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the italianist 30 2010 445-482

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Nuova narrativa italiana: 200910


Roberto Carnero

Introduzione

una riflessione profonda, serrata, coraggiosa (perch contro corrente) quella contenuta nellultimo libro di Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero (Laterza, 2010). Vorrei partire da questo libro perch esso pu costituire un utile viatico per lestensore di queste note di critica militante, che ormai da dodici anni accompagna i lettori di The Italianist cercando di informarli su quanto di interessante viene pubblicato in Italia. Infatti anche Ferroni parla, in questo caso, nelle vesti di critico militante. Un critico militante che per forte di una idea precisa di letteratura, in cui la resistenza dellopera e il rapporto con la tradizione sono valori centrali si rifiuta di accondiscendere alle mode effimere di un sistema della comunicazione in cui anche i prodotti letterari (gi questespressione in s la dice lunga) possono essere prodotti, appunto, come tutti gli altri: oggetti da consumare e da buttare, pronti a essere sostituiti da altri oggetti altrettanto caduchi. Il punto di partenza una visita di Ferroni a una recente edizione della Fiera del Libro di Torino (ma la scelta sarebbe potuta cadere su uno degli innumerevoli festival e appuntamenti spettacolari che costellano oggi in Italia il mondo della cultura): lestrema concentrazione numerica di tanti volumi in un solo luogo d al critico un senso di vertigine e lo spinge a pensare a come questo eccesso di libri cos bene emblematizzato nella concretezza di quella circostanza sia in realt una costante quotidiana per chi si occupi oggi di letteratura. Ferroni lo mette subito in chiaro: quantit non significa qualit. E c poco da compiacersi di questa espansione plurale e democratica della produzione libraria. Siamo proprio sicuri che, come recita lo slogan di una fiera della piccola editoria, pi libri significhi automaticamente pi liberi? Ferroni si pone una domanda: C un legame tra leccesso dei libri e la comunicazione del vuoto, tra lespansione illimitata

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della cultura e la sua evaporazione nellillusione pubblicitaria, nellinsulsaggine spettacolare?. Da qui la proposta dello studioso: una critica della comunicazione che sappia porsi in una prospettiva ecologica: Insieme ad una radicale ecologia dellambiente fisico abbiamo sempre pi bisogno di unecologia della comunicazione, che agisca come ecologia della mente, che liberi le nostre menti dagli scarti infiniti che le tengono in ogni momento sotto assedio. Per questo nel quadro di unecologia della comunicazione sempre pi necessaria unecologia del libro e della lettura, capace di operare distinzioni nellimmenso accumulo del materiale librario prodotto. Ferroni sottolinea infatti come anche il libro possa aggiungere altro veleno a quello che ci viene propinato dagli altri mezzi di comunicazione. Il critico ha ben chiara la distinzione tra la letteratura cattiva (una letteratura che collabora allo scarto, che non fa altro che ruotare intorno alla comunicazione gi data, che non fa che cercare occasioni di presenza, producendo materiale da consumare, offrendo scritture a perdere) e quella buona (una letteratura che cerca lessenziale, che scava in questo eccesso della comunicazione, che fa i conti con le lacerazioni del presente e chiama in causa i limiti e le derive del mondo, ne interroga il destino). Affinch il discorso non rimanga troppo teorico, Ferroni passa poi a esemplificare. Buttando gi dal piedistallo autori osannati dal pubblico e spesso anche dalla critica (da Paolo Giordano a Margaret Mazzantini, da Tiziano Scarpa a Walter Veltroni), dichiarando la propria motivata predilezione per lautofiction (Ermanno Cavazzoni, Fabrizia Ramondino, Walter Siti) e la narrativa breve (Giovanni Martini, Francesco Pecoraro, Silvana Grasso, Andrea Carraro, Giorgio Falco), a fronte dello strepito prodotto da voluminosi romanzi storici e noir. Che pretendono di raccontare la realt, invece molto spesso raccontano solo se stessi, il narcisismo dei loro autori e la perversa complicit di chi li esalta.

La necessit del padre

Sembra che la narrativa italiana in questi ultimi anni abbia ripreso a confrontarsi con la figura del padre. Con il suo libro precedente, Stabat Mater (vincitore nel 2009 del premio Strega), Tiziano Scarpa aveva svolto unintensa, serrata riflessione sul tema della maternit. Ora il nuovo romanzo, Le cose fondamentali (Einaudi, 2010), affronta lesperienza della genitorialit dal punto di vista maschile, cio da quello del padre. Il protagonista un certo Leonardo Scarpa (ma ci assicura lautore non si tratta di un personaggio autobiografico, anche perch lo scrittore non ha figli), il quale, quando sua moglie partorisce un bambino, Mario, decide di scrivere una sorta di diario che il ragazzo dovr leggere quando compir quattordici anni. Si mette cio a parlare non al neonato, ma al figlio adolescente,

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immaginandosi come questi sar in quellet difficile e sperando che le sue parole possano aiutarlo ad affrontarla. Ci impedisce a Leonardo di vivere nel presente le gioie della paternit, ossessivamente proiettato com sullincerto futuro di suo figlio. Glielo rinfaccia con franchezza, e anche con una certa dose di cinismo, un amico, Tiziano (e qui capiamo che lautore ha voluto, per cos dire, sdoppiarsi in questi due personaggi). Tiziano non ha figli, non ne ha mai voluti e anzi prova una certa insofferenza nei confronti degli entusiasmi dei neogenitori. Ma Leonardo continua imperterrito a scrivere al figlio: Forse scriverti una reazione alla novit inaudita del tuo arrivo su questo mondo, una conseguenza necessaria della tua nascita, non posso interrompermi, non posso farne a meno. Poco pi avanti riflette: come quando sei innamorato: vuoi vedere la persona che ami, ma le vuoi anche telefonare, e scrivere messaggini, e mandare mail, e spedire lettere, tutto quanto, il pi possibile, contemporaneamente. A un certo punto, per, la vicenda vira bruscamente: il piccolo Mario ha una febbre che non passa, il pediatra consiglia un banale antipiretico, ma la mamma non si fida e decide di portarlo al pronto soccorso. L la diagnosi inaspettata: leucemia. Il bimbo viene seguito da un medico donna molto bravo e scrupoloso. Una soluzione sarebbe il trapianto di midollo. Quello della madre per non si rivela compatibile. Ma la sorpresa pi grande sar determinata dagli esami su Leonardo: il padre biologico del bambino non lui. Per luomo si tratta a questo punto di un doppio trauma: la grave malattia del bambino che credeva suo figlio e la scoperta che Mario non gli appartiene. Che cosa far Leonardo? Forse abbiamo gi raccontato troppo della trama, e per non far torto allautore e ai suoi lettori non andiamo oltre. Anche perch, tra laltro, il finale aperto. La storia, avvincente e ben congegnata (oltre che scritta con quelloriginalit stilistica, sempre sorprendente, alla quale Scarpa ci ha abituati fin dai suoi esordi), fornisce tutta una serie di spunti riflessivi che lautore ha saputo cogliere. Sempre in maniera non convenzionale, attraverso immagini potenti (come quella della prima scena del libro, in cui il padre vorrebbe allattare il figlio che piange, cercando di sfidare lincapacit del corpo maschile a nutrire il bambino) e sprazzi riflessivi che sono forse la cifra pi nuova dellultimo Scarpa (lautore di questo e del precedente romanzo). Lincapacit degli adulti di dialogare veramente con i figli, linsensibilit di questi ultimi nei confronti dei discorsi dei primi, il mistero di un passaggio di consegne tra generazioni che non mai un mero dato biologico. Sullo sfondo scorre il romanzo di formazione del protagonista, attraverso la voce narrante di Leonardo, il quale ripercorre il proprio essere stato figlio negli anni delladolescenza, in cui aveva cercato, per differenza, di trovare la propria identit nella contrapposizione con i genitori. Attraverso scelte sentimentali e professionali a questi incomprensibili, magari anche derise perch non capite. Ma per lui quello era lunico modo per costruire il proprio s.

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Allincrocio tra i diversi motivi del libro centrale la riflessione sulla paternit. Sono padre, ho pensato. una cosa che mi fa effetto. Una di quelle parole che avevo sempre considerato da fuori, senza mettere in conto che un giorno sarebbe potuto arrivare qualcuno (tu) in grado di entrarci dentro riempiendola di significato, riflette a un certo punto il protagonista. Ma che cosa significa essere padri? C una differenza sostanziale tra il genitore biologico e quello adottivo? Fare un figlio considerato un atto di fiducia nellumanit. Secondo me il contrario. Proprio perch non sei soddisfatto dellumanit che c gi, ne metti al mondo di nuova. Non affronti un problema esistente, ma ne crei un altro, un figlio, un problema nuovo, dando il meglio di te (e non soltanto il meglio) per risolverlo. Non migliori la vita a chi gi vivo: fai nascere qualcuno a cui vivere potrebbe risultare assai sgradito. I veri genitori, quelli che amano lumanit, sono i genitori adottivi. Il vero padre, in altre parole, quello che sceglie di esserlo. Al di l del fatto che ci abbia messo lo spermatozoo. Essere padre ha a che fare con la responsabilit di una scelta, con lassunzione di un ruolo nei confronti di una persona che si disponibili ad aiutare a crescere. La societ per non sembra riconoscere la delicatezza di questo compito: Per adottare un figlio si fa una quantit di test ai candidati genitori, mentre chiunque voglia mettere al mondo un bambino suo pu farlo senza passare nessun esame. Oltre a quello della paternit, laltro motivo che, seppure in maniera meno immediata, emerge con forza nel libro, soprattutto nelle ultime pagine, ha a che fare con larte e il suo ruolo di conoscenza. Per far capire a Leonardo che, in un certo senso, poco importa aver saputo che Mario non suo figlio e al limite anche sapere, in futuro, chi sia il vero padre del bambino, Tiziano lo porta con s a Basilea, convincendolo a visitare un museo in cui sono custoditi alcuni dipinti del pittore tedesco della prima met del XVI secolo Hans Holbein il Giovane. In particolare ce n uno in cui sono ritratti la moglie e i due figli dellautore. Tiziano a Leonardo: Non gli bastato sposarsi e concepire due bambini. Li ha fatti entrare nelle sue opere. Devi farlo anche tu. Essere padre ha a che fare con la creativit, presuppone una certa dose di invenzione, immaginazione, fantasia. E lartecompresa la scrittura ha la capacit di promuovere questa intuizione. Il libro di Tiziano Scarpa ha il merito di interrogarsi in profondit sulle grandi questioni dellesistenza (le cose fondamentali del titolo) attraverso le immagini emblematiche della storia che racconta. un libro di straordinaria intensit emotiva, nella sobriet di una scrittura essenziale e mai sopra le righe, lultimo romanzo di Giuliano Compagno, Memoria di parte (Coniglio Editore, 2009). Unintensit di adesione psicologica di cui non d conto il sottotitolo, che farebbe quasi pensare a un saggio: Vivere e sentire di un grande avvocato. Il fatto che lavvocato di cui si tratta Giovanni Battista

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Compagno, il padre dellautore, che dunque ha scritto un libro di memorie familiari, dedicato alla figura del genitore. Giovanni Battista Compagno stato uno dei pi importanti avvocati del Novecento, esperto di diritto civile e in particolare di diritto delle acque e delle bonifiche. Nato a Palermo nel 1924, laureatosi a pieni voti nellUniversit di quella citt appena finita la guerra, alla carriera accademica preferir lavvocatura, concepita come autentica vocazione professionale. Nel libro per la dimensione del lavoro del protagonista ricostruita sempre in relazione a quella privata, personale, familiare. Anzi, proprio questo aspetto quello preminente, e nello sguardo dellautore colpisce come, al di l di tutto il bagaglio psicanalitico che segna negativamente, nella narrativa contemporanea, il rapporto tra padri e figli, qui Giuliano Compagno sia stato in grado di offrire della figura paterna un ritratto affettuoso, unautentica elegia del sentimento filiale. Del padre vengono ripercorsi gli anni dellinfanzia e delladolescenza in Sicilia, con le ristrettezze economiche di una posizione familiare piccoloborghese negli anni del fascismo, i parenti, gli amici, e poi, dopo il trasferimento a Roma, il rapporto ambivalente con la terra di origine: Atterri sempre con gran piacere a Punta Raisi ma ti levi in volo verso Roma con un senso di appagamento infinitamente maggiore. Anche perch la pervasivit del fenomeno mafioso porr sempre pi una barriera tra lui e i conterranei: A parte poche eccezioni, sei costretto a subire lipocrisia di chi rimasto: quella di chi sillude di cambiare le cose; quella di chi finge che il problema non esista; quella di chi nega le proprie evidenti collusioni. Una vita intensa, segnata anche dal lutto, quando muore prematuramente, nel 1987, laltro figlio, Enrico. Giovanni Battista Compagno scomparir nel 2003, dopo che aveva maturato, negli ultimi anni, un crescente distacco dalla societ italiana: A te che sempre pronunciavi nomi e cognomi, Silvio Berlusconi appariva come il segno preciso di un decadimento culturale. E non poteva essere altrimenti. Appartenevi a quelleccezionale generazione che non aveva mai separato il proprio destino dallaltrui, che non aveva rubato al prossimo, creato societ fasulle o issato la propria ignoranza a vessillo di autonomia, ma che aveva fatto della propria cultura il solo credibile simbolo di liberazione. In questo modo la specifica vicenda del padre, che ha attraversato buona parte del secolo breve, diventa per Giuliano Compagno lo spunto per un ritratto generazionale capace di confrontarsi con la storia italiana del Novecento. Tutta mio padre (Bompiani, 2010), il nuovo romanzo di Rosa Matteucci, si apre, in una sorta di prologo, con un passaggio durissimo e impietoso sulla morte del padre della protagonista, che ha lo stesso nome e cognome dellautrice. Questultimo dato ci lascia supporre che si tratti di un racconto per gran parte autobiografico. Ma il dato in s non poi cos importante, perch ci che conta

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che la scrittrice ha saputo comporre unopera molto intensa (a tratti feroce) sul rapporto, lungo gli anni, tra una figlia e un padre. In ci, dunque, il tema decisamente universale. Il libro tutto un lungo flashback in cui la voce narrante racconta, a partire dallinfanzia, la propria sgangherata famiglia. Una madre scampata da ragazza, quasi per miracolo, a una malattia mortale, che vive come sospesa tra la realt e il sogno, ben poco radicata nella vita concreta. Una sorella nominata solo di sfuggita. Ma soprattutto lui, il padre. Un uomo fondamentalmente buono, ma anche decisamente inetto, incapace di arginare con iniziative efficaci la decadenza economica di una famiglia prima temuta e rispettata per il ruolo sociale e per la ricchezza che possedeva. Il padre di Rosa crede nella reincarnazione, organizza sedute spiritiche, malato di gioco dazzardo. Ama circondarsi di personaggi strambi come lui, altri falliti nei confronti dei quali sembra nutrire una speciale empatia. In questo contesto familiare fatto di memorie nobiliari e triste miseria, cresce Rosa, attraverso il cui sguardo vengono ricomposti i frammenti delle storie di tutti i suoi parenti. La bambina sveglia e intelligente, ma la situazione in cui vive produce in lei un dolore fortissimo, che, al di l delle tonalit a tratti espressionistiche e grottesche, forse il vero tema centrale del romanzo. Una sofferenza esistenziale a cui non fa da argine una fede religiosa vissuta fin da bambina in maniera conflittuale: esasperatamente drammatica , in tal senso, la scena della prima comunione. In alcune pagine tra le pi riuscite, la protagonista rilegge a posteriori la propria vicenda, confrontandola con licona biblica di Giobbe, messo a dura prova da Dio. Ma a Rosa il soffrire, alla fine, non sembra aver insegnato alcuna verit sulla vita. Le ultime pagine (in corsivo come quelle del prologo) ripercorrono lintera vicenda dal punto di vista del padre, ritratto sul letto di morte. E anche qui lintensit della scrittura davvero alta.

Ma c anche la madre

Ci sono poi le madri. In Gli ultimi occhi di mia madre (Sironi Editore, 2009) Patrizia Patelli prova a raccontare la figura materna. Quando perdiamo un parente stretto, scattano inevitabilmente rimpianti e rimorsi. Ci accade soprattutto con i genitori, con i quali magari negli anni abbiamo intrattenuto rapporti difficili. A partire dalla malattia della madre, lautrice ripercorre la sua relazione di figlia, tra i problemi e le incomprensioni che lhanno segnata. Un libro duro, che non evita di scandagliare i momenti pi dolorosi. E forse anche una richiesta di perdono. La forza del contenuto resa in uno stile aspro. Nei pronostici della vigilia era dato come favorito per la cinquina del Premio letterario Campiello 2010, ma lultimo libro di Alain Elkann stato sonoramente

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bocciato dalla giuria. Con sommo disappunto dellautore. Si tratta di un testo molto privato, si intitola Nonna Carla (Bompiani, 2009) ed il diario delle ultime settimane della madre, Carla Ovazza, scomparsa nel 2000: la malattia, le cure, il reparto di rianimazione, la scomparsa, il funerale. Oggi riposa nel cimitero ebraico di Torino, a pochi passi dalla tomba dellamico di infanzia Primo Levi. La riflessione di Elkann porta lautore a ricostruire il suo rapporto con la figura materna. Una maternit molto particolare quella contenuta in Accabadora, lultimo romanzo di Michela Murgia (Einaudi, 2009). Una parola utilizzata in Sardegna che viene dallo spagnolo acabar, cio finire. Accabadora infatti, nel dialetto sardo, la figura di una sorta di levatrice al rovescio. Cio una donna che aiuta non a nascere, ma a morire, quasi uneutanasista ante litteram. Non sappiamo se e quanto la realt descritta dalla giovane scrittrice sarda fosse effettivamente diffusa nella sua regione, almeno negli strati della societ rurale e contadina, quella narrata nel libro, in un tempo che rimanda agli anni Cinquanta. Ma di per s non pi di tanto necessario approfondire tale aspetto antropologico per apprezzare lefficacia narrativa di questo romanzo, che affronta, per via di parabola narrativa, temi scomodi e quanto mai attuali, quelli dellaccanimento terapeutico, della sospensione dei trattamenti medici ai malati terminali e anche, nella storia raccontata, delleutanasia attiva. Maria la quarta figlia di una vedova troppo povera per prendersi cura di lei. Cos la affida a una madre danima, cio a unanziana donna rimasta anchessa vedova molti anni prima senza per la consolazione della maternit. Tzia Bonaria (questo il nome della madre adottiva) la accoglie con un affetto sincero che anche la bambina ricambia da subito. La donna fa di mestiere la sarta, ma la piccola non manca di notare certe sue misteriose uscite nel cuore della notte, che riuscir a spiegarsi soltanto molti anni dopo. Tzia Bonaria una accabadora, e, pur con un lacerante conflitto di coscienza, accetter di prestare le sue cure anche a un giovane uomo che non vuole pi vivere dopo che gli stata amputata una gamba. Quando, a diciannove anni (dopo tredici anni passati con Bonaria), Maria comprende di essere lunica in tutto il paese a non sapere questo segreto, decide di fuggire dalla donna che laveva cresciuta e amata, ma che ai suoi occhi ha la colpa di aver praticato qualcosa di immorale. Se ne va a Torino, come bambinaia in una famiglia altoborghese, ma il richiamo delle origini pi forte del desiderio di crearsi una nuova vita. Tornata al paese natale per la malattia di Tzia Bonaria, che per sembra rifiutarsi di morire, di fronte alla donna si ricorder di una frase pronunciata da questultima al momento della sua partenza per il continente: Non dire mai: di questacqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata. cos che Maria si trover inaspettatamente a esercitare quellarte pietosa di fronte alla quale prima inorridiva. Da un punto di vista narrativo, il romanzo assai efficace. La storia ben condotta, il ritmo accattivante, la lingua originale per la presenza di una dialettalit

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pi fraseologica che lessicale. Pu disturbare per la tesi sottintesa al romanzo, cio la difesa della dimensione pietosa e umana delleutanasia. Lo stato di malattia sempre pi grave di Tzia Bonaria viene definito decomposizione senza morte. E quindi in questi casi chi aiuta a morire non farebbe altro che assecondare e agevolare la direzione della natura. Largomento, insomma, non sembra affrontato con la necessaria problematicit.

Le follie della scuola

Qualche tempo fa Emiliano Sbaraglia scrittore, saggista e insegnante (in questultima veste autore di un bel libro dal titolo La scuola siamo noi, Fanucci, 2009) scrisse una lettera al ministro dellistruzione Maria Stella Gelmini: Caro Ministro, voglio confidarle una cosa: sono stanco. Sono stanco di sperare nella buca della posta, in attesa di una convocazione che, gi lo so, non arriver mai prima della met di ottobre. O almeno le mie personali statistiche, accumulate in un decennio di insegnamento precario, dicono questo. Dicono anche, quando la convocazione arriva, che non durer molto, e chiss quando ne arriver unaltra. E chiss quando arriveranno i soldi. Quando va bene, la media due mesi dalla scadenza del contratto. Sono stanco al solo pensiero di ricominciare un altro anno scolastico con questi presupposti. Sbaraglia interpretava lucidamente il disagio di migliaia di precari della scuola, poich la sua storia non differiva di molto da quelle di innumerevoli suoi colleghi. Da qui una decisione estrema. Una decisione che certo, caro ministro Gelmini, non possiamo proporre come modello per i colleghi di Sbaraglia che si trovano a vivere analoghe difficolt. Lui ha deciso di partire per lAfrica, destinazione Senegal, a insegnare francese e a fare il coordinatore didattico in un centro di accoglienza in un piccolo villaggio di pescatori. Ha deciso, cio, di prendersi una sorta di anno sabbatico dalle patrie istituzioni scolastiche, per prestare il suo servizio in una terra di missione. Perch il vitto e lalloggio sono lunico compenso che riceve. Lesperienza diventa quindi quella di un volontariato internazionale, in cui per lautore non rinuncia a essere ci che era in patria: un insegnante, appunto, orgoglioso di esserlo, perch questo il lavoro che ama svolgere. Il libro che ora possiamo leggere, Il bambino della spiaggia (Fanucci, 2010) lintenso diario di questo anno speso da Sbaraglia totalmente per gli altri. Ma anche, alla fine, per se stesso: perch lo shock culturale salutare al narratore per capire qualcosa di pi su di s e sulla propria vocazione esistenziale pi autentica. Il tono di queste pagine insieme realistico e introspettivo. Non mancano le

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difficolt: come le incomprensioni da parte di alcuni docenti indigeni, che allinizio si manifestano insofferenti nei confronti dei consigli di questo straniero dalla pelle bianca. Lavvicinamento interculturale in alcuni casi immediato e spontaneo, in altri lento e difficile. Ma ci sono anche i lati belli dellesperienza: come quando lautore constata la capacit di un insegnante musulmano e di un altro cattolico di collaborare lealmente tra loro, al di l delle differenze religiose, per il bene dei bambini. Una partita a pallone pu essere a volte il modo pi efficace per conoscere e farsi conoscere. Perch un professore in questo contesto non pu limitarsi a trasmettere le nozioni della disciplina di sua competenza, ma deve insegnare ai bambini a farsi la doccia e deve medicarli quando si fanno male. Indirettamente, attraverso i volti degli individui le cui storie vengono riprese e raccontate, il libro di Sbaraglia diventa anche, a tratti, una riflessione sui drammi della povert e della migrazione obbligata (c, tra laltro, il toccante racconto dellodissea clandestina di Ibrah, un ragazzo che ha cercato senza successo di raggiungere lEuropa), dellassenza di certezze e di una possibilit di sostentamento. LAfrica, cos, avvolge lionarrante con la sua cultura fatta di accoglienza, ospitalit e condivisione di quanto si ha. E gli insegna a ricambiare generosamente. Negli ultimi tempi diversi romanzi italiani hanno provato a raccontare il mondo della scuola. In Follia docente (Marcos y Marcos, 2009) Fulvio Ervas, professore di scienze naturali in quel di Treviso, ha scelto tonalit grottesche e surreali. Il protagonista un giovane docente alle prime armi, con due zie, maestre elementari in pensione, che pretendono di trasmettergli i segreti del mestiere. Ne capiteranno di tutti i colori: misteriosi traffici a scuola, un amore illecito, uninsegnante trovata cadavere. Tra tutto questo, la follia docente la malattia professionale che anche il nostro eroe presto si trover a contrarre. Dalla Campania, otto incursioni narrative nella scuola del nuovo millennio nel libro curato da Riccardo Brun, Tra i banchi (Lancora del Mediterraneo, 2009). Altrettanti scrittori (tra cui Bruno Arpaia, Davide Morganti, Angelo Petrella) si sono cimentati con il racconto della realt scolastica di una regione che presenta una realt sociale non sempre facile. C il disagio, la protesta, la contestazione degli studenti dellOnda (il movimento di opposizione alle iniziative del Ministero dellIstruzione, spesso a svantaggio della scuola). Ma anche la quotidianit delle lezioni. Un racconto a pi voci e da pi punti di vista che restituisce un quadro contraddittorio e problematico della vita tra la cattedra e i banchi, nello sguardo di professori e studenti.

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Il ritorno dei giovani scrittori

Dopo lo straordinario (e inaspettato) successo di Paolo Giordano il venticinquenne autore torinese che con il suo libro desordio, La solitudine dei numeri primi, ha vinto nel 2008 il premio Strega e ha venduto in pochi mesi pi di un milione di copie Mondadori ci riprova. E manda in libreria lopera prima di un giovane insegnante siciliano, ma naturalizzato milanese, Alessandro DAvenia. E in effetti DAvenia che biondo, bello e di gentile aspetto ha proprio tutte le carte in regola per contendere a Paolo Giordano il primato dello scrittore giovane e cool. Trentadue anni, DAvenia firma il romanzo Bianca come il latte, rossa come il sangue (2010), una storia ambientata nel mondo degli adolescenti, che ha come protagonista il sedicenne Leo. Il ragazzo si innamora di una coetanea di nome Beatrice, che per scoprir malata di un morbo inguaribile. Accanto a lui, Silvia, lamica del cuore, che forse vorrebbe essere qualcosa di pi per lui. Donando il sangue a Beatrice, Leo diventa adulto. E capir dove sta di casa il vero amore. Il libro presenta un apprezzabile approfondimento dei motivi dellamicizia e dei sentimenti, con la capacit di guardare in faccia ad alcuni temi scomodi, come la malattia e la morte. Tuttavia non sempre perfettamente risolta appare ladozione del punto di vista e del linguaggio dei giovani personaggi. DAvenia, cio, mette in essere, seppure mutatis mutandis, la stessa operazione di Federico Moccia, che, ultraquarantenne, parla per nei suoi libri (come il vendutissimo Tre metri sopra il cielo) con voce da adolescente. La casa editrice che ha pubblicato il libro di DAvenia, del resto, ha saputo abilmente sfruttare una polemica scoppiata allindomani delluscita del libro. Lautore ha dichiarato di aver tratto spunto da una storia vera. E, a quanto pare, la madre della ragazza che ha ispirato il personaggio di Beatrice (unadolescente morta per una leucemia fulminante), letto il libro, si lamentata del fatto che una tragedia familiare privatissima sia stata messa in piazza in un romanzo. La versione di DAvenia stata per diversa: appena uscito il romanzo, la madre della ragazza scomparsa a cui allude il personaggio di Beatrice lo avrebbe chiamato ringraziandolo per avere, in qualche modo, fatto rivivere la figlia, interpretandone lo spirito, pur in una ricostruzione in parte di fantasia. Chi ha ragione? Probabilmente non lo sapremo mai (e in fondo non ci interessa pi di tanto saperlo): quello che certo che tali diatribe (pi giornalistiche che critiche) hanno leffetto di attrarre lattenzione del pubblico sul libro di volta in volta in questione, facendone lievitare le vendite. Nei primi mesi del 2010, insieme con il libro di Alessandro DAvenia, laltro esordio narrativo di spicco quello della venticinquenne biellese Silvia Avallone, che firma un libro duro come il suo titolo: Acciaio (Rizzoli; arrivato secondo al premio Strega 2010; primo Canale Mussolini, Mondadori, 2010, di Antonio Pennacchi). Un ritratto impietoso di uno spaccato di provincia italiana (Piombino

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con la sua industria siderurgica), in cui si trovano a crescere due adolescenti, Anna e Francesca. Rispetto allambiente studentesco ritratto da DAvenia, qui spicca lattenzione per la realt operaia, proletaria (come si sarebbe detto un tempo), ritratta allinsegna di un efficace realismo, in uno stile secco e incisivo. Ma gli aspiranti scrittori non sono tutti fortunati come Giordano, DAvenia e Avallone. Fernando Letizia un aspirante scrittore. Nel suo tentativo di emergere si trova a fare i conti con un mondo letterario sordo e arrogante. Stiamo parlando del libro di Maurizio Makovec, Cline fuori stanza (Coniglio Editore, 2009). Gi il titolo geniale: Cline fuori stanza. Un titolo quasi gozzaniano, per lattitudine del poeta crepuscolare a far cozzare laulico con il prosastico (come diceva Montale), come quando faceva rimare Nietzsche con camicie. Perch il nome di uno dei pi grandi scrittori del Novecento, Cline, accostato a unespressione tipica di quel grigiore burocraticoministeriale che si esprime in frasi fatte di questo genere. Il dottore fuori stanza quanto ci sentiamo spesso rispondere quando chiamiamo un ufficio pubblico. E vuol dir tutto e niente: in riunione, in bagno, o forse, semplicemente, ha detto che non vuole parlare con noi. Ma nel caso di Maurizio Makovec, autore di un saggio intitolato Cline e lItalia (Settimo Sigillo, 2005), lo scrittore francese assurge a simbolo di quella vocazione narrativa che il protagonista di questo romanzo persegue tenacemente, scontrandosi contro il muro di gomma dellindifferenza, del pressappochismo e della spocchia di molti operatori del cosiddetto sistema editoriale. Il personaggio si chiama Fernando Letizia, ma questa volta nomen non omen. Di lieto difatti non ha assolutamente nulla, anzi piuttosto arrabbiato. Lo troviamo, allinizio della storia, neolaureato in cerca di un futuro professionale (ma, ci avverte da subito il sottotitolo, Il futuro una rapina!). Ha nel cassetto un romanzo autobiografico che racconta le sue disavventure universitarie, alle prese con i concorsi per i dottorati di ricerca che per, non essendo raccomandato, i baroni non vogliono fargli proprio vincere. Gli editori pi noti lo snobbano: spesso il dattiloscritto gli torna indietro ancora sigillato. A un certo punto rischia di sborsare una cifra considerevole a unagenzia letteraria che promette di piazzare la sua opera presso qualche grande casa editrice, ma per fortuna si ferma prima. Finch un piccolo editore accetta di pubblicarlo. Il libro si intitola Lacch, fighette e dottorandi. E qui c il primo cortocircuito tra romanzo e biografia di Makovec, che nel 2003 ha pubblicato un libro con questo titolo presso lEditrice Clinamen. Ma evidente che Maurizio Makovec solo in parte Fernando Letizia. Questultimo un eterodosso, forse un ingenuo, un inetto, insomma uno perennemente in lotta con la societ e le sue strutture di potere. Sostenuto, in questo, da una sorta di famiglia allargata, fatta di personaggi strambi e stralunati. Proprio come lui. Allinizio e alla fine del romanzo troviamo Letizia in procinto di lanciare una molotov. Questa violenza cieca e irrazionale ricorda quella del protagonista del capolavoro di Luciano Bianciardi, La vita agra. Qui il bersaglio non pi il

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torracchione di vetro e cemento, cio quel grattacielo Pirelli simbolo del potere industriale dei primi anni 60, ma, pi modestamente, lautomobile di Roberto Pecchia, un professorerecensore che si picca di essere lunico critico militante ad avere una rubrica fissa da sei anni di narrativa italiana. Cosa che Letizia ha avuto limperdonabile colpa di ignorare, quando gli venuta la malaugurata idea di chiedere a Pecchia, conosciuto casualmente tempo prima in una libreria della sua citt, qualche nominativo a cui inviare il suo libro una volta uscito. Il carteggio email tra Letizia e Pecchia tra le parti pi divertenti del romanzo. Romanzo violento nel linguaggio e insofferente nelle istanze del protagonista. Un provinciale (siamo a Viterbo, buia citt di provincia papalina, ma bella per, almeno quello!), che si rifiuta di rimanere prigioniero del natio borgo selvaggio. Ma che, cercando di evaderne, scopre tutta lalterigia e larroganza di chi si crede uomo di mondo. Giovane o vecchio scrittore? Il dubbio viene leggendo il romanzo di Rudy Paradiso: il risvolto di copertina del libro che ci giunto sulla scrivania, Paradiso Boulevard (Lindau, 2009), informa il lettore che lautore nato a New York nel 1925 da immigrati siciliani, che ha scritto racconti brevi e sceneggiature e che la sua sfrontatezza pari alla malinconia di chi descrive la vita come un mazzo di rose di vetro, scintillanti e fragili. Ebbene, sembra tutto troppo bello e perfetto (a cominciare da nome e cognome) e a leggere il romanzo ci venuto il dubbio che Rudy Paradiso non esista veramente, o, meglio, che sia lo pseudonimo di un giovane scrittore esordiente, magari formatosi alla scuola Holden di Baricco a massicce dosi di John Fante e Andrea De Carlo. Perch il romanzo tutto ci pare tranne un libro di memorie. Questo libro ben costruito, avvincente, scritto in maniera efficace, dotato di un ritmo narrativo invidiabile mal si concilia con limmagine di uno scrittore ottantaquattrenne che abbia finalmente deciso di tirare fuori dal cassetto il manoscritto della sua vita. La lingua, poi, non risente di alcuna traccia di scrittura migrante, come si dice, cio nessuna spia lessicale fa pensare a un autore effettivamente nato e cresciuto negli States. Detto questo, per, il recensore preferisce mettere le mani avanti e si dichiara pronto a ricredersi (e a rimangiarsi quanto scritto sinora, dalla prima allultima parola), qualora si presentasse al suo cospetto lultraottuagenario Rudy Paradiso, con una mossa ad effetto tipo quella del poeta Alvaro Rissa nella surreale scena dellesame di maturit in Ecce Bombo di Nanni Moretti. Ma lasciando da parte lentit biografica dellautore (della quale ci importa fino a un certo punto), vediamo di entrare nel romanzo. Siamo a Los Angeles nel 1951 e il protagonista, Rudy Paradiso, ha raggiunto, dalle parti di Hollywood, la fidanzata Joyce, figlia di una famiglia americana alto-borghese, i cui obiettivi essa ha deciso di rifiutare dandosi alla scrittura per il cinema. Rudy, invece, viene da New York, ed figlio di un siciliano trapiantato nel Nuovo Mondo, dove sbarca il lunario lavorando come guardarobiere nel jazz club di un hotel. Il ragazzo sveglio

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e capisce presto che a Hollywood tutti possono avere la loro grande occasione. Anche uno come lui, sfrontato e maleducato al punto da mettersi a fare a pugni con Frank Sinatra, reo di aver fatto, sul set di un film, la caricatura dellidentit italiana. Rudy conosce presto Fanny, una messicana bella e scostante, segretaria di un potente produttore. Cos anche lui arruolato nel grande carrozzone del cinema e presto diventa la scommessa della casa. A un certo punto lo troviamo sulla terrazza di un hotel niente meno che con John Wayne in preda ai fumi alcolici e a un delirio di onnipotenza. Il successo sembra arridergli, viene tratto un film da una sua sceneggiatura e ne viene messo in cantiere un secondo. Ma presto gli viene presentato il prezzo da pagare. Sono gli anni del maccartismo e dellossessione comunista: tutti sono sospettabili, e per non essere fatti fuori necessario fare continuamente professione di fede nel libero mercato, nella democrazia targata Usa e nei suoi valori. Insomma, per continuare a lavorare, a Rudy, ora che lui arrivato, viene chiesto di tradire i suoi amici, quelli che non ce lhanno fatta. Il bivio tra una vita di rimorsi oppure una di rimpianti. Che far? il finale del libro. Che il recensore, ovviamente, qui non sveler.

Filologia della memoria

Esce da Laterza (2009) una nuova edizione di uno dei libri pi belli e pi originali degli ultimi decenni, Filologia dellanfibio di Michele Mari, una sorta di diariosaggio sullesperienza, per lautore drammatica, del servizio militare. La prima edizione era stata pubblicata da Bompiani nel 1995, ma la scrittura del testo ci spiega Mari data al 1984, cinque anni dopo lo svolgimento del servizio militare. Un libro scritto per prendere le distanze, per archiviare definitivamente un momento negativo della vita. In realt lopera si sofferma sui primi due mesi, quelli del cosiddetto CAR (corso addestramento reclute), una sorta di corso di formazione avanzato, seguito dal giovane Mari a Como. Nel testo, corredato dai disegni dello scrittore, Mari ha cercato di applicare la filologia (cio gli strumenti scientifici della propria disciplina, la letteratura italiana, materia di cui oggi titolare allUniversit Statale di Milano, e che allepoca insegnava nei licei) a quel guazzabuglio immondo (parole sue) che stato per lui il servizio militare. La filologia ossia lattitudine allanalisi, al vaglio razionale degli oggetti, allo spirito critico consente a Mari di vedere e di evidenziare tutta lassurdit dellapparato militare: lo spreco, la sporcizia, il conformismo. Erano, gli anni 70, quelli dei primi obiettori di coscienza. Ma il servizio civile li sfavoriva decisamente: doppia era la durata rispetto a quello militare. Nel 1982 Pier Vittorio Tondelli aveva pubblicato anchegli un romanzo, Pao Pao, dedicato al servizio militare. Ma lo scrittore emiliano salvava qualcosa, pur nella critica

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delle molte assurdit. Ad esempio il senso dellamicizia tra commilitoni. Mari ci ha raccontato di aver letto Pao Pao soltanto dopo luscita di Filologia dellanfibio nel 1995, perch molti critici avanzarono questo accostamento. Tuttavia egli molto lontano da Tondelli: non ha la sua apertura verso il mondo, la realt, il suo ottimismo di fondo, la sua curiosit verso le mode del momento. Dunque nessun rimpianto per un servizio di leva che oggi fortunatamente per i figli di Michele Mari non esiste pi. Anche Fernando Acitelli (romano, classe 1957) ha prodotto in questi anni con i suoi libri un autentico studio filologico, in chiave narrativa, dei decenni che lo hanno visto bambino, ragazzo e giovane uomo. Non un caso che il sottotitolo del suo ultimo libro la raccolta di racconti Miagola Jane Birkin (Coniglio Editore, 2009) sia Filologia degli anni Sessanta. Forse per lui un modo di reagire allinesorabile trascorrere del tempo, al senso di disfacimento delle cose, mettendo in campo sensazioni e ricordi personali con cui per molti lettori si possono identificare, in quanto i tasselli del privato vanno a comporre il mosaico di una storia collettiva. Si tratta di una preziosa archeologia della memoria, condotta sempre allinsegna di toni pacati e quasi sommessi, che tradiscono per lintensit emotiva di una scrittura capace di risultare assai coinvolgente. I testi che compongono questo suo ultimo libro sono basati su frammenti, immagini, impressioni, schegge, spezzoni di ricordi, con contenuti di varia natura, accomunati per dalla volont di ricostruire sentimenti e sensazioni a rischio di scomparsa. C una nostalgia di fondo, spesso un po struggente, per i vecchi cinematografi di terza visione con le loro cassiere tristi e disilluse, per quartieri popolari dalle cui botteghe si affacciano incuriositi i clienti per sentire laltoparlante di una propaganda elettorale montando su unautomobile, per lorologio da due soldi regalato in occasione della Cresima. C poi il mitico giradischi, da cui promanano le note del celebre successo della cantante francese Jane Birkin, Je taime moi non plus. La sua voce miagola, a detta dello zio del narratore, che preferisce le ugole nostrane di Claudio Villa o di Caterina Caselli. Su tutto un sapore dolceamaro, che fa tenerezza ma che ammonisce su come ci che stato ahinoi non sar mai pi.

Il fascino della Storia

Pietro Spirito giornalista culturale del Piccolo di Trieste, gi apprezzato come narratore firma per la casa editrice Santi Quaranta un originale romanzoverit, a met strada tra invenzione e documento. Il libro si intitola Il bene che resta (2009) e Spirito lo ha scritto a partire dal ritrovamento, in una libreria antiquaria, del manoscritto di un fascista condannato per crimini commessi durante la Repubblica

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Sociale (19431945). Una volta tanto, per, il fatto del manoscritto ritrovato non un artificio narrativo. La trovata romanzesca consiste nel rapporto epistolare tra un anziano professore triestino e un suo amico letterato. A ogni lettera il primo allega alcune pagine del diario del repubblichino, rese nel libro con un diverso carattere tipografico, per distinguerle in maniera chiara dal resto della narrazione. Il repubblichino, in preda a una sorta di lucida follia, rivendica la sua innocenza di fonte alla Storia che lha condannato. Ma intento dello scrittore non quello di assolvere o condannare. Alieni dalle intenzioni di Pietro Spirito sono quei tentativi di riabilitazione di chi stava, come si dice, dallaltra parte, oggi cos in voga presso una certa destra revisionista. Allo scrittore interessa piuttosto come scrive bene Ferruccio Mazzariol in una nota introduttiva riflettere intorno allineluttabilit del male, interrogandosi sul bene che resta. Tutto questo in un libro intenso e di grande impatto. Sommozzatore con la passione per la storia, Pietro Spirito racconta in un altro volume, Lantenato sotto il mare. Un viaggio lungo la frontiera sommersa (Guanda, 2010), alcune sue immersioni, volte a ricostruire importanti momenti delle vicende degli ultimi secoli. Ci conduce allinterno dei relitti collocati in fondo al mare nel punto pi a nord del Mediterraneo, lungo la frontiera ideale del Golfo di Trieste. Un luogo che da secoli un crocevia di genti e culture, popoli diversi che non sempre hanno saputo convivere pacificamente. I relitti rappresentano cos, al tempo stesso, una testimonianza del passato, ma anche una sorta di vanitas vanitatum, che richiama la caducit dei destini non solo delle singole persone, ma anche degli stati e degli imperi. Lavvincente racconto di Spirito parte dalla visita ai resti sottomarini di un antico insediamento romano, per proseguire con un sopralluogo sul brigantino Mercurio, affondato nel 1812 durante la battaglia navale che cost a Napoleone il controllo dellAdriatico. E poi, ancora, i relitti delle due guerre mondiali. A partire da una narrazione in prima persona, lautore ricostruisce il passato in maniera insieme rigorosa e suggestiva. Mezzo secolo di storia italiana rivive nellultimo libro di Walter Veltroni, Noi (Rizzoli, 2009). Attraverso la vicenda di una famiglia e delle sue diverse generazioni, lautore ripercorre i momenti salienti delle vicende collettive del nostro Paese: dalla Seconda guerra mondiale al boom economico, dagli anni di piombo ai giorni nostri. Con una particolare attenzione nel rendere i colori e i sapori delle diverse epoche. Un romanzo ambizioso, la cui scommessa in parte non riuscita, forse per la preoccupazione di inserire nella narrazione, in maniera freddamente didascalica, troppi elementi di contorno. Dagli anni 70 a oggi, dal terrorismo alla globalizzazione, I fratelli minori (Bompiani 2010) di Enrico Palandri rilegge in maniera intelligente i drammi e le inquietudini della storia italiana degli ultimi decenni. Lo fa attraverso la storia di due fratelli, Julian e Martha, veneziani e con un padre famoso, cantante lirico.

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Vicende pubbliche e private si intrecciano in una narrazione di grande maturit, intensit e forza introspettiva. Ma c anche chi gioca con la Storia. Dopo Linattesa piega degli eventi (uscito nel 2008), in cui veniva immaginato un dopoguerra italiano con ancora Mussolini al potere, Enrico Brizzi torna a un romanzo fantastorico che, come si dice in gergo, una sorta di prequel (cio di antefatto) a quel libro. La nostra guerra (Baldini Castoldi Dalai, 2009) racconta infatti il secondo conflitto mondiale, ipotizzando che lItalia si sia schierata contro la Germania e a fianco di Inghilterra, Usa e Urss. Gli eventi sono filtrati attraverso lo sguardo di un adolescente, Lorenzo Pellegrini, la cui vita familiare viene descritta nel libro con toni agrodolci. Sotto lapparente normalit piccoloborghese, si celano infatti piccoli e grandi segreti che pu essere doloroso scoprire. Nel monumentale romanzo di Brizzi (pi di 600 pagine) sono molte le parti riuscite e divertenti. Altre, ad esempio quelle legate alla scoperta della sessualit, appaiono pi discutibili (ma c anche lamore puro, quasi stilnovistico, per una ragazza conosciuta al mare). Altre ancora segnano forse qualche momento di stanchezza. efficace, sul piano della struttura narrativa, lo svolgimento degli eventi bellici in parallelo alla disgregazione della famiglia di Lorenzo. Alla fine del romanzo, nulla sar pi come prima. N in Italia, n nella famiglia Pellegrini. Vitali, simpatici, spiritosi, ma anche, per molti aspetti, misteriosi e incomprensibili. Cos siamo percepiti noi italiani allestero. Vittorio Zucconi ha provato a spiegare il nostro carattere nazionale a un gruppo di studenti del Middlebury College, ununiversit del Vermont (Usa) dove il giornalista stato chiamato a tenere un ciclo di lezioni. Da quelle conferenze nato Il caratteraccio. Come (non) si diventa italiani (Mondadori, 2009), in cui lautore affronta alcuni nodi dellidentit italiana in una prospettiva storica. Ma anche fornendo, su ogni argomento, spunti tratti dalla sua esperienza di vita. Nei vari capitoli affronta temi diversi: dalla breccia di Porta Pia alla prima guerra mondiale, dalla dittatura fascista allavvento del benessere conseguente al boom economico degli anni 60. Anni in cui lautore ricorda un Nord razzista nei confronti di chi veniva da fuori. A lui, trapiantato a Torino (neoassunto alla Stampa), non volevano affittare un appartamento in quanto modenese. Oggi, invece, bersaglio dei pregiudizi sono gli stranieri. Un capitolo dedicato alla televisione, mezzo propagatore di superficialit edonistica, ma anche capace di unificare linguisticamente il Paese. Nell89 cade il Muro di Berlino, ma in Italia permangano ancora oggi antiche divisioni da guerra fredda. Non poteva mancare un capitolo dedicato a quel monstrum (nel senso di prodigio, sia chiaro) tutto italiano che Silvio Berlusconi. Zucconi ricorda quando and a intervistarlo nella sua casa di Arcore (vicino a Milano) nel marzo del 94, allindomani della sua vittoria elettorale: Fu cortesissimo ed evidentemente rilassato, come se

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linaspettata vittoria elettorale lo avesse sollevato da un peso, anzich gravato della responsabilit di governare. Le aziende di famiglia erano salve.

La bella Italia di ieri

Uno dei nostri pi importanti critici letterari e storici della letteratura, Giulio Ferroni, ci d un libro inatteso e prezioso. Si intitola La passion predominante. Perch la letteratura (2009) ed esce presso Liguori Editore in una collanina diretta da Sergio Reyes denominata Per passione. Lidea della collana quella di far parlare alcuni professionisti di diversi settori disciplinari della loro materia e del loro lavoro. Ecco dunque Ferroni che ci illumina sulla passione della propria vita, cio sulla vocazione allo studio e allinsegnamento della letteratura. Le pagine pi belle sono forse quelle della prima parte del volume, nella quale lautore rievoca con toni nostalgici e commoventi la propria infanzia e giovinezza nella Roma del dopoguerra. Una citt povera e provata, ma con tanta voglia di riscatto, come per la famiglia del piccolo Giulio. Una famiglia che si colloca socialmente tra proletariato e piccolaborghesia, origini umili che lautore ha lorgoglio di rivendicare. Il che sia detto per inciso nellItalia di oggi, in cui spadroneggiano tanti parvenu, una bella lezione di stile, anzi una lezione etica. Casa Ferroni era povera di libri, ma quei pochi che vi arrivano, per vie fortunose, hanno la capacit di destare in Giulio la curiosit per la scoperta. Sono davvero intensi certi momenti in cui lautore rievoca alcune persone semplici e schive, tra le tante che non lasciano segni nel mondo e la cui vita si consuma in una sua riservata dignit, nellaccettazione di un proprio essere a parte, in una timida delicatezza, quasi nella paura di pestare i piedi agli altri, nel rifiuto di lottare per farsi strada nel mondo. Come il tranviere Marco Corvi e loperaio Filippo Roscioli, ai quali legato per Ferroni linizio dellinteresse per la lettura, perch, pur non essendo persone di elevata scolarizzazione, amavano per i libri e hanno saputo trasmettere al ragazzo il gusto per le opere letterarie. In questa formazione improntata a un intreccio di lacerti culturali vari ed eterogenei, spesso casuali, si innesta a un certo punto la scuola, con la sua azione istituzionale. Quella scuola di massa, oggi tanto vituperata, che per, come nota lautore, ci offriva una cultura da cui le nostre famiglie erano rimaste escluse per secoli. Gi qui si innesta una riflessione sulloggi, sullo stato della cultura e della letteratura nella societ attuale, il tema centrale della seconda parte del volume: Oggi la perdita di questa funzione di promozione sociale e la stessa democratizzazione dellinsegnamento finiscono paradossalmente per cancellare la funzione democratica che la vecchia scuola ha assunto negli anni 50 e 60: e accade che per lo pi le cose apprese non lasciano traccia, non entrano pi nelleconomia dellio. Lo studio pu essere considerato

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tuttal pi come un dovere da assolvere: ma, anche quando i risultati sono soddisfacenti, pu capitare che, esaurito il suo quadro istituzionale, i suoi esiti si disperdano, evaporando nella casualit di esistenze proiettate tutte sul presente, sulle occasioni offerte dalla cultura della comunicazione e del consumo. Leducazione cattolica in un mondo familiare a dominante democristiana non impedir a Ferroni, in anni successivi, di accostarsi alla politica in una prospettiva laica, in cui il riferimento marxista giocher un ruolo importante. Per questa formazione aperta e plurale saranno importanti due professoresse, Lia Giudice ed Elsa Fubini, questultima studiosa di Gramsci e curatrice di unedizione delle Lettere dal carcere. A un certo punto, inaspettatamente, anche la tv offre un contributo positivo in termini culturali, con la messa in scena dei grandi capolavori della letteratura europea negli sceneggiati Rai degli anni 50 e 60. Una televisione forse un po didascalica, ma senzaltro migliore di quella del vuoto e della superficialit a cui siamo ormai abituati. Anche da l venuta a Ferroni la sua passion predominante, quella per i libri, nellappassionato ascolto di formidabili verit non confessionali e nellapertura a interrogazioni mai rassicuranti delle contraddizioni della vita e del mondo. Dopo molti romanzi (Il ballo tondo, La moto di Scanderbeg, Gli anni veloci), tutti di successo e tradotti in svariate lingue, Carmine Abate firma ora una raccolta di racconti, un libro anchesso di matrice autobiografica: Vivere per addizione e altri viaggi (Mondadori, 2010). Nato nella comunit italoalbanese di Carfizzi (in Calabria) nel 1954, Abate ha conosciuto sin da ragazzo i problemi della migrazione. Li racconta in questi testi autobiografici di straordinaria forza emotiva e tenuta stilistica. Un viaggio in treno ad Amburgo, dalla Calabria, in compagnia della madre, per trovare il padre emigrato in Germania: un viaggio di quaranta ore, alla ricerca di una ricomposizione degli affetti (anche se una preziosa tazzina da caff si romper tragicamente). Una nonna che racconta la sua rapsodia preferita, quella di Scanderbeg, leroe nazionale albanese che resistette contro i Turchi. Scanderbeg che in punto di morte incita il figlio a partire, per salvarsi insieme con la sua gente: icona arcaica della moderna migrazione per motivi economici. La migrazione del padre dellautore, e con lui degli altri germanesi che parlano un gustoso miscuglio ditaliano, tedesco, dialetti e parole inventate italianizzando il tedesco o tedeschizzando larbresh (cio la lingua degli albanesi trapiantati in Calabria). C poi il racconto delle supplenze dellautore, giovane insegnante precario nellestremo NordItalia, accolto da giovani colleghi che, anche loro, vengono tutti da Eboli in gi: Cristo si era fermato l, loro invece hanno deciso di salire. Una vita da supplente divisa tra pi affetti, incapace com, il protagonista, di vivere una vera relazione damore, finch decide per Chiara, abbandonando una volta per tutte le altre storie pi effimere.

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Ma ci sono anche racconti legati allinfanzia e ai ricordi di bambino, come il delizioso testo in cui viene rievocata la gelosia inconscia nei confronti del fratellino dai bei boccoli biondi, che spinge lionarrante a tagliarglieli in un perfido gioco, provocando una piccola, grande tragedia familiare. Viaggi nel tempo e nella memoria, dunque, ma anche nello spazio: le varie migrazioni e i ritorni a casa, magari ad agosto, per vacanze che segnano il ricostituirsi di una comunit, in occasione della tradizionale processione religiosa. A poco a poco si chiarisce il tema centrale del libro: lincontro tra lingue diverse (che rimandano a culture diverse) il segno di una ricchezza, non di un impoverimento. Possedere unidentit plurima genera sofferenza, ma alla fine il bilancio positivo. Cos anche i Re Magi, le cui spoglie sono conservate nel Duomo di Colonia, diventano lemblema dei veri viaggiatori: viaggiatori incalliti che macinavano chilometri e chilometri, vedevano il mondo, passavano dai luoghi pi belli, senza paura di perdersi perch guidati da una grande stella luminosa. Una luce invece non sembra pi risplendere sui viaggiatori di oggi, cio coloro che migrano per necessit. In un altro testo, pi vicino alla cronaca che alla memoria, viene descritto come il malaffare e la criminalit organizzata impediscano di costruire reali possibilit di lavoro in Calabria. Da Nord a Sud lEuropa sembra essere unita da una crescente onda di intolleranza nei confronti degli stranieri. Ma Carmine Abate non pessimista e con questo libro sembra indicare una strada possibile. Azzeccato, dunque, il titolo della raccolta, Vivere per addizione, che lautore spiega in questo modo: Non rinunciare a nessun luogo in cui abbiamo vissuto, n alle radici, alle lingue, agli sguardi che in questi luoghi abbiamo acquisito, ma vivere intrecciandoli strettamente. In tal modo la stessa identit diventa plurima: un insieme di tessere della nostra vita che non dobbiamo scartare, privilegiandone una a discapito di altre, ma ricomporre come un prezioso mosaico.

La brutta Italia di oggi

LItalia di oggi presenta in effetti molti lati decisamente brutti. Come quelli messi in evidenza nellultimo libro di Giulio Mozzi, Sono lultimo a scendere e altre storie incredibili (Mondadori, 2009). Un libro che ho letto in treno, sul regionale da Milano Centrale a Torino Porta Nuova sabato 10 ottobre 2009. Una carrozza di seconda classe, andata e ritorno, il luogo migliore per leggere questo libro, ambientato per gran parte sui treni italiani, molto frequentati da Giulio Mozzi, che non ha lautomobile e che si sposta da una parte allaltra della penisola per il suo lavoro di editor e scrittore. Sar poi perch in treno legge molto, proprio come

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me, che lionarrante di questo libro mi subito risultato simpatico. Nonostante la sua insofferenza nei confronti del mondo. Insofferenza peraltro spesso pi che giustificata. Perch a Giulio Mozzi (lautore presta al suo personaggio il proprio nome e cognome) ne capitano davvero di tutti i colori. E i casi sono due: o lui una calamita per i tipi strani, pazzi o maniaci, oppure la realt che queste cose capitano a tutti, ma solo gli scrittori come Mozzi sanno vederle e raccontarle. Piero Chiara diceva che nessuno visto da vicino normale, e la capacit di un narratore come Giulio Mozzi sta proprio nellavvicinare locchio alloggetto della narrazione, nel guardare cose, persone, situazioni da molto vicino, per mostrarne i lati pi folli e assurdi. In molti casi, poi, ci calca pure un po la mano di suo, sconfinando nelle tonalit del grottesco e nel surreale. Cos, questa osservazione quotidiana della realt (con tanto di luoghi, date e precise informazioni) configura il libro come un diario in pubblico. Non a caso i diversi capitoli sono nati in origine come appunti diaristici pubblicati sul blog dello scrittore. Diario in pubblico spiega Mozzi un diario che affronta fatti sotto gli occhi di tutti. A questi, autentici, se ne affiancano altri privati, scritti con piena libert di invenzione. Insomma, un diario semiserio, semivero e semifalso. Che per questo il punto interessante in maniera efficacemente narrativa parla dellItalia di oggi, colta negli aspetti meno gradevoli. Pu essere un episodio di ordinario razzismo, a cui per i passeggeri e il conducente di un autobus sanno reagire con fermezza. Pu essere la rumorosa maleducazione di una scolaresca in gita scolastica, incurante del disturbo che arreca agli altri passeggeri di un vagone ferroviario, con gli insegnanti distratti se non assenti. Pu essere larrogante indifferenza con cui una barista serve lavventore che non conosce. Pu essere la completa sordit a ogni buon senso (questa volta, siamo certi, almeno un po esagerata a bella posta) di una certa burocrazia ministeriale. O, ancora, linsofferenza del protagonista per la perfezione delle camere di albergo o per labitudine a chiedere uninutile conferma di una prenotazione gi confermata di per s. Viaggiatori che non sono disposti a cedere il posto, occupato per errore, neanche di fronte a una regolare prenotazione. Personale viaggiante (come si dice con termine tecnico) che dire scorbutico dire poco (non se ne abbia a male Trenitalia: anche qui c un po di enfasi, ma in fondo, ahinoi, neanche troppa). Poi a Mozzi telefonano tutta una serie di scocciatori: aspiranti scrittori in cerca di pubblicazione (quasi sempre ignoranti e comunque arroganti), sondaggisti e venditori, persone che hanno sbagliato numero ma che non sembrano volerlo ammettere. Fanno da piacevole intermezzo alcuni deliziosi episodi che hanno per protagonisti i nipotini, 7 e 8 anni, del narratore. Anche loro dicono cose un po assurde. Ma il candore con cui lo fanno provoca, questa volta s, il sorriso indulgente del protagonista.

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Forse non sar il pi grande scrittore italiano vivente, come amava dire di se stesso qualche anno fa (ultimamente non lo dice pi perch ha deciso di non scrivere cose nuove, a parte qualche piccola eccezione, come questo libro). Ma certo che leggendo Aldo Busi non si pu non apprezzare, anzi godere, la sua scrittura assolutamente unica nel panorama delle patrie lettere. Unica per la verve esuberante, scoppiettante e gioiosa anche nel dolore. A tratti iconoclasta e persino blasfema. E unica per lo sguardo feroce e graffiante sulla realt che ci circonda, colta in tutte le sue contraddizioni e ipocrisie. A costo di essere scioccante e talora sgradevole, nella brutalit della nuda descrizione di ci che accade. Aaa! (Bompiani, 2009) comprende tre racconti, il primo dei quali gi apparso nella nuova edizione di Sentire le donne (Bompiani, 2008), ma qui ripresentato con qualche variante (alcune, come un lucido e terribile passo sul sequestro Moro, niente affatto secondarie). Il testo su cui si apre il libro vede come protagonista una sorta di prete laico, cio un potente politico cattolico, regolarmente sposato da quarantanni di infelicit coniugale, ma che da ragazzo era stato in seminario per diventare sacerdote. L era stato fotografato da Mario Giacomelli, lautore della celeberrima serie di scatti ai pretini (cio a un gruppo di seminaristi). proprio entrando in una galleria dove sono esposte quelle foto che luomo riconosce se stesso ragazzo (Quindi anchio devo avere avuto oh, mio Dio diciotto, diciannove anni!) e ripensa al proprio passato. Ma il racconto soprattutto un monologo, a tratti folle e allucinato, sulla gestione del potere in unItalia ancora sotto la pesante cappa di protezione del Vaticano. Lui stesso una porpora della Chiesa travestita in grisaglia borghese. A fargli da contraltare il personaggio dellInnominabile, alterego dellautore. Unidentit palesata, tra laltro, da una frase ripetuta nel terzo racconto del volume, questo pi apertamente autobiografico: anche lui, come lo scrittore, non andato al funerale della propria madre per non stare dietro a un prete. LInnominabile una figura disturbante e in quanto tale il potere ne otterr la cancellazione da una foto che lo ritrae con il Casto (cio con il potente uomo politico). Busi finisce cos per rileggere, per intuizioni e suggestioni, la storia italiana del secondo Novecento, con la carica visionaria, pur nella totale diversit dei toni, di certe pagine del Petrolio pasolinano. Sulla madre dellautore si apre, con alcuni intensi ricordi, il secondo testo, che unamara riflessione sul dare e sullavere, sui sentimenti della riconoscenza e dellingratitudine. Gli occhi azzurri di un ragazzo di vita ricordano allionarrante quelli della badante di sua madre, anchessa straniera. Accomunati, entrambi, da un simile destino di infelicit. Lultimo racconto una lettera aperta a Carla Bruni, in quanto moglie del presidente francese Sarkozy. Aldo Busi (che si firma con nome e cognome) racconta la propria situazione di disoccupato, dopo aver stracciato il proprio contratto televisivo: Ormai era diventata una stucchevole timbratura di cartellino tra sagome di cartone bidimensionali. E cos, ora, alla ricerca di un

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nuovo lavoro. Ecco quindi la richiesta alla prima donna dOltralpe: che lo faccia assumere dal governo francese, anche solo come maggiordomo. Busi, daltra parte, ha le carte in regola per aspirare a cotanto incarico: So tutto di Napoleone e della sindrome del Piccoletto, primo perch sono stato allisola di SantElena e secondo perch me la ritrovo sulle patrie pedane dalla mattina alla sera da quindici anni. Il nostro Piccoletto, ovviamente, Silvio Berlusconi. Brutta lItalia descritta anche nellultimo romanzo di Davide Longo, Luomo verticale (Fandango, 2010). Un professore universitario travolto da uno scandalo sessuale (la relazione con una studentessa) si ritira in campagna, a meditare su se stesso, in crisi con la famiglia e senza pi un lavoro. Ma la sua vicenda personale si staglia su quella di un Paese in cui lo scontro interetnico sempre pi accesso. Ronde, bande, violenze e omicidi sono allordine del giorno. Lodio ha accecato tutti, guerra civile. Longo guarda allItalia di oggi esasperandone i lati pi oscuri e immaginando il peggio, in un affresco di una certa potenza. Nato a Milano nel 1983 da genitori calabresi, Emmanuele Bianco conosce bene la realt dellhinterland del capoluogo lombardo, che ha deciso di raccontare in Tiratori scelti (Fandango, 2010). Un romanzo desordio, un libro molto duro sulla vita nella periferia milanese tra problemi sociali, droga e bande rivali. Un quadro impressionante per contenuti e toni, che descrive per la prima volta situazioni cos estreme. Gettando uno sguardo inedito sulle banlieues italiane con le loro tensioni a rischio di esplosione.

Napoli laltro ieri

Mezzo secolo di cultura a Napoli scorre, come in un film, nellultimo libro di Felice Piemontese, Fantasmi vesuviani (Hacca, 2009). Lautore, nato a Monte SantAngelo (Foggia) nel 1942 ma presto trapiantato a Napoli, racconta in prima persona le proprie esperienze artistiche e letterarie nel capoluogo campano dai primi anni Sessanta in poi. Attraverso una serie di ritratti dei protagonisti dei decenni che ha attraversato, egli finisce per schizzare una sorta di autobiografia culturale. Ma come se chi scrive preferisse tenersi, per cos dire, in secondo piano, cedendo la ribalta ai vari personaggi, piccoli e grandi, che ha avuto occasione di incontrare e di frequentare nel corso degli anni. Lontano da qualsiasi tentazione agiografica, Piemontese ne traccia delle istantanee lucide e impietose, ricche di particolari inediti, che hanno limmediatezza delle persone vive, in carne e ossa, riportate qui davanti a noi. A farle rivivere pu essere un particolare di per s insignificante (come ad esempio un tic nel parlare o un certo modo di vestire), ma che diventa emblematico di un certo modo di essere. I lettori pi maturi ritroveranno e i pi giovani ne faranno conoscenza per la prima volta un personaggio mitico come il gallerista Lucio Amelio, che

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a Napoli port nel 1980 due tra gli artisti pi famosi del secondo dopoguerra, il tedesco Joseph Beuys e lamericano Andy Warhol. Esperto darte di caratura mondiale, omosessuale dichiarato, e fiero di esserlo, morir prematuramente (di Aids) nel 1994. Ci sono poi gli scrittori napoletani con i quali Felice Piemontese narratore e poeta in proprio, oltre che giornalista ha intrattenuto rapporti a volte cordiali, molto pi spesso burrascosi. Da Anna Maria Ortese a Enzo Striano, da Luigi Incoronato a Mario Pomilio, da Michele Prisco a Domenico Rea. Di questultimo scrive Piemontese: Avrebbe potuto essere un grandissimo scrittore, se fosse vissuto in un altro contesto, lontano dalle miserevoli seduzioni della citt, alle quali non ha mai provato a resistere. La relazione con Napoli infatti difficile, tanto che un po in tutti gli autori della generazione di Piemontese ma anche in quelli pi anziani e pi giovani si presentato spesso il dubbio su cosa fare della propria vita e della propria professione: rimanere in una citt che coccola i suoi figli ma tende anche a soffocarli e a tarparne le ali, oppure muoversi vero Roma o Milano, insomma verso mari pi perigliosi ma pure pi avventurosi? Quella della napoletanit una gabbia che finisce spesso con il reprimere gli estri pi creativi. Su questo punto non manca una stoccata a Raffaele La Capria: Ha criticato pi volte quella che ha chiamato lautoreferenzialit dei napoletani, ed uno che nella sua lunga vita non si occupato praticamente daltro. per questo che Felice Piemontese, pur essendo rimasto a Napoli, ha deciso di provare a respirare aure vitali provenienti da fuori. Come quelle neoavanguardistiche del Gruppo 63 le cui sperimentazioni egli ha seguito non tanto per una presa di posizione ideologica, quanto per una sincera ansia di rinnovamento letterario che si incrociavano con una militanza culturale legata alla frequentazione della politica. Un impegno maturato, da giovane praticante (anzi da abusivo), alla redazione partenopea dellUnit. A quel lavoro rimane legato il ricordo dei colloqui con personaggi di spicco del Pci di allora, come Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano. Poi saranno gli anni del movimento studentesco, la simpatia per il quale costa a Piemontese anche qualche incomprensione con lufficialit del Partito. Cose daltri tempi, viene da pensare. Ripercorse dallautore, sul filo dei ricordi, con mano felice e delicata.

Dalla Sardegna con furore

La Sardegna continua a essere al centro di molte narrazioni e a fornire alla narrativa italiana autori di un certo rilievo. A una Sardegna arcaica e ancestrale, ma ricostruita e rappresentata senza eccessi di compiacimento (come in alcuni autori sardi affermatisi in questi ultimi anni purtroppo capita ancora un po troppo spesso), ci riporta lultimo romanzo di Marcello Fois, Stirpe (Einaudi, 2009), che

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evoca, sin dal titolo, il concetto di una gena radicata nella sua terra dorigine. Classe 1960, nuorese, ma da tempo trapiantato a Bologna, dove, insieme con Carlo Lucarelli, uno dei principali esponenti della narrativa migliore gialla e noir, Fois al suo sedicesimo libro. Un romanzo storico, questa volta. Di quelli, cio, che, classicamente (manzonianamente), legano un passaggio storico, epocale, alle vicende specifiche di alcuni personaggi di invenzione. Nella fattispecie, una famiglia nuorese, la cui storia ripercorsa in un tempo che va dalla fine dellOttocento alla prima met del Novecento. Unepoca di cambiamenti sociali ed economici, che vedono trasformarsi Nuoro da piccolo borgo rurale nel cuore della Barbagia a citt capoluogo di provincia. La prosperit economica arride anche alla famiglia Chironi. Michele Angelo e Mercede si sono conosciuti da ragazzi e si sono subito amati. Il matrimonio coroner il loro sentimento. Lui un fabbro e, con il suo duro lavoro, riuscir a ottenere una certa prosperit economica per i suoi familiari. Nascono nel frattempo diversi figli. Prima i gemelli Pietro e Paolo, ai quali toccher una sorte atroce: uccisi entrambi a dieci anni e i loro cadaveri fatti a pezzi. I genitori non si rassegnano allorrore di una terra ancora barbara e selvaggia, nonostante ogni possibile modernizzazione, in cui allignano invidie ataviche, odi feroci e vendette sanguinarie. Si fanno forza e decidono di andare avanti. Seguiranno altri figli: Luigi Ippolito, che da studente finir a impazzire nelle trincee sul Carso, Gavino, chiuso e introverso, e Marianna, che sposer un signorotto fascista. Il libro diviso in tre parti, o, meglio, in tre cantiche, perch hanno gli stessi titoli di quelle della Divina Commedia: Paradiso (18891900), Inferno (19011943) e Purgatorio (1943). Uno schema dantesco reinterpretato (rovesciato) per riuscire a dare conto di esistenze che non sempre procedono dallinfelicit alla beatitudine. Il percorso delle vite dei personaggi ben pi accidentato e decisamente meno lineare. E alla fine bisogner accontentarsi della via di mezzo. Autore attento alla trama e allo stile, Marcello Fois ha scritto un libro avvincente e denso di una sua particolarissima qualit letteraria. Potremmo fare il nome di qualche nobile ascendente, come Salvatore Satta (Il giorno del giudizio) o Emilio Lussu (Un anno sullaltipiano), questultimo per lirruzione della Grande guerra nei destini della famiglia. Preferiamo invece sottolineare loriginalit del libro di Fois, la cui prosa si distende in un italiano efficace, screziato solo occasionalmente da qualche termine dialettale, che conferisce al testo la giusta coloritura linguistica, ma senza esagerare in quelle soluzioni che rischiano sempre di sconfinare in un espressionismo fine a se stesso. Quella che ci racconta Fois una storia di silenzi: Le storie si raccontano solo perch da qualche parte sono accadute. Basta afferrare il tono giusto, dare alla voce quel calore interno di impasto che lievita, sereno in superficie, turbolento nella sostanza. Basta capire dove sia il chicco e dove sia la pula, pensando senza quasi pensare. Perch sapere di pensare come svelare il meccanismo e svelare il

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meccanismo come rendere mortale la storia. Quasi una piccola dichiarazione di poetica, tratta da una sorta di prologo al romanzo. E nel libro perfettamente realizzata dallautore. Il nuovo romanzo di Flavio Soriga, Il cuore dei briganti (Bompiani, 2010) ci riporta al 1794, sulla sconosciuta isola di Hermosa: a ridosso dellAfrica, molto lontana dalle coste, molto lontana dalle mappe del suo sovrano (che pure ne ignora lesistenza), lisola pi dimenticata della civilt dei lumi. Vi soffia un vento duro e gelido. Duri e aspri sono pure i suoi abitanti, rotti alla fatica e piegati dai soprusi. Duro e nervoso , infine, anche lo stile dellautore: un ininterrotto flusso di parole dalla sintassi spezzettata (che ricorda lo stile di certi autori beat). Periodi che si protraggono per decine di righe o per brevi tratti, efficaci nel seguire la musicalit trasognata dei pensieri del protagonista, Aurelio. Nel 1794 i lumi della ragione si accendono sulle nazioni di tutto il mondo: il popolino di Parigi ribolle e infiamma la Francia, quello delle Americhe si ribella alle tasse di Londra, e persino gli Italiani delle grandi citt non sono sordi alleco della rivoluzione. Dappertutto tranne che a Hermosa, isola emblema del morente ancien rgime: qui infatti i feudatari spadroneggiano ancora senza piet, imponendo tasse e balzelli insopportabili e costringendo parte della popolazione alla macchia e al contrabbando. Ma non per tutti le cose devono rimanere cos: Aurelio Maria Cabr di Rosacroce, figlio di marchesi, feudatario, incarna la figura del ribelle. Ribelle al padre, ribelle alle istituzioni e alla Chiesa, insofferente alla politica, giovane scavezzacollo e infiammato dagli studi, abbandona il suo lignaggio e diviene brigante tra i briganti dellisola, riunendo una piccola brigata di fuorilegge spietati ma dal cuore generoso. E il cuore che sia quello dei briganti, come recita il titolo, o quello degli uomini semplici oppure dei disonesti uno dei motivi centrali del libro: oggetto di riflessione da parte di tutti i personaggi, scandagliato a fondo, fino ad essere addirittura, nel trentaseiesimo capitolo, letteralmente estratto da un cadavere e soppesato su una bilancia. Ma la scienza non aiuta a capire se sia il peso dei cuori a rendere gli uomini briganti, e le ombre restano. Chi dunque Aurelio? un bandito di passo o un giustiziere di brigata? un folle o un rivoluzionario? un nobile o un ragazzaccio innamorato di una cortigiana? Di certo sempre in conflitto con se stesso, indeciso se ripudiare o difendere la propria terra, se portarla alla rivoluzione sullonda dellincalzante esercito francese, che esporta i lumi fino a questo ultimo baluardo di mondo, o fuggire da tutto e andarsene in Italia. Aurelio il figlio indefinibile del suo tempo, sa di amare quellisola che Dio la strabenedica, ma non trova pace di fronte alle evidenti ingiustizie che ne macchiano il territorio. Ed eccolo allora diventare il fuorilegge dalla maschera bianca, che firma le sue imprese con il nome di Spartaco, difensore degli oppressi, Robin Hood che deruba i ricchi per dare ai poveri, teatrale come il vendicatore mascherato di V per Vendetta che castiga vescovi perversi e malvagi al ritmo di sentenze bibliche.

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Ma anche un libro politico, Il cuore dei briganti, che non si chiude al 1794, n alla fantasmagorica Isla de Hermosa (che, a va sans dire, ricorda la Sardegna di Soriga), ma si apre a innumerevoli riferimenti, pi o meno velati, alle attuali vicende pubbliche nostrane: Gli uomini sono tutti uguali, secondo il Vangelo, ma in questo Regno non lo sono affatto quando commettono un crimine contro qualcuno o la societ. Benedetto il giorno in cui tutti gli uomini avranno fiducia nella giustizia, e non cercheranno, con inganni e intrallazzi, di sfuggire alle condanne che in cuor loro sanno di meritare. Il titolo dellultimo libro di Salvatore Niffoi, Il bastone dei miracoli (Adelphi, 2010), rimanda allesistenza di un immaginario bastone dei miracoli, una sorta di amuleto che darebbe al suo possessore ricchezza e potere. E gi qui abbiamo la prima cifra di questo libro, non nuova nella produzione dello scrittore barbaricino: una Sardegna rappresentata nel suo intreccio tra religione e superstizione, tra riti selvaggi e miti ancestrali. Il libro inizia con lagonia e la morte di Licurgo Caminera, il quale affida ai sei figli superstiti (dei dodici che ha generato) altrettante buste contenenti i capitoli di una storia, che occupa poi la parte pi consistente del volume. Al centro della vicenda Paulu Anzones, il quale, da debole ed emarginato che era, diventa forte e potente quando entra in possesso del mitico bastone dei miracoli. Paulu stringe unintensa amicizia con Chicchu Barreja, al quale a un certo punto salva la vita. E quando lamico morir, decider di sposarne la sorella, Rosedda. Dando origine, per, a una famiglia infelice. Rosedda avr un figlio da un altro uomo, perch il matrimonio con Paulu non viene consumato. Ancora una volta Niffoi firma una storia a tinte forti, fatta di passioni accese e insopprimibili, di piccole e grandi crudelt e cattiverie. Il realismo della rappresentazione continuamente interrotto da una certa componente onirica. Lo stile funzionale a questo tipo di racconto: ricco, immaginifico, metaforico. Alla lingua italiana si intrecciano termini del dialetto barbaricino. Due piccoli appunti: la prima e la seconda parte del libro appaiono giustapposte luna allaltra senza una reale continuit e la vicenda narrata nelle sei lettere si conclude con unimprovvisa accelerazione non del tutto in tono con quanto precede.

Scrivere con impegno

Le Nazioni Unite nel 2004 lhanno definita la peggiore catastrofe umanitaria in corso sulla Terra. Parliamo della crisi del Darfur, la regione del Sudan occidentale (annessa al Paese nel 1916) dove dal 2003 in atto una guerra cruenta fra due movimenti di liberazione e squadre di miliziani arabi filo-governativi che perseguono una sorta di pulizia etnica contro la popolazione africana. Una situazione che ha gi causato pi di 300 mila vittime e 1 milione e 600 mila profughi. Una tragedia

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umanitaria prossima al genocidio, di cui i media italiani parlano sempre meno e sulla quale incentrato il romanzo di Lorenzo Angeloni: In Darfur (Campanotto, 2009). Unoccasione, dunque, per approfondire, per via narrativa, questa terribile situazione. Lautore, diplomatico di carriera, stato ambasciatore dItalia in Sudan dal 2003 al 2007 e quindi ha vissuto in prima persona, sul campo, la realt descritta nel libro. Che per opera di finzione, con protagonista un esperto di peacekeeping dellOnu inviato a Khartoum per studiare la situazione. Mentre la situazione precipita e la comunit internazionale con i suoi organismi e gli interventi da essi programmati appare incapace di porre rimedio alla tragedia, il protagonista si trova a compiere un proprio percorso personale che lo porter verso un epilogo inaspettato. Lautore bravo nello strutturare una narrazione polifonica capace di mettere in evidenza i diversi punti di vista delle parti in causa, con le loro luci e ombre. Laffermazione di rito, posta allinizio del volume, per cui il Ministero degli Affari Esteri non pu essere in nessun caso considerato responsabile delle affermazioni e delle valutazioni presentate in questo libro diplomaticamente doverosa. Ma lopera ci sembra un bellesempio di come la narrativa possa coniugarsi a un forte impegno civile. Leggendo il romanzo desordio di Alfredo Battisti, per anni dirigente sindacale della Cgil, la prima impressione quella di un tentativo ben riuscito di raccontare una storia attuale, dove facile riconoscere i problemi e le contraddizioni dei giorni nostri: una politica facilmente condizionabile dal potere economico; la difficolt del singolo di mantenere un comportamento etico a fronte di una societ senza pi valori; il dramma e la farsa nei rapporti tra padri e figli e, pi in generale, nella famiglia. In Con i piedi per terra e il naso allins (Albatros, 2010) c in effetti tutto questo e, se possibile, ancora di pi: una prova di scrittura scorrevole, insomma, un impianto narrativo che funziona, in grado di coinvolgere il lettore. La vicenda raccontata in prima persona dal protagonista, Guido Modesti, un uomo di mezza et, sindacalista in carriera alle prese con una difficile e complessa vertenza, in un momento quanto mai delicato della sua esistenza. La storia di un uomo conteso tra una realt quanto mai cinica e dura da affrontare, e la voglia di guardare davanti a s. I personaggi ricordano un po certa commedia allitaliana: una coppia di avvocati truffaldini che tentano di arricchirsi sulla pelle degli ultimi della scala sociale (giovani, handicappati e genitori esauriti e depressi); una moglie pi giovane decisionista e pretenziosa; due figlie autonome e libere da ogni pregiudizio; politici e dirigenti sindacali arrivisti. In questo quadro agisce il protagonista, non sempre coerente (anzi quasi mai), spesso lacerato da dubbi e da contraddizioni tra quello che pensa e quello che invece realizza. Un personaggio n perdente n vincente, perennemente in bilico tra depressione e voglia di vivere. Nel racconto c anche una buona dose di denuncia sociale. Con la vicenda di un gruppo di ragazzi disabili e il dramma delle rispettive famiglie, sulla cui pelle

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si commettono illegalit diffuse e affari pi o meno sporchi. Alla fine della lettura un dubbio pu anche sopraggiungere: e se fosse tutta una storia vera?

Alla scoperta dellinteriorit

Ferruccio Parazzoli uno scrittore di cui non si pu non apprezzare loriginalit di un percorso letterario sempre coerente e decisamente personale. Per lui la scrittura ha a che fare con le idee e con le grandi questioni dellesistenza. La parola, insomma, si confronta ogni volta con la verit. Sul piano dellesperienza, oltre che su quello della spiritualit. Ne abbiamo ulteriore conferma leggendo il suo ultimo libro, Il posto delle cornacchie. Nuovi appunti dal cuore della notte (Edizioni Ares, 2010). Lautore vi ha raccolto alcuni appunti di diario, che, come spiega, si inseguono senza alcuna pretesa sistematica, ma rimandano in negativo limmagine dellesistenza umana, come una radiografia riproduce in negativo limmagine del corpo. A partire dalle esperienze pi comuni della quotidianit, ma filtrate da unintelligenza acuta e non convenzionale, Parazzoli affronta temi profondi e impegnativi: la crisi di identit dei cristiani, lipocrita brutalit di certa tv del dolore, limportanza del perdono. Anche la letteratura diventa qualcosa di importante per la vita: come insegna un autore del calibro di Dostoevskij, che nei suoi libri tratta lavvenire dellumanit, il problema del male, il senso del mondo. Un autore che Parazzoli, in questo, ha deciso di seguire. Di Edoardo Albinati romano, 53 anni, autore, tra laltro, di un libro indimenticabile come il romanzo carcerario Maggio selvaggio Fandango ha pubblicato nel 2009 una raccolta di racconti dal titolo Guerra alla tristezza!, un volume piuttosto eterogeneo, contenente testi di natura molto varia, scritti lungo larco di diversi decenni. Potremmo definire questo libro una silloge di racconti doccasione, intendendo tale espressione nel suo significato pi positivo: gli scrittori pi attenti, pi sensibili, pi originali non sono quelli che inseguono linee poetiche astratte, bens coloro che, come Albinati, sanno farsi sollecitare dalle occasioni della vita, raccogliendone tutta la carica di provocazione, per rielaborarle in maniera inedita. Una discussione teologica in pizzeria assume toni concitati, ma uno dei personaggi mostra come la responsabilit verso suo figlio lo abbia portato a rinnovare il proprio senso religioso. Una partita di pallone con gli amici salva il protagonista da un triste cenacolo letterario. Lamore irregolare di un poeta lo aiuta a trovare la propria vena lirica. In una riunione scolastica tra professori, il preside risolve una questione burocratica con una mossa a dir poco paradossale. In vari testi c una riflessione sulla condizione adolescenziale e sulla tristezza che essa porta con s: forse qui sono le pagine pi intense del volume. Guerra alla tristezza! percorso da una felice attitudine sperimentale, che porta Albinati ad adottare

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di volta in volta diverse soluzioni stilistiche. Spesso lo sguardo del narratore si sofferma sugli aspetti pi assurdi della realt, mostrando tutta la contraddittoriet della nostra vita quotidiana.

Gialli in rosa

Se fosse vera, sarebbe una storia perfetta per la trasmissione televisiva Chi lha visto?, che da anni si occupa di ricercare persone misteriosamente scomparse. Al centro del nuovo libro di Lia Migale, La donna del diavolo (Voland, 2009), c infatti la sparizione nel nulla di una quarantenne di nome Antea. Siamo a Roma, nellestate del 1989, quando il commissario Devila tornato nella capitale dopo alcuni anni di servizio in sedi periferiche. Il funzionario deve ancora riambientarsi, ricontattare i vecchi amici, riprendere confidenza con la sua vecchia citt, quando la routine lavorativa dei primi giorni, fatta di casi minori e poco entusiasmanti, bruscamente interrotta dalla storia di Antea. La donna ha lasciato il suo piccolo appartamento senza dire niente a nessuno. Come da manuale, Devila comincia a contattare i conoscenti della scomparsa, provando a capire che cosa ci sia sotto. Sono molte le ipotesi che si affacciano. Tra le altre, la pista eversiva, legata al brigatismo rosso, nella fase crepuscolare di un decennio, gli anni Ottanta, fatto di yuppies invece che di hyppies. In ogni caso Antea lo specchio di una generazione: movimento studentesco, femminista, militante di un gruppo extraparlamentare. Due le persone che risultano pi vicine ad Antea, Giorgio e Ninni. Con questultima il commissario avr anche una love-story. A un certo punto, a complicare il quadro, compare anche un maniaco, che per sembra essere estraneo al caso. Il romanzo di Lia Migale docente di economia alla Sapienza di Roma, aveva gi pubblicato due romanzi presso Empiria, In un altro luogo (1996) e Malamore (2001) sembra voler declinare il genere giallo con una particolare attenzione al contesto storico, al legame tra le vicende dei singoli e quelle collettive. Le indagini del commissario Devila si collocano in un momento in cui il mondo forse stava cambiando e la realt superava i sogni: Con Gorbacev che a Berlino, solo due giorni prima, non aveva escluso lapertura del muro destinato a diventare, con la costruzione della casa comune dEuropa, solo un monumento per turisti, a memento degli orrori del XX secolo. Con gli europei dellest che sognavano lEuropa. Con gli europei dellovest che andavano a votare per lEuropa. Tuttavia i due filoni risultano non sempre adeguatamente complementari, bens pi giustapposti che intrecciati. Si tratta inoltre di un libro molto parlato, in cui la cronaca dellinchiesta si sviluppa pi sulla base di un racconto in presa diretta (non a caso i diversi capitoli del romanzo sono aperti dallindicazione di alcune date, quasi si trattasse di appunti diaristici), con tanto di dialoghi, ma con poca

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azione. Una mancanza non del tutto riscattata dai colpi di scena e dalla suspense che li precede. Pi felice, invece, lintuizione di unevoluzione personale della figura del commissario, che, a contatto con le situazioni a cui lo portano le indagini, matura una propria crisi interiore: efficace, in questo ambito, la descrizione della sua aridit sentimentale. Gli sembra quasi che risolvendo il mistero di Antea finir per capire anche qualcosa di molto importante su se stesso. Perch si sa che in letteratura i personaggi pi credibili sono quelli pi problematici. Come piante tra i sassi (Einaudi, 2009), il nuovo romanzo di Mariolina Venezia dopo lopera prima del 2007, Mille anni che sto qui (premio Campiello) , anzitutto un giallo. Ma come certi gialli di Leonardo Sciascia (pensiamo ad esempio a Il giorno della civetta), anche un libro che parla di una terra, di una regione, di una cultura, resa nelle sue contraddizioni. Qui non la Sicilia, bens la Basilicata dellautrice, un luogo nel quale le vicende che si svolgono nel racconto sono profondamente radicate. Tutto parte dal ritrovamento del cadavere di un ragazzo ventiduenne, Nunzio Festa, nelle campagne materane. La scena farebbe pensare a un regolamento di conti o anche a una lite sorta per futili motivi in una discoteca, dove pare che la vittima la sera prima si fosse recata. La cosa per non convince Imma Tataranni, il sostituto procuratore chiamata a indagare sul delitto. Con labilit della detective professionista, ma anche con la sensibilit psicologica di una mamma (Imma ha una figlia adolescente), la donna decide di andare fino in fondo. E mentre le indagini si dipanano, noi entriamo sempre pi anche nel privato di Imma, il cui ritratto viene schizzato da Mariolina Venezia in maniera decisamente originale. Attraverso il suo sguardo, vediamo anche noi una regione in bilico tra la modernit globalizzata e la persistenza di tradizioni arcaiche. Il tutto in un buon italiano, interrotto, di tanto in tanto, da qualche termine dialettale e gergale.

Lomosessualit non esiste

Lomosessualit non esiste. Esistono le omosessualit, al plurale. Perch ci sono molti modi di essere omosessuali, come esistono molti modi di essere eterosessuali. Sul confronto e sullo scontro tra due diverse concezioni dellomosessualit si basa il dialogo che si stabilisce tra due amici, Edoardo, studioso di letteratura, e il pi maturo Aldo, architetto in pensione, i due personaggi di un singolare romanzosaggio, quasi un racconto filosofico, di Franco Buffoni, Zamel (Marcos y Marcos, 2009). Nel libro di Buffoni, Aldo vive il proprio essere omosessuale come una colpa, qualcosa che non ha mai pienamente accettato. Quelli che cerca sono

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ragazzi eterosessuali, pronti a concedersi per denaro o per curiosit, ma la cui eterosessualit non venga messa in discussione da queste esperienze. Edoardo invece portatore di una visione pi matura dellidentit omosessuale, figlia del movimento di liberazione gay e di una fase di consapevolezza politica da parte della comunit omosessuale. Per lui si tratta di ricercare un rapporto alla pari tra persone che condividono la stessa appartenenza di genere, un dato non puramente biologico ma soprattutto psicologico. I due amici discutono animatamente le loro idee in un dialogo serrato in cui i riferimenti culturali si mescolano con le esperienze della vita, rese spesso in maniera molto diretta, in un linguaggio irriverente che sfida in maniera programmatica il moralismo borghese. Per vivere lesperienza omosessuale in una chiave, per cos dire, pasoliniana, cio nel contatto con la realt sociale di ragazzi di vita lontani dalle complicazioni della civilt europea, Aldo ha pensato bene di trasferirsi in Tunisia. Forse anche sentendosi pi sicuro in un Paese islamico che, pur vietando per legge la pratica omosessuale, nei fatti la tollera pi di quanto accada nellEuropa avanzata, o presunta tale. Perch non manca di notare lo scrittore in Italia negli ultimi anni si sono consumate decine di omicidi a danni di anziani omosessuali, quasi tutti ad opera di prostituti che in un impeto di rabbia si sono scagliati contro la loro fonte di guadagno, che per li induceva ad atti dei quali, non essendo essi omosessuali, nel loro intimo si vergognavano profondamente. Eppure proprio questa sar la sorte di Aldo in Tunisia. Verr ucciso non stiamo svelando qui il finale del libro, perch si tratta del punto di partenza da Nabil, che Aldo, al termine di un rapporto sessuale, ha chiamato, per provocarlo, zamel, cio frocio, lepiteto spregiativo che da quelle parti un insulto intollerabile. Le parole possono uccidere: c qualcosa che si pu fare se non si dice, ma che, se viene nominato, scatena una violenza cieca, frutto di un atavico retaggio di repressione e pregiudizio. Edoardo si reca nella casa tunisina dellamico, che era stata teatro degli incontri con Nabil, per assistere al processo a questultimo. Unoccasione per lui per riflettere, e per far riflettere il lettore, su cosa significhi scoprire e accettare la propria diversit. un romanzo di formazione sviluppato in una chiave meditativa e introspettiva il nuovo libro di Nicola Lecca, Il corpo odiato (Mondadori, 2009). Lautore sardo, ha trentatr anni, ed un appassionato viaggiatore, oltre che gi apprezzato narratore. Protagonista il diciannovenne Gabriele, un ragazzo marchigiano che decide di fuggire dalla claustrofobia familiare e provinciale per recarsi a Parigi, la citt del sogno, dove poter finalmente conquistare la propria libert. E la propria identit. Perch nella capitale francese Gabriele si scoprir omosessuale, seppure rimarr sempre allergico a ogni definizione ghettizzante: Non voglio una definizione che gli altri possano usare riferendosi a me. Il luogo in cui sperimenta sesso e sentimenti una discoteca, il Thtre de la Princesse, luogo paradisiaco e insieme infernale, quando diventa il simbolo di una

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spersonalizzazione dellattrazione erotica. Il locale rappresenta il perno attorno a cui si sviluppa la narrazione, autentico centro di irradiazione di gioia e sofferenza nella costante altalena psicologica del protagonista. La tentazione di un sesso facile e banalizzante vissuto per, a poco a poco, in maniera sempre pi personale, alla ricerca di una pi autentica comunicazione con laltro bilanciata dallintuizione di un orizzonte che forse si apre alla trascendenza: La forza per resistere solo in me o va ricercata altrove?. Voce parlante in un libro dotato di una struttura libera, digressiva, che si sviluppa nella forma di un diario in cui sono annotati esperienze, pensieri, riflessioni, il narratore si fa apprezzare per la sincerit con cui sa mettere a nudo se stesso e i propri fantasmi interiori. Lanoressia del protagonista, cio la sua ricerca ossessiva di un corpo sempre pi perfetto, il sintomo di un disagio profondo che Nicola Lecca ha saputo raccontare con intensit di emozioni e di scrittura. Anche nel 2009 Delia Vaccarello ha curato una nuova puntata delle sue Principesse azzurre, anche se questa volta il titolo diverso: Pressoch amanti. Racconti damore e di vita tra donne (Mondadori). Si tratta della settima raccolta di racconti di argomento lesbo. Anche se forse una tale etichetta rischia di risultare riduttiva. Scrive infatti la curatrice nellintroduzione: Qui si racconta la vita. Tramontate le ideologie, com evidente, la vita sfugge a categorie e rigidit e, insieme a confusioni e stordimenti, ci offre il dono del pressoch. Che occasione: svanita del tutto al momento la politica come tensione ideale, pagati i prezzi di tale insipienza, si cerca la propria via con abbozzate bussole personali, di una certa approssimazione o di inaspettata precisione. Nel volume trovano ospitalit testi di narratrici gi affermate come Barbara Alberti (autrice di un delizioso racconto di suore), Margherita Giacobino e la stessa Vaccarello e di altre al loro esordio (o quasi), come le giovani Mara Piccardo e Sonia Patania. E ancora: A.S.Laddor (acronimo de La donna dagli occhi rossi), Mailn Cordoba, Erika Papagni, Francesca Eugenia Busdraghi, Rosi Polimeni, Anna Paolucci, Angela Mannino e Ornella Spraygat. Testi diversi nei toni e nelle soluzioni stilistiche, ma ciascuno tessera di un mosaico capace di restituire limmagine, complessa e variegata, delluniverso delle donne che amano le donne. Particolarmente felici alcuni racconti in cui le scrittrici affrontano il tema nella chiave della storia di formazione. Come quello di Mailn Cordoba, Regina di tre cuori, che descrive, con stile semplice ma efficacissimo, i turbamenti emotivi di una liceale innamorata di una coetanea. La capacit di auto-introspezione notevole. Particolarmente intenso il racconto di Erika Papagni, incentrato su unimprovvisa malattia di una protagonista dai tratti autobiografici. La terribile esperienza metter in crisi il rapporto con la compagna, ma le insegner qualcosa di fondamentale per la vita.

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Donne che dicono no

una vita dura quella di Floriana, protagonista del romanzo Lo show della farfalla di Franco Matteucci (Newton Compton, 2010). Accomodato un matrimonio di emergenza con un uomo disgustoso, Floriana deve sottomettersi al marito, al figlio, alla suocera, subendone angherie e prepotenze: una famiglia di personaggi volgari che trascura e sfrutta la povera Floriana. La quale, violentata sia sul piano psicologico che su quello fisico, distrugge la propria dignit di donna, incastrandosi come un fantasma in una vita che ormai rifiuta di considerare sua: una marionetta nelle mani dei prodotti per le pulizie di casa e degli elettrodomestici, con i quali, da brava casalinga frustrata, balla ogni giorno una danza ossessivomaniacale preposta allannullamento di s. Nulla le concesso: le piccole intimit personali (come assistere il padre malato) quanto gli stessi ingrati doveri sono libert concesse dal corpulento marito al prezzo di prestazioni sessuali, che lui annota diligente su un taccuino come pagamento avvenuto, assieme ad altri conti di casa. In questo clima oppressivo e di perversa violenza, Floriana finisce addirittura per difendere la sua prigionia: svuota la mente nella tv trash, atrofizzando la propria coscienza e nascondendosi meglio nel buio della sua esistenza, impedendo lingresso a chi le tende la mano per un aiuto. Ma qualcosa di inaspettato emerge pian piano dalla sua triste realt: Lucrezia unanziana fata madrina, e le insegner piccoli incantesimi di donna che la aiuteranno a sbocciare da verme a orgogliosa farfalla. Un romanzo duro e a tratti scioccante, che parla dei modi in cui le donne ancora oggi possono essere vittime sacrificali immolate sullaltare dellarroganza maschile e delle sue patologie pi estreme. Fare la narice del coniglio: Si trattava di muovere leggermente la narice destra, un piccolo ma ritmico e continuo tremolio. Un leggerissimo contrarsi della cartilagine nasale, che comportava anche, di conseguenza, un ancor pi lieve spostamento del labbro superiore. Come fa il coniglio. un gesto istintivo, inconsulto, che si trova a fare, allimprovviso, una ragazza di nome Barbara Lope. La troviamo allinizio dellultimo libro di Paola Mastrocola, il romanzo breve La narice del coniglio (Guanda, 2009) studentessa liceale, che, nel corso di uninterrogazione di letteratura italiana, di fronte allostentata bravura del primo della classe, anzich sfidarlo dicendo anche lei tutto quello che sa, preferisce isolarsi dalla situazione, facendo, appunto, la narice del coniglio. Un atteggiamento che diventer, anche in seguito, il suo personalissimo modo di mettere distanza, marcare una differenza, quando ci che le sta di fronte non la convince del tutto. Quel comportamento strambo, che in coloro che la osservano genera sconcerto e, come minimo, imbarazzo, diventa cos il correlativo oggettivo di una sfida alle convenzioni sociali, ai riti vacui e autoreferenziali di un mondo che

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sembra aver smarrito il senso pi autentico dellesistenza. Che si tratti di sussiegose commesse di eleganti negozi di calzature firmate o di una collega arrivista che vuole rubarle il posto di lavoro, o ancora di uno spasimante che parla, parla, ma non capace di ascoltarla, ogni volta Barbara, allimprovviso, si mette a fare il naso del coniglio. Un coniglio effettivamente laveva avuto da bambina, e forse ha imparato proprio da lui questo gesto di rottura e di polemica, che tale almeno quando praticato da un essere umano. Cos Barbara, pur essendo figlia di professionisti (la madre insegnante, il padre medico) ed essendosi laureata in Glottologia, preferisce a un certo punto abbandonare il prestigioso lavoro di organizzatrice di eventi culturali per il Comune, e mettersi a fare la tinteggiatrice di pareti (o, come pi prosaicamente dicono i suoi genitori, limbianchina), sulle orme di una zia un po stramba e anticonformista, anchessa in permanente rotta di collisione con la famiglia, morta prematuramente. Soltanto una persona, a un certo punto, trover simpatica la sua narice da coniglio e scoppier in un riso irrefrenabile di fronte alla performance di Barbara. un bambino, Nicola, incontrato al matrimonio di unamica. L avviene lintuizione di ci che forse davvero potrebbe appagare lansia e lapparente disadattamento sociale di Barbara: lesperienza della maternit. La misura breve di questo libro d modo a Paola Mastrocola di tracciare una parabola morale schietta e senza fronzoli. Lintransigenza della protagonista, che di fronte alla vacuit del vivere borghese preferisce ritrarsi quasi spaventata, lo strumento per mettere in luce le contraddizioni di una societ che, evidentemente, anche allautrice piace poco. Romanzo, dunque, come felice scarto etico. A partire dalla biografia della scrittrice francese Colette, in Lezione di nuoto (Guanda, 2009) Valentina Fortichiari intesse un originale romanzo a met tra il divertissement letterario e lindagine introspettiva sul tema della passione amorosa. Siamo nel 1920, in Bretagna, dove Colette trascorre le vacanze in una localit di mare vicino a SaintMalo. Libera e anticonformista, la donna d lezioni di nuoto al figlio sedicenne del suo secondo marito. Ladolescente, timido e introverso, non ama il capolavoro di Colette, Chri. Ma i contenuti di quel libro avranno inaspettatamente a che fare con la sua vita. Dalla regista romana Cristina Comencini (figlia del grande Luigi) leggiamo Quando la notte (Feltrinelli, 2009), un libro che un romanzo molto cinematografico nella sua velocit stilistica, tutta centrata sui dialoghi. la storia della relazione inaspettata e inusuale tra un uomo e una donna. Marina e Manfred si incontrano e mettono in comune le proprie difficolt esistenziali, i problemi e i traumi della vita. Una passione ambivalente, descritta con realismo anche nelle pieghe pi inquietanti. Perch lamore e lodio spesso sono pi vicini di quanto comunemente si creda. Non dire madre di Dora Albanese (Hacca, 2009) un libro desordio, una raccolta di racconti (alcuni forse pi autobiografici, altri di pura invenzione) di una

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giovane scrittrice materana, nata nel 1985. Testi maturi, nella capacit di guardare in maniera non convenzionale alla pluralit delle esperienze. C la maternit (che genera sentimenti ambivalenti), il lavoro in una casa editrice della capitale, la fine di un rapporto di coppia, ma anche il richiamo delle radici lucane, in un dialogo con le voci degli anziani. Il realismo talora molto diretto, ma lautrice brava nel sondare le contraddizioni dei diversi stati psicologici. Solo qualche anno fa credevo che i miei genitori fossero eterni. Invece a sedici anni Ariel si accorge che non cos: i padri (e le madri) possono tradire, andarsene, morire. Abbandonando i figli alla durezza della vita, da affrontare senza laiuto di una guida autorevole e affettuosa. Cos in Te lo dico in un orecchio (Sonzogno, 2009) di Silvia Tesio, Ariel deve destreggiarsi da sola, tra le contraddizioni e le difficolt della propria adolescenza. Un romanzo desordio in cui lautrice, pubblicitaria torinese, riflette sullincolmabile distanza che separa gli ideali dalla realt.

Omaggi a chi non c pi

Preziosa riproposta, quella del diario della Prima guerra mondiale di Giovanni Comisso (18951969): Giorni di guerra (Longanesi, 2009). Lo scrittore trevigiano aveva appena 19 anni quando, nella generale allerta del 1914 rispetto alla possibilit che anche lItalia entrasse nel conflitto, viene chiamato alle armi. Ha inizio per lui unavventura che difficilmente si era immaginato, una di quelle esperienze che segnano per sempre una persona. La partecipazione allevento bellico diventa per Comisso lo spartiacque tra ladolescenza e la maturit, e anche sul piano letterario segner una tappa fondamentale. In realt il libro verr scritto soltanto alcuni anni pi tardi, precisamente tra il 1923 e il 1928, per essere pubblicato nel 1930. E che si tratti di unopera a cui lautore attribuiva una grande importanza testimoniato dal fatto che vi torner sopra da anziano, arricchendo il libro di nuovi episodi, fino alla versione definitiva del 1961, riprodotta nel volume ora mandato in libreria da Longanesi. Va detto, per essere franchi, senza la necessaria cura critica che un classico come Comisso meriterebbe: il volume esce senza uno straccio di introduzione o di apparato critico, riproducendo in anastatica le edizioni precedenti. Ma, a parte questa doverosa lamentela, possiamo dire che il volume, anche cos, vale la pena dellacquisto. Perch si tratta di un documento di grande rilievo storico, oltre che di unopera di rara bellezza letteraria. Questultima risiede tutta nellasciuttezza del dettato, che appare sostanzialmente cronachistico, senza particolari commenti ai fatti narrati n riflessioni n accensioni liriche. La poesia si coglie invece proprio nei dettagli, nelle immagini che baluginano quasi per caso

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qua e l, ma che definiscono la personalissima poetica di Comisso: una poetica dello sguardo, tutta giocata nei toni dellunderstatement. Cos troviamo il giovane Comisso catapultato a Firenze per laddestramento, mentre gi incombe il senso di una tragedia imminente. Nel maggio del 1915 gli avvenimenti precipitano: Quando si usciva vestiti di grigioverde tutti ci guardavano compassionevoli. Nel tranvai le signore si alzavano per offrirci il posto quasi fossimo gi feriti o moribondi. Poveretti, ci dicevano e guardavano con tale dolcezza da riempirci dorgoglio. Poi, dichiarata la guerra, la partenza per le retrovie in Friuli, presso Gorizia, meta da conquistare. Al soldato Comisso viene data una bicicletta (suo orgoglio tra i compagni) perch il suo compito quello di tenere le comunicazioni e di riparare le linee telefoniche. Questi soldati di leva appena ventenni allinizio sono allegri e spensierati, come se fossero in gita scolastica, ma presto la guerra con tutto il suo orrore fa ingresso nelle loro esistenze: morti, feriti, pulci, pidocchi, scabbia, il cibo che scarseggia, il colera, lodore penetrante della creolina utilizzata per disinfettare tutto, latroce gioco dei cecchini. Ci non impedisce qualche momento di spensieratezza, come i bagni nel Natisone, o la visita a un postribolo allestito per le truppe, sul cui ingresso campeggia un cartello con un monito: Il coito sia breve. La truppa infatti numerosa e le ragazze poche. Non mancano gli equivoci derivanti dai diversi dialetti utilizzati dai soldati delle varie regioni: Incontrato un ragazzo, un ufficiale, un fiorentino, gli domand se ci fosse una callaia per Carpenedo. Il contadino stupito a quella parola che tradotta nel suo dialetto tanto diversa, rimase senza rispondere e si lev il cappello. Nel 1915 lItalia era stata fatta da mezzo secolo, ma gli Italiani non ancora. Centanni fa (1909) nasceva a Colle di Val dElsa (in provincia di Siena) Romano Bilenchi. Uno degli scrittori pi appartati e pi originali del Novecento italiano (morir a Firenze nel 1989). Un importante anniversario che la casa editrice Rizzoli Bur ha deciso di celebrare con un volume che gli estimatori di questo autore non mancheranno di apprezzare: le Opere complete, unedizione riveduta e aggiornata di una prima versione comparsa nel 1997 presso Rizzoli per la competente cura di quella che oggi forse la sua maggiore studiosa, Benedetta Centovalli (cronologia, note ai testi e bibliografia a cura di Benedetta Centovalli, Massimo Depaoli e Cristina Nesi). Un ponderoso volume in cui c tutta la produzione dello scrittore toscano. A partire dai racconti degli anni in cui Bilenchi gravitava attorno al Selvaggio di Mino Maccari (per le cui edizioni pubblica nel 31 Vita di Pisto, qui confinato in una sorta di appendice in quanto questo testo giovanile era stato poi rifiutato dallautore) e alle riviste dellermetismo fiorentino, come Campo di Marte. Sempre ai primi anni Trenta risalgono i testi poi compresi nella raccolta Il capofabbrica

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(1935), una sorta di romanzo a episodi che si configura anche come romanzo generazionale, mentre nel 38 esce la silloge Anna e Bruno e altri racconti. C poi, soprattutto, il capolavoro di Bilenchi, Conservatorio di Santa Teresa, finito di scrivere nel 39 e pubblicato per la prima volta nel 40 (nuove edizioni saranno approntate dallautore nel 1973 e nel 1985), uno dei romanzi italiani pi belli, pi misteriosi, pi affascinanti. Pu valere la pena, per chi non conosca Bilenchi, partire proprio da questopera per scoprirlo. Un libro fatto di pause e silenzi. Il protagonista, Sergio, un bambino che vive nel magico mondo della villa di famiglia, nella campagna senese, in un rapporto simbiotico e complicatamente freudiano con la madre Marta e con la zia Vera, la nonna paterna Giovanna e il padre Bruno. La sua relazione privilegiata proprio con queste figure femminili (esclusa la nonna, che appartiene allorizzonte, tutto maschile, della norma e della legge), perch esse hanno mantenuto un animo bambino, instabile e capriccioso, grazie al quale possono interagire con il ragazzo. Per i primi due terzi del romanzo non succede praticamente nulla, se non piccoli fatti allapparenza banali ma che nella mente fanciulla di Sergio vengono ingranditi a dismisura. Il conservatorio di cui al titolo la scuola dove Marta e Vera hanno studiato e dove nellultima parte del libro verr mandato lo stesso Sergio. Allora il ritmo narrativo subir una certa accelerazione e chi legge comincer ad avere limpressione che qualcosa stia accadendo. Intanto c la guerra (il primo conflitto mondiale) per la quale parte Bruno, anche se la storia politica rimane sullo sfondo: compresi i contrasti tra socialisti e borghesi (socialista capiamo che Bruno, anche se per censo appartiene alla classe padronale). Perch il romanzo tutto incentrato sullinteriorit del piccolo Sergio, sulla scoperta del mondo da parte di un bambino, compreso un rapporto con laltro sesso che conoscer, a scuola, una declinazione diversa rispetto a quella parentale. Un libro magico il cui incantesimo legato anche allo stile: una periodare lento e rarefatto (soprattutto nella prima parte, quella alla villa), scevro per dei vezzi di certa prosa darte del tempo. Semmai siamo in prossimit dellermetismo. Non a caso Conservatorio di Santa Teresa piacque tanto a Mario Luzi. Poi una pausa creativa pi che trentennale, interrotta soltanto nel 1972 con la pubblicazione del romanzo Il bottone di Stalingrado, in cui il protagonista Marco viene seguito nelle tappe principali della sua vita: il fascismo, la Resistenza, il dopoguerra. La storia di uneducazione politica e sentimentale, unopera che Carlo Bo ebbe a definire il primo romanzo politico e civile senza soperchierie e abusi. Infine Amici, una raccolta di racconti, scritti tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, capaci di rievocare unepoca, attraverso gli amici di tutta una vita: da Mino Maccari a Ottone Rosai, da Elio Vittorini a Ezra Pound, da Mario Luzi a Erich Linder. Per me la prima forma dellarte la memoria, dichiar Bilenchi. Specificando per subito dopo: Si tratta di una memoria che inventa oltre che

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ricordare. La rievocazione del passato avviene infatti attraverso un tono che oggettiva il ricordo stemperandone la carica emotiva. Il tutto in una lingua essenziale, precisa, capace per anche di momenti di autentica suggestione. Nella sua bella introduzione, Benedetta Centovalli individua con efficacia lunicum di questo scrittore: Bilenchi un narratore della soglia, del limite, il suo un mondo di epifanie, di intermittenze che preludono a un evento, a qualcosa di indicibile che preme per essere detto. La sua fedelt alla poesia una necessit, la sua scrittura lavora sotto il margine della coscienza per fare emergere dal profondo, senza il linguaggio del profondo, quello che si vuole dire. Forse proprio questa la ragione, insieme, del suo fascino e del suo scarso successo commerciale. Almeno sino ad ora. Di Turi Vasile, lo scrittore messinese scomparso nel 2009 allet di 87 anni, Hacca ha pubblicato, poco prima della sua morte, lultima raccolta di racconti, Lombra. Sono testi insieme semplici nella costruzione e intensi nei contenuti. Lapproccio alla narrazione quasi sempre autobiografico. Lautore prende spunto dalla propria vita, raccontando gioie e dolori di unesistenza ricca di affetti e di accadimenti: linfanzia, la malattia, il lutto, il tempo che passa, un problematico senso del divino. Un libro prezioso, quasi un inconsapevole testamento letterario.

Roberto Carnero, Universit degli Studi di Milano, Italy (robbicar@libero.it)


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10.1179/026143410X12851630950739

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