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Mensile di intervento culturale Novembre 2012 Numero 24 Anno III euro 5,00

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Il primo mensile con un supplemento quotidiano

IPERREALISMI politica e reality IPERCORPI paralimpiadi e postumano IPERGIOCHI unaddiction di massa IPERTV documentari e serial

Roberto Barni

LA PAZIENZA DI OCCUPY - GI LE MANI DALLA 180 - TRAGEDIA GRECA POESIA FRANCIA - DESIGN IN CUCINA - RIPOLITICIZZARE LA DECRESCITA
ILIBRI

: 4 PAGINE DI RECENSIONI

SUPPLEMENTO SPECIALE ALFACAGE IL GRANDE EVERSORE

In copertina: Roberto Barni. Passi, 1973 - 2008 A fianco: Roberto Barni nella casa di Firenze, 2012. Foto Fayal Zaouali

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Comitato storico Omar Calabrese, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Pier Aldo Rovatti Redazione Nanni Balestrini, Ilaria Bussoni, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Davide Di Maggio, Manuela Gandini, Andrea Inglese, Lucia Tozzi Segreteria Erica Lese redazione@alfabeta2.it Coordinamento editoriale Sergio Bianchi Ufficio stampa Nicolas Martino ufficiostampa@alfabeta2.it Indirizzo redazione piazza Regina Margherita 27 00198 Roma redazione@alfabeta2.it Progetto grafico Fayal Zaouali Direttore responsabile Gino Di Maggio Editore Assoc. Culturale Alfabeta Edizioni Via Tadino, 26 20124 Milano info@alfabeta2.it Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 446 del 17 settembre 2010 Tipografia Grafiche Aurora S.r.l. via della Scienza 21 37139 Verona Distribuzione Edicole Messaggerie Periodici S.p.a, via Giulio Carcano 32 20141 Milano Distribuzione Librerie Joo Distribuzione via F. Argelati 35 20143 Milano Distribuzione Abbonamenti S.O.F.I.A. SRL Via Ettore Bugatti 15 20142 Milano tel. 02 89592287 alfabeta@sofiasrl.com Comitato di indirizzo Franco Berardi Bifo, Paolo Bertetto, Achille Bonito Oliva, Alberto Capatti, Furio Colombo, Michele Emmer, Paolo Fabbri, Mario Gamba, Angelo Guglielmi, Letizia Paolozzi, Valentina Valentini, G.B. Zorzoli

laboratori
Torino: enrico.donaggio@alfabeta2.it Bologna: daniela.panosetti@alfabeta2.it Siena: stefano.jacoviello@alfabeta2.it Roma: vincenza.delmarco@alfabeta2.it Palermo: dario.mangano@alfabeta2.it Venezia: tiziana.migliore@alfabeta2.it

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quotidiano in rete
Progetto web Jan Reister Redazione Nicolas Martino, Giorgio Mascitelli, Stella Succi redazione.web@alfabeta2.it Edizione digitale a cura di Jan Reister Progetto e realizzazione Quintadicopertina http://www.quintadicopertina.com ebook: ISSN:2038-663X

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mensile di intervento culturale


DESIGN IN CUCINA 34. Aldo Colonnetti Un viaggio durato trentanni 35. Alberto Capatti Sistema degli oggetti: il moscardino 35. Valentina Auricchio Dietro le quinte iLIBRI 36. Andrea Cortellessa su Carlo Emilio Gadda 36. Angelo Guiglielmi su Christian Raimo 36. Gilda Policastro su Francesco Targhetta 37. Claudia Crocco su XI quaderno di poesia 37. Giorgio Mascitelli su Biagio Cepollaro 37. Francescia Borrelli su Vladimir Nabokov 38. Annaliosa Goldoni su Kurt Vonnegut 38. Francesca Lazzarato su Juan Rulfo 38. Maria Teresa Carbone su Marius Szczygiel 38. Clotilde Bertoni su Massimo Fusillo 39. Antonella Andedda su Michele Cometa 39. Stefano Chiodi su Stefania Zuliani 39. Alberto Burgio su Aessandro Dal Lago 40. Marino Badiale, Fabrizio Tringali Ripoliticizzare la decrescita Considrerazioni a partire dalla conferenza di Venezia

Sommario

EDITORIALI 3. Carlo Formenti Unificare una controegemonia 3. Ida Dominijanni Rottamiamo i rottamatori 3. G.B. Zorzoli LIran con la bomba 4. Letizia Paolozzi Siamo tutte femministe storiche 4. Paolo Fabbri (spreg.) moderato 4. Lucia Tozzi Per una citt ottusa 5. Rebecca Solnit La pazienza di Occupy Il movimento compie un anno IPERREALISMI 6. Maurizio Ferraris La presa della battigia Otto punti per una discussione 7. Raffaele Donnarumma Iperbolica modernit Come raccontare la realt senza farsi divorare dai reality 8. Quentin Meillasoux Al di l del principio di ragion sufficiente 8. Andrea Cortellessa Reality IPERCORPI 9. Antonio Caronia Tendenza Pistorius Le diverse sirene del postumano 10. Enrico Valtellina Fare qualcosa col sopracciglio Il corpo non conforme e i Freak studies 11. Carlo Antonio Borghi Aspettando le Operaidi 11. Danielle Peers Pazienti atleti, freaks Cosa non ci dicono le Paralimpiadi

12. Arianna Bove e Erik Empson Olimpiadi 2012: Citius, Altius, Fortius Come produrre esclusione usando la retorica dellinclusione IPERGIOCHI 13. Marco Dotti La posta in gioco Anatomia di unaddiction di massa 14. Giuseppe Zuccarino Alea, ergo sum Il gioco e la vita, con Bataille e Blanchot 14. Mircea Ca rta rescu La roulette della nostalgia 15. (m.d.) Monopoly is back! Trash money & junk food 15. Francesco Savini DallHomo Ludens allHomo Illudens IPERTV 16. Mario Sesti Il significante al quadrato Le frontiere del documentario e del serial 17. Christian Caliandro The Wire Cinema espanso e nuovo realismo sociale 18. Enrico Menduni No, il dibattito no! Duelli in poltroncina vs Inchieste sul campo 18. Laura Busetta Je suis venu vous dire Gainsbourg par Ginzburg ROBERTO BARNI 19. Intervistato dal suo doppio 22. Alberto Boatto Dove naturalmente va ogni cosa GI LE MANI DALLA 180 23. Francesco Galofaro Il futuro della follia Dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari al Manuale del Disturbo Mentale

24. Mario Colucci Tacciano le sirene Unanalisi della proposta di leggi Ciccioli 25. Peppe DellAquila Legge Basaglia, trentanni di lavoro E i tentativi di delegittimarlo TRAGEDIA GRECA 26. Vassilis Vassilikos Solo un dio ci pu salvare? 26. Manuela Gandini Larte del labirinto 27. Dimitri Deliolanes Lo spettro di Weimar 27. Dimitri Mamaloukas Crisi economica e editoria 28. Haris Tsavdaroglou La crisi siamo noi Lotte sociali e beni comuni in Grecia 29. Kostas Th. Kalfopoulos Alle spalle di Syriza 29. Letizia Paolozzi Lesattore di Markaris ACTIONS POETIQUES 30. Henry Deluy Cinquantanni (e pi) di militanza Intervista con Sandra Raguenet 31. Eric Suchre Del resto non esiste Dodici note parziali 31. Luigi Magno Note per una cartografia Sulla poesia francese dellestremo contemporaneo in Italia 32. Francis Ponge Cognizione del periodo che annuncia la primavera 32. Andrea Inglese Lanomalia Ponge 33. Julien Blaine Lavanguardia non ha concluso il suo primo secolo Conversazione con Andrea Inglese

EDITORIALI

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Unificare una controegemonia


Carlo Formenti
Recentemente, su queste pagine pi voci hanno sollevato un interrogativo: perch in Italia non esistono movimenti come Occupy Wall Street? La risposta stata, perlopi, la stessa: colpa dellegemonia che partiti e sindacati bench in crisi riescono ancora a esercitare sulle classi subalterne (Gigi Roggero, in un articolo apparso su UniNomade, allarga il campo a Chiesa e famiglia, parlando di tenuta delle istituzioni della mediazione sociale). A me pare che questo sia un escamotage che glissa sulla vera domanda: perch legemonia tiene? Azzardo due risposte: 1) perch la nostra composizione di classe radicalmente diversa da quella americana; 2) perch da noi non esiste alcun progetto politico capace di contro egemonia. Occupy Wall Street nasce in un Paese dove la forza della classe operaia tradizionale stata annientata da un pezzo, e in cui avevamo assistito (negli anni Novanta) allinsorgenza di un nuovo soggetto (potenzialmente) antagonista i knowledge workers che i teorici post operaisti (compreso chi scrive) avevano identificato come il (possibile) protagonista di un salto qualitativo di contenuti e forme organizzative della guerra al capitale. La crisi ha spento quella speranza perch, questa volta, il capitale ha potuto e saputo giocare danticipo: loperaio massa fu annientato dopo avere espresso un grandioso ciclo di lotte, i lavoratori della conoscenza sono stati annientati (attraverso licenziamenti di massa, decentramento delle mansioni nei Paesi in via di sviluppo ecc.) prima che acquisissero consapevolezza dei propri interessi e della necessit di organizzarsi politicamente. Occupy segna una fase nuova, che vede la convergenza di diversi strati sociali (proletariato tradizionale, working poors, lavoratori della conoscenza, studenti senza futuro) in quella che, a mio parere, ancora solo una lotta di resistenza (bench alcune delle sue parole dordine siano di attacco) agli effetti della crisi. In Italia lo scenario diverso: la vecchia classe operaia esprime ancora un notevole potenziale di lotta (se la Fiom conta ancora non perch incarna inerzie ideologiche, ma proprio perch pu sfruttare questo potenziale), mentre da noi i lavoratori della conoscenza non hanno mai acquisito un peso significativo. Qui i soggetti in campo, a parte gli operai, sono gli studenti (vittime delle politiche di smantellamento di una scolarizzazione di massa che la ristrutturazione globale ha reso disfunzionale al mercato del lavoro), i precari del terziario arretrato, i lavoratori intermittenti dellindustria culturale (Valle, Macao ecc.), le comunit territoriali colpite da processi di espropriazione violenta dei beni comuni (No Tav). Si tratta di movimenti che, pur avendo episodicamente raggiunto livelli significativi di organizzazione e consapevolezza, faticano a confluire e generalizzarsi. Ha senso pensare di riunire questo arcipelago attorno alle parole dordine del reddito minimo garantito e della difesa dei beni comuni, contrapponendole alle rivendicazioni lavoriste del proletariato tradizionale? Io penso che sia un errore che conferma lassenza di un progetto politico capace di contro egemonia. Assenza che, a sua volta, rispecchia la specificit della nostra composizione di classe: mancando i veri lavoratori della conoscenza si tenta di inventarli, estendendo il concetto alle moltitudini soggette a vario titolo allespropriazione capitalistica (ma il saccheggio sistematico di ogni forma di vita connaturato al capitalismo fin dalle origini, sia pure con modalit diverse, per cui non possibile fondare una seria analisi di classe a partire da tale fenomeno). Alternative? Concordo con chi sostiene che non si tratta di costruire alleanze fra resti della sinistra radicale e movimenti, ma resto convinto che la soluzione non stia nemmeno nel mettersi in fiduciosa attesa della proliferazione spontanea di sacche di autonomia sociale, bens nello sforzo di far confluire soggetti, esperienze e narrazioni in unorganizzazione unificata che incarni la composizione politica (e non tecnica!) di classe, e nellelaborazione di un programma che non metta in contrapposizione i differenti strati di classe, ma li unifichi.

Rottamiamo i rottamatori
Ida Dominijanni
Spettri di Marx fu un libro profetico nel descrivere che cosa sarebbe accaduto nellinconscio del mondo unificato una volta finita, con il crollo del comunismo, lillusione di una storia che procede verso il meglio e una volta entrati nella temporalit disassestata, out joint come il tempo di Amleto, della globalizzazione, quando il presente sfreccia verso il futuro cancellando ogni attaccamento al passato mentre il passato lo invade e lo ossessiona con i suoi spettri ritornanti. Imparare a vivere in queste condizioni, scriveva Derrida, significa saper convivere con quegli spettri e praticare una politica della memoria, delleredit e delle generazioni, la giustizia non essendo altro che una relazione responsabile fra chi c, chi non c pi e chi non c ancora, e lidentit non essendo altro che un percorso a rischio tra ci che abbiamo ereditato dal passato e ci che di l da venire nel futuro. Bisognerebbe tenere a mente queste considerazioni, assieme a quelle di Walter Benjamin su lappuntamento misterioso fra le generazioni che ci chiama ad agire nelladesso, e recitarle ogni giorno, come una preghiera laica o uno scongiuro, contro il mantra della rottamazione che imperversa ovunque e non da oggi. Ben prima che dal sindaco di Firenze. A me capit di sentirlo intonare anni fa dal rettore di ununiversit a proposito del prepensionamento di un docente: si trattava di un intellettuale letto e amato in mezzo mondo, luniversit avrebbe dovuto congedarlo il pi tardi possibile con un monumento, invece lo scaricava in anticipo senza alcun rimpianto. Dopodich stato un diluvio. Rottamano gli ospedali, perdendo i migliori medici tanto il problema dei pazienti. Rottamano le scuole, tanto un insegnante vale un altro anzi non vale niente. Rottamano le fabbriche, licenziando in libert. Rottamano i giornali, dove ti prepensionano per direttissima appena possono e pazienza se le redazioni si svuotano dei testimoni di comera lItalia nel 68 o il mondo prima dell89: la memoria di questi tempi fuori mercato. Questo per dire che la rottamazione non in mano ai rottamatori di professione che smaniano per sostituirsi ai politici di professione, e non centra nulla con il ricambio generazionale che essi predicano con le migliori o le peggiori intenzioni. in mano a un dispositivo biopolitico e bioeconomico che licenzia gli occupati per non assumere disoccupati e precari, e archivia competenti e spiriti liberi per meglio manovrare inesperti e allineati. in mano alla cultura del risentimento e del risarcimento ad personam che a sinistra ha smantellato la critica del sistema, lidea del presente e il progetto del futuro. in mano alla debitocrazia imperante che mette i debiti monetari, pubblici e privati, al posto del debito simbolico che lega, o dovrebbe, le generazioni fra loro: lappuntamento misterioso di Benjamin, la politica della memoria e delleredit di Derrida. infine un effetto, lennesimo, dellipnosi nuovista di cui lopinione pubblica preda in Italia da venti anni a questa parte. Sotto la quale ipnosi sono stati rottamati il Pci perch era fuori dal tempo, il Psi e la Dc perch rubavano, il sistema politico proporzionale perch non garantiva la governabilit, lequilibrio fra Stato e autonomie perch era centralista, la Prima Repubblica perch era corrotta, pezzi della Costituzione perch era invecchiata, pezzi di Welfare perch era costoso. Tutte cose che andavano s cambiate radicalmente e risolutamente, ma allinverso dei rottamatori che buttano il bambino per tenersi lacqua sporca. S che adesso ci ritroviamo con una sinistra senza nome e senzanima, un centrodestra che ruba quanto e pi di prima, un parlamento alla disperata ricerca di un ritorno al proporzionale per garantirsi il Monti-bis, un federalismo pi corrotto dello Stato centrale, una Costituzione delegittimata, un Workfare spietato, e la sensazione netta di avere sprecato un ventennio. Con in pi laggravante della recidiva, visto che per rottamare la Prima Repubblica ci son voluti l89, Mani pulite e Berlusconi, mentre per rottamare il berlusconismo bastato il loden sobrio di un governo tecnico. Le rottamazioni passano, i fantasmi del passato si sommano e non smettono di incombere. Perci rottamiamo i rottamatori e vediamo di cambiare quello che va cambiato senza nascondere le vere poste in gioco sotto la maschera di un finto conflitto generazionale. Che per essere credibile va giocato in presenza, guardandosi in faccia e scontrandosi fra padri e figli e fra madri e figlie sulle idee, gli errori, i fatti e i misfatti ma non sulla conta anagrafica o sullanzianit di servizio. E qualche volta perfino celebrando unalleanza, allora di un misterioso appuntamento.

LIran con la bomba


G. B. Zorzoli
Non tutti i regimi dove la democrazia non esiste o limitata sono identici. Sotto la dittatura di Ben Ali la legislazione riconosceva alle donne tunisine parit di diritti, mentre senza la pressione interna e internazionale il governo di Hamadi Jebali, costituito da una maggioranza parlamentare regolarmente eletta, avrebbe introdotto discriminazioni anche formali fra i due sessi. LIraq di Saddam Hussein era un paese laico, dove il vicepresidente apparteneva alla minoranza cristiana, oggi costretta a fuggire dal paese. Su un gradino pi basso si collocano pertanto i paesi dove loppressione sia politica che religiosa, lo stesso governo sottoposto al controllo dei vertici della religione di Stato. A questa categoria appartiene indubbiamente lIran, anche se le libert politiche e civili, soprattutto delle donne, sono ancora pi conculcate in Arabia Saudita, che nessuno per definisce stato canaglia (fin quando rimasto al suo posto di cane da guardia nei confronti dellIran, anche il regime di Saddam Hussein non era fra i cattivi). Verso la prospettiva di un Iran dotato di ordigni nucleari provo quindi la stessa repulsione che nutrirei se riguardasse lArabia Saudita. Di conseguenza non avrei dubbio alcuno a sottoscrivere iniziative di contrasto da parte di una comunit internazionale che avesse le carte in regola per farlo. Anche perch non credo alle reiterate dichiarazioni di Teheran di volersi limitare allarricchimento delluranio (pochi percento) necessario per il combustibile dei rettori nucleari. Ho abbastanza conoscenze tecnico-scientifiche per rendermi conto che il numero crescente di ultracentrifughe installate in Iran ha gi superato quello sufficiente a tal fine e tende invece a quello necessario per produrre urano arricchito intorno al 90%, cio military grade. Guardo invece con sospetto alle iniziative in corso contro lIran per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto la storia dellultimo secolo abbonda di prove inconfutabili sullinefficacia delle sanzioni nei confronti degli Stati che le subiscono, e sulla loro straordinaria efficacia nel provocare sofferenze (che arrivano alla morte per denutrizione e/o inadeguata assistenza sanitaria) alle popolazioni coinvolte. Inoltre, troppe vicende pregresse delegittimano chi minaccia lIran di ulteriori rappresaglie, che non escludono lintervento militare. Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), sottoscritto nel 1968 da Usa, Regno Unito e Unione 3 Sovietica e successivamente anche da Francia e Cina, allinsegna di chi ha avuto, ha avuto aveva lo scopo dichiarato di evitare lingresso di disturbatori nel club ristretto delle potenze nucleari (non casualmente i cinque membri di diritto del Consiglio di sicurezza dellOnu). Le cose non sono andate cos. Al club si sono aggregati India, Pakistan e Israele (forse anche la Corea del Nord). I primi due esplicitamente, senza mai dichiararlo (n smentirlo) Israele, anche se nessun addetto ai lavori ne dubita (e la stima intorno a ottanta testate). Non mi ricordo prese di posizioni altrettanto dure contro questi tre paesi. Gli Stati Unirti sospesero per qualche anno gli aiuti militari ed economici al Pakistan, che fu oggetto insieme allIndia di sanzioni economiche sulla base della risoluzione 1172 del Consiglio di sicurezza. Provvedimenti finiti presto nel dimenticatoio, tanto che George Bush jr. firm un accordo di collaborazione negli usi pacifici dellenergia nucleare con lIndia, malgrado il divieto di stipulare intese del genere con paesi che si fossero dotati di armi nucleari. N ci sono state richieste a Israele per verificare in loco la presenza o meno di armi nucleari. Non regge nemmeno la distinzione fra Stati affidabili e infidi. Il Pakistan non soltanto il paese dove hanno trovato e tuttora trovano ospitalit e supporto gruppi integralisti islamici, che l hanno le basi per alimentare la guerriglia in Afghanistan; non soltanto uno Stato che gioca in proprio una politica contrastante con quella dei paesi occidentali in Afghanistan, ma anche altrove. Altrimenti non si spiegherebbe il trattamento riservato dai governi pakistani allo scienziato nucleare Abdul Qadeer Khan, promotore del programma per larricchimento delluranio, che per oltre un decennio ha gestito una rete di vendita della tecnologia nucleare a Corea del Nord, Iran e la Libia. Gli fu infatti concesso di scontare la condanna agli arresti domiciliari allinterno di una lussuosa villa di sua propriet. Siamo insomma in presenza di una sequenza di fatti gravi, mentre quelle dellIran contro Israele sono minacce certo pi gravi, ma solo verbali. Eppure nessuno tratta il Pakistan come lIran, che oltre tutto lunica delle principali potenze dellAsia sudoccidentale a non possedere armamenti nucleari. Lo ribadisco: lidea di un Iran con la bomba mi fa rabbrividire, ma nel contempo mi chiedo: perch India, Israele, Pakistan s e Iran no? Perch questi Stati hanno al massimo subto ritorsioni di non lunga durata e nessuno li ha mai minacciati di intervento militare?

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EDITORIALI

Siamo tutte femministe storiche


Letizia Paolozzi
Succede a Paestum. Per la seconda volta, dopo 36 anni, compaiono inaspettatamente tantissime donne. Ottocento, per la precisione. Et media 45 anni, arrivate da cinquanta citt. Da sole oppure impegnate nei collettivi, librerie, gruppi, associazioni. Un piccolo mondo, ma un mondo che (accolto senza sbavature dalle promotrici locali del gruppo Artemide) deve cercarsi una sala pi grande. Lauditorium costa molto. Per la cifra viene raccolta in una mattinata. Pure il blog (www.paestum2012.wordpress.com) continuer a funzionare. Con materiali, testi, riflessioni, progetti, proposte. Siamo di fronte a un agire femminista. Esempio di quel pensare in azione che tiene insieme teoria e pratica politica. Fuori da l, vige la delega, la strumentalit dei rapporti, lorganizzazione piramidale. Non solo. Le donne hanno cinque minuti a disposizione. Esempio raro di tolleranza, si ascoltano reciprocamente. Niente preiscrizioni o relazioni. Non ci sar il documento conclusivo. La presidenza vuota. Invece di applaudire, le mani sfarfallano in aria. Lispirazione tratta dagli indignados di Puerta del Sol. Tra cuore e mente, tra voci e sguardi le parole volano dal microfono: come il famoso manico di scopa della strega? Una scelta di metodo importante. Nonostante il peso del vivere, fatta in leggerezza. Per non restare schiacciate dalla crisi, dai piani di austerit, dal precariato, bisogna cambiare prospettiva. Spostare i confini, cercare pratiche del conflitto capaci di evitare la ripetizione. In effetti il femminismo ha detto che il suo, il nostro confine, quello con laltra/laltro. Significa puntare su una politica delle relazioni. Averne cura. Peccato che gli uomini non la registrino. Il valore simbolico di quello scambio non lo vedono. E il risultato squadernato davanti ai nostri occhi. A Paestum di uomini ce ne sono pochi, silenziosi. Non erano invitati, non sono respinti. Nel 76 si tenne in questo luogo il primo incontro femminista. Allora si scandiva Lutero mio e lo gestisco io. Adesso, per il logo, la disegnatrice Pat Carra ha sostituito la figura maschile del reperto conservato al museo con la figura femminile della tuffatrice che si slancia nel mondo. Anche e soprattutto per rovesciare i film catastrofici ai quali assistiamo ogni giorno. Vicende di cupidigia, corruzione, competizione, egoismo. La sceneggiatura sempre la stessa: separazione della produzione dalla riproduzione, del lavoro dalla cura, dellindividuo dalla comunit. Niente happy end. La morale di questi film? O la borsa o la vita. Paestum allopposto dice: Primum vivere anche nella crisi: la rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica. Bisogna rimettere al centro la vita. Per tutti, donne e uomini. Puntando su tempi, modi e sul cosa si produce. La strada c, tracciata dalla soggettivit femminile, dal sapere accumulato. Il femminismo non ha mai dedicato il suo tempo a scrivere ricette per losteria dellavvenire. In effetti, accade non per caso che i fantasmi di contrapposizione tra femministe giovani e antiche qui si rivelino, appunto, una invenzione. Pur appartenendo a diverse generazioni, siamo tutte femministe storiche. Anche se, per le pi giovani lansia del precariato tartassante. Ma la forza per modificare la realt dipende, di nuovo, dallessere in relazione. Piuttosto, se in passato le donne sono state attrici invisibili del cambiamento, oggi sono le attrici visibili di un progetto che consiste nellintrodurre la differenza femminile nella trama della storia. La crisi approfondisce le gerarchie verticali. E la radice della gerarchia del maschile sul femminile non scomparsa. Per, non esiste un solo modo di affrontare leredit del patriarcato. Le modeste strategie, i conteggi sul numero pari di donne e uomini nei luoghi del potere e delle istituzioni, non tengono conto della differenza e che la differenza delle donne dagli uomini rappresenta un vantaggio e una ricchezza per la societ. Piuttosto, dovrebbero essere gli uomini a liberarsi da un modello virile ancora pesante. Qualcuno, forse, comincia a provarci. Ormai il rispetto degli equilibri vitali diventata una rivendicazione di tutte/tutti. Quanto al femminismo, la sua radicalit e vitalit hanno dimostrato (ancora una volta) di essere in movimento. Non solo a Paestum, non solo nelle giornate dellincontro.

(spreg.) moderato
Paolo Fabbri
Il gusto, si sa, fatto di molti disgusti. Per conservare, a onta e dispetto delle circostanze, un qualche e minimo gusto per la politica vanno dichiarate le proprie allergie. Anche il fastidio, che letimo dichiara: ibrido tra il fasto e il tedio. proprio quel che provo per il Moderato, che va o torna politicamente di moda. La scienza cosiddetta politica interdetta: nei dizionari titolati Bobbio-Matteucci-Pasquino, Utet 2004 non figura. Si dubita se sia o se ne possa fare una categoria come Massimalismo o Minimalismo dove tra i socialisti si trovavano peraltro i centristi unitari (intermedi o mezzani). Infatti. Il Moderato, diafano e versipelle, affiora nei tempi critici e burrascosi, dove pu collocarsi al centro, dopo aver atteso che tutti gli altri abbiano preso posizione. Soggetto politicamente modificato, col programma di non aver programmi salvo quello di far sembrare tutti gli altri attori politici indecorosi ed eccentrici. Si manifesta di preferenza in occasione di governi tecnici, balneari e di parcheggio, mentre le forze politiche simpiegano a convergenze parallele. E tira la giacchetta a quanti gli promettono di aiutarlo a cambiare la sua. Sono i momenti in cui il Moderato vive il Parlamento come una camera di compensazione abitata da gruppi misti e a raggio variabile; una cassa integrazione per ammortizzatori politici; unagenzia di collocamento per chi pu mettersi in mezzo per mettere in mezzo gli altri e carpire i media. Lui si vuole mediocre, anzi inter-mediocre, ago dogni bilancia, e cos addita tutti gli altri come opposti e pericolosi estremisti. Figuratevi che anche i centristi sono superlativi estremisti del mezzo per lui che sta sempre in equilibrio comparativo. Intermedio tra landante e lallegro, sceglie sempre landante, ritmo ideale per farla in barba agli altri e a gettar fumo negli occhi. noioso e ridondante, ma ci vuole molto sforzo per mantenersi da par suo alla superficie dei problemi seri. Deve dar segni di Moderatezza, perch per lui est modus in rebus, verbis e signis. Parla quindi il linguaggio ordinario e usa solo le parole di quelli da cui prende le (in)debite distanze. Parole stupite di trovarsi in bocca a lui e in compagnia di altre che non vorrebbero frequentare. Inutile domandargli di dire qualcosa di sinistra o di destra. Il Moderato non eccita discorsi fiacchi: come i moderatori televisivi, l per sedare le idee vive. Col PO-CO, cio con il POliticamente COrretto, toglie il sapore e diffonde il sopore. Artista della circonlocuzione, evita i discorsi diretti, le promesse da mantenere, i programmi responsabili; parla per proposizioni condizionali, al congiuntivo; si ferma davanti a ogni sostantivo e fa lunghe pause. Tra le maggioranze silenziose e le minoranze vocianti lui per le medie statistiche, sussurrate tra le falsarighe dei sondaggi. Se il problema fosse quello di prendere una ferma posizione, il mondo potrebbe far a meno di lui. Ricordate il caso Salman Rushdie e i suoi Versetti Satanici? E avete letto Joseph Anton? Da Carter a Bush fino a Obama tutti Moderati: non si offende lIslam e non era proprio il caso! , meglio sacrificare moderatamente la libert di parola. (Ma Free speech non si traduce parola gratuita!) La satira ha poca presa sul Moderato: per la caricatura ci vogliono tratti salienti e caratteri pregnanti, mentre lui ha i connotati sfuggenti del compromesso e del restyling. Sta davanti alle telecamere col sorriso smorzato e lintonazione sommessa. Non si riesce neppure ad affibbiargli ingiurie e oltraggi riservati, grazie a lui, agli opposti estremisti. Non funziona neppure il ridicolo che, se uccidesse davvero, i Moderati li vorrebbe tutti morti. Ma loro sanno come fare: conoscono a puntino il Moderariato vintage della Democrazia cristiana. Continuano infatti ad abitare il luogo comune dove pagano lImu parecchi ex-luogo-comunisti , sono geneticamente trasformisti e soprattutto opportunisti. Cio, come da etimologia, stanno fermi davanti al porto, (ob-portum) in attesa che il buon vento li porti. (E non chiamateli immobilisti!). Il Moderato smussa e intanto ammassa. Parco a parole ma smodato in rebus, non frugale quanto dice di essere. Lui sa, di pratica e dintuito, che i termini Comunit e Comunicazione provengono entrambi da munus, il regalo vistoso che si trova anche in munificenza e remunerazione. Che appunto quel che si aspetta e/o mette in opera il politico Moderato. Vorrei tradurre il mio fastidio con una proposta a tutti i curatori di dizionari ed enciclopedie. Nelle prime pagine del genere letterario detto Vocabolario, si trovano i sensi detti Alterati. In calce ai sostantivi sono registrate abbreviate e in corsivo le alterazioni e il loro grado: dim., vezz., accr. (diminutivo, vezzeggiativo, accrescitivo), eccetera. Propongo di premettere alla parola Moderato pegg. e spreg., per peggiorativo e dispregiativo*. Una proposta modesta, lo riconosco, ma il mio modo professionale di tradurre un sentimento a cui potrei dare una voce lirica allaltezza della tragica buffoneria del presente politico: Moderati, vil razza dannata (Rigoletto, atto II, scena IV).

Nota allattenzione del linguista Gianrico Carofiglio. Sono le particelle che il dizionario premette a Scribacchino, che scribacchia, scrivucchia o scrivacchia malvolentieri cose di poco conto, e a Scribacchiatore. Per questi Barthes ha forgiato la categoria critica di crivant, per opporlo allcrivain che traduciamo scrittore (e allo scribe, da rendere come scrivano o scritturale). Da distinguere da imbrattacarte, davvero offensivo.

Per una citt ottusa


Lucia Tozzi
Pensavamo di esserci liberati delle citt creative di Richard Florida e ci ritroviamo con le smart cities, le loro insidiose discendenti. Dopo innumerevoli dibattiti anche la sciura Pina intuisce oramai che non una cosa buona per tutti, ma solo per i peggiori attori del mercato immobiliare: quelli che attirano artisti e giovani intellettuali in una zona malfamata per trasformarla in un quartiere trendy e poterli finalmente sbattere via a calci insieme ai poveri di prima. Quando gli uffici stampa di politici e real estate companies hanno dovuto ammettere che lequazione creativit-crescita urbana viene associata sempre pi al dannoso (per limmagine) concetto di disuguaglianza, si sono buttati alla ricerca di un nuovo significante, il pi possibile dissociato da un significato preciso. Hanno trovato la Smart City. Di cosa parlano i promotori delle citt intelligenti? Essenzialmente si riferiscono allincremento delle infrastrutture TLC-ICT, alla diffusione della tecnologia delle telecomunicazioni e dellinformazione. Ma guai ad ammetterlo, se no si viene tacciati di superficialit e ignoranza. Non si tratta solo di posare cavi e inventare app, dicono: linnovazione al servizio della sostenibilit, del risparmio energetico, dellefficienza dei trasporti, della trasparenza dei dati, della valorizzazione di reti sociali, della partecipazione e della governance. Gli esempi classici sono gli edifici a basso consumo, il rilevamento e la trasmissione wireless di dati in tempo reale (per esempio il tasso di polveri sottili nellaria), il controllo e coordinamento dei mezzi di trasporto, la semplificazione burocratica, lo scambio di informazioni utili e di prestazioni tra gruppi di persone che condividono gli stessi interessi e necessit, ma anche tra commercianti o erogatori di servizi e clienti. La rappresentazione degli scenari urbani smart assomiglia in fondo a un videogioco: il protagonista, dotato di uno smartphone-maggiordomo, attraversa in soggettiva la porta della sua passive-house e poi le strade di una citt luminosa e interattiva, facendo in pochi minuti ci che a noi costerebbe file e stress 4 di mesi (documenti, pagelle, prenotazioni, acquisti: attenzione, ristorante vegano a trenta metri!). La cosa sembra talmente inoffensiva e soporifera che nessuno si preoccupa nel leggere che Milano o Bari si stanno adoprando per diventare smart cities: una boiata, si dice, male non far. Ma perch mai lo fanno? E come? I Comuni stanno competendo per intercettare i fondi dello Stato italiano (lAgenda digitale) e quelli dei programmi europei, come lEuropean Initiative on Smart Cities, che destina allo scopo 12 miliardi di euro. Per ottenerli devono sottoporsi a un ranking, investendo risorse a loro volta in politiche urbane smart. Milano, ad esempio, ha deciso di puntare sulla tecnologia NFC, Near Field Communication, che permette di pagare col cellulare. Europa e governo nazionale costringono le amministrazioni a tagli sanguinosi sul welfare, sulle scuole, sui trasporti, sulla manutenzione e sui servizi essenziali: perch imporre uno spreco come lirrilevante tecnologia NFC? Si chiudono ospedali, si licenziano infermiere, poi si destinano milioni al Fascicolo Sanitario Elettronico. Il visitatore dellExpo non sar cos entusiasta di pagarsi un cappuccino con liPhone dopo essere stato stritolato nella metropolitana per linsufficienza di treni nel tragitto Rho-Pero. Lintero castello retorico delle smart cities al servizio di sostenibilit e coesione sociale ha lunica funzione di operare un banale trasferimento di denaro dalla collettivit alle lobby associate delle TLC-ICT e del real estate che non sa a che altro santo votarsi per la crisi. Per farsene unidea, sufficiente fare il conto di quanti summit, eventi, padiglioni dedicati alle smart cities vengano promossi e finanziati da Cisco, IBM, Telecom e altri. La fumosit del contenitore e la futilit delloggetto non devono ingannare: i soldi in gioco sono moltissimi, il denaro politica, che la lotta abbia inizio.

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La pazienza di Occupy
Il movimento compie un anno
Rebecca Solnit

ccupy ha compiuto un anno. Un anno una misura di tempo quasi ridicola per tante cose importanti: a un anno Georgia O Keeffe non era una grande artista e Bessie Smith come cantante non valeva granch. A un anno dallinizio del movimento per i diritti civili, il Montgomery Bus Boycott era ancora in embrione, attivo grazie agli sforzi di una ignota segretaria della cellula locale del NAACP e di un predicatore di Atlanta, vale a dire Rosa Parks e Martin Luther King jr. Occupy, il nostro vispo neonato, nato nel travaglio e nella gioia un anno fa ed eccoci qui, dodici lunghi mesi dopo. Il 17 settembre 2011 Occupy non sembrava una cosa di particolare rilievo e non sono stati in molti a prestare attenzione quando a dirigersi verso Zuccotti Park a Manhattan erano per lo pi giovani. Ma il suo aspetto pi notevole si poi rivelato la sua capacit di resistenza: non ha cantato vittoria, non ha dichiarato sconfitta e non tornato a casa, ha deciso che la casa era l e ci si stabilito per due mesi cruciali. Tende e assemblee, cos come le azioni, gli strumenti e le idee di Occupy, sono esplosi in tutti gli Stati Uniti e nel mondo occidentale, dallAlaska alla Nuova Zelanda, e anche in alcune aree del mondo orientale (Occupy Hong Kong andava forte fino a qualche giorno fa). Per qualche tempo stato facile rendersi conto che questo beb era qualcosa di grosso, ma poi molti degli accampamenti urbani sebbene non tutti sono stati evacuati e il movimento diventato qualcosa di meno evidente. Ma non permettete a nessuno di dire che si dissolto. La domanda pi sorprendente che mi stata posta lanno scorso stata: qual il piano di Occupy per i prossimi dieci anni? Ma chi ha una prospettiva cos ampia? Gli americani tendono a pensare allattivismo come a una slot machine e se non saltano fuori subito tre banchieri in carcere o tre vittorie schiaccianti, vuol dire che avete sprecato le vostre monete. Eppure pochi attivisti saprebbero definire i termini di una vittoria: cos, come si fa a sapere se ci arriveremo mai? capitato che abbiamo avuto tre vittorie schiaccianti, ma dato che ci voluto un po di tempo e nessuno prima sapeva in cosa consisteva la vittoria, in pochi hanno capito che era tempo di celebrare e a volte non se n accorto nessuno. Abbiamo pi vittorie di quante immaginiamo, ma sono di solito indirette e parziali, arrivano lentamente, in situazioni dove la nostra influenza pu essere presunta ma non provata. Eppure ognuna di queste vittorie merita di essere presa in considerazione. [] Non bisogna tuttavia farsi intrappolare dai risultati tangibili, se non come base per lattivit successiva. Lo spirito meno appariscente di Occupy e delle associazioni che ha generato quello che conta per quanto verr dopo: per il famoso piano decennale. Occupy stato in primo luogo un grande terreno di incontro: persone che vivono troppo a lungo nel mondo virtuale, con la sua inclinazione allisolamento e alla separatezza, si sono incontrate dimprovviso faccia a faccia in uno spazio pubblico. Qui hanno trovato il terreno comune della passione per la giustizia economica e per la democrazia reale; per un riconoscimento della diffusa sofferenza che il capitalismo ha creato. Si sono formati legami che hanno superato le tradizionali divisioni di et e razza e classe, tra chi ha casa e chi non ce lha, chi lavora e chi disoccupato, e alcuni di questi legami resistono ancora. Una grande emozione si creata: la gioia di scoprire che non si soli, la vergogna provata quando i prigionieri del debito sono usciti dallombra, lintensa solidariet quando tanti di noi sono stati attaccati dalla polizia, la speranza vertiginosa che tutto potrebbe essere diverso. E il sentimento inebriante nei momenti in cui tutto stato gi diverso. Tante persone hanno imparato come funziona la democrazia diretta; hanno gustato il potere;

hanno trovato qualcosa in comune con degli estranei; hanno vissuto in pubblico. Tutte queste cose erano e sono importanti. Sono una grande base per il futuro, sono un grande modo per vivere nel presente. Forse Occupy un marchio che ha avuto troppo successo, dal momento che a volte ha offuscato quanto questo movimento fa parte di insurrezioni popolari che emergono in tutto il mondo: la primavera araba (incluse le tre rivoluzioni riuscite, la guerra civile in corso in Siria, le sollevazioni in Yemen e altro ancora); le rivolte studentesche a Montreal, in Messico e in Cile, che hanno continuato a svilupparsi e ad allargarsi; le rivolte economiche in Spagna, in Grecia e nel Regno Unito; le manifestazioni in diversi paesi africani; perfino diverse azioni di resistenza (alcune delle quali imponenti) in India, Giappone, Cina e Tibet. Nel caso non labbiate notato, infatti, di questi tempi una gran parte del mondo coinvolta in qualche forma di ribellione, insurrezione o protesta. E le somiglianze contano. Se osservate tutte queste cose insieme, vedrete una furia simile nei confronti della cupidigia, della corruzione politica, delle ineguaglianze economiche, delle devastazioni ambientali e di un futuro sempre pi angusto e buio. Per questo anniversario sicuramente i media mainstream sono pronti a cercare di dimostrare che Occupy stato solo un ammasso di tende ormai ammainate, che stato qualcosa di ingenuo e che finito. Non credeteci, non siate ragionevoli, non siate realistici, non fatevi sconfiggere. Un anno non niente e i media mainstream dimenticano dove sta il potere e come funziona il cambiamento, ma questo non significa che dobbiate dimenticarlo anche voi. Gli stessi media dicono quanto siete impotenti e che tutto il potere appartiene a uomini in giacca e cravatta che hanno vinto o comprato le elezioni. Ma anche a questo non dovete credere. Ricordate invece il terrore di Vladimir Putin nei confronti di tre giovani performer coi loro copricapo colorati e la paura che Wall Street ha avuto di noi. Loro ricordano qualcosa che noi tendiamo a dimenticare: che insieme siamo capaci di essere molto potenti. Possiamo fare la storia: labbiamo fatta e la faremo, ma solo quando teniamo gli occhi fissi sulla meta. Tiriamo su una grossa tenda e non fermiamoci finch non siamo arrivati. Viviamo nellet delleroismo, let di Aung San Suu Kyi in Birmania, degli zapatisti in Messico, de-

gli organizzatori del movimento per i diritti civili e di tanti eroi e tante eroine senza nome, dallArgentina allIslanda. Spesso si cantano le loro lodi e il coraggio, lintegrit, la generosit, la lungimiranza che hanno mostrato. Tutto questo conta, ma voglio parlare di unaltra virt alla quale non pensiamo abbastanza: quella che chiamiamo pazienza quando ci piace, o ci sembra gentile testardaggine, quando non cos.

opo tutto, Suu Kyi stata perseverante durante i molti anni di arresti domiciliari e di intimidazioni dopo che una giunta militare le aveva scippato le elezioni del 1990 e solo questanno la situazione un po cambiata. Gli obiettivi dei testardi spesso sembrano impossibili, cos come apparivano irraggiungibili gli obiettivi del movimento per i diritti civili o del movimento abolizionista negli Stati Uniti allinizio dellOttocento, che si prefisse di sradicare latrocit della schiavit pi di trentanni prima della vittoria, molto pi velocemente di quanto il contemporaneo movimento delle donne sia riuscito a ottenere diritti fondamentali come il voto. Il cambiamento avviene, ma ci vogliono decenni e ci vogliono persone che rimangano perseveranti, pazienti (o testarde) per quei decenni, insieme ad apporti di nuova energia. Sospetto che la perseveranza degli eroi dei grandi movimenti del nostro tempo non sia stata frutto solo dei fatti ma dalla fede. Erano convinti che la loro causa era giusta, che questo era il modo giusto di vivere sulla terra, e che quello che facevano era importante. Credevano in queste cose decenni prima di vedere i risultati. Bisognava essere irrealistici per andare contro i generali birmani o il regime dellapartheid in Sudafrica o lo schiavismo o cinquemila anni di patriarcato o secoli di omofobia, e gli irrealisti fra noi hanno attinto alla loro fede e non hanno fatto altro che questo con risultati stupefacenti. Il realismo sopravvalutato, ma un dato di fatto che il movimento Occupy ha gi ottenuto risultati straordinari. Abbiamo cambiato i dati della discussione nazionale e abbiamo portato allo scoperto quello che prima appariva nascosto, seppure in piena vista: la violenza di molte ferite e il desiderio di comunit, giustizia, verit, potere e speranza da cui la maggior parte di noi attraversato. Abbiamo scoperto qualcosa che importante per chi siamo: abbiamo scoperto quanti di noi sono furiosi per il lavoro forzato in forma di debito che pesa su milioni di proprietari di casa under-

water, su persone distrutte da spese sanitarie e su studenti i cui debiti per listruzione nessuno stipendio futuro sar in grado di coprire. E questo stato laltro importante risultato di Occupy: abbiamo articolato chiaramente, ad alta voce, innegabilmente, quanto sia terribile e distruttivo lattuale sistema economico. Dirlo unazione potente. Affermare la verit cambia la realt. E questo si collega alle ragioni per le quali le politiche elettorali si muovono tra eufemismi, bugie stupefacenti e fughe dalla realt. Lastuto Occupy ha portato un cavallo di Troia carico di verit nella cittadella di Wall Street. Anche il toro di bronzo non riuscito a farvi fronte. Un piano decennale funzionerebbe come una mappa: potremmo vedere dove siamo stati, dove siamo e dove vogliamo andare. A San Francisco, i partecipanti alle celebrazioni dellanniversario intendono bruciare i prestiti studenteschi e i contratti di mutuo per liberare simbolicamente i prigionieri del debito. A New York, Occupy si sta concentrando sugli scioperi del debito: verranno annunciati obiettivi concreti ed possibile che fra dieci anni alcuni di questi obiettivi possano essere pienamente raggiunti. Questo richieder una determinazione incrollabile anche quando non ci sono risultati. Significa non amareggiarsi per vittorie temporanee e incomplete, cos come per vere proprie sconfitte lungo la strada. Fra dieci anni potremo vedere cose eccitanti: il rovesciamento delle nuove durissime leggi sulla bancarotta, la trasformazione dei prestiti per listruzione e forse anche lannullamento del debito insieme a importanti cambiamenti nelle leggi bancarie e sui prestiti.

e vittorie, quando arriveranno, non saranno perfette. Potranno anche non sembrare vittorie o assomigliare a qualche cosa che non ci aspettavamo, e lungo il percorso ci saranno molti passaggi che i puristi etichetteranno come compromessi. Cos come qualsiasi cosa possiate fare, da una torta a un libro, non assomiglia allideale platonico nella vostra testa, le vittorie possono non assomigliare ai loro modelli, ma voi dovete celebrarle, per quanto imperfette siano, come passi avanti, senza mai credere che la strada finisca l o che bisognerebbe fermarsi. Se si parla di risultati, sono convinta che sia stato per la pressione di Occupy e degli attivisti studenteschi se il debito per listruzione entrato a far parte della piattaforma democratica ed diventato un punto centrale nella campagna di Obama. E se tra dieci anni il panorama dei prestiti per listruzione sar cambiato in meglio, sarebbe triste che nessuno ricordasse come avvenuto e chi ha dato vita a tutto questo, perch nessuno potrebbe celebrare o sentire dentro di s quanto possiamo essere potenti []. Con Occupy sono gi accadute cose importanti e un cambiamento sistemico ancora pi importante potrebbe essere davanti a noi. Non dimenticate che questo movimento si diffuso in migliaia di citt grandi e piccole e perfino nei villaggi in tutto il paese e allestero. Ricordate che molti effetti di quanto accaduto finora sono incalcolabili e molto altro di quello che stato fatto si chiarir lungo il percorso. Celebriamo dunque lanniversario e cominciamo a sognare e a fare progetti per il 2021, quando se saremo stati perseveranti e inclusivi, se avremo tenuto gli occhi puntati sullobiettivo, se avremo riconosciuto i progressi che ci avvicinano alla meta, ricordandoci da dove siamo partiti potremo celebrare qualcosa di molto pi grande. La strada da percorrere lunga, ma ci possiamo arrivare. Traduzione dallinglese di Maria Teresa Carbone
Su gentile concessione di Rebecca Solnit, da www.tomdispatch. com.

Roberto Barni. Addosso - Paesaggio addosso, 2010. CoBrA Museum of Modern Art - Amsterdam

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IPERREALISMI

La presa della battagia


Otto punti per una discussione
Maurizio Ferraris
isogna che non appena questa gente tenter di sbarcare, sia congelata su questa linea che i marinai chiamano del bagnasciuga. Come sappiamo, il bagnasciuga era poi la battigia, e si anche visto come andata a finire. Churchill, invece, non si illudeva affatto che, in caso di invasione, i tedeschi sarebbero stati congelati sul bagnasciuga, ed per questo che disse: Noi combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo nei luoghi di sbarco, noi combatteremo sui campi e sulle strade, noi combatteremo sulle colline, e non escludeva nemmeno che lInghilterra potesse essere completamente invasa. Ora, che cosa caratterizza il discorso del bagnasciuga? Semplicemente e banalmente il rifiuto della realt, la sostituzione di quello che c con quello che si vorrebbe che fosse, lillusione spacciata per liberazione. Di discorsi del bagnasciuga se ne sono sentiti tanti dopo quello, ed per questo che alla presa della Bastiglia si tratta ora di sostituire una pi modesta presa della battigia, da intendersi come una politica del realismo, che chiami le cose con il loro nome. Per brevit, propongo otto spunti per la discussione. Il mio primo punto riguarda la mitologia. Il populismo tradizionalmente mitologico, e ai miti delleroe e del me ne frego si sostituita la favola del milione di posti di lavoro che stata pagata cara quasi quanto quella degli otto milioni di baionette. Fin qui, tutto normale. Lanomalia che durante il postmoderno anche la sinistra ha inseguito delle mitologie, a volte cinematografiche e televisive, ma mitologie. Rette magari da un equivoco di fondo, e cio che il realismo, abusivamente confuso con la Realpolitik, sia di destra, e questo proprio nel momento in cui lantirealismo e la mitologia erano i cavalli di battaglia del populismo. Intanto, come si visto a saziet, la tendenza della destra populistica fortemente antirealistica. Inoltre, il realismo non in quanto tale n di destra, n di sinistra, ma migliora la politica tanto quanto lantirealismo la peggiora, per lo stesso motivo per cui si preferisce, potendo, andare da un buon medico invece che da uno sciamano. Che poi possa essere declinato a destra o a sinistra un altro discorso. Da questo punto di vista, una politica del realismo richiede, in secondo luogo, una riflessione sulla politica. Non affatto vero che siamo in unepoca post-politica come si sente da trentanni a questa parte. Anche lantipolitica politica, ed una politica, per lappunto, particolarmente ideologica e mitologica, basti dire che da noi riuscita persino a costruire una entit fantasmatica come la Padania. Dunque, siamo in un mondo iper-politico, nel quale la politica talmente diffusa, in forma capillare e microfisica, da apparire invisibile e da risultare spesso ingovernabile. Rispetto ai tempi in cui De Gaulle si chiedeva come si pu governare un paese che ha pi di 300 tipi di formaggio? la situazione si ulteriormente complicata. Quello che emerge, per esempio, nello specchio dei social network, spesso una agonalit pura, un rifiuto delle mediazioni. Il che legittimo, ma proprio per questo lo spazio della politica e della democrazia deve presentarsi come il momento della sintesi, e ci pu avvenire solo ridando centralit al parlamento e rispettabilit alla politica. Il mio terzo punto riguarda la sinistra. Non capisco tanto i discorsi, anche quelli vecchi di decenni, secondo cui questa distinzione non ha pi senso. Il senso c, eccome, ed , grosso modo, questo: la sinistra illuminista e punta per una emancipazione dellumanit attraverso la ragione, mentre la destra crede che lumanit debba essere comandata dal trono e dallaltare (e dalle loro versioni aggiornate). Di l discendono tutte le differenziazioni ulteriori su cui ha richiamato a suo

Roberto Barni. Calchi innamorati, 1974

tempo lattenzione Bobbio: sul piano dei valori (uguaglianza o differenza tra gli uomini), della politica (autorit o libert) e della prospettiva storica (progresso o conservazione). Era cos nellOttocento, al tempo delle destre controrivoluzionarie, orleaniste e bonapartiste, ed cos anche adesso. Ci premesso, pu capitare che la sinistra governi con modalit di destra (si pensi a Stalin) e che la destra attui ideali di sinistra (si pensi appunto a Churchill nella Seconda Guerra Mondiale). Inoltre, il mondo pieno di persone che si credono di sinistra e sono di destra (o pi raramente si credono di destra e sono di sinistra). Questo non significa che destra e sinistra non abbiano pi senso, ma semplicemente che gli esseri umani non sempre hanno le idee chiare. Mi ci metto anchio nel novero, per c una cosa su cui sento di potermi esprimere con certezza, ed che coloro che si proclamano al di l della distinzione destra/sinistra sono, in effetti, di destra, perch tipico della destra lappello a una dimensione impolitica o metapolitica. Il mio quarto punto riguarda il neoconservatorismo. Se permane la differenza tra destra e sinistra, gi sotto il profilo culturale non pu essere privo di conseguenze il fatto che i riferimenti teorici della sinistra siano stati, da almeno trentanni a questa parte, di destra: Nietzsche, Heidegger, Schmitt. Che infatti hanno determinato le linee politiche fondamentali: decisionismo, potere carismatico, fatalismo. Perch si sia imposto il neoconservatorismo si pu spiegare sociologicamente con le analisi ancora valide di Lukcs: gli intellettuali non accettano le rinunce per il loro stile di vita che comporterebbe il marxismo, e preferiscono la rivoluzione mitologica e a costo zero di Zarathustra. Si obietter che, da ventanni a questa parte, dopo la caduta del muro, si assistito a un potente ritorno di Marx. Per il ritorno di Marx anchesso mitologico. Marx ritorna ma, daccordo con la caratterizzazione di Derrida che ha dato via al processo, ritorna come spettro. Nel momento in cui il socialismo realizzato esiste solo in Goodbye Lenin!, allora lintellettuale non ha alcuna difficolt a dichiararsi marxista. La situazione ben descritta da Cartesio: il pio marito che piange sulla tomba della moglie non sarebbe poi cos contento se costei resuscitasse. Fuor di metafora, nellarco di un quarantennio la sinistra ha visto, in successione, la propria affermazione culturale sullonda della ribellione giovanile, e poi il crollo del socialismo reale. In questa trasformazione, leffetto pi significativo che stili comunicativi di sinistra (vincenti sotto il profilo culturale) hanno veicolato conte6

nuti di destra (vincenti sotto il profilo politico), e come risultato si avuto il fenomeno del neoconservatorismo. Questultimo ha fatto valere con molta forza lappello al conflitto, alla contrapposizione agonale e militare, al non fare prigionieri.

l mio quinto punto riguarda allora la ricostruzione. Invece di proclamare astrattamente lattualit (o linattualit, che ai fini della retorica lo stesso) di Marx, si tratta di esercitare una critica dellideologia mettendo a fuoco gli elementi pi problematici del postmoderno, ossia (come ho estesamente analizzato nel Manifesto del nuovo realismo), lironizzazione, la desublimazione e la deoggettivazione. Lironizzazione una presa di distanza dalle responsabilit e soprattutto una messa tra virgolette della realt, sistematicamente impropria e manipolabile. La desublimazione la convinzione che le forze del mito e del desiderio siano vie di emancipazione pi potenti e vere rispetto alla ragione. La deoggettivazione, proclamare la superiorit della solidariet sulla oggettivit, dimenticarsi che le cosche mafiose sono estremamente solidali, e che loggettivit (cos come il sapere in generale, che non pu essere abusivamente confuso con il potere) per lappunto ci che ci permette di distinguere non solo il caldo dal freddo o il nero dal bianco, ma una cosca mafiosa da un parlamento. Nellesaminare questi tre punti si tratta di tener ferme le istanze decostruttive avendo tuttavia ben chiaro che nel momento in cui la confusione diviene una ideologia non c niente di pi utilmente critico del realismo e della ricostruzione, e che dunque un obiettivo fondamentale quello di ricostruire la decostruzione. indispensabile che le analisi decostruttive della critica dellideologia vengano affiancate, in termini costruttivi, da indagini di ontologia sociale. Nel mondo non ci sono solo gli oggetti naturali, esistono anche gli oggetti sociali, come le crisi economiche e le guerre, le vacanze e i matrimoni, i parlamenti e la democrazia. Questi oggetti non sono affatto evanescenti o liquidi, come spesso si legge. Sono solidi come alberi o case, e importantissimi perch da loro dipende in buona parte la nostra felicit o infelicit. Per questo la trasformazione difficile, richiede pazienza e fatica, si presta male ai colpi di bacchetta magica e alla finanza creativa. In questo senso, lapporto specifico di un realismo di sinistra starebbe nel condurre una analisi sulla genesi, la struttura e le propriet della realt sociale, che permetterebbe un intervento incisivo in quella realt medesima. Il mio sesto punto il richiamo alle regole. Come abbiamo visto, al centro della mitologia c il

rifiuto della realt, e al centro dellidea della mitologia postmoderna c lidea che il mondo sia liquido ed evanescente. Nella sua versione di sinistra, c lidea che la realt, la sua nettezza e le sue regole, siano lo strumento dei forti contro i deboli, quando chiaramente vero il contrario. I forti non hanno bisogno di realt, cos come non hanno bisogno di leggi. Sono i deboli che devono contare sullesistenza di giudici, di istituzioni, di regole, che a loro volta devono essere condivise e legittime. La cultura italiana, con un effetto di lungo periodo che stato ampiamente studiato, ribellistica, e questo porta, del tutto naturalmente, allantirealismo, al sogno, alla fuga dalle regole, sperando che il polverone e lanomia si possa volgere a nostro vantaggio. Per questo uno slogan come non ci sono fatti, solo interpretazioni ha potuto incontrare un cos grande successo, ed essere vissuto come emancipativo. Perch il senso di quello slogan era una sorta di liberi tutti, sebbene il suo risultato, come del tutto ovvio, la ragione del pi forte sempre la migliore. qui che interviene il mio settimo punto, e cio luniversit. La ricostruzione e il riconoscimento delle regole si inseriscono in un complessivo bisogno di sapere. In questi anni la sinistra ha interiorizzato lanti-intellettualismo della destra. Fenomeni come labuso della cultura pop sono da questo punto di vista illuminanti, perch fanno passare come culturale un atteggiamento che pu essere anticulturale e radicalmente mitologico. Lo stesso vale per il culto del presente. E da questo punto di vista la riforma delluniversit progettata dalla sinistra e attuata dalla destra in spirito rigorosamente bipartisan un fenomeno clamoroso, il cui effetto principale stato di favorire il pubblico e soprattuto di distruggere le lites intellettuali che tradizionalmente sono state il sostegno della sinistra, se ammettiamo, come suggerivo pi sopra, la consustanzialit di sinistra e illuminismo. La riforma parte dunque dallistruzione e dalluniversit, in cui abbiamo libert di azione, in cui non ci si pu appellare ai vincoli e allo spread (perch una cattiva riforma costa quanto una buona). La stagione passata ha visto il parlamento invaso dalla televisione. Non sarebbe sbagliato che ora la biblioteca riprendesse il suo posto, magari anche in forma aggiornata e con ebook, e certamente con la consapevolezza che avere cultura non significa essere intelligenti o giusti, ma aiuta.

nfine e questo ultimo punto potrebbe sintetizzare tutti gli altri si tratta di riconoscere la centralit del lavoro. Essere realisti non significa in alcun modo considerare leconomia come ultima istanza di riferimento. Leconomia una struttura con fortissimi elementi di immaginazione, e tra populismo ed economicismo ci sono molti tratti in comune, in particolare il fatto che basta una frase lasciata sfuggire in televisione o sul web per causare catastrofi o salvezze. Lultima istanza di riferimento, per una politica di sinistra, allora appunto il lavoro, come trasformazione concreta della realt. A livello globale assistiamo alla realizzazione della dialettica signoria-servit: chi produce si sta impossessando della terra. A questo non si pu rispondere con delle guerre di carta, ma con altro lavoro, che pu certo essere anche lavoro intellettuale, ma deve essere lavoro, che produce ricchezza (il beneficio secondario consisterebbe nel restituire dignit alle persone). E se un qualche neoconservatore eroico verr a dirci che questo latteggiamento dellultimo uomo gli risponderemo che s, magari cos, e che lui se lo desidera pu fare lo Zarathustra e il superuomo, ma a casa sua, come dAnnunzio alla Capponcina.

IPERREALISMI

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Iperbolica modernit
Come raccontare la realt senza farsi divorare dai reality
Raffaele Donnarumma
Goodbye, Postmodernism Sembra che ormai se ne siano convinti tutti: la cultura e la letteratura postmoderniste si sono esaurite. Le parole dordine di un trentennio iniziato con la met degli anni Sessanta e spento alla met degli anni Novanta sono scadute, e le ha sostituite il loro contrario: non pi morte del soggetto e dellautore, ironia coatta, manierismo, autoreferenzialit, antistoricismo, scetticismo sulla politica, vanificazione della verit, ma riabilitazione dellio, nuove forme di realismo, volont di raccontare il presente, partecipazione civile, denuncia, fiducia in una qualche possibile verit della letteratura. Anche se limpegno impraticabile per la scomparsa delle strutture che lo sostenevano e per la corrosione cui proprio il postmoderno lha sottoposto, il presente diventato oggetto di investimenti e giudizi. La scrittura rivendica oggi effettualit morale, efficacia pratica: ci che, al contrario, il postmodernismo metteva in mora o irrideva. Eppure, il cambiamento di clima non coincide affatto con uneclissi del mondo della vita postmoderna. I miti della fine della storia e dello sciopero degli eventi sono stati sbugiardati anche prima dell11 settembre; ma non assistiamo certo n alla fine del tardocapitalismo e del neoliberismo (le loro crisi sono le febbri di crescenza del Leviatano), n allarchiviazione dei cambiamenti con cui linformatica ha riplasmato il nostro immaginario. Il processo iniziato alla met degli anni Sessanta si accelerato ed esteso: il suo secondo nome, infatti, globalizzazione. Ma non pi il tempo dellanything goes e del laissez faire postmoderni spade di plastica, o maschere troppo fragili per potersi difendere dalla furia del Nuovo Ordine Mondiale. Ipermodernit Che nome dare a queste mutazioni, che stanno in un atteggiamento diverso rispetto allarroganza del tardocapitalismo, anzich in una sua trasformazione radicale? Lassunto da cui partirei che la liquidazione ironica della modernit proclamata dal postmodernismo si rivelata illusoria. Sotto il regime della modernit, siamo stati per tutto il Novecento e siamo ancora: ci cui assistiamo, e ci che gi let postmoderna aveva messo in moto, semmai la sua continuazione unilaterale, parodica, impazzita. Se la modernit conosceva sistemi di autocorrezione e di rivolgimento, oggi la correzione appalto delletica pi che della politica, e il sole della rivoluzione non sorge pi in nessun cielo. La storia procede, ma senza mete: piuttosto che credere che sia gi stato fatto e detto tutto, ci siamo abituati al regime forzoso del nuovo, senza avere fede nelle favole sul progresso. Il futuro sempre qui, e ci d stupori di routine: rischia di essere la nostra prigione distopica. A questa modernit oltranzistica e compulsiva, darei il nome di ipermoderno. Promossa in Francia soprattutto da filosofi e sociologi come Gilles Lipovetsky (e in principio, forse, era Baudrillard), questa categoria non ancora stata pensata come occorrerebbe. A chiarirla, sarebbero utili quanti gi negli anni Ottanta e Novanta, insoddisfatti della nozione di postmoderno, tentavano vie alternative: Beck con la societ dei rischi, Aug con la surmodernit, Bauman con la modernit liquida. tutto lavoro da fare; anche perch, a dirla tutta, in qualche banditore dellipermoderno non mancano approssimazione e moralismo. Ma prima di tutto, bene che il prefisso iper non crei equivoci: esso non ha alcuna sfumatura celebrativa, e si rivela anzi ansiogeno e intimidatorio. Liper il dover essere della contemporaneit, la sua ossessione prestazionale, la febbre che la fiacca. Labbozzo che si compone, allora, non tanto o solo una rottura con il postmoderno (la cui egemonia, pure, stata contrastata), ma uno scivolamento e, dunque, la rivelazione che quel post non si era mai compiuto davvero. In Italia, di ipermoderno si inizia appena a parlare. Il solo, recentissimo tentativo sistematico appunto di un sociologo: in Ipermondo (Laterza 2012), Vanni Codeluppi propone Dieci chiavi per capire il presente. Ma gi prima, Massimo Recalcati ricorso a questa categoria. Luomo senza inconscio (Cortina 2010), con la giunta di Cosa resta del padre? (Cortina 2011), un trattato di antropologia contemporanea. Nelle patologie emergenti e simboliche del presente (anoressia, bulimia, crisi di panico, tossicomanie, disturbi psicosomatici) non emerge alcun rimosso e linconscio fuori gioco. Sembra il ritratto di molti personaggi contemporanei e di quei narratori che descrivono il disagio senza credere al profondo e alla psicoanalisi: sono strumenti fatti apposta per leggere Easton Ellis o Coetzee, Houellebecq o Littell, Nove o Siti. Realismi ipermoderni Ma allora, parlare di ipermoderno pu servire a farci capire la cultura, le arti, e in particolare la letteratura che si sono imposte da met anni Novanta? Se scrittori come Bolao o Foster Wallace o lultimo DeLillo segnano una transizione dal postmoderno a qualcosa che non lo pi, ne sono gi fuori, per limitarsi ai nomi pi in vista, Saramago, Munro, Richler, Roth, Yehoshua, Coetzee, White, Cunningham, Franzen, Schulze, Houellebecq, Littell. In loro, non si sfugge al confronto con la tradizione modernista; e come il modernismo si opponeva alla modernit sino al rifiuto e alla reazione, cos questi scrittori praticano una storiografia critica del presente che ha poco a che fare con lhistoriographic metafiction di Pynchon o Doctorow. Tuttavia, quello che identifica la loro scrittura la conciliazione delleredit modernista con le forme storiche del realismo ottocentesco: conciliazione straordinariamente produttiva e paradossale, se si considera che, in tutti i modernisti storici, la polemica contro le fotografie naturalistiche e le marchese che uscivano alle cinque aveva s la coscienza sporca, ma era frontale e spazientita. Il nodo della letteratura ipermoderna proprio il realismo; tanto pi, perch con poche cose come con quello il postmoderno ha avuto il dente avvelenato. Oggi, il realismo risponde per statuto a unangoscia di derealizzazione e si misura con lirrealt o la realt depotenziata prodotta dai media. Come ha detto meglio di tutti Siti, il realismo diventato un souffl pronto ad afflosciarsi in una poltiglia di finzione, cio vive costantemente nel dubbio di riuscire a fare presa sulle cose e di essere credibile. La riduzione del mondo a favola, che il postmoderno dava per avvenuta, fomentava o con cui flirtava, ci che lipermoderno teme e contro cui resiste. Ipermoderno dunque quel realismo che sa che la realt mediata dalle immagini e dalle costruzioni culturali (cio, ci si presenta gi sempre riprodotta); ma che cerca comunque di opporsi alla falsificazione integrale. La questione (ci ha riflettuto Didi-Huberman) non la realt fuori o prima delle immagini: ma la verit delle e nelle immagini. Le forme del realismo ipermoderno che spesso assume o costeggia i modi del reportage sono perci mediate da due istanze complementari: quella documentaria, e quella testimoniale. Documento, testimonianza Una letteratura documentaria sa subito che la realt non la cosa da rispecchiare, ma qualcosa che gi stato messo in forma dal discorso sociale. Come ci ha spiegato Maurizio Ferraris, il documento vero solo se ha una sanzione pubblica, cio solo se esibisce le marche della propria artificialit: il realismo documentario pretende alla verit proprio perch mette in tavola le carte. Se lautoreferenzialit postmoderna apriva il cannocchiale infinito delle riscritture che rimandavano solo a se stesse, e al fondo del quale non cera nulla, il realismo documentario ipermoderno riscrive perch la realt gi scritta o raccontata o rappresentata, e non per questo meno vera. Viene cos inscenata quella necessit di un di pi di lavoro interpretativo cui ci hanno abituato i media audovisivi (Pietro Montani, Limmaginazione intermediale, Laterza 2010). Proprio perch il documento richiede unassunzione di responsabilit da parte di chi lo produce, la radice della sua credibilit non positivistica: al contrario, richiama una responsabilit etica e un impegno soggettivo. Perci, il documento invoca subito il correttivo della testimonianza (penso allacutezza con cui Agamben ha articolato questa categoria in Quel che resta di Auschwitz). Non esiste verit senza che qualcuno non ci metta la faccia e la parola. Lespansione e quasi listituzionalizzazione delle scritture dellio lo dimostra in abbondanza, sia che colonizzi forme narrative date, sia che se ne crei nuove (e una delle pi vitali, oltre al memoir, il cosiddetto personal essay, per come lhanno inventato Foster Wallace o Sebald). Si prenda proprio il genere pi sfuggente: quellautofiction che, anche in Italia, ha conosciuto una diffusione straordinaria. Se la consideriamo come forma simbolica della contemporaneit, il suo intento non dimostrare che lidentit fittizia perch impastata di menzogne; ma che ogni identit si costruisce, e trova se stessa, anche nelle menzogne. Cosa dice Operation Shylock se non che alcune verit possono essere enunciate solo nellinvenzione pi divertitamente spericolata? Cosa fa Lunar Park, se non sfruttare un immaginario da B-movie per avere accesso al profondo? Cosa racconta Siti, se non che lio se stesso nelle sue mistificazioni? Panorama italiano Letta sotto questa luce, anche la narrativa italiana recente inizia a comporsi in un panorama. Senza un ripensamento del modernismo non saprei capire libri pur diversissimi come la trilogia di Siti, Canti del caos di Moresco o Dai cancelli dacciaio di Frasca: lopacit della forma, lautoriflessivit del racconto, lesibizione dellartificialit della scrittura non sono i segni di uno scetticismo rinunciatario, ma vogliono, ora ironicamente, ora in maniera spasmodica, strappare qualcosa di vero alla proliferazione dei discorsi e delle immagini. Oppure, ripensate in questa chiave il dibattito su Gomorra: chi come Saviano si confronta con una realt gi mangiata dai media? chi come lui vuole produrre, pi ancora che documenti, una testimonianza la cui credibilit si fondi sullio cero e su unenfasi rappresentativa che restituisca forza alle parole? Gi questi titoli suggeriscono una caratteristica distintiva della nostra narrativa rispetto a quella internazionale: mentre altrove lipermoderno ha coinciso anzitutto con un rilancio del romanzo fuori del manierismo o del citazionismo postmoderni, da noi il meglio sembra voler sfuggire alla sua ombra, che copre invece, ma appunto come ombra, la mediet o linanit dei bestseller stagionali. Gli scrittori italiani hanno un rapporto difficile con il romanzo. Siti ci si avvicinato dopo aver scritto alcune delle pi belle autofiction prodotte in Europa; Moresco se ne allontanato sempre pi visionariamente correndo verso lopera-mondo, salvo recuperarlo a modo suo neglIncendiati; Frasca lo ha smontato e rimontato a forza di allegoria e riflessione; Covacich lo costruisce con sapienza, ma sempre tentato dallautofiction; Gomorra ha imboccato tuttaltra strada; Pascale ci arriva dopo i racconti e dopo aver trovato nella Citt distratta la sua mistione di saggismo e narrativa; Trevi pu sognarlo nel Libro della gioia perpetua, ma riesce davvero nei suoi personal essays; Arminio pratica la paesologia in forme strutturalmente analoghe, ma costruisce il libro per montaggio di pannelli Dovrebbe bastare questo, spero, a sgombrare il campo dagli equivoci su quel neo-neorealismo o neo-naturalismo di cui si sentito parlare in Italia negli ultimi anni. Certo, non affatto esclusa una regressione a forme grezze; ma neppure quella regressione, per deludente che sia, a rigore ingenua. Con lipermoderno, nessuno potrebbe vantare di fronte al reale una verginit che c da stupirsi qualcuno creda sia mai esistita.

Roberto Barni. Basamento, 2010

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IPERREALISMI

Al di l del principio di ragion sufficiente


Quentin Meillassoux
noto che i termini caso (in francese hasard, dallarabo az-zahr) e aleatorio (dal latino alea) rinviano entrambi a etimologie vicine1: dado, lancio di dadi, gioco di dadi. Queste nozioni rimandano ai temi inseparabilmente connessi, e non opposti, del gioco e del calcolo, del calcolo delle possibilit inerente a ogni gioco di dadi. Ogniqualvolta in un pensiero domina lidentificazione dellessere con il caso, si profila il tema del Dado-Tutto (ovvero la chiusura inalterabile del numero dei possibili), quello dellapparente gratuit del gioco (la vita intesa come gioco, il mondo riconosciuto come superiore nella sua superficialit), ma anche quello del freddo calcolo delle frequenze (il mondo delle assicurazioni sulla vita, dei rischi calcolabili e cos via). Lontologia della chiusura dei possibili ci colloca necessariamente entro un mondo che si rifiuta alla gravit nel momento stesso in cui prende sul serio solo le tecniche di conteggio. Il termine contingenza, al contrario, deriva dal latino contingere: toccare, accadere. La contingenza ci che avviene, ma avviene vicino a noi tanto da toccarci. Il contingente insomma qualcosa che infine accade qualche cosa daltro che, sfuggendo a tutti i possibili gi inventariati, pone fine alla vanit di un gioco dove tutto, compreso limprobabile, prevedibile. Quando ci succede qualcosa, quando la novit ci prende alla gola, allora finisce il calcolo e finisce anche il gioco: siamo passati alle cose serie. Ma laspetto essenziale che costituiva gi una intuizione portante dellEssere e levento2 che il pensiero pi vigoroso intorno allavvenimento incalcolabile e irrappre-

sentabile ancora il pensiero matematico, e non quello artistico, poetico o religioso. attraverso la matematica che giungeremo infine a pensare ci che, per la sua potenza di novit, confonde le quantit e d il segnale di fine della partita. Alla luce degli sviluppi precedenti, si pu infine cogliere il senso complessivo dellapproccio fattuale. Possiamo offrire questa formulazione del nostro progetto: intendiamo sostituire alla dissoluzione contemporanea dei problemi metafisici una precipitazione non metafisica di questi stessi problemi. Spieghiamo succintamente il senso di questa sostituzione. Cosa faranno molti filosofi contemporanei (sebbene sempre meno) posti di fronte al problema di Hume, o alla domanda perch vi qualcosa e non il nulla? In generale, cercheranno il modo pi efficace per fare unalzata di spalle. Vi dimostreranno che la vostra domanda non ha nulla di enigmatico, perch essa non si pone nemmeno pi. Caritatevolmente, ripetendo instancabilmente il gesto duchampiano-wittgensteiniano, tenteranno di farvi comprendere che non vi sono enigmi, poich non c nessun problema. Questi filosofi avranno la pretesa di dissolvere il vostro problema ingenuo metafisico, dogmatico, eccetera svelando lorigine (linguistica, storica e cos via) della vostra vana problematica. A rigore, ci che davvero li interessa di sapere com stato possibile (e lo ancora: voi ne siete la prova) arrivare a porsi falsi problemi di questo genere. La fine della metafisica si identifica ancora ampiamente con questo tipo di approccio dissolutorio: non si tratta pi di porre domande metafisiche, perch queste hanno solo lapparenza delle

domande, o domande irrimediabilmente sorpassate, ma piuttosto domande sulla metafisica o riguardo la metafisica. Ormai comprensibile che la credenza contemporanea nella irresolubilit delle questioni metafisiche solo leffetto del perpetuarsi di una credenza nel principio di ragion sufficiente: perch solo colui che continua a credere che pensare speculativamente equivalga a scoprire la ragione ultima dellesser-cos crede anche che le domande metafisiche non abbiano alcuna speranza di venir risolte. Solo chi crede che lessenza della risposta a un problema metafisico consista nello scoprire una causa, una ragione necessaria, pu ritenere e ci a buon diritto che questi problemi non verranno mai risolti. il discorso dei limiti del pensiero, che ormai sappiamo dipendere dal negato mantenimento della metafisica. La vera fine della metafisica ci si rivela come unimpresa volta a liberare dalla dissoluzione il precipitato delle antiche domande, riconsegnate infine alla loro sovrana legittimit. Via via che risolveremo le domande della metafisica, potremo comprendere la sua stessa essenza come produzione di problemi che essa non poteva risolvere, senza abbandonare il suo postulato fondamentale: solo la rinuncia al principio di ragion sufficiente permette di dare senso ai suoi problemi.

tere una soluzione, questo postulato cede via via che riusciamo a rinunciare al principio di ragion sufficiente. Al contrario, i problemi metafisici si rivelano come autentici problemi, e lo sono da sempre, poich essi ammettono una soluzione. Ma solo a una condizione precisa e strettamente vincolante: occorre comprendere che rispetto alle domande metafisiche che ci chiedono perch le cose sono come sono e non altrimenti, la risposta per nessun motivo una risposta autentica. Non si deve ridere o sorridere delle domande: Da dove veniamo? Perch esistiamo?, ma occorre invece assimilare il fatto straordinario che le risposte Da nulla. Per nulla sono realmente delle risposte. E occorre scoprire a partire da questo fatto che quelle domande erano davvero delle domande. Delle ottime domande, per giunta. Non c pi un mistero, non perch non ci sia pi un problema, ma perch non c pi una ragione.

l fattuale consiste quindi nellabbandonare lapproccio dissolutorio in quanto anchesso divenuto superato. Perch il postulato della dissoluzione, secondo cui i problemi metafisici non sono dei problemi ma dei falsi problemi, delle pseudo-domande costituite in modo tale che non ha alcun senso supporre che esse possano ammet-

1. Un collegamento etimologico col termine italiano corrispondente, caso senzaltro possibile: lessenziale nel gioco dei dadi proprio la caduta (casus) di questi ultimi, che si suppone regolata da vincoli causali operanti al di fuori della nostra conoscenza e portata. Di fatto: il casus dei dadi sinonimo di aleatoriet. [N.d.T.] 2. Alain Badiou, Ltre et lvnement, Seuil, Paris 1988 (traduzione italiana di Giovanni Scibilia: Lessere e levento, Il nuovo melangolo, Genova 1995). Testo tratto da: Dopo la finitudine. Saggio sulla necessit della contingenza, cura e traduzione di Massimiliano Sandri, Mimesis edizioni, Milano 2012.

Reality
Andrea Cortellessa
on abbandonate mai i vostri sogni!. lo slogan (Never give up!, in neolingua televisiva) che grida a ogni pie sospinto Enzo, il simpaticissimo vincitore napoletano del Grande Fratello la cui fama improvvisa lo ha reso, agli occhi dei conterranei, una specie dangelo del Paradiso (nella prima delle due scene di vera e propria estasi che punteggiano il film, lo si vede letteralmente volare sopra la folla adorante, trainato da tiranti durante una festa in discoteca). Ma anche loracolo della sorte di Luciano, il protagonista di Reality di Matteo Garrone che tanto gli assomiglia (a sua volta simpaticissimo, fa la sua prima apparizione travestito da drag queen con parrucca blu), e pi ancora vorrebbe ripercorrere il suo cammino (a lungo lo pedina, infatti, elemosinando raccomandazioni per lo Show). Luciano rester sino alla fine, infatti, prigioniero del suo sogno di fama: o meglio dellultra-vita, dellestasi rappresentata dalla Casa del Grande Fratello. Nonch, per sua scelta, prigioniero della rappresentazione in cui la sua vita di tutti i giorni si trasforma: dal momento in cui superati i primi provini, il secondo dei quali sostenuto a Cinecitt si convince che Emissari della Televisione abbiano preso a spiarla, quella sua vita, onde verificarne la coincidenza con laccattivante epitome realizzata in sede di provino. Cos che Luciano, gesticolante venditore in una pescheria in piazza, ma che in realt trae il suo misero benessere da piccole truffe su vendite per corrispondenza, letteralmente la distrugge, quella vita: onde farla coincidere il pi possibile con lastratto modello di simpatia che reputa idoneo alla Casa (la smette con le truffe, manda a monte il matrimonio con la mogliecomplice, dilapida i beni di consumo nel frattempo accumulati per regalarli agli Ultimi della scala sociale, i mendicanti prima schifati). La metafora orwelliana e il procedimento foucaultiano che, protervi, avevano irreggimentato il concept del format televisivo Big Brother (in Italia trasmesso dal 2001 alla primavera di

questanno; caduti gli ascolti dellultima edizione, il programma risulta attualmente sospeso) vengono, cos, ironicamente letteralizzati. L Uomo Comune crede dessere diventato davvero il protagonista di un Controllo continuo e ossessivo, di essere costantemente sotto gli occhi di un Panottico che, dallalto, lo sorveglia e giudica (del resto, fuori di metafora e di cornice, la mdp di Matteo Garrone e con lei, dunque, gli occhi di noi spettatori davvero lo pedina di continuo; eccellente la prova del protagonista Aniello Arena, che davvero un carcerato: appartenente alla Compagnia della Fortezza nata nel 1988 nel carcere di Volterra). Lo Spettatore, condannato a sorvegliare la vita dei Prigionieri della Casa, si scopre (o si desidera), a sua volta, Prigioniero di una Super-Casa che per tetto ha solo il cielo. (Gi il precedente cinematografico concettualmente pi diretto The Truman Show di Peter Weir e Andrew Niccol, 1998 alludeva alla dimensione religiosa col nome del regista-demiurgo dello Show che aveva per unica, inconsapevole vittima e star Jim Carrey: Christo grande empaqueteur altres, come lomonimo artista bulgaro, perch in quel caso davvero il Cielo era posticcio, ricostruito in uno studio televisivo). Dal Cielo infatti proviene, per al Cielo infine fare ritorno, lo sguardo dell Autore (un po come quello cos provocatorio nel letteralizzare la metafora dell Artista-Demiurgo che oggi tanto irrita gli avversari dell Autorismo del Lars Von Trier di Breaking the Waves, 1996): che appunto dallalto, nel favoloso piano-sequenza iniziale, a lungo segue una carrozza a cavalli decorata di stucchi e finimenti rococ, che incongrua percorre la viabilit dellhinterland partenopeo per fare infine trionfale accesso a un tamarrissimo ricevimento di matrimonio. L Elicottero verosimilmente impiegato per realizzare questa ripresa, e che poco dopo viene in effetti inquadrato prendersi Enzo, ospite donore della festa, e portarlo via con s nellEmpireo delle Star inserisce Reality, cos

come le musiche ninoroteggianti di Alexander Desplat, nellalveo di Fellini (lelicottero, certo, che trasporta la statua di Cristo, nellincipit della Dolce vita): che in effetti il nume tutelare del ct meno sorprendente del film di Garrone, quello grottesco e satirico (i parenti obesi di Luciano, le facce mostruose degli invitati alla Festa, eccetera); cos come non mancano riferimenti compiaciuti allenciclopedia del Neorealismo (specie nella lunga e un po troppo macchiettistica parte centrale, quella della recita di Luciano in uno spazio chiuso-aperto uscito dritto da una pice di Eduardo De Filippo), ovviamente a Bellissima di Visconti eccetera. Ma non , questo, gratuito collezionismo da cinphile. Bens, mi pare, consapevole e puntigliosa polemica con quanti avevano accolto trionfalmente Gomorra (e oggi non a caso storcono il naso di fronte a Reality) in nome di un preteso nuovo realismo. L enciclopedia dei Realismi che Reality compendia e parodia si fa cos strategia, obliqua quanto ironica, di demistificazione: in vista di un altro-realismo, di un oltre-realismo o Iper-Realismo che in effetti sempre stata la cifra di questo autore (almeno dallImbalsamatore in avanti). L ultima scena del film (attenzione: spoiler!) fa infatti da perfetto contraltare a quella iniziale. Pasqua, e Luciano si recato a Roma per assistere alla Via Crucis, seconda scena estatica del film (segno di mimesi Cristica, certo; ma anzitutto, direi, mise en abme del Passaggio, del Trasumanare che sta per compiersi, e al quale in precedenza aveva alluso un piccolo sketch in Cimitero, con due Vecchie che Luciano, al solito, scambia per misteriosi Emissari e che parlano con lui dellIngresso in una Casa che , invece, quella del Signore). Misteriosamente (o meglio, mistericamente), Luciano individua gli studi nei quali viene ripreso il Grande Fratello; e altrettanto misteriosamente riesce a fare accesso nella Casa. Prima percorre lentamente, con un sorriso estatico stampato sulla faccia, i corridoi che

perimetrano gli ambienti spiati dalle telecamere; poi sintrude in una breccia ed effettivamente entra nella Casa. A quel punto succedono due cose. La prima che nessuno lo vede. Non si accorgono della sua presenza gli altri partecipanti al reality n, per quanto ne sappiamo (lo sguardo degli Spettatori, in precedenza ripreso nelle scene pi dolenti del film, ora lontano, forcluso dalla rappresentazione), pu essere visto negli schermi televisivi. La seconda che Luciano, di ci, non si duole affatto; anzi. Lo vediamo accomodarsi su una sdraio al limitare della piscina, stendersi, bearsi, perdersi in lontananza mentre la mdp riprende il volo. Il suo sorriso, ultima citazione, quello di Robert De Niro nel finale di Cera una volta in America di Sergio Leone. Luciano finalmente uscito dalla sua vita recitata fuori: ed entrato nella vita reale, quella in cui il suo modello di esistenza, e lesistenza che davvero conduce, combaciano a perfezione. In Paradiso, cio. Non un caso che il finale (almeno nella parte in cui Luciano spia i ragazzi del Grande Fratello dagli specchi monodirezionali che circondano la Casa) riscriva con precisione un episodio di Troppi paradisi di Walter Siti (insieme al quale, del resto, per qualche tempo Garrone ha invano vagheggiato un film sulla resistibile ascesa di Fabrizio Corona): ossia lautore letterario che al prezzo di una puntigliosa Sospensione del Giudizio, la stessa che consente a Garrone di evitare le derive, opposte ma equivalenti, del Sarcasmo Complice da Commedia allItaliana e del Corruccio Moralista da Apologo Sociale meglio, in questi anni, ha saputo reinterpretare la tradizione dei Realismi (sino a un pastiche pasoliniano, nel Contagio, che ha la stessa funzione di quello realizzato da Garrone nella parte centrale di Reality) nella chiave di un Realismo della Derealizzazione o, appunto, di un Iper-Realismo. L unico realismo, cio, allaltezza dei tempi che ci sono dati in sorte.

IPERCORPI

alfabeta2.24

Tendenza Pistorius
Le diverse sirene del postumano
Antonio Caronia

a quando si mise in luce per la prima volta alle Paralimpiadi del 2004, Oscar Pistorius diventato una figura di riferimento per limmaginario del cyborg e del postumano, per la tenacia che ha dimostrato nella sua carriera agonistica, e il coraggio e lostinazione con cui ha rivendicato il diritto a uscire dal ghetto partecipando anche alle gare dei cosiddetti normodotati. La combinazione di spavalderia e di understatement con cui ha avanzato le sue richieste e si presentato sui media, ne ha fatto un personaggio in grado di catalizzare pregiudizi e aperture, entusiasmi e arroccamenti. Era pi facile, per i giornalisti e gli sportivi che esprimevano consensi o dissensi alle sue richieste (rivendicazioni? pretese?), fare emergere anche inconsapevolmente un discorso, per cos dire, ontologico sulla disabilit. Dietro alle risposte alla domanda: giusto o non giusto consentire a un disabile dotato di protesi di gareggiare con gli atleti normali, si leggevano in filigrana concezioni della tecnica, del rapporto fra tecnologie e corpo, ingenue o scaltrite teorie dei rapporti fra natura e cultura. Insomma, tutta unantropologia, non solo della tecnica, ma unantropologia tout court. Era inevitabile che tutto questo fiorire di commenti, di risposte, di considerazioni, andasse a impattare su un dibattito (appunto quello sul corpo artificiale, sul cyborg, addirittura sul postumano), che ha investito, sia pure con parzialit e con un certo ritardo, anche la scena italiana. Semplificando moltissimo, le argomentazioni che sostengono le due diverse risposte alla domanda posta da Pistorius si possono riassumere come segue. Le risposte positive esprimono in genere una posizione favorevole alla modernit, allintegrazione fra corpo e tecnologia: chi esprime posizioni del genere si considera attento a una logica del cambiamento, e non ritiene che la diversa forma e il diverso funzionamento delle protesi che sostituiscono gli arti inferiori dellatleta gli diano un vantaggio o uno svantaggio particolari. Per costoro, insomma, la protesi non snatura lessere umano, lo configura solo in maniera diversa dallessere umano senza protesi, ma non in modo tale da determinare un salto qualitativo, la comparsa di una figura biologica e culturale diversa. Linserzione della tecnologia nel corpo, anche a livello dellimmaginario sociale, sarebbe in grado, insomma, di risolvere in maniera spontanea se non automatica ogni problema di integrazione, tanto tecnico quanto psicologico, tanto individuale quanto sociale. Il cyborg gi tra noi, non abbiamo altra possibilit che quella di prenderne atto: ogni rifiuto destinato prima o poi a essere superato, ogni squilibrio condannato a essere assorbito. Luomo artificiale non riesce a mutare significativamente, insomma, lomeostasi che regola il rapporto delluomo col suo ambiente. Ne siano coscienti o meno coloro che lo sostengono, questo discorso non che una riedizione del tradizionale discorso sul progresso, anche se la retorica pu essere cambiata rispetto a quella otto-novecentesca delle magnifiche sorti e progressive.

prima delle Olimpiadi del 2008 (alle quali comunque fu poi ammesso, ma fall la qualificazione), n dopo (alle Olimpiadi di Londra di questanno non ha conquistato alcuna medaglia). Ecco emergere allora unobiezione di segno opposto. Non sarebbe tanto un indimostrabile vantaggio degli atleti con protesi che sconsiglierebbe questa mescolanza, ma al contrario la conferma di un loro svantaggio: che li esporrebbe a umiliazioni, o potrebbe essere indirizzato verso un lagnoso pietismo. Questo, per esempio, il commento di un lettore su un blog: La partecipazione di Pistorius alle olimpiadi dei normodotati ha rappresentato il trionfo della retorica della normalit dei diversamente abili, che non meno nefasta di ogni altra. Io la finirei con questa schifosa retorica. Questa gente ha bisogno di aiuti concreti di strutture, di accompagnatori, e non di schifoso pietismo, e soprattutto non hanno bisogno di nessun Pistorius per essere eroi, perch loro s, sono autenticamente eroi di tutti i giorni1. Al di l delle differenze che attraversano tutte queste reazioni variamente ispirate al senso comune, c per un atteggiamento di fondo che le accomuna. Questo atteggiamento una concezione fissista o sostanzialista dellessere umano: la convinzione, cio, che sia possibile fissare una volta per tutte una definizione di uomo, e quindi tracciare una linea di demarcazione precisa fra ci che umano e ci che umano non . Poi ci si divider fra coloro che non reputano desiderabile (o forse neanche possibile) superare questa linea di demarcazione, e coloro invece che prendono atto che linterazione fra corpo e tecnologia conduce proprio al superamento di quella linea. Ma in entrambi i casi il processo che viene descritto (come impossibile o gi in corso, deprecabile o desiderabile) quello che conduce da una specie a unaltra, da una specie nota a una ignota. La gran parte delle posizioni espresse sul cosiddetto postumano fondata su questo presupposto. altres evidente che questo presupposto accompagnato (almeno implicitamente) da unaltra premessa: che nelluomo ci sia un elemento irriducibile alle altre specie animali, che la specie Homo sapiens sia un unicum nel regno animale, e che quindi, per una o unaltra ragione, la nostra specie abbia realizzato una specie di trascendenza del biologico. Questo elemento trascendente ci che usualmente viene indicato col termine cultura. Questa corsa a definire, a descrivere, a delimitare, a fissare una volta per tutte lessenza

dellumano, porta a risultati tanto pi deludenti quanto pi le intenzioni sembrano lodevoli (per esempio giungere a una definizione delluomo che non faccia uso in alcun modo di ipotesi dualistiche). il caso della cosiddetta teoria dellincompletezza, con la quale Arnold Gehlen tenta di sfuggire allo spiritualismo del fondatore dellantropologia filosofica, Max Scheler. Forse, a modo suo, Gehlen ci riesce, ma solo a prezzo di spostare il dualismo scheleriano dalla spaccatura fra natura e cultura allinterno della stessa natura. Carente di istinti e ricco di pulsioni, capace della raffinata strategia dellesonero, luomo di Gehlen obbedisce a una legge strutturale particolare, la quale la medesima in tutte le peculiari caratteristiche umane, e va compresa muovendo dal progetto posto in essere dalla natura di un essere che agisce2. La conseguenza che la visione di Gehlen non supera affatto il dualismo: esso viene soltanto assunto a dato empirico, e il carattere unitario della nuova scienza delluomo, dellantropologia filosofica, dovr dare conto di questo dualismo: Sarebbe a mio avviso un risultato meritorio qualora si potesse dar fondamento alla generale e popolare opinione che definisce animale tutto ci che non uomo, dal lombrico allo scimpanz, separandolo dalluomo. Dove si fonda il diritto di questa distinzione? E si pu continuare a sostenerla anche se si ammettono i princpi fondamentali della teoria evoluzionistica?3.

n effetti tutta la teoria di Gehlen volta a fondare il diritto della discontinuit fra uomo e animale, e ad adattare il punto di vista evoluzionistico a tale discontinuit. La prima e fondamentale mossa quella di riprendere la visione delluomo come essere manchevole, avanzata a suo tempo da Herder, e svilupparla alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili (quelle degli anni Trenta nel Novecento). A differenza di tutti i mammiferi superiori, scrive Gehlen, dal punto di vista morfologico luomo determinato in linea fondamentale da una serie di carenze, le quali di volta in volta vanno definite nel senso biologico di inadattamenti, non specializzazioni, cio di carenze di sviluppo: e dunque in senso essenzialmente negativo. A questa condizione di carenza, di inadattamento, di apparente paradosso (in condizioni naturali, originarie, trovandosi, lui terricolo, in mezzo ad animali valentissimi nella fuga e ai predatori pi pericolosi, luomo sarebbe gi da gran tempo eliminato dalla faccia della terra)4, luomo reagisce, secon-

do Gehlen, rovesciando i suoi apparenti svantaggi in vantaggi: modifica lUmwelt per trasformarlo in Welt (dallambiente, in cui vivono tutti gli altri animali, al mondo, che luomo costruisce per se stesso); si esonera dagli stimoli per costruire risposte pi complesse, basate su prestazioni di specie superiore5 come il linguaggio, la ragione, la riflessione; si affida a una attivit collettiva di previsione e di pianificazione che nessun animale conosce. Egli vive, per cos dire, in una natura artificialmente disintossicata, manufatta, e da lui modificata in senso favorevole alla vita. Si pu anche dire che egli biologicamente condannato al dominio della natura6. In realt tutta la costruzione concettuale legata alla teoria della carenza, al paradigma dellincompletezza, ha come unica giustificazione quella di fondare pi efficacemente, separandolo dalle ipotesi spiritualistiche, un presupposto metafisico che non solo non dimostrato e non dimostrabile, ma che si rivela il cavallo di Troia per cui il dualismo, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra: quello della separazione delluomo dal regno animale, quello di una linea evolutiva speciale e peculiare alluomo. in fondo questo posto speciale delluomo nel mondo che sta dietro alle fantasticherie sul superamento della specie umana a furia di interventi tecnologici sul corpo (un superamento che diventa particolarmente grottesco nelle teorizzazioni delle componenti oltranziste dei sostenitori del postumano, come i cosiddetti transumanisti)7. Concezioni di questo tipo generano visioni meccaniciste e pseudo-evoluzioniste, che identificano il salto oltre lumano con una prospettiva puramente quantitativa di aggiunte tecnologiche a un corpo biologico ridotto a passivo campo di intervento da parte di unentit (la mente? il soggetto?), il cui legame con la sua base biologica risulta sempre pi misterioso. Non erano queste le pratiche a cui pensava Nietzsche quando formulava la prospettiva del suo bermensch; non era questo il quadro nel quale Foucault, chiudendo Le parole e le cose, dichiarava che luomo uninvenzione di cui larcheologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima, prevedendo poi con sorprendente anticipazione una possibile situazione in cui luomo sarebbe cancellato, come sullorlo del mare un volto di sabbia8? Se a qualcosa pu e deve servire una cultura del postumano, in primo luogo io credo a riconoscere correttamente lorigine concettuale di quelle pratiche che, in nome di presunti modelli, di presunte purezze, di presunte essenze delluomo, hanno prodotto schiavit, sterminio delle razze, emarginazione del mostruoso. Non sono stati incidenti di percorso il fascismo e lo stalinismo, non sono stati aberrazioni della civilt, ma coerenti e possibili esiti (possibili, certo, non necessari n automatici, ma cionondimeno perfettamente conseguenti) di un certo umanesimo, di un certo culto della purezza, di una certa ossessione dellorigine. Ogni altra visione del postumano ci condannerebbe (forse ci sta gi condannando) a una triste replica di quei dispositivi di esclusione.

e argomentazioni di coloro che invece si dimostrano contrari, o perplessi, sulla partecipazione di atleti con protesi cos complesse alle competizioni dei normodotati sono pi articolate, e a prima vista sembrano addirittura esprimere valutazioni diverse sul vantaggio che le protesi apporterebbero allatleta disabile. La ragione per la quale Pistorius era stato escluso delle Olimpiadi regolari nel 2008 era infatti leccessivo vantaggio che le sue gambe artificiali gli avrebbero dato rispetto ai concorrenti non modificati. Ma un tale vantaggio non era mai emerso nelle sue performance atletiche, n
Roberto Barni. Quattro teste ed altre storie, 1980 - 2009. CoBrA Museum of Modern Art - Amsterdam

1. www.giornalettismo.com/archives/476777/oscar-pistorius/ 2. Arnold Gehlen, Luomo. La sua natura e il suo posto nel mondo [1940], trad. it. di C. Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1983, p. 55. 3. Ivi, p. 37. 4. Ivi, p. 60. 5. Ivi, p. 93. 6. Arnold Gehlen, Prospettive antropologiche. Per lincontro con se stesso e la scoperta di s da parte delluomo [1961], trad. it. di S. Cremaschi, il Mulino, Bologna 1987, p. 69. 7. http://humanityplus.org/; http://www.estropico.org/ 8. Michel Foucault, Le parole e le cose [1966], trad. it di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1978, pp. 413-414.

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IPERCORPI

Fare qualcosa col sopracciglio


Il corpo non conforme e i Freak studies
Enrico Valtellina
an you do anything with your eyebrow?. Sai fare qualcosa col sopracciglio?, domanda allinterlocutore il principe Randian in Freaks. Il principe Radian, il bruco umano, era nato privo di arti ed era una stella del circo di Phineas T. Barnum. Conosceva varie lingue, tra cui hindi, francese, inglese e tedesco, era un amabile conversatore dotato di un pregevole senso dellumorismo, si spos ed ebbe cinque figli1. Il principe Randian era in grado di rollare e accendersi una sigaretta: quanti sanno farlo senza mani? Quando il rassicurante schema corporeo caro a Merleau-Ponty e ai suoi eredi fenomenologi viene meno, il corpo diventa pura risorsa, ogni sua parte si presta al bricolage necessario alla relazione al mondo. Cosa pu un corpo?, domandava Spinoza, e con lui dobbiamo convenire che non lo sappiamo ancora. E questo affascina: leccedenza-mancanza-non conformit del corpo da sempre al centro dellimmaginario dellumanit, ciascuna epoca ci si relazionata secondo le proprie forme, sacralizzandola o demonizzandola. O mettendola in scena. Di questultima modalit, la spettacolarizzazione del corpo non conforme, si stanno occupando da alcuni anni ricercatori che si muovono nellambito dei cultural studies, concentrando la propria attenzione su una sua forma specifica e un orizzonte temporale delimitato, i side shows, o freak shows: spettacoli itineranti, per lo pi in nord America dal diciannovesimo secolo al 1940, i cui gli attori mettevano in scena la propria deformit reale, per divertimento e profitto. Liquidati da Douglas Biklen come pornografia della disabilit, a uno studio pi approfondito si rivelano un oggetto di ricerca estremamente complesso e interessante. Prima della critica vi si era dedicato il cinema: innanzitutto con lunico film interno allorizzonte dei side shows, Freaks di Tod Borowning (1932), straordinario documento di unepoca altrimenti rimasta solo in fotografia. (Ora sarebbe impensabile realizzare qualcosa di simile, infatti la ripresa del tema da parte di altri autori avvenuta su registri differenti. Non di meno producendo capolavori: si pensi alla storia di John Merrick narrata da David Lynch in Elephant man, alla Donna scimmia di Marco Ferreri o ancora, al di fuori della spettacolarizzazione a pagamento, ad Auch Zwerge haben klein angefangen cio Anche i nani hanno cominciato da piccoli di Werner Herzog e Pro urodov i ljudej cio Of Freaks and men di Aleksei Balabanov). Ecco dunque come lo studio dei freak shows si elaborato allinterno dellanalisi culturale delle disabilit, nei Disability Studies. A inaugurare la letteratura critica stato un testo divulgativo e legato allo spirito della controcultura americana degli anni Sessanta, in cui il termine freaks si era caricato di una significazione specifica e differente, Freaks. Miti e immagini dellio segreto di Leslie Fiedler (Fiedler, 1978). Dieci anni pi tardi viene pubblicato Freak show: Presenting human oddities for amusement and profit di Robert Bogdan (Bogdan, 1988), libro che apre lo sguardo dei disability studies su uno dei capitoli rimossi della storia della disabilit. A Rosemarie Garland Thomson spetta poi il merito di avere articolato ulteriormente il discorso in Extraordinary bodies e curando il volume collettivo Freakery. Punto di partenza, e livello di base del discorso, domandarsi cosa accomuni persone tanto diverse come le tipologie spettacolarizzate nei freak shows. Evidentemente nullaltro che il discostarsi in modo macroscopico dallideale fittizio di una norma, ci che Erving Goffman in un famoso passo di Stigma (Goffman 1963) cos individua: C solo un tipo umano che non debba vergognarsi di s in America: giovane, sposato, bianco, di una citt del nord, di giusti peso e altezza, di bellaspetto e recente autore di un record sportivo. Il freak rassicura lo spettatore sulla propria appartenenza al consorzio

Roberto Barni. Trauma, 2011

umano in quanto su questo gli autori concordano la modernit il tempo della costituzione delluomo comune; individuare ci che gli antitetico funzionale alla sua affermazione, ma a un tempo asseconda la dinamica opposta di identificazione con la divergenza, sia pure in forma estrema o estremizzata. Questa ambivalenza profonda caratterizza il fenomeno dei freak shows a ogni livello. La Garland Thomson richiama la categoria bachtiniana del grottesco2 materiale-corporeo rabelaisiano, corpo eccedente e aperto, corpo limite spinto al limite, luomo o la donna pi grandi del mondo e il pi piccolo, come il celebre midget generale Tom Thumb. Lesagerazione era una delle modalit per innescare meraviglia nello spettatore, e quando possibile veniva aiutata con espedienti, quando non creata ad arte tramite frode. Un livello di interesse particolare delle analisi culturali dei freak shows lo studio delle relazioni tra la rappresentazione e le contingenze culturali, per esempio il legame tra lesplosione dellinteresse per il dawinismo e la messa in scena, per lo pi artatamente costruita, del missing link tra luomo e la scimmia. A inscenarlo erano (naturalmente?) afroamericani con microcefalia, presentati stimolando il dubbio e linvito alla presa di posizione del pubblico. Cosa ?: domanda che individuava implicitamente, come polarit della scelta, luomo e la scimmia. Tra le tipologie disabili oggetto di meraviglia e fascinazione erano i pin head, i microcefali, talvolta agghindati con trecce rivolte verso lalto a rimarcarne la forma del cranio, i gemelli siamesi, cos chiamati dal loro prototipo, Chang ed Eng Bunker, originari del Siam, ora Thailandia. Ancora una volta la meraviglia della specificit individuale si somma alle suggestioni esotiche della provenienza: come nel caso dellindiano Laloo, nato con un gemello parassita, un corpo privo di testa ma con braccia e 10

gambe, innestato sullo sterno. Il colonialismo era uno sfondo sempre presente, come approfondiscono alcuni saggi raccolti in Victorian freaks da Marlene Tromp, e come testimonia inoltre la proliferazione negli spettacoli di indigeni, dopo che gli Stati Uniti conquistarono le Filippine togliendole alla Spagna alla fine del XIX secolo.

egli anni del razzismo scientifico, da Blumenbach a Gobineau, il meraviglioso si sommava allesotismo e allerotismo: come nel caso di Saartjie Baartman, la Venere ottentotta 3 che si esib in Europa fino alla morte per vaiolo e alcoolismo nel 1815, il cui corpo venne sezionato e il cervello, gli organi genitali (rescissi e disseccati da Cuvier) e lo scheletro furono esposti al Muse de lhomme di Parigi fino al 1974. La particolarit della Venere ottentotta erano i glutei prominenti, la steatopigia o, come veniva definito allora, il cuscino posteriore (Ne tratt anche Cesare Lombroso: in Studi sui segni professionali dei facchini e sui lipomi delle ottentotte, camelli e zeb e Sullo stricnismo cronico, Tipografia Celanza e Comp., Torino 1879). Una sorte simile tocc a Julia Pastrana, la donna orso alias la donna pi brutta del mondo, una messicana affetta da ipertricosi che resta la pi celebre delle donne barbute. Alla sua morte per parto durante una tourne in Russia, il marito vendette i cadaveri suoi e di suo figlio a un taxidermista; il lavoro riusc tanto bene che ne ricompr i corpi imbalsamati. La sua spettacolarizzazione continu cos postuma per pi di centanni (ora il feticcio imbarazzante del suo corpo impagliato giace in un istituto scientifico di Oslo). In questi due ultimi casi evidente il legame con la dinamica di genere, approfondita dalla Garland Thomson. Agli antipodi, se non geografici ideologici, della venere ottentotta sta la ragazza circassiana, ideale del tipo caucasico originario. Non di meno oggetto di esposizione a sua volta.

Altro indecidibile da esposizione, che chiamava lo spettatore alla decisione, complementare allanello mancante e alla donna barbuta, lermafrodito, tipologia affascinante per definizione, ingrediente altrettanto immancabile del freak show. Il libro di Robert Bogdan sofferma lattenzione sulleconomia dello spettacolo, e se sia da censurare come sfruttamento della pi lurida specie o se non fosse piuttosto, in molti casi, una scelta, forse senza alternative, per trasformare una condizione di emarginazione in una possibilit di lavoro, o al limite di autosussistenza. Certamente le condizioni di vita dovevano essere agghiaccianti, ma per disabili come i microcefali, i pin head, o il principe Randian, lalternativa unica sarebbe stata listituzionalizzazione in un frenocomio, tra psicotici e sifilitici. Il circo Barnum arricchiva certamente chi sfruttava la condizione di necessit di chi si esibiva; non di meno riconosceva loro risorse economiche cui in nessun modo avrebbero altrimenti avuto accesso. Una volta di pi, tutto ci che gira intorno ai freak shows appare surdeterminato e complesso, uno specchio a un tempo fedele e deformante della societ che li aveva generati. Sulle ragioni che hanno portato allestinzione dei freak shows intorno al 1940, le ipotesi di Rosemarie Garland Thomson non sono convincenti. La studiosa sostiene che ci che era loggetto degli spettacoli venne territorializzato dalla scienza, le disabilit risignificate come patologie e in alcuni casi, come i gemelli parassiti o siamesi, la soluzione fu la chirurgia. Forse si trattato, piuttosto, di un salto epistemico: semplicemente nel dopoguerra un simile spettacolo non poteva avere pi corso, la fame di meraviglioso e bizzarro degli spettatori si era trasposta su altri livelli, il mostro diventato lextraterrestre, la fantascienza non ha pi avuto bisogno del supporto di corpi reali. Tempo fa mi capitato di ascoltare quella che voleva essere una barzelletta: morto a Roma luomo pi piccolo del mondo, verr rimpatriato come bagaglio a mano. Non avendone capito il senso ho provato a informarmi, venendo cos a scoprire che He Pingping, ragazzo della Mongolia alto settanta centimetri, era a Roma per partecipare a una trasmissione della televisione nazionale nella quale appariva al fianco di Bao Xishun, luomo pi grande del mondo, anche lui nativo della Mongolia. Credo ci voglia ancora qualche sforzo di interpretazione culturale per cercare di capire come sia stata possibile una simile regressione nelle attese del pubblico, se per fare audience si dovuto riesumare lo spirito del circo Barnum.
Bibliografia Bogdan, Robert (1988), Freak Show. Presenting Human Oddities for Amusement and Profit, University of Chicago Press, Chicago. Fiedler, Leslie (1978), Freaks. Miti e immagini dellio segreto, traduzione di Ettore Capriolo, Garzanti, Milano 1981 (ora Il Saggiatore, Milano 2009). Garland Thomson, Rosemarie (1997), Extraordinary Bodies: Figuring Physical Disability in American Culture and Literature, Columbia University Press, New York. Garland Thomson, Rosemarie ed. (1996), Freakery: Cultural Spectacles of the Extraordinary Body, NYU Press, New York. Goffman, Erving (1963), Stigma. Lidentit negata, traduzione di Roberto Giammanco, Laterza, Roma-Bari 1970 (ora Ombre corte, Verona 2003). Stephen Jay Gould (1985), Il sorriso del fenicottero, traduzione di Lucia Maldacea, Feltrinelli, Milano 1987. Tromp, Marlene ed. (2008), Victorian Freaks: The Social Context of Freakery in Britain, The Ohio University Press, Columbus. 1. Informazioni da prendere col beneficio del dubbio. Intorno al corpo spettacolarizzato veniva costruita una biografia che ne mettesse quanto pi in luce possibile il meraviglioso e lo straordinario; i nomi propri venivano sostituiti dallattribuzione di titoli arbitrari e da definizioni sintetiche, Principe, Generale, Venere, e dallattribuzione di abilit altrettanto meravigliose, quasi doni carismatici, tra cui ricorrente la conoscenza di pi lingue. 2. Queste biografie fantastiche erano stampate su cartoline illustrate e vendute agli spettacoli. Sul grottesco rimando al mio Lidea del grottesco in Kayser, Bachtin e Braibanti, http://tysm.org/?p=8036 3. La sua storia raccontata in Gould 1985.

IPERCORPI

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Aspettando le Operaiadi
Carlo Antonio Borghi
isione in 3 D: Disoccupazione, Devastazione e Disordine. Disoccupazione dilagante e invalidante. Devastazione imperante e ricorrente dei luoghi della vita e del lavoro. Tanto ricorrente da divenire permanente. Disordini psichici e sociali dietro ogni angolo. I futuristi della prima onda avevano pensato alla Ricostruzione Futurista dellUniverso. Era l11 marzo del 1915, per le firme di Balla e Depero. Ora ci sarebbe urgenza di una Ricostruzione psicofisica delluniverso postmoderno, intendendo luniverso come microcosmo personale unito al macrocosmo globale. Tutta la realt riproducibile in alta definizione. Tutto quanto ci dato di vedere risulta in Blue Ray. La depressione economica corre in pista gomito a gomito con la depressione nervosa. La nervous breakdown viene definita immateriale ma tangibile e materica quanto la prima. Materica quanto larte scottata e bruciata di Alberto Burri, informe e informale. Con entrambe le forme di disagio tocca fare i conti, in tasca e in testa. Il corpo spesso resta basito e impedito ad agire. Una buona forma di azione quella di autoinchiodarsi in cima a tralicci, silos, ciminiere e campanili ad altezza variabile dal suolo. una modalit usata da operai in lotta per mettere in mostra lo stato di devastazione depressiva causato dal connubio mefistofelico di disoccupazione + disordine. Nelle arti performative la condizione di immobilit del corpo dellartista in pubblico manifestazione estetica e critica verso il moto perpetuo dei villaggi globali e delle citt verticali. La stessa cosiddetta danza urbana spesso mette i suoi performer fissi con le spalle al muro o con i piedi inchiodati sullasfalto. Pi stai fermo pi ti fai notare nella massa che non fa altro che andare. Il

Roberto Barni. Doppia, 2004

corpo fermo e disteso aspetta di essere indagato. Lindagine pu procedere per via di pratiche amorose o per il tramite di accertamenti sanitari. In tutti e due i casi si ottengono corpografie riproducibili in tutti i formati, meccanici e digitali. A Milano nella mostra Addio Anni Settanta

Arte a Milano 1969-1980 (palazzo Reale) sono state rimesse in luce tracce e impronte del passaggio del corpo in movimento o in stato di immobilit. Il corpo punto di partenza e di arrivo come progetto e concetto di se stesso. Allora nel corpo dellartista trovavano unione di sensi e di intenti il

corpo individuale e quello sociale, il corpo dellintellettuale e quello del lavoratore metalmeccanico o petrolchimico. Il corpo si era messo di mezzo e spesso di traverso, fin dai tempi dellamicizia tra Cage e Duchamp. Una amicizia a scatti e a scacchi. Di seguito il corpo divenne Fluxus, flusso ininterroto di matrice lunare, mentale e corporale. Quando Fabio Mauri proiett il Vangelo secondo Matteo sul petto di Pasolini seduto, tutto risult ancora pi chiaro, chiaro come la camicia bianca di lui. Appeso allo schienale della sua sedia il giubbotto di pelle poetica. Il resto del corpo dentro ai jeans. Ci aveva visto bene Pino Pascali quando, alla fine degli anni Sessanta, ingravid una bella tela bianca. Era una tela che desiderava un figlio dartista concettuale. Gravidanza a rischio. ancora l appesa e ferma sui muri del Macro, con il suo pancione del settimo o ottavo mese. Stato di gravidanza permanente. Avrebbe potuto partorire il futuro e forse un giorno lo far. Per il momento i corpi pi attraenti, riprodotti dagli schermi Full Hd, sono risultati quelli delle post Olimpiadi di Londra 2012. Corpi di persone disabili variamente e spesso artisticamente menomati ma determinati alla competizione agonistica. Con orribile dicitura il CONI le chiama Paralimpiadi. Varrebbe la pena di chiamarle Disabiliadi. Corpi doro, dargento e bronzo. Avrebbero potuto gareggiare anche tante statue greco-romane variamente mutilate o menomate o acefale, a cominciare dalla Venere di Milo e comprendendo anche Aurighi, Discoboli e Pugilatori amputati. Corpi differenti. Corpi differenziali. Corpi che fanno la differenza, molto pi dello spread. Intanto, la forbice si allarga. Sul podio la Triade capitolina con Giove, Giunone e Minerva, variamente amputati ma ben visibili a Montecelio sopra Guidonia.

Pazienti, atleti, freaks? Cosa non ci dicono le Paralimpiadi


Danielle Peers*

tleta sconfigge i suoi genitali femminili per competere nella maratona per donne!. Stranamente questo titolo non ha trovato spazio nei resoconti giornalistici delle Olimpiadi di Londra. Non intendo sottovalutare la copertura mediatica alterna e spesso condiscendente nei confronti delle atlete, e quella piuttosto aggressiva verso gli atleti trans e di altra collocazione di gender, ma mettere in luce quanto siano state ridicole e discutibili le pi comuni titolazioni paralimpiche. Basta cercare con Google paralimpico per trovare una infinit di storie che descrivono come un paralimpico sconfigga eroicamente la condizione tragica e mostruosa del suo corpo per competere negli sport per disabili. Se in queste storie si sostituisce la disabilit con il genere, emergono molteplici nodi problematici. Il primo riguarda la logica: gli atleti non sconfiggono le disabilit diagnosticate (o la collocazione di genere) per competere ai giochi paralimpici (o vincolati al genere), ma sono queste marche categoriali che permettono agli atleti laccesso alle rispettive competizioni segregate. In secondo luogo, queste narrazioni distolgono lattenzione dai risultati atletici, per focalizzarsi su storie sensazionalistiche da freak show di super atleti o super uomini che sconfiggono i loro corpi (ritenuti) tragici e minorati. Magnificando questi atleti in modi tanto iperbolici e focalizzati sul corpo, si finisce per riprodurre lidea che i corpi disabili siano tragici, minorati e per lo pi incapaci perch altrimenti la loro mera partecipazione dovrebbe essere pi strabiliante! di quella di atleti senza disabilit?

Terzo punto, queste storie partono dal presupposto che la lotta pi significativa affrontata da questi atleti sia con i loro corpi, invece che con strutture sociali che li rendono molto pi esposti alla povert, allabuso sessuale e alla violenza fisica, allesclusione sociale e allemarginazione (nello sport e in molti altri ambienti). Focalizzandosi sulla differenza del corpo, e dunque trascurando la disabilit sociale, storie simili sono parte delle forze sociali disabilitanti. Detto brutalmente, le tipiche storie paralimpiche hanno scassato. Naturalmente non sono la prima a dirlo. Non facile trovare un atleta o teorico della disabilit che non sollevi, interrogato, almeno una delle mie critiche. Sono stati pubblicati molti articoli, infatti, che evidenziano come i media rappresentino e costruiscano in modo inappropriato lempowerment del movimento paralimpico e i suoi atleti. esattamente questo punto, comunque, che segna la mia divergenza dalla maggior parte delle critiche culturali. Il movimento paralimpico e il suo supposto empowering non secondo me solo vittima di una rappresentazione mediatica da freak show. Le organizzazioni paralimpiche e i loro capi hanno spesso colluso con un insieme di rappresentazioni e pratiche che servono a depotenziare gli atleti, comprese pratiche derivate dai freak shows. In un recente studio genealogico, ho dimostrato come i leader degli sport paralimpici e le loro organizzazioni siano sempre stati influenzati dallo sport istituzionalizzato, dalla riabilitazione medica e dal sensazionalismo da freak shows, tre fattori che sono stati utili al movimento paralimpico: infatti le strutture sportive hanno garantito un accesso alle sov-

venzioni, alle tecnologie di allenamento e, entro certi limiti, alla credibilit; il rapporto con la riabilitazione ha giustificato le donazioni caritative, il reclutamento spesso al limite della coercizione dei primi partecipanti e il tono di benevolenza e competenza che accompagna laiuto concesso a questi corpi evidentemente rotti; linfluenza dei freak shows infine ha fornito le strategie rappresentative sensazionalistiche intorno alla disabilit in grado di catalizzare la massima attenzione da parte delle persone con corpo abile e di conseguenza il potenziale del fundraising, strategie che hanno funzionato tanto per i primi centri di riabilitazione come per le attuali organizzazioni degli sport per disabili. comunque importante notare che sport, riabilitazione e freak shows presentano ciascuno dei pericoli. Ci sono interi ambiti accademici che analizzano criticamente i modi in cui listituzionalizzazione sportiva spesso disciplina gli atleti secondo modalit non etiche, spesso riproducendo e giustificando le disparit sociali. Analogamente, ci sono ambiti disciplinari che criticano la riabilitazione e altri approcci medici alla disabilit, per quanto contribuiscono a imporre dinamiche di potere distorte che legittimano gli esperti a parlare a nome delle persone disabili e ad agire sui corpi non consenzienti dei pazienti. Infine, sono state sviluppate analisi significative sulle raffigurazioni e pratiche abiliste e razziste dei freak shows del XIX secolo, e come questi spettacoli (e spesso le loro star) venissero rilevati da spettacoli medici itineranti, che incorporavano simili pratiche per costringere ed esporre la loro collezione di anomalie mediche per profitto.

Mi sembra interessante che questa critica gi consolidata di sport, riabilitazione e freak shows medicalizzati sia di rado applicata al movimento paralimpico e alle sue pratiche. Credo dipenda dal fatto che i miti dominanti della natura intimamente tragica della disabilit e del benefico empowerment del paralimpismo lascino poco spazio alle critiche e alle preoccupazioni di atleti, attivisti e ricercatori: preoccupazioni fondamentali che riguardano il velo di silenzio calato sul dissenso degli atleti e lassenza delle voci degli atleti rispetto ai loro sport e ai modi in cui sono rappresentati dalle loro organizzazioni sportive Se davvero vogliamo un movimento paralimpico capace di empowerment, dobbiamo avviare un confronto critico con gli aspetti contemporanei e storici del movimento paralimpico che agiscono contro questa presa di potere. Dobbiamo volgere la critica non solo alle discutibili raffigurazioni dei media, ma anche alle rappresentazioni e alle pratiche delle stesse organizzazioni sportive paralimpiche. Solo coltivando la riflessione e uno sguardo critico sar possibile leggere titoli nuovi sui media. Eccone uno che varrebbe la pena vedere: Gli atleti sconfiggono lempowerment paralimpico e assaporano le nuove possibilit atletiche e politiche.
* Danielle Peers campionessa del mondo e medaglia di bronzo olimpica nella specialit della pallacanestro su sedia a rotelle. Sta conseguendo un Ph.D. in Phys.Ed & Rec allUniversit di Alberta, in Canada. Il suo sito www.daniellepeers.com. Traduzione di Enrico Valtellina

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IPERCORPI

Olimpiadi 2012: citius, altius, fortius


Come produrre esclusione usando la retorica dellinclusione
Arianna Bove, Erik Empson

niniziativa finanziata dal settore pubblico con 9 miliardi di sterline1, che ha inizio con la vittoria del bando di aggiudicazione del 2005 e prosegue sotto la direzione di tre Primi ministri di diversi governi composti da tutti i principali partiti britannici, le Olimpiadi del 2012 sono un caso interessante di analisi della democrazia in corso. La sostenibilit era ai primi posti sullagenda politica dellOlympic Delivery Authority, che pubblica una dichiarazione di Impegno per la riqualificazione sostenibile lunga quaranta pagine dove afferma che le Olimpiadi avrebbero rappresentato lo standard di riferimento per la riqualificazione della Lea Valley2. Inoltre, dai discorsi del sindaco di Londra ai bollettini municipali, dai giganteschi poster pubblicitari alla pigmentazione delle strade di Londra con i colori olimpici ufficiali rosa e arancione sgargiante, la partecipazione il prender parte, e, cosa pi importante, lessere orgogliosi della Gran Bretagna era la priorit. Con questa ambizione, la Olimpic Delivery Authority e la London Development Agency hanno prodotto un Codice di consultazione lungo ventiquattro pagine3. Il documento definisce una buona consultazione come un processo proporzionale, genuino, trasparente, inclusivo e sistematico, che rifletta diversit e uguaglianze, e la necessit di fare in modo che si coinvolgano i gruppi sociali pi difficili da raggiungere. Il codice considera i consultati come stakeholder (azionisti) e li identifica in agenzie territoriali, imprese, la comunit, specialisti, attori politici e il grande pubblico. Inoltre definisce una serie di strumenti di ricerca di mercato per la raccolta delle loro opinioni, come sondaggi e interviste. Un problema emerge gi nella definizione degli stakeholders: a parte il grande pubblico, le cui opinioni non potrebbero essere sondate da alcuno degli strumenti di ricerca proposti, gli stakeholders sono gruppi di interesse o lobby gi esistenti e identificabili, con le loro strutture di rappresentanza politica precostituite. Dirigenti di agenzie governative, deputati, commercianti e proprietari terrieri, leader di gruppi religiosi: questa consultazione solo a inviti, e gli invitati rappresentano identit politiche gi formate che di per s emergono da una qualche forma di processo di leadership, delega di autorit o trasferimento di diritti politici (un processo che pu essere democratico e non). Nel documento viene posta molta enfasi sullimportanza della comunicazione, per esempio su come gestire le esigenze alimentari alle riunioni che vedano larga partecipazione di uno specifico gruppo etnico. Insomma, il codice di consultazione pare un manuale di galateo diplomatico dellImpero Britannico sugli incontri con rappresentanti di terre appena scoperte. Si avverte che larea di sviluppo coinvolge una comunit di residenti troppo diversificata per potervisi rivolgere come a una massa omogenea4. Cos, confrontati con tanta diversit, si consiglia di dividerla in sezioni pi piccole, possibilmente non in dialogo tra loro, e affrontarle una alla volta. Ma perch azionisti piuttosto che semplicemente cittadini? Devota al discorso sulla responsabilit sociale delle aziende, lidea di democrazia degli azionisti (stakeholder democracy) gi di per s alquanto dibattuta. Nella peggiore delle ipotesi, altro non che una campagna di marketing mirata a sventare il dissenso e a prevenire il dibattito; al massimo, una delle pie illusioni degli studiosi di management, impazienti di mostrare il potenziale di mercato di massa del loro ultimo prodotto5. Ora, con i drammatici risultati della progettazione davanti ai nostri occhi, sfortunatamente la domanda non tanto se questa consultazione, inevitabilmente complicata, abbia avuto successo, ma ancor prima se essa sia mai veramente av-

venuta. E, se cos stato, come abbia potuto produrre ci che ha prodotto. Tra gli impegni per la riqualificazione sostenibile cerano la creazione di comunit sostenibili dotate di infrastrutture pubbliche e con profili misti e bilanciati e il rafforzamento della coesione delle comunit locali. Queste strategie sono state effettivamente tradotte in pratica? Purtroppo, ci che successo indica proprio il contrario. Grazie allo stato giuridico di eccezionalit che ha consentito lesecuzione dei espropri in aree dove in precedenza sarebbe stato illegale privatizzare terre comuni, demolire vecchie case, costruire su orti comunali, sostituire campi verdi con parcheggi, antichi acquitrini con campi di basket, sloggiare squatters, campi nomadi, zingari, sospendere i diritti di navigazione e spingere lontano le comunit di barcaioli sul fiume Lea, uno degli effetti delle numerose rimozioni forzate stato quello di creare attriti tra gruppi diversi: coloro che, con dure lotte, erano riusciti a difendere il proprio diritto a uno spazio, sono stati cinicamente trasferiti in aree contestate, forzando quindi lo sfratto di altri gruppi in lotta6. In effetti lOlympic Park mostra come sia possibile produrre una zona di esclusione usando la retorica dellinclusione. Questa zona rossa di 200 ettari in vigore da sei anni e durer per altri due. Fino al 2014 il parco e le sue strutture rimarranno chiusi al pubblico. Durante il processo di progettazione e sviluppo, non c stata alcuna consultazione pubblica sui bisogni e le esigenze che questo progetto poteva contribuire ad affrontare7.

l risultato: unisola privata nel mezzo dellEst di Londra, un buco nella comunit, per lo pi vuoto, con tende bianche sparse sorrette da metallo grigio, dallapparenza di un campo profughi aziendale, ufficialmente sponsorizzato dai campioni internazionali di devastazione ambientale, sfruttamento del lavoro e persecuzione dei migranti, protetto dalle reti che siamo abituati a vedere nei nostri porti, da tecnologie di sorveglianza, polizia armata, elicotteri militari, e circondato da nuove zone in cui la polizia autorizzata a disperdere gli adolescenti dei nostri quartieri8. Quali lezioni possiamo trarre dalla dbacle olimpica? Il fatto che, nonostante ci fosse un codice di consultazione, ai cittadini non sia stata offerta parte alcuna nel processo decisionale, attesta il cinismo di quello che si dice lo Stato delle Pubbliche Relazioni, il cui unico scopo quello di eliminare il rischio dalla democrazia. Su una scala di massa, le Olimpiadi di Londra sono state un esempio di quella che lesperienza della gente

che si confronta con urbanisti e consigli comunali. Utilizza le piccole aperture istituzionali dei processi di consultazione per farsi ascoltare, e in quei tre preziosi minuti di diritto alla parola di fronte alla commissione urbanistica, cerca di prevenire e opporre limplementazione di progetti insostenibili e tossici nei propri quartieri, di proporre piani alternativi ed esprimere i veri bisogni e desideri degli abitanti. Possiamo parlare di un declino dellimpegno politico solo se continuiamo a pensare che le istituzioni siano il luogo della politica. Ma in realt lultimo luogo in cui la politica pu darsi sembra essere proprio il governo. Sin dallinizio il progetto olimpico stata la fantasia estrema di unamministrazione che, per paura di perdere la sua presa sul pubblico, ha intrapreso una massiccia opera di ingegneria sociale su una scala mai tentata prima, la cui stessa condizione desistenza implicava la sospensione di ogni impegno significativo nei confronti delle opinioni della popolazione. Da un punto di vista puramente logistico, la creazione di un enorme cantiere edile dove solo le imprese appaltanti potevano entrare ha perfettamente senso. Ma se lo scopo primario era la creazione di comunit sostenibili, possiamo veramente immaginare che questo si potesse realizzare tramite lesclusione degli abitanti dal processo? Se il progetto Londra 2012 non si fosse genuflessa di fronte alle fantasie imprenditoriali del Comitato Olimpico Internazionale, non avrebbe mai vinto la competizione. Il fatto che ci siano riusciti, e che abbiano illustrato in ogni occasione la loro disponibilit a sospendere i dovuti processi democratici per soddisfarle, mostra lestensione dellabisso tra istituzioni politiche e partecipazione politica. Forse la partecipazione civica si d in altri luoghi e in altre forme. Le persone si ritagliano il proprio spazio dove possono fare la differenza, e investono le proprie energie e intelligenze dove la propria vita politica pu risultare qualcosa di pi che mera protesta e dissenso. E forse gli amministratori pubblici questo lo sanno pi di chiunque altro, credendo che, finch mettono su un bello spettacolo, i loro fallimenti possano passare inosservati. In realt le Olimpiadi potevano essere una vera opportunit di esplorare le diverse forme di partecipazione politica, di usare i nuovi media come un modo per almeno calibrare lopinione popolare, se non addirittura usarla per cominciare a imparare come soddisfare diversi bisogni ed aspirazioni nei processi decisionali. Londra la parte pi ricca della Gran Bretagna, con il pi alto tasso di povert e diseguaglianza. Se i pi poveri possono sopravvivere in una delle capitali europee pi costose, solo grazie al-

la loro intelligenza e partecipazione alla loro economia, alla loro polis. Spesso lunico punto di contatto con il governo e le sue strutture formali sono la polizia e le istituzioni del welfare che intervengono su questa economia informale per gestirla, bloccarla o sanzionarla. Un motivo di ottimismo rappresentato dal fatto che questa vasta macchina statale, che attualmente si relaziona in modo cos negativo con alcuni dei pi esclusi dalla societ, potrebbe, con un cambiamento di obiettivi, usare le sue risorse e straordinari poteri per aiutare le persone a costruirsi basi economiche solide, che le mettano in grado di cominciare a partecipare a pieno titolo alla societ.

e Olimpiadi di Londra pongono un dilemma che si trova al cuore del malessere democratico. A Whitehall la percezione del governo che liniziativa pubblica debba trovare partner privati. Il governo da solo verrebbe impietosamente soffocato dalla burocrazia ed effettivamente dissanguato dai sindacati, mentre le grandi imprese al contrario controllano gelosamente la torta dei contribuenti. In questo modo, il peso della responsabilit democratica pu essere condiviso, o a volte si perde semplicemente tra gli uni e gli altri. Oggi questo rompicapo si risolve in un paradosso per cui pi le persone vengono apparentemente sentite, meno vengono effettivamente ascoltate. La democrazia rappresentativa viene attualmente utilizzata come un modo per creare barriere che salvaguardino le istituzioni dai conflitti creati da queste relazioni di potere. Fino a quando ci saranno diseguaglianze cos acute e disparit economiche cos ampie, coloro che sono strutturalmente svantaggiati verranno estromessi da qualsiasi potere decisionale che possa raddrizzare gli squilibri, e criminalizzati negli spazi pubblici rimasti loro disponibili. Per far s che la politica diventi democratica, le istituzioni pubbliche devono spingersi come prima cosa a riconoscere, e come seconda cosa ad affrontare le diseguaglianze sociali; solo allora le persone inizieranno a loro volta a investire in esse come mezzo di partecipazione al cambiamento della societ. La versione integrale del testo su www.alfabeta2.it Traduzione dallinglese di Davide Sacco
1. www.guardian.co.uk/sport/datablog/2012/jul/26/london2012-olympics-money 2. Sobborgo al nord-est di Londra [N.d.T.]. www.london2012.com/mm%5CDocument%5CPublications%5CPl anningApps%5C01%5C24%5C07%5C69%5Ccommitment-to-sustainable-regeneration.pdf 3. www.london2012.com/documents/oda-consultations/code-of-consultation-final.pdf 4. Le autorit pubbliche hanno il dovere di promuovere luguaglianza tra le razze. Per rispettare questo dovere, la LDA e lODA intendono promuovere buone relazioni tra persone di diversi gruppi razziali. La popolazione dei cinque distretti che ospitano i giochi olimpici una delle pi diversificate nel paese. Il 42% proviene da gruppi etnici non-bianchi, rispetto la media del 29% a Londra e dell8% nel paese. Un quinto della popolazione dei cinque distretti musulmana, percentuale di gran lunga pi alta rispetto alla media del paese e di Londra. Solo met della popolazione dei cinque distretti si definisce cristiana, rispetto a pi di due terzi nel paese. Inoltre, anche se c un alto concentramento di comunit non bianche nei cinque distretti, ci sono anche molti gruppi minoritari bianchi (turchi, curdi, ebrei ortodossi, est-europei) e alcuni di questi gruppi difficilmente vengono ascoltati (Code of Consultation, p. 19). 5. Dirk Matten-Andrew Crane, What is stakeholder democracy? Perspectives and issues, in Business Ethics. A European review, XIV (2005), 1. 6. The Olympic struggle of the London 2012 resisters. East London activists write on their seven years of campaigning over the 2012 Olympics development, www.redpepper.org.uk/olympic-struggle/ 7. Ian Blunt, Preparing London for the Corporate Games: the Docklands Planning Model, www.corporatewatch.org/?lid=4400 8. Zone in cui la polizia ha il potere di ordinare la dispersone di gruppi di due o pi persone e impedire la loro congregazione e ritorno nellarea per 24 ore. Il rifiuto di seguire lordine porta allarresto e a una pena fino a tre mesi di prigione e 5000 di multa, secondo lAnti-Social Behaviour Act 2003: www.legislation.gov.uk/ukpga/2003/38/part/4

Roberto Barni. Paesaggio con figure, 2011-2012. CoBrA Museum of Modern Art - Amsterdam

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IPERGIOCHI

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La posta in gioco
Anatomia di unaddiction di massa
Marco Dotti

1.

Che cosa ci si gioca, quando si gioca? Domanda scontata, ma nemmeno troppo se, al di l di tanta brodaglia psicologica e non, a fonti allapparenza eccentriche rispetto al tema del gioco che ancora si pu e magari persino si deve ricorrere quando, seppur di sbieco, ci troviamo nella necessit di inquadrare un problema non di oggi, ma che oggi le cronache segnalano come urgente, drammatico, inquietante, e via discorrendo. Tra gli abbozzi di questa riflessione, Ludovico Zdekauer grande storico del diritto del XIX secolo, amato e chiosato da Sciascia, che al lavoro sul gioco pubblico nel primo Medioevo tra Venezia, Siena e Firenze ha dedicato gran parte della propria insostituibile ricerca darchivio sosteneva che, a parte i dialoghi del Tasso (Il Gonzaga secondo overo del Giuoco, 1582) e Petrarca (De remediis utriusque fortun, 1357), a parte il fondamentale Cardano che con i trentadue capitoletti del suo De ludo ale (1527 circa), scampato al fuoco e pubblicato a Lione solo un secolo dopo la redazione, pose le basi per una teoria degli esiti casuali possibili, poco era stato scritto a riguardo del dmon du jeu. Sappiamo che Zdenauker, nel frattempo entrato a buon diritto nel canone di questi classici (mai tenuti per tali, peraltro, da chi si occupa di giochi), si sbagliava. Ci non di meno individuava un problema, inscritto in una domanda di otto parole: Che cosa ci si gioca, quando si gioca?

dal gioco del 9,9% rispetto allo stesso periodo del 2011 (siamo a meno 516 milioni di euro di entrate), anche a fronte di un incremento della spesa pro capite per lazzardo. Chi ci guadagna, allora? Di sicuro ci guadagnano i giochi on-line che, in attesa della liberalizzazione sulle slot via web che avver il 3 dicembre prossimo, con poker e roulette hanno registrato un incremento del 1.746,5% nel 2012. 4. Domanda, domande che sottintendono un ulteriore non-detto: che gioco questo? E ancora una volta torniamo da dove eravamo partiti: che cosa ci si gioca, quando si gioca? Questioni che ritornano, potenti, nei versi e tra i pi noti di Baudelaire che non a uno, ma a un branco di demoni e di vermi accenna quando, come al gioco, il giocatore ostinato (Comme au jeu le joueur ttu), descrive quel doppio legame tra libert e veleno, tra elevazione e carogna, tra il vampiro e il suo stesso sangue, che attiene ancora alla nostra, non meno ostinata domanda: che cosa ci si gioca, quando si gioca? Orrore e attrazione sono da sempre un nodo inestricabile della questione, e da sempre la questione in bilico tra diseconomie mortificanti e un dispendio energetico vitale (dpense) che il sistema tenda a inglobare devitalizzandolo. Come intuirono, su tutti, Georges Bataille e Maurice Blanchot, dalla cui riflessione converrebbe in qualche modo ripartire. 5. Fin dagli anni Quaranta, sulla scia degli studi del matematico John von Neumann e Oscar Morgerstern, autori del classico Theory of Games and Economic Behavior, il poker stato assunto come modello per lanalisi del comportamento in una societ di mercato e ha mostrato, a occhi bene attenti, ben pi di quanto fosse nelle intenzioni di giocatori e interpreti dei tavoli verdi mostrare. In fondo, gi nel 1950 il giornalista di Fortune John McDonald, autore di un esemplare e influente volumetto in materia, Strategy in Poker, Businnes and War (non a caso citato da Ph. K. Dick in esergo al suo primo romanzo sulla postpolitical politics, ossia sulla trasformazione in simulacro e la mutazione dei sistemi di partecipazione, play, in puro game eterodiretto: The Solar Lottery, 1955), ricordava che il poker ha nella sua natura il bluff, la dissimulazione e linganno, e il suo fine non sono le carte proprie o dellavversario, e nemmeno un banale e scontato impulso al guadagno o alla perdita (come invece vorrebbe Edmund Bergler, The Psychology of Gambling, 1958) ma la posta solo apparentemente conosciuta, ma da sempre ignota, che appunto in gioco. Un simulacro, cio. Una posta che solo per simbolizzazione chiamiamo denaro o potere sullavversario. Il bluff in effetti, come rilevava Guy Debord (Notes sur le poker, 1990), gode di unesistenza puramente teorica. Altro problema. 6. Il gioco, in particolare il poker nella sua variante diffusa e bastarda, cos come si qualifica oramai nello pseudoambiente del web un piccolo angolo di mondo, da cui osservare indisturbati il resto del mondo. Basterebbe riguardare bene due classici del cinema americano California Poker e Quintet firmati nel 1972 e nel 1979 da Robert Altman, per capire quale sia la connessione non solo verticale, ma orizzontale, tra il cosiddetto deep play e la sua esteriorizzazione post-postfordista, ossia tra impulso al gioco, impulso allinganno e impulso al guadagno indiscriminato in una societ che ha trasformato tutto, dal lavoro alleconomia, in unazzardata macchina del debito (cfr. Maurizio Lazzarato, La fabbrica delluomo indebitato, DeriveApprodi, 2012). Una societ alla quale piace, nonostante tutto e tutti, continuare a raccontarsela:

trasformando il vecchio sogno tutto weberiano del self-made-man che cerca e raggiunge lestasi intramondana attraverso il lavoro in un incubo oramai globale, pi consono allattuale finanziarizzazione delle esistenze: un uomo che trascende la propria condizione di fatica con un puro gesto magico. Con un clic, appunto. Il poker bastardo dellon-line, vero motore delladdiction di massa, un reagente e, al tempo stesso, la chiave di volta di questo sistema. Il suo successo nella variante on-line deriva da questa capacit di produrre illusioni, in un mondo sempre pi disilluso e a corto di storie. 7. Nel suo romanzo di novembre, intitolato Il dmone del giuoco, pubblicato su Ardita e poi nel volume La vita intensa. Romanzo dei romanzi (1919), Massimo Bontempelli apre con un capitoletto: La trovata del maligno. Che cosa pu escogitare il maligno nel corso di una partita di poker? Pu ad esempio rendere ignota la posta in gioco. Nessuno, nella partita descritta da Bontempelli, sa se vincer o perder, poich la cifra e i suoi segni, positivi o negativi, sono iscritti dai giocatori su foglietti che solo alla fine della partita verranno resi noti. Con un evidente rovesciamento di situazioni e ruoli, una volta che la posta viene rivelata, chi ha vinto pu ritrovarsi a perdere. E chi ha perso a vincere. Restano altre variabili: che tutti o nessuno perda, che tutti o nessuno vinca. lhasard. 8. Punta sul quinto. Tra i criminali recidivi condannati al fine pena mai nelle carceri russe, lusanza di sparare sul quinto (pjatayj) uomo casualmente entrato in una stanza era tra le pi diffuse. Vi si faceva ricorso quando, giocando a carte, non rimaneva nientaltro da puntare: n zucchero, n sigarette, n briciole di pane o bucce di patate. Spesso ci si giocava gli abiti altrui, ma il quinto la scelta era convenzionale, poteva infatti essere il terzo, il secondo, il primo e via discorrendo era unaltra cosa. Il movimento delle carte, condotto secondo regole condivise, che non decentra i giocatori rispetto allo spazio del gioco ma esercita unattrazione centripeta sulle sorti di un altro, che inconsapevolmente prende parte alla partita. Chi perde uccide. Chi muore non sa il perch, ma sapendo che l dentro, nella baracca dove si dovrebbe riposare, si gioca, sa anche potr ritrovarsi inevitabilmente imbrigliato in un gioco a cui la sua volont nemmeno quella di vittima ha preso parte. Come tutto, nelle carceri siberiane, il gioco a carte era formalmente vietato. Come tutto, per, era praticato e diffuso. Le carte (stirki), ottenute o realizzate nei modi pi impensati, rappresentavano una sorta di supplemento di crudelt rispetto al sistema stesso. Oggi sono

sempre le cronache a dirlo in Siberia le vecchie carceri sono state trasformate in casin, dove si gioca e si gioca ancora. Senza fine1. 9. Il gioco dazzardo di massa come la speculazione in borsa scriveva Proudhon non dormono mai, non conoscono giorni di festa. Vladmir F. Odevskij, filosofo e letterato russo attivo negli anni Trenta e Quaranta dellOttocento, a sua volta scrisse una Fiaba delle ragioni per cui il consigliere collegiale Ivn Bogdnovic Otnosene non riusc a porgere gli auguri ai suoi superiori, nella Domenica Santa: in cui descrive un gruppo di incalliti giocatori dazzardo che, puntata dopo puntata, carta dopo carta, si trasforma in carte da gioco che, animate, continuano da sole la partita. I momenti trascorsi a giocare, scrive Odevskij, erano per la vita di Ivan i suoi momenti forti: la sua vita intensa, per dirla con Bontempelli; la sua postbatailleana, perch radicalmente fatta sistema, dpense. forse questa, la posta in gioco? 10. Il gioco come labirinto empatico: una roulette totale che continua anche al di l dei giocatori e, nei suoi specchi, riflette le loro vite gi consumate e morte. Questo il senso e il dramma di ogni grande seduzione: continuare, continuare sempre e comunque. Come nel Quintet, che Robert Altman delinea ai limiti del mondo nel suo film meno compreso, dove la posta proprio la vita dei giocatori stessi. I giocatori giocano la loro stessa morte e St. Cristopher, monaco ambiguo in un mondo in rovina, in una sua predica ribadir: vi hanno insegnato che luniverso delimitato da cinque lati e la vita non ha che cinque stadi. Primum, la sofferenza del nascere. Secundum, il travaglio del maturare. Tertium, la colpa del vivere. Quartum, il terrore di invecchiare. Quintum, lirreparabilit della morte. Rivelazione incompleta, poich i cinque lati richiedono un sesto spazio, il centro. Ed a quello solo che dovete guardare. Che cos il sesto spazio? loscurit, il vuoto, il nulla. [] Non combattete, non lottate, accettate. E quando pensate al numero cinque, ricordatevi che sei. Se cercate una risposta, guardate molto oltre i fatti considerati e aggiungetene uno in pi, limponderabile. Perch soltanto quando voi considerate limponderabile avete una carta, una speranza di risolvere il dilemma.
1. www.businessweek.com/magazine/content/11_11/b4219 03510600.htm, consultato in data 14 febbraio 2012.

2. Oggi tutto gioco e per propriet transitiva si potrebbe sostenere che, ovunque e comunque si giochi, ci si gioca, comunque e ovunque, tutto. Ma in un contesto mutato, in una deriva postludica e post-lavoro, caratterizzata da continue sovrapposizioni di contesti e ambienti, possiamo ancora dire che il gioco sia solo e nientaltro che gioco? Nascondendola in una noticina poco considerata del suo Les jeux et les hommes (1958), Roger Caillois si chiedeva, ad esempio, se dinanzi a una machine sous, una slot, o a un solitario (oggi diremmo a un web game) si possa davvero parlare di gioco, o non piuttosto di altro. questo altro, oggi, a fare davvero problema nel gioco. 3. I dati sono sempre le cronache a ribadirlo sono allarmanti. Recentemente, il SIIPAC (la Societ italiana dIntervento sulle patologie compulsive), ha rilevato che il giocatore compulsivo prevalentemente di sesso maschile (72%), sposato o convivente (68%) e lavoratore dipendente (51%) di et compresa tra i 30 e i 50 anni (32%), diplomato (69%). Il 33% dei giocatori compulsivi risiede al Nord e lOrganizzazione Mondiale della Sanit ha stimato che, in Italia, circa un milione e mezzo di persone, ovvero il 6% dei giocatori, possa rientrare tranquillamente nella categoria. Pur non essendo compulsivi o a rigor di norma o decreto patologici, va per considerato che sono almeno 35 milioni gli italiani abitualmente dediti al gioco, con una spesa che negli ultimi sei anni stata di oltre 200 miliardi di euro (pari al debito pubblico accumulato, nello stesso periodo, dalla Grecia). Anche qui, c da chiedersi, ma non banalmente: chi ci guadagna? Non le citt, che vedono sempre pi assottigliarsi quei luoghi di incontro e di scambio, e non di mero consumo, che erano negozi e persino centri commerciali di tipo tradizionale. Non lo Stato che, oltre a farsi carico della spesa per la cura dei giocatori patologici (a dispetto della spending review che ha tagliato su tutto, ma ha spalancato le porte al trattamento delle ludopatie), nei primi sette mesi del 2012 ha visto ridursi le entrate derivanti

Roberto Barni. Antropomorfo, 1973

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IPERGIOCHI

Alea, ergo sum


Il gioco e la vita, con Bataille e Blanchot
Giuseppe Zuccarino

ue importanti autori novecenteschi, Georges Bataille e Maurice Blanchot, possono dirsi accomunati non soltanto dallamicizia, ma anche da una notevole vicinanza sul piano del pensiero. Uno dei temi che hanno affrontato in pi occasioni, contribuendo ad evidenziarne la rilevanza teorica, quello del gioco. Senza tentare di render conto qui dellinsieme dei loro testi relativi allargomento, ci riferiremo a due saggi che risultano correlati dal fatto di essere apparsi entrambi negli anni Cinquanta e di prendere spunto dallo stesso libro, vale a dire Homo ludens di Johan Huizinga (saggio tradotto nel 49 da Einaudi e pi volte ristampato, dal 2002 con introduzione di Umberto Eco). Ledizione originale di questopera risale al 1938, ma Bataille ne recensisce nel 1951 la traduzione francese, in un ampio testo dal titolo Sommes-nous l pour jouer ou pour tre srieux? (Siamo qui per giocare o per fare sul serio?, in Laldil del serio e altri saggi, Guida 2000). Huizinga sostiene che lintera civilt si sviluppa attraverso il gioco. A suo giudizio possono essere incluse nellambito ludico, almeno per qualche loro aspetto, tutte le attivit umane (arte, religione, filosofia, diritto, guerra) tranne il lavoro. In linea di massima, Bataille considera con favore questo approccio al tema. Cerca anzi di stabilire un rapporto tra le idee dello storico olandese e le proprie teorie economiche, volte a evidenziare il ruolo decisivo che spetta ai processi di dpense. Il dispendio improduttivo, infatti, investe potenzialmente la stessa vastissima area che Huizinga assegna al gioco, e si fonda sul desiderio umano di agire in maniera sovrana, ossia per la gloria, ignorando lutilit. Il dispendio comporta per anche, secondo Bataille, lassunzione di due rischi: quello di impegnarsi in una pericolosa rivalit con gli altri e quello di andare incontro a un esito distruttivo o autodistruttivo. A tale proposito, lesempio della guerra mostra che sbagliato considerare strettamente

legati fra loro la competizione e il gioco, come si sostiene in Homo ludens, dato che il conflitto armato, oltre a implicare un ricorso alla crudelt, presenta anche precisi scopi politico-economici. Analogamente, il tentativo di far rientrare il sacro nella sfera del gioco, con la motivazione che entrambi sarebbero caratterizzati dallordine e dalle regole, non sembra convincente a Bataille. A suo avviso, il sacro, a differenza del gioco, presuppone degli interdetti che possono essere sia rispettati che trasgrediti. vero che non sempre lattivit ludica esclude il rischio, ma il limite dellattrazione del gioco la paura: il desiderio di conservare, di tenere al riparo, soppone in noi a quello di sperperare. Bench talvolta laudacia del giocatore venga premiata, e ci appaia dunque ragionevole, occorre tener presente che la ragione il principio di un mondo che il contrario esatto del gioco: quello del lavoro. Secondo Bataille, attivit ludica e attivit lavorativa (entrambe specifiche delluomo) sono in aperto contrasto fra loro. Egli chiama in causa la dialettica servo-padrone esposta da Hegel nella Fenomenologia dello spirito, sostenendo che la paura di morire (per mancanza di risorse) che spinge i pi ad accettare con rassegnazione il lavoro servile. Sullaltro versante, gli sembra necessario distinguere fra loro un gioco minore, che svolge una funzione di rilassamento ed ben compatibile col lavoro, e un gioco maggiore, che implica un drastico rifiuto dellutile e una sfida alla morte. Bataille riconosce per, con tristezza, che questo secondo tipo di gioco, attraverso cui si manifesta la sovranit, ormai da considerare quasi un fenomeno del passato, poich la societ borghese novecentesca destina la ricchezza alla produzione, sottraendola al dispendio (improduttivo e distruttivo) che dovrebbe caratterizzare il vero gioco. Non resta dunque, a suo avviso, che fare appello a chi ancora conservi una mente non uniformata n sottomessa: tempo che, dopo aver ceduto al lavoro, allutile, la parte mostruosa che sappiamo fin troppo bene, il pensiero libero si ricordi infine che, se profondo, un gioco (un gioco tragico).

l saggio di Blanchot, datato 1958, ha per titolo Lattrait, lhorreur du jeu (Lattrazione, lorrore del gioco, nel numero 23 di Riga dedicato a Roger Caillois, a cura di Ugo M. Olivieri, Marcos y Marcos 2004). In queste pagine, si fa riferimento non solo ad Homo ludens, ma anche a un libro di Caillois allora recente, Les jeux et les hommes (I giochi e gli uomini, Bompiani 1981 e successive ristampe, dal 2004 con introduzione di Pier Aldo Rovatti). Secondo Blanchot, lopera di Huizinga ha mostrato con precisione come unattivit infantile, insignificante e irresponsabile sia vicina alle pi alte manifestazioni della cultura. Le arti, il diritto, perfino la saggezza, sono, allorigine, animati dallo spirito del gioco. In effetti, se si accetta la tesi dello storico olandese secondo cui lattivit ludica si svolge in uno spazio e in un tempo separati rispetto alla vita ordinaria, si coglie subito lanalogia rispetto alle sfere religiosa e artistica. Ma occorre procedere con maggiore cautela, perch altrimenti anche il lavoro in fabbrica, cui ugualmente vengono assegnati precisi limiti spazio-temporali, rischia di apparire come qualcosa di ludico, pur essendo tuttaltra cosa. Neppure la presenza di regole basta a definire il gioco, perch ad esempio una bambina che si diverte con la bambola non sta seguendo regole, ma le sostituisce con la finzione, come ha notato Caillois. Questultimo tenta di suddividere i vari giochi in categorie, a seconda dellatteggiamento psicologico che presuppongono: lambizione di trionfare grazie allabilit e al merito, laccettazione ansiosa e passiva di ci che decreta il caso, il piacere di assumere una personalit fittizia estranea alla propria, il perseguimento di uno stato di vertigine. Blanchot apprezza questo sforzo di classificazione, ma al tempo stesso ritiene che Caillois riesca a spiegare solo in parte la maniera in cui il gioco, inteso come fenomeno di carattere generale, si collega ai quattro moventi psicologici citati. Mentre Huizinga riteneva che uomini ed animali fossero accomunati dal fatto di giocare, e Schiller considerava lattivit ludica una prerogativa esclusivamente umana (Bataille, come abbiamo visto, la pensa allo stesso modo), Caillois opera

una distinzione pi sottile: gli animali, pur praticando giochi di competizione, simulazione e vertigine, ignorano quelli basati sullazzardo, che vanno considerati specifici delluomo. Ne consegue, come fa notare Blanchot, che giocare in modo umano dunque essenzialmente giocare a dadi. Tuttavia egli non condivide la contrapposizione stabilita da Caillois tra latteggiamento attivo, che sarebbe proprio dei giochi di competizione, e la passivit fatalistica, che caratterizzerebbe quelli basati sullalea. Per Blanchot, infatti, il giocatore che decide di giocare, di continuare a giocare e di puntare con una scelta assolutamente astratta, luomo che fa esperienza di ci che significa la parola decisivo e di quel salto che ogni decisione comporta. Non in causa, dunque, unassenza di volont, bens unostinazione che pi logorante del lavoro stesso, in quanto implica lesigenza di sopportare il peso della ripetitivit e dellinsicurezza spinte fino al limite. Ma che ne , allora, della leggerezza che, a prima vista, caratterizza e definisce il gioco? Essa non viene meno, secondo Blanchot, anzi coincide con lattesa della fortuna, e poco importa che essa si riveli in molti casi sfortuna. Umani sono appunto il fascino e lapprensione suscitati dalla semplice possibilit. E qui torna in scena Bataille, che nel capitolo Lattrait du jeu del suo libro Le coupable (Lattrazione del gioco, in Il colpevole. LAlleluia, Dedalo 1989) scrive: Di poche cose luomo ha pi paura che del gioco. Blanchot, nel citare questa frase, la altera sostituendo alla parola paura quella ancor pi forte di orrore, ma la sostanza del discorso non cambia. Atteggiamenti opposti (che, in termini logici, dovrebbero essere incompatibili) si associano nellattivit ludica: attrazione e timore, caparbia decisione e apertura allindeterminato. Eppure, a ben vedere, la coesistenza di elementi contraddittori che Bataille e Blanchot scorgono nel gioco basterebbe a spiegare perch, da sempre, questultimo venga considerato una metafora della vita.

La roulette della nostalgia


Mircea Ca rta rescu

ella letteratura del cosiddetto postmodernismo, i testi non hanno pi uno strato profondo che pu e magari deve essere colto. Non c pi nulla decifrare. Quello che resta, legato a tre tipi di atteggiamento. Il primo un atteggiamento che potremmo chiamare erotico: anzich interpretare il testo, lo si accarezza. Il secondo atteggiamento quello della mantica: si tira a sorte, si indovina, si azzarda. Un coup de ds... Pensiamo a Finnegans Wake di Joyce. Contrariamente allUlysses, dove nelle giornate di Leopold Bloom possibile leggere la traccia dellantico viaggio omerico, qui nulla pu essere pi decifrato. Perch? Semplicemente perch manca la cifra. Si pu solo indovinare, cos come faremmo con le linee nel palmo di una mano. In Finnegans Wake non si viene a conoscere nulla di Joyce, ma nel gioco della mantica qualcosa su noi stessi forse traspare. C poi un terzo atteggiamento, rispetto a questo indecifrabile del testo: lamore non condiviso, disperato per il passato. Pensiamo a Italo Calvino o Umberto Eco. La nostalgia e il desiderio di identificarsi con i mondi del passato portano a comporre collage con ci che resta del passato stesso. Nostalgia, ecco una parola densa e intrisa a sua volta di nostalgia. Ma che cos, la nostalgia? Direi che la nostalgia il nostro atteg-

giamento nei confronti del paradiso. Il paradiso del grembo materno, il paradiso dellinfanzia, il paradiso del primo amore. A tutte queste cose pensiamo, per dirla in tono romantico, col cuore che sanguina. Allo stesso modo, possiamo scrivere un testo nostalgico. Credo che questo sentimento si percepisca anche nei racconti di un mio libro, non a caso titolato Nostalgia. Roulette russa, il racconto che apre Nostalgia, fu il mio coup de ds come romanziere. La roulette ha la semplicit geometrica e la forza della tela di un ragno. Potremmo dire che stupida e attraente come ogni gioco. Come per ogni gioco, attrazione e orrore si mischiano. Non c stato un progetto di nome nostalgia che ho seguito o perseguito. Come tutti i miei libri, daltronde, anche questo si fatto da solo. Al tempo, ero considerato un poeta e mai avrei pensato di potermi confrontare con il racconto o il romanzo. Frequentavo per un circolo letterario, dove si praticava narrativa. Accettai anchio di scriverne, in maniera del tutto occasionale loccasione fu lanniversario di costituzione del circolo ma non per diventare narratore. Piuttosto per gioco. S, direi che stato proprio per gioco. E cos, scrissi il primo racconto di Nostalgia che aveva per tema proprio il gioco. Non un gioco qualunque, ma la roulet-

te russa: un gioco di pura sorte, dove si azzarda sulla vita stessa, sul destino. Scrivendo il racconto, per, non avevo in mente una posta in gioco chiamiamola cos letteraria, quanto di ordine matematico. Stavo allora studiando la matematica di Georg Cantor e la teoria degli insiemi infiniti. Da Cantor ho appreso la straordinaria forza del movimento asintotico. Cosa voglio dire? Prendete un foglio di carta e piegatelo. Piegatelo ancora e ancora e ancora. Quante volte va piegato questo foglio di carta affinch il suo spessore arrivi a toccare la luna? La risposta incredibile: cinquanta volte. Nessuno ci creder mai, ma io dico che vale la pena tentare. C un racconto che simile a questo, legato allorigine degli scacchi. L inventore degli scacchi and dal re e gli chiese, in segno di ricompensa, un chicco di riso per la prima casella, altri due per la seconda, altri quattro per la terza e cos via. Il re rimase sorpreso dalla modestia dellinventore degli scacchi, ma lindomani il suo ministro delle finanze gli disse che, se questa era la forma di pagamento, limpero sarebbe andato in rovina perch tutti i raccolti di riso del mondo, nemmeno in migliaia di anni, sarebbero mai arrivati a pagare lultima casella della scacchiera. Affascinato da questa storia, ho voluto inventare anche io una parabola.

In Nostalgia, descrivo una roulette russa con regole particolari. Immaginiamo un gioco in cui, a ogni giro di mano, si aggiunge una cartuccia al tamburo della pistola. Ogni volta che il giocatore rimette la pistola alla tempia, le sue chance di uscirne vivo diminuiscono. Quando tutte le camere da scoppio sono occupate da proiettili, le sue chance sono nulle. Eppure, anche con tutte le cartucce cariche, il mio giocatore riesce a sopravvivere. Aveva una jella nera, questuomo. Non aveva mai vinto a poker, mai una scommessa che volgesse al meglio. Solo nella roulette russa aveva trovato un modo per insinuarsi tra le pieghe della sorte. Mette una, poi due, poi tre, quattro, cinque, infine sei cartucce nel revolver. Il gioco smette di essere un gioco. Il gioco viene distrutto da colui che, azzerando le chance, lo ha portato alla sua perfezione, scampando alla sorte l dove limpossibile si muta nel possibile, nello spazio infinito, dellinfinito gioco dei possibili che chiamiamo letteratura.
Intervento dellautore nel corso della presentazione del suo Nostalgia (a cura di Bruno Mazzoni, Voland 2012, pp. 429, 18). Torino, Libreria Golem, 11 maggio 2012. Traduzione di Oana Bosc-Malin.

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IPERGIOCHI

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Monopoly is back!
Trash money & junk food

ento dollari per una porzione di patatine fritte. Anche se lequivalenza tra valore nominale e reale non stata rispettata, per due soli giorni, nellaprile del 2007 e limitatamente al Canada, le casse di McDonalds hanno accettato banconote del Monopoly. Banconote stampate e distribuite ad hoc, va precisato, ma trattate come se fossero moneta corrente, regolarmente spendibili nei ristoranti della catena. Troppo simbolicamente cariche per essere considerate semplici buoni pasto, poco formalizzate per essere trattate tout court come denaro, le banconote uscite dalle rotative per celebrare il legame nato dieci anni prima tra il colosso del fast-food e la Hasbro, attuale editrice del gioco, sembrano in qualche modo condensare unansia imprecisa e diffusa. Unansia che trova la propria inscrizione in questo strano ibrido, sorta di post-legal currency che, sfuggita una volta di pi al suo gioco, sfonda nella vita ordinaria trascinandola con s in una dimensione di apatia paradossale che, pur simulando il conflitto, se ne vorrebbe priva. Inventato nel 1934 da Charles Darrow, un ingegnere rimasto senza lavoro dopo la crisi del 29, Monopoly in realt una doppia e doppiamente celata mise en abyme di questo conflitto in un contesto radicalmente capitalista. Da un lato, il primo mascheramento quello del darwinismo economico e sociale che il gioco ricalca dal reale facendone il proprio motore. Dallaltro, il peccato originale che sta alla base del gioco stesso e della sua contestata paternit, abilmente celato dalla prima concessionaria dei diritti, la Parker Brothers. La disputa tra Darrow e lattrice e attivista politica Elisabeth J. Magie Phillips, che nel 1903

deposit il brevetto per Landlords Game, un gioco didattico molto simile al Monopoly (il quale non sarebbe se non un perfezionamento di Landlords Game), conferma la vecchia intuizione secondo cui un gioco non pu mai essere ridotto ai suoi soli strumenti. La Magie era seguace di Henry George, un economista che aveva vissuto sulla propria pelle le contraddizioni disastrose della gold rush e nel bestseller Progress and Poverty (1879) si chiedeva come mai, a un grande progresso macro, conseguisse una non meno grande povert sociale sul piano microsociale. Landlords Game era un gioco didattico innovativo che aveva come scopo far comprendere, svelandole e non celandole, le logiche dei rapporti di forza, di scompenso competitivo e di monopolio. Il gioco di Darrow rovescia interamente questa prospettiva. Retorica vuole che come nella realt sociale, anche nel movimento ludico che la mima si parta tutti dalle stesse condizioni1. Saranno labilit e la sorte si lascia intendere a stabilire povert e ricchezza, ascesa e caduta, vincitori e vinti, neutralizzando di fatto gli antagonismi e naturalizzando il vantaggio cumultativo. Il che esattamente il contrario, rispetto alle intenzioni della Magie. Il riflesso dellideologia di questa tabula rasa, che a ogni riapertura del gioco riallinea le pari opportunit competitive, abbaglia e distorce la percezione del giocatore, docilmente colto dalla febbre della speculazione. Poi torner al suo ruolo, nella vita, ma conservando la memoria implicita di unesperienza di guadagno e perdita senza conseguenze apparenti sulla vita reale2. improbabile, scriveva Roger Caillois nel suo Les Jeux et les hommes (la cui prima edizione risale al 1958, nella collana bianca di Gallimard3)che si sia aspettata linvenzione dellautomobile, per giocare alla diligenza. Allo stesso modo il Monopoly, secondo Caillois, riproduce il

funzionamento del capitalismo, ma non viene necessariamente dopo il capitalismo. Per il giocatore, il gioco lunica realt che lo trascende. Il gioco ha uno spazio e un tempo suoi, inscritti nellimmaginario, ma per starci dentro il giocatore deve erodere spazio materiale e liquefare tempo reale, poich il ritmo di questa vita cadenzato sul continuo riprodurre un debito che tende a farsi senza fine. Non insignificante che i due poli entro i quali si inscrive linvenzione del gioco la caccia alloro sperimentata da Henry George, il crack del 29 vissuto da Darrow siano segnati da due crisi di sistema. Il giocatore replica nel gioco, e in dosi inizialmente blande ma oramai sempre pi scriteriate, euforia e ragione, panico e calcolo. Il gioco diviene per lui sia mezzo che fine di speranze magiche, misteriose, totalizzanti e oscure. Nel 1989 il sociologo americano Leonard Beeghley ha messo a nudo lo schema e per illustrare il dislivello iniziale il cosiddetto effetto San Matteo4 ha realizzando un Monopoly che prevede condizioni di partenza diseguali. A ogni giocatore sono date carte e denaro in diversa quantit5. come se il gioco si fosse aperto, svelando ai giocatori la sua intima natura e un non detto che, conosciuto, cambia la natura stessa del gioco. Il Monopoly un gioco interamente inscritto nel capitalismo, che partecipa e ha gi da tempo disatteso i confini del proprio spazio. Proprio a questo sconfinamento deve la propria persistenza. Oltre al caso-Mc Donalds, ad esempio, da 9 settembre al 9 dicembre 2009 stato possibile giocare non pi sullusuale cartone verde, ma direttamente su Google Maps; e le versioni attualmente pi diffuse del Monopoly sono lElectronic Banking Game, che si gioca sulla rete, e Millionaires su Facebook. Il Monopoly rimane una potente autorap-

presentazione del sistema capitalista, ma non pi autosufficiente: il gioco deve appoggiarsi su un esterno e lesterno si affida al gioco affinch la presa sul giocatore si allarghi. Ecco allora che un gioco oramai confinato nellarcheologia dellimmaginario pu legittimanente tornare dattualit, e dunque Monopoly is back!6. Cos strilla oggi, ottobre 2012 lapertura del sito web di McDonalds. Il rapporto nuovamente rovesciato, rispetto allesperimento canadese: acquistando junk food con moneta corrente si ottengono peels, pezzi di carta da staccare e aprire per scoprire una vincita immediata per lItalia si va da unautovettura a una confezione di patatine medie o da rigiocare on line. Una confezione da 20 pezzi di Chicken McNuggets, che fanno 850 calorie, sul mercato Usa rende due peels. Le carte sono limitate a certi prodotti, diversi da paese a paese, e si giocano con due modalit: quella cosiddetta instant-win e quella scopri e vinci7. (m.d.)
1. Daniel Rigney, The Metaphorical Society. An Invitation to Social Theory, Rowman & Littlefield Publisher 2001. 2. Walter Benjamin, Il gioco, in Id., Strada a senso unico, a cura di Giulio Schiavoni, nuova edizione accresciuta, Einaudi, Torino 2006, p. 111. 3. Roger Caillois, Les Jeux et les hommes. Le masque et le vertige, Gallimard, Parigi 1958: una dition revue et augmente apparsa nel 1967. Unedizione italiana, accompagnata da una nota di Giampaolo Dossena, stata pubblicata nel 1981 e pi volte ristampata da Bompiani (dal 2004 con prefazione di Pier Aldo Rovatti). 4. Daniel Rigney, The Matthew Effect, Columbia University Press, New York 1968, p. 6. 5. Leonard Beeghley, The Structure of Social Stratification in the United States, Allyn & Bacon, New York 1989. 6. www.mcdonalds.com/us/en/monopoly.html, consultato in data 4/10/2012. 7. https://monopoly.mcdonalds.it/regolamento, consultato in data 4/10/2012.

DallHomo Ludens allHomo Illudens


Francesco Savini

l tavolo da gioco o dinanzi a una macchinetta il tempo rompe gli indugi, si ferma o accelera, ma non rispecchia mai quello delle lancette che procedono da sinistra a destra. In un qualsiasi casin non si troveranno orologi, eppure il tempo scorre. Verso dove? Ma scorre davvero o anche il tempo, come i dadi sul loro tavoliere, cade? forse questa unaltra forma di quella duplice passione, di quellattrazione-orrore di cui gi parlava a proposito del gioco Maurice Blanchot? forse da questo patto infernale col tempo, immortalato da Baudelaire, che i giocatori traggono la loro forza? Nelle Fleurs du mal, Baudelaire descrive il giocatore come un uomo che corre con innato ferveur verso un abisso spalancato. Nel gioco, prosegue, si intravedono sopra tappeti verdi, occhi che non hanno labbra / labbra senza colore, mascelle senza denti: animati per da una passione ferma (passion tenace) e da una disperata vitalit che non pu che generare invidia nellosservatore. Sia come sia, dado deriva dal latino datum, gettato, lanciato; parimenti, caso deriva da casus, ossia cadere. Il dado ci che cade, ma una linea arrischiata e sottile, suggerita da Georges Bataille, lo approssima a unaltra parola dal doppio taglio: debito. Come un debito, infatti, scade anche se d lillusione di non scadere mai. I termini francesi chance (fortuna, occasione, pi banalmente: opportunit) e chance (scadenza, termine), derivano entrambi dal latino cadentia. L antica grafia francese caanche lo avvicina a excadere, da cui cadere, scadere, ma anche eccedere, creando asimmetrie multiple e profonde tra la sensazione di

potenza che investe il giocatore e la sua effettiva e impotente presa sul reale. Al tramonto del XII secolo, nel suo Li Jus de saint Nicholai (Le Jeu de Saint Nicholas), il poeta e giullare Jean Bodel attesta caanche per indicare proprio la caduta dei dadi nel gioco dellhasart o azar, diffusissimo nellEuropa del tempo. Come Cadentia, anche alea era termine originariamente riservato alle pratiche della mantica, indicando i dadi o gli ossicini usati per la divinazione. Il gioco sarebbe allora la risultante profana di una situazione originariamente sacra, legata agli atti legati al sacrificio di un animale, le cui ossa tarsali non lavorate gli astragali rimanevano in possesso del sacerdote che ne faceva strumenti divinatori di presa sul tempo. Nella sua Historia rerum in partibus transmarinis gestarum redatta in lingua latina, in Siria, nella seconda met del XII secolo Guglielmo di Tiro parla di un castello, nei pressi di Aleppo, denominato Hasarth. Guglielmo racconta della discordia tra Rodoane e uno dei suoi sottoposti, governatore del castello. La mano anonima che, tra il 1220 e il 1223, volgarizz in francese lHistoria decretandone diffusione e successo, vi aggiunse per del suo. Il castello di Hasart divenne cos il luogo dove fu trovato il gioco dei dadi:
Il avint ne demora pas que Rodoans li sires de Halape ot contenz et guerre a un suen baron qui estoit chatelains dun chastel qui avoit non Hasart. Et sachiez que la fu trovez et de la vint li jeus des dez qui einsint a non.

Dal nome di un castello in Siria, sotto la penna dellinterpolatore di Guglielmo da Tiro,

hasard pass a indicare uno specifico gioco a dadi, di cui ignoriamo le regole, praticato in quel castello. Il gioco si diffuse rapidamente tra i crociati e tramite loro in Europa, dove la parola azzardo fin per assumere il significato che ancora oggi le riconosciamo, ma in un senso possibilmente ancor pi radicale, poich nulla sappiamo delle regole di quel gioco. Possiamo solo supporre che quel gioco fosse talmente prossimo a unesperienza totale di perdita, perdizione e caduta da compromettere ogni residua possibilit di intervento da parte di abilit, volont e destrezza. Unesperienza cos integrale della perdita di ogni riferimento e referenza da far sospettare che il gioco praticato nel castello non potesse in alcun modo avvicinarsi a tutto ci che gli uomini avevano fino a allora praticato. Nel XIX secolo fu limprenditore Franois Blanc (1806-1877) soprannominato il mago di Amburgo, progettista dei pi importanti casin europei tra cui quello di Montecarlo, a mettere daccordo tutti costruendo i suoi, di castelli. Fu lui infatti a intuire che togliendo gli orologi dalle sale da gioco lo spazio-tempo del gioco si sarebbe dilatato in una sospensione irreale, alterando o invertendo i meccanismi di azione e reazione. Il tempo diventava cos unestensione ludica del giocatore e delle sue endorfine e dopamine, direttamente collegate al tavolo verde o alla macchina, allepoca ancora azionata da circuiti idraulici o meccanici e non da chips. Non a caso fu sempre lo stesso Blanc a esportare la moderna roulette francese, con lo zero singolo e non doppio (come nei casin americani). Quando nel 1843, aiutato

dal fratello Louis, riusc a introdurla nelle abitudini dei tedeschi, si diffuse la notizia che Blanc fosse un nuovo Faust e, proprio come Faust, avesse venduto la sua anima al diavolo in cambio del segreto delle cifre. Cifre, quelle della roulette di Blanc, che se sommate danno infatti il ben noto 666. Nel mondo del gioco, dove tutto superstizione, questo fatto ha avuto per lunghi anni un suo peso perverso. Ma oggi? Il gioco, osservava Eugen Fink nei Grundphnomene des menschlichen Daseins (1955), libero dal vincolo del tempo ma, al contrario degli altri quattro fenomeni fondamentali in cui si articola la vita umana il lavoro, la lotta, la morte e lamore non gode di uno spazio autonomo. Il gioco pervade la vita poich, scrive Fink, mischiato con lamore, la morte, il dominio e il lavoro e in esso si rispecchiano i grandi contenuti della nostra esistenza: il gioco li abbraccia tutti. Per Iohan Huizinga il gioco ha luogo in un temporaneo annullamento della vita ordinaria. Gioco non la vita ordinaria o vera, piuttosto un allontanarsene per entrare in una sfera temporanea di attivit con finalit tutta propria. Il tempo veniva cos incorporato nel gioco, ma abbiamo buone ragioni dinanzi al dilagare dellazzardo di massa per supporre che oggi sia il gioco a essere incorporato nel tempo. Siamo passati dal tempo della festa (e del lavoro) a un tempo senza festa (n lavoro). Dallhomo ludens der spielende Mensch come lo poteva ancora chiamare il teologo Hugo Rahner allhomo illudens, integralmente schiacciato e autocentrato su un presente eterno perch senza tempo?

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Il significante al quadrato
Le frontiere del documentario e del serial
Mario Sesti

i cosa parliamo quando parliamo di documentario oggi? Di qualcosa di fondamentalmente differente da ci che con questo nome si chiamava negli anni Cinquanta o Settanta. Se alla fine questo articolo avr convinto qualcuno che fare documentari non pi qualcosa che si pu fare solo con i documentari e che, per gli stessi motivi, i documentari esibiscono oggi una vocazione narrativa che era fino a qualche anno fa oggetto di una interdizione severa e, per certi versi, incondizionata, allora avr fatto il suo lavoro. La registrazione, come sosteneva in maniera suggestiva e rivelatrice lultimo Serge Daney, quanto rimane al cinema che gli sia pi autenticamente proprio e specifico: evidente che il cinema che registra la realt ancor prima di metterla in scena, lo qualifica con un tratto di radicalit e purezza che difficile trovare altrove soprattutto oggi che il linguaggio del grande schermo continuamente emulsionato insieme a grandi quantit di realt riprodotta digitalmente che il contrario stesso della registrazione. Tuttavia il digitale, che pure tecnologicamente registra la realt con una trasparenza maggiore dellemulsione chimica, non ha per necessariamente bisogno di un mondo reale da registrare: se vuole, in grado di manipolarlo allinfinito. una sorta di significante al quadrato, in grado di caricare di realt, registrata e/o manipolata, ogni enunciato. Un esempio di scuola. Forbidden Lies, di Anna Broinowski, Australia 2007, 108 (presentato in anteprima internazionale al Festival di Roma, sezione Extra). la vera storia di Norma Khoury, autrice del bestseller Forbidden Love, racconto di un delitto donore, in un paese arabo, di cui fu vittima la sua migliore amica, morta per mano del padre e del fratello (per aver avuto una storia damore con un militare di fede cristiana). La pubblicazione del libro le ha fruttato fama e denaro e ha anche decretato la sua condanna a morte da parte degli estremisti islamici. Ma uninchiesta giornalistica rivela che lautrice del libro potrebbe non essere quello che dice. Esule giordana o truffatrice senza scrupoli? Moglie fedifraga o madre amorevole? Da una parte si tratta di un docu-thriller serrato e disturbante, tratto da un fatto di cronaca di grande rumore internazionale (anche la stampa italiana gli dedic grande spazio) i cui colpi di scena sorprendono in continuazione lo spettatore. Dallaltra si tratta di un cinema che usa le armi della finzione (la storia di Norma, soprattutto nella prima parte, mette in scena la storia come se ci che racconta Norma fosse vero, un autentico resoconto di finzione, con le risorse e lefficacia di una regia personale e smaliziata che certo non mancherebbero di essere notate anche in un concorso di film di finzione). Non il caso di entrare adesso nel merito di complesse dispute teoriche e filologiche (il documentario ha diritto a ricostruire delle realt? Testimonianze ambigue devono essere tenute a distanza e severamente processate oppure il miglior modo per smascherarle mostrarne la forte densit e seduttivit narrativa? Ovvero, la loro flagranza finzionale?). In realt pi importante annotare sul proprio taccuino che il mondo dei documentari, oggi, non semplicemente quello dellobiettivit, dellintransigenza, della fedelt e lealt a un metodo di osservazione neutro e invisibile, della rigorosa sincronia di immagini e audio (come nel cinema verit) ma che al contrario i documentari pi interessanti sono proprio quelli che giocano col romanzesco (il mondo pieno di storie di gran lunga pi interessanti di quelle inventate, perch il documentario non dovrebbe usare alcune armi o lo stile della finzione per rappresentare e registrare con

pi potere e intelligenza la verit?). La realt della realt non mai neutra. Parafrasando gli epistemologi degli anni settanta (le percezioni sono cariche di teoria), questa Nouvelle Vague dei documentari sembra dire che, proprio grazie alla trasparenza analogica del significante digitale (che ossimoro incantevole), non c sguardo che non sia carico di un racconto: proprio perch il digitale, a differenza del cinema classico, d sempre quanto dia locchio, o di meno, proprio per questo linserzione brutale, porosa, libera e indecifrabile della realt impone il racconto del mondo come un continuum a priori di ogni sguardo. Qualche corollario a cascata: i film documentari non sono pi il luogo delluniformit ma sono oggi degli interessantissimi focolai di rotture linguistiche strategicamente programmate; il digitale non necessariamente larma esclusiva dellimmaginazione e del meraviglioso (come la dittatura della postproduzione nel cinema mainstream ha indotto a credere) ma anche un intraprendente strumento per lanalisi infinita dei fatti (un effetto che potremmo definire come sindrome di Blow Up). Che tutto questo non sia semplicemente frutto di una speculazione accademica ma possa effettivamente mettere a fuoco un movimento profondo nelle dinamiche del linguaggio delle immagini e dei suoni, e faccia capo a una traumatica ridefinizione della tradizionale opposizione verit/finzione (feature film/ documentari), lo dimostra la sorprendente proliferazione, nel mainstream cinematografico, di un uso finzionale del linguaggio documentario: da Blair Witch Project a Cloverfield, da Rec a Diary of the Dead, da District 9 a Paranormal Activity.

nautentica epidemia. La domanda, a questo punto, : come mai, visto che dalla fine degli anni Settanta filmaker del calibro di Robert Zemeckis, George Lucas, Francis Coppola, Steven Spielberg hanno posto il massimo dellenfasi sulla liberazione che le tecnologie digitali avrebbero garantito al cinema (non c pi bisogno di mettere la camera di fronte al mondo, ovvero, non pi necessario registrare, per fare i film e raccontare: la tecnica delle CGI Computer Generated Images consente di riprodurre il mondo e le immagini della realt come le trasformazioni in laboratorio consentono la creazione di composti sintetici) come mai, se questo vero, il cinema di maggiore consumo (la fantascienza, lhorror) non riesce fare a meno delleffetto di realt pi smaccato, una videocamera digitale con la quale dilettanti o operatori televisivi dilagano senza limiti nei film? Stacco veloce. Cambiamo radicalmente scena. The Wire, ideato da David Simon (20022008, cinque stagioni). un serial scritto da un ex cronista di nera (David Simon) e un ex investigatore dellOmicidi (Ed Burns: che, in servizio, fu talvolta la fonte degli articoli di Simon) ed , secondo me, il fronte pi avanzato della serialit televisiva ma anche un esempio impressionante di come la tv, il mezzo che per Pasolini era di gran lunga il pi lontano di tutti da ci che chiamiamo realt, si possa usare in senso opposto. Un romanzo lungo sessanta ore e suddiviso in cinque serie, lo definiscono i suoi autori. La verit che alla fine degli anni Novanta, quando ha ufficialmente inizio quella che gli specialisti hanno chiamato la seconda Golden Age della televisione dopo quella fondativa degli anni Cinquanta, qualcosa cambiato profondamente. Non c nulla che somigli di pi a un romanzo che il cofanetto dei Sopranos o quello di Mad Men: la visione ci accompagna per un tempo prolungato, possiamo iniziare e interromperne la fruizione quando vogliamo, la durata pu corrispondere a un numero sterminato di ore (lequivalente necessario a leggere Guerra e Pace o It). 16

In un celebre saggio David Forster Wallace denunciava come la televisione ci avesse privato anche del sarcasmo su se stessa appropriandosene, e come avesse metabolizzato alcuni tratti caratteristici della letteratura pop e postmoderna (il pessimismo annoiato, lassoluta indifferenza, il materialismo autoironico ecc.), svuotandoli senza riscatto. Lesatto contrario di ci che la golden age sembra aver affermato e celebrato: la natura piena, articolata, sinfonica di questa nuova narrazione televisiva, capace di creare mondi di finzione che danno vita a intere epoche, societ, universi. Cosa fa di questi serial la cosa pi vicina alla letteratura che abbia abitato il nostro spazio domestico, da molto tempo a questa parte? Innanzitutto la capacit di produrre personaggi poderosi e a tutto tondo come quelli di un romanzo ottocentesco. James Gandolfini (Sopranos), Terry OQuinn (Lost) o Marcia Cross (Desperate Housewives) non esistevano neanche come attori particolarmente popolari prima di entrare a far parte del cast di un serial di grande successo; ora per tutto il pianeta sono una presenza familiare, un intreccio inconfondibile di tratti distintivi (direbbe Chatman) o un centro incandescente di informazioni sul testo (direbbe Gosser). Da questo punto di vista, lavorare su un personaggio avendo a disposizione molte ore di racconto che il vero potere dei serial significa avere a disposizione una sorta di alta definizione narrativa sulla quale i pi grandi narratori del cinema, da Ford a Welles, da Lang a Kurosawa, da Fellini a Truffaut, non hanno mai potuto contare. Cosa centra tutto questo con lessenza del documentario, della registrazione, dellirruzione ingovernabile della verit e della realt nel linguaggio del cinema che abbiamo cercato di resocontare allinizio? Riprendiamo David Forster Wallace. La sera prima di togliersi la vita, come ha raccontato in un toccante resoconto la moglie, si rivisto per lennesima volta alcuni episodi di The Wire, il suo serial preferito. Cosa racconta The Wire? Il serial passa a raggi X una societ, una citt, un mondo, quello della citt di Baltimora, cambiando, a ogni stagione, il focus (lo spaccio della droga, la corruzione del porto, la burocrazia, il sistema scolastico, la politica, i media): se la polizia rimane il centro di gravitazione, unintera popolazione di personaggi passa, a turno, dal primo piano allo sfondo. Non c una comunit o unarea che non sia influenzata da ci che fa laltra, non c azione individuale che non abbia conseguenze incontrollabili e infinite rifrazioni, non c istituzione che non sbandi violentemente dal rigore alla criminalit, dalla repressione alla corruzione, dal potere alla disperazione. Solo chi racconta e lo spettatore hanno consapevolezza della totalit, un modello complesso fatto di infinite relazioni reciproche come la societ e la lingua (proprio la lingua unaltra delle ossessioni della serie: il realismo del gergo tale che negli Usa e in Inghilterra gli spettatori si lamentano di non comprendere molte delle parole; a proposito di realismo: uno dei personaggi un criminale che lautore ex poliziotto ha fatto condannare a pi di trentanni grazie alle intercettazioni la pratica che d nome alla serie qualcosa di molto vicino alle pratiche documentarie e neo-documentarie che hanno scosso tutte le nouvelles vagues: dal neorealismo al free cinema alla nuova hollywwod degli anni Settanta). Insomma, da una parte un cinema fluido e pastoso che fonde in modo inedito scrittura e documentazione (direi pi precisamente, rispetto ai termini di partenza, scrittura e registrazione), commedia umana e precisione sociologica; dallaltra una ballata metropolitana, trascinata da una folla di assoli di comprimari, che ha lunderstatement, lallegria sarcastica e lo stoicismo del blues. The Wire ha fatto citare Dickens e Sha-

kespeare e si dice che sia il serial preferito di Obama ma ci che racconta The Wire proprio quella complessit delle cose, quellinfinit inderogabile del senso, quellinesaurbilit delle relazioni tra informazioni, oggetti e viventi che chiamiamo, con impotente approssimazione, realt. Detto pi rozzamente: la realt sempre pi incasinata di qualsiasi nobile tentativo di governarla: la realt sempre troppa. I torti sono sempre troppo numerosi e odiosi per non alimentare senza sosta il crimine, le istituzioni degenerano per frustrazione non meno che per immoralit; ma c sempre qualcuno che per decenza o ossessione, intelligenza o intransigenza riesce a fare la differenza.

ualche corollario finale: il documentario e le serie tv, figli minori del grande cinema, sono oggi i focolai di irradiazione di novit che sempre pi raro avvistare nel cinema in sala. Il cinema, inteso come grande codice della sintassi e del racconto delle immagini dei suoni oggi nella sua forma tradizionale, il consumo in sala in forte crisi, sia come istituzione del mercato che come programma estetico. Ma, come linguaggio, ancora un sorprendente dispositivo: tra i pochissimi, nel sistema dei media, in grado di dimostrare come si possa istruire senza sensi di inferiorit, un rapporto positivo tra cultura e tecnologia. la seconda che al servizio della prima: nella ricerca di ci che chiamiamo realt, nella sua comprensione, nel suo racconto. la prima che presa nel fascino di potere della seconda: come estensione di percezioni e pensiero in grado di creare rappresentazioni del mondo che ne rendano leggibile, improvvisamente, il senso.

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The Wire
Cinema espanso e nuovo realismo sociale
Christian Caliandro

e si vuole avere unidea piuttosto precisa di che cosa possa essere il realismo oggi inteso come approccio e tensione che informa unopera complessa, che poteva essere prodotta solo allinizio del XXI secolo e non prima occorre guardare alle serie tv statunitensi dellultimo decennio. Gli anni Zero tragici e lugubri in quasi ogni aspetto, sotto la facciata luccicante dei Suv, della celebrity culture e della nascente cultura 2.0 verranno giustamente ricordati anche per queste opere, in grado di agganciare e catturare lo spirito di un tempo. Si fa effettivamente un gran parlare, in questi mesi e in questi giorni, della nuova forma di complessit introdotta da questi oggetti culturali: una complessit e una maturit che si innestano sul tempo reale della nostra esistenza, accompagnandola e modellandola attraverso queste narrazioni mitologiche, e superando i confini angusti del cinema tradizionale (non a caso, ridotto per lo pi da una parte a dispositivo infantilizzante attraverso luso massiccio e molto poco fantasioso del 3D, dallaltra ad assemblaggio archivistico, ipernostalgico di figure e immaginarii). Questa complessit, inoltre, oltre a influenzare le nostre modalit di fruizione, interviene direttamente sulla rappresentazione del reale. In questo senso The Wire probabilmente la pi ambiziosa e riuscita serie mai realizzata dalla e per la televisione, prodotta a va sans dire da quella formidabile fucina di idee e di talenti che stata ed il canale HBO (che ha sfornato, tra le altre serie-spartiacque, I Soprano, Boardwalk Empire e la recente saga fantasy Game of Thrones). In cinque stagioni (dal 2004 al 2008) The Wire, ideata e sceneggiata da David Simon, scrittore ed ex-giornalista di cronaca giudiziaria

del Baltimora Sun, e da Ed Burns, ex detective della Omicidi, scandaglia unintera citt: Baltimora. Il carotaggio talmente calibrato e scientifico (nel senso proprio del romanzo sperimentale di Zola: un senso aggiornato attraverso la tradizione noir, reso pop, ma che ricorda molto da vicino loperazione mastodontica dei RougonMacquart) da scavare letteralmente strato dopo strato del tessuto sociale, economico, politico della citt pi pericolosa e degradata dAmerica. Cos, a ogni livello corrisponde una stagione: il traffico di droga per la prima; il porto e i legami con la criminalit macro e micro nella seconda; le intersezioni tra crimine e sistema politico-burocratico per la terza; il ruolo del sistema educativo nel determinismo sociale urbano, per la quarta; e infine, il dispositivo mediatico e i suoi addentellati con tutti gli altri livelli, nella quinta e ultima stagione.

Roberto Barni. N.S.C. 2007

uesto processo, oltre a modificare sensibilmente i parametri e i paradigmi che regolano la nostra percezione del mondo in cui viviamo (il massimo risultato a cui possa aspirare un oggetto culturale) ha trasformato la realt stessa in cui intervenuto. Attraverso questa operazione di scavo dolorosa, traumatica, e lindagine impietosa delle proprie disfunzionalit strutturali, la comunit di Baltimora (lamministrazione, la polizia, i giornalisti e i cittadini) ha iniziato nello spazio vero e non presunto un percorso di riemersione, di miglioramento dei propri spazi e delle proprie condizioni di vita collettiva: ci che abbiamo imparato a conoscere, nel tempo, come rigenerazione (o riqualificazione). Il fatto che ci sia partito da unopera finzionale, da una narrazione, ci pu insegnare moltissimo su noi stessi. Provate infatti a immaginare per un attimo lapplicazione della stessa strategia spettacolare allItalia: ai suoi scandali locali (regioni, citt) e nazionali, ai molti punti oscuri e rimossi della nostra storia recente (terrorismo, Tangentopoli, stragi mafiose), agli intrecci tra Stato e criminalit organizzata. Che altro senso aveva, daltronde, unoperazione pioneristica e senza eredi come La piovra (1984) di Damiano Damiani, che rappresentava il punto darrivo e al tempo stesso la traduzione in termini fruibili e popolari del suo grande cinema dinchiesta, in grado di fondere abilmente impegno, indagine sociologica e azione esplorando le zone indicibili della Repubblica (Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica, 1971, Listruttoria chiusa: dimentichi, 1972, e Perch si uccide un magistrato, 1974)? Il rischiosissimo e per questo interessante gioco di rispecchiamenti tra realt e finzione che rende The Wire unopera cos completa e seminale, lontano anni-luce dalle nostre comode e smorte agiografie portatili, in Italia verrebbe con ogni probabilit congelato prima ancora di essere reso visibile al grande (o anche piccolo) pubblico, o al massimo dopo i primi episodi. Forse, il fatto che le serie televisive che si occupano della nostra identit, della nostra attualit e del nostro passato siano concepite in maniera cos esplicitamente innocua, stilisticamente e narrativamente rudimentale (con lunica, parziale eccezione di Romanzo criminale, in cui per gli elementi storici risultano quasi sempre piuttosto decorativi) al punto da non essere spesso neanche definite serie ma, ancora e sempre, sceneggiati non un elemento estraneo alla condizione di paralisi, immaginativa e sociale, che stiamo vivendo.

Roberto Barni. Paesaggio con figure, 2011-2012. CoBrA Museum of Modern Art - Amsterdam

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No, il dibattito no!


Duelli in poltroncina vs inchieste sul campo
Enrico Menduni

dibattiti politici sono nati molto prima della televisione. Un libro di Neil Postman che ormai nessuno legge pi1, ma che contiene un pensiero originale, racconta che nellAmerica di met Ottocento Abramo Lincoln e il suo competitore alle presidenziali, Stephen Douglas, si sfidavano in duelli verbali davanti ai cittadini-elettori delle varie citt e cittadine degli Stati Uniti. Il discorso di ciascuno durava parecchio, anche tre ore e mezzo, e non cerano interruzioni pubblicitarie. Una volta si era fatto tardi; quando venne il suo turno Lincoln disse ai presenti: Andate a casa a mangiare, ci vediamo dopo. Dopo la pausa il dibattito ricominci, e nessuno aveva cambiato canale. Fra i testi che si studiavano per chi, come me, si laureava in storia del risorgimento, cerano i vari successivi discorsi di Agostino Depretis agli elettori di Stradella (con lui la sinistra va al potere nel 1876). Gli aventi diritti al voto del collegio di Stradella (pochi, maschi, scolarizzati, benestanti), poi immortalato in una canzone di Paolo Conte2, si riunivano in unosteria per un banchetto al termine del quale il notabile Depretis pronunciava i suoi discorsi, rimasti famosi. Di contraddittorio con altri candidati, o di question time fra i presenti, non vi traccia; n ci dato sapere chi pag il conto della cena, ma probabilmente non furono i fondi di qualche gruppo parlamentare. Da un lato i dibattiti televisivi Nixon-Kennedy, dallaltro le poltroncine bianche di Porta a porta e i discorsi di Berlusconi in videocassetta. forse eccessivo ricondurre a queste due diverse modalit originarie del discorso pubblico le differenze enormi fra la trattazione della politica nella televisione americana e in quella italiana. Forse non centra solo la riforma protestante: gli elettori del New England sapevano leggere la Bibbia senza bisogno dei preti e quindi, con analogo pragmatismo, potevano vagliare i programmi dei candidati. Tuttavia spiega abbastanza la reverenza verso i politici italiani, unico potere castale sovraordinato rispetto a tutti gli altri, nonostante il disprezzo universale di cui sono

ormai circondati. Una reverenza che preludio e cifra interpretativa dellimpunit, e che contamina anche un figlio degenere della tradizione italiana: il giornalista tribuno, fustigatore spietato e un po impotente delle patrie scelleratezze. Ho assistito qualche sera fa a un dibattito televisivo con Franco Fiorito, il Batman di Anagni poi arrestato, protagonista dello scandalo dei fondi ai gruppi consiliari alla Regione Lazio. I giornalisti (Luca Telese e Nicola Porro, siamo a In onda su La 7)3 non possono essere accusati di deferenza o di scarsa aggressivit. Fiorito a ogni buon conto arrivato accompagnato dal suo avvocato, quel Carlo Taormina deputato Pdl che avevamo gi visto in unaltra saga italiana, il delitto di Cogne, parimenti celebrata nei salotti televisivi. Nonostante la virulenza delle accuse, peraltro assai documentate, Fiorito se l cavata egregiamente. La villa al Circeo un modesto bicamere invaso dai rovi, che lui si impegnato a restaurare; la casa in affitto da un ente nel centro di Roma, via Margutta, rappresenta unopera di bene per rimpinguare il bilancio di una onlus che opera a favore dei ciechi. Le spese al supermercato rimborsate dalla Regione si riferiscono a qualche bottiglia di acqua minerale, e panini imbottiti, per riunioni che si prolungano fino ad ora tarda. Le argomentazioni dei suoi oppositori giornalistici scivolavano sulla corazza di Fiorito senza ferirlo. Le sue vaghe giustificazioni apparivano credibili, verosimili, sorrette da un primitivo buon senso; il sorriso sicuro di s faceva il resto. Naturalmente ai giornalisti tribuni non giova la continua confusione tra ci che un reato e ci che moralmente discutibile, o semplicemente inopportuno, magari in nome di una morale un po bacchettona che poi trasmettono al popolo della rete. Una disamina dei post su Facebook relativi alla sfilata in costume da bagno cui ha partecipato la consigliera regionale lombarda Nicole Minetti rivela questa continua confusione; la Minetti appare nei commenti di Facebook come la meretrice di Gerico anche quando svolge unattivit lecita, quella di modella (che lei, alla stregua di Fiorito, indica come un contribu-

to alleconomia nazionale), anche se opinabile. Se in rete ci fosse un referendum per stabilire se la Minetti bella o brutta tutti la definirebbero orribile, devastata dal silicone, perdendo cos il senno e lequilibrio e dimenticando leventuale genuina bruttezza di loro mogli e accompagnatrici. Ma la colpa non loro, bens del diffondersi di una fustigazione giornalistica impotente, o autosufficiente, che laltra faccia della deferenza: e non fa scendere di un solo punto lo spread. Quando la stampa (con le sue evoluzioni televisive) non un potere indipendente, c infatti spazio solo per la deferenza per i politici e per il suo opposto, la fustigazione scandalizzata. Naturalmente anche nella tv di altri paesi, America compresa, ci sono ogni giorno tentativi di pressione e di corruzione per addormentare la stampa, che spesso vanno a buon fine. Il cane da guardia della civilt caro a Henry James4 una creatura del Novecento ora abbastanza invecchiata, anche se ancora abbaia. La televisione avrebbe altri strumenti, che non usa come dovrebbe. Penso allinchiesta: se In onda avesse mostrato la villa di Fiorito lo spettatore avrebbe avuto pi elementi per determinare come un antico elettore del New England se trattasi di bilocale inagibile o di villone costiero. Se fosse andata a chiedere ai consiglieri Pd del Consiglio regionale del Lazio quale strana erba avevano fumato, per non accorgersi dellenorme fiume di soldi che scorreva a vantaggio dei partiti. E, a proposito, come avevano speso i loro?

diarsi quintali di carte, per penetrare fra le maglie strette delle varie burocrazie. Ma i frutti si vedono e si chiamano Report, Presa diretta e i loro fratelli minori. un genere televisivo di solide tradizioni: coinvolge persone come Mario Soldati, Guido Piovene (alla radio, per), Liliana Cavani, Sergio Zavoli, Alessandro Blasetti, Giovanni Salvi, Ugo Zatterin5. Scrittori, registi, giornalisti e qualche nome meno noto a chi non si occupa di televisione, ma capace di grandi prove: penso allarrivo della tv in uno sperduto paese molisano, Roccamandolfi, raccontato da Giuseppe Lisi. Ci verrebbe voglia di includervi Pier Paolo Pasolini, se il suo straordinario Comizi damore (una inchiesta sulla sessualit in Italia, 1965) fosse stato accettato dalla Rai: cosa che naturalmente non avvenne. Vale pi uninchiesta di mille salotti televisvi; vedeteli pure, ma sono scene da un balletto, uneducata quadriglia fra i poteri. La realt dei fatti sta altrove, non siede su quelle poltroncine.

1. Cfr. Neil Postman, Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nellera dello spettacolo [1985], Venezia, Marsilio, 2002, pp. 62 sgg. 2. Paolo Conte, La fisarmonica di Stradella, 1974. grigia la strada ed grigia la luce / e Broni, Casteggio / e Voghera son grigie anche loro / c solo un semaforo rosso quass / nel cuore, nel cuor di Stradella. 3. Si tratta della puntata del 23 settembre 2012, che possibile rivedere a questo indirizzo: www.la7.tv/richplayer/index. html?assetid=50282188. 4. Cos dice Howard Blight nel racconto lungo The Papers del 1903 (tr. it. I giornali, Macerata, Liberilibri, 1990). 5. Ecco una breve antologia: Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, di Mario Soldati (1957); La donna che lavora, di Ugo Zatterin e Giovanni Salvi (1958); Di sera a Roccamandolfi, di Giuseppe Lisi (1961); La casa in Italia, di Liliana Cavani (1964-65); Storie dellemigrazione, di Alessandro Blasetti (1972); La notte della Repubblica, di Sergio Zavoli (1989-90).

ono convinto che linchiesta televisiva oggi il principale genere che dovrebbe giustificare il servizio pubblico televisivo. Di talent show o di giochi con i pacchi, di gossip e pseudo-notizie ce ne sono fin troppo al punto che spesso solo un marchietto in un angolo dello schermo ci sa dire se si tratta di un canale pubblico o commerciale. linchiesta che sfugge alle logiche commerciali perch costa troppo, e qualche volta finisce in un vicolo cieco, non riesce a trovare le prove di quello che vorrebbe dire, e gli avvocati consigliano di lasciar perdere. Ci vuole un certo coraggio personale per sfidare omert e minacce, per stu-

Je suis venu vous dire... Gainsbourg par Ginzburg


Laura Busetta

itratto, documentario, autobiografia immaginaria, biopic, autoritratto. La fatica nel trovare una stabile definizione di genere per Je suis venu vous dire Gainsbourg par Ginzburg di Pierre-Henri Salfati, emerge fra recensioni e parole intorno al film comparse nel territorio del web. Difficolt non casuale, in grado di intercettare probabilmente in modo inconsapevole la complessit che caratterizza ogni testo filmico, artistico o letterario che si confronta con la questione della soggettivit. Je suis venu vous dire, presentato allultimo Milano Film Festival, ricostruisce la figura di Serge Gainsbourg attraverso la ricomposizione di interviste, dichiarazioni, sequenze di film, parole e canzoni del cantautore francese. E lutilizzo di ununica voce per tutta la durata del film, quella dello stesso Gainsbourg, che raccorda i materiali di archivio. Come se fosse davvero lui a raccontarsi, a commentare le immagini che vediamo, a costruire la propria storia. Je suis venu vous dire, come recita una sua celebre canzone, diviene lintento programmatico di un film che sembra scorrere in prima persona. Ma a chi fa riferimento in realt il je che apre il titolo? Je, lo ricordava gi Rimbaud, naturalmente sempre un autre. E Gainsbourg un doppio impossibile, diviso fra Gainsbourg (come lo conosciamo) e Ginzburg (nome ana-

grafico). Diventa necessariamente anche un alter ego del regista Salfati, che firma il progetto filmico: nonostante questi rimanga relegato sullo sfondo, nascosto dietro la maschera dellartista al quale il film rende omaggio. Mentre si crede di esprimere una certa individualit, si sta in fondo gi parlando daltro. Gainsbourg by Ginzburg esplicita uninversione grafica in cui la lettera Z speculare e invertita rispetto alla S. Come nella Sarrasine di Balzac riletta in un saggio di Roland Barthes, la Z diventa la lettera della deviazione, alludendo a una dimensione interiore duplice, controversa e irrazionale. La relazione con Brigitte Bardot, il grande amore con Jane Birkin, le immagini della piccola figlia Charlotte si mescolano con le note e i sospiri di Je Taime, Moi Non Plus e si confondono con il volto intermittente di Gainsbourg, coperto dalla coltre di fumo dellennesima sigaretta accesa. Il montaggio cinematografico consente in questo caso una personale associazione di immagini, materiali inediti e non, suoni e musica, in un grande collage che vale anche come rispecchiamento soggettivo/generazionale, costruito su una memoria spettatoriale nutrita da miti societari e modelli di consumo. L identificazione nei confronti della figura del divo funziona come ritrovamento di unimmagine emblematica in cui riconoscersi e rispec-

chiarsi. L icona agisce come una formula stereotipa, in cui ricercare un modello di stabilit individuale. Nel carattere straordinario incarnato dalle celebrit la cui esistenza coincide con il simulacro si individua la ricetta per disegnare la propria interiorit. L essere del divo licona: niente pi anima, ma solo uno status effettivamente immaginario, come scriveva Barthes a proposito delloperazione rivoluzionaria operata dalla pop art sulle immagini di Marilyn o Elvis. L immagine soggettiva attraversata dal serbatoio di ricordi, frammenti e riferimenti che fanno parte della nostra cultura e si inscrivono sul corpo individuale come ulteriori superfici di rispecchiamento identitario. un circuito in cui lalterit necessaria nella definizione del soggetto. Lo scambio di piani fra chi racconta e chi raccontato testimonia in modo lampante la difficolt, nella ricomposizione dellimmagine di un soggetto/individuo, che si verifica in tutte le arti, dalla letteratura al cinema, dalla fotografia alle arti visive. questa la principale caratteristica delle nuove pratiche soggettive che emergono nel contemporaneo, e che trovano negli audiovisivi una forma di articolazione congeniale. La singolarit si confonde nellinterscambio di soggettivit e proiezioni collettive, che dissolvono limmagine unitaria del soggetto e ne disperdono le tracce. Del me non rimane che una

scia. L io si disperde e si moltiplica, si dissemina nellimmagine di un altro, da cui indivisibile. L intimit che il film costruisce, la sensazione che sia lo stesso Gainsbourg a guidare le immagini, lapertura fra i piani della narrazione in questo senso efficace e si inserisce in una questione pi ampia e complessa, che trovava nella confusione terminologica da cui siamo partiti ritratto, documentario, autobiografia immaginaria, biopic, autoritratto? un riscontro empirico. Anche questo film, come ogni redazione biografica, ci ricorda il grande paradosso della scrittura soggettiva: da un lato non esiste romanzo biografico da cui il narratore riesca a rimanere escluso, come fosse un osservatore neutrale o esterno. E daltra parte lautobiografia non pu mai avere una fine, un percorso per forza incompiuto perch affidata alla persona che racconta la propria vita (anchessa incompiuta). Nel gioco tra te dire interpersonale della canzone damore, in cui si dice addio alla persona amata, e il vous dire plurale del titolo del film si gioca infine la differenza fra la fine di una storia damore e la fine di una vita. Je suis venu te dire, continuava a cantare Gainsbourg nel suo testo citando la Chanson dautomne di Paul Verlaine, que je men vais. Sono venuto per dire che me ne vado via.

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Roberto Barni Intervistato dal suo doppio


Per te quando ha avuto inizio? Potrei dire da sempre, da bambino disegnavo sulla terra e con la terra facevo le sculture. Ma quando ti sei preso la responsabilit di fare lartista? Lentamente, ma il momento decisivo stato quando alla fine degli anni Cinquanta cominciai a fare grandi quadri monocromi di materia rossa incisa con la mano. Ne rimasi prigioniero. Questa fu la scelta e a suggello feci limpronta interna della mia mano e della mia bocca. Feci anche delle sculture di filo di ferro da poter indossare e mi fotografai con un imbuto in capo come uno speranzoso Don Chisciotte. E poi come mai solo due anni dopo, nel 1962, ti potuto venire in mente di farti il necrologio e di esporlo alla galleria Numero di Firenze? Pensai che solo attraverso quel gesto sarebbe stato possibile testimoniare il senso di perdita che minacciava larte in quegli anni e il profondo senso di inutilit che ancora oggi respiriamo. Il soggetto romantico cedeva il posto alloggetto. E dopo la morte? Con la sparizione del soggetto diventai un oggetto anchio lavorando maniacalmente a una serie di particolari di topografie di citt esposte nel 1963 a Roma. E quando dipingevi atleti, paesaggi, immagini darte, oggetti industriali, treni, strade col traffico eri anche l un oggetto? In qualche modo mi facevo oggetto proiettando queste immagini con una lanterna di mia costruzione. Era un modo di creare una iconografia pi consona agli anni Sessanta e al mondo industriale. Sui paesaggi, che esposi a Revort 1 nel 1965, Laurence Alloway scrisse, non a caso, della loro capacit di oggettivare la visione della natura. E i quadri successivi dipinti con ferruggine e minio sono dunque una variazione sul tema? S ma anche un ulteriore passo in questa direzione giocando con la ambiguit della superficie per farne uscire la tridimensionalit. La ferruggine e il rosso minio, colori antiruggine, erano i pi adatti a dare unidea di concretezza lontana dalle belle arti e vicina alla realt dellindustria, dei tubi Innocenti e delle lamiere. Sulla superficie bianca della tela la forma rossa di Creve 1968 poteva esser letta concava o convessa e allo stesso modo il cancello dipinto a minio di Ora e qui si affermava come oggetto concreto. In che modo dopo hai fatto uscire le tue opere nello spazio? In Orizzontale-verticale 1970 le colature rappresentano di fatto la verticale sulla parete e le gocce lorizzontale sul pavimento, e su queste due dimensioni giocavano anche le sculture mobili in ferro Anatema, Viticcio e Costellazione 1970. Con queste idee avevo progettato interi ambienti. Idee che tornano spesso a ripresentarsi anche nei lavori recenti sia in pittura Paesaggio addosso sia in scultura Addosso. In Instabile, collocato ad angolo retto tra parete e pavimento, la verticale e lorizzontale possono essere scambiate e infatti Passi, esposto nel 2008 da Mudima, ha addirittura scambiato la parete per il pavimento. E luso della fotografia che riappare in quegli anni che valore aveva per te? Si lo ammetto, una strana periodica necessit di testimoniarmi dentro le mie ideazioni. Intorno al 1970 mi sono misurato con un barbone, con le mie dispersioni sulla parete e sul terreno, con le geometrie di Piero della Francesca e di recente con la moltiplicazione di me stesso in colonne bisbetiche. A proposito, perch nel 1972 ti sei fotografato davanti alla resurrezione di Piero della Francesca con la data 11.5.1972 ? Per celebrare simbolicamente la mia resurrezione nel decennale dellannuncio della mia morte. E curiosa e casuale coincidenza a 33 anni. Anche qui limmagine costruita sulla orizzontale e sulla verticale indicanti rispettivamente il tempo e leternit. Che significato hai dato a questa resurrezione, che cosa ha comportato per il tuo lavoro? stata la resurrezione di un nuovo soggetto ancora pi disposto alla molteplicit, convinto come ero allora e come sono oggi che larte in quella fase non si poteva abbracciare con una sola modalit. Lo stile non qualcosa per farsi riconoscere bens per conoscere. Ho costruito sculture componibili, ho fatto Kronos a pezzi e lho dipinto con ferruggine ossidata la fine del tempo. Ho inciso direttamente sul colore con la luce del sole Divinit della luce. Ho dipinto alberi con la clorofilla, e ho profumato paesaggi, disegnato enormi calendari con dentro i capolavori degli artisti preferiti. Ho usato elementi dellarchitettura, della pittura e della scultura
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antiche disegnati con un esile tratto a cera bianca su fondi ferruginosi e disposti ad angolo retto tra parete e pavimento come nelle mostre Riluttanza a Roma e Humus da Schema a Firenze con ancora nuovi modi di sporgersi nello spazio anche attraverso calchi del mio corpo. Sotto una spinta analoga si corrugano a bassorilievo le superfici dei miei cartonage degli anni Novanta. E dopo tutto questo come si arriva a Divinit della luce che esponesti a Roma alla Galleria La Salita insieme alla biografia di un misterioso Rupertius? Dopo aver immaginato la morte e la resurrezione ho immaginato la vita in un altro artista. Rupertius in sostanza un mio alter ego attraverso il quale ho voluto rivendicare una libert ulteriore svincolata da qualsiasi condizionamento e sottratta al dominio del tempo. Lo sviluppo successivo del tuo lavoro rappresenta una evoluzione di questa tematica o ne costituisce una frattura? Come si collegano Rupertius, i terremoti degli anni Ottanta e gli uomini con la benda sugli occhi? Il sovvertimento temporale diventato anche un sovvertimento spaziale che genera cataclismi non esenti dalle suggestioni degli sconvolgimenti paesaggistici dellItalia. In questo mondo sconvolto, la vista, il principe dei sensi, ha perso la sua supremazia e deve fare ricorso anche ad altro. cos che nasce luomo bendato che si muove e si orienta guidato da una nuova sensoriet che anche contestazione e sfida. una figura che si predispone ad aggirarsi in una realt a pi dimensioni dove non esistono n sopra n sotto, n destra n sinistra quale appare nei miei lavori dagli anni Ottanta in poi. Dunque, se interpreto bene il tuo pensiero, la costante presenza della figura umana non sta a rappresentare una centralit delluomo nel mondo ma un suo spaesamento. S, hai capito benissimo. Allora sembra paradossale che proprio in quegli ultimi anni Ottanta il tuo interesse per la scultura divenga sempre pi forte. Come hai risolto la contraddizione tra la tradizionale staticit della scultura, in particolare della figura umana, e il tuo uomo senza suolo e senza peso? Le mie figure sono degli archetipi inespressivi e seriali, mossi da uninquietudine che si manifesta solo nel loro passo e le spinge in tutte le direzioni, in divergenti arabeschi verticali come in Impresa, Gambe in spalla o in esili Colonne bisbetiche fatte di individui sempre sul punto di prendere una direzione opposta allaltro. Queste figure vanno a infilarsi in situazioni imbarazzanti e in articolazioni spaziali acrobatiche. In un certo senso la scultura, per la sua replicabilit diventa per me il modo di mostrare pi concretamente possibile lassenza e il vuoto. La scultura ha perso il basamento come lo ha perso il mondo: pu esserci in realt solo un Condominio. per questo che nella tua scultura si incontrano spesso queste grandi cavit in forma di recipienti? S, e per di pi gli uomini che camminano, senza potersi fermare, sul sottile bordo si mantengono in realt in bilico tra due precipizi. Anche i clandestini che guardano dentro il vuoto di una gabbia da Bagnai a Firenze sono a loro volta immersi in un vuoto ancora pi grande mentre in Capogiro 2012 luomo ne addirittura risucchiato. E lo sciatore di Base con la testa al contrario inesorabilmente trascinato in un vuoto a lui invisibile. Daltro canto per le tue sculture paiono avere una fisicit tattile molto forte, o sbaglio? vero, sulla pelle della mia scultura si legge sempre limpronta della mia mano; questa la mia resistenza al vuoto. Del resto, come ti ho gi detto, la mia prima scultura stata, nel 1960, il calco dellinterno della mia mano. Dopo la nascita di una quantit enorme di nuovi mezzi espressivi qual il tuo rapporto con la pittura e la scultura? Non le ho mai abbandonate perch sono sicuro della loro capacit di rinnovarsi. Dalle grotte fino a oggi queste arti sono morte molte volte per resuscitare sempre arricchite pur mantenendo il loro contatto con le origini. La loro importanza in mezzo a tutte le novit espressive simile a quella della stella polare o della meridiana. La loro fissit le fa diventare anche un importante mezzo di orientamento. Come ti sei trovato in questa conversazione con il tuo doppio? Chiedilo a Sara.

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Roberto Barni

Roberto Barni. Capogiro, 2008 - 2012

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ROBERTO BARNI

Dove naturalmente va ogni cosa


Alberto Boatto

opera di Roberto Barni, in pittura e in scultura, rinnova con visionaria originalit la superba linea dellarte italiana impegnata, lungo il Novecento e oltre, ad affrontare la difficile, improrogabile esigenza di dare unespressione visiva alla figura delluomo, non gi delluomo eterno, ma proprio delluomo malmesso dei nostri giorni. Per questo nella sua opera luomo ha cessato di possedere il privilegio di unindividualit, di una fisionomia riconducibile a una persona singola, per presentarsi col profilo assottigliato di un emblema anonimo costantemente affaccendato e in cammino, senza appartenere alla quantit, alla folla accalcata delle grandi metropoli, alla massa manipolabile degli utenti. Cos destinato a raddoppiarsi, a proliferare, a dare origine a folte concatenazioni e sequenze, fino a comporre delle colonne umane formate da un gruppo di uomini sovrapposti gli uni sulle spalle degli altri (Colonna bisbetica). In scultura, la fusione nel bronzo rappresenta la scelta funzionale di una materia e di una tecnica metallurgica che consente la moltiplicazione del modello nei confronti dellinclinazione del marmo verso lunicit aristocratica. Questa figura ha abbandonato i solenni e cos facilmente enfatici piedistalli per collocare con umilt i suoi piedi sulla durezza del terreno (Atto muto) o, con maggiore frequenza, per fissarsi sopra bizzarri attrezzi che finiscono per condizionare ogni gesto e movimento. Ecco i gradini di una slitta (Passione) quelli di una scala curva somigliante a un dondolo (Continuo), oppure i bordi di una serie di larghi recipienti dalle fogge dispa-

rate (Solidali, Vacina, Rimorsi). Poich gli uomini di Barni, come sosia o individui clonati di recente, cambiano di poco il loro aspetto scialbo, mentre cambiano in misura considerevole le situazioni, al tempo stesso eccentriche e comuni, in cui si trovano coinvolti. Si tratta di situazioni egualmente difficili e precarie, contrasti e dispute stizzose con i propri consimili, colleghi e condomini, oppure percorsi in equilibrio instabile sugli orli di un abisso casalingo quanto pu essere il fondo di recipienti dinsolite dimensioni. In queste scale e in questi contenitori prende corpo il tema che sta al centro dellinvenzione dellartista: il tema del vuoto e della vertigine che mettono a dura prova lesistenza umana. Non ci troviamo di fronte a spaccati realistici ricalcati sullambiente quotidiano, ma a scene scaturite direttamente e poi fissate in un flash visionario dellaccesa e umorale immaginazione dellartista. Nelle ultime sculture, liconografia di Barni registra un ennesimo scatto inventivo, con un risultato dapprofondimento, se non di conclusione pur sempre provvisoria. Luomo in marcia che, passo dopo passo percorre la sua intera opera, ribadisce la sua estraneit nei confronti del romantico Homo viator, cos sovraccarico dillusioni e di aperture verso un improbabile e dorato l bas. Dove ha finito per condurlo il suo meccanico marciare dentro il cestino dei rifiuti (Capogiro 2012). La vertigine di cui ha sofferto di continuo e che pure ha sfidato da Eroe domestico, e il vuoto che lo ha attratto, lo hanno condotto infine nel luogo Dove naturalmente va ogni cosa.

nche la morte, pi volte rappresentata dallarte e dallimmaginario come un personaggio armato di falce, che sorprende luomo dallesterno, viene raffigurata come una presenza che ci appartiene da sempre, un ospite ingrato: la falce collocata ora sotto i nostri piedi, nel posto dove si sempre trovata Condominio. Queste figure plastiche segnano un luogo, occupano un punto, ma non conferiscono alcuna misura allo spazio. Con maggiore particolarit della scultura, la pittura testimonia ciascuna tappa del lungo itinerario di Barni. Nei suoi recenti quadri, le stesse sagome umane, inflazionandosi, danno vita a centrifughe colorate fra limitazione della giostra e la vertigine del mulinello. Le teste e i piedi toccano ogni punto della cornice, in una volont desaurire la totalit dei luoghi spaziali, conferendo unimportanza relativa, ma non affatto un valore a ogni punto contrassegnato. Nella sua lucidit, Barni sa bene che qualsiasi opera creativa non possiede pi sede, adeguato luogo daccoglienza. Il museo odierno, che si affanna a tenere testa alle fiere ubiquitarie dellarte, non offre certo una soluzione. Nel frattempo, la figura delluomo, assoggettate com fatalmente allerranza e allerrore, anche nel caso che sostasse immobile, perch non piazzarla gi travolta dalla distrazione generale, rovesciata per terra? ci che ha fatto Barni scaraventando per terra la sua scultura Sadovasomaso, come racconta lo stesso autore, nello spazio pubblico della centralissima piazza della Repubblica di Firenze come altri scaraventano per terra una lattina di Coca-Cola. Pessimismo mischiato a una dose amara dacutezza cinica? Ma lassurdo, che resta la quali-

t spiccata di questopera, consente limpiego dellincongruo paradosso. Ecco unesemplificazione: sul quadrato del ring, un solo pugile solleva il braccio al termine dellincontro: il vincitore. Questa la norma, la dossa. In Barni, il vincitore e il vinto sollevano assieme un unico braccio con un unico guantone in segno di trionfo. Siamo allanormalit; siamo penetrati nel paradosso. Di tutta lopera di Barni colpisce la spiccata originalit delliconografia che costituisce una novit nella storia della scultura dove, accanto alla effigie umana, occupa la medesima importanza loggetto, lattrezzo impiegato che, pur presentandosi spaesato, appartiene pur sempre alluniverso domestico. Che cosa ci pu essere di pi ordinario di un secchio o di una scala? Si direbbe che Barni, nato nella bella citt medievale di Pistoia, e dunque erede diretto della grande tradizione darte e di cultura della Toscana, si sia proposto di chiudere in un fascio di situazioni esemplari la difficoltosa e conflittuale condizione delluomo contemporaneo, logorato dallo stress quotidiano e dal sentimento dellinutilit di qualsiasi sua occupazione. Laccostamento fra queste opere, col loro spiccato senso della mimica e del gioco scenico, e il teatro di Samuel Beckett rimane laccostamento maggiormente illuminante. Intervengono con grande peso lespressiva qualit formale della sua scultura, che porta ancora le tracce visibili della mano del modellatore, e la patina rossa con cui si presenta. Essa non ha il valore di un superficiale rivestimento, ma quello di una manifestazione cromatica dellenergia della materia plastica.

Roberto Barni. Clandestini, 2007

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GI LE MANI DALLA 180

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Il futuro della follia


Dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari al Manuale del Disturbo Mentale
Francesco Galofaro
quanto pare, i grandi manicomi criminali non chiuderanno affatto. Il titolo del decreto svuotacarceri roboante: Norme per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma in realt un emendamento dei senatori al decreto prevede che le attivit che vi si sono svolte finora si tengano in altre strutture sanitarie. Riguardo alle loro caratteristiche, poi, esse sono da stabilirsi attraverso un ulteriore decreto con mossa politica tipicamente italiana. I luoghi saranno gestiti esclusivamente da personale sanitario, salvo prevedere una attivit di vigilanza esterna. Cosa cambia dunque? Niente disumanit, incuria, aguzzini, sporcizia, sofferenze gratuite, indifferenza; ma listituzione totalitaria non vincolata a una determinata forma architettonica, a certe dimensioni, o alla limitazione della capacit di movimento: piuttosto quella che impone una disciplina, come la caserma e il convento. Come fa notare il testo di una petizione, promossa da www.stopopg.it e www.confbasaglia.org, non cambier in nulla il codice penale, basato sempre su concetti privi di basi psichiatriche come folle reo e pericolosit sociale; per limputato non viene prevista alcuna garanzia; non si risolve il problema di porre un termine certo alla detenzione. Cos, quei liberali, di destra e di sinistra, che proclamano di aver risolto il problema degli OPG, rivelano solo la propria ipocrisia: si danno al problema della sicurezza per spostare in avanti il mantenimento della loro ideologica promessa di libert: vorrei ricordare che i detenuti degli OPG non sono i crudeli mostri dei film di Hollywood, omicidi incalliti che ti torturano con un sorriso sulle labbra. Accanto a reati pi gravi qui c anche chi ha reagito male al controllo di un poliziotto; chi ha tentato di dar fuoco allazienda del padrone che lo ha licenziato; chi ha rubato. Secondo Umberto Raccioppoli, direttore dellOPG di Napoli, la met degli internati ha commesso reati generati da maltrattamenti in famiglia, espressioni del disagio lacerante, che la malattia mentale porta nella famiglia, e del fallimento degli interventi della societ civile. Lo stereotipo sociale (e legale) diffuso al contrario basato su una dicotomia manichea tra ordine e caos chiaramente paranoide e fascista. E ancora una volta assistiamo allinterferenza tra lordine che regge il discorso medico, inteso a curare, e quello legale e securitario, inteso a contenere, di cui mi sono gi occupato in Etica della ricerca medica ed identit culturale europea (CLUEB 2009). Occorrerebbe che il Governo dei supertecnici e la maggioranza di destro-sinistra che lo sostiene riflettessero su qualcosaltro: sul modo di evitare la costruzione di quelle che Goffman chiamava istituzioni totali, organizzatrici della vita dellindividuo che ne parte in ogni suo aspetto fino alleliminazione del seppur minimo spazio di autodeterminazione e di libert. Dopo la legge Basaglia, lo sappiamo, i manicomi sono stati chiusi. Ma questo equivale alla scomparsa dellistituzione totale?

Roberto Barni. Sadovasomaso, 2006

el suo noto articolo Des espaces autres, Foucault sostiene che le case di riposo, le cliniche psichiatriche, le prigioni, sono altrettanti esempi di eterotopie di deviazione, dove collocare individui il cui comportamento non riconducibile alle norme imposte. A differenza di una utopia, luogo virtuale e non connesso con il mondo, leterotopia un luogo reale dove la societ si trova in connessione con ogni luogo. In esso, la rappresentazione utopica della societ si trova effettivamente realizzata. Foucault indica anche una serie di criteri che definiscono una eterotopia. In una mia recente ricerca, nata da una collaborazione tra il Centro Universitario Bolognese di Etnosemiotica (CUBE), il dipartimento di salute

mentale di Pordenone, lassociazione di volontariato delle famiglie AITSAMDDN e la Regione Friuli Venezia Giulia, ho notato che perfino alcune esperienze allavanguardia di Social Housing possono ritornare a essere eterotopie di deviazione. In queste case protette, piccoli gruppi di pazienti psichiatrici vivono insieme dopo percorsi terapeutici a volte anche molto lunghi. Sono seguiti dal personale sanitario ma si autogestiscono, con laiuto di una assistente familiare. Nonostante si tratti di spazi aperti verso lesterno e gli utenti siano liberi di condurre una vita lavorativa e sociale, se il rifiuto della societ respinge queste persone entro la casa a trovarvi un rifugio, in essa si manifestano nuovamente almeno due caratteri eterotopici: un tempo ciclico, scandito dai turni della cura della casa e del s, si sostituisce al tempo biografico lineare (eterocronia); un ordine perfetto fa apparire caotico agli utenti il mondo esterno. Da qui la necessit di progetti che favoriscano ulteriormente la responsabilizzazione delle reti sociali intorno agli utenti e che restituiscano loro pienamente il diritto di cittadinanza: fortunatamente, gli operatori e le istituzioni sanitarie con cui ho avuto a che fare mostrano grande sensibilit al riguardo. Le microstrutture che sostituiranno gli OPG condividono i due caratteri eterotopici che ho introdotto, e ne sommano altri: ad esempio la giustapposizione di due luoghi incompatibili come lo spazio della repressione e quello della cura; lisolamento ovvio verso lesterno. Foucault stato anche il primo ad accorgersi della tendenza, negli ultimi decenni, a eliminare le grandi istituzioni, perch i dispositivi di controllo si sono fatti 23

pi capillari e diffusi. Sono pi efficienti, e pi attraenti per il privato che si gi si candida a gestirli. Gi in Inghilterra la chiusura dei manicomi, per mere ragioni di liquidazione della sanit pubblica, ha portato al risultato di spostare linternamento dal manicomio al carcere, come denuncia Colin Gordon sul numero 351 di aut aut. Ecco che la scelta delle piccole dimensioni, nel caso delle alternative allospedale giudiziario, non discute davvero la struttura del potere che relega queste persone ai margini della societ, ma finisce paradossalmente per rappresentarne i rapporti economici e di classe. Invece di un unico grande manicomio, avremo tante piccole ed economiche strutture disciplinari e contenitive disperse sul territorio: una galera distribuita. Il prossimo passo sar prevedere in ogni fabbrica alcune piccole celle in cui ospitare criminali comuni, definitivamente assoggettati alla produzione.

allora, quale futuro per la follia? Oggi, pochi tra gli assistiti dei servizi psichiatrici riescono ad avere delle relazioni sociali, superando la stigmatizzazione; alcuni di loro mi hanno raccontato di come siano gli sguardi della gente a riportarli alla loro condizione di esclusi. Qualcuno limita le proprie passeggiate al circondario, a un andirivieni dal centro diurno, o le relega in orari in cui possono evitare brutti incontri, ossia incontri con persone normali. Nessuna azienda vuole assumere queste persone, preferendo pagare le penali previste dalla legge. La cronica mancanza di denaro porta alla stigmatizzazione: i prezzi delle vetrine sono proibitivi, e cos vestono come possono; affollano le macchinette automatiche dove i gene-

ri di conforto costano meno. Non chiaro se sono poveri perch pazzi o pazzi perch poveri. Come conseguenza, pochi tra loro esprimono una progettualit, pochi immaginano un lavoro, una fidanzata, una casa popolare. ovvio che ogni riforma delle istituzioni psichiatriche dovrebbe comportare, se volesse essere efficace, maggiori spese, e non risparmi lo scrivo perch i precedenti del Governo attuale sono noti. E che dire degli altri, i sani di mente? Secondo Allen Frances, che supervision la redazione del Manuale dei disturbi mentali (DSM) IV, la nuova versione del manuale, la quinta, ci render fatalmente tutti soggetti alla cura psichiatrica. Sotto la spinta delle case farmaceutiche, lastinenza da caffeina o il dolore da lutto diverranno nuove sindromi psichiatriche. Il giro di affari enorme e gi oggi il 25% della popolazione Usa si vede diagnosticare questo tipo di problema. Occorre riflettere sulla reale portata della psichiatria di massa. Dettato da motivazioni economiche, labuso di antidepressivi e di droghe legali diventa senzaltro un nuovo strumento di controllo, ancora una volta capillare e diffuso, come aveva ben veduto Foucault. Ci siamo sbarazzati dei manicomi perch i farmaci li hanno resi antieconomici e ora, paradossalmente, una societ che non riesce a includere tutti nellinsieme dei sani e dei normali, risolve il problema spostando tutti nel novero dei malati e dei regimi delle diete, dei farmaci omeopatici, del fitness cui assicurare con una pillola quella felicit che leconomia, il lavoro, le relazioni affettive non possono pi dare.

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GI LE MANI DALLA 180

Tacciano le sirene
Unanalisi della proposta di legge Ciccioli
Mario Colucci

el libro XII dellOdissea la maga Circe ammonisce Ulisse: se vorrai ascoltare il canto delle Sirene senza essere da loro sedotto e ucciso, dovrai farti legare allalbero maestro dai tuoi compagni dopo aver tappato loro le orecchie con la cera; verrai stregato e ti troverai nella condizione in cui la tua volont sar vinta e allora li implorerai di liberarti; per questo devi impegnarli in anticipo a non ascoltare le tue parole, qualsiasi cosa tu dica, anzi a stringere i nodi ancora pi forte se chiederai di essere sciolto. Forse si tratta del primo esempio di direttive anticipate, ossia di una di quelle dichiarazioni rilasciate preventivamente a qualcuno che avr il compito di tutelarci nel momento in cui non saremo pi in grado di scegliere in autonomia: tema di scottante attualit sul fronte della bioetica vedi il dibattito sul cosiddetto testamento biologico che fa riferimento a tutte quelle situazioni nelle quali, a causa di malattia o di traumi improvvisi, la persona perde la capacit di esprimere il proprio consenso o dissenso a un trattamento medico al quale potrebbe essere sottoposta. Per alcuni, questo accordo potrebbe essere stipulato anche tra il paziente psichiatrico e il medico durante i periodi di remissione sintomatologica di tutti quei disturbi psichici di grado severo che abbiano un andamento ciclico o recidivante. Esso dovrebbe dare al curante precise indicazioni su quali trattamenti e su quali eventuali restrizioni della libert personale (limitazione della capacit di agire, coercizione del comportamento, ricovero obbligatorio) sia possibile adottare nel momento in cui intervenga una nuova crisi o un periodo di scompenso. stato chiamato contratto di Ulisse1: nome suggestivo, non c che dire, tanto che il deputato del Pdl Carlo Ciccioli, promotore dellennesimo tentativo di revisione della legge 1802, lo adotta nella sua proposta del 15 gennaio 2009. Il fatto che la denominazione appartenga da tempo alla letteratura psichiatrica anglosassone, non pu per esimere da una certa cautela critica, perch questa immagine, ancorch metaforica, si attaglia comunque male a una proposta di legge sulla salute mentale. Con quale spirito, infatti, si pu fare riferimento alla storia di un uomo legato e attorniato da persone sorde, in un paese come il nostro dove la psichiatria dolorosamente segnata dalla presenza di reparti chiusi ospedalieri, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), in cui troppi pazienti vengono legati a letto e troppi operatori non prestano ascolto alle loro invocazioni? Si pu poi rilevare che il fatto di sottoporre a direttiva anticipata una condizione di scompenso quale interviene durante un disturbo psichico e di equipararla a situazioni drammatiche di fine vita, ha suscitato perplessit a livello internazionale sin dalla prima formulazione del contratto di Ulisse. Nel primo caso si tratta di una condizione temporanea di crisi in cui il soggetto resta comunque capace di esprimere e comunicare una volont autonoma, altres nel secondo caso si tratta di stati comatosi o vegetativi persistenti in cui c la perdita irreversibile di coscienza da parte del malato. Affidarsi in psichiatria a un documento preliminare rischia di invalidare il soggetto nel momento della crisi che invece da decifrare perch ad alta significativit esistenziale nella storia di vita di una persona a meno che tale documento non nasca da un percorso delicato e tenace di dialogo, confronto, scambio, negoziazione, che il lavoro stesso della salute mentale3. Nella proposta Ciccioli, invece, si soltanto interessati a vincolare il malato a un contratto cogente di cura e a sgravare il medico dalla responsabilit di

evitati: ad esempio, garantire una risposta sollecita e qualificata nel territorio, non significa piegare la logica della cura a un modello emergenziale, n potenziare un SPDC, con le sue consuete violenze istituzionali di reclusione e contenzione, n allestire quipe mobili castigamatti7 o stabilire per legge il tempo di un intervento8.

Roberto Barni. Solidali, 2006

l problema sta a monte, nellincapacit di troppi tecnici e amministratori di uscire dalla cultura ospedaliera e di concepire un modello territoriale di salute mentale che possa cambiare le pratiche misere di Centri di Salute Mentale fatiscenti, aperti poche ore al giorno, prevalentemente ambulatoriali, ad alto tasso di medicalizzazione e con una cronica allergia sia al lavoro domiciliare che allintegrazione sociosanitaria. Bisogna puntare sulla capacit di accogliere e di rispondere con continuit ai bisogni quotidiani della persona e della sua famiglia in Centri di Salute Mentale aperti possibilmente nellarco delle ventiquattro ore: servizi di prossimit, resi trasparenti e a bassa soglia, proattivi, ad alta mobilit territoriale, con una conoscenza dettagliata della comunit di appartenenza e integrati a rete con le altre realt socio-assistenziali che vi lavorano. Non si tratta di utopia, ma di realt gi attive nel nostro paese che permettono di affrontare e di smontare, giorno per giorno, la crisi nel contesto di vita della persona sofferente, di contrastare la cronicizzazione e di porre le basi per un percorso di ripresa e spesso di guarigione: esperienze innovative e disseminate, gi riconosciute a livello internazionale, spesso in sofferenza ma vitali, che non si meritano certo n ulteriori ritardi nella piena applicazione della 180, n lennesima avvilente proposta di revisione legislativa.

un lavoro di persuasione e ottenimento del consenso terapeutico, lasciandogli le mani libere per un intervento sbrigativo e senza contestazioni.

a cultura che permea lo spirito del legislatore nel presente disegno di legge chiaramente una cultura medica, interventista e di stampo ospedaliero, in cui le sirene della psichiatria sono quelle delle ambulanze: la malattia vista nella prospettiva dellemergenza, attraverso le stimmate dellevento improvviso e potenzialmente pericoloso, e il malato oggetto di scelte direttive, non negoziabili, perch di fatto ritenuto incapace di poter esercitare una libera volont riguardo alla sua salute nel momento della crisi. Basti considerare linsistenza con la quale si vogliono modificare le procedure di intervento sanitario che si spinge fino al cambiamento del loro nome: il trattamento sanitario da obbligatorio diventa necessario, la sua durata da sette passa a quindici giorni allinterno di un SPDC ospedaliero, e addirittura a sei mesi rinnovabili fino a un anno in comunit accreditate o residenze protette extraospedaliere (articoli 4 e 5). Ancora una volta non si coglie limportanza delle parole: come gi sottolineato in ambito giuridico e psichiatrico4, quando si parla di obbligatoriet si fa riferimento a una scena di relazione fra soggetti, portatori di diritti e di doveri, a un riconoscimento dellaltro che rientra in uno scambio simbolico, a una contrattazione fra ragioni divergenti da ricomporre. Altres, la necessit pertiene a decisioni ineluttabili, determinate da esigenze di legge, che devono essere eseguite con una perentoriet che esclude qualsiasi negoziazione con laltro: il provvedimento durgenza che per il suo carattere di cogenza e di eccezionalit fa a meno del tempo del dialogo. Il conflitto viene silenziato e la situazione di rischio messa in sicurezza. Peraltro, in pi punti del disegno di legge viene evocato lo spettro del pericolo allincolumit delle persone: evidente 24

che non si tratta tanto di una sollecitudine nei confronti dellintegrit dei soggetti sofferenti di disturbo mentale, che nella realt sono sempre pi spesso vittime invece che autori di violenza, quanto di un tentativo di strumentalizzare le loro famiglie, che continuano a essere illuse dalla suggestione dellintervento risolutore, capace di sciogliere dincanto il carico dellassistenza al malato attraverso unespulsione dello stesso dallambiente domestico. Gioco irresponsabile a cui per fortuna non presta fede la quasi totalit delle associazioni dei familiari del nostro paese perch criminalizza gli utenti e schiaccia i familiari stessi sotto indicibili sensi di colpa dietro il pretesto di una loro salvaguardia5. Il disegno di legge Ciccioli riscrive con qualche astuzia assunti gi visti allopera in precedenti proposte di revisione apparse negli ultimi anni, seguendo un identico copione, fatto di furore ideologico contro il consenso culturale di sinistra attribuito alla 180 e di misconoscimento di tutte quelle pratiche di cura che funzionano bene nel nostro paese6. Il canto delle sirene che cerca di ammaliare lopinione pubblica sempre lo stesso: ci vogliono pi procedure di controllo del malato, cio unit ospedaliere ad alta protezione, comunit accreditate per la lungodegenza e trattamenti sanitari pi restrittivi e pi lunghi, perch la malattia obnubilamento della coscienza, incapacit di giudizio e di scelta, comportamento inadeguato e pericoloso, cronicit e carico assistenziale. Se vero che tale visione stata purtroppo favorita dalla crescita disomogenea e dallinadeguatezza della rete dei servizi di salute mentale in Italia, soprattutto in regioni che si sono rese responsabili di disastri organizzativi e gestionali e spreco di denaro pubblico, tuttavia oggi si sa grazie anche al percorso di deistituzionalizzazione suggellato dalla 180 quali sono le buone pratiche nel campo della salute mentale, quali servizi possono essere costruiti e quali errori devono essere

1. T. Howell-R.J. Diamond-D. Wikler, Is there a case for voluntary commitment?, in Contemporary issues in bioethics, a cura di T.L. Beauchamp e R.L. Walters, Belmont, Wadsworth Publishing Company, 19822, pp. 163-168. 2. Il testo unificato del Disegno di Legge Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica, stato approvato dalla Commissione Igiene e Sanit della Camera il 17 maggio 2012. Ad esso si riferiscono gli articoli di legge citati. 3. Per questo motivo tale disegno di legge non ha niente a che vedere con linteressante proposta di testamento psichiatrico quale quella avanzata dalla Rete Regionale Toscana Utenti Salute Mentale che promuove percorsi di autonomia ed emancipazione per gli utenti favorendo il protagonismo e lempowerment. In tale proposta la dialettica delle posizioni nel rapporto fra utenti e operatori proprio il frutto di una negoziazione, nella quale la volont dellutente fondamentale per misurare lazione delloperatore e tutelare adeguatamente i propri diritti: questo potrebbe avvenire anche attraverso la nomina di fiduciari che rappresentino degli intermediari preziosi nel momento della crisi della persona, capaci di impedire interventi sanitari inadeguati (come le terapie elettroconvulsivanti) e di fornire sostegno personalizzato allutente in caso di TSO. Si rinvia al sito www.retetoscanausm.org. 4. Daniele Piccione, Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso lUniversit La Sapienza di Roma e Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica, avanza forti riserve sotto il profilo della legittimit costituzionale nei confronti del presente disegno di legge. Cfr. sito del Forum Salute Mentale (http://www.newsforumsalutementale.it/brevi-note-di-un-costituzionalistasul-ddl-ciccioli/). Cfr. anche P. DellAcqua in Fogli dinformazione, XXXIX, 218, luglio-dicembre 2010. 5. Nei casi in cui la convivenza con la persona affetta da disturbi mentali comporta rischi per lincolumit fisica della persona stessa o dei suoi familiari, il dipartimento di salute mentale, in collaborazione con i servizi sociali del comune di residenza del malato, trova una soluzione residenziale idonea alle esigenze della persona nellambito degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (art. 10). 6. Si fa riferimento fra gli altri ai DDL del deputato Burani Procaccini (n. 174 del 2001), dei senatori Carrara, Bianconi e Colli (n. 348 del 2008) e del deputato Guzzanti (n. 1423 del 2008). 7. Le regioni e le province autonome istituiscono, inoltre, quipe mobili per le aree metropolitane, nonch per interventi urgenti, garantiti ventiquattro ore su ventiquattro, a livello territoriale e domiciliare (art. 3). 8. Si veda lart. 8, sullobbligo del medico psichiatra del servizio pubblico di recarsi al domicilio del paziente entro cinque giorni dalla segnalazione.

GI LE MANI DALLA 180

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Legge Basaglia, trentanni di lavoro


E i tentativi di delegittimarlo
Peppe DellAquila

ra il 1979 quando Olcese, parlamentare repubblicano, present il primo disegno di modifica della Legge 180. Non era passato neanche un anno, da quel 13 maggio 1978. Il 5 settembre di quellanno la Repubblica pubblic in prima pagina un lungo commento di Franco Basaglia: Il fascino discreto del manicomio. Da allora sono passati trentatre anni; durante i quali si sono avvicendate circa cinquanta proposte di modifica della Legge. Abbiamo dovuto avere la pazienza di leggerle: nelle premesse tutte elogiano il valore della svolta che si consumata nel nostro paese, ma poi si smentiscono negli articoli che seguono. Tutte le proposte auspicherebbero in sostanza un altrove distante per i matti e un potere assoluto per lo psichiatra: un trattamento della malattia mentale ancora pi arcaico della Legge n. 36 del 1904, che la 180 mand in soffitta. Ma il Disegno di legge di Ciccioli ha superato tutti gli altri in spudoratezza: dispositivi per prolungare allinfinito la sottrazione di libert, cancellazione di soggettivit, di storia, didentit. La vita delle persone con disturbo mentale viene privata di ogni significato, nella convinzione che la malattia stia nel cervello. Le recenti e innovative scoperte delle neuroscienze e della genetica nelle mani degli psichiatri, una sorta di psichiatrizzazione delle conoscenze ad uso dei profitti gi ingentissimi dellindustria del farmaco, sembrano sostenere ormai oltre ogni ragionevole dubbio il paradigma biologico. Una pericolosa deriva eugenetica! Non riesco a entusiasmarmi alla campagna di difesa della 180. So bene quanto tutto il popolo della salute mentale sia stato letteralmente terrorizzato dalla discussione della commissione parlamentare intorno allinfelice proposta Ciccioli. E quanto la partecipazione delle persone che vivono lesperienza del disturbo mentale abbia completamente trasformato in una dimensione di impensabile futuro il dibattito intorno alla questione psichiatrica. Eleonora, una giovane donna di Perugia che ha vissuto e sta vivendo lesperienza, scrive al Forum Salute Mentale raccontando del suo rabberciato percorso di cura, del rischio quotidiano di perdere la sua identit e la sua storia. Denuncia sconnessioni, attese, distanze. Sinterroga sulla natura della cura. Alla fine, sconsolata, si chiede: a trentanni dalla chiusura dei manicomi, cos cambiato? Si concluso da poco il processo per la morte (lassassinio) di Giuseppe Casu. Come pochi ricordano, il sessantenne fruttivendolo di Quartu SantElena, marito e padre di 5 figli, muore nel giugno 2006 dopo sette giorni legato al letto nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Cagliari. Il processo durato circa sei anni. I fatti messi in evidenza sono agghiaccianti. Tutti i sanitari coinvolti sono stati assolti. in corso al Tribunale di Vallo della Lucania, Salerno, il processo contro medici e infermieri di quellospedale che, secondo laccusa, concorsero alla morte (allassassinio) del maestro sessantenne Francesco Mastrogiovanni. La morte avvenne dopo quattro giorni di contenzione, disattenzione, malnutrizione, disidratazione, abusi farmacologici. Pochissimi sanno di queste storie. Non fosse per limpegno delle associazioni di utenti familiari e cittadini, non se ne saprebbe nulla. Quelli che sanno spesso preferiscono non parlarne. La SIP, Societ italiana di psichiatria, se parla per difendere indignata gli psichiatri sotto accusa. Eppure questi danni e questi rischi, sono paurosamente estesi. Ecco, forse per questo la campagna a difesa della 180 non mi entusiasma. Ma guai se la 180 non ci fosse! C e ritengo che rester ancora per molto. Il problema non , come stupidamente si

dice, la sua applicazione a macchie di leopardo. La 180 rappresenta la riforma pi radicalmente e diffusamente realizzata. Il problema quanto accade in tante volgari e cattive pratiche quotidiane delle psichiatrie del farmaco e della diagnosi. La colpa delle rozze amministrazioni locali. Del silenzio di tanti che, peraltro, si dichiarano ostinati difensori della 180. Carlo Falcone, ingegnere napoletano e fratello amoroso di Pietro, che da anni vive lesperienza del disturbo mentale, con sua madre Lina e altri familiari napoletani ha messo in piedi una cooperativa sociale, Arte, musica e caff. Hanno aperto un ristorante, pasticceria, rosticceria, Sfizzicariello al centro di Napoli, dove lavorano una decina di persone che hanno conosciuto e conoscono la malattia mentale. In cucina e nel locale lavorano anche alcune mamme. Tra servire ai tavoli, catering e forniture, limpresa va avanti bene. Carlo, la mamma Lina e altri familiari sono diventati instancabili difensori della 180 che riconoscono come la garanzia per i loro ragazzi a restare nel contratto sociale. Quando hanno saputo che, nella seduta dello scorso 17 maggio della Commissione Affari Sociali della Camera, era passato (coi voti della Lega e del Pdl) il Disegno di legge Ciccioli, hanno deciso di scrivere al Presidente della Repubblica. La risposta del Presidente non si fatta attendere. Ecco il testo:
Roma 26.7.2012 Oggetto: Esposto [] in materia di Riforma dellAssistenza Psichiatrica con la Proposta di Legge Disposizioni in materia di Assistenza Psichiatrica. Con riferimento allesposto [] per quanto di competenza, si forniscono i seguenti elementi informativi. Premesso che la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati nella seduta del 17/5/12 non ha approvato il Disegno di Legge in oggetto, ma ha solamente deliberato di adottare, quale testo base per il seguito dellesame, la proposta di testo unificata elaborata dallOn.le Carlo Ciccioli, si fa presente che lintero impianto della proposta di Legge , di fatto, gi normato da Leggi vigenti e gli orientamenti sono gi ampiamente indicati dai Progetti Obiettivo e dalle Linee di Indirizzo Nazionali, nonch da documenti internazionali (OMS e Commissione Europea) sottoscritti dal nostro Paese. Le garanzie oggi offerte dalla nostra legislazione in merito allobbligatoriet delle cure sono considerate, a livello europeo, altamente qualificanti. Introdurre, quindi, meccanismi che diminuiscono la tutela dei diritti dei pazienti e prolungano le durate per motivi di sicurezza personale e sociale, rischia di farci fare passi indietro. Tutti gli studi, nazionali e internazionali, dimostrano, in ultimo, che lefficacia delle cure direttamente proporzionale alladesione ad esse. Tali dichiarazioni confermano che sar difficile che la 180 venga manomessa. Il problema un altro e di altro bisognerebbe parlare. []

risulta coinvolta una ragnatela di soggetti istituzionali (sindaco, giudice tutelare, amministratore di sostegno, dipartimento di salute mentale, psichiatra responsabile, familiare, privato sociale e privato mercantile): la confusione, lapprossimazione, lincompetenza diventano parossistiche e svelano il fine: spostare ingenti risorse al privato per tempi infiniti.

Tuttavia, il Disegno di legge va conosciuto. Il testo Ciccioli mette in fila luoghi comuni accattivanti (e manipolatori), che alla fine svelano il vero obiettivo di questo strampalato testo: confermare la fragilit dei servizi, rafforzare politiche locali di salute mentale fallimentari, accreditare le peggiori psichiatrie farmacologiche, delle case di cura, delle residenze senza fine, dei reparti blindati dove si muore legati, posti letto che aumentano, dovunque, negli ospedali, nelle cliniche universitarie, nelle case di cura private (soprattutto in queste!). I trattamenti riabilitativi devono essere prolungati di sei mesi in sei mesi obbligatoriamente, anzi necessariamente, per contenere la cronicit dei malati di mente che non sanno di essere cronici e rifiutano le cure. Nella prescrizione del trattamento sanitario necessario prolungato 25

u questi punti, il sottosegretario Cavalieri ha dovuto ricordare alla Commissione che si sta discutendo di legge di rango primario e che scelte di politiche sanitarie e di dettagli amministrativo-organizzativi spettano alle regioni. Se i parlamentari guardassero veramente quello che accade, coglierebbero la ricchezza del cambiamento. Potrebbero valorizzare e comprendere la forza di esperienze che hanno costruito possibilit inaspettate per migliaia e migliaia di cittadini. Potrebbero capire che esistono servizi e programmi, semplici nella loro articolazione, per niente costosi, ricchi di risultati inimmaginabili. Se i parlamentari volessero, scoprirebbero che, malgrado la persistenza di ostacoli e pregiudizi, la riforma ha fatto il suo corso. Le ricerche condotte negli ultimi dieci anni dallIstituto Superiore della Sanit sullassetto dei servizi sembrano confermare clamorosamente il percorso positivo avviato nel 78. Le indicazioni del secondo Progetto Obiettivo nazionale per la tutela della salute mentale sono state in buona misura realizzate. I Dipartimenti sono diffusi in tutte le regioni. Sono presenti 289 servizi ospedalieri per acuti con circa 3.000 posti letto. Esistono strutture residenziali in tutto il territorio nazionale, che ospitano circa 20.000 persone. Anche il dato relativo alla presenza dei Centri di salute mentale sembra essere confortante: uno ogni 80.000 abitanti. Cooperazione sociale e associazioni completano il quadro. Volendo, potrebbero finalmente accertare che il tanto temuto aumento del numero di suicidi, omicidi e violenze di ogni genere che avrebbero dovuto seguire la chiusura dei manicomi non si verificato. Il nostro paese, in ordine a questi eventi, vanta tassi molto bassi e irrisori se confrontati con altri paesi che si fondano su sistemi ancora manicomiali e ancorati alle logiche del controllo, del rischio, della pericolosit. Guardando veramente, i parlamentari scoprirebbero insomma differenze di funzionamento e di pratiche tra le diverse regioni, tanto pi intollerabili quando queste differenze rendono diseguali i cittadini. Oggi si possono raccontare molte storie. Storie di persone che, malgrado la severit della loro malattia, mai hanno subito restrizioni e mortificazioni. Hanno potuto attraversare Centri di salute mentale aperti 24 ore e orientati alla guarigione, capaci di accogliere e accompagnare nel percorso di ripresa fino a trovare la propria strada. Esperienze esemplari e pratiche diffuse in tutto il territorio hanno dimostrato che possibile costruire percorsi di ripresa e nuove opportunit di partecipazione. Esperienze che privilegiano il territorio, le reti, la prossimit, la domiciliarit, contrastando di fatto il rischio dellabbandono e del rifiuto, la cronicit e la pericolosit. La bellezza di quanto accade rende ancora pi insopportabile la cecit delle psichiatrie e delle accademie, sempre pi ferme sul nesso cervello-malattia. Davanti agli occhi di tutti le cattive pratiche persistono fino allindecenza, dacch Eleonora a Perugia, il maestro Mastrogiovanni a Salerno e il fruttivendolo Casu a Cagliari gridano la vergogna della loro dolorosa testimonianza. Abbiamo imparato che non esiste nessuno che non possa essere curato. Che non esiste soggetto senza storia e storie senza persone. Il Centro di salute mentale aperto 24h, e non pi lospedale, la struttura organizzativa forte che orienta la domanda e sostiene il lavoro tera-

peutico-riabilitativo. Molte Regioni hanno avviato programmi e investimenti in questa direzione, attivando reti di servizi di salute mentale integrati che possano operare sulle 24h, 7 giorni su 7. Le politiche della crisi e incomprensibili riassetti organizzativi attentano quotidianamente allo sviluppo ulteriore dei servizi comunitari territoriali. In molte Regioni, dove generosi Presidenti dichiarano la loro fedelt alla Legge 180, accadono crimini di pace nel silenzio di unovattata quotidianit. Ospedali, cliniche, case di cura e politiche del farmaco devono lasciare spazio al territorio, ai progetti personalizzati, allabitare assistito, alla cooperazione sociale. Quanto pi il territorio diventa luogo concreto dellinclusione e della riabilitazione tanto pi il farmaco, la diagnosi, la malattia assumono diversa visibilit e il sapere psichiatrico deve ricollocarsi in questa nuova dimensione: la malattia non pu che essere in relazione alla persona. Cosaltro dovrebbe essere la Legge 180, se non questo? Se i parlamentari (e gli psichiatri, e gli amministratori e i giornalisti) prestassero pi attenzione, scoprirebbero il bisogno di inventare istituzioni capaci di garantire la permanenza delle persone nel contratto sociale, fronteggiando il rischio della marginalizzazione. Altro che trattamenti necessari e prolungati!

asterebbe riflettere sulla parola necessario al posto di obbligatorio. Obbligatorio significa prima di tutto che laltro esiste. Posso obbligare qualcuno con unordinanza o una norma quando ho riconosciuto la sua autonomia e la sua possibilit di rifiuto. La parola una tensione alla negoziazione. Obbligare qualcuno a qualcosa ha a che vedere anche con unassunzione di responsabilit: un sentirsi obbligato nei confronti dellaltro che sto obbligando, limitando la sua libert, invadendo il suo spazio intimo e personale. Necessario nega invece lesistenza dellaltro. Nega la presenza del soggetto in ragione di qualcosa che trascende i contesti, le relazioni, le storie, gli individui. Sposta lattenzione su ci che si deve ritenere di assoluto bisogno: non c trattativa perch la necessit rimanda a un oggetto, a un cervello, alla malattia mentale, che rientra nella naturalit, nellineluttabile accadere delle cose. Necessario , nella radice del suo significato, non cedere, difendere una posizione. Necessario attiene alla forza naturale che la normalit deve esercitare sulla follia, dopo averla ridotta a malattia. Nel rapporto con chi vive lesperienza del disturbo mentale non si pu cedere: fare o non fare un trattamento significa, per chi esercita il potere, vincere o perdere. Il malato di mente un cittadino come tutti gli altri? un cittadino che pu godere a pieno titolo del diritto costituzionale? Del diritto alla cura e alla salute nel rispetto della libert, della dignit e dellinviolabilit del corpo come recita larticolo 32 della Costituzione? I malati di mente non sono mai stati cittadini fino a quando in Italia, alla fine degli anni Settanta, un manipolo di bravi legislatori capitanato da Tina Anselmi ha reso per la prima volta i malati di mente cittadini, persone, individui. La tutela della soggettivit e del diritto alla cura della persona che rifiuta assumono assoluta priorit. Questo il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Questa la Legge 180.

Testo, in parte, tratto da un articolo gi pubblicato da Il Sole24ore-Sanit del 17-23 aprile 2012.

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TRAGEDIA GRECA

Solo un dio ci pu salvare?


Vassilis Vassilikos

unantichissima espressione greca che rimanda ai responsi di Pizia ed difficilmente traducibile. Questespressione suona cos: H ktvstsis epedeinoumevnh eltiouvti. Che si potrebbe tradurre: Pi le cose vanno male, meglio vanno. In questa battuta, che sembra tratta da un atto unico di Ionesco, c la sintesi della situazione attuale del mio paese. Per dirla in altre parole: i tagli a stipendi e pensioni sono arrivati al punto estremo, al muro della vergogna, con la diminuzione delle indennit, laumento di due anni dellet pensionabile e con linvenzione di soluzioni alternative a problemi altrimenti insolubili, come quello di evitare la scure sugli stipendi di giudici, generali e poliziotti. Parallelamente lEuropa ha dato segni di risveglio. In primis con la mossa di Draghi (che se fosse stata fatta, comera giusto, due anni fa, ora le cose sarebbero molto diverse) e secondariamente domando la bisbetica frau Merkel. Per il momento, questa svolta al timone della BCE non porter alla Grecia i vantaggi immediati dellItalia e della Spagna. Ma londa lunga gi partita dagli altri paesi mediterranei arriver tra un paio danni anche nelle nostre spiagge. Questa una prospettiva che crea quellottimismo finora mancato. Nel nostro paese, ora che le mucche non hanno pi latte da offrire al mungitore/esattore, lattenzione dei veterinari incaricati della salvezza del paese (cio i nostri creditori attraverso la troi-

Roberti Barni. Orizzontale verticale, 1973

ka) si concentrata ai tori. Notoriamente c un toro da monta, o anche un gallo, ogni cento mucche o galline. Costoro, i grandi capitalisti (per chiamarli col loro vero nome), hanno spostato i loro soldi allestero, in particolare al paese di Guglielmo Tell, altrimenti detto Svizzera. Ignoti depositanti greci tengono in Svizzera settanta miliardi di euro: due volte il deficit del paese. Prima per di arrivare a un accordo tra la Grecia e la Svizzera per tassare questi depositi, come ha fatto due anni fa la Germania, lor signori hanno gi iniziato a spostare i loro capitali dalla Svizzera verso altri paradisi, magari asiatici. In questo modo, se ci saranno ulteriori ritardi nella conclusione dellaccordo, al prato fiorito svizzero rimarranno solo ortiche e cardi spinosi, che, com noto, vanno bolliti per ottenere un decotto che d grande sollievo alle disfunzioni epatiche e ad altri malanni del corpo umano. Ma solo a loro. Divento mio malgrado ironico perch so quello che noi tutti sappiamo, cio che il denaro non ha patria. Ma quando la patria non ha il denaro necessario per rimanere patria, allora a che serve la parola patriota (a meno che non si riferisca ai missili Patriot), a che servono la bandiera, linno nazionale, la lingua, la Chiesa ortodossa dOriente e tutto quello che compreso nella parola greco? Arriviamo cos a quello che disse il poeta premio Nobel Giorgos Seferis: Hellas vuol dire disgrazia (hlas in francese, con una sola l ). Ed veramente questa la situazione in cui ci troviamo: nella disgrazia. Quello che si sente continuamente nelle tragedie antiche: ahim e ahinoi! Uccisioni, incesti, stragi, che comunque

alla fine portano alla sempre antica catarsi. proprio questa catarsi che si aspetta il popolo greco, quella che solo un deus ex machina pu portare anche se i nostri antichi antenati, i tragediografi, sono defunti da 2500 anni. Ma il deus ex machina che ci hanno lasciato in eredit le loro opere rimane ancora la soluzione che porta alla salvezza. P.S. Molti amici stranieri mi rivolgono domande su Alba Dorata. Come ha fatto la malapianta a crescere? Io rispondo che, nei periodi pi difficili della nostra storia, cera sempre un 5% che svolgeva lo stesso ruolo svolto ora dai baldi giovani di Alba Dorata. Nel 1931 cera lorganizzazione EEE, che attaccava gli ebrei greci. Durante loccupazione delle potenze dellAsse, cerano i Battaglioni di Sicurezza e il gruppo X. Durante la dittatura dei colonnelli avevamo i delatori senza nome. E ora abbiamo Alba Dorata, che cresciuta nei quartieri pi sensibili grazie alle sue opere caricatevoli e allassenza dello Stato. Se la prendono con i pachistani, i srilankesi, quelli scuri di pelle. Lunica differenza rispetto al Ku Klux Klan che loro dispongono di seggi nel Parlamento degli Elleni, nel paese in cui nata la democrazia. Involontariamente per svolgono anche quella funzione di cui parlavo prima, di deus ex machina: risvegliando lelleno dal letargo in cui era caduto per ben 35 anni di benessere in prestito e di unapparente agiatezza ad altissimi tassi dinteresse. Traduzione dal greco di Dimitri Deliolanes

L arte del labirinto


Manuela Gandini

entusiasmo critico della scorsa primavera, generato dalla reattivit degli artisti greci alle insostenibili condizioni imposte dalla troika, sceso come un sipario, come un uccello abbattuto. Al bar Smile, nei pressi dellAcropoli, arrivano un po di artisti. Chi ha manifestato mesi in piazza Syntagma, chi dallo scorso novembre occupa il teatro Empros e chi ha girato la citt filmando luoghi, persone, pozzanghere, negozi vuoti. Si discute, si fuma, si beve caff. I racconti si susseguono, per si parla al passato, come se i progetti di prima dellestate fossero congelati, finiti. Come se, ai tentativi di coesione e autorganizzazione di artisti, architetti, registi, emigrati, disoccupati, indignati, fosse seguita una parcellizzazione, una separazione forzata voluta dal governo per disperdere le energie che si stavano costituendo dal basso. Da quando Alba Dorata in parlamento, da quando cio le forze xenofobe neofasciste sono legittimate e godono di credibilit, il clima gi cupo degli scorsi mesi saturo di angoscia, depressione, paura. Siamo in preda a un panico morale. La parola che circola con maggior frequenza qui ad Atene asfalia, insicurezza, afferma Mary Zygouri. C immobilit e impotenza, ma c anche chi continua a parlare di utopia, di micro-utopie da realizzare nellimmediato, di utopie del quotidiano, di azioni comunitarie contro limmiserimento fisico e psicologico delle moltitudini a vantaggio della malvagia oligarchia transnazionale. I componenti finanziari di quellUnione europea a cui stato conferito il Nobel per la Pace! Di fronte al capitale scrive Maurizio Lazzarato nel suo libro La fabbrica delluomo indebitato, DeriveApprodi 2012 che si presenta come il

grande creditore universale, sono tutti debitori, colpevoli e responsabili. Unondata di nefasto nazionalismo, che esalta la famiglia e la normalit, s abbattuta sulla societ greca. I militanti di Alba Dorata, ragazzoni palestrati, organizzano ronde per aggredire gli extracomunitari e, nei bar di Metaxurghio frequentati da gay, minacciano epurazioni. In alcune stazioni della Croce rossa sono esposti cartelli con scritto: sangue di greci per i greci. Ai musulmani, in alcune mense ecclesiastiche, viene negato il cibo. Durante le ultime manifestazioni, gli esponenti di Alba Dorata erano al fianco della polizia per aiutarli nelle cariche. Intanto, il comune di Atene, in unoperazione di pulizia urbana, ha chiuso il giardino autogestito di via Asomaton, coltivato da artisti e da abitanti del quartiere per sfamarsi, sradicando gli alberi e murandolo. La stessa dinamica si ripetuta in altri orti urbani. Ma noi non ci fermiamo, afferma Eleni Tzirtzilaki del Network Nomadic Architecture pensiamo di continuare con altri terreni e altri giardini autogestiti in centro. Gli edifici abbandonati, i vuoti, i luoghi di risulta, sono terreno di resistenza. I collettivi stanno mappando la citt, penetrando nei nuovi scenari urbanistici, studiando le trasformazioni in corso. Nellesperienza greca scrive Kostis Stafylakis stiamo attivando forme di protesta collettiva, autorganizzazione e partecipazione. Modi di vita alternativi, lalternativa anticonsumista, lexit verso una vita rurale. Ma per far ci necessario percorrere il labirinto, linterno, il buio, attraverso mostri intimi e mostri pubblici. per questo che Mary Zygouri ha girato Bullmarket, un video introspettivo che ci scaraventa nelle viscere della crisi con evidente riferimento al toro di Wall Street e al Mito. Il suo viaggio una strada senza uscita. In un garage 26

pluripiano abbandonato, sequestrato dalle banche prima che ne venisse ultimata la costruzione, Mary ha trascorso mesi per ricostruire lallegoria della contemporaneit, tra carne morta (il muso di un toro legato come un salame) e lacqua putrescente del tetto che affaccia sul Partenone. Perch siamo arrivati sin qui? Quali sono stati gli errori, le cause che ci hanno ridotti cos? La crisi greca afferma Zygouri ha generato la sensazione claustrofobica di vivere con qualcosa che gi morto. Bullmarket interpreta il presente alla luce della mitologia greca del labirinto, del toro, della matassa, dove il toro a un tempo il divoratore della crisi e il simbolo dellenergia economica, sociale e culturale perduta. Questa simbiosi con un cadavere agisce come uno shock che induce a una reazione collettiva, lestrema natura dellattuale situazione socio finanziaria nel paese, dissolve il senso di ci che reale rimpiazzandolo con un senso di intrappolamento.

e opere non si espongono quasi pi, ci sono poche gallerie attive. Larte sparsa orizzontalmente nelle strade e negli edifici occupati, ha una funzione immediata, estrema, la lingua condivisa della sopravvivenza e della lotta, lontana anni luce dallHigh Art del sistema finanziario. minimalismo portato alleccesso che coinvolge tutti e parla del presente con un linguaggio minuto, spicciolo come le vite che si spendono nei quartieri. Breaking the borders (walking through the historical center of Athens) un film realizzato da Nomadic Architecture sulla citt. Atene ripresa a frammenti, assemblata e ricomposta ed portatrice di storie. Storie di solidariet, di sostegno agli immigrati, di musica greca, di cene alle quali chiunque pu partecipare e portare una carota, un sedano, dei pomodori, mettendo insieme le piccole risorse di tutti.

Matteo Fraterno, con In-differenziati Atene 2012, ha filmato i percorsi dei cingalesi che raccolgono dai cassonetti tutto il materiale possibile da riciclare, per 15 euro al giorno. Rame, ferro, alluminio, cartone. Riempiono ciascuno il proprio carrello da supermercato e, in coppia per non essere aggrediti, percorrono la citt secondo una toponomastica precisa. Alla fine, tutti convogliano a Orfeo, la strada di un ex quartiere industriale che trabocca di criminalit. Questa non unopera di denuncia ma di indagine, un flash su un organismo urbano pieno di metastasi, una ricognizione delle forme nascenti di microeconomia. In queste esperienze di attivismo artistico tutto si rende pi evidente: il piccolo contrapposto al grande, il pubblico al privato, lo straniero allautoctono. Se da una parte in corso una violenta repressione perpetrata dai nuovi poteri, che mira a distruggere legami e relazioni tra parti della popolazione; dallaltra, sul piano comunitario, vi un tentativo di rifertilizzazione dellumanit, di riscoperta della dignit esistenziale e di ripartenza da forme di condivisione e di conoscenza del territorio. Ma i rapporti sono estremizzati e il terreno tremendamente pericoloso. Le manifestazioni sino a qualche mese fa avevano una natura eterogenea e inclusiva, mentre oggi con il processo di frammentazione sociale in atto il movimento si compone piuttosto di minoranze compattate. Gay, emigrati, disoccupati si accorpano per far fronte alle violente aggressioni cui sono sottoposte. La vulnerabilit della situazione non consente alcuna conclusione. Atene un campo di battaglia in una parvenza di quotidiana normalit dove, mentre stai bevendo un caff al bar, ti pu arrivare improvvisamente una scarica di pugni.

TRAGEDIA GRECA

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Lo spettro di Weimar
Dimitri Deliolanes

ono passati un bel po di mesi dalle elezioni greche di giugno. Come si ricorder, alla fine furono vinte anche grazie alla massiccia campagna allarmistica condotta da esponenti di primo piano della Commissione Europea e dai grandi media europei da Nuova Democrazia, il partito di centrodestra di Antonis Samaras. Allora si scontrarono due tesi, ambedue fondate sulla comune constatazione che la politica di svalutazione interna imposta dalla troika fin dal 2010, era stata un totale disastro non solo sul piano strettamente economico, ma aveva provocato conseguenze gravissime sul anche piano sociale. Per la Sinistra Radicale Syriza di Alexis Tsipras, tale politica economica andava denunciata. Il che, in termini politici, significava una cosa semplice a dirsi ma difficile a farsi: convincere i creditori della Grecia e i partner europei che era necessario un radicale cambio di rotta. Bisognava puntare sullo sviluppo pi che sullausterit. Se questo cambio non fosse avvenuto, diceva Syriza, allora la Grecia avrebbe inevitabilmente fatto default, provocando danni inimmaginabili a tutta leurozona. Lo schieramento moderato portava avanti unaltra proposta: rinegoziare da capo tutta la politica della troika, senza provocare rotture ed evitando di evocare il default, ma conservando gli elementi positivi come, ad esempio, le privatizzazioni. Su questa base si raggiunto anche il successivo accordo di governo tra Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok di Evangelos Venizelos e la Sinistra Democratica di Fotis Kouvelis. Ora, a distanza di pochi mesi, quel dilemma elettorale si ripresenta di nuovo. E il paradosso che stato proprio il premier di centrodestra a riproporlo. In unintervista al giornale tedesco Handelsblatt del 5 ottobre, Samaras ha evocato lo spettro della Repubblica di Weimar e il rischio di una disgregazione del tessuto sociale, che sfoci verso soluzioni di tipo fascista: La democrazia greca si trova di fronte a una delle sfide pi critiche, che riguarda la nostra coesione sociale ha detto . Questa minacciata dalla disoccupazione, come successo con la Repubblica di Weimar. Tutta la societ si trova in pericolo a causa dei populisti di sinistra e di una cosa assolutamente inedita nel nostro paese: lemergere di un partito di estrema destra che si potrebbe anche definire di tipo fascista e neonazista. Questo partito neonazista , secondo i son-

daggi, la terza forza politica del paese e le sue percentuali sono in crescita. Samaras ha ragione. I neonazisti di Alba Dorata hanno sfruttato il loro insperato ingresso in Parlamento per scatenare in tutto il paese unondata impressionante di aggressioni squadriste e razziste. I seguaci del duce Michaloliakos acquistano sempre maggiori consensi dando una risposta alla richiesta di ordine.

i prima dello scoppio della crisi, infatti, i vari governi socialisti e conservatori avevano permesso che regnasse nel paese un clima diffuso di anomia, di indifferenza verso la legge, che favoriva la corruzione e le clientele. A questo si aggiunta una posizione del tutto ideologica e slegata dalla realt della sinistra verso il grave problema dellimmigrazione. Non tutti sanno che dal confine, terrestre ma soprattutto marittimo, della Grecia con la Turchia passa, secondo la Commissione Europea, circa l80% degli immigrati clandestini diretti in Europa. Ora questi milioni di povera gente si trovano intrappolati in un paese immiserito, le cui risorse bastano appena per i suoi cittadini. Molti immigrati, specialmente quelli balcanici, si sono pienamente integrati. Altri per sono alla fine costretti a relazionarsi coi fuorilegge greci e a scatenare unimpressionante ondata di criminalit. La polizia non in grado di affrontare questa sfida. Grazie ai tagli imposti dalla troika, le forze dellordine sono numericamente insufficienti, malpagate e senza mezzi. I cittadini, specialmente al centro della capitale, si sentono abbandonati a se stessi. E si rivolgono alle milizie di Alba Dorata. Ma le squadracce non sono lunico problema. Il giorno prima dellintervista, circa 300 manifestanti del cantiere navale Skaramangas, senza stipendio da mesi, hanno invaso il ministero della Difesa e lo hanno occupato per circa tre ore. Senza incontrare resistenza. Uno shock per un paese con seri problemi di sicurezza con la vicina Turchia, e che spende miliardi per gli armamenti. Il premier ha potuto quindi toccare con mano il pericolo di unesplosione di rabbia popolare, cieca e distruttiva. Fino alle elezioni solo Tsipras metteva in guardia verso i limiti di resistenza della societ. Come se non bastasse, la famosa rinegoziazione ha mostrato la corda fin dalle prime battute. La troika non solo non ha voluto sentirne parlare, ma ha anche alzato la posta in gioco.

Tradendo gli impegni elettorali, Samaras aveva preparato un pacchetto di nuove misure di austerit, le ultime, ha assicurato, per complessivi 11,9 miliardi. Questa volta sono presi di mira gli impiegati pubblici (abolizione di tredicesime e quattordicesime, blocco totale del turn over). Ma alla troika tutto questo non basta. Vuole licenziamenti in massa (150 mila entro il 2015), riduzione di quello che rimane dello stato sociale e un nuovo abbattimento del costo di lavoro, anche nel settore privato. Una mina sotto i piedi del governo greco. Non solo e non tanto per i mal di pancia degli alleati di governo, quanto per linsostenibilit del fronte sociale, gi in grandissima ebollizione. Basta dire che Nuova Democrazia ha perso i suoi sindacalisti a settembre, mentre da quasi un anno il Pasok ha visto tutte le sue organizzazioni sindacali e giovanili passare in massa a Syriza. Chi potr contenere il vulcano che scoppia? Lultima carta rimasta in mano a Samaras quella espressa in termini espliciti durante la visita della Merkel ad Atene il 9 ottobre. Ci vuole un intervento politico della leadership europea. Fare in modo che il nuovo vento che (timidamente) ha cominciato a soffiare a Bruxelles, trovi corrispondenza nella politica della troika verso la Grecia. Non possibile incassare continue assicurazioni sulla volont di garantire la permanenza della Grecia nelleurozona e poi lasciare liberi i tre controllori del Fmi, della Bce e della Commissione a destabilizzare il paese. Bisogna contenere i tagli, concedere almeno due anni per ladeguamento a tassi tedeschi e finalmente cominciare a parlare di sviluppo. Altrimenti c il caos. Il sospetto che la denuncia preconizzata a giugno da Tsipras non fosse in fondo una cosa molto differente da quello che sta facendo ora Samaras. Ma da posizioni arretrate, deludendo i suoi elettori, con un partito tuttora tentato da pratiche clientelari e con una credibilit sempre in bilico. Forse a Bruxelles e a Berlino qualcuno dovr cominciare a lasciare da parte i vecchi pregiudizi e ascoltare con pi attenzione quello che dice la Sinistra radicale greca.

Roberto Barni. Colonna bisbetica, 2008

Crisi economica e editoria


Dimitris Mamaloukas

a quasi tre anni la Grecia vive sotto il peso asfissiante della crisi economica. Lentamente ma inesorabilmente la crisi ha colpito anche leditoria, sebbene i grandi editori avessero affrontato le prime avvisaglie di tempesta con sangue freddo. In tutti questi mesi abbiamo avuto la chiusura di una grande e storica casa editrice, Ellinika Grammata, in contemporanea con la grande catena francese FNAC, che era sbarcata nel nostro paese con grandi aspettative. Altre due grandi catene di librerie affrontano da tempo difficolt nei loro rapporti con gli editori e i loro scaffali sono letteralmente vuoti. Uno spettacolo sorprendente ma anche desolante per gli amici del libro. Altre librerie, di pari dimensioni, riempiono gli scaffali con oggetti da regalo e gadget vari. Nello stesso tempo, anche in Grecia, come in tutto il mondo, cresce costantemente il mercato

dellebook e la vendita via Internet, che arrivata a pareggiare, e talvolta anche a superare, le vendite in libreria. Ovviamente, durante gli anni 2011 e 2012 anche la produzione editoriale ha subito una forte riduzione. Non vengono pi pubblicati tanti libri come negli anni 2007 e 2008. Non che gli scrittori abbiano smesso di scrivere, al contrario: tutti i seminari di scrittura creativa sono sold out. Si vede che il prestigio delletichetta di scrittore arrivato alle stelle e raggiunge livelli che superano anche lattuale prezzo delloro. Sono gli editori che cercano di evitare il fallimento e limitano la loro produzione. Empiricamente, direi che scesa a pi della met. Se uno considera per la produzione editoriale dellanno 2008 comprende che allora eravamo agli stessi livelli di paesi come la Germania, con una popolazione otto volte maggiore e un numero molto pi alto di

lettori. In poche parole, in Grecia c stato un elemento di esagerazione anche in questo campo. Oltre al calo dei titoli prodotti e la drastica limitazione degli stock librari (purtroppo nel nostro paese gli stock di magazzino sono soggetti a imposte e questo comporta la rapida riduzione di migliaia di libri in carta riciclata), gli editori hanno anche ridotto il personale, gli stipendi e non sono pochi i casi di impiegati rimasti da mesi senza stipendio. Gente che lavora gratis pur di mantenere in vita la casa editrice e preservare il proprio posto di lavoro. Dai tagli non uscito incolume neanche lultima ruota del carro, lo scrittore, (che, utile ripeterlo, quello che scrive il libro e produce il prodotto dal nulla) e la sua percentuale parte gi in negativo (cio paga per veder pubblicato il suo libro) per arrivare al 10-15% e in rari casi al 20%. Anche

queste gi misere percentuali sono state ridotte. Oppure, quando non ci sono stati ritocchi, in un impeto di arroganza, gli editori hanno riformulato in peggio le altre clausole del contratto, come la sua durata oppure la condizione di versare i diritti solo dopo il saldo da parte delle librerie. In questo modo lunica arma in mano allo scrittore, cio il libro stesso, fatalmente si rivolger verso altre forme di realizzazione, come le case editrici minori, specializzate in edizioni autoprodotte o distribuite in proprio, oppure nella distribuzione diretta del prodotto attraverso il web, per esempio attraverso Amazon. Il libro troppo tosto per morire. Finch ci saranno bibliofili che ogni sera trovano la gioia e il coraggio di continuare la lotta per la vita immergendosi tra le pagine di un libro, allora ci sar sempre speranza.

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TRAGEDIA GRECA

La crisi siamo noi


Beni comuni e lotte sociali in Grecia
Haris Tsavdaroglou

ench negli ultimi anni il dibattito sui beni comuni sia sempre pi diffuso tra i militanti e gli studiosi radicali, raramente stato messo in connessione allidea di crisi. Secondo unanalisi che potremmo far risalire alla tradizione del marxismo critico e autonomo, pensare il concetto di bene comune significa tenere a mente tre cose allo stesso tempo: le risorse comuni, la comunit e il commoning, ossia il mettere in comune, il mettere in pratica lidea di bene comune. I beni comuni non esistono in s e per s, ma vengono creati in fasi di lotta sociale, e si costituiscono attraverso un processo sociale di commoning. Da questa prospettiva, le risoluzioni e le reazioni del capitalismo possono essere interpretate come una risposta al potere del social commoning dei cittadini. Il capitalismo pu sia distorcere che circoscrivere un bene comune, in modo da preservare la continuit della cosiddetta accumulazione primitiva, la (ri)produzione della merce e del plusvalore. Seguendo questi criteri, la crisi pu essere interpretata anche come una fase critica per la circolazione del capitale rispetto alla circolazione delle lotte per il controllo dei beni comuni. Vediamo ora come si articola questo discorso allinterno del paradigma della crisi in Grecia, attraverso lanalisi di due pratiche fondamentali che sono state sviluppate negli ultimi due anni. La prima riguarda il rapporto tra bene comune e polarizzazione socio-politica. In questo periodo di crisi, il commoning, la cooperazione sociale e la (ri)produzione sociale sono il nodo cruciale dei conflitti politici in Grecia. Come noto, gli ultimi due anni sono stati caratterizzati dal graduale tentativo di smantellamento e demolizione della classe media e degli assetti del Welfare State. Questo ha portato alla nascita di un gran numero di processi (ri)produttivi e di pratiche legate al commoning, sviluppatesi a partire da prospettive anche assai diverse fra loro, come il punto di vista della sinistra radicale e quello anarchico, il punto di vista del neoliberismo creativo, quello della sinistra patriottica, o quello dei fascisti-conservatori. La prima massiccia apparizione, anche in chiave simbolica, del carattere plurale del social commoning si avuta nellestate del 2011 con il movimento degli indignados. Syntagma, piazza centrale di Atene, stata il luogo, ossia il bene comune prescelto dalla comunit degli indignados. La piazza, a ogni modo, stata suddivisa in due arene: la parte superiore, di fronte al Parlamento, contraddistinta da slogan patriottici e fascisti, sventolii di bandiere greche, inni nazionalisti, e via dicendo; e la parte inferiore della piazza, occupata dai raggruppamenti democratici di vario tipo, come i socialisti, gruppi della sinistra radicale, anarchici, mentre la maggior parte dei manifestanti si spostava da una parte allaltra della piazza. La stessa divisione socio-spaziale si poi ripetuta in tutto il resto della Grecia.

miglia mediterranea sostiene le giovani coppie e che molte relazioni tendono, o almeno ci provano, a restare fuori dalla circolazione del capitale, ma allo stesso tempo vero che la percentuale di lavoro nero tra gli immigrati e quella del lavoro precario tra i giovani continua a crescere. Secondo lanalisi marxiana, il punto chiave nel circuito del capitale che lunica merce in grado di generare plusvalore la forza-lavoro. Perci valore e plusvalore vengono prodotti attraverso il processo lavorativo e non nel processo di scambio, o nel furto dellaccumulazione originaria. In tal modo, allinterno del paradigma della crisi greca, possiamo supporre che il rapporto capitalistico abbia la tendenza a modificare la situazione antecedente attraverso nuovi sistemi di enclosures, e attraverso la permanenza dellaccumulazione originaria, ovvero attraverso espropriazioni, furti e tagli.

Roberto Barni. Vacina, 1995

L
mentali sul piano pratico: la prima la riduzione drastica, del 40% circa, dei salari, delle pensioni, dei fondi alleducazione e al sistema sanitario; al contempo, nuove recinzioni si sono insediate anche in campo ambientale e in quello dei cosiddetti beni pubblici: come la privatizzazione, la svendita e la mercificazione di infrastrutture pubbliche, ospedali, universit, propriet pubbliche; la terza conseguenza stata laumento, dal 30% fino al 50%, delle tasse sui trasporti, gas, benzina, acqua, elettricit, e sugli immobili. C poi la beffa di tasse come lharatsi (termine di derivazione ottomana che significa testatico, meglio noto come Poll Tax), applicata sulla bolletta della corrente elettrica, gi di per s sottoposta ad aumento; in tal modo, se questa tassa non viene pagata, si procede al taglio della corrente, anche se limporto riguardante la corrente elettrica stato saldato! Ma soprattutto le tasse sugli immobili hanno costretto sempre pi persone a vendere la propria casa ed emigrare per riuscire a trovare un lavoro e mantenersi. In Grecia, la disoccupazione aumentata dal 7% nel 2010 al 23% nel 2012, cosa che ha spinto molti greci a emigrare verso il Nord Europa, il Medio Oriente e lAustralia. Tutti questi fattori indicano la permanenza di un tipico processo di accumulazione primitiva, ossia di quel processo ininterrotto che separa luomo dai mezzi di produzione, riproduzione e sussistenza, cos da costringerlo a diventare un lavoratore subordinato, instaurando in tal modo il rapporto capitalistico. Secondo il pensiero di autori come Caffentzis, Federici, De Angelis, Bonefeld, Holloway e altri, laccumulazione originaria non un semplice fenomeno circoscritto allepoca precapitalistica, ma un tratto costante del capitalismo, o meglio ancora, la condizione e il presupposto dellesistenza del capitale. In linea con unimpostazione critica e autonoma del marxismo, io credo che la crisi e il processo permanente di accumulazione primitiva siano la risposta capitalistica al precedente ciclo di lotte sociali e politiche, attraverso le quali si tentato o si riusciti a reimpadronirsi dei propri mezzi di riproduzione. Di conseguenza, pi che di accumulazione del plusvalore, questa crisi andrebbe meglio interpretata come una crisi di disobbedienza sociale alla teoria del valore. A legittimare questa tesi intervengono diversi elementi, come il fatto che negli ultimi trentanni, attraverso lotte di vario genere e strategie di commoning, i greci e non solo sono riuscito a conquistare alcuni fondamentali mezzi di sussistenza, come listruzione pubblica, la sanit pubblica, una casa, unautomobile, e negli ultimi anni perfino una seconda casa vicino al mare; conservando altres un debole tasso di occupazione e un alto tasso di propriet immobiliare. Inoltre, ben noto che la tipica fa28

l processo di commoning a cui stiamo assistendo qui potrebbe essere definito un processo di commoning ibrido. Entrambe le zone della piazza erano indignate, auto-organizzate, e lo slogan principale di entrambe inneggiava a bruciare il Parlamento. Il movimento degli indignados durato circa due mesi, ed stato poi represso da un duro e brutale intervento delle forze dellordine. Dalla sconfitta di questa occupazione simbolica degli indignados sono comunque scaturite diverse iniziative e movimenti in tutta la Grecia, il obiettivo stato anzitutto quello di cercare delle risposte alla questione fondamentale della riproduzione sociale. I raduni si sono via via decentrati, spostandosi dalle piazze e ripartendosi in una cinquantina di raduni diversi ad Atene e un centinaio nel resto della Grecia, dove sono stati organizzati orti e cucine collettive, mercatini delle

pulci, punti di scambio, di studio individuale e collettivo. Inoltre, si sono formati organizzazioni sindacali di base, reti di disoccupati, reti di immigrati, collettivi e cooperative come forme alternative di impiego, reti di produttori, forme di autoorganizzazione sociale e agro-alimentare quali consultori, asili e mercati alimentari. Tutte queste forme di organizzazione possono essere interpretate come articolazioni dei beni comuni, anche se occorre tenere presente come esse stiano nel mezzo fra commoning di destra e di sinistra, nazionalista e multiculturale, omofobico e queer, e moltre altre classificazioni createsi al loro interno. Ma dopo questo straordinario periodo di esperimenti di (ri)produzione, di lotte di massa e scioperi contro le misure di austerit, il secondo segnale simbolico di polarizzazione socio-politica, nonch di commoning ibrido, si avuto con i risultati delle elezioni parlamentari del giugno 2012. I partiti di centro-sinistra e della sinistra radicale hanno conquistato pi del 35% dei voti, e per la prima volta negli ultimi quarantanni Alba Dorata, partito di orientamento fascista e neonazista, ha conquistato il 7% dei consensi, entrando cos in Parlamento, grazie anche al contributo del 50% delle forze dellordine che lha votato. La retorica di entrambi gli schieramenti si concentrata sul tema della riproduzione sociale, ed entrambe le parti stanno tentando di usurpare e manipolare lo sviluppo di nuovi processi di commoning e relazionali. Daltra parte, entrambi i gruppi hanno riferimenti populisti, Syriza (la coalizione delle sinistre) ha come modello il presidente venezuelano Chvez, mentre Alba Dorata segue il paradigma del partito palestinese Hamas. La sinistra afferma di voler salvare la Grecia attraverso il ripristino di una regolamentazione statale a partire da un modello keynesiano, insieme a forme di collaborazione sociale partecipativa (New Social Deal), mentre la destra fascista dichiara che lotter per la deportazione degli immigrati e dei cittadini LGBT, al fine di garantire la purezza e lintegrit del popolo greco, e non un caso che pogrom in stile nazista siano gi diventati routine, specialmente ad Atene. Per questo la questione fondamentale non si gioca pi soltanto sul terreno della lotta contro lo Stato e il neoliberismo, ma anche sul modo in cui possiamo negoziare i diversi processi di commoning (la razza, il sesso, la classe sociale) allinterno delle lotte. Il secondo punto riguarda lemergere di nuove forme di enclosures (recinzioni), e il processo permanente di accumulazione primitiva. In Grecia, i programmi di aggiustamento strutturale e le misure di austerit adottate nel corso degli ultimi due anni hanno portato a tre conseguenze fonda-

obiettivo di questi processi quello di togliere alluomo i propri mezzi di sussistenza, e renderlo dipendente dal lavoro salariato. A sostegno di questa tesi, basti mettere a confronto il tasso di occupazione con quello dei proprietari di immobili nei vari paesi dellUnione Europea. Nei paesi in cui il tasso di occupazione basso la percentuale dei proprietari di immobili alta, e viceversa. Ad esempio, secondo lEurostat, nel 2009 in Germania la percentuale dei proprietari di immobili era del 46% e il tasso di occupazione raggiungeva il 72,5%, mentre nello stesso anno, in paesi del Mediterraneo come Spagna, Italia, Grecia e Portogallo, la percentuale dei proprietari di immobili superava il 73% mentre il tasso di occupazione era inferiore al 60%. Come se non bastasse, per aumentare la competitivit dei paesi dellUnione, la Commissione Europea ha posto lobiettivo di far aumentare il tasso di occupazione di tutti i paesi membri fino al 75% entro il 2020, percentuale che si pu ben supporre potr essere raggiunta soltanto attraverso processi permanenti di accumulazione originaria. Poich la crisi siamo noi, direi che lultima, grande questione su cui dovremmo interrogarci come possiamo sopravvivere e riprodurci fuori dalla teoria del valore e dal processo lavorativo. E inoltre: queste iniziative fondate sullauto-organizzazione, queste nuove composizioni sociali, collettive e alternative, possono essere considerate delle nuove forme di bene comune e micro-comunismo, in grado di porsi al di fuori della circolazione del capitale? O la cattura di queste nuove strutture il terreno propizio per nuove recinzioni e il principale motore per una nuova e pi violenta circolazione del capitale? Inoltre, come sapranno difendersi questi micro-comunismi, senza dover creare sistemi di commoning chiusi, in materia di razza, sesso e classe? Dal punto di vista dellemancipazione sociale, ritengo che ci che dobbiamo fare in Grecia sia elaborare ed esaminare pi a fondo larticolazione della triade: capitale, lotte e beni comuni. Per finire concludo, in linea con il pensiero di de Angelis, che il capitale genera se stesso attraverso enclosures, mentre i soggetti in lotta generano loro stessi attraverso i beni comuni. Quindi rivoluzione non significa lottare per i beni comuni, ma attraverso i beni comuni, non per la dignit, ma attraverso la dignit. La distinzione tra lotta per e lotta attraverso i beni comuni di cruciale importanza per il buon esito delle lotte. Perch i beni comuni siano parte di questa forma emergente di comunismo, dovrebbero sempre fare generare delle lotte. In altre parole, i cittadini dovrebbero trovare dei modi collettivi di esaminare, contestare, aderire, lottare, insorgere e ribellarsi contro ogni eteronomia che tenti di appropriarsi dei beni comuni. Traduzione dallinglese di Maddalena Bordin

TRAGEDIA GRECA

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Alle spalle di Syriza


Kostas Th. Kalfopoulos

irragionevole successo elettorale di Syriza (Coalizione della Sinistra radicale) alle elezioni greche del 17 giugno, e lemergere di questo partito come leader dellopposizione, hanno provocato reazioni contrastanti in Grecia e allestero. Come un atleta che sorprendentemente spinge la sua asta cos in alto da far segnare al suo salto un nuovo record, cos Syriza si trova ora a godere compiaciuto di nuove percentuali e nuovi incarichi, sfruttando il crollo elettorale dei socialisti del Pasok che, da partito istituzionale e governativo, per tre decenni al centro di ogni manovra politica, si trova ora di fronte allo spettro della dissoluzione. Laggettivo radicale, che i media stranieri impauriti traducono nel senso di radical e di militant, in verit fuorviante. In sostanza si tratta di unaggregazione ideologico-politica che porta dentro di s tutte le patologie della sinistra ellenica e nessun progetto. Per comprendere per il fenomeno Syriza dobbiamo richiamarci alla storia del movimento comunista greco fin dalla caduta dei colonnelli nel 1974. La storia moderna della sinistra greca inizia e finisce nel 1968, cio nel primo anno del regime dei colonnelli (1967-1968), con la scissione tra lUfficio dellInterno e lUfficio dellEsterno del Partito comunista della Grecia (Kke), nel suo tentativo di sganciarsi da Mosca come centro decisionale sulle vicende del movimento comunista nazionale. Questa rottura avrebbe lasciato unimpronta cos profonda da condizionare ancora, a quasi cinquantanni di distanza, gli sviluppi ideologici e politici del movimento popolare. Nel 1974 la sinistra, contrariamente alle aspettative, si trov inchiodata a un risultato elettorale del 10%. La collaborazione elettorale del Kke con il Partito comunista dellInterno non aveva portato i risultati sperati e dalla met degli anni Settanta fino al 1989 (quando crolla il blocco dellEst) viene portata avanti unaccesissima lotta ideologica, spesso senza princpi, avente come obiettivo il primato nel movimento comunista. Questo ventennio stato caratterizzato da due fenomeni: il primo, e pi importante, stato lassimilazione ideologica, elettorale e politica della sinistra da parte del Pasok. Durante gli anni di governo socialista lideologia di sinistra diventa quella dominante, il partito si fa Stato e la sinistra offre i suoi quadri allamministrazione pubblica (in mancanza di quadri socialisti, in un primo momento) e, soprattutto, ai Meccanismi Ideologici dello Stato (per dirla con Althusser). Secondo: nello stesso periodo, il Kke mantiene il suo primato elettorale e ideologico nellarea comunista, mentre il Pc dellInterno, malgrado i suoi sforzi per collegarsi ai processi che si svolgono parallelamente in Europa,

in special modo attraverso leurocomunismo berlingueriano e i movimenti ambientalisti, subir un calo della sua forza elettorale e perder definitivamente la battaglia ideologica. Nel 1989 la Grecia, gi membro a pieno titolo dellUe, non si ristruttura seguendo le indicazioni provenienti dallEuropa, ma ripiega in una fase di introspezione, perdendo tempo prezioso (incassando per immancabilmente i fondi europei destinati alla modernizzazione delleconomia, della produzione e dei trasporti, dilapidati invece per alimentare i bisogni del sistema clientelare) e continuando pervicacemente a sprecare risorse e a consumare grandi battaglie elettorali sotto linsegna ideologica della guerra civile (1946-1949): destra reazionaria versus sinistra progressista, sempre rappresentata in primo luogo dal Pasok.

uesta egemonia dellideologia di sinistra non ha nulla a che fare con legemonia di cui parlava Gramsci. Una divisione del lavoro, informale ma efficace, prevedeva la gestione istituzionale dello stato da parte del Pasok, il dominio del Kke, in quanto espressione autentica dellideale vetero comunista e, infine, una politica opportunista dellarea della sinistra pi vasta, che di solito veniva schiacciata in termini elettorali e ideologici tra il Pasok e il Kke, vedendo vanificato ogni suo sforzo a strappare percentuali a questi due partiti. Con la profonda crisi esplosa negli ultimi tre anni in Grecia, Syriza ha tratto vantaggi da due fenomeni: il crollo del Pasok sotto il peso della sua incapacit nel gestire efficacemente la crisi per favorire rapporti clientelari gi instaurati, perdendo la dinamica elettorale degli impiegati statali e del ceto

medio, nonch lincapacit del Kke di adattarsi alle nuove e inedite condizioni sorte. Syriza (molti dei cui quadri provengono dal Kke e dal Pasok) si adattato con grande facilit allo spirito dei tempi: il verbalismo e lopportunismo di una formazione basata su teorizzazioni contraddittorie e persino catastrofiche, e composta da irrilevanti correnti-fossili, ha sfruttato in pieno il vuoto creatosi e la retorica della rottura. Abbandonando per strada il conflitto allinterno della sinistra, si presto trasformato in un nuovo Pasok. Il vino vecchio nella botte nuova per diventato subito aceto e il paese rimane ancora prigioniero di fronte allo spettro del fallimento. Traduzione dal greco di Dimitri Deliolanes

Roberto Barni. Passi doro in Olanda, 2005

Lesattore di Markaris
Letizia Paolozzi
La protesta attraversa Atene in lungo e in largo. A riprova, il nostro commissario statalista, aggrappato al proprio mestiere, deve sfruttare intelligenza e intuizioni soprattutto per evitare i blocchi stradali in una citt quotidianamente percorsa da manifestazioni, in preda al caos. Il che rende ancora pi pesante, per il commissario, linseguimento nelle strade di Atene di un assassino diventato lesattore nazionale: che stato in grado, in dieci giorni, di far restituire alle casse dellerario quasi otto milioni di euro. Restituzione ottenuta grazie a Internet (che nel noir funziona da moderno coro greco) e per mezzo di delitti anticapitalistici perpetrati con iniezione di cicuta, arco e frecce. Certo, si tratta di strumenti antichi usati per lavare una colpa moderna. Finch si piant davanti alle navi, e scocc la prima freccia dallarco. Un ronzio terribile mand larco dargento (nel canto I, versi 43-52 dellIliade). Lo scivolamento da Fidia, Socrate, Pericle agli attuali discendenti farabutti medici, palazzinari, quanti ingannano non pagando il dovuto paradossale. Eppure, da noi, in Grecia, commenta nella sua personalissima lezione di economia il commissario chi non si fa corrompere aiuta la recessione. Il libro rende questo scivolamento attraverso vittime che sono colpevoli e un omicida che si presenta nel ruolo di vendicatore dei torti subiti dal popolo. Veramente, una incredibile confusione tra buoni e cattivi. Persino la moglie di Charitos, Adriana, si comporta (assieme a schiere di indignados) da fan dellassassino. Quanto al linguaggio del giallo, non rappresenta il principale interesse dello scrittore. Si capisce. Se nel suo lavoro Markaris ha collaborato a molti film di Angelopoulos, qui accetta il principio di una leggibilit un po brutale per non perdere il meccanismo narrativo, il quadro sociologico dellattualit. In fondo, intercettare limmaginario collettivo significa anche nutrire i sogni vendicativi dei lettori, quei lettori stremati dal diktat europeo del pareggio di bilancio. Tsipras, segretario di Syriza, ha detto che lUe, il Fmi e la Bce vogliono trasformare la Grecia in un cimitero sociale. Tuttavia, rispetto allintrigo in chiaro-scuro dellEsattore, la realt supera la fantasia: da due mesi lAssociazione di poliziotti dellAttica scende in piazza per protestare assieme ai disoccupati, ai pensionati, agli studenti indignati. Questo Adriana, la moglie del commissario, di sicuro non laveva previsto. Petros Markaris Lesattore. Una nuova indagine del commissario Charitos Traduzione di Andrea Di Gregorio Bompiani, pp. 341, 18,50

a tempo, ormai, nella letteratura popolare leroe del giallo un commissario di polizia. Prendiamo Charitos, il protagonista (e io narrante) dei libri di Petros Markaris. Servitore dello Stato in attesa della promozione mentre gli alti papaveri, i burocrati, i politici spadroneggiano e combinano pasticci, un povero Cristo che si muove sulla scena del crimine senza parco macchine o mezzi supertecnologici alla CSI. Piuttosto, nella sua malinconia esistenziale, somiglia a Jack Malone, il capo della squadra speciale Fbi di Senza traccia. Lo scenario in cui agisce quello della Grecia alle prese con la vigilanza della Troika. Non c da scegliere tra la miseria (studiosi come la storica Elena Nicolaidu pubblicano Le ricette della fame) e il quanto basta che poco, anzi pochissimo.

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ACTIONS POETIQUES

Henri Deluy Cinquantanni (e pi) di militanza


Intervista con Sandra Raguenet1
Questo dunque lultimo numero di Action potique. C una ragione particolare per questo finale di partita? No, nessuna ragione particolare. N finanziaria (le nostre casse stanno bene, con uneccedenza. La rivista in salute, gli abbonamenti si confermano compresi quelli, numerosi, che abbiamo di universit e biblioteche allestero, specialmente negli Stati Uniti; le vendite in libreria, deboli vero, hanno tendenza a progredire) n ideologica (non ci sono conflitti quanto alla linea della rivista) n personale (non ci sono conflitti allinterno del Comitato di Redazione). Molto semplicemente mi sembra che, proprio in tali condizioni, sia venuto il momento di fermarsi, dopo pi di sessantanni di pubblicazioni e di attivit. Daltra parte una rivista trimestrale, con un numero di pagine spesso superiore alle 200, implica un grosso lavoro materiale che mi spetta, dal momento che me ne assumo una buona parte [], ed un lavoro che faccio da sessantanni (lo so, sono senza dubbio responsabile di non essere stato capace di condividere questa massa di lavoro!). Unaltra cosa ancora: le condizioni di fabbricazione, di diffusione e di raccolta dei testi hanno tendenza a complicarsi e, a dire il vero, le tollero sempre meno. Si tratta di una decisione presa dal Comitato di Redazione? Alcuni si rammaricano di una nontrasmissione, una sorta di dopo di me il diluvio Nel Comitato2, in effetti, si manifestata una resistenza: perch non continuare con qualcun altro per lanimazione e la direzione della rivista? Una discussione che abbiamo gi avuto a pi riprese nel corso degli anni [] e che si chiudeva sempre con la medesima constatazione: nella buona e nella cattiva sorte, AP rimane in gran parte lavventura di HD (il che non diminuisce per nulla il ruolo di altri poeti e scrittori, come Paul Louis Rossi e Franck Venaille, che, per fare un esempio, si presero carico della rivista durante il mio lungo soggiorno in Cecoslovacchia, verso la met degli anni Sessanta []). Unavventura personale molto ampia, come si vede, ma anche in questo rimane unavventura personale. Nel momento in cui incontro Grald Neveu, nel 1951, dal litografo Joe Berto [], una pubblicazione di nome Action Potique esiste gi. un foglio, poi un giornale politico fatto da poeti (Grald Neveu e Jean Malrieu in modo particolare): due numeri pubblicati in quattro anni. Dietro mia iniziativa, questo giornale diventa una rivista. Un rivista sulla quale simprimono le svolte della mia vita e dei miei coinvolgimenti. Questa identificazione AP/HD-HD/AP rimane inseparabile dalla rivista. Porre la domanda, significa gi sottolineare questa identificazione. Quindi non dopo di me il diluvio, ma dopo di me qualcosaltro, e sotto un altro nome. Poich spetta alle nuove generazioni creare nuovi strumenti. Puoi dire di pi sullorigine della rivista, sul ruolo di Grald Neveu, su quello di Jean Malrieu? Grald Neveu, taciturno, sprovvisto di ogni tipo dautoritarismo e di legittimit, d un senso fondamentale alla creazione di AP. intorno a lui, alla sua aurea di poeta autentico, e di poeta maledetto, ossia non riconosciuto, e a margine rispetto alle attitudini, ai modi di vivere dei pi, attorno a Grald che si crea il nucleo sensibile, il nucleo sentimentale e anche immaginativo, di ci che diverr AP. Si era nellimmediato dopoguerra, in un clima di surrealismo rivoluzionario che era il nostro. [] Jean Malrieu era, con Jean Todrani, quello di noi che aveva maggiore presenza nellambiente della poesia. Frequentava regolarmente i Cahiers du Sud, era amico di Jean Tortel e dei surrealisti, soprattutto di Andr Breton. [] Eravamo una buona dozzina alle riunioni che si svolgevano in una sala del Bar de la Gaiet, nel quartiere Vauban sulle alture di Marsiglia. l che comincio a conoscere Grald, Jean Malrieu e Jean Todrani, Joseph Guglielmi e gli altri. E da questo contatto tra di loro e con loro, poi un po pi tardi con altri, Jean-Jacques Viton, Grard Arseguel, che nata la rivista. Che cosa vi legava? La poesia. Eravamo lettori di poesia, allinfinito. E pensavamo con Lautramont che La poesia deve avere come fine la verit pratica. Ammiratori di tutti i surrealismi, di tutti i futurismi, ammiratori di Neruda, di Majakovskij, di Ritsos, di Nezval, di Attila Jozsef, di Nazim Hikmet, di Bertold Brecht, di Tristan Tzara, di Paul luard, della loro scrittura e anche, per ci che ne sapevamo, della loro resistenza e del loro coraggio nella vita. La politica. Eravamo tutti e tutte comunisti, membri del PCF, e molti di noi militanti attivi. Un gusto pronunciato per le erranze nei bar, per gli incontri che si facevano di notte come di giorno. Per lalcool, per le lunghe ore di scambi e di chiacchiere. Le nostre origini, il nostro lavoro. Eravamo quasi tutti di origini modeste, e molti di noi erano maestri di scuola (Malrieu, Guglielmi, io stesso), promozione sociale, allora ambita, per i figli bravi a scuola delle famiglie operaie. E la nostra giovent, la nostra determinazione, la nostra sicurezza, la nostra volont di mettere in rapporto la parola dordine di Marx Cambiare il mondo con quella di Lautramont Cambiare la vita. AP fin dallinizio ha fatto la scelta della diversit. Alcuni vi hanno persino rimproverato la vostra porosit. Dal XIX secolo, le riviste letterarie accompagnano e sostengono la vita della letteratura. Da una parte, riviste senza orientamenti estetici definiti, aperte alla molteplicit delle scritture, dallaltra, riviste concepite intorno a una tendenza, o addirittura intorno a uno scrittore, riviste che difendono obiettivi di scrittura e dimpegno precisi, muovendo spesso da posizioni ideologiche marcate. Tra questi due estremi, una molteplicit di varianti. Non volevamo fare una rivista comunista n una rivista al servizio di un tipo di scrittura. Les Cahiers du Sud erano il nostro modello, senza dubbio inconscio. Avevamo gusti diversi e abbiamo ampiamente aperto la rivista. A un punto tale, che hanno tentato di accusarci: concedevamo a chiunque le nostre pagine. Laccusa non mi preoccupa; abbiamo sempre condiviso, tra noi (non tutti, lo si vedr), una certa diffidenza per le teorie dinsieme e altre fabbricazioni che si pretendevano teoriche. Bisogna ricordarsi che gli anni in questione sono quelli dello strutturalismo, della fabbricazione di modelli e tipi di analisi rapidamente diventati, in ambito artistico, riduttivi. La nostra attenzione sui pericoli di tali teorie era stata suscitata dalle ricadute politiche che le scoperte, sempre pi pregnanti, degli effetti dello stalinismo mettevano chiaramente in luce. Vigilanza, volont egemonica, impoverimento Dunque diversit, nelle scritture e nelle concezioni delle scritture. Porosit, il termine non mi allarma. 30 Sono persuaso che una rivista come la nostra deve tendere a fornire un panorama il pi ampio possibile di quanto accade nellambito delle scritture di poesia. In Francia, ma anche nel mondo. AP si posizionata contro quel teorizzare che ha finito per produrre per diversi anni una sorta di effetto perverso, ossia labbandono dello sforzo critico, che pare solo oggi ritornare. Contrariamente a molte riviste di creazione, AP ha sempre mantenuto questo sforzo, in forma di cronache, di recensioni di libri, dinchieste, di dossier I dossier, che noi chiamiamo frontoni, sono una delle forme quasi permanenti che prende la presentazione delle poesie nella rivista, e pi spesso in apertura di numero. Sono daltronde frequenti in tutte le riviste. I frontoni ci hanno permesso di pubblicare poesie e altri testi raccolti intorno a: un tema (Il verso nel 1989, Della Sestina, La Cucina), un movimento (I Grandi Retori, Laltra poesia, Die Wiener Gruppe), un dibattito (Il verso, la poesia, la prosa, una diatriba?, La forma poesia pu, deve scomparire?), una casa editrice (Burning Deck), un omaggio (Danielle Collobert, Christophe Tarkos, Huguette Champroux), un autore o un gruppo di autori del patrimonio letterario (Jean de la Fontaine, I Troubadours), un poeta straniero particolarmente significativo (Ernst Jandl, Gertrude Stein, Kurt Schwitters), una poesia nazionale (Palestina, poeti doggi, Brasile, nuove generazioni). Dossier e inchieste sono una maniera diretta di aprire la rivista a numerose collaborazioni, di alimentare il nostro sapere e il nostro piacere. Le cronache, spesso tenute dalla stessa persona con una libert totale (che pu sollevare problemi, quando chi le scrive se la prende con un amico della rivista), permettono di moltiplicare gli accenti personali e di non allontanarsi troppo dallattualit poetica. Sono una delle specificit di AP, molto apprezzate dai lettori. Sono il luogo di una riflessione sulle pratiche, inseparabile dagli esercizi della poesia e necessaria. Sostenevamo (un po troppo seriosi) che non c poesia senza riflessione sulla poesia. La critica dei poeti sui poeti, le recensioni, possono favorire la compiacenza. Ci siamo decisi a sopprimerle da qualche anno, ma vero che le abbiamo a lungo pubblicate. vero che il panorama molto vasto. Ci nonostante ci sono degli assenti nel paesaggio. Penso a Ghrasim Luca, per esempio, che anche assente dalle antologie di poesia che avete realizzato. E per quanto riguarda la poesia sonora e visiva, linteresse piuttosto recente sicuro che ci sono degli assenti, tra gli scrittori e le scrittrici. Ho avuto la fortuna di ascoltare Ghrasim Luca: ne sono stato affascinato, poi deluso in seguito alla lettura dei testi. Per essere precisi, Ghrasim Luca presente nel numero 147, Laltra poesia, del 1988 (non cos di recente), interamente consacrato alle poesie visive e sonore e curato da Julien Blaine e Liliane Giraudon. E Pierre Lartigue consacra un frontone alla PoesiaPerformance (numero 88, nel 1982). Queste poesie non sono quindi del tutto assenti (per esempio, abbiamo anche pubblicato diverse volte Julien Blaine, e Bernard Heidsieck, dal 1988), ma sono incontestabilmente meno presenti delle poesia di scrittura, come si dice un po alla buona. La poesia visiva e sonora mi lascia spesso insoddisfatto. Sono un lettore, amo i libri, loggetto libro; quando ho ascoltato e/o visto un poeta visivo e/o sonoro e leggo i libri che ha pubblicato, rimango spesso deluso. indubbiamente, per quanto mi riguarda, un limite (per lungo tempo non sono stato il solo a reagire in questo modo). E abbiamo cercato di uscirne, con difficolt ma non senza risultati, basta leggere la composizione del Comitato di Redazione attuale AP anche un interesse, si potrebbe dire una passione, per le poesie straniere, che per lungo tempo sono state assai mal conosciute in Francia. Una passione, s, ed senza dubbio il terreno sul quale la storia di AP diventa pi fortemente la storia di HD. Sono un appassionato di lingue straniere, pratico diverse lingue europee, non smetto mai di tuffarmici e di apprenderne altre, pi lontane. Sono anche un appassionato di viaggi, e di viaggi allestero. Dal 1954, AP pubblica un opuscolo, Poeti dei Paesi Bassi, tradotti da Anna Maria van Soesbergen e me e, nel numero 1 della nuova serie, nel 1958, pubblichiamo traduzioni delle poesie di Umberto Saba, nel numero 2 di William Blake, nel 3/4 sempre nel 1958 di Ignazio Buttitta e del catalano Jordi Pere Cerda, che appena morto. E si prosegue: poeti stranieri sono tradotti e pubblicati in ogni numero e, molto presto, allinterno di dossier collettivi. [] Tutti questi dossier di poeti venuti dallestero sono il frutto di un lavoro di lungo respiro, realizzato da poeti, traduttori e specialisti delle lingue in questione; un lavoro che, dal 1991, viene sostenuto in collaborazione con la Biennale Internazionale dei Poeti in Val-deMarne, creata da me nel 1990 e diretta sino al 2005. Numerosi poeti hanno saputo giovarsi di queste possibilit di traduzione e di pubblicazione. Anche il rapporto dei francesi con le lingue straniere migliorato durante questo periodo. Un numero molto maggiore di cittadini e poeti francesi conoscono oggi le lingue straniere e viaggiano lontano. Queste traduzioni e questi incontri sfociano in pubblicazioni sulla rivista, ma anche nella pubblicazione di libri3 []. Bisogna aggiungere che zone importanti sono rimaste al di fuori delle nostre ricerche: lAustralia, lIndonesia, una gran parte dellAfrica, la Finlandia, la Svezia, per esempio E, nel caso della maggior parte dei paesi presi in considerazione (e alcuni di questi paesi sono autentici continenti: la Cina, lIndia), non abbiamo potuto abbordare che una piccola parte delle scritture che erano in quel momento in corso.

Traduzione dal francese di Andrea Inglese

1. I passaggi qui tradotti fanno parte di una lunga intervista pubblicata sullultimo numero di Action potique (primavera 2012). Henri Deluy, nato nel 1931, poeta e traduttore, ha diretto la rivista a partire dal 1955. 2. Il Comitato di Redazione, quale risulta al momento del numero di chiusura, comprende: Claude Adelen. Julien Blaine, Yves Boudier, Bruno Cany, Jrme Game, Isabelle Garron, Liliane Giraudon, Jospeh Julien Guglielmi, Alain Lance, Christophe Marchand-Kiss, Florence Pazzottu, Pacel Petit, Vronique Pittolo, ric Suchre, Bernard Vargaftig e Jean-Jacques Viton. 3. In seguito allinvito alla Biennale Internazionale, nel 2010 veniva pubblicata per le edizioni Action Potiques la versione francese, a cura di Andrea Raos ed ric Suchre, dei Quattro quaderni di Giuliano Mesa.

ACTIONS POETIQUES

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Del resto non esiste


Dodici note parziali
Eric Suchre
1. Ci si ricorder che negli anni Sessanta e soprattutto Settanta, in Francia e altrove, alcuni scrittori rifiutavano che si scrivesse romanzo o poesia sul frontespizio dei loro libri e preferivano il termine pi neutro e aperto di testo. Si trattava, evidentemente, di uscire dalle categorie, e dalle soggiacenti storie e ideologie che le irrigavano. 2. Ci si ricorder che nel 1968 Denis Roche pubblicava nella rivista Mantia un testo intitolato La poesia inammissibile, del resto non esiste, nel quale esprimeva lidea che scrivere poesia volesse dire sfigurare le convenzioni che ne permettono il riconoscimento. 3. Ci si ricorder che allinizio degli anni Ottanta la poesia ritorn con forza e che si volle farla finita con le avanguardie e le loro sperimentazioni sterili e vane, e che il termine poetico fece furore. Si videro persino alcuni eroi di questo periodo rinnegare il loro glorioso passato e rivendicare un certo classicismo questa sconfessione fu generale e la si riscontr sia nella arti plastiche che nellarchitettura. in questo momento che la letteratura divenne una forma di consumo culturale e che si vollero abbandonare posizionamenti etici, politici e ideologici. 4. Per quanto riguarda la poesia contemporanea, per coloro che avevano nostalgia delle sante avanguardie, delle loro sperimentazioni fiammeggianti e delle loro rivoluzioni estetiche, gli anni Ottanta furono un grande deserto dove si era sommersi da una valanga di poesia-poesia e quando si vedevano, di tanto in tanto, libri che si distinguevano dalla massa, ci avveniva nellindifferenza generale cos per Jean Daive, Dominique Fourcade, Emmanuel Hocquard, Liliane Giraudon, Michelle Grangaud, Anne Portugal, Claude Royet-Journoud, Jean-Jacques Viton e nonostante tutti pubblicassero per editori rinomati come P.O.L. o Gallimard, le loro voci erano minoritarie solo Jacques Roubaud beneficiava di un pubblico pi ampio. 5. Nel 1988, apparve LArt potic dOlivier Cadiot, autentico choc per tutta una generazione. Mescolanza di voci, di stili, di tipi di testo, di giochi tipografici non propriamente poesia, n romanzo, n teatro, n nulla di riconoscibile. Questo libro atipico sembrava suonare la fine della ricreazione postmoderna per un ritorno alla sperimentazione testuale, salvo che LArt potic un libro di avanguardia sbarazzatosi del pensiero politico delle avanguardie e la sua mescolanza di voci , in definitiva, postmoderna nella capacit di tutto citare e riciclare. 6. La posizione estetica di Olvier Cadiot trover per cos dire una sua formulazione teorica nei due numeri di una rivista esemplare: Rivista di letteratura generale. Questa rivista magica, costruita come unantologia, con una teoria da mettere in atto seguendo gli esempi, attaccher il lirismo oggetto considerato non essenziale alla poesia in un primo numero apparso nel 1995, poi la partizione dei generi nel suo numero del 1996. Eccone un estratto: Altri problemi: come produrre rilievi direttamente dalla superficie dello scritto? Come lasciare certe linee di fraseggio descrittivo, teatrale, narrativo, poetico avanzare di volta in volta in primo piano di un medesimo testo, poi retrocedere dietro altre linee fino a quel momento nascoste? () Lopposizione tra il linguaggio unico, autarchico, lineare della poesia e il dialogismo che relativizza ed discontinuo del romanzo non pi in voga. Potremmo chiamare prosa, in un senso che includerebbe certa poesia, una voce intrecciata il cui ideale sarebbe lintegrazione e nel contempo la continuit estrema: diverse voci in una1. 7. Non si trattava di un manifesto, ma di una constatazione di quanto stava accadendo, poich di seguito a Cadiot o nello stesso tempo una quantit di nuove voci con unidea differente della poesia erano emerse e avevano pubblicato dei testi il cui contorno restava incerto n propriamente poesia, n qualcosa daltro , avvalendosi dellelenco, del cut-up, del missaggio, del montaggio, dello svisamento come mezzi della loro articolazione e sfruttando tutte le risorse tipografiche possibili, se non addirittura linserzione dimmagini, diagrammi, collage Tra queste nuove voci: Pierre Alferi, Suzanne Doppelt e Pascalle Monnier che sono della stessa generazione di Olivier Cadiot o Jean-Michel Espitallier, Charles Pennequin, Nathalie Quintane, Christophe Tarkos, che vengono dopo 8. Altra particolarit, questi scrittori attingeranno dalla musica, ma anche dalletnografia, dalla genetica testuale, dalla sociologia i mezzi tecnici e teorici per scrivere i loro testi. Altra particolarit, limpronta estremamente forte della arti plastiche. Dalla litania di Bruce Nauman, passando per la lista dei verbi di Richard Serra o per le costruzioni verbo-visuali di Robert Fillou, fino ai quadri di parole di Rmy Zaugg e agli enunciati di Lawrence Weiner gli artisti plastici sono spesso presenti e i loro dispositivi, idee, procedure, concetti sono massicciamente utilizzati. 9. Se la letteratura poetica francese attingeva alle arti plastiche, le arti plastiche ricambiarono generosamente dal momento che molti dei poeti emergenti alla fine di questi anni Novanta erano stati formati nelle Accademie di Belle Arti o vi insegnavano. Il loro orizzonte non sar per forza costituito dalla poesia che conoscono spesso abbastanza male. Del resto, se pubblicano in riviste o case editrici di poesia, perch altri editori non li hanno voluti, eccezion fatta per alcuni meno convenzionali come Verticales, ma anche perch la poesia concepita come luogo di mescolanze molto attraente per persone che rivendicano oggetti testuali ibridi. 10. Verranno cos situate, incluse o sequestrate sotto il termine di poesia persone che se ne infischiano bellamente della poesia o che rompono con lidea di poesia: la lettura di elenchi con campionature di Anne-James Chaton, le improvvisazioni musicali di Christophe Fiat, le istallazioni di JeanCharles Massera con Thomas Hirschhorn per esempio , le letture con video di Emmanuelle Pireyre, le cine-poesie di Pierre Alferi e, secondariamente, ci che ritorner con forza assieme a questi scrittori la poesia sonora, la poesia visiva o la performance. 11. Da allora la poesia tende a dissolversi in testi che possono essere in prosa o in versi o in ? E il territorio poetico finisce per essere contaminato da questi autori il che non significa che altri non scrivano o non continuino a scrivere poesia di grande qualit come Philippe Beck o Stphane Bouquet. Dunque non pi, a dire il vero, della poesia, ma una post-poesia i cui rappresentanti pi emblematici sono, oltre ad alcuni degli autori gi citati, Caroline Dubois, Frdric Forte, ric Houser, David Lespiau, Ccile Mainardi, Jrme Mauche, Sandra Moussemps, Anne Parian, Pascal Poyet ou Olivia Rosenthal 12. Se si riprende la definizione della poesia che d Jacques Roubaud in un articolo polemico2, la poesia esiste in una lingua, si fa con delle parole; senza parole, non c poesia; una poesia deve essere un oggetto artistico a quattro dimensioni, ossia devessere composto simultaneamente per una pagina, per una voce, per un orecchio, e per una visione interiore. La poesia deve leggersi e dire, dovremo per forza convenire che con una tale definizione, la poesia non esiste o, allora, esiste quasi ovunque, ovunque vi sono libri composti da autori sensibili alla dimensione sonora dello scritto. Allora, dove sta il problema? Che il genere sia in pericolo o che alcuni possano aggiungervi una quinta dimensione? Traduzione dal francese di Andrea Inglese

1. Pierre Alferi e Olivier Cadiot, Digest, in Revue de littrature gnrale, 96/2 digest, maggio 1996. 2. J. Roubaud, Obstination de la posie, in Le Monde diplomatique, gennaio 2010.

Note per una cartografia Sulla poesia francese dellestremo contemporaneo in Italia
Luigi Magno

embra che la poesia francese contemporanea in Italia sia ancora quella dei Bonnefoy, dei Du Bouchet, dei Jaccottet, poeti che hanno alle spalle oltre mezzo secolo di una consolidata produzione, autori studiati e ampiamente tradotti (anche in Italia), e che rappresentano il versante ufficiale della poesia francese (di) oggi, o della Poesia tout court. A bene vedere, la ieratica ufficialit di questo establishment poetico nasconde solo apparentemente un paesaggio tuttaltro che statico. Si pensi ai Roubaud, o anche ai Deguy e altri difensori di un pensiero forte ma dinamico della Poesia. Jacques Roubaud, ad esempio, rivendica apertamente la sua veste di Poeta cos come ascrive la sua produzione (in versi) al genere della Poesia, ma difende le ragioni della Poesia attraverso unidea di essa come ridefinizione permanente o reinvenzione continua (seppur ancorata alla specificit del verso). Egli insomma contro eppur dentro. Ebbene, di questo dinamismo si perdono quasi le tracce nella ricezione di Roubaud in Italia, dove la critica sembra troppo spesso cadere nelle maglie di unermeneutica apoditti-

ca, preferendo la parte versificata iper-formale, ludica o oulipiana della sua opera, tacendo nel contempo laspetto pi interessante della sua scrittura poetica costituito da alcune sue prose (penso ai volumi del grand incendie de londres, vero e proprio ciclo di prose pubblicate tutte dal poeta Denis Roche nella collana Fiction & Cie). Esplorando il lato meno ufficiale di questa poesia si osserva come le contraddizioni insite dalla ricezione italiana di Roubaud diventino norma o discrasia sistematica nel caso di altre nebulose dellestremo contemporaneo poetico francese. In merito a molti scrittori e poeti si nota infatti come allimportante sforzo traduttivo che circola ancora, il pi delle volte, in modo sostanzialmente confidenziale, diviso tra siti web che ospitano inattese traduzioni e piccole realt editoriali non faccia riscontro un altrettanto nutrito lavoro critico, teorico ed ermeneutico (fortunatamente in fieri, ma ancora ampiamente insufficiente). Per capire meglio questa situazione, si pensi alla ricezione di lavori fondanti come quelli di Emmanuel Hocquard, Claude Royet-Journoud, Anne-Marie Albiach, Jean-Jacques Viton, Jean-Marie Gleize,

Pierre Alfri, Olivier Cadiot, Nathalie Quintane, Manuel Joseph, Christophe Tarkos, Chrostophe Hanna, per citare, in ordine sparso e grossolanamente cronologico, solo alcuni dei nomi chiave del paesaggio poetico dal 1980 ad oggi e circolanti in Italia ancora in maniera discontinua e frammentaria. Questo scollamento tra traduzioni e interesse critico, insieme alla scarsa circolazione di questa produzione e alla presenza di ampie zone dombra (assenza di traduzione e di fermento critico insieme), indissolubilmente legata a una persistente ignoranza. In Italia resta infatti avvolta da un assordante silenzio lopera di Francis Ponge, opera quasi secolare, entrata in Francia da oltre un decennio nel sancta sanctorum della collezione Pliade, ancora poco letta in Italia (se si eccettua il Partito preso delle cose) o forse solo taciuta. Ponge in Italia resta ai margini del poetico, o meglio la critica si mostra incapace di percepire la sua opera come poetica. Con Ponge la critica italiana ha accantonato, archiviandolo senza nemmeno aprirlo, il dossier di tutta la linea letterale, oggettivista e critica della poesia, che potremmo disegnare, per la Francia,

con lasse Ponge-(Denis) Roche-HocquardGleize-Tarkos-Quintane-Alfri-Cadiot-Hanna Una ragione di questa situazione mi pare vada cercata in logiche e sovrastrutture di natura eminentemente economica (nel senso pi ampio del termine) e che inevitabilmente nutrono, per dirla con Ponge, una critique conomistique. Un altro motivo risiede nellinveterata autarchia che spinge la critica italiana a guardare distrattamente a quello che accade fuori dai confini nazionali, dove per esempio la linea letterale, oggettivista e critica ha avuto esiti paralleli nellopera di Ponge in Francia e in quella dei poeti oggettivisti negli Stati Uniti, ambedue a lungo e tuttora ignorate in Italia. Una terza ragione, di tipo transnazionale, mi sembra sia da ricercare nella mancanza di strumenti critici per leggere parte della poesia francese da Ponge a oggi. Nozioni consolidate e strumenti di lettura storicamente produttivi rivelano innegabili limiti che possono essere superati solo attraverso la fabbrica di nuovi strumenti, creati ad hoc, non necessariamente ancorati a schemi o griglie che hanno forse fatto il loro tempo.

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ACTIONS POETIQUES

Cognizione del periodo che annuncia la primavera


Francis Ponge
Inizio della poesia del periodo che annuncia la primavera Qui, dove luomo, riportato alle sue giuste proporzioni Come un paiolo abbandonato, in un angolo del paesaggio, una citt, una grande capitale non fa pi rumore dun paiolo in mezzo ai rifiuti. Di fortezze volanti, ne possono passare a nugoli. Di loro rester solo uno sbuffo daria. La natura, con gli uomini, impassibile, e voi, a lamentarvi, siete solo ridicoli (Lamartine, Vigny, Hugo). Per portarsi a casa soldi e fama, adesso, questa cosa, la stanno ancora dicendo tutti (i Giusti, i questo e quello). Fortuna, per, che lei impassibile! Meglio cos! Anche certi uomini diventano impassibili, perch ce lhanno dentro al cuore. Daltronde, in Francia, siete ancora voi la natura: industrializzata, commercializzata; giardini, patii, campi coltivati, fabbriche di legname. Eppure la libert e il vento e gli uccelli ci sgambettano in mezzo, ci ballano dentro comodi; Salta fuori da tutti i pori (da tutti i rubinetti), la libert. Les Fleurys, 8 aprile 1950. Ad averci attirato nel Pc erano state per prima cosa la rivolta contro le condizioni riservate alla vita degli uomini, la preferenza per la virt e la smania del dedicarsi a una causa sufficientemente grandiosa. E poi cera il disgusto per i sordidi riguardi dei socialisti (S.F.I.O.)1, per i loro belati umanitari, per la loro verbosit, per i loro compromessi, La sensazione che alle prevaricazioni del capitalismo si dovessero opporre metodi energici e insieme flessibili, realisti, senza illusioni. Cose che trovavamo, o credevamo di trovare nei bolscevichi. Gente emancipata e seria, ecco come ci sembrava (emancipata e con la barba corta) (quella di Lenin). I mezzi dellarte (in vista della perfezione). Abbiamo pensato che la critica marxista potesse fornire la chiave per spiegare la storia passata e presente. Nelle sezioni e nei singoli iscritti al partito, abbiamo trovato esempi meravigliosi di virt, di dedizione, di entusiasmo e di capacit di lavorare, di efficienza, di disinteresse, di emancipazione. Anche la freddezza e la critica impietosa ci attiravano. E anche i sacrifici richiesti al gusto e ai sentimenti, perfino allintelligenza di ciascuno. Trovavamo parecchio seducente il fatto di criticare a posteriori le conclusioni a cui lintelligenza e i nostri propri testi arrivavano. Ci sembrava che fosse un po come la critica dei testi che faceva il Temps. Era solo una delle prospettive dellartista che siamo (Lartista non rifiuta nessuna prospettiva critica). Poi per ci siamo accorti di parecchie cose: che questa critica ad hominem (critica economistica) non era meglio della critica psicologica, che generava una presunzione grottesca e criminale, che allontanava listinto e lintelligenza dal cuore. 1 Uccideva, il desiderio, lo slancio. 2 Creava una presunzione che inaridiva, un rigorismo ridicolo e mortale. Les Fleurys, 8 aprile 1950. Non cercheremo niente di significativo (da dire) sulla nostra epoca (verr comunque da s; come potrebbe essere altrimenti, ne siamo fin troppo impregnati). Cercheremo (al contrario) quello che non sembra significativo, quello che non rientra nei suoi simboli (nella sua simbolica): quello che appartiene al tempo seriale (o alleternit). Dobbiamo ridire la muta natura che ci attornia in schiere profonde2, che ci riprende alle spalle, che ci ammantella, che ci copre la testa e ci incravatta, dobbiamo ridire aprile (oppure ottobre). Ed eccomi tornato ai sentimenti che mi hanno fatto scrivere Ad litem, meno la disperazione. Tutto questo, tutte queste forme prese dalla natura muta, tutto terribile e insieme assurdo, scoraggiante, e per vive, si abbellisce, continua. E allora: tanto meglio (e tanto peggio); il problema non questo. qui, oh solitudine ingombra di muti elementi fissi tutti al proprio posto senza sguardo, paralitici, qui, dove tutto un paesaggio mi incravatta e mi prolunga le spalle a destra e a sinistra, dove per esprimersi c solo la mia voce (dove non mi devo troppo difendere da animali pericolosi), qui che sento la mia ragion dessere. Il Paesaggio grandi nodi colorati di bistro, rattrappiti e paralitici (infermi) sotto i rabbrunamenti bluastri, sotto i voluminosi pensieri provenienti da ovest. Les Fleurys, 8 aprile 1950. Le arti e le lettere si concepiscono, nascono e vivono solo grazie allillusione della comunicazione e della simpatia. Tutto questo (questa illusione (questo giglio) solo vegetazione e fioritura, lo si pu concepire solamente nella pace (cfr. Lucrezio, quinto canto). La simpatia e la comunicazione si trovano solo nellamore e nella festa, nel rapimento, nellillusione stessa che permette alla vita di continuare (il coito). Non nella critica o nel giudizio (nella guerra, ideologica o materiale, nel terrore). Quindi, legittimamente, POSSIAMO comunicare soltanto il rapimento, per il resto non facciamo che uccidere. Soltanto il rapimento si comunica. E comunque, comunicare collera e giudizi non appartiene al nostro gusto Adesso, supponendo di perdere questa illusione (e di arrivare al suicidio), lunica forma legittima di suicidio che rimane la devozione (gioiosa), lamore, la conquista della parola, la lode. E questo chiude il cerchio e riporta alla parola, alla sua arte: alle lettere.
Brano estratto da Nioque de lavant-printemps (Gallimard 1983) e tratto dalla prima traduzione integrale di questo testo in Italia, a cura di Michele Zaffarano e di prossima pubblicazione presso la casa editrice Benway. 1. La Sezione Francese dellInternazionale Operaia (S.F.I.O.) il partito politico che nel 1905 riunific le forze socialiste francesi, disperse in diverse formazioni concorrenti. Nel 1969, confluir nel nuovo Partito socialista. 2 Questa citazione tratta da un testo dello stesso Ponge, intitolato Ad litem e raccolto in Promes (1948). Lo stesso testo viene citato subito dopo.

Lanomalia Ponge
Andrea Inglese

arrebbe che nella ricezione della poesia straniera gli automatismi intellettuali, le limitatezze di corporazione, le miopie critico-teoriche si palesino ingigantite e facciano sintomo. Per questo vale la pena di decifrare questo particolare sintomo: lassenza o lestrema scarsit di pubblicazioni di Francis Ponge nelleditoria italiana. S, perch ben strano che un autore morto alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, la cui intera opera stata raccolta in due volumi nella Pliade tra 1999 e 2002, non conosca a oggi unampia traduzione nella nostra lingua. Quando appare, la traduzione di un poeta ha come premessa il variegato interesse che la sua opera ha suscitato presso altri poeti, specialisti della letteratura in questione, critici militanti. Per conseguenza la mancata traduzione indica un vasto fronte di disinteresse. Ed senza dubbio questo il destino di Ponge, in Italia. Henri Michaux, ad esempio, belga naturalizzato francese, anche lui nato come Ponge nel 1899, comincer ad essere tradotto nel corso degli anni Sessanta, e grosso modo conoscer unattenzione costante, dimostrata anche di recente dalle case editrici Quodlibet e Adelphi, che hanno proposto la traduzione di diversi libri ancora inediti in Italia. Nel caso di Ponge bisogna attendere una prima traduzione in volume nel 1971. Ironia della sorte, ne responsabile uno dei capofila dellermetismo fiorentino, Piero Bigongiari: che dimostra, da buon conoscitore della letteratura doltralpe, di apprezzare unopera ormai imprescindibile nel panorama della poesia francese, nonostante sia molto lontana dalla sua sensibilit di autore. La traduzione successiva, a firma di Jacqueline Risset, appare solamente otto anni dopo. E mentre in Francia, a partire dagli anni Ottanta, linteresse anche accademico per lopera di Ponge cresce in maniera costante,

producendo un numero sempre maggiore di studi critici, convegni e monografie, in Italia non accade pi nulla di significativo, se si eccettua luscita di due volumetti tradotti dallo scrittore Daniele Gorret per la piccola casa editrice lObliquo: Testo sullelettricit (1997) e Il sole in abisso (2003). Il misconoscimento di Ponge sembra andare di pari passo con lentusiasmo per Yves Bonnefoy, intronizzato nel 2010 nei Meridiani. Non qui in discussione la considerazione che lopera di Bonnefoy riscuote in Francia, ma da noi essa acquista lulteriore vantaggio di confortare una certa idea di poesia come antitesi del pensiero concettuale, aspirazione alla pienezza e allunit dellessere, culto della bellezza. Bonnefoy insomma, grazie al suo talento e alla sua fama, permette di perpetrare la fede in una poesia dai confini ben riconoscibili: la poesia come altro sia dal linguaggio ordinario che dal linguaggio scientifico. In questottica, non si pu negare che un autore come Ponge risulti particolarmente indigesto. (Lo ovviamente gi in Francia, prima ancora di esserlo per noi). Ponge pretende, infatti, di dismettere il titolo di poeta e, simultaneamente, il genere poesia. Non si tratta di un vezzo n di una provocazione, ma dellinevitabile conseguenza di una pratica di scrittura, ancora prima che di un partito preso teorico: egli si sente pi familiare con luniverso della ricerca scientifica che con quello della meditazione metafisica o della trasfigurazione poetica. Pi che allopera, come traguardo di compiutezza formale, interessato al processo di elaborazione di una forma. In esso, infatti, si manifesta appieno la postura a un tempo positiva e scettica del ricercatore, che avanza per tentennamenti e prese parziali. Ponge ha portato alle estreme conseguenze due princpi del modernismo nelle arti

e nella letteratura: lidea della convenzionalit dei generi e lattenzione per i mezzi espressivi specifici di ogni forma darte. La convenzionalit delle forme poetiche non da lui semplicemente sovvertita, ma abbandonata come obsoleta e inadeguata, a fronte di un lavoro costante di messa in forma imperativamente governato dalloggetto che si tratta di evocare: Ogni oggetto deve imporre alla composizione poetica una forma retorica particolare1. Questa tensione verso la materialit e loggettivit del mondo rende Ponge estraneo ai giocolieri della forma, quali i seguaci dellOulipo o i neometrici di ascendenza avanguardista. Daltro canto, lattenzione per il linguaggio non si limita a considerare la dimensione materiale delle parole, il loro funzionamento autonomo nella realt del discorso scritto (autonomia del significante), ma accoglie di esse anche leredit storica ed etimologica. Tra la sensibilit individuale del poeta e lidioletto a cui tende la sua espressione, sinserisce un complesso dispositivo, in cui entrano a far parte come sue estensioni anche lenciclopedia, i dizionari (il Littr), i trattati scientifici, oltrech certa letteratura, preferibilmente latina, ossia pre-cristiana (Lucrezio e Tacito). Anche il linguaggio quindi percepito nella sua oggettivit, come prodotto di sedimentazioni successive, in cui si esprime il genio collettivo delle civilt. E se lo scrittore lotta contro il linguaggio ereditato, lo fa non in nome di una mitica interiorit individuale, che il parlare comune condannerebbe allinespresso, ma in nome dellinsurrezione delle cose contro le immagini che imponiamo loro2. Ci che rende Ponge tanto anomalo nel catalogo dei poeti novecenteschi, in definitiva questo partito preso non solo ateo e materialista, ma propriamente anti-cristiano, che lo spinge a spogliare lumanit di ogni privilegio

allinterno delluniverso naturale (L uomo non il re della creazione. No, per niente. Piuttosto il suo persecutore. Persecutore perseguitato3). Di qui il suo disinteresse per la rappresentazione letteraria delle vicende umane, di cui gi esistono nutritissime biblioteche, e lenorme sforzo, invece, per esprimere le qualit particolari dei singoli oggetti, a partire dai pi futili e ordinari. L oggetto, quindi, non il mero supporto, loccasione per rivelare la sublime e insondabile soggettivit del poeta. Il soggetto, e il suo linguaggio, fungono piuttosto da cassa di risonanza delloggetto, colto nella sua estraneit originaria. Bisognerebbe misurare, poi, la portata anche politica di tale strategia di Ponge, che opera simultaneamente diversi spostamenti: spostamento dal paradigma formale e lirico della poesia, verso una forma di ricerca in continuit con limpresa scientifica; spostamento, daltra parte, nei confronti della scienza, in quanto per Ponge la ricerca della definizionedescrizione degli oggetti implica laccettazione della dimensione corporea ed erotica del ricercatore, che non si pone quindi nella postura spassionata e neutrale dello scienziato tradizionale; spostamento, infine, rispetto a qualsiasi residua gerarchia dei soggetti della rappresentazione letteraria: dal sapone al bicchier dacqua, dal fico secco al geranio. Ci che esige di essere tratto dal silenzio e dallinsignificanza, appunto tutto quanto la nostra assuefazione allo spettacolo considera banale e irrilevante, proprio perch cade ogni giorno sotto i nostri sensi.

1. F . Ponge, Mthodes, Gallimard 1961, p. 37 . 2. Ivi, p. 304. 3. Ivi, p. 202.

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ACTIONS POETIQUES

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Julien Blaine L avanguardia non ha concluso che il suo primo secolo


difficile collocare Julien Blaine in qualche settore ben definito della sperimentazione poetica: poesia visiva, poesia sonora, eccetera. Tutte queste sono soglie oltrepassate da Blaine alla ricerca di una poesia che potremmo chiamare dazione, incentrata sul ritorno continuo del corpo sulla lettera, sulla presenza della lettera come corpo: fisico, sonoro, gestuale. In una battaglia contro lastrazione e la smaterializzazione della nostra esistenza, Blaine ha trasformato la Poesia, regno dellinteriorit e della mente, nelle Arti Poetiche: laboratorio perpetuo di poesie concrete, visive, di performance, di mail art, di libri dartista, di fotocopie, di fotografia, di monumenti sabotati ecc. Julien Blaine, cominciamo subito con un esercizio noioso. Come definirebbe la sua attivit nei paraggi di ci che viene chiamata poesia? (In Italia, la parola poesia indica per lo pi una persona che scrive tranquillamente e silenziosamente nel suo angolino, e a volte legge in pubblico il frutto di questo sforzo solitario). Io non sono n silenzioso n tranquillo: tutto (ri)cominciato con la pubblicazione di un manifesto firmato assieme a Alain Schifres e Jean-Claude Moineau dal titolo La poesia fuori dal libro, fuori dallo spettacolo, fuori dalloggetto, apparso su robho (numero 5/6 del 1970). un elemento chiave per comprendere la mia digestione del gesto poetico come performance. Lo anche per comprendere il ruolo di certi movimenti poetici o artistici che sono soprattutto movimenti strategici per ottenere il potere sul mondo letterario e artistico: su quel ghetto di gotha culturale made in France che soprattutto a Parigi, e pi precisamente allinterno del quartiere latino. I futuri decenni proveranno che avevamo ragione Per quanto ci riguarda, in effetti, dopo lo scacco formidabile, spaventoso del 1968, abbiamo considerato che lo scopo della performance fosse un atto rivoluzionario, un modo magnifico, utopico, di far sperimentare a tutte e a tutti il cammino dellautonomia e della libert, per poi trovarlo e infine imboccarlo. In effetti i dossier di robho furono dedicati essenzialmente allinterazione dei corpi: Lygia Ciark, il gruppo Gutai, lArt Gurilla, la Poesia e tutto il resto, alla fine, era frutto di arte corporea in azione e spesso sovversiva. Come il suo percorso siscrive nelle correnti della poesia visiva e sonora della seconda met del XX secolo? Lei attivo gi a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Nel 1962 cera qualche rara attivit neo- o semi-Fluxus intorno a Robert Filliou, ad esempio, qualche incontro legato alla PoesiaAzione con Bernard Heidsieck, qualche attivit in stile Poesia Sonora con la rivista OU e cerano coloro che superavano o oltrepassavano il lettrismo, come Gil Wolman o Franois Dufrne, gli Happening giunti dagli Stati Uniti cominciavano a diffondersi con il marchio made in France grazie a Jean-Jacques Lebel Io mi sentivo distante da tutto questo. Come molti artisti isolati, avevo deciso di avere dei progenitori. Dal momento che non esistevano, ho partorito io alcuni padri defunti: quelli del futurismo (pi i Russi che gli Italiani), di Dada (pi Kurt Schwitters e Georges Ribenont-Dessaignes o Francis Picabia che gli altri), del cubismo (Guillaume Apollinaire e Pierre-Albert Birot). Molti di loro allepoca erano sprofondati nelloblio o galleggiavano come relitti E quelli di Cobra (Christian Dotremont). Senza tralasciare la

Conversazione con Andrea Inglese


lezione del Livre di Stphane Mallarm! Potevo nascere! Su questo argomento ho scritto molto (troppo!). Tutte le avanguardie storiche degli ultimi anni del XIX secolo, di tutto il XX e dei primi anni del XXI sono nate per iniziativa di poeti. In Italia, fino almeno agli anni Ottanta, si aveva limpressione che il termine poesia indicasse modalit e percorsi anche molto differenti. Inoltre, da noi, la poesia sonora e visiva conosceva una tradizione importante, che risaliva evidentemente ai futuristi. In seguito, c stato come un ritorno allordine. E, nel frattempo, la maggiore novit a cui abbiamo assistito su questo fronte stata la diffusione dello slam-poetry. Che cosa accaduto in Francia nel corso di questi anni? C stata una ricerca in continuit con gli autori della sua generazione? C stato un rinnovamento? La mia impressione che oggi le frontiere tra poeti della scrittura, poeti delloralit e poeti dellazione tendano piuttosto a cancellarsi Penso ad autori come Cristophe Tarkos ou Vincent Tholom, ad esempio La poesia ha almeno tre dimensioni: pronunciata, mostrata e scritta, e il poeta deve prestarsi alla scrittura calligrafica e stampare, dire e articolare, esporre ed esporsi. La sua utopia di voler cambiare il mondo ignobile nel quale viviamo, la sua ingenuit di far credere e di credere che si tratti di un lavoro spirituale! Per tornare alla Francia, dopo gli anni Tapie (Bernard), gli anni Ottanta, quelli della riuscita sociale, gli anni dello scacco proclamato della poesia e dellinutilit rivendicata delle espressioni contemporanee, gli anni della barbarie e dellincultura che fanno nuovamente capolino in questo inizio di millennio , i poeti si sono nuovamente affermati, numerosi e vivaci, in carne e ossa, con grande strepito attorno ad alcuni piccoli editori disseminati ovunque in Francia Lelenco impressionante: Julien dAbrgeons, Nadine Agostino, dith Asam, Jrme Bertin, Philippe Boisnard, Herv Bruneaux, Gilles Cabot, Claude Chambard, Anne James Chaton, Michel Collet, Valentine Verhaeghe, Sylvain Courroux, Olivier Desmarais, Patrick Dubos, Antoine Dufeu, Jean-Michel Espitallier, Christophe Fiat, Jrme Game, Frdrique Gutat-Liviani, Christophe Hanna, ric Houser, Christian Jalma, Manuel Joseph, Claudie Lenzi, Laure Limongi, Vanina Maestri, Christophe Manon, Carpanin Marimoutou, Joachim Montessuis, Florence Pazzottu, Anne Parian, Charles Pennequin, Nathalie Quintane, Stphane Brard, Emmanuel Rabu, Andr Robr, Jacques Sivan, Eric Suchre, Lucien Suel, Nicolas Tardy, Christophe Tarkos, Pierre Tilman, Vincent Tholom, Colette Tron, Vronique Vassiliou, [] (tra le centinaia). Nondimeno, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, vanno prese in considerazione e ascoltate e viste (in video) le letture di Christophe Tarkos o di Charles Pennequin e altri inclassificabili come Carpanin Marimoutou, quelle e quelli del gruppo Boxon, Joachim Montessuis e Yvan tienne, Frdrique Gutat Liviani, Marina Mars, i Dpanne machine, Claudie Lenzi, Philippe Boisnard, Hortense Gauthier ecc. E i futuri sessantenni, ma sempre presenti, come Jol Hubaut o Arnaud Labelle-Rojoux (autore di unaltra bibbia sulla performance: Lacte pour lart, un possibile seguito a Posie en action) Ma pur vero che gli anni Sessanta e Settanta 33 sono finiti e che molte di queste nuove performance possono essere definite secondo tale o talaltro post script Uom. Esiste in Francia un circuito significativo per le poesie delloralit e dellazione ? Quali sono i luoghi, le occasioni, i festival, la case editrici che permettono la diffusione e la vitalit pubblica di queste pratiche? Tra i festival : actOral a Marsiglia, le Voix de la Mditerrane a Lodve, Ritournelles a Bordeaux, Exposie a Prigueux, Intonaction a Ste, Manifesten a Limoges e numerose Case della Poesia, come quella di Nantes o di Parigi, pi alcune gallerie e librerie fedeli alla causa, numerose in Francia e sullintero territorio. Un grande (per la sua taglia) editore come P.O.L., una collezione mingherlina da Flammarion e medi e piccoli editori dappertutto: Al Dante, Dernier Tlgramme, le Bleu du Ciel, Le Clou dans le fer, Nous, Voix, e una sfilza in tutto il paese senza mezzi, ma coraggiosi e dalla vita effimera. Senza dimenticare la grande quantit di riviste, dalla longeva e defunta Action potique (un percorso esemplare) alla nuova Invece (in uscita nel novembre 2012 per le edizioni Al Dante), passando per le storiche Doc(k)s o If o Po&sie e molte altre: Confluences, Posie Premire, Fuses, Il Particolare, Inuits dans la jungle, Anartiste, Nioques, Nu(e), Ouste, Traces, 22, monte des potes e altre ancora, tante altre E per concludere su riviste o blog in rete: Sitaudis, Un ncessaire Malentendu, Tapin, Diapo, Inferno ecc. Nel suo Corso minimo sulla poesia contemporanea1, Lei propone una visione di lunga durata dellavanguardia, che non pu in nessun caso essere circoscritta al XX secolo. Sanguineti voleva fare dellavanguardia unarte da museo. E oggi abbiamo degli universitari dediti con grande zelo allo studio dei pi oscuri tra i lettristi. Mi sembra che Lei abbia una visione un po diversa dellavanguardia, pi prospettica che retrospettiva Pu dirci qualcosa in proposito? Volentieri. Vi propongo direttamente alcuni passaggi: [] Avanguardia e durata: Per cambiare, far veramente muovere il mondo, le cose e i comportamenti, per dare vera vita, cosa equa, comportamento giusto, e mondo delluomo, c stato bisogno di tempo e ci sar bisogno di tempo Tang, 618-907: 3 secoli, in Cina. i troubadours: pi di due secoli tra il Portogallo e il Veneto, e in Provenza. lavanguardia, movimento lento e anche meditato, ed entusiasta, non conclude che il suo primo secolo [] Lettura Cortile: Se Tizio, visitatore del XX secolo, considera sulle cimase di un museo un bel dipinto moderno, non finir per esclamare: Ancora un paesaggio! o Ancora della natura morta! Se Caio, passeggiando per un giardino pubblici, si fermasse un attimo per ammirare una statua, non finir per esclamare: Ancora una donna nuda! Ma questi due, come la gran maggioranza degli altri, non mancheranno di dire e di esclamare, alla lettura dei nostri testi, alla visione delle nostre opere e allascolto delle nostre poesie:

Ancora dellavanguardia! Ma una cosa molto vecchia, davvero molto molto vecchia: ha pi di un secolo, allora vogliate per favore considerare i nostri lavori come guardate un paesaggio, un nudo di donna o una natura morta. [] Lavanguardia non fa che chiudere il suo primo secolo (il Lancio di dadi di Mallarm e il suo Libro; Pound: il pittogramma e i caratteri cinesi; futuristi, dada, cubisti, cobra, lettristi, concreti, fluxus e noi: gli elementari). giunto il momento di Rifabbricare la nostra memoria ridotta in ceneri dai cani di Dio. (linquisizione del cattolicesimo) [] la spiritualit degli Hopi e degli Zuni e le loro bambole Kachinas (cfr. Marcel Duchamp) Bambole rituali degli Indiani hopi e zuni Duchamp spiegato ai bambini grazie alle Kachinas. Bisogna di tanto in tanto cercare di comprendere le cose pi semplici e sapere che gli Indiani hopi e zuni, e molti altri tra i loro fratelli e sorelle anche avevano uno spirito (unanima). Non soltanto gli avi, gli antenati, o gli animali! Ma anche gli alberi, le piante e gli ortaggi! Mamma-corvo e lorco e luomo dal naso turchese e il vecchio zio, la donna e le ragazze, il guerriero e lo stregone, il tasso e il leader, il suonatore di flauto e la vecchia donna, il corridore e il clown, laquila e la tartaruga, il lupo e lo scoiattolo, la volpe e la cicala, lape e il granduca, la civetta e il falco, il serpente e il muflone, la beccaccia e lanitra, la farfalla e il daino, lape e il gatto, la mosca e la lince, il regolo e la mucca, la lucertola e il codirosso, il mimo e il fustigatore, gli zii e i nonni e le vecchie madri, Dio e gli di Tutti questi insetti, tutti questi uccelli, tutti questi mammiferi, tutti questi animali, tutti questi umani, tutti possiedono Lo spirito, lanima, il soffio vitale. Ma la possedevano anche: la nuvola e la stessa, la neve e le comete, il torrente e la meteora! Ma anche: il fango e i fagiolini, la zucca e il cactus, il mais e il fiore, gli spinaci e la senape. Allora si capisce perch Marcel Duchamp, uno dei grandi inventori del secolo, scopr le Kachinas moderne e occidentali: la ruota di bicicletta (lo spirito della ruota di bicicletta), la vanga (lo spirito della vanga), il tappo di lavandino (lo spirito del tappo di lavandino) e tanti altri, e tanti altri Ora risulta facile capire come mai linventario dello spirito (ri)nascente nelle cose collezion: Ishe senape verde e Ma-Alo canna da zucchero, e AngakChina dai capelli lunghi e Hemsona tagliatore di capelli, e Kau-A che viene dai Navajo, e Konin KachinMana ragazza supa, e Kwasus Alektaka la tartaruga, e Lenang il flauto, e Tuskiapaya il serpente pazzo, e Sio Shalako luccello gigante, e Sotuknangu cuore di Dio celeste. Ha dovuto cercare qua e l, per verificare la sua potenza e per completare la sua collezione accanto a IShe senape verde e Ma-Alo Kachinas col bastone: Patung Kachinas-Zucca e YungA Kachinas-Cactus. Che il soffio vitale sia con voi

1. J. Blaine, Cours minimal sur la posie contemporaine (posie visuelle, posie sonore, posie-action, & autres performances), Al Dante 2009.

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DESIGN IN CUCINA

Un viaggio durato trentanni


Aldo Colonetti

l viaggio partito a met degli anni Ottanta nella sede della Cooperativa Intrapresa, a Milano, dove si pubblicavano riviste come alfabeta e la Gola e si organizzavano iniziative come Milano Poesia; e arriva oggi, in compagnia di alcuni degli stessi amici di allora in questo caso Alberto Capatti , alla realizzazione di un libro, Design in Cucina, insieme a Valentina Auricchio. Questo viaggio di quasi trentanni ha attraversato un Paese che nel frattempo certamente cambiato, ma anche capace di mantenere certi fili rossi che superano la cronaca e soprattutto tutti i dilettanti-guru che in questi anni hanno discettato di cultura materiale, cibo, design e architettura. Forse ci tocca fare come i grandi filosofi del primo Medioevo: prima un po di patristica, ovvero mettere in ordine le cose, poi un po di scolastica, nel nostro caso comprendere dove finisce la cronaca e dove cominciano vera innovazione, progetto, produzione. Individuare i paradigmi, al di l del marketing. Il lavoro ancora da completare, il viaggio ancora lungo e anzi non finir mai. Ma nello stesso tempo vogliamo affermare con forza che il cibo come il design, senza radici e modelli culturali forti, sono destinati a lasciare tracce deboli nella storia di un paese. E invece, come accaduto dalla fine degli anni Settanta in avanti, bisogna tenere lo sguardo rivolto alla vita di tutti i giorni e, con-

temporaneamente, costruire modelli interpretativi in grado di farci capire la vera storia materiale. I tre autori del libro sono diversi, fra loro, per generazione e provenienza culturale: Valentina Auricchio una giovane studiosa di design di cultura italiana e nordamericana e da poco divenuta condirettore della rivista Ottagono; Alberto Capatti, francesista, uno dei pi importanti studiosi della cultura alimentare, fondatore del primo mensile al mondo dedicato al cibo, La Gola, e primo rettore dellUniversit di Scienze gastronomiche di Pollenzo; chi scrive infine filosofo, allievo di Gillo Dorfles, tra i fondatori dellIstituto europeo di design e direttore di Ottagono. Ma soprattutto, in quei lontani anni Ottanta, sono stato prima frequentatore militante e curioso, poi collaboratore desideroso dimparare, di quello straordinario laboratorio che erano gli spazi della Cooperativa Nuova Intrapresa. L ci si incontrava con Gianni Sassi, Nanni Balestrini, Gino Di Maggio, Antonio Porta, Umberto Eco e il giovane Maurizio Ferraris, artisti, musicisti, cuochi allinizio della carriera, grandi intellettuali mescolati a scrittori, filosofi ancora alla ricerca della propria identit, giornalisti come Folco Portinari e altri ancora, in un tourbillon di lingue, discipline, competenze, saperi accademici e stimoli culturali provenienti dalla strada; o nelle serate al

Lucky Bar di Bolzoni in viale Umbria, prima periferia milanese. Ecco, credo che la fucina da cui nasce il nostro libro tragga la propria fondamentale identit da questa pratica del confronto, nel segno del rispetto e della libert, senza mai barare. Il cibo come il design allora ci apparivano discipline borderline: non tanto perch non conoscessero esperti e cultori (gli anni Ottanta sancirono il valore non solo economico del design italiano; mentre lenogastronomia stava uscendo dalla falsa cultura del vino del contadino per approdare progressivamente, con Capatti & company da Carlin Petrini a Massimo Montanari, attraverso Slow Food al trionfo di Eataly di Oscar Farinetti) quanto per una difficile trasmissione dei saperi: ci apparivano soprattutto attivit produttive e commerciali, nelle quali la dimensione del mercato e del consumo prevalevano su quello della dimensione culturale ed epistemologica. La nostra ricerca per ora approdata al volume Design in cucina, oggetti, riti luoghi, che fa parte della collana Ottagono di Giunti, inaugurata nel 2010 col volume a mia cura Design in Italia. Lesperienza del quotidiano. E si offre come contributo, certamente dimpianto divulgativo ma fermo su alcuni punti fondamentali, uno in particolare: gli oggetti sono per noi una straordinaria sedimentazione simbolica e conoscitiva per

parlare di persone, territori e tradizioni culturali. Da qui la ragione di un lavoro veramente collettivo, e di una scrittura che pur nelle differenze desidera mantenere fermo il rispetto delle fonti materiali: lunit nella diversit. La stessa struttura del volume si articola nei Luoghi del quotidiano (casa, lavoro, corpo, citt), e in un Atlante di circa 150 oggetti che, in ordine cronologico, illustrano le diverse azioni del fare cucina. Non mancano poi aspetti di carattere pi comunicativo; perch con questo lavoro davvero ci pare di tornare indietro nel tempo, alla sede della Gola in via Caposile, nella periferia milanese, dove, accanto al saggio di Baudrillard o allultimo frammento di Heidegger da correggere, nella stanza accanto sotto a una tavola di Daniel Spoerri, Gualtiero Marchesi discuteva di cucina e musica contemporanea con Gianni Sassi e Alberto Capatti, mentre a Linate stava per atterrare Gregory Corso con altri problemi E noi, un po pi giovani ma ancora legati a una tradizione culturale dove ogni disciplina doveva rispettare codici e percorsi propri, ascoltavamo e prendevamo appunti, anche perch un maestro e amico come Gillo Dorfles ci aveva insegnato a essere rigorosi, sempre per nel segno delleclettismo. Ecco, il nostro libro anche tutte questo: sono tante le voci che parlano, e che in ogni pagina ci dicono di andare avanti cos. Faremo del nostro meglio.

Roberto Barni. Condominio, 2007

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DESIGN IN CUCINA

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Sistema degli oggetti: il moscardino


Alberto Capatti

ei due modi di osservare gli oggetti duso alimentare luno rivolto al loro passato, laltro dal passato verso il loro divenire fino a oggi nessuno pu dirsi migliore. Il primo tende a scoprire, per via di analogie formali e funzionali lesistenza di antecedenti che fondano il nostro modo di progettare la vita, riassunto in un neologismo, design; il secondo ritiene che ogni oggetto alimentare abbia unorigine e serva da modello a quello che lo sostituir, o si affiancher a esso con varianti formali e funzionali. Ne nasce in entrambi i casi una serie di documenti disposti in ordine cronologico, la quale si presta a unanalisi comparativa e prospettica. Allo storico dellalimentazione generalmente attribuito il ruolo di descrivere il sistema degli oggetti che, nel passato recente o remoto, ha fondato tutte le varianti attuali. Con laiuto dellInvenzione della forchetta di Pasquale Marchese (Rubbettino 1989) si fissa una tipologia diacronica, procedendo a raffronti e tirando conclusioni. Il risultato permette di valutare storicamente la proposta dei tre e dei quattro rebbi di Gio Ponti (per Krupp Italia, 1951-56), la sua scelta di un metallo e di unimpugnatura. Davanti a progettazioni pi recenti e meno convenzionali, lapproccio non cambia. Si prenda il moscardino di Iacchetti e Ragni per Pandora design (1999): combinare la forchetta e il cucchiaio in un solo strumento con la duplice funzione di infilzare e raccogliere, potrebbe sembrare una invenzione doggi, nata da modi di nutrirsi irrituali e da cibi di diversa natura preparati e accostati per un consumo rapido (il moscardino presuppone che il cibo sia stato tagliato e non sia troppo liquido). Senza una precisa ricerca degli antecedenti, il moscardino posata usa e getta, cucchiaio e forchetta da impugnare da una parte alla volta, non ripassando dalluna allaltra (per non sporcarsi), sarebbe nato da comportamenti alimentari tipici degli aperitivi e dei buffet in piedi, dellassaggio ripetuto e volante. A una sociologia dei consumi, pi che ad una storia, parrebbe limitarsi lapporto documentario. Eppure non cos. Lesistenza di un cuillerfourchette in legno attestata dal settecento in Francia (Objets civils domestiques, Paris, Imprimerie Nationale, 1984, p. 252). Forchetta a tre rebbi con cucchiaio, era prodotta in un materiale che rivelava un uso non domestico, adatto al trasporto e al consumo occasionale di un pasto caldo o freddo. da escludere che venisse gettata dopo luso. Linteresse del cucchiaio e della forchetta pieghevoli era ben noto ai viaggiatori e agli ufficiali in campagna, ma questo strumento leggero presentava facilit duso ulteriori e una maneggiabilit superiore, per unassunzione di cibo veloce. Linvenzione del 1999 consiste pi nella scelta del materiale plastico e nellusa e getta che nella duplice funzione strumentale. Linteresse del cuiller-fourchette non solo di costituire un antecedente ma di attirare lattenzione sul passaggio dal legno alla plastica, sul rapporto evolutivo fra la mano e lutensile, e di aprire una indagine sui cibi che richiedono il moscardino. Un approccio storico limitato alloggetto privo di tutte le sue applicazioni nutritive, e il cibo rappresenta non un corollario ma lobiettivo finale della ricerca sul design.

Roberto Barni. In-stabile

cuoco che un designer, quando mette a punto piatti che hanno forme, colori e consistenze originali, comparabili a quelle che ritroviamo in altri ambiti ritenuti creativi, quali loggettistica firmata e la moda. Il suo piatto, senza essere tutelato da un marchio o dalla propriet artistica, viene ritenuto opera dautore come il moscardino. Ed egli va fiero della sua trovata che, da effi-

mera come tutto ci che si mangia, diventa durevole e prende posto in unipotetica collezione dei nuovi oggetti alimentari. In realt tutta la cucina, domestica oltre che professionale, a essere la matrice del food design. Un piatto di spaghetti o uno spezzatino di carne presuppongono strumenti idonei e per il primo il moscardino assolutamente inadatto, avendo i

Dietro le quinte
Valentina Auricchio
Settembre 2011: il primo di innumerevoli incontri in un percorso durato pi di un anno, un confronto tra mondi e generazioni diverse in cui si parlato di tangibilit e intangibilit, inclusione ed esclusione, temporalit, italianit, oggetti, strumenti, ricettari, design, innovazione radicale e paradigmi, icone, riti, modello antropologico francese, contemporaneit e rivisitazione del passato, finalizzazione alla commestibilit, imprese, modernit utilizzata, classificazione, la messa in tavola alla francese, usa e getta, distretti, design anonimo, antropologia delloggetto, contaminazioni culturali, cronologia, corpo, casa, cucina, lavoro, citt. Eccetera. Design in Cucina prima di tutto una ricerca che nata da una riflessione condivisa che integra una profonda conoscenza storica delle usanze italiane in cucina con una visione sullevoluzione futura della produzione di utensili. Un viaggio nel tempo e nel territorio che restituisce una fotografia soggettiva (nata proprio dallinterazione tra tre soggetti muniti del proprio bagaglio culturale: Capatti, Colonetti e Auricchio) di un fenomeno popolare che appartiene alla quotidianit degli italiani.

he lanalisi proceda in un senso o nellaltro, retrospettiva o prospettica, il vero problema non loggetto in s ma la rete di significati che esso investe e da cui connotato. La forchetta, comparata a due bastoncini, ha senso rispetto a un modo di tagliare, cuocere e servire il cibo, quindi di alimentarsi. Da qui ad asserire lesistenza di un design delloggetto alimentare e del cibo, il passo breve. Oggi si parla di un

Valentina Auricchio, Alberto Capatti, Aldo Colonetti Design in cucina. Oggetti, riti, luoghi Giunti, pp. 224, 39

rebbi larghi e corti, mentre per il secondo un paio di bacchette andrebbe bene a condizione che non ci fosse troppo sugo, il che richiederebbe una forchetta a rebbi stretti per raccogliere un po di sugo. Fare cucina e scegliere gli strumenti per mangiare appartengono allo stesso sistema. Su questo presupposto, e non sullesistenza di cuochi-designer, si fonda il Design in tavola di Auricchio, Capatti e Colonetti (Giunti 2012). Lesistenza di un sistema alimentare in cui ritroviamo utensili e cibi, corpi e arredi, riti e parole per designarli, impone una doppia analisi: in unanalisi complessiva viene focalizzato uno strumento, un cibo e tutte le loro relazioni possibili, analizzabili con molteplici indagini di pertinenza del design, della storia, della linguistica e dellantropologia; lanalisi distributiva mette a fuoco le specificit di ogni singolo oggetto preso in considerazione, puntando a evidenziarne lorigine, il progetto, la funzione e il significato. Tutti gli utensili e i cibi rientrano in questa doppia analisi che ha il vantaggio di non isolare i singoli reperti e di non enfatizzare lesistenza di tipologie e di categorie in se e per se significative. Dopo questa duplice indagine, potremo divertirci con le analogie e i simboli dei linguaggi alimentari. Anche il nome del moscardino in cui convivono un mollusco e una forchetta-cucchiaio; e andrebbero ricordate pure le pasticche odorose e speziate in uso nel Cinquecento fa parte di essi.

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Carlo Emilio Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

iLIBRI
letto da Fabrizio Gifuni Emons Audiolibri, cd mp3, 13h 34, 18.90

Colleghi di alta statura defin una volta, Gianfranco Contini, Gadda e Joyce. Ma al di l della considerazione, inconfutabile, della rispettiva altezza entro le letterature che hanno avuto la ventura di fregiarsi di simili campioni una quantit di voci critiche illustri hanno tentato di definire tale superiore colleganza (a partire da Contini stesso: che li accomunava nella cifra dun manierismo espressionistico capace di mostruosamente miscelare elementi linguistici disparati, maneggiati con estrema sapienza, volta a rendere, con effetti di grottesco enorme [], il caos duna cultura e dun mondo in crisi). Un vettore di ricerca comune va senzaltro indicato nella componente orale : nella colossale partitura vocale (e ovviamente plurivoca, oltre che plurilinguistica; e insomma, epica) cui i due autori giungono col rispettivo opus ultimum, Finnegans Wake e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Forse proprio in quanto memore del terrore esaltato che i frammenti del Work in progress avevano fatto serpeggiare negli anni Venti e Trenta, nel 1957 allapparire del Pasticciaccio e dellimpegnativo paragone il sempre cauteloso Gadda si scherm, nei confronti degli esperimenti intellettualistici e disperati del collega. Ma se vero che il Pasticciaccio rappresenta un vero e proprio salto di piano, rispetto a quanto lo precede, proprio per la smagliante quanto frastornante messa in scena delloralit, e anzi della vocabilit, della parola narrativa: un universo tutto verbale, nel quale ogni evento sulla pagina figura riportato, pronunciato a voce alta, tutto viene insomma cinguettato dai tanti merli canterini che affollano la strada del titolo questi che vien fatto di chiamare gli indigeni, come scrisse Manganelli. E se vero, come ha mostrato Gabriele Frasca nel grande saggio archeologico sulla narrativa occidentale come messa in scena della voce (La lettera che muore, Meltemi 2005), che proprio quello di Joyce lesempio di testo che non si rassegna alla pagina ma tende a una dimensione acustica e grammofonata (Ulisse grammofono sintitol nel 1984 una conferenza di Jacques Derrida, in Italia pubblicata dal melangolo nel 2004: alludendo al monologo del grammofono, appunto, nel capitolo Circe di Ulysses), proprio qui che andr ricercata la radice pi fonda della colleganza in questione. Sta di fatto che non a caso nel 1929, a Cambridge, Joyce volle registrare una propria lettura del capitolo finneganiano Anna Livia Plurabelle (ora ascoltabile anche su You Tube), mentre per il Pasticciaccio ci dobbiamo affidare a interpreti secondi, che abbiano pi o meno approfondito la testualit di Gadda. E chi vi si dedicato senza ri-

sparmio, negli ultimi anni, stato senzaltro Fabrizio Gifuni: gi strepitoso interprete (per la regia del compianto Giuseppe Bertolucci) dellIngegner Gadda va alla guerra remix intelligentissimo del Giornale di guerra e di prigionia e di Eros e Priapo (nel dvd minimum fax Gadda e Pasolini: antibiografia di una nazione) che ora realizza lincredibile pice de rsistance della lettura integrale del Pasticciaccio. Il risultato non meno che straordinario: senza mai cedere alla foga demoniaca della precedente prova gaddiana, ma anzi scegliendo una lettura lenta e ruminante quasi a voler misurare carnalmente lo spessore di ogni singola parola Gifuni fa riverberare ogni minima screziatura tonale, ogni ispessimento fonico del testo; ne pantografa ogni crescendo, ne cesella plasticamente ogni clausola. E (seguendo in qualche modo la strada gi indicata da Luca Ronconi, con la storica riduzione teatrale del 1996) evidenzia magistralmente il poliglottismo interno (come Contini chiamava quello di Joyce) che come in Joyce e pi che in Joyce fa del Pasticciaccio il luogo unico della dissipazione della voce narrativa (Stefano Agosti): quella per cui il narratore sin dal titolo (Quer de) incista nella diegesi i dialetti iperbolicamente convocati dalla mimesi dei discorsi diretti. Allintero, rutilante sogno del carabiniere dellottavo capitolo, per esempio, Gifuni imprime dunque la cadenza piemontese del brigadiere Pestalozzi, e quando simbatte in una locuzione romanesca costretto a dar vita a uno straordinario impasto fonico dei due dialetti. Per questa via si giunge allurlo burino e lancinante dellAssunta, a quella conclusione No, sor dott, no, no, nun so stata io! che me ne rendo conto solo ora, con un brivido risponde perfettamente, come in uno specchio oscuro, allo Yes I said yes I will Yes di Molly Bloom. Andrea Cortellessa

Christian Raimo Il peso della grazia


Einaudi, pp. 455, 21 Ho letto il romanzo di Raimo forse senza capirlo. Dicono che un romanzo sullamore. Certo, come negarlo; ma lamore la forma occasionale della realt che, per quanto la riguarda, sta altrove. E Raimo in questo romanzo si mette sulle sue tracce e la trova dove non c. Se ponete attenzione scoprite che tutti i momenti realistici del romanzo sono pretestuosi e difficilmente credibili: lincontro del protagonista con Fiora in un pronto soccorso (dove si discute di Omero, Monet e Borges); la scusa della restituzione della tessere di sanit perch il flirt possa avanzare e diventare amore; lincidente capitato a Fiora in Africa ( accusata di avere travolto con il suv un bambino) per giustificare (quando scopre di essere incinta) limprovviso fuga dal protagonista disperato; e, massimo dei massimi, il ritrovamento di Fiora attraverso il riconoscimento della targa della sua auto, che linnamorato orami sfinito girovagando a caso per la citt legge nel camioncino che lo ha superato e ora lo precede. E ne potrei indicare molti altre, pretestuosit e menzogne, sicuro di non essere contraddetto. su questo fragile supporto di eventi che poggia, facendoli crollare (togliendogli significato), la realt (chiamiamolo pure il vero contenuto) del romanzo. La realt del romanzo la

distrazione del protagonista. un giovane fisico precario impegnato in una ricerca che lui per primo avverte improbabile: misurare la velocit delle fiamme turbolente (le prime analisi le azzarda in un laboratorio in Finlandia dove per un mese intero non pu uscire di casa perch il mondo intero sepolto dalla neve). lui stesso a dire: come se cercassi un liquido di tipo asciutto. Invitato a un incontro di selezione alla ricerca di un posto di lavoro pi stabile, largomento che sceglie (e sul quale sar giudicato) il fallimento, affascinato dalla voragine che si apre sotto coloro che falliscono, in cui (pur smarrendosi) sperimentano tensioni ignote. Vaga per i quartieri e le strade della citt, senza meta: mi piace [...] fare turismo umano, osservare le facce delle persone. In qualsiasi situazione si trovi o qualsiasi cosa stia per fare avverte lurgenza di allontanarsene e pensare ad altro. continuamente distratto, spinto da uno scavallamento ininterrotto verso ci che in quel momento non utile e non c. Infinitamente disponibile si incontra (e li aiuta) i barboni della citt (in particolare i poveri polacchi sempre ubriachi) e a un certo punto, gi avanti negli anni, si fa cristiano; anche perch (io sospetto soprattutto perch) il cristianesimo una religione che cerca di convincerti soprattutto del contrario di quello che pensi. Che dice le cose brutte sono belle. Che i morti non sono morti. Che richiede di amare gli ingrati e i malvagi. E di questo la sua esperienza gli d continue prove: anche per lui realt non mai l dove , ma sempre al di l delle occasioni quotidiane nelle quali si scontra e scortica: Io non sarei felice se non potessi perdere le cose. Questo personaggio il pi (direi il tutto) del romanzo, impaginato in una storia damore con una donna per parte sua stramba ( una nomadelfina), che tuttavia funge da sponda per aprire agli occhi del lettore la figura del personaggio centrale. Del continuo dilatarsi e traboccare, come una bottiglia di liquido effervescente, siamo stati spettatori (anche ammirati). A questo punto il problema per lautore era riuscire a gestire una struttura narrativa capace di tenere dritta in piedi questa supermagmatica materia. E qui ho qualche dubbio che ci sia riuscito: il romanzo si sfarina, tende ad affondare dentro se stesso, perde vita (pure beneficiando degli sforzi della suspence) e procura al lettore pi di un momento di noia. Frantumandosi ai margini rischia di diventare una macchia (come una turgida goccia di inchiostro male asciugata). Angelo Guglielmi

Francesco Targhetta Perci veniamo bene nelle fotografie


Isbn, pp. 248, 15 Innanzitutto il genere (al di l dellindicazione paratestuale): romanzo in versi, poema in prosa, epica del quotidiano, epopea delleroe precario? Denotativamente: 248 pagine di versi irregolari (con atteso predominio dellendecasillabo) che per costituiscono solo il primo motivo, e il pi superficiale, di interesse del libro di Targhetta. Non solo la perizia metrica, difatti, la sua cifra, ma una virt poetica intrinseca, erede tanto della consapevolezza primonovecentesca delle piccole cose quanto della poetica del fatto vero delle seconde avanguardie, o forse oltrepassante luna e laltra. Il protagonista (lio-lirico-narrante) un precario scolastico e universitario, e dei due mondi restituisce con fedelt fotografica (ma anche con vero coraggio, considerando le cortesie obbligatorie nellambiente e le gerarchie insormontabili) la folle sopravvivenza, entro un orizzonte comples-

Disegni di Roberto Barni

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sivo in costante mutamento (i Pernod in quei convegni di noia / a Urbino a Siena a Perugia a Bologna / [] e interventi sui prezzi dei cereali / nella Toscana del milleseicento). Pure, quella mobilit non dato sperimentarla nel quotidiano, dove invece si brancola nella condizione di bisogno materiale a tempo indeterminato, fissi nelleterno presente dello studentato, con i coinquilini, le bollette, le cene, le marche scadenti (e ci fossero mai due bicchieri uguali; coi crampi ovunque e il sudore Hugo Boss). La poesia di Targhetta cos: tanto nellinsieme (epica dei vinti, o di quelli che non possono nemmeno combattere, perch le armi non esistono pi, le hanno confiscate i padri: la politica, il partito, la dimensione sociale del fare: insegnare, s / insegnare cosa?) quanto, e soprattutto, nel dettaglio, cos come nellattitudine extradiegetica in servizio permanente: lio che narra dentro le cose, ma le racconta o ritrae come da fuori, con locchio disincantato che per non si compiace del cinismo in voga (laltra faccia del narcisismo il nichilismo, stando al Todorov della letteratura in pericolo). Probabilmente perch nel quadro rientra attraverso il destino comune di sacrificio, rispetto alle certezze dei padri (questo crollo di prospettive, / questo sentirsi offesi, mentre / in fondo, si tratta di lavoro, / e di un lavoro di due mesi), pur nellambiguo incremento attuale delle possibilit professionali (prolungando gli anni di formazione / fino a saperne, poi, talmente tanto / da non poterci pi fare niente), oltre che nella sorvegliata consapevolezza dei propri mezzi, che limitatamente si concede alla posa dei narratori coetanei (ostentazione letteraria, artificio esibito, io sono un altro). Targhetta poi a conoscerlo, dalle interviste e dalle presentazioni, esattamente come uno dei suoi personaggi: un precario, uno studioso, un ex studente con le camicie a quadri (tanto per rigirargli la mania del dettaglio). Dunque, fotografia o addirittura autoscatto? No, perch quello che ci rappresenta di s e del mondo precario rimanda allextratesto dei nostri tempi e, pi in particolare, del mutamento antropologico nelle relazioni umane, se non sentimentali, a partire dallinsorgere di problemi nuovi connessi al predominio delle tecnologie. Lamore precario lamore che si inscena nelle stanze in affitto e si esprime coi post del social network, ma con pi ironia, il tutto, che elegia: perci veniamo bene nelle fotografie. Gilda Policastro

scuola, che ipostatizzava tendenze epigonistiche soprattutto in direzione neo-sperimentale. Nelle raccolte Marcos y Marcos non c un orientamento poetico dominante. Al contrario, spesso in una stessa antologia convivono ricerche diversissime: in questo caso, i due poli sono forse rappresentati da Donalisio e DAgostino-Ulbar. Alla base della selezione c un vincolo cronologico-generazionale, a determinarne i confini: gli autori hanno fra i venticinque e i trentanni, e solitamente hanno gi pubblicato un libro. Le scelte sono prese in modo collegiale da un comitato di cinque lettori (oltre allo stesso Buffoni vi figurano Umberto Fiori, Fabio Pusterla e gli editori Claudia Tarolo e Marco Zapparoli). La coesistenza di autorialit e responsabilit critica, da un lato, e di pluralit nelle decisioni per la selezione e nei risultati documentati, dallaltro, sono un elemento nuovo per lantologia di poesia. Le poesie dellUndicesimo Quaderno sono molto eterogenee: i versi lunghi e narrativi di Simonelli si alternano ai giochi verbali palazzeschiani di Pinzuti, passando per il poemetto filosofico di Frungillo e per il blues di Donalisio. Il tono complessivo stato definito di svolta sociale. Questa considerazione poggia su alcuni dati testuali: le cartoline di Bernasconi; il Coro dei dispersi e lo sguardo sui rifugiati di Frungillo,; le sessantottesche non vissute / immaginarie fantasie di rivoluzioni di Simonelli; la rabbia generazionale di Donalisio. Pi che di poesia sociale o civile, per, parlerei di poesia che si pone allinterno del mondo, e non a parte subjecti e questo, per la poesia contemporanea, non affatto scontato. Se c una cosa che accomuna le sette raccolte, che sono immerse in una dimensione tutta terrestre e fisica, anche quando si parla di antimateria (Pinzuti), anche quando si tende esplicitamente al soprannaturale (Frungillo). Il frequente ricorso a un esplicito riuso della tradizione poetica non mai sterile citazionismo; al contrario, i versi del passato sono riusati cercando (e non sempre riuscendovi) un rinnovamento del linguaggio poetico attuale. La poesia sociale non affatto semplice, anzi sempre rischiosa; ed resa ancora pi difficile dal lessico elaborato dalla tradizione italiana. I versi di questo Undicesimo quaderno fanno pensare, piuttosto, a una nuova consapevolezza, a una minore chiusura della poesia in un universo (anche linguisticamente) separato. Pur con realizzazioni tecniche e stili diversissimi, questi sette autori usano i versi per raccontare i mondi in cui sono immersi: storie, incontri, vite incrociate per caso, oppure soltanto osservate. La condizione della poesia moderna, di cui parla Buffoni. In questi testi si concretizza nello stare nel mondo, osservarne ogni parte, raccontarne le storie, commentarle attraverso i versi. Claudia Crocco

gari ma tutti puntanti / ad un piacere intenso e nel possibile condiviso / ora in assenza di contenuto a rivelarsi / il meccanismo della frase girando nel vuoto a vuoto. La rigorosa eliminazione di qualsiasi ridondanza emotiva conferisce al testo un tono di messa a punto dellesperienza personale, che viene cos collocata in una prospettiva pi ampia. Luso di un lessico curato, ma privo di ogni intarsio bellettristico, lassociazione contenuta e tuttavia efficace di termini appartenenti a registri linguistici differenti (senza secernere un po / di gentilezza) e infine la preferenza nelle figure di comparazione per referenti provenienti perlopi dalla quotidianit provocano in molti snodi del libro effetti di diminuzione autoironica del discorso, rendendo cos impossibile qualsiasi addensamento di nubi da psicodramma. Ora, questa complessa articolazione del discorso, alla quale la brevit della descrizione rischia di fare torto, non rivolta al conseguimento di una superiore lucidit analitica o addirittura gnomica, ma connessa con quello che sembra essere il nodo centrale nella traiettoria di Cepollaro ossia la questione dellautenticit della voce poetica. In particolare di fronte allurgenza della materia autobiografica, lautore consapevole del rischio della codificazione del discorso entro le rassicuranti rappresentazioni dellio poetico, magari psicologicamente sincere, ma impraticabili perch troppo parlate da unimponente tradizione lirica. Cos la ricerca di questo libro va verso la costruzione di uno spazio linguistico che non solo sfugga a questa trappola, cos come a quella psicologistica, ma diventi strumento di elaborazione culturale ed etica dellesperienza. Giorgio Mascitelli

Vladimir Nabokov Guarda gli arlecchini!


Traduzione di Franca Pece Adelphi, pp. 293, 19 Con una di quelle immagini che corteggiano con supremo snobismo il kitsch, Vladimir Nabokov fa dire al narratore del suo ultimo romanzo, scritto in inglese e pubblicato nel 1974, che tra quelle pagine mogli e libri si intrecciano a guisa di monogramma, simile al disegno di una filigrana impressa sulla carta o di un ex libris. Il nome del protagonista Vadim Vadimovic, romanziere di considerevole successo ora impegnato nella stesura di una autobiografia obliqua, dove almeno tre o quattro mogli (lincertezza sul numero sua) si avvicendano a riscaldargli la vita. A ognuna Vadim ha creduto doveroso comunicare, quando era sul punto di dichiararsi, quale dote egli porti con s, unombra funesta cui d il nome di Dementia, un disturbo nervoso che rasenta la follia e spesso gli si presenta al risveglio improvviso di un sonno durato non pi di unora. Nello sforzo di descrivere la sua malattia, essa gli appare come una incapacit di padroneggiare lo spazio, qualcosa di profondamente alterato nel suo percepire la direzione: fatto sta che quando prova a ripercorrere una qualche scena memorizzata cercando di riavvolgere il nastro, la mente si ribella alla inversione di marcia, si rifiuta di riportarlo nella situazione dalla quale era partito, e linceppo conduce Vadim a una crisi di nervi tale da farlo ritrovare temporaneamente pazzo. Nello stendere le sue memorie, datate dal 1922, si descrive come un giovane misterioso, che ha scontato uninfanzia atroce, intollerabile, tale da invocare qualche legge di natura contro esordi tanto disumani. Di quel passato, o meglio delle sue fantasie, fa parte anche una amata prozia eccola scendere lentamente in obliquo, in obliquo, i gradini marmorei del porticato del ricordo che per fargli passare il broncio gli ripeteva la esortazione ora eletta a titolo del romanzo: Guarda gli arlecchini!, ossia inventa la realt, impara a stabilire nessi imprevedibili tra le cose e vedrai

Yari Bernasconi, Azzurra DAgostino, Fabio Donalisio, Vincenzo Frungillo, Eleonora Pinzuti, Marco Simonelli, Mariagiorgia Ulbar Undicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea
a cura di Franco Buffoni Marcos y Marcos, pp. 285, 17 Negli ultimi sette anni non sono mancate antologie poetiche fondate su nuovi principi metodologici. Se il racconto a tesi dallalto dellantologia dautore non pi in grado di indagare la poesia dal 75 agli anni Zero, forse questa stessa analisi pu essere portata avanti in modo nuovo, dialogico e collegiale; con una prospettiva pi ristretta, ma non per questo criticamente pi debole. Un esempio importante sono i Quaderni che Franco Buffoni cura da pi di ventanni. Questo Undicesimo comprende sette sillogi poetiche, ognuna preceduta da una breve prefazione critica. Come ricorda spesso il curatore, queste sue raccolte non sono n antologie di tendenza n tentativi di restaurare lantologia dautore. Tuttavia superano i limiti di una contrapposizione molto diffusa a partire dagli anni Novanta: quella fra una selezione con una linea critica debolissima o assente, nella quale la giovane et dei poeti era presentata come garanzia della novit della loro poesia; e una crestomazia di

Biagio Cepollaro Le qualit


La camera verde, pp. 120, 20 Lultima raccolta poetica di Biagio Cepollaro mette in scena il corpo: non semplice soggetto tematico, ma personaggio vero e proprio. Questa trovata di gusto quasi cavalcantiano appare decisiva per leffetto straniante dellarticolazione retorica del discorso poetico. Le poesie delle Qualit hanno infatti prevalentemente un tema privato crisi e dissoluzione di un amore e nascita di un amore nuovo trattato per con attitudine rigorosamente fenomenologica, grazie alla quale ogni impressionismo psicologico, nella descrizione dei sentimenti, viene sospeso. Il corpo dunque colto come soggetto delle azioni, degli stati danimo e delle riflessioni che accompagnano le diverse fasi delle situazioni: il corpo ripercorre le procedure del desiderio / ne conosce a memoria le grammatiche e nel tempo / ha composto non solo milioni di frasi / ma anche inventato intere sintassi per formare / diversi periodi con accenti ora elitari / ora francamente vol-

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che anche gli alberi, le parole, le situazioni possono apparire come altrettanti arlecchini. A dispetto del suo triste passato, non sono estranei a Vadim propositi di felicit, sebbene provveda assai poco a coltivarli e spenda piuttosto il suo tempo dannandosi sulle traduzioni dei suoi libri, che ha prima scritto con la matita e poi corretto fino a ridurre loriginale a un groviglio di sgorbi, e poi ancora redento in una sequenza di stesure successive, tutte pi o meno diligentemente dattiloscritte dalle mogli che si succedono al suo fianco. Tra i dubbi che lo assillano il pi tremendo gli si insinua sotto forma di sogno, una notte in cui Vadim si vede impersonare la vita al tempo stesso gemella ma non identica di un altro scrittore, incomparabilmente pi grande di lui, del quale si sente la variante minore, quasi una ridicola parodia. Romanzo beffardo, che il narratore concepisce come una sorta di catalogue raisonn delle immagini prese dai suoi romanzi, Guarda gli arlecchini! autorizza la sovrapposizione con la vita di Nabokov tanto quanto lo stesso scrittore avrebbe concesso, almeno stando a quanto disse in una intervista a Vogue del 69: io solo posso giudicare se certi particolari che sembrano pezzetti del mio Io reale immessi in questo o quel romanzo siano autentici come la costola dAdamo nella pi famosa delle scene di giardino. Francesca Borrelli

iLIBRI
sempre con una sorpresa finale da umorismo nero; e include, come nella stragrande maggioranza dei film americani, una forte dose di poetic justice, anche quando il caso il deus ex machina (Parola donore). Vonnegut un moralista, non c che dire. Annalisa Goldoni appunto pragmatici, irridenti, refrattari a qualsiasi fede e i polacchi invece idealisti e impregnati di religiosit). Scegliendo, a seconda dei casi, di raccontare la storia dei personaggi che gli sfilano davanti, di dialogare con loro o di calarsi nei loro panni, il giornalista compone un doppio ritratto, della Cechia e della Polonia, che non espelle gli stereotipi ma li smonta, ne ricostruisce la genealogia, li inserisce in un quadro pi ampio e pi mosso: un quadro dove il polacco Szczygiel pu, senza rinnegare se stesso, dichiarare il proprio amore per una cultura deliberatamente paradossale, il cui emblema potrebbe essere Jra Cimrman, un personaggio inventato per scherzo una cinquantina danni fa e diventato poi una sorta di eroe nazionale, cui si attribuiscono gesta di ogni sorta. (Ma come potete credere in qualcuno che non esiste?, chiede Szczygiel, e pronta arriva la risposta: Non esattamente quello che fate nella Polonia cattolica?). Maria Teresa Carbone

Juan Rulfo La pianura in fiamme


Traduzione di Maria Nicola Einaudi, pp. 161, 18 Pubblicata per la prima volta nel 1954 da Fondo de Cultura Econmica, El Llano en llamas riunisce diciassette racconti brevi di Juan Rulfo (1917-1986) e rappresenta il suo libro desordio, quello che annuncia e precede Pedro Pramo, seconda e ultima opera pubblicata in vita da colui che non si pu fare a meno di considerare il pi importante scrittore messicano del novecento, capace di rivoluzionare una letteratura e di diventare un classico leggendario grazie a due libri soltanto, che per lo pongono allo stesso livello di maestri come Kafka o Faulkner. La nuova traduzione di Maria Nicola per Einaudi, accompagnata da una brillante nota di Ernesto Franco, ci consente oggi di rileggere con lattenzione che merita un testo in cui si concentrano i principali temi rulfiani: la lotta per la terra, i contadini poveri, la violenza, la colpa, il sacro come estremo ed inutile rifugio degli emarginati, la prepotenza di una classe politica crudele e corrotta, un paesaggio e una natura inesorabili che non vanno considerati semplice fondale ma autentici co-protagonisti, e soprattutto il vagare terreno di quelle che gi in vita sono anime in pena, fantasmi impotenti e solitari sullorlo di una morte senza storia, di un viaggio obbligato verso il nulla. Profondamente messicano nel suo dar conto di un immaginario antico e di una tragedia nazionale che, pur in termini assai differenti, sembra ancora oggi non avere fine, Rulfo tuttavia universale in ogni sua pagina, e attraverso una scrittura scarna, potente, che rielabora loralit e possiede una intensa qualit visiva lautore, non va dimenticato, fu anche un grande fotografo , ci induce a considerare superflua letichetta di realismo magico che spesso ne accompagna lopera, inquadrandola in uno stereotipo familiare ai lettori europei, ma definitivamente superato.

Massimo Fusillo Feticci. Letteratura, cinema, arti visive


il Mulino, pp. 205, 20 Dalla palla dorata delle Argonautiche alla pallina da baseball di Underworld, dagli orecchini della Locandiera a quelli dei Gioielli di Madame de..., dalle fruste di Sacher-Masoch alla pistola di Dillinger morto, dai materiali dellarte povera alle icone della pop art: lultimo libro di Massimo Fusillo mostra i tanti ruoli di cui vengono investiti gli oggetti (strumenti di seduzione, sacrario della memoria, trouvailles maniacalmente accatastate), attraverso un arco vastissimo di epoche e culture, grandi classici e spigolature peregrine; rivela le sterminate competenze dellautore quanto la sua spregiudicata apertura (argomentata nel suo lavoro precedente, Estetica della letteratura) alle sfide della contemporaneit, alle ibridazioni dei linguaggi. Leterogeneo, vertiginoso avvicendamento degli oggetti si traduce in un avvicendamento di testi eterogeneo e vertiginoso a sua volta, che per non ha nulla dellaccumulo collezionistico fine a se stesso, perch denso di riflessione, saldato da robusti fili conduttori. Innanzitutto, numerose teorie agilmente ripercorse, come il discorso di Marx sul valore di feticci attribuito alle merci, linterpretazione freudiana del feticismo, la fine della separazione netta tra coscienza e cosa sostenuta dalla fenomenologia, le osservazioni di Benjamin sullapproccio metropolitano ai beni di consumo, lo studio di Orlando sugli oggetti non funzionali. Teorie su cui si innestano vivide intuizioni dinsieme: alcune subito enunciate, quali lattacco alla visione riduttiva del feticcio come surrogato di unautenticit perduta, o la connessione del suo potere, in grado di schiudere nuove dimensioni, con quello della creazione artistica; altre pi implicite ma non meno significative. In particolare, Fusillo mostra che sono spesso i feticci a mettere in luce i sensi pi ambigui o repressi delle opere: intorno agli abiti e accessori del teatro di Goldoni converge una carica di desiderio enigmatica, in contrasto con larmonico razionalismo di facciata; nelle Grandi speranze dickensiane il culto di un corredo intonso sprigiona nostalgie regressive opposte alle mitologie progressiste allora imperversanti; nellImperatrice Caterina di Sternberg lo sfarzo folle dellapparato decorativo allude allopprimente insensatezza del potere; nel Museo dellinnocenza di Pamuk lallestimento museale fulcro, pi che di una storia damore, di una pervicace negazione del tempo; in Melk di Achim von Arnim e nel Dorian Gray wildiano il fascino degli oggetti determina una scomposizione dellidentit che insieme lacerazione perturbante e liberazione di potenzialit alternative (ambivalenza gi indagata da Fusillo in uno studio appunto sul tema del doppio, Laltro e lo stesso, ora riproposto in unedizione ampliata Mucchi, pp. 392, 23). Ancora, il libro intreccia il piano tematico e quello stilistico, indicando via via che le divagazioni delle Argonautiche su oggetti frivoli minano surrettiziamente la forma epica, che lindugio di Flaubert sui dettagli sconvolge la classica dialettica tra descrizione e vicenda, che nella Recherche la resistenza delle cose alla comprensione trasmette quella del racconto a uninterpretazione coerente, che le narrazioni postmoderne ruotano sovente intorno allo spessore mitico acquisito dagli oggetti; che dunque il protagonismo dei feticci pu, oltre a destabilizzare la realt, sovvertire i generi, riconfigurare i testi. Questa profusione di percorsi, che sa persino sollecitarne altri (varrebbe la pena di analizzare il ruolo dei feticci nella produzione umoristica, dai dada di Sterne in poi), quindi contraddistinta tanto da un raffinato eclettismo quanto da una straordinaria ricchezza di senso: lontano dalle consacrazioni ossessive di autori o metodi, come dagli assemblaggi caotici di materiali, questo saggio sui feticci trae la sua riuscita, e la sua forza, proprio dalla capacit di evitare ogni tentazione di feticismo critico. Clotilde Bertoni

Kurt Vonnegut Guarda luccellino. Racconti inediti


traduzione di Vincenzo Mantovani Feltrinelli, pp. 249, e 18 Lannuncio delluscita di ben quattordici racconti inediti in Italia di Kurt Vonnegut porta gioia e curiosit. Riemerge uno scrittore amatissimo, compagno di grandi avventure narrative insieme a Saul Bellow, John Barth, Richard Brautigan, Ken Kesey e tanti altri protagonisti di una stagione incredibile di contaminazione tra fervore iconoclasta ed esultanza creativa e propositiva, quando per un breve respiro tutto sembr possibile: anche che la letteratura avesse un ruolo alla pari con la vita individuale e collettiva; anzi, che ne facesse parte integrante. Dei fertili anni Sessanta degli eccellenti romanzi scritti da Vonnegut resta (e rester sempre) un libro di culto Mattatoio n. 5 (Slaughterhouse 5, 1968), in cui lautore si affaccia in prima persona per dire io cero nel raccontare lesperienza vissuta dal suo personaggio-alter ego durante la Seconda guerra mondiale quando, prigioniero dei tedeschi a Dresda, dal sotterraneo di un mattatoio assiste al bombardamento da parte degli Alleati della citt, la Firenze dellElba, bruciata fino alle radici di persone e di case. Anche tempo e spazio esplodono in frammenti in un racconto con incursioni nella fantascienza. Pubblicati postumi, questi racconti appartengono alla prima produzione dellautore e ne portano gi la firma nella miscela di tragico, satirico-umoristico di un realismo cos profondo da risultare pi che surreale, unico. Pubblicati allinizio degli anni Cinquanta su riviste per famiglie, per un pubblico moderato dunque, non costituiscono esattamente altrettanti nuclei dei romanzi a venire, dei quali comunque sono meno elaborati, ma in compenso sono pi diretti, limpidi e a un tempo taglienti e compassionevoli, costruiti in modo impeccabile. Vonnegut gioca con la distorsione delle dimensioni spaziotemporali come quasi dobbligo per la satira fin dai tempi di Luciano e pi vicino a noi di Swift e oltre e tocca anche lamarezza senza riscatto di un Orwell, il terrore del totalitarismo, nella fattispecie stalinista (Le formiche pietrificate). Lo stravolgimento delle proporzioni favorisce la satira e apre alla fantascienza, che sar presente nel Vonnegut pi tardo come produzione di una mente sconcertata fino allo straniamento affine alla follia (qui splendido Il tagliacarte). Accortissimo e asciutto il dialogo, frequente e abbondante, si direbbe quasi un Raymond Carver ma con impennate immaginifiche e divertenti. In questi racconti quando si parla daltro si parla molto damore e persino di buoni sentimenti, magari a contrasto con una societ sovraccarica di avidit e di corruzione. La suspense non manca, condotta magistralmente e sciolta quasi

Francesca Lazzarato

Marius Szczygiel Fatti il tuo paradiso


traduzione di Marzena Borejczuk nottetempo pp. 340, 17,50 Marius Szczygiel un giornalista polacco. E i suoi libri in Italia ne sono usciti tre, tutti da nottetempo, Gottland (2009), Reality (2011) e questo Fatti il tuo paradiso si inscrivono allinterno delle due coordinate: giornalismo e Polonia. Detta cos, non si capirebbe il successo italiano di reportages nei quali si incontrano personaggi e luoghi ignoti alla gran parte dei lettori. Il fatto che il giornalismo come lo pratica Szczygiel erede di una scuola che ha in Kapuscinski il suo nome pi noto, ma che conta altre figure di eccezionale carisma, come Hanna Krall qualcosa che da noi possiede il fascino delloggetto sconosciuto: un mestiere fondato su una solida preparazione, un costante lavoro di verifica sul campo, una scelta consapevole della prospettiva adottata di volta in volta, una ricerca stilistica che non diventa mai sterile ostentazione della propria bravura (e che, con opportune modifiche, accompagna il testo nel suo passaggio dal giornale al libro). Convinto che sia essenziale non inventare niente (certo, a volte difficile coniugare la bellezza del racconto con la verit, che piena di spazi vuoti, ma larte del reportage consiste appunto nella capacit di riempire gli spazi vuoti senza mentire o a volte di lasciarli vuoti, ha dichiarato in una intervista), Szczygiel segue gli insegnamenti dei suoi maestri, ponendosi di fronte ai propri interlocutori senza giudicarli e senza giustificarli, senza occupare il centro della scena e senza tentare unimpossibile disincarnazione. Cos anche in Fatti il tuo paradiso, dove Szczygiel torna al tema gi indagato in Gottland, lesplorazione di un universo a lui contiguo e tuttavia nella visione comune diametralmente opposto, quello della Cechia (essendo i cechi nella visione comune, 38

Disegni di Roberto Barni

iLIBRI
Michele Cometa La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale
Cortina, pp. 374, 29 Forse uno dei modi di leggere il libro di Michele Cometa guardarlo nella sua concretezza, prendere letteralmente atto del suo peso. Intorno allidea che lkfrasis, la descrizione di unopera darte, lungi dallessere un orpello decorativo sia tanto profondamente coinvolta nei testi letterari da non poter essere trascurata da nessuna futura teoria, Cometa costruisce un vero e proprio oggetto, fitto di citazioni addirittura stordenti ma capace di sterrare autentiche radure di pensiero. A partire dalle Immagini di Filostrato che presupponevano la presenza di giovani interlocutori e avevano dunque una funzione didattica lintrinseca tendenza dellkfrasis quella di superare se stessa. Guardare un quadro e descriverlo significa parlare per aggiunte e sottrazioni, trasformando, traducendo e spesso suggerendo. Ogni descrizione ha mille fessure da cui possono entrare (e uscire) il non-detto e, se non il non-visto, almeno il non-visto del tutto. Scrivere di unimmagine, forse, comporta anche una sovra-scrittura, una sovrapposizione che mette a nudo lo sguardo di chi scrive. Una delle descrizioni pi affascinanti quella della Corsia dellospedale di Arles di Van Gogh da parte del drammaturgo svizzero Michel Mettler: e Cometa (citando Kafka e Thomas Bernhard) ci mostra come quel mondo ospedaliero parli del nostro mondo moderno, sia anzi il nostro mondo moderno. Una simile riflessione torner nel capitolo Lo sguardo sullassente, a proposito della follia di Goya letta da Foucault. Nume indiscusso del pictorial turn contemporaneo ma anche insuperato maestro ekfrastico, come testimonia il celebre testo su Las Menias di Velasquez Foucault lascia rintoccare nella sua descrizione delle opere di Goya il suono delle parole di Artaud e delle immagini di Van Gogh. Difficile in questo poco spazio rendere conto dei tanti altri sentieri del libro, da Hopper-Mark Strand a Vermeer-Gustav Herling, cui si potrebbero aggiungere Tiziano-Zbignew Herbert (il cui A barbariain in the garden uno dei capolavori ekfrastici del Novecento) o Raffaello-Vassilij Grossmann o Joseph CornellCharles Simic. Nella pagina finale del primo capitolo troviamo le istruzioni per luso del libro: il quale si soffermer su kfrasis cos cruciali da trascinare con s questioni che vanno ben al di l della retorica. il caso del Lacoonte, protagonista del capitolo Vedere il dolore: nel quale Cometa ci mostra lo statuto agonico tra parola e immagine e in qualche modo la loro difficolt di misura nei confronti del dolore. possibile descrivere un grido?, rendere la disperazione di un padre che muore perdendo i due figli? E come rendere la pena di un corpo morso dal veleno di un serpente? Una simile materialit attraversa anche un altro importante testo del libro: La Madonna del pensiero, dedicato alla Madonna Sistina di Raffaello. La definizione di icona della modernit potrebbe sorprendere, ma i percorsi di sguardi tracciati da Dostoevskij a Heidegger, attraverso una mirabile pagina di Ernst Bloch, ci rivelano quanto il modo di trattare lo spazio dellopera da parte di Raffaello contempli lantimimetismo di Czanne e anticipi addirittura il Cubismo. Cometa consapevole non solo del compito infinito dellkfrasis, ma anche del suo infinito enigma: langelo dellekfrasis non apre solo la porta del Paradiso ma anche la chiude. Chi descrive vede non solo la bellezza, ma il dolore. Se lkfrasis pu animare e pu bloccare, se pu dare istruzioni al quadro a venire (come nel Capolavoro sconosciuto di Balzac) e posare lo sguardo sullassenza, essa contiene in s, pure, il dono avvelenato della non-sottrazione. Chi guarda e descrive non pu fuggire da ci che ha visto se non come il protagonista di Antichi maestri di Thomas Bernhard estinguendo parola e sguardo nella musica. Descrivere ci ferisce anche nostro malgrado: lo sguardo il coltello che colpisce per primo chi lo usa. Antonella Anedda tiene unambigua relazione con il potere, istituzionale o finanziario (ammesso che si possano distinguere), ma che nondimeno coltiva una distanza, una volont di salvaguardia delle proprie interne ragioni che ha sin qui resistito agli assalti di quanti sociologi, attivisti, radical thinkers ne ha variamente predetto lestinzione. Questo panorama il recalcitrante

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Come se si trattasse ora di prendere congedo da un insieme di ipotesi per avviare il disegno di un nuovo quadro di riferimento. Qui possibile appena nominare alcuni di questi interrogativi, giusto per farsi unidea della loro portata. Si tratta del rapporto tra

oggetto di indagine del volume di Stefania Zuliani, che affronta le complesse relazioni tra istituzioni museali, teoria e critica darte, incuneandosi nellinterstizio tra campo artistico e campo sociale senza cedere alla tentazione di annettere il primo al secondo, sino a rendere la questione dellopera darte, del suo spazio discorsivo ed esperienziale, superflua o pateticamente attardata. Se il punto di vista risolutamente attuale ricorrono nel libro riferimenti a mostre, eventi e testi recentissimi , si tratta per Zuliani non tanto di costruire unennesima tassonomia critica, quanto di far emergere e interrogare la problematicit di figure e istituzioni che del mondo dellarte costituiscono oggi di fatto lossatura fondamentale: il museo e il curatore. A questultima figura in particolare, un artista radicalmente secolarizzato secondo lacuta definizione di Boris Groys, Zuliani dedica alcune delle pagine pi efficaci del libro, mettendo in luce lirrisolto groviglio in cui si muove lazione curatoriale, soprattutto quando praticata direttamente dagli artisti. Figura emblematica dellepoca che attraversiamo, nel curator si riassume in effetti la contraddittoria convergenza tra laspirazione a rinnovare in permanenza le possibilit di lettura e apprezzamento estetico e linevitabile effetto di asseverazione che ogni cura esplica nei confronti del sistema di riferimento entro cui si muove e prende senso. la ben nota aporia postmoderna: se ogni forma critica finisce per rafforzare il sistema che cerca di modificare o abbattere, quale spazio rimane per la differenza? Una questione, come sottolinea a ragione lautrice, che interroga direttamente il ruolo dellarte nella societ attuale e si proietta dal piano estetico a quello pi propriamente politico. Stefano Chiodi

guerra e cultura occidentale (del fondamento bellico di questultima); del rapporto tra principi morali e concrete pratiche sociali (in relazione alla cui contraddittoriet Dal Lago parla di dissonanza cognitiva); degli effetti della secolarizzazione (del ritirarsi della presa del sacro sulle istituzioni umane che determina la sacralizzazione delle istituzioni laiche e la denegazione della loro crudelt); delle conseguenze della metamorfosi novecentesca della guerra, a seguito della sua mondializzazione. E, soprattutto, della ricostruzione del processo di neutralizzazione e occultamento della guerra, connesso alla sua esternalizzazione (la guerra si combatte ormai in luoghi remoti, lontani dalla nostra quotidianit) e al suo divenire una normale caratteristica delle societ occidentali. Il paradosso di questa progressiva rimozione (lemma ricorrente nel testo) che essa culmina proprio quando la guerra diviene totale, pervasiva, illimitata. Dal Lago spiega, nelle sue pagine pi riuscite, come invisibilit, afasia e indifferenza trionfino al cospetto di un fenomeno non circoscritto e quindi indefinibile e inesprimibile: unintuizione che circola gi nelle ultime riflessioni di Foucault, autore a lui caro, e che qui egli approfondisce. Che cosa ne emerge? Un fermo atto di accusa intellettuale e morale verso la complice indifferenza degli spettatori, cio dellopinione pubblica, cio di noi tutti, a cominciare dagli intellettuali democratici fautori delle guerre umanitarie. Cos torniamo al tema di apertura. Centrale resta la complicata questione di che cosa significhi essere spettatori nella societ dello spettacolo, e di quali responsabilit morali e politiche a questo ruolo si leghino. Alberto Burgio

Alessandro Dal Lago Carnefici e spettatori. La nostra indifferenza verso la crudelt


Cortina, pp. 220, 13.50 La questione che sin dal titolo questo agile saggio critico pone una delle pi complesse fra quelle lasciate in eredit dal Novecento, secolo armato che, come Dal Lago annota, ha prodotto con le sue guerre pi vittime di quelle causate da tutti conflitti precedenti. Carnefici e spettatori, quasi una citazione di un celebre studio di Raul Hilberg: e il problema riguarda soprattutto il ruolo dei secondi, posto che la funzione dei primi pare di per s inequivocabile. Il libro snocciola unenorme massa di interrogativi. Questo un merito, bench non a tutte le domande sia data una compiuta risposta. Limpressione che lautore abbia avvertito il bisogno di chiarire, intanto a se stesso, la nuova forma che i temi della sua ricerca, da anni incentrata sulla guerra, sono venuti assumendo nel corso dellultimo decennio (a partire dalle guerre democratiche contro lAfghanistan e lIraq di Saddam Hussein), man mano che limpiego delle armi da parte dei paesi occidentali veniva definendosi in base a un nuovo paradigma ideologico, politico e giuridico. 39

Stefania Zuliani Esposizioni. Emergenze della critica darte contemporanea


Bruno Mondadori, pp. 136, 12 Quello che sta emergendo in questi anni che effettivamente il sistema sta diventando il vero protagonista, il vero elemento di drammaturgia: gli artisti trovano spazi, ma trovano spazi allinterno di una costruzione sempre di pi appunto la fiera, il mercato, listituzione. Il sistema sta assumendo unimportanza maggiore della produzione stessa. Questa considerazione di Antoni Muntadas, artista e acuto osservatore dei meccanismi sociali e politici contemporanei, ben descrive la condizione del mondo dellarte del nostro tempo: un sistema che partecipa di alcune delle logiche profonde del tardo capitalismo a partire da quella economia creativa fatta di velocit e continue ibridazioni che innerva i processi di consumo, obsolescenza, visibilit ecc. , che intrat-

Ripoliticizzare la decrescita

Considerazioni a partire dalla Conferenza di Venezia

Marino Badiale, Fabrizio Tringali

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Mensile di intervento culturale Novembre 2012 Numero 24 Anno III euro 5,00

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Il primo mensile con un supplemento quotidiano

IPERREALISMI politica e reality IPERCORPI paralimpiadi e postumano IPERGIOCHI unaddiction di massa IPERTV documentari e serial

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, LO/MI

Roberto Barni

Q uestanno la Conferenza internazionale sulla decrescita, ormai giunta alla terza edizione, si tenuta in Italia, a Venezia, dal 19 al 23 settembre. Senza dubbio liniziativa stata un successo: circa 700 partecipanti provenienti da 47 paesi diversi, et media piuttosto bassa (pi di un terzo degli iscritti aveva meno di 30 anni), grande partecipazione sia alle assemblee plenarie sia ai workshop (pi di 80 in tre giorni), circa 180 papers discussi. Tutto ci, unito alla capacit dimostrata dagli organizzatori, prova che anche in Italia il movimento della decrescita, nelle sue varie componenti, ormai una realt ben consolidata. Un risultato di questa portata comporta anche, come ovvio, una grande responsabilit: quella di far crescere e fruttificare le potenzialit che il movimento ha dimostrato di avere, riuscendo a incidere effettivamente sulla realt politica, a livello sia nazionale sia internazionale. Il pensiero della decrescita ha certamente la possibilit di sparigliare le carte della lotta politica tradizionale, imponendo unagenda non riducibile agli schemi concettuali che hanno segnato gli antagonismi del Novecento, in particolare quello fra destra e sinistra. Ma affinch la decrescita possa sviluppare le sue grandi potenzialit, probabilmente necessario un ulteriore sforzo di focalizzazione di alcuni nodi concettuali. vero, infatti, che il movimento della decrescita appare oggi gi ben attrezzato per unazione efficace su questioni concrete e locali (buone pratiche di vita, difesa dei beni comuni), e questo senzaltro uno dei suoi aspetti migliori, che lo rende molto diverso dai tanti gruppuscoli sempre pronti a definirsi rivoluzionari nelle intenzioni e negli slogan, ma mai capaci di esserlo nella realt della vita. Ed altrettanto vero che allinterno del movimento si sta elaborando una riflessione, difficile e impegnativa, sugli aspetti filosofici e antropologici di fondo che stanno alla base del nostro mondo globalizzato e della sua deriva verso lautodistruzione. Ci che sembra mancare, in particolare tra gli attivisti e gli intellettuali italiani, una teorizzazione di livello, diciamo cos, intermedio fra le pratiche concrete, da una parte, e la problematica del superamento degli schemi generali del pensiero del nostro Occidente globale, dallaltra. Una teorizzazione intermedia di questo tipo quella che ruota attorno alla nozione di capitalismo (o magari di modo capitalistico di produzione). Non che questi temi siano del tutto assenti nelle riflessioni decresciste, tuttavia spesso appaiono un po sfocati o addirittura sovrapposti a quelli di Occidente o di Modernit. In questo modo si corre il rischio di perdere di vista gli snodi storici e teorici da cui originano le trasformazioni della societ capitalista, tra cui, per esempio, il passaggio, avvenuto a cavallo tra la fine degli anni Settanta e linizio degli anni Ottanta del Novecento, dal capitalismo riformista-keynesiano del dopoguerra a quello neoliberista-globalizzato dellultimo trentennio. Non ci stiamo impuntando su uno sfizio teorico. Stiamo sottolineando che la messa a fuoco delle ragioni e degli effetti di quel passaggio nodale assume oggi fondamentale importanza per la comprensione dei drammatici problemi che abbiamo di fronte. Infatti, con linstaurazione del capitalismo neoliberista e globalizzato che il capitale, pressato dallesigenza di autovalorizzazione e incapace di soddisfarla nelle forme tipiche del trentennio precedente, avvia una dinamica in cui, da una parte, sviluppa forme sempre pi pervasive di finanziarizzazione (sia per trovare nuovi impieghi profittevoli, sia per sostenere con il credito un certo livello di consumi), mentre dallaltra parte invade nuove sfere sociali (la scuola, la sanit, lo sport vengono forzati, in un modo o nellaltro, a sottomettersi a una logica di tipo aziendale), fino a configurarsi come capitalismo assoluto1: la societ, cos come la natura, sono interamente sussunte alle esigenze di autovalorizzazione del capitale. Ci ne altera inevitabilmente, speriamo non irreversibilmente, gli equilibri vitali. Si tratta, certo, di dinamiche che erano gi potenzialmente presenti nelle fasi precedenti dal capitalismo, ma che appunto solo negli ultimi decenni hanno potuto dispiegarsi compiutamente, con forza devastante, senza che nessuna realt antagonista sia stata capace di opporre forme di resistenza efficace e soprattutto visioni alternative sufficientemente elaborate e credibili. Un altro livello concettuale intermedio che sembra non ancora messo a fuoco nella riflessione interna al mondo della decrescita, quello che riguarda lo Stato e le sue istituzioni. A Venezia si visto con chiarezza quanto questo mondo offra un patrimonio di idee ed esperienze vastissimo per quanto riguarda la partecipazione democratica, lo sviluppo dei movimenti dal basso, la creazione di legami paritari dentro di essi, lo sforzo di presa di parola da parte di soggetti ai quali la voce stata a lungo sottratta. Ma questa grande ricchezza pratica e teorica sembra avere qualche difficolt a tradursi sul piano della lotta politica, della rappresentanza, delle istituzioni democratiche. Si tratta, comprensibilmente, di un ambito che guardato con sospetto da quanti lottano per il cambiamento, dato che oggi, in tutto lOccidente e non solo in Italia, il sistema politico-istituzionale occupato da un ceto politico ripugnante, dedito solo alla cura dei propri interessi e totalmente prono alle richieste delle lite dominanti delleconomia. Resta tuttavia il fatto, ineludibile, che per produrre cambiamenti reali allo stato di cose presenti, le buone pratiche della decrescita devono potersi tradurre in buone leggi generali e in buone istituzioni politiche. Questo relativo disinteresse verso lorganizzazione, il funzionamento e le istituzioni dello Stato, talvolta motivato con largomento che la realt della globalizzazione ha

reso inefficace e obsoleto il potere dello Stato-nazione tradizionale. Si tratta per di un argomento che facile rovesciare: probabile che nessuno, nei vari movimenti anti-sistemici, abbia lingenuit di ritenere la globalizzazione un dato di natura, una realt sorta per inevitabile necessit. La globalizzazione la forma attuale che ha assunto il progetto politico dei ceti dominanti internazionali, finalizzato a mantenere il loro potere anche dopo i mutamenti nelle condizioni economiche, sociali e geopolitiche intervenuti negli anni Settanta (qui si vede come il tema presente si colleghi a quello precedente sulla necessit di mettere a fuoco la dinamica interna del capitalismo nella seconda met del Novecento). E se tale progetto ha bisogno dellindebolimento dello Stato-nazione tradizionale per potersi dispiegare, questo dovrebbe essere un buon argomento in difesa delle sovranit nazionali. Per muovere ovunque le loro merci e i loro capitali, senza incontrare barriere o limiti, i ceti dominanti abbattono le frontiere (politiche ed economiche) e scatenano la concorrenza a livello planetario, spingendo una corsa al ribasso dei diritti dei lavoratori e dei livelli di vita dei ceti medio-bassi, e finendo per applicare una ripugnante divisione del lavoro al mondo intero: regioni adibite alliper-produzione a basso costo, altre al consumo ossessivo-compulsivo, altre ancora relegate al ruolo di discariche di rifiuti tossici, e cos via. Di fronte a tutto ci la reazione di chi voglia opporsi ai ceti dominanti e al loro capitalismo necrofilo dovrebbe essere, a nostro avviso, la strenua difesa dello Stato-nazione, non come valore assoluto e astorico, ma come concreta, fattuale, barriera politica capace di essere, in questa fase, ostacolo al pieno dispiegamento del capitalismo assoluto, e, nella prossima, culla di una nuova forma di democrazia partecipata e armonica con la natura. Del resto, uno dei pilastri del pensiero della decrescita la difesa dei beni comuni e la loro de-mercificazione. Ma per sottrarre lacqua, lo sfruttamento del territorio, la salute, i trasporti, alle logiche del profitto economico necessario un settore pubblico, statale, delleconomia che se ne faccia carico. Il movimento per lacqua pubblica nato in occasione dei referendum del giugno 2011 ha insegnato a tutti noi come sia possibile proteggere un bene comune mantenendone la gestione allinterno del settore pubblico, spogliandone ogni forma di possibile lottizzazione o mercificazione grazie a gestioni aperte, trasparenti e partecipative. Purtroppo in alcuni settori del movimento della decrescita emerge una sottovalutazione dellesigenza di un forte ruolo dello Stato nelleconomia, senza il quale gli obiettivi che lo stesso movimento pone diventano irrealizzabili: pensiamo per esempio alla diminuzione del tempo dedicato al lavoro oppure allabbassamento della domanda di energia ed alla sostituzione delle fonti fossili e inquinanti con quelle rinnovabili. A sua volta, per poter assegnare un forte ruolo al settore pubblico delleconomia necessario che lo Stato recuperi piena sovranit nelle politiche economiche e monetarie, liberandosi dai vincoli imposti dallappartenenza alleuro e allUnione Europea. Infine, per fare un esempio concreto di un approccio politico che potrebbe entrare in sinergia col movimento della decrescita, citiamo la proposta (fatta da Badiale e Bontempelli qualche tempo fa in alcuni scritti) di porre la Costituzione della Repubblica Italiana come elemento di base di una possibile forza politica antisistemica in Italia. Perch la Costituzione? Perch essa rappresenta un risultato di alto livello della temperie culturale nella quale nasce, e proprio per questo esprime una serie di valori e istanze in totale contrasto con la realt del capitalismo attuale. In sostanza essa prevede forti elementi di limitazione del pieno dispiegarsi della logica capitalistica, perch, per esempio, assume che lorganizzazione del settore privato delleconomia debba comunque rispondere a finalit sociali. Nel dopoguerra tali aspetti venivano, ovviamente, declinati in chiave di riformismo socialdemocratico: sviluppo economico e aumento dei consumi. Ci non toglie che essi possano oggi essere riletti in una chiave diversa, appunto quella del contrasto al pieno dispiegamento della logica del capitalismo assoluto e quindi, in sostanza, in unottica anticapitalistica. Non a caso le proposte di modifiche della Carta che attualmente emergono dal mondo politico sono tali da rimettere in discussione quei princpi (pensiamo, per esempio, agli attacchi allarticolo 41), oltre a quelli relativi alla divisione dei poteri. Si comprenda bene: la nostra Costituzione, allepoca in cui fu scritta, aveva poco o nulla di anticapitalistico. Essa si accordava molto bene con la logica del capitalismo riformista-keynesiano del Trentennio dorato seguito alla Seconda guerra mondiale. Ma quella forma di capitalismo stata travolta dalla crisi degli anni Settanta ed stata sostituita dallattuale capitalismo neoliberista-globalizzato. In questa nuova situazione, gli spunti costituzionali che allepoca semplicemente traducevano istanze riformistiche potrebbero diventare ora, se usati da un movimento politico che sapesse sfruttarne questa valenza, leve per la messa in crisi dellattuale organizzazione sociale. Ma un tale tipo di capacit politica di uso della legge fondamentale dello Stato pu essere assunto solo da un movimento politico che riesca a focalizzare con precisione i temi che abbiamo qui accennato. Sono questi, noi crediamo, alcuni dei temi che la riflessione teorica del movimento della decrescita dovrebbe porsi.

LA PAZIENZA DI OCCUPY - GI LE MANI DALLA 180 - TRAGEDIA GRECA POESIA FRANCIA - DESIGN IN CUCINA - RIPOLITICIZZARE LA DECRESCITA
ILIBRI

: 4 PAGINE DI RECENSIONI SUPPLEMENTO SPECIALE ALFACAGE IL GRANDE EVERSORE

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