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ATTILA TANZI INTRODUZIONE AL DIRITTO INTERNAZIONALE CONTEMPORANEO SECONDA EDIZIONE CEDAM PREMESSA Il diritto internazionale viene qui presentato

o nelle sue molteplici dimensioni. In particolare: a) come uno degli strumenti di gestione del mutamento in modo da salvaguardare i livelli minimi di stabilit e prevedibilit dei rapporti giuridici internazionali; b) come linguaggio finalizzato al raggiungimento dell'accordo, o come catalizzatore del disaccordo pacifico; c) come una delle chiavi di lettura della realt internazionale contemporanea. PARTE PRIMA IL DIRITTO NELLA SOCIETA' INTERNAZIONALE 1 INTRODUZIONE 1.1. Sul diritto internazionale e le sue configurazioni Se ci chiedessimo cosa sia il diritto internazionale nella sua configurazione moderna si potrebbe indicare che esso stato tradizionalmente inteso dalla sua nascita (intorno al '600) come l'insieme delle regole giuridiche che riguardano i rapporti tra gli Stati e tra questi e le organizzazioni intergovernative. Va tuttavia osservato che la maggior parte delle regole internazionali di condotta operano all'interno degli Stati, nel senso che riguardano i rapporti tra gli Stati (i loro organi lgs, giudiziari, esecutivi), da un lato, e le persone fisiche o giuridiche che si trovano sul loro territorio, o che cmq sono sottoposte alla loro giurisd, dall'altro. Tradizionalmente tali rapporti riguardavano l'individuo come cittadino all'estero, nell'ambito di quel corpo del diritto internazionale relativo appunto al trattamento degli stranieri. Analoghe regole si sono formate a tutela degli organi stranieri, con particolare riguardo ai capi di Stato, ai ministri e agli agenti diplomatici. Ci che accomuna le due tipologie di regole il carattere bilaterale del loro funzionamento, in quanto basate sullo stretto principio della reciprocit. A partire dai primi del '900, la rilevanza dell'individuo per il diritto internazionale ha lentamente iniziato a svincolarsi dalla sola configurazione di straniero per comprendere, dapprima, l'individuo in quanto parte di una minoranza nazionale, poi, in quanto persona umana, indipendentemente dal rapporto di cittadinanza = si cos aggiunta alla categoria delle regole sul trattamento degli stranieri quella sui diritti dell'uomo. Secondo il pensiero della Scuola americana di New Haven, invece, il diritto internazionale non sarebbe un insieme di regole, bens un processo normativo senza soluzione di continuit, costituito dal succedersi delle delle decisioni normative delle forze prevalenti della comunit internazionale (Rosalyn Higgins: diritto internazionale processo continuo di decisioni autoritative). Il linguaggio e i concetti della scuola di Yale, alieni dagli insegnamenti ricevuti nelle facolt giuridiche dell'Europa continentale, sono seguiti da un ampio numero di attuali e futuri operatori del diritto internazionale, non solo di cittadinanza americana, con i quali molti dei nostri studenti di oggi si troveranno a interagire e dialogare sulla scena internazionale domani. In concreto, cmq, la distanza tra i due orientamenti dipender da quanto dinamica, o rigida, la visione relativa alle modalit giuridico-formali del ricambio delle regole. Se anche non dovessimo trovare una definizione unanimemente condivisa, di fatto, l'esistenza del diritto internazionale viene regolarmente riconosciuta: evitando, dunque, di affrontare qui in modo sistematico l'evoluzione storica del pensiero giuridico circa l'esistenza del diritto internazionale ed il suo fondamento, sar sufficiente, ai nostri fini, constatare nella realt sociale internazionale il generale riconoscimento dell'esistenza di un quadro concettuale e pratico entro il quale si svolge la dialettica per la formazione, la trasformazione, il ricambio, l'accertamento e l'esecuzione di regole di comportamento tra Stati ritenute di natura giuridica.

Si tratter quindi di un'introduzione alle regole internazionali primariamente di tipo strutturale e procedurale, di organizzazione, e sulla produzione, mentre i contenuti delle regole di condotta, cd materiali o sostanziali che ne sono il risultato emergeranno a scopo esemplificativo con riferimento ad alcuni settori del diritto internazionale, in particolare dei diritti dell'uomo, del trattamento dei cittadini e degli organi stranieri, del divieto dell'uso della forza, del diritto del mare e dell'ambiente. 1.1.1. ... in prospettiva storica Avendo definito in prima approssimazione il diritto internazionale nella sua configurazione moderna come l'insieme delle regole che si rivolgono ai rapporti fra gli Stati, la sua nascita va ricondotta all'epoca della nascita degli Stati nazionali, comunemente identificata con la fine della Guerra dei Trent'Anni, sancita dalla Pace di Westfalia del 1648. Il significato simbolico di questo evento quello di segnare la fine di una distribuzione gerarchica del potere, quindi anche della potest regolamentare, che trovasse il suo vertice nell'Impero o nel Papato. In alternativa a tale prospettiva verticistica, si cos consolidato uno scenario di distribuzione del potere tra una pluralit di aggregati umani la cui sovranit nazionale non ammetteva autorit ad essi superiore. Gli Stati europei si sono poi forniti di un bagaglio assai limitato di regole giuridiche, basate sulla reciprocit, che assicurassero un regime di libera concorrenza politica, militare ed economica. Il cd modello westfaliano della comunit internazionale non una teoria delle relazioni internazionali, ma una espressione indicativa di una situazione di fatto di distribuzione pluralistica del potere sulla scena internazionale o, meglio, europea, in una prospettiva eurocentrica del diritto internazionale. Su tale impianto storico- politico fattuale si sviluppato il diritto internazionale moderno, basato sul principio della sovrana eguaglianza formale degli Stati e dotato delle caratteristiche di orizzontalit, o bilateralit, e scarsa istituzionalizzazione. Ci non ha costituito la realizzazione di un modello teorico politico e giuridico superiore ad altri, per quanto preferibile rispetto ad un modello monocratico, bens il risultato della combinazione delle forze della Storia. Per quanto riguarda il diritto internazionale dell'epoca pre-moderna, indicativo di regolamentazione giuridica di un rapporto internazionale di tipo paritario pre-westfaliano , a titolo di es, il Trattato di Kadesh del 1278 aC tra il Faraone d'Egitto Ramessese II e il re degli Ittiti Hattusili II. Si pu poi arrivare a sostenere che lo stesso Impero romano abbia prodotto un modello di diritto internazionale, egemonico e gerarchizzato che si imposto alla pluralit dei popoli e delle comunit da esso conquistati. Quando possibile militarmente, economicamente e organizzativamente, le regole costitutive degli Stati europei e dell'ordinamento internazionale, cos concepito in chiave eurocentrica, vennero imposti nel corso del tempo ai popoli extra-europei, spesso con la forza, nel processo plurisecolare di colonizzazione, oppure imponendo il cd regime delle capitolazioni. Gli Stati Uniti si avvalsero presto degli stessi principi europei del diritto internazionale per esercitare un ruolo egemonico in America latina e intrattenere rapporti con i Paesi europei. L'omogeneit di valori e modelli di comportamento tra le potenze europee che hanno costruito il diritto internazionale moderno nel corso do oltre tre secoli e che ha presieduto a quella che possiamo definire come una cavalleresca conflittualit tra le stesse potenze in tema economico, politico e militare, si infranta durante la Prima Guerra Mondiale con la rivoluzione russa del 1917. Quest'ultima, infatti, ha introdotto non solo una nuova forma di governo nazionale, ma un modello, che la Russia sovietica intendeva esportare su scala mondiale, di rapporti economici che negavano il diritto di propriet privata ed il libero commercio tra privati, infrangendo uno dei pilastri fondamentali su cui si era sviluppata la societ internazionale e le relative regolamentazioni giuridiche sino ad allora. Tale fase di rottura dei contenuti delle regole della societ internazionale venne poi ulteriormente alimentata dall'avvento dei regimi nazifascisti. Proprio durante lo svolgimento del secondo conflitto mondiale, dall'alleanza angloamericana contro il nazifascismo, cui si era associata per difesa pure l'URSS, emerse la visione di un nuovo ordine

internazionale di tipo universalistico basato sul principio della legalit e dell'eguaglianza sovrana degli Stati. Le linee fondanti di tale visione, suggellata da Roosevelt e Churchill nell'agosto 1941 nella Carta Atlantica, si articolavano: a) sul divieto dell'uso della forza; b) sulla protezione e promozione dei diritti dell'uomo e c) sulla liberalizzazione degli scambi commerciali e la protezione degli investimenti stranieri. Il modello westfaliano si aggiornava, cos, con l'introduzione del divieto dell'uso della forza e con il proseguimento del faticoso tentativo, iniziato nel 1919 con la Societ delle Nazioni, di istituzionalizzare la gestione sovranazionale della funzione di polizia internazionale. Questa stessa visione venne poi codificata nella Carte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1945 dai 51 Stati fondatori. Con l'avvento della Guerra Fredda si pu dire che tale modello eurocentrico sia stato sostanzialmente imposto sulla scena mondiale dai Paesi occidentali e dai loro alleati, che detenevano inizialmente una larga maggioranza nell'Assemblea ONU. Con la decolonizzazione degli anni '60 (appoggiata dall'URSS) scatur una situazione nella quale lo schieramento dei Paesi del blocco comunista e del Terzo Mondo imposero a quello dei Paesi occidentali una sorta di processo di rinegoziazione del diritto internazionale, al fine di trascrivere il diritto consuetudinario = pluralit di convenzioni di codificazione, per esigenze soprattutto di retorica ideologica-politica. Va altres considerato come lo sviluppo di elementi innovativi del contenuto del diritto internazionale, verso la tutela di interessi collettivi della Comunit Internazionale nel suo insieme, sia stato promosso in quegli anni principalmente dall'azione diplomatica degli schieramenti socialista e del Terzo Mondo, trovando tuttavia la sua base nella stessa Carta ONU e il consenso degli stessi Paesi occidentali. Peraltro, a fronte del significativo sviluppo di regole materiali a tutela di interessi generali della societ internazionale, si rileva uno sviluppo assai limitato di regole di organizzazione che prevedano meccanismi oggettivi e obbligatori di accertamento delle prime, e ancor pi limitato in tema di attuazione coercitiva delle stesse. Il contrasto avente rilievo giuridico-internazionale tra i due blocchi riguardava i rapporti economici e la regolamentazione giuridica internazionale degli stessi. Le delegazioni dei Paesi del Terzo Mondo cercarono di instaurare un cd nuovo ordine economico internazionale: questo avrebbe dovuto essere fondato sulla priorit del principio della sovranit permanente degli Stati sulle proprie risorse naturali e del diritto per gli Stati di regolamentare autonomamente le attivit economiche sul proprio territorio, senza eccezione per le attivit economiche di soggetti stranieri, comprese le multinazionali. Tali istanze hanno portato ad una frattura decisiva fra i due blocchi: in sostanza il braccio di ferro tra Nord e Sud (sostenuto, quest'ultimo, strategicamente e ideologicamente dai Paesi comunisti) aveva per oggetto la pretesa e l'aspettativa del Sud del Mondo di elaborare un regime regolamentare internazionale che mettesse fine ad un apparato di regole giuridiche che legittimassero la continuazione, anche in epoca postcoloniale, dello sfruttamento economico delle proprie risorse dai Paesi del Nord attraverso le loro imprese private nazionali e multinazionali, in termini ritenuti vessatori. Il nodo cruciale riguardava la intangibilit della propriet privata e, pi in generale, dei diritti economici di privati stranieri: a fronte del disconoscimento di tale consuetudine, le risoluzioni in questione avevano introdotto la liceit di misure statali privative di diritti economici stranieri, adottate adducendo l'esercizio dell'autodeterminazione economica e della sovranit permanente sulle proprie risorse naturali (previsione poi di un indennizzo, di gran lunga inferiore al tradizionale risarcimento). Con la caduta del Muro di Berlino (1989), la posizione di numerosi Paesi in via di sviluppo mutata, trasformandosi in un atteggiamento concorrenziale nell'attrarre investimenti stranieri, creando un ambiente regolamentare e fiscale a questi favorevole, al fine di incoraggiare i reinvestimenti dei profitti delle societ straniere maturati sul proprio territorio, a beneficio del proprio sviluppo infrastrutturale ed economico. 1.1.2. ... nella prospettiva evolutiva contemporanea

Dopo il crollo dei regimi comunisti dell'Europa dell'Est, si assistito ad un progressivo processo di omogeneizzazione, di omologazione su scala globale delle diversit su di un unico modello economico, quello liberista, e su di un unico modello politico-istituzionale, quello delle democrazie occidentali. Analoga omogeneizzazione sembrava configurarsi negli stessi anni pure sotto il profilo degli strumenti per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale: il caso dell'invasione del Kuwait, cui l'ONU diede una risposta coercitiva all'unanimit (non successivamente nelle crisi di Somalia, Ruanda, Ex-Iugoslavia e Kosovo). Presto sono per ricomparsi evidenti squilibri sulla scena internazionale e sostanziali divergenze di interesse tra i diversi attori, governativi e non, e, in particolare, tra molti di essi e la superpotenza americana: si pensi, ad es, alla crescente conflittualit islamica, anche in chiave anti-occidentale. La conquista del potere governativo da parte di movimenti integralisti riporta la dialettica e la conflittualit internazionale in un alveo interstatale, rispetto al quale il diritto internazionale e i suoi soggetti governativi si trovano meglio equipaggiati rispetto alle azioni di organizzazioni non governative quali Al-Qaeda. Le proporzioni drammatiche dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 e l'obiettivo di contenere e contrastare il fenomeno del terrorismo ha consentito un provvisorio compattamento del Consiglio di Sicurezza nel fornire approvazione e sostegno, seppure in termini non indiscussi, all'azione militare americana in Afghanistan. Come noto, lo strappo pi significativo, in direzione di un rinnovato unilateralismo americano, avvenuto con l'attacco angloamericano all'Irak, senza l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza: ci ha accentuato la tensione transatlantica tra una buona parte dei Paesi europei e gli Stati Uniti, e, naturalmente, la conflittualit tra questi ultimi (e i loro alleati europei) e larga parte del mondo islamico. Gli argomenti di autolegittimazione morale contra legem utilizzati dagli Stati Uniti a giustificazione dell'attacco e occupazione dell'Irak, potranno essere usati in futuro da altre potenze a sostegno di proprie pretese antagonistiche, se non egemoniche, sia di tipo strategico-militare che economico, finanziario e commerciale. Uno degli aspetti positivi, in termini del tutto relativi, dei costi evidenti dell'operazione irachena sembra essere stato quello di indurre il Governo americano ad una percezione della propria forza in termini di significativo ridimensionamento rispetto al momento dell'attacco nel marzo del 2003. Conseguentemente, vi stato un progressivo riavvicinamento della politica estera americana alla strada multilaterale e della legalit condivisa: si pensi, ad es, alla ricerca di legittimazione da parte dell'ONU della gestione postbellica in Irak o all'azione diplomatica americana seguita all'attentato del Primo Ministro libanese, nel 2005, i cui sospetti autori sono legati all'apparato governativo siriano (Iran e Siria sono Stati definiti canaglia dagli americani). Va altres osservato che il Presidente Bush, al dibattito generale della sessione del 2005 dell'Assemblea generale dell'ONU , nei toni e nelle indicazioni programmatiche, quello maggiormente a favore dell'Organizzazione di tutti quelli precedenti: in particolare, Bush ha indirettamente cercato di smantellare la tesi per cui l'America contemporanea stia tentando di smantellare l'impalcatura dei principi della Carta Atlantica voluta da Churchill e Roosevelt nel 1941. Vi peraltro l'ipotesi, seriamente considerata da studiosi e osservatori, secondo cui gli Stati Uniti potrebbero perseguire una sostituzione meramente cosmetica di una forma di egemonismo unilateralistico con un metodo che stato definito di egemonismo multilateralistico. Si tratterebbe di un uso formale delle istituzioni multilaterali per realizzare i propri disegni unilateralistici, cercando nella sostanza di aggirare un genuino processo decisionale collettivo. Un es di tale approccio si ritrova nei metodi di pressione utilizzati proprio nel 2003 dalla delegazione americana all'ONU nel vano tentavi di ottenere la maggioranza necessaria all'autorizzazione del Consiglio di sicurezza all'attacco in Irak. L'ONU, indipendentemente dal funzionamento dei suoi poteri coercitivi, e in ragione della universalit della sua composizione e delle materie oggetto delle sue competenze, appare come foro principale nel quale cercare di ritrovare per il diritto internazionale la sua funzione di linguaggio condiviso non solo e non tanto tra rappresentanti di Stati tradizionalmente intesi, ma tra

rappresentanti di diverse civilt etnico-religiose. L'apertura di un tavolo per il dialogo diplomaticointerculturale appare oggi indispensabile alla luce del fatto che, in termini inopinatamente vicini alle previsioni del Professor Huntington di oltre dieci anni fa, la conflittualit internazionale, abbandonati i binari della contrapposizione ideologico-strategica Est-Ovest e Nord-Sud tra capitalismo e comunismo, stia imboccando il canale della contrapposizione tra civilt e culture religiose. Si tratta ormai di una conflittualit che comprende e supera il tradizionale antagonismo tra Stati: affinch il diritto internazionale possa nuovamente tornare a svolgere quel ruolo di vocabolario di idee comune alle diverse componenti della societ internazionale e se si vuole genuinamente evitare, o contenere, il ripetersi delle violenze della Storia, il momento per i diversi protagonisti sulla scena internazionale di riprendere ad usare quel vocabolario, spesso ignorato negli ultimi anni, ed eventualmente di aggiornarlo in termini condivisi. A questo proposito, assume speciale rilievo la proposta di costituire un tavolo negoziale per il dialogo tra culture e religioni, presentata informalmente dal Cardinale Renato Martino, il quale, a titolo di modello di riferimento approssimativo, ricordava la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (oggi OCSE). A fronte dell'attuale scenario internazionale si potrebbe considerare la istituzione di un foro negoziale, ad un tempo interstatale e interreligioso, da costituirsi su di una o pi sedi itineranti, come fu per la CSCE (oggi OCSE), oppure la convocazione di una sessione speciale dell'Assemblea generale che potrebbe decidere la reiterazione a cadenze regolari negli anni successivi del dialogo nella medesima sede su singole aree tematiche. A tal fine, sicura priorit potrebbe avere un negoziato finalizzato alla elaborazione in termini multiculturali di un codice di condotta nel quale compiere una rivisitazione condivisa di alcuni diritti fondamentali dell'uomo, quali la libert religiosa e di espressione, o la tutela delle minoranze, attraverso l'elaborazione di criteri di interpretazione e applicazione degli stessi diritti e di altri diritti fondamentali. 1.1.3. Diritto internazionale e diritto internazionale privato Il diritto internazionale non va confuso con il cd diritto internazionale privato, anche se spesso gli studiosi e gli operatori nell'ambito del primo lo sono anche del secondo. Ogni ordinamento giuridico nazionale ha le proprie regole di diritto internazionale privato (si pensi, ad es, alla l n 218/1995), cd di conflitto o di rinvio, aventi natura strumentale. Esse, infatti, servono al giudice nazionale, investito di una controversia civile che abbia carattere di estraneit (o internazionalit) rispetto al proprio ordinamento, un criterio per individuare la legge materiale, straniera o interna, da applicare alla controversia stessa (analogamente, le regole di diritto internazionale privato processuale sono quelle, anch'esse di carattere interno, che determinano la giurisd del giudice nazionale competente a conoscere e decidere di controversie aventi carattere di estraneit). Il carattere di estraneit della fattispecie dedotta in giudizio davanti al giudice nazionale pu consistere nella cittadinanza straniera o nella localizzazione estera dello stabilimento delle parti, nel fatto che il contratto oggetto della lite sia stato concluso all'estero, che all'estero sia stata eseguita la prestazione caratteristica del contratto stesso, oppure che sempre all'estero sia stata posta in essere l'attivit da cui scaturito un danno in un'azione di risarcimento per illecito extracontrattuale. La distinzione tra diritto internazionale e diritto internazionale privato non smentita dal fatto che gli stati concludano convenzioni internazionali finalizzate a uniformare le rispettive norme interne di conflitto o sulla competenza giurisd dei propri giudici rispetto a fattispecie dotate di carattere di estraneit. Su tali aspetti va segnalata l'attuale tendenza tra i Paesi Membri dell'UE alla cd comunitarizzazione del diritto internazionale privato e processuale, ossia all'adozione di atti comunitari volti ad uniformare il cd spazio giuridico comunitario. Questo fenomeno si basa sul conferimento all'UE, a partire dal Trattato di Amsterdam entrato in vigore nel 1999, della potest normativa in materia di diritto internazionale privato e processuale, tradizionalmente riservata ai parlamenti nazionali e,

come accennato, all'azione intergovernativa mediante l'adozione di convenzioni internazionali. 1.2. Chi usa e deve conoscere il diritto internazionale &&&&&&&&&&& Se ci chiedessimo chi usi e quindi debba conoscere i meccanismi di formazione e applicazione del diritto internazionale, quest'ultimo verrebbe in rilievo principalmente come l'insieme di quelle regole che i rappresentanti governativi elaborano nel perseguimento della politica estera dello Stato che rappresentano nell'esercizio di funzioni di tipo diplomatico. Da ormai qualche decennio, l'accresciuta interdipendenza a livello globale dei fenomeni sociali, economici, scientifici e ambientali conferisce rilevanza internazionale a numerose materie tradizionalmente di rilevanza puramente interna = ne deriva un crescente coinvolgimento in attivit di tipo internazionalistico da parte di funzionari di Amministrazioni diverse da quella degli Affari Esteri, come quella dell'ambiente, finanze, giustizia, salute, trasporti, o persino dell'interno. Tale coinvolgimento si verifica tanto nell' elaborazione di regole giuridiche internazionali quanto nell'attivit di attuazione a livello nazionale delle regole stesse. Sia sotto il profilo della formazione che dell'applicazione delle regole internazionali, oltre ai funzionari dell'apparato esecutivo, bisogna tenere in dovuto conto il ruolo dei parlamenti nazionali nel controllo della politica estera relativa ad assunzione e osservanza di obblighi giuridici internazionali. Analogo ruolo di controllo viene svolto in modo crescente dalla societ civile, con particolare riferimento alle organizzazioni non governative. La diffusione dei rapporti internazionali tra privati, specialmente di natura commerciale, aumentata significativamente dopo al caduta del Muro di Berlino, ha accresciuto l'esigenza di conoscere e utilizzare il diritto internazionale pubblico da parte degli operatori privati e dei loro consulenti = ci alla luce del fatto che, per quanto si sia scritto nella saggistica politologica e giuridica circa il presunto declino della sovranit statale con l'avvento della globalizzazione, le scelte dei governi nazionali incidono tutt'oggi sensibilmente sui privati e sulla loro vita di relazione, sia a livello nazionale che internazionale. A titolo di es, chi opera o intende operare con partner commerciali residenti in Paesi attualmente o potenzialmente oggetto di embargo commerciale da parte di singoli Governi, o su delibera del Consiglio di sicurezza dell'ONU, al fine di compiere adeguate scelte commerciali strategiche si vorr avvalere della consulenza di chi potr indicare le probabilit di adozione o revoca delle sanzioni. Da ultimo, debbono conoscere il diritto internazionale anche i giornalisti, sia della carta stampata che televisivi, nonostante la scarsa attenzione, nel nostro Paese, al diritto e alle relazioni internazionali, dovuto alla mancanza di un ruolo primario nel passato dell'italia sulla scena internazionale, legato al limitato passato coloniale. 1.3. Affinit e differenze tra ordinamento internazionale e ordinamenti interni In questa Introduzione si mira quantomeno ad attenuare la tendenza a collegare al limitato grado di istituzionalizzazione dell'ordinamento internazionale, non solo un basso tasso di giuridicit delle regole internazionali, ma anche la presunzione della loro scarsa funzionalit e utilizzabilit, particolarmente rispetto agli ordinamenti giuridici interni. E' inevitabile rilevare un basso tasso di giuridicit strutturale nell'ordinamento internazionale in ragione del noto fatto che in quest'ultimo, diversamente dagli ordinamenti nazionali, le funzioni di produzione, accertamento ed esecuzione forzata del diritto non vengono di regola esercitate in termini istituzionalmente organizzati e sovraordinati rispetto ai soggetti dell'ordinamento. In primo luogo, manca nella societ internazionale un foro lgs di natura rappresentativa; in secondo luogo, la funzione giudiziale internazionale non ha natura obbligatoria, ma pu essere attivata solo con il consenso di tutte le parti della controversia; in terzo luogo, non vi sono organi di polizia internazionale indipendenti dagli Stati che possano esercitare funzioni coercitive o sanzionatorie. Per quanto concerne, invece, i punti in comune, questi emergeranno nelle sezioni successive di questa Parte I, facilitando il futuro operatore di diritto, sia interno che internazionale, nel formarsi una visione realistica del
proprio ruolo professionale.

1.4. Indicazioni programmatiche e di metodo Non si vuole qui presentare una concezione del diritto internazionale, ancor meno del suo fondamento, se non altro per il fatto di condividere la tesi della dimostrazione empirica della esistenza dell'ordinamento giuridico internazionale e della sua evoluzione. Le tre Parti del volume che seguiranno a questa Parte I, contenente affermazioni di principio, saranno dedicate alle tre funzioni fondamentali dell'ordinamento giuridico: formazione, accertamento ed esecuzione forzata del diritto. 2 DIRITTO E CONTESTO SOCIALE 2.1. La politica del diritto L'indicazione principale che si vuole formulare qui riguarda l'importanza dell'osservazione del concreto funzionamento del diritto internazionale in termini comparati rispetto agli ordinamenti interni. Va premesso che il tipo di osservazione qui suggerito prescinde dall'ottica giuridicocentrica della realt sociale, assai diffusa tra i giuristi. Secondo tale approccio, quando un atto o un fatto del reale sono contemplati o disciplinati da una regola giuridica, un fenomeno ad essi attinente che non rientra direttamente nell'astratta valutazione della regola in questione non rilevante ai fini dell'applicazione e, quindi, del funzionamento della regola stessa. Se pure dovessimo porci all'interno di un'ottica primariamente giuridica dell'osservazione della realt, ci richiameremmo a un approccio che segua l'esortazione del Professo Antonio Cassese, secondo cui occorre esaminare le norme giuridiche non come un'astratta e quasi metafisica cristallizzazione di interessi metastorici, ma come il punto di approdo di specifici interessi di specifici enti, in una determinata situazione storica. Lady Higgins: il rapporto tra diritto e politica essenziale ed inevitabile. Lo studio del diritto internazionale che qui si suggerisce dovr rivolgersi al funzionamento del fenomeno giuridico nel contesto dei rispettivi sistemi sociali tenendo conto delle realt sociali, politiche ed economiche esistenti al loro interno in una prospettiva principalmente storica. 2.2. Studio del diritto e altre scienze sociali Alla luce delle esigenze da ultimo esposte, un adeguato studio del diritto internazionale, non meno che delle altre discipline giuridiche, dovr seguire un approccio multidisciplinare o, cmq, tenere conto delle conoscenze di altre scienze sociali. A corollario di quanto esposto nel precedente par, la Professoressa Anne-Marie Slaughter sostiene che il diritto internazionale e la politica internazionale co-abitano lo stesso spazio concettuale. Insieme comprendono le regole e la realt del sistema internazionale, una costruzione intellettuale che giuristi, scienziati politici e attori politici adottano per descrivere il mondo che studiano e cercano di manipolare. Come hanno riconosciuto un gruppo illustre di internazionalisti ed un numero sempre crescente di scienziati politici, ha poco senso studiarne l'uno trascurando l'altro. Nel pensiero giuridico moderno la concezione storico-sociale del diritto non si limita a individuare nella societ l'origine del diritto, ma prevede altres che il fenomeno giuridico possa essere rilevato esclusivamente nell'osservazione della societ. 2.3. Il contesto sociale di riferimento del diritto internazionale Per quanto attiene al contesto sociale di riferimento, sar opportuno tenere conto della dimensione macrosociale separatamente da quella microsociale della societ internazionale, pur considerando che le due dimensioni si rapportano senza soluzione di continuit e che in molti casi si sovrappongono. Si intende qui per dimensione macrosociale quella che si caratterizza nei rapporti tra i singoli soggetti e la collettivit del corpo sociale cui essi appartengono, o soggetti che la rappresentano, mentre per dimensione microsociale s'intende quella che si identifica nei rapporti

tra i singoli soggetti o gruppi di essi. In astratto e a titolo di es, nei rapporti contemplati da regole di diritto amministrativo e penale, la dimensione macro-sociale sar prevalente. Inversamente, nei rapporti di rilevanza civilistica prevarr la dimensione microsociale. prevalente anche nel diritto internazionale, dato che si tratta di rapporti tra un limitato numero di soggetti (Stati) di tipo contrattuale-do ut des. 3 LE REGOLE GIURIDICHE TRA NORMATIVITA' E TERMINI DI RIFERIMENTO DI INTERAZIONI SOCIALI Per dare seguito coerente alle premesse esposte nelle sezioni precedenti, non si potr omettere il suggerimento di attenuare alcuni preconcetti diffusi nello studio del diritto in generale. Il primo di questi stato gi individuato sopra nella cd visione giuridicocentrica della realt. In primo luogo, si intende per tale visione, applicabile indistintamente allo studio e all'interpretazione di istituti di diritto privato, pubblico, penale o internazionale, quella per cui irrilevante ogni fenomeno che, pur attinente ad un atto o fatto contemplato da una regola giuridica, non sia direttamente contemplato esso stesso dalla regola in questione o da altra regola appartenente all'ordinamento. In secondo luogo, seguendo lo stesso approccio, se un fatto della realt, la cd fattispecie, che abbia natura controversa rientra nella sfera di applicazione di una o pi regole giuridiche, esso deve essere valutato e risolto assolutamente ed esclusivamente in base ai precetti contenuti nella regola o nelle regole in questione. Di qui l'importanza, secondo tale orientamento, della sanzione come strumento coattivo di garanzia di efficacia della regola giuridica. Secondo l'approccio qui criticato, se una fattispecie astrattamente contemplata da una regola giuridica si evolve in modo diverso dai precetti previsti da questa, tale fattispecie verrebbe valutata esclusivamente in termini di violazione, o cmq di disapplicazione della regola stessa, quando in realt tale ipotesi potrebbe incidere, invece, sullo svolgimento della situazione in parola per l'uso negoziale che della regola viene fatto dai soggetti interessati. Dalla figura della transazione, relativa all'ordinamento interno, si pu ricavare, ad es, la considerazione che, anche se le situazioni e i comportamenti si evolvono discostandosi dai precetti giuridici rilevanti previsti in astratto, ci non significa che la regola giuridica che li contiene non sia stata utilizzata. A titolo esemplificativo, si pu ipotizzare una soluzione transattiva relativa ad un diritto di credito = tale soluzione potr essere stata raggiunta in base ad una serie di valutazioni esterne a quelle previste dalle regole rilevanti del codice civile, dal contratto e/o altro titolo di credito. In ogni caso, ci che pi conta che, qualunque sia il risultato della transazione, l'esistenza del titolo di credito tutelato dalla regola giuridica avr costituto un elemento di riferimento della trattativa, insieme ad altre valutazioni di natura metagiuridica. In tal caso, si pu certamente dire che non vi sia stata osservanza della regola, ma ci non ha significato che quest'ultima non sia stata utilizzata e che essa non abbia avuto una qualche efficacia; ci anche solo nel costituire il punto di partenza per la definizione di una nuova regola nell'accordo di transazione. Nello studio del diritto internazionale non si pu prescindere dal sottolineare l'esiguit del numero dei soggetti del suo ordinamento (circa duecento Stati) e l'inevitabile interdipendenza tra gli stessi, a livello globale, o regionale, quale fattore di incidenza sulla gran parte dei rapporti contemplati da regole giuridiche. In sostanza, nella societ internazionale del tipo descritto, avendo questa l'esigenza di dotarsi di un sistema di regole di comportamento non inferiore a quello delle societ statali, come avviene in quest'ultime in ambito prevalentemente micro-sociale, tali norme potranno costituire un termine di riferimento, o addirittura un semplice linguaggio, di interazione sociale, anche se tali interazioni si evolveranno in modo diverso da quanto previsto dai precetti in esse contenuti. 4 RELATIVITA' E DIALETTICA DELLE INTERPRETAZIONI DELLE REGOLE

GIURIDICHE 4.1. La certezza del diritto Un'altra impostazione strettamente legata all'approccio giuridicocentrico di cui sopra che pare utile attenuare al fine di raggiungere una comprensione del fenomeno giuridico, particolarmente quello internazionale, pi aderente alla realt nella quale esso opera, quella per cui il diritto debba essere studiato per essere interpretato e fatto interpretare ed applicare dal giudice, in modo assolutamente univoco ed oggettivo. L'assunto sul quale si fonda l'impostazione sopra prospettata che qui si intende attenuare quello secondo cui tra gli elementi costitutivi di un ordinamento giuridico si dovrebbero annoverare assolutezza, oggettivit, univocit e, quindi, certezza del diritto. Tale concezione si coniuga con quella per cui l'unica applicazione autenticamente garante di coerenza sistematica dell'ordinamento giuridico sarebbe quella fornita dal giudice. Va da s che, sulla base di simile assunto, in assenza di un sistema giudiziario obbligatorio universale nell'ordinamento internazionale, si verrebbe ad aggiungere una ulteriore tessera nel mosaico della tesi della pretesa scarsa giuridicit, inefficacia, incertezza e, quindi, scarsa utilit del diritto internazionale, in contrasto con la presunta certezza ed effettivit degli ordinamenti interni. 4.2. Le interpretazioni degli interessati nella gestione negoziale delle controversie E' abbastanza scontato che tale concezione del diritto e della sua applicabilit univoca e oggettiva male si adatti, come abbiamo gi visto, a quelle situazioni in cui la regola giuridica viene utilizzata dai soggetti cui si indirizza semplicemente come uno tra pi termini di riferimento nelle interazioni tra di essi. E' indicativa la rilevanza nei testi di diritto internazionale del tema della soluzione negoziale delle controversie, come vero e proprio istituto di diritto, al primo posto tra i mezzi di soluzione pacifica delle controversie all'art 33 della Carta ONU (non altrettanto avviene nei testi di diritto interno, specialmente nei Paesi di cultura giuridica continentale). Va altres tenuto conto che l'interpretazione della regola pu variare anche nell'ambito di una stessa parte, quando si tratta di un attore complesso, come uno Stato o una persona giuridica di diritto interno. Tali divergenze saranno oggetto di mediazione tra le componenti del soggetto interessato al fine dell'adozione di una scelta strategica di rilevanza giuridica. A livello governativo si pu pensare alla dialettica, ad es, tra Ministeri degli Affari Esteri, Difesa e Presidenza del Consiglio, analogamente a quella che si pu riscontrare in un'azienda tra amministratore delegato, direzione commerciale e direzione finanziaria. Diversit interpretative potranno dipendere anche in relazione ai diversi contesti in cui l'interpretazione viene fatta valere; vi poi da considerare l'ipotesi in cui deliberatamente la regola non viene fatta valere, pur quando essa contempli una tutela degli interessi del soggetto che vi rinuncia, per vantaggi alternativi (caso della petroliera Haven, vedi nota 116 pag 47). Tutto ci accade nella vita di relazione che si svolge all'interno degli Stati come in quella internazionale. A questo proposito, si rilevato che in ambedue gli ordinamenti la dimensione extragiudiziale convive accanto a quella giudiziale. NB: non si pu trascurare il fatto che in ambedue gli ordinamenti la dimensione extragiudiziale del diritto possa occasionalmente prevalere anche rispetto a situazioni astrattamente sottoponibili al regime di giurisd obbligatoria. 4.3. Relativit e imprevedibilit dell'applicazione giudiziale del diritto Il problema della relativit delle interpretazioni della regola, e quindi, in larga misura, della regola stessa, si presenta anche in relazione all'interpretazione ed applicazione giudiziale. Ci, nel senso che anche l'applicazione da parte del giudice difficilmente pu essere assolutamente oggettiva e quindi perfettamente prevedibile. Simile considerazione vale principalmente in relazione al caso in cui la regola controversa sia caratterizzata da ampi margini di generalit e imprecisione, spesso frutto del compromesso tra i divergenti interessi implicati nel processo originario di produzione

della norma stessa (delimitazione aree marittime: nota 120 p 49). Non si pu negare che ci sia pi frequente nell'ordinamento internazionale e, in misura minore, negli ordinamenti di common law, in relazione alle norme consuetudinarie caratterizzate dall'indeterminatezza insita nel carattere non scritto delle stesse. Ma anche la regola chiara nell'ordinamento interno, in ragione della sua caratteristica generalit ed astrattezza, quando confrontata con le complessit sottostanti la fattispecie controversa, pone spesso il giudice nella condizione di dovere compiere una scelta tra interpretazioni della regola tra loro confliggenti anche se tutte razionalmente sostenibili. Questo comporta inevitabilmente una funzione in parte lgs del giudice e, quindi, un elemento di imprevedibilit del suo operato.
A tale conclusione era approdato, dopo una lunga esperienza di giudice della Corte internazionale di giustizia, Sir Hersch Lauterpatch, il quale, seppure ispirato ad una concezione formale ed oggettivistica del diritto, giunto a sostenere che la necessit di una scelta tra pretese giuridiche confliggenti essenziale nell'esercizio della funzione giudiziaria, sia all'interno dello Stato, sia nella sfera internazionale, aggiungendo che altrettanto vale per la necessit, talvolta, di completare o sviluppare il diritto in una maniera prossima ad un processo legislativo-giudiziario, o comunque tendente a crearne l'impressione.

D'altro canto, un fenomeno riscontrabile anche nei repertori di giurisprudenza degli ordinamenti interni, di civil law quanto di common law, che la stessa regola giuridica riceva interpretazioni diverse relativamente a fattispecie analoghe, anche quando il testo della regola relativamente preciso. 4.4. Relativit intertemporale del diritto Alla relativit delle regole giuridiche in una prospettiva contemporanea (sincronica) in base a diversi interessi, ideologie e civilt giuridiche, si aggiunge naturalmente quella in prospettiva storica (diacronica) in ragione delle evidenti evoluzioni e involuzioni nel tempo delle percezioni dei valori e degli interessi sociali che stavano alla base della originaria formazione delle regole in questione. Queste evoluzioni giustificano una mutazione nel tempo delle interpretazioni. Da quanto sopra emerge che i cd principi della certezza del diritto e della prevedibilit delle soluzioni giuridiche relative ai rapporti sociali contemplati dal diritto non sono e non possono essere elementi essenziali dell'ordinamento giuridico, ma costituiscono finalit, in termini di aspirazioni, essenziali dell'ordinamento, sia interno che internazionale. Il perseguimento di tali fini un processo costante e dialettico caratterizzato dalle inevitabili contraddizioni del divenire della societ e, quindi, del diritto.

5 SUL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLE REGOLE Il procedimento di formazione delle regole costituisce un momento di mediazione tra forze sociali e rappresentanti di interessi divergenti, tanto negli ordinamenti interni quanto in quello internazionale. Quanto pi disomogenei saranno gli interessi che vorranno essere tutelati nella elaborazione della regola giuridica (riforma art18), tanto pi, anche nell'ordinamento interno, le leggi esistenti saranno considerate insoddisfacenti da un settore della societ, o da pi, per motivi opposti; tali situazioni comporteranno una accentuazione della funzione normativa del giudice. Simili conflittualit assumono nell'ordinamento internazionale margini di maggiore incertezza in ragione dell'assenza di un sistema generalizzato di giurisdizione obbligatoria. 6 SULL'EFFETTIVITA' DELLE REGOLE TRA OSSERVANZA SPONTANEA E ADEMPIMENTO FORZATO 6.1. Sanzione e giuridicit delle regole La giuridicit delle regole giuridiche dipenderebbe fondamentalmente dall'esistenza nell'ordinamento al quale esse appartengono di strumenti giuridici che garantiscano con efficacia l'esecuzione forzata delle regole stesse e la repressione dei soggetti che le hanno violate (teoria

istituzionale). E' innegabile che le regole giuridiche siano generalmente sostenute da apparati sanzionatori previsti dai rispettivi ordinamenti. Tuttavia, sarebbe errato sostenere che la regola giuridica operi efficacemente venendo rispettata esclusivamente in ragione dell'esistenza e del funzionamento di meccanismi sanzionatori. Altrettanto errato sarebbe considerare che la sanzione, attuale o prospettiva, che pu condurre all'osservanza della regola materiale sia esclusivamente quella prevista da norme giuridiche. Muovendo dalle considerazioni formulate nelle sezioni precedenti, per cui la formazione delle regola giuridica sempre il risultato di un processo di mediazione politica o sociale tra interessi e valori compositi e concorrenti, l'indicatore principale, per quanto non esclusivo, dell'effettivit di un sistema di regole giuridiche costituito dal tasso di osservanza spontanea delle stesse. Nell'ordinamento internazionale l'adempimento spontaneo del diritto fortemente alimentato dalla coincidenza tra i soggetti destinatari del diritto e quelli che hanno partecipato alla sua formazione attraverso la stipulazione di trattati o partecipando al processo di creazione di una consuetudine. 6.2. La sanzione sociale Nei casi in cui la regola giuridica rifletta in modo adeguato i valori o gli interessi omogeneamente diffusi nell'ambito sociale che la esprime, oppure il cd idem sentire delle parti del rapporto contrattuale sottostante, l'osservanza spontanea opera sotto almeno un duplice aspetto. Da un lato, essa opera in modo ovvio e diretto per il soggetto che continua a condividere i valori e gli interessi tutelati dalla regola giuridica. Dall'altro, l'osservanza spontanea operer in modo indiretto per quel soggetto che, pur attratto dalla violazione della regola, se ne astenga per evitare gli svantaggi di natura metagiuridica che potrebbero derivare dalla violazione: il caso della sanzione sociale, che pu sfociare in forme di emarginazione, o penalizzazione. Simile considerazione fondamentale con riguardo al diritto internazionale: La politica estera ci ciascuno Stato dipende essenzialmente dalla sua credibilit, cio dal soddisfare l'aspettativa che esso si atterr alle consuetudini e agli obblighi internazionali (Henkin). La disapprovazione, pur non sanando il momento di patologia giuridica, pu ribadire l'efficacia sociale, e quindi giuridica, della regola violata. Se la scarsa o mancata reazione sociale in alcuni casi rivela un elemento di erosione dell'efficacia giuridica della regola violata, in altri casi tale eventualit pu fornire un vero e proprio impulso al processo di ricambio della regola stessa. 7 CENNI CONLUSIVI: Certezza del diritto e prevedibilit delle 'soluzioni' giuridiche rappresentano le aspirazioni fondamentali tra quelle che le societ si prefiggono nel momento in cui si danno un ordinamento giuridico. I difetti del diritto internaz e la mancanza di precisione delle sue regole sono la conseguenza inevitabile delle imperfezioni e dell'instabilit prevalenti sino ad oggi negli ord giuridici interni di ciasun stato (Martens). PARTE SECONDA LA FORMAZIONE E LA TRASFORMAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE 1 INTRODUZIONE: L'ASSENZA DI UN LEGISLATORE INTERNAZIONALE Nel suo lento e difficoltoso processo di istituzionalizzazione, la Comunit Internazionale degli Stati non ha, ad oggi, prodotto un organo permanente di funzione lgs (l'Assemblea generale delle Nazioni Unite solo indirettamente foro di elaborazione di regole internazionali), a competenza generale e di tipo rappresentativo della Comunit stessa, che sia dotato del potere di adottare regole giuridiche obbligatorie per tutti i soggetti dell'ordinamento (nel nostro caso si tratta principalmente degli Stati), secondo la regola della maggioranza tipica del diritto assembleare degli ordinamenti interni. Come vedremo tra poco, infatti, il procedimento di formazione delle regole di diritto internazionale scaturisce dalla partecipazione di tutti i soggetti destinatari delle stesse, diretta, nel caso degli

accordi internazionali o indiretta, nel caso della consuetudine. Neanche l'Assemblea generale dell'ONU,organo permanente a competenza generale, dunque, ha il potere di adottare atti che vincolino, in quanto tali, la generalit dei membri in essa rappresentati, tipico della funzione legislativa. Con riferimento alla consuetudine, va evidenziato che gli atti tipici dell'Assemblea generale sono costituiti da risoluzioni che, in quanto tali, non hanno valore giuridicamente vincolante, ma natura di semplici raccomandazioni, ai sensi dell'art 10 della Carta ONU. Tali risoluzioni, tenendo conto, caso per caso, delle maggioranze attraverso le quali sono state adottate, possono essere indicative della cd opinio iuris sive necessitatis: si tratterebbe del convincimento degli Stati che hanno contribuito all'adozione della risoluzione che una determinata condotta o certi principi raccomandati siano giuridicamente obbligatori (opinio iuris), o che sia necessario che lo divengano (sive necessitatis). Essendo la opinio iuris ritenuta a tutt'oggi uno dei due elementi costitutivi della consuetudine, insieme alla prassi internazionale, l'adozione di una risoluzione dell'Assemblea che non sia accompagnata da una diffusa pratica degli Stati conforme ai contenuti della stessa risoluzione non pu essere considerata dimostrativa, tantomeno costitutiva, di una consuetudine internazionale. Ci contraddice la discussa tesi della cd consuetudine istantanea, secondo cui l'adozione di risoluzioni dell'Ass Gen ONU comporterebbe la formazione immediata di consuetudini, in assenza di una prassi ad esse conforme e ripetuta nel tempo. Neppure sotto il profilo del diritto dei trattati l'Assemblea pu essere ricondotta ad un ruolo lgs di tipo parlamentare e anche in questa prospettiva determinante la natura di raccomandazione degli atti tipici dell'Assemblea stessa. Ci esclude la possibilit che il processo di adozione di una risoluzione venga assimilato alla conclusione di un trattato internazionale. E' stata prospettata in dottrina l'ipotesi che una delibera dell'Assemblea vincoli gli Stati che hanno espresso voto favorevole, alla stregua di un trattato in forma semplificata. Si tratterebbe di accordi che entrerebbero in vigore con la sola manifestazione di volont ad obbligarsi da parte dei rappresentanti governativi, in assenza di una autorizzazione o ratifica parlamentare. NB: indipendentemente dalle condizioni di ammissibilit e validit di questa pratica, va cmq negata la presunzione che i rappresentanti governativi in Assemblea esprimano la volont dei propri governi ad impegnarsi a rispettare i contenuti di una risoluzione alla stregua di un trattato internazionale. In primo luogo, a tale conclusione conduce proprio il semplice valore di raccomandazione delle risoluzioni dell'Ass Gen (art10Carta delle NU); quando poi i governi intendono sottoscrivere un testo internazionale in forma di trattato internazionale, indipendentemente dalla ratifica parlamentare, essi conferiscono espressamente ai propri rappresentanti pieni poteri a tal fine, il che non accade certo nell'ipotesi in questione. Inoltre, e questo pare l'argomento principale, la prassi degli Stati dimostra che essi non si ritengano, e che non ritengano gli altri Stati, vincolati ad una risoluzione dell'Assemblea alla stregua di un trattato internazionale per il solo fatto di avere votato a favore della sua adozione.
Esclusa, quindi, l'esistenza di un organo internazionale che svolga la funzione di lgs sovraordinato ai soggetti dell'ordinamento, passiamo ora alle procedure tradizionali di formazione delle regole di diritto internazionale: la consuetudine e i trattati.

2 LA SOCIETA' INTERNAZIONALE TRA UNIVERSALISMO E CONSENSUALISMO 2.1. L'art 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia Si soliti iniziare una trattazione manualistica delle fonti del diritto internazionale facendo riferimento all'art 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia annesso alla Carta delle Nazioni Unite. Esso, infatti, enuncia le fonti delle regole giuridiche applicabili dalla Corte nell'esercizio della propria attivit giurisd. Non ci sottraiamo a questa regola, sebbene sar presto chiaro il tentativo di distaccarsene per i motivi che verranno pi avanti spiegati. 1. La Corte, la cui funzione decidere secondo il diritto internazionale delle controversie ad essa sottoposte, applicher: a) le convenzioni internazionali, sia generali che particolari, che stabiliscono regole espressamente

riconosciute dagli Stati in lite; b) la consuetudine internazionale, come prova di una prassi generale accettata come diritto; c) i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili; d) le decisioni giudiziarie e gli insegnamenti degli autori pi qualificati delle varie nazioni, come strumenti sussidiari per l'accertamento delle regole di diritto. 2. Questa disposizione non pregiudica il potere della Corte di decidere un caso ex aequo et bono, se le parti si accordano in tal senso. Questa disposizione ripropone in maniera identica l'art 38 dello Statuto della Corte permanente di giustizia internazionale:il primo organo giudiziario internaz permanente creato nel 1920 all'interno del sistema della Societ delle Nazioni di cui la Corte internaz di giustizia successore. Contesto storico:ancora legato a un'impostazione eurocentrica e colonialistica della societ internazionale; nazioni 'civili': ''civilt'' perde i suoi connotati colonialistici e rappresenta il principio della legalit, buona fede, equit e ragionevolezza. La disposizione in esame pu aiutare a individuare i procedimenti di formazione delle regole giuridiche internazionali e a comprendere il diverso ruolo delle cd fonti formali ed i mezzi sussidiari di accertamento delle regole giuridiche internazionali in generale, non solo, quindi, in un procedimento davanti alla Corte internazionale di giustizia, ma anche nelle relazioni diplomatiche degli stati. Le fonti formali possono essere definite come quei procedimenti giuridico-istituzionali attraverso cui le regole internazionali acquistano validit e forza giuridica. Le convenzioni, la consuetudine e i principi generali di diritto (una categoria della consuetudine) costituiscono le fonti formali del diritto internazionale. Per quanto concerne i mezzi sussidiari si pensi ai precedenti giurispr e della dottrina. La disposizione in esame, per quanto possa rappresentare una delle conquiste del processo di istituzionalizzazione del diritto internazionale, non rende cmq la complessit e diversit dei rapporti tra consuetudine e trattati.
Consuetudine:come elemento permeante della soc europea ed occidentale tra '600 e '900. Accordi: come fonte costituita dalla volont dei soggetti interessati, prevalentemente di natura scritta, con funzione specificativa, integrativa, sostitutiva e abrogativa della consuetudine: tendenza degli ultimi decenni verso la trascrizione e lo sviluppo delle consuet mediante convenzioni di codificazione. Documenti internazionali di soft-law:strumenti non vincolanti giuridicamente che tendono cmq a far parte delle dinamiche di formazione di obblighi giuridici internaz secondo processi diplomatici e logico-giuridici in base al principio generale della buona fede.

2.2. Il diritto consuetudinario tradizionale Dall'epoca della configurazione seicentesca del diritto internazionale moderno, caratterizzato dalla nascita degli Stati nazionali, sino agli inizi del Novecento, la fonte principale delle regole giuridiche internazionali stata la consuetudine. Ci trova la sua spiegazione principale nella sostanziale omogeneit dei valori sociali, politici e, quindi, giuridici degli Stati europei. Questi, pur tra conflitti di interessi e conflitti militari, hanno gestito le relazioni internazionali per oltre tre secoli elaborando le regole ad essi applicabili secondo principi di fondo condivisi. Ci ha portato ad una trasposizione a livello internazionale dello ius publicum europaeum. Questo alto grado di omogeneit
prevalente per secoli ispirata a valori giuridici europei ha consentito che l'ordinamento internazionale fosse costituito da una serie di regole giuridiche materiali di natura non scritta generalmente condivise. Si tratta, peraltro, di un numero limitato di

regole consuetudinarie dal contenuto assai poco dettagliato e sostanzialmente basato sul principio della reciprocit, sebbene applicabili alla generalit degli Stati. E' questo il caso delle regole sul trattamento degli organi stranieri, con particolare riguardo agli agenti diplomatici, di quelle sul trattamento dei cittadini e delle societ straniere, e di quelle che costituiscono il cd diritto bellico, relativo alla condotta delle ostilit. Si aggiunge anche il diritto del mare, dagli anni '50 oggetto di sviluppo normativo. A tali aree di diritto materiale si aggiungo regole, o principi generali, di carattere strumentale o interpretativo, che regolano la formazione, validit e interpretazione delle regole materiali. Si tratta di principi generalmente di derivazione romanistica, quali i principi consuetudo est servanda, pacta sunt servanda, della buona fede, equit, proporzionalit e ragionevolezza. Le tradizionali regole materiali del diritto internazionale sopra indicate tutelano interessi

perfettamente simmetrici tra gli Stati. E' solo naturale, quindi, che l'elemento della reciprocit di fatto (aspettativa di un comportamento reciproco), inteso come elemento metagiuridico, abbia costituito il catalizzatore principale del processo di formazione delle regole consuetudinarie in questione, quantomeno nella fase iniziale. Attraverso la legittima aspettativa di fatto di comportamenti reciproci, il ripetersi di simili comportamenti e la consapevolezza condivisa dell'utilit e necessit che tali comportamenti divengano giuridicamente obbligatori si formano le regole giuridiche consuetudinarie (da semplice aspettativa a legittima aspettativa o affidamento del terzo in buona fede). In tale prospettiva, la reciprocit a fronte della violazione di una aspettativa giuridicamente fondata sulla consuetudine si configurer come rappresaglia, o contromisura specifica (uso o regola di cortesia ritorsione). La prevalenza per secoli del diritto consuetudinario sino ai primi del '900, frutto della omogeneit sociale e di cultura giuridica delle forze prevalenti della comunit internazionale dell'epoca, si accompagnata a una relativa fiducia negli strumenti giudiziali per la soluzione di controversie internazionali, basati sul consenso delle parti, e quindi di natura arbitrale. Tale fiducia si spiega in ragione del fatto che la cultura giuridica dei componenti del tribunale arbitrale era di regola omogenea a quella di ambedue le parti in lite. INCISO: la gran parte delle regole consuetudinarie di portata generale operano nel caso concreto in termini bilaterali. 2.3. Il diritto pattizio tra funzione integrativa e alternativa rispetto al diritto consuetudinario Le regole consuetudinarie, per la loro natura non scritta, tendono ad avere contenuto generale e scarsamente definito, in molti casi addirittura vago: ci ha determinato una diffusa esigenza di consolidamento, chiarificazione e specificazione del diritto non scritto di portata generale che si concretizzata nella conclusione di trattati in tal senso, prevalentemente a livello bilaterale. Con l'evoluzione tecnologica e l'ampliamento delle tematiche rilevanti nella vita di relazione internazionale, la rete di trattati internazionali si estesa; va, inoltre, segnalata la spinta verso la diffusione di regole pattizie dettata dall'evoluzione dei rapporti internazionali da una prospettiva prevalentemente di coesistenza a una di cooperazione tra gli Stati. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, si consumata una ulteriore rottura della omogeneit dei valori eurocentrici della societ internazionale derivante dal processo di decolonizzazione: tra gli anni '60 e '80 si prodotta una evoluzione antinomica della societ internazionale, da un lato, verso una conflittualit su scala globale anche in ordine ai contenuti delle regole fondamentali, dall'altro, verso la crescita di rapporti di cooperazione in ragione dell'incremento della interdipendenza. Ambedue questi aspetti dello sviluppo della societ internazionale hanno portato nel periodo che va dalla decolonizzazione alla caduta del Muro di Berlino a una prevalenza del diritto internazionale pattizio, sia bilaterale che multilaterale. 2.3.1. La codificazione progressiva del diritto internazionale Con particolare riferimento al diritto pattizio multilaterale, speciale rilevanza assumono le convenzioni di codificazione promosse nell'ambito ONU sulla base dell'art 13, par 1, della Carta. L'Assemblea: a) promuove la cooperazione internazionale in campo politico e incoraggia lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione (cmq, la distinzione tra codificazione e
sviluppo progressivo del diritto non molto chiara, tanto che la stessa CDI ha affermato che essa poco attuabile e potrebbe essere eliminata in una revisione successiva dello Statuto).

A tale scopo, essa ha istituito la Commissione di diritto internazionale (CDI), oggi composta da 34 giuristi eletti dalla stessa Assemblea in modo da rappresentare, a titolo individuale e non governativo, le diverse culture giuridiche della Comunit internazionale. Su richiesta dell'Ass, Gen la CDI svolge lavori di studio propositivo su singole aree tematiche, presentando progetti che le delegazioni legislative dibattono ogni anno in Ass Gen, nella 6 Comm. Sulla base del progetto definitivo della CDI (a volte dopo tantissimi anni), l'Assemblea pu decidere di negoziare e adottare il testo in forma di convenzione, o in forme diverse dalla convenzione, quali dichiarazioni, codici di condotta o regole modello, annessi ad una risoluzione (in quest'ultimo caso si tratta di strumenti giuridicamente non vincolanti, ma non necessariamente privi di rilevanza

giuridica, come vedremo pi avanti, particolarmente in tema di soft law). Per quanto riguarda la codificaz in forma convenzionale, ancora oggi la convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati costituisce il punto di riferimento fondamentale per la rilevazione del diritto generale nella materia dei trattati. Vanno poi ricordate le 4 Convenzioni di Ginevra del 58 sul diritto del mare, le convenzioni sulla successione degli stati del 78 e 83, la Convenzione di NY del 97 sui corsi d'acqua interna e quella del 2001 sulle immunit giurisdizionali degli stati esteri.
NB: la Commissione ha inevitabilmente proceduto sulla base di una concezione congiunta di codificazione e sviluppo progressivo. In altre parole, il proprio lavoro ha comportato l'elaborazione di strumenti multilaterali su questioni di interesse generale per tutti gli Stati. Questi strumenti hanno cercato, ad un tempo, sia di riflettere principi regolamentari generalmente accettati, sia di specificare nel dettaglio nuovi sviluppi laddove necessario.

75Per i rapporti tra convenzioni di codificazione e consuetudine v pag 75, relativamente ad una causa sulla delimitazione della piattaforma continentale del Mare del Nord tra Danimarca e Paesi Bassi, da un lato, e Germania, dall'altro (1969). In questa circostanza, la Corte ha elaborato tra differenti ipotesi attraverso cui una regola convenzionale possa essere obbligatoria per uno Stato terzo rispetto alla convenzione che la contiene, in quanto coincidente con una regola consuetudinaria: a) quando la regola convenzionale ha svolto una funzione dichiaratoria e ricognitiva di una consuetudine preesistente; b) quando essa ha svolto una funzione di cristallizzazione di una consuetudine la cui formazione era in stato avanzato al momento dell'adozione del testo convenzionale; c) quando essa ha svolto una funzione di promozione e generatrice della formazione di una regola consuetudinaria, coagulando, successivamente all'adozione della convenzione che la contiene, opinio iuris e prassi ad essa conformi anche da parte di Stati non contraenti della Convenzione. Va ricordato, infine, che l'incremento del diritto convenzionale legato al fatto che tra gli anni '60 e '80 nell'Assemblea generale si svolto un vero e proprio braccio di ferro sulla revisione negoziale della gran parte delle regole internazionali consuetudinarie, promossa dalla maggioranza costituita dalle delegazioni dei Paesi socialisti e del Terzo Mondo nei confronti dei Paesi Occidentali. 2.3.2. La tesi della consuetudine come accordo tacito I Paesi socialisti e quelli in via di sviluppo cercavano di contestare regole e principi giuridici alla cui formazione essi non avevano partecipato e che riflettevano valori sociali e giuridici legati secondo loro a una visione capitalista e colonialista delle relazioni internazionali. Poich tali regole e principi erano di natura principalmente consuetudinaria, questi schieramenti avevano persino sostenuto una tesi che disconosceva la consuetudine come vera e propria fonte di regole giuridiche internazionali. (era pi un tentativo di sottrarsi ai doveri economici da queste derivanti) Vi erano cmq numerose regole consuetudinarie fondamentali per quei Paesi, come le stesse regole sulla formazione ed efficacia dei trattati o sulle immunit diplomatiche. A sostegno logico-giuridico di un approccio selettivo alle regole consuetudinarie preesistenti, la teoria giuridica e diplomatica di quei Paesi ha introdotto una qualificazione al rigetto della consuetudine come fonte del diritto internazionale, riconducendola nell'ambito degli accordi, come accordo tacito (=tentativo di dare fondamento logico-giuridico all'accettazione di certe regole consuetudinarie e al rigetto di altre). Il Professor Tunkin (russo) assimilava poi consuetudine e accordo attraverso la tesi secondo cui in ambedue i casi l'elemento costitutivo necessario sarebbe stato cmq il consenso degli Stati. Di fatto, con l'accettazione/rigetto di regole consuet, questi paesi contribuivano al consolidamento o al mutamento del diritto consuetudinario internazionale. 2.4. Recenti tendenze in tema di fonti Con l'avvento della perestoika promossa nell' ex Unione Sovietica da Gorbatchev e la caduta poi del Muro di Berlino, si verificata un'attenuazione delle divergenze nei rapporti Est-Ovest e Nord-Sud (specialmente nelle relazioni economiche), in coincidenza con una nuova visione, pi favorevole, del trattamento degli investimenti stranieri da parte dei PVS. Questi ultimi, convertitisi alla politica del libero mercato, dagli anni 90 si sono lanciati nella concorrenza globale cercando di creare le condizioni di migliore attrattivit degli investimenti stranieri.

Simile nuovo approccio si accompagnato a una prevalente tendenza alla mondializzazione dei principi dell'economia di mercato e della liberalizzazione del commercio internazionale. Secondo la prospettiva protezionistica di prima, dettata in larga parte da posizioni di ideologia politica, l'investimento straniero, specialmente quando aveva ad oggetto lo sfruttamento di risorse naturali di tipo petrolifero o minerario, veniva interpretato in termini predatori, nel senso del mancato reinvestimento dei profitti nell'economia locale in progetti di medio-lungo termine. Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, la percezione dell'investimento straniero cambiata rilevando in quest'ultimo uno stimolo finanziario alla crescita dell'economia nazionale, in termini di infrastrutture, formazione della manodopera locale, know-how e tecnologia. In tale contesto gradualmente riemersa nella societ internazionale una rinnovata fiducia nel diritto consuetudinario e nella soluzione giurisd delle controversie tra Stati. Agli inizi degli anni '90 il rilancio del diritto internazionale, compreso quello consuetudinario, si alimentato della reazione compatta della comunit internazionale all'invasione del Kuwait da parte dell'Irak con l'autorizzazione all'uso della forza militare contro l'aggressore approvata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, per la prima volta non paralizzato dai veti incrociati dei suoi membri permanenti del Consiglio (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) in una situazione di conflitto armato. Il passaggio dal bipolarismo ad un apparente multilateralismo, insieme all'omogeneit altrettanto apparente nelle concezioni relative ai rapporti economici internazionali in termini liberali, pareva inizialmente ridurre i problemi di sicurezza internazionale. Da qui la formazione di regole internazionali a tutela di interessi generali pi vicine sia ai cittadini che ai governi, particolarmente in tema di Diritti dell'Uomo e di tutela dell'ambiente. Significativo sviluppo nella tutela di interessi collettivi collegati al tema dei Diritti dell'Uomo si rinviene in questo periodo anche nel diritto penale internazionale, con la costituzione da parte del Consiglio di sicurezza nel 1993 del Tribunale per i crimini commessi nell'ex-Yugoslavia e la nascita della Corte penale internazionale prevista dallo Statuto di Roma del 1998, entrato in vigore con la sessantesima ratifica nel 2002. Nel 1993 il giurista americano Jonathan Charney annunciava dalle pagine dell'American Journal of international law una nuova stagione per lo sviluppo del diritto internazionale consuetudinario in termini oggettivistici, addirittura universalistici, nel senso di regole preposte alla tutela di interessi generali e indivisibili della comunit internazionale che vincolano tutti gli Stati, anche quelli che non hanno espressamente partecipato alla loro formazione con il proprio consenso. L'atteggiamento dello stesso Governo degli Stati Uniti nei riguardi del diritto internazionale ha, PERO', contribuito notevolmente ad attenuare i contenuti di tale affermazione! Con riferimento alla formazione del diritto, si ricorda il persistere della resistenza americana alla ratifica della Convenzione ONU sul diritto del mare di Montego Bay del 1982 (diritto del mare), nonch nei riguardi del Protocollo di Kyoto del 1997 (mutamenti climatici). Riguardo all'accertamento del diritto, sin dal 1985 il Governo americano ha ritirato la dichiarazione di accettazione unilaterale della giurisd della Corte internazionale di giustizia; analoga la posizione nei confronti dello Statuto di Roma del 1998 istitutivo della Corte penale internazionale (si pensi poi agli accordi bilaterali di esenzione, che prevedono l'obbligo dello Stato territoriale di non consegnare o in ogni altro modo trasferire i cittadini statunitensi presenti sul proprio territorio alla Corte penale internazionale senza il consenso dello Stato di cittadinanza). Per quanto riguarda l'attuazione coercitiva del diritto, nel maggio 1994 il Governo americano affossava le speranze rinate negli anni precedenti di una funzione di polizia internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite affermando: Quando i nostri interessi lo richiedono, gli Stati Uniti devono avere la volont e la capacit di combattere e vincere le guerre, unilateralmente se necessario. Le operazioni di pace ONU non possono rappresentare un'alternativa a questo principio. (visione gradualmente realizzata negli '90, nelle azioni armate nei balcani in ambito NATO) Col passare del tempo, gli atteggiamenti cumulativi di tipo unilateralistico americano hanno determinato un significativo stato di tensione tra Europa e Stati Uniti. Oltre a divergenze su interessi commerciali e strategici, nel corso della seconda met degli anni '90 vi una crescente separazione delle rispettive visioni circa lo stesso concetto di legalit internazionale.

Il Professor Fukuyama rilevava un contrasto di fondo tra Europa e Stati Uniti, proprio in ordine al preteso unilateralismo americano e a due diverse concezioni del diritto internazionale = due diverse concezioni del rapporto tra sovranit statale e internazionalismo, che in qualche misura riportano nella realt internazionale contemporanea l'antica dialettica tra concezioni sul fondamento del diritto internazionale, legate, le une, al primato della volont statale di tipo giuspositivistico e, le altre, ad un universalismo oggettivo di sapore giusnaturalistico. Il diritto e l'organizzazione internazionale non esistono indipendentemente da un accordo volontario tra stati-nazione sovrani; gli europei, al contrario, tendono a ritenere che la legittimit democratica derivi dalla volont di una comunit internazionale pi ampia di quella risultante da ciascuno statonazione (nota p 84). Tra il 2001 e il 2003, la percezione della propria forza da parte del Governo americano stata estremamente alta, coniugandosi in termini direttamente proporzionali con la percezione che il principio della legalit internazionale, e quindi della saldezza della teoria delle fonti del diritto internazionale, fosse sfavorevole ai propri interessi nazionali. Da qui una politica di egemonia sulla scena interna in chiave unilateralistica rispetto alla formazione, trasformazione ed eventuale abrogazione del diritto internazionale, prima ancora che rispetto all'accertamento ed esecuzione forzata dello stesso!! Posizioni estreme = John Bolton, 2003, l'attuale rappresentante permanente degli Stati Uniti presso l'ONU: Le nostre azioni, adottate in conformit ai principi costituzionali, non richiedono un'ulteriore legittimazione esterna (che sia sostituz del gov irak, armi distruz massa o proteggere US). Si tratta, quindi, di affermazioni che minano alle fondamenta le stesse fonti del diritto internazionale; lo stesso Bolton, d'altro canto, in altra sede ha sostanzialmente negato l'efficacia giuridica della consuetudine (altrettanto fa nei confronti dei trattati!!): il diritto interna consuetudinario costruito in modo decentralizzato e privo di controllo. Ci che tende a differenziare rispetto alle citate posizioni del passato quella neoconservatrice americana degli ultimi anni riguarda due aspetti. Da un lato, mentre nella posizione sovietica terzomondista le norme materiali il cui ripudio giungeva fino alla contestazione della fonte consuetudinaria che le aveva prodotte riguardava le regole del diritto internazionale dell'economia, nel caso americano si tratta della norma fondante della legalit internazionale dal dopoguerra in poi, cio il divieto dell'uso della forza. Dall'altro, mentre i PVS contestavano la consuetudine come fonte autonoma di diritto, salvo reintrodurla in termini selettivi come accordo tacito, nel caso americano, sempre secondo le voci pi estremistiche, si arriva a contestare ambedue le fonti della legalit internazionale con riferimento a tutte quelle regole internazionali che non ottengano il consenso statunitense. Un approccio giusvolontaristico tende a disconoscere la fonte consuetudinaria del diritto internazionale, a vantaggio di quella pattizia, fondata, appunto, sulla volont. Nel caso americano, come in tutti i precedenti di tendenze egemoniche o, cmq, di rifiuto della legalit in un certo momento storico, tale rifiuto si accompagna all'intento di introdurre una nuova legalit basata su nuovi contenuti ritenuti pi confacenti ai propri interessi nazionali. Semplificando, si rileva che, mentre la fase di disconoscimento della legalit esistente si basa su rivendicazioni di tipo ipervolontarista, secondo cui la semplice volont contraria a un determinato ordine giuridico, o a elementi di esso, ne dovrebbe determinare l'abrogazione, la fase affermativa di una nuova legalit si fonda su argomentazioni che si possono definire di tipo ipergiusnaturalistico. Secondo questo approccio, la pretesa nuova legalit si fonderebbe, non certo su regole prodotte attraverso fonti giuridiche disconosciute, bens su un fondamento di pretesa legittimazione etica. Charles Krauthammer: (dopo aver contestato il consiglio di sicurezza onu come fonte di legittimazione 'morale' di interventi armati) il nuovo unilateralismo definisce gli interessi americani ben oltre a quello dell'autodifesa. In particolare, identifica due altri principali interessi, entrambi di natura globale: estendere la pace promuovendo la democrazia e proteggere la pace agendo come elemento riequilibratore di ultima istanza. La stessa evoluzione della societ internazionale potrebbe cmq portare nei prossimi anni a una redistribuzione del potere sulla scena internazionale tra un numero maggiore di attori, con

particolare riguardo a Cina, India, Brasile e Sud Africa. E' naturale che il pi forte possa ritenere sul breve termine di avere meno bisogno degli altri di regole che vincolino la sua libert d'azione, o di non averne alcuno. Eppure, sul medio-lungo termine, potrebbe servire proprio agli interessi del pi forte di oggi mantenere una soglia minima di legalit, condivisa nelle sedi multilaterali, nella prospettiva di una futura redistribuzione del potere internazionale e di una gestione pacifica del mutamento. Va registrata la radicale inversione di tendenza del governo Obama. Egli nel suo primo discorso alle NU del 2009, dopo aver annunciato di voler combattere terrorismo ed estremisti rispettando il principio di legalit, ha annunciato per conto del proprio governo : ''ci siamo impegnati nelle NU. Abbiamo pagato i nostri conti. E affrontiamo le nostre priorit qui, in questa istituzione''. 2.4.1. Coincidenze tra opposti: la retorica giusnaturalistica e quella giuspositivistica Dalle considerazioni finora svolte si pu desumere che quando la societ internazionale trova un assetto relativamente omogeneo tra i suoi membri la fonte consuetudinaria ha maggiore rilevanza, mentre nei periodi di maggiori divisioni prevale la fonte pattizia. Secondo un inquadramento teorico-dottrinale, la prima tendenza risponderebbe ad un approccio di tipo giusnaturalistico, mentre la seconda ad un approccio giuspositivistico-volontarista.
Il riferimento ai due approcci dottrinali viene fatto con il solo scopo di familiarizzare il lettore con un linguaggio legato a concetti che, lungi dall'avere forza normativa, sono descrittivi di atteggiamenti seguiti dagli Stati nel corso delle diverse stagioni della Storia per dare fondamento alle proprie pretese circa l'esistenza o inesistenza di determinate regole giuridiche e, naturalmente, circa il loro contenuto.

Da un lato, la pretesa esistenza di regole corrispondenti al cd diritto naturale, in larga misura ispirato ai principi del diritto romano, conduce a una concezione di tipo oggettivistico e universalistico delle regole internazionali; ci nel senso che tali regole, in quanto naturali, vincolerebbero tutti i membri della societ internazionale, indipendentemente dall'esplicito consenso di ogni singolo soggetto dell'ordinamento. Dall'altro, il cd giuspositivismo volontarista subordina l'esistenza e l'obbligatoriet di ogni regola giuridica alla volont dello Stato. Argomenti basati sul diritto naturale vengono egualmente invocati tanto dai suoi sostenitori, quanto dai suoi oppositori, per la generalit e indeterminatezza dei suoi principi fondamentali. L'approccio oggettivistico e quello volontaristico costituiscono anche una utile chiave di lettura del modo di essere dell'ordinamento internazionale in un dato periodo storico con riferimento al gradi di disponibilit degli Stati a sottoporre al giudice internazionale la soluzione delle controversie e quindi l'accertamento del diritto. Tenuto conto che la giurisd del giudice internazionale si fonda sempre sul consenso degli Stati, nell'esprimere tale consenso, essi manifestano implicitamente fiducia in un approccio al diritto internazionale che contiene elementi di tipo giusnaturalistico. Infatti, in tal caso, gli Stati si spogliano della loro prerogativa di interpretare unilateralmente il diritto, o di negoziare in termini volontaristici ogni possibile diversa interpretazione con le altre parti interessate, per rimettersi al giudizio di un terzo. Le due opposte tendenze in esame, sotto il profilo delle fonti normative, che portano alla prevalenza ora della consuetudine ora dei trattati, tendono sempre pi a convivere = Eduardo Jimnez De Archaga: (trattati:lex scripta,consuet:lex non scripta) Tale antitesi pu essere corretta nel sistema interno, dove legge e codici sono giustamente contrapposti al diritto consuetudinario, ma non tiene nell'ambito internazionale. Si riconosciuto da tempo, infatti, che regole di diritto formulate nel testo di un trattato possono allo stesso tempo costituire o diventare regole di diritto consuetudinario. Ci che va sottolineato che il processo di interazione tra le due fonti ha acquisito un'importanza sempre maggiore nel mondo contemporaneo (rapporto di interazione tra le due fonti che si svolge cmq in termini biunivoci).

3 FORMAZIONE DELLE CONSUETUDINI 3.1. Cenni introduttivi Si gi indicato in prima approssimazione come tradizionalmente si ritenga che le regole consuetudinarie si formino sulla base di comportamenti degli Stati ripetuti nel tempo con una certa regolarit (diuturnitas) e del convincimento da parte degli Stati stessi che tali comportamenti siano giuridicamente dovuti o che, in fase di formazione della regola, sia necessario che lo divengano (opinio iuris sive necessitatis). Per trovare conferma oggi di tale affermazione e per cercare di avere una idea concreta degli elementi costitutivi della consuetudine e di come tali elementi operano affinch si possa affermare che una determinata consuetudine si sia formata, ci riferiremo a titolo esemplificativo alla prassi internazionale, in particolare alla prassi giurisprudenziale, come strumento illustrativo largamente imparziale la cui autorevolezza generalmente tenuta in massima considerazione e utilizzata dagli Stati anche in contesti stragiudiziali. Infatti, brani di sentenze internazionali relative a controversie tra Stati terzi vengono frequentemente invocati a sostegno dei propri interessi dai rappresentanti governativi come autorevoli statuizioni del diritto nella corrispondenza diplomatica o nei dibattiti e negoziati bilaterali o multilaterali. Simile atteggiamento significativo, pur in assenza nel diritto internazionale del principio del precedente giurisprudenziale, o dello stare decisis (che costituisce il fondamento giuridico della case law ed l'elemento fondamentale per la certezza del diritto, in un sistema di common law). Ci tanto pi vero in considerazione del fatto che, in base allo Statuto della Corte (art 59), le sentenze della Corte sono vincolanti esclusivamente per le parti della controversia con specifico riferimento all'oggetto della stessa. 3.2. Un caso di scuola in tema di uso della forza: la sentenza Nicaragua c. Stati Uniti La sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1986 nella causa tra Nicaragua e Stati Uniti circa le attivit militari e paramilitari in e contro il Nicaragua costituisce un caso di scuola sotto diversi profili, in particolare per la individuazione degli elementi costitutivi della consuetudine. La specialit della sentenza relativa a questa controversia deriva principalmente dal fatto che in quel frangente la Corte fosse vincolata ad applicare esclusivamente il diritto consuetudinario in base alla dichiarazione unilaterale di accettazione della giurisd da parte degli Stati Uniti, di cui al 1946(art36 par2 St Corte internaz d giustizia). In essa il Governo americano aveva dichiarato di accettare su base di reciprocit di essere citato in giudizio escludendo le controversie che richiedessero l'interpretazione o applicazione di trattati multilaterali, salvo il caso in cui tutti gli stati parti del trattato fossero anche parti della controversia. L'intento sottostante questa riserva sembra essere stato quello di sottrarre all'accertamento di un organo giudiziale controversie di portata politica, quali quelle che potessero scaturire dalla interpretazione del divieto dell'uso della forza, di cui all'art 2, par 4, della Carta ONU, che un trattato multilaterale. L'oggetto della controversia in esame era costituito proprio dal divieto dell'uso della forza e dal diritto di legittima difesa, ambedue disciplinati nella Carta ONU e in quella dell'Organizzazione degli Stati Americani, che ovviamente sono trattati multilaterali internazionali cui ambedue gli Stati litiganti erano e sono parti. Si trattava di valutare se il supporto nei riguardi della guerriglia antigovernativa in Nicaragua da parte degli Stati Uniti costituiva una violazione del divieto dell'uso della forza o del divieto di intervento e se, in caso positivo, tali comportamenti potessero essere giustificati come forme di legittima difesa collettiva nei riguardi dei Paesi limitrofi al Nicaragua, Honduras ed El Salvador. La Corte, dopo aver affermato la sua competenza giurisd, ha poi sviluppato una serie di dettagliate argomentazioni circa i requisiti tradizionali per ricostruire l'esistenza di una consuetudine. (SEGUE) 3.2.1. In tema di prassi (la Corte dopo aver affermato la sua compet giurisd, ha proseguito come segue) 183 - la corte deve prendere in considerazione le regole di diritto consuetudinario applicabili alla presente controversia. A questo fine deve rivolgere l'attenzione a prassi e a opinio iuris degli stati.

184 - La Corte rileva che vi sono elementi di prova nel senso di un considerevole tasso di consenso tra le parti circa il contenuto del diritto internazionale consuetudinario relativo al divieto dell'uso della forza e di intervento. Questa convergenza di vedute non dispensa la Corte dall'esaminare il ruolo essenziale giocato dalla prassi generale(non sufficiente che gli stati riconoscano la regola). 186 - La Corte non ritiene che, affinch una regola possa essere considerata come consuetudinaria, la prassi corrispondente debba essersi posta in rigorosa conformit con la regola stessa. Allo scopo di dedurre l'esistenza di regole consuetudinarie, la Corte considera sufficiente che la condotta degli Stati sia, in generale, conforme a queste regole, e che esempi di comportamenti non conformi ad una data regola siano stati considerati generalmente come violazioni di quella regola, e non come riconoscimento di una nuova regola. Oltre alla reiterazione del principio generale per cui la consuetudine va ricercata nei due elementi costitutivi della prassi e della opinio iuris, la prima considerazione di carattere generale cui si presta il par 183 riguarda il rapporto tra consuetudine e trattati. In particolare, la Corte ha evidenziato come la prassi convenzionale, indipendentemente dal fatto che si tratti di convenzioni di codificazione, pu costituire un importante strumento per la rilevazione di consuetudini internazionali e per la definizione del loro contenuto. Si tratta di una indicazione solo apparentemente paradossale, poich la consuetudine, seppure diritto non scritto, si evince, di fatto, principalmente attraverso elementi di prassi, come quella convenzionale, di natura scritta. Ci trova conferma con riferimento ad altri tipi di elementi di prassi aventi natura scritta, come la prassi diplomatica, parlamentare o giurisprudenziale nazionale e internazionale. Una seconda considerazione (emerge dal par 184) riguarda il fatto che la Corte non si accontenta di constatare una concorrenza di vedute, o addirittura l'accordo tra le parti in lite circa il contenuto di determinate regole ritenute di carattere consuetudinario, ci che rifletterebbe un approccio volontaristico alla consuetudine del tipo giuspositivistico di cui sopra. Essa, infatti, ritiene necessario poter accertare l'esistenza di una prassi che sia conforme a una determinata opinio iuris, sottolineando il requisito che si tratti della prassi della generalit degli Stati, e non solo di quelli in lite (da qui la conferma del rigetto della teoria cd della consuetudine istantanea). La terza considerazione riguarda i requisiti affinch il comportamento degli Stati possa costituire elemento adeguato alla formazione di una consuetudine internazionale, con riguardo al grado di conformit della prassi rispetto ai contenuti di una pretesa consuetudine, o cmq, alla opinio iuris circa la sua esistenza od opportunit della sua esistenza (opinio necessitatis).
Nel 1950, nella sentenza relativa all'asilo diplomatico tra Colombia e Per, la corte aveva attribuito importanza essenziale al requisito dell'uniformit della prassi per poter rilevare l'esistenza di una consuetudine:rigett la pretesa colombiana -basata su una presunta consuetudine- di ottenere un salvacondotto dal gov peruviano per far espatriare un oppositore politico rifugiatosi nell'ambasciata di Colombia a Lima, adducendo la mancanza di uniformit nella pratica degli stati in materia. Poi questa rigidit si attenuata: nel 1951 in una controversia tra GB e Norvegia circa le peschiere norvegesi, la corte ha osservato che l'esistenza di elementi incerti o contraddittori nella prassi non impediscono la formazione di una regola conforme agli elementi prevalenti della prassi.

Nella sentenza Nicaragua c Stati Uniti, nel par 186 la Corte ha ribadito in termini ampi l'orientamento di flessibilit circa il requisito di uniformit della prassi. In sostanza, la Corte ha sostenuto che l'impatto negativo del comportamento di uno Stato difforme rispetto a una consuetudine, esistente o in corso di formazione, viene neutralizzato dalla manifestazione del convincimento giuridico, da parte di chi adotta il comportamento in questione, nel senso di ritenere di non violare la regola in parola, ma invocando una eccezione alla regola stessa. Data la variet di materie oggetto di consuetudini, oggi la formazione di una nuova consuetudine spesso coincide con il mutamento di una consuetudine precedente nella stessa materia. Un comportamento di fatto in violazione di una regola, MA se accompagnato dalla invocazione di una eccezione costituisce una conferma della regola stessa piuttosto che un suo indebolimento. In pratica, nel caso in questione, il divieto dell'uso della forza viene violato senza cmq comportare l'abrogazione o la trasformazione della regola stessa. CONCLUSIONE: una nuova norma non pu emergere senza prassi ed opinio iuris; ed una norma esistente non pu estinguersi senza che la larga maggioranza degli Stati agisca in modo contrario e

rinneghi la opinio iuris precedente (Higgins). 3.2.2. In tema di opinio iuris La Corte, dopo avere rilevato che ambedue le parti in lite riconoscevano il divieto dell'uso della forza contenuto nell'art 2, par 4, della Carta ONU, si indirizzata all'accertamento della natura consuetudinaria di tale divieto, rivolgendosi alla rilevazione in termini generali della opinio iuris in materia. 188 Questa opinio iuris pu essere dedotta dalla risoluzione 2625 'Dichiarazione sui principi di diritto interna riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati secondo la Carta delle NU', l'effetto del consenso pu essere inteso come un'accettazione della validit della norma o insieme di norme dichiarate dalla risoluzione. 189 - Per quanto riguarda gli Stati Uniti in particolare, un'espressione di opinio iuris pu essere rintracciata nell'appoggio dato alla risoluzione di condanna dell'aggressione della 6 Conf interna degli USA(1928); significativa pu essere rintracciata nell'accettazione da parte degli Stati Uniti del principio della proibizione dell'uso della forza contenuto nella dichiarazione sui principi che regolano le relazioni reciproche tra Stati partecipanti alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Helsinki, 1 agosto 1975), secondo cui gli Stati partecipanti si impegnano ad astenersi nelle proprie relazioni reciproche e nelle relazioni internazionali in genere dall'usare la forza. 190 - Il principio di proibizione dell'uso della forza richiamato frequentemente nelle dichiarazioni dei rappr degli Stati, non solo come un principio di diritto consuetudinario ma anche come un principio fondamentale e cardine di tale diritto. 191 - L'adozione da parte degli stati del testo della risoluzione 2625 implica un indicazione della propria opinio iuris sulla questione dell'uso della forza. Accanto a previsioni riferite all'aggressione, tale testo include forme meno gravi di uso della violenza: ogni stato ha l'obbligo di astenersi dall'organizzare/incoraggiare forze irregolari, forze armate (mercenari), atti di lotta civile armata o atti di terrorismo in un altro stato. Unica eccezione la legittima difesa, individuale o collettiva. La prima considerazione generale che suscitano i par 188 e 189 riguarda la rilevanza che la Corte attribuisce a strumenti internazionali in s giuridicamente non vincolanti, con particolare riguardo alle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Tali atti, particolarmente in una prospettiva cumulativa, possono costituire elementi evidenziatori di una consuetudine esistente o strumentali alla formazione di una nuova consuetudine, come espressione della opinio iuris degli Stati che hanno concorso alla loro adozione (non vera e propria legislazione internaz). Tale logica giuridica stata ribadita dalla Corte a pi riprese, ad es nel parere consultivo del 1996 sulla legalit della minaccia o dell'uso di armi nucleari: Le risoluzioni dell'Assemblea generale, sebbene non vincolanti, possono avere talvolta valore normativo. In certe circostanza, possono rappresentare un mezzo di prova importante per accertare l'esistenza di una regola o l'emergere di una certa opinio iuris. Per capire se ci vale per una specifica risoluzione, necessario guardare al suo contenuto e alle condizioni della sua adozione; anche necessario valutare se esiste un'opinio iuris circa il suo carattere normativo. Oltre all'opinio iuris necessaria la prassi internazionale ad essa conforme. La Corte nel caso specifico arrivata alla seguente conclusione: L'emergere quale lex lata di una norma consuetudinaria che proibisca specificatamente l'uso di armi nucleari ostacolato dalla tensione sempre presente tra una opinio iuris in via di formazione, da una parte, e la forte adesione alla prassi della deterrenza nucleare (consistente nella sistematica minaccia nucleare), dall'altra. La seconda considerazione generale che si pu formulare sulla base dei brani citati della sentenza Nicaragua c. Stati Uniti che gli strumenti non vincolanti, oltre a poter indicare l'opinio iuris degli Stati circa l'essere o non essere di una determinata consuetudine, possono costituire termine di riferimento per l'accertamento del contenuto di tale consuetudine. Particolare rilevanza assume il ricorso al testo della Dichiarazione sui principi del diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, annessa alla risoluzione 2625 dell'Assemblea generale, per determinare, nell'ambito del divieto dell'uso della forza, il divieto di forme meno gravi dell'atto

di aggressione o dell'attacco armato. Sulla base di essa, la Corte giunta a determinare la natura consuetudinaria della legittima difesa individuale e collettiva, salvo negare alla luce dei fatti controversi il diritto di legittima difesa collettiva da parte degli USA a favore di El Salvador e Honduras. La terza considerazione riguarda la rilevanza di altre statuizioni autorevoli per la ricostruzione di una norma consuetudinaria: in particolare, la Corte si riferita ad un brano della CDI nel quale veniva indicato che il divieto dell'uso della forza ha valore di diritto imperativo (ius cogens), nel senso che tale regola consuetudinaria inderogabile per cui ogni trattato con essa incompatibile sarebbe nullo. Si riconosce tale status cogente o imperativo a regole di importanza fondamentale per la Comunit internaz (divieto uso della forza, genocidio, schiavit, tortura..). La corte si gi rivolta in precedenza ai lavori preparatori della CDI: ci era stato determinante nella sentenza '69 circa la delimitazione della piattaforma continentale del mare del nord, quando la Corte ha negato il carattere consuetudinario della Convenzione di Ginevra del 58. Determinanti e molteplici, ad es, sono stati i riferimenti ai lavori della CDI nella sentenza del 1997 relativa alla causa concernente il Progetto Gabcikovo-Nagymaros sul Danubio tra Ungheria e Slovacchia, al fine di accertare una serie di consuetudini applicabili alla controversia, iniziata dall'Ungheria, adducendo che la realizzazione del progetto avrebbe causato un grave danno all'ambiente fluviale (v pag 119 e ss). In primo luogo, la Corte ha affrontato, rigettandolo, l'argomento avanzato dall'Ungheria secondo cui essa sarebbe stata legittimata a sospendere nel 1989 l'esecuzione dei lavori, e quindi di un trattato del 1977 (costruzione e gestione congiunta di un sistema di chiuse sul Danubio), in base al principio consuetudinario dello stato di necessit (facendo riferimento ad un commento della CDI sul principio in discorso). In secondo luogo, la Corte ha determinato che l'illiceit della deviazione unilaterale del corso del Danubio, effettuata dalla Cecoslovacchia in risposta all'abbandono dei lavori da parte ungherese, non potesse essere giustificata come atto di contromisura poich non erano stati rispettati i requisiti di liceit delle contromisure secondo i parametri contenuti nel progetto CDI di articoli sulla responsabilit internazionale degli Stati. In terzo luogo, la Corte ha ulteriormente fatto ricorso alle enunciazioni della CDI per giungere alla conclusione che il Trattato del 1977 fosse ancora in vigore nel 1997, per via della Convenzione ONU del 1978 sulla successione degli Stati rispetto ai trattati, attribuendo all'art 12 in questione natura consuetudinaria, dato che l'Ungheria non aveva ratificato la Convenzione stessa. Si potrebbe sostenere che la CDI sia portatrice della opinio iuris delle civilt giuridiche in essa rappresentate, assimilando i suoi lavori al ruolo attribuito dall'art 38 dello Statuto della Corte alla dottrina come elemento sussidiario nella determinazione delle regole giuridiche. 3.2.3. Considerazioni riepilogative attraverso un ulteriore caso di scuola in tema di diritti dell'uomo (v pag 113) Le indicazioni generali sinora emerse in tema di formazione delle consuetudini trovano conferma nella sentenza della United States Court of Appeals for the Second Circuit del 1980, nella causa Filartiga c Pena-Irala, che costituisce una pietra miliare nella giuri statunitense in materia di tutela dei diritti dell'uomo. Il riferimento ai brani pi significativi di questa sentenza serve un duplice scopo: da un lato, quello di offrire l'occasione di applicare a titolo interpretativo le categorie generali acquisite nelle sezioni precedenti; dall'altro, quello di anticipare la considerazione che verr sviluppata nella Parte III secondo cui la funzione di accertamento e applicazione del diritto internazionale non prerogativa esclusiva degli organi internazionali, ma anche di quelli interni. Gli attori in giudizio, il dr Joel Filartiga e la figlia Dolly, di cittadinanza paraguayana, avevano citato davanti alla giustizia americana un loro concittadino, Americo Norberto Pena-Irala, per rapimento e tortura a morte del figlio, e fratello, Joelito Filartiga, in relazione alle presunte attivit sovversive del padre, quando Pena-Irala era ispettore generale di polizia ad Asuncin. Non si trattava di un procedimento penale, rispetto al quale mancava ogni titolo di giurisd del

giudice americano, sia quello della territorialit del crimine, il Paraguay, che quelli della cittadinanza dell'autore o della vittima del crimine, anch'essi paraguayani. L'azione promossa aveva, infatti, ad oggetto il risarcimento per i danni subiti dal fatto criminoso, ancorando la giurisd civile del giudice americano sulla base di un atto lgs del 1789, l'Alien Tort Claims Act. In base ad esso Le corti distrettuali eserciteranno la propria giurisdizione in materia extracontrattuale in risposta ad azioni civili da parte di cittadini stranieri solo quando le presunte violazioni siano anche in violazione del diritto delle genti o di un trattato cui gli Stati Uniti sono parte. Tenendo conto che l'espressione the law of nations, il cd diritto delle genti, corrisponde al diritto internazionale consuetudinario e poich gli attori avevano basato l'azione in giudizio sulla consuetudine, per determinare la propria giurisd il giudice americano ha dovuto accertare la natura consuetudinaria del divieto della tortura. Avendo esaminato le fonti da cui il diritto internazionale consuetudinario deriva, gli usi delle nazioni, la giurisprudenza e gli scritti di giuristi, possiamo concludere che oggi la tortura proibita dal diritto internazionale. La proibizione chiara e senza ambiguit, e non fa distinzione tra trattamento di cittadini o stranieri. Divieto riconosciuto dalla Dich universale sui diritti dell'uomo, dall'art5 della Convenz americana sui diritti dell'uomo, dal Patto internaz sui diritti civili e politici, dall'art3 della Convenz europea per la protez dei diritti umani e delle libert fondamentali. In primo luogo, merita sottolineare come nei brani 3-5 il giudice americano si sia rivolto, in termini analoghi a quanto rilevato nei parr 188 e 189 della sentenza Nicaragua, alle risoluzioni dell'Assemblea generale per desumere l'opinio iuris generale degli Stati in materia. In secondo luogo, sempre in termini analoghi a quanto emerso dalla sentenza Nicaragua (par 183), nel procedimento di accertamento della consuetudine e dei suoi contenuti, il giudice americano si rivolto (brano 6) a una pluralit di trattati internazionali, regionali e universali, considerati ad un tempo come prassi convenzionale e manifestazione generalizzata del convincimento giuridico degli Stati. In terzo luogo, va sottolineata (brano 7) la massima flessibilit espressa nella sentenza Nicaragua (186) sul requisito della conformit della prassi. Infine, come gi accennato, le sentenze dei giudici interni (e internazionali) costituiscono ad un tempo elementi di prassi e di opinio iuris (costitutive del fenomeno consuetudinario), e lo stesso vale per la prassi lgs nazionale, come confermato dal fatto che il divieto della tortura previsto espressamente da leggi cost di oltre 55 nazioni. 3.3. I principi generali di diritto Seguendo le indicazioni che provengono dall'art 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili costituirebbero una fonte del diritto internazionale autonoma rispetto a consuetudine e trattati. Si ritiene, oggi, che i principi generali vadano considerati come assorbiti nella categoria del diritto consuetudinario. Quanto al loro contenuto, essi s'identificano per la maggior parte con regole di supporto all'applicazione di regole internazionali materiali (o di condotta), anche di tipo interpretativo. INCISO: l'esistenza di un determinato principio negli ordinamenti nazionali rappresentativi delle diverse civilt giuridiche costituisce un elemento utile, ma non sufficiente, per accertare l'esistenza di un principio giuridico generalmente riconosciuto come principio di diritto internazionale, necessario riscontrare nella prassi degli stati il convincimento della obbligatoriet internazionale. La tesi dell'assimilazione dei principi generali del diritto alla consuetudine trova conferma nel linguaggio della giurisprudenza italiana in tema di rilevazione e applicazione del diritto internazionale generale trasformato in diritto interno per il tramite dell'art 10 della Cost: 1987 causa Marcinkus ed altri: immunit dalla giurisdizione a favore degli organi di rilevanza internaz di un altro ente sovrano(Cassazione penale); 1990 controversia Trento-FriuliVG: divieto di discriminazione per ragioni di lingua(consiglio di stato); 1992: traffico di stupefacenti non rientra tra i crimina iuris gentium (corte d'appello PA): 1994:no carattere consuetudinario del divieto di comminare l'ergastolo ai minori.

L'approccio terminologico spesso seguito dal giudice italiano, in cui si utilizza indifferentemente l'espressione principio generale o consuetudine per indicare lo stesso concetto normativo, dipende in larga misura dalla lettera dell'art 10, che si riferisce alle consuetudini come principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Tali principi sono cmq parte del diritto positivo internazionale non scritto. 4 FORMAZIONE E VALIDITA' DEI TRATTATI 4.1. Cenni introduttivi Pacta sunt servanda il brocardo esplicativo del carattere vincolante dei trattati internazionali, tanto quanto dei contratti regolati dal diritto interno. Questo parallelismo nel fondamento della obbligatoriet di trattati internazionali e contratti riflette la coincidenza della gran parte delle regole relative alla validit, estinzione, interpretazione e applicazione di ambedue le categorie di negozi giuridici. In ambedue i casi l'elemento costitutivo essenziale la volont delle parti ad acquisire i diritti e il consenso delle stesse ad assumere gli obblighi oggetto dell'accordo. Le differenze sono ovviamente dovute alla natura pubblicistica delle parti e all'internazionalit dei rapporti oggetto di regolamentazione. Come gi accennato, le regole generali di diritto consuetudinario che presiedono alla validit, estinzione, interpretazione e applicazione dei trattati internazionali sono state codificate nella Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati. NB: essa costituir il parametro di riferimento principale per la trattazione della nostra materia, in considerazione del fatto che: a) la gran parte delle sue disposizioni erano ricognitive del diritto consuetudinario al momento della sua adozione e b) buona parte delle disposizioni che a quell'epoca potevano avere natura innovativa sono oggi sedimentate nel diritto consuetudinario generale. Questo significa che le sue disposizioni si applicheranno anche a controversie circa l'interpretazione e applicazione di trattati fra Stati che non sono parte della Convenzione di Vienna (es. sentenza del 2009 sui diritti di navigazione tra Nicaragua e Costa Rica in cui la Corte di Giustizia cita la Convenzione di Vienna e dice espressamente che vale anche se il Nicaragua non parte della Convenzione). Sotto il profilo terminologico, va rilevato che dal punto di vista giuridico non vi differenza tra accordi, convenzioni, trattati, protocolli o scambi di note, nel senso che le diverse etichette possono avere un valore eventualmente descrittivo, ma non certamente normativo: l'espressione trattato identifica un accordo internazionale concluso tra Stati in forma scritta e governato dal diritto internazionale, sia se incorporato in un singolo strumento, sia se in due o pi strumenti tra loro collegati, e qualunque sia la sua denominazione(Convenz di Vienna art2 par1 let.a). Sebbene la Conv di Vienna si limiti a disciplinare gli accordi scritti, anche gli accordi non scritti costituiscono fonte pattizia del dir internazionale. Questa considerazione pu riportare a rivalutare la teoria della consuetudine come accordo tacito alla luce della prassi contemporanea. Ci non cambierebbe 'nulla' perch consuetudo e pacta sunt servanda sono accomunate dal fatto di dare ambedue espressione al principio generale della buona fede. 4.2. Adozione, autenticazione del testo e firma Un trattato un trattato solo dopo che esso entrato in vigore. L'adozione di un testo convenzionale multilaterale non costituisce il momento di entrata in vigore dello stesso, che, quindi, non sar in s giuridicamente vincolante (si tratta di un atto di soft-law). Circa l'adozione di una convenzione, l'art 9 della Convenzione di Vienna prevede quanto segue: 1. L'adozione del testo di un trattato avviene attraverso il consenso di tutti gli Stati che hanno partecipato alla sua creazione con eccezione di quanto previsto al paragrafo 2. 2. L'adozione del testo di un trattato ad una conferenza internazionale avviene attraverso il voto dei due terzi degli Stati presenti e votanti, a meno che la stessa maggioranza non decida di adottare un diverso regolamento.

Questa disposizione, in ragione del suo carattere procedurale, per sua natura inidonea a riflettere una regola di diritto consuetudinario. Ci che pi conta che indica le procedure per l'adozione, non gli effetti giuridici dell'adozione. Sulla base della prassi, all'adozione non pu essere attribuito alcun consenso che non sia quello sulla effettiva chiusura del negoziato su di un testo concordato come definitivo. Successivamente, quel testo sar aperto alla firma (con cui l'adozione non deve essere confusa) in una sede e per un periodo stabiliti nel testo negoziato. Una interpretazione sistematica della Convenzione di Vienna conferma quanto appena sostenuto circa il fatto che l'adozione di una convenzione non costituisce il momento di espressione della volont degli Stati negoziatori a vincolarsi ai contenuti del testo. In primo luogo, ci si ricava dall'art 11, che elenca i modi di espressione del consenso ad essere vincolati da un trattato senza includere l'adozione: il consenso ad essere vincolati da un trattato pu essere espresso attraverso la firma, lo scambio di strumenti costituenti il trattato, la ratifica, l'accettazione, l'approvazione, l'accessione, o in altro modo specificatamente concordato. Poi dall'art 7 par 2, che abilita i Capi di Stato e di governo e i ministri degli esteri a compiere qualsiasi atto relativo alla stipulazione di un trattato, mentre i capi della missione diplomatica e i rappresentanti governativi possono solo adottare il testo. Di regola, specialmente nella stipulazione dei trattati multilaterali, il consenso ad essere vincolati dal trattato non viene espresso con la firma, ma con il deposito della ratifica. In tal caso, la firma ha un limitato effetto giuridico legato al principio di buona fede, per cui si ritiene illecito il comportamento di uno Stato firmatario che sia incompatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato, sino a che lo stesso Stato non abbia reso manifesta la volont di non ratificare (art 18 Convenzione di Vienna).
A titolo esemplificativo, questa regola stata corroborata il 6 maggio 2002, quando il portavoce della presidenza degli Stati Uniti ha espressamente manifestato, ai sensi della disposizione citata, l'intenzione del suo Governo di non divenire parte dello Statuto della Corte penale internazionale, firmato negli ultimi giorni della presidenza Clinton.

4.3. Manifestazione del consenso 4.3.1. Chi lo pu esprimere Mentre la capacit giuridica di stipulare trattati corollario fondamentale della personalit giuridica internazionale, quindi degli Stati come enti unitari, una delle cause pi frequenti delle controversie circa la validit di un trattato riguarda la legittimazione a rappresentare lo Stato e impegnarlo internazionalmente da parte dell'organo che ha materialmente partecipato al processo di stipulazione o a una delle sue fasi: negoziazione, adozione, firma, ratifica, o altro. A tale proposito, l'art 7 della Convenzione di Vienna richiede che la persona in questione produca i pieni poteri: ai sensi dell'art2 par1 si tratta di un documento emanato dall'autorit competente di uno Stato che designa una o pi persone a rappresentare lo Stato per negoziare, adottare o autenticare il testo di un trattato, al fine di esprimere il consenso dello Stato ad essere vincolato dal trattato. Gli stati sono liberi di determinare tale autorit; nella prassi, generalmente, i pieni poteri sono rilasciati dal Ministro degli affari esteri, o dal Capo dello Stato. Il documento in questione, poi, dovr, non solo indicare la legittimazione di una determinata persona a rappresentare lo Stato, ma altres specificare la legittimazione relativamente a una o pi delle diverse fasi del procedimento. Ne
deriva che, ad es, un funzionario ministeriale che ha prodotto i pieni poteri per condurre un negoziato e adottare il testo definitivo ne dovr presentare di nuovi per la firma.

Di regola, la firma, specialmente di un trattato multilaterale viene effettuata da un rappresentante dello stato di rango pi alto rispetto all'organo che ne ha negoziato, e spesso anche adottato, il testo. Possono anche il ministro o sottosegretario del ministro competente, previo rilascio di pieni poteri. Seguendo il principio del riconoscimento della effettivit della organizzazione interna degli Stati, l'art 7 deroga al principio formale del rilascio del documento disponendo che una persona abilitata a partecipare al processo di stipulazione di un trattato quando la prassi degli Stati interessati o altre circostanze evidenziano la loro intenzione a considerare quella persona quale rappresentante dello Stato investito di pieni poteri ai fini della negoziazione e conclusione del trattato (plenipotenziario

di fatto). L'art 7 indica poi gli organi dello Stato per i quali, in ragione delle loro funzioni, non sono richiesti i pieni poteri: - i Capi di Stato e governo, i Ministri degli esteri, con pieni poteri assoluti; - i Capi missione diplomatica con riguardo ai trattati tra lo Stato d'invio e quello ricevente e i rappresentanti accreditati presso una conferenza diplomatica, una organizzazione o organo internazionale con riguardo ai trattati negoziati e adottati in quelle sedi. Art 8: l'invalidit pu essere sanata con la conferma successiva da parte dello Stato in questione, con effetto retroattivo al momento del compimento dell'atto. Al quesito, infine, se la conferma possa considerarsi desumibile anche implicitamente da fatti concludenti, va data risposta affermativa alla luce del principio dell'affidamento dei terzi in buona fede. Questo si desume anche dall'art 45 secondo cui uno stato non pu invocare l'invalidit del trattato che esso stesso abbia accettato manifestamente o in ragione del suo comportamento. 4.3.2. Le forme di manifestazione del consenso Ai fini della manifestazione del consenso, l'art 11 sopra citato pone sullo stesso piano firma, ratifica, accettazione, approvazione o adesione o qls altro modo concordato dalle parti: gli artt da 12 a 16 indicano singolarmente le modalit in questione, ciascuna egualmente idonea ad esprimere il consenso, a condizione che ci si evinca espressamente o implicitamente dalla volont delle parti negoziatrici (e non emerge, dunque, una modalit prioritaria di manifestazione del consenso in assenza di diversa volont delle parti). Per quanto riguarda la firma, l'art 12 dispone: 1 - il consenso espresso dalla firma quando: a) il trattato
prevede che la firma produca questo effetto b) quando l'intenzione dello Stato di attribuire questo effetto alla firma risulta dai pieni poteri del suo rappresentante o stata espressa nel corso del negoziato. 2 - Ai fini del paragrafo 1:la parafatura di un testo equivale alla firma del trattato quando risulti che gli Stati che hanno partecipato al negoziato erano d'accordo in tal senso;la firma ad referendum di un trattato apposta dal rappresentante di uno Stato, se confermata da quest'ultimo, equivale alla firma definitiva del trattato.

Manca la modalit principalmente idonea alla manifestazione del consenso: questo deriva da un compromesso tra le delegazioni che ritenevano che la modalit prevalente fosse quella solenne e quelle che indicavano la forma semplificata come prevalente (no ratifica/autorizz parlamentare). Per quanto riguarda la procedura di ratifica, questa dipende dalle norme interne dei singoli Stati sulla competenza a stipulare i trattati internazionali. Di regola, essa di competenza del Capo dello Stato. Il problema sorge nel determinare quando l'esercizio di tale competenza sia subordinato alla previa autorizzazione parlamentare. Con l'avvento delle democrazie parlamentari il passaggio dalla firma, tipica delle monarchie assolute, alla ratifica consente ai parlamenti nazionali di pronunciarsi sul trattato negoziato dai rappresentanti dell'esecutivo mediante un dibattito parlamentare e l'eventuale procedimento di autorizzazione. Ci ha comportato in molti Paesi l'adozione di regole cost mirate a soddisfare esigenze di politica cost circa il controllo parlamentare sulla politica estera. Inoltre l'intervento parlamentare consente di predisporre le modifiche dell'ord interno necessarie all'esecuzione degli obblighi/diritti derivanti dal trattato (es. l'Italia ha ratificato con legge di autorizzazione e esecuzione lo statuto della Corte Penale Internazionale nel '98 ma nn ha ancora adottato tutte le norme interne necessarie). L'autorizzazione alla ratifica di un numero sempre maggiore di trattati, molti dei quali di natura politica secondaria o di carattere principalmente amministrativo, ha oberato i parlamenti nazionali ritardando la ratifica di trattati anche di importanza non secondaria. Da ci la prassi diffusa della stipulazione dei trattati in forma semplificata, che consiste in una procedura che prescinde dall'intervento del parlamento: si caratterizza per il fatto di evitare la procedura, appunto, di ratifica e di autorizzazione parlamentare della stessa, consistendo, piuttosto, nella semplice firma, o nello scambio di lettere o note verbali. Un'ultima considerazione con riguardo alle modalit di espressione del consenso riguarda l'adesione, sempre pi diffusa nella prassi convenzionale multilaterale degli ultimi anni. Si tratta della modalit di manifestazione del consenso dello Stato ad essere vincolato da un trattato alla cui negoziazione non ha partecipato e di cui non firmatario. Lo Stato aderente si distingue cos, in via di fatto, dagli Stati parti originari. Questa modalit di manifestazione del consenso a divenire parte del trattato possibile solo quando gli Stati negoziatori lo hanno espressamente previsto nel testo,

rendendolo cos un trattato cd aperto (incoraggia la pi ampia partecipazione degli stati ai trattati multilaterali). 4.3.3. Il consenso condizionato: le riserve Nel momento della espressione del proprio consenso a vincolarsi a un trattato, o cmq in una delle fasi di tale espressione, uno Stato pu in linea di principio riservarsi di non accettare determinate disposizioni o di accettarle secondo una certa interpretazione (cd dichiarazione interpretativa). L'art 19 della Convenz di Vienna prevede infatti che una riserva possa essere formulata al momento della firma, ratifica, accettazione, approvazione o adesione. Se formulata alla firma di un trattato che prevede la ratifica come forma di espressione del consenso, la riserva dovr essere confermata al momento della ratifica. Per riserva si intende (art 2) una dichiarazione unilaterale per mezzo della quale esso si propone di escludere o di modificare l'effetto giuridico di certe norme del trattato nella loro applicazione a quello Stato. Il problema riguarda esclusivamente i trattati multilaterali, poich in sede bilaterale la formulazione di una riserva al momento dell'espressione del consenso costituisce semplicemente una proposta nei riguardi della controparte di riapertura del negoziato. Il problema principale sul tema delle riserve attiene alle condizioni della loro ammissibilit e, solo successivamente, ai loro effetti tra gli Stati contraenti. Tradizionalmente, erano permesse solo quelle riserve la cui ammissibilit era contemplata dal testo negoziato, salva l'accettazione della riserva non prevista dalla unanimit degli altri Stati firmatari. Il problema si era presentato con particolare delicatezza in relazione all'ammissibilit di riserve alla Convenzione del 1948 per la prevenzione e repressione del genocidio. Nel parere consultivo reso nel '51 al riguardo, la Corte ha introdotto la flessibilit del principio dell'ammissibilit delle riserva non contemplate dal testo del trattato (fatta propria poi anche dalla Convenzione di Vienna), purch compatibili con l'oggetto e lo scopo del trattato stesso (sebbene abbia ribadito, in linea generale, che il principio dell'unanimit rimanesse di indiscutibile valore) = Uno Stato che ha apposto una riserva respinta da una o pi parti della Convenzione, ma non da altre, pu essere considerato parte della Convenzione se la riserva compatibile con l'oggetto e lo scopo della Convenzione.
La Corte ha giustificato questa deviazione dal diritto generale dell'epoca per il carattere speciale della Convenzione.

Il problema di fondo della disciplina in questione non attiene al principio della compatibilit con l'oggetto e lo scopo del trattato come tale, ma deriva dall'impossibilit di giungere alla Conferenza di Vienna ad un accordo sulla previsione di un meccanismo imparziale di accertamento di tale compatibilit delle riserve di volta in volta apposte ai singoli trattati. Secondo l'attuale regime giuridico previsto dalla Convenzione di Vienna, tale accertamento viene lasciato alla discrezione dei singoli Stati contraenti. Questo un esempio di come la Comunit Internazionale abbia difficolt a superare il tradizionale approccio bilateralistico. Questo approccio soggettivistico nella valutazione dell'ammissibilit delle riserve incoraggia s la partecipazione ai trattati multilaterali, ma a scapito dell'integrit normativa degli stessi. Infatti, per quanto riguarda gli effetti delle riserve, poich ogni Stato contraente libero di accettare o respingere una riserva, valutando individualmente se esse compatibile con lo scopo e l'oggetto del trattato, ne consegue che: a)il trattato si applica naturalmente nella sua interezza tra gli Stati parti che non hanno formulato alcuna riserva; b) le disposizioni oggetto della riserva si applicano secondo quanto previsto nella riserva tra lo Stato che l'ha formulata e quelli che l'hanno accettata; c) le disposizioni oggetto della riserva non si applicano nella misura prevista dalla riserva tra lo Stato riservante e quelli che hanno obiettato alla riserva senza opporsi all'entrata in vigore del trattato (art 21). NB: avremo, quindi, tre tipi di rapporti giuridici scaturenti dallo stesso trattato, mentre quest'ultimo non avr alcun effetto tra lo Stato riservante e quegli Stati che, obiettando alla riserva per incompatibilit con l'oggetto e lo scopo del trattato, abbiano manifestato espressamente l'intenzione che esso non entri in vigore nei loro rapporti con lo Stato riservante. Il problema avvertito in modo particolarmente acuto proprio con riguardo ai trattati che tutelano

interessi superiori rispetto a quelli di ciascuno Stato, specialmente in materia di diritti umani. E' illustrativo l'es dei Paesi islamici che, quando ratificano un trattato sulla protezione dei diritti umani, formulano la riserva generale secondo cui essi non daranno attuazione alle disposizioni in contrasto con il diritto islamico. Lo stesso hanno fatto gli USA nei riguardi delle disposizioni non conformi alla Costituzione americana. (questi stati sostanzialmente svuotano tali convenzioni di contenuto normativo nei propri riguardi). CONCLUSIONE: in una prospettiva di promozione della causa umanitaria, si potrebbe giustificare l'ambiguit del regime giuridico attuale in quanto esso incoraggia la ratifica anche da parte di Stati poco disponibili al rispetto delle convenzioni in questione. Infatti, la partecipazione al trattato da parte di tali Stati, nonostante le riserve apposte, potrebbe produrre la legittima aspettativa nella comunit degli Stati e della societ civile che le disposizioni pi qualificanti del trattato vengano rispettate. Da tali aspettative potrebbe scaturire una pressione significativa sugli Stati riservanti, nel senso di interpretare restrittivamente le proprie riserve, o di non invocarle, o persino di ritirarle come previsto dall'art 22. 4.4. L' entrata in vigore In linea di principio, si dovrebbe ritenere sufficiente, anche rispetto ai trattati multilaterali, il consenso ad essere vincolati al trattato da parte di almeno due Stati affinch esso entri in vigore inizialmente tra loro. L'art 24 prevede invece che i trattati entrino in vigore quando tutti i contraenti hanno manifestato il loro consenso ad obbligarsi. Tale regola ha, peraltro, natura residuale, nel senso che opera in mancanza di diversa disciplina voluta dai contraenti nel testo negoziato. La prassi dimostra che solitamente richiesto un numero piuttosto alto di ratifiche: indicativo che la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, tema molto importante, abbia previsto la propria entrata in vigore alla trentacinquesima ratifica. 4.4.1. La registrazione L'art 80 stabilisce che i trattati internazionali debbano essere trasmessi al Segretariato delle Nazioni Unite per la registrazione, classificazione e iscrizione nel repertorio, dopo la loro entrata in vigore. Anche l'art102 della Carta delle NU prevede l'obbligo di registrazione dei trattati, e nulla indica circa la validit del trattato (la registraz non incide sulla validit). In termini del tutto indiretti, la registrazione potr costituire uno degli elementi per accertare in casi particolarmente controversi l'esistenza dell'intenzione delle parti a vincolarsi internazionalmente rispetto ai contenuti di uno strumento internazionale, ma non ne costituir un elemento essenziale (v pag 139, causa Qatar c. Barhein). Anche la Carta ONU prevede tale obbligo di registrazione, limitandosi ad indicare che un trattato non registrato non potr essere invocato davanti ad un organo della Organizzazione. La ratio delle disposizioni in materia della Convenzione di Vienna e della Carta ONU, lungi dal rivolgersi al tema della entrata in vigore o della validit dei trattati, quella di garantire pubblicit e trasparenza agli accordi nei riguardi della societ civile e degli altri Stati interessati, scoraggiando la prassi dei trattati segreti gi iniziata dalla Societ delle Nazioni dopo la Prima Guerra Mondiale. 4.5. Cause di invalidit o nullit Iniziando la trattazione del diritto dei trattati abbiamo sottolineato la comunanza del fondamento della obbligatoriet dei trattati internazionali e dei contratti di diritto interno nel principio pacta sunt servanda. Ci si riflette nella coincidenza della gran parte delle regole relative alla validit, interpretazione e applicazione di ambedue le categorie di negozi giuridici. Le cause di invalidit dei trattati, infatti, ricalcano in larga misura quelle relative ai contratti. Tra queste si annoverano i tradizionali vizi di volont dell'errore, della violenza e del dolo. 4.5.1. La violenza Tra le specificit relative ai trattati internazionali rispetto ai contratti tra privati va considerata la

violenza sullo Stato come causa di invalidit (non pi solo sull'organo). Art 52: Un trattato nullo se la sua conclusione stata ottenuta attraverso la minaccia o l'uso delle forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta ONU. Questa novit dovuta all'introduzione del divieto dell'uso della forza, prima non avrebbe avuto senso. Nel concetto di forza non sono ricomprese n la coercizione politica n quella economica, di cui si occupa una risoluzione a parte. In base al testo dell'art 52, l'interpretazione del concetto di forza ai fini della determinazione della causa d'invalidit in esame va compiuta in relazione al significato del medesimo concetto ai sensi della Carta ONU, e quindi, in senso strettamente militare. Cmq la minaccia o l'uso della forza possono essere legittimamente autorizzati da risoluzioni del Consiglio di sicurezza (es. 1994 uso della forza per restaurare il governo legittimo di Haiti). 4.5.2. La violazione delle norme interne sulla stipulazione dei trattati Una delle cause di invalidit caratteristiche del diritto dei trattati rispetto al diritto dei contratti la violazione delle norme interne sulla stipulazione dei trattati internazionali. La possibilit di invocare tale causa riguarda due ipotesi. La prima ipotesi relativa al caso in cui il soggetto che manifesta il consenso dello Stato a vincolarsi al trattato non sia legittimato a farlo in base all'ordinamento cui esso appartiene.
Art7 CdV: sono necessari i pieni poteri. Art8: nullit in caso di mancanza dei pieni poteri, l'invalidit pu essere sanata da conferma da parte delle autorit competenti dello Stato. Tale conferma pu essere desumibile anche da fatti concludenti alla luce del principio dell'affidamento dei terzi in buona fede (art45=lo stato non pu invocare l'invalidit di un trattato di cui ha precedentemente riconosciuto l'invalidit, in modo esplicito/implicito).

La seconda ipotesi in cui si pu verificare una violazione manifesta di una norma interna d'importanza fondamentale sulla stipulazione dei trattati attiene alle modalit di manifestazione del consenso. Il problema, come gi accennato, si restringe sostanzialmente al caso in cui un trattato venga concluso secondo la modalit della cd formula semplificata, cio saltando il procedimento di ratifica e, soprattutto, l'autorizzazione del Parlamento, quando prevista. L'art 46 CdV specifica, con riferimento alle norme interne in tema di stipulazione dei trattati, il principio generale codificato nell'art 27 per cui uno Stato non pu invocare una norma del proprio ordinamento a giustificazione dell'inadempimento di un trattato internazionale. cmq prevista un'eccezione nell'ipotesi in cui la violazione sia stata manifesta e relativa a una regola dell'ord interno di fondamentale importanza (art 46 par 2). La causa di invalidit prevista dall'art46 par2 ha limitate possibilit di essere invocata con successo perch: in primo luogo poich le norme interne in materia di stipulazione sono di natura costituzionale, si pu in alcuni casi violare la cost formale rispettando quella cd vivente. In secondo luogo l'invocabilit della causa di invalidit va considerata in termini particolarmente restrittivi anche sotto il profilo temporale in relazione all'applicazione del principio dell'acquiescenza, che costituisce un'articolazione di quello di buona fede. Uno stato pu perdere il diritto di invocare una causa d'invalidit se dalla propria condotta pu essere ritenuto acquiescente.
Obiettivo:evitare che gli stati, pur sapendo dell'invalidit di un trattato, lascino che questo operi (beneficiandone)

Secondo il professor Paul Reuter ogni comportamento di esecuzione di un trattato viziato da una causa di invalidit costituirebbe una forma di acquiescenza per atti concludenti rispetto alla sua presunta invalidit, sia che lo Stato interessato abbia iniziato ad eseguire gli obblighi del trattato, sia che esso abbia beneficiato dei diritti corrispettivi. 4.5.3. Contrasto con una regola di diritto imperativo (ius cogens) La disposizione pi innovativa della Convenzione in discorso forse l'art 53, che dispone la nullit di un trattato contrastante con una norma a carattere imperativo di diritto internazionale. Il concetto di diritto cogente si identifica con la tutela di valori universali e indivisibili della comunit internazionale, come la pace, la dignit umana-diritti umani (genocidio,schiavit,razzismo..), etc. Durante i lavori preparatori della Convenzione di Vienna, data la delicatezza politica della tematica, non stato possibile giungere alla indicazione delle regole consuetudinarie inderogabili, neppure in termini esemplificativi (volont poi di evitare una rigida griglia che impedisse una futura evoluzione). Si cos arrivati a una formula in qualche misura asettica, secondo cui, in sostanza,

viene definita norma cogente quella norma il cui carattere inderogabile venga riconosciuto dalla comunit internazionale nel suo insieme. Una norma imperativa di diritto internazionale una norma che pu essere modificata solo da una norma successiva di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Alcune indicazioni significative per l'identificazione delle regole internazionali di natura cogente si possono ricavare dalla prassi internazionale, specialmente nella giuri della Corte internazionale di giustizia = si pensi, ad es, alla sentenza Barcelona Traction, promossa dal governo belga contro quello spagnolo (v pag 146), nell'esercizio della protezione diplomatica degli azionisti belgi di una societ di diritto canadese, nel settore dell'energia elettrica, oggetto di nazionalizzazione in Spagna. Particolare importanza riveste la regola cogente sul diritto all'autodeterminazione dei popoli!! (es
Portogallo contro Australia per sfruttamento dell'isola di Timor Orientale).

Nessuna, poi, delle cause escludenti l'illiceit di un determinato comportamento in violazione di regole internazionali, il consenso dello Stato interessato dal comportamento in questione, la legittima difesa, le contromisure, la forza maggiore o la stato di necessit, pu operare a giustificazione della violazione di una norma di diritto cogente (art26). Inversamente, va senz'altro ritenuto che l'inosservanza di una disposizione convenzionale in contrasto con una norma di ius cogens non costituisce un illecito internazionale. La causa d'invalidit di un trattato per contrasto con una norma di diritto cogente non va considerata una ipotesi di scuola. La conclusione di simili trattati purtroppo verosimile, non solo con riguardo ad accordi di alleanza di tipo militare. Si pu pensare, ad es, alle ipotesi di accordi in materia di immigrazione di lavoratori che potrebbero confliggere con il divieto di discriminazione razziale o addirittura di riduzione in schiavit. La disposizione in discorso cmq un deterrente debole, tenuto conto, non tanto della debolezza della disciplina relativa alla causa d'invalidit in esame di cui all'art 53, ma, come vedremo meglio nella Parte III, quanto dei limiti relativi all'ammissibilit del suo accertamento giudiziale in base all'art 66. 4.6. L'ambito di applicazione dei trattati 4.6.1. L'ambito soggettivo Per quanto possa apparire ovvio, il principio per cui i trattati creano rapporti giuridici esclusivamente tra gli Stati parti stato codificato dalla Convenz di Vienna all'art 34 in termini negativi, per cui Un trattato non crea obblighi o diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso. Negli artt successivi vengono peraltro qualificate le ipotesi in cui Stati terzi possano acquistare diritti e obblighi sulla base di un trattato. In ambedue i casi la CdV richiede il consenso dei terzi. Al fine dell'acquisto dei diritti il consenso dei terzi si ritiene presunto (art 36), purch appaia con chiarezza dal testo dell'accordo che gli Stati che sono parti intendano effettivamente impegnarsi nei riguardi di terzi (riguardano x lo pi libert di navigazione sui corsi d'acqua:danubio 48 e panama 77). Con riferimento a eventuali obblighi derivanti per i terzi richiesta la loro espressa accettazione in forma scritta (art 35). Mentre nell'ipotesi dell'acquisizione di diritti le parti del trattato possono revocarli o modificarli a piacere, nell'ipotesi di obblighi ogni modifica o revoca richiede il consenso, tanto degli Stati parti del trattato quanto del terzo (37). La Convenzione di Vienna fa salvo l'ovvio, ma fondamentale, principio per cui la norma di un trattato vincoli cmq gli Stati terzi quando essa coincidente con una consuetudine (art 38). 4.6.2. L'ambito territoriale La regola consuetudinaria in materia stata codificata all'art 29 della CdV, nel senso che il trattato vincola gli Stati parti in relazione al proprio territorio. Tale regola veniva in passato derogata dalla volont delle parti nel senso di estendere a titolo facoltativo l'applicazione del trattato al territorio coloniale. Oggi si rilevano, cmq, trattati la cui applicazione pu avvenire al di fuori del territorio, ma in aree non soggette alla sovranit statale (convenzioni ambientali,zone denuclearizzate,...).

4.6.3. L'ambito temporale e le cause di estinzione o sospensione 4.6.3.1. Termine finale e condizione risolutiva Art 54: la durata di un trattato pu essere stabilita nel trattato stesso, in termini certi, prevedendo un termine finale, o incerti, prevedendo una condizione risolutiva. Naturalmente, il principio della volont delle parti, quando espressa all'unanimit, prevale in qualsiasi momento su ogni eventuale clausola in materia. A questo proposito, la CDI ha ritenuto che la volont unanime dei contraenti di estinguere il trattato possa essere desunta come implicita dal comportamento concludente delle parti nel senso di non ritenere pi il trattato in vigore. Inversamente rispetto al requisito della unanimit come regola residuale per l'entrata in vigore del trattato e rispetto alla prassi del numero minimo di ratifiche, la Convenzione di Vienna dispone che, salva diversa clausola nel trattato, quest'ultimo non si estingua quando il numero degli Stati parti scende al di sotto del numero minimo per la sua entrata in vigore. Tra i tipi di condizione risolutiva previsti da clausole del contratto, vi sono naturalmente anche quelli relativi alla denuncia o al recesso. La Convenzione di Vienna, tuttavia, ha stabilito una disciplina restrittiva della possibilit di denuncia o recesso in mancanza di esplicita clausola in tal senso, a meno che tale diritto di denuncia o recesso non sia desumibile dall'intenzione delle parti, oppure sia implicito nella natura del trattato ( questo il caso, ad es, dei trattati di alleanza). 4.6.3.2. La violazione del trattato Una violazione del trattato pu ance costituirne causa di estinzione o sospensione, in parte o nella sua totalit. L'art 60 della Convenzione ha disciplinato la materia codificando in termini restrittivi il principio generale inadimplenti non est adimplendum. La disposizione in esame distingue, poi, l'operativit delle cause di estinzione, o sospensione, in esame con riferimento ai trattati bilaterali, da un lato, e a quelli multilaterali, dall'altro. Nel caso dei trattati bilaterali, il diritto di denuncia condizionato esclusivamente dal requisito che la violazione sia stata sostanziale (material breach); il concetto di violazione sostanziale viene definito, in pratica, con riferimento all'importanza della disposizione della regola violata piuttosto che alla gravit del comportamento in contrasto con la regola. In primis, per, tale concetto viene definito come il rigetto del trattato non sanzionato dalla presente Convenzione; in secundis, come la violazione di una disposizione del trattato essenziale per il perseguimento dell'oggetto e dello scopo del trattato stesso. Nel caso pi complesso dei trattati multilaterali, l'art 60 par2 prevede tre differenti situazioni. Infatti, contrariamente al caso dei trattati bilaterali, la violazione di un trattato multilaterale pu incidere in modo diverso nei riguardi dei singoli Stati parti. Prima situazione: risposta unanime su estinzione o sospensione. Seconda situazione: uno o pi Stati parti nei riguardi dei quali stata posta in essere la violazione possono individualmente sospendere, ma non denunciare, il trattato violato, in parte o nella sua totalit, esclusivamente nei rapporti con lo Stato autore della violazione. Questa disposizione riflette il fatto che, a tutt'oggi, buona parte dei trattati multilaterali offre tutela giuridica agli interessi dei suoi contraenti operando di volta in volta in termini bilaterali, senza incidere in modo significativo sugli interessi degli altri contraenti. NB: il fatto che rispetto a questa situazione sia previsto il diritto unilaterale di sospensione, ma non di denuncia, del trattato risponde all'esigenza, di tutta ragionevolezza, di evitare che a causa della violazione di un trattato da parte di A nei riguardi di B, quest'ultimo possa dichiarare estinto il trattato pure nei riguardi di C, D, E, etc. La terza situazione quella che si verifica quando, per la natura del trattato, o di determinate sue disposizioni, la violazione comporti una radicale modifica della posizione degli altri contraenti in ordine alla osservanza del trattato in questione. In tale ipotesi ciascun contraente ha la facolt di sospendere il trattato nei riguardi dell'autore della violazione o di tutti gli altri contraenti (trattati multilaterali di disarmo:si evita che un illecito nei confronti di uno stato divenga illecito nei confronti di tutti). Riepilogando, il regime generale in materia prevede il diritto di dichiarare estinto il trattato per

violazione sostanziale esclusivamente in relazione ai trattati bilaterali o, rispetto a quelli multilaterali, quando vi la volont unanime dei contraenti. Negli altri casi opera solo il diritto di sospensione del trattato. Eccezioni alla disciplina = art 60 par5: non si applica a disposizioni relative alla protezione della persona umana contenute in trattati di carattere umanitario, in particolare a disposizioni che proibiscono ogni forma di rappresaglia contro persone protette da tali trattati. Si pensi alla presa in ostaggio di agenti diplomatici o consolari, come avvenuto nel 1979 in Iran nei riguardi di agenti statunitensi. Chiaramente, l'art 60 non legittimerebbe un comportamento reciproco, non solo in relazione al trattamento degli organi stranieri, ma anche rispetto ad una convenzione bilaterale sul trattamento dei rispettivi cittadini. Un es illustrativo pu essere tratto indirettamente dalla controversia LaGrand tra Germania e Stati Uniti in cui la Corte internazionale di giustizia ha condannato il governo americano per la violazione del diritto di assistenza consolare di cittadini tedeschi arrestati e detenuti negli Stati Uniti, di cui uno condannato alla pena capitale. In questo caso, si pu ritenere che non sarebbe stata ammissibile l'estinzione o la sospensione della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari da parte della Germania nei riguardi degli Stati Uniti in quanto ci avrebbe comportato la soppressione di un diritto fondamentale del detenuto straniero, nel caso di specie americano. 4.6.6.3. Il mutamento fondamentale delle circostanze Uno dei principi fondamentali del diritto dei contratti che stato applicato al diritto dei trattati quello per cui un mutamento fondamentale delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell'accordo costituisce causa di estinzione o recesso, o anche di sospensione (causa riconosciuta come corrispondente in larga misura al diritto consuetudinario). Trattandosi di un principio antitetico a quello per cui pacta sunt servanda, la sua codificazione stata elaborata nella Convenzione in modo restrittivo. In tal senso si segnala, innanzi tutto, la formulazione del principio in parola in termini negativi nell'art 62: esso prevede come regola generale che un mutamento non possa essere invocato ad eccezione dell'ipotesi in cui ricorrano determinate condizioni cumulative (a) l'esistenza di tali circostanze aveva costituito una base essenziale del consenso delle parti ad essere vincolate dal trattato; e b) l'effetto del mutamento di trasformare radicalmente la portata degli obblighi ancora da adempiere secondo il trattato). La causa di estinzione in esame non opera nei riguardi dei trattati che fissano frontiere e nel caso in cui il mutamento fondamentale delle circostanze sia conseguenza di una violazione del trattato o di qls altro obbligo internazionale da parte dello Stato che invoca l'estinzione del trattato o il recesso = applicazione dei principi generali di buona fede e di equit per cui un soggetto non legittimato a trarre vantaggio dalle proprie contraddizioni, secondo la figura giuridica denominata estoppel nella common law e forclusion nel diritto francese. (pag 157) V causa Ungheria-Slovacchia per comprendere l'eccezionalit della causa di estinzione in questione. 4.6.3.4. Impossibilit sopravvenuta dell'esecuzione del trattato L'art 61 della Convenzione di Vienna contempla una causa di estinzione dei trattati che pu essere considerata come una specificazione del principio del mutamento fondamentale delle circostanze. Esso dispone che uno Stato parte di un trattato possa validamente invocarne l'estinzione o recederne in caso d'impossibilit sopravvenuta di esecuzione dello stesso. Ci a condizione che la situazione d'impossibilit derivi dalla scomparsa o distruzione definitiva di un oggetto indispensabile all'esecuzione del trattato. Va osservato che secondo l'art 61, par 2, analogamente al caso del mutamento fondamentale delle circostanze, la causa di estinzione in esame non opera se lo stato d'impossibilit la conseguenza di una violazione del trattato da parte dello Stato che la invoca. Come prima, anche qui i principi di buona fede ed equit operano in modo inadeguatamente restrittivo, nel senso che la causa di estinzione collegata unicamente ad un comportamento illecito. Nella causa Gabcikovo-Nagymaros, l'Ungheria aveva invocato a fondamento del recesso dal trattato del 1977 anche l'argomento dell'impossibilit sopravvenuta = nuove conoscenze scientifiche, nuove

regole internazionali. La Corte ha per respinto l'argomento dell'Ungheria, che aveva addotto pure la sopravvenuta difficolt finanziaria: Il Trattato del 1977 rese effettivamente disponibili alle parti i mezzi necessari per procedere ad ogni momento ad effettuare gli aggiustamenti richiesti da esigenze economiche ed ambientali. La Corte ritiene opportuno aggiungere che se lo sfruttamento congiunto dell'investimento non era diventato possibile, la causa va ricercata nel fatto che l'Ungheria non intraprese gran parte delle opere per cui era responsabile secondo il Trattato del 1977; l'articolo 61, paragrafo 2, della Convenzione di Vienna prevede espressamente che la sopravvenuta impossibilit di esecuzione non pu essere invocata da una parte ai fini dell'estinzione di un trattato, quando risulta dalla violazione di un obbligo contenuto in quel trattato. 4.6.3.5. Rottura delle relazioni diplomatiche e stato di belligeranza In questi casi ricorre una sorta di mutamento delle circostanze di natura fondamentale? Con riguardo alla rottura delle relazioni diplomatiche o consolari, l'art 63 prevede opportunamente una risposta negativa, nel senso che i trattati tra i Paesi coinvolti dalla rottura mantengono la loro validit, ad eccezione di quelli che hanno ad oggetto funzioni diplomaticoconsolari. Infatti, la rottura delle relazioni in discorso non comporta necessariamente l'estinzione dei rapporti giuridici tra gli Stati interessati. Pi complessa la valutazione degli effetti delle ostilit militari sulla vigenza dei trattati fra gli Stati belligeranti: l'art 73 prevede semplicemente che la Convenzione lasci impregiudicata qualsiasi questione che insorga in ordine a un trattato a causa dello scoppio di ostilit tra Stati. Questa disposizione non va letta semplicisticamente come un modo per evitare la complessit del tema, ma come una scelta di politica lgs mirata ad evitare di consolidare un regime giuridico ormai superato senza che si fosse perfezionato il regime sostitutivo. Infatti, il diritto consuetudinario tradizionale prevedeva nei rapporti fra gli Stati belligeranti l'estinzione di tutti i trattati in vigore tra loro dal momento dello scoppio delle ostilit. Tale regola, oggi abbandonata nella sua assolutezza, si alimentava del fatto che all'epoca della sua formazione la quasi totalit dei trattati internazionali avesse natura bilaterale. Essa non potrebbe operare rispetto a quei trattati multilaterali il cui oggetto fosse condiviso anche da stati terzi rispetto al conflitto. Si pu ritenere che i trattati sul trattamento degli stranieri continuino ad operare, quantomeno con riferimento a quegli obblighi la cui violazione sia in contrasto con gli elementari principi di umanit; cos come rimangono operativi i trattati che fissano frontiere, secondo una logica di coerenza sistematica in relazione al divieto generale di riconoscere le conquiste territoriali ottenute attraverso l'uso della forza. 5 LA CD SOFT LAW Esaminando la logica giuridica seguita dai giudici nazionali e internazionali nei casi sinora riportati in relazione alla determinazione dell'esistenza e del contenuto di una consuetudine, apparso spesso il riferimento a strumenti internazionali che per loro forma e natura non costituiscono fonte autonoma di diritto e che, quindi, non sono giuridicamente vincolanti in quanto tali. Allo stesso tempo, va osservato che i negoziati per la elaborazione di gran parte delle convenzioni multilaterali trovano di regola il loro momento iniziale nella preparazione e adozione di uno strumento giuridicamente non vincolante nella stessa materia. Si pu trattare di un atto di una organizzazione internazionale, oppure di un atto finale di una conferenza diplomatica, sia esso denominato pi o meno solennemente Carta, Dichiarazione, Piano d'azione, Regole modello, etc. Questo tipo di atti vengono generalmente definiti nel linguaggio giuridico-diplomatico moderno come atti di soft law, espressione che, evitando una infelice traduzione letterale, si potrebbe tradurre come atti quasi giuridici. Ci in quanto si tratta di atti che, pur non avendo forza giuridica autonoma, spesso assumono rilevanza giuridica, a volte in termini altamente significativi, costituendo tappe fondamentali nella formazione o nel consolidamento di regole giuridiche internazionali, sia convenzionali sia consuetudinarie. Oltre alle risoluzione dell'Assemblea generale, che in ragione della competenza di quest'ultima, appunto di carattere generale, possono riferirsi al pi ampio spetto tematico, l'adozione di atti in s

non vincolanti costituisce una tecnica di diplomazia multilaterale utilizzata prevalentemente in materia di diritti umani, diritto dell'economia e tutela dell'ambiente. 5.1. Atti di soft-law e consuetudine Facendo riferimento alle varie sentenze sopra esaminate, la rilevanza giuridica di atti soft risulta dipendere in larga misura dal modo in cui il loro contenuto si pone in relazione al diritto consuetudinario esistente, oppure a quello in corso di formazione. In primo luogo, evidente, infatti, che uno strumento cd di soft law, o elementi del suo contenuto, possano essere giuridicamente vincolanti nella misura in cui essi siano ricognitivi di una consuetudine preesistente. In secondo luogo, si pu concepire per uno strumento del tipo in esame una funzione di cristallizzazione di una consuetudine il cui processo di formazione fosse in stato avanzato al momento dell'adozione. Va, in pratica, considerata l'ipotesi che un atto di soft law si configuri come una manifestazione diffusa di opinio iuris in una determinata materia, che, coniugandosi con una prassi preesistente altrettanto diffusa, costituirebbe elemento determinante per la formazione di una consuetudine nella materia in questione. In terzo luogo, sempre nell'ottica che l'atto non vincolante rappresenti una opinio iuris significativamente diffusa, esso potr svolgere un effetto generatore di una consuetudine promuovendo comportamenti di prassi e ulteriori statuizioni di principio conformi al suo contenuto. Ci in termini identici a quelli previsti dalla Corte nella sentenza del 1969 sulla delimitazione della piattaforma continentale del Mare del Nord, con riferimento alle convenzioni di codificazione. La prassi prevalente dimostra che l'adozione di un documento giuridicamente non vincolante, a volte come soluzione di compromesso tra posizioni estreme, spesso segna l'inizio di un processo di formazione di regole giuridiche difficilmente arrestabile. Per il fatto di essere atti scritti non aventi natura di trattato, il loro contenuto costituisce un insieme di impegni politici piuttosto che di obblighi giuridici. E' come se gli Stati che partecipano al procedimento di elaborazione del testo volessero trovare un accordo di massima su ci che sarebbe desiderabile che divenisse giuridicamente obbligatorio senza peraltro arrivare a tanto. Sotto il profilo metagiuridico, l'assunzione di un impegno politico si trasforma in un obbligo sociale la cui forza proporzionale a quella delle aspettative di osservanza percepite da quella societ: in diritto si pu ragionevolmente sostenere che gli strumenti in questione possono costituire fonte di diritti e obblighi attraverso il principio della buona fede. Oscar Schachter: Da ci si deve dedurre che le dichiarazioni non vincolanti che esprimono impegni morali o politici sono governate dal principio generale della buona fede. I governi, con il loro comportamento nei fori internazionali sembrano implicitamente condividere simile tesi: ci spiega la cautela con cui i rappresentanti governativi negoziano il testo di documenti non vincolanti e l'attenzione con cui essi esprimono il proprio voto. Potrebbe sembrare, accogliendo la tesi di Schachter, che atti cd soft produrrebbero hard law. Ci che pi conta che l'equiparazione tra impegni politici e obblighi giuridici opera esclusivamente fintanto che gli Stati vincolati dagli impegni assunti attraverso strumenti soft non manifestino la volont di non pi rispettare tali impegni. Perci, essi possono essere dichiarati estinti a piacere unilateralmente dagli Stati che hanno sottoscritto l'atto di soft law. Con una PRECISAZIONE. La libert per uno Stato di svincolarsi dagli obblighi giuridici derivanti da uno strumento soft non pu validamente operare dopo che tali impegni siano stati invocati da altro stato: ci in ragione di una coerente applicazione del principio generale di buona fede. 5.1.1. Una esemplificazione in tema di protezione dell'ambiente Possiamo prendere come spunto di partenza la gi citata sentenza della Corte del 1997 relativa alla causa tra Ungheria e Slovacchia concernente il progetto Gabcikovo-Nagymaros sul Danubio. La Corte, dopo aver sostenuto la validit del Trattato del 1977, ha invitato le parti a reinterpretare congiuntamente il Trattato stesso e a riconsiderare l'impatto che la sua attuazione avrebbe avuto sull'ambiente, specialmente quello ungherese: nuove norme e standard sono stati elaborati e

specificati in un gran numero di strumenti negli ultimi due decenni (insieme ad altri elementi di prassi internazionale). Tali norme vanno prese in considerazione e a tali standard va dato il giusto peso, non solo quando gli Stati intraprendono nuove attivit, ma anche quando continuano attivit iniziate nel passato. Questo bisogno di riconciliare sviluppo economico e protezione ambientale efficacemente espresso nel concetto di sviluppo sostenibile. Tra le norme giuridiche consolidate dagli strumenti di soft law in esame vi il Principio 2 della Dichiarazione di Rio del 1992 per cui vietato agli Stati di usare o consentire a operatori privati un uso del proprio territorio che causi danni significativi sul territorio degli altri Stati e persino negli spazi che vanno oltre la sovranit territoriale degli Stati. E' significativo, poi, che il principio dello sviluppo sostenibile non sia stato indicato come principio ma come concetto: questo certamente un atteggiamento soft rispetto a un principio soft, trattandosi, tuttavia, di un riferimento che rafforza tale concetto sulla strada dell'acquisto di rilevanza giuridica!! Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che vada incontro ai bisogni del presente senza compromettere la capacit delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. Si pu rinvenire sin d'ora un elemento precettizio del principio dello sviluppo sostenibile nella sua caratterizzazione intergenerazionale in termini di obblighi di non fare, con particolare riferimento al principio del divieto di causare danni significativi. Ci nel senso che tale divieto opera anche quando una determinata attivit, pur non causando danni apprezzabili nel breve termine, causi nocumento irreparabile in una prospettiva futura agli interessi delle generazioni a venire. 5.2. Soft-law e trattati internazionali Si sopra osservato che la prassi prevalente dimostra che l'adozione di un documento giuridicamente non vincolante, tra i vari effetti possibili, abbia quello di consolidare l'inizio di un processo di formazione di regole giuridiche difficilmente arrestabile. Nella sezione precedente ci si soffermati sul ruolo degli atti cd soft in relazione alla formazione di consuetudini, rispetto a cui pu essere utile ricordare che il tipo di atti in esame forniscono un importante contributo scritto a un processo di formazione di regole per loro natura non scritte. Nel rapporto tra atti giuridicamente non vincolanti e trattati, invece, i primi svolgono un ruolo preparatorio per la elaborazione dei secondi. 5.2.1. Una esemplificazione in tema di diritti dell'uomo L'es pi significativo di convenzioni precedute e preparate dall'adozione di documenti non vincolanti nella stessa materia quello fornito dai due Patti delle Nazioni Unite del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici, l'uno, e sui diritti economici, sociali e culturali, l'altro, ambedue entrati in vigore nel 1976. Si pu dire che il lavoro principale di redazione e, quindi, di negoziazione dei due strumenti convenzionali si sia svolto con la preparazione del testo della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 che, come abbiamo visto, una risoluzione dell'Assemblea. Quest'ultima, infatti, a sua volta composta di una prima parte, nella quale vengono enunciati una serie di diritti appartenenti alla categoria dei cd diritti civili e politici (ad es il divieto della schiavit, di trattamento disumano, di arresto arbitrario, di discriminazione, giusto processo, varie libert..) e di una seconda parte, dedicata questa ai cd diritti economici, sociali e culturali (ad es, il diritto alla previdenza sociale, al pieno impiego e a eque condizioni di lavoro, istruzione..). Il carattere giuridicamente non vincolante della Dichiarazione universale in quanto tale, almeno al momento della sua adozione (si pensi, ad es, alla tesi per cui essa trarrebbe la propria giuridicit dal fatto di costituire strumento interpretativo, e quindi integrante, di disposizioni giuridicamente vincolanti) , deriva, oltre che dalla natura di risoluzione dell'atto che la contiene, dallo stesso linguaggio negoziato dagli Stati membri da cui si desume il carattere programmatico ed esortativo del documento. Il negoziato che ha portato all'adozione della risoluzione in esame senza voti contrari, ma con l'astensione di otto delegazioni (quelle dei Paesi socialisti, dell'Arabia Saudita e del Sud Africa, che all'epoca si distingueva per la discriminazione razziale come pratica sistematica di governo, cd apartheid) fu ripreso nel 1954 dopo uno stallo di cinque anni per arrivare all'adozione da parte

dell'Assemblea generale nel 1966 delle due convenzioni in materia. A conferma della considerazione che lo sforzo redazionale che ha portato al testo dei due Patti ha coinciso in larga misura con quello impiegato per la redazione della Dichiarazione, si rileva che i due testi convenzionali del 1966 quasi in nulla hanno cambiato il testo di quest'ultima, adottata 18 anni prima. Solo due sono le differenze sotto il profilo delle disposizioni materiali, a parte quelle procedurali e di controllo sull'osservanza previste dai Patti, inevitabilmente assenti nella Dichiarazione (INCISO: l'unico modo di creare meccanismi procedurali giuridicamente obbligatori quello di dare natura convenzionale alle regole che ne prevedono l'istituzione e il funzionamento). La prima differenza consiste nell'aggiunta del diritto all'autodeterminazione dei popoli (all'art 1 comune ai due Patti), che si spiega in relazione all'esigenza delle delegazioni di Paesi di recente indipendenza e di quelli socialisti di trovare uno strumento che desse riconoscimento al processo di decolonizzazione che in quegli anni era in fase di esplosione. La seconda differenza consiste nell'assenza del diritto di propriet dal testo dei Patti. Anche questa fu una vittoria negoziale dei Paesi del Terzo Mondo e socialisti, perseguita al fine di togliere un puntello alla regola consuetudinaria sostenuta dai Paesi Occidentali, nel senso del divieto di espropriazione dei beni stranieri. Cambiamenti strutturali: La divisione del testo in due strumenti era necessaria in quanto gli obblighi relativi ai diritti civili e politici devono essere direttamente eseguibili, mentre quelli economici, sociali e culturali dipendono dal livello di sviluppo dei singoli paesi (altrimenti controlli troppo flessibili o rigidi). Cambiamenti procedurali: meccanismi di controllo dell'osservanza degli strumenti in questione. Il Patto sui diritti civili e politici prevede un organo di controllo, lo Human Rights Committee, composto da 18 membri che hanno il compito di esaminare i rapporti sullo stato del rispetto dei diritti in questione che gli Stati parti hanno l'obbligo di presentare ogni cinque anni (vige poi la cd regola del previo esaurimento dei ricorsi interni). Un modello di elaborazione di testi convenzionali del tipo sopra descritto stato seguito con riguardo alle altre convenzioni ONU in materia di diritti dell'uomo. E' questo il caso dell'adozione, tra le altre, della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965, preceduta dalla risoluzione 1904; quella riguardante le donne del 1979 preceduta dalla 2263,.. 5.2.2. ... in tema di protezione dell'ambiente I processi di formazione delle convenzioni multilaterali in materia di protezione dell'ambiente dimostrano con consistente regolarit un modello analogo a quello sopra illustrato in tema di diritti umani, per cui le regole materiali convenzionali in questo campo vengono generalmente preparate in documenti non vincolanti, per poi venire promosse traducendole in strumenti convenzionali. Spesso tali convenzioni in materia ambientale hanno contenuti assai generali, si tratta di solito di cd convenzioni-quadro, che vengono successivamente specificate attraverso l'adozione di protocolli aggiuntivi su singoli aspetti della convenzione di riferimento. Un es illustrativo il processo che ha portato alla adozione nel 1994 della Convenzione di Parigi per la lotta alla desertificazione. Il linguaggio di partenza (e in larga misura anche di arrivo) di tale Convenzione, infatti, si pu ritrovare nel documento non vincolante Piano d'azione per la lotta alla desertificazione, adottato dalla Conferenza ONU sulla desertificazione del 1977. Il contenuto delle sue disposizioni stato ulteriormente consolidato attraverso il loro recepimento in un altro autorevole documento di soft law, l'Agenda 21, adottata alla Conferenza di Rio del 1992. 5.3. Il cd effetto di liceit Per completezza, va indicato un effetto giuridico autonomo della tipologia degli atti in questione che stato configurato in dottrina coniugando il principio della buona fede con l'obbligo di collaborazione degli Stati membri dell'ONU al perseguimento dei suoi fini statutari. Si tratta del cd effetto di liceit delle risoluzioni dell'Assemblea generale. L'effetto di liceit si configurerebbe come causa escludente l'illiceit ed da ammettere solo nel rapporto tra gli Stati membri (nonch, in applicazione di quanto abbiamo sempre sostenuto circa il dovere degli organi di rispettare la

Carta, solo in ordine alle raccomandazioni legittime). La collocazione sistematica di questa tesi nell'ambito dei rapporti tra atti giuridicamente non vincolanti e trattati si spiega con il fatto che il preteso effetto giuridico in questione trarrebbe fondamento da una interpretazione teleologica della Carta ONU, che resta il trattato internazionale per eccellenza. Sotto il profilo procedurale, una risoluzione legittimamente adottata darebbe fondamento giuridico alla presunzione di legittimit del comportamento ad essa conforme, con conseguente inversione dell'onere della prova = spetta allo Stato che ha adottato un comportamento in contrasto con la risoluzione dimostrarne la liceit! 5.4. Problemi di scelta tra strumenti giuridicamente vincolanti e non vincolanti Nei negoziati internazionali tale scelta di regola un problema relativo al grado di impegno politico che gli Stati sono disposti a mettere in gioco. Sembra di utilit pratica considerare alcuni parametri oggettivi ed astratti relativi ad una situazione di scelta del tipo in questione, indipendentemente dal contenuto del testo oggetto della scelta stessa. 5.4.1. Possibili vantaggi nell'adozione di strumenti di soft law rispetto all'adozione di testi convenzionali In primo luogo, si pu ritenere che il negoziato di uno strumento giuridicamente non vincolante abbia il vantaggio di essere pi agevole e, quindi, pi veloce, in quanto miri ad un risultato giuridicamente meno impegnativo. Tuttavia, la prassi internazionale dimostra che la negoziazione di tali strumenti pu essere talvolta lunga e difficoltosa (in questo senso Christine Chinkin). Le ragioni di questo fenomeno sono sostanzialmente due: da un lato, vi la consapevolezza dei delegati del possibile effetto generatore di consuetudine che potr svolgere l'adozione di un determinato documento in s non vincolante; dall'altro, vi la consapevolezza che, una volta adottato un determinato testo, anche se in forma non vincolante, quando si aprir un negoziato per l'adozione di una convenzione sulla stessa materia, il tenore letterale dello strumento di soft law costituir un punto di riferimento dal quale sar difficile discostarsi in modo significativo. In secondo luogo, si ritiene generalmente che uno strumento giuridicamente non vincolante abbia il vantaggio della flessibilit e dell'agilit delle procedure di adozione e funzionamento. Esso, infatti, non soggetto alla ratifica, n a requisiti internazionali per la sua entrata in vigore. D'altro canto, simile vantaggio attenuato dalla diffusa prassi dell'applicazione provvisoria dei trattati (art 25 Convenzione di Vienna). In terzo luogo, analogamente a quanto appena indicato con riguardo alle procedure di adozione ed entrata in vigore, un documento non vincolante presenta maggiore flessibilit nel mutamento rispetto alle procedure di emendamento dei trattati. INCISO: l'adozione viene effettuata sia con riferimento a strumenti destinati a restare giuridicamente non vincolanti, che a trattati internazionali multilaterali (questi ultimi, di regola, acquistano la natura di accordo solo dopo il deposito di un numero minimo di ratifiche). Sino ad allora la distinzione tra uno strumento non vincolante e un trattato multilaterale solo virtuale. Infine, con specifico riferimento ai processi di codificazione di regole consuetudinarie di portata generale ed astratta, l'adozione di strumenti non vincolanti presenta il vantaggio di mitigare i rischi di smontare il diritto consuetudinario oggetto di negoziato, non solo nella trattativa, ma particolarmente attraverso le eventuali mancate ratifiche alla convenzione di codificazione. Condorelli in questioni delicate e controverse uno strumento di codificazioni pu portare numerosi stati a non ratificarlo o a non accedervi=la codificazione aumenter difficolt e tensioni. Dalla fine degli anni '80, dopo la rinegoziazione del diritto consuetudinario in via convenzionale (avvenuta per i noti motivi storico-politici), l'attenuazione delle divisioni ideologiche nella comunit internazionale ha contribuito a riprendere in considerazione che il processo di codificazione del diritto internazionale possa assumere formule meno rigide di quella convenzionale. A titolo di es, durante il dibattito all'interno del Gruppo di lavoro della Sesta Commissione dell'Assemblea generale (1999) sul tema delle immunit giurisd degli Stati e dei loro beni, emerge dal rapporto finale che un certo numero di delegazioni si fosse opposto alla codificazione convenzionale della materia a vantaggio di un testo giuridicamente non vincolante:

In un mondo meno diviso, regole modello non dovrebbero essere necessariamente percepite come un mezzo secondario di codificazione, ma potrebbero costituire lo specchio del diritto consuetudinario esistente. Con lungimirante percettivit, l'internazionalista italiano Professor Roberto Ago, gi componente della CDI e Presidente della Conferenza di Vienna sul diritto dei trattati, circa 15 anni fa anticipava le tendenze appena delineate (in realt in declino a partire dalla seconda met degli anni '90) nei seguenti termini: Non vi pi ragione oggi per cui il diritto internazionale abbandoni le sue aperte strutture tradizionali per rifugiarsi nel quadrante chiuso di un diritto interamente convenzionale. Conferma: adozione da parte dell'Ass Gen del progetto di articoli sulla responsabilit internazionale (2001) e del progetto sulla responsabilit da fatto lecito (2006). 5.4.2. Possibili vantaggi nell'adozione di un testo convenzionale In primo luogo, prescindendo dalla speciale categoria delle convenzioni di codificazione di cui si sopra trattato, il vantaggio principale consiste qui nel maggior grado di impegno politico per gli Stati parti che tale soluzione comporta. In tale prospettiva, va considerata l'importanza del coinvolgimento parlamentare nell'assunzione degli obblighi, attraverso il procedimento di autorizzazione o approvazione del testo, in formato pattizio. In secondo luogo, a corollario di quanto appena detto, un testo convenzionale, reso esecutivo con legge dello Stato, comporta una maggiore facilit, in termini di fondamento giuridico, per le amministrazioni degli Stati parti nello stanziamento dei fondi e nella messa a disposizione delle risorse umane necessari all'attuazione dello strumento. Ci si collega poi alla maggiore pubblicit dello strumento rispetto agli organi nazionali preposti ad attivit puramente interne, il cui coinvolgimento indispensabile per l'attuazione di strumenti internazionali che riguardano sempre pi attivit tradizionalmente di diritto interno, quali sanit, trasporti, ambiente, agricoltura, etc. In terzo luogo, la natura convenzionale di uno strumento ne facilita i possibili seguiti procedurali, istituzionali e finanziari dandovi pi solido fondamento giuridico a livello internazionale. Si pu fare riferimento, particolarmente nell'ambito dei sempre pi numerosi trattati multilaterali in materia ambientale, alla istituzione delle conferenze degli Stati parti che, a loro volta, istituiscono organi sussidiari incaricati di studiare i problemi di attuazione della convenzione di riferimento e di proporre possibili soluzioni. La prassi mostra, per, alcuni casi di meccanismi istituzionali previsti da documenti non vincolanti!, la cui efficacia dipende dalla percezione della loro autorevolezza. Infine, vanno indicati i vantaggi specifici relativi alle cd convenzioni-quadro (framework conventions), che non risultano per nella Convenzione di Vienna. Esse contengono disposizioni cd di mezzo e non di risultato, o che contengono obblighi cd di diligenza, o semplicemente programmatiche e, quindi, normativamente incomplete. In tal caso, si pu parlare di disposizioni di soft-law in formato convenzionale = vantaggio di flessibilit, insito nel basso tasso di normativit. E' caratteristica ricorrente, quindi, che simili convenzioni costituiscano un quadro di riferimento generale che verr specificato e reso pi stringente GRADUALMENTE in fase di applicazione, attraverso il supporto di organi specifici e mediante l'elaborazione di Protocolli successivi. Un ulteriore vantaggio del carattere soft delle disposizioni materiali contenute in questo tipo di convenzioni quello di consentirne un'attuazione differenziata da parte dei singoli Stati parti sulla base delle loro diverse caratteristiche e capacit economico-finanziare, tecnico-scientifiche e regolamentari. Va infine osservato che, di regola, una convenzione-quadro caratterizzata da una serie di disposizioni istituzionali e di organizzazione, che istituiscono, ad es, le Conferenze degli Stati parti, di cui la convenzione prevede la cadenza delle convocazioni ordinarie, le competenze e i poteri.

6 RAPPORTI TRA REGOLE: STABILITA' E MUTAMENTO Dalla fine della 2GM, specialmente sotto l'impulso delle NU, l'evoluzione della regolamentazione giuridica internazionale ha subito una tale accelerazione che il processo di formazione di nuove regole consiste oggi nella sostituzione, trasformazione o specificazione di regole preesistenti. In uno dei corsi generali pi ispirati di diritto internazionale privato tenutisi all'Accademia di diritto internazionale dell'Aja, il Professor Frits Schwind ha svolto l'intera trattazione tenendo costantemente conto della tensione, irrisolvibile in termini assoluti e definitivi, tra le esigenze di stabilit e di mutamento di ogni aggregato umano e, quindi, delle regole che presiedono ai rapporti tra i suoi componenti. Nella introduzione e nella conclusione del suo corso il Professore ha svolto una serie di considerazioni generali applicabili alla dinamica di qls ordinamento giuridico, quindi anche di quello internazionale, la cui semplicit e profondit possono fornire una utile chiave di lettura delle considerazioni di tecnica giuridica che verranno svolte nelle pagine che seguono. E' opportuno ricordare che il diritto si sviluppa tra due estremi: il rigore e la flessibilit. Il rigore deve garantire la stabilit del diritto nel senso che casi sistematicamente identici devono essere decisi in modo identico. Tale stabilit un'esigenza della giustizia sistematica. La flessibilit, cio l'adattabilit del diritto alle esigenze del caso in questione, anche un postulato di giustizia del caso particolare. Il mutamento delle regole riguarda primariamente la funzione di produzione del diritto che, come indicato altrove, un processo politico nel quale si utilizzano procedure a loro volta determinate da regole giuridiche di portata generale, le cd regole sulla produzione giuridica. Ci attiene a quello che possiamo definire il ricambio formale delle regole giuridiche, che costituir l'oggetto principale della presente sezione. Allo stesso tempo, il mutamento e la trasformazione giuridica si possono realizzare in fase di attuazione delle regole secondo logiche interpretative di carattere evolutivo. Il principio della flessibilit nell'applicaz/accertam/interpr del diritto opera una trasformazione della regola di natura evolutiva e contingente: pu risolversi in un mutamento sostanziale di tipo evolutivo della regola o pu consolidarsi nella prassi come precedente. Se si producono ambedue queste condizioni possono promuovere un cambiamento evolutivo della regola che ha portata generale. Quando poi il mutamento sostanziale tanto radicale da configurarsi come fenomeno contra legem, esso sfocia nel ricambio formale della regola giuridica internazionale. In questa sezione verranno esaminate le modalit di successione delle regole internazionali in base alle diverse combinazione delle fonti da cui emanano le nuove regole. 6.1. Tipologie di successione delle regole giuridiche nella stessa materia in relazione alla fonte giuridica Per avere il senso di come il diritto internazionale abbia un forte carattere evolutivo all'interno di singole aree di diritto materiale, basti pensare a titolo di es all'evoluzione del diritto del mare. Si tratta di un settore del diritto internazionale per lungo tempo tra i pi stabili e meno controversi, ispirato per oltre tre secoli al semplice principio della libert dei mari e limitato sostanzialmente al diritto di navigazione. A partire dal 1945 questo settore stato caratterizzato da una straordinaria accelerazione nella formazione, trasformazione e ricambio di regolamentazione. Tale sviluppo normativo ha portato a un complesso e articolato rapporto di successione e interazione di regole giuridiche di natura consuetudinaria e convenzionale. I risultati del primo processo di codificazione, le quattro Convenzioni di Ginevra del 1958, si rivelarono presto inadeguati alle nuove esigenze economiche e alle nuove capacit tecnologiche di sfruttamento delle risorse marine. Fu cos che all'inizio degli anni '70 la Comunit Internazionale, in ambito ONU, ha intrapreso un processo di ricambio formale di quelle regole convenzionali, con nuove regole della stessa natura, perfezionatesi nella Convenzione di Montego Bay del 1982. Va peraltro rilevato come, prima dell'adozione di quest'ultima, gli Stati abbiano iniziato ad adottare comportamenti, anche di natura lgs e amministrativa, conformi al contenuto di progetti di disposizioni poi confermati nella Conferenza di Montego Bay, senza che tali comportamenti abbiano suscitato proteste da parte di terzi.

6.1.1. Il rapporto nel tempo tra regole convenzionali nella stessa materia Il ricambio di regole convenzionali mediante regole convenzionali quello che prevede in linea di principio le modalit pi semplici di attuazione e rilevazione, in quanto si tratta di regole tutte della stessa natura scritta e basate sul consenso espresso nei termini che sono gi stati analizzati in relazione alla stipulazione dei trattati. La situazione pi semplice quella considerata nell'art 59 della Convenzione di Vienna, in cui gli Stati parti di due accordi internazionali nella stessa materia coincidono. In questo caso, il trattato precedente viene abrogato da quello successivo, se questo decisamente incompatibile con il precedente, oltre all'ovvia ipotesi in cui tale effetto emergesse dalla volont delle parti nel secondo trattato. E' possibile poi che dei due trattati nella stessa materia solo alcune disposizioni siano incompatibili. In tal caso, ambedue i trattati si applicheranno con riferimento alle disposizioni tra loro compatibili (art30 par3). Sicuramente pi complessa l'ipotesi in cui non vi sia coincidenza tra gli Stati parti di due o pi accordi nella stessa materia: questo pu verificarsi rispetto a due trattati bilaterali, a uno bilaterale e uno multilaterale, o a due multilaterali. (es. A e B concludono un trattato imcompatibile con quello
precedentemente concluso tra B e C: B decide a quale confermarsi violando l'altro).

La prassi convenzionale dimostra proprio come il problema dei trattati successivi incompatibili rispetto a cui alcuni Stati sono parti di ambedue, mentre altri sono parti solo del primo o del secondo, sia particolarmente diffuso, appunto con riferimento ai trattati multilaterali. La diffusione del fenomeno ha portato gli Stati a seguire un approccio preventivo al problema elaborando all'interno delle convenzioni le cd clausole di conflitto: si tratta, in pratica, di clausole di subordinazione, compatibilit o prevalenza tra la convenzione che la contiene e trattati precedenti o successivi. L'es pi significativo di clausola di prevalenza, sia rispetto a trattati precedenti che successivi, costituito senz'altro dall'art 103 della Carta ONU, cui soggiace espressamente la stessa Convenzione di Vienna (art 30). L'applicazione pi rilevante dell'art 103 della Carta si verificata nella causa Lockerbie (v pag 198): Nel caso di un conflitto tra gli obblighi derivanti dalla presente Carta per i membri delle Nazioni Unite e i loro obblighi secondo altri accordi internazionali, gli obblighi secondo la Carta prevarranno. Nel caso di specie, il contrasto era tra la Convenzione di Montreal del 1971 sulla sicurezza aerea e l'art 103, in combinato disposto con l'art 25, che prevede il carattere obbligatorio delle decisioni del Consiglio di sicurezza (la Libia sosteneva, inutilmente, una violazione del principio aut dedere aut judicare recepito nella Convenzione di Montreal). Un es, invece, di clausola di subordinazione o compatibilit, rispetto ai trattati precedenti, costituito dall'art 307 TCE, oggi parte integrante dell'UE: Le disposizioni del presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse anteriormente al 1.1.1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o pi Stati membri da una parte e uno o pi Stati membri dall'altra. Preoccupazione principale: compatibilit con il Trattato del 47 sulla liberalizzazione del commercio internazionale GATT, oggi parte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) l'istituzione di un unione doganale poneva problemi di compatibilit tra i due trattati. Sta agli stati eliminare le incompatibilit. Il tema sicuramente tecnico e pu apparire complesso; soprattutto, esso riveste una notevole importanza pratica, non solo nella fase di accertamento del diritto applicabile, ma anche in ordine alle scelte governative in tema di stipulazione dei trattati. Ci, non solo con riguardo alla elaborazione delle clausole di conflitto, ma anche con riferimento alla scelta se ratificare o aderire ad un trattato successivo ad altro precedentemente ratificato nella stessa materia (v pag200, relativamente al caso della Convenzione di Helsinki del 1992 sull'uso dei corsi d'acqua transfrontalieri e la successiva Convenzione di New York del 1997 sulla stessa materia).

6.1.2. Il rapporto nel tempo tra regole consuetudinarie e regole convenzionali successive nella stessa materia (no vero e proprio ricambio) L'elaborazione di regole convenzionali in materie regolate dal diritto consuetudinario generale spesso mirata al consolidamento delle seconde in forma scritta, piuttosto che al loro ricambio. Abbiamo gi visto sopra come il fenomeno in questione si sia verificato inizialmente nella trascrizione a livello bilaterale di regole consuetudinarie generali consolidandole, ma anche specificandole, nei rapporti binari tra Stati interessati. Anche a livello multilaterale. Il termine successione di regole convenzionali a regole consuetudinarie non indica poi adeguatamente, o cmq in modo esaustivo, il fenomeno che si vuole illustrare (Nicaragua c US). La sopravvivenza di regole consuetudinarie coincidenti con regole convenzionali successive svolge l'effetto pratico di mantenere in vigore i medesimi diritti e obblighi contenuti nella convenzione nell'ipotesi di nullit, estinzione, denuncia o recesso e, cmq, per gli Stati che non siano parti della convenzione in questione. NB: in ogni caso, affinch una consuetudine possa essere derogata da un trattato, quest'ultimo dovr contenere un linguaggio esplicito in tal senso e la deroga non potr essere desunta dall'assenza di esplicita conferma della consuetudine in questione nel testo convenzionale. Nella causa Elettronica Sicula S.p.A., tra Stati Uniti e Italia, la Corte arrivata ad affermare, appunto, che essa non in grado di accettare che un importante principio di diritto internazionale consuetudinario (nel caso di specie, il principio per cui il diritto consuetudinario condiziona l'ammissibilit della protezione diplomatica al previo esaurimento dei ricorsi interni) possa ritenersi messo tacitamente da parte, in mancanza di un'intenzione scritta in questo senso. 6.1.3. Il rapporto nel tempo tra regole convenzionali e regole consuetudinarie successive nella stessa materia Certamente, l'elemento pi dinamico nel rapporto tra regole consuetudinarie e convenzionali nella stessa materia quello relativo all'effetto generatore di una nuova consuetudine da parte di una convenzione: questo avviene generalmente attraverso una convenzione di codificazione e si tratta della ipotesi in cui una regola convenzionale, innovativa rispetto al diritto consuetudinario al momento della sua adozione, costituisca termine di riferimento della prassi e opinio iuris degli Stati, anche non parti della Convenzione, in termini da promuovere la formazione di una nuova regola consuetudinaria ad essa coincidente. L'effetto pratico di questa ipotesi sar quello per cui i diritti e gli obblighi previsti dalla regola consuetudinaria in questione opereranno anche nei rapporti tra Stati non parti della Convenzione e tra questi e gli Stati parti (piattaforma continentale danimarca,olanda,germania). Vi poi l'ipotesi in cui una consuetudine si formi successivamente all'entrata in vigore di una convenzione e il contenuto della prima sia incompatibile rispetto a quest'ultima. Nella Convenzione di Vienna non vi alcuna disposizione che contempli tra le cause di estinzione o tra le modalit di emendamento o modifica dei trattati uno ius superveniens di carattere consuetudinario, a parte l'ipotesi delle norme di ius cogens (art 71):
l.Nel caso di un trattato che sia nullo in base allarticolo 53, le parti sono tenute: a) ad eliminare, per quanto possibile, le conseguenze di ogni atto compiuto in base ad una disposizione che sia in contrasto con la norma imperativa di diritto internazionale generale; e b) a portare le loro relazioni reciproche in conformit con la norma cogente del diritto internazionale generale. 2.Nel caso di un trattato nullo o estinto secondo allarticolo 64, l'estinzione del trattato: a) libera le parti dallobbligo di esecuzione del trattato; b) non pregiudica i diritti, obblighi o situazioni giuridiche delle parti creati attraverso lesecuzione del trattato prima della sua estinzione; a condizione che detti diritti, obblighi o situazioni possono essere mantenuti nella misura in cui non siano in conflitto con la nuova norma imperativa di diritto internazionale generale.

NB: in ogni caso, in assenza di una gerarchia tra fonti, il diritto generale prevede la derogabilit di regole convenzionali da parte di regole consuetudinarie successive, anche quando quest'ultime non avessero carattere cogente (v pagg 206-7, relativamente alla Convenzione di Ginevra del 1958 sull'alto mare, che fissava a 12 miglia dalla costa, zona contigua, il limite dell'area di mare sulla quale gli Stati costieri avrebbero potuto esercitare in termini esclusivi la sovranit economica, con particolare riguardo alle risorse ittiche, biologiche, minerali e petrolifere).

Un es autorevole di riconoscimento del principio di derogabilit del diritto pattizio attraverso una consuetudine successiva si rinviene nel parere consultivo del 1971 relativo alla Namibia, in cui la Corte ha dato conferma della modifica consuetudinaria dell'art 27 della Carta ONU. Quest'ultimo prevede che le decisioni di carattere sostanziale del Consiglio di sicurezza vengano adottate con una maggioranza che comprende il voto favorevole di tutti e cinque i membri permanenti: tuttavia, dal 1946 i membri permanenti hanno trovato politicamente conveniente lasciarsi la libert di astenersi rispetto a determinate delibere senza che la loro astensione costituisse un veto rispetto alla adozione della delibera stessa. Di fatto, i presidenti di turno del Consiglio hanno sempre ritenuto adottate le delibere nonostante la mancanza di voto concorrente di tutti i membri permanenti, purch senza il loro voto contrario. La prassi modificativa del Trattato istitutivo delle NU si sviluppata in termini analoghi alle consuetudini costituzionali. 6.1.4. Il ricambio di regole consuetudinarie tra loro Almeno nella sua fase iniziale, la prassi indirizzata alla formazione della nuova consuetudine sar caratterizzata da comportamenti in violazione della consuetudine precedente, i quali costituiranno elementi di prassi contra legem che, di conseguenza, se accompagnati da una opinio iuris nello stesso senso, o almeno in assenza di argomenti giustificativi per escludere l'illiceit della violazione, indeboliranno l'efficacia giuridica della disciplina esistente in materia, sino ad estinguerla, prima, ed eventualmente sostituirla, poi. (fenomeno riconosciuto nella causa Nicaragua c. Stati Uniti). La situazione di passaggio tra una vecchia e una nuova regola comporta inevitabilmente una forte incertezza sullo stato del diritto, sino a poter comportare un vuoto giuridico, nel senso che, per un certo periodo di tempo, la prassi contra legem, pur accompagnata da una opinio iuris relativamente diffusa, non sar sufficiente a dimostrare l'esistenza di una nuova consuetudine, ma sar sufficiente a smantellare l'efficacia giuridica di una consuetudine preesistente nella stessa materia. Il problema della certezza del diritto deve essere risolto in via di accertamento del diritto, di volta in volta. 7 I SOGGETTI CHE PARTECIPANO ALLA FORMAZIONE DELLE REGOLE INTERNAZIONALI E I LORO DESTINATARI 7.1. Gli Stati e il problema della loro soggettivit Dall'esame della prassi sinora condotto relativamente ai processi di formazione delle regole internazionali, sia consuetudinarie sia convenzionali, appare con chiarezza come tali processi siano prerogativa fondamentale degli Stati. Il concetto giuridico di Stato cui possiamo induttivamente prevenire mediante tale rilevazione empirica ci indirizza verso aggregati umani stanziati su un territorio e organizzati secondo forme di governo caratterizzate dall'indipendenza dell'esercizio della sovranit lgs, giudiziale ed esecutiva. Si tratta dell'indipendenza nell'esercizio della sovranit interna, tutt'altro che internazionalmente irrilevante. A ci si aggiunga il requisito dell'indipendenza nell'esercizio della sovranit esterna: con questa si intende la capacit dell'organizzazione statale di condurre liberamente una vita di relazione con gli altri soggetti internazionali mediante l'adozione di atti unilaterali, la partecipazione a negoziati e alla vita di organizzazioni internazionali, alla conclusione di accordi, etc. Tutto ci secondo le scelte che risultano dalla dialettica del processo politico, tra governo, parlamento e societ civile, nella libert da illecite interferenze coercitive da parte di altri Stati. La prima situazione giuridica soggettiva con la quale si identifica l'acquisto della soggettivit internazionale conseguente all'effettivit di un governo su un popolo e a quella del suo controllo esclusivo su un territorio, il diritto sovrano corrispettivo all'obbligo di tutti gli altri Stati di astenersi dall'interferire nell'esercizio della sua sovranit interna e internazionale. Dottrina italiana: gli stati sono enti di fatto dotati dei requisiti dell'indipendenza, dell'effettivit e della stabilit di cui l'ord giur internazionale prende nota e a cui conferisce di conseguenza prerogative e diritti sul piano internazionale. Dir internazionale: lo stato non un mero dato fattuale, ma norme e principi giuridici (divieto uso forza,autodeterminazione..) vanno ad incidere/interdire l'acquisto della personalit giuridica

internazionale di entit pur dotate di capacit di governo effettiva ed autonoma. NB= i requisiti di effettivit (popolazione territorio governo) devono x forza accompagnarsi ad altri principi giuridici (uso forza, autodeterminazione dei popoli). Questa tesi per si scontra con la realt del diritto internazionale: es repubblica secessionista dell'ossezia del sud forte dipendenza politica, economica e militare dalla Russia fa si che non abbiano acquisito una soggettivit sul piano internazionale. L'effettivit non pi determinante all'acquisto della soggettivit se il resto (o la maggior parte) della Comunit Internazionale non percepisce o non vuole riconoscere le conseguenze giuridiche e politiche di tale effettivit. 7.1.1. Il riconoscimento Nello stadio attuale di sviluppo della Comunit Internazionale, il problema dell'acquisto della cd soggettivit degli Stati si pone in termini di trasformazione o riorganizzazione degli assetti statali, piuttosto che nella formazione di nuovi Stati dal nulla. Il problema ha assunto notevole rilevanza all'epoca della formazione di nuovi Stati nel periodo della decolonizzazione e si riproposto pi recentemente nel processo di transizione politico-istituzionale scaturito dalla fine della Guerra Fredda, in particolare con lo smantellamento dell'ex-Unione Sovietica e della ex-Yugoslavia. La prassi internazionale offre es secondo cui la formaz di un nuovo Stato, oltre ai requisiti di effettivit (legati ai tre elem costitutivi di un nuovo Stato, e cio governo, popolo e territorio), potrebbe essere subordinata ad una 'accettazione' da parte della Comunit Internazionale degli Stati. Tale accettazione verrebbe manifestata di volta in volta dagli Stati preesistenti, individualmente o collettivamente, nell'ambito di organizzazioni internazionali regionali o universali = si tratta del cd fenomeno del riconoscimento, che si riscontra non solo con riferimento alla formazione di nuovi Stati, ma anche rispetto a nuovi governi risultanti da mutamenti fondamentali di regime. Si pensi, ad es,che l'Italia riconobbe la Cina nel 73 che gli Stati Uniti riconobbero la Cina Popolare solo nel 1978, ben sette anni dopo che essa fu ammessa alle Nazioni Unite in sostituzione di Taiwan!! Sostenere l'inesistenza giuridica degli Stati non riconosciuti significherebbe suffragare una paradossale separazione tra realt e diritto!! L'unica condizione per conferire al riconoscimento effetti sulla personalit giuridica di uno Stato potrebbe consistere nel rifiuto di larghissima parte degli Stati della comunit internazionale, nella misura in cui ci comportasse una condizione di isolamento della nuova entit tale da incidere sulle condizioni di effettivit sopra indicate. Non si pu, in pratica, non condividere la tesi per cui il riconoscimento abbia valore meramente ricognitivo e non costitutivo della personalit giuridica, avendo esso valore esclusivamente politico o, come si direbbe in termini strettamente giuridici, configurando un'ipotesi di atto meramente lecito. Particolare attenzione merita la Dichiarazione dei Ministri degli esteri dei dodici (allora) Stati membri delle Comunit europee circa le linee direttrici sul riconoscimento di nuovi Stati in Europa orientale e in Unione Sovietica del dicembre 1991, relativamente al rispetto dei principi di legalit in generale, e in particolare del divieto dell'uso della forza, della democrazia, dei diritti dell'uomo e delle minoranze; inviolabilit dei confini territoriali, impegno al disarmo e questione nucleare. La comunit e gli stati membri non riconosceranno mai entit che siano il risultato di aggressioni e terranno conto degli effetti che il riconoscimento avr sugli stati limitrofi. Non si pu attribuire a questo documento, per quanto eticamente e politicamente apprezzabile, il valore di contributo determinante di opinio iuris o di prassi nel senso del consolidamento di una consuetudine internazionale che aggiunga il principio della legalit democratica alle condizioni di effettivit cui il diritto internazionale ricollega l'acquisto della soggettivit internazionale di un nuovo Stato. Come efficacemente sottolineato dal Professor Tullio Scovazzi, con questo atto i dodici Stati che costituivano allora le Comunit Europee non intendevano arrogarsi il diritto di dichiarare se e quando uno Stato esiste, ma soltanto concordare tra di loro a quali condizioni avrebbero riconosciuto i nuovi Stati. Pare oggi prematuro rilevare il perfezionamento di una regola giuridica internazionale che veda il

rispetto della legalit democratico come condizione della formazione della soggettivit internazionale di uno Stato. Non fosse altro per il fatto che difficilmente si pu immaginare oggi una regola internazionale che comporti l'estinzione della personalit giuridica internazionale nei casi non infrequenti di deriva antidemocratica di Stati di antica formazione. Ne deriva, quindi, che il principio dell'effettivit resta condizione necessaria e sufficiente alla costituzione di uno Stato come entit capace di concludere accordi internazionali. 7.2. Le organizzazioni intergovernative Con riferimento alle regole consuetudinarie, dobbiamo ricordare il ruolo delle risoluzioni degli organi assembleari delle organizzazioni, prima fra tutte l'ONU. A cavallo poi tra diritto consuetudinario e diritto convenzionale, si evidenziano le importanti e numerose convenzioni di codificazione del diritto internazionale. Tra queste, in particolare, quelle promosse dall'Assemblea generale ONU, ai sensi dell'art 13 della Carta. In effetti, la quasi totalit dei trattati internazionali multilaterali contemporanei coincide con trattati promossi e adottati all'interno di organizzazioni internazionali. Spesso, anche il trattato istitutivo di una organizzazione internazionale fonte di regole di condotta che vanno oltre la disciplina dei poteri, composizione e funzionamento dei suoi organi. A titolo di es, si visto come la stessa Carta ONU abbia espresso, consolidandoli, i principi fondamentali del diritto internazionale in tema di divieto dell'uso della forza, legittima difesa, soluzione pacifica delle controversie e protezione dei diritti fondamentali dell'uomo. Con riferimento alla liberalizzazione del commercio internazionale e alla protezione degli investimenti all'estero basta citare l' OMC o WTO (NAFTA per il nord america). Tali organizzazioni non sono attori autonomi sullo stesso piano degli Stati, attori principali del diritto internazionale: esse svolgono il ruolo fondamentale di foro di negoziazione ed elaborazione multilaterale di regole internazionali di condotta ad opera degli e indirizzate agli stessi Stati membri. Altra questione quella se le organizzazioni internazionali intergovernative costituiscano soggetti autonomi di relazioni giuridiche internazionali, se quindi siano titolari di diritti e obblighi derivanti da regole di diritto internazionale. Riferendoci all'ONU come organizzazione intergovernativa modello, va osservato che il suo trattato istitutivo nulla dispone espressamente circa la sua capacit giuridica di porsi nella vita di relazione internazionale in termini autonomi dai suoi membri, come soggetto autonomo del processo di formazione di regole internazionali di condotta. L'art 104 della Carta prevede poi espressamente la capacit giuridica di diritto interno dell'ONU nell'ambito dell'ordinamento degli Stati membri = ci al fine pratico di consentire agli uffici ONU la vita di relazione giuridica necessaria al loro funzionamento negli ordinamenti che ospitano le sue sedi principali e distaccate, come quelle di New York, Ginevra, Vienna, Roma, Nairobi. Tale disposizione, integrata dall'art 1, sez 1, della Convenzione generale sui privilegi e le immunit delle Nazioni Unite del 1946, conferisce ai rappresentanti ONU presso tali uffici la capacit giuridica di concludere i necessari contratti di locazione o di acquisto degli immobili che ne costituiscono la sede, di utilizzo di servizi o di assunzione del personale. A ci si aggiunge la capacit processuale per stare in giudizio davanti ai giudici nazionali in quelle cause di diritto interno rispetto alle quali non dovesse operare l'immunit giurisd dell'organizzazione per attivit finalizzata al perseguimento dei suoi scopi statutari. L'assenza di una disposizione statutaria parallela a quella di cui all'art 104 che esplicitasse la capacit giuridica internazionale dell'Organizzazione ha fatto sorgere il problema se essa potesse essere considerata come soggetto autonomo di relazioni giuridiche internazionali, quindi titolare di diritti e obblighi derivanti da regole di diritto internazionale (caso dell'uccisione del mediatore svedese ONU in Palestina nel 1948:chi titolare del diritto ad esercitare la 'protezione diplomatica' contro israele per il risarcimento dei danni all'onu e alla famiglia? L'onu o la svezia?). La questione stata rivolta alla Corte internaz di giustizia in forma di richiesta di parere consultivo. Nel parere reso nel 1949, la Corte ha affermato l'esistenza del diritto delle Nazioni Unite di esercitare la protezione diplomatica per i propri funzionari, sulla base di due argomentazioni di

fondo tra esse collegate. La prima nel senso dell'esistenza della personalit giuridica come condizione necessaria per il perseguimento dei fini statutari. La seconda va nella direzione di estendere la capacit giuridica che fornisce il contenuto della personalit in relazione a quei poteri implicitamente previsti per l'esercizio delle funzioni ad essa attribuite dalla Carta. L'Organizzazione era destinata ad esercitare funzioni e a godere di diritti, e lo ha fatto, che possono spiegarsi solo a condizione che l'Organizzazione possieda una larga sfera di personalit internazionale e la capacit di agire sul piano internazionale... Secondo il diritto internazionale, si deve ritenere che l'Organizzazione abbia quei poteri che, anche se non espressamente previsti nella Carta, le sono conferiti come conseguenza necessaria, in quanto essenziali per lo svolgimento dei suoi compiti. Due indicazioni di fondo: la prima che, in linea di principio, le organizzazioni intergovernative sono idonee ad esercitare la capacit giuridica internazionale e,quindi, ad assumere la personalit giuridica internazionale; la seconda che tale personalit, diversamente da quella degli Stati, si estende limitatamente alle situazioni giuridiche strumentali al perseguimento dei fini statutari. Per quanto riguarda, infine, il contenuto delle regole internazionali di cui sono destinatarie le organizzazioni intergovernative, si tratta di quelle che hanno ad oggetto il trattamento delle organizzazioni stesse e dei loro rappresentanti, con particolare riguardo alla immunit dalla giurisd ed esecuzione; quelle sulla capacit di concludere accordi internazionali e quelle che prevedono obblighi generali in tema di responsabilit e diritti relativi alla responsabilit di altri soggetti internazionali per violazione di obblighi nei riguardi delle organizzazioni stesse. 7.3. La societ civile e le organizzazioni non governative Tradizionalmente, il ruolo della societ civile nella formazione delle regole internazionali non rilevava in modo autonomo, ma era filtrato e assorbito nel processo cost dei singoli Stati in materia di politica estera. In questi termini, tale ruolo era, e in larga misura lo tutt'oggi, direttamente proporzionale al grado di corrispondenza dei meccanismi della democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa e al grado di incidenza dei parlamenti nazionali sulle scelte di politica estera dei singoli aggregati nazionali. Negli ultimi decenni, una pluralit di fattori hanno promosso a) forme di organizzazione della societ civile al di fuori dei rispettivi meccanismi politico-cost appartenenti ai singoli Stati (si parla infatti di non-State actors) e b)il carattere transnazionale di tali forme di organizzazione. A questo proposito, si pensi al carattere internazionale delle principali organizzazioni non governative (ONG), quali Amnesty International, Greenpeace International e World Wildlife Fund (WWF). Questo processo si collega a una nuova consapevolezza nella opinione pubblica in un numero sempre pi vasto di Paesi dei limiti funzionali della democrazia rappresentativa, coincidente con un periodo di crisi della politica e della crescente incidenza a livello nazionale di fenomeni interdipendenti di portata internazionale (+ indivisibilit di certi valori:sicurezza ambientale, militare,alimentare..). Ai fini di questa parte della trattazione, si rilever come tali sviluppi incidano sul processo di formazione delle regole giuridiche internazionali. 7.3.1. ONG e organizzazioni internazionali intergovernative (v anche pag 239) Nel perseguimento di interessi generali, siano essi di carattere umanitario, ambientale o economicofinanziario, il contributo delle ONG alla formazione del diritto internazionale incide primariamente sulla elaborazione di strumenti internazionali multilaterali, siano essi di natura convenzionale o giuridicamente non vincolante. Tenuto conto che gli strumenti internazionali pi significativi nelle materie indicate vengono negoziati e adottati nell'ambito di organizzazioni internazionali intergovernative, pare importante soffermarci sulla prassi e regolamentazione relative ai rapporti tra ONG e tali organizzazioni, prime fra tutte le Nazioni Unite. La Carta delle Nazioni Unite (art71) ha previsto la possibilit di interazione tra ONG e uno dei suoi sei organi principali, il Consiglio economico e sociale (ECOSOC), limitando appunto la loro partecipazione alle questioni economiche e sociali, escludendole da quest di interesse politico. Lo status consultivo delle ONG viene diviso in tre categorie, l'ammissione a ciascuna delle quali

viene determinata dall'ECOSOC su richiesta delle ONG interessate e su raccomandazione del Comitato sulle ONG. Lo status di categoria I viene accordato a organizzazioni le cui attivit e fini statutari coincidono con le competenze dell'ECOSOC e la cui composizione sia largamente rappresentativa dei gruppi d'interesse di un ampio numero di Paesi. Questo status consultivo generale prevede la possibilit di proporre l'iscrizione di punti all'ordine del giorno per il dibattito nell'ECOSOC e nei suoi organi sussidiari e di partecipare in qualit di osservatori ai lavori degli stessi con interventi orali e scritti. Le ONG che posseggono tale status possono usufruire della distribuzione dei documenti ONU a cura del Segretariato. Lo status di categoria II (status consultivo speciale) viene attribuito a ONG che operino solo nell'ambito di alcune specifiche aree di competenza dell'ECOSOC e che siano note internazionalmente in tali aree. Esse beneficiano sostanzialmente degli stessi diritti delle ONG appartenenti alla categoria I, ad eccezione della possibilit generalizzata di proporre l'inserimento di nuovi punti all'ordine del giorno per il dibatti nell'ECOSOC e nei suoi organi sussidiari. Una terza categoria quella relativa alle ONG iscritte alla Lista, il cui status consultivo viene ad esse accordato dall'ECOSOC o dal Segretario generale dell'ONU quando viene ritenuto che esse possano fornire contribuiti specifici nelle rispettive aree di competenza. La differenza principale rispetto alle altre categorie e che le ONG che ad essa appartengono possono effettuare dichiarazioni orali o scritte solo su invito del Comitato sulle ONG o del Segretario generale. In sostanza, i soggetti negoziatori restano cmq le delegazioni dei governi, ma la loro attivit di elaborazione di regole internazionali sottratta alla tradizionale segretezza, fino al punto di consentire una sorta di controllo sociale internazionale durante il negoziato e persino l'interazione con le forme organizzate della societ civile ammesse ai lavori (cd attivit di lobbying presso le delegazioni governative).
C di Roma 1998: per l'elaborazione dello Statuto della corte penale internazionale la ONG Non C' Pace Senza Giustizia ha messo a disposizione esperti giuridici poi reclutati dalle delegaz governative. Conferenza di Rio 92: 1378 ONG. Conferenza di Vienna sui diritti umani: 841.

Particolarit riguardante il diritto internazionale dell'ambiente: caratterizzato da una diffusa istituzionalizzazione attraverso una pluralit di micro-organizzazioni che coincidono con l'apparato istituzionale delle convenzioni-quadro, aventi il compito di preparare documenti di sviluppo delle disposizioni della convenzione di riferimento in forma di linee-guida o di progetti di protocolli (esempio: protocollo di Kyoto del 97 sulla fascia dell'ozono). Le ONG altamente specializzate hanno influenza determinante nel dibattito, pur senza poss di voto. 7.3.2. ONG e business community (problemi di trasparenza e indipendenza) Uno dei settori della societ civile da tempo organizzato il mondo dell'impresa: significativo che la tendenza all'autoregolamentazione del mondo internazionale dell'impresa sia stata recentemente promossa da rappresentanti autorevoli di organizzazioni internazionali intergovernative (ONU e Commissione Europea) = avvicinamento di questo mondo a quello degli interessi generali ONU. 7.3.3 Considerazione conclusiva su ONG Preoccupazione:carenza degli strumenti di controllo della trasparenza e indipendenza di ONG. Infatti, mentre difficile immaginare il perseguimento di interessi "particolari" da parte di ONG che si occupano dei diritti dell'uomo, non altrettanto si pu dire in aree la cui regolamentazione internazionale incide fondamentalmente sulla formazione del profitto, con particolare riguardo ai settori dell'energia, tecnologia, chimica e farmaceutica o agro-alimentare che incidono su ambiente e salute. L'intervento di ONG nella formazione di regole internazionali in tali aree - mancando per es se le forme di controllo politico e giuridico che operano, pur difettosamente, per le strutture pubbliche degli ordinamenti statali - invece di promuovere l'interesse generale di portata globale, pu condurre a risultati opposti. Simili preoccupazioni si stanno diffondendo in modo crescente. Paradossalmente, il problema si pone principalmente in relazione a quelle organizzazioni le cui finalit sono legate al perseguimento di interessi generali o pubblicistici; Ancora una volta, gli strumenti di attuazione effettiva di controllo spettano agli ordinamenti interni su cui poggia l'impalcatura dell'ordinamento internazionale.

PARTE TERZA ACCERTAMENTO E APPLICAZIONE, OSSERVANZA E INOSSERVANZA DELLE REGOLE DI DIRITTO INTERNAZIONALE 1 PREMESSA Nello studio di questa Parte III, sembra opportuno ricollegarsi a una considerazione di fondo espressa nella Parte I. Ci nel senso che le regole giuridiche, prima di comandare comportamenti e risolvere conflitti d'interesse in via giudiziale, dando ragione all'uno e torto all'altro, forniscono importanti codici di comunicazione nella politica di relazione tra i soggetti. In tale prospettiva, le regole giuridiche, anche quando la loro applicazione incerta e controversa, rilevano in termini di riferimento linguistici per la comunicazione necessaria, anche se non sufficiente, alla prevenzione dei conflitti o alla gestione non violenta degli stessi. Dall'osservazione della vita di relazione tra Stati e tra persone fisiche, appare proprio che l'uso ottimale e pi frequente del diritto si realizza nel perseguimento della transazione, o cmq nella composizione concordata delle vertenze, piuttosto che nel momento giudiziale, nel quale la tutela degli interessi di una delle parti in lite viene accolta in pieno, oppure respinta. Rispetto alla soluzione concordata delle vertenze la regola giuridica costituisce termine di riferimento per la presentazione e il contemperamento delle rispettive pretese. Lo stesso accertamento dell'esistenza di una determinata regola e del suo contenuto pu essere oggetto di trattativa (ci reso possibile dalla condivisione del linguaggio giuridico). La dinamica giuridica dei processi di interazione tra Stati ha prevalentemente per oggetto le rispettive interpretazioni, o, meglio, autointerpretazioni, delle regole giuridiche in relazione alla tutela di interessi concorrenti o confliggenti. Con riferimento alle controversie internazionali in cui il fenomeno dell'accertamento del diritto prevalente, si pu sostenere che esse siano di regola costituite da un contrasto tra interpretazioni, sebbene non necessariamente ogni volta che si verifica una divergenza tra interpretazioni si pone in essere una controversia internazionale. Tenuto conto della mancanza di giurisd obbligatoria nel diritto internazionale, generalmente, l'unilateralismo e la discrezionalit sottostanti la pratica dell'autointerpretazione vengono spontaneamente autoregolamentati e mitigati da parametri di buona fede e ragionevolezza, in termini ad un tempo giuridici e metagiuridici. Vi poi un altro elemento importante di autocontenimento spontaneo dell'unilateralismo relativo all'accertamento e interpretazione del diritto, in mancanza, come sappiamo, di meccanismi obbligatori di accertamento indipendente ed eteronomo rispetto alle parti. Esso consiste nel fatto che uno Stato tende, purtroppo non sempre, ad autolimitarsi in termini di ragionevolezza, tenendo conto che le proprie pretese avanzate nei riguardi di terzi non potranno da esso stesso essere confutate domani, quando fatte valere da terzi nei suoi riguardi sulla base degli stessi argomenti. Si tratta di un'applicazione dei pi volte citati principi delle buona fede e dell'equit, per cui un soggetto non pu trarre vantaggio dalle proprie contraddizioni (allegans contraria non audiendus est). 2 CHI ACCERTA E APPLICA LE REGOLE DI DIRITTO INTERNAZIONALE 2.1. Gli Stati In chiusura della Parte I stato evidenziato come le regole giuridiche internazionali vengano create primariamente dagli Stati e come primariamente esse si indirizzino a quest'ultimi. Per continuit sistematica si apre questa Parte con il corollario di tale considerazione, nel senso che gli Stati sono i soggetti che principalmente si troveranno ad applicare quotidianamente tali regole, quindi, ad osservarle o violarle. Necessariamente, questo comporta, in via di principio, che gli Stati, attraverso i propri organi competenti, accertino e interpretino le regole internazionali rilevanti. In base alla natura consuetudinaria, o pattizia, e del contenuto specifico della regola internazionale di volta in volta oggetto di applicazione, la sua osservanza o violazione dipender dalla condotta degli organi dello Stato appartenenti a tutte e tre le funzioni fondamentali (lgs, esecutiva e

giudiziaria). La condotta attribuibile allo Stato pu consistere in azioni od omissioni = comportamento attivo con riferimento ai cd obblighi di fare, omissivo con riferimento ai cd obblighi di astensione. Va poi sottolineato nuovamente che le regole internazionali, sebbene formalmente rivolte ai rapporti tra gli Stati, incidono quotidianamente sull'esercizio della sovranit interna degli stessi pi palesemente che sull'esercizio della sovranit esterna. NB: ci spiega come l'attuazione, l'osservanza, o inosservanza, di una regola internazionale siano in larga parte affidate agli organi statali di attivit interna, primo tra tutti il parlamento. Si pensi all'attuazione di un trattato internazionale in materia commerciale o tariffaria. In concreto, l'osservanza o inosservanza delle sue regole dipender dal comportamento dei funzionari di dogana sulla base degli atti di esecuzione del trattato da parte del parlamento in forma di legge o di atti di natura regolamentare. Nel caso di inosservanza delle regole del trattato da parte degli organi esecutivi, per omessa applicazione o errata interpretazione di una legge dello Stato che ha dato corretta esecuzione agli obblighi internazionali, lo Stato, inteso nel suo insieme, pu ancora darvi attuazione attraverso i propri organi giudiziari. Ci, naturalmente, potr avvenire se questi vengono aditi dai soggetti lesi dalla errata o mancata attuazione della regola internazionale che stata trasformata in regola di diritto interno secondo le modalit che vedremo pi avanti. Pi difficilmente la magistratura potr sanare comportamenti difformi alla regola internazionale da parte di organi esecutivi o amministrativi che abbiano agito dando corretta attuazione ad un atto lgs o regolamentare che a sua volta ha dato errata interpretazione alla regola internazionale nel procedimento di adattamento. Il testo della CDI sulla responsabilit da fatto illecito internazionale degli Stati approvato nel 2001 dall'Assemblea generale dell'ONU offre una autorevole codificazione e articolazione dei principi in esame. Art 4 (portata espressamente consuetudinaria): 1. La condotta di qualunque organo di uno Stato sar considerata un atto di quello Stato secondo il diritto internazionale, qualora l'organo eserciti funzioni legislative, esecutive, giudiziarie o di altra natura, qualunque posizione rivesta nell'organizzazione di quello Stato, e sia che si tratti di un organo del governo centrale che di un'unit territoriale dello Stato. 2. Un organo comprende ogni persona o entit che ha tale status secondo il diritto interno dello Stato. (anche enti sub-statali) Il principio generale dell'attribuzione allo Stato dei comportamenti di qls soggetto appartenente al suo apparato istituzionale si coniuga con alcune regole, anch'esse di natura consuetudinaria e codificate nell'articolato sulla responsabilit internazionale degli Stati preparato dalla CDI. Innanzi tutto, si segnala la regola per cui sono attribuiti allo Stato anche i comportamenti posti in essere dai soggetti che possono essere definiti come organi de facto. Si tratta in sostanza dei comportamenti di chi esercita funzioni pubbliche, esplicitamente o implicitamente autorizzate, pur in assenza di un rapporto d'impiego o di altra natura formale con lo Stato. Ad essa si aggiunge la regola che attribuisce allo Stato l'attivit di un organo anche quando esso agisca al di fuori delle proprie competenza, o persino in contravvenzione rispetto alle istruzioni ricevute o alla lgs nazionale, purch gli atti in questione siano posti in essere nell'esercizio delle funzioni (atti cd ultra vires). (es. maltrattamenti/discriminazioni da parte di un organo di polizia) . La ratio di tale principio quella di rispettare l'effettivit delle regole internazionali che devono essere applicate in osservanza del principio della buona fede e della dovuta diligenza: tale regola traduce nel diritto internazionale uno dei diversi aspetti applicativi del principio cd dell'affidamento dei terzi. Gradoni: la nozione di organo di fatto si risolve nei criteri di attribuzione contemplati dall'art8, secondo cui la condotta di un individuo o di un gruppo ascrivibile ad uno stato se, nel tenere tale condotta, i primi agiscono in fatto su istruzione o sotto la direzione o controllo del secondo;la corte per ha escluso categoricamente che vi sia un legame di tipo organico tra stato e soggetto agente. (vedi sentenza del 2007 relativa alla controversia tra Bosnia e Serbia in tema di genocidio pag 244)

2.1.1. I loro organi legislativi In tema di attuazione, osservanza o inosservanza delle regole di diritto internazionale da parte degli Stati, vengono preliminarmente in rilievo gli organi nazionali che partecipano della funzione lgs: gli organi costituenti, i parlamenti e gli enti locali. Come accennato nella sezione precedente, il ruolo pregiudiziale svolto in materia dagli organi lgs nazionali, dal punto di vista del diritto internazionale corollario del principio generale per cui uno Stato non pu invocare la propria lgs interna per limitare la portata dei propri obblighi internazionali (corollario, a sua volta, del principio di buona fede). Con specifico riguardo agli obblighi derivanti da trattati internazionali, il principio in parola stato ribadito nell'art 27 della Convenzione di Vienna 1969: Una parte non pu invocare disposizioni di diritto interno come giustificazione per non aver rispettato un trattato (es. causa Francia c. Svizzera relativa alle zone franche dell'alta savoia e dei paese di Gex). NB: Il parlamento svolge per gli altri organi dello Stato una funzione di raccordo rispetto agli obblighi di diritto internazionale (fornisce pubblicit e fondamento giuridico nell'ord interno)!! In genere, il lgs si trova a svolgere un ruolo indispensabile nel determinare le condizioni all'interno dell'ordinamento statale affinch venga raggiunto il risultato oggetto dell'obbligo internazionale. E' questo il caso in cui il risultato da perseguire nell'ordinamento interno consista precisamente nell'adozione di un determinato atto lgs, come previsto, ad es, da una convenzione di diritto privato uniforme. Sulla base di tali premesse, nei parr successivi si analizzer come l'ordinamento interno si conformi alle regole internazionali derivanti da consuetudini internazionali e quelle derivanti da trattati. 2.1.1.1. ... e l'attuazione di regole internazionali convenzionali Nell'ordinamento italiano i trattati internazionali vengono generalmente recepiti mediante l'intervento del gls, di regola parlamentare, attraverso il cd ordine di esecuzione (detto anche procedimento speciale o di rinvio), che costituisce una forma di adattamento automatico dell'ordinamento interno a quello internazionale. Ci nel senso che le regole giuridiche internazionali vengono recepite integralmente dall'ordinamento giuridico nazionale senza che quest'ultimo, attraverso il proprio parlamento, le riformuli interpretandole. La concreta applicazione, e quindi interpretazione, dei trattati internazionali spetter poi agli altri organi dello stato, esecutivi, amministrativi e giudiziari, che verificheranno, di volta in volta, l'effettiva esistenza di tali fonti di diritto internazionale, tenendo conto di tutte le vicende rilevanti (entrata in vigore, Stati contraenti, eventuali riserve, cause d'invalidit o di estinzione, denunce, etc). Di regola, l'ordine di esecuzione contenuto in una legge ordinaria, nella quale il parlamento si limita a riprodurre il testo dell'accordo, facendolo precedere dalla formula piena ed intera esecuzione viene data al seguente trattato. Tale prassi si inserisce nell'esigenza cost della partecipazione e del controllo parlamentare rispetto alla gestione della politica estera da parte dell'esecutivo. Sempre in linea di principio, in Italia le leggi che contengono l'ordine di esecuzione coincidono con le leggi di autorizzazione alla ratifica del trattato da parte del Capo dello Stato, ai sensi del combinato disposto degli artt 80 e 87 Cost (funzioni PdRep). Il Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere (art 87). Art 80: Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Non vi incoerenza logico-giuridica nel fatto che l'ordine di esecuzione di un trattato sia contenuto nello stesso atto di legge che, autorizzando la ratifica, costituisce solo uno dei requisiti del perfezionamento del trattato stesso per il nostro ord. NB: in sostanza, non vi pericolo che con un atto di legge del tipo in questione venga data esecuzione nell'ordinamento italiano a un trattato prima ancora delle ratifica da parte del Presidente della Repubblica e, soprattutto, prima dell'entrata in vigore internazionale dello stesso, cio dopo che sia stato effettuato il numero minimo di ratifiche previsto dal testo negoziato, due nel caso di

trattato multilaterale (sul libro 'bilaterale'). In linguaggio strettamente giuridico si pu parlare di un atto di legge la cui efficacia subordinata a una condizione sospensiva, oppure di un atto di legge il cui contenuto viene determinato mediante rinvio a regole giuridiche internazionali. Per quanto attiene al problema del rango delle norme convenzionali introdotte nell'ordinamento interno tramite ordine di esecuzione, il Costituente non aveva originariamente fornito indicazioni esplicite nel senso della prevalenza degli obblighi derivanti da trattati sulle norme interne aventi forza giuridica di legge ordinaria (c'erano solo gli art 80 e 87 che disc i modi di conclusione dei T). Sino all'emanazione della Legge cost 18 ottobre 2001, n 3, l'ordine di esecuzione in Italia ha costituito oggetto di una prassi parlamentare caratterizzata dall'adozione di leggi ordinarie dello Stato che, come tali, risultavano derogabili secondo i principi della lex posterior derogat priori e delle lex specialis. A tale considerazione facevano eccezione le leggi di adattamento a trattati contenenti disposizioni sul trattamento degli stranieri. Come da tempo sostenuto dalla Corte Costituzionale, l'art 10 Cost ha conferito preminenza agli obblighi derivanti dai trattati in materia di stranieri, fornendo ad essi rango cost. La Legge cost 18 ottobre 2001, n 3 cd. legge sul federalismo, ha modificato l'art 117, il quale dispone che: La potest legislativa esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonch dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Innovativa: rispetto anche per il dir internazionale pattizio; giudice ordinario o CC. Si tratta peraltro di una novit relativa (non ne va cmq trascurata l'importante esplicitazione, valevole pure per il procedimento ordinario), in quanto la legge in questione ha dato formale riconoscimento a livello cost ad una prassi giuri faticosamente costruita nel corso degli anni attorno ad un preteso principio di specialit che avrebbe consentito in via interpretativa al giudice nazionale di dare prevalenza, di volta in volta, alla legge di esecuzione di un accordo internazionale. INCISO: giusto non doversi attendere che la prevalenza del trattato (della legge che vi d esecuzione) sulle altre leggi ordinarie venga, caso per caso, assicurata mediante l'intervento del giudice cost, quando tale prevalenza deve essere attuata quotidianamente dall'interprete, sia esso un organo esecutivo, amministrativo o giudiziario. A conferma di quanto sopra intervenuta la legge 5 settembre 2003, n 131, cd legge La Loggia di attuazione della legge di riforma cost del 2001. L'art 1 di quest'ultima prevede che: Costituiscono vincoli alla potest legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell'art 117, primo comma, della Costituzione, quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui all'articolo 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione della sovranit, di cui all'articolo 11 della Costituzione, dall'ordinamento comunitario e dai trattati internazionali. Sorge dunque, di conseguenza, la questione su quali trattati internazionali: vi chi ha dato una lettura restrittiva (no trattati in forma semplificata senza l. di autorizz), ma si ritiene (approccio forse eccessivamente internazionalistico) che la locuzione trattati internazionali nella legge da ultimo citata comprenda tutti i trattati, in qls forma conclusi, purch internazionalmente in vigore per lo Stato e, quindi, in assenza di cause di invalidit, oppure, anche se in presenza di una causa di invalidit, qualora questa non possa essere pi internazionalmente invocabile, con particolare riguardo alla ipotesi di cui all'art 45 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Ai sensi di quest'ultimo, uno Stato non pu validamente invocare una causa di invalidit di un trattato se ne ha, espressamente o per fatti concludenti, riconosciuto l'efficacia giuridica. L'adattamento del diritto interno al diritto internazionale di fonte pattizia, oltre che attraverso il procedimento automatico appena descritto, pu avvenire anche mediante una legge statale ordinaria che riformuli e specifichi il contenuto delle disposizioni internazionali pattizie, secondo il cd procedimento ordinario (che richiede integrazioni necessarie da parte del lgs nazionale). Infatti, come gi esemplificato nella Parte II 5.4.2 con riferimento alle cd convenzioni-quadro, gli Stati possono negoziare e adottare accordi internazionali che contengono regole programmatiche o d'indirizzo o, cmq, normativamente incomplete, cd non self-executing. Una regola di diritto

internazionale completa o self-executing, secondo la efficace definizione di Treves, se essa suscettibile di immediata applicazione e cio quando contiene in s tutti gli elementi idonei a consentire, a chi deve applicare le norme interne di adattamento, di ricavare, dal contenuto della norma internazionale, il contenuto delle norme interne che servono a dare esecuzione alla norma internazionale.
Oltre alle regole tipiche delle convenzioni-quadro, esempi di regole convenzionali incomplete (tali da richiedere l'intervento del legislatore nazionale) si rinvengono nella Convenz dell'Aja del 69 sulla repressione della cattura illecita di aeromobili e in quella di Montreal del 71 sulla repressione degli atti illeciti rivolti contro la sicurezza dell'aviazione civile, cui stata data esecuzione con un unica legge nel 73. in entrambe le convenzioni previsto che gli attentati alla navigazione aerea costituiscano ipotesi di reato con pene severe ipotesi di reato = self-executing , 'pene severe' = non self-executing!

Rispetto a simili regole convenzionali incomplete, l'intervento parlamentare mediante ordine di esecuzione insufficiente. Affinch venga data effettiva esecuzione a trattati del tipo in questione (non solo convenzioni-quadro cmq) sar necessaria una ulteriore attivit lgs integrativa e interpretativa del testo convenzionale. Con simile attivit integrativa ed interpretativa, gli organi dello Stato danno esecuzione ad un obbligo internazionale in piena autonomia redazionale. NB: merita peraltro osservare che mentre il procedimento di adattamento automatico di norme complete, o self-executing, lascia la concreta applicazione e interpretazione delle stesse agli organi esecutivi, amministrativi o giudiziari dello Stato, nel procedimento ordinario tali operazioni vengono poste in essere preliminarmente dal lgs. Il procedimento ordinario indispensabile affinch dalla regola internazionale trasformata in diritto interno scaturiscano diritti e obblighi per i soggetti dell'ordinamento interno, impugnabili e quindi accertabili e applicabili dal giudice nazionale. Indispensabile per le norme non self-executing. La Corte di Cassazione (sez lavoro), valutando dell'applicabilit ad una controversia di una Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), arrivata a sostenere il carattere incompleto dell'art 3, nel senso che tale disposizione per mancanza di completezza non idonea a produrre nell'ordinamento interno diritti e obblighi, anche se trasformata in norma interna mediante ordine di esecuzione. Ricordiamo poi che esiste la possibilit di concludere cd accordi in forma semplificata: tale modalit cost ammissibile nell'ordinamento italiano con riferimento a quegli accordi che esulino dalle materie soggette ad autorizzazione parlamentare alla ratifica ai sensi dell'art 80 Cost. Il Parlamento italiano, sebbene solo nel 1984, ha provveduto a svolgere cmq una funzione di raccordo tra regole convenzionali e gli altri organi dello Stato preposti alla loro applicazione, cos come nei riguardi della societ civile, assicurando la pubblicit anche per gli accordi in forma semplificata. Pubblicit e informazione sono infatti condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinch vi possa essere adeguata osservanza delle regole in questione. L'importante funzione che pu svolgere il lgs nazionale in termini di raccordo fra trattato internazionale e organi interni, richiede la massima trasparenza e pubblicit anche di tutti gli atti lgs e regolamentari attinenti allo strumento in questione. Ci al fine di precostituire le condizioni affinch gli organi interni possano dare pieno adempimento alle regole del trattato. Tale importanza stata avvertita in modo significativo, ad es, dai redattori dell'Accordo di libero scambio del 1994 tra Canada, Messico e Stati Uniti (NAFTA), al punto da prevedere un esplicito obbligo in tale senso per gli Stati parti. 2.1.1.2. .. e l'attuazione di regole internazionali consuetudinarie L'art 10 Cost prevede che la consuetudine venga automaticamente recepita nell'ordinamento interno nei termini seguenti: L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute = ci nel senso che le consuetudini si intendono riprodotte nella loro interezza nell'ordinamento interno (adattamento automatico). Esse sono dunque in grado di abrogare, modificare o limitare, a seconda dei casi, le disposizioni anteriori che siano con esse incompatibili. Poich l'adattamento alle consuetudini previsto dalla Cost, i diritti e obblighi da esse derivanti nel diritto interno godono di rango superiore e non possono essere derogate da leggi interne ordinarie, anche se emanate successivamente. In sostanza, un atto lgs incompatibile con una regola

internazionale di diritto consuetudinario da considerarsi viziato da illegittimit cost per contrasto con l'art 10 Cost. Va ribadito poi quanto gi sostenuto con riferimento ai trattati internazionali, nel senso che, anche nel caso dell'attuazione di regole consuetudinarie, il procedimento di adattamento automatico non pu essere sufficiente ad assicurare all'interno dell'ordinamento nazionale il risultato richiesto dalla regola internazionale, per l'incompletezza normativa di quest'ultima. Le regole consuetudinarie introdotte nell'ordinamento italiano per il tramite dell'art 10, in ragione della loro natura non scritta, consentono all'interprete, organo esecutivo, amministrativo o, soprattutto, giudiziario, margini pi ampi di discrezionalit rispetto all'interpretazione e applicazione delle regole convenzionali. 2.1.2. Gli organi esecutivi e amministrativi nazionali Il contenuto e l'oggetto della gran parte degli obblighi internazionali, siano essi consuetudinari o convenzionali, vengono attuati da organi esecutivi, tra cui si annoverano, ad es, gli organi di polizia, i funzionari doganali, etc. Come ben sappiamo, viene imputata allo Stato l'attivit di un proprio organo indipendentemente dalla sua posizione gerarchica e indipendentemente dal fatto che esso appartenga all'Amministrazione centrale o ad enti sub-statali, quali enti pubblici economici o alle autonomie locali (art 4 testo della CDI sulla responsabilit degli Stati). La norma in esame opera poi, in particolare, con riferimento agli Stati ad organizzazione decentrata o federale (v pag 263, causa LaGrand, Germania c Stati Uniti). 2.1.2.1. Le amministrazioni locali La prassi presenta numerosi casi di controversie circa l'osservanza o la violazione di obblighi internazionali per comportamento di organi sub-statali. Particolarmente illustrativa a questo proposito la controversia tra una societ americana, Metaclad, e il Governo messicano per ingiusto trattamento ed espropriazione in violazione dell'Accordo NAFTA, risoltasi a favore della societ statunitense con sentenza arbitrale del 30 agosto 2000. Va premesso che, in base al Capitolo 11 del NAFTA, il diritto applicabile dal Tribunale arbitrale era costituito dalle regole contenute nello stesso Accordo NAFTA e nel diritto internazionale generale. Passando ad una rapida sintesi dei fatti della causa, nel 1993 Metaclad aveva acquistato una societ messicana, COTERIN, in seguito all'ottenimento da parte di quest'ultima di una serie di autorizzazioni federali a costruire e operare un impianto di smaltimento di rifiuti tossici e una discarica pubblica in un'area situata nel Comune di Guadalcazar nello Stato messicano di San Luis Potosi (SLP). Ben presto iniziarono i primi problemi, con richieste assurde da parte del Comune di Guadalcazar, tanto che nel marzo 1995 fu impedita la cerimonia inaugurale dell'impianto insieme all'apertura della discarica. Sebbene il Comune abbia perso tutti i ricorsi promossi davanti alla giustizia amministrativa messicana, alla fine venne cmq impedito a Metaclad di attivare i propri impianti, tanto vero che nel 1997 il Governatore dello Stato di SLP eman un decreto che dichiarava parco naturale l'area nella quale erano situati gli impianti della societ americana. Tribunale arbitrale: Gli atti del Messico non sono conformi ai requisiti del NAFTA, secondo cui ogni parte accorda agli investimenti degli investitori di un'altra parte un trattamento conforme al diritto internazionale, incluso un trattamento giusto e equo. Si veda poi la causa El.Si. (Elettronica Sicula), che presenta elementi analoghi a quella appena vista, risoltasi con sentenza a favore dell'Italia nel 1989. Gli Stati Uniti adducevano che un atto di requisizione adottato nel 1968 dal Sindaco di Palermo, costringendo la societ a mantenere aperti gli impianti dopo che essa aveva deciso di iniziare la procedura di liquidazione, avesse reso inevitabile il suo fallimento con conseguente considerevole danno finanziario = il Governo americano sosteneva che ci avesse costituito una violazione del Trattato italo-americano di amicizia, commercio e navigazione del 1948 e dell'Accordo integrativo del 1951. (Svolgere attivit d'impresa senza interferenze, non subire trattamenti discriminatori rispetto ai soggetti di nazionalit

dello stato ospite e di beneficiare del pieno rispetto e protezione dei propri beni).

La Corte ha respinto le richieste americane, ma non certo in ragione della non imputabilit allo Stato italiano del comportamento del Sindaco di Palermo, piuttosto perch ha ritenuto tale comportamento non in contrasto con il Trattato in questione. 2.1.2.2. La posizione delle Regioni italiane Il principio dell'unit dello Stato, in tutte le sue articolazioni gerarchiche, federative o decentrate, trova piena corrispondenza nell'ordinamento italiano, indipendentemente dal recepimento del diritto consuetudinario ex art 10 Cost. Infatti, l'art 5 Cost coniuga il principio dell'unit e indivisibilit dello Stato con quello del decentramento amministrativo. L'obbligo di osservanza del diritto internazionale da parte delle autonomie locali, sebbene non espressamente indicato dal lgs cost originario, ha trovato esplicito riconoscimento nel corso del tempo in diversi Statuti regionali ed stato ribadito a pi riprese dalla Corte Cost = codificazione, oggi, nella citata legge di revisione cost 18.10.2001, n 3. Con questa riforma le Regioni provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalit di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza art 3 modificativo del 117 . In sostanza, la disposizione in esame codifica a livello di legge cost il principio dell'autonomia regionale in materia di attuazione di obblighi internazionali, riservando agli organi centrali il potere sostitutivo in caso di inadempienza da parte delle Regioni nell'attuazione di obblighi internazionali rientranti nell'ambito delle loro competenze. La legge La Loggia (5 sett 2003 n.131) ha poi confermato ci: le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, provvedono direttamente all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali ratificati. Con questa ultima locuzione si ritiene che il lgs abbia inteso riferirsi a quegli accordi che siano stati validamente conclusi dallo Stato ex artt 80 e 87 Cost, previa legge parlamentare di autorizzazione alla ratifica, di regola contenente l'ordine di esecuzione. In sostanza, secondo questa interpretazione sistematica, l'ente decentrato viene esentato da onerose incombenze interpretative tecnico-giuridiche, oltre che politicamente delicate, circa la validit internazionale di un accordo e/o della legittimit cost della sua conclusione da parte degli organi centrali. Per ci che attiene al potere sostitutivo degli organi centrali nella materia in esame, questo corollario fondamentale del principio della configurazione unitaria dello Stato, ai fini dell'osservanza degli obblighi internazionali e, quindi, della sua responsabilit internazionale in caso di inosservanza. Si ritiene che, sempre nell'ottica del perseguimento della coerenza sistematica e finalistica dell'ordinamento, il potere si sostituzione possa essere esercitato dall'Amministrazione centrale sia in caso di inerzia da parte delle Regioni che nel caso di non corretta interpretazione della regola internazionale da parte di queste ultime (si pensi all'art 120, secondo comma, Cost). La legge che definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiariet e del principio di leale collaborazione nuovamente la legge La Loggia (ad es, i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalit perseguite). Leggi 270 NB: come abbastanza intuitivo, qualora gli obblighi internazionali non vengano adempiuti, n a livello regionale, n tramite l'intervento del potere centrale nell'esercizio del potere sostitutivocorrettivo, la responsabilit internazionale per inadempimento di tali obblighi ricadr sullo Stato, il quale non potr certo invocare come scusante l'inerzia di una Regione. In assenza, attualmente, di giurispr applicativa della Legge cost del 2001, nonch della sua legge attuativa del 2003, sul punto in questione pare utile riportare una chiara esemplificazione fornita dalla Corte Cost in epoca precedente l'adozione di tali norme circa la ratio dei poteri sostitutivi e correttivi dello Stato rispetto all'attuazione di obblighi derivanti dal CEE. Siccome quest'ultimo cmq un trattato internazionale, le affermazioni della Corte che dichiararono la illegittimit cost della legge della Regione Umbria valgono pienamente anche con riguardo ai rapporti tra diritto regionale e diritto internazionale (v cmq pag 270-1).

2.1.3. La non imputabilit allo Stato del comportamento dei privati In linea di principio, lo Stato non responsabile dell'attivit di privati, ma pu benissimo essere cmq internazionalmente responsabile in relazione a tale attivit per l'inadeguatezza della condotta degli organi interni. La responsabilit internazionale dello Stato sorger per solo in relazione alla mancata o inadeguata attivit di prevenzione e controllo da parte degli organi competenti. Non costituisce eccezione il fatto che il diritto internazionale preveda l'attribuzione allo Stato del comportamento di privati che, pur non legati all'apparato di governo da un rapporto formale, esercitino funzioni di tipo pubblicistico su mandato delle autorit governative o successivamente approvate e fatte proprie da queste ultime. La regole in parola nelle sue articolazioni appena descritte stata applicata dalla Corte nella sentenza del 1980 nella causa Stati Uniti c Iran, relativa alla occupazione dell'ambasciata americana, e di suoi consolati, e alla prolungata detenzione del personale della stessa da parte di studenti militanti. La Corte ha diviso i fatti in due fasi: l'atto di occupazione dell'ambasciata, da un lato, e la detenzione degli ostaggi, dall'altro. Nella prima fase, la Corte ha negato la imputabilit allo Stato iraniano della condotta degli studenti (non c'era un mandato), ma ha rilevato la sua responsabilit per la mancata prevenzione e protezione dei locali della missione diplomatica da parte degli organi di polizia. Ci anche in relazione al fatto che, la settimana precedente, analogo evento era stato sventato dalla polizia. Nella seconda fase, la Corte ha imputato all'Iran il perdurare della detenzione degli ostaggi in ragione dell'approvazione da parte delle massime autorit dello Stato di tali comportamenti dei militanti. La Corte ha rinvenuto l'intervento governativo da cui scaturita l'attribuzione allo Stato dei comportamenti dei militanti nella dichiarazione del 17 novembre 1979; in particolare, nell'annuncio in cui l'Ayatollah Khomeini affermava che lo stato di occupazione e detenzione avrebbe dovuto perdurare sino a che gli Stati Uniti non avessero consegnato all'Iran lo Shah e i suoi beni. Riferendosi all'occupazione dell'ambasciata e alla detenzione degli ostaggi, la Corte ha affermato che l'approvazione data a questi fatti dall'Ayatollah e da altri organi dello Stato iraniano, e la decisione di perpetuarli, ha trasformato la continua occupazione dell'ambasciata e la detenzione degli ostaggi in atti di quello Stato. Analoghe considerazioni si applicano all'attivit di operatori privati nel settore industriale. 2.1.4. Gli organi giudiziari nazionali L'indipendenza della magistratura nell'ambito della separazione dei poteri all'interno dello Stato cost moderno non costituisce una eccezione al principio di diritto internazionale dell'attribuzione allo Stato dell'attivit di tutti i suoi organi. Il ruolo dei giudici nazionali fondamentale nell'accertamento e applicazione delle regole del diritto internazionale, con particolare riguardo a tre considerazioni di carattere generale. In primo luogo, il giudice interno l'autonomo interprete delle regole introdotte nell'ordinamento interno mediante il cd adattamento automatico, rispetto alle quali il lgs non ha dato alcuna indicazione di contenuto normativo ad eccezione del semplice rinvio al contenuto della regola internazionale. L'italia si trovata pi volte nella situazione di dover accertare l'esistenza di una consuetudine
internazionale, in materia di: ergastolo ai minori (1994 non esiste una consuet internaz) e sovranit dello Stato costiero sull'alto mare, in particolare con riferimento al traffico di stupefacenti (1992 no cons int, vedi pag 276).

In secondo luogo, a corollario di quanto detto sopra, cio che il giudice interno applica e interpreta in modo autonomo le regole internazionali direttamente introdotte nell'ordinamento nazionale mediante adattamento automatico, va osservato che il giudice nazionale ha la possibilit di rimediare a comportamenti in contrasto con il diritto internazionale compiuti dagli altri organi dello Stato, prevalentemente di natura esecutiva o amministrativa. Ci significa che il giudice di ultima istanza spesso il responsabile ultimo dell'apparato dello Stato circa l'osservanza o l'inosservanza di gran parte degli obblighi internazionali. Con particolare riferimento alle regole in tema di trattamento degli stranieri e di diritti dell'uomo, tale possibilit garantita dalla cd regola del previo esaurimento dei ricorsi interni. In terzo luogo, l'attivit dei giudici nazionali pu essere l'oggetto diretto di obblighi internazionali.

Il primo e pi generale degli obblighi di questo tipo, avente natura consuetudinaria, confermato e specificato in numerosi strumenti internazionali, oltre che a livello cost nella maggioranza degli ordinamenti moderni (si pensi, ad es, all'art 24 Cost), attiene al diritto di difesa dei privati e all'obbligo corrispettivo degli Stati di consentire libero accesso ai rimedi giurisd nazionali nel rispetto del principio del giusto processo. Tradizionalmente, tale obbligo si rivolgeva alla tutela dello straniero e si riteneva adempiuto quando l'accesso alla giustizia per lo straniero veniva garantito nella stessa misura in cui lo era per i cittadini dello Stato del foro, secondo il principio del cd trattamento nazionale. Con l'evoluzione dei diritti dell'uomo, il diritto di difesa, secondo le garanzie procedurali fondamentali ha per oggetto tanto il trattamento processuale degli stranieri, quanto dei propri cittadini, secondo il principio del cd minimum standard (art24Cost). La violazione di tale obbligo internazionale d origine alla specifica categoria di illecito internazionale denominata diniego di giustizia: la sua distinzione rispetto alla deficienza di giustizia non ha per valore meramente teorico o didattico-descrittivo. Infatti, nel caso di diniego la responsabilit internazionale dello Stato potr essere fatta valere senza dovere attendere che siano stati esperiti tutti i ricorsi interni. Casi tipici in cui l'attivit dei giudici nazionali oggetto di obblighi internazionali sono quelli relativi all'immunit dalla giurisd di cognizione ed esecuzione internazionalmente previste a tutela degli agenti diplomatici, degli Stati stranieri, dei loro Capi di Stato e di governo e delle organizzazioni internazionali. Conforti: da immunit assoluta a immunit ristretta o relativa. CONCLUSIONE: come indicato nella Parte II, le considerazioni sopra svolte confermano che lo Stato, attraverso tutti i propri organi, partecipa alla formazione del diritto internazionale e che, attraverso tutti i propri organi pu accertare, osservare o violare le regole di diritto internazionale. 2.2. Le organizzazioni intergovernative In chiusura della Parte II stato indicato che il ruolo delle organizzazioni intergovernative in tema di formazione delle regole internazionali svolto principalmente in quanto foro all'interno del quale si svolge il processo di elaborazione delle regole da parte degli Stati membri. Analogamente, in tema di accertamento del diritto, le organizzazioni intergovernative operano significativamente come foro di funzionamento delle regole internazionali sulla soluzione delle controversie con riguardo ai rapporti tra gli Stati membri. Tuttavia, altres emerso come esse siano anche destinatarie di diritti e obblighi internazionali (pi diritti che obblighi, in ragione della mancanza di poteri sovrani sul territorio e popolazione), sebbene limitatamente allo svolgimento delle attivit necessarie al perseguimento dei rispettivi fini statutari. La loro diffusione dopo la 2GM ha richiamato l'esigenza di elaborare e codificare le regole internazionali ad esse applicabili Convenz di Vienna 1986 sul diritto dei trattati tra Stati e organ inter e tra organ inter. Uno dei settori di attivit in cui le organizzazioni internazionali sono destinatarie di obblighi internazionali in tutto e per tutto assimilabili a quelli diretti agli Stati riguarda le cd missioni di pace o peace-keeping operations. Le regole generali relative all'attuazione del diritto da parte delle organizzazioni internazionali sono poi mutuate per analogia, quando possibile, da quelle relative agli Stati. 2.2.1. La soluzione pacifica delle controversie e l'ONU La Carta ONU ribadisce all'art 2 par3 l'obbligo generale di soluzione pacifica delle controversie. L'art 33 codifica poi il principio generale della libera scelta dei tradizionali mezzi di soluzione pacifica delle controversie stesse: negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziario, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, o altri mezzi pacifici scelti dalle parti. Il principio in questione, speculare al divieto dell'uso della forza di cui all'art 2, stato confermato e ulteriormente sviluppato in successive risoluzioni dell'Assemblea generale, tra cui quella sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati del 1970 e la Dichiarazione di Manila del 1980

sulla soluzione pacifica delle controversie internazionali. Uno degli sviluppi pi significativi del fenomeno dell'organizzazione internazionale sul tema in esame, prodottosi prevalentemente negli anni '90, attiene allo sviluppo di regole e meccanismi per la promozione della cd diplomazia preventiva, la cui efficacia spesso inversamente proporzionale alla pubblicit dei suoi modi di funzionamento. Ne deriva che gli elementi di prassi in proposito, con particolare riguardo ai suoi successi, sono spesso difficilmente documentabili. Si tratta di una utilizzazione tempestiva, informale e spesso riservata, di vari aspetti caratteristici degli strumenti tradizionali di soluzione delle controversie che verranno considerati nelle pagine che seguono, con particolare attenzione alla negoziazione. La negoziazione il principale e pi ovvio strumento per la soluzione pacifica delle controversie internazionali. Prima che oggetto di un obbligo giuridico per le parti in lite, la negoziazione di regola uno strumento di fatto vantaggioso, sul lungo termine, per tutti i soggetti coinvolti nel perseguimento di interessi immediatamente divergenti su una determinata questione. Il carattere vantaggioso per tutti non sempre percepito dagli stessi interessati, ma risulta sempre pi evidente attraverso i risultati delle elaborazioni degli studiosi della teoria dei giochi, in un'ottica che si basa sulla analisi del dato reale, sempre pi diversa dal gioco a somma zero. D'altro canto, la percezione dei vantaggi della negoziazione il fattore determinante affinch essa venga esperita: quando l'autopercezione della propria forza errata, dall'azione unilaterale spesso nasce il conflitto, generalmente distruttivo, degli interessi di tutti gli attori in gioco; quando essa adeguata, il risultato ottimale per l'interessato unilateralmente ottenuto, di regola, viene ribaltato, sul medio o lungo termine, dalla inevitabile redistribuzione storica del potere. Come indicato nella Parte I, per quanto il principio della negoziazione non risulti altrettanto formalmente codificato negli ordinamenti interni come in quello internazionale, esso risulta diffusamente riconosciuto nel diritto privato con la transazione, nei rapporti appartenenti alla dialettica politica tra organi cost, nel diritto del lavoro con la conciliazione obbligatoria, e, ora, anche nel diritto penale con l'istituto del patteggiamento della pena. In tal modo, si d riconoscimento giuridico a un principio di buon senso perseguito in ogni comunit umana (v pag 291 e s, con l'importante citazione di Umberto Eco). E' ovvio, alla luce della prassi, che sia impossibile attuare coercitivamente l'obbligo internazionale di negoziare, il quale si coniuga poi con il principio generale della buona fede. L'attivit di negoziazione di regola indirizzata alla conclusione di un accordo, formale o informale, risolutivo della vertenza. Essa potr avere ad oggetto fatti o regole giuridiche internazionali e interne. Si pensi alla ipotesi di una legge nazionale che possa incidere sugli investimenti stranieri o sui diritti di una minoranza. L'accordo, se raggiungibile, potr sfociare in un formale trattato, in un memorandum d'intesa, in un gentlemen's agreement o, addirittura, in un documento non-paper (informale, punto di riferimento, pi che altro, per un ulteriore negoziato agreements to agree). Rilevanza particolare assume il negoziato relativamente alla soluzione giudiziale o arbitrale delle controversie internazionali. Le clausole giurisd o arbitrali contenute in trattati internazionali, in base alle quali le parti stabiliscono che le controversie relative all'applicazione o interpretazione dei trattati in questione potranno essere sottoposte unilateralmente al giudizio della Corte internazionale di giustizia o di un tribunale arbitrale, prevedono il negoziato come requisito di ammissibilit della domanda giudiziale (es causa El.Si. Tra Italia e USA). Il tentativo di giungere a una soluzione negoziata della vertenza peraltro un requisito di ammissibilit dell'azione in giudizio che la prassi giuri internazionale considera in modo non rigido. In sostanza, sufficiente che un primo tentativo di gestione negoziata della controversia effettuato da una delle parti litiganti s'incontri con l'intransigenza dell'altra o delle altre parti litiganti (sentenza Mavrommatis (etiopia e liberia c. sud africa): Pu essere sufficiente che una discussione sia stata molto breve: ci si verificherebbe se si raggiungesse un impasse, o se alla fine si raggiungesse un punto in cui una delle parti si dichiara categoricamente impossibilitata, o rifiuta, di ripiegare, e non c' dunque dubbio che la controversia pu essere regolata tramite negoziati diplomatici).

Si pu sostenere che il requisito processuale in questione trovi la sua ratio nel principio della buona fede e dell'economia dell'uso degli strumenti di soluzione delle controversie. Va altres considerato quanto verr ripreso in tema di funzione giudiziale internazionale, nel senso che il ricorso alla strada giudiziale non impedisce che le parti perseguano al contempo una soluzione negoziata della controversia approccio integrato. Prima di passare agli altri strumenti diplomatici di soluzione delle controversie buoni uffici, mediazione, inchiesta e conciliazione va osservato che, sebbene per fini didattici e descrittivi essi vengono tradizionalmente trattati separatamente tra loro, essi non possono essere disgiunti dalla negoziazione. Non essendovi nel diritto internazionale strumenti obbligatori di soluzione delle controversie, all'attivazione di ciascuno di tali strumenti si perverr solo con il consenso delle parti e questo non potr che essere il risultato di un negoziato. Inoltre, ciascuno dei mezzi di soluzione in parola a sua volta finalizzato alla promozione di una soluzione negoziata della controversia. I buoni uffici e la mediazione consistono nel tentativo di un terzo di facilitare la soluzione negoziata della controversia. La differenza tra le due figure si pone solo per il grado di intensit del ruolo del terzo. Si pu dire che i buoni uffici costituiscano il livello minimo della mediazione e ci spiegherebbe perch essi non risultino autonomamente indicati tra gli strumenti elencati all'art 33 della Carta ONU. Un es tipico di buoni uffici si rinviene nel ruolo svolto dal Sovrano dell'Arabia Saudita nella vertenza relativa alla delimitazione di spazi marini e terrestri contesi tra Qatar e Bahrein oggetto di una nota sentenza della Corte del 1994 circa la sussistenza della propria giurisd. Tale ruolo consiste nel mantenere la comunicazione convocando e presiedendo riunioni e controfirmando documenti. Nella mediazione il terzo interviene nel merito della controversia presentando alle parti in lite proposte di soluzioni e modificandole sulla base delle reazioni delle parti stesse fino al raggiungimento, quando possibile, dell'accordo risolutivo della controversia. Sia i buoni uffici, che la mediazione, possono essere richiesti da una o ambedue le parti in lite, sebbene in genere simili iniziative vengano proposte dal terzo. In ogni caso, per divenire operative tali proposte debbono essere accettate congiuntamente dalle parti in lite. Ambedue le funzioni possono essere svolte da un individuo o da una istituzione internazionale, nonch da uno Stato. Con riferimento a quest'ultimo caso, si pensi, ad es, al ruolo svolto dall'Algeria all'inizio degli anni '80 nella crisi fra Iran e Stati Uniti. Sulla base degli sforzi del Governo algerino (prima buoni uffici poi mediazione), le parti sono approdate alla sottoscrizione, separata ma contestuale, di una serie di atti (le Dichiarazioni di Algeri 81), costitutive di un accordo generale tra le parti: in linea di massima, l'Iran rilasciava gli ostaggi americani e gli Stati Uniti si impegnavano a restituire all'Iran i beni della famiglia dell'ex-Shah
trasferendo presso un conto bancario della Banca d'Inghilterra, intestato al Governo d'Algeria, 8milioni di dollari di fondi iraniani congelati all'inizio della crisi ( poi stato istituito all'Aja l'Iran-United States Claims Tribunal).

L'inchiesta consiste nell'accertamento dei fatti controversi da parte di un terzo imparziale. Il necessario consenso delle parti in lite pu anche essere stato espresso in termini generali ed astratti in un trattato concluso precedentemente all'insorgere della controversia. L'accordo delle parti indica il soggetto che conduce l'inchiesta, generalmente una commissione composta da individui a titolo personale, e le modalit di funzionamento del procedimento, che di regola si conclude con un accertamento dei fatti non vincolante, salvo naturalmente il caso in cui l'accordo delle parti disponga in senso diverso. Ad esempio la Convenzione delle NU sul diritto del mare di Montego bay del 82 prevede una procedura d'inchiesta con risultati vincolanti per le parti. La conciliazione uno strumento strettamente contiguo all'inchiesta (vale quanto gi detto per questa:commissione,consenso..), assorbente rispetto ad esso, nel senso che un procedimento di conciliazione difficilmente pu prescindere dall'accertamento dei fatti controversi. Ambedue le funzioni, peraltro, possono essere esercitate anche da una sola persona, ritenuta autorevole e imparziale dalle parti in ragione della sua integrit, competenze e posizione rivestita, come, ad es, quella di Segretario generale di una organizzazione internazionale. La conciliazione pu essere considerata come una modalit formale della mediazione, in quanto essa si conclude di regola con la presentazione alle parti di una serie di proposte sul modo di

risolvere la controversia, ovviamente non vincolanti. Le Nazioni Unite promuovono l'accertamento e l'osservanza del diritto promuovendo la soluzione pacifica delle controversie attraverso gli strumenti sopra indicati. Tali funzioni costituiscono oggetto di trattazione e approfondimento nell'ambito dell'insegnamento dell'ONU. In base all'art 35 della Carta ONU ogni Stato pu sottoporre una controversia all'attenzione dell'Assemblea generale o del Consiglio di sicurezza. L'art 38 prevede il deferimento di una controversi al Consiglio di sicurezza quando le parti siano d'accordo a tal fine (nella prassi difficile che avvenga:si preferisce la riservatezza e speditezza di un altro terzo). L'art 37 prevede poi l'obbligo di deferire una controversia al Consiglio quando uno degli strumenti indicati all'art 33 sia stato esperito senza successo, conferendo un diritto-dovere unilaterale di ricorso al Consiglio (di fatto si tratta di un obbligo difficilmente sanzionabile). Il consiglio pu intervenire quando vuole. L'Assemblea generale, in base alla sua competenza generale, ai sensi dell'art 10 della Carta, e il Consiglio di sicurezza, ai sensi degli artt 33, 34 e 36, possono autonomamente interessarsi ad una controversia internazionale e raccomandare agli Stati parti della stessa uno qls degli strumenti di soluzione elencati nell'art 33. Quando il Consiglio dovesse accertare in base all'art 39, secondo una valutazione principalmente di carattere politico, quindi ispirata alla massima discrezionalit, che una determinata situazione, eventualmente anche una controversia, costituisca una minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto di aggressione, esso potr decidere misure di carattere coercitivo ai sensi del Capitolo VII della Carta. Segretario generale delle NU: oltre a guidare l'amministraz pu facilitare la soluzione negoziata delle controversie tra stati: come esecuzione di un mandato formale da parte del Consiglio di sicurezza o dell'Ass Gen, oppure su richiesta delle parti in lite (qui agisce a titolo personale). 2.2.1.1. L'assenza nel sistema ONU di una procedura di controllo giurisdizionale dell'attivit dei propri organi Nel sistema giuridico ONU, diversamente da quanto avviene nell'ambito delle organizzazioni statali e dell'UE, assente un meccanismo di tipo giudiziale per la soluzione di eventuali controversie tra gli organi principali dell'Organizzazione, o tra uno di essi e uno Stato membro. NB: in sostanza, la Carta non prevede il controllo giurisdizionale sugli atti dei propri organi!!!, per cui non vi titolo ad agire in giudizio da parte di uno Stato membro contro l'Assemblea generale, l'ECOSOC o il Consiglio, invocando l'illegittimit e la nullit di un atto da essi adottato. Analogamente, non prevista la possibilit di una procedura contenziosa attivabile da parte dell'Assemblea contro il Consiglio, e viceversa. Il potere pressoch assoluto di controllo sulla funzione di accertamento in materia di uso della forza spetta, quantomeno in termini negativi, ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza attraverso il cd diritto di veto (conferma nella riserva apposta dagli usa all'accettazione della giurisdizione della corte internazion di giustizia nella causa nicaragua c. us). Pu peraltro accadere che, incidentalmente, in un contenzioso tra Stati la Corte internazionale di giustizia si trovi a doversi pronunciare sulla legittimit di un atto di un organo politico dell'Organizzazione, come, ad es, nella causa Lockerbie (vedi 296). Quanto sopra indicato circa l'assenza di controllo giurisd degli atti degli organi ONU si attenua con riferimento alla giurisdizione consultiva della Corte, che si esplica attraverso pareri su questioni che possono essere sottoposte, di regola, dall'Assemblea generale o dal Consiglio di sicurezza. Questo tipo di giurisd pu essere esercitata esclusivamente con riferimento a qls questione giuridica che sorga nell'ambito delle attivit di chi chiede tali pareri, peraltro non vincolanti. I pareri consultivi sino ad oggi richiesti hanno avuto raramente per oggetto questioni giuridiche attinenti a situazioni contenziose tra organi, ad eccezione del parere richiesto nel 1962 dall'Assemblea generale circa la legittimit del finanziamento della prima missione di pace inviata in Medio oriente e in Congo. In sostanza, Francia e Ex-Urss si opponevano al finanziamento perch consideravano tali missioni illegittimamente istituite dall'Assemblea generale (v pag 298 e s). INCISO: per la richiesta di parere sono necessari i voti favorevoli dei due terzi dell'Assemblea generale e di nove membri del Consiglio, senza il voto contrario di alcuno dei cinque membri

permanenti. Uno strumento particolare di soluzione di controversie fra ONU e Stati membri il ricorso alla Corte per un parere consultivo ad esito vincolante: esso previsto, a meno che le parti si accordino su un altro modo di regolamento, in caso di controversie relative alla interpretazione o applicazione della Convenzione generale sui privilegi e le immunit delle Nazioni Unite conclusa nel 1946 tra l'ONU e i suoi Stati membri, fonte di una serie di obblighi per gli Stati stessi sul trattamento delle Nazioni Unite. Sino ad oggi tale procedura risulta essere stata attivata solo una volta, nel 1998 su richiesta dell'ECOSOC: si trattava di una controversia tra l'ONU e il Governo della Malesia circa l'applicabilit a un relatore speciale dell'allora Commissione dei diritti umani (organo sussidiario dell'ECOSOC) dell'immunit dalla giurisd. Nel 1995 questi, alla fine della sua indagine in Malesia sull'indipendenza della magistratura locale, venne citato in giudizio da due societ commerciali locali per risarcimento dei presunti danni derivanti da dichiarazioni presuntamente diffamatorie in tema di corruzione dei giudici. Nonostante gli interventi del Segretario generale ONU, i giudici locali hanno iniziato ad esercitare la propria giurisd senza riconoscere l'immunit del convenuto = parere della Corte del 1999, nel senso che l'immunit dovesse essere applicata nel caso di specie e che il Governo malesiano ha l'obbligo di comunicare questo parere, in quanto vincolante, alle corti malesiane. 2.2.2. Le organizzazioni intergovernative particolari (v pag 308 e ss) Uno sviluppo significativo in tema di soluzione delle controversie avvenuto negli ultimi cinquant'anni legato alla proliferazione di organizzazioni intergovernative particolari, cio di tipo regionale, o finalizzate al perseguimento di fini particolari. Ciascuna di esse prevede meccanismi di soluzione delle controversie diversi tra loro, ma accomunati dal fatto di costituire variazioni degli strumenti tradizionali sopra esaminati. Il fenomeno delle organizzazioni o accordi regionali espressamente contemplato e riconosciuto dal sistema normativo ONU proprio con riferimento al tema della soluzione pacifica delle controversie (art 33). In sede europea, da un lato, troviamo, nell'ambito delle dinamiche giuridiche sovranazionali dell'UE, la Corte di Giustizia delle Comunit Europee con sede a Lussemburgo; dall'altro, vi il Consiglio d'Europa, nell'ambito del quale stata adottata nel 1957 la Convenzione europea per la soluzione delle controversie, con la quale gli Stati parti si impegnano ad accettare la giurisd della Corte internazionale di giustizia, salva la possibilit di sottoporre preventivamente la controversia a conciliazione (tale convenzione ha dato fondamento alla causa sulla piattaforma continentale nel mare del nord). Sempre in ambito di Consiglio d'Europa, si aggiunge la Corte europea dei diritti dell'uomo con sede a Strasburgo, istituita dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e le libert fondamentali di Roma del 1950. Ancora in sede europea si deve aggiungere la Corte di conciliazione e arbitrato prevista in ambito OSCE dalla Convenzione di Stoccolma del 1992, di fatto sostanzialmente inutilizzata. C' poi la Lega degli Stati Arabi. La Carta dell'Organizzazione degli Stati americani (OSA) recepisce con una clausola di compatibilit i principi generali in materia di soluzione delle controversie previsti dalla Carta ONU e fa rinvio alle specificazioni procedurali del cd patto di Bogot. Nel corso degli anni 80 l'OSA ha avuto un'attivit molto intensa: nel 86 ha lanciato un'iniziativa per la soluzione delle controversie tra i 5 Paesi dell'america centrale: Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua risultato=accordo 87 che istituiva la Procedura per la determinazione di una pace solida e duratura in America centrale. Regione latino-americana: da tenere in considerazione il ruolo del Mercosur e della Comunidad andiana. Anche la Carta dell'Organizzazione per l'Unit Africana, oggi Unione Africana, prevede il ricorso ai mezzi tradizionali del diritto internazionale per la soluzione pacifica delle controversie. Ci che di speciale interesse la previsione in essa contenuta di una Commissione di mediazione, conciliazione e arbitrato (Protocollo del Cairo 1964) (mai utilizzata!!). Le controversie possono essere sottoposte alla Commissione anche unilateralmente dalle parti in lite, ma, se le parti convenute si oppongono alla procedura adita, la controversia passa dalla Commissione al Consiglio dei Ministri.

Spesso il Consiglio ha incaricata personalit individuali con funzione di mediatore, come nel 1966 il Presidente dello Zaire Mobutu in un conflitto etnico tra Ruanda e Burundi. Va purtroppo osservato che il carattere esplosivo e lacerante delle numerose situazioni controverse all'interno del continente africano, spesso di carattere etnico, rende scarsamente utilizzabili soggetti africani nel ruolo di terzi promotori di formule risolutive delle controversie. Nella prima parte degli anni '90, dopo la fine della Guerra Fredda, il fenomeno della istituzionalizzazione della Comunit Internazionale, per aree di competenza e aree geografiche, ha prodotto significativi sviluppi proprio nel settore dei meccanismi di soluzione delle controversie. Si segnalano in tema di commercio internazionale, a livello regionale il NAFTA (North Atlantic Free Trade Agreement) costituito da Canada, Messico e Stati Uniti nel 1992, e a livello universale la WTO/OMC (World Trade Organization/Organizzazione Mondiale del Commercio) che nel 1994 ha sostituito, sviluppandolo, il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade). In ambito WTO, si rileva in primo luogo la possibilit di utilizzare i mezzi classici di soluzione delle controversie. In secondo luogo, si presenta l'aspetto marcatamente giurisd del sistema posto dall'accordo generale sulla soluzione delle controversie commerciali relative a pretese violazioni degli accordi OMC ed efficace per tutti gli Stati parti (in virt del sistema cd del pacchetto unico = natura obbligatoria). Esso contempla due fasi di giudizio: la prima, che si svolge dinnanzi al Panel (o Gruppo speciale), concerne l'accertamento della presunta violazione degli accordi e si conclude con la redazione di un rapporto in cui vengono esaminati sia gli elementi di fatto che quelli di diritto della causa. La seconda, che si tiene dinanzi ad un organo permanente (Organo d'Appello), verifica la sola legittimit giuridica delle conclusioni del Panel. 2.2.3. L'accertamento del diritto internazionale nei rapporti tra Stati e privati Uno sviluppo particolarmente significativo in tema di soluzione delle controversie riguarda la costituzione di meccanismi di accertamento dell'osservanza di regole internazionali nei rapporti fra Stati e privati. L'area principale in cui si verificato tale sviluppo negli ultimi cinquant'anni quella dei diritti dell'uomo, cui si associa la materia della tutela degli investimenti stranieri. L'elemento caratterizzante di questo sviluppo attiene al fatto che l'attivazione dei meccanismi di accertamento delle regole in materia viene sempre meno affidata all'azione degli Stati destinatari e beneficiari formali delle stesse regole e sempre pi ai soggetti materialmente beneficiari delle regole in questione, appunto i privati. Sono previsti meccanismi di controllo. 2.2.3.1 ... in tema di diritti umani Come gi indicato, a livello europeo si segnala la Corte europea dei diritti dell'uomo, istituita in base alla Convenzione di Roma del 1950 nell'ambito del Consiglio d'Europa. Essa pu essere adita da qls privato contro uno Stato parte attraverso un vero e proprio procedimento giudiziale, previo esaurimento dei ricorsi interni allo Stato citato, ad eccezione del caso in cui il ricorso abbia ad oggetto un diniego di giustizia, o i tempi irragionevolmente lunghi dei procedimenti interni. Analogamente, la Corte interamericana dei diritti dell'uomo stata istituita nel 1969 nell'ambito dell'Organizzazione degli Stati Americani. La Carta africana per i diritti dell'uomo e dei popoli ha istituito la Commissione per i diritti dell'uomo e dei popoli. In ambito ONU, nel 1946 venne istituita la Commissione dei diritti umani, organo sussidiario dell'ECOSOC; nel 2006, l'Assemblea generale ha istituito il Consiglio dei diritti umani, che dal giugno 2006 ha preso il posto della Commissione e servir da principale forum di discussione e cooperazione nel campo dei diritti umani: l'obiettivo quello di aiutare gli Stati membri dell'ONU a rispettare i propri obblighi in questo settore attraverso il dialogo e l'assistenza tecnica. Il Consiglio pu inoltre effettuare raccomandazioni all'Assemblea generale sull'ulteriore sviluppo del diritto internazionale nel campo dei diritti umani. Il Patto ONU sui diritti civili e politici del 1966 ha istituito il Comitato per i diritti dell'uomo con analoghe funzioni di valutazione dei rapporti presentati periodicamente dagli Stati parti. Si ricorder

tra gli episodi storicamente pi significativi del Comitato le conclusioni negative circa il rapporto presentato nel 1979 dal Governo del Cile allora guidato dal dittatore Pinochet, particolarmente in ordine alla inadeguatezza delle informazioni ricevute. Il Comitato pu esaminare reclami presentati da stati contro stati che abbiano accettato tale competenza (art41) e ricorsi individuali (solo per gli stati parti di un protocollo facoltativo). Il Patto ONU sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 dispone l'obbligo di presentazione periodica di rapporti in materia da parte degli stati. Tali rapporti vengono esaminati dall'ECOSOC e dal Comitato dei diritti economici, sociali e culturali istituito dal patto; viene poi presentato un rapporto annuale all'Ass Gen. 2008:protocollo aggiuntivo x ricorsi individuali. 2.2..2. ... in tema di investimenti privati stranieri e commercio internazionale Tradizionalmente, la tutela degli individui delle societ nel diritto internazionale stata affidata agli Stati di nazionalit degli stessi attraverso la cd protezione diplomatica. Secondo questa figura giuridica lo Stato di nazionalit del privato materialmente leso da comportamenti di uno Stato estero pu intervenire, attraverso l'azione dei propri rappresentanti diplomatici, a sostegno degli interessi concreti dei soggetti in questione, facendo valere la violazione di un diritto (che pu trarre fondamento dal diritto internazionale consuetudinario o pattizio [causa La Grand]) dello Stato stesso in tema di trattamento degli stranieri. La prassi mostra che, tradizionalmente, la protezione diplomatica sia stata esercitata dagli Stati in larga misura a tutela di investimenti di propri cittadini, o societ, all'estero (si pensi, ad es, alla causa El.-Si.). La protezione diplomatica opera anche con riferimento ad ambiti convenzionali multilaterali istituzionali, come nella WTO/OMG. Esempio: causa Kodak-Fuji (vedi pag 311) NB: lo Stato ha piena discrezionalit nel decidere se intervenire in protezione diplomatica, o meno, a tutela del privato, in quanto si tratta di far valere un diritto proprio dello Stato in base al diritto internazionale (potrebbe essere politicamente svantaggioso). Al fine di evitare inconvenienti, gli Stati hanno cercato di promuovere tra loro, sia a livello bilaterale, che multilaterale, meccanismi di soluzione delle controversie attivabili direttamente dal privato leso nei riguardi dello Stato straniero. Simili meccanismi sono stati previsti prevalentemente in tema di tutela dei diritti economici degli operatori e investitori stranieri. Il principale modello di riferimento in materia rappresentato dall'ICSID, costituito con accordo internazionale a Washington del 1965: esso prevede che un investitore privato di nazionalit di uno Stato parte della Convenzione di Washington possa attivare unilateralmente le procedure di conciliazione, ma soprattutto di arbitrato previste dalla Convenzione e amministrate dal Centro nei riguardi dello Stato straniero nel quale stato fatto l'investimento controverso. Ci a condizione, ovviamente, che anche lo Stato d'investimento sia contraente della Convenzione di Washington. Ci che ha reso maggiormente diffuso l'uso delle procedure ICSID il fatto che vi facciano rinvio un numero crescente di trattati internazionali, bilaterali e multilaterali, rilevanti in tema di investimenti (ad es il NAFTA). Come requisito di ammissibilit dell'azione, richiesto che siano trascorsi 6 mesi nei quali sia stato esperito attraverso consultazioni un tentativo concordato di soluzione della controversia. Va poi evidenziato come non sia richiesto il previo esaurimento dei ricorsi interni per attivare la procedura arbitrale, mentre tale attivazione costituisce automaticamente una rinuncia al diritto di far valere la medesima pretesa davanti ai tribunali nazionali. L'art 1120 NAFTA prevede anche la possibilit del ricorso alle regole UNCITRAL, che la Commissione delle Nazioni Unite preposta alla promozione e codificazione delle regole in materia di diritto commerciale internazionale, le quali lasciano alle parti la massima libert procedurale, salva la facolt di attivazione unilaterale della procedura, poich in assenza di collaborazione della controparte nella nomina degli arbitri le regole in questione prevedono che il Segretario generale della Corte permanente di arbitrato dell'Aja designi l'autorit che nomini l'arbitro di parte del soggetto recalcitrante, o l'arbitro unico. Alla soluzione arbitrale di una controversia tra Stati e privati si perverr attraverso una clausola

contenuta nel contratto oggetto della controversia, oppure mediante accordo di arbitrato o cd compromesso arbitrale, successivo all'insorgere della controversia = conseguente rinuncia alla immunit dalla giurisd, nonch, eventualmente, dall'esecuzione. Un altro significativo fenomeno in tema di soluzione delle controversie tra Stati e privati riguarda una serie di recenti iniziative per la gestione di cd mass claims. Si tratta di quelle pretese giuridiche diffuse tra un ampio numero di privati nei riguardi di uno Stato, o una istituzione internazionale, causate dallo stesso evento, o da una unica situazione prolungata. Un es classico in proposito stato gi esposto sopra con riferimento all'Iran-United States Claims Tribunal, costituito nel 1981 dall'Accordo di Algeri e oggi in fase di conclusione delle sue funzioni, dovendo decidere ancora poche cause. Esso competente a conoscere, tra l'altro, delle controversie tra i soggetti privati di ciascuno dei due Paesi contro il Governo dell'altro per illeciti contrattuali, espropriazioni o altre misure privative del diritto di propriet. Un altro esempio costituito dalla Commissione delle NU per il risarcimento delle vittime dell'invasione e occupazione del Kuwait da parte dell'Irak nel 1990 (UNCC, United Nations Comprensation Commission) istituita con risoluzione del Cons di Sicurezza nel 1991. Non un tribunale arbitrale ma un organo amministrativo che accerta il titolo e il quantum del risarcimento. 2.2.3.3. ... tra organizzazioni intergovernative e privati Poich le organizzazioni internazionali non esercitano sovranit su popolo e territorio, pu apparire difficile che esse possano violare obblighi internazionali in modo da incidere direttamente su interessi di soggetti privati. Vi sono, tuttavia, numerose possibilit che soggetti privati subiscano violazioni dei propri diritti attraverso attivit poste in essere, in primis, dall'ONU, mediante i propri organi. Poich, di regola, le organizzazioni internazionali godono della immunit giurisd rispetto ai giudici nazionali, vengono previsti meccanismi alternativi a quelli giurisd. A questo proposito, l'art VIII, sez 29, della Convenzione generale su immunit e privilegi delle Nazioni Unite dispone che esse adotteranno regolamenti per la risoluzione di controversie relative a contratti di cui siano parti o relative al personale, che per la propria posizione ufficiale goda di immunit (se il Segretario generale non ha rinunciato a tale immunit). A parte le ipotesi rispetto alle quali operer una clausola arbitrale contenuta nel contratto oggetto di controversia, con riferimento a illeciti extracontrattuali, verosimile che le organizzazioni tendano, quantomeno in ragione delle complessit delle loro amministrazioni, a ritardare l'adempimento dei loro obblighi in parola, con evidente frustrazione dei privati (OBBLIGHI ARBITRALI DI REGOLA). Un'area specifica di attivit delle organizzazioni nella quale si possono verificare con frequenza lesioni di interessi e diritti di soggetti privati, sia in base al diritto interno che al diritto internazionale, riguarda le cd operazioni di mantenimento della pace. Con riferimento a lesioni derivanti da violazioni di regole di diritto internazionale, viene fatto valere nei riguardi dell'ONU lo stesso principio che essa ha fatto valere nei confronti di Israele in relazione all'uccisione del mediatore Bernadotte: l'ONU, se pu essere soggetto attivo del rapporto di responsabilit quando viene violato un suo diritto, altrettanto potr essere soggetto passivo di tale rapporto quando essa viola un diritto di uno Stato circa il trattamento dei propri cittadini = L'ONU pu essere convenuta in giudizio per pretese derivanti da atti delle sue forze armate e dei membri di queste. Il problema si posto in relazione ai danni a cose e persone (cmq di tipo civilistico) causati durante le operazioni di pace in Congo nel 1960: un certo numero di Stati, tra cui l'Italia, esercitarono la protezione diplomatica a tutela di propri cittadini invocando l'obbligo internazionale dell'ONU di riparare i danni causati nel corso delle operazioni. In via di principio, le Nazioni Unite non hanno riconosciuto un obbligo internazionale di riparazione, indicando di accettare di pagare su base volontaria. L'ONU ha gi ribadito che non evader la propria responsabilit, laddove sia stabilito che agenti ONU abbiano causato un danno ingiusto a soggetti innocenti. Si precisa, tuttavia, che, in linea con questi principi, l'Organizzazione non assumer alcuna responsabilit per danni a persone e cose

risultanti solamente da operazioni militari o da azioni di terzi. Con l'incremento delle operazioni di pace, la questione , di regola, disciplinata preventivamente da accordi ad hoc tra ONU e i singoli Stati nei quali si svolge l'operazione. Generalmente, in tali accordi i governi che ospitano l'operazione si fanno carico di risarcire i privati lesi. In assenza di un accordo del tipo in questione, o quando il governo locale per motivi di guerra civile non sia in grado di esercitare gli elementi di sovranit necessari per dare i dovuti seguiti in via amministrativa o giudiziale ai ricorsi privati, resta l'obbligo generale per l'ONU di offrire rimedi di tipo arbitrale ( stato questo, ad es, il caso dell'operazione di pace UNOSOM IN Somalia:simile posizione rispetto al Congo. Nonostante le dichiarazioni di disponibilit ad assumere la responsabilit internazionale da parte delle NU, la tendenza della prassi a riguardo restrittiva conferma?complicazione del tema dell'attribuzione all'ONU di comportamenti di militari che agiscono per la missione ONU, ma appartengono a contingenti nazionali a disposizione della missione stessa. Corte:non sono militari delle NU quindi no risarcimento! 2.3. Il ruolo delle organizzazioni non governative PREMESSA: analogamente a quanto indicato con riferimento alla formazione del diritto internazionale, il ruolo delle ONG in tema di promozione dell'osservanza delle regole internazionali e dell'accertamento delle stesse oggi significativo e in fase crescente. In tal senso, si segnalano i rapporti e le inchieste elaborati autonomamente da ONG circa lo stato di attuazione, o inosservanza, di strumenti internazionali, particolarmente in materia di diritti dell'uomo e protezione dell'ambiente. Quando elaborati da ONG di comprovata imparzialit e autorevolezza come Amnesty International, Human Rights Watch e WWF, tra le altre, tali rapporti possono esporre all'opinione pubblica e a organi di istituzioni internazionali i comportamenti degli Stati in materia. Oltre a questo contributo esterno rispetto alle istituzioni intergovernative, le ONG in molti casi partecipano in modo collaborativo all'interno delle stesse nell'esercizio di funzioni di controllo dell'adempimento di strumenti internazionali da parte degli Stati. Con riferimento all'ONU, significativa rilevanza assume a questo proposito lo status consultivo delle ONG, specie riguardo all'ECOSOC (come abbiamo gi visto!). In materia di protezione dell'ambiente, un numero sempre maggiore di trattati multilaterali contiene dei meccanismi non conflittuali di controllo dell'osservanza degli stessi, i cd compliance review mechanisms. I relativi organi di controllo che riferiscono i risultati della propria attivit alle conferenze degli Stati parti si avvalgono spesso del contributo delle ONG, principalmente di natura tecnica. Uno sviluppo recente circa il ruolo delle ONG nella funzione di accertamento delle regole di diritto internazionale riguarda la partecipazione delle stesse a procedimenti giurisd internazionali in qualit di amici curiae (figura mutuata dalla common law, che richiede cmq il permesso del giudice). In tal modo si consente alla societ civile organizzata di presentare il suo punto di vista, informazioni o documentazione tecnica su una controversia che pu incidere su interessi che vanno oltre quelli degli Stati parti della stessa, anche se il giudice resta libero di tenerne o non tenerne conto. Il fenomeno non si ancora consolidato con riferimento alla Corte internazionale di giustizia in ragione del non chiaro regime statutario; il coinvolgimento delle ONG del tipo in questione invece consolidato nella prassi europea della Corte europea dei diritti dell'uomo e in corso di consolidamento nei meccanismi di soluzione delle controversie in ambito OMC. 2.4. L'accertamento giudiziale internazionale nelle controversie interstatali In linea con quanto sostenuto nella Parte II, va ricordato che la fiducia nella giustizia internazionale dipende in larga misura dallo stato di condivisione nella Comunit Internazionale dei valori fondamentali giuridicamente tutelati in un determinato periodo storico e, quindi, dal grado di omogeneit ideologica della Comunit stessa. Nel corso degli anni '90 si era registrata una tendenza crescente nella fiducia della Corte e in altri tribunali internazionali da parte degli Stati. Altri fenomeni alla base dell'incremento delle istanze giurisd sono poi di carattere quantitativo: ad es nuove regole giur internazionali in nuovi settori del diritto e nascita di nuovi Stati alla fine del

processo di decolonizzazione e dallo smembramento dell'ex-URSS e dell'ex-Yugoslavia. In linea di principio, la Corte pu essere adita solo dagli Stati. Ci si limiter, qui, ad indicare gli aspetti generali della funzione giudiziale internazionale, i quali verranno considerati e presentati come strumenti di comprensione della dinamica dei rapporti tra gli Stati e come elemento di conoscenza necessario, sia per gli operatori giuridici interni nella tutela degli interessi privati rappresentabili a livello internazionale solo dagli Stati, sia per l'esercizio dei diritti di partecipazione alle scelte di politica estera da parte della societ civile. 2.4.1. La rilevanza per i soggetti privati L'importanza della problematica evidente con riferimento ad azioni giudiziali promosse dagli Stati nell'esercizio della protezione diplomatica. Vi pu essere altres notevole interesse da parte di soggetti privati in procedimenti giudiziali interstatali anche con riferimento a controversie di natura diversa e di carattere pi tipicamente interstatuale, come ad es quelle in materia di delimitazione di confini, sia terrestri che marittimi ( il caso Camerun Nigeria, ad es). Pu esservi poi notevole interesse alla soluzione di una controversia sui confini anche da parte di soggetti di nazionalit di Stati terzi, con speciale riferimento agli operatori economici: ci particolarmente evidente in tema di sfruttamento delle risorse naturali, specie petrolifere e minerarie (es controversie sulle piattaforma continentale del mare del nord e sui confini terrestri e marittimi tra Qatar e Barhein) . Da ci l'esigenza anche per gli operatori di settore di conoscere il quadro giuridico internazionale delle aree oggetto di investimento. 2.4.2. Il carattere consensuale della giurisdizione internazionale NB: come gi indicato, la caratteristica principale della funzione giudiziale internazionale il suo carattere volontario. Dall'assenza di giurisd obbligatoria internazionale deriva che l'accertamento giudiziale internazionale ha natura arbitrale. Ci vale con riferimento, tanto ai tribunali arbitrali, quanto alla Corte internazionale di giustizia. Nel primo caso, la volont delle parti contraenti istituisce il tribunale, prevedendone la composizione, poteri, regole di procedura e regole materiali applicabili alla controversia. Nel secondo tutto stabilito nello Statuto (parte della Carta delle NU). Una istituzione internazionale di particolare rilievo preposta alla promozione dei procedimenti arbitrali la Corte permanente di arbitrato (CPA), il cui Segretario generale pu designare l'autorit di nomina degli arbitri quando le parti in lite non riescano a trovare un accordo; a ci si aggiunge una lista degli arbitri composta su nomina degli Stati parti delle Convenzioni dell'Aja del 1899 e 1907 (dal 2001 vi interviene anche il Segretario). Uno degli elementi pi importanti della Corte costituito da una serie di regole procedurali alle quali gli Stati possono riferirsi per disciplinare il procedimento arbitrale al quale intendono sottoporre una determinata controversia. Queste regole prevedono la procedura per la composizione del tribunale arbitrale e, salva diversa volont delle parti, il diritto applicabile (tratt internazionali tra le parti in lite/consuet internaz/princ gen/giurisprudenza e dottrina). Con l'entrata in funzione, alla fine della Prima Guerra Mondiale, della Corte permanente di giustizia internazionale prevista dal Patto della Societ delle Nazioni, poi divenuta Corte internazionale di giustizia, si pu dire che il ruolo della CPA si sia attenuato. Tuttavia, alcuni importanti arbitrati interstatuali in epoca recente sono stati condotti secondo le regole e con l'assistenza della cancelleria della CPA; va inoltre rilevato come durante gli anni '90 la CPA abbia rilanciato il proprio ruolo rivedendo le proprie regole estendendole a controversie tra Stati e privati, tra Stati e organizzazioni internazionali e tra organizzazioni internazionali e privati. Il motivo principale per cui le parti di una controversia optano per la soluzione arbitrale, piuttosto che per la Corte internazionale di giustizia, o un altro tribunale precostituito, come il Tribunale delle Nazioni Unite per il diritto del mare istituito in base alla Convenzione di Montego Bay del 1982, dipende dal fatto che in tal caso le parti possono in qualche misura controllare la composizione del tribunale arbitrale attraverso la nomina degli arbitri di parte, o anche, quando possibile, attraverso l'accordo sull'arbitro unico. La Corte internazionale di giustizia presenta la caratteristica distintiva di essere precostituita con

riferimento alla sua composizione, sede, cancelleria e regole di procedura. Il diritto internazionale applicabile previsto in linea generale nell'art 38 del suo Statuto, che parte integrante della Carta ONU. TUTTAVIA, anche il ruolo della Corte di natura arbitrale, ad eccezione della sua funzione consultiva che, in considerazione del suo carattere non vincolante, pu essere assimilata alla conciliazione. NB: il fondamento indispensabile della giurisd internazionale dato dal consenso delle parti a sottoporre una determinata controversia a soluzione giudiziale. Dopo aver esperito invano un tentativo di composizione amichevole della controversia, nel caso di un trattato bilaterale ad es, lo stato A potr citare B solo verificando l'esistenza nel trattato stesso di una clausola giurisd sulla cui base citare B davanti alla Corte = necessaria verifica dell'esistenza del consenso in discorso precedentemente manifestato all'insorgere della controversia medesima (lo stesso cmq vale per trattati multilaterali). In mancanza di clausole in vigore del tipo sopra indicato, ovvero nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto una regola consuetudinaria, lo Stato A dovr verificare l'esistenza di un accordo generale di arbitrato, bilaterale o multilaterale, di cui anche B sia parte e che contempli il tipo di controversia in questione (poi per ogni singolo caso = accordo speciale di arbitrato!!). Queste disposizioni prevedono solo obblighi di concludere un accordo che stabilisca la giurisdizione del tribunale internazionale una volta sorta la controversia tra gli stati parti. L'accordo speciale determiner, in particolare, il diritto applicabile e definir l'ampiezza della controversia. Va da s che il soggetto pi forte nella trattativa cercher, caso per caso, di ampliare o restringere l'ambito della controversia, cd petitum, e le regole di diritto applicabile, in base alla sua posizione in fatto o in diritto nella controversia. Il deferimento poi di una controversia a soluzione arbitrale o giudiziale mediante accordo speciale riveste una certa complessit pratica e lunghezza dei tempi, per il fatto che esso soggetto alle procedure interne di stipulazione del trattato, nella gran parte dei casi comprensive dell'autorizzazione parlamentare (art80Cost). Vi infine un'ultima possibilit da accertare: si tratta cio di verificare se A e B abbiano effettuato la dichiarazione unilaterale di accettazione della giurisd della Corte internazionale di giustizia, di cui all'art 36 dello Statuto della Corte, in termini tali da comprendere la controversia in questione. Si tratta del titolo di giurisd invocato dal Nicaragua e accolta dalla Corte nella causa contro gli Stati Uniti gi diffusamente esaminata sotto altri aspetti. Si ricorder che gli Stati Uniti si opposero alla giurisd della Corte ritenendo che la riserva contenuta nella loro Dichiarazione di accettazione della giurisd della Corte fosse stata aggirata da questa, tanto da non comparire in giudizio durante quel procedimento e ritirando tale Dichiarazione nell'agosto 1985.Ad oggi gli Stati che hanno effettuato tale Dichiarazione sono 66 e tra questi non figura l'Italia( v pag 334 per un es di Dichiarazione di accettazione, nella specie del Regno Unito). 2.4.2.1. Riflessi della consensualit della giustizia internazionale su metodo e portata dell'accertamento giudiziale del diritto internazionale Dai numerosi brani giuri citati nella Parte II appare con evidenza che nell'accertamento dell'esistenza e del contenuto di una determinata regola consuetudinaria, la Corte internazionale di giustizia non svolga una ricerca approfondita della prassi e della opinio iuris degli Stati, oltre a quelle degli Stati in lite. La Corte argomenta le proprie conclusioni in termini assai meno documentati di qls saggio giuridico di media qualit. Si potrebbe pensare ad una superficialit della Corte, forse indotta dalla ingente quantit di lavoro, ma sarebbe un errore. Sembra, piuttosto, che tale approccio dipenda principalmente dal principio della consensualit della giurisd ai sensi dello Statuto che parte integrante della Carta delle Nazioni Unite. Deve, infatti concludersi, cosa spesso trascurata, che se la Corte si riferisse a specifici elementi di prassi e opinio iuris di Stati terzi, per quanto rilevanti alla ricostruzione del diritto applicabile alla controversia in questione, rischierebbe di incidere sulla esistenza o sul contenuto di diritti e obblighi di tali Stati senza il loro consenso. Ci comporterebbe una violazione del principio della consensualit della giurisd stabilito nell'art 36 dello Statuto della Corte, nonostante il suo art 59 preveda che le decisioni della Corte sono vincolanti solamente per le parti e solo in relazione a

quella causa. Le considerazioni appena svolte trovano conferma nelle parole della Corte stessa quando ha ritenuto necessario sottolineare nella sentenza Nicaragua c Stati Uniti: La Corte non ha giurisdizione per giudicare la conformit al diritto internazionale della condotta di Stati non parti alla presente controversia o di Parti non legate alla controversia; neppure la Corte ha il potere di attribuire agli Stati opinioni che essi non hanno direttamente espresso. L'applicazione pi significativa del principio della consensualit della giurisd della Corte quella per cui essa si astiene dal giudicare una controversia, rispetto alla quale ha giurisd!!, per il fatto che la sua decisione potrebbe indirettamente incidere su diritti e obblighi di uno Stato terzo. Ci si verificato nella causa promossa dal Portogallo, in qualit di potenza titolare dell'amministrazione fiduciaria dell'isola di Timor Est, contro l'Australia per lo sfruttamento da parte di quest'ultima di risorse naturali nella piattaforma continentale timorese in violazione del diritto del popolo timorese all'autodeterminazione. Sebbene la giurisd della Corte si fondasse sulle dichiarazioni unilaterali ai sensi dell'art 36 dello Statuto, essa ha deciso a larga maggioranza (14 a 2) di non potere esercitare la propria giurisd. In sostanza, ha ritenuto che valutando il comportamento dell'Australia essa si sarebbe inevitabilmente pronunciata sulla validit del trattato tra Australia e Indonesia sullo sfruttamento delle risorse naturali presenti nella piattaforma continentale in questione, di cui si prospettava il contrasto con una norma di ius cogens, quale il diritto all'autodeterminazione dei popoli. 2.5. Funzione giudiziale e soluzione diplomatica delle controversie Nel trattare dei vari mezzi diplomatici di soluzione delle controversie, stato gi indicato come difficilmente essi possano operare separatamente l'uno dall'altro. Si rileva, dunque, un significativo rapporto complementare tra funzione giurisd e soluzione negoziale delle controversie, particolarmente con riguardo a controversie relative a delimitazioni dei confini o in materia di sfruttamento di risorse naturali condivise da pi Stati: paradigmatica la sentenza Gabcikovo-Nagymaros, in cui l'accordo speciale che ha conferito giurisd alla Corte ha previsto che, immediatamente dopo la sentenza, le parti avrebbero iniziato un negoziato sulle modalit di esecuzione della stessa, basandosi su parametri forniti dalla Corte. Il tipo di controversie in questione facilita l'interazione tra giurisd e negoziato in quanto si presta all'esercizio di giustizia distributiva. Jennings: Un nuovo clima, nel quale l'utilizzo di un tribunale internazionale o di un arbitrato non pi considerato come qualcosa di esterno e diverso rispetto al contesto ordinario delle relazioni tra governi, ma, invece, come un mezzo, un meccanismo da usare nel corso dei negoziati diplomatici. Schwebel: La Corte non pi considerata solamente come un rimedio di ultima istanza, tanto vero che gli Stati ricorrono ad essa in parallelo con altri metodi di risoluzione delle controversie. 2.6. L'accertamento del diritto internazionale penale Un settore specifico nel quale si sono sviluppati meccanismi giurisd di accertamento di regole di diritto internazionale, con riferimento al comportamento di individui, le cui vittime sono altri individui, riguarda i cd crimini internazionali, cio attivit lesive di valori che trascendono gli interessi delle singole comunit statali, in relazione alle quali si crea nella societ internazionale una esigenza generalizzata di repressione. Ne deriva, quindi, la responsabilit penale individuale, cio a carico dell'individuo che pone in essere il crimine stesso. Una seconda conseguenza che il principio in questione opera anche, eventualmente, in deroga alla regola generale per cui l'attivit posta in essere in nome e per contro dello Stato attribuibile unicamente a quest'ultimo = Tribunale di Norimberga (1946): I crimini contro il diritto internazionale sono commessi da uomini, non da entit astratte, e solo attraverso la punizione degli individui che commettono tali crimini si pu assicurare l'osservanza delle regole di diritto internazionale. Nella categoria dei crimini internazionali rientrano, innanzitutto, i crimini di guerra, il crimine di genocidio e i crimini contro l'umanit, i quali costituiscono i cd core crimes, previsti da regole di natura sia consuetudinaria sia pattizia. Alla commissione di tali crimini si collega la facolt, se non

addirittura l'obbligo, di repressione da parte di qls Stato, indipendentemente dal luogo in cui sono stati commessi, secondo il principio della giurisdizione universale, e senza che siano invocabili in senso contrario eventuali termini nazionali di prescrizione del reato. Vi sono poi crimini internazionali previsti,in linea di principio, solo da norme pattizie, quali, innanzitutto, il traffico internaz di stupefacenti e il terrorismo internazionale, cd treaty crimes. La repressione penale organizzata mediante il coordinamento delle giurisd nazionali (cd indirect enforcement system of international criminal law) oppure attraverso l'istituzione di un tribunale internazionale (cd direct enforcement system). 2.6.1. Gli organi giudiziari nazionali Sono ormai numerosissime le convenzioni internazionali, universali e regionali, per combattere fenomeni criminosi di rilevanza internazionale. Sul piano del diritto penale sostanziale, vi ritroviamo la definizione delle attivit vietate unita all'obbligo, per gli Stati parte, di introdurre le relative fattispecie criminose nel proprio ordinamento penale e di prevedere la punibilit delle stesse con pene severe. Sotto il profilo processuale, l'obbligo di stabilire la giurisd sussiste, generalmente, in presenza di alcuni collegamenti ritenuti significativi: tipicamente, accanto al criterio della territorialit, sono stabiliti i criteri della nazionalit del presunto autore del reato e della vittima (=principi della personalit attiva e passiva). Il principio della universalit della giurisd , invece, di solito previsto in via sussidiaria, al fine di consentire l'operativit del principio aut dedere aut iudicare che costituisce il perno di questi regimi convenzionali. In base a questo lo stato che rigetti la richiesta di estradizione di un altro stato ha l'obbligo di sottoporre il caso alle proprie autorit giudiziarie competenti per la repressione penale. Il principio del coordinamento anche alla base dell'obbligo generale di prestarsi reciproca assistenza nelle rispettive indagini giudiziarie. Manca poi un meccanismo di controllo della esecuzione delle eventuali sentenze di condanna sulla base delle convenzioni. 2.6.2. I tribunali penali internazionali Successivamente all'esperienza storicamente conclusa dei tribunali penali militari istituiti dalle potenze alleate, a Norimberga e Tokyo, per processare all'indomani della Seconda Guerra Mondiale i criminali nazisti, nel 1947 l'Assemblea generale ONU aveva conferito mandato alla CDI di elaborare un progetto di Codice di crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanit, che codificasse i principi di diritto internazionale contenuti nello Statuto del Tribunale di Norimberga. Con tale iniziativa si cercava di costituire un deterrente giuridico nei riguardi della ripetizione di crimini tanto odiosi e di impedire che un giorno potesse essere ripresentato l'argomento della difesa dei criminali a Norimberga, secondo cui l'applicazione di regole di diritto internazionale in materia avrebbe violato il principio del nullum crimen sine lege, in quanto regole dettate dai vincitori e non consolidate nel diritto consuetudinario. L'anno successivo, l'Assemblea affidava alla CDI anche il compito di valutare la fattibilit e la desiderabilit di una Corte penale internazionale di carattere permanente, con giurisd sui crimini che sarebbero stati ricompresi nel codice, e di elaborare il relativo progetto di Statuto. I lavori vennero presto sospesi, per riprendere con nuovo slancio solo dopo la fine della Guerra Fredda. L'impulso decisivo alla conclusione dei lavori venuto dall'iniziativa del Consiglio di sicurezza di istituire due tribunali ad hoc, suoi organi sussidiari: il Tribunale internazionale penale per la ex-Yugoslavia (1993) e il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (1994), entrambi con carattere prioritario della loro giurisd rispetto a quella dei giudici nazionali. Una loro caratteristica, comune anche alla Corte penale internazionale, quella di dipendere, tanto per l'arresto delle persone accusate che per la raccolta delle prove, dalla cooperazione degli Stati membri. Nel 2002 lo Statuto della Corte penale internazionale adottato dalla Conferenza di Roma delle Nazioni Unite del 1998 entrato in vigore successivamente al deposito della sessantesima ratifica. Sul piano formale, rispetto ai due tribunali ad hoc, essa istituita da un trattato internazionale: dunque, da uno strumento vincolante (prima risoluzioni), in linea di principio, per i soli Stati parte,

salva l'ipotesi di una dichiarazione ad hoc di accettazione della giurisd della Corte o una richiesta del Consiglio di sicurezza. Dal punto di vista giurisd, la sua caratteristica principale , invece, la sua complementariet rispetto alle giurisd penali nazionali. Ci significa che essa pu esercitare la propria giurisdizione solo qualora nessuno stato abbia la capacit o la volont di perseguire al suo interno i crimini di cui si tratta. Inoltre la corte pu esercitare la propria giurisdiz a condizione che lo stato (luogo o cittadinanza) sia parte dello statuto giurisd pi limitata rispetto agli stati, che poggiano sul principio di universalit. La Corte competente per quattro categorie di crimini: il crimine di genocidio, i crimini contro l'umanit, i crimini di guerra e, infine, il crimine di aggressione (solo potenzialmente:l'esercizio della giurisd subordinato all'adozione di una disposiz che ne stabilisca condizioni e fattispecie criminose;un primo tentativo c' stato con la Conf di revisione dello statuto della CPI ma nn pu essere attuato prima del 2017. Definizione crimine di aggressione:per rientrare nella competenza della corte la condotta criminosa dovr essere attribuibile a un dirigente politico o militare e dovr costituire una violaz manifesta della Carta ONU). No competenza nei confronti di crimini commessi da un sogg, o sul territorio,di uno stato terzo. Lo Statuto si occupa dei rapporti tra Corte e Consiglio anche agli articoli 13 e 16, che disciplinano due diverse modalit di interazione tra di loro: 13) prevede il potere del consiglio di sicurezza di attivare la corte relativamente a un caso specifico: potere di referral (richiesta) es. Darfur. Il carattere vincolante della risoluzione del consiglio conferisce fondamento obbligatorio all'azione penale della corte, lo stesso vale per il mandato di arresto; 16) prevede il potere del consiglio di 'bloccare' temporaneamente l'esercizio della giurisd della corte:potere di deferral (blocco). 2.6.3. I tribunali misti o internazionalizzati Si tratta di organi giudiziari incaricati dell'amministrazione della giustizia penale in relazione a crimini commessi in particolari situazioni geograficamente e, di solito, anche temporalmente definite. La loro specificit nel carattere misto della composizione, che consente la partecipazione di giudici di formazione internazionale accanto ai giudici locali. Un'altra caratteristica comune data dalla loro localizzazione in theatre, cio nel luogo in cui i crimini sono stati commessi. Per il resto sono molto diversi tra loro, sia per le modalit di istituzione e finanziamento, che per competenza e diritto applicabile. Si pensi, ad es, alla Corte speciale per la Sierra Leone, ai tribunali misti in Cambogia, a Timor est, in Kosovo e Libano. 2.7. Responsabilit penale individuale e responsabilit internazionale degli Stati La commissione di un crimine internazionale comporta altres la commissione di un fatto illecito internazionale dello Stato di cui l'individuo organo, o cmq, dello Stato la cui condotta in questione riferibile, secondo le regole generali in materia di attribuzione dei fatti illeciti internazionali. Ci in quanto gli autori dei crimini in questione sono, appunto, organi di Stato, oppure perch tali crimini sono il risultato di politiche o di scelte indirettamente favorite o cmq appoggiate dall'apparato di governo di uno Stato. Il crimine individuale e l'illecito di Stato possono talora confondersi, come nel caso dell'aggressione, ove la responsabilit penale individuale normalmente dipende dall'esistenza di un atto di aggressione dello Stato cui l'individuo stesso appartiene.

3 PRINCIPI FONDAMENTALI IN TEMA DI ACCERTAMENTO E APPLICAZIONE DELLE REGOLE INTERNAZIONALI 3.1. Interpretazione delle regole convenzionali La Corte internazionale di giustizia ha fatto ripetutamente riferimento agli artt 31-32 (v note 289290) della Convenzione di Vienna, che costituiscono i parametri di riferimento normativi in tema di interpretazione, in contrasto con la tradizionale libert dell'interprete. La Corte ha poi indicato di ritenere che essi riflettano il diritto consuetudinario in materia. 3.1.1. I limiti alla ricerca delle intenzioni delle parti Dal combinato disposto dei due artt si ricava una certa prevalenza del metodo d'interpretazione oggettivo, vale a dire quello testuale. Questa soluzione ha prevalso rispetto a quella flessibile, sostenuta dalle delegazioni rappresentanti della cultura giuridica di common law, mirata alla individuazione della intenzione delle parti, anche al di l del significato del testo. Questo spiega come i metodi d'interpretazione relativi ai lavori preparatori del trattato e alle circostanze relative alla conclusione dello stesso siano stati enunciati nell'art 32 come strumenti supplementari, o secondari, in una disposizione separata rispetto all'art 31 che contiene la regola generale. Va, in effetti, considerato che, sempre pi, la spinta a condurre a termine negoziati internazionali, specialmente multilaterali, conduce a formule redazionali di compromesso, le quali spesso ottengono il consenso proprio per il fatto di prestarsi a interpretazioni divergenti, in quanto rispondenti a intenzioni divergenti. Alla luce di tale considerazione, appare evidente come l'esigenza di maggiore prevedibilit o minore imprevedibilit nei rapporti giuridici sia meglio perseguita attraverso strumenti d'interpretazione che privilegino la ricerca dell'intento comune manifesto dei contraenti = approccio obiettivistico alla interpretazione di diritti e obblighi che emergono da manifestazioni scritte: sentenza Qatar c Bahrein. Il Bahrein, convenuto in giudizio, contestava la giurisdizione della corte negando la validit dello strumento in base al quale il Qatar aveva sottoposto la controversia alla corte. 1) Bahrein:il testo del documento controverso non un accordo internaz, solo un verbale; 2) ministro degli esteri:non intendeva concludere un accordo internaz giuridicamente vincolante; 3) collegio di difesa:dal comportamento del Qatar si evince l'assenza di intenzione delle parti di sottoscrivere un accordo giuridico (tardiva registrazione presso il segretario delle NU e no procedura costituzionale). Corte: 1) il verbale crea diritti e obblighi internaz; 2) non viengono considerate le intenzioni ma il comportamento manifesto; 3) la mancata o tardiva registrazione non ha conseguenze sulla validit.
Privilegiando il significato da collegare al comportamento manifesto della sottoscrizione del testo sulle presunte intenzioni dell'individuo-organo e cio il Ministro degli esteri del Bahrein , la Corte ha dato prevalenza al principio dell'affidamento dei terzi [reliance], articolazione del principio della buona fede, che cmq principio cardine nella interpretazione dei trattati, come codificato nello stesso art 31.

3.1.2. Segue: l'interpretazione testuale e contestuale I tre elementi oggetto di riferimento dell'interpretazione obiettivistica indicati nell'art 31, testo, contesto e oggetto e scopo del trattato, vanno considerati come operanti congiuntamente. Non esiste una gerarchia: essi vengono presentati seguendo la progressione logica di utilizzo degli stessi! Infatti nell'esame di uno strumento convenzionale normale iniziare con la lettura del testo; successivamente, questo verr letto in termini contestuali; infine, si terr conto dell'oggetto e dello scopo che, a sua volta, si desumeranno dal testo e contesto del trattato. L'art 31 par3 lett b) interpretato in modo restrittivo, un es. sentenza El Salvador c Honduras.
insieme al contesto viene tenuto conto della prassi successiva nell'applicazione del trattato da cui si desume l'accordo delle parti relativo alla sua interpretazione. Causa:la corte ha affrontato il tema della rilevanza della prassi applicativa dell'accordo speciale del 1986 con il quale si conferiva giurisd a una sezione della Corte sulla controversia in tema di confini terrestri e marittimi. Con l'accordo le parti hanno chiesto al giudice di delimitare i confini terrestri e determinare lo status giuridico di quelli marittimi. Honduras: l'accordo attribuisce alla corte la delimitazione di quelli marittimi la prassi deve essere tenuta in considerazione (art 31 par3 lett b) l'Honduras ha invocato questa regola e la prassi successiva delle parti per dimostrare

che la delimitazione degli spazi marittimi era prevista. Corte: nessuna delle considerazioni dell'Honduras pu prevalere sull'assenza nel trattato di qualsiasi riferimento alla delimitazione.

3.1.3. Segue: metodi di interpretazione sussidiari Il metodo d'interpretazione testuale e contestuale che emerge dalla lettura dell'art 31 non assoluto. Ad esso si aggiunge in via sussidiaria (art 32) la possibilit di riferimento agli strumenti secondari di interpretazione, quali i lavori preparatori o le circostanze relative alla conclusione dell'accordo stesso. Va peraltro osservato che l'orientamento della Corte circa l'ammissibilit di criteri diversi da quello testuale era stato nel 1962 fortemente restrittivo, limitandolo alla ipotesi in cui attraverso il senso ordinario delle parole del testo si giunga a risultanti contrastanti con la ratio e lo scopo del trattato. Questo approccio restrittivo appare oggi sicuramente attenuato, in conformit con l'art 32 della Convenzione di Vienna: la sua lett a ammette il ricorso agli strumenti interpretativi sussidiari non solo quando il metodo testuale conduce a risultati assurdi o irragionevoli (lett b) o in contrasto con la ratio delle regola rilevante o del trattato che la contiene, ma anche nella ipotesi (certo pi frequente) in cui il significato del testo sia ambiguo. 3.2. Le regole per fare valere una causa di invalidit, estinzione o sospensione di un trattato Professor Francesco Capotorti: Il problema cruciale della Conferenza di Vienna, dalla cui soluzione dipendevano le sorti stesse della Conferenza, stato indubbiamente quello della procedura da istituire ai fini dell'applicazione delle ipotesi di nullit, estinzione, recesso e sospensione. Ad eccezione di quanto si dir nel prossimo par circa l'ipotesi di contrasto fra un trattato e una norma di ius cogens, la Convenzione di Vienna cerca di raggiungere un punto di equilibrio tra soluzione giudiziale obbligatoria, da un lato, e totale soggettivit, dall'altro. L'art 65 prevede che lo Stato che ritiene sussista una delle cause d'invalidit, estinzione o sospensione di un trattato lo notifichi in forma scritta alle altre parti contraenti e attenda - prima di denunciare il trattato, recedere dallo stesso o sospenderne l'applicazione - che siano decorsi almeno tre mesi senza che l'altro o gli altri Stati parti abbiano sollevato obiezione. Il termine di tre mesi viene quindi individuato, salvo situazioni di urgenza particolare come il periodo entro il quale desumere l'acquiescenza degli Stati che non reagiscono alla notifica in questione. Con riferimento all'ipotesi in cui l'obiezione venga sollevata prima del decorrere dei tre mesi, l'art 65 fa rinvio all'obbligo di ricorrere a uno o pi mezzi di soluzione pacifica delle controversie codificati all'art 33 della Carta ONU. Si tratta di un obbligo che difficilmente si presta ad attuazione coercitiva e che, dunque, dipende dall'osservanza spontanea e dalla buona fede degli Stati coinvolti (in questo la Convenzione nulla aggiunge al diritto internazionale generale in tema di soluzione delle controversie). Un valore normativo aggiunto rispetto al diritto internazionale generale in tema di soluzione delle controversie lo si rileva nell'art 66, lett b. Quest'ultimo rafforza l'art 65, integrandolo con la possibilit di ricorso unilaterale a procedura conciliativa. Va infine aggiunto che l'importanza degli strumenti per la soluzione delle controversie in questione si attenua nella considerazione che gran parte di tali controversie nasce in relazione a trattati che consentono il ricorso unilaterale a istanze arbitrali o alla Corte internazionale di giustizia. 3.2.1. ... il contrasto con una norma di ius cogens Nella ipotesi in cui uno Stato faccia valere l'invalidit di un trattato per presunto contrasto con una norma di ius cogens, invalidit preesistente (art 53) o sopravvenuta (art 64), l'art 66 della Convenzione di Vienna introduce eccezionalmente l'ammissibilit di ricorso unilaterale davanti alla Corte internazionale di giustizia. Alla lett a, esso dispone che, decorsi dodici mesi da quando stata sollevata la causa di invalidit del trattato senza soluzione consensuale tra le parti: Ciascuna parte di una controversia riguardante l'applicazione o l'interpretazione degli artt 53 e 64 pu attraverso domanda scritta sottoporre tale controversia alla Corte internazionale di giustizia, a meno che le parti non si accordino di sottoporla ad arbitrato.

Si tratta di una importante deroga al principio della consensualit della giurisd internazionale, prevista al fine di fare valere un interesse superiore della Comunit Internazionale tutelato dalla norma rispetto alla quale viene invocata l'incompatibilit del trattato. Va evidenziato come la disposizione in esame preveda il diritto di ricorso unilaterale esclusivamente per gli Stati parti del trattato contestato. Sarebbe, invece, coerente con il carattere universale degli interessi protetti dalle norme cogenti che ogni Stato parte della comunit internazionale si veda riconosciuto l'interesse giuridico ad agire in giudizio uti universi per promuovere l'accertamento giudiziale di una presunta incompatibilit di un trattato con una di tali norme. Ci, peraltro, avrebbe richiesto una modifica dello Statuto della Corte che prevede che una sua sentenza abbia valore obbligatorio solo per le parti della controversia, mentre l'azione in giudizio qui prospettata verrebbe promossa per un accertamento e un annullamento la cui validit avrebbe senso in quanto valida erga omnes (!), appunto per tutti gli Stati della comunit. I limiti del regime giuridico in esame sono emersi nella gi citata causa Portogallo c Australia relativa a Timor Est, sebbene la causa non sia stata promossa sulla base dell'art 66 della Convenzione di Vienna = Tuttavia, la Corte ritiene che il carattere erga omnes di una norma e la regola del consenso alla giurisdizione siano due cose differenti. Qualsiasi sia la natura degli obblighi invocati, la Corte non pu decidere sulla legalit della condotta di uno Stato, qualora la sua decisione implicasse una valutazione della legalit della condotta di un altro Stato, che non parte della controversia davanti alla Corte. In questi casi, la Corte deve astenersi dal decidere, anche nella circostanza in cui il diritto in questione abbia natura erga omnes. La problematica presentata da questa controversia ripropone ancora una volta il tema di fondo della presente trattazione relativo al rapporto fra stabilit e mutamento!!: da un lato c' stato lo sviluppo di nuove regole materiali, dall'altro non c' volont di adeguare il sistema delle regole di organizzazione e procedurali per l'esecuzione di tali regole materiali. come se la comunit internazionale sia stata pronta a formalizzare le proprie aspirazioni ideali in regole giuridiche, senza accettarne una volta per tutte una regolamentazione delle conseguenze. Nell'accogliere tali considerazioni va sottolineato ancora una volta il fatto che la politica giudiziale della Corte, apparentemente restrittiva in tema di consensualit della giurisd, dettata in modo determinante dai limiti che le vengono imposti dal suo Statuto. Ne consegue che qls prospettiva di cambiamento non pu prescindere dalla considerazione che lo Statuto parte integrante della Carta delle Nazioni Unite ed soggetta alle procedure aggravate di modifica della Carta stessa. 3.3. Interpretazione e applicazione delle regole consuetudinarie Generalmente, il tema dell'interpretazione del diritto internazionale viene trattato esclusivamente con riferimento all'applicazione di regole pattizie, ritenendo l'interpretazione delle consuetudini coincidente con il loro accertamento. Di conseguenza, assai difficile rinvenire enunciazioni di principio in materia di interpretazione delle regole consuetudinarie. La rilevanza pratica della tematica in esame emerge con particolare evidenza quando l'interprete si trova a dovere applicare una consuetudine ad una fattispecie che in tutte le sue circostanze fattuali non trovi eguali in precedenti controversie. Es. sentenza Oil Field of Texas, Inc c. Iran dell'IranUnited States Claims Tribunal: Le norme rilevanti vanno perci derivate dai principi del diritto internazionale applicabili in circostanze analoghe o dai principi generali del diritto: lo sviluppo del diritto internazionale si sempre basato sull'applicazione di principi generalmente riconosciuti a circostanze nuove prima d'allora mai incontrate. Pare in ogni caso difficile sostenere che una consuetudine precedentemente accertata debba essere applicata nuove fattispecie rientranti nel suo ambito di applicazione prescindendo dai principi generali di interpretazione che sono emersi dal diritto dei trattati, ad eccezione di quelli specificamente legati alla natura convenzionale delle regole oggetto di interpretazione. Pare altres ragionevole che i criteri interpretativi codificati nella Convenzione di Vienna, sostanzialmente legati all'interpretazione testuale, vadano applicati all'interpretazione dei numerosi elementi scritti generalmente costitutivi di una consuetudine internazionale: corrispondenza

diplomatica, risoluzioni di organizzazioni internazionali, atti finali di conferenze diplomatiche, etc. 3.4. Principi generali del diritto nell'applicazione e interpretazione del diritto internazionale In tema d'interpretazione, il primo (e ultimo) principio generale di riferimento quello della buona fede, codificato nell'art 31 della Convenzione di Vienna sull'interpretazione dei trattati e articolato in termini assai ampi, particolarmente attraverso il principio di ragionevolezza, di coerenza in termini di non contraddizione e di equit. A titolo esemplificativo, si pu richiamare il ruolo integrativo del principio della buona fede con riferimento all'obbligo di negoziazione sopra esaminato (codificato dal giudice coniugandolo ed integrandolo con il principio della buona fede).
1957: causa arbitrale Francia c. Spagna, obbligo generale di cooperazione nella gestione dei corsi d'acqua condivisi da pi stati attraverso il perseguimento in via negoziale dell'accordo seguendo il principio della buona fede. 1969: piattaforma continentale mare del Nord principio di buona fede integrato rispetto all'obbligo di negoziazione, le parti devono comportarsi in modo tale che i negoziati abbiano un senso. 1974: Regno Unito contro Islanda per peschiere ciascuna parte deve in buona fede tenere ragionevolmente in conto i diritti altrui.

Il manuale fornisce poi una serie di es di applicazione e interpretazione dell'obbligo in questione, che una regola di condotta, rispetto al quale il principio di buona fede viene usato ad un tempo come criterio d'interpretazione ed elemento costitutivo del modo di essere dell'obbligo stesso. Tra le numerose articolazioni e specificazioni del principio generale primario della buona fede, ne troviamo di significative al punto da avere assunto una identit autonoma rispetto ad esso, quali l'affidamento (reliance), acquiescenza, estoppel, proporzionalit. Alcune di tali articolazioni, come strumento ora interpretativo, ora integrativo, di regole materiali o procedurali, trovano codificazione, tra l'altro, nell'ambito del diritto dei trattati e della responsabilit internazionale. Con riferimento al diritto dei trattati, si pu sostenere che tutte le disposizioni relative alle cause di invalidit, estinzione o sospensione dei trattati costituiscono delle articolazioni specificative e articolate, in termini di buona fede, ragionevolezza e non contraddizione, di un altro principio generale, pacta sunt servanda, a sua volta codificato nella Convenzione di Vienna (art 26: Il trattato vincolante per le parti e deve essere eseguito in buona fede). Si aggiunga poi che in numerosi casi la Convenzione di Vienna fornisce regole interpretative per l'applicazione delle cause d'invalidit, estinzione o sospensione, a loro volta specificative del principio di buona fede nelle sue diverse articolazioni (ad es art 46). L'art 46 par1 prevede che si possa in via eccezionale invocare l'invalidit di un trattato per violazione delle norme interne sulla stipulazione, quando la norma interna violata di importanza fondamentale e quando la violazione sia manifesta. Par 2: rinvia al principio dell'affidamento e della buona fede nella definizione di 'violazione manifesta'. Art 45: perdita del diritto di invocare una causa di invalidit, estinzione o sospensione di un trattato da parte di un contraente che si sia mostrato acquiescente rispetto alla eventuale causa di invalidit in questione (buona fede=estoppel). Art 61-62: le cause in questione non operano se lo stato che le invoca ha contribuito al loro verificarsi con atto illecito (ancora estoppel:buona fede come obbligo di non contraddizione). Con riferimento alla responsabilit internazionale degli Stati, si pu ricordare la regola per cui uno Stato non pu validamente invocare lo stato di necessit come causa escludente l'illiceit nel caso in cui esso abbia contribuito al suo verificarsi. Sulla base di giuri, prassi e dottrina, il principio di equit stato autorevolmente ricostruito nei termini per cui a) l'equit infra legem quella utilizzata nell'applicare e interpretare regole di diritto nei termini equitativi pi conformi ai parametri giuridici di riferimento; b) l'equit praeter legem quella che consente di colmare una lacuna giuridica, autonomamente o legittimando interpretazioni che vanno al di l delle regole giuridiche positive senza essere in contrasto palese con esse; c) l'equit contra legem quella usata per giungere alla soluzione della controversia applicando criteri equitativi anche quando questi fossero in contrasto con le rilevanti regole giuridiche. In quest'ultimo caso si tratta della risoluzione di una controversia ex aequo et bono, ammissibile solo previo consenso delle parti in lite, ai sensi dell'art 38, par 2, dello Statuto della Corte. Il principio dell'equit finalizzato al raggiungimento di risultati equi nell'interpretazione e applicazione delle regole giuridiche ha avuto la sua pi ampia utilizzazione nelle controversie

relative alla delimitazione territoriale o marittima, con particolare riferimento alla piattaforma continentale. Dall'esame della giuri si ricava che la Corte e i tribunali arbitrali internazionali giungono spesso a soluzioni di delimitazione ispirate al buon senso e alla ragionevolezza sulla base di tutte le circostanze di fatto e di diritto pertinenti, in assenza di regole determinanti. Tuttavia la giurisprudenza in questione si limita a indicare che la soluzione trovata discende dall'applicazione dell'equit come principio di diritto, senza argomentazioni di logica giuridica o di diritto positivo (es. causa per la delimitazione della piattaforma continentale del mare del Nord). L'unico modo per dare carattere giuridico all'equit, distinguendola dalla dimensione praeter/contra legem, pu essere quello di attribuirle una funzione di regola giuridica sull'interpretazione al fine di giungere a risultati equi. Un esempio il ragionamento della Corte sulla sentenza della delimitaz della piatt cont tra Tunisia e Libia l'espressione 'principi di equit' si riferisce ai principi e alle regole adeguati al fine di un risultato equo. Vi sono per margini di imprevedibilit. Il fatto che simile prassi giuri all'insegna della discrezionalit del giudice non venga contestata dagli Stati in lite e che nuove cause vengano introdotte davanti a tribunali internazionali che applicano criteri di equit anche in assenza di esplicito consenso delle parti costituisce un elemento indicatore di una prolungata stagione di fiducia nella giustizia internazionale di tipo quasi giusnaturalistico, quantomeno con riferimento a controversie internazionali non attinenti all'uso della forza. 3.5. Criteri generali di prevalenza nell'applicazione di regole internazionali successive nel tempo nella stessa materia E' stato gi sottolineato come la rete delle regole internazionali si sia ampliata in termini estremamente vasti per materie e per destinatari, soprattutto negli ultimi cinquant'anni. Tale fenomeno stato alimentato, in particolare, dalla larga diffusione di convenzioni multilaterali: ne scaturito un intenso rapporto tra regole convenzionali, tra queste e regole consuetudinarie nella stessa materia, ora complementari ora confliggenti. L'ampiezza del fenomeno tale che molto difficile immaginare oggi la conclusione di un trattato o l'emergere di una consuetudine che non incidano in qualche misura sulla disciplina precedente nella stessa materia. Ai fini di soddisfare le esigenze minime di prevedibilit del diritto sono state elaborate nel corso del tempo regole e principi generali che determinano la prevalenza tra regole confliggenti. NB: mentre nella Parte II ci siamo soffermati sulla descrizione del fenomeno della FORMAZIONE di regole potenzialmente confliggenti rispetto e regole precedenti secondo le diverse fonti delle regole in questione, ORA si dar considerazione ai principi generali sulla determinazione, di volta in volta, della regola applicabile tra pi regole nella stessa materia. 3.5.1. L'inesistenza di una gerarchia normativa tra fonti o del principio della lex superior Il diritto internazionale, diversamente dagli ordinamenti interni, non prevede una gerarchia tra regole giuridiche sulla base delle fonti da cui esse promanano che abbia rilevanza normativa, nel senso di incidere sulla forza giuridica delle regole stesse. Ci significa che un trattato pu derogare a una consuetudine nella stessa misura in cui una consuetudine pu derogare a un trattato. A tale conclusione non si giunge a compimento di alcun teorema di logica giuridica, ma attraverso lo stesso metodo empirico di osservazione della realt internazionale che ci ha permesso di constatare il generale riconoscimento del carattere obbligatorio delle regole giuridiche internazionali. L'assenza di una gerarchia normativa tra fonti nell'ordinamento internazionale la logica conseguenza del fatto che tale ordinamento privo di una struttura gerarchico-istituzionale, quindi di un lgs di tipo parlamentare. Tanto le consuetudini quanto i trattati internazionali sono prodotti dagli Stati all'insegna del principio dell'eguaglianza sovrana, intesa nel senso della eguaglianza giuridico-formale tra gli Stati. Una eccezione all'assenza di gerarchia normativa tra fonti si pu configurare in un ambito d'istituzionalizzazione dell'ordinamento internazionale, seppure limitata, nel quadro delle Nazioni Unite. Infatti, sarebbe illecita e annullabile quella delibera del Consiglio di

sicurezza che richiedesse o anche autorizzasse gli Stati membri ad adottare comportamenti in contrasto con i principi fondamentali della Carta ONU. Si pu sostenere che gli obblighi contenuti nella Carta siano normativamente superiori agli atti (detti fonti derivate da accordo) degli organi che dalla Carta derivano i propri poteri regolamentari.
Dottrina: Scuola positivista non c' distinzione tra fonte convenzionale e consuetudinaria; la Scuola gradualista dello stesso parere, ma sostiene l'esistenza di una norma base (grundnorm) che costituisce fonte di produzione della consuetudine: la consuetudine sarebbe fonte giuridica di primo grado, i trattati di secondo grado (perch contemplati da una consuetudine) e gli atti previsti da accordo fonti di terzo grado. Ci non prevede che la consuetudine si asuperiore ai trattati sotto il profilo della forza giuridica.

Il principio della lex superior opera solo con riferimento alle disposizioni di ius cogens! 3.5.2. I criteri generali di prevalenza: lex posterior e lex specialis La prassi delle clausole di conflitto si sviluppata proprio in ragione della mancanza di chiarezza nei principi consuetudinari in tema di prevalenza tra regole convenzionali nella stessa materia. Il primo aspetto del problema si pone con riferimento alle ipotesi pi semplici della tematica, e cio rispetto a trattati bilaterali e multilaterali stipulati nel tempo nella stessa materia tra gli stessi Stati. L'art 30, par 3, dispone che il trattato successivo prevarr, salve le disposizioni compatibili con quest'ultimo contenute nel precedente trattato. In sostanza, nel caso in cui la concorrenza fra regole pattizie non possa essere risolta a livello interpretativo nel senso della compatibilit, la Convenzione di Vienna adotta il principio della lex posterior. Il secondo aspetto del problema emerge in relazione al caso in cui non vi sia coincidenza fra Stati parti di pi trattati concorrenti. In tal caso il principio della lex posterior andr coniugato con il principio dell'irrilevanza giuridica di un trattato per gli Stati che non ne sono parti (pacta tertiis neque nocent neque iuvant). Se ne applicano uno violano l'altro nei riguardi degli stati parti. Per quanto riguarda i rapporti di concorrenza tra regole consuetudinarie e convenzionali, si evince agevolmente che nei rapporti tra regole convenzionali e regole consuetudinarie successive (e viceversa) operano congiuntamente i principi della lex posterior e della lex specialis. 3.6. Problemi di diritto intertemporale I principi di prevalenza tra regole concorrenti successive costituiscono i parametri di riferimento per determinare la regola di condotta applicabile a una situazione, evento o rapporto nel momento in cui questi si verificano. Diverso problema quello della determinazione del diritto applicabile a una situazione, evento o rapporto, quando dal momento del loro verificarsi al momento dell'accertamento delle regole applicabili vi uno scarto di tempo durante il quale il regime giuridico rilevante mutato. Si tratta dei problemi attinenti al cd diritto intertemporale: essi si pongono spesso in relazione a procedimenti di soluzione di controversie che si manifestano, o perdurano, in epoca di gran lunga successiva ai fatti controversi. 3.6.1. Il principio della irretroattivit del diritto internazionale Il principio generale in materia quello dell'irretroattivit delle regole giuridiche internazionali. In linea di principio, il diritto applicabile oggi a una situazione verificatasi in passato sar quello del passato, quello in vigore al momento del verificarsi dell'evento e non quello vigente al momento in cui si svolge il procedimento di applicazione del diritto (tempus regit actum). Sentenza arbitrale del Professor Huber del 1928 relativa alla controversia tra Paesi Bassi e Stati Uniti circa la sovranit sull'Isola di Palmas: un fatto giuridico va valutato alla luce del diritto contemporaneo ad esso, non del diritto in vigore al momento in cui la controversia sorge o viene risolta. L'irretroattivit del diritto internazionale con riferimento alle regole convenzionali risulta codificata dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati all'art 28 come segue: A meno che un intento diverso appaia dal trattato o sia in altro modo stabilito, le sue disposizioni non vincolano una parte in relazione ad atti o fatti avvenuti, ovvero situazioni che hanno cessato di esistere, prima della data di entrata in vigore del trattato per quella parte.

La conferma pi recente del principio della irretroattivit del diritto internazionale si rinviene nelle regole sulla responsabilit internazionale degli Stati della CDI, raccomandate agli Stati membri dall'Assemblea generale ONU nel 2001, il cui art 13 prevede che Un atto di uno Stato non rappresenta violazione di un obbligo internazionale a meno che lo Stato non sia vincolato dall'obbligo in questione al momento in cui l'atto posto in essere. Non si applicher, infatti, nel diritto internazionale il principio di diritto penale del favor rei, per cui un soggetto non sar ritenuto penalmente responsabile per un comportamento valutabile come reato al momento in cui esso posto in essere, ma lecito in base al diritto esistente al momento del giudizio. 3.6.2. Problemi di applicazione del principio in esame ad atti, fatti o situazioni perduranti Mentre il principio dell'irretroattivit non pone speciali problemi di applicazione con riferimento ai cd atti compiuti, qualche difficolt si posta con riferimento ad atti o situazioni perduranti sorte sotto il regime giuridico precedente. In particolare, si registrata una interpretazione distorta del principio in esame da parte delle potenze coloniali per ostacolare il processo di decolonizzazione. Alcune potenze europee negli anni '50 e '60 avevano sostenuto che applicare la regola dell'autodeterminazione dei popoli alla dominazione coloniale per determinarne l'illiceit avrebbe costituito una violazione del principio in discorso, conferendo efficacia retroattiva alla regola dell'autodeterminazione: simile interpretazione non era sostenibile perch avrebbe svuotato di ogni significato la regola sull'autodeterminazione dei popoli!!, sorta precisamente nella prospettiva di promuovere l'estinzione del fenomeno coloniale. da interpretare come divieto alla conquista territoriale a partire dal perfezionamento della regola sull'autodeterminazione dei popoli. La situazione sopra esaminata si distingue da quella in cui un atto compiuto viene posto in essere in epoca precedente la regola che lo vieta, ma i suoi effetti si protraggono nel tempo e si pongono in contrasto con un obbligo internazionale sorto successivamente all'adozione dell'atto fonte degli effetti incompatibili con l'obbligo in questione. Nell'ambito delle regole sulla responsabilit si seguita la soluzione adottata dalla Commissione dei diritti dell'uomo nel 1959 nella causa De Becker c Belgio e ribadita successivamente con coerenza sino ai giorni nostri dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. In tale occasione, la Commissione intim al Belgio di rimuovere gli effetti di una sentenza interna emanata prima dell'entrata in vigore della Convenzione di Roma, a partire dalla entrata in vigore per il Belgio della Convenzione stessa, ritenendo il perdurare di tali effetti in conflitto con l'art 10 della Convenzione sulla libert di espressione. 3.6.3. Il principio in esame e l'interpretazione delle regole internazionali Prima di concludere su questo punto, non si pu mancare si sottolineare come le tematiche di diritto intertemporale, rivolgendosi al problema dell'accertamento della regola applicabile, si collegano strettamente a quello dell'interpretazione della regola stessa. Tuttavia, i due aspetti vanno tenuti distinti. In sostanza, il principio dell'irretroattivit del diritto internazionale comporta che oggi si dovr applicare ai fatti di ieri il diritto in vigore ieri, ma non significa che tale diritto debba essere interpretato esclusivamente secondo criteri contestuali esistenti all'epoca in cui si sono verificati i fatti controversi, non tenendo quindi conto degli sviluppi sociali e giuridici avvenuti in epoca successiva. Tale considerazione confermata dall'art 31 par3 secondo cui un'adeguata interpretazione contestuale di un trattato deve tenere conto di:a) accordi successivi sulla sua interpretazione; b) prassi successiva riguardo l'applicazione; c)regole applicabili tra le parti. Es caso Sud Africa-Namibia: la Corte concluse che la finalit ultima del sistema dei mandati di cui al Patto della Societ delle Nazioni non potesse essere altro che l'autodeterminazione, nozione sconosciuta nel diritto internazionale al momento del conferimento dei mandati, palesemente contraddetta dal sistema di gov (fortemente razzista) instaurato dal Sud Africa in Namibia (p.382). L'interpretazione della Corte non pu rimanere inalterata dallo sviluppo successivo del diritto attraverso la Carta ONU e il diritto consuetudinario. Argomentazioni simili sono state utilizzate dalla corte nel caso della piattaforma continentale nel

mar Egeo: si trov a decidere se una riserva all'Atto generale sulla soluzione pacifica delle controversie del 1928 (Grecia) che escludeva le 'controversie territoriali', potesse applicarsi anche alle controversie riguardanti la piattaforma. la corte deve tenere in considerazione l'evoluzione del diritto internazionale ricompresa nella sfera di applicazione della riserva. Tema riaffrontato nella causa tra Costa Rica e Nicaragua sull'interpretazione di un Trattato del 58 sui diritti di navigazione delle parti a fini commerciali. Comprende i turisti(CR)? O solo le merci(N)? Anche persone, perch deve essere fatto valere il significato ordinario dei termini in questione al momento dell'applicazione del trattato. Sentenza Tyrer: La Convenzione uno strumento vivo che va interpretato alla luce delle condizioni attuali = tale giuri ha poi portato la dottrina a formulare l'efficace considerazione secondo cui Gli obiettivi della Convenzione [di Roma del 1950] sono in armonia col ritmo dell'evoluzione della societ. Le considerazioni svolte sinora si applicano non solo all'interpretazione di regole convenzionali, ma anche a quelle consuetudinarie. Non si possono escludere ipotesi in cui accertamento ed interpretazione del diritto non scritto siano due procedimenti distinti: il problema dell'applicazione del diritto nel tempo. 4 INOSSERVANZA, ILLICEITA' E RESPONSABILITA' INTERNAZIONALE DEGLI STATI 4.1. Violazioni delle regole e comportamento degli Stati controinteressati Abbiamo visto nella Parte II come la violazione delle regole ne possa indebolire l'efficacia giuridica fino a provocarne l'estinzione o a promuovere la creazione di una nuova regola nella stessa materia. Simile procedimento di trasformazione del diritto, in contraddizione con il brocardo latino ex iniuria non oritur ius, dipende, caso per caso, in larga misura dalla reazione degli Stati direttamente lesi dalle violazioni e, in qualche misura, anche degli Stati terzi. Uno Stato che subisce la violazione di un proprio diritto impedisce, o attenua, gli effetti di indebolimento, estinzione o trasformazione della regola violata sollevando protesta e invocando la responsabilit dello Stato che ha agito in contrasto con la regola in questione. Tali reazioni possono essere seguite dal perseguimento di uno dei mezzi di soluzione sopra indicati. D'altro canto, se uno Stato che ha avuto conoscenza dell'avvenuta violazione di un proprio diritto non reagisce entro un lasso di tempo ragionevole, esso perde il diritto di farlo, come se vi avesse implicitamente rinunciato. Sarebbe nuovamente un caso di applicazione del principio generale cd di estoppel, di derivazione della common law, per presunta acquiescenza dello Stato vittima dell'illecito. Se a fronte di una protesta per avvenuta violazione di un diritto, avanzata dallo Stato leso, il presunto autore dell'illecito nega i fatti lamentati o nega che essi costituiscano un illecito internazionale ad esso imputabile si instaurer una controversia internazionale. Come abbiamo gi visto, il componimento della stessa potr essere perseguito attraverso negoziato, eventualmente promosso o facilitato da un terzo mediante buoni uffici, mediazione o conciliazione o in via giudiziale o arbitrale. Gestione della controversia: 1)ricostruzione dei fatti 2)accertamento e interpretaz delle regole applicabili 3)accertam e interpr delle regole sulla responsabilit internaz. Ora verr affrontato il tema della responsabilit internazionale come l'insieme delle regole (cd secondarie) che prevedono le condizioni costitutive di un fatto illecito internazionale, l'attribuzione dell'illecito ad uno Stato e le conseguenze giuridiche dell'illecito stesso. A tal fine verr in larga misura seguita la codificazione nella materia portata a termine dalla CDI nel 2001 e sottoposta nello stesso anno all'attenzione degli Stati dall'Assemblea. Inoltre, si dovr tenere conto del fatto che le organizzazioni internazionali intergovernative sono in linea di principio destinatarie delle stesse regole generali formatesi in materia con riferimento agli Stati. Butkiewicz: Ogni volta che un soggetto che partecipa ai rapporti internazionali accetta un obbligo derivante da una norma di diritto internazionale anche soggetto al sistema di responsabilit previsto nell'ordinamento giuridico internazionale. La CDI, su mandato dell'Assemblea generale, ha iniziato da tempo i lavori di codificazione delle

regole sulla responsabilit internazionale delle organizzazioni intergovernative, affidano al giurista italiano membro della Commissione, il Professor Giorgio Gaja, il ruolo di relatore speciale. 4.2. Il fatto illecito come condizione della responsabilit internazionale Quando uno Stato viola un rapporto giuridico (primario) o, meglio, quando viola un obbligo internazionale di comportamento, violando quindi il diritto soggettivo corrispondente di un altro Stato, viene commesso un fatto illecito internazionale che costituisce fonte di un nuovo rapporto giuridico (secondario), appunto, di responsabilit, tra lo Stato autore e lo Stato vittima dell'illecito. Tale rapporto avr come contenuto principale l'obbligo per lo Stato autore dell'illecito, cui corrisponde il diritto dello Stato leso, di ristabilire la situazione esistente prima dell'illecito. Perch vi sia un fatto illecito internazionale vi dovr quindi essere un comportamento in violazione di un obbligo internazionale e l'attribuzione a uno Stato del comportamento che costituisce la violazione di quell'obbligo! Per quanto concerne le regole relative all'attribuzione della violazione allo Stato del comportamento illecito, queste sono gi state esposte sopra con riferimento all'individuazione degli organi attraverso cui lo Stato pu dare attuazione alle regole internazionali. Per quanto riguarda la violazione dell'obbligo, si deve poi tenere contro della dimensione temporale della stessa. La CDI ha codificato in materia distinguendo: a)violazioni determinate da un comportamento compiuto, ma che hanno effetti perduranti nel tempo; b) violazioni che hanno durata continuativa attraverso comportamenti perduranti; c) violazioni costituite da una pluralit di atti o omissioni che cumulativamente costituiscono la violazione di un obbligo internazionale. La rilevanza pratica di tale distinzione riguarda, in primis, la determinazione del diritto esistente all'epoca in cui si verificato il comportamento controverso in relazione alle questioni di diritto intertemporale sopra esaminate. In secondo luogo, la distinzione incide, di volta in volta, sulla determinazione dell'obbligo di riparazione, eventualmente sul calcolo degli interessi, e sul momento dell'applicazione dell'obbligo di cessare l'illecito. Inoltre, il fatto che l'art 2 CDI si sia limitato nella determinazione degli elementi costitutivi di un fatto illecito internazionale alla violazione e alla sua attribuzione a uno Stato esclude altri elementi, quali il danno e la colpa, che in dottrina hanno costituito oggetto di dibattito. 4.2.1. Il danno La questione del danno di notevole rilevanza circa la determinazione dell'esistenza di un illecito internazionale e quindi della responsabilit internazionale. Si accennato sopra che la caratteristica dei rapporti giuridici internazionali tra gli Stati tradizionalmente di tipo civilistico. Questo ha avuto un impatto significativo sulle regole tradizionali della responsabilit internazionale. Subordinare cmq l'esistenza di un illecito internazionale al fatto che la violazione di un obbligo comporti un danno autonomo rispetto alla violazione stessa significherebbe, in molti casi, vanificare l'efficacia di regole importanti di diritto internazionale (in quanto l'oggetto degli obblighi e dei diritti non sempre di carattere economico o materiale). Si pu pensare, ad es, alla violazione degli spazi terrestri, aerei o marino soggetti alla sovranit territoriale degli Stati: se gli Stati non potessero invocare l'illiceit di simili comportamenti in mancanza di evidenti danni materiali, la ripetizione delle violazioni in questione potrebbe persino portare alla modificazione dei confini. Altro es: tema del disarmo. Se si facesse valere la tesi del danno come elemento costitutivo dell'illecito sarebbe difficile invocare la responsabilit internazionale dello Stato che avesse violato gli obblighi in questione. Eppure il danno, in termini giuridici, inerente nella stessa violazione dell'obbligo, e quindi del diritto corrispettivo, senza dover dimostrare, separatamente dall'avvenuta violazione l'esistenza del danno di tale natura. E' questo un tipo di danno che stato tradizionalmente accorpato al cd danno morale e che viene definito come danno giuridico. La CDI, escludendo il danno come elemento costitutivo autonomo dell'illecito internazionale, ha fatto propria la tesi dell'allora relatore speciale, il Professor Roberto Ago, nel senso che ogni violazione di un obbligo nei confronti di un altro Stato comporta un qualche danno nei confronti

dell'altro Stato. Tale approccio vale a maggior ragione rispetto alle violazioni di quelle regole che contengono obblighi cd erga omnes (obblighi a tutela di interessi indivisibili). Violazioni erga omnes: invocabili anche da soggetti non materialmente lesi Genocidio. E' innegabile che vi siano regole internazionali che contengono obblighi la cui violazione si perfeziona quando viene causato un danno materiale o economico, la cui dimostrazione da parte dello Stato leso condizione per far valere la responsabilit dello Stato autore della violazione. Ci non contraddice il concetto di illecito internazionale codificato dalla CDI, poich, nel caso delle regole ora indicate, il divieto di causare un danno materiale costituisce precisamente l'oggetto dell'obbligo violato e la prova del danno costituisce prova della violazione. E' questo il caso delle regole contenenti obblighi di prevenzione come quelle sul trattamento degli stranieri (e, ancor di pi, degli organi stranieri o delle sedi diplomatiche) e quelle in tema di ambiente (ci sarebbe violazione degli obblighi di diligenza nella prevenzione del danno). 4.2.1.1. Internalizzazione della responsabilit per danni transfrontalieri In teoria, le regole sulla responsabilit internazionale degli Stati per violazione di obblighi di diligenza costituiscono il quadro giuridico adatto a contemplare situazioni in cui gli operatori privati situati in uno Stato producano danni all'estero. In pratica, ci smentito particolarmente alla luce di due considerazioni. In primo luogo, facendo valere la responsabilit internazionale dello Stato ove si svolta l'attivit nociva si costringe la collettivit contribuente al bilancio pubblico di uno Stato a pagare il danno causato principalmente dalla negligenza dell'operatore privato, che potr avere anche nazionalit diversa da quella dello Stato in cui operava. In secondo luogo, si possono verificare significativi danni transfrontalieri anche quando le autorit dello Stato territoriale dell'attivit nociva hanno adottato tutte le misure preventive, quindi in assenza di una situazione di illiceit (responsabilit da fatto lecito stabilite:prevenzione-2001 e conseguenze-2006). Gli Stati promuoveranno la creazione di norme interne sulla responsabilit civile e il risarcimento per danni alle vittime dell'inquinamento e per altri danni ambientali, secondo il cd principio chi inquina paga. La strada della elaborazione di regole di diritto interno uniforme in questa materia particolarmente difficile in ragione dell'attaccamento da parte degli Stati alla propria sovranit nazionale in tema di regolamentazione di attivit in importanti sistemi produttivi. Inoltre, gli operatori privati, specialmente in settori strategici come quelli chimico e farmaceutico, assicurativo e finanziario, possono avere interessi differenziati nei diversi Paesi, specie in relazione al diverso grado di sviluppo economico di ciascuno di essi. Restano esperibili i diversi regimi di responsabilit civile in vigore nei diversi Paesi e applicabili nei diversi fori competenti in base alle rispettive regole nazionali di diritto internazionale privato. La prassi dimostra una tendenza prevalente verso la soluzione giudiziale davanti a tribunali nazionali. 4.2.2. La colpa Anche l'esclusione della colpa dagli elementi costitutivi del fatto illecito internazionale pare del tutto conforme al diritto consuetudinario contemporaneo. Basti sottolineare che la colpa potrebbe operare SOLO come elemento soggettivo psicologico dell'individuo-organo che adotta il comportamento in contrasto con un obbligo internazionale. Essa, tuttavia, non pu rilevare sotto il profilo internazionale, tenuto conto che non infrequente che l'organo interno infranga un obbligo internazionale NEL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNO, senza quindi avere l'atteggiamento psicologico di chi consapevole di adottare un comportamento illecito. Ci che pi conta che l'esclusione della colpa dagli elementi costitutivi dell'illecito internazionale risulta da una prassi uniforme, da cui risulta che gli Stati vengono ritenuti responsabili per atti dei propri organi indipendentemente da qls elemento di colpa. 4.3. Le circostanze escludenti l'illiceit delle violazioni del diritto internazionale Vi sono delle situazioni in cui comportamenti in violazione di obblighi internazionali, bench attribuiti a uno Stato, non costituiscono fatti illeciti. Questo si verifica quando tali comportamenti

vengono tenuti nell'ambito delle cd circostanze escludenti l'illiceit: il consenso, la legittima difesa, le contromisure e lo stato di necessit. Quest'ultimo ulteriormente articolato in via autonoma nella situazione di forza maggiore e in quella cd di dtresse. Le circostanze in questione operano escludendo l'illiceit limitatamente alla durata della loro esistenza (il principio della provvisoriet degli effetti escludenti l'illiceit stato tra l'altro espressamente codificato dalla CDI):sentenza Gabcikovo-Nagymaros quando cessa lo stato di nec tornano gli obblighi int. Il punto in questione si collega agli effetti delle violazioni sulle regole violate. Infatti, come evidenziato nella sentenza Nicaragua c Stati Uniti, la violazione di una regola pu comportare l'indebolimento della sua obbligatoriet, sino eventualmente al ricambio della stessa. A questo proposito, uno degli aspetti caratterizzanti la ratio delle regole in esame proprio quello di prevenire che la violazione di un obbligo nelle circostanze in questione incida sulla sua efficacia giuridica. Come affermato nella stessa sentenza con riferimento alla legittima difesa, l'esplicita invocazione di una circostanza a giustificazione della violazione di un obbligo internazionale non fa che confermarne il riconoscimento e la sua efficacia. Le regole in discorso precludono l'illiceit di una violazione, ma non escludono il diritto dello Stato che ha subito la violazione lecita di ottenere il pagamento per gli eventuali danni materiali. L'inquadramento giuridico-diplomatico di tale pagamento non rientrer nell'ambito del risarcimento del danno ingiusto secondo i criteri che verranno indicati pi avanti, ma dell'indennizzo da negoziare tra le parti. Con riferimento al consenso, la sua validit come circostanza escludente l'illiceit corrisponde in larga misura ai requisiti di validit del consenso costitutivo di un accordo internazionale. Analogamente, esso potr essere viziato da errore, violenza e dolo. Sempre in corrispondenza con il diritto dei trattati e sulla base della stessa ratio, non sar valido il consenso dato alla violazione di obblighi derivanti da regole imperative o cd di ius cogens (vale per tutte le circostanze in esame e si tratta di una situazione analoga alla irrinunciabilit di un diritto indisponibile negli ordinamenti interni). Affinch il consenso possa rientrare nel regime giuridico delle cause escludenti l'illiceit esso deve essere espresso preventivamente rispetto alla violazione. Se interviene successivamente, esso rientra nel concetto giuridico della rinuncia dello Stato leso a fare valere la responsabilit internazionale dello Stato autore della violazione. Tale precisazione non assume mero valore classificatorio, ma incide direttamente sulla efficacia della regole violata, tenendo conto degli effetti d'indebolimento sulla stessa che produce l'acquiescenza. Una violazione del divieto dell'uso della forza (art 2 Carta ONU) non costituisce un illecito internazionale se posta in essere in risposta a una precedente violazione del medesimo divieto e secondo le qualificazioni che verranno pi avanti indicate (legittima difesa!). Stato di necessit = art 25 CDI: pu essere invocato se l'atto non conforme all'obbligo internazionale l'unico modo per uno Stato di salvaguardare un interesse essenziale contro un pericolo grave e imminente e non danneggia seriamente un interesse essenziale dello Stato o degli Stati nei cui confronti l'obbligo esiste, o della Comunit Internazionale nel suo insieme. La regola in esame stata considerata nella sentenza arbitrale del 1990, Rainbow Warrior, tra Nuova Zelanda e Francia, in quanto sollevata dalla Francia a giustificazione del suo mancato rispetto del Regolamento del Segretario generale ONU del 1986 risolutivo della controversia sorta a seguito di un attentato da parte di agenti francesi in un porto neozelandese contro la nave di Greenpeace, Rainbow Warrior, che aveva svolto azioni di disturbo contro gli esperimenti nucleari francesi. Il Regolamento aveva stabilito il soggiorno obbligatorio dei due soggetti francesi nella base militare dell'isola di Hao, ma il Governo francese invoc a giustificazione del rimpatrio dei due agenti, avvenuto senza il previo consenso neozelandese, urgenti motivi di salute dei suoi due funzionari = il Tribunale arbitrale mostr tutto il suo scetticismo circa l'esistenza di questa necessit come causa giustificatrice della violazione di un obbligo internazionale. La forza maggiore e la dtresse (formulate in senso molto restrittivo) sono state qui indicate come articolazioni specificative dello stato di necessit, sebbene ciascuna delle due regole sia

caratterizzata da elementi distintivi. L'art 23 sulla forza maggiore prevede quanto segue: 1. L'illiceit di un atto di uno Stato non in conformit con un obbligo internazionale di quello Stato esclusa se l'atto dovuto a forza maggiore, cio all'occorrenza di una forza irresistibile o di un evento imprevedibile, al di l del controllo dello Stato, che ha reso materialmente impossibile in quelle circostanze l'esecuzione dell'obbligo. 2. Il paragrafo 1 non si applica se: a) la situazione di forza maggiore dovuta, da sola o insieme con altri fattori, alla condotta dello Stato che la invoca; o b) lo Stato si assunto il rischio della situazione occorsa. L'art 24 sulla dtresse prevede che: 1. L'illiceit di un atto di uno Stato non in conformit con un obbligo internazionale di quello Stato esclusa se l'autore dell'atto in questione non ha altro mezzo ragionevole, in una situazione di dtresse, per salvare la vita dell'autore o le vite delle altre persone affidate all'autore. 2. Il paragrafo 1 non si applica se: a) la situazione di dtresse dovuta, da sola o con altri fattori, alla condotta dello Stato che la invoca; o b) l'atto in questione pu verosimilmente generare un pericolo comparabile o maggiore. L'elemento caratterizzante di tale regola, che la distingue rispetto alla forza maggiore l'intenzionalit dell'organo di agire in violazione della regola come unica possibilit di salvare la vita propria e altrui. Si tratta di una regola a scopo umanitario che trova larga applicazione nelle attivit militari, ad es, nel sorvolo senza previa autorizzazione di spazi aerei nazionali proibiti, per motivi di emergenza. Nuovamente nella sentenza Rainbow Warrior, il Tribunale accolse la tesi francese dell'applicabilit della regola in questione con riferimento alle condizioni di salute che minacciavano la vita di uno dei due agenti, in ragione dell'assenza delle necessarie cure mediche specializzate sull'Isola di Hao. Con riferimento al secondo agente, in stato di gravidanza, la sua vita e quella del nascituro non vennero ritenute in pericolo in relazione alle strutture mediche esistenti sull'isola. Di conseguenza, il Tribunale escluse che la regola in questione giustificasse la violazione consistente nel rimpatrio di tale agente. 4.4. Il contenuto del rapporto di responsabilit Tenendo conto che il fatto illecito internazionale costituisce fonte di un rapporto giuridico tra lo Stato leso e lo Stato autore dell'illecito, tale rapporto andr ulteriormente qualificato in ordine al suo contenuto e all'identificazione dei suoi soggetti. Si pu anticipare che esso consiste nell'insieme delle conseguenze giuridiche del fatto illecito. Prima tra queste, vi l'obbligo di riparazione in capo all'autore dell'illecito (si intende qui la riparazione in senso lato, riferita a tutte le conseguenze negative provocate dalla condotta illecita, e non limitatamente all'obbligo di risarcimento del danno materiale = art 31 CDI). Poich l'obbligo violato potr anche non essere di natura meramente materiale o economica, il concetto di riparazione sar inevitabilmente pi ampio del concetto di risarcimento o restituzione. Le forme di riparazione dei danni immateriali vengono generalmente fatte rientrare nel concetto di soddisfazione. Ex art 37 sono, ad es, forme di soddisfazione (che intervengono qualora la soddisfazione non possa avvenire tramite restituzione o risarcimento) il riconoscimento della violazione e la manifestazione di rammarico o di scuse. Come gi indicato, una delle principali conseguenze negative di qls fatto illecito internazionale consiste nel potenziale o effettivo indebolimento dell'efficacia giuridica della regola violata, e quindi dei diritti e degli obblighi corrispettivi da essa previsti. Poich quel tipo di danno comune, CMQ, a TUTTI i fatti illeciti internazionali, individualmente o in combinazione con altri tipi di danno, si ritiene metodologicamente adeguato partire proprio dalla indicazione delle forme di riparazione di questo tipo di danno immateriale, cd danno giuridico. Una prima forma di riparazione di senso lato la dichiarazione d'illiceit del comportamento in contrasto con la regola giuridica. Un primo parziale risultato riparatorio del danno giuridico pu poi essere ottenuto soggettivamente attraverso la protesta dello Stato che si presume leso, protesta che coincider con

l'invocazione della responsabilit del presunto autore dell'illecito. Questo accertamento unilaterale della pretesa illiceit di un comportamento potr a sua volta essere oggetto di contestazione, ma non privo di significativa rilevanza giuridica poich evita gli effetti dell'acquiescenza. Di converso, come codificato dalla CDI, lo Stato autore dell'illecito dovr effettuare un riconoscimento della violazione e, quindi, della efficacia giuridica della regola violata (nella maggioranza delle controversie internazionali il presunto autore dell'illecito non ha difficolt a riconoscere la regola in questione, salvo contestare i fatti che ne costituiscano la violazione). Spesso l'accertamento giudiziale dell'illiceit della condotta controversa strumentale alla determinazione di ulteriori forme di riparazione strictu senso. Questo non dimostra, per, che la parte di accertamento giudiziale della sentenza non costituisca in s una delle molteplici possibili forme riparatorie (v sentenza Albania c Regno Unito del 1949 sul canale di Corf: la Corte deve dichiarare che l'azione della marina britannica costituiva una violaz della sovranit albanese: una soddisfazione x l'A). Per quanto riguarda l'eventualit di una pluralit di forme di riparazione per il danno giuridico, si pensi, ad es, alla causa Barrios Altos c Per, in cui quest'ultimo stato condannato, oltre che ad un risarcimento monetario, all'annullamento della legge che garantiva l'amnistia ai soggetti responsabili dell'accaduto. Nel caso di mancanza di disponibilit, o capacit, dello Stato autore dell'illecito a rispettare in futuro gli obblighi gi violati (anche quando la violazione non costituisce un disconoscimento della regola violata), nel perseguimento della massima prevedibilit dei rapporti, o della minima imprevedibilit, previsto l'obbligo per lo Stato di fornire assicurazioni e garanzie di non ripetizione della medesima violazione (si veda, ad es, la sentenza LaGrand del 2001: qui la Corte ha richiesto agli Stati Uniti di prendere le misure interne necessarie affinch in futuro gli organi americani competenti possano assicurare l'esercizio dell'assistenza consolare alle autorit tedesche). Nell'accezione ampia del concetto di riparazione rientra, come condizione necessaria, anche se non sufficiente, per realizzare l'obbligo di ricostituzione per quanto possibile dello stato delle cose esistente prima della violazione, l'obbligo di cessare l'illecito determinato dalle non infrequenti violazioni perduranti (si veda, ad es, la causa Nicaragua c Stati Uniti). In taluni casi, la cessazione dell'attivit illecita coincide con la restituzione, o con il ripristino della situazione antecedente la violazione (ci costituisce una delle forme di riparazione in senso stretto, insieme al risarcimento). Tale conseguenza giuridica del fatto illecito, di regola, costituisce una riparazione parziale del fatto illecito = essa infatti spesso accompagnata da altre forme riparatorie, in genere di tipo risarcitorio, che coprano il danno derivante dal perdurare dell'illecito nel periodo che va dall'inizio del comportamento illecito alla sua cessazione. Merita sottolineare la priorit accordata alla restituzione sul risarcimento, nel senso che l'autore dell'illecito non pu scegliere a piacere tra le due forme di riparazione. Il pagamento dell'equivalente finanziario costituir valida forma di riparazione solo se la restituzione non sar materialmente possibile o, naturalmente, se vi sar il consenso dello Stato (cmq essa si accompagna spesso, come gi accennato, con il risarcimento dei danni di natura materiale). Concetto di restituzione: insieme dei comportamenti necessari a ripristinare per quanto possibile lo stato delle cose esistente precedentemente alla violazione (es. abrogazione di una legge..). Se il danno di natura materiale incide su diritti economici o su beni utilizzati per attivit economiche dev'esserci restituzione/risarcimento per danno emergente e lucro cessante. 4.5. Gli Stati legittimati a invocare la responsabilit internazionale di un altro Stato Mentre l'identificazione dello Stato autore del fatto illecito avviene attraverso l'applicazione delle regole gi esaminate relative all'attribuzione allo Stato della condotta dei propri organi, il principio di riferimento principale per la identificazione dello Stato leso quello per cui ad ogni obbligo corrisponde un diritto soggettivo = ne deriva che per ogni violazione di un obbligo internazionale, sia esso di natura consuetudinaria o convenzionale, si dovr individuare il titolare del diritto soggettivo corrispettivo all'obbligo violato. Si tratta di un procedimento relativamente agevole con riferimento a quegli obblighi di tipo sinallagmatico o, cmq, costitutivi di rapporti di tipo bilateralistico, scaturenti anche da trattati multilaterali o consuetudini generali: si pensi, ad es, agli obblighi sul trattamento degli agenti diplomatici, dei cittadini e delle societ straniere, obblighi cio

dovuti da tutti gli Stati nei riguardi di tutti gli altri Stati, ma che, di volta in volta, potranno essere violati da uno Stato nei riguardi di uno o pi Stati, in termini binari. Meno agevole, invece, l'identificazione del soggetto leso quando l'obbligo violato di natura tale da tutelare contestualmente una pluralit di Stati (tre ipotesi). Nelle prime due, vi sostanziale coincidenza tra gli Stati direttamente lesi dalla violazione e Stati legittimati a invocare la responsabilit internazionale del fatto illecito, nella terza ipotesi tale coincidenza meno ovvia. Prima ipotesi: violazione che colpisce materialmente uno o pi Stati, indipendentemente da un interesse diffuso di pi Stati. CDI: Convenz sul diritto del mare 82, contro l'inquinamento. Seconda ipotesi: violazione di quegli obblighi internazionali che incida contestualmente su tutti gli Stati nei riguardi dei quali quegli obblighi siano dovuti; si tratta di obblighi la cui violazione da parte di uno Stato altera radicalmente la posizione di tutti gli Stati parti in relazione all'osservanza futura degli obblighi stessi = ogni Stato parte potr sospendere o denunciare un trattato, non solo nei confronti dell'autore della violazione, ma anche nei confronti di tutti gli altri contraenti (art60par2). Terza ipotesi: violazione di obblighi erga omnes = qui tutti gli Stati parti del trattato, e della Comunit Internazionale, sono da considerare lesi dalla violazione dell'obbligo (la CDI ha indicato questa ipotesi come la situazione giuridica nella quale la legittimazione a invocare la responsabilit spetta anche a Stati non lesi! materialmente o cmq direttamente). CONCLUSIONE: auspicabile che la questione della distinzione tra soggetto leso e soggetto legittimato ad invocare la responsabilit internazionale si dimostri in futuro avere mera rilevanza terminologica, in quanto, CMQ, nella situazione appena vista, anche agli Stati ritenuti dalla CDI come Stati non lesi viene conferito il diritto di invocare la responsabilit internazionale! 4.6. Il previo esaurimento dei ricorsi interni nell'invocazione della responsabilit internazionale a tutela dei privati NB: nel caso di violazioni di obblighi appartenenti alla particolare categoria del trattamento degli stranieri, la legittimazione a invocare la responsabilit internazionale attraverso la protezione diplomatica condizionata al fatto che il privato leso abbia esaurito senza successo i rimedi disponibili nell'ordinamento dello Stato dove ha subito una lesione! (non poi il caso di rivolgersi alla questione se si tratti di una condizione procedurale per fare valere la responsabilit, o di una condizione sostanziale relativa al perfezionamento del fatto illecito). La RATIO della regola quella di rispettare la sovranit statale del presunto autore del comportamento illecito: in sua assenza, i privati stranieri, potendo beneficiare della protezione diplomatica dello Stato di nazionalit al primo comportamento lesivo, come se venissero esclusi dalla sfera di applicazione della giurisd dello Stato locale: in tal modo, gli stranieri acquisterebbero una situazione di privilegio rispetto ai cittadini certo non giustificabile! La regola internazionale in discorso opera rispetto a tutti i tipi di ricorsi promossi dallo Stato di nazionalit a livello internazionale e i rimedi da esperire per soddisfare tale regola sono tutti quelli effettivamente disponibili, quindi non solo di natura giudiziaria, ma anche amministrativa. Di converso, essa non richiede il ricorso a rimedi locali manifestamente inefficaci per il ricorrente. La causa El.Si. Offre un es illustrativo della regola in esame, fatta valere dalla difesa italiana a sostegno dell'inammissibilit della domanda in giudizio degli Stati Uniti. Schwebel: possibile che una variante nel perseguimento dei ricorsi interni in quel caso particolare non sia stata utilizzata (si veda pag 420-1). PARTE QUARTA L'ATTUAZIONE COERCITIVA DELLE REGOLE DI DIRITTO INTERNAZIONALE 1 INTRODUZIONE Delle tre funzioni fondamentali di un ordinamento giuridico, quella relativa all'attuazione coercitiva del diritto nell'ordinamento internazionale tocca aspetti delicatissimi, particolarmente alla luce degli eventi contemporanei in tema di uso della forza. La problematicit della tematica coinvolge la

dimensione della dialettica ideologica, di cui ci limiteremo ad esporre le principali regole di riferimento. 1.1. L'osservanza spontanea e strumenti alternativi o preventivi rispetto alla funzione coercitiva NB: nella Parte I stato evidenziato come il fatto che tutti gli Stati destinatari delle regole internazionali partecipino alla loro formazione promuova un alto grado di osservanza spontanea. Henkin: Quasi sempre, quasi tutte le nazioni adempiono a quasi tutti i principi di diritto internazionale e a quasi tutti i loro obblighi (anche se oggi questa affermazione va sicuramente attenuata). Un altro fenomeno che pu ridurre l'importanza dell'attuazione coercitiva del diritto nella comunit Internazionale riguarda la circostanza che gran parte dei casi di violazione di regole internazionali spesso non dipende dalla volont di violare una regola internazionale, ma dall'incapacit tecnica, amministrativa o finanziaria per osservarla, il che particolarmente vero in settori che richiedono nel sistema-Paese un alto grado di sviluppo delle conoscenze e capacit, sia nel settore pubblico che privato, specie in materia di protezione dell'ambiente. Qui, ad es, la prassi mostra un crescente sviluppo di meccanismi di controllo e promozione dell'osservanza delle regole convenzionali in materia, che non si caratterizzano per coercitivit, arrivando persino a forme di assistenza di tipo giuridico-amministrativo, tecnico, tecnologico o finanziario. Convenzione di Helsinki del 1992 servono misure ed incentivi positivi per facilitare l'osservanza. Formule mirate a promuovere l'osservanza spontanea del diritto, in alternativa rispetto a procedure coercitive, vengono fortemente evidenziate in dottrina tra le tendenze pi significative del diritto internazionale contemporaneo. E' indiscutibile che simili formule possano incrementare la capacit di osservanza e l'effettivo rispetto delle regole internazionali. D'altro canto, sarebbe ingenuo pensare che esse possano rendere desuete le regole internazionali in tema di attuazione coercitiva. 1.2. L'autotutela Delle tre funzioni fondamentali dell'ordinamento giuridico quella relativa all'esecuzione forzata delle regole giuridiche mette maggiormente in evidenza il basso tasso di istituzionalizzazione centralizzata della Comunit Internazionale. NB: per quanto riguarda le risposte giuridiche alle violazioni del diritto, ci che costituisce l'eccezione negli ordinamenti interni, l'autotutela (self-help), la regola generale nell'ordinamento internazionale! E' evidente che l'unilateralismo che si accompagna alla carenza di istituzionalizzazione dell'ordinamento internazionale pu incidere in modo determinante sull'andamento pacifico, o meno, delle relazioni internazionali. Negli ordinamenti giuridici interni la funzione di attuazione coercitiva del diritto, pur distinguendo tra i meccanismi di esecuzione coercitiva di norme penali, civili e amministrative, viene sottoposta, di regola, a controllo giurisd. Nell'ordinamento internazionale, poich la funzione giudiziale non obbligatoria, oggetto principale di misure di attuazione coercitiva sono direttamente le regole di condotta accertate e interpretate unilateralmente dallo Stato che si presume leso da una violazione del diritto (restando cmq salvi gli obblighi generali di soluzione delle controversie di cui agli artt 2 e 33 Carta ONU, e ci comporta che, prima di adottare una misura di tipo coercitivo, lo Stato che si ritiene leso deve tentare in buona fede una soluzione concordata della vertenza). Il fenomeno dell'autotutela, in termini giuridico-istituzionali, consiste nell'adozione di contromisure, secondo una terminologia invalsa negli ultimi trent'anni, che potranno implicare, o non, l'uso della forza armata. Nel secondo caso, si tratta generalmente di misure di carattere economico, quali l'embargo sul commercio di determinati prodotti. In effetti, l'uso del termine contromisura sostitutivo del termine rappresaglia proprio per evitare connotazioni di tipo militare. Si ricorder che l'ammissibilit di risposte armate, sino agli inizi del secolo scorso, veniva riconosciuta anche rispetto a illeciti non implicanti l'uso della forza militare. Per tornare agli aspetti terminologici, spesso le contromisure aventi carattere economico vengono denominate sanzioni, specialmente quando adottate nel quadro di organizzazioni internazionali. Le

contromisure si distinguono dalle ritorsioni, in quanto le prime costituiscono violazioni del diritto adottate in risposta a precedenti illeciti, lecite alle condizioni che verranno esaminate, mentre le seconde indicano comportamenti inamichevoli o svantaggiosi, MA NON in violazione del diritto, in risposta a precedenti comportamenti analoghi o illeciti. L'es classico della ritorsione il mancato invio della compagine sportiva nazionale a giochi olimpici o campionati internazionali che si tengono nello Stato contro cui viene adottata la ritorsione. Tra le forme di ritorsione pi gravi si annovera la rottura delle relazioni diplomatiche, atto altamente simbolico e meramente lecito, in quanto non vi obbligo internazionale di intrattenere relazioni diplomatiche. L'autotutela pu poi essere esercitata anche in forma collettiva, da una pluralit di Stati autonomamente o nell'ambito di una organizzazione intergovernativa. Tuttavia, azioni, sia individuali che collettive, se implicanti l'uso della forza armata, di regola richiedono una decisione autorizzativa delle Nazioni Unite, con la riserva di quanto si dir in tema di legittima difesa. A questo proposito, riferimento verr fatto al cd sistema di sicurezza collettiva previsto dal Capitolo VII della Carta ONU. 1.3. Strumenti di adempimento forzato delle sentenze internazionali (v sezz 5 e 6) Il fatto che la giurisd internazionale abbia natura consensuale sicuramente un elemento che induce all'osservanza spontanea delle sentenze obbligatorie per le parti. Tuttavia, non mancano casi in cui lo Stato condannato sia recalcitrante a dare esecuzione alla sentenza. Non si deve poi trascurare che il consenso alla giurisd internazionale viene spesso espresso in termini generali e astratti in epoca precedente alla controversia e che, quindi, non mancano casi in cui gli Stati convenuti contestino la giurisd del giudice adito o l'ammissibilit della domanda. Si sono anche verificati casi in cui gli Stati convenuti non sono comparsi in giudizio. 2 LE CONTROMISURE 2.1. La rilevanza della reciprocit e il requisito della proporzionalit L'autotutela, come forma tradizionale di attuazione coercitiva si confondeva nel diritto internazionale classico con il fenomeno della reciprocit, visto in un'ottica bilaterale dei rapporti tra Stati. Nel diritto internazionale tradizionale il comportamento reciproco costituiva una violazione lecita di una regola giuridica, in quanto posta in essere in risposta ad una precedente violazione di un proprio diritto soggettivo. Ci resta nel diritto internazionale contemporaneo, secondo cui il fatto di avere subito una precedente violazione di un proprio diritto costituisce una condizione, necessaria ma non sufficiente, di liceit di una contromisura consistente, a sua volta, nella violazione di un obbligo. Le contromisure, infatti, vengono ricomprese nella categoria delle circostanze escludenti l'illiceit di comportamenti in violazione di obblighi internazionali. La violazione del diritto in forma di contromisura ammissibile limitatamente al periodo necessario ad esercitare pressione nei riguardi dell'autore dell'illecito affinch esso cessi la violazione, effettui riparazione e adempia all'obbligo originariamente violato. Tale RATIO delle contromisure, opposta a quella della sospensione o estinzione del trattato per grave violazione dello stesso, stata codificata dalla CDI all'art 49. Le contromisure, ex art 53, dovranno cessare nel momento in cui lo Stato autore dell'illecito contro cui esse sono state adottate ha adempiuto agli obblighi di riparazione esaminati nella Parte III. Quanto sopra si applica, fra l'altro, anche alle risposte a violazioni di obblighi consuetudinari. In una certa fase dei suoi lavori sulla responsabilit internazionale, la CDI aveva distinto le cd contromisure specifiche da quelle aspecifiche per indicare, con le prime, comportamenti di piena reciprocit, cio consistenti nella violazione del medesimo obbligo, o direttamente collegato ad esso. Il fatto che la reciprocit non costituisca una condizione di liceit delle contromisure potrebbe apparire come una caratteristica del diritto internazionale estremamente liberale, offrendo allo Stato leso una gamma eccessivamente ampia di opzioni di risposta unilaterale ( vero piuttosto il

contrario). Infatti, rispetto a violazioni di obblighi a tutela di interessi fondamentali della Comunit Internazionale, il diritto internazionale contemporaneo prevede l'ammissibilit di contromisure aspecifiche, il cui limite generale di applicabilit (come per tutte le contromisure poi), che traduce la ratio della reciprocit, quello della proporzionalit, non solo, e non tanto, tra la violazione commessa in forma di contromisura e la violazione subita, ma tra la prima, da un lato, e la finalit di ottenere la cessazione e la riparazione dell'illecito, dall'altro. Resta difficile verificare nel caso concreto il soddisfacimento del requisito in parola, persino quando le due violazioni hanno ad oggetto obblighi aventi la stessa natura e la stessa fonte (v la sentenza arbitrale del 1978 tra Stati Uniti e Francia relativamente all'Accordo sui servizi aerei del 1946, pag 435 e s). 2.2. Obblighi inviolabili in forma di contromisura L'art 50 della CDI sulla responsabilit internazionale dispone quanto segue: 1. Le contromisure non pregiudicheranno: a) l'obbligo di astenersi dalla minaccia o l'uso della forza come previsto dalla Carta delle Nazioni Unite [dunque non pu essere lecita la violazione del divieto dell'uso della forza in forma di contromisura, diversamente dalla cd diplomazia dei cannoni, nel senso che in passato era ammissibile l'uso della forza in risposta persino a violazioni del diritto non implicanti l'uso della forza militare]; b) gli obblighi per la protezione di diritti umani fondamentali; c) gli obblighi di carattere umanitario che proibiscono le rappresaglie; d) altri obblighi derivanti da norme imperative di diritto internazionale [viene cos codificato un altro aspetto dell'adeguamento del diritto della responsabilit internazionale al diritto dei trattati in tema di tutela e inderogabilit di valori fondamentali della Comunit Internazionale, di cui all'art 53 della Convenzione di Vienna]. 2. Uno Stato che adotta contromisure non esonerato dall'adempiere i propri obblighi: a) derivanti da una procedura di risoluzione delle controversie applicabile tra di esso e lo Stato responsabile; b) di rispettare l'inviolabilit degli agenti diplomatici e consolari, delle sedi, archivi e documenti appartenenti alla missione diplomatica [con l'eccezione, per, ad es, del trattamento fiscale]. Come sottolineato dalla CDI nel suo commento alla disposizione in esame, gli Stati, nell'esercizio della loro libert contrattuale, possono di volta in volta concordare ulteriori limiti convenzionali all'ammissibilit di violare in forma di contromisura obblighi derivanti dal trattato in questione (si pensi, ad es, all'ambito WTO). 2.3. Le condizioni di ammissibilit delle contromisure L'art 52 dispone quanto segue (questa disposizione codifica il divieto di adottare contromisure automaticamente, tanto vero che prevista una sorta di regola del previo esaurimento di un tentativo di soluzione concordata della controversia): 1. Prima di adottare contromisure, lo Stato leso dovr: a) richiamare lo Stato responsabile ai sensi dell'art 43 all'osservanza dei suoi obblighi secondo la Parte II; b) notificare allo Stato responsabile la decisione di prendere contromisure ed offrirgli una possibilit di negoziato. 2. Nonostante il paragrafo 1(b), lo Stato leso potr adottare le misure urgenti necessarie al fine di preservare i propri diritti [si pensi, ad es, al congelamento dei beni e conti correnti dello Stato autore dell'illecito che si trovano nell'ambito della giurisd dello Stato leso]. 3. Le contromisure non potranno essere adottate e, se gi adottate, dovranno essere sospese da subito se: a) l'atto internazionalmente illecito cessato, e b) la controversia pendente davanti a una corte o tribunale avente competenza a decidere in maniera vincolante per le parti. 4. Il paragrafo 3 non si applica se lo Stato responsabile non adempie alle procedura di risoluzione della controversia in buona fede. Va sottolineato come non vi siano motivi d'urgenza che operino come limite alla regola del previo esaurimento di un tentativo di soluzione concordata della controversia: ci conforme a una consolidata prassi internazionale, che riflette un principio di ragionevolezza mirato a mitigare l'elemento unilateralistico e i rischi di abuso del meccanismo dell'autoaccertamento dello stato leso. La medesima ratio sottende all'obbligo di astensione da contromisure, o di sospensione, quando un illecito continuato sia cessato, oppure quando la controversia originata dalla pretesa violazione cui si intende rispondere in forma di contromisura viene sottoposta a una procedura giudiziale o

arbitrale. Questo obbligo di astensione non opera se lo stato non collabora alla proc giudiziale o ar. 2.4. Gli Stati legittimati ad adottare contromisure E' chiaro che lo Stato o gli Stati lesi da una precedente violazione saranno legittimati ad adottare contromisure. Ci, naturalmente, alle condizioni e nei limiti di liceit appena visti. Di speciale rilevanza il problema dell'individuazione degli Stati legittimati ad agire in risposta a violazioni di obblighi erga omnes. Secondo la tesi gi esposta nella Parte III, le violazioni di simili obblighi comportano contestualmente la violazione di un diritto soggettivo di ogni Stato parte di un trattato, o della Comunit Internazionale se si tratta di un obbligo contenuto in una regola consuetudinaria. Infatti, in caso di simili violazioni, si pu ritenere che tutti gli Stati parti del trattato, o della Comunit Internazionale, siano da considerarsi lesi e legittimati ad adottare misure coercitive nella stessa misura in cui sono legittimati ad invocare la responsabilit internazionale per l'illecito. Tuttavia, come si visto nella Parte III, la CDI si distaccata da questo approccio, quantomeno terminologicamente, individuando nel concetto di Stato leso solo lo Stato materialmente o direttamente colpito da una violazione: gli Stati definiti non lesi potranno adottare misure coercitive, si badi bene che la CDI non ha volutamente utilizzato il termine contromisure, per indurre l'autore di una violazione degli obblighi di tipo cd erga omnes alla cessazione dell'illecito e alla riparazione nei riguardi degli Stati direttamente lesi o dei beneficiari dell'obbligo violato nel caso in cui questi siano diversi dagli Stati (ad es, beneficiari diversi dagli Stati possono essere gli individui appartenenti a una minoranza nazionale soggetta ad un atto di genocidio). La ratio della regola in questione quella di evitare l'evidentemente indebita moltiplicazione dell'obbligo di riparazione in senso stretto nei riguardi di tutti gli Stati legittimati a far valere la responsabilit e ad adottare misure coercitive (eventualmente diverse, secondo la CDI, da contromisure), compresi quelli non direttamente lesi. Trattandosi di una facolt e non di un obbligo internazionale, l'adozione di misure coercitive da parte di Stati non direttamente lesi pu essere ritenuta inopportuna per gli interessi propri del singolo Stato, generalmente di carattere materiale o strategico-militare: forme di embargo possono essere economicamente penalizzanti per chi le adotta, oltre che per gli Stati contro cui vengono adottate. Ci spiega, tra l'altro, come le misure coercitive siano uno strumento maggiormente utilizzato dagli Stati pi forti: a titolo di es, ricordiamo che nel caso dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, il 2 agosto 1990, oltre all'immediata condanna da parte del Consiglio di sicurezza, la prima risposta fu l'adozione del blocco commerciale e il congelamento dei beni iracheni sul proprio territorio da parte dei Paesi membri delle Comunit Europee e degli Stati Uniti (altri es a pag 442-443). Va, infine, indicato come un trattato possa disciplinare in via speciale le reazioni da parte dei singoli Stati all'inadempimento di obblighi derivanti dal trattato da parte di altri Stati parti ( questo il caso del WTO). 2.5. La legittima difesa E' stato gi indicato come l'uso della forza da parte di uno Stato sia lecito in risposta ad un attacco armato. Si tratta delle regola consuetudinaria relativa alla cd legittima difesa, a sua volta codificata all'art 51 della Carta ONU e ribadita dal testo della CDI sulla responsabilit come circostanza escludente l'illiceit. L'art 51 dispone quanto segue: Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di legittima difesa individuale o collettiva nel caso di un attacco armato in atto contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoch il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure adottate da Membri nell'esercizio di questo diritto di legittima difesa sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di sicurezza e non pregiudicano in alcun modo l'autorit e la responsabilit del Consiglio di sicurezza, secondo il presente Statuto, di intraprendere in qualsiasi momento l'azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza internazionale. E' generalmente riconosciuto che si tratti di un uso della forza militare la cui illiceit preclusa dal

fatto di costituire una risposta ad un attacco armato, fatto salvo il principio che eventuali violazioni di diritto umanitario restano illecite anche se commesse durante un'azione di legittima difesa. I rischi di abuso sembrerebbero poi mitigati dai corollari procedurali per cui la legittima difesa, limitata a scopo reintegrativo dai principi di immediatezza, necessit e proporzionalit, viene condizionata al successivo intervento del Consiglio di sicurezza, al primo momento utile. Tuttavia, nulla di ci che riguarda situazioni estreme come quelle che portano all'uso della forza pu mai dirsi priva di problematicit, tanto vero che lo stesso concetto di attacco armato, in apparenza oggettivamente rilevabile, requisito di legittimazione di una risposta armata, non manca di elementi controversi, come, ad es, nella famosa causa Nicaragua c Stati Uniti. La Corte ha qui affermato che l'invio di bande armate irregolari o mercenari per condurre azioni armate equivale ad un attacco armato condotto da forze regolari, ma ha escluso che la semplice fornitura di armi o supporto logistico o di altra natura potesse essere valutata alla stregua di un attacco armato. La sentenza ha PERO' introdotto un elemento di imprevedibilit laddove ha specificato che le azioni militari irregolari possono costituire attacco armato solo se di portata significativa!! La questione mantiene drammaticamente intatta la sua attualit. Si pensi all'attacco terroristico contro gli Stati Uniti dell'11 settembre 2001, la cui portata macroscopica ha suscitato una risposta militare contro l'Afghanistan, in quanto sostenitore e fornitore di supporto logistico al gruppo terroristico internazionale Al-Qaeda. Alla stregua dei parametri appena esaminati (causa Nicaragua), apparirebbe difficile rilevare gli estremi per attribuire all'Afghanistan la responsabilit dell'attacco in termini da giustificare un'azione armata americana contro di esso in forma di legittima difesa! A meno che non si ritenesse Al-Qaeda alla stregua di un organo dello Stato afghano! Eppure, con le risoluzioni 1368 e 1373 relative all'attacco delle Torri Gemelle, il Consiglio di sicurezza sembra indicare che attentati come quelli dell'11 settembre possano essere equiparati ad attacchi armati ai sensi dell'art 51 della Carta ONU. Questo precedente, nel senso di ammettere la legittima difesa contro uno Stato che abbia prestato il proprio supporto logistico ad un'organizzazione terroristica o, cmq, paramilitare non appartenente allo Stato stesso, sembra pienamente avallato dalla stessa Corte internazionale di giustizia nel 2004, in apparente contrasto con la sentenza Nicaragua, nel parere consultivo sulle conseguenze della costruzione di un Muro nei territori palestinesi occupati. Questo approccio finisce per incentivare l'uso della forza da parte di Stati in presunta legittima difesa contro Stati che, pur responsabili di mancata diligenza nel controllo del proprio territorio, o persino del proprio apparato di governo, non siano direttamente responsabili di un attacco armato contro un altro Stato: ci confermato da una diffusa prassi tendente ad attribuire, esplicitamente o implicitamente, allo Stato gli atti di gruppi armati irregolari. Ci legittima ancor pi l'esigenza di cautela, in ragione del ruolo prevalente dell'autoaccertamento dei fatti in una materia in cui l'accertamento giudiziale l'eccezione e quello politico del Consiglio di sicurezza facilmente ritrova la paralisi a causa dei veti incrociati tra Membri permanenti. Nel luglio 2006 i principali attori e osservatori internazionali, specialmente ONU, G8 e UE, hanno riconosciuto il diritto di Israele alla legittima difesa contro azioni militari provenienti da militanti Hezbollah stanziati su territorio libanese e da gruppi estremisti di Hamas localizzati a Gaza, contestandone tuttavia la proporzionalit. Solo queste organizzazioni dovranno cmq costituire obiettivo esclusivo dell'uso della forza in legittima difesa in termini chirurgici, eventualmente anche causando danni collaterali allo Stato ospitante, ma nell'ambito del limiti della proporzionalit e necessit militare. Attualmente, le risposte militari contro gruppi armati non statali continuano a colpire principalmente gli Stati, curiosamente proprio quelli, generalmente Paesi arabi, che impediscono la formazione di regole internazionali da cui potrebbero venire tutelati. Un altro aspetto problematico di cui all'art 51 riguarda la legittima difesa collettiva: va tenuto conto che la legittima difesa costituisce la prima forma di risposta a una grave violazione di un obbligo erga omnes, cio il divieto dell'uso della forza, di rilevanza fondamentale per tutti gli Stati della Comunit Internazionale, rispetto alla cui violazione ciascuno di essi va ritenuto in principio abilitato ad intervenire in legittima difesa collettiva. Ci pone il problema, ovviamente, se l'intervento armato di un terzo possa avvenire in qualsiasi momento e senza condizioni, oppure se

esso sia subordinato alla richiesta da parte dello Stato direttamente vittima della violazione del divieto dell'uso della forza. Poich l'interesse prioritario tutelato dalla regola sulla legittima difesa collettiva quello dello Stato direttamente coinvolto nella situazione di tipo bellico, l'accertamento di attacco armato da parte di quest'ultimo e la sua richiesta d'intervento sembrano requisiti essenziali (nell'agosto 1990, successivamente all'invasione irachena del Kuwait, quest'ultimo e l'Arabia Saudita richiesero agli Stati Uniti e ai Paesi alleati l'intervento in legittima difesa collettiva). India vs Pakistan:un intervento causerebbe la guerra. Le alleanze di Stati, nell'esercizio della libert contrattuale dei rispettivi contraenti, possono stabilire preventivamente le condizioni per l'esercizio della legittima difesa collettiva. E' esemplificativo al riguardo l'art 5 del Trattato di Washington del 1948 istitutivo della NATO. Ricollegando il punto in esame all'attacco dell'11 settembre, il Consiglio NATO ritenne l'attacco rientrare nell'ambito di applicazione dell'art 5. 2.5.1. Il problema della legittima difesa preventiva Il Presidente Bush, in un suo intervento all'Accademia militare di West Point del 2 giugno 2002 ha affermato: Gli Stati Uniti hanno mantenuto a lungo aperta l'opzione di azioni preventive per combattere una minaccia alla nostra sicurezza nazionale. Pi grande la minaccia, maggiori i rischi di non agire, e pi imperativa la necessit di agire in anticipo per la nostra difesa, anche se rimane incertezza per quanto riguarda i tempi e i luoghi dell'attacco nemico. Per evitare e prevenire tali atti ostili dei nostri avversari, gli Stati Uniti agiranno preventivamente se necessario. Si potrebbe considerare il problema dell'ammissibilit della legittima difesa preventiva come un problema della modernit, legato all'uso e agli effetti di armi di distruzione di massa, particolarmente di natura nucleare. Esso, infatti, era sotteso alle argomentazioni statunitensi a sostegno della legittimit dell'attacco contro l'Iraq. Tuttavia, il problema si pone da tempi lontani: basti pensare, ad es, al caso Caroline del 1842 tra Stati Uniti e Gran Bretagna. In quegli anni la ribellione contro il dominio coloniale britannico in Canada veniva organizzata in territorio statunitense, nonostante i tentativi delle autorit americane di impedire attivit di supporto, quali l'invio di aiuti ai ribelli, tra l'altro, con la nave Caroline. Per prevenire tali attivit truppe britanniche varcarono il confine degli Stati Uniti, sequestrarono la Caroline, la incendiarono e lasciarono che venisse travolta dalle cascate del Niagara! Ne nacque, ovviamente, una controversia, con la Gran Bretagna che invocava la legittima difesa preventiva. Sebbene nel caso specifico gli Stati Uniti invocassero nei fatti l'illiceit di quell'azione di legittima difesa preventiva, ne avallavano il principio, formulandolo tuttavia in termini cos restrittivi da apparire assorbito nel principio dello stato di necessit. Il Segretario di Stato americano afferm che per essere internazionalmente legittima un'azione armati di legittima difesa preventiva (formula poi ripetuta nel tempo) deve essere dettata da una necessit di legittima difesa immediata, impellente, che non lascia alcuna scelta di mezzi n tempo per deliberare. (pag 454). Merita poi segnalare che il Governo americano ha interpretato il diritto consuetudinario alla legittima difesa, richiamato dall'art 51 della Carta ONU e dal Consiglio di sicurezza e dalle risoluzioni 1368 e 1373 del 2001, a giustificazione dell'azione armata in Afghanistan, al medesimo tempo, come risposta agli attacchi dell'11 settembre e come prevenzione e deterrenza rispetto a futuri attacchi terroristici. Si tratta, fra l'altro, di una interpretazione fatta propria recentemente dal Segretario generale ONU, nel 2005: Minacce imminenti rientrano pienamente nell'art 51, che salvaguarda il diritto naturale degli Stati sovrani a difendersi da un attacco armato. La dottrina ha da tempo riconosciuto che questo diritto ricomprende il caso di un attacco imminente, cos come quello di un attacco gi avvenuto. La specialit, l'eccezionalit, del carattere preventivo della situazione cui si applicherebbe la regola sulla legittima difesa e gli elementi restrittivi che emergono dalla prassi suggeriscono che nelle circostanze in questione la disciplina applicabile sia assorbita dalla regola sullo stato di necessit. Ci nel senso per cui la legittima difesa preventiva non potrebbe essere invocata come circostanza escludente l'illiceit dell'uso della forza, ad esclusione del caso in cui essa costituisca il solo modo per lo Stato di salvaguardare la propria sicurezza contro un grave e imminente pericolo.

Le regole cos concepite evitano il rischio di abusi unilateralistici, particolarmente gravi in quanto implicano l'uso della forza militare. D'altro canto, limitare l'esercizio della legittima difesa ad attacco avvenuto pu risultare altrettanto inadeguato rispetto alle legittime esigenze di difesa, o di sopravvivenza, di un Paese. Il diritto internazionale non offre una risposta pienamente soddisfacente al problema: quando possibile un accertamento da parte del Consiglio dei requisiti di gravit e imminenza, si possono ritenere soddisfatte le condizioni di legittimit dell'uso preventivo della forza, pur nell'ambito del soggettivismo collettivo del sistema di sicurezza ONU. Altrimenti si resta nell'ambito dell'autoaccertamento e dell'eventuale approvazione successiva, acquiescenza o sanzione sociale, nelle dinamiche variabili e complesse della politica internazionale. 3 IL SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVA DELLE NAZIONI UNITE COME RISPOSTA A GRAVI VIOLAZIONI DI REGOLE COGENTI 3.1. Il sistema ONU di sicurezza collettiva Il Consiglio di sicurezza investito di poteri coercitivi in base al Capitolo VII della Carta ONU. Tali poteri non coincidono necessariamente con la funzione coercitiva del diritto in senso proprio, ma sono stati concepiti come strumento mirato ad assicurare il mantenimento o il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale quando minacciate o violate. Ai sensi dell'art 39 della Carta, il Consiglio accerta se determinate situazioni costituiscono una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale o violazioni delle stesse. Tale accertamento, di volta in volta effettuato con delibera consiliare da approvarsi con procedura di voto che prevede il cd diritto di veto di ciascun Membro permanente, il risultato di un delicato dibattito politico tra gli Stati componenti il Consiglio. Ci, non solo in ragione della rilevanza politica dell'accertamento in s, ma soprattutto per il fatto che esso costituisce il presupposto necessario affinch il Consiglio possa esercitare le proprie competenze coercitive non implicanti l'uso della forza militare ai sensi dell'art 41 o implicanti l'uso della forza armata ex art 42. Fino alla fine della Guerra Fredda l'utilizzazione di queste disposizioni stata limitatissima a causa della fortissima contrapposizione tra Membri permanenti e, quindi, di prospettivi veti incrociati. La prima opportunit di attivazione del sistema di sicurezza collettiva dell'ONU giunta con l'invasione irachena del Kuwait, il 2 agosto 1990. Essa si configurava come un evidente uso della forza da parte di uno Stato contro l'integrit territoriale e l'indipendenza politica di un altro Stato (violazione, quindi, del divieto dell'uso della forza ex art 2 Carta ONU). Il Consiglio, dunque, ha adottato una risoluzione (660) con cui accertava l'esistenza di una violazione della pace e della sicurezza internazionale e con cui stabiliva le necessarie misure consequenziali. In mancanza dell'adempimento di quanto richiesto nella risoluzione 660 (ritirare le truppe immediatamente), il 6 agosto il Consiglio ha determinato una serie di misure coercitive non implicanti l'uso della forza, ma di carattere economico del tipo previsto all'art 41 (ris 661). Il Consiglio decise, allora, che tutti gli Stati non avrebbero permesso l'importazione nei propri territori di tutte le materie prime o prodotti originati in Iraq o Kuwait ed esportati da questi Paesi a partire dalla data della risoluzione in discorso. Il 29 novembre 1990, poich l'Iraq non aveva dato attuazione al ritiro dal Kuwait, intimato dalla ris 660, nonostante altre dieci risoluzioni, il Consiglio adott un vero e proprio ultimatum, scaduto il quale gli Stati membri venivano autorizzati a usare tutti i mezzi necessari, quindi anche l'uso della forza ex art 42, per costringere l'Iraq ad adempiere all'obbligo di ritiro dal Kuwait. La legittimit degli interventi militari non autorizzati da risoluzioni del Consiglio, ma fondati su formule generiche contenute in risoluzioni adottate in base al Capitolo VII della Carta o su autorizzazioni precedenti senz'altro da escludere (Marchisio). Una o pi delibere del Consiglio che accertino che una determinata situazione costituisce una minaccia alla pace, eventualmente intimando comportamenti da parte dei soggetti ritenuti responsabili, costituisce una statuizione significativa che, particolarmente nel caso in cui i comportamenti intimati vengano disattesi, stata usata unilateralmente per invocare un certo grado

di legittimazione politica di un intervento armato non autorizzato: ci avvenuto con riferimento all'attacco NATO nel marzo 1999 alla Ex-Yugoslavia, in relazione alla repressione della minoranza albanese in Kosovo. A tale proposito, si ricorder che la maggioranza dei Membri del Consiglio di sicurezza (12) il 26 marzo 1999 aveva votato contro un progetto di condanna dell'attacco NATO. Il Consiglio si distingue da un organo giuridico preposto ad esercitare funzioni di giurisd esclusiva, oltre che per la natura politica della propria composizione, per l'amplissima discrezionalit dei poteri che gli vengono conferiti in materia; segue valutazioni di opportunit, non strettamente di coerenza giuridica. Nella Carta la natura politica del Consiglio di sicurezza confermata dall'assenza di un sistema di controllo giurisdizionale dei suoi atti. La reazione del Consiglio all'invasione irachena dei Kuwait ha evidenziato la prassi per cui le misure implicanti l'uso della forza che il Consiglio adotta ex art 42 vengono da esso delegate agli Stati membri.(dibattito:tale prassi vale solo per le deleghe che dispongono precisamente modalit e durata o anche x quelle 'in bianco'?) Infine, sempre in termini di competenze del Consiglio in tema di sicurezza collettiva, si posto il quesito se il concetto di minaccia o violazione della pace ai sensi dell'art 39, originariamente rivolto alle ipotesi di conflitto armato tra Stati, potesse comprendere conflitti civili e crisi umanitarie scoppiate all'interno di uno Stato. Al riguardo, occorre ricordare come viene spesso trascurato che la stessa Carta prevedesse espressamente, sin dall'inizio, all'art 2 par 7, il funzionamento del sistema coercitivo di sicurezza collettiva nei riguardi di situazioni di gravi e sistematiche violazioni dei diritti fondamentali all'interno di uno Stato. 3.1.1. L'impatto dell'azione armata anglo-americana contro l'Iraq Prima dell'intervento statunitense in Iraq, era stata pubblicata sul quotidiano britannico The Guardian la seguente dichiarazione (v pag 477), firmata da illustri studiosi di diritto internazionale: Sulla base delle informazioni pubblicamente disponibili, non vi giustificazione in base al diritto internazionale all'uso della forza militare contro l'Iraq. Prima che un'azione militare possa essere intrapresa contro l'Iraq, il Consiglio di sicurezza deve aver indicato il suo espresso assenso. Una risoluzione soggetta a veto non pu esprimere simile assenso. Una decisione d'intraprendere un'azione militare in Iraq senza adeguata autorizzazione eroderebbe seriamente il principio della legalit internazionale. Naturalmente, anche con tale autorizzazione, resterebbero seri problemi. Una guerra lecita non necessariamente una guerra giusta, prudente o umanitaria. Alla luce degli eventi degli ultimi tre anni, la valutazione di illiceit appena proposta non pu che essere confermata. Si pu cmq sostenere che il dibattito internazionale attorno all'intervento NATO in Kosovo, alla risposta all'attentato alle Torri Gemelle e all'attacco all'Iraq, prima e dopo dello stesso, abbia persino rafforzato, paradossalmente, la vitalit giuridica del divieto della forza militare nelle relazioni internazionali. Precedentemente all'attacco emerso che il rispetto del principio di legalit fosse ancora ritenuto un elemento fondamentale per la legittimazione delle scelte di politica estera di molti Paesi. Ci vale anche per lo stesso Governo americano che, sia dopo l'attacco alle Torri, sia con riguardo all'Iraq, ha ricercato con perseveranza la legittimazione alla propria azione da parte dell'ONU, dapprima, con riferimento all'Iraq, cercando una espressa autorizzazione all'attacco armato, successivamente, dando una interpretazione estensiva alle riss 678, 687 e 1441. Quest'ultima, adottata nel novembre 2002, contestando al regime iracheno ripetute violazioni delle precedenti riss in tema di disarmo, specie la 687, richiedeva al regime di dimostrarne in tempi brevi l'adempimento agli ispettori ONU. L'Iraq redasse l'ulteriore documento richiesto, ma con pochi elementi di novit, non ritenuti soddisfacenti dagli Stati Uniti e dai loro alleati. NB: ci che rileva maggiormente ai nostri fini che, al momento della sua adozione, la ris 1441 non fosse stata ritenuta da alcuno dei Membri del Consiglio come un ultimatum, nel senso di autorizzare l'adozione di qls misura necessaria al fine di costringere l'Iraq al disarmo, in caso di inadempimento, rispetto al presunto possesso di armi di distruzione di massa, bens intendendo che, in caso di ulteriore (e prolungato) inadempimento, il Consiglio si sarebbe riunito per decidere quali azioni intraprendere direttamente oppure delegare ai singoli Stati. Successivamente all'attacco, tanto le argomentazioni legate all'interpretazione estensiva delle

citate riss, quanto quella basata sulla legittima difesa preventiva, si sono scontrate contro il fatto che, durante il conflitto, l'Iraq non abbia mai fatto uso di armi di distruzione di massa e che gli investigatori statunitensi, dopo quasi due anni di ricerca sul territorio iracheno, non siano riusciti a trovarne traccia, e che NEPPURE siano stati dimostrati i collegamenti tra il regime e il terrorismo islamico. Ci, oltre a confermare nei fatti l'illiceit dell'attacco, ha sconfessato definitivamente l'autoaccertamento del Governo USA a favore del meccanismo istituzionale e collettivo del Consiglio. Tutto ci ha cos significativamente delegittimato le pretese unilateralistiche di quel Governo, attenuandone il distacco dalla dialettica dei fori multilaterali. Valutazione delle riss successive all'attacco e del loro impatto ex post sulla sua liceit o meno: in sostanza il Consiglio ha adottato formule che non hanno n approvato, n condannato, n esplicitamente, n implicitamente, l'azione armata; si limitato a prendere atto dello status quo successivo all'attacco, senza qualificarlo sotto il profilo della legalit, ma adottando indicazioni di indirizzo per la gestione post-conflittuale. NB: il sistema di sicurezza collettiva ne esce persino rafforzato, anche in virt delle contingenti condizioni di difficolt dell'alleanza anglo-americana nella gestione della fase post-conflittuale. 3.2. Il Consiglio di sicurezza e gravi violazioni di norme cogenti Per lunghi anni i lavori preparatori della CDI hanno attratto il dibattito politico e dottrinale sulla distinzione tra fatti illeciti ordinari e cd crimini internazionali. Tra gli argomenti a sostegno di questa distinzione, introdotta nel 1976, vi era proprio il fatto che per una categoria di serie violazioni di obblighi internazionali, quelli attinenti al mantenimento della pace e sicurezza internazionale, la prassi prevede conseguenze giuridiche differenziate rispetto a semplici violazioni, con particolare riguardo alla legittima difesa in base all'art 51 della Carta ONU e, appunto, al sistema di sicurezza collettiva previsto dal Capitolo VII della stessa. L'ex art 19 forniva un elenco non esaustivo, in cui erano compresi il divieto di aggressione, la salvaguardia del diritto all'autodeterminazione dei popoli, la proibizione della schiavit, del genocidio, il divieto di inquinamento massiccio dell'atmosfera o dei mari, etc. La distinzione terminologica e la esemplificazione sopra riportata non compaiono nel testo finale della CDI, in modo analogo a quanto avvenuto con riferimento alla redazione dell'art 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati in tema di diritto cogente (anche se poi nel commento esplicativo, la CDI ha ripreso sostanzialmente tale esemplificazione). Tuttavia, il concetto sostanziale della distinzione rimasto: l'art 40 indica, in termini distinti rispetto alla generalit delle violazioni, le serie violazioni di un obbligo derivante da una norma imperativa del diritto internazionale, definendo il concetto di seriet della violazione con riferimento al carattere massiccio o sistematico dell'inadempimento. Tenendo conto della scarsa disponibilit dei governi in tema di soluzione obbligatoria delle controversie, particolarmente di tipo giudiziale, la CDI non ha indicato meccanismi procedurali di accertamento imparziale della violazione di interessi superiori della Comunit Internazionale, in termini analoghi alla giurisd obbligatoria ai sensi dell'art 66 della Convenzione di Vienna per controversie circa la compatibilit di un trattato con una norma cogente di cui all'art 53 della stessa. L'art 41 prevede due specifiche conseguenze giuridiche per illeciti consistenti in gravi violazioni di norme imperative, diverse dal divieto dell'uso della forza, senza escludere l'applicazione delle altre conseguenze previste per la generalit dei fatti illeciti internazionali: a) l'obbligo per tutti i membri della Comunit Internazionale di cooperare per portare alla cessazione di tali violazioni; b) l'obbligo di astenersi dal riconoscere la legittimit della situazione creata da un simile illecito e, a maggior ragione, dal fornire ogni forma di assistenza al mantenimento di tale situazione. Novit:OBBLIGO! La prassi del Consiglio mostra che nella gran parte dei casi in cui esso abbia qualificato una situazione come minaccia o violazione della pace e della sicurezza internazionale, tale situazione si configurava anche come una violazione di obblighi giuridici internazionali di natura fondamentale. Infatti, si trattato con frequenza di violazioni massicce o sistematiche di obblighi erga omnes. Per limitarci ad alcuni degli elementi di prassi pi significativi a partire dagli anni '90, si ricorder

come, con riferimento all'invasione del Kuwait, la situazione cui si indirizzata l'attivit decisionale coercitiva del Consiglio riguardasse la violazione del divieto dell'uso della forza e dell'obbligo di rispettare l'inviolabilit delle frontiere e l'integrit territoriale degli Stati, ma anche massicce e sistematiche violazioni dei diritti dell'uomo e di regole di diritto bellico, nonch gravi violazioni delle regole sul trattamento degli stranieri e degli agenti diplomatici. Il conflitto nella ex-Yugoslavia ha visto, per la prima volta, con l'istituzione nel 1993 del Tribunale internazionale penale per i crimini nella ex-Yugoslavia, l'esercizio del potere, non espressamente previsto nella Carta ONU, di istituire tribunali penali internazionali, quale misura per il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali. Nel par che segue verranno delineate le linee essenziali di sviluppo circa il ruolo del Consiglio in tema di giustizia penale internazionale. 3.2.1. Il Consiglio di sicurezza e l'accertamento giudiziale di crimini relativi a gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario Non questa la sede per indagare le ragioni dell'assenza nella Carta ONU di indicazioni normative circa la repressione dei crimini internazionali, con particolare riguardo al potere di istituzione di tribunali penali internazionali. Il silenzio della Carta non vale cmq a rendere meno evidente il fatto che la impunit degli autori dei pi gravi crimini internazionali possa costituire un ostacolo al mantenimento e al ristabilimento della pace. La configurazione della giustizia penale internazionale quale strumento per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale un dato che trova riscontro, innanzitutto, nelle stesse riss del Consiglio relative alla istituzione dei Tribunali penali internazionali per la ex-Yugoslavia e per il Ruanda. Inoltre, considerata la natura dei crimini che rientrano nella competenza della Corte penale internazionale e la responsabilit principale del Consiglio per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali in base all'art 24 della Carta ONU, evidente come il tema dei rapporti tra Corte penale internazionale e Consiglio di sicurezza abbia costituito uno dei nodi centrali relativi alla istituzione della prima e costituisca oggi un elemento fondamentale per lo stesso funzionamento della Corte. 4 IL PROBLEMA DELL'AZIONE COERCITIVA IN RISPOSTA AL TERRORISMO INTERNAZIONALE Ad oggi la Comunit Internazionale, a parte alcune pur importanti convenzioni a carattere settoriale, non ancora riuscita a trovare un orientamento sufficientemente uniforme per elaborare un quadro regolamentare in materia: la problematicit risulta ben riassunta nell'aforisma per alcuni uno un terrorista, per altri un combattente per la libert. 4.1. La difficolt di inquadramento giuridico del fenomeno Mettendo in evidenza le difficolt insite nella ricerca di un consenso generale sulla definizione di terrorismo, la studiosa Rosalyn Higgins giungeva a sostenere che esso rappresenta un termine di convenienza privo di particolare significato giuridico, se non quello di costituire un convenient way to describe some situations. In effetti, seguendo un approccio convenzionale settoriale, la Comunit Internazionale ha adottato strumenti che, di volta in volta, proibiscono penalizzano specifici comportamenti: si pensi ad es alla Convenzione di Montreal del 1971 in tema di sabotaggio aereo. Va poi precisato che, per la repressione dei crimini contemplati, le Convenzioni in questione si basano sul principio aut dedere aut iudicare, ai sensi del quale lo Stato parte sul cui territorio si trova il presunto autore del crimine deve estradarlo, oppure sottoporlo a procedimento penale. L'assenza di un accordo su una definizione generale di terrorismo conduce il dibattito attorno ad esso ad una controversia giuridica quotidiana, un fenomeno denunciato da tutti come vergognoso e riprovevole ma compreso da nessuno (Sorel). Tale indeterminatezza giuridica favorisce la tendenza degli Stati pi potenti ad ergersi a guardiani di un ordine giuridico internazionale autodefinito. Si pu considerare che il Consiglio abbia cmq

fornito un contributo in tema di definizione del fenomeno con la ris 1566 del 2004, relativa alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici. Ai nostri fini rileva come essa individui alcuni atti come ingiustificabili: Atti criminali, inclusi quelli contro i civili, commessi con l'intenzione di causare la morte o lesioni personali serie, o la presa di ostaggi, col proposito di provocare uno stato di terrore nella popolazione in generale o in un gruppo di persone o in particolari persone, intimidire una popolazione o forzare un governo o un'organizzazione internazionale a compiere o non compiere un atto qualsiasi. Va sottolineato come la ris in questione non si riferisca ad atti caratterizzati necessariamente da finalit politiche o ideologiche (come la ris 49/60 del 1994 che essa recepisce e in parte sviluppa), in tal modo comprendendo anche atti privati parimenti in grado di provocare terrore, intimidire o coartare. In termini cumulativi, particolare attenzione merita la ris 51/210 adottata dall'Assemblea generale nel 1996, la quale ha istituito un comitato ad hoc per la elaborazione di una Convenzione generale sul terrorismo internazionale (ad essa vi ha fatto riferimento anche il presidente americano Bush: Dobbiamo completare la Convenzione generale sul terrorismo internazionale che costituir l'occasione per mettere in evidenza la posizione di tutti gli Stati in materia: il prendere come obiettivo e uccidere intenzionalmente civili e non combattenti da parte di terroristi non pu essere giustificato o legittimato da nessuna causa o pretesa). Va peraltro rilevato come il progetto in questione non fornisca una vera e propria definizione di terrorismo internazionale!! Tuttavia, pur nell'incertezza generale, alcuni punti appaiono chiari, sebbene non unanimemente condivisi. Innanzitutto, si ritiene che il fenomeno del terrorismo non si qualifichi, tantomeno legittimi, sulla base delle finalit perseguite [ad eccezione, secondo parte della Comunit Internazionale, della pretesa esclusione della valutazione di terrorismo di attivit contro l'occupazione straniera], ma sulla base degli obiettivi e delle vittime della violenza: I CIVILI!. Di conseguenza, non tutti gli atti di violenza insurrezionale costituiscono atti di terrorismo, per cui attaccare un'unit militare guerriglia, una bomba su un autobus, o un jet che si schianta contro un edificio civile, terrorismo (Toscano). Conclusione: sono chiaramente vietate azioni militari contro civili e, in particolare, quelle mirate a diffondere il terrore tra la popolazione rientrano nell'ambito generalmente condiviso della definizione di terrorismo. 4.2. Le diverse forme di reazione al terrorismo Le reazioni coercitive della Comunit al fenomeno del terrorismo sono riconducibili principalmente a due tipologie: pacifiche (di cui ci occuperemo qui) e armate (si pensi ad es alla reazione all'attacco dell'11 settembre 2001). In ambedue i casi, si registra la tendenza, gi segnalata sopra con riferimento alla legittima difesa, a reagire nell'ambito tradizionale interstatuale, attribuendo, direttamente o indirettamente, a uno Stato la responsabilit per l'attivit terroristica cui si intende rispondere. In pratica, ex Capitolo VII della Carta ONU, stata attribuita al Consiglio la competenza coercitiva anche in tema di terrorismo. ESS: in relazione all'attentato di Lockerbie, il Consiglio, dopo aver deplorato il Governo libico per la mancata collaborazione nell'attribuzione delle responsabilit agli attentatori, con la ris 748, impose a tutti gli Stati l'obbligo di dare attuazione ad una serie di sanzioni contro la Libia: queste prevedevano l'interdizione di voli con la Libia, l'embargo sulla vendita di velivoli, oltrech su armi o su ogni altra forma di assistenza militare (sono state poi sospese nel 2003). Si ricorda poi come, in risposta all'attacco alle Torri, la ris 1373 parsa svolgere in modo innovativo un ruolo di tipo lgs, rivolgendosi non solo ad un evento specifico, ma al fenomeno del terrorismo in termini generali, attuali e prospettivi, prevedendo l'obbligo per tutti gli Stati membri di adottare una serie di misure, tra cui il congelamento di beni e conti correnti di coloro che partecipano o tentano di prendere parte ad atti terroristici; il divieto di fornire qls forma di supporto a soggetti coinvolti in attivit, direttamente o indirettamente, terroristiche; l'obbligo di cooperare per la prevenzione del fenomeno e di predisporre al proprio interno una lgs nazionale che assicuri i responsabili di atti terroristici alla giustizia.

In relazione all'attentato terroristico del 14 febbraio 2005 a Beirut contro il primo ministro libanese Rafiq Hariri, di cui erano sospettati agenti siriani, il Consiglio ha adottato la ris 1636, con cui ha disposto per tutti gli Stati membri l'obbligo di negare l'accesso o il transito sul proprio territorio a soggetti indicati come sospetti dalla apposita Commissione d'inchiesta, istituita dallo stesso Consiglio, o dal Governo libanese, oltrech di congelare tutti i beni degli stessi. Ha inoltre disposto che la Siria trattenga in custodia i funzionari o individui siriani sospettati di essere i responsabili dalla Commissione, e di metterli a sua completa disposizione. Infine, il Consiglio ha accolto le richieste del Primo ministro libanese di istituire un tribunale internazionale ad hoc. 4.2.1. Il trattamento dei soggetti sospettati di terrorismo: il caso Guantnamo Tra le forme di reazione al fenomeno del terrorismo rientrano le indagini, la ricerca, l'arresto e il trattamento, processuale e penitenziario, dei soggetti sospettati o responsabili di tali attivit criminose. Si tratta di tematiche oggetto della disciplina di numerose convenzioni in materia, con riferimento sia ai comportamenti individuali degli Stati, sia alla cooperazione tra loro in materia giudiziaria, ambedue gli aspetti soggetti alla sfera di applicazione delle norme sui diritti fondamentali della persona umana. NB: la reazione americana all'attacco alla Torri nei riguardi di individui sospettati di terrorismo ha costituito un test difficile ed importante della efficacia di tali diritti! Al termine del conflitto armato in Afghanistan, condotto dagli Stati Uniti dal 7 ottobre alla met di novembre 2001, con la caduta del regime talebano, le forze armate statunitensi avevano catturato oltre 600 prigionieri di diversa nazionalit sospettati di collaborazione con il Governo talebano e/o Al Qaeda. Nelle settimane successive, questi furono trasferiti e detenuti nella base militare di Guantnamo, in territorio cubano. Attraverso le informazioni fornite dai media, ONG e, da ultimo, da una commissione di esperti dell'ONU, sono note le condizioni di detenzione, disumane e degradanti, e le pratiche di tortura, come metodo di interrogatorio e intimidazione, cui sono stati assoggettati i detenuti dal 2001 al 2006, in assenza di un'adeguata formalizzazione di capi d'accusa, di assistenza legale e dello svolgimento di un giusto processo. Con un Executive Order del 13 novembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti aveva istituito delle commissioni militari, sottoposte al diretto controllo dell'Esecutivo, con il compito di giudicare i detenuti, in sostituzione dell'ordinaria giurisd penale o militare statunitense. Solo il 29 giugno 2006!! la Supreme Court of the United States ha dichiarato che le commissioni militari speciali istituite dall'Esecutivo americano per giudicare, sotto il proprio controllo, i detenuti della base di Guantnamo fossero in contrasto, tanto con il diritto militare americano, quanto con le Convenzioni di Ginevra recepite dallo stesso ordinamento statunitense. La valutazione della liceit internazionale, o meno, del trattamento dei detenuti, va effettuata sulla base di due ambiti regolamentari. Da un lato, troviamo il corpo dei diritti fondamentali della persona umana, che si applica in tempo di pace, dall'altro, vi il diritto umanitario, che pu derogare in tempo di guerra al precedente in quanto lex specialis, prevedendo cmq una tutela minima per combattenti e civili nei conflitti armati. L'Amministrazione americana ha sviluppato e sostenuto nel corso del tempo argomentazioni assai deboli a sostegno della liceit del proprio comportamento. Primo argomento: gli stati uniti e i suoi organi militari non sono vincolati dalle norme sui diritto dell'uomo al di fuori del proprio territorio. In base al Patto sui diritti civili e politici, entrato in vigore negli Stati Uniti nel 1992, ne deriva che la localizzazione sul territorio di uno Stato terzo dell'attivit penitenziaria non sottrae quest'ultima alla sfera di applicazione del Patto (art 2: Gli Stati parti devono rispettare e fare rispettare gli obblighi del Patto nei riguardi di tutti gli individui che si trovano sul proprio territorio o che siano sottoposti alla propria giurisdizione). Gli Stati Uniti avevano poi avanzato un secondo argomento, mirato a sottrarre i detenuti dai benefici minimi delle norme del diritto di guerra, cd diritto umanitario, codificate dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, con particolare riguardo a quella sul trattamento dei prigionieri di guerra, il cui art 13 prevede il diritto ad un trattamento umano, esente da atti di violenza, intimidazioni, oltraggi ed esposizione alla curiosit del pubblico. Il Governo americano, sulla base di un autoaccertamento da parte del proprio Esecutivo e non di un organo giudiziario, aveva sostenuto che i detenuti in

discorso non potessero avere lo status di legittimi combattenti, in quanto appartenenti all'organizzazione terroristica Al-Qaeda, e quindi non all'esercito regolare afghano. Ci si scontra PERO' con l'art 5 della Convenzione in questione, ai sensi del quale in caso di dubbio sullo status, la persona caduta in mano nemica beneficer della tutela della Convenzione, sino a che il suo status non sar accertato da un tribunale competente (v ora la sentenza del 29 giugno 2006 di cui prima, anche se bisogna essere prudenti sulle aperture americane). Se anche si rilevasse che le nuove posizioni governative siano state dettate prevalentemente dalla decisione del supremo organo giurisd americano, difficile escludere che sugli organi esecutivi e giudiziali americani abbiano inciso le numerose pressioni esercitate dall'opinione pubblica, interna e internazionale, governativa e non governativa, da ultimo il rapporto del febbraio 2006 dei cinque esperti della Commissione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, sulla base di una diffusa valutazione di illegalit della condotta americana alla luce del diritto internazionale. Esso ha costituito un'autorevole dichiarazione di accertamento di illegalit, che ha dato forza morale e fondamento giuridico e politico alle pressioni sui vari organi cost americani esercitate da parte dei governi stranieri e e della societ civile. Vedi allegato sul rapporto. Sentenza 29 giugno 2006: le commissioni militari sono illecite perch non sono state costituite con atto del Congresso; quindi sono state dichiarate illecite in base al diritto americano e all'art 3 della Convenz di Ginevra, non vengono menzionati i diritti dell'uomo! Con il Military Commissions Act del 17 ottobre 2006 il Congresso ha conferito legittimit formale all'istituzione delle commissioni militari. 2 giorni dopo l'insediamento alla casa bianca Obama ha annunciato la chiusura di Guantanamo. 4.2.1.1. ... le cd extraordinary renditions (cd consegne straordinarie) Tra le forme di reazione al terrorismo internazionale attinenti al trattamento dei sospettati di terrorismo internazionale si verificato pure il fenomeno delle cd extraordinary renditions. Esse consistono nell'illecito trasferimento da parte di agenti dello Stato A in centri di detenzione in un altro Stato (Stato B) dove le condizioni di detenzione e interrogatorio in violazione degli standard internazionali vengono mantenute segrete. Spesso, tale fenomeno si realizza attraverso la illecita sottrazione dei sospetti terroristi in territorio straniero (Stato C), ora con la negligenza, ora con la collaborazione degli organi di questo Stato che agiscono ultra vires, con l'acquiescenza, o su istruzione dell'apparato di governo. Il Consiglio d'Europa ha definito queste cd consegne straordinarie nei seguenti termini: l'arresto e il successivo trasferimento di una persona da una giurisdizione ad un'altra, al di fuori delle procedure giuridicamente definite come estradizione, deportazione, o trasferimento di condannati e probabilmente col rischio di essere sottoposti a tortura o trattamenti disumani o degradanti. In una precedente Nota informativa erano emersi numerosi indizi convergenti nel senso dell'esistenza di una pratica di delocalizzazione della tortura che vedeva coinvolti anche alcuni Paesi europei, Italia compresa. Il cd CIA rendition programme si baserebbe, da un lato, sull'esistenza di carceri segrete, localizzate al di fuori del territorio americano, specie nell'Europa orientale, all'interno delle quali gli Stati Uniti deterrebbero soggetti sospettati di terrorismo privi di assistenza legale, di un giusto processo, nonch della possibilit di comunicare con l'esterno (cd incommunicado). Dall'altro, il programma in questione si baserebbe su di una rete di trasferimenti internazionali organizzata dall'intelligence americana attraverso l'utilizzo di spazi aerei europei verso Paesi che praticano la tortura. Avendo riguardo agli arresti illeciti, alla eventuale detenzione in carceri segrete americane e al trasferimento di prigionieri attraverso lo spazio aereo europeo verso Paesi che praticano la tortura, dobbiamo sottolineare l'importanza della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libert fondamentali, che configura in queste ipotesi, salva adeguata giustificazione, una responsabilit internazionale degli Stati parti della Convenzione stessa per sua violazione. Si configurata, ad es, in Italia, relativamente al rapimento di Abu Omar a Milano nel 2003, l'ipotesi che agenti (del Sismi nel caso di specie) di uno Stato parte della Convenzione, agendo ultra vires, collaborino, o cmq non adottino le misure necessarie di prevenzione, alla realizzazione di

arresti illegittimi o detenzioni segrete all'insaputa dei rispettivi governi. Trasferimento di prigionieri attraverso lo spazio aereo europeo: se uno stato parte della convenzione ha elementi sufficienti per ritenere che un velivolo che sorvoli il proprio territorio sia coinvolto in tale pratica, deve impetire tale trasferiment: se l'aereo civile procede con la perquisizione, se militare pu procedere con perquisizione solo con consenso del comandante. Come sottolineato dalla Commissione di Venezia, se la violazione di una regola pattizia si verifica a fronte della necessit di conformarsi ad una norma cogente, quale il divieto di tortura, ci non costituirebbe illecito internazionale. Ne deriva che la finalit di perquisizione per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali in questione rappresenterebbe causa escludente l'illiceit dell'atterraggio forzato di un velivolo militare il cui volo fosse stato precedentemente autorizzato. NB: in ogni caso, come sottolineato ulteriormente dalla stessa Commissione, gli Stati dovrebbero interpretare e applicare i propri obblighi pattizi, compresi quelli derivanti dal Trattato NATO o dagli accordi sulla presenza di forze armate di uno Stato straniero sul proprio territorio, IN MODO COMPATIBILE con gli obblighi fondamentali di protezione dei diritti umani. Il dibattito sul tema in esame si arricchito nel giugno del 2006 del documento conclusivo dell'inchiesta dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa condotta dal Senatore Marty. Sotto il profilo dell'accertamento dei fatti, il documento ha rilevato (definitivamente) che, in alcuni casi, le autorit locali di Paesi europei hanno contribuito alla realizzazione dei comportamenti illeciti degli agenti americani, in altri casi altri Paesi li ignoravano consapevolmente, o non volevano sapere. In diritto, si pu rilevare una responsabilit internazionale degli Stati coinvolti rispetto ad ambedue i casi: nel primo per violazione di obblighi di non fare, nel secondo per violazione di obblighi di fare, cio di prevenzione (qualora poi tali violazioni siano avvenute vi cmq l'obbligo positivo di svolgere efficaci indagini capaci di portare all'identificazione e alla punizione dei responsabili di qls illecito). 5 L'ESECUZIONE FORZATA DELLE SENTENZE DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA 5.1. Premessa NB: per quanto riguarda il mancato adempimento spontaneo delle sentenze di tribunali arbitrali internazionali, cos come della Corte internazionale di giustizia, valgono le medesime regole sopra esaminate relativamente alle risposte che gli Stati sono autorizzati ad adottare in reazione a violazioni del diritto che comportino la lesione di un proprio diritto soggettivo. Oggi la Carta ONU, strumento giuridico meno stringente e per questo pi longevo del Patto della Societ delle Nazioni, prevede misure di esecuzione forzata non automatiche, ma in termini del tutto discrezionali. 5.2. L'art 94 della Carta ONU L'art 94 della Carta prevede quanto segue: 1. Ciascun membro delle Nazioni Unite si impegna ad osservare le decisioni della Corte internazionale di giustizia in ogni caso in cui esso parte del contenzioso. 2. Se una parte di una causa non ottempera agli obblighi previsti dalla sentenza della Corte, l'altra parte PUO' fare ricorso al Consiglio di sicurezza, che potr, se necessario, raccomandare o decidere misure da adottare al fine di rendere efficace la sentenza. NB: l'elemento caratterizzante di questa disposizione rappresentato dalla parte in cui essa prevede che il Consiglio possa esercitare i propri poteri di esecuzione forzata dell'adempimento di una sentenza della Corte SOLO se lo ritiene necessario. Ci in linea con la ratio di fondo delle funzioni coercitive del Consiglio e del suo carattere politico, all'insegna della gi pi volte rilevata discrezionalit della sua azione coercitiva. 5.2.1. Elementi di prassi (v pagg 512 e ss) Il Consiglio stato investito in modo significativo solo tre volte per mancato adempimento di una decisione della Corte, con riferimento: a) alla causa Anglo-Iranian Oil Co. Tra Regno Unito e Iran,

nel 1951; b) alla causa Nicaragua c Stati Uniti, nel 1986; c) alla causa Bosnia c Repubblica federale yugoslava nel 1993 per l'intensificarsi dell'attacco serbo contro la citt di Srebrenica e atti di genocidio. a) e c) chiesto l'intervento del Consiglio per dare esecuzione a ordinanze relative a misure provvisorie decise dalla Corte (questione:i poteri del consiglio in base all'art94 si applicano anche a ordinanze di misure provvisorie?). b) 4 mesi dopo la sentenza di condanna degli stati uniti, il nicaragua fece ricorso al consiglio presentando un progetto di risoluzione richiedendo il pieno e immediato adempimento della sentenza (non adottata). Dai casi citati emerge come il Consiglio non abbia cmq escluso l'applicazione dell'art 94 a ordinanze della Corte di misure provvisorie. Ricordiamo poi la ratio di fondo della Carta ONU, per cui, con riferimento al divieto dell'uso della forza, la dimensione politica, comprensiva del potere di veto dei Membri permanenti, prevale su quella strettamente giuridica dei meccanismi di funzionamento dell'Organizzazione (e, dunque, delibere assimilabili a riss ai sensi del Capitolo VII e non VI!!!). 6 IL RUOLO DEGLI ORDINAMENTI INTERNI 6.1. Con riferimento a misure volontarie o facoltative Spesso l'esecuzione forzata di obblighi internazionali dipende dall'attivit degli organi statali di attivit interna. Ci avviene in due modi: da un lato, in termini unilaterali o concertati con altri Stati spontaneamente; dall'altro, in esecuzione di obblighi derivanti da atti di organizzazioni internazionali, principalmente su decisione obbligatoria del Consiglio. Con riferimento al primo punto, lo Stato pu compiere le proprie scelte politiche nell'ambito dialettico del proprio sistema cost, nel caso italiano tra governo e parlamento, e adottare unilateralmente le sanzioni che esso ritiene opportune o necessarie. Naturalmente, tali scelte e la loro attuazione dovranno rispettare le condizioni e i limiti internazionali consuetudinari in tema di responsabilit internazionale con riferimento alle contromisure, in larga parte codificati dalla CDI. Analoghi margini di discrezionalit nell'adozione di misure coercitive si applicano con riferimento all'ipotesi in cui il Consiglio raccomandi, e non decida, misure sanzionatorie, come previsto dal Capitolo VII della Carta ONU. Per lo Stato italiano, come per gli altri membri dell'UE, la discrezionalit nell'adozione unilaterale di contromisure fortemente limitata dall'appartenenza all'Unione e dalle regole in tema di politica estera comune (PESC). A titolo di es, si ricordi la condanna comunitaria nei confronti della Grecia, che, nel 1994, aveva adottato e mantenuto una serie di sanzioni economiche nei confronti della Macedonia. La prassi di concertazione tra gli Stati membri delle Comunit Europee in tema di adozione di contromisure si peraltro consolidata prima delle regole in materia di politica estera comune. Es: 1980 contro l'Iran, 1982 contro l'Argentina. 6.2. Con riferimento a decisioni obbligatorie di organizzazioni internazionali Per quanto riguarda le misure coercitive nazionali in esecuzione di obblighi derivanti da atti di organizzazioni internazionali, ci limiteremo al sistema sanzionatorio delle Nazioni Unite, affidato, come abbiamo visto, al Consiglio sulla base del Capitolo VII. Ai sensi dell'art 25, gli Stati membri hanno l'obbligo di dare esecuzione alle decisioni, non a semplici raccomandazioni, del Consiglio, implicanti o meno l'uso della forza. Le delibere che contengono tali decisioni costituiscono infatti fonti giuridiche derivate da accordo. Si ricorda come tale espressione vuole indicare che l'obbligatoriet delle decisioni deriva dal fatto che lo Stato membro, stipulando l'accordo istitutivo dell'organizzazione, ha manifestato la volont ad essere vincolato dagli atti posti in essere dagli organi dell'organizzazione secondo le procedure per la loro adozione e il valore giuridico ad essi attribuito dallo stesso accordo. Restano aperte le modalit di esecuzione degli obblighi in base alle regole dei rispettivi ordinamenti. Da un

esame comparato delle lgs e degli altri elementi di prassi degli Stati, risulta che raramente le decisioni obbligatorie del Consiglio vengano trattate come aventi efficacia diretta negli ordinamenti interni: questo sarebbe il caso solo per l'ordinamento dei Paesi Bassi, ma anche in simili contesti l'intervento del lgs nazionale si rende cmq necessario quando il linguaggio della delibera internazionale non self-executing. L'orientamento seguito dall'Italia nel senso di dare attuazione alle decisioni con atti interni, viene incontro alle esigenze di certezza e prevedibilit degli operatori economici e professionali che sono direttamente interessati da sanzioni di carattere economico. In Italia poi, in quanto Paese membro dell'UE, la funzione di attuazione delle decisioni di organizzazioni internazionali viene in qualche misura facilitata dal fatto che, di regola, le sanzioni obbligatorie del Consiglio vengono recepite a livello comunitario mediante regolamenti, che, come noto, sono gli atti comunitari direttamente applicabili negli ordinamenti interni! 6.2.1 Specifici problemi con riferimento alle cd sanzioni mirate Nella prassi pi recente del Consiglio di sicurezza si sempre maggiormente diffuso il ricorso alle cosiddette "targeted sanctian": a differenza delle misure sanzionatorie, questo tipo di sanzione non colpisce una collettivit statale, ma specifici individui all'interno dello Stato destinatario, prevalentemente i membri o i sostenitori del governo o di un'organizzazione terroristica. La ratio principale di tale regime sanzionatorio quella di colpire soggetti individualmente responsabili di gravi crimini di rilevanza internazionale in modo da ridurre la loro capacit di azione e, quindi, di delinquere. Allo stesso tempo si evitano misure che coinvolgerebbero l'intera popolazione dello Stato destinatario delle sanzioni in violazione dei diritti umani. Quest'ultima esigenza
si fece sentire in maniera pi acuta dopo il primo intervento in Iraq all'inizio degli anni '90. Quell'esperienza dimostr che le sanzioni contro lo Stato governato da un regime dittatoriale non portavano altro che maggiori sofferenze ad una popolazione gi flagellata da altre gravi violazioni dei diritti fondamentali.

Il Consiglio ha finora adottato varie tipologie di sanzioni mirate: da misure restrittive la libert di movimento al congelamento dei conti bancari dei destinatari. L'applicazione di queste sanzioni richiede la costituzione di un apposito organo sussidiario del Consiglio che rediga una lista di destinatari delle sanzioni medesime attivit di listing. Una volta effettuato il listing - che comunque comporta la compressione, o privazione, di diritti fondamentali - anche se mal fondato o frutto di errore, il delisting risulta assai arduo. Nel tentativo di ovviare a tali limiti la risoluzione 1730 (2006) del Consiglio prevede che lindividuo interessato alla cancellazione del proprio nome dalla lista possa rivolgersi direttamente al Segretariato generale dellONU, oppure fare riferimento allo stato. In ambedue i casi, si tratta di procedure prive di natura e di garanzie processuali. Illustrativo il caso Kadi deciso nel 2008 dalla Corte di Giustizia Europea. Il ricorrente chiedeva, infatti, l'annullamento del Regolamento 881/2002 con cui il Consiglio dell'Unione Europea dava esecuzione alle risoluzioni sanzionatorie del Consiglio di sicurezza denunciando la lesione del diritto ad essere sentiti dall'organo decisore, del diritto di propriet e del diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo. Da un lato si evidenziava l'esistenza di una procedura di delisting che il ricorrente avrebbe potuto attivare, dall'altro veniva eseguito un contemperamento tra i diritti individuali e l'interesse della comunit internazionale al mantenimento della pace, in particolare contro il fenomeno terroristico, a favore dell'interesse generale. Su ricorso del signor KADI, la Corte di Giustizia capovolse la sentenza del giudice di prima istanza. i giudici comunitari devono garantire un controllo della legittimit di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali. La corte afferma pi volte di non potere decidere della legittimit degli atti del Consiglio di sicurezza. Nella sostanza, la Corte ha affermato che il diritto ad essere ascoltati e quello ad un rimedio giurisdizionale effettivo fossero stati manifestamente violati. Tuttavia, ci che viene annullato unicamente il regolamento comunitario, lasciando inalterato l'obbligo per l'Unione o gli Stati membri ci adempiere agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite. 6.3. Con riferimento all'esecuzione di sentenze internazionali

Infine, con riferimento al ruolo degli ordinamenti interni in tema di esecuzione forzata di sentenze emanate da istanze giudiziali o arbitrali internazionali, valgono in larga misura le considerazioni svolte sulla funzione coercitiva in generale. Come gi anticipato, tenuto conto del carattere vincolante delle sentenze internazionali per gli Stati parti della controversia, nel caso in cui lo Stato soccombente sia recalcitrante nell'adempimento, lo Stato vincitore potr adottare le medesime misure disponibili con riferimento alla violazione di qls altro obbligo internazionale cui corrisponda un proprio diritto. Con riferimento all'ipotesi in cui il Consiglio adotti una raccomandazione o una delibera ai sensi dell'art 94 della Carta, la situazione non si differenzia in nulla rispetto all'esecuzione di decisioni coercitive adottate in base al Capitolo VII. Elementi di specificit si pongono con riferimento all'esecuzione di sentenze internazionali relative a controversie tra Stati e privati. Rispetto a tali sentenze, i giudici nazionali possono svolgere un ruolo decisivo come giudici dell'esecuzione, in base a una serie di regole internazionali. Trattandosi di regole internazionali convenzionali, merita sottolineare come attraverso gli accordi rilevanti gli Stati parti abbiano espresso il consenso ad accettare la giuris esecutiva dei giudici interni degli altri Stati parti Si tenga poi conto che il giudice dell'esecuzione pu essere scelto, principalmente in base alla localizzazione dei beni aggredibili, in uno Stato diverso da quelli di nazionalit dei soggetti in lite, purch in uno Stato parte della convenzione sul riconoscimento ed esecuzione delle sentenze rilevanti. Un primo es riguarda le sentenze dell'Iran-United States Claims Tribunal = l'art 4 dell'Accordo di Algeri del 19 gennaio 1981 dispone che: ogni decisione presa dal tribunale contro uno dei due governi potr essere attuata in maniera coercitiva contro tale governo nei tribunali di tutti gli Stati secondo il loro diritto. In tale prospettiva, va fatto riferimento al sistema ICSID sopra indicato, relativamente a controversie tra investitori e Stato d'investimento. Va osservato che il principio generale per cui uno Stato immune dalla giurisd esecutiva su beni destinati a funzioni pubblicistiche, quali i locali dell'ambasciata o i conti correnti intestati allo Stato d'invio per l'esercizio delle funzioni diplomatiche, ribadito all'art 55 della Convenzione di Washington. Nel 1979 sono state approvate le regole ICSID sulle cd additional facilities, che rendono applicabili le procedure ICSID anche a controversie in cui lo Stato dell'investitore o quello d'investimento non siano parte della Convenzione istitutiva di Washington. Esse, tuttavia, non prevedono l'applicazione del regime di riconoscimento ed esecuzione previsto dall'art 54: ne consegue che, al fine di evitare che le sentenze arbitrali ICSID in simile contesto restino sprovviste di supporto nazionale in tema di esecuzione, i procedimenti arbitrali vengono fatti svolgere in Paesi che siano parti della Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali, primariamente tra privati. Articolo 1 Convenzione di NY: Questa Convenzione si applicher al riconoscimento ed all'esecuzione forzata di lodi arbitrali emanati nel territorio di uno Stato diverso dallo Stato ove il riconoscimento e l'esecuzione forzata di tali lodi [che saranno come sentenze nazionali per gli Stati parti] richiesta. 6.3.1. Con riferimento alle sentenze dei tribunali penali internazionali Come per l'arresto delle persone e l'assunzione delle prove, anche per l'esecuzione delle proprie sentenze di condanna, sia i tribunali ad hoc che la Corte penale internazionale, hanno bisogno della cooperazione degli Stati, SU BASE VOLONTARIA, attraverso accordi internazionali con cui gli Stati indicano la loro disponibilit di principio a mettere a disposizione del tribunale internazionale le proprie strutture carcerarie, stabilendo altres le condizioni per dare seguito alle richieste della Corte in tal senso. Ad oggi sono 17 gli Stati che hanno concluso accordi in materia, la cui controparte sono formalmente le Nazioni Unite. Articolo 103 dello Statuto della Corte Penale Internazionale: 'le pene detentive sono scontate in uno stato designato dalla corte, da una lista di stati che hanno informato la corte della loro disponiblit a ricevere persone condannate'. la base giuridica dei suddetti accordi per l'esecuzione delle sentenze. L'Italia non ha, a tutt'oggi, adottato le norme interne necessarie alla piena attuazione dello Statuto, n concluso gli accordi necessari alla dovuta collaborazione con la Corte.

6.3.2. Cenni sulle problematiche relative all'esecuzione delle sentenze internazionali nell'ordinamento italiano Quanto da ultimo rilevato ci porta alla difficolt dell'ordinamento italiano rispetto all'esecuzione degli obblighi derivanti da sentenze di corti o tribunali internazionali. Ci, nonostante la c.d. "apertura dell'ordinamento al diritto internazionale, peraltro rafforzata dal nuovo art. 117 Cost. La problematica maggiormente acuta e recentemente pi dibattuta riguarda il non infrequente caso in cui la sentenza internazionale accerti l'incompatibilit di un giudicato interno con un obbligo internazionale, condannando lo Stato italiano all'annullamento dello stesso o, comunque, alla riapertura del processo. Il dibattito dottrinale italiano concentrato sull'incidenza delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), e sulle sentenze di qualsiasi altra corte o tribunale internazionale. Infatti, al momento, in assenza di un nuovo quadro legislativo, emerge dall' ordinamento il principio dell' intangibilit del giudicato nazionale con una chiusura rispetto alla possibilit di coniugarlo in via derogatoria con il principio costituzionale dell'apertura dell'ordinamento agli obblighi internazionali, tra cui quelli di dare esecuzione alle sentenze di tribunali previsti da accordi di cui l'Italia parte. Ne consegue che, nel caso in cui il giudicato interno - o il processo che ha prodotto tale giudicato costituisca illecito internazionale e sia oggetto di obbligo di annullamento, o revisione, da parte di una sentenza internazionale, mancherebbero nell' ordinamento italiano gli strumenti per conformarvisi. Mentre ci valido in assoluto per il giudicato civile ed amministrativo, con riferimento alla sentenza e al processo penale parrebbero esistere margini di aggiustamento con riguardo, soprattutto, all'istituto della "revisione" della sentenza penale ex art. 630 c.p.p., e anche in base all'art. 670 c.p.p. sulla dichiarabilit dell'inefficacia sopravvenuta del giudicato. Tuttavia, si tratta di margini scarsamente efficaci, se non inesistenti. indicativo in questo senso il recente caso Dorigo. Paolo DORIGO, infatti, era stato condannato dal
Tribunale di Udine a una significativa pena detentiva nel 1994 con sentenza passata in giudicato nel 1996, tra l'altro, per reati con finalit di terrorismo. Su ricorso di Dorigo, la Commissione europea dei diritti dell' uomo (oggi estinta e le cui funzioni sono assorbite da quelle della C orte europea dei diritti dell'uomo) dichiarava il processo subito dal ricorrente in violazione del diritto dell'imputato ad interrogare i testimoni a carico in base all'art. 6, par. 3, lett. f, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Conseguentemente, il p.m. presso il Tribunale di Udine richiese alla locale Corte d'assise di dichiarare, in conformit a tale pronuncia, la sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo. La Corte

d'assise rigett la richiesta adducendo la ragionevole considerazione che la dichiarazione di inefficacia del giudicato avrebbe comportato, con la liberazione del condannato, una situazione di sospensione a tempo indeterminato della sentenza di condanna per la mancanza nell'ordinamento di una procedura di "rinnovazione" del processo ritenuto in contrasto con la pronuncia dell'organo europeo. A fronte di tale rigetto, la vicenda giudiziale ha preso una duplice strada caratterizzata da significativa contraddittoriet. Da un lato, il p.m. ha proposto ricorso alla Corte di cassazione per errata applicazione, tra l'altro; dell'art. 670 c.p.p. per il fatto che la Corte d'assise ha mancato di considerare la pronuncia europea come causa d'inefficacia del giudicato. Dall'altro, la Corte d'appello di Bologna, adita da una istanza di revisione dalla difesa di Dorigo, ha sollevato la questione di legittimit costituzionale dell 'art. 630 c.p.p. nella misura in cui questo contemplerebbe come causa di revisione la contrariet dei fatti stabiliti a fondamento di una sentenza di condanna rispetto a quelli stabiliti da altro giudice penale nazionale, ma non rispetto alle valutazioni contenute nella pronuncia del giudice europeo. Il ricorso per cassazione venne accolto nel 2007 dichiarando l'ineseguibilit di un giudicato interno dichiarato con pronuncia della Corte europea in contrasto con il principio del giusto processo secondo l'art. 6 della CEDU, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell'ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo. D'altro lato, la Corte Costituzionale si pronunciata l'anno successivo in tutt'altra direzione: non fondata la questione di legittimit costituzionale sollevata in quanto l'art. 630 c.p.p. prevedrebbe la revisione di una sentenza di condanna solo sulla base della difformit dei fatti stabiliti da giudici diversi e non sulla diversit delle valutazioni in diritto. Si segnala l'invito rivolto dalla Corte al Parlamento nel senso di adottare i provvedimenti legislativi necessari per consentire l'esecuzione di sentenze CEDU.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE IN TEMA DI SOVRANIT ED INTERNAZIONALIT Dalla descrizione che stata sinora presentata degli elementi costitutivi del diritto internazionale e del loro funzionamento, sulla base della prassi, emerge come esso sia la risultante e la fonte di indirizzo delle pratiche seguite all'interno degli Stati sovrani che, ancora oggi, costituiscono gli attori principali della Comunit Internazionale. Ci conferma l'attualit del pensiero espresso quasi un secolo e mezzo fa dal MARTENS, citato in chiusura della Parte I della trattazione I , nel senso che i limiti del diritto internazionale non sono altro che la conseguenza dei limiti degli ordinamenti nazionali. Si pu, quindi, affermare che l'approccio qui seguito sia sostanzialmente tradizionale, o c.d. mainstream, nell'analisi del processo di formazione e trasformazione delle regole giuridiche internazionali e nella considerazione degli Stati come soggetti principali, tanto di tale processo, come di quello di accertamento ed esecuzione delle regole stesse, sulla base di un paradigma della sovranit statale. Il funzionamento di tale paradigma ha prodotto un diritto internazionale eurocentrico che, per oltre tre secoli, ha permesso e legittimato numerose iniquit, all'interno degli Stati e nei loro rapporti con l'esterno, tra cui lo sfruttamento coloniale di popoli stranieri e delle risorse naturali di loro spettanza. Ancora oggi, esso appare complesso e lacunoso nei suoi ingranaggi politici, giuridico-istituzionali e sociali nella gran parte degli Stati sovrani contemporanei. Eppure, sembra difficile immaginare un modello istituzionale. o anche solo organizzativo, che garantisca con certezza un migliore e pi efficiente persegui mento dell'interesse generale. Affrontando il tema delle fonti del diritto internazionale, si ricordato come il processo sociale di formazione, trasformazione e applicazione del diritto di qualsiasi comunit, da sempre, si dibatta tra giustizia e legge, tra presunto diritto naturale e diritto positivo. Va osservato come non esista un punto fisso di equilibrio che determini il diritto giusto e "morale" in modo valido per sempre e per tutti. Per questo, non bisogna dimenticare come il processo giuridico sia sempre parte del processo sociale e, quindi, politico, in costante trasformazione. , infatti, difficile immaginare regole di diritto materiale fisse. D'altro canto, uno dei pochi nuclei normativi predeterminabili come giusti e dovuti pu solo essere di natura procedurale relativamente al modo di individuare i valori da tutelare giuridicamente in ogni dato momento storico attraverso procedimenti di produzione del diritto e di applicazione dello stesso. Questo richiede di applicare una separazione tra l'assiologia della morale e la dinamicit dell'etica in termini relazionali. Il processo di formazione del diritto tende in generale a cristallizzare in regole giuridiche i valori morali prevalenti in una data comunit sociale in un dato momento storico. Pu avvenire che la determinazione dei valori morali prevalenti e delle leggi che li cristallizzano vengano posti da una minoranza o da una maggioranza, semplice o composta. Alla stregua di questo approccio, quando, ora l'una ora l'altra, operano al di fuori del rispetto della reciprocit e della proporzionalit nei riguardi delle altre componenti sociali, avremo un diritto "morale", ma non "etico". Paradossalmente, l'ordinamento internazionale basato sul modello westfaliano della eguaglianza sovrana degli Stati - anticipando di oltre due secoli gli sviluppi delle costituzioni borghesi di fine '800 - contiene tutte le opportunit offerte dal multilateralismo democratico per conformarsi ai requisiti di "eticit" dei processi di formazione e applicazione del diritto. Va, peraltro, ricordato come nel modello westfaliano il principio della reciprocit tra soggetti formalmente eguali ha funzionato, fino alla met del secolo scorso, contemplando l'uso della forza militare come lecito strumento di soluzione delle controversie. In tale contesto, poi, gli Stati si ritenevano internazionalmente liberi di esercitare la sovranit interna nei riguardi dei propri sudditi - la c.d. domestic jurisdiction - senza vincoli di sorta, anche brutalmente, salvi i limiti relativi al trattamento degli stranieri, soprattutto quando organi di Stati esteri. L'evoluzione verso la tutela internazionale degli individui, attraverso il corpus dei Diritti dell'Uomo che perforano gli antichi limiti sovrani della domestic jurisdiction non sono altro che il risultato dell' esercizio della sovranit esterna degli Stati nel processo di formazione delle regole internazionali in questione. Questo processo di autolimitazione internazionale spesso il riflesso di un processo di autolimitazione interna della sovranit di alcuni Stati. Infatti, i grandi strumenti internazionali in materia - dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle ONU del 1948, alla Convenzione di Roma del Consiglio d'Europa del 1950 e ai Patti dell 'ONU del 1966 - riproducevano diritti fondamentali gi riconosciuti nelle costituzioni delle democrazie occidentali. Esistono strumenti internazionali - giuridisdizionali e non - di controllo dell'osservanza delle regole internazionali in questione. Essi, naturalmente, operano solo nei riguardi di quegli Stati che ne hanno riconosciuto la competenza. In questo caso, i privati possono ricorrere all'organo internazionale per fare rispettare allo Stato di residenza diritti internazionalmente previsti, anche quando contenuti nell'ordinamento costituzionale nazionale, ma, di fatto disapplicati o male interpretati dagli organi

statali. Il funzionamento nel processo storico del paradigma della sovranit statale lo rende, paradossalmente, limite e contro-limite di s stesso, propulsore e freno della formazione e applicazione delle regole giuridiche internazionali. Per questo, l'evoluzione di tale paradigma, da quasi quattro secoli, rappresenta l'elemento caratterizzante dell'ordinamento giuridico internazionale e merita l'attenzione che si riserva ai principi costituzionali di un ordinamento. La sua rivisitazione:. 2. SU COSTITUZIONE INTERNAZIONALE E PARADIGMA DELLA SOVRANIT STATALE Si pu affermare che l'evoluzione del principio dell'eguaglianza sovrana degli Stati sia caratterizzante dell' evoluzione della costituzione vivente della Comunit Internazionale. Tale considerazione semplicemente il frutto dell'esame della prassi. Ci nel senso che il valore costituzionale del principio dell'eguaglianza sovrana degli Stati un fatto puramente storico e tutt'altro che il frutto di modelli o paradigmi teorici. Abbiamo, infatti, sottolineato come la vittoria di Napoleone a Waterloo, di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, il successo militare dello schieramento sovietico durante la Guerra Fredda, cos come quello della strategia della sicurezza americana d'inizio secolo, avrebbero portato al successo disegni di accentramento egemonico del potere a livello internazionale che avrebbe costituito un sovvertimento rivoluzionario dell'assetto costituzionale orizzontale dell' ordinamento internazionale basato sul principio della sovrana eguaglianza, per introdurre un diritto internazionale costituito in termini verticistici ed federalisti sulla falsariga del sistema giuridico dell'Impero Romano. In via di riepilogo, ci si rivolge al concetto di costituzione del diritto internazionale per rilevarne le caratteristiche essenziali, appunto, costituzionali, sebbene queste si distanzino da quelle che si possono astrarre dalla comparazione della generalit delle costituzioni statali. Infatti, si parte qui dal presupposto indicato da Georges SCELLE: Si in presenza di una costituzione e di norme costituzionali tutte le volte in cui vi sia un'elaborazione di regole normative destinata a tradurre la necessit essenziale dei rapporti sociali e a fornire in maniera rudimentale, i mezzi per attivare le stesse regole fondamentali. Secondo la pi formalistica costruzione kelseniana della struttura giuridica dell'ordinamento internazionale, viene posta a fondamento ultimo del sistema giuridico internazionale la norma-base (Grundnorm) sulla produzione delle norme consuetudinarie - consuetudo est servanda - subito prima di quella sulla produzione dei trattati - pacta sunt servanda. Cercando di conciliare tale approccio con quello empirico qui seguito, non si pu prescindere dall'esistenza contestuale di quella consuetudine di fatto e poi di diritto che ha contemplato gli Stati come i soggetti che partecipano in via esclusiva ai procedimenti di produzione di regole giuridiche internazionali e come soggetti destinatari dei relativi prodotti normativi, sulla base del principio della sovrana eguaglianza tra di loro. Prima si sono formati e organizzati de facto gli Stati nazionali: comunit sociali e territoriali che hanno affermato e accettato su base di reciprocit i rispettivi limiti e prerogative che essi stessi hanno prodotto e cui si sono uniformati, ad esclusione di ogni potere superiore, imperiale o papale. Successivamente, sulla base di reciproche aspettative, pretese, proteste, tali aggregati sociali hanno prodotto, rispettato, violato e fatto rispettare il principio della sovranit statale, le modalit di produzione di consuetudini giuridiche e trattati, e, infine, gli obblighi e i diritti da questi derivanti. Il funzionamento costituzionale del principio dell'eguaglianza sovrana degli Stati ha operato caratterizzando l'ordinamento giuridico internazionale, tanto in termini di struttura, che di contenuto, o di diritto sostanziale. Sotto il profilo strutturale, si pu affermare che, in linea con la citazione di George SCELLE, il principio dell'eguaglianza sovrana degli Stati abbia cristallizzato la diffusa volont di evitare un'organizzazione egemonica della Comunit Internazionale sottoposta ad un'autorit gerarchia, sia questa di tipo imperiale, papale, o altra. Nel senso da ultimo indicato, il principio in questione ha determinato la dimensione orizzontale e paritaria della Comunit Internazionale degli Stati modellando conseguentemente le tre funzioni fondamentali dell'ordinamento giuridico internazionale, in particolare determinandone: a) il carattere partecipativo e consensuale dei processi di formazione delle regole giuridiche; b) la natura volontaria degli strumenti di soluzione delle controversie, con un rilievo prevalente per l'auto-accertamento della legalit; c) l'importanza dell'autotutela nell'attuazione coercitiva del diritto. Sotto il profilo del diritto sostanziale, si pu dire che il principio della sovranit abbia determinato per secoli il contenuto e la portata dei diritti, degli obblighi e dei poteri degli Stati. Inizialmente, la connotazione principale del principio in questione era l'assoluta indipendenza da ogni autorit esterna. Questa vocazione assolutistica della sovranit, che poteva apparire strumentale ad un regime di consacrata anarchia competitiva di tipo hobbesiano ed alla negazione di ogni ordinamento regolamentare internazionale, sembra riecheggiare nell'affermazione del giudice Marshall della Corte Suprema Americana, nella causa The

Schooner Exchange vs. McFaddon (1812), secondo cui la sovranit della nazione necessariamente esclusiva e assoluta. Essa non suscettibile di limitazioni se non di quelle autoimposte. questo tipo di apparente interpretazione restrittiva del paradigma della sovranit che, da un punto di vista internazionalistico, ha suscitata a pi riprese reazioni contro il principio di sovranit, definito dal Professor JESSUP come le sabbie mobili su cui sono costruite le fondamenta del diritto internazionale . 3. SU SOVRANIT FONTE E CONTENIMENTO DELL'UNILATERALISMO Dall'inizio della loro esistenza il carattere assoluto delle rivendicazioni legate alla sovranit stato attenuato dal principio corollario dell'eguaglianza formale degli Stati. curioso sottolineare come, gi quattro secoli fa, quando ancora il diritto internazionale lasciava liberi sovrani e legislatori nazionali di compiere qualsiasi discriminazione ed arbitrariet nei riguardi dei propri sudditi, esso prevedesse nei rapporti tra Stati quel principio di eguaglianza giuridica tra i soggetti dell'ordinamento che negli ordinamenti costituzionali delle democrazie borghesi venne introdotto solo alla fine dell'800. Tale principio di eguaglianza formale si da subito coniugato nell'ordinamento internazionale con il principio della reciprocit. Tutto ci, non solo ha caratterizzato la struttura costitutiva della Comunit degli Stati in termini orizzontali, ma ha anche determinato la natura reciproca - o sinallagmatica (do ut des) - dei principali rapporti giuridici derivanti dalla gran parte degli obblighi giuridici del diritto internazionale tradizionale. Basti ricordare gli obblighi in tema di trattamento degli stranieri e degli organi di Stati esteri, quelli sull'utilizzo delle risorse naturali condivise, compresi i mari, o quelli relativi al diritto bellico. Le affermazioni assolutistiche come quelle del giudice MARSHALL sopra citate vanno lette solo nella prospettiva dell'affrancamento delle nuove comunit statali da superiori autorit egemoniche di tipo imperiale o religioso. Tali istanze di indipendenza, non sono quindi in contraddizione con la subordinazione degli Stati al diritto internazionale, nella misura in cui quest'ultimo sia il risultato di un processo di produzione di regole operato dagli Stati proprio nell'esercizio della loro stessa sovranit esterna, attraverso la manifestazione del consenso rispetto ai trattati e la partecipazione ai processi consuetudinari. In sostanza la sovrana indipendenza degli Stati non significa libert dal diritto, ma libert dal controllo da parte di altri Stati o da altre organizzazioni di potere, salvo quando liberamente accettate. in questa logica che agli inizi del secolo scorso la Corte Permanente di Giustizia Internazionale ha ribadito il principio cardine - poi codificato all'art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati - per il quale uno Stato non pu invocare nei riguardi di un altro Stato la propria costituzione per sottrarsi agli obblighi internazionali che lo vincolano in base al diritto internazionale o ai trattati in vigore. Si tratta di un principio costituzionale, poich nel momento in cui uno Stato contesta l'efficacia di certe regole internazionali, non sulla base di parametri di giuridicit internazionali, ma di diritto interno, si arriva ad un punto di rottura con l'intero ordinamento giuridico internazionale. Infatti, cos facendo, si contestano le stesse regole fondamentali sulla produzione e l'efficacia delle regole giuridiche materiali, consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. In sostanza, il principio della sovrana eguaglianza degli Stati superiorem non recognoscentes, nel sottrarre giuridicamente gli Stati a poteri superiori, allo stesso tempo, pone un limite ad istanze assolute di unilateralismo coniugandosi con il principio della reciproca indipendenza, par in parem non habet imperium, articolato nel divieto di intervento negli affari interni degli altri Stati. Tale contenimento dell'unilateralismo si integra con il principio della buona fede, anch'esso inteso come principio giuridico e di essenziale natura costituzionale. attraverso quest'ultimo principio, infatti, che gli Stati, con la loro condotta "costituente" hanno conferito obbligatoriet giuridica a consuetudini e accordi formatisi, appunto, all'interno dei principi consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. Attraverso il principio della buona fede le tendenze unilateralistiche degli Stati vengono contenute, disconoscendone gli effetti in diritto, con riferimento all'auto-accertamento della legalit e all'autotutela. In un sistema regolamentare in cui l'autocontenimento e l'osservanza spontanea delle regole sono determinanti nel perseguimento dell'interesse diffuso della prevedibilit dei rapporti nel rispetto delle reciproche aspettative, il principio della buona fede si coniuga con quelli della ragionevolezza, equit, proporzionalit e di non contraddizione, per cui nemo ex propria turpitudine commodum capere potest. 4. L'INTRODUZIONE DELLA TUTELA GIURIDICA DI VALORI SOLIDALI ACCANTO ALLA TUTELA BILATERALISTICA DI INTERESSI INDIVIDUALI Attraverso il libero esercizio delle sovranit nazionali - particolarmente, dopo le gravi crisi mondiali caratterizzate da orrori umanitari e milioni di morti - la Comunit degli Stati ha introdotto le c.d. regole di

diritto imperativo contenenti c.d. obblighi erga omnes, in quanto dovuti contemporaneamente nei riguardi di tutti gli Stati della Comunit Internazionale, quali il divieto di aggressione, di genocidio o il diritto all'autodeterminazione dei popoli. stato sottolineato come tale sviluppo normativo sia stato pi significativo sotto il profilo materiale della creazione degli obblighi di comportamento, piuttosto che al livello strutturale dei meccanismi di accertamento ed esecuzione forzata rispetto a comportamenti in contrasto con le regole imperative in questione. stato, infatti, evidenziato come rispetto a quest'ultimi, tanto il regime del diritto dei trattati quanto quello della responsabilit internazionale degli Stati permanga l'approccio bilateralistico tradizionale del diritto internazionale, con conseguenti rischi di abusi attraverso l'arbitrariet dell'unilateralit. stato sottolineato come, sulla base di quanto sopra, emerga un'apparente contraddizione: da un lato, l'enunciazione delle regole imperative a tutela di superiori interessi generali ed indivisibili nella prassi degli Stati - compresa la loro codificazione nell'art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati - e delle sentenze internazionali; dall'altro, la riluttanza degli Stati a sottoporsi a meccanismi istituzionali di accertamento ed esecuzione delle stesse, se non sulla base di ricorsi dei soggetti direttamente interessati, diversamente da quanto avviene negli ordinamenti interni per presunte violazioni di interessi essenziali, o diffusi, della collettivit, secondo il diritto penale o amministrativo. Ci, al punto da giungere a parlare dell'apparente paradosso di un diritto imperativo soft. Si tratta di cercare di capire il senso di simili paradossi. 5. NORME MITO ED EFFETTO ITACA DELLA REGOLA GIURIDICA stato rilevato durante la trattazione come, sulla base dell'esperienza del passato e delle dinamiche sociali, ci che costituente di un ordinamento giuridico non l'assoluta prevedibilit delle relazioni contemplate dal diritto e, quindi, la certezza della piena effettivit della sua applicazione, bens la continua aspirazione e l'effettivo perseguimento della maggiore prevedibilit - o minore imprevedibilit - dei rapporti sociali disciplinati dal diritto e, quindi, del maggiore tasso possibile di effettivit della sua attuazione. Si pensi, con riferimento agli ordinamenti interni, al divieto di omicidio o di associazione di stampo mafioso o, anche, agli obblighi fiscali e tributari, il cui adempimento indispensabile a servizi pubblici essenziali, come quello sanitario o l'istruzione. Eppure, si tratta di obblighi lungi dalla piena attuazione nella generalit degli ordinamenti, ma oggetto di costante e rinnovato perseguimento. Ci si verifica nella misura in cui, nell'ordinamento dato, le regole giuridiche e il loro funzionamento rappresentino la formalizzazione delle prevalenti aspirazioni ed aspettative nel sottostante tessuto sociale. Di conseguenza, si pu sostenere che le regole imperative di diritto internazionale rappresentino la formalizzazione delle pi alte aspirazioni della societ internazionale degli Stati, la cui piena attuazione non meno incerta di qualsiasi altra norma dell'ordinamento. Il Professor Michael REISMAN affronta simile paradosso individuando uno spazio giuridico-concettuale che egli definisce come "sistema mitico" (myth system). Questo, differentemente dalla "finzione giuridica", non si riferirebbe a proposizioni consapevolmente false, ma ad affermazioni di valori che mantengono la loro importanza a livello sociale e individuale e che, quindi, anche se carenti nell'applicazione giuridica, influenzano i processi decisionali dei soggetti dell'ordinamento. Si tratta di una figura giuridica che svolge una funzione molto simile a quella che il Professor PIZZORUSSO chiama "efficacia persuasiva" delle norme. Analogamente alla dimensione mitica delle norme, in particolare di quelle che coagulano le aspirazioni pi alte del gruppo sociale che le esprime, si pu aggiungere una rappresentazione poetica che pu aiutare a cogliere il senso pratico della funzione finalistica di certe regole giuridiche: [ ... ] Itaca [ci] ha dato un bel viaggi! senza di lei mai [ci] sare[mmo] mess[i]/ in viaggio: cos'altro [ ... ] aspett[arsi]?. In questa prospettiva, la ratio e lo scopo delle regole sono il porto di partenza e quello di destinazione di un itinerario ed proprio tale itinerario che costituisce ci che chiamiamo processo giuridico. Si pu affermare che sia tale processo ci che conta ed esso possibile grazie alla produzione delle regole e alloro perseguimento, indipendentemente dalla loro piena attuazione. 6. AUTOLIMITAZIONI DELLA SOVRANIT E "PROVE DI RECUPERO" Si potrebbe sostenere che la stessa evoluzione del diritto internazionale moderno sia caratterizzata da un progressivo cammino verso una regolamentazione limitativa della sovranit statale. Si possono fissare quattro elementi principali di prassi in questa direzione. Il primo di carattere generale e si riscontra in tutti gli altri tre. Si tratta dell'autolimitazione. In una prospettiva di reciprocit, si tratta di forme di

autolimitazione direttamente utilitaristiche, nella misura in cui ogni costrizione della sovranit di uno Stato comporta la medesima restrizione degli altri Stati parti dello stesso rapporto giuridico nei propri riguardi. questo il caso, ad esempio, dell'obbligo di astensione dall'esercizio della giurisdizione civile o penale nei riguardi di organi stranieri. Anche in una prospettiva di solidariet, si rilevano elementi utilitaristici nell'autolimitazione derivante da regole contenenti obblighi erga omnes, anche se in termini meno diretti e non sempre reciproci. Quando uno Stato partecipa alla formazione di regole internazionali in tema di diritti dell'uomo, produce un beneficio principale per cittadini stranieri nei rispettivi Paesi di residenza, ma anche per i propri all'estero e sul proprio territorio nazionale. Cos, per il divieto dell'uso della forza, la formazione e il rafforzamento della regola, promuovono un sistema di sicurezza collettiva di cui ciascuno Stato pu beneficiare. Il secondo elemento di prassi verso l'autolimitazione della sovranit dato dalla partecipazione degli Stati ai processi di integrazione regionale (nel nostro caso l'Unione Europea). Questo fenomeno stato presentato in passato come un indicatore fondamentale della presunta erosione del paradigma della sovranit. Va peraltro osservato, innanzi tutto, come anche in questo caso siamo in presenza di una forma di autolimitazione: gli Stati membri delegano elementi di sovranit alle istituzioni sovranazionali. Nel contesto europeo, questo il caso della sovranit monetaria, con l'introduzione dell'Euro e della Banca Centrale Europea, ma non - o non ancora - della sovranit fiscale. Nell'ipotesi pi ottimistica, per quanto improbabile sul medio termine, la realizzazione massima del processo d'integrazione regionale in termini federali non estinguerebbe certo il paradigma della sovranit. Eventualmente, verrebbero meno un certo numero di Stati sovrani - che si trasformerebbero possibilmente in Stati membri di uno Stato federale - e si creerebbe un nuovo Stato, verosimilmente, appunto, di struttura federale. Simili processi trasferiscono, ora in parte, ora nella totalit, i contenuti della sovranit statale da un contenitore istituzionale all'altro. Il terzo elemento di rilievo riguarda l'accresciuto ruolo dei soggetti non governativi nel diritto internazionale, tradizionalmente di spettanza esclusiva degli Stati nazionali. Per quanto riguarda il fenomeno delle ONG, gran parte di questo ruolo si svolge in via informale, attraverso attivit di lobbying. In taluni casi, le ONG partecipano di questa dimensione, ora partecipando a negoziati internazionali, ora nel funzionamento di organi di controllo dell'osservanza di convenzioni internazionali. Analogo rilievo formale assume il ruolo dei privati nell'accertamento giudiziale, paragiudiziale o arbitrale, del diritto internazionale nel settore della tutela dei diritti dell'uomo e degli investimenti all'estero. Anche in questo caso, non viene sottratto niente alla sovranit statale che gli Stati non abbiano voluto liberamente "delegare" a soggetti privati. Infatti, gli Stati, con la loro sovrana volont contrattuale, hanno prodotto strumenti convenzionali che disciplinano le modalit in questione. Si pensi alla Convenzione di Washington del 1965 istitutiva del Centro internazionale per la soluzione delle controversie in materia di investimenti (ICSID), in base alla quale gli investitori privati di nazionalit di uno Stato parte possono direttamente istituire una procedura arbitrale nei riguardi dello Stato d'investimento, con le cui autorit abbiano un contenzioso relativamente all'investimento in questione, a condizione che anche questo Stato sia parte della Convenzione stessa. La medesima considerazione vale per l'ammissibilit di ricorsi individuali davanti agli organi istituiti da convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo, come la Convenzione di Roma del 1950 o dei Patti ONU del 1966. Un quarto elemento di prassi legato all'attenuazione dell'esercizio della sovranit, in termini meno sistematici degli elementi precedenti, riguarda il fenomeno della c.d. deregulation, specialmente in materia finanziaria, dalla caduta del Muro di Berlino all'esplosione della crisi finanziaria del 2008, i cui effetti economico-sociali non sono ancora esauriti. Tale fenomeno ha incrementato il liberismo finanziario, economico e della comunicazione caratteristici della globalizzazione, coincidente con il processo di crescita di autonomia degli operatori economici e della loro capacit di interazione a livello transnazionale, largamente al riparo dall'autorit regolamentare statale e del suo potere di controllo. In effetti, la crisi finanziaria del 2008 stata proprio il risultato di questa diffusa tendenza negli anni precedenti, associata a fenomeni di corruzione e criminalit internazionale organizzata. Questo spiega come la reazione generalizzata dei governi a tale crisi abbia comportato un rilancio dell'esercizio della sovranit statale a livello individuale, concertato e di cooperazione intergovernativa. Il Documento Finale del G8, tenutosi all'Aquila nel luglio 2009 riflette questa tendenza nelle parole che seguono: I governi nazionali hanno la responsabilit principale nell'assicurare lo sviluppo, impegnandosi con i rispettivi parlamenti, enti locali, organizzazioni della societ civile e cittadini nel predisporre le politiche adeguate [ ... ]. Continueremo a sostenere gli sforzi dei Paesi partner per accrescere le entrate interne attraverso una moderna regolamentazione tributaria e doganale, una migliore capacit di raccolta dei contributi fiscali e una lotta efficace all' evasione fiscale, ai traffici finanziari illeciti e alla corruzione [ ... ].

7. IL DIBATTITO INTERNAZIONALE TRA COSMOPOLITISMO E COSTITUZIONALISMI L'impostazione della presente trattazione ha rilevato nel paradigma della sovranit uno dei fondamenti costituzionali dell'ordinamento giuridico internazionale sulla base della semplice rilevazione storica della prassi, indicandone per questo la non irreversibilit, particolarmente rispetto a tentativi di formule egemoniche, gi esperite nella Storia, fortunatamente senza successo. D'altro canto, vi chi - tenendo conto che la Comunit Internazionale degli Stati non ha, sino ad oggi, impedito guerre, genocidi, ingiustizie sociali ed economiche e disastri ecologici - promuove modelli alternativi di organizzazione internazionale, prevalentemente di natura cosmopolita in chiave di politica legislativa, piuttosto che di rilevazione empirica. Si tratta di costruzioni teoriche basate su aspirazioni di una societ mondiale organizzata in termini non governativi, che comunque prescindano dall'autorit statale e che diano particolare attenzione al fenomeno dei localismi, basati su forme federalistiche ed etnicit. Tali orientamenti auspicano una societ internazionale cosmopolita basata su di una rete di interazioni tra individui, ONG, e comunit locali. Si tratta di formule che suscitano perplessit, sia quando esse si coniugano con uno spontaneismo istituzionalmente destrutturato, sia quando si pongono come unica precondizione necessaria per la realizzazione di un ordinamento costituzionale mondiale. Mentre su quest'ultimo punto si torner tra breve, sul precedente, ci si pu domandare sulla base di quale automatismo logico, o di quali dati esperienziali, si possa impedire che, una volta che gli Stati cedessero le proprie prerogative sovrane, la governance mondiale verrebbe assunta da una selezione illuminata di ONG finalizzate al perseguimento degli interessi generali, piuttosto che da grandi gruppi economico-finanziari transnazionali, eventualmente dotati di capacit militare. La ragionevolezza di simili preoccupazioni sulla base delle recenti esperienze legate alla deregulation economica e finanziaria, ci porta a scartare quegli orientamenti neo-liberisti che auspicano, come alternativa al paradigma della eguaglianza sovrana degli Stati, l'instaurazione di una societ neo-liberale le cui regole di governo vanno a coincidere con quelle del mercato globale. Le vicende che hanno portato all'esplosione della crisi finanziaria del 2008 ed economico-sociale degli anni successivi corroborano la preoccupazione che simili modelli conducano all'egemonia degli oligopoli - particolarmente nel settore delle risorse naturali - alla discriminazione sociale e all'arbitrariet accrescendo le problematiche che attualmente affliggono la societ basata su di un claudicante paradigma della sovranit statale. I recenti casi di drammatiche violazioni dei diritti dell'uomo (lavori forzati sotto minaccia di assassinio e stupro sistematico) da parte di multinazionali in Paesi ancora in via di sviluppo, oggetto di condanna da parte di tribunali interni in applicazione del diritto internazionale, vanno ulteriormente a sostegno delle posizioni qui sostenute. Gli orientamenti cosmopoliti sopra esposti si sono coniugati con approcci c.d. "costituzionalistici", basati su precetti derivanti dalla teoria internista dello Stato: come anticipato, tali approcci sono accomunati dal fatto di rivolgersi a un modello istituzionale di organizzazione basato sul carattere eteronomo e sovraordinato rispetto ai soggetti delle funzioni di formazione, accertamento e esecuzione forzata delle regole giuridiche e, quindi, nel nostro caso, a istituzioni soprannazionali, come se, in assenza di soprannazionalit istituzionale, non si possa parlare di costituzione. Non un caso, infatti, che il termine "costituzione" sia stato introdotto con riferimento alla Carta delle Nazioni Unite o ai trattati istitutivi di altre organizzazioni internazionali di portata globale, come l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Si tratta sicuramente di elementi scritti della costituzione materiale internazionale non scritta, ma non esaustivi di essa. Peraltro, i loro contenuti confermano la struttura della Comunit Internazionale basata sul paradigma della eguaglianza sovrana degli Stati, codificato all'art. 2 della Carta ONU, sebbene nel Preambolo della stessa ci si riferisca retoricamente ai "popoli" delle Nazioni Unite. Come nel caso dei processi di integrazione regionale di cui si detto sopra, tali organizzazioni comportano un trasferimento di elementi della sovranit degli Stati, peraltro determinata liberamente da quest'ultimi. Ma esse riflettono pienamente una struttura costituzionale inter-statale e consensuale della Comunit Internazionale. La variazione dell'approccio costituzionalista che pi da vicino si collega agli approcci cosmopoliti cui si fatto sopra cenno quello che propone un nuovo ordine mondiale nel quale le istituzioni soprannazionali esercitano funzioni di governo direttamente su soggetti non-governativi. In sostanza, si auspicherebbe la fine degli Stati sovrani nazionali per costruirne uno di portata mondiale che egemonicamente eliminerebbe il multilateralismo intergovernativo. Da un punto di vista dell'analisi giuridica, chiaramente simile approccio non descrive la fenomenologia del presente, mentre in termini di politica legislativa, non si capisce perch un ordinamento costituzionale mondiale modellato su di una comparazione e astrazione degli ordinamenti nazionali dovrebbe portare alla soluzione di problemi regolamentari sociali, economici, ambientali e di sicurezza che nessuno di questi singoli ordinamenti ha risolto, da Washington a Pechino, passando da Mosca e Nuova Dehli. Inoltre, sulla base dell'evidenza empirica del passato, vi sono in simili proposte tutti gli ingredienti per la ripresentazione di tentativi di abolizione del paradigma multilateralistico dell'eguaglianza

sovrana degli Stati per sostituirlo con progetti egemonici ben poco garantisti rispetto ad esigenze di democrazia. Simili preoccupazioni erano state espresse in passato dallo stesso KANT nel passare dalla sua visione originaria di "costituzione cosmopolita", finalizzata alla costruzione di una "repubblica mondiale", al progetto di una "societ delle nazioni" basata sul paradigma della sovranit. In conclusione, da un lato, vi sono le critiche rivolte ai modelli alternativi a quello basato sul paradigma della sovranit; dall'altro, vi sono i limiti che presenta questo modello assediato oggi da emergenze sociali, ecologiche, finanziarie, economiche e demografiche. Le risposte si trovano fuori dal diritto, nelle dinamiche sociali, e poi politiche, e nella elaborazione, all'interno di tali processi, di valori morali da trasformare auspicabilmente secondo modalit etiche - in regole giuridiche. Vi per un principio giuridico di importanza crescente nel diritto internazionale contemporaneo che pu fornire un inquadramento concettuale e normativo catalizzatore di processi virtuosi di legalit in un mondo di Stati sovrani rispetto ai quali l'attivit dei soggetti privati conta sempre di pi a livello internazionale: il principio della due diligence degli Stati, ai sensi del quale quest'ultimi assumono internazionalmente la responsabilit delle attivit che i privati pongono in essere nello spazio soggetto alla loro sovranit, nel caso in cui tali attivit violassero gli standard giuridici internazionali a danno di altri privati. Si tratta di un concetto ampio di responsabilit complessa che si articola attraverso obblighi di prevenzione, protezione e repressione. Anche questo principio costrittivo della sovranit degli Stati il frutto della loro libera volont normativa e non ci resta che sperare che le societ e la politica, poco alla volta, rafforzino e tengano fede a quella volont nel perseguimento dell'interesse generale, all'interno del quale si trova quello di ciascuno di noi.

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