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"E sorgerà per voi, che temete il mio nome, il sole di giustizia con raggi

benefici e voi uscirete e saltellerete come vitelli liberati dal giogo; e


calpesterete gli empi ridotti in cenere sotto i vostri piedi nel giorno in cui
io opero, dice il Signore onnipotente".

Il Sol Invictus era una divinità solare di Emesa introdotta dall'imperatore


Aureliano (270-275), che aveva costruito a Roma anche un tempio in
suo onore nel Campus Agrippae (l'attuale piazza San Silvestro). Nel
culto del Sol Invictus confluirono la Mastruca celtica e il germanico Yule
(ruota), con esplicito riferimento al sole.

Nigel Pennick spiega: "Lo stesso termine Yule (anglo-sassone Geola)


significa Giogo dell'Anno, vale a dire il punto d'equilibrio esistente oltre il
declino della luce del sole. (...). Il periodo dello Yule inizia quindici giorni
prima del solstizio d'inverno con la festa di San Niccolò, che è associato
alla figura sciamanica dello stesso Odino".

Il primo Natale del Sole Invitto (Dies


Natalis Solis Invicti), venne
festeggiato a Roma e in tutto
l'impero il 25 dicembre del 274 d.C. per ordine dell’ Imperatore Aureliano,
che aveva appena concluso la riunificazione dell’ Impero Romano ed era
reduce dalla grande vittoria sull’allora principale nemica dell’impero, la
Regina Zebedia del Regno di Palmira. La vittoria era stata resa possibile
dallo schierarsi di Emesa, città-Stato rivale, a fianco dell’esercito romano,
in un momento di sbandamento delle milizie; questa discesa in campo a
favore dei Romani fu sostenuto dai sacerdoti di Emesa, cultori del Dio
“Sol Invictus”; Aureliano, all’inizio della battaglia decisiva, disse di aver
avuto la visione benaugurante del dio Sole di Emesa.

L’Imperatore trasferì a Roma, in segno di ringraziamento, la classe


sacerdotale e il culto del Sole di Emesa, ed in onore del Dio Sole
Invincibile fece edificare un tempio sulle pendici del Quirinale. L’adozione
del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di
coesione culturale dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente
in tutte le regioni dell’impero, dall’Egitto all’Anatolia, tra le popolazioni
celtiche e quelle arabiche, tra i Greci e gli stessi Romani.

Aureliano propose dunque il Sol Invictus di Emesa ai cultori ellenico-romani di Helios-Apollo, ai diffusissimi
seguaci di Mitra, agli egiziani dei riti di Iside/Horus/Serapide, ai
siriani ed arabi dei culti di Helios/Dusares/Baalim (a Petra,
nell'attuale Giordania, il dio Sole Dusares era celebrato il 25
dicembre già dal 600 A.C. Epifanio, il vescovo cristiano della città
di Salamina, padre della Chiesa e noto storico, affermava nel IV
secolo d.C. che da tempo a Petra, la capitale del Regno di
Palmira, era festeggiato Dusares/Helios, il Dio Sole, nel giorno
25 dicembre. Dusares veniva celebrato sopra una pietra nera
quadrangolare di lato cm 60 e alta cm 120; la presenza della
pietra richiama una origine animista della divinità), ai Celti della
Mastruca e ai Germanici cultori della Yule (particolarmente
solenni erano le celebrazioni del rito della nascita del Sole in
Siria ed Egitto: i celebranti si ritiravano in appositi santuari da
dove uscivano a mezzanotte, annunciando che la Vergine aveva
partorito il Sole, raffigurato come un infante).

La festa del Sol Invictus si affermò come la festa più importante


dell’Impero, con grande partecipazione popolare a Roma, anche
perché si innestava ed andava a concludere la festa romana più
antica, i Saturnali. Anche i culti cristiani si confusero con i culti
solari, tanto che l’imperatore Adriano scriveva nel 134 d.C.: “Gli
adoratori di Serapide sono cristiani e quelli che sono devoti al
dio Serapide chiamano se stessi Vicari di Cristo”. Lo stesso
Tertulliano (circa 160-220 d.C.), vescovo di Cartagine, cristiano e Padre della Chiesa, così scriveva: “ …molti
ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto noto che noi preghiamo rivolti verso il Sole
sorgente e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia” ("Ad Nationes"). Sant’Agostino esortava invece i
fratelli cristiani a non festeggiare il 25 dicembre il Sole, bensì chi aveva creato il Sole.

SOL INVICTUS ELAGABALUS

L'influenza siriana della città di Emesa (l'odierna Homs in Siria) sulla


istituzione della Festa del Natale è stata significativa. Da Emesa,
l'imperatore romano Settimio Severo prese in moglie Giulia, nata dalla
stirpe dei sacerdoti del Dio Sole, e portò il culto a Roma già prima di
Aureliano.

Da Emesa proveniva anche l'imperatore Elagabalus (Eliogabalo) che


portò a Roma culto, sacerdoti e la sacra pietra a forma di cono con
base circolare (pietra che tornò in Siria dopo l'uccisione
dell'imperatore). Sulla pietra era scolpita un'aquila con un serpente nel
becco, un simbolo del Sole (il culto del Sole di Emesa, di probabile
origine araba, da parte dei nomadi beduini, prevedeva la presenza di
una pietra cultuale, una pietra nera come quella della Mecca, in origine
un meteorite, ndr), i nomi delle dinastie reali, l'evirazione del sommo
sacerdote, il divieto di mangiare carne di maiale.

Altre teorie sostengono la provenienza di questo culto dall'egiziana


città di Heliopolis o da Babilonia, sempre in un epoca antecedente al
1400 a.C. Eliodoro di Emesa scrisse nel III secolo d.C. il romanzo
forse più completo di quel secolo, “Le Etiopiche” che ben descrive
questa “contaminazione” tra culti solari egiziani e siriani, arabici ed
etiopi.

Eliogabalo è ricordato come il più giovane imperatore romano (a


solo diciottanni), e anche uno dei più scandalosi. Fu mandato al
potere grazie ad un complotto ordito dalla zia di Caracalla,
Giulia Mesa, ai danni di Macrino, il legittimo successore. Nato in
Siria dall'unione di Giulia Soemia, figlia della Mesa, e il senatore
Vario Marcello, ebbe in eredità il sacerdozio del dio del sole El-
Gabal di Emesa (manifestazione di El, principale divinità solare
semitica), che cercò di porre al centro della religione di stato
romana, addirittura più in alto di quella di Giove. Il suo
matrimonio con la vestale Severa doveva tra l'altro servire a
dimostrare l'alleanza tra le due fedi, per lo stesso motivo diede
in moglie ad El-Gabal la dea romana Minerva.

Per l'invincibile divinità solare (Sol invictus), fece edificare sul


Palatino un tempio dall'aspetto fallico in meteorite nera. Fu
proprio a causa di questo culto che l'imperatore fu chiamato Eliogabalo. Erodiano narra che usava danzare
intorno agli altari consacrati a El-Gabal mentre donne siriache suonavano cembali e tamburi e senatori e
cavalieri stavano in piedi a guardare. Danze lascive, cerimonie oscene, e c'è chi dice anche sacrifici umani,
tutto davanti l'ara del dio Sole.

Il giorno di mezz'estate la divinità assumeva il ruolo centrale in una festa


che diventò la più grande festività di Roma. Dal tempio sul Palatino, la
pietra nera veniva portata ad un altro tempio sopra un ricchissimo carro,
tirato da cavalli bianchi, scortato dalle guardie e dal popolo e seguito dai
simulacri degli altri dei, lungo le vie di Roma cosparse di fiori.
Continua Erodiano: “Piazzava il dio del sole su un carro ornato
di oro e gioielli che veniva portato per i sobborghi, fuori dalla
città. Il carro recante la divinità era trainato da sei grandi cavalli
bianchi. Nessuno teneva le redini e nessuno stava sul carro, il
carro veniva scortato come se lo stesso dio fosse il cocchiere.
Eliogabalo, procedeva a ritroso davanti al carro, tenendo le
redini e guardando il dio; faceva tutto il percorso all' indietro,
con lo sguardo fisso in alto verso il suo dio”.

A dargli una ancora maggiore notorietà, furono le sue


“disinvolte” inclinazioni sessuali. L'opinione pubblica romana era
abituata agli imperatori che si tenevano vicino qualche fanciullo, generalmente in parallelo con le normali
attività eterosessuali. Ma Eliogabalo era davvero senza freni.
Secondo Dione Cassio, senatore e storico contemporaneo agli
avvenimenti, ci racconta che Ierocle, uno schiavo biondo della
Caria, fosse considerato il 'marito' favorito dell' imperatore e che
Eliogabalo avesse l'abitudine di stare nudo in piedi davanti alla
porta della sua stanza nel palazzo imperiale, alla maniera delle
prostitute, muovendo la tenda appesa ad anelli d' oro e cercando
di attirare con voce dolce e suadente i passanti.

Una tale condotta, ma soprattutto la questione religiosa, fecero sì


che la situazione degenerò in fretta. Eliogabalo e sua madre
furono uccisi l'undici Marzo del 222: i cadaveri vennero trascinati
per le strade di Roma e poi gettati nel Tevere insieme ad un
grande numero di loro accoliti. La pietra nera, simbolizzante il dio
di Emesa, fu rimandata alla città d'origine.

(Pubblicato su Ecplanet 30-12-2005)

LINKS

Sol Invictus - Wikipedia

Eliogabalo - Wikipedia
DIES NATALIS

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