Anda di halaman 1dari 2

«NUOVI METODI DI INSEGNAMENTO»

di nisshin m . c l a u s

#1 L’evento sonoro
Mi sono sempre chiesto perché già nelle scuole medie non sia insegnato all’allievo un tipo di metodo che gli
permetta di ricordare tutto o gran parte di ciò che sarà tenuto a studiare negli anni a seguire. Se non ricordi
quello che studi, in definitiva a cosa ti serve averlo studiato?

Quando leggi un bellissimo libro su un argomento che t’interessa e ti appassiona, se dopo una settimana o
anche meno non ricordi nulla o quasi di quanto hai letto, come ti senti? Si sostiene che anche l’occhio vuole
la sua parte e sono d’accordo, ma alla soddisfazione in questo caso non vogliamo dare proprio nulla?

Al musicista è insegnato cosa fare per suonare. Come sgretolare difficoltà tecniche d’ogni tipo e addirittura
come interpretare una melodia. Quindi sotto un certo aspetto gli viene insegnato a mettersi da parte di
fronte a quello che io chiamo “evento sonoro”, o perlomeno a partecipare solo tecnicamente. Ciò che non
gli viene insegnato è come essere in condizioni psicologiche e fisiche adatte per mettere in pratica le sue
capacità e quanto conosce.

Il risultato è che molti musicisti d’enorme talento sono terrorizzati all’idea di suonare in pubblico e quando lo
fanno sono la controfigura di se stessi. Quasi come se l’unico compito da assolvere fosse tradurre quei pallini
seduti su una ragnatela formata da cinque righi e quattro spazi e dominare con l’unica forza della superiorità
tecnica ogni difficoltà dello strumento. Vi sembra esagerato? S’insegna musica lasciando da parte l’uomo.
È come riporre degli abiti in un armadio senza guardare prima all’interno, o qual è la disposizione migliore per
mettere tutti i vestiti.
Se vi fosse chiesto di sedervi, immediatamente guardereste la superficie su cui vi sedete. Questo è naturale.
Ma per ciò che riguarda la musica non è così immediato.

Quando frequentavo il conservatorio studiavo più di otto ore al giorno, ma l’emozione che provavo al mo-
mento di “esternare” quanto avevo studiato mi bloccava ogni capacità espressiva trasformandomi in un distri-
butore di suoni che logicamente possedeva molto della macchina ma poco dell’uomo.

Suonare in pubblico per me si trasformava in una sorta di castigo, cui mi dovevo sottoporre per meriti ac-
quisiti durate l’anno accademico. Ciò che mi sconvolgeva di più erano i complimenti della gente alla fine del
saggio. Quelle strette di mano ai miei occhi assomigliavano a frasi del tipo: “Complimenti sei stato malissimo,
ma hai saputo nasconderlo bene”. Ogni genere di complimento si rifaceva ad un giudizio tecnico. La qualità
che mi era riconosciuta quindi era quella di aver dominato tutte le difficoltà tecniche del brano. Dentro di me
pensavo a cosa mi avrebbero detto se fossi riuscito a vivere con passione e trasporto le musiche che suonavo,
usando le capacità tecniche per perdermi nella musica.
In camera mia riuscivo a sognare cullato da brani di Sor o Tarrèga, ma non appena mi rendevo conto di esse-
re ascoltato precipitavo giù in picchiata, vergognandomi se ero stato colto in un’espressione strana dovuta al
trasporto della melodia. Ricordo che a quel tempo sognavo di non dover fare mai una turnée. Una parte di
me amava la musica, mentre l’altra la riteneva colpevole di varie patologie sia fisiche sia psicologiche.

Suonare con il “cuore” rappresentava una specie di rito segreto che doveva essere svolto in assoluta solitudi-
ne. Come una confessione. Di ogni brano, in pratica, studiavo due interpretazioni, o meglio per essere in grado
di suonarlo in pubblico arrivavo a suonarlo tante volte d’averne la nausea; per me tenevo quelle esecuzioni
che non avrei mai avuto il coraggio di fare in pubblico, perché avevano l’ “ardire” di mostrare le mie più segrete
emozioni.

© 2000 - 2008
«NUOVI METODI DI INSEGNAMENTO»
di nisshin m . c l a u s

#2 Quando si è preparati
Quando si è preparati l’unico sogno che si ha è quello di riuscire ad esporre quanto si conosce, limitando i
danni provocati dall’emozione. Paganini per la paura di suonare e la conseguente violenza fatta a se stesso per
portare a termine il concerto, si racconta che avesse delle crisi nervose simili a quelle epilettiche.

A cosa serve studiare per ore ed ore un brano se quando dobbiamo suonarlo l’emozione ci paralizza o lascia
filtrare soltanto il dieci per cento di ciò che sappiamo fare? Qualcuno potrebbe obiettare che lo scopo dello
studio è permetterci di entrare all’interno del brano e non quello di essere in grado di suonarlo in pubblico
ma allora spiegatemi per cortesia perché quando uno sa fare una qualunque cosa, appena ne ha la possibilità
tende ad esternarla? Fabrizio De Andrè ha scritto: “…e se la gente sa e la gente lo sa che sai suonare, suonare
ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare”. Tutto questo è umano!

Di questo passo però dovremmo mettere al conservatorio un insegnante che insegni a suonare per se stessi e
uno che ci aiuti a farlo per gli altri. Fra le molte cose che non capisco una è il perché al musicista non si è mai
pensato di affiancare una “figura” che lo prepari psicologicamente. Nello sport ed in altre discipline succede.
Nella musica no! Se poi commettete l’errore di valutare gli studi musicali sotto un profilo “ergonomico” allora
ne scoprirete delle belle.

Io credo, senza scomodare principi filosofici, che ogni artista abbia l’obbligo morale di “usare” la sua arte per
far star bene chi non ha le sue stesse capacità. Tutto questo può assomigliare ad uno slogan anni sessanta, ma
da buon Genovese non credo che una fortuna come questa ci sia data per così dire gratis! Lo stesso discorso
è valido anche per coloro che non hanno la presunzione di considerarsi artista (ammesso che esserlo sia
un vanto!) o di volerlo essere. Se un animatore che sa suonare la chitarra o sa cantare, ma ha paura di farlo,
rimane soltanto una fortuna per se stesso. Non vi sembra egoista tutto questo? Oppure immaginate come
potrebbe far stare bene gli anziani che ha davanti oppure i bambini o qualsiasi persona che ha la possibilità di
ascoltare e di godere di quel momento. Come vi sembra messo in questi termini? Quando chi ha la possibilità
di aiutare non è messo in condizioni di poterlo fare, è un torto fatto prima a chi potrebbe usufruire di quel-
l’aiuto, in seconda battuta per quello che lo farebbe se sapesse come riuscire a farlo.

Aiutare secondo il mio punto di vista non vuol dire necessariamente sostenere, ma anche alleviare. Quante
volte ascoltiamo musica quando siamo “giù di corda”? In questo caso la musica ci aiuta; e la musica chi la pro-
duce? La gratitudine che spesso si ha nei confronti di un cantante o di un musicista è quella dovuta all’aiuto
che ci sentiamo di aver ricevuto o di ricevere dalla loro musica o dalle canzoni. Come vedete non c’è bisogno
di andare tanto in profondità per rendersi conto di questo.

Si! è vero non c’è bisogno del concerto ci sono anche i dischi, ma non vi siete mai trovati con un microfono
di fronte? È paralizzante si diventa imbambolati, almeno in concerto hai gli applausi, in uno studio hai soltanto
il “chiuso”. Credo che si dovrebbe riflettere su questo punto io da molto tempo non faccio altro.

© 2000 - 2008

Anda mungkin juga menyukai