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L ALBERO DEGLI ZOCCOLI Regia: Ermanno Olmi Interpreti: Luigi Ornaghi, Francesca Moriggi, Omar Bignoli Genere: Drammatico

- Origine: Italia - Anno: 1977 - Soggetto: Ermanno Olmi - Sceneggiatura: Ermanno Olmi - Fotografia: Ermanno Olmi - Musica: Johann Sebastian Bach - Durata: 170' Produzione: GPC/RAAI/Italnoleggio Palma D'oro e Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes (1978). Tra l'autunno 1897 e l'estate 1898, quattro famiglie vivono in una cascina della Bassa Bergamasca. Tra i componenti di questa comunit esiste un profondo legame spirituale e culturale che li porta a vivere insieme cose belle e cose tragiche, avvenimenti ordinari e avvenimenti straordinari E' il capolavoro dellunico regista italiano che abbia saputo affrontare la condizione operaia o contadina non come un teorema sociale, ma come un rapporto fra uomo e uomo. E anche l'unico con cui gli attori naturali sono protagonisti a pieno titolo e in prima persona. Molti di noi abbiamo avuto un avo contadino: seguendo Olmi in questo viaggio nell'ade possono ravvisare care sembianze". (Tullio Kezich da "La Repubblica") I contadini di Olmi, le loro piccole storie e la grande Storia in cui si collocano, acquistano una dimensione poetica che si apre sulla realt sociale con linee di fuga di straordinario interesse e di viva suggestione." (da Gianni Rondolino, "Catalogo Bolaffi del Cinema Italiano", 1979) 1897-98 nelle campagne della Bassa bergamasca: la vicenda corale di alcune famiglie contadine che lavorano la terra a mezzadria tra duri sacrifici, fatica e dolori, ma con grande dignit. Solenne e sereno, grave e pur lieve come le musiche di Bach che l'accompagnano, il 9 di Olmi con Novecento (1976) di B. Bertolucci che il suo opposto il pi grande film italiano degli anni '70, e l'unico, forse, in cui si ritrovano i grandi temi virgiliani: labor, pietas,

fatum. Gli sono stati rimproverati, come limiti, una rappresentazione idealizzata, perch troppo
lirica, del mondo contadino, la cancellazione della lotta di classe, la rarefazione spiritualistica del contesto sociale. indubbio che al versante in ombra (grettezza, avidit, violenza, odi feroci) del mondo contadino Olmi ha fatto soltanto qualche accenno, e in cadenze bonarie, ma anche in quest'occultamento stato fedele a s stesso e alla sua pietas. Girato con attori non professionisti. Il sonoro originale fu doppiato dagli stessi interpreti contadini e operai in un dialetto italianizzante. Alcune copie circolarono con sottotitoli in italiano nei dialoghi pi ostici. Venduto in un'ottantina di nazioni. Palma d'oro e Premio Ecumenico a Cannes. Csar per il film straniero in Francia.

Fin dalle prime immagini siamo trasportati in un 'altro mondo', Sotto un velo di nebbia traspare la campagna deserta, assorta, segnata dall'operosit dell'uomo. Maestosa e segreta, la Terra Madre ci accoglie. L'occhio della cinepresa scorre, lento e affettuoso, tra filari di gelsi, fossi, sentieri fangosi, prati e campi immobili, quasi sorpresi dal freddo, fino a introdursi nella cascina in un incontro visivo commentato dalla didascalia: " Cos doveva apparire la cascina lombarda alla fine del secolo scorso. Ci vivevano quattro, cinque famiglie di contadini... La casa, le stalle, la terra, gli alberi, parte del bestiame e degli attrezzi appartenevano al padrone e a lui si dovevano due terzi del raccolto'. Nella chiesa vuota, don Carlo, prete carico di rustica bont e di antica saggezza, parla a Batist e alla moglie, del loro Minek: 'Quello l un ragazzo da far studiare'. Il contadino, rispettoso, formula le sue perplessit: 'Sei chilometri a andare e sei a tornare sembrano un po' tanti'. E il parroco, paterno: 'E' giovane e ha le gambe buone'. 'Lui poteva cominciare a darmi una mano'. 'Se non ti aiuta adesso, ti aiuter di pi quando sar grande. Intanto lass fa a la Provvidensa'. 'E pensare che sono venuto grande anch'io senza vedere le mura di una scuola'. 'Questa non una buona ragione e lo sai anche te. Se il Signore ga dato l'intelligenza a tuo figlio segno che pretende pi da lui che da un altro. E il dovere di assecondare la volont del Signore'. La volont del Signore, non la fuga dai campi o la prospettiva di un lavoro meno duro e pi redditizio: siamo nel cuore di altri valori. Sulla strada del ritorno, Batist mormora alla moglie incinta che lo segue silenziosa: 'Ci mancava anche st pensieri qua. Un figlio di contadini che va a scuola!') si scioglier nell'affettuosa fierezza con cui osserva gli umili preparativi del piccolo: 'Allora sei contento d'andare a scuola'. Avvolger poi in un fascio di rapidi intensi sguardi il piccolo che, con al collo la cartella di pezza cucita dalla madre, esce, di mattina presto, per recarsi, solo e fragile come un filo d'erba, per la prima volta, a scuola. Questo episodio al centro di un intreccio di vicende delle famiglie abitanti in cascina. La vedova Runk, con sei bocche da sfamare: si sfianca a lavar panni nel fosso da mattina a sera. Il figlio maggiore, Peppino, fa il garzone al mulino, e la seconda, Teresina (dodici anni), va gi in filanda. Un fiasco dell'acqua, che scorre sotto la cappella del Crocifisso, le guarisce la vacca, data per spacciata dal veterinario. Alla sua bimba pi piccola, Bettina, nonno Anselmo insegna come far maturare i pomodori, quindici giorni prima degli altri. C' il Finard. Ogni tanto fa a botte col figlio. Eppoi c' la faccenda del cavallo: gli aveva nascosto sotto lo zoccolo il marengo trovato sulla piazza nel giorno della sagra. Il 'tesoro' va smarrito. Scoppia un furioso 'duello' tra l'uomo e la bestia. Il Finard avr la peggio e occorrer l'intervento della 'donna del segno' per guarirlo. L'alternanza delle stagioni ritma i tempi del lavoro (la semina, la macellazione del maiale, il raccolto) e le fasi della vita. Sui sentieri dell'autunno sboccia l'idillio, attonito e intenso, tra Stefano e Maddalena. La muta vicinanza nelle lunghe veglie invernali lo rinsalda. In maggio ha il suo coronamento davanti all'altare. Con lo spuntare dei primi germogli primaverili a Batist nasce un bel maschietto. Se la stagione tarda all'appuntamento del sole, della pioggia o della neve, l'esistenza contadina si ferma, come disorientata. Giunge allora, rassicuratrice, la parola degli anziani. Una sera, guardando il cielo, il vecchio Anselmo osserva: 'Quando il freddo allenta la sua morsa vuol dire che nevica'. 'Speriamo - lamenta Batist - sarebbe anche ora... ch questo inverno non si decide a far il suo tempo'. 'Al tempo e al cuore non si comanda', sentenzia il patriarca, mentre si avvia su per la scala per andare a dormire. Il trascorrere dei giorni e delle notti scandisce il flusso dei gesti e dei riti quotidiani (dalla mungitura al segno di croce serale) e di mille piccoli fatti: la figliola di Finard ruba la legna dei vicini, nonno Anselmo si alza - nella notte invernale - per concimare di nascosto con letame di gallina il terreno dove ripianter i pomodori... Da un evento si scivola all'altro, poi lo si riprende per ricamarlo e approfondirlo, senza fratture n impennate. Una storia viene abbozzata e poi riagganciata e raffinata per essere inserita, con naturalezza e limpidit, accanto a tanti altri miniavvenimenti, nell'alveo di una narrazione-affresco tutta raccolta attorno a questa gente contadina bergamasca. E' un mondo racchiuso nell'orizzonte della cascina con aperture sul villaggio: la pi consistente sulla chiesa; pi rare le 'escursioni' sulla piazza, la scuola, l'osteria.

A chi si affaccia dall'esterno quelli della cascina si presentano come una sola famiglia davanti alla quale ci si sente, in diversa misura, estranei. Lo sono anche il prete e il mendicante Giopa, pur accolti con affetto e venerazione. Estraneit accentuata da muta diffidenza (il fattore, uno come loro promosso a portavoce degli interessi del padrone) o dalla chiassosa parentesi di innocente civetteria femminile (il venditore ambulante Frik). La vicenda di chi 'esce' dal microcosmo della cascina assume rilievo narrativo spiccato in quanto rinserra i vincoli di solidariet della grande famiglia. Con il contributo di gioia del ritorno: Stefano e Maddalena, reduci dal viaggio di nozze con quell'orfanello, recano un dono a tutti. La partenza di Batist, espulso per aver tagliato l'albero dal quale ricavare uno zoccolo per Minek (di qui il titolo del film) una scena alla quale tutti assistono, silenziosi e sbigottiti. Li unisce pi che mai la piet e anche il timore di dover subire la stessa sorte: essere cacciati dalla cascina e vagare raminghi nella notte, chiss verso quale meta.

UNA CRONACA FAMILIARE "L'albero degli zoccoli", evocazione di storie familiari che si dipanano tra l'autunno del 1897 e la primavera del 1898, memoria. Memoria che amore e venerazione della civilt contadina. Sono valori di umanit e di religione sui quali Olmi non riflette a tavolino o poeta sul filo della pura immaginazione. E' memoria 'concreta': egli rivive gesti, volti, sentimenti, nomi, fatti della sua gente. Gente conosciuta direttamente: la nonna materna Elisabetta, i vecchi della cascina d'origine presso Treviglio ('Quando mi mandavano l - nel pieno degli anni Trenta - a passare l'estate, era come fare un viaggio nell'800'). Gente gi entrata nella piccola leggenda paesana, tessuta e tramandata dalla nonna: 'Mia nonna era una gran narratrice'. Una ventina d'anni fa, subito dopo la morte dell'ottantenne Elisabetta, aveva fissato sulla carta gli appunti per un film 'in cui ci sono un po' tutti: mio nonno, mia nonna, gli altri parenti, sdoppiati, triplicati, spostati nel tempo. E' veramente una cronaca familiare'. (Intervista su 'La Repubblica', 1 aprile 1978). Memoria come poesia, intendendo per poesia anzitutto un 'metodo di verit'. L'universo rurale di Olmi non un passato trasfigurato in mitica 'isola felice', perduta: rude e nobile verit. Questa non scaturisce da una presa diretta e oggettiva sulla realt. In una cascina abbandonata da anni, Olmi ha riunito e fatto recitare i suoi interpreti, 'tutti contadini', scelti tra migliaia di persone nella zona tra Martinengo e Palosco. Il film indissolubilmente documento e ricostruzione, eppure raggiunge una verit di fatto preclusa a molto cinema-verit, fedele a tutte le ricette per 'fare vero'. Gli che in Olmi la memoria vibra e cresce come verit interiore. E' sintonia profonda con il sentire, il pensare e il credere (cio l'anima) dei suoi avi contadini. In questa identificazione affonda la radice della verit del "L'Albero degli zoccoli". Pone il regista in grado di intuire ogni fremito di autenticit e di valore di cui il 'materiale di verit' (vera cascina, veri contadini, oggetti d'epoca) che gli sta davanti, o pu farsi espressione. La memoria si fa cos trasparenza, verit, naturalezza. Nessuna indulgenza al pittoresco o all'artificioso, nulla di aneddotico e di digressivo nel pullulare di trame laterali e di storielle, nessun cedimento alla tentazione di indugiare su una nota patetica o una bella immagine. Il colore un dato esemplare di tale sobriet, non si rif a modelli pittorici e non altera i toni naturali, rispetta la realt anche se scialba e grezza. Un cinema infine che poesia, perch, discostandosi dalle teorizzazioni di Pasolini, la macchina da presa e la mano dell'autore non vi si sente. La visione, dal tessuto narrativo assai articolato e complesso, scivola via immediata e limpida: capolavoro di semplicit, possibile soltanto a chi detiene maestria tecnica e genuina ispirazione. La verit de "L'Albero degli zoccoli", appunto perch costantemente animata dalla memoria, si fa spesso canto: il lirismo aspro o festoso di una natura splendida e ricca, ma anche dura, indifferente, ostile. E' la Storia di cui questi esseri umani, da secoli senza storia, diventano

protagonisti in un film popolare in cui l'evocazione di vita vissuta si dilata a celebrazione rituale. Avvolto nella suggestiva solennit di un grande adagio musicale (contrappuntato dalle note di Bach e dai rintocchi delle campane lombarde), ognuno dei cento personaggi (dai bambini al mendicante Giopa) e in ogni suo atteggiamento (di lavoro, di divertimento e persino quando brillo o d in escandescenze) emana dignit. I sentimenti poi (fede, amore, invidia ... ) sono colti all'insegna di un pudore, riflesso della devozione con cui il regista li ricrea, e segnati da un'aspra taciturna misura, eco di un'esistenza austera e della profondit del sentire. Parlano poco e quando si sciolgono, ad esempio, nelle veglie serali, non per chiacchierare ma per 'fare poesia': intonare vecchi canti o narrare favole e storie d'altri tempi. La parlata dialettale, tutta concisione, incisivit, asprezza - talora venata di umorismo e pi spesso sfumante nell'arcano - fa corpo coi personaggi come il volto, il sorriso, le movenze. Questi 'analfabeti' non sono ignoranti e la loro povert non miserabilismo. Sono dotati di una cultura genuina che trasuda nel film fin dai minimi particolari (come la pulizia accurata delle persone e il gusto dell'ordine con il quale ogni oggetto collocato e ogni azione compiuta) e da momenti rivelatori (ascoltano, estasiati nella sera, le melodie che piovono dalle finestre del padrone). In questa memoria amorosa, la 'cattiveria' raramente ha spazio, ed 'perdonata' cio disinnescata di malignit: l'infuriarsi di Minard col figlio o col cavallo si stempera in un benevola comicit, e colui che tradisce Batist un povero ragazzo impaurito che non vediamo nell'atto di farne il nome al fattore.

'LA CIVILTA' CONTADINA NOSTRO PADRE E NOSTRA MADRE'. "L'albero degli zoccoli" ci conquide: una rivisitazione che facciamo con immediatezza nostra. Non solo perch, com' stato ripetuto, tutti noi abbiamo un'ascendenza, pi o meno lontanamente, contadina. Sono i valori di umanit ad affascinarci: valori profondi, semplici, sicuri dai quali una esistenza travagliata assumeva senso e grandezza. Costituiscono l'humus di un passato recente a cui molti hanno voltato le spalle per rincorrere un benessere e un'ideologizzazione dai quali gli interrogativi esistenziali non ricevono risposta. L'operazione memoria di Olmi diventa operazione memoria dell'uomo d'oggi. La nuova civilt alla quale l'uomo ha potuto largamente accedere, gli rivela, adesso, dopo l'entusiasmo iniziale, i propri connotati di precariet e di vuoto. La parola de "L'Albero degli zoccoli" giunge cos, tempestiva e suscitatrice di connivenze, quasi fosse attesa, anche a strati di spettatori che, pochi anni fa, l'avrebbero sepolta nell'indifferenza o rifiutata accanitamente: parlare di povert senza fare cinema politico! dare tale rilievo alla religione! Infatti il cristianesimo l'anima d'ogni momento e aspetto della vita dei contadini di Olmi. Un cristianesimo vissuto con l'istintiva spontaneit con cui respirano. Un cristianesimo presente in tutta la sua entit. E' fede solida ed essenziale: il senso della vita sta nell'adesione al Volere di Dio e nell'abbandono alla sua Provvidenza d'amore. E' religione: l'assidua frequenza ai riti sacri; la recita del rosario (il vecchio con la sua inseparabile corona tra le mani); la docilit, cordiale e deferente, al sacerdote: lo sentono uomo di Dio (il suo latino liturgico lo ascoltano come un linguaggio superiore) e insieme 'uno di loro' (il dialetto e soprattutto l'evangelica concretezza della predica); quando c' un problema (la vedova, Minek), o un fatto eccezionale (l'uccisione del maiale) presente; non parla n agisce mai contro il padrone (sarebbe stato un falso storico attribuirgli un simile ruolo), ma se lo sentono accanto con la sua operosa bont... E' cultura, cio imbeve tutto il loro modo di essere. Pregare anche un modo di stare insieme (l'orazione serale, il mendico Giopa viene servito mentre si prega) e di reagire all'ingiustizia: il rosario che accompagna la partenza di Batist non solo invocazione di aiuto per quegli infelici, ma anche riaffermazione della propria dignit di uomini e di figli di Dio. Dio, Signore della natura e della vita, disposto a intervenire - se invocato - nelle contingenze disperate anche con il 'miracolo' (la guarigione della vacca) di cui nella festa della Madonna il parroco predica: noi non possiamo

vivere senza i miracoli e li meritiamo facendo del bene agli altri. L'onnipresente religiosit ha risvolti superstiziosi (la donna del segno) che non ne offuscano affatto la sublimit: anzitutto coraggio quotidiano di vivere e forza serena di affermare, insieme alla propria dignit, una autentica saggezza e un'incancellabile identit. Il lavoro. Le mani non sono mai inattive: le orecchie ascoltano i racconti di Batist o la bocca mormora l'Ave del rosario serale. Si cuce, si sgranano le pannocchie di granoturco. Dall'alba a quando ci si corica, tutti e sempre, lavorano con impegno, serenit e dignitosa pazienza. Nessun regista italiano finora riuscito a esprimere con l'intensit del quarantassettenne autore bergamasco il sentimento sacro della terra e della fatica. che, devota, la lavora e infine il senso della famiglia contadina. La famiglia, come comunione di cuori per servire Dio e unione di forze nell'affrontare una grama esistenza di povert, il palpito vitale del film. E' percettibile con tale commossa e insistente evidenza che superfluo soffermarvisi. Un fugace accenno ad alcuni elementi particolarmente significativi. Pino, il piccolo mugnaio, non vuole che i due fratellini minori vengano messi nell'orfanotrofio delle suore: lavora lui e presto lavorer anche Teresina. Il lavoro fierezza adulta di tenere la famiglia unita e indipendente dalla carit. Batisti davanti al lettone sul quale giace la moglie felice con il neonato. Lui rompe finalmente un lungo timido amoroso silenzio: 'State bene?'. 'Ringraziamo il Signore.... Un'altra bocca da sfamare', commenta intenerito l'uomo. Lei pronta: 'Non abbiate paura, Batist; vi ricordate cosa diceva la povera mamma?. Quando viene al mondo un bambino Dio gli d sempre il suo fagottino'. Infine il tema della predica al matrimonio di Stefano e Maddalena che andranno in viaggio dalla reverendissima zia suora (quei due letti monacali legati assieme da un fiocco): 'Cercate di volervi sempre bene perch non c' denaro al mondo che pu pagare l'amore di due persone ... . Il Paradiso comincia dall'amore che saremo capaci di volerci noi qui sulla terra'.

MEMORIA E NON EVASIONE NELLA NOSTALGIA "L'albero degli zoccoli" non affatto l'esaltazione di un passato idillico o invito a un intimismo bucolico. Dell'alienazione d cui soffrivano i suoi contadini, 'considerati anime alla merc di un padrone come nella Russia zarista',(intervista a La Repubblica, 1 aprile 1978), Olmi ben cosciente: 'Contadini che non posseggono altro che il loro lavoro, e le loro famiglie pi sono numerose pi sono ricche di 'forza lavoro'. Pi aumenta questa 'forza lavoro' pi numerose sono le bocche da sfamare. A Milano, proprio nel maggio di quell'anno, il generale Bava-Beccaris reprimeva una supposta rivolta di protesta. E dette ordine di sparare sulla gente e ci furono morti e ci furono prigionieri politici. Nelle campagne poco o niente si seppe n si cap di questi fatti. Le nostre campagne servirono per a rifornire l'esercito di soldati per due guerre mondiali ... . E l'800, perci, per i contadini si praticamente concluso alla fine dell'ultimo conflitto'. Perch questa consapevolezza politica nel film non si fa sdegno, denuncia? L'opera nasce dalla purezza di uno sguardo di verit sulla gente bergamasca dei campi alla fine Ottocento. L'istanza politica non li toccava. La politica era rappresentata per loro da un signore ben vestito, venuto dalla citt per risciacquarsi la bocca di paroloni detti in italiano e cos in fretta da risultare incomprensibili (il comizio socialista). Dei fatti del '98 non capivano nulla, n don Carlo n gli sposini che ne sono testimoni: era solo disordine. Nei confronti del padrone non nutrivano alcuna conflittualit di classe, ma deferenza e diffidenza. Per, detto di sfuggita, il sospettoso distacco dai contadini, il geloso amore paterno e il salotto provinciale di cui si circonda il padrone de "L'Albero degli zoccoli" sono tratti che caratterizzano l'immagine della classe dominante con un'efficacia critica molto pi tagliente delle nefandezze di cui Bertolucci la fa protagonista nella seconda parte del suo "Novecento".Olmi si rifiuta di

interpretare la storia della campagna bergamasca alla luce di un'ideologia posteriore come fanno il Visconti di "La terra trema" coi pescatori siciliani, e il Bertolucci di "Novecento" con i rurali emiliani. Sceglie di rispettare la verit contadina sul piano espressivo e non ricorre alle trasfigurazioni intellettualistico-pittoriche di Visconti o alle formule dello spettacolarismo hollywoodiano di Bertolucci; cos non violenta la sensibilit sociale dei mezzadri bergamaschi, adeguandola a idee e atteggiamenti che non erano i loro. A guardarlo attentamente, "L'albero degli zoccoli" dimostra come il sussurro del linguaggio della verit, quando autenticamente tale, ha una carica di 'rivoluzione' inattingibile dalla retorica delle bandiere rosse. E' la miseria delle cose e la durezza del vivere, descritta senza esasperazioni n veli, a parlare. E' la sopraffazione di cui vittima Batist, lo sconfitto: aveva tentato di trasgredire l'ordine sociale, facendo studiare suo figlio come i figli dei signori, ed stato punito (l'ultima immagine di Minek: con quell'ormai inutile cara cartella di pezza al collo sale sul carretto dell'esilio). E' anche la 'rivincita' prospettata nel gesto caritatevole (crescere il pupo orfano) interessato (il pio istituto fornisce una dote fino ai quindici anni) di Stefano e Maddalena: 'Forse un figlio di sciori... ma adesso crescer come figlio di contadini'. Insomma il passato non , qui, nostalgia alla quale ci si abbandona fuggendo dal presente come tentava di fare il Pasolini di "Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle Mille e una notte". E' memoria: una rievocazione che riflessione dell'uomo 'urbanizzato e imborghesito', in balia dell'incertezza, sui valori in cui si radica la sua storia. Non al fine di risuscitare ci che non pi, ma per ricuperarvi le 'coordinate di vita e di azione per un futuro' a misura d'uomo. Si tratta di ritrovare la 'coscienza' e di proseguire la strada della storia con il coraggio della gioia e della libert: direbbe Vassili Sciukscin, il cineasta contadino siberiano, a nostro avviso, 'fratello d'anima' di Ermanno Olmi. Al termine di questa pur lunga presentazione de "L'Albero degli zoccoli" resterebbero le innumerevoli 'belle pagine' da segnalare e le stupende soluzioni cinematografiche da analizzare. Facciamo punto con un accenno alle due edizioni in circolazione di questo nono film di Olmi, scorciate di cinque minuti rispetto alla primitiva (la scena dell'uccisione del maiale). La prima doppiata in un italiano con cadenze bergamasche dalle voci degli stessi interpreti (a eccezione di due vecchi, defunti nel frattempo). La seconda l'originale in dialetto con sottotitoli. Nonostante la perfezione encomiabile del doppiaggio, la seconda che va preferita dallo spettatore, desideroso di vedere il vero Olmi: 'Infatti la parlata dialettale del film non un mio puntiglio di ordine estetico, ma un dato essenziale del racconto. Il dialetto era la sola lingua che i contadini conoscevano: non sapevano parlare quella del padrone e anche per questo erano degli emarginati. Cos il prete del film parla coi suoi parrocchiani e fa persino la predica domenicale in dialetto, perch, se voleva farsi intendere, doveva essere uno come loro. Col doppiaggio tutto questo andr perduto e, in pi, si sconvolgeranno i connotati stessi dei personaggi perch verranno privati del suono naturale della loro lingua'. (Olmi a Zagni, 'Giornale dello Spettacolo', 2 settembre 1978). Attualit Cinematografiche - Luigi Bini - 1978/30

scheda a cura del Centro studi cinematografici di Bergamo

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