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LINTERPRETAZIONE DEI DIALOGHI DI PLATONE IN SCHLEIERMACHER E NELLA SCUOLA DI TUBINGA di Gaspare Mura Come ha illustrato magistralmente Giovanni Reale

nellopera: Per una nuova interpretazione di Platone[1], si possono individuare tre grandi modelli che hanno guidato fino ad oggi linterpretazione dei Dialoghi di Platone. Innanzitutto il modello medioplatonico e neoplatonico, volto a leggere in senso allegorico i Dialoghi, e quindi ad individuare in essi il vero significato (lo spirito oltre la lettera); in secondo luogo il modello romantico, risalente a Schleiermacher, e fondato da una parte sulla filosofia dellidentit di Schelling, alla quale Schleiermacher stesso in qualche modo era legato tramite lo Schlegel, suo collaboratore nella traduzione di Platone, e dallaltra sulla concezione del valore paradigmatico della letteralit del testo, basata sulla scoperta romantica del linguaggio come espressione autentica della cultura e del pensiero di un autore, quale era stata elaborata ampiamente da von Humbold, da Herder e da Hamann; e in terzo luogo il modello della Scuola di Tubinga, che pur non negando i primi due, ha inteso integrarli tuttavia con la valutazione delle dottrine non scritte- grapha dgmata-, individuabili attraverso la tradizione indiretta [2]. La grande differenza tra linterpretazione platonica di Schleiermacher e quella della Scuola di Tubinga consiste proprio nel diverso valore che viene attribuito agli scritti platonici: se per Schleiermacher, che accentua il valore del linguaggio, i Dialoghi contengono integralmente il pensiero platonico, perch ne sono fedele espressione letterale e linguistica, per la Scuola di Tubinga, che accentua invece il primato della parola orale sulla parola scritta, tematizzato dallo stesso Platone sia nel Fedro che nella VII Lettera, i Dialoghi dovrebbero essere invece interpretati alla luce di quelle dottrine non scritte cui lo stesso Platone fa riferimento, e testimoniate dalla cosiddetta tradizione indiretta. Tuttavia, intorno al dibattito tuttora in corso sul valore del nuovo paradigma ermeneutico di Platone proposto dalla Scuola di Tubinga, sono in gioco una serie di questioni che non riguardano solo linterpretazione di Platone, ma il significato stesso dellermeneutica nel contesto della filosofia contemporanea e nel suo rapporto con la storia della filosofia e con la metafisica. In effetti il punto centrale di tutto questo dibattito verte intorno al valore che viene assegnato alla concezione ermeneutica di Schleiermacher, la cui interpretazione di Platone non solo ha costituito fino ad oggi un punto di riferimento indiscusso nellinterpretazione platonica, a motivo del corredo scientifico e filologico da cui stata accompagnata, ma la cui elaborazione di una ermeneutica generale viene tuttora riconosciuta come il primo fondamento della filosofia ermeneutica. Prendere posizione nei confronti dellinterpretazione platonica di Schleiermacher significa allora anche prendere posizione sul significato dellermeneutica filosofica e sul tipo di relazione che essa pu istituire con la storia della filosofia e con la metafisica. In linea generale possiamo individuare le seguenti questioni ermeneutiche interne al dibattito circa il valore euristico degli grapha dgmata: a) levolversi della concezione stessa dellermeneutica a partire da Schleiermacher; b) il fondamento di validit storiografica che pu essere legittimamente assegnato alla Scuola di Tubinga; c) il valore insieme di novit e di originalit che deve essere attribuito alla metafisica henologica di Platone nei confronti della metafisica ontologica aristotelica .

Il Platone di Schleiermacher Linterpretazione che Schleiermacher offre di Platone, finora paradigmatica nella storiografia platonica, indissolubile non solo dalle teorie espresse dai suoi scritti di ermeneutica[3], ma anche dallo spirito romantico che abita i lopera Sulla religione, in cui egli scrive che ...attraverso gli antichi saggi e poeti greci, la religione della natura acquist un aspetto pi bello e pi lieto e cos il divino Platone innalz la mistica pi sacra alla vetta pi alta della divinit e dellumanit [4]. Se Hegel romantico in quanto cerca di pensare la contraddizione, ma razionalista perch il pensiero della contraddizione (dialettica) non si ferma allantitesi ma alla sintesi, che di tipo concettuale (primato dellidea, finalismo dellidea), e per questo non accetta una equiparazione delle religioni in funzione del sentimento, ma piuttosto un finalismo delle forme religiose, da quelle naturali a quelle superiori, capaci di concettualizzare il divino, e tra le quali il cristianesimo, con la centralit del Logos, assume il ruolo di vera e definitiva religione; per Schleiermacher invece tutte le religioni sono per principio uguali, non vi un finalismo nella storia delle religioni, perch lessenza della religione si trova ovunque vi sia il sentimento e lintuizione dellUniverso, anche senza una precisa idea di Dio. LIdea di Dio e del divino, essenziale per linterpretazione hegeliana del cristianesimo, totalmente indifferente nellopera Sulla religione di Schleiermacher, che ha tuttavia il merito di considerare il sentimento religioso come una struttura antropologica universale, presupposto della Rivelazione, e per questo da contrapporre - come recita il sottotitolo dellopera, Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano , ovvero i razionalisti che da Spinoza ad Hegel hanno fatto della religione un momento inferiore della storia dello spirito, ed hanno elevato alla sua sommit l amor Dei intellectualis (Spinoza) o lautocoscienza dello Spirito (Hegel) . Schleiermacher vuole rovesciare questo primato che, nellambito della filosofia della religione, stato assegnato dal razionalismo moderno alla ragione , a favore della religione, e a questo fine la stessa interpretazione di Platone viene utilizzata come conferma della sua precomprensione romantica della religione: Platone, per Schleiermacher, avrebbe innalzato luniversale dimensione religiosa e mistica delluomo alla sua vetta pi alta , ovvero avrebbe permesso alla filosofia ed al logos non di rendersi autonomi dalla religione, ma di farsene sua manifestazione ed espressione linguistica e concettuale. Gadamer si lucidamente reso conto di questo, quando scrive che Schleiermacher muove da un ipotesi di fondo precisa in quanto, nel mito, vede una specie di funzione provvisoria rispetto al logos [5]. Il logos, quale si manifesta nei Dialoghi, costituisce in Platone non un qualcosa di autonomo, ma la manifestazione pi alta del mythos, ovvero la vetta del sentimento e dellesperienza religiosa delluomo. Per questo il significato dei Dialoghi non andrebbe cercato al di l di essi, o in dottrine nascoste, ma nelle loro radici, ovvero in quel contesto di esperienze etico-religiose che ne sono state allorigine, e che costituiscono tuttora il referente interpretativo dei testi, come peraltro Schleiermacher stesso andava teorizzando nei suoi scritti di ermeneutica. Linterpretazione platonica di Schleiemacher, che unitamente al poderoso lavoro di traduzione dei Dialoghi, si protratto per oltre un decennio in collaborazione con lamico Schlegel, dunque intimamente connessa sia con con le concezioni sulla religione che egli andava elaborando, sia con le riflessioni esposte negli scritti di ermeneutica, nei quali Schleiermacher tematizza la prima grande formulazione del circolo ermeneutico, secondo il quale la capacit dellinterprete di leggere ogni singola parte alla luce del tutto e viceversa, lo metterebbe in grado di entrare realmente ed efficacemente nello spirito e nel pensiero dellautore: Il mio desiderio volto soprattutto a rendere le parole di Platone, nella loro connessione, pi

comprensibili di quanto sia avvenuto sinora, ma anche di determinare e mostrare il legame tra il fine e lo spirito di ciascun dialogo e la sua esecuzione [6]. Per questi motivo Schleiermacher ritiene che altrettanto poco, con la migliore buona volont, si potrebbero trovare tracce storiche a sostegno della tesi dellesistenza in Platone di una distinzione tra dottrine esoteriche ed essoteriche [7] . Il motivo fondamentale per il rifiuto di una eventuale interpretazione di Platone fondata sulle dottrine non scritte, derivato allora dalla filosofia romantica del linguaggio, e consiste nella convinzione che nella filosofia di Platone forma e contenuto sono inseparabili e ogni asserzione deve essere compresa solo nella sua collocazione con i legami e le limitazioni in cui Platone lha esposta [8]. Lunico significato che Schleiermacher potrebbe accettare, a proposito di una dottrina non scritta di Platone, quello derivante dalla sua filosofia ermeneutica: e cio che il lettore di Platone sia capace di assurgere ad una tale condizione interpretativa, da elevarsi a vero ascoltatore dellinterno [9], ovvero sia capace, come recita un canone dei suoi scritti di ermeneutica, di comprendere lopera dellAutore pi dello stesso Autore. In altri termini, come scrive Schleiermacher, non c bisogno di distinguere dottrine esoteriche, consegnate allinsegnamento orale, e dottrine essoteriche, consegnate allo scritto, perch in realt le cosiddette dottrine esoteriche altro non sono che linterpretazione e la comprensione autentica di ci che espresso nei Dialoghi. Scrive Schleiermacher: Ecco quindi lunico significato in cui si potrebbe parlare di una dottrina esoterica e di una essoterica. Esso starebbe ad indicare solo una condizione del lettore, a seconda che questi si elevi o meno a vero ascoltatore dellinterno [10]. Dilthey e linterpretazione platonica di Schleiermacher Il maggiore sostenitore del valore paradigmatico dellinterpretazione platonica di Schleiermnacher e del suo intimo legame con la filosofia ermeneutica stato Dilthey, il quale scrive: era il periodo della sua vita in cui si allontanava dall esposizione della propria interiorit e si volgeva esclusivamente al lavoro ermeneutico-critico[11]. La posizione di Dilthey nei confronti del Platone di Schleiermacher viene oggi criticata sia dai rappresentanti della scuola di Tubinga i quali, come si detto, valorizzando gli grapha dgmata, offrono di fatto un criterio ermeneutico alternativo a quello di Schleiermacher, fondato sul principio del primato e dell autarchia dello scritto; sia da coloro che pur valorizzando a fondo linterpretazione platonica di Schleiermacher e non riconoscendosi nei presupposti ermeneutici della Scuola di Tubinga, vogliono tuttavia liberarlo dal legame molto stretto istituito da Dilthey tra lermeneutica platonica di Schleiermacher e la contemporanea filosofia romantica dellidentit. Ma proprio per questo, a mio avviso, e anche alla luce di tutte le opere di Schleiermacher, linterpretazione di Dilthey decisiva per comprendere a fondo quellintreccio molto stretto tra filosofia ermeneutica, filosofia romantica dellidentit e interpretazione di Platone che si realizzato nellopera di Schleiermacher e che non pu essere sciolto privilegiando solo una delle sue componenti. Dilthey mette laccento innanzi tutto su un fattore importante, che non dovrebbe essere dimenticato quando ci si confronta con Schleiermacher: ed il fatto che il suo Platone un anello importante dellinsieme delle scoperte filologico-critiche con cui la Germania, dalla seconda met del XVIII secolo, ha preso parte alla fondazione della moderna scienza storica, il cui scopo la ricostruzione del mondo storico in base alle informazioni e alle fonti di valore scientifico [12]. Certamente Dilthey si mostra qui preoccupato, pi che di valorizzare loriginalit di Schleiermacher, di

utilizzarlo a sostegno della propria prospettiva ermeneutica, che si assegna appunto come compito peculiare la comprensione del mondo storico delluomo. E per questo Dilthey tende a sottolineare di meno il rapporto che invece Schleiermacher istituisce con lo scritto, inteso come espressione di una individualit e di uno spirito vivente, e che Schleiermacher traeva sia dalle nuove filosofie del linguaggio (Humboldt), sia dal principio luterano della sola Scriptura , e che risulta decisivo per la sua concezione ermeneutica dellautarchia dello scritto. In base alla nota distinzione che Dilthey instaura tra spiegazione , propria delle scienze della natura, e comprensione , propria delle scienze dello spirito e della filosofia, tutto lapparato scientifico filologico-critico di Schleiermacher avrebbe avuto solo la funzione di preparare la comprensione - ermeneutica- di Platone: Tutte le operazioni critiche sono qui al servizio di un compito ermeneutico...Egli mostra come questo compito ermeneutico debba porre l attivit critica al suo servizio e darsi come scopo la purezza dei testi e leliminazione degli scritti spuri [13]. E cos Dilthey riassume il senso dellinterpretazione platonica di Schleiermacher, in base ai criteri di quell ermeneutica che Schleiermacher stesso definiva arte dellinterpretazione o arte dellintelligenza: Lo studio della forma interna dell opera di uno scrittore, l indagine della connessione dei singoli scritti di un autore - tra loro e nella mente del loro artefice, -un metodo interpretativo rigoroso e ben costruito, da ci dipendente, la decisione incrollabile che ne discende secondo cui solo se l arte dell interpretazione ha assolto interamente il suo debito, la mannaia della critica pu essere messa in opera - tutto ci si ricava dall arte di Schleiermacher nei confronti di Platone e dalla coscienza che si espressa nella sua ermeneutica e critica [14]. Ma a questo punto che Dilthey introduce un elemento di assoluta novit nella sua valorizzazione dellinterpretazione schleiermacheriana di Platone : ed laffinit tra il contesto culturale e storico da cui sono nati i Dialoghi, e la nuova filosofia dellidentit che permea intimamente sia le espressioni artistiche che filosofiche di quello che Dilthey chiama idealismo oggettivo. Per lermeneutica storica di Dilthey, la ricostruzione di ogni grande contesto storico in base alle fonti esige unatmosfera spirituale dellepoca che renda possibile una nuova comprensione [15]. Ci avvenuto per la nuova comprensione di Omero da parte di Wolf, a motivo del grande movimento poetico romantico, avvenuto per la nuova comprensione della storia romana da parte di Niebur, influenzato dalle vicende dellepoca napoleonica, e avviene ora per linterpretazione platonica di Schleiermacher, determinata dal dispiegarsi dellidealismo tedesco nella poesia, nella filosofia e nella letteratura [16]. La somiglianza e laffinit tra il clima culturale da cui nascono i Dialoghi e quello dellinterpretazione di Schleiermacher data per Dilthey dal fatto che l come qui un movimento poetico e letterario era allorigine dei sistemi filosofici. Il significato e la bellezza del mondo, espressi direttamente dalla poesia e dall arte, incominciavano ora a ricondurre i filosofi alle loro cause, individuate in un fondamento divino del mondo; sin nella perfezione dell architettonica filosofica e dello stile della prosa, essi erano sorretti da una disposizione fondamentale di tipo estetico [17]. Inoltre, dal punto di vista filosofico, l come qui si avverato il grandioso passaggio da una concezione soggettivistica della filosofia (Socrate), ad una concezione oggettiva (Platone): sia Socrate che i suoi discepoli rimasero prigionieri dei limiti di questa riflessione soggettiva; Platone per primo spezz questi limiti e costru il primo sistema dellidealismo oggettivo dell Occidente. Ora lo stesso processo vissuto ad un livello molto pi alto. Kant e Fichte avevano costruito un idealismo soggettivo, ed ora Schleiermacher si trovava, insieme a Schelling, a compiere la stessa rottura a favore di un sistema di idealismo oggettivo [18].

Cosa intende Dilthey per idealismo oggettivo? Idealismo, egli scrive, ogni concezione filosofica che fonda la conoscenza sulla connessione della coscienza. Tale idealismo soggettivo se e in quanto limita la conoscenza filosofica ai fatti di coscienza. Diventa invece oggettivo se intraprende a porre alla base della spiegazione delluniverso la connessione dello spirito...Platone il fondatore di quest idealismo oggettivo nella filosofia europea. Dunque i motivi ispiratori pi profondi di Platone potevano essere portati nuovamente alla coscienza proprio dallattuale movimento filosofico[19]. Quale infatti il motivo ispiratore dellidealismo oggettivo in Platone e nella filosofia dellidentit di Schelling e di Schleiermacher? Collegando strettamente lopera Sulla religione allinterpretazione di Platone, Dilthey scrive che lidealismo oggettivo di Schleiermacher vuol comprendere la coesione, il senso e il significato del mondo quasi dalle profondit dellanima del suo principio divino, vedr l universo con il sentimento del religioso e locchio dell artista. In tal senso gli schleiermacheriani discorsi Sulla religione avevano riconosciuto alla funzione religiosa, comune a tutti gli uomini, la forza di cogliere, attraverso il sentimento e l intuizione, la totalit nell Universo e nello spirito del mondo il suo fondamento divino. Data tale connotazione religiosa della natura umana, era per lui giustificato il passaggio ad un idealismo oggettivo [20]. Se lidealismo oggettivo di Schelling era occupato a mettere in evidenza lintuizione artistica come fondamento della concettualizzazione filosofica, lidealismo oggettivo di Schleiermacher si incentra invece sullintuizione religiosa come origine e contesto della comprensione ermeneutica. Ma entrambi- e qui Dilthey molto chiaro- sono fondati sulla filosofia romantica dellidentit, in particolare nella formulazione fornitane da Schelling. Ora noto che Schelling era stato chiamato alla cattedra di Berlino da Federico Guglielmo II, per contrastare il crescente influsso che Hegel, a motivo delle crescenti istanze storicistiche delle nuove generazioni, esercitava sui giovani prussiani. Lo sforzo di Schelling non ebbe successo ed egli fu costretto a ritirarsi dallinsegnamento; ma le ultime lezioni, dedicate alla mitologia ed alla rivelazione, manifestano un rinnovato interesse per la storicit, come appartenente non solo alluomo, ma alla stessa vita divina [21]. In particolare nella filosofia della mitologia compare in maniere ancora pi accentuata il tema fondamentale delle Ricerche filosofiche sull essenza della libert umana [22], nelle quali limmanenza mistica di Dio nel mondo e nella storia delluomo presentata come il senso delluomo e della storia, intesa come il divenire stesso della vita divina. Dall Urgrund originario, ovvero il fondo oscuro, ambiguo e contraddittorio del suo essere, Dio conquista la personalit attraverso un processo che va dalla natura alla storia, dalle forze oscure della natura, divinizzate dal mondo antico ed esaltate nei capolavori dellarte classica, fino alla storia delluomo in cui, attraverso levento del Dio umanato, luomo finisce per acquisire la consapevolezza della presenza del male nella natura e nella storia, presenza che non pu pi essere esorcizzata dalle pratiche magiche sulle forze della natura, ma ha bisogno di una redenzione come frutto di una lotta nella libert tra il bene e il male. Proprio nella consapevolezza del male e della necessit di una rivelazione-redenzione, Schelling fa risiedere la distinzione tra la mitologia e la rivelazione, quasi per salvaguardare la peculiarit di questultima. Ed sintomatico che anche Schleiermacher, nei suoi discorsi Sulla religione , partendo dal comune spirito romantico, che intende tutta la realt come una originaria identit di natura e spirito, da cui si distaccherebbero in un processo storico le individualit personali, creando tensioni e contraddizioni, assegni alla religione il compito di intuire questo Infinito originario al di l dei limiti del finito; e che poi, per salvaguardare la differenza e il primato del cristianesimo, lo interpreti filosoficamente come superiore consapevolezza, rispetto alle religioni mitologiche,

del drammatico rapporto tra finito e Infinito, che proprio nel loro distinguersi creano tensione e contraddizione, e in cui risiederebbe lorigine del male, in un contesto di pensiero che tuttavia, come in Schelling, non riesce a distanziarsi in modo chiaro dalliniziale afflato panteistico. Il rapporto con lInfinito passa attraverso lintuizione del finito: Era religione dunque quando gli antichi, abolendo i limiti del tempo e dello spazio, ritenevano ciascuna forma di vita presente nel mondo opera e regno di un Essere onnipresente: avevano percepito un particolare modo di agire dellUniverso nella sua unit e chiamavano cos questa intuizione...Questo caos infinito dove ogni punto rappresenta certamente un mondo, proprio perci difatti limmagine pi precisa e pi alta della religione. Nonostante il fatto che Schleiermacher accentui, rispetto a Schelling, limportanza del finito, resta la comune convinzione romantica secondo cui il divino (lIndistinto di Schelling, lInfinito di Schleiermacher) si manifesta in un processo storico che gli permetterebbe di acquisire i caratteri della personalit (Schelling) e dellindividualit (Schleiermacher), processo di cui la mitologia religiosa costituisce larchetipo, e la cui interpretazione essenziale per comprendere il significato profondo delluomo come spirito e come anima. Da questo punto di vista - scrive Dilthey- diventa evidente il ruolo svolto in Platone dalla fede nei misteri, dall intuizione estetica, dallentusiasmo, dall eros filosofico e dal mito. Di pi. Anche la conoscenza strettamente filosofica aveva allo stesso modo, per Platone e per il moderno idealismo tedesco, il suo punto di partenza nel problema della conoscenza. Per entrambe le epoche dell idealismo oggettivo, la soluzione del problema conoscitivo stava nel fatto che l accordo di pensiero e realt era possibile per la loro interna connessione nel fondamento delle cose. In verit Platone, esattamente come Kant, poneva alla base la distinzione tra pensiero razionale e percezioni sensibili. Se pertanto doveva essere possibile unoggettiva conoscenza del reale, la ragione doveva produrre nel fondamento delle cose laccordo tra il pensiero razionale e una ragione realizzata nel mondo. Il movimento greco e tedesco concepiscono quindi il principio intelligibile della realt come qualcosa di razionale, unitario e immutabile. [23] E questo il contesto in cui, per Dilthey, diviene comprensibile l interpretazione di Platone operata da Schleiermacher. In effetti Schleiermacher, per primo, ebbe assolutamente chiaro il concetto di mitico in Platone e separ molto energicamente i suoi concetti scientifici dai simboli mitici della caduta, della formazione del mondo, della trasmigrazione delle anime e del giudizio dei morti [24]. Il rapporto profondo che ha legato Schleiermacher a Platone, e che fa dire a Dilthey che egli era per natura affine a Platone[25], era la dialettica di Platone, il suo idealismo oggettivo: Sempre pi egli si conferm nell idea di fondo che il mondo sia un tutto sistematico, la cui conoscenza esige un sistema che articoli logicamente tutte le apparenze. Siccome un tale sistema, altamente vitale, sfaccettato, a partire da punti di vista completamente diversi, stato costruito da Platone come idealismo oggettivo, non soltanto per il suo tempo, ma quasi profeticamente per ogni futuro, egli aspirava a conoscerlo mettendo a confronto i dialoghi tra loro: intendeva in questo modo afferrare il sistema filosofico di Platone[26]. Il circolo ermeneutico, nei confronti dei Dialoghi, diveniva cos funzionale alla comprensione dellidealismo oggettivo di Platone e ne dettava anche lordinamento cronologico . Per Schleiermacher, scrive Dilthey, i rapporti dei Dialoghi tra di loro derivavano da una connessione interna che Platone, con arte, voleva rendere evidente ai lettori: Egli avvertiva rapporti che noi non percepiamo; tuttavia pu dubitare del suo principio stesso, dell applicazione di tali accorgimenti, solo colui cui non si siano dischiusi i pi autentici tratti dello spirito artistico dei Greci [27]. La forma letteraria e linguistica del dialogo assumeva allora, per Schleiermacher, il ruolo

espressivo di un contenuto concettuale intuito nella forma dellarte. Proprio la vitalit e lautonomia della dialettica espressa nella forma del dialogo diventa ora per Schleiermacher la chiave di volta della filosofia platonica [28]. Le opere di Platone formano una totalit in s conchiusa e Schleiermacher si concentra ora sulla ricerca dei collegamenti che uniscono dallinterno le opere principali di Platone in una unit filosofica[29]. Solo lindividuazione del centro focale da cui parte la filosofia platonica, e che secondo Dilthey Schleiermacher riteneva affine a quello dell idealismo oggettivo, permetterebbe allora di comprendere non solo il significato delle opere di Platone, ma anche il loro articolarsi cronologico, e le motivazioni della loro particolare espressione linguistica.

Il Platone di Schleiermacher nella valutazione di Gadamer La Scuola di Tubinga, a partire da Krmer, considera manchevole linterpretazione platonica di Schleiermacher, soprattutto a motivo del fatto che Schleiermacher non ha tenuto conto delle affermazioni dello stesso Platone circa il primato della parola orale sulla parola scritta esposte in Fedro 276 a, nonch dai vari indizi che lo stesso Platone ha lasciato nei suoi scritti circa la presenza di un insegnamento orale non consegnato agli scritti. Schleiermacher avrebbe quindi privilegiato la tradizione diretta, trascurando un elemento importante per lermeneutica platonica, rappresentato dagli grapha dgmata, ovvero quelle dottrine non scritte che possibile ricostruire attraverso la tradizione indiretta. Tra laltro, secondo Krmer, Schleiermacher avrebbe dovuto comprendere che la stessa forma dialogica degli scritti platonici non significava solo un artificio letterario volto a coniugare poesia e filosofia, ma pi profondamente il primato assegnato da Platone allinsegnamento orale su quello consegnato allo scritto, nel senso che la scelta platonica della forma dialogica altro sarebbe che lesaltazione del valore unico dell insegnamento orale appreso alla scuola di Socrate, che per questo non volle lasciare nessuno scritto. Schleiermacher inoltre, secondo Krmer, stato vincolato nella sua interpretazione platonica a due principi : da una parte il principio luterano della sola Scriptura, che lo ha condotto a privilegiare lautarchia dello scritto; e dallaltra la filosofia scellinghiana dellidentit, che gli avrebbe fatto ipotizzare in Platone lanticipazione tutta romantica dellidentit tra finito e Infinito, e dellInfinito che si manifesta compiutamente nel finito. E chiaro che il ruolo della filosofia dellidentit assume apprezzamenti diversi in Dilthey e in Krmer. Per questo Krmer conclude che la pretesa di assolutezza che lo Schleiermacher aveva legato alla concezione letteraria del dialogo [...], nel corso del secolo xx, si dimostrata sempre pi chiaramente insostenibile: infatti, tale pretesa non prende sufficientemente sul serio la dottrina platonica dellapprendimento e dellinsegnamento e la critica dello scritto ad essa connessa e, viceversa, nello stesso tempo porta fuori strada, dato che Platone stesso non ha abbozzato da nessuna parte una teoria del dialogo letterario, neppure mediante semplici accenni[30]. Hans Georg-Gadamer, che ha lasciato due volumi di studi platonici [31], interviene in questo dibattito accettando solo in parte le tesi di Krmer, e presenta una posizione originale che rivaluta in gran parte Schleiermacher nei confronti della Scuola di Tubinga. Linterpretazione di Gadamer importante, perch proviene da uno dei massimi teorici dellermeneutica contemporanea, e anche uno dei principali filosofi del linguaggio. E da dire innanzi tutto che Gadamer non condivide lappartenenza di Schleiermacher alla filosofia dellidentit, come aveva fatto Dilthey: ...non neppure giusto classificare la posizione di Schleiermacher come un idealismo oggettivo,

cosa che, come si sa, stata fatta da Dilthey in obbedienza alla rigida sistematica della sua tipologia delle visioni del mondo. Schleiermacher, infatti, non soltanto cercava di evitare l unilateralit di un idealismo soggettivo, ma anche si sforzava, nella spiegazione di Platone, di ridurre l' idealismo a mero aspetto parziale della totalit della filosofia platonica. [32] A differenza di Dilthey, per Gadamer non sono assimilabili due contesti culturali diversi quali quello romantico della filosofia dellidentit e quello dellAccademia platonica. Inoltre Gadamer, in quanto eminente teorico dell ermeneutica non pu non riconoscere che il problema generale dellinterpretazione di Platone, quale si presenta a noi oggi, si fonda sulloscuro rapporto esistente tra lopera dialogica e la dottrina di Platone, che conosciamo soltanto mediante una tradizione indiretta [33]. E tuttavia, prosegue Gadamer, nessuna delle cosiddette dottrine non scritte, consegnateci dalla tradizione indiretta, e sulle quali insiste la Scuola di Tubinga, di fatto assente dagli scritti platonici, o anche contraddice in qualche punto tali scritti. I quali pertanto, come sostenuto da Schleiermacher, devono costituire tuttora il referente principale dellermeneutica platonica. Peraltro, il fatto che Aristotele, il principale discepolo e critico di Platone, non parli in nessun luogo n dellesistenza di dottrine non scritte, n di una presunta differenza tra linsegnamento orale e quello consegnato agli scritti, dovrebbe costituire per Gadamer una prova ulteriore della validit della tesi schleiermacheriana. Anche se, a questo proposito, il Reale sostiene invece che stato proprio Aristotele a parlare di uno scritto, ora perduto, di Platone sul Bene, e soprattutto che Aristotele stesso non solo considerava la dottrina del Bene come il centro e il culmine dellinsegnamento platonico, ma che il Bene veniva identificato con lUno: Aristotele...ci riferisce che Platone attribu la causa del bene al primo dei suoi elementi (Met. A 6, 988 a 14) , ossia allUno; e che lessenza del Bene appunto lUno (Met. N 4, 1091 b 13-14)[34]. Da parte sua Gadamer sostiene che esisterebbe una ragione ben pi profonda che giustificherebbe il primato assegnato da Schleiermacher allo scritto platonico: ed lindissolubile legame istituito dallo stesso Platone tra dialogo e dialettica. Partendo da una tesi fondamentale espressa in Verit e metodo[35], Gadamer sostiene che per Platone lascesa alla verit non pu avvenire che in forma dialogica, e che il dialogo rappresenta, anche nella sua forma scritta, la pi compiuta espressione della dialettica platonica: l unit di pensiero ed essere fonda la possibilit della conoscenza, ma il pensiero non pu elevarsi alla conoscenza che nel dialogo [...] La dialettica non dunque [in Platone] una disciplina logica puramente formale, quale stata concepita da Aristotele e nelle et successive; essa riguarda invece i principi fondamentali per condurre un dialogo a regola darte nel dominio del pensiero puro [36]. Per questo Gadamer non si sente di accettare fino in fondo le tesi della Scuola di Tubinga, perch essa lascia aperto, dal punto di vista metodologico, il problema, fin dove, nell interpretazione riflessiva e penetrante dei dialoghi, si possa e si debba pensare al di l di quanto in essi detto expressis verbis - e se il divieto della VII Lettera non rimanga valido per l intero pensiero platonico [37]. Peraltro, sostiene Gadamer, lo stesso Schleiermacher a rendersi conto dellesistenza di dottrine non scritte nel pensiero platonico; ma tali dottrine devono essere intese, ermeneuticamente, come la capacit, da parte del lettore, di partecipare a tal punto alla vita del dialogo, da fare del dialogo scritto un interlocutore vivente, mettendosi in tal modo in grado di penetrare nella comprensione del suo pi profondo significato. Sono quindi le tesi ermeneutiche esposte da Gadamer in Verit e metodo, incentrate sulla nozione dialogica e dialettica della verit, che gli impediscono di separare, come fanno i Tubinghesi, le dottrine non scritte dalle dottrine scritte, e di consentire fondamentalmente con linterpretazione platonica di

Schleiermacher.

Il nuovo paradigma ermeneutico della Scuola di Tubinga e lapporto originale di Giovanni Reale Giovanni Reale condivide le tesi della Scuola di Tubinga e prende in qualche modo le distanze dalla posizione di Gadamer. Reale confuta innazi tutto, come si visto, la tesi secondo cui Aristotele non avrebbe parlato delle cosiddette dottrine non scritte. La tesi di Reale si basa inoltre sullanalisi di alcuni testi platonici che non sarebbero stati sufficientemente presi in considerazione dal paradigma tradizionale e dallo stesso Gadamer. Innazi tutto Fedro 274 B-275D , in cui Platone afferma, unitamente al primato delloralit sulla scrittura, una serie di tesi importanti per una corretta interpretazione dei Dialoghi: a) la distinzione tra apparenza di verit, ovvero opinione, rappresentata dalla scrittura, e verit conseguibile solo dal dialogo orale ovvero dallinsegnamento; b) laffinit tra la scrittura e la pittura, la quale ci consegna immagini non vive ma morte; c) la necessit, per la scrittura, di ricorrere allaiuto del padre, ovvero alloralit, per potersi difendere dalle critiche che le vengono mosse dai lettori che non sono capaci di comprenderla; d) il primato del discorso orale che che viene scritto ,mediante la scienza, nellanima di chi impara, e che capace di difendersi da s e sa con chi deve parlare e con chi deva tacere ( Fedro 276 A1-B1), nei confronti del discorso scritto, il quale scrive soltanto su rotoli di pergamena o di papiro. Ne consegue, per Platone, che appartiene all arte dialettica, propria dellinsegnamento orale, la capacit di scrivere nellanima le cose giuste belle e buone, ovvero le cose di maggior valore, che non potranno mai essere affidate alla scrittura, la quale risulta solo un nobile gioco che ha lunico scopo di ricordare alla memoria le cose gi apprese nelloralit; e) questo il motivo per cui, per Platone , le cose di maggior valore ( Fedro 278 B-E) non possono essere consegnate allo scritto, ma dovranno essere rintracciate, dagli interpreti dei Dialoghi, in quella tradizione indiretta che ce ne parla per averle udite dallinsegnamento orale e trasmesse. . A ci va aggiunta, continua Reale, limportanza significativa dellexcursus della Lettera VII di Platone, che ci precisa il motivo per cui su quelle cose pi serie e di maggior valore, di cui Platone parla nel Fedro, non ci sar un suo scritto. Leggiamo il testo platonico: Questo per posso dire su tutti quelli che hanno scritto o che scriveranno: tutti coloro che affermano di sapere quelle cose di cui mi do pensiero, sia per averle udite da me, sia per averle udite da altri, sia per averle scoperte da soli: ebbene, non possibile, a mio parere, che costoro abbiano capito alcunch di questo oggetto. Su queste cose non c un mio scritto n ci sar mai ( Lettera VII, 341 B7); e questo perch, continua Platone, la conoscenza di queste cose non affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma dopo molte discussioni fatte su queste cose, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende da una scintilla che si sprigiona, essa nasce nellanima e da se stessa si alimenta (Lettera VII, 341 C5) . E sempre nella Lettera VII Platone scrive che, a motivo di quanto detto , ogni uomo che sia serio si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non gettarle in balia dellavversione e allincapacit di capire degli uomini (Lettera VII, 344 A2-D2). Platone suggerisce quindi embrionalmente quali sono i contenuti di quelle dottrine non scritte che formano loggetto del suo insegnamento orale e che cos vengono riassunti dal Reale: Lintero, ossia il tutto; le cose pi grandi; la natura, ossia la realt nel suo fondamento; il bene; la verit della virt e del vizio; il falso e il vero di tutto lessere, le cose pi serie; i principi primi

e supremi della realt [38]. Ora, lapporto originale del Reale alla Scuola di Tubinga stato quello di aver sottolineato, nei testi platonici, non soltanto limportanza del Fedro e della Lettera VII, ma anche limportanza del Fedone. Come noto, il Fedone presenta non solo la prima chiara formulazione platonica del mondo delle Idee, ma anche la metafora della cosiddetta seconda navigazione la quale, distinguendo in modo chiaro i due piani dellessere, lessere sensibile e lessere intelligibile, costituisce la magna charta della metafisica occidentale. Reale offre a questo punto una originale e decisiva interpretazione del Fedone. Collegando il Fedone con i passi di Repubblica VI, 509 B e VII 534 B-D , sostiene infatti che dal Fedone , letto alla luce di Repubblica VI, 509 B e VII 534 B-D, risulta che per Platone la struttura della realt era articolata non in due livelli di essere, il mondo sensibile e il mondo intelligibile delle Idee, come vuole linterpretazione tradizionale, ma su tre livelli, che comprendono, oltre il mondo sensibile e il mondo dellintelligibile, quello dei primi principi, i quali governano lo stesso mondo delle idee e che, incentrandosi sulla natura del Bene, costituiscono il principio di unit e di armonia nel mondo delle Idee e, attraverso di esse, per partecipazione, del mondo sensibile. Nel Fedone sarebbero cos presenti gli elementi che caratterizzano i Dialoghi della maturit di Platone, i quali mettono in evidenza da una parte la struttura gerarchica delle Idee, e dallaltra il loro carattere unitario, dovuto appunto alla presenza dei principi che governano il mondo delle Idee e sono appunto il contenuto delle dottrine affidate non allo scritto ma alloralit. Reale introduce in tal modo nellinterpretazione platonica unapprofondita riflessione sullindispensabile presenza della protologia, ovvero della dottrina dei principi, confermata da Lettera VII, 344 D 5, la quale risulta illuminante per capire tutta la struttura organica del pensiero platonico, il quale pertanto deve essere sottratto a quella dimensione genetista ed evoluzionista che stata propria dellinterpretazione tradizionale. In altri termini, la dottrina dei principi (protologia) presente in Platone fin dai primi Dialoghi e non solo una conquista delle opere della maturit. Il nuovo paradigma dellinterpretazione platonica alla luce delle dottrine non scritte viene pertanto ulteriormente esteso ed elaborato dal Reale, per giungere ad una pi compiuta interpretazione anche dei grandi Dialoghi: Repubblica, Parmenide, Sofista, Politico e Filebo. Le dottrine ivi contenute dei numeri ideali e delle idee-numeri sono comprensibili solo alla luce della dottrina dei primi principi intesi come principi di unificazione di tutta la realt, e della concezione tutta greca del numero inteso in senso metafisico come principio di unitariet , di ordine e di armonia del reale . E sotto questo aspetto Reale si spinge anche oltre le tesi della Scuola di Tubinga, perch non si limita solo a interpretare singoli passi dei Dialoghi platonici alla luce delle dottrine non scritte, ma opera un grandioso tentativo di interpretare in modo organico e unitario linsieme dei Dialoghi . I quali vengono in tal modo illuminati dal di dentro, alla luce della protologia ovvero la dottrina dei primi principi, la quale permette di coglierne il nesso unitario che li collega e li rimanda reciprocamente. Sarebbe troppo lungo qui approfondire tutti i contributi che il nuovo paradigma proposto dal Reale ha offerto all interpretazione dei singoli Dialoghi, e non nemmeno possibile seguire la discussione che fa seguito allopposizioneconciliazione tra lUno-Bene e la Diade indefinita, interpretata di volta in volta come caduta o conciliata in un impianto bipolare del Bene, come scrive Diogene Laerzio: Poich Uno non nemmeno Uno. E due? Il due a mala pena uno, come afferma Platone[39]. Si pu tuttavia riassumerne la posizione affermando che lutilizzazione del nuovo paradigma fondato sulla valorizzazione delle dottrine non scritte ha condotto ad una chiarificazione maggiore del nesso che collega i Dialoghi

tra di loro e ad una maggiore comprensione della loro funzione nellinsieme del pensiero platonico. Sostenendo inoltre, con solide argomentazioni, la validit scientifica [40]del nuovo paradigma offerto dalla Scuola di Tubinga nei confronti del paradigma tradizionale romantico, il Reale ha permesso allinterpretazione dei testi platonici di fare un passo avanti nella direzione di una approfondita conoscenza del significato autentico degli scritti platonici.. Il Bene al di sopra dell essere (epkeina ts ousas : Repubblica VI 509 B, VII 534 B-D) Approfondendo il nuovo paradigma ermeneutico , il Reale conviene pertanto con il Krmer e il Gaiser[41] , sulla fondamentale novit che esso introduce nella comprensione del pensiero platonico, consistente nel privilegiare in esso la dottrina del Bene inteso come Uno e dei primi principi. Peraltro lo stesso Aristotele che, nella Fisica, parla dei cosiddetti grapha dgmata di Platone, ovvero di quelle dottrine non scritte perch a tutti note, incentrate sulla dottrina del Bene. Ora noto che nella Repubblica, opera centrale nello sviluppo del pensiero platonico, non solo detto che scopo e fondamento della politica il Bene, ma scritto anche che: come il sole fonte di visibilit e di vita delle cose visibili pur non essendo nessuna di esse, altrettanto il Bene causa dellessere, del conoscere e del bene negli esseri, pur non essendo lui stesso essere, anzi essendo al di sopra sdell essere ossia epkeina ts ousas (Rep. 509 B). Platone conclude: e cos, anche ai conoscibili dirai che proviene dal Bene non solo lessere conosciuti, ma anche lessere e lessenza provengono loro da questo, pur non essendo il Bene essere, ma ancora al di sopra dellessere, superiore ad esso in dignit e potere ( Repubblica 509 B). Il paragone del Bene con il sole ha suscitato finora non poche difficolt nellinterpretazione della Repubblica, perch Platone sembrato porre una differenza, incompatibile ad esempio con il pensiero aristotelico, tra il Bene e lessere, assegnando al Bene il primato sullessere. Come il sole causa ( aitia) del divenire, senza tuttavia essere lui stesso divenire ( ou genesin auton onta), analogamente il Bene causa dellessere senza essere lui stesso essere, anzi, scrive Platone, superando lessere in dignit e potere ( Repubblica 509 B) . Le soluzioni che fino alla Scuola di Tubinga sono state proposte per risolvere questo enigmatico testo platonico hanno fatto riferimento: a) ad una soluzione di stampo aristotelico (alla quale peraltro ha aderito lo stesso Gadamer), incentrata sulla dottrina dei primi principi e delle cause quale viene esposta nel contesto della definizione di filosofia prima, nel libro A a B della Metafisica , e secondo la quale il Bene superiore allessere come la causa superiore al causato e il principio al principiato; resta esclusa, in questo contesto, la possibilit che il Bene costituisca un Principio al di l dellessere; b) sempre sulla linea del principio aristotelico delle quattro cause, si poi voluto identificare il Bene di Platone con la causa finale di Aristotele: il Bene costituirebbe in questo contesto lo scopo, il fine e la perfezione dellessere, e in questo senso sarebbe superiore allessere; c) si cercato infine, e soprattutto per la suggestione dellopera di Heidegger Dellessenza del fondamento [42], di interpretare il Bene di Platone in senso kantiano, ovvero come la condizione trascendentale dellessere, e quindi come una categoria a priori dellessere. Ora, sia Krmer che Reale sostengono che il punto di partenza per comprendere lenigmatico passo platonico debba essere principalmente lapprofondimento della

definizione che Platone stesso ha offerto del Bene, ossia la comprensione di quellessenza del Bene che il Socrate della Repubblica dice di conoscere ma di non essere in grado di dire: Che cosa sia effettivamente il Bene in s lasciamolo per ora da parte- infatti la possibilit di giungere a quello che io ne penso ora mi sembra superiore a ci che miriamo al presente ( Repubblica, 506 8). E tuttavia esiste una via per capire cosa il Socrate di Platone intendesse per il Bene. Ci introduce in essa innanzi tutto lo stesso Platone citato di Repubblica 509 B. Glaucone infatti, che resta stupefatto di fronte allaffermazione di Socrate che cerca di indirizzarlo in qualche modo verso la comprensione del Bene, esclama quasi colto dallintuizione del vero: Apolllo! Che divina superiorit ( Repubblica, 509 C). Apollo , secondo Krmer, nel senso etimologico del termine greco composto da a (privativo) e pollon (molti), assume in questo contesto il significato dellUno. Ci che Glaucone intuisce, con la sua esclamazione, che Socrate sta parlando del Bene come dell Uno inteso come negazione dei molti: A-pollon. La definizione platonica del Bene equivalente dunque alla definizione dellUno. E Aristotele a confermare, per gli studiosi di Tubinga, questa interpretazione dei passi citati. Nella Metafisica , infatti, Aristotele stesso scrive che per Platone e la sua scuola l Uno il Bene in s ( Met., N 4 1091 b 13-15). E le testimonianze indirette confermano la tesi dellidentificazione, nella scuola platonica, del Bene con lUno. Speusippo, che succeduto a Platone nell Accademia, afferma che lUno non nemmeno un essere/ente; e ci secondo la stessa testimonianza di Aristotele nel passo citato della Metafisica. Peraltro pi tardi Pseusippo, in un frammento del suo Commento al Parmenide di Proclo, affermer che la superiorit dellUno sullessere ( unum enim melius ente et a quo ens), dottrina peculiare degli antichi interpreti di Platone (placentia antiquis, antiquorum opinio). Come pure Pseusippo afferma essere stata dottrina degli antichi interpreti la interminabilis dualitas, ovvero la dottrina platonica della Diade suprema o Dualit illimitata. Infine Giamblico, riferendosi probabilmente proprio alle tesi di Pseusippo, scrive che l' Uno si lascia chiamare non-ente perch semplice e perch esso forma il principio degli enti (De communi mathematica scientia , c.IV); la superiorit dell Uno rispetto allessere deriva dalla sua natura di essere principio dellessere, ma al di sopra dellessere. Fanno parte delle testimonianze indirette anche quella di Aristosseno, che in Harmoniae Elementa (l.II) afferma che Aristotele aveva parlato di una conferenza di Platone sul Bene; e di Simplicio, che cita la testimonianza di Porfirio che parla di lezioni di Platone intorno al Bene ( Comm. in Arist. Graeca ). Le testimonianze indirette sulle quali si appoggiata la Scuola di Tubinga per comprovare lesistenza in Platone di questo secondo livello metafisico rappresentato dallUno-Bene e dalla Diade indefinita sono dunque innanzitutto Aristotele ; e quindi una serie di autori, tra i quali, oltre quelli citati, Teofrasto , Sesto Empirico e Alessandro dAfrodisia il quale scrive intorno alla Diade indeterminata: Platone la chiam Dualit indeterminata, perch n luno n laltro, n ci che eccede n ci che ecceduto, in quanto tale, determinato, ma indeterminato ed infinito ( In Arist. Metaph. 13-20). Si tratta di un interpretazione che , come scrive Aristosseno, fece reagire negativamente alcuni contemporanei di Platone che lo andarono ad ascoltare in una conferenza che egli volle fare fuori dallAccademia sulla natura del Bene. E in effetti ci che disorient quegli ascoltatori fu che Platone, parlando del Bene, parl dellUno, di matematica e dei numeri. Fermarsi allaspetto matematico della teoria di Platone sullUno significa per questo, anche per i moderni interpreti, svalutare il senso globale del sistema platonico e svuotare di senso metafisico la protologia. Occorre allora trascendere il livello matematico del discorso platonico sullUno e comprendere a fondo il significato metafisico e protologico dellUno. Da

queste testimonianze indirette Krmer conclude che necessario affermare che il Bene della Repubblica, definito al di l dellessere, altro non che lUno. Ma come arrivato Platone ad identificare il Bene con lUno? La Scuola di Tubinga offre a questo punto una prova di carattere storiografico difficilmente contestabile. Si tratta dellinterpretazione che Platone, notoriamente artefice del grande parricidio nei confronti di Parmenide, ha offerto delleleatismo. In base ai testi platonici (Parmenide, Sofista), si pu evincere con chiarezza che il confronto di Platone non stato nei confronti del Poema di Parmenide, nel quale appare lantitesi essere ( on) non essere (me on), quanto nei confronti della forma pi raffinata delleleatismo, quella rappresentata da Zenone, e poi da Melisso, nella quale lantitesi parmenidea essere non essere, viene tradotta nella formula uno (en)-molti (polla), e questo proprio al fine di difendere il monismo parmenideo opponendolo al pluralismo eracliteo ed a quello dei pluralisti (Anassagora, Empedocle e Democrito). Ora, secondo la Scuola di Tubinga, Platone avrebbe utilizzato la contrapposizione uno ( en)-molti (polla), tematizzata da Zenone, sia per compiere fino in fondo il parricidio nei confronti del monismo parmenideo, sia anche per sostituire allantitesi esclusiva di Zenone: uno-molti, unantitesi inclusiva: uno e molti. In altri termini, il parricidio di Parmenide ha comportato per Platone anche la valorizzazione della tesi parmenidea, nella forma di una salvezza dell Uno-Essere che fosse tuttavia capace di contemplare in s, proprio nellUno ( en) , - che ora acquista il senso supremo di Principio dellessere- la possibilit dei molti ( polla). Lessere e lUno vengono allora liberati dallimmobilismo in cui li aveva racchiusi Parmenide, e orientati verso una interna dialettica capace di vivificarli e di farne il vero Principio di ogni realt. Nel Parmenide le cose molteplici sono in quanto partecipazione (metexis) allunit dellIdea; nel Sofista (244 B- 245 E) viene ulteriormente disgiunto il carattere dellessere ( on), messo in rapporto con la molteplicit, e il carattere dellUno ( en), posto in rapporto con lunit sovraessenziale (237 A, 241 D, 258 C). Vengono cos poste le basi del rapporto tra l Uno e i molti, e quindi tra lUno e lessere e tra il Bene e lessere. Se infatti le stesse Idee, come sostiene il Krmer, possiedono una duplice natura, ovvero quella di essere principio insieme di unit, che traggono dallUno, e di molteplicit, nei confronti delle cose sensibili, ci significa che ogni singola Idea insieme uno ( en) nei confronti dei molti sensibili, di modo che tutti gli esseri, partecipando ad essa, partecipano dellUno; ma che essa anche molteplice (polla) rispetto alle altre Idee nei confronti dellUno. Diviene cos decisivo a questo punto, come sostengono Krmer e Reale, il confronto tra Platone e leleatico Zenone. Il dualismo di Zenone, di derivazione nettamente eleatica, tra lUno e i molti ( en kai polla), viene mantenuto da Platone, salvo che per Platone, a differenza di Zenone, non vero che i molti non-sono, ovvero appartengono al non essere ( me on), ma i molti sono, nel senso che i molti sono lessere, perch lessere per natura molteplice, ed esso viene contrapposto non allEssere-Uno eleatico, ma allUno al di l dellessere, che ha s la propria matrice nella concezione parmenidea dellEssere-Uno, il quale tuttavia, contrapposto da Platone allessere molteplice, diviene oramai una dottrina essenzialmente platonica: lUno al di l dei molti, ovvero il Bene al di l dellessere. Si pu schematizzare in questo modo il rapporto tra Platone e leleatismo di Zenone: Zenone: uno-molti essere- non essere Platone:

uno-molti non essere-essere ovvero lUno al di l dellessere (epkeina tes ousas). Se i filosofi pluralisti hanno cercato di superare laporia lasciata aperta dalleleatismo parmenideo (luno e i molti) e di pensare insieme lunicit dell essere-uno e la possibilit dei molti, affermando che nei molti viva qualitativamente (le omeomerie di Anassagora, gli elementi di Empedocle, gli atomi di Democrito) lo stesso Essere-uno parmenideo, e quindi sostenendo la tesi che nei molti sussista la presenza dellUno, Platone invera invece leleatismo nellantitesi Uno-molti in cui, nello stesso Uno, vi la presenza in qualche modo della molteplicit. E vero infatti che lUno platonico, come il Bene, al di sopra dellessere; ma lo proprio in quanto rende possibile lessere e la molteplicit dellessere, e quindi deve possedere in s, proprio in quanto Uno, il principio dellunit e della molteplicit, che non la pluralit dellessere, ma il fondamento, come principio di unit e di molteplicit, dellunit e della molteplicit dellessere. Solo passando attraverso leleatismo diviene allora possibile comprendere cosa Platone intendesse per l Uno. Se infatti i molti sono gli enti, e lUno si contrappone ai molti, ne consegue che lUno appartiene ad una dimensione superiore, quella di Principio che al di l e al di sopra dei molti, e quindi al di sopra dellessere dei molti. In questo senso lUno il principio che al di sopra dellessere (epkeina tes ousas) di cui parla Repubblica VII 534 B-D. E poich, come abbiamo visto, il Bene (to agaton) coincide con lUno (to en), ne consegue la superiorit del Bene nei confronti dellessere, la sua super-entit, la sua superessenzialit, di cui parla la Repubblica. Solo partendo dallopposizione eleatica unomolti, diviene cos comprensibile la contrapposizione platonica tra lUno-Bene e gli enti-molti, nonch laffermazione che il Bene al di sopra dellessere. Sorge qui una questione teoretica rilevante. Se lUno platonico viene posto al di sopra dellessere, a quale dimensione esso appartiene? Non pu certamente appartenere alla dimensione dellessere, ma ad una dimensione di assolutezza in s e quindi di purezza che si pone al di sopra dellessere. Lo stesso Aristotele sottolinea questa caratteristica di unicit e purezza dellUno platonico [43]. Ci significa che lUno di Platone possiede una dimensione che, proprio perch indeterminata, nuda, universale, trascende tutti gli aspetti della realt e dellessere, unificandoli in una dimensione superiore. A motivo della dottrina della partecipazione, poi, lUno diviene il Principio che determina ogni ente, e insieme il Principio che unifica in una dimensione di superiorit la pluralit, la polisemia e anche la contraddittoriet degli enti. LUno, che Platone identifica con il Bene, assume allora il ruolo di Principio non solo determinante e delimitante degli enti, ma anche di Principio di intelligibilit degli enti e di Principio di fondazione assiologica degli enti. In questo contesto, la dialettica platonica possiede insieme una dimensione ascendente verso lUno e discendente, ovvero partecipativa dellUno. I termini che qualificano lUno, caratteristici non solo della lingua ma della spiritualit greca: misura (metron), limite (peras), mediet (meson), ordine-armonia (kosmos, taxis), stanno a significare la dimensione polisemica dellUno, in quanto Principio insieme gnoseologico, ontologico e assiologico di ogni realt. Ora, secondo Krmer, il Reale e la Scuola di Tubinga, questa valenza polisemica e polifunzionale dellUno-Bene di Platone sarebbe precisamente il contributo ermeneutico che si pu trarre dalle dottrine non scritte consegnateci dalla tradizione indiretta. La quale peraltro non farebbe che precisare quanto lo stesso Platone scrive alla fine del VI libro e allinizio del VII libro della Repubblica: il Bene

Principio di intelligibilit degli enti, pur essendo superiore allessere e allessenza: Questo, pertanto, che fornisce la verit alle cose conosciute e al conoscente la facolt di conoscerle, devi dire che lIdea del Bene ( Rep., VI, 508 E); il Bene Principio ontologico degli enti, pur non essendo esso stesso essere: E cos anche ai conoscibili dirai che proviene dal Bene non solo lessere conosciuti, ma anche lessere e lessenza provengono loro da questo, pur non essendo il bene essere, ma ancora al di sopra dellessere, superiore ad essa in dignit e potere. ( Rep., 509 B); il Bene Principio assiologico della bont degli enti e delleducazione delluomo , consistente dal rivolgersi dai piaceri del corpo e dalle cose sensibili, alla contemplazione ed alla partecipazione allo stesso Bene, fino a che non risulti capace di pervenire alla contemplazione dellessere e al fulgore supremo dellessere: ossia questo che diciamo essere Bene ( Rep., VII 518 C). Platone conclude allora, rifacendosi qui al mito della caverna, espressivo dellintero pensiero platonico, che nei confronti del Bene vi per luomo un cammino ascendente, rappresentato dalla Dialettica, ovvero dal rivolgersi al Bene con tutta intera lanima ( Rep., VI, 518 B), e un cammino discendente, rappresentato dalla capacit di portare il Bene nella propria vita e nella vita della citt: Nel mondo delle realt conoscibili lIdea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficolt. Tuttavia, una volta che si sia conosciuta non si pu fare a meno di dedurre, in primo luogo, che essa la causa universale di tutto ci che buono e bello- e precisamente nel mondo sensibile, essa genera la luce e il signore della luce, e in quello intelligibile procura, in virt della sua posizione dominante, verit e intelligenza e, in secondo luogo, che ad essa deve guardare chi voglia avere una condotta ragionevole nella sfera pubblica e privata (Rep., VII, 517 C). La tradizione indiretta non farebbe in tal modo che confermare i testi platonici, offrendoci tuttavia una chiave interpretativa particolarmente feconda per comprendere lattualit del pensiero platonico e, forse, per gettare nuova luce sulla stessa metafisica aristotelica. Questo argomento richiederebbe uno studio a parte . Ma alla luce della nozione polisemica del Bene platonico, sia la dottrina aristotelica della polisemia dellessere (to on lgetai pollaks), sia la tesi della filosofia come ricerca dei principi primi, sembrano acquistare un significato pi vicino al contesto filosofico dellAccademia di quanto non sia avvenuto nei successori di Aristotele nel Liceo e di quanto finora si creduto. E la stessa Scuola di Tubinga infatti ad indicare proprio Aristotele come il principale testimone della tradizione indiretta e del contenuto degli grapha dgmata. E stato Aristotele ad indicare nellUno di Platone (cf.Politico 393 C e 284 D 1; Filebo 26 A, 64 D) il principio assiologico del bene morale delluomo e della virt ( Met. A 6 988 a 14), seguito in questo da Sesto Empirico (Contro i matematici, X 268 e 275) . Aristotele indica nellUno di Platone il Principio dellessere (Met. A 6, 988 a 11; e N 2, 1089 a 6), seguito ancora da Sesto Empirico (Contro i matematici, X 260) e da Alessandro dAfrodisia ( In Metaphisica, 56, 30). E Aristotele ancora individua nellUno di Platone il principio del conoscere ( Met. D 6, 1016 b 20; De anima A 2, 404). Il paradigma ermeneutico della Scuola di Tubinga, pertanto, non si discosta dalla tradizione diretta, anche aristotelica, se non per meglio comprenderla e approfondirla. Ma in che modo gli enti, che sono molteplici, possono derivare dallUno? E stato questo uno dei problemi pi difficili legati allinterpretazione di Platone, e che hanno avuto nella storiografia platonica soluzioni controverse. Il contributo pi significativo del recupero della tradizione indiretta, quale conferma delle dottrine non scritte di Platone, consiste nellaver posto , quale tappa finale della seconda navigazione, non il mondo delle Idee, ma i principi supremi dellUno e della Diade indefinita. La valenza metafisica di questo nuovo paradigma ermeneutico

particolarmente rilevante non solo perch esso capovolge il paradigma romantico dovuto a Schleiermacher, il quale, come si visto, basandosi sulla lettera dei Dialoghi, fa terminare la seconda navigazione nel mondo delle Idee, e quindi stabilisce due soli piani dellessere, lessere sensibile e lessere intelligibile; ma anche perch restituisce a Platone un impianto metafisico pi elevato, che produrr i suoi frutti nel medio platonismo e nel neoplatonismo, e che soprattutto eleva la speculazione metafisica platonica a livelli di profondit tuttora inesplorati. Laver posto i principi supremi dellUno e della Diade indefinita e qualificando inoltre lUno come il Bene al di l del mondo delle Idee e quindi al di l dell essere, tutto il sistema platonico acquista un nuovo senso e nuova luce. Il Bene di cui parla la Repubblica , come si visto, viene qualificato da Platone come lUno. Ora, osserva il Reale, questa nominazione del Bene come lUno non ha in Platone una valenza matematica ma una valenza strettamente metafisica, perch lUno viene inteso come principio di unit, di armonia, di ordine, di razionalit, e per questo di bont, di tutto lessere, sia del mondo intelligibile che del mondo sensibile. Ci appartiene ad una convinzione fondamentale di tutto il pensiero greco, secondo la quale spiegare significa unificare [44], ci sorreggeva i punti estremi di questo processo di unificazione-spiegazione: da una parte leleatismo, che risolveva nellunivocit dellessere la pluralit degli enti; dallaltra i pluralisti, che pur volendo salvaguardare la pluralit degli enti erano costretti o a moltiplicare gli esseri (Empedocle) , o a distinguere nellessere la qualit dalla quantit (Anassagora, Democrito); peraltro , anche alla base delletica socratica stava la domanda: che cosa , ovvero quale il punto di vista unitario dal quale valutare le diverse soluzioni proposte dalla discussione, e quindi quale lunit della virt per la quale valutiamo come buone o cattive le diverse manifestazioni della vita etica e politica. Sotto questo aspetto, la stessa formulazione platonica del mondo delle Idee esprime lesigenza di spiegare la molteplicit del reale sensibile attraverso la sua riduzione ad ununit superiore, rappresentata appunto dallIdea. E tuttavia., come gi osservava Aristotele, la riduzione allunit dellidea non vanifica la molteplicit, ma addirittura la moltiplica; ecco perch, secondo il paradigma ermeneutico della Scuola di Tubinga, la teoria delle idee non poteva costituire il livello di spiegazione ultimativa [45] . E vero che il molteplice sensibile viene spiegato dallunit intelligibile dellIdea; ma chi spiega la molteplicit del mondo delle Idee? Sul cammino tracciato dallo stesso Platone occorre allora trovare un secondo livello metafisico che spieghi la molteplicit del mondo intelligibile delle Idee. Questo secondo livello metafisico rappresentato dai principi supremi dellUno-Bene e della Diade indefinita in quanto principi di spiegazione e unificazione dello stesso mondo delle Idee e, attraverso di esse, del mondo sensibile: come la sfera del molteplice sensibile dipende dalla sfera delle Idee, cos, analogamente, la sfera della molteplicit delle Idee dipende da una ulteriore sfera di realt, da cui derivano le idee medesime , e questa la sfera suprema e prima in senso assoluto [46]. La dottrina dei principi supremi, ovvero la protologia, costituisce pertanto il secondo livello della metafisica platonica. In base a quanto esposto precedentemente, infatti, Platone si inserisce appieno nellesigenza insieme razionale e spirituale dei greci di spiegare la realt mediante un principio unificatore della stessa. Per superare Parmenide occorreva trovare un principio di unit che contenesse in s non la dualit come diversa dallUno, ma i principi della molteplicit, ovvero un principio metafisico e non numerico, e quindi non contraddittorio allunit: la Dualit indeterminata non dunque, ovviamente, il numero due cos come luno nel senso di principio non il numero Uno. Ambedue questi principi hanno una statura metafisica, e quindi sono meta-matematici. In particolare rileviamo che la Dualit

indeterminata.. principio e radice della molteplicit degli esseri.. [47]. Ed solo in quanto tale che Platone la definisce indeterminata o indefinita, perch radice dellinfinitamente grande e dellinfinitamente piccolo, nel senso che abbraccia tutta la realt che, in quanto principio supremo, riconduce allUno. Ecco allora qual la spiegazione platonica dellunit e della molteplicit degli enti e della loro differenza e della loro gradazione, che hanno radice nei principi supremi dellUno e della Diade indeterminata: I due principi sono pertanto ugualmente originari. LUno non avrebbe efficacia produttiva senza la Diade, anche se gerarchicamente superiore alla Diade [48]. Ma se i principi supremi governano e spiegano lunit e la molteplicit sia del mondo delle Idee che del mondo sensibile si pu concludere allora che per Platone lessere prodotto da due principi originari e quindi una sintesi, un misto di unit e molteplicit, di determinante e indeterminato, di limitante e illimitato [49]. Analogamente a quanto sostierne Krmer, per il Reale lessere per ci essenzialmente unit nella molteplicit...questo il nocciolo della concezione ontologica di fondo di Platone. Ne consegue che i principi medesimi non sono esseri, ma in quanto costitutivi di ogni essere, sono anteriori allessere, e quindi, lunit come principio di determinazione al di sopra dellessere, il principio materiale indeterminato come non essere piuttosto al di sopra dellessere [50]. Cos si spiega il principio dellUno-Bene come al di sopra dellessere. Perch lessenza del Bene viene identificata da Platone con lo stesso Uno, che costituisce il Principio supremo, ovvero la suprema misura della dimensione assiologica, gnoseologica e ontologica della realt.

[1] Cf. G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle Dottrine non scritte , Va ed. , Vita e Pensiero, Milano 1987 (XXIa ed. rivista e ampliata, Milano 2003). [2]Per un approfondimento del paradigma ermeneutico della Scuola di Tubinga , sono fondamentali i seguenti studi: H. Krmer, Platone e i fondamenti della metafisica. Saggio sulla teoria dei principi e sulle dottrine non scritte di Platone con una raccolta di documenti fondamentali in edizione bilingua , Introduzione e traduzione di G. Reale, 2a ed. Vita e Pensiero, Milano 1987; Th.A. Szlezk, Platone e la scrittura della filosofia. Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza e della maturit alla luce di un nuovo paradigma ermeneutico , Introduzione e traduzione di G. Reale, 2a ed. Vita e Pensiero, Milano 1989; Id., Come leggere Platone, Presentazione di G. Reale, Rusconi, Milano 1991; e inoltre K. Gaiser, Platons

ungeschriebene Lehre, 2a ed. Ernst Klett, Stuttgart 1968 ; K. Gaiser, La dottrina non scritta di Platone : studi sulla fondazione sistematica e storica delle scienze nella scuola platonica , Presentazione di G. Reale, Introduzione di H. Krmer , traduzione di V. Cicero, Vita e Pensiero, Milano 1994; Id., Testimonia Platonica : le antiche testimonianze sulle dottrine non scritte di Platone , Introduzione e impostazione grafico-tipografica di Giovanni Reale, traduzione, indice e revisione dei testi di V. Cicero, Vita e Pensiero, Milano 1998: in Appendice: Problemi di critica delle fonti della tradizione platonica indiretta , dello stesso A. Uno studio fortemente critico nei confronti del paradigma ermeneutico della Scuola di Tubinga quello di G.C. Duranti, Verso un Platone terzo. Intuizioni e decezioni nella scuola di Tbingen, Marsilio, Venezia 1995. [3]Cf. F.D.E. Scheleirmacher, Ermeneutica, Introduzione e traduzione a cura di M. Marassi, Rusconi, Milano 1996. [4] F.D. E. Schleiermacher, Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano, ed. it. a cura di S. Spera, Queriniana, Brescia 1989, p. 150. Sul profondo legame tra platonismo e romanticismo nei Discorsi sulla religione di Schleiermacher, cf. G. Moretto, Ispirazione e libert. Saggi su Schleiermacher , Morano, Napoli 1986. [5]H.-G. Gadamer, Schleiermacher platonico, in Id., Studi platonici, a cura di G. Moretto, 2 voll., Marietti, Genova 1983-84, II, p. 293. [6]Citato da W. Dilthey, Leben Schleiermachers, hrsg. von M. Redeker, vol.XIII Gesammelte Schriften, p. 63. [7]F.D.E. Schleiermacher, Introduzione a Platone. ed. it. cura di G. Sansonetti, Morcelliana, Brescia1994, p. 53; in Appendice, W. Dilthey, Il Platone di Schleiermacher. [8]Schleiermacher, Introduzione a Platone, cit., p. 55. [9] Schleiermacher, Introduzione a Platone, cit., p. 59. [10]Ibid. [11]W. Dilthey, Leben Schleiermachers, ed. cit., Bd. 2., p.679. [12] W. Dilthey, Il Platone di Schleiermacher, ed. cit., p. 91. [13]Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 93. [14]Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., pp. 93.94. [15]Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., pp. 94-95. [16]Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 95. [17]Ibid. [18] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., pp. 95-96. [19]Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 96. [20] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., pp.96.97 [21]Cf. F.W.J. Schelling, Filosofia della mitologia, ed. it. a cura di L. Procesi, Mursia, Milano 1999; Id., Filosofia della Rivelazione, ed. it. a cura di A. Bausola, 2 voll., Zanichelli, Bologna 1972. [22]Cf. F.W.J. Schelling, Ricerche filosofiche sullessenza della libert umana e gli oggetti ad essa connessi, Introduzione, tradizione, note e apparato di G. Strummiello, Rusconi, Milano 1996. [23] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., pp. 97.98.

[24] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 100. [25] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 102. [26]Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., pp.102.103. [27] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 119. [28] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., p. 115. [29] Dilthey, Il Platone di Schleiermache, cit., 117. [30]Krmer, Platone e i fondamenti della metafisica, cit. , p.137. [31]Cf. H.-G. Gadamer, Studi platonici, ed. it. a cura di G. Moretto, Marietti, Casale Monferrato, I, 1983; II, 1984. [32] H.-G. Gadamer, Schleiermacher platonico, in Studi platonici, cit., II p. 301. [33]Gadamer, Idea e realt del Timeo di Platone, in Studi platonici, cit., II , p. 90. [34]Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 314. [35]Cf. H.-G. Gadamer, Verit e metodo, ed. it. a cura di G. Vattimo, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1972. [36] Gadamer, Schleiermacher platonico, cit. , p. 297. [37]Gadamer, Dialettica non scritta di Platone, in Studi platonici, cit. II, p. 124. [38]Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit. pp.11-112. [39]Diogene Laerzio, citazione in Gadamer, Dialettica non scritta di Platone, in Studi platonici, cit. , II, p. 130. [40] Giovanni Reale rafforza le tesi della Scuola di Tubinga dando ad esse un fondamento anche scientifico, raffrontando il metodo seguito dalla teoria della Scuola con la concezione dello statuto epistemologico delle teorie scientifiche elaborato dalla pi avanzata filosofia della scienza e in particolare da Thomas Kuhn il quale, scrive Reale, mi ha fatto capire come linterpretazione che la Scuola di Tubinga propone di Platone non si collochi nellambito del paradigma tradizionale, ma sia un vero e proprio paradigma alternativo, e come, proprio in quanto tale, produca quegli effeti che ha prodotto sui ricercatori, e continua tuttora a produrre (Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 15). Secondo Kuhn infatti le teorie scientifiche non si sviluppano nella storia mediante un processo di incremento organico e sistematico e mediante un accumulazione progressiva e costante (ivi, p. 24), ma piuttosto secondo differenti lienee di sviluppo, che sincentrano intorno ai perni costituiti da vere e proprie rivoluzioni scientifiche ; in altri termini , il progresso delle scienze non avviene secondo processi di incrementi, ma secondo processi rivoluzionari (ivi, p. 25). Per lepistemologia di Kuhn, cf. Thomas Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago University Press, Chicago 1962, pi volte riedito (traduzione italiana di A. Carugo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche , Einaudi, Torino 1969). Rifacendosi pertanto alla concezione epistemologca della metateoria elaborata daThomas Kuhn, Reale pu allora affermare che, analogamente alla concezione normale della scienza, che ha dominato fino allepoca contemporanea, il modello che ha guidato a partire da Schleiermacher linterpretazione di Platone si mosso entro i limiti di una concezione della scienza oggi superata, elaborando in tal modo un paradigma interpretativo che alla luce delle proposte della Scuola di Tubinga pu esere sostituito da un paradigma superiore. Il fatto stesso che, a partire da Schleiermacher, ci si occupasse prevalentemente di questioni relative all autenticit, alla datazione e alla struttura dei Dialoghi platonici, mostra il legame che il paradigma romantico di Schleiermacher aveva stabilito con la concezione

tradizionale della scienza. Del resto, osserva il Reale, entro tale paradigma tradizionale, era stato finora impossibile risolvere alcune particolari anomalie presenti nelle opere di Platone, quali quelle del primato della parola orale nel Fedro e nella Lettera VII, che abbiamo evidenziato. Ecco perch, conclude il Reale, il nuovo paradigma proposto dalla scula di Tubinga costituisce una vera rivoluzione scientifica, perch capovolge la concezione dellautonomia e del primato assegnata da Schleiermacher agli scritti Platonici, a favore di una nuova prospettiva da cui leggere e interpretare gli stessi scritti. Per il Reale questa nuova prospettiva deve poter costituire anche un nuovo punto di partenza per le ricerche future su Platone, ed essa pu essere raggiunta principalmente indagando sulla tradizione indiretta la quale, restituendoci le linee principali delle dottrine non scritte, permetterebbe di cogliere il meglio della tradizione diretta. E ci anche a costo di abbandonare, come avviene per ogni rivoluzione scientifica, un paradigma ermeneutico finora onorato, a favore di un nuovo paradigma, che propone alla comunit scientifica un cambiamento di prospettiva con cui considerare i problemi tradizionali e le convenzionali soluzioni ad essi finora offerti. [41] Per un approfondimento della tematica del Bene-Uno in Platone, vedi in particolare, oltre al testo citato di G. Reale , limportante studio di H.Krmer, Dialettica e definizione del Bene in Platone, Interpretazione e commentario storicofilosofico di Repubblica VII 534 B3-D2 , Introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1989 (4a ed., Milano 1996); vedi anche l articolo H. Krmer, Epkeina ts oysas, Zu Platon, Politeia 509 B , in Archiv fr Geschichte der Philosophie, 51 (1969), pp. 1-30; e inoltre: K. Gaiser, Platone come scrittore filosofico : saggi sull ermeneutica dei dialoghi platonici , con una premessa di M. Gigante , Bibliopolis, Napoli 1984; Id., La metafisica della storia in Platone : con un saggio sulla teoria dei principi e una raccolta in edizione bilingue dei testi platonici sulla storia , Introduzione e traduzione di G. Reale, 2a. ed., Vita e pensiero, Milano 1991.. [42] Cf. Martin Heidegger, Vom Wesen des Grundes , Klostermann, Frankfurt a.M. 1949 ( tr. it. Dell'essenza del fondamento , a cura di P. Chiodi, F.lli Bocca, Milano 1952) . [43] Cf. Aristotele, Met. A 6 987 b 22: Per quanto riguarda laffermazione che luno sostanza, e non qualcosaltro di cui esso si predichi, Platone si avvicina molto ai Pitagorici; e ancora, come i Pitagorici, egli ritiene che i numeri siano causa della sostanza delle altre cose. Invece una caratteristica peculiare di Platone laver posto, in luogo dellillimitato inteso come unit, una diade, e laver concepito lillimitato come derivante dal grande e dal piccolo. .Laver posto lUno e i Numeri fuori dalle cose, a differenza dei Pitagorici, e anche laver introdotto forme, furono conseguenza dellindagine basata su pure nozioni, che propria di Platone; i suoi predecessori, infatti, non conoscevano la dialettica; Inoltre, la difficolt maggiore e pi impegnativa la seguente: se lEssere e lUno, come dicevano i Pitagorici e Platone, siano la sostanza delle cose, oppure se non lo siano, o se invece suppongano qualche altra realt che fa loro da sostrato ; Ma il problema che pi difficile da esaminare e, tuttavia, che pi di tutti necessario risolvere per conoscere la verit, il seguente: se lEssere e lUno siano sostanze delle cose e se ciascuno di essi non sia, rispettivamente, nientaltro che Essere e Uno, oppure se si debba considerare lessenza dellEssere e dellUno come tale da richiedere unaltra realt come lorio sostrato (B 1 996 a 6: ; B 4 1001 a 9); Inoltre, come pu essere vera la dottrina di quei filosofi i quali affermano che il principio primo lUno e che lUno sostanza, e che fanno derivare dallUno e dalla materia il humero primo e sostengono che anche questo sostanza? (K 2 1060 b 7) ; E fra coloro che

affermano lesistenza di sostanze immobili, alcuni dicono che lUno il Bene-in-s; tuttavia essi pensavano che lessenza di esso fosse soprattutto quella di essere Uno (N 4 1091 b 14). [44]G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 224. [45] G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 225. [46]Ibid. [47] G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 231. [48] G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 233. [49] G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone , cit., p. 234. [50] Ibid.

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