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BERNARDI ALESSANDRA CONSEGNE

COMPITO DI STORIA

26/02/13

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LE CAUSE PROFONDE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


DOSSIER Non c' alcun pretore, al massimo arbitri o mediatori tra stati, e anche questi soltanto in modo accidentale, cio secondo volont particolari. La concezione kantiana di una pace perpetua grazie a una federazione di stati, la quale appianasse ogni controversia, e come un potere riconosciuto da ciascun singolo stato componesse ogni discordia, e con ci rendesse impossibile la decisione per mezzo della guerra, presuppone la concordia degli stati, la quale riposerebbe su fondamenti e riguardi morali, religiosi o quali siano, in genere sempre su volont sovrane particolari, e grazie a ci rimarrebbe affetta da accidentalit. La controversia degli stati pu quindi, in quanto le volont particolari non trovano un accordo, venir decisa soltanto dalla guerra. Ma quali offese - delle quali, nel loro ambito largamente comprensivo e nelle relazioni multilaterali attraverso i loro sudditi, possono presentarsene facilmente e in quantit - siano da riguardare come infrazione determinata dei trattati o offesa del riconoscimento e dell'onore, rimane un che di indeterminabile in s, poich uno stato pu porre la sua infinit e il suo onore in ciascuno dei suoi singoli aspetti, e tanto pi incline a questa irritabilit, quanto pi una forte individualit viene spinta da lunga quiete interna a cercarsi e a crearsi una materia dell'attivit verso l'esterno. (F.W. Hegel, da i Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza Bari, 1991) LO SFONDO POLITICO DELLASSASSINIO

Virginio Gayda fu autorevole giornalista. Nel 1926 pass alla direzione al Giornale d'Italia, foglio liberale, che sotto la sua guida divenne tra i pricipali sostenitori del regime. In questo articolo mostra una profonda conoscenza delle questioni balcaniche e nella sua lucida analisi della situazione, pur deprecando l'attentato, non nasconde le sue simpatie per la causa degli "slavi del sud". Vienna, 28 notte. L'assassinio dell'Arciduca ereditario Francesco Ferdinando e della sua consorte stato preceduto da una campagna sintomatica dei giornali serbi di Serajevo, Mostar e Belgrado. Dopo la trionfante guerra balcanica la sensibilit nazionale dei serbi, e in genere di tutto il popolo sud-slavo liberale croati e sloveni si acutizzata, fino allesasperazione. La politica reazionaria dell'Austria in Bosnia-Erzegovina fu sentita come un peso intollerabile, come una violenta offesa permanente che doveva essere vendicata. I giornali si facevano eco di questa nuova forma di malcontento. Le critiche quotidiane cui era sottoposto il regime politico in Bosnia apparivano sempre pi aspre, ostinate, audaci. L'appello alla solidariet e alla reazione del sentimento nazionale serbo suonava sempre pi forte e violento. Le autorit non si sono forse accorte di questo lento acuirsi dello spirito della rivolta. Non hanno saputo neppure calcolare gli istinti dell'anima slava. Vi sono in essa eterni fermenti anarchici qualche cosa di nevrastenico, che si inquieta e si tormenta e poi esplode d'un tratto a un piccolo stimolo quasi inavvertito. In quest'anima la propaganda getta semi prodigiosi e rari. Prepara l'idea del delitto politico e l'audacia fredda che lo compie. Tutta la storia del movimento politico sud-slavo ce ne d esempi. A Zagabria, fra i croati, durante i periodi dellassolutismo magiaro, si ha tutta una serie di attentati contro i governatori. Il malcontento serbo, in Bosnia-Erzegovina, contro il dominio austriaco sorto sin dal primo giorno della occupazione austriaca, si alimentato giorno per giorno per il perpetuarsi dei sistemi di governo, si fatto acuto, pi conscio e pi audace, dopo, la vittoria della Serbia che ha prodigiosamente agguerrito l'orgoglio nazionale della razza sudslava. La politica, instaurata dai Governo di Vienna, nelle provincie occupate nel 1878, dopo il trattato di Berlino, si atteggiata costantemente sulla formula di una eliminazione dell'elemento nazionale serbo. Una politica che ricorda molto da vicino quella che si introdotta nelle provincie italiane d'Austria, dopo la costituzione del regno unito d'Italia. In Bosnia la massa della popolazione divisa fra serbi, croati e musulmani; questi ultimi serbi anch'essi di razza, di lingua, solo convertiti all'islamismo durante l'avanzata dei turchi. Serbi e croati son la stessa cosa: escono da uno stesso ceppo: parlano una stessa lingua: ma gli uni la scrivono con caratteri cirillici altri con caratteri latini: di pi gli uni sono volti alla Chiesa ortodossa, gli altri a quella cattolica. Il conflitto fra Chiesa d'oriente e Chiesa d'occidente ha avuto per sua scena pi immediata questi paesi slavi. Il Governo di Vienna ha speculato su queste divisioni, ha tentato di ingigantirle, per disgregare la massa sudslava e, per eliminare un possibile pericolo irredentista serbo, si messo decisamente dalla parte dei croati cattolici, che sono in Bosnia Erzegovina, una minoranza di fronte ai serbi.

Negli ultimi tempi questa politica era ancora favorita dall'arciduca Francesco Ferdinando, che, nel suo sogno di rinnovazione dell'Impero, concepiva la costruzione di una Monarchia slava cattolica, da opporre al blocco slavo ortodosso rappresentato dalla Russia. Gli elementi di un tale sistema di estirpazione nazionale dell'elemento serbo si possono precisare esattamente. Il paese dominato dal militare e controllato, in ogni sua articolazione, in ogni suo movimento, dalla Polizia politica. La chiesa cattolica e sopratutto l'ordine dei gesuiti, cui affidata una missione di propaganda, vi dominano con ogni favore e tendono di rodere i margini delle comunit serbe ortodosse. La scuola serba compressa: l'attivit economica dei serbi deve lottare contro cento divieti: ogni libera manifestazione di pensiero, anche solo nella piccola vita quotidiana del giornale, viene mutilata dalla censura. Intanto si tenta di colonizzare il paese impiantandovi villaggi di contadini tedeschi ma l'esperimento fallisce: mentre una burocrazia straniera, costituita soprattutto di cechi e di polacchi, slavi pur essi, ma del nord, estranei all'anima slava del sud, imbevuti di un rigido principio di autorit di stato, tenta di portar nel paese un nuovo spirito che devii lo spirito genuino serbo. Tutto questo ha irritato profondamente il paese e lo ha portato lentamente sul piede di guerra. Ancora un errore fatale dei governi burocratici dell'Austria. S'illudono di sopprimere un popolo, il suo sentimento nazionale: non si accorgono che lo stimolano solo alla reazione e alla esasperazione. I serbi, anche nelle pi umili classi contadine, hanno uno strano fervore nazionale quasi mistico. I giovani che scendono a Sarajevo o a Mostar, per imparare un mestiere o frequentare una scuola, vi appaiono spesso come figure tipiche di malcontenti e di anarchici, sono come degli spostati economici. Vengono da famiglie poverissime, con un sordo rancore istintivo, per l'autorit. Son portati ogni giorno a contatto con gli elementi ostili del governo, che li circondano in ogni citt. Quanto pi si educano sentono il contrasto fra tutta la loro triste realt economica e morale e il loro sogno acceso, quasi folle di libert nazionale. Dal misticismo torturato all'anarchia, al delitto politico non c' pi che il passo dellanima allazione che la esprime. Da questo mondo, che la politica di Vienna ha mantenuto e creato, sono usciti i due anarchici, che hanno. sparato per salvare la nazione. Il delitto dl Sarajevo aveva ancora avuto negli ultimi tempi delle determinanti pi precise. Durante la guerra di Tripoli, quando i Balcani cominciavano ad agitarsi, il Governo austriaco concentr nelle mani del governatore militare della Bosnia, il generale Potjorek, tutti i poteri di governo del paese. Il cosiddetto Zivil ad latus una specie di vicegovernatore investito dei poteri civili fu soppresso. Nel momento pi appassionato della loro vita nazionale, i serbi della Bosnia-Erzegovina ebbero cos la sensazione di essere schiacciati sotto una nuova, ingiusta dittatura. Il fermento si acu. Le misure repressive introdotte durante la fase pi pericolosa della questione di Scutari stato d'assedio, arresti, scioglimento di societ ebbero tanta inattesa reazione nella massa serba che lo stesso generale Potjorek senti la necessit di ritirarle immediatamente. Negli ultimi anni il Governo, cambiando, tattica, aveva ricostituito la carica del Zivil ad latus, chiamandovi un notissimo avvocato croato di Sarajevo, il dottor Mandic, capo dei partito croato governativo

o antiserbo. Ci non riusc che ad esasperare il malcontento. Intanto la propaganda serba, che liberatasi dalla sua missione al sud, nella vecchia Serbia, ormai liberata, e concentra tutta a nord, sopratutto in Bosnia-Erzegovina, gettava l'idea pi precisa, muoveva fra i giovani gli animi. L'associazione patriottica nazionale serba, la Mano nera , che appoggia la politica dell'azione, ha preparato la guerra balcanica, tenta ora a Belgrado di prendere il Governo del paese nelle sue mani. Nell'agitazione bosniaca questa associazione, come tutte le altre associazioni nazionali balcaniche, deve avere una sua parte di azione silenziosa col pensiero. Tutto ha preparato la tragica giornata di Sarajevo. Gli elementi, che abbiamo tentalo di analizzare rapidamente, non potevano determinare la rivolta collettiva, ma solo un atto individuale, il colpo di uno che pi avanti, pi malato, pi irresponsabile della folla, e d azione al confuso pensiero che di tutti. L'arciduca ereditario caduto come il simbolo del potere che ha governato in Bosnia. In lui uomo d'armi, rigido nella sua politica militarista intransigente, insensibile ai movimenti nazionali, cultore dell'autorit dalla Chiesa cattolica e della sua propaganda politica s'incarnava bene quel Governo antico e forte, immutato e ostinato, che ha fatto la storia dell'ascesa, del tramonto dell'Austria. Egli caduto, come un soldato: rappresentando in s il suo Governo. La mano che lo ha colpito ha soppresso barbaramente un uomo, ha compiuto un delitto vano, che non si pu giustificare: ma ci che vi confusamene dietro la mano omicida solleva, in quest'ora tragica, di fronte agli occhi dell'Europa, uno dei gravi problemi storici dell'Austria, dove un popolo cozza aspramente contro un sistema. (da Virginio Gayda, LA STAMPA 29 GIUGNO 1914) Per molti storici le cause [della prima guerra mondiale] vanno ricercate nella politica estera, che non fu in grado di garantire il necessario equilibrio all'Europa. Cos, anzich costituire un deterrente, i forti sistemi di alleanze fecero scoccare la scintilla di un incendio. La guerra appare quindi come un esito inevitabile, solo ritardabile, che l'attentato di Belgrado ha finalmente concretizzato. Le relazioni internazionali tra Germania-Austria e Francia-Inghilterra-Russia erano per gi gravemente deteriorate a causa delle spinte imperialistiche e della veloce industrializzazione degli imperi centrali, che in poco tempo erano diventati in grado di competere con gli alleati. Da parte marxista, in particolare dopo la caduta del regime zarista, la guerra venne dichiarata imperialista, mascherata con ideali democratici, ma in realt combattuta per la redistribuzione delle aree mondiali di mercato tra le grandi potenze capitalistiche. Le crisi economiche del tempo e le ingenti spese seguite alle politiche imperialistiche e di riarmo, causarono la tendenza alla creazione di aree economicamente chiuse, in cui la concorrenza si faceva sempre pi dura. La minore disponibilit di nuovi mercati, spost la ricerca all'interno di aree gi colonizzate, dando quindi vita alla scintilla che innesc la guerra. Convinti che conclusioni di questo tipo non possano chiarire completamente le cause del conflitto, molti storici, tra cui Benedetto Croce, imputarono la massiccia adesione alla guerra al nazionalismo diffusosi nelle

maggiori potenze Europee del tempo. Nel 1914 la psicologia di guerra gi dominava gli stati, aveva gi portato a situazioni in cui l'essere inglesi, tedeschi o francesi valeva molto di pi del semplice essere cittadini. Si era dunque sviluppata una nuova mentalit, nella quale era cruciale l'affermazione della propria nazione e quindi la guerra era l'unico mezzo possibile, oltre che desiderabile, per raggiungere velocemente questo scopo. Questi teorici individuano le radici del nazionalismo nelle componenti morbose del primo romanticismo, che non erano mai state risanate. La responsabilit viene quindi ad essere anche degli intellettuali del tempo, che non avevano saputo trovare l'antidoto al montare delle passioni nazionalistiche e, anzi, ne erano stati conquistati tanto da sostenere essi stessi l'entrata in guerra e da compiere una diffusa propaganda a favore del riarmo (es. Gabriele d'Annunzio). Tutto questo viene ulteriormente precisato in unaltra tesi, secondo cui lo sviluppo delle idee interventiste fu un giovamento per molte nazioni, le quali vedevano nel conflitto la possibilit di spostare al fronte alcuni problemi interni allo stato. Si registra quindi un primato della politica interna sulla politica estera. Stati di recente formazione, come Italia e Germania, trovano un punto di coesione territoriale e popolare nel coraggio dei soldati, oltre che un modo per mettere a tacere le minoranze cattoliche e socialiste e per ritrovare una omogeneit parlamentare fino ad allora mancata. (Da: passionforwriting.com, La prima guerra mondiale) [...] Accesa tuttavia l'immensa chiusa fornace, o gente nostra, o fratelli: e che accesa resti vuole il nostro Genio, e che il fuoco ansi e che il fuoco fatichi sinch tutto il metallo si strugga, sinch la colata sia pronta, sinch l'urto del ferro apra il varco al sangue rovente della resurrezione [...]. Gabriele D'ANNUNZIO, Sagra dei Mille (dal Discorso tenuto a Quarto il 5.5.1915) I responsabili politici erano in preda a cattivi presentimenti allo scoppio della guerra, ma la sua dichiarazione fu salutata da uno straordinario entusiasmo popolare nelle capitali di tutte le nazioni combattenti. Le folle si riversarono nelle strade urlando, applaudendo e cantando inni patriottici. A San Pietroburgo l'ambasciatore francese, Maurice Palologue, incontr andando verso la piazza del palazzo d'inverno un'enorme folla che si era riunita con bandiere, insegne, icone e ritratti dello zar. L'imperatore apparve al balcone. All'improvviso tutti si inginocchiarono cantando l'inno nazionale russo. Per queste migliaia di uomini inginocchiati lo zar era veramente in quel momento l'autocrate unto da Dio, il capo militare, politico e religioso del suo popolo, il signore assoluto dei loro corpi e delle loro anime. Era il 2 agosto. Il 1 agosto una folla simile aveva riempito la Odeonsplatz di Monaco, capitale del regno germanico di Baviera, per ascoltare la proclamazione della mobilitazione.

Tra di loro c'era Adolf Hitler: Non mi vergognavo di rendermi conto di essere trascinato dall'entusiasmo del momento [...] mi inginocchiai ringraziando il cielo di tutto cuore per la grazia di avermi permesso di vivere in questi tempi. A Berlino il kaiser apparve dal balcone del suo palazzo in un'uniforme grigia scura arringando la folla in tumulto: L'ora del destino scoccata per la Germania. Popoli invidiosi da tutti i lati ci costringono a ergerci per una giusta difesa. Ci hanno forzato a sguainare la spada [...]. E ora vi ordino di andare in chiesa, inginocchiarvi di fronte a Dio e pregarlo di aiutare il nostro valoroso esercito. Nella cattedrale di Berlino il cappellano del kaiser guid una grande folla di fedeli nella recitazione del salmo 130 e nella sinagoga di Oranienstrasse il rabbino guid le preghiere per la vittoria. A Londra ci furono scene simili il 5 agosto. A Parigi fu la partenza dei reggimenti mobilitati della citt, dalla gare de l'Est e dalla gare du Nord, che trascin per strada le folle, alle sei del mattino, come ricorda un ufficiale di fanteria: Senza preavviso il treno si mosse lentamente dalla stazione. Contemporaneamente, con moto quasi spontaneo, come un fuoco sotterraneo che improvvisamente si manifesta in fiamme scoppiettanti, si lev un immenso clamore: migliaia di voci che cantavano la Marseillaise. Tutti gli uomini erano in piedi ai finestrini dei vagoni e salutavano con i loro kepi. Lungo la ferrovia, sulle banchine e dai treni vicini la folla rispondeva al saluto [...]. In tanti assiepavano tutte le stazioni, i passaggi a livello e le finestre delle case lungo il tragitto. Si udivano ovunque grida di Vive la France! Vive l'arme! e intanto la gente salutava con i fazzoletti e i cappelli. Le donne lanciavano baci e gettavano fiori verso il convoglio. I ragazzi gridavano: Au revoir! A bientt!. (da John Keegan Carocci, Roma 2000) una vecchia lezione! La guerra un fatto, come tanti altri in questo mondo; enorme, ma quello solo; accanto agli altri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura: [...]. Sempre lo stesso ritornello: la guerra non cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella: per s sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non conosce pi la grazia. Il cuore dura fatica ad ammetterlo. Vorremmo che quelli che hanno faticato; sofferto, resistito per una causa che sempre santa, quando fa soffrire, uscissero dalla prova come quasi da un lavacro: pi duri, tutti. E quelli che muoiono, almeno quelli, che fossero ingranditi, santificati: senza macchia e senza colpa. E poi no. N il sacrificio n la morte aggiungono nulla a una vita, a un'opera, a un'eredit [...]. Che cosa che cambier su questa terra stanca, dopo che avr bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto in La prima guerra mondiale. Una storia politico-militare,

le zolle, e l'erba sopra sar tenera lucida nuova, piena di silenzio e di lusso al sole della primavera che sempre la stessa? [...]. (da Renato SERRA, Esame di coscienza di un letterato, in "La Voce", 30.4.1915)

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