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LETTERATURA LATINA MEDIE VALE

I DISPENSA AUERBACH : LINGUA LETTERATURA E PUBBLICO NELLA TARDA


ANTICHITA´ E NEL MEDIOEVO

Prima metà VI secolo: dominazione Ostrogoti in Italia e termine della letteratura latina
dell’antichità.

BOEZIO è l’ultimo autore antico e Roma perde il suo ruolo di centro dell’antichità .
Nonostante tutto pero il latino diventa sempre più lingua letteraria, ma bisogna ricordare che in un
primo momento, a causa della perdita del suo antico centro, esso diventa molto provinciale.
Questo vale anche per l’Italia e soprattutto per le province della Spagna e della Gallia, da tempo
romanizzate, che attraverso varie crisi cominciano una vita politica propria ; infatti in un primo
tempo si deve assorbire un nuovo strato di conquistatori germanici, e il volgare penetra da per tutto
con forte prepotenza.

Per quanto riguarda l’istituzione CHIESA, essa si trova di fronte a fini pratici→ bisogna educare e
conquistare popolazioni trascurate a causa delle lunghe crisi, queste vanno educate molte volte non
solo alla vita cristiana ma anche alla pura civiltà.
Inoltre la Chiesa da lungo tempo non era più un’istituzione giovane, la sua dottrina era un prodotto
delle antiche culture mediterranee, e contraddistinta, dal suo forte carattere letterario→essa era
fondata su scritture e sull’interpretazione delle scritture.
Comunque come ben sappiamo attraverso le lunghe discussioni sul dogma la dottrina della Chiesa
era divenuta un capolavoro di religiosa acutezza.
Il problema pero era che ora questa istituzione doveva prodigarsi ad insegnare a uomini totalmente
privi della suddetta acutezza, inclusi i maestri.
Sgominare la superstizione primitiva, ristabilire le basi più semplici della morale, organizzare le
comunità questi erano gli obiettivi da raggiungere.
Dunque le espressioni linguistiche diventarono molto semplici e si vede che l’interpretazione delle
Scritture , considerata particolarmente difficile e inaccessibile all’intelligenza comune , superava
ottimamente la prova.

Naturalmente nel VI sec. Vi erano ancora autori che seguivano la tradizione classica e qs erano:
CASSIODORO, AVITO DI VIENNE ,ENNODIO di PAVIA, ARATORE.
Insieme a qs classicità nasce una prosa letteraria semplice di grande precisione sia nella sintassi,
nella cadenza e si adattava benissimo alla lingua parlata i cui massimi rappresentanti furono:
1. CESARIO DI ARLES si darà dunque vita ad uno stile nuovo e il vecchio
2. GREGORIO DI TOURS non vedrà essenzialmente il suo tramonto
3. GREGORIO MAGNO

CESARIO DI ARLES:
fu uno dei maggiori interpreti che la Chiesa ebbe mai avuto, uno studioso moderno con uno stile
molto peculiare→ in un SERMONE si scusa con i dotti per il suo stile volutamente incolto,
necessario se tutti devono cogliere il nutrimento spirituale:i dotti infatti possono comprendere ciò
che viene detto per i più semplici, ma non può accadere il contrario. Si deve dunque predicare in
maniera semplice ed efficace.
Qs è quello che Cesario andava predicando, lui che era un uomo energico che conduceva una vita
rigorosa e soprattutto a dire chiaramente la sua opinione.
Addirittura andrà a sostenere che se uno possiede cultura ed eloquenza non la deve usare, perchè
nessun ascoltatore la intende. Paradossale in quanto da giovane Cesario ricevette un’istruzione
retorica classica!
Dunque come abbiamo visto lui disprezzava l’oratoria antica in quanto inutile, lui aveva bisognosi
un altro modo di esprimersi, ossia un linguaggio che possiede forza ed efficacia per guidare gli
uomini.
PRECISO, DETERMINATO e CONCRETO era, egli si rivolge ad un gruppo determinato, da
indicazioni precise su ogni questione determinata, per arrivare sempre ad un’acuta conclusione.
Nelle sue prediche introduce sempre un’appropriata citazione biblica in modo tale che la critica e il
consiglio siano sempre legati. Adotta inoltre spesso un tono di ironia sdegnata e autoritaria. Cesario
non è sempre duro si può invece definire pedagogico e come detto prima pratico.
Spesso le sue frasi possono essere tradotte quasi letteralmente nella lingua parlata, cosa che per un
testo classico serio(per es.di Agostino) sarebbe impossibile.
Allo stesso tempo egli non è mai freddo, anzi ha una cordialità penetrante nel suo ufficio di pastore
che egli concepisce soprattutto sotto l’aspetto PRATICO-MORALE.
Cesario non è uno scrittore, non mira ad un realismo letterario, vuole solo che il suo ascoltatore
rimanga colpito e non vuole procurare piacere ma scuotere gli individui nella loro esistenza.

FINE VI sec→ siamo in piena epoca dei regni germanici:l’Italia e’in buona parte longo, in Francia
ci sono i franchi, in Spagna i visigoti, in Irlanda comincia la conversione degli anglosassoni e il
gruppo di Colombano comincia ad agire sul continente.
La figura dominante di qs periodo è ancora una volta un romano:

PAPA GREGORIO MAGNO:


proveniva da una famiglia eminente, riceve una buona formazione letteraria, segue il solito
curriculum politico, diventa infatti prima prefetto di Roma ma poi abbandona gli onori politici per
diventare monaco e abate:ha una vocazione ascetica e contemplativa, si fa monaco nella sua casa
sul colle Celio e fonda 7 monasteri.
La sua esperienza politica fu pero troppo forte perchè il papa non lo prendesse al servizio della curia
pontificia, inviandolo come ambasciatore a Costantinopoli: ruolo molto delicato nel periodo in cui
Roma era messa in pericolo dai longobardi→il rapporto con le autorità bizantine era di
fondamentale importanza.

590 viene eletto PAPA e deve rinunciare a tutta la sua vocazione contemplativa per assumersi le
schiaccianti responsabilità de pontificato.
Nei suoi 14 anni di pontificato svolse un’attività politica-ecclesiastica straordinaria: il continuo
contrasto longo-biza pone Roma in condizioni di frequente precarietà e pericolo; i suoi piani
grandiosi non vennero pero mai paralizzati ne dalla situazione disperata dell’Italia ne dal sentimento
di decadenza che dominava la sua epoca.
Ricordiamo che l’amministrazione economica della chiesa in Italia, che aveva grande importanza
per l’approvvigionamento del paese raggiunse proporzioni grandiose con il suo pontificato.

“Registrum epistolarium”:corrispondenza ufficiale, documento storico importante che rivela


l’anima di pastore di Gregorio e allo stesso tempo di capo, qui vige un accorto realismo con forte
rigore epistolare

“Moralia in job”:opera dedicata ai monaci, fra le più lette nel medioevo. Costituiti in 35 libri dove
Gregorio commenta i “LIBRI DI GIOBBE” dal punto di vista storico, tipologico e MORALE.
Egli comincia con il commentare qs libri ai suoi monaci a Costantinopoli e completa l’opera
durante i suoi anni di pontificato.
“Omelie sui Vangeli” 40 omelie domenicali una sorta di messaggio mistico che vuole portare
l’uomo all’incontro con Dio

“Omelie su Ezechiele” opera esegetica di carattere più teorico nel commento ai versetti del profeta
Ezechiele. Qui Gregorio recupera il concetto di PROFEZIA cioè come dimensione della chiesa che
guida l’uomo nella storia e che lo porta alla fede in Cristo.
La profezia si concretizza nella figura del predicatore e non solo monaci, vescovi, preti sono al
vertice della testimonianza cristiana, ma anche colui che sa unire CONTEMPLAZIONE E
AZIONE . Il predicatore è il Profeta che Gregorio propone al suo tempo e alla sua Chiesa.

“Dialoghi” nei quali il sopranaturale interviene continuamente nella vita quotidiana. Essi
comprendono 4 libri e mostrano un mondo favoloso quasi infantile. Sono brevi storie raccontate ad
un ascoltatore dove appunto un diacono di nome PETRUS fa delle osservazioni dalle quali si
sviluppano brevi colloqui.
Il II libro è tutto dedicato a S.BENEDETTO, gli altri tre raccontano di un gran numero di persone.
Lo scopo di qs opera è esposto in una bella introduzione personale molto bella: si vuol cioè
mostrare che anche in Italia vi sono uomini santi, che fanno segni e miracoli.
Fra le storie ve ne sono molte di un’ingenuità estrema, con scene vivaci e realistiche, il
meraviglioso è spesso mescolato al grottesco e umoristico.
Sono tipi di raccontini popolari; la loro ricerca ingenua del meraviglioso e la ristrettezza della loro
sfera non ci devono far dimenticare che sono ispirati da un ideale di umanità spirituale espresso in
maniera concreta e reale.
Dappertutto affiora la lingua POPOLARE, i Dialoghi divennero un libro molto diffuso e famoso.
Furono presto tradotti in greco, in arabo, anglosassone e divennero un libro popolare→Il LIBRO
POPOLARE in Eu era decisamente determinato dal sermo humilis cristiano cioè famigliare e
semplice, quotidiano e meraviglioso, dilettoso e didascalico.
L’atteggiamento di Gregorio in qs opera è di un pio educatore che racconta storie, parla agli
ascoltatori come fossero bambini:storie che giovavano per la salvezza eterna, infatti Gregorio
viveva in una società povera di speranza terrena afflitta da carestie, catastrofi naturali che ha dunque
bisogno di visioni e di miracoli.
Si può dire che tramite qs opera si mirava ad insegnare l’onnipotenza di Dio e la sua giustizia in
maniera molto semplificata.

Dunque l’energico predicatore CESARIO e il PAPA narratore ebbero in comune la serietà della vita
quotidiana, per loro la cosa più semplice è innalzata e viene esposta in un tono stilistico differente a
quello precedente classico.
In essi, in comune, vi è anche il latino che si avvicina alla lingua popolare ed è innegabile che nei
dialoghi sia di Cesario che di Gregorio sia sempre presente un’espressione vicina a quella della
lingua parlata e non per incapacità, bensì con piena coscienza e per un fine ben meditato.
Essi dunque fecero a meno dello stile letterario classico non tanto per incapacità e non lo respinsero
per un reale odio contro l’alta cultura pagana, quanto lo respinsero perchè avevano coscienza della
sua inadeguatezza, e questo, non soltanto perchè gli ascoltatori erano troppo incolti, ma anche
perchè gli oggetti e i pensieri da esporre non potevano essere espressi nelle forme stilistiche
dell’alta cultura classica.

GREGORIO DI TOURS (548-594)


Scrittore più singolare del VI sec. Colui che col massimo vigore e appassionatamente utilizzò lo
stile della lingua parlata.
Di nome GIORGIO FLORENZO prende il nome di Gregorio in omaggio ad un suo antenato
573 viene eletto vescovo.
La sua opera mostra la vitalità letteraria ancora viva in Gallia; Gregorio che è un gallo-romano è il
testimone che il cambiamento anche in letteratura era ormai realizzato: la sua opera rivela gia la
nascita della Francia moderna e testimonia l’unione dell’antico con il nuovo.

“Octo miracolorum libri” AGIOGRAFIA con capacità narrativa di grande rilievo che tende a
stupire il lettore, con il candore e l’abbandono del novellatore Gregorio racconta miracoli di santi,
martiri e reliquie a cominciare da quelli in Gallia.

“Historia francorum” prima grande epopea germanica scritta in latino in 10 libri. Da Adamo alla
morte di S.Martino (397), da Clodoveo ai re franchi.

Gregorio non da nessun giudizio sui Germani; la loro PRIMITIVITA’ E FEROCIA diventa la
protagonista della prosa di Gregorio. E’come se lui avesse gli occhi di un bambino che registra tutto
come un evento naturale ma ha anche gli occhi di chi ha provato e sperimentato tutto.
Gregorio registra con lo stesso spirito con la stessa SAPIENZA PSEUDO-INFANTILE le cose più
atroci e le cose più Sante e miracolose.
FEROCIA-MIRACOLO, NORMALITA’-STRAORDINARIETA’ e il punto di vista di Gregorio è
sempre religioso, anche se non tace mai sulle “BARBARIES” dei nuovi dominatori.
La verità drammatica e psicologica di questi racconti fa dimenticare la strana qualità di un latino qui
potentemente inselvatichito.
Gregorio con quest’opera dimostra di essere testimone della resistenza che la cultura delle lettere e
del Cristianesimo opponevano alle barbarie.

Il latino di G.di Tours è molto meno classico di quello dei 2 autori precedenti, anche la fonetica e la
morfologia sono diventate fluttuanti, evidentemente per influenza della lingua popolare comunque
egli ha piena coscienza del suo stile scorretto.
Nella prefazione del suo scritto agiografico egli fa un’autocritica ben dettagliata, unendo
un’autodifesa, e il tono con cui fa parlare i dotti critici forse non contiene soltanto la coscienza della
sua insufficienza letteraria, ma anche qualche ironia contro i critici.

Nella prefazione della “storia dei franchi” Gregorio lamenta che in Gallia la cura delle arti liberali è
in piena decadenza. Nel capitolo finale Gregorio enumera invece i suoi scritti e scongiura i posteri
di non mutare nulla del suo testo, anche se la sua scrittura può apparire RUSTICA; non ha invece
nulla in contrario che alcune parti vengano messe in versi.
Inoltre il modo in cui Gregorio sa parlare ha molto valore perchè la gente lo capisce, parla e scrive
in modo efficace: per la narrazione dei fatti (storici) trova una forma possibile di LATINO
SCRITTO in contatto con la lingua popolare e molte riprese dalla lingua parlata.
Naturalmente il latino scritto di Gregorio non era identico alla lingua parlata, non voleva
assolutamente abbandonare di proposito il formalismo della tradizione, per quanto gli è possibile
Gregorio mette su carta la lingua parlata del suo ambiente; senza dubbio quasi tutti potevano capire
ciò che egli aveva scritto sena sentirsi troppo allontanati dalla loro sfera linguistica usuale….Cosa
si poteva chiedere di più ad una lingua scritta????

Il vescovo di Tours creò dunque una lingua letteraria nella quale era fusa la lingua parlata e ci si
può chiedere che cosa sarebbe avvenuto se egli avesse avuto dei seguaci, ma per quel che ne
sappiamo egli non ebbe mai dei seguaci.
Il VII sec non ne produsse, sul continente, e il latino scritto divenne tutto informe. MA poi venne la
riforma carolingia e la base del suo programma per l’istruzione era un latino corretto per la liturgia
e per la lingua scritta. Con ciò venne separata appunto quest’ultima (definitivamente) dalle lingue
volgari dei paesi romanzi.
Nel 19 cap. della Vita Karoli scritta nel III decennio del IX sec, Eginardo racconta riguardo i
rapporti dell’imperatore e i suoi parenti. Si può qui notare un latino molto migliore, o per lo meno è
molto vicino al gusto classico.
Eginardo infatti fu uno dei migliori stilisti dell’età carolingia e probabilmente egli utilizza periodi di
cui Cesare e Livio non si sarebbero vergognati, perchè lui segue strettamente i modelli classici in
questo caso preciso SVETONIO.
Infatti nello svetoniano Divus Augustus c’è un paragrafo che tratta dello stesso argomento:
l’imitazione è molto evidente e lo sarebbe ancora di più se i capitoli delle opere dei 2 autori
corrispondessero esattamente.
Naturalmente il contenuto delle due narrazioni è del tutto diverso, infatti Carlo Magno appare un
uomo dai sentimenti spontanei, poco abituato all’autocontrollo cioè ciò che viene lodato come
pietas. In tutto questo il sovrano carolingio contrasta con il controllato Augusto, cosciente della sua
dignità.

Se si confrontano inoltre le prime frasi, cosi simili fra di loro, si vede che le parole e i pensieri di
Eginardo sono più libere. Egli descrive il sensibile Carlo che scoppia in lacrime alla morte delle
persone vicine, se si guarda invece alle parole di Svetonio , si vede di che cosa era capace la forma
antica autentica.
Eginardo si può dunque considerare un po’ maldestro e rilassato, molto meno ricco di intuizione e
pienezza di vita, allo stesso tempo pero E. esprime chiaramente la sostanza dello spiacevole dato di
fatto, tanto chiaramente che ci si può chiedere se avesse piena coscienza dell’aspetto penoso di quel
che racconta intorno al suo eroe.

A volte la narrazione di E. poteva apparire povera e questo dipende dal fatto che a lui mancavano il
materiale che potesse rappresentare col suo strumento linguistico; eppure egli aveva conosciuto
bene Carlo, mentre Svetonio e Augusto sono separati da alcune generazioni.

In E. Carlo non parla mai, non è una figura viva. Svetonio invece ci riferisce spesso di frasi dette da
Augusto. Noi conosciamo bene il Carlo della leggenda della Chanson de Roland ma quello concreto
della storia ci è ancora purtroppo sconosciuto.
Sta di fatto che l’imitazione svetoniana di Eginardo fu un fatto molto importante, senza dubbio
Svetonio gli ha aperto gli occhi per molte cose che erano decisive per l’immagine di un sovrano
terreno.

Il vero problema è che con il latino di Svetonio non era appropriato per rendere la vita del mondo
carolingio. D’altro canto pero il latino svetoniano permise ad Eginardo di riferire ed ordinare gli
avvenimenti e di delineare i tratti generali dei caratteri e di esprimere(cosa importante) nel ritratto
del suo eroe, una concezione politica che lo animava.
Ma appena si passa alle cose precise e vive allora lo strumento non soccorre: il latino svetoniano
non può rendere con precisione come vivevano e apparissero gli uomini in epoca carolingia.
Cosi il ritmo diventa falso, mancano le parole i loro nessi non si adattano ai nessi di un periodo o di
un discorso autenticamente carolingio.

Sorge dunque il problema della RIFORMA CAROLINGIA: essa spezzo definitivamente il legame
tra il latino scritto e la lingua popolare romanza.
Questo rese inevitabile che l’attività spirituale in occidente si esprimesse per 3 secoli
esclusivamente, in una lingua ormai morta, quasi staccata dallo sviluppo dei popoli, che pochi
comprendevano.
In alcuni casi la cultura latina della Chiesa non distrusse la fioritura letteraria che per esempio stava
germogliando nelle lingue popolari germaniche, e talvolta favori questa fioritura….Ma la
superiorità spirituale e politica del latino predominava a tal punto che come strumento letterario
universale esso prevalse incondizionatamente anche ne paesi germanici.

Sta di fatto che proprio ora con la riforma carolingia il latino fu ristretto dappertutto,
definitivamente e irrevocabilmente, alla lingua letteraria e alla liturgia. Soltanto ora, che le sue
cerchie( la scuola palatina, i centri culturali monastici) emergevano come isole dal mare delle lingue
popolari, esso acquisto il carattere esclusivamente colto, scritto,limitato ad una piccola minoranza.
Dunque esso ora divenne una lingua dotta in quanto il suo impiego doveva essere regolato secondo
modelli, i quali appartenevano ad un passato lontano, in modo tale da evitarne uno sviluppo.

Durante l’epoca carolingia il latino era si può dire una mera lingua d’arte, e naturalmente non si
poteva imparare a leggere e a scrivere se non in latino: le lingue popolari, viventi nei loro molti
dialetti, non avevano unità né ortografica né grammaticale.

Inoltre è molto difficile acquistare un senso dello stile letterario per l’epoca carolingia: ossia la
capacita di distinguere in base ad uno stile complessivo di volta in volta dominante le singole parti
di qs periodo che va dal VIII al XI sec.
Si sono identificati i singoli centri culturali, si sono studiate le loro tendenze, si sono esattamente
studiati i modi di imitazione dell’antico ma ciò non ha portato ad una visione dello stile
complessivo.

Ma ora analizziamo alcuni autori di quest’epoca, essi sono scrittori notevoli e relativamente
originali e sono particolari per il contenuto di vita che contengono.
Il primo fu un contemporaneo di Eginardo ossia:

L’ABATE LUPO DI FERRIE’RS esso fu un filologo, pieno di entusiasmo per gli studi
umanistici, raccoglitore di manoscritti
Fu notevole anche come teologo; la sua influenza diede vita ad una dottrina umanistico-teologica
che opera fino all’epoca ottoniana.
Egli apparteneva alla cerchia dell’imperatrice Giuditta e al figlio di lei CARLO IL CALVO, e fu
spesso coinvolto in tempestosi avvenimenti del suo tempo.
La cosa più pregevole che possediamo di lui è una raccolta di 130 lettere, notevole sia come fonte
storica sia come esempio di stile.
I critici moderni sono pieni di lodi per il suo stile, ed è vero che egli creò un latino scorrevole e
spontaneo, formato su modelli classici ma non minuziosamente imitato.
Per il suo tempo fu un risultato grandissimo, ma nonostante tutto il suo stile non è affatto di tipo
classico.
Lupo inoltre è interessante quando scrive di cose pratiche, in quanto lui fu un uomo estremamente
pratico. Persino la sua lunga lotta per la cella Sancti Jodoci (una piccola abbazia sul passo di Calais,
che Ludovico il Pio aveva donato al chiostro di Ferrièrs e che poi era stata tolta a questo
arbitrariamente.)nella quale vi sono pi che altro interessi puramente materiali, Lupo riesce a
coinvolgere il lettore.
Ma il testo che noi analizziamo presenta invece un fatto drammatico che accadde nella vita di Lupo.
Nel 836, dopo gli anni di studi a Fulda egli tornò al monastero di Ferrièrs (a sud di Fointainebleu).
A quel tempo era già un dotto di grande fama, grazie anche alle buone relazioni che aveva con la
corte e in maniera particolare con l’imperatrice.
A metà del 840 muore LUDOVICO IL PIO, e subito dopo i conflitti tra i suoi figli portarono a
nuovi disordini. Sembra che Oddone (superiore e abate di Lupo) propendesse per il partito di
Lotario e fu deposto.
Lupo che in questo momento si trovava a corte di Carlo il Calvo, fu nominato suo successore e
venne incaricato di allontanare Oddone dal monastero.
Lupo espone tutti questi fatti in una lettera la quale era indirizzata al vescovo Giona d’Orleans, un
dotto teologo con il quale sia Oddone che Lupo erano da sempre in ottimi rapporti.
Ma questa lettera ha un tono irritato, specialmente dove si tratta di un parente del vescovo Giona, il
quale si era impossessato illegalmente della proprietà del monastero di Ferrièrs: Giona non aveva
preso alcuna misura contro di lui, e Lupo ne scrive con tono totalmente indignato.

La struttura della narrazione in qs lettera è chiara e limpida, il vocabolario ricco e non si potrebbe
pensare nemmeno per un momento che questo sia un testo classico, proprio per la presenza di
alcune formule che rivelano il mondo del primo Medioevo.
Inoltre un autore classico non avrebbe fatto un uso tanto largo di pronomi personali. Ma le
deviazioni della lingua classica che Lupo fa non sono certo da criticare, anzi esse contribuiscono
alla naturalezza e alla scorrevolezza che caratterizzano il suo stile.
Non c’è dubbio che Lupo, oltre che le sue varie qualità egli sia stato uno scrittore molto dotato, in
grado di trasferire il ritmo dei fatti al ritmo della lingua, e in questo era all’altezza dei migliori
scrittori latini.

Il vero problema di questo testo è che non vengono chiariti i rapporti umani, ossia non viene
espresso quali siano per esempio i suoi rapporti con Oddone,o nei confronti di Giona, i suoi rapporti
a corte, ecco Lupo non menziona nulla di tutto ciò e le ragioni poetano essere varie (vedi pag 121).
Lupo come qualsiasi altro autore carolingio non sa comunicare nulla di tutto questo, molto meno di
Gregorio di Tours e anche di Paolo Diacono.
Non si può dire nulla dell’umorismo ne della sua energia espressiva, quando lo si è letto un paio di
volte, si illumina a poco a poco il paesaggio storico in cui viveva: più di ogni altro autore latino è
noto come egli per la sua capacità di esprimere in latino la peculiarità della sua esistenza.
Egli fu il primo che seppe attribuire un po’ di vitalità al latino scolastico, MA CIO’ E’ POCO,
perchè quali fossero gli avvenimenti esterni che lo assillavano, quale fosse la sua cultura, egli non
fu una figura dalla concezione unitaria, capace di sentire e suscitare moti spirituali.

Con la sola eccezione del problematico GOTTSCHALK nessuno dei dotti e poeti carolingi riuscì a
suscitare una partecipazione diretta alla propria esistenza e ai rapporti umani.
I molti avvenimenti violenti e catastrofici dopo la morte di LUDOVICO IL PIO non dettero
purtroppo vita ad un movimento interiore; i problemi teologici, restarono circoscritti, nella loro
attualità, alla polemica fra eruditi.

ILDUINO vescovo di Liegi, cacciato dal suo vescovato in seguito ad avvenimenti politici, si recò
alla corte di Pavia(926) dove da poco il suo parente Ugo di Provenza era stato da poco nominato re
d’Italia.
Nel suo seguito probabilmente vi era presente anche il dotto RATERIO un monaco del monastero
di LOBBES.
Il re accolse bene i due e assegno a Ilduino il vescovato di Verona e nel 931, quando mori
l’arcivescovo di Milano, lo nominò suo successore. Per questa circostanza da lungo tempo prevista,
egli aveva promesso a Raterio il vescovato di Verona, promessa che però non mantenne: c’erano
altri pretendenti, il cui favore era molto più importante per i fini politici del re.
Con abilita Raterio mise il re Ugo in una condizione di mantenere la promessa , e cosi Raterio
divenne vescovo di Verona.

Nel 934 il duca Arnolfo di Baviera fece un tentativo di impadronirsi del regno d’Italia: prese
Verona, ma quando Ugo lo minacciò di tagliarli le comunicazioni dovette ritirarsi.
Sembra che il vescovo Raterio avesse invece accolto amichevolmente l’arrivo di Arnolfo anzi
sembra che fosse stato lui stesso a chiamarlo.
Quando il re Ugo, dopo il ritiro dei bavaresi si riavvicinò a Verona il Clero riversò tutta la colpa su
Raterio il quale venne deposto, imprigionato e in seguito esiliato a Como.

Durante la sua prigionia scrisse la sua opera più nota e lunga, i Praeloquia, un trattato morale
infarcito di autobiografia e di autodifesa .
Durante il suo esilio a Como egli mandò una lettera al chierico Orso, lettera che poi venne inserita
nei Praeloquia. (Orso era uno dei tanti che aveva contribuito alla cacciata di Raterio)
Da questa lettera emerge che Orso lo aveva definito pubblicamente un cadavere fetido.
Si può qui notare come il latino di Raterio sia alquanto difficile per esempio la quantità delle
allusioni alla Bibbia che non vengono mai spiegate, e la forma quasi sempre dialogica, nella quale
bisogna quasi sempre indovinare chi parla e a chi è rivolto il discorso, aumentano le difficoltà.

Raterio nel scrivere utilizza numerosi autori classici, ma per qualità e temperamento fu soprattutto
vicino ad Agostino, dal quale deriva la continua accentuazione dell’autoaccusa. Ma gli manca
l’equilibrio che invece Agostino aveva, la sua sicurezza e dignità nella vita terrena; egli manca
anche di libertà interiore, in quanto viene sempre soprafatto dall’ambizione politico-ecclesistica e la
vanità letteraria.

Inoltre Raterio vedeva benissimo la corruzione della Chiesa, e ne riconosceva acutamente le cause
economiche e psicologiche.
Abbiamo sue descrizioni della situazione economica e delle qualità spirituali del clero veronese.
Aveva anche un’ampia conoscenza dl diritto ecclesiastico e aveva un concetto molto alto
dell’ufficio vescovile.
Ma non seppe mai valutare bene le forze che erano con lui o contro di lui nella sua personale
situazione, per di pi egli mancava di un atteggiamento di dignità: non sapeva ottenere rispetto, non
riusciva a farsi degli amici.
Dunque un grande erudito si, ma pedante e vanitoso, isolato e lunatico e molto rigido nella condotta
della vita, stravagante così ci appare nei suoi scritti.
A volte è stato definito addirittura precursore della Riforma e in un certo senso lo fu ; non soltanto
egli sferzò la mondanizzazione del clero e la sua corruzione ma sviluppò anche le idee sul primato
dell’ufficio spirituale, sul celibato e sui beni ecclesiastici tutte cose che più tardi fecero parte del
programma riformatore.

Ancora, quando scriveva attingeva alla tradizione dell’antichità, al linguaggio della Bibbia e al
sermo-humilis dei padri della Chiesa , in lui si ha un esempio paradigmatico della forza del talento
letterario; e dall’altra parte è chiaro che il suo vigore espressivo sia alimentato dalla suddetta
tradizione(sermo-humilis), anche lui come i padri della chiesa unisce il tono elevato a quello umile,
l’atteggiamento del predicatore con quello del peccatore.

Un’altra cosa che Raterio introduce è la BUFFONERIA ossia la Scurrilitas la quale deriva dal
peculiare temperamento di questo autore e si sa che l’elemento buffonesco aveva un proprio posto
nella predica medievale tant’è che giocò un ruolo di primaria importanza per la futura formazione
europea della figura del FOLLE-TRAGICO.
Inoltre Raterio ama molto i giochi di parole e li porta spesso fino all’assurdo, costringendo spesso il
lettore a giochi estremi di pazienza.

Sembra che Raterio sia stato lo scrittore latino più importante del suo tempo, ma dal X sec comincia
a mostrarsi anche in altri un certo vivace vigore espositivo:
LIUTPRANDO, vescovo di Cremona dal 961 proveniva da una famiglia longobarda, in età
giovanissima trovò favori presso la corte del re Ugo per la sua buona disposizione al canto.
949 venne nominato legato a Costantinopoli
956 fu al servizio di Ottone I per il quale svolse attività diplomatiche.
In poche parole fu piu che altro un cortigiano e un diplomatico e come scrittore fu un talento forte
ma superficiale, vanitoso, giornalistico e addirittura vendicativo e indiscreto.

Ma il suo caso è significativo: egli è il primo scrittore medievale che mostri nelle sue opere un largo
orizzonte e rappresenti con vivacità gli ambienti più diversi.
Era infatti un uomo che aveva molte relazioni “aperto a tutto il mondo” e che sa raccontare
ottimamente, anche se non sempre con naturalezza.
Anche Raterio fu un uomo che viaggiò molto ma non possedeva la stessa vivacità di Liutprando ne
descrivere ciò che aveva visto.

Liutprando inoltre possedeva il gusto del satirico e dell’aneddotico. La sua descrizione per es. della
corte bizantina di Niceforo, maligna e certo esagerata , probabilmente è l’opera in prosa più nota del
X sec.
Gli aneddoti e le storie di Liutprando, pur essendo a volte guastati da discorsi contorti, sono
efficacissimi e non c’è nulla che nel primo Medioevo possa essere paragonato ad essi.
Di VILLA, moglie di Berengario II fa una descrizione particolare, infatti bisogna assolutamente
tener conto che l’autore odia sia Berengario che la moglie e ne fa una descrizione maligna e
ridicola, quindi è attendibile per metà.

Per quanto diversi siano LIUTPRANDO e LATERIO, essi hanno anche molto in comune:
soprattutto una certa singolarità e non unitarietà nel livello stilistico, la scurrilitas .Inoltre manca ad
entrambi il prepon cioè ciò che è conveniente, curato formato per dare unità e dignità
all’espressione.

Nel X sec. sorge anche nel NORD delle Alpi nel territorio degli Ottoni una nuova storiografia che
stilizza agiograficamente le figure eminenti della casata ottoniana. Sono brani di scrittori della
tarda antichità e dell’antichità che vengono intessuti di narrazione.
Il massimo esempio è la Vita Mathildis (madre di Ottone I), questo scritto è simile ad un mosaico;
grandi brani sono ripresi da autori antichi come BOEZIO; TERRENZIO; VIRGILIO;
PRUDENZIO.
Naturalmente in una composizione di questo tipo che deve fondare o confermare un mito non ci si
puo aspettare una grande attendibilità nelle singole notizie.
Il testo è facilmente comprensibile, quel che viene presentato molto efficacemente è la dignità di
una regina o meglio l’immagine ideale di una dignità femminilmente regale e allo stesso tempo
cristiana.

Un altro esempio noto è la Vita Brunonis ossia la biografia dell’arcivescovo Bruno di Colonia
scritta subito dopo la sua morte da un dotto chierico di nome RUOTGER.
Bruno il figlio minore di Matilde, accuratamente educato sin da fanciullo rivestì cariche laiche ed
ecclesiastiche e a 18 anni divenne appunto vescovo di Colonia e si dimostrò sin da subito all’altezza
dei difficili compiti che la sua carriera richiedeva.

La Vita di Ruotger è allo stesso tempo sia uno scritto di apologia politica sia un’agiografia.
Nella descrizione della vita di Bruno. Ruotger inizia con il descrivere le inclinazioni ascetiche e
solitarie del suo soggetto.
Esse sono forti e rigorose ma segrete:solo gli intimi ne sono a conoscenza .
A volte invece nell’opera appare il principe potente e l’amministratore del potere. Terrore spietato
viene emanato da lui: chi sente parlare di lui impara, prima a temerlo e poi ad amarlo.
Non vi sono dubbi che la descrizione si avvicini nel complesso alla verità: su un uomo scomparso
da poco che tutti hanno conosciuto, non si può scrivere nulla che non sia confermato dalla sua fama.

Ma l’uomo più notevole di quest’epoca fu certamente SILVESTRO II, il papa con cui Ottone
cerco di attuare i suoi piani imperiali sopranazionali.
Il suo vero nome era GHERBERTO D’AURILLAC, dal nome del convento dove passo la sua
giovinezza.
Era lo spirito più ricco e famoso maestro del suo tempo: matematico, astronomo scienziato fisico
dell’epoca in catalogna.
Ben preso si rese conto di essere anche un politico molto capace.
Divenne arcivescovo di Reims, ma non potè restare e si recò in Germania, alla corte ottoniana dove
strinse un forte rapporto con Ottone III.
Quest’ultimo lo fece arcivescovo di Ravenna e subito dopo Papa.
Muore nel 1003 e continua a vivere nella leggenda come mago che avrebbe venduto l’anima al
diavolo.
Possediamo di Gherberto una raccolta di lettere, nelle quali possiamo notare il suo modo di scrivere
facile ed elegante a volte con scioltezza quasi ciceroniana e cita quasi sempre autori del miglior
periodo classico.
Il suo stile è preciso e ben delimitato, ricco di sentimento rispetto per es. a Lupo.
E’ del tutto isolato nella sua epoca nella quale si trovano solo scrittori isolati e manieristi.
In una lettera del 989, quando la situazione di Gherberto era piuttosto difficile, in quanto il suo
amico Adalberone di Reims era appena morto e lui credeva di avere dei diritti per successione: essa
era decisa dal re il quale decise di proclamare un giovane carolingio, Arnolfo.
Gherberto dunque scrisse una serie di lettere a persone influenti esponendo la sua situazione e a
volte accennando a qualche minaccia ma anche da qui non ricevette nessuna risposta soddisfacente.

Il lettore esperto potrà ammirare in questi scritti la chiarezza e la dolce eleganza ritmica con cui i
temi sono connessi: il lutto per Adalberone, la descrizione indiretta della sua posizione di potenza, i
pericoli della situazione presente.
Le arti di Gherberto sono di una semplicità magistrale e lo spirito di questo stile è classico; la
fusione di pia amabilità e cordialità produce un effetto complessivo che più tardi venne chiamato
UMANISMO CRISTIANO.
La lettera parla inoltre di irrequietezza e di crisi, ma l’uomo che la scriva non è molto inquieto, egli
esamina ogni situazione e quel che se ne può ricavare.
In queste lettere l’autore si dimostra quello che è ossia pieno di sentimento, espressivo,delicato e
consapevole della sua superiorità senza essere vanitoso ma abile e calcolatore.
Per sua fortuna perse la controversa battaglia di Reims e andò in Germania al fianco di Ottone III: i
2 si influenzarono a vicenda e provavano grande ammirazione l’uno per l’altro.
A partire da questo momento G. diventa ottoniano: la suavitas e la scioltezza sono scomparse e non
ricorda piu Cicerone.

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