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INEDITI DAUTORE

Marco Malvaldi Sol levante e pioggia battente

Io non sono esattamente quel che si dice un viaggiatore nato. Per me, il concetto di relax si abbina con una casa vuota, un divano comodo (non troppo lontano dal frigorifero), un bel libro e una carabina di precisione con cui stecchire gli eventuali rompiscatole di passaggio. Ci nonostante, la ragazza che qualche tempo fa commise il grossolano errore di sposarmi una persona inquieta di natura e amante dellimprevisto e dello sconosciuto (purch lontano da casa); per cui, quando la suddetta ragazza comincia a fantasticare di mete lontane e a fermarsi uggiolando davanti a tutte le vetrine di agenzie di viaggi che incontra, spesso sono costretto a capitolare. Questo non significa che una volta in viaggio non mi diverta. Al contrario, una volta fuori casa non tornerei pi (talvolta, se sono partito con mia moglie, tornerei volentieri da solo). Dei non molti paesi in cui sono stato, sono due quelli che mi ricordo in modo particolare: lOlanda e il Giappone. Sono due nazioni in cui vale la pena andare, e in entrambe mi sono trovato veramente a mio agio. Cosa rara, questa di trovarmi a mio agio, dato che sono schizzinoso, amante delle comodit e abitudinario come un prete in pensione. strano, nella fattispecie, che mi sia trovato bene in entrambi, perch questi due paesi sono letteralmente luno il contrario dellaltro. La prima, enorme differenza che il viaggiatore coglie tra Olanda e Giappone sta nel modo di comportarsi degli abitanti. I sudditi della regina Beatrice, infatti, sono spontanei in modo imbarazzante. Se non sapete cosa fare la sera, potete tranquillamente andare in un pub da soli, ordinare una birra (een beertje, alstublift) e sedervi al bancone. Non passeranno trenta secondi che uno dei vostri vicini di sgabello, incuriosito dal semplice fatto di non avervi mai visto, attaccher bottone con voi incurante di qualsiasi differenza di et, sesso, ceto sociale (peraltro difficile da distinguere, come vedremo in seguito) o grado di alcolemia. Se nessuno siede accanto a voi, ci penser il personale dietro al bancone a cominciare a farsi gli affari vostri. Potrebbe anche capitarvi, come successo a me in un bar, che il barista noti la fede che portate al dito e vi chieda: Sei sposato?, e ottenuta risposta affermativa vi informi in tono neutro: Peccato. Mi piacevi proprio. Questa spontaneit di comportamento ha anche degli aspetti negativi, bisogna riconoscerlo. Se andate al cinema in Olanda, apprezzerete moltissimo laspetto della sala (di solito sono dei bar o delle sale da t molto spaziose, con tre o quattro salette di proiezione), apprezzerete il fatto che diano film in lingua originale e apprezzerete lottima e ampia scelta della programmazione. Il film in quanto tale, no. Non vi sar possibile, perch le persone in sala arriveranno tranquillamente a film iniziato da venti minuti, e gli spettatori gi seduti smetteranno di commentare il film con i loro cugini (seduti solitamente dieci file avanti) e si alzeranno per salutarli e scambiare due chiacchiere a voce non troppo bassa, senn gli altri spettatori non sentirebbero e, soprattutto, il fastidioso brusio delle voci degli attori coprirebbe il tutto. I film, va detto, sono in lingua originale e quindi hanno i sottotitoli. Ma non stato lamore per la filologia a dettarne luso; piuttosto, dato il modo di comportarsi

della gente, ritengo siano stati suggeriti da motivi pratici, come permettere di seguire il film a quei tre o quattro olandesi che ancora vanno al cinema per questo. Daltro canto, i fedeli dellimperatore Akihito sono tutto tranne che spontanei. Il galateo giapponese inviluppato e contorto come un vecchio ulivo, e lattenzione che il nipponico vi ripone maniacale. Tanto per darvi unidea, supponiamo che voglia usare, nella vostra conversazione con un giapponese, il verbo andare. Se state parlando con un vostro amico di lunga data, non c problema: potete usare il verbo andare nella forma piana, e dire iku . Se per state parlando, in un discorso informale, con una persona che conoscete pur senza avere eccessiva confidenza, regola vuole che usiate la forma gentile, ovvero ikimasu . Se, invece, in un momento di puro masochismo, state parlando con un giapponese in ambito lavorativo, e questa persone pi importante di voi o vostro pari grado, dovrete far attenzione: sar infatti necessario che vi riferiate al fatto che il vostro splendido interlocutore vada da qualche parte usando la forma onorifica (irasshaimasu ), mentre se dovete fare riferimento alla vostra insignificante persona sar il caso di usare la forma umile (marimasu ). Detto questo, comincia ad apparire chiaro per quale motivo i giapponesi, una volta usciti dal lavoro, spesso si danno allalcol. Inoltre, essendo un mondo lontano dal nostro, le regole sono molto diverse, e questo espone il malcapitato straniero (gaijin ) a una vasta pletora di possibili quanto inimmaginabili figuracce. Un esempio? Mangiare i tagliolini facendo rumore di turbina non maleducato, ma soffiarsi il naso in pubblico s. Un altro? Se andate a cena tutti insieme in un ristorante dopo il lavoro (cio tardi), dovrete togliervi le scarpe per non rovinare il tatami. Nessuno noter se i vostri piedi dopo dieci-dodici appaganti ore di lavoro puzzano di sgombro, ma guai se non vi uniformate a quello che i vostro compagni decidono di ordinare e volete fare di testa vostra (magari perch il pesce e il cuore di bovino crudo vi fanno comprensibilmente senso). Ma ogni medaglia ha il suo rovescio, come scopre ogni persona a cui muore la suocera quando si rivolgono a lui per le spese del funerale. Allo stesso modo, il complesso intersecarsi delle regole di comportamento nipponiche ha come conseguenza che i giapponesi, in media e singolarmente, sfoggiano una cortesia che sfiora linumano, e per un turista questo ha la sua importanza. Anche qui, un esempio sar daiuto. Una delle esperienze pi comuni che vi capiteranno se vi avventurerete in una citt del Sol Levante quella di chiedere a un passante se conosce la strada per arrivare in un dato posto che vi interessa. Linoffensivo nipponico al quale vi rivolgerete, una volta capito che vi state rivolgendo proprio a lui per una informazione, si mostrer visibilmente emozionato. Lemozione pu avere le seguenti ragioni: a) Lindigeno entusiasta di potervi dare una mano e onorato che degli stranieri si siano rivolti a una persona cos comune come lui per avere una informazione vitale, e arde dal desiderio di aiutarvi. Il nostro si prodigher quindi in spiegazioni dettagliatissime su come giungere alla meta agognata e si adoperer affinch dobbiate fare la minor fatica possibile per arrivarci; se

necessario che prendiate la metro, oltre che spiegarvi dove prenderla e a quale linea scendere, non raro che vi dia personalmente il biglietto, se ne ha uno in tasca, e senza ovviamente volere niente in cambio. b) Il nativo parla solo il giapponese e le uniche parole inglesi che in grado di articolare, seppure distorcendole oltre i limiti del comprensibile, sono computer e Beckham. Pur essendo ansioso di aiutarvi, non purtroppo in grado di capire una mazza di quanto state dicendo, n di fornirvi informazioni a voce. A questo punto, nellimpossibilit di comunicare con voi per via linguistica, al vostro interlocutore sembrer naturale accompagnarvi personalmente nel posto in cui desiderate andare. Se questo dovesse comportare il fatto di prendere treni o autobus per raggiungere la meta, la cosa non lo distoglier minimamente dal suo compito. So che pu risultare difficile da credere, ma vi assicuro che non sto scherzando. c) Lautoctono, pur essendo nato nella citt in cui vi trovate e nella quale vive da quarantanni, non ha capito a che luogo vi state riferendo o, se lo ha capito, non ha pi pallida idea di dove cacchio sia. (Anche questa eventualit non affatto rara, credetemi. Al mio arrivo a Kyoto mi sono ritrovato dentro un taxi il cui conducente ignorava dove fossero sia il mio albergo, sia la strada in cui era situato. Ci abbiamo messo quasi mezzora per trovarlo, e sospetto che il tassista si sia licenziato subito dopo per il disonore.) Questo non lo scoraggia, in quanto vi siete rivolti a lui per essere aiutati e per questo suo preciso dovere farsi carico del vostro destino; quindi incomincer a fermare sistematicamente i passanti da lui ritenuti dallaspetto degno di fiducia e a chiedere lumi a sua volta. Tale tecnica pu dare luogo a curiosi capannelli animati che, in altri tempi e in altri paesi, sarebbero stati riconosciuti come adunata sediziosa e sciolti con la forza; ci nondimeno, prima o poi troverete qualcuno che sa dove dovete andare e che in grado di spiegarvelo, o di accompagnarvi. A proposito: poco sopra ho accennato al fatto che trovare un giapponese che parla inglese raro. Questo evidenzia unaltra sostanziale differenza tra gli abitanti del paese dei tulipani e i simpatici ragazzi con gli occhi a mandorla: la confidenza con una lingua straniera. Sar labitudine a vedere film in lingua originale, ma in Olanda anche la vecchietta del negozio di v erdura in grado di parlare un buon inglese, e quasi chiunque sotto i quarantanni lo parla correntemente. A ben vedere, c forse un altro motivo allorigine della facilit degli oranje di apprendere altre lingue, ed nientaltro che la lingua nederlandese medesima. Questo idioma, che sembra un misto tra linglese e il tedesco con lobbligo di raddoppiare tutte le vocali, talmente incasinato che per parlarlo necessario sviluppare capacit linguistiche superiori. In primo luogo, i suoni; ce ne sono alcuni che, seppur strani, con qualche sforzo sono alla portata di tutti, come la sillaba ui. Impossibile da rappresentare con lalfabeto fonetico, questa sillaba, presente ad esempio in parole come ui (cipolla), huis (casa) e Cruijff (Cruijff), ha un suono che ricorda vagamente il rumore che faceva Pac Man quando ingurgitava un punto, ma con un po desercizio

si arriva a padroneggiarla. Altri suoni, come la g di gratis (gratis, parola molto cara agli olandesi), sembrano pi la conseguenza di una tracheotomia che un suono volontario, e non sono alla portata di un mediterraneo senza rischiare serie conseguenze fisiche allapparato fonatorio. Le regole grammaticali non sono da meno. Ci sono, ad esempio, verbi costituiti da due parti che si comportano come parentesi: una delle due va allinizio della frase e laltra in fondo, in modo da racchiudere lazione a cui si fa riferimento. Ma soprattutto, dette regole grammaticali non sono costanti nel tempo. Normale, direte voi: qualsiasi lingua si evolve e cambia in modo naturale, a seguito dellinserimento di vocaboli nuovi, della sostantivizzazione dei nomi propri e del trasformarsi di sostantivi in verbi. Questa evoluzione sarebbe normale: quindi, per la cultura olandese, banale per non dire sospetta. Siccome i cari pennelloni dOrange amano distinguersi, e in particolare amano che la loro lingua sia il pi possibile diversa dalle altre lingue europee (ivi compreso il tedesco, che ha la somiglianza pi marcata), le regole della lingua olandese vengono esaminate e cambiate da una specifica commissione che si riunisce ogni cinque anni. Tutto passibile di una rinfrescata, persino lortografia: un esempio la cara vecchia padella, che veniva individuata dalla parola pannenkoeken fino al 2000, quando per fortuna stata depauperata di una pericolosissima lettera n e trasformata dagli attenti censori in pannekoeken . Un bel risparmio, non c che dire. In confronto, la lingua giapponese rassicurante. Le parole sono suddivise in sillabe, la cui pronuncia fissa (con pochissime eccezioni) e non richiede per un italiano nessuno sforzo fonetico, a eccezione della sillaba fu , quella per intenderci di futon (materasso) e fugu (pesce palla, le cui carni disgustose e talvolta tossiche sono amate dai giapponesi per motivi poco chiari), che viene pronunciata con un suono a met tra fu e hu. Non star qui a tediarvi con i vari metodi di scrittura del giapponese, quello sillabico (hiragana/katagana ) e quello per ideogrammi (kanji), limitandomi a rendervi edotti che il sistema per ideogrammi talmente complicato che gli stessi giapponesi ci si orientano male. Per dare unidea, ho dei fumetti in cui, accanto a quasi ogni carattere kanji, compare la traduzione sillabica in hiragana , segno evidente che senza laiutino anche il nipponico originale ci si perderebbe. La costruzione della frase estremamente logica, e costa sforzo solo se si vogliono usare frasi molto lunghe. Dico se si vogliono perch i giapponesi medesimi le evitano e preferiscono spezzettare una frase lunga in tante brevi. Inoltre, vige la regola che se una parola inutile ai sensi della comprensione del discorso, questa deve essere eliminata. Dallapplicazione di queste regole, purtroppo, viene fuori che i giapponesi parlano velocissimamente, il che rappresenta uno dei problemi nel padroneggiare questa lingua: quando dicono qualcosa mediamente non si capisce nulla. Un altro possibile problema rappresentato dalla cadenza: il giapponese parlato ha un ritmo serrato, preciso, e la conclusione di ogni frase pronunciata aumentando lievemente il tono della voce e scandendo con maggior forza le sillabe. Per cui, quando qualcuno vi parla, che sia una gentile commessa dei grandi magazzini o un tassista che vi

chiede dove volete andare, avrete sempre la vaga sensazione di trovarvi di fronte a un sergente. Questa lingua, comunque, ha una notevole fantasia nel coniare parole che definiscono determinate situazioni, contrariamente al nederlandese, nel quale la spiccata musicalit del popolo si limita a favorire la creazione di graziose onomatopee, come plimplemplotteln (il gioco che consiste nel tirare sassi piatti su uno stagno, o pi probabilmente un canale, per farli rimbalzare). La fantasia giapponese invece in grado di riconoscere e classificare, con parole corte e immediate sensazioni, stati danimo e situazioni di ogni genere, come spiga lesistenza di parole come aware (apprezzare qualcosa di effimero), yoin (il ricordo di qualcosa di bello che continua anche dopo che lo stimolo svanito, yugen (consapevolezza delluniverso indescrivibile a parole) e ichigo-ichi (letteralmente a uno a uno, significa essere in grado di far tesoro di ogni momento apprezzandolo pienamente senza far caso al fatto che sia bello o brutto). Inoltre, da fumettari incalliti, i giapponesi hanno le onomatopee non solo per i rumori, ma anche per le sensazioni (harahara il rumorino di chi viene colto sul fatto mentre fa qualcosa di sbagliato). Non tutti i vocaboli per sono cos poetici: ce ne sono parecchi ispirati, pi che da sensazioni, da situazioni che si immaginano ripetersi frequentemente, e dei quali si sentiva evidentemente il bisogno, come karoshi (morte da superlavoro), kakekomijosha (laffrettarsi per montare sulla metropolitana mentre le porte si stanno chiudendo), bakkushan (una donna che sembra bella vista da dietro, ma che quando si volta sembra Gattuso), per finire con linquietante truji-giri (provare la spada nuova su un passante). Tuttavia, la fantasia che i batavi non usano nelle parole di uso comune viene riversata in massa nei cognomi; luso di nomi di famiglia, infatti, in Olanda piuttosto recente, e fino alla fine del Settecento le persone erano individuate da patronimici (Jan van Peeter; Jan figlio di Peeter), da toponimi (Jan van Dijk; Jan della diga, uno dei cognomi pi comuni), o da entrambi (Rembrandt Harmenszoon van Rijn : Rembrandt figlio di Harmen che vive vicino al Reno). La registrazione obbligatoria del cognome stata introdotta solo nel 1811 per volont dell empereur Napoleone Bonaparte, giustamente preoccupato che il sistema patronimico in voga fino a quel momento potesse creare confusione fra i sudditi, o meglio, fra i contribuenti. A questa costrizione, gli olandesi risposero con insolente allegria, assegnandosi spesso nomi veramente improponibili, come Nachtgebooren (Nato nudo), Gehilvoet (Piede selvaggio), Slettenhaar (Capelli di troia) o Klootzak (Borsa dei coglioni). Anche in Giappone limposizione del cognome avvenuta in pieno Ottocento e aveva ragioni puramente pratiche: fino a tutto il diciannovesimo secolo era usuale, per un giapponese, avere pi nomi da usare nelle differenti occasioni (tra amici, in veste ufficiale, come poeta, quando viene la suocera, ecc.), e cera addirittura lusanza di chiamare una persona con due nomi diversi a seconda che fosse viva o

morta. Un po come da noi, quando si vedono i manifesti a morto di un compaesano con tanto di soprannome scritto sotto, e si scopre che il vero nome di Dieci alle Due (cos detto per i piedi a papera) era in realt Agenore. I cognomi giapponesi, in confronto, sono ben pi poetici di quelli olandesi, e sovente ricordano elementi della natura, come Yamamoto (pendici del vulcano), o Inoue (ai bordi del pozzo); ma, anche qui, a fantasia non si scherza. I diversi nomi di famiglia sono pi di centomila, il che fa impressione se paragonati ai duecentocinquanta in uso in Corea o ai quattrocento cinesi. Questo gran numero viene dal fatto che, come si diceva, i cognomi in Giappone sono stati introdotti solo nel corso della restaurazione Meji, ovvero intorno al 1870, e fino a quel momento la plebe non aveva un cognome: molti, obbligati, se ne sceglievano uno a caso, oppure se lo facevano scegliere da un monaco di fiducia, oppure combinavano due ideogrammi a caso. Purtroppo, dato che i kanji non hanno pronuncia e significato univoco, capita piuttosto spesso che il nome della persona, specie se poco comune, venga letto male e generi pesanti malintesi. Un episodio piuttosto noto quello che riguarda il matematico Yutaka Taniyama, lautore della congettura di Taniyama-Shimura, che per chi non lo sapesse (la maggioranza, credo) il punto nodale della dimostrazione del teorema di Fermat elaborato da Andrei Wiles nel 1995. il buon Taniyama scelse di cambiare il proprio nome Yutaka perch la maggior parte della gente, sbagliando, lo leggeva cos: lui, in realt, di nome si chiamava Toyo. Che fosse loriginale o quello mutato, limportante era scegliere: oggi, infatti, le uniche persone che vengono individuate dal solo nome di battesimo, e non possiedono cognome, sono i membri della famiglia imperiale. Limperatore Ahikito Akihito, e tanto basta. Abbiamo accennato al fatto che i giapponesi, appena usciti dal lavoro, si danno allalcol. Entrambi i popoli di cui stiamo parlando, infatti, pur avendo diverse concezioni religiose, ritengono opportuno adorare il dio Bacco in modo coscienzioso, assiduo e soprattutto sincero. Entrambi, poi, hanno adottato da tempo la birra come principale ingrediente del rito. Tuttavia, anche in questo caso, le innate differenze tra i due popoli si manifestano; non nei momenti in cui lecito bere (Mai durante la giornata lavorativa, spesso quando il lavoro finito, e nei weekend si esce di casa con limbuto), ma per le conseguenze sociali che pu comportare. In Olanda si pu bere sul luogo di lavoro, a patto che non si lavori: i simpatici compatrioti di Van Basten amano sottolineare ogni evento degno di nota con improvvisati festini (borrel), nei quali si trinca liberamente finch ce n. Il sottoscritto conserva ancora una vivida memoria delle gare di rutti promosse dal circolo studentesco Bernoulli (alquanto appropriatamente prendeva il nome dal padre dellaerodinamica), che animavano il dipartimento di Ingegneria chimica delluniversit di Groningen in seguito alle lauree per tutto il pomeriggio, dalle quattro in poi.

In Giappone, invece, non appena usciti dallufficio ci si fionda in uno dei bar da impiegati (tachinomiya ) e si incomincia a tracannare parlando del pi (lavoro) e del meno (tempo libero): questo, sempre che non si faccia parte di quella sfortunata percentuale di persone, circa il quaranta per cento, che non in grado di metabolizzare lalcol a causa della mancanza di un particolare enzima, lalcoldeidrogenasi. Va detto che il restante sessanta per cento accetta volentieri la responsabilit di tenere alto il fatturato delle fabbriche nazionali di birra, e con impegno e dedizione tutti nipponici si fa carico pi che onorevolmente della situazione. Di fronte a una bella birrozza (nama biiru, onegai shimasu ), le cravatte si allentano, i freni inibitori scompaiono, le convenzioni sociali vengono ridimensionate e il diurno e rispettoso riferimento lonorevole signor caporeparto Tanaka lascia il posto a un serale e genuino quello stronzo del caporeparto. E se uno si ubriaca (o, meglio, quando uno si ubriaca), cosa succede? Lamore giapponese per la logica non viene meno neppure in questo caso. Quando uno ubriaco, dice la logica, non totalmente responsabile delle sue azioni: per questo, se siete ubriachi, potete f are impunemente e senza incorrere in disapprovazione cose che, se fatte da sobri, vi costerebbero la reputazione, il posto e talvolta la libert. Non potete assolutamente mettervi a pisciare contro un muro per strada, o addormentarvi sul marciapiede se siete sobri, ad esempio; ma se siete ubriachi, la cosa cambia. Attenzione, per: una cosa che non potete fare assolutamente da ubriachi, da qualche anno a questa parte, guidare. In passato, ci sono stati molti incidenti fatali causati da guidatori ubriachi, tanto che a un certo punto il governo ha deciso per un vero e proprio giro di vite. In Giappone pertanto considerato reato non solo guidare ubriachi, ma anche farsi trovare a bordo di unauto condotta da un guidatore alticcio. In quel momento, per la legge, siete responsabili sia che guidiate con qualche birra in corpo, sia che permettiate a qualcun altro di farlo in vostra presenza. Poich il bere spesso accompagnato al cibo, non si pu ignorare la buona tavola dei due paesi. E qui, per un italiano cresciuto a variet di sapori mediterranei, la differenza si fa eclatante e se uno si trova in Olanda dolorosa. Perch se fino a adesso, diciamoci la verit, nel confronto i tulipani prevalgono sui crisantemi, qui il discorso cambia di brutto. Perch la cucina giapponese, per il turista che ha il coraggio di lanciarsi, pu essere unesperienza straordinaria: a partire dalle tempura (deliziosi ed eterei fritti di pesce e verdure, che devono il loro nome ai marinai portoghesi e allobbligo di mangiare pesce nel tempo, o tempora, di quaresima), per continuare con gli yakitori (spiedini di carne e verdure che si comprano in apposite microtaverne a gestione familiare; se il padrone sobrio non entrate, un postaccio), o con gli spiedini di riso alla salsa di arachidi (non ricordo come si chiamino e ho fatto il furbo fino a ora con i nomi, non mi sembra il caso di insistere), e altro ancora. Tutto questo tralasciando lalta cucina di Kyoro e zone limitrofe, o kaiseki-ryoory, o i piatti a base di pesce crudo come il sushi o il sashimi che o piacciono o non piacciono. Certo, essendo una cucina lontana, a base di materie prime molto diverse dalle nostre, a volte le propriet organolettiche di queste ultime possono risultare difficili

da gestire: dopo aver assaggiato i famosi dolci di castagne di Obuse, e aver concluso che devono essere fatti con i gusci, oppure dopo aver assaggiato per sbaglio a colazione una scodella di fagioli di soia fermentati scambiandoli, come ha fatto mia moglie, per arachidi al miele e guadagnandosi una bella crisi di vomito sulla terrazza panoramica dellalbergo, potreste decidere che certi gusti non fanno per voi, e non vi si potrebbe dare torto. Daltra parte, chi di voi ha gi viaggiato o soggiornato in Olanda ha probabilmente un ricordo legato al cibo di struggente nostalgia: quello del momento in cui ha rimesso piede sul suolo italiano ed andato a farsi una pizza. Perch in Olanda ci sono due alternative: si pu mangiare male, oppure si pu digiunare. Il motivo per cui questo accade in realt molteplice. Da una parte, ci sono le materie prime: se uno va al supermercato ha a disposizione, ad esempio, una vastissima variet di acqua. C acqua a forma di pomodori, acqua a forma di zucchine, acqua a forma di cipolla, e via dicendo. Per pu consolarsi con una vastissima scelta di zuppe pronte, patatine, salatini, crocchette prefritte (poi vanno rifritte) e via dicendo; conservo ancora gelosamente linvolucro di un pacchetto di noccioline pastellate e fritte, per chiunque non mi credesse. Laltro motivo va ricercato nelle limitate tecniche di cottura note ai cuochi olandesi, che invariabilmente tramano una zuppa o una frittura, qualsiasi sia la materia prima di partenza. Che, solitamente, una patata. In molti ristoranti, ad esempio, le patatine fritte vi vengono servite incluse nel coperto, al posto del pane, mentre vi apprestate a degustare una bella stampot (pur di patate con crauti, indivia e salsicce affumicate). Insomma, quando sono arrivato in Olanda la prima volta sono rimasto stupito nello scoprire che gli olandesi pranzano abitualmente a mezzogiorno e cenano alle cinque e mezzo del pomeriggio. Dopo poco tempo ho concluso che fanno cos per levarsi il pensiero il prima possibile. Oltre ai pasti, ovviamente, c anche la possibilit di mangiare fuori pasto, se proprio ci tenete. Qui per il discorso si fa pi interessante, perch i Paesi Brevilinei offrono alcuni snack da strada notevoli, o se non altro curiosi. Il pi caratteristico laringa cruda (hollandse nieuwe), coperta di pezzettini di cipolla, da ingurgitare in un solo boccone a uno dei tanti banchetti che punteggiano i mercatini del sabato. Il pi soddisfacente, per me, sono le patatine fritte a forma di grossi bastoncelli (vlaamse frites) che si comprano dagli ambulanti. Il pi inquietante rappresentato senza dubbio dalla eierball, che si pu degustare dopo averla presa da uno dei tanti distributori automatici disseminati in ogni citt: si tratta di un uovo sodo ricoperto da una pastella a base di rafano e (come dubitarne?) fritto. Mangiare un eierball mi ha aperto nuovi orizzonti nel panorama del disgustoso. Per finire, bisogna dare unocchiata alle bevande; molti olandesi a pranzo pasteggiano a latteo, i pi impavidi a latticello (karnemelk), e amano concludere ogni pasto con un bel caff. noto che gli olandesi siano i maggiori consumatori di caff del mondo, e visto quello che mangiano la cosa non pu stupire. Il loro caff molto lungo e viene servito in una tazza grande, con il latte a parte. Ci nonostante, non una bevanda da disprezzare. Se non altro, perch significa che il pasto finito.

Come fisiologia vuole, dopo aver mangiato e bevuto prima o poi si passa da un luogo ben preciso, che lArtusi definiva luogo comodo, che gli elegantoni sono soliti chiamare toilette, e che qualche sporadico amante delle parole desuete si azzarda a nominare ritirata . Cio, il cesso. Anche qui, le differenze sono eclatanti. E anche qui, lOriente vince a mani basse. Entrare in un gabinetto giapponese unesperienza mistica. In primo luogo, se il gabinetto di casa vostra, o della vostra camera dalbergo, la prima cosa che dovete fare indossare le speciali ciabatte da toilette o, se gi avete addosso delle altre ciabatte, cambiarle: il luogo nel quale state per entrare, infatti, pulitissimo, igienicamente paragonabile a una nostra sala operatoria. La seconda cosa che probabilmente farete restare sorpresi nel vedervi di fronte, al posto della tazza del cesso, qualcosa di simile allastronave Enterprise. La tazza meccatronica, orgoglio degli ingegneri del Sol Levante, un dispositivo che unisce lidraulica del comune cesso allincredibile competenza elettronica del paese; accanto alla seduta, infatti, troverete un bracciolo simile a un cruscotto, pieno di tastini a pressione decorati da icone che vi spiegano, con esilarante efficacia, che cosa succeder premendo quel dato tasto. C la funzione bid, con scelta della direzione del getto (o dei getti) dacqua: acqua, sia ben chiaro, a temperatura impostata dallutente con precisione di mezzo grado centigrado grazie a un termostato elettronico (cos come, sia detto, termostatata la ciambella: quando vi sedete, le vostre chiappe incontrano una gradevole e preselezionata temperatura di 37, che potete comunque variare a vostro piacimento). C la funzione sciacquone semplice, quella sciacquone violento e quella maelstrom, accompagnate da disegni che a volte indicano la quantit dacqua che verr gi, altre volte invece le situazioni in seguito alle quali sono richieste: e qui, vi lascio solo immaginare le risate che si possono fare di fronte al disegno di una piccola ed elegante merda stilizzata sul pulsante di un cruscotto. C, talvolta, la funzione analisi, con relativo display: alcuni di questi cessi, infatti, sono in gradi di dirvi in tempo reale se avete qualche problema metabolico o altro, grazie a unanalisi spettroscopica delle urine al volo. Casomai uno ne avesse bisogno Le analisi, molto spesso, vi verr voglia di farle anche in Olanda: ma probabilmente tale impulso vi coglier dopo essere stati al cesso, non durante. Il luogo, tipicamente, ha una superficie di mezzo metro quadro, nella quale i solerti architetti olandesi fanno entrare tutto quanto serve. Questo tutto quanto serve non contempla mai la finestra, e raramente un aspiratore. Non mi credete? Lo capisco: non ci credevo nemmeno io. Le soluzioni sono spesso originali, ma non troppo pratiche: nella mia casa di Groningen la tazza era posizionata di fronte al lavandino, e vi andava a finire sotto, per cui ero costretto a lavarmi i denti seduto. Ma questo non certo comune: di fronte alla tazza, di solito, lolandese original posiziona un calendario, sul quale sono segnati i compleanni di tutti i suoi amici. Dimenticarsi della ricorrenza, i n Olanda, veramente offensivo, per cui il nostro pensa bene di porre questo calendario in un

luogo dove, comunque la si guardi, veramente difficile dimenticarsi di andare. Larredamento completato solitamente da una pianta, messa l presumibilmente per pura cattiveria, e da uno sciacquone il pi possibile originale. Spesso si tira lacqua con una semplice cordicella, a volte con delle maniglie messe in posti assurdi, e una volta sono stato costretto a uscire dal bagno e chiedere al mio amico Nicola dove minchia fosse lo sciacquone, perch non lo trovavo. Al che lui, sorridendo, entrato in bagno, ha afferrato il tubo di plastica che collegava la cassetta alla tazza e ha spinto in su. Splash. Questo maniacale rispetto delle norme igieniche (in Giappone) e il loro totale disprezzo (in Olanda) genera unulteriore differenza, che riguarda il mio animale preferito: il gatto. I giapponesi amano i gatti, tanto che uno dei portafortuna pi comuni nel Sol Levante un micetto sorridente, seduto e con la zampa destra alzata (Maneki-neko), che ritenuto foriero di soldi: ma, in giro, di gatti in pelliccetta e ossa se ne incontrano pochi. I pochi che si trovano stanno in strada e sono solitamente magri e macilenti, pur se in buona salute: si vede che, pur essendo un popolo che ama il pesce, i nipponici non se riservano a sufficienza per nutrire i loro mici. Comunque, sia come sia, in strada. Nei locali pubblici, in Giappone, vedere un gatto impossibile. Come avrete ormai capito, quindi, in Olanda normale. Ad Amsterdam quasi ogni bar o ristorante che si rispetti ha un gatto; un milione socievole, affettuoso e cordiale, che vi si piazza tranquillamente in grembo o che passeggia indisturbato fra i tavoli, spesso anche sui tavoli. Detto felino non un ospite occasionale, ma fa parte del personale del bar in senso stretto. Tanto per farmi capire, una volta alla porta di un bar nel Gratchengordel ho visto un cartello che diceva testualmente: Per favore, chiudete la porta quando entrate: gatto nuovo. Solitamente, lanimaletto in questione stazza sui dieci-dodici chili e pi: come nel Bar Sport di Stefano Benni, il prestigio del locale infatti spesso direttamente proporzionale al peso del felino. Poco prima della mia definitiva partenza da Amsterdam sono entrato in un ristorante tipico ed evidentemente molto prestigioso, nel quartiere del Jordan, e ho chiesto se cera posto. Mi hanno risposto che cera da aspettare, e che magari potevo intanto sedermi al bar. Vado e trovo che gli unici due sgabelli non occupati da umani erano presidiati da un gattone tigrato grosso come una mortadella. Posso sedermi l? ho chiesto. Certo, mi ha risposto il barista se ce la fai a spostarlo. Io non ci riesco. Se non siete ancora stufi di differenza, ce n ancora una fondamentale, e riguarda il denaro: infatti, se i giapponesi e i batavi rispettano lalcon nello stesso modo, lo stesso non si pu dire del denaro. Lolandese tipo nei confronti del denaro (geld ) di solito una persona attenta, giudiziosa e che guarda alla sostanza; in una parola, tirchio. Tale tirchieria si manifesta nei modi pi impensati, tanto che anche qui necessario ricorrere a degli esempi:

1) A volte, quando venivo invitato a cena dai miei amici olandesi, questi simpatici svergognati compravano le materie prime e mi chiedevano espressamente di cucinare (io non sono un grande cuoco, diciamo che me la cavo, ma sempre meglio che mescolare a caso). Tra le varie suppellettili di cucina che trovavo, non mancava mai una sorta di bastoncino di plastica, simile a quello con cui si puliscono i flauti, con in cima una piccola mezzaluna anchessa di plastica. Chiesto lumi su cosa fosse, mi stato risposto che era un flessenlikker, ovvero un attrezzo per pulire perfettamente le bottiglie di salsa, maionese, ecc. senza sprecare nemmeno quelle poche gocce che di solito rimangono attaccate alla bottiglia. In questo modo, su un vasetto di maionese che costa un euro e mezzo si possono risparmiare (secondo calcolo grossolano) circa quattro centesimi di salsa. Per cui, il conto presto fatto: dato che loggetto costa circa due euro, passato il tempo sufficiente a comprare una cinquantina di vasetti di maionese il costo iniziale verr completamente ammortato, e lutensile comincer a lavorare in attivo. Non so voi; io, alla fine del tempo necessario a consumare cinquanta vasetti di maionese, probabilmente avrei perso il flessenlikker. 2) Alcune vecchie case di Amsterdam hanno, al posto del campanello, un complicato sistema di cordicelle legate a piccole campanelle (di metallo) che risuonano in tutta la casa. Tutto questo fa molto fattoria di Nonna Papera, ma soprattutto fa risparmiare lelettricit del campanello. 3) Quando lavano i piatti, gli olandesi per prima cosa forzano dentro la buca del lavandino un mastello di plastica. Poi, riempitolo dacqua, vi immergono il piatto, lo insaponano e lo risciacquano nella stessa tinozza che, gi al terzo passaggio, non pi acqua ma saponata. In questo modo i piatti rimangono velati da una patina di sapone permanente (che pu aggiungere un tocco, non necessariamente in peggio, a una tipica pietanza made in Holland) ma, come mi stato spiegato, la cosa importante che si risparmiano almeno dieci litri dacqua al giorno. Ora, un ragionamento del genere mi sembrerebbe logico e ammirevole in Tanzania, o in Kenya, dove lacqua scarseggia. Ma in Olanda Per i prodi discendenti del Manovratori della Lancia Celeste, invece, comprare un lavoro. Daltronde, la scelta di generi commerciali sterminata. Il Giappone il paradiso del consumismo, a qualsiasi livello e di qualsiasi genere: dai grandi magazzini con i loro sterminati reparti di generi alimentari, che sono autentiche boutique del gusto, a teranegozi di abbigliamento, dai mercatini rionali organizzatissimi e ordinaterrimi che vendono spezie di qualsiasi genre (solitamente si pu assaggiare tutto), al rutilante casino di Akihabara, la citt elettronica, dove centinaia di piccole bancarelle vendono oggetti elettronici di ogni tipo, dal computer portatile fino ai transistor e alle doppie prese. Se mai andrete in Giappone, portare con voi una valigia vuota per gli acquisti: rimpiangerete sempre di averla presa troppo piccola.

Lultimo aspetto degno di nota (o, meglio, che mi viene in mente) riguarda limportanza che i due diversi popoli attribuiscono allaspetto esteriore. Entrambi i popoli hanno un gusto estetico notevole, ma lo applicano in modo settoriale. Gli olandesi, ad esempio, hanno un gusto dellarchitettura e dellarredamento semplicemente spettacolare; gli appartamenti che si affacciano sui canali hanno enormi finestroni da cui si possono ammirare interni fantastici, stracolmi di oggetti di design e con unattenzione maniacale al particolare. I negozi di architettura si distinguono dalle case solo per la presenza di una porta aperta da cui entrare. Tutto ci stride fastidiosamente col concetto che gli olandesi hanno di abbigliamento. A vedere come va vestito lolandese medio, un italiano portato a concludere che ogni condominio abbia i vestiti in comune e che ogni mattina questi vengano sorteggiati tra gli abitanti del palazzo, senza nemmeno considerare aspetti marginali come la taglia o il colore. I giapponesi invece si vestono in modo impeccabile, a pi livelli. Dagli impiegati in completo scuro e cravatta ai giovani alla moda, i ragazzi dagli occhi a mandorla sono un trionfo di sciccheria, e le ragazze in tailleur e borsa di Vuitton sono perfette, tanto da sembrare inumane. A volte, poi, capita di vedere delle persone in costume tradizionale, e non sono mai riuscito a stabilire se passo pi tempo a guardarle e ad ammirare la perfezione dellinsieme o a tentare di calcolare quanto cavolo di tempo debba aver impiegato il tizio per agghindarsi e pettinarsi in quel modo; ma, sia come sia, il risultato sempre degno di ammirazione. La cura che riservano alla persona, per, solitamente non viene riservata alla casa, che ha molto pi del magazzino che della civile abitazione: lappartamento del cittadino giapponese medio, a causa dellelevatissima densit di popolazione, un cubetto di cinquanta metri quadri dove tutto estraibile, e dove si accampano coperte, oggetti elettronici, vestiti, pentole e altro in modo dantesco. Dopo questo mucchio di discorsi a sproposito, per premiare la vostra pazienza, finir con unultima annotazione che apparentemente non centra niente ma che mi ha sempre divertito. Alle Olimpiadi di Tokyo, del 1964, per la prima volta venne ammesso (non come dimostrativa, ma a tutti gli effetti come disciplina olimpica) uno degli sport pi rappresentativi del Giappone, il judo. Chi lo conosce, sa che questo sport unarte marziale dalle tecniche rigidamente codificate, e che richiede allenamenti maniacali per eccellere. I giapponesi vinsero tutte le medaglie doro, tranne la pi ambita, quella della categoria open, cio senza limiti di peso. Ad aggiudicarsela (sconfiggendo in finale il titolatissimo giapponese Aiko Kaminaga, e scatenando una tragedia nazionale) fu un gaijin , uno straniero. La foto che immortala il momento della vittoria una delle pi belle e significative della storia dello sport: mentre Kaminaga a terra, i compagni di squadra del vincitore si precipitano verso di lui per festeggiare. Ma il neocampione olimpico, consapevole del dramma che stanno vivendo lo sconfitto e tutto il pubblico, li ferma alzando le mani per non farli entrare sul tatami. Festeggeremo dopo: adesso non il caso.

Come avrete gi immaginato, lo straniero era europeo: tale Anton Geesink, per la precisione, di professione boscaiolo e di nazionalit olandese.

Grazie ad Anton Roks e Yuichi Masubuchi per avermi presentato alcuni aspetti della loro cultura che ignoravo, e grazie a Ivo Klaver per aver eliminato alcuni errori e per avermi fornito alcuni cognomi esilaranti.

Marco Malvaldi nato a Pisa nel 1974. laureato in Chimica, ha pubblicato per la casa editrice Sellerio la cosiddetta trilogia del BarLume La briscola in cinque (2007), Il gioco delle tre carte (2008) e Il re dei giochi (2010). Il suo ultimo libro, sempre per Sellerio, Odore di chiuso (2011).

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