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Estetica dello spettacolo e dei media a cura di Maddalena Mazzocut-Mis e di Elena Tavani LED edizioni, Milano Presentazione PARTE

I Spettacolo e esperienza mediale (E. Tavani) Etica e politica dello spettacolo (E. Tavani) Spettacolo e spettatore (M. Mazzocut-Mis) Estetica attoriale (M. Mazzocut-Mis) BIBLIOGRAFIA PARTE I PARTE II Pagina e scena Note sul teatro del Novecento (L. Mango) Estetica della televisione (M. Senaldi) Estetica della musica nello spettacolo (C. Serra) Estetica della rete (R. Diodato - E. Locatelli) Le foglie, la piuma e altre immagini Note di estetica (e di etica) del cinema nellet del digitale (L. Venzi) Estetica e fotografia (A. Scarlato) BIBLIOGRAFIA PARTE II

Presentazione 1

La scelta di pensare lestetica con riferimento diretto allo spettacolo, ai media e ai nuovi media nasce dalla convinzione che sotto questi titoli confluisca gran parte della nostra attuale esperienza di spettatori e di attori chiamati a rispondere e ad agire allinterno di contesti non pi solo espressivi n solo mass-mediatici, ma neocomunicativi e interattivi. La categoria dello spettacolo, attraverso una storia lunga e articolata, sembra oggi farsi carico in particolare dell estetica diffusa che caratterizza la vita sociale, economica, politica, mentre il passaggio dai mass-media ai nuovi media mette in primo piano la richiesta individuale di informazione e comunicazione, lasciando per molti versi sullo sfondo la dimensione massificata e unilaterale dei media generalisti. Di qui la proposta avanzata dal volume di un impianto tematico che, alla luce di problemi di carattere filosofico e dei contributi forniti dalle scienze della comunicazione, si interroga su quello che si configura di volta in volta come un vero e proprio riposizionamento sul piano dellesperienza estetica e mediale, nellincontro sempre rinnovato con opere o prodotti di vario genere (cinema, teatro, videoarte, musica, la rete ecc.). Il volume si presenta diviso in due sezioni. La prima parte riflette sul concetto di spettacolo a partire dallistituzione del rapporto spettacolo-spettatore e dalle diverse estetiche attoriali che si sono succedute o sovrapposte nellambito di tematiche sorte con la nascita dellestetica moderna, privilegiando le questioni legate alla fruizione e alle modalit di esperienza man mano sollecitate o senzaltro determinate e rifunzionalizzate dallentrata in campo di diverse forme espressive e mediali. Un secondo polo di riflessione presente nella prima sezione del volume dunque proprio lesperienza mediale intesa come occasione di istituzione di rapporti di vario genere, oltre che come capacit di utilizzare o attraversare un medium. Esperienza attoriale e spettatoriale, potenza dellimmagine e simbolicit, capacit performative allinterno di un medium vengono cos considerati nei loro effetti produttivi e comunicativi e nelle valenze etiche e politiche. Particolare attenzione dedicata al binomio di finzione-realt e di virtuale-reale, luoghi elettivi di messa in scena, cattura del reale, fruizione e interazione, come anche al momento espressivo, interattivo ed emozionale della produzione di forma da parte dellattore, dello spettatore e infine dellutente dei nuovi media. La seconda parte lascia invece spazio a specifici modi e singoli aspetti dello spettacolo e della scena mediale, inseriti in contesti ben definiti: dal cinema alla televisione, dal teatro alla fotografia, dalla musica alla videoarte e alla rete. La prospettiva storica sempre presente, in primo piano o sullo sfondo delle varie disamine proposte, quale indispensabile supporto e sostegno a una lettura dei fenomeni analizzati che opta comunque per unimpostazione interpretativa e non solo narrativa dellanalisi. Nellinsieme dunque non una semplice sequenza di capitoli concentrati unicamente nella disamina del proprio oggetto, considerato alla luce dei rapporti che intrattiene con una tradizione specifica, ma in ciascuno una rinnovata opportunit di indagine e di verifica allinterno di uno stesso intreccio di problematiche comunicative e estetiche. Il volume cerca di mettere a frutto i vantaggi del manuale offrire una panoramica ampia e tendenzialmente completa di un certo ambito tematico, e al tempo steso la possibilit di una consultazione anche parziale e rapsodica, interrotta e ripresa a richiesta , senza per rinunciare a proporre un itinerario che sia, anche grazie alle diverse voci degli autori presenti, un vario percorso di attraversamento dellesperienza contemporanea, vista nella componente mediale e spettacolare, 2

nellavanzata di nuove tecnologie, nelle mutazioni percettive e comunicative, nelle nuove forme di produzione creativa. Maddalena Mazzocut-Mis Elena Tavani

PARTE II 3

Lorenzo Mango 4

Pagina e scena Note sul teatro del Novecento Una nuova scrittura Nellestate del 1905 viene pubblicato un libro che segna una svolta decisiva nella storia del tetro moderno, LArte del Teatro di Edward Gordon Craig. Con la pubblicazione di quel breve trattato in forma di dialogo tra un regista e uno spettatore, Craig non solo tirava le fila di quanto aveva sperimentato negli anni immediatamente precedenti, ma trasformava quellesperienza in un discorso teorico organizzato e coerente. Lobiettivo che si era dato era di rimettere il teatro sulle sue gambe, di dotarlo, dal punto di vista teorico, di uno statuto fondante autonomo e specifico che ne facesse cosa distinta dalle altre arti, e in primo luogo dalla letteratura con cui veniva perlopi confuso. Lidea di base de LArte del teatro, infatti, quella di definire le coordinate linguistiche che pi squisitamente appartengono al teatro e meglio ne definiscono lidentit artistica. Lincipit di quel dialogo memorabile: Larte del teatro non si identifica con la recitazione o con il testo, e neppure con la scenografia o la danza, ma sintesi di tutti gli elementi che compongono questinsieme: di azione, che lo spirito della recitazione; di parole, che formano il corpo del testo; di linea e di colore, che sono il cuore della scenografia; di ritmo, che lessenza della danza1. Le parole di Craig forniscono la definizione pi chiara ed esplicita di un modo di pensare il teatro che vuole sfuggire da un lato al secolare primato della parola (sul piano della identit artistica) da un altro a quello dellattore (sul piano della resa spettacolare). Lipotesi che ne emerge di una creazione organica, che corrisponde alla natura composita dellevento rappresentativo trasformandola in statuto estetico, il che, fino a quella data non era. Se lo spettacolo, infatti, non poteva non essere qualcosa di composito, esso non veniva identificato con larte del teatro, che era fatta coincidere, invece, con il momento letterario, inteso tout court come lopera. Craig sostiene, invece, che il teatro ha una sua autonoma specificit linguistica che consiste nel partire dalla sua natura promiscua per giungere a una creazione organica e unitaria, frutto dellincontro tra gli elementi linguistici che discendono da ciascuna delle diverse arti coinvolte nel prodotto teatrale. Cos facendo apre un orizzonte di straordinaria ampiezza per la ricerca a venire tanto che il suo libro pu essere considerato, a ragione credo, una delle pi importanti porte di accesso al teatro del Novecento. Non certo solo Craig in questo sforzo di innovazione, ma limpatto delle sue teorie fu fortissimo, tanto che craighiano fin con essere laggettivo che spiegava un certo modo di intendere la pratica teatrale e quella registica in particolare. Con lui, infatti, la regia che, come arte
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Craig 1905, p. 83.

moderna, poteva considerarsi appena nata, divent lasse portante della scrittura teatrale, acquistando una qualit autoriale che fino a quel momento o non aveva avuto o, quanto meno, non aveva rivendicato teoricamente. LArte del Teatro , quindi, anzitutto un saggio di teoria della regia, ma non si limita a questo. In quellimmagine di un linguaggio caratterizzato dalla sintesi di elementi diversi (azione, parole, linea, colore, ritmo) gestiti artisticamente da una sola mano il regista che si fatto artista si prefigura un nuovo campo dellestetica in cui collocare lopera darte teatrale: quello della visione. Craig non pensa al teatro come arte visiva in senso banale, non cio come predominanza degli effetti scenografici, ma in quanto nello sguardo e attraverso di esso che si veicola la comunicazione teatrale, che affidata allatto che viene compiuto fisicamente in scena e che, come tale, visto dallo spettatore. La collocazione del teatro tra le arti della visione , oggi, un postulato tanto acquisito da esser diventato anche banale, ma quando Craig la sostiene affermando oltretutto che per esser tale larte del teatro dovr fare a meno del testo letterario convenzionalmente inteso uno shock. Non si limitava, infatti, Craig a sostenere una nuova poetica basata sulla stilizzazione simbolica e antirealista e sul primato della regia ma minava alle fondamenta la concezione occidentale stessa di teatro, proponendone una antagonista e diversa che non voleva essere nuova, quanto risalire a quella che era considerata la matrice originaria e autentica del linguaggio teatrale. Craig, di fatto, proponeva una straordinaria rivoluzione antiaristotelica. I suoi avversari pi prossimi erano sicuramente il realismo, la drammaturgia letteraria, gli attori mattatori dellOttocento, ma il suo obiettivo pi significativo era proprio lui: Aristotele. Non sembri una stravaganza essere antiaristotelici allinizio del XX secolo; nonostante i secoli trascorsi e nonostante i tanti antiartistotelismi di cui la storia del teatro costellata, quello fornito dalla Poetica era ancora il modello di riferimento. Non certo per quel che riguarda le cosiddette unit, n in fondo neanche per quello che era il vero fuoco tematico di quel libro, la catarsi, ma per qualcosa che sta un po pi a monte e pu risultare anche meno evidente. Quando nel capitolo sesto Aristotele elenca i diversi elementi che caratterizzano la tragedia (il racconto, i caratteri, il linguaggio, il pensiero, lo spettacolo e il canto), esaminati i primi quattro, liquida gli altri due in questo modo: Tra gli elementi che rimangono, la musica il maggiore degli abbellimenti, mentre lo spettacolo seduce s lanima, ma il pi alieno dallarte e il meno proprio della poetica; infatti la potenza della tragedia si esplica anche senza rappresentazione e senza attori e, inoltre, per la realizzazione delle cose da vedersi pi efficace larte dellarredatore che quella dei poeti2. Aristotele di una chiarezza straordinaria; distingue, infatti, il discorso teatrale in due parti: una artistica e una decorativa. A quella artistica pertengono tutte quelle cose che sono, in una
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Aristotele 2008, p. 49.

misura o nellaltra, legate al momento narrativo e letterario; il resto, cio lo spettacolo con tutti i suoi apparati, decorativo e secondario. Serve solo ad accompagnare la ricezione della tragedia. unaggiunta, piacevole ma non indispensabile e, soprattutto, non necessaria a definire i confini artistici del teatro che, invece, Aristotele marca con lucida precisione, creando i presupposti della nozione occidentale di teatro che di quella distinzione si pasciuta e che ha seguito (salvo qualche deviazione non a caso guardata lungamente con diffidenza come la Commedia dellArte) in una maniera coerente fino alle soglie del Novecento, quando per la prima volta messa in discussione dal punto di vista teorico. Dire, allora, che lidea moderna di teatro unidea antiaristotelica meno paradossale di quanto possa in un primo tempo apparire. uno modo, invece, per cominciare ad affrontare i tratti pi tipici e propri del teatro novecentesco e, soprattutto, dei suoi postulati teorici. Craig, dunque, teorizza un linguaggio teatrale basato sulla sintesi di elementi linguistici che, pur provenendo da arti diverse, con esse non si identificano. Ci saranno, tanto per fare un esempio, linea e colore, ma non la pittura scenografica in quanto tale. Il linguaggio teatrale, dunque, appare come un conglomerato di materie diverse che lartista manipola libero da condizionamenti (primo fra tutti la riproduzione della realt). Ci che Craig sta mettendo in luce una nuova scrittura del teatro basata su una nuova grammatica. Ma di questo tra breve. Chiediamoci, prima, se fosse solo in questo sforzo teorico. A voler creare un sintetico schema di riferimento, potremmo dire che alle sue spalle c Wagner, mentre accanto, come compagni di strada, almeno Adolphe Appia e Antonin Artaud. Gi a met dellOttocento in una serie di scritti teorici fondamentali (Larte e la rivoluzione, 1849; Lopera darte dellavvenire, 1850; Opera e dramma, 1851) Wagner aveva posto il problema della rifondazione dei codici portanti del linguaggio teatrale. Pur guardando al problema dalla prospettiva di un musicista, Wagner si pone, infatti, una questione di vera e propria estetica del teatro. Anche per lui sulla scia dellinsegnamento romantico il problema risalire alle fonti originarie del teatro greco, per ritessere con esse un discorso che il trascorrere dei secoli aveva interrotto. Le qualit originarie di quel momento aurorale della nostra storia da recuperare sono due: lo spirito comunitario e di popolo dello spettacolo teatrale e lunione che, in esso, avveniva tra tutte le distinte arti. Per Wagner, anzi, esisteva presso i greci ununica arte, organica e unitaria, il teatro, nata dalla sintesi di tutte le altre: musica, poesia, danza. Tale unione dava vita alla forma pi alta di arte la Gesamtkunstwerk, lopera darte totale che, di fatto, coincide con il teatro. Cera, dunque, nellAtene del V secolo una doppia fusione, di linguaggi e di popolo, che dava vita allarte per eccellenza. Poi, dice Wagner, gli egoismi individuali ebbero la meglio, le arti presero ognuna una via diversa infrangendo lunit originaria e determinando la decadenza in cui progressivamente precipitata la storia. Compito dellartista moderno dare nuova vita a quellopera originaria, tornare 7

a produrre unopera darte totale, una Gesamtkunstwerk. Questo pu avvenire a una condizione: che lautore di tutti i diversi livelli linguistici sia uno e la creazione, di conseguenza, unica e organica. Wagner propone una sintesi che cosa ben diversa dalla semplice somma di arti diverse. Lautore, infatti, scriver la sua opera affidando a ogni mezzo linguistico una funzione espressiva peculiare: la musica la voce universale del sentimento profondo; la poesia il luogo in cui agisce il logos e con esso larticolazione narrativa e individuale; la danza, infine, corrisponde, dopo spirito e mente, al terzo livello cognitivo dellessere umano, la sfera del sensibile. Cos facendo lartista poteva dar vita a un tutto unitario e armonico, a un vero organismo. Continuava, per, Wagner a parlare di arti che si incontrano, ciascuna in s definita e ciascuna, in fondo, in qualche modo autonoma e scindibile dalle altre. Craig va oltre, pensando alla necessit che le singole arti debbano dissolversi, per donare allarte del teatro lessenza del proprio essere, che non corrisponde pi alla loro forma canonica (parole non poesia, ritmo non danza, ecc.). innegabile, per, che Wagner si stagli alle spalle di Craig e che la sua idea di Gesamtkunstwerk rappresenti una matrice determinante del suo modo di pensare il teatro. Daltronde linfluenza wagneriana fu fortissima: poeti, pittori, uomini di teatro, per non parlare dei musicisti, ne trassero ispirazione e motivo di riflessione. Wagner rappresenta, da questo punto di vista, uno straordinario ponte tra la cultura romantica e quella simbolista giungendo a influenzare anche le avanguardie novecentesche. Non esagerato dire, mutuando una celebre affermazione, che il teatro moderno non pu non dirsi wagneriano. Anche se Wagner non fu accettato in toto, ed anzi molte delle sue affermazioni a cominciare dal coinvolgimento delle arti in quanto tali nel progetto teatrale furono contestate, la sua idea di un teatro che colga la sua matrice artistica non pi nel momento letterario e testuale (nella pagina e nel libro, per capirci) ma in quello spettacolare in cui convergono tutte le diverse arti rappresent non solo un termine di riferimento concettuale fondamentale ma un primo vero e proprio atto di insubordinazione antiartistotelica. Appia costruisce la sua idea di arte proprio a partire dal dettato wagneriano, che gli forn il primo grande punto di riferimento concettuale per la sua proposta di riforma scenica. Ma il Wagner dellopera darte totale, il Wagner teorico, non era, per lui, il Wagner delle messe in scena di Bayreuth, troppo impregnate di realismo romantico: La riforma wagneriana scrive riguarda la concezione stessa del dramma []. Ma egli aggiunge non ha saputo accordare la forma rappresentativa la messa in scena alla forma drammatica che adottava. [] nessuno conclude ha ancora visto sulla scena un dramma di Wagner.3 Pu sembrare unaffermazione paradossale e, invece, rivelatrice della posizione di Appia. Wagner ha intuito alcune cose fondamentali dellarte
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Appia 1921, p. 230.

del teatro: che essa deve nascere dallosmosi tra diversi piani espressivi; che lopera deve essere un prodotto organico; che la musica lanima e il motore della creazione. Limiti storici, per, gli hanno impedito di condurre fino in fondo la sua riflessione e di toccare cos realmente lorigine del teatro. come se Appia proponesse un Wagner oltre Wagner e cos affrontasse la condizione fondante e primaria del linguaggio teatrale. uno sforzo teorico espresso soprattutto ne La musica e la messa in scena del 18994. Lidea che smuove la riflessione appiana la necessit che il motivo ispiratore e direttivo che contenuto nella musica, portatrice attraverso la durata del principio regolatore stesso dellopera, trovi una sua immediata e diretta traduzione scenica. La scena, per Appia, non deve illustrare, n descrivere ma dare corpo sensibile, espressivo, alla notazione musicale. Si delinea cos, su di un piano concettuale, unopposizione radicale tra espressione, che appartiene alla musica, e significato, che riguarda, invece, la parola5. Compito dellarte non rappresentare ma esprimere, e in particolare esprimere quella tensione universale e sovra individuale che alligna nella musica. Di qui la diffidenza verso il dramma di parole che invece, staticamente, ancora il segno espressivo al significato discorsivo e verso la pittura, intesa come raffigurazione dellillusione rappresentativa. Il teatro trova, invece, il suo momento di sintesi ideale nellincontro tra la musica e la scena. Tale incontro si celebra nellattore, inteso come corpo in movimento, la cui azione nasce dallincarnare il sentimento musicale del tempo e tradurlo in azione nello spazio fisico. Appia giunger in seguito a ritenere fondamentale pi il principio ritmico e musicale del movimento corporeo che non la presenza effettiva della musica, risolvendo cos lazione drammatica nel confronto dialettico tra una forza attiva, il corpo in movimento, ed una passiva, la scena, che chiamata a opporre resistenza al corpo e deve, quindi, essere solida, tridimensionale e praticabile. E soprattutto, cosa che emerge chiaramente in una serie di disegni denominati spazi ritmici, astratta. La scena, per Appia, infatti deve essere una struttura elementare fatta di piani orizzontali e verticali che si incontrano, realizzando quella che sar la sua immagine tipo: la scala. Su essa e con essa agiranno sia lattore che laltro principio drammaticamente attivo, la luce che, libera dai vincoli naturalistici, diventa una vera e propria scrittura. Le tesi di Craig e Appia schiudono al teatro lorizzonte della sua modernit centrandosi su di unaffermazione comune: il teatro arte della scena, che diviene una vera e propria scrittura (scrittura scenica verr chiamata a partire dagli anni sessanta6). La messinscena un mezzo di espressione autonomo e non laccompagnamento, pi o meno illustrativo, di un testo drammatico
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Appia 1899. Si vedano, al proposito, Marotti, Prefazione a Appia 1975, p. 10 e Artioli 1972, p. 258. 6 La diffusione teorica del termine scrittura scenica si deve a Giuseppe Bartolucci che comincia a utilizzarlo negli anni sessanta come strumento critico per analizzare le pratiche teatrali pi innovative del momento. Alla scrittura scenica Bartolucci intitoler un libro, Bartolucci 1968 e la rivista che diresse dal 1971 al 1983. Sulla genesi e sulla configurazione storica e teorica del termine mi permetto di rimandare a Mango 2003.

scritto. Gi nei secoli passati cerano state aperture in questa direzione, basti pensare alle pagine sullilluminazione nel celebre trattato cinquecentesco di Serlio o ai pressoch contemporanei Dialoghi in materia di rappresentazione scenica di Leone de Sommi, ma si tratta di opere che investigano un lato della creazione teatrale, quella della realizzazione scenica, non pretendendo di proporre una riflessione complessiva sullestetica del teatro, come invece avviene nel Novecento7. Estetica della messinscena e teoria del teatro adesso coincidono. I risultati di questa apertura concettuale sono almeno due: lo spostamento della dimensione autoriale dalla pagina alla scena e la dilatazione dellambito di ci che definibile teatro. Artaud, il grande teorico e poeta surrealista, contiene nelle sue pagine visionarie uno straordinario esempio di tale duplice condizione. Se il Novecento non pu non dirsi wagneriano, di certo stato un secolo profondamente artaudiano, perch il suo insegnamento di scrittore marginale, fino alla follia e al manicomio, estraneo totalmente al sistema teatrale, autore di quasi nessuno spettacolo, ha avuto, e ha tuttora, una ricaduta fondamentale. La sua riflessione sul teatro parte, anche nel suo caso, dallaffermazione della centralit del momento spettacolare rispetto alla parola: Come possibile si chiede che a teatro, almeno quale lo conosciamo in Europa, o meglio in occidente, tutto ci che specificamente teatrale, ossia tutto ci che non discorso e parola, o se si preferisce tutto ci che non contenuto nel dialogo [] debba rimanere in secondo piano?8. Evidentemente, per lui, il teatro deve essere qualcosa di diverso da come lo conosciamo, una scrittura scenica geroglifica, come la definisce, fatta di segni visibili che costituiscano una poesia della scena, dello spazio e del corpo dellattore, come aveva visto fare dai danzatori balinesi che tanto lo avevano colpito alla Esposizione Universale di Parigi del 19319. Il teatro, dunque, deve essere un congegno formale criptico e misterioso, basato sullinterferenza (pi che sulla sintesi) di segni espressivi diversi10. Un passo avanti verso quella scrittura scenica dellevento rappresentativo che tanto caratterizza il teatro moderno. Un teatro cos congegnato sar un alambicco alchemico per risalire alle fonti primarie, rituali e inconsce della natura umana, un teatro della crudelt destinato a rimettere in questione non solo le forme dellarte ma anche, e soprattutto, la vita nei suoi assetti pi profondi: [] il teatro, che non si immobilizza nel linguaggio e nelle forme, non soltanto distrugge le false ombre, ma apre la via a unaltra nascita dombre, intorno alla quale si raccoglie lautentico spettacolo della vita11. Il teatro come evento che sostituisce il dramma di parole; il teatro come luogo di
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Serlio, 1545; de Sommi 1968, edizione critica del manoscritto conservato presso la Biblioteca Palatina di Parma, databile alla fine degli anni sessanta del Cinquecento. 8 Artaud 1938, p. 154. 9 Si legga, al proposito, il suo straordinario Sul teatro balinese, in ibidem, pp. 170-184. 10 Il teatro, che non consiste in nulla, ma che si serve di tutti i linguaggi gesti, suoni, parole, luce, grida nasce proprio nel momento in cui lo spirito per manifestarsi ha bisogno di un linguaggio (ibidem, p. 132). 11 Ibidem.

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fondazione di una nuova e/o ancestrale ritualit sono due tratti fondamentali che caratterizzano lintero corpo del Novecento teatrale, rappresentandone uno dei denotatori pi rappresentativi. La teoria di un teatro enviromentale, messa in gioco negli anni sessanta da Richard Schechner, quella del teatro povero di Jerzy Grotowski o il teatro necessario di Brook sono alcuni degli esempi pi limpidi e calzanti di questo stato delle cose teorico12. In essi si nota la dilatazione del concetto di teatro: nel primo perch il teatro finisce incastonato teoricamente dentro una cornice, la performance, che prevede la spettacolarizzazione rituale e sociale a tutti i livelli come elemento teatrale; nel secondo e nel terzo, invece, la scarnificazione assoluta di tutti gli orpelli rappresentativi riconduce il teatro allo scambio primario tra individui. A questo aspetto della ridefinizione concettuale del teatro ne corrispondono per anche altri, magari meno dichiarati teoricamente, ma non meno significativi. Sono quelli che riguardano la contaminazione degli specifici dando vita a una ibridazione straordinariamente vitale. Basti fare due soli esempi: lhappening come scrittura di un evento scenico dalla matrice pittorica o tutti gli episodi di teatro danza tra cui spicca quello di Pina Bausch. Pi complessivamente possiamo concludere questa parte del discorso sottolineando come in forme e modi diversi, la ricerca teatrale (sia operativa che teorica) del teatro moderno si sviluppa, in gran parte, a partire da una dialettica di scritture, quella scenica e quella drammatica, che dire una cosa diversa da messa in scena e testo letterario, perch si tratta di uno spostamento ulteriore che vede la dimensione drammatica del teatro distaccarsi dallassoluto letterario e farsi immediatamente atto creativo della scena: vi dir con quali materiali un artista del teatro dellavvenire creer i suoi capolavori. Con lAZIONE, la SCENA, la VOCE. [] E quando dico azione, intendo gesto e danza, prosa e poesia del movimento. Quando dico scena, mi riferisco a tutto ci che visibile [] Quando dico voce, alludo alle parole parlate e a quelle cantate, in opposizione alle parole da leggersi []13. La crisi del dramma A questo riposizionamento linguistico del teatro corrisponde quello che potremmo definire uno smottamento della identit e della tenuta della sua componente letteraria, quella che la tradizione occidentale ha identificato aristotelicamente con il dramma. Non si tratta di una crisi del dramma nel senso di una perdita di efficacia artistica ma della necessit di provvedere, anche da questa angolazione, a un ripensamento degli statuti linguistici. Peter Szondi, in un importante libro degli anni cinquanta, ha esaminato con grande precisione i tratti dominanti di questa crisi, cogliendone il momento germinale nella letteratura teatrale a
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Di Richard Schechner si vedano le raccolte di saggi tradotti in italiano Schechner 1984, Schechner 1999 e il pi vecchio Schechner 1968. Di Grotowski si veda soprattutto Grotowski 1968; di Brook, soprattutto Brook 1968. 13 Craig 1905, p. 103.

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cavallo tra Otto e Novecento. La tesi di Szondi che la nozione moderna di dramma si basa sulla messa in contraddizione di tutti quegli elementi che hanno caratterizzato lo sviluppo della forma drammatica dal Rinascimento in poi. Il dramma aristotelicamente inteso, scrive, assoluto e primario. Si basa, cio, sul presupposto che ci che accade in scena simuli, in modi non necessariamente realistici, un accadimento reale. Che, cio, lazione drammatica sia sufficiente a se stessa, non richiedendo (anzi negandolo) ogni tipo di intervento esterno (una figura di narratore, ad esempio), come accade, viceversa, nel romanzo o, aristotelicamente, nellepica: Il dramma assoluto. Per poter essere puro rapporto, cio essenzialmente drammatico, esso deve essere staccato da tutto ci che gli estraneo. Il dramma non conosce nulla al di fuori di s14. Alle soglie dellera moderna, con scrittori come Ibsen Strindberg Cechov, tale monolitica autoreferenzialit comincia a infrangersi, in nome di uninterferenza epica destinata a diventare negli anni sempre pi invadente fino ad assumere con Brecht la sua veste teorica pi definita. Anzitutto il tempo, che nella forma drammatica necessariamente il presente, si apre a dimensioni altre (in Ibsen, ad esempio, il passato che la causa drammatica della catastrofe), lo stesso accade allunitariet (di matrice aristotelica anche se non meccanicamente tale) che si spezza e al personaggio che da soggetto psicologicamente definito si trasforma in una entit composita e problematica. A monte di tutto c la messa in crisi del dialogo, in cui il dramma si riconosce, e il suo esser posto, vale a dire la distanza che separa lautore dal suo oggetto. Il dramma moderno, secondo Szondi, parte da queste premesse teoriche e si pu senzaltro esser daccordo con lui, anche se in molti casi (vedi Pirandello e Beckett) la sua incomprensione clamorosa. La principale fonte ispiratrice di Szondi, quella che gli fornisce parametri concettuali e la stessa definizione lessicale Brecht, la cui teoria drammatica probabilmente la pi ricca, complessa e influente del Novecento. Brecht a parlare, infatti, di teatro epico, con un preciso ed esplicito richiamo alla distinzione aristotelica tra dramma il luogo narrativo in cui le cose accadono di fronte agli occhi del pubblico ed epica in cui, invece, lazione si proietta in un racconto che agisce nella mente del lettore. Tale distinzione per Brecht va superata e il teatro pu e deve diventare epico. Non solo per una ragione estetica ma perch solo infrangendo lillusione, che il risultato della drammaturgia aristotelica, si pu raccontare il mondo contemporaneo, il mondo, dice, dellera scientifica, in cui le cose non sono pi date come assoluti immutabili (primo fra tutti luomo) ma come oggetto di una conoscenza destinata a produrre una trasformazione: il mondo doggi pu essere descritto agli uomini doggi solo a patto che lo si descriva come un mondo che pu essere cambiato15. Il teatro, e in particolare la forma drammatica, hanno dunque per Brecht una funzione di
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Szondi 1956, p.10. Brecht 1955, p. 20.

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conoscenza che espressa in termini politici. Non perch debba propagandare una idea, ma perch si pone come obiettivo quello di schiudere gli occhi dello spettatore sulle dinamiche di classe e di potere che regolano il vivere pubblico e quello privato. Al marxismo, come programma scientifico di cambiamento del mondo, corrisponde una forma darte che, altrettanto scientificamente e criticamente, sia in grado di affrontare il reale, per renderlo conoscibile e trasformabile. Per far questo necessaria una profonda rivoluzione linguistica, che Brecht battezza epica, fondata sulleffetto di straniamento: Come limmedesimazione fa apparire consueti i fatti eccezionali, cos lo straniamento fa apparire eccezionali i fatti consueti di ogni giorno16. Lo straniamento lo strumento linguistico di cui deve servirsi, secondo Brecht, lautore teatrale. Esso consiste nella capacit di sezionare lapparenza dei fenomeni (specie di quelli sociali) e di presentarli criticamente attraverso degli interventi che mettano lo spettatore nella condizione dellosservatore che fuma17, di colui, cio, che di fronte allopera mantiene una distanza razionalizzante che gli consente di non perdere mai la sua lucidit analitica. Compito del drammaturgo, o dello scrittore di drammi come amava definirsi, di presentare al pubblico unopera teatrale che lo aiuti e lo indirizzi in questa direzione, attraverso una serie di soluzioni che riguardano la scrittura letteraria (luso di cartelli per indicare le azioni; la presenza di canzoni; la terza persona utilizzata dal personaggio per parlare di s) ma coinvolgono anche altri piani della scrittura: la recitazione, anzitutto, e la componente scenica. Anche per Brecht la drammaturgia non pi contenuta tutta nella pagina e nasce dal confronto dialettico tra linguaggio verbale e linguaggio della scena: Cos chiamiamo a noi tutte le arti sorelle dellarte drammatica, non per creare unopera dinsieme in cui tutte si annullino e si disperdano, ma perch ognuna di esse, insieme allarte drammatica, dia a modo suo impulso e sviluppo allopera comune; e il loro rapporto reciproco sar proprio quello di straniarsi a vicenda18. Quella di Brecht una teoria drammatica forte che parte dalla presa datto dallimpossibilit, per la parola, di farsi tramite assoluto del dramma. La sua scrittura teatrale, cos incisiva, il segno tangibile di come parlare di crisi, per il dramma moderno, significhi parlare, fondamentalmente, di una strategia decostruttiva degli assunti e dei lasciti formali e linguistici della tradizione, per mettere latto della scrittura letteraria a confronto con le altre scritture di scena. Un simile atteggiamento decostruttivo segna trasversalmente la drammaturgia novecentesca. Negli anni cinquanta e sessanta quello che Martin Esslin defin teatro dellassurdo 19 (Ionesco, Adamov, Genet, Beckett) acu tale atteggiamento giungendo a un depotenziamento totale della
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Brecht 1937-1951, p. 95. Brecht 1931, p. 39. 18 Brecht 1948, p. 148. 19 Esslin 1961.

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parola, che precipitava nel nonsense e nellinerzia drammatica. Il dramma, cos, toccava il suo barthiano grado zero, creando una macchina linguistica che girava ossessivamente su se stessa come una giostra. Fu un momento particolarmente significativo della scrittura teatrale cui corrispose, quasi come una forma di reazione, la grande esplosione della seconda generazione dei riformatori della scrittura scenica: il Living Theatre, Grotowski, Brook, Kantor, Barba, Wilson. A leggerla oggi sembra una vicenda artistica chiusa in un cul-de-sac, il segno dellincapacit degli scrittori di abbandonare il proprio schema mentale che si riferiva solo alla parola, anche se per annullarla, ma fu un fenomeno interessante perch segnala, in una maniera inequivocabile, del processo di trasformazione della forma drammatica novecentesca. Gi qualche decennio prima Pirandello, con la trilogia del teatro nel teatro (Sei personaggi in cerca dautore, Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto) aveva affrontato un tema analogo. I suoi sono pienamente drammi di parola, perch lazione eminentemente verbale, ma Pirandello mette in risalto, con un effetto straniante, il meccanismo di contraddizione linguistica che alla radice della messinscena teatrale. Lo aveva gi fatto in epoche remote, nel 1908, in un saggio di grande rilievo, Illustratori attori traduttori, negli anni venti lo trasforma in maniera drammatica viva. Nei Sei personaggi in cerca dautore, che un po il suo manifesto teorico, la contraddizione insanabile tra luniverso dei personaggi e il mondo degli attori chiamati a incarnarli emblematica della faglia che si aperta tra linguaggio della scena e dimensione rappresentativa. Il teatro non pi in condizione di dire, secondo gli assiomi della tenuta aristotelica, ed destinato, invece, a raccontarsi nello sforzo inane, ma irrinunciabile, di raccontare il mondo. Il grido disperato e irrisolto, verit o finzione, che esplode nel finale denuncia con chiarezza che la coesione del dramma si oramai dissolta e che non resta che mostrare la contraddizione stessa nel suo farsi. Altrettanto, in modo anche pi estremo, avviene in Samuel Beckett, che vogliamo citare con Brecht e Pirandello quale ideale trittico di riferimento della letteratura teatrale del Novecento. Lo abbiamo gi nominato come uno dei protagonisti del teatro dellassurdo, ma quella collocazione gli va un po stretta. In Beckett, infatti, linerzia della parola sfugge a un destino autoreferenziale. Il suo un vero e proprio itinerarium theatri in nihil, sprofondamento del teatro nel nulla. Lazzeramento il segno distintivo dei suoi drammi fin da Aspettando Godot, ma esplode in maniera clamorosa negli anni settanta, quando Beckett cancella progressivamente dai suoi testi ogni parvenza di forma drammatica, lasciando spezzoni frammentariamente tragici di linguaggio a galleggiare in azioni sceniche minimali e stranianti. Con lui la crisi del dramma da un lato tocca il pi autentico grado zero, da un altro evidenzia come sia una straordinaria macchina teatrale. Lassenza di tutto evocata da Beckett, il nulla inteso come qualit filosofica, dotata di una straordinaria forza teatrale che si traduce nel qui e ora dellatto rappresentativo, con una 14

significativa sintonia con quanto sta accadendo nel campo della scrittura scenica. Lesito conclusivo del complesso di tali processi la modificazione sostanziale della definizione di drammaturgia. Eugenio Barba, uno dei pi importanti registi degli ultimi trentanni, risale alla matrice linguistica del termine il drama-ergon, che traduce opportunamente come il lavoro, opera delle azioni20. Drammaturgia, dunque, termine che, nel lessico del teatro moderno, non pi sinonimo di letteratura teatrale ma indica la logica costruttiva composita che sta al fondamento della scrittura teatrale, intesa come scrittura scenica. La drammaturgia, insomma, diventa un fatto della scena e non della pagina. Si pu, cos, parlare di drammaturgia anche per quel tipo di operazioni, come quelle di Carmelo Bene o di Jerzy Grotowski, che agiscono in maniera registica, nel senso craighiano del termine, su testi letterari. Il risultato di tali messe in scena unopera nuova, uguale e diversa, una riscrittura, pi che una regia, che si presenta come una drammaturgia della differenza, in quanto , a un tempo, autonoma e dipendente dal rapporto con loriginale. Se, in conclusione, la tradizione occidentale sviluppandosi lungo la direttrice aristotelica ha assimilato drammaturgia e testo letterario; il riposizionamento concettuale della nozione di drammaturgia uno dei segnali pi espliciti della rivolta antiaristotelica che origina la scena moderna. Lattore un corpo pensante La modernit ha una ricaduta sensibile anche sul versante dellattore e della recitazione che vengono affrontati come un problema teorico su pi fronti e secondo prospettive diverse. un percorso aperto nel 1700 con la disputa tra emozionalisti e antiemozionalisti, tra coloro che teorizzavano ladesione emotiva al personaggio e chi sosteneva, invece, lassenza di partecipazione da parte dellattore. Fu un dibattito acceso, che diede vita alla prima grande e articolata riflessione critica sullattore, culminando in quel capolavoro del pensiero teatrale che Il paradosso sullattore di Diderot, testo emblema dellantiemozionalismo21. Riflessi di quel dibattito, non solo tradotti in un linguaggio pi aderente ai tempi ma anche fondati su presupposti teorici diversi, si hanno nel Novecento. Il secolo si apre con lopera teorica forse pi sistematica, quella di Konstantin Stanislavskij. Fin dallinaugurazione del Teatro darte di Mosca, nel 1898, Stanislavskij pone al centro della sua attenzione la questione della recitazione, anche perch i testi di Cechov, con cui aveva creato una sorta di vero e proprio rapporto simbiotico, gli imponevano di dirigere lattore verso territori inusuali. A partire dai quei drammi, cos inerti dal punto di vista della convenzione drammatica, che avevano bisogno di trovare la loro verit altrove rispetto alla pura enunciazione
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Barba - Savarese 1996, p. 46. Sul dibattito tra emozionalismo e antiemozionalismo si veda Vicentini 2000.

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delle parole del dialogo, Stanislavskij comincia la sua riflessione sullinterpretazione del personaggio. Una volta morto Cechov, nel 1906, e interrotto quello straordinario e unico sodalizio, la ricerca di Stanislavskij assumer il carattere pi generale di una vera e propria pedagogia dellattore. Nemico dei clich, dei modelli stereotipi e convenzionali, a Stanislavskij premeva soprattutto la verit della scena. Lo spettatore doveva credere a quanto vedeva, non perch abboccasse a unillusione ma perch autenticamente vero era ci che accadeva in scena. Anche se il realismo era la veste formale pi congeniale a raggiungere lo scopo, limitazione della realt non era il suo obiettivo. Piuttosto la sua ricreazione, vale a dire la rigenerazione del personaggio attraverso la creativit dellattore. La questione, allora, era come determinare le condizioni creative dellattore, affinch riuscisse a essere autentico in scena. E come, inoltre, potesse rigenerare nel tempo il suo stato creativo, sfuggendo alla triste ripetizione formale del mestiere. Il risultato della ricerca di Stanislavskij, esperita non solo nei suoi spettacoli ma anche e soprattutto nei Teatri studio che accompagnarono, come veri e propri laboratori permanenti (i primi della storia del teatro) lattivit ufficiale del Teatro dArte, fu il cosiddetto sistema, non un ricettario, ma un articolato processo pedagogico e formativo basato su solide basi teoriche. Tra i tanti argomenti teorici ed operativi essendo impossibile qui affrontarne il complesso spicca la memoria emotiva: Come la memoria visiva fa rinascere davanti alla vista interiore cose dimenticate, paesaggi, figure persone, cos la memoria emotiva fa tornare in vita sentimenti gi vissuti22. Obiettivo dellattore vivere il personaggio rivivendo il proprio personale universo interiore. Si crea, cos, un ponte emotivo tra attore e personaggio attraverso cui passa limmedesimazione che diventa, nelle mani di Stanislavskij un processo dialettico, affidato ad una serie complessa di passaggi e rapporti che spaziano tra lintrospezione psicologica e lelaborazione delle azioni fisiche che allo stato emotivo corrispondono, concorrendo a generarlo. La teoria di Stanislavskij determina un approccio scientifico allimmedesimazione; altrettanto scientifico, ma su di un fronte opposto, voleva essere Brecht. Lattore parte costitutiva fondante delleffetto di straniamento, perch lui il tramite diretto col pubblico. Il suo rapporto con il personaggio (con le relative tecniche di recitazione) quindi fondamentale. Per Brecht lattore un dimostratore; deve, cio, come sostiene in uno dei suoi scritti pi significativi La scena di strada, [] rendere il personaggio come una persona a lui estranea, la sua dimostrazione non deve nascondere che fu lui a fare questo, fu lui a dire cos. Lattore non deve permettersi di trasformarsi completamente nella persona che dimostra 23. , quindi, una sorta di testimone critico del personaggio che mostra e racconta nel mentre lo interpreta. Quella osmosi che
22 23

Stanislavskij 1938, p. 220. Brecht 1940, p. 49.

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alla base del sistema di Stanslavskij viene da Brecht contraddetta con decisione. Lo spettatore non deve cadere nellillusione del personaggio, non deve, soprattutto, essere trascinato emotivamente verso di lui, cos da perdere di lucidit critica. Allinverso va messo in una condizione di distanza, resa possibile da una recitazione che metta tra attore e personaggio un filtro che impedisca di identificarli. Meno elaborato rispetto a quello di Stanislavskij sul piano dei dettagli tecnici, il sistema (chiamiamolo cos, anche se improprio) di Brecht non solo rappresenta un modo di pensare altrettanto forte ma anche altrettanto influente sul teatro del Novecento. Ma il Novecento conosce anche un modo completamente diverso di guardare allattore: non nel rapporto con il personaggio ma quale corpo. Il discorso complesso. Se da un lato, infatti, riguarda lattore come parte concreta e fisica della scrittura scenica, da un altro esprime, invece, una strategia concettuale che si traduce in un vero e proprio pensiero del corpo: Lattore scrive Artaud simile a un vero e proprio atleta fisico, ma con questo sorprendente correttivo: allorganismo atletico corrisponde in lui un organismo affettivo, parallelo allaltro, quasi il suo doppio bench non operante sullo stesso piano24. Attraverso il corpo, e solo attraverso di esso, passa una sfera di conoscenza e di rapporto col mondo che sfugge ai vincoli della ragione. Il corpo la forma sensibile della totalit perduta, in cui tragicamente perdersi, come nel caso di Artaud, o cui guardare come al luogo di una futura resurrezione spirituale. Appia che gli affida, come abbiamo detto, il ruolo di punto di raccordo tra musica e spazio ne parla come di un corpo collettivo, il grande sconosciuto che consente la rigenerazione se, attraverso la forma ritmica del movimento, sfugge alla gabbia della quotidianit. Craig, con la sua definizione teorica pi nota, lo teorizza come bermarionette, prefigurazione, sulla scia della metafora nietzschiana dellbermensch, di un umano oltre luomo, di un corpo in stato di grazia o, come dice, in catalessi, sospeso tra la casualit della vita e il trionfo sublime della morte. Linsieme di questi pensieri del corpo svela come le teorie dellattore nel Novecento diano voce alla vocazione pi esplicitamente simbolica e utopistica del secolo. Non si tratta tanto e solo di dare una veste teorica a un mestiere del teatro per farne arte, ma di partire dal corpo artistico dellattore per prefigurare nuovi scenari conoscitivi. Lungo questa direttrice si muove il pi importante teorico del secondo Novecento, Jerzy Grotowski, che per, pur affidando al teatro una vocazione quasi messianica, tiene il suo discorso saldamente ancorato per terra, fondendo assieme la visionariet di un Artaud e la sistematicit di uno Stanislavskij. La sua ipotesi di un attore santo, che aspira a una ricomposta unit delle sfere dellumano non una metafora, come nei casi che abbiamo appena citato, ma un metodo di lavoro. Teatro, per lui, ci che avviene tra lo spettatore e lattore25, dove questo accadere esprime un rapporto di tipo rituale, un confronto faccia
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Artaud 1938, p. 242. Grotowski 1968, p. 41.

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a faccia in cui allattore affidato il compito di produrre unautopenetrazione della propria natura umana che, facendolo sprofondare nei recessi pi remoti della psiche, gli consente (e con lui allo spettatore) di giungere alla pi piena e luminosa manifestazione dellessere. Questo processo non , per, astratto o mentale; riguarda, invece, la capacit di cogliere lespressivit del corpo attraverso un allenamento costante, una tecnica, che, addestrando il fisico superi e annulli i blocchi psichici. Lattore, scrive Grotowski, deve poter esternare, grazie al suono e al movimento, quegli impulsi che oscillano fra la sfera del sogno e quella della realt. In poche parole, deve poter costruire un suo proprio linguaggio psico-analitico di suoni e di gesti cos come un grande poeta crea un suo proprio linguaggio di parole26. Torna, significativamente, nel nostro discorso il tema della scrittura. Scrivere il corpo come strumento di investigazione psichica che schiude allattore i territori inesplorati dellumano lobiettivo di Grotowski che giunger, nella seconda parte della sua carriera, a proporre un teatro senza spettacolo, fatto di eventi laboratoriali cui attori e spettatori/partecipanti concorrono senza quasi distinzione di ruoli, mancando un oggetto formale definito da fruire. Utopia di un teatro che, grazie a una tecnica e a unapplicazione disciplinata e rigorosa di lavoro, rompa la logica del tempo che ci limita al nostro presente. In gioco entrano, invece, larcaico (come forma ancestrale dellumano) e il futuro (come superamento delle contingenze del presente). un atteggiamento ricorrente nellestetica teatrale contemporanea: linvenzione di una nuova scrittura vuole essere anche prefigurazione di un nuovo mondo e di un nuovo essere. Scriveva Craig: La parola OGGI bella, e la parola DOMANI bella, e la parola AVVENIRE divina ma la parola pi perfetta che le unisce e le armonizza tutte la parola E27. Il teatro moderno cerca, nel corpo vivo della concezione del linguaggio, proprio quella e, facendone progetto e tecnica di scrittura.

26 27

Ibidem, p. 43. Craig 1907, p. 32.

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Marco Senaldi Estetica della televisione Riassunto delle puntate precedenti Bench sia considerata uno dei mezzi di comunicazione pi influenti della modernit, la televisione non ha generato ancora delle autentiche teorie in grado di spiegarne limmane potere e meno che mai delle teorie estetiche. facile riscontrare questa lacuna se solo si prende in esame quello che forse il primo contributo ad una teoria estetica della tv, cio larticolo di Rudolph Arnheim apparso nel 1935, che peraltro ricomparir in un volume il cui titolo esemplarmente Film as Art, escludendo a priori che la tv possa mai essere considerata unarte. Di fatto questo lassunto di Arnheim: la tv e la tv che poteva vedere lo studioso doveva essere un mezzo alquanto preistorico! appunto un semplice mezzo che trasporta comunicazione: La televisione un parente prossimo della motocicletta e dellaeroplano: un mezzo di trasporto culturale. A dirla tutta, un mero strumento di trasmissione, che non offre nuovi mezzi per linterpretazione artistica della realt.28 Pertanto la tv non genera valori esteticamente apprezzabili (forse lo potrebbe in quanto oggetto di design, ma allora in quanto elettrodomestico, non come sistema comunicativo di cui il monitor solo una periferica). Questo testo in altre parole legittima uno dei pi grandi equivoci intorno alloggetto stesso di una eventuale teoria e di una ancor pi eventuale estetica, rinunciando a spiegare che cos (o non ) la tv, e concentrandosi sul banale ruolo tecnico del televisore. Un approccio sostanzialmente diverso sostenuto da uno storico dellarte e grande studioso di cinema come Carlo Ludovico Ragghianti, che propone di leggere nella tv dei valori estetici di carattere formale, come limportanza della taglia del monitor, o il peso delle luci, dello spazio, dellatmosfera (che ne differenziano lestetica da quella della fotografia e del cinema), che si dimostreranno in seguito autenticamente profetiche29. Le sue intuizioni saranno decisive per quegli artisti, come gli spazialisti prima e i video artisti poi, che vedranno nella tv un mezzo di espressione del tutto nuovo ma fatalmente gli faranno sfuggire il senso riposto dellanima relazionale del televisivo come sistema mediatico.
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Cfr. Arnheim 1957, pp. 207-16 (per inciso larticolo citato apparve sulla rivista italiana Intercine 2, nel febbraio 1935, pp. 71-82, lanno prima delle emissioni televisive in Germania allepoca delle Olimpiadi di Berlino). 29 Cfr. Ragghianti 1957, pp. 387-393; il testo considerato del 1955, cio posteriore al Manifesto del movimento spaziale per la televisione, risalente al 1952, eppure sembra implicitamente prenderne le parti, anche suggerendo la possibilit che, allinterno dei palinsesti tv fosse accordato spazio a sperimentazioni visive di carattere artistico (quella ad opera di Fontana, nel maggio 52, doveva avere proprio questo senso).

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Tra i primi critici a considerare in maniera pi globale il senso e la potenza del mezzo televisivo, troviamo invece un filosofo e sociologo come Adorno, con un denso saggio del 1954 intitolato How to look at Television30. Adorno parte dal tentativo di definire pi precisamente gli effetti della tv non solo in termini di successo/fallimento, ma facendo uso di categorie sociopsicologiche pi raffinate. Gi dallimpostazione del discorso per cui non ha senso parlare della tv in termini di riuscita o fallimento appare chiaro che nel contesto della teoria critica, di cui Adorno il massimo esponente, il problema non la definizione del nuovo strumento ma la valutazione del suo peso socioculturale. evidentemente una radicale scelta di campo: non si tratta pi di ragionare sulleventuale importanza del mezzo televisivo nel campo sociale, ma di assumerne lesistenza come una componente essenziale di questo campo, qualcosa che contribuisce a delimitarne i confini e a produrne delle rappresentazioni ideologicamente determinate. Non ha senso parlare della tv in termini di riuscita o fallimento, semplicemente perch la tv ha gi vinto si tratta semmai di vedere come lo ha fatto e di rendere edotto il pubblico sul suo funzionamento. In questo lavoro, dove vengono messe a punto le idee ancora embrionali sullindustria culturale gi espresse nel celeberrimo Dialettica dellIlluminismo del 1947, Adorno scende nel dettaglio del prodotto televisivo e si concentra espressamente sulle fiction. La sua idea di pseudo realismo assolutamente centrale in questo dibattito. Infatti Adorno non considera la tv come un medium semplicemente pi realista del cinema (a sua volta pi realista della fotografia, da cui deriva). Da buon dialettico Adorno sa che ogni accrescimento tecnologico non una semplice sommatoria dei fattori precedenti, ma implica dei rovesciamenti imprevedibili. Laderenza senza precedenti alla vita quotidiana permessa della comunicazione televisiva, non fa che estremizzarne gli aspetti estetizzanti. In particolare, concentrandosi sulla fiction, Adorno ne sottolinea la similarit rispetto alla fiction cinematografica, dato che in entrambi i casi non c introversione (ci che visto, visto senza retroscena, ma per come appare). Ma cosa decisiva questo elemento realistico (a differenza, aggiungiamo noi, di quanto accade nel cinema) non esclude una intima ambiguit del messaggio televisivo: ad un messaggio esplicito dove vengono riproposti dei valori tradizionali, si associa un messaggio implicito che mira a un quadro mentale dove essi non sono pi validi31. Da qui lidea di pseudorealismo: la realt rappresentata implicitamente smentita dalla possibilit latente che la rappresentazione stessa lascia trasparire. Il verdetto di Adorno pertanto molto negativo: lo pseudorealismo tv un realismo camuffato, attraverso cui si contrabbanda uno spazio illusorio, un metodo per far perdere il senso di realt al pubblico, e un diversivo per distogliere lattenzione da una realt che nel frattempo si fatta
30 31

T.W. Adorno 1954, pp. 213-35. Ibidem, p. 218.

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sempre pi opaca e complicata32. Adorno si colloca certamente allinterno di una critica fortemente ideologica della tv ma la nozione di pseudorealismo insieme a quella di scomparsa del retroscena non pu non far pensare alle pi acute analisi successive, come quella di Joshua Meyrowitz. 33 proprio Meyrowitz a definire il carattere fondamentale della tv come limpossibilit di non essere completamente realista, nel senso di svelare completamente lo spazio scenico, distruggendo in tal senso la nozione stessa di scena come spazio funzionale e separato. Meyrowitz, rifacendosi alla nozione di vita come rappresentazione di E. Goffman, definisce questa caratteristica come il crollo della fondamentale distinzione tra scena e retroscena; le conseguenze catastrofiche di questo crollo sono la confusione dei ruoli, la sovversione delle differenze, e in una parola limpossibilit di mantenere il livello simbolico di una qualsiasi rappresentazione. Inoltre, questo crollo spinge ad un livello pi elevato la nozione adorniana di pseudorealismo: in effetti, la comunicazione televisiva realista a un punto tale da includere le condizioni stesse della propria efficienza talmente realista da ristrutturare i parametri di ci che consideriamo reale (e in tal senso le idee di Meyrowitz si avvicinano allidea baudrillardiana di iperrealt televisiva). Le riflessioni di Meyrowitz costituiscono uno snodo importante perch includono esplicitamente tra le proprie fonti McLuhan e Goffman. Secondo Meyrowitz indispensabile questa fusione tra le teorie mediali mcluhaniane e la sociologia della comunicazione goffmaniana, per dare profondit storica allidea di vita come rappresentazione, ma anche per ancorare nel contesto sociale il media-centrismo di McLuhan. Tuttavia, questa posizione sincretica non riesce veramente a dar conto degli esiti generati dal suo proprio impianto teorico. Quando nella parte IV del suo studio Meyrowitz parla della confusione (merging) generalizzata di ruoli, tra privato e pubblico, tra adulti e bambini, o tra maschile e femminile, ecc., senza saperlo sta sviluppando le premesse di una concezione tipicamente dialettica, secondo la quale ogni confusione solo la forma embrionale di un superamento (Aufhebung). L dove locchio sociologico coglie un semplice fenomeno di confusione progressiva tra i diversi, lo sguardo del dialettico decifra limmanenza degli opposti. Ma questa impostazione teorica di fondo (la quale del resto sta al centro del grande dibattito filosofico del nostro tempo34) segna la divergenza-chiave nel campo dei media studies tra i due classici comparsi negli anni 60 cio Understandig mass media di McLuhan e La socit du spectacle di Guy Debord. solo nel testo di Debord per che lidea di una duplicit dialettica intrinseca nel discorso televisivo veramente messa al centro, non solo dei consumi culturali, ma della deriva generale della societ, dora in poi definita come societ spettacolare.
32 33

Ibidem, p. 229. Cfr. Meyrowitz, 1985. 34 Basti pensare in proposito alle pagine dedicate ad una analisi critica della dialettica come strumento di pensiero nel classico Popper 1963, pp. 531-70.

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Lo spettacolo in senso debordiano (che quindi integra in s le sue varie forme al di l e al di fuori delle specificit mediali, cio cinema, tv, pubblicit, ma anche turismo, uso del tempo libero, consumismo delle merci ecc.) viene quindi individuato come linversione concreta della vita, il cuore dellirrealismo della societ reale35. Questo pensiero fondamentale quello che ritorna in varia guisa nei resoconti posteriori; giustamente nella prefazione alledizione italiana (2001) un autore e dirigente televisivo (nonch intellettuale) come Carlo Freccero sottolinea che lo spettacolo integrato nella visione di Debord costituisce quel crimine perfetto che ha soppresso la realt, istituendo cos un palese richiamo alle tesi espresse ne Le crime parfait, il libro di Baudrillard sulla derealizzazione televisiva apparso nel 199336. In questa irrealizzazione si ritrova tutto il senso filosofico dello pseudo realismo di Adorno, che daltra parte ritorna nellinteressante disamina del rapporto tra finzione e realt simbolica (condivisa) in altri contributi come Finzioni di fine secolo di Marc Aug37. Nelle pagine che lantropologo dedica allanalisi di un evento mediale come i Mondiali di calcio del 1998, laccento viene spostato sul fatto che, al termine dello spettacolo televisivo costituito dalla partita finale, le persone scesero per strada ritrovandosi in una festa collettiva condivisa; lincontro reso possibile per dalla spettacolarizzazione stessa dellevento sportivo, a testimonianza del fatto che lo spettacolo non un supplemento del mondo reale, un suo sovrapposto ornamento, dato che la realt vissuta materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo38. In questa linea, lidea che la comunicazione televisiva nasconda un doppiofondo dialettico al centro del recente Feedback. Tv against Democracy di David Joselit39. La nozione di feedback sostiene che ad ogni azione (in questo caso comunicativa) corrisponde una retroazione, consistente nel processare le informazioni dellambiente, che migliora le prestazione dellorganismo considerato. Bench ricalcata dalla teoria cibernetica, lidea fa compiere un decisivo passo in avanti nelle teorie mediali, sbarazzandosi definitivamente del vetusto impianto tecnocentrico unidirezionale basato sulla triade emittente-messaggio-ricevente, e, cosa ancor pi importante, reintroducendo una visione riflessiva del medium televisivo: Una concezione dei media adeguata allera televisiva del dopoguerra deve comprendere queste tre dimensioni [la struttura ricorsiva manifestata nel circuito chiuso, la posizione ecologica dei media uno rispetto allaltro, e la loro concentrazione speculativa condizionata dallinvestimento sociale e finanziario]. Propongo che il feedback raccolga tutto ci in una sintetica categoria. A partire dal feedback, Joselit si spinge a teorizzare una diversa storia e una diversa teoria dei media, ed anche un diverso approccio creativo
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Cfr. Debord 1967, tesi 2 e 4. Cfr.Baudrillard 1996. 37 Cfr. Aug 2000. 38 Debord 1967, 6 e 7. 39 Cfr. Joselit 2007.

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ad essi, dato che n la tattica modernista della rivoluzione, n la tecnica poststrutturalista della sovversione [] sono adeguate a accompagnarci nel circuito chiuso che struttura i nostri mondi pubblici [] [occorre] prendere ispirazione dalle impossibili traiettorie inventate dagli artisti [] e dagli attivisti per produrre sentieri aberranti o utopici attraverso i terreni recintati della televisione40. Inoltre, cosa in questo contesto oltremodo importante, a sostegno della sua tesi Joselit invoca unopera darte dialettica quale il famoso Wipe Cycle di Frank Gillette e Ira Scnheider una installazione presentata alla mostra TV as a Creative Medium (1968) e costituita da nove monitor nei quali lo spettatore rivedeva ciclicamente se stesso con un delay temporale diverso per ciascuno. Quando il circuito chiuso affare di (auto)coscienze (e non di animali o di sistemi cibernetici) le cose cambiano, la retroazione assume tutto il suo senso profondo: spettacolarizzazione, emulazione, o anche semplicemente innamoramento o violenza, possono davvero essere spiegati in termini di feedback. Lette in questa chiave, le operazioni di Nam June Paik, a cominciare dalla famosa Exposition of Music Electronic Television, per continuare con TV Cello Premire (1971) con Charlotte Moorman che incarna e indossa letteralmente la tv, sotto forma di piccoli videoreggiseno, per continuare con vere e proprie trasmissioni televisive come Electronic Opera # 1 per The Medium is the Medium, programma in onda sulla WGBH TV, o Global Groove, andata in onda nel 1974 su WNET TV, assumono un preciso significato, quello di incursioni virali momentanee, cio di produzione di rumore nel feedback silenzioso della televisione, e quindi di creazione di diverse possibili retroazioni dal valore altamente estetico.

Lo specifico televisivo Joselit conclude il suo testo con quello che suona quasi uno slogan: Learn the system and counter it make noise, concludendo il suo libro con quello che assume espressamente la forma di un vero Manifesto. Le acute indagini di Joselit farebbero dunque pensare che siano esistiti diversi usi della televisione per scopi prettamente artistici ma nonostante la possibile artisticit della tv, manca una vera descrizione estetica specifica di essa o meglio, si evidenzia in proposito una evidente contraddizione. Da un lato i numerosi tentativi di definirne lo specifico come era gi accaduto per altri media pi storicizzati (fin dal caso del ben noto specifico filmico, consistente nel montaggio, nel movimento di macchina e nelle marche semantiche41), escludono che la tv possa avere un valore estetico. Dallaltro, si cerca molto spesso di leggere la televisione come un medium transitorio, da un lato derivato da quelli precedenti (cinema e radio), dallaltro presto destinato a dissolversi in
40

41

Ibidem, pp. 39-41. Cfr. Metz 1975.

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quelli del futuro, se non proprio gi scomparso in un universo mediale convergente. A questo proposito occorre notare una rilevante discrasia ermeneutica tra una lettura convergente e una lettura divergente dei media. La cosiddetta convergence culture42 costituisce una novit di rilievo nellambito delle interpretazioni culturali dei media intendendoli come una sorta di campo integrato entro il quale le relazioni tra artefatti, e soprattutto tra artefatti e fruitori, rivestono grande importanza. Il problema di questo tipo di interpretazione che, pur spiegando fenomeni come quello delle migrazioni di tematiche fra media e media, o delle convergenze transmediali, non poi in grado di fornire soddisfacenti spiegazioni dellemergere di tematiche specifiche, e del perch esse si affermino in questo o quel media, e in definitiva non fornisce alcun metodo ermeneutico, ma solo osservazioni posteriori. In un certo senso, opposto a questo il metodo che stato definito anamorfico, e che potremmo ribattezzare divergente, secondo il quale un artefatto (mediale e non solo) viene letto mettendolo a confronto con le sue stesse mancanze intrinseche (versioni scartate o incompiute, remake che cercano di colmarne le lacune senza riuscirvi, ecc.) per cui la specificit di un medium spicca per differenza rispetto a quella di un altro medium, e risalta ancor di pi rispetto alle differenze che un medium mantiene rispetto a se stesso (i propri blocchi interni, i punti di dis-funzionalit, ecc.)43. Cos, anzich descrivere un universo pieno in cui il prolungamento convergente di un film dazione una serie tv, e poi un videogioco diegeticamente affine, e poi le manipolazioni mimetiche realizzate da una web community di fans, assai pi proficuo osservare come ognuna di queste variazioni non riesca a colmare i vuoti strutturali del testo di origine, anche se ciascuna leggibile per differenza rispetto ad esso (loriginale che andrebbe letto anamorficamente rispetto a se stesso). In tal senso una lettura anamorfica dei media non pu limitarsi a registrare le ovvie differenze, ad esempio, tra il cinema e il teatro sia dal punto di vista presentativo che dispositivo (il teatro non riproducibile, non ha il montaggio, non possiede la possibilit di variare i punti di vista soggettiva, oggettiva, semisoggettiva, ecc. ), ma deve anche mostrare come lo specifico cinematografico si sia definito in risposta allimpasse delloriginario teatro filmato. In questa prospettiva, al di l delloriginaria idea di immagini in movimento, occorre domandarsi cosa pu fare la tv che il cinema non pu fare. Come venne notato a suo tempo, certamente una caratteristica determinante del mezzo tv la possibilit di trasmettere un evento live, allinterno di una forma comunicativa a flusso, aperta e non chiusa, e non soggetta a un disegno prefissato, ma disponibile allimprovvisazione; 44
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Cfr. Jenkins 2006. Nonostante lapproccio apparentemente scanzonato, il libro di Jenkins si impegna seriamente in una disamina del nuovo mediascape emergente; purtroppo, la sua analisi inficiata dalla vetusta contrapposizione tra old media passivi e new media interattivi, senza avere gli strumenti filosofici per affrontare il complesso tema dellinterpassivit (su cui cfr. Pfaller 2000, concetto ripreso da iek 2004). 43 Cfr. iek 1991. 44 Cfr. Eco 1962.

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ma, purtroppo, proprio queste caratteristiche che rendono la tv diversa dal cinema, sono le stesse gi offerte dalla radio. Occorre dunque cercare in altro una differenza specifica televisiva, che risiede senza dubbio nel dispositivo televisivo, ossia nella forma-schermo: come ebbe a notare McLuhan, mentre nel cinema lo spettatore la macchina da presa, con la tv lo spettatore lo schermo. 45 Il monitor ha, rispetto allo schermo, il vantaggio di non richiedere una sala di proiezione e conseguentemente di poter essere installato ovunque; la dislocabilit del monitor e la sua taglia impongono un rapporto veramente faccia a faccia con lo spettatore, che chiamato ad avvicinarsi alle immagini, colpito da esse in modo quasi fisico, ma pu muoversi nello spazio domestico, nel frattempo divenuto uno spazio mediale percorribile, odologico, praticabile. Questo nuovo schema sensorio-motorio, ma anche culturale, modifica lo status dello spettatore e il meccanismo di identificazione con le immagini: al cinema lidentificazione basata su elementi narrativi esteriori verso cui si dirige lattenzione (identificazione proiettiva), la tv invece coinvolge lo spettatore come testimone oculare, lo rende complice di un processo comunicativo, ma insieme lo sposta rispetto a se stesso, lo chiama pertanto in causa attribuendogli unidentificazione ribaltata (disidentificazione46). Il segreto del ribaltamento a cui la tv sottopone lidentit di chi la guarda implica una revisione della nozione stessa di comunicazione mediale. La tv stata vittima (consenziente) di una enorme ambiguit poich stata tradizionalmente intesa (ovviamente fin da McLuhan47) come medium, cio come canale comunicavo (o peggio tecnico) che interviene tra emittente e ricevente. Questa visione proviene sostanzialmente da una nozione deterministica di comunicazione quale quella descritta da Shannon e Weaver verso la fine degli anni 40. Nel loro celebre testo Teoria matematica della comunicazione del 1949, i due studiosi pensano a un modello comunicativo dove il messaggio sia semplicemente concepibile come un pacchetto di dati che cerca di passare tramite un canale da un punto di partenza emittente a uno di arrivo (ricevente) uno schema ricalcato su quello tecnico delle trasmissioni radio dellepoca. La sola cosa che eccede lo schema cio il rumore di fondo anche ci che deve in un modo o nellaltro essere eliminato affinch la comunicazione sia efficace48.
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Cfr. McLuhan 1962, p. 69. Notevole il fatto che la stessa frase sia ripresa da uno dei maggiori artisti video e performer americani, Vito Acconci, che afferma che col video siamo faccia a faccia con le immagini (cfr. Acconci 1990, pp. 125-134; p. 125). 46 Il concetto di disidentit deriva naturalmente da Hegel, 1807; ripreso soprattutto nel discorso analitico, come in Lai 1999; ma in ambito filosofico cfr. soprattutto i saggi di iek e in particolare iek 2004. 47 Cfr. McLuhan 1964. 48 Cfr. Cimatti 1999, pp. 53 sgg.; il modello deterministico di Shannon e Weaver stato anche definito un modello postale o ispirato ai condotti della posta pneumatica; sovente gli stato opposto il modello aperto fornito da G. Bateson (ad es. Bateson 1990), secondo il quale emittente e ricevente si definirebbero in un campo instabile costituito dallambiente. Ma anche questo modello, bench prenda in seria considerazione lostacolo-rumore come lo sfondo e il

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Tuttavia, fenomeni come la fascinazione, lemulazione, linterazione spettatoriale, pur rivestendo oggi unimportanza evidentemente centrale, resterebbero inspiegabili e paradossali allinterno di questo contesto. Tali fenomeni, hanno messo in chiaro che questo schema non solo limitato, poich circoscrive il ruolo del medium a quello di un neutrale condotto comunicativo, ma profondamente ideologico, dato che nasconde limpatto comunicativo sulle reciproche posizioni di emittente e ricevente. Basterebbe pensare alla celebre trasmissione radiofonica di Orson Welles, tratta da La guerra dei mondi, che anticip il coinvolgimento tipicamente televisivo delle forme di neotelevisione, come il reality-show. Ci che i cittadini americani si videro recapitare dalla radio quel 30 ottobre 1938 non fu affatto un messaggio che partiva da un emittente per raggiungerli come riceventi. In realt, il messaggio in apparenza era una fiction di fantascienza (tratta dallomonimo libro di H.G. Wells): ma il messaggio vero fu sostanzialmente la loro stessa inquietudine per la situazione mondiale, ossia il fatto di essere disidentificati dalla semplice posizione di spettatori di un programma di intrattenimento, e trasformati in testimoni di una guerra, dunque coinvolti emotivamente e esperienzialmente al punto di diventare i veri protagonisti, i veri emittenti del messaggio (con le ben note conseguenze)49. Da questo punto di vista, dunque, occorre ritornare alla celebre definizione che un altro hegeliano come Jacques Lacan d del processo comunicativo, secondo cui in una comunicazione lemittente riceve dal ricevente il proprio messaggio in forma invertita50. In altre parole, per Lacan, comunicare non significa affatto trasmettere un messaggio da un emittente a un ricevente tramite un canale di trasmissione, ma piuttosto comunicare significa ricevere indietro dal ricevente il nostro stesso messaggio in forma inversa, cio vera. Ricevere indietro dal ricevente significa che il messaggio non un qualche contenuto, ma lazione stessa dellinviare un messaggio, i cui destinatari in ultima analisi siamo noi stessi; il nostro stesso messaggio in forma invertita significa che il senso vero della comunicazione, deve venir catturato e rilanciato a noi a rovescio, per poter esser colto appieno. Bench inizialmente tale definizione fosse stata concepita soprattutto per descrivere il transfert, cio linterazione allinterno della seduta psicanalitica tra analista e paziente evidente che il caso eccezionale della comunicazione psicoanalitica va inteso come il paradigma generale della comunicazione mediale contemporanea che, come coglier poi Debord, si basa sul rovesciamento (in questo, Debord spartisce con Lacan leredit della dialettica hegeliana51).
contesto in cui la comunicazione ha effettivamente luogo, non riesce a fornire una spiegazione genuina della dialettica mediale, segnatamente televisiva. 49 Sui disordini, e persino i suicidi, che seguirono alla trasmissione di Welles, cfr. Brown 1998. 50 Lacan 1966, p. 291. 51 Cfr. Borch - Jacobsen 1999, che insiste giustamente sui motivi lacaniani tratti dal magistero di Kojve. Da questo

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Questo modello comunicativo a boomerang (che per Lacan si verifica in ogni comunicazione tra soggetti) va assunto come la forma fondamentale della comunicazione televisiva e ne costituisce lo specifico, perch va collegato al dispositivo della ripresa video in diretta. Non un caso che prima di formulare questa legge della comunicazione, Lacan avesse cercato di definire il momento della presa di coscienza del soggetto (infante) in riferimento alla percezione della propria immagine riflessa (stadio dello specchio52). Lo specchio per si limita a restituire unimmagine rovesciata, non pu certo costruire quel ribaltamento comunicativo che invece sperimentiamo davanti a un monitor. Si pu pensare in questo senso a unopera darte come Video Corridor (196870) di Bruce Nauman. Come noto si tratta di un corridoio in cui lo spettatore pu entrare; come spiega lautore stesso su un altro supporto, c una videocamera installata in alto, al di sopra dellentrata del corridoio. La videocamera dotata di un grandangolo. Quando entrate nel corridoio, la videocamera dietro e sopra di voi. Man mano che vi avvicinate al monitor, alla vostra propria immagine ossia allimmagine di voi stessi visti da dietro vi allontanate dalla videocamera; cos che sul monitor vi allontanate da voi stessi, e pi cercate di avvicinarvi, pi vi allontanate dalla videocamera, e dunque da voi stessi. una situazione del tutto bizzarra53. Si tratta di unopera in cui entra in gioco la videoripresa, ma il video non viene usato per realizzare (come accadeva nella ripresa cinematografica) una narrazione o un effetto pittorico, ma per riprendere a circuito chiuso solo e semplicemente leventuale fruitore, che diventa cos il consumatore di un processo estetico da lui stesso innescato. Video Corridor mette in crisi labituale modo di relazionarsi con le immagini n movimento: al posto di una relazione pacifica e domestica tra schermo e spettatore, Nauman introduce un movimento dettato dal desiderio di vedere meglio, ma governato da una ripresa di cui, sulle prime, lo spettatore inconsapevole, e il cui risultato la sconcertante esperienza di vedersi ripresi e di non riconoscersi nellimmagine del monitor quasi una parafrasi visiva e sperimentale dellidea lacaniana di comunicazione.
punto di vista vano inserire la teoria lacaniana e situazionista della comunicazione fra le altre teorie che si affacciano nei primi decenni del Novecento e si confermano poi negli anni Sessanta e Settanta a cominciare da Laswell per continuare con Eco e Jakobson; infatti, mentre tutte quelle teorie sono appunto delle teorie, cio dei modelli astratti pi o meno perfezionati che cercano di descrivere un fenomeno reale queste sono comunicazioni reali che cercano di concretizzare modelli astratti (il fatto che situazionismo e psicoanalisi fossero intese come pratiche fu il tratto che le accomun e ne segn il destino). La ben nota incomprensibilit del gergo lacaniano andrebbe letta in questa chiave, come una comunicazione che tende essa stessa al non-senso per resistere alla legge da lei stessa descritta della reversibilit comunicativa; mentre per quanto riguarda Debord, noto il fatto che anche egli si sia mosso in un rovesciamento intrinseco dei suoi enunciati, dato che la sua opera principale, La societ dello spettacolo, dopo essere stata scritta in forma di saggio, costitu la sceneggiatura di un film dallo stesso titolo (1973) che ne conferma/smentisce le ipotesi di fondo (le conferma in quanto il testo recitato dalla voce off di Debord stesso distorce il senso delle immagini, e le smentisce in quanto le immagini distorcono il senso ultimo delle affermazioni teoriche). 52 Cfr. Lacan 1949, pp. 87-94. Si noti che il testo di Lacan, che gi individua con precisione il carattere drammatico dellidentificazione prematura, insufficiente, ingannevole che il soggetto ha verso la sua immagine, esattamente coevo con la teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver. 53 Cit. in Nauman 1997, p. 102.

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Video Corridor ribadisce che in definitiva solo davanti a un monitor televisivo e alle immagini live degli altri, del mondo e di noi stessi, che viene messa in gioco la nostra identit e la consapevolezza visiva, cognitiva e d esistenziale che abbiamo di noi stessi. In questa fondamentale inversione comunicativa consiste la specifica capacit inversiva della tv, inversione che stata descritta a suo tempo da Jean Baudrillard, proprio in riferimento/distinzione rispetto allo stadio dello specchio lacaniano, come stadio video54. Estetica dei generi tv Da quanto detto, ne consegue che la discussione sui generi televisivi, derivata da quella sui generi cinematografici, risulta assai limitata, per non dire che non coglie affatto nel segno. Eppure come si pu affrontare lo studio di una estetica televisiva prescindendo dallevidente differenziazione dei generi che la tv dimostra di possedere? A questa domanda, pur pertinente, corrisponde un interrogativo che per ancor pi insistente: come possibile che, pur nella variet quasi estrema dei generi, la specificit televisiva continui a predominare in modo inequivocabile? Ovvero, come possibile che, anche considerando le produzioni televisive le pi diverse, esse restino comunque fondamentalmente accomunate proprio dal loro ineliminabile carattere televisivo che le rende tutte invariabilmente simili, tutte riconducibili facilmente allo specifico televisivo che abbiamo prima individuato? Interpretare la televisione come una arena amorfa abitata da generi diversi deriva sostanzialmente dallinterpretarne la struttura come quella di un testo. Bench la metafora letteraria del testo implichi di per s un abuso se applicata ad artefatti audiovisivi 55, evidente che il cinema deve senzaltro molto di pi alla letteratura di quanto non debba ad esso la tv. In quel caso dunque, lanalitica dei generi, definita da studiosi di cinema come Rick Altman e Steve Neale, ha svolto limportante funzione di trascendere il singolo artefatto (film) collocandolo allinterno di insiemi definiti da modelli, forme stili e strutture che sono appunto i generi56. Ma il tentativo di suddividere la produzione televisiva in generi definiti da determinate convenzioni e collegati ad altrettanti modi denunciazione risulta molto meno convincente, e in definitiva ha poco a che vedere con la realt televisiva. Lidea che la tv incarni di volta in volta un modo denunciazione funzionale, uno veritativo e uno di intrattenimento o ludico, sembra non tener conto della capacit inversiva del
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Baudrillard 1989. Sul carattere problematico della definizione di tv come testo, anche allinterno di una concezione semiotica, concordano anche Grasso-Scaglioni 2003, che comunque ne sposano la posizione. 56 Non il caso di ritornare alle analisi di Horkheimer e Adorno comunque per rendersi conto che la suddivisione in generi sia la classica costruzione di un sistema di pseudo-differenze atte a rendere semplicemente commestibile ununica categoria merceologica che andrebbe definita come immaginario cinematografico. La teoria dei generi (anche cinematografici) in definitiva meno unintelligente griglia ermeneutica, quanto piuttosto uno strumento produttivo, un importante ausilio nel marketing culturale uno strumento che costruito a priori, e che pu essere applicato a posteriori solo a prezzo di unevidente collusione ideologica tra interpretante e testo interpretato.

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mezzo57. A tal proposito anche coloro che sostengono una divisione generica fondata su queste diverse modalit enunciative, arrivano ad affermare: In sostanza, un autore o un produttore televisivo d vita a un nuovo programma avendo ben in mente la mappa dei generi che caratterizzano quel particolare momento di storia televisiva. E lo fa anche quando mette esplicitamente in campo operazioni tese a mettere in discussione la mappa dei generi o a ibridare generi diversi 58. Se ne evince che il problema della divisione in generi sembri riguardare pi un tentativo di costruire un senso relativo intorno allartefatto visivo operato a priori, a monte, un atto dunque produttivo che per rischia di distorcersi nella sua discesa verso laudience. Laggiunta secondo cui la teoria dei generi vale anche quando viene esplicitamente messa in discussione non ha tutta laria di una excusatio non petita? In effetti, se v qualcosa di veramente tipico nei generi televisivi proprio il fatto che essi rimettono in discussione se stessi e non tanto per volont dei loro autori o produttori, quanto per la alterazione che subiscono ad opera della mediazione televisiva. Quello che la neotelevisione ha messo in evidenza negli ultimi due decenni qualcosa di molto diverso dalla semplice ibridazione dei generi fra loro (che piuttosto un effetto tipicamente letterario). Il fatto che nel contesto televisivo un genere tende strutturalmente a invertirsi nel suo esatto inverso. Per non parlare del solito reality show (che fin nella terminologia inverte i termini del reale e dello spettacolare) prendiamo in considerazione ad esempio il caso ben noto dellinfotainment, cio di quei programmi che uniscono entertainment e informazione. Gi allalba postmoderna della neotelevisione Gilles Lipovetsky notava: Il ruolo importante svolto dall'informazione col processo di socializzazione e individualizzazione non pu essere scisso dal suo registro spettacolare e superficiale. Linformazione, votata alla cronaca e alloggettivit non per niente al riparo dal lavorio della moda, anzi: gli imperativi dello show e della seduzione lhanno in parte rimodellata [...]. I servizi devono durare poco, i commenti devono essere chiari e semplici, intramezzati da spezzoni dinterviste, di vissuto, daneddoti. E dappertutto immagini che divertano, che trattengano lattenzione, che provochino emozioni forti59. In Italia i casi di Annozero (prima Tempo reale, prima ancora Il rosso e il nero, e ancor prima Samarcanda), Matrix, Porta a porta, ecc., sono emblematici in questo senso: il contenuto manifesto resta pur sempre linformazione politica, di cronaca o di costume, ma il contesto spettacolare sovverte proprio la neutralit epistemologica su cui linformazione dovrebbe basarsi cos che i modi denunciazione invertono il valore veritativo in quello ludico e viceversa. Anche se si potrebbe obiettare che questo continuo rincorrersi di ruoli, interpretanti e interpretazioni che
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Cfr. Jost 1999. Grasso - Scaglioni 2003, p. 93. 59 Cfr. Lypovetsky 1987, p. 239.

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costituisce la trama stessa della comunicazione (e dunque dellestetica) mediale imputabile alla neotelevisione attuale ed era sconosciuta alla paleotelevisione del tutto evidente che, come la tv ha portato a verit le caratteristiche comunicative che erano gi inerenti ai media precedenti come la radio, la neotelevisione ha fatto emergere tendenze che erano gi ben presenti e radicate nella televisione degli esordi, anche se tenute ai margini e tendenzialmente controllate; come non ricordare a questo proposito la sovversione docu-drammatica delle prime candid camera, che univano un linguaggio visivo da documentario socio-antropologico al vaudeville dello scherzo a parte? La neotelevisione non ha fatto altro che rendere strutturale la sovversione della mappa dei generi, istituendo proprio la riflessione di un modo denunciazione dentro laltro. Chiaramente questo fenomeno, inscritto nella genetica tv fin dalle origini, va molto al di l della semplice modalit enunciativa infatti centrato nellidentit ontologica stessa della comunicazione televisiva. Non questa in fondo la cifra gi contenuta in nuce nella nozione di pseudo-realismo coniata da Adorno nel 1954? In questo senso, la crisi della nozione di genere stata oltrepassata dallimporsi della nozione di format, ossia dello schema originale e compiuto di un programma che per pu essere indefinitamente tradotto e adattato a seconda dei contesti mediali, culturali e sociali di riferimento 60. Pi che un macro-genere (un sovra-insieme di cui i generi sono gli insiemi e i programmi gli elementi), il format si distingue dal genere per il suo carattere pi strutturale che contenutistico. Ne segue la situazione paradossale che due programmi derivati (in contesti diversi) da un identico format possono sembrare appartenenti a generi diversi: il caso di Grande Fratello emblematico sotto questo aspetto, dato che il format, di origine olandese, in USA si trasformato in senso fortemente spettacolare (e anche nelle ultime edizioni italiane ha prevalso la diretta da studio e lincursione di celebrities), mentre in Africa Big Brother Africa ha assunto il pieno valore di un documento sociologico e il senso di una vera sfida tra appartenenze nazionali, unitamente a unimprevista emancipazione dalloccidentalismo mediatico egemone61. La forza del format consiste dunque meno nella determinazione dei contenuti o del registro enunciativo implicito, quanto nella dimensione strutturale, protocollare, in quanto condizione di possibilit trascendentale di un determinato artefatto visivo. Il format la perfetta cornice vuota che permette al rovesciamento comunicativo televisivo di esprimersi appieno. Bello e brutto televisivi
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Cfr. P. Fabbri, Estetica del format, La repubblica, 18 maggio 2007. Cfr. Jacobs 2007, pp. 851-868. Notevole il fatto che il vincitore Cherise Makubale fu ricevuto e indicato come un esempio da Nelson Mandela.

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A questo punto inizia a divenire pi chiara la possibilit concreta di descrivere unestetica televisiva. Solitamente la televisione stata accusata di produrre forme impermeabili allestetica non solo i singoli programmi, ma in generale gli usi retorici dei processi visivi (riprese, linguaggio, interazione fra personaggi e col pubblico) sembrano quasi condannati ad essere confinati nel brutto, nel kitsch, nella spazzatura. un punto di vista cos diffuso nella saggistica sulla televisione da risultare difficile anche criticarne i fondamenti. Si pu prendere come esempio, anche per la sua notevole acutezza, lanalisi effettuata da Bottiroli in un intervento del 199962. Bottiroli fa riferimento alla nota triade peirciana di Primit, Secondit e Terzit, corrispondente alla triade modale classica di Possibile, Reale, Necessario, e si aggancia a Deleuze che utilizza le categorie di Peirce per interpretare le immagini cinematografiche. Cos, il cinema non solo dominato dalla Secondit, ossia dallimmagine-azione (tipica del cinema americano), cio dal realismo, ma capace di fornire anche immagini-effetto o immagini mentali, afferenti alle tipologie modali della Primit e della Terzit. Per questo il cinema ha valenze artistiche, che alla televisione sarebbero precluse: Il linguaggio specificamente televisivo il linguaggio della realt: le immagini del telegiornale, i grandi avvenimenti sportivi, i funerali di lady Diana e linterrogatorio di Clinton, ecc. Vorrei ora che cercassimo di trarre le conseguenze sul piano estetico da questa subordinazione a ci che esiste, nel momento in cui accade. Se questa la forza della televisione, se questa la motivazione fondamentale a guardarla, allora mi sembra difficile mettere in discussione la tesi secondo cui la TV il luogo dellantistile. Infatti lo stile selezione e elaborazione (e cos genera bellezza): ma in una trasmissione in diretta non si pu n selezionare n elaborare. Non vi il tempo per farlo, e non sarebbe opportuno farlo. Lelaborazione stilistica appare superflua, in quanto il telespettatore viene interamente appagato dalla percezione di realt. Una realt non selezionata ridondante, ma la ridondanza televisivamente necessaria: ogni correzione, ogni scelta, rischia di cancellare qualcosa di importante: come accaduto per esempio la sera del 9-12-1998, quando un collegamento con lo stadio di Bilbao ha disturbato e in pratica ha impedito di vedere in diretta il goal di Amoruso, al Delle Alpi di Torino. Questa goffaggine della TV, ogni volta che deve far ricorso a interventi di selezione, mi pare significativa. Bottiroli ne conclude che unopera in cui una categoria scaccia le altre, anzich includerle attivamente, sar unopera fallita o mediocre. Un linguaggio che privilegia unilateralmente una categoria modale brutto. Ci si pu chiedere se la televisione sia davvero irriformabile sul piano estetico. Io affermo che il linguaggio televisivo pu ospitare bellezze preesistenti, e provenienti dal mondo della vita (pesci tropicali e splendide soubrette) ma, in quanto linguaggio, inadatto a generare bellezza63
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Cfr. Bottiroli 1999. Bottiroli 1999, p. 10.

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Il richiamo alla nozione di stile in questo contesto problematico; probabilmente le osservazioni di Bottiroli potrebbero valere non solo per la televisione, per tutta la videoarte, anzi, forse per tutta larte contemporanea in generale. Larte contemporanea si costituita per differenza rispetto alla nozione tradizionale di arte come un fare orientato alla produzione di bellezza, fin dalle avanguardie storiche se non proprio a partire dal travolgente successo del realismo gi nel XIX secolo64. Certamente una data di nascita dellantistile pu essere rintracciata nelle forme artistiche del primo dopoguerra come lEspressionismo Astratto americano, e pi tardi in tutte le esperienze performative, dallhappening in poi, che evitano a priori qualsiasi elaborazione proprio perch avvengono in diretta. Sono queste forme che, lungi dal tendere semplicemente verso il brutto, ne rovesciano il significato: brutto proprio lo stilistico e lelaborato, il volutamente selezionato, mentre bello limprovvisato, il casuale, lamorfo, che coincide con il riuscito, con il realizzarsi, lattualizzarsi delleventum65. Unidea unilaterale della bellezza, sostanzialmente come armoniosa composizione formale, rischia di essere inadeguata a cogliere il carattere dialettico dellestetica tv, e tende a riflettersi sulla interpretazione stessa delle categorie modali peirciane. Sarebbe fare un torto a Peirce pensare che la Secondit sia banalmente la categoria del realismo: cosa ben nota che la nozione di realt in senso pragmatista implica un continuo rinvio allinfinito, e sar compiutamente vera solo alla fine della serie dei rinvii interpretativi, mai nella presenza della raffigurazione intuitiva. Tale teoria [] fa della realt qualcosa costituito da un evento infinitamente futuro66. La famosa Secondit piuttosto unangolazione del prisma che comprende le altre due categorie, e da cui esse stesse possono essere giudicate proprio come nei nodi borromei cari a Lacan, in cui ogni elemento implica gli altri due. Il pragmatismo di Peirce piuttosto la base per i nuovi approcci allestetica come quelli di Dewey che, nel suo Art as Experience, riprendendo il dinamismo ontologico del maestro, anticipa le nuove forme darte come lhappening basate sullaccadimento nel qui e ora, e sullallargamento dellestetica a qualunque tipo di esperienza67. Il significato estetico della dialettica genere/format che caratterizza in genere il prodotto televisivo evidenziato in negativo proprio dai momenti di malfunzionamento del mezzo. La goffaggine della tv quando ad esempio buca un collegamento sportivo in diretta, potr anche spiacere al tifoso, ma palesa in pieno il potenziale televisivo, rompendone da dentro la falsa naturalit: il vero evento che cos si rivela proprio levento stesso della comunicazione in altre parole, il televisivo come tale (quello che con un modo di dire abusato il bello della diretta,
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Cfr. Danto 2003. Belgrad 1999. 66 Cit. in Fabbrichesi Leo 1993, p. 21. 67 Su questo specifico punto rimando a Senaldi 2008, pp. 49-60.

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ossia il suo carattere impredittibile, aperto sullinfinitamente futuro peirciano-deweyano)68. In questo contesto, allapparenza addomesticato e strutturato in generi ben definiti, le incursioni artistiche nel mezzo tv, da Dal a Cage, da Duchamp a Warhol, a Chris Burden, Eco, Pasolini, Gino De Dominicis, Carmelo Bene, ecc., assumono un inedito senso estetico allinterno della dialettica tra mediazione ed esperienza e rivelano la vera natura della televisione. Si prenda in considerazione una delle prime apparizione di un artista allinterno di un tipico quiz show paleotelevisivo come Whats my Line? (andato in onda su CBS dal 1950 fino al 1967). Il gioco consisteva nellindovinare, da parte di alcuni concorrenti bendati, il nome di un personaggio famoso presente in studio, a cui potevano essere rivolte delle domande che prevedevano come risposta solo dei s o dei no. In una puntata (ora divenuta visibile 69) del 1952 fa la sua apparizione Salvador Dal, allepoca gi molto famoso negli USA, sia come artista che come personaggio pubblico, anche per le sue stravaganze leggendarie come la realizzazione del Dream of Venus Pavillion in occasione della Worlds Fair di New York del 1939. Si potrebbe trattare di una semplice ospitata allinterno del tipico quiz show, se Dal, che evidentemente fatica a capire le domande in inglese, si prestasse non solo al gioco, ma in un certo senso lo facesse sfuggire alla sua logica appunto di gioco televisivo instaurando una sorta di performance. Basta questa uscita di senso per ribaltare il significato della sua apparizione televisiva: con questa performance la tv stessa a uscire dai propri limiti di intrattenimento e a costituire una vera e propria opera firmata Dal: Dal in effetti inizia la sua partecipazione allo show proprio apponendo una gigantesca firma su una parete dello studio, quasi anticipando la colossale firma apposta da Picasso su una tela bianca al termine del mitico Le Mystre Picasso di H.G. Clouzot del 1956)70. forse solo un caso che questo intervento avvenga nello stesso anno in cui John Cage concepisce e realizza il primo happening della storia dellarte al Black Mountain College? E che, sempre nel 1952, Lucio Fontana firmi con altri spazialisti il rivoluzionario Manifesto del movimento spaziale per la televisione?71 Evidentemente no, anche se occorre qui stabilire alcune distinzioni. Nel 1952 Fontana non solo teorizz luso artistico della televisione, ma lo mise in pratica realizzando una trasmissione
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Esiste tra laltro una famosa opera di videoarte ma ispirata chiaramente alluniverso televisivo, realizzata da due importanti esponenti dellarte contemporanea internazionale quali Douglas Gordon e Philippe Parreno, cio Zidane. Un portrait du XXIme sicle, 2006, che consiste nella ripresa del solo Zinedine Zidane durante una partita escludendo tutto il resto dellevento sportivo; il senso complessivo, cronachistico, della sfida tra Real Madrid e Villareal del 23 aprile 2005 a cui si riferiscono le immagini perduto, ma il senso profondo della trasmissione televisuale torna visibile come se fosse la prima volta, e per la prima volta vediamo davvero cosa fa, come si comporta, come esiste un giocatore in una partita per tutti i lunghissimi 90 che ne compongono lo svolgimento. 69 Su youtube, http://www.youtube.com/watch?v=ZG41jTUVL5k, accesso del 12/9/2010. 70 Le partecipazioni televisive di Dal furono del resto assai numerose, sia sotto forma di ospitate (oltre che a Whats my Line, anche a The Names the Same, nel 1954, poi a Ive Got a Secret) che sotto forma di interviste, spesso sorprendenti. noto che Dal disprezzava la televisione, ma questo non gli imped di utilizzarla a pi riprese per i suoi happening; cfr. lintervista a Amanda Lear, notoriamente la musa di Dal negli anni 70, che usa esattamente questa espressione, cit. in King 2007, p. 183. 71 Rimando qui, e per la sezione che segue, a Senaldi 2009.

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sperimentale oggi perduta, ma che certamente, se dobbiamo credere alle immagini sopravvissute e soprattutto alle tesi spazialiste, doveva impiegare la luminosit dello schermo come strumento espressivo. Nel Manifesto per messo in evidenza un altro carattere che a quegli artisti appariva fondamentale, cio la vocazione spaziale (pi che temporale) della televisione, il fatto che per loro fosse il mezzo ideale per usare gli spazi come materia plastica. Questo punto di vista si rivelato, col tempo, assai fecondo, se solo si pensa allopera video artistica di Nam June Paik, lartista che forse pi di ogni altro ha impiegato il video e le possibilit di trasmissione delle immagini nel tempo e nello spazio. Tuttavia, proprio Paik, come la grande maggioranza dei video artisti, si allontanato dallo specifico televisivo, impiegando la teletrasmissione e limmagine video come forma alternativa rispetto al tipico contenitore televisivo. La strada percorsa invece da altri artisti, segnatamente da Dal a Cage, su fino a Andy Warhol (artisti interessati al sistema televisivo, non al mezzo in s, e pertanto lontani dalla videoarte tradizionale) invece quella di inserirsi entro il contesto televisivo sovvertendolo per cos dire da dentro, evidenziando in modo anamorfico la dissimmetria che lo contraddistingue. Pochi anni dopo Dal, anche John Cage stesso prese infatti parte ad un quiz televisivo assai simile. Nel 1958 Cage, a quellepoca in Italia, decise di concorrere a una delle pi importanti e seguite trasmissioni della neonata tv italiana, cio il celeberrimo Lascia o raddoppia, il cui format era peraltro modellato sullesempio del classico USA The $ 64.000 Question72. La registrazione dellintervento di Cage si persa ma ne sopravvissuta la trascrizione in ogni caso straordinaria73. Inoltre, cosa ancor pi importante, sopravvissuta una partecipazione risalente al 1960 a Ive Got a Secret, un quiz americano di quegli anni, in cui lo stesso Cage performa il suo brano musicale Water Walk.74 Ora, si potrebbe sostenere che il motivo della partecipazione di Cage al quiz italiano fosse dovuta alla necessit di reperire i fondi per proseguire le sue ricerche musicali, e che quindi il senso di queste comparsate fosse puramente economico del resto, in che altro modo si potrebbe giustificare la presenza allinterno della scatola tv di uno dei compositori pi sovversivi del Novecento, sedotto dalla filosofia orientale la pi distante che si possa immaginare dalla societ spettacolare occidentale? Eppure, il comportamento di Cage, e soprattutto il fatto che tale partecipazione sia stata reiterata dopo poco tempo, fanno ritenere superficiale questa tranquillizzante lettura. In effetti, la partecipazione tv di Cage del 1958 segue di pochi anni Untitled Event il primo
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Cfr. Grasso 2006, p. 365. Cfr. il numero monografico dedicato a Cage di Sonora 1992. 74 Visibile su youtube http://www.youtube.com/results?search_query=cage+water+walk&aq=f (accesso del 9/9/2010). Cosa notevole, anche Dal prese parte a una puntata di Ive Got a Secret, in cui impersona la Monna Lisa, in una performance di straordinaria forza e di irresistibile comicit surreale.

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happening da lui tenuto con altri al Black Mountain College nel 1952. Uno dei caratteri dellhappening da non sottovalutare (oltre ai ben noti elementi di aleatoriet, improvvisazione, mescolanza di arti diverse, confluenza fra arte e vita ecc.) il fatto che esso si doveva inserire nel resto delle attivit quotidiane senza una netta separazione, e che inoltre il suo senso dipendeva dal contesto in cui veniva realizzato75. Ora, Cage negli anni 50 si era gi reso conto che il contesto in cui larte andava sempre pi inserendosi non era il contesto naturale della pura vita. Bench il Black Mountain College fosse un luogo di educazione ispirato alle teorie sul rapporto arte/vita espresse da John Dewey nel suo Art as Experience del 1934, Cage opera in un contesto teoretico e sociale ormai distante da quello deweyano76. Cage comprende chiaramente che lesperienza in senso deweyano qualcosa di utopico nel suo presunto ritorno alla natura e infatti nelle opere degli anni 50 come Wiliams Mix, e Imaginary Landscape 4 e 5 e soprattutto il celebre Radio Music (tutti del 1952, cio coevi a Untitled Event) utilizza mezzi di comunicazione come radio e dischi registrati su nastro e riprodotti in modo aleatorio cio elementi appartenenti alluniverso mediale. Pensare dunque che quando Cage va in tv lo faccia ingenuamente sarebbe a sua volta ingenuo; in realt Cage sta intervenendo esattamente allinterno di quella che un modello dellesperienza contemporanea. Cage inserisce, nellevento televisivo, levento come happening, levento dellarte. Levento dellevento riporta le cose allinizio situazione non diversa che in Welles, se pure su scala molto ridotta: Cage cio riconduce a verit lideologia falsamente trasparente del mezzo, ritrasforma la tv da (pseudo) mezzo di comunicazione (ci per cui essa stessa vuole farsi passare) a comunicatore di mediazione (la mediazione come ci che conta nella comunicazione, laccadimento del fatto mediale in quanto tale). Nella seconda partecipazione tv degli anni 60, che invece possiamo osservare interamente, questo aspetto ancor pi accentuato. Il conduttore inserisce Cage allinterno del flusso tv esattamente come se si trattasse di un comico o di un pezzo di variet come un altro e di fatto ci vuole un po per realizzare che si tratta di un happening e non di un bizzarro inventore di macchine inutili. La sua esibizione musicale, infatti, realizzata perlopi con oggetti domestici (un frullatore, una vasca piena dacqua ecc.), Questo dettaglio per di grande rilevanza: a differenza, infatti, delle letture tradizionali che vedono nellhappening una forma di evento multimediale eccezionale, festivo, di rottura e di inaugurazione di pratiche spettacolari rivoluzionarie, occorre invece ribadire che lhappening ha invece un registro basso, routinario, segnato anche da una vena di insopprimibile comicit. La scoperta specifica di John Cage consiste pertanto proprio in
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Cfr. Balzola - Monteverdi 2004. Cfr. ancora Senaldi 2008.

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questo, nel comprendere che, attraverso una semplice iniezione di nonsense possibile una inversione dialettica del televisivo ovvero che il televisivo non altro che questo continuo ribaltarsi di senso. Le partecipazioni tv di Cage sono dunque di estrema importanza perch riflettono il funzionamento inverso del sistema mediale televisivo lo afferrano per quello che esso (non) , e lo rilanciano non al mittente, ma a se stesso lo flettono, per cos dire, su di s (su ci che non sa di essere). In tal senso lhappening prende atto del ribaltamento universale indotto dallesperienza spettacolare (gi sottolineato da Debord) ribaltamento a cui non si pu opporre nessun mondo raddrizzato, nessuna utopia artistica, nessun atto rivoluzionario ma in cui lunico modo per prendere coscienza consiste nel creare un momento di minimo distacco, di leggera asincronia, di sottile sfasamento cio appunto lhappening televisivo, calato entro e realizzato dentro (e non fuori o contro) le strutture stesse dello spettacolo nella sua massima espressione. In questo senso, la cifra estetica televisiva, il distacco disidentificante che la mediazione televisuale ha sulle cose e sui soggetti, viene pienamente assunta dallunico artista che si sia incaricato non solo di partecipare a trasmissioni tv, ma di diventarne autore e produttore cio Andy Warhol. Warhol si dedica alla tv in maniera approfondita e tuttaltro che episodica a partire dalla fine degli anni 70 fino alla sua morte, nel 1987, prima con Fashion, una sorta di proto-talk show andato in onda sullemittente via cavo Manhattan Cable. Alcune puntate di Fashion vengono del resto riprese e ritrasmesse allinterno della Andy Warhols TV (su MSG Network,1980-86) che quindi pu a pieno titolo essere considerata la prima vera tv warholiana, seguita dalla pi celebre serie Andy Warhols Fifteen Minutes (1986-87) su MTV. significativa la presenza di Warhol: sempre laterale, non fa assolutamente nulla per imporsi nello show, non conduce, non ruba la scena anzi, molto spesso, la lascia ad altri, quasi che in fondo il livello pi alto dellopera fosse ormai quello di un puro registrare gli eventi e le novit che si susseguono in un andirivieni senza posa, di cui solo la televisione pu essere il fedele specchio. vero che a pi riprese intervengono nello show vecchie glorie della Factory come Divine, o artisti veri e propri come David Hockney, Philip Glass, Keith Haring, ma indiscutibile che Warhol non fa nulla per far fare alla tv ci che la tv non farebbe da se stessa. Il fatto, a tutta prima sorprendente, che Andy Warhols Tv non evidenzi dei contenuti apertamente artistici, non ne fa un sottoprodotto allinterno della variegata attivit di Warhol, anzi, ne costituisce semmai e nella voluta mancanza di qualsiasi elemento originale loriginalit estrema. Andy Warhols Tv va collocata pertanto al punto limite della sdefinizione dellarte, e contestualmente della figura separata dellartista, l dove questa sdefinizione sconfina nella sdefinizione del medium televisivo. Con questa operazione Warhol compie un gesto estremamente significativo perch, proprio nella sua vicinanza alla logica pi retriva e commerciale 36

del prodotto televisivo di massa, cio il talk show, riesce ad additarne la cornice strutturale non da una presunta alterit ermeneutica, ma da dentro da una vicinanza rischiosamente confondibile con la collusione. Un po come accadde per le famose Brillo Boxes, autentiche sculture che simulano le vere scatole di prodotto, Andy Warhols Tv riesce a mettere in simulazione la macchina produttrice per eccellenza di simulacri, ossia la televisione e con ci produce sia loggetto (un vero prodotto mediale, un talk show) che un processo mentale (una riflessione su di esso). Per questo la Andy Warhols Tv lequivalente mediale delle Brillo Box di ventanni prima. Daltra parte questopera televisiva cela un monito che nella sua vita Warhol ha ribadito a pi riprese, ossia il fatto che, nella societ dello spettacolo mediale, si pu certo diventare famosi, ma questa fama, o meglio, questo successo momentaneo, pagato con la moneta sonante della propria identit. Diventare dei personaggi televisivi, insomma, ci ricorda Warhol, implica necessariamente cessare di essere persone significa entrare nello stadio-video dunque cessare di essere se stessi. E il primo a sperimentare questo senso di estraneit intrinseca Warhol stesso: Avevo sempre pensato di non essere del tutto presente: ho sempre avuto limpressione non di vivere, ma di guardare la Tv77. Andy Warhols TV riassume quindi i caratteri determinanti della poetica warholiana, ma esprime anche unimportante concezione dellestetica televisiva: il carattere inversivo della comunicazione (per cui tutto ci che entra nel video tende a perdere la propria identit, e a rovesciarsi nel suo opposto); lelemento di creazione dellevento; e infine (qui pi chiaramente che altrove) la ripresa del concetto di interpassivit, trattandosi del classico talk-show in cui non succede niente (il titolo originariamente pensato da Warhol era Nothing special, Niente di speciale, in cui leccezionale dellopera darte diventa quel nulla di speciale che la televisione stessa, questo nulla che non si nota, ma che domina le nostre vite, le passivizza). In ogni caso, tra le partecipazioni pi notevoli di Warhol alla tv, vanno annoverati i tre celebri episodi di un minuto ciascuno realizzati per il Saturday Night live, lo show pi famoso dAmerica. sintomatico il modo con cui Warhol gest questo rapporto con la pi importante emittente USA, la NBC, produttrice dello show. Contattato da Lorne Michaels gi nel 1979 infatti, che aveva intenzione di realizzare uno speciale di 90 su di lui, Warhol rifiut, perch non avrebbe avuto abbastanza controllo artistico sulla produzione. Questo rifiuto della massima importanza in quanto fa capire che Warhol era talmente consapevole dellimportanza estrema della tv, e del fatto che la propria identit di individuo e di artista ne sarebbe stata segnata, da rifiutare la possibilit che la tv si occupasse di lui se lui non poteva occuparsi della tv. Fu solo pi tardi, nel 1981, quando venne nuovamente contattato da Nelson Lyons, amico del writer e produttore Dick Ebersol che gli
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Warhol 1975, p. 77.

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chiedeva di realizzare tre spezzoni per lo show, che Warhol che nel frattempo aveva acquisito lesperto Don Monroe come direttore delle produzione tv della Andy Warhol Studio accett. Lo spezzone pi famoso quello in cui Warhol viene truccato davanti a uno specchio e parla dellunico vero tab televisivo, cio la morte. Ma non si tratta della morte cristiana il passaggio allal di l , n della morte romantica (tema autodistruttivo che invece tipico proprio di Basquiat come incarnazione tardiva del vangoghismo) no: qui la morte veramente la morte mediale, il venir meno dello spettacolo allinterno dello spettacolo come tale. Infatti, mentre Warhol dice: la morte pu renderti simile a una star. Ma tutto va storto se il tuo make up sbagliato..., gradualmente, mentre viene truccato con un pesante cerone biancastro, quasi come se fosse gi un cadavere da esporre allo sguardo dei fan, limmagine si sfuoca, diventando una trama di pixel sempre pi larghi, sempre pi astratti. Warhol, la sua effige, diventano niente, si smarriscono nei pixel che compongono limmagine televisiva stessa78. La vita, divenuta completamente estetizzata (e non a caso la tv di Warhol si occupa spesso di moda e di stilisti) anche divenuta totalmente anestetizzata (secondo la profezia di Duchamp): il massimo della pervasivit dellesperienza estetica combacia col suo minimo, coincide con la sparizione di ogni Bedeutung artistica altro ossimoro tipicamente televisivo. Il singolo luniversale, il minimo diventa il massimo, linestetico diventa lestetico e viceversa lestetizzazione forzata conduce allanestesia totale, e infine il massimo dellagire coincide con il puro patire in questo incessante rovesciarsi di una cosa nel suo opposto sta il tratto tipico dellepoca televisiva.

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Su questo punto cfr. Spiegel 2008, cap. 7, Andy Warhol TV.

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Carlo Serra Estetica della musica nello spettacolo Cosa vuol dire forme complementari? In che modo unimmagine si collega al suono? Vi sono almeno due vie per tentare di rispondere a questa domanda: esse trovano il proprio fondamento nei decorsi percettivi che sostengono il costituirsi della nostra esperienza del mondo. Cammino lungo il corridoio di casa mia, e ascolto il rumore dei miei passi, che accompagnano il continuo modificarsi del mio punto di vista nella scena percettiva, un susseguirsi di immagini che, passo dopo passo, si susseguono, secondo unarticolazione causale. Ascolto il segnale dellambulanza che si rende via via pi intenso, mentre passa sotto casa mia: lintensificarsi di un suono, come indice dellincombere di una cosa che 39

ancora non vedo, un gradiente di senso, che guida lorganizzazione del nostro vivere nel mondo. Cos, nellattenuarsi di quel suono, avverto anche il venir meno delloggetto, il suo allontanarsi. Si tratta di due esempi diversi, ma che rendono palpabile un primo nesso suono-cosa, in cui lintegrazione suono immagine, il correlarsi dei loro indici, diventa gradiente essenziale nellarticolazione del rapporto con lambiente. Nellarricchimento latente che lega le due forme percettive, si svela una tendenza, tutta interna alla configurazione del senso dellesperienza, tesa a ricostruire un terreno comune, fra due regioni distinte della ricezione, saldamente intrecciate sul piano di decorsi ordinati attraverso cui ci costruiamo unidea delle regole che organizzano il mondo che ci circonda: nel tessuto costitutivo della nostra esperienza le modificazioni dellintensit sonora e lo svilupparsi di serie dimmagini che si susseguono secondo un rapporto di implicazione reciproca sono fuse tra loro, e cos, allallontanarsi dellambulanza, corrisponder un progressivo affievolirsi del suono della sirena. Attestandoci su queste forme di correlazione implicita, potremmo pensare al rapporto suonoimmagine in una poetica della rappresentazione di tipo realistico: la necessit di una complementarit fra suono e immagine obbedirebbe cos ad un intento di tipo mimetico, di ricostruzione delle condizioni dellesperienza allinterno della fruizione artistica. E certamente il tema accompagna la storia del teatro fin dallinizio (si pensi allacustica del teatro greco, alla sua capacit di far risuonare la voce dellattore in maschera nellampio spazio che circonda la scena) ed emerge anche allinterno di quel complesso passaggio della storia del cinema che va dal muto allaudiovisivo. Il tema evoca immediatamente le sfere concettuali che legano la natura allimitazione, una delle linfe pi vive nellevoluzione della riflession sui nessi suono-immagine: conviene tuttavia ricordare che gli intenti espressivi di unopera darte non possono collassare completamente sul piano del realismo o della forma mimetica. Il saldarsi di quei nuclei originari dellesperienza pu, al contrario indebolirsi o sciogliersi, quando teatro o cinema ricorrono alla dimensione acustica, e al suono variamente inteso, per la drammatizzazione di azioni. Si apre cos un percorso che va dal suono verso limmagine, in particolare, nella tradizione estetica del mondo antico, nasce un fitto dibattito sulle possibilit rappresentative legate a quelle che potremmo chiamare le propriet psicagogiche della musica, quellinsieme di sollecitazioni emotive prodotte da ritmi e da melodie che conducono lanimo umano verso orizzonti semantici o espressivi intimamente collegati alla potenza emotiva della musica79. Proviamo, per ora, a entrare nelle regioni concettuali, dove prende forma quel rapporto che
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Per unintroduzione al tema rimandiamo al bellissimo Rouget 1986.

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lega il suono allimmagine, e, in particolare, il suono alla messa in scena: dovremo intendere questa relazione ponendo laccento sul terreno della rappresentazione simbolica. Mirando a questo modello di relazione dovremmo pensare che suono e gesto teatrale si incontrano nellesplicitazione di contenuti narrativi latenti, che la musica dovrebbe disambiguare o portare in evidenza: il suono lavora sui nuclei affettivi che latitano attorno allimmagine o alla scena. Tali relazioni assumono particolare trasparenza nei contesti rituali, un campo dove la trasformazione simbolica dellevento sonoro, pur essendo strettamente sigillato nella dimensione di una teatralit rituale, risulta pi facilmente avvicinabile: nel rito, infatti, le forme simboliche e la teatralizzazione del suono devono incontrarsi, per portare lo spettatore allinterno di una comunit celebrante. Allinterno della comunit, lo spettatore chiamato a partecipare al rito, ad assumere unidentit simbolica, che gli fa condividere le forme di significato agitate dal rito stesso. Nel nesso musica-rito il musicale fa propria la nozione di mondo, perch il rito vuol trasformarne il senso o il valore. Nella cerimonia o nella ritualizzazione di un oggetto, il valore delle cose si trasforma, e la musica che si utilizza trasforma loggetto in una struttura su cui agire, o da manipolare, come accade per i tamburi magici o per le danze rituali. Ci significa che nella ritualit nasce un rapporto magico con la cosa, rapporto che vede il suono attivare una modificazione delloggetto attraverso la sua assenza e la sua sacralizzazione. Le molte pratiche dello sciamanesimo, dove levocazione del mondo del magico si d attraverso luso di richiami simbolici di tipo sonoro, ne una buona esemplificazione. In quel caso, lelemento sensibile evocato dalla qualit del richiamo, dellimitazione, sta alla presenza dellanimale simbolico in un senso ampio e frastagliato80: limitazione dellanimale fa tuttuno con levocazione dello spirito che lanimale simbolizza, quel suono si fa voce di un mondo invisibile. Limitazione acustica tutta proiettata verso il valore immaginativo del simbolico. Illuminando dallinterno la relazione fra suono e immagine in senso magico, il rituale trasfigura lovvio riferimento al rapporto suono-cosa. La calibratissima imitazione di un verso animale non evoca pi la cosa, ma il significato spirituale, e magico, che la cosa assume allinterno di un regime simbolico, il lato sinistro, nascosto della cosa stessa, mettendo in gioco quei meccanismi metamorfici che sembrano accompagnare continuamente lidea di mimesi determinata dalla interferenza fra suono e immagine. Nel momento in cui il suono si sostituisce alla cosa, la teatralizzazione del rituale pone laspetto sonoro come unica traccia della presenza di un mondo magico ed invisibile. Il suono va oltre se stesso, perdendo la propria identit referenziale, assumendo senso solo
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Difficile fornire una bibliografia esauriente su questo tema, che da anni interessa gli etnomusicologi: ci limitiamo a rimandare alla complessa vicenda della fruizione dello sciamanismo siberiano, di cui il lettore trover ampia rassegna in Andrei. A. Znamenski, (2003) Shamanism in Siberia. Russian Records of Indigenous Spirituality,Kluver Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London.

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allinterno di quellintervallo della credenza comune in cui il verso imitato di un animale diventa la voce di un demone, in una profonda complicit espressiva, che lega tra loro tutti i partecipanti: si sta riaffacciando il tema dello sconfinamento, in un senso vicino a quello evocato dal raffinato strutturalismo metamorfico di Ejzentein: il suono d valore alla cerimonia, ne fissa i recinti simbolici, la porta dialogare con una dimensione di tipo estatico, non lontana dagli esiti espressivi prefigurati da La natura non indifferente, e soprattutto lirrompere dellespressivit degli eventi sonori modifica, con la complicit dei partecipanti, i nessi interni alla realt, proponendone il rovesciamento magico. La qualit mimetica ora totalmente assorbita nella transvalutazione simbolica: sembra quasi che lapertura della dimensione simbolica del rituale partecipi dello sfumarsi delle forme di credenza, che ne sostengono la condivisione, e che la potenza del suono creino un disorientamento ritmico, che muta lo stesso valore visivo della cerimonia: il suono si fa filtro narrativo, che fonde tra loro strutture diverse in grado di porre in regime di continuit piani della realt e valorizzazioni immaginative, che vengono rafforzate dagli atteggiamenti di credenza e di complicit dei partecipanti. Credenza e complicit: a ben guardare lorizzonte simbolico giocato dallinterazione ritualistica fra suono e immagine non poi cos lontano dal nostro atteggiamento di spettatori quando partecipiamo ad un evento teatrale: basterebbe pensare, ad esempio, che anche il corpo dellattore nella tragedia greca stia per qualcosaltro, per una presenza mitologica, che si incarna in quella persona e in quella maschera. Lo scambio simbolico nel corpo dellattore permette che qualcosa di estremamente remoto si formi sotto i nostri occhi e si lasci ascoltare: la radice rituale e politica del teatro trova il proprio fondamento nellapertura di una correlativit partecipe: fra i mezzi a cui si ricorre con pi facilit emerge la drammaturgia sonora, che avvolge i nessi narrativi, suggerendo aspetti che sulla scena possiamo solo avvertire e non vedere, che sottolinea significati che trascendono i personaggi. Tutto il melodramma lambito da queste ambiguit, che stringono a vario titolo, e con intensit diverse, reti di complicit con lo spettatore. I legami fra complicit, credenza, e acontestualizzazione dei prodotti dellimmaginazione, che vivono naturalmente allinterno della propria forma narrativa, entrano a far parte anche della grammatica cinematografica: alle volte, nel brulicare dei suoni e dei rumori extrainquadratura (che ci parlano dellincombere del mondo sulla narrazione) il senso di tali relazioni si rovescia, arrivando a decontestualizzare limmagine stessa, portandola quasi fuori di s. Emerge cos quella dimensione estatica al centro degli interessi di Ejzentein , la capacit di far collassare tutte le componenti narrative in una struttura compatta tesa a catturare lo spettatore, che ora corre modo centrifugo verso le grandi costituzioni simboliche della visione, ora verso il mondo. 42

Linquadramento sonoro dellimmagine non apre solo su registri emotivi che modificano completamente il senso dellimmagine stessa, ma mostra quanto spessore venga attribuito allimmagine dal movimento temporale del suono, come ne filtri la ricezione in termini temporali, modificandone il respiro interno. un problema diverso, molto pi sfumato di quanto non faccia immaginare il semplice rovesciamento dei climax emotivi, come accade per il sorriso decontestualizzante che viene sollecitato da una scena tragica, accompagnata da una musica sguaiata. Possiamo parlare dellemergere di un tema espressivo del suono, che stringe in s il ritmo del montaggio, il taglio della sequenza, il colore timbrico della fonte, una serie indefinita di variabili piuttosto complesse, che si fanno avanti tutte assieme e che conducono nellazione attraverso le interferenze delle loro colorazioni. Ce lo spiega bene un esempio tratto da Michel Chion:
Sullo schermo si succedono immagini brutali [] Scene traumatizzanti di animali sacrificati. Una mano inchiodata. Poi: un obitorio in cui scorre il tempo quotidiano; nellobitorio, un bambino che sembra inizialmente un corpo come gli altri, e che invece si agita, vive, legge un libro accosta una mano alla superficie dello schermo [] Stop! Riavvolgiamo il film di Bergman fino allinizio e cos semplicemente eliminiamo il suono, per provare a rivedere il film dimenticando quanto abbiamo visto in precedenza. Ci che vediamo tuttaltro. Il piano della mano inchiodata, tanto per cominciare: nel silenzio scopriamo che si trattava di tre piani distinti, mentre ne avevamo visto soltanto uno perch si legavano grazie al suono. E soprattutto, privata del rumore, la mano inchiodata astratta. Sonorizzata essa terrificante, reale. Le immagini dellobitorio: senza il suono che le legava (uno sgocciolio dacqua), scopriamo in esse una serie di fotografie fisse, di pezzi di corpi umani isolati gli uni dagli altri, privati di spazio e di tempo []. Tutta la sequenza ha perso il proprio ritmo e la propria unit81.

Linizio di Persona di Ingmar Bergman (1966) illumina in modo incisivo il tema delle proiezioni del suono sullimmagine, tenendoci lontano dai tratti realistici, a cui sembravano portarci le correlazioni da cui abbiamo preso le mosse. Le sequenze hanno un evidente colore onirico, se non da incubo, mentre i nessi di continuit fra le scompaginate sequenze iniziali, che mirano a condurci allinterno del dramma della scissione psichica, cercano ununit del contenuto narrativo, garantita soltanto dal suono. Sospendere il nesso sonoro ha esito frastornante: la sequenza della mano inchiodata si frantuma in tre tronconi, la lacuna del riferimento sonoro confina il gesto sinistro in unatmosfera astratta. Qualcosa di diverso accade per le immagini dellobitorio, che, senza la continuit dello sgocciolio, potente immagine di un regime di una dispersione, di una mancata coagulazione, si mostrano per quello che sono, una sinistra serie di fotografie fisse, di frammenti di corpi, che isolati nello spazio e nel tempo, rimandano allimmagine di una raggelata catalogazione del funebre, in cui il senso di solitudine e di abbandono della morte viene potentemente amplificato dalla frammentazione. Il venir meno del filo conduttore del suono, che si proiettava sullordine stravolto
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Chion 2001, pp. 13-14.

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dellimmagine, fa emergere un aspetto ancora pi terribile del funebre: lidea di un abbandono dei corpi a se stessi, di una perdita del senso che la categoria del funebre ancora poteva proteggere. Il suono funge cos da relazione di contiguit, fra nuclei di senso che non si coagulano tra loro, ma che tendono ad avvicinarsi. Evidentemente proprio la natura temporale del suono, il fatto che esso implichi, come dice (un po misteriosamente) Chion, uno spostamento anche minimo, unazione, che rende tale sintesi cos significativa: e lo stesso varr per limmobilit, perch quando un suono viene proposto come fisso, osserva Chion, esso un processo che si ripete, che gira su stesso. Dobbiamo comprendere i presupposti di questo ragionamento, un po elusivo: per Chion il suono ha una propria dinamica temporale, anche quando rimane identico a se stesso, come accade per un loop che si ripete, o per una nota tenuta, che si mantiene identica a se stessa. Questi esempi mostrano che lidentit del suono non altro che il ripresentarsi di uno stesso elemento, che, per essere riconosciuto come tale, deve continuamente riattivare il processo della sua identit nel tempo, un aspetto molto diverso dalla constatazione dellidentit per un oggetto spaziale, che mi sta di fronte. Ascoltare molto diverso dal continuare a guardare unimmagine, lidentit dellimmagine sotto ai miei occhi fa tuttuno con il suo essere una cosa posizionata in un luogo nello spazio. Il suono invece un processo che mi si impone, rispetto a cui sono inizialmente passivo, un evento che si ripete nello stesso punto del tempo, quindi qualcosa di pi complesso e fuggente, che non pu essere indicato col dito, come faremmo per un luogo spaziale. Un suono identico a se stesso risulta continuamente soggetto al movimento che lo costituisce, al suo irrompere dal nulla. Gli accenni di Chion sono evidentemente incompleti, ruotano attorno al problema, ma, ancora, non ci fanno comprendere in che senso il suono collochi limmagine o la scena dentro ad un tessuto temporale, drammatizzandone i contenuti. Per cominciare a spiegare la confusione delle trame che questi aspetti mettono in gioco, dobbiamo produrre qualche esempio: guardando quattro triangoli identici, allineati uno allaltro, posso leggere la sequenza come quattro figure uguali tra loro, una a fianco dellaltra, ma posso anche leggerla come il ripetersi dello stesso elemento quattro volte82. Il valore della configurazione, da una lettura allaltra, muta completamente il proprio senso: nel prima caso sottolineo la molteplicit delle figure nello spazio, nel secondo la ripetizione della stessa figura, il suo darsi allinterno di un ordine. In tal modo si attribuisce alla sequenza, come scrive Piana nel saggio citato, un inizio, una fine o una sua indefinita prosecuzione. Lidea di ordine, di sequenza, rimanda implicitamente al concetto di tempo, e se quattro suoni
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Per questo tema cfr. Piana 1994.

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uguali tra loro, non si possono dare in un unico sguardo, come accade per gli oggetti nello spazio, si intender appunto che, in un certo intervallo di tempo, lo stesso suono accaduto quattro volte. Il passaggio dalluguaglianza allidentit ci pone allinterno di un registro temporale, ed proprio questo che ci insegna lesempio di Chion: la natura temporale del suono trascina limmagine, indipendentemente dal registro realistico del taglio narrativo, e questo accade nel cinema come nel teatro: il riverbero di questa forma logica guida lorganizzarsi del senso della sequenza delle immagini, che verranno fruite secondo le possibilit interne allordine scandito dai suoni. In tal modo ogni immagine una rappresentazione di un oggetto, e questa rappresentazione accade in un momento dello spazio e in un luogo nel tempo. Ogni immagine congelata allinterno di questa localizzazione, anche se poi dialoga con tutte le immagini anche dello stesso oggetto che la precedono e che la seguono nel tempo: linseguirsi di queste unit, che si raccolgono assieme attraverso un rapporto di implicazione reciproca e di svolgimento, determina il senso di una sequenza.

Giocando con limmagine, il suono arricchisce la dinamicit degli spaccati spazio temporali, che sono in fondo le rappresentazioni degli oggetti. Ma il suo lavoro non si esaurisce in questa funzione dinamica: lesempio mette in luce che il suono enfatizza la capacit di narrare. Il taglio proposto dallautore, in questo caso, porta queste due situazioni al limite di rottura, e allora sar il rumore o il suono musicale a permettere che tutti quei nuclei che non riescono a condensarsi ritrovino una loro continuit, profondamente spezzata dal fatto che le sequenze di un sogno, o di un incubo, non sono consequenziali, vivono la logica discontinua dellimmaginazione, il suo cercare nessi aldil dellordine regolare delle cose, per stabilire i propri criteri dordine. Il suono si trova a sottolineare, a esplicitare, a mettere in gioco i contenuti espressivi della rappresentazione, sigillando levento allinterno di una sfera sonora che lavora su atmosfere, colorazioni emotive, suggestioni interpretative: lidea dellevocazione della goccia dacqua, rispetto alle immagini fisse dellobitorio, colora quel quadro di un colore ancora pi sinistro, pi opaco. Tornando a Bergman, nellesemplificazione tratta da Persona limmagine sta prima del suono, ed il suono cerca di riplasmarsi allinterno del regime espressivo messo in moto dallimmagine, e dalle lacune del montaggio che le assembla: vi un movimento dallimmagine al suono, dalla dimensione della spazialit narrativa a quella della temporalit musicale. La mano inchiodata, che senza suono torna ad essere solo unimmagine astratta, solo un assemblaggio non 45

riuscito: con il suono, attribuiamo movimento a quella staticit inchiodata, rintracciamo un senso che emotivo e direzionale (i piani si fondono tra di loro). In un contesto cos ambiguo, il suono prende la funzione di un indicatore emotivo, riempiendo di senso il montaggio delle immagini, e creando una tensione che ne confonde i significati, in un precipitare da unimmagine allaltra. Al tema imitativo si affianca una riflessione sulla libert del narratologico, e sullarticolazione possibile dei suoi nessi interni: il suono, semplicemente, assume la funzione di un secondo montaggio, scambia quasi la propria posizione con il flusso delle immagini, e lo fa proprio per quelle tendenze iterative di cui ci parla lesempio della sequenza del triangolo che si ripete. Mimare un ordine temporale non una condizione sufficiente a costruire un insieme organico di immagini, ma suggerisce un ordine possibile, che ha natura emotiva, colorato dalle suggestioni espressive imposte dalla qualit di suono e rumore. Siamo partiti dal piano imitativo, e dalla complementarit fra ascolto e visione, ma, gi ai primi passi, il senso di tale relazione si fa complesso, e teso verso nuclei espressivi bivalenti, dove immagine e suono possono scambiarsi le parti, obbedendo ad esigenze espressive che trovano la propria giustificazione nella scelta del piano narratologico che organizza limmagine. Potremmo chiederci allora se questo non sia solo un problema di logica combinatoria, fra oggetti spaziali (le immagini) e strutture temporali (i suoni) che si possono scambiare i posti, allinterno della costituzione del racconto audiovisivo. Diamo pure una risposta positiva a questa domanda, ma certamente la logica combinatoria non ci spiega nulla della relazioni espressive, che sostengono questi scambi continui, perch chiaro che il movimento temporale del suono ha un continuo riverbero nella fruizione affettiva dellimmagine: su questo terreno che prendono forma quelle esigenze strutturali che permettono quelle interpolazioni. Adesso comprendiamo anche perch il tema paradossale del rovesciamento di senso della musica lieta, che scorre sullimmagine tragica, ci possa insegnare pochissimo sulla correlativit di suono e di immagine: un rovesciamento fra nuclei semantici, o un rovesciamento di componenti espressive, si limita a farci oscillare fra due poli di una relazione che andrebbe invece indagata nel suo costituirsi. Laspetto ha considerevole peso, ad esempio, nella nascita del cinema, e nel passaggio da muto a sonoro, perch le fibrillazioni espressive di un suono che proviene dallimmagine, aprono campi di senso che ci portano un passo oltre il piano, sempre presupposto, della complementarit. Non si tratta pi di far aderire il suono allimmagine, ma di farli nascere uno dallaltro. Il piano dellespressivo prende forma proprio qui: la nostra domanda iniziale, relativa al significato di forma complementare, ci spinge in direzione dellintreccio fra forme affettive legate alla fruizione combinata di suono e immagine, nellintenzione creativa che collega oggetti spaziali, movimento, e strutture temporali. 46

Estasi e ritualit La tematica dellespressione trova una esemplificazione assai efficace in Sergej. M. Ejzentein83, che parla di un vero e proprio sconfinamento dellimmagine nella musica, osservazione preziosa da parte di un regista che vede nellorganicit della natura il modello della struttura narrativa del cinema: la narrazione deve diventare incalzante, non pu permettersi pause, il ritmo intenso del montaggio non pu dar respiro allo spettatore. La funzione della musica va indagata dentro a questo plesso. Vi organicit se la struttura del film, le parti che lo compongono, sono in grado di convertirsi luna nellaltra: una scena tanto pi organica, quanto pi immagine, musica, inquadratura, colore, convergono dinamicamente una nellaltra, per dare un risultato coerente, in cui ogni parte sembra uscire da se stessa, per fondersi nellaltra. Il convergere dinamico di tutti i registri espressivi, uno nellaltro, crea il clima espressivo, la sua capacit di portare lo spettatore dentro di s, in un quadro di totale metamorfosi delle forme che rimanda, circolarmente, allorganicit del ciclo naturale. Non il momento di impugnare delle legittime resistenze nei confronti di un parallelismo cos accentuato, utilizzato in modo geniale dal regista russo, per raccontare gli intrecci costitutivi della struttura filmica, per saldarne insieme i singoli momenti, in una teoria che mira ad un rispecchiamento patetico dello spettatore nellevento filmico e nei suoi nessi strutturali, letti come opera darte totale. Tuttavia certamente interessante notare che, in una poetica in cui la spontaneit della natura si fa modello formale, limmagine sconfini nella musica. Lo sconfinamento, il fatto che immagine e suono si costituiscano assieme in una totalit indifferenziata, in cui le singole parti superano la propria identit strutturale nellaffermazione di un quadro espressivo non si lega solo al fatto che il montaggio delle immagini debba obbedire ad una logica emozionale che ha pi di una parentela con il ritmo musicale- Ci trova una geniale conferma nellidea che, nel cinema muto, sia proprio il paesaggio lelemento pi libero del film, che diviene la cassa di risonanza di tale esigenza espressiva. Il rapporto fra suono e immagine nel cinema muto trova un doppio nel rapporto che lega limmagine a se stessa, alla sua contestualizzazione, lasciando intendere che tutta la logica costruttiva del film viva in questo regime di trapasso fra dimensioni vicine, verso quelle pi lontane: per spiegare il gioco contestuale della musica, la sua forza narrativa, si prendono le mosse da ci che circonda limmagine, da quello che definiremmo lo sfondo organico, in cui limmagine cinematografica inserita. Il paesaggio lelemento pi libero da condizionamenti narrativi, e si
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Cfr. Ejzentein 1945-1947, pp. 231 e sgg.

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mostra particolarmente duttile per la trasmissione di umori, stati danimo, atmosfere emotive. Lidea di fusione qui prende un rilievo difficilmente contestabile: lo sfondo della figura, ci che circonda i personaggi, deve respirare della loro drammaticit, come la musica deve catturare lespressivit dellimmagine e riproporne con forza i contenuti. La funzione della musica avr cos il senso di una coloratura emotiva e indicalit narrativa delle situazioni, che dovrebbe condurre, nellevoluzione del mezzo audiovisivo, a una fusione organica di suono e immagine. Natura, sconfinamento, risonanza: persino nel cinema muto suono musicale, rumore e gradazione dellatmosfera emotiva vengono evocate come fusione fra due sfere sensoriali: al tempo stesso, sembra che vi sia qualcosa di pi, perch la funzione della musica non consiste solo nel rafforzare lazione, quanto nel finire di raccontare emozionalmente quanto inesprimibile con altri mezzi84. In questo senso, la musica insostituibile, perch coglie uno strato segreto dellazione, un piano che la narrazione non pu esplicitare in altro modo. La musica si rende indispensabile, perch tocca un piano nascosto, e crea un nuovo orizzonte di senso, rimodellando attorno a s tutto il piano narrativo. unosservazione molto meno ovvia di quanto non potremmo immaginare: se la musica in grado di suggerire quello che la relazione implicita paesaggio-immagine sa solo mostrare come risonanza, vuol dire che, nei precipitati espressivi della musica che commenta la scena, si apre un piano nascosto, dove vivono latenze e direzioni di senso, che contengono qualcosa di simile allimmagine, una sorta di traccia che fatica ad emergere da sola, ma che orienta il senso della sequenza filmica che sostiene: Nellultima opera cinematografica di Tarkovskij, Sacrificio (Offret, 1986) si percepiscono suoni che sono gi sullaltro versante della vita, percepiti da un orecchio immateriale, liberati dal nostro confuso orecchio umano: sono richiami modulati, che risuonano in unaria limpida, lanciati da voci giovani e fresche, e ci riportano lontano, alla nostra infanzia a quellet in cui limmortalit ci pareva essere il nostro tempo naturale. Quei canti, lo spettatore pu udirli, senza accorgersi di averli sentiti. Perch nulla nellimmagine, risponde ad essi o li sottolinea. Essi sono come laldil dellimmagine, ci che si potrebbe scoprire se lo schermo fosse un pendio,e si potesse andare a vedere ci che succede dallaltra parte85. Il suono come immagine di un mondo, che sta aldil dellimmagine monodimensionale che vediamo sullo schermo, si fa polifonia fra tempi esistenziali diversi: esso pu vivere totalmente al di fuori del visibile, raggiungere una tale forma di precariet che potrebbe essere s ascoltato, ma non riconosciuto. Lo straniamento rispetto allimmagine le attribuisce un tale spessore espressivo da creare una tensione verso il perduto, che nel passo di Chion diventa evocazione dellorizzonte delleterno presente che caratterizza linfanzia. I suoni che si muovono fuori dallimmagine (ma, che, se ascoltati, decontestualizzano quasi
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Ibidem, p. 232. Chion 2001, p. 123.

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dalla drammaturgia in atto, creando leffetto di una terza parete che va superata per andar a vedere cosa sostiene limmaginario della visione), laccento sulla acontestualit immaginativa che sostiene la narrazione cinematografica creano un potentissimo ponte semantico verso le radici simboliche in cui prende forma lattivit dellimmaginazione. Gli stessi suoni, del resto, potrebbero volgersi verso linteriorit dei personaggi della storia, come accade per le grida di rondini che si inseguono nella colonna sonora del film, e di cui nessuno dei personaggi parla mai: ascoltate solo da noi e dal bambino convalescente86. Quelle grida, si attestano su un luogo di transizione fra virtualit dellopera e vita vissuta dellascoltatore, sono trame che cercano una soggettivit disposta a giocare con quelle forme di dislocazione, con messaggi poetici nascosti nelle pieghe della narrazione che puntano su regioni di confine del contesto narrativo. Le fasi di decontestualizzazione del suono, le sue forme tese al limite del paradosso (ma spesso indispensabili, si pensi alluso della voce nelle narrazioni operate dai personaggi) diventano cos un filtro per muoversi attorno ai vari regimi di costituzione dellopera cinematografica. La posta in gioco il senso della localizzazione spazio-temporale dellopera filmica, il gioco con cui essa dialoga direttamente con lo spettatore, aldil e al di qua dellimmagine stessa, che, in molti casi, coincide con i personaggi stessi e tutto il tessuto di relazioni che costituisce il loro mondo. forse il modo pi radicale in cui lirruzione del suono opera nella dimensione dellestasi, determinando un uscire da s che non pi solo spaziale, ma va a toccare lidentit stessa che circoscrive lopera allinterno del suo contenitore, portandola ad un dialogo interno con lo spettatore. Andiamo oltre i paradossi mossi dalla riverberazione del suono sullimmagine filmica, per chiarire meglio il senso del rapporto del suono con la ritualit. La musica come drammaturgia Vorremmo seguire il prender forma di questi problemi nel mondo antico: il riferimento alla forma di teatralizzazione (alla possibilit di far emergere attraverso qualcosa qualcosaltro, come accade quando una tragedia porta alla luce, nel significato di una vicenda, tutto un sistema di valori etici, morali, politici, estetici, stilistici, motivazionali o, per usare unespressione aristotelica che si colloca trasversalmente su tutti questi significati, raccogliendoli in una solo parola, mimetici) emerger immediatamente, con tutta la sua carica problematica. Il profondo intreccio fra forme della ritualit e spettacolarizzazione accompagna lo sviluppo della nozione di musica fin dallorigine della musica greca: non certo un caso se Aristotele nellOttavo libro della Politica, o Platone nel VII Libro della Repubblica (530c-531d) avvertano la
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Ibidem, p. 124.

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necessit di circoscrivere le tipologie e gli effetti dei suoni sullanima e che si trovino cos a dover costruire complesse teorie sulla ricezione e la riarticolazione dellesperienza musicale allinterno degli spettacoli pubblici, con una caratteristica divaricazione delle tematiche interne alla struttura degli oggetti sonori. Lidea di una potenzialit espressiva che guidi e sostenga la fruizione musicale sembra implicare la possibilit di un aggancio possibile verso la drammatizzazione di unazione visiva, di una danza, o di un gesto teatrale. Questo passaggio decisivo, perch crea un ponte espressivo fra musica, immagine, e concetto, o idea, che si vuol rappresentare. Nella prescrittiva greca, ad esempio, il puro gioco di forme in cui si articolano le strutture sonore viene spinto ad uscire dalla sua astrattezza, dalla sua lontananza dal mondo, per creare un canale privilegiato che illumini il mondo dellesperienza e dellaffettivit dallinterno, secondo larticolazione di una serie di modelli canonici, che vedono la musica animata dalle stesse proporzioni matematiche che sostengono il movimento dei pianeti o lordinarsi delle relazioni fra concetti (ma ancora presto per entrare in un contesto cos definito). Il rapporto suono-azione sar cos uno dei temi avvertiti con maggior tormento nella riflessione sul musicale, in parte per una profonda diffidenza dei due filosofi verso le pratiche connesse alla sfera dello spettacolo, in parte per la polivalenza interna al concetto di mimesi. Se la forma e la struttura del racconto imitano un mondo possibile attraverso cui il contenuto poetico della tragedia assume una forma politica di riconoscimento da parte di una comunit che partecipa alle peripezie delleroe tragico, tutti gli elementi troppo compromessi con il piano della spettacolarizzazione creano interferenze che sono dannose alla fruizione dellopera. Cosa significhi in questo contesto spettacolo presto detto: tutto il piano di azioni, gesti di rafforzo, suoni di contorno, canti, costumi, che, avvicinando la dimensione poetica del testo a una rappresentazione forte, esuberante di contenuti sensibili, ne schiacciano il valore ideale: la diffidenza platonica nei confronti dellidea di una mimesi, di un rappresentazione che guardi al piano imitativo (il tema dellimitazione dunque il prodotto di una stilizzazione, di una schematizzazione del reale, particolarmente efficace), dei suoi limiti e dei suoi pregi, va collocata allinterno di questa capacit, di questa produzione di immagini che soggiogano. Possiamo parlar solo di diffidenza, non di disinteresse, perch i filosofi prendono tutti atto della forza di quel legame originario per la comunit greca, tanto che le speculazioni sul teatro, sul suono, sulle intonazioni della voce, sui contenuti narrativi e mimetici della narrazione diventano snodi impegnativi in ogni speculazione etico-politica, e lasciano le loro tracce sulle riflessioni connesse alla retorica, alla zoologia, e alla fisiognomica87: al preoccupato riconoscimento della
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Per una coloratissima rassegna sul tema, cfr. Bettini 2008.

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forza dellimmagine (non disprezzo come spesso si scrive), Aristotele dedicher il nucleo teorico della Poetica, chiedendosi come sia possibile limitazione, e ricostruendo una serie di considerazioni antropologiche ed estetiche che vedono nella mimesi un passaggio essenziale per la vita sociale delluomo (impariamo a giocare, a parlare, a far poesia imitando, attraverso processi di schematizzazione, i cui esiti sono inesorabilmente legati ai modi della nostra caratterialit). Fin dallinizio della speculazione filosofica sulloggetto teatrale, estetica e antropologia creano un ponte fortissimo fra di loro, per comprendere in che modo le tendenze istintive delluomo si connettano al mondo-ambiente che lo circonda: nessuno stupore se questo accade anche per la musica. Il suono disturba, emoziona, facilita la ricezione di alcune emozioni, e allontana da altre: nellOttavo Libro della Politica Aristotele propone persino un modello di tipo catartico: emozioni come compassione, paura, entusiasmo, appartengono, in modo diverso a tutti, ma vengono sensibilmente rafforzate dalla presenza di forme melodiche, in grado di intensificarne, o renderne meno avvertibili, gli effetti. Accade cos che, muovendoci allinterno di una teoria della ricezione artistica, ci venga subito incontro un sovrapporsi di piani in cui il complesso gioco di emozioni messo in moto, ad esempio, dalla rappresentazione tragica, trova una sponda immediata negli effetti che un oggetto sofisticato come una melodia rituale sollecita nello spettatore. In particolare, osserva Aristotele: alcuni individui sono portati ad essere scossi da tali moti, ma quando partecipano a quelle melodie [] ci sembrano curati da queste melodie sacre, come se fossero state date loro cure mediche e catarsi88. La melodia cura, fa ritrovare un equilibrio, crea un movimento fra interno ed esterno, riportando gli individui allinterno di uno stato pi contemplativo, o pi entusiasta. I suoni agiscono, rafforzano una pratica, ne modificano lo statuto, ma possono anche ricreare una condizione dinamica di equilibrio. Vi un sentire assieme alla musica, un movimento dallascoltatore verso la struttura sonora e un ritorno dalla struttura sonora allascoltatore89: lidea di una musica che esprima le emozioni si radica allinterno di questa complicit, che la vede portare ad espressione (verrebbe voglia di dire, portare ad icona) i moti dellanimo, in una sorta di rispecchiamento fra udire, essere e portare a rappresentazione. Sembra che la descrizione di Aristotele veda nel carattere di sacralit della melodia, che purtroppo ci rimane ignota, una sorta di struttura retorica modellata secondo regole molto precise, in grado di farne riconoscere immediatamente il carattere rasserenante allascoltatore. La strategia interna del rito, la sua forma narrativa, prevede un turbamento e un rasserenarsi dellanimo attraverso un rapporto di complicit fra ascolto del suono e trasformazione
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Aristotele, Politica 1342 a 4-12. Il tema sviluppato in Halliwell 2002, pp. 143-144.

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psicologica, un passaggio che si consolida allinterno del rito stesso, e che alcuni individui avvertono pi di altri. Non unosservazione di poco conto, perch accettare queste forme di complicit implica lidea che esista un potere persuasivo interno alle strutture melodiche, che d loro la possibilit di far intendere, a modo proprio, dei contenuti: una costruzione sofisticata come una forma di canto rituale riesce a modificare dallinterno gli elementi affettivi che stanno dietro alle forme che organizzano il piano della ricettivit dei contenuti dellesperienza, di cui ora va ricercato il fondamento autentico. Rimane, tuttavia, un punto da chiarire: come accade tutto questo, e che rapporto stringe leffetto della musica al concetto di espressione? In altri termini, se la musica agisce sul modo di sentire, se riesce a scuotere chi la ascolta, deve avere un carattere, un contenuto interno che entra in dialettica con la passione che essa sa suscitare, una serie di valori espressivi che conducono lanima da una situazione emotiva allaltra. I contenuti del suono sono, nel mondo greco, dei caratteri, delle forme emozionali, che si esprimono attraverso i processi sonori. La questione cruciale, perch se la musica porta con s dei caratteri, vuol dire che sa imitarli, che vi una valenza emotiva del suono, che trova il modello emozionale nel suono stesso. Se pensiamo che nel mondo greco un carattere il nucleo pi intimo e nascosto di qualcosa, potremmo dire che agisce sullanima perch porta con s dei caratteri. Ma come li imita? Per comprendere questo problema, dobbiamo uscire dallambito delle opere autenticamente aristoteliche, e volgerci verso gli scritti della sua scuola, in particolare il libro XIX dei Problemi, che ha come oggetto la musica90. Nel Problema 27 si apre una discussione sul perch gli oggetti delludito siano gli unici oggetti sensoriali che contengano ethos, un carattere morale. Perch la musica contiene un carattere etico, che si offre ai nostri sensi, mentre non lo posseggono odori, sapori o colori? Secondo lautore del testo la ragione legata al fatto che la musica contiene movimento, un movimento che collega tutti i suoni fra loro: Perch la percezione uditiva la sola ad essere espressiva di un carattere? Anche senza parole la melodia ha lo stesso un ethos, che invece non hanno n il colore, n lodore, n il sapore. Oppure perch essa solo comporta un movimento, che non il semplice movimento indotto in noi dal rumore? (questo movimento riguarda anche gli altri sensi: anche il colore muove la vista)91. Losservazione mira subito a separare la dimensione dellascolto musicale dagli altri sensi. Il movimento che procura la musica non si riduce a quello percettivo, perch la musica dispone il soggetto verso certe inclinazioni morali, rianima delle passioni psicologiche. Ma come lo fa? Si tratta piuttosto della percezione di movimento che accompagna un determinato suono. Questo
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Per questa sezione, cfr. Barker 2005, pp. 99-111. Aristotele, Problemi, a cura di Maria Fernanda Ferrini, Bompiani, Milano 2002, pp. 284-285.

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movimento comporta una somiglianza dei ritmi e nellordine dei suoni acuti e gravi [] Nelle altre percezioni questo non accade. I movimento di cui si parlato sono invece connessi con lazione, e le azioni sono indicative dellethos92. Il movimento di cui parla il testo un principio formale, qualcosa che tesse assieme suoni e ritmi, un ordine in movimento che, nella strutturazione dellarchitettura di un brano musicale, esibisce uno stile, imita qualcosa, esprime un carattere. Esprime il carattere espressivo di unazione, di unazione che immagine di un modo di essere. La percezione musicale, spiega Barker, dinamica, un brano musicale si dispiega nellesecuzione secondo una componente ritmica, e noi ci concentriamo su di esso, come di fronte ad un unico organismo che esiste nel suo progressivo movimento da un suono ad un altro, e che impiega un periodo di tempo, per giungere a compimento.93. Se ci concentrassimo sulle singole note, su ogni singolo evento, perdendo la forma in movimento, perderemmo al musica e ascolteremmo solo suono: in altre parole, il senso del decorso percettivo a guidarci nella fruizione musicale, non la parcellizzazione o lisolamento sulla singola fase. Tali movimenti sono governati da uno stile che si riflette su ogni loro pulsazione, sul concatenamento armonico del suono, e le azioni sono segno di un carattere. Barker insiste correttamente sullidea che lazione sia qui da pensare in senso mimetico, come un qualcosa di conforme a un modello, concordemente a ci che abbiamo gi rilevato nei nostri cenni alla Poetica. Seguendo lorientamento generale del nostro discorso, diremo che la melodia imita lo stile di un carattere, e che tale aspetto non poteva che prender forma allinterno di oggetti temporali come sono i suoni. Limmagine sonora del carattere sembra essere levocazione di un andamento, di un gesto, un fatto espressivo che trova il proprio fondamento nella struttura temporale dellazione stessa. un paradosso interessante, perch basta guardare la cosa pi da vicino per comprendere che landamento ritmico del brano, la sua profilatura espressiva, i criteri dordine che ne guidano lo sviluppo, sono diventati immagini per pensare un concetto, o un modo di essere. Si affaccia con forza lidea di una mobilit della forma, che spinge verso il terreno della relazione gestaltica, o, come preferiremo dire noi, dei nessi strutturali interni alla scena percettiva. Le osservazioni aristoteliche parlano evidentemente di un piano dellascolto ben orientato, di un contesto in cui la musica viene somministrata, per cos dire, in vista di determinati effetti, appoggiandosi allidea che lordine interno alla musica sia in grado di suggerire un colore emotivo adeguato al piano dellemozione. Leffetto catartico il punto di arrivo del rituale stesso. Esso porta alla luce una regione emotiva particolarmente permeabile al suono, un modo di sentire comune a tutti, ma che agisce in modo diverso a seconda della configurazione psicologica, e sensibile, dellindividuo. La catarsi, il passaggio da uno stato emotivo ad un altro, porta a compimento,
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Ibidem. Barker 2005, p. 109.

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risolve tutte le tensioni emotive sollecitate dalla musica in una disposizione psicologica determinata dallascolto. Si possono selezionare regole per produrre trasformazioni emotive attraverso suoni, costruire melodie che puntino ad un determinato risultato emotivo. Possiamo manipolare un carattere, se gli individui toccati dalle melodie sacre indulgono in comportamenti che sembrano entrare in consonanza con lordine dei suoni, con la loro diposizione musicale, con larchitettura che ne stringe le relazioni. Possiamo educare, rafforzare limmagine con il suono, ma questa interferenza apre su un altro lato della medaglia, il cui profilo lambisce gi le critiche sollevate nella Repubblica platonica, legate a quella accentuazione del mimetico allinterno della tragedia, o della poesia: la forza di queste arti , per certi aspetti, il loro limite, leccesso di realismo, levocare in modo troppo diretto il piano dellesperienza, le turbative dellanimo degli dei e degli uomini interferiscono con un quadro di riferimento ben consolidato, che permetta una fruizione piena degli aspetti ideali delloggetto artistico. Nasce un turbamento di fronte allidea di trasformazione, di instabilit, di dispersione nel quadro dellesperienza ricettiva, di cui buon testimone la stessa preoccupazione aristotelica per cui le parti della Tragedia debbano diventare forme (Poetica, XII, 1452b), matrici che possano produrre un racconto che sia al tempo stesso collante in grado di dare unicit di direzione ad episodi diversi, separati nel tempo, ma connessi in modo tale da dare lillusione di un continuo flusso fra la fine delluno e linizio dellaltro, fino al totale esaurimento del movimento drammatico nel chiudersi dellintreccio, nellesaurirsi delle sue premesse. Il racconto si consolida, il movimento interno delle sue parti, degli episodi che ne costituiscono la trama, diventa pannello, si consolida in una struttura, solida e agile al tempo stesso, che si mantiene uguale a se stessa. Non vi spazio per varianti, per aspetti ambigui: tutto il divenire degli eventi si chiarifica nel prender corpo di una storia, una storia che, per funzionare, devessere priva di lacune interne.94. In un quadro determinato con tanta limpidezza, il suono, la musica, i canti che accompagnano la tragedia affondano in un terreno controverso, mettendo in gioco un colorarsi dellesperienza: la melodia pu opacizzare un contenuto, pu colorare il senso di una situazione in modo sbagliato. Il tema sembra essere una sorta di bordone, di riferimento fisso ad ogni analisi sulle inflessioni del suono, sulla loro capacit di sedurre la mente, se vogliamo seguire la deriva delle riflessioni espresse nella Politica aristotelica. Il suono colora lesperienza in molti modi, ne determina la fruizione, e ne pu mutare le potenzialit immaginative, disturbando il piano della catarsi: da qui lesigenza di strutture normative, che determinano il nucleo originario di unestetica musicale elaborata dal mondo greco sin dai tempi della filosofia pitagorica.
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Una preziosa panoramica di questi temi offerta nei primi dieci capitoli di Halliwell 2002.

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Le ricadute del doppio potere della musica continueranno a farsi avvertire in modo intermittente nella storia del teatro musicale, e conoscerle permette di cogliere in modo pi chiaro gli snodi concettuali che conducono da teatro antico a quello moderno: pensando allidea di un suono che riesce a parlare aldil della parola, che guida limmaginazione dello spettatore dentro allessenza drammaturgica di un atto, il grande riformatore del teatro dopera moderno, Richard Wagner, teorizzer, ad esempio, in Musica dellavvenire (1860), il totale assorbimento delle funzioni narratologiche del coro allinterno dellorchestra. Al centro del suo interesse sta la potenza evocativa del musicale, lidea che la musica porti dentro di s dei significati drammatici, che sono gi evento teatrale, come mostra bene un frammento di questo testo sulla III Sinfonia di Beethoven (1851), in cui Wagner esplicita i caratteri della musica: Il primo tempo abbraccia come in un punto focale incandescente, tutte le sensazioni di una ricca natura umana colta nel pi incessante, nel pi frenetico slancio giovanile. Gioia e sofferenza, piacere e dolore, grazia e mestizia, meditazioni e aspirazioni, languori e frenesie, ardire, ostinazione e unirrefrenabile coscienza di s si alternano e si intrecciano con tanta forza e immediatezza che, mentre vibriamo partecipi di tutte queste sensazioni, nessuna riesce a scindersi in maniera percepibile dalle altre: la nostra partecipazione costretta ad indirizzarsi sempre e soltanto verso luomo che ci si manifesta capace di ogni sensazione95. un passo esemplare, che spiega molte cose: la musica subito tradotta in un plesso di emozioni, che arrivano con grande immediatezza allascoltatore, ma queste emozioni sono gi, in qualche modo, aldil della musica stessa, sono nel paesaggio che la circonda, direbbe il regista russo, che di Wagner fu grande ammiratore. La musica ci fa partecipare a qualcosa, ci guida verso una natura umana, e questespressione particolarmente pesante, perch indica non tanto una figura psicologica, ma una dimensione spirituale, un evento della storia, una personalit in cui si condensa lo spirito di unepoca: vi un forte colore romantico in queste osservazioni, ma questo romanticismo guarda alluniversalit, e, cos, nella composizione musicale cogliamo in filigrana un ritratto eroico dello stesso Beethoven. Limmagine ora tutta interna alla musica, ma c qualcosa di ancor pi esuberante nellarticolazione del rapporto suono-emozione-significato. evidente che Wagner non sta parlando dellavventura del Beethoven storico, ma del mito di Beethoven, che facciamo nostro immergendoci in una serie di emozioni, meglio ancora nel precipitato semantico delle emozioni stesse. Non una specificazione di poco conto: lessenza stessa della cosa, il significato pi profondo dellemozione ad avvicinarci al valore universale di una figura. difficile non cogliere, aldil delle colorature accese della prosa wagneriana, una tensione verso un universale: non il momento psicologico della emozione, ma il condensarsi
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Wagner 1851b, p. 132.

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monumentale della sua idea. La musica sembra essere sul punto di cogliere delle essenze immutabili, un aspetto che fa tuttuno con la celebrazione di Beethoven come paradigma stesso dellidea compositiva. La musica va direttamente allidea, e ce la fa sentire come emozione, anzi come compartecipazione, secondo lo schema del teatro classico. un passaggio fondamentale, per comprendere il rapporto che lega la musica allazione: se nella tragedia greca il coro a commentare quanto accade sulla scena, e a parteciparvi emotivamente, la sostituzione di quella funzione narratologica con lorchestra, sviluppa lidea di una correlazione talmente profonda fra suono e gesto, da assorbire completamente il senso dellazione nei suoni che la commentano. Lidea, che ha ampio riverbero nella filosofia di Nietzsche, e ritrover la propria fonte dispirazione nella filosofia della musica di Arthur Schopenhauer, e nellidea che solo la musica, fra tutte le arti, possa toccare dallinterno il significato metafisico del mondo, nascosto dietro alla rete di fenomeni e apparenze, che ne opacizzano irreversibilmente il senso96. La musica pi di un personaggio, perch permette una totale compartecipazione emotiva ai significati della azioni, e alle emozioni della rappresentazione, portandone alla luce le motivazioni pi nascoste. Siamo lontani da un semplice rispecchiamento psicologico tra la musica e personaggio: se lorchestra coglie il senso delle azioni, e ne inquadra irreversibilmente il significato, emozionando lascoltatore, questo significa che il teatro musicale ha di mira luniversalit dellesperienza umana, unessenza che va aldil del piano delle semplici relazioni affettive, per cogliere dei caratteri universali, in una totale depsicologizzazione dellesperienza teatrale. Lo spettatore completamente guidato dalla musica, dallo sviluppo ininterrotto di ritmi e melodie, allinterno della trama dellopera, per coglierne fino in fondo il significato. Da qui lidea di una fusione fra tutte le arti (musica, poesia, scultura architettura danza ), tenute assieme sotto legida del musicale, per giungere a un grado talmente forte di condensazione, da poter precipitare luna nellaltra e sostenersi espressivamente, ognuna facendo proprio il punto di vista dellaltra, in un modello metamorfico che ha sicuramente influenzato le concezioni strutturali di Ejzentein. Lopera darte totale dunque il punto darrivo di una trasfigurazione dellidentit di ogni singola arte, per poter arrivare alla scena, al momento di perfetta compiutezza in cui immagine e suono possano riavvicinarci alle fonti del mito, e alle radici ultime della natura. Come scrive Wagner, soltanto alla scena consentito di radunare in s tutte le propriet e tutti i momenti dellarte figurativa nella loro perfetta compiutezza97. La musica dunque porta a trasfigurazione tutte le arti che le si sottomettono, per introdurre alla dimensione onirica del mito. Ma ancora una
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Cfr. Schopenhauer 1819 e Nietzsche 1872. Wagner 1851, p. 146.

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volta la musica si fa immagine di un carattere, evoca la totalit di un mondo, rappresenta delle idee. Il cerchio aperto dalla citazione di Ejzentein si chiude ma ancora non riusciamo ad individuare cosa permetta alla musica di guadagnare tanto spessore, da assorbire tutti i sensi latenti delle immagini. Le immagini che vivono nella musica, come ci hanno mostrato bene gli esempi che abbiamo citato, da Chion a Wagner, da Ejzentein al pensiero aristotelico, sono caratterizzate da questo modello di generalit che le rende aspecifiche perch nessuna immagine interna al suono pu esplodere nella sua totale esplicitazione, per usare la bella immagine di Piana98 nella sua Filosofia della Musica. Il nesso rimane cos possibile, non necessario, ed attorno a questa possibilit che lavora la sedimentazione fantastica, il senso della costruzione immaginativa, il tessuto di nessi che unisce, per fare un esempio la densit e la timbrica di un suono, allevocazione materica delle cose. Il suono guarda verso limmagine, e nellimmagine trova il suo rapporto con il mondo: questo nesso in qualche modo, necessario, interno alla sua grana, o al senso interno delle sue strutture, come mostrava bene lesempio aristotelico. Laspetto espressivo permette alla musica di appoggiarsi a un referente che rimane sempre nascosto, uno strato potenziale che si evoca, proprio mentre ostinatamente si nasconde. La necessaria ambiguit di tale rapporto spinge la musica di scena verso quella dimensione estatica, che la fa fondere con limmagine, e tutti gli ambiti che sono ad essa complementari: spazio, colore, luce, atmosfera: il movimento estatico giace tutto nella sintesi immaginativa.

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Sul rapporto fra suono immagine, e per lidea che limmagine sonora sia un oggetto inesploso vedi la voce Simbolo in Piana 1991. Oggi il volume reperibile in formato digitale presso il Sito Spazio Filosofico: http://www.filosofia.unimi.it/piana/filosofia_della_musica/fdm_idx.htm

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Roberto Diodato Elisabetta Locatelli Estetica della rete Rete virtuale Forse lidea di rete virtuale pu considerarsi unestensione spazio-temporale astratta della celebre idea di villaggio globale elaborata da McLuhan negli anni Sessanta, in particolare nel libro Gli strumenti del comunicare del 1964. Il villaggio globale era pensato da McLuhan come un ambiente sociale, produttivo e comunicativo, la cui condizione di possibilit era interna a una concezione della tecnologia come estensione della corporeit che comportava una potente concezione della tecnologia della comunicazione quale estensione del sistema nervoso: rete della comunicazione come rete neurale, ibridazione corpo-macchina, intreccio tra organico e tecnologico dotato della potenza di costituire un ambiente sui generis capace di infrangere le consuete barriere spaziotemporali quasi fosse una stoffa comune tra gli elementi (persone e macchine) che lo popolano. Cos il termine media si ricollocava nella sua origine significativa: media come sostantivo neutro plurale di medium, il quale a sua volta corrisponde alluso sostantivato dellaggettivo medius, che indicava ci che sta in mezzo, o nel mezzo, in quanto centro del luogo proprio del dibattito pubblico, in specie giuridico. In altri termini la rete ambiente che implica, coinvolge, orienta e struttura le possibilit della comunicazione intersoggettiva, scenario di azione sociale, spazio pubblico di connessione, di luogo medio in quanto mediazione, prima che dispositivo. Da qui si sviluppano le note metafore dellintelligenza collettiva e connettiva, forme di estensione pubblica e relazionale delle capacit individuali della mente, dellimmaginazione, della memoria, in un sistema aperto nel quale la struttura delle relazioni costituisce un valore aggiunto dipendente dalla natura sistemica della rete e fruibile dagli elementi del sistema. La tecnologia delle reti traduce quindi in uno spazio digitale lidea plurale di rete sociale, sempre esistita come necessit umana in varie forme; ovviamente la tecnologia non esteriore al senso della rete, ma indistinguibile dai suoi contenuti, messaggi ecc. , ne cio condizione di senso.

Roberto Diodato autore dei primi due paragrafi, Elisabetta Locatelli dei successivi.

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Come noto la rete internet si sviluppa a partire da un progetto di ricerca dellente americano ARPA (Advanced Research Projects Agency), per la costruzione di un sistema di collegamento tra elaboratori elettronici impegnati in una certa ricerca. La rete arpanet aveva quindi lo scopo di permettere ai ricercatori di scambiare dati, informazioni e in seguito pi genericamente messaggi, contribuendo cos a creare il senso di una comunit delocalizzata, esistente nellinterazione consentita dalla rete. Lo sviluppo ulteriore di internet, inteso come rete globale e come comunit virtuale, riconfigura quindi il fattore geografico: non esiste pi, propriamente, una differenza metropolitana tra centro e periferia del sistema, e si elide anche lidea di provincia in senso spaziale e culturale, eppure al tempo stesso un significato quasi geografico dei luoghi, inteso come senso del loro potere di accentramento e concentrazione di senso, si ricostruisce allinterno della rete, grazie alla sua struttura. La struttura estetica della rete La rete un complesso di nodi tra loro connessi, in continua espansione, un sistema aperto regolato da alcune costanti dipendenti dalla sua virtualit. Complessivamente tendente alla simulazione di trasparenza concettuale proprio per mezzo dellipermediazione, tale sistema formatta i suoi utenti incorporando nella sua qualit di dispositivo la qualit dei messaggi e selezionando le possibilit di relazione. I nodi sono come isole emergenti nelloceano del tessuto connettivo, pi o meno definite, grandi, articolate e connesse, che guidano i naviganti verso porti pi o meno sicuri: un immenso ipertesto costituito da ipertesti fruibili come interfacce. Per comprenderne il senso quindi necessario interrogarsi sul significato di alcuni termini, quali virtualit, ipertesto e interfaccia. La rete un insieme proliferante di immagini digitali interattive, oggetti-ambienti informatici con i quali un fruitore pu interagire attraverso le periferiche di un computer. Con tali ambienti informatici, elaborati per lo pi non da un singolo autore, ma attraverso la collaborazione di specialisti di diverse aree, talvolta lutente interagisce attraverso i suoi avatar, gli alter-ego virtuali che gli appaiono agire allinterno di tali ambienti, producendovi delle trasformazioni, altre volte la sua funzione spettatoriale coincide con lessere attore della situazione. Le trasformazioni o modificazioni percettive e cognitive prodotte dagli utenti negli ambienti informatici o virtuali sono possibili in quanto le immagini (visive, uditive, tattili ecc.) che essi percepiscono/producono non sono altro che differenti fenomenizzazioni di una matrice algoritmica, cio differenti possibili attualizzazioni permesse dal programma. Il grado di interattivit di tali oggetti informatici muta a seconda che linterazione avvenga sulla base di matrici algoritmiche rigide che preordinano le possibili interazioni oppure sulla base di matrici flessibili che apprendono e si modificano 59

attraverso linterazione con lutente. quindi importante una descrizione del campo, una fenomenologia dei corpi virtuali che li distingua in base al grado di immersivit e di interattivit che consentono. In particolare La rete un corpo virtuale in senso debole, in quanto le caratteristiche che distinguono la virtualit (intermediariet, immersivit, interattivit) non giungono probabilmente a trasformare compiutamente la rete in un ibrido ontologico che sopprime la differenza tra interno ed esterno, corpo e immagine, oggetto ed evento. Lipertesto una forma di scrittura elettronica che approda a un oggetto a montaggio, un insieme composto di vari elementi strutturati che appartengono a mezzi espressivi, o, in questo senso, media differenti (parole, immagini, suoni) connessi tra loro da legami programmati. Lipertesto inoltre integra un design di interazione che produce connessione con lutente. Complessivamente un meta-documento che tecnologizza, secondo le potenzialit della digitalizzazione, il piano dellespressione99. In generale la fruizione di un ipertesto segue dei protocolli daccesso che determinano dei percorsi apparentemente fluttuanti e aleatori, non riconducibili per lo sguardo del fruitore a ununica sequenza preordinata, bens a molteplici sequenze possibili, una moltiplicazione di possibilit che costituisce una forte illusione di libert. La rete (e in particolare il web inteso come servizio di internet, cio insieme di ipertesti connessi nella rete che connette gli elaboratori) per nel suo complesso uno spazio pagano, in cui ci sono, per dir cos, molti dei, molti ipertesti che si disputano la qualit di essere centri di attrazione, ed quindi uno spazio sul quale non si d uno sguardo di sorvolo: nessun iperautore pu avere uno sguardo totalizzante sul web. Ci non vuol dire un guadagno assoluto di libert, ma certamente un accresciuto senso della libert da parte dell'utente, anche se l'utente si muove sempre su un numero parziale di localit. Perci lipertesto in web implica lo sfrangiamento del limite, innanzitutto: se la compiutezza condizione di possibilit per una scala delle perfezioni, e quindi per una modalit tradizionale della valutazione estetica quale interpretazione, possibile per una rete ipertestuale i cui collegamenti sono quantitativamente finiti ma in effetti (per i suoi effetti) infiniti dal punto di vista del fruitore, un ipertesto complessivo ma non compiuto i cui limiti o confini si fluidificano e si sciolgono continuamente nel gioco della navigazione in aperture non dominabili da una logica che non sia quella plurale dell'utile e del desiderio? Per esempio come si struttura la temporalit della fruizione, come effetto di interattivit, o meglio la sua percezione attraverso lo spazio: sappiamo che la fruizione degli elementi di una schermata di IP avviene a un primo livello in parallelo, con un colpo d'occhio, e sono codificati istantaneamente dal cervello: abbiamo di fronte insomma un testo iconico complesso la cui percezione analizzabile ad esempio a livello di topologia planare, ma a questo primo sguardo istantaneo si aggiunge quasi immediatamente una fruizione sequenziale.
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Cfr. Zinna 2004, pp. 18-19.

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NellIP on line questo doppio processo si distende in un ambiente percettivo-temporale indefinito, e questo scuote l'evidenza apparentemente senza fratture del presente come forma del tempo: in quel tipo di esperienza immersiva che la navigazione in rete il tempo viene davvero sentito come tempo che non si raccoglie, un tempo sempre travagliato da una disgiunzione, da un differimento che il luogo stesso dell'alterit, introdotto nello stesso istante della percezione. Il secondo punto riguarda la nozione di mondo. La rete un insieme in continua espansione che modifica ed contemporaneamente modificato dai suoi utenti. I punti di vista, che sono sempre nella rete perch un punto di vista esterno, globale o vero non pu esistere, sono insieme determinati e indeterminati, sono insieme non-finiti e definiti, poich non sono altro che relazioni in continua mutazione. In questo sistema essenzialmente privo di verit, il mondo sembra essere pensato nello spazio-tempo come struttura relazionale, e moltiplicato potenzialmente all'infinito nella rete espressivorappresentativa delle interazioni e dei collegamenti. Questo mondo ha carattere totale: nel suo dinamismo tutti i possibili che possono attualizzarsi si attualizzano, ma non dotato di alcuna teleologia, in quanto non possibile uno sguardo esterno dominante: si tratta quindi di un ulteriore e alternativa metafora del mondo. Fenomenologia degli ambienti virtuali Scopo di questa seconda parte quello di fornire una fenomenologia degli ambienti e dei dispositivi in cui sussiste una componente virtuale intesa come una riserva d'essere che si fenomenizza nellinterazione con un soggetto. Essa pu assumere diverse forme e gradi in funzione del tipo di applicazione o di ambiente utilizzato, di cui si dar conto seguendo una scala che procede dalla gradazione pi debole a quella pi forte tenendo come riferimento i livelli di interattivit e di immersivit sensoriale presenti. Le tre declinazioni dellinterattivit che verranno utilizzate come parametri di confronto sono: linterattivit come attributo del sistema tecnologico, del processo comunicativo e della percezione dellutente100. Si partir dunque dal web, forma debole di virtuale, per giungere al suo grado pi compiuto, la realt virtuale, passando attraverso i dispositivi mobili e le installazioni artistiche interattive. Se per mondo virtuale intendiamo un ambiente che si fenomenizza nellinterazione fra un algoritmo binario e un utente, possiamo considerarne una prima forma di attualizzazione il web,
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Per una rassegna dettagliata della letteratura e degli studi empirici su cui si poggia questa triplice distinzione si rinvia al saggio di Quiring 2009 e la bibliografia ivi indicata. In estrema sintesi, per quanto riguarda il primo aspetto si considerano la velocit di reazione del sistema, la flessibilit delle opzioni e la complessit degli stimoli sensoriali inviati. Per il secondo punto si possono invece valutare le caratteristiche di interazione fra utente e sistema o fra utente e utente consentita: comunicazione mono o bi-direzionale, il grado di controllo che ciascun partecipante pu avere sulla conversazione o ancora il livello con cui ciascun messaggio correlato con quelli che lo hanno preceduto. Infine, per quanto riguarda la percezione dellutente, i parametri da analizzare sono il tipo di risposta percepita da parte del sistema, lattivazione sensoriale, la sensazione di connessione con gli altri utenti, la possibilit di avere un senso del luogo definito e di presenza sociale.

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termine con cui ci si riferisce al World Wide Web101, una particolare modalit di navigazione allinterno di Internet, ideata da Tim Berners-Lee nel 1993, che opera attraverso la connessione ipertestuale fra file collocati in diversi computer. Allidea di ipertesto ideata da Nelson come connessione multilineare di documenti102, Berners-Lee aggiunse lidea di multimedialit103 consentita dall'utilizzo del linguaggio digitale per tutti i documenti104. I legami fra computer e file non sono interamente stabiliti a priori, ma vengono definiti nelluso dagli utenti pi o meno esperti, anche se sono presenti vincoli legati allarchitettura delle pagine e dellinfrastruttura. Lintreccio paragonabile a quello di un tessuto, poich ha spazi punteggiati, punti fermi e passaggi obbligati ma come il feltro non regolare quanto piuttosto formato da fili attorcigliati senza un ordine preciso105 poich allutente lasciata la libert di navigare e di muoversi fra documenti. I legami tra i nodi possono essere inoltre, dal punto di vista ontologico, potenziali, e avere bisogno solo di essere realizzati attraverso il conferimento di un actus essendi da parte di un utente, o virtuali ed essere oggetto quindi di un processo di attualizzazione106. Questo reso possibile dalla triplice articolazione dello spazio dellipertesto, e quindi anche del web, in logico, visibile e agito107. Il primo livello, condizione necessaria degli altri108, lo spazio logico109, concettuale e soggiacente alla manifestazione visibile dei contenuti110, che li connette in modo multilineare e che va distinta dal supporto che li ospita111. Esso , infatti, quello che precede logicamente e processualmente la manifestazione sensibile, dallaltro la motiva e la guida112, il luogo delleffettiva scrittura dellipertesto dal punto di vista del senso, luogo metatestuale, che media i testi dellipertesto113. Esso ha una natura eminentemente semantica dal momento che lorganizzazione del contenuto costruita secondo una connettivit reticolare in cui i singoli nodi
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Intesa come interconnessione mondiale di computer a cui chiunque pu accedere se dotato di un computer, una linea di connessione dedicata e un software apposito. La trasmissione delle informazioni avviene tramite il sistema HTTP (HyperText Transfer Protocol) attraverso dei protocolli di rete, i cui pi famosi sono TCP/IP. Cfr. Abbate 2000, pp. 213-220. 102 Per una definizione dellipertesto e una ricostruzione della sua storia si pu fare riferimento a Bolter 1991, Nelson, 1992, Landow 1994 e 1997, Castellucci 2009. 103 Abbate 2000, p. 214. Cfr. anche Berners - Lee 1999. 104 Feldman 1997. 105 Cfr. Deleuze - Guattari 1980. 106 Per la distinzione, squisitamente ontologica, fra attualizzazione del potenziale e realizzazione del virtuale cfr. Deleuze 1968; Deleuze - Guattari 1991; Lvy 1995. 107 Bettetini - Gasparini - Vittadini 1999. 108 In questo senso pu essere paragonato allo spazio trascendentale kantiano anche se non dato a priori poich ogni ipertesto ha il proprio. 109 La sua definizione non univoca secondo i diversi teorici. Per una ricostruzione del dibattito cfr. Bettetini Gasparini - Vittadini 1999, capitolo 2. 110 Che possono essere testi ma anche contenuti audio, video o fotografie, in ogni caso lelemento comune che siano digitali o digitalizzati. 111 Anche se alcuni autori come Nelson riuniscono nello spazio logico anche il supporto fisico. 112 Bettetini - Gasparini - Vittadini 1999, p. XVIII. 113 Diodato 2005, p. 191.

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(testi) sono uniti in una serie di relazioni che d loro un senso ulteriore rispetto alla somma delle parti114, analogamente a quanto accade nella dispositio retorica. Lo spazio logico si d a vedere nello spazio visibile che restituisce le relazioni intertestuali che lo compongono (le articolazioni di nodi e link) sia attraverso la loro sintassi che la loro messa in forma, che anche in questo caso contribuisce a sovradeterminare il significato. Le dinamiche di fruizione da parte degli utenti costituiscono, infine, lo spazio agito, poich il regime interattivo impone allutente di non limitarsi a guardare, ma di agire; di passare da spettatore a spett-attore (Weissberg 1989); di entrare nel testo perch esso possa attualizzare le proprie potenzialit115. Le competenze richieste al lettore non sono solo di tipo cognitivo, ma anche pragmatico (saper-fare, saper-agire, saper-usare). La libert con cui il fruitore pu muoversi allinterno di un ipertesto viene spesso definita non-linearit, ossia unassoluta mancanza di linearit. Il testo non-lineare sarebbe un testo che in nessun modo rispetta una connessione causale, nemmeno lunione di due elementi per mezzo della congiunzione e. Per quanto questa ipotesi sia suggestiva e sostenuta con forza da alcuni teorici dellipertesto come Landow o Nelson, anche lipertesto ha una certa linearit e sequenzialit: ciascun percorso deve pur avere un inizio e una fine e, talvolta, alcuni passaggi non sono consentiti. Si pu, quindi, affermare che gli ipertesti non prevedono a priori una linearit116 ma che ci non significa che il regime ipertestuale neghi in modo assoluto la linearit e la sequenzialit 117. preferibile, quindi, parlare di multilinearit: le categorie narratologiche tradizionali restano invariate nellipertesto narrativo, ma esso realizza alcune possibilit, cio alcuni mondi possibili, consentiti dal testo, cio unesibizione della moltiplicazione delle possibilit: unesibizione in senso proprio, perch fa emergere la traccia delle sue regole di costituzione 118, rompendo, da un lato, la finzione mimetica e, dallaltro, mettendo in luce la libert del lettore. A livello macroscopico, linterconnessione multilineare concessa dallipertesto diventa reticolarit, struttura organica di relazioni tra unit diverse119, un intreccio che ricorda la modalit di costituzione dei poemi omerici. In essi non esisteva infatti una struttura fissa dellarticolazione degli episodi, ma, a seconda del contesto e della tipologia di uditorio, laedo stabiliva una connessione diversa accompagnandosi con la musica e la danza. Secondo Nelson il web, pur essendo strutturato come un ipertesto, non ha fatto altro che

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Cfr. anche Bolter 1989. Bettetini - Gasparini - Vittadini 1999, p. 95. 116 Ibidem, p. 103. 117 Ibidem. 118 Diodato 2005, p. 187. 119 Bettetini - Gasparini - Vittadini 1999, p. 108.

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riprodurre una modalit gerarchica di consultazione dei contenuti. Il web 2.0120 sembra aver accolto121 la nuova sfida che egli ha lanciato122 in questa direzione, suggerendo di rendere il lettore propriamente autore e responsabile123 conferendogli la capacit di modificare i testi, che secondo la terminologia di Bauman124, dovrebbero diventare liquidi125. Il web 2.0, infatti, non pi uno strumento ma una piattaforma abilitante grazie a cui gli utenti sono protagonisti della produzione e distribuzione di materiali, contribuendo attivamente a definirne architettura e contenuti 126. Solo per fare un esempio, la catalogazione dei documenti non avviene pi seguendo principi universali a cui ispirarsi (tassonomia) ma le etichette (tag) che ciascun autore decide di abbinare il contenuto pubblicato (folksonomy). Analizzando le applicazioni che si trovano in Internet e nel web, si pu individuare un primo gruppo caratterizzato da un grado debole di interattivit. Esso comprende e-mail127, chat128, programmi di instant messaging129 e forum130, strumenti che hanno come funzione principale quella di consentire lo scambio di messaggi fra utenti. Dal punto di vista tecnologico, linterattivit consentita limitata poich si riduce alla possibilit di personalizzare linterfaccia o il proprio profilo. Per quanto riguarda il sistema di comunicazione, ci che accomuna questi spazi la trasformazione dellinterattivit in interazione con altri utenti, ossia la possibilit di instaurare processi di comunicazione e di relazione attraverso i messaggi scambiati. Essi non sono solo, infatti, mezzi attraverso cui veicolare uninformazione ma
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OReilly 2005b. Il dibattito sul reale portato di innovazione del web 2.0 complesso: alcuni autori sostengono infatti che esso incarni una rivoluzione nel modo di pensare la rete, mentre per altri semplicemente la realizzazione delle premesse contenute nella modalit di progettazione del World Wide Web. Per un approfondimento della questione cfr. OReilly 2005a e 200b, Hinchcliff 2005 e Garrett 2005. 121 Castellucci 2009. 122 Nelson 1997. 123 Rispetto al Memex di Bush gi lipertesto di Nelson teorizzato negli anni Sessanta non doveva essere un semplice archivio ma uno strumento di di diffusione di informazioni e di produzione di nuove unit basate su materiale preesistente. Cfr. Nyce, Kahn 1991 e Castellucci 2009. 124 Bauman 2000. 125 Nelson 1997, p. 92. Una delle traduzioni di questo concetto il progetto Zig Zag di Nelson in cui la navigazione fra i dati consentita da un sistema di relazioni dinamiche che si trasformano in base al tipo di interrogazione operata dallutente. Il progetto descritto in modo dettagliato in Castellucci 2009, pp. 204-208. 126 Un'anticipazione di questa logica stata portata avanti dal movimento dell'open source che mira alla progettazione collettiva di software rendendo accessibile il loro codice sorgente, cfr. Sciabarr 2004. 127 un sistema che consente lo scambio di messaggi in tempo reale fra due o pi caselle virtuali (mailbox) che si trovano su un server, ciascuna delle quali assegnata ad un utente. Cfr. Abbate 2000 e Colombo 2005, p. 256 128 Una chat, abbreviazione di Internet Relay Chat, un sistema in cui pi utenti possono dialogare in tempo reale attraverso messaggi scritti che appaiono immediatamente sullo schermo sotto forma di pannello scorrevole. Pu essere pubblica, e quindi essere vista da tutti gli utenti iscritti al servizio, oppure privata, e quindi essere visitabile solo dagli utenti invitati alla conversazione attraverso una password. Data listantaneit della comunicazione si usano spesso acronimi, abbreviazioni o emoticons (insiemi di punteggiatura che esprimono uno stato danimo) che diano la possibilit di comunicare rapidamente e in modo efficace. Cfr. Colombo 2005, p. 48. 129 I programmi di instant messaging possono essere considerati come una delle possibili evoluzioni delle chat: si tratta di programmi che consentono, previa registrazione, di scambiare messaggi privati di testo in tempo reale con una cerchia di contatti selezionati. Cfr. ibidem. 130 Successori delle BBS (Bullettin Board System) e dei newsgroup, i forum sono gruppi di discussione dove chiunque pu pubblicare il proprio messaggio su bacheche a tema, generalmente previa la registrazione di un profilo. Cfr. ibidem.

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anche luoghi in cui instaurare e mantenere un rapporto con altre persone, nella misura in cui comunicare , etimologicamente, mettere in comune. Un discreto livello di interattivit si rileva anche a livello di percezione dellutente poich, soprattutto attraverso la comunicazione sincrona di chat e programmi di instant messaging, si genera un senso di compresenza degli interlocutori, seppure non condividano lo stesso spazio131. La sensazione di trovarsi in un luogo comune confermata anche dalluso di questi due strumenti con una mera funzione ftica 132, in cui cio il solo fatto di vedersi reciprocamente online mantiene aperto il canale comunicativo con la possibilit di iniziare la conversazione in qualsiasi momento. E-mail e forum, in quanto strumenti di comunicazione asincroni, fanno invece leva sulla possibilit di poter attivare e interrompere la comunicazione in funzione delle necessit e dei desideri dei partecipanti. Non a caso, per la posta elettronica si molto lavorato per rendere la sua consultazione sempre pi agevole e svincolata da spazi e tempi determinati, attraverso la creazione di sistemi sempre pi raffinati di webmail e di telefoni cellulari in grado di consentirne una consultazione di buona qualit. In tutti i casi qui descritti il tempo si deve notare che non si raccoglie 133, passato e presente si mescolano grazie alla possibilit di conservare memoria dei messaggi. Si apre cos la possibilit di sperimentare una nuova forma del tempo134 non necessariamente rielaborabile secondo la linearit aristotelica ma anche secondo altri paradigmi, come il continuum della coscienza di Merleau-Ponty135 o la deleuziana coesistenza fra falde di passato e punte di presente136. Il secondo gruppo di strumenti, che comprende blog137, social network138, MUD139, strumenti

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Ad alimentare la sensazione di un luogo condiviso contribuisce certo il tempo di reazione dellinterfaccia che deve essere minimo, pena lannullamento del senso di spontaneit del flusso di conversazione. 132 Per un approfondimento delle funzioni di Jakobson si rimanda a Bettetini, Cigada, Raynaud, Rigotti 1999. 133 Diodato 2005, p. 194. 134 Cfr. Derrida 1972, pp. 59-104. 135 Cfr. Merleau-Ponty 1942. 136 Cfr. Deleuze 1983. 137 Dal punto di vista tecnologico un blog costituito da un database, un modulo per linserimento di contenuti e uno per visualizzarli nel web, generalmente in ordine cronologico inverso, (Di Fraia 2007). A partire da questa struttura di base ciascun utente pu costruire il suo blog scegliendo un layout predefinito o progettandolo da solo e definendo il tipo di contenuto e lo stile. Cfr. Blood, 2002a e 2002b; Di Fraia 2005, 2007; Rettberg 2009. 138 Un social network un servizio web che permette di costruire un profilo pubblico o semi-pubblico in un sistema vincolato, di definire una lista di altri utenti con cui condividere le informazioni del proprio profilo e di vedere le liste di contatti altrui. Cfr. Boyd - Ellison 2007. Secondo l8 Rapporto Censis/Ucsi del novembre 2009 sulla comunicazione il social network pi diffuso in Italia Facebook, cfr. http://www.censis.it. 139 Acronimo di Multi User Dungeon (o Domain) identifica una serie di giochi di ruolo a cui pi utenti possono giocare contemporaneamente connettendosi a Internet.

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di upload di contenuti140, Second Life141 e wiki142, offre invece uninterattivit pi forte per ciascuno dei tre parametri considerati. Dal punto di vista dellinterattivit sistemica, infatti, lutente ha la possibilit di creare con le proprie mani tali ambienti, come accade per i blog, oppure di definirne delle sezioni in modo autonomo, cosa che si verifica per i MUD e per Second Life. Questo, dal punto di vista della sua percezione, gli consente di appropriarsi di uno spazio che pu sentire suo e che diventa quindi un luogo ancor pi emotivamente connotato. Infine, anche la possibilit comunicativa ampliata dal momento che possibile differenziare gli strumenti e il livello di privacy usati in base agli utenti con cui si vuole avviare una conversazione. A diverso titolo tutti gli strumenti qui raccolti consentono di creare un mondo, di definire uno spazio altro pubblicando dei contenuti (blog e social network) oppure creando un ambiente in cui agire con altri, come avviene nei MUD e in Second Life. Sul principio della costruzione collaborativa si fonda anche Wikipedia, la wiki pi famosa, il cui scopo quello di creare unenciclopedia in cui le voci non siano redatte da esperti ma attraverso la collaborazione reciproca di utenti che condividono il loro sapere in materia. La presenza dellaltro come co-autore non si limita, a ben vedere, alle wiki, poich in quanto spazi pubblici, anche negli ambienti prima descritti linterazione si svolge sulla base delle azioni degli altri utenti, che contribuiscono in questo modo a definire lidentit online del soggetto. Si tratta quindi di unintelligenza connettiva 143 e non solo collettiva144 poich non sufficiente che le intelligenze siano connesse per creare un plus cognitivo, ma che insieme possano creare degli artefatti, seguendo a pieno la logica del virtuale come riserva dessere del reale. Dispositivi mobili Un secondo settore in cui si verifica lattualizzazione del virtuale attraverso la tecnologia attuata dai dispositivi mobili, come il telefono cellulare o il navigatore satellitare, ormai percepite come protesi del corpo145. Se linterfaccia a livello tecnico offre margini minimi di modifica, tali strumenti consentono di affermare la propria presenza sociale e di intrecciare realt virtuale e fisica in
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Sono spazi in cui caricare, previa registrazione, file propri come fotografie o video. Nel tempo sono sostanzialmente diventati social network a tema con cui condividere, commentare e promuovere le proprie creazioni con altri appassionati. 141 un mondo virtuale creato dalla Linden Lab in cui gli utenti possono interagire attraverso avatar stringendo relazioni, comprando casa o lavorando, per esempio. Cfr. il sito ufficiale http://secondlife.com/ e i testi di Canestrari, Romeo 2008 e Malaby 2009. 142 Si tratta di siti web costruiti aggiornati dai loro utilizzatori a cui viene concessa la libert di accedere al codice della pagina. Il loro principio fondante la costruzione collettiva del sapere attraverso aggiunte e correzioni successive da parte di pi persone. Gli utenti hanno massima libert di azione anche rispetto al lavoro altrui, generando cos un forte legame di fiducia e di responsabilit reciproca. Per evitare errori irreversibili viene comunque conservata la cronologia delle modifiche. 143 Cfr. De Kerckhove 1997. 144 Cfr. Lvy 1994. 145 Cfr. Colombo 2001.

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maniera pervasiva tanto da poter essere considerato una chiave di lettura per la societ moderna 146. Anche in questo caso si tratta di tecnologie in continuo mutamento: il telefono cellulare, per esempio ha cambiato pi volte la sua configurazione tecnologica, passando dallessere uno strumento per compiere la sola funzione di telefonare a dispositivo che consente la costituzione di oggetti sociali147 diventando archivio, strumento per produrre contenuti multimediali o ancora per accedere a internet. Potendo localizzare in tempo reale la propria posizione, per esempio attraverso un navigatore satellitare o utilizzando il proprio cellulare con una funzione analoga, viene in primo luogo modificato il senso del luogo148, ossia lessere-qui-ora percepito dal soggetto, che viene amplificato nei suoi estremi. Da un lato, infatti, egli pu infatti osservare i propri spostamenti dallalto, attraverso lo sguardo disincarnato del satellite. Lo spazio che egli percorre viene ridotto ad una cartina e la sua presenza ad un punto sullo schermo, facendo prevalere la concezione geometrica ed euclidea dello spazio. A questo appiattimento corrisponde, dallaltro lato, una forte connotazione affettiva degli spazi che diventano animati perch catturati attraverso conversazioni, scatti o riprese. Il telefono cellulare pu inoltre diventare un mezzo per inventare il proprio territorio149, poich attraverso di esso si portano allesterno dellambiente domestico abitudini e usi consolidati a proposito della telefonia fissa, avendo sempre a portata di mano, letteralmente, il mondo delle proprie relazioni e quindi la propria bolla comunicazionale 150. Ponendosi oltre il senso del luogo151 il flneur contemporaneo pu vagare senza perdersi, costruendo il suo percorso come una strada che passa di schermo in schermo, da quello del navigatore satellitare a quelli disseminati per la citt. Questo cambiamento incide fortemente anche sul senso della situazione: c la possibilit di ritagliarsi un angolo di intimit in uno spazio pubblico dedicandosi ad una conversazione, per esempio, o di incontrarsi con i propri amici seguendo le reciproche tracce sul navigatore152. In questo senso i confini tra pubblico e privato diventano sfumati e non chiaramente definibili 153, anche perch cambiano i tempi e i modi della raggiungibilit: con un telefono cellulare in tasca si contattabili sempre e in ogni luogo, rendendo la non reperibilit leccezione rispetto alla regola. Questo ha conseguenze sul modo di vivere la temporalit che viene vissuta attraverso strategie
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Cfr. Borrelli 2000. Ferraris 2005, p. 154 148 Per la triplice distinzione qui considerata fra senso del luogo, della situazione e della rappresentazione si fa riferimento a Casetti 2009. 149 De Gournay 1994. 150 Aakhus, Katz 2002 151 Meyrowitz, 1985. 152 In questo senso, attraverso le applicazioni scaricabili dai siti delle case produttrici dei navigatori si possono implementare funzioni che assimilano questo strumento ad un social network o lo integrano con altri, come il computer o il telefono cellulare. 153 Cfr. Scifo 2005.

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diverse: just in time quando il telefono usato per comunicare a ritmi veloci, intensive quando diventa un mezzo per rendere produttivi gli interstizi di attesa e estensive quando pervade i tempi di pausa e riposo154. Linterfaccia del telefono cellulare diventata cos trasparente da coincidere con la persona stessa tanto che ci si stupisce se non risponde il proprietario del telefono, conferendo un senso di immediatezza forte ad una comunicazione che pur sempre tecnologicamente mediata. Un terzo livello di cambiamento si pone riguardo al senso della rappresentazione poich potenzialmente ogni attimo della vita quotidiana pu essere fissato, archiviato e successivamente raccontato o pubblicato sul web. In questa direzione agiscono i browser di realt aumentata che sovrappongono realt fisica e virtuale155, intrecciando punto di vista diversi di uno stesso luogo. Limmediatezza trasparente156 dellinterfaccia e labitudine con cui la si utilizza hanno creato una continua permeabilit fra uomo e tecnologia in cui la figura del cyborg157 diventa la norma per definire una corporeit protesizzata che estende la sua capacit di relazione con il mondo. Le installazioni darte Un ulteriore passo verso il coinvolgimento interattivo ed immersivo dellutente generato dalle installazioni darte che offrono al loro visitatore la possibilit di attivare percorsi di fruizione differenziati sensorialmente ricchi interagendo con il corpo dello spettatore. In questo modo, se dal punto di vista sistemico linterattivit minima e consiste nellattivare percorsi predefiniti dallartista, per quanto riguarda la percezione dellutente si ha invece uninterattivit complessa poich ci si trova di fronte ad un ambiente che risponde in tempo reale e che ricrea la multimedialit tipica della vita quotidiana. Si tratta di unarte nomade158 in cui lo sguardo ravvicinato sostituisce la visione a distanza, lo spazio prensivo a quello visivo. In altre parole, lo sguardo supera la tradizionale concezione della cultura occidentale in cui vedere avere a distanza 159 e la visione sottoposta a leggi prospettiche per diventare uno sguardo aptico160 nella misura in cui riunisce in s il movimento visivo che gli proprio con quello prensivo tipico della mano ed un luogo di integrazione in cui locchio tocca lambiente, la mano vede le cose, in continua reversibilit 161. In questo nuovo
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Ibidem. Ad esempio possibile filmare una via e visualizzare sui palazzi la descrizione fatta da altri utenti, le foto che hanno scattato e caricato in rete oppure le persone di un dato social network che vi hanno posto la loro residenza. Il primo browser augmented reality Layar http://layar.com. 156 Bolter - Grusin 1999. 157 Haraway 1991. 158 Deleuze - Guattari 1980. 159 Merleau-Ponty 1964, p. 23. 160 Come sottolineano Somaini e dellOrto, la derivazione greca della parola dal verbo pto non suggerisce una relazione di collaborazione fra occhio e mano, quanto lassunzione da parte dellocchio di una diversa funzione, di un tipo di sguardo che differisce da quello ottico (Somaini - dellOrto in Mazzocut-Mis 2006) 161 Diodato 2005

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rapporto la mano non pi subordinata all'occhio ma posta sullo stesso piano162. Questa nuova dimensione restituisce al tatto la dignit di organo estetico e ripristina quella sensorialit tattile diffusa su tutto il corpo, quella sensorialit organica, fisiologica che manifestazione dellenergia vitale propria dellorganismo ancora a livello di embrione163. Il coinvolgimento di tutto il corpo rinvia anche ad una dimensione empatica: agendo nellopera e con lopera lo spettatore immerso nelle sensazioni e nelle emozioni che essa evoca. Lo spettatore diventa quindi un interattante inteso come partecipante sensomotorio di mondi visivo-tattili164. Una prima realizzazione di questa differente modalit di visione si attua gi allinterno della fruizione della rete prima descritta: la vista non si limita a guardare gli oggetti che compaiono sullo schermo del computer, ma li afferra attraverso ombreggiature, rilievi e colori, cogliendo le sensazioni che potrebbe avvertire la mano ancorata invece al mouse mentre segue i movimenti dellocchio. Fra i numerosi esempi di installazioni artistiche interattive che coinvolgono attivamente lo spettatore si pu citare La pozzanghera, un video ambiente interattivo per bambini di Studio Azzurro in cui i piccoli utenti possono ripercorrere lo scorrere delle stagioni attraverso linterazione con diverse pozzanghere dacqua virtuali165 o The Legible City (1988-91), uninstallazione di Jeffrey Shaw in cui lo spettatore invitato a pedalare su una bicicletta vera ai cui stimoli rispondono immagini e testi di una citt. Oltre allinterazione fra spazio fisico e virtuale lartista ha cercato di sperimentare la possibilit di un video racconto non lineare, ossia non progettato interamente a priori, ma che si compone in funzione dellazione degli spettatori sulla bicicletta, e la percezione di una citt non solo come un agglomerato di strade e case ma anche come un pattern immateriale di esperienza166. La realt virtuale Una pi compiuta realizzazione della sensorialit aptica si attua negli ambienti di realt virtuale. In questi lo spett-attore dotato di caschi visori, cuffie, guanti e tuta infatti compie la maggioranza della azioni con gli occhi: spostandoli in una certa direzione determina la sua direzione di marcia, guardando un bottone e pronunciando il comando relativo lo aziona, quando tocca un oggetto lo vede e dei sensori posti sul guanto determinano una sensazione analoga al tatto, ma di fatto non la
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Deleuze distingue diverse modalit di relazione fra occhio e mano: il digitale in cui la mano completamente subordinata allocchio; il tattile in cui la mano meno subordinata e il visivo contiene riferimenti manuali; il manuale in cui invece locchio ad essere subordinato e infine laptico che pone occhio e mano sullo stesso piano. Cfr. Deleuze 1981. Per una nuova concezione del rapporto fra sensi in questa direzione cfr. anche Merleau-Ponty 1964. 163 Mazzocut-Mis 2001, p. 140. 164 Boccia Artieri 1998, p. 217. 165 Rosa 2007. 166 Meigh-Andrews 2006, p. 273. Cfr. anche la sperimentazione della realt aumentata a teatro descritta in Jernigan Fernandez - Pensyl - Shangping 2009.

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mano che lo afferra quanto piuttosto locchio che lo vede e letteralmente tocca le cose. In altre parole non c una telecamera o un vedere a distanza, ma lo sguardo si svolge dentro le cose stesse. Inoltre, grazie alle tute che avvolgono lutente, recuperata la sensibilit tattile di tutta la superficie corporea. La realt virtuale offre, infatti, unesperienza completamente immersiva e interattiva al soggetto poich essa una riproduzione tecnologica del processo di percezione della realt167 che si costituisce allinterno della tecnologia e che unisce in s la sfera del significato e quella sociale 168. Dal punto di vista tecnologico, infatti, lambiente di realt virtuale interagisce in tempo reale con i movimenti dellutente, offrendo lanaloga sensazione di effettuare uninterazione con oggetti e spazi fisicamente esistenti ma anche con altri utenti. Lapplicazione di protesi offre inoltre la possibilit di dare unimmersione percettiva che coinvolge tutti i sensi. A differenza dellallucinazione e del sogno che non hanno una sussistenza reale ma esistono solo nella mente di colui che li elabora169 il virtuale una nuova condizione della sensorialit, indipendente da ogni forma di simbolizzazione e da ogni elaborazione immaginaria, indotta da un uso particolare della tecnologia elettronica170. Sono diverse le condizioni che permettono di conferire piena esistenza reale a questo tipo di esperienza 171: possiede il realismo percettivo, ossia la capacit di indurre unesperienza percettivamente reale172; possibile condividere un ambiente virtuale con pi persone; dota il soggetto di una libert spazio-temporale e di libert di movimento; infine, prima che esistere nellinterazione con il soggetto essa sussiste in nuce nei programmi e nelle interfacce che la costituiscono. Come osserva Benedikt, inoltre, essa condivide con la realt il Principio di Indifferenza, per cui la realt percepita di ogni mondo dipende dal suo grado di indifferenza alla presenza di un particolare utente e dalla sua resistenza ai suoi desideri173, generando una dialettica fra progettazione e reazione agli stimoli dellutente in modo che la realt virtuale sia allo stesso tempo indifferente e sensibile174. Si pu quindi affermare che a fronte di una cultura che, assorbendo la lezione di hegeliana 175 sottolinea il primato della vista come punto privilegiato dosservazione, gli ambienti di realt
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Hills 2009, p. XIV, traduzione nostra. Hills distingue la realt virtuale dai virtual environments, gli ambienti digitali tridimensionali immersivi generati da tecnologie digitali. Con il termine realt virtuale inteso in senso ampio si possono infatti indicare tutti gli ambienti descritti nel corso della presente trattazione. Per non creare ambiguit ed effettuare una distinzione precisa dei diversi ambienti in questa sede si scelto di operare unequivalenza fra realt virtuale e virtual environments. 168 Ibidem, p. XV. 169 Merleau-Ponty 1964, pp. 439-440. 170 Costa 1998, p. 125. 171 Antinucci in Belotti 1993, pp. 21-27. 172 Limportanza di una tale immedesimazione evidente anche a scopo terapeutico, cfr. a titolo di esempio Wiederhold 2005. 173 Benedikt 1992, p. 167. 174 Ibidem, p. 169. 175 Hegel 1823.

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virtuale restituiscano allocchio una funzione non solamente visiva e dignit a tutti gli altri sensi. Se non pi locchio a restituire la prospettiva ma lintero corpo si pu allora parlare con De Kerckhove di punto dessere176. Lequivalenza fra lo spazio e la sua percezione attuata dalla realt virtuale non porta, infatti, allequivalenza cartesiana fra essere e pensiero ma piuttosto richiama la centralit del corpo, bench tecnologicamente dotato di protesi, nella sua relazione con il mondo.

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Cfr. De Kerckhove 2003, pp. 25-26 e De Kerckhove in Capucci 1994, pp. 45-60.

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Luca Venzi Le foglie, la piuma e altre immagini Note di estetica (e di etica) del cinema nellet del digitale

Il vento soffia dove vuole177 Una famiglia attorno a un tavolo, in Francia, sul finire del XIX secolo. Marito, moglie e una bambina di pochi mesi, allaperto, presumibilmente nel giardino della loro abitazione. I genitori attendono alla colazione della piccola. Nel fondo, dietro alle figure, degli alberi mossi dal vento: uno stormire discreto, ma continuo, di foglie. Linquadratura dura trenta secondi e consiste in uno dei film pi celebri del catalogo Lumire, Le goter de bb178 (1895). Il cinema appena nato e con questo e con altri piccoli film come questo, sbigottisce, alla lettera, i suoi spettatori. Partir da questa immagine (dunque, ma a bella posta, da molto lontano) e da un noto aneddoto ad essa connesso (la reazione di un illustre spettatore di fronte al film), per tentare di comporre un orizzonte teorico determinato entro il quale inquadrare la trasformazione epocale che, ormai da diversi anni, investe frontalmente limmagine filmica al punto da modificarne, come mai prima, i tratti costitutivi e individuanti: mi riferisco al passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale. Un qualsivoglia tentativo di discutere, infatti, fosse pure in termini puramente generali, i lineamenti di unestetica del cinema (e con essa, inevitabilmente, come ha scritto una volta Godard, gi sempre quelli di unetica del cinema179), non pu in alcun modo prescindere, oggi, dal prendere adeguatamente in carico gli importi e le implicazioni di quella decisiva trasformazione, la quale, come noto, non costituisce che una peculiare configurazione del pi generale processo di digitalizzazione dei media nella loro interezza. Lavorando a diversi livelli attorno a una singola immagine (a unimmagine filmica analogica, o meglio a un modello esemplare di immagine filmica analogica, scelto proprio in ragione della sua identit originaria, inaugurale), nelle pagine che seguono tenter di descrivere i tratti pi vistosi di quella trasformazione e, accostando lungo il cammino unaltra immagine (anche in questo caso, evidentemente, un modello di immagine elaborata attraverso la tecnologia digitale), di interrogare nodi e questioni di estetica e di teoria del cinema che proprio in virt del passaggio dallanalogico al digitale richiedono di essere opportunamente ripensati. Ma occorre andare con ordine e muovere i primi passi assieme ai Lumire. Anzi, a Mlis.
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Gv 3,8. Noto anche con il titolo Le repas de bb. Vi sono raffigurati Auguste Lumire, sua moglie e la loro figlia Andre. 179 Tra letica e lestetica bisogna scegliere. chiaro. Ma altrettanto chiaro che ciascuna di queste due parole porta in s una parte dellaltra. E chi opti decisamente per luna trova necessariamente laltra alla fine del cammino (Godard 1998, vol. I, p. 182).

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lui infatti lo spettatore protagonista dellaneddoto cui si accennato ma di cui non si dato conto. Eccolo, descritto da Aumont: Tutti ricordano la sorprendente reazione di uno dei primi spettatori del Goter de bb, Georges Mlis. Disdegnando di commentare ci cui si deve ancora oggi il fascino del film [] Mlis osserva una sola cosa: sullo sfondo dellimmagine ci sono degli alberi e, quale meraviglia, le foglie di quegli alberi sono agitate dal vento180. Quella di Mlis , per cos dire, una meraviglia storicamente determinata. Come la gran parte dei primi spettatori del cinematografo, egli colpito dallinsuperabile impressione di realt che il cinema capace di suscitare in virt della sua stessa identit meccanica. Esso non si limita, infatti, come fa la fotografia da cui discende, ad imbalsamare un dato esterno ripresentandolo, dice Bazin, avvolto nel suo istante come un insetto nellambra, ma di quel dato trascrive lo stesso divenire, il suo stesso farsi nel tempo e nello spazio, configurandosi come una sorta di mummia del cambiamento181. La capacit di riprodurre qualcosa del mondo colto nella sua durata , al cinema, a tal punto compiuta sembra pensare Mlis e con lui gli spettatori del suo tempo che di fronte a unimmagine cinematografica possibile cogliere con esattezza anche la pi infinitesima delle trasformazioni del visibile, qual il soffiare del vento sulle foglie di un albero. Dunque, una meraviglia comune allepoca in cui si compone, riconducibile allassenza di familiarit con un dispositivo tecnico e con la tipologia di immagini che esso in grado di determinare. E tuttavia nella reazione di Mlis (che pure fin da subito ci stata descritta come sorprendente) possibile cogliere pi di qualche indicazione per osservare, in profondit, e cio ben oltre lorizzonte storico e culturale in cui il rapporto immagine-spettatore si determinato, i lineamenti per cos dire essenziali di una immagine filmica tout court. La reazione di Mlis sorprendente per il fatto che egli non guarda limmagine che ha di fronte, ma solo una parte di essa (osserva una sola cosa), non si interessa cio allelementare dimensione informativa cui limmagine d corso (due genitori danno da mangiare alla loro figlioletta) e questo perch il suo sguardo come rapito da un piccolo evento inatteso che, nellimmagine, ha posto accanto a quella stessa dimensione. Un evento inatteso, per lui che guarda e per limmagine (per la sua pur elementare elaborazione formativa) che lo ha accolto in s, che gli ha fatto spazio, senza poterlo in alcun modo evitare. Insomma, dun tratto, allimmagine cui assiste Mlis, e a Mlis stesso, accade qualcosa: qualcosa di imprevisto, che in ragione del suo sopraggiungere, del suo succedere dentro limmagine, la nasconde e trattiene su di s lattenzione di chi guarda. Dal fondo dellimmagine dal fondo oscuro di ci che limmagine non ha propriamente desiderato , qualcosa avviene allimmagine stessa e con Barthes al suo spettatore182.
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Aumont 1995, p. 13. Bazin 1958-1962, p. 9. 182 Barthes 1980, p. 23.

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Da questo tipo di eventi, evidentemente, per quanto minimi o appena percettibili, il cinema, in modi diversi, da sempre abitato. Che si limiti ad accoglierne le fenomenizzazioni pi diverse o che perfino si proponga, pi e meno consapevolmente, di farvi agire e interagire modelli di poetica e di retorica, il cinema fa da sempre i conti con questo non essere interamente per limmagine del mondo, con questo non stare fino in fondo in posa del reale, almeno in ragione del fatto che le sue immagini semplicemente si nutrono, ancora con Bazin, del reale tout court e del suo stesso procedere. Pi in generale, allora, che situi il proprio sguardo nellaperto continuum delle cose o che ripari nei domini chiusi e governati degli studi (la storia del cinema e delle sue modellizzazioni espressive potrebbe essere fatta anche a partire da questa differenziazione), il cinema, per il fatto dessere mummia del cambiamento, virtualmente gi sempre chiamato a confrontarsi con ci che, al di l dei suoi propositi, delle sue pulsioni formative, dei suoi desideri (al di l di ci che unimmagine progetta, dispone, prevede), gli dato dal mondo come alcunch di accidentale, di impensato, di imprevedibile: il transito silenzioso delle nuvole o di un uccello, una luce, unombra, il volo di un insetto in uno studio183, il brulicare cieco di una strada, ecc. Insomma il cinema, che sul reale proietta e attraverso il reale dispiega le proprie istanze poietiche e configurative (elementari come nel film dei Lumire o ardue e complesse come in tanto grande cinema successivo), in via di principio in grado di iscrivere in s, in fondo alle proprie immagini, ci che di supplementare e di eccedente rispetto a quelle istanze il reale non fa che offrirgli. Nei suoi diari, Daney si sofferma su questa stessa questione: Poich impossibile prevedere tutto ci che rimarr impresso sulla pellicola, non rimane che adattarsi a ci che ci sar in pi. Divine scoperte, scorie, sintomi oggettivi, verifiche e prove, brutte sorprese, punte di realt che impediscono allimmaginario di chiudersi []. Il regista guarda una volta sola e poi, anche lui in posizione passiva, deve fare i conti sia con ci che ha restituito (come visione propria) sia con ci che non ha registrato volontariamente (come realt, richiamo dellAltro) 184. Ci che abita limmagine come alcunch di involontario e di eccedente, dice Daney, non che il richiamo di ci che non noi, il segno esposto di come, con noi o senza di noi, il mondo, l di fianco, continui185. La costitutiva alterit del reale rispetto ai nostri progetti, lessere altro del mondo dal formare dellimmaginario che lo attraversa e lo piega a s, ci chiama dunque gi sempre attraverso tutte quelle presenze scomposte, pur minime, residuali, appena percettibili, che giungono ad abitare
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Si intitola La mosca di Dreyer. Lopera della contingenza nelle arti un lavoro recente di Massimo Carboni (2007) che prende direttamente in carico questo determinato ordine di problemi. In particolare, nella prima parte del libro, Carboni consacra unampia serie di riflessioni alla piccola mosca che durante le riprese di uno dei film pi grandi di C.Th. Dreyer, La passione di Giovanna dArco (1928), piomba improvvisamente nel cuore della messa in scena, posandosi pi volte, per di pi in momenti di grande intensit drammatica, sul volto estatico e sofferente dellinterprete di Giovanna, Rene Falconetti. Lautore fa tra laltro esplicito riferimento (pp. 22-23) allaneddoto legato a Mlis spettatore del Goter de bb. 184 Daney 1993, p. 20. 185 Ibidem, p. 125.

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unimmagine senza che limmagine le abbia volute (che non ha registrato volontariamente) o insomma attraverso qualcosa che, al momento di filmare, il cinema ha visto senza avere previsto. A quel richiamo possiamo sempre corrispondere, venendone presi e sorpresi, oppure non farlo. Esso pu cio restare inavvertito nelle pieghe delle immagini, oppure farsi improvvisa incrinatura, ferita della visione, insomma punctum186, capace di raccogliere la nostra attenzione e convogliarla, anche per pochi istanti, attorno al proprio farsi avanti, al proprio darsi a vedere. Pi in generale, allora, si pu dire che lo spettatore di unimmagine cinematografica analogica si trovi sempre di fronte ad un atto di negoziazione. In ragione della sua identit meccanica, cio, il cinema non si compie che allincontro di due istanze distinte, o meglio non fa che contenere e negoziare187 due diverse polarit, due spinte separate e interconnesse: da un lato una pulsione poietica (lintenzione di costruire qualcosa), dallaltro ci che pur disponendosi ad accogliere quella pulsione (il dispiegarsi del sensibile, il suo darsi ad uno sguardo che lo attraversa) non coincide con essa (il costitutivo essere altro del reale dai nostri progetti formativi) e che ripresentandosi in immagine pu gi sempre esibire il pi radicale consistere di questa stessa alterit, le sue punte pi dure e intrattabili. Limmagine cine-fotografica analogica, che ha determinato un peculiare tipo di percezione di cui siamo gli eredi e di cui avvertiamo ormai lesaurimento188, questa regione dincontro, questa zona di frontiera che divide e insieme trattiene attorno a s, dellimmaginario e del reale, vale a dire un desiderio allopera (lattualit di una forma) e lessere altro del mondo che continua (la potenzialit di una forza)189. C unazione formativa che si spinge nel reale di cui si nutre e c una potenza del reale che laccoglie e che pu lasciarle in cambio, ora pi ora meno evidenti, i tratti del suo ottuso trascorrere, distante da quella pulsione. Unimmagine analogica fotografica o filmica che sia si origina sempre allincontro di questa duplice pressione. Latto della trascrizione automatica di un dato esterno, la registrazione, ci che tiene insieme e manifesta questa duplicit. Nel suo farsi, unimmagine cinefotografica analogica allora sempre attestazione e scrittura: essa certifica lesistenza di qualcosa di reale e di passato (l stato di Barthes) e nello stesso tempo lo consegna ad una forma, lo restituisce come alcunch di costruito. Lidentit documentale e quella costruttiva e in senso largo finzionalizzante del dispositivo costituiscono limmagine filmica, la quale sempre documentaria e sempre finzionale, quale che sia lassunto discorsivo
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Non sar inutile sottolineare come Barthes si soffermi sulla sostanziale non-intenzionalit di ci che definisce punctum dellimmagine fotografica, sul suo presentarsi come ci che ha trasceso il desiderio delloperator e che si configura come quella fatalit che salendo allo sguardo dello spectator ne rapisce lattenzione. Cfr. Barthes 1980, p. 49. 187 La nozione di negoziazione, discussa e articolata in un ampio orizzonte teorico, uno dei nodi cruciali dellultimo, importante lavoro di Francesco Casetti (cfr. Casetti 2005). 188 Sorlin 1997, p. XXII. 189 Una ricognizione teorica importante delle nozioni di forma e forza nel cinema, secondo una prospettiva postdeleuziana, rintracciabile negli ultimi lavori di Roberto De Gaetano, tra i quali si veda De Gaetano 2005, pp. 101-138. in partic. 106-112, in cui si contrappone una estetica della forma e della formativit ad una estetica delle forze e si rintraccia nella riflessione sul cinema di Ejzentejn e di Deleuze i rispettivi nuclei generativi delle due direttrici di pensiero.

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complessivo (un film documentario, un film di finzione) lungo il quale inclina il testo in cui compresa. Uninquadratura dei Lumire, di Ford, di Ejzentejn, di Godard, da questo punto di vista, funzionano tutte nello stesso modo. Il film che le contiene potr tendere, pi o meno consapevolmente e a livelli diversi, verso luna o laltra delle due polarit, disporsi lungo le linee delluno o laltro versante (e ben oltre la distinzione elementare tra documentario e fiction, ma, pi in profondit, in termini compositivi, espressivi, stilistici, ecc. Lintera storia del cinema potrebbe essere fatta anche a partire da questa oscillazione). Unimmagine filmica analogica quale che sia, non che lintreccio di un immaginario al lavoro e di qualcosa daltro (alcunch di reale e di passato, che essa costruisce e di cui insieme testimone) che si conforma ai suoi desideri ma non vi corrisponde fino in fondo: al punto che in ogni momento i segni intrattabili, improgettabili della sua radicale alterit possono farsi incontro a chi si trovi a guardare, operator o spectator che sia. Potr bastare un poco di vento, che soffia dove vuole. Un nuovo paradigma Molte delle osservazioni appena avanzate vengono poste evidentemente in questione se pensate allinterno dellodierno regime visuale e pi precisamente di fronte allimpiego, esteso ad ogni livello del processo filmico, della tecnologia digitale nel cinema. Essa sostituisce la tecnologia analogica tradizionale in modo pressoch universale, in un arco che va dalle grandi produzioni spettacolari hollywoodiane fino alle produzioni indipendenti (con la pervasiva diffusione delle videocamere a base numerica, dei programmi di editing e compositing digitale, ecc.) e a quelle amatoriali. Praticamente ogni film prodotto ai nostri giorni, che sia un blockbuster dei grandi studios, unopera dautore (o luna e laltra cosa insieme), un filmato pubblicitario o musicale o il lavoro di un film-maker di famiglia, , con ogni probabilit, bench evidentemente in modi e con potenzialit differenti, interessato dallimpiego del digitale. Ora, per ci che concerne il cinema, la denominazione di tecnologia digitale investe un gran numero di territori, di questioni e di pratiche che qui non sar possibile accostare nella loro interezza. Ci che ora mi interessa rilevare, tuttavia, che unimmagine digitale, lo sappiamo da tempo, scardina la certezza dell stato barthesiano. Fotografica o filmica che sia, in ragione della sua natura numerica, discreta, essa non pi per essenza documento di quello che mostra. Sospende definitivamente la nostra certezza di ritrovare in immagine ci che in un tempo e in uno spazio determinati stato presente di fronte a un obiettivo190. Di pi: letteralmente fondata sul principio della manipolazione, attuabile con la pi
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La luce riflessa che nellanalogico veniva ad iscriversi in modo continuo su un supporto fotosensibile qui campionata in una serie di unit discrete (i pixel) e convertita in una serie di codici numerici. Ad essi corrispondono singoli valori cromatici la cui ricomposizione determina limmagine del dato fotografato. Questa ricomposizione in immagine del dato di partenza si costituisce, di fatto, come la riconversione in termini visuali (necessaria alla nostra

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grande rapidit e la pi grande efficienza, essa pu gi sempre restituire come interamente trasformato (emendato, incrementato, deformato) ci che in essa si d a vedere. Quello stesso principio autentico principio di determinazione dellimmagine numerica garantisce il pi vasto e generalizzato controllo su ogni punto dellimmagine. Baster pensare a programmi duso comune quali Photoshop, come ai sofisticati processi di composizione e di animazione digitali, vale a dire al lavoro di post-produzione computerizzata oggi largamente in uso nel cinema, negli spot pubblicitari, nei video musicali. La composizione digitale, in particolare, non che una pratica dassemblaggio e di combinazione di immagini provenienti da fonti differenti (filmati realizzati in pellicola, in video o direttamente acquisiti in formato digitale, immagini interamente create al computer, ecc.) nel corpo di una singola immagine integrata o di sequenze integrate, in cui gli elementi utilizzati (le singole immagini) e ciascuna parte di essi (ciascuna parte delle singole immagini), per lintera durata del processo di costruzione mantengono le loro identit separate e quindi si possono facilmente modificare, sostituire, cancellare. [] Cos come viene definita dal software, limmagine digitale consiste in una serie di livelli separati, ognuno dei quali contiene determinati elementi visivi. Durante il processo di produzione, gli artisti e i programmatori manipolano separatamente ognuno di questi strati; ne eliminano alcuni e ne aggiungono altri. Lasciando ogni elemento in un livello separato si pu modificare in qualunque momento il contenuto e la composizione di unimmagine: cancellare uno sfondo, sostituire un soggetto, avvicinare due persone, sfumare un oggetto e cos via191.
percezione, che altrimenti si troverebbe di fronte a colonne di numeri) di una serie di dati numerici e non necessariamente di una situazione reale in un tempo passato. Quello che Rodowick, via Cavell, ha raccolto nella nozione di causalit automatica analogica, proprio della fotografia e del cinema tradizionali, definito da un processo di trascrizione continua, nello spazio e nel tempo, di un dato esterno su un supporto uniforme, e che Stiegler, via Barthes, ha chiamato la catena della luce memoriale, viene interrotto nella conversione della luce in un codice numerico da un processo di calcolo che di fatto procede ad una sostanziale riscrittura del dato fotografato. La trascrizione analogica continua cine-fotografica spezzata da un processo discontinuo di transcodifica, tale per cui limmagine finale e la sua fonte rimangono dice Rodowick concettualmente distinte, separate, irreversibili. Scrive ancora Rodowick: I dispositivi analogici riproducono o amplificano un segnale spazialmente isomorfico con le loro fonti in un atto di trascrizione temporalmente continuo rispetto a quelle fonti. La conversione dallanalogico al digitale richiede una riscrittura della fonte in una notazione decifrabile dalla macchina che non n spazialmente n temporalmente continua rispetto alla sua fonte. [] La forza della somiglianza spaziale tende a farci dimenticare che la registrazione digitale una forma simbolica e che logicamente simile a una descrizione scritta piuttosto che a unimpressione visiva. [] La conversione analogico-digitale come la realizzazione di un dipinto dettagliato che parte dallinformazione fornita da una descrizione molto precisa. In breve, lacquisizione digitale produce rassomiglianza, ma non isomorfismo o omomorfismo nel senso comune dei termini. Non si pu ristabilire la forza storica dellanalogia una volta che la continuit spaziale e temporale della traccia indessicale si spezzata. [] Dammi le istruzioni e ti costruir unaltra immagine. Ti sbalordir per quanto sar simile percettivamente a quella che hai acquisito, ma ontologicamente sar un omologo e non un analogo, perch il tempo della trascrizione analogica e lespressione della durata si sono interrotti (cfr. Rodowick 2007, pp. 136 e pp. 141-42). Di fatto limmagine vede declinare ed attenuarsi la sua natura indicale e si presenta come un simbolo, o appunto come un omologo e non come un analogo di quanto rappresenta. Il testo di Cavell con cui Rodowick istituisce un dialogo serrato Cavell 1979. Quello di Barthes cui si riferisce Stiegler ovviamente Barthes 1980. La citazione stiegleriana si trova in Derrida, Stiegler 1996, p. 175. 191 Manovich 2001, pp. 180 e pp. 285. Assemblati secondo le esigenze pi diverse allinterno di unimmagine integrata, gli elementi possono quindi essere immessi ed animati in spazi virtuali in 3D in cui movimenti virtuali della macchina da presa, creati al computer, hanno facolt di dispiegarsi in ogni direzione. Cfr. ibidem, p. 376.

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In base a quanto si detto fin qui, ci che troviamo nel corpo di unimmagine filmica digitale pu configurarsi, in ragione della stessa natura del dispositivo, come alcunch di interamente desiderato. cio evidentemente possibile che allinterno di questo tipo di immagine tutto ci che si vede risulti a pieno titolo voluto dallistanza poietica che la percorre. Scorie, residui, supplementi della visione raccolti in fondo al suo stesso dispiegarsi, al suo stesso formare, possono in ogni momento e con la pi grande facilit essere rimossi, addomesticati o per cos dire spuntati, nellimmagine e dallimmagine. Al contrario, apparenze, figure, visioni accessorie, possono divenire parte di un corpo visuale il cui statuto originario non appare pi, in definitiva, pensabile come tale dal momento che limmagine pu configurarsi come un composto di strati, di livelli di immagine indistinguibili luno dallaltro192. In generale, unimmagine digitale tende a presentarsi come il luogo in cui listanza formativa esibisce un elevatissimo gradiente di operativit (la cui espressione pi radicale consiste ad evidenza nelle immagini di sintesi in movimento, interamente generate al computer senza bisogno di riprodurre alcunch). Il che equivale a dire, come stato pi volte notato 193, che essa appare del tutto consimile paradosso della tecnologia ad unimmagine pittorica, manipolabile e controllabile in ogni sua parte. Che ne allora, qui, di quelle punte di realt che in unimmagine analogica resistono allinclinazione totalizzante dellimmaginario (che, ce lo aveva insegnato gi Bazin, al reale progetta di sostituirsi194) e gli impediscono, diceva Daney, di chiudersi, cio di bastare a se stesso? Che ne sarebbe, dunque, di ci che avviene a unimmagine cinematografica, di ci che le viene inaspettatamente dal mondo in ragione del suo stesso muovergli incontro, del suo scrivere attraverso di esso e assieme ad esso? E che ne sarebbe di quello stato della cine-fotografia per cui unimmagine era sempre e in via di principio una sorta di emblema necessario dellaltro, il luogo di unaccoglienza ineludibile, di unapertura necessaria, visibile, rispetto a ci che non noi? E infine: cosa vede propriamente uno spettatore quando si trova di fronte un insieme di strati indecidibili di visibile, il risultato di innesti e di prelievi, la sovrapposizione indiscernibile di visioni suturate e compatte? Occorre spingerci ad accostare unaltra immagine, celebre quanto e forse pi della prima, per osservare attraverso di essa (la quale, non sar inutile ripeterlo, non che un modello, qui convocato in ragione di una sua certa, marcata esemplarit) la necessit di riconfigurare dalle
192

Oggi possiamo comporre un numero illimitato di livelli dimmagine. Uninquadratura pu consistere in decine, centinaia o migliaia di livelli di immagine (ibidem, p. 196). 193 Tra i primi ad osservare e discutere il carattere intimamente pittorico dellimmagine digitale, poi sistematicamente segnalato e approfondito nei non numerosi studi teorici dedicati alle tecnologie digitali in fotografia e nel cinema, stato W.J. Mitchell (1992) nel suo The Reconfigured Eye. 194 Bazin 1958-1962, p. 70.

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fondamenta il nostro modo di leggere e di pensare le immagini. Ecco dunque lazzurro del cielo su una citt degli Stati Uniti, sul finire del XX secolo. Nel centro dellazzurro una piuma, volteggiante. Pare galleggiare nellaria vuota e invece discende. Dietro di essa, compaiono edifici. Sospinta dal vento, la piuma risale, torna a scendere, scivola verso la strada. Qui auto e persone e un parco con panchine. Dopo ripetuti e insistiti volteggi, ora quasi sullasfalto, sfila al di sotto di unauto in corsa, giunge nei pressi di un giovane seduto su una panchina. E finalmente si posa ai suoi piedi. Linquadratura (una sola inquadratura, dal cielo alla terra: possibile?) dura meno di due minuti e consiste nella suggestiva apertura di Forrest Gump di R. Zemeckis (1994). Il cinema qui non ha compiuto ancora cento anni, ma con questa e con immagini pi o meno simili a questa, continua a sbigottire i suoi spettatori. E tuttavia, tra limmagine dei Lumire e questa che apre il film di Zemeckis o tra la meraviglia di Mlis e dei suoi contemporanei e la nostra meraviglia , non soltanto, possiamo ben dire, scorre intera la storia del cinema e con essa la storia dei discorsi sul cinema, ma a guardar bene, tra quelle foglie e questa piuma, unintera epoca dellimmagine in movimento si d come conclusa ed unaltra si presenta in tutta la sua evidenza. Nellapertura di Forrest Gump, come in una parte assai larga dellaudiovisivo contemporaneo pi invasivo e pi influente, non c posto per il comporsi in immagine di alcunch di indesiderato, dal momento che il farsi del sensibile, che pure resta il materiale di base delle nuove immagini filmiche (ad eccezione naturalmente delle immagini di sintesi), vi appare del tutto sottoposto al potere dellimmaginario. Interamente progettata, controllata, costruita nei suoi movimenti pi infinitesimi, animata e composta da unistanza poietica di fatto incondizionata, la piuma che danza allinfinito nellinquadratura di Zemeckis obbedisce di pi: vi aderisce da cima a fondo al soffio illimitato dellimmaginario, il quale, essenzialmente da solo, governa ogni lato dellimmagine e ne modella ogni parte. In unimmagine digitale, in cui tutto per essenza gestibile e in senso stretto programmabile in cui tutto in via di principio sotto controllo allora possibile che senza alcuno sforzo, nessuna preventiva, laboriosa riarticolazione materiale del fotografabile, il vento soffi dove vogliamo noi, vale a dire che il reale risulti perfettamente amministrato dalla spinta di unazione formativa che pu quello che desidera. Sorretta da unoperativit che la assimila in tutto a un disegno, intimamente grafizzata, cartoonizzata si pensi alla cosiddetta realt elastica dei grandi prodotti delle majors, come di moltissima pubblicit audiovisiva, ecc. , limmagine digitale pare comporsi, nei casi appena evocati, attorno ad un formare che controlla tutto ci che tocca, che domina per intero e fino in fondo i suoi materiali, che si presenta al nostro sguardo solo con la sua forza. La manipolazione virtualmente infinita garantita dal dispositivo vi si presenta come la condizione necessaria e sufficiente per conseguire, nel modo pi compiuto, pi immediato e in molti casi pi evidentemente accordato con le regole del mercato, 79

una multiplanare prevaricazione dellimmaginario sul reale, che proprio in una poderosa grafizzazione delle immagini e in una loro generalizzata e interscambiabile inclinazione attrazionale presenta i suoi pi vistosi tratti distintivi. Qui davvero limmagine sola con se stessa, fatta di se stessa, niente altro che immagine o immagine senzaltro. il visuel del tardo Daney, lininterrotta autocelebrazione delluno, del medesimo, delluguale a se stesso195. Le osservazioni appena avanzate richiedono alcune precisazioni. Occorrer farle subito, a scanso di equivoci. La prima: assolutamente evidente che unimmagine filmica analogica prevede anchessa la possibilit della manipolazione. Nella prima parte di questo lavoro, non si sostenuto che questo: il comporsi di una forma al lavoro che produce unimmagine non nulla di diverso da un atto di manipolazione: una manipolazione estetica (tecnico-formale, espressiva, configurativa, stilistica, ecc.) di un materiale determinato (la traccia di qualcosa di reale e di passato). Per non parlare del montaggio, vale a dire del pi immediato e pi significativo procedimento manipolatorio di cui il cinema dispone e che ne fa quello che . La seconda: sappiamo bene, per altri versi, che limmagine cine-fotografica analogica stata presto capace, attraverso la pratica del fotomontaggio, di manipolare, anche radicalmente, i modi di apparizione di ci che era stato di fronte alla macchina. E tuttavia quella pratica si doveva pur sempre alla sovrapposizione, alla mescolanza, alla composizione, di immagini tutte indicali, tutte cio certamente riferibili ad un dato esterno, tanto che Rodowick non distingue il fotomontaggio dal montaggio sequenziale, e dunque da ogni altra operazione di manipolazione estetica196. Inoltre e il fattore decisivo la pratica di modificare i modi dapparizione del rappresentato, nel complesso molto lenta e molto laboriosa, non ha mai costituito il vero principio individuante dellimmagine analogica (che consisteva invece proprio nella sua indicalit), come accade per limmagine digitale. Mi pare che lavvento del digitale sposti la questione della manipolazione in un ordine di problemi del tutto differente. Ben al di l dellordine dellestetica (in cui si iscrive la poiesis dellanalogico, che non pu spingersi ad erodere la natura indicale dei suoi materiali), la manipolazione digitale riguarda per cos dire lontologia di unimmagine prodotta tecnicamente: unimmagine digitale gi intimamente il prodotto di una manipolazione numerica (lo spectrum di Barthes gi campionato, quantizzato, ricomposto) e pi in generale il suo potenziale creativo comincia dalla consustanziale e infinita mutabilit di ogni sua singola parte: il che equivale a dire che essa si crea e crea a partire dalla messa in questione dellindicalit. Discutendo del primo e del secondo punto, abbiamo accennato alla questione del montaggio, che come dire alla questione del cinema tout court. A parere di molti, il digitale mostrerebbe nelle sue manifestazioni pi esemplari i tratti di una poiesis che tende a porre in subordine la centralit
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Cfr. Daney 1991, passim. Rodowick 2007, p. 70.

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operativa del montaggio filmico quale labbiamo conosciuta nel XX secolo, in particolare assegnando un ruolo costruttivo cruciale non tanto allarticolazione sequenziale delle unit distinte ma alle pratiche di assemblaggio di materiali diversi allinterno delle stesse unit. Si tratta di una posizione tuttaltro che priva di fondamento, che pure andrebbe approfondita, oltrech iscritta in un quadro teorico ben pi ampio di quello che possibile tracciare qui197. Tuttavia vorrei sostenere che al di l del depotenziamento propriamente operativo dellarticolazione sequenziale (dellindebolimento compositivo dellordine della discretezza e della successione su cui si fonda il discorso filmico), nellatto stesso della costruzione di unimmagine che molte delle forme dominanti dellaudiovisivo contemporaneo ridefiniscono in profondit la questione del montaggio. Al di l delle sue grandi espressioni storiche, delle sue numerose e peculiari modellizzazioni stilistiche e tecnico-formali, dei suoi paradigmi estetici pi forti (il paradigma del dcoupage, che tende a occultare i segni dellarticolazione; quello del collage critico-analitico, che tende a sovraesporli; le dinamiche di oscillazione e di incontro tra i due paradigmi198), il montaggio non solo, evidentemente, un procedimento di elaborazione sequenziale. Pi in profondit, con Ejzentejn199, il montaggio innanzitutto la radice dellelaborazione costruttiva, la scomposizione e la ricomposizione di un dato esterno in una forma. La costruzione di una singola immagine insomma un atto di montaggio. allora forse innanzitutto qui che il cinema digitale sconquassa le carte: se, come ha scritto Montani, in unimmagine digitale il lavoro costruttivo pu aspirare alla pi completa autoreferenzialit, assumendo come oggetto una regione del sensibile integralmente simulacrale e totalmente dominata200, loriginaria azione di montaggio che presiede alla formazione dellimmagine filmica e che si configura come unazione negoziale tra due istanze coalescenti ed incrociate, tenderebbe sostanzialmente a compiersi come lespressione incondizionata di una sola di queste istanze, libera dalle resistenze che laltra gi sempre le oppone e anzi capace in ogni momento di eluderle, di cancellarle e pi in generale di controllare laltro da s che le si dava accanto. Potendo liberamente disporre di quellalterit e dei suoi segni intrattabili, irriducibili, puntuti o prescindendone completamente (le immagini prodotte unicamente da programmi) , il digitale tende a sottrarre al montaggio la sua capacit di contenere, coordinare e negoziare le forze del sensibile con le forme del pensiero201, e dunque a ridisegnare tanto lorizzonte della produzione
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Il trattamento teorico pi approfondito della questione relativa al rapporto tra il montaggio cinematografico e limpiego delle tecnologie digitali si trova in Montani 2003. Sullo stesso problema si veda anche Montani 2004a, ad vocem. 198 La distinzione tra i due grandi regimi del dcoupage e del collage, drastica quanto convincente, in Amiel 2002. 199 La pi ampia e sistematica riflessione ejzentejniana sul principio del montaggio , come noto, consegnata ad uno dei testi teorici maggiori dellautore di Riga, lincompiuto Teoria generale del montaggio (Ejzentejn 1963-1970a), risalente alla seconda met degli anni 30, in cui pure, evidentemente, non si esaurisce. Dello stesso autore resta fondamentale anche la raccolta di testi Il montaggio (Ejzentejn 1963-1970b) pi dichiaratamente consacrata allorizzonte tecnico e applicativo del montaggio propriamente filmico. 200 Cfr. Montani 2004a. 201 Ibidem.

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delle immagini quanto quello della loro ricezione. In molte delle espressioni dominanti dellaudiovisivo digitale, lo spettatore non pi chiamato a misurare con lo sguardo, di fronte ad una singola immagine, il comporsi di un atto di negoziazione, il farsi dellaccordo necessario tra due voci coimplicate e concomitanti. Nel cinema dei grandi effetti, nella pubblicit, nel video musicale e pi in generale in gran parte delle immagini che ci circondano, egli non trova che il pieno dispiegarsi di ununica voce, il chiudersi dellimmaginario su se stesso, solo con le sue attrazioni. Immagini malgrado tutto Dunque, provando a riassumere (e continuando, per necessit, a semplificare): 1) il digitale pone radicalmente in crisi e in via definitiva la dimensione attestativa dellimmagine cine-fotografica analogica; 2) per contro, in ragione del suo costitutivo e larghissimo potenziale manipolatorio, esso incrementa in modo esponenziale le capacit pi intrinsecamente formative di unimmagine, al punto da renderla simile a unimmagine manuale. Ci la espone, almeno per una larga parte delle sue espressioni pi influenti, alle logiche spettacolari del mercato, che a livelli diversi tende, proprio sfruttando lillimitata mutabilit delle immagini, a una diffusa attrazionalizzazione del visibile. Ma la questione si esaurisce in definitiva nei termini appena descritti? Le cose stanno insomma soltanto cos? Relativamente al secondo punto, va osservato che la possibilit di disporre di una incondizionata operativit formativa e di esercitare il pi ampio controllo possibile sui dati dellimmagine si configura presto come una delle linee pi definite che percorrono dallinterno, pure in forme volta a volta differenti, la storia del cinema. Da questo punto di vista, le nuove tecnologie sembrano condurre a pieno compimento quello che per molti versi si d come un desiderio profondo, ma tuttaltro che segreto, della cinematografia (un desiderio che nonostante la fortissima ipoteca indicale del mezzo, passa ovviamente proprio per Mlis, per il cinema del controllo delle majors, per unampia parte del grande cinema sovietico, oltrech naturalmente per lanimazione, ecc.). Insomma, qui lavvento del digitale si presenta come latteso conseguimento di unantica aspirazione. Ci detto, e per un altro verso, appare evidente che se da un lato linnalzamento del potenziale immaginativo e applicativo garantito dalle nuove tecnologie pu agevolmente essere assorbito, con diversi gradi di consapevolezza, nellorizzonte inglobante del mercato, dallaltro non pu non presentarsi allimmagine come il principio di un suo pi autentico e pi profondo incremento espressivo, configurativo, compositivo (pi autentico, pi profondo e dunque pi complesso della logica elementare delle attrazioni in cui, come detto, confluisce in larga parte limpiego strettamente 82

costruttivo delle nuove tecnologie). Se pensiamo al cinema contemporaneo si noter come molti dei realizzatori pi sensibili tendano a pensare il digitale non soltanto come a uno strumento con cui sia pi semplice, pi rapido e pi economico dar corso a progetti configurativi gi destinati allanalogico, ma come a un mezzo pienamente espressivo attorno alle cui specifiche potenzialit orientare dinamiche compositive nuove e complesse, e nuovi progetti poietici, talora del tutto coincidenti con le regioni immaginative profonde di unintera costruzione testuale. Pensare in questi termini le tecnologie digitali significa consegnare loro, ora pi ora meno integralmente, la possibilit che il cinema si faccia capace di comporre202 come prima non gli era possibile fare e proprio in forza di un potenziale espressivo aggiunto, che apre alle pi varie e alle pi diverse possibilit formative (qui, dunque, ma solo qui, lintroduzione del digitale nel cinema non cos distante da quella del sonoro o del colore). Baster pensare ai lavori condotti negli ultimi anni, tra gli altri, da autori come Von Trier (Dancer in the Dark, 2000), Godard (Eloge de lamour, 2001), Rohmer (La nobildonna e il duca, 2001), Kiarostami (Dieci, 2002), Sokurov (Arca russa, 2002), Lynch (Inland Empire, 2006), per osservare nel dettaglio quanto qui si indicato in rapide osservazioni. In queste immagini, allora, tra loro cos diverse, si agita in tutta la sua densit un qualche decisivo tratto di bellezza, per cui pure assediata da processi di generale anestetizzazione (che tendono a convertire la complessit del sentire nellimmediatezza della sensazione o della sensazionalit)203, unimmagine si d ancora, malgrado tutto, come il luogo di un fare estetico elaborato e complesso, che in s si definisce in quanto forma dopposizione, espressione di qualcosa daltro nellindistinto dispiegarsi di una azione di regolamentazione tecnologica e mercantile, pienamente in corso, del visibile. Relativamente al primo punto, la cui portata appare evidentemente epocale: occorre prendere in carico nel modo pi consapevole la radicale trasformazione che interessa lidentit stessa dellimmagine filmica. Ma anche osservare subito che ove si collochino evidentemente al di fuori di orizzonti espressivi e comunicativi largamente inclinati sul versante delle attrazioni (blockbuster, spot televisivi, clip musicali, ecc.), le immagini digitali continuano a essere percepite come del tutto
202

Nel senso direi ejzentejniano del termine e non limitandosi ad unire, come in tanto cinema dei nostri giorni, una serie pi o meno efficace di effetti. La struttura generale del film spettacolar-commerciale di finzione tende infatti ad integrare in modo elementare e il pi possibile organico, nel corpo di un impianto narrativo, le attrazioni da cui sistematicamente punteggiato (Gaudreault 2004, p. 39). In generale, in questo tipo di cinema, la tecnologia digitale potenzia massimamente la dimensione per cos dire performativa delle attrazioni, senza modificare nel complesso modi, figure e procedure propriamente narrative tipiche del film hollywoodiano. Nel quadro della modellizzazione industriale del racconto cinematografico spettacolare, in definitiva, il digitale non viene impiegato da realizzatori e produttori per trasformare ma anzi per confermare il funzionamento dei modelli preesistenti (a questo proposito si veda Bordwell 2006). Oltre il film e oltre il peculiare rapporto cinematografico tra narrazione e attrazione, e come accennato pi volte in queste pagine, mi pare che luso elementarmente attrazionale delle tecnologie digitali si configuri oggi come il solo modello compositivo forte delle forme dominanti dellaudiovisivo digitale. 203 Sulla nozione di anestetizzazione e sulle dinamiche che essa comporta (cui qui, semplificandole, non si potuto che accennare), si veda Montani 2007.

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capaci di restituire a chi ne fruisce la pienezza di unesperienza veritativa. Sar sufficiente fare un solo esempio: di fronte alle spaventose immagini (fotografie, filmati) giunteci malgrado le intenzioni dei loro realizzatori dallorrore di Abu Ghraib, nessuno, come stato notato204, ha pensato anche solo per un momento che ci che ci trovavamo a guardare fosse il frutto di una qualche azione di mistificazione, che ci che avevamo davanti non fosse realmente accaduto cos come lo vedevamo. Potere per cos dire postumo di ci che un tempo era costitutivamente unimmagine-documento e oggi tardivamente percepito come tale o potere nuovo dellimmagine digitale, che ontologicamente incapace di dare testimonianza certa e tuttavia, in ragione del suo prodursi senza ingombro e senza sforzi (telefoni cellulari, minuscole foto e videocamere, ecc.) laddove anche solo una immagine ancora necessaria, e, soprattutto, della sua eccezionale facilit di trasmissione, pu farsi capace di mostrare, pi facilmente che in passato, ci che pretende di essere testimoniato? Paradosso della visione che ci domanda di essere pensato in tutta la sua complessit per cui non ho le prove che quello che vedo stato (non esistono ad esempio negativi cui poter fare appello) e insieme ho evidentemente le prove (nientaltro che queste povere immagini giunteci cos come sono) che sia stato proprio cos come lo vedo. Godard diceva, qualche tempo fa, che il declino dellindicalit dellimmagine potrebbe far sostenere a chiunque che lorrore che si agita in una fotografia non pi in alcun modo certificabile205. Aveva ragione e insieme, forse, si sbagliava. Una fotografia digitale ha ancora tutto il potere che si deve a unimmagine se si trova laddove c bisogno di lei (e laddove essa non si accontenti di presentarsi come un emblema del potere). Una significativa fioritura di un cinema compositivamente improntato allorizzonte della testimonianza206 (nel film documentario e non solo in quello, in opere che raggiungono la vasta distribuzione e in molte altre che popolano i festival internazionali) ha potuto in anni recenti svilupparsi e diffondersi proprio in virt della leggerezza, della duttilit, della maneggevolezza delle strumentazioni digitali. Ma pi in generale, nellampio arco che va dai filmati diretti che testimoniano quasi in tempo reale di accadimenti presenti (mentre scrivo: la grave crisi postelettorale in Iran), del tutto o quasi del tutto privi di accorgimenti formali, spesso unicamente dovuti alla sola attivazione del dispositivo (siti come you tube ne diffondono ogni giorno le espressioni pi diverse), fino alle altezze e al rigore compositivi di un Kiarostami (ABC Africa, 2001), il digitale si offre paradossalmente come una delle pi importanti opportunit documentali che laudiovisivo abbia oggi modo di percorrere. Si fa capace, cio, pi che in passato (la nostra immediata capacit
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Rodowick 2007, p. 163. Godard 1998, vol. II, p. 424. 206 La necessit di rintracciare nelle nuove tecnologie lapertura e la praticabilit di autentiche opportunit testimoniali costituisce un nodo importante della riflessione recente di Pietro Montani (si veda in particolare Montani 2004b e 2007).

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di produrre e diffondere immagini non pu non rimandare allutopia, che fu dei kinoki come di uno Zavattini, di un cinema-documento cui chiunque potesse dare corso), di accompagnare gli uomini, di formare i nostri sguardi e, almeno in via di principio, di darci del mondo tutte quelle immagini che il potere trascura o cancella. Sparse nella rete o capaci di giungere fino alle nostre sale, in tutte queste immagini si d forse allora un qualche decisivo tratto di giustezza che nelle sue espressioni pi elementari come in quelle pi ardue e meditate, si configura come un fare etico aperto nel cuore visuale del presente e che in esso insiste come una forza contraria, qualcosa daltro che torna a dirci che unimmagine, malgrado tutto, ancora capace di mostrare.

Alessio Scarlato Estetica e fotografia La nascita della macchina Qual la prima foto? La storiografia ha da tempo individuato una data per la nascita della fotografia: il 7 gennaio 1839. Lo scenografo teatrale Jacques-Mand Daguerre, sotto il patrocinio del parlamentare Franois Arago, presenta allAcadmie des Sciences la propria invenzione. Con 85

essa Arago intende convincere il governo a elargire una pensione annuale a Daguerre, al fine di liberare il procedimento dalle rivendicazioni di un brevetto e di renderla disponibile alla collettivit. Il dagherrotipo unimmagine in bianco e nero prodotta per una reazione fotochimica dovuta a vapori di mercurio, allinterno di una camera oscura di legno, su di una lastra di rame placcata dargento, di circa 16 X 21 cm. La lastra lucidata in precedenza fino a luccicare. La copia unica e non riproducibile. Daguerre non stato il primo a tentare di fissare limmagine della camera oscura con lazione della luce207. Tra gli esperimenti precedenti, emergono quelli di Nicphore Nipce, che intorno al 1817 concentra i suoi sforzi sul fissaggio delle immagini su lastre al bitume di Giudea, da trattare con solventi e con lo iodio. Nipce chiama il suo procedimento eliografia. Il tempo di esposizione necessario di diverse ore e le immagini risultano cos sfocate. Lunico esemplare rimasto di tale tecnica La veduta dalla finestra a Le Gras (1827), su lastra di peltro. Sono state conservate alcune riproduzioni di altre eliografie, pi nitide, prodotte su lastre di vetro, ma ne sono andati perduti gli originali. Lo scarso interesse riscontrato verso leliografia, presentata in un consesso di scienziati a Londra, induce Nipce a formare una societ nel 1829 con lo scenografo Daguerre che sta conducendo analoghe ricerche. Dopo la morte improvvisa di Nicphore Nipce, il suo posto nella societ preso dal figlio Isidore, che non porta contributi al miglioramento del procedimento. Daguerre ha come obiettivo la perfezione formale delle immagini, rinunciando al principio della riproducibilit presente nelleliografia. Le soluzioni che raggiunge tra il 1835 e il 1838 fanno s che imponga nuove condizioni alla societ: il procedimento scoperto dovr prendere il suo nome. Daguerre intuisce che lelemento commerciabile della produzione automatica delle immagini della camera oscura laderenza alla realt percepita. La notizia della sua invenzione circola negli ambienti artistici gi dal 1835, ma Daguerre non riesce a trovare investitori. Lincontro con Arago decisivo. La nascita della fotografia risponde a un atto politico. Arago matematico, parlamentare di fede repubblicana, scienziato di fama internazionale, nonch segretario della sezione di matematica dellAcadmie des sciences208. Influenzato dalle idee di Saint-Simon, Arago mette al centro delle sue attivit politiche il libero accesso allistruzione e alla cultura da parte delle masse. Il brevetto privato per innovazioni come il dagherrotipo significherebbe dare spazio a un rafforzamento della tendenza monopolistica delleconomia, che volgerebbe a favore di privati il progresso scientifico. Il
Il principio della camera oscura inizia a essere utilizzato per produrre immagini nel Rinascimento. Tra gli antecedenti della fotografia, si ricordano lo scotophorus di Schultze nel XVIII secolo e la camera lucida di Wollaston allinizio del XIX secolo (cfr. Newhall 1982, pp. 3-10). 208 Prima di diventare segretario dellAcadmie, Arago svolge ricerche sulla polarizzazione della luce, sulla fotometria, sui rapporti tra magnetismo ed elettricit, sulla natura delle comete. Durante il suo incarico, i suoi interessi si volgono a questioni di scienze applicate e alla diffusione delle idee scientifiche che, in unottica positivista, devono contribuire al progresso e al miglioramento delle condizioni umane.
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dagherrotipo, grazie anche a unabile campagna stampa mossa da Arago, diventa strumento da valutare per la sua utilit. Ma, come Arago indicher nel rapporto presentato alle Camere il 3 luglio del 1839, unutilit non strettamente economica; servir alle arti, come produttore di immagini che sostituiscano il bisogno dellosservazione diretta, e servir alle scienze, come strumento di misurazione della luce, oltre a essere valido aiuto per gli egittologi che non saranno pi costretti a copiare a mano i segni geroglifici. Lannuncio dellinvenzione del dagherrotipo scatena una controversia sulla paternit del procedimento di registrazione e fissaggio delle immagini della camera oscura. Si succedono i ricorsi di William Henry Fox Talbot e di Hyppolyte Bayard. La via istituzionale presa dal dagherrotipo fa s che tali rivendicazioni siano deluse. Talbot lavorava ai suoi disegni fotogenici (photogenic drawings) dallestate 1833, Bayard soltanto da pochi mesi. Al di l della precedenza cronologica, i diversi procedimenti muovono verso risultati diversi: quello di Talbot verso un negativo su carta, che pu essere riprodotto; quello di Bayard verso delle immagini uniche, dei positivi diretti, sempre su carta. Arago difende il dagherrotipo nelle sedi istituzionali e la Camera riconosce lutilit di tale invenzione accordando una rendita vitalizia a Daguerre e Isidore Nipce, in cambio del segreto di tale tecnica. Bayard trova un appoggio nellAcadmie des Beaux Arts, ignorata da Daguerre, ma senza risultati efficaci, e manifesta la sua delusione verso lo Stato francese con tre celebri Autoritratti da annegato (1840)209. La fabbricazione nel 1841 di un obiettivo sedici volte pi luminoso, da parte del matematico J. Petzval, rende infine sfruttabile commercialmente il dagherrotipo. I tempi di esposizione di un modello in pieno sole diminuiscono dal quarto dora al minuto e offrono la soluzione per lutilizzo che caratterizza i primi anni della fotografia: il ritratto datelier. La ricerca di una foto iniziale rischia di sottostare a una definizione puramente tecnica della fotografia. Ognuno dei procedimenti richiamati, da Nipce a Daguerre, da Talbot a Bayard, produce delle immagini che nascono da un fissaggio attraverso reazioni fisiochimiche di apparenze ottiche: dallincontro di una macchina con la luce. Nella ricerca di unessenza della fotografia, si sovrappone a una caratteristica tecnica una preistoria che indica a quale bisogno antropologico essa dovrebbe rispondere. La modernit della fotografia viene cos rintracciata nella creazione della camera oscura o addirittura nellimpulso, gi emerso con i miti di Narciso e della Medusa, allelaborazione di rappresentazioni connesse fisicamente col proprio referente. Questi due modelli storiografici ritrovano lessenza della fotografia nella fedelt visiva o memoriale, nella produzione di una copia indistinguibile dalloriginale o nella conservazione di una traccia del modello. In entrambi i modelli si discute dellimmagine fotografica nei termini di una dialettica tra presenza e
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Bayard raffigura se stesso seminudo, appoggiato alla parete, come morto. Nella nota esplicativa spiega di essere stato abbandonato da tutti, in particolare dallo Stato francese che gli ha preferito Daguerre.

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assenza del referente210. Nel primo caso, limmagine prodotta da un artigiano che cerca di riprodurre fedelmente le apparenze ottiche e trova nella prospettiva e quindi nel procedimento della camera oscura il passaggio decisivo. Nel secondo caso traccia, emanazione di qualcosa di distinto che continua a vivere (sopravvivere) nellimmagine stessa e vede quindi nel processo chimico lattestazione di qualcosa che stato211. Pi convincente appare interrogarsi sulle strategie con cui sono negoziati, attraverso levoluzione della macchina, il lavoro della mano (e dellocchio) del pittore e la disponibilit del reale a lasciare unimpronta di s, tenendo presenti le esigenze conflittuali di un medium di massa212. Prendiamo il caso esemplare di Talbot. Le sue ricerche conducono gi nel 1841 al perfezionamento e al brevetto del suo procedimento cui d il nuovo nome di calotipo. Talbot individua il principio dello sviluppo dellimmagine latente. La carta sensibilizzata dallo ioduro dargento e quindi lavata in una soluzione di acido gallico e nitrato dargento; gi dopo pochi minuti desposizione emerge unimmagine, il negativo, fissata con liposolfito di sodio. Tale negativo matrice per un numero indefinito di positivi. Per laffermazione del calotipo vi erano difficolt tecniche, legate al supporto di carta, sulla quale residui chimici creavano macchie e irregolarit, nonch difficolt politico-economiche, legate al bisogno di sottoscrivere una licenza, quando luso del dagherrotipo in Francia e negli Usa era libero. Daltro canto, la leggerezza della macchina ne faceva uno strumento ideale per la fotografia di paesaggi e di architetture; ma queste pratiche a loro volta, non redditizie come il ritratto datelier, interessavano meno i professionisti e i dilettanti trovavano ingiusta la spesa per la licenza. Questo spinge perci a un associazionismo fotografico (Calotype Society, Socit Hliographique), attraverso il quale possibile scambiarsi informazioni per migliorare il procedimento e cercare di trasformare la marginalit della fotografia su carta in una concezione davanguardia. La scoperta di nuove formule per il calotipo permette una produzione di positivi molto pi alta attraverso la riduzione dei tempi di stampa. La Socit Hliographique si impegna in una battaglia culturale attraverso la rivista La Lumire che cerca di dare dignit al procedimento su carta, utilizzando soltanto per questo il termine fotografia e scegliendo quello di eliografia per entrambe le tecniche213. Dietro una disputa terminologica, c il
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Liconologia occidentale ha lavorato questa dialettica secondo i due poli del Libro X della Repubblica di Platone (immagine come copia) e del Prologo del Vangelo di Giovanni (limmagine come una e insieme distinta dalla sua origine). 211 Usando la terminologia della semiotica di Peirce, puntando laccento sul dispositivo visivo, oscilliamo tra una lettura della foto come icona, segno che rinvia alloggetto per una rassomiglianza e lanalogia di alcuni caratteri, o come simbolo, segno convenzionale e generale, che rinvia alloggetto in virt di una legge. In entrambi i casi il rinvio a un oggetto, indipendentemente dal fatto che esso esista. Spostando lattenzione sul dispositivo chimico invece leggiamo la foto come un indice, come un segno fisico particolare, che significa il proprio oggetto soltanto in virt del fatto che esso realmente in connessione con esso, al modo di un segnale di fumo. 212 Tra gli studi pi recenti secondo questa prospettiva, emerge limportante raccolta di Gunthert - Poivert 2007. 213 Il termine fotografia, proposto da John Herschel nel 1839, era utilizzato come vocabolo generico, indicante sia la pratica su lastra che su carta.

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tentativo di ridurre a un conflitto tra tecnologie il contrasto tra diverse strategie culturali. La cattiva definizione del supporto cartaceo, agli occhi della Socit Hliographique, non un limite rispetto alla precisione microscopica della lastra del dagherrotipo; piuttosto indica la possibilit di uninterpretazione della natura e di una manipolazione dellimmagine, secondo i modelli pittorici pi volte richiamati su La Lumire. Alla concezione democratica e popolare della fotografia di Arago contrapposta una visione elitaria, che inserisce il mezzo nella storia delle arti, proponendo un continuo confronto con modelli pittorici. Il procedimento al collodio umido su lastre di vetro, scoperto dallo scultore Archer nel 1851 e presentato lo stesso anno alla prima esposizione universale a Londra, soppianta nel giro di un decennio entrambe le tecniche. La tecnica al collodio umido libera da brevetti, quindi pi economica, pi semplice, e conserva la precisione del dagherrotipo. Tra la fine del XIX secolo e linizio del XX secolo sono elaborati i procedimenti che hanno costituito lorizzonte tecnico della fotografia cosiddetta analogica. La stampa alla gelatina-bromuro dargento, sostituendo a partire dal 1880 le tecniche precedenti, libera il fotografo dai vincoli di una camera oscura vicina alla posa, perch le lastre conservano per mesi la sensibilit alla luce e possono essere sviluppate anche molto tempo dopo lesposizione. Limmagine conquista una maggiore sensibilit ottica, con un ampliamento delle fasce dello spettro luminoso, nonch si proseguono le ricerche sul colore, iniziate ai tempi dei primi esperimenti di Nipce. I primi risultati ragguardevoli si hanno allinizio del Novecento, con le lastre autocrome dei fratelli Lumire, che sfruttano e semplificano i procedimenti di addizione dei colori. La produzione di queste lastre dura fino al 1932, per essere soppiantata da tecniche basate sulla teoria subtrattiva214, in particolare dalla pellicola Kodachrome per apparecchi fotografici da 35 mm. (1937), che poteva per dare soltanto copie uniche, e quindi dalle pellicole Kodacolor (1941) e Ektakolor (1947), che consentono luso del principio negativo-positivo. Dal punto di vista della macchina, linnovazione fondamentale stata la riduzione del volume, che ha permesso di renderla portatile. Tra le case produttrici che si contesero il mercato, ebbe la meglio la Kodak (1888), economica, leggera, con unautonomia di 100 scatti. Essa consentiva al cliente un servizio completo di sviluppo e stampa, secondo il famoso slogan: Voi premete il bottone, noi faremo il resto. La fotografia diventa un taccuino con il quale qualsiasi dilettante inesperto pu annotare qualsiasi momento della sua esperienza. Quindi, il procedimento della Polaroid-Land (1947), che permette la produzione in pochi secondi, istantanea, di un positivo gi stampato, la cui ridotta dimensione e lunicit della copia rimanda addirittura al dagherrotipo.
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Diapositive tratte da negativi presi attraverso filtri rossi, azzurri e verdi, se verranno colorate nei rispettivi colori complementari (azzurro-ciano, giallo e cremisi) adeguatamente sovrapposti, e tenuti contro la luce, riprodurranno la scena ripresa dallobiettivo del fotografo con tutti i suoi colori naturali (Newhall 1982, p. 377).

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Dal punto di vista delluso della fotografia nel campo dei media, il primo snodo fondamentale lacquisizione di una tecnica (la lastra a mezzatinta) che permette di stampare le foto in un torchio insieme al testo. A partire dagli anni Ottanta del XIX secolo le fotografie sono riprodotte a prezzi contenuto su libri, ma soprattutto su riviste e giornali, cos da dar vita al fotogiornalismo. Ladattamento della foto ad altre tecniche conduce ai media che hanno dominato il XX secolo, il cinema e la televisione, fino alla grande innovazione che segna gli ultimi decenni, la foto numerica di sintesi. Essa si sviluppata a partire dalle esigenze della comunicazione a distanza. Il dispositivo CCD (Charge Coupled Device) nasce alla fine degli anni Sessanta nel campo della videotelefonia, grazie alle ricerche di due ingegneri americani (George Smith e William Boyle), e sostituisce a un apparato chimico di cattura della luce un meccanismo elettronico. Il segnale, sempre analogico, viene tradotto in un segnale numerico discreto. Prima di affrontare tale innovazione, utile discutere il trauma che la riflessione estetica ha dovuto vivere dai tempi della Vista alla finestra di Nipce e del Boulevard du Temple di Daguerre.

1) Nipce - Veduta dalla finestra a Le Gras

2) Daguerre - Il Boulevard du Temple alle 8 del mattino

Lautonomia dellarte: la foto come quadro e come indice Quando la fotografia entra nel campo dellarte? A met del XIX secolo associazioni come la Socit Hliographique e la Photographic Society si impegnano per un riconoscimento della dimensione culturale della fotografia. Danno impulso sulle proprie riviste a una critica che tratti la fotografia come arte, collocandone le immagini allinterno della storia delle arti visive, dando spazio a unanalisi stilistica che interroga il lavoro di rielaborazione-manipolazione compiuto dalla mano del fotografo-pittore. LEsposizione Universale di Londra del 1851 sar la prima occasione importante nella quale lo spettatore inesperto potr accostare fotografie scattate in luoghi diversi, riconoscendo le diversit degli stili. Quelli descritti sono in nuce i due passaggi che servono ad affermare la possibilit di una pratica fotografica con finalit artistiche: a) la possibilit di produrre e quindi discutere delle foto come dei quadri pittorici, utilizzandone i soggetti e gli stilemi compositivi coevi; b) la catalogazione museale dei capolavori al fine dellallestimento di mostre, 90

dalle quali prendono le mossa le trattazioni che hanno dominato per decenni le storie della fotografia. Il primo movimento a leggere la pratica fotografica in chiave estetica sar quello della fotografia artistica, i cui maestri riconosciuti sono Henry Peach Robinson e Oscar Gustav Rejlander. Nelle loro fotografie, al modo delle coeve pratiche pittoriche come i tableaux vivants, sono messi in scena soggetti storici o letterari, spesso attraverso il principio della stampa combinata, ossia della costruzione di unimmagine a partire da negativi diversi, che sar proseguita nel XX secolo con il fotomontaggio (i collages cubisti, gli assemblages di Kurt Schwitters).

3) Robinson (Fading away) Alla fine del XIX secolo si insiste perci sulle tecniche di manipolazione che permettano di esaltare una dimensione artigianale e di costruire unimmagine non automatica, ma frutto di uninterpretazione215. il primo tentativo di rispondere alla ripetuta condanna allautomaticit del mezzo fotografico216. Allinizio del XX secolo si capovolger il paradigma e lesteticit dellimmagine fotografica sar ritrovata piuttosto nella capacit di esaltare lautomaticit del mezzo. Questa automaticit pu per essere intesa secondo due direttrici. La prima quella rappresentata esemplarmente dal neo-pittorialismo della fotografia-straight (diretta) di Alfred Stieglitz e Paul Strand che spostano lattenzione dalla formativit della mano al movimento/taglio dellocchio, in grado di comporre, di valorizzare linee e volumi, di esprimere valori cromatici, di dar ordine al caos, cos da abbracciare, dopo la stagione accademica e simbolico-impressionista del primo pittoricismo, le nuove strategie formali delle avanguardie pittoriche. Il fine rimane perci quello di produrre unimmagine fotografica che lavori come un quadro, come unopera visiva autonoma, come una materia formata. La fotografia artistica, aggiornamento del quadro nellepoca della tecnica, trova ancora il suo luogo delezione nel museo. Questa direttrice stata interpretata come un richiamo alla natura documentaria del mezzo, come esemplarmente accade nellopera di Walker Evans, Dorothea Lange, August Sanders e, pi vicini ai nostri giorni, in Diane Arbus e Lee Friedlander; ma al contempo stata sviluppata come esortazione alluso del dispositivo come luogo
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Le tecniche sono diverse, dalla sfocatura ottica, molto diffusa in Gran Bretagna con la fuzzy school, alle sperimentazioni sui procedimenti di stampa (in particolare quelli inerenti la gomma bicromata), che trovano spazio in Francia (R. Demachy), Austria, Germania e rendono il lavoro del fotografo simile a quello dellincisore o dello scultore. 216 La formulazione pi icastica di questa condanna nelle poche pagine pubblicate da Baudelaire sulla Revue Franaise allinterno di un ciclo di riflessioni sul Salon del 1859. Il gusto esclusivo per il Vero (cos nobile se limitato alle sue proprie applicazioni) reprime e soffoca il gusto del Bello (Baudelaire 1859, 219). Propone gli elementi di critica estetica poi ricorrenti: lassenza di creativit e immaginazione e la confusione tra dimensione artistica e industriale. La fotografia deve tornare al compito di ancella delle scienze e delle arti; pu con la sua precisione aiutare la visione del viaggiatore, del naturalista, dellastronomo, e salvare dalloblio le rovine cadenti, tutto ci che il tempo divora.

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di ricerca formale, fino addirittura alla produzione di immagini sperimentali di carattere astratto, che possono nascere anche soltanto dalla manipolazione di giochi di luce, liberandosi cos da ogni riferimento esterno (la vortografia di Coburn, la rayografia di Man Ray217, i fotogrammi di MoholyNagy). La seconda direttrice, pi radicale, cerca di introdurre nel campo delle arti visive il modello di funzionamento del dispositivo fotografico. Non la fotografia a doversi fare artistica, ma larte a dover divenire fotografica. Del dispositivo fotografico, secondo negoziazioni diverse, sono sottolineate le caratteristiche tecniche gi ricordate: lautomaticit, la riproducibilit, e soprattutto il carattere indicale. una direttrice che insiste sulle pratiche pi radicali delle avanguardie storiche, in particolare sul ready-made del dadaismo, concepito come istantanea-traccia di un avvenimento particolare, fino a interessarsi, pi che delle pratiche, del fotografico come oggetto teorico. Da opera limmagine si fa gesto, azione, costruzione di una relazione per contatto (anche casuale) tra la macchina e la luce, e tale gesto indizio, traccia, sintomo, finanche spettro. Attorno a questi due paradigmi ha lavorato la storiografia della foto come oggetto darte. Volendo indicare due momenti fondamentali di questo dibattito, possiamo far riferimento alla Storia della fotografia (1937, pi volte rieditata fino al 1982) di Beaumont Newhall, e ai saggi di Rosalind Krauss, dallinaugurale Notes on Index del 1977 ai numerosi contributi poi raccolti in Teoria e storia della fotografia (1990). Questi paradigmi acquistano significativit se inseriti nel loro contesto produttivo, nel dialogo di questi studiosi con le pratiche artistiche coeve, nei modelli di riferimento (Alfred Stieglitz per Newhall, Duchamp e il surrealismo per Krauss); se analizzati alla luce delle rimozioni che producono218 e delle polemiche culturali nelle quali si inseriscono219. Ma l dove si parla della fotografia come di unazione indicale, ha ancora senso affermare lautonomia dellimmagine artistica? Il modello dellautore-creatore che attraverso la poiesis costruisce un segno privo di finalit pratica come pu resistere di fronte alla diffusione e alla facilit duso del mezzo fotografico, che pressoch annulla la distinzione tra professionista e dilettante; di
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Man Ray appare figura di confine tra lidea della fotografia come opera visiva e come azione indicale. La rayografia una pratica fotografica realizzata senza macchina. 218 Newhall prepara la sua Storia sulla base del catalogo che cura per la mostra di fotografia, da lui stesso organizzata, per il MoMA di New York nel 1937. Nella preparazione della mostra dovette escludere dai suoi viaggi di ricerca la Germania a causa della situazione politica. Questa involontaria rimozione di gran parte della produzione tedesca del XIX secolo peser per molti decenni nella storiografia nordamericana. 219 In Notes on Index Krauss cerca una nuova griglia ermeneutica per le pratiche artistiche, come le installazioni, la body art, la land art, che avevano dominato New York negli anni Settanta. Il saggio tradotto per la rivista Macula in Francia, corredato di alcune schede che illustrano la tripartizione dei segni di Peirce, insistendo su una chiave semiotica. Questa chiave trova terreno fertile in Francia, dove si cercava una fuoriuscita dal modello linguistico di carattere saussuriano e la possibilit di una lettura estetica e non soltanto sociologica della pratica fotografica, come invece nel testo di riferimento del dibattito francese (Bourdieu 1965). Krauss riattivava una sotterranea linea indicale della riflessione francese, da Delluc e Epstein a Bazin. La riflessione indicale di Krauss incontrava a sua volta il lavoro tardo di Barthes 1980. Una sistematizzazione di questa costellazione in Dubois 1983.

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fronte ad archivi che rendono sempre pi arbitraria la catalogazione di capolavori per mostre le quali a loro volta presentano immagini non pi uniche ma godibili e riproducibili ovunque; di fronte soprattutto a un segno che obbliga al contatto (e alla negoziazione) con qualcosa daltro da s?

4) Stieglitz (Equivalent) Tutte le immagini, unimmagine sola: la mobilitazione per le immagini e la traccia testimoniale e la traccia testimoniale Non soltanto il campo dellarte visiva a essere riorganizzato dalla fotografia. la nostra esperienza a divenire potenzialmente luogo continuo di una mobilitazione per limmagine. Di tutto possiamo fare copia automatica, fino al limite teorico dellindistinzione tra reale e riproduzione (simulacro). Ogni immagine a sua volta pu essere riprodotta fotograficamente. Il dispositivo fotografico ci costringe a pensare in modo nuovo loggetto artistico e le nozioni di copyright e di autore, legate alla stagione che va dal Rinascimento alle avanguardie storiche, perch una tecnica in cui i risultati dei cosiddetti dilettanti contribuiscono in modo essenziale alla storia delle sue immagini. Pi radicalmente, la fotografia ci costringe a ripensare il nostro stare allinterno dellesperienza, il nostro commercio con le cose, fatte di immagini. Come il fuori segnato dal gesto indicale lascia la sua traccia, tanto da poter dire che limmagine il deposito della realt, specularmente ogni reale permeato di immagini. Nulla sembra potersi nascondere allocchio automatico della macchina, che unifica tutti i referenti fino a ridurli a un fondo per il controllo della visione. Il contatto tra immagine e cosa, nellepoca della tecnica (fotografica), travalica i confini delimitati di unestetica intesa come discorso attorno alle poetiche e alle retoriche della produzione artistica, per farsi domanda sullesteticit della nostra esperienza, sempre pi organizzata attraverso dispositivi. Il discorso sul fotografico, su questo gesto indicale attraverso una macchina, quando prova ad andare alla radice della questione, non pu limitarsi n a una descrizione tecnicoscientifica, n continuare a difendere una pretesa autonomia estetica dellimmagine artistica, senza porsi la domanda sul potere di tali immagini. Intorno a questo potere, per tentare un percorso attraverso alcuni luoghi teorici esemplari ed evidentemente non esaustivi, convocher a sostegno alcune immagini (o catene dimmagini). La prima tratta da una raccolta di fotografie di Edmund Schultz, Il mondo mutato. Un sillabario per immagini del nostro tempo (1933), editata e commentata da Ernst Jnger. intitolata Luomo di vetro e riproduce un modello di essere umano costruito con materiale trasparente e presentato negli

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anni Venti allEsposizione digiene di Dresda220. Secondo la didascalia di Jnger, il rapporto delluomo con il suo corpo assume un carattere cosale. La sua sorveglianza e il controllo delle sue prestazioni ricorda lesattezza che caratterizza gli strumenti di precisione221. Il corpo umano reso del tutto visibile da ogni punto di vista: si fa perci al contempo spettacolo e oggetto di sperimentazione scientifica, che lo rende a sua volta disponibile e controllabile. Questa fotografia allinterno di un atlante nel quale limmagine fondamentalmente immagine di guerra, non soltanto quando esplora i segni di devastazione sui corpi nelle trincee della Grande Guerra e illustra la potenza dei nuovi strumenti militari. Il singolo inserito allinterno di una disciplina automatizzata, in un ordine pianificato dei mezzi, dal campo del lavoro a quello del tempo libero o della cura del proprio corpo. limmagine esemplare di quello che Jnger definisce un mondo di marionette222, accostando le donne nei saloni di cosmetica, le attrici-dive del cinema, gli atleti nel momento del massimo sforzo, gli operai negli altiforni e gli aviatori ed esploratrici con uniformi antigas, le adunate di massa e i parlamenti incapaci di operare223, ligiene di stato e le celle costruite come sanatori, fino alla pianificazione del lavoro e delleducazione come se fosse unattivit bellica. La logica della mobilitazione totale fa perdere di significato i confini tra guerra e lavoro, rendendo la guerra un processo meccanico da organizzare secondo logiche economiche e il lavoro un processo in ogni istante conflittuale e pericoloso. Limmagine, sempre disponibile attraverso la tecnica, riduce loggetto in una posizione dinferiorit, sia perch lo aggredisce, lo strappa dal suo contesto, lo inquadra, sia perch lo rende disponibile, senza limiti, alla propria parola che lo pu commentare secondo scopi contrapposti. Limmagine tecnica strumento di controllo: offre una tavola di informazioni sulloggetto, cos da neutralizzare la sua eventuale reazione e renderlo disponibile alla manipolazione dello sguardo. Tale manipolazione non va interpretata riduttivamente come inganno, n tanto meno si riduce alluso delloggetto fotografato. Essa ancor di pi riguarda lelaborazione di un universo di giudizi e di sentimenti, di un mondo che viene costruito attraverso una serie di immagini apparentemente neutrali, la cui organizzazione risponde a una logica di potere. La pericolosit di ogni istante, propria della logica della mobilitazione totale, anestetizzata: loggetto al contempo disponibile e distante, raggiungibile meccanicamente e orientabile ideologicamente. La violenza di quegli istanti pericolosi normalizzata, resa uniforme e totale. Si sempre in guerra224, in ogni momento e in
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Su questimmagine e sul problema della fotografia in Jnger ha richiamato lattenzione nella sua postfazione Guerri, curatore delledizione italiana de Il mondo mutato. Jnger e Schultz collaborano tra il 1930 e il 1933 alla compilazione di cinque raccolte fotografiche, dedicate soprattutto a una fenomenologia della guerra totale e dei suoi strumenti di propagazione. In quegli anni Jnger pubblica i suoi lavori principali, dalla Mobilitazione totale allOperaio, dedicati agli stessi temi di queste antologie fotografiche. 221 Jnger - Schultz 1933, p. 29. 222 Ibidem, p. 23. 223 Ibidem, p. 41. 224 Jnger prefigura il movimento epocale segnato dalla crisi di legittimit dello Stato-nazione. La conflittualit

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ogni luogo, e tale guerra sempre una guerra di immagini. Limmagine fotografica rende ogni cosa, anche lo stesso soggetto della visione, una raffigurazione predisposta, organizzata e calcolabile: strumento che riduce lessere dellente alla sua dimensione strumentale225. Il mondo nella sua totalit si presenta perci come immagine, come qualcosa che soltanto nella misura della sua disponibilit a rendersi pubblico, come un uomo di vetro del tutto visibile, e a farsi controllare dalla potenza dello sguardo del soggetto della visione, che a sua volta sempre pi si fa conflittuale, in guerra con altri sguardi. Tale soggetto in guerra cerca di affermare la propria potenza attraverso lesibizione di una neutralit, di unindiscutibilit, di unautomaticit della propria visione. Questo conduce a un oblio dellessenza produttiva della tecnica stessa226. Rispetto al dominio totale dellimmagine, pu essere allora utile contrastare la lettura deterministica, tecnica, sulla specificit del mezzo. Di fronte a un mondo unificato sotto il dominio universale della tecnica, come appare nellatlante jngeriano, va riproposta la domanda su che cosa voglia dire produrre immagini, che cosa nascondiamo nellistante in cui rendiamo visibile qualcosa: quale sia la verit dellimmagine, prima ancora di quale sia la sua bellezza. 5) JUENGER Una seconda immagine, questa volta una serie di fotografie. Le quattro scattate da alcuni membri del Sonderkommando dal crematorio V, nellagosto 1944, i cui negativi sono conservati al Museo dAuschwitz227. Testimoniano la cremazione di alcuni corpi gasati e di alcune donne spinte verso le camere a gas. Queste fotografie sono state strappate alloblio. L dove Jnger ci mostra la potenza mortifera dellocchio fotografico, le foto del Sonderkommando resistono. Il mondo mutato ci mostra un universo sottomesso a un unico e unificante punto di vista, quello di una massa di lavoratori che contemplano con piacere estetico la messa in forma della propria autodistruzione, ossia della propria trasformazione in materiale umano. Quella violenza pervasiva estetizzata e cos rimossa, resa invisibile. Il mondo mutato si apre con il teschio di un ignoto militare, sperso in una pozzanghera di uno degli innumerevoli teatri di guerra, e si chiude con le esposizioni belliche, tra le parate degli strumenti di distruzioni e le esibizioni di combattimenti allinterno di palazzi dello
permanente, cancellando la barriera tra civile e militare, fa di ogni momento della vita quotidiana in epoca di pace un istante di possibile scatenamento di violenza bellica. Saltano le convenzioni, per poter approdare a quelluniformizzazione che fa di ogni luogo un luogo di guerra, di ogni abitante un nemico assoluto, senza pi rifugi nella neutralit. Il progresso tecnologico rende impossibile preservare la sicurezza e indebolisce il legame di fedelt tra cittadino e Stato. 225 La diagnosi di Jnger aiuta Heidegger nella sua indagine sulla modernit, interpretata come epoca della tecnica, ossia di un mondo ridotto nichilisticamente a immagine. 226 La dimensione sistemica di un mondo risolto nella guerra delle immagini, mondo nel quale a sua volta ogni conflitto, ogni guerra si derealizza, si fa spettacolo, attraversa molte ricerche dedicate alla politica delle immagini nel secondo dopoguerra, da quelle di Sontag e Debord a quelle di Baudrillard e Sloterdijk. 227 La discussione di queste immagini il cuore di Didi-Huberman 2003.

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sport. Le foto del Sonderkommando ci mostrano levento senza testimoni, un momento allinterno di un processo di distruzione (la soluzione finale) che doveva svolgersi come se nulla stesse accadendo. Le fasi dello sterminio procedevano secondo lorganizzazione anonima della pi grigia burocrazia, cos da mimetizzare alle coscienze dei carnefici e degli spettatori indifferenti il processo di radicale messa al bando, fino alla morte per gas e allincenerimento. Ma qualcuno riesce, a rischio della propria esistenza, a testimoniare lhic et nunc, a indicare il punto di vista unico e solo al mondo dal quale si poteva vedere quel che stava accadendo in quel campo occultato alla vista, dal quale si potevano segnare, gi a partire dalle condizioni materiali della fabbricazione dellimmagine (la cattiva messa a fuoco, la visuale scomoda e non centrata), le posizioni inconciliabili, non unificabili, dei carnefici e delle vittime. lesempio pi perspicuo di ci che qualche anno prima Benjamin aveva definito la politicizzazione dellestetica. Rispetto alla distanza sacrale, allaura che limmagine bella provoca soggiogando e impadronendosi del proprio spettatore, le immagini riproducibili meccanicamente permettono di trasferire nellhic et nunc della storia lattenzione: possono farsi traccia, ossia apparizione di una vicinanza (per quanto distante) attraverso la quale facciamo nostra la cosa228: Nonostante labilit del fotografo, nonostante il calcolo dellatteggiamento del suo modello, losservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nellimmagine quella scintilla magari minima di caso, di hic et nunc, con cui la realt ha folgorato il carattere dellimmagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui, nellessere in un certo modo di quellattimo ancora lontano si annida oggi il futuro229. 6) Anonimo (dal crematorio V di Auschwitz)

La fotografia pu non essere la riduzione di ogni luogo e di ogni tempo al presente sempre disponibile per locchio (della volont di potenza) della macchina ma farsi immagine dialettica nella quale, fulmineamente, possiamo riconoscere la tensione dialettica tra ci che e ci che stato e nella quale questi due poli del tempo, in modo sempre rinnovato, riconoscono se stessi scorgendo in quella scintilla del caso la contingenza gravida di futuro, le possibilit ancora non viste. Le immagini hanno cos vita postuma, sono immesse in uno spazio pubblico (non pi rituale) che non le lascia mute ma le riproduce, le interpreta, le discute, le critica, ne svela linconscio ottico,
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Oltre a Benjamin 1931 e 1935-36, vanno ricordati gli appunti che fanno parte del materiale preparatorio dei Passages di Parigi (1982, postumo). Tra i riferimenti polemici (impliciti) c anche Jnger. Entrati nel dibattito anglosassone solo negli anni Sessanta, quelli di Benjamin sono oggi tra i testi centrali nel dibattito sui media di massa. Sono altres fondamentali, al di l di alcune schematizzazioni dettate dallurgenza politica dellepoca, per intendere la sua filosofia messianica della storia, al di fuori dei canoni dello storicismo, e per riconoscere nel montaggio il metodo dinvestigazione pi adatto. 229 Cfr. Benjamin 1931, p. 479.

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cercandone il significato nel dialogo e nel montaggio con altre immagini (visive, musicali, verbali) prodotte e trasmesse anche attraverso altri media230. Il lavoro di discussione non ha come fine la derealizzazione dellimmagine, la possibilit di dirne tutto, ma quella di poterne dire sempre altrimenti e sempre di pi. Linterminabilit dellanalisi e del commento di una foto ha come desiderio quello di scavare sempre meglio in quellhic et nunc, riconoscendo le diverse posizioni rispetto allevento, indagando il controcampo rispetto alla scena, setacciando e combattendo stereotipi e proiezioni che orientano e spesso occultano la visione. Come accade appunto con queste quattro foto dissotterrate dalla cenere e conservate nel Museo dAuschwitz, montate da Resnais in Notte e Nebbia, quando ancora non si sospettava che fossero gli unici documenti visivi dalle camere a gas, indagate nella loro genealogia da Pressac in Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers (1989)231, discusse da Didi-Huberman per mettere a confronto i due monumenti storiografici di Shoah di Lanzmann e Histoire(s) du cinma di Godard che, con strategie opposte, con il rifiuto o una bulimia di documenti visivi, scavano continuamente per indagare linvisibile distruzione che stata di fronte ai nostri occhi e alle nostre macchine fotografiche. Tutte le immagini sono cos convocate e messe di fronte alla propria responsabilit rispetto a quel vuoto dimmagine che lo sterminio di un popolo e della sua memoria intendeva produrre. Una terza fotografia. Questa volta non sono immagini che cercano di rendersi visibili malgrado tutto, ma al contrario una foto che vuole rimanere privata. la foto del Giardino dinverno, attorno alla quale Barthes costruisce una lunga variazione nella seconda parte della Camera chiara (1980). In quella foto, di uninnocenza assoluta232, riconosce il volto giusto della madre da poco morta: Era una fotografia molto vecchia. Cartonata, con gli angoli mangiucchiati, dun color seppia morto, essa mostrava solo due bambini in piedi, che facevano gruppo, allestremit dun ponticello di legno in un Giardino dInverno col tetto a vetri. Mia madre aveva cinque anni, suo fratello sette233. Barthes gi negli anni Sessanta aveva manifestato la difficolt a far rientrare nellambito degli studi semiotici il messaggio fotografico, che difatti con una formula famosa (e controversa) aveva definito senza codice234. Nella Camera Chiara racchiude questa insofferenza verso una lettura improntata allanalisi dei codici (semiotici, storico-sociologici, estetici) in una dicotomia, studium-punctum, che lespressione ancora culturale di una tensione tra limmagine come problema e come ferita. Lo studium lapplicazione a una cosa, il gusto per
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Sulla possibilit di costruire unestetica intermediale a partire da Benjamin (e dalla pratica cinematografica del Kinoglaz di Vertov, a cui Benjamin si richiama esplicitamente), si veda Montani 2007, pp. 85-120. 231 Jean-Claude Pressac indagando i documenti disponibili su Auschwitz abbandon le sue posizioni inizialmente revisioniste sulla Shoah. 232 Cfr. Barthes 1980, p. 70. 233 Ibidem, p. 69. Barthes ha tenuto un diario, dal 1977 al 1979, per elaborare la tristezza per la morte della madre. stato da poco pubblicato e tradotto in italiano: cfr. Barthes 2009. 234 Cfr. Barthes 1961, p. 7.

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qualcuno, una sorta dinteressamento, sollecito, certo, ma senza particolare intensit 235; linteresse mosso dalla cultura, che quindi tanto pi cresce quanto pi lo sguardo (del fotografo, dello spettatore) addestrato, rendendosi padrone dei codici che si sovrappongono nella produzione-decifrazione dellimmagine. Ma quello che ossessiona Barthes la ferita del punctum, di ci che nellimmagine resiste alla macchina del Logos, sconvolgendo la visione predisposta e messa in scena. lirruzione dellirripetibilit dellevento che pu trovare espressione in un particolare che stride con lo spazio organizzato attraverso la negoziazione dello sguardo tra operatore e soggetto rappresentato. Possono essere il cinturino di una scarpa, i denti guasti di un ragazzino, le braccia conserte di un mozzo236. Noema della fotografia perci lattestazione di qualcosa che stato e non pi. Limmagine non copia ma emanazione del reale passato. La documentativit non riguarda loggetto, del quale offrire unimmagine pi o meno aderente, ma il tempo. lattestazione della dimensione intrattabile della realt, di ci che si offre con piattezza, intorno a cui vaga lo sguardo cercando inutilmente un senso, una profondit al di l dellesteriorit. lattestazione della morte, ogni volta singola, unica, contingente, insensata. Come Benjamin, Barthes individua il processo per cui sempre pi il mondo si fa un universo pubblico, al cui interno del tutto assorbita linteriorit del privato237. Piuttosto che nella politicizzazione, nella capacit di farsi soggetto consapevole dello sguardo, rendendo visibile ci che prima era confinato in un controcampo (dallinvisibile al visibile), Barthes ne individua il contraccolpo nella difesa delle immagini private le quali conservano al di l di ogni cultura, di ogni pubblicit, di ogni costruzione di un mondo-in-comune, al di l della loro visibilit, quello che in esse invisibile: il confronto con la propria singola morte (dal visibile allinvisibile). La difesa di tale privatezza impedisce a Barthes di mostrarci la foto del Giardino dInverno per non ridurla a oggetto di studium. La propria singola morte sempre privata, per quanto le immagini possano renderla pubblica e cos banalizzarla, generalizzarla, rimuoverla. In quellimmagine folle, raccontata alla prima persona singolare, Barthes riconosce lintrattabile realt, quella che inchioda al proprio corpo, allavventura irripetibile della propria esistenza, alla propria storia, senza alcuna scappatoia n sublimazione finzionale. Quale emanazione dal passato possa risvegliare non dipende da particolarit formali o sociologiche ma dalla storia assolutamente unica della propria esistenza238.
235 236

Cfr. Barthes 1980, p. 27. Ibidem, pp. 45, 46, 53. 237 I ritratti o le foto di famiglia, e quindi le foto segnaletiche e mediche, sono tra i casi pi evidenti del diventar pubblico del privato, secondo le direttrici della foto-documento che deve offrire informazioni sul referente e della foto-monumento che deve permettere di elaborare un ricordo del referente, attraverso una negoziazione dello sguardo tra operatore e soggetto fotografato. 238 Barthes scrive la Camera chiara dal 15 aprile al 3 giugno 1979, durante una pausa tra i corsi dedicati alla preparazione del romanzo, tenuti al Collge de France; in particolare elabora alcune riflessioni svolte nella lezione del 17 febbraio, dedicata alla fotografia. In quei mesi iniziava a lavorare a un seminario su Proust e la fotografia, a

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La cosa stata l? Nellepoca delle immagini digitali possiamo considerare ancora la fotografia come una traccia? Una lettura continuista del rapporto tra funzionamento chimico ed elettronico sottolinea: a) il dispositivo elettronico del CCD registra comunque un segnale luminoso, che carica un microchip di silicio, ricoperto di elettrodi (photosite), disposti su una griglia di pixel (picture element), e quindi rimane un messaggio analogico; b) il lavoro di manipolazione fino alla produzione di un positivo senza pi un rapporto con il negativo originale sempre esistito, sia come pratica volontaria di falsificazione, dalle foto di regime ai messaggi pubblicitari, sia come sperimentazione di pratiche artistiche, come nei fotomontaggi. La fotografia digitale sarebbe un segnale analogico che, allinterno della stessa macchina, o attraverso una protesi esterna come lo scanner, digitalizzato. una risposta ancora tecnica, cui si potrebbe contrapporre losservazione che il segnale registrato subito convertito in un segnale discontinuo numerico, cos da avere la possibilit di lavorare il messaggio in totale autonomia rispetto allimpulso originario239. Il dispositivo tecnico permette di distruggere la dimensione auratica dellimmagine, mobilitando lo sguardo verso lhic et nunc della storia. Tale rovesciamento non segue in modo necessario dalla macchina. La riproducibilit e i moderni sistemi di trasmissione e condivisione, cause scatenanti della digitalizzazione, permettono di montare, giustapporre, commentare la stessa immagine. Il dubbio sulla congruenza di unimmagine di sintesi numerica con lapparenza visiva della realt esterna neutralizzata proprio dai suoi diversi supporti tecnici (cellulari, telecamere), che rendono possibile un confronto pi continuo e capillare con quel dato hic et nunc e chiedono al contempo di discutere il fatto fotografico, ossia il lavoro di negoziazione della visione tra i soggetti coinvolti, dal fotografo alla realt fotografata, dai media allo spettatore. La politicizzazione dellimmagine esalta il lavoro critico di revisione e di confronto continuo tra il lavoro di composizione e la capacit dellimmagine di dare testimonianza. Rimane lincertezza ontologica rispetto al rapporto di successione temporale tra la singola immagine e il suo fuori. La cosa stata l: il noema attorno a cui muove la Camera chiara va oramai declinato in forma interrogativa? Il punctum appare in modo ancora pi radicale come qualcosa di privato, come qualcosa che mette in gioco lesperienza dello spectator che solo pu sapere con certezza, a dispetto della cultura dello studium, se limmagine sia simulacro o impronta di qualcosa che stato. Non per cercare la congruenza con lapparenza percettiva sperimentata allepoca dello scatto, ma per riconoscere la giustezza dellimmagine rispetto a quellevento e continuare a porsi le domande banali, ma inevitabili, dellontologia.
partire da un corpus di foto di Paul Nadar appartenute a Marcel Proust. 239 Per una prima ricognizione del problema, si vedano Marra 2006, Manovich 2002, Mitchell 1992.

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