminazione dai Bilanci delle transazioni infra-gruppo di natura
commerciale, patrimoniale e finanziaria; come nel Bilancio non figurano le
transazioni fra le diverse divisioni nellimpresa, cos nel Bilancio Consolidato
non devono figurare le transazioni fra le imprese incluse nellarea di
consolidamento;

54

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

c) lo Stato Patrimoniale Consolidato si ottiene aggregando i corrispondenti bilanci


dimpresa delle societ incluse nel perimetro di consolidamento, salvo elidere
nel passivo il patrimonio netto delle societ consolidate contro la
corrispondente voce nelle attivit, iscritte sotto le partecipazioni; laddove
emergano delle differenze, fra quota del patrimonio netto e valore contabile di
bilancio della partecipazione, esse generano delle riserve (se positive) o
differenze (se negative) di consolidamento. Si pu procedere in due modi: (i)
aggregando indistintamente tutte le attivit, salvo evidenziare nel Passivo la
quota del patrimonio di competenza della capogruppo e quella invece di
competenza di altri azionisti (integrazione globale), oppure (ii) aggregare le
attivit proporzionalmente alla percentuale di possesso vantata dalla
capogruppo (integrazione proporzionale). Nel primo caso il pi diffuso lo
Stato Patrimoniale Consolidato raggruppa tutte le attivit del gruppo, anche se
la capogruppo non ne detiene la totalit del capitale; questa pratica rispecchia
la teoria della capogruppo (parent company theory) secondo cui il Bilancio
Consolidato rappresenta unestensione dei conti della capogruppo su tutte le
attivit e passivit delle controllate. Nel secondo caso utilizzato pi che altro
per societ in cui la capogruppo detiene il controllo congiuntamente con altre
imprese, come nel caso delle joint ventures le attivit sono riportate solo
proporzionalmente alla frazione del capitale posseduto dalla capogruppo;
questa pratica si ispira invece alla teoria del possesso (proprietary theory) che
assume che le attivit e le passivit ricomprese nel Bilancio Consolidato siano
solo quelle attribuibili agli interessi della capogruppo;
d) il Conto Economico Consolidato si ottiene aggregando tutti i flussi dei conti
delle singole imprese, come detto eliminando tutti gli effetti delle transazioni
infragruppo (come se fossero transazioni interne allazienda, che infatti non
vengono riportate nel Bilancio dImpresa);
e) le societ solo partecipate ma non controllate dalla capogruppo, e quindi non
incluse nel perimetro di consolidamento, vengono consolidate attraverso il
metodo del patrimonio netto: semplicemente, si sostituisce al valore contabile
di carico della partecipazione la corrispondente frazione del patrimonio netto

55

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

(al pi uneventuale differenza positiva o negativa fra i due valori determina


una differenza, o riserva, di consolidamento).

Esempio
Si tratta di costruire il Bilancio Consolidato della societ A, che controlla
direttamente la societ B e indirettamente la societ C (si veda la Figura 2.4). Dai
dati di Bilancio, effettuate le opportune rettifiche di armonizzazione dei principi
contabili e di elisione delle transazioni infragruppo di cui ai punti a) e b)
precedenti, sono ricavati i seguenti dati:
Attivo Stato Patrimoniale A
Partecipazioni in B e C
50
Altre attivit
350
Totale attivo
400

B
20
120
140

Conto Economico
Valore della produzione
Costi della produzione
Proventi e oneri finanziari
Proventi e oneri straordinari
Imposte
Utile netto

A
120
(20)
(30)
(30)
40

C
80
80

Passivo Stato Patrimoniale


Patrimonio netto
Altre passivit
Totale passivo

B
90
(50)
(10)
(10)
(5)
15

A
B
250 60
150 80
400 140

C
40
40
80

C
40
(20)
(8)
12

Figura 2.4 La struttura di gruppo dellesempio.


70%

60%

Poich le societ B e C sono controllate dallimpresa A con la maggioranza


assoluta dei voti in assemblea si applica il metodo dellintegrazione globale.

56

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Si tratta di aggregare i tre bilanci sotto quello della capogruppo A. Bisogna per
elidere le partecipazioni infragruppo, contro la corrispondente frazione del
patrimonio netto:
Valore contabile partecipazione di A in B: 50
Frazione di competenza del patrimonio netto: 70% (60) = 42
Differenza di consolidamento nel bilancio della societ A: 50 42 = 8
Valore contabile partecipazione di B in C: 20
Frazione di competenza del patrimonio netto: 60% (40) = 24
Riserva di consolidamento nel bilancio della societ B: 24 20 = 4
Riserva di consolidamento attribuibile alla societ A: 70% (4) = 2,8
La somma delle attivit diverse dalle partecipazioni infragruppo entrer nellAttivo
di Stato Patrimoniale Consolidato, cos come la somma delle passivit diverse dal
patrimonio netto comparir nel Passivo di Stato Patrimoniale Consolidato:
Attivit consolidate = 350 + 120 + 80 = 550
Passivit consolidate = 150 + 80 + 40 = 270
Bisogna inoltre individuare gli interessi degli azionisti terzi sulle societ
controllate, i quali evidentemente possiedono il 30% del capitale dellimpresa B e
il 40% del capitale dellimpresa C:
Patrimonio netto di competenza di terzi: 30% (60) + 40% (40) = 34
Possiamo costruire lo Stato Patrimoniale Consolidato:
Attivo Stato Patrimoniale Consolidato
Attivit
Differenza di consolidamento

A
550
8

Totale attivo

558

Passivo Stato Patrimoniale Consolidato


Patrimonio netto capogruppo
Patrimonio netto terzi
Altre passivit
Riserva di consolidamento
Totale passivo

A
250
34
270
4
558

Per quanto riguarda il Conto Economico Consolidato, avendo gi proceduto


alleliminazione dei costi e ricavi infragruppo, basta sommare le singole voci.
Lutile netto di competenza della capogruppo sar, oltre al proprio, la frazione di
competenza dellutile netto delle due controllate:
57

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Utile netto di competenza capogruppo: 40 + 70% (15) + 42% (12) = 55,54


Gli azionisti di minoranza saranno titolari della rimanente frazione del reddito:
Utile netto di competenza terzi: 30% (15) + 58% (12) = 11,46
Conto Economico Consolidato
Valore della produzione
Costi della produzione
Proventi e oneri finanziari
Proventi e oneri straordinari
Imposte
Utile netto
- di pertinenza capogruppo:
- di pertinenza terzi:

A
250
(90)
(40)
(10)
(43)
67 di cui:
55,54
11,46

Se per ipotesi avessimo voluto applicare invece il metodo dellintegrazione


proporzionale, nel Bilancio Consolidato non appariranno pi gli interessi di terzi
azionisti, e anche le attivit saranno rappresentate in maniera proporzionale,
guardando esclusivamente agli interessi della capogruppo. Il patrimonio netto
rimane quello della capogruppo. Verranno consolidate quindi le attivit e le
passivit della capogruppo, pi il 70% delle poste della societ B, pi il 42% (70%
60%) delle poste della controllata C:

Attivit consolidate: 350 + 70% (120) + 42% (80) = 467,6


Passivit consolidate: 150 + 70% (80) + 42% (40) = 222,8
Attivo Stato Patrimoniale Consolidato
Attivit
Differenza di consolidamento

A
467,6
8

Totale attivo

475,6

Passivo Stato Patrimoniale Consolidato A


Patrimonio netto
250
Altre passivit
222,8
Riserva di consolidamento
2,8
Totale passivo
475,6

Anche il Conto Economico Consolidato quindi terr conto solo dei flussi di
pertinenza della capogruppo (i propri, il 70% di quelli generati dalla societ B e il
42% di quelli generati dalla societ C). Lutile consolidato che apparir sar pari a
55,54 ovvero quello di pertinenza della capogruppo gi individuato:
58

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

Conto Economico Consolidato


Valore della produzione
Costi della produzione
Proventi e oneri finanziari
Proventi e oneri straordinari
Imposte
Utile netto

A
199,8
(63,4)
(37)
(7)
(36,86)
55,54

Applicando il metodo del patrimonio netto, sarebbe sufficiente iscrivere nello Stato
Patrimoniale della capogruppo le partecipazioni nelle controllate,
proporzionalmente al loro patrimonio netto ed evidenziando la differenza/riserva di
consolidamento:
Attivo Stato Patrimoniale
A
Partecipazioni in B e C
42
Altre attivit
350
Differenza di consolidamento 8
Totale attivo
400

B
24
120
144

C
80
80

Passivo Stato Patrimoniale


Patrimonio netto
Altre passivit
Riserva di consolidamento
Totale passivo

A
B
250 60
150 80
4
400 144

C
40
40
80

2.5 Il Bilancio Sociale


Abbiamo gi evidenziato che il Bilancio dImpresa riporta informazioni relative ai
diritti vantati sullimpresa da parte degli stakeholders, cio azionisti, creditori,

finanziatori, salariati. La dimensione dellimpresa non si riduce certamente a queste


categorie, ma investe una fascia ben pi ampia di soggetti, con i quali essa
interagisce (si pensi solo per fare un esempio alle comunit locali, in cui gli
stabilimenti aziendali sono localizzati, oppure allambiente circostante che viene
esso stesso modificato attraverso la presenza dellimpresa e delle sue infrastrutture,
oppure alle interdipendenze con fornitori e clienti).
Il Bilancio Sociale, che un numero crescente di imprese sta introducendo nei propri
documenti contabili, risponde proprio allesigenza di evidenziare il contributo che
limpresa offre allintera collettivit, attraverso le interdipendenze fra le scelte
dimpresa e i fattori economici, sociali e politici esterni. Il principio quello del

59

2. LE RISORSE E IL BILANCIO DIMPRESA

rendere conto (accountability) da parte dellimpresa della propria responsabilit


sociale.
La struttura del Bilancio Sociale non regolamentata dalla normativa, ma esistono
diversi standard. I pi adottati dalle imprese sono: (i) il modello AccountAbility
1000 (AA 1000), (ii) il modello Social Accountability 8000 (SA8000), (iii) il
modello Global Reporting Initiative (GRI), (iv) il modello proposto dal Gruppo
Comunit e Impresa, (v) il modello proposto dal Gruppo di Studio per il Bilancio
Sociale.
Nel Bilancio Sociale limpresa dichiara i principi etici e gli obiettivi sociali che
intende perseguire, in particolare nellambito della tutela della dignit umana, della
salute e dellambiente, della qualit del lavoro, della libert di associazione, dei
meccanismi di retribuzione, del rifiuto della discriminazione. Possono anche essere
stabiliti degli obiettivi quantitativi e qualitativi concreti (budget sociale).
Operativamente, viene proposta una riclassificazione del Conto Economico,
composta dal Prospetto di determinazione del valore aggiunto e dal Prospetto di
riparto del valore aggiunto. Nel primo documento viene riportato il saldo fra
valore della produzione e costi esterni. Nel secondo prospetto, viene descritto come
il valore aggiunto ottenuto venga suddiviso fra il personale, i creditori/finanziatori
e gli azionisti. Viene infine proposta una Relazione sociale che contiene la
descrizione qualitativa e quantitativa dei risultati che lazienda ha ottenuto in
relazione ai principi e agli obiettivi sociali assunti, non solo dal punto di vista
soggettivo dellimpresa ma anche attraverso la testimonianza di rappresentanti
esterni.

60

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

In questo capitolo viene affrontato il tema del controllo sulle risorse aziendali. Nel
precedente capitolo si evidenziato che il Bilancio rappresenta un rilevante
modello di analisi della generazione e del consumo di risorse dellimpresa derivanti
dalle transazioni fra lambiente esterno e limpresa stessa. Nulla in realt viene
riportato circa la funzione interna di trasformazione degli input produttivi in output,
e come essa si svolge. A tale carenza risponde il sistema interno di controllo di
gestione, e in particolare il controllo dei costi. Infatti, il controllo delle risorse si
basa sulla contabilit disaggregata interna che, a differenza della contabilit
aggregata esterna relativa al Bilancio, non sottoposta a particolari normative e
vincoli dettate dal diritto commerciale. Capire come il consumo delle risorse
associato al flusso produttivo, e come si trasforma in reddito, fondamentale, sia in
fase di pianificazione operativa, sia nella fase del controllo delle performance, e
quindi di rimodulazione delle scelte di investimento.
3.1 I costi aziendali
Lutilit delle risorse aziendali corrisponde ad un consumo oneroso delle risorse
stesse, dallinizio alla fine del ciclo industriale. La monetizzazione, o valore, di tale
consumo rappresenta linsieme dei costi aziendali. Questa definizione rispecchia la
convenzione della contabilit per assorbimento, secondo cui il valore dei prodotti
in corso di lavorazione (WIP, work in progress) incorpora linsieme delle risorse
consumate fino a quel momento nel ciclo produttivo, e solo nellistante della
vendita assume un valore (il fatturato) correlato al prezzo di vendita.
In particolare, possibile distinguere i costi fra:
1) costi diretti di produzione: si tratta dellimpiego di risorse che sono
direttamente associabili allattivit produttiva, e in pi ad uno specifico
lotto/unit di produzione; di solito si usa distinguere fra costo delle materie
prime e costo del lavoro diretto (ovvero il costo della manodopera impiegata);
la prima risorsa viene in genere acquisita allesterno dellimpresa, la seconda
viene fornita in genere da salariati interni allimpresa;
61

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

2) costi indiretti di produzione (overheads): si tratta del consumo di risorse


sempre associabili al flusso produttivo ma non direttamente ad uno specifico
lotto/unit di produzione. Gli overheads, cos come i costi diretti, vengono
classificati come costi inventariabili: ci vuol dire che il valore delloutput in
fase di lavorazione assorbe non solo costi di tipo diretto, ma anche costi
indiretti. La somma di costi del lavoro diretto e overheads viene indicata come
costo di conversione;
3) costi di periodo: si tratta del consumo di risorse non associabili allattivit
produttiva, ma ad attivit di supporto (ad esempio costi amministrativi, spese di
marketing, spese di ricerca e sviluppo); i costi di periodo sono classificati come
non inventariabili, e non concorrono alla valorizzazione delloutput nella fase
di lavorazione, e quindi alla determinazione del costo del venduto; al contrario,
vengono imputati direttamente a conto economico senza transitare attraverso la
contabilit per assorbimento.
Lattribuzione dei costi inventariabili (diretti e indiretti) ad un output determina il
costo pieno industriale (CPI) di un prodotto. Lattribuzione, in aggiunta, dei costi
di periodo non inventariabili determina il costo pieno aziendale (CPA). La Figura
3.1 riassume le definizioni introdotte.
Figura 3.1 Tassonomia dei costi dimpresa

Costo pieno aziendale (CPA)


Costo diretto di produzione
Costo delle materie prime

Costo del lavoro diretto

Overheads

Costo di conversione
Costo pieno industriale (CPI) = Costo inventariabile

62

Costi di periodo

Costo
non inventariabile

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

3.1.1 La funzione di costo dellimpresa


Affinch limpresa possa pianificare e gestire le proprie attivit, necessario che
essa conosca la propria funzione di costo, ovvero bisogna capire da cosa dipendono
i costi individuati nella Figura 3.1.
Spesso si usa distinguere fra:
1) costi variabili; si tratta di costi il cui ammontare totale CV dipende linearmente
dal volume produttivo Q, e il cui costo unitario Cu quindi costante perlomeno
nel breve periodo (risulta CV = Cu Q);
2) costi fissi; si tratta dei costi CF che invece non dipendono dal volume
produttivo Q.
Sotto questa distinzione, i costi totali C dellimpresa (si deva la Figura 3.2) sono
rappresentati dalla seguente funzione:
C = CV + CF = Cu Q + CF
Figura 3.2 Funzione di costo lineare dellimpresa, rispetto al volume produttivo Q.

C = CV + CF
CV = Cu Q
CF

Nella realt, questa distinzione approssimativa, e vale solo in contesti poco


mutevoli (ad esempio, a tecnologia data e a volumi produttivi stazionari). Nel

63

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

lungo periodo, la capacit produttiva cambia contestualmente al rinnovo del parco


macchine e impianti, cos come la tecnologia subisce delle discontinuit legate a
innovazioni radicali, e quindi non accettabile definire un costo unitario costante.
Un esempio della possibile non linearit dei costi aziendali rispetto al volume
produttivo la presenza di economie di scala.
Parliamo di economie di scala se il costo aggregato di produzione di una quantit di
prodotto Q minore della somma dei costi di produzione separata delle quantit Q1
e Q2, con Q1 + Q2 = Q:
C(Q) < C(Q1) + C(Q2)

con

Q1 + Q2 = Q

In altre parole, in una attivit produttiva caratterizzata da economie di scala il costo


medio di produzione AC (pari al rapporto fra C e Q) una funzione decrescente
della quantit Q (si veda la Figura 3.3). Il livello delloutput oltre il quale la
riduzione dei costi medi AC non pi significativa viene individuato come DOM
(domanda ottima minima) e rappresenta il traguardo del volume produttivo al di
sotto del quale le economie di scala possono generare consistenti risparmi
marginali di risorse allincremento di Q.
Figura 3.3 Le economie di scala: costo totale C e costo medio AC in funzione di Q

C, AC

AC =

DOM

64

C
Q

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Le determinanti delle economie di scala possono essere diverse. Si parla di


economie di scala pecuniarie laddove la riduzione dei costi medi AC associata a
risparmi nel costo di approvvigionamento delle risorse (materie prime
essenzialmente, ma anche impianti, tecnologie, lavoro); ad esempio, imprese di
maggiore dimensione produttiva possono vantare un potere contrattuale maggiore
verso i propri fornitori, e quindi spuntare condizioni migliori. Si parla invece di
economie di scala reali laddove al crescere del livello produttivo migliora la
produttivit delle risorse stesse. Ad esempio, la produttivit degli impianti di molte
tecnologie di processo (acciaierie, cementifici, impianti chimici) cresce pi che
linearmente rispetto alla quantit di output. In questi tipi di impianti ben nota dal
punto di vista empirico la regola dei 2/3 in base alla quale i costi totali degli
impianti stessi crescono nella proporzione appunto di 2/3 rispetto alla crescita del
volume produttivo, con una riduzione quindi dei costi medi. Ci dovuto in genere
al fatto che il costo di un impianto di processo, pi che al volume di output,
proporzionale alla superficie di sezione della pipeline, e geometricamente la
superficie di un solido di un ordine di grandezza inferiore rispetto al volume.
Quando le economie di scala in un determinato settore sono verificate per ogni
possibile partizione delloutput produttivo, si in presenza di un monopolio
naturale (ad esempio la rete di distribuzione dellenergia, oppure la rete
telefonica); in tale situazione efficiente che vi sia un unico operatore sul mercato
( impensabile infatti che ogni gestore telefonico, ad esempio, installi una propria
rete accanto a quella degli altri concorrenti).
Parliamo invece di economie di multiprodotto se il costo aggregato di produzione
di due lotti di prodotti diversi, QA e QB, minore della somma dei costi di
produzione separata dei due prodotti A e B:
C(QA;QB) < C(QA)+C(QB)
Le determinanti delle economie di multiprodotto sono in genere la possibilit di
sfruttare sinergie produttive nel consumo di materie prime, di energia o di altre
risorse condivise.

65

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Per le economie di scopo vale una condizione diversa, secondo cui pu essere
efficiente produrre congiuntamente A e B (in una quantit determinata dalla
combinazione lineare fra QA e QB) piuttosto che produrre singolarmente la quantit
QA o la quantit QB (si veda la Figura 3.4):
C(QA; (1 )QB) < C(QA)

C(QA; (1 )QB) < C(QB)

0<<1

Le determinanti delle economie di scopo sono le stesse delle economie di


multiprodotto, con un effetto ancora pi dirompente sullabbattimento dei costi.
Figura 3.4 Le economie di scopo: costo totale C in funzione di QA e QB.
C

C(QB)

C(QA)
C(QB)

C(QA)

QB
C(QA; (1 )QB)
(1)QB

QA

QA

Infine, parliamo di economie di apprendimento se il costo pieno industriale (CPI)


di un prodotto una funzione decrescente del volume cumulato produttivo

Q (si

veda la Figura 3.5). In tal caso, col passare del tempo, si assiste ad una progressiva
riduzione del costo di produzione (curva di esperienza): la dinamica
dellapprendimento consente di rendere sempre pi efficiente il processo
produttivo, ad esempio attraverso la riduzione dei tempi di produzione e degli
scarti. Il miglioramento delle prestazione in genere pi evidente nella fase

66

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

iniziale, mentre successivamente i margini di miglioramento dellefficienza


diventano sempre pi esigui.
Figura 3.5 Le economie di apprendimento: costo unitario CPI in funzione della quantit
di produzione cumulata (curva di esperienza).

CPI

CPI

Q
Lesistenza di economie di apprendimento stata confermata empiricamente in
diversi settori, nei quali stato osservato che il costo di conversione per unit di
prodotto si riduce secondo una percentuale costante, normalmente compresa fra il
20% e il 30%, ogni volta che la produzione cumulata raddoppia.

Il punto

Il controllo delle risorse si basa sullindividuazione della funzione di costo che lega
gli input agli output produttivi. In prima approssimazione, questa funzione pu
essere ritenuta lineare rispetto alla quantit di output prodotto Q distinguendo fra
costi fissi e costi variabili, ma spesso non si pu trascurare la presenza di economia
di scala, economie di scopo, economie di multiprodotto o economie di
apprendimento.
Percorrere la curva di esperienza nel pi breve tempo possibile (o perlomeno prima
della concorrenza) lobiettivo delle imprese che sfruttano economie di
67

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

apprendimento. Per questo, esse tendono a conquistare immediatamente una quota


di mercato dominante (anche attraverso ingenti investimenti e politiche aggressive
di marketing), con lo scopo di ottenere una produzione aggregata maggiore rispetto
ai competitori in un tempo pi contenuto, e quindi i ridurre i costi medi.
3.2 Le tecniche di costing
Le tecniche di costing consentono di quantificare il consumo di risorse aziendali
nellambito del processo produttivo, e quindi in individuare il costo di un
determinato output. Questa operazione pu essere fatta ex ante, in sede di
pianificazione delle risorse (e quindi nella determinazione dei costi standard teorici
del prodotto), sia ex post in sede di controllo di risultati (e quindi nella
determinazione dei costi effettivi assorbiti dal prodotto). In altre parole, si tratta di
prevedere quante e quali risorse assorbe la produzione di un bene, e di verificare se
il consumo effettivo stato poi in linea con le aspettative (e in caso contrario per
quali motivi, affinch si possa correggere il problema). Tale informazione
decisamente rilevante nel caso delle imprese multiprodotto, laddove necessario
prendere delle decisioni su quali prodotti realizzare e in quale mix.

Lattribuzione dei costi diretti facile in contesti laddove semplice associare


alloutput un insieme di risorse specifiche, ma diventa complesso laddove non sono
identificabili dei singoli lotti di lavorazione, nel loro passaggio attraverso la catena
produttiva. Nel primo caso, si pu procedere allidentificazione certa delle risorse
consumate (metodo dellidentificazione specifica), nel secondo caso necessario
formulare alcune ipotesi. Le pi note sono tre:

metodo FIFO;

metodo LIFO;

metodo del costo medio ponderato.


Il metodo FIFO (first in first out) ipotizza che le risorse consumate per prime siano
le prime immesse a magazzino, e cio quelle che sono rimaste a magazzino per pi
tempo. Limmagine associata (si veda la Figura 3.6) quella di un processo
produttivo a tubo nel quale la sequenza di impiego delle materie prime la stessa
di ingresso nellimpresa.

68

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE


Figura 3.6 Metodi di contabilizzazione FIFO e LIFO.

Materie prime
in ingresso

Materie prime
in ingresso

Materie prime
in uscita

FIFO
LIFO
Materie prime
in uscita

Il metodo LIFO (last in first out) ipotizza invece che le risorse consumate per
prime siano le ultime stoccate a magazzino, e cio quelle che sono rimaste a
magazzino per meno tempo. Limmagine associata (si veda ancora la Figura 3.6)
quella di un prelievo da bidone in cui le ultime risorse in ingresso sono anche le
prime ad essere impiegate.
Il metodo LIFO viene spesso impiegato dalle imprese, poich in caso di prezzi di
acquisto delle materie prime crescenti nel tempo, consente di ottenere risparmi
fiscali. Infatti, ipotizzare che le risorse consumate per prime siano le ultime
arrivate, equivale a gonfiare i costi di produzione, e quindi a ridurre lutile di
Conto Economico e le relative imposte, solo per una semplice convenzione
contabile. Alla stessa maniera, ci equivale a comprimere il valore delle risorse a
magazzino, e quindi il valore delle risorse dellAttivo di Stato Patrimoniale (a
spese sempre dellutile di bilancio).
Spesso per non facile mantenere una contabilit dei singoli lotti di materiale
giunti in magazzino nel passato, e quindi prassi utilizzare una versione
semplificata del metodo LIFO, ovvero il metodo LIFO a scatti. In tal caso, alla
chiusura di ogni esercizio il valore delle rimanenze viene contabilizzato ad un
prezzo medio di acquisizione, senza distinzione fra i lotti esistenti. La memoria
del sistema quindi limitata ad un solo esercizio contabile.
In ultimo, il metodo del costo medio ponderato suggerisce di attribuire alle
rimanenze un valore medio, pesato dalla numerosit di ogni lotto immesso in
69

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

magazzino. In pratica, non si fa alcuna distinzione fittizia sullordine di ingresso e


uscita dal processo produttivo. La memoria del sistema addirittura si annulla ad
ogni nuovo stoccaggio nel corso dellesercizio contabile.

Esempio

Unimpresa registra questa serie di acquisti e prelievi da magazzino di materie


prime, ordinati nellarco di un periodo temporale:
Operazione:
Giacenza iniziale
Acquisto
Prelievo
Acquisto
Prelievo
Giacenza finale

Quantit
100
40
60
70
60
90

Valore unitario
5
5,2
5,25
??

Si tratta di determinare il valore delle rimanenze alla fine del periodo.


Adottando il criterio FIFO, chiaro che le 120 unit prelevate in totale saranno le
prime arrivate a magazzino, e quindi le 100 inizialmente in giacenza, pi 20 delle
40 immesse per prime.
Il costo C delle risorse impiegate sar quindi:
C = 100 5 + 20 5,2 = 604
Il valore R delle rimanenze finali sar invece determinato dalle rimanenti 20 unit
immesse e dalle 70 successivamente acquistate:
R = 20 5,2 + 70 5,25 = 471,5
Il valore unitario medio di magazzino sar pari a 471,5 / 90 = 5,239
Adottando il criterio LIFO, il ragionamento sarebbe diverso. Innanzitutto, al primo
prelievo di 60 unit si attingerebbe alle 40 appena acquistate, pi 20 di quelle
inizialmente in giacenza. A questo punto rimangono a stock 80 unit fra quelle
inizialmente esistenti, a cui se ne aggiungono 70 di nuovo acquisto. Il secondo
prelievo, di 60 unit, riguarderebbe proprio le ultime arrivate.

70

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Alla fine, rimangono a stock 80 unit fra quelle esistenti allinizio (con un valore
unitario di 5), pi 10 delle 70 acquistate al prezzo unitario di 5,25. Il valore delle
rimanenze finali dunque:
R = 80 5 + 10 5,25 = 452,5
Il valore unitario medio di magazzino (utile per applicare il metodo LIFO a scatti)
sarebbe 452,5 / 90 = 5,028.
Il valore delle risorse consumate invece:
C = 40 5,2 + 20 5 + 60 5,25 = 623
Si noti che la somma fra valore delle risorse impiegate e valore delle rimanenze
finali costante per entrambi i metodi contabili. Sotto la logica LIFO per si
ipotizza un valore delle risorse consumate pi elevato (e quindi si ottiene ceteris
paribus un minore utile di esercizio e quindi minori tasse), proprio in
corrispondenza di un incremento dei prezzi di acquisizione delle risorse. Si
richiama lattenzione sul fatto che lindividuazione contabile dei diversi lotti
prelevati fittizia, ed indipendente dalla provenienza reale (peraltro spesso
indistinguibile) dei prelievi fisicamente effettuati.
Adottando infine il criterio del costo medio ponderato, ad ogni acquisto viene
ricalcolato il valore unitario di carico. Dopo il primo approvvigionamento, esso
sar pari a (100 5 + 40 5,2) / 140 = 5,057
Dopo il primo prelievo, questo sar il valore delle 80 unit residue. Dopo il
secondo acquisto, il valore di carico delle rimanenze viene aggiornato, e sar pari
a: (80 5.057 + 70 5,25)/150 = 5,147
Sia il secondo prelievo sia la giacenza finale vengono valorizzate a questo costo.
Per quanto riguarda il valore totale delle risorse impiegate C e il valore delle
rimanenze R si ottiene:
C = 60 5,057 + 60 5,147 = 612,24
R = 90 5,147 = 463,23
Ovviamente questo terzo metodo fornisce risultati intermedi rispetto ai primi due,
dal momento che si ipotizza di prelevare in misura proporzionale fra tutte le
materie prime in giacenza.

71

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Tornando al problema di allocazione dei costi, nel caso dei costi indiretti e di
periodo, lattribuzione (detta anche ribaltamento) ancora pi problematica,
poich non solo necessario associare il consumo di risorse ad ogni lotto dello
stesso prodotto, ma addirittura a monte necessario allocare i costi ad ogni
tipologia di prodotto.
Idealmente, bisognerebbe stabilire una relazione sufficientemente oggettiva fra
consumo di risorse e singoli prodotti, ma questo non sempre possibile. Inoltre, il
costo della raccolta di informazioni necessarie per stabilire tale relazione potrebbe
essere superiore ai benefici potenziali del controllo.
Di frequente, si ipotizza che il consumo indiretto delle risorse sia proporzionale a
qualche driver osservabile, come ad esempio le ore di lavorazione macchina,
piuttosto che la manodopera impiegata, piuttosto che limpiego di materie prime.
Vi sono diverse tecniche di costing, che si differenziano proprio in base alle ipotesi
adottate a riguardo; le principali sono: (i) il job order costing, (ii) il process
costing, (iii) lactivity based costing.
3.2.1 Job order costing
La tecnica del job order costing richiede che per i costi diretti (cio costo delle
materie prime e del lavoro diretto) sia applicabile il metodo dellidentificazione
specifica. Esso pu essere utilizzato quindi in processi produttivi in cui possibile
isolare un determinato lotto delloutput (tipicamente imprese meccaniche, tessili,
elettroniche, ), e mantenere una registrazione accurata delle risorse di materie
prime e ore di manodopera assorbite, attraverso una scheda di rilevazione.
Per quanto riguarda invece il consumo indiretto di risorse, viene scelta una
opportuna base di allocazione proporzionale, ipotizzando implicitamente una
relazione lineare fra il consumo indiretto della risorsa e il consumo della risorsa
osservabile. La base di allocazione (ad esempio la quantit prodotta, piuttosto che
le ore di lavorazione diretta, o i costi diretti assorbiti) pu essere unica per tutte le
tipologie di costi indiretti, oppure differenziata. Il ribaltamento dei costi indiretti
sui singoli prodotti segue la regola:
Costi indiretti totali : costi indiretti ribaltati al prodotto X = Totale base di allocazione : Base attribuita a X
72

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Esempio
Una camiceria nellarco di un mese ha lavorato tre lotti di camicie cos distinti:
1) lotto A, composto da 60 camicie top quality;
2) lotto B, composto da 40 camicie stardard quality;
3) lotto C, composto da 50 camicette donna.
Il consumo di risorse registrato nei vari reparti il seguente:

Lotto A:
Lotto B:
Lotto C:

Consumo di stoffa (metri) Bottoni e filo (kg)


100
2
90
3
100
4

Costo della stoffa: 1,5 / metro


Costo di bottoni e filo: 80 cent / kg
Salario orario: 25 / ora per la cucitura
Costi impianto di tintura: 250
Costi energia elettrica nel reparto: 200

Ore cucitura
40
20
25

Ore ricamo
20
0
5

30 / ora per il ricamo

Per determinare il costo pieno industriale CPI dei tre lotti, necessario allocare i
costi diretti (stoffa, bottoni e filo, manodopera) ai tre lotti, e suddividere
proporzionalmente i costi indiretti scegliendo unopportuna base di allocazione. In
questo caso, sembra accettabile allocare gli overheads (ovvero i costi dellimpianto
di tintura e dellenergia elettrica) secondo i metri di stoffa lavorati.
100 1,5 + 2 0,8 + 40 25 + 20 30 + (250 + 200)
CPIA =

60
90 1,5 + 3 0,8 + 20 25 + (250 + 200)

CPIB =

40

90
100 + 90 + 100 = 19,43

100 1,5 + 4 0,8 + 25 25 + 5 30 + (250 + 200)

CPIC =

50

100
100 + 90 + 100 = 31,78

100
100 + 90 + 100 = 21,67

73

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Il valore del WIP pu essere determinato sulla base del CPI determinato (alle
camicie in giacenza verr attribuito un valore di carico unitario pari al costo pieno
industriale, ovvero al costo totale inventariabile, secondo il principio della
contabilit per assorbimento), mentre il costo pieno aziendale (CPA) pu essere
ottenuto suddividendo anche eventuali costi di periodo, non inventariabili, sui tre
lotti.
3.2.2 Process costing
Il process costing applicabile laddove non identificabile un lotto di produzione,
come ad esempio nei processi produttivi a flusso continuo (ad esempio sintesi di
prodotti chimici, cementifici, siderurgia). In tale situazione, lunica soluzione
possibile attribuire tutti i costi proporzionalmente alla quantit prodotta.
Loperazione particolarmente semplice se sia allinizio sia al termine del periodo
considerato non risultano in lavorazione dei semi-lavorati (WIP). Se tale ipotesi
non verificata, il process costing si basa sulla definizione di unit equivalente
(UE). Nellimpossibilit infatti di discriminare fra diversi lotti di produzione,
caratterizzati da un diverso grado di lavorazione, si ipotizza in maniera fittizia che

nellarco temporale considerato loutput del processo produttivo sia stato relativo
solo ad unit di prodotto finito. In altre parole, si determina il numero di unit
equivalenti di prodotto finito che il consumo di risorse rilevato nel periodo
avrebbe generato. A tal fine si introduce il concetto di grado di completamento
(), compreso fra 0% e 100%, che indica la percentuale di completamento medio
del processo di lavorazione subito dai semi-lavorati. Lipotesi implicita che
lassorbimento di risorse nel corso della produzione sia progressivo e lineare,
dallinizio alla fine.
Supponiamo che allinizio del periodo risultino in lavorazione N1 unit di prodotto,
con un grado di completamento 1 e un valore di inventario pari a Cwip1
(coincidente con il valore delle risorse assorbite nel passato dal WIP), e alla fine
del periodo risultino usciti dalla catena produttiva N unit di prodotto, e ancora in
lavorazione N2 unit con grado di completamento 2.

74

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Il calcolo delle unit equivalenti UE realizzate dipende dalla convenzione contabile


utilizzata (in genere si utilizza la logica FIFO, o quella del costo medio ponderato):
in particolare secondo la logica FIFO, si ipotizza che le unit di prodotto finito
vengano realizzate a partire da quelle in corso di lavorazione allinizio del periodo,
mentre, al contrario, secondo la logica del costo medio ponderato come se
semilavorati iniziali e materie prime immesse durante il periodo concorrano
proporzionalmente alla realizzazione del prodotto finito.
Nella logica FIFO, le unit equivalenti sono pari al prodotto finito realizzato nel
periodo, pi quello ancora in lavorazione e solo parzialmente completato, al netto
di quello esistente in lavorazione all'inizio del periodo, che gi aveva assorbito
delle risorse:
UE = N + 2 N2 1N1
Il costo del prodotto CPI realizzato nellarco del periodo si determina suddividendo
i costi totali C (costi di materie prime, lavoro diretto e overheads) registrati nel
periodo considerato sul numero di unit equivalenti realizzate:

CPI =

C
UE

Coerentemente con questo procedimento il CPI calcolato sar uguale per tutte le
unit completate.
Il valore del WIP in lavorazione alla fine del periodo Cwip2 e delle scorte di
prodotto finito Cpf realizzato nel periodo saranno cos valorizzati:
Cwip2 = CPI 2 N2
Cpf = C + Cwip1 Cwip2 = Cwip1 + CPI (1 1) N1 + CPI (NN1)
Le unit ancora in lavorazione nella logica FIFO come se fossero state iniziate
durante il periodo, e quindi hanno assorbito solo il valore delle risorse immesse nel

75

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

periodo. Il valore della produzione invece dipende sia dal valore delle risorse in
lavorazione allinizio del periodo, sia dal valore delle risorse immesse (che hanno
completato le unit in lavorazione, e hanno contribuito a crearne di nuove), al netto
di quelle rimaste in produzione alla fine del periodo. Esso pu essere indicato
anche come il valore della produzione completata durante il periodo (che
comprende il WIP iniziale, pi le risorse necessarie per completarlo), e di quella
interamente e ulteriormente prodotta nel periodo.
Nella logica del costo medio ponderato, il numero di unit equivalenti realizzate
nel periodo deve tenere conto anche del contributo relativo ai semilavorati iniziali.
UE = N + 2 N2
In tal caso, per le risorse assorbite dalle unit equivalenti sono i costi di
produzione sostenuti nel periodo, pi il valore iniziale del WIP, che si sono
spalmati proporzionalmente su tutta la produzione.

CPI =

C + C wip1
UE

Nella logica del costo medio, il valore del WIP finale Cwip2 e delle scorte di
prodotto finito Cpf realizzato nel periodo diventano:
Cpf = CPI N
Cwip2 = CPI 2 N2 = C + Cwip1 Cpf
Questa volta infatti sia le unit di prodotto finito sia quelle ancora in lavorazione
sono valorizzate allo stesso costo medio di produzione; il valore del WIP finale
coincide anche con le risorse totali in gioco (esistenti allinizio del periodo o
immesse nel periodo) al netto di quanto stato prodotto.
Si pu facilmente verificare che i due metodi (FIFO e costo medio) determinano
una allocazione diversa dei costi fra WIP finale e prodotti finiti trasferiti a

76

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

magazzino. In particolare, in presenza di costi delle materie prime e di conversione


crescenti nel tempo, il metodo del costo medio d una stima pi elevata del valore
dei prodotti finiti realizzati. La somma di questi due inventari deve per essere
costante, in base ai principi della contabilit per assorbimento (tanto viene immesso
in produzione, tanto deve essere il valore dellinventario totale):
Cwip1 + C = Cwip2 + Cpf

Esempio

Una raffineria nellarco di un mese registra questi dati:


- allinizio del mese sono in lavorazione 15.000 barili di greggio, con grado di
completamento della raffinazione pari al 40%; il valore WIP0 attribuito al
work-in-progress (contabilizzato nel periodo precedente) pari a 120.000 $;
- al termine del periodo sono invece in lavorazione 20.000 barili, con grado di
completamento pari al 20%;
- nellarco del mese sono stati stoccati 40.000 barili di greggio raffinato; sono
stati registrati costi di materie prime MP per 400.000 $, costi del lavoro diretto
LD pari a 300.000 $, costi indiretti di produzione OH (overheads) pari a
100.000 $.
Per determinare il costo pieno industriale CPI del greggio raffinato, applicando il
process costing e ipotizzando che non ci siano scarti nella produzione, si individua
il numero UE di unit equivalenti realizzate, e il costo totale di produzione C,
dapprima nella logica FIFO:
UE(FIFO) = 40.000 + 20% (20.000) 40% (15.000) = 38.000 barili
C = 400.000 $ + 300.000 $ + 100.000 $ = 800.000 $
Il costo pieno industriale sar:
CPI(FIFO) = 800.000 $ / 38.000 barili = 21,05263 $/barile
In pratica, si ipotizza che i 40.000 barili di greggio raffinato stoccati comprendano i
15.000 in lavorazione allinizio del periodo, pi 25.000 realizzati ex novo (si veda
la Figura 3.7a). Quelli in giacenza alla fine sono entrati in produzione durante il
mese.

77

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE


Figura 3.7 Process costing: il caso della raffineria. Ipotesi FIFO (a) e costo medio
ponderato (b)

(a) FIFO
20.000 barili

WIP0 = 120.000 $

45.000 barili

= 20%

MP = 400.000 $
LD = 300.000 $
OH = 100.000 $

40.000 barili

Risorse immesse

Produzione + WIP finale

= 100%

15.000 barili
= 40%
WIP iniziale

(b) Costo medio


ponderato
45.000 barili

WIP0 = 120.000 $

MP = 400.000 $
LD = 300.000 $
OH = 100.000 $

40.000 20.000
barili
barili
= 100% = 20%

15.000 barili
= 40%
WIP iniziale

78

Risorse immesse

Produzione + WIP finale

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Il valore del WIP alla fine del periodo risulta pari alle risorse impiegate per la
lavorazione dei 20.000 barili appena entrati nel processo produttivo e non ancora
completati:
WIP(FIFO) = 20% (20.000 barili CPI(FIFO)) = 84.210,53 $
Per differenza, il valore del prodotto finito VPF(FIFO) spedito a magazzino sar pari a:
VPF(FIFO) = C + WIP0 WIP(FIFO) = 835.789,47 $
Si pu dimostrare che il valore del prodotto raffinato coincide con il valore delle
risorse gi assorbite nei periodi precedenti e in lavorazione a inizio periodo, pi le
risorse necessarie per completare la lavorazione dei 15.000 barili in giacenza, pi le
risorse necessarie per lavorarne altri 25.000 (totale 40.000 barili):
VPF(FIFO) = WIP0 + (100% 40%) (15.000 barili CPI) + 100% (25.000 barili CPI)
VPF(FIFO) = 835.789,47 $
Adottando invece la logica del costo medio ponderato (si veda la Figura 3.7b), si
ipotizzerebbe che le risorse esistenti in lavorazione nel periodo, pi quelle
immesse, si siano proporzionalmente distribuite su tutti i 40.000 barili di greggio
raffinato, e sui 20.000 risultanti in lavorazione alla fine del periodo.
Dunque, adottando questa seconda logica, non si considera il WIP iniziale nel
calcolo delle unit equivalenti, e si sommano ai costi sostenuti nel periodo anche il
valore di carico dei semilavorati:
UE(CMP) = 40.000 + 20% (20.000) = 44.000 barili

800.000 + 120.000
CPI(CMP) = C + WIP0 =
= 20,90909 $/barile
44.000
UE
Il valore della produzione spedita a magazzino sar:
VPF(CMP) = 40.000 CPI(CMP) = 836.363,64 $
Per differenza, il valore del WIP finale sar:
WIP(CMP) = C + WIP0 VPF(CMP) = 83.636,36 $
In questo caso si pu dimostrare che il valore dei semilavorati alla fine del periodo
pu essere quantificato anche ricorrendo al costo medio stesso:
WIP(CMP) = 20% (20.000 barili CPI(CMP)) = 83.636,36 $

79

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Si pu comunque verificare che le due logiche semplicemente allocano il valore


delle risorse in maniera diversa, a parit di risorse totali consumate (nel periodo in
esame, rappresentate da C, e in quelli precedenti, rappresentate da WIP0):
WIP(CMP) + VPF(CMP) = WIP(FIFO) + VPF(FIFO) = WIP0 + C = 920.000 $
Il process costing pu essere applicato anche a linee multi-prodotto, dove le
materie prime e la manodopera sono assorbite da pi tipologie di prodotti (ad
esempio i by-products, ovvero prodotti derivati da lavorazioni intermedie e/o
parziali del prodotto principale). Nuovamente ci si rif al concetto di unit
equivalente, scegliendo arbitrariamente uno dei prodotti di gamma come prodotto
di riferimento. In altre parole, si individua quale sarebbe stato il costo unitario se,
invece di realizzare una gamma di n prodotti, si fosse realizzato solo unit finite del
prodotto di riferimento j. Per definire una relazione di equivalenza, si introduce per
ogni prodotto i un coefficiente di equivalenza i, ovvero il rapporto tra le risorse
assorbite per produrre ununit di prodotto i rispetto a quelle necessarie per
produrre ununit del prodotto di riferimento j. Il numero di unit equivalenti totali
UE prodotte sar pari alla somma delle unit equivalenti del prodotto j e delle unit
equivalenti degli altri prodotti:
n

UE = UEj +

i =1

UE i

i = 1, , n

i j

Il passo successivo ottenere il costo unitario dei singoli prodotti CPI:

CPIj =
CPIi =

C
UE

i C
UE

i = 1, , n

i j

Una ulteriore evoluzione del process costing la distinzione di profili di


immissione non uniformi delle risorse. La condizione di assorbimento uniforme dei

80

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

costi durante la produzione, implicita nella definizione del grado di completamento

, infatti pu valere tipicamente solo per alcuni tipi di costi, come i costi di
conversione. Le materie prime, al contrario, presentano spesso un profilo di
immissione puntuale (ad esempio sono introdotte allinizio del processo oppure in
successioni definite).
In tal caso, occorrer discriminare le risorse assorbite nella lavorazione a seconda
dellavanzamento del processo. Si calcoleranno le unit equivalenti riferite al
consumo di ogni risorsa, chiedendosi quanto sarebbe stata la produzione
equivalente se la specifica risorsa fosse destinata solo alla lavorazione di unit di
prodotto finito interamente realizzate nel periodo.

Esempio

In un caseificio sono operative due linee di produzione di formaggi freschi.


Nella prima linea (A) vengono immessi allinizio della produzione latte e caglio,
che vengono poi lavorati, cotti e filati fino ad ottenere il prodotto finito (X). A met
del ciclo di produzione viene anche immesso un additivo.
Nella seconda linea (B) vengono immessi immediatamente latte, caglio e additivi.
Quando il grado di completamento del prodotto all80%, met del semilavorato
viene prelevato per realizzare il prodotto spalmabile Y, mentre laltra met subisce
ulteriore lavorazione per diventare il prodotto dietetico Z.
Ecco i dati relativi alla produzione in un certo periodo di tempo:
Flussi registrati nel periodo
Semilavorati a inizio periodo
Valore WIP iniziale
Grado di completamento iniziale
Produzione confezionata nel periodo
Materie prime consumate (valore)
Costi di conversione registrati
WIP finale
Grado di completamento

Linea A
400 q
120.000
40%
X: 1.200 q
500.000 latte/caglio
100.000 additivi
250.000
600 q
65%

Linea B
300 q
70.000
90%
Y: 1.000 q Z: 1.300 q
800.000 totale
270.000
250 q
20%

81

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Si tratta di calcolare il costo unitario di produzione dei tre formaggi.


Supponiamo di applicare il metodo FIFO. Nella linea A la situazione mostra un
profilo di immissione delle risorse non lineare: le materie prime vengono immesse
allinizio (grado di completamento 0%) salvo ladditivo che entra nel ciclo a grado
di completamento 50%. Supponiamo invece che i costi di conversione siano
assorbiti linearmente durante tutto il processo.
Calcoliamo le unit equivalenti realizzate nel periodo. Il consumo di latte e caglio
ha generato unit equivalenti pari a:
UE(latte,caglio) = 1.200 + 600 400 = 1.400 q
Sia il WIP iniziale sia quello finale, infatti avevano gi assorbito interamente le
risorse latte e caglio.
Il consumo degli additivi ha invece generato unit equivalenti per:
UE(additivi) = 1.200 + 600 = 1.800 q
Solo il semilavorato esistente alla fine del periodo, completato al 65%, ha assorbito
gli additivi, mentre il WIP iniziale non conteneva ancora additivi, essendo il grado
di completamento inferiore al 50%.
I costi di conversione, assorbiti linearmente, hanno generato unit equivalenti per:
UE(costi conversione) = 1.200 + 600 65% 400 40% = 1.430 q
Calcoliamo il costo di produzione unitario relativo al consumo di tutte le risorse:
CPI(latte, caglio) =

500.000
= 357,1428 /q
1.400

CPI(additivo) = 100.000 = 55,5556 /q


1.800

CPI(conversione) = 250.000 = 174,8252 /q


1.430

Il costo di produzione unitario totale sar quindi:


CPI = CPI(latte, caglio) + CPI(additivo) + CPI(conversione) = 587,5236 /q
Il valore del WIP finale, dal momento che ha assorbito tutte le materie prime ma
solo il 65% dei costi di conversione, sar pari a:
WIP = 600 (CPI(latte, caglio) + CPI(additivo) + 65% CPI(conversione)) =
WIP = 315.800,85
Il valore della produzione VPF realizzata nella linea sar pari a:
82

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

VPF = 120.000 + 400 (CPI(additivo) + 60% CPI(conversione)) + 800 CPI


VPF = 654.199,15
Infatti, stato completato il WIP iniziale (che ha assorbito interamente gli additivi
e per il 60% i costi di conversione), e sono state realizzati ex novo 800 q di
prodotto (che hanno assorbito tutti e tre i fattori al 100%)
Verifichiamo che la somma del WIP finale e del costo della produzione realizzata
pari alla somma fra WIP iniziale e costi assorbiti nel periodo:
WIP + VPF = 970.000
120.000 + 500.000 + 100.000 + 250.000 = 970.000
Nella linea B gli additivi vengono immessi insieme alle materie prime, ma abbiamo
lestrazione di by-products. Scegliamo come prodotto di riferimento al quale
riferire le unit equivalenti il formaggio Z.
Il coefficiente di equivalenza Y fra il prodotto Y e il prodotto Z pari a 1 per
quanto riguarda le materie prime (non vi sono differenze nellassorbimento
iniziale) mentre per quanto riguarda i costi di conversione pari a:
Y(costi conversione) = 0,8

Infatti, il formaggio Y assorbe solo l80% dei costi di conversione rispetto al


formaggio Z.
Durante il periodo, nel reparto B il consumo di materie prime ha generato unit
equivalenti pari a:
UE(materie prime, Z) = 1.300 + 1 1.000 + 250 300 = 2.250 q
UE (costi conversione, Z) = 1.300 + 0,8 1.000 + 250 0,2 300 0,9 = 1.880 q
Il costo unitario CPI relativo al formaggio Z sar la somma del costo delle materie
prime e dei costi di conversione, suddiviso sulle relative unit equivalenti:
CPI(materie prime, Z) =

800.000
= 355,5555 /q
2.250

CPI(costi conversione, Z) = 270.000 = 143,6170 /q


1.880

CPI(Z) = 355,5555 + 143,6170 = 499,1725 /q


Il costo unitario del formaggio Y sar uguale a quello di Z per quanto riguarda le
materie prime, ma assorbir solo l80% del costo di conversione:
CPI(Y) = 355,5555 + 0,8 143,6170 = 470,4491 /q
83

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Il valore del WIP finale (al 20% di completamento, ancora indistinto fra formaggi
Y e Z) pari a:
WIP = 250 (CPI(materie prime, Z) + 20% CPI(conversione, Z)) = 96.069,73
La valorizzazione delle scorte di prodotto finito uscite dal reparto VPF, tenendo
presente che i 300 q del formaggio Z sono stati completati, e sono state prodotti ex
novo 1.000 q (cio 1.300 al netto di 300) del formaggio Z pi altri 1.000 del
formaggio Y, invece pari a:
VPF = 70.000 + 300 10% CPI(conversione, Z) + 1.000 CPI(Y) + 1.000 CPI(Z)
VPF = 1.043.930,27
Ancora una volta la verifica del bilancio fra risorse assorbite e contabilizzate
conforta gli sforzi:
WIP + VPF = 1.140.000 = 70.000 + 800.000 + 270.000
I lettori sono invitati a ripetere lanalisi adottando il criterio del costo medio
ponderato.
3.2.3 Activity based costing (ABC)
Quando la funzione dei costi aziendali complessa e differenziata, la scelta di un

unico coefficiente di allocazione dei costi indiretti provoca delle distorsioni, legate
al fenomeno del sovvenzionamento incrociato delle risorse. Allocando gli
overheads proporzionalmente al consumo di risorse dirette, i prodotti semplici e
realizzati in grande quantit ricevono allocazioni di costi indiretti eccessive e
sovvenzionano i prodotti pi complessi e realizzati in piccole quantit, a cui si
associa un consumo di risorse troppo contenuto. Tale imprecisione distorce la
profittabilit attesa di ciascun prodotto, come sar mostrato nellEsempio
successivo, e deriva dal fatto che alcuni costi indiretti non sono per nulla
proporzionali al volume produttivo.
Lactivity based costing (ABC) si pone proprio lobiettivo di eliminare tali
distorsioni, attraverso uno studio approfondito delle attivit correlate al processo
produttivo. Lidea quella di superare la semplice allocazione proporzionale dei
costi indiretti, per individuare opportuni driver di costo, ovvero delle funzioni
causali che legano le attivit svolte allimpresa, e quindi il consumo di risorse, con

84

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

la produzione dei singoli codici gestiti dallimpresa. Il consumo indiretto delle


risorse non viene quindi attribuito proporzionalmente ad una base di allocazione
generica, ma in maniera causale.
Il metodo si basa sullindividuazione delle attivit fondamentali del processo
produttivo, che sono legate al consumo di risorse indirette (si veda la Figura 3.8).
Figura 3.8 Attribuzione dei costi nellactivity based costing (ABC).

Costi diretti

Costi indiretti

Attivit
Resource
driver
Prodotto

Prodotto

Prodotto

Naturalmente i costi diretti sono attribuiti subito ai rispettivi prodotti. Per quanto
riguarda i costi indiretti, nella prima fase si tratta di individuare le attivit correlate
al consumo delle risorse (ad esempio, lattivit di controllo della qualit, lattivit
di gestione del magazzino, lattivit di set-up delle macchine, ) e
successivamente i resource drivers, ovvero delle grandezze osservabili
direttamente proporzionali allassorbimento di costi per ogni attivit (ad esempio,
rispettivamente, il numero di pezzi controllati per ogni prodotto, la superficie del
magazzino occupata da ciascun prodotto piuttosto che il tasso di rotazione delle
scorte, il numero dei set-up realizzati per ogni prodotto). Il ribaltamento dei costi
indiretti verr effettuato proporzionalmente ai drivers calcolati.

85

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Esempio
Un reparto di unimpresa chimica realizza su commessa sintesi di molecole di alto
valore, attraverso un processo termo-pressurizzato. Nellarco di tre mesi sono stati
realizzati due prodotti, A e B, composti dai principi base X, Y e Z, secondo la
seguente proporzione:
Prodotto
A
B

Quantit totale
5.000 litri
3.000 litri

Principio X
40%
23%

Principio Y
50%
70%

Principio Z
10%
7%

Il costo unitario dei principi attivi


cX = 0,4 /litro
cY = 0,3 /litro
cZ = 0,6 /litro
Sono stati registrati costi del lavoro, relativi alla paga delloperaio che gestisce il
reparto di sintesi, pari a 6.000 , e costi di impianto cos suddivisi: pulizia 2.000 ,
ammortamento 1.500 , energia 1.000 .
Per calcolare il costo pieno industriale dei due prodotti, la cosa pi semplice
sarebbe determinare il consumo unitario dei tre principi attivi e suddividere i costi
indiretti sui due prodotti proporzionalmente alla quantit prodotta (rispettivamente
5/8 e 3/8).
In realt, lo spirito dellActivity Based Costing (ABC) richiede lanalisi dettagliata
delle attivit svolte nellimpianto. In particolare, si raccolgono i seguenti dati:
a) il prodotto A richiede una temperatura di processo pari a 300 gradi, mentre il
prodotto B richiede una temperatura pi alta, pari a 450 gradi; la potenza in
KW dellimpianto a regime alla temperatura pi bassa pari al 60% di quello
registrato alla temperatura pi elevata; il ciclo di sintesi di B dura il doppio di
quello di A;
b) loperaio sorveglia a tempo pieno limpianto quando in funzione, e si dedica
ad altra attivit durante la pulizia delle macchine;

86

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

c) la pulizia dellimpianto (set-up) dura 4 giorni e viene svolta fra un ciclo e


laltro, nei quali si alterna la produzione di A e B; in particolare, nel periodo in
esame (90 giorni) sono state realizzate le seguenti campagne produttive:

Pulizia e set-up
impianto

Sintesi
di A

Pulizia e set-up
impianto

Sintesi
di B

Pulizia e set-up
impianto

Sintesi
di A

Per quanto riguarda i costi diretti delle materie prime (i principi attivi) si ottiene
questa suddivisione fra i prodotti A e B:
A) 5.000 (cX 40% + cY 50% + cZ 10% ) = 1.850
B) 3.000 (cX 23% + cY 70% + cZ 7% ) = 1.032
Per quanto riguarda le spese di energia, riferite allattivit di riscaldamento durante
il processo, il dato che emerge che il prodotto B richiede un consumo molto pi
consistente rispetto ad A. In particolare, B richiede una temperatura pi elevata e
un processo pi lungo. Decidiamo quindi di utilizzare come driver di costo il
numero di kWh consumati. Posto x il consumo in kWh per produrre un litro di A, il
consumo per produrre un litro di B sar pari a 2x/60% = 3,333x. Per produrre A
sono stati impiegati quindi 5.000x kWh, mentre per B sono stati impiegati 3.000
3,333x = 10.000x kWh.
Il costo totale dellenergia pu essere cos suddiviso:
A) 1.000

5.000 x
= 333,33
5.000 x + 10.000 x

10.000 x
= 666,67
5.000 x + 10.000 x
Per quanto riguarda il funzionamento dellimpianto sui 90 giorni, potremmo
analizzare per quanti giorni effettivamente esso stato dedicato alla produzione di
A piuttosto che di B. Sappiamo che il ciclo di pulizia dura 2 giorni e che il ciclo di
produzione di B richiede il doppio del tempo. Possiamo quindi ricostruire la
storia dellintero impianto, assegnando un numero di giorni di durata ad ogni

B) 1.000

attivit:

87

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Pulizia e set-up
impianto

Sintesi
di A

Pulizia e set-up
impianto

Sintesi
di B

Pulizia e set-up
impianto

Sintesi
di A

2 giorni

21 giorni

2 giorni

42 giorni

2 giorni

21 giorni

Possiamo quindi allocare i costi legati allattivit di sorveglianza dellimpianto


(quando esso in funzione) esattamente a met fra i due prodotti utilizzando come
driver il numero di giorni dedicati alla campagna di produzione (la produzione sia
di A sia di B impegna 42 giorni totali). I costi di pulizia dellimpianto saranno
allocati per due terzi ad A e per un terzo a B, dal momento che tale attivit
causata per due volte dal lancio della campagna di produzione di A, e solo una
volta di B. Lammortamento invece deve tenere conto anche dei giorni di fermo
macchina, e quindi sar allocato considerando come driver i giorni totali dedicati
sia alla produzione sia allattrezzaggio:
A) 1.500

46 giorni
= 766,67
90 giorni

B) 1.500

44 giorni
= 733,33
90 giorni

Per riassumere il ribaltamento dei costi totali fra i due prodotti, riportiamo i dati
nella seguente tabella:
Voce di costo
Costo totale
Imputato ad A
Imputato a B
Materie prime
2.882
1.850
1.032
Costo del lavoro
6.000
3.000
3.000
Pulizia e setup
2.000
1.333,33
666,67
Ammortamento
1.500
766,67
733,33
Energia
1.000
333,33
666,67
Totale
13.382
7.283,33
6.098,67
Costo unitario
1,4567 /litro
2,0329 /litro

88

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Si pu notare che se avessimo suddiviso i costi indiretti proporzionalmente alla


quantit prodotta (rispettivamente 5.000 litri e 3.000 litri), avremmo ottenuto i
seguenti risultati:
Voce di costo
Materie prime
Costi indiretti
Totale
Costo unitario

Costo totale
2.882
10.500
13.382

Imputato ad A
1.850
6.562,50
8.412,50
1,6825 /litro

Imputato a B
1.032
3.937,50
4.969,50
1,6565 /litro

Ad una prima analisi pu quindi sembrare che produrre B costi meno di A. Tale
conclusione potrebbe indurre limpresa a ritenere molto pi profittevole il secondo
prodotto, a maggior ragione se pu essere venduto sul mercato ad un prezzo
maggiore. In realt limpresa puntando le sue carte su B registrerebbe
unesplosione di costi indiretti, legati al maggiore consumo di energia e alla
saturazione dellimpianto (la sintesi di B richiede il doppio del tempo!). In altre
parole, limpresa caratterizzata da una serie di costi indiretti che non sono
proporzionali a variabili legate alla quantit prodotta, ma ad altri fattori (la
diversit del ciclo produttivo, il lancio delle campagne di produzione, ). LABC
consente di individuare i drivers di costo e di allocarli correttamente ai singoli
prodotti.
Lallocazione corretta dei costi indiretti generati dalle attivit dellimpresa una
necessit sempre pi impellente, dal momento che essi tendono ad assorbire una
frazione sempre pi consistente delle risorse aziendali, a causa della crescente
complessit del processo produttivo e della gamma di prodotti e servizi offerti dalle
imprese, della terziarizzazione verso lesterno di numerose attivit e del maggiore
impiego di impianti automatizzati e servizi informatici, al posto della manodopera.
Del resto, linformatizzazione rende sempre meno costosa e pi tempestiva la
raccolta di dati e informazioni relative al consumo delle risorse interne, e consente
limplementazione di tecniche di costing sempre pi precise.

89

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Il punto
Abbiamo analizzato diversi metodi di attribuzione dei costi diretti e ribaltamento
dei costi indiretti ai prodotti dellimpresa. Possiamo cos classificarli:
Costi diretti
Costi indiretti
Job order costing
Identificazione specifica
Allocazione proporzionale
Process costing
Allocazione proporzionale Allocazione proporzionale
Activity based costing Identificazione specifica
Allocazione su base causale
3.3 Le tecniche di budgeting
Lallocazione economica delle risorse consumate dal processo produttivo tanto
importante quanto lo la pianificazione preventiva del consumo stesso, nel
momento in cui gli obiettivi dellimpresa vengono tradotti in programmi operativi.
chiaro che in fase successiva un sistema di controllo efficiente deve essere in
grado, confrontando le previsioni con i dati reali, di individuare quali sono le
motivazioni di eventuali scostamenti e su quali leve necessario agire. Per lo
meno, nellimpossibilit di correggere tempestivamente gli errori, deve generare un
fenomeno di apprendimento che impedisca nel futuro di commettere gli stessi
errori.
Lo strumento di implementazione programmatica pi noto il master budget. Il

master budget un documento contabile, che contiene una serie di previsioni


relative alla gestione operativa dellimpresa (budget operativo), alla
programmazione degli investimenti (budget degli investimenti) e alla gestione della
liquidit (budget finanziario).

, e per ogni
Il budget operativo definisce una previsione delle vendite, pari a Q
prodotto a listino del prezzo di vendita, pari a p , nonch di conseguenza il

programma della produzione tenendo conto della capacit produttiva e della


politica delle scorte. La previsione sulle vendite viene effettuata attraverso modelli
matematici basati sulle vendite registrate nel passato, tenendo conto di eventuali
trend di crescita, stagionalit ed effetti contingenti (promozioni, campagne
pubblicitarie, lancio di nuovi prodotti). Il prezzo viene stabilito applicando una

90

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

maggiorazione (mark-up) al costo previsto di produzione, piuttosto che in relazione


ad altre politiche di marketing.
Sono anche definiti i costi standard dei prodotti, distinguendo fra costi standard
delle materie prime, costi standard del lavoro, overheads previsti e costi di periodo
previsti. I costi standard sono individuati da diversi parametri:
- il costo standard unitario ci della generica materia prima i fra le n impiegate
-

direttamente dallimpresa nel processo produttivo;


il coefficiente tecnico ai , che rappresenta il consumo standard della materia

prima i associato alla produzione di ununit di output; evidente che il


consumo unitario una grandezza sulla quale pi facile intervenire attraverso
tecniche di gestione rispetto al costo unitario, che invece in gran parte
condizionato dalle dinamiche esterne del mercato e del ciclo economico;
il salario standard w , che misura il costo orario previsto del lavoro; come il

costo delle materie prime, anche questa grandezza difficilmente sotto il


controllo dellimpresa;
la produttivit standard del lavoro h , che rappresenta le ore di lavoro

necessarie per produrre ununit di output;


-

la base di allocazione k j del consumo indiretto della risorsa j (overhead) fra le

m impiegate dallimpresa, associata al singolo prodotto;


il costo standard indiretto q j della risorsa j (overhead), consumata

indirettamente dal prodotto considerato.


Il costo pieno industriale standard CPIs del prodotto sar dunque pari a:
n

CPIs =

i =1

a i ci + hw +

k j q j
j =1

Lallocazione dei costi standard di periodo T (secondo una base di allocazione x


relativa alla singola unit di output del prodotto specifico) determina infine il costo
pieno aziendale standard CPAs:

91

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE


n

CPAs =

a i ci
i =1

+ hw +

k j q j

+ xT

j =1

Il risultato del processo di budgeting la previsione dei ricavi e costi aggregati


periodo per periodo generati da ogni prodotto, e quindi dei profitti standard nonch
dei flussi di cassa e degli investimenti dellimpresa.

Il punto

Il master budget lo strumento principale di pianificazione e di controllo delle


risorse aziendali. In particolare, il budget operativo definisce le previsioni sulla
vendita dei prodotti e sui costi standard teorici ad essi associati, distinguendo fra
costi di prodotto (materie prime, lavoro, overheads) e costi di periodo.

3.3.1 Analisi degli scostamenti


Molto raramente la realt rispecchia pienamente le previsioni, cosicch il confronto
fra il budget e il conto consuntivo dei costi assorbiti evidenzia gli eventuali
scostamenti fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Gli scostamenti
possono tradursi in maggiori introiti per limpresa (o minori costi), e quindi sono
detti favorevoli; in caso contrario sono detti sfavorevoli. chiaro per che
possono essere molteplici gli effetti che si sovrappongono nel determinare uno
scenario diverso da quello previsto (ad esempio un minore volume di vendita, un
miglioramento del rendimento del lavoro, una maggiore incidenza dei costi
amministrativi, ) e il loro effetto pu sovrapporsi oppure eliminarsi a vicenda.
Lo strumento che sorpassa questa difficolt e permette la scomposizione degli
scostamenti il budget flessibile. Il budget flessibile ripercorre la stessa struttura
del budget, impiegando i prezzi e i costi unitari standard, ma facendo riferimento
per ogni prodotto a listino alla quantit riportata a consuntivo Q invece di quella

. Il confronto fra conto di consuntivo, budget e budget flessibile


previsionale Q
permette di evidenziare le determinanti degli scostamenti.

92

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE


Tabella 3.1 Costruzione del budget flessibile.

Quantit Q
Prezzi e costi unitari

Conto consuntivo

Budget flessibile

Budget

Effettiva
Effettivi

Effettiva
Standard

Standard
Standard

3.3.2 Scostamenti dei ricavi


La differenza fra ricavi di consuntivo e ricavi indicati del budget flessibile
identifica la varianza di prezzo. A parit di volume produttivo effettivo Q, lo
scostamento dovuto infatti solo alla differenza fra prezzo standard pianificato p
e prezzo effettivamente praticato p. Essa dipende unicamente dalla politica di
pricing effettuata dallimpresa.
Varianza di prezzo = Q ( p p )
Invece, la differenza fra ricavi indicati nel budget flessibile e ricavi previsti da
budget identifica la varianza di volume. Infatti, tale differenza identificata solo
, a parit del prezzo standard p . La varianza di
dallo scostamento fra Q e Q
volume in genere dovuta alla contrazione/espansione del mercato del prodotto, o
alla contrazione/espansione della quota di mercato vantata dallimpresa.
)
Varianza di volume = p (Q Q
La somma fra varianza di prezzo e varianza di volume evidentemente la
differenza fra ricavi di budget e ricavi di consuntivo, e quindi lo scostamento totale
(si veda la Figura 3.9):

= Varianza totale
Varianza di prezzo + Varianza di volume = p Q p Q

93

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE


Figura 3.9 Scomposizione degli scostamenti del ricavo.
p
Ricavo effettivo
p
Varianza di prezzo

p
Varianza
di volume

Ricavo
di budget

3.3.3 Scostamenti dei costi


La disaggregazione dello scostamento totale dei costi permette di individuare le
responsabilit di un incremento o di un decremento dei costi effettivi rispetto a
quelli pianificati, per ogni prodotto a listino.
Il confronto fra costo unitario a consuntivo del prodotto CPI e costo unitario
standard di budget flessibile CPIs determina la varianza di efficienza, a parit del
volume produttivo effettivo Q. In altre parole, una varianza di efficienza positiva
indica un costo unitario effettivo delle risorse pi elevato rispetto alle previsioni, e
quindi una minore efficienza produttiva.
Varianza di efficienza = Q (CPI CPIs)
Tale varianza pu essere ulteriormente scomposta per individuare le responsabilit
di tale scostamento. Una maggiore o minore efficienza dellimpresa pu essere
infatti dovuta a diversi fenomeni: da una parte limpresa potrebbe avere accesso
alle risorse (in generale per le materie prime, ma anche per lavoro e overheads) a
condizioni migliori rispetto al previsto, dallaltra potrebbe beneficiare di un
consumo minore di risorse, rispetto a quanto previsto. Il primo fenomeno viene
legato alla varianza di prezzo delle risorse, e viene definita dalla differenza fra
94

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

costo unitario effettivo ci della generica risorsa i e costo previsto a budget ci , e


viene riferita al consumo effettivo delle risorse ai:
Varianza di prezzo della risorsa i = Q ai (ci ci )
Il secondo fenomeno viene invece legato alla varianza di impiego delle risorse, e
viene definita dalla differenza fra consumo effettivo ai e standard ai delle risorse, e
viene riferita al costo standard unitario ci delle risorse indicato nel budget.
Varianza di impiego della risorsa i = Q ci (ai ai )
Come verifica, mostriamo che la somma di varianza di impiego e varianza di
prezzo sommata su tutte le risorse i-esime, comprendendo anche il lavoro e gli

overheads, uguale alla varianza di efficienza:


n

i =1

i =1

i =1

(Varianza di prezzo + Varianza di impiego) = Q ai ci Q ai ci

(Varianza di prezzo + Varianza di impiego) = Varianza di efficienza

i =1

La differenza fra costi di budget flessibile e costi di budget, essendo dovuta solo al
decremento/incremento della quantit prodotta, rappresenta ancora la varianza di
volume. Essa ci indica semplicemente che limpresa pu avere registrato costi
superiori (inferiori) al previsto, solo perch ha venduto di pi (di meno) rispetto al
piano iniziale.

)
Varianza di volume = CPIs (Q Q
La somma di varianza di efficienza e di varianza di volume equivale alla varianza
totale fra costi di prodotto effettivi e costi standard (si veda la Figura 3.10):
95

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

CPI
Varianza di efficienza + Varianza di volume = Q CPI Q
s
Figura 3.10 Scomposizione degli scostamenti dei costi totali di prodotto (a) e dei costi
relativi ad ogni singola risorsa (b).

(a) Costi totali di consuntivo

CPI

Risorsa 1
Risorsa 2

Risorsa n

CPI
Varianza di efficienza
CPIs
Costi
industriali
di budget

Varianza
di volume

(b) Risorsa i : costo di consuntivo

ai

Varianza di prezzo

ai
a i

Varianza di impiego
ci

Costo della risorsa


di budget flessibile
ci

ci
Q
96

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Il punto
Il budget flessibile lo strumento attraverso il quale i risultati effettivi dellimpresa
possono essere confrontati con il budget operativo. Gli scostamenti fra flussi
standard ed effettivi vengono disaggregati in scostamenti di volume, scostamenti di
efficienza, scostamenti di prezzo e scostamenti di impiego.
Nel caso il portafoglio prodotti dellimpresa sia diversificato, possibile anche
distinguere fra budget flessibile a mix effettivo (che rispecchia le vendite relative
registrate per ciascun prodotto) e budget flessibile a mix standard (che rispecchia le
vendite relative pianificate nel budget). In tal modo si identificher anche la
varianza correlata a ricavi e costi generati dai singoli prodotti specifici.

Esempio
Unimpresa produce e vende un solo prodotto, e registra, nel corso di un esercizio,
i seguenti dati di consuntivo:
Quantit venduta Q: 2.100 unit
Fatturato: 819.000 (Prezzo medio di vendita p = 390 )
Costi di materie prime: 125.000
Costi del lavoro: 90.000
Overheads: 140.000
Costi di periodo: 100.000
Il margine ottenuto dunque pari a:
= 819.000 125.000 90.000 140.000 100.000 = 364.000

Gli stessi dati pianificati nel budget di inizio periodo erano i seguenti:

: 2.000 unit
Quantit venduta Q
Prezzo di vendita p : 400 (Fatturato di budget: 800.000 )
Costi di materie prime: 120.000
Costi del lavoro: 80.000
Overheads: 150.000
Costi di periodo: 110.000

97

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

era dunque:
Il margine teorico di budget
= 800.000 120.000 80.000 150.000 110.000 = 340.000

Scostamento totale: 364.000 340.000 = +24.000 (favorevole)


Il margine effettivo stato dunque maggiore rispetto al budget iniziale. Per
individuare la responsabilit di tale scostamento, costruiamo il budget flessibile.

Q
p
Fatturato

Consuntivo
2.100
390
819.000

Budget flessibile
2.100
400
840.000

Budget
2.000
400
800.000

Scostamento di prezzo: 819.000 840.000 = 21.000 (sfavorevole)


Scostamento di volume: 840.000 800.000 = +40.000 (favorevole)
Scostamento totale: 819.000 800.000 = +19.000 (favorevole) = +40.000 21.000
Il maggiore fatturato dipende quindi da un maggiore volume delle vendite, il quale
pi che compensa il minore prezzo al quale limpresa riuscita a vendere il
prodotto.
Per quanto riguarda i costi, possiamo evidenziare gli scostamenti di efficienza e di
volume, calcolando il costo unitario standard c ed effettivo c delle risorse:
Materie prime: c = 125.000 / 2.100 = 59,5238 /unit
c = 120.000 / 2.000 = 60 /unit
Lavoro: c = 90.000 / 2.100 = 42,8571 /unit
c = 80.000 / 2.000 = 40 /unit

Q
c (materie prime)
Costi materie prime
c (lavoro)
Costi lavoro

98

Consuntivo
2.100
59,5238 /unit
125.000
42,8571 /unit
90.000

Budget flessibile
2.100
60 /unit
126.000
40 /unit
84.000

Budget
2.000
60 /unit
120.000
40 /unit
80.000

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Per quanto riguarda le materie prime si ottiene:


Scostamento di efficienza: 125.000 126.000 = 1.000 (favorevole si tratta
di costi!)
Scostamento di volume: 126.000 120.000 = +6.000 (sfavorevole)
Scostamento totale: 125.000 120.000 = +5.000 (sfavorevole) = +6.000 1.000
Per quanto riguarda invece i costi del lavoro si ottiene:
Scostamento di efficienza: 90.000 84.000 = +6.000 (sfavorevole)
Scostamento di volume: 84.000 80.000 = +4.000 (sfavorevole)
Scostamento totale: 90.000 80.000 = +10.000 (sfavorevole) = +4.000 +6.000
possibile disaggregare lo scostamento di efficienza considerando il costo unitario
delle materie prime e il loro consumo rispetto alle previsioni, cos come il salario
unitario del lavoro e le ore di lavoro registrate, sempre rispetto alle previsioni.
Dopo aver raccolto le informazioni necessarie, si hanno i seguenti dati:

Q
Kg di materie prime impiegate
Consumo unitario
Costo unitario materie prime
Costo totale materie prime
Ore di lavoro impiegate
Consumo unitario
Salario unitario
Costo del lavoro totale

Consuntivo
2.100
19.290 Kg
9,1857 Kg/unit
6,48 /Kg
125.000
3.600 ore
1,7143 ore/unit
25 /ora
90.000

Budget
2.000
18.750 Kg
9,375 Kg/unit
6,40 /Kg
120.000
3.200 ore
1,6 ore/unit
25 /ora
80.000

Per quanto riguarda le materie prime si ottiene:


Scostamento di prezzo: 2.100 9,1857 (6,486,40) = +1.544 (sfavorevole)
Scostamento di impiego: 2.100 6,40 (9,18579,375) = 2.544 (favorevole)
Scostamento di efficienza totale: +1.543 2.544 = 1.000 (favorevole)
Per quanto riguarda il lavoro si ottiene:
Scostamento di prezzo: 2.100 1,7143 (2525) = 0 (nullo)
Scostamento di impiego: 2.100 25 (1,71431,6) = +6.000 (sfavorevole)

99

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Scostamento di efficienza totale: 0 +6.000 = +6.000 (sfavorevole)


Infine, registriamo anche lo scostamento degli overheads e dei costi di periodo:
Scostamento overheads: 140.000 150.000 = 10.000 (favorevole)
Scostamento costi di periodo: 100.000 - 110.000 = 10.000 (favorevole)
Il seguente schema pu contribuire a riassumere i risultati dellanalisi,
scomponendo lo scostamento del profitto in tutte le componenti determinate.

Scostamento di profitto totale


+24.000 (favorevole)
Scostamento di fatturato
+19.000 (favorevole)
Scost. di volume
+40.000 (favorevole)

Scost. di prezzo
-21.000 (sfavorevole)

Scost. di volume
+6.000 (sfavorevole)

Scost. di efficienza
-1.000 (favorevole)

Scostamento costi MP
+5.000 (sfavorevole)

Scost. di prezzo
+1.544 (sfavorevole)

Scost. di impiego
-2.544 (favorevole)

Scostamento costi lavoro


+10.000 (sfavorevole)
Scost. di volume
+4.000 (sfavorevole)

Scost. di efficienza
+6.000 (sfavorevole)

Scostamento overheads
-10.000 (favorevole)
Scost. di prezzo
+6.000 (sfavorevole)
Scostamento costi periodo
-10.000 (favorevole)

100

Scost. di impiego
Nullo

3. IL CONTROLLO DELLE RISORSE

Riassumendo, possibile avanzare le seguenti osservazioni:


- lo scostamento di profitto favorevole dovuto allincremento del fatturato, e al
risparmio sugli overheads e sui costi di periodo; in particolare, stata notevole
la capacit di ridurre i costi indiretti e di periodo a fronte di un aumento della
produzione prevista;
- lincremento del fatturato stato ottenuto grazie allincremento della
produzione, che per stata venduta ad un prezzo inferiore alle aspettative;
- lincremento dei costi delle materie prime da ricondursi allincremento del
volume produttivo; lefficienza della gestione delle materie prime invece
migliorata rispetto alle aspettative, in particolare grazie allefficienza del
processo produttivo nel consumo di materie prime, nonostante risultati peggiori
del previsto nel costo unitario delle materie prime;
- i costi del lavoro sono invece incrementati per la peggiore produttivit del
lavoro rispetto alle previsioni, a parit di salario unitario;
- la riduzione degli overheads e dei costi di periodo rispetto alle previsioni
contribuisce allo scostamento totale positivo.

101

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Nel Capitolo 2 si evidenziato che le risorse dellimpresa non si esauriscono nelle


attivit iscritte a bilancio, ma comprendono anche assets non facilmente
quantificabili, come la capacit innovativa, labilit dei managers nel cogliere
opportunit dal mercato, la strategia. Soprattutto, si detto che il bilancio
dimpresa riporta unicamente il valore contabile delle risorse esistenti, senza alcun
riferimento n al loro valore di mercato, n alla loro rischiosit, n alle opportunit
di crescita futura, n alla capacit prospettica di generare reddito.
In questo capitolo si descrive come possibile dare un valore alle risorse e in
particolare agli investimenti effettuati dallimpresa, e da qui capire quali decisioni
possono risultare profittevoli e quindi convenienti, e quali no.
4.1 Il valore dellimpresa
Non facile definire il valore dellimpresa. Bisognerebbe innanzitutto chiedersi se
esiste un valore assoluto per unimpresa, o piuttosto un valore relativo, attribuito
soggettivamente da ogni individuo. In secondo luogo, necessario chiedersi da
dove discende il valore di unimpresa (tema che sar trattato nel Capitolo 5).
Potremmo definire il valore come lespressione monetaria dellutilit che un
soggetto attribuisce alla titolarit su unattivit, sia essa unimpresa, piuttosto che
un suo asset (un investimento, ad esempio, piuttosto che un contratto, un titolo
finanziario). Essendo lutilit un parametro soggettivo, chiaro che il valore ha una
valenza soggettiva, e cio soggetti diversi possono attribuire valori diversi alla
stessa attivit. La soggettivit del valore tanto pi elevata quanto pi specifici e
difficilmente misurabili sono i benefici correlati alla titolarit dellattivit. Si
potrebbe argomentare che anche la definizione stessa di valore monetario indica
non una propriet assoluta, ma un confronto relativo fra lunit monetaria e il
valore dellattivit; in altre parole, la definizione di valore implica la definizione di
uno specifico mercato di equilibrio dove indirizzare alternativamente la ricchezza
con cui si misura il valore.

102

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Una buona definizione di valore economico di unattivit : lespressione


monetaria dellutilit che un soggetto attribuisce alla titolarit su unattivit, in
funzione del set di informazioni sia pubblicamente disponibili sia private. Al
variare delle aspettative personali, del set di informazioni pubblicamente
disponibili e della dinamica attraverso cui le informazioni private vere o false che
siano diventano pubbliche, varier anche il valore delle diverse attivit, cos
come accade nella realt ad esempio per le azioni quotate in Borsa.
Tornando alla questione del valore dellimpresa, bene distinguere fra il valore
dellimpresa, inteso come valore delle attivit, e quindi delle risorse e degli
investimenti disponibili, piuttosto che inteso come valore del capitale azionario, e
quindi di quella frazione del valore delle attivit di competenza dei proprietari del
capitale. Nel primo caso si intende misurare il valore monetario che limpresa
genera oggi per tutti i suoi stakeholders (creditori, impiegati, azionisti). Nel
secondo caso invece viene misurata sola quella frazione residuale del valore che
compete agli azionisti (al netto di quanto compete a tutti gli altri). Essa rappresenta,
se si preferisce, la somma che un soggetto sarebbe disponibile a pagare per
acquistarne il 100% delle azioni accollandosi i relativi debiti.
Esistono principalmente quattro diversi metodi di valutazione dellimpresa:
1) il metodo patrimoniale;
2) il metodo finanziario;
3) il metodo reddituale;
4) il metodo misto.
Una variante del metodo finanziario sempre pi diffusa poi il modello del
residual income (noto anche come EVA).
4.1.1 La valutazione patrimoniale
Il metodo patrimoniale identifica il valore del capitale azionario VE come il valore
di mercato diverso da quello contabile delle sue risorse V, iscritte a bilancio
nelle attivit, al netto del valore di mercato del capitale di terzi VD:
VE = V VD

103

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Lidea quella di determinare una sorta di valore di liquidazione dellimpresa,


chiedendosi quale sarebbe il payoff degli azionisti se limpresa, astrattamente, fosse
liquidata oggi. La procedura per giungere a tale valore consiste fondamentalmente
in quattro passi:
1) lindividuazione del portafoglio di attivit dellimpresa, distinte fra
investimenti e immobilizzazioni, capitale circolante netto e altre risorse;
2) lespressione delle attivit al valore di mercato, invece che al valore contabile
espresso in bilancio; nel caso non esista un mercato di riferimento dellattivit
si considera il costo di ricostruzione a nuovo o di sostituzione (ovvero il
valore delle risorse necessarie per rigenerare lattivit, correggendo per
leventuale deperimento);
3) la considerazione degli effetti della fiscalit latente sulla cessione delle
attivit;
4) lespressione a valore di mercato del capitale di terzi dellimpresa (debito,
obbligazioni, altre passivit); per semplicit si pu considerare come valore
prudenziale la posizione finanziaria netta (PFN).
In alcuni casi, la procedura prevede unulteriore fase intermedia, volta a
quantificare il valore delle risorse intangibili, non iscritte a bilancio (attivit di
marketing, tecnologia, know-how, ); molto spesso esse rappresentano una
frazione rilevante del valore dellimpresa, ma di non facile quantificazione. Allo
stesso modo, possibile attribuire un valore di avviamento al portafoglio clienti e
prodotti dellimpresa.
Il metodo patrimoniale offre buone prestazioni nella valutazione di societ
finanziarie e immobiliari, le cui attivit di bilancio sono in gran parte tangibili e
facilmente valorizzabili, ma i suoi limiti sono evidenti per le societ nascenti e per
quelle caratterizzate da assets molto specifici o intangibili (si pensi alle imprese del
settore Internet).
4.1.2 La valutazione finanziaria e le tecniche DCF
La logica di valutazione finanziaria enfatizza la capacit dellimpresa di
remunerare il capitale investito attraverso la generazione di flussi finanziari, che

104

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

possono essere distribuiti agli investitori (sotto forma di dividendi agli azionisti, ad
esempio), oppure reinvestiti nellimpresa. In ultima analisi, infatti, limpresa
genera valore grazie al flusso di reddito generato verso gli investitori (dividendi,
interessi, rimborsi di capitale) al netto delle infusioni di nuove risorse finanziarie.
La Figura 4.1 evidenzia che tale flusso di reddito (net cash generation, NCG), in
equilibrio deve uguagliare il flusso di cassa raccolto dallimpresa sul mercato
attraverso la vendita di prodotti e servizi, al netto delle risorse consumate (materie
prime, lavoro, ) e immobilizzate nellimpresa sotto forma di investimenti o
capitale circolante (net cash flow NCF, o free cash flow FCF, che abbiamo gi
identificato nel precedente Capitolo 2).
Figura 4.1 Generazione di flussi di cassa netti nellimpresa.

Capitale
Remunerazione

Investitori

Net cash generation


(NCG)

Investimenti
Impresa

Reddito

Mercato

Net cash flow


(NCF)

La generazione di cassa NCG dipende per dalla politica dei dividendi, e anche
dalla struttura finanziaria dellimpresa. Ammesso che molti modelli finanziari si
basano su di essa per la valutazione dei titoli azionari, per pi comodo
analizzare i flussi di cassa relativi allattivit operativa e agli investimenti.

Il segnalibro

Nel Volume Finanziare le Risorse dellImpresa, Capitolo 4, Paragrafo 4.2, sono


presentati numerosi modelli di valutazione del capitale dellimpresa basati sulla
generazione di flussi di reddito (NCG) e in particolare di dividendi.

105

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il fatto che limpresa differisca nel tempo incassi e costi relativi allattivit di
investimento viene catturato dal costo del capitale k, che rende paragonabili flussi
di cassa relativi a istanti di tempo diversi. chiaro che non la stessa cosa per
limpresa incassare con certezza una somma oggi, oppure incassare la stessa
somma fra un anno, con un certo grado di rischio.
La tecnica di valutazione finanziaria si basa quindi sulla stima dei cash flows
generati dallimpresa, al netto degli incrementi delle immobilizzazioni e del
capitale circolante, e sulla determinazione del costo opportunit del capitale k, che
rappresenta il costo del capitale per limpresa.
I flussi di cassa possono essere considerati secondo due logiche distinte:
1) la logica del capitale investito: in questo caso si considera il valore generato
per tutti gli investitori, detentori di debito ed equity;
2) la logica del capitale proprio: in questo caso si considera unicamente il valore
generato per gli azionisti.
Nel Capitolo 2, il net cash flow NCFt generato dallimpresa in un determinato
esercizio era stato identificato come somma delle entrate di cassa registrate
dallimpresa, al netto dei costi cash (non vengono considerati quindi ammortamenti
e accantonamenti) e della variazione di investimenti It e capitale circolante
OWCt:
NCFt = CFt It OWCt
Questa definizione rispecchia la logica del capitale proprio, nel senso che si
considera solo il cash flow disponibile per gli azionisti.
In forma indiretta, il net cash flow si ricava anche partendo dallutile netto
dellimpresa UNt, a cui si recuperano tutte le voci di costo non cash (che invece nel
calcolo dellutile netto erano state dedotte):
NCFt = UNt + Costi non cash It OWCt

106

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il fatto che le voci di costo non cash, come gli ammortamenti, non abbiano
direttamente degli effetti sul cash flow, non vuol dire che siano irrilevanti. Infatti,
esse possono essere comunque dedotte dal reddito imponibile, e quindi generare un
risparmio fiscale che incide sullutile netto UNt e si configura come un flusso di
cassa positivo.
Nella logica del capitale investito, invece, nel calcolo dei net cash flows si deve
tenere conto dei flussi di interessi OFt pagati ai detentori del debito, dal momento
che rappresentano una porzione di reddito distribuita ad investitori:
NCFt = CFt + OFt It OWCt
In forma indiretta, si ottiene:
NCFt = UNt + Costi non cash + OFt It OWCt
Anche la definizione del costo del capitale k dipende dalla logica di valutazione.
Sotto la logica del capitale proprio, esso viene identificato come il costo del
capitale di rischio kE e rappresenta in misura equivalente diversi concetti:
1) il tasso di rendimento del capitale di rischio atteso dal mercato finanziario, cos
come descritto nel Volume Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 4;
2) il costo opportunit del capitale, ovvero il tasso di rendimento del migliore
investimento alternativo, cui si rinuncia per effettuare linvestimento da
valutare;
3) il tasso barriera, al di sotto del quale limpresa rinuncia ad effettuare
linvestimento in quanto distruggerebbe valore.
Dal momento che linvestimento caratterizzato da un certo grado di rischio, il
tasso kE pu essere espresso come somma di due componenti: una legata al tasso di
rendimento di mercato delle attivit prive di rischio (rf) e una legata al premio per il
rischio associato allimpresa (r):
kE = rf + r

107

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il segnalibro

Lindividuazione del premio per il rischio associato in equilibrio al capitale


azionario dellimpresa discussa nel volume Finanziare le Risorse dellImpresa
nel Capitolo 4, Paragrafo 4.3.
Sotto la logica del capitale investito, il costo del capitale k il WACC (weighted
average cost of capital), ovvero la media ponderata del costo del capitale azionario
kE e del costo netto del capitale di debito kD, dove i pesi non sono correlati al valore
nominale (valore di bilancio) del patrimonio netto o del debito, ma al loro valore di
mercato:

WACC =

D
E
kD
kE +
D + E
D + E

importante notare che in presenza di imposte (con aliquota sul reddito dimpresa
pari a tc) il finanziamento con equity piuttosto che con debito non equivalente,
poich gli interessi sul debito possono essere dedotti dal reddito: in altre parole, il
costo netto del capitale di debito pi contenuto rispetto al tasso lordo di
indebitamento rD (che rappresenta il tasso di remunerazione contrattuale del
debito):

kD = rD (1 tc)
WACC =

E
D
rD (1 tc)
kE +
D + E
D + E

Il segnalibro

Nel volume Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 4, Paragrafo 4.3.4,


sono presentate due semplici formule per ricavare il WACC di unimpresa: la
formula di Modigliani & Miller e quella di Miles & Ezzell.

108

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

La Tabella 4.1 riassume i concetti finora esposti, indicando come si calcolano i net
cash flows nellambito delle due logiche considerate.
Tabella 4.1 Determinazione dei net cash flows NCFt e del costo del capitale k nellambito
della logica del capitale proprio e del capitale investito.

Net Cash Flows (NCFt)

Logica
Capitale proprio

Forma diretta: CFt It OWCt


Forma indiretta: UNt + Costi non cash It OWCt
Forma diretta: CFt + OFt It OWCt

Capitale investito

Forma indiretta: UNt + OFt + Costi non cash It OWCt

Logica

Costo del capitale k

Capitale proprio

kE (costo del capitale azionario)

Capitale investito

WACC (costo medio ponderato del capitale)

Nel passo successivo, i flussi di cassa netti vengono attualizzati, e cio viene
determinato un loro equivalente relativo allistante attuale. Lattualizzazione rende
possibile sommare i flussi di cassa in maniera da trovarne il valore attuale della serie.
Il valore attuale VA di un flusso di cassa Ft relativo allistante di tempo t non
nientaltro che:

VA(Ft) =

Ft
(1 + k ) t

Il valore attuale dunque strettamente minore del valore monetario di Ft dal


momento che k > 0. Questo rispecchia il fatto che esiste un costo opportunit del
capitale. Un investitore non indifferente fra ricevere lo stesso flusso di cassa oggi
oppure fra un anno. Se lo ricevesse oggi, potrebbe investirlo in attivit alternative
sul mercato, e capitalizzare una ricchezza superiore nellarco dellanno. Ecco
perch lattualizzazione penalizza i flussi di cassa in misura tanto maggiore
quanto essi sono lontani nel tempo (al crescere di t), e poich il costo opportunit
109

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

del capitale contiene una componente legata al rischio associato ai flussi monetari,
la penalizzazione sar tanto pi severa quanto pi elevato il rischio (al crescere
quindi di k che per semplicit nella valutazione dimpresa viene considerato
costante per ogni valore di t).

Il segnalibro

Lattualizzazione dei flussi di cassa monetari approfondita nel Volume


Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 3, Paragrafo 3.1, dove vengono
presentate alcune formule di uso comune.
Come detto, il valore attuale additivo. Il valore attuale di una serie di pagamenti
relativi a scadenze diverse uguale alla somma del valore attuale dei singoli flussi:

VA(Ft1, Ft2, Ft3, Ft4) =

Ft1
(1 + k )
T

VA(Ft1, Ft2, , FT) =

t1

Ft 2
(1 + k )

t2

Ft 3
(1 + k )

t3

Ft 4
(1 + k ) t 4

(1 + ik ) i

i =0

Ipotizzando quindi che unimpresa generi una serie di net cash flows annuali
indefinitamente nel tempo, il valore dellimpresa V non sar altro che il valore
attuale dei net cash flows futuri.

V=

NCF

(1 + kt) t

t =1

Nella pratica, la stima dei NCF non viene perpetrata fino allinfinito, ma viene
limitata ad un orizzonte temporale T, data la crescente incertezza della stima futura.
Leffetto dei net cash flows successivi viene riassunto in un parametro VT, che
rappresenta il valore terminale che presumibilmente potrebbe avere limpresa
allistante T (ad esempio il valore di liquidazione):

110

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI


T

V=

NCF

(1 + kt) t

t =1

VT
(1 + k )T

Il valore terminale VT viene in genere fissato applicando dei moltiplicatori (si


veda il paragrafo successivo relativo ai multipli comparabili) al cash flow
prevedibile dellimpresa al tempo T.
La valutazione finanziaria supera quindi alcune lacune della valutazione patrimoniale,
dal momento che considera la capacit delle risorse dellimpresa di tradursi in flussi
monetari effettivi, ma offre anche parecchi gradi di incertezza e aleatoriet, sia nella
valutazione dei flussi di cassa stessi, sia nella determinazione del costo del capitale k.
Infine, ricordiamo che seguendo la logica del capitale proprio si trova il valore di
mercato del capitale azionario (equity) dellimpresa, mentre nella logica del
capitale investito si trova il valore di mercato di tutte le passivit dellimpresa. Se
vogliamo ricondurci al valore dellequity, occorrer in questo secondo caso
sottrarre il valore di mercato del debito finanziario (che in genere corrisponde al
valore di rimborso opportunamente attualizzato, oppure spesso per semplicit viene
associato alla posizione finanziaria netta contabile di bilancio).

Esempio

Si vuole valutare unimpresa produttrice di automobili. Le stime fornite dagli


analisti sui bilanci futuri dellimpresa sono le seguenti:
(valori in mln. )
Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno 4 Anno 5 Anno 6 Anno 7 Anno 8
Valore della produzione
350
340
320
330
350
360
370
350
Costi della produzione
120
100
80
90
100
100
110
110
Ammortamenti
50
50
50
50
60
60
60
60
Oneri finanziari
20
20
20
30
30
30
30
30
Incremento immobilizzazioni 0
0
0
+100
0
0
0
0
Incremento capitale circolante 0
-20
-20
+20
0
0
0
+20

Il mercato delle automobili oggi in difficolt, ma si spera nella ripresa, nellarco


di cinque anni; limpresa conta di migliorare gradualmente lefficienza della
111

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

produzione, risparmiando su costi e riducendo al minimo le rimanenze. Fra quattro


anni si pensa di lanciare sul mercato un nuovo modello di automobile, che consentir di
incrementare le vendite; ci render necessario un investimento di 100 mln. e un
incremento del capitale circolante.
Si pensa che laliquota fiscale sul reddito sia pari al 40%, e che fra nove anni
limpresa potr valere sul mercato 900 mln. (in termini di valore delle attivit
totali). Limpresa, in termini di valore delle attivit, finanziata per un terzo da
debito e due terzi da equity. Gli analisti ritengono che il costo del capitale kE sia pari
al 14% mentre il tasso di remunerazione del debito dellimpresa rD pari all8%.
Per determinare il valore dellimpresa, adottiamo il metodo finanziario, attraverso
la logica sia del capitale proprio sia del capitale investito.
- Logica del capitale proprio
Si tratta di ricavare i net cash flows (NCF) annuali dai dati di previsione:
NCFt = UNt + Costi non cash It OWCt
Ancora una volta ricordiamo che gli ammortamenti cos come le voci di costo non
cash non entrano nel calcolo del cash flow, ma i risparmi fiscali da loro creati s.
quindi consigliabile determinare lutile netto previsto dellimpresa.
(valori in mln. )
Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno 4
Valore della produzione
350
340
320
330
Costi della produzione
120
100
80
90
Ammortamenti
50
50
50
50
Oneri finanziari
20
20
20
30
Utile lordo previsto
160
170
170
160
Imposte (40%)
64
68
68
64
Utile netto
96
102
102
96
Ammortamenti
50
50
50
50
Incremento immobilizzazioni 0
0
0
+100
Incremento capitale circolante 0
-20
-20
+20
Net cash flow
146
172
172
26

112

Anno 5 Anno 6 Anno 7


350
360
370
100
100
110
60
60
60
30
30
30
160
170
170
64
68
68
96
102
102
60
60
60
0
0
0
0
0
0
156
162
162

Anno 8
350
110
60
30
150
60
90
60
0
-20
170

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il valore dellimpresa V sar dato dalla somma attualizzata dei NCF e dal valore
attuale di VT (per semplicit supponiamo che il valore dellequity fra nove anni sia
sempre pari a 2/3 del valore delle attivit):
T

V=

NCF

162

(1 + kt) t

t =1

156

(1,14)

(1,14)

VT
2
146
172
172
26
=
+
+
+
+
2
3
3 (1 + k )T
(1,14)
(1,14)
(1,14)
(1,14) 4
6

162
(1,14)

170
(1,14)

2 900
= 843,73 mln.
3 (1,14) 9

- Logica del capitale investito


Questa volta dobbiamo tenere conto di tutto il flusso di reddito generato, compresi
gli interessi sul debito (oneri finanziari), e attualizzare i flussi di cassa attraverso il
WACC:
NCFt = UNt + OFt + Costi non cash It OWCt
WACC =

E
D
kE +
rD (1 tc) = 2/3 kE + 1/3 kD (1 40%) = 10,93%
D + E
D + E

(valori in mln. )
Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno 4
Valore della produzione
350
340
320
330
Costi della produzione
120
100
80
90
Ammortamenti
50
50
50
50
Oneri finanziari
20
20
20
30
Utile lordo previsto
160
170
170
160
Imposte (40%)
64
68
68
64
Utile netto
96
102
102
96
Ammortamenti
50
50
50
50
Oneri finanziari
20
20
20
30
Incremento immobilizzazioni 0
0
0
+100
Incremento capitale circolante 0
-20
-20
+20
Net cash flow
166
192
192
56
T

V=

NCF

t
(1 + WACC
)t

t =1

VT
(1 + WACC )

Anno 5 Anno 6
350
360
100
100
60
60
30
30
160
170
64
68
96
102
60
60
30
30
0
0
0
0
186
192

Anno 7 Anno 8
370
350
110
110
60
60
30
30
170
150
68
60
102
90
60
60
30
30
0
0
0
-20
192
200

166
192
192
+
+
+
2
(1,1093) (1,1093)
(1,1093)3
113

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

56

(1,1093)

186
5

(1,1093)

192
6

(1,1093)

192
7

(1,1093)

200
8

(1,1093)

900
(1,1093)9

V = 1.231,03 mln.
4.1.3 La valutazione reddituale
Anche la valutazione reddituale si basa sullattualizzazione di flussi monetari. La
differenza per sta nel fatto che non vengono considerati i net cash flows, ma i
flussi di ricavi. Lidea quella di determinare il valore attuale dei flussi di reddito
generati dallimpresa nel futuro.
Il metodo si basa sullindividuazione di un reddito medio prospettico R, che viene
attualizzato ad un tasso i. Il reddito prospettico R viene determinato sulla base delle
risultanze di conto economico nel passato e delle previsioni future, tenendo conto
di opportune rettifiche laddove i valori possono essere contaminati da voci
contabili di bilancio straordinarie. Il tasso i invece nella prassi viene rappresentato
come il costo del capitale investito (WACC).
Nella sua formulazione pi semplice, il valore dellimpresa V viene individuato
come il valore di una perpetuity, ovvero di una serie infinita di pagamenti tutti
uguali:

V=

(1 + i) t

t =1

Sfruttando la propriet della serie geometrica, si ottiene:

V=

R
i

Altre volte, come nel caso della valutazione finanziaria, si limita lorizzonte
temporale allistante T e viene determinato un valore residuo VT dellimpresa:

114

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI


T

V=

(1 + i) t

t =1

VT
(1 + i ) T

La logica della valutazione reddituale molto simile a quella della valutazione


finanziaria, salvo il fatto che considera il reddito generato dallimpresa e non il
cash flow. Il fatto inoltre di utilizzare un reddito medio prospettico aumenta il
grado in incertezza del metodo.
Una variante della valutazione reddituale la determinazione dellembedded
value (EV), metodo comunemente applicato nella valutazione delle imprese
assicurative. I costi di questo tipo di imprese (come spese di marketing, costo del
lavoro, ) sono in genere concentrati nellimmediato, mentre i ricavi sono
significativamente dilazionati nel tempo, in coincidenza con i pagamenti dei premi
assicurativi. Lidea quella di determinare il valore insito nel portafoglio polizze
dellimpresa (value of business in force, VBIF) correlato agli introiti futuri.
4.1.4 La valutazione mista
Il metodo misto prevede semplicemente lapplicazione sia del metodo
patrimoniale, sia del metodo reddituale/finanziario. A volte viene calcolata una
semplice media fra il valore fornito dai diversi metodi (metodo della media), altre
volte viene determinato un valore patrimoniale, che viene corretto da una
componente reddituale (metodo della capitalizzazione limitata degli extra-profitti),
atta ad esprimere i driver di valore che non emergono dalla stima patrimoniale, il
cui contributo al valore pu essere positivo (goodwill) o negativo (badwill).
4.1.5 Residual Income: Economic Value Added (EVA)
Nel passato lidentificazione del valore dellimpresa con la capacit di generare
profitti stata spesso causa di politiche aziendali distorte. Lattenzione dei
managers verso la massimizzazione dei profitti ha portato a volte a ricercare la
crescita dellimpresa e dei suoi investimenti, nella speranza di incrementare il
reddito prodotto, e quindi lutile netto. Purtroppo stato spesso trascurato il
rapporto fra profittabilit e capitale investito. In altre parole, massimizzare il valore

115

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

degli azionisti non implica semplicemente massimizzare lutile netto, ma occorre


considerare anche il capitale impiegato nellimpresa. Il contadino che vuole
incrementare il raccolto di ortaggi pu da una parte acquistare nuovi terreni e
coltivarli, ma pi efficientemente pu adoperarsi per massimizzare la resa del
terreno disponibile.
Per tale ragione, una misura sempre pi diffusa del valore dellimpresa il
Residual Income, la cui formulazione pi conosciuta lEVA (Economic Value
Added) sviluppata dai consulenti di Stern Stewart. LEVA viene calcolato partendo
dal reddito operativo prodotto dallimpresa, al netto degli ammortamenti e delle
imposte e rettificato da eventuali distorsioni di natura contabile1 (tale flusso viene
definito come NOPLAT, Net Operating Profit Less Adjusted Taxes). Ad esso viene
sottratto il prodotto fra il capitale investito CI e il suo rendimento atteso, misurato
dal weighted average cost of capital WACC:
EVA = NOPLAT WACC CI
Il capitale investito CI deve tenere conto di tutte le attivit al netto delle passivit
diverse dai debiti finanziari, al netto degli ammortamenti.
Il residual income rappresenta dunque lextra-rendimento del capitale investito
totale rispetto al costo del capitale richiesto dagli investitori, e pu essere
considerato una misura estensiva della redditivit dellimpresa. Laddove esso
positivo, si intende che la societ in grado di generare extra-profitti rispetto a
quanto richiesto dal mercato. Laddove invece negativo, implica che limpresa
ha generato meno reddito di quanto richiesto, distruggendo valore.
Per valutare unimpresa attraverso la metodologia del residual income sar
sufficiente stimare anno per anno la capacit di generare flussi di EVA, calcolarne
1

Stern Stewart raccomanda oltre 160 correzioni contabili, da operare prima di applicare il
metodo di valutazione ai dati di bilancio. I pi rilevanti sono: eliminare le componenti
reddituali di natura finanziaria celate nel risultato operativo, applicare la contabilit FIFO,
ripartire i costi sostenuti per ricerca e sviluppo (R&D), promozione e pubblicit in pi
esercizi, dal momento che porteranno benefici anche in futuro e non solo nellesercizio
contabile in cui sono spesati. Per una trattazione completa si rimanda al sito Internet:
http://www.sternstewart.com.
116

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

il valore attuale e quindi la somma. Se la stima si limita ad un istante futuro T,


anche in questo caso occorrer introdurre un terminal value VT.
La popolarit crescente del modello legata al fatto che esso riassume, in ununica
formula, le tre leve ci creazione di valore nellimpresa:
1) migliorare lefficienza operativa, incrementando i ricavi e contenendo i
costi;
2) contenere il capitale investito laddove non sia impiegato in maniera
efficiente (ad esempio tramite il pagamento di dividendi straordinari),
migliorandone il rendimento;
3) ridurre il costo del capitale, attraverso la gestione finanziaria (ad esempio
contenendo il rischio dimpresa attraverso tecniche di risk management).
4.1.6 Multipli comparabili
Un metodo di valutazione delle imprese molto diffuso lanalisi dei multipli
comparabili. Lidea quella di considerare un set di indici, riferiti ad imprese
simili a quella da valutare ma quotate in Borsa, e di cui si dispone di un valore di
mercato di riferimento. Il concetto di similitudine riguarda sia la dimensione
dellimpresa (in termini di valore contabile degli assets, fatturato, numero di
dipendenti), sia let, sia soprattutto larea di business di riferimento.
Gli indici che si considerano sono in genere rapporti fra la capitalizzazione di
Borsa e valori contabili quali il patrimonio netto, lutile netto, piuttosto che il
margine operativo lordo, piuttosto che il fatturato (in particolare per le imprese non
profittevoli).
Individuato il set di imprese e lindice di riferimento, si ha a disposizione un range
di multipli (compresi fra il valore minimo e il valore massimo) che pu essere
applicato allimpresa da valutare. Se ad esempio il set di imprese comparabili
caratterizzato da un indice utile netto / capitalizzazione di Borsa variabile fra 10 e
12, allora se lutile netto dellimpresa da valutare x, un range di riferimento del
valore dellimpresa compreso fra 10x e 12x. In genere la valutazione tende a
focalizzarsi sui valori pi bassi del range, sia per prudenza, sia per tenere conto
della eventuale maggiore rischiosit dellimpresa.

117

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il punto

Abbiamo passato in rassegna diversi metodi di valutazione dellimpresa. I pi


importanti sono il metodo patrimoniale, secondo cui il valore dellimpresa discende
dal valore di mercato delle sue attivit, e i metodi finanziari-reddituali, secondo cui
il valore di mercato discende dalla capacit dellimpresa di generare flussi di cassa
e di reddito futuri, in misura superiore rispetto al costo del capitale investito.
4.2 La valutazione degli investimenti
Un investimento un progetto, che a fronte di un assorbimento (certo) di risorse
aziendali crea opportunit (rischiose e incerte) di generazione di reddito nel futuro.
Esempi di questo tipo sono: la sostituzione di un impianto con un nuovo tipo,
lacquisizione di assets dallesterno (titoli finanziari, immobilizzazioni, brevetti,
divisioni aziendali), ladozione di una tecnologia, lo sviluppo di un nuovo prodotto.
Il valore di un investimento discende in ultima analisi dalla capacit di generare pi
reddito rispetto al consumo di risorse, e di remunerare il capitale investito in misura

sufficiente rispetto al costo opportunit. In altre parole, possiamo dire che un


investimento acquisisce valore se, oltre a ripagare il costo delle risorse
congelate nel progetto, genera un extra-profitto sufficiente per giustificare il
rischio sopportato dai finanziatori. Il rendimento richiesto allinvestimento quindi
tanto pi elevato quanto maggiore il suo rischio, come argomentato nel Paragrafo
precedente.
chiaro che il metodo pi adatto per la valutazione di un investimento il metodo
finanziario, che si basa sullattualizzazione dei flussi di cassa futuri generati ogni
anno dallinvestimento, in virt dei benefici attesi a fronte dei costi iniziali.
Lidea quella di confrontare il valore attuale dei cash flows futuri associati
allinvestimento, rispetto alle risorse che il progetto richiede.

118

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

4.2.1 Valore attuale netto (VAN) di un investimento


Possiamo definire il valore attuale netto (VAN) o net present value (NPV) di un
investimento come la creazione di valore incrementale che linvestimento apporta
alle attivit di unimpresa. Laddove linvestimento presenti un VAN positivo, esso
contribuisce ad incrementare il valore dellimpresa. Laddove invece linvestimento
presenti un VAN negativo, esso distrugger parte del valore dellimpresa e va
rifiutato.
Quindi, il valore attuale VAN di un investimento pu essere espresso come la
somma del valore attuale dei flussi di cassa differenziali (positivi e negativi)
NCF*t generati dallinvestimento stesso nel corso della vita utile T
dellinvestimento:
T

VAN =

NCFt*

(1 + k )t

t =0

I flussi di cassa differenziali sono la differenza fra il net cash flow NCF*t che
limpresa registrerebbe nellanno t, avendo implementato linvestimento, e quelli
che invece limpresa registrerebbe non facendo linvestimento (NCFt):
NCF*t = NCF*t NCFt
In altre parole, si tratta del contributo marginale (che pu essere negativo o positivo
anno per anno) dellinvestimento alla generazione di flussi netti di cassa. Esempi
possono essere: i maggiori o minori ricavi associati allinvestimento, i maggiori o
minori costi per materie prime e personale, le maggiori o minori imposte
determinate, eventuali plusvalenze o minusvalenze legate alle cessioni degli assets
esistenti.
Nel caso particolare (tipico di un investimento aziendale) in cui i contributi
marginali negativi sono concentrati nellistante iniziale (lacquisto di un impianto,
piuttosto che di un immobile, o di unaltra attivit, il cui costo indichiamo con I0), e
sono invece positivi negli anni successivi (il maggiore reddito generato
119

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

dallinvestimento annuale), il valore attuale netto pu essere espresso come il


valore lordo dellinvestimento V, al netto del costo iniziale I0:
NCF*0 = I0 < 0
T

VAN =

NCF *

(1 + k )t t

NCF*t > 0

t = 1,2, , T

I0 = V I0

t =1

con

V=

NCF *

(1 + k )t t

>0

t =1

Nella valutazione di un investimento, tutte le attenzioni nella stima dei net cash
flows e del costo del capitale k gi adottate per la valutazione dellimpresa vanno
confermate.
La formula precedente vale se si ipotizza che al tempo T il valore del progetto sar
trascurabile e non generer pi benefici per limpresa. Se questa ipotesi non
accettabile, occorre determinare un valore finale VT dellinvestimento (terminal
value), che coincide ad esempio con il suo valore finale di cessione o di recupero.
Bisogna prestare attenzione anche a considerare solo e unicamente i contributi
marginali dellinvestimento alla creazione di flussi di cassa, evitando di
considerare per esempio i costi affondati (sunk costs), che non sono differenziali
nella decisione da prendere (ad esempio, studi di fattibilit gi commissionati, il cui
costo comunque da affrontare, piuttosto che costi del personale che non sono
comunque comprimibili per ragioni contrattuali).
Anche nellanalisi degli investimenti si pu agire secondo la logica del capitale
proprio, piuttosto che del capitale investito.
In prima istanza si valuta linvestimento come se limpresa sia finanziata solo con
capitale azionario (in questo caso le due logiche vengono a coincidere) salvo
introdurre dei correttivi legati ad eventuali indebitamenti (si veda il Paragrafo
4.2.6). Da qui in avanti, nellottica del capitale proprio, assoceremo alla variabile k
il costo del capitale azionario.

120

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il punto

La tecnica pi conosciuta di valutazione di un investimento lattualizzazione dei


net cash flows annuali differenziali associati allinvestimento stesso; linvestimento
conveniente se il valore attuale netto dei flussi (VAN) positivo.
La valutazione di un investimento pu essere condotta anche secondo un approccio
diverso, attualizzando il residual income differenziale associato ad ogni istante di
tempo futuro (ad esempio attraverso il calcolo dellEVA, Economic Value Added).
Come mostra lEsempio seguente, se correttamente applicati, le tecniche del VAN
e dellEVA danno lo stesso risultato.

Esempio

Si consideri il caso di un investimento per i quali sono stati determinati i seguenti


flussi di cassa differenziali:
Valori in

Utile netto differenziale


Incremento immobilizzazioni
Ammortamenti

t=0

100.000
-

t=1

+15.000
20.000

t=2

+18.000
20.000

t=3

+18.000
20.000

t=4
t=5

+16.000 +13.000
20.000 20.000

Net cash flow NCF*

-100.000

+35.000 +38.000

+38.000

+36.000 +33.000

Determiniamo il VAN dellinvestimento, con un costo del capitale azionario kE pari


al 17%:
T

VAN =

NCFt*

(1 + k ) t

= 15.663,20

t =0

interessante mostrare che lapplicazione del metodo EVA, proposta da Stern &
Stewart, avrebbe portato allo stesso risultato: riprendiamo il prospetto dei flussi di
cassa differenziali, evidenziando la determinazione del reddito operativo netto, del
capitale residuo investito (incremento delle immobilizzazioni, al netto degli
ammortamenti cumulati) e del residual income RI anno per anno:
121

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

RI = Reddito netto differenziale k Capitale residuo


Valori in
t=0

Reddito netto differenziale


Incremento immobilizzazioni 100.000
Capitale residuo investito netto
-

t=1

+15.000
100.000

t=2

+18.000
80.000

t=3

+18.000
60.000

t=4
t=5

+16.000 +13.000
40.000 20.000

k Capitale residuo

17.000

13.600

10.200

6.800

3.400

Residual income RI

-2.000

+4.400

+7.800

+9.200

+9.600

La somma scontata del residual income fornisce:


T

EVA =

RI

(1 + tk )t

= 15.663,20

t =0

4.2.2 Tasso interno di rendimento (TIR)


Ad un investimento associato il parametro TIR (o IRR), ovvero il tasso interno di
rendimento (internal rate of return). Esso rappresenta il tasso di rendimento che
rende nulla la creazione di valore netto:
TIR: VAN(k = TIR) = 0
T

NCF *

(1 + TIRt ) t

=0

t =0

Il TIR rappresenta una sorta di rendimento effettivo dellinvestimento. Sotto


condizioni abbastanza generali, si pu affermare che se il TIR di un investimento
superiore a k, allora linvestimento crea valore, mentre in caso contrario
linvestimento da rigettare perch distrugge valore.
Sotto le stesse condizioni, la Figura 4.2 evidenzia la relazione negativa che
contraddistingue il valore netto di un progetto rispetto al costo del capitale k.
Quando il costo del capitale nullo, il valore attuale netto VAN dellinvestimento
coincide con la semplice somma dei flussi monetari differenziali. Al crescere di k,
122

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

il valore attuale dei flussi futuri decresce, finch quando il costo del capitale pari
al TIR dellinvestimento, la creazione di valore netto nulla. Per valori di k
superiori al TIR, linvestimento distrugge valore poich il suo rendimento
inferiore rispetto al tasso di remunerazione del capitale richiesto dagli investitori.
Figura 4.2 Valore attuale netto e tasso interno di rendimento (TIR) di un investimento in
funzione del tasso k.

VAN

Linvestimento
crea valore

Linvestimento
distrugge valore

NCFt*

t =0

TIR
k

4.2.3 Profitability index (PI)


Un secondo parametro intensivo della creazione di nuovo valore (in
contrapposizione al VAN, che un parametro estensivo) il Profitability Index
(PI). Esso si presta ad essere impiegato quando i flussi negativi sono concentrati
nellistante iniziale (I0) mentre la creazione di valore lordo (V) deriva da flussi di
cassa positivi negli anni successivi. Viene definito proprio come il rapporto fra il
valore lordo V generato dal progetto e linvestimento iniziale I0:

PI =

V
I0

123

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Quando lindice PI maggiore di 1, vuol dire che linvestimento ha un valore


attuale netto VAN positivo, mentre in caso contrario linvestimento distrugge
valore. Da questo punto di vista, lindice PI non d informazioni diverse rispetto al
criterio del VAN. Lunica differenza sta nel fatto che lindice PI non influenzato
dalla dimensione dellinvestimento quanto invece dalla sua redditivit nel senso
di produttivit relativa del valore. Se per lobiettivo dellimpresa la
massimizzazione del valore, fra due investimenti alternativi si sceglier sempre
quello con VAN maggiore, anche se caratterizzato da un indice PI inferiore.
4.2.4 Tempo di ripagamento (PB)
Un altro indice di analisi dellinvestimento il tempo di ripagamento PB (payback
time), che rappresenta lorizzontale temporale futuro oltre il quale, in termini
attuali, linvestimento comincia a generare valore netto. In altre parole, rappresenta
il punto di break even dellinvestimento, nel senso che la somma attualizzata dei
flussi generati fino al tempo PB determina una creazione di valore netto nulla:
t

PB = min t :

NCF *

(1 + k )t t

>0

t =0

In genere si verifica che:

T < PB

NCF *

(1 + k )t t

<0

t =0

T > PB

NCF *

(1 + k )t t

>0

t =0

In altre parole, se per caso linvestimento dovesse essere interrotto prima del tempo
PB, esso si rivelerebbe non profittevole; necessario attendere oltre tale istante
affinch esso cominci a generare valore netto positivo, in termini cumulati. Ci

124

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

accade se i flussi di investimento sono concentrati negli istanti iniziali mentre i


flussi di reddito sono relativi ai periodi successivi.
La Figura 4.3 esemplifica una situazione, nella quale il flusso negativo, ovvero
linvestimento iniziale I0, concentrato nellistante iniziale e i net cash flows
differenziali sono positivi negli anni successivi.
Figura 4.3 Payback time PB: il VAN in funzione dellorizzonte temporale t.

VANt

Linvestimento
se interrotto
distrugge valore

Linvestimento
se interrotto
crea valore

PB

- I0

Progressivamente, il valore attuale cumulato dei flussi di cassa VANt cresce


rispetto allorizzonte temporale considerato mano a mano che linvestimento
genera flussi differenziali positivi (che si sommano ai precedenti), finch oltre il
tempo PB il valore cumulato comincia a diventare positivo.

Esempio

Unimpresa intende valutare la possibilit di sostituire un impianto di produzione


con un nuovo macchinario. Sono noti i seguenti dati:
- limpianto esistente contabilizzato ad un valore di carico nullo ma pu essere
ceduto immediatamente con un valore di recupero pari a 50.000 ;

125

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

il nuovo impianto costa 300.000 , e la sua messa in opera comporta costi di


addestramento nei prossimi due anni pari a 1.000 lanno; esso verr
ammortizzato a rate costanti per cinque anni;
- per verificare la compatibilit del nuovo impianto con il processo produttivo
stato gi eseguito uno studio, costato 2.000 ;
- limpianto consente di incrementare il valore della produzione (attualmente
pari a 1,5 mln. ) del 10%, ma allo stesso tempo consuma pi energia (si stima
50.000 in pi allanno); il suo valore terminale trascurabile;
- il costo annuo delle materie prime, grazie alla maggiore efficienza
dellimpianto, crescer solo di 15.000 ;
- la modifica del processo di produzione permette una riduzione immediata delle
rimanenze totali di ciclo pari a 50.000 ;
- laliquota fiscale sul reddito dimpresa pari al 45%, il costo del capitale di
rischio kE uguale a 15%.
Per comprendere se la sostituzione dellimpianto conveniente, occorre valutare i
flussi di cassa netti differenziali NCF* associati alla decisione acquistare il nuovo
impianto piuttosto che mantenere il vecchio impianto. La vita utile del nuovo
impianto pari a cinque anni.
Si noti che non viene considerato lo studio di fattibilit, costato 2.000 dal
momento che non rappresenta un costo differenziale, quanto invece un costo
affondato.
Nellistante iniziale, il contributo differenziale al flusso netto di cassa viene da tre
fonti: la cessione del vecchio impianto (la cui plusvalenza viene per tassata),
lacquisto del nuovo impianto e lo smobilizzo delle scorte di ciclo esistenti.
Negli istanti successivi, il contributo deriva da costi e ricavi differenziali (al netto
delleffetto fiscale) e dallammortamento, che genera un maggiore scudo fiscale.
Ecco il prospetto dei flussi di cassa differenziali, nella logica del capitale proprio:
Valori in
Cessione vecchio impianto
Costi addestramento

126

t=0
+50.000

t=1
-

t=2
-

-1.000

-1.000

t=3
-

t=4
-

t=5
-

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI


Ammortamento nuovo impianto
-60.000 -60.000 -60.000 -60.000 -60.000
Incremento produzione
+150.000 +150.000 +150.000 +150.000 +150.000
Maggiore costo materie prime
-15.000 -15.000 -15.000 -15.000 -15.000
Consumo di energia
-50.000 -50.000 -50.000 -50.000 -50.000
Utile lordo differenziale
+50.000
+24.000 +24.000 +25.000 +25.000 +25.000
Maggiori imposte (45%)
-22.500
-10.800 -10.800 -11.250 -11.250 -11.250
Utile netto differenziale
+27.500 +13.200 +13.200 +13.750 +13.750 +13.750
Acquisto nuovo impianto
-300.000
Variazioni scorte
+50.000
Ammortamento
+60.000 +60.000 +60.000 +60.000 +60.000
Net cash flow NCF*

-222.500

+73.200

+73.200

+73.750

+73.750 +73.750

Determiniamo il VAN dellinvestimento, considerando che il suo valore terminale


trascurabile:
NCF *

VAN =

(1 + k )t t

= +23.827,30

t =0

Linvestimento crea valore, e quindi dovrebbe essere realizzato. Potrebbe essere


interessante calcolarne il TIR. Deve verificarsi:
T

NCFt*

(1 + TIR) t

=0

t =0

Facendo i calcoli si ottiene:


TIR = 19,43%
Il costo del capitale kE inferiore al TIR. Linvestimento non sarebbe profittevole
se il tasso barriera fosse superiore al TIR, ad esempio pari al 20%.
Possiamo anche determinare il payback time PB:
t

PB = t :

NCF *

(1 + k )t t = 0

t =0

Il payback time pari a cinque anni. Infatti, calcolando il VAN dellinvestimento


attraverso i net cash flow differenziali su un orizzonte di quattro anni anzich
cinque si ottiene un valore negativo:

127

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI


4

VAN(T = 4) =

NCFt*

(1 + k ) t

= 12.839,49

t =0

Se ne deduce che linvestimento non crea valore netto se non a partire proprio
dallultimo anno, il quinto.
4.2.5 Flusso annuo equivalente
Il Flusso Annuo Equivalente (FAE) consente di confrontare investimenti
caratterizzati da profili temporali dei net cash flows molto diversi. Lidea quella
di individuare un progetto equivalente a quello da valutare, in cui per i flussi di
cassa netti FAE siano uguali in ogni istante annuale considerato:
T

FAE :

NCFt*

(1 + k ) t

t =0

= VAN =

FAE

(1 + k ) t

t =0

chiaro che il flusso annuo equivalente di un investimento sar una media


ponderata dei suoi flussi di cassa differenziali NCF* alle varie scadenze.
Linvestimento sar da accettare quando FAE positivo, e viceversa; da questo
punto di vista non abbiamo per informazioni diverse rispetto a quelle indicate dal
criterio del valore attuale netto. Nel confronto invece di investimenti diversi
alternativi fra loro, e magari caratterizzati da diversa scadenza, si tratter di
riportare gli investimenti sullo stesso orizzonte temporale T (ad esempio
ipotizzando che essi siano replicabili nel tempo) e scegliere quello caratterizzato da
un FAE pi elevato.

Il punto

Abbiamo passato in rassegna diversi parametri di valutazione e di confronto di un


investimento: il TIR (tasso interno di rendimento), lindice PI (profitability index),
il tempo di ripagamento PB e il flusso annuo equivalente FAE. Questi parametri si
affiancano al criterio del valore attuale netto (VAN).

128

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

4.2.6 Interazione fra decisioni di investimento e finanziamento


La formula del VAN che abbiamo visto nelle pagine precedenti ipotizza che il
costo del capitale k dellimpresa sia dato, e non dipende da come linvestimento
finanziato. Invece, la forma di finanziamento dellinvestimento non indifferente
rispetto al suo valore. In altre parole, esiste uninterazione fra decisioni di
investimento e di finanziamento di un progetto. Se ad esempio un progetto viene
finanziato con indebitamento, oltre ai normali flussi di cassa associati a costi e
ricavi bisogner tenere conto del risparmio fiscale legato ai maggiori oneri
finanziari, che potranno essere deducibili dal reddito imponibile. Tali risparmi non
esisteranno invece se il progetto finanziato con capitale azionario, o con liquidit
disponibile. Come secondo esempio, basta ricordare che le diverse operazioni di
finanziamento possibili comportano costi differenziati, legati al compenso per
intermediari e consulenti finanziari che assistono limpresa nella raccolta di
capitale.
Ci sono due modi per tenere conto delleffetto legato al finanziamento di un
investimento con capitale di terzi piuttosto che con capitale proprio:
1) modificare il costo del capitale, riducendolo per tenere conto dei vantaggi
anche fiscali dellindebitamento; in questo caso si attualizzano i flussi di cassa
differenziali dellinvestimento con il WACC (weighted average cost of
capital), introdotto nel Paragrafo 4.1.2;
2) modificare il valore attuale dellinvestimento, attraverso la definizione del
VAM (valore attuale modificato): in pratica, il valore dellinvestimento sar
la somma del VAN base, cos come calcolato nelle pagine precedenti
ipotizzando che limpresa sia finanziata solo con capitale azionario, e del
valore attuale del finanziamento:
VAM = VAN base + VA(finanziamento)
La correzione introdotta dal valore attuale del finanziamento deriva dalla
considerazione che limpresa ha a disposizione diverse fonti di capitale, a costi

129

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

diversi. Il pi delle volte, esse non sono indifferenti luna rispetto allaltra, ma
possono contribuire a creare (o distruggere) valore rispetto al VAN base.

Esempio

Si consideri il caso di un investimento che ha le seguenti caratteristiche:


Investimento iniziale I0 = 100.000
Flusso di cassa annuale legato alla gestione operativa generato dallinvestimento, a
partire dallanno t=1, F = 30.000 (al lordo del prelievo fiscale)
Ipotizziamo che limpresa non sia indebitata e che linvestimento venga finanziato
interamente con liquidit versata dagli attuali azionisti e, per semplicit, che la
rendita generata dal progetto sia perpetua.
Laliquota fiscale tc sul reddito dimpresa pari al 33%. Il costo del capitale
azionario kE pari al 14%.
Determiniamo il VAN dellinvestimento, considerando la rendita annuale al netto
delle tasse F* e sfruttando la formula della perpetuity:
F* = F (1 tc) = 20.100
VAN = I 0 +

t =1

F*
F*
= I0 +
= 43.571
kE
(1 + k E ) t

Calcoliamo anche il TIR (tassi interno di rendimento) dellinvestimento. Deve


verificarsi:
VAN = I 0 +

F*
=0
TIR

TIR = 20,10%

Supponiamo ora che linvestimento, pari a 100.000, sia finanziato attraverso tre
modalit alternative:
1) attraverso la raccolta di nuovo capitale azionario, con un collocamento sul
mercato finanziario;
2) ipotizziamo ora che limpresa sia indebitata, e per mantenere lo stesso rapporto
fra debito ed equity, il progetto viene finanziato per il 50% da liquidit versata
dagli azionisti, e per il 50% da debito bancario remunerato al tasso del 7%
annuo;

130

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

3) come nel caso 2), ma il debito viene ribilanciato ogni anno t in funzione del
valore del progetto in quel momento (non noto ex ante), con lobiettivo di
mantenere un leverage pari al 50%.
Nel primo caso, la raccolta di nuovo capitale comporta certamente dei costi relativi
al compenso per gli intermediari finanziari (ad esempio banche di investimento o
consulenti) che curano il collocamento. Se ad esempio tale costo pu essere stimato
nel 4% dellaumento di capitale si ottiene, considerando la deducibilit fiscale del
costo di intermediazione:
VAM = VAN base + VAN finanziamento
VAN finanziamento = 4% (100.000) (1 tc) = 2.680
VAM = 43.571 2.680 = 40.891
Nel secondo caso, la raccolta di nuovo debito consente di ottenere maggiori
benefici fiscali, attraverso la deducibilit dal reddito imponibile di un maggiore
livello di interessi passivi. Inoltre, nel caso specifico consente di sfruttare il
fenomeno della leva finanziaria (si veda il Paragrafo 1.3) raccogliendo capitale
esterno, che viene remunerato al tasso annuo del 7% e investito in un progetto con
un tasso interno di rendimento addirittura del 20,10%.
Applichiamo la prima regola, determinando il WACC (weighted average cost of
capital) da applicare al progetto. Bisogna prestare attenzione a considerare
correttamente il peso del capitale azionario (E) rispetto al capitale di debito (D)
sul valore di mercato del progetto (non sullinvestimento contabile I0). Bisogna
inoltre considerare che lindebitamento rende pi rischioso il rendimento atteso del
capitale azionario (supponiamo ad esempio2 che kE sia pari al 17,35%).
Dimostreremo che il VAN del progetto sotto questa alternativa di finanziamento
pari a 52.361. Se fosse cos, il valore totale del progetto V (al lordo
dellinvestimento) sarebbe:
V = VAN + I0 = 152.361
Il debito contratto D pari al 50% dellinvestimento (50.000). Il valore del
capitale azionario E che finanzia il progetto dunque residuale, pari a:
2

In realt ci sono metodi precisi per determinare la variazione del costo del capitale
azionario; sono approfonditi nel volume Finanziare le Risorse dellImpresa.
131

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

E = V D = 102.361
(pari al 67,18% del valore del progetto)
Dunque, dal punto di vista finanziario il progetto non finanziato per il 50% da
debito, ma solo dal 32,82% (cio la differenza fra 100% e 67,18%).
WACC =

E
D
k 'E +
rD (1 tc)
D + E
D + E

WACC = 67,18% 17,35% + 32,82% 6% (133%) = 13,19%


In questo caso si ottiene un VAN dellinvestimento pari proprio a:
VAN = I 0 +

t =1

F*
F*
= I0 +
= 52.361
WACC
(1 + WACC ) t

Il VAN risulta ovviamente molto maggiore rispetto al caso iniziale, grazie al


risparmio fiscale ottenuto con lindebitamento e alla leva finanziaria. Si noti che
nella formula viene considerato il flusso F* senza tenere conto degli interessi sul
debito, poich se ne tiene gi conto nel calcolo del WACC.
Applicando invece la formula del VAM, dobbiamo calcolare il risparmio annuo sul
pagamento di imposte per arrivare al valore attuale del finanziamento.
Gli interessi passivi pagati ogni anno sono pari al 7% del debito (pari al 50% di
100.000 ), e quindi pari a 3.500. Il risparmio fiscale nel pagamento di imposte
RF sar pari ogni anno al 33% degli interessi:
RF = 33% 3.500 = 1.155
Infatti, su ogni euro deducibile dal reddito, il risparmio fiscale pari a 0,33 che
altrimenti sarebbe pagato in tasse. I flussi associati al risparmio fiscale non saranno
attualizzati al costo del capitale azionario, perch non sono relativi al rischio
operativo del progetto, ma essendo flussi di cassa noti con certezza una volta
contratto il debito andranno attualizzati al tasso di indebitamento.
Il valore attuale del finanziamento sar pari al valore attuale di una perpetuity,
scontata al tasso rD (e non al tasso kD, altrimenti terremmo conto due volte del
vantaggio fiscale!)
VA (finanziamento) =

RF
= 16.500
rD

Alla fine, secondo questo metodo il VAM dellintero progetto sar:


VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 43.571 + 16.500 = 60.071
132

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Nel caso 3) lobiettivo quello di ribalanciare il livello del debito in ogni anno di
vita dellinvestimento, con lobiettivo di mantenere un rapporto debito / valore del
progetto pari al 50%. In altre parole, se per caso ci accorgiamo che i flussi di
reddito generati dal progetto saranno maggiori rispetto alle aspettative,
incrementeremo leggermente il debito. Al contrario, se per caso i flussi operativi
saranno minori rispetto alle aspettative, ridurremo il debito.
La differenza rispetto al caso 2) la seguente: il risparmio fiscale nellanno 1 noto
con certezza, avendo fissato il livello del debito. I flussi differenziali relativi agli anni
successivi sono invece rischiosi, poich non sono noti ex ante con certezza. Essendo
noti, in ogni istante futuro, solo per i 12 mesi successivi, essi andranno attualizzati
utilizzando per un anno il tasso il costo del capitale di debito rD, e per gli altri anni il
costo del capitale azionario pari al 14% (ovvero quello relativo allimpresa
unlevered, se no terremmo conto due volte delleffetto fiscale del debito).
Calcoliamo quindi il valore attuale del risparmio fiscale:

(1 + kE ) RF
(1 + kE )
RF
RF
=
=

t -1
(1 + rD ) t =1 (1 + kE )t (1 + rD ) kE
t =1 (1 + rD )(1 + kE )

VA (finanziamento) =

VA (finanziamento) = 8.790
Sotto lipotesi 3) il valore VAM del progetto sar quindi:
VAM = VAN base + VA (finanziamento) = 43.571 + 8.790 = 52.361
Si pu notare quindi che attualizzare i flussi di cassa di un progetto utilizzando il
WACC coincide con ipotizzare che limpresa nel futuro corregga il livello del
debito per mantenerlo costante rispetto al valore del progetto.
Ha senso chiedersi infine se il risparmio fiscale incluso nel valore
dellinvestimento un valore effettivo. In realt, si capisce che il risparmio fiscale
annuo sar effettivo solo se limpresa ha un utile di bilancio sufficientemente
positivo, anche negli anni futuri. In caso contrario, i maggiori interessi passivi non
si tradurranno in un risparmio fiscale, poich limpresa gi non deve pagare le
tasse.

133

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il punto

Il valore di un progetto spesso non indipendente da come esso viene finanziato.


In tal caso si ricorre alla definizione del VAM (valore attuale modificato)
dellinvestimento, comprensivo del valore generato dal piano di finanziamento,
oppure si corregge il tasso di attualizzazione ricorrendo al WACC (weighted
average cost of capital).
Purtroppo non siamo ancora arrivati alla meta. Stiamo ancora considerando
implicitamente alcuni vincoli, che a volte possono risultare eccessivamente stringenti:
1) il progetto da valutare viene finanziato con lo stesso mix di capitale di rischio e
debito che rappresenta il leverage attuale dellimpresa;
2) la volatilit dei flussi di cassa differenziali associati allinvestimento uguale a
quella degli altri investimenti implementati dallimpresa.
Consideriamo il primo vincolo. Se ad esempio le attivit dellimpresa sono
finanziate in termini di valore per il 60% da equity e il 40% da debito, anche il
nuovo investimento deve essere finanziato nelle stesse proporzioni. Se al contrario
le risorse finanziarie necessarie per linvestimento vanno a modificare il leverage
dellimpresa, il valore dellinvestimento deve essere riconsiderato, poich stiamo
andando a modificare la capacit di indebitamento dellimpresa.
In questo caso si modifica il tasso di attualizzazione dellinvestimento, ricorrendo
ad alcune formule, quali quelle di Miles&Ezzell e di Modigliani&Miller.

Il segnalibro

Una trattazione approfondita dellinterazione fra decisioni di investimento e


modalit di finanziamento di un progetto presentata nel Volume Finanziare le
Risorse dellImpresa nel Capitolo 4, Paragrafo 4.3.4.
Il secondo vincolo sintetizza lidea che il profilo di rischio associato
allinvestimento debba essere identico a quello percepito rispetto agli altri
investimenti effettuati dallimpresa. Si capisce che attualizzare flussi di cassa che
ragionevolmente possono essere considerati certi, con un tasso di interesse uguale a
134

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

quello utilizzato per investimenti molto rischiosi porterebbe a penalizzare


linvestimento poco rischioso trascurando invece la maggiore aleatoriet del
secondo investimento. Questo problema sar approfondito nel prossimo paragrafo.
4.2.7 Rischiosit di un investimento: equivalente certo e VAR (value at risk)
Un ulteriore parametro di valutazione degli investimenti la sensitivit del valore
attuale netto rispetto al costo del capitale e rispetto alla vita utile del progetto,
ovvero la sua aleatoriet rispetto a k e a t. Dalla formula del VAN, si capisce subito
che esiste una correlazione negativa fra tasso barriera k e valore netto
dellinvestimento. Inoltre, pi i flussi di cassa sono lontani nel tempo, meno
contribuiscono alla creazione di valore. La correlazione pu essere pi o meno
marcata, determinando un rischio pi o meno elevato per linvestimento.
Nella Figura 4.4 rappresentato lesempio di due investimenti A e B. Si pu notare
che quando il costo del capitale inferiore a k*, il VAN del progetto B pi
elevato, mentre invece quando il costo del capitale superiore a k* linvestimento
preferibile A, che caratterizzato anche da un TIR pi elevato. Si pu notare che
il progetto B risulta pi rischioso del progetto A, perch a fronte di una
variazione del costo del capitale k, la variazione del VAN (ovvero la pendenza
della funzione) maggiore per B che per A.
Figura 4.4 Valore attuale netto di due investimenti A e B caratterizzati da diversa
aleatoriet.

VAN

Linvestimento B
Linvestimento A
crea pi valore netto crea pi valore netto

TIRA
*

TIRB

A
B
135

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Se dovessimo scegliere fra i due investimenti, in alternativa, saremmo in


imbarazzo. Il criterio del TIR suggerirebbe di scegliere linvestimento meno
rischioso, A, poich il suo rendimento pi elevato. Ma se per caso il costo del
capitale fosse inferiore a k*, il criterio del VAN ci indicherebbe come preferibile
linvestimento pi rischioso, B.
Per caratterizzare la diversa rischiosit di investimenti alternativi rispetto al
portafoglio di attivit correnti dellimpresa, si usa ricorrere a due diverse tecniche:
1) utilizzare un tasso di sconto superiore a k, che comprenda un premio per il
rischio ulteriore;
2) correggere i flussi di cassa attesi, in funzione del rischio percepito dal
decisore aziendale.
Il primo metodo si basa sulla determinazione del premio per il rischio da associare
allinvestimento, che in funzione ovviamente del rischio percepito. Una
procedura possibile quella di definire, nel calcolo del VAN, un risk-adjusted
rate (RAR) comprensivo di un premio per il rischio r ulteriore rispetto al costo
del capitale attuale:
RAR = kE + r
T

VAN =

t =0

NCFt*
(1 + RAR) t

Il premio r pu essere determinato attraverso lanalisi della volatilit


dellinvestimento, in relazione alla volatilit degli altri progetti nel portafoglio di
attivit correnti. Nellapproccio dei modelli di capital budgeting come il Capital
Asset Pricing Model (CAPM) lequilibrio fra rischio e rendimento richiesto viene
spesso correlata alla capacit dellinvestimento stesso di diversificare o amplificare
il rischio sistematico dellimpresa rispetto agli altri titoli azionari esistenti sul
mercato.

136

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il segnalibro

La relazione di equilibrio fra rischio di unattivit e rendimento richiesto dettata dal


Capital Asset Pricing Model (CAPM) presentata nel Volume Finanziare le
Risorse dellImpresa nel Capitolo 4, Paragrafo 4.3.1.
Il secondo metodo prevede invece la definizione di flussi di cassa equivalenti
certi. In altre parole, ci si chiede, per ogni istante t, quale sarebbe lammontare dei
net cash flow certi (quindi privi di rischio) NCFrf che si ritiene equivalente
realizzare invece dei flussi differenziali stimati (quindi rischiosi). In tale maniera, il
valore attuale netto dellinvestimento pu cos essere calcolato:
T

VAN =

t =0

NCFt rf
(1 + r f ) t

dove al posto del costo del capitale dellimpresa k si utilizza il tasso risk free di
mercato rf, proprio perch il flusso di cassa giudicato equivalente considerato
certo e non rischioso.
Per determinare il flusso di cassa non rischioso equivalente, necessario introdurre
delle ipotesi sulla funzione di utilit U del decisore, e in particolare sul grado di
avversione/propensione al rischio3.

Il segnalibro

Una trattazione dettagliata della funzione di utilit e in particolare del grado di


avversione o propensione al rischio presentata nel Volume Finanziare le Risorse
dellImpresa nel Capitolo 4, Paragrafo 4.3.1.

Si badi al fatto che, in ogni caso, se il decisore in base al proprio grado di avversione al
rischio richiede un premio per il rischio uguale a quello richiesto dagli azionisti, la
determinazione del flusso equivalente certo non fornisce informazioni diverse rispetto al
flusso di cassa rischioso, attualizzato con il costo opportunit del capitale.
137

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Se ad esempio il decisore fosse indifferente al rischio, inteso come possibilit che il


valore effettivo del flusso di cassa sia nella realt diverso da quello previsto,
avremmo:
NCFrft = NCF*t

Infatti, il decisore indifferente al rischio associa la stessa utilit ad un flusso di


cassa certo piuttosto che a quello rischioso, con valore atteso uguale a quello certo.
Evidentemente, se e solo se i managers sono avversi al rischio, attribuiranno
unutilit inferiore al flusso di cassa rischioso rispetto a quello certo, e quindi
individueranno un flusso di cassa equivalente NCFrf che risulta in valore monetario
minore rispetto a quello stimato NCF*:
NCFrft < NCF*t

In altre parole, nel considerare un investimento i managers avversi al rischio


saranno indifferenti se esso genera un certo flusso di cassa non rischioso, oppure un
flusso di cassa rischioso ma con valore atteso pi elevato. come se chiedessero
un premio per il rischio.

Esempio

Si desidera confrontare due investimenti alternativi, caratterizzati dai seguenti dati:


a) Investimento A: vita utile 4 anni, flussi di cassa differenziali cos distribuiti:
NCF*0 = 140

NCF*1 = +50

NCF*2 = +50

NCF*3 = +50

NCF*4 = +50
b) Investimento B: vita utile 8 anni, flussi di cassa differenziali cos distribuiti:
NCF*0 = 200

NCF*1 = +50

NCF*2 = +50

NCF*3 = +50

NCF*4 = +50

NCF*5 = +50

NCF*6 = +50

NCF*7 = +50

NCF*8 = +50
Il costo del capitale k pari al 12%.

138

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Calcolando il VAN e il TIR per i due investimenti, si ottiene:


NCFt*

VAN =

(1 + k ) t

TIR: VAN(k = TIR) = 0

t =0

VANA = 11,87
TIRA = 15,97%
VANB = 48,38
TIRB = 18,62%
Per quanto riguarda il tempo di ripagamento PB, facendo i conti si pu affermare
che per linvestimento A il tempo PBA pari a 4 anni (al terzo anno linvestimento
non crea ancora valore). Per quanto riguarda linvestimento B, il tempo PBB vale 6
anni (fino allanno 5 il VAN negativo).
Se dovessimo scegliere fra i due investimenti in alternativa, avremmo
probabilmente diversi dubbi. Linvestimento B crea pi valore, ed ha anche un TIR
pi elevato, ma affinch si dimostri profittevole necessario attendere 2 anni in pi
rispetto allinvestimento A. Se per caso durante quel periodo si verificassero fatti
inattesi, rischieremmo di gettare alle ortiche linvestimento e di non beneficiare dei
flussi di cassa positivi attesi.
Proviamo a determinare il flusso annuo equivalente FAE, ipotizzando che
linvestimento A sia replicabile nellanno 4 fino allanno 8 (nellanno 4 avremo
quindi un flusso pari a 140 +50 = 110):
T

FAE :

NCFt*

FAE

(1 + k )t (1 + k )t

t =0

t =0

da cui si ottiene:
FAEA = 3,2525
FAEB = 8,1074
Ovviamente anche il criterio del flusso annuo equivalente individua come
preferibile linvestimento B, dal momento che ha il VAN maggiore.
Supponiamo per che il rischio associato ai flussi di cassa di B sia superiore
rispetto ad A. Ad esempio, ipotizziamo che i valori attesi dei net cash flow
dellinvestimento A siano caratterizzati da uno scarto quadratico medio A pari al
10%, mentre quelli dellinvestimento B siano caratterizzati da uno scarto
quadratico medio B pari al 20%. Ci equivale a dire che la probabilit che i net

139

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

cash flows effettivi siano molto diversi da quelli attesi molto pi elevata per
linvestimento B.
Ipotizziamo quindi che il decisore associ ad ogni flusso NCFt un equivalente certo
NCFrft pari a:
NCFrft = NCFt e-t
Chiaramente il decisore avverso al rischio, perch al crescere di e anche di t
(quindi al crescere dellincertezza e dellorizzonte temporale) egli penalizza in
misura crescente il flusso di cassa atteso, attribuendo un equivalente certo sempre
pi basso.
Calcoliamo quindi i flussi di cassa equivalenti certi dei due investimenti:
c) Investimento A: vita utile 6 anni, flussi di cassa differenziali cos distribuiti:
NCFrf0 = 140
NCFrf 1 = +45,24
NCFrf 2 = +40,94
NCFrf 3 = +37,04
NCFrf 4 = +33,52
d) Investimento B: vita utile 10 anni, flussi di cassa differenziali cos distribuiti:
NCFrf 0 = 200
NCFrf 1 = +40,94
NCFrf 2 = +33,52
NCFrf 3 = +27,44
NCFrf 4 = +22,47
NCFrf 5 = +18,39
NCFrf 6 = +15,06
NCFrf 7 = +12,33
NCFrf 8 = +10,09
Calcolando il VAN per i due investimenti, applicando un tasso privo di rischio di
mercato pari al 2%, si ottiene:
VANA = 9,57
VANB = 31,66
In questo caso addirittura linvestimento B distrugge valore. Il decisore sceglier
quindi il progetto A, perch la sua funzione di utilit caratterizzata da un grado di
avversione al rischio decisamente maggiore rispetto al costo del capitale per
limpresa. In altre parole, la sua percezione di un rischio pi elevato per il progetto
B, troppo elevato al crescere dellorizzonte temporale di riferimento, lo spinge a
rifiutare linvestimento stesso.
Infine, applichiamo la tecnica alternativa del RAR (risk-adjusted rate) supponendo
che i decisori aziendali richiedano allinvestimento B, pi rischioso, un premio per
il rischio addizionale r pari al 10% (doppio rispetto al premio richiesto ad A):
RAR = kE + r = 22%

140

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il VAN dellinvestimento B diventa:


T

VAN =

t =0

NCFt*
= 19,04
(1 + RAR) t

Anche il criterio del RAR suggerisce quindi di escludere linvestimento B, perch


troppo rischioso rispetto al rendimento offerto.
Una misura sempre pi diffusa del valore in condizioni di elevata incertezza il
VAR (Value at Risk), sviluppato inizialmente da Baumol (1963) e ripreso solo in
ambito recente nella teoria del valore finanziario. Il Value at Risk viene definito per
un orizzonte temporale T e un livello di confidenza . Il VAR rappresenta la
massima perdita di valore associata ad un investimento, nellarco del periodo T e
con una significativit statistica pari a . Se ad esempio un investimento presenta
un VAR di 500.000 su 2 anni con significativit 1%, vuol dire che con una
probabilit solo dell1% la perdita di valore dellinvestimento dopo 2 anni sar
maggiore o uguale a 500.000 (e ovviamente con una probabilit del 99%
linvestimento al peggio subir una perdita pari a 500.000 ).

Esempio

Il valore di un investimento immobiliare soggetto ai cicli economici e ai tassi di


interesse sul mercato. Supponiamo di considerare un investimento in un progetto
edilizio, che richiede uno stanziamento iniziale I0 di 14 mln. . Si pu stimare che
fra due anni la distribuzione di probabilit statistica del valore VT del progetto sar
simile a una funzione normale, con media pari a 18 mln. , e deviazione standard
pari a 3 mln. . Lobiettivo individuare il VAR dellinvestimento a due anni,
con un livello di confidenza pari al 5%.
Un qualsiasi manuale di statistica ci suggerirebbe innanzitutto di standardizzare la
distribuzione di probabilit di VT, ricavando la variabile z (che sar distribuita
secondo una funzione normale gaussiana N(z) standard con media zero e varianza
unitaria) secondo questa formula:
z = VT

141

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Si tratta quindi di individuare il valore di VT che soddisfa questa relazione:


+

N ( z )dz

= 0,95

Tradotta in termini statistici, la relazione precedente vuol dire che con il 95% di
probabilit la variabile z (ovvero il valore del progetto) assumer un valore
maggiore a t (il limite ricercato). O se si preferisce, vuol dire che con il 5% di
probabilit assumer un valore inferiore.
Le tabelle allegate allo stesso manuale di statistica ci indicheranno che il valore di t
pari a 1,645.
Se ne deduce che il valore ricercato VT sar pari a:
VT = t = 1,645
VT = + t = 13,065 mln.

Ci equivale ad una perdita sullinvestimento pari a VT I0 = 935.000 . Dunque:


VAR(2 anni, 5%) = 935.000
Solo nel 5% dei casi si pu ragionevolmente dire che la perdita dellinvestimento
sar superiore a tale soglia.

Il punto
Gli investimenti non sono tutti uguali, anzi possono essere caratterizzati da una
diversa rischiosit ed aleatoriet, che rendono problematica la stima di flussi di cassa
differenziali attendibili. Il ricorso al metodo del risk-adjusted rate (RAR),
lequivalente certo, o il calcolo del VAR, possono fornire elementi utili di analisi.
4.2.8 Opzioni strategiche
Quasi sempre, la capacit di un investimento di creare valore legata alle scelte
future del management. In altre parole, il valore di un investimento non quasi mai
determinato da una serie di eventi futuri totalmente fuori dal controllo dellimpresa.
In questo caso, linvestimento acquista la natura di opzione su un possibile
sviluppo futuro dello scenario competitivo. Se le condizioni saranno favorevoli,
limpresa potr cogliere le opportunit offerte dalle scelte precedenti, ma se lo
scenario sar sfavorevole, nessuno obbliga i managers a persistere nei loro

142

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

progetti, causando perdite di cassa. Da questo punto di vista, come se il rischio


dellinvestimento sia inferiormente limitato.
chiaro che la valutazione delle attivit dellimpresa genera un risultato
sottostimato, se non si tiene conto del portafoglio di opzioni reali detenute
dallimpresa, che proprio per la loro natura legata al processo decisionale vengono
chiamare anche opzioni strategiche.
Le opzioni strategiche possono essere classificate in:
opzioni di sviluppo (o espansione),
(i)
opzioni di flessibilit,
(ii)
opzioni di differimento,
(iii)
opzioni di ridimensionamento,
(iv)
opzioni di abbandono.
(v)
Lopzione di sviluppo pu riguardare un investimento che genera opportunit di
sviluppo di nuovi prodotti o di nuovi processi, piuttosto che opportunit di
espansione in nuovi business. Come esempio, si possono considerare i molti
investimenti non profittevoli fatti dalle imprese nelle-business, nella speranza
che essi generino opportunit di crescita future grazie alla diffusione di Internet.
Lopzione di flessibilit deriva dalla possibilit di utilizzare risorse possedute
dallimpresa per altri scopi rispetto a quelli inizialmente previsti; si pensi ad
esempio allacquisto di un immobile ad uso uffici, che in caso di mancata
espansione potr essere affittato.
Lopzione di differimento generata da opportunit di rinvio di un investimento,
nellattesa di migliori informazioni sullo scenario competitivo. Lopzione di
ridimensionamento legato alla possibilit di ridurre linvestimento e gli esborsi di
cassa connessi, nel caso lo scenario sia sfavorevole. Infine, lopzione di abbandono
legata alla possibilit di abbandonare linvestimento a s stesso, se non risulta
profittevole, senza alcun ulteriore esborso. Un esempio di opzione di abbandono
il capitale azionario, grazie alla responsabilit limitata degli azionisti sulle attivit
aziendali e alla loro possibilit di abbandonare limpresa nel caso fallisca.
Il valore di unopzione strategica pu essere determinato invocando i modelli di
analisi delle opzioni finanziarie. interessante notare che il valore di unopzione

143

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

non decresce allaumentare del rischio e incertezza associati agli scenari futuri, ma
anzi cresce, grazie alla discrezionalit che detiene il manager di esercitare
lopzione nel caso ci si riveli conveniente.

Il segnalibro
Le tecniche di valutazione delle opzioni sono ampiamente descritte nel Volume
Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 5, Paragrafo 5.2.

Esempio
Si tratta di valutare un progetto di investimento nel settore delle biotecnologie, per
lo sviluppo di una nuova molecola. Leventuale avvio del progetto comporterebbe
un esborso iniziale pari a 200. Fra un anno, possono realizzarsi due scenari
alternativi:
1) la ricerca avr dato risultati soddisfacenti,
2) la ricerca non ha ancora dato risultati soddisfacenti, e quindi si rende
necessario investire nuovo capitale (per un valore di 100) per evitare il
fallimento.
I decisori stimano che il primo scenario si avverr con una probabilit del 60%,
mentre il secondo con una probabilit del 40%.
Fra due anni, gli scenari giudicati possibili sono tre:
1) linvestimento si chiude con un successo, e con la cessione del brevetto (con un
flusso di cassa positivo pari a 700);
2) lattivit di ricerca d buoni risultati, ma non si ancora giunti al brevetto (in
questa situazione il progetto pu comunque essere ceduto ad una
multinazionale interessata realizzando un flusso di cassa di 400);
3) il progetto fallisce senza risultati apprezzabili, e viene liquidato.
Il costo del capitale annuo associato al progetto, in funzione del rischio percepito,
pari al 18%.

144

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI


Tempo t = 0

t=1

t=2
p=50%

p=60%

F0 = 200

F2a = 700

Primi risultati
soddisfacenti
F1a = 0

Investimento
iniziale

p=50%
p=20%

p=40%

Cessione
dellinvestimento
F2b = 400

Primi risultati
insoddisfacenti
F1b = 100

Successo

p=80%

Liquidazione
dellinvestimento
F2c = 0

Le probabilit p attribuite dai decisori ai diversi eventi (in funzione del grado di
avversione/propensione al rischio implicito nel costo del capitale richiesto), e i
relativi flussi di cassa associati F, vengono riassunti nello schema precedente.
Si tratta di valutare il progetto di investimento, attraverso il metodo di backward
induction (ovvero si parte dai possibili esiti finali dellinvestimento, risalendo
lungo lalbero delle probabilit). In ogni stato di natura, il valore del progetto V
dato dalla media pesata dei flussi scontati associati agli eventi futuri.
Al tempo t = 1, nel caso i primi risultati siano soddisfacenti, il valore atteso V1a del
progetto sar:
V1a = F1a + 50% F2a /(1+k) + 50% F2b /(1+k) = 466,10
Nel caso invece i primi risultati siano insoddisfacenti, sulla base delle aspettative
future il valore V1b del progetto sar:
V1b = F1b + 20% F2b /(1+k) + 80% F2c /(1+k) = 32,20
Il valore attuale V0 del progetto sar:
V0 = F0 + 60% V1a /(1+k) + 40% V1b /(1+k) = 26,08
Introduciamo ora la possibilit di abbandonare il progetto al tempo t=1. Ci vuol
dire che fra un anno non siamo per nulla obbligati a proseguire nel progetto, ma
possiamo anche abbandonarlo a s stesso, nel caso le prospettive siano negative. In
altre parole, introduciamo unopzione di abbandono sullinvestimento (che

145

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

equivale ad unopzione di vendita, nel gergo finanziario put, a prezzo nullo).


Quanto potr valere?
Innanzitutto notiamo che, arrivati al tempo t=1, nel caso i primi risultati siano
insoddisfacenti, conveniente abbandonare linvestimento. Il valore atteso del
progetto V1b in tale situazione sarebbe negativo, mentre abbandonandolo avremmo
un payoff nullo.
Ricalcoliamo il valore attuale del progetto:
V0 = F0 + 60% V1a /(1+k) + 40% F1b /(1+k) = 37,00
Il valore Vopt dellopzione di abbandono sar pari alla differenze fra il valore del
progetto con opzione di abbandono e valore del progetto senza opzione:
Vopt = 37 26,08 = 10,92
Lalbero decisionale del progetto diventa quindi il seguente:
Tempo t = 0

t=1

t=2
p=50%

p=60%

F0 = -200

p=40%

F2a = 700

Primi risultati
soddisfacenti
F1a = 0

Investimento
iniziale

Primi risultati
insoddisfacenti

Successo

p=50%

Cessione
dellinvestimento
F2b = 400

ABBANDONO
F1b = 0

Si pu dimostrare che variando alcuni parametri dellesempio, ad esempio


esasperando la variabilit dei payoff (incrementando di molto quelli positivi e
diminuendo ulteriormente quelli negativi nei vari stati di natura), si pu ottenere un
risultato interessante: lincremento della rischiosit dellinvestimento ha leffetto di
incrementare il valore dellopzione di abbandono. La spiegazione immediata:
introdurre unopzione di abbandono permette di limitare inferiormente le perdite
associate al progetto. In altre parole, se siamo assicurati rispetto alla parte

146

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

negativa del rischio, possiamo beneficiare da un aumento della volatilit dei payoff,
perch ne catturiamo il lato positivo.
Unultima osservazione: chiaro che nella determinazione del valore dellopzione
e dellinvestimento giocano un ruolo chiave le probabilit (soggettive) di
accadimento dei diversi stati di natura associate dai decisori. In realt attraverso la
teoria delle opzioni finanziarie possibile evitare la stima delle probabilit di ogni
stato di natura, ma comunque necessario attribuire una volatilit al valore futuro
dellinvestimento a cui associata lopzione. In altre parole, necessario introdurre
delle ipotesi su come distribuito statisticamente il payoff del progetto.
4.2.9 Durata ottima di un investimento
Un altro esempio di discrezionalit nellambito della valutazione degli investimenti
la possibilit, una volta lanciato linvestimento, di decidere negli anni successivi
se prolungarne la vita utile oppure rinnovarlo.
Nei paragrafi precedenti la vita utile dellinvestimento T stata considerata fissa ex
ante, ma spesso non cos. Lesempio classico quello della semina nei boschi:
quale il periodo ottimale fra una semina e la successiva, coincidente con il taglio
degli alberi? Altro esempio quello del lancio di un nuovo prodotto: ogni quanti
anni conviene sostituire il prodotto in catalogo con un nuovo modello? In entrambi
i casi vi un trade-off fra i costi di investimento (che aumentano in frequenza al
diminuire della vita utile del progetto) e i ricavi (che al contrario tendono a
diminuire al crescere della vita utile del progetto).
Si pu dimostrare che vale la seguente regola, per determinare la vita utile ottimale
t* del progetto:
VAN(t = t*) > Annuity [NCFt*+1, t* anni]

NCFt** +1
VAN(t = t*) >
k

1
1

t*

+
(
1
k
)

La regola stabilisce di interrompere il progetto quando il valore attuale di un suo


nuovo lancio per t* anni (parte sinistra della relazione) diventa maggiore dei
147

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

flussi di cassa futuri a cui stiamo rinunciando (parte destra della relazione), cio il
flusso relativo al tempo t*+1. A questi flussi rinunciamo non solo oggi, ma in tutti
gli anni futuri ogni volta che il progetto viene interrotto (cio ogni t* anni)
Si noti che sia il crescere di I0 sia il crescere del flusso futuro NCFt **+1 tendono a
far diminuire il VAN dellinvestimento, e quindi a far allungare lorizzonte di
investimento ottimale.

Esempio
Unimpresa automobilistica deve decidere ogni quanti anni lanciare un nuovo
modello. Si tratta di determinare il trade-off ottimale fra il lancio frequente di nuovi
prodotti (il che comporta dei costi elevati), oppure prolungare la vita utile dei
vecchi modelli quanto pi possibile (il che comporta un livello delle vendite
calante nel tempo, poich si subisce maggiormente la concorrenza degli avversari e
lobsolescenza tecnologica del prodotto).
Dopo il lancio di un nuovo modello, si possono stimare questi flussi di cassa
annuali NCF relativi alle vendite negli anni successivi:
Anno

...

NCF

130

100

70

30

15

10

...

Il lancio di un nuovo modello di auto comporta investimenti iniziali I0 per un


valore di 150. Ogni quanti anni conviene lanciare un nuovo modello che sostituisce
il precedente?
Ipotizzando che il costo del capitale dellimpresa k sia pari al 17%, lapplicazione
della regola ci porta a fare questi conti:
VAN(t*=1) = 150 + 130/1,17 = 38,89 < Annuity[NCF2, 1 anno] = 85,47
VAN(t*=2) = VAN(t*=1) + 100/(1,17)2 = 34,16 < Annuity[NCF3, 2 anni] = 110,96
VAN(t*=3) = VAN(t*=2) + 70/(1,17)3 = 77,87 > Annuity[NCF4, 3 anni]= 66,28
Il suggerimento quello quindi di interrompere linvestimento al tempo 3, e
lanciare immediatamente un nuovo modello, e cos via. Verifichiamo che si tratta
proprio della scelta ottimale. Calcoliamo il VAN seguendo questa strategia, su un
148

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

orizzonte di 12 anni, ipotizzando quindi la possibilit di replicare linvestimento


(necessario per poter confrontare le scelte alternative):
Anno
NCF

10

11

12

...

-150 130 100 70


-150 130 100 70
-150 130 100 70
-150 130 100 70 ...

VAN (t* = 3) = +175,80


Verifichiamo, sempre su un ciclo di 12 anni, che interrompere linvestimento al
tempo 2, oppure al tempo 4, una scelta sub-ottimale.
Anno
NCF

10

11

12 ...

-150 130 100


-150 130 100
-150 130 100
-150 130 100
-150 130 100
-150 130 100

VAN (t* = 2) = +107,50 < VAN(t* = 3)


Anno
NCF

10

11

12

...

70

30

-150 130 100 70 30


-150 130 100 70 30
-150

130 100

VAN (t* = 4) = +170,71 < VAN (t*=3)


Interrompere linvestimento al secondo anno o al quarto anno dunque
effettivamente meno profittevole che rinnovare il progetto al terzo anno di vita.

149

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

Il punto
Un investimento non blindato. Molte volte vi sono spazi di discrezionalit,
come ad esempio la possibilit di interromperlo, rinnovarlo, modificarne alcuni
aspetti durante la sua vita utile. Questi aspetti tendono ad incrementarne il valore
per limpresa, grazie alle opzioni strategiche e alla flessibilit decisionale in
funzione degli scenari pi favorevoli.
4.3 Le tecniche di valutazione non monetarie
A volte, non facile associare ad un investimento un valore in termini monetari.
Ci accade se i benefici generati dallinvestimento sono solo in parte monetizzabili,
e impattano su diversi obiettivi pianificati dallimpresa. Per superare questo
problema, sono stati sviluppati diversi metodi di valutazione degli investimenti. I
pi noti sono tre:
1) le tecniche a punteggio: in tal caso si associa allinvestimento un punteggio
(rank) basato su una serie di parametri ritenuti importanti dallimpresa, come
ad esempio la capacit dellinvestimento di generare innovazione tecnologica,

piuttosto che penetrare nuovi mercati, piuttosto che ottenere vantaggi


competitivi difficilmente imitabili; il punteggio per ogni parametro viene
attribuito attraverso interviste (panel) ai responsabili dellimpresa, e il peso
relativo di ogni parametro rispetto agli altri viene tarato sulla base dei piani
strategici dellimpresa;
2) gli indicatori di prestazione non monetari: in tal caso si costruiscono degli
indici legati non a flussi e stock monetari, ma a variabili temporali (ad esempio
la riduzione del lead time di produzione), di produttivit, di flessibilit (rispetto
al volume produttivo, ma anche rispetto al mix di produzione), piuttosto che di
qualit (ad esempio la conformit della produzione rispetto a difetti di
fabbricazione);
3) le tecniche di benchmarking: in questo caso la valutazione non condotta
rispetto a una scala assoluta, ma rispetto ad un parametro (benchmark) di
riferimento, che pu essere ad esempio il risultato dellimpresa concorrente

150

4. LA VALUTAZIONE DELLIMPRESA E DEGLI INVESTIMENTI

leader di mercato, piuttosto che gli obiettivi fissati allinizio dellanno dalla
direzione.

Il punto
Accanto alle tecniche di valutazione basate su dati monetari, esistono modelli
basati su parametri di tipo non finanziario, come punteggi o indicatori di
prestazione assoluti o relativi.

151

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Nei capitoli precedenti si evidenziato che lobiettivo dellimpresa dovrebbe


essere quello di massimizzare il valore del portafoglio di risorse e investimenti che
compongono le attivit. Non ancora chiaro per da dove discende in ultima
analisi il valore, e quale strategia debba guidare limpresa nella ricerca e
individuazione dei possibili investimenti.
In questo capitolo analizzeremo quali sono le tecniche e i modelli attraverso i quali
possibile pervenire alla formulazione di una strategia di successo, e pianificare gli
obiettivi dellimpresa in funzione di tale scelta.
5.1 La strategia dimpresa
Il concetto di strategia storicamente associato alle azioni militari, tanto vero
che la parola stessa letteralmente in greco significa comando dellesercito. Pi
recentemente, lidea di strategia stata associata anche alla gestione dellimpresa, e
in particolare alla capacit di conferire coerenza, unicit di direzione e
finalizzazione alle decisioni dellimpresa stessa. Obiettivo della strategia
dimpresa, quindi, guidare le decisioni manageriali al raggiungimento di risultati
di eccellenza attraverso il conseguimento di un vantaggio sui concorrenti. Ottenere
un primato permette di incrementare il valore dellimpresa per gli azionisti, dal
momento che la capacit di eccellere si traduce in una preferenza del mercato e in
una migliore efficienza nel consumo di risorse, e quindi in maggiori flussi di cassa
in ingresso e nella creazione di extra-profitti.
Il fatto che limpresa debba perseguire la massimizzazione del valore degli
azionisti non per affatto scontato, come sottolineato nel Capitolo 1. In primo
luogo, a volte le decisioni aziendali, per volere dei managers, possono essere
orientate pi allespansione delle attivit dellimpresa, che alla massimizzazione
del valore. Ad esempio, i managers possono essere interessati ad acquisire nuove
attivit e a costruire un impero per ragioni di prestigio personale, piuttosto che
focalizzare lattivit sui business pi profittevoli. In secondo luogo, i managers
possono essere desiderosi di incrementare la propria utilit, piuttosto che quella
152

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

degli azionisti da cui sono delegati ad amministrare la compagnia, attraverso il


consumo di risorse dellimpresa per benefici di tipo personale (ad esempio i fringe
benefits, lauto aziendale, ). Lincentivo tanto pi elevato quanto minore il
grado di controllo degli azionisti sullimpresa (ad esempio se lazionariato molto
frazionato, come nelle public companies).

Il segnalibro

Lestrazione di benefici di tipo personale nellimpresa e le sue conseguenze sono


analizzate anche nel Volume Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 2,
Paragrafo 2.4.
In terzo luogo, limpresa pu essere orientata anche alla massimizzazione
dellutilit di tutti i soggetti in essa coinvolti (impiegati, collaboratori, creditori), e
non solo degli azionisti o managers. Nessuno impedisce che il fine dellimpresa sia
addirittura la massimizzazione del valore creato per tutta leconomia
(comprendendo quindi anche i soggetti esterni allimpresa). Di recente, una serie di
studi si posta il problema di capire dal punto di vista etico se tali obiettivi
ambiziosi possano essere compatibili con la dimensione stessa dellimpresa, che ha
alla sua base lidea di competizione, e quindi di contrapposizione piuttosto che
cooperazione. Addirittura, si anche ipotizzato di incorporare la responsabilit
etica e sociale dellimpresa come fattore necessario per una redditivit di lungo
periodo per gli azionisti1. Nellattesa di sviluppi futuri della ricerca su questo
filone, resta per ora punto di riferimento lassunzione che lobiettivo generale
dellimpresa sia la creazione di valore per i propri azionisti.
5.2 La pianificazione strategica
La pianificazione strategica la funzione aziendale delegata alla formulazione di
una strategia che permetta la creazione di valore. Molto spesso la strategia viene
1

Good ethics results in good business (Hartley, 1993). Alcune imprese prevedono
nellorganico un Manager Etico. Per una introduzione al tema dellimpresa etica si
vedano Rusconi (1988) e Sacconi (1991).
153

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

confusa con la missione dellimpresa, che piuttosto definisce a quali bisogni dei
propri clienti essa vuole rispondere; la strategia invece linsieme di direttive e
scelte che secondo limpresa meglio consentono di svolgere la propria missione, e
come tale scaturisce dallattivit di pianificazione strategica. La strategia si traduce
in obiettivi concreti attraverso la pianificazione operativa, e presuppone un sistema
di controllo in grado di misurare se gli obiettivi sono stati realizzati o meno, e di
correggere la pianificazione a monte in caso si renda necessario (si veda la Figura
5.1).
Appare chiaro che condizioni necessarie per il successo di una strategia sono
innanzitutto: (i) la coerenza della strategia con le caratteristiche interne
dellimpresa e con lambiente competitivo esterno, (ii) la traduzione della strategia
in obiettivi chiari, condivisi dallo staff dellimpresa e facilmente misurabili, e (iii)
la capacit di discriminare in che misura gli obiettivi sono conseguiti, con lo scopo
di apprendere dagli errori passati e correggere le strategie in maniera tempestiva.
Figura 5.1 Schema del processo di pianificazione aziendale.

Missione

Pianificazione
strategica

Strategia

Pianificazione
operativa

Obiettivi

Controllo

5.2.1 Il vantaggio competitivo


Da dove discende in ultima analisi il valore dellimpresa? Nel capitolo precedente
si analizzato come pu essere misurato, sulla base della generazione di flussi di
cassa e di altri parametri aziendali. Si pu dire che esso discende da un vantaggio
competitivo, ovvero dalla capacit esclusiva dellimpresa di ottenere extra-profitti
(cio una generazione di cassa superiore rispetto a quella normale richiesta dal
costo opportunit del capitale) attraverso una redditivit sistematicamente superiore
rispetto a quella della concorrenza.
154

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Per sua natura il vantaggio competitivo difficilmente sostenibile nel tempo,


poich soggetto allerosione della forza competitiva dei concorrenti. In genere,
esso pu essere conservato attraverso tre meccanismi: (i) diffondendo il meno
possibile informazioni sullimpresa e sulle proprie strategie, per non attirare
lattenzione dei concorrenti, (ii) basando il proprio successo su risorse molto
specifiche e difficilmente replicabili se non con elevati investimenti, (iii)
anticipando e sfruttando tutte le opportunit di investimento, bruciando sul tempo i
concorrenti.

Il punto

La pianificazione strategica consiste nella formulazione, a partire dalla missione


dellimpresa, di direttive volte a conseguire un vantaggio competitivo sostenibile
nel tempo; le direttive sono tradotte in obiettivi misurabili e controllabili nel
processo di pianificazione operativa.
La pianificazione strategica deve quindi essere finalizzata al conseguimento di un
vantaggio competitivo durevole. Secondo Grant (1999) il processo di
pianificazione strategica pu essere distinto nella formulazione di: (i) strategie di
business e (ii) strategie di gruppo. Le strategie di business consistono nella
individuazione delle modalit attraverso le quali, scelta larea di business di
riferimento, possibile conseguire il vantaggio competitivo. Le strategie di gruppo
invece consistono nella individuazione a monte dei vari business in cui limpresa
intende competere.
5.2.2 Le strategie di business
Porter (1985) afferma che il valore dellimpresa discende essenzialmente dalla sua
posizione competitiva sul mercato. In particolare, Porter individua tre diverse
strategie di conseguimento del vantaggio competitivo:
1) la leadership di costo; secondo tale visione limpresa ha valore perch in
grado di realizzare un certo prodotto/servizio ad un costo pi basso rispetto ai

155

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

concorrenti, e quindi in grado di ottenere un margine di contribuzione pi


elevato rispetto alla concorrenza a parit di prezzo;
2) la differenziazione; in tal caso il valore discende dalla capacit dellimpresa di
proporre al mercato un prodotto percepito come unico dai consumatori, o per
qualit, o per altri parametri soggettivi od oggettivi; lunicit riconosciuta
(anche se non per forza oggettivamente esistente) permette allimpresa di
chiedere al mercato un premio di prezzo e conseguire extra-profitti;
3) la focalizzazione; in questo ultimo caso limpresa deliberatamente sceglie di
servire delle aree ristrette di competizione, ovvero delle nicchie di mercato
trascurate da altre imprese, con lo scopo di soddisfare bisogni non diffusi sul
mercato.
La leadership di costo impone allimpresa di realizzare un prodotto senza
fronzoli, puntando sullefficienza produttiva, sul controllo dei costi, sul
perseguimento di economie di scala, sulla specializzazione del lavoro.
La differenziazione invece presuppone unattenzione verso la qualit e
linnovazione, capacit di marketing e creativit.
importante sottolineare il fatto che nella visione di Porter le strategie di
leadership di costo e di differenziazione sono incompatibili, e non possono essere
perseguite contemporaneamente. La differenziazione di prodotto infatti costosa,
cos come la leadership di costo presuppone una standardizzazione elevata dei
prodotti e dei processi. Le uniche situazioni nelle quali le due strategie sono
compatibili sono lesistenza di economie di costo (ad esempio economie di scala),
quando la concorrenza non esiste o quando il vantaggio nellattivit innovativa
significativo. Tutte queste condizioni per sono difficilmente mantenibili nel lungo
periodo.
Lo strumento operativo che secondo Porter consente allimpresa di diagnosticare le
attivit aziendali in funzione delle strategie elencate la catena del valore.
La catena del valore (si veda la Figura 5.2) rappresenta una disaggregazione delle
attivit aziendali, distinte fra attivit primarie, cio legate direttamente alla
produzione e vendita delloutput, e attivit di supporto, legate solo indirettamente
al flusso produttivo.

156

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Le attivit primarie sono: la gestione della logistica in entrata (cio degli


approvvigionamenti delle materie prime), la gestione delle operations, cio del
processo di produzione, la gestione della logistica in uscita (cio la distribuzione
del prodotto), lattivit di marketing finalizzata ad incrementare le vendite e i
servizi di assistenza post-vendita. Le attivit di supporto sono: la gestione delle
infrastrutture dellimpresa (impianti, stabilimenti), la gestione delle risorse umane,
lo sviluppo e la promozione dellattivit tecnologica, la gestione degli
approvvigionamenti relativi alle attivit di supporto.
Figura 5.2 La catena del valore di Porter.

Infrastrutture dellimpresa
Gestione delle risorse umane
Sviluppo della tecnologia
Approvvigionamenti

ATTIVIT DI
SUPPORTO

ATTIVIT
PRIMARIE

Logistica
in entrata

Operations Logistica
in uscita

Marketing
Servizi
e vendite post-vendita

Lidea che, attraverso la disaggregazione dei processi aziendali in attivit


elementari, sia possibile individuare punti di forza e di debolezza, rispetto al
conseguimento di obiettivi strategici come la riduzione dei costi o la
differenziazione di prodotto rispetto alla concorrenza.
In secondo luogo, secondo Porter, lapproccio strategico non pu prescindere da
considerazioni legate allambiente esterno allimpresa. In particolare, le forze
esterne contro cui limpresa deve confrontarsi, per prevedere successi o insuccessi
di una determinata strategia, sono cinque:
1) i fornitori, a monte della catena del valore; il loro potere contrattuale pu
influire sulla redditivit dellimpresa, attraverso la possibilit di imporre un
elevato costo delle risorse; tale potere tanto pi elevato quanto pi specifica
157

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

la risorsa da loro fornita (e quindi difficilmente acquisibile sul mercato


altrove), quanto minore la concorrenza fra i diversi fornitori, quanto
maggiore la dimensione relativa dei fornitori rispetto allimpresa;
2) i clienti, a valle della catena del valore; simmetricamente ai fornitori, anche il
potere contrattuale degli acquirenti pu influire sulla possibilit dellimpresa di
estrarre rendite; il loro potere tanto pi elevato quanto meno specifica la
risorsa a loro fornita (e quindi facilmente acquisibile sul mercato altrove),
quanto maggiore la concorrenza attuale dellimpresa, quanto maggiore la
dimensione relativa dei clienti rispetto allimpresa;
3) gli incumbent, ovvero i concorrenti attuali dellimpresa; lintensit della
concorrenza determinata dal grado di concentrazione industriale (monopolio,
oligopolio, concorrenza perfetta, ) e dal grado di collusione fra le imprese;
4) i concorrenti potenziali; la minaccia di una loro entrata nel settore pu ridurre
gli extra-profitti dellimpresa; lentrata tanto pi probabile quanto maggiori
sono gli extra-profitti conseguiti attualmente dallimpresa e quanto minori sono
le barriere allingresso del business (ad esempio gli investimenti iniziali
necessari, piuttosto che le competenze tecnologiche, le economie di scala, le
barriere istituzionali e legali); a volte le imprese cercano di limitare le
possibilit di entrata di nuovi concorrenti attraverso opportune barriere
strategiche (in contrapposizione alle barriere innocenti, che sono dovute alle
peculiarit del business, e non alle politiche degli incumbent), come politiche
di prezzo particolari (teoria del prezzo limite di Bain) e minacce di ritorsioni
(ad esempio le guerre di prezzo);
5) i prodotti che possono essere percepiti come sostituti dalla clientela; anchessi
costituiscono una minaccia, poich i clienti potrebbero soddisfare i loro bisogni
ricorrendo ad essi; lintensit della minaccia dipende dallelasticit della
domanda del prodotto, ovvero dalla sensibilit dei consumatori rispetto al
prezzo di mercato, e dalla loro percezione dellunicit del prodotto.
Lidea che il valore creato dallimpresa pu essere espropriato da una o pi di
queste forze, a seconda del loro potere contrattuale, e quindi necessario procedere
ad unanalisi accurata dellambiente prima di prendere una decisione sulla strategia

158

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

da adottare. Una strategia che appare coerente con le capacit dellimpresa pu in


realt essere vanificata dalla forza di uno dei cinque attori considerati.
Figura 5.3 Le cinque forze competitive di Porter.

Entranti

Minaccia

Fornitori

Potere
contrattuale

Incumbent

Potere
contrattuale

Clienti

Minaccia

Sostituti

Un approccio che infine integra lanalisi delle forze competitive esterne con le
funzioni interne allimpresa la SWOT Analysis. Questo modello si pone
lobiettivo di diagnosticare il vantaggio competitivo dellimpresa rispetto a quattro
dimensioni: punti di forza (Strength) e di debolezza (Weakness) dellimpresa,
opportunit (Opportunities) e minacce (Threats) esterne. Lidea quella di
individuare i punti di forza e di debolezza attuali, e metterli in correlazione con le
opportunit offerte dal mercato, e con le possibili minacce, con lobiettivo di
sfruttare le migliori opportunit grazie ai punti di forza, annullare i punti di
debolezza e formulare una strategia di successo.

159

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Il punto

La strategia di business indica come possibile ottenere il vantaggio competitivo in


unarea di business. Secondo Porter, esso pu essere conseguito o attraverso la
leadership di costo, o attraverso la differenziazione, o attraverso la focalizzazione.
Lanalisi della catena interna del valore e delle 5 forze competitive esterne ci
permette di identificare quale fra queste strategie la migliore.
5.2.3 Strategie di gruppo: diversificazione, integrazione, outsourcing
Nel paragrafo precedente si esaminato come possibile giudicare lattrattivit di
unarea di business, e decidere quale strategia adottare. In realt le imprese possono
essere attive in diversi settori, e in tal caso si rende necessario adottare dei modelli
di analisi per individuare il portafoglio di business.
La diversificazione pu essere definita come il processo di selezione del
portafoglio di business dellimpresa. Limpresa infatti pu scegliere di focalizzarsi
su una singola area di business, piuttosto che diversificare le proprie attivit in
molteplici segmenti. In questultimo caso, si possono presentare diversi casi:

diversificazione in settori correlati; in questo caso limpresa punta a conseguire


economie di costo, sfruttando le proprie competenze e risorse disponibili nel
settore di attivit tradizionale per investirle nellattivit correlata;

diversificazione in settori non correlati; in questo caso limpresa punta a ridurre

il rischio imprenditoriale, indirizzando i propri investimenti in settori


caratterizzati da una correlazione bassa, e quindi eliminando le ciclicit
specifiche di ogni business.
Ancora, la diversificazione pu avvenire o per crescita esterna (attraverso
lacquisizione di attivit gi avviate, come divisioni di altre imprese o impianti gi
esistenti) oppure per crescita interna (attraverso il lancio di progetti di espansione
autonoma, o iniziative greenfield).
Un caso particolare dellespansione in aree di business correlate lintegrazione. In
tal caso limpresa decide di espandere lattivit a monte della propria catena del
valore verso i fornitori (integrazione a monte) piuttosto che a valle verso i clienti
(integrazione a valle). Nel primo caso limpresa decide di integrare nelle attivit la
160

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

fornitura di materie prime per la propria linea produttiva. Ad esempio, unimpresa


produttrice di automobili pu acquisire unimpresa di montaggio batterie,
necessarie per le proprie vetture. Nel secondo caso limpresa decide di acquisire la
capacit di distribuire autonomamente il proprio prodotto, oppure di trasformarlo
ulteriormente. Ad esempio, una societ produttrice di tessuti pu decidere di
espandersi a valle entrando nel business della confezione di vestiti. Oppure,
unimpresa che produce mobili pu decidere di acquisire una rete di punti vendita,
da gestire direttamente.
Attraverso lintegrazione, limpresa tenta fondamentalmente di imporre logiche
contrattuali di medio o lungo termine rispetto a contratti spot effettuati sul mercato.
Tali contratti possono essere pi o meno formalizzati. Al limite, limpresa
acquisisce la controparte e ne assume il controllo, ma pi spesso lintegrazione
avviene attraverso contratti di collaborazione, alleanze, joint ventures. I distretti
industriali, caratteristici delleconomia italiana, sono esempi di reti locali di
imprese di piccola dimensione, in cui la collaborazione di lungo termine e
lintegrazione assumono rilevanza strategica per il successo del business.
Il processo opposto dellintegrazione la delocalizzazione, o outsourcing. In
questo caso limpresa delega allesterno alcune attivit prima integrate, poich
reputa che possano essere svolte pi efficientemente presso terzi. In tal caso
necessario decidere se sia preferibile affidarsi a contratti spot sul mercato, oppure a
contratti a lungo termine o ad alleanze strategiche, come le partnerships.
Gli strumenti pi conosciuti che guidano limpresa nella scelta delle strategie di
gruppo sono (i) la matrice BCG e (ii) la matrice McKinsey/General Electric.
La matrice sviluppata da BCG (Boston Consulting Group) un modello normativo,
che esamina la posizione delle aree di business nel portafoglio dimpresa,
classificandole sulla base dellattrattivit, e cio del tasso di crescita del mercato, e
del vantaggio competitivo, e cio della quota di mercato detenuta dallimpresa
rispetto ai concorrenti.
Lidea che le aree di business in cui limpresa attiva debbano essere
caratterizzate da alto tasso di crescita del mercato e elevata quota di mercato
relativa (star). Le aree di business caratterizzate da elevata quota di mercato, ma

161

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

da basso tasso di crescita del mercato (cash cow) devono generare liquidit per
finanziare gli investimenti in business caratterizzati da elevate prospettive di
crescita, ma da una presenza non significativa dellimpresa (question mark). In
questa maniera, le aree classificate come question mark possono diventare star.
Infine, si devono abbandonare le aree di business caratterizzate da scarsa attrattivit
e quota di mercato non significativa (dog).

Basso
Alto

Tasso di crescita del mercato

Figura 5.4 La matrice BCG.

CASH COW

DOG

STAR

QUESTION
MARK

Alta

?
Bassa

Quota di mercato relativa

La matrice sviluppata da McKinsey Group e General Electric un altro modello


normativo simile che prevede la mappatura del portafoglio di business
dellimpresa, in cui per lattrattivit del settore e il vantaggio competitivo non
sono misurati da singoli parametri, ma da diversi fattori (tra cui la dimensione del
mercato, la redditivit del settore, la ciclicit, limportanza dei mercati esteri e
per quanto riguarda la posizione competitiva dellimpresa la superiorit
tecnologica, lindice return-on-sales, la quota di mercato).
Le aree caratterizzate da elevata attrattivit e alto vantaggio competitivo devono
essere sviluppate per il loro potenziale di profitto; le aree caratterizzate da bassa
attrattivit e basso vantaggio competitivo devono essere mietute ovvero gestite in
modo da massimizzare i flussi di cassa generati evitando nuovi investimenti. Le
162

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

attivit in posizione intermedia si candidano per una strategia di mantenimento


finch non chiara la loro evoluzione verso una delle due categorie precedenti.

Bassa

Mietere

Media
Alta

Attrattivit del settore

Figura 5.5 La matrice McKinsey / General Electric.

Mantenere

Crescere

Alto

Medio

Basso

Vantaggio competitivo detenuto

Il punto

La strategia di gruppo definisce il portafoglio di business in cui limpresa


destinata a competere. Il processo di espansione in nuovi business, correlati o non
correlati, la diversificazione. Se lespansione avviene lungo la catena del valore,
essa viene chiamata integrazione. La delocalizzazione (outsourcing) il fenomeno
opposto allintegrazione. I modelli pi noti di definizione della strategia di gruppo
sono la Matrice BCG e la Matrice McKinsey/General Electric.
5.2.4 Le competenze distintive
La teoria classica della strategia e pianificazione aziendale, come si visto nei
Paragrafi precedenti, ha posto lenfasi sul vantaggio competitivo e sulla
pianificazione strategica in relazione al contesto esterno dellimpresa, e alle

163

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

opportunit e minacce offerte dalla catena del valore, rispetto alle singole attivit
aziendali.
Secondo il pensiero aziendale pi recente, il vantaggio competitivo non da
rintracciarsi tanto nellinterazione dellimpresa con lambiente competitivo esterno,
quanto piuttosto nelle risorse interne dellimpresa, e in particolare nelle risorse
intangibili. La pianificazione strategica non dovrebbe quindi porsi il problema di
individuare in che aree di business competere, ma piuttosto dovrebbe domandarsi
quali risorse interne vuole sviluppare. Un ruolo chiave fra queste risorse di natura
intangibile assunto dalle competenze distintive (core competencies). Le
competenze distintive rappresentano una costellazione di conoscenze incorporate
nellimpresa, nei suoi team di lavoro e nelle sue routine organizzative. Esse
vengono costruite attraverso lapprendimento, lesplorazione di nuovi processi
aziendali e la sperimentazione continua; sono difficilmente replicabili e
rappresentano un patrimonio collettivo e trasversale dellimpresa, non riferibile ad
una singola attivit.
Nella visione evoluzionista di Nelson e Winter (1982) le competenze nascono da
una variet di patrimoni e di culture presenti nellimpresa, che si evolvono
dinamicamente in senso lamarckiano, ovvero in risposta alle mutazioni
dellambiente esterno in maniera, per, non del tutto razionale.

Il punto

La visione del vantaggio competitivo basata sulle competenze distintive assume


che allinterno dellimpresa siano inglobate delle competenze specifiche, di
carattere collettivo, non segmentabili e in continua evoluzione: limpresa deve
perci chiedersi quali competenze vuole sviluppare, piuttosto che in quali business
competere.
Contrariamente a quanto affermato da Porter, la visione competence based non
ritiene incompatibile perseguire lobiettivo sia della differenziazione del prodotto
sia del contenimento dei costi. Esso dipende dalla capacit dellimpresa di
selezionare e coltivare le core competencies, focalizzando non tanto sui prodotti da

164

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

realizzare (quale prodotto vogliamo realizzare?) quanto sulle capacit in cui


limpresa in grado di eccellere (cosa possiamo fare meglio di altri?).
5.3 La pianificazione operativa
La pianificazione operativa si occupa di tradurre in indicazioni operative di breve
termine gli obiettivi strategici di lungo periodo. La cosa spesso pi facile a dirsi
che a farsi, dal momento che ci implica, una volta formulata la strategia, la sua
implementazione attraverso la definizione di obiettivi per limpresa non solo nel
suo complesso ma anche nei suoi singoli sottoinsiemi, valutando poi i risultati
rispetto agli obiettivi. Frequentemente, infatti, le imprese lamentano uno
scollamento fra strategie di lungo termine ed obiettivi di breve periodo, rivelando
lincapacit di rendere comprensibili e condivise le strategie aziendali.
Da questo punto di vista, importante definire una metrica che traduca in
traguardi concreti e facilmente misurabili gli obiettivi specifici. Ad esempio, se
lobiettivo generale ridurre i costi di produzione, necessario indicare dei
risultati attesi concreti, come la riduzione dei costi di materie prime del 10%, il
miglioramento della produttivit del lavoro del 5%, la riduzione degli scarti del
10%. In questa maniera, gli obiettivi dellimpresa diventano pi chiari per
lorganizzazione e per i singoli individui, ed possibile a consuntivo verificare se
essi sono stati ottenuti.
Uno dei modelli pi conosciuti per definire gli obiettivi specifici della
pianificazione operativa e collegarli agli obiettivi strategici dellimpresa il
balanced scorecard. In tale modello vengono posti quattro interrogativi: (i) come
ci considerano gli azionisti? (ii) come ci considera il mercato? (iii) in cosa
dobbiamo eccellere? (iv) siamo in grado di migliorare ulteriormente e di creare
nuovo valore? Le risposte ad ognuno di questi interrogativi vengono associate, nel
balanced scorecard, a diversi parametri, sia di tipo finanziario (cash flows, margine
operativo) sia ti tipo qualitativo (parametri di qualit, misure di soddisfazione del
cliente). Spesso i punteggi vengono visualizzati in tempo reale in cruscotti
elettronici accessibili a tutto lo staff.

165

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Vi da dire che la diffusione progressiva di software gestionali ERP (ad esempio


SAP, BAAN, ) ha consentito alle imprese anche di piccola dimensione di dotarsi
di strumenti di analisi e pianificazione operativa sempre pi efficienti e tempestivi,
in grado di gestire una mole elevata di dati e informazioni.
Nei paragrafi successivi verr presentata una panoramica dei modelli pi conosciuti
di pianificazione operativa delle risorse.
5.3.1 Gestione della produzione
Le decisioni di breve periodo relative alla produzione consistono nella
programmazione operativa della produzione (scheduling). Linput di questo
processo il Master Production Schedule (MPS), ovvero il piano che definisce il
livello obiettivo della produzione in ogni periodo, nellambito del master budget
dellimpresa. Loutput invece costituito dal piano operativo di produzione, che
definisce per ogni prodotto e per ogni lotto di produzione il ciclo di lavorazione, e
dal piano dei fabbisogni, che definisce il consumo atteso delle materie prime.
Il piano operativo di produzione pu essere costruito secondo diverse logiche, e
dipende fortemente dalla tecnologia di produzione. Nei casi pi semplici, come
nella produzione a flusso (ad esempio lattivit di imbottigliamento), si tratta di
stabilire solo quanto produrre di quale prodotto, visto che la tecnologia
dellimpianto non consente la realizzazione contemporanea di diversi lotti. Nei casi
pi complessi in cui possibile gestire contemporaneamente diversi lotti (ad
esempio nelle officine meccaniche), si tratta di stabilire la dimensione e la tipologia
dei lotti di produzione, e la sequenza di lavorazione sulle diverse macchine in un
ordine prestabilito (flow shop) piuttosto che in un ordine libero (open shop).
In genere lo scheduling operativo viene determinato con lobiettivo di minimizzare
i tempi di fermo-macchina, ovvero di saturare la capacit produttiva.
Per quanto riguarda la pianificazione dei fabbisogni, limpresa pu decidere se
affidarsi a tecniche di gestione di tipo pull, oppure di tipo push. Nel primo caso
le materie prime vengono mantenute a scorta, e riordinate ogni qual volta il livello
delle scorte stesse scende sotto un certo limite, prelievo dopo prelievo (si veda il
successivo Paragrafo 5.3.4). Questo sistema semplice da gestire, ma rischia di

166

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

moltiplicare il livello delle rimanenze, e quindi i costi, quanto pi la produzione si


articola in livelli successivi e in prodotti diversificati. Infatti, le moderne tecniche
di gestione a scorta (come il just in time, JIT) si pongono lobiettivo di minimizzare
il livello delle scorte a monte di ogni fase della lavorazione.
Nel secondo caso limpresa anticipa i fabbisogni di materie prime sulla base
dellesplosione della distinta base dei prodotti (una vera e propria lista che
definisce tutte le componenti base del prodotto) ed in grado quindi di conoscere
ex ante il proprio fabbisogno per ogni tipo di materia prima. Questo sistema
consente di ridurre le scorte, ma complesso da gestire, ed espone al rischio di
ritardi se anche un solo componente ordinato tarda ad entrare nel processo
produttivo. Una delle pi note tecniche push il modello MRP (Material
Requirement Planning).

Il punto

La gestione della produzione si occupa di definire, partendo dagli obiettivi di


budget, lo scheduling operativo della produzione e la pianificazione dei fabbisogni,
secondo tecniche di tipo push piuttosto che pull.
5.3.2 Gestione delle vendite
La produzione dellimpresa evidentemente condizionata dalla previsione relativa
alle vendite, in relazione agli obiettivi di budget. Lobiettivo della pianificazione di
breve periodo in questo caso determinare quali prodotti vendere e in quale
quantit. Il modello di analisi pi conosciuto in questo ambito il calcolo del punto
di break-even.
In prima approssimazione nel breve periodo, come si visto nel Capitolo 3, i costi
C dellimpresa associati ad un prodotto realizzato in quantit Q possono essere
distinti fra costi fissi CF e costi variabili CV, fissando il costo unitario di
produzione Cu:
C = CV + CF = Cu Q + CF

167

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Sotto tale assunzione, pu essere definito il margine di contribuzione unitario m,


ovvero il margine di differenza fra ricavo unitario (definito dal prezzo p) e costo
unitario Cu:
m = p Cu
Affinch limpresa ottenga un margine lordo positivo relativo al suo prodotto,
necessario che il margine di contribuzione sia positivo. Tale condizione non per
sufficiente: il margine deve essere relativo ad un volume delle vendite sufficiente
per coprire anche i costi fissi. Tale livello del volume QBE viene identificato come
quantit di break-even:
QBE: m QBE = CF

QBE =

CF
CF
=
m
( p Cu )

Infatti, se le vendite coincidono con la quantit di break-even si ottiene:


= p QBE CV CF = 0
La Figura 5.6 evidenzia che se le vendite sono superiori alla quantit di break-even
il margine totale sul prodotto positivo, in caso contrario risulta negativo. Al punto
di break-even i ricavi sono uguali ai costi totali.
Chiaramente, la quantit di break-even cresce al crescere dellincidenza dei costi
fissi (questo rappresenta una barriera allingresso in numerosi settori dove le
economie di scala sono rilevanti proprio a causa degli elevati costi fissi da
sostenere) e al decrescere del margine di contribuzione unitario (questo spiega
perch la grande distribuzione pu permettersi margini molto bassi sulle vendite,
potendo contare su un volume di vendite elevato).
Lanalisi del punto di break-even permette di confrontare il margine di
contribuzione di prodotti diversi, per scegliere un mix opportuno di produzione, e
di individuare il volume minimo delle vendite che opportuno realizzare.

168

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Ovviamente la criticit dellanalisi sta nella corretta determinazione del costo


unitario standard Cu del prodotto, come abbiamo gi evidenziato nel Capitolo 3.
Figura 5.6 Break-even analysis: margine totale in funzione della quantit venduta Q,
dei costi fissi CF e del margine di contribuzione m.

Ricavi = pQ
Costi = CF + CuQ
= mQ - CF

CF

tg = m
0
QBE

- CF

Il punto

La pianificazione di breve periodo delle vendite parte da considerazioni legate al


margine di contribuzione di ogni prodotto e allobiettivo di raggiungere la quantit
di break even.
Lincidenza del margine di contribuzione m rispetto ai costi fissi CF, oltre che
determinare il punto di break even, viene assunta anche come parametro di
elasticit del margine rispetto al fatturato. Definiamo il DOL (degree of
operating leverage) come lelasticit del margine operativo rispetto alla quantit
venduta Q:

169

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

DOL =

/
Q / Q

In altre parole, il DOL rappresenta la variazione percentuale del margine operativo


rispetto alla variazione percentuale della quantit venduta Q.
Sotto lipotesi considerata nelle pagine precedenti che la funzione di costo sia
lineare, e che il margine di contribuzione m e i costi fissi CF siano costanti, il DOL
dato da:

DOL =

mQ /(mQ CF)
1
=
Q / Q
1 CF / mQ

Nel caso in cui i costi fissi dellimpresa siano nulli, il DOL uguale a uno: ci vuol
dire che un incremento del 10% delle vendite corrisponde esattamente ad un
incremento lineare del 10% del margine operativo. Al crescere dei costi fissi CF
invece il DOL cresce, generando un effetto di leva, che permette di ottenere
incrementi molto maggiori del margine. La ragione molto semplice: i costi fissi
remunerano i fattori della produzione in maniera indipendente dal volume delle
vendite, e quindi ogni unit di prodotto venduta al margine va a remunerare in
proporzioni definite da m solo i costi variabili e per differenza il margine operativo.
Se ad esempio la quantit di break even pari a 100, incrementare le vendite da
101 a 102 non un grosso risultato (equivale ad un incremento percentuale
inferiore all1%) ma consente di raddoppiare il margine operativo!

Esempio
Un punto vendita di computer portatili registra ogni anno costi fissi CF per un
totale di 40.000 . I computer venduti ai clienti vengono acquistati direttamente
dalle case produttrici ad un costo Cu pari a 1.800 luno. Le vendite annuali Q
attualmente sono pari a 230 pezzi, venduti ad un prezzo unitario p pari a 2.000 .
Il margine operativo annuale realizzato attualmente dal punto vendita :
= p Q CV CF = 2.000 230 1.800 230 40.000 = 6.000
170

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Il margine di contribuzione m su ogni computer pari a:


m = p Cu = 200
La quantit di break even QBE pari a:
QBE =

CF
= 200
( p Cu )

Ovviamente le vendite sono superiori al punto di break even dal momento che il
margine positivo.
Il DOL (degree of operating leverage) pari a:
DOL =

1
= 7,67
1 CF / mQ

Ci vuol dire che un incremento delle vendite del 10% (da 230 a 253 computer
allanno) dovrebbe generare un incremento del margine pari al 76,7% (7,67 10%).
Infatti si ottiene:
= 2.000 253 1.800 253 40.000 = 10.600 (+ 76,7%)
Supponiamo che per ottenere questo risultato sia necessario intraprendere una
campagna pubblicitaria aggressiva del costo di 5.000 . A questo punto meglio
per rinunciare: il margine scenderebbe a 5.600 , peggio di quanto attualmente
registrato (6.000 ).
In alcuni casi, le scelte di breve periodo delle imprese devono considerare
lesistenza di un portafoglio di n prodotti diversi, piuttosto che di un unico tipo di
output. Se il mix produttivo dato (definito dalle percentuali di mix xi sul totale
della produzione per ogni prodotto i), si tratter di calcolare il margine di
contribuzione unitario m per ogni prodotto, e successivamente calcolare il margine
di contribuzione medio m che rappresenta la media pesata dei singoli margini:
n

m =

xi
i =1

mi

La quantit di break even QBEi per ogni prodotto i quindi definita da:

171

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

QBEi =

CF
xi
m

Se invece si tratta anche di definire il mix ottimale, in linea generale la regola


favorire la produzione e la vendita di quello che presenta il margine di
contribuzione pi elevato. La scelta ottimale diventa invece pi complessa laddove
esistano vincoli relativi a:
1) il consumo di risorse, che sono limitate (ad esempio la disponibilit di materie
prime, piuttosto che le ore di manodopera diretta, o il tempo di lavorazionemacchina); in questo caso non possibile confrontare direttamente il margine
di contribuzione dei singoli prodotti, poich il loro consumo della risorsa
scarsa non in generale lo stesso, per ogni unit di output. Si ricorre quindi
alla definizione di margine di contribuzione per risorse scarsa m*,
privilegiando i prodotti cui sono associati coefficienti maggiori:

m*i = mi / ai
dove ai il coefficiente tecnico di assorbimento della risorse scarsa (definito
gi nel Paragrafo 3.3), che rappresenta il consumo standard della risorsa
considerata, associato alla produzione di ununit di output finito; in altre
parole esso rappresenta il costo di produzione in termini di unit della risorsa
scarsa; vale la pena annotare che la formula valida se il costo unitario della
risorse scarsa uguale per tutti i prodotti, altrimenti andrebbe corretta
ulteriormente ricavando il margine di contribuzione per unit monetaria
assorbita di materia prima;
2) la quantit minima o massima di output producibile, definita da politiche
aziendali di lungo periodo (orientate per esempio alla volont di offrire
comunque una gamma variegata di prodotti, piuttosto che di rispondere alla
competizione con i concorrenti seguendo particolari strategie); in tal caso si
ricorre a tecniche di programmazione lineare, che massimizzano la funzione
obiettivo, ovvero il margine di profitto, rispettando i vincoli imposti.
172

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Esempio
Unimpresa realizza prodotti appartenenti a tre famiglie: X, Y e Z, assemblate in
fabbrica. Le caratteristiche delle tre famiglie di prodotti in termini di prezzo di
vendita e di costi di produzione sono elencate nella seguente tabella:
Prodotto
Prezzo vendita (/unit)
Impiego di materie prime (kg/unit)
Costo unitario materie prime (/kg)
Impiego di lavoro diretto (ore/unit)
Costo orario lavoro diretto (/ora)
Mix produttivo attuale

X
20
0,7
8
0,8
12
25%

Y
24
0,7
10
1,0
12
40%

Z
12
1,2
6
0,5
12
35%

I costi fissi di produzione allocati ai tre prodotti sono pari a 23.000.


Determiniamo i margini di contribuzione unitari e la quantit di break even, dato il
mix attuale:
mX = 20 8 0,7 12 0,8 = 4,8 /unit
mY = 24 10 0,7 12 1,0 = 5 /unit
mZ = 12 6 1,2 12 0,5 = 1,2 /unit
n

m =

xi
i =1

QBEX =

mi = 4,8 25% + 5 40% 1,2 35% = 2,78 /unit

CF
xi = 2.068,3
m

QBEY = 3.309,4
QBEZ = 2.895,7
Ovviamente il mix di produzione attuale non ottimale; potendo scegliere,
limpresa vorrebbe produrre solo Y (addirittura il margine di contribuzione di Z
negativo, ma limpresa potrebbe avere interesse ad offrirlo sul mercato a queste
condizioni per altre ragioni strategiche e/o di marketing).
Al punto di break-even attuale il margine operativo nullo e il consumo di orelavoro H pari a:
H = 0,8 2.068,3 + 1,0 3.309,4 + 0,5 2.895,7 = 6.411,89 ore

173

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Supponiamo invece che il volume produttivo sia pari a 1,5 volte il punto di break
even. Quale sar il margine operativo?
Si pu ragionare in due modi. Il primo consiste nel calcolare la differenza fra ricavi
e costi:
QX = 1,5 QBEX = 3.102,4
QY = 1,5 QBEY = 4.964,1
QZ = 1,5 QBEZ = 4.343,6
Ricavi = 20 3.102,4 + 24 4.964,1 + 12 4.343,6 = 233.309,60
Costi variabili = (80,7 + 120,8) QX + (100,7 + 121,0) QY + (61,2 + 120,5) QY
Costi variabili = 198.809,60
Margine operativo = Ricavi costi variabili costi fissi = 11.500
Il secondo modo, pi raffinato, discende dal considerare che al punto di break even
limpresa copre tutti i costi fissi, pi i costi variabili relativi a QBE. Ne consegue
che la produzione addizionale (in questo caso 0,5 volte QBE) costituir un margine
operativo nella misura del margine di contribuzione di ogni prodotto, avendo gi
coperto i costi fissi:
Margine operativo = 0,5 (QBEX mX + QBEY mY + QBEZ mZ) = 0,5

CF
m = 0,5 CF
m

Margine operativo = 11.500


Chiediamoci infine quale sarebbe il mix ottimale di produzione se, fissate le ore di
lavorazione consumate al punto di break-even (6.411,89 ore), ci poniamo
lobiettivo di produrre non meno di 2.000 e non pi di 5.000 unit di ogni prodotto.
Dal momento che vi sono vincoli relativi al consumo di risorse, dobbiamo
determinare il margine di contribuzione per risorse scarsa (in questo caso le ore
lavoro) relativo ai prodotti X, Y e Z:
m* = m / ai
m*X = 4,8 / 0,8 = 6 /ora
m*Y = 5 / 1,0 = 5 /ora
m*Z = 1,2 / 0,5 = 2,4 /ora
In sostanza, stiamo dicendo che ogni ora di lavoro dedicata al prodotto X genera un
margine di contribuzione pari a 6, mentre unora dedicata al prodotto Y genera

174

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

5. Se le ore lavoro sono limitate, si capisce che il prodotto pi conveniente da


realizzare diventa X, in quanto assorbe meno risorse scarse rispetto a Y, il che pi
che compensa il minore margine di contribuzione per unit di prodotto m.
Per arrivare alla decisione di mix ottimale seguiremo i seguenti passi:
1) visto che rappresenta un vincolo, cominciamo ad assegnare la produzione di
almeno 2.000 unit ai tre prodotti: il consumo di ore lavoro sar pari a:
Ore lavoro allocate = 2.000 0,8 + 2.000 1,0 + 2.000 0,5 = 4.600 ore
2) abbiamo ancora una disponibilit di 1.811,89 ore, che decidiamo di allocare al
prodotto pi remunerativo (X); con questa disponibilit potremmo realizzare
altre (1.811,89 / 0,8 = 2.264,9) unit di prodotto; dal momento che cos facendo
non supereremo il vincolo massimo di 5.000 unit prodotte, possiamo dire di
aver trovato la situazione ottimale:
QX = 4.264,9
QY = 2.000
QX = 2.000
Il margine operativo sar pari a:
= (QX mX + QY mY + QZ mZ) CF = 28.071,52

Ovviamente positivo, dal momento che consumiamo lo stesso ammontare di orelavoro registrate al punto di break-even (in cui il margine nullo), ma abbiamo
introdotto maggiori gradi di libert nella scelta del mix ottimale.
Quale dovrebbe essere il prezzo di Z affinch il suo margine di contribuzione
diventi paragonabile a quello degli altri prodotti, fissate le ore di lavoro
disponibili?
Per essere competitivo rispetto al prodotto Y, ad esempio, il suo margine di
contribuzione per risorsa scarsa m*Z deve essere pari a 5/ora, il che equivale a un
margine di contribuzione unitario mZ pari a 2,5/pezzo. Fissati i costi variabili
unitari, corrisponde ad un prezzo di vendita pari a 15,7/pezzo.
Altro problema interessante: quanto saremmo disposti a spendere per acquisire
nuove unit della risorsa scarsa (ad esempio, quanto saremmo disposti a pagare in
termini di salario orario per disporre nel breve periodo di ore di lavoro

175

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

straordinario, attraverso il personale esistente, attraverso terzisti, o collaboratori a


tempo determinato)?
Nei problemi di massimizzazione vincolata, questo valore rappresenta il prezzo
ombra della risorsa (shadow price). Chiediamoci quale prodotto vorremmo
realizzare se avessimo a disposizione ununit in pi di risorse scarsa (ovvero
unora in pi di lavoro). La risposta : il prodotto X, perch il margine di
contribuzione per ora di lavoro pi elevato. Quale sarebbe il nostro profitto
addizionale? Il margine di contribuzione per risorsa scarsa stesso m*X, cio 6 /ora,
che rappresenta proprio quanto saremmo disposti a pagare in pi al massimo
rispetto a quanto paghiamo adesso per unora di lavoro, visto che il meglio che
possiamo fare con unora di lavoro in pi produrre X (il che per ogni ora di
lavoro ci genera un margine positivo di 6). Poich il salario attuale 12 /ora,
siamo disposti a pagare fino a 18 /ora per lavoro straordinario o per terzisti da
impiegare in pi.
5.3.3 Gestione degli investimenti (project management)
Gli investimenti hanno un ciclo di vita, nel senso che nascono da unopportunit
spesso limitata nel tempo, richiedono un consumo di risorse elevato nella loro fase
iniziale e come si visto nel Capitolo 4 generano benefici nel medio/lungo
termine, fino allesaurirsi della loro vita utile. Come tali, si configurano come
progetti aziendali. Gestire un progetto diverso da gestire lattivit operativa
dellimpresa, per diversi motivi: un progetto finalizzato a creare una discontinuit
i cui effetti non sono facili da valutare in ogni aspetto; in secondo luogo, un
progetto spesso finalizzato a introdurre innovazioni che devono essere capite e
condivise dallorganico aziendale; infine, un progetto associato ad un elevato
grado di incertezza, che deve essere superata nel pi breve tempo possibile e con
un alto grado di flessibilit per non incorrere in costi elevati o in ritardi eccessivi.
La gestione dei progetti di investimento nelle imprese (project management) ha
assunto unimportanza elevata negli ultimi tempi, a causa della accresciuta
dinamicit della competizione fra le imprese e della complessit tecnologica degli
investimenti.

176

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Lanalisi di un progetto parte inevitabilmente dalla scomposizione delle attivit


orientate al suo scopo, e dallanalisi di come esse interagiscono nel loro
susseguirsi. Per quanto riguarda la disaggregazione delle diverse attivit, lo
strumento pi noto in questa fase il Work Breakdown Structure (WBS). Si tratta
di un albero organizzato in diversi livelli gerarchici, con crescente dettaglio (si
veda come esempio la Figura 5.7), e pu essere costruito sia con una logica fisica
(ad esempio disaggregazione di un prodotto nelle sue componenti elementari) sia
con una logica per attivit (scomposizione di un processo in funzioni elementari).
Figura 5.7 Esempio di Work Breakdown Structure (WBS).

Pubblicazione
di un libro

Raccolta della
documentazione

Analisi
letteratura

Impostazione
degli esempi

Editazione

Scrittura dei
capitoli

Correzione
del testo

Stampa

Correzione
delle bozze

Composizione
delle pagine

Il secondo passo, dopo aver individuato le diverse attivit elementari che


caratterizzano il progetto di investimento, lanalisi di come le attivit
interagiscono nella loro sequenza. Gli strumenti pi noti sono due: (i) il
Diagramma di Gantt e (ii) i grafi reticolari.
Il Diagramma di Gantt riporta sulle ascisse una scala temporale, e sulle ordinate
delle barre che rappresentano le diverse attivit, la cui posizione dipende da quando
si pensa di iniziare lattivit e la cui lunghezza proporzionale al tempo previsto
consumato (si veda la Figura 5.8).
Sul diagramma anche possibile rappresentare istante per istante durante la vita del
progetto il grado di completamento di ogni attivit, ma esiste per un limite: non
177

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

viene evidenziata la precedenza logica fra le diverse attivit, ma eventualmente


quella temporale. A questo limite suppliscono i grafi reticolari, ovvero la
rappresentazione delle diverse attivit secondo nodi e archi orientati, che ne
definiscono la dinamica e le relazioni di precedenza logica (si veda ad esempio la
Figura 5.9).
Figura 5.8 Esempio di Diagramma di Gantt

Progetto: Pubblicazione di un libro


A -Analisi della letteratura
B -Impostazione degli esempi
C-Scrittura dei capitoli
D-Correzione del testo
E-Correzione delle bozze
F-Composizione delle pagine
G-Stampa in quadricromia

Settimane

Figura 5.9 Esempio di grafo reticolare.

G
C

178

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Lanalisi dei grafi reticolari si basa su diverse tecniche. Il metodo CPM (Critical
Path Method) assegna ad ogni attivit una durata prefissata, e quindi determina
listante in cui teoricamente pu iniziare/terminare al pi presto (earliest
start/finish) oppure al pi tardi (latest start/finish) una qualsiasi attivit pianificata
per non pregiudicare la tempestivit dellintero progetto. Le attivit per cui i due
istanti di tempo coincidono vengono indicate come critiche, poich un loro
ritardo, piuttosto che un loro anticipo, pu influire a catena sullo svolgimento
dellinvestimento. Su queste attivit deve essere quindi concentrato il maggiore
controllo, dal momento che intervenire sulle altre attivit non comporta dei benefici
marginali significativi.

Esempio
Si consideri il grafo di Figura 5.10, che riprende sia il diagramma di Gantt di
Figura 5.8 sia lesempio di grafo della Figura 5.9. Ad ogni attivit viene associata
una durata pianificata in settimane.
Figura 5.10 Esempio di applicazione della tecnica CPM.

2
G

La seguente scheda, sulla base dellanalisi delle precedenze, associa ad ogni attivit
learliest time e il latest time di avvio e di chiusura:

179

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE


Attivit
A
B
C
D
E
F
G

Earliest start
0
4
4
8
11
14
18

Latest Start
0
5
4
8
11
14
18

Earliest Finish
4
7
8
11
14
18
20

Latest Finish
4
8
8
11
14
18
20

Durata
4
3
4
3
3
4
2

Si pu notare che la sequenza delle attivit critiche composta da A,C,D,E,F,G.


Lunica attivit non critica la B, che pu ritardare anche di una settimana, dal
momento che non possiamo iniziare lattivit D senza prima aver terminato
lattivit C, la cui durata superiore di una settimana rispetto a B.
Se vogliamo quindi ridurre il tempo del progetto, attualmente di 20 settimane,
bisogna operare sulle attivit critiche, non certo sullattivit B.
Il metodo PERT (Program Evaluation & Review Technique) simile al metodo
CPM, ma considera la durata delle attivit come una variabile stocastica, e non
deterministica. Lottimizzazione di queste reti fa ricorso a modelli di simulazione,
oppure a ipotesi sulla funzione di distribuzione di probabilit della durata delle
attivit (in genere si utilizza la funzione beta).

Il punto
La gestione dei progetti di investimento (project management) costituisce una
attivit sempre pi importante per le imprese, e si basa su tecniche specifiche di
pianificazione fra cui le pi note sono la Work Breakdown Structure (WBS), il
Diagramma di Gantt e lanalisi dei grafi reticolari.
5.3.4 Gestione delle scorte
Le scorte sono costose, e non a caso le moderne tecniche di produzione tendono a
minimizzare il livello delle rimanenze pur senza rinunciare alla variet dei prodotti
a catalogo (e quindi cercando di ridurre quanto pi possibile il tempo di
180

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

produzione). I costi sono legati sia allimmobilizzazione di risorse (che altrimenti


potrebbero essere investite in altri impieghi), sia al costo di mantenimento delle
scorte (costi di magazzino, assicurazione, deperimento, attrezzature dedicate). Del
resto, un basso livello delle scorte indebolisce il flusso produttivo e riduce il livello
di servizio perch genera rischi di esaurimento delle risorse necessarie (stock-out)
sia per limpresa sia per i clienti, e costringe a sopportare frequenti costi di gestione
degli ordini.
Un semplice modello di gestione delle scorte, che si adatta sia alle scorte di materie
prime sia alle scorte di prodotto finito, il dimensionamento del lotto economico
proposto da Wilson (1934); in questo caso il trade-off fra il costo unitario annuo
di mantenimento delle scorte cs (comprendendo anche il costo opportunit del
capitale circolante) e il costo ce di emissione e di gestione del singolo ordine di
acquisto delle materie prime (nel caso di scorte di materie prime) o di produzione
(nel caso di scorte di prodotto finito). Supponiamo che il fabbisogno annuo di unit
di prodotto (o materia prima) proveniente da monte della catena produttiva sia pari
a Q. Intendiamo trovare la dimensione ottimale del lotto di produzione (o di
riordino) economico q*, e indirettamente la politica ottimale di gestione delle
scorte, che ci consentono di minimizzare i costi annui totali C:

C = ce

Q
q
+ cs
q
2

Nellespressione precedente, i costi totali sono dati dalla somma dei costi di
emissione degli ordini di acquisto o di produzione (il costo unitario ce moltiplicato
per il numero di ordini emessi allanno) e dei costi di mantenimento a scorta (come
si vede dalla Figura 5.11, il livello medio delle scorte dato dal lotto economico
diviso due, poich il livello varia uniformemente fra 0 e q*).
Il lotto economico ottimo si individua minimizzando i costi totali rispetto alla
dimensione del lotto stesso: ogni ingegnere o aspirante tale che si rispetti sar
in grado di calcolare la derivata di C rispetto alla dimensione del lotto q:

181

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

C
=0
q

2ce Q
cs

q* =

Figura 5.11 Modello del lotto economico: livello medio delle scorte

Scorte

q*

q*
2

q*
360
Q

Tempo

Il limite del modello precedente relativo al fatto che la politica ottimale di


gestione delle scorte implica che il riordino del lotto di acquisto (per le materie
prime) o il lancio della produzione (per i prodotti finiti) avvenga quando il livello
delle scorte si annulla, e di conseguenza il rifornimento giunge istantaneamente.
In primo luogo, se per caso lapprovvigionamento del lotto non avviene in maniera
istantanea, la misura di q** deve modificarsi come segue:

q** =

2ce Q

Q
c s 1
Qmax

dove Qmax rappresenta la capacit produttiva massima annuale dello stadio


produttivo a monte.
evidente che solo se la capacit massima infinita lapprovvigionamento avviene
istantaneamente e integralmente (e quindi q** coincide con q*). In caso contrario, al
crescere della lentezza di approvvigionamento cresce la dimensione ottima del
182

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

lotto. Infatti, per completare la consegna del lotto ordinato saranno necessari

q **
360 giorni (nel frattempo prosegue la vendita del prodotto), e quindi
Qmax
lincidenza dei costi di mantenimento a scorta si riduce, dal momento che il livello
medio delle scorte pi basso (si veda la Figura 5.12). Ci rende pi conveniente
ordinare un lotto di dimensione maggiore rispetto al caso di approvvigionamento
istantaneo.
Figura 5.12 Modello del lotto economico: livello medio delle scorte nel caso di
approvvigionamento non istantaneo.

Scorte
q**
**

q 1 Q

Qmax

q **
360
Qmax

Tempo

La Figura 5.12 evidenzia che il livello massimo delle scorte non coincide appunto
con il lotto ordinato, perch una sua frazione, pari a q **

Q
, viene venduta
Qmax

durante i giorni di consegna.


In secondo luogo altrettanto evidente che se linizio delle consegne non coincide
con lordine, ma comincia a verificarsi dopo un tempo pari a Tr giorni, lordine
andr emesso anticipando adeguatamente i tempi (prima quindi dellesaurimento
delle scorte, come evidenziato nella Figura 5.13) allorch il livello delle scorte
basta appena per soddisfare la domanda media durante il periodo Tr.

183

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Infine, se si ipotizza che il fabbisogno non sia noto, ma incerto, il rischio di non
essere in grado di rispondere a variazioni impreviste della domanda diventa
elevato. Per risolvere questo problema, oltre alle normali scorte di ciclo utile
mantenere a magazzino uno stock di scorte di sicurezza qss (si veda ancora la
Figura 5.13) che costituisca un polmone (buffer) da sfruttare in caso di sbalzi
inattesi della domanda durante il tempo Tr di approvvigionamento.
Figura 5.13 Modello del lotto economico: livello medio delle scorte nel caso di tempo di
approvvigionamento non trascurabile e domanda incerta.

Scorte

Ordine

Ordine

Ordine

q*

*
qss + q
2

Scorte
di ciclo

Scorte di
sicurezza

qss
Tr

Tempo

Il dimensionamento delle scorte di sicurezza dipende dalle ipotesi fatte sulla


distribuzione statistica della domanda del prodotto o del fabbisogno della materia
prima. Se ad esempio si ipotizza che la domanda media sia pari a Q, ma incerta con
una deviazione standard non trascurabile e pari a , si ottiene:
qss = k Tr

Il parametro k dipende dal livello di servizio target, ovvero dalla probabilit di


copertura della domanda che si vuole assicurare. Ad esempio, ipotizzando che la

184

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

domanda sia distribuita come una funzione normale gaussiana, se si vuole


soddisfare la domanda almeno del 90% dei casi, k pari a 1,29; se si vuole ottenere
un livello di servizio migliore, riducendo ulteriormente il rischio di stock-out fino a
coprire il 95% della varianza, k sar pi elevato e pari a 1,65.

Il punto
La politica ottimale di gestione delle scorte deve affrontare un trade-off fra costi di
mantenimento delle scorte, costi di emissione di ordini di approvvigionamento e di
produzione, rischio di stock-out.
I modelli di gestione delle scorte che abbiamo visto sono definiti come modelli a
livello di riordino fisso nel senso che la frequenza del riordino variabile, in
funzione del livello delle scorte osservato.
Esistono anche modelli a intervallo di riordino fisso, in cui invece variabile la
dimensione del lotto di riordino, ma viene fissata la frequenza del riordino stesso.
In pratica, in certe scadenze prefissate si procede alla verifica del livello delle
scorte, e si decide (se il caso) la dimensione dellordine di acquisto o di
produzione da emettere, in modo da portare la disponibilit delle rimanenze al
livello ottimale qo. Tale livello deve essere progettato sulla base della domanda
media annuale Q e del tempo necessario per ottenere il rifornimento Tr, oltre
allintervallo di tempo To fra le scadenze di riordino:

qo =

Q
Tr + To

Il metodo a intervallo di riordino fisso non ammette un monitoraggio continuo del


livello delle scorte, come invece prevedono i modelli a livello di riordino fisso, e
quindi offre spesso un livello di servizio inferiore.

185

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Esempio
Un grossista di becchime per polli soddisfa una domanda annuale media Q pari a
4.000 sacchi. Il costo annuale di mantenimento a scorta di un sacco cs stimabile in
1 . Il costo di emissione di un ordine di approvvigionamento dal produttore ce
pari a 20 .
Si determini la tecnica di gestione ottimale delle scorte sotto queste alternative:
1) gestione con lotto di riordino fisso, con domanda costante;
2) gestione con lotto di riordino fisso, con domanda costante e tenendo conto che
il produttore in grado di consegnare solo 250 sacchi al giorno, senza aggravi
di costi per spedizioni multiple;
3) gestione con lotto di riordino fisso, tempo di rifornimento Tr pari a 5 giorni,
domanda variabile con deviazione standard pari a 5 sacchi al giorno e livello
di servizio desiderato pari al 90%;
4) gestione con periodo di riordino To fisso, pari a 10 giorni, tempo di
rifornimento Tr pari a 5 giorni.
Nel primo caso sufficiente applicare la formula del lotto economico q*:
q* =

2ce Q
= 400 sacchi
cs

La giacenza media sar pari alla met di q*, e cio 200 sacchi. In condizioni
stazionarie, lemissione dellordine di 400 sacchi avverr 10 volte allanno
(4.000/400 = 10) e quindi ogni 36 giorni (360/10 = 36).
Nel secondo caso applichiamo la formula del lotto economico corretto, con Qmax
= 90.000 sacchi allanno (250 360).
q** =

2ce Q

Q
c s 1
Qmax

= 409 sacchi

La consegna sar completata nel giro di due giorni.


Nel terzo caso, il lotto economico sempre pari a 400 sacchi, ma oltre alle scorte di
ciclo, sar necessario gestire delle scorte di sicurezza, cos dimensionate (in questo
caso k = 1,29):

186

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

qss = k Tr = 32 sacchi

Il punto di emissione dellordine non coincider con lesaurimento delle scorte


(lapprovvigionamento non inizia istantaneamente) ma avverr quando le scorte di
ciclo toccano il livello di 56 sacchi (pari alla domanda media che sar registrata
prima dellarrivo dellordine, ovvero 4.000 / 360 Tr).
Nel quarto caso la politica di gestione a periodo di riordino fisso, e quindi il lotto
di ordinazione sar pari tale da rigenerare le scorte fino ad un livello prefissato qo
pari a:
qo =

Q
= 267 sacchi
Tr + To

Lordine sar pari alla differenza fra qo e il livello corrente delle scorte.
5.3.5 Gestione dei crediti
I crediti commerciali e finanziari generano costi legati alla loro scarsa liquidit e
alla loro rischiosit.
Per quanto riguarda il primo aspetto, interesse di ogni impresa cercare di
monetizzare al pi presto i propri crediti, per liberare risorse da investire o per far
fronte alle passivit a breve termine. Le operazioni di factoring e securitization
consentono di ottenere questo obiettivo.
Il factoring consiste nella delega della riscossione dei crediti commerciali e
finanziari vantati dallimpresa a una societ finanziaria specializzata. Limpresa
cede i propri crediti al factor, che provvede a riscuoterli, anticipando allimpresa
una somma compresa fra il 70% e l80% del valore di rimborso dei crediti. Il
contratto di factoring pu essere del tipo pro solvendo (in questo caso limpresa

sopporta in proprio il rischio di eventuali insolvenze) oppure del tipo pro soluto
(in questo caso la societ di factoring si assume il rischio di insolvenza dei crediti).
La securitization la trasformazione di particolari classi di crediti vantati
dallimpresa in titoli finanziari (cartolarizzazione). I crediti sottostanti sono in
genere di tipo finanziario (ad esempio canoni su contratti di leasing, interessi su
mutui, crediti generati dallutilizzo di carte di credito); possono prevedere

187

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

lesistenza di garanzie reali sul rimborso ed, eventualmente, sul pagamento di


interessi.

Il segnalibro
La cartolarizzazione dei crediti commerciali e finanziari discussa nel Volume
Finanziare le Risorse dellImpresa nel Capitolo 3, Paragrafi 3.6.6 e 3.6.7.
Per quanto riguarda la rischiosit, non detto che i crediti siano effettivamente
riscossi integralmente. Per coprirsi da eventuali insolvenze, si possono ricorrere a
contratti assicurativi, spesso compresi in operazioni di factoring e securitization.
Un secondo rischio associato ai crediti quello relativo al tasso di cambio. Il valore
di rimborso di un credito pu essere variabile per via delle oscillazioni del tasso di
cambio, nel senso che il rimborso pu avvenire in valuta estera, il cui ammontare in
valore nazionale dipende dallaleatoriet del mercato dei cambi. Per coprirsi da
questo rischio, limpresa pu utilizzare contratti derivati sulla valuta (forward,
futures, currency swap), acquistando o vendendo a termine a condizioni prefissate
la valuta straniera. Ad esempio, se unimpresa vanta un credito di 1 milione di
dollari australiani, a scadenza 6 mesi, pu coprirsi dal rischio di cambio vendendo
a scadenza al tasso di cambio forward 1 milione di dollari australiani in cambio di
euro. Il payoff totale in euro alla scadenza del credito sar in questo modo fissato e
indipendente dal tasso di cambio futuro.

Il segnalibro
I titoli derivati, e in particolare le opzioni e i contratti forward e futures, sono
trattati approfonditamente nel Volume Finanziare le Risorse dellImpresa nel
Capitolo 5.
5.3.6 Gestione della liquidit
La liquidit di cassa permette di rispondere a esigenze di pagamenti immediati, ma
genera anche un costo opportunit, perch potrebbe essere impiegata in
investimenti alternativi ad un tasso di rendimento superiore rispetto a quello
188

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

riconosciuto dallistituto bancario in conto corrente. Inoltre, la ricostituzione di un


fondo di liquidit, una volta esaurito, comporta dei costi di negoziazione relativi a
operazioni di raccolta di capitale, piuttosto che la cessione di titoli a breve termine
detenuti in portafoglio. Del resto, le uscite e soprattutto le entrate di cassa non sono
perfettamente prevedibili. Insomma, anche la liquidit come le scorte non deve
essere n troppa n troppo poca.

Il segnalibro
Le modalit della raccolta di liquidit nel breve termine attraverso il debito sono
discusse nel Volume Finanziare le Risorse dellImpresa, Capitolo 3.
Le problematiche di gestione della liquidit sono dunque simili a quelle esaminate
per le scorte: esiste un trade-off da massimizzare che definisce la politica ottima di
gestione della liquidit. Uno dei modelli pi conosciuti che risolve il trade-off
quello di Miller & Orr (1966): i parametri in ingresso al modello sono il costo ce di
transazione associato allordine di vendita (nel caso di necessit di incrementare la
cassa) o acquisto (nel caso di eccesso di liquidit di cassa) di titoli finanziari, la
varianza giornaliera dei flussi di cassa netti in ingresso 2, il tasso di interesse
giornaliero sui titoli finanziari r. Secondo Miller & Orr, fissato un livello minimo
di giacenza di cassa Smin (in funzione anche degli accordi contrattuali con listituto
bancario), il massimo incremento di cassa ottimale S dato da:

S = 2,7527

ce 2/3

La cassa quindi non deve superare il limite Smax:


Smax = Smin + S

Lindicazione del modello, esemplificata in Figura 5.14, quindi la seguente:

189

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

1) quando il livello di cassa S tocca la soglia minima desiderata Smin, necessario


vendere titoli detenuti in portafoglio fra le attivit correnti per raccogliere
liquidit, fino a raggiungere il livello ottimale S*;
2) quando il livello di cassa S raggiunge la soglia massima Smax, opportuno
investire la liquidit in eccesso fino a raggiungere di nuovo il livello ottimale
pari a S*.
interessante notare che il livello di riferimento S* non coincide con la media fra la
soglia massima e la soglia minima:

S* = Smin +

S
3

Ci vuol dire che molto pi facile raggiungere la soglia inferiore, rispetto a quella
superiore, e quindi la minimizzazione dei costi di gestione totali, comprensivi del
costo opportunit, non implica necessariamente la minimizzazione delle transazioni
di tesoreria (questultimo obiettivo si raggiungerebbe con una politica che fissa il
livello di riferimento a met fra le due soglie).
Figura 5.14 Il saldo di cassa S nel modello di Miller & Orr.

Saldo S

Investimento della
liquidit in eccesso

Smax
S
S*

Smin

S
3
Raccolta della
liquidit in difetto
Tempo

190

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Si pu notare che il margine di cassa S deve essere tanto pi elevato quanto


maggiori sono i costi di transazione relativi allimpiego o alla raccolta di liquidit,
quanto maggiore la volatilit giornaliera della variazione del saldo di cassa, e
quanto minore il costo opportunit della liquidit (ovvero il rendimento
dellimpiego alternativo, ad esempio linvestimento in titoli).
Infine, va precisato che il modello non distingue la raccolta di cassa attraverso la
dismissione di titoli rispetto allindebitamento a breve. Peraltro, specialmente per le
imprese di maggiore dimensione, tale differenza si pu ritenere trascurabile.

Esempio
Un grande magazzino intende mantenere un saldo di cassa giornaliero pari ad
almeno 25.000 . Lincremento netto della cassa giornaliera nellultimo mese ha
fatto registrare uno scarto quadratico medio di 5.000 (equivalente a una varianza
2 di 25.000.000). La cassa in eccesso pu essere impiegata in titoli di stato, che

rendono il 3,6% annuo (corrisponde ad un tasso r pari allo 0,01% giornaliero). Il


costo di negoziazione dei titoli ce, legato allemissione dellordine, alla scelta dei
titoli da comprare o vendere, alle commissioni fisse, pari a 20 .
Ecco la politica ottimale di gestione della liquidit:
- Saldo minimo desiderato Smin = 25.000
ce 2/3
= 47.070
r

Massimo incremento ottimale S = 2,7527

Saldo massimo ottimale Smax = Smin + S = 25.000 + 47.070 = 72.070

S
= 40.690
3
Quando il saldo di cassa tende a superare 72.070 , il tesoriere del grande

Livello di riferimento S* = Smin +

magazzino dovrebbe investire la liquidit in eccesso fino ad un saldo di 40.690


(lammontare da investire sarebbe quindi 31.380 ). Quando invece il saldo di
cassa tende a scendere sotto la soglia di 25.000 , bisogna liquidare titoli finanziari,
o accendere un prestito a breve termine, per riportarsi al saldo di 40.690 (la
liquidit da raccogliere dunque pari a 15.690 ).

191

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

5.3.7 Pianificazione fiscale


Anche la pianificazione fiscale (tax planning) una leva che pu essere utilizzata
per incrementare il valore dimpresa.
Nellimplementazione di un progetto di investimento si pu infatti studiare il
meccanismo pi adatto per minimizzare il carico fiscale e ottimizzare il flusso di
reddito per gli investitori. Il tutto si intende nel rispetto delle normative vigenti.
Le variabili da considerare possono essere:
1) la localizzazione geografica dellinvestimento; pu essere interessante
considerare le opportunit offerte da particolari distretti geografici (ad esempio
zone franche) o da stati stranieri, che intendono attrarre investimenti ed offrono
esenzioni sulle imposte sul reddito2; alcuni di questi stati offrono condizioni
estremamente vantaggiose e sono individuati come paradisi fiscali;
2) il timing di pagamento dei flussi; pu essere opportuno anticipare o rinviare
pagamenti e/o riscossioni semplicemente per ottimizzare il carico fiscale ed evitare
crediti verso lerario;

3) la struttura finanziaria; pu essere opportuno finanziare un progetto con capitale


proprio, o con debito, o con altri strumenti (ad esempio leasing) a seconda della
possibilit di ottenere vantaggi e deduzioni fiscali;
4) agevolazioni quali credito dimposta destinati a sostenere attivit di ricerca;
5) la struttura societaria; pu essere opportuno strutturare le attivit in sussidiarie
diverse, piuttosto che in divisioni di una singola impresa.
Una delle tecniche pi conosciute di tax planning il treaty shopping. Esso
consiste nella ricerca delle migliori opportunit offerte da convenzioni bilaterali e
internazionali che regolano la tassazione dei flussi di reddito fra stati esteri.
Ad esempio, la localizzazione di una societ holding alle Antille Olandesi
estremamente penalizzante per un imprenditore italiano date le normative antielusione in vigore, ma invece vantaggiosa se fra holding caraibica e societ
operativa italiana viene costituita una finanziaria nei Paesi Bassi, che hanno
convenzioni bilaterali sia con le Antille sia con gli altri paesi dellUE.
2

Spesso le agevolazioni sono condizionate allassunzione di un certo numero di dipendenti


locali, o allinsediamento di un ufficio di rappresentanza piuttosto che di una fabbrica.
192

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

5.4 Lorganizzazione delle risorse umane


Una delle risorse critiche dellimpresa sono gli individui che in essa lavorano. In un
manuale di gestione aziendale le risorse umane vengono definite come una attivit
che alla sera esce dallufficio e forse il giorno dopo non torna pi. chiaro quindi
che lorganizzazione delle risorse umane un capitolo importante nella
pianificazione dimpresa. Diversamente infatti dalle altre risorse dimpresa, non si
tratta solo di massimizzarne lefficienza dellimpiego, ma anche di motivarne
adeguatamente il comportamento.

5.4.1 La visione tayloristica


Taylor (1967) tent di esplicitare in maniera meccanicistica la relazione fra
funzione di produzione dellimpresa e organizzazione delle risorse umane, durante
la sua esperienza nelle catene di montaggio della Ford.
Il taylorismo si basa su un postulato chiave, ovvero che esiste il best way
nellorganizzazione delle risorse umane. Il taylorismo si inserisce in un momento

storico molto preciso, e cio lindustrializzazione di massa negli anni 50 avvenuta


prima negli USA e poi negli altri paesi occidentali. Esso si basa su tre paradigmi
fondamentali: (i) la separazione delle funzioni di direzione da quelle operative, (ii)
il meccanicismo spinto delle mansioni operative e (iii) lenfasi sullefficienza
locale. Secondo Taylor necessario che le mansioni aziendali vengano analizzate
scientificamente per determinarne lo svolgimento pi efficiente ed imporlo ai
lavoratori. Lo sfruttamento delle economie di apprendimento richiede una
specializzazione elevatissima, cosicch ogni lavoratore ha dei compiti molto
limitati, standardizzati e specifici senza alcuna responsabilit decisionale.

Il punto
Il taylorismo propone un modello organizzativo centrato sullottimizzazione locale,
sulla divisione del lavoro e sulla standardizzazione dei processi.
La visione tayloristica stata presto superata, in risposta alle mutate caratteristiche
delleconomia dopo le due guerre mondiali, per due motivi fondamentali: (i)

193

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

lalienazione lamentata dalle risorse umane, causata dalleccessiva specializzazione


delle mansioni e dalla non partecipazione al processo decisionale, (ii)
limpossibilit di ridurre limpresa a una funzione meccanicistica, in particolare in
contesti non stabili e difficilmente standardizzabili.
5.4.2 Il paradigma della lean production
Negli anni 80 il successo delleconomia giapponese pose alla ribalta un nuovo
paradigma organizzativo, sperimentato nellindustria automobilistica Toyota,
basato su alcuni pilastri fondamentali, sintetizzati nellidea di produzione snella
(lean production):
1) il superamento del trade-off tradizionale fra costo, qualit e variet della
gamma produttiva; in risposta alla crescente dinamicit del mercato (che
richiede innovazioni continue nei prodotti e unampia diversificazione) le
imprese sono chiamate ad una maggiore flessibilit nella gestione delle risorse,
non sempre compatibile con lautomazione spinta;

2) la diffusione delle tecniche di produzione Just-in-Time (JIT) orientate alla


massima riduzione dei tempi di produzione e alla minimizzazione delle scorte,
con lobiettivo di ridurre i costi di produzione senza effetti negativi su qualit e
tempestivit;
3) lorientamento alla qualit e alla flessibilit del processo produttivo, in
cooperazione (e non in competizione, come vorrebbe Porter) con i fornitori;
4) larricchimento delle mansioni lavorative, sia in direzione verticale (job
enrichment, ovvero la facolt del lavoratore di organizzare come meglio crede
lesecuzione delle proprie mansioni senza indicazioni verticistiche), sia in
direzione orizzontale (job enlargement, ovvero laffidamento di compiti
diversificati, anche a rotazione in diversi team di lavoro), in risposta ai
problemi di alienazione del taylorismo;
5) la tensione al miglioramento continuo delle prestazioni (in giapponese kaizen),
con il coinvolgimento e la partecipazione di tutto lo staff.

194

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

Appare quindi chiaro il rifiuto della pretesa del taylorismo di separare nettamente
lesecuzione dal controllo e coordinamento delle mansioni, e di puntare
allefficienza locale attraverso la standardizzazione e la specializzazione.

Il punto
Il successo delleconomia giapponese negli anni 80 ha portato alla ribalta nuovi
modelli organizzativi, basati sulla produzione snella in risposta alla dinamicit
del mercato e con lobiettivo del coinvolgimento delle risorse umane nella tensione
al miglioramento delle prestazioni aziendali.
5.4.3 La teoria della contingenza
Il pensiero attuale non persegue un modello generale unico nellorganizzazione
delle risorse umane, ma invece ricerca ladattamento coerente dei vari parametri
progettuali ad ogni specifica situazione aziendale, coerentemente con la teoria della
contingenza.
Mintzberg (1985) afferma che le dimensioni fondamentali dellorganizzazione

sono due: (i) la divisione del lavoro fra vari compiti e (ii) il coordinamento di
questi compiti. Ogni impresa chiamata ad individuare i modelli pi opportuni di
divisione del lavoro e di coordinamento, in linea con lambiente competitivo
esterno (congruenza del sistema organizzativo), con le risorse interne disponibili
(configurazione del sistema organizzativo) e con alcuni fattori contingenti, come
let dellimpresa, la dimensione, la capacit produttiva. In particolare, Mintzberg
individua cinque diversi modelli di base, presentati nella Tabella 5.1.
Il primo modello quella della struttura semplice, dove la figura chiave ricoperta
dal titolare dellattivit, che attraverso meccanismi di supervisione diretta dirige e
controlla il lavoro di tutta lorganizzazione assumendosi la responsabilit generale.
il modello delle imprese di piccolissima dimensione, dove una persona
(tipicamente il proprietario dellimpresa) decide le linee guida e i piani operativi di
tutta lorganizzazione e ne controlla direttamente loperato. Si tratta di un modello
evidentemente adatto a organizzazioni poco complesse, dove la mole di dati e
processi da osservare limitata. Laccentramento delle decisioni e il controllo

195

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

diretto lo rendono per adatto anche a contesti dinamici, dove occorrono reazioni
pronte e decise alla turbolenza dellambiente esterno. Il modello mostra i suoi
limiti invece laddove la struttura aziendale tende ad ampliarsi, e non pu pi essere
gestita da una singola persona. In secondo luogo, pu verificarsi una eccessiva
personalizzazione dellimpresa, che si identifica sempre pi con il carisma del
titolare, e che ha difficolt a sopravvivere nel momento in cui egli si allontana.
Tabella 5.1 I cinque modelli organizzativi di Mintzberg.

Modello

Posizione chiave

Meccanismo di
coordinamento

Caratteristiche

Contesti dinamici
ma poco complessi
Standardizzazione
Contesti complessi
Burocrazia meccanica
Tecnostruttura
dei processi
ma poco dinamici
Standardizzazione
Contesti dinamici
Burocrazia professionale Nucleo operativo
delle competenze
e molto complessi
Standardizzazione
Contesti complessi
Struttura divisionale
Linea intermedia
degli output
e diversificati
Contesti turbolenti
Adhocrazia
Staff di supporto Adattamento reciproco
e innovativi
Struttura semplice

Vertice strategico

Supervisione diretta

Il secondo modello quello della burocrazia meccanica, tipico delle grandi imprese
mature, in cui il coordinamento avviene attraverso la standardizzazione dei
processi, e quindi la specializzazione e la formalizzazione programmatica delle
funzioni. La burocrazia meccanica si avvicina molto al modello taylorista, e
presuppone una elevata specializzazione e meccanicizzazione delle mansioni. Il
ruolo centrale viene svolto dalla tecnostruttura e cio dai tecnici del controllo di
gestione e analisti del lavoro, che definiscono le singole mansioni dei lavoratori e
spingono sulla massima efficienza del processo produttivo. La burocrazia
meccanica si adatta a contesti complessi, laddove la struttura semplice fallisce per
la sua incapacit di gestire numerose funzioni, ma risponde adeguatamente solo a
contesti stabili e poco turbolenti, in cui facile definire uno standard costante delle
196

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

mansioni. Essa si dimostra invece poco reattiva ai cambiamenti dellambiente


esterno, nel momento in cui le procedure inesistenti si rivelano non pi adeguate.
Il terzo modello quello della burocrazia professionale, che si rif agli studi
professionali, alle universit, alle strutture in cui viene definito ex ante il requisito
in termini di competenze dei lavoratori (ad esempio, lo studio dentistico sceglier
laureati in odontoiatria). Nella burocrazia professionale sono i professionisti stessi
a costituire il nucleo operativo, e il coordinamento definito dalla
standardizzazione delle competenze, acquisita allesterno dellimpresa attraverso la
formazione. Il modello basato su decentramento organizzativo e cooperazione
reciproca, e si adatta anche a contesti dinamici, dal momento che si suppone che
ognuno, grazie al proprio background culturale, sappia come comportarsi in caso di
eventi imprevisti.
Il quarto modello quella della struttura divisionale, in cui le attivit dellimpresa
vengono delegate a diverse divisioni, costituite per aree funzionali, piuttosto che
per prodotto, o per area geografica; in questambito un ruolo rilevante assunto
dalla linea intermedia, ovvero dai managers che dirigono operativamente le
singole divisioni e i reparti. Il vertice si limita invece a definire le strategie di tipo
generale. Il meccanismo di coordinamento la standardizzazione degli output,
ovvero la definizione ex ante degli obiettivi delle singole divisioni (ad esempio in
termini di fatturato o profitto atteso), alle quali per tutto il resto viene lasciata una
relativa autonomia. Il modello si adatta a contesti in cui il coordinamento unitario
problematico e lattivit dellimpresa estremamente diversificata.
Il quinto modello viene definito adhocrazia, ed paragonabile ai team delle
societ di consulenza. Esso prevede linserimento di esperti senior in specifici
gruppi di progetto, la cui composizione muta nel tempo a seconda dei progetti
affrontati. Il meccanismo di coordinamento ladattamento reciproco, ovvero la
semplice comunicazione informale fra gli addetti; la posizione chiave occupata
dallo staff di supporto, ovvero proprio dagli esperti esterni al flusso di lavoro
operativo (si pensi ad esempio alla funzione dei creativi negli studi pubblicitari).
Ladhocrazia si adatta a contesti fortemente turbolenti e caratterizzati dalla gestione
di progetti innovativi a termine.

197

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE


Figura 5.15 Organizzazione dellimpresa secondo Mintzberg.

Vertice
strategico
Staff di
supporto

Managers
di linea intermedia

Tecnostruttura

Nucleo operativo

In ogni organizzazione, dovrebbero quindi riscontrarsi elementi di queste


configurazioni base, in corrispondenza alle caratteristiche dellambiente esterno (ad
esempio la situazione competitiva), alle caratteristiche interne dellimpresa (ad
esempio let e la tecnologia impiegata) e alle spinte esercitate da ogni componente
dellorganigramma. Fra questi modelli, lanalista dovr capire quale meglio si
adatta allimpresa. Secondo Mintzberg, i parametri della progettazione
dellorganizzazione sono sostanzialmente quattro:
1) la progettazione delle posizioni individuali, ovvero il grado di specializzazione
e di formalizzazione delle attivit, nonch il sistema di formazione interno; in
pratica, in questa fase si definisce la divisione del lavoro (cosa deve fare
ognuno e come deve essere fatto); si parla di specializzazione orizzontale nel
caso in cui la mansione sia altamente specifica; si parla invece di
specializzazione verticale nel caso in cui vi sia una separazione netta fra
esecuzione della mansione e controllo gerarchico;
2) la progettazione della macrostruttura, ovvero del raggruppamento dei diversi
team secondo la similitudine delle funzioni svolte (organizzazione funzionale)
piuttosto che secondo i mercati serviti (organizzazione per mercati) piuttosto
che secondo entrambe le direzioni (organizzazione a matrice); si tratta di
definire lorganigramma e la dimensione delle squadre di lavoro;
3) la progettazione dei collegamenti laterali, ovvero dei meccanismi di raccordo e
comunicazione fra i diversi team; in questo caso si possono creare dei gruppi di
198

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

lavoro comuni fra i diversi team (task force) che si incontrano periodicamente,
piuttosto che delle figure ad hoc (i project managers) oppure lasciare tutto alla
semplice comunicazione sia di tipo informale sia di tipo formale (ad esempio
attraverso i documenti di budget);
4) la progettazione del grado di decentramento del sistema decisionale e di
controllo, che pu essere accentrato al vertice, piuttosto che decentrato verso la
periferia.

Il punto
La teoria della contingenza di Mintzberg afferma che sulla base dellanalisi del
contesto competitivo esterno e delle risorse interne dellimpresa, la divisione del
lavoro e il suo coordinamento deve combinare le caratteristiche di cinque
configurazioni di base fondamentali: la struttura semplice, la struttura divisionale,
la burocrazia meccanica, la burocrazia professionale e ladhocrazia.
5.5 Le tendenze attuali nella pianificazione delle risorse
La crescente complessit del sistema economico spinge le imprese a ricercare
nuovi modelli di gestione e pianificazione delle risorse.
La ricerca pi recente su questo tema ha messo in evidenza alcune tendenze, che
rimangono tuttora elemento di discussione per il futuro:
1) la crescente attenzione verso gli azionisti e lorientamento delle strategie alla
creazione del valore, con il conseguente ripensamento della pianificazione;
2) la sensibilit verso la corporate social responsibility, i temi ambientali e lo
sviluppo sostenibile (non solo come vincoli ma anche come leve di creazione
di valore);
3) labbandono delle operazioni di diversificazione, a favore di una maggiore
focalizzazione sul core business, e lesternalizzazione delle attivit non core;
4) la spinta verso la decentralizzazione del processo decisionale
nellorganizzazione, in risposta alla complessit e alla turbolenza
dellambiente;

199

5. LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE

5) lenfasi sulle fonti dinamiche di efficienza (flessibilit, riduzione dei lead time,
innovazione) pi che sulle fonti statiche (economie di scala, economie di
integrazione);
6) levoluzione verso forme di cooperazione evoluta con fornitori a monte e
clienti a valle della catena del valore;
7) il riconoscimento del ruolo delle competenze e della gestione della conoscenza
(knowledge management);
8) lorientamento alla qualit totale (total quality management) e allofferta di
pacchetti di prodotti e servizi di lungo termine;
9) lenfasi sulle potenzialit delle nuove tecnologie informatiche (in particolare
legate al web), i cui costi di accesso si sono enormemente ridotte.

200

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