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ACTA PHILOSOPHICA

PONTIFICIA UNIVERSIT DELLA SANTA CROCE

RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA

ARMANDO EDITORE

Acta Philosophica
Rivista Internazionale di Filosofia
Volume 13 Fascicolo 1 Gennaio/Giugno 2004

Consiglio di Redazione Francesco Russo (Direttore), Stephen L. Brock, Marco DAvenia, Francisco Fernndez Labastida (Segretario) Consiglio Scientifico Luis Romera (Presidente), Sergio Belardinelli, Gabriel Chalmeta, Llus Clavell, Martin Rhonheimer, Angel Rodrguez Luo, Francesco Russo, Juan Jos Sanguineti Armando Armando s.r.l. viale Trastevere 236 - I-00153 Roma Uff. Abb. tel. 06.5806420 fax 06.5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: info@armando.it Pontificia Universit della Santa Croce via dei Farnesi, 82 I-00186 Roma tel. 06.68164500 fax 06.68164600 E-Mail: actaphil@pusc.it Internet: www.usc.urbe.it/acta

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Le collaborazioni, scambi, libri in saggio vanno indirizzati alla Redazione

Autorizzazione del Tribunale Civile di Roma, n. Reg. 625/91, del 12.11.1991 Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa, n. 3873, del 29.11.1992 Le opinioni espresse negli articoli pubblicati in questa rivista rispecchiano unicamente il pensiero degli autori. Imprimatur dal Vicariato di Roma, 9 gennaio 2004 ISSN 1121-2179

Rivista associata allUnione Stampa Periodica Italiana

Semestrale, vol. 13 (2004), fasc. 1 Gennaio/Giugno

sommario

QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA


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Marco DAvenia Presentazione: prospettive per una filosofia della famiglia Jess Ballesteros La familia en la postmodernidad Nancy Sherman Empathy and the Family Andrea M. Maccarini Unit e multiformit della famiglia in Occidente: sensi e percorsi dopo la modernit

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Studi
73

Mariano Iturbe Karmayoga - Jnayoga in Rmnuja or Active Life - Contemplative Life in Aquinas. A Meeting Point between Indian and Christian Thought

Note e commenti
99

Luis Romera El itinerario hacia Dios: dimensiones existenciales, hermenuticas y metafsicas

125

Juan Fernando Sells Acerca del saber hacer. Estudio del hbito del arte siguiendo a Toms de Aquino Giuseppe Tanzella-Nitti Lontologia di Tommaso dAquino e le scienze naturali Cronache di filosofia

139

159 160 162

Il Fondo Fabro (A. ACERBI) Convegni e Societ filosofiche Vita accademica Bibliografia tematica

167

La famiglia e lamore coniugale (G. CHALMETA) Recensioni

171 177 179 182

Michel HENRY, Paroles du Christ (P. Sabuy) Armando RIGOBELLO, Lestraneit interiore (F. Russo) John M. RIST, Real Ethics: Reconsidering the Foundations of Morality (J.P. Dougherty) Mara de las Mercedes ROVIRA REICH, Ortega desde el humanismo clsico (J.A. Mercado) Schede bibliografiche

185 186 187 188 190

Marco IVALDO, Introduzione a Jacobi (S. Patriarca) A.P. MARTINICH - D. SOSA (a cura di), A Companion to Analytic Philosophy (M. Prez de Laborda) Maria Antonietta PRANTEDA, Il legno storto. I significati del male in Kant (G. Faro) Carlo SCALABRIN, Bibliografia filosofica italiana 1999 (T. Valentini) Pubblicazioni ricevute

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 5-9

Quaderno: Famiglia e Filosofia

Presentazione: prospettive per una filosofia della famiglia


MARCO DAVENIA* I

Una serie di mutamenti sociali, storici e culturali sollecitano il filosofo a intraprendere una rigorosa riflessione sul tema classico della famiglia. Si tratta di fare i conti con una ridefinizione degli spazi sociali e relazionali, che hanno provocato lo sconvolgimento e la frammentazione di quei ruoli che in questo ambito erano stati originariamente delimitati da Aristotele. La famiglia oggi una relazione articolata (o meglio una costellazione di relazioni) inserita entro altre relazioni complesse; questinterazione, interna ed esterna alla famiglia, ha cambiato in maniera significativa i ruoli precedentemente riconosciuti ai propri attori e di conseguenza i loro rapporti reciproci. mutata la considerazione sociale e antropologica della donna, si complicato il rapporto con il mercato, si sono spostati i confini tra ci che dentro e ci che fuori della famiglia; in sostanza, cambiato il modo di essere in famiglia e il modo di essere fuori di essa; dinanzi al rischio di perdere i valori di cui la famiglia stata storicamente portatrice, alcuni arrivano a pensare che sia opportuno congelare la struttura della comunit familiare tradizionale. Daltra parte, questa mentalit da ritirata strategica, seppure temporanea, rischia di far perdere lincidenza sociale della istituzione familiare; ma lalternativa non sempre priva di ostacoli: certe volte i ruoli imposti dalla societ ai suoi componenti sembrerebbero costringere a rinunciare alla famiglia per poter vivere una vita normale, non schizofrenica (molta letteratura e cinematografia contemporanea ritrae entrambe le alternative e anche il dilemma della lacerazione dellio, quando si vuole coniugare il dentro e il fuori). La modernit aveva gi dovuto attuare a pi riprese un ripensamento della relazione familiare, cercando di mantenere lo schema tradizionale, pur nel muta*

Pontificia Universit della Santa Croce, Piazza SantApollinare 49, 00186 Roma, e-mail: davenia@pusc.it

QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

re delle situazioni sociali, politiche ed economiche. Al culmine della riflessione filosofica moderna, lHegel dellEnciclopedia riusciva a salvare nel suo sistema lessenza della relazione familiare rendendola condizione e parte integrante della costituzione dello Stato, e a questo Stato la ancorava saldamente; col risultato per la famiglia di perdere il proprio fondamento, una volta entrata in crisi la forma politica statale di riferimento. Di conseguenza, la famiglia parrebbe ridursi oggi a un contenuto relazionale vuoto che ospita al suo interno le forme pi diverse di prossimit relazionale e affettiva, in qualche modo legate allesercizio della sessualit, della riproduzione, di certi livelli e forme di educazione e di solidariet. Alla cosiddetta famiglia tradizionale o nucleare, basata sulla complementariet sessuale, fondata sul matrimonio e orientata alla educazione dei figli e perci legata alla successione delle generazioni, non viene riconosciuta nessuna differenza qualitativa rispetto ad altre forme di relazione interpersonale. A complemento di questa realt sociale, lo sviluppo rapidissimo delle tecniche di fecondazione artificiale e di ingegneria genetica (ambito peraltro ancora tutto da mettere a fuoco) rende ancora pi pressante la domanda su unistituzione che luogo di generazione fondato sulla complementariet biologica: non infatti pi fisicamente necessario ricorrere alla sessualit umana per potere avere dei figli e con ci verrebbero meno una serie di legami connessi a questa necessit. Col vantaggio di potersi aprire a forme relazionali nuove, spontanee e pi leggere, indipendentemente dalle contingenze di genere, di et e magari di specie: insomma una relazione nella quale prevalga la libert caratteristica dellumano e siano eliminate le contingenze e imperfezioni del biologico, considerato come una sfera solo contingentemente legata allumano. La prospettiva con cui oggi si affronta il tema della famiglia segue spesso una falsariga precisa, che si pu per sommi capi ricondurre alla combinazione di due tesi, una filosofica e laltra empirica. Si sostiene da un lato che non esiste nessuna societ naturale (e questo vale anche per la famiglia); si cerca allo stesso tempo di mostrare come di fatto la famiglia sia luogo che genera sottomissione, se non addirittura sfruttamento e perversit. Il tutto, magari, secondo ben precise e pilotate strategie. La combinazione della prima tesi filosofica con il secondo rilievo, di carattere empirico-fattuale, coincide con la riproposizione dellantica tesi secondo la quale, quando si pretende di spacciare come natura la cultura tradizionale, si producono conseguenze nocive per la libert e lautonomia della persona. Qualcosa che ripugna al sentire etico e che comunque non ci si pu permettere in una societ che promuove le differenze e lautonomia delle scelte dei singoli. Tuttavia, in questa combinazione si nascondono diversi errori, di carattere logico e filosofico, che tra laltro mutano la comprensione degli stessi valori in gioco: autonomia, rispetto della diversit, promozione della persona, con la conseguente serie di incongruenze, per esempio a livello giuridico, presenti nei nostri codici e carte costituzionali proprio in tema di famiglia. Quali sono, assai brevemente, questi errori? Innanzitutto, la prima tesi fortemente ambigua: infatti non esiste di
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Marco DAvenia

fatto nessuna societ che sia puramente naturale, se intendiamo con questo termine unentit sociale che sussista totalmente avulsa da mutamenti storici e sociali: n Aristotele n Hegel pensavano la famiglia in questo modo: il fatto che nella Politica tale istituzione implicasse linferiorit della donna, la pratica della schiavit e una concezione assai rudimentale delle relazioni economiche e sociali, o che essa fosse strettamente funzionale allamministrazione prussiana nel diciannovesimo secolo, non vuol dire affatto che per questo tutto linsieme di relazioni, legami e rapporti affettivi che vanno sotto il titolo di famiglia debba essere considerato ipso facto radicalmente sbagliato: la realt della famiglia sempre natura, declinata nel tempo e nello spazio della cultura. In questo senso, esistono istituzioni naturali e istituzioni non-naturali, e sono tutte quante culturali. Ci che invece pu correttamente discendere da una concezione non antitetica del rapporto natura-cultura che essa in grado di sopportare il mutamento culturale degli agenti nella relazione familiare e della relazione stessa, senza immediatamente cadere n nel relativismo culturale che porta ogni relazione interpersonale ad equivalersi, n dovendo per questo abdicare alla concezione rousseauiana di una cultura forzatamente perversa che innerva necessaria la famiglia tradizionale (lopposizione natura/cultura, con la valutazione negativa della cultura, e lanalisi pessimistica della famiglia tradizionale sono peraltro due tesi tra le quali non c relazione di necessit logica, bens fattuale e spesso retorica connessione ideologica). Nello spazio che qui si delinea, si apre unaltra via, diversa dal relativismo e dallanacronismo, ed quella che di fatto molte famiglie sperimentano in maniera positiva anche nella societ complessa che si apre al terzo millennio. Ora, se il fatto di famiglie che funzionano innegabile almeno quanto il suo contrario patologico, non il mero dato sociologico che qui risolutivo: la famiglia infatti non soltanto un mero dato di fatto sociale, una volta configurato in un modo e oggi in un altro, prima costrittiva, ora aperta e liberante nel suo articolarsi al limite allopposto della sua natura. Qui relativismo e anacronismo, come forme di culturalismo, si annullano a vicenda e mostrano la loro debolezza di fondo: la tesi per cui famiglia la costellazione di relazioni afferenti la prossimit affettiva, sessuale, educativa del soggetto, che di fatto c. E nulla pi, in positivo e in negativo. A fronte di questa tesi, c una famiglia che si definisce nel suo percorso storico come qualcosa che deve essere perch la persona umana viva una vita buona e aperta agli altri, in relazione ai rapporti sessuali e di carattere parentale-affiliativo. In questo senso, molte statistiche negative, certe volte contraddittorie, possono comunque essere lette in maniera meno pessimistica, se messe a fuoco da questo punto di vista. Certamente, si dir, oggi pi difficile e sociologicamente meno diffusa la capacit di instaurare legami stabili e duraturi. In negativo, perch probabilmente troppo pesante per il soggetto individualistico, ma forse anche perch latente, in positivo, la consapevolezza di una capacit di esercizio elevato della libert e della responsabilit, che configura essenzialmente lessere delluomo. Questa combinazione di libert e responsabilit, che fiorisce entro la
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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

famiglia e si perfeziona nei corretti rapporti tra i suoi componenti e gli altri tipi di societ (professionali, economiche, politiche, amicali, sportive, di vicinato e volontariato, di appartenenza religiosa, etc.), indispensabile per garantire una vera autonomia (che per luomo sempre anche dipendenza riconosciuta), nei confronti di forme di sfruttamento e prevaricazione. Proprio perch la famiglia funziona, riusciamo a riconoscere e a combattere queste spinte distruttrici. Entro questa prospettiva, le ottiche dalle quali si pu guardare alla famiglia sono molteplici e diverse, e vale la pena di portare alla luce in unanalisi interdisciplinare gli elementi di positivit che spesso vengono dati per scontati o che si dimenticano nella preoccupazione di fronte a casi che, per quanto numerosi, non rappresentano (almeno di fatto) la normalit della relazione, e ancor meno la sua normativit. In questo piccolo quaderno monografico si tenta appunto un esperimento di visione positiva della famiglia nella societ complessa. Ci ovviamente non vuol dire che si ritenga esaurito il tema, tuttaltro: si contribuisce, per, a metterlo a fuoco, sperando di ritornare sullargomento anche in futuro con altri articoli. Si cercato di realizzare un approccio relativamente non usuale alla realt familiare, non necessariamente apologetico, bens propositivo. La famiglia una risorsa, ed semplicemente infondato il pregiudizio che essa non abbia pi nulla da dire e da dare alle persone e alle societ. Il quaderno comprende tre interventi. Dopo una caratterizzazione filosoficogiuridica, ad opera di Jess Ballesteros, delle realt che oggi rivendicano il riconoscimento di famiglia sulle ceneri presunte della famiglia tradizionale, si passa allanalisi Nancy Sherman, che suggerisce una originale interpretazione dei modi in cui le relazioni interne alla famiglia promuovono la crescita e lo sviluppo della persona. Il sociologo Andrea Maccarini, infine, riflette sugli elementi che propongono oggi pi che mai la famiglia come relazione umana significativa, indispensabile in certi ambiti della vita di ognuno. Altri capitoli, altre analisi si potrebbero aggiungere e non sicuramente compito di queste pagine chiudere il discorso: basta dare unocchiata alla Bibliografia tematica di questo numero di Acta Philosophica, curata da Gabriel Chalmeta, che dedicata allo stesso tema del quaderno monografico: il lettore la trover al posto consueto, come quarta sezione della rivista. Ci riproponiamo, comunque, di ritornare su questo argomento con altri articoli in alcuni dei fascicoli successivi. In conclusione, alcuni punti, a parte quelli discussi negli articoli summenzionati, ci sembrano di particolare importanza per una riflessione della famiglia come risorsa, perch su di essi vediamo poco a poco convergere da pi parti lattenzione degli studiosi: il ruolo della famiglia nella formazione adeguata e armonica dellidentit personale, e non soltanto nella fase iniziale della vita o nellunica direzione che va dai genitori ai figli; lindispensabilit della famiglia fondata sulla stabilit e organicit del legame coniugale per lo sviluppo delle componenti affettive delle persone, nonch come fonte e preparazione per lacquisizione di corrette competenze relazionali e solidali, realmente significative e non mera8

Marco DAvenia

mente strumentali, da spendere fuori dei confini della famiglia stessa; infine, ma giusto per mettere un punto finale a questa introduzione, limportanza di definire i caratteri che costituiscono lambiente di riconoscimento disinteressato che definisce la famiglia, e che la propone come luogo di sospensione del giudizio sulla persona, di comprensione, pacificazione e perdono, mentre al contempo la mantiene come luogo di correzione, educazione e collaborazione intergenerazionale. Questi punti da soli ci sembrano sufficienti per riproporre il valore della famiglia fondata sul legame coniugale, con la speranza che queste righe invoglino alla concettualizzazione di modalit positive secondo le quali tale famiglia possa essere pensata come radice di crescita e sviluppo autentico della persona umana in quanto soggetto in relazione.

studi di filosofia

LUIS ROMERA

LUIS ROMERA

INTRODUZIONE ALLA DOMANDA METAFISICA

INTRODUZIONE ALLA DOMANDA METAFISICA

Collana: Studi di filosofia - 27 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

Muovendo dallesperienza dellessere come presupposto di ogni agire e di ogni pensare individuale, il percorso speculativo seguito dallautore conduce al confronto ineludibile con la domanda radicale sullente, ovvero sullente nel suo essere, da un lato come esigenza di comprensione contenuta implicitamente nel dinamismo intellettuale, e dallaltro come richiesta di un orizzonte in cui integrare e articolare ermeneuticamente le intellezioni corrispondenti ai diversi ambiti delle attivit umane. La dimensione teoretica e la dimensione esistenziale si richiamano cos reciprocamente e confluiscono nellindagine ontologica, introducendo la ricerca nei temi della metafisica che implicano una modalit del pensiero oltre la logica deduttiva e lineare, assumendo sovente una struttura circolare.
ARMANDO EDITORE

pp. 251

22,00

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 11-21

La familia en la postmodernidad
JESS BALLESTEROS*
Sommario: 1. Las familias en la postmodernidad decadente. 2. La familia en la postmodernidad resistente.

Como he indicado en otro lugar hay dos formas de entender la postmodernidad: la que considera acabada la poca de la razn como bsqueda del sentido, y la que busca tal sentido, superando los reduccionismos modernos1. A tales formas de postmodernidad responden dos tipos de familia.

1. Las familias en la postmodernidad decadente


La postmodernidad decadente propone una equivalencia de las formas de familia, por lo que habla en plural de familias. Podemos tomar como representante de esta tendencia, entre otros muchos, a Anthony Giddens. El punto de partida lo constituye la llamada democracia de las emociones2, en la que desaparece todo vnculo entre sexualidad y reproduccin (p. 70 ss.) as como la distincin entre hetero y homosexualidad (p. 77), razn por la que prefiere hablar de pareja en vez de matrimonio (p. 72), considerando que sta es el centro de la nueva vida familiar. De acuerdo con la radical separacin entre sexualidad y reproduccin, Giddens3 destaca la importancia para la intimidad, la democracia y la emancipacin, de lo que l llama la sexualidad plstica, esto es la sexualidad
*

Departamento de Filosofa del Derecho y Filosofa Poltica Facultad de Derecho, Universidad de Valencia, Blasco Ib~ez 30, 46010 Valencia (Spagna) J. BALLESTEROS, Postmodernit: decadenza o resistenza, Ares, Milano 2002. IDEM, Un mundo desbocado, Santillana, Madrid 2000, p. 76. IDEM, Transformaciones de la intimidad, sexualidad, amor, erotismo, Ctedra, Madrid 1995.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

liberada de las necesidades de la reproduccin (p. 12). Tal proceso de emancipacin, segn Giddens, permite una interpretacin positiva de Sade respecto a la inocencia del sadomasoquismo consentido (p. 133). Subraya al mismo tiempo la influencia extraordinaria que ha tenido el movimiento gay, el cual ha venido a ensanchar la democracia a las relaciones familiares, hasta el mbito de las relaciones paternofiliales (pp. 165 y 173) e incluso resulta positivo para el medio ambiente, perjudicado por las relaciones sexuales tradicionales (sic p. 153). El planteamiento sexual y familiar tal como aparece en Giddens no es sino una ensima repeticin de la llamada cultura de la separacin o cultura dualista, consecuencia de la reduccin de la razn a la razn analtica, que procede separando y dividiendo la realidad, que previamente se encontraba entrelazada o unida como alma y cuerpo, ser humano y naturaleza, yo-otro, mujer-varn, sentimiento-compromiso. Esta cultura de la separacin va ntimamente asociada al individualismo segn el cual la libertad se confunde con la independencia de los otros, de Dios y de la naturaleza. Se es ms libre cuanto se es ms independiente de los otros, aunque no de las mercancas. Lo que a su vez enlaza con el principio supremo del orden del mercado: la bsqueda exclusiva del inters propio como origen de la felicidad colectiva, a travs del mecanismo de la mano invisible. La manifestacin ms expresiva de esta cultura individualista en el mbito de las relaciones humanas se concreta en la total separacin entre enamoramiento, como sentimiento de atraccin hacia otra persona, y compromiso moral y jurdico de fidelidad a esa persona. El individualismo tiende a establecer como fundamento de las relaciones afectivas humanas exclusivamente el fenmeno del enamoramiento y rechaza de plano la presencia del derecho para establecer derechos y obligaciones recprocas entre los cnyuges, y muy especialmente lo que signifique compromiso de fidelidad para el largo plazo o para toda la vida, lo que aparece totalmente como represivo. Las uniones sexuales vitalicias sern casi con certeza cada vez menos comunes, escribe Giddens, el compromiso contractual con un hijo podra as separarse del matrimonio4. Por otro lado, si furamos pura biologa, no tendramos porqu entrar dentro de nosotros mismos - ni tampoco podramos -, sino que atenderamos slo a la apariencia corporal. Desde el biologismo la sexualidad es algo que pertenece al mbito de lo pblico, y no tiene porqu no ser exhibida. Este planteamiento individualista instantesta impide que las relaciones puedan superar el nivel narcisista del eros, en sentido platnico. Es decir, el otro es visto slo como algo que necesito para mi complemento, y por ello no pasa de puro medio, y no llega a ser considerado como persona, cesando mi relacin con l cuando cesa la conciencia de su necesidad para vivir a gusto conmigo mismo. Pero esta reduccin del otro a simple complemento de mis necesidades de carcter puramente posesivo no excluye necesariamente la violencia, como sea4

A. GIDDENS, La tercera va. La renovacin de la socialdemocracia, Taurus, Madrid 1999, p. 113, vase asimismo pp. 46-45.

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Jess Ballesteros

l ya Toms de Aquino5 al referirse custicamente al atractivo que siente el len por el ciervo. La condicin de ciervo podra ser asumida libremente de acuerdo con el esquema del sadomasoquismo consentido. No resulta sorprendente entonces que si las relaciones sexuales se basan en el sadomasoquismo consentido en algn momento la violencia se desencadene por parte del compaero sentimental, que cree que lo fundamental es la propiedad de la otra, y lo accesorio su consentimiento. El nfasis en el trmino biolgico pareja as como en la democracia de las emociones imposibilita comprender que para que la atraccin por el otro se convierta en verdadero amor, hace falta la introduccin de la duracin, a fin de que el otro sea visto como persona, no slo como un qu, sino como un quien. Para esta visin del otro como persona hace falta que el mantenimiento de la promesa tenga un carcter incondicional, asumiendo las dificultades cotidianas, como seala G. Marcel, en su Diario Metafsico6, analizando las relaciones entre divorcio y suicidio. A esta fidelidad en el tiempo al otro como persona se opone frontalmente el biologismo dominante en el mbito cultural actual. Se trata de un biologismo en el que coinciden posiciones ideolgicas opuestas. As, la exaltacin de la juventud en sentido biolgico (la giovinezza), propia del fascismo; la asimilacin de lo que dura con lo duro, presente en la tentacin de Mefistfeles: Prate, instante, eres tan bello7; la exclamacin de A. Gide, al que se debe el vocablo, instanteismo: Oh sensacin, ms bella an que el pensamiento, y que explica su afirmacin: familias: os odio8. De modo semejante el libertinismo de Fourier, Engels, Nietzsche, Reich, y de la antipsiquiatra, culmina en el odio a toda institucin9. Este instanteismo reaparece en escritos recientes como el titulado significativamente The Temporary Society10, en el que se lee: Debemos ayudar a nuestros alumnos a desarrollar con rapidez intensas y profundas relaciones humanas y a desligarse de ellas con la misma rapidez. El instanteismo que se desprende de esta visin de la familia conduce fatalmente a la marginacin de los posibles miembros ms dbiles de la misma, como los nios y los ancianos. Los lazos con los nios y con otros parientes solan ser igual de importantes o ms en el discurrir de la vida social. Hoy la pareja, casada o no, est en el ncleo de la familia. En este contexto Giddens parece reducir el problema de la preferencia de la familia en la que existe un padre (varn) y una madre (mujer) a la monoparental en relacin con los hijos casi exclusivamente a un problema de carcter econmico, ya que las segundas suelen tener menos
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Suma Teolgica, 2, 2, q. 141. Guadarrama, Madrid 1963, pp. 114 ss. 7 J.W. GOETHE, Fausto, Aguilar, Madrid 1976, p. 67. 8 Les nourritures terrestres, Gallimard, Paris 1975. 9 Todos estos autores son estudiados por Giddens en el cap. IX de su libro Transformaciones de la intimidad, pp. 145 ss. 10 DE BENNIS y SLATER, analizado crticamente por J.A. MARINA en su libro Crnicas de la ultramodernidad, Anagrama, Barcelona 2000.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

recursos11. Los nios eran la raison dtre del matrimonio. Las familias numerosas eran deseadas o aceptadas como lo normal, mientras que ahora vivimos en la era del nio tasado, en la que los nios no constituyen ya un beneficio econmico, sino en su lugar un gran coste econmico12. La negacin de la duracin, propia de la postmodernidad decadente, conduce a su vez a la negacin de la familia amplia, en la que se daba la equidad generacional, que supone la solidaridad diacrnica, de los padres hacia los hijos, y despus de los hijos hacia los padres13. El divorcio constituye un obstculo extraordinario en la educacin de los hijos, ya que la educacin requiere tener confianza en algo que dure, y si el amor de los padres no permanece, los hijos pueden creer que nada es permanente, y que todo pasa, por lo que podran decidir pasar de todo. La funcin de la familia como factor de socializacin, de transmisin de cultura y de control social, que evite la desviacin, difcilmente se cumple si se produce el divorcio, ya que los nios pierden el modelo de conducta que sus padres habitualmente les proporcionan, y caen con frecuencia en la anomia e incluso en la delincuencia. En efecto, el perjuicio que el divorcio causa no afecta slo a los cnyuges y a sus hijos sino tambin al conjunto de la sociedad, ya que el orden social parece basado en la confianza en el pacta sunt servanda, fruto de la fides, de la lealtad a la palabra dada. Y si la fidelidad, el compromiso a la palabra dada no es exigible en el mbito de la relaciones interpersonales, menos todava lo ser en el resto de relaciones, que son humanamente de menor importancia, en cuanto afectan al tener y no al ser, tienen un contenido ms patrimonial que personal. Aunque es bien sabido que el economicismo, la sobrevaloracin de lo econmico dentro de lo humano, va ntimamente asociado al individualismo. El individualismo por su parte est produciendo una reduccin de la familia a la familia nuclear o conyugal, que conduce hacia la marginacin de los ancianos, lo que resulta una marginacin nueva en la historia ya que los ancianos han estado en todas las culturas en el centro del reconocimiento social. Tal marginacin se debe una vez ms al individualismo, que confunde la libertad con la independencia provocando la indiferencia hacia los que no pueden cuidarse a s mismos, as como al biologismo, que al negar el espritu, exalta la juventud biolgica y desprecia a los que ya la han superado. La marginacin se produce pese a los esfuerzos de atencin por parte de las instituciones pblicas, debido a que en ellas se corren graves riesgos de trato despersonalizado, mientras que la familia constituye el mbito ms adecuado para las actividades de cuidado del que no puede cuidarse a s mismo14.
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The Third Way and its critics, Polity Press, London 1999, p. 47. GIDDENS, La tercera va, cit., p. 110. 13 Sobre ello, vase J. PEREZ ADAN, La salud social, Trotta, Madrid 1999. 14 Sobre ello, J. BALLESTEROS, La marginacin como desequilibrio entre lo pblico y lo privado, en Jornadas sobre pensamiento comunitario, Venezuela, Mrida 1984, t. IV, pp. 189 ss. y Marginacin carencial y marginacin anmica, en Postmodernit, cit., pp. 31 ss.
12 A.

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Jess Ballesteros

En la reduccin de tamao de la familia, hay que valorar de modo bien distinto la desaparicin de la servidumbre (los fmulos), que nos acerca al ncleo de la familia, formado por matrimonio e hijos, reconocido entre tantos otros cientficos contemporneos por el estructuralista Claude Lvi-Strauss15, y la citada prdida de la solidaridad, que conduce hacia la familia monoparental, y lo que es peor hacia la familia de un slo miembro. As como seala Ignacio Sotelo, el 53% de las unidades familiares en Berln constan ya de una sola persona y el siglo XXI presenta en Europa todos los riesgos de convertirse en el siglo de los solos. Para hacer frente a ello, con el factor de deshumanizacin que comporta, es necesario que se forme en la conciencia colectiva un movimiento de opinin favorable a la promocin de la familia como mbito de solidaridad que tenga en cuenta la dimensin diacrnica. La solidaridad intergeneracional requiere la superacin del nihilismo, segn el cual el futuro no puede comenzar. La familia amplia, es el remedio contra las desigualdades y marginaciones16. El otro aspecto deshumanizante de la familia en la postmodernidad decadente va unido al personismo, esto es la jerarquizacin de los seres humanos en personas o sujetos de derecho y no personas o no sujetos de derecho, en virtud de que sean en acto capaces de pensar (personismo dualista), o de sufrir/gozar (personismo utilitarista)17. El personismo, al atribuir la plenitud de derechos a los adultos, y considerar como realidades inferiores a los nios y a los ancianos, es la causa de la aceptacin incondicionada de las tcnicas de reproduccin asistida. En efecto, estas tcnicas parten de la existencia de un pretendido derecho a tener hijos, que legitima de un modo sutil la violencia sobre los ms dbiles. Es cierto que existen modos diversos de regulacin de estas tcnicas, en funcin de los cuales se produce una defensa mayor o menor del embrin. En Europa los proyectos ms respetuosos son el alemn, el irlands, y el italiano, a punto de aprobarse en el Senado, que prohben la fecundacin de ms vulos que los que vayan a ser implantados y desde modo prohben la congelacin de embriones. Por el contrario, en la legislacin britnica, tal prctica est autorizada, lo que implica la negacin del derecho mas elemental del embrin al ambiente, a ser engendrado en las trompas de falopio18, y a alojarse en el tero materno, y a la larga generalmente implica tambin la prdida del derecho a la vida. El personismo conduce tambin a la pretendida prioridad del derecho al transplante del adulto sobre el derecho a la vida del embrin y por tanto el derecho a la utilizacin de embriones para la creacin de tejidos. Desde esta perspectiva,
15 Cfr. 16 P.P.

AA. VV., La familia, Pennsula, Barcelona 1974, p. 16. DONATI, La famiglia come relazione sociale, Angeli, Milano 1989. 17 Sobre el personismo remito a mi artculo Dignidad humana y biojurdica, RIFD 2002, pp. 177-208 e Identit personale e tecniche di riproduzione assistita, en F. DAGOSTINO (a cura di), Il corpo deformato, Giuffr, Milano 2002, pp. 249-261. 18 N. LPEZ MORATALLA, FIV y deficiencias en la relacin intergametos y en la relacin inicial madre-hijo, en J. BALLESTEROS (ed.), La humanidad in vitro, Comares, Granada 2002, pp. 129-56.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

que jerarquiza a los seres humanos, se pasa a la aceptacin de la mal llamada clonacin teraputica, que sera mejor designar como clonacin experimental y destructiva atendiendo al uso, manipulacin y destruccin que se pretende hacer de los embriones clonados. Culmina as la negacin de los derechos del nio en una reproduccin completamente asexuada, al sustituirse la unin de los gametos por la transferencia nuclear19. La posicin favorable a la clonacin experimental responde en definitiva a la mentalidad liberal-socialista, conocida bajo el paradigma lib-lab. Tal paradigma fue derrotado por la resolucin del Parlamento Europeo del 5.9 del 2000, gracias a un pacto entre el PP europeo y los verdes. Esta misma exclusin de todas las formas de clonacin aplicadas a los seres humanos es lo que parece prevalecer en el art. 3, apartado 2 del proyecto de la Declaracin de Derechos Fundamentales de la UE. Resumiendo, la dinmica de las tcnicas de reproduccin asistida convierte a los padres en propietarios de sus hijos, hijos que son primero congelados y posteriormente pueden ser utilizados por la ciencia, en caso de no interesar ya su uso a los padres.

2. La familia en la postmodernidad resistente


El pensamiento humanista cree que existe un modo paradigmtico de formacin del ser humano, que es la familia en la que existe un padre (varn) y una madre (mujer) razn por la cual habla habitualmente de la familia en singular. As, por ej., lo pone de relieve el Manifiesto comunitarista (A communitarian Position paper on the family) redactado en 1992 por las profesoras Jean B. Elsthain, Mary Ann Glendon, y los profesores Robert Bellah, Amitai Etzioni, Albert O. Hirschmann, David Riesmann, Lester O. Thurow, entre otros 50 acadmicos de gran prestigio. El ncleo esencial de dicho manifiesto, cuyos principales mentores fueron Glendon y Etzioni, es la exigencia de la familia en la que existe un padre (varn) y una madre (mujer) para la correcta formacin de los hijos, as como la unin entre sexualidad y reproduccin. El manifiesto quiere diferenciarse de cualquier planteamiento conservador, o tradicionalista, en la medida en que en ste subsiste una separacin radical entre familia y sociedad civil, lo que va unido a la separacin de roles entre mujer y varn. La mujer tiene slo derechos y obligaciones en relacin con la familia, y el varn slo en relacin con la sociedad civil. Por ello se insiste en que la cultura del familiarismo no pretende ningn tipo de regreso a la sociedad del pasado, sino dar primaca a la igualdad de derechos y responsabilidades de madres y padres en relacin con el bienestar y la formacin de los hijos, que ha tendido a declinar en la sociedad contempornea, debido al
19 Sobre

la clonacin con fines no reproductivos vase el captulo cuarto del libro de V. BELLVER, Clonar. tica y derecho ante la clonacin humana, Comares, Granada 2000, pp. 123ss.

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individualismo. Ser una madre o un padre no es cuestin de opcin de estilos de vida, sino de vocacin. En efecto, la prioridad debe ser el cuidado de los nios. De modo tal que la poltica laboral se debe organizar en torno a las necesidades familiares y las leyes del divorcio deben tener en cuenta no slo los derechos de los cnyuges, sino tambin los de los hijos y la sociedad. La cultura del divorcio aparece aqu no como emancipacin sino como cultura de la separacin que impide la adecuada formacin de los hijos. El humanismo postmoderno resistente enfatiza la unin entre sexualidad y reproduccin destacando que el matrimonio debe contemplar como proyecto la apertura a la filiacin. As por ej. Etzioni20 ve como gravsima la cada de la natalidad y considera, siguiendo a A. Mazur y G.P. Smith21, que la regulacin de las diferentes formas de matrimonio y familia debe esperar al dictamen del tribunal de la ciencia que opine acerca de cmo afectan a lo que debe considerarse ms decisivo, la formacin de la personalidad del nio, especialmente en los primeros aos. Este tribunal estara constituido por un panel de expertos del mximo nivel, preferentemente cientficos que no hubieran tomado posicin sobre los problemas que cabra examinar. No se trata necesariamente de prohibir las formas de familia incompatibles con los derechos de los nios, pero s de tener conciencia de ello. Por otro lado seala la importancia de la complementariedad mujer-varn en tal cuidado. Etzioni22 constata a su vez el hecho de que, en el paso de los sesenta a los noventa, el porcentaje de familias (parejas casadas con un hijo por lo menos) descendi del 42 al 26%. No obstante en la dcada de los 90, el 70% de los nios vivan aun con su padre y su madre. Y destaca que el modo ms adecuado de formar la personalidad del nio es la familia en la que tanto el padre como la madre tengan los mismos derechos y las mismas responsabilidades, lo que el llama un matrimonio de pares, de iguales. Este matrimonio de pares constituira el modelo comunitarista de familia. Con ello se quiere superar la visin tradicional de la familia y el matrimonio, en la que las cargas domsticas pesaban exclusivamente sobre la mujer, mientras que el varn deba ocuparse slo de los temas patrimoniales. Esta prioridad de la familia en la que existe un padre (varn) y una madre (mujer) se encuentra tambin en el feminismo de la complementariedad. Se trata de lograr familias con padre al mismo tiempo que culturas con madre23. Este programa responde al espritu que representan autoras como la mencionada
20 The

third way to good society , Demos, London 2000, p. 38, notas 44 y 43. SMITH, Judicial decision making in the age of biotechnology, Notre Dame Journal of Law, Ethics, and Public Polity, 93 (1999), y A. MAZUR, The science court; reminiscence and retrospective, Risk, 4, 161 (1993). 22 La nueva regla de oro, Paids, Barcelona 1999, pp. 92 ss. y pp. 214 ss. 23 B. CASTILLA, La complementariedad varn-mujer, Eunsa, Pamplona 1993.
21 G.P.

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Glendon, y Lucienne Sall o Jo Croissant, redactoras de un Manifiesto para el nuevo feminismo 2000. Mientras que las primeras reivindicaciones feministas se centraron en la presencia de la mujer en la sociedad, en sus distintos mbitos, poltica, economa, cultura, las reivindicaciones actuales se centran en crear la conciencia de la responsabilidad de los padres en el hogar. Esta presencia del padre en el hogar es tan decisiva para el futuro de la humanidad como la presencia de la mujer en la sociedad. Se trata de evitar la doble jornada de la mujer dentro y fuera del hogar y de incorporar al padre a las tareas educativas de los hijos. La consideracin de tal tipo de familia como la ms adecuada para la educacin de los hijos ha sido destacada tambin por el Consejo Pontificio de Cultura en su documento de 4.6.del 99, en el que se afirma que la experiencia demuestra que el conjunto de las civilizaciones y la cohesin de los pueblos depende por encima de todo de la cualidad humana de las familias, especialmente de la presencia complementaria del padre y de la madre con sus respectivos papeles en la educacin de los hijos (punto 14). La prioridad del nio en la familia se encuentra tambin en la Declaracin europea de los derechos del Nio de 8.7.92, cuyo artculo 8.11 establece: todo nio tiene derecho a gozar de unos padres o en su defecto a gozar de personas o instituciones que les sustituyan. El padre y la madre tienen una responsabilidad conjunta en cuanto a su desarrollo y educacin. Corresponde a los padres dar a los nios una vida digna y los medios para satisfacer sus necesidades. La Unin Europea ha aprobado una serie de directivas que reflejan este espritu de preocupacin prioritaria por el cuidado y la educacin del nio (hasta los 18 aos) as como de responsabilidad conjunta de mujeres y varones en tales tareas. Esta normativa parece responder a la visin humanista de matrimonio de pares. En estos textos se produce una superacin del individualismo, ya que los derechos del nio aparecen basados en sus necesidades, y por tanto se trata de proteger fundamentalmente al que no puede protegerse a s mismo24. Se trata sin duda del aspecto quiz ms positivo de la legislacin comunitaria sobre la familia, que contrasta con la permisividad del aborto y de las tcnicas de reproduccin asistida. De hecho falta con todo una verdadera poltica familiar en Europa, lo que en gran medida est condicionado porque la familia implica, como decamos antes, la duracin y el largo plazo y la responsabilidad con las generaciones futuras, mientras que la poltica est determinada por el corto plazo y los nios no votan. En cualquier caso, en la legislacin europea se sigue hablando de familia, as en el proyecto de Carta de derechos fundamentales en su artculo 9, y no de familias, lo cual significa una mayor cercana al aspecto resistente de la postmodernidad. Por todo lo que venimos diciendo, la legislacin debe favorecer que el hijo tenga un madre (mujer) y un padre (varn). Ello es especialmente relevante en el
24J.

BALLESTEROS, El individualismo como obstculo a la universalidad de los derechos, en AA.VV., Homenaje al prof. Javier Hervada, Eunsa, Pamplona 1999, tomo II, pp. 15 ss.

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caso de la adopcin, institucin que debe ser apoyada al mximo por el derecho, tomando las medidas adecuadas para su efectividad. La exigencia de paternidad y maternidad conjunta no puede darse lgicamente en las situaciones en las que se produce el fallecimiento de uno de los cnyuges, o la madre es soltera. La adopcin debe ser fomentada como derecho del nio en caso de fallecimiento o desatencin de los padres naturales, poniendo de relieve que lo esencial en el desarrollo del nio es el ambiente familiar en el que se forma, ya que el conocimiento actual del genoma manifiesta no slo que no existe ninguna predeterminacin gentica del comportamiento tico, sino incluso la limitada predeterminacin del comportamiento fsico. La realidad de la adopcin posibilita el derecho al padre y a la madre mientras que en las tcnicas de reproduccin asistida de carcter heterlogo se niega tal derecho, al recurrirse a donantes annimos de gametos. El modo de salvar conjuntamente los derechos de las mujeres y los nios, a los que hace referencia el artculo 25/2 de la Declaracin Universal de derechos de 1948 (la maternidad y la infancia tienen derecho a cuidados y asistencia especiales) es la toma de conciencia por parte de los varones de sus responsabilidades en la defensa de condiciones de vida dignas para todos. Mientras que el feminismo liberal se caracteriz por la defensa de iguales derechos para mujeres y varn, el feminismo de la complementariedad se caracteriza por la existencia de iguales deberes. Se trata de que los varones asumamos lo que se consideraban hasta ahora valores de mujeres, muy especialmente esta dimensin del cuidado por la naturaleza, y por todo aquello que contribuye a humanizar las relaciones sociales. Excluida la gestacin y la lactancia, que son privativas de la mujer, el resto de actividades relacionados con el cuidado del nio/a pueden ser realizadas indiferentemente por la mujer o el varn25. Esta responsabilidad del padre obliga a una rectificacin de los aspectos menos positivos del Derecho Romano, como la manus del varn sobre la mujer, que implicaba un poder del varn sobre la mujer, basado en el usus o la coemptio, que parece reaparecer en los casos de violencia domstica, ya que se repite el sentido patrimonial de la relacin del varn sobre la mujer, de acuerdo con la vieja copla: la mat porque era ma. En la relacin con los hijos, hay que sustituir al ius vitae necisque, que ahora parece concederse tambin a la mujer a travs del pretendido derecho al aborto por el deber de cuidado, la pietas, que el Cristianismo introdujo en el derecho Romano Justinianeo. Es lo que oportunamente recuerda el apartado 32 de la Plataforma de Accin de Beijing al afirmar que: el cuidado de los hijos, los enfermos y las personas de edad son una responsabilidad que recae desproporcionadamente sobre la mujer, debido a la falta de igualdad y a la distribucin desequilibrada del trabajo remunerado y no remunerado entre la mujer y el varn.
25 Sobre

ello, remito al reciente libro J. BALLESTEROS - A. APARISI (eds.), Por un feminismo de la complementariedad. Nuevas perspectivas para la familia y el trabajo, Eunsa, Pamplona 2002.

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La familia es el mbito en el que se forma la personalidad humana en el sentido de su autoposeerse para poder darse a los otros, pero esta dimensin de la intimidad, que se relaciona de suyo con el pudor y el autodominio, exige superar la mentalidad dominante de carcter biologista, segn la cual el ser humano se reduce a un animal, algo ms evolucionado, aunque quiz ms agresivo. La intimidad comporta el reconocimiento del espritu como capacidad de trascendencia: verse como a uno mismo como persona y ver a los otros como personas, como quin, no como qu. El ser humano es biografa, alguien y no slo biologa, algo. Y ese alguien se constituye gracias al pudor, que implica el rechazo a mostrar lo que debe permanecer velado, y conduce al autodominio que hace posible la intimidad. Procede de la conviccin de que somos cuerpo personal, y por tanto la entrega del cuerpo debe ir acompaada de la entrega del corazn para evitar la mentira y el fraude que cada uno diga una cosa. La intimidad es lo contrario del egosmo y el aislamiento. Como ya vio Chesterton en su Autobiografa: Nunca me he sentido ms sociable que estando en soledad26. La intimidad familiar - como se ha sealado recientemente27 - supone contemplacin y la contemplacin es la base de la fiesta. Festejar es alegrase contemplativamente de la existencia de los seres queridos. Muy filosficamente en lengua valenciana se llama festejar al ser novios. Desgraciadamente, en la sociedad tecnocrtica hay muchas horas de descanso y se multiplican las industrias de la diversin, pero hay una sola fiesta verdadera? As pues no es slo que deba haber fiestas familiares, sino algo ms: la misma vida familiar es una fiesta, si hay una verdadera familia. La intimidad familiar es a su vez el mbito en el que el ser humano aprende a confiar en los otros, en la medida en que es tratado siempre como alguien que merece un cario incondicionado, independientemente de cual sea su comportamiento. El humanismo postmoderno resistente considera que lo ms alarmante de la extensin del divorcio en los ltimos tiempos es que parece hacer olvidar que su realidad pertenece a la patologa del matrimonio, para pasar a pertenecer a la normalidad del mismo. Habra, por el contrario, que distinguir, como hacen Peter Stein y John Shand28, entre situaciones de armona (fellowship), que corresponden a la estructura ontolgica de la familia y constituyen su normalidad cotidiana, y situaciones de crisis, que corresponden a su patologa y tienen carcter excepcional. En contra de lo que ocurre en los distintos pases (as, por ejemplo, en Espaa, basta con un ao de separacin en el supuesto de que haya consenso, o cinco si se produce de modo unilateral), las legislaciones no deberan facilitar
26 G.K.

CHESTERTON, Autobiografa (trad. Antonio Marichalar), en Obras Completas, tomo I, Plaza & Jans, Barcelona 1961. 27 R. ALVIRA, El lugar al que se vuelve. Reflexin sobre la familia, Eunsa, Pamplona 1998, pp. 5 ss. 28 I valori giuridici della cultura occidentale, Giuffr, Milano 1981.

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los divorcios, salvo en el supuesto de que se dieran malos tratos y violencia, en cuyo caso debera procederse a la anulacin del vnculo. El pensamiento humanista de la postmodernidad resistente parece continuar la lnea de pensamiento de aquellos autores, que dentro de la Modernidad, es decir con posterioridad a la aparicin de la cultura individualista de la separacin, se han pronunciado a favor del reconocimiento de la fidelidad en el matrimonio como nica garanta para la realizacin del amor duradero entre los cnyuges y la formacin integral de los hijos. Al hacer la relacin de tales nombres puede verse como nada tienen que ver con el conservadurismo ni con la subordinacin de la mujer al varn. Se pueden citar los testimonios, entre otros muchos, de filsofos tan dispares como Kant, Hegel, Kierkegaad o Lvi-Strauss29. *** Abstract: The conception of the family in post-modernity varies according to the different types of post-modernity itself. Decadent post-modernity, negating reason and meaning, rejects the demand that fidelity, unity, and even sexual difference be constitutive of the family. Resistant post-modernity, seeking the recovery of meaning, considers the complementarity of female-male and the recognition of the rights of the child, from the first cell or zygote, as essential to the family.

29 Sobre

ello, remito al excelente libro de F. DAGOSTINO, Una filosofia della famiglia, Giuffr, Milano 1999.

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studi di filosofia

R. ESCLANDA F. RUSSO (a cura di)

RODERRICK ESCLANDA FRANCESCO RUSSO (a cura di) HOMO PATIENS Prospettive sulla sofferenza umana

HOMO PATIENTS Prospettive sulla sofferenza umana

Collana: Studi di filosofia - 26 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

ARMANDO EDITORE

Il volume raccoglie i contributi di medici, filosofi e teologi, che nello spirito di un confronto interdisciplinare danno vita ad una attenta riflessione sul dolore umano e sul mistero della sofferenza individuale. In questo percorso vengono in tal modo evidenziati temi di fondo quali lesercizio di unetica della compassione e della responsabilit da parte degli operatori sanitari, la riflessione antropologica sulla sofferenza come rivelatrice di umanit nella singolarit della persona e nella sua unit corporeo-spirituale, giungendo infine alla prospettiva metafisica e teologica che spinge la sua indagine sino alla radice dellessere ed ai suoi legami con lAssoluto. pp. 152 7,50

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 23-44

Empathy and the Family1


NANCY SHERMAN*
Sommario: 1. Introduction. 2. Catching anothers feelings/ Changing Places in Fancy. 3. The contemporary debate on mindreading: Theory-Theory vs. Simulation. 4. Early Forms of Empathy. 4.1. Motor Mimicry. 4.2. Mutual attunement. 4.3. Shared Attention/Social Referencing. 5. Psychoanalysis and imagining others. 6. Conclusion: Back to family and friendship.

1. Introduction
For many themes having to do with the companionship of friends and family, one can hardly do better than begin with Aristotles account of philia. Philia (or friendship, and by that Aristotle means both chosen or natural relationships), is a mutual exchange of good will and affection against a background of shared interests and time spent together2. Aristotle insists that the mutuality of the relationship is captured not just in its reciprocal exchanges, but in the fact that the
* 1

Georgetown University, 224 New North, Washington D.C. 20057 A slightly shorter version of this paper appears as Changing Places in Fancy, LAmiti, ed. Jean-Christophe Merle and Bernard Schumacher (forthcoming). For an ealier treatment of some of the themes in both papers, including a review of some of the developmental literature in sec. 5, see SHERMAN (1998). I want to thank Alisa Carse and Mark Lance for discussion of some of the topics of this paper. Also thanks to audiences at University College, Dublin and students in my graduate seminar at Georgetown, Spring 2001. Nicomachean Ethics (NE) VIII. 2. The notion of reciprocal exchange is captured in the prefix anti, as in antiphilesis (exchange of affection), antiprohairesis (mutual choice); see 11157b30, 59a30, 64a4, EE 1236b3, 1237a32. The idea of doing things together is captured in the prefix, sun, as in suzn (to live together), sunmereuin (to spend ones days together); see NE 1157b8, b15, b19-24, 58a9, a15, a23, 1166a23; Eudemian Ethics (EE) 1235a2. For more extensive discussions of Aristotelian philia, see SHERMAN (1997) ch. 5 and (1989) ch. 4.

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exchanges are acknowledged by both parties to each other3 so that that common knowledge can deepen the bonds of attachment and trust. Moreover, sharing interests is not simply a matter of having a common love. It involves actively working together, planning together, coordinating ones actions in a way that promotes that common love. But despite these insights, what is not a point of emphasis in Aristotles account is perhaps the most fundamental craving of intimacy: to be in synchrony with another4. We crave others company, crave the life, to use Aristotles own words, of spending days together because we want others to track our hearts and minds. Thus, as friends or family it is not simply that we want to do things together, coordinate our wills, as it were, in pursuit of a good life. Nor is it enough, especially friendship, to be supported in our separate choices, or even to love or be loved in return. In addition, we want to know that another can feel our joy or anguish, and that he or she can grasp what we are thinking. We want to know that without too much struggle a friend can track us, beon the same page. In short, we want to know that we are understood. The fact of real consensus is not so much at issue. It is empathy we are after-that a friend can see from our point of view and feel from our point of view, even if those would not be her own responses to similar situations. In the world of empathy, sincere pretense is sometimes crucial. A full-blown conception of empathy as a primary form of social connection does not really emerge philosophically until the 18th Century in the writings of David Hume and Adam Smith. There the topic is taken up under the heading of sympathy, and often conflated with issues of what we now think of as sympathy proper (e.g., practical concern, compassion, and the like). The term empathy itself comes into modern usage only in the 19th Century as a technical coinage within psychological literature (Titchener 1909; Lipps 1903, 1905). Empathy (from the Greek empatheia) becomes a translation for Einfhlung - literally to feel ones way into another. In contemporary discussions, empathy is often picked out by one of two common markers5. The first is role-taking to feel ones way into a situation, the other is the experience of congruent feeling or vicarious arousal. Both these phenomena are key, but empathy, I shall argue, is expressed in a considerably wider
3 4

m lanthanontas -friends do not fail to notice the exchange of good will and good feeling. NE 1156a4. A form of the term empatheia appears in the Insomnia, but with different meaning than it comes to take on in the later literature. The Eudemian Ethics, in contrast, does briefly touch on the theme, as I explore in SHERMAN (1989) p. 135ff. There Aristotle speaks of friendship as forging a singleness of mind mia psuch 1240b2, 1240b9-10 and claims that friends share grief in the sense that they feel the same pain (ou monon sullupeisthia, alla kai tn autn lupn). Still, the idea does not take on the prominence it will come to have in the writings of Hume and Smith. See EISENBERG and STRAYER (1987); HOFFMAN (1982,1984).

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Nancy Sherman

range of behavior. The point becomes especially evident when we turn to developmental and psychoanalytic literature. In this paper, then, I explore that broader conception of empathy. I begin with the 18th Century views of Hume and Smith on sympathy. In significant ways, both authors set the stage for contemporary work in philosophy of mind and developmental psychology on the nature of empathy. I then take up a vigorous debate within the philosophy of mind in the past decade about how best to model our folk psychology of mindreading. The debate is relevant for our inquiry since the challenger view in the debate, a simulationist heuristic, explains simulation via a notion of empathic identification. While the debate sharpens intuitions about how empathy and imaginative transport may be involved in knowing other minds, still the evidence is not compelling that the proposed simulation model undergirds all or most of our mindreading activities. Through a selective review of developmental literature, I suggest that empathetic phenomena constitute a heterogeneous lot, and that different forms of empathy figure in our capacity to share each others mental worlds. Overzealous attempts at streamlined, philosophical models distort the phenomena. At the end of the paper I turn to clinical psychoanalysis where the notion of tracking another mind becomes central. I suggest psychoanalysis offers insight into empathetic capacities not taken up in the philosophical literature. I conclude with some thoughts about the attunements and misattunements that can arise within close relationships, such as the family. Underlying my remarks, Adam Smith emerges as something of an unsung hero.

2. Catching anothers feelings/ Changing Places in Fancy


One way of thinking about empathy is as a kind of contagion. Sometimes we just seem to catch anothers feelings or at least congruent feelings. The examples are commonplace. I start off the day in a glum mood, but after being in the company of my daughter who is particularly chipper and upbeat, my mood picks up, and Im feeling bright and sunny. I fall under the sway of another as it were. I get caught up in her cheer6. Frequently documented is the spread of depressive affect within a family. A young baby may be especially vulnerable to catching a mothers postpartum depressed affect, just as an older child may internalize a parents depression. Or consider a different kind of example. Willie, a third-grader, may talk to a friend on the phone and betray the accent and affect of his phone partner. His parents, listening to only his side of the conversation, immediately identify who is talking to by his unconscious mimicry. What goes on in these cases? We might explain the latter in terms of peer pressure or a desire to belong, or perhaps even a kind of emulation or idealization. But other affect transmis6

See STOCKER (1996), pp. 60-61.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

sions, like becoming upbeat in the presence of a chirpy friend, often seem no deeper than contagion: emotions can spread the way infectious laughter does. The notion of contagion is central to Humes account of sympathy. His conception is roughly this: We have no immediate experience of others feelings. Instead, we must rely on inferences we make from more direct impressions of effect in behavior or action to ideas of cause in emotions. Through sympathy the ideas of those causes come to have such vivacity as to be converted back into the impressions they represent7. In this way, a person comes to share anothers feelings in the sense of really experiencing the original. One catches anothers emotion; and the mechanism of sympathy is meant to explain the contagion. The following passage describes the process:
When I see the effects of passion in the voice and gesture of any person, my mind immediately passes from these effects to their causes, and forms such a lively idea of the passion, as is presently converted into the passion itself. In like manner, when I perceive the causes of any emotion, my mind is conveyd to the effects, and is actuated with a like emotion. Were I present at any of the more terrible operations of surgery, tis certain, that even before it begun, the preparation of the instruments, the laying of the bandages in order, the heating of the irons, with all the signs of anxiety and concern in the patients and assistants, woud have a great effect upon my mind, and excite the strongest sentiments of pity and terror. No passion of another discovers itself immediately to the mind. We are only sensible of its causes or effects. From these we infer the passion: And consequently these give rise to our sympathy8.

The passage reveals an important ambiguity in Humes notion of sympathy. For while the actors in the scene (the patients and assistants) feel anxiety and concern, the observer resonates not with these specific emotions, but rather with pity and terror. These are, of course, the paradigmatic tragic emotions, and as Aristotle hints in the Poetics and Rhetoric, each requires a different observer stance9. To feel terror is as if to be there; it is to shudder and shake in empathetic identification. In Humes passage, we can easily think of terror as fairly congruent with the patients own fear or anxiety: it demands the participants point of view, and a mode of experiencing things as the participant would. It demands an empathetic point of view. To feel pity, on the other hand, is typically to take up, as we would now put it, a sympathetic not empathetic standpoint. It is to retain an external point of view. Humean sympathy does double duty here for both perspectives10.
7 8

A Treatise on Human Nature (T.), p. 319. T., p. 576. 9 Poetics 13; also Rhetoric II.5 and 8. In Rhetoric II.8: The terrible (or fearful) is different from the pitiful. For we no longer feel pity when the danger is near ourselves, 1386a24. 10 See WOLLHEIMS (1984) insightful discussion of centered and acentered imagining for a

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Nancy Sherman

Moreover, Hume acknowledges that while there is great resemblance among all human creatures which allows us to enter into the sentiments of others, even so, the Humean mechanism of sympathy works best in those cases when there are strong contiguity and resemblance relationships11. In such cases there seems to be an easy kind of contagion, an easy reverberation from one heartstring to another. In other cases, when a sufferer is remote from us, in time, temperament or country, a more robust effort of imagination is required in order to share feelings12. But Hume doesnt limn in further detail what is involved in those flights of fancy. The elaboration is left to Adam Smith. Smith suggests that even in cases of sympathizing with those near and dear, imagination will be central. Thus, sometimes the expression of empathy seems less the result of contagion than of an imaginative transport that involves deliberate role taking. The examples populate our life. I think about how a neighbor, a private voice teacher, feels having lost his tenor voice due to a botched surgery on his vocal chords. I find my mind wandering into his house, into his basement studio. I hear a young student singing selections from musicals (is it Oklahoma or Carousel?), see my neighbor seated at the piano, wondering how he will instruct the boy now that his voice is compromised. Will he try to sing, what sounds will come out, will he rely on the piano to replace his own vocal instrument? Is he thinking about another profession, or does he think he can rely on recordindgs to teach and demonstrate? To answer my questions, I try to occupy his physical and mental space. I change places in fancy, as Adam Smith vividly puts it. For Smith, the starting point, again, is one of access into other minds: We have no immediate experience of what other men feel. Imagination is the mode of entry. Sympathy, our fellow feeling with any passion whatever13, results from acts of imagination. It is not itself the mode of access, as it is for Hume.
Though our brother is upon the rack, as long as we ourselves are at our ease, our senses will never inform us of what he suffers. They never did, and never can, carry us beyond our own person, and it is by the imagination only that we can form any conception of what are his sensations14.

Smithian empathetic imagination embodies several elements. First, to change places in fancy with the sufferer implies that we take up the role of the sufferer. We transfer or project ourselves to anothers circumstances, put ourselves in anothers shoes. Second, Smith further suggests that role taking typically involves analogical reasoning: from how I would react in those circumstances, I infer how
related distinction. For a discussion of Humes related notion of comparison, see BAIER (1994), pp. 145-50; also T. 29004, pp. 376-377, 383, 594. 11 T., p. 318. 12 T., pp. 371, 385-386. 13 TMS, p. 5. 14 TMS, p. 4.

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you would. This is the force of his repeated phrases, bringing the case home to oneself and bringing back the case to ones own bosom15. Bringing the case home to oneself typically involves my associations and memories triggered by the role taking. I draw on my own psychological repertoire to understand you as I stand in your shoes. Third, those associations and memories may be experientially alive. As I see my sons face light up with surprise when he receives the award, I remember when I won the poetry award. I remember not just that it happened that I won the prize over Bette though we all thought Bette had a lock on it, but what it felt like to be handed the award, what the curtains looked like that draped the stage, what the presenter said, how her voice sounded, who was standing where, what expression Bette wore on her face, how I felt when I read her face, what I thought she felt when she read mine. Past and present collapse; the past is before me now, as palpable as it was then. I recreate the scene, relive the moment with all its plenitude16. Fourth, in changing places in fancy, I may also experience some degree of vicarious arousal. Primed by my own associations and memories, when I turn my focus back to the observed subject, I become more receptive to her experiences and empathetically alive to her feelings. We beat time with the emotions of another, as Smith says17. This notion of vicarious arousal is explicit at the end of the following passage:
By the imagination we place ourselves in his situation, we conceive ourselves enduring all the same torments, we enter as it were into his body, and become in some measure the same person with him and thence form some ideas of his sensations, and even feel something which, though weaker in degree, is not altogether unlike them. His agonies, when they are thus brought home to ourselves, when we have thus adopted and made them our own, begin at last to affect us, and we then tremble and shudder at the thought of what he feels18.

But the passage also suggests that changing places in fancy may go beyond a mere transfer of role. As Smith says, we become in some measure the same person with another. Sometimes, we transfer and transform19. We become the other in their shoes. Still, Smith is equivocal about this more robust form of imagination. For he doesnt want to relinquish entirely the advantage of the spectator who retains her own psychology as she enters anothers circumstances. So he explains, in the case of empathetically understanding a wailing infant, a mother identifies with her infant yet draws on her own beliefs and wisdom to fill out the picture of her babys real suffering: in her idea of what it suffers, she joins, to its real help15 TMS, 17 TMS,

p. 141.

16 WOLLHEIMS

term (1984), p. 79. pp. 140,146, 167. 18 TMS, p. 4. 19 The language is Robert Gordons. Transformation is requisite for his notion of radical simulation, as we shall see shortly.

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lessness, her own consciousness of that helplessness. Similarly, those whose rational faculties remain reasonably intact look on at those who have suffered severe mental deficits and imagine their unhappiness (visualize, here, grown children caring for parents who suffer from dementia), though the sufferers themselves are often oblivious to their own setbacks20. In stepping into others roles while holding onto our own psychological repertoires, we thus retain a standpoint of judgment, whether sympathetic, antipathetic, or in some cases, simply enlightened. The Smithian model of empathetic imagination, thus, suggests the possibility of this sort of role taking (that maintains the perspective of our own bosom) as well as more robust transformations. In the discussion that follows, we shall see that radical simulation exploits the notion of empathetic identification as robust transformation.

3. The contemporary debate on mindreading: Theory-Theory vs. Simulation


In the philosophy of mind literature two rival have emerged to explain our theory of mind skills in understanding and predicting others behavior and our own21. On the orthodox view (called the theory-theory) our folk psychological theory of mind is essentially theoretical and involves the application of information: we predict and explain others behavior by appeal to beliefs and desires and laws which connect them22. According to the simulationist challenge, we dont theorize, implicitly or explicitly, in understanding others; rather we use ourselves to simulate them. Simulation becomes a form of role taking and empathetic identification. (On a radical simulation model, proposed by Robert Gordon, simulation bypasses entirely analogical inference from self and is a matter of robust transformation23). The difference between the theory-theory and simulation views can be captured initially by the following simple example. Suppose I see my neighbor going out for a run in the park, and muse about what shell do if her jog is interrupted by a stranger who stops her for idle chit chat on the trail? It is a bright, sunny spring afternoon - a glorious day to run in the park although almost
20 TMS, 21 For

pp. 7-8. important anthologies that cover the debate, see CARRUTHERS and SMITH (1996), DAVIES and STONE (1995a, 1995b). 22 Some leading proponents here are Fodor, Nichols and Stich, Wellman. 23 Leading proponents of the simulation model are Gordon, Goldman, and Heal. Goldmans simulationist view allows an introspective awareness of ones own states and an inference from self to other as a kind of argument from analogy. Gordon proposes a more radical (or purer) simulation model which aims to eliminate introspection and analogical inference from self. In a certain way, Goldmans view is a hybrid between a simulation model and a theory-theory view in that it involves role-taking which draws on an information base. But to sharpen the contrast between the theory-theory view and simulation, I often appeal to radical simulation, despite its limitations.

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everyone running in the park these days is on alert because of a recent murder on the trail in broad daylight. On the theory-theory view, I draw on knowledge (implicitly or explicitly) I have of the kind of beliefs and desires people would typically have in those circumstances, and relying on background laws that connect beliefs and desires with certain feelings and actions move from those beliefs and desires to an inference about what the person will feel or do. So, I reason that if the runner were stopped by a seedy-looking stranger, she would believe she was in danger and desiring to save her life, would try to flee, probably feeling extremely tense and frightened all the while. According to this account we have an internalized belief-desire theory of our minds. As in the application of other theories that we use to explain the world (e.g., a folk meteorology to predict whether it will rain tomorrow), here too we have a body of information in a relevant domain which we can appeal to for prediction24. On the radical simulation view, in contrast, I dont theorize, tacitly or explicitly or draw on information from my own case. Instead, I use my mind to understand other minds. I pretend to be in the situation of the woman runner with her perceptions, beliefs, and desires. As Robert Gordon puts it, I recenter myself on her: I transfer roles but also transform me, in the sense of holding aside the relevant parts of my psychological repertoire in order to take on hers. And using her beliefs, desires, and perceptions as input, I let myself react. As it is put in some of the literature, the processing takes place off line: I use an existing mechanism but detach it from its usual function and use it to support another function. So instead of processing, as I usually do, my actual perceptions, beliefs, and desires, I process pretend ones, and come to pretend intentions disconnected from my own motivation to act. My emotional reactions, though, may not be off line. For in the above case I may feel a slight shudder or actual tensing in my body as I imagine the runner fleeing past the sight of the recent murder. The emotions are actual, though the result of simulation. In actual practice we are probably hybridists sometimes simulating, other times theorizing, though until recently, many of the proponents from the different campus have claimed priority for their views. Moreover, it is not always clear which mechanisms we are relying on, and when. Even so, an attractive feature of the radical simulation theory is that it allows a kind of theoretical naivet. To understand others or predict behavior we dont need to have an explicit or tacit body of information that we draw on. We simply bring to bear the skills we would use if in the situation ourselves25.
24 See 25 HARRIS

NICHOLS, STICH, et al. (1992) 124, quoted in NICHOLS, STICH et al. (1996), p. 43. NICHOLS, STICH, et al. (1996), pp. 49-53. Suggest that a more telling test focuses on the way mistaken predictions arise. They conduct such a test (regarding the phenomenon of illusion of control) and conclude that the two ways available to simulationists to explain failures of prediction - either through the simulationists reasoning differing from the targets reasoning or from wrong pretend inputs - cannot in fact explain failure in these cases. Simulationists must go outside

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The simulation model makes a number of assumptions26. The first is that individuals process information in fairly similar ways so that it makes sense for an agent to use her own mind as a kind of analogue device for generating information about others. Broadly speaking, there is a structural isomorphism. Second, our reasoning process in pretend mode parallels our reasoning process when the inputs, or perceptions, beliefs and desires, etc. are not feigned, but actual. Put differently, the processing is real, though off line. And thirdly, if there is a structural isomorphism across persons and parallel reasoning in actual and pretend modes, then the accuracy of the simulation depends upon the accuracy of prior information about the target objects condition. The assumptions seem fairly straightforward. Our formal structures of reasoning and motivation do seem similar enough to be able to use ourselves as structural models for others. Second, we regularly engage in conditional planning about our own lives in a way that parallels what the simulationist envisions we do with others27. Suppose I havent yet been asked to take on a university committee assignment, but my sources say it is likely to come. I think about how I am likely to respond were I asked by pretending that I have been asked. From there, I begin to imagine the implications of taking on one more assignment. I plot out just what commitments I have on my plate at the moment, and whether I have room or appetite for one more. It seems safe to say that though the invitation is feigned, I reason and perhaps also emotionally respond much as I would if the invitation had been actual. True, sometimes we surprise ourselves by coming up with different choices in actual reasoning than we would have expected given our hypothetical experiments. We might explain this by noting that when scenarios are real, constraints and pressures kick in that arent fully appreciated by imagination. But this may be more the result of differences in input than differences in the structure of reasoning. This brings us to the third assumption. Sometimes it is no trivial mater to get the inputs right, even in the case of our own future selves. And certainly it seems safe to say, with Hume, that our skill rapidly degenerates the more alien the culture and foreign the beliefs and experiences of those we aim to understand. In such cases it becomes non-trivial to feign accurately the inputs. How do I know what another sees, feels, hears without adjustment of my own psychology as well as a fair bit of information gathering and research? A therapist comes to such information slowly over time, as the narrative of a patients life unfolds in an ongoing series of clinical hours. And he is constantly on the alert to his own contaminating projections, thoughts, and associations. A method actor does his hometheir model and explain the failures in terms of the simulators lacking information relevant to the tacit theory the targets are using. Theory-theorists, but not simulationists, can legitimately help themselves to such an explanation. 26 For this, see GOLDMAN (1993), p. 89; PERNER (1996), p. 91. 27 See GOLDMAN (1993).

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work before stepping into role. Some, famously, Dustin Hoffman, do more research than others. But how do we simulate others effectively without that sort of investment? Regrettably, not all persons we want to understand are at the other side of some researcher or storytellers lens. The more basic point is that when we most need an act of imagination, our imagination often shows its limits. Simulation is only as good as the inputs. Processing the content is the trivial part. Feeding in the right content is the challenge. But if stretching our imagination is the problem for some cases of mindreading, in other cases, we hardly need to turn to our imaginations. Indeed, in cases where we need little input switch from our own, we may even question whether radically simulating another is the most plausible way to explain what we go through in understanding others thoughts and motives. So in the jogging example I gave earlier, if I am a woman jogger familiar in a first hand way with the hazards of running in the park, and know my neighbor is fairly similar to me when it comes to taking precautions about bodily safety, then I may simply predict what shell do by analogy from my own case. I simply introspect, by retrieving memories of similar reactions and thoughts in those sorts of circumstances in the past, and then attribute them to her. In cases where I cannot retrieve memories of exactly the same kinds of circumstances, associations from similar cases may get me to anothers responses. So if Megan learns that her friend Amys child has just been diagnosed with leukemia, Megan may imagine how Amy feels by remembering her own feelings when her father was diagnosed with a terminal illness several years earlier28. More generally, at moments when we find ourselves slipping into apathy, we may deliberately move back to our own bosoms, as Smith would say, and look inward for something that helps us resonate with others. These sorts of examples suggest that even if radical simulation is an important heuristic for understanding others minds, it is not the only one we use. In some cases of tracking other minds, we draw on our own knowledge and experiences in order to be in synch with others. Smiths acceptance of a variety of ways we change places in fancy is instructive here.

4. Early Forms of Empathy


The literature on early development within the family equally suggests that primitive forms of empathy take a variety of shapes, and that these mediate our capacity for shared worlds in distinct sorts of ways. Below I briefly review some of the findings to make vivid how pervasive, diverse, and basic empathetic pheneomena are. If we think about creating a shared world through family or friend28 NICHOLS,

STICH, et al. (1996) classify this as an information-based account of role taking that differs from simulation in that the inputs come from the subjects own knowledge base.

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ship, or even through the mindreading models considered above, we begin, from a developmental perspective, at least, far too late. Mechanisms for creating a shared world manifest themselves far earlier, and ubiquitously.

4.1. Motor Mimicry As we have seen, Hume capitalizes on the idea that empathetic phenomena are sometimes a matter of catching others feelings. Related to this kind of contagion are various examples of motor mimicries. Classic motor mimicries in adults are leaning and body sway. Smith was an early observer of the phenomenon: The mob, when they are gazing at a dancer on the slack rope, naturally writhe and twist and balance their own bodies as they see him do29. The adult phenomenon has been observed repeatedly in the lab30, but more significant, are recent studies with neonates. Researchers (Melzoff and Moore, 1983) have shown that three-day old neonates can mimic mouth opening and tongue extension, and that the same aged neonates tend to mimic, with their own strong and hearty cry, the crying of similar aged neonates (Sagi and Hoffman 1976, reported in Hoffman, 1982). They seem to respond to a cue of distress by experiencing the distress themselves. Similarly, the contagious properties of smiling have been well documented in infancy, beginning with the pioneering work of Ren Spitz. Other forms of auditory mimicry have been observed in neonates: Rosenthal (1982, discussed in Bavelas et al., 1987) showed that mothers and their three-day old infants covocalized significantly above chance. In other words, there was prosodic mirroring: when one vocalized, the other chimed in31. Further studies show infants mimetic changes in intonation track adult frequencies32. The strong implication of these studies, and others whose results are consistent with these, is that we are pre-wired to mimic in kinaesthetically homologous ways. Certain mimicries occur only days after birth, suggesting that the behavior is not learned but that as humans we have inbuilt mechanisms for primitive forms of empathy. The mimetic synchrony studies, such as the covocalization one above, suggest further interactional capacities beyond those of motor mimicry. Motor mimicries are typically one directional. Mimetic synchronies, in contrast, are reciprocal actions initiated by either person and that may be shared (Bavelas et al., 1987). They set up patterns that may last for a while, and that consequently help to solidify the rhythm of a relationship.

29 TMS, 30 For

p. 48. a good review of the literature, see BAVELAS, et al. (1987). 31 For a brief review of prosodic mirroring, see OMDAHLS (1995). 32 In this paragraph, I draw heavily on BAVELASS discussion (1987) of early motor mimicries.

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4.2. Mutual attunement The developmentalist, Daniel Stern, has suggested a related phenomenon of mutual affect attunement that characterizes early attachment relations of infant to parent or caregiver. While his focus is less on the mimicry of behavior than on sharing of congruent affects, the indicators of affect attunement are external dimensions of behavior that can be matched without being imitated, like for like. Even so, the outer dimensions of these attunements are deeply embedded in common interactions, many cross-modal that often go unnoticed. Still, the following are relatively unencumbered examples of the phenomenon: A nine-month-old boy is sitting facing his mother. He has a rattle in his hand and is shaking it up and down with a display of interest and mild amusement. As mother watches, she begins to nod her head up and down, keeping a tight beat with her sons arm motions. A nine-month-old boy bangs his head on a soft toy, at first in some anger but gradually with pleasure exuberance, and humor. He sets up a steady rhythm. Mother falls into his rhythm and says, kaaaaa-bam, kaaaaa-bam, the bam falling on the stroke and the kaaaaa riding with the prepatory upswing and the suspenseful holding of his arm aloft before it falls33. Stern suggests that in these examples, the dimensions of temporal beat and intensity contour can be isolated as matching criteria: In the first case a temporal beat, or pulsation in time, is matched: the nodding of the mothers head and the infants gesture in shaking the rattle conform to the same beat. In the second case, an intensity is matched The mothers vocal effort and the infants physical effort both showed an acceleration in intensity, followed suddenly by an even quicker intensity deceleration phase34. The phenomenon of attunement, though often covert within interactions, is a common enough part of the experience of parenting. Parents routinely set up synchronies with their infants, reciprocal and repetitive loops which cross modalities but which, as Stern suggests, match on some behavioral dimension. Once the loop is in play, the synchrony often goes on, with the child sharing in and perpetuating the interplay. On Sterns view, these reciprocal attunements prepare the child for the world of shared feelings. Infants whose efforts are not matched, whose parents under-shoot or over-shoot the pitch contour, rate, rhythm, and so on of a behavior, seem to notice the lack of synchrony. Thus, in trials where mothers deliberately misjudge their babies level of excitement or rhythm, and jiggle back or gesture at a mismatched pace, the babies quickly stop playing and tend to look around somewhat quizzically and somewhat upset. The suggestion is that by three months of age, infants react to these dissynchronies with social withdrawal, alternating with attempts to re-engage the impassive partner (149). These obser33 STERN 34 STERN

(1985), pp. 140-141. (1985), p. 146.

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vations are important for demonstrating early patterns of interaffectivity and mutuality. At a very early age, infants become partners in coordinated and reciprocal patterns. Through the mutual attunement process, they prepare themselves to share affects and to take up the point of view of another. They learn to set up a process of communication, which specific content aside, serves to establish basic forms of interaction and connection35. The fittedness of the synchrony often seems to matter. In some circumstances, closeness of match and interpersonal communion is an expectation, and infants are frustrated when it is absent. Motor mimicry results suggest that there may be biological programming which predisposes children in this direction.

4.3. Shared Attention/Social Referencing Other studies reveal additional protoempathetic phenomena present during the end of the first year of life. To begin with, there is the widely observed phenomenon of shared attention36. Infants toward the end of the first year look at a persons eyes and then follow the gaze to its target. They reproduce an adults focus of attention, checking back and forth (through gaze alternation) to make sure that they and the other person are looking at the same thing37. This is the beginning of sharing anothers world. As Baron - Cohen explains it, shared attention mechanisms function to build triadic representations among self, another and an object. Even blind children have shared attention mechanisms, mediated by modalities other than vision. So studies indicate that a blind child will put anothers hand on an object and even use the language of see and look to direct attention to an object they want to share38. A second and related phenomenon is that of social referencing, observed in infants of the same age39. Here, children read the face of a trusted caregiver in order to get information as to whether a novel, shared target object should be welcomed or avoided40. Again, a triadic relation is in play, here the triangulation moving from the childs eyes to the target object to the caregivers face. Note, the
35 See

BAVELAS, BLACK, LEMERY, and MULLETT (1987) who would disagree with Stern. Synchronies on their view are not communions of internal feelings or affect, but more formal and neutral communication chanenls. 36 BUTTERWORTH (1991). 37 See BARON - COHEN (1995), p. 48. 38 See BARON - COHENS (1995) summary of the evidence, esp 66f. 39 The phenomenon is easily observable and widely discussed. HARRIS (1989) summarizes the research well. See also, CAMPOS and STENBERG (1981), and KLINNERT et al (1986). 40 See related studies by S.I. GREENSPAN (1989) which indicate that a child comes to identify and regulate her own affects as a result of affectively expressive responses by a parent. Thus, children of poker-faced parents, on this view, show deficits in what we might call emotional intelligence and emotion regulation. See IZARD (1971) and EKMAN (1972) on reading facial expression of emotion.

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mechanism does not seem to be simply contagion. Children may catch fear from their parents, but on this model, at least, they do it rather deliberately, by seeking guidance from an important and constant figure in their lives. They then read emotional expression in faces, and though in some instances, mimic the expression, feeling what their own faces express may be, in fact, less a matter of catching than the operation of an efferent feedback mechanism41. A third phenomenon figures in this cluster of intentional stances. At the end of the first year and beginning of the second, the child not merely reproduces anothers attitude, but begins to act on it or influence it. That is, the child now seeks to redirect anothers attention or attitude by bringing to another an object of interest. So a child I observed weekly as a part of a year long observation excitedly pointed (at 10 months) to a Halloween decoration on a door in an attempt to turn my attention toward it. Protodeclarative pointing is a way of saying, look, see, share this object with me, share my excitement. Significantly, children with autism seem to have impaired shared attention mechanisms of the above sorts. They suffer from mindblindness, as Simon Baron-Cohen dubs it. They can detect eye direction, but do not try to detect the visual attention of others by using pointing gestures; they may bring an object over to someone or lead someone to an object but only when they want it, not out of a desire to share interest with another person for its own sake42. They also manifest evidence of a failure to establish joint auditory attention43. So autistic children will often speak too loudly or too softly, suggesting that they are not responsive to the need, which normal children show, of modulating voice and intonation to engage a listener. They lack fundamental mechanisms for coupling with others and creating a world of shared interests. Autistic children also do poorly in attributing to others beliefs different from their own44. In an experiment involving Sally and a marble that was hidden in her absence, most of the autistic children tested believed that Sally would look for the marble where they themselves (who have seen it being hidden) will look for it45. Thus, in addition to having difficulty sharing others perceptions, autistic children have difficulty sharing other peoples different beliefs. They tend also to show deficits in pretend play46. a fact simulationists appeal to in support of their view that mindreading is mediated by imaginative ability. Though the evidence here seems too slim for that conclusion, studies of autism, in general, shed significant light on the normal psychological mechanisms required for establishing shared worlds.
41 STRACK, 42 BARON

et al. (1988). - COHEN (1995), p. 69. 43 BARON - COHEN (1995), p. 69. 44 For the original Maxi experiments on this theme, see WIMMER and PERNER (1983). Also see Gopnik and Wellmans discussion in DAVIES and STONE (1992/1995a, p. 238). 45 BARON - COHEN, p. 71. 46 BARON - COHEN, p. 77. For a discussion of the normal development of imagination and pretend play in children, see MAYES and COHEN (1992), (1996).

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The data summarized above thus suggest that motor mimicry, shared attention mechanisms, and cross-modality attunements are protoempathetic mechanisms crucial for establishing synchronies and shared common objects. They are the first steps in taking shared voyages. But they are steps we continue to retake as we exercise our capacities to track others and enter their worlds. Moreover, we miss the variety of these early competencies if we read them too linearly as direct progenitors of one mindreading model or another. Simulationists, in particular, have tended to turn to this literature as evidence for their own theory47. Yet motor and vocal mimicries seem more a kind of imitation or contagion than a simulation on the cognitive science model. Shared attentional mechanisms might seem to involve a minimal kind of role-taking, in the sense of taking up anothers gaze. But on closer inspection, what is involved is more gaze tracking, than simulation or imaginative transport. Finally mutual attunement may be mediated by simulation and imitation, but the point of establishing those patterns is to cement patterns of attachment and interaction.

5. Psychoanalysis and imagining others


The early developmental context within the family, thus, extends our understanding of how we begin to enter others mental worlds. But not surprisingly, the clinical context of psychoanalysis also extends our understanding of empathy. For the analysts task is to track the way a mind moves, to be in attunement or synchrony, to have a heightened sensitivity to anothers affect and mood, thoughts and musings. In a certain sense, the clinical hour is an hour for the most radical sort of empathetic identification. And yet on the orthodox view of psychoanalysis, empathy, at least when it includes explicit signs of vicarious arousal or sympathetic support, is viewed as misplaced48. It is a distraction to patient and an indulgence on the part of the analyst of a vulnerability that ought to be controlled. The view is captured in Freuds famous remarks to practitioners:
I cannot advise my colleagues too urgently to model themselves during psychoanalytic treatment on the surgeon, who puts aside all his feelings, even his human sympathy, and concentrates his mental forces on the single aim of performing the operation as skillfully as possible... The justification for requiring this emotional coldness in the analyst is that it creates the most advantageous conditions for both parties: for the doctor a desirable protection for his own emotional life and for the patient the largest amount of help that he can give him to-day49.
47 See

NICHOLS and STICH, et al. (1996). idea is roundly rejected by Heinz Kohut. For important discussions of empathy, see (1959), (1971), (1984). 49 FREUD (1912), p. 115.
48 The

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The passage conjures up the image of the psychoanalyst as stoic sagedetached, dispassionate, not showing feeling. Perhaps some inevitable twinges of feeling, like the preludes to feelings (propatheiai) Seneca talks of -essentially, autonomic nervous system reactions, will leak through50. But the overriding posture the psychoanalyst aims for is emotional control. As Freud puts it, the psychoanalyst assumes a stance of neutrality and abstinence. He controls against empathetic arousals that might lead to overidentification with a patient and possible boundary violations: (hence the notion of abstinence as resisting sexual temptation). And he controls against satisfying the patients wish for sympathetic support, in so far as gratification might undercut the pain of psychic conflict necessary to motivate hard analytic work. These ideas about neutrality have been significantly revised in contemporary analytic practice, as we shall see momentarily. But in an interesting way, Freuds notion of neutrality, and the metaphor often used to capture it- of the psychoanalyst as blank screen, can be seen as aiming for the kind of non-contaminated empathetic identification that the radical simulation heuristic models. Freuds idea is this. The psychoanalyst tries to understand a patients wishes, fears, and defenses without imposition of his own reactions, projections, judgments, and defenses. He tries to hover evenly over the various departments of the psyche (superego, ego, and id) and their contributory roles in a conflict, without overidentifying, through his own psychic habits, with any one. Thus, he tries to live out the life of the narratives being told and untold hour after hour, in a transformative, not merely projective sense. To follow the radical simulation model, we might say he goes off line, using his imagination to become another, with the caveat that imagination is decoupled in this case both from actual urges to act and expressed empathetic feelings. Thus, the blank screen exploits, in a curious way, the radical simulationist idea that one is not to import into the imaginative project ones own psychological repertoire It is only the patients inputs that get processed. This may capture the hope and spirit of early psychoanalysis. And too many moments of psychoanalysis as it is actually practiced today. But contemporary psychoanalysts increasingly acknowledge a more Smithian view - that we often bring the case back to our own bosom. That is, despite the most trained clinical control, psychoanalysts, to some degree or other, inevitably draw on their own associations and reactions (generally speaking, countertransferences and enactments) to understand a patient51. Practically speaking, radical simulation is simply not fully achievable, nor normatively optimal. Moreover, to react to a patient, i.e., to engage in countertransference, is not necessarily, as Freud once thought, a contamination of the therapeutic process52. A psychoanalysts own carefully monitored responses to a patient can provide crucial insight into a patients psychological life. Here, it is not
50 SENECA, 51 On

On Anger (1995), pp. 42-45. these pheneomena, see SANDLER (1976), JACOBS (1986), RENIK (1995), CHUSED (1991). 52 See FREUD (1915 [1914]), p. 164.

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so much that the clinician deliberately brings the case home to oneself, la Smith. Rather, home is simply, at times, where the listeners reverie goes53. The therapeutic trick is to know when that wandering might be relevant for the analysis. Consider a vignette from the psychoanalyst James McLaughlin54: He notices in one session with Mrs. P that he is playing with his bifocals. This adventitious piece of behavior leads him to make an association that matches what the patient is currently feeling: Mrs. P is a rambler, who often feels bumbling and adrift. Fidgeting with his bifocals becomes a Proustian madelaine. It reminds the psychoanalyst of how bumbling and adrift he used to feel as a myopic youngster before getting his first pair of glasses. The reexperience of the old pain of groping and failing helps him to identify with his patient and break the stalemate in the treatment. The overtness of playing with his glasses tips him off to those congruent feelings. The introspective retreat is productive rather than distorting. A more readical simulation, without retreat to the home base, may not have moved the analysis along. The analyst can use herself as an instrument for understanding the patient in yet other ways. In the presence of a particular patient an analyst may feel seduced, embarrassed, angry, threatened, excited, bored and so on. Through careful selfvigilance, the analyst may come to believe that these feelings have less to do with residue from her own internal conflicts or past history than with current manipulations on the part of the patient55. Still, like associations from ones own past, these arousals and reactions can serve as important ways of understanding the patient. By recording actual reactions, a psychoanalyst can come to experience first hand what it is like to be on the receiving end of this patients emotional attitudes and actions, what it is like to be the others in his world, feeling his effect. Granted, all this might take place in an attempt at a purer simulationist style empathetic identification, where the goal is to be recentered on the patient as patient, without interference (or information) from ones own reactions-either past or current. But the point is, to some degree or other, however controlled an analyst may be, some of her own reactions inevitably surface and serve to reveal the other in a way that a purer empathetic identification, even if successful, cannot capture. Radical simulation of others, attractive as it is in the abstract, may not be the way the most concerned listerner understands another.

6. Conclusion: Back to family and friendship


It is time to tie up loose ends. What do the various forms of empathy and imaginative transport we have considered have to do with intimate relationshis within
53 For

an interesting discussion of reverie in this context, see OGDEN (1997). (1991). 55 At work here is the notion of projective identification; see OGDEN (1979) and SANDLER (1993).
54 MCLAUGHLIN

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friendship and family? In a sense, the connections are all too obvious. Like young children, we crave finely attuned relations with others. We notice exactly when conversations miss, when a voice goes flat, when our eyes catch anothers averted eyes, when others fail to match our zest, enthusiasm, rhythm and tempo. We know when others arent tracking us, when we are misunderstood, when we are in conversation, yet talking to ourselves. And these misattunements hurt us the most within intimate relationships. For it is there that we most crave and expect synchrony. Still, the expectation for synchrony can often lead us astray. As parents we can overidentify with our childrens emotional peaks and troughs and serve them ill by mirroring back just what they give out. And the same holds true in adult relationships. Attunement needs to be finessed with modeling and wisdom, direction and guidance in a way that takes seriously empathetic identification but also leaves room for growth, whether we are children or adults. Equally misattunements can be misread as deliberate snubs rather than as style or temperamental differences not consciously meant to indicate distance or displeasure56. In the world of psychoanalysis, where attunement and timing of interventions are the products of a well-honed art, many misattunements will be avoided. But not all, and those that arent become grist for the psychoanalytic mill-indeed in some schools of psychoanalysis, (such as Kohutian self-psychology), a primary focus57. According to Kohutian theory, newly sustained narcissistic injuries caused by an analysts parental-like failures of attunement within the clinical hour become an important medium of the analysis. But casting misattunements as narcissistic injuries raises the important question of how much we ought to indulge our cravings for synchrony. Surely some demands for attunement are overly needy, too hungry for support and solidarity, too sensitive to anothers responsiveness or lack of it. Even the most intimate soul mate cant be expected to track us on every twist and turn of our journey. Some bits we must go alone, however much we might like company. That is, after all, what it is to separate and hatch as a separate self. Yet misattunements typically arise not when we have decided to go our own way, but when we think we are going together, and yet are not. It is a failure in acknowledging common ground, as Aristotle might put it. And yet true friends do not fail to notice. Moreover, the failure is often conveyed at the level of subtle protoempathetic responses-a failure to meet anothers eye gaze or follow its object, a failure to match anothers excitement through vocal inflection or shared tempo of activity, a failure to smile at ones smile. It is not just that Heloise might not follow the point of Abelards story or fail to see the ending funny. It is that Heloise, on occasion, is not with Abelard in a more basic way.
56 Here

Deborah TANNENS work (1990) on gender differences in conversational style comes to mind. 57 See KOHUT (1977) on narcissistic injuries and empathetic breaks, e.g., pp. 116, 118.

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This doesnt answer the question of when the demands for synchrony are reasonable and when not. Presumably there is little one can say outside immersion in the particulars of a case. But that intimates demand some kind of synchrony and notice its absence seems to be commonplace. Moreover, my point throughout has been that mechanisms for synchrony are varied and not adequately modeled by overly streamlined, theoretical models. They may involve contagion, theorizing, imagining that looks into a soul and its motives as well as imagining that looks outward at behavior and action. They may involve tracking eyes, mimicking sounds and voices and body movements, attuning subtly to the rhythm of anothers voice through the kick of a leg or the tapping of hand. All are ways we build a shared world. All are ways we come to be in synch with others.

Bibliography
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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

straining function of wrong beliefs in young childrens understanding of deception. In Cognition, 13: 103-28. WOLLHEIM, R. 1984. The thread of life. Cambridge, MA: Harvard University Press. *** Abstract: In this paper I explore the conception of empathy and its implications for the family. I begin with the 18th Century views of Hume and Smith on sympathy, which I argue have influenced contemporary debate on empathy in the philosophy of mind. However, through a selective review of developmental literature, I suggest that empathetic phenomena constitute a more heterogeneous lot than the contemporary debate within philosophy tends to suggest. Overzealous attempts at streamlined, philosophical models distort the phenomena. At the end of the paper I turn to clinical psychoanalysis where the notion of tracking another mind becomes central. I suggest psychoanalysis offers further insight into empathetic capacities not taken up in the philosophical literature. I conclude with some thoughts about the attunements and misattunements that can arise within close relationships, such as the family. Underlying my remarks, Adam Smith emerges as something of an unsung hero.

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 45-72

Unit e multiformit della famiglia in Occidente: sensi e percorsi dopo la modernit


ANDREA M. MACCARINI*
Sommario: 1. Il problema: pluralizzazione della famiglia e processo di civilizzazione. 2. I condizionamenti strutturali. 3. Dove e come si pluralizza la famiglia. 4. Lumano e il familiare dopo la modernit. De-simbolizzazioni e ri-simbolizzazioni.

1. Il problema: pluralizzazione della famiglia e processo di civilizzazione


Il problema del pluralizzarsi delle forme di famiglia nelle societ occidentali contemporanee ha acquisito, negli ultimi anni, una tale prepotenza simbolica da imporsi allattenzione degli studiosi e dellopinione pubblica come il problema per eccellenza. Quando si parla di famiglia, in tutti i campi delle scienze sociali ed umane, la forza pervasiva del tema pluralizzazione emerge inevitabilmente, finendo col monopolizzarne la Problemstellung quale che sia loriginario punto di partenza del discorso e col mettere in ombra anche problemi di proporzioni estremamente rilevanti: le trasformazioni interne del nesso intergenerazionale e della relazione/differenza tra i gender, lequit tra le generazioni, il benessere familiare, la povert familiare, e altri ancora. Non che di tutti questi altri problemi non si parli affatto, ma di solito da ciascuno di essi il discorso slitta, quasi inevitabilmente, sulla questione della pluralit delle forme di vita familiare. Ci si sente comunque costretti ad affrontarla, onde non trasmettere (e non provare) la sensazione di non essere andati sino in fondo nellanalisi del problema o di averne evitato il nodo pi centrale e imbarazzante. Per esempio: se si parla di famiglia e benessere, viene in conto il fatto
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Professore associato di Sociologia nellUniversit di Padova e collaboratore del Ceposs (Centro studi sulle politiche sociali e sanitarie) dellUniversit di Bologna, e-mail: andrea.maccarini@unipd.it

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

che le agenzie che producono e distribuiscono benessere sociale sono costrette nonostante ogni ostinata dichiarazione contraria a dare una propria definizione di famiglia, per i propri obiettivi operativi. E che da questa definizione derivano poi conseguenze forti sul piano dellequit sociale e della modalit stessa in cui viene inteso e praticato il cosiddetto benessere familiare. Se si parla di trasformazioni interne della famiglia, ci che viene sempre sottolineato il declino della famiglia tradizionale cos si dice e lincremento di separazioni e divorzi, o di coppie di fatto nel senso di coppie che praticano una forma di vita analoga a quella familiare, senza per acquisire (per propria scelta) una formalizzazione giuridica1. E cos via. Allo stesso modo, gli studiosi vengono osservati dai media, dalle istituzioni politiche e dal vasto pubblico (e, last but not least, si osservano tra loro) pi per lo schieramento in cui militano in questo dibattito che per altri tratti, pi cognitivi e scientifici, della loro professionalit. Per dirla semplicemente: si pu apprezzare un sociologo della famiglia per molte ragioni, ma al dunque ci si domanda se favorevole qualunque cosa ci significhi alle coppie di fatto oppure al matrimonio omosessuale, e non (o solo in seconda battuta) se un esperto della coppia piuttosto che delle relazioni tra generazioni o del benessere familiare, o altro. E ci non soltanto in contesti mediatici o politici, ma anche e sempre pi dentro lo stesso sistema sociale della scienza. Stiamo parlando, insomma, di uno spartiacque evidentemente fondamentale, che travolge altri discorsi, fratture e distinzioni. Perch dunque la questione cos centrale? Si potrebbe rispondere semplicemente che la famiglia unistituzione sociale e un simbolo culturale dimportanza cruciale e che quindi la sua trasformazione strutturale ovviamente un fatto che oscura ogni altro problema al riguardo. Questo naturalmente vero, ma il punto : perch la questione cos centrale oggi? E che cosa sta succedendo davvero? Secondo alcuni, ci rispecchia semplicemente la realt: il nocciolo del cambiamento della famiglia come gruppo e istituzione sociale e come simbolo culturale andrebbe precisamente in questa direzione, quella cio dindebolire progressivamente la famiglia tradizionale dando luogo a una molteplicit irriducibile di assetti e di forme di vita che prendono il posto della precedente unicit e con ci rendono la famiglia stessa un concetto (e una pratica) declinabile soltanto al plurale. Secondo altri, questo fenomeno invece sostanzialmente un prodotto del sistema dei media e degli stili di vita di lites numericamente ridotte, che si arrogano il diritto di rappresentare lavanguardia della storia e della societ. La diffusione di questi stili di vita, ostili al matrimonio e alla famiglia tradizionale, sareb1

Per quanto riguarda la societ (e la sociologia) italiana, questi temi sono stati svolti analiticamente e con dovizia di riferimenti empirici nei vari Rapporti Cisf sulla famiglia in Italia che da anni esaminano aspetti centrali delle problematiche familiari nel nostro Paese. A essi rimando anche per trattazioni analitiche di alcune delle varie questioni che ho qui elencato.

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Andrea M. Maccarini

be sostanzialmente un progetto politico-culturale piuttosto che una realt strutturale: anche se finisce poi per diventarla, nella misura in cui il progetto sia coronato da successo. Si tratterebbe insomma di un esempio della classica profezia autoavverantesi. Questa premessa delinea la temperie culturale e al tempo stesso i confini e le polarit simboliche entro cui si muove il presente contributo, come del resto qualsiasi riflessione contemporanea sulla famiglia. Rispetto a questa situazione devo anzitutto precisare quale sia il mio obiettivo e quali le mie presupposizioni. Anzitutto, ritengo che entrambe le visioni che ho rapidamente tratteggiato siano scorrette, o almeno largamente insufficienti. chiaro che la trasformazione della famiglia nel senso della sua transizione da un modello unico a una pluralit irriducibile una tendenza effettivamente forte in buona parte dellOccidente; come anche chiaro che vi sono attori collettivi, dotati di specifici interessi e identit, che vedono in tale transizione un esito da perseguire o viceversa da evitare. Ma ci pu essere detto di ogni grande fenomeno sociale. Le visioni sopra descritte dicono qualcosa di pi preciso e di pi unilaterale. Chi pensa la famiglia nel primo modo assume un approccio evoluzionistico, che si basa sulla distinzione tradizione/modernit. Da questo punto di vista, ci che si vede il frammentarsi della famiglia tradizionale, intesa come modello unitario, in una molteplicit di assetti determinati dalla libera progettualit individuale. Modernizzare la famiglia vuol dire, quindi, dissolvere evoluzionisticamente le sue componenti vincolanti e liberare (emancipare) gli individui e la loro volont di costruire relazioni pi adeguate a esprimere lautenticit umana soggettiva. Il che implica poi che le relazioni familiari vengono a reggersi (finch funziona) sulla pura espressivit e che possono essere costruite, de-costruite e ricostruite (o se si preferisce, che in esse si pu entrare e uscire, che se ne possono attraversare i confini) con un elevato grado di contingenza2. Ora, la potenza sintetica delle visioni evoluzionistiche non va trascurata. Nessuno negherebbe oggi che il grado di contingenza delle e nelle relazioni familiari enormemente aumentato. Ma una prospettiva del genere serve a vedere solo un lato del complesso cristallo della morfogenesi familiare. Per esempio, non consente osservazioni chiare su come si ridefiniscono i confini del familiare (rispetto a ci che familiare non ), su quali sono i percorsi evolutivi delle forme di vita familiare che non sempre e nemmeno nella maggior parte dei casi portano alla frammentazione e disgregazione di cui si diceva e su come la complessa trama delle lealt invisibili proprie della sfera familiare si trasformino e creino intrecci sempre nuovi, mantenendosi per capaci di stabilit. In altri termini: la morfogenesi della famiglia molto pi complessa e una visione evoluzionistico-lineare si rivela, qui come in altri campi3, troppo deterministica e largamente insufficiente; inoltre orientata
2 3

Su questo aspetto il riferimento va allilluminante sistematizzazione sintetica di P. DONATI, 2001, soprattutto pp. 74-76. Paradigmatico il caso della religione e della relativa teoria della secolarizzazione.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

esclusivamente a tipologie formali e non al lento evolversi del tessuto di lealt, legami e riferimenti simbolici in cui la famiglia consiste. A sua volta, chi pensa che la pluralizzazione della famiglia sia soltanto unillusione, una pratica sociale limitata a lites decadenti o un progetto politico-culturale pi o meno esecrabile, dimentica che le trasformazioni che tale cultura pluralistica esprime e lorizzonte simbolico a cui allude sono elementi ormai fatti propri da buona parte delle popolazioni occidentali, dal punto di vista della legittimazione anche se non della pratica personale. E che appare invece sempre pi difficile fondare e legittimare socialmente la posizione opposta. Ci non soltanto il risultato di un complotto4, ma di spinte strutturali e culturali profonde. Il mio discorso tenter di evitare questa polarizzazione ideologica, per svolgersi nellambito, con il linguaggio e i concetti propri dellanalisi sociologica. Il mio punto di partenza prescinde dunque, per esempio, da ci che si pu dire della famiglia sul piano metafisico, o da come la famiglia dovrebbe essere secondo una qualche prospettiva etica. Ci ha almeno due implicazioni: (i) Le mie argomentazioni non mirano a individuare una famiglia secondo letica in modo adeguato ai tempi, n a indicare la distanza che la separi da varie forme oggi assunte dalla famiglia cos com nella realt empirica, n infine a comprendere se e come sia possibile far coincidere luna con laltra. Espongo invece uninterpretazione del fenomeno della pluralizzazione dellessere famiglia che colga i processi sociali cos come si stanno realizzando e ne illumini i condizionamenti (par. 2) e il senso (par. 3). Con ci non intendo spazzare via la distinzione tra normale e patologico, bens motivarla non rispetto a un ideale di famiglia assunto a priori, ma rispetto a esigenze interne, storiche e strutturali delle stesse relazioni familiari, se si vuole che esse siano ancora capaci di determinate prestazioni5 per la societ, e in specifico di umanizzazione e dunque di civilizzazione6. Sotto questo profilo, mi prefiggo di spiegare che il modo in cui la societ complessa agisce, pensa e definisce la famiglia direttamente connesso allemergere di una matrice simbolica che implica una rivoluzione antropologica profonda, la quale tocca le radici stesse del senso che viene culturalmente attribuito allumano in quanto tale e alla societ in quanto umana (par. 4). Il che a sua volta dipende da una morfogenesi complessa di culture, strutture e gruppi sociali7. Dal punto di vista di una sociologia dei processi culturali da una visione di questo genere che si pu far emergere unidea fondata di quali criteri e di quali distinzioni nel sociale ancora reggano oppure no circa il profilo di ci che
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E comunque ogni innovazione culturale dal capitalismo moderno al cristianesimo si diffonde e si afferma attraverso attori sociali, individuali e collettivi, che se ne fanno portatori. Uso qui questo termine, precisando che non lo intendo in senso pragmatico-funzionale. Torner in seguito su questo punto. evidente che molto si gioca sulla semantizzazione di questi termini-concetti. Proprio questo sar infatti un punto centrale del mio discorso. Cfr. parr. 1 e 4. Che non potr qui prendere in esame nemmeno sommariamente. Per il paradigma della morfogenesi qui evocato si veda ARCHER 1997.

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Andrea M. Maccarini

si pu ragionevolmente chiamare famiglia o che da tale concetto si pu legittimamente escludere8. (ii) Come ho anticipato, le definizioni, il linguaggio, i concetti che impiego sono quelli propri della tradizione sociologica. Ci naturalmente non di per s una garanzia sufficiente contro linvasivit ideologica. Spesso anche il linguaggio degli studiosi manifesta anzi un nesso assai vincolante con il linguaggio degli schieramenti in lotta, ed entra dunque a far parte del conflitto simbolico stesso9. Devo allora esplicitare che parto da una definizione di famiglia come relazione nodale che connette in una relazione di piena reciprocit due tipi di legami: alleanza tra sessi e filiazione tra generanti e generati10. Questa definizione contiene un aspetto molto generale, su cui laccordo tra studiosi praticamente unanime: la famiglia il luogo della piena reciprocit tra persone che stanno tra loro in un rapporto di coppia. Laddove la piena reciprocit manca, non solo di fatto11, ma nel senso che assente dallorizzonte simbolico di quella relazione, si esce dallambito del familiare per entrare in quello di altre relazioni primarie. Essa esprime per anche una visione pi specifica e dirimente. Secondo tale visione, la famiglia il luogo in cui si articolano due differenze: quella tra i sessi e quella tra le generazioni. Ed qui che questa definizione apparentemente piuttosto generale, pur avendo senzaltro una vasta portata sociologica e storica in quanto indica la natura sociale della famiglia e simultaneamente riflette il modo in cui essa stata semantizzata da tutte le societ umane conosciute, manifesta una valenza teorica anche estremamente specifica e discriminante. Anzitutto, essa mantiene la differenza tra i gender, e dunque la capacit generativa (come orizzonte simbolico di possibilit) come elemento centrale della definizione di famiglia. Non basta che la piena reciprocit intercorra genericamente tra persone, ma deve passare tra i sessi e tra le generazioni. Inoltre, la definizione di fami8

Questa strategia molto prossima a quella svolta nel saggio di Riccardo PRANDINI (2001), di cui si vedano soprattutto le pp. 444-459. Entrer in seguito (par. 4) in un dialogo pi esplicito con tale contributo. 9 In merito mi limito a due esempi. Si pensi alla contrapposizione famiglia / famiglie, che rimanda allidea che esista oppure no una e una sola natura sociale della famiglia (per esempi opposti cfr.: BARBAGLI e SARACENO 1997, ZANATTA 1997; e per converso DONATI 1998; DONATI, a cura di, 2001). Si pensi inoltre alla distinzione famiglia / genitorialit, che sottolinea rispettivamente lunit delle relazioni coniugali con quelle di filiazione e per contro invece la possibilit (e auspicabilit) di trattarle in modo separato, sia sul piano politico sia su quello dellintervento sociale. Segnaler tali connessioni laddove necessario nel corso della trattazione. Sulle cautele linguistiche da adottare in merito richiama lattenzione anche il gi citato Prandini (2001, p. 407, cfr. nota 5). 10 Ricavo questa definizione da DONATI 2001. Per la spiegazione e lesposizione sistematica dei suoi presupposti e ragioni si veda anche DONATI 1998. 11 In qualunque famiglia pu capitare che il padre non si occupi dei figli o trascuri la moglie, o viceversa, o ancora che i due coniugi vivano una qualche forma di reciprocit limitata, o altro. Questo per fa parte della sfera del fattuale e normalmente, quando accade, viene letto come patologico o comunque problematico.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

glia che ho assunto rimanda a un approccio generale che osserva la famiglia come una entit relazionale di genere proprio. Nel discorso sociologico contemporaneo tale approccio si contrappone a un approccio che: (i) tende ad assumere come concetto primitivo quello di cura (che si d e si riceve entro una famiglia e che la costituisce come tale), rendendo indifferenti le differenze sessuali tra i partner; (ii) pensa la famiglia come intreccio contingente di traiettorie di vita individuali. In questultimo caso, ci che denominiamo famiglia uno spazio sociale fatto di pratiche e sentimenti, di cura e sostegno reciproco i cui confini sono definiti dallincontro tra scelte individuali convergenti, ma che conservano una (tendenzialmente) totale reversibilit. Nellapproccio che assumo, invece, si tratta di unentit relazionale. Non di unentit olistica che condiziona gli individui dallalto o dallinterno, ma di un effetto emergente delle loro relazioni12, il quale manifesta una vita e una realt sua propria, che parte dagli individui ma supera il mero intreccio di traiettorie e di corsi di vita individuali definiti in modo casuale. dunque da questultima prospettiva sociologica che svolger le osservazioni seguenti. Ancora una volta, la giustificazione di questa scelta non pu essere fornita a priori, ma una selezione teorica che deve dimostrare la sua validit nellampiezza e nella profondit delle osservazioni che consente. Naturalmente queste presupposizioni, come ogni scelta epistemologica, definiscono che cosa si potr osservare, ma non costituiscono gi la soluzione del problema. Esse, con i conflitti teorici e socio-culturali che generano e implicano, rappresentano anzi lo sfondo e per cos dire il palcoscenico su cui si sta svolgendo il dramma storico-sociale della famiglia occidentale. La societ contemporanea sta infatti compiendo i suoi esperimenti proprio nel senso di provare a decostruire questa semantica. Vedremo in che senso queste operazioni si stiano svolgendo (par. 3) e dove possano condurre (par. 4). Il primo passo da muovere consiste nel comprendere in modo pi preciso il senso della pluralizzazione nella societ contemporanea. Bisogna capire perch si tratta di un fenomeno nuovo per tutti rispetto al passato. Va rilevato anzitutto che un modello unico di famiglia non mai esistito. Anche nella societ che ci ostiniamo a chiamare tradizionale (pre-moderna) ceti, etnie, religioni diverse hanno espresso diverse culture della famiglia e diversi stili di vita al riguardo. Al tempo stesso, linstabilit e insicurezza delle condizioni di vita rendevano altres la stabilit della famiglia assai minore di quanto si possa immaginare oggi. Alcune precisazioni rispetto a questa situazione permettono di chiarificare il profilo innovativo del fenomeno che trattiamo. Oggi la pluralit inedita perch: (a) le sue forme sono dinamiche e in rapido mutamento, mentre nel passato
12 Sullontologia

emergentista cfr. in particolare ARCHER 1997. Per larchitettura generale dellapproccio relazionale si veda DONATI 1991.

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le culture esprimevano forme e modelli di famiglia relativamente stabili nel tempo, bench differenziati; (b) cruciale distinguere fatti e simboli13. Linstabilit di fatto cosa assai diversa dal legittimare unidea del tutto soggettivistica e privatistica, secondo cui esistono al limite tanti modelli di famiglia quanti individui, in base ai loro gusti e preferenze e come espressione della loro volont di pura autorealizzazione (Giddens 1995). La pluralit odierna inedita in quanto portata alla radice del simbolismo familiare, della coppia e della generativit; (c) diverso il nesso tra culture familiari. Un tempo diversi modelli di famiglia (ad esempio legati, come ho detto, a ceti e religioni diverse) convivevano in societ diverse o talora anche entro la stessa societ, ma in mondi sub-culturali diversi, internamente integrati e stabili e per (quasi) senza interscambi reciproci. Ci stato possibile finch la configurazione dello spazio-tempo sociale lo ha consentito: per dirla in breve, fino a che tra societ e tra culture c stato lo spazio (in senso geografico e soprattutto simbolico) sufficiente a mantenere la distanza tra esse14. E oggi queste condizioni vengono a mancare15, per cui gli scambi sono invece intensi e continui; (d) per quanto detto al punto precedente, le diverse forme di famiglia gestiscono oggi la loro diversit nel senso di sviluppare ciascuna una giuridicit sua propria e di richiedere poi riconoscimento costituzionalizzazione nella sfera giuridica e politica pubblica16. I vari modelli di famiglia
13 Come

ricorda ancora PRANDINI 2001. Si veda anche la Conclusione, firmata dal curatore, in DONATI, a cura di, 2001. Questa osservazione , del resto, evidente a ogni studioso che non assuma una prospettiva del tutto pragmatico-funzionalista. Torner sullargomento nel par. 4. 14 Qui viene in conto tra laltro la gerarchia come modalit per generare distanza e quindi spazio sociale. Entro una stessa societ vero che hanno convissuto culture familiari diverse, ma difficilmente senza che la loro contrazione in spazi sociali e simbolici privi di scambi reciproci fosse istituzionalizzata e rigenerata attraverso gerarchizzazioni. E si tratta di una condizione che oggi viene decisamente a mancare. 15 Il che paradossalmente rende assai difficile prendere sul serio le differenze, nel senso di considerarle come costitutive e non come mera espressione superficiale di gusti e preferenze. Su questo tema cfr. SELIGMAN 2002. 16 Secondo una dinamica detta del diritto policontesturale elucidata in vari contributi da TEUBNER (ad esempio 1999). Si vedano anche i saggi raccolti in MACCARINI, a cura di, 1999, soprattutto quello del curatore e quello firmato dallo stesso Teubner. Si veda inoltre, circa la soggettivizzazione del diritto, il volume a cura di MACCARINI e PRANDINI, 2001, in cui segnalo soprattutto il contributo di N. Luhmann e quello di Bortolini e Prandini. Per una visione del problema specificamente applicata alla famiglia si veda PRANDINI 2001; si trovano considerazioni interessanti anche in ALLERT (1998), che esamina come sul piano empirico e del vissuto esistenziale delle famiglie vengano esperite ed elaborate queste grandi transizioni. Non approfondisco oltre questo tema, in quanto lobiettivo di questo scritto non quello di affrontare il problema specifico della relazione tra famiglia e diritto.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

richiedono dunque inclusione e in tal modo gestiscono la loro co-esistenza in una sfera pubblica e in un complesso della cittadinanza che viene perci sottoposto a tensioni senza precedenti. Tutto questo rende il fenomeno della pluralizzazione dei modelli familiari nuovo ed estremamente complesso. Come tale esso va compreso. In questo breve contributo mi propongo di metterne in luce alcuni possibili effetti e probabili conseguenze da un punto di vista specifico: quello della capacit di umanizzazione della persona che una societ sia in grado di esprimere, e di ci che la famiglia conta per tale capacit. I passi successivi attraverso cui procede largomentazione sono i seguenti. Nel par. 2 sottolineo alcuni dei maggiori condizionamenti a cui la dinamica della pluralizzazione dei modelli familiari risponde. Nel par. 3 mi concentro sulla forma peculiare che tale dinamica sta assumendo, specialmente in Italia e in Europa, mostrando che essa anche il risultato di spinte e di energie socio-culturali autonome, oltre che del condizionamento strutturale proveniente da altre sfere della societ. Infine, nel par. 4 discuto brevemente la portata simbolica del mutamento in atto, tentando dindicare perch e come sia possibile e necessario non confondere stili di vita e forme di relazioni primarie diverse. Questa, in ultima analisi, la domanda di sfondo che percorre queste pagine e che costituisce lo stimolo peculiare di queste riflessioni.

2. I condizionamenti strutturali
Il carattere di novit del fenomeno della pluralizzazione dei modelli familiari in parte il risultato di spinte provenienti dallesterno della sfera propriamente familiare e che rimandano ad altri sottosistemi della societ. Per brevit mi limito a esporre alcuni tratti del sistema economico e del sistema politico-amministrativo, in quanto questo realizza e definisce giuridicamente il complesso della cittadinanza, che contribuiscono alla morfogenesi familiare. Nel pensiero critico come nelle teorie sociologiche sul capitalismo avanzato sta diventando di moda definire il sistema economico contemporaneo come una macchina celibe che si avvita su s stessa. Questa definizione si usa di solito per riferirsi al capitalismo finanziario, cio allo stadio di sviluppo del sottosistema economico della societ globalizzante che pone al centro non pi la struttura produttiva (e quindi la nota sequenza produzione-distribuzione-consumo), bens il denaro e i pagamenti, respingendo la dimensione produttiva nella periferia del sistema stesso17. Nella semantica critica questo stadio di sviluppo si caratterizza poi per essere non produttivo (non fecondo), ma puramente speculativo e viziosamente circolare: fare soldi con i soldi, creando bolle speculative di irrealt economica.
17 Per

una visione sistemica di questo tema cfr. LUHMANN 1988.

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Chi descrive il sistema economico contemporaneo in questo modo non coglie, di solito, unaltra valenza possibile della sua stessa formulazione. Il capitalismo avanzato, e soprattutto le forme di vita sociale che sembrano essergli pi intrinseche, tende a escludere la pratica e lidea stessa della famiglia, nel senso che chi vuole vivere e lavorare nel cuore dellimpero chi vuole diventare un membro dei quadri manageriali dirigenti delle grandi organizzazioni del capitalismo internazionale deve assumere uno stile di vita che sia congeniale e perfettamente adattato al sistema. E ci oggi implica mostrare una totale flessibilit e assumere un set di orientamenti simbolici, cognitivi e relazionali, che collidono con quelli richiesti da una progettualit familiare. Essere completamente flessibili, liberi, impiegabili, disponibili comporta vivere in uno spazio-tempo sociale di pura contingenza, nel quale dunque non c posto per la famiglia. Capitalismo e famiglia tendono a parlare due linguaggi reciprocamente incomprensibili. Se le cose stanno cos, il sistema economico contemporaneo tende a diventare una macchina un meccanismo sociale che celibe in due sensi: perch sterilizza o marginalizza le relazioni familiari e perch chi la guida deve18 fare scelte di vita non-familiari. Com noto, non sempre stato cos. In realt, in altre fasi del suo sviluppo il capitalismo stato strettamente embricato con forme familiari particolari, o almeno con modelli generali di vita familiare. In ogni caso, lungi dallescludere la realt familiare, il capitalismo classico (dei secoli XIX e XX, fino alle crisi degli anni Sessanta-Settanta) si alimentato per certi versi alle stesse fonti simboliche della famiglia. Bisogna allora comprendere meglio per quali vie la morfogenesi complessa delle strutture, culture e gruppi economici e familiari arriva oggi a produrre questa contrapposizione, che difficilmente si pu definire originaria. Esaminiamo allora pi analiticamente lidea della reciproca incomprensibilit dei linguaggi e incompatibilit dei tempi sociali e della costellazione simbolica relativa tra sfera familiare e sfera economica. I tratti socioculturali del sottosistema economico che spingono verso la dissolvenza della famiglia in molteplici stili di vita altamente individualizzati e contingenti sono sostanzialmente i seguenti due: Il processo di globalizzazione implica, come uno dei suoi tratti fondamentali, una tendenziale mercificazione delle relazioni sociali, che si esprime nel fatto che relazioni sociali entro le sfere pi diverse vengono pensate e strutturate secondo il paradigma del consumo. In questo quadro anche le relazioni familiari e/o di coppia assumono evidentemente la tonalit della pura gratificazione individuale, consumatoria appunto.
18 Con

deve non intendo qui assumere una posizione deterministica. Intendo per che agire contro questa pressione, questo condizionamento strutturale, comporta un reale sforzo e sacrificio, dintensit variabile. Per una chiarificazione di questo modo dintendere il condizionamento strutturale rimando ancora ad ARCHER 1997, che presenta una spiegazione in buona parte condivisibile bench a mio avviso parziale della questione.

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Inoltre, un mondo che cambia rapidamente lascia intendere di essere intrinsecamente instabile e costruito. Una societ flessibile e rischiosa comporta una complessit di problemi e identit impossibile da gestire per il puro individuo o per la singola organizzazione. Invece di creare organizzazioni sempre pi grandi, si fa strada la strategia dellaffrontare i nuovi problemi attraverso reti sempre pi flessibili. Per esempio, una certa situazione pu rendere necessario e utile per due imprese lavorare insieme perch, supponiamo, possiedono competenze e vantaggi reciprocamente utili anche se sino al giorno prima sono state rivali. La capacit di cooperazione diventa dunque sempre pi una necessit. Lavorare in questo mondo implica entrare a contatto con cose, fenomeni e soggetti diversi, e le competenze e capacit da apprendere sono di conseguenza capacit cooperative: per esempio, come fidarsi degli ex concorrenti e come competere con gli ex partner; come creare e gestire gruppi legati a determinati progetti; e cos via. Al tempo stesso, gestire processi complessi in questa societ richiede la capacit dintrecciare, aprire e allargare continuamente le reti che consentono di gestire i problemi e di risolverli. Si badi: non si tratta qui di una semplice capacit tecnica in pi: nella flessibilit, disponibilit, flessibilit e apertura comunicativa a ogni apprendimento, le personalit che eccellono in questa configurazione delleconomia e del lavoro manifestano lidea che la societ ha della propria perfezione, e delle prove attraverso le quali essa pu stabilire gerarchie coerenti con il proprio ideale. La complessit di cui ho appena detto configura la societ per questi obiettivi e da questo punto di vista come una sorta di citt dei progetti. In essa, labilit richiesta consiste appunto nellessere uomo delle reti e perci collaborativo, flessibile, aperto, comunicativo, disponibile a intrecciare sempre nuove relazioni, a entrare e uscire da cerchie sociali diverse nel dovuto tempo e luogo. Le reti vanno poi impiegate come unit di problem solving ad assetto variabile, utili per gestire i progetti dellazienda. Ogni chiusura rappresenta un mancato apprendimento e unoccasione perduta per ampliare la propria rete19. Ora, questa specifica valorizzazione del consumo e della reticolarit ha un risvolto univoco per quanto riguarda le pratiche e le semantiche della famiglia. Esso spinge cio verso lo sviluppo di personalit estremamente flessibili, disponibili a sempre nuovi relazionamenti ma anche perci stesso costitutivamente indisponibili al radicamento e al vincolo.
19 Lidea

di perfezione di una societ, in quanto si esprime nel matrimonio, evocata anche da DUBY (1983), opportunamente citato e commentato da PRANDINI (2001, p. 448), il quale lo usa precisamente per illustrare lideale di perfezione pragmatico-funzionalista della societ contemporanea e il modo in cui esso costruisce e de-costruisce, simbolizza e de-simbolizza le relazioni familiari. Torner su questo punto cruciale nel par. 4. Qui minteressa osservare che tale ideale di perfezione formulato nella vita privata ha un corrispettivo n derivato n prioritario nella sfera economica e del lavoro. Per questa idea e per il concetto di citt dei progetti si veda BOLTANSKI e CHIAPELLO 1999. I diversi regimi simbolici, ciascuno con una sua economia della grandezza cio unidea di perfezione e specifiche prove per misurarla, compaiono in BOLTANSKI e THVENOT (1991).

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Le reti di cui si tratta qui non sono dunque, naturalmente, quelle reti locali, di parentela, amicizia o vicinato, che estendono e sostengono la sfera della familiarit in una societ relazionale, come la migliore teoria e ricerca sociologica ha da tempo messo in luce. Questultimo tipo di reti non scompare, anzi si ri-genera laddove pu nei mondi vitali locali (Donati 1998; 2001). Esso per affiancato da reti globali, strutturalmente e culturalmente orientate a un grado molto elevato di contingenza delle relazioni che le costituiscono. Il complesso della cittadinanza si venuto articolando, in Europa, come una lunga marcia verso la soggettivizzazione del diritto e una relativa neutralizzazione della sfera pubblica e della cittadinanza stessa. Non questa la sede per svolgere in modo anche minimamente esauriente questo tema, n per esaminare lestesissima letteratura esistente in merito, su molteplici versanti giuridici, filosofici e scientifico-sociali. Mi limito qui a riassumerne alcune coordinate elementari, evidenziandone gli effetti sulle dinamiche familiari. Per ragioni complesse, entro i sistemi di welfare europei a cui il complesso dei diritti di cittadinanza strettamente connesso si da tempo manifestato lemergere di una tendenza di lungo periodo vero lautonomia di ogni sfera sociale. Questa tendenza autonomistica ha in s valenze molteplici e anche opposte tra loro, dal punto di vista dellassetto storico-sociale a cui potrebbe approdare. Essa comunque mette in crisi le categorie classiche con cui il Novecento ha pensato e praticato la cittadinanza, come complesso di diritti-doveri giuridico-politico legato allo Stato-nazione e integrato (e ri-generato) da un orizzonte simbolico universalistico relativamente condiviso e capace di trascendere ogni appartenenza particolaristica (religiosa, familiare, culturale, etnica, o altro)20. In ogni sottosistema della societ, questi mondi sociali autonomi, intessuti dinteressi e identit differenti, avanzano ciascuno le proprie pretese, richiedendo che siano trattate come diritti. In altre parole, esigono sempre pi che il complesso della cittadinanza riconosca sempre pi identit e interessi e li includa nel suo sistema di diritti, rendendo questultimo in-differente alle differenze che vengono incluse.
20 Come

esemplificazione di due visioni analoghe, eppure anche profondamente divergenti, della tendenza in questione si vedano DONATI (2000) e TEUBNER (1999). La prima esplora uno scenario in cui la societ delle autonomie d luogo a un assetto istituzionale che mantiene un certo grado di coordinamento in termini di bene comune e una certa capacit di selezione eticamente qualificata tra sfere sociali autonome (dunque anche tra i loro diritti). La seconda presenta invece un pluriverso sociale in cui il coordinamento e la stabilizzazione di assetti istituzionali si fonda essenzialmente su selezioni tecniche e sullo strumento del contratto, sia pure ri-definito in modo tale da saper gestire una complessit sociale e uninterconnessione tra sfere sociali che costituiscono mondi simbolici tra loro irriducibili, cio in stato di policontesturalit. Per policontesturalit sintende la situazione in cui la struttura di una societ non pu pi essere colta attraverso una singola distinzione binaria (ad esempio pubblico/privato), ma rimanda a una pluralit di prospettive di auto-descrizione e auto-osservazione, ciascuna dotata di una sua logica e irriducibile alle altre. Rimando alla precedente nota 18 per altri riferimenti in merito.

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Quanto al rapporto di queste sfere sociali autonome col diritto, il problema viene tendenzialmente risolto ripensando il diritto stesso soprattutto il diritto privato per riferimento alle varie autonomie della societ civile (soprattutto nelle sfere non economiche), in modo da rispondere alle loro diverse razionalit. La teoria deve orientarsi a quegli approcci che sottolineano laspetto dellautoorganizzazione spontanea, della posizione autonoma di confini, e lemergenza di forme di normativit originaria entro i diversi campi sociali (Habermas 1996; Luhmann 1993; Walzer 1987). Il diritto privato dovrebbe riflettere la razionalit interna di ciascuna sfera autonoma, frammentandosi; emergerebbero dunque tanti campi di diritto privato speciale quante sono le forme autonome che esprimono una loro produzione normativa spontanea, che richiede poi di essere riconosciuta come base sulla quale contrattare, cio regolare i propri rapporti con altre autonomie sociali e con le pubbliche amministrazioni. Tale produzione normativa tra laltro porta il diritto verso una configurazione non gerarchica. La differenziazione va, infatti, presa sul serio. Lidea di un meta-discorso, di unidea regolativa universale, incontra lincommensurabilit tra i discorsi. C chi tenta di combinare lidea di giurisdizioni mutualmente esclusive (aree di competenza giurisdizionale diverse per diversi territori simbolici) e quella di un super-discorso moralelegale (meta-livello di procedure e criteri universalizzabili per risolvere i conflitti di giurisdizione) (Walzer 1987; Habermas 1996). Tali soluzioni, per quanto raffinate, debbono fare i conti con la co-originariet dei diversi discorsi, logiche, pratiche argomentative. Applicato alla famiglia, ci comporta una radicale contrattualizzazione del diritto di famiglia (Pocar e Ronfani 1998) e una pluralizzazione che rispecchi le diverse forme e modi di essere famiglia decise dai soggetti. A ogni famiglia il suo diritto, a ogni diritto la sua famiglia21. Quello presentato uno scenario in cui la societ attraverso il suo sistema giuridico e il complesso della cittadinanza risponde alla tendenza autonomistica rendendosi indifferente alle forme assunte dalla famiglia, e finisce per confondere tra loro tipi di relazioni primarie diversi22. Al di l di ogni possibile giudizio di valore, in letteratura si fatto osservare che emergono in questo scenario due grandi ordini di problemi: (a) questioni di equit; nel confondere stili di vita e relazioni primarie diverse il complesso della cittadinanza non attinge neppure a unautentica neutralit, ma finisce per privilegiare alcune forme sulle altre. Se spingesse la neutralit sino in fondo, incontrerebbe poi una serie di problemi anche relativi ai diritti individuali di eguaglianza e libert;
21 Per

dirla con PRANDINI (2001), a cui rimando per una recente e raffinata trattazione del rapporto tra famiglia e diritto, in cui si mettono bene in luce, tra laltro, i problemi a cui accenno qui di seguito. 22 Si noti ci che implica questa formulazione: sotto questo profilo la dinamica di pluralizzazione parte dalla famiglia stessa, ma viene confermata, rilanciata e configurata in forme determinate dallassetto politico-giuridico. A ci si legano anche effetti corrispondenti.

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(b) leffetto congiunto delle spinte provenienti dallasse Stato-mercato quello di una (tendenziale) de-simbolizzazione e funzionalizzazione delle relazioni umane, specificamente di quelle intime e familiari. Di questo parleremo tra breve (par. 4), come del problema pi radicale che si pone nellorizzonte della pluralizzazione e che sancisce probabilmente una vera e propria crisi di civilt, per molti versi senza precedenti.

3. Dove e come si pluralizza la famiglia


La famiglia esprime oggi una sua dinamica, in parte indotta e incanalata dalle interconnessioni con gli altri sottosistemi della societ (soprattutto lo Stato e il mercato) e in parte endogena e originaria. Indubbiamente oggi, come ricorda Donati (2001)23, si assiste a un duplice fenomeno: (a) si approfondiscono e variano le ragioni del fare famiglia, e ci sposta gli orizzonti del progetto e i suoi confini; (b) la famiglia si espande nelle funzioni e implicazioni. A questo approfondimento ed espansione fa riscontro la pluralizzazione degli arrangiamenti e delle forme di vita familiare. Tale fenomeno si rispecchia nei dati statistici, che normalmente evidenziano lemergere e lincremento numerico (i) dei fallimenti a carico delle famiglie tradizionali (coniugali) e (ii) del diffondersi di modalit altre di convivenza e di pratica della coppia e della familiarit. La critica sociologica pi avvertita ha messo in luce come questi risultati, bench apparentemente inappuntabili sul piano tecnico, manchino spesso di un approccio sociologico adeguato a svilupparne interpretazioni istruttive. la teoria che decide che cosa si pu osservare e soprattutto che cosa davvero significhi ci che si osservato. In particolare, si fa notare che i dati sono per lo pi organizzati e letti secondo un criterio meramente tipologico e per cos dire statico. Si dice: oggi un certo numero di persone vivono in un certo tipo di convivenza, altre in un matrimonio, altre ancora da single, eccetera. Queste sono pi di quelle, e oggi pi di ieri. Ci vero, ma dice ancora poco sul senso che i soggetti attribuiscono a tutte queste situazioni di vita in cui si trovano. Una semplice distinzione pu servire a esemplificare ci che intendo dire. La pluralizzazione pu assumere fondamentalmente due diversi significati: (a) pu derivare dallemergere di modalit nuove di pensare e praticare il complesso nodo dellalleanza tra i sessi e le generazioni, che unesi23 Oltre

al contributo firmato da questo autore, si vedano i dati statistici riportati nel volume da lui curato (2001). Nella mia esposizione del par. 3 seguo fondamentalmente la sua impostazione del problema e tralascio di commentare puntualmente i dati. Alle statistiche ivi citate nellappendice e nel commento puntuale di alcuni capitoli rimando chi volesse dei riferimenti numerici precisi.

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genza basilare di ogni societ e che ogni societ umana storicamente conosciuta ha stabilizzato e organizzato attraverso listituzione della famiglia. Le lealt profonde che si creano e che connettono i soggetti lungo lasse della differenza di gender e lungo la linea genealogica possono essere oggetto di trasformazioni e innovazioni, nel vissuto soggettivo e come simboli culturalmente condivisi. Aggiungiamo poi che nessuna societ ha mai lasciato questo denso intreccio di lealt, legami e vissuti soggettivi privo di una regolazione anche pubblica24, percependone la crucialit per la propria stessa sopravvivenza materiale, oltre che sul piano dellidentit. (b) Pu essere invece il risultato di rotture, disagi, tensioni, incapacit. Pu essere cio lesito di una fragilit psicologica e relazionale, di uninstabilit, situata negli individui e/o nelle loro relazioni, oltre che naturalmente nel contesto societario, che li rende incapaci di esperire e progettare la propria vita entro lorizzonte di relazioni familiari durature25. Ora, difficile negare la rilevanza di questa distinzione. Nel primo caso si tratta di una trasformazione della famiglia, nel secondo di una sua patologizzazione. Nel primo caso si tratta di comprendere e spiegare a quali esigenze e progettualit, individuali e collettive, risponda una certa evoluzione della famiglia, quali nuovi bisogni esprima e in che modo rinnovi lintreccio tra i sessi e tra le generazioni, e naturalmente con quali probabili conseguenze (per le personalit e per la societ). Nel secondo caso il problema semmai quello di capire perch fare famiglia diventi unimpresa sempre pi improbabile, quali siano gli ostacoli che finiscono per prevalere sui bisogni e i progetti degli individui e li costringono ad arrangiamenti di vita che hanno il senso delladattamento a situazioni divenute non sostenibili, che sono cio la presa datto di un fallimento piuttosto che uninnovazione culturale o una svolta progettuale nella cultura familiare della societ. Ed evidente che una lettura statica e meramente tipologica dei dati empirici oscura e confonde invece completamente questa differenza. Alla luce di queste considerazioni, possiamo osservare che la situazione italiana presenta attualmente una grande maggioranza di famiglie normo-costituite oppure di arrangiamenti single, single con figli, vedovi/e, coppie ricostituite che sono decisamente il risultato di fallimenti. Appare insomma del tutto minoritaria quella parte di popolazione che esprime un progetto di vita di coppia e di famiglia realmente diverso, al di l del necessario adattamento a un fallimento esistenziale, come ci che vuole davvero. Questa affermazione modifica evidentemente unimmagine mediatica diffusa. La famiglia tradizionale (e qui ovviamente la terminologia combatte la sua bat24 Qualunque

cosa ci volesse dire a seconda dellepoca e della formazione storico-sociale di riferimento. 25 Si tratta della distinzione che DONATI (2001) formula come differenza tra pluralizzazione fisiologica e patologica.

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taglia simbolica) non sta affatto scomparendo per lasciare il campo a progetti e stili di vita pi moderni, a meno che per modernit non sintenda semplicemente lincapacit a stringere legami durevoli, il che poi difficilmente potrebbe essere valorizzato come emancipazione. Bisogna per diffidare, allo stesso modo, delle visioni che si affidano troppo a questa evidenza empirica, la cui interpretazione deve tenere conto di alcuni elementi aggiuntivi. Anzitutto, in linea generale, tende a diffondersi la pratica (e lideale) della coppia che si costituisce a piccoli passi26, cio che incorpora un alto livello di autonomia e gradualit nel tempo di ogni singola decisione. come se il fare famiglia diventasse un processo che articola (e a volte spezza) nelle sue singole componenti un complesso di orientamenti, decisioni, atti che una volta erano del tutto solidali e comparivano in modo pi o meno simultaneo: avere rapporti sessuali, mettersi insieme, convivere, sposarsi, avere figli diventano decisioni distinte e fasi distinte del corso di vita familiare, con un certo grado di contingenza tra le une e le altre. Ci vuol dire non solo che ci che era simultaneo viene proiettato nella successione temporale, ma anche che non mai detto definitivamente che da una fase si passi automaticamente ad unaltra, e quando, e se ci possa avvenire al primo tentativo o dopo una serie di prove ed errori con partner diversi. Il matrimonio suggella pi che fondare la famiglia, rappresentando lapprodo di un cammino e non il suo inizio. Se questo pu ancora dirsi un orientamento che approda al matrimonio, seppure attraverso una via pi indiretta e tortuosa, indubbio che qui non siamo di fronte semplicemente a un problema di adattamenti al fallimento, ma a un modo nuovo di costruire la coppia e la famiglia. E che esso modifica indubbiamente i vissuti e il valore simbolico dei vari momenti in questione. Inoltre, nella maggior parte dei Paesi europei le cose vanno diversamente. Cio a dire: rimane vero che le coppie che prima o poi si sposano rappresentano ancora la maggioranza; va detto anche che le coppie che si risposano sono un numero assai rilevante, e ci indica che pur nella maggiore contingenza e nella maggiore probabilit del fallimento il matrimonio rimane una prospettiva progettuale importante per la maggior parte della popolazione. Ma al tempo stesso le percentuali di coloro che per scelta propria vivono stili di vita diversi convivenze more uxorio, unioni libere con il pi vario grado di stabilit e di orientamento alla generativit, convivenze omosessuali27 sono estremamente pi elevate e in continuo incremento. Ancora: tutte le tendenze di cui abbiamo detto sono assai pi diffuse tra i giovani. Ci lascia pensare che il futuro porter almeno sul medio periodo un
26 Riprendo

questa formulazione da un noto contributo di J.C. Kaufmann. Per un approccio sistematico al tema della coppia si veda KAUFMANN 1996. 27 Non affronto qui in tutta la sua gamma di complessit la questione terminologica, che ci porterebbe a moltiplicare i segni linguistici e a discuterli uno per uno, riconducendoli a diverse matrici culturali e riferimenti empirici.

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intensificarsi di tutte le dinamiche di pluralizzazione (patologiche e non) a cui ho accennato28. Infine, anche laddove la pratica rimane fondamentalmente ancorata alla tradizione, lo sfondamento culturale spesso gi avvenuto sul piano della legittimazione, ancora una volta soprattutto tra i giovani. Per dirla semplicemente: un giovane italiano anche quando privo di unidentit religiosa o culturale forte difficilmente non si sposa. Ma altrettanto difficile che concordi con lidea che una coppia di fatto o una coppia omosessuale non possono essere una famiglia. E se s, difficilmente sa dire il perch. Se passiamo ai giovani di altri Paesi europei, questa tesi trova conferme ancora pi radicali. impossibile non vedere in queste tendenze una reale mutazione29 dellessere e del fare famiglia, al di l di eventi che si possono chiamare in prima battuta patologici. Si pu certamente sostenere che siamo di fronte a una sorta di big bang degli stili di vita, che crea mondi familiari e non. Questa visione30 ha molti pregi, tra cui ne riassumo tre: (a) Quello di opporsi allevoluzionismo lineare, mostrando come la morfogenesi della famiglia generi creativamente una complessit non unidirezionale e non solo, n prevalentemente orientata allestinzione; (b) Quello di sottolineare che esiste un unico genoma della famiglia, di cui si danno variazioni, e che si danno inoltre stili di vita che sono solo metaforicamente familiari, in quanto si sono sviluppati a partire da e per riferimento (anche per contrapposizione) a quel densissimo nucleo simbolico e relazionale che la famiglia, intesa come relazione di piena reciprocit che regola lalleanza tra i sessi e tra le generazioni; (c) Quello di saper vedere che la pluralizzazione degli stili di vita comporta una de-differenziazione31, ma anche nuove ri-distinzioni tra relazioni pro28 Non

discuto qui il problema che possa trattarsi di un effetto di generazione o di un effetto di coorte; in parole povere: se si tratti di orientamenti che le nuove generazioni acquisiscono in modo definitivo o se invece li caratterizzino in quanto generazione dei giovani, e che sono poi destinati a evolversi in un senso pi tradizionalista con la maturit e linvecchiamento. La questione rimane complessivamente impregiudicata. Mi limito per a unosservazione: questultima ipotesi, se pu avere una sua validit e una sua rispondenza empirica nella sfera dei valori e degli orientamenti politici (chi non ha mai sentito la storiella secondo cui chi non comunista a ventanni non ha cuore e chi lo ancora a cinquantanni non ha testa?!), mi pare difficilmente trasponibile nella sfera familiare. Anche perch, seppure cos fosse, leffetto sarebbe comunque assai diverso. Una persona che cambia idea sulla famiglia a una certa et non deve semplicemente cambiare tessera di partito o fedelt elettorale, anche perch leffetto di ci che ha costruito nella sfera della familiarit di solito ben altrimenti concreto e rigido alle modifiche intenzionali, e dunque forte sulla struttura della societ (per esempio, ma non solo, a livello demografico). 29 Spiegher poi (par. 4) perch impiego qui il termine mutazione, invece di dire semplicemente cambiamento o trasformazione. 30 Che riprendo ancora da DONATI (2001). 31 Nel senso che cadono alcuni confini simbolici tra ci che famiglia e ci che non lo . Tutto pretende di essere chiamato famiglia, allo stesso modo.

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priamente familiari e altre relazioni primarie di convivenza, di diversa natura sociale (a cui deve conseguire una diversa regolazione normativa). In ogni remota parte delluniverso fisico, tuttavia, sono presenti le stesse forze e valgono le stesse leggi. Si tratta invece di comprendere se il big bang delle forme di relazioni intime e la diffusione di determinati stili di vita, lontani dal nucleo simbolico originario della famiglia, non introduca differenze inconciliabili, mutazioni e catastrofi (in senso fisico) del sistema che vanno oltre la sua sola complessificazione. Comunque sia, a fronte di questa morfogenesi appare chiara tutta linadeguatezza di due visioni opposte: (i) non si pu limitarsi a dire che il matrimonio rimane un orizzonte per quanto percepito come remoto e irraggiungibile che definisce il progetto di vita delle popolazioni europee, e che una serie di condizionamenti societari lo rende pi difficile, lasciandone per la nostalgia; (ii) appare terribilmente semplicistico dire che la pluralizzazione deriva dal fatto che non si pu pi normare lamore32. Appare chiaro infatti: (a) che la morfogenesi della famiglia ben altrimenti complessa e non guidata dalla sola forza della spinta allautorealizzazione espressiva; (b) che in questa morfogenesi entrano molti elementi e non solo il puro amore, come sopra definito, e a volte sono proprio questi elementi che lo condizionano; (c) e infine, ci che pi conta, che lamore non un simbolo trasparente, univoco e spoglio di altri significati che trascendano la gratificazione del puro individuo. In molte semantiche, che non possono essere semplicemente date per scontate o negate come superate, in molti vissuti, che ancor meno possono essere definiti arbitrariamente inautentici, lamore stesso contempla e rimanda a un orizzonte temporale e normativo stabile, mentre linstabilizzazione viene vissuta come una rottura dellamore singolarmente dolorosa ( inutile negarlo) anche per chi non ne condivide una rappresentazione simbolica massimamente ricca ed esigente, o non ne consapevole e non la sua realizzazione. Se le cose stanno cos, occorre focalizzare la nostra discussione sulle tendenze pi radicali e che pi problematizzano la forma-famiglia, senza banalizzarne gli esiti e senza dare per scontato che si tratti di patologie. Siamo invece probabilmente di fronte a una svolta di civilt che definire crisi sfiora leufemismo rispetto alla quale necessario saper porre le distinzioni giuste.

32 Come

talora si fa laddove si prenda lamore romantico irrelato ad altre dimensioni come unico fondamento simbolico delle relazioni familiari e lo si contrapponga a qualunque normativit, irrimediabilmente eteronoma.

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4. Lumano e il familiare dopo la modernit. De-simbolizzazioni e risimbolizzazioni


Per sintetizzare, ho chiarito come il fenomeno della pluralizzazione si presenti nella realt effettuale come un fenomeno complesso, che porta in diverse direzioni e che presagisce a diverse conseguenze. Esso non pu essere ridotto a unevoluzione lineare che dissolve la famiglia come le nostre societ lhanno storicamente conosciuta (e regolata), n pu essere agevolmente ricondotto a unit, con unoperazione di contenimento simbolico sempre pi precaria, perch bisogna comprendere insieme sia la rielaborazione delle reciprocit familiari, sia la loro rottura, sia ancora mutazioni di pi vasta portata. Pi che promuovere la pluralizzazione, o al contrario pensare al contenimento, alla difesa, e strategie simili, tanto chi percepisce la pluralizzazione della famiglia come foriera di una crisi di civilt quanto chi ritiene positiva la trasformazione in corso, e intende dare un ordine alla nuova costellazione societaria che sorge da tale nuova multiformit, deve impegnarsi in unaltra direzione. Si tratta di sviluppare ed esplicitare distinzioni e linee dindagine (teorica ed empirica) sino a oggi rimaste latenti, e che ora emergono al pensiero riflesso proprio perch sono messe in discussione, perch una cultura emergente in Occidente rende sempre pi indifferenti i confini che le definiscono. Ed con questa cultura che bisogna confrontarsi. Certo, lungo questo filo evolutivo sincontrano fenomeni senzaltro differenti, come ad esempio le unioni libere eterosessuali e le unioni tra persone dello stesso sesso. Ma necessario cogliere sia le differenze, sia le analogie tra queste forme e stili di vita. utile a questo punto distinguere, per poi connettere, due filoni del discorso. (a) evidente che le cosiddette convivenze more uxorio, le unioni libere, eccetera, finch mantengono la distinzione tra i sessi nella coppia, rimangono per cos dire alla superficie del problema. Certo, la loro situazione non esente da paradossi. Spesso ad esempio si ricorda come sia assurdo voler a tutti i costi definire famiglia e garantire tutela giuridica conseguente a individui che per loro scelta decidono di vivere in un altro modo. Ci senzaltro vero, e porta a concludere che paradossalmente una configurazione apparentemente neutrale del rapporto tra famiglia e societ (specialmente tra famiglia e sfera pubblica, tra famiglia e complesso della cittadinanza) corrisponda a una realt in cui niente possa pi rimanere fuori dal diritto. Ma il problema pi complesso. La logica della soggettivizzazione del diritto consente agli individui di entrare e uscire liberamente dalle relazioni che essi stessi hanno costruito, e che in momenti successivi della loro vita possono percepire come vincoli alla loro libert e allo sviluppo della propria personalit come pura autorealizzazione. Le politiche familiari dovrebbero anzi, in questa prospettiva, essere mirate a rendere il pi facile e indolore possibile ognuno di questi passaggi, entrate e uscite, accrescendo la flessibilit. Il punto non , naturalmente, che invece si debba (chiss perch) far soffrire gli individui il pi possibile; il punto che abbandonare la famiglia a scelte puramente private crea
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poi instabilit sociale e problemi di equit, che la societ deve poi gestire allentando il controllo sulla coppia e accrescendolo sulle relazioni di filiazione e sul patrimonio, con ci incorrendo in problemi di vario tipo. Per esempio: fare appello alla responsabilit e contestualmente sganciare le lealt coniugali da quelle generazionali significa costruire la responsabilit in un modo paradossale e altamente improbabile e non si realizza comunque lequit sociale33. Ma in definitiva tutto ci rimane entro confini simbolici gestibili, per quanto precari. In ogni caso, il problema che si pone qui la divergenza tra individualit e un qualche riferimento di bene comune. (b) Laddove si entra nel campo delle unioni omosessuali, il cambiamento diventa mutazione. Ci troviamo allora nel luogo simbolico in cui la societ tende ad annullare i confini del familiare, in quanto rende indifferente anche la differenza sessuale. Con ci anche distinzioni come coppia/non coppia perdono di significato. E questo significa disancorare le individualit pure non solo dal riferimento a un bene comune, ma anche a un qualunque ordine simbolico. Questa anche la ragione ultima per cui il cosiddetto paradigma della cura non pu risolvere il problema. Esso implica che la cura sia ci che conta e che la famiglia come forma sociale determinata sia sostituibile, sia solo la forma sociale che le societ hanno usato per un certo tempo per garantire la cura, la quale ci che veramente importa. Non sostengo che esso non abbia una sua probabilit descrittiva: potrebbe essere quel che resta possibile in condizioni di iper-modernit. Dico per che esso non risulta convincente nel proporre un adeguato equivalente funzionale della famiglia. Il punto infatti che la differenza tra i sessi viene costruita simbolicamente non soltanto, n prevalentemente per ragioni di potere o di mera divisione del lavoro sociale, ma per ragioni antropologiche profonde, che in ultima analisi consistono nel riconoscere la finitudine di ciascun sesso e quindi il bisogno dellaltro affinch lumanit viva e si rigeneri (Prandini 2001, p. 455). Nessuna societ cos si dice pu rinunciare al simbolismo della filiazione e della generativit. Chi argomenta in questo modo sottolinea giustamente che una de-costruzione portata oltre questo limite comporterebbe una svolta antropologica di portata epocale, in cui una matrice simbolica che ha accompagnato tutte le societ umane storicamente esistite viene distrutta. Nondimeno, questa de-costruzione possibile, e per molti versi un esperimento culturale concretamente in atto. E de-costruire questo ordine simbolico non tocca dunque soltanto questioni di equit sociale, che sono assai serie, ma che da questo punto di vista appaiono un affare piuttosto superficiale. Il problema diventa il carattere propriamente
33 Per

motivi complessi, che non posso qui approfondire. Mi limito a formulare in termini generali il problema di fondo di tutte queste operazioni: ovvio che non intendo nemmeno lontanamente sostenere che qualcuno possa semplicemente uscire dalle sue relazioni coniugali, con ci stesso rimanendo libero anche dalle responsabilit inter-generazionali. Ma il fatto che la disconnessione tra relazioni di coppia e relazioni di filiazione comunque fittizia. Operando sulle une si toccano comunque anche le altre, producendo paradossi, iniquit e squilibri di vario genere.

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umano della famiglia e della societ. Il problema della definizione della famiglia oggi, per noi europei, passa di qui: il nocciolo della questione consiste nel riorganizzare le relazioni intime in modo da ricostruire un patto e unalleanza capaci di generare relazioni positive al fine di umanizzare la persona. Ma naturalmente il criterio di ci che umanizzante precisamente il problema. Ho sottolineato le differenze tra due ambiti della fenomenologia empirica, due rami del problema della pluralizzazione delle forme familiari. Essi implicano, certo, valenze distinte; hanno per anche qualcosa in comune. Precisamente, fanno parte di ununica sindrome culturale post-moderna, che non qualifica interamente unepoca, ma ne rappresenta la sfida. Entrambi i fenomeni, infatti, nella purezza della loro logica assumono come valore ultimo ladattamento funzionale alla complessit e lutilizzo di qualsivoglia risorsa a fini pragmatici. Le relazioni sociali, e specificamente quelle familiari, vengono cos radicalmente desimbolizzate, e ridotte alla mera fattualit34. Spetta agli individui costruire relazioni e forme di vita sociale chessi chiamano familiari, e nessuna autorit superiore pu avanzare le sue definizioni contro questo potere. Non c nulla al di sopra della societ, neppure la scienza sociale35. famiglia ci che funziona come famiglia, e lo finch funziona. Replicare che la societ ha sempre caricato simbolicamente ogni relazione rilevante, e sicuramente quelle familiari, assolutamente corretto, ma si scontra con il processo di neutralizzazione di cui ho parlato. Va comunque ricordato che questa de-simbolizzazione e lemergere di questa semantica pragmatico-funzionalista della famiglia e delle relazioni familiari non risponde solo agli interessi di un gruppo sociale litario e illuminato, che punta a gestire tecnocraticamente e utilitaristicamente la societ, ma a quelli di un patto tra queste lites e gli individui (quasi) completamente individualizzati. Linteresse cio non quello di una parte sola, ma risulta da unalleanza, o meglio da un nodo dinteressi che sono legati tra loro in modo necessario36. Si pu, dunque, interpretare la dinamica in corso come de-simbolizzazione. C per laltra faccia della luna, che non dobbiamo dimenticare. La mia tesi che la suddetta de-simbolizzazione proceda di pari passo con una ri-simbolizzazione, la quale non si limita a de-costruire pragmaticamente le relazioni familiari in quanto portatrici di esigenze e radicamenti antropologici, ma trasforma simbolicamente le nostre rappresentazioni dellumano. Per spiegare quale sia lo scenario a cui alludo vorrei analizzare la transizione
34 Il

riferimento va ancora a PRANDINI (2001), con cui concordo pienamente su questa interpretazione. 35 La quale, ironicamente, assume spesso paradigmi che contribuiscono a questo auto-dissolvimento. La formulazione qui evidenziata in corsivo riprende quasi letteralmente una dichiarazione programmatica di Daniel Bertaux, che esemplifica bene questo atteggiamento epistemologico. We must not define the family da almeno un decennio uno slogan quasi banale per una parte rilevante dei family studies di area geo-culturale anglosassone. 36 Secondo la logica delle configurazioni istituzionali. Cfr. ARCHER 1997.

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simbolica in questione riducendola a due concetti che costituiscono, per cos dire, i fattori elementari della matrice antropologica storica, per distinzione da quella emergente, che chiamerei virtuale, a indicare sia il suo carattere (per ora) piuttosto indeterminato, sia il suo allontanamento da qualunque idea di natura e da ogni fondazionalismo. Si tratta del concetto di limite e di quello di terziet. Questi due elementi indicano con buona approssimazione e con una certa vicinanza al concreto due coordinate basilari del simbolismo della generativit dellumano. Non rappresentano perci una definizione del concetto di umano (per distinzione dal non umano) o di umanizzazione, ma piuttosto due confini che delimitano il territorio entro il quale lumano si genera37. Per questo motivo, essi specificano anche un criterio molto generale, ma antropologicamente e sociologicamente robusto, di ci che distingue una morfogenesi umanizzante della famiglia da una con esito dis-umanizzante. Al tempo stesso, queste due coordinate indicano un confine che viene oggi eroso dagli esperimenti che la societ sta conducendo su s stessa e che implicano lemergere di una semantica della famiglia impegnata a immunizzarsi da queste impegnative condizioni. (a) Il simbolismo del limite, in senso generale e riferito allumano, ha radici antropologiche antichissime, e ritorna in molteplici culture e fasi di sviluppo delle societ umane, applicandosi per accoppiamento morfogenetico con molte diverse sfere e sottosistemi della societ: per limitarci a due esempi rilevanti, la famiglia, appunto (Prandini 2001, loc. cit.), ma anche leducazione, come luogo della costruzione del S (Maccarini 2003, cap. 6)38. Esso implica lidea che lessere umano agisca in modo fecondo riconoscendo la propria finitudine (secondo la formulazione di Prandini sopra citata) e impegnando la propria parzialit nella ricerca dellaltro come complementare.
37 Ci

significa pi o meno quanto segue: umano chi riconosce la sua finitudine e accetta il limite e la parzialit della sua condizione, cercando nellaltro il completamento che lo rende generativo; ed umano chi entra in una dinamica che esce dalla sola diade, per impegnarsi in relazioni triadiche. Questa per non pu essere vista come una classica operazione di definizione di un concetto in questo caso quello di umanit. Non c qui alcun genere proprio n alcuna differenza specifica. Non compare alcuna distinzione, singolarmente presa, che si applichi qui come propria dellumano e ne caratterizzi il contenuto. Tuttavia, qualunque cosa abbia storicamente significato essere umani (con tutte le variazioni empiriche e le sfumature semantiche), questa propriet emersa solo tra popolazioni in cui la vita e la cultura vissuti e pratiche individuali e sociali, simboli cognitivi, normativi e costitutivi si sono orientate lungo queste direttrici. Il senso del proprio limite e la necessit dellincontro con lalterit complementare, lapertura della dualit alla triade sono forme simboliche senza le quali lumano perde le sue radici e per cos dire la sua stessa scena primaria. Non sa pi come nascere, n da quale forza e volont stato generato. 38 Il fatto che in ambiti differenti la distinzione limite/illimite venga in conto comunque, e nelle stesse connessioni di senso, indica che si tratta di un tema dindagine e insieme di un dilemma empirico che pu indicare una frattura rilevante per unintera costellazione storico-sociale.

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(b) Il concetto di terzo un altro esempio della transizione simbolica in atto: secondo Prandini (op. cit.) esso pu definire un confine tra due grandi famiglie giuridiche, o meglio processi di costruzione simbolica della famiglia, e al tempo stesso tra due grandi visioni antropologiche che stanno dietro a tale costruzione. Si tratta di distinguere tra visioni per cui lumano si risolve nella diade e visioni per cui la struttura triadica delle relazioni familiari, che connette e articola le differenze di gender e quelle tra generazioni in un unico nodo, quella propriamente generativa e ri-generativa della societ, e pertanto va costituzionalizzata e riconosciuta, non in base a una superiorit di fatto delle forme che cos si realizzano, ma alla sua adeguatezza antropologica. Ora, quello che accade oggi un processo duplice: da un lato vi la de-simbolizzazione: la societ, per mezzo di una semantica pragmatico-funzionalista della famiglia e delle relazioni sociali, tenta di rendersi indifferente alla sua matrice simbolica storica basata sul limite e le strutture triadiche operando come se fosse possibile ignorarla. Dallaltro si ha per unelaborazione culturale che non ignora, ma ri-definisce, e comunque rimette in discussione, il senso di quel simbolismo e dei suoi concetti centrali. Il limite viene superato e non pi accettato come incompletezza e misura dellumano, e il terzo viene ri-specificato. La legittimazione delle unioni omosessuali come forme di vita familiare39 con o senza la connessa possibilit di adozione di figli o di riproduzione artificiale genera e implica unantropologia virtuale, la quale per si esprime in pratiche e semantiche emergenti, anche al di l della questione focalizzata della famiglia, o della sua giuridicizzazione. Emerge oggi un complesso simbolico androgino, che esprime istanze e pressioni societarie complesse. E il limite e il terzo sono precisamente le figure simboliche che assumono una rilevanza centrale in queste elaborazioni ideologiche e operazioni sociali, ricevendone una torsione del tutto peculiare. In sintesi: emerge una simbologia che pensa la societ come fatta di terzi in quanto uomini nuovi, nati ma non generati nel senso di essere privi di genealogia, semplicemente e infinitamente ibridati. Essi abitano il limite e la finitudine non in ricerca di un altro complementare e determinato, ma tentando di incorporare in s ogni alterit, elaborandola come apprendimento e operando continue ibridazioni. Il terzo che risulta da questi percorsi di vita non dunque poi lanello di una catena generativa in cui sia possibile salire o scendere, o individuare riferimenti determinati, ma un essere dal manto cangiante, prodotto instabile di incroci esperienziali casuali e multiversi. evidente come qui i due elementi simbolici vengano ri-definiti entro un altro paradigma. Chi desiderasse con39 Questa

formulazione chiarisce anche che non mi riferisco qui al fatto questo, s, naturale e codificato in qualche modo in tutte le culture che le persone omosessuali conducano unesistenza sociale coerente con le loro caratteristiche peculiari, n naturalmente ai loro diritti individuali, ma specificamente allemergere delle loro relazioni come forma familiare.

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frontarsi con una versione teorica immaginifica e raffinata di questa cultura emergente dovrebbe leggere Michel Serres (1999). Si tratta di una simbologia della societ e dellumanit come tecnicamente modificabili e manipolabili allinfinito e dellumano come infinita apertura ad apprendimenti, nel senso dinfinita contingenza antropologica. Da questo punto di vista, il sesso e il gender sono solo un punto di partenza, una parzialit da dismettere, un inizio di apprendimento. Qui i due elementi simbolici basilari si trovano addirittura contrapposti: il terzo un uomo nuovo, ma precisamente in quanto rifiuta ogni parzialit e ogni finitudine, per immergersi in un viaggio personale dinfiniti apprendimenti. il viaggio di chi non ha una meta, ma si realizza rimanendo nel mezzo, nel luogo in cui si perdono i riferimenti e ogni direzione sincrocia e sannulla. Si tratta dunque di un terzo che non rimanda pi a una figura di limite e di generativit. Un uomo nuovo di questo genere cerca e produce altres un nuovo senso delluniversale. un universale per incorporazione e ibridazione delle differenze, che esce dallarchitettura di qualunque universale di ragione (in senso classicamente moderno) e che produce il miracolo laico della tolleranza, della neutralit benevola, [che] accoglie, nella pace, altrettanti apprendimenti () (Serres 1999, p. 17). su questo terreno che oggi si gioca la partita, a fronte di semantiche emancipatorie che si sono convertite in discorsi puramente tecnici40. Che in alcune versioni essi tentino addirittura una ricarica in termini di un qualche simbolismo neo-umanistico ( la Serres) oggi laspetto in pi, che ho tentato di evidenziare. La marcia verso la neutralizzazione della sfera pubblica arrivata qui. Si capisce allora, dinanzi a questo fronte problematico, fino a che punto siano inadeguati molti modi dimpostare la questione tipici della sfera pubblica delle nostre societ. Il mondo cattolico (e pi generalmente quella parte del mondo cristiano che ancora valorizza il matrimonio) reagisce al fenomeno spesso secondo due semantiche contrapposte: una conservatrice e una progressista. Secondo la prima, la famiglia come si deve va semplicemente difesa contro ogni evidenza empirica. La validit perenne del suo essere e dover essere viene qui semplicemente reiterata, i suoi rapporti con la realt storico-sociale rimangono del tutto in ombra, quando non siano di mera contrapposizione, resistenza (pi o meno marginale) o sviluppo in nicchie simboliche e socio-strutturali particolaristiche e incapaci di esperienze universalizzanti. Nella seconda, il paradosso deri40 Si

pensi al recente dibattito svoltosi nel Parlamento e nellopinione pubblica italiana sullinseminazione artificiale e i suoi limiti nelletica e nella legislazione relativa. Chi vuole produrre ulteriore emancipazione ha posto il discorso in termini esclusivamente tecnici, respingendo come ideologica ogni altra formulazione del problema, e ha usato tale strategia per chiudere, non per aprire il discorso. Lilluminismo viene cos definitivamente secolarizzato (e seppellito).

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vante dalla volont di coniugare il dialogo perenne e lassoluta apertura con il mantenimento di un orizzonte simbolico e ontologico che non perda del tutto lidentit originaria e non accetti lo svuotamento di qualsiasi contenuto determinato viene de-paradossizzato attraverso la distinzione ideale/complessit della vita41. In entrambi i casi, sintuisce la lontananza dalla realt e dai suoi problemi. Il mondo cosiddetto laico sembra invece oscillare tra una veemente e militante valorizzazione di questi cambiamenti, ancora letti come emancipazione in una formula pi disillusa che mai , e la fuga nel nirvana della distinzione etica pubblica/etica privata. Ci che riguarda questultima non deve essere discusso; ma nel frattempo il retroterra storico-sociale di questa distinzione sprofondato in una rete di relazioni di continuo reciproco rinvio e di nuove differenziazioni e ibridazioni, di nuovi piani del discorso. De-costruire la matrice simbolica basilare della generativit dellumano riguarda il pubblico o il privato? Dobbiamo ancora trastullarci con queste amenit? Si capisce insomma fino a che punto questa pluralizzazione dellessere famiglia sia un problema nuovo per tutti e quali siano i beni comuni che coinvolge. Di fronte allaprirsi di questo nuovo scenario, le politiche familiari possono insistere nellapprofondire la neutralizzazione della sfera pubblica e del complesso della cittadinanza, oppure sperimentare una sorta di ecologia delle relazioni familiari che metta in concorrenza forme diverse, tentando di qualificare eticamente le proprie scelte42. Le famiglie, dal canto loro, dovranno probabilmente imparare sempre di pi a fare da s, a non cercare lappoggio degli apparati politico-amministrativi, ma a creare, sviluppare e rafforzare le proprie reti, entro cui giocare con le proprie leggi. Le loro speranze sono riposte non in un aiuto dallesterno, n in una legislazione che confermi la loro autodefinizione, ma nel rigenerare in proprio con strategie nuove e specialmente con una nuova capacit e arte associativa43, quellantica matrice simbolica, nel cui cuore stanno il senso della finitudine, dellalleanza con laltro, dellapertura al terzo come atto e progetto generativo. Quello che da sociologo posso augurarmi non dunque n una dimostrazione dialettica, n una levata di scudi legislativa, ma la proposizione esistenziale da parte delle famiglie di una capacit di sopravvivenza e di umanizzazione che la societ non dovr per forza riconoscere, ma di cui, nel caso, dovr in ogni caso pagare loblio.
41 Curiosamente,

la stessa soluzione dualistica che ha sistemato in epoca paleocristiana il problema del mondo e della sua complessit. impressionante in proposito lattualit delle classiche pagine di TROELTSCH (1923). Nelle presenti condizioni storiche, tuttavia, lemergere di una peculiare forma ascetica corrispondente non sembra una delle linee di sviluppo favorite. 42 La questione delle politiche familiari apre un capitolo a parte, che dovremmo svolgere in un contributo ad hoc. Mi sono limitato qui a enunciare il bivio davanti a cui ci si trova. 43 Per unesperienza italiana, del resto unica in campo europeo, si veda la ricerca pubblicata in DONATI e PRANDINI 2003, che raccoglie i contributi di Pierpaolo Donati, Andrea Maccarini, Riccardo Prandini, Luigi Tronca e Giampiero Bovi.

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QUADERNO: FAMIGLIA E FILOSOFIA

of family relationships, and their ambiguous reconstruction in a sort of virtual anthropology (part 4). The author claims that this socio-cultural dynamic is the present result of a long- run and ongoing process of neutralization of the public sphere in Western societies, of which this evolution in family relationships could well represent both the most advanced frontier and the coming crisis.

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 73-97

studi

Karmayoga Jnayoga in Rmnuja or Active Life Contemplative Life in Aquinas. A Meeting Point between Indian and Christian Thought
MARIANO ITURBE*
Sommario: 1. Introduction. 2. Karma in Indian Philosophy. 2.1. Karma: Usages and etymology. 2.2. Evolution of the theory of Karma in the schools of Indian Philosophy. 2.2.1. Prva Mm s. 2.2.2. Vednta philosophy. 2.2.3. Vii dvaita Vednta philosophy. 3. The Concept of tman. 3.1. Meanings of tman. 3.2. tman in the Upani ads. 3.3. tman in the Systems of Indian Philosophy. 3.4. tman in Rmnuja. 4. Mok a and the Puru rthas. 5. Main Trends of Rmnujas thought. 6. Nature of human action in Rmnuja. 6.1. The doctrine of Karmayoga. 6.2. The concept of binding action. 6.3. Human action as sacrifice. 7. Active life and Contemplative life in Aquinas. 7.1. Aquinas Anthropology. 7.2. Action and Contemplation. 8. Conclusion.

1. Introduction
The publishing of the Papal Encyclical Fides et Ratio in 1998 brought awareness of the importance of the dialogue between Eastern and Western philosophy. In its point 72, the Holy Father says:
My thoughts turn immediately to the lands of the East, so rich in religious and philosophical traditions of great antiquity. Among these lands, India has a special place. A great spiritual impulse leads Indian thought to seek an experience which would liberate the spirit from the shackles of time and space and would therefore acquire absolute value. The dynamic of this quest for liberation provides the context for great metaphysical system1.
*

Research Scholar at Department of Philosophy of Delhi University (India), Address: 50, St. Andrews Road, Bandra (West), Mumbai 400 050, India. E-mail: gulmohur@mantraonline.com. Pope JOHN PAUL II, Fides et Ratio, 1998, point 72.

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studi

It is not possible to speak of Indian Philosophy as a single corpus of ideas. It is more appropriate to speak of Indian philosophies, i.e. the various philosophical schools developed throughout the centuries on Indian land2. Nevertheless, in spite of the opposite views existing among these schools, there are some basic concepts which are common to all of them:
The systems of philosophy in India were not stirred up merely by the speculative demands of the human mind which has a natural inclination for indulging in abstract thought, but by a deep craving after the realization of the religious purpose of life. It is surprising to note that the postulates, aims and conditions for such a realization were found to be identical in all the conflicting systems. Whatever may be their differences of opinion in other matters, so far as the general postulates for the realization of the transcendent state, the summum bonum of life, were concerned, all the systems were practically in thorough agreement3.

Karma, meaning action; jna, meaning knowledge; and yoga, meaning a method or special skill, are some of those basic concepts present in all schools of Indian philosophy. Combined together they make up two pithy concepts which are karmayoga and jnayoga, i.e. a skilful managing of human actions so to attain the final end of man, based on true knowledge of Gods and mans nature4. In this paper we will discuss the meaning of karmayoga and jnayoga in the philosophy of Rmnuja, a medieval philosopher from South India5, and the validity of these concepts within the framework of Christian philosophy, with particular reference to the concepts of active life and contemplative life in Thomas Aquinas.
2

3 4

The systems of philosophy in India are classified into two classes: the nstika and the stika. The nstika systems do not regard the Vedas (i.e. sacred books of Hinduism) as infallible. They are the Buddhist, the Jaina and the Crvka (or school of materialism) system. The stika systems are those which regard the Vedas as infallible and establish their own validity on their authority. They are called orthodox schools and are six in number: S khya, Yoga, Vednta, Mm s, Nyya and Vaie ika. S. DASGUPTA, A History of Indian Philosophy, Motilal Banarsidass, Delhi 1992, Vol. 1, p. 71. The word man, according to classic usage, means all men and women and in this sense it has been used by Rmnuja and other philosophers. Because of this fact we prefer in this paper to keep using the word man knowing we include both men and women equally. However, very often we use other terms such as human being, people and so on. Rmnuja, according to biographers, lived from 1017 to 1137 in South India (present Tamil Nadu). He belonged to an old theistic school of Vedic origin. His philosophy has its roots in the Vedantic tradition, wherein the teachings of the Upani ads have been systematized by the Vednta Stras and the Bhagavad Gt (i.e. the triple text of the Vednta or Prasthnatraya). As a good crya (i.e. master), he wrote commentaries on them: the Vednta-sra, Vedntadpa, and r-bh ya are commentaries on the Vednta Stras; the Vedrtasamgraha is a summary of the meaning of the Vedas, and the Gtbh ya, a commentary on the Bhagavad Gt. A manual of worship, the Nityagrantha, is also attributed to him, and another one, the Gadyatraya, is of doubtful origin.

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2. Karma in Indian Philosophy


2.1. Karma: Usages and etymology The Sanskrit word Karma has three usages: action, the law of karma, and movement6. The law of Karma goes together with the concept of transmigration (sa sra) and rebirth. Karma, in this sense, means that previous acts determine the condition into which a being, after having enjoyed some reward in heaven or some punishment in hell, is reborn in one form or another. Karma binds the selves of beings to the world and compels them to be subjected to the cyclic process of births and deaths. The word Karma comes from the root k (to do). From k also comes the word k ti, i.e. voluntary act done by the agent. Therefore, the primary meaning of the word Karma is action. Karma as action has the capacity of bringing two opposite effects: bondage and liberation. As binding force karma implies the performance of acts with attachment to results, while, as liberating force it implies an attitude of detachment in our actions. According to this analysis, we come across in Indian Philosophy a division of people into two main streams: those who are committed to a life of action (prav ttam Karma7) and those who are committed to a life of knowledge (niv ttam Karma). Thus, action and knowledge are sometimes seen as two contrary paths of life and other times as two complementary paths.

2.2. Evolution of the theory of Karma in the schools of Indian Philosophy 2.2.1. Prva Mm s The theory of Karma as a path towards liberation begins with the Prva Mm s School of Indian Philosophy8. The Prva Mm s starts with an
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The last meaning refers to motion, which according to Vaie ika doctrine is considered as one of the seven categories of things. The Vaie ika system is regarded as conducive to the study of all systems. Its main business is to deal with the categories and to unfold its atomistic pluralism. A category is called padrtha and the entire universe is reduced to six or seven padrthas. Padrtha literally means the meaning of a word or the object signified by a word. All objects of knowledge or all reals come under padrtha. Chandradhar SHARMA, A Critical Survey of Indian Philosophy, Motilal Banarsidass, Delhi 1991, pp. 175176. Prav tti means active worldly life. It refers to the desireless performance of duties pertaining to ones status in life. According to the Gt the karmayogin gives up desired-prompted actions and performs ni kma karma, i.e. actions in which he gives up the hope of fruit. Basically, Prva Mm s gives rules to interpret the commandments of the Vedas and it justifies philosophically the Vedic ritualism. It has three basic presuppositions: 1. It distin-

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enquiry into the nature of dharma9 made by Jaimini in his Mm s Stra (probably written about 200 B.C.). For action they mean rituals. Every action leads to further actions constituting a chain of actions and generating some by-product in the form of aprva10, part of which is carried after death into the next rebirth if the soul is not rettributed. Human being is fully dominated by the law of Karma: Man is in bondage. Prva Mm s School is later on subdivided into two branches named after their founders: Prabhkara School and Kumrila Bha a School. The school of Prabhkara attributes greater importance to action than to knowledge, while the one of Kumrila develops the concept of jna-karma-samuccaya, i.e. a harmonious combination of knowledge and action as a valid path towards liberation. 2.2.2. Vednta philosophy Vednta philosophy inherits this doctrine and its main ethical concern is how to release man from his bondage. Vednta (i.e. end of the Vedas or Upani ads) has the Vednta Stras, written by Bdarya a, as its original authoritative work. It is a summarized statement of the general view of the Upani ads 11. This text has
guishes between facts, which are the object of descriptive knowledge (avidy) and values, which are the object of prescriptive knowledge (vidy); 2. A prescription (sadhya) should be realizable and conducive to total well being (desirability). Thus, for every end there must be an appropriate means (sdhana, marga or yoga), which is available and accessible; 3. There should be a symbiosis of knowledge (jna), will (iccha), action (karma) and result (phala). 9 Dharma is a very complex concept in the religio-philosophic literature of India. In fact, the authentic name of Hinduism is Santana-dharma, or Eternal Law. The word dharma is derived from the Sanskrit root dh -dharati = to hold fast, uphold, bear, support, keep in due order. The etymology itself suggests the real notion of dharma, which is conceived to be that which maintains the universe in due order The Indian concept of dharma stands for ethics, religion, morality, virtue, spirituality, truth, good conduct and so on; it also stands for natural and positive laws, the moral code, the various distinct duties of the individual. The whole religio-philosophical and didactic literature of India lays great stress on the necessity of maintaining dharma for spiritual realization. All the various systems of Indian thought emphasize the observance of dharma as a conditio sine qua non of internal purification leading to eternal bliss in Vedic literature, instead of dharma, we have ta. J. KATTACKAL, Religion and ethics in advaita, St. Thomas Apostolic Seminary, Kottayam 1985, p. 43. 10 Aprva means the remote consequence of human actions. It is the link between every act and its fruit. 11 Upani ad means esoteric doctrine and implies listening closely to the secret doctrines of a spiritual teacher. They are part of the ruti, or revealed word. They try to ascertain the mystic sense of the Vedas and they deal with topics such as the origin of the world and the true nature of God, among others. There are more than 100 Upani ads which are known to us, and one can see an evolution in their teachings toward the concept of a single Supreme Being with whom man by way of knowing tries to reunite. Each Upani ad differs much from one another with regard to their content and methods of exposition.

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been commented and interpreted in a different way by several philosophers. Some of these commentaries gave origin to the subdivisions of the school: a karas Advaita Vednta12; Rmnujas Vii dvaita Vednta or Non-dualist Vednta; and Madhvas dualism13. For a kara, jna is the sole means to liberation, while Karma mrga (in the sense of Vedic ritualism) is incapable of leading to final release. The one who knows Brahman, having his ignorance destroyed by wisdom, becomes Brahman. Liberation can be achieved after death, or even in this world14. a kara regards as contradictory and against the teachings of the sacred texts (stras), the combination of knowledge and action as a liberating path. For him, the jna-karma-samuccaya-vda should be replaced by jna alone. All evil stems from the fact that men are in a state of ignorance, being conscious only of the phenomenal world. It is only through jna, the intuitive vision of the Supreme Reality, that man transcends the empirical world. Karma and upsan (meditation) are subsidiary to knowledge and at most they may be a preparation, by way of purifying ones own mind, to get that liberating knowledge or jna. 2.2.3. Vii dvaita Vednta philosophy15 Vii dvaita School integrates Karmayoga, jnayoga, and bhaktiyoga as different stages in the progressive realisation of salvation. Rmnuja, its main representative, accepts various kinds of action16. The important thing is to perform
12 a

kara (788-820) is the main representative of Advaita Vednta or non-dualism, the philosophical system that affirms the ultimate unity of all beings. He believes in one eternal unchanging reality (Brahman), which is pure consciousness and is devoid of all attributes (nirgu a). This Brahman (or tman) is associated with its potency my, or avidy, and appears as the qualified (sagu a) Brahman (also vara or the Lord), the creator, preserver and destroyer of this phenomenal world. My is something material and unconscious. It is the inherent power of Brahman. It is beginningless. It is indefinable for it is neither real (it exists in Brahman), nor unreal (it projects the world of appearances). It has a phenomenal and relative character. It is removable by right knowledge. 13 Madhva (1197-1286) sustains unqualified dualism (dvaita). Difference is the very nature of things. To perceive things is to perceive their uniqueness which constitutes difference. There are three eternal and real entities: God, souls, and matter, wich are different from each other. Souls and matter do not constitute the body of God, and have substantive existence themselves. 14 This is the case of jvan-mukta who is the one who gets released from the law of Karma while being physically alive. 15 Rmnuja settled the bases for this new branch within Vednta philosophy. Vii dvaita is a compound word made up of advaita (i.e. oneness of being) and vie a (attributes). Sometimes it has been erroneously translated as qualified monism, but it really means qualified non-dualism, i.e. it includes within the unity of the Supreme Self the existence of modes or attributes: the whole universe made up of spiritual and material beings. 16 Actions, according to Indian tradition, are classified into: -Bodily (kyika); -Vocal (vcika); -Mental (mnasa). -Ritual actions; -Non-ritual actions. Ritual acts can be divided into those which are enjoined

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them under the knowledge of the real nature of God. Knowledge and performance of the duties should go together. Rmnuja bases his theory of human action on his understanding of the Bhagavad Gt17, wherein actions are not restricted to those prescribed by the sacred texts. All actions performed by an ordinary person are included in the word Karma as used in the Gt. Action in the Gt can be identified with duty: it refers to the performance of action with an accent on the principle of dharma. The fulfilment of our duties Karmayoga becomes a path to liberation. Indian Philosophy shares one important aim of philosophy, namely, transforming human life. Sometimes it appears as if this goal (is) the sole concern in Indian tradition. This idea of philosophy as a transforming influence is clearly reflected in the Bhagavad Gt and is discernible more specifically in its highly idealised conception of duty18.

3. The Concept of tman


3.1. Meanings of tman The human being is an embodied self. In him there are two elements: body and soul (tman). tman means the individual self. It is also called jva and, according to S khyan cosmology, puru a19. Originally it meant life-breath and gradu(vidhi) and those that are proscribed (ni edha). Vidhi acts are said to be fourfold: -regular daily rites (nityakarman); -occasional rites (naimittikakarman); -desired acts (kmyakarma) (acts which are prescribed for one who wishes to obtain a certain result, say, heaven); -expiatory actions (prayacitta). 17 The Bhagavad Gt is a poem inserted within the Mahbhrata, one of the great epics poems of ancient India. The central theme of the Mahbhrata is the contest between two noble families the Pandavas and their blood relatives the Kauravas for possession of a kingdom in northern India. It is a dialogue between two persons Lord K a and Arjuna which takes place while a battle is about to start. The dialogue that emerges from that particular battle is a timeless one, a dialogue that will have an enormous transcendence over the whole history of India and one that will be the starting point of a deep philosophical analysis with special reference to Ethics. The Gt is the best-known work on Indian literature all over the world. In Europe it was first made known through C. Wilkins English translation (1785), and was spread mainly through A.W. Schlegels critical edition and Latin translation (1823). See, DE SMET and NEUNER (editors), Religious Hinduism, St Pauls, Bombay 1996, pp. 279-291. 18 S. GOPALAN, The Concept of Duty in the Bhagavad Gt: An Analysis, in A. SHARMA (editor), New Essays on the Bhagavad Gt, Books & Books, New Delhi 1987, p. 1. 19 S khya maintains a total dualism between puru a and prak ti (the unintelligent and uncaused root-cause of all worldly effects). The puru as are many and all are essentially alike. Prak ti evolves, to serve the purpose of the puru a, into twenty-four principles. All of these, together with the puru a, make up the twenty-five categories, or metaphysical principles.

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ally evolved into the meanings of feeling, mind, soul, and spirit. tman means the eternal element existing in each human being. It transcends the boundaries of humanity since, due to the law of karma, it can be united to different karmic bodies, such as irrational animals and so on. 3.2. tman in the Upani ads The older Upani ads20 and the system of a kara understand Brahman-tman as the only supreme reality. tman is the same Brahman individualised in particular bodily structures due to the law of karma, which is the cause of bondage. In the later Upani ads we find another view. There, the individuality of the finite self is stressed. Brahman resides within this self as Other. He is unaffected by the imperfections of the finite self. God and the finite self are in that personal relationship which religious experience demands21. 3.3. tman in the Systems of Indian Philosophy All the stika systems of Indian Philosophy admit the existence of tman, i.e., a permanent entity which is the essential element of every being. Even though they differ regarding the exact nature of this tman, they consider it pure and unsullied in the sense that all impurities due to action are attached to the body but not to the soul. The summum bonum of life consists in apprehending tman in its pure nature without any of the imperfections attached to it. 3.4. tman in Rmnuja For Rmnuja, it is of capital importance to know the nature of the self. However, it is also difficult to get that precious knowledge. The self cannot be perceived by the senses nor conceived of: only by yogic practice and the exercise of several virtues can man get that knowledge which has been revealed in the stras. The starting point is that the self is absolutely opposite to the body. The self is immortal, free from birth, old age, death and such other material attrib20 The

earliest Upani ads were compiled by 500 B.C., but they continued to be written even as late as the fourteenth and fifteenth century. B hadra yaka, Chndogya, Taittirya, Aitareya, Kau tk, and the prose section of Kena are usually regarded as earlier than other Upani ads such as Ka ha, a, Mu aka, Maitr, and vetvatara. 21 KUMARAPPA, The Hindu Conception of the Deity, Inter-India Publications, Delhi 1979, p. 50.

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utes22. It is a real mode, or part (ama), of the Brahman. Several texts show that Rmnuja maintains a real distinction between God and individual souls. In the rbh ya he wrote: That Brahman which is described in the mantra, True Being, knowledge, infinite is Brahman, is proclaimed as the Self-abounding in bliss. And that Brahman is the Highest Brahman, other than the individual soul23. If Brahman were the goal to be achieved by the jva, then it would be contradictory that agent and end are identical. The difference between God and individual selves has always existed: before creation, in the pralaya or unevolved state in which souls have a subtle form; in their present evolved or gross form; and in the released state when they get some good qualities but yet remain distinct from God. The self is andi, which is without beginning and consequently without end. The self is eternal. It has eternally existed in Brahman as a mode (prakra) without losing its own individualness. Nevertheless, the self, in spite of being eternal is not independent from the Supreme Self. Puru a and prak ti compose the body of God, i.e. they are under his permanent and total control: For by reason of its being the body of the Lord, the essential nature of the self finds its joy only in complete dependence on the Lord24. For Rmnuja the jva is an eternal mode of Brahman, and at the same time a separate entity25. The finite self is a centre of existence of its own, with its proper qualities, but also an inseparable attribute of Brahman. For him, the realisation of the proper form of the soul is a propaedeutic step in the process of getting final release. He wrote: Those who, through knowledge already taught relating to the distinction between the body and the self, understand the distinction between them, and then, after learning that freedom from arrogance and such other qualities constitute the means of release from the prak ti which has evolved into the material elements (constituting the body), put (the qualities) into practice they, completely freed of bondage, attain the self characterised by unlimited knowledge and abiding in its own form26.
22 The

Gtbh ya of Rmnuja, Tr. M.R. Sampatkumaran, Rangacharya Memorial Trust, Madras 1969, Chapter XIII, Verse 12, p. 376. 23 Rmnujas rbh ya: The Vednta Stras with Commentary by Rmnuja, Tr. G. Thibaut, The Sacred Books of the East, Vol. XLVIII, Motilal Banarsidass, Delhi 1996, I, 1, 16, p. 233. 24 The Gtbh ya of Rmnuja, Chapter XIII, Verse 12, p. 376. God is a personal God, very different from the impersonal Absolute, which is disconnected from reality and for whom the finite self counts for little. 25 Rmnuja holds that souls in their subtle form are eternal. Nevertheless he does not explain how they came into existence. He accepts their eternal existence and, at the same time, their continual dependence on God, their inner Sustainer. 26 The Gtbh ya of Rmnuja, Chapter XIII, Verse 34, p. 395.

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4. Mok a and the Puru rthas


Together with karma and tman there is another basic concept in Indian Philosophy: mok a, or final liberation. It is one of the four puru rthas, i.e. those end-values representing mans final goal as well as the path towards it. Human actions, by means of which we relate towards other people, towards material wealth, and towards our own desires, are regulated by the first three puru rthas, namely, dharma, artha, and kma. These relations manifest a bond, which is expressed by another word: a27. Puru rthas are an answer to the question: what then must I do? Dharma means what I must do in relation to others. My impulses to act, urged by my own conscience or by an external written or oral law, have to be other-directed. We give, but we also expect to receive. This is artha, i.e., attainment of riches or worldly prosperity. Under the imperatives of dharma, kma becomes one of the puru rthas. Kma literally means desire, particularly of psychophysical enjoyments. Desire, not understood in an egoistic sense, but considering the wishes of every one else. Moreover, man is not reduced to this limited and material life but he aspires more. Man is conscious of his freedom as well of his boundness. The conscience that there is something else, permanent, beyond the evanescent world, is expressed in a desire for final liberation and it refers to the fourth of the puru rthas: mok a. Thus, the doctrine of puru rthas is a development of the a theory: we are not isolated beings. a suggests the obligation man has to make his life conformed to that order that regulates human society and the universe, namely dharma and ta28. Looking at the puru rthas we see that the life of every being in this world is imperfect and it aspires to something better. Human life is clearly end-oriented. Dharma values lead to mok a values which implies the establishment of a society of perfect individuals wherein the sorrows and sufferings of the world cease to exist29. This is the deeper meaning of mok a and implies for the individual self the following of a rigorous discipline (sdhana), i.e. a serious moral, intellectual and spiritual effort to attain it.

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a means mutual obligation in a corporate living. It is said that everyone is born with three debts to pay off: to sages, gods, and the manes; and he who learns the Vedas, offers sacrifices to gods, and begets a son, becomes an a (discharged from all obligations). 28 See footnote 9 where we explain the similarities between dharma and ta. 29 S.R. BHATT, Studies in Rmnuja Vednta, Heritage Publications, New Delhi 1975, p. 140.

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5. Main trends of Rmnujas thought


Rmnuja built up a system of thought in which he tries to answer three basic questions, namely: What is ultimate reality? (Doctrine of tattva). What is the Supreme Good? (Doctrine of puru rtha) What is the method and way to realise the Supreme God? (Doctrine of hita)30. If it is true that the central theme of Vednta is the philosophic enquiry into Brahman, the Supreme Tattva, it is also correct to say that tattva does not refer exclusively to Brahman but also to its modal expressions of cit and acit31. Thus, for Rmnuja there are three ontological principles organically interconnected: Jagat: Cosmos, the entire physical world. (Also called acit, unconscious or material) Jva: Individual and finite souls. (Also called cit, consciousness) vara: God. vara, or Brahman, is the material cause of all existing beings. Rmnuja accepts the theory of satkryavda which says that the effects (Krya) pre-exist in the causal substance itself. They are nothing else but an alteration or rearrangement of the cause. Nevertheless they are absolutely real, because causality implies production of a new state32. Jagat and Jva constitute the body of the infinite spirit of Brahman. Initially they are in a subtle or unmanifested form but subsequently, in a gross or manifested form (i.e. the numerous forms of life). The reason behind this enquiry is not purely intellectual. Rmnuja, as a good Vedntin, wants to know tattva in order to attain it. The metaphysical object of knowledge becomes a moral goal in life. Knowledge gives way to wisdom. Finite souls are under the law of Karma and therefore during the period of its
30 After

Rmnujas death, Vii dvaita split into two different schools: the Vadakalai sect, represented by Vednta Deika (Died in 1369) and the Tenkalai sect, represented by Pi ai Lokchrya (Died in 1327). There are several points of difference between both Schools which are not very fundamental, and which can be reduced to only one problem, namely the relation between Grace of God and human acts in the efforts to attain final release. In spite of the differences, they have in common the devotion to Vi u as the All-Self and Universal Redeemer. For a detailed analysis of these differences see SRINIVASACHARI, The Philosophy of Vii dvaita, The Adyar Library and Research Centre, Madras 1978, pp. 521-542, especially pp. 536-542. 31 Cit expresses the spiritual order of the universe in its subtle or causal state, while acit means the material one. 32 Causation is nothing but a manifestation, a manifestation from latent to patent and again from patent to latent... It is nothing but a change of state in one substance. Cause and effect are only different successive stages that a substance undergoes... All things are eternal and form a part of Brahman, who is the abode of all and abides in all. S.R. BHATT, o.c., pp. 92-93.

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bondage in sa sra are attached to a particular body. Nevertheless, both of them are different. The main characteristic of the soul is the one of consciousness. Jva is a knower, endowed with intelligence, by which he can know the rest of reality, i.e. nature, other selves and God, and with self-consciousness. All souls are inseparable united (ap thaksiddhi) among themselves and with God. This special unity is the pivot on which Rmnujas thought turns. It is an internal relation, which implies a necessary dependence of one another33. The Supreme Absolute together with the entire universe may be described as an organic unity, like the one of a living organism, in which one element predominates over and controls the rest of them. Immersed in that whole, and without losing their own individuality one can find intelligent entities which are under a particular law, the law of karma, limited in their own capacities. Those entities are the finite souls that according to the law of karma, are embodied in a particular way, such as minor gods, demon, man, animal or nature. The created universe and God are one34. God is filled with love for the soul. He leads him by different ways to a life of happiness by granting him, in due time, final release. The finite soul, on the other hand, by his devotion to this loveable God, together with his knowledge and actions, co-operates with Gods grace in the attainment of final liberation. Human action plays an important role within Rmnujas philosophy, but human action cannot be separated from these metaphysical and theological presuppositions.

6. Nature of human action in Rmnuja


The key topic for Rmnuja is to know how a human action becomes a pathway for release instead of being a cause of perpetuating the life of bondage. At the beginning of the Vedrthasa graha, he sums up the different stages of the soul that goes from transmigration in bondage (sa sra) to the final attainment of perfect bliss. He says:
33 He

(i.e. that yogin), seeing his own self as similar to Me, always remains within sight to Me also when I am seeing Myself, because of similarity with Me. The Gtbh ya of Rmnuja, Chapter VI, Verse 31, p. 181. 34 Was Rmnuja a Pantheist? Several scholars have studied this question. We agree with Fr. De Smet that in spite of being highly personal, the God of Rmnuja is not supposed to be complete without his modes. It seems to fall short of that radical transcendence which is the mark of divine personality. A term introduced by Karl Krause in the early nineteenth century Panentheism could be applied to Rmnujas concept of God and nature. Panentheism views all things as being in God without exhausting his infinity. Itconsiders God as having accidents really distinct from his substance. DE SMET, Rmnuja, Pantheist or Panentheist?, Annals of the Bhandarkar Oriental Research Institute, Poona 1977-1978, p. 563.

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True knowledge of the individual soul35 and of the Supreme Spirit, applied to the obligations imposed by the various dharmas pertaining to each stage and station of life36, are to precede pious and humble acts of devotion for and meditation on the Supreme Spirit acts held extremely dear by the devotee that ultimately result in the attainment of the Supreme Spirit37.

6.1. The doctrine of Karmayoga Man should attempt to attain self-knowledge by means of a special discipline (sdhana) made up of two elements, karmayoga (action) and jnayoga (knowledge); then, he is able to contemplate God through bhakti (lovely devotion). Karmayoga is a discipline that refers to the management of actions, i.e. how to perform them so they become real means for achieving our final end. For Rmnuja the relation between knowledge and action, i.e. the relation between jnayoga and karmayoga is not a relation of two different paths separated from each other. On the contrary, knowledge and action are interrelated and mutually dependent38. Because of this interrelation, we are not surprised to see that karmayoga has its roots in association with a particular attitude of mind, the need for which is emphasised many times in the Gt. That attitude of mind the one of a person who is steady in mind (sthitapraja) refers not to the process of knowledge about the true nature of the self but to the determined conviction we arrived at because of that knowledge. It refers to the principle of equable reason. To be certain about the presence of two distinguishable elements in man gives us the necessary equanimity of spirit to face the various conflicting situations in which sometimes we find ourselves. Those situations, any kind of action, carry within themselves the ambivalent values of pleasure and pain. Thus only after having realised the imperishability of the puru a we become equable towards all the different circumstances of our life. This principle of equanimity of mind is the fundamental basis of the philosophy of karmayoga and it is achievable by any one irrespective of his situation in life.
35 Jvtman: 36 Var

The individualised tman in natural conjunction with the body. rama: var a refers to a social order founded on religious law (the four castes: Brhman, K atriya, Vaiya, and dra); while rama refers to the ideal life-periods established by the Law of Manu for the Brahmns, such as: brahmacrn (boy initiated into the study of the Vedas under his spiritual preceptor); g hastha (the householder or paterfamilias); vnaprastha (the anchorite who, retired from public life, lives in the forest praying and fasting); samnysn (the religious mendicant, retired from all social and marital life). 37 Rmnujas Vedrthasamgraha: Introduction, critical edition, and annotated translation, J. A.B. Van Buitenen, Deccan College Monograph Series 16, Poona 1992, 3. 38 Karmayoga presupposes jnayoga and jnayoga includes karmayoga... The two can be distinguished but not separated. Hence there must be a blending (samuccaya) of the two. S.R. BHATT, o.c., p. 147.

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Karmayoga does not refer to any kind of particular action. Karmayoga is a generic concept that applies to the way we perform actions and the motivation existing behind them. The Gt says: To work alone is your right and never to the fruits (thereof). Do not become (i.e. do not regard yourself as) the cause of work and (its) fruit, nor have attachment to inaction39. This verse has for Rmnuja a transcendental importance because of the truths revealed in it. Let us analyse each of its sentences: To work alone is your right: A person like Arjuna, who represents humanity in search of spiritual freedom, has the right, which is at the same time an obligation linked to his situation in life, to act. That means he should not renounce action. And never to the fruits: That person should not be concerned with the fruits of actions. The word fruits is a key word in the understanding of Karmayoga and it is closely related to the concept of divine and human agency. We can say that a fruit is something that belongs to someone who is the real agent of the action, but not to someone who only performs an action. For that reason the Gt says do not become...the cause of work and (its) fruit. It also refers to the motivation or rectitude of intention with which we perform our actions. Nor have attachment to inaction: The verse finishes by putting more emphasis in the importance of working. Thus, the message is that no one should give up work. Work is an obligation for every man, but we have to work with a particular disposition in mind consisting in a skill in performing works which produces bondage in such a way as to win salvation40.

6.2. The concept of binding action The important matter to clarify is why an action can lead either to bondage or to release. Why is it that an action normally has the effect of binding the agents? To begin with we can distinguish four general consequences of action41: 1) Action creates a tendency in the agent to repeat it. An action is something that if repeated several times creates a habit that could be good (i.e. virtue) or bad (i.e. vice). A habit is a stable disposition that impels us to act easily, in a particular way. The path to acquire or to lose that habit consists in repetition of acts. This is the meaning of an action creating a tendency to repeat the same act. 2) If the action is wrong it renders the agent unfit to try out better ways42. By the law of karma the accumulation of the effects of all past actions influence our present situation in life.
39 Bhagavad 40 The

Gt, Chapter II, Verse 47. Gtbh ya of Rmnuja, Chapter II, Verse 50, p. 57. 41 We follow here the work of Raghavachar, Rmnuja on the Gt, Advaita Ashrama, Calcutta 1991, p. 35. 42 Ibidem.

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3) Action produces consequences like pleasure and pain, happiness and misery. And we have already mentioned how these feelings can affect a person who is devoid of a real knowledge of the self. 4) Action curtails the power of knowledge in a way that a person does not achieve that equanimity of mind so necessary for the practice of karmayoga. All these effects of action are constitutive of bondage so the question is: how does an action become a pathway for release? Or, what are the conditions needed for an action to become a means of final liberation instead of being the cause of perpetuating the life of bondage?

6.3. Human action as sacrifice To perform an action in the spirit of karmayoga means to convert it into a sacrificial43 act by giving up its fruits. The ideal action is a desireless one (Ni kmakarma44) which is a non-binding action. The binding factor is not the action itself, but the motivation behind it. Rmnuja wrote:
This world becomes subject to the bondage of karma (through subtle impressions), when work is performed, serving selfish purposes. Therefore, for the purpose of sacrifice, do you perform works There, whatever attachment exists because of its being the means for accomplishing selfish purposes, become free from that attachment and carry out that (work). When work is thus done for the purpose of sacrifices and other works (prescribed by the stras), by one free from attachment, the Supreme Person (Paramapuru a), pleased by sacrifices and such other works, bestows on him the undisturbed vision of the self, after eradicating the subtle impressions of karma of that person which have continued from time immemorial45.

For Rmnuja the word sacrifice is not restricted to sacrificial rituals but comprehends any kind of action. To act for the purpose of sacrifice means that our actions in their final end are performed to honour God, to Whom we offer our life, with all its actions, in order to attain Him. A real human action is one leading towards final liberation and consisting of a sacrifice expressed in the renunciation the fruits of our actions, offered to the Supreme God as a hymn of praise to Him.
43 The

concept of yaja, or sacrifice, as expression of an action performed in the spirit of karmayoga, is introduced in the Gt in chapter III, verses 9 to 16. Yaja means sacrifice and it is regarded as the means for obtaining power over this and the other world, and over all creatures. In the Gt, it serves to clarify the way works have to be performed in the authentic spirit of karmayoga. 44 All actions fall into a twofold division: kmya-karma, or desire-prompted action (performed with hope of fruit), and Ni kma-karma, or desireless action (performed giving up the hope of fruit). 45 The Gtbh ya of Rmnuja, Chapter III, Verse 9, p. 82.

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7. Active life and contemplative life in Aquinas


7.1. Aquinas Anthropology Thomas Aquinas in his Summa Theologica follows a logical sequence in the way he studies the different existing beings. First of all, he deals with the Supreme Being, i.e. God. His purpose is to explain what kind of knowledge we can get of God as He is in Himself. Thus, God is seen in his unity and Trinity. Aquinas considers God as the self-subsisting Being (Ipsum Esse Subsistens), the First Being who possesses being in the most perfect way. Next, Aquinas proceeds to consider the procession of creatures from God. It is a basic tenet of Christian dogma that God is Creator of whatever exists in heaven and earth. At the beginning of the Treatise on the Creation, he writes:
It must be said that every being in any way existing is from God. For whatever is found in anything by participation, must be caused in it by that to which it belongs essentially, as iron becomes ignited by fire. Therefore all beings apart from God are not their own being, but are beings by participation. Therefore it must be that all things which are diversified by the diverse participation of being, so as to be more or less perfect, are caused by one First Being, Who possesses being most perfectly46.

God is the first cause of all things, including primary matter47 and spiritual souls. All created beings are finite and contingent, owing their existence to the necessary Being. In the case of human being we have a creature composed of a spiritual and corporeal substance48. The soul, for Aquinas, is considered to be the first principle of life of those things that live. It is incorporeal and subsistent. This conclusion can be drawn from the fact that it has an operation which is per se apart from the body: this operation is called act of understanding. As a contrast to this, we have the operations of the sensitive soul, which are proper both to human beings and brute animals. They are always accompanied with bodily changes. They are not per se operations and consequently they are not operations of a subsistent soul but of a composite of body and soul49.
46 Summa

Theologica, Christian Classics, Allen 1981, I, q. 44, a. 1. denies the existence of anything outside the creative power of God. He says, Therefore whatever is the cause of things considered as beings, must be the cause of things, not only according as they are such by accidental forms, nor according as they are these by substantial forms, but also according to all that belongs to their being at all in any way. And thus it is necessary to say that also primary matter is created by the universal cause of things. Summa Theologica, I, q. 44, a. 2. 48 See Summa Theologica, I, q. 75. 49 Aquinas mentions the doctrine of the Pre-Socratic philosophers. For them there was no dis47 Aquinas

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God created the soul of man out of nothing, as a spiritual principle giving life to the material body. Soul is not eternal but it is immortal to the extent that it transcends the perishability of the human body. The immortality of the soul follows from its own proper nature and it is not simply gratuitous, save in the sense that its very existence, like the existence of any other creature, is gratuitous50. The essence of man cannot be reduced either to his soul or to his body. Both elements are integral parts of him, and they belong to his species. The union between body and soul is a union of matter and form (substantial form). Body and soul are really distinct parts of man. They have the same unique act of substantial existence, namely, the life of a living body. They are one being, one entity absolutely speaking, and not two different entities. According to Aquinas terminology, the entire substance is known as being in the primary, unqualified sense of being. The essential parts of this being, i.e. its matter and substantial form, are also called beings, but in a secondary sense. Man, according to Aquinas, is a rational being whose last end is the attainment of happiness. It is clear that every person wants to be happy and the question is of what things happiness consists of. His Christian background provides him with the datum that the last end of human being is something supernatural, i.e., the attainment of divine vision51.

7.2. Action and Contemplation Thomas Aquinas has also dealt with human action as an instrument to obtain mans final end of life52. His treatise on it runs throughout the entire second part of the Summa Theologica. There, Aquinas gives a full theory which, to the last detail, analyses action in general and in particular. Every factor has been taken into account. There we find a detailed study of man as image of God, who is the
tinction between sense and intellect since the principle of all human actions was something corporeal. Later, Plato had the great insight of teaching about an incorporeal principle of both sensing and understanding, i.e. soul. He drew a distinction between sensitive knowledge and rational knowledge, but linked both functions to the same subsistent soul. For him, man is a soul which makes use of a body. Aristotle, on his part, stated that, among all the operations of the soul, understanding is the only one to be performed without a corporeal organ. See, Summa Theologica, I, q. 75, a. 3. 50 F. COPLESTON, A History of Philosophy, Volume II, Image Books, New York 1993, p. 384. 51 For Aquinas the existence of man has been marked by the Christian dogma of Original Sin, a specific inherited fault which has affected the entire life of man and his relation to other people and to God. Unlike the law of karma, original sin is not the cause of the union of body and soul; rather the lack of harmony between both elements is the effect of original sin. 52 At the beginning of question 6 of the Prima secundae dealing with the Voluntary and the Involuntary Aquinas says: Since therefore Happiness is to be gained by means of certain acts, we must in due sequence consider human acts, in order to know by what acts we may obtain Happiness, and by what acts we are prevented from obtaining it.

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agent, the principle of his actions, as having free will and control of his actions53. At the end of the Secunda secundae Aquinas deals with the classic division of human life, as deriving its form from the intellect, into active and contemplative. It is a relevant topic for us, considering its similarities with the discussion present in Rmnuja about the validity of karmayoga and jnayoga as effective paths towards the achievement of mans final end. Aquinas says:
All the occupations of human actions, if directed to the requirements of the present life in accord with right reason, belong to the active life which provides for the necessities of the present life by means of well-ordered activity Those human occupations that are directed to the consideration of truth belong to the contemplative life54.

It was common during the Middle Ages in Europe to discuss this matter which has, in fact, Aristotelian roots. Some scholars made a sharp division between both paths as if it would be possible to consider them as two mutually exclusive ways. Aquinas opted for a middle path following the logic of his theory of action in which the powers of the soul, namely will and intelligence, act jointly. First of all, Aquinas stresses that contemplative life does not pertain wholly to the intellect, for the simple reason that only the will can move all the other powers, including the intellect, to their actions. He wrote, the contemplative life has also something to do with the affective or appetitive power55. If to contemplate means to consider the truth, then that act is motivated by the intention of my will to get that appetitive good. Aquinas explains that contemplative life is not at all separated from the practice of good external actions, i.e. moral virtues. It is true that a life of contemplation refrains from external actions and that moral virtues do not belong to the contemplative act in itself. However moral virtues positively contribute to a life of contemplation to which they belong secondarily, or dispositively. Contemplative life is hindered both by the passions and by external disturbances. Now the moral virtues curb the impetuosity of the passions, and quell the disturbance of outward occupations56. Thus active life or, better said, the practice of good external works is a disposition to the contemplative life57.
53 Summa 54 Summa

Theologica, I-II, Prologue. Theologica, II-II, q. 179, a. 2, ad 3. 55 Summa Theologica, II-II, q. 180, a. 1. 56 Summa Theologica, II-II, q. 180, a. 2. 57 Aquinas links the relation active-contemplative life to the concept of the beautiful. God, our Supreme object of contemplation, is beautiful, as being the cause of the harmony and clarity of the universe. Summa Theologica, II-II, q. 145, a. 2. We apply the adjective beautiful to a body having his limbs well proportioned together with certain clarity of colour, and, similarly, we speak of spiritual beauty as standing for moral beauty, consisting in human

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Active life, or the practice of human actions, can be considered from two different angles. One is to look at it as the mere practice of external actions. In this case if there is no effort required for practising virtue, then the external act is a hindrance to the life of contemplation. The other way is to consider it as the exercise of those moral virtues that leads to the knowledge of and delight in the Divine truth. Quoting St. Gregory58 Aquinas says, Those who wish to hold the fortress of contemplation must first of all train in the camp of action59. Active life is the path towards final contemplation in this earth and in the afterlife. It is also the necessary path for many people. For most human beings, contemplation and activity should be wisely combined. Rather than opposing one way of life to the other it is a matter of joining both of them. Thus, when a person is called from the contemplative to the active life, this is done by way not of subtraction but of addition60. Contemplative life precedes the active life with regard to its nature because it consists in actually knowing and delighting in the Supreme truth. But this contemplation should move and direct the active life. Active life comes first in the order of generation. In this way the active precedes the contemplative life, because it disposes one to it61. In addition, active life is necessary for our relation with our neighbours. We are not isolated beings but people belonging to a concrete community in which we have social responsibilities. We cannot omit our social commitments by relying on a false spirit of contemplation. Once again Aquinas quotes Gregory, this time from his Homily on Ezekiel:
Without the contemplative life it is possible to enter the heavenly kingdom, provided one omit not the good actions we are able to do; but we cannot enter therein without the active life, if we neglect to do the good we can do62.

Contemplative life is a path leading to our final end, namely knowledge and possession of God. It could be achieved imperfectly in this life and perfectly only after death when we shall see God face to face. However, already in this life, contemplative life bestows on us a certain inchoate beatitude, which will be continued in the life to come. Wherefore the Philosopher (Ethic. X. 7) places mans ultimate happiness in the contemplation of the supreme intelligible good63.
actions being well proportioned according to the clarity given by the order of reason, i.e. the practice of moral virtues. Therefore, beauty is found principally in the contemplative life which is an act of reason, but also beauty is in the moral virtues by participation, in so far as they participate in the order of reason. Summa Theologica, II-II, q. 180, a. 2, ad 3. 58 Aquinas quotes largely from his Moralium Libri xxxv, or Commentary on the Book of Job. 59 Summa Theologica, II-II, q. 182, a. 3. 60 Summa Theologica, II-II, q. 182, a. 1, ad 3. 61 Summa Theologica, II-II, q. 182, a. 4. 62 Summa Theologica, II-II, q. 182, a. 4, ad 1. 63 Summa Theologica, II-II, q. 180, a. 4.

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In itself contemplation is more perfect than external action. However both should interact in a way that both go together. Aquinas concludes his analysis of these two kinds of life by saying:
those who are more adapted to the active life can prepare themselves for the contemplative by the practice of the active life; while none the less, those who are more adapted to the contemplative life can take upon themselves the works of the active life, so as to become yet more apt for contemplation64.

In the interaction between external activity and contemplation we find a motive cause which is essentially love. Our appetitive power moves us to look at things either for love of the things seen or for love of the very knowledge we get by observation. Action leads us to contemplation and we act because we love and our love increases when we act.

8. Conclusion
The theories we are comparing touch upon the distinction and mutual relationship between two types of life or, to put it in a different way, two different approaches to life. Rmnuja calls them karmayoga and jnayoga, while Aquinas applies to them the terms active life and contemplative life. We cannot fully equate these concepts but we can affirm they have many points in common. First of all we have to consider these theories in a bigger framework by looking at some fundamental notions such as the nature of Supreme Being and human being, which are their base. Rmnuja and Aquinas consider the Supreme Being as full of perfections and qualities, the source of all beings, and cause of every effect. However they understand the God-world relation differently. For Rmnuja, God is the material cause of the universe. He also exists in the effects, though in a different way (theory of satkrya-vda). Cause and effect are different realities making a unity with God. Creatures are modes of God and they exist in God as a metaphysical accident which is distinct but inseparable from its substance. Rmnuja affirms the co-existence of the Supreme Brahman together with non-sentient matter, or prak ti, and the intelligent souls, or puru a. There is no concept of creation ex nihilo in Rmnuja, but there is the affirmation that Brahman is the universal cause of whatever exists. Matter and spirit constitute the body of Brahman in the sense of being completely subordinated to him.
64 Summa

Theologica, II-II, q. 182, a. 4, ad 3.

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We by no means abandon our tenet that Brahman the cause modifies itself so as to assume the form of a world differing from it in character. For such is the case with the honey and the worms also. There is difference of characteristics, but as in the case of gold and golden bracelets there is oneness of substance65.

For Aquinas, God is Creator, i.e. efficient and final cause of the entire universe. All the effects exist as absolutely different beings, although depending on Him. He draws from the Christians concept of creation, which is a concept of creation ex-nihilo. The world does not enter into a real composition with the Creator: there is an infinite distance between God Pure Actuality and his creatures, in which there is a mix of potentiality and actuality. Every creature takes part, by participation, in the being of the Supreme Being but it is not that Supreme Being. The absolute transcendence of God in relation to all created beings is a main characteristic of Aquinas doctrine. He wrote:
Hence if the emanation of the whole universal being from the first principle be considered, it is impossible that any being should be presupposed before this emanation. For nothing is the same as no being. Therefore as the generation of a man is from the not being which is not-man, so creation, which is the emanation of all being, is from the not being which is nothing66.

Regarding their concept of man, both thinkers state the presence of two different elements in it, namely body and soul, or matter and spirit, which are united forming one being with capacity of interacting with the external world through his organs of action, knowledge, and volition. They consider man as a rational and free agent, one who has the power of knowing the essence of the objects surrounding him and who is self-master of his actions. This agent is oriented towards a final end, and all his actions are supposed to be the means to reach that goal. Rmnujas concept of body is linked to the eternal and primordial matter, i.e. prak ti, which evolves under the guidance of the Supreme Self. Body is a substance of purely instrumental nature, fully under the dominion of the spiritual element of man, i.e. the soul, puru a, or jva, the eternal individual self, which is the most true and permanent element within man. Body does not belong to the essence of jva and it will not remain after final release. Puru a is the real doer, the one who acts through his relation to a body. Therefore, man is an embodied soul, an eternal soul united to a body because of a beginningless law of karma, which has a redemptive purpose. Man is destined
65 Rmnujas 66 Summa

rbh ya, II, 1, 7, pp. 418-419. Theologica, I, q. 45, a. 1. Aquinas uses the word emanation as meaning creation.

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to attain liberation from bondage, i.e. to get free from his karmic body, and consequently enjoy perpetual bliss67. For Aquinas, body is the material element substantially united to the soul, which is the substantial form. Both are united making up a single composite being, i.e. human being. He maintains that man has been created in his body and in his soul. In Aquinas we find a harmonic relation between human body and soul. From a metaphysical point of view that harmony lies on the Aristotelian concept of substantial union. Matter and form have a metaphysical tendency to be united, which remains forever. We cannot label Rmnuja as dualistic. Even though matter and soul are different elements, they are interrelated in a harmonic way. Rmnuja did not have the Aristotelians background of Aquinas, and thus he was unable to speak in terms of substantial union between form (soul) and matter (body). Nevertheless we are not here facing a case of accidental union. We can explain the union of body and soul with a negative cause: a deception. The puru a individual self mistakes himself for a material self. Thus, from the puru a point of view the union is a deficiency. However, when you look at the present condition of man you see a harmonic relation between both elements. Man is an embodied soul in which the body is completely dependant upon the spiritual soul and under his dominion. The soul is an agent that consciously directs the body, its perfect instrument. This is an important remark because, even though the body is considered from a negative point of view, in the whole theory of Rmnuja its mission as a useful instrument is underlined. For Rmnuja man is an uncreated soul united to a karmic body while in the state of samsra. Each soul is a sort of uniform spiritual monad, which experiences changes in its degree of knowledge essential attribute because of the beginningless process of causation known as the law of karma68. Regarding the ends of human life, Rmnuja assumes the doctrine of
67 The

Gt says, Do you know both prak ti and the soul to be without beginning? See, XIII, 19. God has not created prak ti and puru a though they form his body, like an accident inhering on the divine substance, and they are under complete subordination to Him. Brahman, for Rmnuja, is essentially different from the created world. He is all-powerful and out of sport arranges the entire creation from the eternal uncreated realities of prak ti and puru a, according to the beginningless law of karma affecting each and every individual soul. 68 In this universe man cannot be seen as occupying a place of special privilege in it. The idea of a hierarchy of beings is foreign to Rmnuja thought, while it is a central concept to Aquinas world vision: Hence in natural things species seem to be arranged in degrees; as the mixed things are more perfect than the elements, and plants than minerals, and animals than plants, and men than other animals; Therefore, as the divine wisdom is the cause of the distinction of things for the sake of the perfection of the universe, so is it the cause of inequality. For the universe would not be perfect if only one grade of goodness were found in things. Summa Theologica, I, q. 47, a. 2.

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puru rthas which was prevalent in Indian Philosophy. In it we find a balance between the ends of this life kma, artha, and dharma and the last end, or liberation mok a. The first three ends are this-worldly ends while the last one is other-worldly end, i.e., divine vision. Aquinas, assuming his Aristotelian influence, states that the last end of our actions is the attainment of happiness, or eudaimonia, consisting in the vision of God. Even though both authors agree that to achieve divine vision is the final end of man, an important distinction should be mode. For Aquinas, the vision of God completely exceeds the natural human capacity. Man needs a special supernatural help namely, divine grace to attain it. On the contrary, for Rmnuja man attains his final end of life by getting full understanding of his own nature as an eternal mode of God. This can only happen once the soul is fully released from his karmic body. A clear distinction between natural and supernatural order is not found in Rmnujas writings. In the effort for attaining the final end of human life we find the two paths of knowledge and action. We can look at them as opposing each other, or as intermingling to the point of becoming one in need of the other. That seems to be the approach of both Rmnuja and Aquinas. The path of contemplation or knowledge is higher than the path of action because it is an act of our highest capacity, namely intelligence. For Rmnuja, jnayoga implies putting into practice a particular technique of concentration in order to get knowledge of the self in its pure nature, i.e. as a mode of God. It is a long and arduous process which demands the conquering of the senses and cannot be done without Gods help. Therefore, in theory, jnayoga is loftier than karmayoga, but in practice the latter is easier to follow and more effective in its results. Thus, more than two incompatible paths, we see in them two aspects of ones own effort, i.e. to act with detachment of the fruits, while having clear knowledge about our own nature and relation to the Supreme Person. Aquinas, relying on Aristotle and on Sacred Scriptures, also considers contemplative life to be more excellent than active life. However, he accepts that very often there are reasons compelling people to prefer the active life on account of the various needs of daily life69. Contemplative life is of greater merit but active life has enough merit to reach mans final goal. In the end what makes the difference is the love man puts in his actions, i.e. in how he refers all his actions to his Creator. Thus, Aquinas says,
it may happen that one man merits more by the works of the active life than another by the works of the contemplative life. For instance through excess of Divine love a man may now and then suffer separation from the sweetness of
69 Aquinas

quotes Aristotle who in Topics iii. 2 wrote: It is better to be wise than to be rich, yet for one who is in need, it is better to be rich. See Summa Theologica, II-II, q. 182, a. 1.

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Divine contemplation for the time being, that Gods will may be done and for His glorys sake70.

This statement of Aquinas could have perfectly fitted into Rmnujas Gtbh ya. Chapter five of the Gt starts with the startling question posed by Arjuna to K a: You praise, O K a, the giving up of works and again (the) yoga (of works). Of these, tell me which one is well ascertained to be preferable?. Jnayoga and karmayoga are both praised in the previous chapters of the Gt and it seems that karmayoga is to be preferable by reason of ease in practice and quickness in results. The whole chapter discusses the possible answer and, without discarding any of the two paths, it seems to give pre-eminence from a practical point of view to the path of action. This karmayoga based on the practice of all kind of actions, with a clear knowledge of the self, is an effective way. It becomes like an act of worship to God. Rmnuja says at the end of the chapter:
knowing Me as the Great Lord of all the worlds and as the friend of all and regarding karmayoga as of the nature of My worship, he becomes engaged in it happily. Such is the meaning. All creatures, indeed, strive to please a friend71.

In Rmnuja the interconnection between the path of action and the path of knowledge is clearly seen. Karmayoga is a necessary preparation for knowledge. There is a blending (samuccaya) of the two in a way that karmayoga implies having the knowledge of the nature of the self proper to Jnayoga and this knowledge includes the practice of action with detachment of its fruits. In the Gt the practice of several virtues are enunciated to the seeker of God72. Especially important it is the performance of exemplary virtues for those who have a leading role in society. For Rmnuja and for Aquinas there is a clear appreciation for the path of action, as something needed for our present condition of life and as a preparation for our final goal, i.e. the union with God through love. Rmnuja recommends the practice of actions united to the one of knowledge. This recommendation fits perfectly well within the system of a Christian author such as Aquinas. We can bring forward two quotations which are a clear proof of this conclusion. In them we distinguish their author due to their different terminology and distinct style: the content is basically the same. The first quotation is from Aquinas who wrote at the end of the questions of the Summa comprising his analysis on the two types of life, i.e. active and contemplative:

70 Summa 71 The

Theologica, II-II, q. 182, a. 2. Gtbh ya of Rmnuja, Chapter V, Verse 29, p. 163. 72 See The Gtbh ya of Rmnuja, Chapter XVI.

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Those who are more adapted to the active life can prepare themselves for the contemplative by the practice of the active life; while nonetheless, those who are more adapted to the contemplative life can take upon themselves the works of the active life, so as to become yet more apt for contemplation73.

The second quotation comes from the fifth chapter of Rmnujas Gtbh ya where he does a brief summary of what was explained throughout the previous chapters:
In the second chapter, You have shown that karmayoga alone should be first practised by the aspirant after mok a and that the vision of the self should be effected by means of Jnayoga by one whose mind has its impurities rubbed off by karmayoga. Again, in the third and fourth chapters, You praise the discipline of karma to the effect that the discipline of karma is better even for one who has reached the stage of being qualified for Jnayoga74.

Rmnuja and Aquinas agree that knowledge and action should go together in human actions. We insist that for them what really matters it is to attain final release. Consequently, the key issue is to know clearly how an action should be performed. It is remarkable to see how two thinkers, in spite of their belonging to very different cultural milieus, coincide in many basic points. It is true that their religious background has influenced their understanding of fundamental issues regarding God, man and the world. Nevertheless, we find in their intellectual efforts and in their sincerity of life a clear proof that in man there is an innate capacity to achieve truth regarding his nature and his relation with the Supreme Being. We finish this paper with a quotation from Rmnujas Gtbh ya which somehow summarizes whatever we have said throughout these pages.
Do all actions, secular as well as religious, in such a way that the roles of being the doer, enjoyer (of fruits) and object of worship (therein) are made over to Me you, the performer and enjoyer (of the fruits) of rituals, belong to Me and have (your and their) essential nature, continued existence and activity dependent on Me. Only to Me, therefore, who am the Supreme owner and the Supreme agent, offer everything yourself as the agent, enjoyer (of fruits) and worshipper Moved by indescribable devotion, meditate on finding your sole delight in subservience to and dependence on Me, on account of your being subject to My control75.

***
73 Summa 74 The

Theologica, II-II, q. 182, a. 4, ad 3. Gtbh ya of Rmnuja, Chapter V, Verse 1, pp. 142-143. 75 The Gtbh ya of Rmnuja, Chapter IX, Verse 27, pp. 268-269.

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Abstract: The Papal Encyclical Fides et Ratio has recommended a dialogue between Eastern and Western philosophy. Karmayoga (skilful management of actions) and jnayoga (true knowledge of God and man) according to Rmnuja (main representative of the Vii dvaita Vednta School of Indian Philosophy) can be fruitfully compared with the doctrine of active and contemplative life in Thomas Aquinas. The Sanskrit word Karma primarily means action. Karma brings bondage or liberation. Rmnuja integrates Karmayoga, jnayoga and bhaktiyoga (devotion to God) as different stages in the progressive realisation of salvation. Human being is an embodied self made up of body and soul (tman), united due to the law of karma. The individual self is an eternal mode, or part of Brahman. It is a centre of existence of its own but also an inseparable attribute of Brahman. Dharma (moral law), artha (wealth), kma (psychophysical enjoyments), and mok a (final liberation) constitute the four puru rthas, i.e. those end-values representing mans final goal as well as the path towards it. The key topic for Rmnuja is how a human action becomes a pathway for release instead of being a cause of perpetuating the life of bondage. To perform an action in the spirit of karmayoga means to convert it into a sacrificial act by forsaking its fruits (desireless action). Aquinas has also dealt with human action as an instrument to obtain mans final end of life. In itself, contemplation is more perfect than external action. However both should interact. Action leads us to contemplation and we act because we love and our love increases when we act. Despite their belonging to very different cultural milieus, which have influenced their understanding of fundamental issues regarding God, man, and the world, Rmnuja and Aquinas coincide in many basic points. Concretely, in them, there is a clear appreciation for the path of action, as something needed for our present condition of life and as a preparation for our final goal, i.e. the union with God through love. Rmnuja recommends the practice of actions united to the one of knowledge. This recommendation fits perfectly well within the system of a Christian author such as Aquinas.

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studi di filosofia

R. MARTNEZ J.J. SANGUINETI (a cura di)

RAFAEL MARTNEZ JUAN JOS SANGUINETI (a cura di) DIO E LA NATURA


Scritti di: G. Ancona, F.T. Arecchi, M. Artigas, E. Babini, S. Giardina, M.J. Hewlett, D. Lambert, J.M. Maldam, R. Martnez, V. Mele, N. Murphy, S. Procacci, J.J. Sanguineti Collana: Studi di filosofia - 25 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

DIO E LA NATURA

ARMANDO EDITORE

Gli studi che formano questo volume si inseriscono allinterno del dialogo oggi in corso tra le scienze della natura e il pensiero filosofico, l dove si pone il problema ricorrente di Dio. Si tratta infatti di stabilire un quadro epistemologico nel quale il rapporto tra scienza sperimentale, discorso metafisico su Dio e teologia sia affrontabile con legittimit razionale per evitare confusioni, mescolanze di piani e false incompatibilit. Solo su questa base, infatti, si potr verificare in che senso e con quali condizioni la visione scientifica della natura in grado di aprire spazi di approfondimento allindagine filosofica e alla ricerca teologica. pp. 192 15,00

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 99-123

note e commenti

El itinerario hacia Dios: dimensiones existenciales, hermenuticas y metafsicas


LUIS ROMERA* I

1. El dinamismo antropolgico
Constituye un lugar comn de la reflexin antropolgica contempornea subrayar que el hombre es un ser dinmico, susceptible de ser considerado con rigor slo si se aborda su estudio desde una perspectiva que tematice su peculiar dinamicidad. La experiencia comn testifica que el hombre no posee un carcter esttico, ni es constitutiva y existencialmente un ser que estribe en dejarse llevar por unos procesos extrnsecos o incluso intrnsecos con los que interacciona de un modo meramente espontneo, sea ste natural o adquirido culturalmente. El hombre ha recibido en sus manos su existencia con el imperativo de llevarla a cabo. l la conduce a lo largo del tiempo, en constante relacin con el contexto que le circunda y con sus contemporneos. El protagonismo de cada cual en su propia biografa se pone de manifiesto tanto en las decisiones con las que determina el rumbo de su existencia en las circunstancias por las que transita, como en el cuo que se imprime a s mismo con dichas decisiones. El uso de la libertad repercute evidentemente en el contexto social y ecolgico en el que se encuentra y determina la modalidad de las relaciones interpersonales que establece; no obstante, la accin libre deja su primer resultado en el mismo sujeto. El ser humano, en su individualidad insustituible y con su libertad intransferible, configura temporalmente la identidad que va adquiriendo y le caracteriza personalmente. Es un ser biogrfico. Sin embargo, la amplitud del protagonismo de cada uno es parcial, dado que se halla condicionada por las circunstancias que determinan su entorno cultura,
*

Pontificia Universit della Santa Croce, Piazza SantApollinare 49, 00186 Roma

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note e commenti

situacin social, prjimo y por el estado en el que cada uno se encuentra, con su corporeidad y psiquismo: salud o enfermedad, edad, aptitudes, etc. El contexto y los estados condicionan las posibilidades efectivas de la libertad, aunque, de todos modos, no la anulen. La experiencia cotidiana nos muestra la diversidad con que reaccionan y se orientan diferentes personas en estados o contextos semejantes. Lo que se padece (enfermedad, contrariedades, limitaciones) o se recibe (dotes, educacin, bienes) no aniquila la iniciativa del hombre, ni le substrae su capacidad activa, excepto en casos extremos. De ah que el hombre sea un ser histrico en el doble sentido de un ser que existe en un contexto heredado e influye en el mismo. Hay curso en la historia es decir, hay historia en cuanto tal porque el dinamismo del hombre es capaz de superar los parmetros que definen un contexto histrico recibido y darse una nueva configuracin social, poltica, cultural, etc. A raz de lo visto, se puede concluir que la ndole autoconfigurante del hombre posee una dimensin tanto biogrfica como histrica, en la medida en que cada uno modela su persona con los actos con los que asume la situacin en la que se encuentra, y decide sobre s mismo y sobre lo que le circunda segn sus posibilidades. La capacidad de autoconfigurarse remite a la libertad y a la inteligencia, como a sus condiciones de posibilidad. Si el hombre no fuese consciente de s mismo, de lo otro (lo impersonal) y de los otros (el otro personal) y no poseyese la prerrogativa de decidir sobre s mismo en las relaciones con la alteridad, el ser humano carecera de biografa humana e historia de la humanidad. La temporalidad del hombre, como ya puso de manifiesto el Heidegger de Sein und Zeit, no es semejante a la de seres con otras modalidades de ser. Ahora bien, el dinamismo configurante de la propia identidad y constructor de historia es tal, porque el hombre experimenta la insuficiencia de lo alcanzado y la reconoce en cuanto carencia. Por eso, su dinamismo libre no se detiene. ste vive de la tensin entre una exigencia intrnseca del mismo hombre por llevarse a cabo de un modo pleno y la conciencia del carcter insuficiente de lo realizado o adquirido. El quietismo slo es posible en quien considere que su ser ya ha alcanzado su plenitud o en quien desconfe totalmente de la existencia, con un pesimismo insuperable. La conciencia de la insuficiencia encierra una dualidad: por una parte, impulsa a seguir adelante, trascendiendo lo heredado o adquirido; por otra, constata la insatisfaccin que deja en el hombre todo lo realizado por l. Subsiste un hiato incolmado entre las realizaciones y configuraciones histricas, y la exigencia intrnseca del hombre. Estos dos aspectos sealan sendos rasgos fundamentales del hombre en su dinamismo esencial, que pueden ser designados con los trminos apertura y finitud. Detengmonos en ellos.

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2. Las aperturas de la existencia humana


2.1. El carcter abierto del hombre y la experiencia de la apertura El hombre es un ser abierto tanto con respecto a s mismo, como en sus relaciones con la alteridad (lo otro y el otro). Apertura con respecto a s mismo indica que el ser humano no se encuentra encerrado en un dinamismo instintivo, de ndole natural o fruto de hbitos de comprensin y comportamiento impuestos. La experiencia de tomar decisiones manifiesta que la existencia se enfoca en ocasiones en oposicin a lo natural o a las pautas culturales. La crtica y la resistencia o intento de innovacin con respecto a los propios impulsos naturales o culturales nos hablan de una apertura con relacin a uno mismo, que se realiza en el uso responsable de la inteligencia y de la libertad, en cuanto capacidad autoconfigurante y exigencia intransferible de llevarse a cabo. La apertura del dinamismo humano se refiere tambin a lo otro y al otro. En el primer caso, dicha apertura se muestra en la capacidad de ir ms all del contexto recibido, tanto ecolgico como cultural, e introducir novedades, impulsando la historia. En el segundo en las relaciones con los otros , la apertura se manifiesta como reconocimiento del t, respeto de su dignidad y respuesta tica al llamamiento que su misma presencia me dirige, como han subrayado Buber, Lvinas, Guardini, entre otros1. Dicha respuesta se realiza segn una multiplicidad de formas en las relaciones interpersonales, en funcin de la diversidad de la interpelacin que caracteriza a cada modalidad de relacin humana (familiar, de amistad, de solidaridad, fortuita, etc.). Como aludamos, la apertura con respecto a s y a la alteridad slo es posible en un ser que sea consciente de s y de la alteridad en cuanto tales, y que posea el poder-deber de autoconfigurarse relacionndose con lo otro y los otros. De ah que la apertura a la que nos referimos sea exclusiva de un ser que est presente ante s mismo y haya sido dado a s mismo. Con otras palabras, la apertura es propia de un ser con interioridad o intimidad, con una dimensin inmanente, en cuanto permanencia en s y pertenencia a s, autoconciencia y autoconfiguracin. Al mismo tiempo, es evidente que la apertura indica de suyo que el hombre no es una entidad clausurada, sino alguien a quien compete trascender. La dimensin trascendente es constitutiva del hombre. La apertura que caracteriza al ser humano y le capacita para desarrollar su dinamismo personal e histrico se fundamenta operativamente, en la multiplicidad de sus modalidades y aspectos, en la apertura originaria de la persona al ser. No nos detendremos, por razones de espacio, a explicitar temticamente este pre1

Cfr. M. BUBER, Yo y t, Caparrs editores, Madrid 1998; E. LVINAS, Totalidad e infinito. Ensayo sobre la exterioridad, Sgueme, Salamanca 1997; R. GUARDINI, Mundo y persona. Ensayos para una teora cristiana del hombre, Guadarrama, Madrid 1963; IDEM, Libertad, gracia y destino, Dinor, San Sebastin 1957.

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supuesto de la apertura histrica del hombre, ni a delinear sintticamente las maneras y los mbitos en los que esta ltima se acta. Para nuestro propsito ser suficiente indicar que la apertura originaria al ser base de todo el dinamismo de apertura del hombre consiste, por un lado, en el reconocimiento de la realidad en cuanto tal que subyace en cualquier acto cognoscitivo o prctico estrictamente humano y, por otro, en la conciencia de las dimensiones trascendentales del ser, tematizadas en la denominada doctrina de los trascendentales (ens, unum, verum, bonum, pulchrum), y de la persona. La experiencia personal e histrica nos muestra que el dinamismo humano conduce a ganar en altura o profundidad en su carcter de apertura. La educacin es un proceso por el que la persona accede se abre a mbitos para los que antes estaba cegada. Los conocimientos y hbitos que adquiere le permiten ampliar sus posibilidades en el ejercicio de llevarse a cabo. En muchas ocasiones, los nuevos mbitos alcanzados le facilitan crecer como persona, aunque en s mismos no sean imprescindibles para serlo plenamente. Sin embargo, hay algunos mbitos que son requeridos como una exigencia intrnseca para llevarse a cabo como persona de un modo cabal. Uno de ellos es el mbito de la tica. La historia testimonia que el de la religin es otro. En ambos casos nos encontramos ante dimensiones de la existencia que no son accesorias o sectoriales, ni meramente culturales, pues se refieren al ncleo de la persona y la implican en su totalidad. Lo tico y lo religioso no ataen al hombre en un aspecto, sino en cuanto hombre; no lo califican slo ntica o categorialmente, sino sobre todo ontolgica y trascendentalmente. La apertura en estos mbitos no acontece como un acto singular, con el que se accede a dicha dimensin de un modo directo y definitivo, de suerte que, una vez introducidos en ella, se permanece estticamente. La apertura a estas dimensiones es dinmica, tanto en sus primeros pasos como despus. En estas dimensiones se debe crecer: su acceso exige continuar en el proceso de apertura. Nos encontramos en unos mbitos en los que la apertura es progresiva. Su acceso y desarrollo constituyen un itinerario que cada persona recorre con el uso de su inteligencia y libertad. En muchas ocasiones, el acceso y el crecimiento en dichas dimensiones tiene lugar de un modo natural gracias a la educacin que se recibe y a la madurez de la experiencia que el hombre alcanza en el curso de su existencia. En otras, el acceso o desarrollo pueden requerir un proceso ms explcito de apertura. En todos ellos, sin embargo, es necesaria la asimilacin consciente de la apertura y la respuesta libre a lo que ella implica. Detengmonos un momento a considerar, aunque sea de un modo somero, algunas experiencias de apertura que nos permitan comprender mejor lo que llevamos dicho.

2.2. Diferentes modalidades de apertura La experiencia esttica es muy rica en sus contenidos y grados de intensidad. No es lo mismo la vaga sensacin de belleza que puede despertar un objeto de
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buen gusto, que la conmocin de quien se enfrenta con una autntica obra de arte. La experiencia esttica no equivale al inters que pueden suscitar unos restos arqueolgicos de indudable valor histrico, ni a la sensacin placentera de una decoracin agradable. La obra de arte conmueve, y lo hace porque el sujeto se siente interpelado por ella. La obra, ya sea una pieza literaria o musical, un cuadro o una representacin de teatro, se dirige al lector, oyente o espectador, y reclama de l una actitud activa. Solicita una respuesta interior. La obra puede suscitar en el sujeto interrogantes radicales que hagan oscilar convicciones precedentes; es capaz de acompaarle a reconsiderar la existencia o le confirma en sus comprensiones y actitudes, alentndole a penetrar ms en ellas. La obra de arte insta la inteligencia y exhorta la libertad a ejercerse en la interioridad del sujeto, para repercutir luego en su accin externa. El Guernica de Picasso o El Cristo de Velzquez son vistos como lo que son, nicamente cuando el sujeto penetra en el orden de cosas que el cuadro indica y en el que la obra es obra. Dicha penetracin reclama la inteligencia y la libertad; sin ella, el cuadro se limita a ser un mero objeto decorativo o un simple vestigio de una poca o acontecimiento histrico. Algo anlogo sucede con la lectura de una obra maestra de la literatura, or una pieza musical o contemplar una obra arquitectnica2. La conmocin que provoca la obra no se limita a la esfera afectiva o sensitiva; por el contrario, repercute tambin en la inteligencia y en la libertad, en la medida en que es la persona en cuanto persona quien es llamada en causa. Por eso, la experiencia esttica es en los casos en los que acontece con intensidad una experiencia de apertura a una dimensin de la existencia para la que el sujeto estaba cerrado, o bien es una experiencia de apertura en cuanto penetracin ulterior en una dimensin para la que ya se estaba abierto. Otra modalidad de experiencia de apertura, muy cercana a la anterior, tiene lugar a travs de la narrativa, la alegora o el simbolismo. Un ejemplo de ello es la conocida pgina del II Libro de Samuel (II Sam 12, 1-14), en la que el profeta Natn se dirige al rey David para relatarle la historia de un hombre rico, que agasaja a una visita no con una de sus numerosas ovejas, sino substrayndole a su vecino la nica que posea. Ante la ira que se desata en David por el comportamiento claramente injusto del protagonista de la narracin, el profeta le indica que es precisamente su accin de hacerse con la mujer de Uras y mandar a ste a una muerte segura, lo que se describe alusivamente en el relato. David recapacita y eleva su clamor de arrepentimiento. La narracin ha inducido la apertura de David a la dimensin tica de la accin cometida, gracias a la cual David es capaz de comprender plenamente lo que ha ejecutado. La apertura consiente una hermenutica ms certera de lo acontecido y reclama una respuesta de su libertad; en este caso, la contricin.
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Cfr. G. STEINER, Presencias reales, Destino, Barcelona 1991; M. HEIDEGGER, Der Ursprung des Kunstwerkes, en Holzwege, Gesamtausgabe, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M. 1977, Bd. 5, pp. 209-267.

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Los modos en los que se realiza una apertura son muy variados; sin embargo, en ellos la persona se sabe interpelada en su libertad. Es ms, la apertura solamente acontece cuando la libertad se decide a asumir lo que ella implica. En este sentido, la experiencia esttica es una experiencia hermenutica peculiar en la que la interpretacin conduce a situarse en un horizonte de comprensin de la existencia ms amplio, o a penetrar ms en l, solicitando del sujeto una respuesta libre. La apertura de que tratamos implica el reconocimiento de una dimensin de la existencia, que supone de algn modo una actitud crtica, en la medida en que requiere ser consciente de la insuficiencia del horizonte de comprensin y de la actitud existencial en la que antes el yo se mova. El reconocimiento conlleva una exigencia sin la cual no tiene lugar la apertura. Cuando el reconocimiento tiene que ver con una persona, la apertura acontece como encuentro. Esto ltimo es de especial relevancia en el caso de una religin en la que Dios es reconocido como ser personal. Como indicbamos, la obra de arte conmueve en la medida en que el sujeto se descubre interpelado por ella. Interpelar significa pro-vocar, es decir, dar lugar a una llamada o apelo que, proviniendo de una alteridad, se dirige al yo. La provocacin de la obra acaece porque su voz encuentra una resonancia interior en el sujeto. La resonancia tiene lugar en la medida en que la provocacin corresponde a una exigencia latente, que la obra despierta. La provocacin responde a una exigencia ontolgica del sujeto y exige de ste una respuesta. Este doble orden de exigencia y respuesta, uno ontolgico del sujeto que evoca la obra y otro existencial que la apertura demanda al sujeto, est contenido en la experiencia esttica intensa. Todo ello pone de manifiesto la relacin entre el pulchrum de la obra, la verdad que muestra o alude y la pretensin tica que conlleva o supone. Otro contexto en el que puede tener lugar una apertura lo constituye la amplia gama de experiencias del sufrimiento, que tantas veces hacen vacilar la ubicacin existencial en la que la persona se encontraba instalada. Sufrir fsica o psquicamente, padecer una desgracia, ser sometido a la injusticia, enfrentarse con la muerte, demarcan un conjunto de experiencias humanas que interrogan al hombre, reclamando de l una respuesta. En estas situaciones, lo evidente de la existencia se pone en entredicho; el orden operativo y hermenutico en el que discurra la vida empieza a resquebrajarse; lo inmediato no se presenta ya con el cariz de lo definitivo o de lo nico real. El hombre que padece y, ms todava, el que hacer sufrir si cae en la cuenta de lo que ejecuta es impulsado a interrogarse acerca de la existencia y de sus dimensiones esenciales, superando ya de este modo el mbito u horizonte anterior. La pregunta, en cuanto expresin de perplejidad y conciencia del carcter insuficiente de lo asumido preliminarmente, es una de la primeras modalidades de un acto de trascendencia, ya que implica ir crticamente ms all del marco de comprensin previo. La pregunta es un modo de abrirse que, en ocasiones, conduce a reconocer una dimensin del ser que antes se mantena velada.
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De nuevo aqu, la experiencia despierta una exigencia latente; en este caso, la exigencia de un sentido para la existencia que trascienda lo inmediato: el sufrimiento que se padece. Junto a ello, la experiencia de la afliccin solicita del sujeto una respuesta libre: la reaccin ante el sufrimiento que se especifica en el modo concreto de asumirlo y contrastarlo en funcin del sentido global de la existencia, que el mismo sufrimiento ha cuestionado o inducido. En otros casos, la experiencia de apertura, reconocimiento y exigencia acontece con motivo de un encuentro personal, como el pensamiento dialgico y el personalismo han analizado3. Las modalidades de un encuentro con un t, que conlleve una experiencia como la sealada, son mltiples. El enamoramiento abre a la persona a una dimensin de la existencia, que se reconoce en el encuentro con el t, e interpela al yo como una exigencia que requiere una respuesta libre. El ejemplo o ejemplaridad de vida que puede ofrecer un t, su modo de conducirse en la existencia y de enfrentarse con sus eventos, puede incitar al yo a abrirse a una dimensin del ser para la que estaba cerrado y que el t muestra testimonindola. El mrtir tanto en el sentido amplio del vocablo griego de quien testifica, como en el restringido del que confiesa con fidelidad a costa de la vida provoca al yo, poniendo en evidencia una dimensin de la existencia, invitndole a adentrarse en ella y suscitando la conciencia de una responsabilidad que no puede eludir. La apertura no es susceptible de ser impuesta con violencia ni de ser obligada manipulando. Abrirse corre a cargo de cada uno, con una respuesta intelectual y libre que pertenece a la intimidad de la persona. Por ello, la experiencia tica de la responsabilidad ante el prjimo menesteroso constituye otro mbito en el que acontece una apertura. Como ha recordado Lvinas, el rostro necesitado del otro y todo otro es indigente se dirige al yo requiriendo una respuesta moral. El encuentro con el prjimo menesteroso, y su reconocimiento como tal, tienen lugar slo si el yo supera una existencia centrada en su ego, identifica la penuria del otro, no se ensordece ante su splica y contesta ticamente a su imperativo. La apertura a la dimensin tica de la existencia acontece como un reconocimiento de la misma, que permite adentrarse en un modo de vivir ms intenso y autntico, y por eso se muestra como una exigencia propia de la identidad ontolgica del hombre. Por lo dems, y retomando sugerencias de Buber, slo as el yo encuentra al t como un t, sin transformarlo en un objeto utilizable, y nicamente as el yo es un yo verdadero. La ausencia del reconocimiento de la dimensin tica ciega al yo ante el t; dicha ausencia se expresa como objetualizacin o instrumentalizacin del t. Cada vez que el yo no se considera ticamente comprometido ante el otro, mira al t como a un ello, susceptible de ser manipulado, y no le reconoce su identidad. Esta actitud de cerrazn intelectual y de clausura tica conduce a cometer una injusticia con respecto al otro y simultneamente aliena al yo, el cual pierde progresivamente su autenticidad.
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Cfr. B. CASPER, Das dialogische Denken: F. Rosenzweig, F. Ebner, M. Buber, Herder, Freiburg 1967.

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Las experiencias de apertura que hemos reseado tienen lugar en el dinamismo temporal de la existencia. Existir significa para el hombre recorrer un itinerario en el que la persona se abre a las dimensiones ontolgicas, radicales, del ser y se adentra en ellas con el uso de su inteligencia y su repuesta libre. Abrirse implica ganar en inteligibilidad; con otras palabras, posee un rendimiento en trminos cognoscitivos. Apertura a una dimensin y reconocimiento de la misma, implica penetrar en el conocimiento del ser propio y ajeno, comprendindolo con una profundidad creciente, situndose en un horizonte de consideracin de mayor alcance. Ahora bien, la experiencia de apertura, reconocimiento y exigencia en el doble sentido de exigencia intrnseca del hombre, que se desvela ante la conciencia, y de exigencia de una respuesta por parte del yo a lo que conlleva dicha exigencia intrnseca acrecienta en la persona la conciencia de la necesidad de no conformarse con comprensiones de la existencia someras o parciales. La ganancia en inteligibilidad que la apertura origina, induce en el hombre la actitud de detenerse a reflexionar sobre lo alcanzado. El dinamismo de apertura convierte al hombre en un ser advertido, que percibe la urgencia de pensar ulteriormente y preguntar. El dinamismo intelectual que se desencadena, conduce a no conformarse con comprensiones asumidas gracias a presupuestos no indagados. La reflexin vuelve sobre lo asumido para dilucidar sus presupuestos ontolgicos e intelectuales, gracias a un interrogar cada vez ms radical. La hermenutica de la existencia conduce hacia la metafsica.

2.3. De la apertura existencial a la metafsica La actitud meta-fsica consiste, a este respecto, en desentraar lo que en otros mbitos cognoscitivos, como en las ciencias (de carcter sectorial por su misma naturaleza) o en la actitud pragmtica, se presume sin tematizar explcitamente. De ah que Aristteles afirme: Hay, en efecto, una causa de la salud y del bienestar, y de lo matemtico hay principios y elementos y causas y, en suma, toda ciencia basada en la razn o que participa en algo del razonamiento versa sobre causas y principios, ora ms rigurosos ora ms simples. Pero todas estas ciencias, habiendo circunscrito algn ente y algn gnero, tratan acerca de l, y no acerca del ente como tal y en cuanto ente4. Las ciencias indagan entidades, procesos y eventos que acontecen en un determinado mbito de la realidad (lo fsico, lo biolgico, lo sociolgico, etc.), acotado metodolgicamente. Sin embargo, lo estudiado en las ciencias presupone el ser de lo tematizado por ellas. Qu significa, en ltimo trmino, ser en el sentido activo, verbal, que resuena en el participio presente ens (del que proviene el neologismo ente, como caminante es quien activamente camina y oyente el que oye), es algo que las ciencias no cuestionan, sino que presuponen. Esto es lo que inquiere la metafsica.
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ARISTTELES, Met., VI, 1, 1025 b 4-10.

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La radicalizacin intelectual que se ejerce en la metafsica consiste en un preguntar que atae a lo presupuesto y no pensado; se encamina en cuanto radicalizacin hacia la raz. Hay una ciencia que considera el ente en cuanto ente y lo que le corresponde de suyo. Y esta ciencia no se identifica con ninguna de las que llamamos particulares, pues ninguna de las otras especula en general acerca del ente en cuanto ente5. En este sentido, la metafsica estriba en un movimiento que se dirige de lo presupuesto a la base que lo sostiene, a su fondo o fundamento, para considerarlo intelectualmente. Buscamos los principios y las causas de los entes, pero es claro que en cuanto entes6, en su siendo, en su ser. As surge el imperativo de plantearse preguntas radicales que, por referirse a la raz, ataen a lo integral de lo que existe y no slo a una o algunas de sus dimensiones. La experiencia de la apertura encauza hacia la reflexin intelectual, gracias a la cual se puede acceder a una nueva apertura o a penetrar ulteriormente en lo ya entrevisto. Como es lgico, la interrogacin requiere ser elaborada e impele a ponerse en camino hacia una respuesta7. Tambin, en este sentido, la reflexin terica o especulativa es un itinerario intelectual. La radicalizacin del preguntar encamina hacia la raz o fundamento; su itinerario puede ser designado entonces como fundamentar. Pero en cuanto tal, es una travesa. Una de las vas que conducen a abrirse a la dimensin radical de la existencia personal y ajena, y a plantear interrogantes ltimos, radicales y de carcter global, es la experiencia de la finitud. Gracias a ella, el hombre se ha percatado de la cuestionabilidad de la propia existencia y del ser de lo que le rodea. Movido por la conciencia de la finitud, el ser humano ha elevado la mirada ms all de lo inmediato. Estimulado por la urgencia que despierta, el hombre se ha planteado cuestiones metafsicas. En efecto, la experiencia de la finitud no se reduce a algunos aspectos o sectores de lo real, sino que abarca todo lo que constituye nuestro mbito inmediato de experiencia. Junto con la apertura, la experiencia de la finitud es un elemento constitutivo esencial del dinamismo histrico y biogrfico del hombre; por ello, requiere ser tematizada si se pretende alcanzar una comprensin rigurosa del hombre y de su modo de conducir la existencia.

3. La inteligencia y la libertad ante la finitud


La comprensin espontnea de la existencia que todo hombre posee y acrecienta con su madurar, manifiesta que existir implica para la persona humana llevarse a cabo temporalmente. Como indicbamos, entender la existencia como una misin supone la conciencia del yo, de la libertad y de la alteridad, tanto de lo otro impersonal como del otro personal. La relacin consigo mismo, que la autoconfi5 6 7

IDEM, Met., IV, 1, 1003 a 21-24. IDEM, Met., VI, 1, 1025 b 3-4. Cfr. L. ROMERA, Introduzione alla domanda metafisica, Armando, Roma 2003.

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guracin implica, se realiza junto con la relacin con el t y lo otro. Sin embargo, el resultado del esfuerzo de la libertad en la existencia no est asegurado de antemano. En efecto, la apertura a la alteridad contiene una cierta ambigedad en el hombre histrico. Si bien, por una parte, sta ofrece el mbito en el que llevarse a cabo segn lo ms genuino del hombre; por otra parte, se halla expuesta al riesgo de enajenar a la persona. El Kierkegaard de La enfermedad mortal, por ejemplo, y el Heidegger de Ser y tiempo se detienen, desde perspectivas distintas y con resultados de alcance desigual, a considerar el peligro de frustracin de la existencia, al que se arriesga necesariamente cada hombre. La relacin con la alteridad puede conducir al olvido del yo o del s-mismo, identificndolo con los asuntos que le ocupan o con la masa de coetneos despersonalizados. Cuando el yo se asimila sin ms con las ocupaciones laborales, ldicas, culturales, etc., hasta situar en ellas en su xito la propia identidad, el hombre no solamente se degrada al estado de dispersin en la multiplicidad de lo otro, que mina la identidad del yo, sino que llega incluso a disolverse en lo otro, enajenndose. Algo anlogo ocurre cuando la persona se identifica con pautas sociales o modas histricas y culturales, que ataen a las ms diversas esferas de la existencia, con una intensidad tal que el yo se confunde con el impersonal se dice, se piensa, se valora, se acta, etc., hasta diluirse en ello, como Heidegger describi con agudeza. La prdida u olvido de ser un s-mismo que tiene como tarea en la existencia llevarse a cabo de un modo intransferible, encamina a un estado de inautenticidad que de no corregirse termina con la enajenacin, es decir, frustrando la existencia. El peligro de malograrse que acecha a cada hombre obliga a reconsiderar la propia biografa y la actitud con la que se acomete el vivir cotidiano. De todos modos, junto al riesgo sealado, hay un segundo motivo que cuestiona la existencia en su globalidad: la finitud. La experiencia comn no cesa de advertir acerca del carcter finito del yo, de lo que ste realiza y de la alteridad con la que se relaciona. La finitud se pone de manifiesto, por ejemplo, en la temporalidad del ser propio y ajeno. Empezar a existir no es sin ms un mero hecho de experiencia emprica, ante el que slo cabe una constatacin positivista. Para un ser libre, el empezar propio o de las personas relevantes para l, no deja indiferente; por el contrario, incita a interrogarse sobre el origen del ser. La fugacidad e ndole transitoria de lo acometido y ejecutado, de los xitos o fracasos, de los estados interiores y circunstancias exteriores, conduce a plantear la pregunta acerca del sentido ltimo de lo que se emprende en la existencia. La respuesta a estos interrogantes es de importancia vital, ya que especifica el enfoque de la existencia en su globalidad. No es indiferente para el vivir cotidiano si, ante la cuestin del origen, la respuesta reza que el hombre es un ser arrojado a la existencia desde una instancia annima o, por el contrario, es fruto de un don; como tampoco es irrelevante la respuesta a la pregunta acerca del sentido, es decir, si la temporalidad es la ltima instancia de
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la existencia con lo que todo se dirige hacia la nada o la temporalidad remite a una eternidad. Temporalidad no significa nicamente distensin, en cuanto transito sin detenimiento, sino tambin que lo que es y acontece posee un carcter parcial y fragmentario. El hombre no halla lo definitivo en nada del yo y de su entorno. Lo temporal es provisional, tambin desde un punto de vista cualitativo. La provisionalidad de todo lo alcanzado o sufrido se muestra en que nada se presenta como definitivo o pleno. De ah el sentido de insuficiencia que cualquier acto o situacin humana suscita. El carcter inacabado de la existencia se percibe tambin en las experiencias positivas: ninguna situacin, estado o acto aislado es capaz de colmar la existencia; por eso, la historia y la propia biografa continan, y no slo en el sentido de que siguen corriendo las agujas del reloj y pasan las pginas del calendario. De todos modos, la conciencia de la muerte es lo que engendra con ms urgencia y seriedad la cuestin del sentido de una existencia marcada por la finitud. La muerte aparece como lo que anula todo lo que tena valor en la vida, hasta la propia existencia. Ella se encarga de enfrentar al hombre con la pregunta acerca del sentido de existir libremente y de la libertad en cuanto tal. Tambin en este caso, la respuesta no es indiferente para el vivir cotidiano, afectando al hombre no sectorialmente, sino de un modo integral. La finitud se constata tambin en los fenmenos de disociacin que vive el yo o se le anuncian como un riesgo. Es experiencia comn la percepcin de tensiones en la interioridad de la persona entre los distintos estratos que la componen. El imperativo tico puede encontrar resistencias en uno mismo por el esfuerzo o sacrificio que requiere, de tal modo que el hombre se viva como desdoblado o, al menos, con el deber de reintegrar esferas de s mismo que parecen ajenas las unas a las otras. El padecimiento de una enfermedad, de la pobreza o de la injusticia, son tambin experiencias que alejan al yo de una visin ingenua de la existencia. Ellas se aaden a las limitaciones que el hombre tiene de por s: por ser histrico, su libertad se encuentra situada en un contexto que delimita sus posibilidades; por ser biogrfico, su libertad acarrea con las condiciones que recibe y con las consecuencias de sus actos. La finitud se nos presenta por doquier. Otro aspecto que subraya la finitud del hombre es el riesgo ms grave contenido en su libertad: la posibilidad de frustrase en su ncleo ntimo cuando acta moralmente mal. En este caso, el hombre no padece el mal, sino que lo causa y se transforma en malo. Cuando el existente emprende esta ruta, se dirige hacia la alienacin de s de un modo todava ms intenso que la disolucin del yo en lo ajeno (los asuntos o la masa impersonal). La libertad humana se enfrenta con su finitud como con un problema que no es susceptible de ser aplazado, porque lo que est en juego es el sentido ltimo del ejercicio mismo de la libertad y el riesgo de alienarse que ella contiene. En este contexto, puede tener lugar una apertura de la persona a la dimensin religiosa, con el reconocimiento de la presencia de Dios y la decisin de dirigirse a l, como
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exigencia personal y respuesta a la exigencia que la divinidad le plantea. La apertura a Dios y a la relacin con l (la religin) implican ganar en inteligibilidad, en la medida en que ofrecen una respuesta a las preguntas radicales, otorgan el horizonte de comprensin ltimo de la existencia en el que enfrentarse con sus dificultades y misterios, sealan la orientacin definitiva del existir y suscitan la actitud vital bsica ante lo cotidiano y la propia biografa como una totalidad, con lo que ella encierra.

4. La experiencia religiosa
Saber de Dios y dirigirse a l, constituye el ncleo esencial de la religin, donde se dan cita todas las dimensiones fundamentales de la persona: la inteligencia y la voluntad, la intimidad de los afectos y la esfera social, la corporeidad y el espritu. Es la persona en su integridad quien se percata de Dios y responde. Por eso, no es infrecuente que se designe el mbito de la religin con el trmino corazn, no para contraponerlo a la inteligencia (con su demanda de verdad) y a la libertad (con su requerimiento tico), como hiciera Schleiermacher en polmica con Hegel y Kant buscando una esfera especfica para la religin y situndola en la del sentimiento (Gefhl), sino para subrayar que la persona se dirige hacia Dios desde su centro ms radical (corazn), hacia donde confluyen, donde se anan y desde donde manan todos los actos estrictamente personales8. Dios no forma parte de nuestras evidencias inmediatas. La excedencia de ser y de luz del Infinito supera las capacidades cognoscitivas de lo finito9. El hombre debe abrirse y reconocer a Dios. La apertura al Trascendente llama en causa a la persona en su ncleo y, por tanto, entran en juego la inteligencia, su actitud libre y el resto de dimensiones aludidas. De modo semejante a como se denomina experiencia tica o experiencia esttica al conjunto de actos y hbitos que constituyen las esferas tica y esttica del hombre, designamos experiencia religiosa, de un modo amplio, a la totalidad de actos y actitudes que forman y en los que se expresa la relacin del hombre con la divinidad: tanto su apertura intelectual a Dios, como su respuesta libre. La experiencia religiosa consiste, vista en su globalidad, en un itinerario que emprende y recorre la persona a lo largo de su existencia. La experiencia religiosa no es nicamente un conjunto de vivencias, sino un modo de existir, sabindose ante un Trascendente, como don suyo y refiriendo todo lo propio a l. Dichos saber y referir se vierten en actos y actitudes, que a su vez conforman a la perso8 9

Cfr. J. ESCRIV DE BALAGUER, Es Cristo que pasa, n. 164, Rialp, Madrid 1974. Cfr. ARISTTELES, Met., II, 1, 993 b 9-11: Pues el estado de las aves nocturnas ante la luz del da es tambin el del entendimiento de nuestra alma frente a las cosas ms claras por naturaleza. A este respecto, cfr. en S. TOMS DE AQUINO, S. Th. I, q. 2, a. 1; y en PLATN, Soph., 254 a-b.

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na. La apertura a Dios y su respuesta existencial se incrementan con el transcurso de una existencia vivida religiosamente, de tal modo que el conocimiento de Dios y su relacin libre con l se dan y se configuran en un itinerario. Saber de Dios es algo a lo que el hombre accede vitalmente de muchas maneras. En ocasiones, la persona se abre a Dios desde la infancia, gracias a la educacin recibida. En otras, es el encuentro, la palabra o el testimonio de un t, lo que permite descubrir que la existencia humana est llamada a una dimensin para la cual antes se estaba cegado y que, sin embargo, constituye la realidad ltima de la misma, ya que la refiere a la Realidad por antonomasia. En otras, podrn ser las experiencias de apertura que antes sealbamos las que conduzcan al hombre hacia Dios. En todo caso, la apertura a reconocer que Dios existe y el crecimiento en el saber acerca de l acontecen en el curso de un itinerario personal que cada uno recorre. Incluso cuando la persona se detiene a reflexionar rigurosamente e intenta formular filosficamente cmo se alcanza el conocimiento de Dios, es evidente que el proceso requiere andar un camino (va) intelectual, que no es inmediato ni susceptible de ser reproducido o expresado sin unos presupuestos de ndole metafsica, que implican un camino especulativo. El itinerario, tambin en este ltimo caso, consiste en un proceso progresivo de apertura a Dios y reconocimiento de su Presencia; itinerario que contiene ese escrutar que permite adentrarse en el conocimiento de Dios. Junto a ello, el itinerario implica la conciencia de que la relacin con Dios responde a una exigencia ontolgica, constitutiva, del hombre, y exige una respuesta por parte de l. Recapitulando, se podra decir que el conocimiento de Dios y la respuesta humana a l se estructuran parafraseando a San Buenaventura como un itinerarium personae in Deum. La experiencia religiosa, en el sentido indicado, posee un grado de riqueza tal, que es difcil sintetizarla en pocas palabras. Una de las expresiones concisas ms acertadas para referirse a ella es la declaracin agustiniana: quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te (porque nos hiciste para ti y nuestro corazn est inquieto, hasta que no descanse en ti)10. El sentido y la justificacin de esta clebre asercin de las Confesiones se enrazan en el itinerario biogrfico especulativo, moral, religioso de San Agustn. Puede ser de provecho identificar sus elementos constitutivos centrales, ya que en ellos se expresan contenidos esenciales de la experiencia religiosa. La experiencia religiosa incluye, en primer lugar, la experiencia de la inquietud de corazn, estrechamente ligada con la conciencia de la insuficiencia que antes identificbamos en la base del dinamismo biogrfico e histrico del hombre. La inquietud que se despierta en la intimidad de la persona surge de la articulacin de la experiencia originaria del ser, de la experiencia de la finitud y de la conciencia de tener que llevarse a cabo, a las que tambin aludamos anteriormente. En efecto, la apertura constitutiva del ser humano al ser en cuanto tal y a
10 S.

AGUSTN, Confesiones I, 1, 1.

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la propia realizacin no se colma con los resultados finitos, transitorios y parciales que va alcanzando en su existencia histrica. De ah el sentido de insuficiencia que adquiere y le impele a seguir adelante en su biografa y en la historia. La experiencia del cor inquietum es tan comn en el hombre, que puede pasar desapercibida para la conciencia, incluso en su reflexin explcita. La experiencia de que tratamos no consiste necesariamente en una vivencia intensa, aunque sta, de darse, la acente y obligue a enfrentarse con ella. La experiencia de la inquietud ntima tiene un componente existencial y otro intelectual, en el caso de que sea legtimo establecer aqu esta distincin. El componente existencial se refiere, ante todo, a la conciencia de que la existencia se presenta como una tarea encomendada a cada uno, de la cual no cabe desentenderse y de la que se es responsable (para empezar ante s mismo en la medida en que es uno mismo el que est en juego). Apoyndose en esta conciencia, se articulan las experiencias de la apertura a lo real con toda su amplitud potencial y de la finitud. La inquietud ante la tarea de la propia existencia se modela entonces como anhelo, dada la insuficiencia que se constata en lo provisional. La experiencia del cor inquietum y su hermenutica existencial como anhelo que no se colma con lo pasajero y fragmentario, no tienen, estrictamente hablando, una naturaleza sentimental, aunque la afectividad muchas veces las acompae. Expresan, ms bien, una exigencia ontolgica, constitutiva, del hombre como ser temporal y libre. Por eso, tampoco son susceptibles de ser interpretadas como algo implantado desde fuera culturalmente o como un engao o mscara, detrs de la cual ocultar una existencia sin sentido. El anhelo se encuentra en la base del dinamismo libre y finito de un ser que sabe que realizarse en la existencia es un imperativo ineliminable. El componente existencial incluye un componente intelectual, que la conciencia explcita del cor inquietum conduce a considerar directamente. La conciencia de la finitud propia y ajena pone de manifiesto que el ser finito no es autrquico, es decir, que su principio originante no se encuentra en s mismo. Ante ello, surge la demanda, insoslayable para una inteligencia coherente, de plantear temticamente la pregunta acerca del origen ltimo de lo finito. Las experiencias de la finitud y de la persona muestran tambin que el hombre no es un ser autorreferencial, sino que remite al mundo que le rodea y a los dems. No es completamente autnomo: constantemente recibe de la alteridad (de lo otro y de los otros). Junto a lo dicho, el hombre se sabe amenazado por la posibilidad del nihilismo, en el que acabara una existencia que se dirige hacia la muerte y constata la muerte del otro, si la muerte fuese la ltima instancia. Si a todo ello se aade la conciencia de la posibilidad de alienarse, que la historia no cesa de recordar, entonces surge tambin el requerimiento ineludible de cuestionar el sentido definitivo de la existencia. Sin embargo, la finitud es el mbito en el que desarrollar la propia existencia. En ella el hombre encuentra, junto con lo negativo, innumerables realidades positivas que, en lugar de acallar la inquietud, la aumentan, precisamente porque alu112

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den a un ms all de lo transitorio y parcial. El t y el pulchrum del mundo muestran el valor de la existencia, pero tambin replantean, con incisividad por su carcter finito y su relevancia existencial, las cuestiones indicadas. El cor inquietum ha conducido histricamente al hombre a reconocer una Realidad allende lo finito, que se manifiesta en lo finito como su Origen radical y Destino definitivo. La apertura a la dimensin religiosa el reconocimiento de Dios tiene un valor hermenutico primordial, en la medida en que permite comprender con mayor profundidad y rigor lo finito. Las preguntas que lo finito suscita encuentran respuesta en ella; ciertamente en el misterio, como ahora constataremos. La apertura a la Trascendencia es una ganancia en inteligibilidad; sin ella, los problemas que presenta lo finito permanecen con todo su carcter aportico. Renunciar a la comprensin que se alcanza con la apertura a la dimensin religiosa cerrndose a ella supone optar por una lnea que conduce a abdicar de un pensamiento (intellectus) con pretensiones de inteleccin, para abandonarse en una razn (ratio) sectorial, pragmtica e instrumental, desasistida de criterios al margen de su campo de aplicacin. Los peligros inherentes a dicha opcin son evidentes, como se pone de manifiesto en el debate en torno a las pautas que deben orientar las biotecnologas o la convivencia en una sociedad pluricultural, y cada vez ms globalizada, o la tica del mercado. La apertura religiosa y el reconocimiento de Dios significan percatarse del fecisti nos ad te, es decir, que por un lado lo no autrquico remite a un Origen sin principio (fecisti nos) y que por otro la no autorreferencialidad del hombre remite de nuevo a dicho Origen en cuanto fin y sentido de la existencia (ad te). El carcter de remisin del hombre en su finitud al Infinito tiene, por tanto, una doble dimensin: protolgica (de principio u origen) y teleolgica (de fin), ambas de ndole ontolgica y alcance existencial. Esta hermenutica de lo finito desde su referencia a un Origen que, en cuanto definitivo, est allende lo finito es infinito , se manifiesta como una exigencia intelectual y vital: exigencia intelectual, ya que lo finito requiere ontolgicamente un origen; exigencia existencial, porque el referirse a Dios se comprende como respuesta a la exigencia ontolgica de un ser cuya finalidad constitutiva se halla en Dios (fecisti nos ad te). El reconocimiento del Origen radical de lo finito implica advertir su infinitud y trascendencia; de otro modo, estaramos todava en el mbito de lo no-autrquico. Ahora bien, lo infinito slo es tal, si no est necesitado ni depende de nada. El Infinito se nos muestra como el Ab-solutus (Independiente, sin constricciones) que, en cuanto absoluto, si dona el ser, lo concede por liberalidad, sin otro motivo que su bondad. Es l a quien responde y se dirige el hombre. La inquietud y el reconocimiento de ser originados por Dios y destinados a l encaminan a caer en la cuenta de que la propia plenitud ontolgica y por ello existencial se encuentra en Dios: donec requiescat in te. El corazn se aquieta en la relacin con Dios, pues la identidad de ese ser personal, libre y temporal, que es el hombre, apunta teleolgicamente hacia l. La referencia a Dios es lo que da valor a la existencia y a todo lo que se realiza o acontece en ella. Lejos de subs113

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traer a la existencia cotidiana su valor, referir la propia persona y todo lo que constituye la vida a Dios, confiere significado a lo que se ejecuta y tiene lugar en ella, porque en la referencia al Origen y al Fin absoluto, todo alcanza su plenitud. Por eso, un trazo distintivo de lo divino es la paz (requiescat in te), aunque en ocasiones est acompaada por las contrariedades en la existencia y la vivencia de las dificultades, el sufrimiento o, incluso, la desazn. Como ocurre con la apertura y el reconocimiento, la referencia a Dios se incrementa, o debera hacerlo, a lo largo del tiempo. La experiencia religiosa es un itinerario, ya que ni la apertura del corazn inquieto, ni el reconocimiento del Origen y Fin, ni la referencia a Dios tal y como tiene lugar en un momento de la vida, son definitivas. Lo definitivo es el referente, por decirlo as. El acto del hombre siempre es susceptible de crecer. El camino dura lo que dure la existencia terrena. La referencia a Dios puede ser denominada come descanso (requiescat in te), tambin porque exige del hombre un acto radical con la consiguiente actitud de fondo que cabra designar con el trmino abandono. Ahora bien, el abandono con el sentido que a continuacin especificaremos requiere una conversin. En efecto, la apertura religiosa y el reconocimiento de Dios exigen una respuesta del hombre, que implica superar la pretensin de autosuficiencia que se esconde en el hombre histrico. Desde la comprensin del hombre en su referencia ontolgica y teleolgica al Trascendente, la ambicin de autosuficiencia se manifiesta como inautenticidad y falseamiento; con otros trminos, y en relacin a Dios, como pecado. La autosuficiencia se modula como autoafirmacin, es decir, como existencia centrada en el ego y que busca slo la imposicin del ego; se modaliza tambin como afn de posesin de cosas, de poder, de xito, de goces , lo que conlleva instrumentalizar en funcin del ego la realidad de lo otro y del otro, con el deseo de una suficiencia en y con dicha posesin; se vierte, as mismo, en la reivindicacin ilusoria de autonoma, cerrndose al t sin aceptar ni agradecer lo que se recibe, con un ansia disparatada de no depender; etc. Frente a la autosuficiencia, el hombre se vuelve hacia Dios y acepta el don que recibe de l: la existencia y su realizacin colmada. La aceptacin se expresa en un agradecimiento que permite descubrir la manifestacin de su gloria en lo que es un don de Dios: en lo finito, visto en su verdad ltima. Sin aceptacin y agradecimiento, no tiene lugar la apertura para reconocer su gloria y es imposible el descanso (requiescere in te). Pero, adems, el agradecimiento lleva a glorificar y a penetrar dejarse conducir ulteriormente en su gloria. Que el itinerario para ello est sellado por la cruz, es uno de los elementos centrales que la comprensin cristiana muestra con toda su radicalidad. La aceptacin del don de la existencia y de su realizacin cumplida se expresa, as mismo, en la splica ante los riesgos que la finitud implica en nuestra realidad histrica, englobables en el trmino analgico mal. Junto con el agradecimiento y la glorificacin, la plegaria y la contricin modalizan la referencia del hombre a Dios.
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Ahora bien, la aceptacin del don divino abraza implcitamente una exigencia, que la conciencia religiosa reconoce como un imperativo que corresponde a la demanda ontolgica del hombre, y por lo tanto, a su verdad y a su teleologa. Aceptar el don, requiere disponerse para donar. Con otras palabras y dicho cristianamente, si aceptar el don y corresponder a l dirigindose a Dios significan amar a Dios, ese amor posee la exigencia intrnseca de amar al prjimo. El segundo mandamiento es semejante al primero. En todo ello hay una coherencia, que los textos jonicos no dejan de subrayar: si Dios es amor que gratuitamente crea y salva (concede la plenitud), solamente conoce a Dios el que ama; el amor de Dios (reconocerle y responder con amor) requiere darse al otro (abrirse y amar al prjimo). Sin esta dimensin tica que demanda de la libertad una respuesta, el hombre no penetra en el misterio de Dios, ni en la verdad profunda de s mismo. De nuevo es menester recordar que, en todo ello, cabe y se debe crecer: el itinerario contina, pues el anhelo todava no se colma. Todo lo visto en torno a la aceptacin del don, a sus expresiones y a la disposicin a dar(se), es lo que desglosa el contenido del abandono como acto y actitud religiosa, al que nos referamos. Abandonarse es la respuesta libre de quien sabe que su existencia libre es un don de Dios y que es l quien libremente llama a s al hombre, le ofrece la fuerza liberatoria de acercarse y le concede la posibilidad del ejercicio colmado de su libertad merced a la gracia (su plenitud). La iniciativa parte de Dios. El abandono, entendido correctamente, no conduce a la dejacin de la libertad, sino todo lo contrario. La fe, en el sentido paulino, por ejemplo, es expresin de un creer que dirige a aceptar y recibir el don divino, a adentrarse en la misin de la existencia de un modo esperanzado y a corresponder al amor divino con una vida orientada hacia la caridad, con el esfuerzo y la iniciativa que todo ello implica. El abandono consiste, dicho cristianamente, en el ejercicio de las virtudes teologales, en las que se cifra la esencia de la existencia religiosa de un cristiano con su libertad. De todos modos, no puede pasar desapercibido que, en lo que hemos considerado hasta ahora, se pone de manifiesto que la experiencia religiosa posee contenidos intelectuales, doctrinales o dogmticos, en relacin a Dios y al hombre, que le son esenciales. La experiencia religiosa incluye tambin una exigencia moral y se expresa en una referencia espiritual y litrgica cultual a Dios, intrnsecamente unidas a los contenidos dogmticos. Desde aqu es evidente que la religin conlleva necesariamente una exigencia de verdad. Lo que aqu est en juego es la comprensin ltima y la orientacin definitiva de una existencia expuesta al riesgo de la alienacin. Por eso, es imprescindible la profundizacin intelectual.

5. Elaboracin intelectual y verdad religiosa


Ya ha sido subrayado que la apertura y el reconocimiento implican ganar en inteligibilidad y ofrecen un nuevo horizonte en el que llevar a cabo la propia exis115

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tencia. Sin embargo, en el mbito de la religin, como tambin sucede en el tico, la historia y la situacin contempornea muestran que la humanidad se ha abierto a lo divino, ha reconocido su existencia y ha enfocado su relacin con ello segn una multiplicidad de modos. Las diferentes religiones no son homogneas, ni en sus contenidos intelectuales, ni en sus enfoques morales de la existencia, ni en las modalidades de dirigirse a lo divino. La respuesta a la cuestin acerca de quin o qu es lo divino, condiciona la comprensin del hombre de s mismo y, por tanto, la determinacin de cmo conducirse en la vida y remitirse a la divinidad. Y viceversa: en las pautas cultuales, en las modalidades de espiritualidad y en los planteamientos morales de una religin (tanto en la dimensin individual como civil de la tica), se contiene una imagen de la divinidad y una comprensin del hombre que constituyen la base implcita o explcita en la que dichas pautas se apoyan. Dado que el contenido de la religin se refiere a las ultimidades, es decir, a la instancia definitiva de la verdad, a cuya luz se enjuicia la existencia, y al sentido ltimo de la persona, es claro que en este mbito no puede ser desatendida la cuestin de la verdad. A ello se aade el desafo que el hombre no religioso plantea al hombre religioso de que le muestre con rigor, sin caer en sofismas o actitudes fundamentalistas, la justificacin de la autenticidad de la apertura y de la verdad religiosa11. La demanda de verdad dirigida a la religin corre pareja con la reivindicacin de verdad que cualquier religin incluye, con independencia de la modalidad lgica o notica de la formulacin de sus contenidos. Corresponder a la exigencia de verdad de la apertura religiosa y del reconocimiento de Dios, supone emprender una elaboracin intelectual que debe consentir el acceso a tres cometidos de naturaleza cognoscitiva: 1) garantizar y justificar la apertura y el conocimiento propio de una religin, o ayudar a que se lleve a cabo la apertura y el reconocimiento en el caso de que quien reflexiona o su interlocutor no sean hombres religiosos; 2) profundizar en el conocimiento de Dios, del hombre y del modo de existir en relacin con Dios; 3) obtener criterios de discernimiento acerca de la verdad de una palabra religiosa, teniendo en cuenta la multiplicidad de palabras religiosas (o pseudoreligiosas) en una sociedad pluricultural y multireligiosa. En la elaboracin intelectual de la cuestin de Dios y de la religin juega un papel primordial como ha puesto de manifiesto Pannenberg la coherencia de una comprensin religiosa, de cara a dar respuestas a los interrogantes que el hombre se plantea en el curso de su vida, movido por su experiencia12. A este respecto, es ilustrativo el caso del profetismo de Israel. El profeta se presenta como portador de una palabra divina que se yergue ante los avatares de la historia. La palabra proftica es una palabra hermenutica, en la
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Cfr. R. GUARDINI, Religion und Offenbarung, Grnewald-Schningh, Mainz-Paderborn 1990. 12 Cfr. W. PANNENBERG, Metaphysik und Gottesgedanke, Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 1988; IDEM, Systematische Theologie, Bd. I, Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 1988.

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medida en que indica al hombre la esencia de la situacin en que se encuentra y experimenta, le muestra los motivos de la misma y le permite comprenderla. En la historia de Israel, el profeta desvela que el sufrimiento que padece el pueblo es fruto de haber vuelto la espalda a Dios, haber pretendido ser autosuficiente y no haber seguido sus caminos. El profeta subraya que solamente cuando se tiene en cuenta lo que su mensaje transmite, es decir, la dimensin religiosa de lo que acontece, el hombre sabe realmente qu es lo que acaece. Pero la palabra proftica es tambin una locucin que devuelve la esperanza, ya que al recordar la misericordia del Dios fiel que no olvida al hombre abre de nuevo las puertas al futuro. Ahora bien, la palabra tiene autnticamente valor hermenutico, al iluminar la experiencia, y existencial, al despejar el futuro, en la medida en que se sostiene sobre unos contenidos doctrinales que garantizan su carcter iluminante y esperanzador, y evitan que se trate de una farsa. Por eso, la palabra proftica es tambin palabra dogmtica y reveladora de Dios. En efecto, el profeta pinsese, por ejemplo, en Isaas y en la deportacin de Israel a Babilonia es el que interpreta la historia y abre al futuro, porque muestra el pecado del pueblo y anuncia a un Dios que es Seor de la historia. Slo ante un Dios as, cuando el hombre se da la vuelta, se encamina hacia su desgracia (como tambin ilustran el libro de la Sabidura y la Epstola a los romanos, en estos casos considerando la historia de toda la humanidad y no slo de Israel). Pero tambin es cierto que slo ante un Dios Seor de la historia, el hombre es capaz de fiarse de sus promesas, de que no est todo perdido, a pesar de las apariencias. Ahora bien, el Dios Seor de la historia slo es tal, si Dios es el Dios vivo y misericordioso, es decir, el Dios que se revela con carcter personal: alguien que acta, a quien cabe invocar, de quien el hombre puede fiarse. Pero adems, Dios es Seor de la historia y un Dios en quien confiar, nicamente si es el Dios todopoderoso, el Creador de todo lo que existe. Y, de nuevo, el Dios creador y todopoderoso slo puede serlo el Dios nico y trascendente. En definitiva, la palabra proftica es tambin palabra que anuncia al Dios nico y trascendente, creador y todopoderoso; palabra que proclama el monotesmo. El carcter doctrinal (veritativo, revelador) de la palabra proftica sostiene, as mismo, la dimensin moral del mensaje del hombre de Dios. Si Dios es el Dios fiel y misericordioso que se compadece del hombre pecador, Dios pide al hombre que corresponda a la verdad divina y a la verdad antropolgica y sea, a su vez, un ser que ame y se compadezca del desvalido: de la viuda, del hurfano, del menesteroso, del extranjero. La coherencia de la palabra proftica se presenta iluminadora; invita al hombre a adentrarse en la verdad que anuncia, a abrirse a ella para ganar en inteligibilidad ante su experiencia histrica y corresponder a sus exigencias intrnsecas de verdad y de cmo conducir la existencia. En este contexto, la coherencia y el valor de inteligibilidad, de verdad, de orientacin y de evento histrico de relevancia ontolgica y salvfica, se incrementan y alcanzan su plenitud con el Nuevo Testamento. La revelacin del misterio del Dios trino, que es amor (hti ho Thes
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agpe estn)13, que crea por liberalidad y se compadece del hombre, asumiendo y redimiendo su ser y destino con la encarnacin, cruz, resurreccin del Hijo y el envo del Espritu, abren al hombre a la verdad ltima que le permite ser por gracia segn su autntica identidad y destino. Los contenidos dogmticos-revelativos del libro de Isaas no son indiferentes para cualquier hombre, ni en trminos de verdad, ni de cara a la existencia. Si Dios es uno o no; si es personal o no; si es Seor de la historia o no; si es un Dios que ama y se compadece o no; etc., no son cuestiones secundarias ante el cometido de comprender la realidad propia y ajena, y de recorrer el itinerario de la vida. Si lo relevante de la religin fuese exclusivamente el darse de una cierta religiosidad en el hombre, todas las cuestiones dogmticas perderan su importancia; pero, con ello, se debera renunciar a la pretensin de verdad en el mbito ms radical de la existencia y los contenidos religiosos seran intercambiables o substituibles. Las aberraciones a las que puede llegar el hombre invocando la religin son una advertencia constante acerca de la importancia de no dejar desasistido el mbito ltimo de la existencia la religin de un enfoque en trminos de verdad. Por lo dems, si Dios es reconocible porque se manifiesta en sus obras en lo creado, en cuanto hechura de sus manos es propio de un ser inteligente no renunciar al pensamiento para reconocer la manifestacin divina. Todo ello se acrecienta si Dios, adems, se revela y acta salvficamente en la historia, sin limitarse por decirlo as a su accin creadora. En este caso, desentenderse a priori de la cuestin de la verdad de Dios, por considerar que lo nico decisivo es poseer una cierta religiosidad que cada uno modular segn su cultura o inclinaciones, significara cerrarse de antemano al reconocimiento de dicha revelacin y a la aceptacin de su accin salvfica, en detrimento ontolgico y existencial (soteriolgico) del hombre. La elaboracin intelectual permite acometer la tarea de garantizar y justificar la apertura o de encaminar hacia ella, de profundizar en el conocimiento del Dios reconocido y de adquirir criterios de discernimiento ante la multitud de palabras religiosas o pseudoreligiosas; y, todo ello, sin actitudes impositivas o cerriles, ajenas a la dignidad del hombre y a la esencia autntica de la religin y del acto religioso. La no indiferencia de la cuestin de la verdad de Dios se pone de manifiesto con mayor fuerza, si se compara la comprensin del ser y la actitud existencial del creyente, con la mirada y el enfoque de la vida del atesmo radical. Como Nietzsche ha proclamado en La gaya ciencia, negar la realidad de la trascendencia significa privar al hombre del marco de referencia en el que comprender lo finito, en el que encontrar el sentido de una existencia marcada con el sufrimiento que acompaa a sus goces, con el que orientarse en el ejercicio de la libertad14.
13 I 14 Cfr.

Jn. 4, 8. F. NIETZSCHE, Die frhliche Wissenschaft, Kritische Gesamtausgabe, Hrg. von G. Colli und M. Montinari, Walter de Gruyter, Berlin 1973, Bd. VI/1, n. 125, pp. 158-159.

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La muerte de Dios supone que el hombre deber habituarse a mirar abismos porque, faltando el Infinito, todo lo finito flota en una ausencia, vagabundea en la nada, se encamina a un vaco15. La ausencia que el ateo nietzscheano confiesa es 1) una ausencia ontolgica, porque lo finito est rodeado de la nada y se dirige a ella; 2) es tambin una ausencia de inteligibilidad, ya que falta el horizonte de comprensin ltimo y se declara que no existe la verdad sino solamente interpretaciones fugaces; y 3) consiste as mismo en una ausencia de ndole existencial, pues sin fin trascendente, el hombre est condenado a la inquietud sin tregua de quien nunca encontrar lo que le colma, porque no existe. La existencia que bosqueja Nietzsche se enfoca como una creatividad ldica16 en la medida en que no hay teleologa en s necesitada del valor (Mut) de quien debe enfrentarse con su carcter trgico17. En este contexto, la libertad se comprende en trminos de posibilidad y de potencialidad, reivindicando la superacin de pautas ticas, en cuanto se interpretan limitadoras de sus posibilidades. Situarse ms all del bien y del mal y rechazar una teleologa en el hombre, implica considerar que ste no es comprensible desde la nocin de identidad. Un hombre sin identidad est abierto a todas las posibilidades y su libertad consistir en la voluntad de s, en voluntad de su potencialidad (Wille zur Macht). La potencia est abierta a todo, cabe sentenciar aristotlicamente. Sin embargo, una libertad enfocada desde la ausencia de identidad, de fin y de Dios, es una libertad fundamentada en la mera potencia con todas las aporas que conlleva fundamentar el acto en el no ser de la potencia y adems una libertad arbitraria, sin indicadores que la salven del peligro del despotismo consigo misma o con el otro. Sin bien ni mal, sin verdad, con la sola potencialidad creativa de un hombre desamparado a s mismo y a su vaca y tautolgica autoafirmacin, palabras como compasin, agradecimiento y confianza, abandono y esperanza, lealtad y compromiso, solidaridad, pierden sentido. Por todo lo que llevamos dicho con respecto a Nietzsche y lo visto anteriormente, es evidente la contraposicin entre la actitud y la comprensin del hombre religioso y del hombre no religioso, tambin cuando este ltimo no llega a los extremos que Nietzsche pretenda del ateo. La no indiferencia de las cuestiones concernientes la verdad de Dios y del hombre es clara.

6. El itinerario metafsico hacia Dios


La apertura religiosa y el reconocimiento de Dios tienen lugar como un descubrimiento y saber que lo finito posee su origen radical en un Ser infinito. Dios
15 Cfr.

F. NIETZSCHE, Also sprach Zarathustra, Vom Gesicht und Rthsel, 1, Kritische Gesamtausgabe, op. cit., 1970, Bd. VI/1, pp. 194 ss. 16 Cfr. F. NIETZSCHE, Also sprach Zarathustra, Von den drei Verwandlungen, op. cit., pp. 25 ss. 17 Cfr. F. NIETZSCHE, Nachgelassene Fragmente, Kritische Gesamtausgabe, op. cit., 1972, Bd. VIII/3, fr. 14 [89], Die zwei Typen: Dionysos und der Gekreuzigte, pp. 58 ss.

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se reconoce en sus obras porque se manifiesta en ella y stas remiten a l. Percatarse de ello es un acto intelectual con alcance metafsico. Dicho en trminos tomistas, la elaboracin intelectual de los problemas suscitados por la experiencia de la finitud conduce, en primer lugar, a identificar el ser de las realidades como su acto ms radical. El ser se muestra, entonces, como irreductible a la esencia y a los dinamismos causales del ente finito. El dinamismo finito, en cualquiera de sus mbitos, consiste en un proceso o dar origen que estriba en transformar: afecta a las formalidades de lo real, presuponiendo constantemente el ser. Sin embargo, el ser no puede darse por descontado, en la medida en que la finitud de lo finito lo es tambin del ser. La finitud del ser se constata en la contingencia y limitacin del ente. Surge, de este modo, la cuestin del origen radical del acto radical, cuando ste no es autrquico, como sucede en lo finito. La radicalizacin del preguntar metafsico se dirige a la raz presupuesta, y no tematizada ni interrogada en las ciencias: el ser. El origen del ser finito se reconoce en un Ser que supera el mbito de la no autarqua y de la finitud. Por eso, dicho Ser no remite a otro ni es limitado, con lo que su virtualidad originante alcanza el ser de lo finito, eso que se mantiene al margen de lo disponible para el actuar y el causar finitos. El Ser allende lo finito es como ya hemos anunciado el Ser infinito, trascendente y absoluto. Por ello, su originar el ser no es semejante al causar de lo finito, sino un donar gratuito. El Infinito y Trascendente no es aferrable intelectualmente por una inteligencia finita, de ah que el Origen de lo finito se presente ante el hombre como un misterio. Pretender sondearlo llegar al fondo o comprenderlo abarcar lo que es se resuelve en una presuncin vana que acaba por perder a Dios. Sin embargo, que no sea aferrable no equivale a que al hombre le est vedado acercarse al misterio y desear penetrar, siquiera un poco, en el mar sin fondo de su riqueza. El anhelo de conocer la verdad de Dios es, en s, una primera respuesta a la exigencia teleolgica del hombre. El itinerario intelectual para madurar en el conocimiento de Dios no puede consistir ni en la onto-teo-loga criticada por Heidegger18, ni en un proceso deductivo, como ha subrayado Fabro19. El pensamiento ontoteolgico, caracterstico del planteamiento moderno, radica en una onto-loga en donde el logos humano se constituye en la instancia definitiva de la verdad del ente. La razn pretende obtener deductivamente desde s (cogito, Selbstbewutsein) la totalidad de la verdad, partiendo del presupuesto de que la figura de la verdad es un sistema racional, abarcable por la razn y demostrable en y desde ella. De este modo, reprocha Heidegger, el logos avasalla al ente: en lugar de dejar que ste se manifieste en su verdad, la razn le impone sus parmetros e ideaciones. En la lgica de un siste18 Cfr.

M. HEIDEGGER, Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik, en Identitt und Differenz, Neske, Pfullingen 1957. 19 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalit, Societ Editrice Internazionale, Torino 1960, p. 238.

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ma racional, al ontologa concluye con una teo-loga, en la que Dios es la pieza clave de la totalidad lgica, ya que cumple la funcin de ser la razn ltima que sostiene el sistema. La teologa que se elabora con esta estrategia contiene una visin lgica de un Dios segn la medida de la razn humana: un Dios para nada divino, ante quien nadie cae de hinojos para invocarle. El conocimiento de Dios slo es autnticamente de Dios si se sabe ante el misterio y lo respeta. La verdad de Dios no se puede deducir desde lo finito o desde una razn vuelta sobre s misma, que pretenda demostrar todo a partir de s. La verdad de Dios es la fuente de toda verdad, por eso no se puede de-ducir (deduco), es decir, conducir fuera, obtener o extraer desde un principio que la contuviera. Dio no se deduce; a l se remonta el hombre re-conduciendo (re-duco) lo finito a su Origen. La modalidad de pensamiento especulativo que se remonta hasta Dios, sabiendo lo finito como hechura de sus manos y, por tanto, reconduciendo su verdad metafsica a su origen y reconociendo la manifestacin de Dios en su actuar en lo finito, es la de un pensamiento metafsico de carcter analgico. La analoga indica que el logos, en este caso, en lugar de imponerse, se abre y se remonta hacia lo alto, con un dinamismo espiritual que incluye a toda la persona y se configura como itinerarium personae in Deum. Reconducir lo finito a su Origen infinito estriba en recorrer la via causalitatis retomando la indicacin del Areopagita y de Toms de Aquino , gracias a la cual el hombre se eleva hacia la verdad trascendente en cuanto reconoce que en ella se halla el origen del ser y de la verdad de lo finito. Esta ltima remite al hombre hacia aquella y, en esa medida, es un lugar en que se alude; gracias a lo cual, la inteligencia finita puede reconocer algo de Dios, que, aunque pobre, es de gran valor para ella y para la existencia. Sin embargo, las afirmaciones que el hombre puede hacer sobre Dios gracias a su reconocimiento como Origen (Acto puro, Principio trascendente, Ser absoluto y eterno, Plenitud de ser, Inteligencia creadora y omnipotente, Ipsum esse subsistens, etc.), necesitan ser continuadas por un dinamismo de negacin (via negationis) que purifique lo alcanzado, subraye la trascendencia e infinitud de Dios y manifieste su misterio insondable. A este respecto, Toms de Aquino con una lucidez y honestidad intelectual dignas de ser notadas , despus de sintetizar vas intelectuales por las que el hombre se remonta a Dios, acenta que saber qu o cmo es Dios si tuviese sentido utilizar tales expresiones no es posible para el hombre. Lo nico que cabe hacer para ganar en su conocimiento es recorrer la va de la negacin, removiendo cualquier signo de finitud. Dado que de Dios no podemos saber lo que es, sino lo que no es, no podemos considerar de qu modo es Dios, sino ms bien de qu modo no es20. Tras la reconduccin (reductio) que permite reconocer la existencia de Dios y algo de l pues de otro modo no se sabra de su existencia es imprescindible la remocin (remotio).
20 S.

TOMS DE AQUINO, S. Th., I, q. 3, prooemium.

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Negar no significa aqu nulidad de conocimiento, como si el pensamiento, en lugar de encontrarse ante el misterio, se hallase ante una pura nada para l. Negar es conocer que Dios es in-finito, sin composicin (sin materia, sin cuerpo, sin potencia), sin mengua de ser, sin necesidad de llevarse a cabo, sin multiplicidad: Lo primero que hay que considerar, entonces, es de qu modo no es (...). De Dios se puede mostrar de qu modo no es, substrayendo de l todo lo que no le es propio, como la composicin, el movimiento y cosas semejantes. De ah que, en primer lugar, haya que indagar acerca de su simplicidad, por la que se remueve de l la composicin. Y, puesto que en lo corporal, lo simple son las cosas imperfectas y las partes, en segundo lugar habr que inquirir acerca de su perfeccin; en tercer lugar, acerca de su infinitud; en cuarto, acerca de su inmutabilidad; en quinto, acerca de su unidad21. Dios es la perfeccin absoluta, incomprensible, inabarcable. La conciencia de misterio insondable (subrayado en la via negationis) impulsa como indica a su modo Gregorio Nacianceno a desear penetrar ulteriormente en ese abismo insondable de verdad: Dios posee en s, abarcndolo, todo el ser (t enai); sin principio ni fin; como un mar de esencia (plagos ousas), sin trmino ni lmite; superando todo pensamiento del tiempo y de la naturaleza. l es esbozado como en claroscuro (skiagraphomenos). Esto, contina el telogo, engendra en nosotros el anhelo de acercarnos ms a l, pues lo que es absolutamente incomprensible (tels lpton) no ofrece ninguna esperanza ni lleva a emprender nada, mientras que lo que es incomprensible (alpt) asombra; y lo que asombra suscita un deseo cada vez mayor22. Volviendo al Pseudodionisio, la negacin propia del pensamiento analgico desemboca en la via eminentiae, en el reconocimiento de la sublimidad de Dios y en el deseo anaggico de penetrar ms en su misterio sin fondo. En este itinerario de la analoga hacia Dios, ocupa un lugar destacado la va de la persona. Reparar en la dignidad ontolgica del ser personal finito y de su salto metafsico, en cuanto densidad de ser con respecto a lo no personal, seala que en el camino hacia Dios es imprescindible elevarse desde la consideracin del hombre, como indicaba San Buenaventura, distinguiendo entre el carcter de vestigio (vestigium) de Dios propio de lo no personal, y la ndole de imagen (imago) de Dios caracterstica del hombre. A travs de los vestigios de Dios en lo csmico se llega a la omnipotencia, a la sabidura y a la bondad divinas23; gracias a su imagen en el hombre, se puede empezar a reconocerlo como un Dios personal de un modo ms explcito24. El Absoluto no es pensable en trminos abstractos, como la ley del cosmos o una unidad supraideal, pero todava accesible desde el estatuto de la idea. El
21 Ibidem. 22 GREGORIO 23 S.

NACIANCIENO, Oratio 45, 2. BUENAVENTURA, Itinerarium, II, 1 24 IDEM, Itinerarium, I, 13.

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Luis Romera

Absoluto no es la totalidad omniabarcante, ni la pieza clave de un sistema. La va de la negacin es imprescindible en la elaboracin intelectual; ella permite no abandonar su carcter trascendente. Dios no es uno (el sumo ente) junto a otros (los entes finitos). Como subraya el mismo Ricardo de S. Victor, Dios es inmenso, tanto ontolgica como noticamente25. No tiene fronteras que lo delimiten con lo finito, ni es asequible para el intelecto. Pero si la va de la eminencia se enfoca desde la persona, entonces el pensamiento reconoce que Dios es el Absoluto personal, y su originar se discierne desde lo personal: Dios es el Absoluto que crea por liberalidad (pues en cuanto ab-solutus no depende ni tiene necesidad de nada) y por amor (pues en cuanto Ser pleno y personal, dona gratuitamente). En este itinerario, la ontologa del ser y de la persona (no la onto-loga de la ratio moderna) se abre a una teologa del Dios amor. Es claro que los desarrollos intelectuales ahora esbozados han sido posibles en la historia gracias a la revelacin bblica; sin embargo, para una inteligencia que se da y piensa en la historia y desde la historia, son itinerarios que se pueden recorrer con la inteligencia y que permiten acercarse a dicha revelacin. Las repercusiones existenciales de todo ello son evidentes: el hombre, en cuanto ser personal, se sabe llamado a la existencia por un Dios que lo llama a l. Dios, en su eternidad, llama desde el futuro; por eso, en la realizacin de esa llamada se encuentra la identidad plena del hombre. En estas pginas hemos intentado delinear el itinerario que puede recorrer el hombre hacia Dios desde una perspectiva, entre otras posibles, en la que se entreviesen sus dimensiones existenciales, hermenuticas y metafsicas. Evidentemente, lo visto no deja de ser un esbozo, que requiere ulteriores desarrollos analticos y especulativos. De todos modos, lo que se pone de manifiesto en lo considerado, es la estrecha relacin entre las tres dimensiones mencionadas; de ah la importancia de atender a la cuestin de la verdad en su conexin con la existencia en el actual contexto histrico.

25 RICARDO DE

S. VICTOR, cfr. De Trinitate, I, XIX; I, XX, etc.

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studi di filosofia

MARTIN RHONHEIMER LEGGE NATURALE E RAGIONE PRATICA Una visione tomista dellautonomia morale
Collana: Studi di filosofia - 24 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

MARTIN RHONHEIMER

LEGGE NATURALE E RAGIONE PRATICA


Una visione tomista dellautonomia morale
ARMANDO EDITORE

Lautore esplora sistematicamente la dottrina di S. Tommaso sulla legge naturale, cercando di metterne in evidenza tanto lintrinseca coerenza quanto la relazione con altre caratteristiche dei suoi insegnamenti sulloperare umano. In questa visione filosofica ogni concezione della legge naturale, essendo strettamente legata alla ragione pratica, include necessariamente una definizione dellautonomia morale che trova il suo fondamento nella ragione, l dove solo un essere razionale pu essere considerato autonomo. Si sviluppa quindi una riflessione morale che fa giustizia sia dellautonomia intellettuale delle persone, intesa come potere creativo nella comprensione e nella fondazione di modelli fondamentali del bene umano, sia della dipendenza da ogni modello di pre-condizionamento. pp. 576 31,00

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 125-137

Acerca del saber hacer. Estudio del hbito del arte siguiendo a Toms de Aquino
JUAN FERNANDO SELLS* I

1. Planteamiento
Vamos a tratar del hbito racional del arte, el saber hacer. Para la exposicin de tal hbito se sigue el hilo conductor de los textos de Toms de Aquino. En este tema hay una serie de tesis tomistas pacficamente aceptadas por los estudiosos. Destaquemos las siguientes: 1) El hbito de arte es una perfeccin racional en la vertiente prctica de la operatividad de esta potencia. 2) Este hbito permite transformar la realidad fsica, o la perfecciona. 3) Su objeto propio no es la verdad sino la verosimilitud. 4) Se distingue de los hbitos tericos por el tema (lo contingente) y por el sujeto (la razn prctica), y de la prudencia por el tema (lo factible en vez de lo agible). Con todo, tras la lectura del cuerpo de doctrina tomista surgen una serie de cuestiones que justifican abordar una vez ms el estudio de este hbito tan clsico. Adems, tales cuestiones son de neta actualidad. De manera que replanteando el tema podemos alumbrar una serie de soluciones a esas preguntas y pareceres en boga. A ttulo de ejemplo se pueden indicar los siguientes puntos controvertidos: Como es sabido, es tesis tomista mantener que la prudencia y el arte son hbitos intelectuales distintos. En efecto, Sto. Toms separa ambos hbitos hasta el punto de puede darse el uno, el de arte por ejemplo, sin que se d el otro, el de prudencia. Con todo, una cuestin que se plantea en este trabajo es si, en el fondo, ms que una taxativa separacin entre ambos hbitos no se trata ms bien de un mismo hbito que se muestra ms activado (prudencia) o menos activado (arte). En rigor, cabe preguntar si puede existir una taxativa separacin entre arte y prudencia, es decir, cabe ser prudente sin hacer nada?, y a la par, cabe hacer algo sin cierta
*

Departamento de Filosofa, Universidad de Navarra, e.mail: jfselles@unav.es

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note e commenti

prudencia? Si el arte perfecciona la realidad externa, acaso es uno inmune por dentro a las acciones externas que hace? Otro asunto que cabe preguntar es acerca del origen de este hbito. Preguntmoslo as: se llega a tener un saber prctico tras hacer muchas acciones, o por el contrario, es el saber prctico condicin de posibilidad de la realizacin de toda accin? Obviamente el pragmatismo se inclinara por la primera parte de la alternativa, pero lamentablemente esta filosofa no cae en la cuenta que inclinarse por esa parte no es ningn hacer, ni tampoco una actitud derivada de algn hacer previo, de modo que esto parece contradecir su propio postulado. Tal inclinacin preferencial tampoco es, obviamente ningn saber, sino seguramente falta del mismo, precisamente porque esa tesis parece contradictoria. Entonces cul es la ndole de tal actitud decisoria? Se trata, ante todo, de un elegir o preferir. Como es obvio, elegir es de la voluntad. Con todo, una eleccin que no secunde la verdad racional cede al voluntarismo. Por otra parte, el esteticismo y el relativismo cultural sumamente extendidos nos hacen proclives a sostener la tesis de que el arte, y consecuentemente la belleza, son asuntos en mayor medida de gustos, es decir, relativos, opinables en exceso, etc. Pero tambin esta tesis es cuestionable si se arroja luz sobre la ndole del hbito artstico, visto, ante todo, como saber que versa sobre el hacer. En efecto, si el saber puede serlo segn un ms o un menos, es decir, es de ndole jerrquica, lo hecho debe responder a tal jerarqua. Por lo dems, para muchos hoy en da todo el saber existente parece enteramente de orden prctico, es decir, encuadrable exclusivamente dentro del mbito de lo verosmil, de lo probable, campo propio tambin de la opinin (aunque tambin es verdad que se admite la existencia de opiniones ms fundadas que otras). En efecto, en muchos mbitos no parece bien visto aceptar y defender verdades incuestionables, pues tal actitud se confunde con una especie de dogmatismo o fundamentalismo. Sin embargo, aparte de que tal hiptesis cae bajo su propia crtica, el hbito de arte (y tambin el de prudencia) tienen un carcter distintivo respecto de los hbitos tericos. Y su distincin radica precisamente en que aqullos versan sobre lo universal y necesario mientras que stos se refieren a lo particular y contingente. Pero si eso es as, se puede preguntar acerca de la superioridad de unos modos de conocer sobre otros. Adems, se puede cuestionar asimismo si la superioridad conlleva subordinacin del saber inferior al superior. Examinemos, pues, estos puntos ms de cerca a la luz de las enseanzas tomistas.

2. La transformacin de la realidad fsica


La prctica totalidad de referencias que Toms de Aquino realiza a la tradicin precedente en el estudio del hbito de arte aluden a escritos aristotlicos1, con
1

Especialmente al libro VI de la tica a Nicmaco, alguna al VII, otras al libro II de la Fsica, y alguna al libro II del De Anima. Cfr. In III Sent., d. 26, q. 2, a. 4, sc; In Ethic., l. I, lect. 1,

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alguna salvedad al Damasceno2, y la consabida influencia de sus maestros3, que, por supuesto, conocan bien al Estagirita. Para Toms de Aquino el arte es un hbito4, y lo es de la razn5, de la razn prctica concretamente6. Es la perfeccin intrnseca de la razn prctica en orden a uno de los dos fines que sta puede tener, en este caso perfeccionar las cosas factibles. No se refiere, por tanto, a las acciones humanas, como la prudencia, sino a las realidades exteriores: factio est actus in exteriorem materiam7. Evidentemente, las realidades exteriores estn dotadas de materia, materia que puede describirse como la anterioridad segn el tiempo8, porque es la causa que impide la completa actualizacin de lo fsico. Por eso el de Aquino afirma que el arte factivo no es otra cosa que la sustancia de la cosa hecha, y lo que era su ser9. Ese ser material se dispone por el arte para recibir una transformacin.
n. 8; 7.12.n14; In Post. Anal., l. II, lc. 9, n. 14; ibidem, l. II, lec. 20, n. 11; S.C. Gentes, l. I, cap. 93, n. 4; ibidem, l. II, cap. 24, n. 5; S. Theol., I ps., q. 103, a. 2, ad 1; ibidem, I-II ps., q. 16, a. 3, sc; ibidem, q. 21, a. 2, ad 2; ibidem, q. 34, a. 1, ad 3; ibidem, q. 64, a. 3, sc; ibidem, q. 68, a. 4, ad 1; ibidem, II-II ps., q. 134, a. 1, ad 4; ibidem, III ps., q. 32, a. 4, ad 2; etc. 2 Cfr. S. Theol., I ps., q. 82, a. 4, sc. 3 De Alejandro de Hales registra que el arte es el principium faciendi et cogitandi quae sunt facienda, S. Theol., II, 21 a, Grottaferrata, Roma, ed. Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, 1924, vols. I-IV; asimismo que omnis artifex est sapiens per suam artem, ibidem, I, 649 a; que potest artifex videre in se rem fiendam et iam factam, ibidem, II, 179 b; etc. Alberto Magno expuso una serie amplia de notas sobre el arte en su obra Super Etica, en Opera Omnia, Monasterii Westfalorum in aedibus Aschendorff, vol. XIV, 1 y 2, 1968-87: que es virtus, cfr., 103, 77. Asimismo, que en el hbito hay dos partes, una que dirige quod est ratio factibilium, et haec est forma artis, y otra que inclina al acto por parte de la ejecucin de la obra, y en ambos casos se parece a la prudencia, cfr. 109, 58; que las virtudes morales se distinguen del arte en la parte directiva, no en la inclinativa a la ejecucin, cfr. 109, 58. Alude tambin a que el arte posee medio y fin, cfr. 102, 63; que junto con la prudencia son las dos virtudes medias entre las intelectuales y las morales, cfr. 394, 36; que el fin del arte est en el mismo artfice y la verdad se toma de lo que pertenece a ese arte; lo falso, en cambio, del defecto de la materia, cfr. 418, 79; que lo natural est sujeto a la operacin del arte, cfr. 429, 4; que este hbito perfecciona a la razn prctica, cfr. 431, 70. Aade tambin que el arte ayuda a la operacin de la naturaleza, cfr. 432, 87, aunque sus operaciones no versan sobre lo mismo, cfr. 433, 45. A su operacin la llama factionem, cfr. 439, 69; y sabe que tal hbito no es una virtud moral, cfr. 441, 83, describindolo como habitus factivus cum ratione, 435, 23; etc. 4 Cfr. In III Sent., d. 14, q. 1, a. 3, qc. d, sc. 2; De Ver., q. 10, a. 9, ad 6; In Metaph., l. VI, lect., 1, n. 10; ibidem, l. VII, lect. 8, n. 17; S. Theol., I-II ps., q. 60, a. 5, co; ibidem, q. 64, a. 3, sc; ibidem, II-II ps., q. 134, a. 1, ad 4. 5 Cfr. De Pot., q. 7, a. 1, ad 1; S. Theol., II-II ps., q. 134, a. 4, ad 3. 6 Cfr. De Vir., q. 1, a. 7, co; In Ethic., l. I, lect., 1, n. 8; S.C. Gentes, l. III, cap. 25, n. 9. 7 S. Theol. I-II, q. 57, a. 4, co; Cfr. asimismo: In Post. Anal., l. I, lect. 44, n. 11; In Metaph., l. I, lect. 1, n. 34; In Pol., l. I., lect., 6; S. Theol., I-II ps., q. 34, a. 1, ad 3; ibidem, q. 57, a. 4, ad 1; ibidem, q. 68, a. 4, ad 1; ibidem, II-II ps., q. 47, a. 5, co; ibidem, q. 58, a. 3, ad 3; ibidem, q. 123, a. 7, co. 8 Cfr L. POLO, Curso de teora del conocimiento, vol. IV, Primera parte, Eunsa, Pamplona 1994, pp. 149 ss. 9 In Metaph., l. XII, lect. 11, n. 20.

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Trasformar significa cambiar de forma. Por forma aqu no se entiende estrictamente la forma sustancial, sino ms bien la figura o la configuracin externa que presenta esa causa. Pero para cambiar de conformacin se requiere un nuevo impulso o movimiento, es decir, una nueva eficiencia y, a su vez, se precisa de una nueva finalidad u orden distinto del propio de la naturaleza (el orden csmico). Eso indica que el hombre no se conforma con el orden del universo, sino que, o bien acelera su consecucin, o bien lo cambia buscando ms orden (o bien lastimosamente lo desordena y estropea). Con ello se puede concluir que el hbito racional del arte es el medio por el cual el hombre aade al universo, y una prueba palmaria de que el hombre no es intramundano. Cambiamos el mundo por el trabajo. De manera que el saber hacer, el hbito de arte, es condicin de posibilidad de todo trabajo. Primero es saber, luego hacer. Consecuentemente, a ms saber prctico, ms posibilidad de transformacin. Al entrar en juego el movimiento entra en escena el espacio y el tiempo. El espacio, porque bajo el arte no caen sino esas cosas que son determinadas; pues el arte no es propio de las cosas infinitas10. El tiempo, porque el arte no slo determina que esto sea tal, sino que sea tunc11, y con vistas al futuro, pues nos parece hacer lo que est en nuestro arbitrio, lo cual es futuro; de este modo son los cuerpos del arte12. Ello indica que, por estar dotadas de una materia particular, las realidades artificiales son concretas y singulares13. Obviamente todas esas realidades son contingentes, puesto que son posibles de ser o de no ser14, de ser de un modo u otro. Si el arte trasforma lo contingente es porque le dota de otra forma que antes no tena. Tambin la naturaleza transforma los seres contingentes, pero la diferencia entre ambas transformaciones estriba en que la naturaleza es un principio intrnseco, y el arte es principio extrnseco15 del cambio de la realidad fsica. ste es el parecido que tienen el arte con la naturaleza, y en este sentido se dice que el arte imita a la naturaleza16, a saber, en su operacin, pues mientras que la naturaleza obra como autor principal, el arte lo hace como secundario, pues su misin es ayudar al agente principal y llegar all donde el aqul no puede. Por eso suple los defectos de la naturaleza en esas cosas que pueden ser hechas tanto por naturaleza como por arte, pero en otras que no puede hacer la naturaleza, el arte la
10 In 11

Physic., l. V, lect. 1, n. 10. S.C. Gentes, l. II, cap. 35, n. 3. 12 Res. Ad Lect. Venet., a. 9, ad 9. 13 Cfr. In Ethic., l. I, lect. 8, n. 5; De Subst. Separ., cap. 15/75. 14 Omne enim quod generatur vel per artem vel per naturam est possibile esse et non esse, In Metaph., l. VII, lect. 6, n. 8; ars autem et prudentia (sunt) circa contingentia, S. Theol., II-II ps., q. 47, a. 5, co. Cfr. tambin: S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 6, co. 15 In Physic., l. II, lect. 14, n. 8. 16 Cfr. In IV Sent., d. 42, q. 2, a. 1, co; De Ver., q. 11, a. 1, co; In Post. Anal., l. II, lect. 9, n. 14; In Physic., l. II, lect. 4, n. 6; ibidem, l. II, lect. 13, n. 4; S.C. Gentes, l. II, cap. 75, n. 15; S. Theol., I ps., q. 117, a. 1, co.

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reemplaza porque s puede. Un ejemplo de lo primero es la salud, que puede ser efectuada tanto por la naturaleza como por el arte mdico. En este sentido la medicina no es una ciencia, sino un arte. Un ejemplo de lo segundo es la edificacin de una casa. En este sentido la arquitectura tampoco es una ciencia sino un arte. El arte imita a la naturaleza en aqullas cosas que pueden ser hechas tanto por arte como por naturaleza, lo cual no significa slo hacer lo que la naturaleza hace, sino tambin, y sobre todo, actuar de modo semejante a como acta la naturaleza, aunque lo que se haga sea distinto de lo que hace la naturaleza17. En aquellas cosas que no puede hacer la naturaleza, el arte aade un plus de racionalidad. As como toda la naturaleza se ordena a su fin por algn principio intelectivo, as tambin en las obras de arte se advierte que la racionalidad est presente siendo sta el principio, y marcando el fin de las obras de arte.

3. Naturaleza del hbito


El arte es un hbito operativo18 que se describe como ratio recta factibilium19 desde Aristteles. Es la rectitud que adquiere la razn prctica cuando dirige20 la accin productiva, pues tal rectitud no la posee de entrada. Dirigir la accin productiva no indica slo iluminar racionalmente las obras que hacemos, sino tambin y principalmente las mismas acciones. Se trata de atravesar de sentido la accin factiva humana21. Con todo, el hbito de arte no es factivo de la operacin22, sino que dirige la operacin que se encarga de poner en movimiento otras potencias que efectan una obra. No es innato, sino que se adquiere. No se adquiere, en cambio, el hbito de los primeros principios prcticos del que el hbito de arte depende. Se dice recta ratio porque aunque su fin es perfeccionar la obra externa, ello no se consigue sin el intrnseco incremento que este hbito proporciona a la razn. Es conveniente no olvidar este extremo, pues a pesar de que se sostiene que el
17 La

referencia ms clara en este sentido se encuentra en el Proemio al comentario a la Poltica de Aristteles. All Toms de Aquino explica que el orden que la razn sigue en el proceso de construir la ciudad (que no es naturaleza) es similar al orden que la naturaleza sigue en la produccin de las cosas, es decir, de lo ms sencillo a lo ms complejo. 18 S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 3, co. 19 Cfr. In Ethic., l. I, lect. 1, n. 8; ibidem, l. II, lect. V, n. 3; ibidem, l. VII, lect., 12, n. 14; In Metaph., l. I, lect. 1, n. 34; In Post. Anal., l. I, lect. 44, n. 11; ibidem, l. II, lect. 20, n. 11; S.C. Gentes, l. II, cap. 24, n. 5; Resp. Ad Lec. Ven., a. 9, ad. 8; S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 3, co; ibidem, I-II ps., q. 57, a. 4, co; ibidem, I-II ps., q. 57, a. 5, ad 1; ibidem, I-II ps., q. 68, a. 4, ad 1. En otros pasajes lo define como habitus factivus cum vera ratione, In Ethic., l. VI, lect. 3, n. 12; ibidem, l. VI, lect., 3, n. 19. 20 Cfr. In Metaph., l. I, lect. 1, n. 34; ibidem, l. XI, lect. 7, n. 8. 21 Cfr. C. LLANO, Sobre la idea prctica, Mxico Cruz O.: Universidad Panamericana, Mxico D.F. 1998. 22 In Ethic., l. VII, lect., 12, n. 14.

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arte importa la rectitud de la razn acerca de las cosas factibles, esto es, acerca de esas cosas que se hacen en una materia exterior23, lo primero, a saber, la rectitud de la razn, es previa y condicin de posibilidad de que la obra hecha sea correcta, es decir, adquiera perfeccin. La rectitud de la razn es previa slo porque los actos (operaciones inmanentes), a los que este hbito se refiere, cuentan ya con sus objetos propios, a pesar de que stos no estn todava realizados en una materia exterior. Es el problema de la llamada idea ejemplar o forma, o arte sin ms: en cualquier artfice preexiste la razn de esas cosas que se constituyen por el arte... La razn de esas cosas que se hacen por el arte se llama arte o ejemplar de las cosas artificiales24. Aquellos autores que no admiten la idea ejemplar previa, y mantienen que la forma del arte slo se da al final del proceso factivo, se olvidan de esta distincin tomista de la primera poca: no es la misma la cognicin de lo artificial segn que se conozca ex forma artis, y segn que se conozca ex ipsa re iam facta. Pues la primera cognicin es slo universal; la segunda puede ser tambin particular, como cuando veo alguna casa hecha25. Adems, precisamente porque estos objetos o formas mentales son previos, se puede decir de ellos que luego actan como causa26 y medida27 de las cosas arti23 In 24 S.

Post. Anal., l. I, lect., 44, n. 11. Theol., I-II ps., q. 93, a. 1, co. Cfr. asimismo: In I Sent., d. 27, q. 2, a. 3, ad 2 y ad 4; ibidem, d. 32, q. 1, a. 3, ad 2; In II Sent., d. 18, q. 1, a. 2, co; De Ver., q. 8, a. 11, co; ibidem, q. 8, a. 16, ad 7; In Metaph., l. V, lect. 2, n. 2; ibidem, l. VII, lect. 6, n. 24; ibidem, l XII, lect. 11, n. 20; S.C. Gentes, l. I, cap. 72, n. 9; ibidem, l. II, cap. 76, n. 19; ibidem, l. II, cap. 92, n. 6. Esas formas son objetos mentales. En cambio, las formas realizadas en lo hecho no son objetos intencionales, aunque responden al ejemplar. No son hechas sino educidas de la potencia de la materia (cfr. In Physic., l. VII, cap. 7), pero no por la propia virtualidad de sta o de la naturaleza, sino que se imprimen en ella por un principio extrnseco (cfr. In Physic., l. II, lect. 14, n. 8; In Metaph., l. XII, lect., 3, n. 4). Para la materia estas formas son accidentales. No se las puede llamar propiamente forma, en el sentido de forma sustancial, porque sta es principio intrnseco. Tambin las cosas artificiales se distinguen de las naturales por el movimiento, ya que no tienen en ellas mismas el principio del cambio (cfr. In Physic., l. II, lect. 1, nn. 2, 5; ibidem, l. VIII, lect., 5, n. 3; In Ethic., l. VI, lect. 3, n. 16). No confundir las formas primeras (objetos) con las segundas supone saber que unas son sin materia y las otras no, y que por eso una es universal y la otra particular. Adems, las formas que induce el artfice no producen similares a s (cfr. In II Sent., d. 18, q. 1, a. 2, co), mientras que las naturales s. 25 De Ver., q. 8, a. 16, ad 7. En otro lugar dice: in egressu artificiorum ab arte est considerare duplicem processum: scilicet ipsius artis ab artifice, quam de corde suo adinvenit; et secundo processum artificiatorum ab ipsa arte inventa, In I Sent., d. 32, q. 1, a. 3, ad 2. 26 Nuestro intelecto se habet ad res dupliciter: uno modo ut causae rerum, sicut formae practici intellectus; alio modo ut causatae a rebus, sicut formae intellectus speculativi, quo naturalia speculamur, De Ver., q. 8, a. 11, co. Cfr. tambin: In Ethic., l. I, lect. 14, n. 7; S.C. Gentes, l. I, cap. 62, n. 5. 27 Intellectus noster mensuratus est, non mensurans quidem res naturales, sed artificiales tantum, De Ver., q. 1, a. 2, co; ars est mensura artificiorum, quorum unumquodque in tantum est perfectum inquantum arti concordat, S.C. Gentes, l. I, cap. 61, n. 7. Cfr. asimismo: S.C. Gentes, l. I, cap. 62, n. 5.

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Juan Fernando Sells

ficiales, y en ello se distingue propiamente la razn prctica de la terica. No por previos dejan esos objetos o formas pensadas de acompaar a la obra en todo el proceso de su constitucin hasta que se presenta consumado. Pero la accin no depende ni de la forma sustancial ni de la materia a la que se aplican. En este punto establece Toms de Aquino una comparacin entre este hbito y el intelecto agente. Dice as: el intelecto agente se compara a las especies del intelecto en acto, como el arte a las especies de las cosas artificiales, por las cuales es manifiesto, que las cosas artificiales no tienen la accin del arte28. Como esas formas no son abstractos puros, pues se trata del objeto de la simple aprehensin prctica, su intencionalidad no versa sobre la naturaleza, y adems, no versan sobre lo que es, sino sobre lo va a ser hecho, sobre lo que se puede hacer.

4. La verosimilitud prctica
Como es sabido, la verdad de la razn terica se toma de la adecuacin del entendimiento a la naturaleza. En la razn prctica, en cambio, las cosas artificiales se dicen verdaderas por orden a nuestro entendimiento29. Y en otro lugar: El intelecto prctico causa la cosa. Por eso es medida de las cosas que por l se hacen, pero el intelecto especulativo, ya que toma de las cosas, es en cierto modo movido por esas mismas cosas, y as las cosas miden30. La falsedad en lo prctico vendra de una deficiencia en el obrar por parte de la operacin31, que conllevara la inadecuacin, ausencia de verdad, de la cosa mal hecha a la concepcin del autor. Hay verdad prctica cuando lo hecho se adecua en su configuracin (no en su ser, en su naturaleza), a la forma del entendimiento. Adems, a mi juicio, en lo prctico no se puede hablar propiamente de verdad, sino de verosimilitud32. Al principio tenemos el ejemplar, la forma, pero no la verdad prctica, porque todava no hemos ejecutado nada. Cabra quedarse en meros planos mentales, propsitos incumplidos o proyectos irrealizados. La razn prctica concibe su objeto (ejemplar previo) y tal cual est concebido, ni es verdad como adecuacin, porque es slo posible, y sobre el futuro, como declara Aristteles en el Peri Hermeneias no hay verdad. Slo es verdad cuando se hace
28 In

De An., l. III, lect. 10, n. 8. Aado dos citas ms al respecto para perfilar la comparacin: intellectus agens comparatur ad possibile ut ars movens ad materiam, inquantum facit inteligibilia in actu, ad quae est intellectus posibilis in potentia, De Spirit. Creat., q. un., a. 10, ad 11; licet sit similitudo quaedam intellectus agentis ad artem, non oportet huiusmodi similitudinem quantum ad omnia extendi, De An., q. un., a. 5, ad 8. 29 S. Theol., I ps., q. 16, a. 1, co. 30 Q. D. De Ver., q. 1, a. 2, co. 31 Cfr. S. Theol., I ps. q. 17, a. 1, co. 32 Cfr. mi trabajo: Razn terica y razn prctica segn Toms de Aquino, Cuadernos de Anuario Filosfico, 101, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 2000.

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note e commenti

la obra y se realiza bien, de acuerdo con lo previsto, aunque en el curso de la elaboracin haya que rectificar (de ah el hbito) lo previsto. Si se realizara la obra sin razn verdadera sin hbito quedara una obra hecha, pero estara realizada en mayor medida por causa de la fortuna33, que es precisamente lo que se opone al arte. Como es claro, esa falta de razn, sera indicio de la carencia del hbito, falta de rectitud de la razn. La fortuna es lo que est al margen de la razn, lo que no tiene plan lgico en su obrar, y como el arte obra por intencin..., lo que est al margen de la intencin del arte no se hace por el arte propiamente hablando. Y as, el ente per accidens que est al margen de la intencin del arte, no se hace por el arte34. Por lo dems, a pesar de que algo se haga por arte, debido a que este saber versa sobre lo contingente, sobre lo no necesario, sobre lo no enteramente evidente, ah cabe el error, pues el defecto, como dice el Filsofo en el libro II de la Fsica, acontece tanto en esas cosas que son segn la naturaleza, como en esas que son segn el arte, cuando no se consigue el fin de la naturaleza o del arte, por el cual se obra35, o tambin, cuando algo se opone a las reglas de actuacin36. Como la verdad prctica es la adecuacin ltima de lo hecho al conocimiento, sta slo se da de modo cabal al fin del proceso de elaboracin de la obra, es decir, cuando sta queda cumplimentada37. Y como esa cosa es algo real, es un cierto bien. Por eso, para Toms de Aquino el bien del arte se considera no en el mismo artfice, sino ms bien en lo construido..., pues el hacer no es perfeccin del que hace, sino de lo hecho38. Si eso es as, habr tantas verdades prcticas y bienes como obras hechas39, porque el bien del hombre segn que es artfice, es el bien del arte40.

5. Es el hacer ajeno a la moral?


El hbito de arte perfecciona, decamos, por una parte a la razn prctica, y por otra, como acabamos de ver, a la obra hecha. Pero segn el de Aquino no perfecciona al hombre como tal, sino slo en cuanto a la capacidad racional de tal o cual saber hacer: en efecto, no se llama simplemente bueno a un hombre por el slo
33 Cfr. 34 In

In Ethic., l. VI, lect. 3, n. 18. Metaph., l. VI, lect. 2, n. 5. 35 De Malo, q. 2, a. 1, co; Cfr. tambin: In Physic., l. II, lect. 14, n. 3. 36 De Malo, q. 2, a. 1, co. 37 Cfr. T. MELENDO, La naturaleza de la verdad prctica, Studium, 26 (1986), p. 74. 38 S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 5, ad 1. 39 In diversis operationibus et artibus videtur aliud et aliud esse bonum intentum. Sicut in medicinali arti bonum intentum est sanitas, et in militari victoria et in aliis artibus aliquod aliud bonum, In Ethic., l. I, lect. 9, n. 2; omnes enim scientiae et artes appetunt quoddam bonum, In Ethic., l. I, lect. 8, n. 4; omne bonum humanum videtur esse opus alicuius artis, quia bonum hominis ex rationis est, In Ethic., l. VII, lect. 11, n. 10. 40 De Vir., q. II, a. 2, co.

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hecho de ser sabio y artfice, sino que se llama bueno relativamente; por ejemplo, buen gramtico o buen artesano41. Sin embargo, cmo puede ser esto posible si se reitera frecuentemente que la verdad del intelecto prctico se toma por conformidad con el apetito recto, que no tiene lugar en las cosas necesarias, que no se hacen por la voluntad humana, sino slo en las contingentes que pueden ser hechas por nosotros, ya sea en las cosas agibles interiores, o en las factibles exteriores?42 Si la verdad del arte se toma por conformidad con la voluntad recta cmo es posible que el hombre no mejore o empeore como tal al ejecutar una obra externa? Es claro que para que se d el arte se requiere la voluntad, pues sin el querer no se puede ejecutar una obra. Pero si la voluntad es fuente de esas cosas que se hacen por arte43, ninguna de las acciones que realiza el hombre voluntariamente le puede dejar a l indiferente, sino que, adems de mejorar o empeorar la realidad externa, le modificar constitutivamente a l por dentro; y es claro que esa mejora o deterioro se llama virtud o vicio. Toms de Aquino indica que el hacer no presupone que el apetito sea recto44. Pero como no se realiza nada sin apetito, necesariamente el hacer supone un apetito, bien sea ste recto o incorrecto. Por tanto el hbito de arte, como el de la prudencia, no puede quedar aislado de la voluntad, y consecuentemente, de las virtudes o de los vicios. Para Toms de Aquino el apetito recto lo requiere la prudencia, pero no el hbito de arte. Pero si eso es as, entonces cmo decir que la verdad del arte se toma por conformidad con el apetito recto? La verdad y el bien del arte no dependen directamente del apetito recto, pero para realizar obras de arte, se precisa que intervenga la voluntad con su querer, y en este caso el hombre necesita de la prudencia y de otras operaciones que derivan de las virtudes morales, y ah s interviene la rectitud o falta de ella de la voluntad. Para el de Aquino el arte es previo y condicin de la prudencia45, y sta es condicin de posibilidad del buen uso del arte, y por ello superior a l, porque lo dirige. Por eso cabe un uso bueno y un uso malo del saber hacer, porque la voluntad, que es de fin, impera al arte, que es de esas cosas que son hacia el fin, y como la voluntad est dirigida por la prudencia, indirectamente lo est tambin el arte. Por eso se dice que el arte se conforma con el apetito recto. Pero entonces, por qu se sostiene que el arte no perfecciona al hombre como tal mientras que la prudencia s? Toms de Aquino sostiene que la prudencia se refiere al bien de la vida humana ntegra mientras que las artes se refieren directamente a los fines propios de ellas. Sin embargo, aunque directamente el fin del arte no sea la mejora huma41 S. 42 S.

Theol., I-II ps., q. 56, a. 3, co. Theol., I-II ps., q. 57, a. 5, ad 3. 43 Voluntas est principium productionis eorum quae per artem producuntur in rebus humanis, In I Sent., d. 6, q. 1, a. 2, sc. 1. 44 El bien de lo artificial no es el bien del apetito humano, sino el bien de las mismas obras artificiales, y por esto, el arte no presupone el apetito recto, S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 4, co. 45 Cfr. S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 3, ad 1.

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note e commenti

na, indirectamente no puede quedar al margen de ella. De manera que slo bajo la luz de la prudencia y en conexin con ella se puede dilucidar cundo un arte es tico o no, bueno para el hombre o perjudicial. Cmo medir, pues, la jerarqua de las artes? De doble modo: uno, en virtud del fin propio del arte; otro, en virtud del bien humano al que el arte sirve. En cuanto a lo primero, el arte que versa sobre el fin impera al arte que se dirige a las cosas que miran al fin46. Las distintas artes son disposiciones para el arte que trata acerca del fin. sta es ms universal que las dems. Las artes obran por un fin, y el ltimo fin de la obra es el primer principio de todas las dems artes, pues en vistas a l se desarrollan aqullas. Obviamente, no se trata del fin ltimo de la vida humana, sino del fin de las artes prcticas. En cuanto a lo segundo, no hay que olvidar que las artes prcticas no son un fin en s, pues todas ellas se ordenan al bien de la vida humana. Adems, lo prctico no es un fin en s. El inters por el inters carece de inters. El fin del saber prctico es la teora, la forma ms alta de vida segn el filsofo de Atenas47. En efecto, solucionamos los problemas prcticos para que la contemplacin no choque con inconvenientes. De modo que los hbitos de la razn prctica se deben subordinar y ordenar a la especulacin del intelecto como a su fin. De manera que de la mayor o menor racionalidad debemos tomar el ms y el menos del valor artstico. Una obra ser tanto ms artstica cuanto ms manifieste el ingenio del hombre. Esto se formula ordinariamente preguntando cundo sabemos que una obra de arte lo es ms que otra. Esa cuestin slo tiene una posible respuesta: los niveles artsticos dependen de los cognoscitivos de la razn prctica. Hay que mantener, en consecuencia, que a ms racionalidad, ms arte, y a la par, que puede medir mejor el estatuto del arte aquel que sabe ms teora del conocimiento. Evidentemente, esto no supone ceder al juicio de gusto o al esteticismo; y por ello, se puede objetar que la tesis anterior no es democrtica. En efecto, no lo es; pero s es coherente, pues si ars est in ratione, a ms discurso, mejores medios y mejor fin; y, por tanto, ms arte, mejor obra hecha, porque ella denota ms racionalidad. Pero como el arte se debe subordinar a la prudencia, y sta debe gobernar a aqul, ser mejor arte el que mejor sirva para humanizar al hombre. Como el hombre se humaniza segn virtud, ser mejor arte el que favorezca a los ciudadanos la adquisicin de las virtudes.

46 S.

Theol., II-II ps., q. 26, a. 7, co. Cfr. la misma expresin en In I Sent., d. 3, q. 4, a. 1, ad 8; In III Sent., d. 27, q. 2, a. 4, qc. c, co; In IV Sent., d. 7, q. 3, a. 1, qc. b, co; ibidem, d. 18, q. 2, a. 4, qc. a, ad 1; De Malo, q. 1, a. 5, co; ibidem, q. 8, a. 2, co; S.C. Gentes, l. I, cap. 1, n. 2; ibidem, l. II, cap. 92, n. 6; ibidem, l. III, cap. 64, n. 2; ibidem, l. III, cap. 78, n. 5; S. Theol., I-II, q. 8, a. 2, ad 3; ibidem, q. 9, a. 1, co; ibidem, q. 15, a. 4, ad 1; ibidem, q. 84, a. 3, co; S. Theol., II-II ps., q. 23, a. 4, ad 2; ibidem, q. 26, a. 7, co; ibidem, q. 40, a. 2, ad 3; S. Theol., III ps., q. 32, a. 4, ad 2. 47 Cfr. ARISTTELES, tica a Nicmaco, l. X, cap. 7 (BK 1178 a 6-7).

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6. El carcter distintivo del hbito de arte


Si comparamos el hbito de arte con los hbitos de la razn terica cabra preguntarse si es inferior o superior a ellos y por qu. Esta cuestin, que afecta tambin a la prudencia48, como hbito prctico que es, se suele responder de modo general diciendo que conocer por conocer es superior a conocer para obrar; que la razn terica es superior a la razn prctica, tanto en sus actos como en sus hbitos. Por tanto, al menos por su sujeto, su objeto y por su modo de constitucin, los hbitos tericos son superiores a los prcticos. Por otra parte, conviene distinguir el arte de la experiencia. Esta diferencia Toms de Aquino la toma del libro I de la Metafsica de Aristteles, y se cifra en que el arte versa sobre lo universal, la experiencia sobre lo singular49. Es comprensible, por consiguiente, que el que tiene el hbito de arte se equivoque poco en cuanto al conocer, mientras que es fcil que se equivoque en la aplicacin prctica de ese hbito. La diferencia entre arte y experiencia se toma in cognoscendo tantum, pues aunque en el modo de obrar el arte y la experiencia no se diferencian, ya que uno y otro operan sobre lo singular, difieren, en cambio, en la eficacia de la operacin50, pues el que tiene experiencia, el experto, acertar ms en las acciones, aunque conozca menos el por qu de lo que hace. En el obrar, el arte y la experiencia coinciden, pues ambos terminan en lo prctico singular. Pero en el conocer se distinguen, porque el arte toma lo comn de las diferentes experiencias singulares. En cuanto a lo moral, la primera distincin de sta con el hbito de arte tambin est tomada de Aristteles: dice el Filsofo que la virtud es ms cierta que todo arte51. El argumento que da estriba en que la virtud, como la naturaleza, se inclina a lo uno, no a la certeza del conocimiento. Como la naturaleza, la virtud posee un solo fin. El fin de la naturaleza es el orden del universo; el de la virtud, la felicidad. En cambio, el arte posee multiplicidad de fines. As, como la moral est orientada al fin, sta se parece ms a la naturaleza que al arte. La certeza moral no es una certeza esencial, pues sta slo se encuentra en la potencia cognoscitiva (razn terica), sino una certeza por participacin, pues se trata de la certeza que imprime la potencia cognoscitiva (razn prctica) en tanto que mueve infaliblemente al fin propio de lo moral52.
48 Cfr.

mi trabajo: La virtud de la prudencia segn Toms de Aquino, Cuadernos de Anuario Filosfico, 90, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 1999. 49 In Metaph., l. I, lect. 1, nn. 18 y 22. 50 In Metaph., l. I, lect. 1, n. 20. 51 In III Sent., d. 26, q. 2, a. 4, sc. 2. Cfr. tambin el corpus del artculo de la cita anterior y estas otras referencias: De Ver., q. 10, a. 20, ad 9 y S. Theol., II-II ps., q. 18, a. 4, co. En la primera de ellas se toma a Cicern como autoridad. 52 S. Theol., II-II ps., q. 18, a. 4, co, donde concluye que per hunc modum virtutes morales certius arte dicuntur operari, inquantum per modum naturae moventur a ratione ad suos actus.

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note e commenti

Por qu se parece la moral en su inclinacin ms a la naturaleza que al arte? Porque en las cosas artificiales la razn se ordena al fin particular, que es algo pensado por la razn. Pero en la morales se ordena al fin comn de toda la vida humana53, que es ser feliz. El error en una y otra deriva de esta doble finalidad. El arte yerra cuando no consigue el fin particular que pretende. En cambio, una accin moral es mala en la medida en que no apunta, desdice, no lleva al fin del hombre. El primer error se da en el hombre en cuanto artfice, mientras que en el segundo el hombre yerra en cuanto hombre. De ah que el filsofo diga, en el libro VI de la tica a Nicmaco, que en el arte es preferible el que peca queriendo; en cambio, lo es menos acerca de la prudencia, como en las virtudes morales de las que la prudencia es directiva54. Es distinto tambin el influjo que ejercen las circunstancias sobre el arte o sobre la virtud moral, pues hay algunas circunstancias que son pertinentes para el acto moral que no lo son para el arte, y al revs55. Es precisamente lo que separa al arte de la virtud, lo que acerca al hbito de arte al de ciencia: la ciencia y el arte, segn su razn propia, importan orden a algn bien particular, no, en cambio, al fin ltimo de la vida humana, como las virtudes morales, que hacen bueno al hombre simpliciter56. Decir que el arte y la ciencia se refieren a bienes particulares, a objetos determinados y no al fin ltimo de la vida humana, es hacerlos coincidir en cuanto a la razn de hbito, pues los hbitos se distinguen por sus actos, y stos por sus objetos. Si bien el sujeto (razn prctica) y la materia (lo contingente) del hbito de arte es de la misma naturaleza que el de la prudencia, y en eso se separa de los hbitos especulativos, conviene ms con aqullos que con la prudencia por la razn de hbito57. En efecto, la distincin de los hbitos especulativos y del arte con la prudencia viene determinada por la precedencia de la voluntad o por seguir a la misma. Todos los hbitos de la razn tericos o prcticos a excepcin de la prudencia, preceden a la voluntad, mientras que sta la sigue58. Ello indica que la prudencia es ms cercana a la denominacin de virtud en sentido propio que las otras, pues sta toma de la voluntad su principio, mientras que las dems slo dependen en su uso. Pero ello no indica que la prudencia sea ms hbito que los dems. En cuanto a la distincin entre el hbito de arte y los hbitos de la razn teri53 S.

Theol., I-II ps., q. 21, a. 2, ad 2. De ah que el bien del arte se considera, no en el artfice, sino en la misma obra producida... Pero el bien de la prudencia est en el mismo agente, cuya perfeccin consiste en la accin misma, S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 5, ad 1. Cfr. asimismo: In Ethic., l. 6, lect. 4, n. 13. 55 De Malo, q. 8, a. 2, co. 56 S. Theol., II-II ps., q. 23, a. 7, ad 3. 57 Prudentia magis convenit cum arte quam habitus speculativi, quantum ad subiectum et materiam. Utrumque enim est in opinativa parte animae, et circa contingens aliter se habere. Sed ars magis convenit cum habitibus speculativis in ratione virtutis, quam cum prudentia, S. Theol., I-II ps., q. 57, a. 4, ad 2. 58 Cfr. De Vir., q. 1, a. 7, co.
54 Ibidem.

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Juan Fernando Sells

ca, la separacin entre ellos tambin es neta. El arte se distingue de la ciencia en que el primero se refiere a lo contingente y la segunda a lo universal y necesario. Del hbito de los primeros principios se separa el arte por lo mismo, porque ste versa sobre lo contingente y aqul sobre lo necesario, al igual que el de sabidura59. Los primeros principios tericos son el fundamento de la demostracin, como los primeros principios prcticos lo son de lo agible, pero tiene el hbito de arte como fundamento unos primeros principios prcticos distintos de los que fundamentan la prudencia? Seguramente no, por eso tampoco conviene separar en exceso la prudencia del saber hacer.

7. Conclusiones
Se exponen a continuacin sintticamente algunas de las conclusiones que se pueden sacar de la lectura del tratamiento tomista del hbito de arte: El saber hacer se da con el hacer, lo acompaa, pero no se da por el hacer, es decir, el hacer no es previo y condicin de posibilidad del saber hacer, sino a la inversa, el saber posibilita el hacer. El hacer es espaciotemporal. En cambio, el saber hacer es extraespacial y extratemporal. Por eso puede modificar el espacio y el tiempo fsicos, es decir, el orden del universo. El saber hacer acelera el orden de la realidad fsica o le dota a sta de ms orden del que tiene, y lo lleva a cabo mediante el trabajo. El arte, y consecuentemente la belleza, no es un asunto de gustos, sino de ms o menos racionalidad prctica. Este hbito factivo permite perfeccionar (o deteriorar) la naturaleza sensible, pero no es ajeno al perfeccionamiento (o deterioro) de la naturaleza humana. El hbito de arte no es ajeno a la voluntad. Por tanto, no admite una separacin tajante de la prudencia y de las virtudes morales. Este hbito es distinto de los tericos de la razn tanto por su tema como por su sujeto. La distincin estriba en que es inferior (menos cognoscitivo) que ellos. En consecuencia, se pueden deducir dos cosas: a) los hbitos tericos deben ser condicin de posibilidad de este hbito; b) este hbito debe subordinarse a aqullos, es decir, debe tener a aqullos como su fin.

59 Cfr.

S. Theol., II-II ps., q. 47, a. 5, co.

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studi di filosofia

IGNACIO YARZA

IGNACIO YARZA

LA RAZIONALIT DELLETICA DI ARISTOTELE Uno studio su Etica Nicomachea I

LA RAZIONALIT DELLETICA DI ARISTOTELE Uno studio su Etica Nicomachea I


ARMANDO EDITORE

Collana: Studi di filosofia - 23 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

Lopera si propone di avvicinare il lettore alla dimensione scientifica delletica di Aristotele, avvalendosi delle principali novit della recente letteratura, attenta alla rivalutazione della dialettica nei suoi trattati etici e al recupero della prospettiva personale che permette lelaborazione dello scritto, alla ricerca di una completa riabilitazione del sapere pratico aristotelico. Con questo intento lo studio si volge in particolare allanalisi del processo inventivo che determina e definisce le caratteristiche specifiche e luniversalit di tale sapere, che per il grande filosofo greco merita il titolo di scienza. pp. 208 16,53

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - PAGG. 139-157

Lontologia di Tommaso dAquino e le scienze naturali


G. TANZELLA-NITTI* I

1. Introduzione
Scopo di questo contributo richiamare alcuni aspetti del rapporto fra Dio e la natura alla luce della metafisica e della filosofia della natura di San Tommaso dAquino (1224-1274). Cercheremo di mostrare quali siano, a nostro avviso, le caratteristiche principali dellontologia tomasiana in tale ambito, avendo come principale intento quello di valutarne le potenzialit di dialogo e di chiarimento epistemologico nei confronti delle scienze naturali, specie in merito alle loro possibili implicazioni per la filosofia e per la teologia. Dato lo specifico oggetto della nostra analisi, lo faremo in modo sintetico, limitandoci ad esporre alcune tesi schematiche corredandole da brevi commenti. Il lettore interessato ad una pi ampia trattazione del rapporto fra Dio e natura e ad un approfondimento del pensiero di San Tommaso in proposito potr avvalersi di numerosi studi gi esistenti1.
*

Facolt di Teologia, Pontificia Universit della Santa Croce, Piazza SantApollinare 49, 00186 Roma Per una introduzione bibliografica ad una filosofia della natura di ispirazione tomista si veda ad es. E. AGAZZI, Filosofia della natura. Scienza e cosmologia, Piemme, Casale Monferrato 1995; M. ARTIGAS - J.J. SANGUINETI, Filosofia della natura, Le Monnier, Firenze 1989; J. MARITAIN, La filosofia della natura, Morcelliana, Brescia 1974; J.-H. NICOLAS, Lorigine premire des choses - Lunivers ordonn Dieu pour Dieu - tre cr, Revue Thomiste, 91 (1991), pp. 181-218, 357-376, 609-641; M.J. NICOLAS, Lide de nature dans la pense de St. Thomas dAquin, Tqui, Paris 1979; F. SELVAGGI, Filosofia del mondo, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1993. Pi in generale, sul rapporto fra Dio e natura in un contesto storico-filosofico, cfr. La riscoperta della natura, Per la Filosofia, 9 (1994), n. 3; J.J. CLARKE (a cura di), Nature in Question. An Anthology of Ideas and Arguments, Earthscan, London 1993; . GILSON, Lo spirito della filosofia medioevale (1932), Morcelliana, Brescia 19885: in particolare, Il medioevo e la natura, pp. 441-465; D.C. LINDBERG - R.L. NUMBERS (a cura di), Dio e natu-

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note e commenti

Dopo aver riassunto gli elementi di originalit dellontologia di San Tommaso (paragrafo 2), ci occuperemo di tre aspetti di maggiore interesse per il rapporto fra Dio e natura, ovvero: a) il modo di comprendere la nozione metafisica di creazione (paragrafo 3), b) il rapporto esistente fra Causa prima e cause seconde (paragrafo 4), e c) le virtualit contenute nella nozione metafisica di natura, intesa questa volta come principio operativo dellente corrispondente alla sua specifica essenza (paragrafo 5). Di tali considerazioni riprenderemo poi alcuni concetti allo scopo di dedurne applicazioni per un dialogo con la visione del cosmo come ci viene presentata dalle scienze naturali (paragrafo 6).

2. I principali elementi di originalit dellontologia di San Tommaso dAquino


Come noto, il pensiero di Tommaso dAquino intende operare una sintesi originale fra platonismo e aristotelismo, componendo le virtualit filosofiche di una causalit fondata sia sulla forma (Platone), sia sullatto (Aristotele). Tale operazione risulter possibile comprendendo la nozione di Essere come atto e predicandola di Dio come Puro e assoluto Atto di Essere. Dio non pi colto solo come Bene, Pensiero o Vita supremi, come essere necessario o come primo agente non mosso; n solo come primo Principio, di cui Aristotele aveva gi predicato la realt di puro atto senza mescolanza di potenza: San Tommaso indica Dio come Colui la cui essenza il Suo atto di esistere, cio Essere fontale, totalmente in atto. Ne risulta cos la possibilit di accostarsi allEssere come causa, e di farlo in modo radicale, autenticamente ontologico. Per Aristotele Dio era s lorigine dellessere universale, ma solo in quanto origine del moto universale. Lo Stagirita comprende la causalit solo nellordine del divenire, al livello delle trasformazioni che accadono in natura; egli non si interroga sul motivo dellesistenza delle cose, che dava per scontata: lo stesso Primo motore viene postulato per risolvere lorigine del moto, non la causa dellesistenza. Platone aveva sviluppato una causalit di tipo verticale, nella linea della partecipazione graduale delle perfezioni degli esseri, perfezioni formali che esistevano in modo separato. Aristotele aveva invece sviluppato una causalit di tipo orizzontale, legata alla capacit di causare e di generare secondo la propria forma naturale. Per il primo le forme esistono separate dalla natura, per il secondo solo in quanto causa della composizione degli enti naturali (composizione ilemorfica, cio di materia e forma).
ra. Saggi storici sul rapporto fra cristianesimo e scienza, La Nuova Italia, Firenze 1994; W.A. WALLACE, The Modeling of Nature: Philosophy of Science and Philosophy of Nature in Synthesis, The Catholic Univ. of America Press, Washington 1996. Pi recentemente, R. MARTNEZ - J.J. SANGUINETI (a cura di), Dio e la natura, Armando, Roma 2002.

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Giuseppe Tanzella-Nitti

Come lucidamente messo in luce da Cornelio Fabro nel suo studio Partecipazione e causalit (1960)2, San Tommaso giunge cos ad una dottrina della causalit capace di legare con continuit laspetto trascendentale e quello predicamentale. La causalit trascendentale si realizza nella linea della partecipazione dellesse, ovvero della costituzione di un effetto che soggetto di un atto di essere e di una specifica essenza. La causalit trascendentale lorigine, il fondamento dellessere e delloperare delleffetto, in quanto ne possiede le ragioni ultime. San Tommaso la deriva dallintuizione aristotelica dellesse, ma la sviluppa servendosi principalmente di elementi platonici. La causalit predicamentale, diversamente, si realizza mediante lazione della forma, di cui segue le propriet, riproducendole nelleffetto. San Tommaso la deriva dalla intuizione platonica dellesemplarit della forma, ma la sviluppa servendosi principalmente di elementi aristotelici3. Loriginalit tomasiana risalta anche tenendo presente che nel platonismo la partecipazione giungeva ad annullare la causalit (in ambito trascendentale perch la separazione dellidea esemplare dal mondo naturale trasformava lesse partecipato in una sorta di prima creatura; in ambito predicamentale perch la separazione dellidea-forma poteva causare al pi una somiglianza, ma non una vera e propria causazione di origine). Nellaristotelismo, invece, la causalit giungeva ad annullare la partecipazione (in ambito trascendentale perch lAtto possedendo e comprendendo s stesso non lasciava spazio alla pensabilit di oggetti diversi da S; nellordine predicamentale perch causa ed effetto stanno sullo stesso piano ontologico, secondo una causazione legata ad una identit di specie, senza possibilit di graduazione). Secondo una linea platonica, i partecipanti ottengono al pi una somiglianza dellatto partecipato e non una partecipazione che sia una reale derivazione dellatto stesso. In una linea aristotelica, leffetto ha una identit di natura con il causante e dunque non ammette una scala gerarchica di perfezioni se non a livello di cause. Nella sintesi proposta da San Tommaso, come opportunamente segnalato nel gi citato saggio di Fabro, partecipazione e causalit non si annullano a vicenda. Ad essere partecipato infatti proprio lAtto di Essere, non la forma o lidea. Lactus essendi principio totale e adeguato dellente partecipato, causa trascendentale di esso ma anche sorgente ultima di ogni sua causa predicamentale, perch a questo atto si deve il sostegno ontologico dellessenza o della forma. Da questa impostazione dipenderanno le principali tesi ed intuizioni della dottrina dellAquinate sulla creazione e sul rapporto fra Creatore e creature. Cominciamo con il richiamare sinteticamente la prima.
2 3

Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalit secondo San Tommaso dAquino, SEI, Torino 1960. Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalit secondo San Tommaso dAquino, op. cit., pp. 316318. Sul tema, cfr. anche R. FISICHELLA, Oportet philosophari in theologia, Gregorianum, 76 (1995), p. 252.

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note e commenti

3. La dottrina metafisica sulla creazione


Proprio in vista di un chiarimento con le scienze naturali, come vedremo pi avanti, la dottrina sulla creazione risulta della massima importanza. Basterebbe un semplice sguardo ai titoli di alcuni articoli delle questioni della Prima Pars della Summa Theologiae dedicate a questo tema per convincersi dellattualit del pensiero dellAquinate. Vi leggiamo ad esempio: Se la materia prima sia stata creata da Dio (q. 44, a. 2); Se luniverso sia sempre esistito (q. 46, a. 1); Se la creazione delle cose sia avvenuta allinizio del tempo (q. 46, a. 3); Se la molteplicit e la distinzione delle cose derivino da Dio (q. 47, a. 1); Se esista un mondo solo (q. 47, a. 3). Non poche opere contemporanee di divulgazione scientifica, o saggi di scienziati contenenti riflessioni sul rapporto fra filosofia e cosmologia fisica, presentano le medesime domande nei titoli di vari loro capitoli. sufficiente ricordare, ad esempio, le problematiche contemporanee circa la ragionevolezza di modelli cosmologici che intendono descrivere le fasi iniziali delluniverso prescindendo dalla variabile tempo, o il dibattito sulla plausibilit di quei modelli che danno origine a molteplici universi, fra loro indipendenti4. Ci si pu accostare alla nozione di creazione secondo tre accezioni: in senso attivo, cio come atto del Creatore che chiama in essere tutte le cose partecipando loro lactus essendi; in senso passivo, intendendovi il creato, come effetto dellatto creatore; ed infine comprendendola come relazione che fonda la creatura nel suo legame costitutivo con il Creatore. Per San Tommaso questultima accezione ad avere la maggiore pregnanza metafisica e ad illuminare maggiormente la verit della creazione stessa. La creazione determina una entit nella cosa creata soltanto secondo la categoria della relazione; poich ci che creato non viene prodotto per mezzo di un moto o di una mutazione [...]. La creazione nelle creature non altro che una certa relazione verso il Creatore, causa del loro essere5.
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Per unesposizione in merito alle loro implicazioni filosofiche, cfr. G. GALE, Cosmological Fecundity: Theory of Multiple Universes, in Physical Cosmology and Philosophy, a cura di J. LESLIE, Macmillan, New York 1990, pp. 189-206; G. ELLIS, Major Themes in the Relation between Philosophy and Cosmology, Memorie della Societ Astronomica Italiana, 62 (1991), pp. 553-605; C.J. ISHAM, Quantum Theories of the Creation of the Universe, in Quantum Cosmology and the Laws of Nature, a cura di R. RUSSELL - N. MURPHY - C. ISHAM, Vatican Observatory and The Center for Theology and the Natural Sciences, Citt del Vaticano - Berkeley (CA) 1993, pp. 49-89; J.J. SANGUINETI, La creazione nella cosmologia contemporanea, Acta Philosophica, 4 (1995), pp. 285-313; J. ZYCINSKI, Metaphysics and Epistemology in Stephen Hawkings Theory of the Creation of the Universe, Zygon, 31 (1996), pp. 269-284. Creatio ponit aliquid in creato secundum relationem tantum. Quia quod creatur, non fit per motum vel per mutationem. Quod enim fit per motum vel mutationem, fit ex aliquo praeexistenti, quod quidem contingit in productionibus particularibus aliquorum entium; non autem potest hoc contingere in productione totius esse a causa universali omnium entium, quae est Deus. Unde Deus, creando, producit res sine motu. Subtracto autem motu ab actione et passione, nihil remanet nisi relatio, ut dictum est. Unde relinquitur quod creatio in crea-

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In senso stretto, Dio non ha creato il mondo, bens lo crea. La creazione non un moto, n un mutamento, n un passaggio dalla potenza allatto, in quanto chiaro che il nulla non lessere in potenza e che latto stesso della creazione un atto trascendente, la cui causa fuori del tempo e il cui effetto costituito nel tempo, insieme al tempo. La creazione, in quanto relazione, non si aggiunge ad un soggetto (la creatura), ma piuttosto, in certo modo, lo costituisce: tale relazione essa stessa una determinata realt, la realt appunto dellente ut creatura6. Da questa particolare concezione deriva un importante chiarimento sulla natura del tempo. Per San Tommaso il tempo non pu essere una misura della creazione: Si dice che le cose furono create allinizio del tempo, non perch linizio del tempo sia misura dellatto creativo medesimo: ma perch il cielo e la terra sono stati creati insieme col tempo. [...] Ora la creazione non un moto e neppure termine di un moto7. La creazione, sostiene Tommaso, non un atto che leghi due termini equivalenti o compossibili, ma qualcosa di radicalmente nuovo, perch non esiste alcun sostrato comune fra il non essere e lessere. Con unaffermazione che susciterebbe certamente linteresse dei cosmologi contemporanei, aggiunger che un certo sostrato comune fittizio, puramente funzionale e di comodo, pu darsi solo nella nostra immaginazione. Ecco le parole dellAquinate nel De Potentia Dei: Si trova che ci sia un sostrato comune soltanto rispetto alla
tura non sit nisi relatio quaedam ad creatorem, ut ad principium sui esse (Summa Theologiae, I, q. 45, a. 3, resp.). Si consideri un testo parallelo della Summa Contra Gentiles: La creazione infatti non una mutazione, ma la dipendenza stessa dellessere creato in rapporto al principio che lo fa esistere. Quindi nella categoria della relazione (Contra Gentiles, II, c. 18); cfr. anche De Potentia, q. 3, a. 3. Da queste considerazioni non va dedotta lidea che tutto lessere si riduca a relazione: si afferma soltanto che la creaturalit una relazione. Ogni relazione certamente inerisce in un soggetto costituito, e dunque lo segue, ma latto che pone quel soggetto in essere inaugura una relazione che, in certo modo, lo precede. San Tommaso ne offre chiarimenti nel citato articolo della Summa (cfr. I, q. 45, a. 3, ad 3um). Sul tema dellessere della relazione creaturale, non facile da affrontare a motivo della peculiarit della relazione stessa, riportiamo il commento di Carlos Cardona: La creazione, intesa formalmente, non pone nulla nel soggetto, se non la sua relazione col Creatore; relazione che, quanto allessere che ha nel proprio soggetto, un accidente conseguente allo stesso soggetto creato. Ma in quanto fine dellazione creatrice divina questa relazione ha una certa natura di priorit. Come accidente posteriore, bench non derivi dai principi del soggetto (al contrario di ci che accade con le potenze operative), ma in quanto nasce dallazione dellAgente divino, e precisamente dallazione con la quale costituisce il soggetto stesso o creatura, in questo senso ha una certa priorit. In quanto la creazione una relazione, la creatura (non assoluta, relativa) il suo soggetto ed anteriore alla relazione nellessere, come il soggetto precedente allaccidente. Ma ha una certa natura di priorit da parte del termine al quale si riferisce, che il Principio stesso della creatura: Dio nella sua eternit (C. CARDONA, Metafisica del bene e del male, Ares, Milano 1991, p. 58). Fra i luoghi tomisti di interesse, cfr. De Potentia, q. 3, a. 3, ad 3um e Resp. ad Ioann. Vercell., decl. 108, dub. q. 95. Non dicuntur in principio temporis res esse creatae, quasi principium temporis sit creationis mensura sed quia simul cum tempore caelum et terra creata sunt (Summa Theologiae, I, q. 46, a. 3, ad 1um). Creatio autem neque est motus neque terminus motus (ibidem, ad 2um). Testi paralleli in Summa Theologiae, I, q. 45, a. 2, ad 3um; De Potentia, q. 3, a. 2.

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nostra immaginazione, in quanto ci immaginiamo un tempo comune a quando non cera il mondo e a dopo che il mondo stato portato nellessere. Nello stesso modo in cui, infatti, non c unestensione reale al di fuori delluniverso e possiamo tuttavia immaginarla, cos prima del principio del mondo non cera un tempo, bench sia possibile immaginarlo. E da questo punto di vista la creazione non un mutamento, ma lo soltanto rispetto ad una nostra immaginazione8. Nel contesto della comprensione della creazione come relazione e della filosofia del tempo che vi soggiace, va ricordato che per San Tommaso anche un mondo esistente ab aeterno, da un tempo infinito, sarebbe per questo, nondimeno, un mondo creato9, e che la ragione non in grado di dimostrare lesistenza o meno di un inizio del tempo10. La creazione ab initio temporis va considerata una conclusione consegnataci dalla Sacra Scrittura, di per s inaccessibile al pensiero filosofico: Che il mondo non sia sempre esistito tenuto soltanto per fede, e non pu essere provato con argomenti dimostrativi. La ragione che linizio del mondo non pu essere dimostrato partendo dal mondo stesso11. Notiamo che il motivo appena segnalato dallAquinate ricorda da vicino i moderni problemi di incompletezza incontrati dalla logica matematica e dalla filosofia del linguaggio, i quali, per comprendere in modo esauriente un certo sistema, segnalano la necessit di ricorrere a principi primi o a un metalinguaggio esterni al sistema stesso. Aver sottolineato laspetto della creazione come relazione, consente a San Tommaso di impostare il rapporto fra creazione e conservazione nellessere. Ambedue possono, a rigore, considerarsi ex parte Creatoris aspetti del medesimo atto di partecipazione dellessere12. Se vi un primo istante dellessere del
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Invenitur tamen aliquod commune subiectum esse secundum imaginationem tantum, prout scilicet imaginamur unum tempus commune dum mundus non erat, et postquam mundus in esse productus est. Sicut enim extra universum non est aliqua realis magnitudo, possumus tamen eam imaginari; ita et ante principium mundi non fuit aliquod tempus, quamvis sit possibile ipsum imaginari: et quantum ad hoc creatio secundum veritatem, proprie loquendo, non habet rationem mutationis, sed solum secundum imaginationem quamdam (De Potentia, q. 3, a. 2, resp.). 9 Cfr. Summa Theologiae, I, q. 46, a. 2; spec. ad 1um e ad 2um. 10 Ampi sviluppi della problematica saranno offerti dallAquinate nella Contra Gentiles, II, cc. 31-38. Occorre per precisare che anche se il mondo fosse esistito da un tempo infinito, ci non potrebbe equipararsi con leternit di Dio: il primo la successione infinita di eventi di un tempo creato, la seconda non appartiene al tempo, ma alleterno presente della vita immanente di Dio (cfr. Summa Theologiae, I, q. 46, a. 2, ad 5um). 11 Quod mundum non semper fuisse, sola fide tenetur, et demonstrative probari non potest, sicut et supra de mysterio trinitatis dictum est. Et huius ratio est, quia novitas mundi non potest demonstrationem recipere ex parte ipsius mundi (Summa Theologiae, I, q. 46, a. 2, resp.). 12 Cfr. Summa Theologiae, I, q. 104, a. 1. Dio non conserva le cose con una nuova azione, ma continuando lazione con la quale d lessere, azione che non soggetta n al moto n al tempo. Come anche la conservazione della luce nellaria si attua per un influsso continuato del sole (ibidem, ad 4um). Sul rapporto fra creazione e conservazione, cfr. anche De Potentia, q. 5, a. 1, ad 2um; In I Sententiarum, d. 37, q. 1, a. 1 resp.

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mondo, questo non dipende da Dio pi di tutti gli altri istanti, sebbene, a differenza di tutti gli altri, questo dipenda da Dio solo, non ammettendo cio il concorso di altre cause. Nel cuore della metafisica tomista della creazione vi la nozione di atto di essere, un atto causato da Dio che fa essere una creatura, atto dal quale dipendono lesistenza attuale della creatura ovvero il fatto che essa adesso esista e la sua specifica essenza ovvero il fatto che essa sia proprio ci che 13. Mediante tale atto, che ci che fa essere la creatura s stessa, il Creatore pu essere presente nella creatura in modo intimo e costitutivo, non rimuovendo bens fondando la sua autonomia14. Latto in virt del quale le cose esistono il primo effetto di Dio, atto intimo che appartiene simultaneamente tutto al Creatore, in quanto causa, e tutto alla creatura, in quanto effetto: atto che risulta essere pi intimo alla creatura di quanto questa non lo sia a se stessa15. Alla luce dellinclusione della creazione nel genere della relazione e della metafisica dellactus essendi come effetto proprio di Dio che costituisce nellessere la creatura insieme alla sua specifica essenza, si pu ora affrontare il tema dellagire divino nella natura, ovvero il rapporto fra lazione di Dio e lazione delle creature.
13 Tommaso

dAquino ama ripetere: La prima delle cose create lessere. Con queste parole Tommaso vuole dire che lessere stesso non presuppone nessun altro effetto di Dio, mentre, poich tutti gli altri effetti di Dio presuppongono lessere (altrimenti non sarebbero nulla), latto in virt del quale le cose sono, o esistono, deve essere considerato, in tutte, come il primo effetto di Dio. Questo solo un altro modo, per particolarmente evidente, di dire che questo atto cio lesse sta alla radice di tutte le caratteristiche e le determinazioni che sono in qualsiasi senso costitutive di qualsivoglia ente finito dato. Questa conclusione implica lulteriore corollario che, latto esistenziale (esse) essendo il primo e immediato effetto della creazione, si trova proprio al centro dellessere. In altri termini, dato qualunque ente particolare, la sua analisi metafisica raggiunge infine, come suo elemento pi profondo e intrinseco, proprio questo esse che , al tempo stesso, il punto di ricezione dellefficienza creativa di Dio, il principio interiore per il quale la cosa un ente, e lenergia esistenziale a causa della quale tutto il resto della cosa pu entrare nella sua struttura e contribuire alla sua completa individuazione (. GILSON, Elementi di filosofia cristiana, Morcelliana, Brescia 1964, pp. 256-257). 14 Cfr. De Veritate, q. 8, a. 16, ad 16um; Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5. 15 Essendo Dio lEssere stesso per essenza, bisogna che lessere creato sia leffetto proprio di lui [...]. E questo effetto Dio lo causa nelle cose non soltanto quando cominciano ad esistere, ma fin tanto che perdurano nellessere: come la luce causata nellaria dal sole finch laria rimane illuminata. Fin tanto che una cosa ha lessere necessario che Dio le sia presente in proporzione di come essa possiede lessere. Lessere poi ci che nelle cose vi di pi intimo e di pi profondamente radicato, poich lelemento formale rispetto a tutti i principi e i componenti che si trovano in una data realt. Quindi Dio necessariamente in tutte le cose, e in maniera intima (Summa Theologiae, I, q. 8, a. 1, resp.). Ancora: Deus est propria et immediata causa uniusquisque rei et quodammodo magis intima cuique quam ipsum sit intimum sibi (De Veritate, q. 8, a. 16, ad 12um. Cfr. anche In II Sententiarum, d. 1, q. 1, a. 4, sol. 1). Si noti laffinit con un noto passo parallelo agostiniano: Deus interior intimo meo et superior summo meo (Confessiones, III, 6, 11).

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4. La differenza fra Causa prima e cause seconde


Causare produrre in qualche modo lessere di qualcosa: ci vale per ogni tipo di causalit. Anche partendo da qualcosa di preesistente, la natura ci pone di fronte a vere novit, che prima non erano e adesso sono. Orbene, se lessere leffetto proprio di Dio, come possibile che le creature siano davvero causa di qualcosa, che esista cio unautentica nozione di causalit di cui Dio non sia lunico soggetto? La domanda era stata gi posta in epoca medioevale, con diverse sfumature, dallebreo Mos Maimonide (1135-1204) e dagli arabi Avicenna (9801037), Avicebron (1020-1069) e Averro (1126-1198). In epoca moderna sar affrontata da Malebranche (1638-1715). Lidea di una vera causalit delle creature non fu sviluppata da questi pensatori medioevali perch temevano di attribuire alla creatura pi di quanto gli spettasse, ponendo a rischio la trascendenza di Dio. Avicebron pensava che fosse solo Dio ad agire negli enti, mediante un suo influsso di natura spirituale; Avicenna ipotizzava invece che le creature limitassero la loro causalit al divenire e alle trasformazioni dellente, senza mai interessare lordine dellessere; Mos Maimonide sosteneva che tutte le forme naturali fossero accidenti, e che pertanto fosse soltanto Dio ad agire nellordine sostanziale. In epoca moderna, con Malebranche, compare la dottrina delloccasionalismo: le operazioni degli enti finiti darebbero a Dio occasione di agire attraverso di essi, ma tali operazioni, di fatto, non apparterrebbero in modo convincente alla creatura, in quanto si ritiene che Dio solo possa agire come causa. La critica di San Tommaso verso quei pensatori che diminuivano il valore della causalit creaturale chiara e inequivoca: senza dubbio vero che Dio agisce nellattivit della natura e della volont. Ma alcuni, non comprendendo cosa questo realmente significhi, caddero in errore, attribuendo a Dio ogni attivit della natura, in modo tale che una cosa interamente naturale non farebbe niente per capacit sua propria16. San Tommaso affronta il tema della causalit creaturale quasi come corollario della metafisica della partecipazione dellatto di essere, suggerendo la nota distinzione fra Causa prima e cause seconde17. LAtto puro di Essere, che partecipa lactus essendi dando origine allessere degli enti finiti, chiamato anche Causa prima, perch ogni ente, anche in quanto sorgente di causalit, da tale Causa dipende nellessere e da essa riceve la sua essenza. Le cause seconde agiscono s in virt di quanto hanno ricevuto
16 Concedendum

est Deum operari in natura et voluntate operantibus. Sed quidam hoc non intelligentes, in errorem inciderunt: attribuentes Deo hoc modo omnem naturae operationem quod res penitus naturalis nihil ageret per virtutem propriam (De Potentia, q. 3, a. 7, resp.). Cfr. anche Summa Theologiae, I, q. 115, a. 1. 17 Cfr. Contra Gentiles, III, cc. 66-70, part. c. 69; Summa Theologiae, I, q. 45, aa. 5 e 8; q. 47, a. 2bis; q.105, a. 5; De Potentia, q. 3, a. 7.

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dalla Causa prima, ma lo fanno come vere cause, sia nellordine del divenire sia in quello dellessere, sebbene, evidentemente, non nel senso di causare il primum esse, ma lessere di qualcosa che comincia ad esistere come tale (come i genitori, ad esempio, sono vere cause della vita del figlio, del suo nuovo essere, sebbene lactus essendi della nuova creatura, quello della sua anima spirituale, dipenda solo da Dio). Pi precisamente, mentre Avicenna aveva radicalizzato la distinzione secondo cui la Causa prima causa nellordine dellessere e le cause seconde lo sono nellordine del divenire, per Tommaso dAquino le cause seconde possono essere cause essendi, in quanto queste possono causare lessere attraverso la mediazione di una forma, a differenza di Dio che, evidentemente, lunico a poter creare in senso proprio, dal nulla, senza limitazione o mediazione alcuna. Solo il Puro e Infinito Atto di Essere pu comunicare lessere e crearlo/parteciparlo come effetto. La causa efficiente finita pu invece edurre la forma dalla materia, facendo passare in atto qualcosa che sia gi in potenza. Inoltre, a motivo della peculiare comprensione che Tommaso ha della metafisica della creazione, egli potr chiarire che Causa prima causa trascendente rispetto ad ogni possibile serie di cause seconde. Ed proprio nella luce di tale trascendenza che va colto il rapporto fra causalit creatrice e causalit creata, e colto parimenti il modo con cui la prima non vanifica, ma piuttosto fonda la seconda18. Commentando lAquinate, potremmo dire che la Causa prima causa per modum creationis, le cause seconde per modum informationis. La Causa prima costituisce le cause seconde in quanto cause. La causa seconda non produce lente in quanto ente, bens in quanto ente concretato da una specifica natura. La causa seconda determina lazione della Causa prima secondo ci che proprio della causa seconda, ovvero in base al suo modo finito e specifico di informare. La causa seconda produce lente (e in certo modo lo crea in quanto causa la comparsa di un nuovo essere concreto) determinandone la natura essendi; la Causa prima, invece, lo produce conferendogli lactus essendi. Tuttavia, anche la natura essendi dipende ontologicamente dalla Causa prima, sia perch solo questultima conosce tutte le forme come Dator formarum, sia perch la causa seconda ha ricevuto dalla Causa prima la capacit di produrre un nuovo essere nellordine delle forme. Una causa seconda non causa lessenza o la natura di un ente, ma semplicemente la determina, educendola dalle potenzialit della materia. La causa seconda lo fa con le restrizioni che derivano dalla sua essenza limitata, in quanto la sua capacit di edurre, informare o concretare, non infinita. Fra i motivi che spinsero lAquinate a sviluppare una vera causalit nellordine creaturale vi fu probabilmente la dottrina biblica dellautonomia del creato, la
18 Proprio

perch la creazione non un semplice fatto storico nel divenire reale, ma la situazione metafisica continuamente in atto della creatura, sulla quale si fonda lessere e lagire di ogni causa creata, la presenza della causa prima nella causa seconda non rappresenta un semplice accostamento di causalit a causalit, ma un fondamento, nel senso intensivo di ogni causalit creaturale (cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalit, cit., p. 461).

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sua consistenza ontologica di fronte a Dio. Lungi dallessere viste come una sorta di controllo strumentale o meccanicista del Creatore sulle cose, le propriet, le leggi di natura o le essenze delle creature, sono possedute da queste come proprie19. La dipendenza originaria ed originante di ogni cosa dal Creatore implica che si debba parlare di autonomia relativa e non assoluta; ma un simile aggettivo non deve intendersi in modo riduttivo o limitativo. Per San Tommaso, lessenza e la natura delle cose create, sebbene dichiarate contingenti rispetto a Dio, vengono nondimeno ritenute come necessarie nel loro ordine specifico e dunque, sempre in questo medesimo ordine, soggetto di necessit assoluta, senza che per questo Dio debba dirsi debitore ad alcuno20. Una volta donato lessere al mondo, Dio non riprende il suo dono, ma rispetta lautonomia che a quel dono era necessariamente legata. Uno snodo importante rappresentato dalla differenza che intercorre fra causalit seconda e causalit strumentale. Lo strumento non il soggetto di unazione che gli appartenga, ma deve tutta la sua causalit operativa allazione diretta dellagente principale; la causa seconda, al contrario, soggetto vero ed autonomo di effetti che da essa dipendono, e per la cui produzione essa possiede tutto il necessario21. Una causa mere instrumentalis non comunica una forma, n educe alcuna forma dalla materia, ma semplicemente trasferisce, prolunga la causalit principale in ordine a produrre un certo effetto. Se lo strumento fa pensare ad una dipendenza transitiva e immediata, quasi meccanica, dallagente principale, la
19 Il

tema ammette uno sviluppo in chiave antropologica, come lascia intendere lo stesso Tommaso, parlando dellagire di Dio nella natura e nella volont (umana). Qui lautonomia si chiama libert e latto di essere con cui Dio fonda e sostiene la libert umana e le sue scelte quello mediante il quale Dio crea un essere personale. In altro luogo abbiamo offerto alcuni spunti in proposito: cfr. G. TANZELLA-NITTI, Autonomia, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana Univ. Press - Citt Nuova, Roma 2002, vol. I, pp. 153-168. 20 Affermando che Dio ha prodotto le cose per volont e non per necessit, non si esclude che egli abbia voluto che certe cose esistessero in modo necessario ed altre in modo contingente, cos da produrre nelle cose una diversit ordinata. Perci niente impedisce che alcune cose causate dalla volont divina siano necessarie. [] Che queste realt naturali venissero prodotte da Dio fu una cosa volontaria, ma una volta cos stabilito assolutamente necessario che ne nascano e che esistano certe conseguenze (Contra Gentiles, II, c. 30; si veda in proposito il contesto dei cc. 29-30). Pu valer la pena ricordare che il mondo delle creature materiali certamente complesso, includendo una mescolanza di necessit e contingenza. In particolare, proprio le creature materiali sono contingenti anche nel senso di poter essere o non essere a motivo della loro corruttibilit, mentre le creature spirituali sono necessarie, senza possibilit di non essere, sebbene il loro essere dipenda da Dio. 21 Nelle opere di San Tommaso si trova a volte un accostamento terminologico fra causa seconda e strumento. Quando ci accade, egli sembra voler sottolineare la condizione di Dio come Agente dal quale dipende in modo radicale ogni cosa, non una diminuzione dellautonomia o dellautenticit della causalit creaturale (cfr. Contra Gentiles, III, c. 70). Si pu anche trovare la dizione Prima causa agente e cause agenti inferiori (cfr. Contra Gentiles, III, cc. 66 e 69).

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causalit seconda rimanda ad una dipendenza legata alla trascendenza dellatto di essere con il quale la creatura, con lesistenza, ha ricevuto da Dio anche unessenza ed una natura che fondano la propria autonomia. Grazie alla trascendenza della causalit divina, tutto appartiene alla creatura e tutta la creatura appartiene a Dio. Non si tratta per di due azioni diverse, ma di ununica azione, la cui articolazione non subordinazione cronologica, n logica, bens ontologica; azione della quale sono soggetti, su due piani diversi, la Causa prima e la causa seconda22. Cos il riepilogo di Tommaso in due celebri testi: Dunque Dio causa dellazione di qualsiasi cosa in quanto le d la capacit di agire, in quanto la conserva, in quanto la applica nellazione, e in quanto ogni altra capacit della creatura agisce grazie a Lui. E se aggiungiamo a queste considerazioni che Dio la capacit della creatura e che egli allinterno di ogni cosa, non nel senso che sia una parte della loro essenza, ma nel senso che mantiene le cose nellessere, si ha la conseguenza che egli agisce direttamente nellattivit di ogni cosa, ivi comprese le attivit della natura e della volont23. Lagire di Dio in ogni agente fu inteso da alcuni nel senso che nessuna virt creata possa compiere qualcosa nel mondo e che sia Dio solo direttamente a fare tutto, per cui non sarebbe il fuoco a riscaldare, ma Dio nel fuoco, e cos in tutti gli altri casi. Ma questo impossibile. Primo, perch sarebbe tolto dal creato il rapporto tra causa ed effetto. Fatto, questo, che denoterebbe limpotenza del Creatore: poich la capacit di operare deriva negli effetti dalla virt di chi li produce. Secondo, perch le facolt operative che si trovano nelle cose sarebbero state loro conferite inutilmente, se le cose non potessero fare nulla per loro mezzo. Anzi, tutte le realt create, in certo qual modo non avrebbero pi ragione di essere se fossero destituite della loro attivit: poich ogni
22 Circa

lerrore di una supposta conflittualit fra Causa prima e causa seconda, segnalava Cornelio Fabro: Interpretazioni di questo genere sono state avanzate da preoccupazioni di una teologia troppo empirica e maldestra nelle nozioni metafisiche, la quale ha scambiato per rapporti metafisici atteggiamenti empirici e situazioni di derivazione puramente psicologica, quali limpossibilit che la creatura sia libera quando si ammetta che Dio causa totale in senso autentico, o viceversa limpossibilit che Iddio non possa essere causa totale se la creatura veramente libera. Questalternativa sul piano metafisico non esiste, perch la Causa Prima, in quanto la causa dellesse, la causa delleffetto non solo in quanto la causa della causa, ma anche di conseguenza perch causa della causalit della causa e in ultimo dello stesso essere in atto delleffetto; vale a dire, prima e oltre lattivit diretta della causa seconda c la potenzialit radicale di questa causa seconda e la potenzialit della sua causalit e la potenzialit infine delleffetto che ne segue, le quali potenzialit sono colmate ovvero mosse allatto e sostenute in atto dalla Causa Prima (C. FABRO, Partecipazione e causalit, cit., p. 465). 23 Sic ergo Deus est causa actionis cuiuslibet in quantum dat virtutem agendi, et in quantum conservat eam, et in quantum applicat actioni, et in quantum eius virtute omnis alia virtus agit. Et cum coniunxerimus his, quod Deus sit sua virtus, et quod sit intra rem quamlibet non sicut pars essentiae, sed sicut tenens rem in esse, sequetur quod ipse in quolibet operante immediate operetur, non exclusa operatione voluntatis et naturae (De Potentia, q. 3, a. 7, resp.).

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ente per la sua operazione [...]. Quindi laffermazione che Dio opera in tutte le cose va intesa in modo da non pregiudicare il fatto che le cose stesse hanno una propria attivit24. Dunque, lattivit della natura come causa seconda, o come ricco e complesso insieme di cause seconde, risponde per San Tommaso anche a un motivo di senso generale del mondo. Poich Dio non ha bisogno di nulla e potrebbe fare ogni cosa direttamente come Causa prima e agente principale, sarebbe assurdo che, creando Egli qualcosa, non rendesse la creatura capace di azioni proprie, che agli enti naturali, cio, non appartenesse alcun effetto reale. Dio vuole agire insieme e attraverso la mediazione delle cause seconde, e da questo deriva larmonia, il reciproco ordinamento e la perfezione di un cosmo creato25.

5. La nozione metafisica di natura come principio interno di operazione dellente


Un terzo aspetto di interesse riguarda la discussione riservata da San Tommaso al concetto di natura, di tradizione aristotelica, che indica il principio operativo presente in ogni ente, grazie al quale ogni creatura, in quanto dotata di una specifica essenza, agisce secondo ci che essa . In quanto legata allessenza, Aristotele ne introduce la nozione nella sua Metafisica (ens ut ens)26, ma ne offre unesposizione particolareggiata nel Libro II della Fisica (ens ut mobile). Il pensiero di San Tommaso in proposito si trova sia nel suo Commento alla Fisica aristotelica, sia in altri luoghi, specie quando affronta il rapporto fra lagire di Dio e lagire della creatura27.
24 Respondeo

dicendum quod Deum operari in quolibet operante aliqui sic intellexerunt, quod nulla virtus creata aliquid operaretur in rebus, sed solus Deus immediate omnia operaretur; puta quod ignis non calefaceret, sed deus in igne, et similiter de omnibus aliis. hoc autem est impossibile. Primo quidem, quia sic subtraheretur ordo causae et causati a rebus creatis. Quod pertinet ad impotentiam creantis, ex virtute enim agentis est, quod suo effectui det virtutem agendi. Secundo, quia virtutes operativae quae in rebus inveniuntur, frustra essent rebus attributae, si per eas nihil operarentur. Quinimmo omnes res creatae viderentur quodammodo esse frustra, si propria operatione destituerentur, cum omnis res sit propter suam operationem. [...] Sic igitur intelligendum est Deum operari in rebus, quod tamen ipsae res propriam habeant operationem (Summa Theologiae, I, q. 105, a. 5, resp.). 25 Cfr. anche De Potentia, q. 3, a. 7, ad 16. Su tutto il tema pu vedersi il saggio di J.J. SANGUINETI, La filosofia del cosmo secondo San Tommaso dAquino, Ares, Milano 1986. 26 Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, Libro V, c. IV, 1014b-1015a. 27 Sul concetto aristotelico-tomista di natura come principio operativo dellente, cfr. A. GHISALBERTI, La concezione della natura nel Commento di Tommaso dAquino alla Metafisica di Aristotele, Rivista di Filosofia Neoscolastica, 66 (1974), pp. 533-540; S. OFLYNN BRENNAN, Physis. The Meaning of Nature in the Aristotelian Philosophy of Nature, The Thomist, 24 (1961), pp. 247-265; J.J. SANGUINETI, La naturaleza como principio de racionalidad, Sapientia, 41 (1986), pp. 55-66; G. TANZELLA-NITTI, The AristotelianThomistic Concept of Nature and the Contemporary Scientific Debate on the Meaning of

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La natura uninclinazione naturale (valga la ridondanza) che regola le modalit con cui quel determinato ente pu interagire con quanto lo circonda. Si presenta pertanto sia come principio attivo dellente (capacit di informare), sia come principio passivo (capacit di venire informato). Essa appartiene allente come qualcosa di sostanziale (per se) e non di accidentale. La natura s principio di moto, ma anche di quiete: fa cio riferimento non solo alla regolarit delle interazioni nei loro aspetti dinamici in atto, ma anche alla stabilit delle propriet intrinseche dellente, ovvero a quegli aspetti potenziali che regolano anchessi il comportamento fisico dellente nel suo insieme28. Nel linguaggio contemporaneo diremmo che la natura di una massa gravitazionale oppure di una carica elettrica quella di attrarre, ma anche di essere attratta. In vari luoghi San Tommaso la chiamer virtus activa et conservativa29. Sia Aristotele che San Tommaso legano la nozione di natura in modo spontaneo alla regolarit del comportamento degli enti corporei, tanto in ambito fisico quanto biologico. Essere secondo la propria natura vuol dire per un ente rivelarsi secondo le sue propriet pi intrinseche, al punto da ritenere che un comportamento che si discosti da quanto previsto da quella specifica natura certamente dovuto allintrusione di altre cause che ne impediscono lesplicarsi30. Per il tema che qui ci occupa il rapporto filosofico-teologico fra Dio e natura in dialogo con il contesto delle scienze naturali limportanza di tale nozione sta nel fatto che, per quanto prima detto, la natura ha ragione di forma e di fine: essa opera come una causalit formale, ma con interessanti collegamenti anche con la causalit finale. Fra i testi pi chiari in proposito, sempre dal commento al II Libro della Fisica, si consideri il seguente: La natura non altra cosa che la concezione di un artista divino impressa nelle cose, grazie alla quale le stesse cose si muovono verso il loro fine determinato; come se il costruttore di una nave potesse attribuire al legname che la compone la capacit di muoversi, da s stesso, per giungere a formare la struttura stessa della nave. [...] pertanto chiaro che la natura sia una causa, e che agisca in vista di un fine31.
Natural Laws, Acta Philosophica, 6 (1997), pp. 237-264; J.A. WEISHEIPL, The Concept of Nature, in Nature and Motion in the Middle Age, a cura di W.E. CARROLL, The Catholic University of America Press, Washington 1985, pp. 1-23 (ristampato da The New Scholasticism, 28 (1954), pp. 377-408). 28 Cfr. In II Physicorum, lec. 1, nn. 145-146; lec. 14, n. 267; cfr. anche Summa Theologiae, III, q. 6, a. 5, ad 2um. 29 Cfr. ad esempio Summa Theologiae, I-II, q. 85, a. 6, resp. 30 Si dicono essere secondo natura quelle cose che sono continuamente mosse da un principio ad esse intrinseco, mediante il quale esse pervengono ad un certo fine; non in modo contingente, n da un qualsivoglia principio ad un qualsivoglia fine, ma da un principio determinato verso un fine determinato. Esse procedono sempre dallo stesso principio verso lo stesso fine, a meno che non intervenga qualcosa ad impedirlo (In II Physicorum, lec. 14, n. 267). 31 Unde patet quod natura nihil est aliud quam ratio cuiusdam artis, scilicet divinae, indita rebus, quae ipsae res moventur ad finem determinatum: sicut si artifex factor navis posset lignis tribuere, quod ex se ipsi moverentur ad navis formam inducendam. [...] Manifestum

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Se vero che nel suo aspetto di causalit formale, la natura indica solo la predisposizione e la capacit di compiere una certa azione, e che lattualizzarsi dellazione sar dovuto allintervento di una causa efficiente la quale, nellattualizzarsi, manifesta lesistenza di una finalit, tuttavia altrettanto vero che tale finalit gi insita in quella regolarit, stabilit e legalit di comportamento, che hanno la loro ragione nella natura dellente intesa come forma. La causa finale gi presente e come nascosta nelloperativit dinamica della forma-natura, perch impressa dalla Causa prima, origine dellessere, dellessenza e della progettualit di tutto ci che esiste. Per affermare che luniverso creato abbia un fine non c bisogno di invocare in prima istanza uno scopo imposto dallesterno, ma ci si pu accostare alla nozione di finalit anche dallinterno, affermando semplicemente che in natura esistono propriet stabili, formalit specifiche e comportamenti legali. Un principio metafisico di legalit (o di naturalezza, se si preferisce) non implica un meccanicismo determinista, n una predicibilit matematica, cose che comporterebbero una forzatura riduzionista del reale, identificandolo prima con il misurabile, e poi con quanto si pu trattare in modo computazionalmente finito. La natura dunque un sostrato di intelligibilit, qualcosa che lente riceve dalla Causa prima, qualcosa che chi studia luniverso naturale scopre e non crea, qualcosa che non cade sotto lanalisi della scienza, ma rende la scienza possibile. Infine, il rapporto fra Dio e la natura specifica di un ente, anchesso un luogo di articolazione del rapporto fra Causa prima e causa seconda, e aiuta a comprendere lagire di Dio nella creazione. Ecco un testo riassuntivo dal gi citato articolo del De Potentia Dei: La capacit naturale che conferita alle cose naturali allatto della loro creazione in esse come una forma che ha lessere fisso e stabile della natura: ma ci che viene fatto da Dio nella cosa naturale, perch essa agisca effettivamente, solo come unintenzione, che ha un essere in un certo senso incompleto, come lessere dei colori nellaria e la capacit dellarte nello strumento dellartigiano [...]. Alla cosa naturale pot essere conferita la capacit sua propria come forma permanente in essa, ma non la forza con cui compiere azioni finalizzate quale strumento di una causa prima, a meno di concederle di essere il principio universale dellessere. Inoltre, alla capacit naturale non pot essere data la possibilit di mettere in movimento s stessa, n di conservare s stessa nellessere. Per cui, come allo strumento dellartigiano non pot evidentemente essere concesso di agire senza il movimento dellarte, cos alla cosa naturale non pot essere concesso di agire senza lattivit divina32.
esse quod natura sit causa, et quod agat propter aliquid (In II Physicorum, lec. 14, n. 268). Esiste un interessante passo, quasi parallelo, nel Commento alla Metafisica: La natura di una cosa una certa inclinazione impressa in essa dal primo movente ed ordinata cos ad un debito fine. Risulta chiaro che le cose naturali agiscano in vista di un fine, anche se non lo conoscono, perch dalla prima causa intelligente hanno ricevuto tale inclinazione verso il loro fine (In XII Metaphysicorum, lec. 12, n. 2634). 32 Virtus naturalis quae est rebus naturalibus in sua institutione collata, inest eis ut quaedam forma habens esse ratum et firmum in natura. Sed id quod a Deo fit in re naturali, quo actua-

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6. Le virtualit dellontologia tomasiana per il dialogo con le scienze naturali


Da alcuni anni siamo ormai abituati a trovare espliciti riferimenti alla nozione di Dio in non pochi libri di divulgazione scientifica33. I motivi che hanno determinato questo stato di cose sono molteplici. Si potrebbero citare limpatto della cosmologia contemporanea con il problema dei fondamenti dellessere, la riflessione sulla razionalit e lintelligibilit della natura, il persistere di tematiche classiche che reclamano una spiegazione dellagire divino nella natura, come il rapporto fra intenzionalit creatrice ed evoluzione biologica o linterpretazione da dare ai miracoli. Pu essere significativo osservare che un intero ciclo di Convegni organizzati lungo gli anni 1990 dal Centro di Studi Interdisciplinari della Specola Vaticana, con la collaborazione di vari scienziati e filosofi di area anglosassone, abbia avuto come titolo Scientific Perspectives on Divine Action, a testimonianza dellinteresse che lo studio dellagire divino nel creato, e leventuale realismo con cui debba essere compreso, continua a suscitare negli uomini di scienza34. Una delle principali difficolt in tale ambito di riflessione interdisciplinare resta, a nostro avviso, proprio quella di individuare una corretta ontologia in grado di raccordare azione di Dio e azione creaturale e di dare ragione di tutto lo spessore ontologico insito nel concetto di causalit. Coloro che si occupano di
liter agat, est ut intentio sola, habens esse quoddam incompletum, per modum quo colores sunt in aere, et virtus artis in instrumento artificis. [...] Ita rei naturali potuit conferri virtus propria, ut forma in ipsa permanens, non autem vis qua agit ad esse ut instrumentum primae causae; nisi daretur ei quod esset universale essendi principium: nec iterum virtuti naturali conferri potuit ut moveret se ipsam, nec ut conservaret se in esse: unde sicut patet quod instrumento artificis conferri non oportuit quod operaretur absque motu artis; ita rei naturali conferri non potuit quod operaretur absque operatione divina (De Potentia, q. 3, a. 7, ad 7um). O ancora: Tutto ci che causato secondo una determinata natura non pu essere la causa prima di codesta natura, ma solo causa seconda [...]. Lazione stessa della natura anche azione della capacit divina, come lazione dello strumento avviene sempre grazie alla capacit della causa agente principale. E non c nessun ostacolo a che le azioni della natura e di Dio abbiano uno stesso oggetto a causa dellordine che c tra Dio e natura (Contra Gentiles, II, c. 21; De Potentia, q. 3, a. 7, ad 3um). 33 La notoriet del fenomeno ci esime dal darne qui puntuale notazione bibliografica. Rimandiamo il lettore interessato a due voci riassuntive: J.F. HAUGHT, God in Modern Science, in New Catholic Encyclopedia, The Catholic Univ. of America Press, Washington 1989, vol. 18, pp. 178-183; G. TANZELLA-NITTI, Dio, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, cit., pp. 404-424. 34 Cfr. R. RUSSELL - N. MURPHY - A. PEACOCKE (a cura di), Caos and Complexity. Scientific Perspectives on Divine Action, LEV and Center for Theology and The Natural Sciences, Citt del Vaticano - Berkeley 1995; R.J. RUSSELL - W.R. STOEGER - F.J. AYALA (a cura di), Evolutionary and Molecular Biology. Scientific Perspectives on Divine Action, Vatican Observatory Publications and Center for Theology and the Natural Sciences, Vatican City Berkeley (CA) 1998; R.J. RUSSELL et al. (a cura di), Neuroscience and the Person. Scientific Perspectives on Divine Action, Vatican Observatory Publications - Center for Theology and the Natural Sciences, Vatican City-Berkeley (CA) 1999.

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scienze naturali sono di solito inconsciamente portati a studiare il rapporto fra azione di Dio e azione della creatura in un quadro causale implicitamente confinato, almeno in linea generale, alla sola causalit efficiente, tendendo cos a comprendere la stessa causalit secondo uno schema principalmente cronologico35. Non sorprende che in un simile quadro riduttivo risulti penalizzata la stessa metafisica aristotelico-tomista. Di conseguenza, al momento di affrontare il rapporto fra Dio e natura alcuni avvertono la necessit di rivolgersi ad ontologie ritenute pi flessibili e dinamiche, come quelle deducibili a partire da una filosofia del processo36, sottostimando il dinamismo insito nella metafisica dellactus essendi o nella nozione di natura, come prima discussa. Alla luce di questo stato di cose pu dunque riguadagnare attualit chiedersi quali siano le implicazioni della prospettiva ontologica tomasiana ai fini di un dialogo con il pensiero scientifico e se essa sia in grado di favorire una corretta impostazione del rapporto fra Dio e natura. Ritenendo di poter rispondere affermativamente a questultima domanda, proponiamo qui in forma schematica alcuni suggerimenti in proposito37. a) Un Dio Creatore che sia causa dellatto di essere e della specifica essenza (natura) di tutti gli enti creati non interferisce con la descrizione empirica del mondo naturale. Lessere e la natura delle cose, la cui causalit appartiene solo e soltanto a Dio, costituiscono in fondo quel sostrato ontologico che rappresenta il presupposto filosofico di ogni conoscenza scientifica. La scienza si accosta a tale sostrato quando percepisce il problema dei fondamenti (quando, ad esempio, si imbatte in paradossi di incompletezza logica oppure ontologica, dalla matematica fino alla cosmologia). b) Larticolazione fra Causa prima e cause seconde e, soprattutto, lautenticit di una vera causalit creaturale autonoma, ci che consente di fare scienza, ovvero di intraprendere unanalisi scientifica che sia un reale scire per causas.
35 Ne

offre un esempio paradigmatico uno dei primi saggi di P.C. DAVIES, Dio e la nuova fisica (1983), Mondadori, Milano 2002. Va comunque osservato che nelle opere successive lAutore mostrer una pi matura comprensione filosofica di questo rapporto. 36 La filosofia del processo deve la sua origine al pensiero del matematico e filosofo A.N. WHITEHEAD: cfr. Il processo e la realt (1929), Bompiani, Milano 1965. Per unapplicazione in ambito teologico, J.B. COBB - D.R. GRIFFIN, Teologia del processo. Una esposizione introduttiva, Queriniana, Brescia 1978. Paralleli fra unontologia di ispirazione aristotelicotomista ed una visione ispirata alla filosofia del processo nel contesto del rapporto fra teologia e scienze naturali sono offerti, seppure con evidenti limiti e qualche inadeguatezza, in I.G. BARBOUR, Religion and Science: Historical and Contemporary Issues, Harper & Row, San Francisco 1997. Buona parte degli studiosi di ambito anglosassone che si dedicano al rapporto fra scienze e teologia impiegano e sviluppano le istanze di una filosofia del processo, come ad es. A. Peacocke. 37 Il lettore interessato al contributo del pensiero di San Tommaso in alcuni ambiti specifici delle scienze naturali, potr trovarne spunti di sviluppo nelle seguenti voci del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, cit.; A. STRUMIA, Analogia, pp. 56-70; G. TANZELLANITTI, Creazione, pp. 300-321; IDEM, Leggi naturali, pp. 783-804; IDEM, Miracolo, pp. 958978; M. ARTIGAS, Finalit, pp. 652-664; G. MONASTRA, Natura, pp. 1027-1043.

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c) Lintimit dellatto di essere, nel garantire lautonomia e la relativa indipendenza della creatura, fa s che il concorso divino nellagire si collochi su un livello pi fondante, non sullo stesso piano della creatura. Uninterferenza fra Dio e le creature cos esclusa non solo a livello di descrizione del mondo, ma anche sul piano operativo, consentendo alle scienze di approfondire continuamente la linea delle cause seconde. d) La proposta tomasiana consente di leggere il rapporto fra filosofia e scienza, pi precisamente fra ontologia e scienza, non pi (o non principalmente) assegnando alla filosofia il compito di evidenziare i limiti della scienza, quanto piuttosto quello di mostrarne i veri fondamenti. La scienza pu riguadagnare in pieno, e lecitamente, la completezza del suo oggetto materiale che, nel suo ordine, appunto illimitato38. e) La comprensione della creazione come un particolare tipo di relazione, come atto continuo che trascende il tempo, chiarisce molte questioni di frontiera fra cosmologia fisica e teologia della creazione, specie quando sorge la falsa dialettica di voler stabilire se lazione di un Creatore sia qualcosa di necessario o di superfluo. La causazione con cui lAtto puro di Essere d ragione dellesistenza del mondo non riguarda lordine del moto o del cambiamento, e dunque sorpassa il problema della prima mossa39. f) Tanto sul piano gnoseologico quanto su quello operativo (fondati ambedue sul piano ontologico), la causalit divina non implica un mondo meccanicista, n un mondo retto da leggi deterministicamente predicibili, ma solo un mondo reale, ove esistano delle formalit, delle propriet naturali specifiche e stabili. In prospettiva teologica, se si sottolinea la stabilit delle leggi di natura perch questa immagine della fedelt/alleanza di Dio nei confronti del suo creato. Egli, mediante le leggi autonome della natura, conduce ogni cosa soavemente verso il suo fine (cfr. Sap. 8,1), senza bisogno di interferire nei processi che sono propri del mondo fisico o biologico, n di correggerne in modo estrinsecista il cammino evolutivo. In un mondo retto da un Creatore le propriet pi elementari e fondanti possono certamente essere anche delle relazioni o dei processi, ma il sog38 Il

rapporto fra scienza ed etica meriterebbe qui alcune precisazioni. Se in questo caso si pu parlare di limiti della scienza, non perch questi vengano imposti dallesterno della ricerca scientifica, ma vengono percepiti come appartenenti alla verit delloggetto, e ultimamente riconducibili alla natura delloggetto, normativa anche della sua verit e del suo significato. Una corretta comprensione della libert di ricerca rimanderebbe poi, in ambito teoretico, alla relazione fra verit e libert, e in ambito pratico al porre in luce che la libert atto della persona (ricercatore) e non della scienza (ricerca), traendone come conseguenza la corrispondente responsabilit ad esso legata. Sul tema, cfr. G. TANZELLA-NITTI, Autonomia, cit., specialmente pp. 162-168. 39 Cfr. S. MURATORE, Dalla ricerca delle origini alla questione del principio: Tommaso dAquino, in La creazione. Oltre lantropocentrismo?, a cura di P. GIANNONI, Messaggero, Padova 1993, pp. 239-270. Una trattazione pi ampia, in dialogo con diversi aspetti della cosmologia contemporanea, nel saggio dello stesso autore, Levoluzione cosmica e il problema di Dio, AVE, Roma 1993.

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getto ultimo delle relazioni o dei processi non pu essere ultimamente un processo, n un divenire che sfugga a qualsiasi ontologia. Di fatto, lontologia tomasiana non si presenta come una ontologia fissista, un giudizio che viene talvolta avanzato, ma che la concezione dinamica di natura o la verit della causazione creaturale basterebbero a smentire. Trovano qui il loro limite quelle presentazioni le quali, al fine di favorire il dialogo con le scienze naturali, si propongono di superare tale ontologia con il ricorso ad una process philosophy perch ritenuta maggiormente adatta a rappresentare un mondo in evoluzione, e sostituiscono cos alla nozione di ente quella di evento e alla nozione di essere quella di processo. g) Il fatto che in Dio vi sia piena identit fra il suo Puro Atto di Essere e il suo perfetto Atto di conoscere, S stesso e ogni cosa in S, chiarisce anche le residue incertezze circa la conoscibilit del futuro da parte del Creatore. La proposta di una sorta di ignoranza di Dio circa il futuro nasce proprio dallimpiego di una filosofia del processo: un universo in continua evoluzione, e perci filosoficamente aperto, perch complesso e impredicibile e dunque in qualche modo anchesso creativo sfuggirebbe nei suoi sviluppi futuri alla piena conoscenza del suo Creatore40. In realt, impredicibilit scientifica dello sviluppo del cosmo e piena dipendenza da Dio non sono, in una ontologia tomasiana, concetti in opposizione dialettica. facile riconoscere che la proposta di una ignoranza, seppur relativa, del Creatore, oltre a svelare una contraddittoria filosofia di Dio e del tempo, in verit il passo finale di un cammino filosofico nel quale la stessa natura di Dio viene storicizzata, una natura che Egli svilupperebbe insieme al procedere del mondo. h) La nozione aristotelico-tomista di natura favorisce un chiarimento epistemologico circa la necessaria distinzione fra leggi naturali e leggi scientifiche. Le due espressioni non sono identiche. Noi possiamo maneggiare soltanto le seconde, ma non le prime. Le leggi scientifiche hanno una portata conoscitiva limitata e sono sempre soggette a perfezionamento e a revisione sperimentale; la loro conoscibilit ed intelligibilit rimanda per ad un substrato invariante, di carattere squisitamente meta-fisico, che in prima approssimazione rappresentato appunto dalle leggi di natura. Tale substrato andrebbe ancorato alla natura metafisica di un ente, cio a quel principio operativo che esprime le propriet formali e le possibilit di interazione attiva e passiva di un ente fisico, manifestative della sua essenza. i) Infine, il governo del mondo naturale viene realizzato da Dio attraverso la natura di ogni ente, che ha ragione di causalit formale, il cui esplicarsi ordinato, anche negli aspetti che ne regolano linterazione con gli altri enti, esprime nel suo
40

la conclusione cui perviene A. PEACOCKE, Gods Interaction with the World: The Implications of Determinstic Chaos and of Interconnected and Independent Complexity, in Caos and Complexity. Scientific Perspectives on Divine Action, a cura di R. RUSSELL - N. MURPHY - A. PEACOCKE, cit., pp. 263-287.

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complesso la tensione verso una causalit finale. Ne risulta in certo modo risolto sia il rapporto fra creazione ed evoluzione, sia lapparente conflittualit fra un universo di enti e di forme, e un universo di eventi e di processi. La trascendenza della Causa prima, soggetto della progettualit delluniverso, e in prospettiva teologica lappartenenza di questa allordine dellintenzionalit personale, fa s che lordine empirico non possa accedere, strictu sensu, al motivo ultimo di tale finalit, ma ne colga solo gli aspetti di livello inferiore, come la coerenza, lordine, il coordinamento funzionale o la teleologia dei processi. Concludiamo segnalando che il dialogo della teologia e della filosofia con ogni vera fonte di conoscenza implica anche un efficace ed intelligente impiego dei risultati delle scienze da parte della riflessione filosofica e teologica. Al chiarire al pensiero scientifico modalit filosoficamente pi corrette di impostare il rapporto fra Dio e il creato, la prospettiva tomasiana educa anche ad un ascolto attento delle verit conosciute dalle scienze, valorizzandole. Un fecondo dialogo fra queste diverse forme di conoscenza viene esplicitamente incoraggiato dalla Fides et ratio (1998) proprio in riferimento allopera di Tommaso dAquino (cfr. nn. 43-44). Proponendo agli studiosi di oggi lesempio della mentalit dellAquinate, afferma Giovanni Paolo II: Intimamente convinto che omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est, San Tommaso am in maniera disinteressata la verit. Egli la cerc dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalit. In lui, il Magistero della Chiesa ha visto ed apprezzato la passione per la verit; il suo pensiero, proprio perch si mantenne sempre nellorizzonte della verit universale, oggettiva e trascendente, raggiunse vette che lintelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare. Con ragione, quindi, egli pu essere definito apostolo della verit. Proprio perch alla verit mirava senza riserve, nel suo realismo egli seppe riconoscerne loggettivit. La sua veramente la filosofia dellessere e non del semplice apparire (Fides et ratio, n. 44).

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studi di filosofia

MARIO CASTAGNINO JUAN JOS SANGUINETI TEMPO E UNIVERSO Un approccio filosofico e scientifico
Collana: Studi di filosofia - 22 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

MARIO CASTAGNINO JUAN JOS SANGUINETI

TEMPO E UNIVERSO Un approccio filosofico e scientifico

Gli autori affrontano il problema del tempo combinando peculiarmente, in modo separato ma integrato, la visione della fisica e quella della filosofia, allargando il campo della riflessione anche ad alcuni accenni teologici. Tale impostazione permette di affrontare i grandi interrogativi legati alla direzione del tempo, alla sua dimensione fisica e storica, allunificazione delle scienze, alleternit, con un approfondimento notevole nella comprensione delluomo e del mondo attraverso il suo plurivalente dispiegarsi temporale, dalla sua origine ed evoluzione, fino alla questione ultima del destino definitivo. Rivolgendosi ad ogni persona interessata allo studio della metafisica, della cosmologia e della antropologia, senza richiedere conoscenze scientifiche specialistiche, lopera si propone nei fatti come una riflessione vasta e dettagliata su tutta lesistenza umana.
ARMANDO EDITORE

pp. 416

23,24

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cronache di filosofia
a cura di Francisco FERNNDEZ LABASTIDA

Il Fondo Fabro
Il Fondo Fabro rappresenta lintera biblioteca del prof. Cornelio Fabro (19111995), la quale stata affidata nel 1998 alla biblioteca della Pontificia Universit della Santa Croce dalla Congregazione degli Stimmatini di cui il compianto p. Fabro era membro. Si tratta manifestamente di una notevole risorsa per gli studi filosofici sia per la quantit sia per la qualit del materiale conservatovi. Sono note agli studiosi di san Tommaso e di Kierkegaard lacuta esegesi e lacriba filologica dei lavori del filosofo friulano. Pure nota ai lettori dellIntroduzione allateismo moderno la rara erudizione che sostiene la sua originale riflessione speculativa. A ci si potrebbe aggiungere la vasta estensione della sua opera: dal pensiero classico al pensiero contemporaneo, dalla psicologia alla metafisica. Il Fondo, con la variet dei suoi testi, corrispondenti per gran parte degli autori allintera stratificazione della ricerca, dalle fonti alla letteratura critica, testi pieni di annotazioni e di fogli manoscritti, rappresenta una testimonianza sensibile dello straordinario lavoro condotto da Fabro dai primi anni della sua attivit fino alla fine (come testimonia la professoressa Rosa Goglia che fu sua collaboratrice, Fabro lasci la scrivania piena di testi, appunti e vocabolari). Sulla base dello stato attuale della catalogazione (16.000 su 20.000 titoli circa) possiamo fornire a titolo introduttivo qualche dato, contando di poter fornire ulteriori ragguagli in uno dei prossimi fascicoli di Acta Philosophica. Le lingue pi rappresentate sono, oltre allitaliano, il tedesco e il francese. Tra gli autori maggiormente presenti, nellordine: Kierkegaard, san Tommaso, Aristotele, Hegel, Kant, Heidegger. Specialmente per questi autori da segnalare la completezza del materiale presente. Ne sono un esempio la presenza di tutte le edizioni delle opere complete di Hegel dalledizione di Berlino del 1832 alledizione Lasson-Hoffmeister, dalledizione Glockner, fino alle pi recenti edizioni delle Vorlesungen come quelle di filosofia del diritto edite da Ilting nel 1973. Un altro esempio ledizione completa delle opere di Kierkegaard, ledizione Ibsen-Himmelstrup del 1920 (la seconda e pi completa), a cui si aggiungono tutte le edizioni dei Papirer comprese tra ledizione Reitzel del 1869 e ledizione Thulstrup del 1968. Alle edizioni critiche si accompagna lampia variet di studi, repertori e traduzioni: tra queste ultime, per limitarci al francese, figurano le traduzioni hegeliane di Verra, Hyppolite, Janklvitch, Gibelin.

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Notevole la presenza di testi rari e preziosi come unedizione del 1525 delle opere di Pomponazzi, la traduzione di Pacio della Fisica di Aristotele del 1608, diverse edizioni settecentesche delle opere di Wolff e di Leibniz, la vita di Proclo di Marino del 1703, ledizione di Cousin delle opere del maestro ateniese, ledizione del 1812 delle opere di Jacobi e cos via per molti altri autori come Marsilio Ficino, Malebranche, Voltaire, Fries, Cabanis, von Baader, Feuerbach e altri. Sono stati rinvenuti inoltre alcuni testi inediti dello stesso Fabro, soprattutto le dispense dei suoi corsi universitari. Questi testi si vanno ad aggiungere al materiale inedito gi reperito e conservato in fotocopia grazie alla generosa disponibilit delle professoresse Anna Giannatiempo e Rosa Goglia. Era volont espressa di Fabro che la sua biblioteca fosse conservata nella forma originale e che essa fosse destinata alla ricerca filosofica al servizio della Chiesa. Alla prima istanza si sta dando piena soddisfazione grazie alla costituzione del Fondo, conservando il materiale in un apposito locale della Biblioteca dellUniversit della Santa Croce, in via dei Farnesi 82 (Roma) e rispettando il complesso sistema di collocazione elaborato dallo stesso Fabro (un originale sistema alfanumerico che dovrebbe ordinare logicamente tutto leterogeneo materiale). Il paziente lavoro di catalogazione portato avanti dalla biblioteca dellUniversit segue inoltre lo standard internazionale di catalogazione RICAISBD il quale permette di consultare i dati da una qualunque postazione esterna via internet presso lindirizzo della stessa biblioteca (www.pusc.it/bib). poi in cantiere un link dove potranno essere raccolti tutti i dati che riguardano gli studi su Fabro. La seconda istanza il compito attuale per tutti coloro che si stanno costituendo in gruppi di ricerca intorno al Fondo. Lidea che li anima di mettere a frutto la preziosa eredit di Fabro, cercando di seguire la sua traccia e ci chegli avrebbe maggiormente desiderato cercando di seguire personalmente il suo esempio di studioso di formazione classica particolarmente aperto al confronto con il pensiero moderno e contemporaneo, sempre sollecito a rispondere nella fede e con generoso impegno alle sfide dellepoca presente. Ariberto ACERBI

CONVEGNI E SOCIET FILOSOFICHE


A Cividale del Friuli, dal 4 al 7 settembre 2003, lAssociazione Docenti Italiani di Filosofia (A.D.I.F.) ha organizzato il XIX Convegno Nazionale di Filosofia dal titolo Filosofia e arte. Hanno partecipato al convegno i seguenti relatori: A. Molinaro (Larte come problema filosofico), C. Vigna (Il senso del bello), B. Mondin (Il bello e larte in S. Agostino e S. Tommaso), M. Pagano (Limmagine del mondo moderno nella letteratura: linterpretazione di Hegel), P. Viotto (Il problema della bellezza in J. Maritain), C. Valenziano (Il bello e larte
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nelluniverso simbolico cristiano), M. Monaldi (Vecchi e nuovi simulacri: le immagini virtuali tra cinema e video art). Nellultima giornata si svolta una tavola rotonda dal titolo La bellezza salver il mondo? In occasione del quinto anniversario della pubblicazione dellenciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, nei giorni 9-11 ottobre 2003, la Pontificia Universit Lateranense ha promosso un convegno internazionale intitolato Il desiderio di conoscere la verit. Le relazioni di queste giornate sono state di Enrico Berti (Listanza metafisica nella Fides et Ratio), Antonio Livi (Le premesse razionali della fede secondo la Fides et Ratio), Andrea Milano (Ragione storica e ragione teologica nella Fides et Ratio), Max Seckler (Sapere filosofico e sapere teologico), Ralph McInerny (Tradizione e ragione critica nella Fides et Ratio), Remo Bodei (Cristianesimo e modernit alla luce della Fides et Ratio), Bernard Schumacher (Libert e valori nella Fides et Ratio), Giovanni Sala (La filosofia nel contesto dellepistemologia teologica), Hermann Joseph Pottmeyer (Fides et Ratio e la storia della teologia dellOttocento), Lukasz Kamykowski (Filosofia e teologia oppure ununica Sophia di fronte alle scienze?), Salvador Pi i Ninot (Filosofia e teologia nel contesto spagnolo), Gilbert Narcisse (Tomismo e Magistero dopo la Fides et Ratio), Csar Izquierdo (Tradizione ecclesiale e tradizioni culturali secondo Fides et Ratio), Eilert Herms (Una lettura della Fides et Ratio nella prospettiva della teologia evangelica), Giuseppe Lorizio (Fides et Ratio e la teologia fondamentale), David Tracy (Fides et Ratio e il dialogo interreligioso) e Bogdan Lubardic (Una lettura della Fides et Ratio nella prospettiva della teologia ortodossa). Lultima giornata stata dedicata a una tavola rotonda su Filosofia e teologia a partire da Fides et Ratio, moderata da Marcelo Snchez Sorondo, cui hanno partecipato Francesco Botturi, Dario Antiseri, Vittorio Possenti e Antonio Staglian. La sintesi conclusiva di Antonio Sabetta (Una bibliografia ragionata su Fides et Ratio) ha chiuso i lavori del convegno. Nei giorni 23-24 ottobre 2003 si svolto presso il Centro Studi Filosoficoreligiosi Luigi Pareyson di Torino il convegno internazionale Lo Spirito nel confronto delle culture. Il programma prevedeva, dopo la relazione introduttiva di Maurizio Pagano, gli interventi di Mario Piantelli (Possibili echi indiani dello pneuma), Attilio Andreini (Le categorie dello spirito nella Cina antica), Alessandro Bongioanni (Modalit dello spirito nellantico Egitto), Angelo Scarabel (Aspetti dello spirito nel testo e nellesegesi coranica), Aldo Magris (Lo spirito e leredit dei greci), Wolfhart Pannenberg (Spirito e coscienza). Una tavola rotonda con la partecipazione di tutti i relatori ha concluso le due giornate di relazioni e dibattiti. La Canadian Jacques Maritain Association questanno ha svolto il suo convegno annuale presso la Saint Paul University di Ottawa, sul tema Maritain and Immortality nei giorni 24-25 ottobre 2003. Il programma prevedeva nel pomeriggio di venerd 24 la Public lecture di Fred Wilson (Universit di Toronto) intotolata Socrates Argument for Immortality: Socrates, Maritain, Grant and the Ontology of Morals. Il sabato 25 si dovevano invece svolgere le relazioni restanti: Lawrence Dewan (Christian Philosophy, Immortality, and Human Dignity),

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David Bellusci (Self, God and Immortality in Josiah Royce), Richard Feist (Maritain on the Infinite and the Ethical), Bharathi Sriraman (Leibniz and Maritain on the question of immortality), Leslie Armour (Reflection, Goodness and Immortality), Elizabeth Trott (Must Souls be Immortal?: The Gaia Hypothesis and Scientific Souls). Nel programma delle attivit del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche (Roma) sono state previste per il secondo semestre del 2003 due tavole rotonde: il 15 novembre Mauro Carbone, Giovanni Invitto e Chiara Zamboni hanno parlato su Esistenza, estetica, etica in Merleau-Ponty. Il 13 dicembre, invece, hanno discusso su Fede e nichilismo in un pensatore dialogico: F.H. Jacobi Marco M. Olivetti, Alberto Iacovacci, Pierluigi Valenza e Marco Ivaldo. Il Dipartimento di filosofia dellUniversit degli studi di Verona in collaborazione con la Societ italiana per gli studi kierkegaardiani ha indetto per i giorni 1-3 dicembre 2003 il convegno internazionale Kierkegaard contemporaneo: ripresa, pentimento, perdono. Il programma prevedeva i seguenti interventi: Umberto Regina (Perch questo Convegno) Virgilio Melchiorre (Il tempo del pentimento [Qohlet e Kierkegaard]), Leonardo Amoroso (Buber, Kierkegaard e la prova di Abramo), Arne Grn (Temporality of Repentance Temporality of Forgiveness), Simonella Davini (Agnese e il tritone: una storia di redenzione?), Giovanni Ferretti (Pentimento e perdono in Scheler, Lvinas e Ricoeur), Niels Jrgen Cappelrn (Imitation, Sin, Forgiveness), Umberto Curi (Il mancato pentimento di Don Giovanni), Isabella Adinolfi (Verit storiche e verit di ragione in Pascal e Kierkegaard), Alessandro Cortese (Anger/pentimento. Dallavvio dellattivit di scrittore sino ad Enten-Eller), Poul Lbcke (Remorse, Forgiveness and the Absence of Generosity in Kierkegaards Works), Adriana Cavarero (Il pentimento in Hannah Arendt), Franois Bousquet (Repentir et devenir-sujet devant Dieu), Roberto Garaventa (Angoscia, colpa, redenzione. Kierkegaard a confronto con lantropologia e la psicanalisi), Ettore Rocca (La coscienza del peccato. Per unestetica teologica).

VITA ACCADEMICA
Attivit Per la festa della patrona della Facolt, Santa Caterina dAlessandria, il 25 novembre 2002, dopo la concelebrazione eucaristica nella Basilica di SantApollinare, il Prof. Carmelo Vigna, Ordinario di Filosofia Morale presso lUniversit Ca Foscari di Venezia, ha tenuto la prolusione sul tema Desiderio e metafisica. La nostra Universit, il 26 novembre 2002, per la prima volta nella sua vita accademica, ha conferito il Dottorato Honoris Causa in tre diverse discipline: al

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Cardinale Dionigi Tettamanzi in Sacra Teologia, al Prof. Javier Hervada Xiberta in Diritto Canonico e al Prof. John Michael Rist in Filosofia. Si voluto dare un meritato omaggio e una manifestazione di gratitudine al contributo che i tre neodottori hanno reso alla scienza e allo sviluppo di questa Universit. NellAula Card. Hffner, dopo lindirizzo di saluto del nostro Gran Cancelliere, S.E.R. Mons. Javier Echevarra, e lintroduzione del Rettore Magnifico, Mons. Mariano Fazio, il Prof. Mons. Ignacio Carrasco de Paula ha pronunciato la Laudatio del Card. Dionigi Tettamanzi che, ricevuto il diploma, ha tenuto la sua Lectio magistralis su Attualit dellEnciclica Veritatis Splendor. Il rapporto verit e libert. Successivamente, il Rev. Prof. Juan Ignacio Arrieta ha tenuto la Laudatio del Prof. Javier Hervada Xiberta che, dopo la consegna del diploma, ha svolto la Lectio magistralis dal titolo Confessioni di un canonista. Infine, il Rev. Prof. Juan Jos Sanguineti ha fatto la Laudatio del Prof. John Michael Rist, il quale ha pronunciato la sua Lectio magistralis intitolata Fondamentalismi. Gli intermezzi corali eseguiti dal Coro da camera di Mons. Pablo Colino e gli intermezzi strumentali del Quartetto Gli amici dellArmonia hanno scandito i momenti pi significativi durante lo svolgimento della cerimonia. La nostra Universit, il 9 dicembre 2002, ha conferito per la prima volta il Premio Internazionale di Filosofia Antonio Jannone, assegnandolo allo studioso di filosofia antica, Prof. Giovanni Reale, che nellambito della cerimonia ha tenuto la Lezione magistrale sul tema Platone e Aristotele nella filosofia cristiana. La Facolt, dal 27 al 28 febbraio 2003, ha organizzato lXI Convegno di Studio dal titolo Tommaso dAquino e loggetto della metafisica. Approfondimenti e dibattiti, con lintento di riunire studiosi autorevoli per un aggiornamento sullinterpretazione del concetto tomasiano di metafisica, e per una discussione sia del suo significato storico che della sua validit filosofica. I lavori sono stati articolati in quattro aree. Dopo il saluto di benvenuto del Rettore, Mons. Mariano Fazio, e la presentazione del Convegno da parte del Rev. Prof. Stephen Brock, Presidente del Comitato organizzativo, nella 1 Area avente per tema La determinazione delloggetto della metafisica, sono intervenuti il Rev. Prof. Lawrence Dewan, O.P., del Dominican College of Philosophy and Theology di Ottawa su Che significa studiare lente in quanto ente? e il Rev. Prof. Miguel Prez de Laborda, della Pontificia Universit della Santa Croce su In che senso la metafisica va oltre la fisica. Nella 2 Area dal tema La costituzione dellente sono intervenuti il Prof. David Twetten, della Marquette University di Milwaukee su Come distinguere realmente tra essere ed essenza. Spunti aristotelici e il Prof. Mons. Mario Pangallo, della Pontificia Universit Gregoriana su Il nulla ha un posto nella metafisica? Nella 3 Area dal titolo Le condizioni della scienza dellente hanno parlato il Prof. Jan A. Aertsen, Direttore del Thomas-Institut di Colonia su Come si conosce loggetto della metafisica? e il Prof. Pasquale Porro, dellUniversit di Bari su Tommaso, Avicenna e la struttura della metafisica. Nella 4 Area dal tema

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cronache di filosofia

Aldil dellente sono intervenuti il Rev. Prof. Luis Romera, della Pontificia Universit della Santa Croce su Loggetto della metafisica include Dio? e il Rev. Prof. Stephen Brock, della Pontificia Universit della Santa Croce su Lanalogia dellente platonismo? Le tavole rotonde pomeridiane hanno concluso i lavori di entrambe le giornate del Convegno. L11 aprile 2003 si svolto un Colloquio per docenti e studenti sul tema Chi era veramente il filosofo greco? stato tenuto dal Prof. Stamatios Tzitzis, Direttore di Ricerca presso il CNRS e Presidente dellEquipe Internationale Interdisciplinaire de Philosophie Pnal dellUniversit de Paris II. Seminari per professori Durante lanno accademico 2002-2003, nei seminari per professori della facolt di Filosofia sono intervenuti come relatori: 16 gennaio 2003: Rev. Prof. Juan Jos Sanguineti, Pontificia Universit della Santa Croce, su La filosofia di Leonardo Polo. 20 febbraio 2003: Rev. Prof. Martin Rhonheimer, Pontificia Universit della Santa Croce, su Liberalismo politico, democrazia moderna e laicit dello Stato. 13 marzo 2003: Rev. Prof. Francisco Fernndez Labastida, Pontificia Universit della Santa Croce, su Lo stato attuale della fenomenologia. 27 marzo 2003: Prof.ssa Olimpia Lombardi, Universit di Buenos Aires, su Il problema delloggettivit scientifica. Verso unontologia stratificata. 10 aprile 2003: Prof. Lucio Cortella, Universit Ca Foscari di Venezia, su Hegel: la libert moderna come Ethos. 15 maggio 2003: Rev. Prof. Jos Angel Lombo, Pontificia Universit della Santa Croce, su Persona, individuazione, libert. 18 giugno 2003: Rev. Prof. Russel Hittinger, University of Tulsa, su Rediscovering Natural Law in a Post-Christian World. Nomine Nellanno accademico 2002-2003, nella Facolt di Filosofia sono stati nominati: il Prof. Juan Andrs Mercado, Professore Aggiunto; il Rev. Prof. Marco Porta, Professore Associato; il Prof. Flavio Keller, Professore Visitante. Nuove pubblicazioni curate dalla Facolt GABRIEL CHALMETA, Introduzione al personalismo etico, Edizioni Universit della Santa Croce, Roma 2003, pp. 176. ANTONIO MALO, Introduzione alla Psicologia, Le Monnier, Firenze 2002, pp. 172. RAFAEL MARTNEZ JUAN JOS SANGUINETI (a cura di), Dio e la natura, Armando, Roma 2002, pp. 191.

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cronache di filosofia

FRANCESCO RUSSO - RODERRICK ESCLANDA (a cura di), Homo patiens: prospettive sulla sofferenza umana, Armando, Roma 2003, pp. 256. Nella Series Philosophica della collana Dissertationes sono state pubblicate nellanno accademico 2002-2003 le seguenti tesi: B. AUGUSTIN, Ethische Elemente in der Anthropologie Edith Steins, Edizioni Universit della Santa Croce, Roma 2003, pp. 302. F. BERGAMINO, La razionalit e la libert della scelta in Tommaso dAquino, Edizioni Universit della Santa Croce, Roma 2002, pp. 294. M.M. FERREIRO, Lenguaje y realidad en Wittgenstein. Una confrontacin con Toms de Aquino, Edizioni Universit della Santa Croce, Roma 2003, pp. 300. M.C. REYES LEIVA, Las dimensiones de la libertad en Sein und Zeit de Martin Heidegger, Edizioni Universit della Santa Croce, Roma 2003, pp. 448. Altre pubblicazioni dei docenti della Facolt GABRIEL CHALMETA, tica social. Familia, profesin y ciudadana, Eunsa, Pamplona 2003, 2 ed., pp. 224. ANTONIO MALO (a cura di), La dignit della persona, in Atti del Congresso internazionale La grandezza della vita quotidiana, Edizioni Universit della Santa Croce, Roma 2003, pp. 270. JUAN JOS SANGUINETI, La antropologa educativa de Clemente Alejandrino. El giro del paganismo al cristianismo, Eunsa, Pamplona 2003, pp. 493. Corsi monografici di dottorato Nellanno accademico 2002-2003 si sono svolti presso la Facolt di Filosofia i seguenti corsi monografici: Prof. Luca Tuninetti: Lepistemologia della fede in John Henry Newman Prof. Mariano Artigas: La strategia di Galileo Prof. Juan Jos Garca-Noblejas: Poetica, retorica e filosofia Prof. Flavio Keller: Il problema mente-corpo: un tentativo di sintesi interdisciplinare Studenti Nellanno accademico 2002-2003 gli studenti iscritti alla Facolt sono stati 123, cos suddivisi: 1 Ciclo: 29; 2 Ciclo: 37; 3 Ciclo: 57. Gli studenti che hanno ottenuto il baccellierato in filosofia al termine del primo ciclo di studi sono stati 17, quelli che hanno ottenuto la licenza sono stati 17 (12 studenti nella Specializzazione in Etica e Scienze, e 5 nella Specializzazione in Metafisico-noetica) ed altri 13 hanno discusso la tesi dottorale. Le tesi pubblicate nel periodo settembre 2002 - giugno 2003 sono state 20.

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cronache di filosofia

Tesi dottorali discusse AIELLO, ANDREA, Notule de scientia theologie (mss Paris, Nat. lat. 15355, f. 40r mg. inf. - Paris, nat. lat. 16297, ff. 231v-232v): edizione critica, cronologia e paternit (Relatore: Prof. Robert Wielockx). AYUGI, THOMAS MBOYA, Political Order, Complementarity and Human Equality: a Thomistic Defence of Their Compatibility (Relatore: Prof. Robert Gahl). BAZ CANELN, ABELARDO, La Eternidad de Dios en Santo Toms de Aquino. Una visin filosfica (Relatore: Prof. Juan Jos Sanguineti). BELLEY, ANTOINE, Loriginalit du concept de connaissance par connaturalit dans les oeuvres de Jacques Maritain (Relatore: Prof. Marco DAvenia). BELTRN, ORLANDO GUMIRN JR., Edith Steins Notion of Human Consciousness (Relatore: Prof. Francisco Fernndez Labastida). BERGAMINO, FEDERICA, La razionalit e la libert della scelta in Tommaso dAquino (Relatore: Prof. Stephen L. Brock). BRITTO, THARCIUS, Intersubjectivity in the Ethical Personalism of Max Scheler and Karol Wojtyla (Relatore: Prof. Antonio Malo). DAZ GALLINAL, ANBAL A., La Polmica sobre la Norma Moral en el Tomismo (1890-1950) (Relatore: Prof. ngel Rodrguez Luo). KIRANGA, DAVID NJUGUNA, Aristotles Rhetoric and Public Morality (Relatore: Prof. Juan Andrs Mercado). MARTNEZ ACEVES, RODRIGO, Charles Taylor: la identidad del hombre moderno (Relatore: Prof. Juan Andrs Mercado). MIYAM, PAUL LAURENT, Meilaenders Philosophy of Friendship: an Aristotelian Analysis (Relatore: Prof. Robert A. Gahl Jr.). MORA MARTN, RAFAEL MANUEL, La teora del signo y la suppositio en la filosofa de Guillermo de Ockham (Relatore: Prof. Rafael Jimnez Catao). PEGUERA POCH, JOSEP, Las dimensiones de la libertad en Romano Guardini (Relatore: Prof. Luis Romera). PEREPPADAN, VARGHESE, Gods Action in the World. Peacockean Perspective of New Biology (Relatore: Prof. Rafael Martnez). PORTOCARRERO DE ALMADA, GONALO NUNO, A razo dialctica em Aristteles. Introduo ao estudo da sua natureza (Relatore: Prof. Miguel Prez de Laborda). REYES LEIVA, MARA CRISTINA, Las dimensiones de la libertad en Sein und Zeit de Martin Heidegger (Relatore: Prof. Luis Romera). VITORIA SEGURA, MARA ANGELES, Las relaciones entre la filosofa y ciencias en la obra de J. Maritain (Relatore: Prof. Juan Jos Sanguineti).

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bibliografia tematica

La famiglia e lamore coniugale


In concomitanza con il quaderno monografico sulla famiglia contenuto nel presente fascicolo, pubblichiamo una bibliografia tematica sullo stesso argomento curata dal prof. Gabriel CHALMETA. Un buona introduzione storico-teoretica al tema dellamore coniugale e della famiglia quella di L. PIZZOLATO, Lidea di amicizia nel mondo antico classico e cristiano, Einaudi, Torino 1993, pp. 345. Il libro, come appare chiaramente indicato nel titolo, considera questi argomenti alla luce del rapporto amicale, assumendo una prospettiva che personalmente ritengo la pi idonea. Lautore comincia dai poemi omerici e arriva fino ad Agostino, sintetizzando generalmente con fedelt il pensiero degli autori che vengono volta per volta esaminati. Meno indovinate mi sembrano invece alcune delle sue valutazioni (per esempio, quelle fondate sulla distinzione tra amicizia e amore in Aristotele e altri autori; oppure, in generale, quelle basate sullopposizione tra lamore erotico e quello disinteressato). Del periodo antico classico si possono leggere i dialoghi Fedone e Simposio di PLATONE, anche se si troveranno insieme passi di valore straordinario ed altri di interesse minore (trad. it. in Tutti gli scritti, Bompiani, Milano 2000). In ogni caso, sono sicuramente i libri dellamicizia di ARISTOTELE gli scritti pi degni di attenzione di questo periodo storico. Mi riferisco, in particolare, al libro VII dellEtica Eudemia (trad. it. in Opere: 8, Laterza, Roma-Bari 1999), nonch ai libri VIII e IX dellEtica Nicomachea (trad. it. con testo greco a fronte: Bompiani, Milano 2000). Per meglio capire il senso del testo aristotelico utile il commento di TOMMASO DAQUINO, Sententia Libri Ethicorum (trad. it.: Commento allEtica Nicomachea di Aristotele, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998). Sul ruolo dellamicizia nella concezione etica di Aristotele si veda lottimo saggio di R. SOKOLOWSKI, Phenomenology of Friendship, The Review of Metaphysics 55 (March 2002), pp. 451-470. Nel trattatello di M.T. CICERONE, Laelius de amicitia (trad. it.: Lamicizia, Armando, Roma 1996), la tradizione aristotelica sincontra con la pi profonda riflessione della cultura romana sullamicizia. Tra i pensatori dellantichit cristiana, suggerirei la lettura di due autori. Anzitutto AMBROGIO, nelle cui opere (per esempio nel De officiis) rivive con tutta la sua forza lideale di amicizia dellantichit classica, che coesiste pacificamen167

bibliografia tematica

te con il nuovo messaggio cristiano. Laltro autore , evidentemente, AGOSTINO. Ritengo per che molto difficilmente si potr capire il vero significato del testo agostiniano senza laiuto di qualche sussidio introduttivo, come quello di E. SAMEK LODOVICI, Sessualit, matrimonio e concupiscenza in santAgostino, in AA.VV. (a cura di R. Cantalamessa) Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, Vita e pensiero, Milano 1976, pp. 212-272. Tra le tante opere di Agostino sullamore coniugale e la famiglia, la mia preferenza va a De bono coniugali (trad. italiana con testo latino a fronte: La dignit del matrimonio, Citt Nuova, Roma 1978, vol. VII/1). Unutile introduzione alla riflessione filosofica sulla famiglia in TOMMASO DAQUINO quella di F. GALEOTTI, Amore ed amicizia coniugali secondo Tommaso dAquino, Doctor Communis, 25 (1972), I, pp. 39-59, e II, 129-163. Di Tommaso stesso, lautore senzaltro pi importante del periodo medievale, consiglierei la lettura dei seguenti testi: Scriptum super libros Sententiarum, l. IV, distinzioni 26-42 (trad. italiana con testo latino a fronte: Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2001); Summa contra gentiles, l. III, capitoli 122-126 (trad. italiana con testo latino a fronte: La somma contro i gentili, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2001); e, soprattutto, Summa theologiae, I-II, qq. 26-28 (De amore), e II-II, qq. 23-26 (De caritate) (trad. italiana con testo latino a fronte: La somma teologica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 19842). Un ottimo commento di questi ultimi testi stato proposta da J. MCEVOY, in Amiti, attirance et amour chez S. Thomas dAquin, Revue Philosophique de Louvain, XCI (1993), pp. 383-407. La riflessione filosofica rinascimentale e moderna sullamicizia, lamore coniugale e la famiglia dolorosamente squallida (J. McEvoy). In et moderna il tema generale dellamore confinato nellorizzonte del soggetto senziente e si risolve quasi sempre nel mero fatto psichico del sentimento o passione e nellidea corrispondente; nel migliore dei casi, non si va al di l della sua definizione come un compiacersi di unaltra persona per pregi suoi personali o per servigi prestatici (D. Hume). Per questo motivo (e fintanto che non ci arrivi qualche segnalazione contraria di uno dei nostri eruditi lettori), dalla fine del Medioevo dobbiamo passare direttamente allOttocento; in particolare; fino al momento in cui V. SOLOVIEV, riprendendo criticamente le istanze ultrasensibili e trascendentali della filosofia idealistica, e riallacciandosi alla tradizione classica (specialmente Platone), non pubblicher il suo Smysl ljubvi (1892-1894) (trad. italiana: Il significato dellamore, in Opere, vol. I: Il significato dellamore e altri scritti, La Casa di Matriona, Milano 1988, pp. 53-107; sono ottime lintroduzione e le note di A. DellAsta). Il Novecento stato invece un secolo ricco di studi filosofici interessanti sullamore e la famiglia (un po meno, purtroppo, sullamicizia nel senso classico). Per esempio quello, molto noto di C.S. LEWIS, The Four Loves, Harcourt Brace & World, New York 1960, pp. 192 (trad. italiana: I quattro amori. Affetto, Amicizia, Eros, Carit, Jaca Book, Milano 19902): n la scarsa sistematicit di questopera, n i dilemmi non risolti e le non poche ambiguit, n tutti gli altri limiti gi nota-

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bibliografia tematica

ti al momento della pubblicazione impediscono di attribuirle laggettivo di geniale. Sono anche ben noti i molti meriti del saggio di J. PIEPER, ber die Liebe, Ksel, Mnchen 19722 (trad. italiana: Sullamore, Morcelliana, Brescia 1974). invece molto meno conosciuta, anche se altrettanto interessante, lopera di un canonista spagnolo appartenente allambito della Filosofia del Diritto, di cui stata pubblicata recentemente in italiano una raccolta dei principali articoli sul matrimonio: mi riferisco a J. HERVADA, e al volume Studi sullessenza del matrimonio, Giuffr, Milano 2000. Ovviamente, ci sono motivi pi che giustificati per indicare molti altri autori e opere del Novecento. Ma forse un pensatore che dovrebbe sicuramente essere presente in ogni elenco K. WOJTYLA. Il lettore che affronti i saggi di K. Wojtyla senza una preparazione filosofica (fenomenologica) specifica pi che probabile che possa inciampare qua e l in alcuni passi di non facile comprensione. Per ovviare queste difficolt sar molto utile la lettura propedeutica delle lezioni di R. BUTTIGLIONE raccolte in Luomo e la famiglia, Dino, Milano 1991. Lopera principale di K. Wojtyla sullamore coniugale e la famiglia Milosc i odpowiedzialnosc (trad. italiana: Amore e responsabilit. Morale sessuale e vita interpersonale, Marietti, Genova 19834). Di questopera, non difficilissima, ha fatto una sintesi chiara e originale C. CAFFARRA, in Etica generale della sessualit, Ares, Milano 1992. Pi difficolt presenta la lettura di The Acting Person (titolo del testo definitivo), Reidel, Dordrecht 1980, specialmente capitoli V-VII (trad. italiana: Persona e atto, Rusconi, Milano 1999). Si potrebbero indicare, infine, due articoli di questo filosofo polacco, particolarmente interessanti per il carattere sintetico e gli spunti teologici: La famiglia come communio personarum (Ateneum Kaplanskie, 83-1974), e Paternit-maternit e la communio personarum (Ateneum Kaplanskie, 84-1975), entrambi raccolti in Perch luomo. Scritti inediti di antropologia e filosofia, Leonardo, Milano 1995, pp. 197-234. La societ politica giusta ha bisogno di famiglie buone e queste sono possibili soltanto allinterno di una societ giusta. Questo reciproco rapporto di dipendenza, studiato dalla Filosofia politica, stato ben esaminato da autori come A. MACINTYRE, After Virtue. A Study in Moral Theory, Duckworth, London 19852 (trad. it.: Dopo la virt. Saggio di teoria morale, Feltrinelli, Milano 1988); D.L. NORTON, Democracy and Moral Development. A Politics of Virtue, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1991; S. BELARDINELLI, Il gioco delle parti. Identit e funzioni della famiglia in una societ complessa, AVE, Roma 1996. Ci sono inoltre alcune opere che, pur adoperando la metodologia tipicamente sociologica, offrono degli ottimi spunti e punti di riferimento per il filosofo. Ad esempio, il ben noto saggio di B. BERGER e P.L. BERGER, The War over the Family. Capturing the Middle Ground, Anchor Press/Doubleday, Garden City-New York 1983; trad. italiana: In difesa della famiglia borghese, Il Mulino, Bologna 1994. Ancora pi completo, valido e ricco di spunti normativi il libro di P. DONATI, Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari 1998; richiede per nel lettore una buona preparazione sociologica. Giudico stupendo non trovo

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bibliografia tematica

modo migliore di qualificarlo il breve saggio di S. BELARDINELLI, La normalit e leccezione. Il ritorno della natura nella cultura contemporanea, Rubbettino, Soveria-Mannelli (Catanzaro) 2002.

studi di filosofia

STEPHEN L. BROCK (a cura di) LATTUALIT DI ARISTOTELE


Scritti di: A. Berti, A. Campodonico, Ll. Clavell, K.L. Flannery, F. Inciarte, R. McInerny, C. Natali, W.A. Wallace, I. Yarza, H. Zagal Arreguin Collana: Studi di filosofia - 21 a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

STEPHEN L. BROCK (a cura di)

LATTUALIT DI ARISTOTELE

ARMANDO EDITORE

pp. 192

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1 - recensioni

recensioni

Michel HENRY, Paroles du Christ, ditions du Seuil, Paris 2002, pp. 155.

On ne peut manquer, en lisant Michel Henry, dtre impressionn par la vive perception quil a de loriginalit phnomnologique de la vie. Il y a, chez lui, sans doute, beaucoup de cette intense admiration que lon dit tre aux origines de la rflexion philosophique alors quil considre la merveilleuse condition dtre vivant (p. 136). Le questionnement qui en rsulte mne de rigoureuses analyses que lauteur effectue partir des principes de sa critique envers la phnomnologie classique, de Husserl Merleau-Ponty, par lesquels il sefforce de penser la prsance de la vie. cet gard, Paroles du Christ, publi quelques trois mois aprs la mort de Michel Henry, se trouve en parfaite continuit avec son ouvrage fondamental intitul Incarnation. Une philosophie de la chair (Paris, 2000), auquel nous avons consacr, dans cette mme Revue (vol. 12, fasc. I, 2003), un commentaire, o nous avons tent de relever la porte et les limites de la distinction de cette autre forme dapparatre quest le pathos de la vie, une cogitatio sans cogitatum, par rapport lapparatre du monde, comme conscience de. En reconnaissant ce double apparatre ignor par la rduction mthodologique et thmatique de la phnomnologie, de Husserl Merleau-Ponty Henry espre oprer un largissement et mme un renversement par rapport la phnomnologie classique, selon quil estime que: Toute conscience nest pas conscience de. Lauteur nous demande ainsi de commencer par admettre quil y a ce double apparatre originaire. Encore que les deux types de cogitationes ne sont pas simplement symtriques. Cest la ralit poignante de laffectivit qui tient de linvisible par rapport au monde, qui lui se situe dans le champ de vision du sujet , qui est primaire. Voil le principe auquel tiennent solidement les vigoureuses analyses dveloppes au long de dix brefs chapitres qui composent louvrage, o ils se trouvent arrangs autour de diverses modalits ainsi que de la porte des paroles du Christ en rapport avec les hommes auxquels elles sadressent. Lopposition entre lextriorit vanifie du monde et limmanence radicale de la vie est la distinction fondamentale partir de laquelle lauteur dploie tous les riches dveloppements dune pense qui ne manque pas dintrt. Si la distinction
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recensioni

en question semble heurter le sens commun, Michel Henry sexplique en disant que la pense philosophique est capable de slever contre la tentation du sens commun, [de] situer toute la ralit dans le monde visible. Avec le cogito de Descartes par exemple, avec le Moi transcendantal de Kant ou Husserl, ou encore avec lme de la tradition, cest bel et bien au domaine de linvisible que cette ralit est confie (p. 35), prcise lauteur. Il sinscrit alors volontiers dans cette optique car, estime-t-il, du point de vue philosophique, la dfinition de lhomme comme puisant sa ralit dans lAffectivit de la vie, et ainsi comme vivant qui ne cesse de sprouver lui-mme dans la souffrance ou dans la joie a une porte rvolutionnaire. Sur le plan historique, renchrit-il, elle a branl lhorizon de pense qui tait celui des Grecs pour lesquels lhomme est un tre rationnel. Cest justement par la Raison en tant que pourvu de Logos que lhomme se diffrencie de lanimal (p. 19). Le grand bouleversement, selon Henry, sest opr par le christianisme, notamment la faveur des paradoxes apparents du sermon de Batitudes, qui pourtant sollicitent instamment quelque chose en nous, dans notre cur. Par rapport lhorizon conceptuel grec, la notion du cur dans les critures fut une dcouverte anthropologique. Pour lauteur, lidentification de la ralit humaine au cur a une signification inoue, elle atteste que, la diffrence des choses de lunivers, qui ne sentent et nprouvent rien et qui pour cette raison ne sauraient tre ni bonnes ni mauvaises lhomme est celui qui sprouve soimme. Cest pour cette raison prcise quil se trouve capable dprouver et de sentir tout ce qui lentoure, le monde et les choses qui sy montrent. Mais sprouver soi-mme constitue le propre de la vie (pp. 18-19). En ce sens, Michel Henry est sans doute mettre au nombre des tmoins de la puissance fcondante du christianisme pour la pense. Sa prdilection pour Jean nous rappelle par ailleurs que la fascination de cette articulation harmonieuse entre rvlation chrtienne et pense philosophique si transparente dans le prologue du quatrime vangile a une tradition qui remonte loin dans lhistoire, qui va dIrne de Lyon Clment dAlexandrie, dAugustin dHippone Jean Damascne, de Boce Duns Scot, et mme de Descartes Hegel. Lauteur a donc le mrite de relever que le christianisme fut un vnement philosophiquement significatif, surtout en ce moment o lon se pose des questions sur la pertinence dune affirmation explicite de son importance dans la conformation actuelle de lEurope encore en cours de constitution. Selon quobserve Henry, la prise en considration de certains thmes religieux fondamentaux nous permet de dcouvrir un immense domaine inconnu de la pense dite rationnelle. Loin de sopposer une rflexion vritablement libre, le christianisme placerait la philosophie traditionnelle et son corpus canonique devant leurs limites, pour ne pas dire devant leur aveuglement (p. 87). Toutefois, le mrite davoir tent cette exaltante entreprise nimmunise pas de soi lauteur contre toutes les ambiguts. Il nous faudra en relever quelques unes. La question dcisive serait de savoir: Si le Christ a deux natures (), lune humaine, lautre divine, na-t-il pas galement deux paroles, lune propre aux

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hommes, lautre divine, celle qui lui revient en tant quil est le Verbe de Dieu: la parole de Dieu lui-mme? La signification dernire des ultimes paroles du Christ, nest-ce pas dans sa parole en tant que celle du Verbe de Dieu quelle rside? (p. 85, soulign par lauteur). Cest au fil des paroles du Christ contenues dans les quatre vangiles que Michel Henry cherche comprendre la condition humaine. Sa thodice est construite partir dune exgse singulire, qui ne sembarrasse pas toujours dinterprtations traditionnelles, souponnes probablement dune allgeance excessive lunivers conceptuel grec, par rapport auquel loriginalit du christianisme est, selon lauteur, une pure et simple solution de continuit. Le Verbe na plus rien voir avec le Logos grec puisquil sest fait chair. La parole humaine efficace nest pas la parole du monde, celle par laquelle lhomme dsigne les choses de ce monde, notamment dans les diverses disciplines scientifiques, mais la parole de la vie, dans le pathos de la chair. Michel Henry nous explique ainsi en quoi consiste cette dernire: La vie, telle que nous lprouvons en nous, qui est notre vie, est en elle-mme une rvlation ce mode unique de rvlation en lequel ce qui rvle et ce qui est rvl ne font quun et que, pour cette raison, nous avons appel auto-rvlation. Un tel mode de rvlation nappartient qu la vie et constitue proprement son essence. Vivre en effet consiste en ceci sprouver soi-mme, se rvler soi. Tel est le trait dcisif et incontestable de la condition humaine, qui la diffrencie invinciblement de toute autre (p. 93). Il est superflu de relever la dpendance de cette affirmation du principe du double apparatre, que nous avons indiqu plus haut, et la ngation y contenue de toute distance par rapport soi, quant la vie, qui interdit du coup tout accs lanalogie de ltre. Pour lauteur, la vie () nest pas une chose, un tre ou un genre particulier, un ensemble de phnomnes spcifiques dits biologiques et que la biologie daujourdhui rduit des processus naturels insensibles et sans initiative (ibid.). Certainement, cette vigoureuse raction contre lobjectivisme et qui plaide en faveur dune au-del de la pense est fort opportune. Toutefois, force est de constater quelle dpend encore troitement du principe de lexploration du rel du seul point de vue du sujet transcendantal et donc partir des principes dune ontologie phnomnologique, sans que pour autant lintressant largissement thmatique quon vient de dire ne soit rduit rien. Michel Henry situe ce que nous sommes en vrit dans une immanence radicale. Limmanence est affectivit primitive en laquelle la vie sprouve soimme immdiatement et jamais dans un monde, elle est au contraire ralit impressionnelle et affective, chair pathtique. Cest uniquement parce quelle sprouve elle-mme et se rvle soi de faon pathtique, dans limmanence de cette Affectivit primitive, que la Vie est une Parole et une Parole qui parle delle-mme. Cest uniquement parce, son tour, chacune de nos tonalits affectives est donne elle-mme dans lauto-rvlation pathtique de la Vie, cest parce que la parole de la Vie parle en elle, quelle nous parle son tour, de la faon dont elle le fait, dans sa souffrance et dans sa joie. Une parole dont tous les caractres dpendent des caractres de la parole de la Vie (pp. 98-99). Or cest ce niveau

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que se place en fait lintention qui traverse toutes les pages de ce livre la critique de lauteur envers la philosophie contemporaine du langage, quelle parte des prsupposs analytiques, psychanalytiques ou phnomnologiques. Parce quelle vise unilatralement le langage des hommes, observe-t-il, la philosophie du langage prsenterait une lacune bante, elle ne saurait rien de la parole qui, en fin de compte, importe seule la Parole de Dieu, cest--dire la faon dont Dieu nous parle. Il ne sagirait pas seulement dune simple lacune dailleurs, mais dune occultation aussi dsastreuse que dfinitive (p. 10) car, et cest le point capital, elle empcherait la comprhension de la parole de la vie, en ramenant la parole des hommes la parole du monde. La philosophie du langage ne concerne que la parole du monde. Cette critique, qui nous rappelle instamment que la parole des hommes ne se rduit nullement une parole du monde, cest dabord celle de la vie (p. 129) est sans doute intressante dans la mesure o elle nous replace dans le ncessaire contexte pratique o seffectuent nos actes de dsignation face aux dbordements du positivisme logique. Or, dans ce livre, cest tout le systme de lhumain qui se trouve renvers, la faveur de la Parole de la Vie, qui nest pas du monde mais parle au cur de lhomme dans son intriorit, par laquelle il se rattache intimement Dieu, alors mme que ce quelle dit rebute le sens commun ainsi quon la vu propos des paradoxes apparents du sermon de Batitudes, par exemple. Par un dplacement smantique quil ne se donne pas la peine de justifier, Henry utilise le terme transsubstantiation pour dsigner la radicale subversion des relations humaines selon une nouvelle rciprocit, qui nest plus celle des termes quivalents du monde vanifi mais celle de ceux qui sont de la mme faon pr-destins une relation unique avec le Pre de la Vie. Mais il en rsulte alors qu confondre cette communication des tres avec leur continuit, on se retrouve dans une sorte de milieu homogne de la Vie du moins au point de vue vertical de la communication avec Dieu en tant quorigine de celle-ci , symtriquement oppos lhomognisation des tres dans le spectacle du monde, dnonce par lauteur comme le principe mme de leur vanification et de leur rduction au rang dobjets. Il se pose alors la question de lipsit. Lauto-gnration de la Vie est ainsi sa venue dans la condition qui est la sienne, celle de sprouver soi-mme. Or aucune preuve de soi nest possible si nadvient en elle lIpsit en laquelle la vie se rvle soi de telle faon que dans cette rvlation, dans cette auto-rvlation, elle devient Vie. Mais la Vie absolue nest pas un concept, une abstraction: cest une vie relle qui sprouve rellement soi-mme. Cest pourquoi lIpsit en laquelle elle sprouve est elle aussi une Ipsit effective et relle: cest un Soi rel, le Premier Soi Vivant en lequel la Vie absolue sprouve effectivement et se rvle Soi. Parce quen lui saccomplit cette auto-rvlation, ce Premier Soi Vivant est son Verbe, sa Parole (p. 106). Puisque, la faveur de la conscration dfinitive du principe du double apparatre, aucune distance par rapport la vie nest admise partir de quelque chose comme la conscience de soi, lipsit dont il est question ici nest pas confondre avec lide de personne qui fut la rsolution du problme thologique de la dis-

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tinction de la nature et de lhypostase dans la Trinit divine et en Christ. Et elle ne semble mme pas rsoudre le problme qui serait pertinent ici de la rduction de tout Soi une simple modalit de la Vie absolue, un simple moment de son procs dauto-gnration ternelle. Dautre part, la caractrisation du mal comme illusion de la gloire dans le spectacle du monde ne rsout pas non plus, notre avis, le problme de son imputation au Soi, dont lidentit est ramene exclusivement lintriorit pathtique de la chair, qui reste comme telle innocente et toujours inaccessible de lextrieur. Cela nest en un sens pas tonnant, puisque le monde et les relations de rciprocit qui sy tablissent sont dsormais disqualifis au profit de la seule relation qui procde de lintrieur; mais il reste que cette possibilit dimputation de ce qui est en jeu dans nos relations mondaines, malgr le risque de simulation et de mensonge qui y subsiste et quil ne revient pas proprement la philosophie de conjurer en tant que possibilit , nous importe prcisment en tant que nous vivons en ce monde. Le Verbe de vie tant aussi la lumire qui brille en ce monde, chez les siens (cf. prologue de lvangile selon st Jean). Lauteur soutient encore quil y a une double nature en Christ mais la nature humaine est, elle aussi, selon la gnalogie divine, qui concerne prsent tout Vivant venu soi, tout homme en tant que tel. Or la gnalogie divine du Christ ne devrait pas supposer, nous semble-t-il, labsorption de son humanit dans la divinit avec laquelle elle sarticule sans confusion dans lunion hypostatique, unitate personae Verbi. De la mme manire, notre adoption filiale en Christ par grce nimplique pas le dplacement de lhumanit vers une condition naturellement divine, pour ne plus constituer quun milieu homogne de Vie avec Dieu. Lhumanit demeure, et tout humanisme nest pas vilipender. Cest pourtant ce qui semble bien tre lintention ultime du livre. Tout se passe comme si le Genitum non factum du Credo sadressait maintenant tout Vivant, tout homme. Lidentit du Christ napparat plus alors que comme une vaste hyperbole de lidentit gnostique de lhomme, de sa condition originairement divine, dont il prend enfin conscience. Lexgse dtaille des critures que lauteur effectue partir de ces prsupposs est riche en paralllismes saisissants et en images fascinantes mais qui nont finalement quune valeur heuristique. En fait, le mystre pascal le drame du Golgotha et son incroyable dnouement au matin de la Rsurrection nest pas pris en compte. Mme pas pour la comprhension des affirmations du Christ la synagogue de Capharnam sur lanalyse desquelles se clt louvrage. Il est tout de mme tonnant que dans un livre, dont les thses centrales gravitent autour de la pense de la vie, la question fort pertinente de la mort de la fin de la vie nait pas t srieusement souleve. Il est vrai que pour la Vie qui vient soi selon une opration de gnration intemporelle la mort pourrait ntre quune apparence mondaine, mais il reste que la question mriterait un peu plus dattention, sans compter que la solution implicite que nous supposons ne serait au surplus quune chappatoire. Il ny a aucun doute que souligner la distinction du double apparatre la cogitatio comme vision dans la conscience du sujet et la cogitatio sans cogitatum de

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laffectivit radicale de la vie est de la plus haute importance, dans la mesure o elle permet dchapper au desschement dune raison moderne non situe, sous ses divers avatars. Seulement, ainsi quon la dit dernirement propos de laction (Stephen L. Brock, Action and Conduct, Edimburg 1998), nous aurions beaucoup gagner, sans les confondre avec elle largir la comprhension de la vie qui est la ntre la lumire des analyses dautres formes de vie, infrieures soientelles, prcisment dans lesprit de llargissement thmatique prconis par Henry lui-mme, lorsquil critique pertinemment la phnomnologie classique et la rduction thmatique laquelle elle a conduit sous couvert du critre mthodologique de la clara et distincta perceptio , dj chez Husserl lui-mme. En ce sens, nous semble-t-il, il faudrait admettre quil y a quelque chose comme la vie consciente, qui, quoique apparemment paradoxale, ne serait contradictoire et impensable que si lon se refusait franchir le seuil des prsupposs phnomnologiques, selon lesquels il y a autant dtre quil y a dapparatre. Il nest pas certain que Michel Henry y consentirait. Cest cette condition pourtant que le problme du double apparatre se rsolverait effectivement dans lunit mtaphysique de ltre de la personne en tant quarticulation ontologique du divers, en loccurrence lextriorit par rapport lintriorit dun tre donn, celle-l ntant ce quelle est quen vertu de celle-ci, selon la distinction qui stablit dj au niveau de linstinct comme tel. Il serait ainsi fcond de considrer la vie consciente comme lunit analogique partir de laquelle nous comprenons la vie en gnral, sans quune telle comprhension nous empche derechef de penser lau-del de la pense ni de savoir que de fait nous natteignons le soi que dans la vie que nous vivons avec son affectivit caractristique. Si la terminologie employe peut tre droutante pour le lecteur qui na pas lhabitude de la phnomnologie ou de lauteur, le texte apparat la fois profond et limpide pour celui qui connat un tant soi peu la pense de Michel Henry, chez qui lexpression sied remarquablement bien la pense quelle exprime, ce qui lui donne une indniable et fascinante lgance de style. Paulin SABUY

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Armando RIGOBELLO, Lestraneit interiore, Studium, Roma 2001, pp. 190.

Questo volume presenta una nuova tappa della ricerca di Armando Rigobello, avviata gi da diversi anni e ricca di altre pubblicazioni, sullautenticit e sulla differenza. Lobiettivo finale quello di elaborare un vero e proprio modello antropologico imperniato su questi due concetti cardine: unautenticit del soggetto umano che nella differenza si costituisce e nella estraneit interiore trova la sua struttura portante, la genesi stessa del suo agire (p. 153). Non si vuole comporre un trattato, ma offrire alcune indicazioni prospettiche ritenute fondamentali. La riflessione inserita nel contesto della filosofia contemporanea, in dialogo soprattutto con Husserl, Heidegger e Ricoeur, ma non mancano sia i collegamenti con altri filosofi precedenti, tra cui Platone, Kant, Fichte, Hegel e Croce, sia il confronto con Gadamer, Stefanini e Lvinas. La contestualizzazione rafforza loriginalit della proposta speculativa, perch segna i punti di contatto e le distanze. Lautore, inoltre, ha cercato con impegno di svolgere largomentazione in modo graduale, ribadendo i passaggi e riassumendo i punti acquisiti di volta in volta; ci ha obbligato a qualche ripetizione, ma ha reso pi agevole seguire il discorso. Modello di estraneit interiore pi volte richiamato lagostiniano intimior intimo meo: questa espressione di vertiginosa profondit indica che nel fondo di noi vi un proprio pi proprio a noi di noi stessi, che si presenta come estraneit interiore, un altro che fonda lavvertimento dellinfinito e lavvertimento connesso della nostra finitudine (cfr. pp. 28, 106 e 135). Qui lesperienza mistica fa da riferimento allitinerario speculativo e aiuta a capire la nozione di autenticit non solo come realizzazione autoreferenziale, bens anche come tensione e confronto con unalterit trascendente. Il richiamo al suddetto modello, intrecciato con i richiami alle istanze della filosofia contemporanea, aiuta a mettere in evidenza che Rigobello non intende esaurire il suo discorso in unantropologia presuntamente autonoma, ma stabilire il rapporto tra le riflessioni antropologiche e lontologia, che a sua volta rinvia alla

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metafisica (cfr. pp. 41-42). In effetti, lantropologia dellautenticit viene sviluppata su tre livelli o gradi, che costituirebbero rispettivamente unestetica dellautenticit, unanalitica dellautenticit e una dialettica dellinteriorit: c innanzitutto il livello della corporeit propria, quale prima e inalienabile forma di autenticit, connessa allavvertimento dellidentit organica; vi poi il livello della rappresentazione del soggetto, il quale conosce tramite immagini e concetti e cerca personalmente di conferire o scoprire un senso comunicabile; si arriva, infine, al grado della scoperta del nucleo di senso, del significato di ogni significato, che lessenza stessa dellautenticit ed insieme la connotazione pi propria dellinteriorit (p. 30). Sulla scorta non solo dei pensatori gi citati, ma anche di Dostoevskij e Guardini (cfr. p. 38), la fenomenologia dellautenticit elaborata seguendo il metodo fenomenologico indicato da Husserl fino al punto in cui necessaria una rottura metodologica per arrivare alla comprensione della coscienza: non si pu restare sul terreno husserliano di una obiettivazione dellio trascendentale se si vuole comprendere lenigmatica interiorit da cui proviene la richiesta di senso. In fitto dialogo con Husserl (cfr. pp. 70 ss.) Rigobello mostra come si renda necessaria una concezione metafenomenologica della soggettivit, che interrompa il fluire ininterrotto del tempo e si avvalga appunto della nozione di differenza interiore e della trascendenza metafisica. Come si accennato, il libro non intende essere un trattato di antropologia filosofica, ma indicare le feconde direzioni prospettiche che possono scaturire dal modello ermeneutico dellautenticit nella differenza, di ispirazione platonicoagostiniana. Tra questi orientamenti propositivi, oltre a quanto gi rilevato, si pu sottolineare che lo studio dellautenticit mostra la connessione tra morale e ontologia, ben al di l di una riduzione dellautentico allo spontaneo (cfr. p. 75). Ne deriva, inoltre, unadeguata interpretazione della storicit, giacch emergono criteri perenni che rendono la persona, nel suo divenire storico, autentica nella differenza (cfr. p. 85). A ci si aggiunge che il tempo storico appare cos attraversato dal rinvio escatologico: luomo vive nel tempo, protendendosi al di l delle singole realizzazioni della sua esistenza; lattesa escatologica si basa sullattestazione delluomo interiore che non risolvibile in storia (cfr. pp. 95-98). Rigobello dichiara che il compito centrale della proposta speculativa di questo volume era quello della ripetizione del problema fondamentale della scepsi platonica (cfr. p. 111). Come lui stesso spiega, il percorso della scepsi non lineare e trova, negli accorgimenti metodologici del rimando allusivo e quindi dellanalogia, gli strumenti per superare larresto (p. 23) dinanzi allenigma; la scepsi d quindi luogo a rappresentazioni, ad immagini, nellimpegno per rappresentare ci che non mai del tutto rappresentabile. Questo litinerario scelto dallautore: un tragitto certo faticoso, che per offre efficaci immagini per una filosofia della persona aperta alla trascendenza. Francesco RUSSO

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John M. RIST, Real Ethics: Reconsidering the Foundations of Morality, Cambridge University Press, New York 2002, pp. 295.

Real Ethics is a hard-hitting critique of contemporary moral theory from a realist point of view by John M. Rist, Professor Emeritus of philosophy and classics at the University of Toronto. His previous works include Plotinus: The Road to Reality, The Mind of Aristotle, and Augustine: Ancient Thought Baptized. Addressing what he calls the deception, equivocation, outright lying, and humbug that pass for contemporary moral discourse humbug that extends from the universities into the marketplace, legislative assemblies, and juridical bodies Rist offers a defense of traditional Christian morality grounded in classical metaphysics. In rather forceful language he writes that there is no need to look in the public lavatory for the lowest common denominator. The habits of what was low life morality have become the norms of moral and political discourse. In the wake of any clear sense of what low life might suggest, intellectuals are becoming downwardly mobile and while losing their grip on an overall concept of virtue, often see such a direction as in itself virtuous and high minded or sentimentally as solidarity with the marginalized or dispossessed. Despairing of any principled agreement on the foundations of morality between theist and non-theist, Rist takes the position that upholders of the realist tradition must recover its history, learning from the skills and insights of those who advance it and from those who reject it. Those who reject it must be forced to acknowledge their own Nietzschean parentage, a lineage that gives license to force majeure, lies, hypocrisy, and intellectual dishonesty or triviality which make it palatable to a credulous and largely pre-philosophic public. For Rist the realist tradition begins not with Aristotle but with Plato, a tradition unashamedly theological. Platonism or deception are the only moral and political alternatives available. If morality is to be more than enlightened self-interest, it has to be rationally justified, that is, established on metaphysical principles. Rist believes that in Western societies we are confronted with ubiquitous and ill-defined appeals to the priority of choice, freedom, and human dignity, all unanchored in a

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coherent account of nature and human nature. Moral obligation, the only obligation clearly separable from prudence or self-interest, remains a utopian dream apart from an acknowledged theistic context. A theistic or religious context and its accompanying moral sense can only be achieved by regaining a perspective which lays bare its classical and Christian roots. Appeals to comradeliness, fraternity, and community are illusory apart from an inherited culture, symbolized for Rist by attachment to land, village and the local churchyard where ones ancestors have lain for generations. Community entails a common commitment to the rule of law and all that such law entails viz., due process, habeas corpus, and trial by jury. Absent an historical sense we are prisoners of our own time. One who is ignorant of the past, is likely to assume the persona put upon him by the current fashions and pressures, which in the present age will most often mean reduction to economic man. Rist foresees a bleak future for the West. In losing its grip on its Christian past and in the absence of a clear sense of civic virtue, Western society is preparing itself for a totalitarian democracy. Unable to choose between conflicting claims to the good and the resulting propensity to tolerate all, it is subverting the principle of toleration itself. Unfortunately, recovering a sense of the past may not be an easy task. The past can be clouded by the authoritarian or ideological mentality of academics and humanists or be rewritten or invented to promote a political agenda. Moreover, history is only one vehicle for transmitting the inherited. Whatever wisdom a society has acquired can be passed on only if it is instantiated in institutional structures designed to maintain inherited practices, beliefs, and intellectual acumen. As for the individual caught in an unrooted modernity, those apt to keep their wits in a godless future are those who possess a knowledge however acquired of their roots, that is, their own past and traditions. The overarching thesis of Real Ethics is that God cannot be excluded from discussions about the foundation of morality. Rist offers a brief discussion of natural law as a common ground between theist and non-theist but discounts its rhetorical effectiveness. Clearly for him Platonic realism is the same thing as natural law, for there is no doubt that Aquinas is a Platonist in that he believes in an eternal law which is roughly the Platonic Forms seen in an appropriate manner as Gods thoughts. Rist is suspicious of claims that natural law can be defended without reference to the existence of God. Here he stands in contrast to contemporary philosophers such as Henry Veatch, Alexander dntrves, and more recently Anthony Lisska, all of whom have presented natural law stripped of its religious and realist associations as a common ground for discourse with the secular mind. Rist holds that anyone who maintains with Aquinas that natural law participates in the eternal law must necessarily acknowledge its theistic roots and that such an acknowledgment matters. Natural happiness in the Aristotelian sense is not the perfect happiness of Aquinas that is to be found in the contemplation of God as the ultimate end of human life. In considering two possible versions of natural law theory, secular and theistic, Rist argues that making room for knowledge of God will affect our understanding of the nature and ordering of

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other goods which right reason can discover. If there is no God, one is not mistaken in the pursuit of natural good without reference to the eternal. Anyone who holds for a natural order to which man is accountable, theist or not, will recognize the force of Rists trenchant criticism of contemporary moral theory and agree with him about the cultural malaise to which it leads. To say that this work is profound is almost an understatement. Real Ethics is the work of a mature scholar steeped in history who is also an acute observer of contemporary manners and morals. Jude P. DOUGHERTY

FRANCESCO RUSSO
FRANCESCO RUSSO

LA PERSONA UMANA Questioni di antropologia filosofica


LA PERSONA UMANA
QUESTIONI DI ANTROPOLOGIA FILOSOFICA

Collana: Scaffale aperto - Filosofia

Lautore esorta a comprendere e a considerare a fondo la dignit della persona umana, intesa non come unonorificenza di cui fregiarsi, ma come un impegno libero e consapevole alla realizzazione di unesistenza autenticamente compiuta.
ARMANDO EDITORE

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Mara de las Mercedes ROVIRA REICH, Ortega desde el humanismo clsico, Eunsa, Pamplona 2002, pp. 404, Prologo di Antonio Milln-Puelles.

Come intende Ortega leccellenza umana e linterezza della persona, ecco la questione fondamentale dellopera di Rovira, secondo Milln-Puelles. Lindividuazione del tema non banale per capire la prospettiva con la quale la professoressa uruguaiana spazia nel pensiero di un autore assai noto ma poche volte presentato con rigore e completezza. Il libro presenta una visione panoramica della filosofia di Ortega attraverso la sua concezione della persona, per spiegarne poi le conseguenze estetiche, sociali e culturali. In questo percorso lautrice trova i punti di contatto e gli spunti critici di Ortega con la tradizione umanistica occidentale senza separare gli elementi greco-romani dalla eredit cristiana. Da questo confronto emergono valutazioni, integrazioni e critiche opportune alla proposta orteguiana. Rovira affronta in maniera coerente i problemi dello studio di un pensatore affascinante quanto contradditorio pi giornalista che filosofo, diceva lui di s stesso senza lasciarsi sedurre dalla bellezza stilistica degli scritti di Ortega ma senza negarne i pregi. Nello sviscerare larmamentario linguistico di Ortega, lautrice segue le indicazioni di altri autori che hanno tentato di presentare il pensiero del filosofo spagnolo, cercando di superare alcuni dei loro limiti. Nel caso di Cerezo (La voluntad de aventura, 1984), prendendo in considerazione il carattere trascendente della persona umana, e nel caso di Julin Maras, facendone una presentazione pi distaccata. Il libro diviso in dieci capitoli, sette dei quali nella Primera parte. Analtica del humanismo orteguiano e il resto nella seconda. Al prologo di Milln-Puelles fa seguito una brevissima introduzione dellautrice. Il primo capitolo una presentazione di alcuni dei concetti fondamentali dellantropologia di Ortega e nello stesso tempo una introduzione alluso delle fonti sulla vita e le opere del filosofo. Si sottolinea che lattivit vitale intesa come biografia e come dramma la celebre ragione vitale della proposta orteguiana, che comparir diverse volte nelle pagine del libro (cfr. anche p. 252).

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I concetti fondamentali delletica orteguiana sono presentati nel secondo capitolo. Fra questi spicca la presentazione della sua nozione di autenticit e lo spirito sportivo dellagire umano, un atteggiamento positivo di fronte alle sfide quotidiane, come elemento essenziale per portare avanti ogni tipo di impresa personale. Nel quadro etico orteguiano mancano una formulazione della coscienza morale e una teleologia della sofferenza (pp. 71-72) e della morte (p. 100). Forse uno dei punti di disaccordo pi seri dellautrice nei confronti del filosofo la mancata giustificazione del senso della eroicit di una morale spiegata soltanto entro i limiti della vita terrena, che rammenta la posizione nietzscheana (pp. 74-77). Il capitolo terzo dedicato alla politica e il quarto allestetica. Nel quinto si studiano alcuni aspetti letterari dellopera di Ortega. Gi nei capitoli precedenti si spiegava la struttura vitale come rivolta verso gli altri e bisognosa della vita in societ (il mio vivere con-vivere, p. 42), che una piattaforma di perfezionamento del singolo (p. 111). Il sesto capitolo un tentativo di strutturazione del pensiero pi prettamente filosofico di Ortega, tramite lesposizione della sua concezione della metafisica, dellessere, della verit e dellintegrazione fra ragione e vita. molto interessante la sua comprensione di Dio, associata a quella della verit (cfr. pp. 225-228). Nella fine analisi di alcuni testi orteguiani riguardanti i rapporti fra coscienza ed intenzionalit si possono scorgere meglio alcuni dei limiti della speculazione del filosofo: la presentazione di concetti elaborati da Brentano e da Husserl nel contesto della filosofia moderna e contemporanea, mette in luce come le qualit espositive del pensatore spagnolo fossero superiori alla sua capacit di fermarsi a pensare con gli altri filosofi o sui loro testi (cfr. pp. 240-245; 258). Il capitolo che chiude la prima parte spiega i rapporti fra scienza e verit. Nella seconda parte (Sntesis de la vida en la cultura) si presenta la natura del linguaggio e i suoi rapporti con la cultura, per passare nel capitolo nono alla spiegazione del programma educativo di Ortega. Il capitolo decimo integra il rapporto vita-ragione del capitolo sesto, con la cultura. Nella presentazione delluomo come animale etimologico che assegna significati alle parole nellusarle, si condensano molte delle idee spiegate precedentemente sul carattere dinamico ed evolutivo di tutte le realt umane (pp. 274-276). Lepilogo un ottimo saggio riassuntivo di tutto il lavoro. La bibliografia molto curata e lindice alfabetico delle opere di Ortega un prezioso data base per chi vorr proseguire lo studio dellopera del filosofo, e sarebbe ancora pi proficuo se messo a disposizione su internet. un peccato che manchino allopera gli indici dei nomi e delle materie. Mercedes Rovira lavora presso lUniversit di Montevideo, la mia amabile circostanza, come la chiama nella dedica del libro. J.A. MERCADO

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STUDI DI FILOSOFIA
a cura della Facolt di Filosofia della Pontificia Universit della Santa Croce

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SANGUINETI J.J., Scienza aristotelica e scienza moderna, pp. 240 RUSSO F., Esistenza e libert. Il pensiero di Luigi Pareyson, pp. 256 CHALMETA G. (a cura di), Crisi di senso e pensiero metafisico, pp. 120 RHONHEIMER M., La prospettiva della morale. Fondamenti delletica filosofica, pp. 360 MALO A., Certezza e volont. Saggio sulletica cartesiana, pp. 200 MARTNEZ R., Unit e autonomia del sapere. Il dibattito del XIII secolo, pp. 200 MARTNEZ R., La verit scientifica, pp. 136 RUSSO F. - VILLANUEVA J. (a cura di), Le dimensioni della libert nel dibattito scientifico e filosofico, pp. 192 CLAVELL L., Metafisica e libert, pp. 208 MARTNEZ R., Immagini del dinamismo fisico. Causa e tempo nella storia della scienza, pp. 288 YARZA I. (a cura di), Immagini delluomo. Percorsi antropologici nella filosofia moderna, pp. 192 RHONHEIMER M., La filosofia politica di Thomas Hobbes. Coerenza e contraddizioni di un paradigma, pp. 271 LIVI A., Il principio di coerenza. Senso comune e logica epistemica, pp. 221 GAHL R.A. jr. (a cura di), Etica e politica nella societ del duemila, pp. 176 FAZIO M., Due rivoluzionari: Francisco De Vitoria e J.J. Rousseau, pp. 288 MALO A., Antropologia dellaffettivit, pp. 304 ROMERA L. (a cura di), Dio e il senso dellesistenza umana, pp. 208 MCINERNY R.M., Lanalogia in Tommaso dAquino, pp. 192 CHALMETA G., La giustizia politica in Tommaso dAquino, pp. 160 FAZIO M., Un sentiero nel bosco. Guida al pensiero di Kierkgaard, pp. 144 BROCK S.L. (a cura di), Lattualit di Aristotele, pp. 192 CASTAGNINO M. - SANGUINETI J.J., Tempo e universo. Un approccio filosofico e scientifico, pp. 424 YARZA I., La razionalit delletica di Aristotele. Uno studio su Etica Nicomachea I, pp. 208 RHONHEIMER M., Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dellautonomia morale, pp. 576 MARTNEZ R. - SANGUINETI J.J. (a cura di), Dio e la natura, pp.192 ESCLANDA R. - RUSSO F. (a cura di), Homo patiens, pp. 152 ROMERA L., Introduzione alla domanda metafisica, pp. 251

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 13 (2004), fasc. 1/schede

schede bibliografiche
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Marco IVALDO, Introduzione a Jacobi, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 202. Lapparizione di questo testo devessere salutata con favore, innanzitutto perch colma una lacuna in questimportante collana di introduzione al pensiero dei grandi filosofi, che ormai Laterza promuove da pi di trentanni; e secondariamente perch rende finalmente accessibile, in maniera diretta ed efficace, a coloro che sono interessati alla filosofia, specialisti o meno, il profilo di un pensatore atipico, quale Jacobi, che tanta parte ha avuto nella vicenda speculativa della filosofia classica tedesca. Il merito dellindiscutibile riuscita di questo lavoro va sicuramente attribuito al suo autore, Marco Ivaldo, che dimostra ancora una volta, dopo le innumerevoli prove gi offerte con i suoi studi sul pensiero fichtiano, e anche su quello jacobiano, le sue doti analitiche e la sua puntualit sistematica. Particolarmente illuminata , a mio avviso, la scelta di leggere Jacobi a partire da Jacobi. Seguendo la linea interpretativa di V. Verra, Ivaldo evita con grande stile il pericolo che sempre incombe quando ci si confronta con

Jacobi: ridurre il filosofo di Dsseldorf a semplice polemista, e dunque fare di Jacobi il filosofo che ha discusso con Mendelssohn sullo spinozismo, che ha polemizzato con Fichte sul nichilismo o che ha duramente criticato Schelling sulla questione delle cose divine. Questo comunque non significa escludere il ruolo fondamentale di tali controversie nella definizione del pensiero jacobiano, ma piuttosto inserirlo correttamente allinterno di quel progetto di filosofia dialogica, di filosofia in dialogo con la propria contemporaneit, che segna cos profondamente la riflessione di Jacobi. A partire da questesplicita scelta ermeneutica si modella anche la struttura mediante la quale Ivaldo articola la ricostruzione del percorso jacobiano. Ad un primo capitolo, nel quale se ne presenta la figura intellettuale evidenziando la compenetrazione tra vita e filosofia, che la innerva dal profondo (anzi la filosofia deve, per Jacobi, farsi comprensione della esistenza vivente: p. 5), segue una trattazione della produzione letteraria jacobiana. Al centro di questa trattazione si trovano ovviamente i due romanzi filosofici scritti dal nostro, Allwill e Woldemar, che vengo-

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no interpretati come il silenzioso sfondo estetico-letterario-morale sul quale di continuo si proiettano, e si trasfigurano, i contenuti di una riflessione filosofica liberata da ogni tecnicismo (Procedere rappresentando: questo il romanzo: p. 27). Dopo aver messo a fuoco la stretta correlazione tra la dimensione esistenziale, declinata tanto in senso personale quanto in senso letterario, e la filosofia, Ivaldo procede alla delineazione dei tratti speculativi distintivi della filosofia jacobiana. Innanzitutto la libert. Essa si trova al centro, lungo tutto il corso degli anni 80, del confronto con lo spinozismo e il suo fatalismo. Allidea spinoziana di un Dio sostanziale, causa sui, Jacobi contrappone quella di un Dio personale e vivente, non vincolato alle astratte leggi di una logica fondativa. La decisione a favore di una concezione personalistica di Dio la decisione del teismo jacobiano, con tutte le implicazioni che da ci discendono in relazione a questioni quali il finalismo, le causae finales, lo stesso rapporto con la divinit, il senso e il valore, anche ontologico, della realt. Proprio la sua posizione realistica porta Jacobi a scontrarsi prima con il criticismo kantiano e poi con il suo compimento idealistico, che viene compreso dal nostro come nichilismo. A fondamento di tale identificazione, e pi in generale di tutta la critica jacobiana al movimento idealista, c lassunto dellirriducibilit della realt alla costruzione razionale: Lesistenza come tale inspiegabile, nel senso che eccede il livello conoscitivo raggiungibile con la spiegazione (p. 75). La realt non in quanto tale una costruzione dellio, ma una rivelazione, un presen-

tarsi dellalterit. Per porsi in relazione a tale alterit, per cogliere questa rivelazione necessario innanzitutto avere fede: una fede intesa nellaccezione pi ampia che tale termine pu possedere a livello gnoseologico (Fede il sentimento dotato di certezza della presenza di un oggetto allio, sentimento che non viene prodotto ad arbitrio, ma che si impone: p. 77). Oltre ad avere un uso estensivo, che li porta a svolgere un ruolo fondamentale nella teoria della conoscenza, i concetti di rivelazione e fede hanno anche un uso intensivo, vale a dire propriamente religioso. La rivelazione non infatti solamente la rivelazione del reale, ma anche la rivelazione di ci che trascende il reale. Per la trascendenza luomo ha una specifica capacit: la ragione. la ragione la capacit spirituale in grado di cogliere in maniera intuitiva il trascendente e di elevare verso di esso lessere umano. In questo rapporto non conoscitivo, ma immediato e intuitivo, risiede la vera scienza, il vero sapere delluomo: La vera scienza (soltanto) presentimento di Dio (p. 124); un semplice presentimento conoscitivo che ha tuttavia il valore della pi grande certezza esistenziale. S. PATRIARCA

A.P. MARTINICH - D. SOSA (a cura di), A Companion to Analytic Philosophy [Blackwell Companions to Philosophy], Blackwell, Oxford 2001, pp. 497. Tra i possibili modi di introdurre alla filosofia analitica, i curatori di questo volume ne hanno scelto uno che

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particolarmente adeguato: lesposizione della filosofia dei principali autori analitici. Poich la filosofia analitica non un sistema ben definito, in cui ci siano delle tesi accettate da tutti, non possibile esporre una dottrina comune. Ci sono sicuramente somiglianze formali, conseguenza dellappartenenza ad una stessa tradizione, ma, allo stesso tempo, sono diverse le risposte che si danno alle questioni che la filosofia analitica considera fondamentali. I curatori dellopera, entrambi professori nellUniversity of Texas at Austin, sono ben conosciuti per i loro lavori nellambito dellanalitica. Essi hanno scelto i 39 autori, particolarmente importanti, che sono quelli considerati nel libro. La scelta era certamente rischiosa, e difficilmente trover un consenso pieno tra gli specialisti: alcuni crederanno che mancano autori di spicco, altri invece penseranno che qualcuno dei presenti non sufficientemente originale. Di fatto, gli stessi curatori riconoscono che nessuno dei due pienamente soddisfatto della scelta, e che risultato di un compromesso fra entrambi. In ogni caso, tra i filosofi studiati si trovano sicuramente quelli fondamentali, dai padri dellanalitica (Frege, Russell, Moore, Wittgenstein) ad altri autori pi recenti, in fase ancora produttiva (Putnam, Rorty, Kripke, Lewis). Un altro pregio dellopera che gli autori delle collaborazioni sono dei buoni conoscitori dei filosofi studiati. Alcuni di loro sono sufficientemente noti per meritare, a loro volta, una voce propria: il caso di Michael Dummett (che fa la voce Frege) e John R. Searle (che scrive su Austin). M. PREZ DE LABORDA

Maria Antonietta PRANTEDA, Il legno storto. I significati del male in Kant, Leo S. Olschki, Firenze 2002, pp. 377. Il saggio in questione, molto approfondito e densamente analitico, descrive e tenta di ricostruire levoluzione del pensiero di Kant sullarduo problema del male morale attraverso lattenta disamina di alcune sue opere specifiche, che tematizzano o riprendono il problema. Si capisce che le soluzioni adottate, anche le ultime in ordine di tempo, non riescono a risolvere la questione in modo coerente con lintera dottrina di Kant, risultando sempre delle coperte troppo corte. Il cerchio non si chiude e si evince, anzi, linsoddisfazione del grande filosofo di fronte ai tentativi esperiti per risolvere il problema. Dopo aver a lungo indugiato sul male come defectus boni e come causa deficiens, arriva infine a definirlo come opposizione positiva reale al bene, idea che aveva a suo tempo analizzata da un altro punto di vista, ma poi scartato, e che riprende infine con nuovo slancio e su nuove basi. Se nella Critica della Ragion Pura, Kant risolve brillantemente il problema di come la conoscenza possa amalgamarsi tra sensibilit e idee pure di per s incommensurabili, attraverso lo schematismo trascendentale, la sua dottrina etica sul male, che per coerenza interna deve rifiutarsi di attribuire il male alla natura umana e tanto pi alla ragione, non riesce a trovare un equilibrio accettabile. Infatti, lultimo pensiero di Kant sembra rinvenire nella facolt atemporale del libero arbitrio (ovvero della libert di fronte al bivio pratico tra accettare di seguire soggettivamente la

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massima oggettiva della ragione o quella soggettiva dellamor di s) quella istanza di compensazione che possa mediare tra natura e cultura e che consentirebbe di descrivere il male come opposizione reale e causa delle azioni contrarie allordine della ragione. Lautrice del saggio spiega molto bene linadeguatezza anche di questo ultimo tentativo di dar coerenza al sistema da parte di Kant, sottolineando che la coesistenza tra principio del male e principio del bene nel libero arbitrio comporta una sproporzione. Sebbene infatti Kant attribuisca ad entrambi i principi una realt positiva (obbedienza alla legge della ragione versus amor di s come massima soggettiva che le si oppone), resta il fatto che dal punto di vista logico il bene rappresentabile, il male no. In secondo luogo, non si pi in grado di stabilire a chi e in che termini il male sia imputabile, visto che esso non dipende n dalla natura, n dalla ragione umana. Perch si usi male della libert bisogner pure infatti che vi sia una qualche inclinazione a farlo: e ci da che cosa dipende? Per di pi, lo stesso concetto di amor proprio presuppone la materia e la temporalit: solo in questa dimensione infatti sorgono i desideri e le inclinazioni egoistiche ed edonistiche che possono spingere a sovvertire la massima oggettiva della ragione, subordinandola al benessere dellio empirico, a scapito dellidentificazione con lio trascendentale. Lamor di s non pu dunque essere rappresentato razionalmente a livello della libert atemporale. Esso pu provenire solo a posteriori, e quindi non pu essere incluso a priori nel libero arbitrio che si accinga alla scelta soggettiva buona o cattiva.

Queste e molte altre penetranti e acute osservazioni sono raccolte in questo prezioso saggio che si addice ad un pubblico formato, non di neofiti. Sta di fatto, che Kant rimane sempre interessante nel panorama dellilluminismo per alcune peculiarit tutte sue: la rinuncia ad appoggiarsi alla prova ontologica nellambito del razionalismo (di solito compatto nel difenderla) e la rinuncia a storicizzare la tematica del peccato originale per abolirne il riferimento biblico (come in Rousseau). In fondo, Kant si limita a constatare la presenza del male ed infine, nonostante tutti i tentativi esperiti, si rifiuta di darvi una causa interamente comprensibile alluomo. E ci conferma, paradossalmente, la definizione teologica del male come mysterium iniquitatis. G. FARO

Carlo SCALABRIN, Bibliografia filosofica italiana 1999, Leo S. Olschki, Firenze 2001, pp. 246.

Il volume curato da Carlo Scalabrin costituisce unaccurata ricerca bibliografica riguardante le principali pubblicazioni di argomento filosofico effettuate tra il 1998 e il 1999: esso menziona le ultime edizioni di enciclopedie e dizionari, gli atti di congressi, convegni ed incontri concernenti tematiche filosofiche, ed un dettagliato elenco degli studi generali e degli approfondimenti monografici riguardanti sia la storia della filosofia che i rapporti tra la filosofia stessa e le scienze umane. La ricerca bibliografica stata eseguita con estrema attenzione e rigore scientifico:

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sono stati, infatti, consultati i principali periodici, atti accademici, e repertori bibliografici di argomento filosofico, pubblicati in Italia. Lapprofondimento bibliografico nellambito della storiografia filosofica costituito dalle seguenti tematiche: filosofie orientali, riflessione filosofica greca ed ellenistica, filosofia romana, il primo pensiero cristiano e la Patristica, filosofia araba, filosofia ebraica, filosofia medioevale (latina), filosofia bizantina e siriaca, umanesimo, rinascimento, riforma e controriforma, seconda scolastica, pensiero moderno, lOttocento, il Novecento filosofico in Italia e allestero. La ricerca bibliografica nellambito della filosofia e delle scienze umane viene effettuata nei seguenti ambiti disciplinari: logica, fenomenologia, linguistica, semiotica, filosofia del linguaggio, filosofia della scienza ed epistemologia, filosofia della natura e della vita, filosofia della conoscenza, metafisica, ontologia e teologia razionale, psicologia filosofica ed antropologia, filosofia morale, estetica, filosofia del dirit-

to e della religione, filosofia della politica e delleconomia, filosofia della storia, della cultura e della civilt, antropologia culturale ed etnologia, sociologia, pedagogia, psicologia scientifica e psicoanalisi, parapsicologia e teosofia. A conclusione del volume stato inserito un utile indice dei nomi degli autori e dei soggetti presenti nel repertorio bibliografico. Il volume contiene, inoltre, lelenco delle pubblicazioni promosse dal Centro di Studi Filosofici di Gallarate dal 1951 al 1998, comprendenti le seguenti collane: Classici della Filosofia Cristiana (Sansoni), Filosofi Antichi (Loffredo), Filosofi Moderni (Zanichelli), Filosofi Contemporanei (Fratelli Fabbri), Saggi e ricerche (Ptron). , infine, presentata, ledizione italiana delle opere di Romano Guardini curata dal Centro di Studi Filosofici di Gallarate, e lelenco delle opere per le quali stato assegnato il premio in filosofia Provincia di Varese. T. VALENTINI

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Pubblicazioni ricevute

B. BENVENUTO, Della Villa dei Misteri o dei riti della psicoanalisi, Liguori, Napoli 2003. J.M. BURGOS, Antropologa: una gua para la existencia, Palabra, Madrid 2003. P. CARLOTTI (a cura di), Quale filosofia in teologia morale? Problemi, prospettive e proposte, Las, Roma 2003. C. DANANI, Lamicizia degli antichi. Gadamer in dialogo con Platone e Aristotele, Vita e Pensiero, Milano 2003. C. GOI ZUBIETA, Recuerda que eres hombre, Rialp, Madrid 2003. R. IMBACH, Dante, la filosofia e i laici, Edizione italiana a cura di P. Porro, Marietti, Genova 2003. E. LPEZ-ESCOBAR P. LOZANO, Eduardo Ortiz de Landzuri. El mdico amigo, Rialp, Madrid 2003. T. MELENDO, San Josemara Escriv y la familia, Rialp, Madrid 2003.

A. MILLNPUELLES, La lgica de los conceptos metafsicos. Tomo II: La articulacin de los conceptos extracategoriales, Rialp, Madrid 2003. J.J. MUOZ GARCA, Cine y misterio humano, Rialp, Madrid 2003. P.P. OTTONELLO (a cura di), Sciacca e il pensiero francese, Atti dellottavo corso della Cattedra Sciacca, Genova 25-26 settembre 2002, Leo S. Olschki, Firenze 2003. M. PRALORAN, Il poema in ottava. Storia linguistica italiana, Carocci, Roma 2003. C. TATASCIORE (a cura di), I filosofi e la citt, La Citt del Sole, Napoli 2003. J.-I. SARANYANA, La filosofa medieval, Eunsa, Pamplona 2003. A. VZQUEZ DE PRADA, El Fundador del Opus Dei, vol. III: Los caminos divinos de la tierra, Rialp, Madrid 2003.

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