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1.

La discontinuit della guerra La discontinuit della guerra In ogni guerra, i combattenti hanno sostenuto che la realt del combattimento provoc forti alterazioni nei caratteri individuali: spesso compaiono nelle lettere dei combattenti formule come: Nessuno uscir da questa guerra senza essere diventato una persona diversa. La maggior parte dei combattenti sostiene di aver vissuto in due mondi diversi, di aver vestito gli abiti di due persone totalmente diverse; se si volesse trovare un'esperienza comune nei vari racconti di guerra relativi alla prima guerra mondiale, riguarderebbe di sicuro la totale incommensurabilit della personalit plasmata dalle vicissitudini belliche con quella plasmata dalla vita civile. E fu proprio per questa sensazione di aver vissuto in mondi e realt diverse che sovente i reduci furono afflitti da disturbi psichici di dissociazione, che li portavano peraltro ad avere enorme sensibilit a pericoli non esistenti nella vita civile. L'esperienza di guerra come un'esperienza di di radicale discontinuit ad ogni livello della coscienza: Leed parla di una disgiunzione strutturale, di una frattura imprecisata tra forme distinte di esperienza sociale, che instill nel combattente una percezione contraddittoria del proprio status e delle proprie capacit. Questa discontinuit fu fonte dei pi seri problemi psichici tra i combattenti, e rende molto difficile analizzare l'esperienza di guerra con modelli con presuppongono la continuit come caratteristica essenziale dell'io e dell'identit; modelli dunque di impronta psicoanalitica. Spesso stato usato dunque per analizzare l'esperienza di guerra il modello di sviluppo dell'io di Erikson. E' significativo che uno dei concetti-chiave di Erikson, precisamente quello relativo all'identit dell'io, fu proprio coniato in tempo di guerra, osservando uomini provati dalla guerra, trattando casi di stress da combattimento nel teatro operativo del Pacifico durante la seconda guerra mondiale. L'identit dell'io, in Erikson, permette di avere esperienza di se stessi come di un qualcosa di dotato di continuit e di unit e della capacit di agire di conseguenza; l'identit dell'io dunque ci che venne meno negli uomini distrutti dal combattimento. Gli effetti della guerra, in questo modo, sono colti esclusivamente sotto l'aspetto negativo della disintegrazione di quell'identit formatasi nei pi significativi e cruciali rapporti con gli altri: genitori, amanti, figli. In ultima analisi, dunque, i tentativi di comprendere l'esperienza di guerra devono essere tesi a individuare e definire le fonti della discontinuit nelle personalit individuali e dell'estraneazione dei combattenti. Tra i modelli pi usati per l'analisi dell'esperienza di guerra, spicca sicuramente il modello della scarica pulsionale, di impronta psicoanalitica. Essenzialmente, questo modello ipotizza che le sfere di conflitto organizzato (guerre, rivoluzioni, competizioni sportive violente) assolvano il ruolo di scaricare spinte pulsionali la cui espressione deve restare inibita nella vita sociale normale. La guerra, in un'immagine che sembra figlia di una macchina a vapore, provvede una valvola di sicurezza per lo sfogo dell'aggressivit, di quei bisogni e di quelle pulsioni che non possono rientrare nel normale meccanismo sociale. Implicitamente la distinzione tra pace e guerra si configura dunque come distinzione tra necessit e libert, repressione e trasgressione. E' comune far derivare dal modello della scarica pulsionale una teoria funzionale del rapporto tra pace e guerra: se la guerra permette uno sfogo dell'aggressivit repressa che non pu essere scaricata senza mettere a repentaglio la stabilit dell'interno assetto sociale, allora la guerra si presenta come un modo deplorevole ma necessario per conservare quella stessa stabilit sociale. All'interno di questo schema, la guerra diventa un mondo di libert istintuale, in palese contrasto con il mondo sociale, contrassegnato da rinuncia e spostamento della gratificazione pulsionale. Ne segue che le personalit modellate in questo ambito trasgressivo debbano necessariamente soffrire se costrette, col metodo del cosiddetto comportamento civile, ad accettare la frustrazione della propria istintualit. I combattenti sono regrediti, primitivizzati. Il modello della scarica pulsionale riesce a dar conto del senso di liberazione della comunit d'agosto del 1914: coloro che si avviarono alla guerra attinsero a un immaginario collettivo che fiss il significato ella guerra in termini di liberazione dalle costrizioni e limitazioni della vita civile. Era comunemente diffusa la convinzione che esso permettesse l'espressione di scariche altrimenti inibite e proibiti nella vita sociale normale. Il modello della scarica pulsionale, inoltre, pu anche spiegare il timore diffuso riguardo al ritorno dei veterani in patria: essendo vissuto tanto a lungo in un clima di libert istintuale, il soldato di linea avrebbe potuto dimostrarsi incapace di riacquisire le abitudini e le regole della convivenza civile. La principale incongruenza di tale modello sta nella irrealistica rappresentazione della guerra, vista

come sfogo di impulsi aggressivi. La prima guerra mondiale si configura invece come repressione generalizzata, portata da una parte dai regolamenti e dalla disciplina tipici dell'istituzione militare, dall'altra dalle inedite e sormontabili limitazioni del movimento imposte dalla Materialkrieg, la guerra tecnologica, che fecero della guerra un conflitto essenzialmente difensivo. Il modello della scarica pulsionale definisce la guerra come un'attivit aggressiva, offensiva, e in base a questo, si possono spiegare, in termini di introiezione di colpa, i numerosi collassi nervosi sofferti nella guerra moderna da uomini che uccidono, violando cos le regole che governano la concezione di se stessi in tempo di pace. Secondo Maxwell, fu la frustrazione dell'aggressivit (nemici invisibili Orizzonti di Gloria) a spingere il combattente a rivolgere l'ostilit verso obiettivi impropri. Un secondo modello spesso usato nell'analisi della guerra il modello della continuit culturale. Anche questo modello vede la guerra come scarica di istinti aggressivi; ma evidenzia come la repressione dell'aggressivit acquisita del processo di socializzazione non costituita solo da esteriorit di cui ci si pu privare senza problemi in guerra. Posto che la rimozione dell'aggressivit sia un fatto realmente acquisito, essa diventa elemento costitutivo della personalit del cittadinosoldato; nel modello della continuit culturale, l'aggressivit individuale quindi funzione di valori e regole che governano l'aggressivit in pace, e l'individuo che va in guerra teme la propria aggressivit tanto quanto quella dei nemici, per quanto possa allentare i freni delle inibizioni culturali che porta seco. Tutto questo in linea con le analisi Marshall per cui solo un quarto dei soldati di prima linea avevano impiegato le armi individuali. Il modello della continuit culturale rappresenta quindi un correttivo all'opposizione eccessivamente radicale tra guerra e pace propugnata da coloro che vedono la guerra in termini di scarica dell'aggressivit repressa. Tuttavia, esso non riesce a spiegare perch l'esperienza di guerra fu radicalmente differente da quella di pace, perch molti veterani sostengano di aver vissuto in due mondi radicalmente diversi; non spiega nemmeno perch alcuni veterani sentirono come un'attrazione verso il disordine e verso la distruzione. La liminarit della guerra Molti veterani insistettero, dopo la fine della guerra, a considerare la loro esperienza alla stregua di un'iniziazione; Carrington scriveva di far parte di una generazione di iniziati, in possesso di segreti non comunicabili. La guerra pu dunque essere considerata come un rito di passaggio, un'iniziazione. Il tema della liminarit un tema antichissimo. Quando gli uomini abbandonano la loro vita civile per combattere contro altri uomini, evocano tradizionalmente un mondo di simboli per rappresentare la loro mutata condizione: gli uomini paiono trascendere le categorie puramente sociali, o sprofondare al di sotto di esse; si mescolano con figure sacre o animali, assumono sembianze divine o zoomorfe. In combattimento, il mutamento del loro essere sempre stato tradizionalmente rappresentato alla stregua di un'alterazione febbrile, di un'ebbrezza, di una violenza di sapore orgiastico. Dopo il suo rientro in societ, il combattente che ha ucciso in combattimento sar considerato come pericoloso, diverso, contaminato, fino a che non si sottoporr a un processo rituale di purificazione. Il guerriero, nella cultura indoeuropea, un personaggio anomalo, e tale anomalia legata alla sua stessa funzione: per difendere sicurezza e stabilit delle norme e delle regole del gruppo, deve violare proprio quelle norme e regole che stanno alla base della stabilit della societ: il maggior pericolo che qualsiasi societ possa temere risiede proprio nella possibilit che il guerriero possa indirizzare contro amici e parenti le attivit che da lui ci si attende solo contro nemici e stranieri. Queste pericolo riceve un correttivo nella definizione rituale del guerriero come uomo che venga momentaneamente separato dalle sue radici sociali, e tuffato insieme col nemico, con lo straniero, in una sorta di intervallo della morale quotidiana. L'uomo che va in guerra deve dunque sottostare ad alcuni riti di passaggio. Van Gennep divide i riti di passaggio in tre fasi: riti di separazione, che trasferiscono gruppi di individui dal loro luogo di vita abituale, riti liminari, che simbolicamente fissano l'identit del passeggero come dimorante fra due stati, riti di riaggregazione, con i quali l'individuo riaccolto nel gruppo di origine. L'identit che connota i veterani di guerra pu essere vista come funzione del passaggio dalla sicurezza della vita sociale alla guerra, come definizione di un tipo di vita sul confine: non a caso, per molti veterani il pi vivo ricordo della guerra la Terra di nessuno, ci che sta fra; essa riesce a catturare l'essenza di essere stati inviati oltre i limiti della vita sociale, tra noto e ignoto. L'

esperienza di guerra fu esperienza liminare, e i mutamenti d'identit vissuti dal combattente possono essere definiti proprio come marginalizzazione. Victor Tuner nota che i riti di separazione e i loro simboli peculiari possano essere attuati per rappresentare movimenti di una societ intera da una condizione o stato precedente: basti pensare ai riti stagionali. Nella mobilitazione per la guerra del 1914 si possono scorgere due processi di separazione tanto chiaramente distinti quanto palesemente legati: il primo allontana la societ nel suo complesso dalle abituali condizioni di vita sociale; il secondo allontana il cittadino-soldato dal suo normale stato civile. Il secondo stato del passaggio iniziatico, quello della liminarit, definisce una situazione formale strettamente analoga a quella del soldato in guerra. Un giovane che affronti l'iniziazione non pi quello che era, ma nemmeno quello che deve diventare: si lui parla come di un morto rispetto alle cose del suo passato, e pu essere trattato proprio come la sua societ tratta un cadavere: strutturalmente invisibile. L'iniziando infatti identificato con la decomposizione, la contaminazione, intesa come risultato di qualsiasi contatti tra sostanze o categorie che normalmente sono tenuti separati e distinti da regole e tab. Al pari della contaminazione, l'invisibilit non era solo un simbolo in guerra, ma una necessit insopportabile. Le caratteristiche della guerra di trincea imposero al soldato di cercare rifugio nella e sotto la terra, e questo trincerarsi signific la fine della guerra tradizionale come spettacolo di umanit duellante; l'invisibilit del nemico esasper l'importanza del senso acustico e ci parve rendere l'esperienza di guerra particolarmente soggettiva e impalpabile.

2. La comunit d'agosto e la fuga dal moderno Molti antropologi europei hanno constatato che l'antitesi tra guerra e pace non universale nella cultura umana: le guerre nella societ primitiva mancano di eccezionalit e grandezza; sono semplici intermezzi: pericolosi, ma la continuit le priva di qualsiasi connotato di eccezionalit (R. Caillois). Questa integrazione di guerra e scambio economico, di guerra e normale vita sociale nelle societ pre-industriali contrasta con il quadro che gli antropologi europei delinearono della propria cultura, caratterizzata da un'implicita antitesi tra guerra e vita sociale. Quest'antitesi fu alla base dei temi dominanti nell'esperienza d'agosto: l'esperienza della comunit e la fuga da tutto ci che era connesso alla nozione di moderna citt industriale. La guerra fu vista in opposizione assoluta alla vita sociale e come antipodo alla normale esistenza nella moderna societ industriale. Questa polarit tra pace e guerra permise ai contemporanei di sentire la dichiarazione di guerra come un momento di passaggio da una vita normale a una alternativa e totalmente differente: si avrebbe abbandonato la civilt industriale coi suoi problemi per entrare in un nuovo universo d'azione. La logica comunitaria dell'agosto 1914 Per tantissimi, l'agosto del 1914 rappresent l'ultima grande incarnazione del popolo come entit morale unitaria. I giorni di agosto sarebbero stati universalmente ricordati come quelli vissuti pi profondamente nelle vite individuali dei partecipanti alla guerra: il senso comunitario che spinse le folle nelle strade delle citt d'Europa e leg gente fino ad allora estranea con una sorta id magica coesione, ben di rado aveva un movente intellettuale. Moltissimi furono convinti che la dichiarazione di guerra avesse attualizzato valori venerabili: i valori della comunit rispetto a quelli della societ, dell'unit nazionale opposti al conflitto di classe, dell'altruismo opposti all'egoismo del puro interesse economico. Molti insistettero convinti che la guerra avrebbe portato a a una trasformazione strutturale della societ, l'abbandono del vecchio ordine e la creazione di uno nuovo. Agosto fu una celebrazione della comunit, e non qualcosa che si possa comprendere razionalmente; tra le testimonianze che Leed riporta, colpiscono quelle di Zuckmayer, Hirschfeld, Baumer. In generale, l'esperienza comunitaria fu dominata dalla sensazione che la guerra alterasse le relazioni tra uomini e classi sociali, e logicamente, nell'accantonare tale mondo sociale strutturato in base a ricchezza, status, et, sesso, professione, si diede per scontato che anche i singoli individui cambiassero. La dichiarazione di guerra istitu un'unanimit di destino e un'anonimit di obbligazione in cui parve che le convenzioni di classe sociale non dovessero pi identificare l'individuo; la guerra superava i limiti dell'individualit e del privato, rendendo cos possibile una socievolezza pi intensa e immediata. Famosa una descrizione di Zweig dell'entusiasmo di agosto. Centinaia di migliaia di persone sentivano di appartenere a una grande unit; ciascun individuo era chiamato a gettare nella grande massa ardente il suo io piccolo e mischino per purificarsi da ogni egoismo; tutte le differenze di classe, di lingua, di religione furono sommerse dalla grande corrente della fraternit (Zweig). Due particolari della descrizione di Zweig colpiscono: in primo luogo tutte le differenze di classe, lingua e religione furono messe di lato, in sottordine; non per furono superate n abolite; in secondo luogo il momentaneo accantonamento delle differenze di classe permette a Zweig di abbandonare le proprie difese, il proprio ego e il senso di isolamento sociale. La comunit di agosto pu essere considerata come esito di sommovimenti nell'ambito degli ingranaggi istituzionali; all'interno di tali sommovimenti, si palesarono e divennero percepibili aspirazioni e desideri abitualmente soffocati nella vita quotidiana, ed in particolare un malcontento di fondo nei confronti delle istituzioni che incasellavano e frazionavano gli individui: non fu dunque un mutamento effetto di condizioni psichiche o sociali. La dichiarazione di guerra mut solamente l'angolo prospettico dal quale gli individui erano soliti guardarsi, e ci produsse forti sentimenti d'eguaglianza: una nuova relazione tra l'io e il tu (Buber), una communitas esistenziale (V. Turner). In definitiva, l'esperienza dell'agosto del 1914 port a una resa dell'io in favore della collettivit. Questo pu essere visto come esito di quel postulato culturale per cui la guerra significa lo spostamento degli individui da uno stato definibile in termini di conflitto sociale, sessuale, politico (uno stato, quindi, in cui l'ego era un meccanismo essenziale di autodifesa), ad un altro stato. La mobilitazione avrebbe poi portato gli individui in una condizione di flusso in cui classi,

et e sessi normalmente mantenuti distinti sarebbero stati riuniti, non da una nuova condizione ma da una comune direzione. L'analogia pi calzante con l'agosto del 1914 non sta nel rovesciamento rivoluzionario dell'ordine costituito, ma nel disordine o rovesciamento momentaneo dell'ordine sociale che ha luogo nelle feste. Roger Caillois equipara le guerra moderna alle feste pre-moderne, che sradicavano il singolo individuo dal suo privato e dal suo mondo personale e familiare. Sono paradigmi d'esperienza collettiva che si attua al di fuori, o fra, i distinti livelli di status sociale in cui gli individui generalmente vivono. La sensazione di vivere un processo, un interregnum senza una precisa struttura, fu una costante nell'esperienza d'agosto: il passato rimane indietro, il futuro esita, il presente poggia sul nulla (Rilke). Proprio tale carattere amorfo intensific aspettative e curiosit. Thomas Mann condivideva l'universale convinzione che la guerra avrebbe portato enormi cambiamenti: si configura dunque come un momento liminare, precario. Organizzano un consumo di risorse su scala non economica (orge nel dispendio; Sono bene accolte come vie d'uscita dal privato. Una metafora ricorrente quella di fluidit, flusso, corrente elettrica (Zuckmayer). Treni e stazioni ferroviarie furono luogo di moltissime conversioni all'entusiasmo di agosto, conversioni invariabilmente definite come una resa al flusso di sentimento quasi palpabile. Csikszentmihaly nota che molti campioni usano la metafora del flusso per cercare di spiegare cosa trovino di piacevole in ci che praticano, e definisce queste esperienze stati di fluttuazione, in cui viene meno l'importanza della logica di agire, non vi necessit di riflessione. Non una liberazione dalle regole o da un ordine, ma presume anzi l'esistenza di un copione, che restringa l'arco di possibilit dell'attore. Gli stati di fluttuazione sono prodotto di sistemi di regole tali da rendere l'azione, anzich contraddittoria, addirittura automatica. La fuga dal privato fu la motivazione recondita per tanti che si tuffarono nella guerra. La vita militare fu ben accetta come esistenza rigidamente strutturata, standardizzata, che semplificava sistematicamente la miriade di scelte contraddittorie con cui l'individuo giornalmente si doveva confrontare: si configura dunque come un'esperienza di perdita della paralizzante libert civile. Nella comunit cameratesca il senso dell'io come qualcosa che media tra fini ed esigenze contraddittorie sostituita da quella che stata definita eguaglianza sotto costrizione. Questi uomini giocavano al gioco della struttura (V. Turner): la struttura in questo senso assolve il compito di incorporare e significare certi valori e desideri, anzich fornire i mezzi concreti per realizzarli: ha un valore espressivo (dar forma a valori comunitari e fornire una via d'uscita dal privato), anzich strumentale Alfreg Vagts distingue tra militarismo e modo militare. Nel modo militare rientrano tutte le cose che abitualmente gli eserciti fanno: consta dello spirito razionale, efficientistico, tecnologico, traslato in termini razionali. Il militarismo un sistema di immagini, simboli, rituali designato a esprimere il personaggio del guerriero e il carattere della comunit di cui fa parte; le vicissitudini di una vita vissuta in un ordinamento economico differenziato e frammentato provvidero la spinta che catapult tanti verso la guerra, il militarismo forn la trazione finale. Questi simboli erano intrinsecamente moderni e borghesi. La fuga dal moderno L'entusiasmo per la guerra nel 1914 deve essere compreso all'interno del pi ampio universo storico ed ideologico della critica alla modernizzazione, e, in Germania, in termini di decennale reazione, portata avanti soprattutto dai movimenti giovanili tedeschi, contro la societ guglielmina. Per Zuckmayer, la guerra significava liberazione dalla schioccheria e dalla pochezza della famiglia borghese. Per molti intellettuali tedeschi, la guerra signific una rottura assoluta col mondo borghese degli agi, del profitto e della sicurezza. La guerra divenne contenitore per ideali di un ordinamento morale e di valori non utilitaristici, e rappresent la possibilit di riattualizzare quei valori che la vita moderna rendeva sempre pi anacronistici e che pure erano generalmente sentiti come degni di essere difesi e sostenuti. In tanti nell'agosto del 1914 pensarono di essersi finalmente liberati dal materialismo, da un mondo di cose concrete diventato estremamente problematico. Fuggivano verso una guerra concepita in senso bucolico, che assumeva in s tanto la semplicit quanto il disagio, l'insicurezza, l'avventura,

che era un salubre tuffo nel passato. La liberazione della guerra era dunque liberazione da abitazioni civili affollate di cose ormai prive di funzione o significato. Fu proprio la diffusa convinzione che la guerra avesse liberato la societ intera dalla normalit borghese che port a quell'intensa identificazione con la nazione tipica dei primi mesi di guerra: una Germania giovane e straripante d'entusiasmo metteva alla prova, contestandole, tutte le restrizioni convenzionali che la borghese e fatiscente Inghilterra le aveva imposto a livello internazionale. Queste emozioni eran pi intense, e pi intensa era l'identificazione con la nazione, nei gruppi pi isolati e alienati all'interno della societ guglielmina: ebrei, giovani, marxisti, intellettuali (Mann). Per von Krockow, il movimento giovanile, nato nell'ambito sia della borghesia agiata sia della piccola borghesia, fu essenzialmente un momento particolare della storica fuga da se stessa della borghesia tedesca, la proiezione verso l'esterno di una frustrazione recondita maturata verso se stessa; la guerra estern il dilemma interiore, la schizofrenia ideologica che aveva impedito alla borghesia tedesca di assumere quei ruoli, valori e carattere politico, generalmente assunti dalla borghesia nelle societ industriali avanzati. Secondo Hafkesbrink, la guerra fu accolta e salutata come una liberazione perch si pensava significasse la distruzione di un ordinamento economico, in quanto conflitto pre-economico e antieconomico. Questo fece della guerra un fenomeno morale in diretto contrasto con l'amoralit del mercato. Secondo Veblen, la crisi dei valori in Germania fu tanto pi sofferta e intensa in virt del fatto che l'industrializzazione pretese di riunire tecnologia moderna e modi di pensare pre-industriali: il risultato fu l'emergere di lotta di classe, oggetti d'uso replicati senza limite, nuovi livelli di consumo e nuovi valori. L'industrializzazione produsse nuove classi sociali e conflitti tra di esse; ma produsse anche pressioni importanti sulle classi possidenti. Per costoro, il processo di industrializzazione produsse una crisi in quelli che Veblen chiama livelli morali di vita: non erano pi impegnati a strappare maggior valore possibile dai pochi beni disponibili, ma a consumare l'eccedenza generata dall'enorme crescita del potenziale produttivo, a sostituire l'etica del risparmio con l'estetica del consumo. Il mondo materiale di merci, e non la tecnologia in se stessa, divenne fonte di disagio morale. In Clausewitz, la guerra la prosecuzione della politica con altri mezzi. La guerra un secondo universo, un'esistenza alternativa, dotata di una sua alterit, che sar essenziale nell'entusiasmo dell'agosto 1914 L'idealismo della generazione della Grande Guerra non era funzione dell'inesperienza, ma di una convinzione che attingeva all'arcaico: esistevano due mondi di esperienza, e due livelli su cui la vita poteva essere vissuta. Il persistere delle aspettative Leed dunque rifiuta l'interpretazione della guerra sulla base del modello di scarica pulsionale, per cui le cause della guerra stessa vanno individuate in tensioni endemiche inerenti alla societ in fase di modernizzazione. Ci corretto, ma porterebbe a pensare che la guerra era sentita come uno spazio libero per lo sfogo istintuale, mentre essa era elemento di violenza bene strutturato. Il modello di scarica pulsionale uno strumento valido nell'analisi di ci da cui pensavano di sottrarsi coloro che avallavano la guerra: ma non di ci verso cui pensavano di fuggire: la volont d'affermazione di valori culturali sovente considerati anomali o obsoleti rispetto a ci che siamo abituati a definire cultura borghese. L'abbandono dell'individualismo, la ricerca di un'uscita dal privato, l'accettazione id una vita di obbedienza e eguaglianza sotto comando e costrizione non significavano una fuga nella libert, ma dalla contraddizione. La guerra non era vista come contraddittoria: non richiedeva un io, e permetteva un contatto autentico tra volont umane.

3. Il labirinto della guerra e le sue realt E' comune reperire un'equazione tra esperienza di guerra e rituali di passaggio nella maggior parte della letteratura di guerra. Quest'equazione per assurda: i riti d'iniziazione non uccidono o storpiano i novizi. 1. Ma in guerra, cos come nel rituale, gli individui non apprendono semplicemente attraverso lo strumento linguistico, ma attraverso la loro immersione nella struttura drammatica dell'evento fisico: l'esperienza di guerra un'esperienza di apprendimento non verbale, concreta, molteplice, maestra silenziosa che insegna a divenire silenziosi. 2. Inoltre, la conoscenza ottenuta in guerra raramente ritenuta alienabile, cio qualcosa che pu essere insegnato, uno strumento o un metodo: pi spesso descritta come qualcosa di integrato al corpo del combattente. Le metafore nella guerra e il labirinto delle trincee La metafora essenziale della guerra di trincea quella del labirinto. Queste metafore divennero veicolo di spiegazione delle esperienze e dei sentimenti pi profondi di uomini invischiati in un groviglio inestricabile di contraddizioni fisiche e psichiche. La metafora del labirinto idonea a simboleggiare la natura frammentata, disintegrata e disgiuntiva del paesaggio in cui erano inseriti i combattenti della guerra di trincea. Carrington scrive che il soldato che si sposta nelle trincee avendo in mente una destinazione precisa, si trover davanti una sconcertante profusione di possibilit, tutte potenzialmente erronee e fuorvianti, e questo creer una forte ansia nell'individuo. Lo scrittore sottolinea anche gli effetti della storicit del complesso di trincee: un sistema che inizialmente era stato costruito secondo un progetto, ma in cui, dopo un certo periodo di tempo, dopo distruzioni e riparazioni senza fine, non vi saranno pi passaggi diretti a determinate destinazioni, ma solo sequenze di tronchi disorientati; l'effetto finale sar la sensazione di vivere in un'allucinante precariet che produce confusione ed esaurimento psichico. Mentre Carrington ha sottolineato che le caratteristiche del labirinto di trincee ponevano di fronte a un'apparente, ma in realt paralizzante, libert di scelta, nella descrizione di Barbusse anche tale illusione di scelta svanisce. Il labirinto di trincee annulla ogni speranza di uscita; un modo completamente chiuso, sotterraneo, che appare come una sorta di struttura iniziatica che conduce il combattente in prossimit del cuore terribile di tutte le cose; per giungere al centro, il combattente novizio dovr superare una serie di prove, la sopravvivenza alle quali apporta un mutamento irreversibile al suo status esistenziale. La metafora del labirinto, dunque, una rappresentazione della realt in cui si inquadra l'esperienza dei combattenti; ma un rappresentazione che pu essere impiegata per definire una guerra in cui l'intelligibilit dell'essere umano sta per essere sconvolta, per essere il simbolo del destino degli uomini in guerra, una guerra iniziata per realizzare il destino delle nazioni coinvolte, ma divenuta poi un nodo, un groviglio di direzioni incrociati che esauriva le energie di coloro che vi incappavano. Classe sociale e disillusione: il volontario e l'operaio Coloro che si presentarono come volontari provenendo da classi medio-alte trascorsero non pi di un anno nei ranghi, quindi ebbero accesso alle scuole allievi ufficiali per tornare al livello della loro classe d'origine. I volontari di classi medio-alte, all'incontro con i soldati di classi inferiori, appresero due cose: che la loro attitudine verso la portata sociale della guerra, verso la nazione e la patria era ben di rado condivisa dai portuali, contadini, operai, minatori loro commilitoni; ed inoltre conclusero che la loro concezione della guerra come comunit di destino in cui si sarebbero dovute riconoscere tutte le classi sociali erano solo un'illusione, frutto del loro idealismo ed innocenza iniziali. Questo non un effetto necessario di tutte le guerre, ma della particolare guerra del 1914-1918, caratterizzata dall'incapacit delle ideologie dominanti fossero di integrare il soldato semplice nell'ambito di un progetto comunitario e nazionali.

Molti volontari trasformarono la guerra in un movimento popolare, nell'espressione di un senso comunitario di sacrificio di s. L'atto del volontariato, per costoro, fece dell'entrata in guerra una scelta liberatoria. L'entrata volontaria in guerra fu un atto che apr una durissima contrapposizione tra volontario e soldato semplice: agli occhi di quest'ultimo, il volontario rappresentava un giocatore, un irresponsabile, una personalit dubbia. Le differenze di classe sociale stavano a significare i diversi modi di accesso all'esperienza di guerra (coscrizione o volontariato): ma questa diversit comportava anche differenze d'attitudine nei confronti della guerra. Per il soldato operaio, la guerra signific un nuovo insieme di mansioni contrassegnate da fatica, sporco, coercizione; per il soldato giocatore, invece, offriva la possibilit di realizzare virt ormai obsolete nella moderna civilt industriale. Ma in guerra, a differenza che in tempo di pace, gli operai potevano colpire direttamente il padrone, demolendole le aspettative. Zuckmayer sostiene regolarmente i soldati-operai prendevano ferocemente di mira quei giovani. Rappresentanti di una certa condizione, che beneficiavano di ricchezze, vantaggi, possibilit di consumo fuori dalla portata del soldato-operaio stesso; eppure, si crucciava Zuckmayer, questi privilegi erano precisamente cose che aveva voluto ripudiare all'atto di arruolarsi volontario. Zuckmayer percepiva di essere umiliato per il suo status sociale di provenienza, e canzonato proprio per aver ripudiato tale status; la sua scelta di arruolarsi, da lui intesa come atto di liberazione, veniva dai camerati intesa come una conferma della libert dalle necessit goduta dalla gente della sua classe. La differenza fondamentale tra lo spirito ludico del volontario e gli altri soldati stava nelle attitudini contrapposte riguardo la vita al fronte; per il volontario, la vita era qualcosa che acquistava valore attraverso il sacrificio; per il lavoratore, era qualcosa da preservare ad ogni costo. Il volontario era odiato e disprezzato non solo perch rappresentava una classe sociale pi alta, ma anche perch la sua etica del sacrificio e la sua abnegazione potevano scatenare reazioni che avrebbero messo in pericolo l'esile tregua su cui si bava la possibilit di sopravvivenza dei pi. L'essenza della disillusione del volontario fu l'accorgersi che la guerra era lavoro, e il cameratismo dei soldati poco aveva di diverso dalla comune soggezione quotidiana alle necessit del lavoro manuale. La guerra non era luogo di eroismo; il mutamento d'identit esperito in guerra sinonimo di imparare a diventare uno qualsiasi, una proletarizzazione militarizzata: cambiammo presto il mantello luminoso dell'eroismo con la sporca tuta dell'operaio. Nella prima guerra mondiale la disillusione port ad avvilimento sociale e spirituale. In questa guerra i soldati persero i loro ideali, il loro senso morale, i loro pi nobili e alti propositi: si videro costretti a rassegnarsi all'onnipotenza di quelle realt materiali che erano gi note alla classe operaia industriale. In guerra disillusione signific perdita di status sociale ed esistenziale, un processo di auto-ridefinizione attraverso realt che possedevano una valenza morale ed esistenziale notevolmente inferiore alle aspettative iniziali. La guerra fu quindi esperienza di vita formalmente senza classi in cui per le differenze e le tensioni di classe erano acutamente sentite da e tra gli individui; il termine cameratismo cambi di significato nel contesto della guerra di trincea. In agosto, si credeva che la dichiarazione di guerra avrebbe cancellato le basi materiali del sentimento di classe, verso la creazione di una Gemeinschaft. Questo sentimento comune si rivel completamente illusorio. Lo stesso entusiasmo e le stesse aspettative dei volontari li bollarono, agli occhi dei soldati-operai, come membri di una societ che godeva di una particolare libert dalle necessit. Tale bruciante disillusione del volontario medio-borghese pu essere vista come espiazione di un senso di colpa sociale da tempo accumulatosi. Junger, alla fine della guerra, la percepiva come una Materialkrieg in cui il soldato era vittima della liberazione sulla sua testa di milioni di ore di lavoro di operai industriali oggettivate in milioni di tonnellate di bombe; la guerra industrializzata puniva i figli per i peccati dei padri. La prima guerra mondiale non fu solo lavoro, ma lavoro alienato, una guerra che invalid l'osservazione di Marx secondo cui la societ capitalistica avrebbe comportato la distruzione di uomini al fine della produzione di merci: nelle trincee l'unico scopo della guerra era di distruggere uomini e merci. La presa di coscienza della guerra come lavoro port al sollevarsi con nuova intensit quelle questione che si erano credute risolte con la sua dichiarazione: il rapporto tra classi sociali sfruttatrici e sfruttate, il rapporto degli uomini con i mezzi di produzione, il rapporto tra padroni e operai della guerra. La realt tattica del caos

La guerra porto alla constatazione di quanto la potenza della tecnologia paralizzasse le possibilit di movimento umano: la tirannia della tecnologia regnava in modo ancora pi onnipotente in guerra che in tempo di pace, e la guerra di trincea altro non era che il prodotto diretto di un secolo di sviluppo tecnologico, che aveva portato, in particolare, all'incremento della portata e del volume di fuoco del fucile moderno. La contraddizione centrale della guerra di trincea sorse quindi da problemi inerenti la tecnologia di guerra: i mezzi per ottenere specifici obiettivi militari apparvero non funzionali: causavano pi problemi di quanti ne risolvessero. Generalmente, dopo il fuoco preparatorio di sbarramento dell'artiglieria, gli attacchi si spegnevano sul filo spinato, sotto il fuoco di una mitragliatrice e di pochi fucilieri. Ma anche quando un attacco iniziale aveva successo, non era seguito da un'offensiva generale: pi pesante era il bombardamento impiegato per creare una breccia nelle linee avversarie, pi difficile diveniva muovere le masse di fanteria e gli equipaggiamenti necessari: l'artiglieria rendeva infatti il terreno impercorribile ed accidentato, impedendo alle riserve di consolidare il risultato ottenuto nell'attacco; il nemico riusciva cos a trincerarsi su di una nuova linea difensiva. I soldati della Grande Guerra erano comunque dotati di una precisa e concreta concezione della guerra reale, quella che ha sintetizzato Clausewitz. Lo studioso definisce la realt di guerra come attrito, qualcosa ovvero che non pu essere raffigurato perch sta alla base di ogni raffigurazione della guerra. Tutti questi attriti che frustravano la realizzazione di un piano maltempo, incidenti, affaticamento, problemi nelle comunicazioni sono definibili come realt di guerra. La guerra si configura quindi come movimento in un mezzo resistente, che nella prima guerra mondiale fu il fuoco; l'esistenza di un soldato di linea attrazione gravitazionale nel regno del fuoco (Junger). Le condizioni della guerra di trincea affrettarono una trasformazione nell'ambito della tattica difensiva. All'inizio del periodo della guerra di trincea, si pens che difesa significasse tenere la prima linea di trincee; la seconda e la terza linea avrebbero funzionato come rifugio in cui i difensori battuti avrebbero potuto ritirarsi, e punto di concentramento per le riserve che avrebbero dovuto rimpiazzare le perdite subite. Questa rigida concentrazione sulla prima linea si rivel irrazionale e omicida. Questa fissazione sulla prima linea era incomprensibile in senso tattico; pu essere compresa per facendo riferimento alla tradizione militare. La linea era la pi chiara rappresentazione di un confine, riassumeva l'elemento agonale della guerra. Nel 1916 nacque la difesa elastica, che puntava su una maggiore flessibilit nella guerra di trincea. La prima linea doveva essere tenuta con minore ostinazione, e abbandonata nel caso il nemico fosse riuscito a raggiungerla; la posizione sarebbe poi stata riconquistata mediante contrattacco di forze fresche dalla seconda e terza linea. Junger paragon la difesa elastica a un nerbo d'acciaio che si sarebbe teso all'indietro sotto l'urto dell'attacco nemico, per poi schioccare in avanti spazzando via gli avversari; era per per Junger psicologicamente debilitante, perch lo scansare l'attacco nemico era profondamente contrario alla natura della guerra. Verso la fine della guerra si deline una concezione difensiva pi adeguata, quella della difesa in profondit, che rinunciava a ogni teorizzazione della linea; significava frammentazione della coerenza di qualsiasi struttura geometrica e dissoluzione della compagnia in piccole squadre indipendenti. L'immagine corretta invece quella di una rete, in cui il nemico sia in grado di penetrare qua e l e poi essere immediatamente avvolto dalla resistenza delle maglie su tutti i lati. Da tutte le descrizioni delle maggiori battaglie, emerge la stessa percezione: la battaglia moderna la frammentazione delle unit spaziali e temporali, un sistema senza centro n periferia, in cui tutti i soldati sono smarriti. Schauwecker deifica coloro che sopravvivono alle battaglie di materiali, vedendoli come uomini passati attraverso una sorta di selezione artificiale. L'eroe di questa guerra non incarnava una personalit dunque offensiva, ma difensiva. La personalit difensiva Ashworth sostiene che la guerra non sia necessariamente un'esperienza alienante. Se infatti validamente propagandata dallo stato, forte dell'appoggio della societ e diretta ad un nemico che rimane odioso ed estraneo, la violenza non porta ad autoestraneazione, e non esiste disgiunzione tra sfera emotiva e attivit pratica. L'ufficiale addestratore tratter il soldato nello stesso modo in

cui pretende che il soldato tratti il nemico in battaglia; in caso di successo, il procedimento indurr la recluta a una regressione psicologia durante cui il suo carattere verr ristrutturato in personalit offensiva, e sparare ed uccidere sar percepito come morale e legittimo. La guerra di trincea erose le concezioni universalmente diffuse del soldato come personalit offensiva, come aggressore, e produsse un tipo di personalit, quella della personalit difensiva. In una guerra in cui tutti i combattenti erano vittime indiscriminate della violenza dei materiali, in cui la tecnologia era l'autentico aggressore, l'identificazione con il nemico e la sua motivazione dominante, la sopravvivenza, erano logiche, necessarie (fraternizzazioni, taciti accordi tra nemici che stabilivano e mantenevano settori tranquilli). Le restrizioni al comportamento ostile imposte al fronte, che ritualizzavano la violenza, non nacquero da tradizioni militari di rispetto o da attitudini umanitarie, ma dalle stesse condizioni di quella guerra, in cui lo spirito offensivo, che avrebbe dovuto caratterizzare i rapporti tra i nemici, si configurava come chiaramente suicida. Non si parla dunque di etica pre-bellica, ma della semplice prossimit con il nemico, quei russi dalle barbe rosse di Kreisler (Austria-Russia). L'abbassarsi della soglia ostile nella guerra di trincea ebbe per effetto l'intensificazione dell'odio delle truppe di linea per lo stato maggiore, che continuava a pretendere comportamenti di molestia continua, denotanti spirito offensivo. L'estraneazione dalle norme offensive di combattimento, dal ruolo di soldato-guerriero, inoltre, implicava estraneazione dai valori e dalle convinzioni che dovrebbero sostenere una nazione in guerra: valori di coraggio, onore, sacrificio, eroismo apparivano ormai attinenti al mondo delle illusioni, distante, esterno al sistema di trincea. Nel penetrare il labirinto della guerra, il volontario s'accorse innanzitutto del carattere illusorio della concezione di se e dei propri camerati come attori di una causa nazionale; nella disillusione iniziale, smarr la concezione trascendente di se stesso e del proprio ruolo, e perse il contatto ideologico che lo legava alla patria. Ma nel contesto della guerra di trincea avvenne un'altra estraneazione ben pi radicale: il soldato di linea si sent sempre pi avulso da ogni fonte professionale, militare: fu privato di tutti i simboli di casta, fede e convinzione del militarismo di Vagts. Il soldato di linea acquis in guerra un carattere ben definito. Per difendersi dall'imposizione di s come di un latore d'offesa per conto di una volont nazionale, il soldato si vide costretto ad assumere interiormente l'abito di anonimo operaio, sminuendo fortemente il proprio status bellico.

4. Mito e guerra moderna Dopo la guerra, fu molto diffusa la credenza che la guerra fosse stata per milioni di uomini scuola nell'arte della violenza; ben pochi sospettarono per che le realt di questa guerra avessero frustrato l'aggressivit al punto da trasformarla in ostilit interiorizzata. Le condizioni di guerra generarono nel soldato una repressione dell'io aggressivo che spesso assunse forme fantastiche; ma dopo la fine del conflitto, ebbero modo di manifestarsi nella relativa sicurezza nella vita politica e sociale. Mito e realt Paul Fussel nota il paradosso tra la realt di questa guerra e il tipo di coscienza che gener. Si tratta della prima guerra moderna, industrializzata, tecnicizzata, eppure essa produsse miti, fantasie e leggende che sono riconducibili a mentalit pi arcaiche: la produzione immaginaria dei combattenti, i miti, le fantasie e i rituali originati dalla guerra di trincea sembrano in stridente contrasto con la modernit della guerra stessa. In generale, i miti di guerra vanno considerati come necessarie articolazioni delle realt fenomeniche da parte dei combattenti, e non semplici ricezioni false di tali realt. Nei miti pi significativi, infatti, si pu intravvedere un'interpretazione di quelle costrizioni che immobilizzarono le vite dei fanti nelle trincee, che suscitarono concezioni desuete della guerra e del combattente. I miti e le fantasie di guerra tentarono di far rivivere queste concezioni in un nuovo ordine di realt: cercarono insomma di colmare il gap tra le aspettative iniziali e la sconcertante realt di fatto. L'impatto della guerra sull'apparato sensorio dei combattenti il punto da cui necessario prendere le mosse per comprendere la necessit dell'immaginazione, delle fantasie, del mito. L'invisibilit rese l'udito dei combattenti pi utile della loro vista nell'individuare le fonti di pericolo, e l'immobilismo fece del movimento una potenzialit fantastica, magica, qualcosa cui dar forma in sogni, leggende e miti. Molti psicologi han sostenuto che la guerra effettu una regressione psichica nei combattenti, verso un luogo ove non operino realt coattive; miti e fantasie sarebbero dunque vie d'uscite dalle realt coattive moderne e militari. Si parlerebbe dunque di una primivitizzazione dei combattenti; questa ipotesi per ritenuta da Leed eccessivamente semplificante. Levi-Strauss vede il mito come una speculazione inconscia che intrattiene una relazione complessa con la cultura che lo genera, alleviando le contraddizioni attraverso una ristrutturazione degli elementi di conflitto della realt. Il mito isola focalizza e inquadra uno o pi degli aspetti del contesto sociale per mostrarne le virtualit latenti, come per riconoscerne, d'altro canto, l'impossibilit e l'irrealt di quello stesso aspetto se spinto agli estremi. Per quanto riguarda la guerra, le dimensioni aeree e sotterranee fornirono i particolari di uno schema che permise ai combattenti di selezionare la loro esperienza, evidenziarne certi aspetti e ricombinarli in sequenze in grado di effettuare la modificazione delle aspettative della guerralavoro. E' anche presente l'articolazione orizzontale del fronte in zone di pericolo: retrovie, trincee di riserva, prima linea, Terra di nessuno. Le retrovie fornivano numerosi spunti per lo sviluppo di temi bucolici, e le linee avanzate invece per l'evocazione del carattere demoniaco del mondo tecnologico. I miti di guerra sono sempre legati al tema della mobilit, la cui impossibilit per i soldati trova una soluzione appunto nel mito. Sia il mondo bucolico che il tecnologico forniscono strumenti idonei al passaggio mitologico, fissando diverse immagini della mobilit; il soldato che trascorre il proprio turno di riposo nelle retrovie si trova immerso in un universo non resistente, in cui la mobilit forzatamente oziosa ed mezzo per riflettere sulla propria esperienza. Ma la relazione tra pastorale e tecnologico non di antitesi pura e semplice: esiste un'immagine bucolica positiva e una negativa. L'eroe del bucolico non sempre un Titiro, ma a volte anche un bruto, un villico, istupidito dalla fatica del proprio lavoro.

La frammentazione della coscienza visiva e la fantasia del volo Le condizioni di guerra nell'ambito del sistema di trincea produssero un grande disorientamento nella maggior parte di coloro che vi presero parte. Questa crisi di orientamento produrr il bisogno di una visuale complessiva coerente, quella attribuita all'aviatore. L'invisibilit del nemico, la necessit di trovare riparo nella terra, il frastuono del fuoco di sbarramento concorsero a sconvolgere quelle strutture stabili che normalmente sono impiegate nella definizione della sequenzialit. Molti veterani che tornarono sui luoghi dove avevano combattuto furono colti da un'impressionante sensazione d'incongruit spaziale: le trincee apparivano pi piccole di quanto non fosse loro sembrato durante la guerra. I veterani, cos come coloro che rivisitano i luoghi della loro infanzia, furono impressionati dall'abisso tra come le cose apparivano ora e come se ne aveva fatto esperienza un tempo: in guerra i ristretti spazi di vita erano stati ampliati dalla fantasia. Nella sua analisi delle organizzazioni sensoriali che pare distinguano la cultura moderna da quella pre-moderna, Carothers sostiene che suono e magia siano compatibili, cos come vista e demistificazione. Nelle culture alfabetizzate, dunque, l'orecchio diverrebbe organo puramente secondario. In base a questa tesi, lo sconvolgimento della possibilit di sintesi visiva tipico dei fanti della guerra di trincea cre un clima di ansia e paura che introdusse molti soldati alla pratica magica, alla superstizione: i soldati cominciarono a vedere se stessi e il loro mondo come vittime di forze malefiche che avrebbero dovuto essere propiziate attraverso formule e rituali magiche. Le circostanze della guerra, il dominio acustico e l'impossibilit di una difesa attiva efficace, produssero un concetto del rapporto tra individui e forze che li sovrastavano molto pi vicino allo spirito magico che a quello tecnologico, in cui la scaramanzia era necessaria ai soldati per mantenere un minimo di controllo sulle forze che lo dominavano e funzionale nella misura in cui lo scongiuro riesce ad alleviare ansie che paralizzerebbero capacit d'azione. Qui chiaramente evidenziata la contraddizione di cui parla Fussell. L'affidamento alla scaramanzia pu essere visto quindi come risultato di un profondo senso di impotenza individuale di fronte alla violenza governata dalla tecnologia. Leed nota inoltre come in molta letteratura di guerra appaia che il frastuono dello sbarramento d'artiglieria sconvolgesse ogni modello razionale di causa ed effetto, di coerenza logica e sequenzialit temporale, permettendo il ricorso alla pratica scaramantica. Ulrich Neisser divide le forme di organizzazioni di pensiero in sequenziali (in cui ogni idea segue alla precedente, necessaria, in modo non contraddittorio) e parallele (prive di sequenzialit coerente, in cui molte attivit vengono svolte indipendentemente l'una dalle altre. Tornando alla dicotomia di Fussell, si pu affermare che la magia operi attraverso processi di pensiero paralleli, mentre la tecnologia su processi sequenziali (basti pensare al metodo scientifico). Per Leed, il deteriorarsi del campo visivo caratteristico della guerra di trincea port a una sorta di malfunzionamento dei processi di pensiero sequenziale. Anche nell'etnomusicologia appare come il fracasso del tamburo faccia precipitare nella dissociazione, nella trance, nel pensiero quindi parallelo. Questo, secondo Leed, pu dar conto di alcune connessioni tra il frastuono del bombardamento e l'alterazione del proprio stato di coscienza descritto dai combattenti. La limitazione visiva elimin la maggior parte di quei segni che permettono agli individui di elaborare la loro esperienza in termini di problemi risolubili in una sequenza razionale; il frastuono pazzesco che dominava il fronte port effetti di disorientamento assoluto, che favorirono il pensiero parallelo privando gli individui della loro facolt di pensare in modo razionale e sequenziale. Uno dei miti pi significativi della guerra fu la prospettiva aerea, quella comunemente attribuita all'aviatore. La necessit di questo mito risiede precisamente nella frammentazione delle percezioni e delle finalit del soldato di linea: il mito del volo viene visto come l'ultima sponda del comportamento cavalleresco, chiaramente un concetto compensatorio. L'aviatore era una figura reputata ancora in grado di destreggiarsi tra le aspettative annientate dalle condizioni della guerra di trincea: assumendo la prospettiva dall'alto, avrebbe potuto distanziarsi psichicamente dalle schiaccianti condizioni di guerra, dagli angoli e le giravolte del labirinto delle trincee. L'aviatore combatteva una guerra pre-industriale con armi della tecnologia pi moderna, ereditando i valori mobilit, onore, visibilit personale, capacit visiva complessiva, che caratterizzavano un tempo la cavalleria corazzata medievale, e che erano stati smarriti dalla fanteria di trincea. Nelle circostanze di guerra, qualcosa che era servito come metafora letteraria, ovvero la

contrapposizione tra cielo e terra, assunse una valenza psichica. In Freud, il sogno di morte del sognatore viene interpretato come rappresentazione di una dissociazione della coscienza; il sognatore osserva sempre la propria morte come uno spettatore, sopravvivendo come osservatore. La stessa facolt di immaginare una prospettiva esterna alla propria morte agisce come garanzia di sopravvivenza, assicurando che la propria morte altro non che un sogno. Le realt di guerra imposero ai combattenti di assumere un rapporto introspettivo nei confronti di se stessi; questa facolt gener un tipo di prospettiva che Junger definisce stereoscopica, che permetteva all'individuo, come persecutore, di osservare se stesso come vittima. Il cielo, cos, viene caricato di un intenso significato: deve essere la residenza di un osservatore che assiste alla propria lotta nell'incubo della guerra, perch solo in queste condizioni l'occhio pu sopravvivere allo smembramento del corpo; la creatura fantastica un'identit proiettata, una persona mitica chiamata La Guerra. Molti si convinsero dunque dell'esistenza di un occhio semi-divino che superasse la loro limitatissima prospettiva, che nn soffrisse nulla, una creatura con volont e scopi precisi in contrasto con la loro impotenza. Guerra sottoterra I fanti definirono se stessi come moderni cavernicoli. L'esperienza che era stata inizialmente acclamata come liberazione dalle convinzioni sociali e come inizio di una vita pi semplice, pi naturale e pi sana era divenuta, con la guerra di trincea, un'esistenza in una dimensione inedita di follia, una vita sotterranea in cui l'immobilit non aveva mai pace. Nei romanzi di Barbusse, un soldato scoprir un'ascia dell'et della pietra mentre lavora ad una trincea di collegamento, e la adotta come arma bianca supplementare; quindi chiaro come l'esperienza di trincea sia equiparabile al combattimento primitivo. Ma sotto la superficie era credenza comune che l'elemento terragno rafforzasse la statura umana e le virt militari, anzich svilirle. La guerra di gallerie e mine rappresent il condensato di quanto di pi oppressivo offrisse la guerra di trincea. Il silenzio, il buio, la mancanza d'orientamento e la pressoch insopportabile tensione psichica sofferti dai soldati del genio costituirono l'intensificazione dell'esperienza ordinaria di guerra di trincea. Lo scopo della guerra di mine consiste nel portarsi sotto al nemico, interrompere le gallerie che egli sta sviluppando contro l'avversario, e cercare di far saltare le sue stesse trincee. Proprio come l'aviatore poteva sorvolare il regno del fuoco, lo zappatore poteva scivolarci sotto: questo fece dello zappatore una figura di alternativa immaginaria per coloro che popolavano la superficie. La guerra sottoterra solleva un complesso di simboli convenzionali, antichi e moderni, che sono stati connessi ai concetti di cambiamento e trasformazione pi come ricombinazione di elementi che come loro trascendenza. La funzione della mina, sia come simbolo che come realt, di annullare ogni speranza di fuga, liberazione o trascendenza; il lavoro di miniera, come quello di fucina o di officina, luogo di operazioni meccaniche e tecniche che conferiscono uno statuto sociale ambiguo a chi le pratica. Eliade sottolinea come minatori, fabbri e fonditori siano sempre stati considerati praticanti professionisti delle trasformazioni della materia, attivit viste come ambigue, potenzialmente pericoloso; i minatori vedono se stessi non come violatori della terra materna, ma come assistenti delle trasformazioni materiali oggettive; i canti, le formule e i rituali dei fabbri identificano la fornace come grembo artificiale che affretta con il suo fuoco la gestazione dei metalli puri; gli alchimisti vedono nelle proprie operazioni il perfezionamento sia della materia che di loro stessi. Eliade nota che i simboli che accompagnano il lavoro di minatori e fonditori sono uguali a quelli che accompagnano i riti di passaggio in generale simboli di morte, sessualit, rinascita. Molto spesso fabbri, minatori e alchimisti sono accostati agli stregoni, proprio perch venivano identificati con le stesse trasformazioni che praticavano; erano considerati una razza a parte. Lewis Mumford indica la maniera e l'attivit del minatore molto prossime al contesto della guerra; e la miniera il simbolo perfetto dell'et paleotecnica dell'industrializzazione, ovvero di un periodo di sviluppo dell'industria pesante, caratterizzato dallo sfruttamento di quantit, massa e potenza al di l di ogni proporzione funzionale. Il parallelo tra l'et paleotecnica e la guerra di trincea trova massima realizzazione nel caso di guerra di mine sottoterra. Le descrizioni di questo tipo rievocano tutti i temi di proiezione, mancanza di spazio e perdita d'orientamento richiamati da Mumford nella sua descrizione delle miniere: si parla dunque di immagini di terrore, paure arcaiche, timore di star violando un essere

vivente, madre o mostro che sia, stimolata dalla totale preclusione visiva e dal comprendere di trovarsi immersi nella immensit della materia inerte. Caratteristica essenziale dell'ambiente della miniera la distinzione tra il dentro e il fuori, la chiusura totale. Questo fa s che le domande rimbalzino tutte su chi si pone, e che l'ambiente della miniera diventi lo scenario perfetto delle trasformazioni interiori, della ristrutturazione della psiche e del guerriero trasformato e perfezionato. In Junger, proprio nel sottosuolo che si forma un uomo nuovo, colui che sarebbe diventato il tipo rivoluzionario nella politica post-bellica, un personaggio che gi in s stesso continuazione della guerra con altri mezzi. Questo uomo nuovo non ha scopo alcuno, n immediato n futuro. Ci che lo distingue la durezza, l'invulnerabilit ai territori della sua immaginazione temprata nel sottosuolo. Proprio come l'uomo nuovo venne generato dalla pressione della guerra sotto la superficie del fronte, cos l'lite rivoluzionaria degli anni venti trovava collocazione sotto la superficie della vita politica, ed era in grado di lavorare sia a livello militare, sia, in un secondo tempo, a livello politico.

5. Un'uscita dal labirinto: guerra e nevrosi Oltre alla quantit, alla variet e all'insistenza dei sintomi nevrotici, le autorit mediche trovarono ben poco di nuovo o inedito nelle nevrosi di guerra. La guerra, se non altro, aveva offerto abbondante conferma della teoria psicoanalitica della nevrosi: la nevrosi di guerra, al pari della nevrosi in tempo di pace, era la fuga, attraverso la malattia, da una realt percepita come intollerabile e distruttiva. Ma se la nevrosi di guerra ha poche sorprese da offrire agli psichiatri, per tutta una serie di motivi non pu che destare la pi viva attenzione degli storici sociali e culturali. La nevrosi fu un effetto psichico non tanto della guerra in particolare, quanto della guerra industrializzata: il dominio assoluto dell'artiglieria, della mitragliatrice, del filo spinato aveva reso immobile la guerra, e l'immobilit imponeva un atteggiamento passivo del soldato di fronte alle forze del massacro tecnicizzato. La causa della nevrosi stava dunque nel dominio dei materiali sulle possibilit di movimento del soldato; concretamente, le nevrosi di guerra furono un prodotto diretto del rapporto sempre pi alienato del combattente rispetto ai mezzi di distruzione; combattente che era costretto a erigere difese sempre pi spesse e complesse contro la sua stessa paura. Eppure, l'incremento dell'incidenza delle nevrosi non deve essere visto semplicemente come una risposta ai mutamenti nella struttura della guerra, ma anche come risposta a trasformazioni nella sovrastruttura, come risposta a nuove tecniche di disciplina, controllo, dominio. Essa non fu per funzionale solo alla fuga del combattente dalla guerra attraverso la malattia, ma anche agli sforzi delle autorit, il cui interesse era di mantenere i soldati in prima linea. La politica della nevrosi La maggior parte degli ufficiali all'interno e all'esterno del corpo medico consider la nevrosi come condizione propria del soldato in combattimento, e il riconoscimento di essa come una soluzione politica. Molti insistettero che il concedere alla nevrosi lo statuto e i privilegi di malattia avrebbe aperto una breccia nelle maglie della disciplina; pretendevano che la nevrosi non fosse da considerarsi una malattia, quanto una ridefinizione del comportamento indisciplinato o codardo tradizionale. Fu immediatamente chiaro che la nevrosi di guerra era un disturbo funzionale per i soldati: li toglieva dal fronte e proprio questo era lo scopo conscio o inconscio del sintomo; la base psicologia delle nevrosi di guerra (e di pace) di fuggire da una situazione reale intollerabile a una situazione resa tollerabile dalla nevrosi. Ma continuando la guerra, fu sempre pi chiaro che le nevrosi erano funzionali alle autorit militari tanto quanto ai soldati. La prima guerra mondiale fu una guerra in grado di offrire pochi sbocchi reali all'aggressivit e all'ostilit delle truppe combattenti. Questo fece s che tale fondo di ostilit fu diretto verso obiettivi impropri, come autorit, stato maggiore, politici in patria. Tale aggressivit repressa trov espressione nel sintomo nevrotico, ed in particolare nel mutismo; secondo Simmel, mutismo e disturbi del linguaggio furono tra i pi comuni disturbi in guerra perch il soldato, piuttosto che offendere o uccidere i suoi ufficiali, mutilava il proprio linguaggio o perdeva la facolt di parola. Dunque, tramite il sintomo il soldato incapace di tollerare ulteriormente i disagi della guerra si spostava dalla sfera dell'obbedienza militare alla sfera dell'obbedienza medico-terapeutica. Simmel sostiene che la nevrosi dovette essere riconosciuta per motivi profondamente politici, nel suo carattere di fuga dalla guerra: era meglio conservare il potere di gestire sintomi individuali piuttosto che trovarsi di fronte a casi di ammutinamento. La nevrosi fu funzionale alle autorit perch rappresentava una categoria di comportamento fondamentalmente ambigua in termini etici e legali. In questa categoria, i desideri inconsci dei soldati e gli imperativi del potere potevano essere negoziati con minor rispetto per la statura morale dei soldati, e, soprattutto, senza rimettere in discussione la legittimit della guerra; lo stesso respiro e le ambiguit della categoria (che poteva comprendere tanto disturbi psicosomatici quanto indisciplina e ribellione) ne fecero un mezzo efficace per la definizione di problemi morali e

disciplinare, per l'isolamento e il trattamento del deviante in sede medica e non giudiziaria. I dottori dovevano dunque non semplici medici, ma portavoce ed esecutori dell'autorit e della concezione militaristica ufficialmente propagandata. Vi era tuttavia un alto grado di disaccordo su come il soldato che avesse scelto la fuga nella nevrosi andasse riacculturato in un ruolo che il buon senso e l'esperienza di guerra gli avevano imposto di respingere. La terapia disciplinare e l'inquadramento morale della nevrosi I medici che privilegiarono le terapie disciplinari agivano istituendo scenari terapeutici molto simili a situazioni giudiziarie, processuali; erano infatti molto attenti nel mantenere la distinzione tra le nevrosi che avessero una causa fisica e quelle che avevano un fondamento puramente psichico. Solo le turbe commozionali erano trattate coi diritti e le prerogative della malattia: le turbe emotive avrebbero dovuto essere invece affrontate col sistema disciplinare. Il compito del terapeuta consisteva nel rendere angoscianti le conseguenze del sintomo e nel persuadere il paziente a recedere dal sintomo stesso e riacquisire il proprio ruolo maschile, ufficiale, di soldato. Inoltre, coloro che privilegiavano l'inquadramento morale della nevrosi di guerra erano inclini a leggere il sintomo alla stregua di degenerazione biologica o tara ereditaria. Il sintomo nevrotico, che la guerra si limitava a rendere manifesto, era quindi considerato come radicato in anomalie ereditarie. Questo aveva una doppia funzione: marcava il soldato nevrotico con un segno d'inferiorit morale, come un invalido morale, e permetteva di rimuovere il sintomo dal contesto della guerra, dal momento che questo contesto appariva solo come una prova radicale che faceva emergere delle anomalie gi latenti. In seguito, tuttavia, anche i moralisti furono costretti a riconoscere che le condizioni di combattimento nella guerra industrializzata non tenevano conto degli adattamento o disadattamenti precedenti. La differenza pi profonda tra l'impostazione analitica e quella morale pu essere colta in merito alla simulazione. Dal punto di vista dei moralisti, la nevrosi non era altro che un'evasione dal dovere manifestatasi con sintomi fisici: la sola differenza tra il volgare simulatore e il nevrotico stava nella capacit di quest'ultimo di conservare il proprio sintomo anche sotto il trattamento pi duro e doloroso in breve, una differenza nella forza di volont che il vero nevrotico investiva nel progetto di fuggire la guerra. La linea di demarcazione tra simulazione e nevrosi, ovvero il grado di simulazione connesso alla nevrosi, veniva di fatto determinato nel corso del trattamento disciplinare. Secard distinse due tipi di simulatore: simulateur de creation, che fingeva un sintomo per scappare alla morte, e simulateur de fixation, che assumeva e manteneva il sintomo nevrotico iniziale anche dopo che le condizioni di pericolo erano superate. Le tecniche utilizzate dai moralisti si basavano su principi derivati dall'addestramento degli animali: dolore con apparati elettrici, comandi urlati, isolamento, restrizioni alimentari con la promessa di un alleviamento della pena in cambio dell'abbandono del sintomo. L'obiettivo della terapia non era dunque tanto il sintomo in s, quanto la volont che il paziente aveva investito nel presunto ripudio del suo ruolo pubblico, e lo strumento elettrico era considerato il pi idoneo a verificare il grado di fissit del sintomo e a determinare in che misura il paziente fosse irrimediabilmente arroccato nella difesa della propria sopravvivenza: il conflitto di base, in questa terapia, era concepito come conflitto morale tra l'io privato e l'io pubblico, conflitto su cui il terapeuta agiva come responsabile della totale e incondizionata affermazione delle richieste del dovere. Il trattamento analitico La critica rivolta dagli analisti al trattamento disciplinare era centrata non tanto sull'efficacia quanto sulla disumanit dei procedimenti; la guarigione conseguita dai moralisti sortiva un effetto distruttore sul paziente stesso. Lo scopo centrale della terapia analitica, in guerra come in tempo di pace, consisteva nel rimuovere il sintomo dall'ambito morale. La nevrosi non era dunque intesa come risultato di una decisione conscia presa dal paziente; al contrario, il nevrotico era considerato come incapace di prendere decisioni, cio non pi in grado n di rinunciare al suo desiderio individualistico di sopravvivenza n agli ideali e agli imperativi morali che lo legavano al fronte. Simmel considera il soldato nevrotico colui che stava in mezzo tra l'eroe e il lavativo, ovvero l'uomo comune. Dove i terapeuti disciplinari individuavano una debolezza nell'attaccamento al dovere nel nevrotico, gli analisti tendevano invece a sottolineare la forza di tale attaccamento, e l'intensit del conflitto che

esso imponeva su chi desiderasse fuggire dalla guerra. Non a caso, fu notato che tra i feriti senza ferite predominassero i volontari, di forte attaccamento all'onore nazionale e sovente caratterizzati da aspettative idealistiche rispetto la guerra. Il sintomo era dunque visto non come espressione della volont del paziente ma come segno di conflitti che rimanevano inconsci. Nella terapia analitica, l'ipnosi prendeva il posto dell'apparato elettrico; era uno strumento di controllo comportamentale tanto autoritario e irresistibile quanto i sistemi di tortura moralisti. La finalit tipica dell'ipnosi stava nel permettere al paziente di regredire sotto ipnosi fino all'evento o all'insieme di eventi che avevano fatto precipitare il sintomo. L'evento sarebbe stato reinscenato alla presenza del terapeuta in tutta la potenza della scena originaria, e questa ripetizione avrebbe chiarito al paziente quelle motivazioni che gli erano divenute inaccessibili attraverso la rimozione dell'esperienza. Il sintomo era visto dunque come un frammento mimetico, imitazione di un'azione di grande importanza emotiva per l'attore. Ferenczi e altri obiettarono nei confronti di questo tipo di equazione semplificatrice tra sintomo ed evento: raramente il sintomo pu essere ricondotto ad una singola istanza traumatica, ma rappresentazione di un conflitto permanente inerente alle condizioni di vita, alle condizioni ambientali del nevrotico. Sia analisti che moralisti, dunque, tentarono, tramite la terapia, di riportare il soldato alla consapevolezza delle sue responsabilit come cittadino e come militare, pur con l'impiego di diversi metodi. L'unica differenza fondamentale tra i due modelli fu che gli analisti impiegarono un approccio alla devianza scevro da imperativi morali: cos il problema morale cessava di essere elemento centrale in fase terapeutica, per essere proiettato, in quanto tale, sul contesto di guerra in generale. Immobilismo, nevrosi, regressione In molti, tra terapeuti e soldati di linea, si convinsero che la guerra meccanizzata spingesse gli uomini oltre i normali limiti della loro resistenza; la nevrosi era dunque da considerarsi come logico e necessario risultato delle inaudite condizioni di combattimento. Le difese psichiche dei combattenti erano quindi demolite essenzialmente dai livelli inediti di violenza impersonale, tecnologica. Ma altrettanto demolitrice era la consapevolezza che la guerra non fosse un fenomeno naturale, ma una creazione umana, e che erano uomini quelli che stavano dietro ai meccanismi implacabili che immobilizzavano il soldato. Questa combinazione di casualit della morte, impersonalit e volont umana dietro la violenza tecnologizzata della guerra rappresentava il fattore demolitore delle difese psichiche dei combattenti. La variabile pi significativa nell'incidenza della nevrosi non era dunque il carattere del soldato, bens il carattere della guerra. Quando infatti con le offensive tedesche del 1918 la guerra torn ad essere guerra di movimento l'incidenza della nevrosi di guerra croll clamorosamente, ed stato riscontrato che i piloti annoveravano il tasso minore di crolli mentali. Venne dunque ritenuto universalmente che la nevrosi fosse sorella della guerra di trincea e dei peculiari stati emotivi generati dalla guerra di posizione; fu essenzialmente l'immobilismo della guerra ad essere assunto come realt di base sottesa al sintomo nevrotico. L'immobilismo fu causa non solo di patologie manifeste come la nevrosi, ma anche di una latente regressione psichica osservabile anche nei soldati normali. Rivers dimostra che l'antidoto pi razionale agli stati ansiosi sta in un qualsiasi tipo di attivit manipolatoria: attraverso questa attivit che l'uomo acquista il senso della propria autonomia in un mondo di mezzi meccanici; se la facolt dell'individui di intervenire nel mondo delle cose ostacolata, il senso d'autonomia dell'individuo stesso diminuisce radicalmente e si ha la condizione ottimale per l'incidenza della nevrosi sotto qualsiasi forma. E' un paradosso che proprio la guerra tecnologica creasse condizioni in cui gli uomini si trovarono di fatto privi delle difese pi razionali e manipolatorie contro la paura; e fu una perdita che comport necessariamente una regressione nella magia, nell'animismo, nella nevrosi. Secondo Simmel, la durezza e l'indifferenza dei soldati sembravano patologie acquisite in guerra, descritte come una limitazione e soppressione della coscienza, derivante dal fatto che la guerra costringe il ritiro della libido dal mondo oggettuale, l'interiorizzazione dell'io e l'incremento in libido narcisistica, nel senso di una regressione, che porter per a vedere l'ambiente di guerra come irreale e magico, e da affrontare dunque parimenti con magia e scaramanzia. La nevrosi di guerra nella societ post-bellica Durante la guerra i terapeuti giunsero alla conclusione che la nevrosi di guerra fosse una nevrosi

funzionale con uno scopo limitato, quello ovvero di allontanare i soldati da una realt intollerabile. Effettivamente, lo scoppio della rivoluzione vanific l'esigenza del complesso nevrotico come protesta da parte del soldato, proletario in divisa, lo rese non pi funzionale. Adesso non era pi infatti il soldato ad essere vulnerabile, ma l'apparato di comando che aveva precipitato il conflitto tra il desiderio di sopravvivenza del soldato e l'adempimento dei suoi obblighi morali. Ma nei successivi otto anni le autorit mediche si accorsero di essere state troppo frettolose nel dichiarare la fine delle nevrosi di guerra. Le turbe psiconevrotiche si dimostrarono pi tenaci del previsto. Fu infatti del tutto inaspettato che numerosi soldati mai ricoverati durante la guerra crollassero dopo la fine delle ostilit. La nevrosi di guerra che si manifestava in tempo di pace era qualcosa di pi che non una semplice trasposizione di scopi, che portava dalla ricerca di fuga dalla guerra alla ricerca di compensazione affettiva e sicurezza. L'impatto iniziale dei veterani nella patria fu spesso deludente, e questa disillusione poteva precipitare turbe nervose anche gravi. Il soldato aveva infatti in guerra spesso idealizzato la patria, che costituiva come un appiglio contro le dissonanze e le umiliazioni di guerra, tali da consentirgli di mantenere il senso di una possibile continuit. Queste idealizzazioni, a volte, crollarono sotto l'impatto della smobilitazione, della disoccupazione, della povert, dell'estraneit assoluta a quanto gli era famigliare; questo scaten quegli stati ansiosi tenuti sotto controllo durante la guerra stessa. Non se ne andava solo una visione piacevole, ma l'immagine stessa di un io sicuro e di un'identit solida; il crollo dell'idea di patria significava la rimozione di ci che era in realt stato il soldato in quella guerra. Ma la rottura definitiva con la realt non fu per la normale risposta di coloro che avevano visto scosso in guerra il senso della propria identit: molto pi comune fu la risposta di coloro che ripudiarono la loro esperienza di guerra, cercando di dimenticarla. Rivers si convinse che i pi penosi sintomi della nevrosi di guerra non fossero necessariamente risultato di pesanti traumi, quanto pi spesso il tentativo di cancellare dalla mente i ricordi di guerra; la rimozione dell'esperienza di guerra, infatti, procrastin il ricordo della guerra stessa, conservandone il peso, impegnando tutto il tempo i veterani a non udire i cannoni. I segni della rimozione dell'esperienza di guerra sono riscontrabili nella grande scarsit di memorie di guerra pubblicate negli anni Venti: Pfeiler consider questo tempo come un periodo di latenza in cui un'esperienza troppo distruttrice a livello di io individuale e collettivo viene dimenticata per poi riemergere sotto forma pi accettabile. Negli anni Trenta ci fu un nuovo fiorire di letteratura di guerra; Carrington spiega questo con il fatto che la Grande Depressione aveva colmato tra il civile e il reduce un divario che era rimasto insuperabile per tutti gli anni venti: adesso la popolazione nel complesso era vittima come dopo la guerra (e durante) lo era il soldato. 6. Il veterano tra fronte e patria La prima guerra mondiale va dunque vista come un'esperienza della condizione moderna, un'esperienza in cui uomini che gi sapevano cosa voleva dire vivere in epoca industriale appresero ci che significasse in termini militari; essa fu modernizzate perch alter in modo fondamentale le tradizionali fonti di identit, le tradizionali concezioni della guerra e degli uomini in guerra. Da un lato, la guerra merita il titolo di prima guerra veramente moderna perch in essa e tramite di essa la natura e la dimensione dell'industria moderna furono ribadite nei termini pi violenti e chiari; dall'altro canto, fu una guerra che mobilit una logica profondamente radicata nella cultura europea, una logica che asseriva l'alterit sociale ed esistenziale della guerra come alternativa benefica alla vita nella societ civile. Questo fu l'ingrediente principale che port alla comunit d'agosto 1914. Ma la disillusione che accompagn l'accorgersi da parte dei militari dell'intima analogia tra le societ industriali e le Materialkrieg che conducono contorse ed inaridii la logica su cui erano basati il significato morale della guerra e la figura del guerriero stesso. La prima guerra mondiale segn la negazione dell'esistenza di due realt distinte: in guerra si apprese che esiste solo il mondo industriale, e che esso plasmasse l'esistenza degli individui molto di pi in pace che in guerra. Questo scontro tra le tradizionali concezioni della guerra e le condizioni reali di guerra continu nel carattere e nel comportamento dei veterani. Il veterano una figura tradizionale; convenzionalmente un iniziato che porta in s la conoscenza, esperita personalmente, della fragilit dell'umanit e sua propria. La figura del veterano una sottocategoria del tipo liminare: deriva le sue caratteristiche dal fatto di avere

attraversato il confine tra due mondi sociali disgiuntivi, fra pace e guerra, ed essere riuscito a tornare. In questo viaggio ai margini della civilt il veterano ha assunto un nuovo carattere, dopo aver affrontato cose solamente immaginabili da quelli che rimasero a casa. I lineamenti che definiscono tradizionalmente il veterano sono gli stessi ascritti, nella memoria popolare di tutto il mondo, a tutti i professionisti nomadi: l'attore itinerante, il fabbro ambulante, il prestigiatore, il mercante, il mendicante. Sono tutte figure che vivono negli spazi di giunzione delle societ figure che praticano trasformazioni su se stesse, su ruoli metalli, valori, stati spirituali e fisici: la gente teme il potere generato in queste trasformazioni, e allo stesso tempo desidera attingevi per beneficiarne. Il tipo liminare ha sempre fornito il terreno su cui la gente comune proietta la propria ambivalenza nei confronti dell'ordine sociale in cui vive: la paura del disordine e la paura della fossilizzazione. Il veterano al pari delle altre figure liminari, incorpora le ansie, si carica delle colpe e attenua la noia generate dalla quotidianit della gente comune. In sostanza, la figura del veterano tradizionalmente derivata da tutto ci che si presume stia al di l dei limiti dell'esistenza civile. Coloro, socialisti o conservatori che fossero, che concepivano la societ moderna in termini di privatizzazione, alienazione e lotta di classe vedevano il veterano come un uomo comunitario, formatosi nell'agone della solidariet naturale che soggiace alle artificiali divisioni di classe e status, rappresentando cos la migliore speranza per una soluzione delle tensioni che caratterizzano la societ capitalistica. D'altra parte, coloro che concepivano la societ in termini di limitazioni etiche indispensabili, inibizioni, coercizioni sugli istinti primitivi, vedevano la guerra come arena di liberazione istintuale, e il veterano dunque come un primitivo, barbarizzato e regredito, incline alla violenza. Entrambe le immagini erano funzionali; i reduci potevano usare l'immagine dell'uomo comunitario per asserire la loro superiorit sui meccanismi della politica civile, vista come mezzo per raggiungere interessi individuali. Potevano anche assumere l'immagine di uomo violente, intollerante nei confronti di qualsiasi restrizione sociale. La pi comune versione del veterano come compagno stava nella convinzione che i reduci dal fronte costituissero un nuovo proletariato di socialisti istintivi, altamente disciplinato ed addestrato a combattersi. Il soldato proletarizzato, legato ai suo camerati e alienato nei confronti della societ borghese, era visto dunque talvolta come un socialista istintivo, non perch avesse familiarit con i classici del socialismo, ma per il suo profondo internazionalismo e per la sua fame di terra (Lussu). Braun sottoline la natura negativa, reazionaria di questo socialismo: l'esperienza di guerra non forn a chi vi prese parte una nuova visione della comunit, sulla base della quale tentare di trasformare positivamente assetti politici e sociale; non erano dotati di un'ideologia che fornisse loro un terreno comune. Junger stesso, quando esortava i soldati a prendere parte alla vita politica attiva, li vedeva come nient'altro che strumenti di un destino misterioso. Le caratteristiche socialiste tradizionali dell'esperienza di guerra (eguaglianza, cameratismo, proletarizzazione, uniformit) furono infatti prodotte dall'impotenza assoluta di fronte all'autorit e alla tecnologia, in uomini divenuti incapaci di collegare l'esperienza sociale della guerra a problemi sociali e politici del periodo post-bellico; non a caso, coloro che desideravano fare dell'esperienza di guerra la base per un attacco contro l'ordinamento liberale borghese, ricorsero alle definizioni pi contraddittorie, come nazional-socialismo. Il soldato di linea, molto pi spesso, si distinse come uomo di violenza piuttosto che come uomo comunitario. La sua violenza veniva considerata spesso come espressione della sua estraneazione alle norme sociali, e conseguenza dell'aver vissuto in ambiti in cui contavano solo gli istinti animali; veniva dunque vista come ripudio della politica borghese e dell'aria fritta della politica. L'economia del sacrificio e il suo collasso Il cittadino-soldato sempre stata una figura chiave in quella che potrebbe essere chiamata un'economia del sacrificio o della colpa sociale. Egli creditore di un debito di sangue nei confronti della societ che ha difeso, e pu legittimamente chiedere il saldo sia per il sacrificio di se stesso sia per quello dei suoi camerati caduti. Anche lo scambio dei ruoli richiesto al cittadino-soldato comunemente compreso nel linguaggio del sacrificio; nell'ambito delle ideologie che dominavano nel 1914, il civile scambiava il suo io privato e il proprio interesse personale per un'identit pubblica e comunitaria, e per questa temporanea perdita della propria identit il soldato poteva chiedere un compenso sotto forma di onori, prestigio, o ricompense monetarie. E' facile vedere come il linguaggio che impone l'onere del sacrificio di s a carico dei figli, in nome della salvezza

della patria, sia in sintonia con il normale esito della situazione edipica, in cui il bambino costretto ad accettare il fallimento delle proprie ambizioni sessuali allo scopo di mantenere la struttura della famiglia. Ma non tanto l'economia del sacrificio quanto la sua infrazione che genera rabbia, senso di ingiustizia. In agosto, la morte civile del soldato, la sua estraneazione dalla societ, furono suffragate dal senso che la societ e il mercato dei ruoli fossero rimpiazzati dai valori della comunit; ma l'atteggiamento del soldato verso la nazione e verso il proprio status pubblico mut significativamente dopo il labirinto delle trincee; qui la liberazione dalla societ borghese cominci ad essere vista come morte. Ma il fattore pi significativo che concorse alla rabbia e all'amarezza dei veterani fu l'accorgersi che in quattro anni di guerra la nazione del 1914 era tornata ad essere un mercato di ruoli e status, non pi una comunit, dove di conducevano affari come al solito; l'esperienza di guerra fin per essere comprensibile solo in termini di ingiustizia sociale. Ma era sovente l'incontro con il pescecane che recideva in modo definitivo il legame morale tra fronte e patria: il pescecane era il simbolo di coloro che incrementavano il mezzo di scambio (il sangue) per il loro personale profitto; non solo la guerra ingrassa chi sta a casa, non solo il combattente soffre di una verticale diminuzione di status, ma pu anche succedere che non esista pi alcuna collocazione in cui il soldato possa essere reinserito una volta terminata la guerra. Inequivocabilmente il pescecane rappresenta la conversione dell'economia del sacrificio ad un mercato in cui lo status sociale viene negoziato insieme alle cambiali. La massima delusione fu proprio il fatto che la societ capitalistica non aveva cessato di essere tale per virt della guerra, nonostante l'iniziale soverchiante senso comunitario che l'accompagn. Non c'era dunque da sorprendersi che dopo la fine della guerra i gruppi di veterani si organizzassero intorno a richieste di risarcimento, e che la violenza dei veterani fosse uno degli argomenti pi convincenti nei confronti della societ; non perch il premio richiesto fosse sentito come guadagnato, ma perch era una rivalsa nei confronti della societ, e quindi una prova dell'affetto della patria per coloro che erano usciti umiliati dalla guerra. Il carattere tradizionale del guerriero come uomo che abbia vissuto ai margini della societ, come essere extrasociale, mezzo uomo, mezza bestia, ha un preciso significato nelle societ tradizionali dove lo status fissato da legge, consuetudine e rituale; ma la marginalizzazione temporanea di milioni di uomini significa un'altra cosa in una societ dopo lo status non fisso, ma premio per il successo conseguito nella competizione per la ricchezza. Coloro che sono esterni al mercato dello status patiscono una perdita netta del proprio posto: diventa dunque impossibile per il soldato reintegrare se stesso in societ senza esperire quotidianamente il peso della perdita subita. L'interiorizzazione della guerra L'alterit della guerra si estinte nelle battaglie di materiali, e con essa tutto ci che fino ad allora aveva definito il significato del sacrificio di s del soldato;ora la guerra era diventata solo proletarizzazione, il cui unico portato positivo era il cameratismo. Eppure questo rivolgersi al fronte e ai propri camerati in sostituzione della patria perduta doveva avere conseguenze psicologiche disastrose; L'unit era un'entit instabile, e continuamente decimata dal fuoco, fino ad assumere le sembianze di un lutto senza fine. In guerra sono ovvi i rischi psichici connessi all'identificazione con gli uomini della propria unit, eppure era questa una reazione pressoch necessaria data la cesura effettiva rispetto all'ambiente in patria. Questa identificazione permetteva di leggere la morte di ogni camerata come perdita di una parte di se stessi. La morte di un amico non poteva pi esser giustificata con la consolazione che questa perdita preservasse la vita della societ intera: ogni scomparsa poteva essere compensava ormai solo dall'intensificazione dei legami con chi rimaneva. Alla fine di questo processo la propria stessa morte poteva essere bene accolta come soluzione di un intollerabile stato di perdita luttuosa e continua. L'interiorizzazione della guerra comincia con la perdita dell'astrazione che ha preso il posto dell'oggetto d'amore. Il sostituto di questa astrazione, la patria, divenne il fronte, i propri camerati. Ma questa reazione narcisistica che consistette nell'assumere a livello dell'io la ristretta cerchia dei propri camerati caus immancabilmente una fissazione sul morto e sul vivente, un insieme di identificazioni che perdurarono in tempo di pace. Il cordoglio dei soldati per i morti fu ribadito e rafforzato in parate, commemorazioni e associazioni. La funzione non meno importante di questi gruppi era quella di movimento di rivendicazione nei confronti della patria, in cui le vittime di guerra divenivano simbolo del culto della sofferenza e del sacrificio di s. Questo cordoglio organizzato, al pari della rimozione dell'esperienza di guerra, rappresent il modo

pi comune in cui la guerra continu a definire l'identit dei combattenti. Molto pi pericolosa fu la reazione di coloro che aderirono a leghe combattentistiche; era possibile per il veterano prendere atto dell'offesa psichica e morale ricevuta, accettarla come segno distintivo, affermare la propria precariet sociale come stato permanente, e organizzare questa ambiguit di status in un gioco di estorsione politica e morale.

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