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Copertina di Giancarlo Breccola

Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 26-2-2004 n. 46) art. 1 comma 1 - DCB Centro Viterbo

Anno XVII n 4 OTTOBRE / DICEMBRE 2012

la

oggetta L
notiziario

di Piansano e la Tuscia

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dalla Tuscia
La canzone, oltre ad essere pi volte presentata nelle frequenti serate di festa organizzate da Romolo al Circolo di Azione cattolica, fu conosciuta anche in Austria e cantata a Vienna da uno dei migliori cantori dopera, come gli scrisse il suo amico Giorgio Giuseppe Strangfeld negli anni 50. Ma quali sono i temi delle canzoni di Romolo? Oltre alla lontananza, che genera la nostalgia, ricorrente la contrapposizione citt-campagna, ricca di ingannevoli illusioni luna, piena della serenit delle cose semplici e vere laltra. Ma la citt lussuosa, s gaia e rumorosa, deh, credi a me, non d felicit!, scrisse in Contadinella. In sintesi, lamore, quello fatto di sentimenti veri e onesti, di totale condivisione delle situazioni di vita, le belle e le brutte, il tema predominante. In alcune canzoni, come I mestieri, Caterinella, La sora Consiglia ed altre ancora, prevale un garbato umorismo ed un velato richiamo allautenticit. Moltissimi sono i canti di chiesa - un filone a lui congeniale -, pieni di delicata ispirazione e molto orecchiabili: Signor, tu stai per scendere, Dal soglio della gloria, O candida nostra Madonnina, Qual figli amanti, o Maria, e molti altri. Compose anche una Missa Immacolata Concezione, non molto conosciuta. Era solito dire a chi lodava il suo estro originale, che non era merito suo, ma di Dio che glielo aveva regalato e che pertanto doveva metterlo al suo servizio. Il ricordo, a 25 anni dalla sua morte, sempre caro per quello che ha fatto in vita nel paese: come una luce che si accende ed illumina il cammino. Ci siamo abbattuti in un personaggio, il nome e la memoria del quale, affacciandosi, in qualunque tempo, alla mente, la ricrea con una placida commozione di riverenza, e con un senso di gioconda simpatia, scrive del cardinal Federico il Manzoni ne I promessi sposi. Sono i sentimenti che il nome di Romolo desta nella memoria collettiva.

Montecalvello
Flavio Frezza
La statua di San Rocco custodita allinterno della chiesa (foto di Enrica Ciorba)

a.aless@tin.it

Romolo (seduto in prima fila con il clarinetto) al teatro di Montefiascone: I miei aspiranti eseguono I Mestieri, con grande successo, annoto lui stesso sul retro della foto (proprieta di Mirella Rossi)

Sa Rrcco
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cha una bburaccia...


Rocco di Montpellier, i Monaldeschi di Montecalvello e uninteressante ricerca di Attilio Carosi
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riescono a sottrarre parte del territorio gi ferentano - con linclusione dellattuale Grotte Santo Stefano - al dominio di Viterbo. Nel 1532 la Comunit di Montecalvello dispone di un proprio statuto, redatto in latino ed edito, alcuni anni or sono, da Rifeo Santoni, con ricerche di Mario Montalto (R. Santoni, Lo Statuto di Montecalvello - 1532, Grotte S. Stefano 1997). Allo stesso Montalto si deve una recente monografia, molto accurata, dedicata ai signori del luogo (M. Montalto, I Monaldeschi di Montecalvello. Repertorio di eccellenti matrimoni, Viterbo 2008). Nel 1644 il marchese Marcello Raimondi acquista il castello, confiscato ai Monaldeschi per debiti, ma ne subisce a sua volta lespropriazione per non averne pagato il prezzo per intero. Il feudo di Montecalvello viene quindi rilevato da Donna Olimpia Maidalchini Pamphili, favorita dai buoni rapporti con Innocenzo X, suo cognato. I Pamphili, in seguito imparentatisi con i Doria, rimarranno signori del feudo fino al suo scioglimento, avvenuto intorno al 1900. La funzione di sede amministrativa rivestita da Montecalvello destinata a durare - almeno formalmente fino al 1809, anno in cui viene riconosciuto a Grotte lo status di capoluogo comunale. Montecalvello diventa quindi frazione di Grotte Santo Stefano e, a partire dal 1928 - a causa dei grossolani rimaneggiamenti dei confini amministrativi avvenuti nel ventennio -, frazione di Viterbo Ma questa unaltra storia! Dellimportanza degli antichi signori del feudo rimane qualche traccia nella tradizione orale, visto che i montecalvellesi vengono tuttora detti monardschi dagli abitanti dei centri limitrofi. Le persone intervistate ricordano, inoltre, come la stessa voce venisse un tempo utilizzata a mo di spauracchio infantile, forse a causa della presenza, nel sotterraneo della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, allinterno delle mura, di alcune mummie di membri della nobile famiglia: st attnte ch cce s i Monardschi!

Il saggio di Attilio Carosi

ellormai lontano settembre del 1981 apparve sulla rivista viterbese Biblioteca e Societ un saggio, a firma di Attilio Carosi, intitolato Storie di tutti i giorni nei graffiti di S. Rocco a Montecalvello. Presso Viterbo una delle prime cappelle dedicate in Europa al santo invocato contro la peste (Vol. IX, nr. 2-3, pp. 5-11). Per chi si occupa della storia della Teverina, la rilevanza di questo contributo dovuta, tra laltro, alla scarsit di notizie su Montecalvello, parzialmente imputabile allo smarrimento dei registri parrocchiali e dellarchivio del ramo locale dei Monaldeschi. Lapprofondimento e la puntigliosit della ricerca - per le quali era noto lo scomparso studioso viterbese -, consentono, infatti, di

aprire un piccolo varco nella nebbia che avvolge le vicende storiche della borgata, situata nella porzione nordorientale del territorio che un tempo fu di Ferento, in prossimit del confine con lUmbria, su un promontorio tufaceo che si affaccia sulla vallata della Madonna dellAiuto, propaggine della valle del Tevere.

Il feudo dei Monaldeschi

Prima di passare al saggio del Carosi, vorrei ricordare come il piccolo centro sia caratterizzato dalla presenza di un imponente castello, sul quale si hanno notizie certe a partire dal XIII sec., quando la fortificazione risulta essere di propriet dei Monaldeschi del ramo del Cane, di dimostrata origine viterbese e non, come ritengono alcuni, orvietana. Nel corso del XVI sec. i Monaldeschi

La chiesa di San Rocco e i suoi graffiti

Tornando alla ricerca del Carosi, lo studioso ci ricorda come la strada su

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La chiesa di San Rocco sotto la neve (febbraio 2012)

Et come fu nocte se derno in fuga. Il graffito sul manto di Santa Caterina (foto di Enrica Ciorba)

cui sorge la chiesa, lattuale SP Grottana, fosse uno di quegli antichi percorsi che conducevano da Montefiascone al Tevere; da qui era possibile traghettare in Umbria, oppure andare a Roma per via fluviale. La chiesetta rurale di San Rocco patrono di Montecalvello - si trova, provenendo da Grotte, a destra della Provinciale, prima di giungere alla borgata, ed costituita da due corpi: quello posteriore, quattrocentesco, e quello anteriore, risalente al Seicento. Nella parte anteriore presente una botola, tramite la quale si accede a un piccolo locale sotterraneo, un tempo adibito a sepoltura. La costruzione abbellita da alcuni affreschi; lo studioso ne segnala la presenza nella sola parte pi antica, anche se, nel corpo anteriore, unulteriore pittura stata recentemente riportata alla luce in seguito ai lavori di recupero effettuati da volontari locali, i quali hanno inoltre provveduto a rimuovere il cadente intonaco dallesterno della chiesa, che oggi possibile nuovamente ammirare nella sua primitiva (e tufacea!) bellezza. Il culto di S. Rocco - ci ricorda il Carosi - nato in Linguadoca a Montpellier, si diffonde nellEuropa Occidentale nella seconda met del Quattrocento e poich una leggenda quasi coeva narrava che il Santo aveva cominciato il suo apostolato curando gli appestati di Acquapendente, anche presso Montecalvello sorse unedicola in suo onore. Gli affreschi, forse opera di un seguace di Lorenzo da Viterbo, ritraggono

la Madonna e il Bambino, naturalmente San Rocco, Santa Rosa da Viterbo (trattasi di una delle pi antiche immagini della Santa) e, inoltre, altri santi ausiliatori ed invocati contro le pi varie disgrazie e calamit. Una delle particolarit del piccolo edificio religioso costituita dai numerosi graffiti che ignoti e meno ignoti viandanti, rifugiatisi nella chiesetta per riparo dalle intemperie o per scampare la pelle per il noto diritto di immunit concesso ab immemorabili ai luoghi sacri, sacrilegamente incidevano sugli affreschi. Tra le numerose scritte, alcune delle quali ormai illeggibili, se ne distinguono altre per lottima calligrafia e per il nome degli autori: perugini, pistoiesi, francesi, olandesi, tedeschi; pellegrini o uomini darme, molti sono i visitatori dalla fine del 400 per tutto il 500, poi, pi nessuno. La chiesetta, nel 1576, risulta esser purtroppo ridotta a ricetto delle capre e con probabilit sconsacrata e riconsacrata a seconda dei proprietari e dei curatori danime del castello. Il Carosi ha poi cura di riportare un buon numero di questi graffiti, ma una scritta in particolare suscita il suo e il nostro interesse. Sul manto di Santa Caterina, infatti, si pu tuttora leggere chiaramente la seguente iscrizione, che riporto nella trascrizione dello studioso viterbese, sciolta dalle abbreviazioni: Nel anno M. D. XXVIII Martio | Colonna, Pirro de Castello de | Piero, Ottaviano Spirito de | Viterbo furno a

campo | ad Monte Calvello ficcati | per le grotti fino alla | nocte. Et come fu nocte | se derno in fuga. | Lassorno circo 15 morti | delli loro. A destra della scritta appaiono lo stemma dei Monaldeschi e un altro non identificato. I nomi del graffito, prosegue il ricercatore, appartengono a tre personaggi di spicco nella vita politica viterbese del tempo []. Scarsi erano stati i danni inferti nel 1527 a Viterbo dai lanzichenecchi del Borbone in marcia verso Roma ed il merito andava anche ai fuoriusciti Ottaviano Spiriti, Marzio Colonna e Pirro Baglioni, tutti di parte gattesca e colonnelli dellesercito imperiale. Tra questi merita una menzione a parte Pirro, signore, insieme al fratello Giovan Carlo, dei vicini Castel Piero (lodierno San Michele in Teverina), Sipicciano e Attigliano. Ottaviano, Marzio e Pirro avevano occupato con le loro truppe Viterbo, rimanendo praticamente padroni della citt dal 24 agosto 1527 fino alla fine del marzo del 1528, vivendo di scorrerie nei dintorni e depredando nel gennaio dello stesso anno le campagne ed i castelli di Castiglione in Teverina e di Civitella dAgliano. Fu in questa occasione, riteniamo, che lo Spiriti, il Colonna ed il Baglioni furno a campo contro i Monaldeschi di Montecalvello, esponenti dei Maganzesi, e, se quindici delli loro caddero morti, la sconfitta deve essere stata piuttosto grave. Evidentemente il valore di Ottaviano [] non fu sufficiente a conquistare il

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munito castello. Con scrittura elegante e corretta un ospite dello stesso - forse un notaio dei Monaldeschi? - volle esprimere soddisfazione per la vittoria, incidendo la notizia nel luogo pi frequentato dai viandanti, per monito e ricordo. Mi si permetta di integrare il prezioso contributo dello studioso segnalando come il graffito da lui commentato sia ben noto ai montecalvellesi, che tuttora esaltano la crudezza e la grandiosit del combattimento: la bbattaglia se svrze qquass a Ssa Rrcco, fu una bbattaglia sanguinsa! Oggi vengono messi in premio pi oggetti (salumi, utensili per la cucina, giocattoli, lettori mp3 i tempi sono davvero cambiati!) e, nel caso in cui il nome di San Rocco venga estratto per due volte consecutive, si procede con lestrazione, finch il premio non viene assegnato. Un tempo, invece, se il santo patrono veniva sorteggiato per due volte di seguito, la lotteria sinterrompeva e la stoffa veniva sorteggiata lanno successivo. Era esclusa, allora, lesibizione di complessi musicali, per cui i festeggiamenti si concludevano con i giochi popolari (se finiva co lo sfragnicocmmeri).

Lo stemma dei Monaldeschi di Montecalvello

Festeggiamenti in onore del Santo

Mi riallaccio alla ricerca del Carosi per segnalare come la devozione al patrono - detto affettuosamente Sa Rrocchtto dai montecalvellesi - sia tuttora molto sentita dalla popolazione, che puntualmente, il 16 agosto di ogni anno, provvede a celebrarlo. Nel giorno di Ferragosto, una statua del Santo - di origini ignote, custodita allinterno della chiesetta - viene sistemata su una portantina di legno e trasportata in processione fino alla chiesa parrocchiale. Nel giorno successivo il corteo religioso si ripete nuovamente, San Rocco viene ricondotto al suo posto e viene quindi celebrata una messa in suo onore. Non esistevano, un tempo, gli stennardi rossi che vengono attualmente appesi fuori dalle finestre nel giorno della festa patronale, per cui si faceva ricorso, piuttosto, allesposizione della migliore biancheria per la casa (mtte fri le coprte, qulle pi bbne). Se oggi gli aspetti organizzativi vengono curati dal Comitato Festeggiamenti Madonna dellAiuto, un tempo i nomi degli organizzatori (di norma 10) venivano estratti a sorte dal parroco (i festarli le tirava s il prte). Facevano parte dellorganizzazione, inoltre, le coppie sposatesi nel periodo che precede la festa patronale. Tra i compiti dei festarli viene citato quello della questua, effettuata di aia in aia per raccogliere le offerte, solitamente in natura. I festeggiamenti civili hanno attualmente luogo nella localit detta l Pratarllo, nelle vicinanze della chiesetta, ma sino a pochi decenni or sono si svolgevano presso la Piazza, odonimo con cui si fa riferimento al

piazzale daccesso al castello. Affinch tutta la popolazione - un tempo interamente impegnata in attivit agricolo-pastorali - potesse partecipare alla festa, non era raro che membri della stessa famiglia stabilissero dei turni per i lavori in campagna e per la cura del bestiame (guern le bbschje). Altrettanto frequentemente, si era invece costretti a levarsi prima e ad anticipare le attivit lavorative, in modo da potersi recare in paese in tempo per i festeggiamenti (tvi dalz pprima, la mattina, a ppascol le pcore). Avevano luogo, naturalmente, giochi popolari quali il ben noto tiro de la fune e, per i bambini, lo sfragnicocmmeri (mettvino cocmmeri e i fijji bambini cor culo le roppvino rompevano) e il gioco della pignatta (roppipignatti). Questultimo consisteva nellappendere delle pentole di terracotta a una cordicella sistemata sotto la porta daccesso al castello (llArco); i bambini, bendati, dovevano quindi colpire le pentole con un bastone: [la corda] le mettvono ll, co sti pignatti. Uno ce mettvino la trra, uno ce mettveno llacqua, uno ce mettvono sldi, uno le caramlle, e pp chi le roppeva chi e toccava pijjava sldi! Una forma dintrattenimento tuttora in uso, non limitata ai giovanissimi, r pllio (o pglio), sorta di lotteria che prevede lestrazione di biglietti recanti i nomi dei partecipanti, mescolati ad altri dove riportato il nome del santo. Il premio, detto appunto pglio (diminutivo paglitto), consisteva un tempo in una stffa pe n vestito, appesa ad una canna ed esibita alla popolazione. La stoffa veniva assegnata a chi vedeva estrarre il proprio biglietto dopo quello del patrono, questultimo annunciato dal grido Evviva San Rocco!.

E ttu Ssa Rrucchettino

La devozione al patrono degli appestati viene ricordata, con intento blasonico, dagli abitanti di Grotte Santo Stefano. Il seguente detto, che i grottani attribuiscono ai montecalvellesi, fa riferimento a un tradizionale ornamento di San Rocco, ovvero la borraccia: Sa Rrcco, cha una bburaccia. Se sse stappa qulla bburaccia vine la pste. Il detto viene confermato, grosso modo, dai montecalvellesi, che ricordano, per, come la frase fosse utilizzata, in genere, a mo di avvertimento ai forestiri che bestemmiassero il santo: Attnte ch ssi Ssan Rcco apre la bborraccia!... Oppure: Stattnte ch ssi stappa la bborraccia!... Lorazione che segue, attribuita da uninformatrice grottana alle zitelle della borgata, va ricondotta al fatto che San Rocco considerato, tra laltro, patrono delle nubili. Il testo, a quanto pare, stato dimenticato dai montecalvellesi, che ricordano, per, come le ragazze abbandonate dal proprio fidanzato usassero portare dei fiori al santo, per chiedergli la grazia. Lultimo verso stato scandito e cantilenato dalla fonte: E ttu Ssa Rrucchettino, che ss tanto carino, una grazzia mi potrsti f, um bl marito de famme trov! flavio.frezza@gmail.com

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