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De Lubac e il soprannaturale
di Francesco Bertoldi da De Lubac, Cristianesimo e modernit, cit., cap.3.
30/04/13
conseguenza, creare una societ pienamente umana (= a misura della natura umana), in cui il Cristianesimo godesse delle stesse chances concesse a qualsiasi altra weltanschaung che accettasse alcuni requisiti minimi . Pi consono alla mentalit della nuova impostazione era invece, dentro una percezione pi drammatica e concreta dello stato effettivo dell'uomo da un lato, e del valore prezioso e non dissipabile del Cristianesimo dall'altro, un'azione politica che puntasse pi sulla lievitazione cristiana della societ che su strutture istituzionali presupposte asettiche, miranti ad un "livello naturale minimo".
30/04/13
ci inadeguato, insufficiente. Occorre secondo lui distinguere con pi precisione tra natura e grazia, tra umano e divino. b. D'altro lato la distinzione non deve diventare separazione: l'ordine della natura trova il suo Centro e il suo Senso definitivo solo nel soprannaturale, che lo trascende, certo, ma non perci qualcosa di accessorio. Su questo punto S.Tommaso a non aver insistito abbastanza : la sua attenzione si sofferma un po' troppo, per de Lubac, sul livello naturale, tanto che nel soprannaturale egli rischia di non vedere che un coronamento, tutto sommato poco incidente, della natura. Nel noto adagio tomista, gratia naturam perficit, de Lubac vede soprattutto il termine naturam , che la grazia deve "supporre", mentre il perficit inteso come un suggello ultimo. ()
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bastato, l'avrebbe saziata. Questo sarebbe stato possibile, lo abbiamo gi detto. Ma cos non stato: cos di fatto non . Il fine che Dio ha liberamente scelto per le sue creature intelligenti soprannaturale. A quale condizione allora il soprannaturale poteva interessare la creatura intelligente? A condizione che in essa ve ne fosse il desiderio: tanto semplice! Se l'uomo non avesse in s che il desiderio del finito, del finito si appagherebbe, e non saprebbe che farsene dell'Infinito. Ecco allora la tesi di de Lubac: dato che Dio ha di fatto voluto elevare l'uomo a S, all'Infinito, per spingere l'uomo a non accontentarsi del finito, gli ha posto nel cuore il desiderio dell'Infinito, il desiderium naturale videndi Deum . Il desiderio dell'Infinito non obbliga Dio, se non a ci che Lui stesso ha scelto. Non il desiderio di Infinito ad obbligare l'Infinito a concederci S stesso (quasi fosse un Fato, pi forte dello stesso Zeus), ma la scelta dell'Infinito di concedersi a noi, che gli ha fatto decidere di farsi desiderare. Il primum non il mezzo (=il desiderio), ma il Fine. L'uomo ha dunque in s il desiderio di qualcosa, che supera la sua natura, ha in s il desiderium naturale videndi Deum ; che non qualcosa di estrinseco al mio io, alla mia reale umanit, alla mia natura: "Questo desiderio non in me un 'accidente' qualunque. Non mi proviene da qualche particolarit, forse modificabile, del mio essere individuale, o da qualche contingenza storica, con effetti pi o meno transitori." E' invece inscritto nel pi profondo costitutivo della mia struttura umana, e di essa anzi il centro e il cuore. Tutto l'umano desiderare ultimamente mosso da questa aspirazione unitaria, da questa sotterranea, ma impetuosa spinta verso la felicit piena e infinita . A tal punto che la frustrazione di questo desiderio non ci lascerebbe affatto indifferenti, ma costituirebbe la principale fonte della nostra infelicit , del nostro tormento (l'inferno 'luogo' di sofferenza appunto per la mancanza di quella visione di Dio, che il cuore della felicit umana, ben pi che per qualsivoglia forma di sofferenza particolare). Ne consegue che la natura umana al tempo stesso, e paradossalmente, in s definita, ma non in s chiusa e compiuta; ha una struttura ontologica determinata, che tuttavia la protende ad aprirsi ad un compimento pieno oltre s stessa. ().
30/04/13
l'imprescindibile chiave interpretativa. Ci si potrebbe chiedere se egli non abbia corso il rischio di sfumare troppo i confini tra i due ambiti . Ma noi qui dobbiamo limitarci a confrontare la sua concezione, test riassunta per sommi capi, con quella di de Lubac. Certo anche de Lubac ha combattuto l'estrinsecismo che separava natura e soprannaturale , e anche de Lubac si sforza di conseguenza di mostrare come tra umano e divino non ci sia estraneit o ostilit. La differenza per non pu non apparire evidente. Per de Lubac la natura umana (questa nostra storica natura) a desiderare il soprannaturale, Dio nella Sua stessa divinit. Per Rahner la natura in quanto tale abbisogna di un aiuto ulteriore per potersi protendere verso l'Infinito, anche se poi tale aiuto viene in qualche modo a diventarle tanto intrinseco da appartenerle. Ne segue che anteriormente all'incontro con Cristo per de Lubac il soprannaturale semplicemente desiderato dalla natura umana, dal cuore dell'uomo, laddove per Rahner esso (in qualche modo) posseduto. E desiderio e possesso non ci sembrano la stessa cosa! Se con de Lubac si afferma che il soprannaturale semplicemente desiderato allora l'incontro storico con la visibilit di Cristo sar qualcosa di insostituibile, conserver un'importanza decisiva; se invece con Rahner si ritiene che il soprannaturale sia gi intrinseco all'uomo, ad ogni uomo, allora diventa secondario l'incontro con una oggettivit esterna che sia, a titolo del tutto speciale, teofanica e, per cos dire, teopartecipativa. ()
30/04/13
soggettivistica, dal momento che non la natura ingloba il soprannaturale, strumentalizzandolo, ma il soprannaturale deborda e abbraccia la natura, facendo leva sul desiderio naturale per "costringere" quella a riconoscerne l'abbraccio totalizzante . Questo imponente primato dell'oggettivit del Disegno divino sul soggettivo riceve il definitivo suggello dall'affermazione, nella linea del pensiero di Paolo, Agostino e Ignazio, che il fine della creazione non soltanto la nostra beatitudine, ma (anzitutto) la Gloria di Dio; di qui un disinteresse e una sorta di de-centramento da s, come sostiene esplicitamente de Lubac, che von Balthasar cita: La beatitudine servizio, la visione adorazione, la libert dipendenza, il possesso estasi In tutti e quattro i casi, l'accento posto su un Centro che precede, deborda e fonda il soggetto finito, e nel Quale questi deve fissarsi. evidente che von Balthasar condivide tale impostazione, e, bench non si sbilanci sulla formulazione "tecnica" di desiderium naturale videndi Deum , crediamo si possa dire che egli la condivide, se non formaliter, almeno eminenter . ()
30/04/13
desiderio pi profondo? 2) Non si spiegherebbe il movente del peccato originale. Se l'uomo non avesse avuto fin dall'inizio il desiderio di Dio, che comporta come logico corollario il desiderio di essere come Dio, la tentazione originaria ("diventerete come Dio", Gn, 3,4) non avrebbe avuto alcuna presa sui progenitori. Se il desiderio umano fosse stato limitato al finito, non gliene sarebbe importato un fico secco dell'Infinito, e di essere come l'Infinito . 3) Non si spiegherebbe nemmeno la crudelt di cui l'uomo capace. La crudelt, cio la volont di far soffrire un altro uomo (o un essere senziente, e quindi capace di soffrire), senza averne alcun tornaconto pratico (economico o di altro genere) presente solo nell'uomo, tra tutti gli esseri della natura. Ora tale crudelt, che ha avuto nel nostro secolo nuove forme per esprimersi in modo particolarmente forte, come nei lager nazisti, nei gulag di ogni tipo che tristemente hanno costellato e costellano il globo, non si spiega se non a partire da una rabbia. , ci sembra, direttamente proporzionale alla rabbia che possiede un certo soggetto umano. La rabbia a sua volta deriva dalla perdita di un certo bene, che si ritiene ingiustamente sottratto. Quanto pi grande il valore del bene sottratto, tanto maggiore sar la rabbia, e quindi la potenziale sete di vendetta, la potenziale disposizione alla crudelt. Ora che cosa pu motivare una rabbia che provochi una crudelt come quella di cui abbiamo avuto lo spettacolo nei lager nazisti? Per giungere a tanto, occorre una causa altrettanto grande. Pu la perdita di un bene finito motivare tale fenomeno? O non sarebbe pi ragionevole vedere nella perdita di un bene infinito la causa della crudelt? Volendo essere Dio, e vedendo di non poterlo essere, l'uomo diventa crudele: questa ci pare la dinamica che spieghi il fenomeno della crudelt. Ma il voler essere come Dio, altro non che un risvolto del desiderio di Infinito, che dunque si trova ad essere ulteriormente confermato. 4)Aggiungiamo da ultimo che il nuovo Catechismo universale della Chiesa cattolica recepisce, pur senza consacrarla in termini troppo specifici, la verit tradizionale che l'uomo per natura desiderio di Dio, alla cui riscoperta de Lubac ha contribuito in misura determinante: "il desiderio di Dio iscritto nel cuore dell'uomo, perch l'uomo stato creato da Dio e per Dio (...) e soltanto in Dio l'uomo trover la verit e la felicit che cerca senza posa" ; il "desiderio di felicit (...) Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo a s, perch Egli solo lo pu colmare"; "Dio ci chiama alla Sua beatitudine" e "la beatitudine ci rende partecipi della natura divina"; e ancora "sin dalla sua creazione l'uomo ordinato al suo fine soprannaturale" . Il problema a questo punto non arrampicarsi sui vetri per salvaguardare una presunta minacciata libert del Creatore, ma stabilire, esistenzialmente, quale importanza vogliamo dare all'Evento cristiano. Quella che viene infatti presentata come una difesa di Dio (della Sua libert), non sar forse pi una difesa da Dio (della nostra indipendenza dalla Sua invadenza)? Se vogliamo riconoscere alla Sua iniziativa nell'Evento cristiano un posto centrale, dovremo dire, con de Lubac, con la Tradizione e con il Catechismo, che la nostra umanit non una sfera separata rispetto ad esso, ma che in esso solo l'umano trova il suo compimento. Se invece riteniamo il Cristianesimo una aggiunta accessoria e marginale, parliamo pure di una natura pura, in s pienamente definita e completa. Per proseguire si veda la scheda sul gioachimismo in De Lubac
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