Giuseppe Mazzeo
SOMMARIO
CAPITOLO 1
RELAZIONE STORICO-TECNICA
CAPITOLO 2
DOCUMENTAZIONE BIBLIOGRAFICA, ICONOGRAFICA E CARTOGRAFICA
CAPITOLO 3
DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA
CAPITOLO 1
RELAZIONE STORICO-TECNICA
L’atto di nascita di S.Andrea di Conza nel sec. XII al tempo dei Normanni è
storicamente documentato. Nel febbraio del 1161 il Conte Gionata di Conza con
munifico gesto donò alla Chiesa di S.Maria dell’Episcopato di Conza la Chiesa di S.
Andrea con l’annesso Casale e territorio. L’Arcivescovo vi stabilì la sede e vi costruì un
palazzo, l’episcopio, che fin dall’origine ebbe forma di fortezza-castello, munito di torri
e protetto dalla conformazione naturale del luogo.
L’Università di S.Andrea da quel momento fu regolata, anche sul piano civile, giuridico
e amministrativo oltre che religioso, dagli Arcivescovi-feudatari fino alla soppressione
della feudalità. Nei secoli successivi gli Arcivescovi costruirono a S. Andrea anche il
monumentale Seminario Metropolitano con l’annessa procattedrale “S.Michele”.
Le trascrizioni più antiche del documento di donazione si hanno nel Castellano, autore
dell’inedita Cronista Conzana, nell’Ughelli e nel Lupoli. Il Castellano e il Lupoli
dichiarano di riportare il documento direttamente dall’originale dell’Archivio
diocesano, andato purtroppo perduto. Vito Acocella attesta di averlo trascritto dalla
copia conservata nell’Archivio di Stato di Napoli, anch’essa perduta con l’incendio, che
nell’ultimo conflitto mondiale distrusse tutto il complesso delle pergamene antiche.
Sull’autenticità dell’atto di donazione e del relativo documento gli studiosi oggi sono
tutti concordi. Se qualche perplessità fu espressa in passato, la critica moderna, sulla
scia del Di Meo, è intervenuta a fugare ogni ombra di dubbio.
Per ricostruire l’origine remota di S. Andrea bisogna risalire all’alto Medioevo, diversi
secoli prima della suddetta data. Personalmente ho compiuto ricerche e studi per
individuare l’arco cronologico dell’insediamento abitativo originario, seguendo un
filone storiografico, d’indiscusso valore critico, che da Paolo Diacono, il famoso storico
Sorto nell’XI secolo (alcune fonti tra l’VIII-IX sec.), è ubicato nell’alta valle dell’Ofanto
lungo la via Appia (SS 7) ed è situato tra il Monte Calvo e la Cresta Cesina sotto il
costone roccioso della Serra la Serpa. Il centro di Sant’Andrea di Conza è stato, nel
Medio Evo, strettamente legato al vicino centro di Conza della Campania, essendo
stato fondato da alcuni abitanti del contado conzano, forse a seguito di uno dei
terremoti che colpirono Conza e che costrinse moti abitanti ad abbandonarla, i quali
hanno edificato le prime costruzioni ed una chiesetta dedicata all’Apostolo Andrea che
ha dato il nome a tutto il casale.
La contea di Conza nell’XI-XII secolo, in particolare sotto i Normanni, è stata una delle
più estese comprendendo tutta l’alta valle dell’Ofanto che del Sele ed anche parte della
valle del Calore (come il Gastaldato di Montella); pertanto anche l’Archidiocesi di
Conza è sempre stata molto importante e potente.
Nel XII (1161) il conte normanno Gionata di Balvano offre a Santa Maria dell’episcopio
di Conza la chiesa di Sant’Andrea situata tra il territorio della città di Conza e il castello
di Pescopagano. Scopo di tale donazione è di assicurare agli arcivescovi un feudo con il
“potere civile misto e criminale”e di costituire le rendite per il vitto “dei chierici al
servizio della chiesa di Conza”.
Da allora e sino alla soppressione della feudalità (fine XVIII sec.) il casale di
Sant’Andrea è stato sotto il dominio della Mensa Arcivescovile di Conza. Non tutti gli
arcivescovi hanno accettato nei secoli successivi anche il potere temporale, cosicché il
paese è stato assoggettato a varie signorie.
Probabilmente nel XIII secolo è stato realizzata nella parte alta del borgo una
costruzione fortificata (nucleo originario dell’Episcopio) che ha poi subito numerose
ristrutturazioni in varie epoche.
Fu feudo dei Poncelly, dei Del Balzo, dei Gesualdo. In quest’epoca (fine XV secolo) vi
vivevano 55 famiglie per un totale di circa 300 abitanti.
Dal XVI secolo (in particolare nel 1536 e nel 1560) gli arcivescovi hanno riaffermato la
giurisdizione civile trasferendo la loro sede da Conza nel castello che è diventato così,
Episcopio. In questo periodo sono stati arcivescovi Girolamo Muzzarelli, Ercole
Rangone, Fabrizio Campana, Gaetano Caracciolo e Francesco Nicolai.
Il XVI e il XVII secolo hanno caratterizzato l’impianto urbanistico del centro, a seguito
di una crescita rilevante. L’impianto attuale è lo stesso derivato da quelle
trasformazioni, caratterizzate da diversi tipi edilizi, dalla cinta muraria intorno al centro
nella quale si aprivano ampie pote di cui una ancora visibile (Arco della Terra). Nel
centro vennero costruiti un palazzo vescovile ed una cattedrale, così come in tutti i
centri che facevano parte del vescovato. Nel centro funzionava anche un Seminario.
In questi due secoli è accertato anche un notevole incremento della popolazione: nel
1669 gli abitanti erano 1200 e nel 1732 erano cresciuti fino a 1350.
Un vescovo in particolare, Michele Angelo Lupoli, legò il suo nome al restauro del
Seminario e del Palazzo Vescovile, e una bella lapide ne ricorda l’opera.
Alla fine del XVIII secolo l’arcivescovo Ignazio Andrea Sambiase ha rinunciato alla
giurisdizione baronale del feudo che è stato incorporato al Regio Demanio con
Dispaccio del novembre 1791 e con sentenza definitiva del 1808.
Nel febbraio 1799, alla instaurazione della Repubblica Partenopea Sant’Andrea venne
inserito nel cantone di Pescopagano inserito nel dipartimento dell’Ofanto con capitale
Foggia.
Con la costituzione dell’Unità d’Italia (1860) Sant’Andrea come altri centri dell’Alta
alcun sue parti, ha prodotto nel complesso risultati positivi, anche se risente di una
certa limitatezza nelle previsioni d’intervento, imputabili allo stato di emergenza nel
quale esso è stato adottato.
Scriveva nella relazione di accompagnamento al Piano il prof. Renato Cristiano:
In definitiva si è prescelta, in contrapposizione ad astratte e dannose azioni
“radicali”, una operatività incentivata dalle possibilità di miglioramento
residenziale offerti dalla tipologia d’intervento: operatività modesta ma sicura e che
proceda senza abdicazioni nei confronti della sicurezza, né nei confronti della
salvaguardia ambientale. È in sostanza ispirata ad un richiamo indispensabile alla
responsabilità locale.
La definizione delle unità minime d’intervento (assunte solo in prima istanza
corrispondenti alle particelle catastali) con i relativi riflessi sulle possibilità di
adeguamento sismico delle strutture statiche e sulla riorganizzazione funzionale
degli alloggi e, in taluni casi, la stessa scelta, in una gamma di potenziali
interventi, di quello più confacente alle esigenze dell’operatore (fino a giungere
anche alla ristrutturazione urbanistica), costituiscono esemplificazioni rilevanti e
significative del richiamo alla responsabilità locale. L’intreccio o la tessitura fitta e
quasi inestricabile, in uno alla estrema parcellizzazione della proprietà, non
consentiva del resto altra soluzione, pena, come detto, l’astrattezza e l’inattuabilità
dell’intervento.
L’obiettivo del recupero del patrimonio edilizio degradato si è fondato su un preciso
intendo programmatico: quello di assicurare all’operazione una logica interna e di
favorire, nel contempo, una decisa e globale azione, principalmente di adeguamento
edilizio, ma anche, in misura non marginale, di ristrutturazione urbanistica.
Infatti, se risulta evidente l’attenzione e la particolare tensione verso la
riattivazione della zona urbana che allo stato mostra segni molto preoccupanti di
abbandono e di conseguente irreversibile degrado –principalmente per lo
svuotamento di abitanti e di attività determinatesi a seguito del sisma– si è inteso
anche superare, attraverso un’azione generalizzata (anche se altrettanto puntuale),
una contestualità di interventi e di ricostruzione e di adeguamento nel resto del
territorio insediato del paese. La definizione progettuale dell’intervento pubblico,
data la delicatezza del contesto ambientale e la necessità del pieno controllo formale
dei risultati, non attiene tanto l’ambito urbanistico, quanto quello architettonico.”
Sarà comunque compito del presente Piano introdurre delle limitazioni e regolare
preventivamente l’uso dei colori, in attesa del definitivo Piano del Colore.
Gli interventi ammissibili
Il Piano dovrà prevedere solo operazioni di adeguamento tecnologico delle residenze e
dovrà indicare i casi nei quali è ammesso il cambio di destinazione d’uso. Vanno anche
considerati alcuni interventi di allineamento prospettico su alcune quinte urbane.
Obiettivo degli interventi è creare le condizioni che portino alla riscoperta dell’area,
quale momento di riappropriazione culturale e di affermazione della propria identità
storica-collettiva, materializzata nella struttura urbana del nostro Centro Storico.
All’interno del Centro Storico, vanno quindi previsti interventi miranti all’inserimento
di attività non inquinanti, quale piccole botteghe artigianali e commerciali, tali da
innescare processi di rivitalizzazione, viste anche le enormi potenzialità turistiche che
questo possiede. Per tale operazione vanno predisposti strumenti normativi di Piano
che consentono l’attivazione di tale processo.
Interventi di ristrutturazione urbanistica
Il disegno degli interventi di ristrutturazione urbanistica del P.R. in atto va senz’altro
completato e potenziato.
Bisogna comunque integrarlo con operazioni di ristrutturazione urbanistica del tutto
nuove e con altre operazioni miranti al ripristino di talune “situazioni” che con
interventi poco accorti hanno stravolto alcune aree in Zona A. Per esempio, vanno
riproposte le storiche scalinate in pietra locale di Via Roma, dell’Arco della Terra e di
altre zone del Comune, con mirati interventi di arredo urbano. Lo stesso intervento
attuato nel giardino dell’Episcopio merita qualche riflessione!
Bisogna quindi attuare una serie di scelte e di operazioni di ricucitura tra Centro
Storico e l’area urbana venutasi a costruire negli ultimi 30 anni.
Gli orti urbani
Al di là dei giudizi che si possono dare su alcuni interventi di ristrutturazione
urbanistica realizzati, il centro storico di Sant’Andrea era caratterizzato dalla presenza
al suo interno di “orti urbani” e di aree verdi che ne caratterizzavano fortemente la
propria originalità.
Le zone del Centro Storico che ancora mantengono tale caratteristiche sono oramai bel
poche, per cui una azione di salvaguardia va rivolta verso queste aree (ad esempio,
quelle alle spalle di via Seminario Vecchio, gli orti urbani di via Garibaldi e di via De
Sanctis che ancora conservano il tipico rapporto “gotico” tra lotto urbano-orto, come si
evince dalla lettura delle mappe catastali).
A nostro giudizio, infatti, non è pensabile che il “recupero” si fermi solamente alle
quinte urbane che ne delimitano l’intorno, ignorando ciò che c’è all’esterno. Il recupero
va inteso come salvaguardia delle preesistenze, quale testimonianza storica da
conservare, attraverso interventi di ricomposizione di quegli elementi che ne
caratterizzano la specificità.
La zona monumentale
Il complesso Episcopio-Seminario-Convento costituisce l’area monumentale di
Sant’Andrea. Gli interventi realizzati nel corso degli anni hanno portato al ripristino
strutturale e funzionale del Seminario e dell’Episcopio e all’inserimento nel giardino di
quest’ultimo di una struttura teatrale all’aperto.
La ristrutturazione definitiva della Chiesa di San Michele, la sistemazione del campo
dei Seminaristi ed un intervento di recupero del complesso Conventuale e dell’annessa
Chiesa di Santa Maria della Consolazione risultano preminenti, visto la stato di totale
abbandono e di disfacimento strutturale in atto da decenni.
Tale operazione va integrata e completata con la realizzazione della zona a Parco
Zona A
I confini della zona A, relativa alla parte del centro urbano più antica, vanno
ridisegnati in modo da comprendere il corso Cesare Battisti fino a piazza Pallante e il
corso D’Annunzio fino a piazzale Aldo Moro.
In essa va inserita anche via S.Marco fino alla Croce.
Dalla precedente delimitazione va esclusa l’area prospiciente via Monacacchio.
All’interno della zona A le prescrizioni di piano devono consentire un controllo stretto
delle trasformazioni possibili, ammettendo solo quelle necessarie all’adeguamento
tecnologico delle residenze e delle altre destinazioni d’uso e imponendo, in caso di
opere di manutenzione, l’uso di materiali tradizionali rispetto al complesso urbano.
Tali materiali (legno, pietra, mattone, intonaco, ...) potranno essere utilizzati in
combinazione con materiali moderni allo scopo di incrementarne le prestazioni, purché
esternamente sia visibile il materiale tradizionale. Si pensi, ad esempio, alle serrande,
tradizionalmente in legno, e alla diffusione dell’alluminio; tali materiali possono essere
usati in combinazione purché esternamente sia visibile il legno.
L’uso di tali materiali composti rappresenta anche una sfida all’artigianato
santandreano.
Particolare cura andrà posta nella realizzazione e nella gestione degli spazi pubblici, la
cui conformazione e i cui materiali devono contribuire alla qualità complessiva
dell’intorno urbano.
La zona A sarà una zone satura dal punto di vista della residua capacità insediativa, ad
esclusione di specifici episodi che comporteranno un incremento della capacità stessa
allo scopo di uniformare la linea architettonica del centro.
Il Centro Culturale Monastero
Il recupero edilizio, mediante restauro e ristrutturazione edilizia, dell’area conventuale
rappresenta il principale elemento di rilancio culturale che la Variante intende offrire
alla cittadinanza di Sant’Andrea. La struttura, una volta realizzata, potrà rappresentare
il quarto polo culturale del centro, accanto all’Episcopio, alla Fornace e al Seminario,
permettendo la costruzione di una rete di spazi nei quali impostare una seria politica
culturale impostata su due filoni principali: la riscoperta dell’artigianato e delle
tradizioni santandreane da attuare mediante mostre temporanee e permanenti e
Allo stesso scopo il PRG ipotizza, tra le destinazioni d’uso insediabili nel Centro
Storico, anche quella turistica, attuabile tramite la nascita di bed&breakfast.
CAPITOLO 2
DOCUMENTAZIONE BIBLIOGRAFICA, ICONOGRAFICA E CARTOGRAFICA
2.1 Bibliografia
Basile F., (2002), “Il Campanile di San Michele”, Il seminario, anno VI, n. 4, p. 7.
Bellino M., Mazzeo G., (2003), Veriante al Piano Regolatore Generale di Sant’Andrea di
Conza, dattiloscritto.
Cassese D., (1993), La cascata dell’Episcopio tra storia, scritti e speranze, il crogiolo -
supplemento a “Politica Irpina”, agosto 1993.
Il palazzo arcivescovile, denominato episcopio perché residenza episcopale, già
fortilizio a difesa degli abitanti del feudo di Sant’Andrea dagli inizi del 1300, fu
sede di numerosi arcivescovi sin dalla metà del 1500.
A seguito dei numerosi terremoti verificatisi, soprattutto di quelli disastrosi del 31
luglio 1561, dell’8 settembre 1694, del 20 marzo 1731 e del 16 dicembre 1857, gli
arcivescovi hanno provveduto a far restaurare il palazzo feudale di Sant’Andrea,
adattandolo meglio per la loro residenza.
Luigi Limongelli nel suo “Pulcinella di Paese”, ha voluto ricordare l’arcivescovo
Salvatore Nappi il quale portò a compimento, nel 1897, i lavori di restauro al
palazzo arcivescovile.
“Monsignor Nappi - Arcivescovo di Conza e Amministratore Perpetuo di
Campagna d’Eboli - incuteva nella cittadinanza il più largo e il più profondo
rispetto”.
“L’Arcivescovo però amava l’arte e aveva larghissime vedute”
“Egli volle anche un giardino - certo non come quello Vaticano, accanto, alla
cupola di Michelangelo ed alle altre grandiosità del Bramente e del Sangallo - e nel
giardino una cascata d’acqua azzurra avviata in un letto di pietra viva a scalini,
limitati da due sponde con mascheroni e ornati di disegni egiziani”.
“I lavori di scalpello continuavano a ritmo accelerato, gli operai erano - tra maestri
e discepoli - numerosi. Un largo angolo del giardino era totalmente stipato di sassi
squadrati, di sassi in lavorazione, di sassi abbozzati. Dirigeva i lavori il famoso
Michelangelo d’Angola - il re degli scalpellini locali - che io ricordo ancora” (1842-
CAP. 2 - Documentazione bibliografica, iconografica e cartografica
1925).
Il comune di Sant’Andrea di Conza, con atto di compravendita in data 10 giugno
1976, acquistò, dalla Curia Arcivescovile, l’antica residenza arcivescovile e
l’annesso giardino.
Il terremoto del 23 novembre 1980 ha distrutto l’opera costruita prima con molto
amore e poi abbandonata.
Le Amministrazioni comunali, alternatesi dal 1980 ad oggi, hanno provveduto a
ricostruire il castello-palazzo arcivescovile con l’annesso teatro e a rendere ancor
più splendido il giardino attiguo.
(…)
Chiusano G. (1983), La cronista con zana, da un manoscritto di D.A. Castellano del 1689-91,
Calitri.
Cinquegrani A., Pennarola R., (1989), “Paese mio”, La Voce della Campania, novembre,
pp. 6-11.
Comunità Montana Alta Irpinia, (1993), Itinerario nella storia nella memoria, CRESM
Campania, Lioni.
Consiglio Nazionale delle Ricerche, (1981), Ricostruire … dove, come?, CNR, Progetto
finalizzato geodinamica.
Cuozzo E., (1979), “I feudatari dell’Alta Irpinia nel Catalogus baronum: i Balvano”,
Civiltà Altirpina, anno IV, fasc. 4, luglio - agosto (?).
D’Angelis L., (2002), “La pro-cattedrale di San Michele - ripresi i lavori di restauro”, il
Seminario, anno VI, n. 1, pp. 1-2.
Iannicelli M., De Liseo R., (1989), “S.Andrea: ricordi e leggende - Li cunti antichi”, il
crogiolo - supplemento a Politica Irpina, n. 1, maggio, p. 3.
Lo Sasso M., (1997), “Il recupero della ex-fornace di laterizi a S.Andrea di Conza”,
Costruire in laterizio, n. 56, pp. 104-109.
Malanga M., (1989), “Al tempo dei Longobardi - Le origini remote di S.Andrea di
Conza”, il crogiolo, aprile, p. 3.
Malanga M., (1989), “L’Alta Irpinia e l’Alta Valle dell’Ofanto dalla preistoria alla
storia”, il crogiolo - supplemento a Politica Irpina, n. 2, giugno, p. 3.
Malanga M., (1993), “Un paese, un’origine: Sant’Andrea di Conza”, Altirpinia, 15 marzo
1993, p. 3.
Monnier M., (1965), Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle province napoletane
dai tempi di Fra Diavolo sino ai giorni nostri (1862), Arturo Berisio Editore, Napoli.
(p. 73) I briganti [di Carmine Crocco] si ritirarono [da Melfi e Lagopesole]
saccheggiando ancora Monteverde, Carbonara [Aquilonia] e Calitri. L’arcivescovo
di Conza fece loro una magnifica accoglienza a suono di campane e benedisse nel
nome di Dio la loro sacra falange. Dopo di che diminuiti e scoraggiati gli uomini di
Crocco si aggirarono per qualche tempo sulle rive dell’Ofanto, aggredendo i
viaggiatori.
Piccininno P.M.L., Pironti A., Bellino A., (2000), Gli stemmi degli arcivescovi di Conza,
Edizione a cura del Comune di Sant’Andrea di Conza.
Piccioli T., (1977), “Storia del feudo di Conza e del paese di Sant’Andrea”, Storia
Illustrata, n. 233, aprile, p. 12.
Roselli P., (2003), “Il Convento: quale futuro?”, Il seminario, anno VII, n. 1, p. 7.
Russoniello P. (a cura di), (1987), Tre documenti per la storia religiosa e civile di S.Andrea di
Conza, dattiloscritto.
Russoniello P., (a cura di), (1988), Michele Solimene Giurista e Patriota (1795-1864): scritti.
Tarullo A., (1995), Un giorno andato, stralci di cronaca e di storia dell’Irpinia, Il Girasole,
Calvizzano (NA).
Verderosa A., (1996), “Dai silicati dell’argilla al silicio delle tecnologie informatiche e
telematiche”, tracce di architettura, anno II, n. 10, ottobre, pp. 6-10.
Zollo A., (1996), “The Irpinia Earthquake: Evidence for a Complex Normal Faulting”,
The Safe City - Proceedings of the Italian - Japanese Symposium on Earthquakes, Eruption and
Civil Defence, Napoli - Messina, febbraio, pp. 117-120.
La “Terra di S.Andrea” nel 1691, disegno a penna di G.P. Fusco, particolare (da
Soprintendenza ai B.A.A.A.S., 1989).
Regione Campania, Cartografia ex Cassa del Mezzogiorno, foglio 451, edizione 1990,
scala 1:50.000.
Perimetrazione della Zona A nella Variante al PRG del 2003. Cartografia del 1998.
CAPITOLO 3
DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA
ricavata una capiente cappella negli ambienti al piano terreno a destra dell’ingresso
principale.
L’arcivescovo Caracciolo, per abbellire la chiesa, fece dipingere sei tele dal pittore
napoletano Andrea Miglionico, discepolo di Luca Giordano. Successivamente la chiesa
ha subito gravi danni a causa soprattutto dei movimenti franosi che interessano la
parte alta del centro abitato.
Michele Arcangelo Lupoli fu il primo a far eseguire radicali restauri. Essi portarono
alla distruzione della cripta soggetta a continue infiltrazioni di acque provenienti dalla
vicina sorgente.
Gregorio De Luca (famoso per l’ospitalità concessa al brigante Crocco e alla sua banda),
viste le precarie condizioni statiche dell’edifìcio, lo demolì e lo fece ricostruire in sito,
arricchendolo di preziosi arredi lignei finemente intagliati ed intarsiati, quali il pulpito,
il coro e i confessionili, nonché di nuovi altari marmorei.
La chiesa fu colpita dal terremoto del 7/6/1910, che procurò gravissimi danni. Fu in
seguito restaurata a cura dell’arcivescovo Nicola Piccirilli, che resse la diocesi dal 1904
al 1918. Altri restauri furono eseguiti nel 1936 dall’arcivescovo Giulio Tommasi e negli
anni Sessanta dal Genio Civile a seguito soprattutto dei danni riportati nella seconda
guerra mondiale.
L’edifìcio si presenta attualmente in uno stile neoclassico sia nella facciata esterna, tutta
in pietra locale squadrata a due ordini sovrapposti ripartiti da lesene con capitelli
compositi e terminante con un frontone triangolare, sia nella decorazione interna ricca
di pregevoli stucchi. Al centro della facciata è situato lo stemma marmoreo di Mons.
Gregorio De Luca. La copertura del presbiterio è costituita da una imponente cupola
decorata a cassettoni.
La torre campanaria, situata esternamente nella parte posteriore della chiesa, è a base
quadrata con struttura in muratura di pietrame con cantonali in pietra squadrata. Nella
parte alta, conclusa da una cupoletta, si ritrova lo stile neoclassico della chiesa con
lesene sormontate da capitelli compositi ai quattro angoli.
Episcopio3
In considerazione del fatto che a Sant’Andrea gli Arcivescovi hanno avuto sia il potere
religioso che civile, il nucleo originario dell’attuale Episcopio è stato edificato
probabilmente nel XIII sec. con funzione difensiva. Il castello-palazzo ha subito nel
corso dei secoli numerose ristrutturazioni determinate sia dai danni causati dai
numerosi terremoti avvenuti, che dalle diversificate esigenze d’uso da parte degli
Arcivescovi.
In particolare gli interventi principali sono stati nel XVI sec. per opera dell’arcivescovo
Girolamo Muzzarelli, nel XVIII sec. dagli arcivescovi Michele Arcangelo Lupoli e
Salvatore Nappi e nel XX sec. dall’arcivescovo Nicola Piccirilli.
Nel XVIII sec. nella corte (alle spalle del palazzo) è stato realizzato un giardino pensile
con una fontana monumentale a cascata in pietra locale di notevole valore artistico e
L’Episcopio, che è una massiccia costruzione a C nella quale due ali delimitano una
corte chiusa con davanti un muro di cinta, ha un piano seminterrato e due piani fuori
terra sul lato che guarda verso il paese, mentre ha un solo livello fuori terra dal lato
prospiciente la corte in quanto quest’ultima risulta essere a quota più alta rispetto a
quella del Largo Castello.
La costruzione è stata realizzata, a partire dalle fondazioni di circa 1,2 m., in muratura
calcarea collegata con malta di calce e sabbia e nella parte in elevazione lo spessore dei
muri è di circa 0.90 m. al piano terra e da 0.60 a 0.70 m. al primo piano. Del periodo
medievale si sono conservate alcune strutture a piano terra. Le strutture orizzontali
erano, prima del terremoto del 23/11/80, in travi di legno (o di ferro laddove erano
state eseguite recenti ristrutturazioni) incastrate nella muratura con il tavolato ed il
massetto. Al piano seminterrato esistono degli ambienti voltati a crociera, mentre al
piano terra ed al primo piano i soffitti sono piani tranne in quei casi dove vi erano delle
controsoffittature (ad “incannucciata”) a volta a botte ribassata.
Il tetto a padiglione aveva la struttura portante lignea ed il manto di copertura in
coppi.
I prospetti sono ricchi di numerosi ed interessanti particolari quali i portali, le cornici
delle finestre e la caratteristica “romanella” che anticipa la copertura.
L’Episcopio ha subito consistenti danni con il terremoto del novembre ‘80 anche per le
condizioni di semiabbandono nel quale era rimasto negli ultimi anni: è crollata buona
parte della copertura e della muratura portante del primo piano con gli elementi
strutturali orizzontali ad essa connessi, mentre l’ala destra era già parzialmente
distrutta.
Il progetto di restauro, redatto dall’ing. Antonio Morano,che ne ha curato anche la
direzione dei lavori, è stato finalizzato a realizzare nell’Episcopio un centro di servizi
socio-culturali comprensivo anche della sede comunale. A tal fine si è provveduto ad
una riorganizzazione degli ambienti interni, pur nel rispetto dell’antico assetto
distributivo. L’ala destra dell’originario complesso è stata riedificata in struttura
metallica, in modo da realizzare un organismo indipendente dal nucleo principale,
mentre il corpo centrale è stato consolidato. Il muro di cinta è stato parzialmente rifatto
sempre con pietre a faccia a vista.
Particolare cura è stata posta nella scelta delle rifiniture per le quali si è fatto uso solo di
materiali tradizionali (ad esclusione dell’ala destra) ed al restauro e ricollocazione in
sito degli elementi architettonici e decorativi in pietra. La sistemazione del giardino ha
privilegiato il suo nuovo uso pubblico: sono stati realizzati, oltre ad un teatro
all’aperto, dei percorsi pedonali pavimentati in mattoni e pietra, delle aiuole e degli
spazi verdi alberati. Nel giardino un ruolo fondamentale è stato mantenuto dalla
bellissima fontana monumentale il cui restauro [è stato di recente completato].
Il Convento dei Frati Minori con le sue rendite occupava buona parte della zona a
monte di S.Andrea. Si affacciava su di una spianata erbosa, a mò di terrazza, e vi si
accedeva tramite due sentieri gradonati.
Al piano terra c’erano la cucina con i depositi, al primo piano il refettorio e la biblioteca
ed al secondo piano c’era il dormitorio dei frati. Il tutto era completato da una Chiesa,
da un chiostro, da un orticello retrostante la sacrestia e da un boschetto riservato ai
frati per fare la legna. Sotto il pronao della Chiesa c’era il cosiddetto “Calvario”, cioè
un insieme di 5 croci lignee che ricordavano la Crocifissione di Gesù che poi è stato
trasferito alla periferia del paese dove tuttora si trova.
Soprastante il pronao c’era la “Cantoria” con un bellissimo organo andato perduto a
cui si accedeva tramite una scala di legno posta all’interno della Chiesa. La Chiesa,
dedicata a S. Maria della Consolazione, aveva una sola navata con sei cappelle munite
di altari ed alle spalle dell’altare principale, sollevato e separato da una balaustra, vi
era un coro ligneo portato, successivamente, alla Chiesa del Purgatorio.
In seguito alla soppressione il Convento è passato alla famiglia Quaglietta di
Pescopagano che lo ha adattato a proprio piacimento. La Chiesa, invece, era del
Municipio di S. Andrea di Conza a cui spettava al manutenzione ordinaria e
straordinaria, come attestano i documenti risalenti agli anni 1913-1915. Dopo il 1930 la
Chiesa non è più stata utilizzata a fini di culto a causa di molte calamità non solo
naturali...
“La sacra pietra di quei santi altari,
Le benedette lapidi tombali
Usate furon per coprir le fogne’”...
Nel 1951 il Sig. Franco Quaglietta, proprietario per successione della Sig.ra Lucia
Quaglietta in Laviano, ha venduto a favore del sig. Francesco Martino
...”Appezzamento di terreno seminativo e pascolo alberato con fabbricati
rurali...nonché la restante parte semidiruta dell’ex Monastero...”
Il Convento, rimasto disabitato per diversi anni, è stato affittato dal nuovo proprietario
ad alcuni contadini del paese, che lo hanno utilizzato come abitazione e depositi
agricoli sino al 1980. Dopo il terremoto i ruderi del Convento sono stati acquistati dal
Comune di S. Andrea di Conza con l’intenzione di consolidarlo e riutilizzarlo per
La Chiesa Madre, sita nel centro antico di S.Andrea, si configura come episodio
architettonico di notevoli proporzioni rispetto alla volumetria degli edifici circostanti,
essendo inserita organicamente tra la fitta rete di stradine ed il Largo denominato
“Chiesa Matrice”.
Probabilmente rimpianto originale della navata centrale risaliva al XIII secolo, mentre
le navate laterali furono edificate fra il XVII ed il XVIII secolo. Alla metà del XIX secolo
risalgono invece i due Cappelloni dedicati a S. Andrea e a S. Emidio.
Nel 1691 il Castellano nella sua Cronista Conzana riferisce che: “... vi è anche la chiesa
parrocchiale, che il parroco ha il titolo di arciprete e vi sono sei preti partecipanti, un
diacono, un suddiacono, e quindici chierici... Il titolo della parrocchia è S. Domenico:
ha due congreghe (del Rosario e dell’Immacolata), tredici benefici ecclesiastici...”.
L’Arcivescovo Giuseppe Nicolai nel 1733 ha consacrato l’altare in onore della Vergine
Addolorata situato sulla parete della navata laterale destra. Lo stesso Arcivescovo ha
dotato la chiesa di preziosi arredi e dell’imponente cantoria per l’organo in legno
intagliato e marcato con al centro lo stemma episcopale, collocata in controfacciata ed
oggi completamente perduta a causa degli ultimi eventi sismici.
Il terremoto del 7 giugno 1910 ha danneggiato in parte il sacro edificio che è stato
restaurato per interessamento dell’arciprete Michele Giorgio. A quest’epoca risalivano i
medaglioni raffiguranti i dodici apostoli e lo stemma del paese, dipinti da Angelo
Metallo e disseminati lungo le pareti della navata maggiore della chiesa.
La chiesa in pianta appariva come una grossa aula rettangolare ripartita in 3 navate con
ai lati i corpi quadrati dei 2 simmetrici cappelloni laterali. Le navate erano scandite da
quattro arcate a tutto sesto sorrette da pilastri a pianta rettangolare. L’edificio si
concludeva con un’abside rettangolare. I due cappelloni laterali, dedicati ai santi
protettori Andrea Apostolo ed Emidio Vescovo e Martire, che determinavano una sorta
di transetto, erano coperti da una cupola a base circolare.
Il corpo della navata centrale, con copertura a tetto a doppia falda, era più alto rispetto
ai due corpi laterali simmetrici con copertura ad una falda. Il campanile, a pianta
quadrata 5x5 m., si compone di tré livelli che si concludono in sommità con un corpo
ottagonale in pietra squadrato per un’altezza complessiva di oltre 15 m. dal piano
stradale. Esso si propone come un elemento emergente sia in rapporto all’insieme
architettonico dell’edificio, sia a quello dell’intorno urbano, rappresentando così un
punto di riferimento paesaggistico del nucleo storico di Sant’Andrea di Conza.
Il terremoto del 23/11/80 ha causato danni ingenti distruggendo totalmente la navata
centrale e quella laterale destra adiacente al campanile e compromettendo gravemente
la navata sinistra. Il restauro [ha comportato] il consolidamento, oltre che del
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