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Stefano G.

Azzar

Politica, progetto, piano


Livio Sichirollo e Giancarlo De Carlo a Urbino 1963/1990

prefazione di Stefano Pivato

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In copertina: .....

afnit elettive

di Stefano Pivato

Prefazione

Da tempo Urbino non era stata pi oggetto di uno studio cos attento ed appassionato. La riessione di Stefano G. Azzar il risultato di una ricerca ampia ed accurata, di una ricognizione precisa e concreta. Certamente non tutte le sue osservazioni appariranno al lettore condivisibili: il destino di ogni lavoro condotto sul lo della passione civile e che, soprattutto sulla Urbino di oggi, appare percorso da un pessimismo di fondo. Il tessuto urbano della citt ducale ha subito una radicale trasformazione, leconomia, la vita sociale sono cambiate in modo sostanziale. Perno la personalit storica dellurbinate mutata. Tutto ci, tuttavia, le etto, con luci e ombre, di un indubbio processo di modernizzazione, che ha evitato alla citt di ricadere nella ricorrente tentazione di separatezza e di isolamento, in un ripiegamento nostalgico, inconcludente e recriminatorio. Il saggio di Azzar approfondisce con spirito critico tutte le controverse vicende urbanistiche del territorio urbinate e assume come asse della sua ricerca lo scarto tra la positiva concretezza dei due Piani regolatori generali della citt, elaborati da De Carlo, e le di colt e le incertezze della loro attuazione. Occorre per precisare che non sempre la realizzazione parziale dei progetti previsti dipende da una scarsa consapevolezza e da un facile pragmatismo del personale politico-amministrativo. Il percorso accidentato del primo strumento urbanistico proposto da De Carlo lo sta a dimostrare.
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Il primo PRG (1958\1964) apre una stagione politico-culturale straordinaria per la citt. Il Piano si inserisce, come un contributo importante, nell ampio dibattito che si apre in Italia sul futuro dei centri storici (per la prima volta la cultura urbanistica del paese si pone il problema di conservarli e di farli continuare a vivere). Nello stesso tempo grazie al progetto di De Carlo pu prendere forma una campagna nazionale, che vede la partecipazione dei maggiori intellettuali italiani, per la difesa e la salvezza di Urbino, la cui cinta muraria era pericolante e crollata in alcuni punti. Risultato concreto di tale allarme sar la presentazione e approvazione di una Legge speciale per Urbino (maggio 1965-70) che prevedeva provvedimenti per la tutela del carattere artistico e storico della citt e per le opere di risanamento igienico e di interesse turistico (stessa legge per Venezia, Siena ed Assisi). Questa vasta iniziativa, unitamente alla campagna per la Valle dei Templi di Agrigento, porter alla cosiddetta Legge-Ponte del 1967, che imponeva la delimitazione dei centri storici, lobbligo per i comuni di dotarsi del PRG e dei piani particolareggiati per i centri storici. Ci sembra che Azzar condivida pienamente il progetto del primo Piano. Per la verit occorre dire che esso esprimeva la comune visione che i cittadini avevano della loro citt. In un primo tempo fu sostenuto da un consenso unanime. Le prese di posizione favorevoli di Carlo Bo, di numerosi docenti, di importanti letterati inuirono positivamente sullaccoglienza delle soluzioni urbanistiche. Poi, via via, le critiche divennero sempre pi insistenti e puntuali. Lo stesso architetto, inne, con una gesto di denitiva rottura, pose termine alla collaborazione con lAmministrazione comunale. Si pu dire, ora, che forse dal PRG ci si attendeva molto di pi di quello che realisticamente poteva dare. Lattivismo di De Carlo, linteresse nazionale suscitato, il coinvolgimento emotivo della popolazione (assemblee con centinaia di cittadini) avevano aperto la comunit ad una attesa di ripresa economica, di rinascimento sociale e civile. Venuto meno il genuino entusiasmo iniziale ci si accorse che molte scelte operate da De Carlo erano frutto di analisi non adeguate, che non avevano colto le dinamiche profonde delle trasformazioni che stavano avvenendo
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nella realt urbinate. Col senno di poi si pu a ermare che si trattava di errori di valutazione: il giudizio liquidatorio sulleconomia agricola; la sottovalutazione della vitalit delle frazioni e dei borghi rurali; la sducia nella capacit espansiva dei distretti industriali. Non ultimo la insistita limitazione degli insediamenti residenziali. Il Piano puntava tutto sullo sviluppo dellUniversit, del turismo e dellattivit culturale. Ci si avvide ben presto che la gestione del Piano riapriva vecchi conitti tra ceti urbani e ceti rurali e faceva saltare i precari equilibri politici e sociali faticosamente costruiti nel dopoguerra. Come ricorda la stampa locale, in una a ollatissima conferenza dellon. Luigi Berlinguer il progetto di De Carlo venne sottoposto ad una critica radicale e senza appello. Non certo una forzatura ricordare che emerse, sin da allora, il dubbio che la debolezza dello sviluppo complessivo futuro della citt e del suo territorio sarebbero dipesi non tanto dallincerta e contraddittoria attuazione del Piano, quanto dalla sua realizzazione. Anni dopo scriveva , con accento autocritico, lo stesso Livio Sichirollo, cui si deve in gran parte la losoa ispiratrice del Piano: Loperazione piano non fu facile. Mi domando oggi (ma alcuni, lo riconosco, se lo chiedevano gi alla ne degli anni Cinquanta) se quelle scelte furono giuste. Il rapporto del Comune con De Carlo si ristabil alla ne degli anni Ottanta, quando come doveroso riconoscimento della sua signicativa attivit di architetto gli fu conferita la cittadinanza onoraria. Negli stessi anni gli fu a dato lincarico di redigere il nuovo PRG della citt (1989-1994). Azzar coglie bene le di erenze tra gli anni eroici ed entusiasmanti del primo piano e quelli del secondo. De Carlo, ora, ha un tono minore, riservato, prudente, non chiede pi il confronto, il colloquio diretto e franco con le a ollate e rumorose assemblee cittadine. Lo scarto tra il suo iniziale progetto (1958-64) e la realt su cui ora deve intervenire genera in lui un senso di fatalit e di rassegnazione. In questa fase sembra che De Carlo con il nuovo strumento urbanistico sia pi disponibile a prestare attenzione alle richieste di maggiore concretezza, alle domande tese a denire un pi pragmatico rapporto fra lo sviluppo edilizio e le istanze di tutela del
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patrimonio storico ed ambientale. In sostanza, lidea base da cui nasce il progetto PRG quella di contenere la crescita, avviata negli anni 60, della citt a ridosso del centro storico con aree vincolate a verde e con un Parco tecnologico e scientico connesso con i parchi territoriali. In questa prospettiva di revisione di precedenti convinzioni sono individuate con pi larghezza le aree di insediamento residenziale, con maggiore precisione e determinazione le zone di espansione della piccola e media industria. Viene riconsiderata la potenzialit dellagricoltura attraverso la valorizzazione dei nuclei rurali e la creazione dei Parchi territoriali. Un punto centrale del piano riguarda lo stato dellUniversit e il suo ruolo allinterno del centro urbano. una riessione complessa e a volte contraddittoria che mira ad un e ettivo ridimensionamento dellAteneo per puntare su di un suo sviluppo qualitativo. Allora le perplessit, lo scetticismo nei confronti di questa ipotesi furono molto pronunciate. Ai pi risult priva di coerenza, e velleitaria rispetto alla situazione di fatto. Oggi ogni discorso pi complicato e di cile, e sicuramente, con urgenza, andr ripreso ed approfondito in altra sede.

1. Lidea di pianicazione e la sua crisi

Progetti vecchi e nuovi Primavera del 2007: la Giunta comunale di Urbino annuncia con enfasi alla stampa e alla cittadinanza che sono ormai pronti i progetti esecutivi per una serie di importanti opere pubbliche. Si tratta del parcheggio di Porta Santa Lucia modicatosi per ragioni di sostenibilit nanziaria nelle ripetute revisioni del progetto sino a diventare un piccolo centro commerciale e di due altri insediamenti ibridi, in parte commerciali e in parte di servizi, da realizzare nellarea del Consorzio e presso lex Fornace Volponi (entrambi i siti sono collocati poco al di sotto delle mura storiche). Sono interventi che, prevedibilmente, modicheranno in profondit una parte della citt e delle sue dinamiche di funzionamento socioeconomiche, con lobiettivo dichiarato di rivitalizzare uneconomia cittadina complessivamente stagnante e di o rire nuovi servizi ai cittadini. Due opere di importanza strategica, dunque, che la Giunta presenta come lavvio di un ambizioso rilancio complessivo della citt ma le cui conseguenze pratiche sono in realt di cilmente prevedibili. Che impatto avr sul gi asttico commercio che si svolge entro le mura, ad esempio, la costruzione alle porte della citt di un complesso di negozi per una supercie pari a circa la met di quella attualmente destinata al commercio, con laggiunta di circa 4.000 metri quadrati1?
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Cipollini, 2007.
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compatibile questo insediamento con lidea di organizzare e valorizzare un centro commerciale naturale qualitativamente orientato? Perch progettare un parcheggio per risolvere i problemi di tra co attorno alle mura per poi trasformarlo in un centro commerciale che inevitabilmente generer tra co aggiuntivo? Finanziare gran parte degli ingenti costi di questopera (circa 22 milioni di euro sar il costo complessivo) con i proventi dei parcheggi a pagamento, inoltre, non signica dover incentivare i ussi di tra co e sperare che a Urbino arrivino ancora pi macchine, rinunciando per sempre a pensare un modello di mobilit diverso e meno invasivo? Che dire poi della dismissione a privati di unarea pubblica collocata in una posizione strategica di grande valore come quella del Consorzio per la realizzazione di esercizi anche commerciali? Non era il caso di pensare in quella zona ad un intervento diverso che consentisse di ridisegnare le funzioni amministrative della citt, decentrando ad esempio una serie di u ci pubblici e liberando parte del centro storico per altre funzioni? E come si inserir, inne, il progetto di ristrutturazione in chiave commerciale dellex Fornace Volponi, con annesso parcheggio scoperto, in un paesaggio tra i pi delicati e fragili del nostro Paese? Sono solo alcuni e forse nemmeno i pi inquietanti dei molti interrogativi che potrebbero essere sollevati a proposito di questi e di altri progetti in corso dopera a Urbino. Di questi interrogativi non c per traccia n sui giornali locali, n, soprattutto, nelle discussioni che in Giunta e in Consiglio Comunale hanno accompagnato il tormentato iter burocratico di questi onerosi programmi edilizi. In realt, nessun vero dibattito pubblico ha coinvolto la cittadinanza, che assiste indolente agli eventi, ormai completamente disabituata ad essere coinvolta nelle scelte di gestione del territorio. E nemmeno gli amministratori sembrano sorati da questi dubbi, che respingono invece con fastidio e irritazione nonostante nessuno studio di rilievo scientico garantisca ladeguatezza e le probabilit di successo di interventi cos massicci. Sono opere programmate gi da molti decenni, viene detto, gi ripetutamente annunciate in sin troppe campagne elettorali. Che i tempi siano cambiati e il modello di sviluppo cementocentrico sia stato abbondantemente superato in molte citt storiche del Centro Italia comparabili con Urbino, questione
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che nemmeno si pone. Che lo scheletro della bretella, unopera inutile e costosissima presentata a suo tempo come la soluzione dei problemi di tra co della citt, sia ancora l ad ammonire gli amministratori, un fatto che viene ignorato. I progetti sono stati a ssi entro i termini di legge presso lu cio tecnico poco prima dellarrivo del caldo di luglio e amen: nellautunno 2008, un anno dopo, si parte con i lavori. Facciamo adesso un piccolo salto indietro nel tempo. Negli anni Sessanta del Novecento come per tutto il decennio successivo, la citt di Urbino aveva saputo discutere in maniera intensa e appassionata dei problemi strutturali che ne stavano aggravando il declino e aveva saputo guardare in faccia le proprie in partenza tuttaltro che rosee prospettive di sviluppo. stata una riessione di grande respiro che ha segnato un momento particolarmente alto nella vita politica e amministrativa della citt, perch Urbino ha saputo interrogarsi non soltanto sulle piccole disfunzioni legate allordinaria amministrazione delle cose ma sul ruolo che un luogo come questo con le peculiarit che derivano dalla storia di cui questa citt erede avrebbe potuto svolgere in unepoca di grandi trasformazioni e modernizzazioni, utilizzando linnovazione e il cambiamento per uscire denitivamente dalla propria crisi. Ed stata una riessione, inoltre, che non ha impegnato soltanto i suoi uomini politici e i suoi amministratori, come se si trattasse semplicemente di adempiere ad unordinaria procedura burocratica, ma che ha saputo coinvolgere i suoi intellettuali, le associazioni che ne costellavano il tessuto sociale e persino lintera cittadinanza in un dibattito collettivo e partecipato di grande spessore civile. La politica, con ci, aveva saputo realizzare pienamente se stessa nella sua dimensione di visione strategica e aveva saputo incarnarsi in unazione progettuale di lungo periodo che aveva la prospettiva e laspirazione delluniversalit. Essa svolgeva cos unopera di reale direzione ed egemonia culturale, sollecitando una crescita generale della consapevolezza civile e politica di quella societ di cui si prendeva cura e realizzando nella pratica quella cosa complicata e di di cile denizione che ci ostiniamo a chiamare democrazia.

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Politica o amministrazione? Come dimostrano non soltanto le opere citate allinizio ma la generale frenesia edilizia che ha animato tutte le ultime amministrazioni urbinati, non si pu dire che nei decenni a noi pi vicini la vita politica cittadina abbia saputo mantenersi allaltezza di quel dibattito e di quella riessione. Bisogna ammettere, piuttosto, che per tutta una serie di ragioni che cercheremo di ricostruire in parte interne ed in parte esterne alla citt, in parte soggettive ed in parte oggettive la tensione morale e civile di quella stagione ormai lontana andata progressivamente deperendo e che gran parte di quella capacit di visione strategica stata perduta. Quale profonda perversione culturale, quale idea di spazio pubblico e di citt avrebbe consentito, altrimenti, anche solo di pensare ad un quartiere come la Piantata, collocato in tutta la sua oscenit di pastiche postmodernista non nella periferia semindustriale di una normale citt ma sulle colline a ridosso di Urbino? Non si tratta certamente di un fenomeno che riguardi soltanto la nostra citt. Come appare ormai evidente, la crisi della ragione politica novecentesca e delle istituzioni in cui questa aveva saputo oggettivarsi nel secondo dopoguerra il problema generale e drammatico di unintera epoca. Ad Urbino come in tutto il Paese ma non troppo diversa la situazione persino in molte tra le regioni pi avanzate dellEuropa occidentale, si potrebbe dire le dinamiche reali di sviluppo della societ contemporanea hanno fatto s che ogni sforzo di sintesi progettuale fosse gradualmente rovesciato dalle esigenze dellamministrazione dellesistente e ci che un tempo veniva inteso e promosso come una politica civilmente responsabile mutasse volto. Amministrazione signica svolgimento tecnicamente asettico di procedure standardizzate e neutrali, nella loro obiettivit, oppure dovrebbe essere qualcosa che ha a che fare con le capacit progettuali degli uomini? Progettualit sintesi, superamento in avanti delle contraddizioni nella dimensione di quelluniversale che tende al bene reso pubblico, al bene

Cfr. Harvey, 1993, p. 15 e sgg.


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reso comune. la sintesi, cio, che interviene in quella gigantesca e complessa collisione tra gli interessi organizzati dei grandi gruppi che costituiscono lintrico di ogni societ moderna, cercando di portare tra di essi una composizione che non sia rassegnato rispecchiamento dei rapporti di forza reali, mera adesione al dato di natura. Certo, a nch sia realmente tale, luniversale come insegnava Hegel non pu pretendere di annientare ogni particolarit ma deve saperla assumere e realizzarsi proprio attraverso ciascuna di esse; deve sciogliersi cio dalla propria iniziale astrattezza e farsi universale concreto. Ma quando in questo continuo scontro di interessi ogni equilibrio viene alterato dal prevalere sistematico di quella parte che gi di per s dominante, inevitabile che ogni progettualit deperisca. Quando la legge del pi forte ad aver risolto a priori le contraddizioni nella dimensione del particolare e quando questa dimensione si impossessata anche delloggettivit di quelle istituzioni che le facevano da freno, rendendole un proprio strumento di controllo e dominio sulle risorse materiali e intellettuali di una comunit, nulla allora impedisce lo scatenamento degli interessi parziali e degli egoismi sociali. Ogni progettualit non pu che cedere di fronte alla strapotenza di quella spontaneit che vuole solo essere sciolta da ogni vincolo e non ammette altra legge se non quella della propria forza e capacit di a ermarsi da s. Per usare un linguaggio pi concretamente politico, si pu dire che nel corso del Novecento stata la spinta delle classi subalterne in ascesa, la loro strutturale solidariet con la costruzione di una democrazia realmente moderna e integrale, che infrangesse le rigide gerarchie di ceto della vecchia Italia, ad aver avuto bisogno di programmazione, di politica intesa come sintesi e piano di portata universale. Quando, per diverse ragioni, questa spinta cessata e le classi dominanti si sono e cacemente ristrutturate ria ermando la propria egemonia, queste hanno piegato la politica a mero servizio dei loro interessi spontanei e dunque ad amministrazione in apparenza tecnocratica e neutrale di ci che va semplicemente da s. Esiste ancora quella cosa che siamo abituati a intendere come democrazia moderna, oppure questa stata semplicemente una breve parentesi della storia degli uomini, un modello politico e sociale storicamente determinato che ha occupato la scena pubblica dalla ne della Seconda guerra mondiale
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alla ne del XX secolo ma che era destinato, come ogni fenomeno storico, a tramontare? un interrogativo troppo grande per i limiti dellintervento che qui ci proponiamo ma anche di questo, a guardar bene, che ci stiamo occupando. Non stiamo a rontando dunque una mera questione locale, che possa risolversi chiamando sbrigativamente in causa la maggiore o minore qualit soggettiva delle diverse generazioni di politici ed amministratori che si sono susseguiti nella nostra citt. Urbino vive nel mondo moderno e risente di conseguenza, anche nella sfera della politica, di quella tendenza di fondo che il tratto pi marcato della nostra epoca. Parlando di Urbino e delle linee direttrici che hanno segnato il prolo della sua vita pi recente, parliamo perci anche di tante altre citt, intendiamo sollevare una questione politica di portata generale. E per il problema di partenza rimane intatto perch con questa citt che oggi dobbiamo confrontarci e perch proprio per quella caduta di visione strategica per quella crisi e consunzione del quadro politico e della stessa nozione di democrazia questa oggi una citt che so re. Urbino e la sua universit: il pericolo della monocoltura Tutto in questa citt storia e cultura. Pur volendo sistematicamente evitare ogni retorica e in particolar modo lautocompiacimento di quella retorica localistica e antiquaria che sempre stata propria delle tendenze pi conservatrici non possibile cominciare un ragionamento su Urbino senza ribadire, una volta di pi, che vivere ed arrivare tra queste mura e questi palazzi signica vivere ed arrivare in un pezzo di storia e di storia dellarte italiana e mondiale. E tuttavia la consolazione nisce qua. Nonostante tutto il passato che grava su di noi, nonostante ogni mattone e ogni arco individui qui una pluralit di luoghi con una propria densit qualitativa, nonostante lincrostazione di mondi storici e vitali che occhieggia da ogni vicolo, Urbino rischia oggi di diventare una realt articiale, uno spazio geometrico senza attriti e senza qualit. Basta percorrerne le strade durante le festivit, ad esempio, quando luniversit chiusa e gli studenti hanno ormai abbandonato il centro storico, per abbracciare il vuoto che la so oca e cogliere con un solo sguardo latmosfera spettrale che si sta impossessando
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di essa. Urbino sta diventando oggi un non luogo deprivato di anima e di identit e i suoi monumenti appaiono soltanto come le pietre mute di uno scenario in cui si svolge una nzione ciclica e rituale. questo il problema cruciale che minaccia oggi, se non lesistenza, il senso stesso della nostra citt, la sua ragion dessere. Ed un problema che, una volta di pi, rimanda a quel nodo sempre irrisolto costituito dal rapporto tra la citt e il suo principale centro produttivo di ricchezza e di idee , la sua secolare universit. Fin troppo numerose sono le citt universitarie in Italia. Soprattutto negli ultimi ventanni, la riforma che ha avviato il processo di autonomizzazione degli atenei ha consentito una moltiplicazione molto spesso incontrollata, abnorme e ingiusticata delle sedi universitarie e dei distaccamenti. Ma gi prima della riforma il numero delle universit collocate in centri urbani di modeste dimensioni come Pisa o Venezia, Lucca o Siena , e dunque realt in qualche modo comparabili con la nostra, era notevole. Per il rilievo particolare che le universit hanno nella vita di queste piccole citt, anzi, si pu dire che la denizione di citt universitaria abbia un senso soltanto per loro. E per, mentre in tutte queste altre realt luniversit era ed rimasta soltanto una delle varie funzioni che la citt accoglie, una funzione che ingrana con le molteplici attivit che in essa si svolgono, facendo insieme a queste sistema, ad Urbino la situazione si presenta molto diversamente. Tutto qui ruota attorno alluniversit. Lintera vita della citt gravita attorno alle istituzioni accademiche e la quasi totalit del lavoro sociale complessivo che essa eroga coinvolta in qualche modo e a diversi livelli nel funzionamento delluniversit. Di fatto Urbino la sua universit. Essa non pi minimamente pensabile senza questa e la sua vita ne risulta condizionata, nel bene come nel male, in ogni suo aspetto. Se certamente, come stato detto in passato, era necessario che Urbino trovasse una sua vocazione specializzata a partire da un gruppo di funzioni dominanti, dobbiamo constatare che il modo in cui ci stato attuato ha fatto s che si perdesse gradualmente proprio ci che si andava cercando e cio un equilibrio tra le normali funzioni di tutte le citt3.

Benevolo, 1966, p. 231.


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Non un problema nuovo, ovviamente. Sin dallimmediato dopoguerra, questo stato il punto di snodo intorno al quale si delineato il destino della citt e anche il dibattito urbinate degli anni Sessanta, come vedremo, ne fa il proprio centro vitale. E per esso si presenta oggi in una maniera diversa ed inquietante rispetto al passato perch luniversit divenuta, da risorsa che era, anche un possibile e attuale fattore di crisi. Luniversit unorganizzazione sociale complessa e per questo deve essere una parte essenziale del territorio urbanizzato cui appartiene4, considerava Giancarlo De Carlo nel 1964. Pertanto, i rapporti tra Universit e Citt debbono essere di stretta integrazione e non deve esistere segregazione degli studenti rispetto alla citt come non deve esistere segregazione dei cittadini rispetto allUniversit. Al contrario, la trasmissione di energia culturale deve riettersi sullenergia urbana e viceversa, in modo che le due parti realmente appartengano a un tutto. A partire da un certo periodo, lo sviluppo esponenziale delluniversit, in relazione ad un concomitante andamento demograco e produttivo della citt che ha avuto numeri molto diversi, ha per assunto un ritmo talmente spropositato da mettere a repentaglio ogni equilibrio. Urbino ha vissuto una crescita perversamente diseguale e in questa perversione rischia oggi di naufragare e perdere se stessa. Lesplosione delluniversit di massa ha attratto un usso crescente di studenti che stato indirizzato verso una permanenza residenziale concentrata prevalentemente nel centro storico. Liniziale convivenza degli studenti con gli abitanti del centro fenomeno positivo, normale e caratteristico di tutte le citt universitarie si gradualmente trasformata, con ci, in qualcosa di molto diverso. Il processo di inurbamento della popolazione delle frazioni, che per via della crisi strutturale dellagricoltura si andava trasferendo dopo la guerra nei paesi limitro ma anche nel centro storico, ripopolandolo parzialmente, si ad un tratto completamente interrotto. In concomitanza con il sorgere delle nuove zone di espansione, anche coloro che gi risiedevano nel centro e che da tempo integravano il

De Carlo, 1964, p. 165.


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loro reddito ospitando gli studenti nelle proprie stesse case hanno cominciato ad abbandonare la citt per trasferirsi fuori dalle mura, riservando le loro abitazioni alluso a ttuario. Per accumulazione, la citt si ad un certo momento svuotata pressoch interamente dei propri abitanti per lasciare spazio agli studenti, il cui usso presto dilagato no ad inondare ogni casa e ogni stanza, ogni sottoscala e ogni bugigattolo. La possibilit stessa di trovare un equilibrio e un qualche tipo di compatibilit si a questo punto gravemente compromessa. La citt stata volontariamente lasciata in mano agli studenti e ha scelto di perdere se stessa. Che cosa pu mai rimanere di una citt i cui abitanti si deportano da s, che svuotano le proprie case per riempirle di estranei e che con esse intrattengono un rapporto soltanto al momento di riscuotere la tto e imbiancare le pareti? Rimangono, appunto, le case e i palazzi; che a scorno di tutta la storia che ne trasuda e della loro nobilt artistica sono di per s cose inerti, cose che non bastano a rendere viva una citt. Ecco, nonostante tutta la vita che a volte sembra tracimare da essa, Urbino assomiglia sempre pi a una citt morta perch questa vita si svolge quasi soltanto al livello di un ciclo di consumo che si ripete eternamente identico a se stesso e che, una volta esauritosi, non lascia alcuna traccia di s. il contenitore vuoto in cui si incrociano e si danno il posto innite vite intercambiabili che entrano ed escono dalle medesime case, riempiono le aule universitarie, sciamano da un locale commerciale allaltro, ma che rimangono inevitabilmente estranee al luogo in cui transitano. Esse non possono n vogliono interagire con la citt e questo non soltanto perch prima o poi la lasceranno ma perch, al di l del suo fantasma di pietra, questa citt ormai non c pi. Urbino rischia oggi di essere non gi una citt e nemmeno come pretenziosamente si vorrebbe una citt-campus, bens un enorme albergo a tema con vista sul Palazzo ducale, una sorta di curiosa depndance della riviera collocata in un luogo simbolico del Rinascimento italiano. Un ra nato hotel postmoderno dalle facciate in mattoncini che anno dopo anno accoglie il susseguirsi indi erente di sempre nuove generazioni di ospiti a tempo determinato. Questi usufruiscono dei servizi della ditta, studiano, dormono e consumano ma, soprattutto, liberano la camera dopo aver pagato il conto, per far posto a un numero indenito di altri uguali a loro.
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2. Urbino, la citt-campus e i suoi problemi di modernizzazione

Una citt piena di contraddizioni Migliaia di giovani arrivano ogni anno ad Urbino, attratti dalluniversit residenziale. Giovani che hanno unet compresa grossomodo tra i 18 e i 28 anni e che arrivano prevalentemente dalle Marche e dalle regioni del Sud Italia. Giovani che spesso provengono da piccole realt di paese e che sono, nella maggior parte dei casi, alla loro prima esperienza possibile di vita adulta e indipendente. Sostanzialmente fuori dal controllo genitoriale come di ogni altra forma di autorit, essi prendono in mano la propria vita, incontrano un mondo diverso dal proprio e imparano piano piano a gestirsi bene o male da s. Essi si mescolano e interagiscono, si amano e fanno amicizia, studiano, confrontano le proprie esperienze e si arricchiscono reciprocamente. un laboratorio sociologico unico e senza pari, Urbino, nel quale sarebbe possibile studiare le tendenze e gli orientamenti della realt giovanile in un ambiente pressoch puro. Ma un laboratorio appunto una realt articiale ed lesatto opposto di una citt, la quale, invece, vive e pulsa della crescita di relazioni che sedimentano e diventano storia. Nel corso degli anni, questa situazione articiale ha condensato un numero crescente di contraddizioni. Oggi esse sono divenute talmente laceranti da essere giunte molto vicine al limite della rottura. Tra la popolazione studentesca e gli urbinati si creato un rapporto dai tratti perversi. Tra le due comunit non esiste praticamente comunicazione.
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O meglio, non esiste comunicazione che non sia fondata quasi esclusivamente su un rapporto di servizio, utilit ed interesse. Gli urbinati che hanno lasciato le case del centro per trasferirsi nella zona nuova, oppure in campagna, quando attraversano le mura sembrano muoversi sperduti, come allingresso in una citt che non pi la loro e che non riconoscono. Una citt ben presidiata da altri che, per il loro esser di passaggio, saranno sempre e comunque percepiti come degli estranei. Degli alieni che si sono impossessati di una realt che un tempo aveva un legittimo proprietario e che quotidianamente la sporcano e la consumano, nelluso reiterato e poco accorto di chi non ha un legame di intimit e familiarit con le cose e con i luoghi. Nei confronti di questi invasori, molti urbinati hanno maturato un sentimento di astio e di sordo rancore, come di qualcuno che si sente ingiustamente espropriato di una cosa che gli appartiene da generazioni. unavversione che la vicinanza e la frequentazione non attenuano ma che si presenta ancor pi inacidita negli atteggiamenti di quei pochi abitanti che nel centro ancora risiedono e che devono quotidianamente fare i conti con le difcolt di una convivenza coatta. Il rumore degli schiamazzi la sera, le strade laterali imbrattate, il lastricato della piazza coperto di riuti Impossibile sostenere il confronto con un nemico spropositatamente pi numeroso e la cui energia vitale giovanile incontenibile. Ma sbagliano questi urbinati a credere di essere i soli a provare disagio. Se essi si sentono espropriati, bisogna allora chiarire che si sono espropriati da s e che questo sacricio ben remunerato, perch garantisce a molti di loro una cospicua rendita ssa al riparo delle tasse e un enorme mercato dal quale drenare risorse. Gli studenti, infatti, si sentono dal canto loro le vittime di un sistema organizzato di dissanguamento sistematico. Dal momento in cui mettono piede in citt, imparano in fretta che le principali relazioni con questo luogo saranno di natura freddamente economica. Le tasse delluniversit, anzitutto, i cui scaglioni riproducono la perversione del sistema scale italiano premiando gli evasori. I problemi dellalloggio, poi: bisogna trovare una stanza o almeno un posto letto e fare i conti con un mercato degli a tti che soprattutto sino ad alcuni anni fa aveva raggiunto prezzi vertiginosi e del
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tutto ingiusticati. Senza tener conto del fatto che, spesso, le condizioni igienico-sanitarie e di abitabilit degli immobili del centro storico sono fortemente carenti. Il costo della vita, inne, elevato anche per i generi di prima necessit come il pane mentre persino gli esercizi commerciali della stessa catena praticano entro le mura prezzi pi alti di quanto non facciano appena poco al di fuori.

Isolamento, oligopolio ed economia in nero La particolare condizione di isolamento di Urbino, caratterizzata da strutturali di colt di collegamento che frenano la mobilit e i trasporti, peggiora ulteriormente la situazione. Gi nel lontano 1966, una relazione dellamministrazione comunale denunciava: Si pi volte ripetuto che i fattori che hanno determinato [l]arresto economico del territorio del Comune di Urbino sono in massima parte da ricercarsi nei collegamenti e nella viabilit5. Lo stesso isolamento che un tempo bloccava lo sviluppo, ai giorni nostri favorisce oggettivamente la formazione, nel settore dei servizi della pi varia natura, di veri e propri oligopoli privati se non addirittura di monopoli. Esiste ad Urbino un vasto, potente e ramicato sistema oligopolistico che grava sulla citt come una cappa di piombo. Il centro storico, ad esempio, presidiato in pratica da un solo negozio di distribuzione alimentare, oltretutto di dimensioni tuttaltro che grandi. Inevitabilmente, esso determina i prezzi delle merci secondo logiche che hanno un riscontro soltanto parziale nella legge della domanda e dellofferta. Gli altri negozi di generi alimentari presenti, infatti, sono ancora pi piccoli e non sono in grado di condurre una concorrenza generalizzata e comparabile, potendo avvalersi di uno erta molto ristretta. Alcuni di essi si sono di conseguenza specializzati su uno erta qualitativamente superiore, puntando su un mercato diverso e su fasce di reddito pi elevate. Il tradizionale mercato del sabato mattina, ovviamente, pu soltanto in

Comune di Urbino, 1966, p. 250.


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senso limitato costituire unalternativa. Non a rontiamo qui il problema dei servizi commerciali di altro tipo, quali ad esempio i negozi di abbigliamento. Essi non si occupano infatti di generi che in questo contesto possano denirsi di prima necessit, dato che per via dei prezzi elevati la maggioranza della popolazione studentesca preferisce rifornirsi preventivamente nelle localit di provenienza. Parliamo invece del circuito di esercizi pubblici costituito da bar, pub e ristoranti. Per una serie di dinamiche che illustreremo pi sotto, i servizi di ristoro e intrattenimento hanno assunto un ruolo centrale nel sistema cittadino e non si capisce Urbino e il tipo di vita che in questa citt oggi si svolge senza tener conto di questo settore. Al riparo delle mura cittadine, che li salvaguardano da ogni rischio di ingresso di nuovi soggetti competitori, questi esercizi hanno realizzato una sorta di tacito accordo di cartello con il quale si spartiscono il mercato evitando ogni accenno di concorrenza. Si tratta di un accordo oggettivo e non necessariamente esplicito, perch il numero dei locali ridotto rispetto allampiezza del mercato e alla domanda e ettiva e dunque ogni possibilit di concorrenza sul piano economico in realt resa molto di cile gi a monte. In locali pubblici come i bar e i ristoranti ci ha conseguenze ovvie: prezzi mediamente alti e molto simili tra un locale e laltro; qualit del servizio e del prodotto mediamente bassa, con scarsa innovazione dello erta. Particolarmente grave la situazione dei pub, che servono il mercato pi ricco e cio quello notturno. Nella situazione oligopolistica che abbiamo descritto, gli introiti sono assicurati in misura su ciente per tutti e non c dunque alcun incentivo al miglioramento del servizio e alla di erenziazione dello erta. Ci sono pochi casi isolati in cui una precisa scelta di gestione o condizionamenti esterni dovuti alla posizione e alle dimensioni dellesercizio hanno determinato una specializzazione su un segmento di mercato pi denito. Tutti gli altri locali hanno fatto una scelta generalista e o rono a tutti le stesse cose e agli stessi alti prezzi. Al di l del fattore strettamente economico, questa povert culturale degli operatori, questa mancanza di reale spirito di iniziativa imprenditoriale a sconcertare. E poi la questione degli a tti. Tocchiamo con ci il problema fondamentale, a questo livello di analisi, della vita cittadina. Anche in
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questo caso, la limitatezza dello erta di fronte alle dimensioni notevoli della domanda, soprattutto negli anni precedenti, ha pregiudicato a priori il gioco economico e ha inquinato il mercato. Trattandosi di informazioni sensibili e di di cile reperibilit, non stato possibile al momento ottenere dagli u ci pubblici territoriali dati oggettivi circa la distribuzione della propriet immobiliare destinata ad uso a ttuario e la sua relativa concentrazione6. Si pu presumere, tuttavia, che esistano alcune grandi realt proprietarie di un numero considerevole di unit abitative e che a queste si a anchi, per, una propriet individuale o familiare piuttosto di usa, che opera con una, due o al massimo tre unit abitative. Ci fa della rendita a ttuaria una risorsa generalizzata alla quale larghe fasce della cittadinanza attingono, sebbene, ovviamente, la maggioranza ne sia esclusa. Anche in assenza di un cartello vero e proprio, si determinato per un oligopolio di fatto che soprattutto negli ultimi anni ha spinto i prezzi degli a tti vertiginosamente verso lalto. E un oligopolio, del resto, senzaltro tangibilmente presente nel caso delle agenzie immobiliari, alle quali in gran parte a data la gestione particolareggiata del mercato. Ci sono, ovviamente, di erenze dovute alle dimensioni, allubicazione e alle caratteristiche degli appartamenti e delle stanze ma comunque si pu dire che attualmente i prezzi si aggirino in media tra i 220 e i 380 euro al mese per una stanza singola e tra i 180 e i 240 per un posto letto in doppia7. Ribadiamo che si tratta qui di un problema fondamentale. Ma ci vero non soltanto per gli studenti, che come abbiamo detto sostengono lonere di spese nel pi dei casi ingiusticate, specie di fronte alle condizioni di certe unit abitative. vero soprattutto per la citt, che sotto il peso degli a tti rischia di crollare. La rendita a ttuaria ha raggiunto un livello spropositato nel contesto delleconomia cittadina, un livello

stato possibile, invece, e ettuare unanalisi delle tipologie catastali i cui risultati mostrano vistose anomalie e sono perci molto interessanti. Rinvio per questo problema alla ricerca della dott.ssa Valentina Bernacchioni riportata in appendice. 7 Mingarelli, 2008.
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che divenuto patologico. Essa o re certamente grandi opportunit di guadagno a fronte di un impegno minimo. Entro limiti siologici, senzaltro una risorsa positiva. Ma quando questi limiti sono superati, essa rimane procua soltanto nel breve periodo e nellottica degli interessi particolari. Sul lungo periodo e in una prospettiva generale degli interessi della citt, invece, diventa inevitabilmente nefasta. In primo luogo, la rendita induce le famiglie residenti ad abbandonare le abitazioni di propriet, privando la citt dei suoi abitanti e troncandone ogni continuit di vita. La sua natura speculativa e sregolata, indotta dalle condizioni oligopolistiche, impedisce il ricambio con nuovi cittadini perch nessuna famiglia normale pu sostenere il prezzo di un intero appartamento. Soprattutto, per, la rendita a ttuaria che prospera ovviamente in una situazione di ampia e impunita illegalit scale disincentiva lo sviluppo di ogni altra attivit e nisce per rendere le energie economiche cittadine statiche e parassitarie. Di conseguenza, lintera vita della citt che so re perch dove non c dinamismo nelleconomia, non c universit che tenga: la stessa circolazione delle idee langue e la vita culturale resa inerte, impoverendo le relazioni sociali. La rendita a ttuaria mette dunque a rischio la tenuta complessiva del sistema e quella minoranza di cittadini che ne gode tiene sotto scacco quella maggioranza che ne ottiene soltanto svantaggi. Una volont politica seria e responsabile, consapevole delle dinamiche di lungo periodo e intenzionata ad operare in una prospettiva universale, avrebbe perci il dovere di intervenire su di essa e di riportarla entro limiti compatibili.

Trasformazioni nella composizione sociale studentesca C un altro aspetto che necessario mettere in luce e che , in parte, una conseguenza dei fenomeni che abbiamo descritto. Si assistito negli ultimi anni a ci che appare come una trasformazione tendenziale nella composizione sociale della popolazione studentesca. Anche in questo caso, mancano ancora dati di riferimento oggettivi. Sembra per di poter dire che le caratteristiche negative del sistema economico citta26

dino abbiano nito per ripercuotersi sullutenza, condizionando in maniera molecolare e altrettanto negativamente i caratteri dei ussi degli studenti attratti dalla citt. Certamente esiste un pi generale problema di trasformazione della societ italiana e, al suo interno, delle identit e delle culture giovanili. E per lalto costo della vita ha inevitabilmente operato a Urbino nella direzione di una selezione verso lalto delle caratteristiche sociali degli studenti. Tra tasse universitarie, a tti, trasporti e generi di prima necessit, laurearsi a Urbino costa mediamente 25.581 euro (circa 5.116 euro allanno per cinque anni)8. Certamente anche a Roma o Bologna il costo della vita caro. E per in questi casi le universit presentano uno erta formativa pi ampia e qualicante mentre il pi esteso contesto cittadino o re una pluralit di alternative nella ricerca degli alloggi, nei consumi e nella fruizione dei servizi. Non tutte le famiglie, dunque, possono permettersi di mandare i propri gli ad Urbino ma soltanto quelle che possono a rontare un notevole investimento. Non un caso che negli ultimi anni sia progressivamente calata la percentuale di studenti proveniente da fuori regione. Chi sceglie di venire, evidentemente, pu permettersi di pagare gli a tti che lo erta impone e pu sostenere il costo della vita di questa citt. Costoro non hanno problemi insormontabili ad a rontare queste spese e sebbene obtorto collo niscono sistematicamente per accettarle senza e ettuare quasi mai quella pressione contrattuale che potrebbe portare ad un ridimensionamento degli eccessi. Di conseguenza, il sistema non viene mai messo in discussione. In presenza di una parte qualicata della domanda che asseconda passivamente i prezzi delloligopolio, anche quella parte che sarebbe anche disposta a contestarli si trova costretta a cedere. Il mercato, infatti, ancora abbastanza vasto di fronte allo erta da far s che siano sempre i prezzi a rimanere ssi o a crescere, mentre la domanda recalcitrante pu essere facilmente sostituita con una pi accondiscendente. La pressione individuale, che pure presente, ine cace e si manifesta soltanto nella forma sterile

Mingarelli, 2008.
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di un lamento generalizzato ma impotente. Ogni possibilit di pressione organizzata, invece, continuamente spezzata a monte dalla presenza di queste fratture di reddito e di opportunit. Progressivamente, dunque, la composizione sociale della domanda tende a spostarsi verso lalto mentre gli studenti delle classi meno abbienti, soprattutto quelli meridionali, niscono per scegliere le universit pi vicine a casa. Basta constatare il ritmo e il livello di consumo ludico-voluttuario di molti studenti, soprattutto nelle ore notturne, per capire come queste osservazioni, sebbene parziali, non siano lontane dal vero. Esiste dunque un preliminare e grave problema di discriminazione sociale e di selezione di classe, si potrebbe dire. E per le cose non niscono qua. Questa deformazione, infatti, incide negativamente sulla qualit della presenza studentesca e sulle forme di espressione ed interazione di cui essa capace. Lo studente che non ha eccessive di colt a pagare le tasse universitarie e che circondato da studenti nelle sue stesse condizioni, di cilmente si batter per una loro modulazione per fasce di reddito reali, semplicemente perch non percepisce dove stia il problema. Egli, dunque, con molta probabilit non entrer mai in conitto con le istituzioni, spingendole a migliorarsi, n incontrer mai studenti che hanno le stesse esigenze per discutere e confrontarsi con loro e non intraprender un processo di maturazione nei confronti delle questioni pubbliche. Chi non ha grandi problemi a pagare certi a tti, analogamente, con di colt si impegner in un conitto per la loro riduzione, con le necessit di organizzazione e coordinamento che ci comporta. Ecco allora che la selezione verso lalto, paradossalmente, non migliora la composizione sociale studentesca ma la dequalica. Essa attutisce ogni contraddizione e previene ogni forma di conitto organizzato ma in tal modo riduce anche ogni possibilit di crescita. Alla ne, essa impoverisce paurosamente anche la qualit dei processi di socializzazione e di espressione soggettiva. Le dinamiche di socializzazione niscono, infatti, per essere orientate prevalentemente verso il consumo. questo quanto intendevamo parlando della centralit dei servizi di ristoro e intrattenimento. Al di fuori dalle ore di lezione e di studio, cosa fanno, concretamente, gli studenti ad Urbino? Per gran parte di essi, non
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c dinamica di socializzazione che non passi attraverso il consumo. Socializzare signica, il pi delle volte, transitare da un luogo del consumo ad un altro ed esibire il consumo stesso no alleccesso. Nei grandi numeri, ogni altra forma di socializzazione ostacolata dalla mancanza di alternative da parte del sistema dei servizi ed ovviamente disincentivata per il consolidarsi di meccanismi imitativi e di riconoscimento sociale. Nulla pu essere pi lontano da noi di unintenzione moralistica: lo spettacolo del gioved sera urbinate, che attrae ormai i giovani persino dalla riviera romagnola, sarebbe segno di prorompente vitalit se si a ancasse ad altre manifestazioni di energia e ad altri entusiasmi. Essendo per paurosamente ne a se stesso ed eternamente identico a se stesso, esso nisce per risolversi in un rituale di alienazione collettiva nel quale labuso alcolico e le risse notturne sono solo gli ultimi e i meno gravi dei problemi. Possiamo allora integrare la nostra metafora. Oltre che ad un albergo, Urbino assomiglia oggi sempre pi ad un Paese dei balocchi, un enorme villaggio vacanze che rimane aperto per dieci mesi lanno. Un Kindergarten ovattato e sordo agli stimoli che sorgono dai problemi reali, un posto fuori dal mondo, nel quale prolungare dolcemente le lusinghe delladolescenza nch il reddito familiare lo consente. Si capisce, dunque, che la citt nel suo insieme so ra. Lelevata capacit di consumo di molti studenti non un alibi per lasciare che tutto rimanga com, perch nello status quo i cittadini sono i primi ad essere a disagio e a protestare. In ogni caso, no a che punto e per quanti anni ancora un simile sistema pu reggere senza scompensi in queste condizioni? La cosa pi facile, per molti, far nta di nulla, continuare a macerarsi e covare rancore, n quando arriva il momento di esplodere e di reclamare ad alta voce la repressione a difesa dellordine e del silenzio, della pulizia e del decoro della citt. Sbagliata sul piano politico, questa inutile Vandea securitaria per del tutto improbabile e illusoria. Le disfunzioni di cui ci si lamenta sono il prodotto inevitabile del funzionamento della citt ed impossibile godere dei vantaggi che certe dinamiche consentono senza doverne pagare in qualche modo il prezzo in termini di vivibilit. N pi saggio praticarla verso quelle minoranze di studenti che per stile di vita sono
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pi visibili e meno interessanti, dato che cercano di sottrarsi allesoso circuito u ciale del consumo praticando forme alternative. La verit che a rontare questo problema cruciale estremamente di cile per la citt, perch ci la obbligherebbe non soltanto a cambiare, partendo dalle proprie basi economiche, ma ancor prima a guardarsi allo specchio e riettere sulle proprie linee di sviluppo, in uno sforzo di autocoscienza al quale da tempo essa non pi abituata. E per questo sforzo va fatto, perch per a rontare i problemi dobbiamo anzitutto riconoscerli e comprenderne la genesi.

3. Il piano degli anni Sessanta

Siamo cos ricondotti al punto di partenza del nostro discorso su Urbino. A quel grande dibattito pubblico al culmine del quale una volont politica capace di visione strategica ha saputo delineare il progetto di sviluppo di questa citt. Questo progetto stato il grande piano regolatore generale degli anni Sessanta, che con il sostegno politico del sindaco Egidio Mascioli9 e la spinta intellettuale di Livio Sichirollo, losofo gi di grande fama e allepoca assessore allurbanistica, veniva elaborato dallarchitetto Giancarlo De Carlo e dai suoi collaboratori. Riettendo su quelle scelte, e su quelle che le hanno successivamente integrate, scopriremo ci che un tempo ha salvato Urbino ma anche ci che oggi non basta pi a garantirle un futuro. Una citt sullorlo del baratro La genesi di quel fermento di idee che approder alla realizzazione del piano il motore delle future vicende della nostra Citt10 da rintracciare nelluniversit. Al momento della presentazione del piano e ragionando sul suo signicato e sui suoi obiettivi, Livio Sichirollo le cui riessioni ci faranno qui da guida illustra con grande chiarezza il
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V. Mascioli, 1992, Id., 1998, Id., 2003 e soprattutto Id., 1984, p. 45-51 e 53-66. Mascioli, 1963, p. 13.
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ruolo propulsivo che luniversit ha svolto sin dallinizio di fronte ad una citt ancora priva di consapevolezza. La sua funzione decisiva nel far s che quel borgo abbandonato e addormentato che era in quegli anni Urbino si avviasse a diventare una realt politica, una citt11. Unica tra le universit libere ad essere sopravvissuta in Italia, luniversit di Urbino costretta, per continuare ad esistere, ad una drammatica presa di coscienza e a fare i conti con una situazione oggettiva fortemente critica. Per assicurarsi un futuro secondo un progetto autonomo, nel contesto di quegli anni luniversit non poteva che puntare sulla sua libert, ripensandola per radicalmente e facendone da bandiera della tradizione e anche dei privilegi di un certo clientelismo locale una reale forza attiva di modernizzazione. Furono messi in moto gli enti civici, provinciali, centrali, si provoc lintervento di istituti bancari, dunque, ma soprattutto si impose allAmministrazione comunale una ben determinata politica culturale e amministrativa. Luniversit Sichirollo lo riconosce sino in fondo era in quel momento la principale e forse unica forza viva della citt e seppe assumersi pienamente con Carlo Bo una responsabilit di indirizzo culturale ma anche di direzione reale. Essa gioc cos un ruolo chiave, a ermando in maniera permanente la sua centralit nel contesto cittadino. Una realt nuova era in via di formazione, dunque, e per lazione di rinnovamento delluniversit si collocava su un piano ancora prevalentemente culturale e sarebbe rimasta in antitesi con le componenti reali della situazione di fatto, non si sarebbe cio mai realizzata come una rinascita complessiva della citt che si ripercuotesse anche sul piano economico e sociale, se non fosse stata portata allesterno, oggettivata, imposta alla Citt. Se non fosse stata cio universalizzata dalla volont politica dei partiti, in primo luogo del Partito comunista che reggeva insieme ai socialisti lamministrazione di Urbino. Che non fosse a atto facile immaginare un progetto di sviluppo realistico lo dimostrano le di cilissime condizioni della citt in quegli anni:

Su una supercie di 22.000 ha circa viveva nel 1959 una popolazione di oltre 21.000 abitanti, oggi scesa a circa 15.000. Le solite cause: depressione economica, ricerca di nuove fonti di lavoro allestero o nel nord italiano, abbandono dei fondi agricoli (ed emigrazione dei contadini verso le terre di pianura). La popolazione mostra decisi segni di invecchiamento: dal 1911 al 1961 il gruppo oltre i sessantanni passato dal 1,87 % al 12,90 %. Lemigrazione sottrae ogni anno circa 1.300 unit Nei centri pi attivi, e soprattutto nel capoluogo, si trasferiscono gli elementi pi vecchi, meno attivi e intraprendenti. Ancora: la popolazione attiva solo il 43 % nel territorio, 33 % nel capoluogo, 51 % nelle frazioni. Nel capoluogo esistono pi funzioni: 36 % industria e artigianato, 19 % commercio e trasporti, 40 % amministrazione; fuori dal capoluogo loccupazione pi importante resta lagricoltura. Essa costituisce ancora la struttura base del territorio, ma si trova in condizioni di autentica arretratezza sociale ed economica: non specializzata, con prevalenza netta di colture a frumento in una situazione morfologica collinare, o re un reddito familiare medio di poco superiore alle 50.000 lire annue per ettaro coltivato Non si pu parlare di vera e propria industria, ma di attivit artigiano-familiari, riesso impallidito della situazione costiera: legno, mobili Si ristretta, invece, larea del commercio12.

Una situazione molto precaria, dunque, che linchiesta preparatoria del piano e ettuata dal progettista De Carlo non si vergognava di svelare senza edulcorazioni, con lucidit e realismo13. In questa indagine si confermava la secolare decadenza di una citt che in e etti, per Sichirollo, anche nei momenti pi luminosi della sua storia era stata caratterizzata da una costitutiva e inaggirabile separatezza. Persino la breve stagione federiciana, nel contesto del grande movimento del Rinascimento italiano, aveva costituito unestraneazione14, sebbene felice, e cio unalienazione totale, autoreferenziale e chiusa in se stessa, sintetizzata nellastrazione di un palazzo che emanava unimmagine di morte e non divenne giammai una citt, essendo privo di ri-

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Sichirollo, 1961, pp. 12-3.


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Sichirollo, 1967-69, pp. 29-30. Cfr. De Carlo, 1966, p. 9 sgg. 14 Sichirollo, 1961, pp. 8-10.
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ferimenti solidi in una vera classe dirigente, in una borghesia ricca, consapevole e capace di determinare una situazione dinamica. Una particolarit chiusa, perci, senza svolgimento dialettico, e quindi inadatta a rappresentare e tramandare, come invece avevano saputo fare altre citt italiane ed europee, unautentica forma di vita spirituale. Non parliamo poi dei periodi successivi, quando lincapacit di assumere senso storico di questa realt sostanzialmente orientale declina in una vicenda grigia, amara, di decadenza economica e ideologica, dando vita ad una lunga involuzione storica15. Per lungo tempo, la citt in mano a poche famiglie, asserragliate nel centro storico, dedite alle consuete professioni liberali16. Questi ceti dominanti sono anche proprietari terrieri assolutamente disinteressati, incuranti del patrimonio agricolo. La loro unica cura intellettuale la retorica della tradizione umanistica, formale, unestenuata rivendicazione dei valori puri della citt (ducale e borghese), che serve soltanto a poterne lamentare ed esaltare insieme lisolamento. Lisolamento della citt, mai combattuto e anzi gelosamente serbato, infatti la condizione di questa retorica ideologica: la citt ha un solo valore, il Palazzo Ducale, e il suo simbolo sono i torricini; la citt isolata, non possibile fare nulla, se non difendere quellunico valore. Quando, dopo la Liberazione, questo ceto parassitario verr nalmente deposto, nemmeno la nuova Repubblica aiuter Urbino: per ignoranza, incuria o calcolo politico siamo rimasti tagliati fuori anche dai vari piani nazionali di bonica e di industrializzazione del dopoguerra17. Nulla perci sembrava poter arrestare una decadenza economica sociale e politica18 che era progressiva e continua, se persino il processo di modernizzazione del Paese, con il ra orzamento delle grandi arterie viarie e la formazione dei grandi sistemi produttivi industriali aveva nito per determinare nella nostra realt profonde cadute negative. Oltretutto, questa situazione di crisi si rietteva ormai in maniera tangibile nello staDe Carlo, 1966, p. 15. Sichirollo, 1967-69, pp. 40-1. 17 Sichirollo, 1961, p. 12. 18 De Carlo, 1966, p. 15.
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to di abbandono della citt, le cui stesse strutture architettoniche a partire dalle mura cadevano letteralmente a pezzi giorno dopo giorno19.

O si cambia o si muore: la scelta strategica del piano Insomma, la sda per la nuova classe dirigente urbinate consisteva nel compito arduo di rompere una vita civica chiusa e senza comunicazione e di sfuggire con ci al fardello di uneconomia agricola altrettanto chiusa20. Si trattava, per essa, di dare un senso alla propria responsabilit politica e dunque di scegliere tra il calcolo, la suggestione o linteresse quotidiani (politici o amministrativi) e una specie di pianicazione. In un contesto sociologico di cile per quella forza politica (un contesto nel quale non cerano operai n masse spontaneamente consapevoli e gli stessi contadini, in maggioranza mezzadri, erano dominati dalla tendenza degli interessi particolari), il Partito comunista seppe sottrarsi alle tentazioni del calcolo politico-elettorale che suggeriva di assecondare le spinte particolaristiche. Pur con molte carenze e nellassenza di strumenti legislativi adeguati, seppe sconggere una destra, la Democrazia Cristiana, nienticata dalladerire alla situazione e seppe essere con ci vera avanguardia politico-intellettuale. Sfuggendo alla lusinga per cui ci che , va per questo conservato, seppe promuovere una coscienza oggettiva, totale, universale e imporre una trasformazione o addirittura la distruzione del fatto stesso, dando alla citt un nuovo corso e realizzando lunico progetto che, nelle condizioni date, poteva assomigliare ad una politica di tipo socialista. Una scelta di portata strategica, in anticipo rispetto a molte dinamiche politiche nazionali, di cui il piano fu la concretizzazione. Esso traduce al livello della scienza le scelte politiche e culturali compiute da una Amministrazione comunale e d inizio a una nuova dialettica dagli esiti imprevedibili.

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Cfr. AA.VV., 1964a e AA.VV., 1963-67. Sichirollo, 1961, pp. 11-8.


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Lurgenza del momento comportava necessariamente lindividuazione di un settore di sviluppo, una scelta radicale, decisiva, senza mezzi termini: citt o campagna, agricoltura o scuola-artigianato. Nelle condizioni date, per, questa scelta era politicamente obbligata: era di fatto la scelta tra una politica e la demagogia. Il piano si proponeva di salvare la citt (con particolare attenzione alla crisi del centro storico) avviando un processo di modernizzazione che stimolasse le sue forze reali, attivasse nuove dinamiche economiche e risolvesse la sua secolare separatezza, mettendola nalmente in comunicazione con il mondo. In questo senso, era inevitabile sollecitare una trasformazione strutturale della citt e il superamento del suo modello statico di sottosviluppo fondato sulleconomia contadina. Tra citt e campagna era operante una frattura netta: popolata in prevalenza da coloni, mezzadri e piccoli proprietari, la campagna non sa nulla della citt21 e reciprocamente lamministrazione si era disinteressata di essa. Allo stato attuale, constatava con amarezza Sichirollo, non possibile contare sulla rinascita o su una nuova organizzazione dellagricoltura22. La miseria delle campagne, la cui economia di mera sussistenza, aveva messo in luce De Carlo, radicata e irreparabile23. Si pu pensare certamente ad una ristrutturazione e a una programmazione comprensoriale dellagricoltura ma sempre nella consapevolezza del superamento denitivo della sua centralit e dellinevitabile e naturale restrizione del suo spazio. I contadini, annotava ancora De Carlo, hanno scoperto quanto la fatica del loro lavoro sia sproporzionata a quel che ne ricavano e non possono pi tollerare la miseria dei redditi, la segregazione e il controllo sociale, la limitazione di scelte, il vuoto culturale, i servizi insu cienti, le abitazioni malsane, che caratterizzano la vita in campagna24. Essi abbandonano perci le campagne e, non trovando alternative di lavoro,

sono costretti a emigrare. Di conseguenza, non neppure possibile contare sulla ripopolazione delle frazioni25, i cui abitanti lasciano i campi per trasferirsi verso la pianura, dedicandosi a nuove attivit. Tranne che per quelle realt in cui gi sorta una diversicazione economica, come Cannavaccio, Trazanni, Schieti, Gadana, concludeva Sichirollo, le altre frazioni debbono essere molto realisticamente abbandonate al loro destino. La loro struttura economica era inattuale e insu ciente26 e quindi la gran parte di esse, ribadiva De Carlo, erano perdute27. Solo a partire da questo ridimensionamento e dal concomitante sviluppo di nuove dinamiche capaci di proiettarsi anche al di fuori delle mura urbane sarebbe stato possibile cominciare a porre il problema dellunit della citt e del territorio28 e anche della coscienza nelle popolazioni di questa unit, ricongiungendo citt e campagna. Non erano, ovviamente, problemi soltanto locali. Era piuttosto una dinamica di trasformazione che da tempo ormai aveva investito lItalia intera, inserendola con grave ritardo in quel processo generale di innovazione delle strutture economiche che in altri Paesi aveva gi messo capo alla costituzione della societ a uente e della produzione di massa contemporanea. Dalla ne della Seconda guerra mondiale, come noto, il processo di industrializzazione del Paese e in generale di edicazione di uneconomia di erenziata e complessa, propria di una societ avanzata, aveva ormai tagliato i ponti con il retaggio dellItalia rurale e patriarcale e chiuso con un intero mondo storico. Mentre per in altre realt questo processo aveva potuto contare sulla presenza di forze economico-sociali reali, attive ed alternative, nella nostra citt mancavano completamente le condizioni di uno sviluppo industriale minimamente realistico. A causa soprattutto del livello di infrastrutturazione viaria29, il processo di

Sichirollo, 1967-69, p. 42. 22 Ivi, p. 36. 23 De Carlo, 1966, p. 15. Cfr. Mascioli, 1967, pp. 180-1. 24 De Carlo, 1966, p. 20.
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Sichirollo, 1967-69, p. 36. Cfr. De Carlo, 1966, p. 109. De Carlo, 1963, p. 79. 27 De Carlo, 1966, p. 115. 28 Sichirollo, 1967-69, p. 42. 29 De Carlo, 1966, pp. 20-1.
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industrializzazione non aveva neppure sorato il territorio di Urbino e tutta lattrezzatura industriale era in quegli anni costituita da una fornace e due piccole fabbriche e da una diecina di imprese semiartigiane. La possibilit di uno sviluppo alternativo andava dunque pensata e pianicata secondo un modello peculiare che facesse leva sulle specicit locali e queste specicit erano chiare sin dallinizio. Le sole forze vive sulle quali il territorio e soprattutto il capoluogo possono contare30, constatava Sichirollo, sono il turismo, la scuola e la cultura. Insomma, Urbino citt indubbiamente terziaria, ma anche questa terziariet si presenta in maniera anomala perch non legata alle attivit di servizio alle imprese ma ha una sua dimensione specica: turismo e scuola intesa come scuola di alta cultura e principalmente come universit sembrano essere le sue vocazioni fondamentali. In particolare, lUniversit resta il polmone della citt sino al punto che, in e etti, il problema universitario riassume tutti gli altri quando venga impostato in modo globale. Di questa specica situazione oggettiva il piano doveva tener conto e doveva necessariamente proporsi la valorizzazione, rovesciando ci che di fatto costituiva una carenza e un problema in unoccasione di modernizzazione e facendo di questa vocazione settoriale il fondamento per innescare un processo di sviluppo generale. Esso, di conseguenza, fa dellUniversit il motore principale della conservazione attiva del centro storico ed elemento di cerniera fra il nucleo storico e la citt nuova, ed inne delleconomia del territorio. Il risanamento del centro si orientava perci risolutamente in vista di una citt residenziale di studi e di ricerca. La qualit dellambiente urbinate genera un forte potenziale di cultura che determina condizioni particolarmente favorevoli alle attivit universitarie e turistiche31, annotava De Carlo. Se le riserve di energia culturale venissero interamente liberate e utilizzate, concludeva, proprio queste attivit potrebbero ricostruire la base della struttura econo-

mica del territorio. Eccoci al passaggio decisivo, dunque. Constatata la grave situazione di fatto, questo piano, che non voleva essere mera razionalizzazione ma un piano di prospettiva e persino di negazione della situazione esistente32, valutava le possibilit reali e sceglieva un preciso modello di sviluppo. Non c dubbio, allora: proprio a questa altezza si sono poste le linee direttrici di quello che sarebbe stato lo svolgimento successivo della vita cittadina. con quellatto politico che si decideva di ancorare la vita della citt a quella dellunica realt che si mostrava in grado di fungere da centro propulsore, luniversit. Nato come atto ideale, intellettuale, di una lite di potere33, il piano divenne linizio della nostra storia, inserendosi nella dinamica delle forze reali operanti allinterno della collettivit. Da allora, esso ha continuato a guidare lorganizzazione e larticolazione della vita sociale di Urbino e le sue scelte si sono rivelate e sono tuttora decisive.

Sichirollo, 1967-69, pp. 30-1. 31 De Carlo, 1966, p. 22.


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Sichirollo, 1967-69, p. 40. Ivi, p. 26.


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4. La dialettica del piano: successo e rovesciamento

I meriti del piano Cosa dobbiamo dire, arrivati a questo punto? proprio in quel piano che va ricercata la genesi dellattuale situazione di crisi ed proprio in quella volont e capacit politica di programmare in prospettiva strategica che a partire dallidenticazione della vita della citt con quella delluniversit va rintracciata la responsabilit e la colpa del nostro disagio? Dobbiamo rovesciare tout court lammirazione e lelogio iniziale in unimpietosa resa dei conti che conduca ad unimputazione e ad una sentenza? Non questo il problema. Il piano lo a ermiamo ancora una volta fu unoperazione di avanguardia. Unoperazione di elevatissima portata intellettuale e grande valore scientico34 ma di altrettanto grande capacit politica. Esso faceva i conti con una situazione estremamente precaria che era ben diversa da quella attuale, perch era una situazione di sottosviluppo e di totale assenza di energie economiche ma anche civili. Nellalternativa tra il vecchio e il nuovo, esso si orient verso questultimo e lo fece giustamente, suscitando un larghissimo consenso, ricevendo riconoscimenti prestigiosi e diventando un esempio anche

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Benevolo, 1966, p. 228.


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per altre citt35. Nel contesto dellItalia degli anni Sessanta, il piano rappresentava un fatto unico36 e la capacit dellamministrazione di salvaguardare il patrimonio artistico-culturale di Urbino immettendolo nello sviluppo dei processi economici e sociali del nostro tempo fu e va giudicata esemplare. Attraverso una scelta di modernizzazione che fu corretta e necessaria, esso ha letteralmente salvato Urbino. In questo senso, esso non fall a atto. Al contrario, proprio perch il piano ha avuto successo che si sono potuti determinare, a nostro avviso, i problemi attuali. A quelli del sottosviluppo si sono sostituiti infatti problemi di un genere completamente diverso. Problemi legati non tanto allo sviluppo in quanto tale ma alle sue modalit speciche e, in certi casi, persino ad un eccesso di sviluppo non controllato e ormai superuo, inservibile e in via di deperimento. Problemi, in altre parole, di modernit o persino se questa parola avesse un senso di postmodernit. Anche in questo caso, non un discorso che riguardi soltanto Urbino. Ogni fase storica ha le sue specicit e i suoi problemi. LItalia del XXI secolo non lItalia degli anni Sessanta e di conseguenza le istanze che la volont politica deve saper accogliere e le soluzioni che deve saper progettare sono nuove e diverse. Certamente, chi volesse proporre oggi modelli di sviluppo analoghi a quelli di quegli anni dimostrerebbe di essere arrivato fuori tempo massimo. E per di cile immaginare che in quelle precise circostanze storiche si potesse progettare ma soprattutto praticare su scala di massa un indirizzo diverso. Al di l dei ragionamenti fumosi sulla decrescita, ci poniamo giustamente il problema, oggi, dei limiti dello sviluppo e dunque della necessit di immaginare e realizzare uno sviluppo di tipo nuovo. Uno sviluppo che sia orientato non pi quantitativamente ma qualitativamente, nel senso cio della sostenibilit e compatibilit con tutta una serie di fattori, umani, sociali e ambientali, che in passato sono stati

sacricati alle esigenze di accumulazione. Oggi, per, noi giudichiamo con il senno di poi e soprattutto giudichiamo a partire proprio da quella ricchezza, da quel benessere e da quelle opportunit che esattamente quel tipo di sviluppo, prevalentemente quantitativo, con un chiaro salto dialettico ci ha saputo assicurare. Ricchezza, benessere e opportunit alle quali nessuno di noi, del resto, si proporrebbe mai di rinunciare in senso assoluto. Sostanzialmente risolti ci che allora erano i bisogni primari della nostra societ, ci troviamo oggi di fronte a bisogni di tipo nuovo, che sono legati non pi allarretratezza e alla sussistenza ma alla qualit della vita. Bisogni che avvertiamo ormai come ugualmente primari e per in una maniera molto diversa da prima.

Nuovo benessere, nuovi bisogni, nuovi problemi Si assiste oggi per prendere ad esempio un fenomeno molto importante per il nostro territorio ad un rilancio del settore agricolo. Nei decenni alle nostre spalle, le sorti dellagricoltura sembravano per segnate e nessun futuro pareva prospettarsi per unattivit morente che veniva pressoch unanimemente considerata sinonimo di miseria e sottosviluppo. Intervenendo nel dibattito consiliare del dicembre 1963, un consigliere precisava: cercare di potenziare lagricoltura in Urbino un concetto che esprime un regresso. In Urbino lagricoltura non potr mai rappresentare altro che un regresso. Bisogna percorrere le campagne vedere le condizioni in cui vivono i contadini, i piccoli proprietari della campagna urbinate, per dire che se lagricoltura scomparisse dalla faccia di Urbino, sarebbe un fenomeno di civilt37. Nessuno pu negare che fosse cos, per le masse contadine dellItalia rurale e che dunque il settore primario dovesse inevitabilmente subire una trasformazione e un restringimento sostanziale. Come nessuno pu negare, poi, che le esigenze di costruzione della societ di massa imponessero la necessit, nello stesso lavoro agrico-

Cfr. AA.VV., 1964b, Mascioli, 1963, n. 2, pp. 14-5; Union Internationale des Architectes, 1967; Sichirollo, 1967c, p. 190. 36 Trinci, 1967, pp. 216-7.
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AA.VV., 1963, p. 48.


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lo, di un processo di industrializzazione, di economie di scala, di applicazione della scienza e della tecnologia. Questa prospettiva, commentava allepoca De Carlo, sebbene considerata disastrosa dalla maggior parte delle forze politiche38, costituiva in realt la sola ragionevole possibilit di salvezza di quel settore, perch la scelta si poneva ormai esclusivamente tra la ristrutturazione e la distruzione dellagricoltura. In realt, le trasformazioni che dovranno avvenire nellintero territorio comunale sono della stessa specie di quelle che dovranno avvenire nellintera nazione39 e saranno tali da modicare sostanzialmente la struttura dei fondi agricoli, conducendo a una situazione, che sia assai pi prossima allindustria di quanto non sia attualmente, con la conseguente diminuzione della popolazione agricola. Improvvisamente, questo settore ha cominciato a risollevarsi e a riconquistare la sua importanza, e per lo ha fatto entro certi limiti, a partire da un contesto totalmente diverso e su basi totalmente nuove rispetto al passato. Lattuale esplosione del fenomeno dellagricoltura di qualit praticata secondo standard biologici certicati, impensabile soltanto pochi anni addietro, un fatto di enorme rilevanza. Essa o re oggi grandi opportunit a quei territori in grado di cogliere questa tendenza e di attrezzarsi per utilizzarla adeguatamente. Opportunit di crescita della ricchezza ma anche di valorizzazione del territorio complessivo, a partire dalla creazione di sistemi comprensoriali integrati che inventino sinergie tra produzione, turismo e cultura. C nalmente la possibilit oggi e in modo particolare in un territorio come quello di Urbino di immaginare un modello di sviluppo nuovo e libero dal cemento, che ponga al suo centro il rispetto dellambiente e la cura della qualit della vita. E per, qui non abbiamo per nulla a che fare n con una sorta di ritorno alla terra e di ricongiungimento con il passato rurale, n con la presa datto di un errore commesso in passato in nome del moloch industrialista. Esattamente al contrario di ogni nostalgia antimoderna, ci troviamo di

fronte a una totale reinvenzione del settore agricolo su nuove basi, che solo larricchimento complessivo della societ ha consentito e che, oltretutto, per garantire standard di qualit non pu prescindere da un approccio scientico e da una strumentazione tecnologicamente avanzata. Non a caso, esso attualmente ancora un fenomeno di nicchia e portato avanti da pochi operatori, sebbene la sua progressiva estensione consenta di individuarlo come un settore strategico la cui crescita va politicamente guidata no a farle assumere dimensioni di massa. Questo esempio ci serve come indicazione di un atteggiamento pi generale che deve investire tutti i problemi di cui ci occupiamo e deve guidarci nel mettere in relazione la nostra analisi del piano con quelle considerazioni critiche dei suoi esiti che abbiamo sviluppato allinizio. Il piano ha senza dubbio alcuno risollevato Urbino, sottraendola al destino di decadenza nel quale stava lentamente scivolando. Uneconomia arretratissima e dissestata senza possibilit di incentivazione, un ambiente sociale altrettanto sottosviluppato, avvilito da secoli di disinteresse, soprusi, discriminazioni40, diventa nel corso di pochi decenni la realt ricca e sviluppata che sta oggi sotto i nostri occhi e pu denitivamente rientrare nel mondo moderno41. Al tempo stesso, per, dobbiamo ammettere che proprio a quelle scelte, allelaborazione e soprattutto alla successiva concreta applicazione di quel modello di sviluppo delineato dal piano sono saldamente legati anche gran parte degli attuali gravi problemi che la citt presenta e che abbiamo sin dallinizio messo in luce. La dialettica dagli esiti imprevedibili che esso si proponeva di innescare ha inequivocabilmente funzionato. Proprio in quanto comportava una presa di posizione netta, una scelta rischiosa e totalizzante in favore delluniversit, per, esso ha nito per mettere capo ad una nuova situazione esistente che presenta un nuovo genere di pericoli e di punti critici. Ci che ha fatto la fortuna della citt, trasformandola radical-

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De Carlo, 1966, p. 20. De Carlo, 1963, p. 78.


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Sichirollo, 1967-69, p. 49. De Carlo, 1966, p. 112.


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mente e ridandole vita, la ha anche decapitata. Lha fatta divenire, cio, una funzione subordinata nellambito di un meccanismo che ha nalit proprie e autonome, lha fatta fagocitare da un organismo divenuto ben presto troppo pi grande di lei. In particolare, come abbiamo visto, il modo in cui stata risolta la questione del centro storico e del rapporto tra citt e vita universitaria e studentesca si rovesciato in una fonte di problematicit e quel ruolo di intervento sociale42 che luniversit chiamata a svolgere nella societ contemporanea si rivelato nei fatti un possibile fattore di desocializzazione.

Questioni di equilibrio Paradossalmente, proprio questo aspetto era stato la principale preoccupazione di chi quel piano aveva contribuito a pensare e promuovere. Sin dallinizio, limpostazione del rapporto tra citt e universit-popolazione studentesca era stata ideata proprio in funzione del recupero e della rivitalizzazione del centro storico come cuore pulsante della citt. La massima cura era stata dedicata sia ad unanalisi delle sue criticit, sia alla prevenzione di tutti i fattori di rischio che potessero comprometterne le sorti. Qual era la situazione del centro in quegli anni? Esso era in preda ad una crisi di corruzione e sfaldamento43. Gli esigui ussi di popolazione che riusciva ad attrarre dalle campagne non erano su cienti a drenare unemorragia costante, dovuta allinvecchiamento della popolazione, allemigrazione e soprattutto alla scelta spontanea degli abitanti di trasferirsi al di fuori delle mura, data la situazione di degrado delle abitazioni e la precaria vivibilit complessiva (ricordiamo che il sindaco Mascioli, ancora nel 1964, dichiarava che se potremo disporre per lacqua nei mesi di agosto e settembre di questanno, avremo gi fatto

un notevole passo innanzi44!). lo stesso De Carlo a puntualizzare il problema: si assiste allinsediamento nel centro storico di gruppi sociali alla loro prima esperienza urbana45 e cio gli anziani trasferitisi dalle campagne ma spesso anche gli studenti, mentre per nello stesso tempo, i gruppi sociali preesistenti, che non tollerano il deterioramento del vecchio centro, cercano nelle zone di espansione pi alti livelli di abitabilit. Si tratta di tendenze concomitanti che sono egualmente pericolose, perch porterebbero, al limite alla formazione di due citt, nel rapporto tra le quali il centro storico diventerebbe inevitabilmente unappendice necrotizzata, una riserva di antiche forme senza contenuto. Il trasferimento spontaneo dei residenti del centro nellabitato sorto disordinatamente ai margini della citt, commentava ancora Sichirollo, rischiava di dare una propria autonomia alla zona di espansione nord, di staccarla denitivamente dalla matrice del centro storico e di privare questo, quindi, di quelle funzioni che costituiscono la ragione della sua sopravvivenza46, con il suo conseguente decadimento, sfaldamento e svuotamento e, comunque, limpoverimento della sua popolazione pi qualicata. Si trattava di un pericolo immane47, secondo De Carlo, che bisognava evitare a tutti i costi. Come si vede, il problema di un possibile squilibrio tra i gruppi di popolazione il problema con cui oggi noi dobbiamo fare i conti risultava chiaro gi allora: tecnici, politici ed intellettuali ne erano pienamente consapevoli e il piano era pensato in primo luogo come la risoluzione preventiva di tale problema. proprio per fare di Urbino una citt viva e reale e non una realt immaginaria o uno scenario vuoto che era stato pensato quel modello di sviluppo. Il piano non era a atto ideato come piano estetico48 e cio meramente in funzione della sal-

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De Carlo, 1964, p. 164. Sichirollo, 1967-69, p. 35.


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Mascioli, 1964, p. 110. De Carlo, 1966, pp. 107-8. 46 Sichirollo, 1967-69, pp. 34-5. 47 De Carlo, 1963, p. 101. 48 Sichirollo, 1967-69, p. 50.
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vaguardia passiva del centro storico e del paesaggio intesi come valori puri, formali, assoluti ma era esattamente il contrario, era un piano di prospettiva. Certamente i suoi promotori erano consapevoli della necessit di rispettare lassetto strutturale della citt ma riutavano sin dallinizio di delineare un piano di risanamento puramente conservativo49 o persino igienico-sanitario. Era stata fatta una scelta precisa, invece, a partire dalla convinzione che i centri storici si tutelano sul fronte della difesa attiva. Nel rispetto dei suoi valori storico-artistici, bisognava intervenire sulla struttura della citt per permetterle di accogliere quelle trasformazioni economiche e sociali che si vericherebbero se le forze nuove pi attive che attualmente si manifestano allo stato potenziale, potessero divenire attuali. Operare attivamente attraverso lapplicazione di una programmata politica di intervento, per far s che da quel patrimonio cos carico di passato, ma ormai inerte e del tutto incapace di rigenerarsi da s, potesse nascere una nuova realt. Immettere funzioni moderne50, e non semplicemente restaurare, era lunica possibilit di garantire la conservazione e unattiva evoluzione di una citt minacciata dal crollo. Bisognava rendere attuali forze latenti e provocare quindi trasformazioni. La citt e il territorio, sosteneva ripetutamente Sichirollo, devono poter accogliere lo sviluppo di quelle forze e trasformazioni in una struttura modicata, o meglio in via di continua modicazione, in modo tale che una interazione sia sempre possibile, che si generi, sotto controllo, una reazione a catena51. Qui si misurava la portata strategica e la grandezza intellettuale di quella scelta. Come puntualizzava De Carlo, bisognava superare una doppia prospettiva contraddittoria52. Quella prospettiva che induceva o a tutelare rigorosamente i valori storici e ambientali e lasciar disperdere le sole forze umane che potrebbero avere la volont e limpeto per creare

le condizioni di un uso universale di quei valori, oppure a trattenere ad ogni costo quelle forze e lasciar corrompere i tessuti urbani e il paesaggio perdendo la sola grande risorsa su cui possibile fondare una ripresa per il futuro. Proprio per salvare il centro sfuggendo a questa falsa alternativa era necessario allora un intervento attivo di ristrutturazione onde far riemergere strutture e forme tanto appropriate da assicurare vecchie e nuove funzioni ma anche la continuit tra gli assetti preesistenti e i nuovi, tra le vecchie strutture e le nuove53. In tal modo, luniversit avrebbe potuto funzionare non come un meccanismo autonomo ed estraneo al contesto ma come chiave di volta di una citt vera e cio di un sistema complessivo, articolato e integrato, di gruppi e operativit sociali. Come abbiamo gi citato prima, essa sarebbe stata la cerniera54 tra la vita del centro risorta e arricchita di mille nuove funzioni , la zona nuova e lintero territorio.

Un esito non scontato Eccoci al punto cruciale, dunque. Soltanto perch il piano ha funzionato e ha consentito sia la salvaguardia strutturale del centro storico, sia una trasformazione della citt, sia un suo complessivo arricchimento, in altre parole, siamo oggi nelle condizioni di guardare a esso in maniera anche critica e di tentare di andare al di l di esso. Chi lo aveva preparato, del resto, era sin dallinizio consapevole del destino che si prepara per le idee, nel momento in cui esse si calano nella realt e si misurano con le sue contraddizioni. Il percorso della sua attuazione, diceva De Carlo nel 1966, non potr essere cos lineare come pu esserlo oggi il lo della sua descrizione. Gli avvenimenti che accadranno in futuro, gli stessi e etti provocati dai primi movimenti del Piano, introdurranno nella realt modicazio-

Ivi, p. 38. Sichirollo, 1967c, p. 187. 51 Sichirollo, 1967-69, p. 50. 52 De Carlo, 1966, p. 13.
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Sichirollo, 1967-69, p. 38. Ivi, p. 31.


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ni tanto sensibili da riaprire il problema delle interpretazioni, degli obiettivi e dei mezzi55. Nel momento in cui veniva messo in atto, esso era dunque in se stesso, hegelianamente, un problema56 e non gi un risultato che potesse essere considerato ormai acquisito. I suoi fautori erano consapevoli che con quelle scelte si sarebbe innescata una dialettica di cui non possiamo prevedere levoluzione57 e il cui esito non era per nulla inscritto nelle sue premesse. Cos come erano consapevoli che il piano avrebbe potuto benissimo, alla ne, non essere a atto realizzato. Oppure, che nellinevitabile incontro-scontro tra la vocazione universalistica del progetto e le istanze non sempre illeggittime delle situazioni particolari avrebbe potuto subire tutta una serie di limitazioni e condizionamenti esterni cos massicci da renderlo parziale e disorganico, dimidiarlo o deformarne in maniera sostanziale il decorso rispetto alle previsioni, pregiudicandone gli esiti o conducendo ad esiti del tutto diversi da quelli previsti o auspicati. Oppure ancora, soprattutto, che ad esso sarebbe potuto mancare il sostegno di quella volont e capacit di direzione politica che rimaneva la ragione e il motore, sempre, delle scelte urbanistiche ed economiche58 e che, alla ne dei conti, era stata concepita come la componente decisiva di questa ambiziosa operazione.

5. Un piano senza pi volont politica

Una realt separata: trasporti, turismo, attivit produttive E in e etti tutto ci accadde. Sin dallinizio, lapplicazione del piano dovette fare i conti con numerosi ostacoli e di colt59. Con le ristrette competenze dellambito comunale, insu cienti a risolvere i problemi che esso sollevava, e i relativi conitti con altre istituzioni. Con le diverse scelte strategiche di altri enti pubblici cointeressati. Con una strumentazione legislativa arretrata e carente, incapace di stimolare i progetti di pianicazione. Con la mancanza di fondi. Con un sostanziale decit di supporto da parte del livello governativo nazionale, che persino dopo la stagione del Centrosinistra guardava sospettosamente ad ogni politica di controllo territoriale60. Uno dei suoi obiettivi strategici, per entrare nel merito, consisteva nel rompere la separatezza strutturale della citt attraverso un collegamento agevole sia con il territorio che con le grandi direttrici delle comunicazioni nazionali. Tra le condizioni principali per la sua e cacia, pertanto, fondamentale era il potenziamento viario e la costruzione di tutta una rete di infrastrutture di collegamento con i centri circostanti, la costa, le citt darte sullasse da Venezia a Perugia, le autostrade nazionali. Tutto ci ave-

De Carlo, 1966, p. 121. AA.VV., 1963, p. 66 (sono parole di Livio Sichirollo). 57 Sichirollo, 1961, p. 17. 58 Sichirollo, 1967-69, p. 26.
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Cfr. Mascioli, 1967. De Carlo, 1966, p. 7. V. anche Sichirollo, 1967c, p. 191.


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va per i suoi fautori uninuenza decisiva61 e bisogna ricordare come il Comune avesse presentato dettagliate e organiche proposte in merito62. Il Piano intende esaltare, annotava Sichirollo, la vocazione della posizione di Urbino tra Rimini e Roma, cio tra il sistema Strada Romea-Autostrada Bologna-Ancona da una parte e Autostrada del sole dallaltra, alla quale sar presto possibile e facile allacciarsi mediante la costruenda Autostrada dei due mari (Fano-Grosseto), con casello, e raccordo, a pochi chilometri da Urbino63. Era questa, tra laltro, la condizione per costruire lasse automobilistico tangenziale di Lavagine e i servizi annessi, un elemento che avrebbe dato un diverso orientamento alla citt e avrebbe rivitalizzato un quartiere tuttora declinante64. Prescindendo dal problema della ferrovia, tagliata inne come un ramo secco, sappiamo che della Fano-Grosseto, che costituisce il nodo principale di questo progetto addirittura il fulcro centrale65 , si sono a tuttoggi perse le tracce. Sappiamo, per, che nel frattempo si voluto a rontare comunque il problema viario con la progettazione della cosiddetta bretella e che lo si fatto in maniera del tutto sbagliata, parziale e insu ciente, quando erano ormai passati moltissimi anni, il contesto era completamente cambiato e le esigenze della citt erano del tutto diverse. Ricordiamo, poi, che se certamente il piano assegnava alluniversit una funzione centrale nel contesto cittadino, questa centralit non era a atto pensata come ne a se stessa ma come innesco di un processo di moltiplicazione delle funzioni sociali e lavorative. Accanto alluniversit, esso individuava come settore strategico il turismo, mentre si proponeva di promuovere lartigianato e anche, dove possibile, la sua trasformazione in microindustria66. Entrambi questi obiettivi sono venuti a mancare.

Attualmente, constatava in quegli anni Sichirollo, ad Urbino il turismo soprattutto di passaggio67. Si trattava di un punto critico particolarmente grave, indice di scarsa comprensione da parte della politica, perch lintensicazione dei ussi turistici legata alla trasformazione e alla crescita complessiva, economica ma anche culturale della societ italiana costituiva un fenomeno in se stesso progressivo68 e potenzialmente capace di generare progresso. Per determinate realt che mancavano di forze economiche alternative ma presentavano una particolare concentrazione di valori storico-artistici e naturalistici, insomma, esso aveva lo stesso signicato e o riva le stesse potenzialit di sviluppo che in altre realt erano consentite dallindustrializzazione. Il turismo veniva dunque concepito nel piano non come mero elemento accessorio ma come parte imprescindibile di un sistema integrato, che doveva ingranare con luniversit come secondo centro propulsore. Urbino deve divenire polo di attrazione di un turismo qualicato69. Come se si stesse pianicando lindustrializzazione del territorio, dunque, dobbiamo studiare e apprestare strutture adeguate ed e cienti, strumenti che possano consolidare lespansione e i motivi stessi che lhanno determinata70. Rispetto a questo obiettivo e alle grandi opportunit che esso lasciava prevedere, la citt si presentava in quegli anni del tutto impreparata: Un turismo colto, qualicato, tende ad organizzarsi, com noto, secondo una dinamica in atto ovunque, ma per accoglierlo mancano ancora attrezzature ricettive adeguate71 e per via di queste carenze la citt niva per limitarsi ad essere lambita solo marginalmente dai ussi concentrati sulla riviera. Daltro canto, il piano coglieva gi allora i rischi dellimpatto

De Carlo, 1966, 113. Cfr. p. 25 sgg. Cfr. anche De Carlo, 1963, p. 86 sgg. e Mascioli, 1967, pp. 167-9. 62 V. Comune di Urbino, 1966. 63 Sichirollo, 1967-69, p. 36. 64 Cfr. De Carlo, 1966, p. 119 sgg. Cfr. anche De Carlo, 1963, p. 92. 65 AA.VV., 1963, p. 53 (sono parole di Walter Fontana). 66 Sichirollo, 1967-69, p. 38.
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Ivi, p. 30. Cfr. De Carlo, 1966, pp. 22-3. Sul problema dei ussi turistici ad Urbino, e sulle potenzialit inespresse di questa citt, unanalisi dettagliata fornita da Baldini, 1967. 68 Sichirollo, 1967a, p. 106. 69 Sichirollo, 1967-69, p. 49. V. anche Sichirollo, 1967c, pp. 202-4. 70 Sichirollo, 1967a, p. 106. 71 Sichirollo, 1967-69, p. 30.
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che il turismo di massa poteva avere in certe piccole realt e si proponeva di prevenirle attraverso una pianicazione. Inne, esso comprendeva la necessit di una proiezione su scala territoriale del problema ed era consapevole che un incremento ed una stabilizzazione di ussi a carattere residenziale era possibile solo se stimolata attraverso il progetto di un comprensorio72 e la realizzazione di un piano intercomunale. solo il territorio che pu fare sistema turistico, quando non si ha a che fare con grandi citt. Soltanto evidenziando la complementariet di Urbino con i centri circostanti e con lentroterra attraverso un reciproco coordinamento possibile a rontare un problema essenziale per la vita e il futuro del Montefeltro73. Per il turismo come per tutti gli altri fattori economici, come c un movimento di azione reciproca fra la costa romagnolo-marchigiana e lentroterra74, notava Sichirollo, cos noi crediamo che ci sia o che debba essere in moto un movimento fra questo entroterra immediato e il suo circondario a nord-ovest. Si tratta di una dinamica naturale, che rischia di diventare spontanea cio di sfuggire ad ogni controllo e che dunque da un lato va sollecitata e dallaltro controllata nellinteresse di un assetto ordinato del territorio e delle popolazioni interessate. facile constatare come chi amministri oggi questo come altri settori della vita cittadina si trovi di fronte esattamente allo stesso genere di problemi e alle stesse priorit, tuttora irrisolte. chiaro, allora, che la mancata realizzazione di questo aspetto ha sottratto allo sviluppo della citt uno degli elementi propulsivi fondamentali che il piano esplicitamente prevedeva, pregiudicandone in maniera molto pesante lequilibrio. Per quanto riguarda la microindustria e persino lindustria, essa stata e ettivamente incrementata e non era certamente possibile pensare a una proiezione industriale della nostra citt di portata maggiore. Il punto critico riguarda in questo caso il settore specico dellartigianato, che il piano prevedeva come una funzione importante della vita cittadi-

na e come una forma di di erenziazione economica. Venuto a mancare il fattore precedente, per, e cio il turismo, esso andato declinando no a ridursi ai minimi termini. Inoltre, esso anche per evidenti errori presenti nel piano stesso75 stato progressivamente espulso dal centro storico, privando la citt non solo di una serie di servizi che sono importanti per la vita quotidiana dei cittadini ma anche di attivit che, soprattutto in una citt darte, testimoniano della tradizione della vita urbana e ne arricchiscono e vivicano le espressioni.

La crescita dei ussi studenteschi e il problema degli alloggi Da un punto di vista pratico, per, la principale distorsione del signicato del piano dovuta paradossalmente alla sottovalutazione del fenomeno dellespansione universitaria. Un piano elaborato attorno allidea di una citt residenziale di studi nisce in corso dopera per sottodimensionare proprio le potenzialit di crescita di questo fattore e per dar luogo a previsioni che si sono dimostrate insu cienti. In tal modo, doveva necessariamente rivelarsi errato il calcolo dellimpatto del usso studentesco sulla citt e delle necessarie contromisure da mettere in campo per renderlo compatibile con le capacit di sopportazione del tessuto urbano. Il piano, come sappiamo, concepisce la crescita delluniversit come fattore di vivicazione della citt. Il progresso dellUniversit e la sua progressiva identicazione con la vita di Urbino76 devessere concreta testimonianza di come sia possibile vitalizzare un Centro Storico senza snaturarlo, puntando al potenziamento delle sue pi autentiche vocazioni. Esso avrebbe dovuto comportare, dunque, una sua trasformazione radicale ma non certamente un suo stravolgimento. Avrebbe dovuto distruggere la sua apatia e separatezza ma non certamente indurre unapatia e una separatezza di tipo nuovo. Esso -

Sichirollo, 1967a, p. 109. Ivi, p. 112. 74 Cfr. Sichirollo, 1967c, p. 292.


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Cfr. Sichirollo, 1966, p. 241. De Carlo, 1966, p. 50.


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nisce per per farsi sfuggire di mano il problema e per non prevedere la possibilit di quelle varianti e di quelle alternative che avrebbero consentito di fronteggiare in tempo le anomalie di volta in volta sorte. Negli anni in cui il piano viene elaborato, gli iscritti alluniversit di Urbino erano decisamente pochi rispetto a quelli di oggi e la popolazione studentesca residente era cos esigua da non deformare il tessuto sociale e urbano. Le Facolt di Farmacia, Legge, Lettere e losoa contavano alcune centinaia di iscritti77, mentre la Facolt pi grande, Magistero, aveva 5000 iscritti in corso e fuori corso. Di questi, per, soltanto poche centinaia, distribuiti per turni, settimanali o al pi mensili erano i frequentanti. Sebbene non mancasse la consapevolezza che la presenza degli studenti in citt diventa sempre pi massiccia e pone problemi gravi78, si capisce che, sulla base di questi numeri, il piano guardasse con ansia alla crescita delluniversit e allincremento della presenza studentesca come ad un fattore imprescindibile e urgente per la sopravvivenza della citt. Le dimensioni che il fenomeno aveva in quel periodo sembravano infatti garantire ampiamente la possibilit di pianicare uno sviluppo controllato, che conducesse ad una sempre maggiore integrazione e ad una trasformazione virtuosa e rivitalizzasse la citt. Nel 1965 luniversit raggiunger gli 8000 iscritti per superarli lanno dopo79. Nel 1969, per capirci, in occasione della seduta del consiglio comunale sul tema Situazione, problemi e prospettive di sviluppo delluniversit (18 novembre), la relazione della Giunta prendeva atto della tendenza delluniversit a divenire scuola di massa80 e della necessit di coordinarne la crescita con le opportune modiche delle funzioni della citt, al ne di alloggiare gli studenti e i professori, i quali devono vivere a Urbino. E per essa guardava al fenomeno in una prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella

Sichirollo, 1967-69, p. 31. AA.VV., 1963, p. 44. 79 De Carlo, 1966, pp. 24 e 48. 80 In Sichirollo, 1970, p. 102. Cfr. Mascioli, 1967, pp. 176-7.
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in cui ci troviamo a guardarlo oggi, dato che si poneva il problema di servizi in sinergia tra Comune e universit rivolti sia ai cittadini che agli studenti, quando la frequenza degli studenti fosse molto alta! Una relazione sul problema della ricettivit, elaborata dallu cio tecnico del Comune nel settembre 1966 dopo unindagine attenta ma necessariamente insu ciente per la mancanza di dati oggettivi, ci consente di comprendere in che termini fosse percepito questo fenomeno negli anni dellavvio dellespansione. La capacit ricettizia della citt di Urbino81, constatava la relazione, tuttora ignota sebbene siano state svolte numerose indagini da vari enti. Una stima approssimativa consentiva di calcolare che nel 1957, tra camere di albergo, pensioni e alloggi presso i privati, si disponesse di 180 camere per 370 posti letto. Gi allepoca, soltanto con di colt veniva esercitato il controllo sulle famiglie che avevano alloggi e soprattutto in coincidenza dei corsi estivi, il periodo del massimo a usso, questo controllo si perdeva completamente. La preoccupazione del Comune era per del tutto diversa da quella attuale, perch nellauspicata prospettiva dellespansione delluniversit e ettivamente in quegli anni il numero delle camere era relativamente limitato e insu ciente a garantire una ricettivit adeguata. Certo, nel tempo tale capacit aumentata con rapidi scatti e nel 1959 i posti letto si potevano contare gi in 540. E per il problema di assicurare unaccoglienza agli studenti e ai turisti rimaneva urgente. proprio nel 1959 che la curva comincia a crescere in maniera geometrica e si vericano i primi spostamenti di massa delle presenze che immediatamente hanno determinato un maggior a ollamento degli alloggi esistenti. negli alloggi privati che si va concentrando il maggiore a ollamento. Negli anni successivi ci saranno numerosi interventi di edilizia alberghiera e verr costruito il primo collegio universitario e per ancora pi forte sar laumento degli alloggi privati. Gli urbinati ospitavano gli studenti nella propria famiglia, a ttando una o pi stanze della propria casa e vivendo insieme a loro. Era un

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Comune di Urbino, 1966, pp. 277-81.


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fenomeno che il Comune guardava con un certo favore, a partire da alcune considerazioni. Anzitutto, notevoli erano ancora le di colt che costantemente si incontrano per trovare un letto per dormire, anche adattandosi a condizioni disagevoli e questo inevitabilmente ostacolava i progetti di sviluppo delluniversit e del turismo. Inoltre, risultava chiaro che la possibilit di accogliere gli studenti forniva ai cittadini risorse alle quali, nelle condizioni disagiate dellepoca, era impossibile trovare alternative. Pur di aumentare il reddito, le famiglie urbinati si sottopongono al sacricio di addensarsi in pochi vani anche per lunghi periodi. A conti fatti, considerava giustamente il Comune, lalloggio privato per la sua elasticit, la sua economicit e per il suo caratteristico aspetto sociale, stato in alcuni casi insostituibile e, forse, per Urbino, anche una spinta per un incremento delle presenze. E per non mancavano gli elementi di perplessit. Anzitutto, era chiara la di colt di controllare questo fenomeno: pressoch invericabili erano le presenze non denunciate sia dai titolari delle licenze, sia da coloro che non sono in possesso della licenza di a ttacamere. In secondo luogo, questa soluzione era nel lungo periodo del tutto insu ciente e inadeguata per a rontare il problema in maniera strutturale e si rendeva perci necessaria una radicale trasformazione del sistema ricettivo. chiaro, dunque, che la volont politica era intenzionata a controllare questo fenomeno e non pensava a atto in origine di rimediare alla carenza di alloggi incentivando i cittadini a trasferirsi fuori dal centro e a liberare del tutto le abitazioni per riservarle ad uso a ttuario. Al contrario, secondo il Comune laumento incontrollabile delle presenze aveva gi allepoca determinato la saturazione degli alloggi privati. Inoltre, si vericava un vistoso mutamento nei costumi e nella morale che determinava in un solo tempo leliminazione di numerosi preconcetti da parte soprattutto dei familiari degli studenti, pi disponibili ormai a lasciare libert ai propri gli senza sottoporli alla tutela della famiglia ospitante. La volont degli studenti stessi di evadere dallorganizzazione familiare, oltre alla richiesta di nuovi comfort e di attrezzature adeguate, spingeva chiaramente il Comune a orientarsi verso la costruzione di speciche attrezzature e cio di collegi universitari, con il risultato di escludere lalloggio privato.
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Punti critici Tutto ci non avvenuto in misura su ciente, con i risultati che conosciamo. La prospettiva della Giunta per cui le due popolazioni, quella degli studenti e quella della citt, saranno inevitabilmente portate a fondersi82 si rivelata sbagliata. Negli anni scorsi luniversit arrivata a contare pi di 20.000 iscritti, con circa la met di studenti residenti. Nel corso degli anni questa accumulazione ha fatto saltare tutte le previsioni, tarate sulla prospettiva di ununiversit in espansione ma sempre relativamente piccola, e ha nito per distorcere gli e etti del piano. Ma non stata solo la dimensione quantitativa della crescita delluniversit ad aver avuto un peso. Anche quella della sua qualit ha in qualche modo condizionato la vita della citt con esiti imprevisti. Ancora la relazione della Giunta prevede un destino preciso per luniversit di Urbino: essa deve puntare sulla specializzazione e cio su quelle scuole di alta cultura che sono alla base del funzionamento dellUniversit di massa. Non ununiversit di massa in quanto tale, dunque, ma un centro di studi avanzato e altamente qualicato, che sappia interpretare un ruolo davanguardia e costituire un punto deccellenza nellambito del pi vasto sistema universitario nazionale, puntando non soltanto sui numeri. Inoltre essa prevedeva esplicitamente un programma organico che promuovesse la statalizzazione83. Nessuna di queste due condizioni si vericata. Sebbene la nostra universit abbia raggiunto in alcuni casi notevoli livelli di qualit, nel complesso le sue prestazioni non si sono dimostrate particolarmente elevate nel contesto degli atenei italiani e comunque sono rimaste ben lontane dagli auspici della Giunta. I picchi di eccellenza sono stati legati ad esperienze isolate e soggettive ed mancata una politica universitaria capace di elevare il livello medio complessivo dellateneo. Ancora oggi, quello della speciaIn Sichirollo, 1970, p. 102. Anche il documento redatto al termine del convegno Potenziamento e programmazione delle universit nelle Marche, organizzato dallUniversit e dal Comune il 7 e 8 marzo 1970, ribadir questo punto: si ritiene necessario procedere concordemente alla statalizzazione dellUniversit di Urbino (Sichirollo, 1970, p. 100).
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lizzazione e delleccellenza un problema allordine del giorno del Senato Accademico e del Consiglio damministrazione delluniversit. Il ritardo con cui stata conseguita la statizzazione, arrivata soltanto nel 2007 e solo obtorto collo in seguito ad una gravissima crisi nanziaria, non estraneo a questo esito. Sebbene, come dimostrano i casi di tante altre universit italiane, non sia di per s garanzia del raggiungimento di alte prestazioni qualitative, la statizzazione fornisce comunque quelle risorse nanziarie che a tal ne sono necessarie e, soprattutto, impone il rispetto di tutta una serie di standard dalla composizione degli organi accademici ai servizi erogati agli studenti e altro ancora che facilitano questo obiettivo e consentono di denire uno erta formativa pi qualicata. Le variabili che hanno nito per condizionare e deformare limpatto del piano sono state, dunque, molteplici e della pi diversa natura e gi nel 1966 Sichirollo poteva riconoscere alcuni gravi errori commessi84. A questo punto, per possibile individuare alle loro spalle un elemento di connessione che ha costituito a nostro avviso lelemento critico fondamentale. Limporsi di una tendenza, cio, senza la quale gli ostacoli e le di colt avrebbero avuto un impatto molto minore e non si sarebbero saldati gli uni con le altre. Certamente va tenuto conto in tutto ci del contesto storico e cio dellimpetuoso processo di trasformazione che lintera societ italiana ha attraversato negli ultimi decenni. Le distorsioni della sfera politica e nel rapporto tra politica e societ, come abbiamo detto, sono un fenomeno generale e di vasta portata. Il benessere prima e la crisi del modello industrialista classico poi, hanno inciso profondamente nella stessa struttura del paese e nella sua mentalit. I gruppi sociali si sono polverizzati e le dinamiche di conittualit si sono ricollocate al livello della competizione individuale. La terziarizzazione delleconomia si a ancata allemergere di attitudini e comportamenti di stampo iperindividualistico e di un consumismo indotto che orientato sempre pi verso le mero. Luniversit di massa, poi, ha presto mostrato dappertutto limiti e discrasie che solo in

parte sono stati compensati dallaccesso di un sempre crescente numero di persone allistruzione superiore. Ma tutto questo non deve servire da alibi rispetto ai problemi specici della nostra citt. In realt, il nodo fondamentale e non rimovibile sta nel fatto che progressivamente venuta meno la forza di quella volont politica che avrebbe dovuto sorreggere costantemente il piano e governarne in maniera corretta la realizzazione.

Un piano abbandonato a se stesso Questo stato il punto critico che riteniamo decisivo. Questo decit, questa caduta della tensione civile, ha fatto s che il piano rimanesse sostanzialmente privo di un orientamento capace di guidarne gli esiti a partire da una visione strategica dellinsieme. Il successo del Piano, aveva detto De Carlo, dipender dalla sua capacit di percepire e anticipare levoluzione della societ urbinate85. Ma questa capacit a sua volta, dipender dallimpegno col quale la societ urbinate sapr trasformare il Piano in uno strumento permanente della sua azione politica. Abbandonata la sua applicazione alla spontaneit delle cose e dei rapporti di forza, esso andato inevitabilmente a infrangersi contro gli ostacoli che abbiamo descritto e ne uscito fuori deformato perch tirato da tutte le parti. Era un rischio noto sin dal principio. Nel presentare il piano al consiglio comunale, il sindaco Mascioli avvertiva: Il Piano non soltanto un fatto tecnico, che soltanto specialisti possono capire e discutere. Il Piano un fatto innanzi tutto democratico, vorrei dire anche politico, perch da come noi lo avremo o non lo avremo capito, da come noi lo avremo o non lo avremo saputo attuare, dipender una organizzazione pi o meno buona, pi o meno aderente agli interessi reali, sociali delle nostre popolazioni; dipender insomma il tipo di vita civile che noi vorremo e sapremo attuare nellintero nostro territorio86.

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Sichirollo, 1966, p. 239.


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De Carlo, 1966, p. 121. Mascioli, 1963, p. 13.


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Livio Sichirollo ribadiva con forza questo punto nodale: Se le forze che hanno avviato questa svolta, quelle ideologiche, soggettive (dellUniversit, per schematizzare) e le forze politiche, oggettive (del Comune) riusciranno a comporre le rispettive contraddizioni e a inserirsi in quella vasta operazione ideologica che il Piano regolatore, allora ci avvieremo verso unepoca nuova87. Era un auspicio, dunque, ed era anche la constatazione di una necessit ma non era a atto una certezza. Il piano non era unoperazione tecnica ma molto di pi: solo se acquister una dimensione politica, tale processo avr qualche possibilit di attuarsi88. Ci implica, per, che lamministrazione, lurbanistica o programmazione in generale, lattivit politica89, continuino ad essere un sistema organico sorretto dalla volont politica dei cittadini o dei loro rappresentanti, attraverso numerose mediazioni di base. Se questo nesso si spezza, se viene smarrita la relazione fra la strategia e la tattica e viene posta in margine o lasciata inoperante la volont politica, ecco allora che le condizioni di possibilit di un processo organico vengono meno. Ogni capacit di direzione cessa e si lasciano liberamente agire gli elementi che sorreggono la vita della comunit civile non controllandoli razionalmente o perdendo il controllo della loro relazione. Quel progetto che era stato pensato per tenere insieme una comunit, indirizzarla e darle coscienza di s, sarebbe rimasto privo di spinta propulsiva ed esposto alle controspinte di quegli interessi particolari che da esso rischiavano di essere intaccati o che in esso pensavano di trovare unopportunit di protto individuale. Esso che era alla ne soltanto uno strumento di controllo e di azione territoriale90 non sarebbe pi stato in grado di imporre la propria forza sovraordinatrice agli egoismi dei singoli e dei gruppi sociali pi forti e sarebbe uscito in frantumi da questa collisione. Non uninterferenza che sia intervenuta ad un certo momento.

Come normale dialettica operante entro la societ civile e tra questa e le istituzioni oggettive, essa era gi in corso al momento dellelaborazione del piano. Gi al suo avvio, mentre ben presente la traduzione tecnica di una scelta politica, lamenta Sichirollo, manca la traduzione politica di proposte e realizzazioni tecniche91. Non erano pochi i segnali che, ai pi diversi livelli, molte forze politiche per povert di elaborazione speculativa avessero smarrito proprio la dimensione politica, cio universale, del loro intervento sulla realt e stessero facendo del loro operare una funzione meramente amministrativa. La volont politica, insomma, non garantiva di sapersi mantenere allaltezza della scelta iniziale e rischiava di confondere la funzione dinamica e democratica del potere con il suo uso statico, passivo, clientelare. E in e etti, per molte forze e gruppi dinteresse sociali il piano comportava soltanto limiti, vincoli92, era una fonte di sacrici: le resistenze erano forti e dunque forte era la tentazione di lasciarsi andare al peggiore spontaneismo, alle tendenze naturali e al calcolo quotidiano. Non mancavano le voci interessate di chi considerava il piano persino come una pericolosa limitazione delluso della propriet privata93. Solo una salda volont avrebbe potuto spezzare queste resistenze, attraverso la sollecitazione di una spinta dal basso. Rendere comprensibili a tutta la citt gli obiettivi del piano, consentire a tutti di contribuirvi e renderlo forte, in tal modo, di quella partecipazione collettiva che avrebbe salvaguardato gli interessi particolari nella misura della loro legittimit ma ne avrebbe impedito il prevalere sulluniversalit del progetto, realizzando in pieno quella funzione che costituisce il senso stesso degli enti locali94. Nel momento in cui questa tensione vacilla, il progetto entra in crisi e si determinano le condizioni per cui esso si lascia sopra are dalla speculazione privata95. Non pi sorretto da una visione strate-

Sichirollo, 1961, p. 16. 88 Sichirollo, 1967-69, p. 51. 89 Ivi, pp. 25-6. 90 De Carlo, 1966, p. 111.
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Sichirollo, 1967-69, pp. 45-6. V. anche De Carlo, 1963, p. 76. Sichirollo, 1967-69, pp. 54-5. 93 Sichirollo, 1967c, p. 192. 94 Cfr. Sichirollo, 1971. 95 Sichirollo, 1967-69, p. 52.
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gica condivisa, non pi guidato dalla politica n vivicato dallintervento attivo della cittadinanza, il piano rischia allora di implodere, di ritrarsi in se stesso. Ancora peggio, di concentrarsi nella sua mera dimensione tecnica e di ricondurre unicamente ad essa il suo signicato politico, mettendo capo ad un incubo, ad una vera perversione urbana. Un universo tecnologico che si manifesti e operi immediatamente nella coscienza della sua politicit, senza la mediazione dellaltro, di chi cio porta, o dovrebbe portare, la responsabilit delliniziativa, dellazione e della volont politica96, avvertiva Sichirollo, pu condurre ad una vera e propria situazione concentrazionaria. Se unoperazione di grande portata tecnica non ritrova continuamente il proprio senso in un processo politico di egemonia e di crescita collettiva, ecco allora che la realt stessa sulla quale e in vista della quale si pur sempre operato appare immaginata, inventata, una semplice astrazione.

6. Rassegnazione. Il piano degli anni Novanta

Una nuova ricognizione E unastrazione un anti-Piano97 e ettivamente ci a cui questo processo sembra aver messo capo. Negli anni dal 1965 in avanti, il piano ha continuato ad essere operante sebbene con notevoli limiti e deformazioni e dopo aver subito una serie di varianti e ad orientare la vita della citt. Ormai privo della spinta politica e della tensione etica e intellettuale che laveva sollecitato, esso andato per sempre pi svuotandosi del suo signicato complessivo e il suo stesso successo sostanziale, di cui abbiamo parlato, sembra essersi realizzato contro il progetto originario e in netto contrasto con lidea di citt che ad esso era sotteso. Quando nel 1990 Giancarlo De Carlo torner ad Urbino, molte cose sono cambiate e il volto della citt come del resto il volto della societ italiana ormai molto diverso da quello degli anni eroici del Piano98. Urbino tuttaltra cosa, dunque:
cambiata la popolazione che ancora scesa per quanto riguarda i residenti e salita vertiginosamente per quanto riguarda gli studenti; si trasformata la geograa della popolazione attiva che uscita dallagricoltura e

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Ivi, pp. 46-8.


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Sichirollo, 1966, p. 242. De Carlo, 1990a, p. 1.


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si addensata nellamministrazione e nel commercio; il Centro Storico si conservato nella corteccia quasi intatto, ma le sue strade e le sue piazze sono stravolte dalla sosta delle macchine e attaccate dallinquinamento; si estesa la nuova Citt verso settentrione diventando una conurbazione illimitata e congestionata; verso Urbania stato edicato linquietante quartiere di Mazzaferro; sono cambiate le aspirazioni, le aspettative, la cultura, il gusto; e, per e etto di spinte omologanti, si o uscata la percezione dei rapporti di necessit reciproca tra spazio edicato e spazio aperto, tra attivit e quiete, tra pieni e vuoti, tra citt e campagna, tra stato naturale e artefatto: si allentato il senso della complementariet degli opposti e quindi delle tessiture generate dal loro continuo e alterno attrarsi e separarsi99.

Sono in gran parte quei problemi che noi oggi ci troviamo davanti, come si vede. De Carlo che, come dice lui stesso, anche negli anni dellallontanamento aveva continuato a immaginare a distanza lo sviluppo ulteriore del piano si accorge senzaltro delle distorsioni che nel frattempo sono intervenute, della perversione del disegno originario. Di quanto astratta, in altre parole, si sia rivelata quelloperazione di fronte alla forza non governata delle cose. La sua ricognizione per il nuovo piano, anzi, constata in maniera puntuale e minuziosa questi problemi. E per, essa come attraversata da un senso di fatalit e di rassegnazione e nelle parole del progettista il tono ormai decisamente un tono minore rispetto a quello denso di passione politica e tutto teso alla trasformazione dellesistente con cui egli aveva illustrato, argomentato e difeso strenuamente il piano degli anni Sessanta100. Questa ricognizione, insomma, sembra dichiararsi sin dallinizio programmaticamente incapace di intervenire in modo attivo nella realt data e di a rontarne i problemi per risolverli alla radice. Non a caso, nel nuovo piano la questione del centro storico la questione urbanistica per eccellenza avr un rilievo decisamente limitato se non marginale. Spostandosi da quello che nel piano originario era pensato come il ba-

ricentro della comunit e del suo territorio101, lattenzione si orienter prevalentemente sulla campagna e sul territorio circostante ma anche in questo caso lo far senza pi tentare di suscitare alcuna connessione, se non meramente dichiaratoria, con il centro. Questo spostamento non avviene perch i problemi del centro storico siano problemi ormai risolti, o la cui soluzione sia stata quantomeno impostata sui binari corretti. Sembra avvenire, piuttosto, proprio per il motivo contrario e cio perch ormai divenuta dominante la convinzione che sia del tutto impossibile, oltre che inutile e fuori luogo, tentare di a rontarli. La convinzione che le dinamiche innescate dal piano abbiano nito per seguire un loro corso incontrollato e che abbiano dato vita, ormai, ad unaltra storia e ad unaltra citt, molto lontana e diversa da quella che era stata a suo tempo ideata. Qualunque ripensamento del centro storico, allora, qualunque presunzione di ricondurlo a quel modello, sarebbe una vana forzatura perch lidea di citt che animava il piano ormai dileguata. Essa stata cancellata sin nella memoria degli uomini per opera di una realt che, liberata proprio dalla rottura della stasi che quel piano ha rappresentato, si dimostrata pi forte di ogni strategia e volont politica. Non rimane che sorvolare, allora. Prendere atto della forza della spontaneit delle cose di quelle molteplici e reali spinte particolaristiche che, come era normale avvenisse, hanno sopra atto lidea e dellimpossibilit di ricondurle ad un ordine, limitandosi ad unopera di razionalizzazione di ci che nel frattempo si costituito da s102. Da un lato, non c pi alcuna situazione di grave necessit che prema con urgenza. Come la societ italiana nel suo complesso ha risolto i propri bisogni primari, Urbino non pi so ocata dalla miseria e dalla fame delle sue campagne. La piccolissima e poverissima Urbino103 degli anni Sessanta non pi una realt al limite della sopravvivenza ma ora una citt ricca che porta su di s, semmai, certi aspetti sgradevoli

Ivi, pp. 3-4. 100 Cfr. De Carlo, 1963, p. 75.


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Mascioli, 1963, p. 14. Cfr. Harvey, 1993, pp. 40 sgg., 58 sgg. 103 Mascioli, 1966, p. 226.
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ma inevitabili e tollerabili della modernit. Non c nessuna spinta reale, dunque, ad una trasformazione che nessuno pi vuole. Dallaltro lato, si ormai constatato che anche la pi consapevole volont politica non regge nel medio periodo allurto con gli interessi reali e che anche il pi ra nato disegno che aspiri alluniversalit pu essere fatto a pezzi dalla parzialit dagli egoismi sociali. Non pi tempo questo proprio agli inizi del dispiegarsi del ciclo liberista nel nostro Paese per le visioni strategiche e per le sintesi politiche. Meglio rinunciare a priori ad ogni utopia, che non sarebbe compresa e sarebbe subito rigettata come violenza illegittima e superua. Meglio attenersi semplicemente al recupero e alla riqualicazione104 dellesistente, riparando ai danni pi gravi e rinunciando a dare qualunque indirizzo generale.

Le denunce (inascoltate) di De Carlo Gi il piano degli anni Sessanta era stato pensato e redatto proprio in funzione di una politica amministrativa e urbanistica non soltanto comprensoriale, ma addirittura territoriale105. Non si tratta, dunque, di non riconoscere o di sminuire limportanza dei problemi del territorio sui quali il nuovo piano si concentra. Si tratta di constatare, al contrario, come anche la tematizzazione di quei problemi, se si evita di a rontare quelli del centro e di porsi lobiettivo di una ricucitura a partire da una nuova idea organica di citt, rimanga parziale e di portata ridotta rispetto alle esigenze concrete del territorio stesso. Nonostante ci, per, e nonostante lassenza di ogni intenzionalit sintetica, non mancano da parte di De Carlo, nella ricognizione del nuovo piano, momenti di grande consapevolezza e lucidit nella denuncia dei problemi reali. La prima e pi importante notazione riguarda la questione che per noi fondamentale, perch tocca quel nodo citt-universit

che costituiva lasse portante del piano e, di conseguenza, vale come un bilancio della sua realizzazione e come premessa per inquadrare tutti i problemi connessi. Se la popolazione complessiva di Urbino appare nel 1990 in netto calo rispetto a 40 anni prima, ancora pi forte il calo di popolazione del Centro Storico che negli ultimi dieci anni stato pari al 20%106. In generale, si tratta di un fenomeno qualitativamente diverso rispetto al passato e di un fenomeno che rispecchia in sostanza landamento nazionale: il calo non pi legato allemigrazione verso altre regioni per la ricerca di opportunit di lavoro bens allinvecchiamento naturale dei residenti. Si tratta di un fenomeno di sviluppo e modernit e non pi di arretratezza, dunque. Esso ha per sulla nostra citt una ricaduta particolarmente grave perch concentrato nel suo centro storico. Incrociandosi con le dinamiche di attrazione dei ussi studenteschi, poi, si appesantisce ulteriormente perch mette a repentaglio lidentit stessa della citt. Apparentemente poco visibile, poich le strade e le piazze della Citt sono piene di studenti universitari, esso per cresce e indebolisce progressivamente la vitalit economica, sociale e culturale del territorio. Proseguendo lungo questa strada, Urbino diventer una citt sempre pi vuota di residenti e popolata soltanto da presenze esterne e a tempo determinato. Una citt fantasma, dunque. necessario invertire questa tendenza e fare in modo che la citt si ripopoli e rinasca, cominciando con il renderla un polo dattrazione per una residenza stabile. Migliorare le condizioni abitative nella Citt, per prima cosa. Promuovere lo sviluppo di attivit produttive che o rano occasioni di lavoro ai residenti ma anche possibilmente attirino dallesterno nuovi abitanti. Soprattutto, riettere sul ruolo delluniversit e operare nella prospettiva di un riequilibrio complessivo del rapporto tra cittadinanza e studenti, nella consapevolezza che un ulteriore incremento delle tendenze attuali sarebbe molto nocivo. Una riduzione quantitativa del

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De Carlo, 1990a, p. 3. Cfr. Sichirollo, 1967c, p. 290.


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De Carlo, 1990a, pp. 9-10.


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numero degli studenti, dice con grande coraggio De Carlo, comporterebbe un miglioramento qualitativo molto vantaggioso per la Citt, oltre che per lUniversit stessa. Proprio per questo, nel nuovo piano verr difesa la residenza che ancora rimane e sar compiuto ogni sforzo per richiamarla da dove emigrata creando situazioni favorevoli sia per il suo ritorno che per luscita di quanto ha preso il suo posto107. Parole chiarissime, dunque, pronunciate gi quasi ventanni fa. De Carlo riconosce la funzione propulsiva che luniversit ha svolto nei confronti della citt e ha cos modo di vericare come lanalisi dei promotori del piano fosse corretta e come la scommessa su cui il piano si fondava sia stata vinta: si deve allUniversit se negli ultimi 40 anni Urbino ha potuto svolgere un ruolo bene al di sopra della sua dimensione in numero di abitanti, se non scivolata in una oscura condizione provinciale e non diventata interamente subordinata nei confronti di alcune citt vicine pi forti, come Pesaro e Ancona108. Luniversit ha avuto dunque il merito di portare la citt fuori dal sottosviluppo e di o rirle le condizioni per costruire il proprio futuro. Il rapporto tra universit e citt ha sedimentato per, proprio per via di questo successo, una serie di debolezze pericolose, la principale delle quali risiede esattamente nello squilibrio della struttura della popolazione nel centro. La popolazione universitaria, dice, ha grandezza spropositata rispetto alla popolazione residenziale. Tenendo conto dei soli frequentanti, il rapporto di 1:1. Ora, nelle condizioni di Urbino, questa situazione senza dubbio inconciliabile col bisogno dei cittadini di trovare nella citt occasioni di privatezza. E per non si tratta soltanto della quiete o di ci che oggi viene percepito in termini di ordine pubblico: questo squilibrio mette in discussione alla radice lautorappresentazione che i cittadini hanno di se stessi come abitanti della citt, lidenticazione di essi con il luogo in cui risiedono, lappropriazione dello spazio urbano da parte di coloro che dovrebbero esserne i principali fruitori.

proprio a partire da questa situazione che tanto di cile risulta il formarsi di quei rapporti di integrazione tra cittadini e universitari109 auspicati a suo tempo dalla Giunta, mentre cresce sempre pi la di denza per via del sospetto di sfruttamento reciproco. chiaro che da un lato gli studenti tendono a convergere verso il centro per essere pi vicini alle aule, a ollandosi in condizioni disagevoli, mentre dallaltro la loro domanda innalza vertiginosamente i costi degli a tti, mettendo in di colt i residenti. Facendolo singolarmente e per posto letto, essi riescono a pagare a tti che non possono essere accessibili a una famiglia media e in tal modo espellono i cittadini dalla loro citt. Ne deriva uno spopolamento progressivo che ha conseguenze gravi per la societ urbinate. Anche il patrimonio urbanistico ne risente. Non solo gli appartamenti del centro ma ormai ogni edicio della periferia, e ormai anche della campagna, potenzialmente una piccola e inadeguata residenza universitaria. Di fronte allopportunit della rendita a ttuaria, si continua a adattare alla meglio casolari e cascinali e nello stesso tempo a investire in nuovi edici residenziali (possibilmente sovvenzionati e in deroga) con crescente spreco di territorio, distruzione ambientale, incremento di spese di urbanizzazione, espansione della domanda di servizi pubblici e parcheggi e strade. Una situazione di illegalit di usa, che si a erma senza tuttavia corrispondere a bisogni reali e senza tradursi in reali vantaggi per la comunit urbinate, eccetto che per coloro che controllano il mercato degli a tti.

Vox clamans in deserto La comprensione del problema, dunque, c tutta. Come si vede, lidentit stessa della citt e il suo signicato che sono messi pesantemente in questione. Una volta che sia rotta la relazione tra gli abitanti e il tessuto urbano, la citt si riduce a un contenitore vuoto e perde ragion dessere. Si tratta anche per De Carlo del problema fondamentale di

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Ivi, p. 40. Ivi, pp. 22-4.


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Ivi, pp. 25-6.


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Urbino e di un problema che non pu essere lasciato degenerare ma che va compreso e a rontato: la situazione grave e il ridimensionamento della popolazione universitaria di certo ridimensionerebbe la gravit della situazione. necessario raggiungere un equilibrio e rimediare alle deformazioni che linadeguata applicazione del vecchio piano ha inferto alla struttura della citt. necessario, cio, che la popolazione universitaria diminuisca in modo ragionevole110. Del resto, sembra presagire questa ricognizione, non si tratta di unipotesi fuori dal mondo. Le di colt di integrazione peggiorano la qualit della vita e, assieme allincremento della concorrenza tra le universit, possono, se non fronteggiate, condurre ad una vera e propria caduta della presenza studentesca, un rischio e uneventualit alla quale la citt non reggerebbe. Prima che ci accada e proprio per evitare che ci accada , bisogna intervenire nella situazione e sollecitare questa riduzione governandola, in primo luogo accelerando il processo di qualicazione delluniversit. In questo senso, luniversit dovr invertire la politica di espansione prevalentemente quantitativa e orizzontale seguita no a questo momento e cominciare a contrarre gli insegnamenti indi erenziati, privilegiando invece quelli specici e di alto livello. Invece di continuare a ingigantire le Facolt, dunque, sar necessario aprire Corsi transdisciplinari di perfezionamento e di specializzazione, di Master e di PhD, di ricerca teorica e sperimentale nazionali o internazionali, compensando i minori numeri con una qualit maggiore degli studenti residenti e con una diversa qualit del loro risiedere e vivere la citt. Inoltre, se si vorr che gli studenti, e i docenti, risiedano davvero a Urbino e non continuino con la loro presenza a generare lespulsione degli urbinati dal Centro Storico, dalla Citt e perno dalle Frazioni e dalle case di campagna111, anche il Comune dovr elaborare delle politiche attive dintervento. Sar necessario convogliare la residenza universitaria pubblica o privata che sia

fuori dal Centro Storico112 e dunque bisogner sia varare un nuovo programma di edilizia universitaria (residenza pubblica), sia, evidentemente, trovare gli strumenti adeguati per una politica mirata di incentivi e disincentivi alla tto delle case (residenza privata). Ma lanalisi di De Carlo le cui parole sono ancora attualissime non nisce qua. Essa coglie infatti lincidenza complessiva che il modello di sviluppo adottato ha avuto sulla struttura della citt. Lespansione delluniversit e lidenticazione della citt con questa istituzione ha arricchito enormemente Urbino. Questa crescita stata per del tutto anomala rispetto agli andamenti normali vericatisi nelle societ avanzate: esso si fonda su uno sviluppo abnorme della pubblica amministrazione che ha assorbito una buona parte della popolazione emigrata dalle campagne113. Nel 1990, solo il 27% dei cittadini era occupato nellindustria, mentre ben il 38,5 % lavorava nel settore della pubblica amministrazione e cio presso luniversit, il Comune, lospedale e gli altri enti pubblici. Un processo di terziarizzazione rapido e totale, dunque: ad Urbino, si pu dire, il passaggio allepoca post-industriale avvenuto senza che sia mai stata vissuta lesperienza industriale. E per, ci che in altri contesti ha costituito una circostanza felice, capace di salvaguardare lambiente e la qualit della vita e delle relazioni sociali comunitarie, nella nostra citt ha assunto caratteri perversi e parassitari proprio perch non ha condotto alla formazione di un terziario specializzato e di qualit ma al proliferare di un arretratissimo terziario improduttivo, impegnato in mansioni subordinate e di basso livello. Certamente lo sviluppo delluniversit e dei servizi ad essa connessi ha comportato la necessit di un numero congruo di impiegati e funzionari. Lespansione della pubblica amministrazione ha raggiunto per ad Urbino livelli inusitati che non hanno nulla a che fare con le esigenze funzionali e le reali capacit di assorbimento di questi enti. chiaro che ogni scelta di questo genere una scelta politica e che legittimo e

Ivi, p. 24. 111 Ivi, p. 27.


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Ivi, p. 41. Ivi, p. 11.


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persino giusto anteporre ai criteri di e cienza e produttivit criteri di natura diversa, soprattutto in aree depresse nelle quali mancano alternative di sviluppo e questo genere di ammortizzatori sociali diventano indispensabili. E per anche in queste scelte bisogna tener conto di quel limite razionale oltre il quale si determina uno squilibrio patologico. La volont di trattenere la popolazione nel territorio114 dunque lodevole, come lattaccamento alla propria gente. E per innegabile che al fondo di queste scelte ci siano state anche linclinazione assistenziale, il senso dellopportunit politica e persino una certa demagogia, e che in questo modo la domanda sia stata dilatata il pi possibile no a farle raggiungere un livello spropositato rispetto alle e ettive necessit e soprattutto rispetto allandamento degli altri settori economici. Se questa scelta ha in parte salvato Urbino da uno spopolamento ancora pi rilevante di quello che di fatto avvenuto, il modo brutalmente clientelare in cui stata messa in atto ha nito per determinare uno squilibrio perverso, che non pesa soltanto sulle cienza della pubblica amministrazione, dando vita a sprechi e irrazionalit, ma che ha una ricaduta pi generale. Essa ha generato e etti culturali e sociali inequivocabilmente negativi e ha limitato le capacit espressive e produttive della citt. Culture materiali dotate di esperienza storica, commenta De Carlo, invece di essere stimolate a rinnovarsi e a trovare nuove opportunit di valorizzazione sono state condotte allannichilimento in un terziario inerte, agglutinante e pigro. Insomma, la conversione di competenti contadini, artigiani e muratori, in bidelli e custodi senza compiti attivi, non ha certo esaltato il potenziale culturale, la forza di immaginazione, il dinamismo, il linguaggio della comunit urbinate ma ha determinato un appesantimento che ha bloccato la moltiplicazione delle funzioni produttive. anche per questo motivo che oggi Urbino presenta una struttura produttiva elementare, nettamente meno vivace e articolata di quanto non accada in citt molto vicine e con una

storia non troppo diversa, come ad esempio Urbania o Fermignano. Le sollecitazioni urbanistiche alla formazione di una economia articolata115, si pu dire oggi, non hanno funzionato.

Due punti chiave Inutile proseguire in una rassegna completa delle criticit individuate da De Carlo. Ci limitiamo soltanto a due punti ulteriori, perch si riferiscono a due elementi che nel piano originario erano considerati cruciali. Il primo riguarda il turismo, che come sappiamo era stato pensato come il secondo centro propulsore dello sviluppo della citt. Rispetto ai decenni precedenti, esso cresciuto sul piano quantitativo e per non cambiata la sua sostanza116. Nel 1990, come gi quarantanni prima, si tratta di un turismo incostante, stagionale, prevalentemente giornaliero, volto pi che altro a far leva sul pendolarismo dei bagnanti che risiedono sulla costa. Ne consegue che sono aumentati i disagi in termini di tra co, vivibilit e consunzione dei valori storico-artistici, ma non ne sono derivati reali vantaggi economici e culturali alla citt e al territorio. Uno degli obiettivi fondamentali del piano stato dunque mancato e oggi come allora la via duscita rimane la stessa: sperare nel miglioramento dei collegamenti con i ussi viari nazionali (le infrastrutture sulle quali il piano aveva fatto a damento sono infatti rimaste tutte sulla carta), incentivare il turismo residenziale e sviluppare reti territoriali integrate. Inne, la questione della zona nuova della citt, sulla quale il piano degli anni Sessanta si so ermava con particolare attenzione. Una forte aspirazione a rinnovamenti radicali117 aveva in un primo momento spinto gli amministratori a incoraggiare il trasferimento delle famiglie dal centro. In questo processo si esprimeva anche il riuto dellimmobilit

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De Carlo, 1990a, pp. 15-6.


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De Carlo, 1966, p. 117. De Carlo, 1990a, p. 19. 117 De Carlo, 1966, p. 90.
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sociale che era rimasta arroccata agli antichi bastioni e la ermazione del diritto delle classi popolari a godere i vantaggi delle tecnologie moderne e a ricuperare una propria autonomia di espressione. Sappiamo come i fautori del piano fossero per anche estremamente spaventati dalle tendenze centrifughe118 che portavano i residenti a trasferirsi nella citt nuova, con il rischio di ridurre il centro storico ad una citt fantasma. Tanto pi che in quel contesto economico e culturale quellespansione aveva condotto alla formazione di un quartiere residenziale esterno incolto, caotico e sprovvisto delle pi elementari attrezzature119 e aveva accentuato il deterioramento del centro, provocando una profonda regressione urbanistica della cultura della citt120. Bisogna evitare che la Citt nuova sfugga ad ogni controllo diventi autosu ciente e nisca quindi per svuotare, anche in senso sico, la citt antica121, avvertiva Mascioli. Proprio per impedire questa eventualit, che avrebbe costituito un disastro122 con gravissime conseguenze, il piano aveva studiato minuziosamente, utilizzando puntigliosi modelli matematici e urbanistici, i limiti di compatibilit ed equilibrio tra lo sviluppo del nuovo abitato e la citt cinta dalle mura123. Ne era scaturita la prescrizione a limitare lespansione lineare nella zona nord entro conni certi e invalicabili, in modo da dare continuit allinsieme urbano, mantenerne il baricentro il pi possibile vicino al centro storico ed evitare che i nuovi quartieri diventassero autonomi. Gi in quegli anni questa proposta aveva suscitato un notevole dibattito e chi legga oggi gli atti delle sedute del consiglio comunale non pu non notare quante e quanto forti fossero le resistenze rispetto a questi vincoli. Si pu cogliere chiaramente come gli interessi particolaristici e gli egoismi privati abbiano cercato sin dallinizio di farsi largo tra le maglie

del piano, dilatandole il pi possibile. Nella seduta del dicembre 1963, la maggior parte delle critiche al piano si concentra esattamente su questo punto e molti tra gli intervenuti richiedono in maniera esplicita lallargamento dei limiti della zona di espansione, considerando ingiusticati i timori del progettista124. Proprio perch le cose non sono andate come previsto125, la citt, che avrebbe dovuto terminare alla Pineta, si espansa molto oltre verso nord ma anche in tutte le altre direzioni, dando vita a una conurbazione illimitata e congestionata126 e determinando una situazione di fatto alla quale non pi possibile porre rimedio.

Una politica al di sotto dei problemi reali Come si vede, nellindagine di De Carlo non mancano n gli elementi di denunzia n una comprensione dei decit del piano e degli attuali problemi della citt. Anche nella sua analisi, per, qualcosa cambiato. Tutta lintonazione del suo discorso ora improntata al riconoscimento forzato dello status quo e si proietta solo in unottica di razionalizzazione e riduzione del danno. Al posto della vecchia tensione dialettica e della passione trasformatrice, traspare semmai, qua e l, un atteggiamento di rassegnato conservatorismo, quasi che non sia rimasto altro da fare che difendere lesistente da ulteriori corruzioni. Bene prezioso in estinzione127, Urbino dovrebbe ora rivendicare e preservare la sua natura aristocratica128, che va protetta dagli avvilimenti che la societ di massa troppo spesso induce. Una conversione totale, dunque, rispetto al rivendicato modernismo degli anni Sessanta129.

Sichirollo, 1967-69, p. 42. De Carlo, 1966, p. 108. De Carlo, 1966, p. 94. Cfr. Benevolo, 1966, p. 230. 120 De Carlo, 1966, pp. 95-6. 121 Mascioli, 1963, p. 14. 122 De Carlo, 1963, pp. 100-1. 123 De Carlo, 1966, p. 242 sgg.
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Cfr. AA.VV., 1963. De Carlo, 1990a, p. 33. 126 Ivi, p. 4. 127 Ivi, p. 20. 128 Ivi, p. 43. 129 Steiner, 1966, p. 232.
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La risposta dei politici e degli amministratori urbinati esposta nelle considerazioni della Giunta sul documento programmatico di De Carlo o re unultima materia di riessione. Da un lato, appare in queste note della Giunta una totale incomprensione del problema fondamentale della citt, legato alle modalit di realizzazione del suo modello di sviluppo. Dallaltro, c per lammissione della presenza di un problema o di pi problemi e della necessit di intervenire. La principale proposta che il Comune sa fare sulluniversit infatti lauspicio di una soluzione del problema dei nanziamenti130 che consenta di trovare fondi adeguati e denitivi per programmare nel tempo le attivit e potenziare le strutture. Non una parola, dunque, sullidenticazione della citt con luniversit e non una parola sulla necessit di ridimensionare questa anomalia a partire da una nuova idea di universit e da un nuovo equilibrio strutturale. Al contrario, il riferimento alla necessit di potenziare le strutture chiaro indice che si sta pensando ad unulteriore espansione delluniversit e dunque ad una crescita dei ussi studenteschi. Non a caso, nella sua replica De Carlo non pu fare a meno di alludere evasivamente agli errori131 commessi nella gestione della citt e del territorio e, soprattutto, di richiamare di nuovo lattenzione su alcuni fenomeni che stanno cambiando rapidamente la citt, in particolar modo la pressione esercitata dagli studenti. Anche il Comune, per, non pu chiudere completamente gli occhi. Ecco allora che, contemporaneamente132 alla crescita delluniversit, dice la Giunta, si debbono ricercare le risposte necessarie ai problemi connessi allalto numero di studenti comunque presenti, risposte che guardino ai bisogni, alla qualit dello studio e della vita, alla integrazione tra popolazione studentesca e citt. Dei problemi, dunque, e ettivamente vi sono, e sono legati alla pressione della popolazione studentesca sul centro storico e sullintero patrimonio edilizio del comune. A questo

proposito, la nota della Giunta arriva persino a sbilanciarsi, proponendo interventi attivi, seppur limitati. Il nuovo piano deve cercare i modi per evitare che gli alloggi del Centro Storico vengano suddivisi in unit abitative sempre pi piccole e deve inoltre prevedere nuove localizzazioni per una residenza universitaria correttamente integrata con quella degli abitanti del comune, elaborando anche soluzioni che non siano pi il frutto di logiche puramente speculative. Inne, la necessit pi urgente appare quella di una politica di coordinamento che porti a scelte concordate fra Amministrazione Comunale ed Universit negli interessi di tutta la citt di Urbino. C un problema di pressione, allora, e c persino un problema di logiche speculative. Ma il modello di sviluppo non viene mai messo in discussione e cos, nella replica nale di De Carlo, il riequilibrio diventa un obiettivo a lungo termine133 e cio unidea che, allo stato attuale, non dovrebbe destare preoccupazioni. Rimane lammissione reticente di un problema, sebbene la sua soluzione sia rimandata a tempo indeterminato.

Comune di Urbino, 1990, p. 6. De Carlo, 1990b, p. 2. 132 Comune di Urbino, 1990, p. 6.


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De Carlo, 1990b, p. 10.


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7. Una nuova pianicazione per un nuovo modello di sviluppo

Lesigenza di un nuovo piano arrivato il momento di tirare le somme di questo lungo discorso. Esso ci ha permesso di ricostruire la storia della citt negli ultimi decenni, sebbene in maniera sommaria e insu ciente, e di evidenziare le scelte decisive che ne hanno orientato lo sviluppo. Abbiamo riconosciuto il grande spessore politico e intellettuale delloperazione che ha condotto a immaginare e inventare un futuro per una realt che sembrava non averne e abbiamo pi volte sottolineato il ruolo attivo svolto dal Comune e dalluniversit, sia sul piano teorico che su quello pratico, nel guidare la citt verso la modernit e il benessere. Il piano stata la pi complessa operazione ideologica della vita comunale134. Quel modello di sviluppo, delineato a partire dalla formulazione di una precisa idea di citt, ha avuto meriti enormi ed stata la condizione pressoch esclusiva della salvezza di Urbino. Grazie ad esso, senzaltro una nuova vita doveva circolare nellintricato labirinto delle sue strade135. Non si tratta dunque di rinnegarlo o contestarne gli esiti ma semmai di recuperarne criticamente la tensione ideale e la capacit di visione. Esso, infatti, non stato sorretto no in
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Sichirollo, 1961, p. 17. AA.VV., 1963-67, comunicato della Sezione P.C.I. di Urbino.
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fondo da unadeguata e forte volont politica ed stato via via deformato dagli interessi particolari, sino a divergere sensibilmente dalle proprie premesse e dai propri obiettivi. Lidenticazione della citt con luniversit ha determinato perci, con il tempo, lemergere di una serie di criticit che sono divenute non pi tollerabili e si pu dire che essa costituisca oggi un freno per uno sviluppo di nuovo tipo, orientato qualitativamente, adeguato alle esigenze della societ odierna, fondato sulle opportunit che la citt e il territorio o rono. C uno iato enorme tra le potenzialit di cui una citt come Urbino, insieme al suo territorio, sarebbe capace e labulia nella quale versa attualmente. Si tratterebbe allora di rinnovare la tensione dialettica che il piano aveva saputo innescare e di recuperarne la prospettiva strategica, per realizzare oggi unoperazione analoga ma allaltezza delle nuove condizioni. Sarebbe necessaria, in altre parole, una svolta di vasta portata che investa direttamente il modello di sviluppo della citt. Un progetto complessivo di rinnovamento, che a partire da una nuova volont politica comprenda la sostanza del problema e lo a ronti, tematizzando il nesso citt-universit-territorio. Come abbiamo visto, il centro storico appare oggi come una realt articiale che rischia di perdere gli ultimi residui di identit. La tensione tra cittadini residenti e popolazione studentesca sta giungendo al limite e la qualit della vita peggiorata, con ricadute anche sul piano della sicurezza. La struttura oligopolistica dei servizi impedisce ogni concorrenza facendo lievitare i prezzi, abbassando la qualit dello erta e so ocando la vitalit delleconomia. La mancanza di alternative ad un terziario impiegatizio arretrato e sovradimensionato rende asttica la struttura produttiva. La rendita nanziaria legata agli a tti consente larricchimento di pochi a danno dellintera comunit e tiene in ostaggio la volont politica. Tra centro e frazioni vige una reciproca separatezza che spezza ogni idea unitaria della citt. Il territorio aspetta ancora di essere valorizzato adeguatamente. In queste condizioni, la grave crisi nanziaria nella quale luniversit versa nonostante una tardiva statizzazione che il partito che ha sempre avuto la maggioranza in citt, con grave colpa, ha fatto di tutto per evitare rischia di aprire un baratro. Nel momento in cui luniversit dovesse essere forzatamente ridimensionata, come in e etti sta gi accadendo, sarebbe
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infatti lintera economia cittadina, ad essa parassitariamente legata e priva di alternative realistiche, ad essere messa in ginocchio. Potremmo continuare a lungo. Di fronte a questo scenario, non appare pi su ciente la mera amministrazione dellesistente ma sarebbe necessario, al contrario, un salto di qualit e unassunzione piena di responsabilit politica. Bisognerebbe avere la capacit, cio, di delineare una nuova idea di citt e di andare oltre il modello di sviluppo nora adottato, recuperando quanto di meglio questo ha ancora da dare ma superando denitivamente i suoi punti critici sulla base di una nuova concezione del rapporto tra citt, frazioni e territorio complessivo.

Alcune proposte La volont politica dovrebbe porsi, anzitutto, lobiettivo di una riqualicazione sostanziale della struttura economica e mettere in atto una serie di rinnovate politiche di programmazione e sostegno un nuovo piano che consentano di di erenziare in tempi medi leconomia della citt. La monocoltura universitaria oggi un limite per la maturazione di nuove energie e sarebbe urgente indicare delle alternative, in consonanza con le vocazioni naturali e storiche di Urbino e del suo territorio allargato. Si tratterebbe, allora, di indirizzare la politica generale della citt verso un modello di integrazione territoriale e di sviluppo ecosostenibile di uso. In questo senso, la scelta di valorizzare lagricoltura biologica e di qualit andrebbe considerata strategica e sostenuta con ingenti investimenti. Lopportunit o erta dal processo di Agenda 21 Locale, che a Urbino ormai giunto allimplementazione del piano delle azioni, darebbe gi oggi gli strumenti per delineare una politica economica, ambientale e sociale partecipata oltre che sostenibile, concordata e programmata non solo con le associazioni di categoria ma anche con i singoli agricoltori, i cittadini dei diversi nuclei e tutti quei soggetti nora esclusi dalla denizione delle politiche comunali. Lidea di sviluppo sostenibile, equilibrato e partecipato, come lidea di politica territoriale, non dovrebbero pi essere solo parole retoriche che coprono una realt fatta di concertazione e clientelismo,
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bens una pratica di confronto continuo con quelle forze sociali che stanno divenendo mature per fornire unalternativa di sviluppo. In questo modo, anche le frazioni, penalizzate e carenti in termini di strutture e servizi, potrebbero esaltare la propria specicit, integrandosi in modo funzionale nel sistema territoriale e ricevendo lattenzione di cui hanno bisogno. Lartigianato, poi. Settore a lungo in crisi e sottovalutato, in molte realt del Paese ha saputo rinnovarsi e riqualicarsi, a ancando nuovi strumenti a tecniche e competenze tramandate di generazione in generazione, specializzandosi in una produzione limitata ma di grandissima qualit e ad elevato valore aggiunto. Esso associa oggi il recupero di una cultura storica allinnovazione consentita dalla societ della conoscenza. Se si potessero trovare le risorse per favorire il ritorno delle botteghe artigiane nel centro storico (cosa che sinora il Comune ha fatto in maniera contraddittoria e insu ciente) le potenzialit del nostro territorio e la sedimentazione di esperienze ancora non del tutto perdute consentirebbero di pensare anche per Urbino alla realizzazione di un distretto artigianale competitivo, come accade ad esempio in diverse realt della Toscana. chiaro poi che lo sviluppo dellartigianato e dellagricoltura di qualit, integrandosi, potrebbero avere notevoli ricadute in termini di attrazione di un turismo residenziale, attento ai valori della cultura e dellambiente. Si porrebbero cos le basi per la costruzione di un vasto distretto socio-economico, centrato sullo scambio di funzioni tra le diverse realt sociali e le varie attivit lavorative. Si delineerebbe, a dir poco, lidea ambiziosa di un nuovo modello di sviluppo, non pi basato sulle infrastrutture pesanti ma sullincrocio continuo tra saper fare, equit sociale ed innovazione culturale. Ancora una volta c da notare , non sembra che le scelte dellattuale amministrazione relative alla ristrutturazione del prezioso Collegio Ra aello, scelte prevalentemente commerciali e volte a fare di questo luogo una sorta di vetrina del lusso della citt, vadano in questa direzione, nonostante la dichiarazione dintenti. A nulla servirebbe questa di erenziazione del tessuto economico, per, se non si innestasse su unazione parallela che riguardi pi direttamente luniversit nel suo rapporto con la citt. C un problema urgente di pianicazione dello sviluppo dellateneo, di una sua riqualicazione in direzione dellalta formazione, di un suo inserimento nei circuiti inter84

nazionali della conoscenza. Di fronte alla crisi nanziaria delluniversit in una situazione, tra laltro, di acuta concorrenza tra gli atenei e allo scenario che questa potrebbe determinare, sarebbe opportuno che il Comune, la Provincia e la Regione dessero una mano in questo senso. E sarebbe bene, per, che essi non confondessero la necessit di svolgere un ruolo forte e attivo nellinterlocuzione con il Senato accademico, il Consiglio damministrazione e il Rettorato con la volont di prevaricare lautonomia delluniversit e che il loro coinvolgimento organico in scelte che riguardano il futuro della citt intera fosse scevro da retropensieri lottizzatori. In particolare, le amministrazioni locali hanno un compito prioritario: esse dovrebbero a nostro avviso adoperarsi politicamente perch venga al pi presto ra orzato sul piano nanziario quel processo di statizzazione che stato avviato, con grave colpa delle principali forze politiche locali, con n troppo ritardo rispetto alle necessit dellateneo. La statizzazione pu nel medio periodo appianare i problemi nanziari delluniversit ma pu avere ricadute virtuose anche ad altri livelli. Essa infatti sta gi comportando per lateneo la necessit di adeguarsi a standard qualitativi nazionali nella composizione degli organi dirigenti e del personale docente, nel trattamento del personale non docente e nella valorizzazione delle sue competenze, nella formulazione dellofferta formativa e nellerogazione dei servizi agli studenti. Essa stata, in questo senso, tuttaltro che un male minore di fronte alla possibilit della bancarotta. Va per portata a compimento e valorizzata come unopportunit e un elemento di ulteriore qualicazione, perch, alleggerendo le necessit economiche, pu consentire di attrarre la domanda studentesca non pi mediante labbassamento del livello qualitativo e della selettivit degli studi, come avvenuto sinora, ma attraverso leccellenza e la specializzazione dello erta. Una progressiva e ragionevole diminuzione della pressione dei ussi studenteschi sul centro storico (e non necessariamente dei ussi tout court), poi, una prospettiva che non va paventata come la ne del mondo bens attivamente perseguita, in quanto come abbiamo visto a questo nodo legata la possibilit stessa di ricostruire per la citt una forma coerente di identit. Certamente, si tratta per di guidare
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questo processo attraverso una trasformazione della natura e delle funzioni delluniversit anzich subirlo passivamente, come sta purtroppo avvenendo nel corso di questi ultimi anni. A nch la statalizzazione dispieghi i suoi e etti positivi anche dal punto di vista degli equilibri della popolazione, per, intervenire sulluniversit non basterebbe. Sarebbe necessario decentrare progressivamente la presenza studentesca, o rendo alternative alla convergenza entro le mura. A tal ne bisognerebbe forse pensare, pi che a programmi di edilizia universitaria di cilmente auspicabili in questo contesto (pensiamo soprattutto allidea incomprensibile di costruire nuovi collegi a Castel Cavallino), a incentivare forme di concordato a ttuario fuori dalle mura. Al tempo stesso, si dovrebbero per utilizzare tutti gli strumenti per a rontare il vero nodo in questione. necessario a nostro avviso che il centro venga pian piano ripopolato, almeno parzialmente, da una residenza stabile e continuativa e che a Urbino tornino ad abitare i cittadini vecchi e nuovi di Urbino. Si tratterebbe allora di attrarli qualicando la citt con servizi che la rendano vivibile per i residenti. Ma si tratterebbe, soprattutto, di recuperare la coerenza politica di un tempo e a rontare con coraggio il compito pi arduo: sottrarsi al ricatto clientelare e colpire la rendita nanziaria legata agli a tti, smantellandone lattuale struttura. Attraverso controlli serrati, il catasto e la leva scale delle imposte locali, ad esempio, si potrebbe disincentivare la propensione ad a ttare gli immobili agli studenti ed incentivare, al contrario, la tto alle famiglie. Lo stesso obiettivo potrebbe essere perseguito attraverso una rigorosa applicazione dei regolamenti edilizi e di quelli relativi ai vincoli abitativi e architettonici, con la conseguente opera di controllo capillare che le cacia di queste politiche richiede. In parallelo, si dovrebbe impostare una politica rivolta direttamente alla popolazione studentesca. Anzitutto, bisognerebbe dare corso operativo alla formula del contratto da tto concordato, che gi tempo fa era stato impostato nei suoi elementi preliminari attraverso il confronto tra Comune e rappresentanza studentesca. Adeguatamente pubblicizzato, questo strumento andrebbe sostenuto attivamente attraverso lapertura di uno sportello pubblico che favorisca e razionalizzi lincontro tra do86

manda e o erta, aggredendo loligopolio privatistico delle agenzie immobiliari. Esso, come abbiamo visto, andrebbe poi incentivato soprattutto fuori dalle mura. Il coordinamento di queste politiche servirebbe a calmierare i prezzi degli a tti, sui quali la volont politica dovrebbe comunque vigilare per evitare che superino una soglia di intollerabilit e inneschino dinamiche illegali di evasione scale. Per quanto riguarda la qualit della vita in centro e il rapporto tra studenti e cittadinanza, poi, la soluzione al problema non andrebbe cercata in logiche repressive, inutili e sbagliate, ma piuttosto nella qualicazione dei servizi e nella responsabilizzazione dei loro fruitori. Si tratterebbe di sollecitare la di erenziazione delle dinamiche associative, attraverso una pi articolata o erta culturale ma anche attraverso lo stimolo delle autonome capacit espressive sia dei cittadini che della popolazione studentesca. Andrebbero dunque favorite in termini economici, logistici e strumentali quelle forme di autoorganizzazione e autogestione che rendano gli studenti ma anche i giovani di Urbino e in generale tutti i cittadini soggetti attivi, partecipi ed innovatori della vita della citt. Lindividuazione di spazi per lassociazionismo, ad esempio, dove tutti i soggetti possano incontrarsi al di fuori dalle occasioni di consumo e possano dar vita a dibattiti, cineforum, concerti, mostre, feste e quantaltro, andrebbe in questa direzione. Per alleggerire la pressione sul centro, si potrebbe anche pensare ad individuare, fuori dalle mura, spazi adeguati per la costituzione di un centro polifunzionale autogestito.

Un nuovo spazio pubblico? Pur se in maniera ancora generica, immaginiamo, come si vede, un pacchetto di tre politiche di intervento parallele e integrate, che a rontino in maniera programmatica i problemi interdipendenti del centro, delle frazioni e del territorio. Tutto ci evidentemente solo uno spunto di riessione e non basta certamente per ridenire lidea di una citt. Una realt che versa in una crisi didentit cos grave come quella che a igge Urbino, ma che ha dalla sua unimportante eredit storica e una notevole riserva paesaggistica
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e ambientale, avrebbe bisogno di interrogarsi su ci che su e ci che vuole e dovrebbe ripensare in primo luogo un progetto culturale degno di questo nome. Un progetto che non si limiti a qualche roboante ma rapsodico evento ma rivitalizzi le energie intellettuali della citt a partire da un programma ambizioso continuativo e di lunga durata che richiede investimenti massicci al ne della ricostruzione di un nuovo spazio pubblico. In questo senso, appare incomprensibile che un vantaggio competitivo come quello che deriva alla citt dal far parte del Patrimonio dellumanit riconosciuto dallUnesco sia considerato dagli amministratori locali niente pi che un orpello decorativo e non sia adeguatamente valorizzato. I recenti annunci dellattuale amministrazione in merito alla realizzazione di un distretto culturale dovrebbero inne mettere tutti sullattenti. Per quanto si capisce, pi che di un distretto culturale sembra trattarsi di un distretto turistico, che tuttaltra cosa. E dietro parole altisonanti ma ancora ambigue c il rischio che si nasconda soltanto la ben pi prosaica volont di rompere i vincoli del piano regolatore e preparare una nuova colata di cemento133. Non questo il luogo per a rontare una tematica cos complessa. Daltro canto, riteniamo che una preliminare riessione sul modello di sviluppo avrebbe un intrinseco valore politico. Le dinamiche liberiste sviluppatesi negli ultimi decenni si sono manifestate nella nostra citt principalmente attraverso uno scatenamento degli istinti privati che ha condotto ad una privatizzazione dello spazio pubblico tendenzialmente totale. La sottomissione della volont politica e della sua funzione di direzione da parte degli interessi particolari, si pu dire, stata la principale privatizzazione avvenuta ad Urbino e tutte le amministrazioni susseguitesi negli ultimi decenni, per unimpreparazione culturale accompagnata da una profonda confusione politica, non sono state in grado non solo di immaginare sviluppi diversi ma nemmeno di comprendere minimamente il senso di ci che stava accadendo sotto i loro occhi. Invertire questa tendenza, al contrario, sarebbe il modo migliore per recuperare lo spirito originario del piano e innovarlo nelle nuove condizioni.

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Mottola, Giorgio, 2009 Il Montefeltro in un distretto, il Ducato, periodico dellIstituto per la formazione al giornalismo di Urbino, 30 gennaio. Ottaviani, Lara, 2009 Cosa voglio? Riaprire il Prg e una facolt darchitettura. Parla il sindaco Franco Corbucci, il Resto del Carlino, edizione di Pesaro e Urbino, 3 febbraio. Sichirollo, Livio, 1961 Filosoa e politica, ovvero del signicato di una citt (redatto nel 1961, pubblicato nel 1963 presso lIstituto statale darte di Urbino), in Sichirollo, 1972, pp. 1-22. Id., 1964 (a cura di) Il futuro dei centri storici e il PRG di Urbino, Vol. I, Quaderni di Di erenze, Argalia, Urbino. Id., 1966 Intervento al convegno Il futuro dei centri storici, v. AA.VV., 1966a, pp. 237-42. Id., 1967a Note su turismo, centri storici e pianicazione territoriale, in E. Baldini, Urbino in un segno-indice, Quaderni di Di erenze, Argalia, Urbino; ora in Sichirollo, 1972, pp. 105-13. Id., 1967b (a cura di) Il futuro dei centri storici e il PRG di Urbino, Vol. II, Quaderni di Di erenze, Argalia, Urbino. Id., 1967c Due anni di attivit dellAmministrazione Comunale, relazione dellAssessore allurbanistica, 14 gennaio 1967, in Sichirollo (a cura di), 1967b, pp. 186-211. Id., 1967c Proposte per lo studio di un piano comprensoriale, in Sichirollo (a cura di), 1967b, pp. 287-300. Id., 1967-69 Urbanistica e politica (redatto fra il 1967 e il 1969), in Sichirollo, 1972, pp. 23-55.
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Id., 1970 Appunti da un dibattito su Universit citt e regione, in U (periodico dellAmministrazione comunale di Urbino), n 3-4, 1 giugno 1970, ora in Sichirollo, 1972, pp. 97-104. Id., 1971 Regioni e partecipazione, in Sichirollo, 1972, pp. 57-93. Id., 1972 Una realt separata? Politica, urbanistica, partecipazione,Vallecchi, Firenze. Steiner, Albe, 1966 Intervento al convegno Il futuro dei centri storici, v. AA.VV., 1966a, pp. 231-3. Trinci, Ra aele, 1967 Il Centro Storico di Urbino in relazione al P.R.G. e la tutela dei Centri Storici delle Marche, intervento introduttivo del Soprintendente ai Monumenti per le Marche alla Mostra-Convegno, Urbino, Palazzo Ducale, aprile 1967, in Sichirollo (a cura di), 1967b, pp. 213-21. Union Internationale des Architectes, 1967 Motivazione del premio Abercrombie conferito a Giancarlo De Carlo, 2729 maggio 1967, in Sichirollo (a cura di), 1967b, pp. 139-40.

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Appendice

Il centro storico di Urbino: analisi degli insediamenti abitativi attuali


di Valentina Bernacchioni

Il centro storico di Urbino racchiuso tra le antiche mura bastionate interrotte da porte che ancora segnano lingresso nel pi antico nucleo abitativo della citt. La sua supercie ha unestensione di poco superiore al chilometro quadrato e presenta una forma romboidale che dal Giro del Cassero (il lato pi lungo) si estende no alla Barriera di Contrada San Paolo. Se le vie principali sono immediatamente individuabili sulla cartina topograca136, le vie secondarie costituiscono un tto intrico urbanistico nel quale si snodano stradine, piole, vicoli, saliscendi, minuscole piazzette e ancor pi minuscoli orti o giardini segreti. Chi abita oggi il centro storico di questa citt dichiarata patrimonio mondiale dallUNESCO? Dagli u ci dellanagrafe comunale ricaviamo i seguenti dati137: il totale dei residenti nel comune di Urbino al 31 agosto 2008 di 15.473 unit e di questi 1.186 risiedono nel Centro Storico. A fronte dei dati sulla popolazione residente prendiamo ora in considerazione i dati ricavabili dalle visure e ettuate in data 18 settembre 2008 presso il catasto fabbricati di Urbino. Al ne di questa ricerca ho preso in esame esclusivamente gli immobili accatastati come abitazioni private . necessario a questo punto sottolineare che laccatasta-

Vedi cartina topograca comune di Urbino, foglio 265, scala originale 1:3000. Attestazione del comune di Urbino del 24 settembre 2008 riferita alla situazione anagraca del 31 agosto 2008.
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mento a scopo scale potrebbe indurre a qualche errore di valutazione: le case censite come case popolari, per esempio, non sono estrapolabili dallelenco immobili rilasciato dal catasto; tuttavia lo stesso u cio catastale ha dichiarato che esse ammontano a circa 800. Precisi e completi sono invece i seguenti elenchi138: categoria A/1, abitazioni di tipo signorile: 9 appartamenti; categoria A/2, abitazioni di uso civile: 272 appartamenti; categoria A/3, abitazioni di tipo economico: 316 appartamenti; categoria A/5 abitazioni di tipo ultrapopolare: 68 appartamenti, per un totale di 663 appartamenti, ai quali vanno aggiunti i circa 800 della categoria A/4, case popolari. Ma a questo proposito unaltra la riessione da fare: le abitazioni che risultavano al catasto di categoria A/4 hanno subito ristrutturazioni che le hanno radicalmente modicate e nella realt non sono pi rispondenti alla categoria a cui sono iscritte. Questa non corrispondenza tra la realt degli immobili e il loro accatastamento un dato nazionale che riguarda in particolare i Centri Storici. La legge 311/2004 (legge nanziaria 2005) al comma 336 dellarticolo 1 ha dato il via alla revisione dello stato reale degli immobili. Interessati a questa revisione sono i comuni per lintroito dellICI e lo Stato per lintroito dellIRPEF. La stampa (Il Sole 24 ore, del 24 settembre 2007 e la Repubblica, del 2 novembre 2007) ha dato ampia eco alliniziativa di 343 comuni italiani (fra questi i soli capoluoghi sono Torino, Genova, Roma e Livorno) che si sono rivolti allagenzia del Territorio (ex catasto) con 40.000 richieste di verica su altrettante unit territoriali. Al ne di questa ricerca, interessante lindagine fatta nel Centro Storico di Bologna dalle cui case, com noto, molti cittadini ricavano ingenti introiti grazie agli a tti agli studenti. Dallarticolo apparso su Repubblica dal titolo: Quegli appartamenti ultrapopolari che nascondono regge da super ricchi, emerge che molte abitazioni accatastate in categoria A/5 nel Centro Storico di Bologna sono divenuti negli anni case signorili. Il fenomeno riguarda

Catasto fabbricati, elenco immobili, situazione degli atti informatizzati al 18/09/08.


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proprio il Centro Storico della citt e la stessa cosa si ripete nelle altre citt che vantano Centri Storici di indiscutibile bellezza e unicit. Per le categorie A/1, A/2, A/3, A/5, siamo in grado di fornire anche il numero dei vani. infatti questo dato che pu fotografare il reale rapporto tra numero degli abitanti e superci abitabili. Per la categoria A/1 abbiamo un totale di 156 vani pi 4 pertinenze; per la categoria A/2 abbiamo un totale di 1.838 vani pi 128 pertinenze; per la categoria A/3 abbiamo un totale di 1.272 vani pi 184 pertinenze; per la categoria A/5 abbiamo un totale di 191 vani pi 41 pertinenze. Le categorie di abitazioni sopraelencate danno un totale di 3.457 vani, ai quali vanno aggiunte le abitazioni A/4 (di tipo popolare) per le quali, come gi detto, abbiamo il numero totale delle unit (circa 800) ma ovviamente non il numero dei vani. A proposito di queste ultime, tuttavia, corretto rilevare che lassegnazione viene fatta o stata fatta da Istituti o Enti pubblici in base a graduatorie di reddito e a consistenza del nucleo famigliare, per la qual cosa impossibile che si verichi che un appartamento di molti vani sia assegnato a una famiglia di 2/3 unit. In una citt di impianto rinascimentale come Urbino, con un centro storico patrimonio dellumanit e con un prestigio dunque universalmente riconosciuto, risultano solamente 5 palazzi di tipo signorile e nel totale di questi cinque palazzi sono presenti solo 9 appartamenti. Se andiamo a vedere le caratteristiche che la legge attribuisce alle abitazioni di tipo signorile ricaviamo che esse sono denite come unit immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di riniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale. Ora evidente che tali abitazioni nella citt di Urbino sono certamente in una zona di pregio mentre resta opinabile e oscuro ci che riguarda le caratteristiche costruttive, tecnologiche ecc., tanto pi che nei centri storici, e in particolare nelle abitazioni di pregio storico gravano vincoli che ne impediscono la manomissione proprio per il loro valore storico, spesso artistico, certamente urbanistico. Non si pu non restare meravigliati dal fatto che nel Centro Storico di Urbino, dove il prezzo del mercato di antiche abitazioni esorbitante, siano solamente 9 gli appartamenti accatastati nella
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categoria A/1, quando evidente che il valore delle abitazioni di un centro storico sta soprattutto nella loro unicit e non riproducibilit. Daltra parte, basta una semplice ricerca delle proposte di a tto in Urbino su internet per accorgersi che il canone in questa citt molto pi alto che nelle vicine Pesaro e Fano e che le case o erte sul mercato sono spesso minuscole, adatte a uno studente o a un single ma certamente non a una famiglia. Mentre per Pesaro e Fano sono frequentissimi le indicazioni complete di via e numero civico e qualche volta gli annunci riportano anche la fotograa, per Urbino le indicazioni restano estremamente generiche. Lannuncio-tipo pu essere quello che si trova sul sito www.subito.it:
A ttasi in Urbino, in centro storico a 50 mt dalla piazza centrale, bilocale formato da una sala-cucina ed una camera pi bagno, recentemente ristrutturato con arredamento nuovissimo. Ideale per una persona. Richiesta euro 300,00 mensili, compreso nel prezzo il riscaldamento, non compresa luce ed acqua.

Nel Centro Storico, dunque, un appartamento di soli 30 metri quadrati d un reddito di 300 euro mensili, con spesa a parte per luce e acqua. Per quanto riguarda le abitazioni A/2 di tipo civile, apparentabili ai fabbricati di tipo residenziale e con locali di media ampiezza, allinterno delle mura perimetrali del Centro Storico ne risultano 272; ben 40 di questi appartamenti sono costituiti da pi di 10 vani. La stessa riessione pu essere fatta sulle abitazioni di tipo economico, categoria A/3: su 316 appartamenti 5 risultano con pi di 10 vani, uno addirittura con 18,5 vani e una rendita di 1.242,04 euro allanno e uno di 20,5 vani dislocato su tre piani con rendita annua di 1.376,36 euro. Tra le stesse case ultrapopolari, che in teoria dovrebbero avere il bagno o sulle scale o su un terrazzo in comune con altri condomini o altri coinquilini, ci sono 11 appartamenti con 5 vani e 3 appartamenti con pi di 5 vani. stata mia preoccupazione cercare presso gli u ci competenti il numero delle licenze di a ttacamere concesse, il registro di coloro che hanno la licenza di a tto, il numero dei contratti da tto. Ma questi dati, che dovrebbero essere pubblici, non mi sono stati forniti
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nonostante gli innumerevoli tentativi. Alcune riessioni sono tuttavia possibili. Anzitutto, il rapporto tra il numero degli appartamenti e il numero dei residenti nel Centro Storico: 1.463 appartamenti a disposizione di 1.186 residenti. Se tale rapporto prende in considerazione i vani a disposizione, abbiamo 3.457 vani, a cui vanno aggiunti x vani di 800 case popolari, per i soliti 1.186 residenti. Posta lipotesi minima che un appartamento popolare disponga di due vani, risulterebbe che nel centro storico, che secondo una di usa immagine popolare tto di abitanti ammassati gli uni sugli altri, i fortunati residenti di Urbino hanno a disposizione 6.057 vani e cio 5,11 vani a testa. Si potrebbe continuare a fare ipotesi con i numeri: una famiglia di due persone in 10 vani, una famiglia di 4 persone in 20 e cos via La collaborazione tra comuni e agenzia del Territorio, auspicata e richiesta dalla legge nanziaria 2005, si trova oggi di fronte a una novit legislativa: labolizione dellICI per tutte le abitazioni (esclusi castelli e dimore storiche). A causa delleliminazione di questa entrata, si impone ai Comuni una ricognizione realistica della realt immobiliare italiana che ponga rimedio alla discrasia tra il valore e la rendita reale degli immobili e quello u ciale. Sarebbe opportuno che questo problema venisse a rontato con urgenza anche a Urbino.

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Indice

Prefazione di Stefano Pivato 1. Lidea di pianicazione e la sua crisi 2. Urbino, la citt-campus e i suoi problemi di modernizzazione 3. Il piano degli anni Sessanta 4. La dialettica del piano: successo e rovesciamento 5. Un piano senza pi volont politica 6. Rassegnazione. Il piano degli anni Novanta 7. Una nuova pianicazione per un nuovo modello di sviluppo Riferimenti bibliograci Appendice Il centro storico di Urbino: analisi degli insediamenti abitativi di Valentina Bernacchioni Indice
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