PREMESSA
per cui noi siamo; è amore redentore, per cui siamo ricreati. Amore rivelato
e realizzato da Cristo (cf Gv 13,1) e “riversato nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Destinatari dell’amore di Dio, gli uomini
sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della
grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità» (n. 5).
Nel Sinodo dei Vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella
missione della Chiesa” (2008) è stato più volte richiamato il rapporto
indispensabile tra Spirito e Scritture. Nel Messaggio Finale viene
affermato, tra l’altro: «Le Sacre Scritture sono la “testimonianza” in forma
scritta della parola divina, sono il memoriale canonico, storico e letterario
attestante l'evento della Rivelazione creatrice e salvatrice. La Parola di Dio
precede, dunque, ed eccede la Bibbia, che pure è “ispirata da Dio” e
contiene la parola divina efficace (cf 2Tm 3,16). È per questo che la nostra
fede non ha al centro solo un libro, ma una storia di salvezza e, come
vedremo, una persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne, uomo, storia.
Proprio perché l'orizzonte della parola divina abbraccia e si estende oltre la
Scrittura, è necessaria la costante presenza dello Spirito Santo che “guida a
tutta la verità” (Gv 16,13) chi legge la Bibbia. È questa la grande
Tradizione, presenza efficace dello “Spirito di verità” nella Chiesa, custode
delle Sacre Scritture, autenticamente interpretate dal Magistero ecclesiale.
Con la Tradizione si giunge alla comprensione, all'interpretazione, alla
comunicazione e alla testimonianza della Parola di Dio. Lo stesso san
Paolo, proclamando il primo Credo cristiano, riconoscerà di “trasmettere”
quello che egli “aveva ricevuto” dalla Tradizione (1Cor 15,3-5)» (n. 3).
Nella Proposizione 5 si chiede un impegno esplicito per approfondire
la coscienza del ruolo dello Spirito: «Le Sacre Scritture, essendo dono
consegnato dallo Spirito Santo alla Chiesa Sposa di Cristo, hanno nella
Chiesa il loro luogo ermeneutico proprio. Lo stesso Spirito, che è Autore
delle Sacre Scritture, è anche guida della loro retta interpretazione nella
formazione attraverso i tempi della fides Ecclesiae. Il Sinodo raccomanda
ai pastori di ricordare a tutti i battezzati il ruolo dello Spirito Santo
nell’ispirazione (cf DV 11), nell’interpretazione e nella comprensione delle
Sacre Scritture (cf DV 12). Di conseguenza tutti noi discepoli siamo
invitati ad invocare con frequenza lo Spirito Santo, affinché Egli ci
conduca alla conoscenza sempre più profonda della Parola di Dio e alla
testimonianza della nostra fede (cf Gv 15,26-27). Ricordino i fedeli che le
Sacre Scritture si chiudono evocando il grido comune dello Spirito e della
Sposa: “Vieni Signore Gesù” (cf Ap 22,17.20)».
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Spirito e vita cristiana / 9
I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche
contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha
causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha
portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare
“ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è
potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della
teologia moderna. Dall’altra parte c’è la “ermeneutica della riforma”, del
rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci
ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo
però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
L’ermeneutica della riforma ha guidato l’azione di Giovanni XXIII e
di Paolo VI. «Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni
XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente
quando dice che il Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina,
senza attenuazioni o travisamenti”, e continua: “Il nostro dovere non è
soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo
unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore
a quell’opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina
certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita
e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una
cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra
veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate,
conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”… È chiaro
che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità
esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; è
chiaro pure che la nuova parola può maturare soltanto se nasce da una
comprensione consapevole della verità espressa e che, d’altra parte, la
riflessione sulla fede esige anche che si viva questa fede. In questo senso il
programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente,
come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica. Ma ovunque
questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la recezione del
Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi».
consapevole alla riforma dei riti sacramentali; dalla centralità della chiesa
come koinonia al recupero della dignità laicale; dalla rilevanza nuova
riservata ai carismi al senso e allo spazio nuovo dato ai ministeri...
Non va poi dimenticato «lo straordinario sviluppo della teologia
trinitaria» che ha portato «a una più matura coscienza trinitaria di Dio. Essa
sembra costituire una vera e propria novità rispetto al recente passato
“monoteista e non trinatario” – secondo l’osservazione acuta e
problematica di K. Rahner (1904-1984), il quale ha più volte richiamato
l’urgenza di un risoluto ritorno alla memoria trinitaria di Dio, superando il
suo oblio nella vita della fede e della riflessione teologica… L’odierna
ricchezza della produzione teologica, catechetica e spirituale, sulla dottrina
trinitaria dischiude una nuova stagione: tutto è trinitario. Resta ovviamente
sempre arduo il compito teologico-pastorale di verificare la reale incidenza
della riscoperta del volto trinitario di Dio nella cosicenza dei cristiani e
nella pratica della fede delle comunità ecclesiali. Tuttavi, l’auspicato futuro
di un “riscatto della Trinità” nella teologia e nella ita dei fdeli sembra avere
già un suo felice presente» (A. STAGLIANÒ, Teologia trinitaria, IN G.
CANOBBIO – P. CODA (edd.), La teologia del XX Secolo. Un bilancio, 2.
Prospettive sistematiche, Roma 2003, 90-91).
muove ciascuno ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e tutta la
volontà (LG 40). In particolare, rende i laici più coscienti delle loro
responsabilità (AA 1), spingendo i cristiani a conoscere meglio le persone
dell’ambiente in cui vivono (AG 11) perché li compenetra profondamente.
Impregnati (imbuti, AG 15) dallo Spirito Santo essi animano dall’interno gli
affari temporali alla maniera di fermento».
∗ Lo Spirito Santo nella Chiesa: la costituisce unità, nella diversità delle singole
componenti, in Cristo, per il mondo (cf LG 5. 24. 32; GS 32; CD 1); agisce nei
pastori (cf LG 24; PO 2. 6. 7. 11...), nei laici (AA 3) e nei religiosi (LG 43-45;
PC 14-15), facendo in modo che l’attività di tutti sia “missionaria” (cf AD 2.
4. 23. 40). Così tanto la Chiesa che il singolo credente sono «tempio dello
Spirito» (LG 4). Di qui «quelle espressioni ricorrenti, quasi una litania. La
Chiesa ha la sua unità nello Spirito (GS 40); è rinnovata dallo Spirito, sia che
si tratti della liturgia (SC 43), dell’incontro dell’ateismo (GS 21), dei presbiteri
(PO 1 e 2), dei religiosi (PC 2). Essa è ammaestrata dallo Spirito (LG 53), è
assistita dallo Spirito (GS 3), è fortificata dallo Spirito (LG 50), è manifestata
dallo Spirito (LG 43, e mediante questa potenza progredisce nella verità e
nella carità (GS 93) e su di essa fonda la propria speranza (UR 24). Infine,
dallo Spirito essa concepisce dei figli (LG 64) che sono figli di Dio».
∗ Lo Spirito Santo e la Rivelazione: la pienezza della rivelazione è data con
l’invio dello Spirito da parte del Cristo glorificato (DV 4); questo Spirito
conserva la chiesa nella verità (LG 19) anche attraverso una particolare
presenza nel ministero dei pastori (LG 20-22). Però il Concilio «non rammenta
soltanto che le verità sono conservate nella Chiesa grazie allo Spirito Santo,
ma aggiunge che la Chiesa può avere di giorno in giorno un’intelligenza più
profonda delle Scrittura (DV 11) in quanto è “istruita” dallo Spirito Santo (DV
23)».
∗ Lo Spirito Santo nella Trinità: «Il Concilio insiste soprattutto sul compimento
dell’opera di Cristo (e dunque del dono del padre) che si realizza nella
Pentecoste quando il Figlio manda lo Spirito Santo da parte del Padre (a
Patre) (AG 4). Questa missione dello Spirito Santo ad opera del Figlio
glorificato, che siede ormai nella sua umanità alla destra del Padre, è evocata
appunto nella Costituzione sulla Rivelazione (DV 17). Mediante questa
missione gli uomini hanno accesso alla vita della Trinità, vita di carità divina
(UR 15; cf LG 40; AG 15; GS 15)».
Compiuta l’opera del Figlio, viene inviato nella pentecoste lo Spirito Santo per
- santificare continuamente la chiesa
- dare ai credenti accesso al Padre per Cristo in un solo Spirito.
Per lo Spirito il Padre vivifica gli uomini morti per il peccato, in un crescendo che
sfocerà nella risurrezione dei corpi.
Ora lo Spirito è nel cuore dei fedeli e nella chiesa:
- nei primi prega e rende testimonianza dell’adozione filiale;
- nella seconda: la guida alla pienezza della verità
la unifica nella comunione e nel servizio
la provvede e guida con diversi doni carismatici e gerarchici
la ringiovanisce e rinnova con la forza del vangelo
fino alla pienezza.
Perciò la chiesa è un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito.
Tra i dati che ai fini della nostra ricerca sono più significativi credo
debbano indicarsi:
∗ Il mistero, per il quale la chiesa è sacramento in Cristo (n. 1), è disegno
di comunione del Padre (n. 2), attuato e rivelato in Cristo (n. 3), che si dà
ora concretamente come missione dello Spirito: è lui che opera nella
storia portando a pienezza la Pasqua del Cristo.
∗ Il vivere della chiesa e dei credenti è un vivere nella storia resa storia di
salvezza dallo Spirito del Cristo: è lo Spirito che gli assicura quei
contenuti di santità, di verità, di unità e di rinnovamento che gli sono
indispensabili.
∗ Tutta la realtà è immessa in questo dinamismo dello Spirito Santo, che è
dinamismo di vita, fino alla risurrezione dei corpi.
∗ In maniera particolare lo Spirito Santo si dà come sintesi di elementi
comunitari e personali, in maniera che i primi non diventino puro fatto
strutturale o funzionale e i secondi non si svalorino in individualismo
egoistico. La vita cristiana dovrà essere sempre fedele a questo
dinamismo di incontro e di sintesi dello Spirito.
∗ La vita cristiana acquista così le caratteristiche di un perenne
ringiovanire e rinnovarsi, in una fedeltà assicurata dallo Spirito
mediante il vangelo, che è certezza e cammino faticoso di pienezza.
Spirito e vita cristiana / 19
Alcuni rilievi, per sottolineare ciò che più da vicino può riguardare il
nostro cammino:
∗ Il riferimento ai carismi presente nel testo preparatorio viene omesso in
quello approvato per il fatto che la riflessione su di essi viene spostata
all’interno di quella relativa al popolo di Dio (cap. II, n. 12).
∗ Il testo si muove tutto nella prospettiva della chiesa-sacramento, che è
fondamentale per tutta l’ecclesiologia conciliare. Ne deriva per la
riflessione teologica sulla vita cristiana che tale sacramentalità deve
ricevere uno sviluppo e una collocazione ugualmente centrali.
∗ Punto nevralgico di tutto lo sviluppo è l’analogia tra umanità assunta e
chiesa. Al riguardo mi sembrano rilevanti le osservazioni di H. MÜHLEN:
«solo il Vaticano II l’ha riproposta e completata in un senso
pneumatologico, di ampia portata. Dice espressamente che lo Spirito di
Cristo contrae con la Chiesa un rapporto che non è identico, ma analogo
a quello che ha il Logos con la sua natura umana: questi si serve della
natura assunta come vivente organo di salvezza; lo Spirito di Cristo si
serve della compagine sociale della Chiesa per far crescere il corpo
stesso di Cristo. Ciò significa, in altre parole: nello stesso modo in cui la
natura umana di Gesù è stata creata solo per l’incarnazione e la funzione
salvifica del Logos, così la compagine sociale della Chiesa è stata
strutturata solo per lo Spirito di Cristo, ed esso di quella si serve, per
rendere presente Cristo nel mondo e nella storia. Con il verbo inservit
del testo, l’analogia viene presentata anche verbalmente, come ha notato
la commissione teologica: viene ripetuto il verbo si serve (inservit)
perché è un elemento di grande importanza per l’analogia» (Una
Mystica Persona, 477).
∗ Ne deriverà che il cammino dei credenti sarà lo stesso di Cristo, ma non
per un rapporto di semplice imitazione di un modello, ma perché dettato
dal di dentro dello stesso Spirito.
∗ Di qui il superamento di ogni tentazione di “possesso” della verità e
l’umile cammino invece di ricerca, che riconosce prontamente dovunque
si diano gli elementi di verità e di santità; e d’altra parte l’atteggiamento
di servizio come caratteristica fondamentale di tutta la vita cristiana: un
servizio di verità e di santità per la crescita del corpo di Cristo.
∗ Lo Spirito porterà la chiesa a ripercorrere incessantemente il cammino
della chenosi, lo stesso percorso dal Cristo: sarà povera e umile, senza
ricercare una «gloria terrestre», ma condividendo la sorte dei poveri e dei
bisognosi, per comunicare agli uomini la salvezza.
∗ E nella virtus del Signore risorto (cioè nel suo Spirito) la chiesa ha la
possibilità del suo incessante rinnovamento-penitenza e dell’annuncio
della risurrezione.
Spirito e vita cristiana / 21
disegno del Padre: un’unità non secundum carnem. Benché nel passo
conciliare questa affermazione è in diretta antitesi con l’unità del popolo
di Israele, credo che essa sia valida per tutto il discorso cristiano
sull’unità. Questa dovrà essere sempre una realtà nello Spirito e normata
dallo Spirito. Con ciò non si vuol minimizzare gli aspetti concreti, ma
coglierli nel loro valore sacramentale.
∗ Parimenti notevole è il richiamo alla dignitas-libertas come conditio,
cioè come presupposto imprescindibile dell’esistenza cristiana. In quanto
frutto dello Spirito essa non significherà individualismo o relativismo.
Ridurre il credente a puro esecutore della legge sarebbe negarlo in questa
fondamentale dignità-libertà in cui è costituito dallo Spirito.
∗ Infine il fatto che lo Spirito riesca a dare alla fedeltà il ritmo del
rinnovamento mi sembra che ci porta ancora una volta a questa stessa
visione implicante quale punto di partenza il popolo e la dignitas-
libertas.
dà una stretto legame. Viene così ridata alla santità e alla carità, in cui si
concretizza, quel valore umano autentico che tante volte era stato messo
in ombra da affermazioni e prassi contrassegnate da un ascetismo
disincarnato, ma che è stato sempre testimoniato dalla vita dei veri santi.
∗ Notevole anche il richiamo alle forze secundum mensuram donationis
Christi, che apre tutto il discorso sulla santità (e quindi sulla vita
cristiana) a un approccio veramente personale ed esistenziale.
a) Per nella diversità delle situazioni di vita e compiti, una sola è la santità di coloro che
∗ mossi dallo Spirito,
∗ ubbidienti alla voce del Padre,
∗ adoranti in spirito Dio Padre,
∗ seguono Cristo povero, mite e carico della croce,
∗ per essere con lui anche nella gloria.
b) Perciò ognuno, secondo i propri doni e compiti, avanza per la via della fede che
accende la speranza e opera per mezzo della carità.
c) Alla luce di queste prospettive vengono poi analizzate le diverse componenti del
popolo di Dio, evidenziando come proprio in ciò che le specifica stiano la grazia e la
ragione dello specifico cammino verso l’unica santità.
d) Infine viene ricordato sinteticamente: tutti i fedeli saranno di giorno in giorno più
santificati nelle loro condizioni di vita , nei loro lavori e circostanze e per mezzo di
tutte queste cose, se
∗ ricevono ogni cosa con fede dalle mani del Padre,
∗ cooperano con la volontà divina,
∗ manifestano la carità di Dio nello stesso servizio temporale.
Si noti:
∗ La dimensione pneumatologica viene inserita in una presentazione
fondamentalmente cristologica e, al tempo stesso, trinitaria della vita
cristiana.
∗ La motio Spiritus viene ricordata come scaturigine della sequela Christi,
come era già affermato nel par. 8 della stessa costituzione. Un dato che
appare più netto se si ha presente come tutto venga riassunto nel vivere
nella fede, carità e speranza, che, secondo AA 3, sono diffuse nei cuori
dei fedeli proprio dallo Spirito.
∗ Notevole infine il richiamo al fatto che la crescita nella santità è non solo
in vitae conditionibus, officiis vel circumstantiis, ma anche per illa
Spirito e vita cristiana / 27
omnia. Un dato che dice relazione a quanto più tardi leggeremo nei
riguardi dei segni dei tempi.
a) Dio è amore e ha diffuso il suo amore in noi per lo Spirito: la carità è il primo e
indispensabile dono.
b) Perché possa crescere e fruttificare, è necessario
∗ ascoltare volentieri la parola di Dio;
∗ coll’aiuto della sua grazia, attuare la sua volontà;
∗ partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia e alla santa
liturgia;
∗ applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di sé, all’attivo servizio
dei fratelli, all’esercizio di ogni virtù. Tutto questo però deve essere retto,
informato e finalizzato dalla carità.
c) L’amore più grande è dare la vita per Cristo e per i fratelli:
∗ Alcuni credenti sono stati e saranno ancora chiamati al martirio;
∗ Tutti però devono essere sempre pronti a confessare Cristo e a seguirlo sulla via
della croce.
d) Il celibato/verginità eccelle tra i consigli evangelici come segno e stimolo della carità
e speciale sorgente di spirituale fecondità nel mondo.
e) L’umiltà-povertà-ubbidienza del Cristo è carità, la cui imitazione-testimonianza è in
tutti i credenti, ma più chiaramente in alcuni di loro.
f) Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del loro
stato, per cui dovranno rettamente dirigere i propri affetti, affinché l’uso delle cose di
questo mondo e l’attaccamento alle ricchezze non impediscano di tendere alla
perfetta carità.
Si noti il richiamo iniziale allo Spirito Santo come datore della carità
che dà il tono a tutto il paragrafo, anche se poi nel successivo sviluppo non
risulta più evidenziato. Si tratta però generalmente di aspetti della vita
cristiana la cui dimensione pneumatologica, come ho già ricordato, viene
richiamata altrove dal Concilio:
∗ Il discorso conciliare sulla vocazione universale alla santità nella chiesa
è tra quelli che la teologia morale deve ancora oggi approfondire e
sviluppare in maniera adeguata. Esso infatti tocca la concezione stessa
Spirito e vita cristiana / 28
a) La testimonianza e la proposta della fede da parte del popolo di Dio devono essere
rette dalla consapevolezza della mentalità sociale odierna. Si danno perciò come:
* solidarietà, rispetto e amore per l’intera famiglia umana;
* nel dialogo sui problemi storicamente più urgenti;
* arrecando su di essi la luce del vangelo;
* mettendo a disposizione le energie di salvezza del Cristo;
* sotto la guida dello Spirito.
b) Gli obiettivi da mantenere sempre insieme: salvare la persona umana ed edificare la
società.
c) Tutto questo deve esser per il popolo di Dio
* non un ricercare se stesso;
* ma un continuare sotto la guida dello Spirito Santo l’opera del Cristo,
* in quanto testimonianza alla verità, salvezza non condanna, servizio non pretesa di
servizio da parte degli altri.
Si tratta di prospettive importanti per la corretta proposta della vita
cristiana; più specificamente si noti:
∗ È lo Spirito che guida il popolo di Dio nel suo cammino nel mondo. È un
dato che la teologia morale non può ignorare, né darlo per scontato e poi
fare come se non fosse reale.
∗ Lo Spirito assicura che questo camminare del popolo di Dio nel mondo
sia continuare l’opera del Cristo (opus ipsius continuare Christi). Il
riferimento a Lumen Gentium 4 e 8 diventa d’obbligo. La guida dello
Spirito non è qualcosa che può essere circoscritta nell’intimo della
persona, in uno speciale ambito spiritualistico, ma abbraccia l’insieme
dell’agire del popolo di Dio. In maniera particolare gli dà la possibilità di
restare fedele al duplice reciproco obiettivo indispensabile per tutto il
suo agire: salvare la persona e costruire la società.
∗ Tutto si riassume in un atteggiamento e in una prassi ministeriale,
secondo il titolo del paragrafo (De ministerio homini praebendo). Nel
servire sta la fedeltà all’opera di Dio; a questo spinge senza riserve la
guida dello Spirito. Il servizio all’uomo si pone perciò come criterio
precipuo di verità e di validità per tutto l’agire cristiano nel mondo.
a) Il popolo di Dio, tanto nel suo dare quanto nel ricevere molto dal mondo ha come
unico scopo
* l’avvento del regno di Dio
* e la realizzazione della salvezza dell’umanità
* concretizzando così il suo essere sacramentale nei confronti del mistero.
b) In Cristo infatti sono
* la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale,
* il fine e il punto focale della storia umana,
* il centro del genere umano e la gioia e la pienezza di ogni cuore.
c) Nel suo Spirito vivificati e coadunati, i credenti cammino verso la perfezione della
storia umana che corrisponde al disegno del Padre.
Si noti:
∗ L’indispensabilità del discernimento dei segni dei tempi per la missione
della chiesa. Non si tratta di qualcosa che i credenti possono o non
possono fare, a loro piacimento, ma di un dovere cui è impossibile
sottrarsi: è per omne tempus Ecclesiae officium.
∗ Il duplice momento proprio del discernimento: perscrutare e
interpretare. Sono entrambi coessenziali, per cui vanno tenuti in un
costante e corretto rapporto, tale cioè che nessuno dei due possa
presumere di poter fare a meno dell’altro.
∗ La centralità del vangelo: una centralità che alla teologia morale e alla
vita cristiana non sarà mai permesso dimenticare. Si tratta però di una
centralità di “interpretazione”.
∗ La varietà, la complessità e anche la contraddittorietà dei segni,
derivante dalla drammaticità del mondo e della storia. Di qui la necessità
di non fermarsi all’uno o all’altro con operazioni di chirurgia storia di
sapore ideologico, ma di mettersi incessantemente all’ascolto, alla
rilevazione, al discernimento.
∗ E tutto deve sfociare in risposte (di annunzio e di vita) storicamente
significative, capaci cioè di inserirsi nel vivo dell’inquieto interrogarsi
dello uomo.
Spirito e vita cristiana / 34
Tutto ciò viene ribadito nel par. 11 (che apre la parte prima della
costituzione), con in più un netto riferissi all’azione dello Spirito Santo (il
titolo del paragrafo è Impulsionibus Spiritus respondendum):
a) Il popolo di Dio, mosso dalla fede nella guida dello Spirito che riempie l’universo,
cerca di discernere
* negli avvenimenti
* nelle richieste
* e nelle aspirazioni
cui partecipa insieme agli altri uomini del nostro tempo,
quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio.
b) La fede infatti
* tutto rischiara di una luce nuova,
* svela le intenzioni di Dio sulla vocazione dell’uomo,
* guida perciò l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane.
c) In questa luce vanno giudicati prima di tutto i valori oggi in grandissima stima,
riconducendoli alla loro divina sorgente. Essi infatti, in quanto procedono
dall’ingegno umano, che è stato dato all’uomo da Dio, sono in sé ottimi, ma per
effetto della corruzione del cuore umano non raramente vengono distorti dalla loro
debita ordinazione, per cui hanno bisogno di essere purificati.
Si noti:
∗ La fondazione pneumatologica di tutto il discernere della chiesa: è la
guida dello Spirito che permette al popolo di Dio operare quella lettura
della realtà che sia capace di far emergere i vera signa praesentiae vel
consilii Dei.
∗ Facendo questo lo Spirito permette di arrivare a soluzioni veramente
umane. Una prospettiva questa che il concilio non si stancherà in seguito
di ribadire più volte soprattutto avendo presente la sfida dell’ateismo
umanistico.
∗ Nessuna realtà va esclusa dall’opera di discernimento. Gli stessi valori
necessitano di essa, per essere liberati e ricondotti alla loro divina
sorgente. È impossibile quindi per il popolo di Dio essere passivo
dinanzi a qualsiasi realtà; è chiamato a vivere sempre da soggetto,
assumendo ogni cosa solo dopo avere operato su di essa il discernimento
evangelico.
massimo rispetto per la giusta libertà che spetta a tutti nella città terrestre.
Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse
fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza
nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter assieme riconoscere
i segni dei tempi...».
c) Infine nella conclusione di Dignitatis humanae (n. 15), dopo aver costatato che
«nella presente età gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la
religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior
parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in
documenti internazionali» e che però vi sono «regimi nei quali, anche se nelle loro
costituzioni la libertà di culto religioso è riconosciuta, i poteri pubblici tuttavia si
sforzano di rimuovere i cittadini dalla professione religiosa» si aggiunge:
«Il Sacro Sinodo, mentre saluta con lieto animo quei segni propizi di questo tempo e
denuncia con amarezza questi fatti deplorevoli, esorta i cattolici e invita tutti gli
esseri umani a considerare con la più grande attenzione quanto la libertà religiosa sia
necessaria, soprattutto nella presente situazione della famiglia umana».
1.4. Sintesi
dalla umiltà della vita quotidiana) non va considerata solo come il luogo
della applicazione del bene espresso dalla norma universale; è essa stessa
rivelativa degli appelli del bene. Occorrerà però ascoltarla e leggerla in
profondità, arrivando cioè alla presenza dello Spirito che chiama a
cooperare con lui secondo la logica della croce.
∗ Oltre questo contenuto di storia, l’imperativo morale letto alla luce dello
Spirito svela che è innanzitutto grazia: il “tu devi” per il battezzato
suonerà sempre “tu puoi perché ti è anticipato in dono, perciò devi”. E
questo non diminuisce l’esigenza dell’imperativo, ma permette di
proiettarlo nelle prospettive delle “beatitudini”: ne sottolinea il senso e
permette di rispondere alla fragilità della presente condizione storica
dell’uomo.
∗ Si tratta di istanze che la teologia morale è chiamata ad accogliere e
sviluppare. Esse del resto sono in profonda sintonia con quanto lo stesso
Concilio ha indicato nei riguardi del suo rinnovamento metodologico Si
pensi, ad esempio, alla descrizione della stessa teologia morale
abbozzata in OT 16, alla descrizione della dignità della coscienza morale
in GS 16 o alla responsabilità cristiana nei riguardi del mondo come
responsabilità di ricerca di soluzioni più che semplice applicazione di
“ricette” di GS 43.
Spirito e vita cristiana / 39
Dio come nemico della propria creatura e, prima di tutto, come nemico
dell'uomo, come fonte di pericolo e di minaccia per l’uomo». Viene così
«innestato da Satana nella psicologia dell'uomo il germe dell'opposizione
nei riguardi di colui che “sin dall’inizio” deve essere considerato come
nemico dell'uomo - e non come Padre» (n. 38);
* dinanzi al peccato dell’uomo, «l’imperscrutabile e indicibile “dolore” di
padre genererà soprattutto la mirabile economia dell'amore redentivo in
Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia
dell'uomo l'amore possa rivelarsi più forte del peccato». Ed è nello
Spirito che «possiamo concepire come personificata e attuata in modo
trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica,
sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio» (n.
39);
* e lo Spirito entra nella «sofferenza umana e cosmica» generata dal
peccato «con una nuova elargizione di amore» fonte di redenzione per il
mondo: se sulla bocca del Redentore, «nella cui umanità si invera la
“sofferenza” di Dio», risuona «una parola in cui si manifesta l'eterno
amore, pieno di misericordia: “Misereor”», il convincere del peccato
operato dallo Spirito «diventa un manifestare davanti alla creazione
“sottomessa alla caducità” e, soprattutto, nel profondo delle coscienze
umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell'Agnello di
Dio, il quale è divenuto «fino alla morte» il servo obbediente che,
riparando alla disobbedienza dell’uomo, opera la redenzione del
mondo»(n. 39);
* tutto questo non può realizzarsi in noi «per altra via se non per quella
della coscienza. Se la coscienza è retta, allora serve “per risolvere
secondo verità i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli
quanto in quella sociale”; allora “le persone e i gruppi sociali si
allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme
oggettive della moralità” [GS 16]. Frutto della retta coscienza è, prima di
tutto, il chiamare per nome il bene e il male» (n. 43);
* nel suo convincere il mondo del peccato, lo Spirito di verità viene ad
incontrarsi «con quella fatica della coscienza umana, di cui i testi
conciliari parlano in modo così suggestivo». E’ la fatica che «determina
anche le vie delle conversioni umane». Ma tale sofferenza non è «quasi
un'eco lontana di quel “pentimento di aver creato l'uomo”, che con
linguaggio antropomorfico il Libro sacro attribuisce a Dio? di quella
“riprovazione” che, inscrivendosi nel “cuore” della Trinità, in forza
dell'eterno amore si traduce nel dolore della Croce, nell'obbedienza di
Cristo fino alla morte? Quando lo Spirito di verità consente alla
Spirito e vita cristiana / 44
e lotta, che si svolge nell’uomo tra l’apertura verso l’azione dello Spirito
Santo e la resistenza e l’opposizione a lui, al suo dono salvifico. I termini
o poli contrapposti sono, da parte dell’uomo, la sua limitatezza e
peccaminosità, punti nevralgici della sua realtà psicologica ed etica; e, da
parte di Dio, il mistero del dono, quell’incessante donarsi della vita
divina nello Spirito Santo». La vittoria sarà «di chi avrà saputo
accogliere il dono» (n. 55);
* dalla «intima relazione con Dio nello Spirito Santo» deriva che «l’uomo
comprenda in modo nuovo anche se stesso, la propria umanità»
realizzando «pienamente quell’immagine e somiglianza di Dio» del
progetto creatore. Questa «intima verità dell’essere umano» va
continuamente «riscoperta alla luce di Cristo, che è il prototipo del
rapporto con Dio, e, in lui, deve essere anche riscoperta la ragione del
“ritrovarsi pienamente attraverso un dono sincero di sé” con gli altri
uomini». Ma «la conoscenza efficace e l’attuazione piena di questa
verità dell’essere avvengono solo per opera dello Spirito Santo. L’uomo
impara questa verità da Gesù Cristo e la attua nella propria vita per opera
dello Spirito» (n. 59);
* in quanto «testimoni dell’autentica dignità dell’uomo», i cristiani, anche
nelle comuni condizioni di vita, «per la loro obbedienza allo Spirito
Santo, contribuiscono al molteplice “rinnovamento della faccia della
terra”, collaborando con i loro fratelli per realizzare e valorizzare tutto
ciò che nell’odierno progresso della civiltà, della cultura, della scienza,
della tecnica e degli altri settori del pensiero e dell'attività umana, è
buono, nobile e bello» (n. 60);
* non va dimenticato che «il soffio della vita divina, lo Spirito Santo, nella
sua maniera più semplice e comune, si esprime e si fa sentire nella
preghiera. È bello e salutare pensare che, dovunque si prega nel mondo,
ivi è lo Spirito Santo, soffio vitale della preghiera» (n. 65);
* soprattutto occorre capire sempre meglio che «lo Spirito Santo non cessa
di essere il custode della speranza nel cuore dell’uomo: della speranza di
tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che “possiedono le
primizie dello Spirito” ed “aspettano la redenzione del loro corpo” (Rm
8,23). Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divina comunione
col Redentore dell'uomo, è il realizzatore della continuità della sua
opera: egli prende da Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente
nella storia del mondo attraverso il cuore dell'uomo» (n. 67).
Spirito e vita cristiana / 46
Non sono stati pochi coloro che sono rimasti “sorpresi” dalla prima
enciclica di Benedetto XVI, perché si aspettavano che essa trattasse della
verità, più che della carità.
Tra gli studi che possono aiutare alla comprensione dell’enciclica, mi
limito a segnalare: N. CIOLA, Nuovi impulsi per la teologia contemporanea
dall’Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, in Path 6 (2007) 271-
304; Deus caritas est, in Studia Moralia 45/1 (2007) 11-145; Dio è amore.
Commento e guida alla lettura dell’Enciclica “Deus caritas est” di
Benedetto XVI, Paoline, Milano 2006; Forum “Dio è amore”. L’amore
alla base della morale nel pensiero cattolico, ecumenico e interreligioso,
RTM 150 (2006/2) 173-214; C. MURPHY, Charity, Not Justice, as
Constitutive of the Church’s Mission, in Theological Studies 68 (2007)
274-286.
del mondo, sarebbe negata la libertà dell'uomo, e per questo motivo non
sarebbero, in definitiva, per nulla strutture buone» (n. 24);
* il bisogno di condivisione e di compassione per risposte adeguate: «Alla
fede cristiana, nella storia dell’umanità, spetta proprio questo merito di
aver suscitato nell’uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la
capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La
fede cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono
semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato,
infatti, che Dio – la Verità e l’Amore in persona – ha voluto soffrire per
noi e con noi. Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa
espressione: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis – Dio non
può patire, ma può compatire. L’uomo ha per Dio un valore così grande
da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l’uomo, in
modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel
racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato
uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in
ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di
Dio e così sorge la stella della speranza. Certo, nelle nostre molteplici
sofferenze e prove abbiamo sempre bisogno anche delle nostre piccole o
grandi speranze – di una visita benevola, della guarigione da ferite
interne ed esterne, della risoluzione positiva di una crisi, e così via. Nelle
prove minori questi tipi di speranza possono anche essere sufficienti. Ma
nelle prove veramente gravi, nelle quali devo far mia la decisione
definitiva di anteporre la verità al benessere, alla carriera, al possesso, la
certezza della vera, grande speranza, di cui abbiamo parlato, diventa
necessaria. Anche per questo abbiamo bisogno di testimoni, di martiri,
che si sono donati totalmente, per farcelo da loro dimostrare – giorno
dopo giorno. Ne abbiamo bisogno per preferire, anche nelle piccole
alternative della quotidianità, il bene alla comodità – sapendo che
proprio così viviamo veramente la vita. Diciamolo ancora una volta: la
capacità di soffrire per amore della verità è misura di umanità. Questa
capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal genere e dalla misura della
speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo. I santi
poterono percorrere il grande cammino dell'essere-uomo nel modo in cui
Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande
speranza» (n. 39).
Spirito e vita cristiana / 69
a) 1Cor 12,27-31
Il passo va letto nel contesto dello sviluppo dei cap. 12 (i carismi
sono per il bene della comunità: non possono diventare motivo di contesa),
13 (la carità li sorpassa tutti) e 14 (la loro gerarchia è data dal contributo
all’edificazione della comunità).
«Ora voi siete corpo di Cristo e membra, ciascuno, per la sua parte
(soma Xristou kai mele ek merous). Alcuni perciò Dio li ha posti nella
Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come maestri;
poi vengono i miracoli, poi i doni di fare guarigioni, i doni di assistenza,
di governare, delle lingue. Sono tutti forse apostoli? Tutti profeti? Tutti
maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far
guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai
carismi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte».
Si noti:
* il collegamento carismi - corpo di Cristo, che porta a cogliere nel
carisma la specificità propria di ognuno nell’essere membro del corpo di
Cristo;
* l’ambito e la finalizzazione ecclesiale che sono propri di tutti i carismi;
* il rapporto con la carità, nel brano solo accennato, che però verrà
sviluppato ampiamente nei due capitoli seguenti.
b) Rm 12,3-8
Si noti:
* il rapporto che l’apostolo indica tra autovalutazione e carismi che
permette ai credenti di essere effettivamente fedeli al metron pisteos;
* la misura della fede come criterio che regola anche la concreta
espressione dei diversi doni;
* la varietà dei doni caratterizza i cristiani come membra gli uni degli altri;
* una diversità che non è un fatto di casualità o un fatto senza alcun
significato, ma è kata ten charin;
* ogni dono, secondo la sua specificità, necessita di atteggiamenti
adeguati, tendenti tutti a esplicitarlo in maniera che costruisca il corpo di
Cristo nella sua interezza.
c) Ef 4,7-16
- cammino di maturazione;
- abbandono del vivere da bambini;
- capacità di evitare gli errori;
- rendere la verità carità;
* la crescita di ogni membro assume le caratteristiche non di un fatto
isolato, individualistico, ma di una corresponsabilità e solidarietà di tutto
il corpo;
* si noti infine la tensione escatologica che viene indicata come
caratteristica dinamica dei carismi e che, al tempo stesso, diventa reale
proprio dal loro corretto esercizio.
G. HASENHÜTTL sottolinea a sua volta che per Paolo sono due i criteri
costitutivi dei carismi: lo Spirito, cioè l’essere sostenuti dallo Spirito e il
poter essere ricondotti a lui, e l’edificazione della comunità nella sua
concreta realtà storica.
In questo contesto mi sembra significativo per la nostra ricerca
quanto lo stesso autore osserva riguardo al rapporto tra i carismi e i talenti.
Il carisma è un nuovo dono, ma «naturalmente non nel senso che non sia
possibile una concordanza contenutistica con il talento, ma è la nuova
origine, il potere liberante che qualifica tutti i talenti, li pone in un nuovo
modo di essere che relativizza ogni cosa già “posta” - e qui sono inclusi
anche i talenti naturali - e li fa comparire sotto una nuova luce che rende
possibile il carisma, forza dello Spirito. Certamente secondo la concezione
paolina è possibile anche un nuovo contenuto, ma quest’ultimo non è
affatto necessario per il carisma a differenza dei talenti» (op. cit. 119).
Di qui le conclusioni che lo stesso autore delinea, rispondendo alle
domande che abitualmente vengono poste nei riguardi dei carismi. Prima di
tutte quella se essi «sono realtà che compaiono in modo straordinario o
normale nella vita della chiesa». La risposta: «sono possibili ambedue i tipi
di carismi. Né i fenomeni occasionali né quelli comuni sono in quanto tali
carismi. Ambedue possono divenire gratuiti se per origine vengono dalla
potenza di Dio e se sono indirizzati al servizio della comunità di modo che
essa venga costituita per mezzo loro» (ivi 249).
Inoltre è chiara la messa in guardia paolina contro il ricercare i
carismi, derivante dal fatto che «in essi c’è il pericolo di dimenticare con il
dono, non solo colui che l’ha donato, ma anche il prossimo in funzione del
quale il carisma è stato dato». Essa però non significa «un appiattimento
tale da cancellare tutte le differenze individuali - anzi, significa riconoscere
la molteplicità d’espressione dell’amore! Ciascuno è al proprio posto, ma il
suo compito è il servizio alla comunità. Ogni violazione del carisma
dell’altro, ogni oppressione del dono gratuito del fratello, nel cristianesimo
Spirito e vita cristiana / 81
4.2.1. I testi
a) Lumen gentium
4: costituzione essenzialmente gerarchico-carismatica della chiesa.
7: sottomissione dei carismi all’autorità degli apostoli.
11: il sacramento del matrimonio è uno speciale carisma.
12: immensa ricchezza e varietà di carismi in tutto il popolo di Dio.
13: condividere i carismi presenti nelle altre comunità ecclesiali
16: carismi e vocazione del popolo ebraico: sono irrevocabili.
21: trasmissione dei carismi ministeriali.
25: carisma dell’infallibilità del papa.
30: i pastori devono riconoscere e fomentare i carismi, specialmente quelli laicali.
42: il prezioso carisma del celibato e della verginità consacrata.
50: innumerevoli carismi lungo i secoli.
b) Dei Verbum
8: carisma della verità rivelata e predicata.
c) Presbyterorum ordinis
4: varietà di carismi dei predicatori.
6: impegno e esigenze dei carismi dei cristiani.
9: i sacerdoti devono scoprire, riconoscere e favorire i carismi dei laici.
d) Perfectae caritatis
8: i carismi molto vari degli istituti religiosi.
e) Apostolicam actuositatem
3: varietà e finalità dei moltissimi carismi dei laici e loro responsabilità.
30: scoprire ed esercitare sempre più i carismi.
f) Unitatis redintegratio
2: lo Spirito Santo unisce le chiese e distribuisce i carismi.
g) Ad gentes
4: costituzione gerarchico-carismatica della chiesa.
23: la vocazione missionaria è uno dei molti carismi e sua responsabilità.
24: i missionari devono rinnovarsi nello spirito per non svilire il proprio carisma.
28: collaborazione missionaria di tutti secondo il carisma proprio di ciascuno.
h) Nostra Aetate
4: carismi e vocazione del popolo ebraico: sono irrevocabili e eterni.
Spirito e vita cristiana / 85
una volta che si è ritrovato nello Spirito del Cristo risorto il senso di tutta
la storia.
* Carisma darà così a tutto il concreto strutturarsi della persona nuova il
respiro della comunione: non solo a livello mistico con il Padre nel
Cristo per lo Spirito, ma anche a livello di fratelli, di umanità, di storia.
Ciò che ci specifica come soggetti dice sempre rapporto, tensione
all’altro, servizio all’altro: è reciprocità. Quanto questo sia necessario
all’uomo d’oggi non sfugge a nessuno di fronte ai rischi di
burocratizzazione efficientistica del rapporto sociale o di dall’impegno
solidale, che conseguentemente per contrasto viene spesso a realizzarsi.
* Il carisma permetterà alla fondazione in Cristo della persona nuova non
solo di emergere nella coscienza come carica di imperatività
fondamentale in forza del senso, ma di riempirsi di concrete indicazioni
imperative in forza del complesso di doni personali e del concreto
essere-in-comunione con gli altri, soprattutto bisognosi, poveri, deboli.
Spirito e vita cristiana / 89
passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene e si procura da sé e
con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti».
* Provando a precisare i contenuti della legge, il paragrafo 16 si
rifà alla carità: «in Dei et proximi dilectione adimpletur». In quanto tale
non può essere conosciuta in modo pieno che dalla coscienza, che è il
luogo dove risuona la voce di Dio: «Nella coscienza si svela in modo
mirabile quella legge che consiste nell’amore di Dio e del prossimo».
* La verità morale verrà allora esigerà fedeltà alla coscienza,
ricerca, comunione: «Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono
agli altri uomini nel ricercare la verità e nel risolvere nella verità i tanti
problemi morali che sorgono sia nella vita dei singoli che nella vita
sociale» (n. 16).
In questa fedeltà condivisa si trova anche la possibilità di allontanarsi
dall’arbitrarietà e dal relativismo egoistico: «Quanto più prevale la
coscienza retta (nel senso, credo, prima accennato di fedeltà e di
ricerca), tanto più le persone e i gruppi si allontanano dalla cieca
arbitrarietà e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive di
moralità» (n. 16). Ma allora si tratterà di un’oggettività di persone, di
carità, di fedeltà leale di coscienze in confronto tra di loro, di ricerca che
non si sgomenta di fronte ai problemi sempre nuovi che il cammino
della umanità incessantemente pone. In altre parole, si tratterà di una
verità morale frutto di coscienze in ricerca leale, che immettono in
questa ricerca, come suo momento qualificante, le stesse norme morali.
* Questa lettura trova conferma nel richiamo finale che il
paragrafo 16 fa alla coscienza invincibilmente erronea: «Tuttavia
succede non di rado che la coscienza sbagli per ignoranza invincibile,
senza che per questo perda la sua dignità». Non la perde, perché la sua
dignità non è prima di tutto dignità di conformazione alla legge
oggettiva, ma dignità di fedeltà leale a se stessa, di conformazione alla
legge-voce del cuore, di ricerca: in una parola, è dignità di persona. Solo
quando viene a mancare questo, la coscienza perde la sua dignità:
«Questo però non può dirsi quando l'uomo poco si cura del ricercare il
vero e il bene e la coscienza dalla consuetudine al peccato un po’ alla
volta viene resa quasi cieca». Questo potere del peccato può essere
meglio compreso, se si ha presente quanto il paragrafo 13 ha detto:
«L’uomo, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua
libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di
fuori di Dio... Se l'uomo guarda dentro al suo cuore si scopre anche
inclinato al male e immerso in tante miserie... spesso l'uomo ha infranto
il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine e al tempo stesso tutto il
Spirito e vita cristiana / 94
suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso
tutte le cose create».
senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni
sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo
non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la
verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È
esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di
portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività».
altre, due parti ben distinte: una dottrinale (1-11), l’altra esortativa o
parenetica (12-16), non sono d’accordo quando si tratta di determinare il
piano in modo più preciso».
I capitoli 7 e 8 si trovano nel cuore stesso della lettera ai Romani: la
pienezza della liberazione operata dal Cristo (cap. 7) pone i credenti in una
situazione di libertà in forza dell’energia vivificante dello Spirito che ha
preso il posto della legge (cap. 8). Tutto questo è elemento essenziale del
vangelo di cui Paolo è ministro e contrassegno dell’autentica
giustificazione in forza della fede.
Affinché portiamo frutti per Dio (v. 4): come lo schiavo affrancato
«appartiene al nuovo padrone (6,15), così il cristiano nel Cristo non vive
più per se stesso, ma per il Cristo e per Dio» (BJ 2429).
Viene così ribaltata la situazione di carne-morte: «quando eravamo en te
sarki, le passioni peccaminose (pathemata ton amanton) eccitate dalla
legge agivano nella nostre membra al fine di portare frutti per la morte.
Ora invece siamo sgravati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva
prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime
vecchio della lettera» (v. 5-6). Paolo anticipa così sinteticamente i temi
che svilupperà nel resto del capitolo settimo e nel corso dell’ottavo.
b) Questo dipende dal fatto non già che la legge sia peccato, ma che essa è
di fatto divenuta strumento del peccato. Nello sviluppare queste
affermazioni nei vv. 7-12, Paolo ha presente il racconto genesiaco del
primo peccato:
«Io non avrei mai conosciuto il peccato se non fosse stato per la legge;
avrei infatti ignorato la concupiscenza se la legge non avesse detto: Non
desiderare» (v. 7-8). L’allusione ad Adamo e alla sua caduta, nei vv. 9 e
11-24, permette di chiarificare il significato di questo io: si tratta «di
ogni uomo che, come Adamo, si trova alle prese con la legge, la
trasgressione e il peccato» (TOB). Il linguaggio usato rinforza il
riferimento alla Genesi: comandamento, cupidigia, morte, tentazione,
ingannare.
«Senza la legge il peccato è morto e io un tempo vivevo senza la legge.
Ma sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita (e
amartia anezesen) e io sono morto. E così il comandamento il quale
doveva condurre alla vita, mi si appalesò strumento di morte. Il peccato
infatti trasse impulso dal comandamento e proprio mediante il
comandamento mi ingannò e mi fece morire» (v. 8-11).
Commenta LYONNET: «Adamo ed Eva vivono in familiarità con Dio, ma
sopraggiunge il serpente e riesce a persuaderli ch’essi diverranno come
divinità se gusteranno dall’albero della scienza del bene e del male.
Istantaneamente il frutto, diventato un mezzo per impadronirsi di questo
privilegio divino, assume per Eva un fascino finora non provato... Ma
appena hanno trasgredito il precetto, essi si vedono ridotti alla nudità,
cioè sono privati di tutto quel che fino ad allora costituiva la loro felicità;
prima erano amici di Dio, adesso si nascondono a Lui, ne hanno paura e
Lo fuggono. Il precetto, certamente, era buono, santo e spirituale (7,13s),
e il serpente, non il precetto, è responsabile di tutte le disgrazie. E
tuttavia secondo la narrazione biblica il precetto ha svolto una funzione;
il serpente se ne è servito per indurre i nostri progenitori a disobbedire.
Spirito e vita cristiana / 103
e) «Io trovo dunque in me questa legge che, mentre voglio fare il bene,
soltanto il male è alla mia portata. Il mio uomo interiore si compiace
della legge di Dio, ma vedo poi un’altra legge nelle mie membra che si
oppone alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del
peccato che è nella mia carne» (v. 21-23).
Paolo sembra parlare di quattro diverse leggi. Però «è meglio ravvisare
qui contrapposte due sole leggi: la legge della mente (identica... alla
legge di Dio, v. 22) e l’altra legge, presente nelle membra dell’uomo che
non è diversa dalla legge del peccato, pure presente nelle membra
dell’io. La varietà dei nomi con cui queste due leggi vengono designate
va ascritto al modo ancora incerto con cui si esprime l’apostolo, ancora
alla ricerca faticosa della chiarezza» (KUSS, cf. TORTI 161).
La legge quindi, causando la trasgressione, fa emergere chiara la
situazione di schiavitù nei riguardi del peccato propria dell’uomo. Fa
emergere tutta l’assurdità, l’impotenza, la disperazione della condizione
umana contrassegnata dal compiacersi interiormente del bene, ma
dall’essere condannati ad operare il male. La legge non è risolutiva di
tutto ciò. Fa però che la condizione umana non si chiuda definitivamente
su se stessa, ma sfoci in invocazione.
«Disgraziato che sono! Chi mi libererà dal corpo di questa morte?» (v.
24). La TOB parafrasa: «Chi mi libererà dal mio “io”, prigioniero del
peccato e votato alla morte, affinché io possa rivestirmi di un “io” nuovo
in Gesù Cristo (Rm 8,1) e trasformato dallo Spirito (Rm 8,5-11)».
«Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (v.
25). A lui solo infatti dobbiamo tale liberazione e tale trasformazione,
non già alle nostre povere opere.
del peccato» (v. 25). L’inciso sembra fuori luogo a questo punto; è però
attestato da tutta la tradizione testuale. Secondo KUSS andrebbe
considerato o come uno sguardo sintetico di riepilogo gettato da Paolo su
quanto ha fin qui esposto o come una glossa di un copista (cf. TORTI
162).
b) Tutto questo è stato realizzato da Dio in Cristo, con la sua vittoria sulla
carne-peccato: «quel che la legge non poteva fare, ciò in cui falliva per
causa della carne, Dio l'ha fatto», perché avendo inviato il proprio Figlio
«nella forma del peccato e a motivo del peccato ha condannato il peccato
Spirito e vita cristiana / 106
c) «Invero coloro che sono secondo la carne aspirano alle cose della carne,
mentre coloro che sono secondo lo spirito mirano alle cose dello Spirito
e le aspirazione della carne conducono alla morte, quelle dello Spirito
alla vita e alla pace. Perciò l'inclinazione della carne è avversione a Dio»
(v. 5-7).
La TOB traduce: «Sotto il dominio della carne si tende a ciò che è
carnale, ma sotto il dominio dello Spirito, si tende a ciò che è spirituale.
Perché il movimento della carne è rivolto contro Dio».
La legge, strumentalizzata dal peccato nell'economia della carne, non
serviva ad altro che ad acuire e ridestare il desiderio della stessa carne:
un desiderare contro Dio e quindi un desiderare di morte. Diverso
quando si è nell'economia dello spirito: allora il desiderare diventa un
desiderare di pace e di vita, attuato dallo stesso Spirito (o dalla legge
dello Spirito di vita in Cristo Gesù).
d) «Voi perciò non siete nella carne bensì nello Spirito sempre che lo
Spirito abbia dimora in voi; che se qualcuno non ha lo Spirito di Dio non
appartiene a lui. Se invece Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per
cagione del peccato, ma lo Spirito è vita a motivo della giustizia» (v. 9-
10).
Spirito e vita cristiana / 107
«Il rapporto che corre tra i fedeli e lo Spirito... è tale che essi esistono
reciprocamente gli uni nell'altro: i credenti vivono e operano nell'ambito
dello Spirito... ma si può dire anche nello stesso contesto... che lo Spirito
abita nei credenti» (KUSS).
Morto per cagione del peccato: stante a «un'esegesi che risale ai Padri e
che ha avuto largo seguito tra i moderni nekron andrebbe inteso nel
senso di thneta del v. 11 e la frase avrebbe un significato concessivo:
"Sebbene il corpo sia mortale per cagione del peccato (originale), lo
Spirito è vita ecc.". L'uso di nekron in luogo di thneton sarebbe dovuto a
ragioni di contrasto con zoe del membro seguente (LAGRANGE), o perché il
corpo non soltanto è mortale ma è già "cadavere" (nekron) in quanto reca
in sé i germi della morte (LYONNET). Secondo altri (a cominciare dal
CRISOSTOMO) la frase va intesa in senso sacramentale e designa il
momento "negativo" della salvezza: "Il corpo (nel senso di 'carne', cf. v.
11b) è morto (nel battesimo) per cagione del peccato (in quanto era sede
e fomite del peccato)» (TORTI 168-169).
e) Si tratta di una vita che sarà totale, diffondendosi anche nella corporeità
dell'uomo, sempre per lo Spirito: «E se lo Spirito di colui che ha
risuscitato Gesù da morte dimora in noi, colui che ha risuscitato Cristo
vivificherà anche i vostri corpi mortali mediante il suo Spirito che abita
in noi» (v. 11).
Solo allora la vittoria della vita sarà totale. «La risurrezione dei cristiani
è in stretta dipendenza da quella di Cristo... Per la stessa potenza e lo
stesso dono dello Spirito (Rm 1,4) il Padre risusciterà anche loro.
Quest’opera si prepara fin d'ora in una vita nuova che li rende figli (v.
14) a immagine del Figlio (v. 29), incorporazione al Cristo risorto che si
compie mediante la fede (1,16) e il battesimo (6,4)» (BJ).
coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio; voi infatti
non avete ricevuto uno spirito di servitù che vi riporta al timore, ma uno
spirito di figliolanza nel quale gridiamo: Abbà, Padre. Lo Spirito stesso
rende testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio; ma se siamo
figli siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, purché
soffriamo con lui per essere anche con lui glorificati» (v. 14-17).
Lo Spirito non solo ci fa figli, ma fa che questo nostro essere diventati
figli si esprima nel grido Abbà. Krazomen viene diversamente
interpretato: «Si va dal "forte grido estatico isolato" (Kuss) alla
"preghiera ad alta voce con tono fidente e gioioso, contrapposta alla
preghiera dei Giudei che per tradizione dovere essere mormorato, segno
anche questo dello 'spirito di chi è servo'" (ALTHAUS). In linea di massima
si dovrà intendere il "gridare" in quel senso di invocazione a Dio che è
largamente documentato nei Salmi e anche ne N.T.» (TORTI 171).
Ma soprattutto lo Spirito è testimonianza interiore, è annunzio
convincente al nostro stesso spirito che siamo figli. La profondità della
vita cristiana appare chiaramente. E essa è assicurata proprio dallo stesso
Spirito, che già l'ha strappata al dominio esterioristico della legge.
E si tratta di una testimonianza contrassegnata dalla dinamica
escatologica: è sapersi eredi, ma eredi in Cristo e quindi sottomessi alla
dinamica del mistero pasquale.
della loro libertà, sarà quello un giorno di gaudio per tutta la creazione,
la quale parteciperà a modo suo di quella stessa libertà, sarà affrancata
dalle sue catene, sottratta al destino di morte e ricondotta alla gloria
primordiale del paradiso» (TORTI 176).
h) «E non soltanto la creazione; anche noi che abbiamo ten aparken dello
Spirito gemiamo dentro di noi, aspettando la nostra adozione a figli di
Dio, la redenzione del nostro corpo. Solo nella speranza infatti noi siamo
salvi» (v. 23-24).
Lo Spirito, presente come primizia in noi, ci costituisce salvi ma solo
nella speranza. Solidale con il gemere di tutta la creazione, la speranza è
attesa certa della redenzione anche del nostro corpo. Ci fa inoltre
crescere fino alla pienezza, secondo il ritmo pasquale di morte-
risurrezione e in una solidarietà che non conosce confini.
j) «E noi sappiamo che tutto contribuisce al bene per coloro che amano
Dio» (oppure, secondo la versione testimoniata da alcuni codici e seguita
dalla volgata: «E noi sappiamo che, con coloro che lo amano, Dio
collabora in tutto per il loro bene) «per coloro cioè che furono chiamati
secondo il suo decreto. Coloro infatti che egli ha conosciuto fin dal
principio li ha anche predestinati ad assumere l'immagine del figlio suo
per modo che questi fosse il primogenito fra molti fratelli; ma coloro che
egli ha predestinati li ha anche giustificati, e coloro che ha giustificati li
ha anche glorifica» (v. 28-30).
Non solo nel superamento dell'inefficacia delle nostre preghiere lo
Spirito compie la nostra debolezza, ma anche nel far sì che tutto sia per il
bene dei credenti. Così diventerà reale il piano del Padre: assumere
Spirito e vita cristiana / 110
k) Ci avviamo così alla fine del capitolo 8. La riflessione sul piano della
salvezza fa sfociare Paolo in un inno di fiducia vincitrice: «Che diremo
dunque dopo di ciò? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?... Chi ci
separerà dall'amore di Cristo?... in mezzo a tutto noi siamo più che
vincitori in virtù di colui che ci ha amato. Sono certo infatti che né
morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né potenze, né
altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potrà separarci dall'amore
di Dio che è in Cristo Gesù Signore nostro» (v. 31-39).
Il primo articolo della q. 106 affronta il problema utrum lex nova sit
lex scripta. La risposta è netta: «La nuova legge è la legge della nuova
alleanza. Ma la legge della nuova alleanza è infusa nei cuori... Quindi la
nuova legge è una legge infusa (indita)». A conferma vengono addotti Eb
8,10 e Gr 31,33. La ragione viene specifica ricorrendo ad Aristotele: «A
detta del Filosofo ogni cosa pare che sia ciò che in essa c’è di principale
(quod in se est potissimum). Ora la cosa che nella legge del nuovo
testamento è principale (potissimum) e che ne costituisce tutta la virtù, è la
grazia dello Spirito Santo derivante dalla fede in Cristo. Perciò la legge
Spirito e vita cristiana / 114
Il fatto poi che la legge nuova non si dia fin dall’inizio del mondo
viene spiegato da Tommaso - nell’articolo terzo - ricorrendo a tre
motivazioni:
* perché essa «principalmente consiste nella grazia dello Spirito Santo, che
non doveva concedersi in abbondanza prima di aver tolto dal genere
umano l’ostacolo del peccato consummata redemptione per Christum»;
* per la sua stessa perfezione, dato che «niente raggiunge la perfezione
all’inizio, ma quodam temporali successionis ordine; così si è prima
bambini e poi uomini»;
* e perché essa è lex gratiae: «perciò era necessario che l’uomo fosse
lasciato a se stesso nello stato dell’antica legge, perché, cadendo in
peccato, costatasse la propria infermità e riconoscesse di aver bisogno
della grazia».
L’ultimo articolo (il quarto) affronta il quesito: utrum lex nova sit
gravior quam vetus. Lo fa ricorrendo a una distinzione:
* la legge antica è multo gravior della nuova ex parte exteriorum operum,
perché «obbligava a un maggior numero di atti esterni per la complessità
delle cerimonie, a differenza della legge nuova che praeter praecepta
legis naturae, paucissima superaddidit in doctrina Christi et
Aspostolorum; sebbene in seguito siano state aggiunte alcune cose ex
institutione Patrum. Ma riguardo ad esse anche Agostino dice esse
moderationem attendendam, ne conversatio fidelium onerosa reddatur»;
* riguardo invece agli atti interni «i precetti della nuova legge sono più
gravosi dei precetti della legge antica, perché nella nuova legge vengono
proibiti i moti interiori dell’animo, che invece non erano espressamente
proibiti nella legge antica in omnibus, sebbene lo fossero in materie
particolari... Questa è una cosa difficilissima per chi non ha la virtù...
Ecco perché S. Giovanni poteva affermare che “i suoi comandamenti
Spirito e vita cristiana / 118
non sono gravosi” (1Gv 5,3). E Agostino spiega: “Non sono gravosi per
chi ama, ma sono tali per chi non ama”».
vita e destino nella «sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del
Padre» (n. 19). E' seguirlo sulla strada di «un amore che si dona
totalmente ai fratelli per amore di Dio» (n. 20), ma non per «una
imitazione esteriore, perché tocca l’uomo nella sua profonda interiorità.
Essere discepoli di Gesù significa essere resi conformi a lui, che si è
fatto servo fino al dono di sé sulla croce» (n. 21).
* Di tutto questo l'uomo è reso capace «soltanto in virtù di un dono
ricevuto... Il dono di Cristo è il suo Spirito, il cui primo “frutto” (cf. Gal
5,22) è la carità» (n. 22). Il dono però «non diminuisce, ma rafforza
l’esigenza morale dell’amore» (n. 24).
7. IL DISCERNIMENTO
INDICE
Premessa 1
Indicazioni bibliografiche 6