INTRODUZIONE
La malattia infettiva è data dalla interazione tra un AGENTE ETIOLOGICO e
l’OSPITE.
Le caratteristiche della malattia dipendono da entrambi questi fattori: da un lato
dipende dalla efficienza delle difese dell’ospite e dall’altro dalla capacità
dell’agente etiologico di eluderle.
Esiste una differenza tra INFEZIONE, data da batteri, virus, miceti, protozoi, ecc.
o comunque microrganismi unicellulari, e l’INFESTAZIONE dove l’agente
etiologico è un metazoi, cioè un organismo pluricellulare come pidocchi o tenie.
La prima difesa del nostro organismo è rappresentata dalla CUTE INTEGRA che
funge da barriera. Infatti i pazienti ustionati gravi spesso muoiono per infezioni.
Gli agenti etiologici spesso per superare questa barriera sfruttano dei VETTORI
(animali in grado si superare questa barriera) come ad es. una zecca che può
iniettare la Borrellia provocando la Malattia di Lyme, oppure un altro es. è dato
dalla Malaria il cui protozoo compie parte del proprio ciclo nella zanzara Anofele.
Le larve degli schistosomi invece possiedono degli enzimi in grado di ledere la
cute e superarla.
Un problema nelle lunghe degenze sono le LESIONI DA DECUBITO per cui
viene persa la barriera della cute e possono passare batteri di alcuni ceppi
ospedalieri difficili da curare poiché multiresistenti.
Ci sono infezioni che vengono trasmesse per VIA SESSUALE e sono sostenute
da microrganismi che sono molto fragili e che non possono resistere
nell’ambiente a lungo per cui necessitano un contatto molto ristretto tra ospite
infetto e sano. È tale ad es. il TREPONEMA.
Ci sono altri meccanismi di difesa come i FAGOCITI tra cui i macrofagi ed i PMN.
Essi sono in grado di fagocitare sostanze riconosciute come estranee.
La fagocitosi può avvenire nel sangue, ma anche a livello tissutale
rappresentando quindi una seconda linea di difesa.
Si distingue:
PORTATORE SANO: che possiede l’agente ma non svilupperà mai la
malattia; c’è convivenza senza malattia. Può accadere con l’epatite B.
PORTATORE PRECOCE: non ha la malattia ma la svilupperà, è nella fase di
incubazione.
PORTATORE TARDIVO: soggetto che ha avuto la malattia, è guarito, ma
continua ad ospitare l’agente. Questo accade per la Salmonella che rimane a
livello della colecisti e viene espulsa con le feci.
I portatori SANI e TARDIVI sono pericolosi per gli altri perché sono contagiosi,
per cui è utile riuscire ad identificarli.
L’esposizione, l’infezione e la malattia non sono sempre coincidenti ma dipende
dai casi che si considerano.
EPIDEMIOLOGIA
Ci sono le MALATTIE EPIDEMICHE che prevedono in un certo ambito
temporale, anche ristretto, la massima frequenza della stessa, mentre
presentano frequenze molto basse nel restante arco di tempo.
Poi ci sono le PANDEMIE dove si l’epidemia interessa tutto l’ambito mondiale.
Le MALATTIE ENDEMICHE hanno frequenza per lo più costante in tutto l’anno
per cui non ci sono influenze ambientali o meteorologiche.
Ci sono MALATTIE SPORADICHE che presentano casi rari e diffusi nell’intero
arco annuale in maniera casuale senza seguire una legge logico-temporale.
Nel caso della malattie infettive nel primo caso si può valutare ad es. il
raffreddore e nel secondo la tubercolosi.
MISURE PREVENTIVE
È importante la PREVENZIONE per le malattie infettive.
In tal caso è buono l’approccio con IMMUNOPROFILASSI. Il vaccino prevede
comunque un certo rischio, ad es. non si fa il vaccino antinfluenzale a soggetti
che sono allergici alle proteine delle uova.
Contro molti agenti non si hanno i vaccini, come nel caso dell’epatite C e
dell’AIDS.
Un approccio anche molto usato è quello delle MISURE CONTUMACIALI per cui
il soggetto con malattia infettiva viene isolato in modo da non poter infettare altri.
Ad es. un bimbo con morbillo non viene mandato a scuola. C’è l’obbligo di
denuncia da parte del medico che visita soggetti con malattie infettive al sistema
sanitario.
Classificazioni
Le infezioni polmonari in soggetti immunocompetenti si suddividono in base
all'ambiente:
Infezioni comunitarie, contratte in ambiente casalingo;
Infezioni nosocomiali, contratte a livello ospedaliero.
Il Pneumococco è causa del 90% dei casi di polmonite lobare franca ma può
rendersi responsabile anche di altre forme di infezioni polmonari e non come ad
es. la broncopolmonite, la meningite, l’endocardite, ecc.
EPIDEMIOLOGIA
La polmonite lobare franca ha un andamento di carattere sporadico (senza
rapporti diretti con il tempo) e non genera epidemie se non raramente in
comunità ristrette. Colpisce tutte le fasce d’età; è più frequente in soggetti
alcolisti o splenectomizzati.
Il pneumococco colonizza in nasofaringe e può essere isolato dal 5-10% degli
adulti sani e dal 20-40% dei bambini sani, persistono per 2-4 settimane, ma
possono superare anche i 6 mesi.
Gli pneumococchi si trasmettono da un individuo all’altro come risultato di un
contatto ravvicinato e protratto; la trasmissione può essere aumentata dalla
scarsa ventilazione.
Le epidemie tra gli adulti sono associate a condizioni di vita che determinano
affollamento (camerate militari, carceri, rifugi per senzatetto) ma si verificano
anche in luoghi che ospitano soggetti altamente sensibili, come le strutture
assistenziali.
I contatti nelle scuole o nei luoghi di lavoro(compresi gli ospedali) non
aumentano il rischio di acquisizione della polmonite pneumococcica.
Per ragioni ancora sconosciute, certe popolazioni, come gli indigeni americani,
gli afroamericani e gli eschimesi, risultano particolarmente suscettibili alla
malattia pneumococcica invasiva. Tale suscettibilità e simile a quella
dimostratata per l’H. influenzae e sembra essere su base genetica.
PATOGENESI
Il pneumococco aderisce alle cellule del nasofaringe attraverso la specifica
interazione delle ADESINE BATTERICHE (Ag A e proteine leganti la colina) con i
recettori delle cellule epiteliali.
La variazione di FASE PNEUMOCOCCICA, nella quale i microrganismi passano
dalla forma trasparente a quella opaca, probabilmente gioca un ruolo importante
nell’aderenza. Anche in coltura è possibile osservare colonie miste opache e
trasparenti
I batteri che danno colonie opache sono forniti di scarse quantità di
peptidoglicano e presentano una grande capsula, mentre quelli che formano
colonie trasparenti producono fosforilcolina in quantità maggiore, ma un minore
quantitativo di polisaccaride capsulare.
Una volta colonizzato il rinofaringe, l’infezione si realizza se i batteri vengono
trasportati in sedi anatomicamente contigue (trombe di Eustachio e seni
paranasali) se la loro eliminazione è ostacolata dall’edema della mucosa.
In maniera analoga si può sviluppare una polmonite, quando cioè i microrganismi
vengono inalati o aspirati nei bronchioli o negli alveoli e non sono eliminati (per
aumentata produzione di muco e/o alterata azione ciliare a causa di infezioni
virali, fumo di sigaretta o altre sostanza tossiche.
Meccanismo di adesione agli pneumociti dopo infezione virale:
gli pneumociti stimolati dalle citochine esprimono il recettore per il PAF, che si
lega al residuo di fosforilcolina presente sulla sostanza C pneumococcica,
favorendo l’adesione dei batteri. I batteri poi riescono ad invadere i tessuti
penetrando attraverso le mucose.
L’infezione delle meningi, degli spazi articolari, delle ossa e della cavità
peritoneale si instaura mediante diffusione per via ematica, di solito a partire da
un riconosciuto focolaio di infezione a livello delle vie respiratorie.
La capacità di causare malattia, quindi, riflette la capacità dei batteri sia di
sfuggire all’ingestione e all’uccisione ad opera delle cellule fagocitarie, sia di
stimolare una risposta infiammatoria e conseguente danno tissutale.
Attivazione complementare
Parete cellulare, acido teicoico, sostanza C e peptidoglicano: attivano il
complemento mediante la via classica (=> liberazione di C5a e attrazione dei
PMN).
Peptidoglicano: stimola la produzione di citochine che inducono l’espressione
sulle cellule endoteliali di selectine e integrine (=> adesione delle cell.
infiammatorie).
Pneumolisina: tossina titolo-attivata, esercita azioni sulle cell. ciliari, sui PMN e
attiva la via classica del complemento attraverso legame diretto al C1q.
Autolisina: determina lisi del batterio con liberazione dei costituenti batterici ed
incrementando la reazione infiammatoria tissutale.
CLINICA
Infezioni specifiche causate dal pneumococco: causa infezioni a partire dal
nasofaringe a:
Orecchio medio
Seni paranasali
Trachea
Bronchi
Polmoni
Polmonite
COMPLICANZE:
Locali: Carnificazione: si forma una cicatrice per deposito di tessuto fibroso nel
sito di infezione con generazione di tessuto solido nell’alveolo e
conseguente perdita di funzione di quella zona di polmone.
Ascesso: la parte del tessuto interessato va incontro a colliquazione;
tessuto necrotico e batteri. Sono difficili da trattare e spesso vi è
perdita di sostanza, il trattamento è il drenaggio della raccolta
purulenta dal polmone.
Empiema pleurico: raccolta di pus all’interno di una cavità preformata, cioè
la cavità pleurica. E’ la complicanza più frequente.
Metastatiche:Endocardite
Meningite
Peritonite
Artriti: sono infiammazioni a carico delle articolazioni, distinte dalla
artralgie che definiscono solo un dolore articolare.
QUADRO CLINICO
Febbre molto elevata e continua (38,9-39,4°C), cresce nel giro di 48-72 ore.
Tosse inizialmente secca e successivamente produttiva con espettorato color
rugginoso (per emolisi dei GR), di tipo muco-purulento.
Dolore toracico (implica una compartecipazione all’infezione-infiammazione delle
pleure poiché solo le pleure hanno innervazione sensitiva dolorifica, ma non
necessita empiema pleurico).
È presente nausea, vomito e diarrea nel 20% dei paz.
Paz. accaldato, sofferente, tachicardico e tachipnoico, di colorito grigiastro con
possibile riaccensione di H. Simplex e ileo paralitico associato.
All´esame obiettivo:
Ispezione: non si rivela nulla di particolare, possibile ipomobilità del lato
interessato a causa del dolore se c’è interessamento pleurico.
Palpazione: aumento della trasmissione del FVT.
Percussione: nella zona di polmone interessato c’è ottusità di coscia.
Auscultazione: se negli alveoli è presente liquido come nella fase iniziale
(epatizz. rossa) della malattia si percepirà un rumore crepitante inspiratorio a
piccole bolle o crepitatio indux.
Quando invece l’alveolo è ripieno non si percepiranno rumori ma nella zona di
epatizzazione vi sarà trasmissione passiva del rumore dell’aria nei bronchi: soffio
bronchiale.
Quando l’alveolo infine va incontro a colliquazione ricomparirà il rantolo
crepitante o crepitatio redux che corrisponde alla risoluzione della malattia. I
rumori sono sempre inspiratori.
DIAGNOSI ETIOLOGICA
Espettorato: Si avvale della dimostrazione nell’espettorato di un gran numero di
PMN e di cocchi Gram + identificati successivamente come pneumococchi.
Diagnosi differenziale:
H. influenzae
Moraxella catarrhalis
S. aureus
S. pyogenes
N. meningitidis
Legionella
Pasteurella multocida
M. tubercolosis
P. carinii
Mycoplasma
Chlamydia pneumoniae e psittaci
TERAPIA
Il Pneumococco è sensibile alle penicilline per cui vengono usate l’AMPICILLINA,
ecc.
Negli USA c’è un 20% di Pneumococco resistente alle penicilline.
PROGNOSI
In era preantibiotica la mortalità era del 25%. Oggi il paz. guarisce, se non ci
sono comorbidità, senza problemi.
Altri agenti: virus, pneumocistis carinii (nei paz. con HIV), ecc.
Mycoplasma pneumoniae
E’ causa di sindromi respiratorie da interessamento delle alte e basse vie aeree,
in soggetti di tutte le età.
EPIDEMIOLOGIA
Maggiore incidenza nella fascia di età tra i 5 e 20 anni.
Nonostante piccole manifestazioni epidemiche all’interno di scuole e caserme, la
malattia ha un andamento sporadico o in ambito familiare. All’interno delle
famiglie i casi tendono a svilupparsi in serie a distanza di 2-3 settimane l’uno
dall’altro. Negli adulti l’infezione deriva dal contatto con bambini infetti. Può
verificarsi durante tutto l’anno.
QUADRO CLINICO
Periodo di incubazione lungo (2-3 settimane)
Caratterizzato da: cefalea
alterazioni della cinestesi
mal di gola
tosse poco produttiva, secca.
La febbre è meno elevata ed il quadro clinico è meno grave rispetto alla Polm.
lobare.
Iperemia del faringe è frequente mentre è rara una linfoadenopatia cervicale.
MIRINGITE BOLLOSA: manifestazione tipica delle infezioni da m.p. ma
estremamente rara.
Manifestazioni extrapolmonari:
ERITEMA MULTIFORME: colpisce più frequentemente soggetti giovani e di
sesso maschile. Altre manifestazioni cutanee sono: esantemi maculo-papulari o
vescicolari, eritema nodoso ed orticaria. Queste però non hanno ancora
riconosciuto correlazioni con l’infezione da m.p. L’artralgia è abbastanza
frequente.
COMPLICANZE
Complicanze cardiache: miocardite, pericardite responsabili di anomalie della
conduzione.
Complicanze neurologiche: ci sono state solo delle segnalazioni di casi singoli
che includono l’encefalite, l’atassia cerebellare, la sindrome di Guillain-Barrè, la
mielite traversa e la neuropatia periferica.
Complicanze ematologiche: anemia emolitica e disturbi della coagulazione.
ESAMI STRUMENTALI E DI LABORATORIO
Leucocitosi poco spiccata, talvolta normale.
Indici di flogosi aumentati consistentemente.
Rx torace diagnostica: opacità multiple non intense come la polm. lobare, ma
opacità sfumate definite “a vetro smerigliato” con contorni mal definiti.
DIAGNOSI ETIOLOGICA:
Difficoltà di coltura e riconoscimento del Mycoplasma. Devono essere fatti due
prelievi di sangue: uno nella fase acuta e l’altro nella fase di convalescenza della
malattia per sensibilità e specificità ottimali ai test sierologici. Vengono
preferenzialmente ricercati gli AB ANTI MYC. nel siero del paz. attraverso
reazioni di immunoenzimatica
immunofluorescenza indiretta
fissazione al complemento.
Gli Ab ricercati sono della classe IgM poiché il ritrovamento di IgG potrebbe
descrivere una infezione pregressa.
Produzione di AGGLUTININE A FRIGORE, IgM in grado di agglutinare i GR a
temperature basse.
Chlamydia pneumoniae
EPIDEMIOLOGIA
Le infezioni cominciano a verificarsi nella fanciullezza avanzata e
nell’adolescenza e continuano nell’età adulta. Le percentuali di sieropositività di
casistiche mondiali su popolazioni adulte sono di circa il 40%, il che suggerisce
l’ubiquitarietà delle infezioni da c.p.
C.p. dà luogo a epidemie di polmoniti e diinfezioni respiratorie, in particolare in
comunità chiuse.
Al di fuori dei periodi epidemici l’incidenza delle infezioni non è ben definita.
PATOGENESI
L’infezione inizia nelle vie aeree superiori e in molti soggetti rimane asintomatica
e persiste a lungo sulle superfici mucose del tratto respiratorio coinvolto.
In alcuni casi il microrganismo viene trasportato in sedi distanti, forse all’interno
dei macrofagi, dal momento che è stata osservata la sua replicazione in arterie e
membrane sinoviali articolari. Una proteina della membrana esterna di c.p. può
scatenare risposte immunitarie nell’ospite che presentano un’attività crociata con
le proteine umane per cui ne deriva una reazione autoimmunitaria.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
faringiti acute
sinusiti
bronchiti e polmoniti principalmente nei giovani adulti.
Febbre, tosse secca, stato di malattia lieve o moderata.
La clinica che compare durante l’infezione primaria sembra essere più grave e
protratta di quella osservata nella reinfezione.
La polmonite è sovrapponibile a quella da m.p..
COMPLICANZE
Indagini epidemiologiche hanno dimostrato un’associazione tra la positività
sierologia di infezione da c.p. e l’aterosclerosi del circolo coronarico, inoltre c.p. è
stata identificata nelle placche aterosclerotiche tramite la microscopia elettronica
e altre tecniche.
Studi su modelli animali supportano l’ipotesi che l’infezione da c.p. delle alte vie
respiratorie superiori sia associata alla presenza di tale microrganismo nelle
lesioni ateromasiche dell’aorta e che, inoltre, tale infezione acceleri il processo di
aterosclerosi, specialmente negli animali con ipercolester0lemia.
Broncopolmonite batterica
QUADRO CLINICO:
Paziente febbrile (non sempre, p.es. soggetti molto immunosoppressi non sono
in grado di sviluppare risposte immunitarie adeguate),
spesso tosse (anche se molto modesta).
Esame obiettivo con ipofonesi (riduzione del suono chiaro polmonare) e leggera
ottusità della zona polmonare interessata. Persistono rantoli per la presenza di
piccole-medie bolle.
DIAGNOSI ETIOLOGICA
Ideale: emocolture per vedere se c’è batteriemia.
Ideale: broncoscopia.
Se non sono possibili dati microbiologici devo attenermi a dati epidemiologici per
fare valutazioni cliniche.
TERAPIA
vi è un diverso approccio nei confronti di paz. con infezioni comunitarie o
nosocomiali.
Le infezioni nosocomiali sono generalmente più gravi e vanno usati antibiotici a
spettro più ampio, ma i risultati saranno in genere peggiori rispetto a quelli delle
infezioni comunitarie (che possono essere curate a domicilio).
Pseudomonas aeruginosa
Le specie Pseudomonas sono dei patogeni opportunisti ubiquitari.
P.a. è il più comune patogeno per l’uomo di questo gruppo. È un piccolo bacillo
Gram -, aerobio asporigeno, mobile in virtù del suo unico flagello polare.
Più della metà degli isolati clinici produce un pigmento blu-verde, la piocianina:
questo è utile nell’identificazione del microrganismo.
EPIDEMIOLOGIA
Microrganismo ubiquitario: colonizza il terreno, l’acqua, le piante e gli animali
prediligendo gli ambienti umidi. Può colonizzare occasionalmente la cute,
l’orecchio esterno, il tratto respiratorio superiore o l’intestino crasso di soggetti
sani.
La maggior parte delle infezioni da p.a. è acquisita in ospedale: sono stati
identificati molti potenziali serbatoi di infezione, quali i dispositivi per la
respirazione, soluzioni di lavaggio, disinfettanti, lavandini, verdure, fiori,
endoscopi e piscine adibite al trattamento fisioterapico. La maggior parte dei
serbatoi è comunque associata ad ambienti umidi.
Mentre alcuni ceppi infettanti di p.a. sembrano essere endemici nell’ambiente
ospedaliero, altri sono riconducibili a una sorgente comune associata a una
specifica epidemia.
PATOGENESI
É raro che p.a. provochi malattie nell’ospite sano.
Il rischio relativo di infezione risulta fortemente aumentato
quando le normali barriere cutanee o mucose vengono danneggiate o
superate,
quando i meccanismi immunologici di difesa sono compromessi,
quando viene meno la funzione protettiva della normale flora batterica.
Legionellosi
EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza della malattia dei legionari dipende dal grado di contaminazione dei
serbatoi d’acqua, dalla suscettibilità e dallo stato immunitario delle persone
esposte all’acqua dei serbatoi, dall’intensità dell’esposizione e dalla disponibilità
di test di laboratorio specializzati con cui può essere formulata una diagnosi
corretta.
La Malattia dei Legionari ha un’incidenza del 3-5% (dei casi di polmonite
comunitaria dopo il pneumococco, l’haemophilus e la chlamydia). Si tratta di una
malattia di tipo sporadico, ma produce piccole epidemie riguardanti piccole
centinaia di paz.
La Febbre di Pontiac si manifesta in forma epidemica. L’alta incidenza
dell’epidemia (oltre il 90%) riflette una trasmissione per via aerea.
Fattori di rischio:
Fumo
Malattie polmonari croniche
Età avanzata
Imunosoppressione
PATOGENESI
Le l. penetrano nei polmoni per aspirazione o inalazione diretta. I microrganismi
possiedono pili che mediano l’adesione diretta alle cellule epiteliali delle vie
respiratorie. Pertanto, condizioni che danneggiano la clearance mucociliare
(fumo, malattie polmonari o alcolismo) predispongono alla Malattia dei Legionari.
Il meccanismo primario di difesa dell’ospite nei confronti di l. è l’immunità cellulo-
mediata, analogamente agli altri patogeni intracellulari. I macrofagi alveolari
fagocitano rapidamente le l. L’adesione del batterio ai fagociti è mediata da
recettori del complemento, che si legano alle principali proteine della sua
membrana esterna. Il legame con questi recettori promuove la fagocitosi, ma non
scatena il burst ossidativi. Sebbene molte l. vengano così uccise, alcune
riescono a proliferare a livello intracellulare finchè la cellula non va incontro a
rottura; i batteri vengono quindi fagocitati nuovamente da altri fagociti attivati,
ricominciando il ciclo.
La Malattia dei Legionari è più comune e le manifestazioni cliniche sono più gravi
in paz. con deficit dell’immunità cellulo-mediata (paz. trapiantati, con infezione da
HIV, trattati con glucocorticoidi). La malattia si manifesta con frequenza inusuale
anche in paz. con leucemia a cellule capellute (deficit qualitativi e quantitativi di
monoliti), ma non tra paz. con altri tipi di leucemia.
Il ruolo dei neutrofili nell’immunità è modesto: i paz. neutropenici non sono
predisposti alla malattia dei legionari. L.p. è suscettibile in vitro a meccanismi
microbicidi ossigeno-dipendenti, resiste all’eliminazione da parte dei PMN.
L’immunità umorale è attiva verso l. anticorpi specifici delle classi IgM e IgG sono
evidenziabili nel giro di settimane dall’infezione. Tuttavia, gli anticorpi non
aumentano la lisi da parte del complemento, né inibiscono la moltiplicazione
intracellulare nei fagociti.
Alcuni stipiti di l.p. sono chiaramente più virulenti di altri, sebbene non siano noti i
meccanismi che mediano questa virulenza.
ANATOMIA PATOLOGICA
Le alterazioni rilevanti della malattia dei legionari sono circoscritte a livello
polmonare. Nel tratto polmonare infettato i reperti variano da quadri di polmonite
multifocale con interessamento flogistico lobulare a pelle di leopardo, a quadri di
consolidamento esteso a più lobi. Sono osservabili anche ascessi macroscopici
con zona di necrosi centrale.
Dal punto di vista istologico si evidenzia una polmonite fibrino-purulenta con
esteso interessamento alveolare e bronchiolite. Lesioni di più lunga durata
possono assumere un aspetto nodulare con area centrale di necrosi circondata
da macrofagi e altre cellule. Gli alveoli sono ripieni di fibrina, neutrofili e
macrofagi alveolari.
PATOLOGIE
Malattia dei legionari (polmonite)
Febbre di Pontiac (rabdomiolisi)
Malattia dei legionari: Descritta per la prima volta nel 1976, quando
un’epidemia di polmonite si manifestò in un hotel di Filadelfia durante l’American
Legion Convention nel corso della quale furono ospedalizzate 78 persone.
Polmonite grave spesso bilaterale, aspetto lobulare e polilobulare. Spesso c’è
ascessualizzazione ed interessamento pleurico. Vi è un interessamento
alveolare con progressivo interessamento interstiziale alveolare.
QUADRO CLINICO
Periodo di incubazione di 2-10 gg
Poi: diarrea (25-50% casi)
paz. con febbre elevata (>40°C)
tosse sia secca che produttiva
emottisi (quantità copiosa di sangue)
problemi gastroenterici (dolori addominali, nausea e vomito)
stato stuporoso
shock settico
CID
ESAMI DI LABORATORIO
Leucocitosi aspecifica (neutrofila nella maggior parte dei casi)
Iponatriemia (<131 mEq/l), molto comune nelle forme gravi: il meccanismo
dell’iponatriemia non sembra correlato a una inappropriata secrezione di ormone
antidiuretico (dovuto alla diarrea/ipovolemia), quanto piuttosto alla perdita di sali
e di acqua stessi.
DIAGNOSI ETIOLOGICA
Ricerca delle legionelle nell’escreato tramite broncoscopia o BAL e nel
versamento pleurico mediante toracentesi. L’indagine più utile è la ricerca degli
Ag della legionella nelle urine.
La l. viene coltivata su particolari terreni: agar BCYE (buffered charcoal yeast
extract, terreno arricchito di L-cisteina, fattore di crescita essenziale per l.)
supplementato con antibiotici e coloranti.
ESAMI STRUMENTALI
Rx torace: opacità multiple (presenza di diversi focolai), talvolta versamento
pleurico (un terzo dei casi) ed escavazione con immagine di tipo idroaereo.
TERAPIA
Antibiotici usati se la diagnosi è fatta in tempo.
QUADRO CLINICO:
Febbre di solito preceduta da brividi (80-90% casi)
Malessere generale, astenia e mialgie per lisi delle cell. muscolari (97%
casi)
Cefalea (80% casi)
Artralgie, nausea, tosse, dolori addominali e diarrea (50% casi)
Si tratta di una manifestazione benigna che guarisce senza troppi problemi. La
guarigione completa si realizza nel giro di pochi giorni senza alcuna terapia
antibiotica; una minoranza di paz. può poi accusare una certa astenia per molte
settimane.
LABORATORIO
Talvolta si osserva una modica leucocitosi neutrofila.
Dosaggi enzimatici del muscolo: la concentrazione di questi sarà enormemente
aumentata con mioglobinuria ed urine scure.
Tubercolosi
La tbc, una delle più antiche malattie che colpiscono il genere umano, è causata
da batteri appartenenti al complesso del Mycobacterium tubercolosis. La
malattia di solito interessa i polmoni, anche se in una percentuale di casi che può
arrivare fino ad un terzo del totale sono interessati altri organi.
Se adeguatamente trattata, la tbc sostenuta da ceppi sensibili ai farmaci è
curabile praticamente in tutti i casi. Se non trattata, la malattia è fatale entro
cinque anni in più della metà dei casi.
La trasmissione, di solito, avviene attraverso la diffusione per via aerea di nuclei
di goccioline espettorati da paz. con tbc polmonare infettante.
Si trattava di una malattia molto grave fino al 1950 circa, per la quale infatti non
esisteva una vera e propria terapia (streptomicina). I paz. venivano ricoverati in
sanatori lontani dai centri abitati. Le prime guarigioni furono garantite da Forlanini
che instaurò come terapia il pneumotorace artificiale.
Tutt’oggi la tbc rappresenta un problema serio nei paesi in via di sviluppo. La
cura era prevalentemente preventiva nei paesi industrializzati. La popolazione
veniva sottoposta a schermografie come test di screening (le radiazioni delle
schermografie sono 10 volte più potenti rispetto a quelle degli Rx). Farmaci
nuovi, tenori di vita migliori e screening preventivi hanno dettato la diminuzione
della malattia. Come conseguenza sono diminuiti i test di screening ed i reparti
ospedalieri per la tbc vengono pian piano a scomparire.
Negli ultimi anni però ci sono state delle riaccensioni e con frequenza maggiore
nella popolazione.
I fattori che condizionano questo aumento sono:
1. le migrazioni (dai paesi poveri a quelli industrializzati) che portano
paz. Già malati e portatori di micobatteri;
2. casi di riaccensione a distanza di decenni in paz. anziani con
pregresse storie di tbc e micobatteri silenti nell’organismo;
3. paz. affetti da AIDS con infezioni da micobatteri atipici
(scarsamente rilevanti in FVG);
4. l’emergenza di forme di tbc multiresistente ai farmaci (MDR) dovuta
a ceppi resistenti almeno all’isoniazide e alla rifampicina.
Mycobacterium tubercolosis
È un batterio a forma di bastoncello, non forma spore, è sottile, aerobio.
Non si colora con Gram ma è positivo alla colorazione di Ziehl-Nielsen (acido-
alcol resistente).
La resistenza all’acido del microrganismo è dovuta principalmente all’elevato
contenuto di acid mmicolici, acidi grassi a lunga catena con legami trasversali, e
di altri lipidi della parete cellulare.
Nella parete cellulare micobatterica, i lipidi sono legati ai sottostanti
arabinoglicano e peptidoglicano. Questa struttura è responsabile della
permeabilità molto bassa della parete cellulare e della risultante inefficacia della
maggior parte degli antibiotici nei confronti del m.tbc.
Un’altra molecola della parete cellulare micobatterica, il lipoarabinomammano, è
coinvolta nell’interazione ospite-patogeno e facilita la sopravvivenza di m.tbc
all’interno dei macrofagi.
Le diverse proteine caratteristiche del m.tbc comprendono quelle presenti nella
TUBERCOLINA, come derivato proteico purificato (purified protein derivative,
PPD), un precipitato di molecole non specie-specifiche ottenuto dal filtrato di
colture in brodo sterilizzate al calore e concentrate.
Ha tempi di crescita molto lunghi come anche la evoluzione della malattia.
Questo si ripercuote sui tempi di risposta degli esami di laboratorio diagnostici
(40 giorni).
Precedentemente lo studio diagnostico veniva fatto inoculando escreato sospetto
nel peritoneo di cavie. Oggi ci sono terreni di coltura che permettono tempi di
attesa più brevi.
Modalità di infezione: contagio interumano generalmente attraverso le vie
respiratorie. Contatto con persone o oggetti infetti. Vie di raro contagio:
Via alimentare (dovuto non al m.tbc ma al m. bovis presente in mucche
affette da mastite tubercolare) che causa tbc intestinale in soggetti
nutriti con latte vaccino.
Via cutanea, è però una trasmissione eccezionale.
EPIDEMIOLOGIA
3,5-4 milioni di nuovi casi/anno, di cui il 90% nei paesi in via di sviluppo.
In Italia è stato osservato un incremento a partire dalla metà degli anni ’80, in
parte legato all’epidemia di AIDS. Nel 1995 l’incidenza è stata del 9,4 per
100.000 abitanti con un incremento medio annuo del 6.7%. Negli ultimi anni
l’incidenza sta aumentando nel nord Italia e decrescendo nel sud Italia.
La tbc extrapolmonare risulta triplicata rispetto a quella polmonare tra il 1988 e il
1995.
L’incidenza in questo periodo ha colpito le fasce d’età tra 25-39 e 60-75 anni. La
tbc infantile è molto rara.
La tbc ha colpito nel 9% dei casi cittadini stranieri, di cui il 58% di origine
africana.
Dagli anni ’90 anche in Italia ha fatto la comparsa la tbc MDR (Lombardia).
1994-1997: massimo incremento per le forme polmonari.
1995-1997: massimo incremento per le forme extrapolmonari.
PATOGENESI
Mentre la maggior parte dei bacilli inalati rimane intrappolata nelle vie aeree
superiori e viene espulsa dalle cellule ciliate della mucosa, una frazione di questi
(meno del 10%) raggiunge gli alveoli. A questo livello, macrofagi alveolari non
specificamente attivati ingeriscono i bacilli. L’invasione dei macrofagi da parte dei
micobatteri può essere dovuta in parte all’associazione di C2a con la parete
cellulare batterica, seguita dall’opsonizzazione da parte di C3b del batterio e dal
riconoscimento da parte del macrofago. La virulenza del bacillo è legata
parzialmente alla parete cellulare del batterio ricca di lipidi e alla sua capsula
glicolipidica: entrambe conferiscono resistenza al complemento e ai radicali liberi
del fagocita.
Sono stati identificati diversi geni che conferiscono virulenza al m.tbc tra cui:
KatG: codifica per la catalasi, un enzima che protegge dallo stress
ossidativi.
rpoV: è il principale fattore sigma che dà inizio alla trascrizione di diversi
geni.
Erp: codifica per una proteina necessaria alla moltiplicazione.
Alcune osservazioni suggeriscono che fattori genetici dell’ospite giochino anche
un ruolo chiave nella resistenza innata non-immunitaria all’infezione da m.tbc.
Questa resistenza è suggerita da differenti gradi di suscettibilità alla tbc in
popolazioni differenti.
Nramp1 (proteina macrofagica associata alla resistenza naturale murina):
ha un omologo umano sul cromosoma 2q; soggetti eterozigoti per due
polimorfismi di Nramp1 avevano un rischio apparentemente aumentato di
tbc, rilievo che suggerisce che l’allele della suscettibilità abbia
comportamento dominante.
Nelle prime fasi dell’infezione i bacilli sono solitamente trasportati dai macrofagi
ai linfonodi regionali, da dove si disseminano ampiamente a molti organi e
tessuti. Le lesioni che ne derivano possono andare incontro alla stessa
evoluzione di quella dei polmoni, anche se la maggior parte tende a guarire.
Infezione primaria: Paz che per la prima volta viene in contatto con m.tbc (dà
quasi sempre interessamento polmonare, 99% dei casi).
Elementi tipici dell’infezione primaria sono la TRIADE DI GHON:
ALVEOLITE, nella prima infezione il m.tbc interessa gli apici polmonari
causando alveolite distrettuale (Rx con opacità apicali).
STRIE LINFANGECTASICHE.
LINFOADENOPATIA MEDIASTINICA, aumento di dimensioni dei linfonodi
mediastinici per drenaggio di m.tbc.
Ci possono essere due evoluzioni:
GUARIGIONE (forma più frequente) e formazione di un piccolo nodulo
calcifico (LESIONE DI GHON);
TISI PRECOCE o CAVERNA, la lesione apicale non guarisce, ma si
escava ed al suo interno rimangono i m.tbc formando una
caverna i cui margini sono distanti compromettendo così la
guarigione. Col tempo la lesione si ingrandisce
progressivamente. È relativamente infrequente nella infezione primaria.
Pneumotorace artificiale by Forlanini: Presenza di aria/gas a livello dello spazio
pleurico fa sì che si perda la negatività della pressione toracica ed il polmone
collassi uniformemente verso l’ilo.
Forlanini pungeva il torace iniettando gas e facendo collabire il polmone per
permettere la cicatrizzazione delle caverne tubercolari (i margini delle caverne si
riavvicinavano e vi era guarigione). Successivamente il gas veniva riassorbito
lentamente ed il polmone progressivamente si riespandeva.
ANATOMIA PATOLOGICA
LESIONE MILIARE: presenta una certa entità di necrosi caseosa
circondata da un vallo di cellule. La porzione centrale di necrosi
contiene m.tbc ed un circondario di cellule immunitarie (tra cui anche
eosinofili) che la delimitano, il tutto ha un diametro di qualche mm.
LESIONE NODULARE: arriva invece anche a 10 mm, è più grande della
miliare e contiene una maggior quantità di materiale caseoso e meno
cellule immunitarie.
La forma miliare è più aggressiva mentre nella forma nodulare vi è una minor
risposta dell’organismo.
NECROSI CASEOSA: si osserva solo nelle lesioni tubercolari, il suo nome deriva
dal formaggio a cui assomiglia per consistenza (leggermente maggiore del
pus) e colorazione (colore giallo-grigiastro).
Nella sarcoidosi si possono trovare segni e lesioni granulomatose simili ma non
contengono m.tbc al loro interno.
Anche la tbc secondaria può avere due evoluzioni:
GUARIGIONE (rara), forma cicatrici calcifichi per cui allo Rx torace ci
saranno aree opache che documentano infezioni
postprimarie pregresse
DISTRUZIONE dell’organo interessato. Mentre la lesione primaria è
generalmente localizzata al polmone la secondaria può
interessare altri organi. L’infezione secondaria diffusa ad altri
organi indica però che quasi sicuramente la tbc ha avuto un
interessamento polmonare attivo o pregresso poiché la via di ingresso è e
rimane quasi sempre il polmone.
QUADRI CLINICI
La primaria può essere anche asintomatica o paucisintomatica, in altri casi
invece può essere sintomatica mentre la postprimaria prima o dopo diventa
sintomatica.
Nella fase precoce della malattia spesso i sintomi e i segni sono non specifici e
insidiosi: principalmente sono rappresentati da febbre, sudorazione notturna,
calo ponderale, anoressia, malessere generale ed astenia.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, con l’evoluzione della malattia si sviluppa
Tosse: a volte inizialmente non produttiva e successivamente
accompagnata dalla produzione di espettorato purulento.
Frequentemente viene documentata la striatura ematica
dell’espettorato.
Emottisi: può anche derivare dalla rottura di un vaso dilatato in una
caverna (ANEURISMI DI RASMUSSEN) o dalla
formazione di un aspergilloma in una vecchia caverna.
Dolore toracico: di tipo pleurico si sviluppa in paz. con lesioni parenchimali
subpleuriche, ma può essere anche la conseguenza di
strappi muscolari dovuti alla tosse persistente.
Una malattia estesa può provocare dispnea e talvolta la sindrome da distress
respiratorio dell’adulto (ARDS).
I reperti obiettivi sono di limitata utilità nella tbc polmonare. Molti paz. non hanno
anomalie rilevabili all’esame del torace, mentre altri presentano, nelle aree
colpite, rantoli rilevabili durante l’inspirazione, specialmente dopo la tosse.
Talvolta si possono apprezzare ronchi dovuti alla parziale ostruzione bronchiale
e classici rumori anforici nelle zone in cui siano presenti grandi caverne.
Ci può essere lieve anemia e leucocitosi. Si può osservare anche iponatriemia
dovuta alla SINDROME DA INAPPROPRIATA SECREZIONE DI ORMONE
ANTIDIURETICO (SIADH).
Tbc extrapolmonari:
Pleurite fibrinosa e sierofibrinosa: Pleurite secca che pregredisce con scarso
versamento pleurico a pleurite umida. È comune nella tbc primaria. L’EMPIEMA
TUBERCOLARE è un’evenienza meno comune, di solito è il risultato della rottura
di una caverna, con liberazione di un gran numero di microrganismi nello spazio
pleurico, oppure di una fistola broncopolmonare a partenza da una lesione
polmonare. Può avere come conseguenza una grave fibrosi pleurica e una
malattia polmonare restrittiva (fibrotorace).
Pericardite tubercolare: Si sviluppa per via linfatica con ripercussioni sulla
funzionalità cardiaca, si tratta di pericarditi costrittive. È dovuta o alla diretta
progressione di un focolaio primitivo a livello del pericardio, o alla riattivazione di
un focolaio latente, oppure alla rottura di un linfonodo adiacente. L’esordio può
essere subacuto, anche se è possibile un esordio acuto con febbre, dolore sordo
retrosternale e presenza di sfregamenti. In molti casi, con il progredire della
malattia si sviluppa un versamento, in fase avanzata possono comparire sintomi
cardiovascolari e segni di tamponamento cardiaco.
Meningite tubercolare: (vd. Meningiti) si definisce con liquor “a vetro
smerigliato” che se lasciato decantare forma il reticolo di Mia dato dalla fibrina;
ha andamento lento nella sua evoluzione. È una delle localizzazioni più
pericolose della tbc. Va eseguita rachicentesi ed esame del fondo dell’occhio con
l’oftalmoscopio per vedere la retina che nella tbc presenta delle lesioni. Il
TUBERCOLOMA, una non frequente manifestazione della tbc, si presenta come
una lesione occupante spazio, singola o multipla, che di solito causa convulsioni
e segni focali.
Peritonite tubercolare: Disseminazione di m.tbc nel peritoneo. Evoluzione
grave con esito spesso fatale. La peritonite tubercolare ha evoluzione lunga e
contraddistinta da un versamento peritoneale con aumento di volume
dell’addome. Può essere conseguenza o della diffusione diretta dei bacilli
tubercolari, in seguito a rottura dei linfonodi o altri organi addominali, o della
disseminazione ematogena.
Tubercolosi renale: Nella tbc primaria per via ematogena il m.tbc arriva a livello
renale e per via discendente all’uretere, vescica e genitali (Tubercolosi
genitale). La tbc genitourinaria costituisce circa il 15% di tutti i casi di tbc
extrapolmonare. Si avranno pollachiuria, disuria, ematuria e dolore al fianco. La
tbc genitale è diagnosticata più facilmente nelle donne in cui ci possono essere
interessamenti delle tube di Fallopio e dell’endometrio causando sterilità, dolore
pelvico ed anormalità mestruali. Nei maschi la tbc colpisce prevalentemente
l’epididimo determinando la comparsa di una massa lievemente dolorabile che
può drenare all’esterno attraverso un tramite fistoloso, si possono inoltre
sviluppare orchite e prostatite.
Tubercolosi ostearticolare (MORBO DI POTT): Sede non rara, soprattutto a
livello del rachide dorsale con evoluzione in gibbo e cifosità della colonna. La
patogenesi è legata alla riattivazione di focolai ematogeni o alla diffusione a
partire da linfonodi adiacenti paravertebrali. Le articolazioni che sostengono il
peso (colonna, anche, ginocchia) sono le più comunemente colpite. La tbc
spinale (M. di Pott o spondilite tubercolare) interessa spesso due o più corpi
vertebrali adiacenti. Dall’angolo anterosuperiore o inferiore del corpo vertebrale,
la lesione raggiunge il corpo adiacente, distruggendo anche il disco
intervertebrale. Nella malattia avanzata il collasso dei corpi vertebrali determina
la cifosi (gibbo). Si può anche formare un ascesso “freddo” paravertebrale. Una
complicanza catastrofica del m. di Pott è la paraplegia, di solito dovuta ad un
ascesso o a una lesione che esercita un’azione compressiva sul midollo spinale.
Tubercolosi laringea: Interessamento delle corde vocali. La tbc delle vie aeree
superiori è quasi sempre una complicanza della tbc cavitaria avanzata, può
interessare la laringe, il faringe e l’epiglottide causando raucedine e disfagia oltre
a tosse cronica produttiva.
Tubercolosi surrenalica: Causa di MORBO DI ADDISON, normalmente
conseguenza di una carenza di cortisolo o per disfunzione del surrene o
ipoproduzione di ACTH ipofisario.
Tubercolosi linfoghiandolare superficiale: Qualsiasi distretto linfatico può
essere interessato, quando coinvolge i linfonodi latero-cervicali viene chiamata
SCROFOLA. La malattia linfonodale è una delle presentazioni più comuni della
tbc extrapolmonare. La tbc linfonodale si presenta come una tumefazione non
dolente dei linfonodi, più frequentemente a livello laterocervicale e
sopraclaveare. I linfonodi sono di solito ben delimitati nella fase iniziale della
malattia, tuttavia possono essere infiammati e presentare tragitti fistolosi drenanti
materiale caseoso.
Tubercolosi gastrointestinale: forma secondaria da disseminazione o
formazione primaria da infezione di m.bovis. l’ileo terminale e il ceco sono le sedi
più comunemente colpite. Al momento dell’esordio si osservano comunemente
dolore addominale, diarrea, ostruzione, ematochezia e la presenza di una massa
palpabile addominale. Se vi è interessamento della parete intestinale, la
formazione di ulcere e di fistole può simulare la malattia di Crohn. La presenza di
fistole perianali giustifica la ricerca di tbc rettale.
Tubercolosi oculare: come conseguenza di interessamento meningeo.
Tubercolosi miliare o disseminata: La tbc miliare è causata dalla
disseminazione ematogena dei bacilli tubercolari. Le lesioni sono solitamente
granulomi giallognoli del diametro di 1-2 mm (simili ai semi di miglio ( miliare).
Le manifestazioni cliniche sono aspecifiche e proteiformi dipendendo dalla sede
predominante dell’interessamento.
VACCINAZIONE
Come vaccinazione era stata introdotta prima la tubercolina e successivamente
la PPD.
DIAGNOSI
Criteri di diagnosi:
radiologico
batteriologico
immunologico
Test della tubercolina o Tyne test: ci dice che in qualche momento l’individuo è
venuto in contatto con il m.tbc. Conoscendo la storia del paz. posso definire
cronologicamente l’infezione. Avere una cuti-reazione negativa non vuol dire
necessariamente non avere la tbc (p.es. paz con AIDS o linfomi non sviluppano
la risposta). Indicazione in soggetti con segni clinici e radiografici per tbc,
soggetti che denunciano contatti recenti con ammalati, immigrati da zone ad alta
endemia, lavoratori e degenti a lungo termine di prigioni e ospedale.
L’esame della cute va fatto dopo 48-72 h e la valutazione deve tener conto della
consistenza della reazione per valutare la grandezza dell’infiltrazione cellulare
nel sito di inoculazione.
Al test l’indurazione di 2 mm viene considerata REAZIONE NEGATIVA, se
l’indurazione è tra 2-4 mm, le papule si toccano ed hanno una depressione
centrale la reazione è DUBBIA-POSITIVA, se invece supera i 5 mm e la placca è
sormonata da vescicole nei punti di inoculazione è positiva
TERAPIA
Esistono diversi farmaci antibiotici. La terapia della tbc è sempre una
polichemioterapia con non meno di 3 farmaci, questo per impedire l’insorgenza di
resistenze nel m.tbc. E’ una terapia molto lunga, perlomeno di 6 mesi con
farmaci non privi di effetti collaterali.
Vengono alternati più farmaci mantenendo sempre 2 farmaci, tra questi ci sono:
ISONIAZIDE, RIFAMPICINA, PIRAZINAMIDE, ETAMBUTOLO,
STREPTOMICINA, ecc.
Profilassi: chiemioprofilassi con soggetti che già hanno avuto la malattia o che
non l’hanno ancora avuta nel qual caso con un farmaco solo.
Chemioprofilassi primaria: soggetti sani.
Chemioprofilassi preventiva: per evitare la riattivazione dell’infezione.
EPIDEMIOLOGIA
Può essere isolata dalle prime vie aeree o dalla saliva nel 50% dei bambini sani
in età scolare Si trova nell’espettorato di circa il 10% dei paz. con bronchite
cronica e nel 25% di quelli con bronchiettasie Esiste varianza stagionale
nell’isolamento del microrganismo con un picco nel tardo inverno/inizio
primavera. Occasionalmente è stata documentata una diffusione nosocomiale
dell’infezione.
QUADRI CLINICI
Otite media e sinusite
Tracheobronchite purulenta e polmonite
Otite media e sinusite: M.c. è il terzo patogeno batterico più comune tra quelli
isolati dal secreto proveniente dall’orecchio medio di bambini con otite media
(dopo Streptococco Pneumonite ed Haemophilus Influenzae). Questo
microrganismo viene isolato di frequente dalle cavità sensali di soggetti affetti da
sinusite acuta e cronica.
TERAPIA
La m.c. risulta molto sensibile all’associazione di penicillina ed acido clavulanico.
Farmaci alternativi risultano le cefalosporine.
EPIDEMIOLOGIA:
Sono uno degli agenti eziologici principali del raffreddore comune. Sono stati
isolati nel 15-40% degli adulti con manifestazioni cliniche simili a quelle del
raffreddore. L’infezione è più comune tra i lattanti e i bambini più piccoli,
diventando meno comune con l’avanzare dell’età. Le infezioni da r. si verificano
durante tutto l’anno, anche se ci possono essere dei picchi stagionali.
I r. sembrano trasmettersi attraverso il contatto diretto con secrezioni infette, di
solito costituite da goccioline respiratorie.
Non si è riscontrato alcun aumento di frequenza della malattia da r. in seguito
alla esposizione al freddo, agli sforzi o alla privazione del sonno.
PATOGENESI
Infettano le cellule mediante legame con recettori cellulari specifici. La maggior
parte dei sierotipi si attacca alle molecole di adesione intercellulare di tipo 1
(ICAM-1), mentre solo pochi utilizzano come recettori cellulari le lipoproteine a
bassa densità.
La mucosa nasale è edematosa, spesso iperemica e ricoperta, nella fase di
acuzie, da un essudato mucide; è presente un modesto infiltrato costituito da
cellule infiammatorie, con neutrofili, linfociti, plasmacellule ed eosinofili. Le
ghiandole mucosecernenti della sottomucosa sono in fase iperreattiva e i
turbinati appaiono edematosi e congesti, con frequente ostruzione delle vicine
aperture dei seni paranasali.
Il periodo di incubazione delle malattie da rinovirus è di 1-2 giorni. L’eliminazione
del virus coincide di norma con l’esordio della malattia, potendo anche iniziare
poco prima della comparsa dei sintomi. I meccanismi immunitari connessi alle
infezioni da rinovirus non sono stati ancora completamente chiariti.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Le manifestazioni cliniche più comuni conseguenti a infezione da rinovirus sono
quelle del comune raffreddore; la malattia inizia con rinorrea e starnuti, associati
a congestione nasale, anche se in alcuni casi la faringodinia, spesso presente,
può essere il sintomo di esordio. Segni e sintomi sistemici, quali malessere e
cefalea, sono lievi o assenti e anche la febbre è rara. La malattia dura in genere
4-9 giorni, risolvendosi poi spontaneamente senza sequele. Nei bambini si può
osservare coinvolgimento delle vie respiratorie inferiori, con bronchite,
bronchiolite e talvolta broncopolmonite.
I r. causano anche, negli adulti, esacerbazioni di asma e di malattia polmonare
cronica.
La maggior parte delle infezioni da r. si risolve senza sequele, ma possono
verificarsi complicanze associate all’ostruzione delle tube di Eustachio o degli
sbocchi dei seni paranasali, come otiti medie e sinusiti.
DIAGNOSI
La diagnosi eziologia richiede l’isolamento del virus dal liquido di lavaggio nasale
o dalle secrezioni nasali, tramite colture cellulari. Nella pratica, tuttavia, questa
procedura viene raramente effettuata data la natura benigna della malattia.
I comuni test di laboratorio, quali la conta dei leucociti e la VES non sono di
alcuna utilità per la diagnosi di infezione da r.
TERAPIA
Le infezioni da r. sono generalmente lievi e a risoluzione spontanea e non
richiedono pertanto alcun trattamento. La somministrazione di antistaminici e
FANS può alleviare i sintomi nei paz. in cui siano particolarmente pronunciati,
mentre il riposo può essere consigliabile in situazioni di particolare malessere o
affaticabilità. Una terapia antivirale specifica non è disponibile.
Infezioni da coronavirus
EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza sierologica di due sierotipi (I e II) oscilla tra il 12 e l’80% nelle
diverse popolazioni.
Sono responsabili del 10-20% dei casi di raffreddore comune complessivamente.
Le infezioni sembrano essere più comuni alla fine dell’autunno, nell’inverno e
inizio primavera.
Si è osservato un andamento ciclico delle epidemie, che va dai due ai quattro
anni.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Sono simili a quelle sostenute da rinovirus. Il periodo medio di incubazione è di 3
giorni, lievemente più lungo dei rinovirus, mentre la durata della malattia è più
breve, con una media di 6-7 giorni. La quantità di essudato nasale è maggiore
rispetto alle riniti da rinovirus.
I coronavirus sono stati isolati anche in lattanti con polmonite, reclute militari con
malattie delle basse vie respiratorie e paz. con bronchite cronica riacutizzata.
EPIDEMIOLOGIA
RSV è il principale patogeno respiratorio nei bambini piccoli ed è principale
causa di malattia delle vie respiratorie polmonari inferiori nei lattanti.
L’infezione da RSV è presente in tutto il mondo, con epidemie annuali durante
autunno, inverno e primavera e possono durare fino a 5 mesi.
La malattia è più frequente nei bambini tra 1 e 6 mesi (picco tra 2 e 3 mesi).
L’incidenza della malattia è estremamente elevata, fino al 100% negli asili nidi.
RSV è presente nel 20-25% dei ricoveri ospedalieri per polmonite in lattanti e
bambini piccoli.
RSV è presente nel 75% dei casi di bronchiolite nello stesso gruppo di paz.
Nei bambini più grandi e negli adulti è frequente la reinfezione, ma la malattia
conseguente è più lieve con manifestazioni simil-rinitiche.
Una grave malattia delle basse vie respiratorie con polmonite si può presentare
negli anziani, paz. immunosoppressi e immunodepressi.
È anche un importante patogeno nosocomiale.
Viene trasmesso tramite stretti contatti con dita e oggetti contaminati, mediante
autoinoculazione. Il virus si diffonde anche attraverso aerosol a particelle di
grosse dimensioni.
Il periodo di incubazione della malattia è di circa 4-6 gg mentre l’eliminazione del
virus può durare 2 settimane i più.
PATOGENESI
Nella grave bronchiolite e polmonite sono presenti una necrosi dell’epitelio
bronchiolare e un infiltrato peribronchiolare linfomonocitario. Possono anche
verificarsi ispessimento interalveolare e riempimento degli alveoli da parte di
materiale liquido.
Poiché la reinfezione si verifica frequentemente e spesso sfocia in malattia
clinicamente evidente, l’immunità che si sviluppa dopo singoli episodi di infezione
non è completa o duratura.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Nel 25-40% delle infezioni comporta un coinvolgimento del tratto respiratorio
inferiore con polmonite
bronchiolite
tracheobronchite.
In questi piccoli paz. la malattia inizia nella maggior parte dei casi con rinorrea,
febbricola e modesti sintomi sistemici, spesso accompagnati da tosse e rantoli.
Nelle forme più gravi si sviluppano tachipnea e dispnea, che alla fine possono
portare a ipossia franca, cianosi e apnea.
Negli adulti i sintomi più frequenti sono quelli del raffreddore, con rinorrea,
faringodinia e tosse. La malattia può essere talvolta accompagnata da modesti
sintomi sistemici, quali malessere, cefalea e febbre.
DIAGNOSI
La diagnosi può essere sospettata su un quadro epidemiologico (malattia grave
polmonare in bambino piccolo durante epidemia di RSV). Le infezioni che si
verificano invece nei bambini più grandi o negli adulti non possono essere
differenziate con certezza da altre infezioni virali respiratorie.
La diagnosi etiologica si stabilisce con l’isolamento del RSV dalle secrezioni
respiratorie: espettorato, tamponi faringei e lavaggi nasofaringei.
Il virus si può isolare in colture cellulari con reazioni immunologiche
(immunofluorescenza, ELISA, ecc.).
Sono possibili anche test sierologici per la diagnosi che richiede però il confronto
fra campioni di siero ottenuti in fase acuta e durante la convalescenza.
TERAPIA:
Consiste principalmente in un trattamento sintomatico simile a quello delle altre
infezioni virali respiratorie superiori.
Nella infezione delle vie respiratorie inferiori invece è prevista una terapia
respiratoria che comprende idratazione, aspirazione delle secrezioni,
somministrazione di ossigeno umidificato e, se necessario, di agenti
antibroncospastici. Nella grave ipossia possono essere necessarie l’intubazione
e la ventilazione assistita.
Una terapia farmacologica con RIBAVIRINA AEROSOLIZZATA è raccomandata
nei bambini gravemente ammalati o ad alto rischio di complicanze.
EPIDEMIOLOGIA
I virus pi. sono diffusi in tutto il mondo. L’infezione si verifica di norma nella prima
e seconda infanzia.
I sierotipi 1 e 2 provocano epidemie durante l’autunno, ogni due anni.
Il sierotipo 3 viene isolato durante tutte le stagioni dell’anno, ma causa epidemie
ogni anno in primavera.
Negli USA i virus pi.hanno rappresentato dal 4 al 22% delle malattie respiratorie
nei bambini. Negli adulti invece questi virus rendono conto di meno del 5% di
tutte le infezioni respiratorie.
Il sierotipo 1 è la causa più frequente di pseudocroup (laringotracheobronchite)
nei bambini.
Il sierotipo 3 causa più frequentemente bronchiolite e polmonite nel lattante.
Si trasmettono tramite secrezioni respiratorie infette, per contatto interpersonale
o attraverso le goccioline di maggiori dimensioni.
Il periodo di incubazione varia da 3 a 6 gg.
PATOGENESI
I meccanismi dell’immunità verso i virus pi. non sono ancora stati chiariti, benché
sia ormai chiaro che l’immunità verso i sierotipi 1 e 2 sia mediata da Ab di tipo
IgA del tratto respiratorio. Svolge un ruolo importante anche l’immunità cellula-
mediata.
MANIFESTAZIONI CLINICHE:
Le infezioni si verificano di norma nei bambini nei quali una malattia acuta
febbrile si accompagna all’infezione primaria. I paz. possono presentare
raffreddore, faringodinia, raucedine e tosse, talvolta con i caratteri del croup. Se il
croup si fa più grave, la febbre persiste e si assiste anche al peggioramento del
raffreddore e faringodinia; la tosse può assumere carattere metallico o
abbaiante, progredendo in alcuni casi sino allo stridore.
Nella maggior parte dei casi la guarigione si verifica nei successivi 1-2 gg, anche
se si può instaurare una progressiva ostruzione delle vie aeree con conseguente
ipossia.
Qualora compaiano bronchiolite o polmonite, la tosse si aggrava,
accompagnandosi a fischi, tachipnea, retrazione costale ed aumento
dell’espettorato.
DIAGNOSI
Non è quasi mai possibile fare diagnosi esclusivamente secondo la sindrome
clinica. Una diagnosi specifica può essere posta con la dimostrazione del virus
nelle secrezioni respiratorie, nei tamponi faringei o nel liquido di lavaggio
nasofaringeo. Il virus si evidenzia con la crescita in colture tissutali, con
l’immunofluorescenza o con l’ELISA.
TERAPIA
La terapia sintomatica può essere presa in considerazione come per le altre
infezioni virali reapiratorie. I casi lievi di croup possono essere trattati con riposo
a letto e inalazioni di aria umidificata; i casi più gravi richiedono invece
l’ospedalizzazione e uno stretto monitoraggio per l’eventuale comparsa di
distress respiratorio. Qualora questo si verifichi è necessario impiegare ossigeno
umidificato e instaurare terapia intermittente con adrenalina racemica. Si
utilizzano anche i glucocorticoidi per aerosol o per via sistemica.
Infezioni da adenovirus
Agente etiologico: gli adenovirus sono virus complessi a DNA, con diametro di
70-80 nm. Quelli umani appartengono al genere Mastadenovirus di cui esistono
almeno 47 sierotipi.
Hanno una morfologia caratterizzata da un rivestimento icosaedrico formato da
20 triangoli equilateri e 12 vertici. Il rivestimento proteico (capside) consiste di
subunità dette esoni, con determinanti antigenici gruppo-specifici e tipo-specifici,
nonché di subunità dette pentoni, situate in corrispondenza di ogni vertice,
ognuna contenente Ag gruppo-specifici. Da ogni pentone si estroflette una fibra
con un nodo a una estremità, contenente Ag tipo-specifici e alcuni gruppo-
specifici.
Gli a. sono stati suddivisi in 6 sottogruppi in base alla omologia di sequenza del
menoma e di alte proprietà.
Il genoma è formato da una molecola lineare di DNA a doppio filamento che
codifica per polipetidi sia strutturali sia non strutturali.
Il ciclo replicativi degli adenovirus può sia dar luogo a un’infezione litica delle
cellule, sia stabilire un’infezione latente (a carico soprattutto delle cellule linfoidi).
Alcuni a. possono indurre una trasformazione oncogenetica con formazione
sperimentale di neoplasie nei roditori, ma non nell’uomo.
EPIDEMIOLOGIA
Le infezioni si verificano più spesso in lattanti e bambini, manifestandosi durante
tutto l’anno ma soprattutto dall’autunno alla primavera. Gli a. causano il 3-5%
delle infezioni respiratorie acute nei bambini, 2% negli adulti. Il 100% degli adulti
possiede Ab sierici contro diversi sierotipi.
La trasmissione dell’infezione da a. si può verificare sia per inalazione del virus
aerosolizzato, sia per inoculazione dirette che, probabilmente, per via orofecale.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Nei bambini causano infezioni del tratto respiratorio superiore accompagnata da
una intensa rinite, talvolta infezioni a carico del tratto respiratorio inferiore, come
bronchiolite e polmonite.
Sindrome faringocongiuntivale: malattia acuta febbrile caratteristica dei
bambini che si presente per lo più in forma di epidemie. Caratterizzata da una
congiuntivite bilaterale, con un aspetto granulare della congiuntiva palpebrale e
bulbare; sono inoltre presenti febbricola (primi3-5 gg), rinite, faringodinia e
linfoadenopatia laterocervicale. La malattia dura in genere 1-2 settimane e si
risolve poi spontaneamente.
Negli adulti la malattia più frequentemente segnalata è la cosiddetta “malattia
respiratoria acuta”: malattia caratterizzata da una marcata faringodinia e dal
graduale innalzarsi della temperatura che raggiunge spesso al secondo o terzo
giorno di malattia i 39°C.
La tosse è quasi costantemente presente, associata a corizza e a
linfoadenopatia regionale, mentre all’esame obiettivo si rilevano edema ed
eritema faringei, con tumefazione tonsillare, senza o con scarso essudato.
Gli a. sono stati associati anche a malattie non respiratorie, quali gastroenterite e
cistite emorragica.
DIAGNOSI
L’infezione da a. va sospettata epidemiologicamente. Nella maggior parte dei
casi però non si è in grado di differenziare le infezioni da a. da quelle causate da
numerosi altri agenti respiratori virali. Una diagnosi definitiva può essere
formulata tramite coltura o individuazione del virus con metodo ELISA o
ibridizzazione di ac. nucleici.
ANTRACE
EPIDEMIOLOGIA
Annualmente a livello mondiale: da 20.000 a 100.000 casi (la maggior parte in
africa). Zimbabwe: epidemia di 10.000 casi. USA media annuale: 1 caso/anno.
Negli USA sono stati registrati a partire dal 4 ottobre 2001 casi di carbonchio
polmonare e cutaneo per diffusione terroristica di spore di carbonchio,
apparentemente spedite tramite lettere. Alcuni casi hanno avuto esiti letali. (Vuoi
saperne di più? Chiedi ad Emiliano!)
PATOGENESI
In natura la maggior parte dei casi di contagio avviene attraverso soluzioni di
continuo della cute con passaggio dalla forma sporigena a quella virulenta del
batterio soprattutto in soggetti che seguono allevamenti animali. Negli altri casi
esso passa attraverso le mucose gastroenteriche o quelle polmonari.
Le spore non danno necessariamente malattia dopo la esposizione, queste
sopravvivono fino a 2 mesi prima della manifestazione della malattia
(conseguenza di ciò è che la terapia dovrà essere molto lunga).
Scoperta fatta in uno stabilimento militare sovietico.
È usato come arma batteriologica con via di contagio inalatoria (forma più grave).
Il b.a. è in grado di eludere la fagocitosi, invadere il circolo ematico, moltiplicarsi
rapidamente fino a raggiungere un’alta densità di popolazione batterica. La
capsula del b.a. è costituita da un polimero dell’acido D-glutammico e conferisce
resistenza alla fagocitosi.
FORME CLINICHE
Antrace cutanea: 95% dei casi in natura; penetrazione delle spore attraverso
la cute.
Le spore germinano nell’arco di alcune ore e le forme vegetative si moltiplicano e
producono la tossina del carbonchio. La lesione del carbonchio è caratterizzata
da necrosi, congestione vascolare, emorragia ed edema gelatinoso, ma sono
presenti pochi leucociti.
In una settimana c’è la comparsa di vescicole con poche cellule della serie
bianca e numerosissimi bacilli.
La vescicole hanno un diametro di 1-2 cm e vanno incontro a rottura con
formazione (papule vescicole pustole) di escare di colore nero
Edema importante degli arti (EDEMA GELATINOSO), nei casi gravi l’edema può
essere esteso ed associato a shock.
Una guarigione spontanea si ha nel 80-90% dei casi non trattati, ma l’edema può
persistere per settimane. La mortalità è del 20% senza terapia antibiotica
tempestiva a causa dello sviluppo di una condizione setticemica spesso
associata a febbre elevata. La mortalità è dovuta alla diffusione ad altri organi
cambiando così drasticamente la prognosi della malattia.
Ci possono inoltre essere sovrainfezioni delle vescicole. Se non ci sono altre
infezioni la guarigione avviene in circa 20 gg.
Meningite dA ANTRACE
Localizzazione fatale nel 100% dei casi con caratteristiche di meningite batterica
e liquor emorragico ricco di leucociti neutrofili.
La localizzazione polmonare si complica nel 50% dei casi interessando per via
ematogena le meningi.
DIAGNOSI
Può essere diretta ottenendo liquor o liquido dalle vescicole o escreato
dimostrando sempre la presenza del bacillo.
Possono venir allestiti degli esami colturali su agar-sangue ma solo in laboratori
molto sicuri.
Un test di screening può venir effettuato mediante esami colturali da tamponi
nasali.
La sierologia non è utile in questo caso, soprattutto nelle forme più gravi perché
hanno evoluzione molto rapida.
PROFILASSI
Esiste un vaccino, utilizzato di solito per personale militare, agricoltori e
personale veterinario, costituito da componenti extracellulari di b.a. non
capsulati, precipitati con allume o assorbiti a idrossido di alluminio. Sono
necessarie diverse somministrazioni per un buon quadro di profilassi.
Più gestibile è la chemioprofilassi antibiotica (CIPROFLOXACINA, DOXICICLINA
o AMOXICILLINA) che va fatta per evitare che si sviluppi la malattia.
TERAPIA
Nelle forme più gravi si usano due antibiotici mentre nella forma cutanea ne
basta uno solo. Nei bacilli usati per le guerre batteriologice potrebbero essere
state introdotte delle resistenze antibiotiche. Normalmente il b.a. è sensibile alla
PENICILLINA; se paz. sensibile alla penicillina si può usare CIPROFLOXACINA,
ERITROMICINA, TETRACICLINA e CLORAMFENICOLO.
DIFTERITE
Infezione localizzata delle mucose o della cute. Nella sede in infezione può
essere presente una caratteristica pseudomembrana. Sostenuta dal
Corynebacterium Diphteriae, coccobacillo Gram +, asporigeno e non
capsulato, immobile. Hanno forma di clava e sono spesso disposti a gruppi (a
lettere cinesi) o paralleli tra loro (a palizzata).
Produce una tossina dovuta alla presenza di un fago che può causare
miocardite, polinevrite e altri effetti sistemici tossici. I ceppi che causano difterite
respiratoria sono produttori di tossine, quelli che causano la difterite cutanea non
la producono.
Immunologia: il trattamento della tossina difterica con formaldeide la trasforma in
un prodotto non tossico ma immunogeno (TOSSOIDE DIFTERICO).
L’immunizzazione con il tossoide induce la formazione di anticorpi
(ANTITOSSINE) che neutralizzano la tossina e prevengono la difterite.
EPIDEMIOLOGIA
Coinvolge principalmente l’apparato respiratorio, si verifica durante tutto l’anno
con picco di incidenza nei mesi freddi. Attualmente è una malattia molto rara
grazie all’efficace immunizzazione. In precedenza invece era molto diffusa, ma è
ancora endemica in alcune zone del mondo.
Colpisce in prevalenza i bambini tra 2 e 5 anni.
La trasmissione avviene soprattutto tramite lo stretto contatto personale. Il
periodo di incubazione per la d. respiratoria è di 2-5 gg. La d. cutanea è di solito
un’infezione secondaria i cui segni si sviluppano in media in 7 gg dopo la
comparsa delle lesioni dermatologiche primarie con altra etiologia.
ANATOMIA PATOLOGICA
Nelle infezioni causate da ceppi tossigeni, l’edema l’iperemia iniziali sono spesso
seguiti da necrosi dell’epitelio e flogosi acuta. La coagulazione dell’essudato
fibrinopurulento denso produce una pseudomembrana e la reazione
infiammatoria, accompagnata da congestione vascolare, si estende ai tessuti
sottostanti. La pseudomembrana contiene un gran numero di microrganismi,
mentre il batterio raramente viene isolato dal sangue o dagli organi interni.
PATOGENESI
L’unico ospite del c.d. è l’uomo e la via di contagio è quella aerea e si trasmette
prevalentemente nei mesi freddi. Il microrganismo di per sé non è molto invasivo
ma rimane localizzato nelle alte vie aeree causando:
Faringite difterica
Laringite difterica
Rinite difterica
Il danno maggiore è dovuto all’azione della tossina: la sintomatologia locale è
data dal c.d. stesso mentre quella generale dalla tossina ed è legata alla quantità
di questa che passa in circolo.
FORME CLINICHE
Faringite difterica: Caratterizzata dalla presenza di pseudomembrane
biancastre adese alla parete del faringe. Sono ben adese e se staccate
sanguinano. Espone il paz. a sovrainfezioni da parte di altri microrganismi. Il
faringe è molto vascolarizzato, vi può essere quindi un danno locale reversibile
ma vi è passaggio della tossina in circolo con effetti sistemici. Per questi motivi la
faringe è la localizzazione più pericolosa.
COMPLICANZE
Miocardite difterica: Presente nel 22% dei casi di difterite, a decorso
fulminante. Infiammazione del miocardio con alterazioni della funzionalità del
miocardio sia elettrica (aritmie) che meccanica.
Alteraz. elettriche: tachicardia, aritmie, fibrillazione atriale, tachicardia
ventricolare e fibrillazione ventricolare con conseguente arresto cardiaco.
Alteraz. meccaniche: dilatazione cardiaca con diminuzione della frazione di
eiezione (< anche del 20%) con conseguente scompenso cardiaco e shock
cardiogeno.
Si distinguono due forme:
1. precoce: 3°-7° giorno.
2. tardivo: 2° settimana di malattia (prognosi meno severa).
DIAGNOSI
Principalmente clinica, paz. con pseudomembrane mucosali tonsillari, palatine,
oro- e nasofaringee, mal di gola, adenopatia o tumefazione cervicale, febbre
moderata, stato tossico, raucedine, stridore, paralisi del velo pendulo e/o rinorrea
sieroematico.
La PROGNOSI è grave nel paz. non vaccinato con mortalità più elevata nella
prima settimana di malattia.
Come TERAPIA si fa immunoprofilassi passiva, neutralizzazione della tossina
circolante, con associata terapia antibiotica contro il c.d. (eritromicina, penicillina
G, rifampicina o clindamicina).
Le ENDOCARDITI INFETTIVE
EZIOPATOGENESI
Come abbiamo detto può consistere in una batteriemia sostenuta da diversi
microrganismi (o miceti). Tra i più frequenti:
BATTERI del CAVO ORALE e delle VIE RESPIRATORIE SUPERIORI come
- Streptocoocus STAFILOCOCCO
- Batteri “hacek” (haemophilus, actinobacillus, cardiobacterium,
eikenella, kingella… non li ha detti Coseni, ma mi piaceva l’acronimo);
questi batteri sono responsabili di endocarditi comunitarie contagiose;
in misura minore BATTERI del TUBO GASTROENTERICO come
streptococcus bovis o enterococchi.
Si sviluppa endocardite nel 6-25% delle BATTERIEMIE da s aureus associate a
catetere; lo staphilococcus aureus è inoltre responsabile della maggior parte
delle ENDOCARDITI da PROTESI (che possono svilupparsi subito dopo
l’intervento per infezione della ferita o in seguito), e delle endocarditi nel
tossicodipendente (che hanno un quadro caratteristico con interessamento
cardiaco meno severo e frequenetemente assenza di soffi, maggiore incidenza di
complicanze tromboemboliche, polmoniti multifocali ricorrenti).
Altri agenti infettivi che possono essere responsabili sono la p. aeruginosa, la
candida, alcuni corinebatteri, il lactobacillus.
Shigellosi
PATOGENESI
Penentrazione per via orale. Invasione cellule epiteliali del colon e diffusione
cellula a cellula. La moltiplicazione intracellulare causa necrosi dell´epitelio con
formazione di ulcere mucose. Penentrati tramite endocitosi i germi passano da
una cellula all´altra polimerizzando actina in modo da creare un effetto sfintere,
che li spinge in avanti.
La S. dysenteriae che é la piu comune nei paesi poveri e che da la
sintomatologia piu grave produce la TOSSINA DI SHIGA. Tale tossina svolge un
ruolo non ben identificato nella patogenesi e contribuisce alle complicanze
microangiopatiche ( sindrone uremico-emolitica ) della infezione.
Recentemente sono state scoperte due tossine ShET1 e ShET2 prodotte da S.
Flexneri. Queste tossine alternano il trasporto elettrolitico intestinale causando
una secrezione netta di liquidi ( nell´ileo di coniglio ).
Nella shigellosi la superficie epiteliale del colon mostra estese ulcerazioni con
essudato costituito da cellule desquammate, polimorfonucleati ed eritrociti. La
lamina propria é edematosa, emorragica ed infiltrata da neutrofili. Le cellule
endoteliali appaiono ingrossate con marginazione dei neutrofili. La tossina di
Shiga trova un bersaglio specifico nelle cellule endotelialo. Nell´infezione di S.
Dysenteriae si trovano alti livelli circolanti di LPS anche in assenza di
batteriemia. É piú colpito il colon distale.
CLINICA
Nei paesi industializzati la shigellosi é dovuta principalmenta a S. Sonnei che da
sintomi quali DIARREA ACQUOSA NON EMATICA a risoluzione spontanea.
Infezioni da S. Dysenteriae e flexneridanno dopo una breve incubazione danno:
febbre (40-41° nei bambini)
dissenteria: 10-30 scariche al giorno di feci
contenenti sangue, muco, pus
dolori intestinali crampiformi
tenesmo: sforzi dolorosi possono portare al prolasso
rettale nei bambini
I casi gravi possono progredire fino al colon tossico e alla perforazione.
Nei pazienti con diarrea azquosa c´é DISIDRATAZIONE.
Infezioni gravi possono dare una enteropatia protidodisperdente.
Complicanze extraintestinali
Setticemia: Si verifica accastanza raramente ed é asspciata a maggiore
mortalitá. É frequente nei bambini sotto l´anno e nei malnutriti.
Sindrome uremico-emolitica: Si sviluppa verso la fine della prima settimana di
malattia. Si ha OLIGURIA che va verso l´insufficenza renale e una grave
anemia. 5-10 % degli affetti muore in fase acuta. Nel caso di questa sindrome si
puó avere forte leucocitosi e trombocitopenia, profonda iponatriemia e grace
ipoglicemia.
Alterazioni del SNC: alterazioni dello stato di coscienza e convulsioni.
DIAGNOSI
ISOLAMENTO COLURALE DI SHIGELLA NELLE FECI: il batteri é molto labile
quindi seminare in fretta il materiale.
RICERCA SIEROLOGICA DI ANTICORPI contro antigeni somatici: non si fa di
ruotine.
TERAPIA
Nei casi meno gravi non si fa terapia, si controlla solo l´idratazione.
Nei casi gravi si fa antibioticoterapia:
FLUOROCHINULONI : costosi, non si danno
sotto i 17 anni
AMPICILLINA: stanno evolvendo resistenze
BACTRIM: anche
Sono resistenti a : amoxicillina, sulfamidici, streptomicina e cloramfenicolo.
ENTEROBACILLI GRAM-
CEPPI CONNENSALI:
Costituiscono l´elemento prevalente della flora fecale facoltativa nella maggior
parte degli uomini sani. Si sono adattati ad una convivenza specifica con l´ospite,
non sembra che causinu malattie.
E. coli enteroinvasivo
Causa poco comune di diarrea. Caratteristiche simili all´infezione da Shigella.
Incubazione 1-3 giorni.
L´invasione della mucosa colica e la replicazione al suo interno provoca una
DIARREA SECTRETORIA che evolve in COLITE INFIAMMATORIA con:
FEBBRE
DOLORE ADDOMINALE
TENESMO
FECI CONTENENTI SANGUE E CELLULE
INFIAMMATORIE
DIAGNOSI
La diagnosi definitiva di solito non é necessaria, si fa un trattamento
antimicrobico empirico. Se fa se c´é diarrea sanguinolenta.
Infezioni urinarie: Circa il 90% della infezioni urinarie ambulatoriali sono date da
coli.
Maggiormente colpiti sono:Bambini sotto 1 anno
Donne
Uomini con problemi prostatici
Soggetti con vescica neurologica o catetere vescicale
Danno frequentemente una uretrite o cistite con complicata. L´infezione alle
volte puó risalire.
TERAPIA
Guardare l´antibiogramma. Ultimamente stanno sviluppando numerose
resistenze.
Si da l´antibiotico e si fa il ripristino dei liquidi e degli elettroliti.
Klebsiella
Proteus
Infezioni delle vie urinarie: P. mirabius causa l´1-2% delle infezioni in donne
sane, il 5% dei casi in pazienti di terapia intensiva.
Causa tra il 20-40% delle infezioni in soggetti con cateterismo vescicale a lunga
permanenza.
É un produttore di UREASI, e quindi alcalizza le urine.
Si ritroca associato a calcoli, puó essere ....
La maggior parte delle setticemie dovute a proteus derica dalle vie urinarie.
Enterobacter
Causa: Polmoniti
Inf. urinarie catetere-correlate
Inf. di ferite chirugiche
Inf. addominali soprattutto postoperatore
Da una qualsiasi sede di infezione si puó sviluppare setticemia.
Acinetobacter
Salmonellosi
S. typhy e S. paratyphi provocano la febbre tifoide (tifo) e la loro crescita é
limitata all´essere umano. Poi ci sono le salmonelle non tifoidee.
Le salmonelle sono batteri GRAM-
non sporigeni
anaerobi facoltativi
mobili
e presentano antigeni: SOMATICO O
FLAGELLARE H
DI SUPERFICIE Vi: fattore di virulenza che le rende
resistenti alla fagocitosi
PATOGENESI
Trasmissione per via orale tramite cibo o acqua contaminati. Se superano la
barriera gastrica colonizzano il piccolo intestino.
Nel caso della febbre tifoide i batteri oltrepassano la barriere intestinale,
resistono alla fagocitosi da parte dei macrofagi, che inoltre permettono loro di
diffondere per via ematica o linfatica e di colonizzari il sistema reticoloendoteliale.
Le salmonelle non tifoidee rimangono solitamente confinate al tratto
gastroenterico provocando una gastroenterite a rapida risoluzione.
Le condizioni che riducono l´aciditá gastrica favoriscono l´infezione da
salmonella.
I batteri penentrano a livello delle placche di Peyer oppure vengono endocitate a
livello epiteliale. Le salmonelle sistemicamente si localizzano a livello di: fegato
Milza
Linfonodi
Midollo osseo
la colecisti generalmente funge da serbatoio e attraverso la bile potranno tornare
nell´intestino e ridare inf. L´inf. con il tempo puó portare all´ingrandimento e alla
necrosi delle placche di Peyer.
Febbre tifoidea: infiltrazione di mononucleati nel piccolo intestino.
Gastroenterite non tifoidea: massive infiltrazione di PMN sia nel grande che nel
piccolo intestino.
Tifo:
Patologia sistemica caratterizzata da febbre e dolore addominale, provocata da
S. Typhi e paratyphi. La trasmissione é orofecale e l´unico serbatoio é l´uomo.
Esistono portatori cronici. Si prende il tifo tramite acqua og cibo contaminati.
EPIDEMIOLOGIA
Nel mondo ci sono 13-17 milioni di casi con circa 600.000 decessi per anno. É
endemico nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo per le scarse condizioni
igieniche e il sovrappopolamento.
CLINICA (Harrison)
La febbre é dovumentata all´esordio nel 75% dei casi.
Il dolore all´esordio é riportato solo nel 20-40% dei casi.
Il periodo di incubazione varia da 3 a 21 giorni, dipende dall´inoculo iniziale e
dalla salute dell´ospite.
La febbre é persistente (38,8-40,5°) en é preceduta da brivido, cefalea,
anoressia, astenia, dolore mucholare ecc.
I sindromi gastrointestinali sono variabili: i pazienti possono presentare sia
diarrea che stipsi.
I sintomi derivati da S. Typhy sono piu gravi di quelli da S. Paratyphi.
Si hanno inoltre: Esantema maculopapulare color salmone localizzato
soprtattutto al tronco e al torace ( ROSEOLE
TIFOSE ) in 30% dei casi
Epatosplenomegalia
Bradicardia relativa: la frequenza cardiaca non aumenta pari
passo con la febbre
CLINICA (Cosenzi)
Si hanno 3 fasi dette settenari:
FASE DI INVASIONE: aumento della temperatura corporea graduale (a gradini)
FASE DI STATO: febbre continua
FASW DI DEFERVESCENZA: la febbre scende in modo graduale
DIAGNOSI
Emocoltura positica
Nella maggior parte dei casi la conta leucocitari rimane normale, nel 15-25% dei
casi si a leucopenia. La diagnosi si puó basare anche sulla positivitá di colture di
feci, urine, rosole?, secrezioni intestinali.
Le coprocolture sono negative nel 60-70% dei casi nella 1a settimana, possono
positivizzarsi nella 3a. Prima di dimettere il paziente fare 3 coprocolture in giorni
diversi dopo la sospensione degli antibiotici per evitare portatori.
Si puó fare la SIEROAGGLUTINAZIONE DI NIDAL: ricerca quantitativa di Ab
anti O o anti H. Si considerano positivi titoli superioro o uguali a 1:100.
TERAPIA
Prima degli antibiotici il tifo aveva una mortalitá del 15%.
Poi é arrivato il CLORAMFENICOLO: mortalitá <1%
la febbre che durava 14-28 giorni dura
3-5
ma negli anni 70 sono comparse resistenze al cloramfenicolo.
Allor si fa la terapia con AMPICILLINA e BACTRIM.
Dagli anni 90 ci sono ceppi MDR (multy drug resistance). Per questi si usano
chirolonici o cefalosporine di 3a generazione.
VACCINAZIONE
Disponibili 3 vaccini. Durano limitatamente nel tempo. O sono fatti con salmonela
uccise o con salmonelle vive attenuate. Meglio il vivo attenuato perche si
formano IgA secretorie che proteggono meglio. Ha meno effetti collateralo. Il
vaccino é soministrato per OS o per via paraenterale a seconda del tipo.
CLINICA
Gastroenteriti: Nausea, vomito e diarrea da 6-48 ore dopo l´ingestino di cibi o
acqua contaminati. Crampi addominali, febbre.
Solitamente si risolve spontantemente. La diarrea, quasi mai ematica in 3-7
giorni, la febbre in 72 ore. Le coprocolture possono rimanere positive anche 4-5
settimane dopo l´infezione.
Infezioni polmonari
Urogenitali
Ossee
Articolari
DIAGNOSI
Coprocoltura
Emocoltura se c´é sospetta setticemia.
TERAPIA
L´uso di antibiotici é solitamente sconsigliato tranne che per neonati, anziani e
immunodepressi.
Colera
Malattia diarroica acuta che puó portare in poche ore, ad una disidratazione
grave e morte. La malattia é causata da vibrio cholerae del SIEROGRUPPO
O1.
I vibrioni sono: GRAM-
Anaerobi facoltativi
Mobili con uno o piú flagelli polar
Risiedono solitamente in baie ed in estr... di fiumi in condizioni di moderata
salinitá e quando la temperatura dell´acqua supera i 20°.
La specie VIBRIO CHOLERAE comprende numerosi organismi classificati sulla
base dei determinanti glucidici degli antigeni O dell´LPS.
Sono suddivisi in gruppo O1
gruppo non O1
Il sierogruppo O1 é stato, fino all´emergenza del gruppo O139, causa esclusica
del colera epidemico.
Esistono 2 biotipi del V. Cholerae O1 : classico
El thor
ogni biotipo viente ulteriormente suddiviso in due sierotipi: inaba
ogawa
Gli uomini si infettano in maniera accidentale ma una volta infettati possono agire
come veicolo per la diffusione. Le modalitá piú frequenti di infezione sono:
Ingestione di H2O contaminata da feci
Ingestione di cibi contaminati (molluschi)
Non esistono serbatoi animali.
EPIDEMIOLOGIA
Nelle zone endemiche il colera é una malattia prevalentemente pediatrica ed é
piú comune nei mesi estivi ed autunnali.
Le infezioni asintomatiche sono frequenti con il biotipo el thor, meno con quello
classico.
La suscettibilitá al colera é influenzato dal gruppo sanguino: i soggetti con
gruppo 0 sono quelli a maggiore rischio, quelli con gruppo AB quelli con rischio
minore.
Negli ultimi 2 secoli si sono state 7 pandemie di colera, di cui l´ultima sostenuta
da biotipo el thor.
CLINICA
Incubazione 24-48 ore. La malattia inizia acutamente, senza dolore con diarrea
acquosa di notevole entitá seguita spesso da vomito. Di norma non c´é febbre.
Senza reintegro di fluidi si arriva presto a shock ipovolemico e morte.
Le feci hanno hanno un caratteristico aspetto acolico, grigiastro, con fiocchi di
muco, senza sangue, con odore dolciastro ( FECI AD ACQUA DI RISO ).
Con perdita di liquidi = 3-5% del peso corporeo: sete
5-8%: ipotensione ortostatica, debolezza, tachicardia
>10%: oliguria, polso debole, infossamento dei globi
oculari, cute grinzosa, sonnolenza,
coma
Se il paziente viene adeguatamente trattato, la malattia si autolimita in pochi
giorni.
LABORATORIO
Aumento dell´ematocrito
Lieve leucocitosi neutrofila
Aumento di tipo generale di azotemia e creatininemia
Marcato abassamento di HCO3-
pH arterioso basso (7,2)
Elevato gap anionico
DIAGNOSI
Coprocoltura con identificazione del germe nelle feci. La positivitá alla
coprocoltura diminuisce con il decorso della malattia.
TERAPIA
Rapida ed adeguata reintegrazione di liquidi, elettroliti e basi. Se si effettua
questa terapia la mortalitá cala a meno dell´1%. Inizialmente si ricorre alla
reidratazione paraenterale, poi per OS. Anche se non necessario per la cura, l
´utilizzo di antibiotici riduce la durata della malattia e accelera l´eliminazione del
vibrione delle feci.
Colite da clostridium difficile
MANIFESTAZIONI CLINICHE
manifestazione prevalente è diarrea, particolarmente maleodorante, raramente
con rilevante componente ematica, e di consistenza liquida o mucide. Sono
incostanti febbre, dolore addominale e leucocitosi.
In alcuni rari casi si sviluppa megacolon tossico e un quadro di ileo paralitico.
TERAPIA
Comprenderebbe la sospensione dell’antibiotico responsabile della CDAD, ma
questo non è sempre possibile. L’indicazione è dunque l’antibiotico terapia con
farmaci possibilmente assunti per os (sfruttandone l’azione topica) come
VANCOMICINA e METRONIDAZOLO, oltre ovviamente al ripristino dell’equilibrio
idrico-salino compromesso dal prolungarsi della diarrea.
Botulismo
É causato dalle neurotossine prodotte dal c. botulinum, un bacillo gram +
sporigeno anaerobio obbligato che può contaminare cibi sotto vuoto; la
tossinfezione si verifica qualora questi cibi siano ingeriti crudi (poiché le tossine
sono termolabili). Le tossine coinvolte sono ZINCOPROTEASI che si legano
specificamente ai terminali presinaptici della giunzione neuromuscolare e
idrolizzano le proteine coinvolte nell’esocitosi dell’acetilcolina.
QUADRO CLINICO
Dopo un periodo di incubazione di 18-36 ore si può assistere a un quadro
sintomatologico che varia da miastenia moderata a paralisi flaccida discendente
e simmetrica che se non trattata può portare a morte per insufficienza
respiratoria nel giro di 24 ore. Sintomi precoci possono essere diplopia, disartria,
disfonia, disfagia, ptosi palpebrale, ileo paralitico, ritenzione urinaria.
DIAGNOSI
La diagnosi è prevalentemente clinica (poiché il test per la ricerca della proteina
nel plasma è disponibile solo in laboratori avanzati); il test con l’edrofonio è
generalmente negativo o lievemente positivo, e costituisce una metodica per la
d.d. con la miastenia gravis.
Stafilococcus aureus
È una delle più comuni cause di tossinfezione alimentare nei paesi occidentali.
La contaminazione da parte di stafilococchi produttori di tossine avviene
tipicamente attraverso le mani di chi prepara il cibo; una cottura non eccessiva
può uccidere i micro-organismo ma risparmiare le tossine nonostante siano
termolabili.
QUADRO CLINICO
La sintomatologia ha un esordio improvviso (dopo 1-6 ore dal pasto) con nausea,
vomito e incostantemente diarrea, ipotensione e disidratazione, e in genere si
risolve nel giro di 24-36 ore.
TERAPIA
É prevalentemente di supporto; si interviene cioè solo per controllare
l’ipotensione o la disidratazione.
GASTROENTERITI VIRALI
Rotavirus
FISIOPATOLOGIA
Infettano e distruggono le cellule mature dei villi intestinali. Queste cellule sono
rimpiazzate da nuove cellule incapaci di assorbire nutrienti. Quindi si ha una
diarrea osmotica da malassorbimento.
CLINICA
Si va da infezioni asintomatiche a diarrea moderata o grave. L´insorgenza della
malattia é improvvisa. L´80% dei bambini colpiti manifestana vomito seguito da
diarrea.
L´infezione é particolarmente grave negli immunocompromessi.
Nell´infezione si assume rapidamente una immunitá relativa.
DIAGNOSI
Rotavirus nelle feci.
TERAPIA
Terapia reidratante orale convenzionata.
Virus di Norwalk e calicivirus enterici
CLINICA
Incubazione 18-72 ore. Esordio improvviso con nausea, crampi addominali
seguiti da vomito e/o diarrea. La malattia é lieve e si risolve in 24-48 ore.
AGENTI EZIOLOGICI
Il genoma degli HSV è costituito da un doppio filamento di DNA, ed i due sottotipi
hanno una struttura simile. Alcuni polipeptidi differenti, espressi dai due sottotipi,
sono usati per differenziare dal punto di vista sierologico i virus.
La replicazione virale ha una fase citoplasmatica ed una nucleare. Dopo la
fusione tra la membrana virale e quella cellulare, mediata da delle particolari
proteine di superficie eparino-simili, il virus penetra nel citoplasma ed inizia a
rilasciare delle proteine virali. Alcune di queste hanno la funzione di fermare la
replicazione cellulare attraverso l’aumento della degradazione dell’RNA; mentre
altre attivano la trascrizione di alcuni geni virali precoci. Tra questi gli sono
geni necessari per la sintesi dei polipeptidi di gruppo , che sono enzimi
regolatori o fondamentali per il processo di sintesi del DNA (molti farmaci
antivirali interferiscono con proteine di questo gruppo). Il gruppo codifica
invece per delle proteine strutturali. Dopo la replicazione del DNA e delle
proteine strutturali i nucleocapsidi sono assemblati a livello del nucleo cellulare,
formando delle tipiche inclusioni all’interno. L’infezione dei neuroni non porta
però alla morte cellulare, difatti il virus al loro interno entra in uno stato di latenza,
trascrivendo solo un numero limitato di proteine virali. Quando il genoma virale si
riattiva il ciclo riparte producendo le copie di HSV, che vanno poi normalmente a
colonizzare la superficie delle mucose. Il processo di latenza coinvolge
probabilmente delle particolari proteine appartenenti al gruppo . Il processo di
riattivazione è controllato dall’immunità specifica T dipendente, e si è notato che
insulti come raggi ultravioletti, traumi alla cute o ai gangli, e immunosoppressione
possono favorirlo.
PATOGENESI
Il contatto con la superficie delle mucose o con soluzioni di continuo della cute
permette l’entrata del virus e l’inizio della sua replicazione nelle cellule di derma
ed epidermide. Di solito le infezioni sono subcliniche. Una volta raggiunte le
terminazioni autonomiche e sensitive i virus risalgono per via assonale, fino a
raggiungere i corpi cellulari a livello dei gangli, dove continua la replicazione. A
questo punto i virus migrano sulla superficie cutanea per via centrifuga.
IMMUNITÀ
La risposta dell’ospite all’infezione determina la possibilità di acquisizione della
malattia, la sua severità, la resistenza e il mantenimento della latenza, e la
frequenza delle riattivazioni. Sono importanti sia le difese umorali che quelle
cellulo-mediate ma i pz immunocompromessi hanno quadri clinici più gravi di
quelli con agammaglobulinemia provando la maggior importanza della risposta
cellulare. I virus esprimono per difendersi delle proteine in grado di inibire la
risposta immunitaria, ad esempio riducendo l’espressione dell’HLA di classe I.
Sebbene una precedente immunizzazione verso HSV 1 non riduca il rischio di
contrarre un’infezione da HSV 2, aumenta però la probabilità che l’acquisizione
sia subclinica, provando quindi l’utilità della risposta specifica.
EPIDEMIOLOGIA
Dal punto di vista sierologico si può dire che l’infezione è presente in tutto il
mondo. C’è una prevalenza del sierotipo 1, tant’è che nei paesi industrializzati il
90% delle persone è sieropositiva alla quinta decade, mentre nei paesi
sottosviluppati l’età scende a prima della terza decade. Il tipo 2 è invece presente
in una percentuale attorno al 20%, e la sua prevalenza correla con la frequenza
dei rapporti sessuali. Solo il 10% dei pazienti però riporta storie di lezioni genitali,
pur presentando virus sulle mucose a seguito di riattivazioni silenti.
Il contagio avviene durante tutto l’anno, a seguito di contatti con persone che
presentino lesioni attive o che abbiano dei virus in replicazione sulle mucose
anche senza manifestazioni cliniche, questo è uno dei fattori percui la malattia
presenta una continua diffusione in tutto il mondo.
SPETTRO CLINICO
HSV è stato isolato praticamente in ogni organo viscerale, ma le manifestazioni
cliniche dipendono dal sito dell’infezione, dalle difese dell’ospite e dal sierotipo.
Le infezioni primarie sono solitamente accompagnate da una sintomatologia
sistemica, con una localizzazione che può essere sia mucosale che
extramucosale e una durata più lunga rispetto ai fenomeni di riattivazione.
L’incubazione può variare da 1 a 26 gg.
Entrambi i sierotipi possono causare infezioni oro-facciali o genitali (anche se
HSV1 è più frequente nel primo caso e HSV2 nel secondo), e le manifestazioni
sono clinicamente indistinguibili. Quello che varia è la frequenza delle
riattivazioni a seconda del sito e del sierotipo coinvolti. Difatti infezioni genitali da
HSV2 si riattivano 8-10 volte più frequentemente di quelle da HSV1, e viceversa
per quelle oro-facciali.
Infezioni oro-facciali:
Gengivostomatiti e faringiti sono le più frequenti manifestazioni cliniche della
prima infezione da HSV1, mentre l’herpes labiale è più frequente nelle
riattivazioni.
La faringite e la gengivostomatite presentano dei segni clinici quali febbre,
malessere, mialgia, disfagia e adenopatia cervicale che possono durare per 3-14
gg. Le lesioni possono presentarsi in tutto il distretto oro-facciale, e la faringite si
presenta con delle lesioni essudative o ulcerate difficilmente distinguibili da
quelle causate da infezioni batteriche. La riattivazione dal ganglio del trigemino
può causare ulcere mucosali orali, ulcerazioni erpetiche delle labbra o della cute,
o la semplice escrezione del virus con la saliva. Nei pazienti immunodepressi
l’infezione si può estendere anche agli strati profondi causando necrosi,
sanguinamento e forte dolore.
Negli individui con eczema atopico l’infezione può causare lesioni più estese
(eczema herpeticum), mentre l’HSV può essere la causa scatenante
dell’erythema multiforme.
HSV1 assieme al virus della varicella sono implicati nella eziologia della paralisi
di Bell (paralisi flaccida della porzione mandibolare del trigemino).
Infezioni genitali:
Il primo episodio è caratterizzato da febbre e sintomi aspecifici, a cui si va
sommando la sintomatologia locale data da dolore, disuria, secrezioni vaginali e
uretrali e lieve linfoadenopatia inguinale. Sono poi presenti delle lesioni bilaterali
dei genitali esterni, che si presentano in vari stadi come vescicole, pustole o
ulcerazioni eritematose. Gli episodi di infezione primaria da HSV2 dopo
precedente immunizzazione da HSV1 sono associati con una minor frequenza
della sintomatologia sistemica e con una guarigione più veloce. È possibile
anche una localizzazione anale delle lesioni, con dolore, tenesmo, perdite e
stipsi, ed alla sigmoidoscopia si rivelano lesioni ulcerative nei primi 10 cm
dell’ampolla rettale.
Patereccio:
La localizzazione a livello delle dita può avvenire come localizzazione secondaria
durante infezione sia genitale che orale, o a seguito di una localizzazione
primaria. La zona colpita presenta edema, eritema e lesioni pustolose simili a
quelle causate da batteri piogeni. Possono essere presenti febbre,
linfoadenopatia epitrocleare e ascellare. Una diagnosi precoce è essenziale per
evitare terapie inutili visto che l’uso di antiretrovirali è sufficiente.
Herpes Gladiatorum:
Non ci crederete mai ma è un tipo di infezione che può coinvolgere tutta la
superficie cutanea (torace, orecchie, faccia, mani ecc.), a seguito di lesioni e
traumi della pelle, come avviene nel WRESTLING!!! (inteso come lotta libera in
generale penso). È importante fare diagnosi precoce per contenere il contagio!!
….d’altrocanto penso che possa essere considerata una piaga sociale in
America la presenza di schifezze sulla pelle di persone che fanno finta di
picchiarsi, e che a causa delle cura ormonale presentano una micropenia e
moriranno entro pochi anni!! god bless America
Infezioni oculari:
È una delle cause più frequenti di cecità corneale. La cheratite si presenta con
dolore, lacrimazione, congiuntivite e offuscamento della visione. L’uso topico di
glucocorticoidi può esacerbare la sintomatologia e causare coinvolgimento delle
strutture oculari profonde. La riattivazione è frequente e può causare danni
organici, e l’azione citotossica è forse mediata da un meccanismo di cross-
reattività di alcune proteine virali.
La corioretinite è spesso complicanza di infezioni disseminate specialmente nei
neonati o in pz con HIV ( ).
Infezioni viscerali:
Derivano dalla viremia e può esserci un coinvolgimento multiplo, anche se
occasionalmente può esserci una localizzazione isolata all’esofago, ai polmoni o
al fegato.
L’esofagite può derivare da una diffusione tramite la faringe.
La polmonite è rara eccetto che in pz immunocompromessi, come estensione di
una tracheobronchite o come conseguenza di una diffusione ematogena.
Altrettanto rara è la localizzazione epatica dell’infezione. L’infezione disseminata
è rara in pz immunocompetenti ma può essere una complicanza in
immunodepressi, negli ustionati o nei pz malnutriti. Raramente l’infezione
primaria può disseminarsi in gravidanza e causare aborto, ma è correlata con
l’acquisizione nel primo trimestre.
Infezioni neonatali:
I neonati hanno la più alta frequenza tra gli altri infettati da HSV di sviluppare
encefalite o infezioni disseminate. Normalmente il contagio è perinatale
attraverso lesioni attive con secrezioni della madre, ma può avvenire anche
tramite il contatto nel primo periodo con persone con lesioni attive. La
somministrazione precoce di ACYCLOVIR riduce la mortalità soprattutto per
l’infezione da HSV1.
DIAGNOSI
La diagnosi si basa sia sulla clinica che sul laboratorio. La diagnosi clinica può
essere fatta riconoscendo le tipiche lesioni vescicolari a livello labiale. A volte
però le uretriti o le faringiti possono presentarsi senza ulcere cutanee. In questo
caso facendo un tampone, e poi guardando lo striscio dopo colorazione si
possono vedere le tipiche cellule giganti (balloniformi), e addirittura le inclusioni
nucleari. Questo metodo però non differenzia tra lesioni da HSV e VZV.
Il laboratorio può fornire una diagnosi certa tramite la ricerca di frammenti di
DNA, o di Ag virali da prelievi.
Varicella-zoster virus
PATOGENESI
Infezione primaria:
La trasmissione avviene per via respiratoria, e dopo la replicazione del virus
,presumibilmente a livello dell’orofaringe, c’è la disseminazione agli organi del
reticolo endotelio e lo sviluppo della viremia. In questo stadio compaiono le
lesioni a livello cutaneo, le vescicole coinvolgono il derma con formazione di
cellule balloniformi, multinucleate e con le caratteristiche inclusioni intranucleari.
Se l’infezione coinvolge anche piccoli vasi sanguigni si possono avere piccole
emorragie epidermiche. Le vescicole evolvono in seguito con intorpidimento del
contenuto dovuto all’arrivo dei pmn e alla fibrina, fino a che si assiste alla rottura
delle vescicole (il fluido contiene virus) o al loro riassorbimento.
Infezioni ricorrenti
Il meccanismo che porta alla riattivazione del VZV ed alla comparsa dell’herpes
zoster non è noto, ma probabilmente il virus risale lungo le radici dorsali fino a
posizionarsi a livello dei gangli dove va incontro ad un fenomeno di latenza.
EPIDEMIOLOGIA
Varicella:
Contagio: L´uomo è l’unico reservoir conosciuto del virus. VZV è molto
contagioso, la prevalenza è identica in entrambi i sessi e la distribuzione della
malattia è endemica, sebbene possa diventare epidemica in soggetti a rischio
(bambini) ed in particolari periodi dell’anno come tardo inverno e inizio
primavera. Il contagio si ritiene possa avvenire dal giorno prima della comparsa
del rash fino alla comparsa delle croste. È una tipica malattia esantematica
dell’infanzia, colpisce nel 50% dei casi bambini tra i 5 e i 9 anni, tant’è che per
esempio in America il 10% delle persone oltre i 15aa ha già contratto la malattia,
ma ultimamente la vaccinazione entro i 2 aa ha ridotto drammaticamente i casi
(domanda: in Italia si fa la vaccinazione?).
CLINICA
Clinicamente la malattia si presenta con rash cutaneo, febbre moderata, e
malessere anche se alcuni pazienti possono presentare dei prodromi
caratterizzati da febbre moderata e sintomi aspecifici che possono anticipare di
2-3 gg la comparsa dell’esantema. Le lesioni si presentano
contemporaneamente in differenti stadi (a cielo stellato) con maculo-papule,
vescicole e croste, che incominciano su tronco e faccia per poi diffondersi agli
arti, e a volte anche alle mucose. Il numero delle lesioni cutanee varia
enormemente da individuo a individuo, anche se solitamente i giovani tendono
ad avere un numero inferiore di lesioni rispetto ai pz che contraggano l’infezione
in età adulta. Ovviamente pz immunocompromessi hanno lesioni più numerose e
più frequentemente emorragiche, oltre ad un elevato rischio di complicanze
viscerali che possono anche essere fatali.
COMPLICANZE
La complicanza più frequente della varicella è la sovrainfezione cutanea delle
vescicole da parte di Strepto o Stafilo, soprattutto se le vescicole vengono
grattate. (bambini non grattatevi!!!).
Nei bambini la più frequente sede di coinvolgimento viscerale è il SNC, con una
sindrome di atassia cerebellare acuta e di irritazione meningea che si presentano
circa tre settimane dopo l’inizio dell’eruzione. Questo tipo di coinvolgimento ,che
a volte può addirittura evolvere verso l’encefalite, è generalmente da considerarsi
benigno, tanto da non richiedere neanche l’ospedalizzazione.
La polmonite varicellosa è una frequente e seria complicanza che si osserva
maggiormente nei soggetti adulti. Si manifesta circa 3-5gg dopo la comparsa del
rash con febbre elevata, tosse, dispnea, cianosi, dolore toracico e (Cosenzi dice)
versamento pleurico a volte. È una polmonite interstiziale. Evolve generalmente
in modo parallelo al rash cutaneo, anche se a volte può persistere per alcune
settimane.
Altre complicanze più rare sono miocarditi, glomerulonefriti, artriti e epatiti (in
realtà è abbastanza frequente ma asintomatica, difatti c’è solo aumento degli
enzimi epatici)
D.D.
Una anamnesi positiva per esposizione a VZV e la comparsa delle caratteristiche
lesioni portano facilmente a diagnosi di varicella. A volte il quadro cutaneo può
essere confuso con una infezione erpetica disseminata, in pz con dermatite
atopica, o con infezioni da coxsackievirus o echovirus, ma in realtà le vescicole
hanno una componente più emorragica. Nell’infezione da rickettsia è tipico il
rinvenimento della lesione dovuta al morso della zecca. La d.d. col vaiolo
(tornato in voga grazie a Bush e ad Osama) è data dalla differenza delle lesioni,
che sono tutte allo stesso stadio (e suppongo dall’anamnesi positiva per attacco
bioterroristico o per terza guerra mondiale). L’herpes zoster è facilmente
diagnosticabile a causa della distribuzione delle lesioni e delle loro
caratteristiche; al max si può fare d.d. con herpes o con infezione da coxsackie.
DIAGNOSI
Per Cosenzi è in pratica solo clinica. Ovviamente l’Harrison parla di diagnosi
sicura solo dopo aver isolato il virus, cercando il Dna o quantomeno dopo aver
visto le cellule balloniformi al vetrino. Altrimenti si può provare la
sieroconversione. (a volte si può addirittura fare immunofluorescenza con Ab
fluorescinati sulle cellule prese dalle vescicole)
PREVENZIONE
Vaccino
Dare Ig a pz a rischio elevato di complicanze
Fare profilassi con acyclovir per pz a rischio.
EBV
EPIDEMIOLOGIA
È un’infezione presente in tutto il mondo con un picco nell’infanzia, ed un
secondo nella adolescenza (correlato all’inizio di pratica sessuale spinta come
bacio alla francese, o bere da bicchieri usati da altri). È spesso asintomatica. La
trasmissione avviene principalmente attraverso il contatto con la secrezione
salivare di persone malate o portatrici sane. Questo perché,in più del 90% dei pz
asintomatici sieropositivi, il virus è presente a livello delle secrezioni orofaringee.
Altre forme di contatto sono rare ed includono trasfusioni e trapianti di midollo.
PATOGENESI
Il virus una volta giunto nell’orofaringe infetta l’epitelio e le ghiandole salivari
(rimane nella saliva anche dopo la guarigione). EBV ha un forte tropismo per le
cellule B sfruttando il recettore CD21, lo stesso per il C3d del complemento.I B
vengono infettati appena entrano in contatto con le cellule epiteliali, o sono
direttamente colonizzati a livello delle tonsille. Nel frattempo il virus raggiunge il
flusso ematico, e in questa fase di viremia continua ad infettare cellule B, si stima
difatti che durante la fase acuta 1 B ogni 100 sia infettato a livello del sangue
periferico, mentre ad avvenuta guarigione il rapporto è 1:1.000.000. I B
colonizzati proliferano assieme ai T reattivi nei confronti del virus, e questo causa
tipicamente una spiccata linfocitosi atipica. Si osserva un’inversione del rapporto
CD4/CD8, per la forte espansione clonale dei CD8 (addirittura il 40% di quelli
circolanti sono reattivi verso EBV) ed una diminuzione dei CD4, a prova
dell’importanza della risposta cellulo-mediata nei confronti di questo virus.
Cosenzi aggiunge che nello striscio di sangue si notano enormi cellule
mononucleate (mononucleosi appunto), che sono in realtà linfociti attivati.
CLINICA
L’incubazione è di circa 4-6 settimane, con la presenza di sintomi aspecifici nelle
2 settimane antecedenti la comparsa della malattia. Questa si presenta
all’esordio con febbre, faringite, e linfoadenopatia. La febbre non è generalmente
molto alta e si risolve in circa 2 settimane. Normalmente in questo periodo
prevalgono la faringite (che a volte può presentare anche un essudato simil
streptococcico) e la linfoadenopatia (sottomandibolare e laterocervicale, ma
anche generalizzata). Dopo si nota una forte splenomegalia, ed una
epatomegalia con coinvolgimento di solito subclinico(a volte però si può
addirittura arrivare all’ittero). I sintomi di solito si risolvono in circa 2-4 settimane
anche se la stanchezza può durare per mesi. Nei bambini e nei neonati la
malattia decorre spesso asintomatica, mentre negli adulti si presenta a volte in
manera più sfumata e aspecifica.
LABORATORIO
GB ≥ 10,000 – 20,000 con linfocitosi atipica ed una lieve neutropenia.
Segni di danno epatico 90% ↑ transaminasi e fosfatasi alcalina
40% ↑ bilirubina
COMPLICANZE
La prognosi è generalmente buona. La morte è rara e generalmente legata a
coinvolgimento del SNC (meningiti o encefaliti),
rottura della milza,
ostruzione delle vie aeree causata dall’ingrossamento delle tonsille o
dall’edema che può colpire ad esempio l’epiglottide,
sovrainfezioni.
DIAGNOSI
Harrison dice: il test eterofilo è il più usato per la diagnosi sierologica di malattia.
Il siero umano viene, mischiato con il rene del porcellino della Guinea ! (Guinea
pig kidney), ed il titolo Ab viene stimato in base alla diluizione alla quale il siero è
ancora in grado di agglutinare le cellule del nostro amico porcellino. Questo test
è positivo nel 40% dei casi durante la prima settimana, e nell’80-90% durante la
terza. (n.b. gli Ab reagiscono con le emazie di altre specie animali, ma non sono
in realtà diretti contro le proteine di EBV.) Questi Ab rimangono positivi per alcuni
mesi, ma non sono normalmente presenti nei bambini e negli anziani.
Cosenzi dice: Una volta si faceva il test per dosare gli Ab con le emazie di
montone (mono test), oggi si ricorre al semplice dosaggio degli Ab (era più
romantico una volta).
Entrambi dicono: si possono dosare gli Ab specifici per EBV, e specialmente per
le categorie in cui gli Ab eterofili non sono presenti. Questi sono:
EBNA (Epstein Barr nuclear Ag) sono Ab che si riscontrano relativamente tardi (3
settimane dopo i sintomi) ma che rimangono poi per tutta la vita.
EA (Early Ag) Ne esiste un tipo nucleare ed uno citoplasmatico. Salgono intorno
alla 3 settimana e persistono solo per 3-6 mesi.
VCA (Viral Capsid Ag) si trovano ne 90% dei pz all’insorgenza dei sintomi. Sono
utili per la diagnosi in fase acuta perché le IgM sono alti solo per 2 mesi, al
contrario non sono usati per vedere la sieropositività ad EBV.
D.D.
Altre malattie che possono dare una linfocitosi atipica sono: CMV (è la più
comune d.d., ma gli Ab saranno negativi), HIV, HSV, toxoplasma. Si può poi fare
d.d. con epatite, con rosolia ma anche con linfomi e leucemia.
CMV
Appartiene alla famiglia degli Herpesvirus. Oltre ad essere causa di una certa
quota di difetti congeniti alla nascita, produce malattie ad ampio spettro
sintomatologico e clinico che vanno da forme asintomatiche, a forme simil
mononucleosiche fino a forme disseminate in pz immunocompromessi.
Caratteristica distintiva di questa infezione è il riscontro di CELLULE
CITOMEGALICHE, con delle INCLUSIONI EOSINOFILE NUCLEARI dette ad
“occhio di gufo”, che si possono trovare a livello di numerosi organi.
EPIDEMIOLOGIA
È ampiamente distribuita in tutto il mondo. Il virus si trova nel latte materno, nella
saliva, nelle urine, nelle feci e nelle secrezioni genitali, oltre che ovviamente nel
sangue di molti donatori. La maggior parte dei bambini lo contrae già in fase
neonatale. Il contagio richiede comunque un contatto ripetuto e non è quindi
legato a contatto casuale. Una volta infettata l’individuo rimane generalmente
portatore a vita di CMV, ma l’infezione rimane latente anche se può riattivarsi
soprattutto in pz immunocompromessi o trapiantati (è una complicanza tra le più
comuni). Inoltre Cosenzi dice che l’infezione non da immunità assoluta.
PATOGENESI
L’infezione congenita può derivare sia da una riattivazione del virus, sia da una
infezione primaria contratta dalla madre durante la gravidanza, anche se questa
seconda evenienza è certamente la più probabile. La maggiore gravità della
malattia del feto in alcuni casi, dipende da una ridotta capacità della madre nel
fare gli Ab o nel montare una risposta T mediata.
L’infezione primaria nei bambini o nell’adolescenza può portare allo sviluppo di
una forma asintomatica o di una forma simil-mononucleosi, con febbre e
faringite. Il dato significativo è la comparsa di una linfocitosi atipica con un
elevato numero di CD8+. Una volta contratta l’infezione, anche in forma
asintomatica, il virus rimane latente tanto da poter essere rinvenuto a livello delle
ghiandole salivari e dell’intestino. La riattivazione pone un quadro di polmonite
interstiziale, epatite, leucopenia e febbre
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Infezione congenita:
Può essere del tutto inapparente come presentarsi in maniera grave e
disseminata. È praticamente solo associata ad una prima infezione in
gravidanza. Petecchie, epatosplenomegalia e ittero sono il quadro più comune, a
cui si aggiunge microcefalia (30-50%), ritardo di crescita e prematurità. Si notano
transaminasi elevate, trombocitopenia, emolisi e iperbilirubinema coniugata. La
mortalità nelle forme gravi è circa del 20-30%, ma alcuni dei bambini sviluppano
poi difficoltà intellettuali o uditive. La maggior parte delle volte l’infezione è
asintomatica anche se in una piccola parte di questi soggetti si notano
successivamente difetti psicomotori, uditivi, oculari o dentali.
Infezione perinatale:
Il contagio può avvenire durante i parto o tramite il latte materno. La malattia è di
solito asintomatica anche se in alcuni casi si può notare una polmonite
interstiziale protratta. A volte la clinica è più grave con ridotto peso,
adenopatia, epatite, anemia e linfocitosi atipica.
CMV mononucleosi
L’incubazione è di 20-60 gg, e la malattia dura circa 2-6 settimane. La
sintomatologia è aspecifica con febbre, fatica, malessere e a volte mal di testa
mialgia e epatosplenomegalia. Al contrario che nell’infezione da EBV in questo
caso la faringite essudativa e la linfoadenopatia cervicale non sono frequenti.
Dal punto di vista laboratoristico si trova una spiccata lnfocitosi, con una leggera
leucopenia. C’è aumento delle transaminasi epatiche anche se l’ittero è
abbastanza infrequente. A differenza che nell’infezione da EBV in questo caso
non sono presenti Ab eterofili, anche se a volte si possono riscontrare anomalie
ematologiche passeggere come crioglobuline, fattore reumatoide e Ab anti
nucleo.
Allo stesso modo CMV è riconosciuto come patogeno importante nei pz malati di
AIDS, che presentano spesso una infezione disseminata, o retiniti molto gravi
che possono portare a cecità i pz (importante:le corioretiniti da CMV nei
malati di AIDS sono molto frequenti)
DIAGNOSI
La diagnosi non può praticamente mai essere unicamente clinica, e quindi la
certezza si ha soltanto isolando il virus o trovando il DNA tramite PCR. Il titolo Ab
non è necessariamente sicuro per fare diagnosi, perché rimane per lungo tempo
alto, anche se ovviamente il riscontro di IgM contro gli Ag di CMV fa fare diagnosi
di infezione in atto.
Mollusco contagioso
Fa parte dei poxvirus. A questo gruppo appartengono anche virus che causano
malattie sistemiche come smallpox (vaiolo) o monkeypox *(zoonosi simil
vaiolosa). Il virus del mollusco contagioso si localizza invece a livello della cute,
e può essere trasmesso anche da altre specie infette.
Le lesioni a livello della cute sono benigne e caratterizzate da delle papule
perlacee, di colorito rosa, ombelicate e di circa 2-5mm di diametro. Non sono
normalmente infiammate. Si presentano generalmente isolate o in piccoli
raggruppamenti. Il contagio avviene tramite il contatto diretto, e le piscine sono
normalmente i luoghi dove la trasmissione è più frequente. Allergie o lesioni alla
cute aumentano il rischio di infezione. L’incubazione va da 2 settimane a 6 mesi,
e normalmente le lesioni tendono ad essere auto-limitanti risolvendosi in 3-4
mesi.
La diagnosi è basata sulla clinica anche se è possibile dimostrare a livello
istologico delle inclusioni eosinofile (molluscum bodies), a causa della
replicazione virale. La terapia consiste nell’ablazione chirurgica.
Parvovirus
PATOGENESI
FASE 1: viremia circa 6 gg dopo l’entrata del virus attraverso la mucosa naso-
faringea. Dura circa 1 settimana, e la sua cessazione è correlata con la
produzione delle prime IgM contro il virus. In questa fase si hanno sintomi
aspecifici che durano circa 2-3 gg. Questi sintomi sono malessere, mal di testa,
febbre e prurito, accompagnati da reticolocitopenia a escrezione del virus dal
tratto respiratorio. Nel frattempo si osserva una diminuzione subclinica dell’Hb,
(negli individui normali e senza patologie ematologiche) e difatti a livello
midollare c’è deplezione dei precursori eritroidi.
FASE 2: viene circa 17-18 gg dopo la comparsa dei primi sintomi, e si presenta
quando ormai la reticolocitopenia e la presenza del virus nelle secrezioni nasali
sono risolte. Compaiono un rash maculopapulare cutaneo (eritema infectiosum),
con artrite che dura circa 2gg.
Sembra che la patogenesi sia legata alla deposizione degli immunocomplessi.
Negli individui sani la malattia è ben tollerata, mentre in pz con anemie
emolitiche l’anemia può avere esiti anche gravi se non si interviene. Lo stesso
vale per il feto che ha una più alta produzione di GR, e un sistema immunitario
più labile e quindi sviluppa idrope fetale.
EPIDEMIOLOGIA
L’infezione sembra limitata a dei piccoli focolai epidemici di eritema infectiosum;
soprattutto durante l’inverno, e in ambiente scolastico. Il 20-60% dei bambini
sono sintomatici, e si stima che circa la metà degli adulti possieda Ab contro il
parvovirus.
CLINICA
Eritema infectiosum:
È la manifestazione clinicamente più frequente. È anche conosciuto come la
quinta malattia esantematica dell’infanzia. Normalmente è preceduto da
sintomi di malessere ed anche febbre. Si presenta prima alla faccia per poi
estendesi a tutto il corpo, e ha forma reticolare (Nei bambini l’artropatia di solito
manca.) Si risolve in circa 1 settimana, ma può avere delle recrudescenze nel
periodo successivo, legate per lo più a stress fisici.
Artropatia:
È la manifestazione tipica dell’infezione negli adulti, nei quali difatti può mancare
l’eritema. È simmetrica, distale, e coinvolge tipicamente polso, mano e gomito. Si
risolve in circa 3 settimane senza lasciare reliquati. In alcuni pz l’artropatia dura
anche anni, forse a causa di una non corretta risposta all’infezione.
DIAGNOSI
Si basa sul riscontro di IgM o IgG B19 specifiche.
Papillomavirus
È un virus che infetta selettivamente la cute e l’epitelio delle mucose. L’infezione
può essere asintomatica, produrre verruche/condilomi, o essere associata con
alcune neoplasie sia benigne che maligne.
EPIDEMIOLOGIA
Le verruche volgari e plantari sono infezioni largamente diffuse, soprattutto nei
giovani. La loro diffusione è correlata al contatto diretto, e l’eventuale presenza di
lesioni cutanee anche piccole può favorire la trasmissione. I condilomi acuminati
sono tra le più comuni malattie sessualmente trasmesse, grazie anche al fatto
che le lesioni non sono sempre visibili ed a volte individui apparentemente sani
possono trasmettere lo stesso la patologia.
L’OMS ha stabilito che esiste una forte correlazione tra infezione da HPV e
cancro della cervice uterina, individuando alcuni specifici sottotipi ritenuti
oncogeni: HPV 16, 18, 31, 33, 45. É importante però sapere che l’infezione ,
anche con un sottotipo a rischio, non causa il cancro se non in una bassa
percentuale dei casi, mentre il cancro è associato nella quasi totalità ad una
pregressa infezione da HPV.
CLINICA
Le manifestazioni cliniche dipendono dalla sede dell’infezione e dal sottotipo. A
livello delle mani l’infezione causa le classiche verruche volgari (neoformazioni
esofitiche), a livello plantare le verruche possono essere anche dolorose e si
distinguono dai calli perché in seguito a pressione è possibile notare la presenza
di capillari trombotici. Le verruche piane sono più comuni nei bambini e si
distribuiscono in genere alla faccia, al collo, al tronco e sulle superfici flessorie
degli arti. I condilomi genitali si presentano a livello dei genitali esterni e
soprattutto nelle donne possono diffondere poi alla vulva e alla vagina arrivando
fino alla cervice uterina; anche se è possibile che le lesioni siano soltanto interne
e non clinicamente visibili. La d.d. dei conditomi include i condilomi lati della
sifilide, il mollusco contagioso.
La papillomatosi respiratoria è una malattia non comune nei bambini e
generalmente trasmessa dalla madre per via perinatale. Al contrario l’infezione
nell’adulto può essere data dal contatto oro-genitale. Nei bambini l’infezione può
essere molto grave e portare a di stress respiratorio mentre negli adulti le
manifestazioni sono in genere più lievi.
Pazienti immunocompromessi hanno manifestazioni più gravi, e tendenti con
maggior frequenza alla degenerazione maligna a livello genitale. Questo prova
l’importanza della risposta cellulo-mediata nei confronti del virus, difatti a livello
delle lesioni in guarigione c’è un infiltrato di linfomonociti.
PATOGENESI
L’incubazione è di circa 3-4 mesi, e ogni epitelio squamoso può di fatto essere
infettato da HPV. La replicazione di HPV inizia a livello delle cellule basali, e
mano a mano che la differenziazione cellulare procede il DNA virale viene
trascritto, fino al rilascio dei virioni con le cellule squamose. A livello della lesione
c’è proliferazione di tutti gli strati tranne quelli basali, e quindi si nota:
ACANTOSI, PARACHERATOSI E IPERCHERATOSI.
DIAGNOSI
Quando le lesioni sono visibili dall’esterno la diagnosi può essere fatta anche
solo attraverso l’osservazione della lesione e una corretta raccolta della storia
clinica del pz. Usando un colposcopio è invece possibile osservare la lesione a
livello della vagina e della cervice uterina, ed inoltre il pap test può dare
indicazioni riguardo lesioni da HPV in atto. Lesioni persistenti o atipiche devono
comunque essere controllate attentamente tramite biopsia. Il test più sensibile e
specifico è comunque il riscontro tramite PCR del DNA di HPV a livello della
lesione.
Influenza
È un’infezione respiratoria acuta causata dai virus dell’influenza, che coinvolge le
alte e basse vie respiratorie e si accompagna a sintomatologia sistemica.
EPIDEMIOLOGIA
Le epidemie di influenza avvengono ogni anno, anche se la loro estensione e
gravità variano molto. Si stima che le pandemie (epidemie globali) dal 1918 ad
oggi siano avvenute all’incirca ogni 10-15 aa, anche se non se ne sono verificate
negli ultimi 25 anni. Le infezioni più gravi ed estese sono dovute al virus A, forse
a causa della maggiore variabilità di N e H in questo genere. Il riarrangiamento di
entrambe le proteine (antigenic shift), che forse è dovuto all’incrocio con ceppi
animali, è associato alla comparsa della pandemie; mentre mutazioni riguardanti
selettivamente la H (antigenic drifts) causano le epidemie annuali.
Le epidemie di influenza A, avvengono generalmente in inverno, esordiscono in
maniera rapida con un picco in circa 2-3 settimane, persistono per 2-3 mesi ed
infine scompaiono con la stessa velocità d’esordio. I primi ad essere colpiti sono
di solito i bambini, e l’infezione si allarga a tutta la popolazione fino ad infettarne
circa il 10-20%, mentre nelle pandemie questa percentuale sale a più del 50%. Il
maggior determinate della severità e dell’estensione dell’epidemia è
probabilmente legato al livello di immunità della popolazione generale, difatti la
comparsa di un ceppo nuovo, per il quale buona parte degli individui non
possiede Ab, causa una rapida estensione della malattia.
L’influenza B causa epidemie meno estese e gravi rispetto alla A, in
conseguenza della minore variabilità della sua N e H. L’influenza C non causa
malattie importanti nell’uomo, anche se la maggior parte della popolazione
presenta Ab contro di essa. Per questo motivo è probabile che le infezioni siano
asintomatiche, o paucisintomatiche.
La mortalità dell’infezione è legata prevalentemente a pregresse condizioni che
rendano i pz più suscettibili alle complicanze, come ad es. pz con cardiopatie
croniche, malattie polmonari o anziani.
PATOGENESI E IMMUNITÁ
L’evento iniziale è un’infezione del tratto respiratorio, che viene normalmente
contratta attraverso l’aerosol delle secrezioni di pz infetti (Cosenzi aggiunge:
veniamo in contatto con le particelle di Flügge, che non sono altro che piccole
gocce d’acqua presenti nell’aria respirata). Il virus infetta tutte le cellule
dell’epitelio respiratorio ed in particolare le cellule ciliate, il ciclo di replicazione
dura circa 6h, e quindi il virus diffonde alle cellule adiacenti. In questo modo i
focolai di cellule infettate si espandono a macchia d’olio, e il tempo di
incubazione è di circa 18-72h. Si ritiene comunque che il virus rimanga confinato
all’epitelio respiratorio, e che quindi i sintomi sistemici siano dovuti alla
liberazione di citochine proinfiammatorie. La contagiosità è limitata a circa una
settimana dopo la comparsa dei primi sintomi.
CLINICA
È frequentemente descritta come una malattia caratterizzata dall’insorgenza
rapida di febbre, mal di testa, mialgia, malessere e accompagnata da segni di
interessamento respiratorio come tosse e faringite. In ogni caso lo spettro clinico
è variabile, nel senso che la componente sistemica e quella respiratoria possono
essere più o meno accentuate, e il coinvolgimento polmonare è di solito
subclinico. Nei casi non complicati la risoluzione avviene in circa 1-5gg, con una
completa guarigione in 10gg. In alcuni pz si può osservare una astenia
postinfluenzale, che può perdurare per alcune settimane dopo la scomparsa dei
sintomi.
COMPLICANZE
Le complicanze avvengono più frequentemente in pz oltre i 64 aa ed in soggetti
che presentino già una malattia cronica polmonare, cardiaca o metabolica.
La più importante complicazione dell’influenza è la polmonite. Questa può
essere primaria virale, secondaria a sovrainfezione batterica o dovuta ad
entrambe le cause. La forma virale primaria è in realtà la meno frequente ma la
più severa. Si presenta come un’influenza che non si risolve, ma che anzi
procede con febbre, dispnea e cianosi. Nei casi più evidenti è possibile sentire
dei rantoli, ed a livello radiologico si può vedere la presenza di un diffuso infiltrato
interstiziale. Il paziente in questo caso può avere una sindrome da distress
respiratorio acuto, con una marcata ipossia all’emogas. Questo tipo di infezione
primaria ha una predilezione per pz con cardiopatie croniche, specialmente quelli
con stenosi mitralica, anche se occasionalmente può essere presente in
individui apparentemente sani o in persone con pregresse patologie polmonari.
La forma batterica secondaria segue generalmente l’influenza. Questi pz dopo
un periodo di miglioramento di circa 2-3 gg presentano una ricaduta con febbre,
tosse, espettorato purulento e segni di consolidamento all’RX. I batteri che più
frequentemente causano questa polmonite sono pneumococco pneumoniae,
stafilococco aureus e haemofilus influenzae, i quali approfittano della
debolezza delle difese locali broncopolmonari. La più frequente complicanza
broncopolmonare in corso di influenza è forse la forma mista virale-batterica, in
cui i pz presenteranno un progressivo peggioramento delle condizioni polmonari.
L’interessamento polmonare in questo caso è più localizzato, e i batteri chiamati
in causa sono gli stessi della forma batterica secondaria. Altre complicanze
polmonari dell’influenza sono il peggioramento di patologie polmonari
preesistenti come BPCO.
Possono esserci anche complicanze extrapolmonari di influenza:
Tipicamente nei bambini si può osservare la sindrome di Reye. Questa
patologia che è in realtà associata maggiormente all’infezione dal virus B ed
anche all’abuso di aspirina, e si presenta con vomito e segni di progressivo
deterioramento del SNC, segni di danno epatico e ipoglicemia. Morfologicamente
c’è vacuolizzazione grassa dei tubuli renali e dell’epitelio epatico, con una
mortalità del 50%.Raramente si osservano miositi e rabdomiolisi ed encefaliti.
DIAGNOSI E LABORATORIO
Il virus può essere isolato da tamponi faringei, da lavaggi nasofaringei o dallo
sputo, e ovviamente è possibile anche richiedere al laboratori di individuare il
ceppo. Molto spesso però si possono usare test veloci, che sono sensibili nei
confronti di N o delle nucleoproteine. La diagnosi sierologia basta sul titolo Ab
deve essere fatta comparando il titolo con quello presente nel siero dopo circa 14
gg dall’inizio dell’infezione, a causa della diffusione della sieropositività nella
popolazione, ed è quindi utile a scopo retrospettivo. Altri test sierologici non sono
presenti.
D.D.
Durante l’epidemia la diagnosi può essere basata anche solo sulla clinica,
mentre durante il resto dell’anno è difficile fare d.d. con altre infezioni respiratorie
virali, o con infezioni da mycoplasma pneumoniae. Anche la faringite
streptococcica o le polmoniti batteriche possono mimare in fase iniziale i sintomi
dell’influenza, ma in questi casi è dirimente il riscontro, tramite la colorazione di
Gram, di batteri nell’espettorato.
HIV
L’AIDS fu riconosciuto per la prima volta quando nell’estate del 1981 il CDC riferì
5 inspiegabili polmoniti da pneumocystis carinii a L.A., in soggetti omosessuali
apparentemente sani, e 26 casi di Sarcoma di Kaposi a N.Y. in soggetti
omosessuali sempre apparentemente sani. In pochi mesi si iniziò a riconoscere
la stessa sindrome in soggetti di ambedue i sessi che facevano uso di droghe, o
che si sottoponevano a trasfusioni ripetutamente. Nel 1983 fu isolato il virus
chiamato HIV in un paziente con linfoadenopatia, e nell’anno successivo fu
dimostrato come causa della sindrome chiamata AIDS. Nel 1985 l’invenzione del
test ELISA ha permesso di seguire, e studiare la distribuzione dell’epidemia negli
USA e poi negli altri stati colpiti.
AGENTE EZIOLOGICO
Struttura:
HIV fa parte della famiglia dei retrovirus, e della sottofamiglia dei lentivirus. A
questa famiglia appartengono 4 virus ritenuti patogeni nell’uomo: HTLV I-II che
sono virus trasformanti, HIV 1-2 che sono virus citopatici. HIV 1 è la maggior
causa di infezione nel mondo occidentale, mentre HIV 2 è stato isolato quasi
esclusivamente in focolai africani. Entrambi i virus sono zoonotici, HIV2 causa
una sindrome da immunodeficienza in alcuni primati, mentre HIV 1 infetta una
particolare famiglia di scimpanzé.
Alla microscopia elettronica il virus appare a forma icosaedrica, con delle
strutture in superficie che non sono altro che gp 120(parte esterna) e gp 41(parte
transmembrana).
Replicazione:
Il virus entra nelle cellule sfruttando l’alta affinità della proteina GP 120 per una
particolare regione del CD4.(CD4 è presente sia sui linfociti sia su macrofagi e
cellule dendritiche.) Una volta legato al CD4 il gp120 va incontro a delle
modificazioni che gli permettono di legarsi a dei corecettori, i quali alla fine
determinano il tropismo cellulare. Una volta “agganciata” la cellula, avviene la
fusione della membrana virale con quella cellulare, mediata da gp 41. L’RNA e le
proteine entrano nel citoplasma cellulare, e quindi avviene la trascrizione
dell’RNA in DNA ad opera della trascrittasi inversa. Il DNA così prodotto migra
nel nucleo dove viene integrato a quello cellulare grazie ad un enzima chiamato
integrasi. A questo punto il virus può rimanere latente oppure esprimere a diversi
livelli i propri geni, tra cui delle PROTEASI che mediano il clivaggio delle proteine
virali, e che sono importanti bersagli terapeutici.. L’attivazione della cellula
infettata gioca un ruolo fondamentale nella replicazione virale, difatti la
trascrizione è labile nelle cellule quiescenti.
TRASMISSIONE
VIA SESSUALE è considerata prevalentemente un’infezione sessualmente
trasmessa (STD). Il virus è stato trovato nel liquido seminale e, soprattutto nelle
situazioni nelle quali siano presenti quantità aumentate di linfociti e monociti,
come avviene nelle uretriti o nelle epididimiti, che sono condizioni dovute ad altre
STD. Il virus è stato inoltre trovato nel liquido vaginale e nelle secrezioni
cervicali. In uno studio è stato riscontrato un rischio più elevato di contagio
maschio-femmina, a causa probabilmente del più elevato tempo di esposizione
al liquido seminale infetto. L’alto rischio di contagio associato a pratiche anali
passive è dovuto principalmente al maggior rischio di traumatismi della mucosa,
che possono causare delle soluzioni di continuo, ed anche all’eventuale
esposizione al liquido seminale. Ovviamente il rischio di contagio aumenta
qualora siano presenti ulcere genitali a seguito di altre infezioni (sifilide, ulcera
molle, herpes ecc.), ma anche patologie infettive non ulcerative sono associate
con un maggior rischio di contagio (clamydia, trichomonas ecc.). Questo è forse
spiegato dal fatto che durante l’infiammazione si accumulano in loco le cellule
bersaglio dell’HIV come macrofagi e linfociti. In ogni caso il rischio sembra
correlare con il livello di viremia del partner.
VIA EMATOGENA L’HIV può essere trasmesso tramite trasfusioni di sangue
o derivati, o nei riceventi di organi. La trasmissione legata alla somministrazione
di droghe non è esclusivamente correlata all’iniezione di sostanze endovena.
Difatti anche la somministrazione sottocutanea o intramuscolo è sufficiente per
contrarre il virus.
RISCHIO OCCUPAZIONALE Il rischio è minimo, ed essenzialmente legato a
personale sanitario o laboratoristico che venga in contatto con materiale
contaminato. Si ritiene che il rischio in seguito a puntura con ago contaminato sia
dello 0,3% e attraverso contatto con le mucose circa dello 0,09%. La
trasmissione del virus attraverso il contato con la cute intatta non è mai stata
documentata. In ogni caso la terapia antiretrovirale profilattica riduce
ulteriormente la possibilità di contagio. In sostanza il rischio è molto basso, difatti
il rischio di contrarre epatite B tramite le stesse modalità di contagio è 6-30%.
EPIDEMIOLOGIA
L’infezione può essere considerata una pandemia, con casi segnalati in
virtualmente tutti i paesi del mondo. Ogni anno ci sono all’incirca 5 milioni di
nuovi casi, e la mortalità è di 3 milioni (è la quarta causa di morte al mondo). Nel
mondo si stima che siano infettati 40 milioni d’individui, e solo in Africa ne sono
presenti 26 milioni. In tutto il mondo, tranne che in Africa, c’è una netta
prevalenza d’infezione nei maschi rispetto alle donne. All’inizio le persone
infettate appartenevano ai cosiddetti gruppi a rischio che tutti conosciamo, ora
sembra che si stia allargando anche agli eterosessuali. Dico sembra perché a
questo riguardo i dati sono un po’ confusi, ed in realtà variano da continente a
continente.
PATOFISIOLOGIA E PATOGENESI
Il punto focale dell’infezione da HIV è la progressiva deplezione sia quantitativa
che qualitativa di linfociti T CD4+. Quando il numero di linfociti scende oltre un
certo livello i pz saranno a maggior rischio di contrarre infezioni opportunistiche.
NEUROPATOGENESI
I pz HIV+ possono presentare una serie di anormalità neurologiche che possono
essere dovute a infezioni opportunistiche, neoplasie o anche all’azione diretta del
virus. Riguardo a quest’ultimo punto il virus è presente all’interno dei macrofagi e
delle cellule della microglia. Data l’assenza del virus nei neuroni il meccanismo
patologico alla base della perdita di neuroni è probabilmente mediato
neurotossine rilasciate dai macrofagi attivati (mi chiedo: qualcuno ha mai visto se
i danni dati dall’abuso protratto di droghe siano o meno sovrapponibili a quelli
che si vedono nell’AIDS e che di fatto non sono ancora spiegati, se non tramite
attivazione aspecifica dei macrofagi?)
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Le conseguenze cliniche dell’infezione da HIV sono caratterizzate da un ampio
spettro di condizioni che vanno dalla sindrome acuta associata all’infezione
primaria, ad uno stato asintomatico prolungato fino alla malattia conclamata. A
parte nei casi dei pz detti long-term nonprogressor, l’infezione progredisce
inesorabilmente anche durante la fase di latenza clinica.
Sindrome acuta:
Si riscontra in circa il 50-70% dei pz con infezione da HIV, in genere entro 3-6
settimane. La severità è variabile, ed è stato suggerito che più la
sieroconversione è sintomatica più la malattia decorrerà velocemente, anche se
la correlazione non è assoluta. La sindrome che si osserva è una tipica sindrome
da infezione primaria virale, molto simile alla mononucleosi, con faringite, febbre,
malessere generalizzato. I sintomi perdurano per circa una settimana, fino a che
non si sviluppa una risposta immune in grado di diminuire la viremia. Sono state
osservate delle infezioni opportunistiche in questi pz, dovute alla riduzione del
numero dei linfociti CD4+ che sono ovviamente il bersaglio dell’infezione
primaria. Il numero dei linfociti è inizialmente diminuito, e poi si osserva una
inversione del rapporto CD4/CD8 a causa prevalentemente dell’espansione dei
CD8, anche se i CD4 tendono a rimanere bassi. La linfoadenopatia si osserva in
circa il 70% dei pz. Normalmente la risoluzione è spontanea e permane una
conta di CD4 diminuita, anche se in alcuni pz possono tornare normali. Al
contrario nel 10% questa fase è seguita da un decorso clinico e immunologico
fulminante.
Come detto la diagnosi di AIDS include tutti i pz con HIV e conta dei CD4 sotto i
200, in alternativa la definizione include a tutt’oggi (cambia di anno in anno)
almeno 26 condizioni cliniche che si riscontrano in pz con HIV. Buona parte di
queste condizioni includono infezioni opportunistiche, le altre sono correlate per
esempio a demenza o a wasting sindrome. I sintomi più comuni delle infezioni
opportunistiche in questi pz sono:
tosse e dispnea
tremori e difficoltà di concentrazione
disfagia
confusione mentale
diarrea severa e persistente
febbre
perdita di vista
nausea, crampi e vomito
perdita di peso e affaticabilità
mal di testa
coma (mi chiedo se è un sintomo)
Infezioni respiratorie:
Si osservano frequentemente sinusiti e bronchiti acute, dovute a frequenti
infezioni da H. influenzae e Pneumococco.
A livello polmonare le due infezioni più frequenti sono quelle batteriche (in
special modo batteri capsulati) e da pneumocystis (vedi dopo). È molto
importante considerare che il rischio di contrarre queste patologie è aumentato,
ma a questo si accompagna anche una probabilità maggiore di sviluppare forme
gravi, e complicate ad esempio dalla batteriemia.
Anche la tubercolosi, che si pensava praticamente eradicata, ha avuto una
recrudescenza associata all’epidemia da HIV, tanto che nel mondo circa 1/3
delle morti per AIDS sono associate a TBC. Si stima che l’HIV aumenti il rischio
di contrarre l’infezione di circa 100 volte. Può presentarsi clinicamente presto,
tanto da essere un segnale precoce di malattia da HIV. Ovviamente migliore è la
conta dei CD4 migliore sarà il quadro di presentazione della malattia, che può
arrivare a forme disseminate in pz fortemente compromessi. La terapia è la
stessa che per i pz sieronegativi.
Oltre ad infezioni da pneumocystis anche infezioni fungine sono frequentemente
riscontrabili in pz con HIV come ad esempio infezioni da: cryptococcus
,coccidioides e aspergillus.
Una complicanza tardiva dei pz con conta al di sotto dei 50 è l’infezione con
micobatteri atipici, con sintomi sistemici e polmonari. In questo caso la diagnosi
viene fatta tramite il riscontro di due campioni di escreato positivi per i micobatteri
atipici (mycobatterium avium complex=MAC)
Polmonite de pneumocystis:
È un’infezione polmonare causata da un fungo. Ne esistono di due tipi p. carinii
e p. jiiroveci, ma siccome la nomenclatura è ancora in evoluzione si parla solo
di infezione da pneumocystis.
EPIDEMIOLOGIA
È largamente diffusa, e la maggior parte delle persone ne viene a contatto nei
primi anni di vita.
PATOGENESI
Il rischio di contrarre infezione nei pz sieropositivi con CD4 sotto i 200 è
estremamente alta. Dopo essere inalato p. colonizza gli alveoli dove si attacca
alle cellule di tipo 1, rimanendo però extracellulare. Quando le difese
dell’organismo vengono a mancare il fungo può moltiplicarsi ed andare a
riempire gli alveoli, dove causa morte delle cellule di tipo 1 (e quindi perdita del
surfactante), aumento della permeabilità capillare e risposta ipertrofica delle
cellule di tipo 2. Fino a poco tempo fa si riteneva che l’infezione rimanesse
latente negli individui, ultimamente però si è iniziato a dare peso alla possibilità
che in questi pz la malattia sia causata da una nuova infezione.
CLINICA
I pz sviluppano dispnea, febbre e tosse non produtiva. I pz possono presentarsi
tachipnoici e cianotici ma all’ascoltazione i reperti sono scarsi. Il riscontro
radiologico classico è la presenza di un infiltrato diffuso bilaterale. La
disseminazione extrapolmonare è un evento raro anche nei pz con AIDS, se
avviene è prevalentemente localizzata a linfonodi, milza, fegato o midollo.
DIAGNOSI
La diagnosi certa si basa sull’identificazione del fungo dal punto di vista
istopatologico, questo perché la sintomatologia è comune a molte altre malattie
sia infettive che non. La diagnosi dipende quindi essenzialmente dalla
correttezza del prelievo. Nei pz con HIV si riscontra però una più alta
concentrazione del fungo e quindi è possibile fare una analisi dello sputo, e poi
fissare il vetrino con le colorazioni appropiate. Ovviamente la broncoscopia con
bronco lavaggio è il modo ottimale per raccogliere i campioni, ma come si può
immaginare rappresenta sempre un esame molto invasivo.
PROGNOSI
Nei pz non trattati l’infezione porta a morte per complicanze respiratorie. Al
giorno d’oggi la mortalità è fortemente diminuita e i pz vengono trattati con
COTRIMOSSAZOLO.
È d’uso fare una profilassi primaria nei pz con CD4 sotto i 200, o secondaria nei
pz che hanno già avuto infezioni da pneumocystis.
Sarcoma di Kaposi:
Sono riconosciute almeno 4 diverse forme epidemiologiche di KS
forma classica in uomini anziani nell’area mediterranea e tra ebrei europei
forma equatoriale africana che interessa tutte le fasce di età
forma associata a trapianto d’organo e dovuta a terapia
immunosoppressiva
forma associata ad HIV.
Nelle forme 3 e 4 KS è considerato una patologia opportunistica.
Nella forma 4 la patogenesi è complicata, e l’incidenza non correla con la conta
dei CD4. Fondamentalmente la malattia è una forma angioproliferativa e non un
vero e proprio sarcoma, quantomeno nelle prime fasi. Si osserva eccessiva
proliferazione di cellule fusate probabilmente di origine endoteliale. La
patogenesi è legata a più fattori: HIV1 stesso, HumanHerpesVirus8, attivazione
immunitaria e secrezione di particolari citochine.
Malattie cardiovascolari:
Le malattie cardiovascolari sono un riscontro autoptico frequente nei pz con HIV,
e sono in parte dovute all’azione del virus ed in parte alla lipodistrofia causata
dalla terapia antiretrovirale. Una complicanza tardiva dell’infezione è la
cardiomiopatia HIV-associata, che si presenta con dei tratti tipici di miocardite,
e porta a scompenso congestizio (HIV si può trovare nelle cellule ma il suo ruolo
non è ben definito). Le cardimiopatie possono derivare anche da sarcoma di
Kaposi , crytococcus, toxoplasma, malattia di Chagas.
DIAGNOSI e MONITORAGGIO
Sin dal 1985 è divenuto routinario lo screening degli Ab per HIV. Dal 1996 è stato
introdotto il test di ricerca dell’Ag p24, mentre dal 2002 viene usata la PCR.
Ovviamente questi test sono stati sviluppati soprattutto nell’ottica di ridurre al
minimo la possibilità di contagio tramite trasfusione. Difatti il periodo finestra che
è di 22 gg nel caso si cerchino gli Ab, scende a 16 usando la tecnica di ricerca di
p24 sino ad arrivare a 12gg usando la PCR. L’utilizzo dei test per misurare la
viremia associati alla conta dei CD4 rende possibile anche il monitoraggio
dell’infezione.
DIAGNOSI DI INFEZIONE
La diagnosi si basa ancora essenzialmente sul riscontro degli Ab diretti contro il
virus, o sulla scoperta del virus nel sangue. Nel primo caso il problema è legato
alla presenza di un periodo di latenza tra 2 e 12 settimane.
Lo screening di riferimento è fatto tramite ELISA, in cui vengono usati Ag sia di
HIV1 che 2, per reagire contro gli Ab. La risposta al test può essere: positiva,
negativa o indeterminata. La sensibilità è elevata (99%) ma la specificità non lo è
altrettanto e difatti condizioni come epatopatie, vaccinazione influenzale recente,
e altre infezioni virali possono indurre falsi positivi. La positività quindi deve
indurre a procedere attraverso la ripetizione del test e la conferma con test più
specifici. Questo punto è molto importante, ed è anche uno dei punti della critica
dei dissidenti.
Il test più specifico è il Western Blot che si basa sulla ricerca di Ab contro
specifici Ag di HIV. Ovviamente questo test è utile nella conferma di diagnosi di
pz con ELISA positivo e indeterminato, ma non può essere usato per lo
screening a causa della sua bassa sensibilità.
- Ind.
Screenin -
g con
ELISA
ELISA per Ripetere
HIV2 dopo 4-6
settimane
- Ripetere
2vv dopo
3-6 mesi
n.b. se il Western Blot continua ad essere indeterminato si può ricorrere a
tecniche di ricerca diretta del virus come la PCR o la ricerca di p24.
n.b.
In realtà i criteri diagnostici cambiano quasi da paese a paese (eclatante è il caso
dell?Africa dove ci si basa quasi esclusivamente sulla clinica).
MONITORAGGIO DEI PZ
Conta CD4+ : è il test migliore per conoscere la stato immunologico del pz. Pz
con conta 200 sono ad alto rischio di infezione da pneumocystis, mentre con
50 sono suscettibili ad infezioni da CMV, e da micobatteri del complesso m.
avium. Il controllo viene fatto non appena stabilita la diagnosi e poi ogni 3-6 mesi.
TERAPIA
La terapia è mirata essenzialmente a ritardare il passaggio all’AIDS e ridurre il
rischio di contrarre infezioni opportunistiche. Le categorie di farmaci usati sono
essenzialmente:
INIBITORI DELLA TRASCRITTASI INVERSA → nucleosidici (AZT e simili)
→ non nucleosidici
INIBITORI DELLA PROTEASI
Linfocitopenia CD4+idiopatica
È una sindrome (classificata nel 1992) nella quale c’è conta dei CD4 300,
nessuna evidenza di infezione da HIV 1-2 o HTLV1-2, di terapia
immunosoppressiva o di immunodeficienza primitiva. Meno della metà di questi
pz hanno i fattori per HIV, e la distribuzione geografica e demografica è larga. Un
terzo dei pz sono donne (nell’AIDS solo 16%). In alcuni casi la linfocitopenia
tende a risolversi. A differenza che nell’AIDS c’è ipogammaglobulinemia e
perdita anche di CD8.
Enterovirus e Reovirus
CLASSIFICAZIONE
A questa categoria appartengono virus con una particolare abilità di moltiplicarsi
nel tratto gastrointestinale, ma a dispetto del nome non sono una causa
prominente di gastroenterite. Sono inclusi in questa categoria 64 sierotipi
differenti di virus:
3 poliovirus
23 coxsackievirus A e 6 B
28 echovirus (causano circa il 60% di tutte le infezioni da enterovirus)
enterovirus (propriamente detti) sierotipi dal 68 al 71
Sono tutti virus con un genoma a singola catena di RNA, resistenti in ambiente
acido e ai comuni disinfettanti per la casa.
PATOGENESI
La conoscenza riguardo a queste infezioni deriva principalmente dallo studio del
comportamento dei poliovirus. Una volta ingeriti i virioni si replicano dapprima
nelle cellule epiteliali della mucosa, e poi passano al tessuto linfoide
sottomucoso. A questo punto i virus passano ai linfonodi regionali, e giungono
poi nel sangue. A seguito di questa viremia raggiungono gli organi del reticolo
endotelio, dove si replicano attivamente. Questa fase può essere seguita da una
seconda viremia nella quale i virus possono andare a replicarsi in diversi tessuti,
dando o meno sintomi. Non è certo se i poliovirus raggiungano il SNC attraverso
il sangue o i nervi periferici.
EPIDEMIOLOGIA
Più del 50% delle infezioni da nonpoliovirus ed il 90% delle infezioni da poliovirus
sono asintomatiche. Molto spesso poi se i sintomi ripresentano sono aspecifici
ed associati a febbre, mentre solo una piccola percentuale dei pz infettati mostra
una sindrome clinica specifica. L’incubazione della malattia è circa di 1
settimana. La trasmissione avviene attraverso il circuito oro-fecale, e i pz sono
maggiormente contagiosi poco prima e durante l’insorgenza dei sintomi
(enterovirus 70, che causa congiuntiviti emorragiche, può essere trasmesso
tramite contatto del dito infetto con l’occhio).
CLINICA
Poliovirus:
La maggior parte delle infezioni sono asintomatiche, il 5% presenta sintomi
aspecifici che si risolvono in 3 gg, mentre l’1% presenta meningite asettica. La
meno comune delle manifestazioni è la paralisi muscolare. Dopo alcuni giorni i
segni della meningite asettica sono seguiti da dolore e debolezza muscolare, di
solito asimmetrica e più frequentemente prossimale. La paralisi si presenta
durante la fase febbrile della malattia, e di solito si può notare uno stadio di
ipereflessia a cui fa seguito una iporeflessia. Ovviamente la gravità della
condizione dipende dai mm coinvolti, è infatti possibile una paralisi bulbare con
disfagia e disfonia, oppure una paralisi dei nn frenici. La maggior dei pz recupera
in parte la funzione motoria ma nei 2/3 si osservano sequele neurologiche. La
paralisi è più frequente negli adulti.
La sindrome postpolio può verificarsi anche 20-40 anni dopo l’infezione
primaria, ed è caratterizzata da fatica, atrofia, fascicolazioni e dolore al gruppo
muscolare precedentemente colpito. Questa sindrome è generalmente benigna.
DIAGNOSI
La diagnosi si basa sull’isolamento del virus da colture di feci, da tamponi
nasofaringei e buccali o dal liquor. L’isolamento dei virus però non prova che la
malattia sia direttamente associata ad essi, visto che questi siti sono
normalmente colonizzati per lungo tempo in corso di infezioni asintomatiche. Allo
stesso tempo però il ritrovamento a livello dell’orofaringe è più indicativo, visto
che questi virus vengono eliminati per lungo tempo nelle feci ma per meno tempo
dalla bocca. La PCR può essere una valida alternativa, vista la sua sensibilità e
velocità di esecuzione, nell’esame del liquor.
TERAPIA
La maggior parte delle infezioni sono paucisintomatiche e si risolvono
rapidamente senza complicanze. Nei neonati con infezioni disseminate sono
state usate Ig ad elevato titolo.
Morbillo
EPIDEMIOLOGIA
L’uomo è l’unico ospite naturale. Prima della vaccinazione la malattia si
presentava in focolai epidemici circa ogni 2-5 aa in inverno e primavera. È una
tipica malattia dell’infanzia e come tutte queste malattie il suo decorso negli adulti
è più pesante. Con l’entrata della vaccinazione singola obbligatoria i casi sono
drasticamente diminuiti, anche se dopo delle nuove epidemie agli inizi degli anni
’90 si è deciso di introdurre la doppia somministrazione del vaccino visto che nel
5% dei casi la singola dose non bastava. Il contagio avviene per via aerea, e i pz
sono contagiosi per 1-2gg prima dell’insorgenza dei sintomi e fino a 4gg dopo la
comparsa dell’esantema.
PATOGENESI
Il virus dopo essere penetrato attraverso la mucosa respiratoria penetra nei
linfonodi regionali dove avviene la prima replicazione. Dopo di che c’è la prima
viremia e la diffusione agli organi del reticolo endotelio dove il virus infetta tutti i
tipi di leucociti. A questo punto avviene la disseminazione agli altri organi
(compreso il tratto respiratorio) tramite una seconda viremia. Una reazione
immune nei confronti del virus a livello capillare gioca un ruolo fondamentale
nella comparsa sia delle macchie di Koplik, sia dell’esantema. Gli Ab vengono
prodotti assieme alla comparsa del rash (dai miei appunti di lezione sembrerebbe
che Cosenzi dica che l’esantema è dovuto alla deposizione di immunocomplessi,
mentre nell’Harrison si parla di una non specificata reazione immune nei
confronti del virus. Comunque nei pz immunocompromessi la malattia è grave
ma non c’è l’esantema, quindi almeno la genesi immune è certa).
CLINICA
L’incubazione è di circa 12gg, la malattia si manifesta con i sintomi di una
infezione respiratoria con malessere, tosse, rinorrea, lacrimazione e febbre
crescente che tocca anche più di 40°, e che forse riflette la fase della seconda
viremia. A questo stadio l’infezione può essere scambiata per una influenza, ma
poco prima della comparsa del rash cutaneo si osserva il segno patognomico
della malattia ovvero le macchie di Koplik. Queste sono macchie bianco-
bluastre, tipicamente localizzate alla mucosa buccale a livello del secondo
molare. Insorgono poco prima dell’esantema, sono tipiche solo del morbillo e si
risolvono velocemente non appena appare il rash. Nel complesso la mucosa
orale si presenta infiammata.
L’eritema caratteristico compare dopo 14gg dal contagio come maculopapule
non pruriginose, che iniziano a livello frontale e dell’attaccatura dei capelli per poi
diffondersi a tutto il resto del corpo includendo le piante e i palmi , e diventando
spesso confluenti. A questo punto il pz è al massimo del suo malessere. Dal
quarto giorno il rash tende a scomparire secondo l’ordine con cui è apparso. La
febbre scompare all’incirca dop 4-5 gg dalla comparsa del rash, e quindi una
febbre prolungata può far pensare ad una complicanza dell’infezione. Sono
frequenti anche linfoadenopatia, diarrea,vomito e splenomegalia. La malattia
quindi si risolve in circa 10gg. La sintomatologia tende ad essere più severa negli
adulti.
COMPLICANZE
Possono essere suddivise in tre gruppi a seconda degli organi che coinvolgono:
Tratto respiratorio: laringite, croup, bronchiti, polmonite virale o da
sovrainfezione batterica (Cosenzi dice che le polmoniti secondarie sono date da
temporanea immunosoppressione, mentre l’Harrison perché il danno
dell’infezione fa perdere momentaneamente le ciglia).
SNC: i sintomi possono apparire pochi giorni dopo l’esantema ma anche a
settimane di distanza. C’è febbre, mal di testa, attacchi epilettici che
rappresentano i segni di una encefalomielite. Il 10% dei pz non sopravvive
mentre buona parte ha sequele neurologiche croniche. Il meccanismo è
probabilmente mediato da una risposta immune nei confronti delle proteine della
mielina e non dal virus stesso. La panencefalite subacuta sclerosante è una
conseguenza di una pregressa infezione e può anche comparire a mesi o anni di
distanza, e porta i pz a demenza progressiva.
LABORATORIO
Si può notare linfocitopenia e neutropenia a causa dell’invasione dei leucociti.
DIAGNOSI
È essenzialmente clinica, anche se l’esame con immunofluorescenza delle
secrezioni respiratorie è il modo più sicuro e specifico. Si possono fare anche
indagini sierologiche con ELISA alla ricerca degli Ab.
D.D
La clinica è caratteristica ma in ogni modo si può pensare anche a: malattia di
Kawasaki, mononucleosi, toxoplasmosi, infezione da mycoplasma e rezione a
farmaci. In questi casi l’anamnesi e le indagini sierologiche possono aiutare a
fare una corretta diagnosi.
TERAPIA
È ampiamente basata sul controllo dei sintomi e delle complicanze.
Rosolia
AGENTE EZIOLOGICO
È l’unico appartenente al genere dei rubivirus e fa parte dei togavirus. Ne
esiste un unico sierotipo.
EPIDEMIOLOGIA
Prima della vaccinazione era molto frequente durante la primavera e colpiva i
bambini in età scolare. Dall’introduzione della vaccinazione in America non ci
sono più state epidemie (in Italia?). La rosolia è contagiosa sia se l’infezione è
sintomatica sia se è subclinica. Il periodo di incubazione è di circa 18gg. La
trasmissione è prevalentemente per via respiratoria, e nell’infezione post-natale il
virus è secreto durante la fase prodromica circa per una settimana
dall’insorgenza dei sintomi. Nei bambini con rosolia congenita però il virus può
essere eliminato anche fino ai 2 anni. In ogni caso l’infezione da una immunità
praticamente completa.
PATOGENESI
Le fasi dell’infezione sono più o meno simili a quelle del morbillo. L’esantema
anche in questo caso è legato ad una risposta immune. Nell’infezione congenita
la determinante è la fase di viremia, e probabilmente il danno è legato ad un
arresto mitotico con danno cellulare senza infiammazione.
CLINICA
Rosolia postnatale: L’infezione è di solito subclinica o paucisintomatica., anche
se negli adulti tende ad avere dei connotati più severi. L’incubazione è di solito di
12gg, poi inizia una sintomatologia specifica ma con una linfoadenopatia molto
tipica perché localizzata prevalentemente a livello retroauricolare, cervicale e
suboccipitale. Il rash si presenta generalmente al volto, per poi diffondersi a tutto
il corpo non è confluente e generalmente si risolve in 3-5gg. (Può anche essere
presente un esantema). Le complicane sono generalmente non comuni. Negli
adulti ed in particolare nelle donne si può avere una artrite più frequentemente ai
polsi, alle dita ed alle ginocchia, che si presenta assieme al rash e può durare
anche delle settimane. Un’altra complicanza può essere l’emorragia dovuta alla
trombocitopenia, o all’encefalite specialmente negli adulti.
Rosolia congenita: L’infezione deriva da una infezione primaria della madre
durante le prime fasi della gravidanza. L’infezione nel primo trimestre porta nel
50% a morte del feto, ed in generale più l’infezione è tardiva minori sono i segni.
Il neonato può anche nascere a termine senza malformazioni ma essere
solamente portatore sano. Le malformazioni associate alla rosolia congenita
sono molte; tipicamente si ha cataratta, sordità e soprattutto disturbi
cardiovascolari (è tipica la tetralogia di Fallot: pervietà del dotto di Botallo, aorta
a cavaliere, ipertrofia ventricolare dx, stenosi polmonare).
DIAGNOSI
La diagnosi clinica può essere difficile data la frequente presentazione
paucisintomatica. La diagnosi può essere adiuvata dalla ricerca sierologica degli
Ab.
Nel caso della forma congenita la diagnosi viene fatta tramite il riscontro di IgM
nel sangue del bambino.
D.D.
Toxoplasmosi, morbillo, eritema infectiosum (parvovirus B19), enterovirus.
Parotite
EPIDEMIOLOGIA
Prima della vaccinazione le epidemie di parotite si concentravano in inverno con
una frequenza di 2-5 anni, confinate generalmente agli ambienti comunitari
(scuola,militari). L’incubazione del virus generalmente dura 14-18gg, e l’infezione
conferisce immunità a vita.
PATOGENESI
La trasmissione avviene per via respiratoria, dopodichè il virus si replica
nell’epitelio delle alte vie respiratorie e c’è una viremia che permette la diffusione
al tessuto ghiandolare e al SNC.
CLINICA
I prodromi dell’infezione sono febbre, malessere, mialgia e anoressia. La parotite
se presente si sviluppa circa nelle 24h seguenti ma possono esserci delle
eccezioni, è di solito bilaterale ma non necessariamente sincrona e, a volte è
unilaterale. Il coinvolgimento delle altre ghiandole salivari è possibile ma raro, e
comunque quasi mai isolato. La parotide si presenta dolorabile, e c’è
impedimento funzionale a parlare o mangiare. La tumefazione tende a crescere
per alcuni giorni fino a scomparire in circa una settimana.
Nel 20% dei maschi in età postpuberale si sviluppa orchite. I testicoli appaiono
ingrossati e dolenti e nel 50% dei pz si sviluppa atrofia testicolare. Visto che il
coinvolgimento bilaterale è infrequente, la sterilità dopo l’infezione è complicanza
rara.
La meningite asettica è una manifestazione comune della parotite in bambini e
giovani adulti, e si sviluppa prima, durante, dopo o in assenza della parotite. Ci
sono segni di meningismo, il liquor appare pleiocitico con molti polimorfonucleati
nelle prime 24h ma in seguito c’è shift a favore dei linfociti.
La pancreatite è di difficile diagnosi, causa dolore addominale e innalzamento
delle amilasi che però è comune nell’infezione delle parotidi.
DIAGNOSI
La diagnosi clinica è facile se c’è coinvolgimento bilaterale o unilaterale delle
parotidi. Nel caso in cui non ci sia parotite o il coinvolgimento sia di altri distretti
la diagnosi richiede l’ausilio dei dati di laboratorio. Il virus è facilmente
individuabile in saliva, gola, urine e liquor dopo inoculazione in colture cellulari.
È possibile fare anche il test sierologico per individuare gli Ab contro il virus.
Rabbia
AGENTE EZIOLOGICO
Il virus della rabbia appartiene alla famiglia dei, ed al genere dei LYSSAVIRUS a
cui fanno parte almeno 7 distinti tipi. Il genoma è costituito da una singola catena
di RNA a polarità negativa.
EPIDEMIOLOGIA
La rabbia si può trovare in ogni mammifero. La suscettibilità delle diverse specie
dipende da delle modificazioni dei recettori di superficie del virus. La rabbia
esiste in due forme:
Rabbia urbana (spero che sia anche il titolo di un film): propagata
principalmente da cani non vaccinati
Rabbia selvatica (è il sequel): propagata da moffette!! (il termine inglese è
skunks. Mi chiedo come posso riuscire a farmi dire da un pz che non sia Piero
Angela se è stato morso da una moffetta), volpi, pipistrelli lupi ecc.
L’incidenza della malattia nel mondo è di circa 30.000 casi all’anno. Il maggior
reservoir dell’infezione nel mondo è il cane domestico, ma la vaccinazione
obbligatoria ha ridotto drasticamente l’infezione nel mondo occidentale.
PATOGENESI
La trasmissione del virus avviene tramite il morso di un animale infetto, che porta
all’inoculazione della saliva contenente i virus. La replicazione primaria del virus
avviene nelle cellule muscolari sottostanti. Il virus raggiunge i nervi periferici e
tende a risalire per via assonale fino!al SNC alla velocità di 3mm/h. Una volta
raggiunto il SNC il virus si replica nei neuroni della sostanza grigia, da dove si
ridistribuisce centrifugamente attraverso i nervi autonomici a tutti i tessuti. Il
passaggio alle ghiandole salivari rende il soggetto contagioso.
L’incubazione che può variare da 1 settimana ad un anno (in media 1-2 mesi),
dipende dalla quantità di virus iniettato, dalla quantità di tessuto coinvolto e dalle
difese dell’ospite oltre che in maniera determinante dal sito di inoculazione. Il
meccanismo patologico a carico dei nervi consiste in una iperemia ed in una
neurofagia delle cellule nervose, con il frequente riscontro a livello nucleare dei
cosiddetti corpi di Negri (vescicole contenenti fibrille e particelle virali).
CLINICA
Le manifestazioni possono essere suddivise in 4 stadi:
Prodromi nonspecifici → durano 1-4gg. Sono costituiti da febbre, mal di testa,
mialgia, affaticabilità, anoressia, nausea, vomito, e da mal di gola e tosse non
produttiva. Il sintomo più importante è però il fatto che nell’80% dei casi il pz
riferisce delle parestesie o delle fascicolazioni a livello del sito del morso.
Encefalite → c’è confuzione, eccitazione, agitazione, spasmi muscolari, delirio,
meningismo a cui fanno presto seguito opistotono crisi epilettiche e paralisi
focali. I periodi di lucidità mentale sono intervallati ai periodi di delirio ma
diventano più corti mano a mano che la situazione evolve verso il coma.
Caratteristica comune è l’iperestesia che comprende fotofobia, idrofobia e
intolleranza ai rumori. La temperatura è alta (40° e oltre), e le anormalità legate
al sistema nervoso autonomico si rendono evidenti con pupille irregolari,
lacrimazione, salivazione e ipotensione posturale.
Encefalite specifica → è la forma avanzata dell’encefalite virale, dovuta alle
disfunzioni legate alla distruzione del tronco dell’encefalo . il coinvolgimento dei
nervi cranici causa diplopia, paralisi facciale, e difficoltà di deglutizione. La
combinazione di aumentata salivazione e difficoltà a deglutire causa il tipico
aspetto del malato. L’idrofobia che non è altro che una contrazione dolorosa,
violenta e involontaria della muscolatura respiratoria e laringea, a seguito del
contatto con i liquidi, si osserva nel 50% dei pz. Può anche esserci priapismo e
eiaculazione spontanea. I pz cadono poi in coma e alla fine sopraggiunge la
morte per arresto respiratorio. La prominenza legata alle disfunzioni del tronco
dell’encefalo fa distinguere questa encefalite da le altre virali. La sopravvivenza
dal’insorgenza dei sintomi è di circa 4gg fino ad un max di 20 se viene fatta
terapia di supporto.
Morte → come detto sopraggiunge per arresto respiratorio anche se pz in
terapia intensiva possono sviluppare delle complicanze particolari come diabete
insipido (aumenta ADH), aritmie, instabilità vascolare ecc. La guarigione è rara e
graduale.
DIAGNOSI
Le informazioni di laboratorio sono assolutamente aspecifiche nelle prime fasi
dell’infezione. Difatti le informazioni relative alla conta dei globuli bianchi sono
compatibili con una infezione virale acuta, e nel liquor c’è pleiocitosi con
linfocitosi. La maggior discriminante nei casi sospetti è in realtà l’esclusione delle
altre cause di encefalite virale e soprattutto la rapida progressione della clinica.
La diagnosi sierologica è praticamente impossibile all’inizio dell’infezione perché
il virus è confinato al SNC e quindi non elicita alcuna risposta anticorpale. Con la
progressione dell’encefalite gli Ag si diffondono a tutto il corpo portando ad una
risposta immune, ma ovviamente i pz sono già compromessi.
Si possono fare poi PCR sulla saliva o su campioni di pelle presi dalla nuca del
pz.
D.D.
Si fa con tutte le altre cause di encefalite virale quindi: HSV1, VZV enterovirus.
TERAPIA
Non esiste una terapia medica specifica, la morte è virtualmente inevitabile una
volta apparsi i segni clinici. Ma è possibile fare due tipi di profilassi:
EZIOLOGIA
I due virus appartengono alla famiglia dei filoviridae.
Ebola presenta 4 sottotipi conosciuti, classificati in base ai siti di isolamento, di
cui i 3 ceppi africani causano una patologia severa e spesso mortale.
Caratteristica comune di tutti i filovirus è il genoma costituito da una singola
catena di RNA a polarità negativa, da un nucleocapside e da un envelope lipidico
che conferisce sensibilità ai comuni detergenti. Entrambi sono termolabili (60°
per 30 min), e sensibili all’acido, ma possono rimanere per settimane nel sangue
a temperatura ambiente.
Sia Ebola che Marburg sono virus classificati a livello di biosicurezza 4(penso sia
il max, ma non è specificato), a causa dell’alta mortalità e dell’infettività tramite
aerosol.
Ebola: il primo isolamento fu fatto in Zaire e Sudan dnel 1976 durante una
epidemia che causò 550 casi. Altri casi furono nel 1995 in Congo, 317 casi con
mortalità dell’88%, altre piccole epidemie si sono verificate in Gabon (1994 e
2003), in Sudan (2000-2001).
PATOLOGIA E PATOGENESI
I due virus si replicano virtualmente in ogni tipo di cellule. In ogni caso il
coinvolgimento primario riguarda il sistema reticolo endoteliale. Si assiste a
necrosi epatica, polmonite interstiziale, noduli gliali cerebrali e a piccoli infarti. I
virioni sono molto abbondanti nell’interstizio, nei fibroblasti e anche nel
sottocutaneo. Da questa ultima localizzazione si pensa che il virus possa
fuoriuscire attraverso piccole lesioni, o attraverso le ghiandole sudoripare. Tali
evenienze forse rendono conto dell’alto rischio di contagio, legato al contatto
diretto coi malati.
Oltre all’azione tossica diretta il virus esplica un’azione mediata dall’induzione di
alcune citochine.
L’infezione acuta è associata ad elevati titoli di virus e Ag virali in circolo, e la
clinica migliora quando la viremia tende a scendere, e quando inizia a comparire
un titolo anticorpale. Nei casi fatali la risposta è scarsa e c’è distruzione della
milza e di numerosi linfonodi.
CLINICA
Il periodo di incubazione è di 7-10gg. L’esordio è improvviso con febbre, mal di
testa severo, mialgia, nausea e vomito. La febbre è continua e seguita da
diarrea(severa), dolore toracico con tosse, prostrazione e sensorio alterato.
Soprattutto nei pz bianchi si osserva rash maculopapulare, che si risolve con
desquamazione in 5-7 gg. Le emorragie possono comparire in questa fase, e
riguardare ogni mucosa e il sottocute.
La risoluzione, quando avviene, sopraggiunge in circa 10-12gg.
LABORATORIO
Si osserva leucopenia e una piastrinopenia evidente ( 50.000), con segni di
CID. Ci sono i segni dell’epatite acuta, e alterazione della funzionalità renale
correlata al grado di shock.
DIAGNOSI
La maggior parte dei pz ha alti livelli di virus nel sangue, rintracciabili con ELISA,
o ultimamente con PCR. I pz guariti sviluppano come detto una reazione Ab.
TERAPIA
Si può fare solo terapia di supporto, senza però risultati nella maggior parte dei
casi. Studi recenti hano visto un miglioramento della sopravvivenza nelle
scimmie con inibitori del fattore VIIa.
PREVENZIONE
Al momento non sono disponibili né vaccini né farmaci, e quindi ci si affida
esclusivamente a misure igieniche.
Esistono numerose famiglie che differiscono tra loro per morfologia, replicazione
e genoma.
MANTENIMENTO E TRASMISSIONE
Il vettore si infetta tramite l’ingestione di sangue infetto. L’artropode sviluppa
un’infezione cronica e persistente. Il virus si diffonde in tutto l’organismo e nelle
ghiandole salivari, garantendo la possibilità che l’infezione sia trasmessa col
successivo pasto ematico.
Allo stesso modo arenavirus e hantavirus instaurano un quadro di infezione
cronica nei roditori.
EPIDEMIOLOGIA
La distribuzione di questi virus è limitata alle aree abitate dal reservoir/vettore, e
di fatto questo costituisce un importante indizio per la d.d. (tabella della
distribuzione geografica pg 1162). La maggior parte sono trasmessi in un
contesto virale, e pochi hanno vettori urbani.
Il sospetto diagnostico deve essere forte nel caso il pz riferisca il morso di una
zecca, mentre una storia di contatto con roditori o di morsi di zanzara sono
relativamente meno indicativi.
SINDROMI
Normalmente la trasmissione del virus causa nell’uomo una infezione subclinica.
Le sindromi associate al contagio sono raggruppate per completezza in 4
categorie, che a volte sono clinicamente sovrapposte:
Febbre e mialgia
Artriti e rash
Encefaliti
Febbri emorragiche
DIAGNOSI
La diagnosi di laboratorio è richiesta in ogni caso, anche se indizi epidemiologici
e clinici possono far pensare alla causa. Ovviamente i test più usati consistono
nel ritrovamento delle IgM nel siero dei pz, o nell’isolamento del virus dal siero
dei pz.
CLINICA
Febbre e mialgia:
È la manifestazione più frequente delle infezioni da virus zoonotici. La sindrome
si manifesta con l’insorgenza acuta di febbre, brividi, mialgia intensa e
malessere. Possono esserci sintomi di accompagnamento come nausea e
vomito, mal di testa e fotofobia. La durata dei sintomi è in genere di 2-5 gg.
Encefaliti:
vedi Lara
Artriti e rash:
Gli Alphavirus sono una causa comune di artrite, molto più frequenti di quello che
si pensa (lo dice l’Harrison). Spesso infatti si osserva una sintomatologia febbrile
acuta con coinvolgimento articolare e rash maculopapulare. Il coinvolgimento
reumatico può andare da un’artralgia, ad una dolorabiità periarticolare fino ad
una artrite franca.
Febbre emorragica:
Le febbri virali emorragiche sono una sindrome caratterizzata da una instabilità e
da una diminuita integrità vascolare. Il danno a associata una livello della
microvascolatura porta ad un aumento della permeabilità vascolare, e soprattutto
se è diminuzione delle piastrine, a frequenti episodi emorragici. Emorragie
cutanee e soffusioni congiuntivali sono reperti frequenti che testimoniano le
anormalità a livello della circolazione locale. Nella fase finale si può
accompagnare una diminuzione della pressione fino allo shock (in realtà non è
tanto la perdita di liquidi che porta allo shock, quanto piuttosto il danno
endoteliale). In alcune sindromi può esserci un coinvolgimento organo specifico,
così per es. in alcuni casi la febbre si presenta con coinvolgimento renale, in
quella da hantavirus c’è coinvolgimento polmonare e nella febbre gialla c’è
coinvolgimento epatico. La CID è reperto abbastanza frequente di tutte le
sindromi emorragiche soprattutto nella fase terminale, sebbene sia caratteristica
solo nella prima fase dell’infezione con coinvolgimento renale.
Non è ancora chiaro se la patogenesi sia legata ad un danno diretto sulle cellule
endoteliali, o piuttosto ad un danno mediato da mediatori solubili.
Tutte le febbri emorragiche iniziano all’improvviso con febbre e mialgia e dopo
pochi giorni il pz si presenta al medico per estremo malessere, fotofobia,
iperestesia, dolore addominale o toracico, nausea e vomito e altri sintomi
gastrointestinali. All’e.o. si possono notare le soffusioni congiuntivali e
generalmente le petecchie (soprattutto visibili in zona ascellare), la dolorabilità
alla palpazione muscolare, e la relativa ipotensione posturale.
Il dato più importante da ricercare in questi pz è un viaggio recente in aree
endemiche. Il riconoscimento del virus è importante anche perché esiste la
possibilità di fare terapie antivirali specifiche.
Febbre gialla
Il virus della febbre gialla è stato causa di epidemie in Africa, Europa e America
prima del 1900 quando si scoprì il vettore urbano, e si attuò quindi una
campagna di disinfestazione.
È una tipica febbre emorragica accompagnata da coinvolgimento epatico. Un
periodo di incubazione di virema si circa 3-5gg è poi seguito da una fase
chiamata di “intossicazione”. Durante questa fase è frequente il riscontro di ittero,
emorragie, vomito (nero) e anuria.
A parte rare eccezioni la vaccinazione ha effetto da 10gg giorni dall’iniezione fino
a 10 anni.
Meningiti
EPIDEMIOLOGIA
Incidenza: 1/100.000 abitanti anno. Ci possono essere delle piccole epidemie
all’interno di piccole comunità, altri casi possono invece essere sporadici. Sono
più frequenti nell’infanzia, ma può colpire soggetti di tutte le età.
Vi è una maggior incidenza nell’Africa subsahariana anche a causa di una
maggior incidenza di HIV.
PATOGENESI
Il coinvolgimento delle meningi può avvenire per diverse vie.
Via ematica: è la più frequente. Il batterio in un altro organo, attraverso il
sangue raggiunge le meningi (p.es. dalla polmonite lobare franca).
Per contiguità: infezioni delle strutture vicine alle meningi (p.es.
otomastoiditi, sinusiti).
Per contagio diretto: in seguito a ferite (p.es. trauma cranico, lesioni
penetranti, accesso iatrogeno neurochir.)
AGENTI ETIOLOGICI
Batteri, virus, miceti ed anche elminti.
I più frequentemente coinvolti sono: Neisseria Meningitidis, Haemophilus
Influenzae tipo B, Pneumococco, ecc.
A seconda della fascia d’età vi sono microrganismi maggiormente coinvolti.
Età neonatale: Str. Agalactiae, E. Coli
1-6 mesi: Str. Agalactiae, Str. Pneumoniae
6 mesi – 18 anni: Neisseria Meningitidis
18-50 anni: Neisseria Meningitidis
50 anni: Str. Pneumoniae, Listeria Monocitogenes, ecc.
CLASSIFICAZIONE
In base al coinvolgimento del liquor (rachicentesi).
Meningiti purulente (liquor torbido)
Meningiti non purulente o asettiche (liquor limpido)
Caratteristiche del liquido cefalorachidiano: normalmente il liquor è
estremamente limpido, la pressione dello spazio cefalorachidiano aumenta nelle
infezioni (gocciolamento più zampillante nelle infezioni per aumento della
pressione), PROTIDORACHIA (proteine che attraversano la BBB, aumentano in
corso di infezioni), GLICORACHIA (concentrazione di glucosio, normalmente 2/3
della glicemia, si riduce in corso di infezione), sedimento (normalmente sono
presenti solo pochi linfociti, nelle infezioni va fatta colorazione Gram).
Meningiti purulente
Il liquor è torbido per la presenza di granulociti neutrofili. Nelle meningiti
tubercolari invece ci sono moltissimi linfociti.
Se nel liquor sono presenti Gram – disposti “a chicco di caffè” all’EMD, posso
suppore infezione da Neisseria m.
Sono sempre ad etiologia batterica ed il liquor si presenta iperteso. La
glicorachia è diminuita perché i batteri consumano il glucosio per nutrirsi
(glicorachia <40).
La protidorachia risulta invece aumentata.
La situazione è sempre drammatica ed in poco tempo evolve con la morte del
paz..
PATOGENESI
La meningite si sviluppa sia per estensione diretta dell’infezione dai seni
paranasali o dall’orecchio medio, sia come risultato di una batteriemia con
disseminazione al plesso corioideo.
Depone a favore della prima possibilità l’associazione tra l’otite media acuta e la
meningite, così come il ruolo di s.p. quale causa più comune di meningiti
batteriche ricorrenti associate con traumi cranici, liquorrea e/o lacerazione della
dura. A sostegno della seconda ipotesi vi è l’associazione tra la setticemia
pneumococcica di qualsiasi origine e la meningite.
A livello delle meningi e dello spazio subaracnoideo, il peptidoglicano
pneumococcico stimola un’intensa reazione infiammatoria mediata dalla
liberazione di IL-1 e IL-6, C5a, TNF e altre citochine proinfiammatorie. Questa
risposta infiammatoria determina l’aumento della pressione endocranica, l’edema
cerebrale e la riduzione del flusso ematico, fenomeni che portano alla sindrome
meningea, al sopore e al coma. I segni neurologici focali possono derivare da
una vasculite con trombosi venosa o arteriosa, da neuropatia dovuta a
intrappolamento o infarto, da cerebrite localizzata, da versamento subdurale o da
erniazione cerebrale.
CLINICA
Non vi sono aspetti clinici o di laboratorio specifici che differenzino la meningite
dovuta a s.p. da quelle di altri batteri. I paz. notano l’esordio improvviso di febbre,
cefalea e rigidità o dolore a carico del collo. In assenza del trattamento si assiste,
in 24-48 ore, alla progressione verso confusione mentale e ottundimento del
sensorio. All’esame obiettivo il paz. si presenta sofferente e si riscontra rigidità
nucale. In questi casi l’esecuzione della puntura lombare non va ritardata allo
scopo di eseguire una TC del cranio, a meno che non siano evidenti papilledema
o segni neurologici focali.
DIAGNOSI
Esame liquorale: pleiocitosi con prevalenza di PMN, aumentata protidorachia e
diminuita glicorrachia.
Se il liquor viene prelevato prima della somministrazione di antibiotici, in quasi
tutti i casi è possibile effettuare una colorazione Gram e vedere s.p. in gran
numero. Se la terapia è già stata iniziata, i metodi immunologici per la rilevazione
della capsula pneumococcica nel liquor possono identificare l’agente etiologico
nei due terzi dei casi lo stesso.
Stafilococco Aureus
Può raggiungere le strutture del SNC mediante diffusione ematogena e per
estensione diretta dalle strutture contigue.
PATOGENESI E CLINICA
Questo microrganismo è una delle principali cause dell’ascesso cerebrale,
specialmente conseguente a embolizzazione durante l’endocardite delle valvole
mitrale e aortica.
Gli ascessi spesso sono multipli, piccoli e disseminati diffusamente in tutto il
parenchima cerebrale.
Gli ascessi cerebrali si possono sviluppare anche per estensione diretta a partire
dai seni frontoetmoidali o sferoidali, oppure dai tessuti molli infettati in seguito a
procedure chirurgiche o a traumi penetranti.
I paz. con ascessi cerebrali da s.a. presentano febbre, meningismo e altri segni
di infezione con maggiore frequenza dei paz. con ascessi cerebrali sostenuti da
altri batteri.
La MENINGITE purulenta può accompagnare l’ascesso cerebrale stafilococcico
o si può sviluppare durante una setticemia, in assenza di ascessi dimostrabili.
S.a. è il microrganismo che con maggiore probabilità causa una gamma di altre
infezioni intracraniche suppurative occupanti spazio.
L’empiema subdurale di solito si sviluppa per estensione diretta a partire
dall’osteomielite del cranio, o dopo interventi chirurgici o traumi, oppure durante
una sinusite.
Questa condizione può essere accompagnata da meningite, ascessi epidurali o
flebite intracranica. Gli aspetti cardine dell’empiema subdurale sono la febbre, la
cefalea, il vomito e i segni dell’irritazione meningea. Mano a mano che l’infezione
progredisce, può comaparire edema cerebrale, spesso con infarti, che può
essere accompagnato da alterazione dello stato mentale, convulsioni e segni
neurologici focali, che qualche volta progradiscono rapidamente. La procedura
diagnostica di scelta è la RM poiché la rachicentesi è controindicata a causa del
pericolo di erniazione del tronco cerebrale. Il drenaggio chirurgico precoce e il
trattamento con antibiotici in grado di penetrare nel SNC possono dimostrarsi
curativi, anche se sono frequenti conseguenze neurologiche.
Ascesso epidurale spinale, nella maggior parte dei casi si sviluppa in
associazione con l’osteomielite vertebrale o con la discite. La diagnosi viene
suggerita dalla presenza di febbre, dolore alla schiena, dolore di tipo radicolare,
ipostenia delle estremità inferiori, disfunzione dell’intestino o della vescica. Il
principale pericolo è che si verifichi la necrosi del midollo spinale per
compressione e/o per interessamento venoso. La RM della colonna vertebrale
stabilisce se vi sia o meno la presenza di una raccolta epidurale.
Listeria Monocytogenes
La presentazione più comune dell’infezione del SNC da l.m. è la MENINGITE,
che può presentarsi sia in forma acuta che subacuta (rara). I sintomi d’esordio
includono febbre, cefalea, alterazione dello stato di coscienza. L’esame del liquor
mostra pleiocitosi, iperprotidorachia e glicorrachia nella norma.
Altre manifestazioni dell’infezione del SNC sono rappresentate dall’encefalite,
dalla cerebrite e dagli ascessi cerebrali e del tronco encefalico e del midollo
spinale.
La rara sindrome della romboencefalite comprende la paralisi asimmetrica dei
nervi cranici, l’alterazione dello stato di coscienza, la presenza di segni
cerebellari e di deficit motori o sensitivi.
Enterovirus
Sono la causa di oltre i 90% di meningiti asettiche nei bambini e giovani adulti.
La meningite asettica, tipicamente, si presenta nei paz. con un esordio acuto
caratterizzato da febbre, brividi, cefalea, fotofobia e dolore durante i movimenti
oculari; possono essere presenti anche nausea e vomito.
Obiettivamente sono presenti segni meningei senza segni di localizzazione
neurologica: possono esservi sonnolenza ed irritabilità. In alcuni casi può essere
riferito un episodio febbrile, che dopo una remissione temporanea si ripresenta
alcuni giorni più tardi accompagnato da segni meningei.
L’esame del liquor evidenzia sempre una pleiocitosi: inizialmente possono
essere presenti o possono prevalere i PMN. È utile sapere che nelle meningiti da
enterovirus il numero delle cellule nel liquor si modifica verso una predominanza
linfocitaria entro 24 ore dall’esordio. Altre caratteristiche del liquor sono la
normale protidorrachia.
Sia gli enterovirus che il virus partitico possono causare quadri clinici simili,
caratterizzati da meningite con orchite. I sintomi si risolvono in una settimana,
sebbene le alterazioni liquorali possano persistere per alcune settimane. La
meningite da e. è spesso più grave nell’adulto che nel bambino.
Casi di meningite da enterovirus, caratterizzati da notevole infiammazione,
possono occasionalmente essere complicati da forme lievi di encefalite
riconoscibili sulla base di una progressiva letargia, disorientamento e talvolta da
crisi convulsive.
[Harrison]
La tubercolosi del SNC costituisce il 5% dei casi extrapolmonari di tbc.
Si osserva spesso nei bambini piccoli, ma si può sviluppare anche negli adulti,
specialmente in soggetti con HIV. La meningite tubercolare deriva dalla
diffusione ematogena della malattia polmonare primaria o postprimaria, oppure
dalla rottura di un tubercolo subependimale nello spazio subaracnoideo. In più
della metà dei casi al Rx torace si osservano vecchie lesioni polmonari o un
quadro miliare.
CLINICA
La malattia può presentarsi subdolamente con cefalea e modificazioni mentali,
oppure acutamente con confusione, letargia, alterazione del sensorio e rigidità
nucale. Tipicamente, la malattia evolve in 1-2 settimane, un decorso più lungo di
quello della meningite batterica. La paresi dei nervi cranici è un reperto comune
e l’interessamento delle arterie cerebrali può causare ischemie focali.
È comune l’idrocefalo. La rachicentesi è fondamentale per la diagnosi. In
generale l’esame del liquido cerebrospinale evidenzia un’elevata conta
leucocitaria, una iperprotidorrachia e una ridotta glicorrachia. I bacilli vengono
osservati all’esame diretto del liquido cefalorachidiano solo nel 20% dei casi.
Questa malattia risponde alla terapia, purtroppo però, sequele neurologiche
vengono riferite nel 25% dei casi trattati.
Meningite minima
Meningite nella quale non ci sono i segni meningei ma soltanto piccole
alterazioni del liquor.
È tipica da infezioni virali, come il virus della parotite epidemica o l’HIV
(soprattutto nelle fasi acute delle malattie, ovvero nel periodo di
sieroconversione).
Sono, nel loro contesto, delle meningiti benigne.
Meningismo
Forma caratterizzata da sintomi lievi della meningite legati ad un aumento
pressorio del liquor per ipersecrezione dello stesso. Le caratteristiche chimiche
del liquor sono normali.
È spesso dovuto non all’infezione diretta delle meningi ma da patologie con
abbondante rialzo termico, dopo traumi cranici o dopo colpi di sole o ancora per
uso di farmaci (tetracicline, vit. A). si tratta comunque di un fenomeno transitorio
e benigno.
Sindrome meningea
I segni ed i sintomi ne caratterizzano tre momenti:
1. aumento della pressione intracranica
2. infiammazione delle leptomeningi intracraniche e spinali
3. sofferenza corticale e di altre strutture nervose
SINTOMATOLOGIA
Febbre molto elevata.
Cefalea insostenibile.
Vomito incoercibile: segno di ipertensione endocranica, non è preceduto
da nausea e avviene improvvisamente e violentemente.
Nel lattante: sporgenza delle fontanelle molli del cranio.
Segni ipertonico-antalgici: quando un movimento genera dolore
l’organismo si oppone bloccando il muscolo che promuove
quel movimento (dovuto all’infiammazione delle meningi spinali).
DIAGNOSI
É principalmente clinica.
Gli esami di laboratorio riferiscono una leucocitosi neutrofili, aumento degli indici
di flogosi.
Va fatta anche in questo caso una rachicentesi con esame del liquor, ed
eventualmente TAC e RMN.
TERAPIA
Il paz. va sottoposto a terapia antibiotica massiva perché il farmaco raggiunga in
concentrazione sufficiente il liquor. Vengono usati la PENICILLINA G o
CEFRIAXONE.
Nella meningite tubercolare la terapia deve anche essere estremamente
prolungata (18 mesi).
MANIFESTAZIONI CLINICHE:
1. meningite meningococcico
2. sepsi meningococcica o meningococcemia fuliminante (purpura
fulminans)
EPIDEMIOLOGIA
L’infezione da n.m. è ubiquitaria. I casi di malattia possono essere sporadici
oppure verificarsi sotto forma di focolai epidemici in istituti o in comunità, oppure
dare origine a estese epidemie.
Nei paesi a clima temperato il tasso di incidenza è pari a 1:100.000 persone per
anno.
L’incidenza risulta più elevata nei lattanti di 3-6 mesi di età. Un secondo picco di
incidenza elevata è rappresentato dagli adolescenti.
L’incidenza aumenta proporzionalmente al grado di sovraffollamento di particolari
ambienti o alla presenza di soggetti infetti in ambito familiare, ecc.
PATOGENESI
I m. che colonizzano le vie aeree superiori vengono internalizzati dalle cellule
epiteliali non ciliate; successivamente, attraversate queste ultime e raggiunta la
sottomucosa, possono farsi strada verso il torrente circolatorio.
La colonizzazione è riscontrabile in soggetti sani, ma il passaggio in circolo di
n.m. costituisce un evento infrequente, non essenziale ai fini di sopravvivenza e
diffusione del microrganismo.
Dopo il passaggio dal rinofaringe nel sangue e il superamento dei meccanismi di
difesa dell’ospite, il m. può subire due tipi di destino: se la moltiplicazione
procede lentamente il batterio va incontro a una disseminazione a livello di
organi quali le meningi, le articolazioni e il pericardio. In presenza di una rapida
moltiplicazione, possono verificarsi CID e shock, responsabili di segni e sintomi
che precedono la localizzazione d’organo del meningococco.
SINTOMATOLOGIA
I soggetti che sviluppano una meningite m. sono stati male per almeno 24 ore
prima di giungere alle cure mediche.
I principali sintomi sono:
Nausea
Vomito
Cefalea
Rigidità nucale
Letargia
Stato confusionale
Possibile coesistenza con sepsi m. cercare lesioni purpuriche.
COMPLICANZE
Soggetti con meningite m. possono andare incontro a paralisi dei nervi cranici,
tromboflebite delle vene corticali ed edema cerebrale. Sequele permanenti
possono includere ritardo mentale, sordità ed emiparesi. Le principali cause di
morbosità a lungo termine connesse alla sepsi invece sono la perdita di cute, arti
o delle dita a seguito della necrosi ischemica.
DIAGNOSI
L’elemento clinico più utile è sicuramente la caratteristica eruzione petecchiale
nel paz. con sepsi, ma la diagnosi definitiva viene posta mediante la
dimostrazione di n.m., dei suoi antigeni o del suo DNA nei liquidi biologici
abitualmente sterili, come il sangue.
Nei soggetti con meningite la diagnosi definitiva si basa invece sulla
dimostrazione di n.m. nel liquor a sede intra- o extracellulare.
TERAPIA
Per la terapia iniziale viene di solito preferita una cefalosporina di terza
generazione come la CEFOTAXIMA o il CEFTRIAXONE in quanto efficaci anche
contro altri batteri potenzialmente responsabili delle stesse sindromi.
PROFILASSI
Bambini con più di 2 anni e viaggiatori in zone endemiche vanno vaccinati
attivamente contro i sierotipi A, C, Y, W135. La durata della immunizzazione vale
per 5 anni circa negli adulti.
Il sierotipo B non è immunogeno.
Chemioprofilassi: - RIFAMPICINA 600 mg x 2 volte/die x 2 giorni (urine rosso-
arancione, annulla l’effetto degli estroprogestinici) per os.
- CIPROFLOXACINA 500 mg per os.
- OFLOXACINA 400 mg per os.
- CEFTRIAXONE 250 mg per im.
La persone che coabitano o lavorano in stretto contatto con persone infette
presentano un rischio molto più elevato di contrarre l’infezione rispetto alla
popolazione normale.
Encefaliti da Arbovirus
PATOGENESI
Un artropode infettato ingerisce un pasto di sangue da un uomo e infetta l’ospite.
Si ritiene che l’iniziale periodo di viremia origini più comunemente dal sistema
linfatico. La viremia porta ad un’invasione del SNC, presumibilmente attraverso
l’infezione del neuroepitelio olfattorio con il passaggio attraverso la lamina
cribrosa o tramite l’infezione dei capillari cerebrali e l’entrata multifocale nel SNC.
Durante la fase viremica può manifestarsi una malattia lieve o non riconosciuta.
Il processo patologico del SNC progredisce in parte per infezione neuronale
diretta e conseguente danno e in parte per l’edema, l’infiammazione e altri effetti
indiretti.
ANATOMIA PATOLOGICA
Necrosi focali dei neuroni, noduli gliali infiammatori e infiltrato linfoide
perivascolare; la varietà e la gravità di distribuzione di queste lesioni variano con
il virus infettante.
Le aree coinvolte mostrano il fenomeno della “perfusione di lusso”, con normale
o aumentato flusso ematico totale e bassa estrazione di ossigeno.
SINTOMATOLOGIA
Fase prodromica con sintomi aspecifici (febbre, dolore addominale,
vertigini, faringodinia, sintomi respiratori)
Seguono cefalea, segni meningei, fotofobia e vomito.
Coinvolgimento delle strutture più profonde: letargia, sonnolenza, deficit
intellettivi.
Sono comuni: tremori, perdita dei riflessi addominali, paralisi dei nervi
cranici, emiparesi, monoparesi, difficoltà nella deglutizione e segni
riferibili al lobo frontale.
Convulsioni e segni focali possono essere evidenti precocemente o
possono comparire durante il decorso della malattia.
EVOLUZIONE
L’encefalite acuta solitamente dura da pochi giorni fino a 2 o 3 settimane, ma la
guarigione può essere lenta, di settimane o mesi per il ripristino della massima
funzione recuperabile.
DIAGNOSI
Dipende dall’attenta valutazione di un paz. febbrile con malattia del SNC.
L’esame del liquor, solitamente, mostra una modesta pleiocitosi, all’esordio di
PMN, ma si osserva spesso una predominanza di cellule mononucleate, la
glicorrachia è nella norma.
TERAPIA
Non esiste una terapia specifica per queste encefaliti virali. Le sole misure
preventive praticabili sono il controllo del vettore e la protezione personale contro
l’artropode che trasmette il virus.
Nevrassite
Tetano
Il c. tetani infetta l’ospite sotto forma di SPORE ovali e incolori che possono
sopravvivere per diversi anni in ambiente esterno e che sono resistenti a un gran
numero di disinfettanti e alla bollitura per 20 minuti, mentre il batterio vegetante è
rapidamente inattivato in ambiente ostile (cioè in presenza di O2) ed è
suscettibile a numerosi antibiotici.
PATOGENESI
L’inoculazione di spore di c. tetani in una ferita è probabilmente un evento
relativamente frequente; la proliferazione (e la produzione di tossine) richiede un
ambiente adatto e cioè con un BASSO POTENZIALE di OSSIDORIDUZIONE (in
sostanza dev’esserci scarsa ossigenazione), come accade quando c’è
- TESSUTO DEVITALIZZATO (ferita lacero-contusa)
- un CORPO ESTRANEO
- INFEZIONE ATTIVA
Il batterio e scarsamente invasivo e, di per sé, non evoca infiammazione. La
patogenesi è mediata dalla sintesi di un’esotossina (la TETANOSPASMINA) che
si lega ai terminali assonici dei motoneuroni ed è trasportata dai sistemi tubulari
intra-assonici al corpo cellulare nel midollo spinale (o nel tronco cellulare); migra
dunque attraverso la sinapsi al terminale presinaptico dove BLOCCA il
RILASCIO del GABA
diminuendo dunque il tono inibitorio e
impedendo l’inibizione crociata di muscoli agonisti e antagonisti.
La perdita di inibizione può coinvolgere anche i neuroni simpatici pregangliari
causando iperattività del simpatico.
Generalmente, la tossina si diffonde anche nel circolo ematico e linfatico
legandosi diffusamente ai terminali presinaptici e causando tetano
generalizzato; è tuttavia possibile che colpisca solamente i muscoli interessati
direttamente dalle fibre nervose penetrate dall’esotossina (tetano localizzato).
Una forma particolarmente grave, dice Cosenzi, è il tetano cefalico che colpisce
dunque i nervi cranici (perché, il massetere e i mimici – vedi sotto – da cosa sono
innervati? Dai nervi gonadici?). Secondo l’Harrison, invece, il tetano cefalico è
tipicamente secondario a un’infezione dell’orecchio e semplicemente ha come
sintomi predominanti il trisma e lo spasmo dei mimici.
BRUCELLOSI
QUADRO CLINICO
Infezione acuta: (dopo un’incubazione di durata variabile tra 1 settimana e diversi
mesi) è caratterizzata sempre da FEBBRE accompagnata da sudorazione
notturna che, se non trattata, acquista un caratteristico pattern intermittente per
alcune settimane, seguito da defervescenza ed eventuale ricaduta. La
sintomatologia può essere più o meno severa, e nei casi più gravi evolvere verso
lo shock settico a causa della rapidità di diffusione del microrganismo che
determina alti livelli di LPS.
Infezione cronica può insorgere da una brucellosi trattata inadeguatamente (o
misconosciuta per la lievità dei sintomi) ed è caratterizzata dall’insorgenza di
complicazioni localizzate come osteomielite, spondilite, osteoartrite, endocardite,
ascesso splenico, orchite, meningite a liquor limpido.
DIAGNOSI
Richiede un sospetto anamnestico (esposizione professionale, viaggio)
confermato da riscontri di laboratorio.
L’esame del sangue mostra l’aumento degli indici di flogosi, ma non leucocitosi
(è anzi possibile riscontrare leucopenia). La coltura su mielocentesi è più
sensibile dell’emocoltura; non sempre tuttavia si riesce ad isolare il
microrganismo.
I test sierologici sono più sicuri, e si basano su prove di agglutinazione (reazione
di Wright) per identificare la presenza di IgM anti-brucella (che appaiono
precocemente); per il fenomeno della prozona possono essere negativi a bassa
diluizione ma positivi ad alta.
La biopsia o l’agoaspirato di fegato o milza sono generalmente controindicati.
MALATTIA DI LYME
DEFINIZIONE
La malattia di Lyme é causata da una borrelia trasmessa da zecche. Esordisce
di solito con caratteristico ERITEMA MIGRANTE, poi la spirochetta diffonde
dalla sede d´infezione (puntur) per via ematogena. A questo punto possono
comparire:
Meningite
Reumite
Cardite
Dolori muscoloschelterici migranti
Dopo mesi o anni puó comparire una artrite e alterazioni neurologiche.
PATOGENESI
Dopo l´inoculo la Burgdoferi migra alla periferia dando l´eritema mogrante, poi
puó diffondere per via ematogena. La spirochetta puó aderire a molti tipi di
cellule dei mammiferi; alla fibronectina, ai GAG della matrice extracellulare.
La Burgdoferi ha un particolare tropismo per: Tessuto cutaneo
Sistema nervoso
Nodo atrioventricolare
Articolazioni
I microorganismi persistono nei tessuti infetti per tutto il decorso della malattia. L
´esame istologico di tutti i tessuti colpiti evidenza una infiltrazione di linfociti e
plasmacellule ed un certo grado di danno vascolare.
CLINICA
Dopo la puntura si possono distinguere 3 stada di malattia:
Stadio 1 o INFEZIONE LOCALIZZATA
L´incubazione va da 3-32 giorni.
Nella sede della puntura compare l´ERITEMA MIGRANTE:
Macula o papula rossa che si espande dal punto della puntura og man mano che
si allarga si arrossa la periferia e impallidisce il centro. A volte il centro della
lesione puó apparire intensamente eritematoso, talvolta assume un colore
bluastro prima di schiarire.
La lesione si puó localizzare in qualsiasi area del corpo, ma maggiormente
colpite sono la coscia, l´inguine e l´ascella.
La lesione é calda ma di solito non é dolorosa.
Il 25% dei pazienti non prestenta la lesione.
Pochi giorni dopo la formazione dell´eritema si hanno: ARTRALGIE
FEBBRE
ASTENIA
CEFALEA
MIALGIE
I sintomi sono variabili ed intermittenti.
Nel terzo stadio si puó avere anche una acrodermatite cronica atrofizzante
alle dita della mani e dei piedi.
DIAGNOSI
Quadro clinico (fondamentale)
Conferma sierologica su siero o liquor se c´é interessamento del SNC. I pazienti
che arrivano a fasi avanzate di malattia rimangono sieropositivi per molti anni.
TERAPIA
Una adeguata cura antibiotica puó bloccare la malattia in qualunque stadio essa
sia. Si fanno terapie con DOXICILLINA (tetraciclina): non somministrare nei
bambini e nelle donne gravide
AMOXICILLINA
La profilassi antibiotica non é indicata perche il rischio di contrare la malattia
dopo un morso di zecca é molto basso.
La maggior parte dei pazienti ha guarigione completa.
I soggetti che presentano una importante risposta immune alle spirocheta non si
reinfettano per molti anni.
Negli USA é attualmente disponibile un vaccino.
LEPTOSPIROSI
PATOGENESI
Le leptospire possono penentrare nell´ospite attraverso abrasioni della pelle o
attraverso le mucose integre (specialmente congiuntiva e cavo orale). Dopo la
penentrazione, si ha leptospiremia con disseminazione a tutti gli organi. Le
leptospire possono essere isolate nel sangue e nel liquor durante i primi 4-10
giorni di malattia. Nel liquor non causano danno. Le leptospire danneggiano la
parete dei piccioi vasi dando una VASCULITE. Gli organi maggiormente affetti
sono RENE e FEGATO.
Nel rene migrano nell´interstizio e nei tubuli renili causando nefrite interstiziale e
necrosi tubulare.
Nel fegato si puó osservare necrosi centrolobulare.
Il polmone é interessato da emorragie.
Nei muscoli scheletrici si osserva edema
vacuolizzazione
necrosi focale
All´aumento del titolo anticorpale si associano sintomi di meningite (si pensa sia
dovuta ad un meccanismo immunilogico):
Dopo terapia antibiotica le leptospire vengono eliminate da tutti i tessuti eccettto:
occhio, tubuli renali e cervello dove possono rimanere per mesi.
CLINICA
Ci sono rari casi asintomatici.
Quelli sintomatici possono variare da forme lievi a molto gravi.
90% dei casi: forma anitterica: puó essere singola og precedere la forma grave.
10% dei casi: forma ittero-emorragica o morbo di Weil.
Solitamente l´incubazione é di 1-2 settimane.
Leptospirosi anitterica: si presenta come una malattia similinfluenzale con
febbre, cefalea, nausea, vomito e mialgie (polpacci, schiena, addome). Non raro
é l´interessamento polmonare con tosse e dolore toracico.
Esame obiettivo piú comune: febbre + soffusione congiuntivale.
La maggior parte dei pazienti diventa asintmatico entro 1a settimana. Dopo 1-3
giorni in una parte dei pazienti si ha una seconda fase:
La FASE IMMUNE: (IgM antileptospire) con: febbre elevata
mialgie
meningite asettica (15% dei casi)
irite, iridociclite (mesi dopo)
LABORATORIO
Aumento di VES
Forma lieve: lieve leucocitosi
Morbo di Weil: marcata leucocitosi
↑ delle transaminasi
↑ di creatinina
tempo di protrombina elevato
trombocitopenia (CID)
↑ di bilirubina indiretta
↑ di LDH
↓ di aptoglobulina (emolisi)
↓ di fibrinogeno
↑ dei prodotti di degradazione del fibrinogeno
DIAGNOSI
Isolamento delle leptospire: emocoltura o esame liquor (primi 10 giorni)
Urinocoltura (positiva per parecchie settimane)
Sierologia: assssss del titolo anticorpale (2a settimana)
al test di agglutinazione microscopica (MAT)
DD con altre forme febbrili: malaria, febbre tifoide, epatite virale, febbre dengue,
rickettsiosi, tr....virus
TERAPIA
Per i casi gravi PENICILLINA G o ERITROMICINA.
In alcuni casi in seguito alla terapia antibiotica si sviluppa la reazione di Jarisch-
Herxheimer: massiva distruzione di spirocheta con liberazione di un LPSsimile
che attiva mediatori dell´infiammazione e ció provoca: febbre
mialgie
vasodilatazione
tachicardia
tachipnea
Questa reazione viene soppressa con il trattamento con anticorpo antiTNF-α.
La maggior parte dei pazienti colpiti da leptospirosi guarisce; il morbo di Weil é
spesso mortale (50% Cosenzi). In gravidanza la malattia é associata ad un
´elevata mortalitá fetale.
FEBBRE RICORRENTE
EPIDEMIOLOGIA
La febbre ricorrente trasmessa da pidocchi é endemica ormai soltanto nell´Africa
nordorientale, quella trasmessa da zecche é endemica nell´Africa subsahariana,
ma é presente anche nei paesi della costa del mediterraneo, in Russia, in India,
in Cina e negli USA.
PATOGENESI
Le borrelie penentrano attraverso la cute o le mucose, si moltiplicano nel sangue
e circolano in grande numero durante i periodi febbrili. Si possono inv.... nel
fegato, nella milza, nel cervello e nel midollo osseo dove vengono sequestrate
nei periodi di remissione della malattia.
CLINICA
Incubazione media di 7 giorni.
L´esordio della malattia é improvviso con febbre
cefalea
brividi .jldfj....
sudorazione
mialgie ed artralgie
Sono comuni: vertigini, nausea e vomito.
La febbre puó superare i 40°, ha un andamento irregolare e puó essere
accompagnata da delirio.
Puó essere presente meningismo.
Le congiuntive sono iniettate di sangue e il paziente si disidrata.
Spesso c´é tosse secca e ingrossamento di fegato e milza.
DIAGNOSI
Cercare spirochete nel sangue, nel liquor, nel periodo febbrile che precede la
crisi.
Test sierologici.
TERAPIA
ERITROMICINA, TETRACICLINA, PENICILLINA
RICKETTSIOSI
Gli essere umani sono ospiti occasionali (tranne che nel tifo petecchiale).
CLINICA
Incubazione 8-16 giorni.
Sindromi prodromici: cefalea, mialgie, artralgie, nausea e malessere.
1-3 giorni dopo questi sintomi si ha la brusca insorgenza di brividi e febbre con
ampie oscillazioni giornaliere.
Nausea e vomito sono pesanti nelle prime fasi di malattia. C´é la presenza di un
esantema inizialmente alle ascelle e nella parte interne delle braccia che poi si
diffonde al tronco e meno frequentemente alle estremitá (l´esantema si sviluppa
5-7 giorni dopo la febbre).
Spesso c´é interessamento polmonare: Tosse secca persistente (35% dei casi)
Polmonite interstiziale (23%)
Edema polmonare
Versamento
Sintomi meno comuni: Dolore addominale
Confusione
Atonia
Coma
Complicanze: Insufficenza respiratoria
Ematemesi
Emorragia cerebrale
La malattia é tutto sommato benigna, é letale solo nell´1% dei casi.
DIAGNOSI
Difficile é una diagnosi certa perché i batteri sono intracellulari obbligati. Non si
usa né la ricerca diretta diretta di batteri né la ricerca di antigeni di rickettsie.
Si usa la crossreazione tra Ab-antiR e Ag del proteus OX-19 (reazione di Weil-
Felix).
SIFILIDE (LUE)
La trasmissione della malattia avviene per via venerea contatto con: Sifiloma
Placche mucose
Esantema
cutaneo
Condilomi piani
Puó avvenire anche in utero o secondaria ad emotrasfusioni.
EPIDEMIOLOGIA
I casi di sifilide si stanno riducendo molto negli ultimi anni.
Negli USA: 1943: 575593 casi
1987: 64621 casi
Ció é dovuto al cambiamento dei comportamenti sessuali in seguito alla
compartsa dell´AIDS. La maggiore incidenza di sifilide si ha tra i 15 e i 34 anni. L
´incidenza é molto maggiore nei neri e nella aree urbane. Circa un individuo su
due che abbia avuto rapporti sessuali con persone affette da sifilide si infetta.
CLINICA
Sifilide primaria:
SIFILOMA: papula isolata, non dolente che va rapidamente incontro ad
erosione. Appare duro con consistenza cartilaginea alla base e ai bordi dell
´ulcera. Negli uomini eterosessuali é solitamente localizzato al pene; negli
omosessuali spesso si trova nel canale anale o nel retto o nel cavo orale; nella
donna si localizza comunemente alla cervice uterina o alle piccole labbra. Quindi
spesso la lesione rimane misconosciuta negli omosessuali e nella donne.
DD: con lesioni da herpes simplex e con ulcera molle.
Sifilide secondaria:
Lesioni mucocutanee localizzate o diffuse simmetricamente accompagnate da
linfoadenopatia generalizzata non dolente. L´eruzione cutanea consiste de
macule, papule e talcolta pustole in contemporanea tra loro. Nel 25% dei pazienti
l´esantema é cosi sfumato che non si accorgono neanche di averlo.
La localizzazione tipica di queste lesioni dermatologiche é alla pianta dei piedi e
alle palme delle mani. Le lesioni sono solitamente simmetriche e non
sanguinano.
Nella zona perineale, alla vulva, allo scroto, alle cosce e alle ascelle si possono
formare CONDILOMI PIANI che sono lesioni: Ampie
Umide
Rosate o grigiastre
Altamente contagiose
(10% dei pazienti).
Nel 15% dei pazienti invece si riscontrano erosioni mucose superficiali dette
PLACCHE MUCOSE, a livello della labbra, della lingua, della faringe, della vulva
o del pene. Solitamente sono: non dolenti
grigio-argentate
circondate da un alone rossastro
A tutto ció si accompagnano sintomi generali: FARINGODIMA
FEBBRE
CALO PONDERALE
MALESSERE
ANORESSIA
CEFALEA
MENINGISMO
L´1-2% dei paziente sviluppa meningite acuta.
Sifilide latente:
Non ci sono manifestazioni cliniche di lue; solo il test treponemico specifico é
positivo. Occasionalmente si puó avere il treponema in circolo. Le donne gravide
possono infettare il feto. Ci si puó infettare con una trasfusione da un soggetto
con lue latente anche da molti anni.
Sifilide terziaria:
Si sviluppa in un terzo dei pazienti con lue latente. Si hanno manifestazioni
neurologiche, cardiovascolari, oculari e gomme.
Sifilide congenita:
La trasmissione madre-figlio puó avvenire in qualsiasi momento della
gravidanza. L´infezione materna puó dare aborto, nascita di feti nati prematuri o
lue congenita non letale. Lue congenita:1) manifestazioni precoci (primi 2 anni
di vita) che ricordano la lue secondaria, sono contagiose
2) manifestazioni tardive (>2 anni) non sono contagiose
3) stimmate residue da lue congenita
Il segno di lue congenita piú comune é la RINITE (solo catarrale), poi si fanno
lesioni mucocutanee: bolle, vescicole, petecchie, condilomi.
Le manifestazioni precoci piú comuni sono: Alterazioni ossee
Epatosplenomegalia
Anemia
Ittero
Leucocitosi / trombocitopenia
Le stimmate comprendono: I denti di Hutchinson: incisive mediali superiori
con incisure centrali, molto spaziati e molari
“a mora”
Facies caratteristica: fronte bassa
Naso a sella
Mandibola ipoevoluta
Gambe a sciabola
Ragadi orali e nasali
ESAMI DI LABORATORIO
Esame microscopicoin campo oscuro della lesioni cutantee. Idendificare un solo
microorganismo é sufficente per la diagnosi.
Test sierologici: non treponemici
Treponemici
I test NON TREPONEMICI valutano gli AB IgG e IgM contro il complesso
antigenico cardiolipina-lectina-colesterolo. I piú utilizzati sono:
RPR o reagina plasmatica rapida
VDRL o test di flocculazione microscopica
I test TREPONEMICI sono: FTA-ABS
TP-PA
TP-HA (in...)
I test non treponemici non si positivizzano in ¼ dei pazienti con lue primaria.
Tutte le prove treponemiche e non treponemiche si positivizzano nella lue
secondaria. Una loro negativitá esclude la diagnosi di lue.
TERAPIA
La PENICILLINA G é il farmaco di scelta per tutti gli stadi della sifilide. Il
trattamento deve essere lungo.
Efficaci sono anche: tetracicline, eritromicina e cefalosporine.
INFEZIONI DA PROTOZOI
Toxoplasmosi
QUADRO CLINICO
Nel soggetto IMMUNOCOMPETENTE non gravido l’infezione da toxoplasma è
spesso asintomatica (la prevalenza degli anticorpi stimata nei soggetti sopra i 50
anni è del 10-67%), o altrimenti associata a una sindrome simil-influenzale o
simil-mononucleosi (con linfoadenopatia e talora splenomegalia) che si risolve in
1-2 settimana (salvo rare complicazioni come polmonite, miocardite, meningite,
sindrome di Guillian-Barrè caratterizzata da paralisi flaccida ascendente).
Amebiasi
EPIDEMIOLOGIA
Nei paesi occidentali, per 1 milione di portatori sani 1 soggetto sviluppa patologia
(i gruppi a rischio sono viaggiatori, omosessuali maschi e immunodepressi).
Nell’America Latina, il rapporto è di 1 a 300; in Africa e nel sud dell’Asia di 1 a 5
(per le condizioni di nutrizione? Per il maggiore carico infettante?). Nelle
comunità affollate dei paesi poveri ai tropici dunque l’amebiasi è un problema
rilevante, difatti l’infezione da e. hystolitica è la terza causa di morte per infezione
parassitaria (dopo malaria e schistosomiasi).
Leishmaniosi
Giardiasi
É una delle più comuni malattie parassitarie, diffusa in tutto il mondo (con
maggior prevalenza nei paesi più poveri), ed è causata da un protozoo chiamato
giarda lamblia che colonizza l’intestino tenue ed è responsabile di forme
epidemiche ed endemiche di diarrea.
L’infezione segue l’ingestione del protozoo in forma cistica (nella quale può
sopravvivere fino a 2 mesi in ambiente esterno, anche in presenza di cloro: la
giardia può essere eliminata dall’acqua tramite ebollizione e filtrazione), che
nell’intestino tenue rilascia TROFOZOITI FLAGELLATI che si moltiplicano per
riproduzione asessuata. L’infezione è trasmessa tramite cisti emesse con le feci.
PATOGENESI
I meccanismi con cui l’infezione da g. lamblia media la sintomatologia non sono
del tutto conosciuti; il protozoo aderisce all’epitelio ma non lo infiltra, nè causa
lesioni distruttive, né si diffonde per via ematogena. La sintomatologia da
malassorbimento è probabilmente legata alla perdita dell’orletto a spazzola; in
alcuni casi di giardiasi cronica i reperti istopatologici possono essere
sovrapponibili a quelli della sprue tropicale o della celiachia (cioè appiattimento
dei villi).
QUADRO CLINICO
L’infezione può essere asintomatica, o dare una sintomatologia acuta e
transitoria, ricorrente o cronica.
L’INFEZIONE ACUTA insorge dopo un’incubazione di 1 o 2 settimane e si
manifesta con diarrea
dolore intestinale
nausea e vomito.
Nelle FORME CRONICHE può prevalere il quadro di malassorbimento, con
diarrea
steatorrea
meteorismo
che può comportare malnutrizione e nel bambino un deficit della crescita.
La predisposizione a sviluppare un quadro clinico severo è legato all’età (sono
maggiormente colpiti i bambini), all’esposizione cronica in un ambiente in cui
l’infezione è endemica (che è protettiva), o a un difetto dell’immunità IgA-
mediata.
Malaria
EPIDEMIOLOGIA
La malaria è la più importante malattia parassitaria, che in 103 paesi colpisce più
di un miliardo di persone, causando 1-3 milioni di vittime ogni anno.
E’ stata eradicata da Russia, Nord America ed Europa ma è tuttora diffusa nella
maggior parte dei paesi dell’America Latina, dell’Africa e del sud dell’Asia. La sua
epidemiologia è complessa, per le differenze di incidenza anche tra piccole
regioni confinanti e per la scarsa disponibilità in molte aree di metodiche di
laboratorio adeguate.
Il più importante test di screening è difatti la VALUTAZIONE della
SPLENOMEGALIA INFANTILE (cioè nei soggetti tra 2 e 9 anni) che costituisce
l’INDICE SPLENICO, a seconda del quale si può parlare di
- ZONE IPOENDEMICHE in cui l’indice splenico è < 10%,
- ZONE MESOENDEMICHE (11%-50%)
- ZONE IPERENDEMICHE (50%-75%)
- ZONE OLOENDEMICHE (>75%)
PATOGENESI
É mediata dall’invasione degli eritrociti, nei quali i plasmodii consumano gli
enzimi e in particolar modo l’EMOGLOBINA, aggregando l’EME in EMOZOINA
(o pigmento malarico); inoltre la distruzione enzimatica altera le proprietà della
membrana, causando la formazione di protuberanze e l’esposizione di antigeni
che possono causare l’adesione all’endotelio delle venule e dei capillari e,
nell’infezione da p. falciparum, l’AGGREGAZIONE di ERITROCITI SANI e
INFETTATI.
Inoltre, mentre il p. malariae, il p. ovale e il p. vivax colpiscono preferenzialmente
i GLOBULI ROSSI GIOVANI e in genere non più del 2% degli eritrociti, il p.
falciparum invade senza discrimine di età e raggiunge livelli di parassitemia
anche molto elevati.
Per questi motivi, il P. FALCIPARUM è RESPONSABILE della MAGGIOR
PARTE dei CASI MORTALI di MALARIA.
L’ORGANISMO risponde aumentando le funzioni di clearance della MILZA (da
cui la splenomegalia), con aumento del turnover sia degli eritrociti malati che di
quelli sani. La febbre elevata (anche >40°C) tipica del quadro clinico inoltre può
danneggiare i trofozoiti. L’attivazione dell’immunità specifica ha un ruolo nel
controllare la malattia e, dopo l’eradicazione del parassita, può abbassare la
parassitemia ed evitare la malattia, ma non l’infezione, a seguito di una
successiva esposizione. L’immunità T-mediata è ovviamente poco protettiva
poiché gli eritrociti non espongono HLA.
SINTOMATOLOGIA
É aspecifica.. Il sintomo predominante è la FEBBRE ELEVATA,
INTERMITTENTE, ACCOMPAGNATA da DELIRIO e SEGUITA da BRIVIDI. I
tradizionali cicli (febbre terzana e quartana) sono dovuti al ciclo intraeritrocitario e
all’azione della febbre (che riduce la parassitemia) ma non sono di frequente
riscontro nei pazienti che ricevano un trattamento adeguato. Sono anche comuni
malessere
cefalea (anche importante, ma non
associata a rigidità nucale o ad altri
segni meningitici)
mialgia
nausea, vomito
ipotensione ortostatica.
L’E.O. è negativo, eccezion fatta per l’eventuale splenomegalia.
Sono caratteristici della MALARIA da P. FALCIPARUM quadri clinici più severi.
Se ben trattata quest’ultima ha una mortalità modesta (circa dello 0,1 %), ma la
mortalità sale notevolmente se un intervento inadeguato o tardivo permette alla
parassitemia di salire sopra il 3% o se sono coinvolti organi vitali.
COMPLICANZE
Le più importanti COMPLICANZE ACUTE sono
- la MALARIA CEREBRALE è un’encefalopatia diffusa e simmetrica dovuta
all’alterazione del microcircolo cerebrale nel quale gli eritrociti alterati
possono venir sequestrati sfuggendo al filtro splenico e permettendo la
proliferazione del parassita. Ha una mortalità approssimativamente del
20% e può manifestarsi con ipertensione endocranica, convulsioni e coma
fino all’exitus. Nel bambino può causare reliquati neurologici.
- l’IPOGLICEMIA è un’importante e comune complicazione della malaria da
falciparum che può aggravare il quadro neurologico ed è data
dall’alterazione del metabolismo a livello epatico e in misura minore dal
parassita stesso. In aggiunta, alcuni farmaci antimalarici stimolano la
secrezione di insulina.
- l’EDEMA POLMONARE ACUTO in corso di malaria ha un’elevata
mortalità e una patogenesi non ancora chiarita.
- l’IRA è comune negli adulti ed è dovuta a massiva emolisi (che supera la
disponibilità di aptoglobulina); si esprime come emoglobinuria con urina
scura (a causa dell’acidosi dovuta all’IRA stessa e all’ipoglicemia) detta
per questo motivo “black-water fever”.
Possibili COMPLICANZE CRONICHE sono l’IPERSPLENISMO (che può
causare un difetto della coagulazione) e la GLOMERULONEFRITE.
DIAGNOSI
Si basa sull’identificazione del plasmodium al microscopio su uno striscio di
sangue. I trofozoiti maturi mostrano differenze morfologiche tra le specie di
plasmodii che comunque possono essere distinte con l’uso di test basati su
anticorpi.
TERAPIA
La terapia della malaria si avvale di diversi farmaci. Il prototipo è il CHININO che
non è però efficace verso le forme intraepatiche (come per p. vivax e p. ovale), e
pertanto dev’essere associato a PRIMACHINA, che però può causare gravi crisi
emolitiche nei soggetti con deficit di G6PD. La CLOROCHINA è il farmaco di
prima scelta ma molti ceppi hanno sviluppato multiresistenze; in alcuni paesi si
stanno diffondendo farmaci di progettazione cinese derivati dalla artemisinina.
INFEZIONI DA ELMINTI
Platelminti
Cestodi
Dei cestodi fanno parte alcuni organismi in cui l’uomo è l’OSPITE DEFINITIVO,
tra cui: Taenia saginata (che ha come intermedio il bovino)
Tena solium (il cui intermedio è il suino, ma che può infestare
l’uomo come ospite intermedio o definitivo)
Diphyllobotrhium (che infesta pesci come intermedi) e altri.
QUADRO CLINICO
La TENIASI è spesso CLINICAMENTE SILENTE. E’ possibile riscontrare
modifiche nell’appetito (in senso di aumentata fame ma anche anoressia)
nausea
lieve dolore o sensazione sgradevole all’addome
calo ponderale
ma spesso l’infestazione dà segno di sé quando il paziente nota le proglottidi
nelle feci; il riconoscimento di queste è anche l’unico criterio per la DIAGNOSI.
Trematodi
Fanno parte gli schistosomi. L’infestazione da parte di questi organismi ha, al
contrario delle teniasi intestinali, una rilevante MORBIDITA’ e MORTALITA’. Gli
schistosomi depongono le uova in acqua dove si liberano larve grandi circa 2
mm che colonizzano piccoli molluschi come ospite intermedio e sono in grado di
infestare l’uomo attaccandosi alla cute con una ventosa e penetrandola grazie
alla produzione di enzimi litici. Entrate in circolo, possono maturare
- nel sistema portale (come fanno lo schistosoma japonicum e lo
schistosoma mansoni), penetrando nell’intestino e liberando le uova con
le feci
- nel plesso venoso vescicale (come fa lo s. haematobium) liberando le
uova con l’urina.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
possono essere distinte in:
- SINTOMATOLOGIA ACUTA costituita dalla dermatite pruriginosa a livello
della sede di penetrazione, e occasionalmente dalla FEBBRE di
KATAYAMA (2 settimane o più di febbre con cefalea, orticaria, diarrea
caratterizzata dall’EOSINOFILIA) dovuta alla risposta immunitaria agli
antigeni liberati; nell’infestazione da s. haematobium ci potrà essere
ematuria.
- SINTOMATOLOGIA CRONICA dovuta fondamentalmente alla
insediazione di uova nei tessuti e alla risposta immunitaria di tipo
GRANULOMATOSO nei confronti di queste ultime. Tra le possibili
conseguenze
IPERTENSIONE PORTALE per FIBROSI PERIPORTALE (con
varici esofagee ed ombelicali, emorroidi, più
raramente ascite in assenza di insufficienza
epatica)
IPERTENSIONE POLMONARE per l’embolizzazione di uova
LESIONI INFIAMMATORIE e FIBROTICHE a livello
intestinale (con perdita di funzione peristaltica,
subocclusione o diarrea ematica); è anche
possibile l’insorgenza di di un’anemia
emolitica.
Nell’infestazione da s. haematobium potrà esserci CISTITE (con
alguria) o anche fibrosi e calcificazione
vescicale con RIDOTTA COMPLIANCE (e
conseguente pollachiura), o anche calcificazione
dell’uretere che potrà portare a
IDRONEFROSI e IRA. L’infestazione è inoltre associata ad
aumento del rischio di carcinoma vescicale.
DIAGNOSI
Può essere suggerita dall’eosinofilia riscontrata all’emocromo, dagli indici di
emolisi (LDH, bilirubinemia indiretta) e confermata dalla presenza di uova nelle
feci o nell’urine.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
Non può essere topico intestinale (nel caso di s. japonicum o mansoni) come ad
esempio per le teniasi ma deve essere sistemico.
Nematodi
Sono organismi meno primitivi dei platelminti, e sono dotati di differenziazione
sessuale, di un organo buccale e di un apparato digerente. Possono essere
distinti in nematodi tissutali e intestinali.
Ossiuri
Sono nematodi intestinali. Sono dei vermi simmetrici il cui maschio è lungo 2,5
mm e la femmina fino a 12 m. E’ un’infestazione molto diffusa (si stima che ne
siano colpiti 1 miliardo di persone nel mondo) che prevale durante l’infanzia e nei
paesi poveri ma non è assente nelle fasce agiate; si trasmette per via orofecale.
Gli ossiuri si sviluppano nell’intestino, da cui le femmine (durante la notte)
fuoriescono per depositare le uova in ZONA PERIANALE e morire; in questo
modo le uova sono poi liberate con le feci (sono in grado di sopravvivere anche 2
settimane in ambiente liquido).
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Sono legate all’infiammazione intestinale (in uno spettro che oscilla tra semplice
diarrea e sintomatologia pseudoappendicolare), al forte prurito perianale (che
può spingere il paziente a grattarsi e dunque a reinfettarsi portandosi le mani alla
bocca) e alla possibilità nella donna di vulvovaginiti.
DIAGNOSI
É semplicemente ottenibile grazie a un TAMPONE PERIANALE.
TERAPIA FARMACOLOGICA
Dev’essere profilattica e dunque coinvolgere tutti i possibili affetti quando
l’infestazione è comunitaria; inoltre è un’importante strumento di prevenzione la
pulizia delle mani e della biancheria.
Ascaridi
Sono nematodi, diffusi in particolar modo nelle zone tropicali e quasi
esclusivamente nelle fasce indigenti. In Brasile sono la prima causa di occlusione
intestinale tra i bambini. Si trasmettono anch’essi per via orofecale, tipicamente
con l’assunzione di verdura contaminata (ad esempio tramite la concimazione).
Le uove sono fecondate nel lume intestinale e liberate con le feci, al cui interno
cominciano a mutare diventando infestanti. Una volta inghiottite, infestano
l’ospite seguendo un percorso complesso, nel corso del quale mutano
gradualmente: dal TENUE vengono assorbiti nel FEGATO e giungono poi al
POLMONE (dove possono dare una sintomatologia respiratoria); risalgono
attraverso l’ALVEOLO e l’ALBERO BRONCHIALE al RETROBOCCA dove
vengono nuovamente inghiottite e giungono al DUODENO dove raggiungono la
maturazione.
QUADRO CLINICO
Causano un’infestazione MASSIVA e INVASIVA con SINTOMATOLOGIA
INTESTINALE: occlusione
possibile perforazione
ittero occlusivo
pancreatite
SISTEMICA tramite l’azione SPOLIATRICE che si esplica specialmente
nei bambini; per la sottrazione di nutrimento questi ultimi
possono andare anche incontro a un ritardo della crescita.
DIAGNOSI
Si effettua con il ritrovamento delle uova nelle feci.