• EDITORIALE
3 Alcune riflessioni a proposito del Grande Architetto dell’Universo
Gustavo Raffi
• SCIENZE STORICO-SOCIALI
13 Considerazioni sulla guerra giusta
Sergio Moravia
19 La Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi
Giovanni Greco
• SIMBOLOGIA MASSONICA
53 Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale
Pietro Mander
• FILOSOFIA E ALCHIMIA
61 Alchimia: correnti filosofiche e sua attualità
Carlo Paredi
• ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
69 Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake
Antonio D’Alonzo
83 Flauto Magico, mitologia e dintorni
Giuseppe Cacopardi
Comitato Scientifico:
Presidente: Orazio Catarsini (Univ. di Messina)
Giuseppe Abramo (Saggista) - Corrado Balacco Gabrieli (Univ. di Roma “La Sapienza”) - Pietro Battaglini (Univ. di Napoli) - Eugenio Boc-
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EDITORIALE
Gustavo Raffi
Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia
In the present paper delivered at the World Conference of the Grand Lodges (New
Delhi, Nov. 7-8 2002) the Most Worshipful Great Master of the Great Orient of
Italy, Adv. Gustavo Raffi deals with the Masonic concept of the Great Architect
of the Universe in the light of the multicultural and multireligious characters of
Universal Freemasonry rising questions as: “Does Freemasonry think about God?
Can the craft do it? And, if so, how?”
The Great Architect remains the basic pillar of regular Freemasonry and repre-
sents the indisputable rationale of Masonic research but does not reflect any spe-
cial theological orientation, because Freemasonry is not a religion and does not
impose any particular philosophy or theology to its members. To the contrary the
Craft focuses on the centrality of the idea of the Supreme Being and on that of the
human research of truth stimulating a process of tolerant and respectful inter-reli-
gious dialogue in the perspective of a general improvement of humanity. Thus
religious and cultural differences represent a deep richness and a strong impulse
for all the Masons, in particular today, when the process of mondialization and the
new trends of scientific researches (particularly in the field of astrophysics) rise
new questions without offering definitive answers.
Nel seguente intervento vorrei affrontare un tema che potrebbe forse sembrare
alquanto strano, se non addirittura provocatorio. Vorrei infatti riflettere con voi sul-
l’idea - senza dubbio gravida di conseguenze e di implicazioni straordinarie - del
G.A.D.U.; un’idea che costituisce di per se stessa la pietra miliare della Massoneria
regolare. Tale argomento potrebbe allora apparire - come ho già dichiarato - provo-
catorio sia da un punto di vista “interno” sia “esterno”. Da una parte, al di fuori del
*
Intervento presentato in occasione della Sesta Conferenza Mondiale delle Grandi
Logge. Nuova Delhi, 7-8 Nov. 2002.
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EDITORIALE
massonica), per l’altro hanno coagulato una volontà di forte apertura interreligiosa e
multiculturale. E’ proprio in tale contesto, ben evidenziato nell’esperienza anglosas-
sone, che altre comunioni massoniche, sotto la volta arcuata del Grande Architetto
dell’Universo, hanno aperto via via le porte dei templi ai fedeli di altre confessioni,
non necessariamente di matrice giudaico-cristiana, come Hindu, Zoroastriani, Bud-
dhisti, Scintoisti, Sikhs, etc. Alcune di queste Massonerie, si sono talora orientate,
almeno in certi momenti, seguendo orientamenti di tipo latitudinario o deistico, anche
se mai la Massoneria si è espressamente pronunciata su una definizione teologal-
mente “forte” e allo stesso tempo “rigida” o “esclusiva” dell’Ente supremo in chia-
ve razionalistica. Al contrario, ancora oggi, non è inusuale il fatto che, se qualcuno
facesse solo una vaga professione di deismo verrebbe immediatamente tacciato di
essere “massone”, anche qualora ciò non fosse affatto vero. Come abbiamo già sot-
tolineato, non si può affermare che la Massoneria sia statutariamente deistica o aper-
tamente incline al deismo; tale orientamento costituisce una opzione individuale,
come altre, ma non vincola l’impianto generale del pensiero latomistico. Un caso a
parte, storicamente più legato all’area francese, riguarda inoltre tutte quelle Masso-
nerie che, in un particolare momento della loro tradizione, hanno invece deciso di
disfarsi del cosiddetto “Libro sacro” ed hanno assunto un atteggiamento che non
sarebbe corretto definire “ateo” o “agnostico”, ma semplicemente “indifferente” alla
questione della trascendenza, e che lascia piena libertà alle singole logge di operare
con o senza il riferimento al G.A.D.U., come se si trattasse di un’opzione possibile,
ma non necessitante, così come invece noi reputiamo. Proprio per tale ragione noi
consideriamo tali Maestranze “irregolari”.
Non è comunque mia intenzione riproporre in questa sede una riflessione di carat-
tere prettamente storico su tali diversi percorsi, ma affrontare, soprattutto alla luce
del patrimonio espresso dal Grande Oriente d’Italia, alcune riflessioni generali di
comune interesse.
La Massoneria non è una religione; per questa ragione noi non abbiamo un “Dio
massonico” né una “teologia massonica”. Il G.A.D.U. rimane solo un concetto gene-
rale ed universale che la Massoneria non può né deve determinare, perché di per sé
inesprimibile e indefinibile nel contesto di un’istituzione che si pone come luogo di
incontro di diversità. Questa entità divina e suprema rappresenta pertanto un concet-
to centrale, che deve essere interpretato direttamente da ciascun fratello, secondo la
propria libera coscienza e la sua fede. Un Dio massonico sarebbe di converso una
completa assurdità, poiché ciò imporrebbe di fatto una dottrina religiosa a tutti i
membri della comunione massonica distruggendo le differenti e individuali opinio-
ni religiose, teologiche e filosofiche dei singoli fratelli. In questo modo la Massone-
ria si trasformerebbe in una riproduzione di una setta minoritaria, con l’abbandono
del suo profondo forte retroterra interculturale e della sua intrinseca tolleranza. Per
quanto sarebbe antistorico immaginare che la Massoneria delle origini fosse così
“moderna” da porsi come luogo di incontro proprio per tutti gli uomini di “buoni
costumi”, come invece avverrà solo più tardi, indifferentemente rispetto ad ogni pos-
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EDITORIALE
sibile differenza di razza e religione, essa, sin dai primordi produsse comunque un
notevole impatto sul processo di modernizzazione del mondo verso forti ideali di
mutuo rispetto e tolleranza religiosa. Il caso della Massoneria indiana, dove genti di
tradizioni religiose diverse hanno operato e operano insieme senza pregiudizi etno-
religiosi, è un esempio calzante di quel che voglio significare. Mi sembra altresì
opportuno puntualizzare ai molti fratelli che vivono in paesi dove forse i pregiudizi
antimassonici sono di poco conto, che è necessario comprendere come questo
“nostro” senso di fratellanza, tale da aprire la Massoneria a Cattolici, Protestanti ed
Ebrei, per esempio nella Toscana nelle prime decadi del XVIII secolo, provocasse
pesanti reazioni da parte della Chiesa Cattolica. In un periodo di intolleranza politi-
ca e di dispotismo, quando ogni forma di assembramento, se non sotto il controllo
della polizia, era assolutamente interdetto, il nostro modo di lavorare, relativamente
interclassista per l’epoca, tollerante, meta- e interreligioso e soprattutto esoterico,
scevro da preclusione dogmatica alcuna, fu di fatto considerato come un evento
intrinsecamente pericoloso per la sicurezza dello stato; ovviamente ciò secondo il
punto di vista di uno “stato di polizia”. Queste ragioni ora non corrispondono più alla
realtà e noi stiamo operando affinché si sfati questa falsa immagine concernente la
Massoneria nella profonda speranza che gli sforzi presenti possano meglio essere
compresi al di fuori della nostra istituzione.
Ma adesso, sul cammino della fratellanza universale, che cosa è divenuto il
G.A.D.U.? Un comodo contenitore vuoto, opportunisticamente rimasto come un vec-
chio marchio di garanzia della derivazione regolare? Oppure esso ha un senso, di
carattere se non altro filosofico-cosmologico, al quale riferirsi ed al quale ricondur-
re una serie di principi cardinali?
Noi potremmo dire che il G.A.D.U. andrebbe innanzitutto definito come “l’ordine
del discorso”; la sua accettazione fa sì che i Massoni assumano l’esistenza di un prin-
cipio comune e universale, inteso come bene, verità e ragione, al quale far riferimento
e dal quale trarre le coordinate per l’agire singolo e comune.
In altre parole, il G.A.D.U. è la logica, la ratio a priori grazie alla quale si fonda la
ricerca della verità; quindi un principio di ratio ma anche di philia universale, che
pone nel “bene” e nella sua ricerca il fine dell’umanità e in particolare quello della
stessa Massoneria. Per queste ragioni, in quanto tale, il G.A.D.U. non viene però
eccessivamente qualificato né può esserlo, non per mero amore di relativismo, ma
solo perché ciò significherebbe entrare nel merito di una serie di teologoumena che
provocherebbero solo separazione e contrasti nel suo seno e sui quali la Massoneria
non intende imporre una verità unica, ritenendo tale scopo estraneo alla “sua” ragio-
ne di esistere, ma altresì incoraggiando i singoli muratori alla ricerca di tale verità.
La Massoneria infatti resta una comunione di “spiriti liberi” alla ricerca di una veri-
tà ultima. Ma tale completa verità non si trova nelle nostre mani, né - crediamo - in
quelle di ogni altra Massoneria. Se ciò non fosse vero, la Massoneria dovrebbe già
da tempo aver finito la costruzione del tempio, e di conseguenza, avendo terminata
l’opera e pagati gli operai, si dovrebbe sciogliere. Ma vorrei essere più preciso su
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Alcune riflessioni a proposito del Grande Architetto dell’Universo, Gustavo Raffi
scere e rispettare i modi e le differenze con cui gli altri fratelli pensano e venerano
tale Dio. Per questa ragione, se una buona cultura di base non è necessariamente un
requisito essenziale per il massone, la sua presenza risulta di notevole aiuto, poiché
rafforza le capacità di comprendere e destreggiarsi con tutte queste differenze.
La Massoneria non può peraltro essere né conformista né unilaterale. Al contrario,
una comunione latomistica che divenga il tempio vivente, dove eventualmente Cat-
tolici, Protestanti, Ebrei, Musulmani, Zoroastriani, Buddhisti, Deisti e altri ancora,
possano fraternamente illuminarsi nella ricerca della verità, e quindi anche e soprat-
tutto nella ricerca di Dio, necessita di un continuo addestramento, morale ed intel-
lettuale, giacché ogni parola
in un tale consesso deve
cadere come un accordo
armonico e non come un ele-
mento di separazione e
incomprensione.
Il mio discorso potrebbe
però generare un dubbio. Se
la Massoneria cerca la verità,
coloro che già appartengono
ad una fede che si considera
depositaria della verità, qua-
le vantaggio trarrebbero mai
da questa esperienza, anche e
soprattutto nel loro cammino
di conoscenza del divino?
Non cadono essi forse in
contraddizione, accettando
un’esperienza che presuppo-
ne il dubbio e la ricerca,
avendo già una fede e quindi
anche un risposta? Il quesito
è due volte grave, non essen-
do affatto teorico, ma solle-
vato da alcune Chiese.
Io penso che l’individuale
convinzione di possedere
una verità religiosa non esi-
ma l’uomo dal porsi altre
domande e da una continua
ricerca, né alcuno spirito
religioso potrebbe conside-
Bibbia moralizzata, Dio misura il mondo con il compasso, 1250 ca. rarsi così divinamente inspi-
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Alcune riflessioni a proposito del Grande Architetto dell’Universo, Gustavo Raffi
rato da non sentire il bisogno di un dialogo profondo con i suoi fratelli, soprattutto
quelli da lui diversi. La Libera Muratoria offre quindi un’opportunità ad ogni perso-
na che voglia camminare su di una strada difficile, dove il suo spirito possa essere
stimolato alla tolleranza, conoscenza e rispetto. Grazie alla ritualità e all’esperienza
esoterica il Massone sarà spinto a ripensare e rimeditare molti problemi centrali nel-
l’umana esistenza; gli sarà più volte richiesto di rispondere a certi interrogativi con
le sue idee e non secondo un credo stabilito dalla Massoneria, ma verrà anche indot-
to a operare con gli altri fratelli, molti dei quali diversi da lui per fedi e tradizioni. Per
questa ragione è chiaro che una tale strada non è per tutti, in particolare per quegli
uomini che non siano interessati al dialogo con altre identità, altre culture, altre reli-
gioni.
Sotto la volta del tempio, noi uniamo le nostre imperfezioni per migliorarci; se non
siamo pronti ad ascoltare gli altri, a riflettere sulle vere differenze, come potremmo
essere al centro dell’universo? Il particolare tipo di sociabilità proposto dalla Mas-
soneria rappresenta oggi un forte strumento nel processo di globalizzazione del mon-
do, dove i problemi appaiono enormi e la violenza e l’antagonismo molto forti. Per
queste ragioni il ruolo della Massoneria torna ad essere significativo, poiché la nostra
istituzione potrebbe aiutare l’umanità sulla strada dei processi di integrazione e di
pace. In presenza di una forte decadenza dei più importanti valori etici e morali nel-
l’ambito delle società occidentali, basate sulle più crude leggi del profitto e del pote-
re, noi costituiamo la sola istituzione non-religiosa che spinga gli uomini a meditare
su tali principii ed in particolare sull’idea di Dio, anche se nell’immagine del
G.A.D.U.
Molte pseudo-religioni hanno fatto la loro comparsa nel panorama attuale; esse in
genere offrono a poco prezzo tutte le risposte necessarie; nessun interrogativo, nien-
te tolleranza, ma solo un kit completo di nozioni minime basate sull’ignoranza, anche
se perfettamente valide per ridurre un essere umano ad una persona stupida e acriti-
ca. La Massoneria, al contrario, aiuta gli uomini ad elaborare una coscienza indipen-
dente ed un pensiero autonomo attraverso il potenziamento di ogni tratto positivo
contenuto anche nelle loro religioni e non contro di esse.
Non si creda peraltro che, nel nuovo contesto post-moderno, la Massoneria sia uno
strumento della scienza contro le fedi. La scienza non conferma né esclude Dio e le
religioni; né le religioni possono imbrigliare i risultati della conoscenza scientifica.
E qui non intendo riferirmi alle problematiche della bioetica e alle polemiche più vol-
te apertesi intorno a temi scottanti come la fecondazione artificiale o simili, ma dei
grandi interrogativi che la fisica e la cosmologia moderne hanno aperto, e di fronte
ai quali anche le fedi religiose si devono di fatto interrogare. Alcuni intellettuali,
come il fisico anglicano John Polkinghorne (in particolare nella sua recente mono-
grafia Credere in Dio nell’età della scienza, Milano 2000), hanno, in modo molto
aperto e stimolante, proposto una serie di riflessioni per nulla aprioristiche o teolo-
galmente chiuse al riguardo delle grandi questioni dell’astrofisica e dell’origine del
creato.
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EDITORIALE
lità di vita su altri mondi nel cosmo in espansione: ammissione che avrebbe, forse,
salvato Giordano Bruno, ma che suppongo abbia messo in forte imbarazzo non pochi
teologi più tradizionalisti o anche semplici intellettuali cristiani i quali, secondo
un’ottica ancora di impianto medievale, volessero ancora sostenere che la centralità
dell’umanità terrestre debba essere ritenuta l’unica, attraverso l’incarnazione del Cri-
sto, a poter dare senso compiuto alla creazione.
L’idea di un Big Bang, che peraltro non dispiacque affatto anche a Pio XII poiché
vi vedeva una giustificazione al creazionismo, è altresì oggetto di ampia e circostan-
ziata discussione, giacché tale singolarità non appare più, almeno secondo alcuni fisi-
ci, come il momento primo della creazione (si pensi alla teoria delle superstringhe o
a quella dell’istantone), né d’altra parte l’idea che il tutto si concluda con un Big
Crunch risulta oggi così sicura, e ciò almeno da quando si è scoperto che l’universo,
anziché decelerare, è al contrario in continua accelerazione. Tale fatto sembra impli-
care non solo che l’universo sarebbe infinito e piatto (ossia governato dalla geome-
tria euclidea) ma addirittura che esso disporrebbe di massa insufficiente per produr-
re un collassamento delle galassie in fuga verso i suoi confini.
Esiste allora un’equazione di Dio? Un linguaggio simbolico e astratto, che la logi-
ca dei fenomeni interpretati dai fisici, dai matematici e dagli astronomi ha elaborato
e che ci impone una nuova riflessione, spesso interreligiosa sul volto e sul ruolo di
Dio?
Il fatto che l’uomo sia in grado di elaborare un linguaggio a sua volta capace di
interpretare, anche se solo in una parte, la meccanica celeste e la fisica delle parti-
celle, lascia forse supporre l’esistenza di una ratio fondante? Certamente, a seconda
dei modelli fisici che la scienza andrà elaborando, anche la filosofia e la religione -
le religioni tutte - saranno continuamente provocate e stimolate a porsi degli interro-
gativi ed a riflettere a voce alta con meno pregiudizi. Le risposte come le conferme
o le smentite alle varie ipotesi formulate dagli scienziati, così come al riguardo dei
diversi modelli cosmologici avanzati, non verranno infatti dalle religioni né dai loro
impianti teologici, ma dovranno essere comunque reperiti all’interno del linguaggio
fisico-matematico, fatto di cui gli stessi fisici “credenti” sono più che convinti. Non
è un caso che l’ultimo dei cicli promossi dall’ex Cardinale di Milano, Monsignor
Carlo Maria Martini, nel quadro della “Cattedra dei non credenti”, sia stato dedicato
al “tempo” ed ai suoi interrogativi che fisica, metafisica e filosofia si pongono al suo
cospetto (C.M. Martini, Figli di Crono. Undicesima cattedra dei non credenti, Mila-
no 2001).
Le vie del dialogo passano anche attraverso gli interrogativi posti dalla scienza, non
alla o contro la fede e le fedi, ma innanzitutto all’intelligenza umana.
In tale prospettiva, la Massoneria, come crocevia di culture, tradizioni e fedi diver-
se, non può che ritrovarsi, sotto la guida della ragione e della luce che il G.A.D.U.
rappresenta, come tempio del dialogo, tra e con tutte le componenti di buona volon-
tà presenti nella società.
Cari Fratelli, in altri termini, il problema ritorna ad essere quello della ricerca del-
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EDITORIALE
la verità e con essa della felicità, attraverso un impegno per la riduzione della soffe-
renza e del dolore umano, la cui presenza nel mondo è da sempre uno degli interro-
gativi che investono la questione del divino e della sua essenza ed a cui gli uomini di
buona volontà possono dare, se non una risposta definitiva ed univoca sul piano teo-
logico-filosofico, una serie di testimonianze reali e positive per il perfezionamento
del mondo.
Se quindi noi non possediamo la risposta definitiva, tutti noi, ciascuno nel suo cuo-
re, possiamo fare del nostro meglio per rendere più luminosa la presenza dell’ordine
divino nel nostro mondo per la gloria del Grande Architetto dell’Universo.
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SCIENZE STORICO-SOCIALI
Sergio Moravia
Università di Firenze
In a period in which so many wars stain with blood our world a careful analysis of
the different kinds of wars seems to be very important. There are, in fact, aggres-
sive and defensive wars, wars of conquest and wars of liberation etc. Since the
Middle Ages the problem of the “right war” has been referred to this phenome-
nology of the war. According to the author of the present article not all the wars
are injust. The real question which has to be raised is “who” is intitled to judge the
rightness or the unrightness of a war. After the Second World War one of the most
influential answers has been that this subject is the Organization of the United
Nations. From an ethical standpoint it must also be added that a war can be con-
sidered as “right” only when every political effort addressed at a pacific solution
of certain controversies has been proved unsuccessful and the diverse conse-
quences of the war itself have been adequately evaluated.
Prima di tutto vorrei ringraziare, soprattutto nella persona del suo Presidente del
Collegio circoscrizionale di Torino, l’Istituzione che mi ha invitato a partecipare a
questo Convegno. Trovo molto significativo che la Massoneria si ponga una proble-
matica quale quella che oggi ci ha qui riuniti. Il mondo massonico è sempre stato un
mondo di pace. Si è battuto contro la guerra anche quando alcuni suoi membri han-
no partecipato ad alcuni conflitti reputati giusti.
La domanda che è stata posta al centro della nostra riflessione odierna appare par-
ticolarmente delicata. Certo, il primo impulso sarebbe di darle una risposta tran-
chante: un sì o un no recisi all’esistenza di una guerra giusta. In realtà una risposta di
questo genere non appare possibile. La ragione è che la guerra è qualcosa di assai
diverso da quanto il nostro immaginario tende talvolta a credere. In una frase diven-
*
Intervento presentato in occasione del Convegno La guerra giusta? Presupposti etici
e giuridici per l’uso internazionale della forza, Torino, 19 Ott. 2002.
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SCIENZE STORICO-SOCIALI
tata celebre Clausewitz la definiva la prosecuzione della politica con altri mezzi. La
sua giusta intuizione era che la guerra è una condizione estremamente coinvolgente
e complessa. L’evento della morte di un soldato non è, al limite, l’aspetto meno rile-
vante. Ben più rilevante è che in guerra muoiono tanti civili, che in essa si distrug-
gono fonti di sopravvivenza naturali, centri abitati, e che interi sistemi economici ne
risultano sconvolti.
Non basta. Noi parliamo di guerra e pensiamo alla guerra standard: alla guerra
guerreggiata. Ma forse si dovrebbe avere un concetto più ampio e articolato della
guerra medesima, e ammettere che situazioni conflittuali si danno anche in condi-
zioni di pace apparente: quando ceti dispotici sfruttano maggioranze sofferenti, quan-
do gruppi etnici schiacciano con la forza lo sviluppo di altre etnie. Da questo punto
di vista certe guerre consistono nella reazione cruenta di popolazioni che vivono una
vita iniqua.
Quest’ultimo cenno potrebbe anche costituire l’incipit di un inventario delle varie
forme di guerra, capace di rivelarsi un prologo indispensabile per una riflessione sul
concetto di guerra giusta. Senza nessuna pretesa di offrire un catalogo completo, vor-
rei ricordare che esistono guerre offensive e guerre difensive, guerre di repressione
e guerre di liberazione, guerre ispirate da propositi di trasformazione del mondo e
guerre locali, connesse con determinate e delimitate finalità politiche o economico-
sociali.
Questa che chiamerò la “pluralizzazione” del concetto di guerra è il necessario pre-
supposto - come ho appena detto - di un esame del concetto di guerra giusta. Si trat-
ta di un concetto che ha un’origine prevalentemente teologico-religiosa. Ne hanno
parlato per primi S. Agostino e S. Tommaso. Poi la nozione è stata accolta da nume-
rosi pensatori laici. Nell’età moderna e contemporanea è diventata uno dei termini di
riferimento obbligati delle indagini di quella disciplina che Gaston Bouthoul ha chia-
mato “polemologia”.
Soltanto un esperto di tale scienza potrebbe guidarci attraverso le distinzioni dot-
trinali che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’idea di guerra giusta. Io ho però la
sensazione che a molti dei presenti ciò che sta a cuore è principalmente una questio-
ne di più ampio respiro intellettuale e morale. E’ la questione indicata nel titolo stes-
so del nostro Convegno: si può parlare di una guerra giusta, o questa è quasi una con-
traddizione in termini? Se non è così, quali sono i criteri secondo i quali noi possia-
mo pensare la guerra, suddividendola poi tra giusta e ingiusta? E questi criteri sono
tutti interni alla stretta essenza della guerra, o rinviano anche a matrici e contesti più
generali? Per quanto mi riguarda, è a queste domande che vorrei cercare di rispon-
dere brevemente.
In primo luogo l’espressione “guerra giusta” non mi pare sempre e in qualsiasi caso
una contraddizione in termini. Sarebbe contraddittoria se l’umanità e la sua storia fos-
sero diverse da quello che sono: rispettivamente il soggetto e il teatro di vicende in
cui il bene e il male coesistono in una sorta di perversa concordia discors. E’ inne-
gabile che i più diversi popoli, stati e paesi si sono macchiati di crimini atroci. E’
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Considerazioni sulla guerra giusta, Sergio Moravia
altrettanto innegabile che in molte circostanze altri popoli, stati e paesi hanno cerca-
to di reagire anche militarmente a questi crimini. Bocciare tale reazione perchè a sua
volta ha contribuito a spargere lacrime e sangue mi pare affrettato. Deprecate nel-
l’iperuranio dei buoni propositi, molte guerre hanno conquistato una pur discus-
sa legittimazione. Penso alla guerra anti-nazista; penso ai movimenti indipen-
dentistici svoltisi nel corso del cosiddetto Risorgimento africano; penso alle
parallele lotte anti-colonialiste dell’Estremo Oriente. Quando un paese è assalito
e invaso militarmente, è difficile contestargli il diritto ad una reazione; quando
un popolo si rivolta contro un regime totalitario in nome della libertà è arduo
negargli il riconoscimento delle sue buone ragioni.
Il problema, piuttosto, è un altro. E’ individuare chi ha titolo per stabilire la giu-
stezza o meno di una guerra. Si tratta, è chiaro, di un interrogativo assai difficile. Ma
va anche aggiunto che, sia pure in modo ancora insufficiente, il mondo occidentale
ha perseguito una risposta il più possibile convincente a tale quesito. Si è comincia-
to col separare tra loro sfere e dimensioni che andavano separate. Non è Dio, e nep-
pure la Chiesa, a poter indicare cosa è giusto e cosa no nell’universo dell’umano con-
tendere. Si è cercato, pur tra errori e contraddizioni, di parlare di guerra e di pace in
termini non sacri ma laici. Si sono inoltre creati organismi sovranazionali - il più
recente è l’ONU - incaricati di valutare la fondatezza di alcune iniziative belliche e,
se nel caso, di intervenire anche con la forza. Il tentativo, insomma, è stato di supe-
rare quella che in passato veniva chiamata l’anarchia politica internazionale. Mi si
obietterà che assai spesso tali organismi - compresa l’ONU - non si sono mostrati
all’altezza dei loro compiti. Risponderò riconoscendo la fondatezza dell’obiezione -
ma, insieme, sottolineando che qualcosa nell’ultimo cinquantennio l’ONU ha pur
saputo fare. E’ che comunque tale organizzazione addita quella strada della concer-
tazione pacifica che appare l’unica in grado di contenere l’endemica malattia della
guerra.
Non posso tuttavia tacere, cari Amici, la mia profonda angoscia. E’ stato detto che
se per fare la guerra basta una volontà, per interromperla occorre essere almeno in
due (istruttive, a tale proposito, le tragiche vicende israelo-palestinesi). La guerra giu-
sta, poi, sembra presupporre uno scenario relativamente ragionevole, nel quale pae-
si di diverse convinzioni politico-spirituali accettano almeno alcuni princìpi fonda-
mentali. Ma quando questi princìpi mancano, come procedere? Senza dimenticare
che l’amaro zoccolo duro della realtà è sempre pronto a deludere, a smentire le spe-
ranze e gli impegni più solenni. In situazioni estreme gli uomini tendono a mostrare
il loro volto irragionevole e ferino. Era forse giusto combattere Bin Laden e i suoi
sostenitori afgani. Ma quella guerra, diversamente da come avrebbe dovuto essere,
non è stata gestita dall’ONU, non ha risparmiato migliaia di civili, e non è neppure
riuscita a catturare lo stesso Bin Laden.
Ho però parlato di angoscia, non di disfattismo. Ho accennato alla necessità di esse-
re in due a fare la pace, ma non ho detto che da soli non ci sia niente da fare. Da fare
ce n’è, e molto. A cominciare proprio dall’analisi delle condizioni che rendono una
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SCIENZE STORICO-SOCIALI
Giovanni Greco
Università di Bologna
In spite of the importance and relevance up to the present of Aurelio Saffi’s thought
and action, a methodical collection of his works and a comprehensive biographical
study have not yet been published.
Moreover, Aurelio Saffi showed to be a real precursor of trends and lines of that
liberal democracy which would be consolidated towards the end of the nineteenth
and the beginning of the twentieth centuries.
It is not by chance that Antonio Gramsci, referring to the most important Freema-
sons who desired a united Italy, wrote that Freemasonry has been the only signifi-
cant institution produced by the italian middle class.
schieramento radi-
cale del Risorgi-
mento (i Fabrizi ed
i Saffi) e gli atteg-
giamenti populistici
di una porzione del
notabilato disposta
a schierarsi a sini-
stra per controllare
ampi strati di base
urbana. E ciò si evi-
denziava particolar-
mente nell’universo
associativo di
matrice artigiana di
Bologna e di Forlì,
dove erano presenti
società di mutuo
soccorso ante litte-
ram tutelate dai
possidenti delle
casse di risparmio.
Uomini come
Carducci, Ceneri,
Baccarini, Costa e
Saffi non furono
solo protagonisti
Aurelio Saffi triumviro. Litografia
del microcosmo di
sinistra, ma divennero la quintessenza dello spirito radicale urbano, esercitando un
forte condizionamento sulle mentalità e sull’organizzazione dei nuclei emiliano-
romagnoli d’opposizione alla destra.
Se è vero, secondo i dati di prefettura, che un centro dalle salde radici democrati-
che come Forlì, la cui percentuale di filo-governativi rasentava il 42%, è altrettanto
vero che l’insistenza con la quale uomini come Carducci, Filopanti, Mercantini e Saf-
fi erano richiesti in provincia, poteva suonare come la conferma della destruttura-
zione dell’universo garibaldino ed, in assenza di un nucleo mazziniano, si rivelava
incapace di uscire da schemi settari.
Nel 1881 Alfredo Comandini scriveva che, a partire dagli anni sessanta, era acca-
duto qualcosa di molto particolare. Numerosi notabili “rossi” erano riusciti nell’in-
tento di politicizzare il preesistente associazionismo urbano di matrice popolare. E
l’artefice era stato proprio Aurelio Saffi, su questo punto assai critico col Mazzini,
che aveva spinto i repubblicani romagnoli nel circuito dell’associazionismo legale
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La Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi, Giovanni Greco
del Supremo Consiglio dei 33 del Rito Scozzese, offertagli proprio da Timoteo Ribo-
li e Aurelio Saffi.
Da alcuni decenni era forte il dibattito fra lo “scozzesismo” e il GOI, tant’è che il
forlivese Alessandro Fortis, oratore della Livio Salinatore, futuro presidente del con-
siglio, nel 1874 fra gli arrestati di Villa Ruffi, assertore del “pericolo clericale”, ave-
va sostenuto che lo scozzesismo era la vera massoneria, mentre il GOI era una socie-
tà qualunque. Del resto la terra forlivese era sempre stata fertile in questo ambito.
Basti pensare che sin dal 1818, Piero Maroncelli, forlivese, iscritto alla carboneria,
uomo di grandi ideali, era riuscito a determinare l’alleanza fra le sette romagnole e
toscane con la conseguente trasformazione della Carboneria in Massoneria. In que-
st’ultima vennero accolti tutti i carbonari ed ogni altro settario che si era distinto per
zelo e fermezza, oltre ai capi dell’antico massonismo ed elementi di Parma, Modena
e Reggio. A Faenza e a Forlì vennero riaperti i templi massonici, adottando il meto-
do delle sezioni già utilizzato dalla Carboneria, ed a Forlì, successivamente, venne
istituito il Capitolo della loggia, il corpo direzionale della Massoneria.
Saffi mostrò la stessa duttilità e flessibilità che avevano consentito anche l’anco-
raggio dei repubblicani in uno stato monarchico senza relegarli in una opposizione
sterile e limitata all’attesa messianica della soluzione istituzionale.
Non è casuale che quando nel 1888 re Umberto I visitò la Romagna, Saffi invitò ad
accettare la presenza sovrana per rispetto della libertà dovuta alle altrui opinioni, e la
protesta nel forlivese si risolse in un semplice comizio di affermazione del tutto pla-
tonica. Nello stesso tempo è proprio questa caratteristica che invitava Mazzini a rim-
proverarlo perché incapace di profittare della crisi in cui si dibatteva la Monarchia,
arrivando a sostenere, nel 1869, che con te differisco nel fine pratico alcuno; tendi a
che si diffonda e avvalori l’idea repubblicana; poi speri nel caso, dai fatti non cal-
colati anteriormente. Saffi chiariva bene il suo pensiero, in quel torno di tempo, nel-
la risposta a Mazzini: Il paese non è maturo alla lotta materiale. Io non nego l’azio-
ne, ma non la credo efficace, non atta a riuscire, se non esce, come frutto maturo,
dall’albero che si chiama nazione, se si crede improvvisarla per fatto di frazioni. Egli
d’altronde aveva sempre dimostrato una spiccata preferenza per un progresso paci-
fico, senza scosse né forzature: ogni passo violento è retrocessione.
In effetti, lasciar vivere lo spirito insurrezionale e nel contempo costruire dal bas-
so momenti di gestione sociale della cosa pubblica era il vero intendimento di Saffi.
Ecco perché sin dagli anni settanta cominciò una capillare e solida infiltrazione dei
repubblicani negli organi direttivi della città, a partire da Forlì, dove il consiglio
comunale, la direzione della banca popolare, la direzione delle Opere pie divennero
centri gestiti dai repubblicani. Persino le celebrazioni del I° maggio assumevano il
senso della resa dei conti, vissute con timore da una parte della popolazione, come
sostiene Filippo Guarini nei suoi ricordi diaristici: a Forlì pochissime ortolane ven-
gono in piazza, due o tre banchi di panoni e di limoni; nessuna cantina aperta; le
botteghe socchiuse [...]. Alla funzione del mese mariano in Duomo la sera non va
quasi nessuno; tutto questo per la trepidazione generale.
Anche nei moti annonari del 1874 ebbe una parte, con particolare riferimento ai fat-
ti di Villa Ruffi, dove vennero arrestati tutti coloro, Saffi compreso, che lì erano con-
venuti per decidere sul da farsi in merito alla ventilata azione degli internazionalisti,
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SCIENZE STORICO-SOCIALI
ni, i contadini, la classe operaia, ma anche il mondo femminile per il quale mostrò
una attenzione del tutto particolare e alla cui organizzazione si dedicò sua moglie,
Giorgina Janet Craufurd Saffi, nata ed educata a Firenze, sposata a Londra nel 1857,
ardente seguace del Mazzini, donna di notevole cultura e intelligenza politica. E Saf-
fi si rendeva sempre più disponibile al confronto con gli interlocutori più svariati: se
si parla con chi non si deve parlare si perdono parole, ma se non si parla a chi si deve
parlare, si perde l’uomo.
Negli ultimi quindici anni della sua vita, fino alla morte avvenuta nel 1890 a San
Varano, Saffi andò accentuando però l’interesse per temi e questioni che eludevano
il problema del riscatto sociale e politico delle classi popolari e si rivelò grande anti-
cipatore di orientamenti e indirizzi di quella variegata democrazia che sarebbe venu-
ta saldandosi verso la fine del secolo e l’inizio del novecento: dal liberismo in fun-
zione antimonopolistica alla religione individuale contro ogni scuola materialista;
Brano del testamento di A. Saffi (stilato il 30 aprile 1889) con l’incarico per la moglie Giorgina di
devolvere la somma di Lire 500 alla Società di mutuo soccorso Fratellanza Operaia Forlivese.
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SCIENZE STORICO-SOCIALI
Fabio Martelli
Università di Bologna
Freemasonry in Russia (about 1730) shows a very strong link with the Christian eso-
terism (Andreae, Boheme etc.), but also with the French culture of the “Lumi”.
If we want understand the muratorian Russian culture, we have to remember that for
the imperial orthodox ideology Russia was the new real Eden: the Russian “Murato-
ria” uses this Christian mythology as allegory of the esoteric growning of the soul of
the man.
The lodge is the new Eden and the Freemasonry with his members try to introduce in
the Empire his programm of social justice and of legal codification for the imperial
government.
After the great social troubles (the “Pugaciov rebellion”) and the French Revolution,
the Russian Freemasonry forgets his purposal of social reform, but his members are
presents in the fight against autocracy (Pushkin, the Dekabrists).
For the studies a new field is the analysis of the connection between some mythology
of the Bolscevism and muratorian culture.
scrittore vuole in sostanza dirci) non poteva non aver cercato proprio nella Mas-
soneria una risposta alle angosce esistenziali della Russia di quel tempo.
Ma quando Tolstoj pubblicava il suo capolavoro, la grande stagione della Mas-
soneria russa era già finita; la libera muratoria viene introdotta nel paese già intorno
al 1730, ma la sua vera espansione inizia solo tre decenni dopo.
Fortemente legata per ragioni politiche, oltre che culturali, alle Logge dell’Europa
del Nord più che non a quelle inglesi, la Massoneria russa deriverà da esse una forte
propensione a connotare in termini mistici l’esperienza esoterica e dunque Boehme,
Swedenborg, Saint Martin saranno le fonti di ispirazione maggiormente seguite dai
suoi adepti.
Molti fattori hanno posto le basi per impedire una analisi scientifica della murato-
ria russa e ciò ha prodotto numerosi fraintendimenti interpretativi, a cominciare dal-
la tesi secondo cui il “moralismo” delle logge russe avrebbe da intendersi come
espressione di un pensiero anti illuministico, mentre al contrario proprio i pensatori
massonici degli anni ‘60 del XVIII° secolo introducono in Russia una diffusa
conoscenza della filosofia voltairana: uomini come Dimitrev-Manonov non si accon-
tentano di tradurre le opere del grande Francese, ma danno inizio ad una corrente let-
teraria che, in forma di romanzo o di dialogo, si sforza di applicare alla realtà russa i
precetti dell’illuminismo francese.
In Russia tuttavia, il pensiero massonico si incontra e si fonde con le tradizioni
culturali encoriche e cerca di dare risposte al diffuso malessere di una cristianità
ortodossa sconcertata dalle riforme ecclesiastiche di Pietro il Grande e percorsa da
possenti fremiti millenaristici. In Russia l’ortodossia da secoli ormai era pervasa da
contraddittorie mitologie sulla “riconquista” del paradiso terrestre: se la teologia
considerava intangibile la nozione della Caduta dell’Uomo come stato definitivo e
distingueva, ovviamente, l’antica condizione edenica dalla rigenerazione salvifica
operata dal Cristo, a partire da Ivan IV gli ideologi imperiali avevano cominciato a
parlare della Russia ortodossa come “nuovo paradiso” istituito in terra grazie alla
pietas degli zar.
Il monarca, espressione mimetica delle divinità tra gli uomini, può trasformare la
Russia nel “nuovo Oriente” dove regna una giustizia di origine divina, in grado di
reificare una nuova stagione di perfezione morale e teologica sulla terra. Questa con-
fusa dottrina si diffonde anche nelle classi più umili per le quali l’attesa dello “zar di
giustizia” si traduce nell’aspettativa di una nuova Età dell’Oro.
Si può subito osservare che la Massoneria russa recepisce e ritrasforma questi
miti, traducendoli, però, in termini spirituali: già nelle prime loro opere, i massoni
russi sottolineano una fondamentale coincidenza tra l’Oriente sapienziale della
tradizione muratoria e l’Oriente inteso come localizzazione di un nuovo Eden caro
alla cultura ortodossa russa; nelle opere di Novikov, Schwarz, Kheraskov,
Karamzin, Elagin il tema del recupero del paradiso terrestre viene così presentato
come il risultato cui l’iniziato può sicuramente pervenire: il percorso spirituale del
libero muratore, attraverso i vari gradi dell’esperienza esoterica, lo condurrà, infat-
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Breve profilo della Massoneria russa, Fabio Martelli
ti, a riscoprire in se stesso quella scintilla del divino che ancora alberga nella
coscienza di ogni uomo nonostante il peccato originale. Perciò, poichè in Russia,
più che altrove, la Massoneria esplicita la propria originaria natura corrente del-
risvegliare una spiritualità offuscata dal vizio e dal degrado dei costumi. Con una
forte propensione al manicheismo, la Massoneria russa divide la società tra gli
iniziati vincolati nel loro cammino alla più rigorosa moralità e gli “ignoranti” che
rifiutando la conoscenza esoterica, vivono inevitabilmente nel più assoluto dis-
prezzo di ogni etica. Caterina diventa, perciò, Astrea, l’antica figura che annuncia
l’Età dell’Oro: essa si batte contro la corruzione, gli abusi, le superstizioni e non è
casuale che la più parte delle logge russe sia intitolata a questa figura mitologica.
Ma Caterina è adombrata anche nella figura di Numa cui Kheraskov dedica uno dei
suoi più importanti romanzi iniziatici: così come l’antico re romano pose le basi
della grandezza dell’Urbe dando al suo popolo le leggi su ispirazione della ninfa
Egeria (trasparente metafora delle trasmissioni del sapere iniziatico muratorio)
anche Caterina si accinge a dare alla Russia un moderno apparato legislativo: tra i
consiglieri impegnati in quest’opera figurano molti liberi muratori ed in effetti il
nuovo codice comprende alcune elaborate concezioni di principio che appaiono
direttamente ricalcate dalle opere massoniche del tempo.
E’ l’epoca in cui si impone in Russia una corrente di pensiero volta a creare un
mondo nuovo attraverso una filosofia che prende il nome di “eusofia”, evidente cal-
co della “pansofia” di Andreae e di altri rosacrociani.
Ma le logge russe sentono il bisogno di entrare più concretamente nei progetti di
riforma della società: nel 1748 ∏erbatov scrive il suo Viaggio in Ofiria; in esso
comincia però, ad affiorare una critica al dispotismo di Caterina, al fasto della corte,
alle sperequazioni sociali. Ofiria è la Russia del futuro, guidata in concordia da tutte
le classi sociali; per evitare gli egoismi dei gruppi, lo stato guida l’economia, ma
anche i comportamenti, “costringendo” i cittadini alla moralità e alla eguaglianza.
Le gerarchie si articolano in funzione del livello di conoscenza esoterica raggiunto
dai singoli e i gradi più alti esercitano una rigida sorveglianza sul paese, secondo
un modello che riproduce il rapporto tra i neofiti e i più alti gradi degli iniziati
all’interno delle logge. Ofiria non è, per il suo autore, lo stato massonico ideale, ma
piuttosto uno stadio preparatorio che precede l’avvento di una nuova umanità:
anche gli ofiriani, infatti, si preparano ancora a ricevere la suprema rivelazione del-
la fede cristiana.
Ma in questo regno quasi perfetto notiamo alcune varianti significative rispetto
agli ideali della prima generazione della libera muratoria russa: certo vi è una criti-
ca al modello cateriniano che nasce anche dalla delusione derivante dai limiti e dalle
incongruenze delle riforme che l’imperatrice sembrava voler promuovere proprio
sotto la guida dei pensatori massonici russi; inoltre l’atteggiamento delle logge ver-
so la rivolta di Pugatchev (visto come esplosione di una barbara irrazionalità) è
apparsa ambiguamente omissiva rispetto alle regioni sociali che l’hanno resa possi-
bile.
Tuttavia non può non colpire il fatto che nell’opera di ∏erbatov l’abbandono del
dispotismo monarchico risulta sostituito da una vera e propria egemonia delle nobiltà
e dell’intellighentia: artigiani e mercanti partecipano sì al governo dello Stato, ma in
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STORIA DELLA MASSONERIA
un ruolo subordinato; i contadini, poi, non hanno parte nei processi decisionali.
Anche la Chiesa deista, di chiara matrice massonica, in quest’opera si preoccupa
soprattutto di guidare i cittadini verso comportamenti morali, senza che l’autore fac-
cia cenno a quella crescita esoterica dell’uomo interiore che è stata invece al centro
del pensiero massonico nei decenni precedenti.
E’ certo vero che l’imperatrice ha mutato il suo iniziale favore verso la Massone-
ria: le logge sono state chiuse e si moltiplicano le deportazioni dei più importanti
liberi muratori; una maggiore cautela si può dunque imporre, ma non di meno è
lecito parlare di una autonoma involuzione delle logge russe: le rivolte di Pugatchev
e, poi, la stessa rivoluzione francese sembrano aver convinto i massoni russi ad un
nuovo manicheismo: ormai si afferma infatti l’idea che l’egualitarismo anarchico
rappresenta l’altra faccia del Male costituito dalla Tirannide e che, dunque, per fer-
mare entrambi il nuovo esoterismo cristiano deve accondiscendere ad un’alleanza
con i ceti egemoni che necessariamente mette in secondo piano l’ideale del-
l’eguaglianza.
Da Saint Martin le logge russe mutuano allora la parola d’ordine di un “patriot-
tismo cristiano” che non s’impegna più nel mutamento dell’ordine esistente: con-
dannata la nozione del cambiamento con la violenza, i massoni russi s’impegnano
in un cambiamento delle coscienze, del tutto intimo, che prescinde dall’idea di rifor-
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Breve profilo della Massoneria russa, Fabio Martelli
1
Cosmismo: movimento culturale della prima fase del bolscevismo, che pone al cen-
tro dell’azione rivoluzionaria una ipotesi di “divinizzazione” laica dell’Uomo attraverso il pro-
gresso totalizzante della Scienza e della Tecnologia.
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STORIA DELLA MASSONERIA
distopia ofiriana. Senza addentrarci in questa sede nel complesso problema dei rap-
porti che il potere sovietico tenterà invano di istituire con le logge occidentali, pos-
siamo concludere limitandoci ad osservare che oggi la rinascita delle logge nella nuo-
va Russia appare ancora condizionata dalle complessità ideologiche dell’antico retag-
gio encorico e da un’ansia di nuova occidentalizzazione che rischia di far dimenti-
care una tradizione di grande ricchezza e originalità.
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STORIA DELLA MASSONERIA
Fratelli in migrazione.
Il caso di Costantinopoli.
Angelo Iacovella
Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente
The history of the Italian Freemasonry in the Ottoman Empire has never received,
apart from a few exceptions, the scholarly attention it deserves. Therefore, in spite of
its undoubted importance, the subject still remains to be explored. The essay attempts
to analyze the role played by the Italian freemasons in Turkey, with special attention
to the Italia Risorta lodge in Constantinople (1867-1923). The report is mainly based
on the original documents gathered from the archives of the Grande Oriente d’Italia.
First hand information shed a new light on the first steps of the Italian Freemasonry
in the Mediterranean area, helping us to gain a better understanding of the way an
Italian lodge was implanted in a Muslim country.
1
La nascita della Massoneria italiana unitaria viene generalmente fatta risalire alla data
dell’8 Ottobre 1859, giorno di fondazione della loggia Ausonia di Torino. Fu questo il primo
passo verso la creazione di un “Grande Oriente italiano” vero e proprio. Per ulteriori dettagli,
si veda il volume di Mola (1992: 33 ss.).
2
Già nel 1873, il più importante annuario massonico britannico segnalava la presenza
di officine italiane nelle seguenti località: Tunisi, Tripoli, Alessandria d’Egitto, Il Cairo, Suez,
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STORIA DELLA MASSONERIA
6
Le vicende della “Società Operaia” di Costantinopoli, nei cui locali sono ancora con-
servati i libri manoscritti dei Verbali delle Assemblee dal 1864 al 1934, sono al centro della
monografia curata da Marinovich (1995).
7
[...] à peine sut-on cela à Turin qu’on s’est dépêché d’écrire à l’ambassadeur d’Italie,
f[rère] Caracciolo di Belle, de protéger, de hâter la formation de cette loge. Questo brano, trat-
to da un rapporto confidenziale indirizzato da Costantinopoli al Grand Orient de France, è cita-
to da Zarcone (1994: 201).
8
Ibidem, p. 212.
9
Ibidem.
10
Anche se tutto fa pensare che molti Italiani aderissero all’una come all’altra, i con-
tatti ufficiali tra la loggia e la “Società Operaia” non furono, a dire il vero, sempre idilliaci,
come dimostra il seguente resoconto, stilato nei Verbali della stessa Società, in data 15 Aprile
1866, in occasione del ricevimento di una delegazione massonica: Terminata la seduta, il
Vice Presidente fa noto semplicemente che si attendeva una Commissione della Loggia Mas-
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STORIA DELLA MASSONERIA
Come si è visto, la loggia non era strettamente riservata agli italiani, in omaggio a
una tradizione cosmopolitica mai tradita. Ne facevano sicuramente parte inglesi e
francesi, la cui identità non ci è purtroppo nota, tranne che nel caso di Louis Ami-
able, avvocato di fama, nonché dignitario del Grand Orient de France a Costanti-
nopoli11.
Dopo un inizio un pò lento, la Massoneria italiana prese a dilagare oltre le mura
della capitale ottomana, per attecchire in Asia Minore e in Rumelia. Anche qui, il
fiorire delle logge era un fenomeno che si accompagnava alla presenza di italiani,
presenza che era particolarmente rilevante a Smirne e a Salonicco. In questa secon-
da città, che contava all’incirca centomila abitanti, di cui la metà ebrei sefarditi,
diciassette massoni, tra i quali il vice console John Elia Blunt, fondarono un’of-
ficina italiana, detta Macedonia (1864)12. Nel medesimo anno, nasceva a Smirne
la loggia Stella Jonia, capeggiata dal carbonaro bolognese Anacleto Cricca 33 ,
delegato del Grande Oriente per l’Asia Minore13. Come tanti suoi connazionali, il
Cricca aveva preso la via dell’esilio dopo il fallimento dei moti del 1848-49, e si
era rifugiato a Smirne dopo un breve soggiorno a Corfù. Fino all’avvento del
Sultano Abdühamid II (regno: 1876-1909), sia pure tra mille difficoltà, le logge
italiane si moltiplicarono progressivamente su tutto il territorio.
L’incremento delle logge italiane durante il XIX secolo si configura come una cir-
costanza altamente sorprendente. Lo è ancor di più se si pensa che, negli anni suc-
sonica per donare alla nostra Bandiera ed alla Società dei premi a titolo di ricordo per i servi-
gi prestati nel tempo del collera, infatti alle 10 ore circa fummo onorati dalla presenza di ques-
ta onorevole Commissione, unitamente al seg. C.te Greppi. Il seg. Veneziani diede lettura di
un logico e bel discorso in merito alle nostre prestazioni, il quale fu ben gradito ed applaudito
genralmente; ma allorquando stava per fregiare la nostra bandiera di due bellissime fascie; un
nostro socio ha domandato al Vice Presidente se la Società fu [sic!] interpellata prima di accettar-
le si o no, e soggiunse che l’operajo, fiero del proprio dovere, non ne dovrebbe fregiarsi, stante
che la Loggia Massonica non è superiore alla nostra [...]. Segue una discussione.
11
Louis Amiable (1837-1897), Maestro Venerabile della loggia francese L’union d’Ori-
ent, fu uno dei più attivi emissari della Masssoneria francese in Turchia. Egli, tra l’altro, ha
lasciato un interessante opuscolo pubblicato nel 1895.
12
Cfr. ASGOI, Fondo “Registri matricolari”, nn. 1384-1400.
13
La figura di Anacleto Cricca merita, senza dubbio, una piccola digressione. Nato a
Bologna nel 1824, egli prese parte ai moti di Rimini e subito si rifugiò in Grecia, per sfuggire
alla polizia papale; cfr. Michel 1930: 777. Nel 1849, è ancora a Corfù in qualità di esule, in com-
pagnia di Luigi Mercantini, l’autore della Spigolatrice di Sapri. Da qui passa in Asia Minore,
precisamente a Smirne, dove crea, sempre nello stesso anno, un “Comitato di Emigrazione” per
venire incontro ai bisogni degli esuli italiani in Turchia. Dopo il 1860, si dedica all’apostolato
massonico e fonda la loggia Stella Jonia, in cui ricopre le vesti di Maestro Venerabile. Notizie
sulla sua attività di massone possono trovarsi nel Bollettino del Grande Oriente della Massone-
ria in Italia, vol. II, anno III (1868-69), pp. 338 e ss., nonché nell’autobiografia dello stesso Cric-
ca (1901: 105-134). Della vita di Cricca ha scritto ancora Michel (1950: 323-352).
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• 41 •
Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli, Angelo Iacovella
14
Secondo le stime di Leone Carpi, il numero degli Italiani residenti nella Turchia euro-
pea e in quella asiatica, alla fine del 1871, era pari, rispettivamente, 6.520 e 3.698 unità; cfr.
Annuario statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925. Roma, Commissariato generale
dell’Emigrazione, 1926, p. 1538.
15
Cfr. Trasselli 1933: 3-9.
16
Impossibile stabilire una cifra più precisa, dal momento che non tutti gli italiani era-
no soggetti alla protezione consolare. A questo riguardo, vedi sotto nota 22.
17
La Vita a Costantinopoli. Torino, Fratelli Bocca Editori, 1909.
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STORIA DELLA MASSONERIA
18
Cfr. il Bollettino del Grande Oriente della Massoneria in Italia, anno III (1867), vol.
II, fasc. 1-5, p. 71.
19
Così Daniel Ligou (a cura di), Turquie. In Dictionnaire universel de la Franc-Maçon-
nerie. Paris, 1987, p. 1326.
20
La zona di Pangalti si trova tra gli odierni quartieri di Harbiye e di Sisli. Il toponimo
turco “Pangalti” deriva dall’espressione italiana “Pani caldi”. Questo rione deve il suo nome ai
forni per il pane che vi erano stati aperti da alcuni italiani.
21
Le Scuole laiche Italiane a Costantinopoli e la R L Italia Risorta. In Rivista del-
la Massoneria italiana, XXI (1890), n. 11-12, p. 181 ss.
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Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli, Angelo Iacovella
Giunti a questo punto, possiamo forse domandarci: quali furono i rapporti tra la
loggia italiana e le altre officine europee che operavano nella regione? Intensi e fre-
quenti, è la risposta. Massoni inglesi, francesi e italiani collaboravano spesso e volen-
tieri, soprattutto quando si trattava di fini benefici, come nel caso del gran ballo di
fine anno, organizzato nel 1887, dalla loggia britannica Bulwer, di cui faceva parte il
“Maestro Venerabile” Antonio Geraci, il quale poteva fregiarsi, tra l’altro, del titolo
di franc-maçon reconnu sous la constitution anglaise23. Anche in occasione del
gravissimo incendio che aveva colpito il sobborgo di Arnavütköy (luglio 1887), le
due logge si riunirono per prendere congiuntamente le dispositions nécessaires à fin
de pourvoir aux besoins les plus urgents des victimes de l’incendie24.
***
A partire dal 1867, dunque, e non dal 1868 (come ritiene erroneamente Daniel
Ligou)25, l’Italia Risorta si dedicò, con successo, a fare proseliti tra gli abitanti di
Costantinopoli. A differenza della loggia che l’aveva preceduta, essa accolse, durante
i cinquantasei anni della sua attività (1867-1923), almeno 245 adepti. Tanti sono,
infatti, i nominativi degli affiliati che, nell’arco di tempo suddetto, furono comuni-
cati alla sede centrale per essere inscritti nei “Registri Matricolari”. Dal momento che
questi Registri hanno lo svantaggio di essere gravemente incompleti, la cifra va con-
siderata senza dubbio e di gran lunga inferiore alla realtà. Mancano all’appello i
“padri fondatori” della loggia, tra i quali bisogna perlomeno menzionare il celebre
22
Ibidem.
23
Bienfaisance maçonnique. In Rivista della Massoneria italiana, XVII (1887), n. 19-
22, pp. 163-164; la Rivista dava conto dell’avvenimento nella rubrica Bulletin pour l’étranger,
precisando quanto segue: Nous lisons dans le Journal Stamboul de Constantinople: la semaine
dernière, une nombreuse et intéressante rèunion de la Loge Italia Risorta a eu lieu [...] pour
recevoir une députation de la Loge anglaise Bulwer venue avec mission de présenter au
Vén F A. Geraci, president de la Loge italienne, le Brevet de membre de la Loge Bulwer.
24
Ibidem.
25
Ligou 1987: 1326. Questo testo, per quanto attiene alle logge italiane, è incredibil-
mente pieno di imprecisioni.
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STORIA DELLA MASSONERIA
Nel “piedilista” della loggia figurano molteplici personaggi che ebbero un certo
peso nella vita della colonia italiana. Tra questi bisogna ricordare i seguenti28, che
hanno lasciato una notevole traccia nella vita economica, sociale e culturale di quei
tempi. Tra gli altri: Antonio Callegari, artista e pittore di fama; Angelo Gallerini,
ingegnere, fondatore della ditta “A. e G. Gallerini” (ditta attiva dal 1868 e nota per
aver introdotto in Turchia per prima il sistema dei lavori in asfalto; Enrico Furlani,
musicista, autore di una Rapsodia Turca e di altri lavori musicali; Carmelo Melia,
addetto commerciale dell’ambasciata italiana; Raffaello (o Raffaele) Ricci, impren-
ditore, nato a Pontedera, si recò a Istanbul nel 1879, dedicandosi al commercio dei
filati e dei tessuti di cotone; Riccardo Zeri, medico e direttore del regio ospedale
italiano di Costantinopoli.
Le affiliazioni proseguirono per tutto il sessantennio della vita della loggia, senza
seguire, tuttavia, un andamento regolare, come emerge dalla tabella n. 1, ricavata dal-
lo spoglio dei Registri matricolari, che presentano una vistosa lacuna per gli anni
1867-1883. Infatti, fino al 1884, non ci è dato di conoscere il numero degli affiliati
anno per anno, dal momento che i Registri conservano esclusivamente il nome e il
cognome dell’adepto, ma non la data precisa di affiliazione, che invece è indicata nei
decenni successivi. Completamente inattiva la loggia non fu mai, ad eccezione di alcu-
ni periodi di ristagno, che furono causati dallo scoppio del conflitto italo turco e dalla I °
Guerra Mondiale. Doveva cessare di esistere nel 1923, mentre in Italia il governo fascista
si preparava ad assumere tutti i poteri, e mentre in Turchia l’Impero Ottomano crollava,
26
Commemoranze funebri della Rispettabile Loggia Italia Risorta. In Rivista della Mas-
soneria italiana, XV (1884), n. 25-28, p. 206 ss.
27
Mehemet Rechad (Resat, secondo la grafia turca moderna) fu scelto, in qualità di Con-
sigliere di Stato, come membro della delegazione giovane-turca che si recò in Italia all’indo-
mani della Rivoluzione del 1909. Cfr. Catellani 1910: 121-130.
28
Maggiori dettagli sulla posizione di questi personaggi nel quadro della colonia italiana
di Istanbul, tra la fine dell’‘800 e gli inizi di questo secolo, possono rinvenirsi nel volume di
Angiolo Mori (1906).
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Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli, Angelo Iacovella
La Massoneria, del resto, non era ben vista dal Sultano, che la riteneva, a torto o a
ragione, come uno strumento di penetrazione politica delle potenze occidentali. La
“filosofia” delle logge, del resto, non poteva che entrare in aperto contrasto con i
valori più tradizionali e obsoleti della società ottomana, dal momento che i massoni,
nei loro ateliers, proclamavano e praticavano il principio dell’uguaglianza di tutti i
sudditi senza distinzione di etnìa o di religione. Anche la Massoneria italiana si ispi-
rava allo stesso principio, come si appura scorrendo i nomi degli affiliati alla loggia
Italia Risorta, di cui facevano parte Turchi e Italiani, Ebrei, Cattolici, Musulmani,
oltre a un piccolo contingente di Greci e di Armeni.
Ciò che maggiormente emerge alla luce dell’elenco degli affiliati, è proprio la com-
posizione cosmopolitica della loggia, nella quale ci si esprimeva in italiano. Se poi
ripartiamo i dati in nostro possesso in base alla città (o alla regione) di provenienza
dei singoli membri, i risultati che emergono sono, a dir poco, sorprendenti. Su 245
affiliati, solo 1 su 10 proveniva direttamente dalla penisola italiana. Abbiamo ripor-
tato l’elenco delle città di origine nella tabella 2 (le località italiane, per maggiore
comodità di lettura, sono state evidenziate in carattere grassetto).
Adrianopoli 2 Lutry 1
Atene 2 Magdebourg 1
Barcellona 1 Malta 1
Beclat - Romania 1 Marsiglia 1
Beyrouth 1 Messina 1
Braila 1 Metelino 2
Budapest 1 Modena 1
Caranchio 1 Napoli 2
Castelnuovo Dalmato 1 Nussero 1
Cesarea (Kaiserli) 3 Odessa - Russia 2
Corfù 2 Petreny 1
Costantinopoli (Istanbul) 67 Praga 1
Damasco 1 Quart 1
Ems - Germania 1 Ragusa 1
Ferrara 2 Riga - Russia 1
Firenze 1 Rimini 1
Fornovo 1 Roma 2
Friedirichsart 1 Russia 1
Frosolone 1 Salonicco 6
Galatz 1 Scutari 1
Genova 2 Sebenico 1
Jassi (Moldavia) 3 Smirne 3
Ibraïla 1 Stiria - Gratz 1
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Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli, Angelo Iacovella
Questo elenco mette in luce una grande prevalenza di professioni “liberali”. Non
mancano, però, alcuni mestieri più umili, legati al piccolo commercio (negoziante,
sarto, ristoratore etc.). In linea generale, la loggia sembra fedelmente rispecchiare
l’assetto della locale media e alta borghesia, nella quale l’apostolato laico della
Massoneria italiana doveva riscuotere molto interesse. Per la stessa ragione, trovi-
amo tra i nomi degli affiliati i principali esponenti delle famiglie italo-ebraiche del-
la città (Goldemberg, Pardo, Viterbo, Zaccum etc.), che nelle officine all’Oriente
della Sublime Porta trovavano il primo e forse unico organismo non confessionale
nel quale esprimere la propria identità di Ebrei e di Italiani.
Tirando le somme, possiamo dire che, in Turchia, la Massoneria italiana rispose in
genere a due fondamentali esigenze. Da un lato, essa svolse una funzione di raccordo
tra l’Italia e gli emigrati di Costantinopoli, che furono in tal modo, dopo il Risorgi-
mento, maggiormente coinvolti nella costruzione dello stato nazionale italiano. Dal-
l’altro, essa attirò nelle sue fila gli elementi più avanzati della società turca fin de siè-
cle, contribuendo indirettamente - come altrove - alla modernizzazione politica e cul-
turale del paese ospitante.
APPENDICE
Fonti per servire alla storia della Massoneria nell’Impero Ottomano
Ahmad F., The Young Turks: The Committe of Union and Progress in Turkish Politics
(1908-1914). Oxford, 1969.
Ahmad F., Ittihad ve Terakki Djemciyyeti. In EI 2, IV, pp. 284-286.
Alla Giovine Turchia. In Rivista Massonica, XL (1909), n. 9-10, pp. 218-219.
Amiable L., De la situation maçonnique à Costantinople, en Grèce et en Italie. Aix-en-
Provence, 1895.
Anderson’s Constitutions-Constitutions d’Anderson 1723. A cura di D. Ligou . Paris, 1990.
Annuario Statistico dell’Emigrazione Italiana dal 1876 al 1925. A cura del Commissariato
Generale dell’Emigrazione. Roma, 1925.
Asia Minore. In Bollettino del Grande Oriente della Massoneria in Italia, vol. II, anno III
(1868), fasc. 12, p. 441.
Benbassa E., Les Jeunes-turc et les juifs (1908-1914). In AA.VV., Melanges offerts à Louis
Bazin par ses disciples, collègues et amis (Varia Turcica XIX). Paris, 1992, pp. 311-321.
Benimeli J.A.F., Los Archivos Secretos Vaticanos y la Massoneria. Caracas, 1976.
Bienfaisance maçonnique. In Rivista della Massoneria italiana, XVII (1887), n. 19-22, pp.
163-164.
Bissolati L., Per un’intervista di Ricciotti Garibaldi. In Il Secolo (19 febbraio 1911), p. 1.
Caetani L., Il pericoloso miraggio. In AA.VV., Come siamo andati in Libia. Firenze, 1914,
pp. 183-190.
Carpi L., Notizie statistiche sull’emigrazione italiana all’estero dal 1869 al 1876. In
Annuario statistico della emigrazione italiana dal 1876 al 1925, a cura del Commissari-
ato generale dell’Emigrazione. Roma, 1926.
Castronovo V., Stampa e opinione pubblica nell’Italia liberale. In V. Castronovo - N.
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• 49 •
Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli, Angelo Iacovella
Rispoli A., La figura di Edoardo Denari nei rapporti tra Italia e Turchia. In Atti del simpo-
sio di ricerche e di studi per uno sviluppo scientifico dei rapporti italo-turchi (9-14 otto-
bre 1980), a cura di E. De Leone. Milano, 1981, pp. 149-154.
Saban G., Ebrei di Turchia. In La Rassegna Mensile di Israel, IL (1983), n. 1, pp. 161-189.
Sacerdote G., La vita di Giuseppe Garibaldi. Milano, 1933.
Salvetti P., Immagine nazionale ed emigrazione nella Società “Dante Alighieri”. Roma,
1995.
Scuole (Le) laiche Italiane a Costantinopoli e la R L Italia Risorta. In Rivista della Mas-
soneria italiana, XXI (1890), n. 11-12, pp. 181-182.
Skendi S., The Albanian National Awakening (1878-1912). Princeton, 1967.
Smirne. In Rivista della Massoneria italiana, III (1872), n. 13, pp. 14-15.
Smirne. In Rivista della Massoneria italiana, IV (1873), n. 8, p. 6.
Smyrnelis M.-C., Gli Italiani a Smirne nei secoli XVIII e XIX. In AltreItalie, VI (1994), n.
12, pp. 39-59.
Sottoscrizione massonica per le famiglie dei caduti nella guerra d’Africa. In Rivista Mas-
sonica, XLII (1911), n. 17-18, pp. 424-426.
Statistica israeliti italiani all’estero. In L’Educatore israelita, XXI (1873), pp. 289-230.
Storari L., Guida con cenni storici di Smirne. Torino, 1857.
Strenna della Rivista della Massoneria italiana. Roma, 1890.
Svolopoulos C., L’initiation de Mourad V à la franc-maçonnerie par C. Scalieri: aux orig-
ines du mouvement libéral en Turquie. In Balkan Studies, V (1980), n. 21, pp. 441-447.
Sua eccellenza M. Zadé Refik Bey. In Rivista Massonica, XL (1909), n. 5-6, p. 143.
Swarzfuchs S., La “Nazione Ebrea” Livournaise au Levant. In La Rassegna Mensile di
Israel, L (1984), n. 3, pp. 707-724.
Thobie J., Jeunes-Turcs et haute finance. In Première rencontre international sur l’Empire
ottoman et la Turquie moderne (Varia Turcica XIII), a cura di E. Eldem. Istanbul-Paris,
1991, pp. 397-412.
Thory C.A., Acta Latomorum. Paris, 1815.
Trasselli C., Esuli italiani in Turchia nel dodicennio 1849-60. In La Sicilia nel Risorgimen-
to italiano, I (1933), fasc. 1, pp. 3-9.
Una nuova associazione massonica in Turchia. In Acacia, I (1909), p. 69.
Varsano S., Ebrei di Salonicco immigrati a Napoli (1917-1940): una testimonianza. In Sto-
ria Contemporanea, XXIII, 1992, n. 1, pp. 119-126.
Yerasimos S., Luigi Storari. In Table ronde sur “Architecture et architectes italiens à Istan-
bul au tournant du siècle” (Istanbul, 27-28 Novembre 1995). In corso di pubblicazione.
Zaccagnini G., La vita a Costantinopoli. Torino, 1909.
Zarcone T., Mystiques, philosophes et francs-maçons en Islam. Paris, 1994.
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• 53 •
SIMBOLOGIA MASSONICA
Il grembiule e la continuità
della tradizione primordiale
Pietro Mander
Università di Napoli “L’Orientale”
Before starting with the description of his journey through Paradise, Dante invokes
not only the aid of the Muses (as he did in the previous canticles: Inf. II 7-9; Purg. I 7-
12), but also of the Sun-god Apollo. In this circumstance, Dante tells of how that god
had skinned Marsia alive and hung him up for having challenged him in a musical
competition. The Poet explicitly desires to be “made vessel” (make me so apt a vessel
of thy power [Engl. transl. by L. Binyon]), in analogy with the skinned Marsia, in order
to be able to receive the divine influence of the Sun-god Apollo. Sioux warriors as
well, in occasion of the so-called “Sun dance”, were hung up by straps that had been
passed under the skin of their breast or their shoulders in order to obtain the “vision”
of Wakan-Tanka, the Great Spirit (cfr. the vision of the Holiest Trinity: Par. XXXIII
85-141, actually called visione [vision] at verse 62). Therefore, to reach the Supreme
Knowledge (vision), it is necessary to get out of one’s own skin, that is to say, to lose
one’s own individual features. Skin is to be understood as the border of the body. It
doesn’t really matter whether – to reach such a goal – either one’s skin is stripped
away (as in the cases of Marsia and the Sioux), or is covered by another one (the
apron). The Tradition appears within forms fitting with a society’s culture and times:
a present-day lawyer could never stand such a ritual like as that proper for hunters of
the prairies! To conclude, the only preliminary way to approach Knowledge is to
behave according to justice, and for this achievement we must exit from our own skin.
Dante – we come back to him again - says: DILIGITE IUSTITIAM .... QUI IUDI-
CATIS TERRAM (Par. XVIII 91-93) “Love righteousness, ye that be judges of the
earth!”
I fratelli sono arrivati alla spicciolata e ora, nella Sala dei Passi Perduti, indossano
il grembiule scambiandosi saluti o brevi chiacchere.
E’ questo un momento gradevole, allorché, al termine di una giornata di lavoro, ci
si accinge ad intraprenderne un altro, di ben diversa natura. Allora è piacevole rin-
contrarsi con i fratelli, dopo una lontananza di due settimane, e quindi ecco i saluti e
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• 54 •
SIMBOLOGIA MASSONICA
le chiacchere, momento distensivo che prepara, da un lato, alla “sintonia” della Cate-
na Fraterna, dall’altro, alla gioiosa e seria concentrazione dell’incipiente Lavoro
Muratorio.
Va bene così, a parere di chi scrive, perché è certamente questo il modo migliore
per predisporsi a quanto stiamo per intraprendere; tuttavia, è anche bene approfon-
dire la consapevolezza di quell’atto, l’allacciarsi il grembiule, anche se lo si sta com-
piendo in serena allegria.
Partiamo da un Grande, perché issandoci sulle sue spalle si vedono orizzonti più
ampi.
All’inizio della terza ed ultima cantica del Paradiso, Dante, come è solito fare,
invoca entità divine, le Muse (Inf. II 7-9; Purg. I 7-12), affinché lo sostengano nel
suo sforzo poetico; ma in Par. I 13-36 quest’invocazione assume carattere e lun-
ghezza ben diverse.
Innazitutto il Poeta si rivolge al dio del Sole Apollo, e non più alle Muse; in secon-
do luogo, l’invocazione appare molto più circostanziata. Vediamone lo schema.
O buono Apollo, a l’ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / come
dimandi a dar l’amato alloro.
(Par. I 13-15)
Infino a qui l’un giogo di Parnaso / assai mi fu; ma ora con ambedue / m’è
uopo intrar ne l’aringo rimaso.
(Par. I 16-18)
Entra nel petto mio, e spira tue / sì come quando Marsia traesti / de la vagina
de le membra sue.
(Par. I 19-21)
Il mito narra come il satiro Marsia sfidasse Apollo in una tenzone musicale e come
il dio, avendo alla fine prevalso, lo appendesse ad un albero e lo scorticasse vivo.
Il riferimento al mito è condotto dal Poeta in termini assai realistici (Marsia trae-
sti de la vagina de le membra sue).
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Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale, Pietro Mander
Si noti l’impiego della metafora della vagina, organo atto a ricevere (cfr. vaso,
entra nel petto mio) per poi poter generare. La generazione che si vuole ottenere è
quella dell’amato alloro, coronamento (in senso non solo figurato, quindi) della rea-
lizzazione poetica.
L’immagine del supplizio di Marsia sembra quindi quasi indicare come l’indivi-
dualità del satiro (espressa dalla menzione del nome proprio) ingombrasse la recetti-
vità che la sua persona avrebbe potuto avere. Tolto di mezzo Marsia, la vagina può
accogliere l’influenza divina del dio del Sole, proprio ciò che il Poeta desidera entri
nel vaso del suo petto.
Di fatto, possiamo ragionevolmente supporre, se non fosse stato annebbiato dalla
superbia, Marsia avrebbe potuto accogliere la solarità della musica apolinnea, anzi-
ché sfidarla in un – in fondo – empio confronto.
Regnum celorum violenza pate / da caldo amore e da viva speranza, che vin-
ce la divina volontade: / non a guisa che l’omo a l’om sobranza, / ma vince lei
perché vuol esser vinta, / e, vinta, vince con sua beninanza.
(Par. XX 94-99)
e, appare ovvio, non è possibile comportarsi da uomo giusto se non si sono messe
da parte quelle pulsioni.
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Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale, Pietro Mander
Come si vede, caldo amore e viva speranza non costituiscono una proiezione del-
la propria anima al di fuori di se stessi, quasi ad appenderla a qualcosa di esterno. Al
contrario, la consapevolezza di sé è requisito indispensabile per operare con giusti-
zia.
Sembra, dopo che ho citato Marsia appeso all’albero, che io stia entrando in con-
traddizione con me stesso. Non è così, e ora lo vedremo.
La via “mistica” insegna l’abbandono di sé e ad un osservatore superficiale potreb-
be apparire questo l’unico insegnamento concreto. Tuttavia né Dante né i Sioux han-
no seguito questa direzione.
l’antica Roma repubblicana a quelli odierni, avrei tra i risultati che il console guida
l’esercito e cura gli interessi dei compatrioti all’estero, sta in carica per un solo anno
con un collega ed ha uno stato di tipo diplomatico dovendo risiedere all’estero, il che,
come si vede, porterebbe a conclusioni di pura follia.
Ma questo è il percorso
seguìto dal filosofo, e, conse-
guentemente, le sue conclu-
sioni sono inattendibili. R.
Guénon, che non è stato, né
ha mai voluto essere, un
accademico, ha invece evita-
to l’errore in cui è incorso il
filosofo, distinguendo tra
l’uso del termine nel mondo
greco e romano e quello in
epoca cristiana (Considera-
zioni sulla via iniziatica, M.
Basaia Editore, Roma 1988,
pp. 27 sg.). Non ho riferito
su Guénon per spirito di
polemica, ma perché il pen-
siero di quest’ultimo costi-
tuisce l’oggetto del secondo
studio del filosofo, René
Guénon e la Massoneria,
dove la discussione sul
misticismo viene nuovamen-
te proposta. Naturalmente si
riversano, in questa seconda
sede, gli esiti delle confusio-
ni del primo articolo, invali-
dando l’assetto generale
anche di quest’ultimo inter-
S. Dalì, trittico 13, Paradiso, La Croce di Marte.
vento.
Detto questo, con dieci anni di ritardo, tiriamo le conclusioni sulla definizione di
“misticismo”, dal momento che stiamo parlando di superamento dell’individualità.
Dobbiamo riferirci a Guénon perché le sue definizioni, pur se a un filosofo possa-
no apparire imperfette, sono invece di grande utilità per chi intenda operativamente
intraprendere una via di Conoscenza. Procedendo su questa linea, operiamo la distin-
zione che segue.
La via seguita da Dante è costituita da una guerra contro le tenebre – tenebre del-
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Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale, Pietro Mander
l’ignoranza, le ombre della caverna platonica del mito di Er –, da uno sforzo consa-
pevole continuo, che trova espressione nelle sue domande e nell’esplicitazione dei
suoi dubbi alle guide che lo condussero nel viaggio, soprattutto Virgilio e Beatrice.
Ogni passo è una faticosa conquista del pensiero e del cuore. D’altronde il Poeta stes-
so lo dice ben chiaramente:
Siamo dunque ben lontani, in queste che oggi si chiamerebbero “dichiarazioni pro-
grammatiche”, dall’abbandono passivo del mistico! E siamo, di converso, molto vici-
ni alla “via secca”, “via solare” della Nostra Istituzione.
Tantomeno possiamo attribuire a misticismo la prova del dolore affrontata dai
guerrieri delle praterie nord-americane!
E, sempre su questa linea, potremmo anche addurre i riti d’iniziazione sciamanica,
in cui il neofita deve assistere allo smembramento del proprio corpo, o vederne lo
scheletro, o altro ancora. In particolare ci interessa – per esempio – l’apparizione di
una “seconda o terza pelle”, come segno della propria morte rituale (si veda Eliade
M., Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi. Edizioni Mediterranee, Roma, 1974,
pp. 74 sg.), ma non ritengo necessario un accumulo di dati; quelli esposti ci sono suf-
ficienti per capire come la Tradizione Primordiale assuma, nel divenire della storia,
aspetti diversi, adatti a coloro cui è destinata la forma iniziatica particolare, e come
trovi mezzi espressivi diversi per trasmettere gli stessi messaggi.
FILOSOFIA E ALCHIMIA
Carlo Paredi
Saggista
Alchemy is the only contemporary theory trying to give to the man a complete
“vision of the world”. Once upon a time alchemists were mathematicians, physi-
cians, scientists, psychologists, philologists and philosophers.
Trying to identify which current alchemy belongs to, the nowadays philosophers
speak about pantheism (in sense of Spinoza), transcendentalism or un-rationalism.
Alchemists know to be realist, but, since philosophers prefer to use “materialism”
instead of “realism”, someone could see alchemists as followers of dialectical mate-
rialism too.
Lenin shows a dynamic conception of the knowledge, a “step-by-step” method that
is not so different from alchemy. Engels too, when he says that thought is a part to
the being, testifies the unity of the substance.
Finally, even the alchemist knows that the law of the nature is the dialectic of the
opposites. This union of thought and being is searched by the modern psychoso-
matic medicine, too.
The synthesis of this unity lays in its conception of the symbol.
The present theory is totally applicable today.
rei fare presente che oggi l’alchimia si propone come l’unico sistema filosofico vali-
do, in quanto, filosoficamente parlando, è la sola teoria che si preoccupa di offrire
una concezione del mondo. Infatti si fa filosofia tutte le volte che si cerca di inqua-
drare e dare un senso completo alla policroma realtà che ci circonda ed in cui siamo
immersi. Oggi non esiste, tanto in campo scientifico quanto in campo filosofico, un
sistema che si preoccupi di avere una concezione globale del mondo, vera o falsa che
sia; anzi, il concetto non viene nemmeno preso in considerazione. La parcellizzazio-
ne della scienza, che si è
risolta in tante branche e
sottobranche, le une avulse
dalle altre, non permette a
nessuna di esse di giunge-
re a conclusioni globali.
Finché la scienza non
sarà anche filosofia, ovve-
ro, finché lo scienziato
rimarrà uno specialista,
confinato nel suo campo
specifico di indagine e non
si aprirà anche alle altre
discipline, non potrà mai
fare filosofia nel vero sen-
so del termine. E quindi
non riuscirà mai ad avere
una visione globale che lo
porti ad acquisire una con-
cezione del mondo.
Si può obiettare che è
oggi impossibile evitare la
specializzazione, la quale,
comportando un suo lin-
guaggio settoriale, diverso
dai linguaggi di altri cam-
pi, imporrebbe al filosofo
un lavoro estremamente
arduo ed improbo. Se que-
sto è vero, è pur vero che
passando al di sopra delle
convenzioni specifiche di
ogni branca, tralasciando
le cerebralizzazioni inutili
T. Vaughan (Eugenio Filalete), Lumen de Lumine, 1693. che appesantiscono ogni
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Alchimia: correnti filosofiche e sua attualità, Carlo Paredi
angolo del nostro sapere, è possibile cogliere l’essenziale di ogni disciplina, ricor-
rendo anche all’ausilio di quel formidabile strumento razionale che è la logica.
Sotto questo punto di vista, l’alchimia è scienza e filosofia.
Gli alchimisti dei secoli scorsi furono matematici, chimici, medici, psicologi, filo-
logi e quindi filosofi. Furono chiamati i Filosofi della Natura, seguaci della Chimica
filosofale della Sostanza, e in questi termini è racchiusa tutta l’essenza dell’alchimia
e la sua vera portata filosofica.
Ritornando alle qualificazioni che sono state attribuite agli alchimisti, qualcuno li
ha giudicati come degli immanentisti o panteisti, perché riconoscono che la Sostan-
za, che gli antichi greci chiamavano anche “Uno”, è presente in tutta la manifesta-
zione e ne è la sua base ontologica.
Se questo è vero, è altrettanto vero che essi cerchino di arrivare ad essa attraverso
la pratica alchimica, che sfrutta gli infiniti chimismi che danno origine alla manife-
stazione sensibile e non. Per cui, se da un lato possono essere chiamati spinoziani,
dall’altro canto possono essere catalogati tra i trascendisti, in quanto, nella loro pra-
tica e nell’approccio con la realtà fenomenica, essi trovano un gran numero di gradi-
ni che devono essere percorsi uno per uno per giungere alla lontana meta della cono-
scenza.
Tenuto conto che essi tendono ad una conoscenza del sovrasensibile, o metafisica,
gli alchimisti sono stati considerati degli irrazionalisti, nel senso filosofico del ter-
mine, in quanto affermano che la vera conoscenza non viene dai sensi, ma da una tra-
valicazione dei sensi medesimi.
Ma è pur vero il contrario.
Gli alchimisti postulano, nel processo conoscitivo, l’intervento di quella che essi
chiamano, in termini egizi, l’Intelligenza del Cuore, solare, o diretta. Ma essa non
può sorgere fintantoché l’Intelligenza lunare, o riflessa, non sia perfettamente sgom-
bra a tutta luce.
E l’Intelligenza lunare è quella razionale, del cervello, che è sempre stato consi-
derato dall’alchimismo, in modo figurativo, come il satellite dell’uomo, capace di
illuminare di luce riflessa l’uomo nella ricerca della verità attraverso le tenebre del-
l’ignoranza. Ad essa seguirà, per evoluzione naturale, l’Intelligenza solare, diretta
a piena luce, che gli antichi latini chiamavano Fides, termine oggi completamente
travisato, e che è la certezza che una cosa è.
Ma prima di arrivare ad essa, devono basarsi sulla realtà che i sensi offrono, e attra-
verso l’affinamento progressivo della percezione, acquisita con la pratica alchimica,
giungere alla conoscenza sicura.
Quindi in ultima analisi essi sono anche dei realisti.
E siccome il “realismo” è stato scartato dalla filosofia moderna, a seguito della cor-
ruzione subita dal termine da parte dei positivisti a vantaggio della determinazione
di “materialismo”, gli alchimisti sono stati catalogati anche come materialisti dialet-
tici.
E qui giunto, vorrei spendere qualche parola in più, dato il contesto culturale
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FILOSOFIA E ALCHIMIA
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Antonio D’Alonzo
Saggista
The author focuses on the evocative power which esoterism and mistery had in the
work of the poet and painter W. Blake; he gives a short outline of the most important
stage of Blake’s cultural and artistic education, fed on estatic and hallucinating expe-
riences and on cabalistic, gnostic and cataric literature.
Blake, during his life and all over his work, was a great advocate of Imagination (the
most relevant of all poetical faculties, an archetypal and essential source of energy)
against rationalism and mecanicism. Imagination has to be continuously practiced and
kept awake, so that the Poet could reach the absolute gnosis.
Then the author deals with the Eternal Man (the Androgyne, Albion) and his “fall” and
disintegration in the four elements (Zoa) which inhabit the macro-microcosmos.
Among the figures born after this division, Los (Time) represents creative Imagina-
tion and visionary power which will free mankind from reason’s ties. On the other
hand, Enitharmon (Space) represents repressive moral and senses’ deception. In
Blake’s eschatological project, Enitharmon and Los will make mankind find again that
armony between spirit and mind which had been lost with Albion’s fall.
Fino a qualche tempo fa, William Blake era sempre stato considerato un grande
poeta visionario, oltre che un eccentrico ribelle. La critica letteraria era quasi unani-
me nel rintracciare nella sua poesia il filo rosso che la univa con i grandi poeti roman-
tici inglesi, come Byron, Shelley, Keats, facendo così di Blake un antesignano pre-
romantico, se non addirittura uno dei primi esponenti della corrente. In fondo, in
quell’epoca che avrebbe percorso il sentiero che portava all’arroccamento dell’Io nel-
la propria interiore liricità, non poteva certo suscitare scalpore tra i letterati, uno sti-
le di vita anticonformistico, così come il parossismo di certe visioni; l’enfasi era la
norma e il riflesso dello spirito del tempo, non certo un’eccezione. Tuttavia, nel nove-
cento si andava delineando anche una chiave di lettura parallela – piuttosto che alter-
nativa – che vedeva nella poesia blakeiana, non solamente i germi del successivo “Io
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
1
Tuttavia, Eliot, essendo un uomo di fede, si arrestò di fronte alla possibilità di rin-
tracciare nella poesia e nelle incisioni blakeiane dei simboli appartenenti a delle tradizioni aper-
tamente sconfessate dalla dottrina cristiana.
2
Cfr. Gilchrist, Life of William Blake, “Pictor Ignotus” e Wilson, The life of William
Blake.
3
Ibidem.
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Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake, Antonio D’Alonzo
Tigre! Tigre! Che bruci luminosa / nelle foreste della notte, / Quale fu l’im-
mortale mano o l’occhio / Ch’ebbe la forza di formare / La tua agghiacciante
simmetria? / In quali abissi o in quali cieli / Accese il fuoco dei tuoi occhi? /
Sopra quali ali osa slanciarsi? / E quale mano afferra il fuoco?
(The Tiger, Canti d’Esperienza)
La Tigre che brucia luminosa nelle foreste della notte è appunto questa facoltà
essenziale e primordiale, l’immaginazione perduta in seguito alla Caduta, ma anche
occultata dal razionalismo illuminista. Le foreste della notte simboleggiano il pro-
fondo, il rimosso, ma anche ovviamente la contrapposizione alle illusioni dell’Auf-
klarung, del rischiaramento positivista. Leggiamo nel passo successivo come que-
st’energia sia in realtà un archetipo:
Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essa
veramente è, infinita.
Blake quindi aderisce alla classica dottrina platonica dei due mondi, ma a diffe-
renza del filosofo greco, ritiene che sia l’Immaginazione la facoltà che, contrappo-
nendosi all’inganno dei sensi, può condurre l’uomo alla conoscenza assoluta. L’Es-
sere divino si svela nel linguaggio del poeta e dell’oracolo, e solo in questo modo,
per Sua volontà può avvenire la gnosi: ma l’uomo deve aver risvegliato ed esercita-
to quella facoltà divina per accedere all’infinito. Chiunque possieda quest’Immagi-
nazione è in grado di superare sia l’illusorio mondo della materia (nelle epoche del-
l’immaginazione, questa ferma convinzione spostava le montagne4), che l’astrazione
della legge morale, da Blake identificata con la sottomissione passiva alle regole del-
la ragione. Per certi aspetti, Blake si rivela quindi uno dei primi “immoralisti”, pre-
cursore dei vari Byron, Shelley e Nietzsche, mentre la concezione demiurgica del-
l’Immaginazione lo allontana, viceversa, dal glaciale e iper-razionale universo sadia-
no. Sull’“immoralismo” blakeiano ritorneremo in seguito; per il momento conti-
nuiamo ad intrattenerci su questo potere della visione che alberga nell’animo del poe-
ta, mentre è latente in quello dell’uomo comune.
Per Blake, quindi, l’Immaginazione permette all’uomo di ricongiungersi, almeno
per un momento, con l’Universale, riconoscendone l’affinità con la propria natura.
Al contrario, sia l’empirismo filosofico sia la matematica applicata sono da Blake
svalutati, perché circoscrivono le loro competenze al campo fenomenico, e si priva-
no così della possibilità di oltrepassare il mutevole mondo del divenire, aprendosi
contemporaneamente al mondo delle essenze. In questo senso si comprende allora il
biasimo di Blake verso Bacone, Newton, Locke, Voltaire, Rousseau: tutti strenui
difensori della ragione tranne l’ultimo, che però, in quanto padre del romanticismo,
tenderà a cadere nell’eccessiva idealizzazione del regno naturale. Del resto non è cer-
tamente la filosofia dei Lumi o il pre-romanticismo di Rousseau a catalizzare il pen-
siero di Blake:
Poiché un nuovo cielo è incominciato, e sono passati dal suo nascere trenta-
tré anni, l’Eterno Inferno rivive. Ed ecco! Swedenborg è l’Angelo seduto sulla
4
Blake, Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno.
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
tomba; sono i suoi scritti quel lenzuolo piegato. Ora domina Edom, e Adamo fa
ritorno in Paradiso: vedi Isaia, Capp. XXXIV e XXXV.
(Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno)
A prima vista sembrerebbe di essere alla presenza di una sorta di dialettica hege-
liana intrinseca al divenire. Per Hegel, i contrari sono necessari al superamento del
presente e coincidono con lo stesso moto storico. Tuttavia, in questo passaggio non
appaiono richiami all’Aufhebung, alla negazione della negazione, per questo sareb-
be forse più plausibile pensare ad una specie di proto “dialettica aperta” o “negati-
va”: si parla sempre di contrapposti (Amore e Odio etc.), ma manca il terzo termine
della sintesi che raccoglie e supera la scansione dei primi due. Tuttavia, possiamo
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Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake, Antonio D’Alonzo
senz’altro mantenere come punto fermo della visione blakeiana il superamento del
rigido manicheismo swedenborghiano: per il poeta inglese il dualismo diventa ineren-
te al tessuto ontologico del Reale. Per Swedenborg il Bene ed il Male sono drasticamente
separati, ed il cammino dello Spirito verso la salvezza è orientato unilateralmente. Nem-
meno per un istante Swedenborg contempla la possibilità che nel Male sia contenuto un
riflesso del suo opposto, che sia possibile una redenzione finale anche del negativo: non
a caso intitola la sua opera Cielo e Inferno, mentre viceversa Blake postula letteralmen-
te la possibilità di un Matrimonio tra i due termini antitetici. Nella successiva Jerusa-
lem, il poeta inglese suggerirà che l’Inferno è aperto al Cielo. Per Blake il Bene è la pas-
sività della Ragione, il Male invece è l’attività straripante Energia; ma appare evidente
che siamo in presenza di un rovesciamento ironico in cui la preferenza va piuttosto a
quest’ultimo polo. Non a caso il capitolo successivo di Il Matrimonio del Cielo e del-
l’Inferno è intitolato Proverbi Infernali. Ritroviamo la stessa ontologia energetistica
anche nel passo successivo a quello sopra riportato, in cui Blake si abbandona ad enun-
ciare questa sorta di “rivelazione” satanica, emblematicamente denominata La Voce del
Diavolo:
Tutte le Bibbie, codici sacri, sono state causa dei seguenti errori
1. Che nell’Uomo ci sono
due principi reali di esisten-
za, cioè un Corpo e un’Ani-
ma.
2. Che l’energia chiamata
Male, procede solo dal Cor-
po, che la Ragione, chiamata
Bene, procede solo dall’Ani-
ma.
3. Che Dio in eterno tortu-
rerà l’Uomo avendo egli
seguito le proprie Energie.
Ma seguenti Contrari a tali
Errori sono Verità:
1. Nell’Uomo non c’è un
Corpo distinto dall’Anima; il
cosiddetto Corpo è una parte
dell’Anima che i cinque Sen-
si, maggiori antenne dell’Ani-
ma in questo evo, discernono.
2. Solo l’Energia è vita, e
procede dal Corpo; la Ragio-
ne non è che il confine o il
cerchio esterno dell’Energia.
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
teica la vera radice del Male. I quattro Zoa assumono altri nomi nel regno del dive-
nire: Urizen diventa Satana, Luvah si chiama Orc, Tharmas diventa Cherubino e
Urthona, Los. La lotta è ora soprattutto tra Urizen-Satana e Urthona-Los: il primo ha
infranto la Divina Totalità e nell’autocoscienza dà origine al mondo della Caduta.
Nel riconoscimento della propria individualità distinta dal Tutto, Urizen genera le
dicotomie dell’illusione fenomenica: la separazione dei sessi, la nascita e la morte, il
tempo. Infatti, in un curioso slittamento di significato, Los – identificato con il Tem-
po – si presenta ora come lo stesso figlio di Urizen e contribuisce fattivamente alla
progettazione demiurgica del mondo. Ma contemporaneamente si contrappone radi-
calmente al principio dell’intelletto raziocinante e normativo, incarnato da Urizen:
Urizen giaceva nelle tenebre e nella solitudine, incatenato nella mente. Los
afferrò il suo Martello e le sue Tenaglie: si mise al lavoro alla risoluta sua Incu-
dine. Fra Rocce Druidiche indefinite e nevi di dubbio e di dialettica.
(Milton)
Urizen, Causa Prima del mondo materiale, è condannato lui stesso all’aridità cogni-
tiva e alla morale repressiva imposta alle sue creature; è prigioniero dello stesso uni-
verso autoritario e gelido, generato dalla sua ribellione individualistica e da pulsioni
emancipatrici. Los è il Tempo, uno dei due figli o poli in cui Urizen si scinde – l’al-
tro è lo Spazio simboleggiato da Enitharmon, principio femminile al contrario del
maschile Los –; entrambi determineranno le dimensioni esistenziali della nostra espe-
rienza fisica. Come Prometeo, anche Urizen è mosso dallo stesso sentimento di insof-
ferenza verso l’Ordine costituito, verso la Totalità. Mentre Prometeo disubbidisce al
volere di Zeus e ruba la folgore per donarla agli uomini, Urizen afferma la propria
volontà di potenza contro l’Unità Indivisa dell’Uomo Eterno: entrambi paladini del-
la ragione strumentale contro l’amorfo ordine della metafisica. L’uomo sarebbe allo-
ra quasi costretto dalla sua stessa essenza a trasgredire e ad assaggiare il frutto della
Conoscenza. Nel morso di Adamo al pomo proibito, come nel furto di Prometeo o
nella volontà di potenza di Urizen è celato il destino della violenza umana come lace-
razione dell’ordine divino. Una prima riflessione s’impone allora. Malgrado tutte le
cosmogonie e le metafisiche della storia, questo strappo, questa “volontà-di-lacera-
zione” fa parte dell’essenza propriamente umana? Potrebbe l’uomo non strappar-si
dall’Ordine costituito e vivere così inconsapevolmente come le bestie e gli angeli,
accontentandosi della propria sorte? Oppure nella storia umana è celato un disegno
faustiano che porta gli umani a ripudiare anche i cancelli dell’Eden, in favore del-
l’autocoscienza? Abbiamo quindi visto che Los rappresenta il Tempo. In particola-
re, secondo Sloss-Wallis, Los avrebbe la funzione di “fissare” i mutamenti di Urizen,
secondo una scansione temporale in grado di infrangere l’orizzonte inviolato delle
possibilità infinite degli Eterni5. Sloss-Wallis rovescia l’impianto classico della meta-
5
Sloss-Wallis, The Prophetic Writings of William Blake.
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
fisica, perché adesso non è più il divenire a sciogliere la rigidità monista dell’Esse-
re, a relativizzare la valenza ontologica dell’istante nel suo superamento diacronico.
In altre parole, secondo questa lettura, il divenire non si limita a contestualizzare e a
relativizzare l’accadere, ma al contrario conferisce densità al significato, traccia l’ir-
reversibilità del dispiegarsi nell’evento. L’insegnamento di Los è che il nostro tem-
po non deve essere letto come espressione della finitezza terrena, per questo nel fiu-
me eracliteo tutto diviene e non è possibile bagnarsi due volte di seguito nelle stesse
acque. Ma, viceversa, come restringimento dell’orizzonte del destino esistenziale, la
scelta di una determinata possibilità comporta per converso l’esclusione di altre e la
concatenazione di successivi eventi. Nel recente film Sliding Doors, la vita futura
della protagonista dipenderà dal fatto se riuscirà o no a prendere la metropolitana. E’
evidente che in quest’ultimo caso diventa più difficile parlare di scelta quando ci tro-
viamo di fronte ad un evento aleatorio, come un ritardo di fronte alla partenza di un
treno; ma in fondo, secondo questa concezione, alla radice della concatenazione di
eventi ineluttabili c’è sempre un gesto o un atto arbitrario. Il battito delle ali di una
farfalla nella foresta equatoriale che provoca un terremoto a Los Angeles, così come
un passo più veloce per correre all’appuntamento con il treno del destino: si decida
di chiamarlo Moira o Karma. Del resto anche il procrastinare la scelta delle possibi-
lità è comunque una scelta. L’esteta kierkegaardiano o il musiliano uomo senza qua-
lità, scelgono la possibilità della possibilità, il rinvio, la possibilità fine a se stessa.
Ma comunque sia, questa scelta comporta la possibilità di sottrarsi ad altre possibili-
tà, come la vita etica o l’impegno politico, ad esempio. E’ comunque uno smacco,
perché come sosteneva Heidegger è la dimensione stessa della finitezza umana, l’es-
sere-per-la-morte, a impedire all’uomo di sottrarsi al tentativo di progettare il pro-
prio esistere (ancora: il progettare di non fare progetti è autoreferenziale, perché è
comunque un progetto. Si tratta di un circolo vizioso del pensiero). Los quindi per
Blake simboleggia il Tempo che segna la scansione del punto di non-ritorno (è così
ormai, e non può più essere altrimenti), ma contemporaneamente anche lo Spirito
della Profezia, la certezza che il gelido e arido mondo della materia determinato dal-
la scissione di Urizen è destinato a finire. Los è la Visione profetica che arriva ad
avvertire gli uomini che stanno per essere sciolti dai legacci raziocentrici e dall’in-
ganno dei sensi. In altre parole, Los è per Blake quella stessa Immaginazione crea-
trice o capacità visionaria che pone fine alla Caduta nel mondo della materia. La
Visione è quindi connaturata al Tempo che annuncia la profezia: del resto è Los che
genera il mondo, sotto la costrizione di Urizen. Ma che funzione ha nel cosmo miti-
co blakeiano l’altra categoria della nostra esperienza, Enitharmon, lo spazio?
Enitharmon, il principio femminile della cosmogonia, si è scissa da Los all’inizio
della lacerazione originaria di Albione, l’Uomo Eterno. L’Androgino, fusione per-
fetta dei due sessi, si lacera in due principi, Los ed Enitharmon, il Tempo e lo Spa-
zio. Enitharmon, lo Spazio, è in fondo il principio d’individuazione che conferisce il
sesso e la personalità agli esseri viventi. Essa incarna anche, in quanto principio fem-
minile, l’inganno dei sensi e la morale repressiva. A prima vista, la lettura blakeiana
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Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake, Antonio D’Alonzo
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Kierkegaard, Aut-Aut; Diario del seduttore.
7
Eliade, Sacro e Profano; La prova del labirinto.
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
l’eccesso porta al palazzo della saggezza8. Enitharmon e Los, Spazio e Tempo, s’in-
nestano però all’interno di un progetto escatologico che ha come risultato la ritrova-
ta armonia tra la natura spirituale e la natura intellettuale nell’Uomo Eterno, primor-
diale. La proiezione messianica, l’éschaton, è destinata a riguardare entrambe le pola-
rità del principio d’interdipendenza universale, sul piano del macro come del micro-
cosmo (Tavola Smeraldina: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è
in basso è come ciò che è in alto”). Nel macrocosmo la dilatazione del divenire arre-
sterà la Caduta contraendosi in un segmento divino ed imperituro, che segnerà il
ritorno del tempo mitico, ma questa volta eternamente e senza più sottostare alla fuga
nel ciclo dell’anello eterno. L’avvento del ritorno dell’età dell’oro sarà definitivo e
senza più il pericolo di altre discese cicliche, perché in quell’istante il tempo si dile-
guerà nell’immobile eternità del Regno. Ma anche sul piano microcosmico l’uomo
ritroverà la sua essenza spirituale che l’arida ragione e l’insulso empirismo avevano
imprigionato, consegnandola all’oblio. Ma l’importanza del progetto escatologico
nella visione di Blake è attestato anche dalla subordinazione di Enitharmon a Los; lo
Spazio, semplice emanazione e scissione negativa, è destinato a non sopravvivere
alla frantumazione del Tempo profano nell’incontro con l’avvento dell’éschaton
messianico.
8
Blake, Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno.
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Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake, Antonio D’Alonzo
9
Hutin, Les disceples anglais de Jacob Boehme aux XVII°-XVIII siècles.
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Giuseppe Cacopardi
Saggista
The author, through a detailed study of the Magic Flute’s booklet by Schikaneder,
doubts that it contains basic ideas of Freemasonry and thinks that neither the three
times stressed chords nor other particular notes are sufficient to prove it, expecially to
an uninitiated eye.
Come è talvolta accaduto e accade tuttora, i capolavori non sono riconosciuti all’e-
sordio e uguale sorte ebbe il Flauto Magico il 30 settembre 1791, poche settimane
prima che Mozart morisse.
Presentato in cartellone come “Una grande opera in due atti di Emanuel
Schikaneder”, il corrispondente da Vienna del Settimanale Musicale di Berlino potè
informare i lettori lapidariamente così:
Anche quando già era un’opera di successo del repertorio lirico, le critiche indiriz-
zate al Libretto (anche in tedesco) non cessarono: oltre che il carattere fiabesco, l’im-
portanza delle macchine sceniche e l’atmosfera “orientale”, erano criticate anche le
rappresentazioni mistiche cariche di simboli, idee fondamentali della Libera Mura-
toria1.
1
Mystische symbolgesettigte Vorstellungen, Grundgedanken des Freimaurertums
(Mozart-Böhm 1964: 4).
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
Era l’epoca del rinnovato interesse per l’antico Egitto e la sua religione celata nei
misteriosi geroglifici (avrebbero dovuto attendere Champollion, che li decifrò nel
1822); l’epoca della diffusione dei Riti massonici prescozzesisti e di quelli teosofici
e mistici (Martines de Pasqually col Rito degli Eletti Cohen; Willermoz, L.C. de
Saint Martin, Swedenborg; Rito di Memphis e Mizraim etc.); l’epoca della Mas-
soneria mista del Gran Cofto Cagliostro vivente e in auge, e dei Riti con finalità
politiche; l’epoca dell’Illuminismo tedesco filosofico-letterario e del francese politi-
co-sociale; soprattutto l’epoca in cui la Rivoluzione francese doveva ancora mani-
festare i suoi orrori ma aveva già sconvolto l’Europa.
Dunque subito il Flauto Magico fu giudicato portatore del pensiero fondamentale
massonico; ma anche oggi su un’enciclopedia contemporanea (1983: 863), del suo
autore si legge:
Messa da parte la musica, di cui non ho alcuna conoscenza tecnica nonchè dilet-
tantistica decente; preso atto dell’immediatezza con cui un genio musicale ha com-
preso i princìpi fondamentali della Libera Muratoria quasi che l’iniziazione avesse
avuto potere o effetto sacramentale, ho intrapreso lo studio del Libretto nell’edizione
per la Deutsche Grammophon, dal quale cito alcune note tecniche:
Adagio solenne con i suoi tre potenti accordi introduttivi martellati [...] poi un
Fugato a trama ingegnosa [...] (che) poi riporta di nuovo i tre accordi [...] che
si risentiranno durante l’assemblea degli iniziati [...]; gli accordi accentuantisi
tre volte, rappresentano come in generale il numero tre, il suo quadrato e il suo
doppio i simboli fondamentali liberomuratorii nell’opera di Mozart.
2
Se non prima. Il 14 dicembre 1784 secondo Gamberini (1975: 66) e Freschi (2001: 72).
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Flauto Magico: mitologia e dintorni, Giuseppe Cacopardi
Moralismo?
Dopo il dono di un flauto d’oro a Tamino con l’augurio che il suono esprima magia
atta a trasformare le passioni degli uomini: il taciturno diverrà contento, il misogi-
no sarà trasportato dall’amore (didattismo?); entrano in scena tre ragazzi, giovani,
belli, dolci e saggi che accompagneranno Tamino e Papageno alla ricerca del castel-
lo di Sarastro; alla fine dell’undicesima scena altro scenario con boschetto e tre tem-
pli con su scritto “Tempio della saggezza, Tempio della ragione, Tempio della natu-
ra”; i tre giovani invitano Tamino a lottare virilmente, a essere saldo, paziente e dis-
creto. All’ultima scena, la sedicesima, ben 77 frustate inflitte da Sarastro allo schia-
vo nero Monostato innamorato di Pamina, e quindi il coro, che conclude il primo atto
cantando:
Quando la virtù e la giustizia spandono gloria sul passaggio dei grandi, la ter-
ra è come il regno dei cieli, e i mortali sono simili agli dei.
O servitori consacrati agli dei Iside e Osiride. Vi annuncio con animo puro
che la nostra assemblea odierna è una delle più importanti della nostra epoca:
Tamino, figlio di re, si presenta al portale nord del nostro tempio; desidera
squarciare gli oscuri veli e contemplare la viva luce sacra. Il nostro dovere è
oggi di osservare questo virtuoso giovane e tendergli amichevolmente la mano.
Segue un dialogo informativo tra i tre sacerdoti e Sarastro, annunciante che Pami-
na - nonostante l’indegnità della madre-regina della notte - è destinata dagli dèi a
Tamino; ai dubbi di un sacerdote sull’idoneità di Tamino a superare le dure prove che
lo attendono, pensa, è un principe, Sarastro replica: egli è di più. E’ un uomo. Alla
quinta scena tornano le tre ragazze, ma bisogna attendere il finale della 25° scena per
ascoltare che
Noi andremo grazie alla potenza della musica con gioia attraverso le tenebre
della morte.
La 29° scena termina con tuoni, fulmini, tempesta; poi appaiono Sarastro, Pamina
e Tamino in abiti sacerdotali circondati da tre sacerdoti e dai tre ragazzi con fiori (9
attori, il quadrato di 3). La 30° scena si svolge nel tempio del Sole (?) dove Sarastro
dice:
I raggi del sole hanno respinto la notte, e annientato la potenza dei dèmoni.
Gloria a voi, iniziati! Voi avete vinto la notte. Grazie a te, Iside, grazie a te,
Osiride. La forza ha trionfato e coronato la bellezza e la saggezza per l’eternità.
Fine dell’opera.
Finita l’opera è cominciata la perplessità: non avevo scoperto pensiero fondamen-
tale nè secondario della Libera Muratoria, derivato cioè dagli strumenti dell’Arte
Reale interpretati in senso esoterico oppure morale; avevo percepito forse “pensiero
esoterico egizio” (cagliostrano) o illuministico (sole, luce, notte; ragione; virtù
morali), l’uno e l’altro evidenti forse nella sceneggiatura “carica di simboli”. Simboli
di cui è stato facile sospettare la natura surrettiziamente massonica, tratti dalla con-
gerie di Riti di cui si può avere un’idea precisa dal testo Massoneria e Illuminismo di
G. Giarrizzo.
Non credo che sia pensiero fondamentale la simbolica dei numeri, l’attraversa-
mento dei quattro elementi, l’iniziazione della donne, Iside e Osiride, la forza che
corona bellezza e saggezza, il dono dell’ispirazione etc. Ma quel che mi induce a
rifiutare il giudizio tanto fortunato quanto affrettato del corrispondente da Vienna
è la diversità dell’iniziazione: nel Flauto Magico appare atto conclusivo, finale, al
termine del quale la forza ha trionfato [...] quasi per virtù o potere sacramentale.
Nella Libera Muratoria è fase iniziale, gradualmente seguita da un passaggio e da
un’elevazione. Inoltre, indifferente alla religione, l’iniziazione, che è “di mestiere”,
introduce a lavori con strumenti diversi in ciascun grado e, con essi operando, alla
possibilità di conseguire conoscenze atte a guidarci nella vita con minore o mag-
giore consapevolezza raggiungibile con e dopo lavoro continuo motivato appas-
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Flauto Magico: mitologia e dintorni, Giuseppe Cacopardi
sionato. Durante tale lavoro, al terzo grado, al termine della Massoneria Azzurra,
il massone resta con la “parola perduta” e con una parola sostituita: simbolica-
mente, essendo la parola perduta una parola di passo, egli non può neppure tentare
di “passare” alle grandi conoscenze, le ultime; e se esse fossero i misteri?
Da questa diversità sorge la perplessità ad accettare il termine “grande iniziato”
attribuito a iniziati in Massoneria, quasi che avessero subito ricevuto l’illuminazione
concessa a Pamina e Tamino. E’ un’altra fortunata definizione, nata forse con il bel
libro di E. Schurè, I grandi Iniziati, che a me paiono grandi iniziatori. Infatti sono
Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone, Gesù: tranne qualche per-
sonaggio mitico, sono tutti iniziatori di religioni e filosofie storiche. Di tanto in tan-
to vengono proposti nomi per un secondo volume, ma forse è bene attendere quanto
Schurè per scrivere il primo: la “fine della storia” non pare vicina, e non c’è fretta. Il
resto sono idee spurie inserite in alcuni rituali dell’Ordine dai Riti - lo ha ammesso
la Commissione Rituali con l’ultima relazione - fondendo Massoneria ed esoterismi
diversi, anche estranei, quindi introducendo sincretismi talora non felicemente assor-
titi.
Con semplicità, convinto da Voltaire e B. Russell che il dogmatismo fa divenire
dannosa un’opinione giusta professata dogmaticamente, esprimo l’opinione che dal-
la scenaggiatura originaria del Flauto Magico e dall’articolo del corrispondente (male
informato o volutamente malevolo?) sia nato il mito dell’opera contenente i princìpi
fondamentali della Massoneria.
Sappiamo che la mitologia accompagna e nutre le creazioni del pensiero umano
(religioni, filosofie, letterature, scienze e arti) al loro sorgere, onorando i creatori
quali dèi ed eroi; ma con il procedere della vicenda umana, mitologie e personag-
gi mitici si eclissano e appare la Storia con coloro che “la fanno”. Ad essi seguono
coloro che, storicizzati - se piace, esorcizzati - dèi ed eroi e vivendo disincantati e
consapevoli il loro tempo, scrivono la Storia con fas e nefas; ma, se la Storia come
maestra di vita ha pochi discepoli, gli storiografi paiono avere ancora meno lettori.
Se i genii utilizzano i miti per fondare la scienza moderna come F. Bacone o, come
Mozart, per creare un capolavoro, gli uomini comuni se ne servono a fini agiografi-
ci e propagandistici, per cattivare simpatie e favore, specie la mitologia massonica
del XIX° secolo, periodo di grande confusione che diede frutti avvelenati all’apparire
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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO
del Fascismo.
Questo è un altro discorso, ma pare pertinente l’utilità di diradare le nebbie mitiche
e spolverare la galleria degli antenati, spostare qualche quadro e rimuoverne altri:
verso i nostri duecento anni un approfondimento darebbe illuminanti risposte al “chi
siamo stati, da dove siamo venuti, dove siamo andati”.
Venendo ai dintorni, a noi, per dirla con G.B. Vico è finito il tempo degli dèi e
degli eroi; viviamo il tempo degli uomini e potremmo trarre dal Flauto Magico degli
esordi, del tempo mitico, la lezione dell’efficacia della sceneggiatura: fece meritare
il blasone di opera massonica al modesto Libretto di un massone e alla musica di un
genio musicale iniziato in Massoneria. Dopo due secoli si potrebbe mettere giudizio
e operare con responsabile ritualità al fine di accrescere preparazione, motivazione,
consapevolezza di chi resta e ridurre il numero di quelli che vengono, vedono e se ne
vanno. Se lavoriamo correttamente nei tre gradi dell’Ordine, possiamo tentare di
rispondere alle domande senza seguito coniugandole al singolare: chi sono (primo
grado); da dove vengo (secondo grado); dove vado (terzo grado).
Il primo significato del latino templum, l’italiano “tempio”, è “parte di cielo”, dove
l’indovino, osservatore del volo degli uccelli-àuspice, guardava per trarre auspici:
dalla nostra parte di cielo, quello stellato del tempio dove lavoriamo, vediamo di
trarre auspici fausti per il lavoro e il triplice viaggio massonico; chiedendo
l’iniziazione liberamente convinti, abbiamo ascoltato e capito che essa è soltanto il
biglietto per partire: ce ne siamo scordati, pensando ad altro?
Da parte mia, buon lavoro e buon viaggio, osservando e riflettendo, in compagnia
della musica preferita.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Mi sembrava doveroso occupare solo poche righe per salutarVi nel momen-
to in cui mi accingo a licenziare il primo numero di Hiram redatto sotto la mia
direzione. Vorrei inanzitutto cogliere l’occasione per ringraziare il Gran Maestro,
Avv. Gustavo Raffi, per la fiducia che mi ha concesso affidandomi la responsabilità
scientifica della nostra rivista in un momento di particolare importanza per la sto-
ria della Massoneria italiana e soprattutto della nostra comunione. Vorrei inoltre
esprimere la mia riconoscenza al nuovo Direttore responsabile, Giovanni Lani, ed a
tutti coloro che svolgono una funzione istituzionale nei vari organi che ad Hiram
afferiscono. Non posso menzionarli singolarmente, ma è ovvio che li saluto tutti
fraternamente. Sento anche il desiderio di ricordare con gratitudine per il lavoro
svolto in precedenza il fratello Mariano Bianca.
Come si vedrà già da questo fascicolo mi sono permesso di apportare (per ora
solo alcune) piccole modifiche all’impostazione della rivista: il colore della coper-
tina è mutato, gli articoli sono mediamente di lunghezza maggiore che in passato e
sono preceduti da una sintesi in lingua inglese, al fine di stimolarne la lettura anche
da parte di lettori stranieri, soprattutto se si tiene conto della visibilità in rete del
nostro prodotto attraverso il sito del G.O.I.
Si è ritenuto inoltre più confortevole per la lettura portare le note a pié di pagi-
na e curare maggiormente l’apparato bibliografico; infine si è ampliato il numero
complessivo delle pagine di un sedicesimo (da 80 al 96 pagine). Spero peraltro di
poter accrescere maggiormente la dimensione dei singoli numeri al fine di ospitare
sempre più contributi nonché anche lavori di dimensioni significative, qualora ciò
risultasse effettivamente utile. A tal proposito intenderei, col consenso del Gran
Maestro, inserire in ogni fascicolo una sezione monografica, ovvero una serie di
contributi dedicati ad un tema omogeneo, mantenendo invece alcune rubriche di
interesse più generale. Tali ambiti monografici potrebbero essere dedicati a temi
come “Massoneria e Filosofia nel secolo dei Lumi”, “Massoneria e Diritti
umani”, “Massoneria e Pensiero storico-sociale”, “Massoneria e Movimento
operaio”, “Massoneria e Letteratura italiana”, “Massoneria e Solidarietà”,
“Religioni e Massoneria”, “Il Simbolismo Massonico ed Esoterico”, “Egitto e
Cultura Muratoria”, “Massoneria e Diritto”, etc. I Fratelli che intendessero con-
tribuire a temi come quelli proposti, oppure suggerire altre problematiche, possono
contattarmi direttamente agli indirizzi indicati alla fine di queste pagine.
L’ampliamento della rivista ed un suo maggior impatto sia all’interno sia sul mon-
do della cultura e sulla società civile in generale presenta dei costi; per questa
ragione, si è pensato di aprire, moderatamente, ma in modo non episodico, uno
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Con il rituale triplice fraterno abbraccio Vi auguro una buona lettura e rivolgo a
tutti, a nome anche della Redazione, gli auguri più sinceri per un ottimo 2003.
Vostro
Antonio Panaino
Nota ai collaboratori: si pregano tutti coloro che vogliano contribuire con articoli di inviare
il proprio materiale in formato elettronico e di premettere al testo una breve sintesi dello stes-
so (se possibile in inglese, altrimenti sarà cura della redazione la sua traduzione).
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RECENSIONI
Luigi Grassia
Un Italiano fra Napoleone e i Sioux - Giacomo Costantino Beltrami: il patriota,
l’esploratore, il letterato.
Ed. Il Minotauro; Collana Gli Italiani diretta da Rino Camilleri.
Roma 2002. (pp. 289; 12,00)
A GCB, l’italiano che nell’ottocento risalì le sorgenti del Mississippi sembra infatti esser-
si ispirato James Fenimore Cooper per tratteggiare Natty Bomppo, il protagonista del suo
celeberrimo romanzo, L’ultimo dei Moicani. Il nostro connazionale divenne famoso, soprat-
tutto all’estero, come esploratore e scopritore, ma distinguendosi dai molti, in quei tempi di
conquista del nuovo mondo, mossi dalla sola bramosia di possesso. A connotare invece Bel-
trami fu la sua tensione verso il nuovo, la sua sete di conoscenza, quelle sfide cioè che uni-
camente l’uomo ispirato da ideali superiori ed universali riesce a concepire e vincere. GCB
era un massone.
Alla sua esperienza terrena è stata dedicata una bella biografia di recente pubblicazione, Un
italiano fra Napoleone e i Sioux ad opera di Luigi Grassia, che con equilibrio ed obiettività
la racconta, senza risparmiare qualche frecciatina nei confronti della nostra Istituzione.
Assai vivida è la trattazione, nella prima parte del libro, del periodo italiano della giovinez-
za del Beltrami. Ne emerge una nazione che sollecitata dal grande fermento liberale che
giunge da oltralpe, prima rivoluzionario e poi napoleonico, vede modificarsi rapidamente
assetti politici e culturali.
Lo spirito rivoluzionario, del cambiamento, sembra predestinare il giovane Beltrami fin
dalla nascita nel 1779 a Bergamo. Infatti invertendo gli ultimi due numeri del suo genetlia-
co, e quindi conservando l’uguaglianza numerologica, si ricava l’anno 1797 quello della
“rivoluzione di Bergamo” che instaurò la Repubblica napoleonica. Lo stesso anno, il 19 mar-
zo, GCB viene iniziato e nove anni dopo, a Treviso nel 1808, il giorno 29 del “sesto mese”,
come riporta un documento conservato nella Biblioteca civica di Bergamo, prenderà il
brevetto di Maestro. Grazie a qualche rudimento giuridico il ventenne Beltrami, dopo una
parentesi militare, approda nei tribunali napoleonici che gestivano bel oltre la semplice
amministrazione della giustizia. Nel bene e nel male, il tribunale assunse di fatto una fun-
zione politica, data l’ampiezza interpretativa delle leggi del testo unico del neonato Codice
Napoleonico, orientando così fortemente i comportamenti sociali ed individuali. Era quindi
assai facile per un giudice sconfinare nell’arbitrio o nel dogmatismo. Nell’operato di giudice
del Beltrami traspare fortemente il desiderio di incidere sul sociale, nell’applicazione degli
ideali di equità e tolleranza che lo condussero alla scelta massonica. GCB viene nominato
giudice a Udine nel 1807 e due anni dopo approda nelle Marche come Giudice della Corte
del dipartimento di Musone della provincia di Macerata, e viene riportato dalle cronache
come un giudice duro, anche nella repressione di moti antinapoleonici, ma equo. Inoltre, nel
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SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
GRANDE ORIENTE D’ITALIA - Palazzo Giustiniani -
Sulla soglia del sacro. Esoterismo e Iniziazione nelle grandi religioni e nella tradizione mas-
sonica.
Firenze, 1-3 marzo 2002. Atti del Convegno di Studi, a cura di A. Panaino.
Ed. Mimesis (tel./fax 02.89403935 - www.mimesisedizioni.it); Collana Il flauto magico.
Milano 2002. ( 20,00)
Questo volume si propone come un’articolata riflessione sulla dimensione iniziatica ed eso-
terica presente nelle grandi religioni dell’umanità dall’antica Grecia al tibet, dal mondo egizio a quel-
lo indo-iranico, dall’Islam al rinascimento europeo, dalle civiltà mesopotamiche al Giappone. L’espe-
rienza iniziatica, che è anche alla base della cultura e della pratica massonica, indica la strada verso
modelli spirituali e aggregativi alternativi rispetto a quelli dogmatici che mirano a soggiogare la
coscienza della persona o che accentrano il senso della vita nella dimensione profana del potere e del-
la ricchezza. Il contributo di studiosi diversi per formazione e campo di interessi, ma tutti accomunati
da un desiderio di franco confronto e scambio intellettuale, conferma l’attenzione del G.O.I. verso temi
difficili ma ineludibili per tutti coloro che credono nella possibilità di un reale progresso spirituale, eti-
co e culturale.
Ovidio La Pera
Riflessioni su alcuni temi di L.C. de Saint-Martin
Ed. Firenze Libri s.r.l. (tel. 055.2001090 - fax 055.242818 - www.firenzelibri.it); Collana Lo
spirito delle cose diretta da S. Calzolari, G. Favilli e V. Vanni.
Firenze 2002. ( 20,14)
Per la collana lo spirito delle cose Ovidio La Pera ha avuto modo di esaminare nelle sue linee
generali l’opera di Louis Claude de Saint Martin, insigne filosofo spiritualista della fine del ‘700. Con
le presenti Riflessioni l’autore affronta alcune tematiche care al nostro filosofo, specie quelle legate al
mondo dei numeri, o comunque dense di significati, talvolta espresse con un linguaggio enigmatico;
queste vengono esaminate però senza voler dare ad esse una spiegazione definitiva, data la loro natu-
ra specificatamente esoterica, che perciò richiede una personale interiorizzazione di tipo meditativo;
si tratta pertanto solo di un contributo atto ad allargare l’interesse che il pensiero e la dottrina di vita
di questo autentico illuminato desta in tutti coloro che gli si accostano. Infine viene esaminato anche il
suo personale rapporto con il mondo femminile, che, come vedremo, è stato in totale armonia con la
sua visione del mondo e del rapporto che deve intercorrere fra l’uomo e la divinità.
La Massoneria e la Rivoluzione
Ed. Firenze Libri s.r.l. (tel. 055.2001090 - fax 055.242818 - www.firenzelibri.it)
Una errata concezione attribuisce alla Massoneria il “complotto” per la Rivoluzione france-
se e, spesso, per quante altre nella storia dell’umanità dal XVIII° secolo in poi. La Massoneria in real-
tà bandisce dagli argomenti trattati nelle sue “tornate” quelli legati alla politica ed alla religione, in
quanto ritiene che l’equità e l’equilibrio, che si addicono al comportamento dei fratelli nel tempio,
potrebbero esser turbate ed infrante. Ma la libertà individuale dei suoi membri è tale che nessuno, nel-
lo stesso tempio, potrebbe criticarne la fede religiosa e l’ideologia politica. Ma è vero nel contempo che
gli ideali di libertà, fratellanza ed uguaglianza, non sono stati pure astrazioni metafisiche, ma anche
volontà di progresso ed evoluzione dell’umanità, espressi e perseguiti al di là, ma non al di sopra, del-
le concezioni iniziatiche che sono l’essenza della Massoneria. Questo libro, noto nelle aule della filo-
sofia e della storia in Europa è, per l’Italia, opera molto singolare ed inedita. E’ un filo di Arianna che
ci guiderà nei labirinti percorsi da correnti sotterranee e sconosciute, che solo di tanto in tanto affio-
rano, come fiumi carsici, al cielo aperto della storia. Le influenze esoteriche sul pensiero rivoluziona-
rio è una tematica tuttavia nuova anche nella storiografia mondiale, che necessita ancora di un lungo
percorso di studi. Il testo, corredato da un saggio storico di Silvio Calzolari, inizierà il lettore al pita-
gorismo rivoluzionario ed al suo comunitarismo élitario.
F or nitor e Gr ande Oriente d’Italia
Via dei Tessitori n° 21
tel. 0574-815468
fax 0574-661631
59100 PRATO (PO)
Part. IVA 01598450979
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RASSEGNA RIVISTE
L’ACACIA
Rivista di Studi esoterici
IL LABORATORIO
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IL PENSIERO MAZZINIANO
Periodico dell’Associazione Mazziniana Italiana-Onlus