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Il mistero, viaggia incurante di tutto ci che accade.

il mistero il mistero stesso, che vive nel suo stesso smemoramento, menefreghista, tra i densi filamenti galattici, viaggiando nella sfera del non suono, del rumore, delle vibrazioni extrauterine planetarie, passando per agglomerati di vie lattee, tutte abbottonate tra loro, strette nelle costellazioni, illuminate per bene come decorazioni di una figura troppo complessa da poter essere compresa. Ammassi e superammassi in perfette traiettorie, sospese nel dubbio, eppure al contempo in caduta libera, tra le stelle, in mezzo ai pianeti, ognuno a chiss quanti parsec di distanza. Accendono sigarette rosse sfiorando i soli intermittenti, non curandosi dei vuoti che l'incorniciano, suonando clacson interstellari. Si scende sempre pi a fondo nella riproduzione liquida, come in un corpo contorto dal parto. Fluidi, membrane, turbamenti e contrazioni, passando per l'atmosfera, gi, sempre pi gi negl'ammassi delle nuvole ancora fuori rotta, lontane, sul globo dalle dinamiche inimmaginabili. Slalom tra le proiezioni delle stelle oramai troppo distanti, qualche dissolvenza qua e l, sempre pi in picchiata, sopra le case, i boschi, le citt, con tutte le loro particelle d'addobbi. Luci, fumi, macchinine in miniatura, in fila come formiche. Tutte perse nel conglomerato spastico di tessuti, cellule, atomi, in mezzo alla notte pi fitta, seguendo la scia luminosa di un treno, come una lucciola traballante di sferragliamenti meccanici in contrazione, lungo le rotaie, Ciuf Ciuf Ciuf, fino alla stazione, tra i pendolari in cancrena, con gli sguardi affannati sui tabelloni deglorari, fumando sigarette, scambiandosi saluti o peggio gli addii, poggiati al muro macchiato dallusura del tempo, a fianco allentrata di un bar maleodorante, dove il lezzo fumante del chiosco di kebab piroetta nei suoi arabeschi, fuori dal cucinino due metri per due, arrivando fino sotto il grugno di un capotreno intento a pulirsi le narici, scavandovi affondo con un dito e raddrizzandosi in seguito il berretto troppo calato suglocchi. Aspetta!" un grido attravers il gelo, mischiandosi alle cacofonie dei treni e al chiacchiericcio dei pendolari. Un uomo, assorto nelle sue fantasticherie, tutto stretto in se stesso su una panchina, intento a frizionarsi una barba troppo ricresciuta, si gir di scatto e lungo la banchina del binario vide un uomo con un cappotto di lana nero che guardava all'orizzonte, come a cercare qualcuno che si era allontanato troppo, sfocandosi. L'uomo era fermo, con le gambe leggermente divaricate. Sembrava tenesse qualcosa in mano, ma da quella distanza, non riusc a distinguere di cosa si trattasse. Poi l'uomo sembr sul punto di spiccare una corsa, in una contorsione che preannunciava un ripensamento; port il busto lievemente in avanti, spingendosi con le mani lungo i fianchi, ma non si mosse di un millimetro, bens in quel movimento goffo, apparve come se pi che correre, stesse per perdere l'equilibro e cadere di faccia al suolo. Dopo quella distrazione, luomo sulla panchina gelida, se ne sarebbe tornato volentieri nel suo pensieroso silenzio, immaginandosi immerso nel caotico andirivieni di un'ipotetica stazione ferroviaria russa. Mosca, San Pietroburgo, sferzato dal lamine di gelo e neve, bello imbacuccato, con un caldo colbacco e una scorta di grappa nella fiaschetta di metallo custodita nella tasca interna della giacca. Il posto in cui si trovava sarebbe sembrato un caldo e confortevole approdo a confronto. Almeno immaginare certe scemenze gli era ancora concesso, quello si. All'improvviso, perso completamente nelle sue oniriche elucubrazioni, si sent un peso caldo sulle gambe, accompagnato da un Miaaoo che lo fece sussultare, riprendendosi dal proprio sogno autoindotto. "Ma che cazzo!" Un'enorme gatto dal pelo folto gli era improvvisamente finito in braccio. Non riusciva a spiegarsi da dove saltasse fuori, cos, come venuto alla luce,

misteriosamente, dal buio pi profondo, che segnava la fine della stazione, stagliandosi in profondit alla destra della panchina dove sedeva - all'angolo pi esterno della fine del mondo - e riassorbiva come tessuto, le rotaie che vi ci si perdevano simili a trame di un filamento setoso sempre meno visibile. Il gatto, con enormi occhi azzurri che sembravano zaffiri retroilluminati tanto erano vividi, lo fiss, in una sfida di sguardi contraccambiati. Il pelo era spumoso, gonfio, nelle sue sfumature color terra che contornavano il muso, si aguzzavano sulle orecchie e sul collo delle zampe che per, all'estremit, rivelavano delle paffute zampette completamente bianche, simili a piccoli guanti di pelliccia. Luomo si alz interdetto, imbracciando il gatto, che non si scompose minimamente, nonostante avesse riempito di peli i jeans neri su cui si era avventato misteriosamente. "Oh eccoti, grazie al cielo t'ho trovato!" fece una voce, tra le voci alle sue spalle. Si volt di scatto, trovandosi lo sguardo invaso dalla figura minuta di una donna, con le mani come raccolte in preghiera all'altezza dello sterno, ed in testa uno strano turbante violetto, simile a quello di un Sikh che, ad un esame approfondito, appariva bagnato. Inoltre indossava una specie di mantello, o poncho verde scuro, da dove le braccia sbucavano cautamente, come dei piccoli serpentelli impauriti. "Mi saltato addosso senza che neanche me ne accorgessi!" esord luomo, tendendo il gatto alla padrona, che lo afferr dolcemente portandoselo al petto come un neonato. "Oh il mio amore, dove eri finito?" chiese al gatto, strofinando il suo volto pallidiccio sulla peluria del felino. "Come dici?" avvicin l'orecchio al muso del gatto, attenta ad ascoltare non si sa esattamente cosa. La donna alz lo sguardo verso luomo, fece un sorriso dolce e disse: "Io non so come ringraziarla, davvero. solo che il mio micio ogni tanto sbarella. Sa, metereopatico. Quando gli gira, nessuno riesce a tenerlo! strano per, solitamente non da molta confidenza agl'estranei! Lei ama i gatti?" chiese, facendo uno strano broncio e inclinando la testa fino a sfiorarsi la spalla. Luomo, nel mentre, aveva abbassato leggermente il capo, intento ad accendersi una sigaretta. Fece una boccata e stretto nelle spalle rispose ad alta voce, per sovrastare il gracidare metallico dellaltoparlante della stazione che intonava i suoi annunci. "Mah, a dire il vero no. Ma neanche si pu dire che li disprezzi" "Strano" fece la donna, alzando gl'occhi al cielo. Sembrava volesse interrogare gl'astri in cerca della risposta alla sua domanda. Il cielo, ad unocchiata distratta appariva spento, ma era semplicemente non sintonizzato sulle giuste frequenze, nella luminescenza distorta delle tante stelle che ospitava. "Beh comunque le sono davvero grata, non so proprio come ringraziarla!" fece lei. "Sganciami un paio di cento e facciamo che siamo pari" pens luomo, ma non ebbe il coraggio di dirlo. Era un tipo brusco, si, ma non fino a quel punto, e anche se le persone, in generale non gli piacevano, con gl'anni aveva perso quella sua tipica causticit nel trattarle. "Non si preoccupi, come le ho detto, mi saltato in braccio e me lo sono ritrovato cos, per caso!" La donne si mise un punta di piedi, tendendo la testa in avanti. Sembrava voler vedere meglio qualcosa che non riusciva a decodificare dalla posizione precedente. "Ah, Gitanes, un tipo affascinante, intellettuale, misterioso. Nouvelle vague, poesia esistenzialista! Non ti darai un po' troppe arie tu?"

Luomo rimase spiazzato dall'improvviso cambio di tono della donna. Si sent come quando ti levano il pallone da in mezzo ai piedi prima di tirare in porta, da una traiettoria certa per il gol. "Mi scusi?" "Si, non sarai mica uno di quei tipi tutti sofisticati che fanno i tenebrosi per rimorchiare le giovani fanciulle?" sentenzi la donna, sorridendo. "Quando siamo arrivati a darci del tu, scusa?" "Ma non lo so, dimmelo tu? A proposito, me ne offriresti una?" sorrise lei, indicando la sigaretta. "Ma come, io ti salvo il gatto e mi scrocchi pure le sigarette?" "Non l'hai salvato il gatto, lui che ti ha scelto!" disse la donna, strofinando di nuovo la guancia sul pelo del micio, che lascio scappare un suadente miagolio. Luomo si frug nelle tasche, tir fuori una mano, succhi un paio di boccate, espir rilasciando dei sbuffi di fumo e gett la cicca a terra, pestandola con lo scarpone; Poi infil di nuovo le mani nella giacca e cacci il pacchetto di sigarette, ne estrasse una. La donna lo osservava con uno sguardo buffo, che non lasciava trapelare se fosse semplicemente divertita da quella pantomima recitata al gelo, o se lo stesse prendendo in giro. "Toh" disse lui, porgendo la sigaretta alla sconosciuta. La donna si pieg leggermente su un fianco, giocando di equilibrio mentre sorreggeva il gatto con un braccio solo, per la pancia, che riposava senza scomporsi minimamente, a peso morto, con le zampe penzoloni. "Come siamo simpatici, mamma mia! Fammi accendere v" disse, infilandosi la sigaretta in bocca e mimando laccendino con la mano. Giacch ci sono preferisci anche che la fumi io la sigaretta al posto tuo? fece luomo, tirando fuori laccendino e socchiudendo leggermente gli occhi. Ehi, non sforzarti cos tanto ad essere simpatico, mi raccomando! Senti.. si interruppe mentre accese la sigaretta Me lo offriresti un panino? Luomo strabuzz gli occhi e si lascio scappare una piccola risata, mentre con una mano si tir indietro i capelli brizzolati, arrovesciando leggermente la testa. "Si, certo, ci manca solo questo!" Lei fece un broncio, scompigliando irreparabilmente tutta la fisionomia del volto che si contrasse talmente tanto buffamente quanto in maniera mostruosa. "Su andiamo, sto morendo di fame, solo un piccolo tramezzino, dico sul serio. Mettiamo che non me lo offri e io poi mi lascio andare e muoio di inedia, eh, come ti sentiresti?" accompagno la frase con una sorriso dolce. Lui scosse la testa, sorridendo, portandosi la mano verso la tasca posteriore dei jeans dove teneva il portafogli. "Ma tu guarda che cazzo" bisbigli tra se e se, aprendo il portafogli con dentro solo due pezzi da 5 euro. Ne estrasse uno e lo sventolo sotto il naso della ragazza. "Mbeh, che sarebbero?" fece lei "Miaaoo" segu il gatto col suo sguardo a led. "Mi sembra chiaro, sono 5 euro. Penso dovrebbero bastare per un tramezzino, no?" "E mi lasci tutta sola a mangiare un panino, triste triste in mezzo a chiss quali manigoldi che si nascondono dentro quel bar puzzolente?" "Hai il tuo gatto, grosso com', penso basti" "Non mi fai compagnia?" "Ma tu guarda tutte a me le svitate mi devono capitare? Quando che mi capitata l'ultima volta una normale, eh? Che diavolo ho che non va? Una benedetta calamita di casi clinici, ecco che sono io!" pens, facendosi cupo nello sguardo e nei gesti, tirando

fuori la mano dal cappotto e poggiandola con una delicata virata sulla spalla della donna, applicando una leggera pressione come ad intimarle di voltarsi e dirigersi verso il bar. Lei sembro capire, perch sorrise a denti spianati. Non era bellissima, pens, ma aveva un singolare magnetismo, seppure nella sua apparente eccentrica demenzialit, che lo spinse ad andare con lei. Si diressero al bar, lentamente, lasciandosi alle spalle quel buio increato, delineato, la panchina e la banchina, le rotaie disperse nella cola pece effervescente della notte, partoriente cellule di storie che vanno, che vengono, che piroettano su loro stesse come dna non ancora ingegnerizzato, schivando i pochi pendolari trasognati, penzolanti nella notte con i fatti loro, raggrumati dal freddo. La sconosciuta fece esalare alla sigaretta glultimi respiri, poi la gett con uno schiocco di dita e disse: "Dodici!" stringendo il grosso fardello di gatto tra le braccia. "Come?" "Dodici anni!" "Dodici anni cosa?" "Mi sa che tu sei un poco scemo, non vero? La porta del bar si richiuse alle loro spalle. Una grande bancone scarno si apriva alla destra dell'entrata, curvandosi in fine a sinistra, in una brusca sterzata di semivuote vetrate lorde, finto legno laccato e poche rastrelliere con caramelle e cicche di vario tipo. Il proprietario, un corpulento omone calvo, con un paio di baffi grigi, maniche corte nonostante il freddo ed un sudicio grembiule, proiettava lievemente la sua grossa ombra, come un acquerello sbiadito e sbavato sulle mattonelle incrostate, che si davano le arie di essere bianche, ma apparivano ora di un grigio smorto tanto era il tempo passato senza che fossero ripulite per bene. Cera un lieve odore che sembrava candeggina, e il pavimento rendeva difficile la camminata in quanto appiccicoso. Probabilmente si trattava di residui di qualche bevanda dolcificata che non erano ancora stati puliti. Dei pochi tavolini di plastica, tutti mangiucchiati dall'usura, solo uno era occupato da loschi figuri in la con gl'anni. Pensionati o ex dipendenti ferroviari, che nelle fredde e noiose giornate d'inverno come quella, si rifugiavano nel conforto delle grappe, sfuggendo alle grinfie delle mogli che sbraitavano per la loro inutile presenza in casa. "Brrr, mamma che freddo" disse la ragazza, stringendo sempre pi forte il gatto, rubando gentilmente il calore della sua folta peluria. Lui dal canto suo, sembrava apprezzare tutte quelle moine. "Scusi barista, mica per caso avrebbe un phon?" chiese, voltandosi verso l'omaccione. "Si certo, glielo prendo subito. Vuole anche che le faccia lo shampoo e la messa in piega? O magari una bella tinta?" rispose, sboccando poi in una pinguescente risata, battendo le grosse mani tutte grasse ed unte sul grembiule, e ammiccando con lo sguardo agl'altri avventori, completamente indifferenti, a testa bassa, dandoci dentro con le grappe. "Oh mamma mia che cafone. Uff!" sbuffo lei, poggiando il gatto su una sedia, mentre si mise a srotolare il turbante, che poi strizz energicamente, sgocciolandolo a strattonate. "Come hai fatto ad inzupparlo a quella maniera?" chiese luomo, sedendosi al fianco del micio, che se ne stava tutto tranquillo, facendo oscillare pigramente la grossa coda pelosa, come un piumino per la polvere.

"Ah, te l'ho detto, il mio micio metereopatico!" disse, buttando indietro la testa, in una testacoda di capelli che si srotolarono improvvisamente fendendo l'aria e ricadendole, bagnati, sulle spalle. Erano di un rosso rame, scompigliati ma all'apparenza lisci, molto lunghi, con una frangia che le si appiccicava sulla fronte ampia. "Cosa c'entra?" chiese lui, lisciandosi i baffi con il pollice e lindice. "Niente, e che da dove vengo nevicher, semplice!" "Nevicava?" chiese, un tanto interdetto. "Oh, ma sarai un po' semplice tu o sbaglio?" fece lei con un tono brusco. Sotto la fredda, bianca luce artificiale dei neon, luomo riusc a vederla meglio. Aveva una strana fisionomia, che sapeva di tempi remoti, di vecchia francia. Epidermide lattea e grandi occhi verde scuro, di una tonalit che non aveva mai visto prima. Ma probabilmente era solo un'altra di quelle sue strambe fantasticherie che non lo lasciavano mai in pace. "Beh, che c'? Che non hai mai visto una fanciulla? Tu, misterioso rubacuori della stazione?" si rivolse a lui, piegata in avanti goffamente, mentre tentava non si sa bene se di districarsi i capelli o di dargli un'asciugata sommaria, passandovi le mani tra le ciocche. Non si era accorto che la stava fissando con stupore, perch secondo la sua testa, non c'era proprio nulla di cui essere stupiti. "Grazie per il phon eh!" esord a voce piuttosto alta, mentre stendeva il turbane su un calorifero incastonato nel muro, sul lato destro della stanza, a pochi tavolini di distanza dal loro. In quellangolo cera palesemente un acre odore di urina. "Prego!" grid il barista, replicando la risata con schianto di mani sul grembiule. "Ma tu guarda che razza Luomo si mise a ridere, scuotendo la testa, mentre tirava fuori dalla giacca il pacchetto di sigarette e l'accendino che pos sul tavolo, coperto malamente da una tovaglia di carta, decisamente troppo piccola. "Miaao" miagol il gatto e la donna le chiese se avesse fame, mentre i vecchietti presero a fissarla. Doveva essere davvero una tipa strana, una battona, una pazza drogata, sembravano voler dire gli sguardi dei vecchi, se li si voleva tradurre. A lui sembrava solo una tipa eccentrica. Di pazze, ubriache e stronze o drogate si che ne aveva viste. Lei non sembrava avere nessuna di quelle etichette penzolante al terminare della spina dorsale, come quelle dei maglioni. Lavare a mano o in lavatrice, a secco oppure portare in lavanderia? Se tutte le stronze del mondo avessero avuto le etichette, tutto sarebbe stato molto pi facile. Che si trattasse per di una puttana? Improbabile, nessuna puttana avrebbe abbordato un uomo solitario e squattrinato, dall'aria completamente sommessa in quel modo. Uno vagamente normale se la sarebbe data a gambe allistante. Era una teoria che non stava in piedi nemmeno con le stampelle. "Beh, pure a voi che vi piglia? Nemmeno voi avete mai visto una ragazza?" sbraito lei, stringendo i pugni con una buffa manovra delle braccia, imitando lipotetica posa di un culturista che pompa i bicipiti, ammonendo cos a suo modo i vecchi che se ne tornarono sul fondo dei bicchieri smezzati. "Hey, non hai detto che avevi fame? Prenditi sto panino dai!" fece luomo. "Si, si ora vado. Vado" rispose la ragazza, dirigendosi verso il bancone. Dietro il vetro c'era solo una manciata di panini, di quelli preconfezionati, ma nessuno che avesse un aspetto invitante. A dirla sinceramente, nessuno aveva nemmeno l'aspetto vagamente commestibile.

"Mi dia quello prosciutto e formaggio. E un bicchiere di vino rosso!" disse al barista, indicando per con il dito e la testa quasi a voler passare attraverso il vetro, un panino ben specifico. L'omone prese un panino nel mucchio, ma lei subito lo corresse, indicandogli uno all'estremit destra. "Sono tutti uguali signorina!" "Proprio perch sono tutti uguali non credo che le costi fatica darmi quello!" esord sbattendo l'indice contro il vetro. Forse volontariamente, forse con la speranza di poterlo attraversare magicamente per indicarlo meglio. "E vino rosso!" Il barista disse che aveva capito, in tono alquanto scocciato. "Le porto tutto al tavolo. Il suo tipo vuole qualcosa?" "Peppe vuoi qualcosa? Hey, lui non il MIO TIPO!" Luomo sbuff, ma che guai gli dovevano mai capitare? Come se non ne avesse gi avuti a sufficienza nella sua vita. "Una birra, grazie! E non prendere il vino, qui fa cagare!" url, alzando la mano al cielo, roteando il polso con l'indice all'infuori e le altre dita strette in pugno. "Hey fottiti" grid il barista, mentre si rialzava, sfilandosi dalla ghiacciaia sotto il banco. "Miaaao!" fece il gatto, guardando luomo in faccia. "Visto, anche il gatto lo sa!" fece lui accarezzando la testa del micio, mentre si leccava i baffi. "Ha visto, ha fatto arrabbiare il micio!" disse la ragazza, portandosi la mani ai fianchi, imbronciando il viso. "Sentite, non voglio guai ragazzi!" I vecchi alzarono la testa dalla loro immersione di grappa e si misero a guardare la scena, con gl'occhi velati dal bianco dei neon che vi si riflettevano dentro. "Ma quali guai, mi scusi dai, stavo scherzando!" rise, mentre la donna si era seduta al fianco del gatto, accarezzandolo. "Non dovevi prendere solo un tramezzino?" "Si, ma poi ho pensato sar sicuramente secco e stantio e sapr di frigorifero rancido, ci vuole qualcosa per mandare gi il rospo, no?" rise delicatamente. Era bella in fondo, quando sorrideva, con quella piccola bocca felina. Era bella anche in superficie, non solo in apnea. "Aspetta di assaggiare il vino, poi vedrai. Altro che rospo. Un'intera palude putrescente!" "Hey!" grid nuovamente il barista, mentre portava le vivande al tavolo, disposte su di uno squallido vassoio di metallo. "Scherzo, scherzo!" disse mostrando i palmi delle mani, come in segno d'innocenza e ritirando il collo nelle spalle, imitando un po' un tartaruga. Il barista, volteggiando dopo aver poggiato il vassoio sul tavolo, si riavvi verso il bancone, a passi pesanti, lasciandosi alle spalle una scia di puzzo di fritto. Sembrava avesse fatto un bagno nellolio della friggitrice, pens lui, mentre prese a versarsi la birra con letichetta tutta stropicciata nel bicchiere. La sconosciuta afferr famelicamente il panino, impacchettato in un tovagliolo. Diede un morso, mastic energicamente e allimprovviso si fermo, poggiando il dorso della mano sulla bocca e afferrando un altro tovagliolo poggiato sul vassoio. Poi sput il bolo mangiucchiato nel tovagliolo, lo avvolse e lo poggi sul piattino in cui prima era adagiato il tramezzino. Mio Dio, ma c prosciutto qui dentro! fece, afferrando tempestivamente il bicchiere di vino e sorseggiandolo avidamente, posando al contempo il panino.

Luomo guardava la scena, sorso di birra e conseguente asciugatura della schiuma depositatasi sui baffi, passandovi le dita lungo tutta la loro lunghezza. Ma scusa, lo hai ordinato tu? Che ti aspettavi? Ostriche e champange? chiese. Lei fece una faccia ancora pi scioccata, dopo aver mandato gi il vino. Oddio avevi ragione, il vino peggio del panino! Io non mangio il prosciutto ne tantomeno il maiale. Io non mangio carne, sono vegetariana! fece lei, asciugandosi la bocca con la mano. Era impressionante quanto nei gesti e nel parlare apparisse come una donna estremamente materiale, a tratti sciatta. La cosa in realt cozzava con laspetto, decisamente molto pi sofisticato allapparenza. Tutto questo incuriosiva, non si sa poi perch, luomo, che non riusciva pi a scollare lo sguardo dalla sconosciuta. Ma allora perch hai preso il panino con il prosciutto, scusami? chiese, grattandosi la testa. Senti mister saputello, io ho preso quello con il formaggio, e non con il prosciutto, chiaro? E poi come diavolo facevi a sapere che il vino qui era cos maledettamente scadente, eh? disse lei, indicandolo con il piccolo dito, allineato con la curva del naso, in traiettoria come a prendere la mira. Devi proprio venirci spesso qui tu, vero? Ma a fare cosa? Non hai di meglio da fare durante tutto il giorno che stare qui a sbronzarti con i vecchietti? Oppure vieni qui nella speranza di incontrare qualche bella donzella come me da far innamorare, con quei tuoi occhioni tutti tristi e luccicanti? Dimmi un po. Ce lavrei di meglio da fare pens lui quando, afferrato lo scontrino di ben nove e uro, fece mente locale. Con quel prezzo, lungo il tragitto per tornarsene a casa, avrebbe tranquillamente potuto fermarsi da Hai-Bin, a trovare il vecchio Ming. Con quella cifra, o con al massimo giusto giusto i dieci euro che aveva, avrebbe potuto prendersi la sua bella porzione di riso in bianco, pollo alle mandorle, una di manzo in salsa di ostriche una birra, e per finire in pompa magna, una bella grappa alla prugna. Che poi, a locale mezzo vuoto, sullo sfumare della nottata, il vecchio Ming gli lasciava sempre una bottiglia smezzata, e non faceva mica tante storie quando lui se la finiva. Si in effetti ci vengo spesso qui. Ma non come credi tu. E che mi piace starmene solo, tutto qui rispose, guardandosi in torno, rimpicciolendosi. La donna si gratt la testa con lindice, in un grottesco gesto carnevalesco. E come mai proprio la stazione, e non un qualsiasi altro posto. Un tantino pi allegro magari? Mi piace immaginarmi quello che pensa la gente. La stazione un luogo di partenze, di addii, fughe. Apprezzo la malinconia io. Tendo ad essere uno che non scaccia mai i sentimenti tristi. Possono essere di buoni compagni, se li si sa tenere un po a bada. Immagino le persone, quello che lasciano, i motivi delle loro partenze. Si ferm un secondo. Gir la testa verso la porta. Vedi ad esempio quellsignore con la coppola che fuma la pipa? disse riferendosi ad un signore che sostava sulla banchina. Lei si appese su un lato, scavalcando con lo sguardo la sagoma di lui che le copriva la visuale. Si disse, riavvolgendosi nella posizione di partenza, reggendosi sui braccioli. Ecco, magari potrebbe essere uno che ha deciso di mollare tutto allimprovviso, per fuggire che ne so, in Russia. Guardalo. Apparentemente sembra tranquillo, ma continua a guardarsi intorno, immobilizzato nella stessa posizione per non destare sospetti. Fuma nervoso, si vedono gli sbuffi di fumo troppo rapidi. Continua a guardare lorologio, e poi di nuovo a destra e a sinistra, come se temesse che allimprovviso

qualcuno venisse a riacchiapparlo. Magari unagente segreto, chi pu dirlo? rigir la testa verso la donna, sorridendo, leggermente compiaciuto. Wow, certo che ne hai di immaginazione tu eh? Per sempre con sta Russia, mamma mia! Che sei una specie di esistenzialista? chiese, ed il gatto miagolo, mentre si leccava il guantino bianco di pelo sulla zampa, con la sua lingua ruvida. Russia, quale Russia? Io non ho mai parlato di Russia! No, e che con quella barba non tagliata e mustacchi sembri un russo tu, non te lhanno mai detto? Sembri anche un po un hippie, sai? fece lei sorridendo in maniera beffarda. Hippie io? Dico, ma mia hai visto bene? si alz, roteando su se stesso, con i palmi delle mani alzate, mettendosi in mostra. Poi torn al suo posto. Da giovane ero una specie di punk, ma hippie proprio no! Beh se per questo ti ho visto, e non sembri affatto nemmeno un punk, credimi, mi dispiace deluderti. Fece, afferrando di nuovo il panino, squadrandolo con uno sguardo accompagnato da un ghigno di disgusto e rigettandolo poi sul piattino. Perch non lo dai al micio il panino, magari ha fame esord luomo, indicando il gatto. Cosa? Ma scherzi? Anche lui vegetariano! rispose. Ah, questa poi non me la bevo. Una gatto vegetariano. Non sarai una di quelle che inculcano le proprie paturnie ai poveri animali domestici, ti prego! Cristo, un gatto vegano, Pfu! disse, scansando laria con la mano. Chiediglielo! afferr il gatto, tese le braccia verso luomo mettendo il testone del gatto vicino al suo. Eh, che? rispose lui, indietreggiando leggermente dal pancino peloso del felino. CHIEDIGLIELO! ringhio la donna, sporgendosi ancora di pi per esporre meglio il gatto. Ehi amico, sarai mica vegano per caso? Miaaoo fece il gatto, appeso tra le mani della padrona. Ecco, hai visto? Ben ti sta. Ma tu guarda. Intim lei, poggiando il gatto sulla sedia e incrociando le braccia, infastidita da tutta la scenata. Ci fu un minuto buono di silenzio. Luomo che normalmente non si curava pi di tanto delle reazioni funeste che potevano avere le persone, in quelloccasione si rammaric un tantino. Aveva la certezza di non aver detto nulla di male in fondo. Si sapeva che i gatti non potevano essere vegetariani, ma prov un tantino di senso di colpa, che lo indusse a rompere la nebulosa tensiva che si era creata. Il gatto nel frattempo si era appisolato, rannicchiatosi a fagotto, con gli occhi finalmente chiusi. Ora aveva un aspetto molto meno invasivo. Senza quello sguardo scrutatore, il tartufo leggermente luccicante di muco, mostrava una parvenza molto pi tenera che solenne. Che razza ? chiese E cosa ti importa? Eh? rispose lei, ancora con le braccia incrociate. Senti, scusa. Lo so che a volte posso sembrare brusco e strafottente, ma credimi non che ci so fare molto con le persone io. Gi il fatto che siamo qui seduti, a parlare per me molto strano!disse lui, che prima si era leggermente chinato verso la donna, poggiando le mani sulle ginocchia per restare in equilibrio sulla sedia, senza sovraccaricare troppo la schiena. Ah, cos dovrei sentirmi privilegiata della tua presenza, misterioso poeta rubacuori? sorrise, snodando le braccia dal loro intreccio, comunicando gestualmente, una pi possibile comunicabilit. un gatto sacro di birmania sul finire della frase, il gatto apr glocchi assonnati, alzando leggermente la testa. Che avesse capito che si stava parlando di lui?

davvero bello. Non conoscevo questa razza. Cio mi capitato di vederne, ma non sapevo si chiamassero cos. Rispose luomo, guardando il micio che contraccambi locchiata. Tese una mano e laccarezz. Oh ma non ci sono altri gatti come lui. Lui unico, speciale, magico! Non vero pallaccia di pelo? chiese al gatto, prendendo ad accarezzargli la coda, con dolcezza, che cominci ad ondeggiare ritmicamente tutta ritta. Miaao rispose lui. Devi esserci molto legata immagino sinterruppe, alzando leggermente i lombi, premendo con le mani contro i braccioli per darsi il giusto slancio. anche perch vedo che lunico bagaglio lui, vero? Eh si, viaggio leggera, soprattutto per essere una fanciulla. Niente borsette, borsoni, pochette, trucchi, specchietti. Niente, solo io e ma la mia amata palla di pelo! replic lei. Come mai cos docile? Come riesci a portarlo in giro senza una gabbia, grosso come ? Ma sei matto, quale gabbia? Lui mi segue sempre. Solo ogni tanto, essendo come ti dicevo metereopatico gli vengono strani schiribizzi. Conosci la storia di questo gatto? chiese alluomo. La domanda fu accompagnata da un improvviso cambio despressione. La sconosciuta si fece improvvisamente seria, e glocchi sembrarono perdere un tantino di luce, come regolati da un comando a distanza. Vuoi che te la racconti, ti interessa? Certo, perch no rispose lui. Allora in Birmania, si dice, che prima della venuta del Buddha vi fosse un popolo, i Khmer. Questi pare fossero molto religiosi, costruivano templi e veneravano diverse divinit, tra cui Tsun-Kian- Kse. Questa presiedeva alla reincarnazione delle anime, ed era raffigurata con unenorme statua, ma proprio grande pare, tutta fatta doro massiccio, e al posto deglocchi aveva due enormi zaffiri lucenti. Questi templi erano custoditi da monaci, che avevano centinaia di gatti tutti arruffati, bianchi, con le zampe color terra, e credevano che una volta morti, se si fossero presi cura dei mici, si sarebbero reincarnati in uno di loro. Il vecchio monaco Mun-Ha, aveva sempre al suo seguito il fedele micio Sinh la ragazza si interruppe un momento, guardano il gatto che si era riaddormentato con occhi tanto innamorati quanto orgogliosi. In quellistante sembr che tutto si fosse paralizzato bruscamente, finendo in un enorme quadro di gelatina. Anche i vecchietti parevano congelati, mentre si erano fermati dalle abluzioni alcoliche, prendendo a guardare loro due che parlavano. Le luci si sommisero, ingiallendo lievemente. Poi la ragazza continu, mentre luomo sembrava non essersi accorto del mutamento di scena. Un giorno per, il tempio fu invaso da alcuni predoni che saccheggiarono il saccheggiabile e presero ad uccidere tutti i monaci, compreso Mun-Ha. Il gatto bianco, Sinh, che meditava al suo fianco, salt sul corpo ormai esangue del maestro, guardando intensamente la statua della dea. Allora accadde un miracolo, una trasformazione sbalorditiva. Il suo manto divenne improvvisamente dorato e i suoi occhi come i zaffiri. Le piccole zampe, che prima erano color terra, toccando il corpo del padrone morto, divennero magicamente bianche, in segno di purezza, e il marrone si spost sul muso, sulle orecchie e sopra alle zampe. Fine! qualcuno improvvisamente premette play, e tutto torn al suo ritmo che, seppure non chiss quanto accelerato, riprese ad una velocit terrestre. una storia davvero affascinante disse lui, raddrizzandosi sullo schienale della sedia, che gracchi nel suo tenero scheletro di plastica, pronto quasi a rompersi.

Come si chiama? aggiunse Astro! fece lei, tutta sorridente di gioia per levidente interesse. Astro? Bello, ma, come mai? Perch lui tutto. sempre visibile, sta aldil di ogni cosa, di tutto questo e prese a toccare il tavolo in modo frenetico. Si tocc il poncho e poi tocco una spalla delluomo. al di fuori del terreno, dellatmosfera. Sfugge alla vita, pure se vivo, questo certo, e anche alla morte. Lui leterno ed eterno al contempo. lunica cosa che sta pienamente e consapevolmente dentro la possibilit di esistere, mi capisci? concluse, avvicinandosi con il viso a lui, quasi cadendo dalla sedia tanto dovette sporgersi in avanti per raggiungerlo. E io che pensavo che fosse solo un gatto! aggiunse lui sorridendo incuriosito. Era la prima frase che le sentiva dire che non sembrava appartenere ad una pazza. Strano, perch probabilmente ad una qualsiasi altra persona sarebbe parso il contrario. I gatti sono animali unici. Sono il simbolo delistinto, della natura selvaggia. Ma sono legati anche al mistero, allinsondabile. Avevano il loro posto in prima linea nellOlimpo, secondo gli egizi! E poi sono molto pi intelligenti dei cani, sai? esclamo. Questa non me la bevo, dai! rise luomo. Ci sono gli studi! Informati mio caro. Cal qualche istante di silenzio. Poi lui riprese. Fu chiaro fin dall'inizio che ogni qualvolta c'era un lavoro da fare, il gatto si rendeva irreperibile! Si in effetti un po un pigrone, come la padrona! Fu chiaro che non colse la citazione. Ma non se ne sorprese. E tu? Tu com che ti chiami, misterioso rubacuori? chiese, portandosi le mani alle guance e sbattendo le palpebre velocemente, come battiti di farfalla. Ancora co sto rubacuori? Ma per chi mi hai preso? fece lui, imbronciando il viso. Su, allora? Giuseppe! Giuseppe, come san Giuseppe, il padre di Cristo. un nome ebraico sai? Deriva da Josef, significa accresciuto da Dio! un nome importante, solenne, che credi? Si ma ora non montarti la testa eh! esclamo la donna Giuseppe fece spallucce, ridendo. Cazzo! pens, in fondo sapeva qualcosa anche lei. Non era del tutto svitata. Beh diciamo che pi che San Giuseppe, padre del Cristo mi sento un poco pi simile a San Giuseppe da Copertino, Giuseppe Desda, il guardiano dei porci. Lo conosci? esord lui. No un tuo amico? chiese lei, poggiando le mani sui braccioli. Ma che! Era un santo ignorante, nato in una stalla, che per entrare nellordine dei Frati Minori dovette studiare a gran fatica, tanto era ciuccio. Oggi infatti viene venerato come protettore dei studenti. Si dice che fosse in grado di volare. Il santo dei voli! finendo la frase sembr intristirsi di colpo. Incroci le mani e abbass lo sguardo su di esse, rapito da chiss quali pensieri. La donna spalanc un poco la bocca. In ogni suo gesto, movimento, sembravano mischiarsi il pi sincero, innocente stupore con altrettanto sarcasmo. Non si cur, apparentemente, del repentino cambio dumore di Giuseppe, a cui comunque chiese: Ti senti incapace come lui, vero? Inetto, fuori luogo, incompreso magari? Come se non ti fosse concesso di fare quello che devi, frenato da chiss quale misteriosa forza arcana. Non riconoscono i tuoi miracoli, il tuo sforzo, le tue ernie, vero? Non le riconoscono perch sei tu stesso il primo a non riconoscerli, a non vederli. Sei tu che

non credi nei miracoli. Tu gi voli, non sapendo di volare. Non hai mai imparato davvero, ti sei applicato, ma secondo te non ancora abbastanza. Ti chiedi troppo e ti dai poco, eppure gi potresti volare, libero, lontano da tutto, da tutti. Vivresti tranquillamente nel mistero pi fitto e saresti cos cieco da non accorgertene. La vita un sogno, nientaltro. Non ci sono spiegazioni razionali per le cose, se non quelle che la vostra stupida e crudele mente vuole dargli. La vita un sog no! esclam la donna, poggiando la mano sulla spalla di Giuseppe, che rinvenne dal suo breve deliquio. Alz la testa, lentamente, tenendo sempre le mani conserte poggiate sulle gambe. I due si guardarono intensamente per un attimo, una complicit di sguardi nel breve silenzio. Caldern de la Barca! fece lui, guardandola neglocchi. Lei ritrasse la mano, si ributt comodamente sulla sedia, drizzando la schiena, sgranchiendosi dal torpore del freddo e disse: Chi , un altro tuo amico? Non cera niente da fare. Le parole che aveva pronunciato, probabilmente nascevano solo dalla mente di Giuseppe, plasmate ad hoc dalla fantasia. Non era possibile, forse si era immaginato la situazione come una situazione ideale, le giuste frasi che avrebbe voluto sentirsi dire proprio in quei giorni. Tutto lo sconforto, tutta la pena di una vita sopravvissuta lo stavano uccidendo. Lascia perdere disse, afferrando il bicchiere e mandando gi la posa schiumosa della birra. Poi si alz energicamente, spingendo la sedia indietro con un gesto brusco, dicendo che sarebbe andato un attimo in bagno. Volt le spalle alla sconosciuta che sembrava pi interessata a guardare il micio, che a curarsi di un misero apostata metropolitano. Si incammin verso il piccolo e mal illuminato corridoio al lato del bancone, a testa bassa, con le braccia che gli morivano, penzolando lungo i fianchi, fregandosene dello sguardo feroce del barista che sedeva su una seggiola poco distante dai vecchietti che avevano ordinato lennesimo giro di grappe, cominciando ad animarsi, pronti alla mattanza di una briscola selvaggia. Si avvicin alla porta di legno del bagno maculata di scorticature; la luce a neon presagiva di fulminarsi nel suo intermittente singhiozzio, faceva apparire deformi fantasmi di ombre replicanti Giuseppe. Entr. Quella che allinizio sembrava laspro odore di candeggina si rivel chiaramente lezzo di fognatura; trasaliva dallo scarico del lavello, si levava da sopra la piccola pozzetta dacqua del water, diluita con il giallore dellurina che sgorgava formando nuvolette di vapore, da sotto la cintola di Giuseppe. Richiuse la zippo dei jeans, diede una breve occhiata alle scritte sconce, ai numeri di telefono che promettevano infuocate e passionali prestazioni carnali, tir lo sciacquone ed osserv il risucchio. Prima acqua giallognola e poi, finalmente, di nuovo limpida, cristallina, anche s nel suo placido vibrare, assorbiva loscurit di chiss quali marce incrostazioni depositate sulla ceramica. Ritornando sui suoi passi, Giuseppe, sempre a testa bassa, stretto nel suo cappotto, not una piccola macchiolina blu scuro sul lercio pavimento. Si chin lievemente, con le mani in tasca al cappotto, per vedere meglio di cosa si trattasse. Era un piccolo scarabeo. Camminava a passetti lenti, faticando nel trascinare il suo pesante corpo sferico. Strano, si sarebbe immaginato sicuramente uninvasione di neri scarafaggi affamati da un posto cos poco igienico, ma uno scarabeo sembrava davvero fuori luogo li. Lo osservo per un poco, sotto il candore delle luci ballonzolanti nelle plafoniere. Il suo colore era magnifico, pareva un gioiello egizio, nelle sue complesse sfumature che si riproducevano, differenziandosi lievemente di tonalit, ad ogni sussulto dei neon. Giuseppe avvicino lo scarpone allinsetto, puntando il tallone e tenendo ben sollevata la punta. Sent il tendine dAchille tendersi in un quasi impercettibile pizzicore. Osserv

ancora lo scarabeo per un istante, curvandosi leggermente su un fianco per aggirare il piede e trovare la giusta visuale. Linsetto scappava, lento, quasi incerto. Poi si ferm. Giuseppe cominci ad abbassare la punta del piede, piano piano, fino a quando, se pure in maniera lievissima, non sent la schiena dellinsetto toccare la suola. Poi ci fu un ripensamento, alz delicatamente il piede e, allunisono, dalla pi totale immobilit quasi funerea, lanimaletto riprese a saltellare, forse anche pi energicamente di prima. Certe volte accadono davvero cose strane. Alcuni non le notano minimamente, altri ne sono letteralmente attraversati, tirando personalissime ed immaginifiche conclusioni, creando strane associazioni mentali. La pi piccola cosa che possa accadere ad una persona comune, dallanimo dormiente, pu disfare irreparabilmente le lenzuola dove riposa quella di unaltra persona, costringendola a saltare gi dal letto e non trovare pi pace. Giuseppe si riebbe, apr la porta del bagno, spingendola con la mano e avvertendo qualcosa di strano su di essa. Usc e le esamin, anche se con quel luna park di luci che andavano e venivano non era semplice capire cosa avesse tra le dita. Pareva una polverina scura, tendente al giallo. Se le port al naso per sentire se avesse un qualche odore, ma nulla. Ricordava il polline, o a guardala meglio quella patina sottile che hanno le farfalle sulle ali colorate. Poi abbass la mano e si diete una pulita sul cappotto, mentre tornava verso il tavolo. La donna stava ancora titillando il gatto, che si era nel frattempo rianimato dal pisolino. Si sent una risata rauca. Appoggiati al bancone cerano una donna ed un uomo. Lei, in l con glanni, ma non troppo per non essere considerata dalla maggior parte degluomini ancora appetitosa, sotto un unico e solo punto di vista, aveva delle enormi zeppe nere che le salivano fino alle ginocchia, da dove in su, si vedeva solo pelle nuda, stoppata poi da una minigonna rosso fuoco che proibiva la vista di certe zone pi private. Sarebbe comunque bastata uninclinazione di circa dieci gradi per vedere tutto il celato. Indossava una finta pelliccia leopardata, che le arrivava fino alla vita, tutta scollata sul davanti. Tra il collo ed i seni padroneggiava in bella vista un grosso tatuaggio di una farfalla, tutta colorata. I capelli neri (tinti) schiaffeggiavano labbronzatura artificiale di quel viso ubriaco, che sorrideva rivelando scintillanti brillantini suglincisivi. Luomo, molto alto, con la faccia rude di chi sapeva il fatto suo, la teneva stretta per un fianco, tentando di non far cadere il piccolo sigaro che stringeva tra i denti. Aveva una giacca blu scuro, a righe, lucida. Probabilmente spuntava fuori da qualche mercatino che smistava glabiti dismessi di chiss quale infimo film di mafia, abbottonata solo al centro e sotto una camicia celestina, addobbata da una cravatta color violetto. Mocassini blu scuro, in tono con la giacca, senza calzini, lasciavano intravedere delle secche, ossute caviglie, dallincarnato lievemente bluastro, forse dovuto dal freddo eccessivo. La faccia di lui era smussata e porosa, dura. Si poteva pensare allarenaria con un lieve strato di, diciamo, muschio brizzolato. Ehi tu, barista, due whisky, svelto che qui si mette male! Ahahaha! esplose luomo e la donna lo segui, traballando sulle zeppe. Il barista, sempre seduto sullo sgabello intento a guardare il massacro della partita di briscola, si diede slancio con le mani sulle ginocchia per alzare il suo peso, e subito si diresse, sbuffando, gonfiando le guance, dietro il bancone. Giuseppe riprese posto sulla sedia, e la sconosciuta subito lo mise sotto i suoi riflettori. Tutto bene? fece lei. Si certo replic lui, tossendo e schiarendosi la gola in seguito. Fumi troppo mister Gitanes, dovresti smettere. O forse anche no!

Ci ho provato almeno un milione di volte. Come diceva Mark Twain, smettere di fumare facile, io lho fatto centinaia di volte! Certo che tu con tutti questi amici, potresti farne di cose anzich ciondolare alla stazione, pusillanime che non sei altro! sorrise la donna. E che da quando non ho pi un lavoro, non ho chiss cosa da fare. Penso penso penso tutto il giorno, nientaltro esclam lui, mostrando i denti. A cosa pensi? Non ti far male tutto questo pensare? Tutto questo vagare senza meta? Non potresti stare a casa a fare cose pi interessanti? interrog la donna, storcendo un po la testa su un lato. A casa non ho niente che io voglia vedere, o meglio fare. Preferisc o andare in giro, semplicemente Trovarti un lavoro no eh? Devi ritenerti proprio speciale tu! fece lei, marcando stretta sul tu. Ma senti questa... Te lho detto, ce lavevo un lavoro, tempo fa si interruppe. Poi? chiese lei. Poi niente. Una serie di eventi mi hanno portato qui. Tipo? Tipo niente chiuse Giuseppe, modulando le corde vocali per lasciar intendere che il discorso poteva finire anche l Ahahahaha! Ehi barista, altri due, presto. Devo spegnere questo fuoco, capisci che intendo? Ahahahah fece luomo al bancone, dando una pacca sul culo della donna che si spost su un fianco e fendette laria con la mano, sorridendo, ammonendolo bonariamente. Non ne vuoi parlare? la sconosciuta si fece stranamente seria. Si raddrizz sulla sedia, sullattenti, pronta per ascoltare qualsiasi storia che le sarebbe stata raccontata. Dandolo anche per scontato che qualcosa le venisse detto, in qualche maniera. Giuseppe sbuff, abbassando dapprima la testa, poi si port una mano alla fronte, si aggiust i capelli tirandoseli indietro e,contemporaneamente, rialzando il capo, come se con un unico gesto si fosse cambiato lespressione sul volto, appiccicandovi un sardonico sorriso. Facevo il commesso, fino a qualche anno fa. Tutto regolare. Una paga discreta, un lavoro mediocre, di certo non il pi faticoso della terra, ma non si poteva dire che fosse stimolante, appagante sinterruppe, vers nel bicchiere la birra rimasta, mandandola poi gi in ununica sorsata. Poi gli sarebbe servito sicuramente qualcosa di pi forte, pens, ma le finanze non glielo avrebbero permesso. La sconosciuta lo guardava, finalmente, con sguardo sincero. Ne di biasimo ne di compassione. Poi lui riprese. Tutti i giorni sempre la stessa cosa, mettevo a posto gli scaffali, stavo in cassa, riordinavo il magazzino, fumavo una sigaretta con i camionisti addetti allo scarico merci. Appariva tutto normale, forse troppo. Ammesso poi che significhi qualcosa, normale. Ma soprattutto mi toccava dar retta alla gente. Sai sirrigid sulla seduta. Sembrava fossero spuntate delle spine a pungergli il didietro. Ho sempre pensato che la gente fosse, non lo so, strana possiamo dire? Li vedevo, tutti uguali, clienti che venivano anche due, tre volte al giorno, tutti i giorni. Fotocopiati con le loro domande sempre pronte, sempre le stesse. Non si capiva se cercassero dei prodotti specifici oppure uno psicoanalista. Ti chiedevano qualcosa e, nel mentre che tentavi di rispondergli loro gi ti interrompevano, come se la risposta lavessero sempre avuta anchessa, come se volevano vedere se eri preparato, pronto. Ma pronto per cosa? Non lho mai capito. Con i colleghi era lo stesso, oddio non con tutti. Si poteva

parlare con loro come con i clienti anche per unora di due cose diametralmente opposte. Io dicevo dentro di me, ma di cosa diavolo stiamo parlando? Non ci capiamo, parliamo lingue diverse, come pensiamo dintenderci? Io dico nero, tu dici mela. Cosa centra? Hai mai visto una mela nera tu? Io no. Tutti, ma proprio tutti che volevano condividere, anzi no, inculcarti, addomesticarti ai loro pensieri, alle loro cose, alla loro vita. Nessuno accetta qualcosa di diverso. Un modo diverso di pensare, di vivere le cose, la vita, di concepire il mondo. Cera e c tuttora una discriminazione mentale, spirituale. Ma come si fa dico io? A che gioco stiamo giocando qui? Mi sforzavo di sopportare tutto questo. Ma mi veniva difficile, sempre pi difficile ogni giorno. mi svegliavo, con il groppo in gola. Mi travestivo da qualcun altro, che io non ero, tutto bello in tiro con la divisa che mi stiravano, i capelli in ordine. Ma sembravo non andare mai bene. La barba troppo lunga, i baffi troppo folti e glorecchini, i tatuaggi, la camicia che usciva dai pantaloni che, una misura era troppo larga e quella precedente troppo piccola. Arrivavo al bar, sperando di fare colazione in santa pace e subito cera lo sconosciuto di turno, a parlare di calcio con il barista. Bastava un solo momento di distrazione e quello immediatamente ti rapiva con lo sguardo, cercando consenso, dicendoti eh, bella partita ieri, n vero? Ma io non ho mai visto una partita di pallone in vita mia. Cosa volete da me? Io non vi conosco? Idem con la politica. Mi facevano domande, tentavano di assorbirmi, chiedendomi i partiti, i politici che votavo. Che cazzo vuoi votare qui, stiamo colando a picco, in picchiata dentro questo smottamento cosmico cazzo! E non per i politici, i soldi, i pochi posti di lavoro, le tasse, le bollette, no. Manca qualcosaltro. Mica so come chiamarla, coscienza, fratellanza, spiritualit. Forse amore, no, ecco, entusiasmo, speranza, desiderio. Siamo tutti naufraghi della stessa barca, che poi un cesso ambulante, altroch. A me hanno insegnato che di vita ne hai una, una sola e sacrosanta. Che devi essere felice ogni giorno perch sei ancora vivo. Fiero e sorridente di quel poco che ti sei riuscito ad accaparrare, col sangue e col sudore. Non ho mai voluto tagliar teste io per avere quel poco di bello che avevo. Ma mi domando e dico, felice di cosa in realt? Dellincertezza? Del non poter sognare nemmeno quando si dorme, figuriamoci da svegli. Cosa? Sei libero, mi diceva nonna da piccolo, libero di scegliere cosa fare, in cosa credere, di decidere i tuoi sogni. Poi per a messa mi dicevano che si ero libero, ma che se non avessi pregato, non avessi creduto in Dio, finivi allinferno. Beh tanti saluti alla contraddizione, linferno mi si sbatte in faccia ogni mattina, ogni giorno. Perch sono vivo, perch sorge il sole, perch fa male, sempre di pi, ad ogni anno che passa, ogni giorno che si liquefa allo sbocciare della luna, ogni minuto e ogni parola che sfugge. In adolescenza pensavo fosse un qualcosa che sarebbe stato riassorbito insieme ai brufoli, ma vedo che sempre peggio. Lentusiasmo mi muore tra le mani, mi chiede aiuto, mi dice, non mollare, tieni duro, non farlo. Perch gli dico io, a che pro? Se non sono nemmeno capace di tenermi nulla di buono. Non crescono rose o tulipani dove semino io. sempre e solo deserto, arido deserto. un giorno tutto finir, che Dio mi aiuti almeno in questo e la faccia breve sta messa inscena, tanto serve a poco. Tutto laffanno, lo sforzo, per fare chiss cosa e ritrovarsi il vuoto in mano, in petto. Tutti sforzi inutili, il gioco non vale la candela. Non resta alcun desiderio, tanto pi si ha e tanto pi si vuole. Il conseguimento unutopia. Se sei ignorante come una capra, si che stai bene. Ignori tutto e passi avanti, con i tuoi fantasmi preconfezionati a guardarti le spalle, che glangeli si sono impiccati da un pezzo. Studi tutta la vita, e vai a fare il benzinaio. Non studi e sempre il benzinaio vai a fare. Come se poi ci fosse qualcosa di male a fare il benzinaio. Studi e pi ti senti ignorante, pi ti applichi e pi ti senti handicappato in quella cosa. Non ha senso, davvero. Sarebbe stato significativo

mollare tutto per inseguire qualcosa, non mollare tutto e basta, ed essere inseguito dalle cose che si inseguivano! Riprese fiato. Gli si lambirono leggermente gli occhi, ma tempestivamente li asciug per non dare a vedere. La ragazza si era come immobilizzata, nel suo piccolo poncho, con sguardo ammirato forse. Non ve n certezza. Si riprese, delicatamente diede una spolverata al poncho, sospirando, espirando, guardando Giuseppe, tentando forse di tramortirlo con lo sguardo, o di rasserenarlo. Parve, dal volto rattristato e serioso, per la prima volta durante quella notte, volesse farsi carico di parte del suo peso, se solo fosse stato possibile. Il gatto nel mentre era sceso dalla sedia, e si era seduto in tutta la sua regalit. La terra, il pianeta e il cosmo intero erano il suo piccolo trono. Ahahahaha, su forza un altro giro! Pago io, anche per i signori e i due ragazzi l! grid luomo al bancone, battendo dapprima la mano sul banco, e poi voltandosi ad indicare i due. Alla salute! disse, girandosi e poggiando la schiena contro il banco, mentre mand gi il whisky in una sola sorsata. La donna al suo fianco la guardava con ammirazione e libidine shakerati. Alcuni gesti bravi facevano ancora colpo. Il barista sorrise, era decisamente la sua serata, ma non di certo tanto quanto quella dei vecchietti, che alzarono i bicchieri al firmamento e tirarono gi, battendoli sul tavolo, e facendo segno al barista di riempire con il giro offerto. Vuoi unaltra birra? chiese lei a Giuseppe, che scosse la testa in segno di dissenso. Beh, io col cavolo che lo prendo un altro vino. Non ho finito nemmeno questo, tantomeno il panino! Scusami, se ti ho fatto perdere tempo e soldi. Ma andata cos, non colpa mia! esord, riportandosi le mani in grembo, dopo aver girato il calice di vino dalla base, facendolo vorteggiare. andata cos, v sempre cos alla fine Giuseppe abbass di nuovo lo sguardo. Si chin in avanti e prese a giocherellare con il pacchetto di sigarette sul tavolo. Per quanto ancora ne avrebbe avuto? Smettila, smettila di piangerti addosso, di fuggire da te stesso. Finiscila con questo odio verso ogni cosa del creato. Tutto questodio solamente odio nei tuoi confronti. Hai fatto molto, ti mancano solo pochi gradini ancora, ma non riesci a vederli. Ti sei paralizzato di tuo stesso veleno. Quello che hai fatto andava bene, ma ogni qualvolta ti mancava un passo per arrivare alla meta, decidevi di farne uno indietro, e vedere tutte le cose che avevi sorpassarti, farsi lontane, sempre pi indistinte allorizzonte. Le cose non hanno un senso unico prestabilito. Le persone sono quello che sono, lo decidono loro, per auto induzione. Tu sei quello che sei perch lo decidi tu, e nessunaltro. Sei tu, il male che senti. Non c niente che non vada nelle cose, nel caso. Il caso non fa le cose a caso, ricorda ed impara. Non tentare di disimparare a sentire, non con le orecchie, non con il corpo o con la mente. Quelli sono solo schemi di organo che invecchieranno, disfacendosi nel decadimento. Non forzarti al silenzio. Desidera, non privato delle stelle. Desidera, da dove vengono le stelle, con le stelle, desidera le stelle se ne sei capace, se poi sei disposto a reggerle. Considera! Non ancora tutto perduto. Forse per i prossimi restanti trentacinque anni magari, ma c un tempo che non sapete calcolare, con cui ora non puoi fare i conti, in cui non puoi sperare, eoni ancora, ma ci saranno. Solamente tu potrai esserne pilota, fuori da tutta questa terra che non che una lurida, piccola zolla attaccata alle scarpe di unumanit che si merita questa rimpicciolita, minimalista percezione. Ma tu no. Metti da parte tutti i combattimenti gi troppe volte pianificati con il passato, tua moglie non torner, gli

amici sono andati oramai lungo il loro tragitto orbo. Non rammaricarti di questo. Tu credi di vivere bene nel dolore, ma non cos. Il dolore non c, lo crei solamente da te. Riapri quelle pagine incrostate, strappa la loro pelle, lasciale sanguinare. Ti ricorderanno quanto, almeno in questa esistenza fatta di materiale in eccesso, loro siano ancora vive, pulsanti, come il tuo cuore che senti la notte, quando posi la testa sul guanciale, e non riesci a prender sonno, perch lo senti, ma non lo accetti, non lo assecondi. Pagina tre, pagina undici, dodici, diciotto, venticinque, trentatre, via, quelle non son buone. In fondo che mai la vita? Una frenesia. Che mai la vita? Un'illusione, un'ombra, una finzione... E il pi grande dei beni poi ben poca cosa, perch tutta la vita sogno, e gli stessi sogni son sogni! Tutto il resto desiderio! Giuseppe si port la mano al collo, per vedere se nel caso la collana in cui aveva infilato la fede fosse uscita dal maglione di lana che indossava. Ma no, riposava ancora sotto, al sicuro, al caldo sul cuore sincopato. Fu percosso da un tremore di gelo, ma nessuno aveva aperto la porta, e nonostante l dentro facesse comunque freddo, non cerano spifferi daria da nessuna parte. Come sapeva quelle cose? La guardava, con la bocca spalancata, senza che neanche se ne fosse reso conto. Ora gli occhi della donna parevano neri, bucati in una mistica depressione. Che si fosse sbagliato prima, quando gli erano sembrati verde? Tutto quietava, improvvisamente, senza tempo. In una concatenazione di mosse, la donna si volt un attimo, poi torn a guardare Giuseppe, e speditamente il gatto le salt in braccio, senza che lei neanche avesse visto il balzo, lo afferr saldamente, in un gioco di scatti di nervi contratti dalle mosse che non tornano, come in certe sequenze complesse di vecchi film, in cui certe scene vengono girate al contrario e poi rimontate nel verso giusto. La donna volt lo sguardo verso la porta, balz sullattenti con il gatto in petto e corse fuori senza dir nulla. Giuseppe si riprese un istante, scuotendo la testa come si fa per rendersi conto se si ha il mal di testa o meno, si rizz, dirigendosi verso il calorifero ed afferrando il turbante, mettendosi poi immediatamente allinseguimento della donna, mentre i vecchietti, il barista, i due strani tizi con tutto il bar, il puzzo marcio, le luci traballanti dissolvevano in nero, lentamente, alle sue spalle, immersi nella notte cancerogena. Usc fuori, si volt subito a sinistra, sapendo che a destra la stazione terminava nel nulla, digerita dal buio. Gli sembr di vedere la donna gi parecchio lontana allora grid Aspetta! Il grido attraverso il gelo, mischiandosi alle cacofonie dei treni e al chiacchiericcio dei pendolari, mentre un capotreno era intento a pulirsi le narici, scavandovi affondo con un dito e raddrizzandosi in seguito il berretto troppo calato suglocchi. Rimase fermo, con le gambe leggermente divaricate, mentre teneva in mano quello strano turbante viola, ora completamente asciutto. Poi tent di spiccare una corsa, in una contorsione che preannunciava un ripensamento; port il busto lievemente in avanti, spingendosi con le mani lungo i fianchi, ma non si mosse di un millimetro, bens in quel movimento goffo, apparve come se pi che correre, stesse per perdere l'equilibro e cadere di faccia al suolo. Peppe, mi ha chiamato Peppe, come faceva a sapere si chiese, frugando nel profondo dellillogicit per far venir fuori una risposta. Abbass lo sguardo sul turbante, che reggeva tra le mani leggermente protese in avanti, come a porgerlo in dono a chiss chi. Ora riusc a capire cosa tenesse in mano quelluomo che aveva visto prima, ma non ebbe abbastanza coraggio per voltarsi a controllare la panchina in bilico sul nulla che stava alle sue spalle.

Le mani presero a tremargli convulsamente, seguite dal petto, strozzando a forza un singulto dellepiglottide, mandando gi la saliva con forza, per abortire il parto delle lacrime imminenti. Ma non vi riusc. Alz lo sguardo al cielo, adorno di stelle lontanissime, Mentre le lacrime scendevano nel silenzio e nel gelo, lungo il tragitto del viso, arrestandosi sui baffi, si chiese se sarebbe mai riuscito ad afferrare una stella, se avesse allungato la mano. Ma erano troppo lontane, sentiva ancora quella martoriante certezza. Poi qualcosa lo dest dal suo pensiero. Qualcosa di estremamente freddo si pos sul suo naso. Subito dopo sulla fronte. Abbass lo sguardo, girando la testa in tutte le direzioni. Nevicava. Un fiocco scomposto nei sui cristalli si pos sul turbante, si ripos un attimo e poi senza fretta si sciolse, facendosi risucchiare dal tessuto in una minuscola macchiolina scura. Un altro fiocco cadde a terra, vicino allo scarpone di Giuseppe, anchesso, pigro, si sciolse, dato che i suoi compagni tardavano ad arrivare. Ma eccone subito un altro al suo fianco, arrivato troppo tardi, ma poco prima di lui, nellaria rarefatta, un altro fiocco, ed un altro pi su, che lo seguiva, in caduta, fluttuando allaltezza delle spalle di Giuseppe. E poi altri, sempre uno un passo indietro allaltro, due, tre, tanti, troppo, sempre pi gi in discesa libera, sempre pi su a seguire glaltri pi gi. Sopra i treni, sopra al tetto della stazione, sempre al contrario, in alto nel loro turbamento, scossi dal vento ma noncuranti. Glalberi, le file di macchine in coda, con i guidatori tutti spaventati dalla bufera improvvisa. A secchiate, turbinando nel cielo, tra un primo strato di nuvole, ora finalmente abbastanza vicine,al punto giusto. E sopra la festa latmosfera, sempre pi in alto, sopra il paradiso, il tetto del paradiso, nel creato magmatico di quel liquido seminale di universo, tutto spumeggiante, ammassi e superammassi, soli inceneritori, vie lattee in contorsione, strati di vuoti in copule con le stringhe, in mezzo al mistero, a cose che stanno troppo lontane, ma nemmeno poi cos tanto. Roba di stelle. Non si pu immaginarlo, tutto questo. Solo desiderarlo, forse, se si capaci, se si riesce a reggerlo.

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