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Nicola Spinosi

Antologia dell'Errare
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Premessa.

Ricerca di “errori”: in libri, giornali, ricordi, impressioni,


radio, tv, discorsi - errori presi ovunque, il giacimento è
infinito nel tempo e nello spazio, e, naturalmente, errori al
quadrato (almeno), infatti su un errore capita che si scriva,
o si pensi, o si parli, commettendo nuovi errori, per esempio
d’interpretazione. E’ il sapere che procede.
Ricerca che ci ha portato ben lontano dall’idiosincrasia fino
a pochi anni fa da noi patita attorno al concetto stesso di
“errore” - quando lo trovavamo applicato non tanto ai fatti,
quanto ai significati.
E’ una prima suddivisione, questa, ma naturalmente non
dimentichiamo che i nudi fatti sono una finzione. Un’altra è
quella tra errori individuali ed errori di gruppo, e collettivi.
Un’altra, tra errori inerenti al sapere (all’ignoranza), errori
inerenti al sentire, errori inerenti al credere. Un’altra (ma
s’intersecano), tra errori psicogeni (i lapsus per esempio), e
errori come meccanismi mentali (scorciatoie, pregiudizi,
stereotipi eccetera). Ma s’intersecano.

Gli stereotipi e i pregiudizi sono forme erronee di pensiero


atteggiamento e comportamento condivise nella cultura di
loro appartenenza, a riprova che l’errore serve a sentirsi
uguali e non diversi, in definitiva in pace, dal momento che
esso funziona, esattamente come una moneta che in un
Paese sia usata per ogni tipo di transazione commerciale ed
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economica, nonostante che all’estero non valga e magari
non sia accettata: abbiamo fatto l’esperienza della
scarsissima considerazione che le nostre lire avevano fuori
d’Italia, eppure erano l’appiglio quotidiano delle nostre
esigenze di creditori-debitori, venditori-consumatori. Così
gli stereotipi e i pregiudizi.

Gli stereotipi sono “teorie” condensate e semplici a nostra


disposizione in quanto siamo cresciuti all’interno di una
certa cultura. Gli stereotipi hanno noi a disposizione per
esprimersi, come? Tramite i pregiudizi, che dunque sono la
forma visibile degli stereotipi.
Gli stereotipi e i pregiudizi che ne scaturiscono (quando si
presenta il caso) non sono intrinsecamente sbagliati, non è
questa la loro caratteristica essenziale, nonostante le
stupidaggini che si dicono in giro in nome della “correttezza
politica”, le quali ultime sono stereotipi a proposito degli
stereotipi. La loro erroneità consiste nella grossolanità,
nella eccessiva semplificazione cui danno luogo: consiste
nella menomazione del nostro pensiero.

Come se ne esce? Prendendo coscienza che noi


apparteniamo agli stereotipi della nostra cultura, per
passare dalla condizione passiva a quella attiva. Se gli
stereotipi hanno me, resto in errore, se apprendo di avere,
io, stereotipi, posso elaborarli. Bonificando la mia mente.
Un po’ troppo individualistico, non è vero?
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Insieme agli altri, collettivamente, se ne esce, per mezzo
della scienza, nel contesto della giustizia e della
distribuzione equa delle risorse, delle opportunità. Facile,
no?

I brani della miscellanea (potenzialmente interminabile)


appartengono in maggioranza ad autori noti o celebri, in
minoranza sono nostri (N.S.). Stanno tutti insieme e anche
fanno a pugni, trovare un ordine sarebbe una forzatura. Di
alcuni non abbiamo indicato la pagina, ma, se possibile, il
capitolo (numero o titolo). Ciò dipende dal fatto che ne
conosciamo o, magari a torto, ne inferiamo edizioni diverse
da quella in nostro possesso e sapere.

Ultimo: usiamo quando è il caso la prima persona plurale, e


non la prima singolare; ciò appesantisce il testo, ma vuol
significare che ci sentiamo parte di una comunità.
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La fregata Belle-Poule incrociava in alto mare, alla ricerca
della corvetta Berceau da cui era rimasta separata nel corso
di una violenta tempesta. Oramai si era in pieno giorno e in
pieno sole. A un tratto, la vedetta segnalò un’imbarcazione
alla deriva. L’equipaggio appuntò gli sguardi nella direzione
indicata e tutti, ufficiali e marinai, scorsero nettamente una
zattera carica d’uomini rimorchiata da imbarcazioni su cui
sventolavano segnali invocanti soccorso. L’ammiraglio
Desfossés fece armare subito una scialuppa per accorrere in
aiuto dei naufraghi. Avvicinandosi, marinai e ufficiali videro
“una massa d’uomini che si agitavano e tendevano le mani,
mentre si udiva il rumore sordo e confuso di molte voci”.
Arrivati accanto alla supposta zattera, i soccorritori
trovarono soltanto qualche frondoso ramo d’albero
strappato alla costa vicina.
(G. Le Bon,1895; Psicologia delle folle, trad.it, cap.II, § 2).
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Nel bel mezzo di una tempesta di neve, una sera d’inverno,
un cavaliere giunse a una locanda, assai contento per aver
raggiunto un sicuro rifugio dopo un’interminabile cavalcata
in una pianura che la neve aveva trasformato in un unico
manto nevoso, cancellando qualsiasi indicazione e tutti i
sentieri. Il locandiere, trovatosi di fronte allo straniero, con
uno sguardo perplesso e meravigliato, gli chiese da dove
venisse. Il cavaliere con un gesto indicò la direzione opposta
alla locanda e il locandiere, allibito, affermò: “Ma lo sapete
che avete attraversato a cavallo il lago di Costanza?”
(cit. in A.Zamperini, 2001, Psicologia dell’inerzia e della
solidarietà; pag.134).
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Durante un periodo di manovre invernali sulle Alpi svizzere
un plotone ungherese viene mandato in perlustrazione. Le
condizioni atmosferiche peggiorano bruscamente: neve,
gelo, e infine una fitta nebbia. Il plotone non fa ritorno il
giorno dopo e neppure il giorno seguente: Il terzo giorno,
quando il comandante teme di averlo perso, il plotone torna
al gran completo. Gli uomini raccontano che si sono smarriti
nella nebbia, hanno trovato rifugio per due giorni in una
grotta, e il terzo giorno si sono messi alla ricerca del campo
base orientandosi con una mappa che uno di loro aveva con
sé.Il comandante chiede di vederla e scopre che è una
mappa non delle Alpi ma dei Pirenei.
(cit. in G.Mantovani,1998, L’elefante invisibile; pag.117).
8
In vendita su un banco di cose vecchie trovammo una
pipetta americana di granturco (corn). Il mercante,
vedendoci interessati, ne vantava la qualità: è di corno,
affermò. Non fece una piega quando attirammo la sua
attenzione sul qui pro quo. (N.S.)
9
Un giorno il vecchio Pozzo si era tagliato pulendo una
spada, e vuoi che l’arma fosse arrugginita, vuoi che si fosse
lesa una parte sensibile delle mani o delle dita, la ferita gli
dava forti dolori. Allora il carmelitano aveva preso la lama,
l’aveva cosparsa di una polvere che teneva in una
scatoletta, e subito il Pozzo aveva giurato di avvertire
sollievo. Fatto sta che il giorno dopo la piaga si stava già
cicatrizzando.
(U.Eco,1994, L’isola del giorno dopo; pag.23).
10
“La notte scorsa non sono riuscito a chiuder occhio a forza
di ricercare il motivo per cui d’estate fa caldo. Alla fine mi è
venuta la risposta.” “E qual è?” chiesero in coro gli Anziani.
“E’ che dal principio alla fine dell’inverno si accendono le
stufe, e questo calore rimane a Chelm e rende calda
l’estate.” Tutti gli Anziani chinarono la testa in segno di
assenso meno Lekish Balordo, che domandò: “Ma allora
perché d’inverno fa freddo?” “Il perché è chiaro,” rispose
Gronan.”D’estate non si accendono le stufe, e perciò non
avanza neanche un po’ di caldo per l’inverno.”
(I.B.Singer, 1968, Quando Shlemiel andò a Varsavia, trad.it.;
pag. 56).
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La lettura di ciascuna notte era frutto del caso e di alcune
circostanze restrittive: la quantità dei libri, la loro natura,
l’ordine in cui erano collocati.Giovanni non faceva
distinzione fra libri già letti e libri ancora da leggere. Più
volte gli capitava di portar via il medesimo volume e di
rileggerlo diligentemente: aveva fatto la scoperta che non si
legge mai due volte lo stesso libro. Con le opere più
voluminose gli succedeva spesso di leggere prima la terza
parte, magari qualche altra parte dopo alcuni mesi, e l’inizio
mai: vuoi perché in effetti mancava, vuoi perché non
c’inciampava mai. (...) Quando più tardi si fece monaco, il
nostro autore deve pure aver ricevuto quella che noi
chiameremmo un’educazione regolare; nonostante il
carattere fortemente asseverativo, per non dire dogmatico,
di quest’ultima (o forse proprio a causa di esso), i difetti
acquisiti nella sua giovinezza si sarebbero dimostrati
irreversibili. (...) Giovanni finì con l’affermare che i pensieri
sconnessi delle varie persone altro non sono che la
meditazione ininterrotta di Dio stesso. Negli esseri umani
questi frammenti si presentano nella sequenza sbagliata,
ma l’unico modo per conoscere Dio (ah , che teoria
mostruosa, che teoria abominevole!), sì, proprio l’unico
modo, è di rimetterli in ordine uno dopo l’altro, sforzandosi
di accostare le idee fra di loro completamente alla cieca e
senza indizi, poiché non è possibile penetrare i recessi di
una mente che non ti si rivela in alcun modo (...). (...) i
pensieri di tutti gli uomini (i miei, quelli di ant’Agostino, di
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Einstein, del lattaio) si equivarrebbero qualitativamente e
quantitativamente, tutti essendo particelle della riflessione
divina disseminati in modo caotico attraverso il mondo,
senz’altra regola che l’insondabile volontà divina, che in
essi è racchiusa.
(I.P.Couliano, H.S.Wieser, 1990, La sequenza segreta,
trad.it.; pagg.28-29).

La presente miscellanea potrebbe essere il risultato di una


analoga pratica di lettura.(N.S.)
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Si raccontava (...) di un avventuriero italiano, al seguito
delle truppe di occupazione, che si era fatto assumere come
interprete di arabo, senza conoscere affatto quella lingua.
Dunque, si catturava un presunto ribelle che veniva
sottoposto a interrogatorio; l’ufficiale italiano poneva la
domanda in italiano, il falso interprete pronunciava alcune
frasi in un suo arabo inventato, l’interrogato non capiva e
rispondeva chissà cosa (...), l’interprete traduceva in
italiano a suo piacimento, che so, che quello si rifiutava di
rispondere, o che confessava tutto, e di solito il ribelle
veniva impiccato.
(U.Eco,2003, Dire quasi la stessa cosa; pag.22).
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Qualche anno fa, i giornali riferirono l’episodio di due
bambine annegate e ripescate nella Senna. Le bambine
furono subito riconosciute con la massima sicurezza da una
dozzina di testimoni. Davanti ad affermazioni tanto
concordi, il giudice istruttore non ebbe dubbi, autorizzò il
rilascio dell’atto di morte. Ma mentre si stava per procedere
all’inumazione, il caso permise di scoprire che le supposte
vittime erano vive, vegete, e solo vagamente somiglianti
alle piccole annegate.
(G.Le Bon, cit.; cap.II, §2).
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Segno della ritornata libertà in Italia (agosto 1943) è la
riapparizione nei giornali della notizia falsa (...).Non che
sotto il passato regime i giornali pubblicassero soltanto
notizie vere : le notizie anzi erano tutte inquinate di falsità,
ma tutte indistintamente, anche le più false, erano
spacciate per vere e dirò meglio imposte come tali.Il difetto
maggiore e la profonda immoralità dei regimi assolutisti
come di ogni condizione assolutista, è il principio della
‘verità unica’, mentre si sa che la verità umana, la verità
nostra, la verità ‘vera’ è fatta di vero e di falso : più di falso
che di vero.
(A.Savinio, 1932-1948, Nuova enciclopedia, ed.1977;
pag.387).
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Un padre ha disposto che la sua eredità vada per metà al
figlio maggiore, per un terzo al secondo e per un nono al
figlio minore. L’eredità consiste in diciassette cammelli, e
per quanto i figli, dopo la sua morte, voltino e rivoltino il
problema da tutte le parti, non trovano alcuna soluzione se
non quella di smembrare alcuni animali. A un certo punto,
non si sa da dove, arriva un mullah, un predicatore
itinerante,ed essi gli chiedono un consiglio. Questi
dice:”Ecco qui – vi do il mio cammello in aggiunta ai vostri;
così sono diciotto. Tu, il maggiore, ne ricevi la metà, quindi
nove. Tu, il secondo, ne ricevi un terzo, e cioè sei. A te, il
minore, spetta un nono, quindi due cammelli. Fanno in
totale diciassette cammelli e ne rimane uno, cioè il mio.”
(P.Watzlawick, 1988, La realtà inventata, trad.it.; pagg.111-
112).

Questo è un bel trucco, non un errore. Risolve il problema


ingannandolo. (N.S.)
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Un cacciatore aveva ucciso una magnifica gazzella, la portò
dal fornaio per fargliela arrostire, il profumo arrivò alle
narici del cadì, e il cadì passò dal fornaio. Cosa arrostisci? –
gli domandò, e il fornaio rispose.
Dammi l’arrosto – disse il cadì.
E quando il cacciatore viene a ritirarlo? – domandò il fornaio
in ansia. Digli – rispose il cadì – che la gazzella è resuscitata.
Ma se il cacciatore non mi crede? – questa la preoccupazione
del fornaio. Che ti conduca da me, se non ci crede – replicò il
cadì.
Poco dopo ritornò il cacciatore e volle il suo arrosto di
gazzella.
Non c’è più – disse il fornaio, avevo appena cominciato a
metterla in forno, che la gazzella è resuscitata. Infuriato il
cacciatore prese per la collottola il fornaio. Me lo devi
dimostrare davanti al cadì – gridò, e lo trascinò in strada.
In strada c’era la moglie di un vicino del fornaio, incinta che
aveva un pancione fin sotto il naso. T’hanno beccato
finalmente – gongolò maligna – brutto ladro di farina! Allora
il fornaio, ferito nell’onore, le tirò un calcio nel ventre, la
donna cadde e abortì. Allarmato dalle grida della moglie, il
marito si precipitò fuori di casa, vide e urlò: devi pagare
quel che hai fatto, bruto! Vieni dal cadì!
E’ per l’appunto da lui che andiamo – disse il cacciatore.
Mentre insieme trascinavano via il fornaio, incontrarono un
giudeo, che scuotendo la testa borbottò: ma cos’hanno
sempre da litigare i goi? Tu chiudi la bocca! – gli gridò il
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fornaio, lo colpì e gli cavò un occhio. Ahi!- urlò il giudeo –
Violenza! Dov’è il cadì?
E’ per l’appunto da lui che andiamo – disse il cacciatore, e il
giudeo si unì a loro lamentandosi.
A questo punto il fornaio, impaurito, si liberò e corse verso
la moschea: naturalmente il cacciatore, il vicino del fornaio
e il giudeo, vedendolo correre, lo inseguirono. Stravolto, il
fornaio salì difilato le scale del minareto, arrivò verso la
cima e saltò nel vuoto, cioè sulla nuca di uno che stava in
preghiera, rompendogli l’osso del collo. Il fratello di quello
che pregava corse addosso al fornaio e lo bloccò. Assassino!
– urlò – ora tu vieni con me dal cadì!
E’ per l’appunto da lui che andiamo – disse il cacciatore.
Il fornaio si dimenava furiosamente nel tentativo di
liberarsi, e nel trambusto si trovò davanti uno che veniva a
dorso d’asino. In preda alla disperazione il fornaio s’attaccò
alla coda dell’asino e la strappò via. Carnefice d’animali! –
urlò il padrone dell’asino, e la folla che s’era raccolta ruggì:
trascinatelo davanti al cadì!
E’ per l’appunto da lui che andiamo – disse il cacciatore.
Tutti insieme trascinarono il fornaio davanti al cadì. Fate la
cortesia, uno alla volta – disse l’alto magistrato per placare
le parti lese, che erano eccitatissime. E rivolgendosi al
cacciatore domandò: qual è la tua denuncia? Quello disse
quanto doveva e il cadì gli domandò: tu non credi che una
gazzella possa resuscitare? Allora non credi in Dio
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onnipotente, e io ti condanno a un anno di prigione per
ateismo.
Poi si rivolse al vicino del fornaio a cui la moglie era stata
fatta abortire con un calcio: qual è la tua denuncia? Quello
disse quanto doveva e il cadì sentenziò: orbene, una
riparazione ti è dovuta, dunque tu concederai tua moglie a
questo fornaio per tanto tempo quanto ne servirà perché di
nuovo lei resti incinta.
Poi si rivolse al giudeo. Qual è la tua denuncia? Quello disse
quanto doveva e il cadì parlò come segue: anche a te spetta
una riparazione. Tra voi giudei si dice „occhio per occhio,
dente per dente“, cava dunque un occhio al fornaio, ma –
soggiunse – secondo la legge un occhio di arabo vale due
occhi di giudeo, quindi il fornaio deve cavarti prima
entrambi gli occhi.
Poi si rivolse al fratello dell’ucciso: qual è la tua denuncia?
Quello disse quanto doveva e il cadì: è giusto che tu ottenga
un’espiazione per la morte di tuo fratello – disse - sali
dunque sul minareto e buttati a tua volta sulla nuca del
fornaio.
L’uomo dell’asino cui era stata strappata via la coda saltò
sull’asino e galoppò via gridando a squarciagola: è una
bestia nata senza coda, credetemi! Giustizia è fatta, viva il
cadì!
(Gregor Von Rezzori,1952, Von der Gerechttigkeit des Kadis
<La giustizia del cadì>, ed. 1981; trad. N.S.). Vale ricordarsi
che Schwanz, coda, significa anche pene. (N.S.)
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E’ come se si guidasse sempre nella notte nera con una fitta
nebbia, o come se si cavalcasse una tigre furiosa. La
ricompensa è morire prima che vi butti giù.
(I.P.Couliano, s.d., La collezione di smeraldi, trad.it.;
pag.115).
21
I libri di storia devono essere considerati opere di pura
immaginazione. Sono racconti fantastici di eventi male
osservati, accompagnati da spiegazioni inventate a cose
fatte.
(G.Le Bon, cit.; cap.II, §2).
22
Quand on a le nez dans l’histoire, on ne voit rien. Tout est
reconstruit et c’est l’histoire des vainqueurs qu’on raconte.
(V.Robert, L.Destouches, 2001, Céline secret;pag.86).

Immersi nella storia, nulla si vede. Tutto è ricostruzione, e si


racconta la versione dei vincitori. Ad affermarlo è stavolta la
vedova d’uno «sconfitto», Céline (Louis Ferdinand
Destouches). La versione degli sconfitti tende a divergere
da quella dei vincitori, questo non significa che sia più falsa
dell’altra, né più vera. (N.S.)
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L’invidioso, rimasto in giardino, cercò finché riuscì a trovare
un mezzo foglietto. Risultava stracciato in modo da
contenere esattamente quattro mezzi versi, che parevano
metricamente finiti nella loro brevità; e per caso ancor più
strano avevano un significato di terribili insulti al re. Si
leggevano così:

Nei misfatti più brutti


reso il trono più saldo
tra la pace di tutti
è l’unico ribaldo

L’invidioso si sentì felice per la prima volta nella vita.


Teneva tra le mani ciò che bastava alla rovina d’una persona
affabile e per bene <Zadig>. Pieno di gioia crudele mandò
subito al re quella satira scritta di pugno di Zadig. Lui, i due
amici suoi, e la signora furono incarcerati. (...)Zadig non
aveva la pretesa d’essere un bravo poeta; ma non poteva
capacitarsi della condanna come reo di lesa maestà (...).
Non gli fu concesso di parlare; parlava per lui il foglietto del
suo taccuino. (...)Proprio mentre egli si preparava alla
morte il pappagallo del re volò via dal balcone, e capitò nel
giardino di Zadig, sopra un roseto. Una pesca era caduta lì
da un albero scrollato dal vento, era finita su un foglietto di
taccuino, quasi incollandolo. L’uccello prese pesca e
foglietto e li portò sulle ginocchia del monarca. Il principe,
incuriosito, vi lesse delle parole che parevano senza senso,
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ma con le rime. (...) La regina, ricordandosi di quanto era
stato scritto su quel foglietto di Zadig, si fece dare
quest’altro foglietto. I due pezzi di carta, accostati,
combaciavano perfettamente. Si lessero perciò i versi al
modo in cui Zadig li aveva composti:

Nei misfatti più brutti vidi fosca la terra,


reso il trono più saldo e il re dominatore;
tra la pace di tutti solo Amore fa guerra:
è l’unico ribaldo che ci arrechi timore.

Il re diede ordine di portare subito davanti a sé Zadig, e di


liberare dal carcere i due amici e la bella signora.
(Voltaire, 1748, Zadig, trad.it.; L’invidioso).
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I molteplici approcci al problema dei viaggi e delle visioni
ultraterrene hanno (...) un denominatore comune: tutti
concordano, e probabilmente su quello soltanto, che gli
universi esplorati sono universi mentali. In altrei termini la
loro realtà è nella mente di chi li esplora. Sfortunatamente,
nessuno degli approcci psicologici sembra in grado di
illuminarci su ciò che davvero è la mente e soprattutto cosa
e dove è lo spazio mentale. (...) la localizzazione e le
caratteristiche dello spazio mentale sono probabilmente gli
enigmi più impegnativi che gli esseri umani abbiano
affrontato fin dai tempi più remoti; dopo che i due secoli bui
del positivismo hanno cercato di liquidarli come problemi
fittizi, essi sono tornati, più urganti che mai, all’alba della
cibernetica e dei computer.
Per più di una ragione (...) siamo legittimati a credere che il
nostro spazio mentale abbia proprietà stupefacenti, la più
sorprendente delle quali è che esso non è limitato a tre
dimensioni, come l’universo fisico che ci circonda.
(I.P.Couliano, 1991, I viaggi dell’anima, trad.it.; pag.5).
26
Per orientarsi nella previsione del tempo, studiarono le
nuvole secondo la classificazione che ne fa Luke Howard.
Scrutavano quelle che s’allungano a mo’ di criniere, quelle
che paiono isole, quelle che si scambierebbero per
montagne di neve; cercando di distinguere i nimbi dai cirri,
gli strati dai cumuli; ma non ne avevano ancora trovato il
nome, che la nuvola mutava forma.
(G.Flaubert, 1881, Bouvard e Pécouchet, trad.it.; cap.II).
27
Ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il
dottor Franz Kuhn attribuisce a un’enciclopedia cinese che
s’intitola Emporio Celeste di Conoscimenti Benevoli. Nelle
sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a)
appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c)
ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani
randagi. (h) compresi in questa classificazione, (i) che si
agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un
pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera,(m) che
hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.
(J.L.Borges,1952, Altre inquisizioni, trad.it.; L’idioma
analitico di John Wilkins).
28
Saalfelden doveva essere la meta, una località non lontana
di alta montagna nella regione di Salisburgo. La sera prima
della partenza, si presentò a casa nostra la dottoressa Popp
con un coperchio di cartone piuttosto grande a cui era
annodata una cordicella che io mi sarei dovuto legare al
collo (...). Su quel coperchio di cartone era scritto il mio
nome e la mia destinazione. Viaggerai soltanto due ore
attraverso un paesaggio vario e piacevole, disse mio nonno.
Vedrai, sarà un divertimento. Le cose non andarono affatto
così. Il treno non si mosse in direzione di Salisburgo né
verso Saalfelden, bensì in direzione di Monaco di Baviera e
verso Saalfeld in Turingia.
(T.Bernhard, 1982, Un bambino, trad.it.; pag.118).

Anche soltanto in linea d’aria, le due località distano circa


375 Km l’una dall’altra. E’ un’avventura da raccontare, in
ogni modo. (N.S.)
29
La muraglia cinese è terminata dalla parte di settentrione.
Da sud-est e sud-ovest fu iniziata la costruzione, e venne a
congiungersi qui. Questo sistema di costruzioni parziali fu
anche seguito, in piccolo, per i due grandi eserciti di
lavoratori, quello d’oriente e quello d’occidente. Si faceva
così: un gruppo di circa venti operai innalzava un pezzo di
muro lungo cinquecento metri, e un gruppo vicino costruiva
venendogli incontro un altro muro di uguale lunghezza.
Avvenuto il raccordo, la costruzione non veniva però
proseguita alle estremità di questi mille metri; al contrario, i
gruppi di muratori venivano mandati a lavorare in tutt’altre
contrade. Naturalmente si formarono così molti grandi
vuoti, che vennero colmati a poco a poco, e alcuni soltanto
dopo che la costruzione della muraglia era stata già
proclamata finita. Anzi si dice che vi siano delle brecce che
non vennero mai chiuse, ma questa affermazione appartiene
forse alle molte leggende sorte intorno alla costruzione
della muraglia, e che, data la lunghezza della fabbrica,
nessun individuo può andare a riscontrare.

(F.Kafka,1931, Il messaggio dell’imperatore, trad.it.; La


costruzione della muraglia cinese. La data dell’edizione
tedesca in volume delle opere di Kafka citate è tratta dalla
bibliografia offerta dall’editore (Mondadori, Milano 1973) de
Il castello (p.38 e segg.)). (N.S.)
30
Nel corso di una delle nostre ricerche sugli atteggiamenti
nazionali dei bambini, condotta in una scuola elementare in
un sobborgo di Vienna, intervistammo un bambino di circa
undici anni che affermò, come molti altri, che i Russi gli
erano antipatici. Gli si chiese allora perché riteneva che i
russi fossero antipatici. La risposta fu:”perché avevano
invaso il nostro paese, e Hitler era il loro capo”.
(H.Tajfel, 1981, Gruppi umani e categorie sociali, trad.it.;
pag.228).
31
Le accuse di stregoneria consentirono, ai membri delle
comunità dell’inizio dell’Età moderna in Europa, di risolvere
i loro conflitti di vicinato e di dare una spiegazione alle loro
disavventure quotidiane.
(B.P.Levack, 1987, La caccia alle streghe in Europa, trad.it.;
pag.139).
32
La spiava, cercava di sorprenderla. Durante il giorno, gli atti
di sua moglie gli dimostravano che quella era una ragazza
nobile e leale; di notte, i sogni gli rivelavano un' Andrea
assai diversa; qualche volta, svegliandosi, e guardandola
con sorpresa, mormorava: dorme come una ipocrita.
(A.Bioy Casares, 1972, Il lato dell’ombra, trad.it.; pag.149).

Che il sonno umano sia paragonato a quello di animali


(ghiro), o inquadrato nel regno minerale (sasso), è noto.
L’autore offre una variante morale. (N.S.)
33
Quando pensa a Lei la sua virilità ne è talmente eccitata da
procurargli un desiderio intensissimo, eppure, quando Le è
vicino, tutta questa potenza si affloscia. Questo ben strano
fenomeno significa che l’uomo è mille volte potente (...), ma
che non può assolutamente ottenere un’erezione in
presenza di una donna che vuole impedirla. E’ una delle più
segrete armi femminili, un’arma cui la donna ricorre senza
alcuno scrupolo quando vuole umiliare un uomo; o meglio,
credo che sia il suo inconscio a servirsi di quest’arma,
perchè non voglio credere che una donna sia
coscientemente capace di una tale malvagità; ritengo più
probabile che nell’organismo femminile si svolgano
inconsciamente dei processi che, producendo un fluido
misterioso, fanno indebolire l’uomo.
(G.Groddeck, 1923, Il libro dell’Es, trad.it.; lettera IV).
34
Ho vietato a un paziente di telefonare alla sua amata, con la
quale egli stesso vuol rompere, perché ogni conversazione
rianima la lotta per disabituarsi a lei. Deve allora scriverle la
sua ultima decisione (...) intento a compilare la lettera
d’addio, s’interrompe a un tratto e dice alla madre lì
presente: adesso ho dimenticato di domandare al
professore se nella lettera posso citare il suo nome, corre al
telefono e, ottenuta la comunicazione, grida nella cornetta:
per favore, potrei parlare col professore (...)? Si sente
rispondere in tono di sorpresa: Adolf, sei impazzito?, e
proprio da quella voce che secondo la mia ingiunzione non
avrebbe più dovuto riascoltare.
(S.Freud, 1901, Psicopatologia della vita quotidiana,
trad.it.; cap.X).
35
Sono però più di mille anni che le donne usufruiscono della
libertà di bruciarsi. Chi di noi avrà l’ardire di cambiare una
legge consacrata dal tempo? Vi è qualche cosa più degna di
riguardo d’un abuso vetusto?
(Voltaire, cit.; La pira).

Il “relativismo culturale”, dunque, dovrebbe arrestarsi


davanti all’assoluto: il fuoco brucia ogni pelle, ovunque.
(N.S.)
36
Un giovane esageratamente indeciso è finalmente giunto,
dopo lunghe lotte interiori, a promettere il matrimonio alla
fanciulla che da molto tempo lo ama, così come lui ama lei.
Egli accompagna a casa la fidanzata, si congeda da lei,
prende il tram, al culmine della felicità, e chiede alla
bigliettaia due biglietti. Mezz’anno dopo è già sposato, ma
non è ancora capace di assuefarsi alla felicità del
matrimonio. Dubita di aver agito bene sposandosi, sente la
mancanza di vecchie relazioni d’amicizia, ha da ridire sui
suoceri. Una sera va a prendere la giovane moglie in casa
dei suoceri, prende il tram con lei e si accontenta di
chiedere un solo biglietto.
(S.Freud, cit.; cap.X).
37
Nel settembre del 2001, poco dopo la distruzione delle Twin
Towers, a Detroit un trentenne (“bianco”), tale Brent,
s’arma di pistole, mitraglietta, bombe a mano, e si reca a
casa della sua ex compagna (“bianca”, è da credere –
V.Zucconi, 2002, Brent va alla guerra; pag.42). Trova la
donna in camera da letto con il marito, un americano (“non
bianco”), di origine iraniana. I due riescono a trattenere
l’intruso dai suoi intenti vendicativi, ma non ad impedire
che si senta male e che si accasci a terra. La donna, a
quanto leggo “nuda”, corre a telefonare per un aiuto
sanitario, mentre il marito, medico, inizia a dare colpi sul
petto di Brent – massaggio cardiaco. Il trambusto e le ovvie
urla, intanto, hanno richiamato sul posto alcuni vicini.
Costoro evidentemente non conoscono il marito della
donna, vedono un “non bianco” che “picchia” un “bianco”
disteso sotto di lui e una donna “nuda”, urlante al telefono.
Uno dei vicini spara sul “picchiatore”: ne risultano due
cadaveri, il medico di origine iraniana, ferito a morte , e
Brent, d’infarto.
(Brent è anche il nome di una “qualità” di petrolio). (N.S.)
38
Nessuno è così amareggiato come l’amante risentito che
non si lamenta perché non sa se ha ragione.(...). Formulai
più di una frase risentita, che imparai a memoria per
pronunciarla il giorno dopo.
(A.Bioy Casares, cit., trad.it.; pag.167).
39
Il giorno delle Palme, dopo essermi comunicata, fui presa da
una grande sospensione e non riuscivo neppure a
inghiottire l’ostia. Mentre la tenevo in bocca e stavo
riprendendomi un poco, mi sembrò che la mia bocca si fosse
tutta riempita di sangue e che pure il viso e tutto il mio
corpo ne fossero completamente ricoperti, come se il
Signore l’avesse appena sparso.Mi sembrava che fosse
caldo e, in quel momento, la dolcezza che sentivo era
grandissima, allorché il Signore mi disse:”Figlia, voglio che
il mio sangue ti sia di profitto.Non aver paura che ti manchi
la mia misericordia.L’ho sparso fra molti dolori e tu ne godi
con grande diletto, come puoi vedere.Ti pago bene il convito
cui oggi mi hai chiamato”.
(Teresa d’Avila, 1977, Libro delle devozioni e delle grazie,
trad.it.; (8 aprile 1571 o 30 marzo 1572)).

L’innamorata allarma il suo Signore, che risponde verboso e


un po’ freddino. Ti pago bene. Chissà lei.(N.S.)
40
Ieri sera erano appena due ore che dormivo saporitamente,
quando fui svegliato da urla tremende, come se la casa
fosse addirittura in preda alle fiamme. Balzo dal letto, e mi
affaccio al corridoio; in questo mentre Virginia entra
precipitosamente in camera mia, in camicia da notte, mi
prende per un braccio, e chiude l’uscio a chiave.- Giannino!
Giannino!... c’è un ladro sotto il letto! – esclama con la voce
affannosa.Poi spalanca la finestra, e si mette a gridare: -
Aiuto!...aiuto!...al ladro!...al ladro!...-
Tutte le persone del vicinato si destano a quelle grida;e in
men che non si dice, sono all’uscio di casa nostra, Caterina
e Virginia, che ha avuto appena il tempo di infilarsi una
veste da camera, si precipitano giù, nelle braccia dei vicini
che domandano ansiosamente: - Ma che cosa c’è? Che cosa
c’è? – Un uomo sotto il mio letto!...l’ho veduto io con i miei
occhi!Presto!Andate a vedere...Ma per carità, non andate su
senza un revolvere!...-
Due di quelli che avevano più coraggio salirono su; gli altri
due rimasero con Virginia a rincorarla.Andai anch’io in
camera di mia sorella.Quei valorosi guardarono adagino
adagino sotto il letto.Era proprio vero; c’era un uomo.Lo
presero per una gamba, e lo trascinarono fuori.Egli lasciava
fare non pensando nemmeno a sparare la pistola che aveva
in mano.Uno dei coraggiosi accorsi aveva afferrato intanto
una seggiola, per lanciargliela addosso, e l’altro stava col
braccio steso armato di revolver, nel caso che avesse
opposto resistenza. A un tratto tutti si rivolsero a guardarmi
41
con gli occhi spalancati. – Giannino, anche questa è opera
tua! – Già, appunto; - risposi – Virginia crede sempre che ci
sia un ladro sotto il letto, e ho pensato che non le sarebbe
parso strano di trovarcene uno, almeno per una volta. –
Giornalino mio caro, sai che cos’era che aveva fatto tanta
paura a mia sorella e aveva messo sottosopra il vicinato? Un
semplice vestito vecchio del babbo ripeno di innocentissima
paglia!...
(Vamba, 1920, Il giornalino di Gianburrasca, ed.1955;
pagg.71-72).
42
Si meravigliò delle complicazioni nelle quali si era cacciato,
eppure ne derivò un certo piacere perverso, come se la sua
vita fosse stata un romanzo nel quale la situazione diviene
sempre e sempre più tesa finché il lettore è impaziente di
voltare pagina.
(I.B.Singer, 1960, Il mago di Lublino, trad.it.; cap.VI, § 3).

Infatti è un romanzo. (N.S.)


43
Quand’ero solo, pensavo a lei, ma essa mi mancava, non la
possedevo; presente, le parlavo, ma ero troppo assente da
me stesso per poter pensare;quando dormiva, non dovevo
più parlare, sapevo di non essere più guardato da lei, non
avevo più bisogno di vivere alla superficie di me stesso.
(M.Proust,1954, Alla ricerca del tempo perduto; La
prigioniera, trad.it.; ed. Oscar Mondadori, pag.66).

Traduce:
(...) Seul, je pouvais penser à elle, mais elle me manquait, je
ne la possédais pas.Presente, je lui parlais, mais étais trop
absent de moi-meme pour povoir penser.Quand elle
dormait,je n’avais plus à parler, je savais que je n’etais plus
regardè par elle, je n’avais plus besoin de vivre à la surface
de moi-meme.
(M.Proust, cit., ed. Robert Laffont; vol.III, pag.68).
44
Lascia star la Venera, che non fa per te, porta la mantellina
a mezza testa, e fa vedere il piede quando va per la strada.
(G.Verga, 1880, Vita dei campi, ed.1993; Pentolaccia).
45
Stava tornando a casa dal laboratorio di Zoologia (...).E
aveva visto Catherine venire verso di lui (quanti anni poteva
avere? Nove?Dieci?)mano nella mano con altre due
ragazzine, naturalmente Gentili, bionda come le altre due
(come aveva potuto succedere che sua figlia fosse bionda?),
e altrettanto ridente e spensierata (ma perchè no, del resto,
visto che non era veramente un’ebrea?). “la vita è bella,
non è vero?” avrebbe voluto dirle;soltanto questo, niente di
più.
Ma quando stava già per aprire le braccia verso di lei, i loro
occhi si erano incontrati, e lei, con uno scarto improvviso,
aveva costretto le sue amiche a voltare l’angolo per
evitarlo.
“Ehi,”aveva sentito strillare una di loro, “abbiamo sbagliato
strada”, e sua figlia aveva risposto:”E’ una scorciatoia”.
(L.A.Fiedler, 1966, L’ultimo ebreo in America, trad.it.;
pagg.52-53).
46
Se a causa dell’oscurità o della tua disattenzione metti un
piede calzato (s’immagina non solo per necessità, ma anche
secondo il tuo gusto) in una merda non vista o invisibile, e ti
consoli considerando che l’evento “porta fortuna”, o che
“shit happens” (come dice il sublime idiota Forrest Gump);
che è qualcosa di naturale; o rifletti: è una punizione della
mia vanità; ebbene, sei in errore, Forrest Gump a parte: che
la “merda” capiti vale come metafora.
Sei in errore. Certo non si tratta di un affare di Stato, no: si
tratta solo di convivenza civile. Abbiamo diritto di non
sporcarci con la merda che qualcuno ha lasciato sul terreno
dopo l’esecuzione, fregandosene delle regole di convivenza
civile, che prescrivono di togliere il fatto dal terreno. Non
crediamo che la raccolta della merda (canina) sia piacevole,
ma neppure pagare le tasse o rispettare i limiti di velocità è
piacevole. La convivenza civile è utile, può dar luogo a
piaceri civili, ma non è detto che sia, in certe circostanze,
direttamente piacevole, se è obbligatoria.

La merda è naturale, non lo neghiamo, ma anche terremoti


e tumori maligni lo sono. (N.S.)
47
Prima di paragonare a un gatto la persona che non fa, né
causa, rumori inutili, bisognerebbe mettere alla prova un
altro paragone: quello con il serpente. (N.S.)
48
(...) Questo periodo può essere affrontato (...) esaminandolo
con l’occhio critico dell’antropologo che sbarca in una terra
sconosciuta, aperto all’incontro con una civiltà radicalmente
diversa dalla propria e consapevole dell’eventualità di dover
elaborare interpretazioni che non si adattano al suo senso
comune, o che persino lo contraddicono, per poter capire la
struttura di quella civiltà, i comportamenti intolleranti
(...).In tale ottica risulta possibile affermare che un gran
numero di persone, nel caso specifico i tedeschi, possa aver
ucciso, o fosse disposto a uccidere, altre persone, nel caso
specifico gli ebrei, in tutta coscienza.(...)A tale approccio,
appunto, che rifiuta l’idea fondamentale – nell’antropologia
come nella scienze sociali – dell’universalità del nostro
“senso comune”, è improntata questa ricerca.
(D.J.Goldhagen, 1996, I volenterosi carnefici di Hitler,
trad.it.; pag.16).

La Germania e i tedeschi non sono, e non erano tra il 1933 e


il 1945, una “civiltà radicalmente diversa” rispetto alla
Francia e all’Italia, ai francesi e agli italiani, per esempio.
Europei, “cristiani”, inclini all’antisemitismo, liberali in
politica, o socialisti, o comunisti, o fascisti, come gli altri.
Cultori di arti e scienze, come e meglio degli altri, e di
cinema. (N.S.)
49
Nel capitolo settimo de La ciociara (A.Moravia, 1957)
leggiamo che i tedeschi avrebbero sì “buone qualità”, ma
solo “da una parte”: come alberi cresciuti vicino a muri, che
abbiano i rami tutti dalla parte opposta.
Generalizzazioni, stereotipi e pregiudizi “sui tedeschi” sono
comuni e accolti, ma disonorano chi li pratica. (N.S.)
50
Si diceva composto, quel veleno, di rospi, di serpenti, di
bava e di materia d’appestati, di peggio, di tutto ciò che
selvagge e stravolte fantasie sapessero trovare di sozzo e
d’atroce. (A.Manzoni, 1840-42, I promessi sposi;cap.XXXII,§
605).
51
Quindi gli indigeni, sazi, avevano cominciato ad additarsi la
nave. Probabilmente non l’associavano alla presenza dei
marinai:maestosa com’era d’alberi e di vele,
incomparabilmente diversa dalle loro canoe, essi non
avevano pensato che fosse opera d’uomo.A detta di padre
Caspar (...) la credevano un animale, e il fatto che fosse
rimasto neutrale mentre essi si davano ai loro riti di
Antropofagi, li aveva convinti.D’altra parte già Magellano,
assicurava padre Caspar, aveva raccontato come certi
indigeni credessero che le navi, venute volando dal cielo,
fossero le madri naturali delle scialuppe, che allattavano
lasciandole pendere dalle murate, e poi svezzavano
buttandole nell’acqua.
(U.Eco, 1994, cit.; pagg.232-233).
52
Da Il rovescio della Conquista, di M.L.Portilla (1964; 1970) si
ricava che, se gli Spagnoli credevano che l’oro abbondasse
in modo smisurato nelle “Indie”, dall’altra parte dell’oceano
Atzechi, Maya e Inca scambiarono inizialmente gli Spagnoli
(dotati di grandi navi, di armi da fuoco, di armature e di
cavalli) per divinità provenienti dal mare. Le due credenze,
esagerata la prima, semplicemente erronea la seconda,
dettero come risultato l’ingordigia rapace dei conquistatori
e ciò che appare ingenuità politico-militare dei conquistati.
Del resto gli Spagnoli peccavano di etnocentrismo religioso
pretendendo (pelosamente) che il loro dio fosse l’unico
“vero”.
Qui come altrove non è il caso di guardare a questo antico
groviglio di scemenze tragiche con atteggiamento di
superiorità, mentre serve considerare le analogie tra la
scena della Conquista ricostruita da Portilla e certi aspetti
del nostro tempo presente: al posto dell’oro ponendo il
petrolio e altri minerali, e l’acqua; al posto della Croce la
“democrazia”. (N.S.)
53
Taluni uomini disperdono durante la cura (in posizione
sdraiata) le monete spicciole dalle tasche dei pantaloni,
compensando così il lavoro della seduta a seconda della loro
valutazione. Chi dimentica dal medico un oggetto che
portava con sé, occhiali, guanti, borsetta, eccetera, significa
con ciò di non sapersi staccare e di voler ritornare presto.
Ernest Jones dice: “ si può pressoché misurare il successo
con cui un medico pratica la psicoterapia, per esempio,
dall’entità della collezione di ombrelli, fazzoletti, borsette e
così via, che riesce a fare in un mese.”
(S.Freud, cit.; cap.IX).

Nostro padre disperdeva, in posizione seduta, le monete


spicciole dalle tasche dei pantaloni, quando, in poltrona,
leggeva il giornale o guardava la tv. Più dell’inconscio è in
questione la foggia delle tasche. Un analista obbietterebbe
che nella cornice del setting ogni dettaglio rientra
nell'analisi. (N.S.)
54
Un’altra convinzione religiosa assai diffusa è la credenza
nell’aldilà.Nel Regno Unito vi crede circa la metà della
popolazione. Ma come viene immaginato l’aldilà?(...)Il 13%
(...)fa riferimento in particolare al paradiso e all’inferno
(...)il 9% crede nell’esistenza del paradiso e dell’inferno, ma
non nel Giudizio Universale (...)il 15% (...)possiede un’idea
molto materiale del paradiso, immaginato come una vita del
tutto simile a quella terrena, ma liberata dagli aspetti
spiacevoli che la caratterizzano e con una quantità illimitata
di tempo libero a disposizione (ad esempio niente sesso,
nessun bisogno di lavare i piatti,niente cani che abbaiano);
il 25% afferma di credere in un qualche genere di
reincarnazione; e dodici persone su cento non vedono l’ora
di ricongiungersi con i loro cari.
(M.Argyle,1992, Psicologia sociale della vita quotidiana,
trad.it.; pagg.169-170).

La somma delle percentuali parziali non dà cento. (N.S.)


55
« C’est pourtant une utile chose que la vérité, ce premier
des biens, toujour inconnu par les ames qui ne sont pas
fortement trompeés... »
A questo punto io smisi di leggere e cominciai a pensare. La
novità di questo concetto mi aveva vivamente colpito, che
l’animo per conoscere la verità deve essere « fortemente
ingannato » ; e una catena di pensieri inaspettati, vispi ed
eccitanti, mi si andava formando nella mente, tutti generati
da questa idea pessimista ma fertile e suadentissima, che
« la verità nasce dall’inganno »; finché per l’improvviso
ritorno della chiaroveggenza logica mi accorsi che trompées
era un refuso, e non les ames fortement trompées ma
fortement trempées bisognava leggere, ossia « gli animi
fortemente temprati ». Il mio piccolo castello di pensieri
inaspettati crollò di colpo. La pagina (…) non era più fonte
di una nuova interpretazione della verità e delle sue origini,
ma rientrava nella grigia regione delle verità ovvie.
(A.Savinio, cit.; pag.318).
56
Mentre conversavamo su Il vero e il falso, saggio
psicanalitico di Enzo Codignola (1977), un collega
c’interruppe per domandare se in questione fosse il velo.
Chiarì che la nostra pronuncia della erre gli aveva lasciato
margini di dubbio sull’oggetto della conversazione,
provocando in noi un certo fastidio.
Codignola sostiene che la “falsificazione” (così lui, noi
diremmo più semplicemente: critica) delle parole di una
persona è praticabile soltanto nell’ambito (setting)
dell’analisi, o meglio che la “verità” dell’interpretazione è
limitata al setting analitico. In altri termini, se noi
applicassimo l’analisi per esempio ad un testo letterario,
“falsificandolo”, l’interpretazione non sarebbe “vera”.
Quel collega, volontariamente o no, ci ricordò di opporre al
“falso” non il “vero”, ma un velo. (N.S.)
57
Era appena arrivato in quella città e aveva occupato una
camera in una locanda, quando la strada in cui questa era
situata si empì di strida provenienti da una folla e
d’incessanti fragorosi squilli di tromba. (...) Chiamò un
servo per chiedergli il motivo di tutto quel tumulto, e gli fu
risposto che era scoppiato un incendio (...) e che erano
arrivati i carri dei pompieri. (...)Al suo risveglio, scese
nell’ingresso e domandò a un cliente della locanda com’era
scoppiato l’incendio e quanto tempo ci era voluto per
estinguerlo. “Vorrei sapere,” soggiunse, “se è bastato
semplicemente suonare una tromba.”
(I.B.Singer, 1968, cit.; pag.67).
58
Al musicista Spartaco Copertini, negli anni venti
collaboratore del quotidiano fiorentino “La Nazione”, fu
tolto l’incarico per aver lui deriso Le Pierrot Lunaire di
Schönberg (1912), opera presentata agli “Amici della
musica” il primo Aprile del 1924. Siamo stupiti del fatto che
a un critico sia stato tolto l’incarico solo a causa di un
trafiletto burlesco su Schömberg. Leonardo Pinzauti, scrive:
“Gaffe storica, ora conosciuta da tutti: (...) <S.C.> scrisse
quel che scrisse (...) e perse addirittura il posto: non tanto
perché il padrone del giornale si fosse scandalizzato della
sua ironia, ma soltanto perché un altro potente del
momento si era sentito offeso dal fatto che fosse stata fatta
passare per un pesce d’aprile un’impresa in cui aveva
investito un po’ del proprio denaro“ (Storjohann e Copertini
Amati, 1985).
Anche Schömberg, tuttavia, avrebbe perso, nel 1933, il suo
„posto“, una cattedra di composizione alla Kunstakademie
di Berlino, per volontà dei „potenti del momento“ (1933-
1945), e sarebbe emigrato negli Stati Uniti d’America. (N.S.)
59
(...) Dopo aver cercato, per molti anni, la vita e il pensiero
delle persone nell’enunciato diretto che esse me ne
fornivano volontariamente, avevo finito, per colpa loro, con
l’attribuire importanza soltanto a quelle testimonianze che
non costituiscono un’espressione razionale e analitica della
verità.Le parole stesse mi servivano da elementi
d’informazione solo in quanto le interpretavo alla stregua
d’un afflusso di sangue sul viso d’una persona còlta da
turbamento oppure di un silenzio improvviso. (M.Proust,
cit., Vita comune con Albertine; ed. Oscar Mondadori, pag.
84).

Traduce:
(...)Moi qui pendant tant d’annèes n’avait cherché la vie et
la pensée réelles des gens que dans l’énoncé direct qu’ils
m’en fournissaient volontairement, par leur faute j’e étais
arrivé à ne plus attacher au contraire d’importance qu’aux
témoignages qui ne sont pas une expression rationelle et
analytique de la verité ; les paroles elles-meme ne me
renseignaient qu’à la condition d’etre interprétées à la
façon d’un afflux de sang à la figure d’une personne qui se
trouble, à la façon encore d’un silence subit.
(M.Proust, cit.; vol.III, pag.82)
60
La passione per il silenzio, accresciuta, se non generata, dal
disgusto per il rumore urbano, deriva (anche) da una sorta
d’ipertrofia dell'io. Il rumore è non – io, il silenzio in
definitiva è l'io. Il placido sonno dei neonati in mezzo a ciò
che a noi pare frastuono dipende dalla mancanza dell'io dei
neonati – partecipano indifferenziati. I tappi di cera che
qualcuno introduce nelle orecchie per non udire il rumore,
tendono a proteggere l’io, inevitabilmente minacciato dal
non–io.

Un ipotetico naufrago, solo in mare e privo di salvagente,


dovrebbe provare la massima concentrazione dell'io, scrive
Melville, non ritroviamo dove. O Defoe, naufragiologo, o
Conrad. La paura dell'ignoto, della morte, la condizione di
solitudine e smarrimento del naufrago, spiegherebbero
questa massima concentrazione del suo io circondato dal
non – io, il mare, del suo io concentrato contro il non–io,
concentrazione che non è giustificata nel caso di cui sopra,
a meno che il non–io sia anch'esso percorso da micidiali
squali - che sfilano forse nella mente.

Il "naufragar m'è dolce in questo mare", al contrario,


sembra essere la condizione di un adulto che provi le
sensazioni del neonato ancora relativamente indifferenziato
rispetto all' "infinito", o le ritrovi. L'immagine “melvilliana”
indica la massima concentrazione dell'io, mentre quella di
Leopardi indica una deconcentrazione dell'io. L'infinito è
61
appunto non–io.

John Cage ha scritto una volta che il silenzio non esiste


(Silence, 1961; ed.1973, pag.8). Pare che ciò significhi che il
finito, cioè l'io, è una finzione difensiva, un'aspirazione
contro l'infinito rumore del non–io. Se il silenzio non esiste,
l'io non esiste, se il silenzio è un modo di dire, anche l'io è
un modo di dire. Il rumore è musica, il silenzio è
l’impossibile non musica.

Se tentiamo di tener fuori il rumore per mezzo di tappi di


cera nelle orecchie, udiamo il rumore del non rumore, il
rumore dell'io isolato dal non –io. E' questo che volevamo
ottenere?
Nell’oscurità della notte (non–io invisibile) solo l'io è visibile.
Ciò che vediamo nel buio e ci spaventa, quando ci spaventa,
è il paesaggio dell'io, velato, invece, dalla luce del giorno - o
della lampadina che possiamo affrettarci ad accendere o a
voler accesa durante la notte, da bambini oramai tanto
cresciuti da possedere lo spinoso tesoro dell'io. In effetti il
non–io ha l'utilità di velare od assordare l'io, distrarci da noi
stessi.

Il rumore urbano/inurbano ha caratteristiche specialmente


miste, quanto all'intreccio tra dimensione sensoriale e
dimensione cognitiva, intreccio che potremmo chiamare
“estetico”. Non si può sostenere che il rumore della
62
cosiddetta natura non risenta di tale intreccio, se è vero che
la natura “imita” l'arte (e il cinema, la tv, le riviste illustrate
e la letteratura), ma diremmo che l'intreccio “estetico”, da
cui risulta il rumore della natura (vento, suoni di uccelli,
"schiocchi di sterpi, frusci di serpi", cicale - "urla e
biancheggia il mare") resta più sensoriale che cognitivo, o
meglio, molto meglio, rende molto più arduo scivolare,
com'è nel caso del rumore urbano/inurbano, dalla posizione
“estetica” a quella critica, precisamente critica di tipo
socioculturale. Non ricordiamo se Leopardi depreca i rumori
della natura, ma troviamo difficile pensare ad una critica del
richiamo della civetta eccetera. In un racconto di Beppe
Fenoglio, d’altra parte, lo scorrere dell'acqua di un torrente
ossessiona una donna che vive nelle vicinanze: le pare come
un perenne strisciare di serpi. Si può ben fare della retorica
per o contro i rumori della natura, non della critica. Thomas
Bernhard (in Correzione e in Perturbamento, ma non solo)
propone un tipo di frastuono - fiumi scorrenti in gole
montane - che fa impazzire le persone. Criticare la natura?

L' “essere o non essere” serve a fissare meglio il tema


delineato. Se il non essere corrispondesse al non-io, al non-
io naturale ed al non-io socioculturale, l'essere
corrisponderebbe (ma è assurdo) all'io distinto dalla natura-
cultura, all'io distinto dalla società. Quando ci assordiamo
con i tappi di cera decidiamo dunque di essere,
terribilmente, assurdamente essere, contro il boato o ronzio
63
del non essere. Assordati artificialmente siamo
assurdamente “io”, contro gli altri, contro l'altro, il resto del
mondo. (N.S.)
64
Se il merito di aver inventato il capro espiatorio non spetta
agli ebrei, esso non spetta neppure agli egizii, anzi non
spetta a nessun uomo ma alla volpe. La volpe peccati non
ha ma spesso ha delle pulci, ed ecco come fa la volpe per
liberarsi delle pulci : strappa dell’erba e ne fa una palla,
prende delicatamente questa palla fra le labbra ed entra in
un fiume ; via via che la volpe s’immerge nel fiume, le pulci
salgono verso la parte asciutta della volpe ; poi la volpe
immerge anche la testa, tenendo fuori soltanto il muso, e le
pulci corrono a rifugiarsi sulla palla di erba ; infine la volpe
tuffa la testa nell’acqua, e nell’istante medesimo caccia via
la palla, che se ne va alla deriva carica di pulci.
(A.Savinio,cit., ed.1977; pag.85).
65
Questa terra fu sempre (...) un paese di invasioni e di
conquista: tutti gli invasori e i conquistatori furono
stranieri, e lo rimasero. Vennero, presero e ripartirono,
lasciando e creando, a reggere il paese, i loro
rappresentanti, i nobili, i principi, i duchi, i baroni, una
aristocrazia di origine straniera, e, come tutte le
aristocrazie, naturalmente in lotta col lontano governo; e
forze militari insufficienti ad altro che a serbare il possesso
e a tenere in rispetto i baroni. Mancava perciò, è sempre
mancata, e ancora manca, una classe intermediaria: ma fra
il popolo contadino e lo Stato straniero c’è sempre stato un
abisso, un crepaccio; e qui sta nascosta la mafia.
(C.Levi,1955, Le parole sono pietre; pag.141).
66
La Svizzera è un piccolo paese dell’Europa che si afacia sulla
Svizzera, l’Italia, la Germania, la Svizzera e l’Austria. A molti
laghi e molte montagnie, ma il mare non bagnia la Svizzera,
e soprattutta Berna.
La Svizzera vende le armi a tutto il mondo per falli scannare
ma lei non fà neanche una guerra picolissima.
Con quei soldi costruisce le banche. Ma non le banche
buone, le banche dei cattivi, specialmente i drogati.I
delinguenti della Sicilia e della Cina mettono lì i soldi, i
miliardi. La polizia và, dice di chi sono questi soldi, non lo
so, non telo dico, sono cazzi miei, la banca è chiusa.
(M.D’Orta, 1990, Io speriamo che me la cavo; pag.13).
67
Navigò per sessantadue giorni e sessanta notti (perse due
notti nelle Azzorre per una partita di poker), e finalmente
una bella mattina uno della ciurma avvistò un ramo di
mirtilli che galleggiava sotto bordo. Questo voleva dire che
nelle vicinanze c’era la terra (o un negozio di frutta).
(G.Marx, 1963, Memorie di un irresistibile libertino, trad.it.;
pag.76).

Anche in Groucho ed io, edito da Adelphi, autobiografia del


famoso comico statunitense, si trovano battute di questo
livello. Si potrebbe iniziare a valutare che la fama di
Groucho Marx sia una delle molte bufale del secolo
ventesimo. (N.S.)
68
Abitualmente pranzava bene, ad un buon ristorante; ebbe
molti amorazzi triviali, sensuali, ma non appassionati; era
eccezionalmente litigioso ed avaro fuori del comune. Una
volta lo annoiava una cucitrice di una certa età che stava
chiacchierando con un’amica fuori della porta del suo
appartamento.Egli la gettò giù per le scale, causandole
lesioni permanenti. Ella ottenne una sentenza che lo
costringeva a pagarle una certa somma (15 talleri) ogni
trimestre finché viveva.Quando alfine ella morì, dopo venti
anni, Schopenhauer annotò nel suo libro dei conti : Obit
anus, abit onus <La vecchia muore, il debito cessa>.
(B.Russell, cit., trad.it.; cap.VII).
69
(...) Essendo da escludere, come lui stesso diceva sempre,
ogni evento casuale, il morso del cane di Weller, ancora
prima di essere effettivamente inferto, deve aver avuto il
suo posto nel progetto concepito da Koller.In fondo, lui,
Koller, una volta aveva detto che il morso del cane di Weller
era in verità opera sua, di Koller, un’asserzione, questa,
della cui serietà non intendo affatto dubitare.
(T.Bernhard, 1980, I mangia a poco, trad.it.; pag.63).
70
(...) Tiranno significava in origine custode dei formaggi.
(A.Savinio, cit.,ed.1977; pag.139).

Tur, formaggio, anax, signore, in greco antico. S’immagina


che nelle comunità dedite alla pastorizia il signore del cacio
fosse un personaggio di rilievo. Ma sul Rocci non riusciamo
a trovare conferma. Mozzarella di bufala alla Savinio? (N.S.)
71
Il napoletano crede negli spiriti che danno i numeri, crede
negli assistiti: gli assistiti sono gente stranissima, alcuni in
buona fede, alcuni scrocconi, che mangiano poco, bevono
acqua, parlano per enigmi, digiunano prima di andare a
letto e hanno le visioni. Vivono alle spalle dei giuocatori:
non giuocano mai. Talvolta i giuocatori delusi bastonano
l’assistito, poi gli chiedono perdono.
(...)
L’assistito (dagli spiriti) è un cancro che rode le famiglie
borghesi, un convulsionario pallido che mangia molto, che
finge di avere o ha delle allucinazioni, che non lavora, (...),
che fa credere a delle macerazioni crudeli (...). Ma, dalla
casa borghese, per mezzo della cameriera, del servo, della
lavandaia, la reputazione dell’assistito arriva nel popolo; e l’
assistito vi estende la sua azione mistica, vi raccoglie dei
guadagni piccoli, ma insperati, vi fa degli adepti e finisce
per camminare nelle vie, circondato sempre da quattro o
cinque persone, che lo corteggiano e studiano tutte le sue
parole.
(M.Serao,1884, Il ventre di Napoli; capp.IV e VI).

Eduardo De Filippo ha tratto, da questa materia, una


commedia (e anche un film) dal titolo “Non ti pago”. Un
epilettico vero o simulante, o entrambe le cose (ma i
Convulsionari furono anche una setta di estremisti religiosi
francesi), orienta invano il protagonista, Eduardo, titolare di
un banco Lotto e giocatore tenace. Invece, fa un bel colpo il
72
fortunato dipendente (Peppino De Filippo), cui il padre del
principale, in sogno, avrebbe rivelato i numeri vincenti.
Non ti pago: il datore dei numeri è mio padre, s’è confuso,
la vincita spetta a me. (N.S.)
73
Un giorno, un industriale napoletano ebbe un’idea. Sapendo
che la pizza è una delle adorazioni cucinarie napoletane,
sapendo che la colonia napoletana in Roma è larghissima,
pensò di aprire una pizzeria in Roma.(...)Sulle prime la folla
vi accorse;poi andò scemando.La pizza, tolta al suo
ambiente napoletano, pareva una stonatura e
rappresentava una indigestione;il suo astro impallidì e
tramontò, in Roma; pianta esotica, morì in questa solennità
romana.
(M.Serao, cit.;cap.III).

Incredibile: anche la pizza stentò, ai suoi inizi. (N.S.)


74
(...)Il ministro, ben presto, non è più il delegato del
Parlamento, tenuto a dirigere lo sforzo dei funzionari e ad
organizzare la loro attività, incaricato di governare,
insomma;diventa invece prigioniero degli uffici, si piega ai
loro metodi, accetta la loro disciplina.
Non ha il potere, ma ha la responsabilità:e ciò basta a
inorgoglirlo.Può ignorare tutto della propria
amministrazione, ma ne risponde e,di colpo,si sente
strettamente legato a degli uomini, di cui subisce la
volontà, ma ai quali detta degli ordini.Meno è realmente
padrone della situazione più conosce la gioia di essere il
capo.
Egli diventa solidale – magari anche contro il Parlamento –
con coloro che il Parlamento lo ha incaricato di controllare.
Non svolge che un unico ruolo:quello di coprirli con la sua
responsabilità sovrana, di difenderli persino nei loro errori e
di assicurarne, all’occorrenza, l’impunità.
Non potrebbe essere altrimenti:ciò che loro hanno fatto, lui
lo ha controfirmato, come potrebbe sconfessarli? E’ schiavo
del potere che si fa mostra di attribuirgli e di cui lui stesso
rivendica l’onere.E anche se tutti lo sanno, ciò ha poca
importanza:grazie a questo gioco, il fantasma di una
autorità aleggia sull’ombra di una democrazia.
(R.de Jouvenel, 1914, La Repubblica dei compari, trad.it.;
seconda parte, cap.VIII).
75
Fin dal primo momento la gente esce di cervello, gli uomini
e più le donne. Grida al bastardo, al traditore che metteva la
sua istruzione a scrivere belle lunghe lettere agli assassini
S.Marco <militari della Repubblica Sociale Italiana>, alla
carogna che fa schifo anche al Dio della pietà, che ora il
porco lo portano al macello, e bravi partigiani che
finalmente fate il vostro dovere.Serrano e, come non
arrivano a mettergli le mani addosso, fanno bordate di
sputi. Uno sputo lava la faccia dell’armigero Fodretta, e lui
dà del calcio dell’arma nelle pance dei più prossimi.Con le
buone e le cattive gli armigeri mettono la gente a ferro di
cavallo, pressappoco.E Moretto lui ha stampato il maestro
contro un muro bel bianco. Viene fuori un borghese e dice
che per carità, quella è casa sua, ha fatto rifar l’intonaco
meno d’un mese fa e che ci sarebbero tanti altri bei posti.
(B.Fenoglio,1994, Appunti partigiani;pag.39).
76
Di notte, in una cittadina italiana del nord, era estate, un
giovanotto usava violenza a una donna a scopo sessuale,
sembra, entrambi rumoreggiando per strada. Finestre
aperte: le grida dei due attirano l’attenzione di alcuni
cittadini, ma uno solo chiama la polizia. Quello, narra
l’intervenuto, sbatacchiava la donna sulla mia auto.(N.S.)
77
Il romore si diffuse immediatamente, il vicinato accorse, si
guardò alle muraglie, e si vide, o si credette vederle
imbrattate d’un unto giallognolo. Presto, presto altri
recarono paglia, e fecero fuochi accanto al muro, dove si
credeva che fosse stato unto, altri imbiancarono di calce. La
fama pervenne l’indomani al Senato, il quale ordinò al
Capitano di giustizia che andase ad esaminare. Questi
portatosi sul luogo vide le mura abbrustolate, e imbiancate,
che affè non potevano indicare altro se non la grande e
precipitosa paura dei padroni delle case:pure il Capitano e il
notajo attestarono che sotto il fumacchio, e
l’abbronzamento, avevano potuto discernere “alcuni segni
di materia ontuosa tirante al giallo, sparsovi come con le
dita”.
(A.Manzoni, 1840, Storia della colonna infame, ed.1993;
pagg.5-6).
78
In questo momento giunge alla notizia della Conferenza
Governativa, che la Campagna di questo Ducato trovasi
infestata da una feroce Bestia di colore cenericcio moscato
quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane, e dalla
quale furono già sbranati due Fanciulli.
Premurosa la medesima Conferenza di dare tutti li più
solleciti provvedimenti, che servir possano a liberare la
Provincia della detta infestazione, ha disposto che debba
essere subito combinata una generale Caccia con tutti gli
Uomini d’Armi delle Comunità, col Satellizio di tutte le Curie,
e colle Guardie di Finanza.
Al tempo stesso rende inoltre noto, che da questa Tesoreria
Camerale verrà pagato il premio di cinquanta Zecchini
effettivi a chiunque, o nell’atto della suddetta generale
Caccia, o in altra occasione avrà uccisa la predetta feroce
Bestia:somma, che verrà subito sborsata dal Regio cassiere
Don Giuseppe Porta, in vista del Certificato, che rilascerà il
Regio delegato della Provincia, nel di cui Territorio la detta
Bestia sarà stata ammazzata. Milano li 14 Luglio 1792.
(G.Caproni,1986, Il Conte di Kevenhüller; pag.11).
79
E’ un ingenuo errore credere che linguaggio e verità
possano coincidere, che esista mai un rapporto univoco e
necessario fra le parole e ciò che esse designano, che
significanti e significati siano mai sovrapponibili.
Il sincretista tutt’attorno a sé ravvisa lo spettacolo comico e
tragico di significanti differenti che designano un unico
significato, o di un solo significante che comprende
significati opposti.
(E.Zolla, 1990, Verità segrete esposte in evidenza; pag.10).
80
Da bambino, esplorando una casa sconosciuta, sbucai in un
vano dove mi scoprii riflesso all’improvviso in una vasta
specchiera.Tra la visione e il riconoscimento di me stesso
trascorse un attimo, che mi parve lunghissimo, nel quale
intuii che il mondo noto e quotidiano non era l’unica realtà.
(E.Zolla, cit.;pag.149).
81
Di aver preso a quattro o cinque anni lezioni di violino non
sapevamo, come invece racconta nostro fratello che gli ha
rivelato sua moglie riferendo testimonianze di nostra madre
e della nostra nonna materna, entrambe defunte. Non
ricordiamo. No. Non lo riporteremo nel nostro curriculum
vitae. (N.S.)
82
“Un sogno?...e che le fa un sogno?...E’ uno smarrimento
dell’anima...il fantasma di un momento...”.
“Non so, dottore:badi...forse è dimenticare, è risolversi!E’
rifiutare le scleròtiche figurazioni della dialettica, le cose
vedute secondo forza...”
“Secondo forza?...che forza?...”
“La forza sistematrice del carattere...questa gloriosa
lampada a petrolio che ci fuma di dentro,...e fa il filo, e ci fa
neri di bugìe, di dentro,...di bugìe meritorie, grasse,
bugiardosissime...e ha la buona opinione per sé, per sé
sola...Ma sognare è fiume profondo, che precipita a una
lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità”.
(C.E.Gadda, 1963, La cognizione del dolore, ed.1970,
pag.119).
83
I soldati non dovevano essere umili, ma bravi soldati:non
fagotti di rassegnazione, ma grumi di volontà:cercai sempre
di creare almeno un lucore di volontà, anche nelle più
torpide anime dei “rassegnati”.Con la rassegnazione non si
fa la guerra, e tanto meno la si vince.Sono un rétore e
questa è la mia retorica.
Sarebbe come dire che uno si rassegna andare <sic> a letto
con una ragazza:verrà pure un momento che la semplice
rassegnazione non basta.
(C.E.Gadda,1934, Il castello di Udine, ed.1973; pag.37).

Eros e Pòlemos. (N.S.)


84
Un giro attraverso le zone devastate di Francia impressiona
l’occhio e l’immaginazione al di là di ogni
descrizione.Durante l’inverno del 1918-1919, prima che la
natura coprisse la scena del suo pietoso mantello, gli orrori
e le desolazioni della guerra colpivano la vista per la loro
spaventosa grandezza.(...) La somma di lavoro umano
necessario a restaurare quelle terre appariva incalcolabile;e
allo spettatore qualsiasi ammontare di miliardi riusciva
inadeguato ad esprimere il valore della distruzione impressa
nel suo spirito. Qualche governo, per una molteplicità di
comprensibili ragioni, non ha avuto vergogna di sfruttare un
poco questi sentimenti.
(J.M.Keynes, 1920, Le conseguenze della pace, trad.it.;
cap.V,§1).
85
Chi di noi ha delle piccole rendite, per quanto limitate
possano essere, o il sostegno della famiglia, non può
conoscere il sentimento di angoscia che attanaglia coloro i
quali non hanno casa né denaro.I domestici che dipendono
in tutto dai loro datori di lavoro, vitto e alloggio, e che in
ogni momento possono ricevere l’ordine di far qualcosa, e il
cui destino può dipendere da una teiera rotta o da uno
sbalzo d’umore, sviluppano delle nevrosi particolari.Si può
dare il caso di una domestica che, sebbene attratta dal suo
datore di lavoro, cerchi inconsciamente di provocare la sua
collera. Capricci e chiribizzi, suscettibilità e bronci,
petulanze e permalosità vengono dalla necessità repressa di
compensare un’evidente differenza di status.
(R.Maugham, 1948, Il servo, trad.it.; pag.35).

Psicodinamica su base economica. (N.S.)


86
Quando Frèdéric entrò, stavano vantando l’eloquenza
dell’abate Coeur.Poi deplorararono l’immoralità dei
domestici a proposito di un furto commesso da un
cameriere;e i pettegolezzi si avviarono.La vecchia signora di
Sommery aveva il raffreddore, la signorina di Turvisot si
sposava, i Montcharron non sarebbero ritornati prima della
fine di gennaio, e così i Bretancourt:adesso ci si tratteneva
fino a tardi in campagna. E la miseria dei discorsi riusciva
come aggravata dal lusso delle cose circostanti;ma quello
che dicevano era meno stupido della maniera di conversare,
senza uno scopo, senza un nesso e senza vivacità. Eppure
c’erano lì uomini esperti della vita, un ex ministro, il parroco
d’una grande parrocchia, due o tre alti funzionari del
governo:tutti si limitavano ai luoghi comuni.
(G.Flaubert,1869, L’educazione sentimentale, trad.it.; parte
seconda, cap.II).

Non riusciamo a non essere delusi da questo brano. Sui


luoghi comuni circolano molti luoghi comuni. (N.S.)
87
L’AVVISO del Conte fu accolto
quasi con frenesia.

Il sangue dà sempre allegria.


L’assassinio è esultanza.
Uccidere, un passo di danza
che sfiora la liturgia.

(...)

Mi armai anch’io.
Anch’io
mi unii alla “generale Caccia”.

Battei accanitamente,
a palmo a palmo, la rete
fitta dei campi – l’intrico
della macchia.

La sete
mi attanagliava.

La faccia
l’avevo in fiamme.

Dovunque,
88
col cuore che mi scoppiava,
non scorsi la più piccola traccia.

(...)

Gettai il fucile.
Rientrai
- di stizza – all’osteria.

La Bestia, o era fuggita via,


o non esisteva.

(Il Conte
– al diavolo!- stravedeva?)

(G.Caproni, cit.; pagg.19-21).

Il Conte di Kevenhüller, opera poetica da cui è tratto questo


brano, eroga piacevolmente del sapere sociopsicologico.
(N.S.)
89
Non hai bisogno di preoccuparti del tuo avvenire, piuttosto
dovresti occuparti del tuo passato.
(F.Kafka, 1927, America, trad.it.; cap.VI).
90
Un cane s’infilava tra le gambe della gente (...) e il mio
compagno vi inciampò. Il cane balzò via senza emettere
suono; l’uomo, alzando un pochino la voce, disse ridendo
piano: “Ma guardate un po’ quel cane rognoso”, e subito ci
trovammo separati da un mucchio di gente (...). Vidi Jim
piroettare su se stesso. Fece un passo avanti e mi sbarrò la
strada. Eravamo soli; mi inceneriva con uno sguardo pieno
di cocciuta decisione. (...) “Dicevate a me?” chiese Jim a
voce bassissima (...). Io dissi: “No” (...) “Voi dite di no”
disse lui molto scuro, “ma io ho sentito bene”.
(J.Conrad, 1900, Lord Jim, trad.it.; cap.VI).

Traduce:
(...)A dog was there, weaving himself in and out amongst
people’s legs (...) and my companion stumbled over him.
The dog leaped away without a sound;the man, raising his
voice a little, said with a slow laugh, “Look at that wretched
cur”, and directly afterwards we became separated by a lot
of people (...).I saw Jim spin round. He made a step forward
and barred my way. We were alone; he glared at me with an
air of stubborn resolution. (...).”Did you speak to me?”
asked jim very low (...).I said “No” (...).”You say you
didn’t,”he said, very sombre.”But I heard.”
(J.Conrad, Lord Jim, 1900; ed.Bantam Books, cap.VI).

Wretched cur non è un cane rognoso; a Jim suona, traslato,


come “povero vigliacco”, forse: dal micidiale qui pro quo di
91
Jim muove tutto il lungo dialogo tra lui e Marlowe. Però
“cane rognoso” funziona. (N.S.)
92
Those three ‘i’s’ –instinct, intuition, inspiration- in which I
pinned my faith were more useful in learning about people
tha logic could be. Caprocious approach to capricious
subject. (E.Taylor,1984, The devastating boys, ed.1995;
pag.164).

Fede nell’istinto, nell’intuizione, nell’ispirazione, più che


nella logica, per saper conoscere le persone: a soggetto
capriccioso, approccio capriccioso. A naso. Non scientifico.
(N.S.)
93
In una fiaba (...) ha da sempre il suo ruolo una figura
maligna e impenetrabile, con il compito di distruggere, o
almeno di ridicolizzare, ciò che è buono e luminoso.
(T.Bernhard, 1969, Eventi, trad.it. con testo a fronte;
pag.25).

Traduce:
(...) Denn zu einem Märchenspiel gehört seit jeher eine
bösartige unduurchschaubare Gestalt, die das Gute,
Durchschaubare, zu zerstören oder wenigstens lächerlich zu
machen trachtet. (T.Bernhard, cit.; pag.24).
94
Funerale di massa a Firenze (4 VI 2010) per la morte di un
diciassettenne nello scontro notturno tra due scooter. La via
della chiesa dove si è svolta la funzione funebre era
affollata di adolescenti (con i calzoni tenuti bassi, ma non in
segno di lutto), vigili urbani sorvegliavano e garantivano il
rito. Non capivamo come il defunto avesse tanti amici. Tam
tam via internet, pensavamo.
Funeralismo di massa, corporativo, dolorismo.
L’ultimo concetto (A.Savinio (1941-1948), Nuova
enciclopedia) definisce la corruzione del dolore. Del
funeralismo di massa fa parte spesso l’interrogabile
applauso alla bara, quando essa è portata fuori dal luogo
della funzione funebre (di solito religiosa). Crediamo che il
fenomeno dell’applauso alla bara sia recente, qualcuno ci ha
proposto che sia stato inaugurato, da noi, in occasione del
funerale di Anna Magnani.
Quando muore qualcuno si tratta sempre di ‘uno di noi’, in
astratto potrebbe darsi sempre una partecipazione di
massa, e non solo ai funerali. Ma la massa si fraziona
secondo ‘corporazioni’, più facilmente secondo famiglie e
gruppi di amici, conoscenti.
Nel caso del diciassettenne morto giorni or sono la
‘corporazione’ mobilitata (probabilmente via ‘facebook’o
‘twitter’) era di adolescenti forse dediti allo scooterismo. Il
defunto, vittima a quanto pare di oscure pecche dell’altro
scooterista, non adolescente, era uno sconosciuto cui il
funeralismo ha dato un pomeriggio di fama alla memoria.
95
Bisogna distinguere il funeralismo prodigato agli sconosciuti
da quello prodigato ai noti (v. Anna Magnani, Pier Paolo
Pasolini, Enrico Berlinguer, Giovanni XXIII e così via). Il
funeralismo corporativo (di massa o meno) costituisce un
dono di notorietà (con applauso) allo sconosciuto. In
questione è una festa. (N.S.)
96
Troviamo su La Stampa del 7 Giugno ’07: “New York. Un
uomo fa causa per una super erezione. Ha preso un
integratore e ha avuto un’erezione “senza fine”, per la
quale è finito in ospedale.Per questo C.W., ventinovenne di
N.Y., ha fatto causa alla casa produttrice, Novartis”.
In Italia, in un posto di pronto soccorso, quale “colore di
urgenza” gli avrebbero dato? (N.S.)
97
Molte sono le leggende che, a Lucca e dintorni, descrivono
la figura della bella Lucida Mansi. Secondo i racconti, costei
era una donna giovane e molto avvenente e che sapeva ben
utilizzare il suo fascino per collezionare un amante dietro
l’altro, mai sazia dell’amore carnale.Si narra che avesse
fatto addirittura uccidere il marito per potersi dedicare
completamente alla vita galante, agli abiti preziosi, ai
gioielli.Amava talmente se stessa da avere bisogno di
circondarsi di specchi che riflettevano continuamente la sua
immagine: sulle pareti, nel libro da messa, addirittura sopra
il letto in maniera da addormentarsi fissando la sua dolce e
sinuosa figura.
Ma il tempo, come si sa, scorre inesorabile.E Lucida dovette
constatare, ad un certo punto, che le rughe cominciavano a
rigare il suo bel volto.(...)la donna non ebbe esitazione
alcuna e invocò nientemeno che il diavolo.Il quale le
apparve ben volentieri per stipulare un malefico accordo:in
cambio di trent’anni di ulteriore giovinezza, il demonio
avrebbe potuto prendersi l’anima della donna.(N.S.)
(www.tuscanjourney.org/leggende).
98
Un altro racconto (...) parla di una gran signora che
mangiava e beveva allegramente e aveva tutto ciò che il
cuore può bramare, e che desiderò vivere per sempre. Nei
primi cento anni tutto andò bene, ma poi cominciò a
restringersi ed aggrinzirsi, fino a che non poté più
camminare, né reggersi in piedi, né mangiare, né bere. Ma
nemmeno poteva morire.
Agli inizi l’alimentavano come se fosse una bambina, ma finì
col diventare tanto minuta che la misero in una bottiglia di
vetro e la appesero nella chiesa.Sta ancora lì, nella Chiesa
di Santa Maria a Lubeck.Ha la grandezza di un topolino e
una volta all’anno si muove.
(J.G.Frazer, 1913, Balder the Beautiful, trad.it.; ”Vivere per
sempre”).
99
Quando col progresso della conoscenza gli uomini
cominciarono a rendersi conto dell’errore compiuto
attribuendo al commercio tra i sessi un effetto sulla
riproduzione di animali e piante, la convinzione della
nocività di certi rapporti era oramai talmente radicata, che
non fu facile liberarsene, anche quando percepirono
l’assurdità del ragionamento che li aveva portati a quelle
conclusioni. Così la vecchia pratica sarebbe rimasta in
vigore, sebbene la vecchia teoria fosse venuta meno.
Avrebbero continuato ad osservare le vecchie regole della
morale sessuale, ma se dovevano osservare il rispetto della
comunità era necessario poggiarle su una nuova base
teorica. Quella base, in accordo con il generale progresso
del pensiero, fu fornita dalla religione.
(J.G.Frazer, 1909-1913, L’avvocato del diavolo, trad.it.;
cap.IV).
100
La stregoneria viene spesso considerata, per lo meno dagli
scettici, un crimine immaginario, un’elaborata fantasia priva
di alcun fondamento reale. Coloro che furono processati per
stregoneria, quindi, sono visti come vittime innocenti di un
sistema giudiziario distorto e di un ordinamento oppressivo.
Sono valide queste affermazioni? E’ proprio vero che la
caccia alle streghe in Europa creò migliaia di criminali che
non avevano commesso nessun crimine, oppure le streghe
commisero effettivamente alcune delle azioni per le quali
furono perseguite? Nel porci queste domande non abbiamo
bisogno di stabilire se la magia funzioni o se il Diavolo
esista veramente, perché tali problemi esulano dal campo
dell’indagine storica. Ma gli storici possono e devono
chiedersi se quelle persone accusate di stregoneria
avessero effettivamente compiuto talune delle attività per
le quali furono perseguite. La risposta a questi interrogativi
storici comporta inevitabilmente la risposta alla relativa
questione della colpevolezza in senso legale delle streghe,
dal momento che la colpa è determinata, almeno entro certi
limiti, dall’esistenza storica del presunto crimine.
(B.P.Levack, cit., 1987,trad.it.; pag.14).

Secondo Levack la credenza nella stregoneria era diffusa in


tutti gli strati sociali, e anche molte “streghe” credevano
davvero di esserlo. (N.S.)
101
“Che cosa sei, una strega?”
“Sì, una strega.”
(...)
”In questa robaccia non ci credo. Sono tutte sciocchezze. Ma
dal momento che tu ci credi, dal tuo punto di vista hai
assassinato una persona.”
(I.B.Singer, La strega, in Passioni, trad. it., pag.84).

S’accenna qui al fenomeno dell’autofraintendimento, che


certo non riguarda soltanto la stregoneria. Il racconto verte
sulla imprevista attrazione che una ragazza alquanto
sgraziata suscita nel suo professore, dopo che la moglie di
quest’ultimo è morta di grave e misteriosa malattia. (N.S.)
102
Il Partito non può mai sbagliare (...).Tu ed io possiamo
commettere degli errori, ma non il Partito. Il Partito,
compagno, è più di te, di me e di mille altri come te e come
me. Il Partito è l’incarnazione dell’idea rivoluzionaria nella
Storia. La Storia non conosce né scrupoli né esitazioni.
Scorre, inerte e infallibile, verso la sua mèta. Ad ogni curva
del suo corso lascia il fango e porta con sé i cadaveri degli
affogati. La Storia sa dove va. Non commette errori. Colui
che non ha una fede assoluta nella Storia non è nelle file del
Partito.(...)Hai scritto:”I resti del movimento rivoluzionario
debbono unirsi e tutte le forze ostili alla tirannide formare
un blocco;dobbiamo porre fine alle nostre vecchie lotte
interne e cominciare di nuovo la lotta comune”.Questo è un
errore.Il Partito non deve allearsi ai moderati.(...)Hai
scritto:”Quando la casa brucia, tutti devono contribuire a
soffocare l’incendio;se continuiamo a discutere sulle teorie,
l’incendio ci ridurrà tutti in cenere”.Altro errore. Noi
combattiamo il fuoco con l’acqua;gli altri con l’olio.Pertanto
dobbiamo prima decidere quale è il sistema giusto, se
l’acqua o l’olio, prima di unire le brigate dei pompieri.(...)La
linea del Partito è nettamente definita, come un angusto
sentiero tra le montagne.Il più lieve passo falso, a sinistra o
a destra, fa cadere nel precipizio.
(A.Koestler, 1946, Buio a mezzogiorno, trad.it.; ”Il primo
interrogatorio”, § IX).
La “tirannide” in questione è, con ogni probabilità, il
fascismo, o il nazionalsocialismo. Qui si discute, certo in un
103
clima persecutorio, su come dovrebbe porsi, rispetto alle
altre forze politiche contrarie al fascismo, un partito
comunista. L’interrogante contesta la linea di cui è
sostenitore l’interrogato, diremmo “frontista”,
opponendogli una linea che privilegia, sempre e comunque,
lo schieramento di classe da parte comunista, cioè a dire il
mantenimento dell’attenzione alla contraddizione
fondamentale (secondo il marxismo-leninismo), che è quella
tra la classe operaia e la classe borghese. Contro ogni
perdita d’energia rivoluzionaria in nome della salvezza della
democrazia e del parlamentarismo.
Fuori dalla finzione del romanzo, negli anni della lotta finale
antifascista (1943-1945), un partito comunista allineato con
l’Urss come quello italiano, quindi non passibile di essere
“scomunicato”, partecipò invece proprio al “soffocamento
dell’incendio” insieme alle forze politiche più disparate,
d’amore e d’accordo con Mosca. (V. G.Galli, 1976, Storia del
Partito Comunista Italiano). Per cui, si potrebbe dire,
l’interrogante o inquisitore gioca la sua partita con carte
truccate. Il che non significa che, persecuzione a parte,
l’interrogato o perseguitato sia dalla parte della ragione.
(N.S.)
104
(...) Mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno
una partita in quell’immenso campo di segale (...).Migliaia
di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande,
voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo
pazzesco.E non devo fare altro che prendere al volo tutti
quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se
corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da
qualche posto e acchiapparli.Non dovrei fare altro tutto il
giorno. (...).So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi
piacerebbe veramente fare.
(J.D.Salinger, 1951, Il giovane Holden, trad.it.; cap.XXII).

Da cui il titolo, The catcher in the rye, che rispecchia


l’immagine dell’afferrare ragazzini pericolanti. E’ il contrario
del pifferaio di Hamelin. (N.S.)
105
I comunisti devono comprendere a fondo il principio della
subordinazione dei bisogni della parte al tutto. Se una
proposta appare realizzabile nella situazione particolare, ma
non nella situazione generale, bisogna subordinare la parte
al tutto. Se viceversa, la proposta non è realizzabile nella
situazione particolare, ma lo è nella situazione generale,
anche in questo caso la parte deve essere subordinata al
tutto. Ecco cosa significa considerare la situazione nel suo
insieme.
(L. Piao et al. (a cura di), 1966, Citazioni dalle opere del
presidente Mao Zedong, trad.it.; cap.XXIV).
106
Il comunismo è l’esasperazione del cancro burocratico che
ha sempre roso l’umanità. Cancro tedesco, prodotto dal
caratteristico preparazionismo tedesco. Ogni preparazione
pedantesca è antiumana. (Cit.in S.Sontag, 1977, 1978,
Malattia come metafora, trad.it.; pag.72).

La “preparazione pedantesca”, più che essere “antiumana”,


suvvìa, attiene all’infelicità. Filippo Tommaso Marinetti,
l’autore di queste righe, prende di mira il comunismo e “i
tedeschi”, sorvoliamo; eppure quello di “preparazionismo”
pare un bel concetto. Ha a che vedere con l’ansia e i
marchingegni ossessivi per tenerla a bada, in privato e nella
dimensione collettiva. (N.S.)
107
Lo scrittore guatemalteco Augusto Monterroso ha scritto
una volta quello che viene considerato il racconto più breve
di tutta la letteratura universale: “Cuando despertò, el
dinosaurio todavìa estaba allì”.(Quando si svegliò, il
dinosauro era ancora lì.)
(...)Il racconto suggerisce, nella sua fulminea semplicità,
due interpretazioni:(i)il tizio è sveglio accanto a un
dinosauro, per non vederlo più si addormenta, e quando si
sveglia il dinosauro è ancora lì;(ii)il tizio è sveglio senza
dinosauri nei paraggi, si addormenta, sogna un dinosauro, e
quando si sveglia il dinosauro del sogno è ancora lì.Tutti
ammetteranno che la seconda interpretazione è
surrealisticamente e kafkianamente più saporosa della
prima, ma neppure la prima era esclusa dal racconto, che
potrebbe essere un racconto realistico sulla preistoria.
(U.Eco,2003, cit.;pag.65).

Il soggetto di “despertò” potrebbe anche essere il


dinosauro. Lo stupore (più del dinosauro che del lettore)
deriverebbe allora dal trovarsi, il dinosauro, todavìa allì, in
un luogo diverso da quello del suo sogno, e uguale a dov’era
al momento di addormentarsi. Capita anche ai dinosauri,
come a noi, di svegliarsi e di non capire subito dove sono?
La seconda interpretazione echiana è quella che s’impone,
genere horror, ma è “antropocentrica”. (N.S.)
108
Per il signor Cave divenne chiaro che quegli oggetti
scintillanti erano cristalli esattamente uguali a quello in cui
stava guardando.(...)Qualche volta, una delle grandi
creature alate svolazzava fin là in cima e, dopo aver
ripiegato le ali e avvinghiato alcuni tentacoli intorno al
pennone, guardava fissamente nel cristallo per un certo
periodo – a volte anche per un quarto d’ora.E una serie di
osservazioni, fatte per suggerimento del signor Wace, li
convinse entrambi che, rispetto al mondo oggetto della
visione, il cristallo nel quale loro guardavano si trovava su
un pennone al limite della terrazza, e che in una occasione
almeno, uno degli abitanti di quest’altro mondo aveva
guardato la faccia del signor Cave mentre lui faceva
altrettanto.
(H.G.Wells, 1897, L’uovo di cristallo, trad.it.; ed. Einaudi).

Il guardante è guardato dal guardante di un altro mondo,


entrambi guardati e guardanti. (N.S.)
109
Una lettrice de La signorina Else (A.Schnitzler) riferisce, non
sappiamo quanto consapevole che l’originale è scritto in
tedesco, di aver pensato spesso al nome della protagonista
come se fosse l’avverbio inglese else. Giocare con le parole
significa anche spaesarle dalla loro residenza originaria.
Basta non affezionarsi troppo alle nostre trovate, quando
esse rappresentano solo una nostra verità. (N.S.)
110
Ci raccontarono che, durante un convegno su George
Simenon, a Firenze, qualcuno aveva giocato con quel
cognome - si mais non - ignoro a quale scopo ermeneutico;
ci raccontarono scandalizzati che “si” non è francese:
invece lo è. (N.S.)
111
Il 30 ottobre 1938, era una domenica, una radio americana
mandò in onda un adattamento del romanzo di G.H.Wells, La
guerra dei mondi.(...).Nella versione radiofonica,
l’avvenimento era stato ricostruito con straordinaria
verosimiglianza:venivano interrotti i programmi per darne
l’annuncio, prassi usata solitamente per situazioni
particolarmente drammatiche; le notizie, prima incerte,
diventavano con il passare del tempo sempre più precise,
venivano sentiti i pareri di esperti, e così via. (...).L’effetto
fu immediato:migliaia di persone, che per qualche motivo
non avevano sentito l’annuncio del programma, presero per
vero ciò che veniva comunicato e ovunque si manifestarono
fenomeni di panico e di isteria.Per alcune ore, in una vasta
zona degli Stati Uniti, molte persone pensarono che orribili
mostri, armati di raggi mortali, avessero vinto ogni
resistenza e stessero impossessandosi del pianeta.
(A.Mucchi Faina,2002, Psicologia collettiva;pag.178).
112
Dimentichiamo la classicità algida e composta. Statue e
templi dell’antica Grecia erano colorati, vivaci, quasi kitsch.
(...)Stiamo entrando in una sorprendente mostra, e
serissima,che è destinata a sovvertire la nostra intera ottica
dell’antico.(...)I colori del bianco (...)ha trovato il suo
culmine all’Allard Pierson Museum, perché lo straordinario
museo archeologico di Amsterdam possiede moltissime
testimonianze della scultura policroma antica, greca ed
etrusca.
(...)Non è vero che la plastica classica, e pure l’architettura
(...) fosse bianca, scabra, pura, come una certa tradizione
interessata ci ha voluto far credere.A dire il vero, lo si
sapeva, da sempre.Le fonti, da Plinio, a Vitruvio, ai tragici
greci, parlavano chiaro:e poi c’erano i reperti, con tracce
inequivocabili, nonostante il buon lavoro abrasivo del
Tempo e delle piogge, segni vistosi e inquietanti, e pure
criticamente stimolanti, se il preconcetto ideologico, duro a
confrontarsi, non avesse voluto “non” vederle. Faceva
troppo comodo, sopra il Partenone, o le tante Kore e i Gitoni
acerbi della travisata antichità, proiettare la poetica bianca
e purista del Neoclassicismo imperante.(...)Il colore
appariva una diversione, un’interferenza disturbante e
moderna, una diminutio. (...)Coraggio, sono brutte: ma forse
eran proprio così.
(M.Vallora, Gli antichi a colori, 2006;pagg.70-76).
L’estetica delle rovine rivela il rifiuto comune delle cose
nuove, e non solo in arte e architettura. V’è certo una
113
ripugnanza per il vecchio, chi lo nega? Ma essa è in gara con
la ripugnanza per il nuovo. L’estetica dell’antico, o
semplicemente del vecchio, romantica, (forse snob),
c’impedisce di aver coscienza del fatto che, forse, il
campanile di Giotto, da nuovo, stonava. Come il Colosseo, o
l’Acropoli, o il Castello Sforzesco, o il Ponte di Rialto
(replicato a Macao, Cina, città famosa per il gioco
d’azzardo). (N.S.)
114
L’attrice Isabella Rossellini, intervistata in tv, a domanda
sulla sua recitazione “algida”, chiese che cosa c’entrassero
con lei i gelati Algida. In effetti la marca in questione ha un
nome colto. (N.S.)
115
Che cartoline si mandano da Versailles, se non il Castello e i
Trianons, salvo che a sceglierle non sia qualche raffinato
innamorato d’una certa statua, o qualche imbecille, che
scelga la stazione del tranvai a cavalli, o quella dei
Chantiers? (...).Ci fu un periodo, che durò due anni, nel
quale le persone intelligenti, gli artisti, parlavano di Siena,
di Venezia, Granada come di anticaglie, e portavano alle
stelle gli omnibus o le carrozze ferroviarie:”Questo sì che è
bello”. Poi, anche questa moda passò (...),una carrozza di
prima classe cessò di esser considerata a priori come più
bella di San Marco.
(M.Proust, cit.; Vita comune con Albertine, pag.131).

Traduce:
(...)Qu’on vous envoie d’abord de Versailles sinon le
Chateau et les Trianons, a moins que la carte ne soit choisie
par quelque raffiné amoreux d’une certain statue, ou par
quelque imbécile élisant comme vue la station du tramway à
chevaux ou la gare del Chantiers? (...); pendant deux ans les
hommes intelligents, les artistes trouvèrent Sienne, Venise,
Grenade, une scie, et disaient du moindre omnibus, de tous
le wagons : « Voilà qui est beau ».Puis ce gout passa (...), un
wagon de première classe cessa d’etre considèré a priori
comme plus beau que Saint-Marc de Venise.
(M.Proust, cit.; vol.III pag.117-118).
“Anticaglie” rende male “une scie”, alla lettera “una sega”,
traslatamente “una lagna”.
116
Ne Il mago di Lublino (I.B.Singer, 1960, trad.it.; cap.IV,§ 3)
leggiamo che a Varsavia si sarebbe gustata olfattivamente
la brezza proveniente dalla “foresta di Praga”: è in
questione una sensibilità da mago, infatti le due città
distano almeno 500 Km. A meno che l’area boschiva non
fosse, alla fine dell’Ottocento, epoca della storia narrata,
estesissima, o che l’aria non fosse, ai tempi dopotutto non
remotissimi di Singer, un cristallino conduttore di odori.
Se “foresta di Praga” non significa, invece, qualcosa
d’altro, e Singer non rilascia un qualche madrigale in codice,
fruibile da chi sa lui. (N.S.)
117
Ha preso l’abitudine di mettersi ormai solo vecchi cappelli
(...) come suo padre, di indossare vecchie giacche, vecchi
calzoni, vecchie scarpe, tutto indosso a lui deve sempre
essere vecchio, in questo modo, come quasi tutti quelli del
suo ceto e delle sue origini, crede sempre di potere
rappresentare meglio quel ceto e quelle origini, di poterli
portare in giro con sé, di poter rispondere al gusto dei
cosiddetti superiori, fra i quali si è sempre annoverato. Si
compra un cappello e lo espone alla pioggia, per qualche
settimana lo lascia appeso a un gancio sul balcone (...) e
non lo stacca dal gancio finché non è battuto dalle
intemperie; poi lo rivolta sopra l’acqua bollente e se lo
mette così, scaldato al massimo, per fargli prendere la
forma della sua testa, i calzoni li immerge brevemente
nell’acqua e li appende alla finestra perché stiano al vento
prima di indossarli, altrettanto fa con le giacche, con le
scarpe va prima su e giù, come si deve, nel fango del
giardino, perchè non diano l’impressione di essere nuove di
zecca, giacché non si portano le scarpe nuove, non si
indossano le giacche nuove, non si mettono i cappelli nuovi,
tutto ciò che è nuovo viene profondamente disprezzato, anzi
odiato, perché così si fa, anche le case nuove, le chiese
nuove, le strade nuove, le invenzioni nuove, ovviamente
anche tutte le persone nuove, come si è detto, tutto ciò che
è nuovo, e naturalmente anche i pensieri nuovi sono nel
novero. (T.Bernhard, 1986, Estinzione, trad.it.; pag.268).
118
Qui davanti sosta un furgone bianco in doppia fila. Sulla
fiancata si legge: “Tessuti – tendaggi – tappeti orientali –
sistemi letto”.
“Sistemi letto”, questa la novità. Forse è una cazzata, ma
bisognerà pensarci. (N.S.)
119
Da qualche anno molte persone hanno iniziato a percorrere i
marciapiedi in bicicletta; sono di ogni età, qualcuno va con
cautela, qualcuno meno, anche su bici elettrica alquanto
veloce, svoltando perentorio le cantonate, così prendendo
di sorpresa chi cammina. Il fenomeno è in crescita. Ne
abbiamo letto anni fa, su un quotidiano che si definisce
“comunista”, un breve elogio che includeva, riferendo di
certi ciclisti cosiddetti radicali in Usa, anche la tendenza a
fare percorsi contromano.
Comunismo a pedali.
Comincia ad imporsi la necessità di uscire dal portone di
casa con una certa circospezione. Una volta abbiamo
incontrato due biciclette che procedevano sul marciapiede
appaiate, un’altra due in fila indiana, ma ecco un fatto
preciso. Tempo fa sul marciapiede una signora
ultrasessantenne se ne veniva in bici, e le abbiamo in effetti
sbarrato il passo, dicendole: questa è una prepotenza. La
signora si è fermata ed ha risposto: “infatti mi sono
fermata”. In breve congetturammo che con quelle parole la
signora volesse segnalare non la sua, ma la nostra
prepotenza. Buona battuta, in fondo.
Un giovane con lo stesso vezzo, da noi richiamato, invece ci
ha suggerito: “allora non camminare sui marciapiedi!”.
Anche questa non è male. (N.S.)
120
Da qualche anno, crescentemente, sentiamo in giro, e in tv,
e alla radio, e talvolta leggiamo, ma meno spesso, la
formula “piuttosto che” usata al posto di “oppure”.
Piuttosto che andare d’agosto a Viareggio, me ne resto in
città; piuttosto che andare a letto con quella persona lì, me
ne resto in castità; eccetera: la formula indicava preferenza
o preferibilità di questo in confronto a quello. L’uso
segnalato suggerisce, invece, l’intercambiabilità di questo
con quello. Ne vedremo (se vivremo) delle belle, e già ne
vediamo. (N.S.)
121
Il “cant”(...) non è la menzogna e neppure, propriamente,
l’ipocrisia cosciente;è l’ipocrisia di chi riesce a mentire
anche a se stesso o, se si vuole, è la sincerità che risulta da
una doppia menzogna, l’una rivolta al mondo esterno, l’altra
a se stessi.
(D.Losurdo,2007, Il linguaggio dell’Impero;pag.110).

Cant (in inglese) significa “discorso ipocrita”, “frase


fatta”,“luogo comune”, “gergo”:probabile manifestazione
di ciò che alcuni psicanalisti definiscono come “unreal self”.
Si pensi alla formula “missione di pace”. Si pensi al più
celebre “statista” italiano d’oggi. (N.S.)
122
C’era una volta un agente del censimento che doveva
elencare i nomi di tutti gli abitanti d’un certo villaggio
gallese.Il primo che interrogò si chiamava William
Williams;e così il secondo, il terzo, il quarto...Infine l’agente
si disse:”Tutto ciò è noioso; evidentemente si chiamano
tutti William Williams.Scriverò così e mi prenderò un giorno
di vacanza”.Ma aveva torto:ce n’era uno che si chiamava
John Jones.
(B.Russell, cit.; cap.VII).
123
Un film del 1968, «Le samurai» (J.-P.Melville), con Alain
Delon, protagonista un killer, Jeff Costello, circolava in Italia
con il titolo «Frank Costello faccia d’angelo». L’abolizione
del riferimento al notevole mestiere di samurai, insieme al
cambio di nome del protagonista, infliggono al film una
ferita che la visione non riesce a riparare. Frank Costello è
un gangster americano. Le esigenze della distribuzione
cinematografica qualche volta esagerano in prepotenza.
Sarebbe interessante valutare quanti film non italiani siano
stati intitolati tanto grossolanamente lontano dall’originale.
Viene in mente «Deliverance», visto in italia come «Un
tranquillo week end di paura». (N.S.)
124
Pensai che potevo trovar lavoro in qualche stazione di
rifornimento a metter benzina e olio nelle macchine.
(...)Quello che dovevo fare, pensai, era far finta d’essere
sordomuto. Così mi sarei risparmiato tutte quelle maledette
chiacchiere idiote e senza sugo. Se qualcuno voleva dirmi
qualcosa, doveva scrivermelo su un pezzo di carta e
ficcarmelo sotto il naso.(...)Tutti avrebbero pensato che ero
un povero bastardo d’un sordomuto e mi avrebbero lasciato
in pace.Mi avrebbero fatto mettere olio e benzina nelle loro
stupide macchine, e in cambio mi avrebbero dato un salario
(...), e con quei soldi io mi sarei costruito una capanna da
qualche parte e ci avrei passato il resto della mia vita.(...)A
forza di pensarci mi entusiasmai da matto.Quella faccenda
di far finta di essere sordomuto era cretina e lo sapevo, ma
mi piaceva lo stesso pensarla.
(J.D.Salinger,cit.; cap.XXV).

In un cupo film con Robert Mitchum agisce accanto al


protagonista, titolare di una stazione di servizio, un ragazzo
sordomuto addetto ai rifornimenti. Magari finge. Un’idea
“cretina” che lo stesso piace, e che induce più attenzione ai
sordomuti. (N.S.)
125
Ma quando quel guardiano mi ebbe condotto fuori città,
altro che vita beata!Altro che libertà!Perché sua moglie, una
donna tremenda e avara <avara equidem nequissimaque illa
mulier> mi mise subito a una macina, e a suon di bastonate
<frondosoque baculo subinde castigans> cominciò a
procurar pane a sé e ai suoi con la mia pelle.Ma non le
bastava farmi lavorare per sé:io dovevo girare la macina a
pagamento anche per i vicini, e non avevo neppure il cibo
che mi spettava <nec mihi misero statuta saltem cibaria pro
tantis paestabantur laboribus>, perché il mio orzo tostato,
che io stesso macinavo girando in tondo, lei lo vendeva ai
vicini.E a me, che facevo andare tutto il giorno quella
faticosa macchina, alla sera mi metteva davanti un po’ di
crusca non raffinata, sporca e piena di sassi <purpures
apponebat incretos ac sordidos multoque laèpide
salebrosos>.
(Apuleio,dopo il 158 d.C., copiato (codice Laurenziano) nel
sec.XI, edito a stampa nel 1469, L’asino d’oro, trad.it.; libro
VII, § 15).

I molti anni di studi, coatti, della lingua latina, a parte il loro


valore formativo dal punto di vista intellettuale, qui ci
tornano come tesoro e piacere. (N.S.)
126
“Allora...siamo uguali?”, chiese. “Certo che siamo uguali”,
risposi. Era ovvio che mi sentissi condiscendente. Provavo
molto calore nei suoi confronti, anche se a volte non sapevo
cosa pensare di lui;tuttavia nella mia mente ritenevo
sempre, anche se non lo avevo mai detto, che io, studente
universitario, uomo del sofisticato mondo occidentale, fossi
superiore a un indiano.
”No”, disse calmo, “non lo siamo”.”Perché?”, protestai.”Lo
siamo certamente”.”No”, disse con voce dolce.”Non siamo
uguali. Io sono un cacciatore e un guerriero, e tu sei un
ruffiano”.
(C.Castaneda, 1972, Viaggio a Ixtlan, trad.it.; pag.63).
127
All’inizio del romanzo Der Verschollene, di Kafka (“Lo
scomparso”, più noto con il titolo Amerika), la Statua della
Libertà, che il protagonista scorge arrivando in nave a New
York, vien detta “statua della dea della libertà” (Statue der
Freiheitsgöttin), ed essa regge non la fiaccola, ma una
spada (Schwert). Il traduttore Alberto Spaini (1947) rispetta
la spada, ma omette la dea. Lo stesso fa la traduttrice
Mirella Ulivieri (1991).
128
<Max Aub> inventò di sana pianta un geniale pittore
cubista spagnolo mai realmente esistito, scrivendone la
biografia, l’epistolario con gente famosa, organizzando
adirittura una bellissima mostra, tutta falsa, di dipinti e
disegni postumi dell’artista.Per due anni la critica ufficiale
fu mobilitata, finché lo stesso autore decise di
interrompere, molto malvolentieri, il suo bel gioco e svelare
la verità.
(L.P.Cipriani, 1981, Nota su Max Aub, Delitti esemplari;
pag.59).

Negli anni ottanta del secolo scorso tre giovani pretesero di


aver trovato in un fondale dei Fossi, a Livorno, una o più
sculture attribuibili a Modigliani, oggetto, in quel periodo, di
esposizione locale. In realtà avevano lavorato loro di
trapano su delle pietre, producendo dell’africanismo
anacronistico. Prima del disvelamento della burla, alcuni
sfortunati esperti d’arte dettero credito alla modiglianità
dei reperti.

In Germania una o più case editrici una volta ammisero di


aver respinto manoscritti inviati da ignoti provocatori,
pagine ricopiate da non so quale opera di Robert Musil, più
noto che letto.

La burla attribuita ad Aub appartiene al genere borgesiano,


come le recensioni a libri mai esistiti, o gli studi su autori
129
mai vissuti. Se non è una burla della curatrice, o un
racconto di Aub. (N.S.)
130
Che un individuo voglia risvegliare in un altro individuo
ricordi che non appartennero che a un terzo, è un paradosso
evidente. Realizzare in tutta tranquillità questo paradosso,
è l’innocente volontà di ogni biografia.(Borges, 1930,
Evaristo Carriego, trad.it.; cap.II).
131
Certo non ero per davvero un turco. Ma i travestimenti sono
indispensabili per smascherare la società, e anche inganni e
finzioni servono a scoprire la verità.
(G.Wallraff, 1985, Faccia di turco, trad.it.; pag.9).

Il titolo originale del libro, scritto in tedesco, Ganz unten,


“totalmente in basso”, indica la condizione in cui il
narratore/ricercatore si è posto allo scopo di raccogliere il
materiale. (N.S.)
132
Un conoscente, fotografo non professionista, narrava di
esser stato invitato una volta a documentare le nozze di un
suo caro amico; di aver scattato molto durante la cerimonia
religiosa, ma di aver scoperto, al momento di sostituire in
corsa il rullino, che l’apparecchio era vuoto e che non era
stata scattata fin lì alcuna foto. Narrava il conoscente che
l’amico aveva poi ovviato a questa sbadataggine ripetendo,
lui la sposa e i parenti, certe pose della cerimonia religiosa,
in accordo con il parroco e con il mio conoscente, stavolta
dotato di rullino. Se non è vera, com’è sospettabile, è ben
trovata.
I due amici del conoscente, per caso, si sono sposati due
volte?
Comunque hanno divorziato, a quanto ne sappiamo, una
volta soltanto. (N.S.)
133
Gli uomini sono esattamente come furono creati, e volerli
ritenere responsabili di ciò che, d’un tratto, li spinge ad
uscire da se stessi, è una pretesa che non condivido. Gli
anni mi hanno aperto alla comprensione.
(M.Aub,cit.; pag.9).
134
Una volta ho visto una nana che era davvero un esempio
patetico. Era alta circa un metro e venti, e aveva comunque
ricevuto un’ottima istruzione, davanti alla gente faceva di
tutto per non essere altro che “la nana”, faceva la parte
della scema con lo stesso risolino e gli stessi rapidi goffi
movimenti che hanno caratterizzato i buffoni sin dai tempi
delle corti reali del Medioevo. Soltanto quando si trovava
con amici buttava via la berretta e i sonagli e osava essere
la donna che veramente era:intelligente, malinconica e
molto sola.
(cit.in E.Goffman, 1963, Stigma, trad.it.; cap.III).
135
Prima dell’arrivo dei bianchi, gli Indiani non sospettavano
minimamente che la terra potesse appartenere a qualcuno
in particolare e che non fosse il bene comune di tutto ciò
che vive sulla sua superficie (...).La tribù indiana abitava un
territorio che garantiva un equilibrio tra bisogni e
popolazione, senza farne un problema di frontiere e
recinzioni.
(cit. in O.Razac,2000, Storia politica del filo spinato, trad.it.;
pag.19).
136
Le considerazioni politiche ostacolano in modo disastroso le
iniziative economiche. In un regime di libero commercio e di
liberi rapporti economici, poco importerebbe che il ferro
fosse da una parte e il lavoro, il carbone e i forni dall’altra
parte di una frontiera politica.Ma, allo stato delle cose, gli
uomini hanno trovato il modo di impoverire se stessi e l’un
l’altro e preferiscono le animosità collettive alla felicità
individuale.
(J.M.Keynes,cit., trad.it.; cap.III,§ 2).
137
L’intero sistema <indù> poggia sui suoi strati inferiori, gli
intoccabili, noti in tempi moderni anche come harija e caste
aggiuntive, o fuori casta.Il plurale “strati” è appropriato
perché verso l’inizio dell’era cristiana gli intoccabili avevano
creato un proprio sitema di caste, completo a sua volta di
fuori casta.In seguito ogni gruppo di intoccabili immaginò
che esistesse un altro gruppo posto più in basso di sé.
(B.Moore Jr, 2000, Le origine religiose della persecuzione
nella storia, trad.it.; pag.142).
138
“Noi non ripetiamo la tortura, Dio ci guardi dal farlo senza
indizi nuovi e gravissimi. La continuiamo soltanto in un altro
giorno, per far emergere la verità.”
(cit. in F.Von Spee, 1631, I processi contro le streghe,
trad.it.; questione xxiii).
139
Il dottor Johannes Tauler, uno degli uomini più notevoli del
Medio Evo, riferisce la storia di un eremita cui un visitatore
importuno venne a chiedere un oggetto che si trovava nella
sua cella. L’anacoreta si mosse per andargli a cercare
l’oggetto, ma nell’entrare in casa dimenticò quale fosse,
perché l’immagine delle cose esteriori non poteva restargli
in mente. Allora uscì e pregò il visitatore di dirgli che cosa
desiderava, e questi rinnovò la richiesta. L’eremita tornò
dentro, ma prima di aver messo le mani sull’oggetto in
questione se l’era di nuovo dimenticato;sicché, dopo diversi
tentativi, dovette dire all’importuno:”Entrate e cercate voi
stesso quello che vi occorre, perché io non riesco a serbare
la vostra immagine dentro di me il tempo necessario per
fare ciò che mi domandate”.
(L.Bloy, 1894, Storie sgradevoli, trad.it.; pag.36).

Il dottor A.Alzheimer, contemporaneo di Bloy, avrebbe dato


una diversa spiegazione, ma piace l’idea che lo smemorato
sia tale a causa d’una pienezza d’interiorità immaginale.
(N.S.)
140
Un’opera giovanile di T.Todorov sulla letteratura fantastica
(1970) prende in considerazione, tra gli altri esempi del
genere, Manoscritto trovato a Saragozza, di J.Potocki
(1958). Di quest’opera, all’epoca, era disponibile solo una
versione (piacevolmente) parziale, quella che abbiamo
conosciuto nella traduzione Adelphi. La versione “completa”
(1990) totalizza invece, tra le gustose storielle di spiriti che
i personaggi raccontano, una prolissa serie di messe in
scena macabre realizzate da una potente congrega allo
scopo di mettere alla prova la stabilità mentale del
protagonista, Alfonso Van Worden. Alfonso passa l’esame,
Todorov no, abbocca, ma involontariamente suggerisce che
il “fantastico” potrebbe appartenere al genere delle
versioni provvisorie della verità.

La versione compiuta de La meccanica (C.E.Gadda, 1989) è


meno gustosa della versione incompiuta, parere personale.
Gadda non c’entra, noi ci affezioniamo alle versioni parziali
e guardiamo con ostilità a quelle definitive, forse perché
richiamano l’idea della nostra morte. Noi siamo versioni
parziali per tutta la vita.

Vedere certi film con Totò dall’inizio alla fine, o “Un


americano a Roma”, in versione completa, è una prova
difficile da reggere. Come la nostra vita, ancora, che
dovremmo saper tagliare e antologizzare. E non è detto che
non sia proprio questo che facciamo. Magari il suicidio
141
dipende dalla incapacità di antologizzare la vita. Potocki
(1761-1815) si sparò un colpo. (N.S.)
142
Le domande sulle cause della mia amputazione mi
seccavano molto, e perciò inventai un risposta standard che
avrebbe dovuto scoraggiare la gente a proseguire nel loro
interrogatorio. La risposta era: “Mi sono fatta fare un
prestito da un istituto finanziario e loro trattengono la
gamba come pegno”.
(cit. in E.Goffman, cit.; cap.IV).
143
E’ noto a molti che Melville in Moby Dick non ha mai detto
quale gamba mancasse al capitano Achab.
(U.Eco, cit., 2003;pag.328).

No, non non ci avevamo fatto caso. Piuttosto ci torna in


mente di aver seguito, nel 2010, la polemica sollevata da un
viaggiatore non privo di entrature giornalistiche, tale
Vogelmann, editore, il quale sosteneva di aver assistito ad
un episodio di prepotenza, colpevoli due controllori, ai danni
di un altro viaggiatore privo di entrambe le braccia, oltre
che del biglietto. Le ferrovie, chiamate in causa dalla lettera
del Vogelmann, dettero la loro versione, autoassolutoria:
solo che in essa il viaggiatore maltrattato era descritto
come mancante di un solo braccio. Il che fa pensare che
Melville si sia dimenticato di specificare quale fosse la
gamba mancante ad Achab. V’è qualcosa di saliente,
talvolta, che c’impedisce l’accesso ai particolari. (N.S.)
144
In pratica l’induismo è stato per qualche tempo d’una
estrema tolleranza. Ogni nuova idea o rito religioso diventa
la base d’una nuova casta. Ma la tolleranza si spinge più in
là, fino ad accogliere quasi ogni forma di comportamento
deviante. Ci sono perfino caste criminali “la cui professione
ereditaria è il delitto”.
(B.Moore Jr., cit.;pag. 143-44).
145
La scomparsa dell’open range comporta quella del cavaliere
solitario che lo percorreva, il cow-boy. Mentre in realtà non
era che un vaccaro, il cow-boy si è visti affibbiati i panni del
superuomo.(...)Il cow-boy combatte la cultura dell’Est e
l’avanzare dell’industria, e sarà inevitabilmente “un
avversario risoluto degli allevatori sedentari che vogliono
dividere la prateria e recintarla. Kirk Douglas si batterà
contro di loro, ultima incarnazione, ne L’uomo senza paura,
dell’uomo aspro ma libero”.(O.Razac, cit.; pag.24).

Negli anni cinquanta c’incantò “Il cavaliere della valle


solitaria”, titolo originale “Shane”, con Alan Ladd, a colori,
dove un pistolero errante difende da solo alcune famiglie di
agricoltori minacciate da una banda di assassini pagata dai
rivali degli agricoltori, allevatori, facendo di un saloon il
luogo d’una strage. L’impresa, senz’altro fantasmagorica,
sta in relazione con il fatto che essa è vista di nascosto da
un bambino. I bambini amano contar favole. O, se si
preferisce, distinguono poco la realtà dalla fantasia.
Recentemente abbiamo letto da qualche parte che l’eroe,
allontanentesi a cavallo nella scena finale, invocato dal
bambino (Shane!...Shane!), non si avvia verso nuove
avventure, ma sta morendo. Ferito durante la sparatoria.
Quanto al film con Kirk Douglas, titolo originale “Lonely is
the Brave”, in bianco e nero, lo vedemmo da ragazzi, con il
titolo “Solo sotto le stelle”. Ricordiamo la scazzottata che il
protagonista è costretto a combattere, in un bar, contro un
146
provocatore privo di un braccio, usando anche lui solo un
braccio. Le prende. E anche la sua impresa pazzesca,
scalare una vetta senza separarsi dal cavallo, bianco,
perché inseguito da uno sceriffo - scettico funzionario
“liberal”, interpretato da Walter Mattau. Stiamo aiutando la
nostra memoria con altre visioni dei due film, molto meno
remote.

E’ comodo, ma discutibile, indicare un personaggio


cinematografico con il nome dell’interprete. Il buono di un
attore famoso sta anche nel far dimenticare al pubblico che
lui “è” x. Non basta, Peter Falk è così bravo da celare al
pubblico che lui “è” il tenente Colombo, quando recita altro.
Piace, invece, lavorare a un personaggio paragonandolo ad
altri, di altri film, interpretati dallo stesso attore. (N.S.)
147
Anni fa ero in una splendida vallata alpina con un gruppo di
amici. Alla fine della nostra camminata ci trovammo di
fronte a una parete rocciosa da cui sgorgava un’acqua
cristallina e così fredda da irrigidire la lingua e le labbra.
(...).Quando mangiammo, bevetti l’acqua di sorgente tutta
d’un fiato (...).Nulla a che vedere con l’acqua del rubinetto
(...).Mi sembrava di assaporare quel paesaggio con le
papille gustative accarezzate dall’acqua. E tutto il piacere
che provai lo comunicai ai miei amici.(...).Uno di loro,
ragazzo vivace e burlone, esclamò:”Ma quella che stai
bevendo è l’acqua di città. L’ho presa dal rubinetto
stamattina”.
(F.Benedetti, 2000, La realtà incantata;pag.11).
148
In realtà la televisione predicava quotidianamente, ora dopo
ora, il puro edonismo,il suo slancio era tutto in direzione
della realizzazione del benessere e del consumo. E la gente
aveva appreso la lezione in modo radicale; palingenetico
(per la prima volta nella storia).Era mutata. Aveva fatto
propri i nuovi modelli umani, proposti dalla cultura del
potere. Aveva abbandonato i propri modelli tradizionali.
Esistenzialmente venivano vissuti nuovi valori, che nella
coscienza erano ancora solo nominali. La vita era più avanti
della coscienza. La tolleranza, necessaria all’ideologia
edonistica del consumo, poneva nuovi doveri:quelli di
essere pari alle nuove libertà che dall’alto, e senza parere,
venivano concesse. Ragione inevitabile di nevrosi. D’altra
parte vivere esistenzialmente nuovi valori senza conoscerli,
era a sua volta una buona ragione di nevrosi.(...). Che cosa
sostituiva questi valori? (...).Nessuno aveva mai detto – da
parte del potere – la verità:cioè che i nuovi valori erano i
valori del superfluo, cosa che rendeva superflue, e dunque
disperate, le vite.
(P.P.Pasolini,1992, Petrolio; pag.502-3).
149
Ma se pure annoiava mortalmente i suoi fedeli, il che poi
non è affatto sicuro, almeno il buddhismo non metteva la
gente sul rogo per le sue opinioni.
(B.Moore Jr., cit.; pag.153).
150
(...)Fatta eccezione per le primissime fasi della relazione
genitore-figlio, non esiste una posizione di vittima
totalmente passiva;al contrario, tutti i membri danno il loro
contributo a una sequenza interattiva in cui il
comportamento di ognuno influenza ed è influenzato da
quello dell’altro.Al massimo, si può affermare che uno dei
partecipanti all’interazione sembra essere la
vittima.Tuttavia, ciò costituisce una distorsione, una specie
di “illusione ottica”, prodotta dal fatto che un osservatore
necessariamente opera una punteggiatura arbitraria della
sequenza (...).
(C.E.Sluzki e D.C.Ransom, 1976, Il doppio legame, trad.it.,
pag.75).

Ottimo. Iniziamo prestissimo a “collaborare”, siamo


“collaborazionisti” prima di imparare a parlare. (N.S.)
151
Se ti capita di andare di notte, e conosci male la strada, e ti
dovessi perdere, e cerchi e cerchi ma non la trovi, allora
lascia libertà al tuo cavallo, troverà la strada da solo e ti
porterà dove ti serve.
(M.Kostomarov, 1917, La rivolta degli animali, trad.it.,
pag.22).

Il “cavallo”, oggi, quale potrebbe essere, che cosa?


L’abbandono della ricerca deliberata, in favore di un non
fare che ci porterebbe dove noi serviamo? (N.S.)
152
Dopo la morte del padre, F. scoprì che il defunto aveva
trascorso centinaia di ore ricopiando brani sugli argomenti
più disparati, ivi compresi i più disperati, formandosi cauto
l’idea che il padre doveva da ultimo essere ammattito.
(N.S.)
153
Noi abbiamo quasi dimenticato che, al suo emergere, la
psicoanalisi prende posto in un campo definito dal discorso
della scienza, (...)quello che ha visto tutta una serie di
saperi, da quello medico-psichiatrico alle diverse
articolazioni delle discipline antropologiche, assumere una
nuova configurazione ed una conseguente nuova funzione
nel sistema culturale occidentale tra Otto e Novecento. In
estrema sintesi, ci riferiamo a quel processo che avrebbe
consentito al sapere biomedico, e in particolare a quello
neuropsichiatrico, di diventare “scienza di Stato” (...).
Abbiamo cioè dimenticato – o comunque omesso di riflettere
adeguatamente sulla cosa fino a tempi recenti – che medici,
psichiatri, antropologi, biologi, genetisti, demografi,
insomma l’intera comunità scientifica, aveva elaborato,
nell’erco di più di mezzo secolo, un insieme di principi, di, di
teorie, di dottrine, che hanno concorso in via preliminare – e
secondo modalità radicali – alla formazione di un discorso, e
poi di una doxa,e poi di un insieme di pratiche, che hanno
consentito una nuova e drammatica inflessione nella storia
del razzismo antisemita all’interno della vicenda della
Kultur europea. E’ la scienza ad avere costruito,
diffuso,legittimato, le teorie razziali che hanno poi
colonizzato e riorientato il discorso politico-sociale tra Otto
e Novecento: sotto le spoglie del discorso biomedico
entrano nel circuito della pratica politica, per non uscirvi
<sic> più, le grandi ossessioni per l’igiene razziale, le
grandi inquietudini legate alla dottrina della degenerazione,
154
le grandi paure per la natalità e la demografia, che
presiederanno all’allestimento delle politiche eugeniste
prima e razziali poi, quelle che non esiteranno ad affermare
la Freigabe der Vernichtung Lebensunwerten Lebens. Il
sapere biomedico non si è limitato, insomma, a fornire una
cauzione scientifica alle politiche di discriminazione razziale
e di sterminio, ma ha letteralmente fabbricato il regime
discorsivo che ne ha reso possibile il concepimento e la
realizzazione. (...) I membri della corporazione biomedica,
ed in particolare di quella neuropsichiatrica, hanno profuso
uno sforzo gigantesco che ha consentito una nuova
modulazione del razzismo, organizzatosi intorno al
problema dell’anormalità ed applicato a tutto ciò che si
riteneva rappresentasse un pericolo per il corpo sociale, in
quanto contrassegnato dalle stigmate dell’anomalia che
rischia di trasmettersi ad esso. Si tratta di una forma di
razzismo (...) la cui funzione è diventata quella di assicurare
la possibilità di individuare i possibili agenti di contagio,
corruzione e degenerazione della società; di assicurare la
difesa contro tutto ciò che potrebbe essere portatore di
pericolo per la sua integrità (...).
Occorre allora davvero “esser giusti con Freud”(...). Occorre
riconoscere cioè, come in pochi hanno fatto, “l’onore
politico” che viene alla psicoanalisi dal fatto di essere stata,
per l’essenziale (...) in opposizione teorica e pratica rispetto
al fascismo e al nazismo. Occorre riconoscerle la dignità che
le viene dal fatto di essere stata se non il solo (...) almeno il
155
più coerente tentativo di reazione alla ascesa del razzismo
antisemita, ascesa contemporanea alla sua nascita. Ci pare
allora (...) importante (...) esaminare come l’invenzione
della psicoanalisi da parte di Freud abbia funzionato come
strategia: strategia discorsiva e strategia politica.
Invenzione di un nuovo linguaggio.
(M.Bertani e M.Ranchetti,1999, Psicoanalisi e
antisemitismo, trad.it.;pagg.ix-xii).

“Freigabe der Vernichtung Lebensunwerten Lebens”


significa “approvazione dell’annientamento della vita
indegna d’essere vissuta”. Via libera!
La proposta di Bertani e Ranchetti in fatto di freudismo
delle origini, esagerata, è meno interessante del tema
stesso della “dignità della vita”. Talvolta la vita non è da
continuare. Esistono pratiche chiamate suicidio, eutanasia,
da non confondersi con l’uccisione di chi, ad altri in
possesso del potere di deciderne la morte, pare penare (e
“pesare”) in modo insopportabile.
Ognuno dev’essere libero di farla finita, possibilmente in
modo degno. Daremmo il “via libera” alla “morte degna di
essere vissuta” da chi la vuole, o l’ha voluta quando poteva
(“testamento biologico”).
Volere la morte di altri e realizzarla (pensiamo all’eutanasia
chiesta dai parenti della persona malata e priva di capacità
decisionali) significa entrare in un mare di difficoltà e di
rischi di prepotenza, d’errore.
156
A proposito: e la pena capitale?

In un racconto di De Maupassant, La confessione (1884), è


descritta l’eliminazione (indiretta) di un neonato per mezzo
del freddo - nella camera dove dorme il piccolo suo padre
lascia d’inverno la finestra aperta. L’assassino, impegnato
con una ragazza povera, la madre del bambino, desidera
invece sposare una benestante.
Ne L’innocente (D’Annunzio, 1892), l’eliminazione di un
neonato con il descritto metodo è invece il risultato di un
motivo diremmo passionale: il piccolo, partorito dalla moglie
dell’assassino, non è figlio dell’assassino, ma di un altro
uomo. Non è qui interessante l’eventuale mancanza di
originalità di D’Annunzio, meglio domandarsi: quanti
bambini sono stati fatti fuori in modi simili, uno o più adulti
provocando deliberatamente loro danni letali? “Aborti”
praticati dopo la nascita?
Di notte, al buio, l’assassino lascia il neonato al freddo per
quanto crede che basti a dare il via a una polmonite. Di
notte la temperatura cala, ma, soprattutto, il buio favorisce
l’ingigantirsi dell’ossessione egotica dell’assassino, gelosia
in D’Annunzio, bramosia sociale in De Maupassant, e riduce
le alternative al delitto, ma ora m’interessa altro.

Colpisce la delittuosità dell’eliminazione dei neonati


raccontata da De Maupassant e D’Annunzio: perché non ci
colpisce la pratica abortiva?
157
Tra l’omicidio e la pratica abortiva c’è il confine della
nascita. L’aborto non mi piace. Eseguito nelle prime
settimane di formazione del feto mi sembra che appartenga
alla categoria dei “mali necessari”, se non alla categoria
della “riduzione del danno”.
Logicamente la presenza del feto sviluppato nei mesi rende
la pratica abortiva particolarmente esecrabile, infatti il
“male” pesa più della sua “necessità”.
Rovesciando il discorso: perché, se non ci colpisce l’aborto,
ci colpisce invece l’infanticidio?
Il neonato è una persona tra noi, in pieno sviluppo sociale, è
visibile, interagisce con noi, il suo ambiente non è il corpo
materno, è sociale.
Mi sembra che i “diritti del feto” appartengano al campo dei
“diritti umani”, mentre i “diritti del neonato” appartengono
non solo ai “diritti umani”, ma anche ai “diritti civili”. Il
neonato è un cittadino, è iscritto, o sarà presto iscritto,
all’anagrafe, “appartiene” un poco a tutti, non solo a sua
madre, a suo padre, ammesso, e non qui discusso, che il
neonato non “appartenga” a tutti.
Se siamo contrari all’assassinio, se siamo contrari alla pena
di morte, se siamo contrari alla pratica abortiva segreta (nei
paesi dove essa sarebbe invece legale), non siamo contrari
alle pratiche abortive legali, cioè governate in modo civile,
socializzate. I diritti civili implicano la socializzazione dei
diritti umani, che, senza i diritti civili, sono il campo
dell’arbitrio.
158

La pena capitale è sì “civile”, infatti si usa in proposito il


verbo “giustiziare”, ma ha due terribili difetti, almeno: il
condannato potrebbe essere un innocente colpito da errori
giudiziari; e, seppur colpevole, potrebbe essere “rieducato”
(penso all’”ultimo imperatore” della Cina, politicamente
colpevole di gravi crimini contro il suo paese, ma non
“giustiziato”, invece “riciclato” in utile giardiniere e in
studioso di storia – v. il film di Bertolucci (“L’ultimo
imperatore”) e Sono stato imperatore (Pu Yi, 1974).

Una piccola collettività (l’interessata, l’eventuale


compagno, consulenti, medici, gli ultimi appartenenti a
categorie pubblicamente situate e riconosciute) decide di
interrompere una gravidanza. E’ un evento “civile”, certo ha
almeno un difetto: il feto come “progetto di vita” è
avviabile a diventare uno di noi, insomma, come nel caso
della pena di morte, l’aborto è innegabilmente uno spreco,
se non è una possibile ingiustizia.
Diritti umani e diritti civili hanno a che vedere con libertà
(soprattutto i primi) e con giustizia (soprattutto i secondi),
ma la giustizia (sociale, o non è giustizia) è sempre la prima,
utile, battaglia.
C’indignano dunque gli assassinii dei neonati in De
Maupassant e in D’Annunzio, e non ci piacciono gli aborti
eseguiti di nascosto (nei paesi dove sarebbero legali),
perché questi ultimi sono eventi umani, sì, ma privati,
159
segreti, arbitrari. Non c’indigna la pratica abortiva
legalizzata, semmai c’impaurisce come spreco, mentre la
pratica abortiva privata e clandestina ci sembra, oltre che
uno spreco, qualcosa di poco civile e “troppo umano”. (N.S.)
160
Da anni tv, radio e giornali menzionano, in caso di (“nostri”)
morti o feriti gravi, vedove, orfani, la questione delle
“regole d’ingaggio” (da cambiare, da lasciare immutate?)
cui sarebbero sottoposti i militari italiani (e non) inviati in
“missioni di pace” nel vasto mondo e terribile. Da anni
l’espressione “regole d’ingaggio” ci lascia perplessi, e anzi
sospettosi in merito alla sua possibile asineria. Questione
d’orecchio. Giorni orsono, finalmente, abbiamo proposto a
Google di informarmi su “Rules of Engagement”. Senza
troppa sorpresa (infatti avevamo guardato alla voce
“engagement”, che non vuol dire “ingaggio”) abbiamo
trovato subito che le Rules of Engagement (ROE), sono
“regole di combattimento” o, se vogliamo, “d’impegno” . E’
un caso di collaborazione tra asineria e ipocrisia. “ROE”,
l’acronimo, per parte sua, come tutti gli acronimi,
abbreviando cela, aliena, ricrea, mistifica. (N.S.)
161
Durante i combattimenti tra l’esercito israeliano e gli
Hezbollah libanesi, che costarono molte vittime e un’infinità
di distruzioni soprattutto al Libano e ai libanesi, nell’estate
del 2006, su La Stampa leggemmo un titolo in cui spiccava
l’espressione “elicotteri ebraici”. Da non credere. (N.S.)
162
In “Blow up”, un vecchio film (di Michelangelo Antonioni)
responsabile di molte vocazioni alla fotografia, il
protagonista assiste a un concerto di musica rock durante il
quale un chitarrista fa a pezzi il suo strumento sbattendolo
sul palco. La folla esulta, e quando il frantumatore scaglia in
platea un moncone della (sua?) chitarra in molti tentano,
lottando, di farlo proprio, tra loro anche il protagonista, che
in effetti riesce a impossessarsene. Di corsa esce dal locale,
ma, appena si trova in strada getta via il moncone.
L’importante è vincere, non partecipare. (N.S.)
163
Tutte le cacce alle streghe, allora e ora, comportano la
caccia a un nemico segreto della società, il presupposto che
questo nemico non sia solo ma parte di un movimento più
ampio (se non di un’effettiva cospirazione) e l’impiego di
straordinarie misure legali per scoprire quello che non solo
è un segreto ma anche un crimine ideologico o religioso.
Tutte le cacce alle streghe, perciò, comportano un elevato
grado di ansia giudiziaria e societaria ed è questo stato
d’animo che, da un lato, giustifica le procedure legali
eccezionali, dall’altro, rafforza il timore che complici o altri
criminali non siano ancora stati smascherati. Quando perciò,
nel mondo moderno vari tribunali o commissioni di indagine
conducono interminabili inchieste nei confronti di presunti
movimenti sovversivi di natura politica, ideologica o
religiosa, nel presupposto che tale indagine porterà a
rivelare i nomi e le attività dei nemici della società, siamo di
fronte a un fenomeno che presenta una forte somiglianza
con le centinaia di cacce alle streghe svoltesi in Europa
all’inizio dell’Età moderna.
(B.P.Levack, cit., pagg.209-210).
164
L’accusa di avvelenamento era facile da lanciare ma difficile
da provare. A causa delle insufficienti conoscenze mediche,
spesso non era possibile produrre in nessun modo la prova
che qualcuno fosse stato avvelenato. Una malattia lunga e
dall’esito mortale che non si riusciva a spiegare in altro
modo spesso era motivata con il veleno (...).Ci si credeva
circondati da nemici e rivali, e praticamente chiunque si
sentisse male poteva fare il nome di qualcuno della
famiglia, della casa o del vicinato a cui pensava di dare la
colpa.
(J.-U.Krause, 2004, La criminalità nel mondo antico, trad.it.;
pag.122).
165
Longtemps après, j’ai fait un rapprochement entre la
blessure reçue à la guerre de 14 qui avait rendu Louis
complètement sourd de l’oreille droite, lui occasionnant des
bourdonnements d’oreille incessants, “un train qui passe
sans arret”, et le caractère hallucinatoire des pamphplets.
(V.Robert avec L.Destouches, cit.; pag.79).

Molto tempo dopo l’uscita dei pamphlets contro gli ebrei,


Bagatelles pour un massacre (1937), L’ecole des cadavres
(1938), e Les Beaux Draps (1941), la vedova di Céline,
Lucette, afferma di averne accostato il carattere
allucinatorio con la ferita riportata nella guerra del 1914-
1918 da Louis <Ferdinand Destouches, in arte Céline>,
completamente sordo dall’orecchio destro, e afflitto da
continui ronzii, “un treno che seguita a passare”. Da
impazzire.
L’idea di pensare quei testi come “allucinatori” è
convincente, meno l’accostamento di tali “allucinazioni” con
l’ossessione del brusio incessante all’orecchio. Comunque,
leggo in una “Notizia sulla vita e le opere di Céline” a cura
di Giancarlo Pontiggia, la ferita di guerra avrebbe
interessato un braccio, non la testa.
Dei famigerati testi céliniani “giudeofobici” (De Michelis,
2001), a quanto ne so, sono stati tradotti in italiano, da
Giancarlo Pontiggia Bagatelles (1981), da Daniele Gorret Les
Beaux Draps (1982). Ho idea che non siano facili da trovare,
perché almeno il primo dei due “fu tolto dalla circolazione
166
appena dopo la sua uscita” (Pontiggia, 2001). Per volontà di
Lucette Destouches, la vedova di Céline. (N.S.)
167
Incuriositi dallo scritto appena ricordato di Giancarlo
Pontiggia su Céline (2001), narrante con misura anche i
disagi politici dello stesso valente studioso e traduttore,
negli anni settanta, tra sinistra e destra (“... Per quei pochi,
come me, che non credevano nei paradisi
dell’internazionale, esistevano due sole strade: la prima (la
mia) era la misantropia; la seconda era il fascismo”),
abbiamo pensato di leggere qualcos’altro di lui,
scambiandolo grossolanamente con Giuseppe Pontiggia,
che, nato negli anni trenta, non poteva negli anni settanta
essere ancora alle prese con studi universitari alla Statale di
Milano, come scrive di sé Giancarlo. Il noto Giuseppe aveva
fin qui mancato di attirare la nostra attenzione, e infine l’ha
attirata, ma in forza di un errore. (N.S.)
168
Durante una conversazione sul tema dell’etichettamento,
raccontavamo quel che molti anni prima avevamo sentito
dichiarare in tv da Giorgio Almirante, segretario del
Movimento Sociale Italiano: di non poter lui accettare la
definizione di “fascista” per il semplicissimo motivo che
“fascista” significava ormai ogni male e negatività. Fossi
matto, pareva pensare.
Il fatto è che, invece che “Almirante disse”, ce ne uscimmo
con un gustoso “Almirante mi disse”. (N.S.)
169
... Ogni forma è illusione, non esiste che come apparenza,
mentre il vero è caos. Il cosmo, umani e loro opere inclusi,
sarebbe la maschera di un caos insopportabilmente confuso
e informe, sarebbe una pietosa illusione creata da un dio
stanco della verità del suo essere. Il cosmo, la natura,
sarebbero quel dio, suddiviso e articolato nei tre “regni
della natura”.
Il caos sarebbe dunque un dio inquieto nella sua informità,
stanco di essere informe, ma: come riuscirebbe tale dio a
soffrire d’informità, se non avesse una qualche idea della
forma, dell’armonia, del cosmo, se non della bellezza?
La natura, umani e loro opere inclusi, sarebbero dunque,
come dire? - il meno peggio. L’idea di un male minore, dal
punto di vista estetico, di una “riduzione del danno”, deve
venire al dio inquieto (che noi siamo, ovviamente
inconsapevoli – tranne qualcuno) da qualcosa di esterno a
lui, o dalla sua inquietudine; ma perché è inquieto?
Mi sovviene l’idea di un demiurgo. Dunque: noi saremmo
stati la divinità pura (caos), resa impura da un demiurgo che
avrebbe iniziato a infastidire (tentare) con le sue pretese il
dio puro. Nei tempi tale tentatore avrebbe turbato la pace e
la purezza del dio-caos, costringendolo a mascherarsi da
cosmo e da natura, ciò che conosciamo o crediamo di
conoscere, e di essere, noi umani.
Tale teoria capovolge il rapporto tra dio superiore e dio
inferiore (demiurgo). Qui non è il dio superiore che si serve
del demiurgo, che dà luogo al cosmo imperfetto che
170
conosciamo o crediamo di conoscere. Qui è il demiurgo (dio
inferiore) che turba il dio superiore e lo costringe a
mascherarsi da cosmo, da natura.
Noi siamo ciò cui il dio ha dato luogo (costretto dal
demiurgo) per placare l’inquietudine indottagli dal
tentatore. Illusione.
Noi crediamo di essere nella bellezza e nell’armonia (del
cosmo, della natura), ma non è vero (è velo): abbiamo
perduto invece la potenza unica del caos senza principio né
termine, senza fini, e siamo illusione, è illusione sia l’idea
che siamo il “meno peggio”, sia l’idea che abbiamo perduto
il “paradiso” del caos, di cui ignoriamo tutto. Siamo
apparenza creata per accontentare il demiurgo che dà
inquietudine.
Il dio che eravamo era perfetto, ma aveva un punto debole:
lasciarsi tentare dall’inquietudine della forma, della finalità,
eccetera. Dunque non era perfetto. Probabilmente
dobbiamo pensare che vi sia un altro (un terzo, un quarto...)
dio da cui si sono distinti gli altri. Compito degli illuminati
(qualcosa dunque non ha funzionato secondo le tentazioni
del demiurgo, dei demiurghi, se vi sono degl’illuminati) è
cercarlo, o almeno pensarlo. La pancia si riempie,
suggerivano gli gnostici; la mente si tortura; lo spirito
invece anela al dio perfetto (che forse non c’è, altrimenti
non ci saremmo noi), a risalire di dio imperfetto in dio
imperfetto, per sempre... Quanto precede è
l’elaborazione di un sogno del 24/25 Febbraio 2006, delle
171
relative riflessioni albali, e infine degli appunti presi la
mattina. Si tratta di una eco onirica di teorie gnostiche (v.
I.P.Couliano, I miti dei dualismi occidentali), con riferimenti,
quanto al “velo”, a Schopenhauer, e, quanto al caos
creatore d’illusioni, a Stanislav Lem (Solaris). (N.S.)
172
Uno degli ausili favoriti per cavarsi d’impaccio, quando si
trattava di avere un po’ di coraggio, era nella mia famiglia
la parola “difficile”.”Difficile” era la parola magica, la parola
chiave per mettere in disparte tutti i problemi che si
potevano presentare, e in tal modo tener fuori dal nostro
intangibile mondo tutto ciò che poteva costituire un
elemento di disturbo o di disarmonia.(...).Bastava arrivare a
capire che una cosa era “difficile” e già era diventata tabù.
(...).Vorrei quasi dire che la parola “difficile” aveva un
valore magico;quando di una cosa si diceva che era
“difficile”, era come pronunciare una formula magica, la
cosa era sparita.
(...).
Se nel mio ricordo il “difficile” era soprattutto prerogativa
della mia povera mamma, mio padre era invece maestro
nell’arte del “senza confronto”.(...)Non si sentiva mai in
grado di mettere cose diverse in rapporto fra loro e usava
dire che “non era possibile fare un confronto”,
abbandonandole così a mezz’aria, nel vuoto più assoluto.
(F.Zorn, 1977, Il cavaliere, la morte e il diavolo, trad.it.;
pagg.17-19).
173
Vedemmo in tv, anni or sono, un Hitler rilassato e sorridente
a casa sua in terrazza, villone su paesaggio montano, Eva
Braun, ospiti, un cane. Più delle scene e dei personaggi, ci
colpì che i filmati, almeno alcuni, fossero a colori (Agfa).
Insolito sconfinamento dall’altra a quest’epoca, dalla prima
metà del Ventesimo alla seconda, al nuovo secolo. Hitler tra
noi. Non più confinato nel bianco e nero.
Il documentario registra l’umanità di un personaggio che si
è abituati, erroneamente, a considerare alieno, e lo sguardo
su Eva, “la ragazza di Hitler”, fa perder di vista chi fu il suo
fidanzato. Resta interessante pensare all’azione del colore,
che ci riporta la figura della graziosa Eva, giustamente,
come quella di una donna qualsiasi, come se fosse una
nostra parente, liberata nel colore, e spinta fino a qui vicino,
nel tempo.

Ne I volenterosi carnefici di Hitler, D. J. Goldhagen (1996)


scrive che migliaia di persone (ebrei) furono private, nei
primi anni quaranta, della loro libertà, radunate a forza,
umiliate e, in caso di mancanza di collegamenti ferroviari
con i campi di concentramento, uccise in massa sul posto
(Josefow e dintorni) da “tedeschi comuni”. I battaglioni di
polizia, autori di rastrellamenti e spesso di massacri erano,
infatti, corpi formati da riservisti, da “uomini comuni”
tedeschi più che trentenni, secondo Goldhagen intrisi di
antisemitismo, ingrediente a suo dire decisivo nell’intera
particolare vicenda studiata (i massacri di Josefow).
174
L’autore non valuta il fatto che la realizzazione dei
rastrellamenti e soprattutto dei massacri non può essere
considerata indipendentemente dall’organizzazione dei
battaglioni, in particolare del Battaglione 101, l’oggetto di
studio. Trascura i fattori situazionali, e la dimensione di
gruppo dei battaglioni stessi. Un “tedesco comune”
probabilmente era sì “attrezzato ad odiare” gli ebrei, anche
senza essere stato “formato” dal nazismo; poteva aver
ignorato la “Notte dei Cristalli”, avvenuta nell’autunno del
1938, o averla sottovalutata, o aver addirittura partecipato
ai linciaggi e distruzioni avvenuti in quell’occasione, e in
altre: non avrebbe potuto fucilare centinaia e migliaia di
persone, se non fosse stato inquadrato in un corpo di tipo
militare, come furono i battaglioni di polizia.
Goldhagen documenta, d’altra parte, che ai membri dei
battaglioni era stato all’inizio possibile dichiararsi
indisponibili a uccidere persone inermi, azione non solo
ingiusta e crudele, ma anche vile: tuttavia pochi lo fecero,
secondo Goldhagen semplicemente perché la maggioranza
di loro era senz’altro favorevole ad uccidere quelle persone
in quanto ebrei.
Anche se trascura la dimensione situazionale dei massacri,
come invece non ha fatto C.Browning (Uomini comuni, 1992)
sulla base dell’identica materia documentale (gli atti del
processo ai membri del famigerato Battaglione 101), quello
di Goldhagen resta un interessante atto d’accusa contro la
“gente comune”, più che un allarmante esempio di
175
tedescofobia.

Il libro include alcune foto tristissime, oscene, tragiche, da


cui esula quella di una giovane donna, Vera Wohlauf, colta
mentre s’avvicina all’obbiettivo, bella e sorridente, su una
spiaggia. E’ la moglie del capitano Julius Wohlauf, ufficiale
del Battaglione 101. Per dimostrare che i poliziotti militari
tedeschi erano abbastanza tranquilli, tra un massacro e
l’altro, che per loro ammazzare persone inermi era un lavoro
quasi scontato, educati a considerare gli ebrei “inumani” e
responsabili di ogni male, educati all’antisemitismo da
secoli e secoli di cristianesimo, incarogniti dal più moderno
e “scientifico” razzismo, ed esaltati dal nazismo a ritenere
assurdamente le “persone comuni” che stavano arrestando
e/o massacrando colpevoli dei bombardamenti in atto sulla
Germania; per dimostrare che i tedeschi dei battaglioni
erano dunque tranquillamente disposti ad ammazzare
persone inermi (a parte gli schizzi di materia cerebrale
provenienti dai crani delle vittime, colpite anche da un
passo), Goldhagen accenna al dopolavoro dei membri dei
battaglioni, giochi, spettacoli, sport e visite da parte delle
mogli: pare, stando a Goldhagen, sia in questione una
“nazionale” di calcio in trasferta; mentre Browning accenna
al fatto che molti uomini facevano notevole uso di alcol per
stordirsi.
Le mogli dei poliziotti sapevano qual era il lavoro dei loro
mariti, far fuori, in mancanza di treni per la deportazione,
176
masse di ebrei. Lo sapevano tutti, sostiene Goldhagen. Vera
sorride, avvicinandosi a noi a piedi nudi, leggeri scuri
pantaloni larghi e "top" dello stesso colore. La foto di Vera
inserita tra le altre, orrende, è una provocazione di
Goldhagen: ci provoca anche la visione di “Hitler a colori”,
un caso dovuto alla tecnica cinematografica, già abbastanza
progredita negli anni quaranta.

Il quotidiano è ignaro della Storia, il quotidiano è comune,


Hitler ha la sua ragazza, Vera è la bella moglie di un ufficiale
qualsiasi che fa uccidere con modalità sadiche centinaia e
migliaia di persone inermi. L’orrore scorre dentro la vita
quotidiana, che non perde mai del tutto la sua continuità,
neppure in tempo di guerra. La vita quotidiana c’impedisce
di vedere, ci protegge con le abitudini, con le sue mille
richieste banali e fondamentali. Noi non crediamo che “i
tedeschi”, come vuole Goldhagen, sapessero “tutto”, come
crediamo che noi, adesso, ignoriamo una quantità
d’ingiustizie che prosperano intorno a noi. (N.S.)
177
Fin dal loro secondo o terzo incontro, come un accordo non
formulato a parole s’era stabilito fra loro: se Gletkin poteva
provare che la radice dell’accusa era giusta – anche quando
questa radice era soltanto di natura logica, astratta – aveva
piena facoltà d’inserire i particolari mancanti, “i puntini
sulle i”, come diceva Rubasciov. Senza accorgersene, essi si
erano adattati a queste regole del gioco, e nessuno dei due
faceva più distinzioni tra i fatti che Rubasciov aveva
realmente commessi e quelli che semplicemente avrebbe
dovuto commettere come logica conseguenza delle sue
opinioni; avevano a poco a poco perduto il senso tanto
dell’apparenza quanto della realtà, così nella finzione logica
come dei fatti.
(A.Koestler,1946, cit.; “Il terzo interrogatorio”, § 4)
178
“E di che cosa mi accusate?” chiese K.
”Di non capire mai gli scherzi. Che ti abbiamo fatto? Un
po’riso, un po’ scherzato, un po’stuzzicato la tua
fidanzata.Ma tutto per ordine superiore. Quando Galater ci
ha mandati da te (...) disse (...):”Voi andate
dall’agrimensore come suoi assistenti”.Noi replicammo:”Ma
noi non sappiamo niente d’agrimensura”.E lui:”Questo non
ha importanza;in caso di bisogno vi insegnerà lui stesso
qualcosa. L’essenziale è che lo teniate più allegro. A quanto
mi dicono prende tutto molto sul serio. E’arrivato adesso in
paese e gli sembra già un avvenimento straordinario,
mentre invece è una cosa da niente. Dovete farglielo
capire”.
(F.Kafka,1926), Il castello, trad.it; cap.XVI).
179
Nel dopoguerra sono stati sovente rimproverati ai soldati
tedeschi gli eccessi compiuti;alcuni casi hanno anche
formato oggetto di processi, terminati quasi sempre con la
condanna a morte degli accusati. Ma le sentenze
pronunciate non possono costituire l’ultima parola su
questo capitolo.
Pur tenendo presenti le esagerazioni e le fantasticherie
proprie del carattere del popolo italiano, nonché le pressioni
esercitate ancora oggi da elementi delle bande di
formazione prevalentemente comunista, bisogna ammettere
che anche da parte tedesca sono stati commessi atti illeciti
e abominevoli.
(A.Kesselring, 1953, Soldato fino all’ultimo giorno, trad.it.;
cap.XXI).

Kesselring, capo dell’apparato bellico tedesco in Italia


durante la fase finale della seconda guerra mondiale, fu
condannato a morte, poi al carcere a vita, quindi a
vent’anni. Nel 1952 uscì di prigione. Defunse nel 1960
all’età di settantanove anni.
Le memorie di Kesserling sono fonte di qualche agro spasso
là dove presentano la guerriglia partigiana come un’attività
sleale e illegale, contraria al «diritto bellico» (sancito dalla
Convenzione dell’Aia del 1907) di un regolare esercito
occupante: se ne trarrebbe la fantasia di pattuglie tedesche
intente a multare i partigiani per contravvenzione al divieto
di combattimento senza divisa – senza «patente». (N.S.)
180
Il comitato clandestino al lavoro, di A.Fiodorov (1950), è un
grosso libro sulla resistenza ucraina contro le truppe naziste
durante la seconda guerra mondiale. Il nesci ne ricava che i
nazisti avevano il progetto di sostituire il sistema sovietico
con il loro dominio, che in questione non era soltanto una
guerra di conquista militare, ma anche politica.
Data l’estensione del territorio, i nazisti dovevano lasciarsi
alle spalle, avanzando, una rete di controllo formata da
personale politico-amministrativo “convinto” o “coinvolto”,
ciò che non doveva essere difficilissimo, infatti il sistema dei
soviet e dei colcos aveva pestato i piedi a molti ( tra i quali i
“kulaki”, contadini possidenti) e, a quanto se ne sa, non si
era risparmiato metodi assai drastici. I partigiani comunisti,
e non comunisti, lavoravano a disturbare la rete costruita
dai nazisti, quindi il loro lavoro era insieme militare e
politico, in quanto dovevano organizzare il dissenso
antinazista tra i contadini, dei quali, come si ricava dalla
lettura (questo è il pregio del libro, che appare come una
miniera, forse involontaria, di tracce), molti non erano
comunisti. I partigiani comunisti lavoravano contro la polizia
militare (Ordnungpolizei) organizzata dai nazisti (con
personale ungherese e uomini del posto). Il fronte della vera
guerra era ormai distante (a est) e i collegamenti scarsi.
Il libro, scritto da un ucraino comunista, dà una
rappresentazione ingenua e retorica, ma rivelatrice (ricco di
dettagli com’è) della consistenza dell’Urss (almeno in
Ucraina) all’inizio degli anni quaranta, seppure in una
181
situazione di eccezionalità. Il socialismo aveva vere radici
tra la popolazione (e anche nemici, com’è ovvio). Nella
situazione della guerra operavano in Urss (in Ucraina) due
fattori, quello patriottico (contro l’invasione nazista) e
quello dell’organizzazione dei comunisti. L’attacco nazista
era di conquista (petrolio ai fini delle necessità belliche,
subito) e insieme, insistiamo, di rovesciamento del
socialismo guidato dai comunisti. Il nazionalsocialismo
intendeva distruggere il socialismo, dunque: questo, al di là
della narrazione patriottica, risulta dal libro di Fiodorov,
‘due volte eroe dell’Unione sovietica’. (N.S.)
182
Tra storici e psicologi non corre buon sangue. Per i primi il
metodo psicologico applicato alla storia è urtante e
pericoloso;per i secondi il metodo storico è insufficiente,
perchè non tiene conto degli impulsi inconsci dei suoi <sic>
personaggi e soprattutto perché dà eccessiva importanza
alla categoria delle influenze. Ogni fatto è “spiegato” con
una altro fatto, ogni tendenza si determina sotto l’influsso
di un’altra tendenza simile, verificatasi altrove.
La poesia provenzale del dodicesimo secolo, ad esempio, è
spiegata come un diretto influsso della poesia araba di
analoga ispiarazione. Ma anche se i trovatori conoscevano la
poesia araba, resta da chiederci perchè abbiano subito
proprio quell’influsso tra gli altri innumerevoli.
(G.R.Taylor, s.d., Il sesso nella storia, trad.it.; “Prefazione”).

Taylor ha ragione: l’ignoranza psicologica degli storici della


letteratura e dei filologi è pari all’ignoranza storico-
filologica degli psicologi. Come se ne esce? Tramite la
categoria detta “esercizi di stile” proposta nell’omonima
raccolta di Raymond Queneau (1947 e 1976): d’uno stesso
banale sketch vengono proposte una quantità di letture o
riflessi narrativi. Tutti parziali. (N.S.)
183
Non ho mai voluto il massacro degli ebrei!E me ne frego di
chi dice IL CONTRARIO!Non volevo che certi clan ebrei ci
spingessero un’altra volta per isteria in un NUOVO
MASSACRO, è ben diverso.Come il giorno e la notte –
soltanto che si fa finta di intendere in senso opposto il mio
titolo <Bagatelles pour un massacre>! Una canagliata!
(L.-F.Céline, 1962, trad.it.; pag.108).

A pag. 79 - altra lettera dall’esilio in Danimarca - Céline


scrive:”Mi sono lanciato (come uno scemo) in questa
spaventosa avventura, che miseria!per uno scopo soltanto =
uno e UNO SOLO: impedire un’altra guerra – Che il sangue
francese non scorresse più – Ahimé!Guardi che successo!”
La linea interpretativa protestata da C. per Bagatelles è
testualmente fondata (pagg. 68, 93 e segg., 124, 133, 140
ecc. dell’edizione italiana): la disagevole quando non
penosa lettura rivela che il “massacro” in questione è quello
temuto da C. nel 1937, anno di pubblicazione del libro, a
danno dei francesi in un’ipotetica guerra contro la
Germania, secondo C. richiesta da “certi clan ebrei”,
“teoria” derivata anche dalla fama dei cosiddetti Protocolli
dei Savi di Sion, un programma ebraico di dominio mondiale
composto, sembra acclarato, dalla polizia russa nei primi del
Novecento a scopo di manipolazione del malcontento
popolare (De Michelis, 2001), tuttavia menzionato e citato
(come “autentico”) in Bagatelles.
184
In ogni caso, le intenzioni dichiarate da un autore (anche
quando non bada a difendersi) sono soltanto una parte della
verità del suo testo.

I Protocolli, dunque, sono definiti (dal 1921, precisamente


dal Times) un “falso” attribuito, ma in modo generico, al
nascente movimento sionista (A.Stern, 1991 o 1992). Manca
tuttavia un referente specifico, per esempio T.Herzl,
fondatore del sionismo e autore di un libro intitolato Lo
stato ebraico (1895). Diremmo che si tratta di un testo, più
che “falso”, apocrifo, che significa “segreto”, “occulto”,
quindi anonimo.
Che sia stato creduti ‘vero’ suggerisce, d’altra parte, che
esso costituisse il soddisfacimento allucinatorio di desideri
masochistici di un pubblico (quello europeo) affetto da
‘giudeofobia’. (N.S.)
185
Il rapimento (plagium) era definito nel diritto romano un
reato a sé stante. A differenza di quanto accade ai nostri
tempi, non era diretto a estorcere un riscatto ma ad
alimentare il mercato degli schiavi. Con una stima di dieci
milioni di schiavi e un’aspettativa di vita non molto
superiore ai venti anni, ogni anno dovevano subentrare
circa 500.000 nuovi schiavi. Non sempre le principali fonti di
rifornimento legali (vendita dei prigionieri di guerra e
commercio di frontiera) supplivano al bisogno, e il
rapimento aiutava a colmare le difficoltà di rifornimento.
(J.-U.Krause, cit.; pag.159).

Secondo il Devoto (Avviamento alla etimologia italiana),


plagio è la riduzione di un individuo in schiavitù, mentre
plagiario è chi sottrae schiavi, da qui due significati
moderni: quello d’induzione alla sottomissione (morale,
religiosa, ideologica eccetera) di una persona da parte di
un’altra, e quello di appropriazione occulta da parte di
qualcuno di un’opera dell’ingegno altrui, o di una sua parte.
L’attribuzione di plagio, nei due significati, sembra ricca di
possibilità d’errore. (N.S.)
186
Si può dire, in generale, che “quello che lo scrittore pensa
della propria opera” e quello che ne pensano i
contemporanei non abbia importanza, altro che per i dati di
fatto, sui quali la loro testimonianza è degna di ascolto; ma
non per le valutazioni, determinate da interessi e pregiudizi
personali, locali e temporali. Invece “l’interpretazione dei
lettori”, che muta dopo la morte dell’autore, è la vera vita
dell’opera (...).
E’ impossibile recuperare il passato con le sue fedi e teorie;
e quindi lo sforzo della filologia è da considerarsi,
generalmente, come un gioco di professionali, molto
stimabile quale spettacolo di ingegno, ma poco utile come
raggiungimento di valori. Essi possono essere dati soltanto
dal presente attuale di chi legge e ha diritto di giudicare
secondo il proprio sentimento, trovando nelle vestigia del
passato una cornice per il perfezionamento della propria
personalità. La sincerità assoluta di questa continua
reincarnazione è il solo criterio che renda valida la critica.
(G.Prezzolini, 1976 ?, Storia tascabile della letteratura
italiana, 1976?; ed.1993, pag.20-21).

L’autofraintendimento (eventuale) dell’autore dunque,


secondo Prezzolini, vale meno del fraintendimento
(eventuale) del lettore suo postero. (N.S.)
187
Sfogliando La Gioconda maledetta di Lichberg, Nabokov
potrebbe essersi imbattuto nel tema che aveva già
abbozzato dentro di sé. Dopo la lettura si dimenticò il
racconto. In seguito, però, interi frammenti della “Lolita”
originale riemersero dal profondo, attratti da nuove esche.
Nabokov era inconsapevole di questo riaffiorare, che gli
apparve come una sua creazione originale. Di questo
fenomeno, la criptoamnesia <sic>, che ognuno di noi
conosce in prima persona, si contano vari esemplari in
letteratura, e a Nabokov tale concetto doveva essere ben
familiare dato che, a suo dire, leggeva spesso due o tre libri
al giorno che subito poi dimenticava. Anche a lui, come ad
altri autori, può essere capitato di rielaborare scrivendo ciò
che aveva letto in precedenza.
(M.Maar, 2005, La prima volta di Lolita, trad.it.; pag.34).

E’, secondo Michael Maar, in questione la “criptomnesia”


(non “criptoamnesia”), o memoria nascosta, ricordo
inconsapevole. Lolita di Nabokov (quasi 400 pagine)
avrebbe un suo “precursore” nel racconto omonimo di Heinz
von Lichberg (10 pagine). Han fatto, di questa trovata, quel
che si dice un grazioso libretto.(N.S.)
188
Si ritiene che la credenza del potere del re di guarire i
malati col suo tocco si sia diffusa sia in Francia che in
Inghilterra, dall’XI secolo in poi. (...) In Inghilterra, la
credenza che il re potesse guarire la scrofola, toccando i
malati, sopravvisse fino al Settecento.(...).In Francia, la
superstizione sopravvisse più a lungo, perché (...) sia Luigi
XV, sia Luigi XVI, durante la loro incoronazione, toccarono
migliaia di malati e ancora nel 1824 Carlo X, in occasione
della sua incoronazione, si prestò alla stessa solenne farsa.
Si dice che i begli ingegni scettici dell’epoca di Luigi XVI
investigassero tutti i casi delle persone su cui il re aveva
imposto le mani durante l’incoronazione, e giunsero alla
conclusione che dei duemilaquattrocento che erano stati
toccati, soltanto cinque erano guariti.
(J.George Frazer, L’avvocato del diavolo, cit.; cap.II).

La cerimonia d’incoronazione potrebbe essere stata un


incubo per il sedicesimo Luigi: considerando avaramente
due secondi per ogni tocco, fanno ottanta minuti, senza
contare il resto, la messa eccetera. Stando ai “begl’ingegni
scettici”,i risultati terapeutici di Luigi XVI furono di molto
inferiori allo 0,1 per cento; ecco una ragione arcana della
sua brutta fine, nel 1793.
In Cuore tuttavia un padre deamicisiano tocca entusiasta il
figlio dopo esser stato sfiorato da un Savoia. Di funzioni ne
ha, la “solenne farsa”di toccare e di essere toccati
regalmente. Pranoterapia politico-istituzionale. (N.S.)
189
L’invenzione delle cinture di castità si deve a ragioni
psicologiche. Comunemente si crede che sia stata inventata
<sic> per proteggere i mariti assenti per lungo tempo
durante le crociate, ma Dingwall ha dimostrato che la loro
invenzione risale a molti anni più tardi.Le cinture dovevano
impedire la penetrazione anale o vaginale.In varie epoche, e
anche di recente, mariti molto gelosi le imposero alle mogli,
ma l’opinione pubblica è sempre stata contraria al loro uso,
e Brantome racconta che un venditore di questi articoli alla
fiera di Saint-Germain fu scacciato dalla folla infuriata.
(G.R.Taylor,cit.; cap.III).

I libri dimenticati, indistinta massa dietro ai “classici”, sono


la stragrande maggioranza, quindi, insieme anche a tutti i
libri rimasti ignoti, costituiscono una ricchezza immensa a
nostra potenziale disposizione (incluse i loro eventuali
corredi bibliografici). Aspettano qualcuno che li incontri, che
tolga loro la cintura di castità, che li legga, che dia loro
(nuova) vita.
Aspettano, più modestamente, anche gl’innumerevoli
quaderni manoscritti inediti. La carta è instancabile. A ogni
trasloco qualcuno rischia di esser buttato, o letto. Letto e
buttato. (Tra parentesi: Sex in History è ancora in
commercio). (N.S.)
190
Da moltissimi anni sono superstiziosa, e oltre a raccogliere
gli avvenimenti usuali della sorte, sottopongo i miei sogni a
una disamina scrupolosa per raccogliere e valutare gli
ammonimenti dell’inconoscibile. Quella mattina, mi ero
svegliata con l’impressione di un sogno confuso, ma di
lampante cattivo presagio. Mi pareva che Gustine mi avesse
dato dei fiori (fiori, dolori); che fossi in una bella casa
accanto a una grande stufa azzurra mangiando dei dolci
(dolci, amarezze) e mi cadesse un dente (caduta dei denti,
grande disgrazia).
(L.Millu, 1947, Il fumo di Birkenau, ed.2001; pag.128).

“Bella casa”, “stufa azzurra”, sono invece che cosa? (N.S.)


191
Il mago di Lublino (I.B.Singer, 1960) racconta della
trasformazione di Yasha Mazur, artista girovago e
donnaiolo, in asceta. Funambolo,illusionista, ipnotista e
apritore privo di chiave d’ogni serratura, il “mago”
s’esibisce nella Polonia di fine Ottocento, arte, mantenendo
nel contempo relazioni con almeno quattro donne diverse, la
moglie, l’assistente di scena, una signora “abbandonata”
dal marito ma consolabile, e infine una vedova cattolica con
figlia quattordicenne. Quest’ultima (“concupita”) potrebbe
diventare la quinta.
Riteniamo che le arti di Yasha metaforizzino questa sua
molteplicità erotica, e che la trama voglia suggerire una
morale: “troppa” distanza dal timor di Dio si paga cara.
Equilibrismo, acrobazie, seduzioni, inganni, trucchi
necessari per stare in tante relazioni, ad un tratto non
servono più, anzi si rivoltano contro Yasha. Una serie di
rovesci lo mette alle prese con sensi di colpa che
s’incastonano, guarda un po’, nel recupero del timor di Dio
e della religiosità nativa.
Il “mago”, ferito ad un piede per esser saltato in fretta giù
dall’appartamento dov’era entrato per rubare i soldi
necessari alla costosa fuga amorosa con la vedova, lascia
quest’ultima e insieme la prospettiva di farsi cattolico, trova
nella sua casa di Varsavia l’assistente morta suicida per
amor di lui, perde la consolabile signora sola, e forse rischia
d’essere arrestato. Tre anni più tardi lo troviamo a Lublino
chiuso non in carcere per violazione di domicilio e tentato
192
furto, ma in un casotto di mattoni fatto costruire, con
l’approvazione del rabbino, vicino a dove abita la moglie.
Medita, Yasha, prega, s’astiene. Essendo l’eccellenza la sua
cifra, il mago si fa un nome anche come asceta, e molti lo
interpellano ansiosi di risposte. Vive male nel casotto, alle
prese con le intemperie e con il demonio, ritornante
tentatore: si tormenta soprattutto a causa del suicidio
dell’assistente di scena, insomma non se ne esce. Forse
neppure Singer sa come uscire dal suo romanzo, e allora lo
chiude con la trovata dell’arrivo di una lettera della vedova
cattolica: è viva, ha ripreso marito, ancora vuol bene a
Yasha, ne sa la nuova fama di santo, e gli offre qualcosa che
sembra perdono.
“Non oso dirti che cosa sia giusto o ingiusto, tuttavia a me
sembra che tu ti sia inflitto un castigo troppo severo. (...).Il
fatto è che non hai commesso alcun delitto, hai sempre
dimostrato di avere un’indole buona e dolce. Il breve
periodo durante il quale ti ho conosciuto è stato il più felice
della mia vita.” (I.B.Singer, cit.;”Epilogo”). (N.S.)
193
Non è detto che l’autore ne sappia su se stesso più del
lettore. Quel che conta è l’opera. L’interessato è sempre la
fonte meno attendibile. Ciascuno quando parla di sé mente
sempre. Quindi di me è meglio non fidarsi, avrebbe risposto
Italo Calvino a uno studente che lo interpellava su una tesi,
così A.Grasso (Il Corriere della sera, 20 settembre ’05,
pag.47), riferendosi con ogni probabilità ad una lettera di
Calvino all’autrice di una monografia su di lui: “Non le dirò
mai la verità” (1991; p.479) (N.S.)
194
Su La Stampa del 27 dicembre ’05: Spalma la sua auto di
Nutella:torinese fermato sulla A4. Un torinese di 57 anni,
S.G., ha spalmato ieri due barattoli di Nutella sul cofano e
sulla fiancata della propria auto sostenendo che si abbinava
bene al coloro, il rosso. E’ successo sulla Torino-Milano,
nella stazione di servizio di Villarboit. L’uomo ha comprato
un primo barattolo da tre chili, ha iniziato a spalmare il
cofano;poi, dopo aver terminato, è rientrato nel market ed
ha acquistato un secondo barattolo, quindi ha proseguito la
spalmatura sulla parte sinistra dell’automobile.
E’intervenuta una pattuglia della polizia stradale che ha
chiesto un intervento sanitario:l’automobilista è stato
portato all’ospedale di Vercelli per essere visitato.
Forse era uno sperimentatore. Tipo Nanni Loi in tv negli
anni sessanta, quando in un bar inzuppava la brioche nel
cappuccino altrui, o davanti alla stazione centrale di Milano
teneva in braccio una ragazza chiedendo ai passanti di
reggergliela per un po’, ripreso da telecamere segrete. Era
un artista di (auto)strada? O, invece che alla “merda
d’artista” (Manzoni) in barattolo, si rifaceva alla cioccolata
su auto. (N.S.)
195
Idiota, dal greco idiòtes, semplice cittadino, uomo privato,
rozzo e inetto a partecipare alla cosa pubblica; da cui
stupido, ignorante. In medicina: imbecille per congenità
infermità mentale, accezione desueta.
L’idiota, di Dostoevskij; L’idiota della famiglia, di Sartre,
studio su Flaubert; Il buon soldato Sc’veik, di Hashek;
Bartleby lo scrivano, di Melville.
G.C.Croce è autore del poema popolare, Bertoldo, Bertoldino
e Cacasenno. Bertoldo è un idiota saggio, tipo Sc’veik.
“Mr.Bean”, con Atkinson, film. Stanlio e Ollio.
“I pugni in tasca”, di Bellocchio: Leone, uno dei fratelli, è un
idiota.
In Fiori per Algernon, un racconto di fantascienza, un idiota
è trasformato in genio, poi torna idiota. In “Zelig”, di Allen,
il protagonista è un idiota.
In “Oltre il giardino”, di Ashby, il protagonista è un sublime
idiota.
Peter Seller in “Hollywood Party”: leggendario. (N.S.)
196
In spiaggia un ragazzino scaglia un pugno di rena bagnata
sulla schiena di un suo simile, maggiore di età. Sembrano in
confidenza, il grande si rivolta e fa: “ma sei imbecille?”.
“Sì”, risponde il piccolo. (N.S.)
197
Il nostro tempo ha decretato, nell’ultimo scorcio di secolo,
l’idolatria del testo; è una religione che si è tentati di
condividere (...);ma solo a condizione che la Retorica (...)
non sommerga l’istinto della Filologia: come si fa a adorare
un multiplo? (...)Spesso la stampa fa soggiacere i testi alla
mutilazione di qualche tratto pertinente, mentre sotto le
ventate d’ossigeno che viene ridato agli scartafacci il
metallo si ossida;ciò che è rimasto occulto si lascia
intravedere, e certe sostanze rimosse o nascoste si fanno a
un tratto trasparenti.
(C.Garboli, 1990, Al lettore, in Trenta poesie famigliari di
G.Pascoli;pag.XXV-XXVI).
198
Avrei potuto vivere ancora una trentina d’anni; e così fuori
d’ogni legge, senza alcun documento tra le mani che
comprovasse, non dico altro, la mia esistenza reale (...).
(L.Pirandello, 1904, Il Fu Mattia Pascal; cap. VIII).

Come possa Mattia Pascal fermarsi negli alberghi e


viaggiare all’estero senza documenti per più di due anni
dopo la sua “morte”, non sappiamo. Denaro ne ha molto, in
quanto l’autore gli mette a disposizione il Casino di Monte
Carlo. Durante i suoi spostamenti, prima di stabilirsi a
Roma, incontra a Milano un tizio che si attribuisce delle
avventure (cap. IX). Non credibili, proprio come quelle del
protagonista. E’ una traccia. Giustappunto, nell’avvertenza
per la seconda edizione, Pirandello discute di
verosimiglianza della finzione e di verità dei fatti reali più
inverosimili.

A proposito di tutt’altra inverosimiglianza: si constata,


leggendo l’ultima parte de La sinfonia pastorale, di André
Gide, che Gertrude, cieca dalla nascita, incapace di parlare,
educata dal bravo pastore al linguaggio e trasformata, in
pochi anni, da bestiolina in adolescente saputella e
rubacuori, una volta operata e guarita del suo handicap,
subito si mostra capace di usare il “dono” della vista: vede
che il suo amato pastore è brutto, e che il di lui figlio,
invece, è giovane e bello. Peccato che, come illustra Oliver
Sacks (Vedere e non vedere, in Un antropologo su Marte), i
199
ciechi dalla nascita, o da lungo tempo, siano adattati alla
realtà secondo gli altri quattro sensi, e che, all’inizio, una
volta operati, non sappiano che farsene, della vista.
Dunque il romanzo di Gide non è verosimile, ( e ammettiamo
che l’autore, ai tempi, potesse non sapere quel che
sappiamo noi – ma è una concessione grossa, se si pensa a
Diderot, Lettera sui ciechi ad uso dei vedenti).

Nonostante i loro errori, dei quali sembra più ingombrante


quello gidiano, i due romanzi sono sempre gustabili, non
soltanto in forza della cosiddetta licenza poetica. Tanto è
vero che li troviamo facilmente in libreria. Magari perché
Pirandello è una gloria nazionale ed è prescritto agli
studenti?
Sono ancora leggibili, sospendendo i lettori non solo
l’incredulità, ma anche l’intransigenza. Usando attenzione
alla parola, alle prestazioni retoriche, psicologiche,
filosofeggianti, teologiche. Metafore, confessioni travestite,
meditazioni in forma narrativa. Divertimento. Entrambi
premi Nobel, i due, si manifestano dunque poco accurati,
certo, fanciullini, sventato il primo, ignorantello il secondo.
Eppure. (N.S.)
200
“Ora, se la nipote del marchese Giglio avrebbe preso parte a
quelle sedute, col consenso del nonno clericale, non
avrebbe potuto anch’ella parteciparvi? “
(L.Pirandello, 1904; cap. XIII).

Aldo Busi ha riscritto Boccaccio. Pirandello sarebbe da


riscrivere per necessità, come Manzoni, altra gloria
nazionale? No?
In questo caso: “Ora, visto che la nipote del marchese
avrebbe preso parte a quelle sedute, col consenso del
nonno clericale, non avrebbe potuto anch’ella
parteciparvi?”.
Il “se” può certo precedere il condizionale, per esempio:
non so se riuscirei a tuffarmi; comunque sia qui è brutto.
Orribile. Cacofonico. Come un atroce (che non ritrovo)
“madraccia” per “cattiva madre”, per “mammaccia”,
magari, se proprio il toscanismo è inevitabile.

Del romanzone ex nazionale, da aprire a caso e da leggere a


morsi, illeggibile da cima a fondo, a meno di una costrizione
(ospedale, carcere, clausura, mancanza d’alternative), tutti
sanno che Manzoni lo “risciacquò in Arno”. Ne La famiglia
Manzoni (N.Ginzburg, 1983) leggo che Alessandro, nel
settembre del 1827, fiorentinizzò la sua “cantafavola” con
l’aiuto di un certo Gaetano Cioni, a Firenze.
La fiorentinizzazione linguistica e lessicale di una “storia
milanese”, operazione cervellotica, kitsch, e capolavoro di
201
maldestrezza, non è tuttavia il primo dei guai del
romanzone ex nazionale. Né lo è il finale pateticamente
frettoloso. Né la profusione di buon senso e di
spiritosaggini. E neppure la mentalità provvidenzialistica,
dopotutto degna di nota.
Orribile, piuttosto, è l’arcaico condizionale presente
quando, a orecchio, sintassi a parte, servirebbe il passato,
vizio (evidente mal francese) che ritroviamo in Fogazzaro e
in Tozzi, il cosiddetto primitivo Tozzi. Che trovo, raro, in
Nievo, che incontro nella traduzione Einaudi di Bouvard e
Pécuchet. E altrove. In Boccaccio. In Gadda. M’arrendo?

“Finalmente richiese, impose come una condizione, che


l’uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella città. Il
guardiano, che aveva già deliberato che questo fosse fatto,
disse che si farebbe (...)” (cap.IV).

Al posto del condizionale presente, “partirebbe”,


“partisse”, congiuntivo imperfetto, retto bene dai verbi
“richiedere” e “imporre”. Al posto di “farebbe” “si sarebbe
fatto”, condizionale passato, pesante ma corretto.

“Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella


soddisfazione fosse solenne e clamorosa, tanto più
accrescerebbe il suo credito presso tutta la parentela (...)”
(cap.IV).
202
Al posto del congiuntivo imperfetto, “fosse” “sarebbe
stata”, condizionale; al posto del condizionale presente,
“accrescerebbe”, “avrebbe accresciuto”, condizionale
passato.

“Non volendo farsi vedere, prese per una viottola di fuori,


quella stessa per cui era venuto in buona compagnia, quella
notte così fatta, per sorprendere il curato. A mezzo circa,
c’era da una parte la vigna, e dall’altra la casetta di Renzo;
sicché, passando, potrebbe entrare un momento nell’una e
nell’altra (...)” (cap.XXXIII).

Al posto di “potrebbe entrare”, condizionale presente,


“sarebbe potuto entrare”, condizionale passato. A meno
che, qui, non sia in atto un brusco passaggio, patetico, al
presente narrativo.

“La conclusione fu che s’andrebbe a metter su casa tutti


insieme (...) appena cessato il pericolo, Agnese tornerebbe
a casa, ad aspettarvi Lucia, o Lucia ve l’aspetterebbe (...)”
(cap. XXXVII).

Al posto di “s’andrebbe”, “si sarebbe andati”, al posto di


“tornerebbe”, “sarebbe tornata”, al posto di
“l’aspettrebbe”, “l’avrebbe aspettata”.
203
Quando a scuola ci correggevano gli errori di sintassi,
decenni or sono, da allievi ardimentosi e attenti avremmo
potuto trovare uno strumento formidabile di difesa ne I
promessi sposi, un protettore in Manzoni?
Piuttosto proponiamo l’idea che l’uso illustrato, evidente
mal francese, riveli una regolazione dell’agire di cui si narra
con il tempo dell’agire stesso, contrariamente a ciò che
avviene quando, come oggi è comune, la regolazione è con il
tempo del narrare. In altri termini, l’uso “manzoniano” (o
mal francese) sottolineerebbe l’agire, mentre l’uso
“moderno” sottolineerebbe il narrare. (N.S.)
204
In un’edizione (1943) de Le Confessioni di un ottuagenario
(I. Nievo, 1867) leggiamo che l’opera è “alleggerita” “di
tutto ciò che non è essenziale all’economia del racconto”,
“per gli Italiani di una generazione che ha fretta e per la
gioventù delle scuole”, così E.Fabietti. Peccato che, nel
testo, non siano segnalati, magari con i canonici puntini, i
tagli. Intendiamoci: c’è sempre da leggere per ottocento
pagine, un centinaio di meno, però, che nell’originale.
Immediatamente si nota che nell’edizione del 1943 sono
stati tolti gl’indici riassuntivi all’inizio di ogni capitolo, utili
al riconoscimento del medesimo.
Il romanzo era stato pubblicato da Le Monnier sei anni dopo
la prematura morte di Nievo - naufragato durante un
viaggio tra Napoli e Palermo, o viceversa, su una nave che
aveva l’improprio nome di “Ercole” – col titolo
gerontologico; mentre riebbe il suo originale solo nel 1931,
nel centenario della nascita di Nievo (ed. Treves).
“L’opera, scrive E.Fabietti, s’intitolava ‘Le Confessioni di un
Italiano’; ma l’editore Le Monnier, a cui ne fu offerta la
stampa, propose di ribattezzarla ‘Le Confessioni di un
ottuagenario’, perché il pubblico non pensasse (si era nel
1867) ad una delle solite pappolate politiche di uno dei tanti
reduci dalle patrie galere, che in quel tempo scrivevano le
loro memorie.”
“Pappolata”, troviamo in un vocabolario Le Monnier del
1957 (Albertoni e Allodoli), significa “vivanda molto cotta,
che si sfa in bocca. Scritto o discorso lungo e sciocco”.
205
Il 1943, anno dell’edizione tagliata, fu importantissimo per
l’Italia, dal momento che, conseguentemente alle montanti
sconfitte belliche dell’alleanza italo-tedesca, Mussolini fu
destituito e sostituito, secondo il volere del re, con Pietro
Badoglio. La tentazione di giocarci la fine della Serenissima
messa sotto pressione napoleonica, argomento
importantissimo del romanzo di Nievo, con la fine del
regime fascista messo sotto pressione dalle forze alleate, è
forte, ma ci manca una (faticosa) lettura sinottica delle due
diverse Confessioni per eventualmente suffragare, al di là
del sospetto, tale gioco, che ci limitiamo quindi a pensare.
I tagli operati su un testo non sono mai del tutto innocenti;
essi non corrispondono sempre a “censura”, ma anche ad
esigenze di “fretta”, è vero. Tuttavia i lettori, specie se a
scuola, possono dimenticare o addirittura ignorare di aver
(avuto) a che fare con una versione parziale. Tutto
considerato, i tagli riproducono, nei lettori, l’esperienza
comune della parzialità del vedere, del sapere. Solo che
essa dipende, come nel nostro caso, da un arbitrio altrui –
magari ispirato da idiosincrasie politiche.

La “pappolata” di Nievo si cala con passione anche nelle


minute vicissitudini politiche della fine di Venezia,
logicamente non sempre imperdibili a distanza di quasi
centocinquanta anni, ma (capitolo XI) la caduta del Doge
può aver toccato un nervo scoperto, nel ’43: Doge-Duce.
(N.S.)
206
L’editore Bietti propose negli anni sessanta una traduzione
da Gautier anonima e già vecchia, a giudicare dagli
incredibili „à“ al posto degli „ha“, dagli „ò“ al posto degli
„ho“; omise di indicare la data dell’edizione originale
dell'opera (1865 o 1868), e, forse per compensazione, fornì
una versione arcaica del cognome dell’autore. Gautier
“tornò” Gauthier.
Il romanzo, bonapartistico, s’intitola La bella Jenny (La belle
Jenny), opera minore dell’autore immortale di Capitan
Fracassa.
Abbiamo pagato un euro al mercato di piazza de’ Ciompi
(Firenze), per il volume: „La bella Jenny“ è, per chiarire, il
nome di un veliero. Adesso ci ricordiamo però di aver
incontrato, anni fa, una ragazza con quel nome.

(La traduzione, ci dice Wikipedia, è di T.Cincaglini, e risale


al 1929). (N.S.)
207
Lette due vecchie traduzioni di romanzi americani, Giungla
d’asfalto e Pian della Tortilla, quest’ultima edita da
Bompiani nel 1953, di Elio Vittorini. Non disponiamo degli
originali.
Nel romanzo di Steinbeck (1935), che all’epoca deve aver
avuto molto successo (ho letto la ventunesima edizione),
pare strano che un gruppo di giovanotti accampati in una
stamberga, senza un soldo né un lavoro, bevano il loro
amato vino, acquistato in bottiglioni o fiasche da un gallone,
facendo uso ripetuto e immutato di “fruttiere”, cioè di
grosse coppe. Non neghiamo che si possa sorbire vino da
“fruttiere”, o anche da zuppiere, o da caraffe, ma stona. E’
ridicolo, più del passato remoto dell’astruso verbo transitivo
“sturacciolare”, insomma: qualcuno “sturacciolò” la sua
fiasca. Non andava bene “stappò”?
A parte i toscanismi fuori posto, dei quali pare che il titolo
sia il primo – vengono in mente Pian di Scò, Pian di San
Bartolo, Pian del Mugnone: Pian della Tortilla (bel senario)
traduce Tortilla Flat; “desinare”, “dove tu vai?”, ecc.,
troviamo un grazioso “cotolette d’Amburgo”, che
immaginiamo traduca “hamburgers”, e un’incongrua
“questura” a Monterey.
Nell’altro romanzo, Giungla d’asfalto (W.R.Burnett, 1949),
edito nel 1951 da Mondadori, tradotto da Gianni Cesana,
troviamo parole designanti alla cieca i blue-jeans e i juke-
box, probabilmente oggetti ignoti al traduttore, e comunque
al normale lettore.
208
“Due ragazzi con (...) i pantaloni rimboccati sopra i polpacci
girellavano nel locale”.
“Infine il grammofono si tacque. ‘Ancora, ancora!’ gridò la
ragazza battendo le mani. ‘Non ho più nichelini, Janie’”. Da
ultimo qualcuno fornisce le monete: “la ragazza si avvicinò
al grammofono e introdusse il nichelino. La musica si levò
nell’aria grassa della sala”.

In un libro dedicato con deferenza alla traduttrice Lucia


Morpurgo (Marcenaro, 1991) troviamo che, trovandosi
davanti alla parola “popcorn”, Lucia ne chiese, si era nel
1940, il significato a un’amica esperta. Evitando così di
prodursi in un qualche topica.
All’epoca l’influenza dei costumi nordamericani su quelli
italiani era ancora modesta, e quindi si traduceva duro, cioè
si trasferiva tutto in termini a noi noti, italianizzando
l’America. Pensiamo alle “malinconie di San Luigi” (Saint
Louis Blues), a “Nuova York”, ai George e Paul che nei film
americani anni quaranta tradotti per il mercato italiano
diventavano Giorgio e Paolo. Nazionalismo e autarchia.
Erano, come le due che abbiamo sott’occhio, traduzioni
forti, eseguite da macchine spietate, tritatutto. Tortilla Flat,
dunque, diventava, magari felicemente, Pian della Tortilla.
Ma che cosa c’entra il senario casereccio “Pian della
tortilla” con la California di Steinbeck?
209
(Curioso, verso la fine, un “bootlegger” non tradotto, e un
“amok”; l’editore avrebbe potuto curare meglio questo suo
libro di successo, magari chiedendo al traduttore di
corredare l’opera con delle note. L’amok è, in Malesia,
Indonesia, Nuova Guinea, un accesso di violenza omicida
armata da parte di un singolo nei confronti di chi si trova sul
suo esaltato percorso, per strada o in campagna (R.Gordon,
1990). Steinbeck usa questo termine in modo iperbolico,
probabilmente ironico).

D’altra parte tradurre duro significa misurarsi davvero con


l’altra lingua, entrarci dentro, magari prendendo granchi,
come pare che siano granchi la profusione vittoriniana di
“fruttiere” e le “cotolette d’Amburgo”. Oggi non si
traducono molte espressioni di inglese americano, e molti
non sanno davvero che cosa significa ciò che dicono o
scrivono. Sounds. Siamo passati dal nazionalismo autarchico
all’esterofilia cieca.

Vittorini ed altri ebbero come traduttrice segreta la citata


Lucia Morpurgo Rodocanachi (G.Marcenaro,1983). La
signora, conoscitrice delle lingue italiana, inglese, francese,
tedesca e spagnola, lavorava agli originali, veloce e alla
lettera, mentre i suoi committenti si occupavano poi di
trasformare il grezzo in qualcosa di personale. Vittorini,
gran traduttore (C.E. Gadda, 1983), ebbe l’aiuto di Lucia
Morpurgo per almeno due versioni da Lawrence. Studi
210
successivi alla pubblicazione delle lettere di Gadda a Lucia
Morpurgo - ormai sono trascorsi venticinque anni - mostrano
altre collaborazioni del genere, dov’è un « braccio » che fa
segretamente il lavoro di base e una « mente » che lo
personalizza (Marcenaro, 1991).

Parecchi anni fa scorremmo una parte della corrispondenza


di Proust traducendo velocemente quelle che via via ci
sembravano le pagine più interessanti. Recentemente
abbiamo ripreso quelle traduzioni o meglio appunti in forma
di traduzione e li abbiamo trasformati con spregiudicatezza
in una traduzione più attenta alle forme : senza rivedere gli
originali. Abbiamo ritradotto noi stessi, come probabilmente
alcuni noti scrittori del Novecento hanno ritradotto nel loro
italiano la lingua dei loro oscuri traduttori. Controllando gli
originali, per carità. (N.S.)
211
Per finire.

La definizione di “errore” ha a che vedere con il saper


distinguere da ciò che è “vero” ciò che è “falso”, da ciò che
è “giusto” ciò che è “sbagliato”, talvolta tuttavia tale
sapere è discutibile. Anche perché il sapere cambia nel
tempo, e il sapere vecchio talvolta viene detto
superstizione, si pensi alla credenza che la Terra fosse al
centro dell’universo, o che le gravidanze stessero in
relazione con le fasi della Luna, o alla stregoneria.

Il sapere “invecchiato” in certi casi diventa, se conservato,


superstizione, ma tutto il sapere invecchia, cioè la scienza
di ieri può esser vista come errore, oggi. Errore non è
uguale a superstizione, ma, secondo il nostro punto di vista,
superstizione è uguale a errore.

B.P. Levack, storico statunitense (v. La caccia alle streghe),


scrive che in Europa per numerosi secoli, fino al
diciottesimo, tutti quanti credevano nella stregoneria, ricchi
e poveri, colti e incolti, cittadini e paesani. Si credeva, a
partire dalle autorità ecclesiastiche, che le streghe fossero
in combutta con il Diavolo, e operassero malefici.
Naturalmente nei nostri termini essere in combutta con il
Diavolo non significa niente, infatti il Diavolo è una figura
che non esiste se non nella fantasia (religiosa) e
nell’iconografia: ciò ci ricorda che si può ritrarre e narrare
212
anche ciò che non esiste nella realtà visibile. Il Diavolo
esiste magari “nell’invisibile”, dove tutto si può...
Anche le streghe, che per altro furono perseguitate,
torturate e spesso uccise, credevano di essere streghe, in
molti casi, cioè credevano anche loro di essere clandestine
alleate del Diavolo e di essere capaci di operare malefici a
danno di questo e di quello. In relazione a ciò, certi eventi
malvagi potevano essere attribuiti al maleficio operato dalle
streghe, che dunque costituivano la spiegazione causale.

Autofraintendimento significa ciò che qualcuno ritene


erroneamente di fare, per esempio un lavoro scientifico,
mentre invece compie qualcosa di diverso, per esempio un
lavoro narrativo, o viceversa. In “buona fede”. Altrimenti è
in questione l’ipocrisia, che non è un errore, noi pensiamo,
ma un difetto, o, volendo, un “peccato”. Da Levack abbiamo
còlto l’idea che le cosiddette streghe fossero vittime, oltre
che delle persecuzioni, del loro autofraintendimento.

L’autofraintendimento è un errore “discutibile”, nel senso


che si può discutere la sua natura, interessantissima. E’
probabile che in qualsiasi atto possa essere presente una
“dose” di autofraintendimento, ciò che rimanda al concetto
freudiano di “rimozione”: è in questione, dunque,
l’inconscio.
213
Secondo Frazer (v. L’avvocato del diavolo), le molte
superstizioni (“errori”) di cui egli dà conto nel suo gustoso
libro (di cento anni fa) hanno avuto una funzione: quella di
far da base (sbagliata) a valori (secondo Frazer giusti) come
il rispetto della vita, della proprietà privata, del matrimonio
e del governo. In altri termini Frazer propone una
valorizzazione delle superstizioni. Con lui si potrebbe dire
che “sbagliando s’impara la socialità”.

Frazer propone che la superstizione (come abbiamo


accennato nel caso della persecuzione delle “streghe”)
consista nell’attribuire, da parte di una comunità (ma anche
da parte di singoli), a un evento che si verifica a un livello
una causa che sta ad un livello diverso. Così una sciagura di
tipo ambientale (siccità, inondazioni eccetera) viene
spiegata magari con una trasgressione sessuale avvenuta
nella comunità. Il nesso (nei fatti inesistente) tra i due livelli
messi in relazione causale è dato, ci sembra, dalla credenza
in “entità superiori” in grado di punire la comunità (o il
singolo) per la trasgressione avvenuta. La superstizione
dunque è un tipo di spiegazione, e nello stesso tempo dà
luogo a divieti (non “fornicare” eccetera). Si trova
un’illustrazione di ciò ne Il terremoto in Cile, racconto di H.
Von Kleist (1807): un sacerdote predicante ai fedeli
attribuisce la sciagura a un accoppiamento illegittimo
avvenuto per di più “ai danni” di una conversa nell’area di
un convento.
214

Inutile dire che, a parte le comunità extraeuropee (di fine


Ottocento) cui riferisce per lo più Frazer, anche noi qui ed
ora coltiviamo superstizioni collettive, e individuali,
segrete, le quali ultime possono essere viste come al
confine con la psicopatologia.

Credere che gli uccisi tornino in veste di fantasmi a punire i


colpevoli della loro morte è una superstizione senz’altro,
come lo è credere che il passaggio di un gatto di colore nero
porti sfortuna, o che il numero “17” sia infausto (XVII
anagrammato dà “VIXI”, in latino “vissi”, cioè “sono
morto”: se non è vera è ben trovata).
Che la Terra stia al centro e che i pianeti e le stelle ruotino
intorno non sembra una superstizione, ma un errore, come
che la stessa sia piatta, o come che il sangue non circoli
nell’organismo, eccetera.

Sono superstizioni gli usi di oggetti “portafortuna”, gli atti


scaramantici collettivamente usati o, invece, quelli
privatissimi, individuali, confinanti con forme di
psicopatologia, o sconfinanti in essa. Gli atti scaramantici
sono, diremmo, rituali, e non si può evitare di pensare ai
rituali collettivi di tipo religioso, per esempio quello della
liquefazione del sangue puntualmente effettuata ogni anno
(!) a Napoli, in onore di “San Gennaro”.
215
I cosiddetti miracoli, se non sono imbrogli, restano, come
suggerisce il termine, qualcosa degno di nota:
l’interpretazione dei “miracoli”, quando è religiosa e non
scientifica, a noi pare superstiziosa. Gli argomenti della
“Fede” non sono quelli della “Ragione”, chi sceglie i primi si
pone nella sfera delle superstizioni.

Le visioni della “Madonna” appartengono alla sfera delle


allucinazioni, prova ne sia che tali visioni hanno luogo
soltanto in aree cristiane. Il che non toglie che in altre aree
abbiano luogo “apparizioni” d’altro genere. Il supporto
indiscutibile, imbrogli a parte, sembra essere l’impressione
allucinatoria, che viene calata in un significato religioso.

L’attività degli esorcisti, categoria selezionata e tenuta


sotto controllo dalla Chiesa (ma esistevano esorcisti anche
presso le comunità ebraiche dell’Europa centrale, come
testimonia qualche pagina di I.B.Singer), ci porta a
ragionare in termini non lontanissimi da quelli di Frazer, nel
senso che noi riteniamo assolutamente erroneo il quadro
esorcistico, in quanto non sono in questione né streghe né
persone “indemoniate”, ma persone disturbate,
mentalmente ammalate, che, a causa dell’apparenza di
“possessione diabolica” del loro male, sono curate con
esorcismi religiosi che, tuttavia, equivalgono a pratiche
terapeutiche di tipo suggestivo. Questo significa che anche
certe forme di psicoterapia laiche hanno carattere
216
suggestivo, sono basate sul rapporto tra paziente e
terapeuta. Quest’ultimo, come l’esorcista, può lavorare
secondo fondamenti teorico-pratici sbagliati, ma
“funzionanti”.

Una pratica intrinsecamente erronea e fondata su errori può


avere risultati, per gl’individui, di sollievo, il che vale anche
per la preghiera, individuale ed estemporanea, oppure
collettivamente riconosciuta.
Noi “non crediamo”, quindi la preghiera secondo noi si
rivolge “a nulla”, come l’esorcismo si rivolgerebbe a nulla
(il Diavolo), eppure la preghiera distrae dal disagio, è un
contenitore quotidiano disponibile, è uno strumento per
dare senso ai casi della vita e così via.
Psicologicamente funziona. Questo è il punto, lo snodo per
uscire dalla tenaglia Ragione-Fede. (N.S.)
217
Libri sfruttati:

M.Aub (1957),
Delitti esemplari, trad.it.Sellerio, Palermo 1981.

G.Bateson (1976),
Prefazione a Il doppio legame, a cura di C.E.Sluzki e
D.C.Ransom, trad.it. Astrolabio, Roma 1979.

F.Benedetti (2000),
La realtà incantata, Zelig, Milano.

T.Bernhard (1969),
Eventi, trad.it.SE, Milano 2001.

T.Bernhard (1976),
La cantina, trad.it. Adelphi, Milano 1984.

T.Bernhard (1980),
I mangia a poco, trad.it. Adelphi, Milano 2000.

T.Bernhard (1982),
Un bambino, trad.it. Adelphi, Milano 1994.

T.Bernhard (1986),
Estinzione, trad.it.Adelphi, Milano 1996.

M.Bertani e M.Ranchetti (a cura di) (1999),


Psicoanalisi e antisemitismo, Einaudi, Torino.

L.Bigiaretti (1961),
La scuola dei ladri, Vallecchi, Firenze 1966.

A.Bioy Casares (1972),


“Mosche e ragni”;”Il lato dell’ombra”, ne Il lato dell’ombra
e altre storie fantastiche, trad.it.Editori Riuniti, Roma 1984.

L.Bloy (1894),
Storie sgradevoli, trad.it.F.M.Ricci, Parma, Milano 1975.

J.L.Borges (1930)
218
“Evaristo Carriego”, in Tutte le opere, vol.I,
trad.it.Mondadori, Milano 1984.

J.L.Borges (1952),
“L’idioma analitico di John Wilkins”, in “Altre inquisizioni”,
in Tutte le opere, vol.I, trad.it. Mondadori, Milano, 1984.

C.Browning (1992),
Uomini comuni, trad.it. Einaudi, Torino 1995.

Burnett, W.R. (1949),


Giungla d’asfalto, trad.it. Mondadori, Milano 1951.

J.Cage (1939-1961),
Silence, Wesleyan University Press, Middletown, 1973.
(Feltrinelli ha pubblicato una versione ridotta di questo
libro)

I.Calvino (1991)
I libri degli altri, Einaudi, Torino.

G.Caproni (1986),
Il Conte di Kevenhüller, Garzanti, Milano.

C.Castaneda (1972),
Viaggio a Ixtlan, trad.it.Astrolabio, Roma 1973.

L.- F.Céline (1937),


Bagatelle per un massacro, trad.it.Guanda, Milano 1981.

L.- F.Céline (1941),


La bella rogna, trad.it. Guanda, Milano 1982.

L.- F. Céline (1962),


Lettere dall’esilio, trad.it. Archinto, Milano 1992.

L.P.Cipriani (1981),
Nota a M.Aub (1957), Delitti esemplari, Sellerio, Palermo.
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J.Conrad (1900),
Lord Jim, trad.it. Garzanti, Milano, 1981.

J.Conrad (1900),
Lord Jim, Bantam Books, New York, 1958.

J.Conrad (1902),
Al limite estremo, trad.it. Garzanti, Milano 1978.

J.Conrad (1903),
Domani, trad.it. Palomar, Bari 2008.

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1989.

I.P.Couliano (< 1989),


“L’intervento degli zorabi in Giormania”, ne La collezione di
smeraldi, trad.it. Jaca Book, Milano 1989.

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I viaggi dell’anima, trad.it. Mondadori, Milano 1991.

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1990.

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Nicola Spinosi, di formazione letteraria e analitica, ha
insegnato nell’ambito dell’Università di Firenze. Suoi scritti
sono apparsi, tra l’altro, sulle riviste L’erba voglio (Milano),
Paragone (Firenze), Il ruolo terapeutico (Milano). Tra i suoi
libri: Effetti formativi in psicoterapia (Pisa, 2000); Wir
Kinder (Firenze, 2004); Critica sociale e individuazione
(Firenze, 2004); Un soffitto viola (Firenze, 2005). Dal 2013
diffonde i suoi scritti in forma e-book con Scribd. E-mail:
spinnic@libero.it

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