A. GIDDENS
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subordinato agli ideali della partecipazione politica incarnati nello Stato che diventa la forza motrice
dello sviluppo sociale. Marx dice che Feuerbach ha mostrato che nella religione gli uomini partecipano
in modo alienato ad un mondo irreale di armonia e felicità mentre la loro vita quotidiana è solo
dolore e miseria. Allo stesso modo lo Stato è forma alienata di partecipazione politica in cui si
incarnano diritti universali illusori come quelli dell’idealizzato mondo religioso. Secondo Marx i diritti
di rappresentanza politica servono da mediazione tra individualismo egoistico della società civile e
universalismo dello Stato. Marx dice →negli Stati esistenti la partecipazione di tutti alla vita politica è
un ideale, reale è solo il perseguimento degli interessi di parte. Il concetto vero e proprio di Stato
distinto dalla società civile è di origine moderna, solo in epoca moderna si ha la separazione tra il
privato o individuale e il politico (sfera pubblica) →la distribuzione della ricchezza dovrebbe essere
indipendente dalla strutturazione del potere politico.
Per realizzare la vera democrazia per Marx è necessario superare l’alienazione tra l’individuo e la
comunità politica, realizzare mutamenti concreti nelle relazioni tra Stato e società così che la
partecipazione universale alla vita politica da ideale diventi reale.
→la democrazia deve partire dall’uomo facendo dello Stato l’uomo oggettivato (non vale il contrario
come per Hegel). Il suffragio universale per Marx dà un’esistenza politica a tutti i membri della
società civile eliminando il politico come categoria separata.
La prassi rivoluzionaria
L’opera Critica della filosofia Hegeliana del Diritto Pubblico non è completa e va considerata come
un’analisi preliminare della politica. Essa è improntata al giacobinismo radicale →per eliminare
l’attuale forma di Stato è necessario realizzare gli astratti ideali incarnati dalla rivoluzione del 1789. Il
problema, all’epoca, era visto da Marx come una riforma della coscienza, non mediante dogmi né
mediante analisi della coscienza mistica →tutti i dogmi, politici e religiosi, devono essere messi in
discussione.
Nel settembre 1843 Marx si trasferisce in Francia ed entra in contatto con il socialismo francese: alla
fine del 1843 Marx scrive l’introduzione per la Critica del Diritto di Hegel e qui sostiene che la
soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo e il presupposto della sua vera
felicità. Si deve rinunciare alle illusioni sulla propria condizione (ormai non bastano più) e spostarsi
direttamente al campo della politica →ciò vale soprattutto per la Germania data l’arretratezza della
sua struttura sociale sul piano intellettuale, non si può più risolvere le contraddizioni esistenti ma si
deve passare alla prassi, è necessaria una rivoluzione radicale perché si possa risollevare. Marx
menziona per la prima volta il PROLETARIATO che ha appena iniziato a presentarsi sulla scena
sociale ed economica della Germania. In esso Marx trova l’universalità che Hegel cercava negli ideali
incarnati dallo Stato nazionale. Ha un carattere universale a causa della sua sofferenza universale,
non rivendica un diritto particolare perché non ha subito un torto particolare ma l’ingiustizia assoluta.
La miseria in cui si trova a vivere non è una povertà naturale che nasce dalla mancanza di risorse
materiali ma è il risultato artificiale dell’organizzazione capitalistica della produzione industriale.
Inizi 1844 Marx inizia a studiare con passione Economia Politica, da queste ricerche nascono i
Manoscritti Economico Filosofici pubblicati nel 1932 studi che lo portarono sempre più a divergere
dalla scuola dei Giovani Hegeliani. Costituiscono il primo dei tanti abbozzi del Capitale e il primo
tentativo compiuto da Marx di una critica all’Economia Politica. Qui dedica per l’ultima volta una certa
attenzione al problema della religione.
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2- Per gli economisti i rapporti economici possono essere studiati in astratto, parlano di capitale,
merci, prezzi come se tutto ciò avesse una vita indipendente dalla mediazione degli esseri umani.
Ogni fenomeno economico è invece al tempo stesso un fenomeno sociale e l’esistenza di un
particolare tipo di economia presuppone un particolare tipo di società. Per gli economisti è irrilevante
che gli oggetti reali della loro analisi siano uomini che vivono in una determinata società, è per
questo che riescono a nascondere il fatto che il capitalismo si regge su una divisione di classe
(proletariato/classe operaia e borghesia/classe dei capitalisti) →2 classi in diretto antagonismo per la
distribuzione dei frutti della produzione industriale.
L’analisi dell’alienazione della produzione capitalistica parte da un fatto economico:→quanto più il
capitalismo si sviluppa, tanto più si allarga l’abisso tra i capitalisti e gli operai e le condizioni di vita
della classe operaia diventano sempre peggiori.
I capitalisti si appropriano della ricchezza che la produzione capitalistica rende possibile e l’operaio
viene espropriato del prodotto del suo lavoro che gli apparteneva di diritto, anzi gli oggetti materiali
prodotti sono considerati sullo stesso piano del lavoratore stesso.
→L’operaio diventa merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci e tanto più valgono
le merci quanto più si svaluta il mondo umano. Il processo di produzione assume la forma di perdita
dell’oggetto e il lavoratore diventa schiavo del suo oggetto.
L’alienazione della classe operaia si fonda pertanto sulla disparità tra la forza produttiva del lavoro e
la perdita di controllo da parte dei lavoratori sui prodotti del loro lavoro che sono esterni al lavoratore
perché essi vengono appropriati da altri senza poterne trarre alcun beneficio. Siccome nella
produzione capitalistica lo scambio e la distribuzione dei beni sono determinati dall’azione del
mercato (che è tale da favorire gli interessi dei soli capitalisti) il lavoratore non ha potere di
determinare la sorte di ciò che produce. Il lavoratore è alienato anche all’interno della stessa attività
produttiva perché non ne trae alcuna soddisfazione, non rende possibile il libero sviluppo delle sue
energie fisiche e mentali perché è lavoro imposto dalla forza di circostanze a lui esterne e siccome
ogni rapporto economico è anche un rapporto sociale, il lavoro alienato ha implicazioni sociali.
In regime capitalista i rapporti umani tendono ad essere subordinati ai movimenti del mercato,
inoltre per Marx ciò che distingue la vita umana dal quella animale è che le facoltà, le capacità e i
gusti degli uomini sono foggiati dalla società in cui vivono. Ogni individuo racchiude in sé la cultura
delle generazioni che l’hanno preceduto e interagendo col mondo naturale e sociale in cui vive
contribuisce alla sua ulteriore modifica.
Il lavoro alienato degrada l’attività produttiva ad una funzione di adattamento alla natura anziché di
dominio attivo →l’uomo viene separato così dal suo essere generico, da ciò che differenzia la vita
umana da quella animale. Gli effetti dell’alienazione sono determinati dalla divisione della società in
classi ma vengono sperimentati solo dal proletariato.
Per Marx l’alienazione non riguarda solo il lavoratore salariato, anche il capitalista è subordinato al
capitale, la sua esistenza è dominata dalle leggi del denaro e dalle proprietà privata. L’alienazione
dell’uomo dal suo essere generico ha la natura di una separazione prodottasi socialmente da qualità
ed inclinazioni create dalla società stessa.
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2- Condizione necessaria per passare ad una nuova forma di società è l’abolizione della proprietà
privata quale auto-alienazione dell’uomo e l’appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo.
La società comunista non si fonderà sul perseguimento dei propri interessi egoistici ma sulla
consapevolezza della reciproca dipendenza tra l’individuo e la comunità, essa permetterà lo sviluppo
delle particolari capacità di ciascun individuo.
La concezione materialistica
La concezione materialistica della storia di Marx si stacca pertanto sia dal materialismo di Feuerbach
che dalla precedente tradizione del materialismo filosofico. La posizione di Marx è realista: le idee
sono il prodotto del cervello umano, sono gli uomini con le loro azioni a plasmare il mondo in cui
vivono e sono da esso a loro volta plasmati (anche la nostra percezione del mondo materiale è
condizionata dalla società). La storia secondo Marx è il processo in cui gli uomini creano e soddisfano
i loro bisogni generandone di nuovi. Questo è il processo che differenzia gli uomini dagli animali i cui
bisogni sono fissi e immutabili.
Il lavoro (→scambio creativo tra l’uomo e il suo ambiente naturale) è il fondamento della società
umana. Il rapporto tra l’individuo e il suo ambiente naturale è mediato dalle caratteristiche particolari
della società a cui appartiene.
Per studiare la società umana si deve costruire una scienza sociale basata su dati empirici cioè sullo
studio dell’interazione dinamica tra l’uomo e la natura. Tranne in quello presente ne L’ideologia Marx
non dà in nessun altro scritto una completa esposizione dei principali tipi di società che distingue. La
storia per Marx non è altro che la successione delle singole generazioni che da una parte continuano
l’attività ereditata e dall’altra modificano le vecchie circostanze con un’attività del tutto nuova. Marx
basa la sua classificazione della società sul grado di sviluppo della divisione del lavoro il cui aumento
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è parallelo alla crescita della proprietà privata e dell’alienazione. La formazione di una società
classista dall’originario sistema di proprietà comunitaria è collocato all’aumento della divisione del
lavoro che priva gli uomini delle loro capacità come produttori universali perché li identificano con le
loro particolari mansioni lavorative (per esempio il lavoratore salariato).
Le società pre-capitalistiche
Ogni società umana presuppone una qualche forma di divisione del lavoro, la società tribale, il tipo
più semplice, la divisione del lavoro è minima ed implica una divisione di compiti tra i sessi (donne
ruolo meno produttivo degli uomini).
L’individualizzazione è legata ad una divisione del lavoro sempre più specializzata perché
originariamente l’uomo si presenta come un esser del tutto comunitario: dalla complessità nella
divisione del lavoro deriva la possibilità di produrre un eccedenza di beni per soddisfare i bisogni
fondamentali che a sua volta porta con sé lo scambio dei prodotti mezzo che determina la
progressiva individualizzazione dell’uomo →processo che pertanto si attua nella storia. Lo stesso vale
per la proprietà che in origine era comune →quella privata non deriva da uno stato naturale ma è il
risultato dello sviluppo sociale. La società tribale più semplice è quella nomade che vive di caccia,
pesca e pastorizia: essendo nomadi gli uomini non sono integrati con l’ambiente circostante, per
diventare tali devono trasformarsi in una comunità agricola stabile, punto di partenza per il suo
successivo sviluppo parallelo all’aumento della divisione del lavoro. L’esistenza di più comunità dà
impulso al commercio, allo scambio dei prodotti (dapprima schiavi, bestiame, metalli tramite baratto
poi la produzione di una più ampia varietà di merci rende necessario l’uso del denaro) che stimola un
ulteriore specializzazione nella sfera produttiva →produzione di merci = beni prodotti solo per lo
scambio.
Nelle sue opere giovanili Marx identifica una linea di sviluppo, dalle società tribali alla società antica
(Grecia e Roma) e più tardi fa riferimenti anche alle società orientali (Cina e India) e distingue una
forma specifica di società tribale, quella Germanica che con la dissoluzione dell’impero romano ha
costituito in nesso da cui si è sviluppato il feudalesimo nell’Europa occidentale.
Società orientale: molto restia al cambiamento, tendenza al ristagno per il rigido controllo del
governo centrale e per l’autosufficienza della comunità di villaggio che contiene in sé tutte le
condizioni della riproduzione e produzione in eccedenza. Mancanza di proprietà privata della terra
(solo possesso). L’autosufficienza →limite allo sviluppo delle città a differenza della Grecia e di Roma
dove la città è elemento di centrale importanza. Per Marx lo sviluppo dell’urbanizzazione fornisce
l’indice più evidente della specializzazione nella divisione del lavoro.
Il mondo antico
La società antica è prevalentemente urbana ed è la prima forma di società divisa in classi, ha origine
dall’unione di più tribù in una città mediante patto o conquista, città che costituisce un’unità
economica.
Marx focalizza l’attenzione sul caso di Roma, società urbana in cui il proprietario terriero è anche allo
stesso tempo un cittadino urbano e la classe dominante è legata alla proprietà privata della terra
(patrizi che detengono il monopolio del bene pubblico e dell’organizzazione militare) mentre sono gli
schiavi a sorreggere l’intero peso del lavoro produttivo. Con la crescita della popolazione si verificò,
per la penuria di terra, il fenomeno dell’emigrazione forzata sottoforma di fondazione di colonie,
anche perché non c’era nessun incentivo ad aumentare la produttività sulla base delle risorse
esistenti →al ricchezza aveva valore solo per i piaceri individuali che poteva dare e il lavoro in
generale (attività commerciali, manifatturiere ecc.) era guardato con disprezzo dalla classe
dominante. All’interno della società romana i conflitti di classe si svolgono tra patrizi e plebei, i primi
sfruttavano i secondi con l’usura che influenzò negativamente l’economia perché indebolì la piccola
proprietà contadina sino alla rovina (tassi con un altissimo interesse). Allo sfruttamento dei piccoli
contadini subentrò l’economia schiavistica ma il sistema basato sulla schiavitù alla fine si disgregò e
giunse per Roma il declino perché mentre le forze produttive raggiunsero un alto grado di sviluppo
(grandi proprietà→latifondi con una produzione agricola su larga scala) la struttura della società
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impedì che tale sviluppo andasse oltre un certo punto (incapacità di commercio e industria di
svilupparsi oltre). Si ebbe un declino delle attività commerciali e allo stesso tempo la decadenza delle
città. Si abolisce la schiavitù e le grandi proprietà vengono spezzate e date ai fittavoli (piccoli poderi)
→l‘agricoltura su piccola scala riacquista una posizione preminente.
Il dominio di classe
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Per Marx le classi si formano quando i rapporti di produzione implicano una specializzazione nella
divisione del lavoro che permette l’accumulo di sovrappiù di cui si appropria una minoranza che entra
in un rapporto di sfruttamento con la massa dei produttori. Marx muore proprio mentre iniziava a
fare un’analisi sistematica del concetto di classe →che non può essere identificata con la fonte del
suo reddito né con la funzione svolta dall’individuo nell’ambito della divisione del lavoro. Nel Capitale
Marx afferma che la distribuzione dei beni economici non è una sfera separata dalla produzione ma è
determinata dal modo di produzione stesso. Le classi pertanto costituirebbero un aspetto dei rapporti
di produzione: sono cioè determinate dal rapporto tra gruppi di individui e la proprietà dei mezzi di
produzione →concezione dualistica, in genere sono due classi antagoniste, una dominante e l’altra
subalterna →rapporto conflittuale. Per esempio i capitalisti formano una classe perché sono costretti
condurre una lotta contro un’altra classe. I capitalisti sono in concorrenza reciproca sul mercato alla
ricerca del profitto.
Ideologia e coscienza
Il diritto privato ha origine dalla dissoluzione della comunità naturale reale che determina lo sviluppo
della proprietà privata. Venne per la prima volta codificato dai romani, ebbe poi una nuova fase di
formazione col sorgere del capitalismo. In diritto privato l’autorità si fonda su norme razionali e non
su prescrizioni di carattere religioso come nelle comunità tradizionali. Il sistema legale e giudiziario
moderno è uno dei principali sostegni ideologici dello stato borghese. In tutte le società classiste la
classe dominante riprende e rielabora le forme ideologiche passate per legittimare il suo dominio.
Nell’Ideologia Tedesca Marx dice che la classe che dispone dei mezzi di produzione materiale dispone
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anche dei mezzi della produzione intellettuale quindi ad essa sono assoggettate le idee di coloro ai
quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. La coscienza degli uomini è determinata
dall’attività umana sociale, il loro essere sociale determina la loro coscienza (vedi esempio del
linguaggio che è un prodotto sociale, l’espressione delle idee dipende dall’esistenza di esso,
l’individuo acquisisce le categorie linguistiche della sua coscienza in virtù della sua appartenenza alla
società). Non esiste una relazione univoca tra forme ideologiche e potere →la classe dominante
diffonde idee che devono legittimare la sua posizione di dominio, per esempio le libertà giuridiche
della società borghese di fatto servono a legittimare la realtà di un obbligo contrattuale in cui i
salariati si trovano in una posizione sfavorevole rispetto ai capitalisti.
L’Ideologia va studiata in relazione ai rapporti sociali in cui è inserita. Le idee si evolvono come
elementi della coscienza degli uomini che vivono all’interno della società e si comportano in modi
socialmente determinati. La diffusione delle idee dipende dalla distribuzione del potere economico
all’interno della società. L’ideologia fa quindi parte della sovrastruttura sociale: l’etica predominante
in ogni epoca è quella che legittima gli interessi della classe dominante. La caratteristica più
importante della sovrastruttura che è costituita da idee è che comprende un insieme di relazioni
sociali (politiche, religiose, giuridiche) che regolano un sistema fondato sul dominio di classe. I
mutamenti sociali realizzati dall’ascesa al potere di una nuova classe rivoluzionaria non sono
necessariamente uguali nei diversi tipi di società, anche se ogni processo rivoluzionario presenta
caratteristiche comuni.
Analisi dei mutamenti sociali di carattere rivoluzionario: In ogni società c’è un equilibrio tra il modo di
produzione, i rapporti sociali e la sovrastruttura, se nella sfera dell’attività produttiva si verificano
mutamenti graduali, nasce una tensione tra le nuove forze produttive e i rapporti di produzione
esistenti che diventano ostacoli allo sviluppo delle nuove forze. Da ciò nascono conflitti di classe che
sfociano in una lotta rivoluzionaria combattuta nella sfera politica e si manifestano invece come uno
scontro di principi inconciliabili nel campo ideologico. Le lotte possono concludersi o con la rovina
comune della classi in lotta (Roma) o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società
(passaggio feudalesimo/capitalismo). Dopo aver conquistato il potere il carattere rivoluzionario della
classe si trasforma in una difesa dell’ordine esistente (sua egemonia). Con l’ascesa al poter della
nuova classe si inaugura un periodo di relativa stabilità.
L’ascesa al poter della borghesia ha prodotto profondi mutamenti nei rapporti di classe dell’epoca
feudale: si ha uno sviluppo delle forze produttive impensabile in epoche precedenti, reso possibile
dalla formazione della classe sempre più numerosa di lavoratori salariati nullatenenti. Per Marx i
mutamenti storici favoriti dalla società borghese culminano con l’ascesa del proletariato.
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dell’organismo umano) è qualcosa di comune a tutte le forme di attività produttive, come il lavoro
concreto è invece un insieme di operazioni in cui tale energia viene incanalata ed è inerente alla
produzione di merci destinate ad usi specifici. Il concetto di lavoro astratto è applicabile solo alla
produzione di merci perciò costituisce una categoria storica e la sua esistenza per Marx dipende da
alcune caratteristiche intrinseche del capitalismo che richiede alla forza lavoro una grande mobilità
ed adattabilità a diversi tipi di lavoro.
Il concetto di valore di scambio intermini di unità temporali di lavoro astratto si applica non ai
lavoratori individuali ma al tempo di lavoro socialmente necessario (quantità di tempo richiesto per la
produzione di una merce nelle normali condizioni di produzione) che può essere calcolato mediante
ricerche empiriche. Con un’innovazione tecnologica si può ridurre il tempo di lavoro socialmente
necessario per produrre una certa merce si riduce così anche il suo valore. Questa analisi insieme a
quella del plusvalore si trova nel primo libro del Capitale, in cui Marx ipotizza sempre una situazione
in cui domanda e offerta siano in equilibrio mai però ignora l’importanza della domanda →per Marx
non determina il valore delle merci ma può influenzare i prezzi e svolge un ruolo nella distribuzione
più importante della forza lavoro nei diversi settori dell’economia. Quando la domanda di una merce
aumenta, i produttori di altri beni sono stimolati a spostarsi nel ramo di produzione di quella merce
così il prezzo aumentato si ridurrà in direzione del suo valore. Secondo l’analisi del valore di scambio
i prodotti vengono scambiati al loro valore, cioè , secondo la quantità di tempo di lavoro socialmente
necessario in essi incorporato. Il capitalista compra e vende merci ai loro valori reali ma alla fine del
processo deve trarne più valore di quanto ne abbia immesso, paradosso apparente che viene risolto
sulla base del fondamento necessario del capitalismo →esistenza di lavoratori liberi di vendere il loro
lavoro sul mercato, la forza lavoro umana è una merce che si vende e che si compra sul mercato.
Essa comporta dispendio di energia fisica che deve essere ricostituita con la possibilità per l’individuo
di soddisfare i bisogni connessi alla sua esistenza, perciò il valore della forza lavoro è dato dal tempo
di lavoro socialmente necessario a produrre i mezzi di sussistenza del lavoratore. L’operaio pertanto
scambia il suo stesso lavoro con il capitale. Il lavoratore impiega solo una parte della sua giornata
lavorativa per produrre l’equivalente del valore della sua forza lavoro, ciò che produce in più
costituisce il plusvalore →eccedenza di produzione di cui si appropria il capitalista è perciò la fonte
del profitto che è la manifestazione superficiale visibile del plusvalore. Il capitalista, per avviare il
processo produttivo, investe il suo denaro non solo nell’acquisto di forza lavoro (pagamento dei
salari→capitale variabile V) ma anche nell’acquisto di mezzi di produzione (materie prime→capitale
costante C); C non cambia la sua grandezza di valore nel processo di produzione mentre V è l’unico
che crea valore.
Saggio del plusvalore: è il rapporto tra il plusvalore e il lavoro necessario o tra plusvalore e
capitale variabile. (Pv/V)
Saggio del profitto: si calcola con il rapporto tra il plusvalore e la somma del capitale
costante e del capitale variabile. (Pv/C+V)
Composizione organica del capitale: è il rapporto tra capitale costante e capitale variabile (C/V).
Il saggio del profitto dipende dalla composizione organica del capitale perciò è inferiore al saggio di
plusvalore.
Nel terzo libro del Capitale Marx applica ai prezzi reali la teoria semplificata del plusvalore esposta
nel primo libro. Nel mondo reale la composizione organica del capitale varia molto da industria a
industria: per esempio nell’industria del ferro o dell’acciaio l’investimento annuale di capitale
costante è più forte che nell’industria dell’abbigliamento. Ma il capitale tende sempre a spostarsi
verso quei settori di produzione che offrono i livelli più alti di profitto. Marx conclude che le merci non
vengono vendute ai loro valori ma secondo i loro prezzi di produzione (prezzi reali delle merci che si
possono calcolare dividendo il capitale complessivo sociale per il plusvalore totale). I prezzi di
produzione sono uguali al prezzo di costo, cioè alla somma delle spese effettivamente sostenute nel
corso del processo produttivo (capitale costante + capitale variabile), più il saggio medio di profitto
sul capitale impiegato.
Perché le merci sono vendute ai loro prezzi di produzione e non ai loro valori? È la struttura
competitiva del capitalismo che ha determinato questa condizione. Per quanto complessi siano i
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rapporti tra prezzi e valori i primi dipendono dai secondi →ogni aumento o diminuzione del plusvalore
totale influenzerà i prezzi di produzione.
La teoria di Marx dello sviluppo capitalistico si fonda sulla natura del processo di formazione del
plusvalore: mentre il capitalismo è originariamente strutturato intorno ad un sistema di libero
mercato in cui le merci trovano i loro valori sulla base dell’iniziativa imprenditoriale individuale, la
tendenza della produzione capitalistica mina le condizioni materiali su cui si fonda l’economia
capitalistica.
La teoria dell’impoverimento
Le crisi favoriscono la crescita della coscienza rivoluzionaria perché rendono manifesta la comune
situazione di classe del proletariato.
Esercito industriale di riserva →gruppo stabile di disoccupati, lavoratori espulsi dalla produzione per
la meccanizzazione, indispensabile al sistema capitalistico perché ha la funzione di contenere il livello
dei salari (quello che per gli economisti è il saggio naturale di disoccupazione). In periodi di
prosperità parte di esso viene riassorbito nella forza lavoroin altri costituisce una fonte potenziale di
lavoro a buon mercato che blocca i tentativi della classe operaia di migliorare la propria condizione.
L’esercito cresce sempre più con lo sviluppo del capitalismo ed è costretto a vivere in condizioni di
estrema povertà →sfruttamento crescente dell’operaio man mano che il capitalismo si sviluppa a cui
è collegato anche un crescente divario tra i redditi della classe capitalistica e i salari della classe
operaia. Per Marx i veri effetti del capitalismo sulla classe operaia sono gli effetti alienanti della
divisione del lavoro che avviliscono l’operaio a insignificante appendice della macchina.
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Concentrazione e centralizzazione
L’aumento della composizione organica del capitale che si verifica con lo sviluppo del capitalismo è
connesso con una tendenza alla concentrazione e alla centralizzazione del capitale.
1- Concentrazione →singoli capitalisti allargano la quantità di capitale sotto il loro controllo.
Maggiori sono le risorse controllate da un singolo imprenditore e maggiore è la sua efficienza
produttiva perchè è in grado di affrontare più facilmente recessioni causate da temporanee
contrazioni del mercato. In generale le grandi unità produttive tendono ad eliminare le più piccole dal
mercato ed assorbirne i capitali.
2- Centralizzazione →processo di fusione di capitali già esistenti.
Riceve ulteriore impulso dal sistema creditizio (banche) che al tempo stesso però elimina il carattere
privato del capitale perché ne toglie il controllo dalle mani dei singoli capitalisti. Esso è organizzato
come una singola impresa capitalistica sulla base del profitto privato che proviene dagli interessi sulle
somme prestate.
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Tuttavia i suoi primissimi scritti prendono in esame le opere di alcuni autori tedeschi contemporanei:
tra il 1885 e il 1887 Durkheim pubblica alcune critiche sull’opera di Shaffle, di Lilienfeld e altri
sociologi tedeschi sostenitori della teoria organicista secondo la quale le leggi accettate che regolano
il funzionamento e l’evoluzione degli organismi animali forniscono un modello utile per porre i
fondamenti di una scienza naturale della società. Durkheim condivide alcune tesi di Shaffle per
esempio Shaffle condusse una feconda analisi morfologica delle fondamentali componenti strutturali
delle diverse forme di società servendosi di analogie con il mondo organico e paragonando le varie
parti della società agli organi e ai tessuti del corpo senza però dedurne i caratteri dell’organizzazione
sociale ma solo come metafore per facilitare l’analisi della sociologia. La differenza tra vita organica e
vita sociale →per Shaffle e per Durkheim la vita dell’organismo animale è regolata meccanicamente,
la società invece è unita da legami di idee, non da una relazione materiale. Concetto di società ideale
→la società ha specifici caratteri diversi da quelli degli individui che la compongono perché la società
non è un aggregato di individui ma preesiste e sopravvive ad essi, ha quindi una propria vita, una
propria coscienza, propri interessi e un proprio destino. Con ciò, Shaffle, rifiuta la concezione di
Rousseau dell’individuo isolato più libero e felice nello stato di natura che quando è unito in società.
La vita umana è superiore all’esistenza animale grazie al patrimonio culturale e tecnologico
accumulato dalla società: ideali e sentimenti di una società sono impersonali, si sviluppano
socialmente non sono perciò né prodotto né proprietà dei singoli individui. Secondo Durkheim l’opera
degli autori tedeschi rivela i grandi progressi realizzati in Germania nello studio della società mentre
in Francia, patria natale della sociologia, vi è un notevole ritardo.
Nel 1887 Durkheim pubblica “la scienza positiva della morale in Germania” il cui scopo è di
esaminare i contributi che gli studiosi tedeschi hanno dato alla fondazione di una scienza della vita
morale. Mentre in Francia esistono solo due generi di teoria morale (idealismo Kantiano e
utilitarismo) i sociologi tedeschi hanno iniziato a porre l’etica su una base scientifica:la società è
un’unità con proprie caratteristiche specifiche diverse da quelle degli individui che la costituiscono
(un intero non è in questo caso uguale alla soma delle parti) principio che deve essere applicato
anche alle regole morali della vita all’interno della società: la moralità è una proprietà collettiva da
studiare in quanto tale e così vale per lo studio dei fenomeni economici che non sono separati dalle
norme morali che regolano la vita degli individui →le relazioni economiche sono sempre soggette a
regole sancite dalla tradizione e dalla legge senza le quali nel mondo economico regnerebbe un
disordine caotico. Siccome la vita umana non si può ridurre a poche massime formulate
astrattamente, per Durkheim, i tedeschi hanno il merito di aver dimostrato che l’etica (regole e
azioni morali) va studiata scientificamente , nelle sue forme concrete come proprietà
dell’organizzazione sociale perché esse sono modellate dalla società sotto la pressione dei bisogni
collettivi. Durkheim analizza anche lo studio di Wundt sull’importanza fondamentale delle istituzioni
religiose nella società: per Wundt, la religione costituisce una forza che promuove l’unità sociale
perché offre ideali da seguire. Durkheim aggiunge che gli ideali possono mutare nelle diverse società
ma sono comunque sempre esistiti perché corrispondono ad un bisogno radicato nella natura umana
e per Wundt l’individualismo è solo un prodotto dello sviluppo sociale.
Secondo Durkheim le azioni morali hanno due aspetti, entrambi essenziali al loro funzionamento:
1- Attrazione positiva verso un ideale
2- Carattere di obbligo e costrizione
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condizione normale prodotta dalla specializzazione nella divisione del lavoro è una condizione di
stabilità organica. Questo effetto di coesione non va però interpretato in termini utilitaristici non è
cioè il risultato di vari contratti individuali perché il contratto ha norme che non derivano da vincoli
contrattuali ma costituiscono gli impegni morali generali. Il culto dell’individuo inoltre corrisponde al
processo di individualizzazione prodotto dall’espansione della divisione del lavoro ed è la base morale
su cui esso si fonda. L’opera. Afferma lo stesso Durkheim, è un tentativo di considerare i fatti della
vita morale con il metodo delle scienze positive, distinto da quello della filosofia morale: Durkheim
non vuole derivare la morale dalla scienza ma fare la scienza della moralità che ha lo scopo di
studiare come i cambiamenti delle forme sociali determinino i mutamenti nei caratteri delle norme
morali, li vuole quindi osservare, descrivere e classificare.
L’espansione dell’individualismo che dipende dall’aumento della divisione del lavoro determina la
specializzazione delle mansioni lavorative quindi favorisce lo sviluppo di talenti, capacità specifiche
che sono prerogativa solo di gruppi particolari. Nell’epoca di Durkheim sono radicati gli ideali per cui
la personalità individuale deve svilupparsi in base alle qualità specifiche che si possiedono per cui
ognuno deve ricevere un’educazione differenziata. Allo stesso tempo però sono diffusi anche altri
ideali che esaltano l’individuo universalmente sviluppato →ideali morali contraddittori (dobbiamo
specializzarci - dobbiamo realizzare tutti lo stesso ideale). Per Durkheim si può capire l’origine solo
analizzando storicamente e socialmente le cause e gli effetti dell’espansione della divisione del lavoro
che deriva dal modo di produzione industriale moderno, ma anche negli altri settori della società
contemporanea si osserva lo stesso processo (politica, diritto, scienza, arte) →la specializzazione
sempre più evidente in tutte le aree della vita sociale. Il suo aumento può paragonarsi ad alcuni
principi biologici (in principio, nella scala evolutiva, organismi di natura semplice poi quelli con un
livello più elevato di specializzazione interna delle funzioni). Per capire il significato della
specializzazione della divisione del lavoro si devono confrontare i principi organizzatori della società
sviluppate con quelli delle società progredite tentando di misurare i cambiamenti nella natura della
solidarietà sociale→non misurabile direttamente quindi Durkheim fa riferimento alle regole del diritto
che la rappresentano perché in ogni forma di vita sociale stabile, le regole morali sono sempre state
codificate in leggi. Un precetto giuridico è una regola di condotta che viene sancita: ci sono sanzioni
repressive (per i delitti, diritto penale) che impongono all’individuo una punizione per la sua
trasgressione e sanzioni restitutive che ristabiliscono, tramite un risarcimento, i rapporti quali erano
prima della violazione. Il diritto repressivo non specifica la natura dell’obbligo morale (indica solo le
pene) perché ciascuno lo conosce e lo accetta. Per Durkheim affinché possa perdurare il diritto
penale nel sistema giuridico di una data società deve esistere una coscienza collettiva definita da un
insieme di credenze e sentimenti condivisi dai membri della società. Per Durkheim la funzione
primaria della pena è di tutelare e riaffermare la coscienza collettiva di fronte agli atti che mettono in
dubbio la sua sacra inviolabilità. Nelle società più semplici la personificazione delle credenze e dei
sentimenti comuni della coscienza collettiva è rappresentata da un sistema religioso unitario che
regola non solo i fenomeni religiosi ma anche la morale, il diritto (penale), la scienza e la politica.
Sono società in cui i legami di coesione si fondano sulla solidarietà meccanica: hanno una struttura
segmentata perché formate da una serie di gruppi (clan) politico-familiari simili tra loro
nell’organizzazione interna. Nel loro insieme formano, in quanto unità culturale (credenze e
sentimenti condivisi da tutti i membri), una società ma ogni gruppo di tale società può distaccarsene
senza causare danni agli altri che sono autosufficienti. Posto questo viene lasciato poco spazio per la
differenziazione degli individui: ogni individuo è un microcosmo delle totalità, la personalità collettiva
è la sola che esista così vale per la proprietà.
Non affronta per nulla il problema della proprietà privata.
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divisione del lavoro perché esso protegge i diritti degli individui nei confronti della proprietà privata o
di altri individui con diversa posizione sociale. Questo tipo di coesione è la solidarietà organica: la
solidarietà non deriva da accettazione di credenze e sentimenti comuni ma dall’interdipendenza
funzionale nella divisione del lavoro. La solidarietà organica presuppone non la somiglianza ma la
differenza tra gli individui nelle azioni e nelle credenze →crescita individualismo e perdita
d’importanza della coscienza collettiva anche se credenze e sentimenti riconosciuti collettivamente
non scompaiono del tutto nelle società più complesse.
Durkheim qui critica H: Spencer: non è vero che ognuno persegue solo il suo interesse personale
perché la società si disgregherebbe subito →l’interesse è la cosa meno costante del mondo.
Durkheim contro l’utilitarismo →questo ritiene che la causa nell’aumento della divisione del lavoro sia
la maggior ricchezza materiale che si può ottenere dalla specializzazione e dallo scambio più
aumenta la produzione, tanto più aumenta la produzione tanto più sono soddisfatti i bisogni umani e
tanto più aumenta la felicità umana. Durkheim obietta questa posizione che peraltro è smentita
dall’esperienza →l’altra incidenza del suicidio nella società contemporanea dimostra che la
differenziazione dei ruoli sociali non determina necessariamente un aumento del livello di felicità. La
divisione del lavoro si sviluppa invece con la graduale scomparsa della società segmentata, con
l’instaurazione di relazioni tra gruppi prima isolati che sono perciò stimolati allo scambio sia
economico che culturale →più numerosi sono gli individui a contatto per poter agire e reagire gli uni
su gli altri, quanto più aumenta la divisione del lavoro. La frequenza di questo contatto è chiamata da
Durkheim densità morale o dinamica: il suo aumento dipende dall’aumento della densità fisica della
popolazione. Più una società è voluminosa e densa più aumenta la divisione del lavoro.
Individualismo e anomia
La specializzazione della divisione del lavoro determina quindi una diminuzione del grado di diffusione
della coscienza collettiva nella società. L’espansione della divisione del lavoro è concomitante con lo
sviluppo dell’individualismo che può svilupparsi solo a spese delle credenze e sentimenti comuni.
Nonostante questo la società contemporanea conserva un assetto morale: la coscienza collettiva si è
di certo consolidata nel culto dell’individualismo il cui sviluppo è stato possibile solo con la
laicizzazione di molti settori della vita sociale →i sentimenti e le credenze comuni dell’individuo si
accentrano sul valore e sulla dignità dell’individuo non su quelli della collettività. Il culto
dell’individualismo è il corrispondente morale dell’espansione della divisione del lavoro ma è diverso
per il contenuto delle forme tradizionali di comunità morale: perché allora tutti i conflitti del mondo
moderno? Per Durkheim il sorgere del conflitto di classe tra capitale e lavoro ha accompagnato
l’espansione della divisione del lavoro derivata dall’industrializzazione: il conflitto però non deriva
dalla divisione del lavoro ma dal fatto che la divisione delle funzioni economiche ha sopravanzato lo
sviluppo di un sistema di regole morali ad esso adatto, in assenza di queste la formazione delle
relazioni contrattuali tende ad esser determinata dall’imposizione di una forza coercitiva →divisione
coercitiva del lavoro. I conflitti si possono eliminare solo se la divisione del lavoro procede
parallelamente alla distribuzione della capacità e dei talenti e se le posizioni più elevate non sono
monopolio di una sola classe. La situazione attuale per Durkheim è transitoria perchè la progressiva
scomparsa dell’ineguaglianza di possibilità è una tendenza storica che accompagna l’espansione della
divisione del lavoro.
La divisione del lavoro è uno stato anomico per cui non produce ovunque coesione.
Condizione di uguaglianza solo come uguaglianza delle opportunità→uguaglianza sociale: tutti hanno
la possibilità di partecipare alla costruzione e alla conduzione della società stessa in modo attivo e
paritetico.
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presentate in “La divisione del lavoro”. La preoccupazione di Durkheim è scoprire la natura di questa
lacuna morale nelle società contemporanee con una precisa analisi del fenomeno applicando il suo
metodo sociologico (il suicidio solo a prima vista può sembrare un fenomeno individuale). Mentre gli
esperti di statistica avevano concluso che l’andamento dei tassi di suicidio, presentando una
distribuzione uniforme di anno in anno con fluttuazioni periodiche, dipende da fenomeni di carattere
geografico, biologico o sociale distribuiti in modo uniforme, Durkheim sostiene che i primi due
fenomeni non possono spiegare la distribuzione dei tassi di suicidio ma solo il terzo, quello sociale.
Nell’Europa occidentale si nota che esiste un netto rapporto tra tassi di suicido e confessione
religiosa: più bassi nei paesi cattolici più alti nei paesi protestanti ma, poiché entrambi i credi
proibiscono il suicidio con ugual severità, la spiegazione va cercata nella differenza
nell’organizzazione sociale delle due chiese. Differenza evidente →il protestante è incoraggiato al
libero esame, egli è solo davanti a Dio, senza punti di riferimento, quindi la chiesa protestante è
meno integrata di quella cattolica dove invece si ha il clero la cui autorità in materia di dogmi religiosi
è vincolante. Per Durkheim è il rapporto che intercorre tra i tassi di suicidio e il grado di integrazione
nei vari settori della società che può spiegare l’andamento. Per esempio: integrazione nella struttura
familiare: i non sposati in genere presentano tassi di suicidio più alti degli sposati di età
corrispondente → rapporto inverso tra tassi di suicido e grandezza dell’unità familiare, lo stesso vale
per tassi di suicido in tempo di guerra o crisi politica che determinano un coinvolgimento,
un’integrazione più salda della società →diminuiscono rispetto ai tempi di pace.
Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui l’individuo fa parte.
Si parla di suicidio egoistico caratteristico della società contemporanea →conseguenza di uno stato in
cui l’io individuale si afferma eccessivamente rispetto all’io sociale e a danno di questo. È quindi in
correlazione con lo sviluppo del culto dell’individuo (personalità). Altro tipo di suicidio è quello
anomico: lo stato anomico è privo di regolazione morale (nelle relazioni economiche) →i tassi di
suicido sono più alti nell’industria e nel commercio che nell’agricoltura: nei primi due settori i tassi di
suicido son inversamente proporzionali al livello socio-economico, più alti tra i benestanti e liberi
professionisti, più bassi tra i disagiati →le ristrettezze economiche costituiscono una fonte di freni
morali, le occupazioni più elevate invece sono svincolate da una costante regolazione morale.
Anche nei periodi di depressione economica i tassi di suicido presentano un forte aumento ma questo
vale anche per periodi di forte prosperità →le fluttuazioni del ciclo economico hanno un effetto
distruttivo sui modi tradizionali di vita perché le abituali aspettative sono messe in crisi. L’anomia per
tanto come l’egoismo è una delle fonti da cui si alimenta la massa dei suicidi. Il suicidio anomico è
patologico, per cui non è una caratteristica inevitabile delle società contemporanee. Suicidio egoistico
e suicidio anomico sono connessi: inevitabile che l’individuo egoista tenda a porsi fuori dalla
regolazione morale, essendo distaccato dalla società questa non ha influenza per controllarlo.
Nelle società tradizionali si ha una terza forma di suicidio quello altruistico obbligatorio →in certe
situazioni l’individuo ha il dovere di uccidersi. Altruistico facoltativo quando fa parte della
conservazione di codici d’onore e prestigio. Entrambi presuppongono l’esistenza di una forte
coscienza collettiva che domina le azioni dell’individuo.
Esteriorità e Costrizione
Esteriorità non è un criterio empirico.
Durkheim sostiene che il fenomeno del suicidio vada esaminato attraverso ricerche empiriche e il
metodo deve essere il risultato della pratica. La psicologia non può invece spiegare il fenomeno ma si
può limitare a studiare i motivi e le condizioni che spingono determinati individui a suicidarsi. È
nell’opera “Le regole del metodo sociologico” (1895) che Durkheim rende espliciti i criteri
metodologici della sociologia che ha come oggetto lo studio dell’uomo nella società. Durkheim cerca
dapprima di definire il concetto di fatto sociale (superiore storicamente e spiritualmente all’individuo)
→i fatti sociali sono esterni all’individuo in due sensi:
1) ogni uomo nasce in una società che già sussiste e che condiziona la sua personalità
2) ogni individuo è solo un singolo elemento all’interno della totalità delle relazioni sociali che
sono create da molteplici interrelazioni tra gli individui.
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Nessuna teoria o analisi che parta dall’individuo può comprendere le specifiche proprietà dei
fenomeni sociali. I fatti sociali per Durkheim risiedono nella società che li produce e non nelle sue
componenti. Per determinare allora la natura dei fatti sociali, Durkheim usa il criterio della costrizione
morale (criterio empirico): ci sono modelli di comportamento che non sono creati dall’individuo ma
costituiscono parte di un sistema di doveri morali in cui è inserito insieme agli altri uomini (esempio
della paternità →duplice aspetto, biologico -con la procreazione- e morale -leggi che impongono certi
comportamenti-). Il rispetto di tali doveri per Durkheim si fonda raramente sul timore delle sanzioni
applicate per le trasgressioni, nella maggior parte dei casi infatti gli individui riconoscono la
legittimità dell’obbligo e non sono consapevoli del suo carattere coercitivo. L’obbligo morale però ha
anche un altro aspetto →l’adesione all’ideale che sta alla base di esso.
Funzione di un fatto sociale →solo sociale ed è sufficiente esaminare i fatti sociali per poter
comprendere la società e regolarla.
Normalità e patologia
Durkheim rifiuta il dualismo Kantiano tra mezzi e fini →tutti i mezzi sono essi stessi dei fini e la
dicotomia può essere superata applicando principi simili a quelli che regolano in biologia la
distinzione tra normalità e patologia. Nel campo sociale, per Durkheim, si può individuare ciò che è
normale tramite la caratteristica esterna e visibile dell’universalità, considerando cioè il prevalere di
un fatto sociale nelle società di un dato tipo. Un fatto sociale è quindi normale se si dimostra che
questa generalità si fonda sulle condizioni di funzionamento di quel tipo di società.
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alquanto scarsa. Facendo riferimento alla crisi delle società contemporanee (anche nel suicidio)
Durkheim afferma che non si tratta di crisi con radici economiche pertanto non può risolversi con
provvedimenti economici. Per Durkheim i programmi dei socialisti sono incapaci di cogliere i problemi
più importanti dell’era moderna. Il socialismo è sicuramente una manifestazione del malessere della
società contemporanea ma non è una base sufficiente alla necessaria ricostruzione sociale per
superarla. Per Durkheim le teorie socialiste vanno studiate in rapporto al contesto sociale in cui
sorgono, distingue tra comunismo e socialismo: le idee comuniste si sono presentate in vari periodi
storici (socialismo →prodotto di un recente passato). Platone, Thomas Moore, Campanella →autori
comunisti le cui opere hanno forma di utopie immaginarie dove causa primaria dei mali della società
è la proprietà privata. La ricchezza materiale è considerata un pericolo morale, inoltre la vita
economica è sempre separata dalla sfera politica →no influenza.
Il socialismo invece è il risultato dei cambiamenti sociali che hanno trasformato le società europee tra
il XVIII e il XIX secolo: il presupposto è che politica ed economia vanno unificate →la produzione va
accentrata nelle mani dello stato che ha il compito di dirigere e amministrare l’economia. Inoltre il
socialismo sostiene che la produzione industriale moderna realizza un’abbondanza di beni per tutti i
membri della società. Prevede la regolazione e il controllo della produzione per moralizzarla e
vincolarla allo Stato. Nel comunismo anche si parla di regolazione della produzione per escludere
però lo Stato, perché il consumo è comune la produzione rimane privata.
Durkheim sostiene che il comunismo è un credo politico adatto alle società con un basso sviluppo di
divisione del lavoro (sorge infatti in esse per la prima volta) dove ogni individuo o famiglia è un
produttore universale e non c’è cooperazione nella produzione. Ma ciò che ognuno produce non gli
appartiene, lo consegna alla società e ne fa uso solo quando la società ne fa collettivamente uso.
(vedi Utopia). Il socialismo invece poteva sorgere in società dove la divisione del lavoro è molto
sviluppata. Secondo Durkheim la lotta di classe non è parte essenziale dei principi fondamentali del
socialismo: i socialisti sostengono che solo abolendo le classi si può abolire il carattere di
sfruttamento della società capitalistica dove la condizione della classe operaia è determinata dal fatto
che la sua attività produttiva è al servizio esclusivo degli interessi dei capitalisti. Ma per Durkheim la
lotta di classe è il solo mezzo storico con cui si devono realizzare finalità più importanti e il
miglioramento delle condizioni dei lavoratori può derivare dal collegamento delle attività economiche
con gli organi direttivi della società.
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delle tutela e della difesa dei diritti dell’individuo. L’espansione dello Stato è pertanto legata al
progredire dell’individualismo morale all’aumento della divisione del lavoro. Durkheim ammette la
possibilità che lo Stato diventi un apparato repressivo staccato dagli interessi degli individui quando i
gruppi secondari che agiscono tra individuo e Stato non sono molto sviluppati e saldi da
controbilanciare lo Stato. Per Durkheim è necessario il pluralismo: richiesta di rinascita delle
associazioni professionali (corporazioni) per la sua idea di democrazia. Una società è più o meno
democratica nella misura in cui in essa esiste una comunicazione reciproca tra Stato e gli altri livelli
della società. Dall’esistenza di un sistema democratico deriva che la condotta della vita morale
assume un carattere consapevole. Lo Stato si occupa quindi della vita economica, dell’educazione,
dell’amministrazione della giustizia, dell’organizzazione delle arti e delle scienze. Ruolo dello Stato in
democrazia →lo Stato è l’io sociale, la coscienza sociale, la coscienza collettiva invece è l’anima
sociale (comprende vari modi di pensare abituali). Lo Stato guida la società spesso dando origine ad
idee innovative ma allo stesso modo è guidato dalla società. La funzione primaria delle associazioni
professionali per Durkheim è rafforzare la regolazione morale nei punti di scambio tra strati con
occupazioni diverse e promuovere così la solidarietà organica. È il loro ruolo sociale, devono essere
sottoposti al controllo giuridico dello Stato e svolgere un ruolo importante direttamente nella sfera
politica oltre ad attività educative e ricreative.
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Questa forza sacra assume la figura di un totem perché questo è il simbolo del clan ed è ad esso che
si fissano i sentimenti comuni che identificano il gruppo. Che un dato oggetto possa o no diventare
sacro non dipende dalle sue proprietà intrinseche ma dalla forza sacra che scaturisce dalla collettività
riunita (si realizza attraverso gli individui e trascende dalla collettività stessa).
Le Opere Giovanili
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1889: Weber scrive la sua tesi di laurea, essa tratta tecnicamente dei provvedimenti di legge che
regolano la imprese commerciali medioevali dando particolare rilievo alle città mercantili (Genova,
Venezia), evidenziando il tipo di capitalismo commerciale sviluppato determinò un sistema di leggi
che regolavano come rischi e profitti si dovevano suddividere tra i partecipanti all’impresa. Già qui si
nota l’interesse di Weber per l’influenza del diritto romano sullo sviluppo del sistema giuridico
europeo medio e post medioevale. Roma è al centro del secondo lavoro di Weber ancora di natura
tecnica: è un analisi dell’evoluzione della proprietà terriera a Roma, aspetto collegato ai mutamenti
giuridici e politici (Come Marx, anche Weber intravede nell’antica Roma alcuni elementi che
determinarono la formazione del capitalismo moderno). Nonostante la loro relativa importanza questi
scritti manifestano già la preoccupazione di Weber per un problema che diverrà centrale nella sua
opera successiva: natura nell’impresa capitalistica e caratteristiche del capitalismo europeo
occidentale.
In seguito Weber pubblica una ricerca sulla condizione dei contadini all’est dell’Elba e altre sul
capitale finanziario in Germania. Le conclusioni a cui Weber pervenne lo condussero direttamente ai
problemi affrontati in “L’etica protestante”.
Tra il 1894 e il 1897 Weber scrive articoli sulla Borsa e sui suoi rapporti con il finanziamento delle
imprese: per Weber la Borsa non è un mezzo di cospirazione contro la società, con cui solo una
minoranza di capitalisti può arricchirsi ma svolge una funzione di mediazione nell’economia, cioè
l’imprenditore può facilitare l’espansione della sua impresa sulla base di una pianificazione nazionale,
la borsa quindi promuove il comportamento razionale del mercato anche se l’espansione delle
operazioni commerciali ha l’effetto di neutralizzare i vincoli etici necessari al funzionamento delle
transazioni commerciali.
1892: Weber scrive uno studio sul lavoro agricolo nella Germania orientale: il fiume Elba costituisce
una vera e propria linea di demarcazione per quanto riguarda la struttura dell’impresa agricola: ad
ovest i contadini sono per la maggior parte agricoltori indipendenti mentre ad est, si trova ancora
un’organizzazione semi-feudale con gli Junker che conservano grandi proprietà e i contadini legati ai
loro datori di lavoro da contratti annuali (simili ai contadini medioevali) o salariati e pagati
giornalmente (simili al proletariato industriale). Gradualmente i secondi sostituiranno i primi e questo
processo cambierà la struttura complessiva della proprietà perché i giornalieri sono assunti sulla
base di un contratto salariale senza avere alcun rapporto organico con il contesto sociale in cui
vivono i lavoratori tradizionali (non hanno solo un rapporto economico con i datori di lavoro ma
anche precisi diritti e doveri) per cui il loro interesse primario è ottenere il salario più alto possibile.
Ciò determina un maggior conflitto economico fra lavoratori e datori di lavoro ed un peggioramento
delle condizioni di vita dei lavoratori. Nonostante ciò Weber nota la tendenza da parte dei lavoratori
annuali a rinunciare alla propria sicurezza (esistenza incerta del giornaliero) per la ricerca della
libertà personale dai vincoli di dipendenza di tipo patriarcale e per conservarla saranno disposti a
sopportare le più dure privazioni. Le conclusioni raggiunte da Weber nei suoi studi giovanili lo
spinsero sempre più a contatto con i problemi su cui si era impegnato il pensiero Marxista
(capitalismo, caratteristiche, condizioni di nascita e sviluppo).
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mutamenti economici avvenuti con il primo sviluppo del capitalismo. Il capitalismo moderno non è
fondato sulla ricerca amorale di guadagno personale ma sull’obbligo e la disciplina del lavoro
concepito come un dovere. L’avarizia e l’egoismo si trovano in tutte le società ed ancor più in quelle
pre-capitalistiche. Per Weber le caratteristiche dello spirito del capitalismo moderno sono: il
guadagno, considerato come lo scopo della vita dell’uomo tramite un’attività economica legittima e
non è più il mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali (inversione del rapporto naturale), la
professione concepita sia come dovere sia come virtù, i mutamenti tecnologici che hanno
determinato una ristrutturazione razionale della produzione finalizzata alla massimizzazione
dell’efficienza, anche delle piccole imprese ancora gestite con modelli tradizionali. Tali mutamenti
sono il risultato dell’introduzione di un nuovo spirito di iniziativa imprenditoriale (spirito capitalistico)
che si trova in contrasto sia con la vita a giornata del contadino sia con il capitalismo di avventura
(ricerca del guadagno attraverso la pirateria o la conquista militare). Il concetto di vocazione
professionale si è configurato al tempo della Riforma: la vocazione dell’individuo consiste nel
compiere il suo dovere verso Dio mediante una condotta morale nella sua vita quotidiana, da qui
deriva il distacco del Protestantesimo dall’ideale cattolico di vita monastica, con il rifiuto del mondo e
la sua accentuazione degli scopi mondani.
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riallaccia ad una tradizione positivistica, Weber rifiuta la nozione comptiana per la quale le scienze
sociali implicherebbero un’estensione dei metodi delle scienze naturali allo studio dell’uomo.
Soggettività ed Oggettività
Il primo saggio è una critica a Rocher e Knies, Weber ammette che le scienze sociali riguardano
fenomeni spirituali o ideali di natura umana del tutto estranei all’oggetto delle scienze naturali
→differenziazione tra soggetto ed oggetto che però non esclude che le scienze sociali possano essere
obiettive. In un altro saggio, Weber nota che le scienze sociali hanno avuto origine da problemi
pratici e sono state influenzate dalla volontà umana di realizzare certi mutamenti nella società. E’
impossibile però per una disciplina empirica stabilire in modo scientifico valori che determinano ciò
che dovrebbe essere. Tuttavia, anche se i giudizi di valore (determinano ciò che dovrebbe essere)
non possono essere convalidati da procedure scientifiche non significa che debbano escludersi dalla
sfera della discussione scientifica. Le tesi di Weber sono illustrate facendo riferimento alle aspirazioni
del Socialismo Rivoluzionario: per realizzare una società socialista con i mezzi rivoluzionari si deve
ricorrere alla violenza per ottenere i mutamenti sociali desiderati ma questa implica una qualche
forma di repressione politica dopo la rivoluzione e la costituzione di un’economia socialista, si
formerà inevitabilmente uno stato burocratico che annullerà lo stesso obiettivo per cui è stata
costituita. La scienza sociale, mediante procedure scientifiche, sa determinare l’adeguatezza di un
determinato insieme di mezzi per conseguire un certo fine, sa stabilire quali costi e vantaggi sono
associati ai vari mezzi alternativi per ottenere un fine prefissato, sa infine valutare il fine in sé stesso
cioè la sua concreta possibilità di realizzazione in specifiche circostanze storiche. La scienza empirica
e l’analisi logica ci aiutano a stabilire ciò che è possibile realizzare e quali ne saranno le conseguenze
e a chiarire la natura dei nostri ideali ma non possono stabilire quali decisioni dovremmo prendere,
cioè non esiste alcun ideale che l’analisi scientifica può dimostrare giusto o sbagliato. Non può
pertanto esistere un etica universale.
Per Weber gli ideali e i significati che non possono essere dedotti dalla scienza si costituiscono invece
nelle lotte religiose e politiche.
Analisi della politica: la politica si può condurre in due modi:
1. sulla base dell’Etica della Convinzione secondo cui l’uomo rivolge la sua azione politica al
perseguimento di un ideale senza riguardo al calcolo razionale dei mezzi. Questa condotta ha in
comune con la religione il fatto che in essa l’individuo crede che il suo unico dovere sia far sì che si
conservi la purezza delle sue convinzioni tramite azioni irrazionali;
2. sulla base dell’Etica della Responsabilità: questa comporta una consapevolezza delle conseguenze
probabili della propria condotta. Nell’ambito di quest’etica le applicazioni delle scienze sociali sono
significative mentre sono irrilevanti nell’etica della convinzione.
Weber non considera la realizzabilità come criterio di verità ma è convinto che esista una lacuna
incolmabile tra verità fattuali e verità etiche e che nessuna conoscenza empirica possa convalidare
un sistema etico.
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Il centro di interesse delle scienze sociali è costituito da situazioni storiche uniche ma i concetti
utilizzati dalle scienze sociali non possono desumersi direttamente dalla realtà senza l’intervento di
giudizi di valore perchè anche la scelta stessa dei problemi è governata da scelte di valore. Per
interpretare e spiegare una situazione storica data è necessario usare concetti costituiti per quello
scopo particolare: concetti Tipico-Ideali: il loro scopo è quello di facilitare l’analisi di questioni
empiriche; essi vengono costituiti mediante un’operazione di astrazione e combinazione di elementi
che benché tutti presenti nella realtà si trovano raramente in quella forma specifica presa in esame.
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3. Agire Affettivamente: caso limite di agire dotato di senso e si sviluppa sotto l’influenza di qualche
stato emotivo.
4. Agire Tradizionale: è determinato dall’influenza di abitudini (per esempio l’agire quotidiano)
Questa classificazione non è esaustiva dell’agire sociale, si tratta piuttosto di uno schema tipico-
ideale che permette di sviluppare l’analisi dell’agire sociale con l’uso di tipi-ideali razionali rispetto a
cui si possono valutare le deviazioni irrazionali. Ogni relazione sociologica si basa sulla probabilità
che un agente si comporterà in un modo specificato (Weber riconosce pertanto all’agire umano un
margine di casualità). W utilizza il concetto di Probabilità: ogni relazione sociale di carattere
relativamente stabile presuppone regolarità di comportamento: questa è un Uso se la probabilità
della sua sussistenza è data in virtù di una consuetudine di fatto, è un Costume quando si tratta di
un uso consolidato da molto tempo. Sono entrambi modelli di comportamento abituali la cui
osservazione non è imposta da sanzioni ma dipende dal comportamento volontario dell’agente
(costituiscono spesso la fonte delle regole che diventano leggi). Se la regolarità dei comportamenti è
invece basata su interessi personali (imprenditore sul mercato concorrenziale) allora i rapporti sociali
hanno minore stabilità di quelli basati sul costume.
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all’aumento della divisione del lavoro nei diversi settori della vita sociale. Per Weber il fenomeno della
specializzazione professionale non è solamente limitato al campo dell’economia. Lo stato capitalistico
moderno dipende completamente dall’organizzazione burocratica per la sua stessa esistenza, più
esso è grande, più esso è potente e maggiore sarà l’espansione dell’apparato burocratico. Quello
carismatico, invece, è di carattere straordinario: il carisma per Weber è una qualità straordinaria
attribuita ad una persona per cui essa viene considerata come dotata di forze, poteri, proprietà
sovrumane che la pongono al di fuori della norma. Figure carismatiche si trovano in diversi contesti
sociali (religione, politica). Il potere carismatico rivendica la sua legittimità sulla base della
convinzione della validità della sua missione condivisa dal capo e dai suoi seguaci. Per Weber il poter
carismatico è un fenomeno irrazionale perchè poggia solo sul riconoscimento dell’autenticità delle
parole del leader; è anche una forza rivoluzionaria perchè rovescia, entro il proprio ambito, il passato
con una profonda avversione per la pratica quotidiana ed ordinaria e si fa strada attraverso le regole
stabilite sia di tipo tradizionale sia di tipo legale che governano l’ordinamento esistente.
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12. RAZIONALIZZAZIONE, LE RELIGIONI DEL MONDO E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO
L’etica economica delle religioni del mondo: opera in cui Weber raccoglie i suoi studi sull’Ebraismo e
sulle religioni di India e Cina. Questi studi non costituiscono una tipologia sistematica delle religioni
né un lavoro puramente storico, ciò a cui Weber è interessato è l’influenza dell’etica religiosa
sull’organizzazione economica. Il termine etica religiosa non implica che le religioni esaminate
contengano un esplicito riferimento al tipo di attività economica consentito. Weber è interessato
piuttosto alle conseguenze sociali e psicologiche che un etica religiosa ha sull’agire individuale. Le
credenze religiose possono essere un fattore che influenza la formazione di un’etica economica ma
quest’ultima non è solo una funzione di una data forma di organizzazione economica e la stessa
religione è influenzata da altri fenomeni sociali, politici, economici.
Religione e Magia
Si parla di religione quando gli uomini si rivolgono alla divinità con preghiere, atti di culto e
venerazione. La differenza con la Magia consiste nel fatto che le forze magiche non sono oggetto di
venerazione ma sono usate per soddisfare certi desideri tramite incantesimi o formule magiche. La
distinzione tra religione e magia coincide con una differenza di ceto e di potenza tra clero e stregoni.
Il clero è formato da un gruppo stabile di funzionari con il permanente incarico di svolgere le
funzioni di un culto. Il profeta invece è il portatore di un carisma personale che annuncia una dottrina
religiosa o un comando divino. Per Weber la missione profetica costituisce l’origine storica delle
dottrine che trasformano le istituzioni religiose e costituisce l’unico mezzo per spezzare il potere della
magia, per poter sviluppare un atteggiamento razionale verso il mondo e creare i presupposti di
scienza e tecnologia moderna. La profezia può essere etica (il profeta insegna attraverso la
predicazione di una missione affidata da Dio; l’obbedienza a un comando o a una norma è un dovere
morale, più comune in medio oriente→ebraismo) o esemplare (il profeta indica la via per la salvezza
con il suo esempio; più comune in India).
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confucianesimo, infatti, il bene supremo è l’uomo colto che si comporta sempre con dignità e
correttezza e che deve trovare l’armonia sia con sé stesso sia con il mondo esterno→è un
adattamento armonioso dell’individuo ad un ordine necessario.
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Società e politica in Germania: la prospettiva di Marx
Le prime opere di Marx furono scritte in previsione di una rivoluzione in Germania, proprio la
consapevolezza di Marx per l’arretratezza delle strutture economiche e sociali della Germania sta alla
base della sua concezione originaria del ruolo del proletariato nella storia. Alla fine del 1800 la
Germania è composta da 39 principati in lotta tra loro. La rivalità dei due Stati guida (Austria e
Prussia) era uno dei fattori che impediva l’unificazione. Lo sviluppo del paese fu ostacolato
maggiormente dalle sue caratteristiche della struttura sociale ed economica essendo ancora ad uno
stadio quasi medioevale mentre in Prussia i proprietari terrieri (Junker) conservavano una posizione
di dominio sia nell’economia che nel governo. Per Marx, dato il basso sviluppo di strutture sociali ed
economiche, sarebbe stata impossibile una progressiva emancipazione, l’unica soluzione di
avanzamento era una rivoluzione radicale realizzata dal proletariato rivoluzionario. Ma siccome
quest’ultimo alla metà del 1800 esisteva appena Marx era sicuro che si sarebbe trattato prima di una
rivoluzione borghese e poi di quella proletaria. Le rivoluzioni del 1848 fallirono, non produssero
alcuna riforma radicale anche molti dei liberali accettarono un compromesso con le forze al potere
che favorì solo divisioni nelle loro file. Marx sceglie l’esilio in Inghilterra e riconosce l’importanza di
dimostrare in dettaglio le leggi di movimento del capitalismo in quanto sistema economico.
Rapporto di Marx con Lassalle →fondatore del movimento socialdemocratico, ambivalenza con le
dottrine di Marx che alimentò una continua divisione all’interno del partito. Lassalle infatti sul piano
pratico agiva spesso in modo opposto alla concezione di Marx. →in contrasto ad esempio con
l’opinione di Marx secondo cui la classe operaia doveva unirsi alla borghesia per garantire la
rivoluzione borghese e per porre le condizioni per la presa del potere da parte del proletariato
→Lassalle guida la classe operaia allontanandola dalla collaborazione coi liberali, questo preparò il
terreno all’unificazione della Germania ad opera di Bismark, avvenne grazie ad una line di realpolitk e
di nazionalismo fondato sull’uso spregiudicato del potere politico dall’alto entro un sistema sociale
con la struttura tradizionale. Il decollo dell’industrializzazione si compì diversamente dal processo di
sviluppo inglese. Marx è convinto che il potere economico sia ovunque la base del potere politico e
considera l’Inghilterra il paese fornitore del modello della sua teoria di sviluppo capitalistico. Ma nella
Germania di fine 1800 né socialisti né liberali avevano un adeguato modello storico a cui fare
riferimento (solo l’esperienza inglese di fine 1700 inizio 1800).
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con le strutture politiche dominanti piuttosto che fornire un’alternativa realisticamente rivoluzionaria
ad esso.
La maggior parte dell’opera di Weber su capitalismo e religione non è riconducibile direttamente ad
una semplice risposta teorica alle opere di Marx perché altre influenze furono certo più importanti.
Weber di sicuro riconosce che Marx ha dato contributi fondamentali all’analisi storica e sociologica ma
la sua concezione dello sviluppo può essere considerata solo come un insieme di spunti illuminati o di
concetti tipico-ideali applicabili all’interpretazione di particolari periodi storici. Per Weber e illegittimo
alla storia un senso globale razionale (vedi Marx) e rifiuta la formulazione di schemi deterministici
fondati su teorie generali dello sviluppo. Weber non crede nella concezione secondo cui i rapporti
economici sono la base dello sviluppo storico. L’importanza dell’economico, essendo variabile, va
valutata attraverso lo studio empirico delle situazioni particolari. I fattori economici per Weber non
spiegano scientificamente il corso della storia, teoria che non ha più valore. In nessuna sua opera,
Marx, definisce in modo preciso come si distingue la sfera economica dalle altre sfere sociali, Weber
invece colma questa lacuna con la distinzione tra:
a) fenomeni economici b) economicamente rilevanti c) economicamente condizionanti
Quelli economicamente rilevanti sono forme dell’agire umano (es. pratiche religiose) che, sebbene
prive di carattere economico, hanno incidenza sull’azione economica perché influenzano i modi con
cui gli uomini cercano di ottenere beni e farne uso.
Quelli economicamente condizionanti sono azioni non economiche ma influenzate in modo casuale da
fattori economici perché l’ambito dei fattori economici è mobile e non delimitabile in maniera precisa.
Inoltre Marx nei suoi scritti non riesce a distinguere chiaramente l’aspetto economico da quello
tecnologico: per Weber non si può affermare che il mulino a braccia darà la società col signore
feudale e quello a vapore la società col capitalista industriale perché un dato tipo di tecnologia può
accompagnarsi a forme diverse di organizzazione sociale (il socialismo comporta la stessa base
tecnologica del capitalismo ma per Marx dovrebbe costituire una forma di società diversa).
Importanza dei conflitti di classe nella storia: Weber la riconosce ma il loro ruolo non è così rilevante
come per Marx. Possesso e mancanza di possesso costituiscono il fattore più importante delle
divisioni in classi ma per Weber la definizione di interessi conflittuali non può essere limitata agli
interessi economici ma deve allargarsi alle altre sfere della vita sociale (per es. conflitti tra ceti o tra
gruppi politici e Stati nazionali)
L’opera di Marx implica l’adesione all’etica scientifica della convinzione che comporta l’accettazione di
una concezione totale della storia. Per Weber, invece (vedi ruolo che svolge il concetto di carisma
nella sua opera), è impossibile interpretare lo sviluppo storico sulla base di uno schema razionale che
indica ciò che è valido sul piano normativo.
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meccanicistica del rapporto tra economia e Stato →considera l’Inghilterra il modello per la teoria
economica nel Capitale: le condizioni del suo particolare sviluppo storico hanno creato uno Stato
fondato sull’alleanza di borghesia e residui dell’aristocrazia, compromesso che invece non si è
realizzato in Francia (esempio più chiaro della politica della borghesia liberale avanzata) per cui si è
manifestato più chiaramente il carattere politico dei conflitti di classe.
Con la caduta di Luigi Filippo, per Marx, furono i grandi industriali che ricavarono i maggiori vantaggi
perché prima avevano un accesso limitato al governo.
La lotta di classe inizia a chiarificarsi così come diventa più manifesta la divisione tra borghesia e
classe operaia, ciò costituì l’origine di un successivo confronto politico diretto tra le due grandi classi
della società industriale. Marx però non si aspetta una nuova rivoluzione se non dopo una nuova crisi
che in effetti avvenne circa venti anni dopo per effetto della disastrosa guerra che Luigi Napoleone
intraprese contro la Germania (1870) e che provocò disorientamento politico e sentimenti di
umiliazione tra la popolazione. La Comune ebbe l’esito di propagare gli odi di classe e in seguito ci fu
la ripresa del nazionalismo che favorì la ricostruzione dell’unità nazionale. Sotto la Terza Repubblica
molti furono i progressi fatti verso l’emancipazione del paese dalla lunga influenza esercitata dalle
forze conservatrici. La storia del marxismo in Francia nel 1800 resta nell’ombra in confronto alla
rinascita di fine secolo del partito socialdemocratico in Germania. Dopo la repressione della Comune,
comunque, il pensiero marxista iniziò a mescolarsi alle tradizioni socialiste francesi, ma la sinistra
marxista ebbe una posizione alquanto debole per cui la dottrina che si sviluppò fu più che altro
un’approssimazione.
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La riorganizzazione economica non è la soluzione alla crisi del mondo moderno che ha originato il
socialismo perché non si tratta di una crisi economica ma morale. Il programma di Marx si fonda su
provvedimenti economici con la concentrazione del capitale e della forza produttiva sociale nelle mani
dello Stato. Tutto ciò non potrà però diminuire il vuoto morale derivante dalla condizione anomica
dell’industria moderna.
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doverne determinare la natura delle sue credenze. Sia per Marx che per Weber i sistemi religiosi
rappresentano la creazione di valori umani che sono il risultato di un processo storico: i sistemi
religiosi legittimano i rapporti di dominio. La sociologia della religione di Weber non è affatto una
confutazione del materialismo storico di Marx perché mostra il ruolo dell’ideologia come un fattore di
influenza indipendente sulle trasformazioni sociali.
Differenze: per Marx nella storia c’è una razionalità interna da scoprire ed esiste una logica dello
sviluppo che si può ricavare dallo studio empirico del processo storico. Per Weber invece non c’è
motivo per costruire uno schema razionale dello sviluppo storico. Dallo studio della storia e della
società non si possono ricavare norme che siano verificabili oggettivamente, cioè la scienza non può
confermare la fede morale dell’individuo. Weber inoltre sebbene riconosca come Marx l’importanza
del legame tra le idee e gli interessi non accetta invece la tesi di Marx per cui gli interessi di classe
siano privilegiati rispetto all’ideologia. Secondo Weber invece l’adesione ad un dato insieme di ideali
(religiosi, politici, economici ecc.) produce degli interessi che si possono definire solo in riferimento ai
contenuti degli ideali stessi.
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natura e società: il legame tra realtà sociale e idee nella società semplice è invece diretto, anche
Marx è d’accordo →nelle società semplici la conoscenza si limita all’ambiente sensibile immediato:
l’uomo primitivo è come alienato (alienazione che si esprime nella religione naturale) dalla natura
che gli appare come una forza, una potenza estranea, onnipotente, indomabile per cui verso essa si
comporta in modo animale →è pertanto una coscienza animale della natura (religione naturale). Ma
anche tutto questo per Marx si fonda sullo scambio tra uomo e natura nella produzione e l’aumento
della popolazione è fondamentale per progredire oltre questo stadio di coscienza tribale (Durkheim è
d’accordo). Durkheim ammette che l’attività economica possa influenzare i sistemi di idee della
società semplice ma per lui è più probabile che i rapporti economici siano subordinati alle condizioni
religiose. Le divergenze tra Marx e Durkheim non riguardano il grado a cui le idee sono dipendenti
dall’infrastruttura. Sia Weber che Marx concordano sul fatto che non esista alcun ideale morale che
abbia una validità universale (cioè che possa essere adatto a tutti i tipi di società): per Durkheim
però la validità di un dato insieme di idee morali è in corrispondenza ai bisogni dell’organismo
sociale, per Marx è radicata nei rapporti di classe (la moralità esprime pertanto la disuguaglianza
della distribuzione del potere economico nella società). Per Marx inoltre in capitalismo aumenta il
dominio dell’uomo sulla natura per cui le credenze religiose diventano più complesse e si esprimono
in sistemi di idee più razionalizzati rappresentanti l’autoalienazione dell’uomo. Marx dice: la religione
è l’oppio dei popoli perché ha la funzione di legittimare il ruolo subordinato di una classe soggetta
(l’assetto sociale esistente) mentre per Durkheim la religione consola i poveri insegnando loro ad
esser paghi del loro destino anche se però non può essere illusoria, lo è solo quando un insieme di
credenze non è più compatibile con l’esistenza di un dato tipo di società. Durkheim riconosce nel
protestantesimo l’origine del culto moderno dell’individualismo (il cristianesimo infatti pone l’accento
sulla salvezza dell’anima individuale).
L’individualismo morale è indicativo dei cambiamenti della società moderna (fine 1600) che hanno
comportato la diffusione del razionalismo in tutti i settori della vita sociale. Identifica la religione con
la regolarizzazione morale la cui responsabilità nella società contemporanea deve essere assunta
dallo Stato. Diversa l’interpretazione data da Marx e Durkheim delle conseguenze della laicizzazione:
per Marx la religione è sempre una forma di alienazione perché le credenze religiose tipicamente
attribuiscono le capacità e i poteri che di fatto sono degli uomini a entità mistiche. Il superamento
della religione è possibile solo con la soppressione dell’opposizione tra individuo e società →pura
utopia per Durkheim perché non può più essere ristabilita la solidarietà organica e la coscienza
collettiva.
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selvaggio dello stato presociale di natura che non si trova in una situazione anomica →se scompare
la vita sociale, scompare anche quella morale perché non ha più obbiettivi per cui lo stato di natura a
cui fanno riferimento i filosofi del 600 è per Durkheim amorale. La posizione di Marx è simile:
consapevole che i razionalisti del 700 attribuivano all’uomo nello stato di natura facoltà che derivano
poi dalla società sostiene che è proprio il carattere sociale dell’uomo che lo rende umano
distinguendolo dagli animali.
I bisogni dell’uomo , per Marx, sorgono dalla società e li misuriamo in base ad essa: anche Durkheim
concorda col fatto che bisogni, motivazioni e qualità dell’uomo sono il prodotto dello sviluppo sociale.
Critica di Marx all’economia politica: l’individuo per Marx non può essere concepito come un atomo,
questo infatti è privo di bisogni e autosufficiente invece i membri della società civile sono legati gli
uni agli altri da rapporti di interdipendenza →l’espansione del capitalismo distrugge la comunità
autonoma locale rendendo gli uomini sempre più interdipendenti (ciò si verifica al prezzo di un
aumento del grado di alienazione).
Concezione di libertà: in Marx è affine alla nozione di autocontrollo di Durkheim: si avvicina alla
concezione di Hegel per cui la libertà non è l’esercizio dell’egoismo ma essere liberi significa essere
autonomi cioè non costretti né da forze interne né da forze esterne che sfuggono al controllo
razionale →La libertà è pertanto una prerogativa umana.
Per Marx la libertà è possibile solo quando si presuppone una riorganizzazione pratica della società
(costituzione di una società comunista) dove accettare gli obblighi morali significherà per l’individuo
riconoscere la razionalità non accettare una costrizione esterna.
Per Durkheim la personalità individuale è influenzata dalle caratteristiche della società in cui vive e si
è formato: in ogni uomo però esiste una contrapposizione tra gli impulsi egoistici e quelli morali
(Marx non è d’accordo →la vita individuale e quella genetica non sono distinte, non esiste cioè un
antagonismo interno tra individuo e società) per Marx la contrapposizione che l’egoismo determina
tra individuo e società è il risultato dello sviluppo della divisione del lavoro (si rileva in modo
particolare nella società borghese).
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capitalismo si deve recuperare le qualità universali dell’uomo che sono comuni ad ogni individuo.
Secondo Durkheim si deve dare posto centrale al problema dell’integrazione morale (anomia).
Conclusione
Alla base delle prospettive sociologiche dei tre autori ci sono dunque concezioni divergenti sulla
struttura della società moderna e della sua tendenza di sviluppo.
Marx e il capitalismo →esiste un legame tra espansione della divisione del lavoro e la struttura di
classe, il capitalismo è una società di classe sorta dal processo storico di espropriazione dei
produttori dai mezzi di produzione. L’esistenza della classe borghese presuppone una classe
subordinata di lavoratori privi di proprietà e viceversa. Il capitalismo trasforma i legami della società
civile in rapporti di mercato. L’espropriazione materiale del lavoratore dall’espressione delle sue
capacità e facoltà. La razionalità del capitalismo ha comportato la sostituzione del dominio degli dei
con il dominio del mercato per cui scopi e finalità umane sono condizionate dalle forze economiche
esterne. La produzione capitalistica si basa sul valore di scambio e lo stesso lavoro umano ha valore
solo in quanto forza lavoro. Le crisi ricorrenti del capitalismo derivano dalla separazione del
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produttore dal consumatore (stessa produzione di sempre più merci non per i bisogni esistenti). Solo
superando il sistema di classe per Marx si svilupperà una società in cui la divisione del lavoro verrà
trasformata radicalmente.
Durkheim e Weber: la struttura di classe non è fattore costitutivo della specializzazione nella
divisione del lavoro; la società moderna è sì divisa in classi ma questo non è il suo carattere
distintivo.
Per Durkheim la divisione coatta del lavoro è una forma anormale non è conseguenza dell’espansione
della divisione del lavoro. Le lotte di classe risultano dal fatto che l’istruzione delle classi non
corrisponde più alla distribuzione dei talenti naturali. La società moderna è caratterizzata dalla
solidarietà organica, non si deve confondere egoismo e individualismo: è la mancanza di
riconoscimento morale della divisione del lavoro (individualismo) alla base della crisi della società
moderna. Il riconoscimento morale non può più essere garantito dalla religione come nel passato per
cui sono lo Stato e le associazioni professionali che devono svolgere questo ruolo. Lo Stato non deve
essere pertanto un apparato esclusivamente politico.
Per Weber è il calcolo razionale l’elemento primario della moderna impresa capitalistica e la moderna
società occidentale è caratterizzata dalla razionalizzazione della vita sociale. I miglioramenti
economici sono conseguibili solo tramite un’ulteriore espansione della burocratizzazione. Il disincanto
del mondo trasforma la ricerca razionale del guadagno dal mezzo al fine dell’attività umana.
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