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Dalla prefazione di Domenico Capellina alla sua traduzione alle commedie di Aristofane (Commedie di Aristofane tradotte dal professore

Domenico Capellina, Volume 1, Commedie Politiche, Torino, 1852), p. LVIII: "A conseguire un tale scopo non ho creduto conveniente il seguitare l'usanza di alcuni traduttori, i quali abbattendosi nell'autore, che volgarizzano, in cose,- che o loro paiono sconce o non pi concordanti coi moderni costumi, o le tolgono affatto o le mutano in altre che loro sembrano pi convenienti. Questo non tradurre un'opera, ma travestirla, e mi fa ricordare di coloro che coprirono con panni le meravigliose figure di Michelangiolo, e gittarono una veste sulla nudit delle statue greche, togliendo cos agli occhi de'riguardanti la vista non solo delle parti loro troppo liberamente rappresentate, ma ancor quella della loro divina bellezza. Io concedo benissimo, anzi credo necessario, che ove si tratti di porre nelle mani dei giovani un libro, convenga usare di tutte le possibili cautele; ma che si debba portare lo scrupolo fino a raffazzonare e rimpastare i capolavori dei classici antichi, a scapito della vera e profonda intelligenza di loro e de' tempi in cui sono vissuti, nol creder mai e il terr sempre pi un'ubba da bacchettoni, che opera di sana filosofia. E meno ancora mi piace il rimedio che alcuni usano, di mutare a posta loro le parole del testo, e porre a pi di pagina in una nota la traduzione letterale in latino, o in altro qualunque sermone, il che fa s che l'occhio del leggitore subito corra alla nota, e, se veleno vi , lo beva pi facilmente e con pi suo danno, cos separato dal resto e in modo da fermare maggiormente la sua attenzione. A non lasciar legger dunque ai giovanetti i libri che loro non si confanno, badino coloro cui incombe un somigliante dovere; che ad ottenerlo altrimenti, ov'essi nol facciano, sarebbe d'uopo dannare alle fiamme gran parte degli antichi e moderni scrittori; e nello stesso tempo coloro, i quali cercano nelle opere de'classici la sembianza dei tempi antichi, non l'abbiano innanzi smozzicata e corrotta. Nessuno obbligato a volgarizzare pi questo che quello degli antichi scrittori, come nessuno tenuto a leggerli. Chi il fa liberamente, il faccia in modo da conservare la fisonomia loro propria, e da ottenere quello scopo che in ci si propone. Non voglio gi dire con questo, che nel voltare in moderno linguaggio le sconcezze degli antichi si debba lasciar affatto libero il freno e andar a caccia dei modi pi da trivio e vergognosi che questo linguaggio possegga. Si scelga pure tra i termini quello che pi degli altri tollerabile ad orecchie d'uomo educato e gentile, ma tale che non muti il concetto, n faccia dire all'autore cosa diversa da quanto ei disse veramente, n, quel che peggio, venga a guastare l'effetto intiero dell'opera sua, e a falsare il giudizio storico e morale de'tempi, che da lui trarre si vuole. Che se io credo che il leggere Aristofane quale egli veramente non sia per recare danno alcuno ad uomini fatti e capaci di sceverare il buono dal tristo, e specialmente a coloro che, avvezzi agli studi classici, trovarono spesso molto maggiore libert in scrittori non pagani, come lui, ma cristiani, quali sono il Boccaccio, i Novellieri e specialmente gli scrittori comici del cinquecento, sono per di parere che chi volesse tener dietro alle orme di lui e dar vita sui nostri teatri alla commedia politica, dovrebbe seguire altra via per rappresentare convenientemente i costumi e la civile conversazione dell' et nostra, come egli rappresentava quella de'tempi suoi. La quale introduzione della commedia politica verrebbe certamente opportuna oggid, che questa parte d'Italia gode di una libera vita, e le sorti del nostro nazionale teatro hanno cos d'uopo di essere rialzate dal loro grave abbattimento. N ella potrebbe avere miglior fondamento che nello studio dell' Ateniese poeta, le cui pitture hanno tanti riscontri con quel che abbiamo sott'occhi oggid, nello stesso modo che alla commedia rappresentatrice della vita privata servirono di base gli esemplari di Menandro, di Plauto e di Terenzio".

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