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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA
DOTT. ALESSANDRO NENCINI Giudice

Procedimento penale n. 535/04 R.G.


Udienza del 3 aprile 2008

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei


[Stralcio n. 13]

“SOTTOSTIMANDO, MINIMIZZANDO, ANDANDO A DRITTO DI BRUTTO, CI SAREMMO ASPETTATI


ALMENO CHE L’OPERA SAREBBE FINITA PRIMA E CHE IL TUTTO, ALLA FINE, SAREBBE DOVUTO
COSTAR MENO. SE PRESTO E BENE NON STANNO INSIEME, CI SI ASPETTA CHE POSSANO
INVECE COMBINARSI ALMENO PRESTO E MALE. OPPURE, CATTIVA QUALITÀ, MA COSTI MINORI.
NO, QUI SI RIESCE NELLA SINTESI, NELLA SUMMA: MALE, TEMPI INFINITI. QUINDI CON TUTTI I
DANNI E BASTA. OPERA NON FINITA, PREZZI RADDOPPIATI, CATTIVA QUALITÀ, COSTI ENORMI”.

Ma non basta provare gli eventi e la condotta.


La Procura deve provare ancora di più, deve provare il dolo. La consapevolezza e la volontà degli imputati di
cagionare i danni provocati. Deve provare la prevedibilità e la previsione dei danni e la esigibilità di una
condotta diversa da quella tenuta.
Ora non saremmo qui se i danni realizzati fossero stati assolutamente imprevedibili e non fosse esigibile
dagli imputati un comportamento diverso da quello in concreto tenuto.
Sennonché non solo si poteva e si doveva esigere che gli imputati tenessero una condotta alternativa, ma i
danni non solo erano prevedibili, ma molti sono stati addirittura previsti, accettati e quindi
volontariamente determinati.
È dall’analisi diacronica degli eventi che emerge palese la prova del dolo da parte degli imputati.

I PRODROMI DEI DANNI


Numerosi gravi indizi suggerivano, già prima dell'approvazione dell'opera e dell'apertura dei cantieri, gli
scenari dei quali siamo adesso, nostro malgrado, tardivissimi testimoni.
Già nel luglio 1992 nell’elaborato allegato alla delibera 315/92 della Giunta Regionale, gli uffici di
quell’Ente da pg. 29 a pg. 32 descrivono quelli che sono risultate le lacune evidenziate nel corso
delle indagini e causa dei danni accertati.
Similmente il Servizio Geologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri del ‘92.
Di quest’ultima citiamo alcune parti dal testo della relazione:
"Dati frammentari, scarsamente confrontabili", "soggettiva la sintesi dei dati e la conseguente
valutazione ai fini della stabilità dei versanti". Uno studio ricco di "discrepanze", "lacune o non
corrispondenze dei dati" nella cartografia. Mancanza di "riferimenti toponomastici e tettonici" nel
profilo geologico della tratta, "suggerimenti geologico-tecnici generici e vaghi". Trascurate "le
qualità geo-meccaniche dei terreni" nonostante esse siano "cause che predispongono alla instabilità
degli stessi". Sottostimate "le modifiche geo-ambientali apportate dall'intervento sul territorio"; "non
individuate le evoluzioni geodinamiche esogene e endogene". "Notevole frammentarietà delle
informazioni territoriali cartografate" e "diversità delle scale di rappresentazione". Non tenuto "in
debita considerazione quanto disposto dal D.P.C.M. 27.12.1988 specie per quanto concerne le
informazioni di carattere geognostico e geotecnico". Assente "la considerazione dei geotopi e dei
beni culturali a carattere geologico meritevoli di protezione". "Estrema genericità sia nella previsione
degli impatti che nelle proposte di misure di mitigazione, per quanto riguarda sia la fase di cantiere
che quella di esercizio dell'opera".
Dopo quel parere, nessun nuovo parere è stato richiesto al Servizio geologico della Presidenza del Consiglio
dei Ministri sul progetto esecutivo poi approvato nella Conferenza dei servizi del 28 luglio 1995. Forse
proprio a causa del tenore delle censure espresse nel 1992?
Fatto sta che nulla cambia nel 1995.
Infatti i servizi tecnici della Regione Toscana (Ufficio del Genio Civile, Servizio Difesa del Suolo, Nucleo di
valutazione dei siti di cava di prestito), nei loro pareri espressi pochi giorni prima della chiusura della
Conferenza di servizi sulla scorta degli elaborati tecnici del progetto esecutivo per la tratta AV Bologna-
Firenze, evidenziano enormi carenze progettuali sotto l'aspetto idrogeologico, geomorfologico e idraulico, o
segnalano che "gran parte delle difficoltà nell'esame del materiale prodotto derivano dal fatto che lo stesso
nasce in assenza di una preventiva valutazione di impatto ambientale. Valutazione che avrebbe permesso di
evidenziare problematiche di larga scala preliminarmente alla redazione del progetto esecutivo in modo da
poterne tener conto nella scelta delle specifiche soluzioni tecniche".
Ancora il 23.1.1995 vengono ribadite analoghe riserve allo studio di impatto ambientale (S.I.A.) dal
Dipartimento Ambiente Regione Toscana a firma del geologo Micheli (pg. 1154/10), che, dopo aver
premesso che in “ … un settore come quello Appenninico dove sussiste una generale carenza di risorse
idriche anche falde di modeste dimensioni e capacità possono acquisire grande importanza locale",
evidenzia come gli elaborati cartografici contengano informazioni per soli due chilometri, e manchino
indicazioni puntuali sugli interventi di mitigazione, tanto più necessari visto che il sicuro effetto drenante
causato dalle gallerie “rischia di avere ripercussioni negative sull’ecosistema, di superficie per la riduzione
della portata di base di corsi d’acqua anche in zone lontane dal tracciato ferroviario”. Elementi tutti che
fanno sì che lo stesso Dipartimento esprimesse parere negativo “per evidenti carenze per quanto riguarda
l’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di importanti acquiferi, la mancanza di interventi
di mitigazione”.
Riportiamo per esteso le “Conclusioni”:
“Sulla base delle considerazioni sopra svolte si ritiene di esprimere parere negativo sullo studio di impatto
ambientale per evidenti carenze per quanto riguarda 1’approfondimento delle indagini, il mancato
riconoscimento di importanti acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione. In particolare si motiva il
parere negativo nel modo seguente: 1) mancanza di valutazione di ordine sismico in funzione soprattutto ella
stabilità delle pendici naturali o artificiali; 2) assenza dì indagini geomorfologiche (forme carsiche, frane,
deformazioni gravitative profonde ecc.); 3) non riconoscimento dell’importanza dell’acquifero carsico della
formazione di Monte Morello; 4) mancanza di valutazione di ordine idraulico soprattutto per i siti di cantiere e
di discarica in zone di naturale espansione delle acque; 5) non valutazione dell’ "effetto drenante” delle
gallerie in acquiferi o in zona dì intensa fratturazione e probabile circolazione idrica; 6) non valutazione delle
ripercussioni dell’effetto drenante delle gallerie in funzione degli ecosistemi superficiali; 7} ristrettezza delle
indagini geologiche ed idrogeologiche limitate ad una fascia dì solo due chilometri intorno al tracciato
ferroviario che non consentono adeguate ricostruzioni stratigrafiche e strutturali; 8) non indicazione degli
interventi di mitigazione”.
Diremmo che c’è tutto quello che ci doveva essere. Era il 23.1.1995. Bastava leggere ed aver voglia di
capire.
Ma non c’è solo questo parere della Regione.
È addirittura dagli stessi atti nella disponibilità e commissionati dai proponenti che emergono le
stesse lacune. Si fa riferimento alla "Relazione geologica e idrogeologica per la istruttoria della
Variante del Progetto esecutivo (tratto Toscano: Mugello-Vaglia-Careggi)", datata 30 giugno 1995 e
redatta dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università di Bologna sulla base di una
convenzione con la TPL - AV (società legata alla TAV Spa). Nella relazione appaiono esplicitate gravi e
puntuali perplessità circa i rischi di natura idrogeologica connessi con la costruzione dell'opera, e circa
l’attendibilità della documentazione fornita per lo studio richiesto. Appare evidente il quadro di
preoccupazione che l'analisi del Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università di Bologna aveva
tempestivamente fornito ai proponenti dell'opera anche se con riferimento all’originario tracciato che non
prevedeva la variante Castello, ma identico sino a Vaglia.
E questo per dire che già stato dell’arte al momento della approvazione del progetto, era palese non
solo la astratta prevedibilità, ma addirittura la previsione in concreto di ciò che poteva succedere e
che, di fatto, è successo.
Ed a questo punto è del tutto conseguente ed esigibile pretendere che gli imputati prendessero atto di
tali documenti ed emergenze e si attivassero di conseguenza [...].
Da notare che nessuno degli imputati - e non ce l’aspettavamo di certo - ha detto “siamo una impresa di
incompetenti per cui non sappiamo fare il nostro lavoro”. No. Abbiamo sentito anzi tutti rivendicare la loro
estrema professionalità.
E allora cosa dobbiamo pensare? Perché un funzionario regionale che avrà avuto uno stipendio di
1.500 euro in Regione è stato in grado di vedere ciò che altri mirabili e chiarissimi professionisti
privati, luminari della consulenza e top manager non hanno visto?
Ci limitiamo a constatare:
1. che si poteva e si doveva prevedere quanto accaduto;
2. una volta che comunque lo avevano previsto altri, ne avrebbero dovuto necessariamente tener
conto. Non fosse altro per attivare conseguentemente e doverosamente le procedure in base alle quali
realizzare le opere ancorché dannose, ma solo previo puntuale rilascio da parte della amministrazioni
preposte delle necessarie autorizzazioni e solo una volta che queste avessero verificato, nei modi di
legge, la sussistenza di un superiore interesse pubblico alla realizzazione della tratta Firenze-Bologna
pur con quei determinati effetti negativi.
Niente di tutto ciò invece è accaduto.
Ma non è finita.
Ancor peggio se ci ricordiamo cosa è successo in corso d’opera e di cui abbiamo già trattato.
Nel corso della cantierizzazione, è stato istituito dalla Comunità Montana del Mugello-Alto Mugello-Val di
Sievee, con delibera n. 175 del 28.06.1996, l’Osservatorio Ambeintale Locale (OAL) sui lavori dell’Alta
velocità, dotato di un Comitato tecnico-scientifico presieduto dal geologo prof. Giuliano Rodolfi. L'OAL ha
ammonito a più riprese circa i rischi che si sarebbero corsi in ambito idrogeologico con le procedure
di attuazione delle cantierizzazioni e degli scavi. Ma non risulta che l'azione delle autorità di controllo
(sindaci, Osservatorio Ambientale, ARPAT, ecc.) sia stata sufficientemente efficace da evitare i danni
ambientali preconizzati.
E CAVET, diretto interessato ed autore di tali danni, non ha fatto certo complimenti nell’andare avanti diritto
alla meta costasse quel che costasse, e “meta” si fa per dire, visto che i lavori non sono oggi neppur finiti.
Eppure sottostimando, minimizzando, andando a dritto di brutto, ci saremmo aspettati almeno che
l’opera sarebbe finita prima e che il tutto, alla fine, sarebbe dovuto costar meno. Se presto e bene
non stanno insieme, ci si aspetta che possano invece combinarsi almeno presto e male. Oppure,
cattiva qualità, ma costi minori. No, qui si riesce nella sintesi, nella summa: male, tempi infiniti.
Quindi con tutti i danni e basta. Opera non finita, prezzi raddoppiati, cattiva qualità, costi enormi.
Infatti le censure all’operato degli imputati CAVET si appuntano soprattutto al momento in cui cominciano a
costruire e vengono al pettine tutte le magagne ed i nodi di una progettazione esecutiva quantomeno da
valutarsi scadente se non addirittura preordinata a minimizzare scientemente gli effetti negativi cui si
sarebbe andati in corso nella fase di realizzazione.
E infatti come si comincia a costruire ecco che non tornano più i conti.
Abbiamo già anticipato dell’importante segnale di quanto avvenuto a Castelvecchio.
Abbiamo già detto che Trezzini nel 1998 arriva a dire a CAVET, in una riunione pubblica a Firenzuola, le
seguenti testuali parole:
“Penso che abbiate trascurato qualcosa in questo periodo. Su questo tema occorre intendersi bene.
Andavano fatte quattro cose e non sono state fatte:
1) andava previsto l'accaduto, e la previsione è risultata errata;
2) poteva essere fatto il monitoraggio;
3) poteva essere fatto il rivestimento alla galleria, senza fare come se nulla fosse avvenuto;
4) potevano esser fatti prima gli interventi alternativi.
Dobbiamo puntualizzare che i modelli matematici devono avere una tolleranza minima. Verifichiamo se è il
caso di intensificare i dati dei monitoraggi. I dati di monitoraggio, devono arrivare in tempo reale e non dopo
mesi. FIAT e CAVET devono provvedere con tempestività”.
Questo, Trezzini.
Stessi concetti ribaditi nel settembre '99, in un articolo pubblicato sulla rivista Net dell'ARPAT, laddove il
responsabile Piero Biancalani scrive, a proposito dei problemi insorti nell'ambito delle acque sotterranee:
"Nel modello utilizzato per definire la fascia d'influenza delle gallerie si sono assunte in partenza condizioni di
omogeneità ed isotropia del mezzo assolutamente lontane dalla realtà, comportando errori di valutazione
dell'effettiva estensione della fascia d'influenza dell'escavazione. Su tali "ipotesi" si è basata anche la
definizione preventiva dei codici di scavo e quindi delle sezioni tipo da utilizzare nei differenti tratti, nonché la
stima del drenaggio stesso, con ripercussioni sul valore reale dell'abbassamento del livello piezometrico. Il
monitoraggio idrogeologico che è stato predisposto è in grado di segnalare situazioni critiche solo quando
queste sono in qualche modo già in atto e di concedere, perciò, tempi assai ridotti per gli interventi di
emergenza tali da renderne spesso molto limitata l'efficacia. Inoltre, il piano di monitoraggio era stato
impostato sulla importanza socio-economica dell'acquifero, e non risulta collegato con uno studio che si
ponga degli obiettivi più generali di tutela della risorsa idrica sotterranea, sia in fase di costruzione che in
fase di esercizio" (Net, n. 12, settembre 1999) (pg. 200232).

Ed allora vediamo che anche in corso d’opera - nonostante fossero ormai chiari, noti, non solo
conoscibili, ma addirittura conosciuti i danni che si andranno a provocare - non si fa niente per porvi
rimedio.
Ricordiamo al riguardo dei danni alle sorgenti che approvvigionavano le frazioni di Luco di Mugello e di
Grezzano, nel Comune di Borgo S. Lorenzo, che gli imputati, nonostante l'OAL avesse previsto ed ammonito
degli eventi, non si sono affatto preoccupati di prevenire.
Ecco cosa risulta aver scritto il prof. Giuliano Rodolfi il 18.1.'00 (pg. 200251) a un nutrito elenco di destinatari
(fra cui il sindaco di Borgo San Lorenzo, il presidente della Comunità Montana del Mugello, il rappresentante
della Regione Toscana nell'Osservatorio Ambientale Nazionale, i sindaci di Vaglia, San Piero a Sieve,
Scarperia e Firenzuola, e per conoscenza il CONSIAG e l'ARPAT):
"I lavori per la realizzazione della tratta appenninica della Ferrovia AV stanno sempre più pesantemente
interessando le risorse idriche (superficiali e profonde) del bacino della Sieve (territori dei Comuni di Vaglia,
San Piero a Sieve, Scarperia, Borgo San Lorenzo), e dell'adiacente bacino del Santerno (Comune di
Firenzuola). Del progressivo aggravarsi della situazione sono testimoni le segnalazioni che provengono a
questo Osservatorio sia dalle suddette Amministrazioni Comunali che da singoli cittadini.
Oltre a episodi di una certa gravità, come il recente sprofondamento verificatosi in località Il Grillo,
conseguente al drenaggio di acque sotterranee intercettate nel corso dello scavo della galleria di Firenzuola,
si lamentano casi di diminuzione di portata o, addirittura, di sparizione più o meno improvvisa di sorgenti
prossime agli scavi. In alcuni casi si segnalano sensibili alterazioni, sempre in senso negativo, nelle portate
dei corsi d'acqua superficiali.
È certo che i tratti di galleria finora scavati hanno intercettato acquiferi produttivi liberando volumi d'acqua
molto superiori alle previsioni di progetto, dimostrando la relativa attendibilità delle indagini idrogeologiche
ante operam. D'altro canto, risulta particolarmente difficile, in carenza di dati, stabilire relazioni di causa-
effetto fra le acque drenate e i fenomeni riscontrati; si può solo, al momento, parlare di "rischio generico" per
le acque, senza nessuna possibilità di quantificare il fenomeno. Anche la ricerca di eventuali
approvvigionamenti alternativi è tutt'altro che basata su di un piano organico d'indagini.
Nell'ineluttabile prospettiva di un avanzamento dei lavori, che comporterà maggiori volumi di acque
intercettate, l'adozione di criteri realmente scientifici non può essere ulteriormente procrastinata. Considerato
che, in ogni caso, le opere progettate incideranno negativamente sulla qualità e sulla quantità delle risorse
idriche disponibili sia per usi civili che industriali o agricoli, è indispensabile la messa a punto di un oculato
sistema di gestione.
Il primo passo, che avrebbe dovuto essere compiuto, con il dovuto rigore, all'indomani dell'approvazione
dell'opera è, e rimane, un attento quanto assiduo monitoraggio delle acque sotterranee e superficiali. E'
anche vero che i dati raccolti in due o tre anni di osservazione non sarebbero stati statisticamente
significativi, ma avrebbero comunque, e non poco, aiutato a capire la dinamica degli acquiferi e a porre in
relazione la loro variabilità con quella degli afflussi meteorici.
Purtroppo, siamo nelle condizioni di usare, nella quantificazione dei parametri idrologici, gli aggettivi o gli
avverbi al posto dei numeri, o a rifarsi alle testimonianze di qualche vecchio idraulico di qualsiasi comune o
del solito anziano mezzadro. In queste condizioni, se è già difficile stimare un danno presunto alle risorse
finora disponibili, figuriamoci quanto lo sia quantificare eventuali forme alternative di approvvigionamento.
Certo, in situazioni d'emergenza, come quella che stiamo vivendo, qualunque dato, anche se riferito ad un
solo anno di osservazioni, avrebbe fatto comodo; ma quale livello di attendibilità attribuirgli? L'esecutore (o il
progettista, o il tutore) dei lavori AV ha eseguito il monitoraggio di sorgenti, piezometri o pozzi significativi con
mezzi adeguati e con frequenza accettabile? A questo proposito, quale deduzione sulla dinamica di una
falda idrica o di una sorgente può essere azzardata sulla base di verifiche solo trimestrali, come quelle che
risultano essere state effettuate, o anche mensili, qualora si tratti di punti particolarmente significativi?
Per sommi capi, una nuova indagine, sia pure tardiva, dovrebbe almeno prevedere:
- la verifica della funzionalità dei piezometri e dei pozzi esistenti,
- la posa in opera di nuovi piezometri sia nei tratti più problematici, che in quelli ancora non esplorati;
- l'allestimento delle sorgenti più significative mediante stramazzi tarati o, comunque, di qualsiasi
apparato che consenta rapide misure di portata (per "sorgenti significative" non si devono intendere solo
quelle che alimentano le utenze più numerose o importanti, ma anche quelle minori, che possono fornire
più utili informazioni sulla circolazione sotterranea);
- l'adozione di una frequenza almeno quindicinale nelle verifiche;
- la tempestiva comunicazione dei dati alle Amministrazioni competenti per territorio e agli Organi
preposti alla tutela ambientale".

Questo il chiaro quadro a tre anni dall’inizio dei lavori, ma non si cambia.

Per capire il clima si rimanda al Consiglio Comunale aperto del 22.2.00 a Luco di Mugello nel corso del
quale quasi si accetta un destino annunciato: dopo le sorgenti seccate a Castelvecchio e a Marzano, il
tunnel TAV si avvicina pericolosamente a quelle di Case d'Erci, di cui come detto il geologo presidente
dell'Osservatorio Ambientale Locale del Mugello, prof. Giuliano Rodolfi, e il responsabile ambiente del
CONSIAG, Filippo Landini, annunciano che sono da considerare ormai "condannate".
A chi chiedeva di cercare altre possibili fonti pulite di approvvigionamento, il rappresentante del CONSIAG
replicava che purtroppo c'era poco da fare in quella direzione: fino ad almeno 2 o 3 km sia destra sia sinistra
del tunnel l'impatto sulla falda può rendere non più disponibile l'acqua attualmente esistente: inutile cercare lì
altre sorgenti, che potrebbero anch'esse sparire.
E CAVET? Che fa? Niente. Non si ferma.
Nella sua comunicazione alla VI Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e Ambiente",
avvenuta il 20.7.'00 (ALLEGATO 29), l'assessore all'Ambiente della Regione Toscana Tommaso Franci
riferisce alcuni particolari importanti a proposito dell'intercettazione nel marzo 2000 delle sorgenti di Casa
d'Erci, destinate all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco e Grezzano.
"Il 14 marzo l'Osservatorio prescriveva (con nota indirizzata a TAV, Italferr, FIAT e CAVET) i monitoraggi da
svolgere, accogliendo anche le specifiche proposte dell'ARPAT. In particolare confermava la progressiva
54+100 quale limite massimo di scavo in attesa di ulteriori elementi conoscitivi. A conclusione della stessa
nota veniva infine comunicato: "Nella giornata odierna è giunta comunicazione, da parte del Supporto
Tecnico, in merito al riscontro di una venuta d'acqua stimabile in circa 9 l/sec., al fronte della galleria in
argomento. Tale accadimento, in relazione all'ormai prossimo raggiungimento della progressiva di probabile
inizio drenaggio, fa ritenere che la sospensione dei lavori di scavo debba essere immediata, che debbano
essere avviati e conclusi nel più breve tempo possibile gli approfondimenti di cui sopra e che in merito alla
prosecuzione l'Osservatorio esaminerà gli esiti delle attività richieste, non appena disponibili".
Sulla base dei sopralluoghi effettuati dall'ARPAT il 14 marzo i lavori di scavo avevano raggiunto la
progressiva 54+112 (si tenga presente che con l'avanzamento verso Bologna la progressiva è decrescente).
I lavori risultano essere proseguiti per ulteriori 1-2 giorni fino al raggiungimento della progressiva 54+102. In
tale periodo si è incrementata la venuta di acqua al fronte della galleria fino a raggiungere 16 l/sec.
Quasi contemporaneamente ha iniziato a manifestarsi un decremento consistente delle portate delle sorgenti
Casa d'Erci 1 e Casa d'Erci 2 destinate all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco e
Grezzano, tanto che, in data 26.3.2000, è stata attivata l'integrazione degli approvvigionamenti mediante
autocisterne".
Come volevasi dimostrare.
Ma non si farà nulla neanche per altre importanti sorgenti, come La Rocca che serve il capoluogo di
Scarperia.
Nonostante ciò non ci si ferma. Si va avanti.
Lo stesso per il cantiere di San Giorgio, dove si verifica una serie di sprofondamenti di terreni agricoli,
l'ultimo dei quali di ben 7 metri a 70 metri di distanza dal fronte di scavo.
La domanda è sempre quella. Perché non fermarsi già dall'estate del 1998 quando era evidente il
fallimento del progetto in corso d’esecuzione dopo che si erano registrate conseguenze analoghe
della cantierizzazione TAV a Castelvecchio, nel Comune di Firenzuola?
Ed allora come si fa a sostenere l’imprevedibilità dell’accaduto?
Ciò che è accaduto era non solo prevedibile, ma in concreto previsto [ ...] . Ed allora se era
prevedibile e previsto ciò che è accaduto, perché non sarebbe esigibile che si fosse operato
diversamente? Dunque prevedibile, previsto e comunque accettato ed infine, dunque, voluto.
Comunque sicuramente accettato da quando si sono manifestati gli eventi di Castelvecchio e dal
quel momento chiaramente voluto.
L’assunto è confermato dal Documento del 2.8.'00 prodotto dall'Osservatorio Ambientale Nazionale. Vi si
leggono espressioni come "le sorgenti Badia di Moscheta e Felciaione sono destinate ad essere prosciugate
dal drenaggio della galleria Firenzuola e della Finestra Osteto (…) La sorgente Badia di Moscheta ha un
notevole interesse dal punto di vista turistico-ambientale; infatti si tratta di una captazione fatta dai monaci di
Moscheta e si trova nel cortile della Badia, meta di numerosi turisti. La sorgente potrebbe essere impattata a
partire dall'agosto 2001 (…) La Galleria Firenzuola dalla finestra Rovigo verso sud drena attualmente circa
200 l/s".
Ormai la fine è nota. Impattata anche Moscheta.

Ed allora come concludere?


a) CAVET doveva e poteva conoscere i danni ambientali che avrebbe provocato con la sua condotta ed in
parte già li conosceva, ma non se ne cura.
b) In ogni caso ne è chiaramente edotta appena iniziano le opere di scavo e si provocano i primi impatti
asseritamente non previsti.
c) Volontariamente e consapevolmente CAVET prosegue nell’attuazione del suo programma conoscendone
perfettamente gli effetti.
d) Alla proteste dei danneggiati, degli enti locali, degli ambientalisti, si sottrae negando i fatti, le proprie
responsabilità o garantendo che tutto sarebbe tornato come prima.
Il punto a) prova il dolo eventuale.
I punti b) e c) sono sufficienti a dimostrare il dolo diretto degli eventi provocati.
Il punto d) prova la consapevolezza e la malafede per sottrarsi alle conseguenze dei danni provocati.

Associazione di volontariato Idra


iscritta al Registro Regionale del Volontariato della Toscana per la promozione e la tutela del patrimonio
ambientale e culturale
e-mail idrafir@tin.it web http://associazioni.comune.fi.it/idra/inizio.html

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