Anda di halaman 1dari 188

Arthur Rimbaud. OPERE.

A cura di Gian Piero Bona. Copyright 1973 e 1990 Giulo Einaudi editore s. p. a., Torino.

INDICE. Introduzione di Gian Piero Bona. Opere. Poesie. Le strenne degli orfani. Prima serata. Sensazione. Il fabbro. Sole e carne. Ofelia. Ballo degli impiccati. Il castigo di Tartufo. Venere anadiomene. Le battute di Nina. Alla musica. Gli sbigottiti. Romanzo. Morti del Novantadue e del Novantatre. Il male. Le rabbie di Cesare. Sognato per l'inverno. Il dormiente della valle. Alla Bettola Verde. La maliziosa. La strepitosa vittoria di Saarbrcken. La credenza. La mia bohme. Testa di fauno. I seduti. I doganieri. Preghiera della sera. Canto di guerra parigino. Le mie piccole amorose. Gli accosciamenti. I poeti di sette anni. I poveri in chiesa. Il cuore rubato. L'orgia parigina o Parigi si ripopola. Le mani di Jeanne-Marie. Le sorelle di carit. Le cercatrici di pidocchi. La prima comunione. L'uomo giusto. Ci che si dice al poeta, a proposito di fiori. Il battello ebbro. Le vocali. Rosa la stella ha pianto al cuore del tuo orecchio, bianco. I corvi.

[Briciole]. Sotto gli oscuri muri, picchiando i magri cani,.

Le campane son bronzo bruno,. In grotteschi singhiozzi dietro trasaliva. Lei, bruna, aveva sedici anni allorch la maritarono.. [Lamento del vecchio monarchico]. [Lamento dei droghieri]. ............ Sono. .... In mezzo agli ori, i quarzi, le porcellane,. Oh! le vignette perpetue!. E il poeta brillo insultava l'Universo.. Versi per i cessi. Sulla citt dolcemente piove.. Vigila, o mia vita assente!.

Gli stupri. Gli antichi animali pollivano, anche in corsa,. Le nostre chiappe non son le loro. Ho guardato. Come un garofano viola, oscuro e increspato,.

Album detto Della Malora. Coglionerie. COCCHIERE UBRIACO. GIOVANE PAPPONE. PARIGI. Vecchio della vecchia. Le labbra chiuse. Festa galante. L'angelucco maledetto. Gigli. L'Umanit calzava il vasto bimbo Progresso.. Rimembranze del vegliardo idiota. Esilio. Ipotiposi saturnine, ex Belmontet. Le sere estive, all'occhio ardente di facciate,. Ai libri d'arte serena, da comodino,. Ero in un vagone di terza: un prete anziano. Senz'altro scelgo, in primavera, il bettolino. Stato del sedere? Rimembranza. Il Pbero ove circola un sangue d'esilio. La scopa

Ultimi versi. Memoria. Per noi che sono, o cuore, le distese ardenti. Michel e Christine. Lacrima. Il rivo di Ribes. Commedia della sete. I PARENTI. LO SPIRITO. GLI AMICI. IL POVERO SOGNO. CONCLUSIONE. Pensierino del mattino. Feste della pazienza. BANDIERE DI MAGGIO. CANZONE DELLA PIU' ALTA TORRE. L'ETERNITA'.

L'ETA' D'ORO. Giovane coppia. Bruxelles. E' forse alma?... Nelle prime ore blu. Feste della fame. Il lupo urlava tra i rami. Odi come bramisce,. O castelli, o stagioni,. Vergogna.

Poemi in prosa. Le illuminazioni. Dopo il diluvio. Infanzia. Racconto. Parata. Anticaglia. Bella creatura. Vite. Partenza. Regalit. A una ragione. Mattinata d'ebbrezza. Frasi. Operai. I poeti. Citt. Carreggiate. Citt. Vagabondi. Citt. Veglie. Mistico. Alba. Fiori. Notturno volgare. Marina. Festa d'inverno. Angoscia. Metropolitano. Barbaro. Saldo. Fairy. II. Guerra. Giovinezza. Promontorio. Scenari. Sera storica. Bottom. H. Movimento. Devozione. Democrazia. Genio.

Una stagione all'inferno. Cattivo sangue. Notte d'inferno. Deliri. L'Impossibile. Il lampo.

Mattino. Addio.

Opere diverse. Prose e versi francesi di collegio. Prologo. Invocazione a Venere. I Deserti dell'Amore. Prose evangeliche. Un cuore sotto la tonaca.

Lettera del Veggente. Rimbaud Paul Demeny.

Opere attribuite. Veleno perduto. Lettera del Barone di Petodicapra.

Note.

Nota biografica. Jean-Nicolas-Arthur Rimbaud nacque il 20 ottobre 1854 a Charleville, nelle Ardenne, dal capitano di fanteria Frdric e dalla piccola proprietaria terriera Vitalie Cuif. Mor il io novembre 1891 all'Ospedale della Conception di Marsiglia, e sulla sua morte si hanno solo ipotesi mediche che parlano di cancro generalizzato, sifilide o altro. Dalla prodigiosa precocit come erudito versificatore in latino alla sua esplosione come poeta in proprio in francese, dal suo passare dal culto dei lirici greci alla sensibilit dei grandi romantici, dalla sua passione per la Comune come evento del presente all'odio per il presente perch troppo mediocre, dal suo amore accidentato con Paul Verlaine al suo arruolamento nella Legione Straniera, dalla sua diserzione dalle milizie alla sua direzione di cantieri a Cipro, dal suo commercio di caff e dal suo traffico d'armi all'Harar al suo rimpatrio a Marsiglia per farsi amputare un piede, Rimbaud pare un moltiplicatore di miti. Come se coltivarne uno solo non fosse sufficiente. Miti che a pi d'un lettore sono risultati sospetti. tiemble, grande saggista francese, ha dedicato buona parte della sua vita a combattere i miti creati su Rimbaud, e la sua rigorosa battaglia testimoniata dai due volumi pubblicati presso Gallimard rispettivamente nel 1968 e nel 1970 "Le Mythe de Rimbaud: Gense du mythe 1869-1949" e "Structure du mythe" e dal pi recente "Rimbaud, systme solaire ou trou noir?", Puf, Parigi 1984. E, tuttavia, demistificare i miti non basta a diminuire il. fascino che il poeta Rimbaud esercita ancora oggi. In occasione del centenario della nascita di Rimbaud, Giovanni Papini scrisse nel 1954 sul Corriere della Sera a proposito della fatica di temble: Dobbiamo ringraziare la sua opera di restitutore dell'esattezza documentabile ma non bisogna dimenticare questa novit: il Rimbaud che appassion i giovani e rinnov la poesia europea non quello della storia, quello del mito... Che questa moltiplicazione paradossale di personalit diverse sia stata possibile la riprova pi irrecusabile della grandezza del poeta. Nel recente saggio di un accanito studioso italiano di Rimbaud, Gabriele-Aldo Bertozzi, pubblicato da Lucarini alle soglie del centenario della morte, contenuta una replica a Papin: Qual questa grandezza che Papini e tanti altri ancora non ci chiariscono? Pi che grandezza si tratta di una scelta di scrittura che Rimbaud

seppe sapientemente applicare. Nella sua opera poetica egli non arriva quasi mai a spiegare, a illustrare qualcosa in modo inequivocabile, lasciando sempre aperto lo spazio per altre interpretazioni. Fu davvero un "mago" in questo: ci prende, ci conduce alle soglie di una visione e, nel momento in cui si crede di poter "vedere", ci lascia a noi stessi. Non quindi un'interruzione, un abbandono, ma un prolungamento lasciato al lettore. A quest'ultimo, come per il poeta stesso, la chiave dell'interpretazione, a vari livelli fino al pi ambito, quello della conoscenza... Rimbaud fu quasi ignorato dai suoi contemporanei, ma l'amico, amante, e nemico come solo in amore si pu esserlo, Paul Verlaine si dette da fare per assicurargli la sopravvivenza al secolo in cui era nato. E Rimbaud divent puntualmente il poeta del secolo successivo, di questo Novecento che celebrer l'anno prossimo il centenario della scomparsa di Rimbaud e pochi anni dopo la propria stessa scomparsa.

Introduzione. Com'era Arthur Rimbaud? L'amico Paul Verlaine lo vedeva alto, ben piantato, quasi atletico, dal volto perfettamente ovale di angelo in esilio, capelli castano chiari, e gli occhi di un azzurro pallido inquietante. Era nato il 20 ottobre 1854, a Charleville, nelle Ardenne, da un capitano di fanteria e una piccola proprietaria terriera. A soli dieci anni la sua precocit era tale che i professori dell'Istituto Rossat gli concessero di frequentare tre classi insieme. Il 1869 fu l'anno in cui il ragazzo incominci a stupire il suo collegio per il virtuosismo con cui componeva versi latini: cinque poemetti in versi alessandrini, "Le Songe de l'colier", "L'Ange et l'Enfant", "Combat d'Hercule et du fleuve Achelos", "Jugurtha", "Jsus Nazareth", che gli fruttarono premi ed encomi. Contemporaneamente Jean-Nicolas-Arthur scrisse i primi versi francesi che si conoscono: "Les trennes des Orphelins". Di questa ingenua narrazione crepuscolare, il cui valore soltanto psicologico (Rimbaud era turbato dalla crisi coniugale dei genitori e si sentiva abbandonato), Verlaine con indulgenza spiegava: ...soprattutto una solida fattura, forse anche troppo, che rivela l'estrema giovinezza dell'autore allorch se ne serv secondo la formula parnassiana esagerata... Poi il 1870: il vero risveglio del suo genio poetico. In soli dodici mesi nacquero le ventidue composizioni della raccolta Demeny. Rimbaud invi a Thodore de Banville la prima delle sue visioni fantastiche sulla natura, la freschissima "Sensation", poi "Credo in Unam" intitolata pi tardi "Soleil et Chair", un esercizio eloquente neoclassico in cui contrappone l'antica bellezza pagana alla bruttezza del modernismo cristiano, a cui segue "Ophlie", stampa romantica d'individuazione della fanciulla shakespeariana al poeta che piange la libert del sogno sconfitto dalla realt della morte; "Bal des Pendus", una ballata medievale; il primo sonetto anticlericale "Le Chtiment de Tartufe"; e il primo manifesto rivoluzionario, di tradizione giacobina e prepotente populismo "Le Forgeron". Il 13 agosto su un giornale satirico ebdomadario, riusc a pubblicare "Premire Soire" sotto il titolo "Trois baisers", l'inizio delle sue polemiche misogine, che sfoceranno nella profanazione di un ideale di bellezza femminile attraverso l'estetica del brutto, di "Vnus Anadyomne", e nelle "Reparties de Nina" un divertimento letterario da Verlaine cos giudicato: Pi di cento versi su di un ritmo saltabecco, profuso di gentilezze... In quell'anno il poeta ragazzo consegu anche numerosi successi universitari. A met dell'estate scoppi la guerra. Si annunciarono le prime sconfitte. Il 29 agosto Rimbaud venduti i suoi libri di pregio, prese un biglietto per Charleroi, ma rest sul treno fino a Parigi, dove sperava d assistere alla probabile caduta del governo imperiale. Al suo arrivo, indebitato verso la compagnia ferroviaria, fu messo in carcere a Mazas. Izambard, giovane professore universitario suo confidente, al quale scrisse, lo fece liberare e lo raccolse a Douai. Ma ritornato a Charleville, dieci giorni dopo ripart a piedi verso il Belgio, con la speranza di farsi assumere dalla redazione di un giornale di Charleroi.

Qui scrisse "La Maline", "Au Cabaret-Vert", i suoi primi sonetti aneddotici, le sue felici immediatezze, e i pi celebri "Ma Bohme" ove, inadattabile alla societ, egli canta il vagabondaggio purificatore, e "Le Buffet" in cui Bernard vide un'anticipazione dell'estetica delle vieilleries rintracciabile nell'"Alchimie du verbe"; quindi il vissuto "Rv pour l'hiver", redatto in treno con grazia; i bozzetti antiborghesi e antiprovinciali "A la Musique" e "Roman" in cui aggiunge, attraverso la resa felice dei sensi, il suo anelito alla vita libera. Deluso nelle sue ambizioni giornalistiche, Rimbaud raggiunse Bruxelles. Un amico di Izambard lo accolse e lo fece rientrare a Doua, dove il suo maestro lo inizi a Rabelais e a Victor Hugo. Appartengono a quel soggiorno le sue prime poesie epico-politiche: "Le Mal", feroce satira che contrappone l'indifferenza di Dio alle stragi della guerra; "Rages de Csars" sulla campagna francoprussiana, in odio a Napoleone Terzo, enigmatico e falso; "L'Eclatante Victoire de Sarrebrck", ironica trascrizione di un'eroica oleografia; "Le Dormeur du Val", sonetto di virtuosismi ritmici e di straordinarie sospensioni narrative. La signora Rimbaud, avvertita della fuga del figlio, lo fece ritornare a casa. Il ragazzo pot assistere cos ai bombardamenti delle artiglierie prussiane su Mzires e Charleville. Egli pass le pi fredde giornate invernali del 1871 chiuso nella biblioteca di Charleville, dove, secondo i suoi biografi, lesse i socialisti francesi: Proudhon, Babeuf, Saint-Simon, romanzi del Diciottesimo secolo e opere di occultismo. Per vendicarsi dell'attitudine del bibliotecario scandalizzato dalle sue letture, Arthur scrisse "Les Assis", uno dei suoi vertici del grottesco in cui si scatena e accumula i paragoni portando all'estremo limite i particolari fisici repellenti e le libert sintattiche. Il 25 febbraio: terza fuga di Rimbaud che, venduto il suo orologio d'argento, prende il treno per Parigi. Per una quindicina di giorni egli err per le vie della capitale, nella pi completa miseria, e ritorn a piedi a Charleville, attraverso le linee nemiche, facendosi passare per un franco tiratore presso i contadini che gli davano ricovero. Ed ecco "Les Douaniers", esplosione anarchica di antipatia verso la legge; il "Chant de guerre parisien" sotto l'urto degli avvenimenti politici drammatici, e "L'Orgie parisienne ou Paris se repeuple", che con "Les Mains de Jeanne-Marie!, un bellissimo inno in onore delle ptroleuses della rivoluzione popolare, fanno parte del ciclo dedicato alla Comune. Come nota Bernard, le sole donne ormai rispettate dal poeta sono le eroine come Jeanne-Marie, le altre continueranno a subire le sue canzonature con "Mes petites Amoureuses", e le sue feroci e nostalgiche condanne con "Les Soeurs de Charit" dove l'esplosione del rabbioso antifemminismo dell'uomo che non riesce sulla terra a ricomporre l'eterno androgino, spalanca un vero capolavoro poetico. Di ritorno a Charlevlle, il giovane redasse un Progetto di Costituzione Comunista, che non ci pervenuto. Egli ne fece lettura al suo amico Delahaye. Scrisse nella primavera del 1871 "Oraison du soir", forse il pi incantevole sonetto, dove il blasfemo e lo stercorario si sublimano angelicamente e attraverso a un processo di identificazione delle immagini raggiungono una delle sue massime invenzioni letterarie preludenti agli ultimi versi e alle "Illuminations". Si parlato qui di un'epica della bestemmia: al contrario, il malinconico esorcismo en plein air della notturnit escrementale si evidenzia nella coraggiosa bellezza con cui il poeta trova il canto pur nell'ignobile bisogno. Il 13 maggio l'allievo indirizz a Izambard una lettera in cui esponeva la sua nuova concezione della poesia. Il 15 maggio invi sul medesimo argomento, a Demeny, la famosa lettera detta del Veggente. Poi la crisi violenta di anticlericalismo e di anticristianesimo: Rimbaud apostrofava i preti per strada, scarabocchiava M... a Dio col gesso, sui banchi. Il poema "Les Premires Communions", che porta la data di luglio, fu senza dubbio ispirato da un avvenimento familiare: la prima comunione di sua sorella Isabella nella chiesa parrocchiale di Notre-Dame (14 maggio). Il 15 agosto invi a Banville un manifesto critico in rima, "Ce qu'on dit au Pote propos de fleurs", in polemica con l'ambiente letterario ufficiale, ossia con i parnassiani: il primo risultato dopo il tentativo del Veggente di trovare una lingua. A Cliarleville Rimbaud si compiacque della compagnia di Bretagne, impiegato alle contribuzioni indirette, acceso di poesia e di occultismo e che conosceva Verlaine. Bretagne propose al ragazzo di metterlo in relazione con quest'ultimo.

Arthur accett con entusiasmo. Verlaine, dopo aver letto i versi che Rimbaud gli fece avere, scrisse all'autore: Venite, cara grande anima, siete atteso, siete desiderato. Alla fine del settembre 1871, Rimbaud arriv a Parigi portando con s i suoi poemi, fra cui: "Accroupissements", "Les Pauvres l'glise", "L'Homme juste", facenti parte delle sue invettive antireligiose dove come il suo contemporaneo Lautramont, egli esprime un anticristianismo postulato, di spasimo, un ateismo teologico...; "Le Coeur vol", una specie di trolet al modo dei rhtoriqueurs del tardo Medioevo, risultato (pare!) di una bestiale esperienza in una caserma parigina, ove avrebbe subito violenze sessuali, durante la rivoluzione che port alla proclamazione della Comune; il diario in versi "Les Potes de sept ans", una delle sue rivolte pi intense e create contro la famiglia, la morale, la societ, la prima geniale invenzione del mito moderno dell'infanzia psicologicamente lacerata tra repressioni e fughe immaginose; "Les Chercheuses de poux", il cui magico e musicale quotidianismo, morbidamente estetizzante, divent in bocca a Verlaine: ... il bel movimento, il bell'andamento lamartiniano... raciniano quasi, e perch no? persino vrgiliano...; infine "Voyelles", il pi grande sonetto del simbolismo francese, e il fantastico "Bateau ivre", il poema del primordiale, della visione cosmica, della libert sovrumana, forse il suo capolavoro in assoluto. Rimbaud alloggi prima presso i suoceri di Verlaine, in compagnia del poeta Saturnino e di sua moglie. I due amici passavano le loro giornate e parte delle loro nottate nei caff del Quartiere Latino. Scoppiavano scenate, a questo proposito, fra Verlaine e sua moglie. Nel gennaio 187 2 Rimbaud and ad abitare con Forain in rue Campagne-Premire. Poco tempo prima Banvlle l'aveva alloggiato in una mansarda, in rue de Buci. Rimbaud e Verlaine partecipavano alle riunioni dei Vilains Bons-hommes, tenute all'Htel des trangers, in rue Racine. Vi incontrarono Albert Mrat, Lon Valade, Charles Cros, Jean Richepin, Raoul Ponchon, Andr Gill e il musicista Cabaner. I membri del Circolo si divertivano a tenere una specie di Libro d'Oro, l'Album dit Zutique, sul quale scrivevano poemi composti alla maniera parnassiana dei poeti celebri del tempo o imitandosi l'un l'altro. Nacquero cos i suoi pastiches, le mordenti parodie, i veleni rimati, gli scherzi oss, le sue bribes. Forse sono stati scritti, in questo periodo di gogliardia culturale, gli scandalosi "Sonnets du Trou du Cul", tra Verlaine e Rimbaud, in canto amebeo, dei quali i noti sotto il nome di "Les Stupra" appartengono allo studente evaso. Nel marzo 1872 Rimbaud, per permettere a Verlaine di tentare una riconciliazione con sua moglie, torn nelle Ardenne. Dovette restare a Charlevlle fino alla fine di maggio. Fu durante quest'ultimo mese che Rimbaud scrisse le sue stupende canzoni ermetiche, orchestrazoni del mistero, che avrebbe poi spiegato nell'"Alchimie du verbe": Scrivevo silenzi, notti, notavo l'inesprimibile, fissavo vertigini, e sono: "Mmoire", "Lamie", "La Rivire de Cassis", "Comdie de la soif", "Bonne pense du matin", "Ftes de la patience", "Chanson de la plus baute tour", "Bannires de Mai". Quest'arte nuova s'intervalla, tuttavia, al solito incandescente e caustico diarismo, a quei modi di esorcizzare l'ambiguo e fatale mnage con l'ormai innamoratissimo amico Paul, da cui procedono discorsi evocativi come "Michel et Christine", "Bruxelles", "Jeune mnage", o l'inno del nihilismo anarchico di "Qu'est-ce pour nous, mon coeur...". Alla fine di maggio Rimbaud torn a Parigi in seguito alle insistenze di Verlaine. In giugno compose i suoi ultimi poemi in versi, le sue pi alte rarefazioni, le sue vaudevilles d aereo dolore, i suoi tendres brouillards, le sue chimiche occulte al limite dell'alienazione, ma soavemente sconnesse e trasparenti come danze di metafisica purificazione: "Age d'or", Est-elle aime?...", "Ftes de la faim", "Entends comme brame", "Honte", O saisons, chateaux", "Le loup criait...", "L'ternit". Il 7 luglio 1872, poich Rimbaud aveva deciso di partire per il Belgio, Verlaine abbandon sua moglie per seguirlo. Dal Belgio passarono in Inghilterra. Ben presto i due poeti si trovarono privi di denaro. Verlaine era ossessionato dal ricordo di sua moglie e soffriva per la causa si separazione che ella gli aveva intentato. Rimbaud lo abbandon all'improvviso e ritorn a Charleville alla fine del dicembre 1872.

E' d'altronde durante il 1872 (Delahaye ha giustamente definito quest'annata esplosiva per quanto riguarda le manifestazioni del genio di Rimbaud) che quest'ultimo cominci a scrivere le sue "Illuminations" in prosa, alle quali egli non aveva dato alcun titolo collettivo, designandole semplicemente sotto il nome di "Poemi in prosa". E' il testo pi rappresentativo e tecnicamente pi perfetto del Rimbaud nemico della civilt e della storia occidentale. Il mondo viene ricostruito dopo il diluvio. Egli invoca una nuova Apocalisse. Nel gennaio 1873 Verlaine si ammal a Londra ed esager il suo stato per risvegliare la piet di sua madre e quella di Rimbaud. La signora Verlaine madre arriv a Londra e invi a Rimbaud il denaro necessario per il viaggio. Questi si rec a Londra ma rifiut di rimanerci dopo la guarigione del suo amico. Raggiunse la sua famiglia a Roche, nei dintorni di Vouziers, e cominci a comporre in aprile "Une Saison en Enfer". Il 24 maggio 1873 Rimbaud, che a Roche si annoiava, accett di vedere Verlaine a Boullon. Vi incontr anche Ernest Delahaye. Verlaine convinse Rmbaud a ripartire con lui per l'Inghilterra. Si imbarcarono l'indomani ad Anversa. A Londra fra i due poeti scoppiarono nuove liti. Fu Verlaine a prendere questa volta l'iniziativa di partire all'improvviso. Abbandon il suo compagno senza mezzi. Arrivato a Bruxelles tent di ottenere che sua moglie lo perdonasse e venisse a raggiungerlo. Ma questa non rispose. Sua madre venne sola all'appuntamento fissato dal figlio. Verlaine si rivolse allora nuovamente verso Rimbaud e gli scrisse; quest'ultimo, arrivato a Bruxelles, gli pales la sua volont di separarsi da lui e di ritornare a Charleville. Verlaine gli spar allora un colpo di rivoltella e lo fer al polso. Venne arrestato e condannato dalla giustizia belga a due anni di prigione da scontare nel carcere dei Carmelitani a Mons. Rimbaud rientr a Roche con un braccio al collo. Il ragazzo era in preda a un grande dolore. Si rinchiuse nel granaio e termin la "Saison en Enfer". Con questo libro Arthur, che non aveva che diciannove anni, concludeva il ciclo della sua evoluzione letteraria. Non scrisse mai pi nulla. Queste brevi, nervose, taglienti prose demoniache nella pi perfetta tradizione del romanticismo mitico, sorelle del proibito cainismo di un Lautramont, ma pi grandi e sorprendenti, legate agli anni disperati che Rimbaud visse in compagnia del tormentato Verlaine, rappresentano nel loro insieme, attraverso odio, amore, magia, avvilimento, miseria, vizio, e ascesi, il pi straziante addio alla poesia del giovinetto di Charleville. Rimbaud fece pubblicare "Une Saison en Enfer" presso il tipografo Poot e C. a Bruxelles e indirizz qualche esemplare d'autore ai suoi antichi amici di Parigi. Ma ben presto se ne disinteress e non si preoccup pi dell'edizione che il tipografo aveva conservato in attesa di ricevere il compenso del suo lavoro. Cos, d'ora in poi tutta la folgorante opera dell'adolescente sar destinata a camminare da sola, abbandonata dal suo autore inedito, incompreso, e a raggiungere ancora oggi il nostro stupore, Il ragazzo aveva rinnovato l'immaginare, la prosodia appena schizzata, un'etica e una dialettica tolti a una materia scintillante e fluida di simboli. Arthur Rimbaud espresse, alla fine del secolo scorso, un ciclo interiore fulminato e fulminante da cui per molto tempo i pi furono esclusi. Egli sembr permettere sornionamente tutte le interpretazioni, poich gli inquietanti malintesi della sua esistenza terrena si prolungarono a mano a mano che la sua opera incominciava a vivere in mezzo a noi. La precocit prodigiosa che lo fece produrre soltanto tra i sedici e i diciannove anni un'opera sconvolgente, gli arcani di un pensiero insieme irreligioso e mistico, esaltato dagli aforismi della sovversione o obbedienti al peggiore comune, l'irrimediabile silenzio seguito al suo distacco letterario, il prepotere sulle parole, il suo destino incatalogabile non potevano che suscitare il rifiuto spirituale dei suoi contemporanei, e la curiosit affascinata dei suoi esegeti posteriori. Possiamo dire che l'avventura rimbaudiana si perpetua attraverso i suoi critici (De Renvlle, Mouquet). Infatti, via via che si dissipano le nebbie su tale personaggio, inquietante nella sua ascesa come nel suo declino, l'equivoco ingigantisce; alimentato dalle false misure del normale giudizio. Al principio del 1874 Rimbaud, che aveva definitivamente rinunziato alla letteratura, pass per Parigi dove conobbe Germain Nouveau e part con lui per

l'Inghilterra. La sua intenzione era di studiare la lingua inglese per poter fare dei grandi viaggi. Nei primi giorni dell'anno 1875, raggiungeva la Germania allo scopo di apprendere il tedesco e si impiegava come precettore. Verlaine, liberato dalla prigione di Mons e tornato alle pratiche cattoliche, scov il suo amico a Stuttgart e tent di fargli condividere le sue convinzioni religiose. Ma Rimbaud, durante un alterco presto degenerato in pugilato, costrinse Verlaine a riprendere il treno per Parigi dopo un soggiorno di due giorni. In maggio Rimbaud, lasciata Stuttgart a piedi, attraversati il Wrttemberg e la Svizzera, giunto in Italia, cadde ammalato a Milano. Fu raccolto e curato da una signora italiana. Al principio dell'estate, ripreso il suo viaggio a piedi in direzione di Brindisi, stramazz sulla strada colpito da insolazione e fu rimpatriato dal console di Francia a Livorno il primo giugno 1875. Arrivato a Marsiglia, Rimbaud firm il suo arruolamento nell'armata carlista, ma non vi diede alcun seguito e in ottobre ritorn a Charleville. Pass l'inverno dell'anno 1875 in famiglia a studiare lo spagnolo, l'arabo, l'italiano, il greco moderno e l'olandese. Il 19 maggio 1876 Rimbaud, raggiunta l'Olanda, si present all'ufficio di reclutamento di Harderwijk e firm un arruolamento di sei anni nell'armata coloniale olandese. Imbarcato con un contingente arriv a Batavia il 23 luglio, ma tre settimane dopo il suo arrivo, disertava. Ingaggiatosi su un veliero inglese che ritornava in Europa, sbarc a Bordeaux, raggiungendo a piedi Charlevlle. Ottenuto da sua madre un anticipo dei fondi, nell'aprile 1877 part per Vienna. Fu derubato da malfattori. Espulso dalle autorit austriache, da Montmdy, di nuovo raggiunse a piedi Charleville. Ben presto ripart a piedi per l'Olanda. Attraversatala, eccolo ad Amburgo, dove si impiega come interprete al circo Loisset. Percorse cos la Svezia, la Danimarca e si fece rimpatriare dal console di Francia a Stoccolma. In settembre lo ritroveremo a Marsiglia, dove, dopo aver fatto il mestiere dello scaricatore, s'imbarc per Alessandria. Malato, sbarc a Civitavecchia, visit Roma, poi torn a Charleville a passare l'inverno. Nell'ottobre del 1878, Rimbaud attraversava a piedi i Vosgi, nella neve, poi la Svizzera, il San Gottardo. A Lugano prendeva il treno per Genova, dove il 19 novembre s'imbarcava per Alessandria. Di l raggiunse l'isola di Cipro e trov impiego come capocantiere al servizio di una compagnia. Ammalatosi di tifo ritorn in Francia nel giugno 1879, presso la sua famiglia, ma guarito, nel 1880 nuovamente raggiunse Cipro. Sorvegli i lavori di costruzione del palazzo per il governatore generale. Non potendo sopportare il clima dell'isola, prosegu per l'Egitto, poi per Aden. Qui trov un impiego nella ditta Viannay, Mazeran, Bardey e C., commercianti di pelli e di caff. Venne distaccato alla succursale della ditta fondata ad Harar, dove arriv il 13 dicembre 1880, dopo venti giorni di cavallo nel deserto somalo. Dal 1880 al 1883 la ditta Bardey incaric Rimbaud di intraprendere delle esplorazioni nella Somalia e nel paese dei Galla. Egli prese l'iniziativa di esplorare i territori ancora sconosciuti dell'Ogaden. Fu il primo europeo a penetrare fino a Bubassa. Il 10 dicembre indirizz una relazione alla Societ di geografia, che fu pubblicata. Dal 1884 al 1886, dopo la liquidazione della ditta Bardey, Rimbaud visse maritalmente con un'abissina, e lavor ancora molto tempo al servizio del signor Bardey. Nel 1887 decise di far arrivare alcune migliaia di fucili dall'Europa e di andare a rvenderli al re dello Scioa, Menelik. Form una carovana e intraprese una pericolosa spedizione. Il suo socio Labatut ammalatosi mor. Rimbaud dovette partire da solo. Lasciata Tadjourah con la carovana verso la met di dicembre arriv il 6 febbraio, dopo marce spossanti, ad Ankober, residenza di Menelik. Ma il re non c'era: aveva fissato la sua residenza ad Antotto. Rimbaud lo raggiunse. Menelik prese possesso delle armi, ma rifiut di pagarne il prezzo convenuto: Rimbaud riprese la via del ritorno e arriv ad Harar l'11 maggio 1887, dopo aver esplorato regioni sconosciute, rilevato informazioni preziose per la scienza, ma senza che i suoi sforzi avessero ricevuto il compenso dovuto.

Dal 1888 al 1891, Rimbaud diresse una fattoria ad Harar per conto di Tian, esportatore di caff, di pelli e di muschio. Si sforz di partecipare al traffico d'armi, assai attivo sulla costa, ma si scontr con i divieti che il governo francese era costretto a emettere sotto la pressione dell'Inghilterra, allarmata per i progressi fatti dalla penetrazione francese in Abissnia. Nel febbraio 1891, Rimbaud veniva colpito da un tumore al ginocchio destro. Il 15 marzo non era pi in grado di alzarsi. Dovette liquidare i suoi affari e farsi trasportare su una barella fino a Zeilah, di dove si imbarc per Aden. Il 9 maggio, rimpatriato, e ricoverato all'ospedale della Concezione a Marsiglia, subiva l'amputazione della gamba destra. Ecco che l'inconscia profezia della seconda strofa della sua canzone Honte si avverava. Anche qui era stato "Veggente". Ecco che faceva abandon de ses jambes! o merveille!, di una di quelle che Verlaine giudicava le pi instancabili gambe del mondo! Il destino lo colpiva l dove la natura lo aveva maggiormente dotato. Rimbaud ritorn a Roche presso la famiglia. Ma la malattia continuava a progredire e alla fine di agosto Rimbaud, che sperava di trovare un miglioramento alla sua salute nel clima mediterraneo, riprese il treno per Marsiglia in compagnia di sua sorella Isabelle. Entr di nuovo all'ospedale della Concezione. Il suo stato continuava a peggiorare. In seguito alle pressanti sollecitazioni di Isabelle, il poeta accett di ricevere la visita del cappellano che, dopo essersi intrattenuto da solo con lui, confid alla giovane: Vostro fratello ha fede, che ci venivate a dire? Ha fede, e non ho mai visto una fede di tale qualit! Il 10 novembre 1891, Rimbaud moriva all'et di trentasette anni. Pochi lo piansero, ma soprattutto se ne disperarono Isabelle, la sensibile sorella, l'unica della famiglia che lo cap, e Verlaine, l'amico del cuore. Questa, in una lettera a Louis Pierquin, nell'agosto 1892, cos lo ricordava con amore: ... Amava poco la societ; le mille ipocrisie dell'etichetta e della conversazione mondana gli facevano orrore. Ma con i suoi amici manifestava senza ritegno le preziose qualit del suo spirito e del suo cuore; un fascino inesprimibile si sprigionava da ogni sua parola e ogni sua azione... Ad Harrar, paese ch'egli am appassionatamente, gli indigeni lo chiamavano Il santo a causa della sua meravigliosa carit; i benefici che ha sparso laggi sono incredibili e inauditi. Questa grandissima bont, cos come il suo coraggio e la sua instancabile attivit, era l'aspetto principale del suo carattere... Il 30 gennaio 1893 Verlaine, nelle "Ddicaces", consacrava alla morte del compagno incredibile questo sonetto, che Jean H. Cart riporta nelle "Lettres de la vie littraire d'A. Rimbaud": Mortale, angelo e demonio, Com' dir Rmbaud, in questo libro mio tu meriti il primato, pur se qualche sciocco scrttorello ti chiam mostro in erba, vaso brillo, imberbe scapestrato; ancora il primo posto nel tempio di Memoria, tutte l'onde dell'incenso e gli accordi del liuto! il tuo nome splendente canter nella gloria, perch tu mi amasti com' stato dovuto. Le donne ti vedranno, grande giovane forte, bellissimo di bellezza paesana e sagace con un atteggiamento indolentemente audace, la Storia ti ha scolpito trionfante della morte, poeta possente e della vita vincitore, i tuoi piedi bianchi sulle teste del Livore. Da quando Rimbaud era ancora in vita, prima inafferrabile bohmien, sfuggito all'asfissia piccolo-borghese della sua provincia e alle tetragone virt materne, poi in Africa sperduto mercante nei remoti silenzi esotico-espiatori, sin dopo la sua atroce e precoce morte, ad oggi, tra edizioni francesi,

traduzioni italiane, studi critici, tacendo le versioni in quasi tutte le lingue del mondo, pi d cento opere si sono affannate a scomporlo e ricomporlo come uno straordinario congegno umano, a caccia dei pezzi pi segreti nell'intento di capire quella sintesi espressiva con cui egli gi aveva regalato ai meno sordi il suo miracolo poetico. Su di lui stato detto tutto. Il ragazzo di Charleville stato iscritto tra gli angeli, i diavoli, i maledetti, i mostri, i geni, i rivoluzionari, i populisti, i mistici, i religiosi, i veggenti, i blasfemi, i sodomiti, i sifilitici, i pidocchiosi, i nevrotici, i disadattati, i santi, i mercanti d'armi, i moralisti, gli amatori, gli eroi, i mendicanti, gli eretici, i visionari, i profeti, i drogati, gli illuminati. Lo hanno amato, odiato, esaltato, offeso, glorificato, vilipeso. Ce n' abbastanza. Al giovinetto borghese che non si lavava, ma divorato dal canto-anticanto della terra, accaduto ci che accade agli scheletri gratificati: i posteri acuti si assumono il senso di colpa dei contemporanei ottusi, e alzano monumenti dove non stata veduta in vita che una scarpa rotta e un pazzo. Rimbaud ormai ha la sua statua su tutte le piazze critiche. Chi ha scritto: il letterato colloca, A lettore ruba? Chi vorr ricollocare fisicamente Rmbaud? Uno storico, un critico, uno psicologo, quegli uccelli, secondo i cinesi, che beccano sempre nell'orto del vicino? Gi fatto. Resta la collocazione metafisica del poeta ' ovvero la scoperta del nido di verit: impossibile. Persino Verlaine che pi di ogni altro aveva capito il proprio amico, non ne aveva capito l'essenza dell'opera. Ma chi trov mai l'oggetto-scandaglio da posare sul fondale marino di una creazione? L'onda rimbaudiana soave e balorda, e la barca del lettore rischier di affondare a ogni rfolo di vento. Ma le cento accurate esegesi l'hanno stabilizzata da tempo. Eppure, talvolta, disperante tradurre e introdurre un poeta. Con lui storia e filologia sono spavalde, ma la sua fissazione concettuale pu non essere un fenomeno critico, forse une ducation sentimentale, una amicizia elettiva, un revival in compagnia. Un oscuro traduttore diceva in un oscuro trattato che il poeta da lui tradotto lo oscurava, anzi il suo ente gli si poneva allato, durante il lavoro, e provocando rumori misteriosi di benevolenza, disapprovazione, un giorno gli sugger questo paradosso: noi ammiriamo ci che non capiamo. Sono spaesato, malato, furioso, imbecille, capovolto; speravo lavacri di sole, passeggiate infinite, riposi, avventure... scriveva Rimbaud a sedici anni, a Georges Izambard, da Charleville il 27 agosto 1870, Si esiliati nella propria patria, e poi nella terza quartina di Ofelia: Cielo! Amore! Libert! Che sogni! O povera Pazza!, e in Sole e carne: Assetato d'amore il Mondo... / Non possiamo sapere! Siamo tutti oppressi / da cappe ignoranti e chimeriche caverne! / Scimmie umane cadute da vulve materne, / la scialba ragione ci cela l'infinito! / Noi vogliamo guardare: il Dubbio ci ha punito! / Il dubbio, tetro uccello, ci batte con l'ali... / E l'orizzonte dilegua in fughe eternali!... Da questa filosofia egli parte enfatico, eloquente, infantile, ma cantatissimo e profetico, e attraverso la sua breve creativit che un po' tutta sul tono di ballata mostruosa, virtuosismo maldestro, poetica dura, intelligenza masochistica, soavit anarchica, decadenza progressista, isterismo divino, passa per la liberazione fantastica delle Illuminazioni, abbandonandosi a un vero delirio di metamorfosi che confonder tutti i regni - animale, vegetale, minerale - per giungere con effetti grotteschi e iniziatici ai labirinti simbolici della Stagione all'inferno, Sempre a sedici anni, il 24 maggio del 1870, scriveva a Thodore de Banville: I poeti sono fratelli... Da questo messaggio parte la ragione del mio tradurre: dalla fratellanza nel verso e nel dolore. Io amo Rimbaud, l'ho rivisitato, gli ho camminato accanto, ho frugato nei capelli della sua espressione come una delle sue "Cercatrici di pidocchi", piuttosto che come un salottiero intellettuale parnassiano coglionato nel suo "Album dit Zutique". I traduttori pedissequi sono dei gentils bonshommes, i complici di una inclinazione e di un anelito sono dei vilains, appartengono alla stessa razza del poeta, come la formica alla formica, il corvo al corvo.

Vivere con chi si storpia fatalmente un atto di solidariet, ma storpiare colui col quale non si vive una presunzione. Purezza, pi luce, pi fallo, pi delinquenza, pi etica, pi fede, pi disperazione, pi tutte le contraddizioni, questo fu il ragazzo? Angelismo come rivolta, satanismo come amore, erotismo come canto, poetismo come dignit umana? Coeur vert, esprit vert, langue verte: il giovane ceppo bruciava con difficolt, s'accendeva, crepitava, fumava, si spegneva. Facile dire come un poeta scrive, difficile dire perch scrive in quel modo. Livido, ebbro, pazzo, maledetto io sono.... gridava ne "L'uomo giusto", ma ci non giustifica le sue forme: i componimenti latini di collegio, i sonetti crepuscolari, gli inni paganeggianti, le romanze medievali, e pi avanti le canzonette ermetiche e sconnesse, i manifesti rivoluzionari, i divertimenti satirici, i quadretti frivoli, fino ai frammenti dementi, gli endecasillabi pornografici, le geografie paniche, le prose emblematiche e dannate, per concludere con i capolavori di "Bateau ivre", "Mmoire", "Larme", "Oraison du soir". Si pu dire che il suo genio adolescente si onanizzava sulla storia, la cultura, la scienza, la societ, la religione, copulava con il diseredato, la rivolta, la libert, il vizio, l'odio, e finiva sempre per partorire mito, visione, profezia, illuminazione e amore. Fu il primo che sostitu all'ordinario della vita sveglia, l'ordinario-straordinario della vita inconscia... perci impossibile esaurire tutti i particolari della sua opera estremamente differenziata..., e contraddittoria: infatti era sempre arrabbiato, ma non era un arrabbiato; violento, ma non era un violento; bestemmiatore, ma non era un blasfemo; osceno, ma non era un lussurioso; ribelle, ma non era un rivoluzionario; disperato, ma non era senza speranza; condannato, ma non era un dannato; malediceva, ma non era un maledetto; odiava, ma non era un odiatore. Il suo un poetare spaccato, collerico e visionario, e proprio da queste collere visionarie e visioni colleriche sorge l'unit interna fra la terra o l'oggettouomo e il cielo o il soggetto-poeta. Il giovane spirito non ha fissa dimora: entra nel tempio e si fa gonfio ed empio, esce dal tempio e si fa vuoto e devoto; poi tra il sacro e il profano viaggia per timidi sentieri domestici o giungle feroci. Nessuna misura, Rimbaud passa una stagione all'inferno, ne esce, e si salva. E' troppo intelligente per perdersi. Sono gli stupidi che si dannano, cascano nel fuoco e ci restano. Il dramma suo una lettura della vita troppo verticale, stato giocato dai nervi. Non leva inni a Satana come Baudelaire o Carducci, e poi ci salta in grembo col vomito dell'alcool o la volgarit accademica. Non questione di grandezza, ma di spirito. Non se la prende col primo comandamento, ma con l'ultimo. L'inferno il suo, quello di Lucifero una bigotteria come il Dio dei damascati altari di "Le Mal". Je suis maudit, tu sais!..., Rimbaud, Baudelaire, Lautramont, Corbire, Nouveau, tutti maledetti? A dispetto dell'etichetta romantica dei gigli parnassiani (vedi "Ce qu'on dit au Pote propos de fleurs"), avendo compreso che il dissacratore un mistico con la testa in gi, e l'offensore degli di un fidanzato tradito, chiameremo il poeta riscattato dal dolore, l'enfant bnit. Rispetto al Sommo Maledetto in sanguinanti notti... ("Le juste") volere, e non potere essere perfetto, santit frustrata; ma se il Maligno si salva, allora rispettatelo: onorate il pi totale e fallito innamorato del Cielo. Non era di questo mondo diceva Claudel, ma lo era anche troppo, forse, questo ragazzo di provincia, con una madre trop debout ("Mmoire"), se tanto presto entr nella schiera dei grandi tribolati da Dio. La sua sete de "L'Homme juste" (Cristo) era un tale "Dsert de l'amour" che, non trovandolo lo insult tutta la vita, per salirgli alla fine sulle ginocchia, con un ginocchio in cancrena. La sua stata l'avventura terrena delle disubbidienze deliranti e delle curiosit agoniche, iniziate col dito che voleva aprire, nelle "Remembrances du vieillard idiot", la fessura delle brache patriottiche del capitano di fanteria - suo padre - per estrarvi il glande grosso, nero e duro. Cos per confessare i suoi misfatti, ed esorcizzare la sua follia erotico-cosmico-sociale, come altri avrebbero scelto la teologia o la scienza, lui punt sulla poesia. E la vera dannazione era solo sui suoi Carnets; un maledetto non grida, non bestemmia, non soffre' non ama, semplicemente non sente. Lui ha sentito troppo per la sua struttura umana, e mentre un Hlderlin ha cantato fino alla

dissociazione, Rimbaud si dissociato subito per poter cantare, l'uno diventato un fuoco che ruba, l'altro un voleur de feu (Lettera del Veggente). Anche se per Rimbaud ancora si allarga lo spazio simpatico e quello critico s'assottiglia, per cui sempre fu peggiore dei suoi apologeti (Claudel, Rops, Rivire, eccetera) e migliore dei suoi denigratori (Borgese, Sorel, eccetera), ma pi di ci che si detto e meno di quel che si tace, cos potremmo riosservare: I piani sovrumani del Veggente erano il risultato di una rivolta etica contrapposta all'ideologia cristiano-borghese; l'esplorazione dell'Ignoto aveva il medesimo senso di opposizione continuata, solo con mezzi individuali e mentali. Il vizio idealistico di questa avventura (la confusione tra la forma e il contenuto, fra la polemica e la demiurgia) ha trasformato la generosa superbia in spasimo assoluto privo di motivazioni polari, e in autopunizione. Ci che domina e scatena la crisi sempre l'assenza, l'incapacit essenziale di decidersi, di convertirsi; le contorsioni hanno luogo sullo sfondo del Nulla, ma Rimbaud ha conferito un carattere metafisico, nei termini offerti dalla teologia e dalla morale, alla sua avventura e al suo male. Margoni pur riferendosi precipuamente ai poemi in prosa di "Une Saison en Enfer", e dicendo che le "Posies" sono il diario di una genesi di rivolta, i "Derniers vers" il primo esito dell'incubazione del germe della Veggenza, le "Illuminations" lo sforzo massimo per distruggere il mondo costituito e sostituirlo con quello ideale del demiurgo, la "Saison" un esame di coscienza oggettivato su una visione di ascesa negativa, e chiamando quella Veggenza, in apparenza materialistica e progressista, uno sforzo puro di impulsi generosi, sovvertitori e rinnovatori, deviato fatalmente verso la sola distruzione efficace, la psiche del poeta stesso, il discorso pu precipitare su tutta l'opera di Rimbaud, tanto che nei pugni adolescenti appioppati agli oggetti da abbattere dei primi versi (scienza, societ borghese, religione) gi si celava la prospettiva mistica dell'Esprit catarsico delle ultime prose. In sintesi l'iter inventivo di Rimbaud contrario e feroce; attraverso il fallimento alla folgorazione. Toccare la grande poesia d la scossa, diceva Cocteau. Ebbene questa scarica profonda ci colpisce nella forma chiusa e ammanettata del suo versificare protestatario, nella sua parola disubbidiente alla tradizione ma incatenata alle regole, nella sua metrica di ferro piena di acciaccature musicali, di buchi, e come direbbesi in contrappunto: tempestate di quinte e di settime proibite; il risultato estetico ci fulmina toccando le sbarre contorte delle rime nelle sue terremotate poesie, come affacciandoci ai davanzali incendiati delle sue libere prose. Ma a questo punto meglio trasferirci a Douai, e diventare Paul Demeny che, ricevuta da Charleville "La lettera del Veggente", per primo ebbe il privilegio e l'orrore di leggere le ragioni irragionevoli di tutta la poetica del garon maudt. In questa confessione il poeta si collocato da solo. A diciassette anni ha gi le idee chiare, se per chiarezza s'intende la sua ipotesi di lavoro. Il caso critico gi gridato. L'uomo esistenziale sta per agire alla rovescia dei virtuosi, des habiles, e comincia a provocare la poesia pagando con lo Spirito, per finire di provocare lo Spirito pagando con la carne. Il Veggente un mistico capovolto, porta la verit a se stesso e non se stesso alla verit, indi la strappa, la ruba, la colpisce, l'ama, ne spreme gli ascessi della creazione pi dolorosa. Cos giunge alla divorante necessit di trovare una lingua dopo aver veduto l'ignoto; una lingua che sar dell'anima per l'anima, e riassumer tutto; una espressione nuova per cui, mezzo secolo dopo, Apollinaire esclamava: L'homme est la recherche d'un nouveau langage au quel la grammaire d'aucune langue n'aura rien dire, e neppure, come gi profetizz il Veggente, quel dizionario accademico sul quale i deboli impazzirebbero fin dalla prima lettera dell'alfabeto. Per nessun altro poeta come per Rimbaud, diventa legittima la candida domanda: perch fare, e in che modo fare, poesia? Tralasciando le loro innate qualificazioni, i pi hanno scritto l'opera secondo il trasparire della perfezione attraverso le maglie di una volont crescente, ma per l'enfant terrible vale la parafrasi di Gengoux, solo l'uomo che armonizzi lo spirito e l'intuizione potr vedere e descrivere gli Azzurri Tirsi Immensi. E qui pu anche avviarsi un breve discorso su quella poetica generale, che Rimbaud voleva nuova, ma che di nuovo, in ogni momento storico in cui si ripete all'infinito,

ha la novit del risultato pi che delle premesse. Non solo si nasce con dei contenuti, ma anche con una tecnica. Che cos' poesia, e la sua poesia? Le definizioni varie e diverse non possono essere enunciate in senso assoluto, se non considerando la poesia una parte di realt che supera la poesia stessa. Qualsivoglia spiegazione di poesia come un tutto, si circoscrive cronologicamente ed valida nell'ambito della civilt in cui si muove; come una parte, invece, la spiegazione diventa assoluta, fuori della storia, ma fatalmente arbitraria. Ogni atto analitico, chiarificatorio dell'opera, risulta sovente un vizio di pensiero. Ogni epoca riferisce i suoi bagliori critici ai mezzi della propria esperienza, senza mai conseguire tuttavia il chiarimento esistenziale di un poeta vissuto altrove. Il tormento interrogativo addosso all' opera, essendo insolubile sul piano della verit psicologica, si trasferisce sul piano della verit attiva. Il perch fare poesia diventa come fare poesia. Anche il discorso di Rimbaud, come di tutti i veri poeti, si sposta da una ricerca di causa a una ricerca di effetto; sarebbe come dire che una religione soteriologica cede a una religione strumentale, ossia all'emozione di comunicare. Cos la poesia (e l'arte in genere) indefinibile nel fine e nell'origine, diventa criticamente un problema di mezzi. Accettato lo stimolo poetico quale esigenza oscura, nonostante ogni lume esegetico, vuoi dell'autore, vuoi del lettore, si finir per considerare semplicemente il fatto poetico, ovvero l'attuarsi della spinta. Come dire: esiste un mistero e ogni creatore segue la via migliore per avvicinarlo senza per altro raggiungerlo mai. La ricerca non riguarda la camera buia, di cui gi si conosce l'ubicazione, ma le chiavi per aprirla. Oserei dire che l'umana possibilit sta nella ricerca di una ricerca. La pi grande poetica o arte che cos' se non, a dispetto della storia nuova, la pi antica approssimazione al vero? E mediocrit che cos' se non assenza di ricerca? Oggi non si fa, ma ci si comporta, giudicando due semi diversi di linguaggio un unico seme diviso in due. Ma ogni singolo atto creativo (che poi un riflettere soggettivamente la creazione totale oggettiva) vale solo nella zona del pensiero perfezionante. E questo Rimbaud l'ha pagato caro. Il mestiere di conseguenza viene a identificarsi con la ricerca. Ma trovare il mestiere non farsi hables nella fattura, come coloro che potrebbero credere di aver soddisfatto albisogno del Veggente: Nous demandons aux potes du nouveau, ides et formes... Mestiere la conquista di strumenti fedeli, non perfetti. Uno strumento fedele porta verso la perfezione; mentre uno strumento perfetto che, come tale, di accatto, trascina all'infedelt ossia all'inadeguato. Rimbaud sapeva che fare poesia con gli strumenti di Coppe non era far poesia, ma bel verso, e assai lo scimmiott ne l'Album dit Zutique. Il poeta, e per estensione l'uomo-costruttore, un essere in perpetua crisi espressiva. La poesia sorgendo quindi da uno stato di tensione esistenziale e ideale, assorbe i contenuti, e finisce sempre per identificarsi con la crisi del linguaggio. Si giunge cos a quell'affanno vitale, ove l'imprevisto della ricerca sconvolge ogni ragionamento. Ci chiederemo con Rimbaud ed altri: come scoprire la propria poesia? La ricerca, che sta al centro del problema, attenuer forzatamente l'importanza della creazione, intesa come puro stato inventivo della f antasia. La creazione non varr pi in senso assoluto, ma in senso relativo, e cio essa riguarder il linguaggio fedele, si far invenzione dello strumento. Il poeta si chiamer tale, in quanto esprime con una lingua sua (creata) un qualcosa di non suo (gi esistito). La dimensione poetica chiusa nell'uomo, tuttavia non gli appartiene: parte creata dell'uomo creato, verso cui muove appunto la ricerca. Cos per antonomasia la ricerca espressiva diventa l'unica possibilit creativa dell'uomo, la quale ci introduce al cospetto di una misura dell'universo (l'opera d'arte), di una parte del gi esistente. Ne viene che il poeta cosciente della propria lingua, ma ignora quale aspetto del mistero sveler. Che avverr sul piano pratico? La vita di Rimbaud eloquente. Un dolore profondo dell'animo, essendo una condizione precipua dell'individuo senza possibilit di estrinsecarsi in completa e liberatrice comunicazione, e non avendo che la lingua del silenzio, non pu essere trasmesso come intenzione poetica. Il vero dolore un urto esclusivo del soggetto, un fiume geloso e muto senza foce oggettiva. Ammesso pure che il giovinetto di Charlevlle sia stato

uno dei precursori della poesia moderna, e gi sapesse contrapporre - come dice Friedrich - il tempo meccanico al tempo interiore, il movimento emozionale all'espressione di oggetti, la magia linguistica al contenuto linguistico, la dinamica immaginativa al significato delle immagini, tutto ci da riferirsi ai suoi risultati, mentre nella scelta dei contenuti anch'egli non ha contravvenuto alla regola del dolore. Un mal ingurissable non prende mai contatto diretto con lo stimolo poetico. Non possiamo cantare ci che ci ferisce mortalmente, ma ci che ci squilibra. Nell'aprile del 1872, Rimbaud scriveva a Verlaine il quale gli suggeriva di trovarsi un lavoro, dovendo spendere troppo per mantenerlo: ...Il lavoro pi lontano da me che le mie unghie dal mio occhio. Merda per me! Merda per me! Merda per me! Merda per me! Merda per me! Merda per me! Merda per me! Merda per me!... Quando mi vedrete mangiare positivamente della merda, allora soltanto troverete che mantenermi non costa troppo caro!... Questo sfogo scatologico non fissa che una rabbiosa cronaca di poveri amanti, eppure appena tornato da Londra a Parigi, il ragazzo si mette a scrivere i "Derniers vers", il suo capolavoro in versi. E' dunque da un insetto molesto (squilibrio e ricerca) che nasce la grande forma, piuttosto che da una ferita sconsolata (stato e fatalit)? E' dalla noia della casa paterna che Leopardi giunge all'Infinito, e non dalla sua gobba; dalla contestazione della societ che Rimbaud giunge alle "Illuminazioni", e non dalla sua gamba in cancrena. Il discorso ha ovviamente un valore pi operativo che critico, un punto di partenza per lavorare intorno a un fatto poetico, e in questo caso, intorno a un rifatto, poetico. Tradurre, ossia rifare, mimesi della farfalla con la foglia; l'imitazione pi sensitiva che ragionata, e non tanto dell'estetica quanto dell'etica del poeta; la rivissuta incompatibilit tra un universo individuale e un universo collettivo che alla base di ogni creazione. Naturalmente ripercorrere la strada del poeta con le sue cento e contrastanti scarpe pressappoco impossibile; per ogni viaggio occorrerebbe uno studio sull'osservazione dell'orma. Pertanto mi pare importante tentare di capire, non tanto il significato degli emblemi rimbaudiani, quanto quel processo di visione delle cose che port scrittori della sua sensibilit a restituire un mondo velato di simboli, una realt doppia, con quella gioia dell'ambiguo che, secondo Goethe, sorella dell'unit misterica. Si prender come esempio un oggetto qualsiasi: un albero. La sua osservazione susciter in noi stimolo o no: uno stimolo che riesame della situazione. L'albero un oggetto che ci turba positivamente o negativamente, ma sempre una realt che ci sfugge. In che cosa consiste il suo eludere la nostra ragione? Vi sono due considerazioni da fare: l'albero come entit a s stante racchiude i propri caratteri naturali, il suo mistero; come elemento di vita svolge i suoi rapporti con l'uomo. Inoltre due descrizioni dell'albero: l'oggettiva che appartiene alla scienza, e la soggettiva alla fantasia. Ma con questi due linguaggi, il preciso e l'arbitrario, il poeta non consegue alcuna scoperta, intendendo per scoperta l'imposizione d'intuito. Egli deve entrare dentro l'albero, ossia dentro l'oggetto, e come? Ecco che scoppia la sua crisi. Ogni linguaggio umano acquisito rimane al di fuori dell'oggetto, perci l'alfabeto proprio dell'albero che va conquistato. Cos l'oggetto non compreso la lotta, l'oggetto compreso la tregua; la poesia sta nell'imporre tale riappacificazione, tale riequilibrio, al lettore, e farglielo accettare come fosse una sua scoperta. A questo punto il linguaggio comune subisce uno choc, e viene sottoposto alla distruzione. Ogni parola consueta perde i suoi significati, il mutismo espressivo assoluto, la notte semantica. Ma l'uomo, il poeta, non pu fisiologicamente formulare la sintassi e il ritmo propri dell'oggetto, e infine tenter l'opera di ricostruzione. Cercher una lingua nell'impossibile lingua. Allora s ce qu'il rapporte de l-bas a forme, il donne forme; si c'est informe, il donne de l'informe esclamer Rimbaud. Bisogna a ogni costo trouver une langue!, e scrisse forse il pi bel sonetto della letteratura simbolica di ogni tempo, Voyelles, esclamando poi nell'Alchimie du verbe: Regolai la forma e il movimento di ogni consonante, e, con ritmi istintivi, mi lusingai di inventare un verbo poetico accessibile, un giorno o l'altro, a tutti i sensi. E' cos che il poeta intende il rapporto tra l'oggetto di canto e se stesso: in tutte le sue vicende personali l'oggetto direttamente o indirettamente

compromesso, sicch in quello e per quello prendono liberamente rilievo fatti di memoria, di crcostanze, di presentimenti da lui vissuti. Il nostro albero esemplare, se cantato, non ha pi qui soltanto una funzione di stimolo riesumante o di decorazione interiore, ma ci che accade al poeta in cui l'albero coinvolto appartiene sia alla magia linguistica che alla magia storica. Ne nasce quindi, nella costruzione poetica, un gioco di oscurit e di chiarezza insieme. Da un lato la lingua misteriosa dell'oggetto, dall'altro la cronaca del soggetto-uomo; si spande allora sulla composizone una specie di penombra espressiva in cui l'albero si umanizza e l'uomo, diremo cos, si alberizza. L'albero verde, ma pu avere un altro colore. Dire che verde una constatazione superflua. L'invenzione sta nel domandarsi perch esso verde, e quale ruolo ha il suo colore in una particolare vicenda. Si risalir cos al linguaggio del colore, e inevitabilmente si sfocier nel simbolo e nelle sue analogie contingenti. Il verde dell'albero sotto il quale passa il poeta una manifestazione che lo colpisce e che agisce su di lui; questa manifestazione ha corrispondenze cromatiche: pietre o caratteri o potenze, ecc. Di conseguenza l'artista che si siede sotto l'albero verde, si sieder pure sotto un aspetto dello smeraldo, o sotto il carattere di un'altra realt, o sotto la parte di un'unit simbolica. Allora potr ben dire Rimbaud, nella "Saison en Enfer": Mi abituai all'allucinazione semplice: vedevo francamente una moschea al posto di un'officna, una scuola di tamburi tenuta da angeli, calessi per le vie del cielo, un salotto in fondo a un lago; i mostri, i misteri; un titolo di operetta faceva sorgere terrori dinanzi a me. - Poi spiegai i miei sofismi magici con l'allucinazione delle parole!... Diventai un'opera favolosa... A ogni essere, mi sembravano dovute diverse altre vite... Davanti a molti uomini, discorrevo ad alta voce con un istante delle loro altre vite. - Fu cos che amai un porco. La sintesi poetica vissuta dal ragazzo delle Ardenne tutta qui, in questa sua "Briciola": Vigila, o mia vita assente! Ecco ci ch'egli stato di fronte alle vignette perpetue del mondo: un assente. GIAN PIERO BONA.

[Per la presente traduzione delle opere complete di Rimbaud ho seguito l'edizione delle ("Oeuvres compltes", a cura di A. Adam, Gallimard, Paris 1972 (Bibliothque de la Pliade) e l'edizione di J. Mouquet e R. de Renvlle, "Rimbaud, Oeuvres compltes", ivi 1963, mantenendo l'ordine delle poesie dato in quest'ultima, cronologicamente pi indicativa. Ho tralasciato, delle composizioni scritte in collegio (1868-70), le cinque poesie in esametri latini ("Ver erat...", "Il sogno dello scolaro"; "Jam que novus...", "L'angelo e il fanciullo"; "Olim inflatus aquis...", "Combattimento di Ercole e del fiume Acheloo"; "Nascitur Arabiis...", "Giugurta"; "Tempus erat...", "Ges a Nazaret"); un discorso in latino classico ("Verba Apollonii de Marco Cicerone"); e un compito in classe in francese, nello stile medievaleggiante alla Villon ("Charles d'Orlans Louis Onze"), testi non significativi nel contesto generale dell'opera, ancorch fossero gi per un quattordicenne esercizi di grande abilit].

Poesie. Le strenne degli orfani. 1. La stanza piena d'ombra; s'ode vagamente mormorare due tristi bimbi dolcemente. Chinano la fronte, di sogno ancora greve, alla tenda che trema e s'alza come neve... - Gli uccelli intirizziti si stringono di fuori; s'intorpidisce l'ala ai celesti grigiori; e l'Anno nuovo, con la sua scia brumosa,

trascinando i pieghi della veste nevosa, con le lacrime sorride e canta tremante... 2. Ora i piccoli, sotto la tenda ondeggiante, come si fa a notte buia parlano piano. Ascoltano, pensosi, un mormorio lontano... Sussultano alla chiara voce aurea, sovente, del timbro mattutino che continuamente batte il ritmo secco nel suo globo di vetro... - La stanza gelata... sparsi per terra, dietro ai letti, vedi intorno gli abiti di doglia: l'aspro vento d'inverno che geme alla soglia soffia dentro casa la sua aria affannosa! Da tutto si avverte che manca qualche cosa... - Ma non v' dunque una madre per questi infanti, dal fresco sorriso, dagli sguardi trionfanti? Si forse scordata, a sera, sola e chinata, d'attizzare una fiamma alla brace strappata, stendendo lana e trapunta prima d'andare e a loro gridando di farsi perdonare. Non ha previsto forse il freddo mattinale, n chiuso bene l'uscio alla bora invernale?... - Il sogno della madre il tepore dei letti, il nido ovattato dove i fanciulli stretti, come uccelli belli nella culla dei rami, dormono un sonno dolce di bianchi reami!... - Qui c' solo un nido senza piume e calore, dove i bimbi non dormono, han freddo e timore; un nido gelato da quegli amari venti... 3. - Non hanno pi madre: nel tuo cuore lo senti. Non c' pi madre in casa! e ora il padre assente!... - Una vecchia serva ne ha preso cura, allora. I bimbi son soli nella ghiaccia dimora; orfani, quattr'anni, ecco nella loro mente un ricordo ridente si desta pian piano... Come chi sgrana, pregando, il rosario in mano: - Quella delle strenne, ah, bella mattinata! Di notte, da ognuno la sua era sognata dove balocchi in certi sogni stravaganti, confetti in carta d'oro, gioie scintillanti, vedi turbinare in danza sonora, svanire fra le tende e riapparire ancora! Si svegliavano presto, si alzavan gioiosi, stropicciandosi gli occhi e coi labbri golosi... Poi con i capelli arruffati sulla testa, lo sguardo raggiante dei giorni di gran festa, sfiorando coi piedini nudi i pavimenti, bussavano appena alla porta dei parenti... Entravano!... In camicia... quanti auguri allora... l'allegria concessa, e i baci dati ancora! 4. Ah! eran dolci le parole pronunciate tanto! - Le cose di ieri come son mutate: nel caminetto una grande fiamma aprica crepitava, illuminando la stanza antica; e i riflessi vermigli del gran focolare sui mobili brillanti amavano danzare ... - Senza chiave era il grande armadio! ... senza chiave! Spesso guardavano la porta bruna e grave...

Senza chiave! ... strano! ... immaginavano spesso i misteri in sonno tra i fianchi di cipresso; credevano di udire nella toppa vuota vago e lieto mrmure, una voce remota... - Oggi deserta la stanza dei genitori: la porta non riflette i vermigli lucori; non pi parenti, focolare, chiavi prese: niente baci dunque, niente dolci sorprese! Che Capodanno triste per loro quaggi! - E intanto che, pensosi, dai loro occhi blu una lacrima amara in silenzio cadr, sussurrano: La mamma, quando torner? 5. Sonnecchiano ora tristemente i fanciullini: li direste, a vederli, in sonno lacrimoso, tanto gonfi hanno gli occhi e l'ansito penoso! Cos sensibile il cuore dei bambini! - Ma l'angelo di culle asciuga gli occhi e dosa un sogno lieto nel loro sonno confuso, un sogno s bello che il loro labbro schiuso, pare, sorridente, mormorare qualcosa... - Essi sognano di protendere la fronte, piegati sul braccino tondo, dolce ponte del risveglio, e intorno il vago sguardo si posa... Credono di dormire al paradiso rosa... tra i bagliori canta il fuoco gaio, e laggi dalla finestra si vede un bel cielo blu; poi ebbra di raggi la natura si desta... la terra spoglia, di rivivere felice, sotto i baci del sole ha fremito di festa... la vecchia casa tutta calda di brunice: il vestitino nero a terra pi non giace, oramai sotto l'uscio lo spiffero tace... Diresti che una fata passata di qua! ... - I fanciulli hanno gridato di gioia... L, presso il letto materno, in un bel raggio rosa, sopra il grande tappeto, sfavilla qualcosa... medaglioni d'argento, neri e trasparenti, di giada e madreperla a riflessi splendenti; sono nere cornicette, vitree corone, con scritta d'oro: A NOSTRA MADRE, in incisione. .......... [Dicembre 1869].

Prima serata. - Ella non aveva i vestiti e i grand'alberi incuriositi i vetri urtavano frondosi accanto, accanto, maliziosi. Sul mio seggiolone sedeva, seminuda, e le mani giungeva. Fremevano paghi, s fini, s fini, al suolo i suoi piedini. - Guardavo, colore ceroso, al seno un raggiolino ozioso sfarfallare, e nel suo sorriso, - mosca al rosaio improvviso.

- Baciai le sue caviglie fini, ebbe un riso bruto e tranquillo che si sgranava al chiaro trillo dei bei sorrisi cristallini. Sotto la camicia il piedino si rifugi: Ma insomma, basta! - Permessa quell'audacia casta, ti puniva col risolino! - Meschini al mio labbro frementi, le baciai gli occhi dolcemente: - La sua testa furbetta allora gett all'indietro: Oh, meglio ancora! Signore, con te ho da parlare... - Al seno io le gettai il resto, e un bacio la fece scoppiare in un riso che diceva: presto... - Ella non aveva i vestiti e i grand'alberi incuriositi i vetri urtavano frondosi, accanto, accanto, maliziosi. [1870]

Sensazione. Nei sentieri andr, la sera estiva e celeste, punto dai grani, a pestar l'esile erbatura: sognante, ai piedi ne sentir la frescura, lascer il vento bagnarmi la nuda testa. Non dir parola, non penser pi a niente: ma infinito mi salir l'amore in fondo al petto, e andr nella Natura vagabondo ben lontano, - come con donna lietamente. Marzo 1870.

Il fabbro. Palazzo delle Tuileries, verso il 10 agosto '92. Col braccio sull'enorme martello, tremendo di furia e grandezza, vasta fronte, ridendo qual bronzea tromba, a bocca aperta, con lo sguardo feroce avvincendo quell'ammasso di lardo, il Fabbro parlava a Luigi Sedici, un giorno che il Popolo si contorceva a lui d'intorno, sui fregi d'oro strusciando la veste sporca. Pallido come un vinto portato alla forca, ora il buon re, dritto sulla pancia, era bianco, e mai recalcitrava come un cane stanco, poich il fabbro, quel marrano di spalle immani, gli raccontava antiche verit e strani fatti, come pugni sulla fronte, ecco qua!

Lo sai, Signore, cantavamo trallall, verso i solchi degli altri pungolando i buoi: sgranava il Prete al sole in padrenostri i suoi rosari chiari di monete d'oro. Intorno passava a cavallo il Signore, a suon di corno, e chi con la sua corda, chi con lo scudiscio ci frustavano. - Ebeti come un occhio liscio di vacca, eravamo senza pianto; si andava avanti, e quando a campo arato, si lasciava un po' di carne nostra dentro quella nera terra... ci davano la ricompensa vera: bruciavano i nostri tuguri nelle notti, e, dentro, i nostri figli come dolci cotti. ... Oh! io non mi lagno. Ma restino fra noi le mie sciocchezze. Puoi contraddirmi, se vuoi. Ora una gioia vedere entrare, non pensi, il mese di giugno, ai granai i carri immensi di fieno? Sentir l'odore di ci che muove, dell'erba rossastra, dell'orto quando piove? Veder biade e biade, spighe piene di grani, pensando che questo promette tanti pani?... Oh! andremmo al forno acceso pi fortemente, battendo incudini e cantando lietamente, fossimo certi d'avere una parte (infine noi siamo uomini) delle cose divine! - Ma ecco, sempre la vecchia solita storia! Io non posso Pi credere, lo so a memoria, avendo mani buone, una fronte e un martello, che venga un uomo con la daga sul mantello a dirmi: Semina, ragazzo, la mia terra; e che si giunga poi, quando sar la guerra, a prendermi cos mio figlio, in casa! - Re tu saresti, e io dunque un uomo, e tu a me diresti: Voglio!... - Anche tu vedi, cosa sciocca. Credi che ammiri la tua splendida bicocca, gli ufficiali dorati, i mille mascalzoni, bastardi poffarbacchi che fanno i pavoni? Ti hanno riempito il nido di odore di figlie nostre e biglietti per ficcarci alle Bastiglie, e diremo: Bene, i poveri ginocchioni! Il Louvre indoreremo coi nostri soldoni! E tu ti ubriacherai in una bella festa. - Rideran quei Signori, sedendoci in testa! No. Queste porcate han la data dei pap! Non pi una puttana il Popolo. Tre passi, e la tua Bastiglia in cenere, ecco qua. La bestia sudava sangue da tutti i sassi e che schifo la Bastiglia in piedi, lebbrosa nei suoi muri che confessavano ogni cosa, tenendoci chiusi nella sua oscurit! - Cittadini! era il buio passato che l crollava in rantoli, presa la torre! In cuore noi sentivamo come un moto d'amore. Avevamo abbracciato al petto i nostri figli. Come cavalli in froge frementi che imbrigli, partimmo, fieri e forti, e palpitava qui... Camminavamo al sole, fronte alta, - cos per Parigi! la ressa ai nostri cenci unti. Ci sentivamo finalmente Uomini! Smunti

ed ebbri, Sire, d'atroci trepidazioni: e quando giunti davanti ai neri torrioni, agitammo le trombe e le foglie d'allori, le picche in mano, in noi non c'erano rancori, - Ci sentivamo ardui, volevamo esser miti! ........... ........... E noi da quel giorno siamo come impazziti! Crescono monti d'operai nelle vie, e alle porte dei ricchi vanno quei dannati, folla che sale di sinistri trapassati. Con loro io corro ad accoppare le spie: e per Parigi, col martello in spalla, fosco e feroce, spazzo ad ogni angolo un losco; ti uccider, se tu mi ridi in faccia! - Poi sta certo, ne farai tu le spese coi tuoi uomini neri, che delle nostre domande fanno palle da rimandarsi con le rande, e sottovoce, i furbi! dicono: "Che fessi! per cuocer leggi, e bei decreti rosa messi in vasetti etichettati, e droghe composte, per divertirsi a propinarci nuove imposte, e poi turarsi il naso, se gli stiamo ai lati... - Ci trovan sporchi i nostri dolci delegati! che nulla temono, se non le baionette.... basta con le loro tabacchiere a trombette! Bene. Siamo stufi di quei cervelli piatti, di quei cialtroni. Ah! son questi dunque i piatti che tu, borghese, servi a noi truci e feriali quando spezziamo gi gli scettri e i pastorali!... .......... Gli afferra il braccio, strappandole vellutate tende, e in basso gli mostra nel cortile grande la folla che brulica, brulica e s'espande, terrificante col fragore dell'ondate, come cagna e come mare urlante, coi duri bastoni e le picche di ferro, coi tamburi, con i suoi strepiti da fiera avvinazzati, neri stracci da berretti rossi insanguinati: dalla finestra aperta l'Uomo mostra tutto al re che, pallido e sudato, gi distrutto barcolla a tale vista! Sire, la canaglia che sbava contro i muri, che cresce, che raglia: - Poich non mangiano, Sire, son mendicanti! Io sono un fabbro: mia moglie con quei tanti, pazza! Alle Tuileries crede di trovare il pane! - La scacciano dai panettieri come un cane. Ho tre bambini. Io sono una canaglia, un losco. - Vecchie piangono nella cuffia, le conosco, perch gli hanno rubato il ragazzo o la figlia: pure canaglie. - Un uomo stava alla Bastiglia, un altro era forzato: entrambi cittadini liberati, onesti, son l come suini: li insultano! Cos, qualcosa hanno nei petti che fa male, su! terribile, proprio il caso che a sentirsi spezzati, a sentirsi reietti, ora qui vi stiano urlando sotto il naso! Canaglia. - L ci son ragazze disoneste perch, - sapete, le donne han fragili tempre, Signori cortigiani, - esse ci stanno sempre, -

gli avete sputato sull'anima! Ecco, queste sono le belle vostre, adesso. Ecco la feccia. .......... Oh! Gli Sventurati con la schiena che sbreccia il sole feroce, tutti quelli che vanno, la fronte che scoppia in un lavoro d'affanno... Gi il cappello, miei borghesi! Oh! l'Uomo questo! Siamo Operai, Sire! Operai! Abbiamo il gesto dei tempi nuovi e grandi in cui si vuol sapere, e l'Uomo forger dai mattini alle sere, di grandi effetti e grandi cause cacciatore dominer le cose, lento vincitore, su tutto montando come sopra un destriero! Oh! splendidi bagliori di fucine! Invero, pi forza! - E' atroce forse ci che non sappiamo: ma sapremo! - Martello in mano, noi vagliamo tutto ci che sappiamo: e poi, Fratelli, avanti! Facciamo a volte grandi sogni emozionanti di vita semplice, senza mai dire il male, lavorando in ardore al sorriso sacrale di una donna con nobile amore riamata: lavoreremmo fieri tutta la giornata, ascoltando il dovere qual tromba che suona: ci sentiremmo allora felici; e persona alcuna mai riuscirebbe a farei piegare! Ci sarebbe un fucile sopra il focolare... .......... Oh! ma l'aria tutta ha un odore di battaglia. Che ti dicevo, dunque? Sono una canaglia! Restano ancora spie ed accaparratori. Siamo liberi, noi! Suscitiamo terrori che ci fanno pi grandi, oh! cos grandi! Or ora parlavo di quieto dovere, di dimora... Guarda il cielo! - Per noi stretto come un occhio, crepando dal caldo noi vivremmo in ginocchio! Guarda dunque il cielo! - lo ritorno nella massa, nella grande feccia truce, Sire, che passa coi vecchi tuoi cannoni sugli acciottolati sporchi: - Oh! noi da morti, li avremo rilavati! - Se contro le vendette e i nostri gridi urlati, in Francia, le zampe dei vecchi re dorati spingon le loro truppe in veste di gal, ebbene, voi tutti? Merda a quei cani l! .......... - Rimise il martello in spalla. La folla accanto a quell'uomo ebbra l'anima sentiva. Intanto in quegli appartamenti e nella grande corte ove Parigi ansava tra le grida, forte un fremito percorse l'immensa plebe. Nera e larga la mano del Fabbro, e di unto fiera, allora, bench sudasse il re obeso e scosso, tremenda, in faccia gli gett il berretto rosso!

Sole e carne.

1. Il Sole, fuoco di tenerezza e di vita, ardente amore versa alla terra rapita; tu senti, disteso sopra la vallata, la terra nubile e di sangue straripata; il suo seno, alzato da un'anima, colonna d'amore come Dio, carne come donna, e racchiude, pregno di linfe e radiazioni, il brulicare immenso di tutti gli embrioni! E tutto cresce e sale! - O Venere, o Bellezza! io piango il tempo dell'antica giovinezza, dei fauni bestiali, dei satiri lascivi, Dei che addentavano in amore i rami, e ai rivi baciavano la Ninfa dentro il loto biondo! lo piango il tempo in cui la linfa del mondo, sangue rosa d'alberi verdi e fiumi tersi nelle vene di Pan mettevano universi! quando il verde, ai suoi piedi caprini, pulsava; e l'alba siringa baciando, modulava molle il suo labbro al cielo il grand'inno d'amor quando, in piedi sulla pianura, intorno udiva rispondere al richiamo la Natura viva; e alberi muti cullando uccelli canori, la terra l'uomo, e l'Oceano azzurro, in Dio si amavano con tutti gli animali! lo piango il tempo della gran Cibele, che bella, si dice, e gigantesca percorreva in sella o su bronzeo carro le splendide citt; dal doppio seno versava all'immensit il flusso puro della vita senza fine. L'Uomo succhiava, lieto, le poppe divine, come fanciullo in gioco sul suo grembo caldo. - E casto e dolce era l'Uomo, perch era saldo. Che miseria! Ora dice: so tutte le cose e va, con gli occhi chiusi e le orecchie terrose. - Eppure, via gli di! via! L'Uomo Re, Dio! Ma l'Amore la gran Fede! Ahim, se l'uomo tirasse dalla tua poppa ancora, gran madre d'uomini e di di, Cibele; e ora non lasciasse l'immortale Astarte che gi, emergendo da immense azzurre chiarit di flutti, fiore carnale che onda profuma, mostr il rosa ombelico ove nevica schiuma e fece, Dea dai neri occhi vincitori, cantare ai boschi l'usignolo e amore ai cuori! 2. Io credo in te! io credo in te, Madre Divina - Amaro il cammino da quando l'altro Dio ci aggioga alla sua croce. Oh, Afrodite marina! Carne, Marmo, Fiore, in te, Venere, io credo! - S, triste e laido l'Uomo, sotto il vasto cielo. Egli si veste perch non pi casto, e il suo busto di dio fiero ha insudiciato, perch ha intristto come un idolo infuocato il suo Olimpico corpo nei servaggi squallidi! Anche dopo morto, negli scheletri pallidi vuol vivere insultando la prisca belt - L'Idolo colmo di tanta verginit,

la Donna, in cui esaltasti la nostra argilla, perch fosse l'anima dell'Uomo una scintilla e lenta, in amore immenso, salisse intorno dal carcere terreno alla belt del giorno, la Donna non sa pi essere Cortigiana! - E il volgo ghigna (questa una facezia sana!) al nome dolce e sacro della grande Venere! 3. Se tornassero i tempi, i tempi andati in cenere! - L'Uomo finito! Tutti i ruoli ha recitato! Stanco d'infrangere idoli, rinascer nel grande giorno, da ogni Dio liberato, e appartenendo al cielo, i cieli scruter! l'indomito pensiero eterno, l'Ideale, tutto; il dio vivo salir nella carnale sua argilla, salir, bruciando la sua fronte! E quando lo vedrai sondare l'orizzonte, senza timori, d'antichi gioghi sprezzante, a lui tu impartirai le Redenzion sante! - Dai grandi mari sorgerai nello splendore radioso, scagliando sull'Universo fondo in un riso infinito l'infinito Amore! E vibrer come un'immensa lira il Mondo nel fremito di un bacio immenso! - E' assetato d'amore il Mondo; ma da te sar placato. .......... [L'Uomo ha rialzato la testa libera e fiera! E subito il raggio della belt primiera fa palpitare il dio nell'ara carnale! Lieto del presente bene, esangue dal male sofferto, egli vuol tutto sapere! Il Pensiero, cavallo a lungo, troppo a lungo prigioniero, balza dal suo viso! Sapr il Perch non vede!... Che libero si slanci e l'Uomo avr la Fede! - Perch il muto azzurro e lo spazio inesplorabile? gli astri d'oro come una sabbia incalcolabile? Salendo sempre, tu lass cosa vedrai? Un Pastore guida il gregge dei mondi mai finiti, all'orrore dello Spazio fluenti? E questi, che il grande tere abbraccia, agli accenti forse vibrano di una voce eterna? - Vedo, pu dire l'Uomo? forse egli pu dire: credo? La voce del pensiero pi che un sogno lieve? Se nasce cos presto, e la vita s breve, da dove viene? Nell'Oceano profondo di Germi affonda, di Feti, d'Embrioni, in fondo al crogiuolo immenso donde Madre Natura lo risusciter, vivente creatura, per amar nella rosa e crescer nelle messi?... Non possiamo sapere! - Siamo tutti oppressi da cappe ignoranti e chimeriche caverne! Scimmie umane cadute da vulve materne, la scialba ragione ci cela l'infinito! Noi vogliamo guardare: - il Dubbio ci ha punito! Il dubbio, tetro uccello, ci batte con l'ali... - E l'orizzonte dilegua in fughe eternali!... ..........

Il gran cielo si aperto! i misteri son morti per l'Uomo che, in piedi, incrocia le braccia forti nell'immenso splendore della ricca natura! Egli canta... e canta il bosco, e il fiume misura un canto gaudioso che risale le aurore!... - E' la Redenzione! l'amore! l'amore!...] 4. O splendor della carne! O splendore ideale! Primavera d'amore, o aurora trionfale, dove, gli Dei sottomettendo e gli Eroi, la bianca Callpigia e il fanciullino Eros sfioreranno, dalle nivee rose coperti, donne e fiori sotto i bei piedi loro aperti! O grande Arianna, che getti alla riva tutti i singhiozzi, vedendo fuggire sui flutti, la vela di Teseo, al sole biancheggiante, O, infranta da una notte, dolce vergine infante, taci! Sul carro d'oro di uve more adorno, Lisio, portato per i campi Frigi intorno dalle tigri lascive e le fulve pantere, sui fiumi azzurri arrossa le erbe nere. Zeus, Toro, sulla groppa il corpo nudo culla d'Europa che il braccio bianco getta, fanciulla, al collo agile del Dio in onde fremente... A lei un occhio vago volge lentamente; sulla fronte di Giove la sua guancia in fiore pallida trascina; ha chiusi gli occhi; muore in un bacio divino, e al flutto che stormisce per la spuma d'oro la sua chioma fiorisce. - Fra il loto chiacchierino ed il lauro rosa scivola amante il grande Cigno sognatore e abbraccia Leda con il suo alato candore; - mentre Cipride passa, bella e misteriosa, e, arcuando le splendide tondit dei reni, fiera esibisce l'oro dei suoi larghi seni e il niveo ventre ornato d'ombra muscosa, - domatore, Ercole, come in forza gloriosa, cinge di pelle leonina il vasto corpo, e, fronte terribile e dolce, s'avanza all'orizzonte! Dalla luna d'estate, vaga, rischiarata, nuda, in piedi, assorta nella bianchezza aurata che macchia delle chiome blu l'onda pesante, nella cupa radura di musco stellante, la Driade sogguarda il silenzioso cielo... - Selene candida lascia fluttuare il velo, timorosa, ai piedi del bell'Endimione, e gli getta un bacio dentro un pallido alone ... - la Sorgente piange in un'estasi estenuata ... la Ninfa che sogna, il gomito sul vaso, al giovane bianco che la sua onda ha invaso. - Nella notte una brezza d'amore passata, e nel grande orrore d'alberi, ai sacri boschi, maestosamente diritti, i Marmi foschi, gli Dei, sulla cui fronte il Fringuello si annidato, - gli Dei odono l'Uomo e il Mondo sterminato! Maggio [18]70.

Ofelia. 1. Dove le stelle dormono sull'acqua spenta e nera, Ofelia bianca ondeggia come un grande giglio, nei lunghi veli stesa, ondeggia lenta... - Si sente lontano la foresta che spande gli hallal. Da mille anni passa la dolente Ofelia, bianco spettro, nell'ombra fluviale. Da mille anni la sua follia dolcemente mormora una romanza alla brezza serale. Le bacia il seno il vento, in corolle sciogliendo la grande veste dall'onda molle cullata; le piangon sulla spalla i salici fremendo, e il giunco flette all'ampia fronte trasognata. Le ninfee sfiorate le sospirano intorno; talora ella desta, nel sonno di un ontano, un nido da cui scappa un fremito di storno; - Dagli astri dorati discende un canto arcano. 2. O pallida Ofelia! bella come le nevi! Fanciulla tu sei morta, da un fiume rapita! - I venti di Norvegia gi dai monti grevi ti sussurravano la libert inasprita; Torcendo, un soffio, la tua gran capigliatura, recava al tuo spirito in sogno rombi strani; e il tuo cuore ascoltava il canto di Natura nei sospiri notturni e i gemiti silvani; l'urlo dei mari folli, rantolo grandioso, spezzava, troppo dolce e umano, il tuo infantile petto; e un bel cavaliere, un mattino d'aprile, povero pazzo, sed ai tuoi piedi silenzioso! Cielo! Amore! Libert! Che sogno, o demente! Come neve al fuoco scioglievi a lui la mente: Grandi visioni ti strozzavan la parola - Smarr il terribile infinito il tuo occhio viola! 3. - E il Poeta dice che tu vieni a cercare fiori che cogliesti nella notte stellata, e vide sull'onda, la bianca Ofelia andare, come un gran giglio, in lunghi veli coricata.

Ballo degli impiccati. Nere forche, bei moncherini, ballano su voi i paladini, del diavolo i magri paladini, gli scheletri dei Saladini. Tira messere Belzeb per la cravatta fantocci neri dalle smorfie celestiali, e, prendendoli in faccia a colpi di ciabatta, li fa ballare al vecchio suono dei Natali!

E, urtati, intrecciano i fantocci le sottili braccia: come organi neri, i petti a trafori che stringevano un tempo donzelle gentili, lungamente si cozzano in odiosi amori. Urr! ai lieti ballerini senza panza. Potete capriolare, il palco assai spazioso! Hop! non si sappia s' battaglia oppure danza! I suoi violini gratta Belzeb rabbioso! O duri talloni, non usate mai sandali! Han tolto quasi tutti la camicia di pelle; il resto non turba e si nota senza scandali. Sui teschi la neve posa bianche cappelle: il corvo fa da pennacchio sul cranio feso, e un brano di carne al mento magro appeso: diresti prodi vorticanti in mischie oscure, rigidi, cozzanti cartoni d'armature. Urr! il vento soffia alla scheletrica festa! La nera forca ansa come organo ferrigno! Fan eco i lupi dalla violacea foresta: all'orizzonte, il cielo d'un rosso maligno... Ol, scrollatemi quei funebri spacconi che con le dita rotte sgranano, sornioni, rosari d'amori sulle vertebre smunte: non un monastero, questo, o anime defunte! Oh! ecco balzato in mezzo al macabro ballo nel cielo rosso un grande scheletro demente spinto da slancio, s'impenna come un cavallo: e, poich al collo la corda stretta si sente, raggrinza i suoi ditini al femore che scosso scricchia con grida simili a sghignazzamenti e, come acrobata nei suoi baraccamenti, rimbalza dentro il ballo al canto di quell'osso. Nere forche, bei moncherni, ballano su voi i paladini, del diavolo i magri paladin, gli scheletri dei Saladini.

Il castigo di Tartufo. In casta e nera veste, attizzando beato un amoroso cuore, la mano guantata, un giorno, paurosamente sdolcinato, giallo, sbavando fede da bocca sdentata, un giorno ch'egli andava, Oremus, - un Cattivo l'afferra per l'orecchio santo, sbrigativo, e parole infami lanciandogli, gli svelle la casta e nera veste dall'umida pelle! I suoi abiti, - o castigo!... - eran sbottonati, e il lungo rosario di rimessi peccati sgranandosi in cuore, San Tartufo sbiancava!...

Si confess, dunque, e rantolando pregava! L'uomo gli prese solo il baverino... - Credi, puah! Tartufo era nudo dalla testa ai piedi!

Venere anadiomene. Come da un verde feretro di latta, un busto di donna dalla chioma bruna impomatata, pigra e balorda, emerge da un catino frusto, deficitaria e malamente rammendata; le larghe scapole sporgenti, il grasso collo grigio, le corte spalle gibbute o contratte; sembra che i tondi fianchi prendano il decollo, e sulla pelle il lardo appare in foglie piatte. La schiena un po' arrossata, ed ha un sapore il tutto orripilante e strano. Noto soprattutto particolari da vedere con la lente. Ha inciso sulla groppa: Venere Avvenente. - Quel corpo si dimena e allarga il deretano, bello e schifoso per un'ulcera nell'ano.

Le battute di Nina. .......... LUI. - Eh? col tuo petto contro il mio, andremo in viaggio, con l'aria nel naso, tu e io, al fresco raggio del mattino blu, che a te spilla vini d'albore?... Quando il bosco in brividi stilla muto d'amore da ogni ramo, gocce virenti, gemme nevose, in fremiti di carni senti le aperte cose: sprofonderai dentro i trifogli lini leggeri, rosando all'aria il blu che sciogli dagli occhi neri; amorosa della campagna, hai seminate come una schiuma di sciampagna, folli risate: ridente della mia aspra ebbrezza, ti prender cos, per la tua bella trezza,

oh! - ti berr gusto di fragola e lampone, carne fiorente!. al vivo bacio del ladrone vento, ridente, e al roseto che ti molesta roseo e grazioso: ma soprattutto, o folle testa, i al tuo amoroso.... .......... Diciassett'anni! Sarai beata! Grandi prati, ah! Grande campagna innamorata! - Fatti pi in qua.... Col tuo petto sul mio resta; voce con voce, lenti, arriveremo alla foce, poi la foresta!.... Poi, come i fanciullini morti, il cuore fuso, tu mi chiederai che io ti porti, l'occhio socchiuso... Io ti porter, palpitante, su stradicciole: l'uccello fischier il suo andante: "Alle Nocciole..." Io parler nella tua bocca; andr su te, come su bimba che s'acciocca, ebbro di sangue che scorre blu, alla tua pelle bianca come i rosa: tieni!... - ti dir in lingua franca che gi tu sai... Sapran di linfa le foreste, d'oro smeriglio il sole sabbier l'agreste sogno vermiglio. .......... La sera?... andremo per cammini bianchi e quieti, come pascolanti bovini vanno ai frutteti dall'erba azzurra tutt'intorno, e ai torti pomi! Come senti a un miglio il ritorno dei forti aromi! Noi raggiungeremo il villaggio a ciel che annera;

l'aria odorer di formaggio dentro la sera, odorer di stalla piena di fimi caldi, di una lenta ritmica lena, di dorsi saldi biancastri sotto una lumiera; e, in fondo l, a ogni passo, una vacca fiera evacuer... - Ecco la nonna con l'occhiale, il naso allungato nel suo messale; il boccale di birra cerchiato, schiumante tra i larghi piponi che, da spavaldi, fumano: i paurosi labbroni che, ancora caldi, prosciutti azzannan con forchette nei gorgozzli: il fuoco che rischiara cuccette ed i bauli; la natica lucida e pingue di un grosso bambino che, in ginocchio, alla tazza intinge il bianco faccino sfiorato da un muso che aggronda in tono grazioso e lecca la faccia rotonda del caro moccioso... Nera, arcigna sullo sgabello, fosco profilo, una vecchia che al focherello dipana il filo; quante cose vedremo, cara, in quei tuguri,che illumina la fiamma chiara dai vetri scuri!... - Poi, piccola e tutta annidata dentro i lill freschi e neri: finestra celata che ride l... Tu verrai, t'amo, tu verrai! E' bello, sai. Tu verrai, vero? al punto di... LEI - "E il mio ufficio, qui?" [15 agosto 1870].

Alla Musica.

Piazza della Stazione, a Charleville. Sulla piazza tagliata in aiuole meschine, dove tutto corretto, e gli alberi e i fiori, i bolsi borghesi strozzati da calori, portano, di sera, le gelosie cretine. - La banda militare, in mezzo a quel giardino, nel "Valzer dei pifferi" dondola i chepp: - in prima fila, fa il pavone il damerino; il notaio appeso ai distintivi suoi. E qui gli agiati ad occhialino notano ogni stecca: i tronfi impieghi scortano le loro obese dame, seguite da quelle i cui falpal - gli ufficiosi cornc - san di pubblicit; su verdi panche, club di droghieri in pensione stuzzican la ghiaia col pomo del bastone, serissimi discutono i contratti, e: Senti, dunque!... attaccano, tabaccando dagli argenti. Sulla panca, un borghese abbottonato stende i fianchi tondi e il fiammingo ventre, gustando la sua onnang da cui il tabacco a fili pende - non sapete? questa roba di contrabbando; ghignano lungo i verdi prati le canaglie; e, innamorati dal canto dei tromboni, ingenui, fumando le rose, i marmittoni carezzano i pupi per sedurre le balie... - Io seguo, scamiciato come gli studenti, sotto i verdi castani sveglie ragazzine: lo sanno eccome, e voltano su me ridenti i loro occhi pieni d'indiscrete cosine. Io taccio: guardo fisso i loro ricci folli ricamati sulla carne dei bianchi colli: seguo, sotto il busto e gli ornamenti a farfalle schiene divine ove s'incurvano le spalle. Ben presto scopro lo stivale, la calzina... - Ricostruisco i corpi, arso da bei bracieri. Mi trovano buffo e si parlano in sordina ... - E di baci al labbro mi vengon desideri...

Gli sbigottiti. Neri nella neve e le brume, del grande sfiatatoio al lume, i culmi in tondo, cinque bimbi, in ginocchio, - ah! guardano il fornaio che fa il pane biondo e greve. Il braccio bianco e rude la grigia pasta gira e chiude nel buco chiaro.

Sentono il buon pane che cuoce. Con pingue riso, sottovoce Canta il fornaio. Stanno stretti, non una mossa, al soffio della cappa rossa, quel seno amato. Se gialle - e mezzanotte batte le miche crepitanti e fatte, vengono sfornate, e sotto travi affumicate cantano croste profumate, grilli - focacce, e da quel caldo antro la vita soffia, hanno l'anima rapita in vesti stracce, rinascono come a mattina, quei poverini pieno di brina! - Son tutti l. premendo coi musetti rosa la grata, grugnendo qualcosa tra i buchi, qui zitti, zitti, - come un pregare... chini verso la luminare notte dischiusa, - tanto che spaccano il calzone - e nell'invernale aquilone trema la blusa. 20 sett[embre 18]70.

Romanzo. 1. A diciassette anni non si contegnosi. - Una sera, al diavolo birre e limonata, e luci splendenti di caff rumorosi! - Vai sotto i verdi tigli della passeggiata. Nelle sere di giugno san di buono i tigli! Talvolta l'aria s dolce, che chiudi i cigl; il vento pieno di suoni, - il borgo vicino -, ha profumi di birra e profumi di vino... 2. - Ecco si scorge, incorniciato dalle fronde, un brandello minuscolo d'azzurro grave, punto da una cattiva stella che si fonde, piccola e bianca, con un fremito soave... Notte di giugno! Diciassette anni! - Esaltare ti lasci. La linfa uno champagne che alla testa sale... Divaghi; senti al labbro palpitare un bacio, come fosse una piccola bestia...

3. Robnson da romanzi, ti folleggia il cuore, - quando nel chiarore di un pallido riverbero, passa una signorina, un'arietta da fiore, all'ombra del colletto di suo padre, il cerbero... E poich lei ti trova ingenuamente puro, trotterellando con le sue stivaline, si volta, attenta, con gesto vivo e sicuro... - Sul tuo labbro muoiono allor le cavatine... Sei innamorato, Fino ad agosto affittato. Sei innamorato. - I tuoi sonetti La fan ridere. Hai cattivo gusto, e gli amici t'han lasciato. - L'adorata, una sera, si degn di scrivere!. - Ma quella sera... - tu rientri nei luminosi caff, e ordini ancora birre e limonata... - A diciassette anni non si contegnosi, e con i verdi tigli sulla passeggiata. 29 sett[embre 18]70.

... Francesi del '70, bonapartisti repubblicani, ricordatevi dei vostri padri nel '92, ecc.; ............ ............. PAUL DE CASSAGNAC, "Il Paese". Morti del Novantadue e del Novantatre, che, bianchi al forte bacio della libert, tranquilli, spezzaste col piede il giogo che preme la fronte e l'anima all'umanit; nella tempesta grandi uomini estasiati, col cuore, sotto i cenci, d'amore balzante, o Soldati che la Morte, nobile Amante, per risorgerli, in vecchi solchi ha seminati; il cui sangue lav infangate grandezze, qui voi morti di Fleurs, d'Italia e di Valmy, milioni di Cristi, occhi scuri e dolci; noi, sotto i re come sotto una frusta piegati, con la Repubblica vi lasciamo addormentati. - E ora i Cassagnac ci riparlano di voi!

Scritto a Mazas, 3 settembre 1870.

Il male. Mentre ogni giorno i rossi sputi di mitraglia fischiano nell'infinito azzurro, e l accanto al Re che irride, scarlatti o verdi, in battaglia i reggimenti al fuoco cadono di schianto; mentre ne stritola un'orrenda paranoia centomila ammucchiandoli in fumanti resti

- Poveri morti, nell'erba estiva e la gioia tua, o Natura, che in santit li facesti! - Vi un Dio che ride alle tovaglie damascate degli altari, all'incenso, all'oro dell'enorme calice e cullato dagli osanna s'addorme e si ridesta quando le madri, angosciate, lacrimanti sotto il vecchio nero berretto, gli danno un soldone legato al fazzoletto!

Le rabbie di Cesare. L'uomo pallido lungo le aiuole fiorite cammina, in veste nera, il sigaro tra i denti: l'uomo pallido ripensa alle Tuileries fiorite - e il suo occhio buio talvolta ha sguardi ardenti... Briaco di vent'anni d'orge l'Imperatore! S'era detto: Sulla libert ho soffiato, quale candela, con delicato pudore! Libert rivive! Lui si sente slombato! E' preso. - Oh! che nome trasale al labbro muto? Lo rimorde quale implacabile sconforto? Non si sapr. L'Imperatore ha l'occhio morto. Egli forse ripensa al Compare occhialuto... - Guarda dal sigaro acceso, come a Saint-Cloud nelle sere, sfilarsi una nuvola blu.

Sognato per l'inverno. Andremo, d'inverno, in un vagoncino rosa con tanti cuscini blu. Sar dolce. Un nido di baci folli posa nei cantucci molli. Tu chiuderai gli occhi, per non vedere dai vetri smorfiare l'ombre delle sere, la plebaglia di dmoni e di lupi tetri, mostruosit arcigne e nere. Poi la tua guancia graffiare si sentir... un bacetto, un ragno matto, ti correr sul collo... Intanto tu mi dirai: Cerca!, chinando a me la testa - prenderemo tempo a scovare quella bestia - che viaggia cos tanto... In treno, 7 ottobre [18]70.

Il dormiente della valle. E' una gola verdeggiante ove canta un fiume. aggrappando nelle sue erbe vorticoso

stracci d'argento; ove infierisce al monte il lume del sole: un fossato di raggi schiumoso. Bocca aperta testa nuda un giovane soldato nel crescione fresco e azzurro la nuca immersa dorme; sotto le nubi, disteso nel prato bianco nel verde letto ove la luce versa. Coi piedi negli irs, dorme. Come un bambino malato che sorride, schiaccia un sonnellino. Ha freddo: cullalo, o Natura, caldamente. Non ai profumi la sua narice fremente; la mano sul petto calmo, si addormentato nel sole. A destra, ha due buchi rossi a lato. Ottobre 1870.

Alla Bettola Verde. le cinque di sera. Da otto giorni strappavo ormai gli stivalini per strade sassose. A Charleroi sono entrato - Alla Bettola Verde, ho chiesto dei crostini di burro e prosciutto semifreddo. Beato, distesi le gambe sotto la verde tavola, mirando sulla tappezzeria scenette ingenue. - Fu questa un'adorabile favola, quando la serva, dagli occhi vivi e le tette enormi, - quella, un bacio non l'ha spaventata! ridente, mi port la tartina imburrata, prosciutto tiepido, in un piatto colorato rosa e bianco che uno spicchio d'aglio profuma, - e mi riemp il boccale, immenso, con la spuma che indorava un raggio di sole ritardato. Ottobre [18]70.

La maliziosa. Nella sala da pranzo, bruna, profumata di frutta e di vernice, come chi non pensa, raccolsi un piatto di non so quale portata belga, e sprofondai nella mia sedia immensa. Mangiando, udivo il pendolo, - calmo e giulivo. La cucina s'apr in mezzo a una sbuffata. - Entr la serva, e chiss per quale motivo, lo scialle sfatto, con malizia pettinata, ecco il ditino tremante pose e ripose sulla sua guancia, velluto di pesche-rose bianche, e con smorfie del suo labbro bambino, per mio agio, i piatti mi riordin vicino; - poi, - ma certo per prendersi un bacio, - cos

mi soffi: Ho "una" freddo alla guancia, senti qui... Charleroi, ottobre [18]70.

La strepitosa vittoria di Saarbrcken. riportata al grido di Viva l'Imperatore! Stampa belga a vivaci colori, in vendita a Charleroi, 35 centesimi. Nel mezzo, in un'apoteosi gialla e blu, sul suo cavallo fiammeggiante, duro va l'Imperatore; beato, - vede in rosa! - pi feroce di un Giove e pi mite di un pap; i Soldatini ch'erano in siesta, pi gi, presso ai tamburi dorati e ai rossi cannoni, s'alzano bravi. Infila la giubba Pitou, e, volto al Capo, si stordisce di gran nomi! S'appoggia al calcio del fucile, Dumanet, a destra, e freme la sua nuca a spazzola, e: Viva l'Imperatore!! - Il vicino riposa... Un shak spunta come un sole nero... - Mentre al centro, Boquillon rosso e blu, sciocco, sul ventre si drizza, e - presentando il sedere -: Di che cosa...? Ottobre [18]70.

La credenza. E' un ampio armadio scolpito; l'antica scura quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente; l'armadio aperto, e scioglie dentro l'ombratura come onda di vin vecchio, un profumo attraente. E' di di di un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato panni odorosi e gialli, di straccetti donne e fanciulli, d'appassiti merletti, scialli di nonna col grifo pitturato;

- Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde, i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori secchi il cui profumo insieme si confonde. - Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte! vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori se lente s'aprono le grandi nere porte. Ottobre [18]70.

La mia bohme. (Fantasia). I pugni nelle tasche rotte me ne andavo con il mio pastrano diventato ideale; sotto il cielo andavo, o Musa, a te solidale;

oh! l l! quanti splendidi amori sognavo! La sola braca aveva un largo buco. - In corsa sgranavo rime, Puccetto sognante. E l'Orsa Maggiore era la mia locanda. - Lass le stelle in cielo avevano un dolce fru fru; le ascoltavo, seduto ai lati delle strade, nelle sere del buon settembre ove rugiade mi gocciavano in fronte un vino di vigore; e, rimando in mezzo al tenebrori fantastici, come fossero lire, tiravo gli elastici delle mie scarpe ferite, un piede sul cuore!

Testa di fauno. Nel fogliame, scrigno verde dall'orme dorate, vago fogliame fiorito di fiori splendidi ove il bacio dorme, vivo e rompendo il ricamo squisito, un fauno morsica i rossi fiorami con bianchi denti, occhieggiando smarrito. Antico vino sanguigno e brunito, scoppia a ridere il suo labbro tra i rami. - Quale scoiattolo - appena fuggito, trema ancora il suo riso per le foglie; vedi, a un fringuello marino, spaurito, che il Bacio aureo del Bosco si raccoglie. 1871.

I seduti. Neri di natte e verdi cerchi agli occhi, butterati, rattrappite ai femori le dita bulbose, gli occipiti di asprezze vaghe laminati come in vecchi muri fioriture lebbrose hanno incastrato coi loro amori epilettici l'irreale ossatura alle carcasse nere delle sedie; i loro piedi ai ferri rachitici s'attorcigliano nei mattini e nelle sere! Questi vecchi fan sempre treccia con le panche, la pelle come percalle nei soli ardenti, l'occhio ai vetri ove fondono le nevi stanche tremando come i rospi tremano dolenti Le Sedie con loro sono buone: annerita di brache, la paglia cede ai reni, sui lati; l'anima dei vecchi soli s'accende ordita in trecce di spighe dei grani fermentati Ginocchia ai denti, i Seduti, verdi pianisti le dita sui seggi in tambureschi rumori si sciaguattano addosso barcarole tristi,

e vanno quei zucconi in un rullo d'amori. - Oh! E il naufragio... se per te qualcuno si drizza! Come gatti battuti si ergono ringhianti, aprendo lentamente le scapole, o stizza! Gli sboffano i calzoni ai fianchi ridondanti. Li senti urtare ai muri scuri le pelate teste, pestando i loro piedi storti; poi i bottoni degli abiti come arrossate pupille vi fissano in fondo ai corridoi! Posseggono una mano che uccide invisibile: lo sguardo, a rimbalzo, filtra il nero veleno che alla cagna frustata offusca l'occhio pieno, e tu sudi, preso in un imbuto terribile. Coi pugni riseduti, e, grappi dall'alba annegati nei sudici polsini, pensano a chi li ha fatti alzare di creste sotto i menti meschini, fino a sera, treman da scoppiare.

Quando il sonno austero gli abbassa le visiere, essi sognano in braccio sedie ingravidate, degli amorini di seggiole in fasce vere da cui le fiere scrivanie saranno ornate. Sputando fior d'inchiostro pollini a volute li cullano, addosso ai calici, come voli di libellule lungo il filo dei giaggiuoli - e il membro gli s'irrita fra spighe barbute.

I doganieri. Quelli che dicon: Cristo, o dicon: Bagascia, mar, soldati, cocci d'Impero, pensionati, nullit di fronte alle Guardie dei Trattati che tagliano frontiere azzurre a colpi d'ascia. Pipa in bocca, lama in pugno, in calma profonda, quando l'ombra come un muso di vacca ai boschi sbava, cani al guinzaglio, se ne vanno in ronda notturna a esercitare i loro gaudi foschi! Denunciano ninfe alle moderne autorit. Agguantano i Fradiavoli ed i Fausti: Questo no, voi anziani! Gi i malloppi! Fate presto. Se ai giovani si accosta sua Serenit, il Doganiere controlla i suoi adescamenti. Se li sfiora con mano, inferno ai delinquenti!

Preghiera della sera. Io, come un angelo seduto dal barbiere, ivo stringendo uno scanalato bicchiere, collo e ipogastrio curvi, una Gambier tra i denti, sotto i cieli gonfi di vele trasparenti.

In me mille sogni, come caldi escrementi di vecchia colombaa, fan dolci bruciature; e il mio tenero cuore un alburno, a momenti, che il giovane oro insanguina di linfe oscure. E, quando con cura ho ringoiato ogni sogno, mi volto, bevuti pi di trenta bicchieri, e mi raccolgo a mollare l'acre bisogno: dolce come il Dio del cedro e degli sspi, io piscio altissimo e lontano contro i neri cieli - approvato dai grandi eliotropi.

Canto di guerra parigino. Primavera ovvia, se dai cuori delle verdi Propriet il volo di Thiers e di Picard al suolo s'apre in spalancati splendori! O Maggio! Culi-nud deliranti! Svres, Meudon, Bagneux, Asnires, udite i benvenuti e quanti spargono cose in primavere! Han caschi, sciabole e tam-tam, non scatole a candela e spago, e yole che non han giam... giam... rosse acque solcano sul lago! Noi ci diamo a crapule e balle quando ci sentiamo crollare sulle tane le zucche gialle in un'aurora singolare! Thers e Pcard sono Amorini, rapitori d'eliotropi; fanno i Corot al petrolio: e i tropi loro sono come maggiolini... Del Gran Trucco son familiari!... Favre, sdraiato nei giaggioli, mostra gli acquedotti cigliari, ed i suoi sbuffi pepaioli! La Citt ha il selciato rovente malgrado docce di petroli, dobbiamo noi decisamente scuotervi nei vostri ruoli... E i Rurali, come prelati nei loro lunghi accosciamenti, udranno dei rami spezzati in mezzo ai rossi sfregamenti.

Le mie piccole amorose. Un lacrimale idrolto lava

i cieli blu verza: sotto l'arbusto che sbava... i vostri caucc bianche per le lune del sedere a pagnottone, urtate insieme le ginocchiere, o mie racchione ! Noi due in passato ci amavamo racchiona viola! Solo uova alla coque mangiavamo e scagliuola! Poeta mi hai voluto sacrare bionda racchiona: abbassati ti voglio frustare in grembo e prona; la tua brillantina ho vomitato racchia corvino; con la fronte mi avresti tagliato il mandolino. Puh! le mie salive asciutte, rossa Racchiona, in fondo ancora t'infettano la fossa del seno tondo! O quanto, mie piccole amorose, vi odio! Mollate ai brutti tettoni dolorose sberle. Pestate dunque le mie vecchie terrine di sentimento; hop! siate le mie ballerine per un momento!... Si dislogano i vostri omoplti, o mie amate! Una stella sui reni azzoppati, giravoltate! E per questa carne di castrato che ho rimato! Il fianco vorrei avervi scassato poich vi ho amato! Mucchio sciocco di stelle mancate, sparite pure! - Voi creperete in Dio, imbastate d'infami cure! Sotto quelle lune del sedere a pagnottone, urtate insieme le ginocchiere, o mie racchione!

Gli accosciamenti.

Molto tardi, allorch si sente stomacato, il frate Milotus, sbirciando l'abbaino da dove il sole, chiaro paiuolo lustrato, gli freccia emicranie e gli fa l'occhio cretino, sposta nel letto la sua pancia da curato. Nella coperta grigia sembra si dimeni e scende, stravolto, i ginocchi al ventre stanco, come un vecchio che con la presa si avveleni; bisogna che, impugnando il suo pitale bianco, si rimbocchi larga la camicia sui reni! Le dita dei piedi contratte, freddoloso, s'accoscia, tremando al chiaro sole che placca sopra i vetri di carta un giallino burroso; e il naso del bonuomo che brilla di lacca ai raggi sbuffa, come un polipo carnoso. Si rosola al fuoco, braccia storte, labbroni sulla pancia; le cosce slittano nel fuoco, la pipa si spegne, si strinano i calzoni; come un uccello qualcosa gli muove un poco nel ventre pieno come un sacco di tripponi! Dorme, intorno, un caos di mobili abbrutiti sopra luride pance e in stracci di fetori; sgabelli, strani rospi, stanno rattrappiti nel buio: le credenze han grugni da cantori, schiuse da un sonno pieno d'orridi appetiti. Rimpinza lo stanzino un'afa nauseante; il cervello del bonuomo gonfio di stracci sente spuntare i peli nella trasudante pelle, e a volte n'esce con singhiozzi pagliacci e grevi, scotendo lo sgabello zoppicante... .................... La sera, ai raggi della luna, che sul tondo del culo gli fanno una bava luminosa, s'accoscia un'ombra dettagliata, sullo sfondo di una neve rosata, come malvarosa ... Strano, un naso insegue Venere al cielo fondo!

I poeti di sette anni. "A M. P. Demeny". E la Madre, chiudendo il libro del dovere, andava contenta e fiera, senza vedere, negli occhi blu e le frontali distinzioni, l'anima del figlio in preda a repulsioni. Di giorno sudava obbedienza; tuttavia, pure intelligente, tic neri, e qualche tratto rivelavano in lui un'aspra ipocrisia. Negli nditi oscuri dal colore disfatto, passando, i pugni all'inguine, faceva i musi, e vedeva dei punti nei suoi occhi chiusi. Una porta s'apriva alla sera: alla lampa, lass, lo vedevi ansimare sulla rampa,

sotto una conca di luce al tetto sospesa. D'estate, vinto, sciocco, con caparbiet si chiudeva nelle fresche latrine: l, tranquillo, pensava con la narice tesa. Se l'orto, che l'odore del giorno lavava, dietro la casa, nell'universo, s'illunava, sepolto nella marna, sotto un muro giacendo, e il suo occhio da pesce in visioni spremendo, le rognose spalliere udiva brulicare. Piet! Una sola cosa gli era familiare, quei bimbi vili, a fronte nuda, occhio alla gota stinto, con ditini gialli e neri di mota sotto abiti frusti e di diarrea fetenti, che parlavan con la dolcezza dei dementi! E se, sorpresolo in compassioni immonde, sua madre inorridiva, su questo stupore gettava il bimbo le tenerezze profonde. Aveva lei lo sguardo blu, - e mentitore! Romanzava a sett'anni sulla grande vita del deserto, ove splende Libert rapita, selve, ripe, soli, savane! - S'aiutava con i giornali illustrati dove guardava, rosso, ridere le Spagnole e le Italiane. Quando, occhi bruni, matta, con le vesti indiane veniva la figlia degli operai accanto, - ott'anni - la piccola brutale, e in un canto, scotendo le trecce, gli saltava in groppa al trotto, lui mordeva le sue chiappe, stando di sotto, poich ella non metteva mai le mutandine; - cos, pesto di pugni e di pedate, infine in stanza portava della sua pelle il gusto. Temeva il dicembre domenicale e angusto, in cui, impomatato, leggeva su un tavolo di mogano una Bibbia dal taglio verde-cavolo; Dai sogni era oppresso ogni notte. Non amava Dio; ma gli uomini che nelle sere di lava, neri, in blusa, ai sobborghi vedeva rientrare dove intorno agli editti, strilloni, al rullare dei tamburi, fan ridere e urlare le genti. - Sognava gli amorosi prati, dove lucenti ondate, profumi sani, auree pubescenze, s'involano, facendo placide movenze! Come gustava su tutto le cose arcane, quando nella stanza nuda, a chiuse persiane, alta e azzurra, dall'acre umidit corrosa, leggeva il suo romanzo assorto senza posa: densi cieli ocra foreste immense, carnali fiori dispiegati ai boschi siderali, rovine, disfatte, vertigine e piet! - Mentre il rumore del quartiere a basso gi nasceva - solo, e steso su pezzi di tela grezza, con violenza presentiva la vela! 26 maggio 1871.

I poveri in chiesa. In fondo alla chiesa intiepidita dai fiati fetidi, tra i banchi di quercia, recintati,

gli occhi al coro sfavillante e alle cantorie di venti musi urlanti le cantiche pie; fiutando come pane l'odore di cera, felici, umiliati come cani battuti, a Dio, padrone e sire, i Poveri cocciuti offrono la loro ridicola preghiera. Le donne godono a far banchi lucidati, dopo i sei giorni neri in cui le fa soffrire Dio! Cullano, in strane pellicce attorcigliati, specie di bambini che piangon da morire Quelle mangiaminestre, i seni sporchi fuori, gli occhi in preghiera e mai pregando, con livori guardano pavoneggiarsi alcune bambine sotto le loro deformate cappelline. Fuori, il freddo, la fame, l'uomo in gozzoviglia. dolce. Ancora un'ora. Poi, ignote miserie! Frattanto, intorno, geme, naseggia, bisbiglia una sfilza di vecchie pappagorge in serie: vi sono qui gli epilettici puerili da cui ci si voltava ieri lungo i viali; e, coi nasi voraci nei vecchi messali, i ciechi che un cane introduce nei cortili. Sbavando fede mendica, gli sprovveduti recitano il compianto infinito a Ges che sogna, giallo dai plumbei vetri, lass, lungi dai magri perversi e i grami panciuti dai sentori di carne e le stoffe ammuffite, farsa prona e tetra di Ges ripugnanti; - E s'infiorano le orazioni impreziosite e i mistici toni si fanno pi incalzanti, se, da navate ove sete banali, riso distinto le Dame, bacian con lunghe 1871. muore il sole, piegose verde, del quartiere - o Ges! - le fegatose, dita gialle acquasantiere.

Il cuore rubato. Il triste mio cuore di poppa sbava, coperto di trinciato: gli schizzano addosso la zuppa, al triste mio cuore di poppa: alle porcate della truppa che scoppia in un riso sguaiato il triste mio cuore di poppa sbava, coperto di trinciato! Itifallic e soldatesch quei giochi l'hanno depravato! Al timone io vedo affreschi itifallici e soldateschi. O flutti abracadabranteschi,

che il mio cuore sia lavato! Itifallici e soldateschi quei giochi l'hanno depravato! Dopo i mozziconi distrutti che fare, o mio cuore rubato? Tireranno bacchici rutti dono i mozziconi distrutti e avr vomitanti ributti se il cuore, io, ho ringoiato: dopo i mozziconi distrutti che fare o mio cuore rubato? Maggio 1871.

Le mani di Jeanne-Marie. Jeanne-Marie ha mani forti, mani scure di concia estiva, mani pallide come i morti. - Sono mani di Juana viva? Hanno preso le creme brune sui pantani di volutt? Si sono immerse nelle lune in stagni di serenit? Hanno bevuto cieli barbari, calme su ginocchia d'incanti? Hanno arrotolato dei sigari o contrabbandato diamanti? Sui piedi ardenti di Madonne fanno appassire fiori d'oro? Sangue nero di belladonne scoppia e dorme nel palmo loro. Mani cacciatrici di ditteri che fanno vibrare i sereni aurorali, verso i nttari? Mani che lodano i veleni? Oh! quale Sogno ha ghermito qualche loro distensione? Un sogno d'Asie mai udito, di Khenghavr o di Sione? - Mani che non vendono arance, o abbrunano ai piedi dei santi; mani che non lavano pance dei ciechi neonati pesanti. Non sono mani di cugina, n di operaia dal fronte alto bruciato, in boschi d'officina, da un sole ubriaco d'asfalto. Son scaricatrici di spalle, mani che non fanno mai male, di macchine ancor pi fatali,

pi forti d'intere cavalle! Inquiete come forni accesi, scuotendosi in fremiti scarni, non cantano le loro carni gli Eleison, ma Marsigliesi! Potrebbero stringervi l'osso del collo, o donnacce, e le mani tritarvi, nobildonne, mani infami di niveo e di rosso. Le splendide mani amorose dan capogiri pecorini! Nelle falangi saporose il sole mette dei rubini! E una macchia di plebaglia le abbronza come un seno di ieri; il loro dorso una medaglia baciata dai Ribelli feri! Sono impallidite, felici, nella gran luce innamorata, su bronzee mitragliatrici dentro Parigi ammutinata! Talvolta, o Mani consacrate, al polso che tremando tiene le nostre labbra mai saziate, vi gridano chiare catene! E sono soprassalti strani dell'essere, se una ferita vi sbianca, angeliche Mani nel farvi sanguinar le dita!

Le sorelle di carit. Il giovane di occhio acceso e di pelle bruna, il bel corpo ventenne che va denudato, e in Persia un Genio ignoto avrebbe venerato, cinta di rame la fronte, al chiaro di luna, impetuoso con dolci verginit oscure, fiero delle sue caparbiet, come i forti mari, notturni estivi pianti, che si ravvolgono su letti di diamanti; il giovanetto dinnanzi al brutto mondo, trasalisce in cuore d'offesa dignit, e colmo dello sfregio eterno e profondo desidera una sorella di carit. Ma tu, o Donna, mucchio di viscere, piet dolce, tu non sei mai suora di carit, n sguardo fondo o grembo ove ombra rossa dorme, n dita lievi o seni di splendide forme. Cieca non destata, dall'immense pupille, ogni nostro amplesso non che una questione:

a noi ti aggrappi, portatrice di mammelle, noi ti culliamo, amabile e grave Passione. I tuoi odi, i deliqui, i tuoi fissi torpori, le tue violenze patite nel passato, tutto ci rendi, o Notte, ma senza rancori come eccesso di sangue ogni mese versato. - Se teme la donna, portatagli un istante, amore, appello vivo e cantico d'azione, qui la verde Musa e la Giustizia fiammante lo strappano alla loro nobile ossessione. Ah! ognora assetato di splendori e di calme, lasciato dalle spietate Sorelle, langue tenero per la scienza dalle braccia alme, alla natura in fiore offrendo il viso in sangue. Rpugnano alchmie nere e studi santi al ferito, dal cupo e orgoglioso cervello; lo calpestano solitudini strazianti. Allora accettando la bara, e sempre bello, lui creda a vaste mete, Sogni o Passeggiate immense, e tra le notti della Verit, t'invochi nell'anima e le membra malate, misteriosa Morte, o suora di carit! Giugno 1871.

Le cercatrici di pidocchi. Se la fronte del bimbo, rossa di tormento, dei sogni confusi implora il bianco sciamare, al suo letto si accostano due grandi e care sorelle con fragili dita e unghie d'argento. Siedono il bimbo a una vetrata spalancata ove l'azzurro inonda una macchia fiorita, movendo nella sua greve chioma bagnata di rugiada, tremende, le maliose dita. Egli ascolta cantare quei fiati fugaci, forti dei lunghi mieli d'erbe rosate, a volte, interrotti da un sibilo, acchiappate salive sul labbro o desideri di baci. Nei profumati silenzi ode le battenti ciglia nere; e quelle dita elettriche e frali fan crepitare nei suoi grigiori indolenti la morte dei pidocchi sotto unghie regali. Ecco che sale in lui un vino di Pigrizia, sospiro d'armonica quasi impazzito; sente nascere e morire, ad ogni blandizia pi lenta, un desiderio di pianto infinito.

La prima comunione. 1.

E' proprio idiota, queste paesane chiesuole dove brutti marmocchi lordando le navate ascoltano un tipo nero e goffo dalle suole in fermento, sbavando sacre cicalate: ma attraverso il fogliame risveglia il sole le vecchie tinte d'irregolari vetrate. La pietra sa di terra materna, perenne. Vedrete dei mucchi di ciottoli terrosi nella campagna in foia che freme solenne, coperti, accanto ai grani gonfi e gli arenosi sentieri, di prugne azzurre su riarse antenne, nodi di gelsi neri e rosai stercolosi. Ogni cent'anni quelle grange son nettate con intonaco d'acqua blu e latte cagliato: se goffe devozioni vengono notate accanto alla Madonna o al Santo imbalsamato, mosche di stalla e d'osteria profumate s'empiono di cera all'assito soleggiato. Il giovane appartiene alla casa, famiglia d'ingenue cure, buon lavoro e abbrutimenti; fuori, scorda il formchio che con potenti dita il Prete in Cristo addosso gli stampiglia. Si paga al Prete un tetto in verdi ombreggiamenti perch lasci al sole la loro fronte vermiglia. Il primo abito nero, il giorno delle torte, sotto il Napoleone o sotto i Tamburini qualche miniatura ove i Giuseppi e le Marte giran troppo la lingua con amore genuini e a cui, il giorno di scienza, aggiunger due carte; del gran Giorno ecco i soli dolci ricordini. Le ragazze vanno sempre in chiesa, appagate di farsi chiamare sgualdrine dai garzoni che si danno arie dopo le Messe cantate. Loro, destinati a eleganti guarnigioni, sfottono al caff le famiglie altolocate, vestiti a nuovo, sbraitando sporche canzoni. Intanto il Curato dona ai bimbi i santoni; nell'orto, se l'aria, dopo le Benedizioni, naseggia lontano di una nota danzata, lui sente, contro le celesti proibizioni, polpacci e piedi scandire un'estasi ritmata; - la Notte sbarca ai cieli d'oro, nero pirata. 2. Il Sacerdote ha scelto in mezzo ai catechisti, riuniti dai Sobborghi e dai Ricchi Quartieri, una bimba sconosciuta, dagli occhi tristi, fronte gialla. 1 parenti sembrano portieri dolci. AI gran Giorno, segnata tra i Catechisti, Dio nevicher su quel viso acquasantieri. 3. La bimba s'ammala, la vigilia del Giorno. Meglio che in Chiesa dai funebri rombi intorno, viene prima il brivido, - il letto non insipido, Io muoio..., l'assale un sovrumano brivido.

Come furto d'amore fatto a oche sorelle, ella conta, prostrata e le mani sul cuore, gli Angeli, i Ges e le sue Vergini belle, l'anima bevendo in pace il suo vincitore. Adoni!... - Cieli verdastri, dentro latini suffissi, bagnano quei visi porporini, e, sporchi del sangue puro dei petti casti, sui soli cadono panni nevosi e vasti! Per le sue verginit presenti e future, ella morde nelle tue fresche Remissioni, ma pi che gigli d'acqua, pi che confetture, o Regina di Sion, hai gelidi perdoni! 4. Poi la Vergine I mistici slanci Ecco, cuprine di atroci, i vecchi

la vergine del libro ancora. si spezzano talora... noia, le miniature legni, povere figure.

Una vaga impudica curiosit spaventa il sogno dalle caste azzurrit sulle celesti tuniche, e sul panno l dove Ges vela la sua nudit. Ma ella vuole, vuole, l'anima in tristezza, scavando il guanciale con gridi soffocati, prolungare i lampi d'estrema tenerezza, e sbava... - Riempiono l'ombre i caseggiati. La bimba s'agita, s'narca, non ne pu pi; e con la mano schiude le tendine blu per portare quel fresco della stanza un poco sotto il letto, verso il ventre e il suo petto in fuoco... 5. Mezzanotte. Si sveglia, la finestra un raso bianco, e sulle tende illunate di torpori blu ella rivede i domenicali candori; ha fatto un sogno rosso. E sanguina dal naso. Sentendosi casta e piena di debolezze, per gustare in Dio il suo ritorno d'amore, bevve la notte in cui s'esalta e umilia il cuore, d'occhio celeste indovinando le dolcezze; tenue notte, Vergine-Madre, bagnante coi suoi grigi silenzi ogni giovane emozione; notte forte in cui il cuore scola sanguinante la sua rivolta muta senza testimone. Fingendosi vittima tra piccole spose, la sua stella la vide, in mano una candela scendere in cortile ove asciugava una tela, spettro bianco, e alzare ai tetti ombre tenebrose. 6. Pass nelle latrine la sua santa notte. L'aria bianca colava da tegole rotte, e una vite pazza di nero porporino rovinando al di qua di un cortile vicino.

Il buco in cortile faceva un cuore a viva luce dove il cielo basso dorava i vetri; il selciato inzolfava, in fetida lisciva, l'ombra dei muri stipati di sonni tetri. ................... 7. Chi dir quelle piet e quei languori immondi, l'odio che in lei sorger, o luridi matti il cui divino intrigo ancora storpia i mondi, quando la lebbra manger quei corpi intatti? ..................... 8. E quando disciolti i suoi nodi d'isterie, vedr, nella felicit dello squallore, l'amante sognare il bianco stuolo di Marie, l'alba della notte d'amore, con dolore: Sai? ti ho fatto morire. La bocca ti ho presa e il cuore, tutto ci di cui siamo dotati; e io sono malata: Oh! voglio esser distesa fra i Morti dall'acque notturne abbeverati! Ero ben giovane, e Cristo insozz i miei fiati. Di schifo mi colm fino alla gola! Poi baciavi i miei profondi capelli felpati, e io ci stavo... Ah! Uomini, bene per voi! Non immaginate che la pi innamorata, nella sua coscienza d'ignobili terrori, la pi prostituta e la pi addolorata, e i nostri slanci verso di voi sono errori! Ormai la prima Comunione non pi. 1 tuoi baci non posso averli mai gustati: e cuore e carne dalla tua carne abbracciati brulicano al putrido bacio di Ges! 9. Cos l'animo marcio e l'animo desolato sentiran sgorgare le tue maledizioni. - Avranno dormito sul tuo Odio inviolato, scampati, per la morte, alle giuste passioni. O Cristo! Cristo, eterno ladro d'energie, Dio che per millenni offristi al tuo pallore, chodate al suolo, da onta e da cefalalge, le fronti chine delle donne di dolore. Luglio 1871.

L'uomo giusto. (Frammenti). .................... Il Giusto stava dritto sui suoi fianchi solidi: un raggio gli dorava la spalla; i sudori mi presero: Vuoi vedere splendere i bolidi?

E ascoltare, in piedi, mormorare i fluori di galassie, e le migrazioni d'asteroidi? Dalle farse notturne il tuo viso spiato, o Giusto! Ci vuole un tetto. Di' il tuo breviario, la bocca al tuo drappo dolcemente espiato; e se qualche sperduto busser al tuo ostiario, digli: Fratello, va' altrove, sono storpiato! E il Giusto restava in piedi, nello spavento bluastro delle zolle dopo il sole spento: Daresti, allora, le ginocchiere all'incanto, o Vecchio! Bardo d'Armr! Pellegrino Santo! Piagnone degli Ulivi! pietoso guanto! Barba di famiglia e pugno di citt: o cuore caduto dentro i calici, dolce credente, virt e maest, cecit e amore, Giusto, pi bestia e can e repellente! Io sono il ribelle che vive nel dolore! La famosa speranza del tuo perdono mi fa pianger sul ventre, e ridere, o demente! Ebbro, livido, pazzo, maledetto io sono, e ci che vuoi! Ma va a dormire, giustamente! Dal tuo cervello torpido non voglio niente. Sei tu il Giusto, in fin dei conti, il Giusto! Bene! Si sa, la tua dolcezza e ragione serene sbuffano come cetacei nella notte; ti fai proscrivere e cianci un funebre trene in cima a canne spaventevoli e rotte! Sei tu l'occhio di Dio! il vile! Anche se i tendini dei tuoi piedi divini sfiorano agghiaccianti il mio collo, sei vile! O il tuo capo di lndini brulicante! Schifo ai Socrati, ai Ges, ai Santi! Rispetto al Sommo Maledetto in sanguinanti notti! Questo urlai sopra la terra, e la sera quieta e bianca nella mia febbre invase i cieli. Rialzai la mia fronte: il fantasma, in fuga, si era rubato dal mio labbro i sarcasmi crudeli... - Vieni dal Maledetto, notturna bufera! Parlagli, mentre in silenzio sotto i pilastri azzurri, allungando comete e universali nodi, tumulti enormi senza mai disastri, l'ordine eterno veglia e rema in aurorali cieli, filando della rete in fiamme gli astri Ah! che lui se ne vada, il collo incravattato di vergogna, gi ruminando la mia noia, dolce come zucchero nel dente cariato, - Simile, dopo l'urto dei maschietti in foia, a cagna leccante un suo budello strappato. Annunci la sua sporca carit e il progresso... - Detesto quegli occhi di cinesi pancioni, che cantano: ninne, come fanciulli presso alla morte, idioti dalle pronte canzoni: Vi cacheremo, o Giusti, nei ventri di gesso!

Luglio 1871.

Ci che si dice al poeta, a proposito di fiori. "Al Signor Thodore de Banville" 1. Cos verso gli azzurri neri dove trema il topazio mare, farai nella sera azionare i Gigli, estatici clisteri! In quest'epoca di sag, e di Piante laboriose, berr il Giglio gli schifi blu nelle tue Prose religiose! - Giglio del signor di Kerdrel, degli anni trenta il bel Sonetto, Giglio donato al Mnestrel con amaranto e garofanetto. Gigli! Gigli! Non se ne vedono! Ma nel tuo Verso, come maniche di Veneri che dolci incedono, fremono le bianche botaniche! Sempre, se fai il bagno, Carino, la camicia dalle ascelle bionde si gonfia al vento del mattino sulle tue miostdi immonde! Non sdogani che i tuoi amati Lill, e le Viole - o balle! del tuo Bosco, inzuccherati sputi delle nere Farfalle!... 2. Poeti, anche se vostra fosse la Rosa, le Rose soffiate, sui rami dell'alloro rosse, e di mille ottave gonfiate! BANVILLE ne facesse rotante, sanguigna neve, da affogare un occhio di estraneo delirante, dalle letture un poco avare! O fotografi assai pacati! la Flora differente quasi dai vostri boschi e i vostri prati come dai turaccioli dei vasi. Sempre vegetali bigotti, Francesi, tisici, minuscoli su cui il ventre dei cani bassotti naviga in pace nei crepuscoli; Sempre, dopo orride ghirlande di Loti azzurri o di Elianti, stampe rosa, soggetti santi

per giovani comunicande! L'Ode Asoka si conviene alle strofe in finestra di sgualdrina; e illustri pesanti farfalle lordano la Margheritina. Vecchi brocchi, vecchi galloni! O vegetali pasticcini! Fiori strani dei vecchi Saloni! - Non ai crtali, ai maggiolini, questi vgeti frignatori pupi a cui Grandville mise nastri, e allattarono di colori con visiere malefici astri! Le vostre brave zampognate fan, s, preziosit glucose! - In vecchi cappelli frittate, Gigli, Lill, Asoka e Rose!... O bianco Cacciatore, in corse scalzo tra la Pastura panica, tu non puoi, tu non devi forse conoscere un po' di botanica? Faresti succedere almeno, ai Grilli rossi la Cantaride, l'oro dei Rios al blu del Reno, alle Norvege le Florde. Ma l'Arte non pu pi, mio Caro, permettere - vero - in queste ore, a l'Eucalipto cos raro un esametro costrittore! Come se il Mgano laggi non servisse nelle Guiane, che ai salti dei Sapai o al greve delirio di liane! Un Fiore, Giglio o Rosmarino, vivo o morto, insomma, vale quanto un guano d'uccello marino? o di candela un solo pianto? - Quel che volevo ho pronunciato! Tu, l anche seduto, in una capanna di bamb, - serrato, i tendaggi di persia bruna, tu intrecceresti bei fioroni degni di fiumi stravaganti! ... - Poeta! queste son ragioni non meno buffe che arroganti!... 4. Di pampas non le primavere nere di paurose rivolte, ma i tabacchi, le cotoniere narra e l'esotiche raccolte!

Fronte bianca che Febo risana, dimmi quanti dollari imbraca Pedro Velasquez dell'Havana; il mare di Sorrento incaca dove i Cigni vanno a migliaia; la tua strofa renda famosi i rifiuti della mangaia frugati dall'idre e i marosi! Si tuffano le tue quartine nei boschi in sangue dando all'Uomo soggetti di zuccheri e cromo, vari di gomme e pettorine! Insegnaci tu se quei biondi dei Picchi nevosi, nei Tropici, dovuto a insetti fecondi o a licheni microscopici! Cacciatore, devi trovare, lo voglio, robbie profumate che Natura faccia sbocciare in brache! - per le nostre Armate! Presso Foreste addormentate, trova dei fiori d'oro, come musi, che sbavano pomate sui Bufali di scure chiome! Dove l'argentee pubescenze tremano, ai folli prati, trova nell'Azzurro calici d'Uova di fuoco cotte tra le essenze! Trovami Cardi cotonati cui dieci asini con febbrili occhi fanno i nodi a filati! Trova Fiori come sedili! Trova in cuore filoni scuri fiori come pietre, - famose! che ai loro ovari biondi e duri portino tonsille gemmose! Servici, o Burlone, lo puoi, sugli oroargentati vassoi dei Gigli in salse sciroppate mordenti le alfnidi posate! 5. Qualcuno dir il grande Amore, di oscure indulgenze imbolatore: ma n Renan, n il gatto Murro vedranno il Tirso immenso e azzurro! Tu, induci nei nostri torpori, con i profumi, le isterie; esaltaci verso i candori pi candidi delle Marie... Medium! colono! commerciante! Sgorgher la tua Rima, nuda

e rosa, caucci che si schiuda, a un raggio di sodio somigliante! Che evadano - o Prestigiatore! dai tuoi neri Poemi, diottriche bianche, verdi e rosse, un fiore stravagante e farfalle elettriche! Ecco! E' il Secolo del maligno! E le linee telegrafiche ti orneranno, - arpa dal ferrigno canto, - le scapole magnifiche! Piuttosto, rima una versione intorno al mal delle patate! - E, per la tua composizione di misteriose Ballate che da Trguier verranno lette a Paramarbo, comprti avrai i Tomi - gi illustrati! di Figuier, dal libraio Hachette! ALCIDE BAVA A. R. 14 luglio 1871.

Il battello ebbro. Perduta sui Fiumi impassibili la guida dei miei alatori, ho udito le grida dei Pellirosse che li avevano inchiodati come nudi bersagli ai pali colorati. Me ne ridevo di equipaggi portatori di grani fiamminghi e di cotoni inglesi. Quando ogni strepito svan con gli alatori lungo i miei Fiumi liberamente discesi. Pi sordo della mente dei fanciulli, nei tonfi furibondi delle invernali mareggiate, ieri io corsi!, e le Penisole salpate mai subirono pi caotici trionfi. La tempesta segn i miei risvegli marini. Dieci notti, indifferente all'occhio annidato dei fari, sopra i flutti, gli eterni arrotini di vittime, p lieve di un sughero ho danzato! Dolce pi che la carne dei pomi ai bambini, la verde acqua penetr il mio scafo di pino e mi lav, sperdendo il timone e il grappino, dai vomiti e dalle macchie di azzurri vini. D'allora m'immersi nel poema del mare lattescente e infuso d'astri, divorando verdi azzurri, ove, rapito e livido flottare, talvolta, discende un annegato pensando: dove, le azzurrit a un tratto nel rossore

del giorno tingendo, ritmi lenti e deliri, pi forti dell'alcol, pi vaste delle lire, fermentano le vampe amare dell'amore! Conosco i cieli in lampi squarciati, e le trombe, risacche e correnti; la sera ho conosciuto, l'Alba esaltata come stirpe di colombe, e a volte ho veduto ci che l'uomo ha creduto: il sole basso macchiato di mistici orrori vidi che, lunghi grumi viola come attori di drammi pi antichi, illuminava lontane onde rotolanti in sussulti di persiane! Sognai la verde notte di nevi abbagliate, su occhi di mare lenti baci scalatori, la circolazione di linfe inascoltate, il giallo risveglio dei fosfori canori! Seguii, per mesi, come mungitoi eccitati, il mareggiare all'assalto dei frangenti, ignaro che Marie dai piedi lucenti forzassero il morso agli Oceani sfiatati! Mischianti ai fiori occhi di pantere, strane Flore ho urtato, sapeste! dalle pelli umane, arcobaleni tesi come finimenti, sotto l'orizzonte dei mari, a glauchi armenti! Vidi paludi in fermento, come bisacce enormi dove imputridisce un Leviatano! Tra i giunchi, frane d'acque in mezzo alle bonacce e ai gorghi un diluvio d'orizzonti lontano! Ghiacciai, soli d'argento, cieli incandescenti, perlacei flutti, orridi incagli in golfi mori dove rosi da cimici mostri serpenti piombano da alberi storti con neri odori! Avrei voluto ai bimbi mostrare le orate dell'onda azzurra, quei pesci d'oro e cantanti. - Schiuma di fiori incens le mie bordate e ineffabili venti mi alarono a istanti. Il mare, dal pianto che dolce mi rullava, stanco martire dei poli, a volte aizzava le gialle ventose della sua flora ombrata e io restavo come donna inginocchiata... Penisola agitante ai miei bordi i letami e le risse d'uccelli chiassosi dal biondo occhio, e vogavo mentre tra esili legami si voltano annegati a dormire sul fondo!... Ora, io, barca persa in anse di capelli, dall'uragano spinto nell'aria senza uccelli carcassa ebbra d'acque che mai Corazzata o Vela Hanseatica avrebbe ripescata; libero, fumante, io, salito da viole brumali, sbrecciante il cielo come pareti rosseggianti, squisita conserva ai poeti, di azzurre mucose e di licheni di sole;

io in corsa, da elettriche lunule macchiato, legno folle, da neri ippocampi scortato, quando il randello dei lugli mandava in rovine gl'imbuti ardenti delle volte ultramarine; tremando per i gemiti a cinquanta leghe dei Maelstrom e dei Behemt dalle dense freghe, io, eterno filatore di azzurrit uguali, rimpiango l'Europa dai vecchi davanzali! Siderali arcipelaghi ho veduto! ed isole dai cieli deliranti aperti al vogatore: - in queste notti senza fondo che dormi sule, milioni d'aurei uccelli, o futuro Vigore? Ma troppo ho pianto. Le Albe sono tormenti, tutti i soli atroci e tutte le lune amare: l'acre amore mi gonfi d'ebbri assopimenti. O scoppi la mia chiglia! O m'inabissi in mare! Se desidero un'acqua d'Europa, la nera e fredda pozza ove alla balsamica sera un bimbo, accoccolato e triste, scioglie in viaggio un'esile barca come farfalla a maggio. Non posso p, onde! immerso nei vostri languori, rubare il solco ai portatori di cotoni, violare l'orgoglio dei vessilli e degli ori, nuotare sotto gli occhi orrendi dei pontoni.

Le vocali. A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, dir un giorno le vostre nascite latenti: A, delle mosche neri pelosi corsali che ronzano sui crudi fetori, splendenti, golfi d'ombra; lance di fieri re bianchi; I, labbra ridenti E, candori di tende e vapori, ghiacciai, fremiti di umbelle, porpore, sputo di sangue, belle a espiate ebbrezze o a furori;

U, cieli, di mari verdi divine fughe, pace di animali ai campi, pace di rughe che l'alchimia imprime all'ampio viso saggio; O, suprema Tromba piena di stridi fondi, silenzi solcat dagli Angeli e dai Mondi: - O, l'Omega, dei Suoi Occhi il violaceo raggio!

La stella ha pianto rosa al cuore del tuo orecchio, bianco l'infinito sceso dalla tua nuca ai reni; rossastro il mare mperl i tuoi vermigli seni, nero l'Uomo sanguin al tuo sovrano fianco.

I corvi.

Quando freddo il prato, Signore, quando nei borghi rovinati gli angelus tacciono estenuati sulla natura senza fiore, scaglia gi dai cieli grandiosi i cari corvi deliziosi. Strano esercito di severi gridi, di nidi assaliti dai freddi venti! Sui marciti fiumi, sopra i vecchi sentieri dei calvari, i fossi e i burroni, sperdete le vostre riunioni! Dove dormono i morti di ieri sui campi di Francia, giostrate d'inverno, vero? a brigate. Il viandante nei suoi pensieri ricordi! O annunciate i doveri, nostri funebri uccelli neri! Santi del cielo, sulle cime di quercia, antenna persa in sere vaghe, lasciate capinere a quelli che nei boschi opprime, tra l'erba ove non puoi fuggire, la disfatta senza avvenire!

[Briciole].

Sotto gli oscuri muri, picchiando i magri cani,

Le campane son bronzo bruno, ma i nostri cuori disperati! Nel giugno, del settant'uno, da un nero essere trucidati, noi Jean Baudry, noi Jean Balouche, fatti gli auguri, siamo morti in questo losco campanile esecrando Desdouets, il vile!

In grotteschi singhiozzi dietro trasaliva una rosa inghiottita al ventre del portiere.

Bruna, aveva sedici anni allorch la maritarono. .................... Poich suo figlio diciassettenne d'amore ama.

[Lamento del vecchio monarchco]

"A M. Henri Perrin, giornalista repubblicano". .................... .......... Avete mentito sul mio femore! mentito, fulvo apostolo! Volete far degli spiantati di noi? Vorreste pelarci il cranio calvo? Ma io ho due femori incisi e deformati! Perch voi gocciolate ogni giorno in collegio sul vostro bavero da farne una frittella, siete una maschera da dentista, al maneggio un cavallo in rogna che bava alla cestella, credete cancellar quarant'anni di seggio! Ho il mio femore! ho il mio femore! il femore! E' questo che da quarant'anni si deforma sul bordo della sedia amata in noce duro; per sempre impressionato dalla legnosa orma; e quando scorger, io, il tuo organo impuro, ai tuoi abbonati che traggono, sfrontato, quest'organo afflosciato nelle loro mani, .................... io far ritoccare, per tutti i domani, il femore da quarant'anni lavorato!

[Lamento dei droghieri]. Ch'entri in negozio quando la luna specchiata alle vetrine azzurre, che afferri sott'occhio cicoria inscatolata

................... Sono .... [botti?] ....... che si sfondano? .............. No! E' un capo cuoco ronfante come un basso.

..... In mezzo agli ori, i quarzi, le porcellane, ........ un pitale banale, reliquia indecente di vecchie castellane, curva i fianchi indegni sul mgano regale.

Oh! le vignette perpetue!

E il poeta brillo insultava l'Universo.

Versi per i cessi.

Di quel sedile mal piazzato che ci scompiglia le frattaglie, il buco dev'essere stato murato da vere canaglie. Quando il famoso Tropmann distrusse Kink Enrico l'assassino certo sed su questo seggio poich lo stronzo Badingue e lo stronzo Enrico Quinto davvero son degni di tale seggio.

Sulla citt dolcemente piove. Vigilia, o mia vita assente!

Gli stupri.

Gli antichi animali pollivano, anche in corsa, con glandi bardat di sangue e d'escrementi. I padri ostentavano il membro prepotenti da pieghe di guaina e la grana della borsa. La femmina medievale, angelo o voleva un garzone con l'arnese anche un Klebr, dal pantalone forse non manc di risorse. Al maiale, gagliardo; un po' bugiardo, pi marziale

dei mammiferi d'altronde l'uomo uguale; il loro membro enorme a torto c'impressiona; ma un'ora sterile suonata: pi non vale l'ardore al bue e al cavallo, e non c' persona che oser pi alzare il suo orgoglio genitale nei boschi ove un'infanzia brlica buffona.

Le nostre chiappe non son le loro. Ho guardato spesso la gente sbottonata dietro un'aia, e, nei bagni spigliati ove l'infanzia gaia, del nostro culo, effetto e disegno ho scrutato. Sodo, pi pallido sovente, si spartisce in chiari piani tappezzati dalla grata dei peli; ma in loro soltanto alla garbata riga il lungo e folto raso vi fiorisce. Una toccante estrosit meravigliosa non vista che negli angeli dei quadri santi imita il sorriso della guancia cresposa. Oh! anche noi nudi, in cerca di quiete e d'incanti, volta la fronte alla sua porzione gloriosa, liberi e insieme mormorare singhiozzanti?

Come un garofano viola, oscuro e increspato, respira, rannicchiato fra il muschio, umilmente gi umido d'amore che segue dolcemente il clivo dell'albe chiappe fino al suo orlato. Come delle lacrime di latte un filame ha pianto al vento crudele che l'ha cacciato attraverso rossi grumetti di letame perch si perda ove il pendio l'ha chiamato. Sovente il mio sogno abbocc la sua ventosa; l'anima, del coito materiale gelosa, ne fece fulva gronda e nido singhiozzante. E' l'oliva svanita e il flauto accarezzante, il tubo ove scende il celeste mandorlato, femmineo Canaan nei madori recintato.

Album detto Della Malora.

Coglionerie. COCCHIERE UBRIACO. Cacca beve: lacca vede: acre legge, fiacre elegge! Dama piomba, lombo in sangue: langue. - Chiama! A. R.

GIOVANE PAPPONE. Berretto serico, cazzetto itterico, toletta pi nera, Paul pensa: dispensa, proietta linguetta su pera, s'appresta,

bacchetta, cachetta. A. R.

PARIGI. Al. Godillot, Gambier, Galopeau, Wolf-Pleyel, - Rubinetti! Oh! - Menier, - Oh, Cristi! - Leperdriel! Knck, Jacob, Bonbonnel! Veuillot, Tropmann, Augerf Gill, Mends, Manuel, Guido Gonin! - Cestino di Grazie! L'Heriss! Lucidi untuosi! Pan vecchi, spiritosi! Ciechi! - chiss? - Sergenti di citt, Enghiens a casa! - Su, siamo cristiani! A. R.

Vecchio della vecchia. Ai contadini dell'imperatore! All'imperatore dei contadini! Al figlio di Marte, al glorioso 18 MARZO! ove il cielo d'Eugenia ha benedetto le sue viscere!

Le labbra chiuse. (Visto a Roma). A Roma c', nella Sistina, coperta d'emblemi cristiani, una cassetta scarlattina che asciuga nasi molto anziani: nasi d'asceti di Tebaida, di canonici del San-Graale ove gel la notte laida, il vecchio canto sepolcrale. Nella loro siccit mistica ogni mattina, introdotta un'immondezza scismatica che in polvere fina ridotta. LON DIERX A. R.

Festa galante. Vago, Scapno gratta un coniglio sotto il cappotto. E Colombina, - quanto scopata! - Do, mi, - gli pesta l'occhio al coniglio che qui, tapino, in grande festa... PAUL VERLAINE. A. R.

L'Angeluccio maledetto. Tetti bluastri e porte seleniche come nelle notturne domeniche, in capo alla citt senza ribotte la strada bianca, ed la notte. La strada ha delle case bizzarre con persiane d'angeli a chitarre. Ma, ecco che incontro ad un pilastro accorre, cattivo e lividastro, un nero angeluccio, per le tante giuggiole mangiate, titubante. Egli fa la cacca: poi dispare: ma la sua cacca maledetta appare, sotto la luna santa che vaca, di sangue sporco una lieve cloca. LOUIS RATISBONNE A. RIMBAUD.

Gigli. O fandonie! O gigli! O clisteri d'argento! Sdegnosi di lavori, sdegnosi di fami! L'Aurora vi riempie d'amore detergente! E dolcezza di cielo v'imburra gli stami! ARMAND SILVESTRE A. R.

L'Umanit calzava il vasto bimbo Progresso.

LOUIS-XAVIER DE RICARD A. RIMBAUD.

Rimembranze del vegliardo idiota. Padre, perdono! Ragazzo, alle fiere di campagna, non cercavo il tiro a segno dove guadagna ogni colpo, ma il posto urlante ove sfiancati ciuchi svolgono i lunghi tubi insanguinati che non capisco ancora!... Mia madre poi, con la camicia dal sentore amaro, coi bordi guasti, come un frutto nel suo giallore, lei che montava sul letto con un rumore - ma figlio del lavoro, - mamma, con la coscia stagionata e le massicce anche ove s'affloscia il panno, mi diede un calore da non dire!... Sentivo una vergogna pi cruda salire, ma calma, quando la sorellina, dopo scuola, consumati gli zoccoli sul ghiaccio, sola pisciava, osservando scappare dal suo stretto e rosa labbro, di sotto, un filo furbetto d'orina...! O perdono! Pensavo al babbo a volte: la sera, i giuochi a carte, e frasi disinvolte, il vicino, e me scartato, cose scrutate... - poich un padre turba! - e le cose immaginate! Quel ginocchio blando; le brache di pap che il mio dito voleva aprire alla fessura... per prendergli la fava grossa, nera e dura, quando con mano villosa mi cullava!... - Ah! no! - Tralascio il vaso, il piatto a manico, resto di solaio, album foderati in rosso, il cesto di filacce, e la Bibbia, e i ripostigli, e il santo crocifisso, la serva, la Madonna... Oh! tanto turbato non fu mai nessuno, e pi stupito! E adesso, che il perdono mi venga elargito: poich son vittima dei sensi putrefatti, mi confesso svelando i giovani misfatti!... Poi! - mi sia permesso parlare al Signore! Perch la tarda pubert e lo sventurato mio prepuzio tenace e troppo consultato? Perch l'ombra lenta al basso ventre? e il terrore che empie la gioia come ghiaia tenebrosa? - Io, fui sempre stupefatto! Sapere cosa? .................... Scusato? ... Riprendi lo scaldapiedi blu, pap. O che infanzia!..........

.................... .......... - e meniamoci il cazzo, su! FRANOIS COPPE A. R.

Esilio. .................... Quanto sovente si bad, caro Coglione!... pi che allo Zio Invitto, al Piccolo Imbroglione! Quant'onesto istinto esce dal Popolo labile!... che ha fatto rivoltare, ahim! la vostra bile!... che ci concesse di tirare chiavistelli al Vento chiamato Babau dai bambinelli! Frammento di un'epistola in versi di Napoleone Terzo, 1871.

Ipotipos saturnine, ex Belmontet. Dunque qual questo mistero oscuro e chiuso? Perch affonda ogni regale barchetta in uso, non proiettando la sua vela bianca? Dei nostri lacrimali rovesciamo il dolore. .................... A spese di sua sorella vuol vivere amore, A spese di suo fratello l'amicizia vive. .................... Lo scettro, appena riverito, sul vulcano delle nazioni la croce di un calvario infinito! .................... Sul tuo baffo virile, Oh! grondava l'onore. BELMONTET archtipo Parnassiano.

Le sere estive, all'occhio ardente di facciate, quando la linfa freme nelle oscure grate radiante ai piedi dei castani delicati, fuori dai crocchi neri, allegri o ritirati, i baciasigari o i succhia pipa-dura, nel chiosco ove mi sperdo, stretto mezze-mura, - d'"Ibled" rosseggia in alto la pubblicit, penso che inverno il Filo d'acqua ghiaccer pulita e forte, placando l'umana piena, - e l'aspro vento non risparmi alcuna vena. FRANOIS COPPE A. RIMBAUD.

Ai libri d'arte serena, da comodino, Obermann e Genlis, "Ver-Vert" ed il "Lutrino", stufo di ridicole e grigie novit, alfin venuta la vecchiaia, io spero qua del Dottor Venetti d'aggiungere il trattato. Io sapr, tornando da un pubblico insensato, gustar l'antico fascino degli essenziali disegni. Scrittore e incisore le sessuali miserie hanno dorato, ed , vero? cordiale: di Venetti, il "Trattato d'Amor coniugale". F. COPPE. A.R.

Ero in un vagone di terza: un prete anziano mise alla finestra (in mano una pipa-corta) al vento, i peli bianchi della fronte assorta. Poi, sfidando i motti villani, quel cristiano, voltatosi, mi richiese in modo vibrato e triste insieme una cicca di trinciato militare, - capo cappellano egli stato di un rigetto reale ancora condannato per rimestar la noia dei neri trafori,vene, presso Soissons, offerte ai viaggiatori.

Senz'altro scelgo, in primavera, il bettolino ove ai castani nani gemma il ramettino, in maggio, verso stretti e comunali prati. Presso i Bevitori cagnolini scacciati pi volte vengono a triturare il giacinto d'aiuola. E s'ode, fino a sere di giacinto sul tavolo d'ardesia (dove magro come una prosa nel 1720 sui vetri di chiesa, un diacono incise in latino il soprannome) la tosse dei fiaschi neri che mai li esalta. FRANOIS COPPE A. R.

Stato del sedere? Sul trono in ferro bianco, l'umil postiglione, scaldando nel suo guanto un enorme gelone, porta alla rive gauche il suo omnibus pesante e del suo inguine bruciante allarga la borsa. E, ove gendarmi stanno in dolce ombra di velo, mentre l'onesto interno guarda al fondo cielo la luna nella sua verde ovatta cullata, malgrado il bando e l'ora ancora delicata, e l'omnibus rientra all'Oden, impuro squittisce il debosciato al crocevia oscuro! FRANOIS COPPE A. R.

Rimembranza. Quell'anno in cui nacque il Principe imperiale mi lascia un ricordo largamente cordiale d'una Parigi tersa ove N nivee e dorate splendono ai gradini del maneggio, alle grate della reggia, di tricolore incoccardati. Tra il pubblico risucchio di cappelli sciupati, di caldi farsetti a fiori e vecchi pastrani, di canti in osteria d'operai anziani, l'Imperatore passa sulle fronde, in nera pulizia, con la Santa Spagnola, a sera. FRANCOIS COPPE.

Il Pbero ove circola un sangue d'esilio e di un illustre Padre, quel fanciullo figlio raccattapalle, sente la vita sbocciare con la speranza del suo aspetto e vuole guardare non solo il Trono o i Presepi, ma altri tendali. Non aspira il busto squisito agli sbocchi del Futuro! - Ha lasciato gli antichi balocchi. O il suo bell'Enghens! O il dolce sogno! Abissali ha gli occhi per qualche immensa solitudine; Povero ragazzo, senz'altro ha l'Abitudine! FRANOIS COPPE.

La scopa. E' un'umile scopa di loglio, troppo duro per una stanza e per la pittura di un muro. L'uso, non vale che tu rida, doloroso. Radice tolta a chiss quale prato annoso secca il suo crine inerte: e il manico sbiancato. Legno d'isola alla canicola arrossato. La funicella pare un intreccio brinato. Di quest'oggetto io amo il gusto desolato; laverei il tuo bordo, o Luna, latteo e capace, che d'anime Sorelle morte si compiace. F. C.

Ultimi versi.

Memoria. 1. Acqua chiara; sale di lacrime infantili, sole stretto dai bianchi corpi femminili; seta, in giglio puro, di affollate bandiere alle mura difese da pulzelle; fiere d'angeli; - No... la corrente d'oro in cammino muove le braccia d'erba, nere, grevi e molli.

Oscura, chiede il cielo blu per baldacchino e per velario l'ombra degli archi e dei colli. 2. Uh! il vetro umido stende i suoi nodi sereni! L'acqua arreda i letti pronti d'auree veline. Le vesti verdi e stinte fanno di bambine salici, ove saltano uccelli senza freni. Giallo e caldo ciglio, pi puro di un luigi, la ninfea - tua fede coniugale, o Sposa! da opaco specchio, in svelto meriggio, la rosa e cara Sfera invidia ai cieli afosi e grigi. 3. Madame sta troppo eretta nel prato vicino dove fioccano i fili del lavoro; ombrella in mano; calpesta la troppo fiera umbella. Fanciulli leggono un libro di marocchino rosso nella verde fiorita! Come schiera d'angeli bianchi sulla via separati, ahi, Lui dilegua oltre i monti! Dopo i commiati dell'uomo, Lei corre infreddolita e nera. 4. Sode braccia rimpiante e fresche d'erbe pure! Lune in cuore al santo letto, auree primavere! Gioia dei cantieri a riva deserti, in sere d'agosto, preda di marce germinature! Che ora essa pianga sotto i bastioni! Lass la brezza sola alita nei pioppi. Lo specchio grigio senza riflessi e senza fonte: su una barca immobile, draga e pena un vecchio. 5. Io, giuoco di quest'occhio d'acqua funerea, non posso, o scafo immoto! oh! braccia corte! l'uno o l'altro fiore prendere; il giallo importuno, l; n l'azzurro, amico dell'acqua cinerea. Ah! polvere dei salici che un'ala scuote! Rose dei canneti da tempo divorate! Il canotto fermo; e le catene affondate in quest'occhio d'acqua infinita - a quali mote?

Per noi che sono, o cuore, le distese ardenti di sangue, e i mille eccidi, e i gridi infiniti di rabbia, singulti d'inferno sconvolgenti l'ordine: e ancora l'Aquilone sui detrti; la vendetta? Nulla!... - La voglio tutta, mia! Industriali, principi, senati, in coro: perite! Potenza, giustizia, storia: via! Ci dovuto. Il sangue! il sangue! la fiamma d'oro! Solo per la guerra, la vendetta, i terrori, mio spirito! Affonda nella piaga: Ah! passate, repubbliche del mondo! Di imperatori basta, e di coloni, di popoli, di armate!

Chi smuover i turbini di fuoco furiosi, solo noi e i nostri fratelli immaginati! Noi ci divertiremo, o amici favolosi! Non lavoreremo mai, o flutti infuocati! Asia, America, Europa, voi scomparirete. La nostra marcia vendicatrice ha riempito tutto, citt e campagne! - Noi, ci schiaccerete! Saltano i vulcani! E l'Oceano colpito... Oh! amici! - Anima, son fratelli, sta sicura: Venite, neri sconosciuti! Andiamo! andiamo! Ecco che fremo, la vecchia terra, o sciagura! la terra fonde su me che sempre pi vi amo. Non nulla: io sono qui, son qui sempre.

Michel e Christine. Al diavolo, se il sole lascia queste sponde! Fuggi, chiaro diluvio! Ecco le strade in ombra. Nei salici, nel vecchio cortile d'onore, il temporale getta le sue gocce tonde. Cento agnelli, o dell'idillio biondi soldati, dagli acquedotti, dalle brughiere smagrite, via, fuggite! pianura, deserti, prati, orizzonti, pettina il rosso temporale! Pastore bruno dal mantello che s'ingolfa, cane nero, fuggi l'ora dei superiori lampi; biondo gregge, quando l'ombra s'inzolfa e nuota, scendi verso i ripari migliori. Ma io, Signore! ecco, il mio spirito vola dietro i rossi cieli ghiacciati, sotto i miei nuvoli celesti che corrono e volano su cento Sologne lunghe come un rail-way. Ecco mille lupi, mille semi selvatici che questo sacro pomeriggio di tempesta trascina, innamorato dei vilucchi acquatici, sopra l'antica Europa da cento orde pesta! Dopo, il chiaro di luna! dovunque la landa, la fronte arrossata ai cieli neri, guerrieri lenti cavalcano su pallidi corsieri! Risuonano i sassi sotto la fiera banda! - O Gallia, vedr il bosco giallo e il vallo chiaro, la Sposa occhi-blu, l'uomo dal volto vermiglio, e il bianco Agnello Pasquale, al loro piede caro, - Michel e Christine, - e Cristo! - fine dell'Idillio.

Lacrima Lontano da uccelli, da greggi, da paesane, io bevevo, rannicchiato in una brughiera,

cinta da una selva di noccioli leggera, in verdi e tepide foschie meridiane. Che potevo bere in quella giovane Osa, muti olmi, cielo coperto, erba senza fiori. Che spillavo alla mia fiasca di colocasia? Un liquore d'oro, insulso, che d sudori. Cattiva insegna d'osteria sarei stato. Poi il temporale mut il cielo, fino a sera. Furon laghi, pertiche, stazioni, una nera regione, e nella notte blu fu un colonnato. L'acqua dei boschi moriva alla verginale sabbia, e il vento, dal cielo, ghiacciava acquitrini. Io, pescatore d'oro e di gusci marini, dire che non pensai di bere, come tale! Maggio 1872.

Il rivo di Ribes. Il Rivo di Ribes rotola ignorato in mezzo a gole strane: da cento voci di corvi accompagnato, voci d'angeli arcane: dalle pinete di vasti movimenti sotto il tuffo dei venti. Tutto rotola coi misteri ripugnanti di campagne morenti; di rocche infestate, di parchi importanti: dalle sue sponde senti gli amori morti dei cavalieri erranti: quanto salubri i venti! Da questi cancelli guardate, o pedoni: andrete coraggiosi. Soldati dei boschi, divine missioni, miei corvi deliziosi! Mettete in fuga il contadino birbone che trinca col moncone. Maggio 1872.

Commedia della sete. 1. I PARENTI. Noi siamo i tuoi Antenati, i Grandi! Coperti dal freddo sudore della luna e delle verzure. I nostri vini secchi avevan cuore! Sotto il sole senza imposture che cosa occorre all'uomo? bere. IO. Morire nei barbari fiumi.

Noi siamo i tuoi Antenati dei campi. L'acqua sta in fondo ai vinchi: infine la corrente del fossato intorno al castello bagnato. Scendi nelle nostre cantine; e poi il sidro oppure il latte. IO. Bere ove bevono le vacche. Noi siamo i tuoi Antenati; prendi, te', nei nostri armadi i liquori; il t, cos raro, e il caff, gi fremono nei bollitori. - Guarda le immagini, i fiori, ritorniamo dal cimitero. IO. Ah! inaridire ogni urna!

2. LO SPIRITO. Suora d'azzurro, Venere, solleva l'onde tenere e pure. Eterne Ondine spartite l'acqua fine. Ebreo errante parla di nevi Esuli antichi parlatemi dei Norvegese, accese. e cari mari.

IO. Via, bevande pure, fiori d'acqua per bicchiere; n a leggende o figure mi disseto; o canzoniere, tua figlioccia la mia sete cos pazza, mia intima idra senza gola che corrode e desola.

3. GLI AMICI. Vieni, vanno alle spiagge i vini e i flutti a folle! Guarda i Bitter selvaggi rotolare dal colle! Raggiungiamo, viandanti saggi, l'Assenzio dai verdi pilastri... IO. Non pi questi paesaggi. Cos' l'ebbrezza, Amici! Amo di pi, o altrettanto,

marcire nello stagno, sotto l'orrido bagno, ai fluttuanti boschi accanto. 4. IL POVERO SOGNO. Forse m'attende una Sera ove quieto potr bere in qualche Citt austera, e morr pi contento: poich cos paziento! Se si rassegna il mio male, se avr un po' d'oro, vale scegliere il Nord o quale Paese della Vigna?... - Ah! Sognare m'indigna, un perditempo puro! Se torner in futuro il viaggiatore antico, l'albergo verde, l, per me non si aprir. 5. CONCLUSIONE. I colombi che tremano nei prati, la selvaggina in corsa alle nottate, le bestie d'acqua, le bestie aggiogate, l'ultime farfalle!... tutti assetati. Fondersi a quella nube senza testa, - favorito, oh, da tutte le frescure! spirare tra le viole umide e oscure di cui l'aurore riempion la foresta? Maggio 1872.

Pensierino del mattino. La mattina alle quattro, d'estate, il sonno d'amore dura ancora. Sotto i boschetti l'alba deodora le sere festeggiate. Ma laggi negli immensi cantieri al sole dell'Esperidi, l scamiciati, ecco i carpentieri si agitano gi. Tranquilli, in quei deserti muschiati, preparano il tavolato fino dove ride il ricco cittadino sotto cieli affrescati. Per questi Operai affascinanti a un re di Babilonia assoggettati, ah! lascia un po', Venere, gli Amanti dai cuori incoronati.

Regina dei Pastori! porta acquavite ai lavoratori, la loro forza vieni a ristorare prima del bagno meridiano, in mare. Maggio 1872.

Feste della pazienza. BANDIERE DI MAGGIO. Nei chiari rami, sopra i tigli, un hallal malato muore. Ma qui canzoni spiritose volteggiano tra l'uve spine. Ci rida nelle vene il sangue, ecco s'intralciano le viti. Come angelo grazioso il cielo. L'azzurro e l'onda si trasfondono. Esco. Soccomber nel muschio, se un raggio mi ferisce. Troppo semplice vivere annoiato, paziente. Sprezzo le mie pene. Voglio che l'estate drammatica mi leghi al carro di fortuna. - Ah, meno solo e nullo! - molto per te, o Natura, che io muoia. Mentre i Pastori quasi muoiono, e com' strano, per il mondo. Che le stagioni mi consumino. A te m'arrendo, qui, o Natura; con la mia fame e la mia sete. Tu abbevera, di grazia, e nutri. Nulla di nulla pi m'illude; ridere al sole come ridere ai parenti, e pi a nulla io rido. Sia libera la mia sfortuna. Maggio 1872.

CANZONE DELLA PIU' ALTA TORRE. Pigra giovinezza a tutto asservita, per delicatezza ho perso la vita. Ah! che i tempi rendano cuori che si prendono. Mi son detto: cessa, non farti vedere: senza la promessa di gioie pi vere. Che nulla vi augusti romitaggi augusti.

Tante le pazienze che le ho scordate; ansie e sofferenze sono in cielo andate. La mia sete impura le vene mi oscura. Cos abbandonato all'oblo il prato fiorito, e pi immenso, di loglio e d'incenso nei fieri bordoni di sporchi mosconi. Mille vedovanze del povero cuore che ha solo sembianze di Nostre Signore! Si prega la pia Vergine Maria? Pigra giovinezza tutto asservita, per delicatezza ho perso la vita. Ah! che i tempi rendano cuori che si prendono! Maggio 1872.

L'ETERNITA'. L'hanno ritrovata. Che? - L'Eternit. La marea andata con il sole. Mormora, mia anima attenta, la confessione della notte spenta e del giorno in fiamme. Dai suffragi umani, dai comuni slanci laggi ti dipani e libera voli... Tizzoni di sete, invero il Dovere voi soli effondete senza dire: infine. Nessuna speranza, nessun oretur. Scienza pi costanza, supplizio sicuro. L'hanno ritrovata. Che? - L'Eternit. La marea andata insieme col sole.

Maggio 1872.

L'ETA' D'ORO. Qualche voce e sempre angelicale - si tratta di me si spiega col male. Mille questioni mie Che vi diramate, in fondo non date ch'ebbrezza e follie; La facile ronda lieta ripiglia: non che flora, onda, la tua famiglia! Lei canta con me. Facile e lieta, e Ad occhio si vede - Io canto con fede, la facile ronda lieta ripiglia: non che flora, onda, la tua famiglia!... ecc... Poi una voce - lei angelicale! si tratta di me, si spiega col male; E canta al momento sorella di fiato: con Tedesco accento, ma pieno e infiammato: il mondo guasto, di ci ti sorprendi! Vivi e al fuoco rendi il buio nefasto. Chiara, oh bel castello la tua vita! Quale Et hai, regale natura del grande nostro fratello? ecc... Canto anch'io: sorelle, molteplici storie! Voci impubblicate! Qui, me circondate di pudiche glorie... ecc... Giugno 1872.

Giovane coppia.

La stanza aperta ai cieli blu turchini; niente spazio: madie e scrigni allo scuro! Pieno d'aristolgie, sopra il muro vibrano le gengive ai follettini. Tanto sperpero e baraonda vana, tutto un intrigo di spiritelli! E' la fata fornitrice africana di more, e ai cantucci di reticelli. Entrano in molte, madrine scontente, nelle credenze in un lembo lucente, e poi ci stanno! poco seriamente la coppia esce, senza aver fatto niente. Lo sposo ha il vento continuo che prova a imbrogliarlo, qui, mentre sono assenti. Anche i geni dell'acqua, malfacenti vagano per le sfere dell'alcova. La li il Se notte, oh amica! la luna di miele coglie ridenti e riempir dopo cielo di mille ramate vele la vedranno col maligno topo -

- Se non viene un fuoco fatuo terrestre dopo i vespri, come una fucilata. - Spettri bianchi di Betlemme beata, O esorcizzate il blu delle finestre! 27 giugno 1872.

Bruxelles. Luglio. Boulevard du Rgent. Bordure d'aiuole d'amaranto fino all'ameno palazzo di Giove. - Lo so, sei Tu che qui, in ogni dove, mischi il tuo Blu di Sahara! Intanto, come rosa e pino del sole d'oro e qui la liana hanno chiuso i loro giochi, o gabbia della vedovella!... Oh, che stormi d'uccelli, O i i, i i!. - Case tranquille, antiche passioni! Chiosco dell'Impazzita per affetto. Dietro le chiappe dei rosai, balconi ombrosi e molti bassi di Giulietta. - Giulietta, ti rammenta l'Enrichetta, deliziosa stazione ferroviaria in fondo a un verziere, in cuore a una vetta, ove diavoli blu danzano in aria! Verde panca ove canta al cielo di rabbie, sulla chitarra, la bianca Irlandese.

Dalla sala da pranzo guianese, un cicaleccio di bimbi e di gabbie. Finestra del duca, per cui pensiamo al veleno di lumache e del bosso che dorme qui sotto il sole. Non posso, troppo bello! In silenzio restiamo. - Boulevard senza commercio e senza giro, muto, a ogni dramma e a ogni commedia incline, riunione di scene senza fine, io ti conosco e in silenzio t'ammiro. E' forse alma?... Nelle prime ore blu se stessa strugger come il fiore che fu... dinanzi allo stupendo piano ove si sente la florida citt fiatare immensamente! Troppo bello! troppo! ma necessario, ora - per la Pescatrice ed il canto dei Corsari, per l'ultime maschere che credono ancora alle notturne feste sopra i puri mari! Luglio 1872.

Feste della fame. Anna, Anna, fame mia, sul tuo ciuco fuggi via. L'"acquolina" l'ho soltanto per le pietre e l'arenaria. Din! Din! Din! Mangiamo tanto, roccia, ferro, carbone, aria. Dei suoni brucate il fieno. Fami, ballate! Dei convolvoli il veleno lieto succhiate; Mangiate sassi vecchie pietre ghiaie, figlie pani sparsi in dal povero infranti, in luoghi santi, dei diluvi, grigi spluvi!

Fami, o stracci d'aria nera; bluit sonora; E' lo stomaco che spera. E' la malora. Gi la foglia in terra vola! Vado ai frutti in polpa molle. Colgo al cuore delle zolle l'erba-fu e l'erba viola. Anna, Anna, fame mia! sul tuo ciuco fuggi via. Agosto 1872.

Il lupo urlava tra i rami le belle piume sputando del suo pasto di pollami: come lui sto consumando. Frutto e legume non vuole ch'essere colto nell'aia; ma il ragno di siepaia mangia soltanto le viole. Oh, ch'io dorma! e sia bollito sulle are di Salomone. Scorre il brodo arrugginito e si mescola al Cedrone.

Odi come bramisce, d'aprile, ove fiorisce l'acacia, il ramoscello virente del pisello! Nel suo vapore, verso Febe, netto e terso! di scuoter la testa di santi d'altra festa Lungi dai massi chiari dei capi, e dai bei tetti, voglion gli Antichi cari questi filtri sospetti... Orbene n feriale e neppure astrale! la bruma che sale dall'effetto serale. - Sicilia ed Allemagna, tuttavia ristagna in quel vapore dolente e scialbo, giustamente!

O castelli, o stagioni, vi anima senza passioni? O castelli, o stagioni. Io ho fatto i magici studi della Gioia, che non eludi. Viva lei! se cantare ascolta il gallo celtico ogni volta. Ma ogni voglia ormai svanita, lei si assunta la mia vita. Mala! anima e corpo, tutto ha preso, e ogni sforzo distrutto. Chi capir la mia parola?

A causa sua fugge e vola! O stagioni, o castelli! Se mi travolge la sventura, la sua disgrazia mi sicura. Bisogna che il suo sdegno, ahi lasso! mi ceda al pi lesto trapasso! O Stagioni, o Castelli!

Vergogna. Finch la lama non avr tagliato questo cervello, dal vapore mai novello, pacco bianco, verde e grasso (ah! Lui dovrebbe, non a caso, tagliarsi orecchie, labbro, naso e ventre! e fare abbandono delle gambe! o stupore!) no; davvero credo che finch per la sua testa i coltelli, per il suo fianco i sassi, e la fiamma per i suoi budelli, non agiscono, il ragazzo incomodo non faccia altro, il bestione cos pazzo, che tradire e far lo scaltro, che ammorbare intere sfere come un gatto al Monroccioso! Alla morte, o Dio pietoso, innalzategli preghiere!

Poemi in prosa.

Le Illuminazioni. Dopo il diluvio. Non appena l'idea del diluvio si fu placata, Una lepre si ferm nella cedrngola e le tremule campanule e, attraverso la tela del ragno, recit all'arcobaleno la sua preghiera. Oh! l le nascoste pietre preziose, - i gi occhieggianti fiori. Nello stradone sporco vennero drizzati i banchi e furon tratte le barche verso il mare, lass a piani, come nelle stampe. Il sangue fu versato da Barbabl - nei mattatoi - nei circhi, dove il marchio di Dio illividisce le finestre. Sangue e latte colarono. I castori edificarono. I mazagran (1) fumarono nei caff. Nella sempregrondante vasta casa di vetri, i bambini a lutto guardarono le meravigliose figure. Sbatt una porta, - e sulla piazza del villaggio, il bambino, capito ovunque da banderuole e galli sopra i campanili, gir le braccia, sotto la lucente acquata.

Madame*** (2) sistem un pianoforte sulle Alpi. Ai centomila altari del duomo si celebrarono la messa e le prime comunioni. Partirono le carovane. E lo Splendid-Hotel fu costruito nel caos dei ghiacci e della notte polare (3). D'allora, la luna ud gli sciacalli gementi nei deserti di timo, - e le egloghe in zoccoli grugnire nei frutteti. Poi nel folto violetto, germogliante, Eucaris (4) mi disse ch'era primavera. - Sgorga, stagno, - schiuma, sul ponte e al di sopra dei boschi rotola; - neri drappi e organi, - lampi e tuono, - gonfiate e rotolate; - Acque e tristezza, gonfiate e i Diluvi rianimate. Poich da quando si sono allontanati, - oh! le pietre preziose sono andate sottoterra, e i fiori aperti! - una noia! e la Regina, la Strega (5) che accende sul vaso di terra la sua brace, non vorr mai narrarci quello che ignoriamo e che lei sa.

Infanzia. 1. Quest'idolo, occhi neri e crine giallo, senza genitori n corte, nobile pi di una fiaba, fiamminga e messicana; il suo dominio, azzurrit e verzura impertinenti, si espande su spiagge note, per onde prive di vascelli, e nomi ferocemente greci, celtici, slavi. Al confine della foresta, - i fiori del sogno, rintoccano, risplendono, fari luce, - la ragazza dal labbro aranciato, i ginocchi incrociati nel chiaro diluvio che sgorga dai prati, nudit ombreggiata, attraversata, rivestita dagli arcobaleni, dalla flora e dal mare. Signore che volteggiano sulla terrazza affacciate al mare; gigantesse infanti, neri superbi nel muschio grigioverde, gioielli in piedi sul grasso terreno dei boschetti e dei piccoli giardini disgelati, - madri giovani e sorelle maggiori lo sguardo pieno di pellegrinaggi, sultane, principesse dall'incedere e dai ruoli di tiranne, piccole straniere e persone dolcemente infelici. Che tedio, l'ora del caro corpo e del caro cuore (1). 2. E' lei, la morticina (2), dietro i roseti. - La giovane mamma trapassata discende la scalea. - Il calesse del cugino stride sulla sabbia. - Il fratellino ( in India!) (3) l, in faccia al tramonto, sul prato di garofani. - I vecchi che han sepolto in piedi sulla scarpata di violaciocche. Lo sciame delle foglie d'oro avvolge la casa del generale (4)! Si trovano nel Mezzogiorno. - Si segue la strada rossa per giungere alla locanda vuota. Il castello in vendita; le persiane son divelte. - Il curato avr portato via la chiave della chiesa. - Intorno al parco, i posti di guardia sono deserti. I recinti sono tanto alti che si vedono soltanto le cime mormoranti. Del resto, l dentro, non c' niente da vedere.

I prati risalgono ai casolari senza galli e senza incudini. La chiusa alzata. O le Vae Crucis e i mulini del deserto, le isole e i covoni!. Fiori magici ronzavano. I pendii lo cullavano. Passavano bestie di favolosa eleganza. I nembi s'addensavano sul mare aperto, fatto di un'eternit di calde lacrime. 3. Nel bosco c' un uccello, ti arresta e ti fa arrossire il suo canto. C' un orologio che non suona. C' una forra con un nido di animali bianchi.

C' una cattedrale in discesa e un lago in salita. Nel bosco ceduo c' un carrozzino abbandonato, o che discende il sentiero di corsa, infiocchettato. C' una compagnia di guitti in costume, intravisti sulla strada al limite del bosco. Infine, quando hai fame e sete, c' qualcuno che ti scaccia. 4. Io sono il santo, in preghiera sul terrazzo - come pascono le bestie pacifiche fino al mar di Palestina. Io sono il dotto della poltrona scura. Rami e pioggia si gettano ai vetri della mia biblioteca. Sono il viandante della strada maestra in mezzo ai boschi nani; il rumore delle chiuse copre i miei passi; a lungo, il malinconico bucato d'oro del tramonto io guardo. Io potrei essere il fanciullo abbandonato sul molo proteso all'alto mare, il piccolo valletto che segue il viale dalla fronte che tocca il cielo. Aspri i sentieri. I dossi si ricopron di ginestre. Immota l'aria. Come gli uccelli e le sorgenti sono lontani! Solo la fine del mondo pu esserci, pi in l. 5. Affittatemi dunque quella tomba, a calce bianca con le linee in rilievo di cemento - assai lontano sottoterra. Mi aggmito al tavolo, il lume vivissimo rischiara quei giornali che da idiota io rileggo, quei libri privi d'interesse. Al di sopra della mia sala sotterranea, a una distanza enorme, s'impantano le case, s'addensano le brume. Il fango rosso o nero. Citt mostruosa (5), notte senza fine! Meno alte, sono le fogne. Ai lati, lo spessore del globo solamente. Gorghi d'azzurro forse, pozzi di fuoco. Forse su quei piani che s'incontrano lune e comete, favole e mari. Nell'ore di amarezza immagino sfere di zaffiro, di metallo. Sono il signore del silenzio. Perch dovrebbe all'angolo della volta impallidire una parvenza di spiraglio?

Racconto. Un Principe si tormentava perch si era dedicato sempre a perfezionare le generosit volgari. Prevedeva strabilianti rivoluzioni d'amore, e riteneva le sue donne pi capaci della loro compiacenza guarnita di cielo e di lusso. Voleva vedere la verit, l'ora del desiderio e dell'appagamento essenziale. Fosse o no una pia aberrazione, lo volle. Possedeva comunque un grandissimo potere umano. Tutte le donne che l'avevano conosciuto furono assassinate. Che saccheggio nel giardino della bellezza! Sotto la sciabola lo benedirono. Non ne ordin di nuove. - Le donne ricomparvero. Egli uccise tutto il suo seguito, dopo la caccia e le libagioni. Tutti lo seguivano. Si divert a sgozzare gli animali lussuosi. Fece bruciare i palazzi. Si scagliava contro la gente e la faceva a pezzi. - La folla, i tetti d'oro, gli animali belli esistevano ancora.

Nella distruzione possiamo estasiarci, con la crudelt ringiovanire! Il popolo non protest. Nessuno offr l'aiuto del proprio parere. Una sera egli galoppava fieramente. Un Genio (1) d'ineffabile bellezza, persino inconfessabile, gli apparve. La promessa di un molteplice e complesso amore spiccava dal suo aspetto e dal suo contegno! Il Principe e il Genio s'annientarono, probabile, nella salute vitale. Come avrebbero potuto non morirne? Dunque insieme morirono. Ma quel Principe, sul suo palazzo, defunse a un'et consueta! Il Principe era il Genio. Il Genio era il Principe. Alla nostra intenzione manca una musica sapiente.

Parata. Durissimi bricconi (1). Molti di loro hanno sfruttato il vostro mondo. Senza stimoli, e indolenti nel praticare le loro brillanti facolt e la loro esperienza sulle vostre coscienze. Che uomini maturi! Occhi ebeti a mo' di notte estiva, rossi e neri, tricolori, d'acciaio trapunto di stelle d'oro; i musi deformi, lividi, allibiti, accesi; raucedini insensate! O crudele maneggio di fronzoli! - Ci sono alcuni giovani - come potrebbero guardare Cherubino? dotati di orribili voci (2) e di qualche pericolosa risorsa. Li mandano in citt a prenderselo dietro (3), agghindati con lusso schifoso. O violentissimo Paradiso della moina imbestialita! Nessun confronto con i vostri Fachiri e le altre pagliacciate teatrali. In costumi improvvisati, nel gusto dei brutti sogni, essi recitano lamenti, tragedie di canaglie e semidei (4), spiritose come non furono mai la storia n le religioni. Cinesi, Ottentotti, zingari, balordi, iene, Moloc, vecchie demenze, demoni sinistri, mischiano modi popolari, materni, con pose e bestiali tenerezze. Farebbero gli interpreti di nuove commedie e di canzonette rosa. Esperti giullari, trasformano il luogo e le persone, e adottano l'attrazione (5). Gli occhi fiammeggiano, il sangue canta, le ossa si dilatano, lacrime e fili rossi scorrono. La loro beffa o il loro atterrire dura un minuto, oppure mesi interi. lo solo ho la chiave di questa cerimonia barbara.

Anticaglia (1) Figlio grazioso di Pan! Intorno alla tua fronte cinta di fiorellini e ai tuoi occhi di bacche, preziose sfere si muovono Macchiate di fondi bruni, le tue gote s'infossano. Le tue zanne brillano. Il tuo petto somiglia a una cetra, tintinnii vanno per le tue braccia bionde. Il tuo cuore batte in questo ventre dove un doppio sesso dorme. Aggrati, alla notte, eccitando (2) dolcemente quella coscia, quella seconda coscia e questa gamba di sinistra.

Bella creatura. Di fronte a una neve una Creatura di Belt dalla statura alta. Sibili di morte e volute di musica sorda fan salire, espandere e fremere come uno spettro quel corpo adorato; ferite scarlatte e nere (1) splendono nelle carni sontuose. I colori propri al la vita s'oscurano, danzano e si svolgono intorno alla Visione, sul cantiere. E i fremiti si levano e mugghiano, e mentre al sapore delirante di simili effetti si aggiungono i fischi mortali e le musiche rauche che un mondo dietro di noi, lontano, lancia su nostra madre di bellezza, - lei arretra, s'impenna. Oh! le vostre ossa si rivestono di un corpo amoroso e nuovo (2). *** O la faccia cinerea, lo scudo di peli (3), le braccia di cristallo! Il cannone sul quale devo abbattermi tra la mischia degli alberi e dell'aria leggera (4)!

Vite

1. O i viali immensi del paese santo, le terrazze del tempio! Che n' stato del bramino che mi spieg i Proverbi? D'allora di laggi, io scorgo ancora persino le vecchie. Mi ricordo le ore d'argento e del sole verso i fiumi, la mano della campagna (1) sulla mia spalla, le nostre carezze in piedi nelle pianure speziate (2). - Uno svolo di piccioni scarlatti romba intorno al mio pensiero. - Qui esiliato, mi tocc una scena (3) dove recitare i capolavori drammatici d'ogni letteratura. Vi indicher le inaudite ricchezze. Osservo la storia dei tesori (4) che avete trovato. Ne vedo il seguito! La mia saggezza respinta (5) quanto il caos. Che mai il mio nulla, in confronto allo stupore che vi attende (6)? 2. Io sono un inventore che ha assai pi meriti di tutti i miei predecessori; anzi un musicista che ha scoperto qualcosa come la chiave d'amore. Adesso, gentiluomo di un'aspra campagna dal cielo pulito, cerco di commuovermi, al ricordo dell'infanzia mendca, delle prime prove o dell'arrivo in zoccoli, delle polemiche, delle cinque o sei vedovanze (7), e di qualche baldo ria in cui la mia scontrosit m'imped di toccare il diapason dei miei compagni. Non rimpiango di aver partecipato un tempo all'allegria divina: l'aria pulita di quest'aspra campagna nutre fortemente il mio scetticismo atroce. Ma tale scetticismo non potendo ormai attuarsi, e d'altra parte essendo io votato a un turbamento nuovo - aspetto di mutarmi in un malvagio folle. 3. In un solaio (8) dove fui rinchiuso a dodici anni, ho conosciuto il mondo, ho illustrato la commedia umana. In una dispensa ho imparato la storia. A qualche festa notturna di una citt del Nord, ho incontrato tutte le donne dei pittori antichi (9). A Parigi, in un vecchio ritrovo (10) m'insegnarono le scienze classiche. In una magnifica dimora circondata dall'intero Oriente ho compiuto la mia opera immensa e trascorso il mio ritiro illustre (11). Ho rimestato il mio sangue. Il mio dovere condonato. Non devo nemmeno pi pensarci. Davvero appartengo all'oltretomba, e niente cmpti.

Partenza. Veduto quanto basta. Ogni momento mi ha dato la visione. Avuto quanto basta. Voci di citt (1), alla sera e al sole, e sempre. Saputo quanto basta. I decreti della vita (2). O Voci! O visioni! Distacco negli affetti e nei rumori nuovi!

Regalit. Un bel mattino, presso un popolo assai mite, un uomo e una donna magnifici gridavano sulla pubblica piazza. Amici miei, io la voglio, regina! Voglio essere regina! Lei rideva e tremava. Lui parlava agli amici di rivelazione, di prova conclusa. L'uno con l'altra si esaltavano. Infatti furono Reali tutta una mattina (1), in cui svett sopra le case il carminio degli arazzi, e tutto un pomeriggio che li spinse verso i giardini delle palme.

A una ragione. Un colpo del tuo dito sul tamburo scatena tutti i suoni e d principio all'armonia nuova (1). Un passo tuo ed la leva di nuovi uomini (2) e della loro marcia. Giri la testa: il nuovo amore! Rigiri la tua testa, - l'amore nuovo.

Muta le nostre sorti, monda i flagelli, a cominciar dal tempo, cantano a te questi fanciulli. Innalza la sostanza dei nostri beni e dei nostri desideri, dove vuoi ti prego. Tu qui da sempre, andrai per ogni dove. Mattinata d'ebbrezza O il mio Bene! Il mio Bello! Fanfara atroce dov'io non inciampo! Cavalletto magico! Per l'opera inaudita, per il meraviglioso corpo, per la prima volta, urrah! Tutto inizi nelle risate dei bambini, tutto finir con loro. Questo veleno ci rester in ogni vena quando, passata la fanfara, saremo restituiti alla disarmonia di un tempo. O noi, in quest'istante, cos degni di simili torture! ferventi raccogliamo quella promessa sovrumana fatta al nostro corpo e alla nostra anima creati: quella promessa, quella demenza! L'eleganza, la scienza, la violenza! Ci avevano promesso di seppellire nell'ombra l'albero del bene e del male, di deportare le onest tiranniche, affinch recassimo il nostro pi puro amore. Tutto inizi con ripugnanze e tutto fin - non potendo subito afferrare quest'eternit - fin in uno sbando di profumi. Riso di fanciulli, segretezza di schiavi, solennit di vergini, orrore dei volti e degli oggetti di quaggi, il ricordo di questa veglia vi consacri. Era tutto cominciato rozzamente, ecco che finisce con angeli di fiamma e di ghiaccio. Breve veglia d'ebbrezza! Santa! Ancorch fosse solo per la maschera con cui ci hai ripagato. Noi ti affermiamo, o metodo! Non ci scordiamo che ieri tu glorificasti ciascuna delle nostre et. Confidiamo nel veleno. Sappiamo dare la nostra vita ogni giorno, interamente. Eccolo, il tempo di Assassini.

Frasi. Quando, per i nostri quattr'occhi stupefatti, il mondo si ridurr a un solo bosco nero (1), - a una spiaggia per due fanciulli fedeli (2) - a una musicale casa per la nostra chiara simpatia, - io ti trover. Che ci sia quaggi un vecchio solo, tranquillo e bello, circondato da un lusso inconcepibile - e io sar ai tuoi ginocchi. Che io abbia attuato tutti i tuoi ricordi, - ch'io sia colei che sa allacciarti, - e ti soffocher. *** Se siamo fortissimi - chi arretra? se allegrissimi - chi muore dal ridere? Se siamo assai malvagi - di noi cosa faranno? Ornatevi, ballate, ridete. - lo non potr mai gettar dalla finestra Amore. *** Compagna mia, accattona, fanciulla mostro! quanto te ne infischi di queste disgraziate, di questi maneggi, del mio disagio. Aggrppati a noi con la tua voce assurda, la tua voce! sola lusinga di questa disperazione vile. *** Un mattino coperto, di Luglio. Un sentore di ceneri vola nell'aria; - un odore di legno che nel camino traspira, - i fiori macerati - il saccheggio delle gite - la brina dei canali per i campi - perch non gi i giocattoli e l'incenso? (3). *** Da campanile a campanile ho teso corde; ghirlande da finestra a finestra, catene d'oro da stella a stella, e danzo.

*** Lo stagno profondo fuma di continuo. Quale strega si lever contro il tramonto bianco? Quali fronde violacee scenderanno? *** Mentre in feste di fratellanza (4) si scialacqua il pubblico denaro, una campana di fuoco rosa (5) rintocca fra le nubi. *** Eccitando un piacevole gusto d'inchiostro di China, sul mio vegliare piove dolcemente una polvere nera. - Abbasso le fiamme della lumera, mi butto sul letto, e verso l'ombra rivolto, io vi vedo, mie fanciulle! o mie regine! (6)

Operai, O quella calda mattinata di febbraio! Il Sud intempestivo venne a ravvivarci il ricordo di squattrinati assurdi, la nostra giovane miseria. Henrika aveva una gonna a quadri, bianchi e bruni forse portata nel secolo scorso, una cuffia con nastri, e un fazzoletto di seta. Era ancor pi triste di un lutto. Facevamo un giro in periferia. Il tempo era coperto, e quel vento del Sud eccitava tutti i fetor dei giardini devastati e dei prati inariditi. Il che non doveva spossare mia moglie quanto me. Su di un alto sentiero, lei mi indic alcuni pesciolini in una pozzanghera lasciata dall'inondazione del mese passato. Con il suo fumo e i suoi rumori di telai, la citt ci seguiva per sentieri lontanissimi. 0 l'altro mondo, la dimora benedetta dal cielo e dalle ombrosit! (1). Il Sud mi ricordava le miserabili disgrazie della mia infanzia, le mie estati disperate, la quantit terribile di forza e di sapere che da me la sorte ha sempre allontanato (2). No! in questo paese avaro dove non saremo mai che orfani fidanzati!, non passeremo l'estate. Non voglio pi che questo braccio indurito trascini "una figura cara".

I ponti. Cieli grigi di cristallo. Un bizzarro disegno di ponti, questi diritti, arcuati quelli, e altri in discesa o ad angoli obliqui sui primi, e tali figure sempre nuove negli altri percorsi schiariti del canale, ma tutti cos lunghi e leggeri che le sponde s'abbassano, e impiccioliscono sotto il peso delle cupole. Di questi ponti, qualcuno ancora pieno di topaie. Altri sostengono pennoni, segnali, fragili ringhiere. Accordi minori s'incrociano, e filano, dagli argini salgono funi. Distingui una giacca rossa, forse altri vestiti, e strumenti musicali. Sono arie popolari, brani di nobili concerti, avanzi d'inni pubblici? L'acqua grigiazzurra, larga come un braccio di mare. - Cadendo dall'alto del cielo, un raggio bianco cancella simile commedia.

Citt. Sono un effimero, io, e abitante non troppo deluso d'una metropoli ritenuta moderna perch salvata da tutto H gusto ritrito negli addobbi, sulle facciate delle case e nella pianta cittadina. Qui non trovereste alcuna traccia di monumenti alla superstizione. La morale e la lingua sono ridotte alla loro pi semplice espressione, finalmente! Qui milioni di persone, senza bisogno di conoscersi, conducono in egual modo l'educazione, il mestiere e la vecchiaia, che il corso di una vita dev'essere assai pi breve di quella riscontrata da una statistica assurda sui popoli continentali. O! come ancora (1) io vedo dalla mia finestra, nuovi spettri erranti tra il fumo eterno e denso del carbone, - ombra dei nostri boschi, nostra notte d'estate! -

e nuove Erinni davanti a questo cottage che per me la patria e tutto il cuore mio, giacch ogni cosa qui gli rassomiglia, - e la Morte illacrimata, attiva nostra figlia e serva, e un Amore disperato, e un bel Delitto che frigna nel fango della strada.

Carreggiate. A destra l'alba, in quest'angolo del parco, risveglia le foglie, i vapori e i rumori, e a sinistra le scarpate tengono nella loro ombra viola le mille svelte carreggiate dell'umida strada. Sfilata di fantesmagore (1). Infatti: carri stipati d'animali di legno dorato, di pali e di teli variopinti, al gran galoppo di venti cavalli da circo pezzati, e uomini e bambini su bestie strabilianti; venti veicoli, bozzati, pavesati inghirlandati come carrozze fiabesche o antiche, zeppi di fanciulli acconciati per una pastorale suburbana! - Persino feretri (2) che sotto notturni baldacchini rizzano pennacchi d'ebano, filando al trotto di grandi giumente azzurre e nere.

Citt. Sono citt! E' un popolo per cui si sono costruiti questi Allghani e questi Lbani di sogno! Chalet di cristallo e di legno che vanno su rotaie e carrucole invisibili. Melodiosi, i vecchi crateri cinti di colossi e di palmizi in rame ruggiscono sui fuochi. Sui canali sospesi dietro gli chalet feste amorose risuonano. I carillon da caccia echeggiano nelle valli. Compagnie di cantori giganteschi accorrono in costumi e orifiammi risplendenti come la luce delle vette. Sulle spianate in mezzo alle voragini gli Orlandi intonano le loro prodezze. Sulle passerelle dell'abisso e sui tetti delle locande l'ardore del cielo pavesa i pennoni. La frana delle apoteosi raggiunge gli altipiani dove s'aggirano le centauresse serafiche in mezzo alle valanghe. Al di sopra delle creste pi alte, un mare agitato dalla nascita eterna di Venere , straripante di flotte canore e di voci di perle e di conche preziose, - il mare talora si offusca con bagliori mortali! Grandi come le nostre armi e le nostre coppe, messi di fiori mugghiano sui clivi. Cortei di Mab in vesti rossastre, opaline, salgono dai borri. Lass, le zampe nella cascata e dentro i rovi, i cervi poppano Diana. Le Baccanti di periferia singhiozzano e la luna brucia e urla. Venere entra nelle spelonche di fabbri e d'eremiti. Gruppi di torri cantano le idee del popolo. Da castelli costruiti in osso esce una musica ignota. Girano tutte le leggende e gli alci si scagliano nei borghi. Il paradiso dei temporali sprofonda. Senza posa i selvaggi danzano la festa della notte. E per un'ora sono nel traffico di un viale d Bagdad dove gruppi hanno cantato alla gioia del nuovo lavoro, sotto una densa frescura, errando senza eludere i fantasmi favolosi dei monti, dove per forza non ci siamo ritrovati. Che buone braccia e che bella ora mi renderanno la contrada donde vengono i miei sonni e i miei moti pi leggeri?

Vagabondi. Pietoso fratello! Quante atroci veglie gli devo! Non mi avvinceva con fervore quell'impresa. Mi ero burlato della sua infermit. Per colpa mia saremmo ritornati in esilio, in schiavit. Mi attribuiva una disdetta e un'innocenza molto strane, e aggiungeva ragioni conturbanti. Io rispondevo sogghignando a quel satanico dottore, e finivo per raggiungere la finestra. Creavo, al di l della campagna attraversata da fasce di musica (1) rara, i fantasmi del futuro lusso notturno. Dopo quel distrarmi vagamente igienico, mi buttavo sopra un pagliericcio. E, quasi ogni notte, appena addormentato, il povero fratello si alzava, la bocca imputridita, gli occhi fuori dall'orbita, - come lui si sognava! - e mi trascinava nella sala urlando il suo sogno di dolore idiota.

Mi ero impegnato infatti, in tutta sincerit, di restituirlo al suo stato primitivo di figlio del Sole (2), - e nutriti del vino di caverna (3) e del biscotto del viandante, erravamo, io ansioso di trovare la formula e il luogo.

Citt. L'acropoli ufficiale supera le pi colossali concezioni delle barbarie moderne. Impossibile esprimere la luce smorta data da questo cielo immutabile e grigio, lo splendore imperiale dei palazzi, e l'eterna neve del suolo. Con H gusto singolare dell'enorme han riprodotto le classiche meraviglie dell'architettura. Visito mostre di pittura in locali vasti venti volte pi di Hampton-Court. Un Nabuccodonosor norvegese (1) ha fatto erigere le scale dei ministeri, i subalterni che ho incontrato sono gi pi fieri di [?], e all'aspetto dei custodi dei colossi e degli edili io ho tremato. Le costruzioni riunite attorno a piazzette alberate, in cortili e in terrazze chiuse, hanno fatto sloggiare i cocchieri. I parchi imitano la natura primitiva lavorata con splendida arte. Il quartiere alto ha parti misteriose: un braccio di mare, senza battelli, arrotola il suo velo di nevischio azzurro tra le banchine piene di giganteschi candelabri (2). Subito sotto la cupola della Santa Cappella (3), un breve ponte conduce a una porta. La cupola un'armatura d'artistico acciaio di quindicimila piedi di diametro all'incirca. Da alcuni punti delle passerelle in rame, delle spianate, e delle scalinate che circondano i mercati e i pilastri, ho potuto immaginarmi, credo, la profondit della citt! E' il prodigio di cui non mi son reso conto: sopra e sotto l'acropoli, qual il livello degli altri quartieri? Per lo straniero d'oggi impossibile orientarsi. Il quartiere commerciale un circo in stile unico, con portici ed arcate (4). Non si vedono botteghe, ma la neve del selciato calpestata; qualche nababbo raro come i passanti di una domenica mattina a Londra, si dirige verso una diligenza di diamanti. Qualche divano di velluto rosso: si servono bibite polari di un prezzo vario da ottocento a ottomila rupie. All'idea di cercare teatri di questo circo, mi dico che le botteghe devono racchiudere drammi molto tetri. Suppongo ci sia una polizia. Ma la legge dev'essere talmente strana, che gli avventurieri di qui io rinuncio a immaginarli. Il sobborgo, elegante come una bella via di Parigi, favorito da un'aria luminosa. La parte democratica conta qualche centinaio d'anime. Neppure l le case si susseguono, il sobborgo si perde a capriccio dentro la campagna, la Contea (5) che occupa il ponente eterno di foreste e prodigiose piantagioni, dove gentiluomini selvaggi cacciano le proprie cronache sotto una luce creata.

Veglie. 1. N febbre, n languore; il riposo illuminato sul letto o sul prato. E' l'amico, n ardente n debole. L'amico (1). E' l'amata, n angosciosa n angosciata. L'amata (2). L'aria e il mondo inesplorati. La vita. - Dunque era questo? - E il sogno si rinforza. 2. Ritorna sull'albero dell'edificio l'illuminazione. Dagli estremi della sala, due scenari banali, armoniose elevazioni si fondono. Il muro in faccia al vegliante un seguito psicologico di spaccature fregiate, di strisce atmosferiche e di casi geologici. - Sogno intenso e rapido di gruppi sentimentali con esseri di tutti i tipi e tutte le sembianze.

3. Le lampade e i tappeti della veglia fanno il rumore delle onde, la notte, lungo lo scafo e intorno al tavolato (1). Il mare della veglia, come i seni d'Amelia (2). Gli arazzi di boschetti di trina, a mezza altezza, tinta di smeraldo, dove le tortore della veglia s'avventano. .................... La piastra del focolare nero, soli veri sui greti: ah! pozzo di magie; unica vista dell'aurora, questa volta.

Mistico. Sulla china del fosso gli angeli fan girare le loro vesti di lana fra l'erbe di acciaio e di smeraldo. Prati di fiamme balzano su, fino alla cima del dosso. A sinistra la terra del crinale pestata da tutti gli omicidi e da tutte le battaglie, e tutti i rumori disastrosi prolungano la loro curva. Dietro il crinale di destra la linea degli orienti, dei progressi. E mentre la parte alta del quadro (1) fatta dal rumore avvolgente e sussultante delle conche marine e delle notti umane. Discende di fronte alla scarpata, la dolcezza fiorita delle stelle e del cielo e di tutto, come un canestro, - in faccia a noi, formando in basso, laggi, l'abisso blu e profumato.

Alba. Ho abbracciato l'alba d'estate. Niente si muoveva ancora sulla facciata dei palazzi. L'acqua era morta. Le zone d'ombra non lasciavano la strada del bosco. Ho camminato, ridestando gli aliti tiepidi e vivi, e le gemme guardavano, e in silenzio si alzarono le ali. La prima impresa fu un fiore che mi disse il suo nome, nel sentiero gi pieno di pallidi e freschi splendori. Ho riso alla cascata (1) bionda scapigliata tra gli abeti: sulla cima argentata riconobbi la dea. Allora sollevai a uno a uno i veli. Nel viale, agitando le braccia. Per la pianura, dove l'ho denunciata al gallo. Nella grande citt, lei fuggiva fra campanili e cupole, e correndo come un mendicante sugli argini di marmo, io l'inseguivo. In cima alla strada, vicino a un bosco d'allori, l'ho cinta nei suoi veli raccolti, e ho sentito qualcosa dell'immenso suo corpo. L'alba e il fanciullo caddero in fondo a quel bosco. Al risveglio era gi mezzogiorno.

Fiori. Da uno scalino d'oro, - fra i cordoni di seta, le garze grigie, i verdi velluti e i dischi di cristallo che anneriscono come bronzo al sole, - vedo la digitale schiudersi sopra un tappeto d'argentee filigrane di occhi e di capigliature.

Monete d'oro giallo sparse sull'agata, pilastri di mogano reggenti una cupola in smeraldi, mazzi di raso bianco e anelli fini di rubino cingono l'acquatica rosa. Simili a un dio dagli occhi grandi enormi e dalle nivee forme, il mare e il cielo, alle terrazze di marmo attraggono la calca delle forti e giovani rose.

Notturno volgare. Un soffio apre negli assiti brecce operistiche (1), - imbroglia il roteare dei tetti corrosi, - disperde le soglie delle case (2), -eclissa le finestre. Lungo la vigna, appoggiatomi su un guazzo con il piede, - son calato in una specie di carrozza (3), che dai vetri convessi, dai pannelli panciuti e dai sof ricurvi, segna bene un'epoca. Carro funebre del mio sonno, isolato, mobile ovile (4) della mia banalit, vira il veicolo sull'erbetta dello stradone cancellato; e in un difetto del vetro in alto a destra ruotano figure livide lunari, foglie, seni. - Un verde un blu scurissimi invadono l'immagine. Vicino a una traccia di ghiaia staccano i cavalli. - Fischieranno forse qui per le tempeste, e le Sdome - e le Slime (5) - e gli eserciti e le belve, - (Postiglioni e bestie di sogno torneranno sotto il folto pi opprimente, a sprofondarmi nella fonte di seta fino agli occhi). - E a mandarci, sferzati tra le acque fluttuanti e le bevande sparse, a ruzzolare sui latrati dei molossi... - Un soffio disperde i confini della casa (6). Marina I carri d'argento e di rame Le prue d'acciaio e d'argento Battono la schiuma, I ceppi dei rovi sollevano. Le correnti della landa, E i solchi immensi del riflusso, Verso est filano in circolo, Verso i pali della foresta, Verso i fusti della diga, Urtata all'angolo da turbini di luce.

Festa d'inverno. Dietro capanne da Opera Buffa risuona la cascata. Nei frutteti e nei viali vicini al Meandro, - girandole estenuano i verdi e i rossi del tramonto. Ninfe d'Orazio conciate alla Primo Impero, - Ronde Siberiane, Cinesi di Boucher.

Angoscia. Potrebbe darsi che Lei mi faccia perdonare le ambizioni continuamente calpestate, - che una fine agiata ripaghi l'et dell'indigenza, - che un giorno di successo assopisca la vergogna della nostra incapacit fatale? (O palme! diamante! - Amore, forza! - pi in alto di ogni gioia e gloria! ovunque, in ogni modo, - demonio, dio, -Giovinezza di quest'essere: io!) Che, casi di scientifica malia e iniziative di sociale fratellanza, siano graditi come una resa progressiva della libert originaria?... Ma la Vampira che ci ammansisce ci ordina di divertirci con quello che ci lascia, oppure di essere pi strani. Di correre incontro alle ferite, tra il vento faticoso e il mare; e, nel silenzio dell'aria e delle acque micidiali, incontro alle torture che ridono, ai supplizi, nel loro silente atroce mareggiare.

Metropolitano (1).

Dallo stretto d'indaco ai mari d'Ossian (2), sulla sabbia rosa e arancio lavata dal viscoso cielo, ecco che salgono e s'incrociano viali di cristallo (3), a un tratto abitati di giovani povere famiglie che i fruttivendoli nutrono. Niente di ricco. - La citt! Dal deserto di bitume, con i banchi di nebbie schierati in orribili strisce contro il cielo che s'incurva, s'allontana e discende, formato dal pi sinistro fumo nero che riesca a fare l'Oceano in lutto, fuggono in rotta gli elmi, le ruote, le barche, le groppe (4). - La battaglia! Alza la testa: quel ponte di legno, ad arco; gli ultimi orti di Samaria (5); le maschere arrossate sotto la lanterna sferzata dalla notte fredda; l'ondina ingenua dalla frusciante veste, in basso, lungo il fiume; quei cranii luminosi (6) tra le file di piselli - e le altre fantasmagorie - la campagna. Strade costeggiate di muri e cancellate, che a stento racchiudono i loro boschetti, e quei fiori atroci che potresti chiamare cuori e suore, dannati Damaschi di languore (7), - propriet di favolose aristocrazie d'Oltrereno, Giapponesi, Guaranesi (8), atte a ricevere ancora la musica degli antichi - e vi sono locande che ormai non s'aprono pi - vi sono principesse, e se non sei troppo esaurito, lo studio degli astri - il cielo. La mattina in cui ti dibattesti con Lei (9) fra i lampi della neve, le labbra verdi, i ghiacci, le bandiere nere e i raggi blu, e i profumi purpurei del sole polare, - la tua forza.

Barbaro. Molto tempo dopo i giorni e le stagioni, e gli esseri e paesi (1). Lo stendardo di carne sanguinante sulla seta dei mari (2) e dei fiori artici: (non esistono) (3). Guariti dalle vecchie fanfaronate eroiche - che ancora ci aggrediscono il cuore e la testa - lontano dagli antichi assassini (4). Oh! Lo stendardo di carne sanguinante sulla seta dei mari e dei fiori artici; (non esistono). Dolcezze! I bracieri, che piovono sotto i rfoli di brina, - Dolcezze! - i fuochi alla pioggia del vento di diamanti spruzzata dal cuore della terra, carbonizzato per noi eternamente. - O mondo! (Lungi dai vecchi ritiri e dalle vecchie fiamme, che odi, che senti). I bracieri e le spume. La musica, vertigine dei gorghi (5) e cozzo di ghiacci contro gli astri. O Dolcezze, o mondo, o musica! Laggi, le forme, i malori, le chiome e gli occhi, galleggianti. E le bianche lacrime, cocenti, - o dolcezze! - e la voce femminile giunta nel fondo dei vulcani e delle grotte artiche. Lo stendardo...

Saldo. Da svendere quel che gli Ebrei non hanno mai venduto, quel che nobilt n crimine non hanno mai goduto, quel che l'amore maledetto e la probit infernale delle masse ignorano; Le Voci ricostituite; il risveglio fraterno di tutte le energie corali e orchestrali e le loro applicazioni estemporanee; l'occasione, unica, di liberare i nostri sensi! Da svendere i Corpi senza prezzo fuori d'ogni razza, d'ogni ambiente, d'ogni sesso, d'ogni discendenza! Le ricchezze che saltan fuori da ogni mena! Saldo di diamanti inosservati! Da svendere l'anarchia di massa, il piacere incontinente per elevati dilettanti; la morte atroce per fedeli e per amanti! Da svendere abitazioni e migrazioni, gli sport, fantasmagorie e comodit perfette, e il chiasso, il movimento e tutto il loro avvenire! Da svendere i calcoli applicati e i salti d'armonia inauditi. Trovate e termini insospettati, d'immediato possesso.

Lo slancio insensato e infinito verso invisibili splendori, verso insensibili delizie, - e i suoi pazzeschi segreti per ogni vizio - e la sua gioia paurosa per la folla. Da svendere i Corpi, le voci, l'immane opulenza indiscutibile, ci che non sar mai venduto. I venditori non hanno ancora chiuso il saldo! I commessi viaggiatori non abbiano tanta fretta di presentare la loro provvigione!

Fairy. 1. Per Elena tramarono le linfe ornamentali nell'ombre vergini e le fredde chiarit nel silenzio astrale. L'ardore dell'estate fu affidato a uccelli muti e l'indolenza richiesta a una barca di lutti incalcolabili per anse d'amori morti e di profumi esausti. - Poi, al rombo del torrente sotto la frana dei boschi fu il momento 1 dell'aria delle boscaiole e quello, all'eco dei valli e dei gridi delle steppe, dello scampanio dei greggi. Per l'infanzia di Elena fremettero pellicce e ombre, - e il petto dei poveri e le leggende celestiali. E gli occhi suoi e la sua danza superiori anche ai lumi preziosi, a freddi influssi, al piacere della scena e dell'ora, unici. 2. Guerra. Certi cieli hanno affinato la mia visione, da bambino: tutti i caratteri sfumarono il mio aspetto. Si destarono i Fenomeni (1). Ora l'eterna cadenza degli istanti e l'infinito matematico (2) m'inseguono per questo mondo dove subisco ogni civile successo, rispettato dall'infanzia strana e dagli affetti enormi (3). - Penso a una Guerra (4), di diritto o di forza, di logica affatto impreveduta. E semplice quanto una frase musicale (5).

Giovinezza.

1. DOMENICA. Trascurato il calcolo, l'inevitabile discesa dal cielo, e la visita dei ricordi e il raduno dei ritmi occupano la casa, la testa e il mondo della mente. - Sull'ippodromo (1) suburbano, e lungo seminati e piantagioni, un cavallo se la svigna trafitto dalla carbonica peste (2). In qualche parte del mondo, una povera donna teatrale, sospira per improbabili abbandoni. I fuorilegge (3) languono per il temporale, l'ubriachezza e le ferite. Fanciullini soffocano maledizioni lungo la riva dei fiumi. Riprendiamo lo studio nell'eco dell'operosit divorante che si raduna e riaccende fra le masse.

2. IL SONETTO. "Uomo" di struttura comune, la carne non era forse un frutto (1) appeso sul verziere, - o giornate fanciulle (2) il corpo un tesoro da donare; - oh amare, il pericolo o la forza di Psiche? La terra aveva lati fertili di principi e d'artisti, e la discendenza e la razza ti spingevano ai crimini e ai lutti: il mondo, pericolo nostro e nostra fortuna. Ma ora, finito il travaglio, tu, i tuoi calcoli, tu (2), le tue impazienze, - non sono pi che la vostra danza e la vostra voce (3), n prescritte n imposte, e, nonostante una sola stagione (4) per il duplice evento d'invenzione e di successo, - in questa umanit fraterna e discreta nell'universo senza immagini, - la forza e il diritto riflettono quella danza e quella voce solo da poco stimate.

3. VENT'ANNI. Le voci istruttive esiliate... L'ingenuit (1) fisica amaramente acquistata... Adagio, ah! l'egoismo infinito dell'adolescenza, l'ottimismo studioso: com'era pieno di fiori il mondo, quell'estate! Le arie e le forme morenti... - Un coro, per placare l'impotenza e l'assenza! Un coro di vetri, di notturne melodie... Infatti i nervi presto sbanderanno.

4. Sei rimasto alle tentazioni di Antonio. Lo spasso di mozzare la passione, i tic d'orgoglio puerile, lo scoramento e il terrore. Ma tu ti accingerai all'opera: ogni possibilit architettonica e armoniosa circonder il tuo seggio. Si offriranno alle tue esperienze esseri perfetti e impreveduti. Nei tuoi paraggi si accalcher sognante la curiosit di antiche folle e di lussi oziosi. La tua memoria e i tuoi sensi non saranno che il nutrimento del tuo impulso creatore. E il mondo, quando ne uscirai che sar diventato? Nessuna delle sembianze attuali, in ogni caso.

Promontorio. L'alba d'oro e la fremente sera sorprendono al largo il nostro brigantino, di fronte a quella villa e alle sue parti che formano un promontorio esteso quanto l'Epiro e il Peloponneso, o la grand'isola del Giappone, o l'Arabia! Fani (1) che il rientro delle teorie (2) illumina, immensi panorami delle difese delle coste moderne, dune illustrate da caldi fiori e baccanali; canalgrandi di Cartagine ed "Embankments" (3) di una Venezia losca, molli eruzioni d'Etna e di crepacci di fiori e d'acque dei ghiacciai, lavatoi cintati di pioppi di Germania; pendii di parchi singolari che fan chinare teste alla Pianta del Giappone; e le facciate circolari dei Royal o dei Grand (4) di Scarbro' (5) o di Brooklyn (6); e le loro ferrovie che costeggiano, scavano, strapiombano sui modi di disporre questi Alberghi, scelti nella storia dei pi eleganti e colossali edifici d'Italia, d'America, e dell'Asia, le cui finestre e terrazze, s'aprono allo spirito dei viaggiatori e dei nobili - che nell'ore del giorno acconsentono a ogni rivierasca tarantella - e pure ai ritornelli delle vallate celebri dell'arte, di ornare a meraviglia le facciate del PalazzoPromontorio.

Scenari. L'antica Commedia continua i suoi accordi e divide i suoi Idilli: Viale di trespoli, Un lungo pontile (1) di legno da un capo all'altro di un campo sassoso dove s'aggira sotto gli alberi spogli la barbara folla. In corridoi di garza nera (2), sulle orme dei passanti sotto le foglie e le lanterne, Uccelli dei misteri (3) si gettano su una chiatta in muratura mossa dall'arcipelago coperto dalle barche degli Spettatori. Lirici scenari accompagnati dal flauto e dal tamburo si piegano in ridotti ricavati sotto i cieli, intorno ai salotti dei club moderni e alle sale dell'antico Oriente. La fantasmagoria si svolge in cima a un anfiteatro coronato di boschi cedui; - O si agita per i Beoti, modulando nell'ombra degli alti fusti che ondeggiano nell'angolo degli orti. L'Opera Comique, nella nostra scena, si divide sulla linea di incrocio di dieci tramezzi alzati dalla galleria alle luci del proscenio (4).

Sera storica.

In qualsiasi sera si trovi, per esempio, l'ingenuo turista, lontano dai nostri orrori economici, la mano di un maestro anima il clavicembalo dei prati; si giuoca a carte nel fondo dello stagno, specchio evocatore di regine e favorite; abbiamo nel tramonto le sante, i veli, e i fili d'armonia, e i cromatismi leggendari. Al passaggio delle cacce e delle orde egli trema. La commedia stilla sui teatri d'erba. E l'impaccio dei poveri e dei deboli su quelle superfici stupide! Alla sua visione schiava, - la Germania fa palchi verso le lune; i deserti tartari s'illuminano ~ le rivolte antiche pullulano al centro del Celeste Impero, per le scale e le poltrone dei re - un piccolo mondo livido e piatto, Africa e Occidente, si sta edificando. Poi un balletto di mari e di notti conosciuto, una chimica vile e assurde melodie. La solita magia borghese in tutti i posti dove ci lascer la diligenza! Il fisico pi semplice sente che non si pu pi obbedire a questo clima personale, bruma di rimorsi fisici, che solo a constatarlo gi ti affligge. No! - E' il momento del forno, dei mari rigonfi, degli incendi sotterranei, del pianeta trascinato via, degli stermini conseguenti, certezze indicate con si poca malizia nella Bibbia e dalle Norne (1), che alla persona seria sar dato di guardare. Tuttavia non sar un effetto da leggenda!

Bottom. Pur essendo la realt troppo spinosa per il mio nobile carattere - mi ritrovai da Madame, in forma di uccellaccio grigiazzurro che svolava verso gli ornamenti del soffitto, trascinando l'ala nelle ombre della sera. Ai piedi del baldacchino che reggeva gli adorati suoi gioielli e i suoi capolavori in carne, io diventai un grosso orso dalle gengive viola e il pelo incanutito dal tramonto, lo sguardo sui cristalli e sugli argenti delle mensole. Poi tutto si fece ombra e acquario ardente (1). Al mattino - alba di giugno bellicosa, - filai nei campi, io asino, sfoderando come una tromba il mio reclamo, finch non vennero le periferiche Sabine a gettarsi addosso al mio torace. 2. Tutte le mostruosit oltraggiano i Ges atroci di Hortensia (1). La sua solitudine la meccanica erotica (2), la sua stanchezza, la dinamica amorosa (3). Sotto l'attenzione infantile (4), in molte epoche, essa stata l'ardente igiene delle razze (5). La sua porta aperta alla miseria. L, la moralit delle persone d'oggi perde sostanza nella sua volutt e nel suo atto (6). - O brivido terribile dei novizi amori (7) sul suolo ferito (8) e sotto l'idrogeno chiarore (10)! Scoprite Hortensia.

Movimento. Il serpeggiante moto sull'argine dove salta il fiume, il gorgo nel dritto di poppa (1), la rapidit della china, l'enorme flusso di corrente, spingono tra inaudite luci e la chimica novit i viaggiatori stretti fra le trombe del vallo (2) e gli strom (3). Sono i conquistatori del mondo in cerca di una chimica fortuna personale; comodit e sport viaggiano con loro; portano con s l'educazione delle razze, delle classi e delle bestie, su quel Vascello. Vertigine e riposo alla luce diluviana,

nelle sere terribili di studio. Poich dal conversare in mezzo agli strumenti, il sangue; i fiori, il fuoco, i gioielli, dai calcoli inquieti su questa riva fuggiasca, - si vede come una diga, oltre la via idraulica motrice, rotolare, in un chiarore senza fine, mostruoso, il loro stock di studi; essi, nell'estasi armoniosa e l'eroismo della scoperta ricacciati. Ai fenomeni atmosferici pi strani una giovane coppia s'isola sull'arca, - selvatichezza antica da scusare? E canta e si nasconde (4).

Devozione. A suor Louise Vanaen de Voringhem: - La sua cornetta blu girata verso il mare del Nord. - Per i naufraghi (1). A suor Lonie Aubois d'Ashby. Bau - l'erba d'estate ronzante e puzzona. - Per la febbre delle madri e dei fanciulli (2). A Lulu, - demonio - che ha ancora un debole per gli oratori del tempo delle Amiche e dell'incompleta educazione. Per gli uomini! A madame *** (4). All'adolescente che io fui. A quel santo vegliardo, missione o romitaggio. Allo spirito dei poveri. E al pi elevato clero. E inoltre a tutti i riti, in tali luoghi di culto alla memoria (5) e in mezzo a tali eventi che si costretti a frequentare, secondo le momentanee aspirazioni o secondo il proprio vizio serio (6). Stassera a Circeto (7) dagli alti ghiacci, grassa come il pesce, miniata come i dieci mesi della notte rossa, - (il suo cuore ambra e spunk) (8) - per la sola mia preghiera muta come quei paesi notturni e che anticipa prodezze pi violente di quel polare caos. A ogni costo e in ogni caso, anche in viaggi metafisici. - Ma non pi "allora".

Democrazia. La bandiera avanza verso il paesaggio immondo, e il nostro stile soffoca il tamburo (1). Nei centri fomenteremo la pi cinica prostituzione (2). Noi massacreremo le logiche rivolte. Nei paesi speziati e fradici!. - Al servizio del pi mostruoso sfruttamento industriale e militare. A rivederci qui e dovunque. Coscritti di buona volont (3), avremmo una filosofia feroce; ignoranti per la scienza, furbi per la comodit; e creperemo per il mondo che avanza (4). E' il vero cammino. Avanti, in marcia!

Genio. Egli l'affezione e il presente perch ha aperto la casa all'inverno schiumante e alla voce dell'estate, lui che ha purificato i cibi e le bevande, lui che il fascino dei luoghi fugaci e la sovrumana delizia delle soste. Egli l'affezione e l'avvenire, la forza e l'amore che noi, in piedi nella rabbia e nella noia, vediamo passare nel cielo tempestoso e le bandiere dell'estasi. Egli l'amore, misura perfetta e riscoperta, ragione meravigliosa e impreveduta, e l'eternit; congegno amato di qualit fatali. Ci siamo tutti spaventati del suo furore e del nostro: Oh godimento della nostra salute, slancio delle nostre facolt, affetto egoista e passione per lui, lui che ci ama per la sua vita infinita...

E noi lo ricordiamo ed egli viaggia... E se l'Adorazione se ne va, risuona, la promessa sua risuona (1): Via queste superstizioni, questi vecchi corpi, queste coppie e queste et. E' l'epoca nostra ch' affondata! Non se ne andr, non riscender da un cielo (2), non redimer la rabbia delle donne e l'allegria degli uomini e tutto quel peccato: la cosa fatta, lui , ed amato. Oh i suoi respiri, le sue teste, le sue corse; la tremenda velocit di perfezione delle forme e dell'azione. Oh fecondit dello spirito e immensit dell'universo! Il suo corpo! La liberazione segnata, il frantumarsi della grazia, pervasa di violenza nuova. La sua vista, la sua vista! tutte le genuflessioni antiche, e le pene riscattate sui suoi passi. Il suo giorno! l'abolizione di ogni sofferenza instabile e sonora nella musica pi intensa. Il suo passo! le migrazioni enormi pi delle invasioni antiche. Oh lui e noi! l'orgoglio pi clemente delle carit perdute (3). Oh mondo! e il nitido canto delle sventure nuove!'. Egli ci ha conosciuti tutti e tutti amati. In questa notte d'inverno, di capo in capo, dal polo tumultuoso al castello, dalla folla alla spiaggia, di sguardo in sguardo, le forze e i sentimenti affaticati, noi sappiamo invocarlo e vederlo, e ricacciarlo, e sotto le marce e sull'alto dei deserti di neve, seguire i suoi sguardi, i suoi respiri, il suo corpo, la sua luce.

Una stagione all'inferno. *** Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino dove si apriva ogni cuore e ogni vino fluiva. Una sera, mi misi in grembo la Bellezza. E l'ho sentita amara. E l'ho ingiuriata (1). Mi sono armato contro la giustizia. Sono fuggito. O streghe (2), o miseria, o odio, a voi fu affidato il mio tesoro! Riuscii a cancellare nel mio spirito ogni speranza umana. Per strangolarla ho fatto su ogni gioia lo scatto sordo della belva. Mentre morivo, ho chiamato i carnefici per mordere il loro calcio del fucile. Ho chiamato i flagelli per soffocarmi con la sabbia, e con il sangue. La sventura fu il mio dio. Mi son disteso nel fango. Mi sono asciugato all'aria del delitto. E ho giocato dei bei tiri alla follia (3). E la primavera mi ha portato il riso orrendo dell'diota (4). Ora, da poco, mentre stavo per fare l'ultimo crac (5)! ho immaginato di cercar la chiave del vecchio festino, dove forse mi tornerebbe l'appetito. La carit questa chiave. - Tale ispirazione prova che ho sognato (6). Iena resterai, eccetera... - esclama il diavolo che m'incoron di papaveri cos gentili. - Raggiungi la morte con tutte le tue voglie, il tuo egoismo e tutti i peccati capitali (7). Ah! ne ho fin troppo: - Ma, Satana caro, ti scongiuro, una pupilla meno rossa! E in attesa di qualche piccola vilt ritardataria, tu che nello scrittore ami l'assenza di qualit istruttive o descrittive, ti strappo qui qualche foglietto odioso dal mio taccuino di dannato (8).

Cattivo sangue 1. Dei Galli, miei antenati, ho l'occhio blu scavato, il cervello stretto, e l'impaccio nella lotta. Trovo barbaro il mio vestire quanto il loro. Ma non imburro la mia chioma.

I Galli erano gli scuoiatori d'animali e i bruciatori d'erbe pi incapaci di quel tempo. Da loro ho preso: l'idolatria e l'amore del sacrilegio; - oh! tutti i vizi, l'ira, la lussuria - magnifica lussuria; - menzogna e pigrizia soprattutto. Ho orrore di tutti i mestieri. Padroni e operai, tutti bifolchi, ignobili. La mano pennaiola vale la mano carrettiera. - Che secolo manuale! - La mia mano, io non l'avr mai. E poi, la servit porta troppo lontano. L'onest accattona mi ferisce. I criminali fanno schifo come i castrati: io sono intatto, e non me ne fa niente. Ma! chi ha reso la mia lingua cos perfida, che ha guidato e protetto finora la mia pigrizia? Senza servirmi per vivere nemmeno del corpo, e pi ozioso di un rospo, ho vissuto dovunque. Una per una le conosco le famiglie d'Europa (1). Famiglie, dico, come la mia, che alla dichiarazione dei Diritti dell'Uomo devono tutto. Ho conosciuto tutti i figli di pap! 2. Se avessi almeno dei precedenti (2) in qualche punto della storia di Francia. Ma no, niente. E' ben chiaro che sono sempre stato di razza inferiore. Io non posso capire la rivolta (3). La mia razza non si sollev che per azzannare: come fanno i lupi con la bestia che non hanno ucciso. Mi rammento la storia della Francia primogenita figlia della Chiesa. Avrei fatto, da tanghero, il viaggio in terra Santa; m'immagino strade nelle pianure sveve, vedute di Bisanzio, bastioni di Solimena; il culto di Maria, la compassione del crocifisso, in me si destano tra mille incantesimi profani. Lebbroso, sto seduto sui cocci e sulle ortiche, ai piedi di un muro rosicato dal sole. Pi tardi, come un ritro, avrei bivaccato nelle notti di Germania... Ah! un'altra cosa: io baffo il Sabba in una rossa radura, con vecchie e bambini. Il mio ricordo non va pi in l di questa terra e del cristianesimo. Non smetterei pi di rivedermi in quel passato. Ma sempre solo; senza famiglia; anzi, che lingua parlavo? Non mi vedo mai nei consessi del Cristo; n in quelli dei Signori -rappresentanti del Cristo. Cos'ero nel secolo passato: soltanto oggi mi ritrovo (4). Non pi vagabondi, non pi vuote guerre. La razza inferiore ha ricoperto tutto - il popolo, come si dice, la ragione; la nazione e la scienza. Oh! la scienza!. Abbiamo tutto ripreso. Per il corpo e per l'anima - il viatico - abbiamo la medicina e la filosofia - i rimedi da donnette e le canzoni popolari riadattate. E gli spassi dei principi e i giochi che essi proibivano! Geografia, cosmografia, meccanica, chimica!... La scienza, la nuova nobilt! Il progresso. Il mondo cammina! Perch non dovrebbe girare? E' la visione dei numeri. Si va verso lo Spirito. E' pi che certo, ci che dico oracolo. Capisco, ma incapace di spiegarmi senza parole pagane, vorrei tacere. 3. Il sangue pagano ritorna! E' vicino lo Spirito (1), perch non mi aiuta Cristo, domando nobilt e libert alla mia anima. Ahim! Il Vangelo passato! Il Vangelo! Il Vangelo! Con ingordigia aspetto Dio. La mia razza inferiore dalla notte dei tempi. Eccomi sulla spiaggia armorcana (2). Si accendano le citt nella sera. La mia giornata compiuta; abbandono l'Europa. Brucer l'aria marina i miei polmoni; mi abbronzeranno climi sperduti. Nuotare, schiacciare l'erba, cacciare e fumare innanzitutto; bere liquori forti come metallo ardente - come facevano quegli antenati cari attorno ai fuochi. Ritorner, le membra come il ferro, la pelle scura, lo sguardo furibondo: dalla mia maschera, mi crederanno di una razza forte. Avr dell'oro: sar ozioso e brutale. Le donne hanno cura di quest'infermi feroci rientrati dai paesi caldi (3). M'immischier di politica. Salvo. Per ora io sono maledetto, mi fa orrore la patria. Il meglio, un bel sonno ubriaco, sul greto. 4.

Non si parte. Riprendiamo il cammino da qui, curvo sotto il mio vizio (1), vizio che ha affondato al mio fianco le sue radici di pena, fin dall'et della ragione - che sale al cielo, mi percuote, m'abbatte, mi trascina. L'ultima innocenza e l'ultima incertezza. E' detto. Al mondo non portare i miei disgusti e i tradimenti. Andiamo! La marcia, il fardello, il deserto, la noia, la rabbia. A chi offrirmi? Che bestia va adorata? Che santa immagine aggredita? Che cuori spezzer? Su che bugia devo insistere? In quale sangue camminare? (2). Piuttosto, attenti alla giustizia. La vita dura, il semplice abbrutirsi alzare, il pugno rinsecchito, il coperchio della bara, sedersi, soffocare. Cos niente vecchiaia, n pericoli: il terrore non francese. Ah! Sono tanto derelitto da offrire a qualsiasi immagine divina slanci della mia perfezione. O mia rinuncia, o mia stupenda carit! Per, quaggi! (3). "De profundis Domine", sono stupido! (4). 5. Ancora bambino, ammiravo il galeotto incallito sul quale ogni volta si chiude l'ergastolo: visitavo locande e stanze ammobiliate che, abitandovi, egli avrebbe rese sacre; mi facevo "una sua idea" del cielo blu e della fioritura dei campi; nelle citt fiutavo il suo fiato. Era pi forte di un canto, pi sensato di un viaggiatore - e lui, solo lui! testimone della propria gloria e della propria ragione (1). Per le strade, nelle notti d'inverno, senza dimora, senza vestiti, senza pane, una voce mi stringeva il cuore gelato: Debolezza o forza: ecco, la forza. Tu non sai dove vai, n perch, entra dovunque, rispondi a tutto. Non ti uccideranno pi che se tu fossi un cadavere. Al mattino avevo lo sguardo cos sperso e l'aspetto cos smorto, che quelli che ho incontrato "forse non m'hanno veduto" (2). Nelle citt d'improvviso il fango mi appariva rosso e nero, come uno specchio quando s'aggira il lume nella stanza accanto, come un tesoro dentro la foresta! Buona fortuna, gridavo, e vedevo un mare di fiamme e di fumo nel cielo (3); e a destra e a sinistra, tutte le ricchezze avvampare come un miliardo di tuoni. Ma l'orgia e l'amicizia delle donne non mi erano permesse. Nemmeno un compagno. Mi vedevo davanti a una folla esasperata, in faccia al plotone d'esecuzione, piangendo la disgrazia di non essere stato capito, e perdonando! - Come Giovanna d'Arco! - Preti, professori, maestri vi sbagliate a consegnarmi alla giustizia. Non sono stato mai di questo popolo; non sono stato mai cristiano; son della razza che cantava nel supplizio; non capisco le leggi; non ho senso morale; sono un bruto: vi sbagliate... S, ho gli occhi chiusi alla vostra luce. Sono una bestia, un negro (4). Ma posso essere salvato. Siete dei finti negri (5). Voi maniaci, feroci, avari. Mercante, tu sei negro; magistrato, tu sei negro; generale, tu sei negro; imperatore, vecchia prurigine , tu sei negro; hai bevuto un liquore non tassato, della fabbrica di Satana. Questo popolo ispirato dalla febbre e dal cancro. Malati e vecchi (6) sono tanto rispettabili da chiedere di essere bolliti. La cosa pi furba lasciare questo continente, dove la follia va a zonzo a procurare ostaggi a questi miserabili. Io entro nel vero regno dei figli di Cam. Conosco ancora la natura? Mi conosco? - "Niente pi parole". Sotterro i morti nel mio ventre. Gridi, tamburo, danza, danza, danza, danza!'. Non vedo neppure l'ora in cui, sbarcando i bianchi, io cadr nel nulla. Fame, sete, gridi, danza, danza, danza, danza! 6. I bianchi sbarcano. Il cannone! Dobbiamo sottometterci al battesimo, vestirci, lavorare. Ho ricevuto in cuore il colpo di grazia. Ah! Non l'avevo previsto. Non ho mai fatto del male (1). I giorni mi saranno leggeri, il pentimento risparmiato. E non avr subto i tormenti dell'anima quasi morta al bene, dove la luce severa risale come i funebri ceri. Sorte del figlio di buona famiglia, bara precoce coperta di limpide lacrime. Certo la deboscia stupida, stupido il vizio; il marciume va gettato via. Ma l'orologio non riuscir a suonare

solamente l'ora del puro dolore! Rapito sar come un bambino, per giocare in paradiso nell'oblo di ogni sventura! Presto! Ci sono altre vite? - Impossibile il sonno nella ricchezza. Solo l'amore divino accorda le chiavi della scienza. Vedo che la natura solo uno spettacolo di bont. Chimere, ideali, errori, addio. Il canto ragionevole degli angeli s'innalza dalla nave salvatrice: l'amore divino. Due amori! Posso morire di terrestre amore, morire di dedizione. Ho abbandonato anime di cui la pena crescer per questo mio distacco. Voi mi scegliete in mezzo ai naufraghi; quelli che restano non sono forse amici miei? Salvateli! Mi nata la ragione. Il mondo buono. Benedir la vita. Amer i miei fratelli. Non sono pi promesse da fanciullo. N la speranza di scampare alla vecchiaia e alla morte. Dio la mia forza e io lodo Dio. 7. La noia non pi il mio amore. Le crapule, le rabbie, la follia, di cui so tutti gl'impeti e i disastri - tutto il mio fardello deposto. Stimiamo senza vertigine l'ampiezza della mia innocenza. Non sarei pi capace di chiedere il conforto di una bastonatura. Non mi credo imbarcato a nozze con Ges Cristo per suocero. Non sono prigioniero della mia ragione. Ho detto: Dio. La libert nella salvezza, io voglio: come inseguirla? 1 gusti frivoli m'hanno abbandonato. Basta con la devozione e l'amore divino. Non rimpiango il secolo dei teneri cuori. Ciascuno per la propria ragione, disprezzo e carit: mi riservo un posto in cima a quest'angelica scala di buon senso. Quanto alla felicit istituita, domestica o no... non posso, no. Son troppo sciupato, troppo fiacco. La vita fiorisce con il lavoro, vecchia verit: invece la mia vita non pesa a sufficienza, s'invola e ondeggia lontano al di sopra dell'azione: questo punto cos caro al mondo. Come divento zitella, a non aver coraggio di amare la morte! Se Dio m'accordasse la celeste calma, aerea, la preghiera come gli antichi santi - 1 santi! dei forti! gli anacoreti, gli artisti, come non ne occorrono pi! (1). Farsa continua! La mia innocenza quasi mi fa piangere. La vita la farsa dove recitano tutti. 7. Basta! Ecco la punizione. - "In marcia"! Ah! i polmoni bruciano, le tempie rombano! La notte mi rotola negli occhi, con questo sole! Il cuore... le membra... Dove andiamo? a combattere? Son debole! gli altri avanzano. Gli arnesi, le armi... il tempo!... Fuoco! fuoco su di me! L! o mi arrendo. - Vigliacchi! Mi ammazzo! Mi faccio calpestare dai cavalli! Ah!... - Mi abituer. Sarebbe questa la vita alla francese, il sentiero dell'onore.

Notte d'inferno. Ho ingoiato una grande sorsata di veleno (1). Tre volte benedetto il consiglio che mi giunto! - Mi bruciano le budella. La violenza del veleno torce le mie membra, mi atterra, mi deforma. Muoio di sete, soffoco, non posso pi gridare. E l'inferno, la pena eterna! Guardate come il fuoco si ravviva Brucio bene. Va', demonio! Avevo intravisto la conversione alla felicit e al bene, la salvezza. Posso descrivere la visione, l'aria dell'inferno non sopporta gl'inni! Erano milioni di esseri incantevoli, un soave concerto spirituale, la fortezza e la pace, le nobili ambizioni che so? Le nobili ambizioni! E ancora vita! - Se il castigo eterno! Un uomo che vuole mutilarsi pur dannato, vero? Mi credo nell'inferno, dunque ci sto dentro. E eseguire il

catechismo. Sono schiavo del mio battesimo. Genitori, avete fatto la mia rovina e voi la vostra. Povero innocente! I pagani, l'inferno non li pu attaccare. E' ancora vita! Pi tardi, le delizie della dannazione saranno pi profonde. Un delitto, presto, ch'io precipiti nel nulla, per la legge umana. Ma taci, taci!... E la vergogna, il rimprovero: Satana (2), il quale dice che il fuoco ignobile, e la mia rabbia orribilmente sciocca. Basta!... Con gli errori che m'insinuano, magie, profumi falsi, musiche puerili. E dire che ho in pugno la verit, che vedo la giustizia: il mio giudizio sacro e saldo, sono pronto per la perfezione... Orgoglio. - La pelle della testa mi si secca. Piet! Signore, ho paura. Ho sete, tanta sete! Ah! l'infanzia, l'erba, la pioggia, il lago sulle pietre, "il chiardiluna quando al campanile suonavano le dodici..." (3) il diavolo, a quell'ora, sta sul campanile. Maria! Santa Vergine!... Orrore della mia stupidit. Laggi, non ci son forse anime oneste, che mi vogliono bene... Venite... Ho un cuscino sulla bocca, non mi sentono, sono dei fantasmi. E poi, nessuno pensa mai agli altri. Non avvicinatevi. So di bruciato, certo. Le allucinazioni sono infinite (4). E' proprio ci che ho sempre avuto: nessuna fede nella storia, l'oblo dei principi. Non parler: poeti e visionari sarebbero gelosi. Sono mille volte il pi ricco, ch'io sia avaro come il mare. Questa poi! L'orologio della vita si fermato poco fa. Non sono pi al mondo. La teologia cosa seria, l'inferno certamente "in basso" - e il cielo in alto. Estasi, incubo, sonno in un nido di fiamme. Quante malizie nell'accudire i campi... Satana, Ferdinando (5), corre con i semi selvaggi... Ges cammina sui rovi purpurei senza piegarli... Ges cammina sulle acque turbate. La lanterna ce lo mostr (6) in piedi, bianco, con le trecce brune, accanto a un'onda di smeraldo... Sto per svelare ogni mistero: misteri religiosi e naturali, morte, nascita, avvenire, passato, cosmogonia, il nulla. Sono maestro di fantasmagorie. Ascoltate!... Possiedo ogni talento! - Non c' nessuno qui, ma c' qualcuno: non vorrei sciupare il mio tesoro. - Volete canti negri, danze di Uri? Volete che sparisca, mi tuffi in cerca dell'anello?'. Volete? Far dell'oro, dei rimedi. Allora fidatevi di me, la fede solleva, guida, guarisce, venite tutti - anche i pi piccoli - ch'io vi consoli, che per voi si sparga il proprio cuore meraviglioso cuore! Poveri uomini, lavoratori! lo non chiedo preghiere; solo la vostra fiducia mi render felice. - Ma pensiamo a me. Tutto ci mi fa rimpiangere poco il mondo. E' una fortuna non soffrir di pi. La mia non fu che una follia dolce, che peccato. Beh! Facciamo tutte le smorfie immaginabili. Decisamente, siamo fuori dal mondo. Non pi un suono. Il mio tatto scomparso. Ah! il mio castello, la mia Sassonia, il mio bosco di Salici (8). Le sere, i mattini, le notti, i giorni... sono sfinito! Dovrei avere il mio inferno per l'ira, il mio inferno per l'orgoglio - e un inferno per la carezza: un concerto d'inferni. Muoio di stanchezza. E' la tomba, me ne vado ai vermi, orrore dell'orrore! Satana, buffone, tu mi vuoi dissolvere con i tuoi incanti. Li voglio! Li voglio! Un colpo di forca, una goccia di fuoco. Ah! risalire alla vita! Buttar lo sguardo sulle nostre deformit. E quel veleno, quel bacio mille volte maledetto! La mia fragilit, la crudelt del mondo! Mio Dio, piet, nascondimi, agisco troppo male! - Sono nascosto e non lo sono. E' il fuoco che si ravviva insieme al suo dannato.

Deliri. 1. VERGINE STOLTA. Lo sposo infernale. Ascoltiamo la confessione di un compagno d'inferno (1): O sposo divino, mio Signore (2), non rifiutare la confessione della pi triste fra le tue serve. Sono perduta! Ubriaca! Sono impura. Che vita!

Perdono, divino Signore, perdono! Ah! Perdono! Quante lacrime! E ancora quante lacrime pi tardi, io spero! Pi tardi, conoscer il divino Sposo! A Lui io sono nata sottomessa. L'altro pu picchiarmi, ora! Adesso, sono in fondo al mondo! O amiche mie! (3)... no, non amiche... Mai deliri n simili torture... Com' stupido! Ah! io soffro, grido. Davvero soffro. Eppure tutto lecito a me, carica del disprezzo dei pi spregevoli cuori. Insomma, facciamo questa confidenza, salvo a ripeterla venti volte ancora - e anche tetra, anche dappoco! Sono schiava dell'infernale Sposo! colui che ha perdute le vergini stolte. E' proprio quel demonio. Non uno spettro, n un fantasma. Ma io (4) che ho perso la saggezza, che son dannata e morta al mondo - non verr uccisa! - Come descriverlo! Non so pi parlare. Sono a lutto, piango, tremo. Un poco di frescura, Signore, se tu lo vuoi, proprio se lo vuoi! Sono vedova (5)... Ero vedova... - Ma certo, ero seria un tempo, e non sono nata per mutarmi in scheletro!... Lui era quasi un fanciullo... Le sue misteriose tenerezze mi avevano sedotta. Ho scordato tutti i miei doveri umani per seguirlo. Che vita! La vera vita assente. Noi non siamo al mondo. Va do dove lui va, lo devo. E spesso se la prende con me, con me, "povera anima". Il Demonio! - E' un Demonio, sapete, "non un uomo". Dice: "Non amo le donne. L'amore dev'essere reinventato (6), si sa. Esse non possono valere che una posizione assicurata. A posizione fatta, bellezza e cuore sono trascurati: resta soltanto un freddo sdegno, il cibo del matrimonio d'oggi. Oppure io vedo donne con i segni di fortuna, che avrei potuto rendere mie buone amiche, gi divorati da bruti sensibili come un rogo". Lo ascolto mentre egli fa dell'infamia una gloria, della crudelt un fascino. "Sono di razza remota, i miei padri erano scandinavi (7): si foravano il costato, si bevevano il sangue. Mi far dei tagli in tutto il corpo, mi tatuer, voglio diventare orrendo come un Mongolo: vedrai, urler per le strade. Voglio ammattire tutto per la rabbia. Non mostrarmi mai gioielli, striscerei e mi contorcerei sopra H tappeto. La mia ricchezza, la vorrei macchiata di sangue ovunque. Mai lavorer..." Molte notti, afferrandomi il suo demone, rotolavamo insieme, io lottavo con lui! (8)". - Di notte, sovente ubriaco, s'apposta nelle vie o nelle case per spaventarmi a morte. - "Certo mi taglieranno il collo; sar schifoso". Oh! quei giorni in cui vuole incedere con un'aria criminale! Talvolta parla, in una sorta di tenero dialetto, della morte che ti fa pentire, dei disgraziati che certo esistono, dei lavori faticosi, delle partenze che lacerano i cuori. Nelle bettole dove noi ci ubriacavamo, lui piangeva, stimando miserabile bestiame chi ci stava intorno. Tirava su gli sbronzi nelle vie buie. Aveva la piet di una cattiva madre verso i suoi bambini. - Andava in giro con vezzi da fanciullina al catechismo. - Fingeva di essere informato su ogni cosa, commercio, arte, medicina. - Io lo seguivo, un obbligo! (9). Vedevo tutto lo scenario di cui, mentalmente, egli si attorniava; stoffe, vestiti, mobili; gli attribuivo armi, un altro volto. Vedevo tutto ci che lo toccava, come avrebbe voluto crearlo per s. Quando il suo spirito mi sembrava svogliato, lo seguivo, io, con atti strani e complicati, da lontano, cattivi o buoni; ero sicura di non entrare mai nel suo mondo. Accanto al suo caro corpo addormentato (10), quante ore della notte ho mai vegliato, cercando di capire perch volesse tanto fuggire la realt. Mai uomo ebbe un simile desiderio. Riconosco che - senza temere per lui - egli poteva essere un rischio serio in societ... - Ha forse dei segreti per cambiare la vita? No, non fa che cercarne, mi dicevo. Insomma la sua carit stregata, e io ne sono prigioniera. Nessun'altra anima avrebbe tanta forza - forza di disperazione! - per sopportarlo - per esser da lui protetta e amata. Del resto non l'immaginavo con un'anima diversa: si vede il proprio Angelo, mai l'Angelo di un altro - io credo. Stavo dentro la sua anima come in un palazzo svuotato per non vedere una persona poco nobile come te: ecco tutto. Ahim! Stavo proprio ai suoi ordini. Ma che volete dalla mia esistenza squallida e vile? Non mi rendeva migliore, anche se non mi faceva morire! Tristemente stizzita, gli dicevo talvolta: "Ti capisco". Lui alzava le spalle. Cos, la mia pena rinnovandosi senza fine, e trovandomi ai miei occhi pi smarrita - come a quegli occhi che m'avrebbero voluto fissare, se non fossi

stata per sempre condannata all'oblo di tutti! - io ero di pi in pi affamata della sua bont. Con i suoi baci, e i suoi amplessi amici (11), era davvero un cielo, un cupo cielo dove entravo, e avrei voluto esser lasciata povera, sorda, muta e cieca. Gi mi abituavo. Ci vedevo entrambi come bravi fanciulli, liberi di vagare nel Paradiso di tristezza. Ci si accordava. Commossi, lavoravamo insieme. Ma dopo una carezza penetrante, egli diceva: "Come ti parr strano quello che hai passato, quand'io non ci sar pi. Quando tu non avrai pi sotto il collo le mie braccia, n il mio cuore per posarci il capo, n questa bocca sui tuoi occhi (12). Poich dovr andarmene un giorno assai lontano. E poi io dovr aiutarne altri: il mio dovere. Bench non sia affatto stimolante... anima cara..." Subito dopo ch'era partito, mi sentivo in preda alla vertigine, precipitata nell'ombra pi orrenda della morte. Gli facevo promettere di non lasciarmi mai. L'ha fatta venti volte quella promessa d'amante. Ed era cos frivolo come quando gli dicevo: "Ti capisco". Ah! non sono mai stata gelosa di lui. Non mi lascer, io credo. Che ne sar? Non ha conoscenze, non lavorer mai. Vuol vivere da sonnambulo. La sua bont e la sua carit basterebbero a dargli diritto al mondo reale? Ogni tanto, dimentico la miseria in cui sono caduta: lui mi render forte, viaggeremo, cacceremo nei deserti, dormiremo sul lastrico di citt sconosciute, incuranti, sereni. O mi sveglier, e saranno cambiati leggi e costumi, - grazie al suo magico potere il mondo, pur restando lo stesso, mi lascer ai miei desideri, gioie, svogliatezze. Oh! la vita d'avventure che c' nei libri dell'infanzia (13), me la darai tu in ricompensa, io che ho sofferto tanto? Non pu. Io ignoro il suo ideale! Mi ha detto di aver rimpianti, speranze: questo non deve riguardarmi. Egli parla con Dio? Forse dovrei rivolgermi a Dio. Sono sul fondo dell'abisso, e non so pi pregare. Se mi spiegasse le sue tristezze, le capirei pi delle sue beffe? Mi attacca, passa ore a svergognarmi su tutto ci che pu toccarmi al mondo, e s'indigna se piango. Vedi quel giovane elegante, che entra in quella bella casa tranquilla: si chiama Duval, Dufour, Armand, Maurice, che so? Una donna si data tutta all'amore di quel malvagio diota: morta, certo adesso una santa del cielo. Tu mi farai morire, come lui fece morire quella donna. E' la sorte di noi, cuori caritatevoli..." Ahim! c'erano giorni in cui ogni uomo che agiva gli pareva il trastullo di grotteschi deliri: rideva, a lungo, orribilmente. Poi ritrovava i suoi ruoli di giovane mamma, e di amata sorella. Se fosse meno selvaggio, saremmo salvi! Ma pure la sua dolcezza mortale. Gli sono schiava - Ah! sono pazza! Un giorno forse sparir meravigliosamente; ma io devo sapere, se dovr risalire a un cielo", devo vedere un po' l'assunzione del mio piccolo amico! Stranissima coppia!

Deliri.

2. ALCHIMIA DEL VERBO. A me. La storia di una mia follia. Da lungo tempo io mi vantavo di possedere tutti i possibili paesaggi, e trovavo ridicole le celebrit della pittura e della poesia moderna. Amavo i dipinti idioti, sovrapporti, scenari, tele da circo, insegne, miniature popolari; la letteratura fuori moda, latino di chiesa, libri erotici senza ortografia, romanzi da bisnonne, racconti di fate, libretti per l'infanzia, opere stantie, sciocchi ritornelli, ingenui ritmi. Sognavo di crociate, spedizioni senza resoconto, repubbliche senza storia, guerre religiose soffocate, rivoluzioni di costumi, spostamenti di razze e continenti: credevo a tutti gl'incantesimi. Inventai il colore delle vocali! - A nera, E bianca, I rossa, O blu, U verde. Regolai la forma e il movimento d'ogni consonante e, con istintivi ritmi, mi lusingai di trovare un verbo poetico accessibile, un giorno o l'altro, a tutti i sensi. Tenevo per me la traduzione.

Dapprima fu uno studio. Scrivevo silenzi, notti, annotavo l'inesprimibile. Fissavo vertigini. *** Lontano da uccelli, da greggi, da paesane, cosa bevvi, inginocchiato in una brughiera, cinta da una selva di noccioli leggera, in verdi e tepide foschie meridiane? Che potevo bere in quella giovane Oisa, - muti olmi, cielo coperto, erba senza fiori! bere a quei gialli fiaschi, lungi dalla casa amata? Un liquore d'oro che d sudori. Ero come quell'insegna d'alberghi loschi. Uno scroscio mise in fuga il cielo. Moriva su sabbie vergini, a sera, l'acqua dei boschi, ghiacciava il vento di Dio gli stagni a riva; Piangendo, vidi oro - e bere non mi riusciva. *** La mattina alle quattro, d'estate, il sonno d'amore dura ancora. Nei boschetti un odore svapora di sere festeggiate. Laggi, dentro i vasti cantieri al sole dell'Espridi, l - scamiciati - si muovono gi i carpentieri. Calmi, nei loro Deserti muschiosi, preparano i pannelli preziosi su cui affrescher cieli falsi, la citt. Per questi operai affascinanti a un re di Babilonia assoggettati, o lascia un po', Venere! Gli amanti dai cuori incoronati. Regina dei pastori, porta acquavite ai lavoratori, la loro forza vieni a ristorare prima del bagno meridiano, in mare. *** Il vecchiume poetico c'entrava molto nella mia alchimia del verbo. M'abituai alla semplice allucinazione: francamente al posto di un'officina vedevo una moschea, una scuola di tamburini in tenuta di angeli, calessi per le strade del cielo, un salotto in fondo a un lago; i mostri, i misteri; a un titolo di operetta mi si paravano davanti dei terrori. Spiegai in seguito i miei magici sofismi col delirio delle parole! Finii per giudicare sacro il disordine del mio spirito. Oziavo in preda a una pesante febbre: invidiavo la felicit delle bestie - i bruchi, raffiguranti l'innocenza del limbo, le talpe, il sonno della verginit. Il mio carattere s'inaspriva. Con certe romanze dicevo addio al mondo: Canzone della pi alta torre.

Venga, ben venga l'ora in cui ci s'innamora. Tante le pazienze che le ho scordate. Ansie e sofferenze in cielo sono andate. La mia sete impura le vene mi oscura. Venga, ben venga l'ora in cui ci s'innamora. Come abbandonato all'oblo il prato, fiorito ed immenso di loglio e d'incenso, nei fieri bordoni di sporchi mosconi. Venga, ben venga l'ora in cui ci s'innamora. Amai il deserto, i brulli verzieri, le botteghe passate, le bibite tiepide. Mi trascinavo nei fetidi vicoli e, a occhi chiusi, mi offrivo al sole, dio del fuoco. Generale (1), se rimasto un vecchio cannone sui tuoi spalti in rovina, bombardaci con blocchi di arida terra. Sui vetri dei negozi splendidi! Nei saloni! Fa' mangiare alla citt la sua polvere. Ossida le gronde. Riempi i camerini di polvere di rubino ardente... Oh! il moscerino inebriato nel pisciatoio, innamorato della borrana, e che un raggio dissolve!

Fame. Ho soltanto l'acquolina per i sassi e l'arenaria, lo pranzo sempre d'aria di carbone, roccia e ferro. Mie fami, ballate. Il fieno dei suoni, o fami, brucate. Il gaio veleno dei convolvoli succhiate. Mangiate quei sassi spaccati, le vecchie pietre di chiese; le ghiaie dei vecchi diluvi, pani in grigie valli seminati; *** Il lupo urlava tra i rami le belle piume sputando del suo pasto di pollami: come lui sto consumando. Frutto o legume non vuole ch'essere colto nell'aia; ma il ragno di siepaia mangia soltanto le viole.

Oh, ch'io dorma! e sia bollito sulle are di Salomone. Scorre il brodo arrugginito, e si mescola al cedrone. Infine, o felicit, o ragione, io scartai dal cielo l'azzurro, che come un nero, e vissi, scintilla d'oro della luce "natura". Dalla gioia, prendevo una ridicola espressione, completamente smarrita: L'hanno ritrovata, Che? l'eternit; E' la marea mischiata col sole. Mia anima eterna, mantieni il tuo voto malgrado la notte sola e il giorno in fuoco. Te, dunque, dipani dai comuni slanci, dai suffragi umani! Tu libera voli... - Giammai la speranza, Non un "orietur". Scienza e costanza, supplizio sicuro. Non c' pi domani, tizzone di raso, la vostra passione il vostro dovere. L'hanno ritrovata, Che? - L'Eternit. E' la marea mischiata col sole. *** Diventai un'opera favolosa: vidi che ogni essere ha una fatalit di gioia; l'azione non la vita, ma un modo di sciupare le forze, uno snervarsi. La morale una debolezza della mente. A ciascun essere, molte "altre" vite mi sembravano dovute. Quel signore (2) non sa quel che fa: un angelo. Questa famiglia (3) una nidiata di cani. Di fronte a molti uomini, conversai a voce alta con un istante delle loro altre vite. Fu cos che amai un porco (4). Nessun sofisma della follia - la follia che viene rinchiusa - stato da me dimenticato: potrei ridirli tutti, ne ho il sistema. La mia salute fu minacciata. Arrivava il terrore. Piombavo in un sonno di giorni e giorni, e da sveglio continuavo i sogni pi tristi. Ero pronto per il trapasso, e per una via di rischi la mia debolezza mi guidava ai confini del mondo e della Cimmeria (5), patria dei turbini e dell'ombra. Dovetti viaggiare, distrarre gl'incantesimi riuniti nella mia mente. Sul mare, che amavo come avesse dovuto lavarmi da qualche zozzura, vedevo levarsi consolatrice la croce. L'arcobaleno (6) mi aveva dannato. La felicit era il mio fato, il mio rimorso, il mio tarlo: la mia vita sarebbe sempre troppo immensa per dedicarla alla forza e alla bellezza. La Felicit! Il suo dente, mortalmente dolce, mi avvertiva al canto del gallo "ad matutinum", al "Christus venit" - nelle citt pi buie:

O castelli, o stagioni! Qual anima senza passioni? Io ho fatto i magici studi della gioia, che tu non eludi. Salve a lei, ogni volta che il gallo celtico si ascolta. Ah! ogni voglia ormai svanita: lei si assunta la mia vita. Quest'incanto corpo e anima m'ha preso e ogni sforzo inutile mi ha reso. O stagioni, o castelli! L'ora della sua fuga, ahi lasso! l'ora sar del mio trapasso. O stagioni, o castelli! *** Questo accaduto. Oggi io so salutare la bellezza (7).

L'Impossibile. Ah! Quella mia vita d'infanzia, strada maestra per ogni stagione, sobrio e sovrannaturale, pi disinteressato del miglior mendicante, fiero di non avere paese n amici, che sciocchezza era mai. - E me ne accorgo solo ora! - Avevo ragione di sprezzare quella buona gente che non rinuncerebbe mai a una carezza, parassiti della salute e della pulizia delle nostre donne, ch'oggi si accordano cos poco con noi (1). In tutti i miei sdegni ho avuto ragione: perci io evado! Evado! Mi spiego. Fino a ieri sospiravo: Cielo! Siamo in troppi dannati quaggi. Quanto ci sono gi stato nella loro schiera! Li conosco uno per uno. Ci riconosciamo sempre; ci facciamo schifo. La carit ci sconosciuta. Ma siamo beneducati; i nostri rapporti con il mondo sono assai corretti. C' da stupirsi? La gente! I mercanti, gli ingenui! (2). - Noi non siamo disonorati. Ma come ci accoglierebbero gli eletti? (3). Orbene c' della gente ringhiosa e allegra, dei falsi eletti, poich ci occorre audacia od umilt per abbordarli. I soli eletti sono loro. E non sono benedicenti! Ritrovatomi due soldi di ragione - la cosa passa presto! - vedo che la causa dei miei malesseri il non aver immaginato per tempo che siamo in Occidente. La palude occidentale! Non che io creda la luce guasta, la forma svuotata, il movimento forviato... Bene! Ecco che il mio spirito vuole addossarsi a ogni costo tutti i crudeli sviluppi subiti dallo spirito dopo la fine dell'Oriente... Presuntuoso, il mio Spirito! ... I miei due soldi di ragione sono gi spesi! - E' autoritario lo spirito, esso vuole che io stia in Occidente. Bisognerebbe zittirlo per concludere come volevo. Mandavo al diavolo le palme dei martiri, i raggi dell'arte, l'orgoglio degli inventori, l'ardore dei predoni; ritornavo all'Oriente e alla saggezza primeva, eterna. - Pare che sia un sogno di rozza pigrizia. Eppure, non pensavo affatto al gusto di sottrarmi ai patimenti moderni. Non consideravo la saggezza imbastardita del Corano. - Ma non forse un reale supplizio il fatto che, dopo questa dichiarazione della scienza, il cristianesimo, l'uomo s'illuda, dimostri a se stesso ogni evidenza, si gonfi dal

piacere di ripetere le prove, e viva solo cos! Tortura sottile, sciocca; fonte del mio divagare spirituale. Potrebbe annoiarsi la natura, forse! Il signor Prudhomme nato con il Cristo (4). Non forse perch abbiamo il culto delle brume! Mangiamo la febbre con le nostre acquose verdure. E l'ubriachezza! e il tabacco! e l'ignoranza! e i sacrifici! - Com' lontano tutto questo dal pensiero della saggezza d'Oriente, patria primitiva! Che senso un mondo mode no, se s'inventano simili veleni? La gente di Chiesa dir: E inteso. Ma tu vuoi riferirti all'Eden. Non c' niente per te nella storia dei popoli orientali (5). E' vero, all'Eden che pensavo! Che razza di sogno il mio, questa purezza delle razze antiche! I filosofi! Il mondo senza et. Semplicemente, l'umanit si sposta. Tu sei in Occidente, ma sei libero di stare nel tuo Oriente, pi antico che tu voglia - e di starci bene. Non essere un vinto. Filosofi, voi appartenete al vostro Occidente. Spirito mio, sta' attento. Nessuna violenta scelta di salvezza. Allnati! - Ah! per noi la scienza non va abbastanza in fretta! (6). - Ma, mi accorgo che il mio spirito dorme. Se da questo istante egli fosse sempre sveglio, presto noi saremmo nella verit, che forse ci circonda con i suoi angeli piangenti!... - Se fino ad ora egli fosse stato sveglio, allora da immemorabile epoca non avrei ceduto agli istinti funesti!... - Se fosse stato sempre ben sveglio, io vogherei in piena saggezza! (7)... O purezza! purezza! E' stato quel minuto di risveglio a darmi la visione della purezza! - Tramite lo spirito si va a Dio! Infortunio straziante!

Il Lampo. Il lavoro umano! E' l'esplosione che di tanto in tanto illumina il mio abisso. Niente vanit (1); alla scienza, e avanti! grida il moderno Ecclesiaste, ossia Tutti. Eppure i cadaveri dei malvagi e dei poltroni ricadono sul cuore altrui... Ah! presto, ma presto; laggi, oltre la notte, queste future ricompense, eterne... ci sfuggiranno? (2)... - Che posso farci? Conosco il lavoro; e la scienza troppo lenta. Che la preghiera galoppa e che la luce tuona... lo vedo bene! E' troppo semplice, e fa troppo caldo; si far a meno di me. lo ho il mio dovere, e come tanti ne sar fiero, mettendolo in disparte. La mia vita logora. Su! fingiamo, poltroniamo, che piet! Esisteremo divertendoci, sognando mostruosi amori e fantastici universi, lamentandoci e discutendo le apparenze del mondo, saltimbanco, accattone, bandito, artista prete! (3). Sul mio letto d'ospedale (4) l'odore dell'incenso mi tornato cos forte; custode degli aromi sacri, confessore, martire... Qui riconosco la sporca educazione della mia infanzia. E poi che cosa?... Fare i miei vent'anni, se fanno vent'anni gli altri... No! No! Adesso mi ribello alla morte! Il lavoro sembra troppo lieve al mio orgoglio; il mio tradire il mondo sarebbe un supplizio troppo breve. All'ultimo momento, attaccher a sinistra e a destra... Allora - oh! - povera anima cara (5) non sarebbe perduta per noi l'eternit.

Mattino. Non ebbi "una volta" una giovinezza amabile, eroica, favolosa, da scrivere su fogli d'oro - troppa fortuna! Per quale crimine, per qual errore ho meritato la mia debolezza attuale? Voi che affermate che le bestie scoppiano in singhiozzi di dolore, i malati disperano, i morti fanno brutti sogni, cercate di narrare la mia caduta e il mio sonno. Io non so spiegarmi meglio del mendicante con i suoi "Pater" e "Ave Maria". "Io non so pi parlare"! Eppure oggi, credo di aver finito il rapporto del mio inferno. Era proprio l'inferno; l'antico, quello di cui il figlio dell'uomo spalanc le porte. Dal medesimo deserto, nella medesima notte, sempre si ridestano alla stella d'argento i miei occhi stanchi, sempre, senza che i Re della vita si commuovano,

i tre magi, il cuore, l'anima, lo spirito. Quando mai noi andremo, al di l dei greti e dei monti, a salutare la nascita del lavoro nuovo, la nuova saggezza, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, e ad adorare - per primi! - il Natale sulla terra! Il canto dei cieli, la marcia del popoli! Schiavi, non malediciamo la vita.

Addio. Gi l'autunno! - Ma perch rimpiangere un eterno sole, se siamo impegnati a scoprire la chiarit divina - lontano da chi muore con le stagioni. L'autunno. La nostra barca, alta fra le immobili brume, si volge verso il porto della miseria, l'enorme citt (1) dal cielo macchiato di fuoco e di fango. Ah! gli stracci imputriditi, il pane inzuppato di pioggia, l'ubriachezza, i mille amori che mi han crocifisso! Non finir dunque mai questa lmia, regina di milioni d'anime e di corpi morti, e "che saranno giudicati"! Rivedo la mia pelle rosa dal fango e dalla peste, pieni di vermi i miei capelli e le mie ascelle, e vermi ancor pi grossi in cuore, disteso in mezzo a sconosciuti senza et, n sentimento... Ci potevo morire... Evocazione orrenda! Escro la miseria. E temo l'inverno perch la stagione dei conforti!. - Talvolta in cielo vedo plaghe sterminate ricoperte di bianche nazioni in gioia. Sopra di me, un gran vascello d'oro agita i suoi pavesi variopinti nella brezza mattutina. Tutte le feste ho creato, tutti i trionfi, tutti i drammi. Cercai d'inventare fiori nuovi, nuovi astri, nuove carni e lingue nuove. Ho creduto di acquistare sovrannaturali poteri. Ebbene! Io devo sotterrare la mia immaginazione e i miei ricordi! Bella gloria d'artista e narratore andata a monte! Io! io che mi son detto mago o angelo, esente da ogni morale, eccomi per terra, in cerca di un dovere, con la scabrosa realt da stringere! Bifolco! M'inganno? La carit sarebbe forse per me sorella della morte? Insomma, chieder perdono per essermi nutrito di menzogna. E andiamo. Ma non una mano amica! e dove trovare aiuto? *** S, almeno l'ora nuova severissima. Giacch io posso dire che la vittoria mia: lo stridor di denti, il sibilo del fuoco, gli appestati sospiri si placano. Tutti i ricordi immondi svaniscono. I miei ultimi rimpianti se la svignano - gelosie da mendicanti, da briganti, da amici della morte, da ritardati d'ogni risma. - Dannati, se io mi vendicassi! Devi essere moderno ad ogni costo. Niente cantici: tenere il passo preso. Notte dura! Il sangue secco mi fuma sulla faccia, e non ho dietro di me che quest'orribile arboscello! (4)... La lotta spirituale brutale quanto una battaglia fra uomini; ma la visione della giustizia soltanto un piacere di Dio. Intanto la vigilia. Cogliamo ogni influsso di vigore e di reale tenerezza. E all'aurora, armati di ardente pazienza, entreremo nelle splendide citt. Parlavo di una mano amica! E' un bel vantaggio poter ridere dei vecchi falsi amori, e svergognare quelle bugiarde coppie - ho visto laggi l'inferno delle donne (5); - e mi sar permesso di "possedere la verit in un'anima e in un corpo". Aprile-agosto 1873.

Opere diverse.

Prose e versi francesi di collegio. Prologo (1). 1.

Il sole era ancora caldo; eppure non rischiarava quasi pi la terra; quale fiaccola che posta dinanzi alle gigantesche volte le illumina solo pi di un lucore fioco, tale il sole, fiaccola terrestre, si spegneva sprigionando dal suo corpo infuocato un estremo e debole bagliore, pur rivelando ancora le foghe verdi degli alberi, i fiorellini che scolorivano e la gigante sommit dei pini, dei pioppi e delle querce secolari. Il vento rinfrescante, come dire fresca brezza, inquietava le foglie degli alberi con un fruscio quasi simile al rumore delle acque argentine di un ruscello che mi scorreva ai piedi. Le felci chinavano la verde fronte sotto il vento. Mi ero abbeverato all'acqua del ruscello, dopo di che mi addormentai. 2. Sognai che .......... .................... ero nato a Reims, nell'anno 1503. Reims era allora un piccolo villaggio o, a dir meglio, un borgo, ma rinomato per la sua bella cattedrale, testimone dell'incoronamento di re Clodoveo. I miei genitori non erano ricchi, ma onestissimi; tutti i loro beni erano una casetta che gli apparteneva da sempre e di cui erano proprietari vent'anni prima che io nascessi, inoltre un migliaio di franchi, ai quali vanno aggiunti i luigi spiccioli provenienti dai risparmi di mia madre... Mio padre era un ufficiale nelle armate del re. Era un uomo grande, magro, la chioma nera, barba, occhi e pelle del medesimo colore... Bench alla mia nascita egli avesse appena 48 o 50 anni, avresti potuto dargliene benissimo 60 o... 58. Aveva un carattere vivace, focoso, spesso collerico e intollerante a tutto ci che gli spiaceva. Mia madre era ben diversa: donna mite, tranquilla, si spaventava per un nonnulla, e al tempo stesso teneva la casa in perfetto ordine. Era cos quieta, che mio padre la faceva divertire come una signorinella. Io ero il pupillo. I miei fratelli erano meno forti di me, bench pi grandi; mi piaceva poco studiare, ossia imparare a leggere, a scrivere e a contare... ma se c'era da aggiustare in casa, da curare il giardino, fare spese, manco male! questo mi piaceva. Mi ricordo che un giorno mio padre mi aveva promesso venti soldi se gli avessi fatto bene una divisione; la cominciai; ma non seppi finirla. Ah! quante volte mi ha promesso... soldi, balocchi, leccornie, una volta persino cinque franchi, se avessi potuto leggergli... qualcosa... ci nonostante, mio padre mi mand a scuola appena ebbi compiuto dieci anni. A che scopo, mi dicevo, imparare il greco e il latino? Non lo so. Non ne abbiamo mica bisogno! Che m'importa, a me, d'esser promosso... a che serve esser promosso, a niente, nevvero? Seppure dicono che ottieni un posto solo da promosso, io, di posti non ne voglio, vivr di rendita. Quand'anche ne volessi uno, perch imparare il latino; nessuno parla questa lingua. Qualche volta ne vedo un po' sui giornali, ma graziaddio, non far il giornalista. A che scopo imparare e storia e geografia? Abbiamo bisogno, vero, di sapere che Parigi in Francia, ma non ti domandano mica a quale grado di latitudine. Nella storia, imparare la vita di Chinaldone, di Nabopolassarre (2), di Dario, Ciro e d'Alessandro e degli altri notevoli compari loro, tramite i loro diabolici nomi, non un supplizio? Che m'importa, a me, che Alessandro sia stato celebre? Che m'importa... che ne sappiamo se i latini sono mai esistiti? Pu darsi che sia una lingua inventata; e anche se fossero esistiti, che mi lascino vivere di rendita e si tengano pure la loro lingua! Che male ho loro fatto perch mi sbattano al supplizio? Passiamo al greco... questa linguaccia non la parla nessuno, nessuno al mondo!... Ah! perdinci di perdincidina! Accidempol! Se io vivr di rendita; non poi cos piacevole consumarsi le brache sui banchi... perdincibaccolina! Per esser lustrascarpe, ottenere un posto di lustrascarpe, devi passare un esame, giacch i posti che ti offrono son quelli di lustrascarpe o di porcaio o di bovaro. Graziaddio, non ne voglio io, perdincibacco! E per di pi ti appioppano sberle per ricompensa, ti chiamano bestia, cosa fasulla, avanzo d'uomo, eccetera. Ah! perdincidina! Continua prossimamente. ARTHUR

[1864].

Invocazione a Venere. [Traduzione da Lucrezio]. Madre dei figli d'Enea, o agli Dei deliziosa e ai mortali, sotto gli astri dei cieli, ogni cosa popoli, o Venere: l'onda ove la nave gira, il suolo fertile: per te ogni essere che respira germoglia, cresce, e vede il sole luminoso! Tu appari... Alla vista del volto tuo radioso dileguano i venti e ogni nuvola profonda: l'Ocean ti sorride: in belle opere feconda la Terra stende ai tuoi piedi i fiori delicati; brilla pi puro il giorno sotto i cieli azzurrati! Quando riappare Aprile e, gonfio di giovinezza, pronto a recare a tutti una dolce tenerezza, il soffio di zfiro forza la sua prigione, annuncia l'aereo popolo la tua stagione: l'uccello sotto il potere tuo s'incanta; salta il selvatico gregge, o Dea, nell'erba alta, e fende l'onda a nuoto, e ogni essere rinato brucia inseguendoti, alla tua grazia incatenato! Sei tu che, per i mari, i torrenti, le montagne, i boschi pieni di nidi e le verdi campagne, tutto l'amore caro e forte che in cuore langue, li spingi d'et in et a propagarne il sangue! Il mondo, o Venere, non conosce che il tuo impero! Niente senza di te crescerebbe con vigore al giorno: niente respira e non risente amore! Nella mia opera al tuo divino aiuto io spero! A. RIMBAUD Esterno nel Collegio di Charleville (1869).

I Deserti dell'Amore. Avvertenza. Questi scritti sono di un giovane, un giovanissimo uomo (1) la cui vita si svolta dovunque; senza madre, senza patria, incurante di tutto ci che conosciamo, sfuggente a ogni forza morale, come gi erano stati molti poveri giovani; lui invece, cos turbato e annoiato, che alla morte s'abbandon come a un pudore terribile e fatale. Non avendo amato donne (2) - bench sanguigno! l'anima e il cuore, tutta la sua energia, li crebbe in tristi e strani errori (3). Dai sogni susseguenti - i suoi amori! (4). - Ch'egli fece nei letti o nelle strade, e dalla loro conseguenza e fine sgorgano dolci riflessioni religiose ricorderete forse il continuo sonno dei Maomettani leggendari (5), pur valorosi e circoncisi! Ora, poich tale bizzarra pena ha in s un'inquietante autorit (6), sinceramente dobbiamo augurarci che quest'anima, smarrita fra noi tutti e che pare desideri la morte, ottenga una consolazione seria e ne sia degna! E' la stessa campagna (7), certo. La stessa casa rustica dei miei genitori: la stessa sala dove i sovrapporti sono rossastre scene pastorali, con armi e con leoni. C' un salone, per la cena, con candele, vini e rustiche "boiserie". La tavola da pranzo molto grande. Le serve! erano parecchie, per quanto mi ricordi. L

c'era un mio vecchio amico, un giovane, un prete (8), ma solo adesso vestito da prete: lo faceva per essere pi libero. Mi rammento la sua stanza color porpora, le impannate di carta gialla; e i suoi libri, nascosti, che si erano bagnati nell'oceano! Io, mi sentivo abbandonato in quella sterminata casa di campagna; leggevo in cucina, facevo seccare il fango dei miei vestiti davanti agli ospiti, che conversavano in salotto; commosso fino alla morte dal gorgoglio del latte mattutino e notturno del secolo passato. Mi trovavo in una stanza molto buia; che facevo? Mi si avvicin una serva; posso dire ch'era un cagnolino (9); anche se bella e di una nobilt materna per me inesprimibile; pura, fidata, tutta grazia! Mi pizzic il braccio. Non ricordo bene nemmeno il suo volto; e ancor meno ricordo il suo braccio, di cui arricciavo la pelle fra due dita; o la sua bocca, che afferr la mia come un'ondetta disperata che corrode qualcosa senza fine. La rovesciai, in un angolo buio, su una cesta di cuscini e di tele di nave. Mi ricordo soltanto le sue brache dai pizzi bianchi. Poi, oh disperazione, la parete mut vagamente nell'ombra degli alberi, e mi sono immerso nella tristezza amorosa della notte. Un'altra volta, si tratt della Donna veduta in citt (10), e alla quale ho parlato e che mi parla. Mi trovavo in una stanza senza luce. Vennero a dirmi che lei era a casa mia: e la vidi nel mio letto, tutta mia, al buio! Fui molto scosso, molto, perch era la casa di famiglia: in pi mi prese l'angoscia! Ero uno straccio io, e lei mondana, che si offriva; doveva andarsene! un disagio senza nome; la presi e la lasciai cadere fuor dal letto, quasi nuda; e nella mia indicibile debolezza, le cascai sopra e con lei mi trascinai sui tappeti senza luce. La lucerna di famiglia arrossava una dopo l'altra le camere attigue. Allora la donna sparve. Versai pi lacrime di quanto mai potrebbe chiedere Dio. Uscii per la citt infinita. O stanchezza! Immerso nella notte sorda e nella fuga della gioia. Era come una notte d'inverno, con della neve che soffocava completamente il mondo. Gli amici, ai quali gridavo: dov'?, davano risposte false. Mi misi alla vetrata l dove passa lei tutte le sere: correvo in un giardino sepolto. Fui respinto. Per tutto ci, piangevo immensamente. Infine sono sceso in un luogo polveroso, e seduto su dei legni, ho esaurito in quella notte tutte le lacrime del corpo. - Eppure si ripeteva sempre il mio sfinimento. Ho capito che lei apparteneva alla sua vita quotidiana, e che la fase di bont sarebbe stata pi lenta a riprodursi di una stella. Non tornata, e non ritorner, l'Adorabile che mi aveva visitato - e non l'avrei mai immaginato. Davvero ho pianto, quella volta, pi di tutti i fanciulli del mondo.

Prose evangeliche. ["Suite Giovannea"]. A Samaria (1), parecchi hanno manifestato la loro fede in lui. Egli non li ha veduti. Samaria (insuperbiva) l'arricchita (la perfida), l'egoista, osservante pi rigida della sua legge protestante che non Giuda delle sue tavole antiche. L l'opulenza generale dava poco spazio alla discussione illuminata. Il sofisma, schiavo e mercenario dell'abitudine, l aveva gi sgozzato molti profeti (2), dopo averli lusingati. Frase sinistra, quella della donna alla fontana (3): Tu sei profeta, tu sai ci che ho fatto. Le donne e gli uomini credevano nei profeti. Oggi si crede negli uomini di stato. Se l'avessero preso per profeta, laggi essendo apparso cos strano, a due passi dalla citt straniera, materialmente incapace di minacciarla, lui che avrebbe fatto? (4). Ges non pot dir niente a Samaria. ***

L'aria leggera e deliziosa della Galilea: gli abitanti lo accolsero con una gioia curiosa; l'avevano visto, sconvolto dalla santa collera, frustare i mercanti di selvaggina e i cambiavalute del Tempio. Miracolo della giovinezza pallida e furiosa (1), essi pensavano. Egli sent la sua mano sfiorare le mani inanellate e la bocca di un ufficiale. L'ufficiale (2) stava in ginocchio nella polvere, e la sua testa era gradevole, anche se mezza calva. I veicoli correvano nelle vie strette (della citt); un traffico assai intenso per quel borgo; sembrava ci fosse troppa allegria quella sera. Ges ritrasse la mano; ebbe un moto d'orgoglio femmineo e puerile (3): Voi altri, se non vedete (nessun) miracolo, non credete affatto. Ges non aveva ancora fatto miracoli. A un pranzo di nozze, in una sala verde e rosa, un po' altezzoso si era rivolto alla Santa Vergine (4). E nessuno aveva parlato del vino di Cana a Cafarnao, n al mercato, n sulle banchine. I borghigiani forse. Ges disse: Va' tuo figlio sta bene. L'ufficiale se ne and, come portando un lieve toccasana , e Ges prosegu per vie meno ingombre. Convolvoli (arancioni), borrane mostravano fra il selciato il loro magico riflesso. Lontano vide infine la polverosa prateria, e i ranuncoli d'oro e le margherite che ringraziavano il giorno (6). *** Betsaida, la piscina dei cinque portici, era un ritrovo di noia. Sembrava un lavatoio sinistro, sempre oppresso dalla pioggia ed ammuffito, e, sui gradini interni illividiti da bagliori di tempesta forieri dei lampi dell'inferno, i mendicanti s'agitavano scherzando sui loro occhi blu, e sulle fasce bianche e azzurre dei loro moncherini. O lavanderia militare, o bagno popolare. L'acqua era sempre nera, e nessun infermo vi si sarebbe gettato nemmeno in sogno. E' l che Ges comp la sua prima azione grave (1); con i malati infami. Era un giorno di febbraio, di marzo o d'aprile, in cui il sole delle due pomeridiane spiegava una grande falce luminosa sull'acqua seppellita; e come potevo scorgere laggi, lontano dietro gli ammalati, tutto ci che quell'unico raggio ridestava di pustole, di vermi e di cristalli in quel riverbero, qual bianco angelo disteso a lato, cos infinitamente pallido ogni riflesso si muoveva. Tutti i peccati allora, leggeri e tenaci figli del demonio, che ai cuori un po' sensibili rendevano quegli uomini pi orribili dei mostri, volevano tuffarsi dentro l'acqua. Gli infermi non scherzavano pi, ma vi scendevano vogliosi. I primi a entrare ne uscivano guariti, essi dicevano. No. Erano respinti dai peccati, sui gradini; obbligati a cercarsi un altro posto: poich il loro Demonio non pu stare che nei luoghi dov' assicurata l'elemosna (2). Poco dopo mezzogiorno entr Ges. Nessuno lavava o spingeva dentro bestie. Nella piscina la luce era gialla come le ultime foglie delle viti. Il divin maestro era appoggiato a una colonna: guardava i figli del Peccato; il demonio tirava la lingua nella loro lingua; e rideva o negava. Il Paralitico, rimasto coricato sul fianco, si lev, e lo videro i Dannati, con passo singolare e saldo varcare il portico e nella citt sparire.

Un cuore sotto la tonaca.

Intimit di un seminarista. ... O Timotina Labinette! Oggi che ho indossato l'abito sa, posso ricordare, ora fredda e assopita sotto la tonaca, la passione che l'anno scorso fece battere il mio cuore giovanile sotto la mia mantella di seminarista!... 1 maggio 18... ... Ecco la primavera. Il rampollo di vite dell'abate*** butta nel suo vaso di terraglia: sui rami, l'albero del cortile la gemme tenere come gocce verdi; l'altro giorno uscendo dallo studio, ho visto alla finestra del secondo piano

qualcosa simile al fungo nasale del sup***. Le scarpe di J*** puzzano un poco; e ho notato che gli allievi escono molto sovente a... nel cortile: loro che vivevano nello studio come talpe, rattrappiti, piegati in due, la faccia paonazza rivolta alla stufa, con il fiato spesso e caldo delle vacche! Restano a lungo all'aria aperta, adesso, e quando rientrano, ridacchiano, e richiudono l'istmo dei pantaloni con gran cura - anzi, mi sbaglio, molto lentamente - con smancerie, come a provarci gusto, da automi, per una operazione in s del tutto futile... 2 maggio... Ieri il sup*** sceso gi dalla sua stanza e, socchiudendo gli occhi, le mani nascoste, timoroso e intirizzito, ha fatto quattro passi nel cortile strascicando le sue ciabatte da canonico!... Ecco il cuore che mi batte il tempo nel petto, e il petto che batte contro il banco sudicio! Oh! come oggi detesto il ricordo di quegli alunni che, come pecoroni, sudavano nei loro abiti sporchi e dormivano nell'aria puzzolente dello studio, sotto la luce a gas, nel calore insulso della stufa!... Mi stiracchio le braccia! Sospiro, mi sgranchisco le gambe... mi sento in testa qualcosa, oh! qualcosa di strano!... 4 maggio... ... Beh, ieri non ho pi resistito: ho disteso, come l'angelo Gabriele, le ali del mio cuore. Il soffio dello spirito sacro ha attraversato il mio essere. Ho preso la lira, e ho cantato: A me t'affretta, Grande Maria! Madre diletta del buon Ges! O Sanctus Christus! Vergine incinta, O madre santa aiutaci tu! O se sapeste i misteriosi effluvi che mi scuotevano l'anima mentre sfogliavo questa poetica rosa! Presi la mia cetra e, come il salmista, innalzai la mia voce innocente e pura verso altezze celestiali!!! "O altitudo altitudinum"! .................... 7 maggio... Ahim! la mia poesia ha ripiegato le sue ali, ma come Galileo dir, accasciato sotto l'oltraggio e il supplizio: Eppur si muove! - Leggi piuttosto: esse si muovono! - Avevo commesso l'imprudenza di lasciarmi scappare la precedente confidenza... I*** l'ha raccattata, I*** il pi feroce dei giansenisti, il pi rigido tra i fanatici del sup***, e l'ha portata al suo capo in segreto; ma il mostro, per farmi sprofondare nello scorno generale, aveva passato la mia poesia nelle mani di tutti i suoi amici! Ieri il sup*** mi fa chiamare: entro nel suo appartamento, sto in piedi davanti a lui, forte della mia interiorit. Sulla fronte calva gli fremeva come un furtivo lampo il suo ultimo capello rosso; gli occhi sporgevano dalla ciccia, ma calmi, placidi; il naso simile a una mazzeranga era scosso dal suo moto abituale; biascicava un "oremus"; si bagn la punta del pollice, gir qualche pagina di un libro, e tir fuori un foglietto bisunto, spiegazzato... Graaandeee Maaariaaa!... Maaadreee Dleeettaaa!... Trangugiava la mia poesia! Sputava sulla mia rosa! Faceva lo scemunito, il Filone, la bestia, per sporcare, lordare quel canto virgineo! Tartagliava e stiracchiava ogni sillaba con un ghigno d'odio concentrato; e quando giunse al quinto verso... "Vergine incinta!" si ferm, contorcendo la nasale, e scoppi!

"Vergine incinta! Vergine incinta!" lo diceva con un tono, raggrinzando il suo addome prominente, con un tono cos orribile, che un pudico rossore copr la mia fronte. Caddi in ginocchio, e con le braccia al soffitto esclamai: O padre mio!... La tua liiira! la tua cetra! giovanotto! la tua cetra! effluvi misteriosi! che ti scuotevano l'anima! Avrei voluto vederti! Giovane anima, io noto qui dentro, in quest'empia confessione, un non so che di mondano, un abbandono pericoloso, un allettamento, insomma! Tacque, fece vibrare l'addome dall'alto in basso: poi solenne!: Giovanotto, hai la fede?... - Padre, perch questa parola? Il vostro labbro scherza?... S, io credo in tutto ci che dice la madre mia... la Santa Chiesa! - Ma... Vergine incinta!... E' la concezione, questo, giovanotto, la concezione! - Padre, io credo nella concezione... - Hai ragione, giovanotto! E' una cosa... ... Tacque... - Poi: Il giovane J*** mi ha fatto un rapporto in cui si riscontra in te, nel tuo contegno mentre studi, un modo di divaricare le gambe di giorno in giorno pi palese; egli afferma di averti visto stenderti tutto sotto il tavolo, come un giovane... scomposto. Sono fatti ai quali tu non hai niente da ribattere... Avvicinati, in ginocchio, qui vicino a me; voglio interrogarti con dolcezza; rispondi: allarghi molto le gambe, quando studi? Poi mi metteva la mano sulla spalla, intorno al collo e i suoi occhi si schiarivano, e mi faceva dire certe cose su quelle gambe divaricate... Ebbene io, che so cosa significano queste posizioni, posso dirti che stato disgustoso!... E cos mi avevano fatto la spia, avevano calunniato il mio cuore e la mia modestia - e non potevo fare obiezioni, dato che i rapporti, le lettere anonime al Sup*** degli allievi gli uni contro gli altri, erano autorizzati, addirittura imposti - e io ero andato in quella stanza, a f... sotto le mani di quel pancione! Oh, il seminario! ... .................... 10 maggio. Oh! i miei condiscepoli sono terribilmente maligni e terribilmente lascivi. Durante lo studio, tutti quegli asini conoscono la storia dei miei versi e, non appena mi volto, incontro la faccia di quel bolso di D*** che mi bisbiglia: E la tua cetra? e la tua cetra? e il tuo diario? Poi l'idiota L*** ricomincia: E la tua lira? e la tua cetra? Poi in tre o quattro mormorano in coro: Grande Maria... Madre diletta! Sono un grande scemo, io: - Ges, non mi d certo la zappa sui piedi! - Ma, alla fin fine, la spia io non la faccio, non scrivo lettere anonime, e ho sul mio conto la mia santa poesia e il mio pudore!... 12 maggio... Indovinate voi perch io muoio d'amore? L'uccello mi d il buongiorno, mi saluta il fiore: Salve; primavera! e l'angelo di tenerezza! Indovinate perch io bollo dall'ebbrezza? Della mia nonna e della mia culla angelo bello, Non indovinate dunque ch'io divento uccello, che mi batte l'ala, e che la lira mi sfringuella, come rondinella?... Ho composto questi versi, ieri, durante la ricreazione; sono entrato in cappella, mi sono chiuso in un confessionale, e l, la mia giovane musa ha potuto palpitare e involarsi, nel sogno e nel silenzio, verso le sfere dell'amore. Poi, siccome vengono a rubarmi dalle tasche qualsiasi biglietto, di notte e di giorno, ho cucito i miei versi in fondo al mio indumento pi intimo,

quello che tocca direttamente la pelle e, durante lo studio, da sotto l'abito mi porto la poesia contro il cuore e a lungo la stringo fantasticando... 15 maggio. Gli eventi sono precipitati, dalla mia ultima confessione e ben solenni eventi, eventi destinati a influire sulla mia vita intima e futura in modo senz'altro terribile! Timotina Labinette, io t'adoro! Timotina Labinette, io t'adoro! io t'adoro! lascia che canti sul mio liuto, come il divino Salmista sul suo Salterio, come ti ho vista, e come il mio cuore saltato sul tuo per un amore eterno! Gioved era giorno d'uscita; ce ne usciamo per due ore; io sono uscito; mia madre mi aveva detto nella sua ultima lettera: ... figlio mio, va' momentaneamente a riempire il tuo tempo libero dal signor Cesarino Labinette, assiduo del tuo defunto padre, al quale un giorno o l'altro dovrai essere presentato prima della tua ordinazione... - ... Mi presentai al signor Labinette, che mi us la grande cortesia di sbattermi, senza far parola, in cucina; sua figlia Timotina rest sola con me, prese un panno, asciug una tazzona panciuta appoggiandosela al cuore, e dopo un lungo silenzio, sbott: E allora, signor Leonardo?... Fin l, confuso di vedermi in quella cucina solitaria con quella giovane creatura, avevo abbassato gli occhi e invocato in cuore il santo nome di Maria; rialzai la fronte arrossendo e davanti alla belt della mia interlocutrice, non riuscii che a balbettare un flebile: Signorina?... Timotina! Eri bella! Se fossi pittore, rifarei sulla tela i tuoi tratti divini con questo titolo: La Vergine della tazza! Ma sono soltanto poeta, e la mia lingua non pu che celebrarti imperfetta!... Il fornello nero, con i suoi buchi dove fiammeggiavano le braci come occhi rossi, sprigionava, dalle sue casseruole a filini di fumo, un odore celestiale di minestra di cavoli e fagioli; e al suo cospetto, tu, aspirando con il nasino il profumo di quella verdura e guardando il tuo micione con i tuoi begli occhi grigi, o Vergine della tazza, asciugavi il tuo vaso! Le fasce piatte e chiare dei tuoi capelli pudicamente s'incollavano alla tua fronte gialla come il sole; dagli occhi ti scendeva un solco bluastro fino a met guancia, come a Santa Teresa! Il tuo naso, pieno d'odor di fagioli, dilatava le delicate narici; la lanugine serpeggiante sul tuo labbro, aggiungeva una bella forza al tuo volto; e sul mento ti brillava una bella macchiolina bruna dove tremava folletto qualche pelo; i tuoi capelli erano raccolti con prudenza da alcune spille sulla nuca, ma ne scappava un ricciolino... Invano cercavo i tuoi seni; ma non ne hai: tu sdegni tali ornamenti mondani: il tuo cuore e i tuoi seni!... Quando ti voltasti per colpire con il largo piede il tuo gatto dorato, io vidi le tue scapole sporgenti che ti alzavano il vestito, e fui trafitto d'amore davanti alla curva graziosa dei due archi pronunciati dei tuoi lombi! ... Da quell'istante ti adorai; non adorai i tuoi capelli, non le tue scapole, non le tue basse curve posteriori; ci che amo in una donna, in una vergine, la santa modestia; ci che mi fa sussultare d'amore la devozione e il pudore; questo in te adorai, o pastorella!... Cercai di mostrarle la mia passione, e d'altronde il cuore, il mio cuore mi tradiva! Non rispondevo alle sue domande che a parole mozze; pi volte nel mio turbamento, invece di Signorina la chiamai Signora! A poco a poco, ai magici accenti della sua voce, mi sentivo mancare; finalmente decisi di lasciarmi andare e di mollare tutto; e, non so pi a quale domanda che mi fece, mi rovesciai indietro sulla sedia, mi misi una mano sul cuore, con l'altra afferrai in tasca un rosario lasciandone spuntare la croce bianca e, con un occhio a Timotina e l'altro al cielo, dolorosamente e teneramente risposi come un cervo a una cerva: Oh! S! Signorina... Timotina!!! "Miserere! Miserere!" - Nell'occhio aperto soavemente verso il soffitto mi cade improvvisa una goccia di salamoia, sgocciolante da un prosciutto librato su di me, e allorch, tutto rosso di vergogna, rinfocolato nella mia passione, io chinai la fronte, m'accorsi che nella mano sinistra, invece del rosario,

stringevo solo un biberon nerastro; - mia madre me l'aveva consegnato l'anno scorso per darlo al neonato di una mamma vattelappesca! - Dall'occhio che fissava il soffitto col l'amara salamoia; - ma dall'occho che ti guardava, o Timotina, still una lacrima, lacrima d'amore, lacrima di dolore!... ................... Poco dopo, passata un'ora, quando Timotina mi annunci uno spuntino a base di fagioli e di frittata al lardo, tutto intenerito dai suoi vezzi, risposi sottovoce: Ho il cuore cos gonfio, vede, che mi si rovina lo stomaco! E mi misi a tavola; oh! lo sento ancora, H suo cuore aveva risposto al richiamo del mio; durante il breve spuntino, lei non mangi: Non trovi che si sente un certo odore? ripeteva; suo padre non capiva; ma il mio cuore cap: era la Rosa di Davide, la Rosa di Jesse, la Rosa mistica delle scritture; era l'Amore! Si alz di scatto, and in un angolo della cucina, e mostrandomi il duplice fiore dei suoi lombi, tuff il braccio in un mucchio informe di stivali, di scarpe svariate, da dove zomp fuori il suo gattone; e scaravent tutto in un vecchio armadio vuoto; poi torn al suo posto, e interrog l'aria con fare inquieto; all'improvviso aggrott la fronte ed esclam: Si sente ancora! S, si sente, rispose assai stupidamente il padre: (non poteva capire, quel beota!) Mi resi conto che tutto ci erano i movimenti intimi del desiderio nella mia carne vergine! L'adoravo e mi gustavo con amore la frittata dorata, e le mie mani battevano il tempo con la forchetta, e sotto la tavola i piedi mi fremevano beati dentro le scarpe!... Ma, quel che fu per me come un barlume, un pegno d'amore eterno, un diamante di tenerezza da parte di Timotina, fu in lei la cortesia adorabile d'offrirmi, quando me ne andai, un paio di candidi calzini, con un sorriso e con queste parole: Li vuol mica per i suoi piedi, signor Leonardo? .................... 16 maggio. Timotina! io t'adoro, te e tu o padre, te e il tuo gatto: Timotina: ... "Vas devotionis, Rosa mystica, Turris davidica, Ora pro nobis! Coeli porta, Stella maris". 17 maggio. Adesso che m'importano i rumori del mondo e i rumori dello studio? Che m'importa dei miei vicini curvi sotto il languore e la pigrizia? Stamane, appesantiti dal sonno, tutte le fronti erano incollate ai tavoli; un russare, simile a uno squillo di tromba dell'ultimo giudizio, un russare sordo e lento si levava da quel vasto Getsemani. Io, stoico, sereno, eretto, alto sopra tutti quei morti come un palmizio sopra le rovine, sprezzando i lezzi e i rumori sconvenienti, mi reggevo la testa con la mano, ascoltavo battere il mio cuore pieno di Timotina, e i miei occhi si tuffavano nell'azzurro del cielo, intravisto dai vetri pi alti della finestra!... 18 maggio. Ringrazio lo Spirito Santo che mi ha ispirato questi incantevoli versi: questi versi voglio incastonarli nel mio cuore; e, quando il cielo mi far rivedere Timotina, glieli dar in cambio dei suoi calzini!... L'ho intitolata La Brezza:

Dentro il suo cotonoso riparo Dorme zfiro dal fiato caro: Nel suo nido di lana e di seta Dorme zfiro dalla bazza lieta! Quando zfiro solleva l'ale Dentro il suo riparo di cotone, Quando corre ove il fiore ospitale, Il dolce fiato sa di cose buone! O brezza tutta quintessenzata! O quintessenza dell'amore! Quando la rugiada si asciugata, Come esala il giorno un buon odore! Ges! Giuseppe! Ges! Maria! E' come fosse un'ala di candore che assopisce chi in preghiera pia! Ti penetra e t'addormenta il cuore! .................... La fine troppo intima e soave: la serbo nel tabernacolo dell'anima mia. Alla prossima uscita, la legger alla mia divina e olezzante Timotina. Aspettiamo nella calma e nel raccoglimento. .................... "Data incerta". - Aspettiamo!... 16 giugno! Signore, sia fatta la tua volont: non frapporr ostacoli! Se vuoi distogliere dal tuo servo l'amore di Timotina, puoi farlo, certo: ma, mio Signore Ges, tu stesso non hai forse amato e la lancia dell'amore non ti ha insegnato a compatire le pene degli infelici! Prega per me! Oh! attendevo da tempo quell'uscita di due ore del 15 giugno; avevo costretto la mia anima, dicendole: Quel giorno sarai libera: il 15 giugno, avevo pettinato i miei pochi modesti capelli, e, con l'aiuto di una profumata pomata rosa, li avevo incollati sulla fronte come le ciocche di Timotina; mi ero impomatato le sopracciglia; avevo spazzolato con cura il mio vestito nero, rimediato abilmente a certi spiacevoli difetti della mia acconciatura, e mi presentai al sospirato campanello del signor Cesarino Labinette. Egli venne, dopo un bel po', il berrettino sull'orecchio alla brava, un ciuffo di capelli dritti e ben impomatat che gli tagliavano la faccia come uno sfregio, una mano nella tasca della vestaglia a fiori gialli e l'altra sul saliscendi... Mi diede un buongiorno asciutto, arricci il naso lanciando un'occhiata alle mie scarpe con i lacci neri, e mi precedette, le mani in ambedue le tasche, tirando in avanti la vestaglia, come fa l'abate*** con la sua tonaca, e modellando cos al mio sguardo le sue parti inferiori. Lo seguii. Attravers la cucina, e io entrai dietro di lui in salotto. Oh! quel salotto! l'ho fissato nella memoria con gli spilli del ricordo! La tappezzeria era a fiori scuri; sul caminetto un'enorme pendola in legno nero, a colonne; due vasi blu con delle rose; alle pareti, un dipinto della battaglia d'Inkermann; e un disegno a matita di un amico di Cesarino, che raffigurava un mulino con la sua ruota schiaffeggiante un ruscelletto simile a uno sputo, disegno che scarabocchiano tutti i principianti. Come preferisco la poesia!... In mezzo al salotto, una tavola con la tovaglia verde, intorno alla quale il mio cuore non vide che Timotina, malgrado vi fosse anche un amico del signor Cesarino, gi esecutore dell'attivit di sagrestia della parrocchia di***, e sua moglie, la signora di Riflandouille, e malgrado il signor Cesarino fosse tornato lui stesso ad appoggiarvi i gomiti, non appena io entrai.

Presi una sedia imbottita, pensando che un po' di me stesso si sarebbe appoggiato a un ricamo fatto certamente da Tmotina, salutai tutti e, posato il mio cappello nero sul tavolo, davanti a me, come un bastione, ascoltai... Non parlavo, ma parlava il mio cuore! I signori continuarono la partita a carte gi iniziata: notai che baravano a pi non posso, e per me fu una sorpresa assai penosa. Finita la partita, quei tali si sedettero in cerchio attorno al caminetto vuoto; me ne stavo in un angolino, seminascosto dall'enorme amico di Cesarino, la cui sedia mi separava da Timotina; dentro di me ero contento che mi si prestasse poca attenzione; confinato dietro la sedia dell'emerito sagrista, potevo esprimere sul viso i turbamenti del cuore senza farmi accorgere da nessuno: mi abbandonai allora a un dolce trasporto; e lasciai la conversazione di quei tre riscaldarsi e animarsi; giacch Timotina parlava di rado; lanciava sguardi d'amore al suo serninarista, e non osando guardarlo in faccia volgeva i suoi occhi chiari sulle mie scarpe ben lucidate!... lo, dietro al grosso sagrista, mi abbandonavo al mio cuore. Cominciai a pendere verso Timotina, levando gli occhi al cielo. Era voltata. Mi raddrizzai e, la testa piegata sul petto, cacciai un sospiro; lei non si mosse. Mi riabbottonai, mossi le labbra, accennai a un segno della croce; lei non vide niente. Allora, rapido, furioso d'amore, mi chinai decisamente verso di lei, con le mani congiunte come alla comunione, e lanciando un ah!... prolungato e sofferto: "Miserere!" mentre gesticolavo e pregavo, caddi dalla sedia con un tonfo, e il grosso sagrista si volt sogghignando, e Timotina disse a suo padre: Toh, il signor Leonardo che scivola per terra! Suo padre ridacchi! "Miserere!" Il sagrista mi ripiant, rosso dalla vergogna e infiacchito dall'amore, sulla mia sedia imbottita, e mi fece posto. Ma io abbassai gli occhi, volevo dormire! Quella compagnia mi era fastidiosa, non indovinava l'amore che soffriva l nell'ombra: volevo dormire! Ma udii la conversazione volgersi su di me!... Riaprii stancamente gli occhi... Cesarino e il sagrista fumavano un magro sigaro ciascuno, con ogni affettazione possibile, il che li rendeva terribilmente ridicoli; sull'orlo della sedia la signora sacrestana, con il petto incavato chino in avanti, e di dietro le onde del vestito giallo che le si rigonfiavano fino al collo, aprendole intorno l'unica gala, sfogliava deliziosamente una rosa: un orribile sorriso socchiudeva le sue labbra e mostrava sulle gengive secche due denti neri, gialli, come la maiolica di una vecchia stufa. - Tu Tmotina eri bella, con la tua baverina bianca, gli occhi bassi e le tue ciocche piatte! E' un giovanotto d'avvenire: il suo presente inaugura il suo futuro, diceva il sagrista sprigionando un'onda di fumo grigio... Oh! Il signor Leonardo onorer la tonaca! disse nel naso la sacrestana; apparvero i due denti!... Io avvampavo, come un ragazzo a modo; vidi che le sedie si scostavano da me, e che si mormorava sul mio conto... Timotina squadrava sempre le mie scarpe; i due luridi denti mi minacciavano... il sagrista rideva sarcastico; tenevo ancora la testa bassa!... Lamartine morto..., disse tutt'a un tratto Timotina. Cara Timotina! Era per il tuo adoratore, per il tuo povero poeta Leonardo, che infilavi nella conversazione quel nome di Lamartine; allora rialzai la fronte, sentii che solo al pensiero della poesia tutti quei beoti potevano rifarsi una verginit, mi sentivo battere le ali, e dissi raggiante, fissando Timotina: Aveva belle gemme alla sua corona, l'autore delle "Meditazioni poetiche"! - Il cigno dei versi defunto! - disse la sacrestana. - S, ma ha intonato il suo funebre canto, - replicai entusiasta. - Ma, - esclam la sacrestana, - anche il signor Leonardo poeta! Sua madre mi ha mostrato l'anno scorso dei saggi della sua musa... Giocai d'audacia: Oh, Signora, non ho portato n la mia lira n la mia cetra, ma... - Oh la sua cetra! la porter un'altra volta... - Ma, ci nonostante, se la cosa non dispiace alla stimata compagnia - e tirai fuori un foglietto dalla tasca - vi legger alcuni miei versi... Li dedico alla signorina Tmotina. - S, s, giovanotto! benissimo! reciti, reciti, si metta l in fondo alla sala...

Indietreggiai... Timotina guardava le mie scarpe... La sacrestana faceva la Madonna; i due signori si chinavano l'uno verso l'altro... Arrossii, tossii, e con tenerezza cantata dissi: Dentro il suo cotonoso riparo Dorme Zfiro dal fiato caro: Nel suo nido di lana e di seta Dorme Zfiro dalla bazza lieta. Tutti gli astanti risero a crepapelle: i signori si chinavano l'uno verso l'altro per dirsi grossolane freddure; ma la cosa pi tremenda era l'aria della sacrestana che, lo sguardo al cielo, faceva la mistica e sorrideva con i suoi orribili denti! Timotina, Timotina crepava dal ridere! Fui trafitto da un colpo mortale, Timotina si teneva la pancia!... Un dolce Zfiro dentro il cotone, soave, soave!..., faceva arricciando il naso pap Cesarino... Credetti di accorgermi di qualcosa... ma quello scoppio di risa dur solo un secondo: tutti cercarono di riprendere il proprio contegno, che spetezzava ancora di tanto in tanto... Continui, giovanotto, va bene, va bene! Quando Zfiro solleva l'ale Dentro il suo riparo di cotone... Quando corre ove il fiore ospitale, Il dolce fiato sa di cose buone... Stavolta, una grande sganasciata scosse il mio uditorio; Timotina guard le mie scarpe: avevo caldo. I piedi mi scottavano sotto il suo sguardo, sguazzando nel sudore; poich mi dicevo: questi calzini che porto gi da un mese, sono un dono del suo amore, queste occhiate che mi lancia sui piedi, mi testimoniano il suo amore: lei mi adora! Ed ecco che non so quale odorino mi parve uscire dalle mie scarpe: Oh! capii le orribili risate di quel consesso! Capii che Timotina Labinette, smarrita in quella cattiva compagnia, Timotina mai avrebbe potuto dar libero sfogo alla sua passione! Capii che anch'io dovevo divorare, dentro di me, quel doloroso amore sbocciatomi in cuore, un pomeriggio di maggio, nella cucina dei Labinette, davanti alle sinuosit posteriori della Vergine della tazza! - Le quattro, ora del rientro, suonavano alla pendola del salotto; fuori di me, ardendo d'amore e folle di dolore, afferrai il cappello, scappai via rovesciando una seggiola, attraversai il corridoio biascicando: Io adoro Timotina, e fuggii senza fermarmi fino al seminario... Le falde del mio abito nero svolazzavano dietro di me, nel vento, come uccelli sinistri!... ...................... ...................... 30 giugno. Ormai, affido alla musa divina la cura di cullare la mia pena; martire d'amore a diciott'anni e, nella mia tristezza, pensando a un altro martire del sesso che fa la nostra gioia e la nostra felicit, non avendo pi l'amata, io amer la fede! Che Cristo e Maria mi stringano al seno; li seguo; io non sono degno di slacciare le scarpe di Ges; ma che dolore! che supplizio! A diciott'anni e sette mesi, anch'io porto una croce, una corona di spine! ma nella mano invece di una canna, ho una cetra! Questa sar il balsamo della mia piaga!... Un anno dopo, primo agosto. Oggi mi hanno rivestito della sacra veste; sto per servire Dio; avr una parrocchia e una modesta perpetua in un ricco paese. Ho la fede; far la mia salvezza e, senza sperperare, vivr come un buon servitore di Dio con la sua serva. La Santa Chiesa madre mi riscalder nel suo seno: che sia benedetta! e benedetto Iddio! ... Quanto alla passione crudelmente amata che racchiudo in fondo al cuore, sapr sopportarla con costanza: senza ravvivarla apposta, potr di tanto in

tanto richiamarne il ricordo; sono cose ben dolci! - Io d'altronde ero nato per l'amore e per la fede! - Forse un giorno, ritornato in questa citt, avr la gioia di confessare la mia cara Timotina?... E poi di lei serbo un dolce ricordo: dopo un anno, non mi sono tolto ancora i calzini che mi aveva regalato; Quei calzini, mio Dio, me li terr ai piedi fin nel suo santo Paradiso!...

[Lettera del Veggente].

Rimbaud a Paul Demeny. Charleville, 15 maggio 1871. Ho deciso di offrirle un'ora di letteratura nuova. Incomincio subito con un salmo d'attualit:

Canto di guerra parigino. Primavera ovvia, se dai cuori eccetera. A. RIMBAUD. - Eccole un po' di prosa sull'avvenire della poesia: - Tutta la poesia antica sfocia nella poesia greca. Vita armoniosa. - Dalla Grecia al movimento romantico - medioevo - vi sono letterati, versificator. Da Ennio a Turoldo (1), da Turoldo a Casimir Delavigne, tutto prosa rimata, un gioco, svaccamento e gloria d'innumerevoli generazioni idiote: Racine il puro, il forte, il grande (2). - Ancorch qualcuno avesse soffiato sulle sue rime e ingarbugliato i suoi emistichi, il Divino Sciocco oggi sarebbe ignorato quanto il primo venuto autore di "Origines" (3). - Dopo Racne il gioco ammuffisce. E' durato duemila anni! N scherzo, n paradosso. La ragione m'ispira sull'argomento certezze pi numerose delle collere che mai avrebbe avuto un Jeune-France. Del resto, i nuovi sono liberi di esecrare gli antenati: siamo a casa nostra e tempo ne abbiamo. Non mai stato giudicato bene il romanticismo. E chi l'avrebbe giudicato? I critici!! i romantici? i quali tanto bene dimostrano che la canzone cos raramente l'opera, e cio il pensiero cantato capito dal cantore? Poich Io un altro (4). Se il rame si sveglia tromba, non ne ha nessuna colpa. Ci mi pare evidente: assisto allo sbocciare del mio pensiero; lo guardo, lo ascolto: do un colpo d'archetto: la sinfonia si rimescola nelle profondit, o di colpo balza sulla scena. Se i vecchi imbecilli non avessero trovato che falso significato dell'Io, non avremmo da spezzare questi milioni di scheletri che da tempo infinito hanno accumulato i prodotti della loro guercia intelligenza, proclamandosene autori! In Grecia, dicevo, versi e lire ritmano l'Azione (5). Dopo, musica e rime sono giuochi, sollazzi. Lo studio di questo passato lusinga i curiosi: molti godono a rinnovare questo vecchiume: - fa per loro (6). L'intelligenza universale ha sempre sparso le sue idee naturalmente; gli uomini racimolavano una parte di questi frutti del cervello: si agiva in conseguenza, se ne scrivevano libri: cos si andava avanti, giacch l'uomo non si travagliava, non ancora desto, o non ancora nella pienezza del grande sogno. Funzionari, scrittori: autore, creatore, poeta, quest'uomo non mai esistito! Il primo studio dell'uomo che voglia essere poeta, la conoscenza intera di se stesso; egli cerca la sua anima, l'indaga, la tenta, l'impara. Non appena la conosce, deve coltivarla; ci pare semplice: in ogni cervello si compie uno sviluppo naturale; tanti egoisti si proclamano autori; molti altri si attribuiscono il proprio progresso intellettuale! - Ma si tratta di rendere l'anima mostruosa: come i comprachicos (7), insomma! Immagini un uomo che si trapianti e coltivi verruche sul viso.

Io dico che bisogna essere veggente (8), f arsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme di amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in s tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale egli diventa in mezzo a tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, - e il Sommo Sapiente! - Egli giunge infatti all'ignoto! Poich ha coltivato la sua anima, gi ricca, pi di chiunque altro! Egli giunge all'ignoto, e se, smarrito, finisce col perdere l'intelligenza delle sue visioni, le ha pur vedute! Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori: incominceranno dagli orizzonti dove l'altro si accasciato! - Il seguito fra sei minuti Qui inserisco un secondo salmo, fuori testo: voglia porgere un orecchio compiacente, - e tutti saranno lusingati. - Tengo in mano l'archetto, comincio: "Le mie piccole amorose" (9) Un lacrimale idrolito lava eccetera... A. RIMBAUD. Ecco. E noti bene che, se non temessi di farle sborsare pi di 60 centesimi di porto - io, povero sperduto che, da sette mesi, non ho avuto neppure un soldo di bronzo! - le consegnerei anche i miei "Amants de Paris", cento esametri, Signore, e la mia "Mort de Paris" (10), duecento esametri! - Riprendo: Dunque il poeta veramente un ladro di fuoco. Ha l'incarico dell'umanit, persino degli animali; dovr far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se ci che riporta di laggi ha forma, egli d forma; se informe, egli d l'informe. Trovate una lingua: - Del resto, ogni parola essendo idea, verr il tempo di un linguaggio universale! Bisogna essere un accademico, - pi morto di un fossile, - per ultimare un dizionario, di qualsiasi lingua. Se un debole si mettesse a pensare sulla prima lettera dell'alfabeto, tosto rovinerebbe nella pazzia! Questa lingua sar anima per l'anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, sar pensiero che aggancia il pensiero e che tira. Il poeta definirebbe la quantit d'ignoto che nel suo tempo si risveglia nell'anima universale: darebbe di pi -della formula del suo pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormit che diventa norma, assorbita da tutti, egli sarebbe davvero un moltiplicatore di progresso! Quest'avvenire sar materialista (11), vede bene; - sempre pieni di Numero e di Armonia, questi poemi saranno fatti per restare. - In fondo, sarebbe ancora un po' la Poesia greca. L'arte eterna avrebbe la sua funzione, cos come i poeti sono cittadini. La Poesia non ritmer pi l'azione; sar pi avanti. Questi poeti saranno! Quando sar spezzata l'infinita schiavit della donna (12), quando ella vivr per s e grazie a s, l'uomo - finora abbominevole, avendola resa, sar poeta, poeta anch'essa! La donna trover dell'ignoto! 1 suoi mondi d'idee differiranno dai nostri? - Trover cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose; noi le prenderemo, le capiremo. Nel frattempo chiediamo ai poeti del nuovo, - idee e forme. Tutti gli abili crederebbero subito di aver soddisfatto tale domanda. Non questo! I primi romantici sono stati veggenti senza rendersene ben conto: la cultura delle loro anime ha iniziato dagli accidenti: locomotive abbandonate, ma brucianti, costrette ogni tanto dalle rotaie. - Lamartine talvolta veggente, ma strozzato da una vecchia forma. - Hugo, troppo caparbio, ha pure del veduto negli ultimi volumi: "I Miserabili" sono un vero poema. Ho "Les Chtiments" sotto mano: "Stella" d pressapoco la misura della vista di Hugo (13). C' troppo Belmontet e Lamennais, Geova e colonne, vecchie enormit crepate.

Musset quattordici volte esecrabile (14) per noi, generazioni dolorose e in preda alle visioni, - insultate dalla sua pigrizia d'angelo! Oh! quei racconti e quei proverbi nsipidi! Oh! quelle notti! Oh "Rolla", Oh "Namouna", Oh "La Coppa"! Tutto francese, e cio sommamente odioso; francese, non parigino! Ancora un'opera di quel detestabile genio che ha ispirato Rabelais, Voltaire, Jean La Fontane! (15) commentato dal signor Taine! Primaverile, lo spirito di Musset! Grazioso, il suo amore! Eccone, di pittura allo smalto, di poesia solida! Assaporeremo ancora a lungo la poesia francese, ma in Francia. Qualsiasi ragazzo pizzicagnolo capace di sbobinare un'apostrofe in stile "Rolla", qualsiasi seminarista ne porta le cinquecento rime nel segreto di un taccuino. A quindici anni, questi slanci di passione mettono i giovani in fregola; a sedici anni, gi si accontentano di recitarli con cuore; a diciotto anni, persino a diciassette, qualsiasi collegiale che ne abbia i mezzi, fa il Rolla, scrive un Rolla! Forse qualcuno ne muore ancora. Musset non ha saputo far niente: c'erano visioni dietro il velo delle tende: lui ha chiuso gli occhi, Francese, pavone (16), trascinato dalla bettola alla cattedra di collegio, quel bel morto morto, e ormai non diamoci neppure pi la pena di ridestarlo con il nostro abominio! I secondi romantici sono molto veggenti: Th. Gautier, Lec[onte] de Lisle, Th. de Banville. Ma indagare l'invisibile e udire l'inaudito, poich cosa diversa dal riprendere lo spirito delle cose morte, Baudelaire il primo veggente, il re dei poeti, un vero Dio. Purtroppo egli ha vissuto in un ambiente troppo artistico; e la forma tanto vantata in lui meschina: i rinvenimenti dell'ignoto invocano forme nuove. Rotta alle vecchie forme (17), tra gli innocenti, A. Renaud, ha fatto il suo Rolla; L. Grandet, - ha fatto il suo Rolla; - i Galli e i Musset, G. Lafenestre, Coran, Cl. Popelin, Soulary, L. Salles; gli scolari, Marc, Aicard, Theuriet; i defunti e gli imbecilli, Autran, Berbier, L. Pichat, Lemoyne, i Deschamps, i Dessesarts; i giornalisti, L. Clodel, Robert Luzarches, X. de Ricard; i fantasiosi, C. Mends; i bohme; le donne; i talenti, Lon Dierx, SullyPrudhomme, Coppe, - la nuova scuola, detta parnassiana, ha due veggenti, Albert Mrat e Paul Verlaine, un vero poeta. - Ecco. - Cos lavoro per rendermi veggente. E terminiamo con un canto pio. Gli accosciamenti (18). Molto tardi, allorch si sente stomacato, eccetera. Lei sarebbe esecrabile se non mi rispondesse; e si sbrighi, perch fra otto giorni sar a Parigi, forse. Arrivederci. A. RIMBAUD.

Opere attribuite.

Veleno perduto. Di notti coi biondi o le brune in stanza non sono restate neppure una trina d'estate od una cravatta comune. Nulla sul balcone ove il t si prende nell'ora di luna Non vi rimasta traccia alcuna, non un ricordo. Sul piqu

blu di un tendaggio ricamato scintilla uno spillo dorato grande come un insetto assorto Punta di veleno bagnata ti prendo. Sii preparata nell'ore in cui mi voglio morto.

"Lettera del Barone di Petodicapra" al suo segretario al castello di Santa Miagloria. Versailles, 9 settembre 1871. La Francia salva, mio caro Anatolio, e lei ha proprio ragione di dire che io in gran parte vi ho contribuito. Il mio discorso - dovrei dire il nostro discorso - non ha potuto essere inserito nella famosa disamina, ma ne ho pronunciato in corridoio, tra gli amici, la trascinante perorazione. Essi indugiavano... Hanno votato. "Veni, vidi, vici!" Stavolta ho capito l'influenza che potrei esercitare domani su certi gruppi parlamentari. Del resto, lo avevo presentito, in occasione dell'ultima licenza, allorch la mia bionda e intelligente Sidonia, mentre assisteva alla nostra ripetizione, esclam: Pap! mi di un non so che quando ti prendi sul serio! Mi di un non so che!... O adorabile dichiarazione! In quel giovane cuore ho portato la commozione dell'eloquenza, commozione anticipatrice della persuasione. (Riporti la mia frase al curato, e faccia il filone). Dunque la Francia salva, la nobilt salva, la religione salva, "siamo costituenti"! Quando faremo la costituzione? Quando ci andr a genio, signori. - E il signor Thiers? Lei mi dir. - Il signor Thiers! puah! cosa sarebbe senza di noi? Tant' che ha abbracciato la nostra proposta, dando da baciare ai repubblicani la punta delle sue dita, e afferrandoci il collo per soffiarci all'orecchio: Pazienza! Voi sarete re! E la sinistra? - La sinistra!... Che roba la sinistra? Andiamo su, Anatolio, se questa roba non si credesse costituente, se ne starebbe forse con i costituenti? Ci facciamo delle false idee su quella gente. Alla fin fine sono molto pi arrendevoli di quanto pensiamo. Gli anziani si convertono e si battono il petto al tribunale e alla Corte d'Assise; hanno la mania delle confessioni pubbliche che screditano il penitente e possono togliere la stima al partito. I giovani sono ambiziosi e sono pronti ad ogni evento. C' sempre qualche schiamazzatore che solleva ridicole buriane intorno alle tribune, ma siamo noi che teniamo in pugno il tuono, e gli schiamazzatori che vorranno tirare troppo la corda schiatteranno di tisi laringea. Dobbiamo riposarci adesso; ce lo siamo ben meritato, questo riposo che vogliono lesinarci con tanta tirchieria. Noi abbiamo riorganizzato un esercito, bombardato Parigi, soffocata l'insurrezione, fucilato gl'insorti, processato i loro capi, sancito il potere costituente, canzonato la Repubblica, predisposto un ministero monarchico e varata qualche legge che modificheranno presto o tardi. - Non per far leggi che noi siamo venuti a Versailles! Si uomini, Anatolio, prima di essere legislatori. Non abbiamo fatto il nostro fieno, vogliamo almeno fare la nostra vendemmia. Beato lei! Le dame la reclamano, lei partito senza trombe n tamburi, lasciandomi due discorsi da imparare e interruzioni da ripetere. Ha aperto la caccia, ha pescato, mi ha mandato delle quaglie e delle trote; le abbiamo mangiate; va bene. Ma dopo!... Ah! ho piantato l discorsi e interruzioni, per chiedere una licenza. E' la centotrentasettesima che questa settimana registro, mi ha detto il presidente. Ero seccato. Questo signor Target mi ha persuaso ad aspettare. Ah! che uomo carino, e come capisce gl'ideali dell'Assemblea!

... Anatolio, le spedisco la sua fotografia per l'album di Sidonia. Lo faccia mettere bene al suo posto, fra il generale de Temple e il signor di Bel-Castel, che mi onorano della loro amicizia. Partiremo verso la fine del mese: ottobre ci d ancora delle belle giornate: capisce, quel bel sole che perfora la nebbia e disperde... disperde... Mi spiego! Non sono poeta io; sono oratore! Alla Camera abbiamo pazientato fino a oggi, grazie ai consigli di guerra e alla proposta Ravinel. Oh! i consigli di guerra!... Toh, siamo al settimo cielo, caro mio. Il parere delle persone oneste ha profondamente scosso quei bravi giudici militari, un attimino sviati sui sentieri tortuosi della clemenza e della piet. Rieccoli sulla buona strada, sulla retta via, stavolta giusti, ma soprattutto severi! Ha visto come hanno condannato Pipe-en-Bois?... Ci prendiamo la rivincita, cittadini della Comune! E poi non glielo nascondo, Anatolio, ci voleva un esempio. Non sia mai detto che avremmo potuto stare impunemente dalla parte di Gambetta! Gambetta!... Toh, penso talvolta che Sidonia n' andata matta per tre settimane e la cosa disturba le mie notti... Le dica che la perdono. Al mio rientro, ella vedr come mostro i pugni sotto la tribuna, quando ci riuniamo fra amici, per maledire quel dittatore. Ah! egli non ha osato spiaccicar parola sulla faccenda Ravinel. Detto fra noi, Anatolio, credo di fargli paura. Giorni addietro, nel parco, domand senza indicarmi, ben inteso: Ma chi codesto Brasiliano? Sidonia ritiene che io mi tinga un po' troppo; ma se ci mi d un'aria feroce!... Fa niente, ho avuto un bel mostrare alla sinistra il pugno, non siamo riusciti a mandare all'aria l'affare Ravinel. Si resta a Versailles, indefinitivamente, ma qui non ci vengono i servizi pubblici a piantare le tende. E poi?... Che importa? Amo il provvisorio, io. Versailles un sobborgo di Parigi e tuttavia non pi Parigi. E' tutto qui. Essere o non essere a Parigi. Se ci avessero proposto Nantes o Lione, o Bordeaux, avremmo decisamente rifiutato. Per cominciare sono citt rivoluzionarie; la loro guardia nazionale non ancora stata disciolta e i loro consiglieri municipali sono oltraggiosamente repubblicani. Ah! povero amico mio, non si pi sicuri da nessuna parte in provincia. Forse, nel frattempo, solo a Santa Miagloria!... Questa s, un'idea; al mio ritorno lei mi presenter un progetto d'emendamento. Ma per principio, vede, non mi parli di risiedere a cinquanta o duecento leghe da Parigi. A Bordeaux si stava bene dopo la guerra. Eravamo vicini a Libourne e ad Arcachon. Avevamo bisogno d'aria pura dopo tante emozioni e quest'aria pura Parigi non ce la poteva dare. Qualche migliaio d'imbecilli si era fatto ammazzare scioccamente in periferia malgrado il generale Trochu; in citt erano morte in otto giorni cinquemilasettecento persone, poveracci, vittime di una stupida ostinazione... Oggi, diverso ed eccomi mezzo Parigino. Che il presidente dica o non dica: Signori, la seduta tolta! io prender comunque il treno delle cinque e mezzo. E' incantevole, lungo la "rive gauche". E poi, in ferrovia, che incontri! Anche lei ama l'imprevisto, Anatolio! Alle sette, ceno al caff d'Orsay, oppure da Ledoyen. Alle otto, non sar pi un deputato, non sar pi barone, se mi va, e non sar pi Petodicapra, sar un nobile straniero sperdutosi in Parigi. Anatolio, questa lettera una lettera politica, da non aprire alla baronessa e a Sidonia! Ma se per caso lei sar deputato, si rammenti che la felicit e la verit stanno nei mezzi termini. Di giorno a Versailles, di notte a Parigi: l'unica risoluzione soddisfacente della gran questione Ravinel. Gioan Goffredo Adalberto Carolus Adamasto barone di Petodicapra. Per copia pi o meno conforme: JEAN MARCEL.

P. S. - Ebbene! Ebbene! ne vengo a saper di belle dall'ultimo corriere! Chi ha dunque messo sottosopra Santa Miagloria! Su 287 elettori, 233 ne hanno richiesto la scomparsa!... Anatolio, chieder una licenza!... Ma perlomeno laggi ti puoi avventurare?

NOTE.

POESIE. Fatte tre eccezioni, e non considerando i suoi versi scolastici, le poesie di Rimbaud sono state pubblicate solo dopo la sua partenza per l'Oriente e senza ch'egli abbia avuto la minima parte nella loro pubblicazione. Le strenne degli orfani. Sono i primi versi in francese di Rimbaud che ci siano giunti. Sono appars sulla Revue pour tous il 2 gennaio 1870. E' dunque abbastanza ingiustificato voler trovare nelle "trennes des Orphelins" delle confidenze del giovane poeta sulle feste familiari presso il focolare della signora Rimbaud. Ma non si pu ignorare l'opinione contraria di alcuni interpreti. M. Ruff, in particolar modo, vede in questo poema una trasposizione evidente. Gli orfanelli sono, ai suoi occhi, i ragazzi Rimbaud, i quali non sentono una vera presenza materna accanto a s. Comunque sia, il collegiale, scrivendo questi versi ha reminiscenze delle sue recenti letture. Victor Hugo, Baudelaire, Banville, Coppe gli hanno fornito le immagini, il vocabolario e perfino interi emstich del suo piccolo poema.

Prima serata. Mentre Marcel Coulon identifica questo pezzo con dei versi che Rimbaud invi a Izambard nel luglio 1870 ("La vie de Rimbaud et de son oeuvre", p. 83), Bouillane de Lacoste pensa che essi siano stati uniti ad una lettera che Rimbaud indirizz al suo professore il 25 agosto. Nella misura in cui possibile fare una ragionevole ipotesi, si dir che "Premire Soire" fu verosimilmente composta nel mese di maggio o di giugno, in un'epoca in cui Rimbaud non dava ancora ai suoi versi quel carattere di derisione che li contrassegna dopo la dichiarazione di guerra. Si noter che il confronto dei tre stadi successivi del testo va nella medesima direzione. La stesura pi antica visibilmente quella dell'autografo dato a Izambard. La seconda quella che apparve su La Charge, numero del 13 agosto.

Sensazione. Lettera di Rimbaud a Banville del 24 maggio 1870. Nel mese di maggio del 1870, venne a Rimbaud una grande ambizione. Aveva appena scoperto l'Ecole Parnassienne. Aveva letto "Les Intimits" di Coppe, "Les Vignes folles" e "Les Flches d'or" di Glatigny. Grazie ad Izambard conobbe il "Gringoire" di Banville; e, ancora grazie a lui, ebbe tra le mani i fascicoli del primo Parnasse. Sogn di essere accolto nel secondo che cominciava ad uscire in fascicoli. Il 24 maggio scrisse dunque a Banville. Lo supplicava di fare ai suoi versi un po' di posto fra i Parnassiani. Nel medesimo tempo gli inviava tre pezzi: "Credo in Unam" (il futuro "Soleil et Chair"), "Sensation" e "Ophlie".

Il fabbro. Autografo dato a Izambard. Ernest Delahaye racconta nei suoi "Souvenirs Familiers" (1925) che un giorno sulla piazza Ducale di Charleville, in compagnia di Labarrire, assistette a una scena comica nonch esecrabile: alcuni monelli e alcune donne curiose che si accalcavano per vedere, con facce disgustate, circondavano un povero diavolo

d'operaio talmente ubriaco che stentava a far tre passi e gemeva, piangendo a calde lacrime: Canaglia... sono una canaglia!..., dando testimonianza a se stesso con pugni nello stomaco. Narrai il fatto a Rimbaud, credendo di farlo ridere. Invece aggrott le sopracciglia, arross e tacque. Ma se ne ramment quando scrisse "Le Forgeron", questo bel poema di collera e di piet. Verso 5, il Fabbro: non un fabbro che parl a Luigi Sedicesimo, ma il macellaio Legendre. Verso 14, Signore: gli storici concordano nel dire che Legendre cos chiam, spregiativamente, il re, ma senza dargli del tu. Verso 75, foglie d'allori: Bernard afferma che l'11 luglio, Camille Desmoulins invit il popolo a prendere coccarde colore della Speranza; quelli che non le trovarono si ornarono i cappelli di foglie verdi. Verso 89, Che fessi!: sempre Bernard ci ricorda che nel 1792 le petizioni dei rivoluzionari erano state respinte ripetutamente dall'Assemblea; perci il 20 giugno la folla esasperata entr nella Tuileries. Verso 144, ma sapremo: la Scienza liberazione. L'ignoranza ispira timori che assoggettano l'uomo. Il popolo deciso a conquistare la Scienza. Verso 149, Di una donna...: l'amore della donna era uno dei temi preferiti della letteratura democratica. Verso 155, Oh! Ma l'aria tutta ha un odore di battaglia!: il Fabbro ha nuove prospettive di lotta, il cielo dunque troppo piccolo per uomini come lui. Verso 170. Merda a quei cani l!: nel 1792, i re di Prussia e d'Austria avevano inviato contro la Francia le loro truppe, che furono respinte a Valmy dall'esercito rivoluzionario.

Sole e Carne. Lettera di Rimbaud a Banville del 24 maggio 1870. Due poemi, pi direttamente, hanno lasciato il loro segno su "Soleil et Chair", e sono tutti e due di Banville. Si tratta di "L'Exil de Dieu", apparso nel primo Parnasse, e "La Cithare", apparso in un fascicolo allora gi pubblicato del secondo. Rimbaud ne prende a prestito non solo il tema generale, ma anche certi sviluppi, l'immagine che egli si fa del mondo nascente, l'idea dell'amore universale, quella della Madre Terra che porta in s l'amore di tutta la creazione. Se il mondo di bellezza e di innocenza si era degradato, il pensiero romantico accusava le folli ambizioni della scienza razionale. Questa spiegazione nettamente formulata in "Soleil et Chair". Sarebbe imprudente pretendere che Rimbaud si ispiri a questa o quella lettura particolare. Sar sufficiente citare le frasi cos caratteristiche di Eliphas Lvi (citate da J. Gengoux, "La pense potique de Rimbaud", p. 127): Mallieur qui veut trop savor! Car si la science excessive et tmraire ne le tue pas, elle le rend fou. E quando Rimbaud scrive: Et l'homme aura la Foi, si ricorda forse che Eliphas Lvi aveva scritto: La foi commenee o la raison tombe epuise. Nell'avvenire intravvisto, insieme con la fede c'era l'amore. Rimbaud aveva letto, senza dubbio, "Le Satyre" di Victor Hugo, affermazione trionfante dello spirito umano e del suo avvenire. Pi precisamente, egli d l'impressione di aver scritto il suo poema dopo aver letto lo stupefacente capitolo di Michelet, "La Religion de l'Amour" nel suo libro "La Femme". Sullo sfondo di "Soleil et Chair" si profila la letteratura dell'Illuminismo democratico.

Ofelia. Lettera autografa di Rimbaud a Banville del 24 maggio 1870. Dopo aver citato il "Bal des Pendus", Izambard scrive: Della medesima epoca "Ophlie", da un tema in versi latini dato in classe. I commentatori segnalano il quadro di Millais su questo soggetto, del 1852. Anche Delacroix aveva trattato la "Morte di Ofelia", in una litografia del 1843. Rimbaud si ricordato, in maniera precisa, di un brano di Banville da "Les Cariatides", "La Voie lacte".

Ballo degli impiccati.

Autografo nella raccolta Demeny, dell'ottobre 1870. Izambard scrive: Avevo prestato a Rimbaud il "Gringoire" di Banville... Fu anche per mezzo di questo libro ch'egli prese contatto con la scuola parnassiana, e si pu notare ch'egli vi si ispir qualche giorno pi tardi, nel suo "Bal des Pendus". Ci che si pu anche notare il rapporto del "Bal des Pendus" con la "Lettre de Charles d'Orlans Louis Onze", che Rimbaud compose nella primavera del 1870. Si rileva in questa lettera l'evocazione dei poveri impiccati di Montfaucon plus becquets d'oiseaux que ds coudre, e dei rosari di impiccati appesi ai bracci della foresta. Leggendo questa lettera ci rendiamo conto che Rimbaud , a quell'epoca, tutto pieno delle ballate di Villon e ne padroneggia il vocabolario con una perfezione strabiliante. D'altra parte, un tema assai prossimo, quello della danza macabra, era di moda.

Il castigo di Tartufo. Autografo nella raccolta Demeny, dell'ottobre 1870. In questo pezzo, come in "Un coeur sous une soutane", esplode un anticlericalismo furibondo. La seconda composizione citata fu scritta nei primi mesi del 1870. Lo stesso dev'essere stato per "Le Chtiment de Tartufe". Gli amici di Rimbaud, Deverrire, Izambard e pi probabilmente Bretagne gli hanno fatto conoscere la letteratura anticlericale di quell'epoca, e per esempio "Les Curs en goguette" e "La Mort de Jannot", due libretti annunciati da Vermersch nella "Cronique scandaleuse". Due anni pi tardi lo stesso Vermersch pubblicher "Les Amours d'un prtre" di Hector Daniel.

Venere anadiomene. Poich questo brano, sull'autografo dato a Izambard, porta la data del 27 luglio 1870 e poich la lettera di Rimbaud a Izambard del 25 agosto 1870 parla di un invio di versi, gli storici pensano, verosimilmente, che "Vnus Anadyomne" si trovava fra i pezzi uniti a questa lettera. Ad ogni modo la data di composizione sembra sicura e questo poema ci permette di sapere in quale direzione si volgeva Rimbaud, in questo primo mese di guerra. Egli si abbandona al suo gusto per la caricatura e per la derisione, con maggior violenza ancora che in "A la Musique". Egli si interessava in modo particolare all'eccellente Glatigny, uno dei pi indipendenti fra i parnassiani. Come si ispirava a lui per scrivere "A la Musique", cos da un brano delle "Vignes folles" che egli trae il tema e numerosi particolari di "Vnus Anadyomne". E in questo pezzo, intitolato "Les Antres malsains", che ha trovato l'immagine di un corpo grasso e molle, i capelli bruni fortemente impomatati, l'iscrizione incisa sulla pelle della donna, e certe espressioni, quali "prendre l'essor" e "le calme idiot". D'altro canto egli aveva avuto modo di leggere, in Le Parnasse, una stanza di Coppe dove gli di apparivano orribilmente imbruttiti.

Le battute di Nina. Autografo dato a Izambard. Autografo nella raccolta Demeny. Pu darsi che Rimbaud, scrivendo questo pezzo, si sia ricordato delle "Promenades sentimentales" di Glatigny nelle "Flches d'or", o abbia pensato ai versi di Banville, Chre, voici le mois de mai... in "Les Stalactites". Si potrebbe anche citare "L'Annonciade" di Antony Deschamps, nel secondo Parnasse, o "Le Printemps" di Andr Le moyne, nella medesima raccolta. Ma pi che l'idea del giovane amoroso che invita una ragazza a uscire dalla citt e a passeggiare nella campagna con lui, idea accostata a questi diversi brani, il principale interesse di "Reparties de Nina" lo sforzo test cominciato da Rimbaud per ottenere dalla lingua effetti nuovi, sono le arditezze, le creazioni di parole. E' cominciata l'evoluzione che dovr condurlo al "Bateau ivre". E' lo spirito di derisione, che dalla dichiarazione di guerra lo domina, esplode nell'ultimo verso e modifica la luce di tutto il poema.

Verso 116. "E il mio ufficio, qui?": Rimbaud detestando gli uffici ovvero le mezze-maniche, e le donne in genere, mette in bocca a Nina polemicamente la stupidit della risposta a tante amorose proposte.

Alla Musica. Autografo dato a Izambard. Autografo nella raccolta Demeny dell'ottobre 1870. "Il Catalogue Rimbaud" pubblicato dalla citt di Charleville ha fatto conoscere il programma del concerto dato il 7 luglio 1870 dalla banda del Sesto di linea. Esso comprende il "Valzer dei pifferi" di cui parla esattamente Rimbaud. Le bande militari avevano ispirato a Ptrus Borel dei versi che d'altronde, non erano ironici. Baudelaire aveva parlato di questi concerti in "Les Petites Vieilles", e questa volta su un tono che fa pensare a quello di Rimbaud. Ma Rimbaud ha ripreso, soprattutto, le "Promenades d'hiver" di Glatigny. Il pi grande interesse nello studio di questo breve pezzo, che il confronto delle due stesure, quella del luglio 1870 nell'autografo Izambard e quella dell'ottobre nella raccolta Demeny, fa scoprire la rapida evoluzione del genio di Rimbaud. E' tra luglio e ottobre che egli ha acquisito questa verve caricaturale che fa violenza alla lingua per sortire gli effetti pi strabilianti. In luglio i notai mostravano i loro ciondoli, ora essi vi si appendono. In luglio, i droghieri rigavano la sabbia con le loro canne, ora la attizzano. Verso 6, "schakos": specie di chepp. Verso 11, "cornacs": sono i conduttori indiani di elefanti; qui le dame di compagnia delle mogli dei burocrati ("bureaux", verso 10). Verso 19, "onnaing": marca di pipa pregiata.

Gli sbigottiti. Nel settembre 1870 Rimbaud ne riproduce il testo secondo il desiderio di Paul Demeny; nel giugno 1871 lo copia di nuovo per Jean Aicard. La data di composizione non dunque attestata. Si pu semplicemente pensare che "Les Effars" siano anteriori alla dichiarazione di guerra e datino dall'epoca in cui Rimbaud era soprattutto influenzato da Hugo e da Banville. Verlaine ammirava troppo baroccamente questa poesia, citando in causa Goya e Murillo: ... cos selvatica, tenera, gentilmente caricaturale,... d'un getto franco, sonoro, magistrale... Ne "Les Effars", Hackett vedeva psicanaliticamente i figli di Madame Rimbaud stretti intorno alla madre, e Suzanne Bernard un intenerimento del poeta, anch'egli privo di calore materno. "Effars" parola frequente in Rimbaud, gi incontrata in "Ophlie" - Come in Hugo, pure nella sua poesia, pu chiamarsi parola-guida.

Romanzo. Autografo nella raccolta Demeny. Secondo Delahaye, questo pezzo fu ispirato a Rimbaud da alcuni sul medesimo soggetto. Ma sembra pi utile osservare che negli Rimbaud scrisse tre poemi in cui si sforza di tradurre i primi d'amore, le sue foghe, le sue inquietudini: "Premire Soire", Nina" e "Roman". D'altra parte Rimbaud non vi ha messo le audacie di sintassi e che, a partire dal mese di agosto, si moltiplicheranno.

versi di Izambard stessi mesi, turbamenti "Les Reparties de di vocabolario

Morti del Novantadue. Autografo nella raccolta Demeny, dell'ottobre 1870. Quando la guerra scoppi, Rimbaud, n pi n meno che i suoi amici, ci vide null'altro che una folle avventura voluta dal governo di Napoleone Terzo.

Delahaye scrive: je vois encore son haussement d'paules devant le grand mouvement chauvin qui accueillit la dclaration de guerre. Rimbaud, in una lettera a Izambard del 25 agosto 1870, scherniva la benote population de Charleville, prudhommesquement spadassine, tutti quei notai, vetrai, esattori che, chassepot au coeur facevano del patrouillotisme alle porte di Mezires. Egli restava in disparte. Ma patrie se lve! - scriveva. - Moi j'aime mieux la voir assise; ne rernuez pas les bottes! c'est mon princpe. Data questa disposizione d'animo, indoviniamo ci che dovette pensare allorch lesse su Le Pays, giornale bonapartista di Cassagnac, un infiammato appello al patriottismo dei repubblicani: Voi, repubblicani, ricordatevi che in un'epoca simile, ne l792, i prussiani entrarono in Lorena, e la Convenzione dichiarava la Francia in pericolo. Voi foste grandi e nobili. Ricordatevelo. Izambard ci ha raccontato la scena. Il luned 18 luglio, alla fine delle lezioni, Rimbaud si accost al suo professore e gli consegn i suoi versi. Li aveva scritti la vigilia.

Il male. Autografo nella raccolta Demeny. Rimbaud non fa che illustrare nei suoi versi la famosa formula di Proudhon e di Blanqui: Dieu, c'est le mal. Dio il vecchio idolo, simbolo dell'ordine politico e sociale, simbolo inoltre dei vecchi terrori e dell'ignoranza millenaria che pesano sull'umanit. Nella storia della poesia di Rimbaud, "Le Mal" occupa un posto importante. Nel giovane retorico c'era, Delahaye l'ha notato, un gusto profondo per i giochetti infantili, per le immagini di Epinal, per le caricature, per la stramberia. La sua visione delle cose, verso i mesi di luglio e agosto 1870, se ne trov trasformata. Essa tese a ridursi a superfici colorate, a linee fortemente disegnate, a masse organizzate in modo semplice e efficace. E' nettamente il caso di "Le Mal". Questo sonetto una caricatura in versi. In alto, l'orribile idolo che ride e che dorme. In basso, la follia dei massacri, la catasta di morti, la litania delle donne in angoscia. E nelle terzine, il senso di questa caricatura, la maledizione contro il Dio che regna su questi orrori. Verso 3, "...accanto al Re...": le uniformi scarlatte sono francesi, quelle verdi prussiane; i due Re sono il prussiano e l'imperatore di Francia.

Le rabbie di Cesare. Autografo nella raccolta Demeny. Questo sonetto stato scritto qualche tempo dopo Sedan, in una data in cui Napoleone Terzo era stato condotto prigioniero dai tedeschi nel castello di Wilhelmshohe. Ci che pare contraddittorio che "Rges de Csars" si apparenta all'estetica di "Le Mal". Rimbaud svolge il suo argomento come se si trattasse di spiegare un disegno. I sentimenti di Napoleone Terzo non sono che congetturati attraverso i tratti del suo viso. Lo sfondo dato da praticelli fioriti. In primo piano vediamo un uomo pallido, in abito nero e sigaro fra i denti. Verso 3, "Tuileries": la reggia del Bonaparte, in seguito incendiata dai Communards durante i moti del 1871. Verso 12, "Compare occhialuto...": mle Ollvier, il ministro della dichiarazione della guerra. Verso 14, "a Saint-Cloud nelle sere": nei suoi "Chtiments" Hugo parla delle serate di Saint-Cloud, residenza della famiglia imperiale. Sognato per l'inverno. Autografo nella raccolta Demeny, dell'ottobre 1870. Rimbaud ci informa che questo pezzo stato scritto in treno, il 7 ottobre 1870. Esso si riallaccia dunque alla fuga che egli comp allora in Belgio e nel Nord della Francia. Rimbaud, ben accolto a Bruxelles da un amico di Izambard, di cui possedeva l'indirizzo, appariva allora felice e disteso. E' questo buon umore che noi ritroviamo in "Rv pour l'hiver". Non forse arrischiato

supporre che egli pensasse allora a una giovinetta di Charleville, e che immaginasse un inverno lieto in cui egli andava a rivederla. Gengoux ha rilevato rapporti assai precisi di questo pezzo con dei versi di Banville, "A une Musefolle": l'inverno, i cuscini, le stoffe morbide, il vetro e la tempesta percepita attraverso di esso.

Il dormiente della valle. Rimbaud non ha potuto vedere la scena che descrive. Non ci si batt nei dintorni di Charleville durante le settimane di ottobre in cui egli ha composto il sonetto. Si tratta dunque di un tema letterario. Nella "Histoire de mes ides" di Quinet, una pagina annuncia "Le Dormeur du Val". Il giovane Quinet, a quindici anni, ha visto un giorno, in un sottobosco, il cadavere di un soldato che aveva nel fianco destro un largo buco. Il sangue formava una lunga traccia per terra. Aveva la bocca aperta e le braccia stese in croce. Inoltre un poema di Victor Hugo, "Souvenir de la nuit du quatre", attr l'attenzione di Rimbaud.

Alla Bettola Verde. Autografo nella raccolta Demeny. Questo sonetto si riallaccia alla fuga in Belgio ed evoca una scena della tappa fatta a Charleroi. Non ci fu mai a Charleroi un "Cabaret-Vert", bens la "Maison-Verte", locanda per viandanti. La facciata era verde, i mobili erano verdi, l'insegna era, nel 1870, una placca di lamiera verde, perpendicolare alla facciata e rappresentava un bicchiere, una bottiglia e una caraffa dipinti di giallo. La gente del paese pretendeva di ricordarsi persino della servente, una grossa fiamminga che si chiamava Mia. Il tema del bacio alle serve di cabaret si ritrova nella ballata di Banvlle. Verso 9, "peure": per apeure da apeurer. E' antica forma, ancora in uso nelle Ardenne e nella Mose. La maliziosa. Autografo nella raccolta Demeny. Questo sonetto, come il precedente, si riallaccia alla fuga fatta in Belgio. Esprime la medesima condizione di spirito di "Rv pour l'hiver" e "Au CabaretVert". Rimbaud si sente lieto e libero. "Maline" pronuncia nelle Ardenne di maligne (cfr. "Premire Soire"). Verso 14, "una freddo": nel testo l'articolo in corsivo perch sostituisce il corretto maschile. E' un voluto ignorante provincialismo. 84 La strepitosa vittoria di Saarbrcken. Autografo nella raccolta Demeny. La scaramuccia di Sarrebrcken, il 2 agosto 1870, era stata il primo fatto della guerra del 1870. Essa era senza importanza, ma i giornali francesi l'avevano presentata come una grande vittoria. Illustrazioni popolari avevano, secondo l'uso, celebrato questo gran fatto d'arme. C' da credere che Rimbaud, errando per le vie di Charleroi, ne abbia vista una. L'illusione, mescolata all'impostura, che l'aveva ispirata doveva apparire stranamente ridicola, ora che la Francia era stata vinta, i prussiani assediavano Parigi e Napoleone Terzo era prigioniero. E' in questa condizione di spirito che Rimbaud scrisse il suo sonetto. Ispirato da una illustrazione popolare, accentua la tendenza gi notata in certi pezzi della stessa epoca, il gusto dei colori semplici e giustapposti, del disegno ridotto a qualche massa. L'imperatore al centro, l'armata francese allineata in basso della vignetta, a destra e a sinistra. La volont di derisione esplode nell'impiego di certe parole. Verso 5. "Pioupious": forma familiare per soldatino, marmittone(cfr. "A la Musique" e "Le Coeur vol". Verso 7, "Pitou": nome simbolico del buon soldato ingenuo (Bernard). Verso 9, "Dumanet": uomo di truppa ridicolo, recluta che beve ogni frottola.

Verso 12, "Schako": lo scacc, specie di chepp, era un berretto militare di forme svariate (cfr. "A la Musique"). Verso 13, "Boquillon rosso e blu...": tipo di contadino tonto che, secondo la freddura di un giornale satirico dell'epoca, vedeva scioccamente nel suo sacco del rosso e del blu. Verso 14, Di che cosa?...: la reazione di Boquillon al Vive l'Empereur!! del verso 11. - Napoleone, imperatore di che cosa? - esclama, ingenuamente polemico, - del mio sedere! La credenza. Autografo nella raccolta Demeny. Sono stati citati, all'origine di questo sonetto, alcuni versi di Musset nel suo poema "Sur la paresse", o anche un pezzo di Luzarche, "Bric--Brac", in Le Parnasse del 1866. Ma questi accostamenti sono, in verit, poco precisi, e ad ogni modo l'idea della credenza piena di misteri rispondeva a un'impressione profonda di Rimbaud, poich essa appare gi nelle "trennes des Orphelins". Sarebbe un'anticipazione dell'estetica delle Vieilleries, secondo Bernard, quale verr espressa nell'"Alchimie du verbe". Il sonetto pi riprodotto nelle antologie scolastiche francesi.

La mia bohme. Autografo nella raccolta Demeny. Questo sonetto non si riallaccia forse ad alcun ricordo particolare di Rimbaud, ma a tutte le passeggiate che egli faceva nella campagna intorno a Charleville, nel settembre 1870. Il 2 novembre 1870, Rimbaud scrive a Izambard: Allons, chapeau, capote, les poings dans les poches, ci sortons. "Ma Bohme", fra i documenti poetici di vagabondaggio lirico e di libert prepotente, certo uno dei pi belli. Nel suo stordimento notturno e sidereo, Rimbaud si ricorda del grande sentimento della natura in Rousseau e del suo male di societ. Delle sue ardite giustapposizioni del nobile ("lyre", "coeur") e dell'ignoble ("lastiques", "pied"), questa una delle pi felici e brutali. Verso 3, "fal": voce feudale per fidle. Versi 6-7, "Petit-Poucet... Grande-Ourse": in dialetto vallone l'Orsa Maggiore detta anche Carro di Pollicino, per via della stellina Alcor che lo guida.

Testa di fauno. Copia eseguita da Verlaine verso il settembre 1871. Si potrebbe supporre che Rimbaud abbia voluto fare l'esperimento di una poesia ancora parnassiana, ma dai ritmi pi morbidi, dai movimenti meno nettamente articolati. Sono stati proposti interessanti accostamenti con opere recenti. Bouillane de Lacoste ha parlato di un testo intitolato "Terme antique" apparso in Le Magasin pittoresque che possedeva a Douai la signorina Gindre. Le immagini di "Tte de Faune" fanno pensare al "Faune" di De Laprade, apparso sul secondo Parnasse. Gengoux ha segnalato delle rassomiglianze di rime e di parole con "Une femme de Rubens", in "Les Exils" di Banville. Un'espressione si ritrova in "Les Glaneuses" di Paul Demeny. Verso 11, "peur": per apeur (cfr. "Au Cabaret-Vert").

I seduti. Copia eseguita da Verlaine verso il settembre 1871. Si dice abitualmente che Rimbaud prendeva di mira, scrivendo il suo poema, il bibliotecario di Charleville, Jean Hubert. Egli era stato professore di retorica al collegio. In un'epoca in cui Rimbaud era soltanto un allievo di retorica, egli si era incollerito perch il giovane gli chiedeva le opere di Restif de la Bretonne mentre Louis Pierquin pretendeva di ottenere i "Contes" di La Fontaine. Ma questi aneddoti sono pressoch senza interesse e distraggono l'attenzione da

ci che, in "Les Assis", veramente importante. Delahaye ci ha riferito le conversazioni che egli ebbe allora con il suo amico. Rimbaud, egli dice, gli parl allora di una poetica nuova, di cui per il momento egli non faceva che intravvedere lo scopo e i mezzi. Delahaye, per riassumere questa poetica, impiega una interessante formula: Il tendait vers la notation pure et simple. Egli spiegava a Delahaye que nous avons seulement ouvrir nos sens la sensation, puis fixer avec des mots ce qu'ils ont reu, et que notre unique soin doit tre d'entendre, de vor et de noter. Et cela sans choix, sans intervention de l'intelligence. Le pote doit couter et noter "quoi que ce soit". Questa concezione della poesia doveva necessariamente produrre un rinnovamento del linguaggio poetico. Noi lo constatiamo in "Les Assis". E' in questo pezzo che appariva per la prima volta, in tutta la sua forza, la violenza che il poeta ha deciso di fare alla lingua. Non si tratta pi di qualche audacia seminata attraverso il testo, come era il caso nelle opere anteriori. Un verso dopo l'altro, noi incontriamo in "Les Assis" le parole meno usuali, a lato di altre che il poeta ha senza scrupolo create. Quando il vocabolario non per se stesso strano, sono le unioni di parole a esserlo, e le metafore. Il risultato di una prodigiosa intensit. "Les Assis" sono caricatura mostruosa. Verso 2, "boulus": neologismo da "boulures", escrescenze alla base delle piante (Noulet). - "femori": prima di Laforgue, Rimbaud us termini scientifici nel linguaggio poetico (cfr. "La plainte du vieillard monarchiste"). Verso 3. "sinciput": sincipite, la sommit posteriore della testa. "hargnosits": creazione rimbaudiana dall'aggettivo hargneux (arcigno, ringhioso). Invenzione simbolista nell'attribuire a un sostantivo, come l'organo sincipite, un aggettivo astratto caratteriale. Verso 10, "percaliser": da percale (percalle), Rimbaud intende dire che il Sole rende fine come seta la pelle dei seduti. Verso 35, "amygdales": pappagorge (cfr. "Ce qu'on dit au Pote propos de fleurs"). Verso 37. "visiere": sono le visiere verdi dei burocrati di un tempo (cfr. "Ce qu'on dit au Pote propos de fleurs").

I doganieri. Copia eseguita da Verlaine verso il settembre 1871. Un racconto di Delahaye nei suoi "Souvenir familiers" ci d il miglior commento di questo pezzo. E' un aneddoto molto semplice. Sovente i due giovani, nel corso delle loro passeggiate, si spingevano al di l della frontiera. Compravano tabacco al primo villaggio belga. Al ritorno capitava loro di essere interpellati dai doganieri. Brava gente, costoro: si accontentavano di un lger tapotement sur l'pigastre e di un altro sul dorso. Poi li lasciavano passare. Verso 1. "Cr Nom": abbreviazione dell'imprecazione Sacr Nom de Dieu. (Crenun dialettale ligure), equivalente dell'italiano: Cristo!... Perdio!... - "Macache": imprecazione araba intraducibile, adottata dalle truppe francesi d'Algeria, corrispondente al nostro italiano da caserma: PorcaEva!... o a ogni tipo di negazione bestemmiata come il romanesco Vaffan'c... eccetera. Verso 3, " les Soldats des Traits": contrariamente all'interpretazione pi abituale, non si deve credere che i Soldati dei Trattati indichino i doganieri, col pretesto che vigilando la frontiera essi tailladent l'azur frontire grands coups d'hache. Sono invece le truppe tedesche, e per conseguenza Rmbaud colloca i doganieri fra la brava gente, veterani, avanzi d'Impero, vecchi militari, dal linguaggio pittoresco. Verso 9, "faunesses": sono le faunesse, le ninfe, ossia le donne che esercitano la prostituzione di notte, lontano dagli abitati, nei boschi. Verso 10, "les Fausts et les Diavolos": Rimbaud si diverte, in questa allusione al "Faust" di Gounod e al "Fra' Diavolo" di Aubert, a indicare i contrabbandieri in genere. Verso 13, "aux appas controls!": il modo di controllare che hanno i doganieri, battendo con la mano sul ventre e sulla schiena dei contrabbandieri.

Preghiera della sera. Copia di Verlaine eseguita nell'ottobre 1871. Autografo di Rimbaud dato a Lon Valade. Si noter il vocabolario di questo sonetto: parole rare o di carattere scientifico ("hypogastre", "aubier", "coulures", "Miotropes") e giustapposizione di note poetiche e di trivialit ("excrments", "lcher l'cre besoin", "je pisse"), assai pi ghignanti e brutali che in "Ma Bohme". Tuttavia non sono d'accordo con la critica che vede nel titolo una bestemmia e nel contenuto un'intenzione stercoraria; il tono della poesia non mi pare affatto grottesco e sacrilego, ma piuttosto di un'audacia malinconica talmente inventata che Rimbaud vorrebbe i suoi propri bisogni purificati come i profumi divini, piuttosto che - come si usa interpretare - identificati al Sacro con cui era in polemica. Verso 3, "Gambier": marca di pipa, inferiore alla Onnaing di "A la Musique". Era la pipa inseparabile di Rmbaud. Verso 4, "vele trasparenti": il fumo che esce dalle pipe. Verso 12, "il Dio del cedro e degli isspi": il Dio biblico che ricorre nella liturgia: Lavabo me hysopo et mundabor. E' la riprova in Rimbaud di un desiderio di lavare le proprie scorie fisiche in una grandezza ieratica. Verso 14, "eliotropi": sono i girasoli contro i quali il poeta orina e che approvano nella loro solenne solarit il suo gesto insolente e amoroso.

Canto di guerra parigino. Autografo nella lettera di Rimbaud e Paul Demeny del 15 maggio 1871. Rimbaud lo chiamava un psaume d'actualit. Esso si ispira agli avvenimenti della Comune, quando l'armata regolare cominci i bombardamenti che avrebbero preparato l'attacco generale. Il "Chant de guerre parisien" traduce i sentimenti di Rimbaud, allorch gli giungevano queste notizie. E' stato scritto nei primi giorni di maggio. E' assolutamente inesatto immaginare, come fa Roland de Renville, ch'esso si riferisca alla Settimana di sangue e ai combattmenti per le vie di Parigi. Verso 4, "s'apre in spalancati splendori": le bombe di Thiers e di Picard, che spiccano il volo, dal cuore delle verdi propriet, i parchi delle ville borghesi intorno a Versailles, ove erano sistemate le batterie che sparavano sui Communards. Verso 5, "culi-nudi": straccioni, i Communards. Verso 6, Svres, Meudon, Bagneux, Asnires": citt in cui si svolgeva la guerra. Verso 7, "i benvenuti": ironicamente, i regolari, i versagliesi. Verso 8, "cose in primavera": le bombe. Verso 11, "E yole che non han giam... giam...": corrispondente della canzoncina italiana C'era una volta un piccolo naviglio che non pote... non poteva... navigar. Verso 12, "il lago": il lago del Bois de Boulogne. Versi 15-16, "le zucche gialle... aurora singolare": gli obici, le bombe e i loro scoppi abbaglianti. Verso 17, "ros": Thiers e Picard sono, ironicamente, degli Eroi, ma anche, secondo il gioco di parole, des Zros, ossia degli Zeri. Verso 18, "rapitori d'eliotropi": oscurit, variamente interpretabile; Adam ipotizza l'espressione: enlever un poste, cio operazione bellica destinata a fare prigionieri, e suppone che "hliotropes" sia solo una voluta falsa rima con "tropes". Mouquet vede nei governanti (Thiers e Pcard) due che privano la nazione francese di fiori simbolici, i girasoli sempre rivolti verso il sole, la vita. A me pare si tratti semplicemente dei campi fioriti alla periferia di Parigi calpestati e distrutti dalla guerra. Verso 19, "fanno i Corot al petrolio": il bagliore delle bombe al petrolio disegna, secondo Rimbaud, paesaggi che ricordano il pittore Corot. Verso 20, hannetonner leurs tropes...": da hanneton, maggiolino, e tropes gioco di parole da troupes (Gengoux); oppure "tropes" sono i tropi, la retorica di Thiers e Pcard (Bernard). Il senso ambiguo: o sono le loro truppe

che devastano come insetti, o le vuote parole di Thiers e Picard ronzano come maggiolini... Verso 21, "Grand Truc!...": Dio, secondo Rimbaud. Poich Thiers e Picard sono i difensori dell'Ordine, che Dio, cio il Grande Imbroglio. Verso 23, "son cillement aqueduc": sono le false lacrime del ministro degli esteri, Favre, che concluse con Bismarck l'armistizio, e gli occhi del quale Rimbaud vedeva come acquedotti di pianto ipocrita sotto le ciglia. Verso 24, "i suoi sbuffi pepaioli": Favre si sforza di piangere sulle sventure della Francia come uno che sbuffi col pepe al naso. Verso 25, "La Grand'ville": Parigi. Versi 27-28, "dobbiamo noi...": le azioni punitive dei Communards contro la borghesia parigina. Verso 29. "i Rurali": i grossi proprietari antirepubblicani che Rimbaud minaccia di rappresaglie (Bernard).

Le mie piccole amorose. Autografo nella lettera di Rimbaud a Paul Demeny, del 15 maggio 1871. Rimbaud chiama questo pezzo un second psaume hors du texte, il primo essendo "Chant de guerre parisien". Questo pezzo diventa chiaro quando lo si accosti a "Soeurs de Charit". Esso un grido di disgusto e di collera, e accumula ingiurie. La giovane non pi che bruttezza e stoltezza, il corpo femminile ridicolo. Rimbaud s'ingiuria lui stesso di averla potuta amare. Non impossibile che questo pezzo sia soltanto un gioco. Ma due particolari tendono molto pi probabile la possibilit che Rimbaud pensi a qualche delusione recente. Il verso Un soir tu me sacras pote, sembra indirizzarsi a una persona alla quale il giovane poeta leggeva i suoi versi. La stessa impressione si ha davanti ai versi 21-24, che sembrano far allusione a certi baci dati. Verso 1,"idrolito": idrolito, infuso ottenuto distillando acqua su piante aromatiche o fiori. Qui indica la pioggia, il che spiega i caucci del verso 4 (Bernard). Verso 4, "caucci", Balzac aveva gi parlato di cappottini in caucci; gli antichi impermeabili (?). Versi 5-6, "Bianche per le lune del sedere"...: Adarre riferisce queste lune alle "genouillres" (ginocchiere, spregiativo per ginocchia) del verso seguente, intendendo quelle come marcate da una placca rotonda e bianca, che si spiega col fatto che le ragazze le sbattono ("entrechoquer") per il freddo (?). Ma poich "blancs" si riferisce a "laiderons" (racchiona maschile in francese) propendo per il significato di sedere ("lunes", familiare francese per deretano) e di natiche ("pialats", nel "Dictionnaire de la Langue Verte", ossia d'Argot, vuol dire: pila, mucchio, ammasso, eccetera); il verso assume dunque un senso assolutamente diverso, pi cattivo e ironico, proprio nell'intenzione di Rimbaud. Verso 17, "bandoline": brillantina usata dalle donne. Verso 19, "mandolino": termine comico e triviale per membro virile. L'immagine oscena: la fronte della donna che si china sul mandolino sembra tagliarlo come il filo di una lama. Verso 27, "fouffes": Bernard dice che un ardennismo per schiaffi, pugni. Adam sostiene che il termine usato nella Francia del Nord per chiffon, straccio. Ha pi senso che le amorosette di Rimbaud nascondano i seni con stracci; ma che esse si diano sberle ai brutti tettoni mi pare pi inventato e crudele. Verso 41, "stelle mancate": prima ballerine, poi stelline (divette) fallite. Verso 42. "Comblez les coins!": andarsene al diavolo, in questo caso al giusto posto, ossia alle ignobili cure domestiche ("soins"), dove faranno un'indigestione ("crverez") del Buondio!

Gli accosciamenti. Autografo nella lettera di Rimbaud a Paul Demeny, del 15 maggio 1871. Bench Rmbaud avesse scritto "Milotus" anzich "Calotus", non si pu affermare che se la prendesse particolarmente con un curato di nome Millot, parente del

suo amico Ernest Millot. Inoltre non vero che la poesia colpisca addirittura Ernest Millot, poich questa terribile caricatura non ha senso se non cadendo su un curato. Questi versi di "Accroupissements", anteriori al mese di maggio 1871, portano i medesimi caratteri di quelli degli "Assis". Parole insolite, metafore brutali, notazioni fantastiche. La volont di spingere la caricatura fino all'estremo, giunge allo stercorario e all'osceno. Verso 2, "Milotus": le edizioni danno "Milotus", mentre l'autore d "Calotus". Potrebbe essere una correzione dello stesso Rimbaud. In ogni caso egli vuol far pensare a calotin la calotta clericale e per estensione al bigotto. Verso 4, "darde": ardennismo che significa preso da vertigini quindi intontito. Rimbaud applica un termine proprio delle pecore, agli uomini! Verso 23, "crapauds": Rimbaud gioca con la parola che ha doppio significato di rospo e sgabello.

I poeti di sette anni. Autografo nella lettera a Demeny, del 10 giugno 1871. Marcel Coulon ritrova in "Les Potes de sept ans" il ricordo di un periodo dell'infanzia del poeta, quella che va dal 1860 al 1862, quando egli abitava in rue Bourbon. Era uno dei quartieri poveri di Charleville. I Rimbaud occupavano solo una parte della casa, e i ragazzi della signora Rimbaud giocavano con quelli del quartiere. Nel 1862, la famiglia pass in corso d'Orlans, in un quartiere ben arieggiato e borghese. In questa poesia espressa quella che rimane probabilmente l'evocazione pi drammatica dell'infanzia ribelle e visionaria. Verso 1. "il libro del dovere": la Bibbia, forse il catechismo. Ma potrebbe riferirsi anche al libro dei compiti di classe. Verso 3. "gli occhi blu": sono gli occhi del poeta che Delahaye ricorda di miosotis e di pervinca. - "le frontali distinzioni": pi che alle protuberanze anatomiche del ragazzo, meglio credere ai bernoccoli precoci per lo studio nel quale egli si distingueva. Verso 6, "tic neri": in senso morale, delle manie (Bernard). Verso 15, "latrine": il cesso come rifugio solitario del fanciullo lo ritroviamo nelle "Premires Communions". Verso 18, "s'illunava": si riempiva di luna; Rimbaud d al verbo il senso opposto a quello dato correttamente da Plinio e Apuleio, ovvero di senzaluna. Verso 20, "darne": cfr. "Accroupissements". Verso 22, "quei bambini": i piccoli poveri con i quali giocava Rimbaud, dalla madre sorpreso in compassioni verso di loro, ch'essa non poteva che ritenere sconvenienti ("immondes"). Di qui l'antagonismo. Verso 30, "e mentitore": chiaro. La madre che si oppone alla sensibilit umana e sociale del figlio, diventa un'ipocrita. Verso 60, "ai boschi siderali": Che importa se Rimbaud ha voluto o non voluto sbagliarsi? e se i boschi sono siderei, o siderali, cio alti fino alle stelle (Bernard), o pieni o trapunti di stelle? L'immagine astrale per se stessa assai eloquente ed evocativa.

I poveri in chiesa. Autografo nella lettera di Rimbaud a Paul Demeny, del 10 giugno 1871. Questo poema appartiene alla stessa famiglia di "Les Potes de sept ans", e presenta gli stessi caratteri: parole rare e parole create, estro sghignazzante e ingiurioso. Ma, nello stesso tempo, solidit della frase e quadratura del verso. Sullo sfondo, si nota l'odio antireligioso che esplode in questo poema e che va ben pi lontano di un semplice anticlericalismo. La religione istupidisce gli uomini. Essa dona alle tristezze della loro vita una consolazione illusoria, e il sentimento religioso, i misticismi, in questi poveri esseri, non servono che ad immergerli ancor di pi nel loro asservimento.

Verso 3, "orrie": manipolazione di Rimbaud del vocabolo orerie usato da Verlaine nelle sue "Ddicaces". Significa dorure. Verso 23. "fringalant": neologismo rimbaudiano da fringale, fame violenta.

Il cuore rubato. Ci troviamo di fronte a una poesia di cui Rimbaud ha cambiato per tre volte il titolo: "Le Coeur vol" (testo della copia di Verlaine), "Le Coeur supplici" (messaggio inviato il 13 maggio 1871 a Izambard), e "Le Coeur du pitre" (messaggio indirizzato a Demeny il 10 giugno 1871). Il pezzo datato: maggio 1871. Questa ballata difficile ha ispirato le esegesi pi diverse. Per Godchot, Rimbaud riferisce un episodio del suo breve soggiorno a Parigi durante la Comune. Egli alla caserma Babylone. La sua figura infantile, i suoi capelli lunghi risvegliano la lubricit dei Comunardi avvinazzati, Il poema si spiega, allora, fin nei particolari. La poppa il lato opposto alla prua, che il fallo. Il timone lo scudo della Citt di Parigi. Se i soldati prosciugano le loro cicche, ci vuol dire che si tolgono le loro cicche di bocca e le affondano di forza in quella del ragazzo. Questa interpretazione non parsa stravagante a tutti, e Madame Noulet parla di una terribile iniziazione, di eccessi ai quali Rimbaud partecipa per amore o per forza. Ma Izambard aveva a questo proposito dei ricordi ben differenti. Egli aveva, ci racconta, mostrato a Rimbaud la frase di Montaigne: Le pote, assis sur le trpied des Muses, verse de furie tout ce qui lui vient la bouche, comme la gargouille d'une fontaine. E fantasticando su questa frase che Rimbaud avrebbe composto questo pezzo. Abbiamo, infine, una indicazione sulle intenzioni di Rimbaud che ci proviene da lui. Quando egli invi "Le Coeur du pitre" a Demeny, egli present i suoi versi con una frase che li commentava: Voici - ne vous fchez pas - un motif dessins drles: c'est une antithse aux douces vignettes prennelles o batifolent les cupidons, o s'essorent les coeurs panachs de flammes, fleurs vertes, oiseaux mouills, promontoires de Leucade, etc.. Questo non pu che avere un senso: Rimbaud ha test composto un pezzo formato di immagini piacevoli e intenzionalmente un po' sciocche. Ora si divertito a scrivere "Le Coeur du pitre" come antitesi. Sembra dunque che si debba rinunciare alla favola di un Rimbaud communard.. stuprato dai rivoluzionari! A dispetto delle apparenze non c' una parola di questa poesia che si riallacci ad una scena particolare e vissuta. Ci ch'egli vuole tradurre in parole, l'esperienza che egli fa della vita. E' il suo scoramento e il suo disgusto. Ha la sensazione di essere sulla terra come in una caserma, fra camerati osceni e ubriachi. O ancora su un battello, giovane mozzo vittima del mal di mare. Egli ha sognato avventure e gesta. Sa ora che si era ingannato. Intorno a lui la gente di Charleville sghignazza. Sono grossolani come soldati in una camerata, come i marinai che si beffano del giovane mozzo e del suo primo mal di mare. Egli si sente le eccur vol. Non stato che un pagliaccio in questa farsa universale. Tutta questa corruzione penetrata in lui. Egli ha bisogno di essere lavato. 1 flutti del mare sono per lui l'immagine della purezza ritrovata. Verso 9, "Ithifallici": l'itifallo era un amuleto in forma di fallo in erezione proprio di certe feste bacchiche. - "pioupiesques": da pioupiou, fam. marmittone (cfr. "A la Musique"). Verso 13, "abracadabrantesques": abracadabra, parola magica per eccellenza, e qui con significato purificatore. Per la mia traduzione ho scelto la copia-Verlaine, a mio avviso decisamente la pi bella.

Orgia parisigina o Parigi si ripopola. Non esiste autografo n copia autentica. Ernest Delahaye racconta nei suoi "Souvenirs Familiers" come Rimbaud, consigliato dal suo amico Bretagne che conosceva Verlaine e si vantava di averlo introdotto presso l'autore dei "Pomes Saturniens", indirizz a quest'ultimo

nell'agosto 1871, due lettere accompagnate da poesie: alla prima allegava "Les Effars", "Accroupissements", "Douaniers", "Le Coeur vol", "Les Assis", alla seconda "Mes petites amoureuses", "Les Premires Communions", "Paris se repeuple". Sappiamo che Verlane, entusiasta di questi poemi, gli scrisse allora la frase famosa: Venez chre grande me, on vous appelle, on vous attend! In seguito Verlaine riusc a ricordare una versione migliore di "Paris se repeuple", che pubblic nell'edizione Vanier del 1895. E' tradizione spiegare questo brano con l'entrata dei versagliesi in Parigi e con l'esplosione dei divertimenti che segu l'abbattimento della Comune. Ruff stato il primo, nel suo "Rimbaud, l'homme et l'oeuvre", a denunciare questo controsenso, e a dimostrare, con un'analisi esatta del testo, che non poteva trattarsi che della fine delle ostilit tra la Francia e la Germania, e della gioia scandalosa che manifestarono certe classi della societ. Questa interpretazione confermata e stranamente illustrata da "La Ballade parisienne" pubblicata sul Cri du peuple del 6 marzo 1871. Suo autore era Eugne Vermersch, e sappiamo l'ammirazione che Rimbaud provava nei suoi riguardi. Non necessario ricordare che all'inizio del marzo 1871 il sollevamento della Comune non aveva ancora avuto luogo. Ma gi l'opposizione era violenta tra la massa della popolazione parigina, patriottica e fedele alle tradizioni popolari, e l'lite della societ, preoccupata di tornare il pi presto possibile alla pace, alle condizioni normali di esistenza e alle attivit dell'industria, delle banche e del commercio. La stretta parentela di "La Ballade parisienne" con "L'Orgie parisienne" non permette affatto di dubitare che Rimbaud abbia scritto il suo poema dopo la lettura del Cri du peuple. Egli si ricordava anche di certi versi di Victor Hugo, e specialmente di "Joyeuse Vie", in "Les Chtiments", e conservava nella sua memoria "Le Sacre de Paris" di Leconte de Lisle. Verso 1, "la voil!": potrebbe applicarsi a Parigi, come alla pace ristabilita. Verso 3, "les Barbares": i Prussiani. Verso 4, la Cit sainte: Parigi. Verso 8, des bombes: sono quelle dell'artiglieria prussiana. Verso 9, "... les palais morts": i palazzi abbandonati dal regime imperiale. Verso 11, "... tordeuses de hanches": le ancheggiatrici sono le damine della ballata di Eugne Vermersch. Verso 14, "... maison d'or": allusione alla Casa d'oro, famoso ed elegante caff di Parigi, dove Proust pi tardi piazzer alcune scene della sua "Recherche". Per estensione: case di piacere (Gengoux). Verso 28, "o Vincitori!": Rimbaud ghignante, e per antitesi, chiama vincitori gli ufficiali dell'esercito regolare, in realt sconfitti. Verso 33, "... la Femme": la Parigi vera, popolare. Verso 59, "les Stryx... Cariatides": le Strigi sono uccelli rapaci e notturni; le Cariatidi sono i simboli dello splendore delle antiche civilt (Bernard). Verso 60, "pleurs d'or astral": immagine letteraria legata ai "bleus degrs", contrariamente all'interpretazione di Gengoux che si rif alla simbologia degli Ermetisti: l'oro alchemico, il Sole, la Verit, eccetera. Verso 73, "Socit, tout est rtabli": Hugo aveva dato ai suoi "Chtiments", dei sottotitoli, "La Socit est Sauve" e "L'ordre est rtabli".

Le mani di Jeanne-Marie. Autografo della collezione A. Bertaut, scoperto e rivelato solamente nel 1919. Rimbaud assistette da lontano, disperato, all'abbattimento della rivoluzione parigina. Tutto ricolmo di letteratura rivoluzionaria, attraverso essa che egli vede la spaventosa realt. Le donne che la stampa borghese trattava da petroliere erano ai suoi occhi delle sante e delle martiri, come esse lo erano nella stampa comunarda. I giornali di questa stampa opponevano a l'immonde androgyne des fanges impriales, alla madonne des pornographes, des Dumas fls et des Feydeau la vera Parigina forte, devoue, tragique, sachant mourir comme elle sait aimer. Queste formule che Rimbaud aveva senza dubbio avuto sotto gli occhi, dnno la spiegazione di questo poema. Sul piano dell'espressione, Rimbaud prende un punto di partenza preciso, "udes de mains", in "maux et cames" di Thophile Gautier. Gengoux ha attirato

l'attenzione su questo punto, e la sua dimostrazione decisiva. Si ritrova in "Les Mains de Jeanne-Marie" la forma lirica del poema di Gautier, la quartina di ottonari a rima incrociata. Vi si osservano certi movimenti e, per esempio, una serie di interrogazioni. Questo accostamento, interessante per la comprensione dell'espressone, utile anche per la interpretazione di questo poema difficile. La prima "Etude de mains" ha per soggetto le mani della bella Imperia, simbolo della cortigiana, creatura di lusso e di bellezza. Si scorge questa immagine nel secondo piano delle "Mains de Jeanne-Marie", e Rimbaud la contrappone alla donna del popolo, all'eroina dei combattimenti della Comune. Certe strofe divengono meno oscure allorch si interpretano in tale prospettiva. Verso 4, "... mains de juana?": le mani di una donna di lusso (Adam), o di una Carmen sigaraia (Bernard)? Mouquet fa derivare Juana da Don Juan (?), Gengoux da un poema di de Musset intitolato "A Juana". Versi 5-8, Tutta la seconda quartina si riferisce a una ermetica cosmesi, per cui alcune mani sono pallide come la luna e altre sono brune di creme di bellezza... Versi 9-12. Rimbaud immagina queste creature eleganti nell'atto di bere esotiche bibite sedute sulle ginocchia degli uomini di mondo (Adam); fumando sproporzionati sigari (Baudelaire) e facendosi regalare diamanti dai loro amanti. Verso 15. "sangue nero di belladonne": qui Rimbaud non parla pi di cortigiane impomatate, ma di Jeanne-Marie, nelle cui mani scorre un sangue nero che pu uccidere come il succo della belladonna. Versi 17-19, Le mani delle popolane scacciano le mosche blu che ronzano intorno a loro, in cerca di nettari. Verso 22, "pandiculations": termine medico indicante un movimento automatico delle braccia in alto con rovesciamento del tronco all'indietro ed estensione delle membra addominali (Littr). Verso 24. "Khenghavars": forse Kengawer, citt della Persia. Verso 34. "Mani che non fanno mai male": mani operaie, non nell'accezione di non far del male ad alcuno, bens in quella di non provare in se stesse alcun male (dolore). Versi 45-46, Mani che fan girare la testa ai deboli!

Le sorelle di Carit. Copia manoscritta di Verlaine, settembre 1871. "Les Soeurs de Charit" hanno una parentela molto precisa con una frase di Rimbaud, nella sua lettera a Paul Demeny, il 17 aprile 1871: Il est des misrables qui, femme ou ide, ne trouveront pas la soeur de charit. "Les Soeurs de Charit" traducono la crisi che Rimbaud ha appena attraversato. Checch ne abbiano pensato certi storici, non assolutamente possibile dubitare che Rimbaud abbia provato un vivo sentimento per almeno due giovanette. La seconda delusione fu tanto pi crudele in quanto la sconfitta della Comune veniva, quasi subito dopo, a far crollare le speranze politiche del giovane. Aveva sognato una societ fondata sulla Giustizia e sull'Amore. Non gli resta nulla. Solo il pensiero della Morte pu ancora calmarlo. Essa la sola Sorella di carit che non lo delude come la Donna; cos egli scrive una delle sue pi belle epiche funeree. Verso 23, "o Notte...": la Donna. Versi 25-28, Settima quartina: l'uomo deluso dalla donna, si volge verso altre Suore di Carit l'assenzio ("Muse verte") e la rivoluzione "Justice ardente"), equivalenti dell'amore, della vita e dell'azione: le due auguste ossessioni di Rimbaud. Verso 30, "soietate sorelle": la Musa verde e la Giustizia ardente (Gengoux). Verso 31, "la science": la natura.

La cercatrice di pidocchi. L'esistenza dei due autografi oggi perduti attestata. Louis Perquin (Mercure de France, 10 maggio 1924) ci informa che Isabelle Rimbaud gli affid, dopo la

morte di suo fratello, i manoscritti ch'ella aveva ritrovati, notamment celui des "Chercheuses de poux". D'altra parte Mathilde Verlaine trov, nel 1872, un manoscritto delle "Chercheuses de poux" fra le carte di suo marito. N la data di composizione, n le intenzioni particolari che Rimbaud ha potuto mettere in questo pezzo di sublime quotidiano possono essere conosciute con certezza. Secondo Pierre Petitfils ("Rimbaud Douai, ou Les Chercheuses de poux retrouves"), la poesia di Rimbaud, scritta nell'estate del 1871, sarebbe un ricordo del suo arrivo a Douai nel settembre 1870, presso le due zie di Izambard, Mademoiselles Gindre, le "deux grandes Soeurs charmantes" della composizione. Questa congettura pu essere plausibile. Rimbaud se ne andava da Mazas, dove aveva scontato otto giorni di prigione per aver viaggiato senza biglietto da Charleville a Parigi: non dunque sorprendente che egli sia sceso a Douai, coperto di sporcizia e di pidocchi. Verso 1, "rossa di tormento": le rosse tormente sono i segni delle unghie con cui Rmbaud era costretto a grattarsi di continuo la fronte.

Le prime comunioni. Copia di Verlaine, nel settembre 1871. E', assieme a "Le Forgeron", la poesia pi ampiamente narrativa di Rimbaud, largo affresco anticlericale e antireligioso. La tesi nel Cristo "ternel voleur des nergies" che attraverso i secoli, ha insozzato col suo "baiser putride", la Donna prostrata, spiritualmente violata e pervertita (Margoni). Ma Adam dice che, invece di vedere in questo poema solo ci che vi si trova, una creazione ricca di profonda emozione nella pittura di certe anime di bimbi, commentatori, ben pensanti senza dubbio, ma pi solleciti di ortodossia che fedeli allo spirito del Vangelo, hanno parlato di patologia femminile. Essi hanno deplorato, seguendo, ahim!, Verlaine, questo preteso incontro di Rimbaud e Michelet , il Mchelet senile e empio di "La Femme". Io credo infatti che in questo breve romanzo psicologico e blasfemo, dagli accesi paesaggi colorati, Rimbaud si sia fatto impressionante interprete di quella infantile rabbia repressa, che in molti di noi fu la reazione disperata al terrorismo religioso degli educatori. Verso 4, "un tipo nero e goffo": il prete. Versi 25-30, Anche in Italia, come in Francia, veniva rilasciato, dopo il gran giorno della Prima Comunione, un diploma (una delle "deux cartes") al figlio dei contadini; l'altra carta, riferentesi al "jour de science" (la scuola?) probabile sia il certificato della licenza elementare. I "Napolon" e i "petit tambour" sono oleografie popolari. Verso 35, "maisons": i notabili del paese. Verso 38, "Des dessins": immaginette pie. Verso 58, "les Fronts vermeils": con la maiuscola designano certamente le fronti dei Ges, delle Vergini, dei Santi che ornano la chiesa. Verso 68, "les vieux bois": le incisioni lignee e sacre. Verso 82, "illuns": confronta "Les Potes de sept ans". Verso 104, "Souffraient": errore di trascrizione ortografica di Verlaine per soufraient. Verso 106, "luridi matti": i preti. Versi 109-16. La fanciullina parla al suo amante. Ella lo ha fatto morire, nel senso che gli ha preso la vita, e che ella stessa, malata di quella malattia che la religione le ha deposto nell'anima, non pu che dare a lui la morte. Versi 121-28. La donna mistica non potr mai amare umanamente in senso vero e sano. Il verso Tes baisers, je ne puis jamais les avoir sus da intendersi: i tuoi baci non vorrei averli mai conosciuti. La giovinetta ormai dilaniata per sempre fra l'amore mistico e carnale. Verso 129. "l'animo marcio e l'animo desolato": quella della donna e quella dell'uomo. Forse qui il senso va forzato: l'uomo e la donna non possono pi conoscere l'amore sano. Sono votati alla morte.

L'uomo giusto.

Autografo di Rimbaud, dell'antica collezione Barthou. Il fatto che i venti primi versi di questo poema siano spariti, ci vieta le interpretazioni troppo precise. Tuttavia deriva dai versi 36-39 che, con tutta probabilit, "L'Homme juste" raccontava un incubo. Un fantasma appariva a Rimbaud. Era un Vecchio, era il Giusto. Egli incarnava tutte le potenze di accettazione che pretendono di curvare l'uomo sotto il giogo, come fu di Socrate, o di Ges, o chiunque altro. Contro questo simbolo di ogni sottomissione, si drizzava Rmbaud. Poich egli era l'uomo della Rivolta, egli era il Maledetto. Paterne Berrichon si domandato se questo pezzo non facesse parte dei "Veilleurs", quel poema di Rimbaud, che perduto, ma la cui esistenza ben attestata. Checch ne sia di questa ipotesi, si noter, in "L'Homme juste", il verso 44: L'Ordre, ternel veilleur, rame aux cieux lumineux. I vegliatori potrebbero essere i difensori dell'Ordine, e il Giusto sarebbe quello che accetta questo ordine, quello che si inchina davanti ai "veilleurs". Nello sviluppo della poesia di Rimbaud, "L'Homme juste" rappresenta con una forza eccezionale l'esplosione di creazioni verbali, di audacie nel vocabolario e nella sintassi, l'impiego di termini scientifici abitualmente estranei al linguaggio poetico. Il pezzo senza titolo nel manoscritto autografo, ma nella copia di Verlaine si legge "L'Homme juste (suite)", il che autorizza a pensare che questo fosse il titolo vero (Adam). Verso 2, "des sueurs": i sudori di sangue del Cristo sulla croce (Bernard). Verso 6, "farces de nuit": potrebbero essere le visioni tentatrici del Cristo. Verso 10, "je suis estropi!": si riferisce alla debolezza costituzionale del cristianesimo, secondo Rimbaud. Versi 11-12, "dans l'pouvante Bleutre, eccetera": forse l'eclissi seguita alla morte di Ges. Versi 14-15, Sono gli epiteti di molti Giusti, un pellegrino, il bardo Ossian, il Cristo degli Ulivi. Verso 23, "je suis maudit, tu sais! je suis sol, fou, livide": un verso famoso, l'emblema dolore-rivolta di tutta l'avventura terrena di Rimbaud. Verso 30, "becs de canne": il manoscritto d "canne" e non "cane" (maniglia di porta a forma di becco) come vorrebbero molti commentatori, credendo a un errore di Rimbaud. Forse il poeta pensa a orride teste scolpite in cima a canne ricurve (?). Verso 35, "le Maudit suprme": Satana, Caino e Rimbaud stesso. Verso 38, "le fantme": un'allucinazione notturna. Verso 46, "qu'ils'en aille, lui": "lui", il Cristo. Verso 49, "Tel que la chienne", eccetera: Rimbaud paragona il Giusto a una cagna passiva, quindi lasciva, e se stesso ai fieri maschi che l'attaccano vittoriosi, lasciandola ferita. Verso 52, "bedaines: strofa difficile, decifrata per la prima volta da Hartmann. Egli d "bedaines", al posto di "dondaines" di alcuni testi.

Ci che si dice al poeta, a proposito dei fiori. Autografo inviato a Banville in una lettera del 15 agosto 1871. Rimbaud se la prende col mondo moderno, votato al culto dell'Utile e del danaro. La poesia, l'amore dei fiori, il culto della bellezza non vi trovano posto. Se il poeta vuol continuare ad esistere, che la sua poesia sia utile che essa parli dell'elettricit, che essa spieghi la malattia delle patate! E' ci che un vile borghese sostiene contro il poeta. Se questo poemetto si prestato a interpretazioni differenti, perch certe volte noi scorgiamo in Rimbaud un grande disprezzo per H modo in cui certi poeti hanno trattato il tema dei fior: romantici monarchici e religiosi dei Giochi floreali, poeti pi recenti che si consegnano ai giochi facili dell'esotismo. In quegl'istanti, non pi assolutamente il moderno borghese, Rimbaud che si fa beffe. Tuttavia l'idea che anima il suo poema non se ne trova indebolita, ed contro la societ utilitaristica che egli se la prende, contro la sua pretesa di sottomettere la poesia al dogma dell'utilit.

Verso 4, "Les Lys", eccetera: cfr. "L'Album dit Zutique"; Rimbaud fa il verso al parnassano Armand Slvestre. Verso 5, "sagous": palma delle Filippine, che fornisce sostanze amidacee. Quindi per Rimbaud pianta utilitaria. Verso 9, "monsieur de Kerdrel": difensore della causa monarchica, quindi dei Gigli. Versi 11-12, "Le Lys, l'oeillet et l'amarante!": ridicole ricompense ai concorsi poetici negli antichi Giochi floreali tolosani. Verso 13, "Des lys! Des lys! On n'en voit pas!": non se ne vedono molti nella vita reale. Ma nei versi dei poeti se ne vedono troppi. Verso 17, "Toujours, Cher", eccetera: il borghese pratico che si rivolge al poeta sentimentale ridicolizzandolo. Verso 22. " balnoires!": tutti questi fiori sono fandonie, bagatelle! Verso 24, "Nymphes noires!": ninfe sta per ninfalidi, e per estensione: farfalle, larve d'insetti. Verso 28, "de mille octaves enfles!": allusione ai versi ottonari dei poeti mediocri. Verso 29, "Quand BANVILLE", eccetera: Banville, non , secondo Rimbaud, uno di quei poeti mediocri, anzi... Verso 37, "Toujour les vgtaux Franais", eccetera: la maggior parte dei poeti non sanno che evocare dei ridicoli vegetali francesi, o s'ispirano alle solite stampe ("estampes roses"). Verso 42," De Lotos bleus ou d'Hlianthes": fiori cari all'esotismo dei Parnassiani. Verso 45, "L'Ode Aoka", eccetera: Gengoux d questo senso alla strofa: le poesie esotiche (Asoka era un imperatore indiano) e stravaganti, possono anche attirare il lettore come una Lorette (donnina che chiama i passanti dalla finestra), tuttavia rimarranno senza senso. Verso 47, "papillons d'clat", eccetera: sono i poeti brillanti che compongono (evacuano) su soggetti stupidi (le margheritine). Versi 53-56, Questi vegetali di poeti non sono che dei pupazzi, quelli che Grandville (incisore barocco e fantastico, ma che Rimbaud detestava) rappresentava in fasce nelle sue "Fleurs animes". Verso 61, " blanc Chasseur": il poeta parnassiano vaga per la natura universa ("panique") in cerca di rime, ma non conosce che la botanica pi elementare (Bernard). Versi 65-68, Sostituisca pure il poeta l'esotismo del Sud a quello del Nord rester sempre convenzionale. Verso 71, "Eucalyptus tonnant": il poeta romantico, secondo Gengoux. Verso 73, "les Acajous", eccetera: per un uomo moderno, positivo, il mogano serve per fare mobili, e non per permettere descrizioni di scimmie (Sapajous) sospese alle liane. Versi 77-88, Il borghese dice ghignando al poeta: anche se tu andassi in quei paesi esotici che tu pretendi di evocare, non vedrai mai nulla. Staresti chiuso in una capanna a spremere descrizioni non certo migliori di quelle che, in Francia, canteresti sull'Oise, calmo fiume diventato nei tuoi versi stravagante (Adam). Versi 89-96, Il borghese fa la satira della poesia sdolcinata e romantica, e ad essa oppone quella pratica dei dollari e del sublime indirizzo: Pedro Velasquez, Havana (Margoni). Versi 97-104, Che le tue strofe celebrino i "mangliers" sotto forma di frattaglie trascinate dai fiumi (l'albero, come il sag e l'eucalipto, il poeta portatore di fiori e di frutti). Tu che ti dici parnassano, che usi l'ottava o la quartina per descrivere le rivolte dei popoli ("bois sanglants"), tu che dovresti essere un Uomo, ritorni a proporre agli uomini argomenti di zuccheri bianchi, di pettorali e di gomme, cose che fanno sputare (Gengoux). Versi 105-8, Nella Revue pour tous (31 gennaio 1869) veniva spiegata la ragione scientifica del colore rosato delle nevi sulle montagne (insetti, licheni). Verso 110, "garances": (robbia) pianta da cui si estrae una tintura rossa che il poeta non si occupi pi di fiori, ma dei pantaloni rossi dell'armata francese!

Versi 113-32, Rimbaud si lascia andare a un vero e proprio delirio di metamorfosi che confonder tutti i regni (animale, vegetale, minerale) per giungere, come in "Les Assis", ad effetti insieme burleschi e fantastici. Verso 129, " Farceur": il poeta diventato pratico, produttore fantastico, scopritore di materie assurde con cui fabbricare materiali utili: cos lo chiama il borghese, incitandolo. Verso 132, "Alfnide": lega metallica bianca, usata per fabbricar stoviglie, scoperta nel 1850 dal chimico Alphen. Versi 133-36, Ma qualcuno, "voleur des sombres Indulgences" liberatrici, il "voleur de feu" ("Lettera del Veggente"), ossia Rimbaud stesso, salver la poesia affermando "le grand Amour"; n Renan, lo scrittore, e neppure tutta la letteratura visionaria (il gatto Murr di Hoffmann) ci sono riusciti, perch non hanno raggiunto il simbolo apollineo, "les Bleus Thyrses immenses". Versi 137-60, Il poeta, come dovrebbe essere, provoca isterismo tra i torpori dell'uditorio; ch'egli ci esalti a candori chimerici! Il poeta (non Rimbaud) sar al servizio di una societ mercantile dove diventer un mediuni, un impostore ("jongleur"). Alla fine il mondo moderno che vince, le Sicle du tlgraphe et du chemin de fer ("lyre aux chants de fer"). Se il poeta vuol sopravvivere, non pu fare altro che rime sulla malattia delle patate! Impressionante anticipazione del futurismo? Verso 157, "Trguier": citt natale di Renan. Verso 158, "Paramaribo": citt della Guiana. Verso 159, "Figuier": autore di una "Histoire du merveilleux dans les temps modernes" (1866), collaboratore di una collana pubblicata dal celebre editore parigino Hachette. Fino alla fine il suggerimento ironico a far dell'esotico!

Il battello ebbro. Copia di Verlaine del settembre-ottobre 1871. "Le Bateau ivre", il capolavoro di Rimbaud, ben altra cosa di un racconto di viaggio, fosse pure fantastico. Al punto di partenza noi scorgiamo la volont del ragazzo di tradurre in linguaggio poetico la sua crudele esperienza dell'inverno 1870-71. Moi, l'autre hiver... scrive. Poich negli ultimi mesi del 1870 e al principio del 1871 ch'egli ha tentato l'avventura, ha rotto gli ormeggi, si abbandonato ai flutti. Ed nell'aprile del 1871 ch'egli si ritrovato a Charleville, infranto, disingannato nelle sue speranze: Mais, vrai, j'ai trop pleur! Les Aubes sont navrantes / Toute lune est atroce... Il poema era dunque, oltre alle visioni fantasticate e all'avventura, la confessione di un disastro finale. Un uomo aveva gi dato a questi slanci dello spirito, e a questo disinganno, un'espressione mirabile. Baudelaire aveva scritto "Le Voyage". Il ricordo di questo capolavoro senza alcun dubbio, all'origine del "Bateau ivre". In certi momenti, perfino, il movimento dei versi di Rimbaud si regola su quello del suo precursore e maestro. Pi vicino a Rimbaud, Victor Hugo aveva scritto "Pleine mer" e "Plein ciel". Il primo di questi due poemi era anch'esso la storia di una barca ubriaca. Si chiamava "Lviathan". Era il simbolo dell'umanit nel corso delle ere antiche, Era, come "Le Bateau ivre" di Rimbaud, qualcosa di informe o di orrido che fluttuava. L'idea di trattare il tema dell'avventura, qualunque essa fosse, per mezzo del simbolo di un vascello lanciato attraverso l'oceano o lo spazio, era dunque, all'epoca di Rmbaud, divenuta comune. Egli aveva potuto trovarla, l'aveva certamente notata in un poema di Lon Dierx, "Le Vieux Solitaire", apparso nel 1864. Certe rassomiglianze sono troppo precise per essere fortuite. Che il Bateau ivre fosse il simbolo dell'uomo trasportato dal desidero di avventura e di libert, tutto il poema lo diceva. Dopo la morte dei suoi alatori e liberato da ogni ostacolo, esso raggiungeva il mare aperto. Era la regione delle tempeste. Ma era anche la purezza ritrovata. Il Battello ubriaco si sentiva ora benedetto. Esso danzava sui flutti con un sentimento di meravigliosa leggerezza. Si trovava purificato. L'acqua verde lo lavava dalle macchie di vino blu e delle vomiture. Rammentiamoci che, poco tempo prima, Rimbaud aveva scritto "Le Coeur vol" e che egli aveva offerto il suo cuore ai flutti purificatori: Prenez mon coeur, qu'il soit lav. Lavato dai getti di zuppa e dagli sputi, lavato dai singhiozzi e dai succhi di cicca. I due poemi, tanto differenti

nell'espressione, hanno all'origine un medesimo sentimento di disgusto, un medesimo bisogno di purificazione. C'erano, in primo piano, delle prospettive di liberazione personale. Nel poema di Lon Dierx, il vascello era semplicemente il simbolo del poeta. Ma Victor Hugo aveva simbolizzato, nel suo Leviatano e nel suo aeroscafo, la tragedia dell'umanit intera in marcia verso l'ignoto. In Rimbaud la liberazione di un solo uomo significa la liberazione di tutti gli uomini. Egli non dimentica che da un anno ossessionato dal sogno di una umanit affrancata dalle vecchie servit. In una mirabile variazione del suo "Bateau ivre", interroga le profondit dello spazio. Egli si domanda se l'avvenire non vi sia celato: Est-ce en ces nuits sans fond que tu dors et t'exile, / Million d'oiseaux d'or, future Vigueur? Il Bateau ivre presupponeva, non per il solo Rimbaud, non per il poeta, ma per tutti gli uomini, prospettive misteriose di forza e di libert, un mondo sconosciuto dove lo spirito sogna di penetrare. La fine del poema non priva di oscurit. E' fin troppo vero che il suo sforzo di liberazione ha fallito. Egli ha conosciuto dei tristi ritorni. Le avventure lo hanno deluso. Queste lune esotiche, questi soli sono atroci o amari. Non sente pi in s la forza di penetrare attraverso le forze ostili, di affrontare gli sguardi degli uomini. Quando scrive: que ma quille clate! que j'aille la mer! non vuole certo dire ch'egli pronto a ripartire per l'alto mare. Vuol dire ch'egli accetta di colare a picco, ch'egli desidera morire. Non c' posto per lui in questa Europa dove si soffoca. Essa gli rammenta troppo la sua infanzia asservita e triste. Essa evoca per lui la pozzanghera d'acqua nera dove, bambino accovacciato, faceva galleggiare una barchetta. Lo scacco confessato non significa accettazione, ma disperazione. Forse Rimbaud non esclude il pensiero di un'altra evasione. Ma essa non assomiglier alle precedenti. In nessun caso egli potrebbe affrontare di nuovo l'orgoglio degli uomini, mischiarsi alla loro vita, accettare di essere giudicato da loro. Verlaine diceva: Dans le "Bateau ivre" il y a toute la mer. Pertanto si sa che Rimbaud non aveva mai veduto il mare, quando scrisse questo poema a Charleville, poco prima di partire per Parigi dove avrebbe incontrato Verlaine. Quasi tutti i commentatori hanno notato che la fine di Le Bateau ivre presagisce il destino di Rimbaud: dopo la partenza per contrade sconosciute, il suo ritorno in Europa, dove rientr per morire. Verso 82. "Bbmots": nome biblico dell'ippopotamo, per estensione mostro pesante e stupido. Qui sta per gigantesca veemenza (tiemble). - "Maelstroms": vortici dell'Oceano Glaciale, presso le isole Lofoden (cfr. "ardents entonnoirs").

Vocali. Autografo dato da Rimbaud a mile Blmont. Baudelaire non aveva forse scritto, fin dal Salon de 1846, che esisteva un'analoga fra i colori, i suoni e i profumi? Da allora i giovani poeti non avevano pi cessato di parlare di questa analogia e di fantasticare su di essa. E' del tutto ragionevole, dunque, pensare che Rimbaud avesse in mente questa idea quando scrisse "Voyelles". Ma avremmo gran torto se concludessimo che tale idea ci mette in mano il senso del sonetto. Il suo significato altrove, e noi lo dobbiamo cercare non nel suono, ma nella forma delle vocali. Checch abbiano pensato tanti commentatori, non si tratta dunque di audizione colorata o di sinestesia. Si tratta dellafortna delle lettere, scritte a mano da un giovane francese che aveva, per di pi, l'abitudine di scrivere la lettera e come una epsilon greca.. Due anni pi tardi Rmbaud tornato sul sonetto delle "Voyelles". Ne ha parlato nelle "Alchimie du verbe". Egli ha detto allora che aveva inventato il colore delle vocal. Formula a prima vista oscura, ma che il contesto chiarisce abbastanza perch i controsensi commessi a questo proposito restano senza scusante. Poich Rimbaud non invoca n metafisica, n dottrine esoteriche, n sinestesia. Egli ha semplicemente voluto inventer un verbe potique accessible, un jour ou l'autre, tous les sens. Egli ha dunque inventato il colore delle vocali, cio egli ha cercato quali sensazioni esse potevano produrre, quali immagini esse potevano evocare. Riconosciamo qui quella poetica della

sensazione grezza ch'egli spiegava a Delahaye alla fine del 1870, e che questi ci ha trasmesso con un'esattezza troppo spesso misconosciuta. E questa poetica che d a "Voyelles", al di l dei giochi di immagine, la sua vera portata e il suo significato (Adam). C' chi ha parlato del pensiero occulto di Eliahas Lvi che avrebbe influenzato Rimbaud. Nella sua "Histoire de la Magie" dice: Le secret de sciences occultes, c'est celui de la nature elle-mme, c'est le secret de la gnration des anges et de mondes. Rimbaud scrive nel verso 13: Silences traverss des Mondes et des Anges. Ma Verlaine protesta con Gide, che gli mostra il famoso sonetto delle "Voyelles" nel libro di Spronck: Io che conobbi Rimbaud, so che se ne fotteva ben bene se A fosse rossa o verde. La vedeva cos, ecco tutto.

La stella ha pianto rosa... Scritto dalla mano di Verlaine sul medesimo foglio di "Voyelles". Contro ogni buon senso, alcuni accesi di sublimit hanno visto in questa quartina la nascita di Venere che la Stella di Venere, l'infinito e il mare contribuiscono a formare. I pi sono d'accordo nel vedervi qualche notazione sul corpo femminile, le orecchie come una stella rosa, il dorso come uno spazio bianco infinito, il petto e il ventre come il mare. Per di pi nulla prova che questi quattro versi non abbiano formato all'origine un testo completo e il termine quartina forse troppo determinato. Non si tratta forse che di un frammento, resto di un poema perduto.

I corvi. La Renaissance littraire et artistique, 14 settembre 1872. Secondo Bouillane de Lacoste, Les Corbeaux sono stati scritti durante l'inverno del 1870-71 - Ma Delahaye vi vede una delle opere significative del 1872. "Les Corbeaux" non figurano n nella raccolta Demeny, stabilita nell'ottobre 1870, n nella copia che Verlaine fece delle poesie di Rimbaud un anno pi tardi. Ci si spiega senza sforzo qualora si ammetta che "Les Corbeaux", a quella data, non esistevano. Collocati nei mesi del 1872, quando Rimbaud si trovava di nuovo nelle Ardenne, "Les Corbeaux" prendono un significato chiaro e commovente nello stesso tempo. Egli medita sulla sua disfatta. Poich il suo soggiorno a Parigi s' concluso con una disfatta. Egli la confronta con quella della Francia. Ma la sua definitiva. E una dfaite sans avenir.

BRICIOLE. Sotto questo titolo preso a Baudelaire sono stati raccolti i frammenti e i versi isolati di Rimbaud, in gran parte ricostituiti a memoria. Sotto gli oscuri muri.... Delahaye ha raccontato che Rimbaud gli faceva l'onore, al collegio, di leggergli i suoi versi. Egli li aveva dimenticati tutti ad eccezione di questo. Se ci si attiene al racconto confuso di Delahaye, sembra che questo verso appartenesse ad una satira.

Le campane son.... Questo piccolo brano ci stato conservato da Delahaye. Egli lo inser in un articolo che diede alla Revue d'Ardenne et d'Argonnenel 1907-908. Rimbaud avrebbe scritto questa ottava durante una passeggiata che facevano tutti e due nella campagna di Charleville. Essi erano saliti in un campanile la cui porta avevano trovata aperta. Delahaye in quel momento gemeva al pensiero di una versione latina che doveva fare. Rimbaud si divert a maledire il rettore del collegio, Monsieur Desdouets.

In grotteschi singhiozzi.... E' ancora Delahaye che ci ha conservato questi due versi. Si tratterebbe di un nuovo custode del collegio di Charleville que l'ori ne voyait gure sans une fleur la bouche.

Bruna, aveva sedici anni.... Questi due versi sono i soli che Delahaye si ramment fra quelli di un poema di venti o trenta versi che Rimbaud gli lesse in aprile o in maggio nel 1871. Si trattava, egli dice, di un petit roman simple et trs condens. Delahaye non ne aveva conservato nella memoria che il primo e l'ultimo.

[Lamento del vecchio monarchico]. A detta di Delahaye, Rimbaud invi il pezzo in versi di cui questo frammento faceva parte, a Henri Perrin, redattore capo del Nord-Est, giornale repubblicano di Charleville. Poich il Nord-Est aveva cominciato ad uscire il primo luglio 1871, questo brano necessariamente posteriore a tale data. Rimbaud doveva sperare che questa satira dei monarchici sarebbe stata accettata in un giornale repubblicano. Questi versi tuttavia non furono pubblicati, ed Delahaye che ce li ha conservati.

[Lamento dei droghieri]. Brano ugualmente destinato, nella mente di Rimbaud, ad apparire nel Nord-Est. I droghieri monarchici sbigottivano per l'audacia di questo giornale repubblicano e del suo redattore capo, M. Perrin. Vedevano in costui un capo di briganti, che penetrava di prepotenza nei loro magazzini e ordinava il saccheggio.

Sono.... Un amico di giovent di Rimbaud, Paul Labarrire, aveva ricevuto da lui un quaderno di poesie. Lo perse verso il 1885, ma ne conservava dei ricordi che confid a Jules Mouquet, e questi li ha fatti conoscere in un articolo del Mercure de France, del 15 maggio 1933. Sono i quattro testi seguenti: "Sontce", "Parmi les ors", "Oh! les vignettes prennelles!", "Et le pote sol engueulait l'Univers".

In mezzo agli ori... Vedi nota a Sono....

Oh! Le vignette perpetue. Paul Labarrire si ricordava di una poesia o il tait question d'oies et de canards barbotant dans une mare. I versi che riportiamo qui segnavano l'inizio del poema. D'altra parte Rimbaud, inviando a Paul Demeny qualche "triolet" in una lettera del 10 giugno 1871 aggiunge che essi andranno O les vignettes prennelles, / O les doux vers!

E il poeta brillo.... Nel quaderno dato a Paul Labarrire, l'ultmo pezzo, pi lungo degli altri, dai quaranta ai cinquanta versi - occupava una pagina e mezza: era la descrizione della riva di un fiume. Esso termnava con questo verso. E' possibile - ma non evidente - che Rimbaud giochi sui due sensi della parola universo, e faccia allusione al caff dell'Universo a Charleville. In una lettera a Delahaye, nel giugno 1872, egli scrive: Ce qu'il y a de certain,

c'est: Merde Perrin! et au comptoir de l'Univers, qu'l soit en face du square ou nom! - Je ne maudis pas l'Univers pourtant.

Versi per i cessi. Queste due quartine si leggono, di pugno di Verlaine, sul verso di una lettera che Delahaye gli aveva inviata il 14 ottobre 1883 per comunicargli il testo degli "Stupra". Verso 5, "Tropmann": Troppmarin (e non Tropmann come lo scrive Rimbaud) aveva assassinato nel settembre 1869, otto membri della famiglia Kinck. - "Henry Kink" era uno dei sei figli e aveva dieci anni. Verso 7, "Badingue": soprannome di Napoleone Terzo. Verso 8, "tat de sige": doppio senso, posizione seduta e condizone del culo (cfr. "tat de sige").

Sulla citt.... Questo verso citato da Verlaine in una epigrafe della terza delle "Ariettes oublies" delle "Romances sans paroles". Verlaine vi ha messo il nome di Rmbaud.

Vigilia.... Scritto di pugno di Rmbaud sul verso dell'autografo di "Patience", prima stesura di "Bannire de Mai".

GLI STUPRI. La citazione pi antica di questi tre sonetti si legge in una lettera di Delahaye a Verlaine nelle ultime settimane del 1875. Se vuoi, gli scrive, ti invier i tre sonetti osceni di cui ti ho parlato. In effetti egli non li invi. Ma nel 1883, quando Verlaine intraprese il suo studio su Rimbaud per L"es Potes Maudits", egli preg Delahaye di fargli avere i tre sonetti. Delahaye li invi in una lettera del 14 ottobre 1883. I tre sonetti si trovavano copiati nell'ordine seguente: Nos fesses, Obscur et fronc, Les anciens animaux. Deriva dal testo della lettera, che Delahaye avrebbe dovuto ricorrere alla sua memoria per ricostruire il testo. Nel sonetto Obscur et fronc, lasciava qualche lacuna, e Verlaine dovette ristabilire certe parole del terzo verso e ricostruire il settimo. I tre sonetti restarono a lungo inediti. Verlaine fece dono a Vanier della lettera di Delahaye, ma Vanier non giudic utile pubblicarla con i sonetti che essa conteneva. Il suo successore, Messein, li rivel al pubblico nel 1923. Nel medesimo tempo, egli li aveva mostrati a Breton e ad Aragon, e questi li pubblicarono nella loro rivista Littrature. Il sonetto Obscur et fronc stato ritrovato, dopo di allora, nell'"Album dit Zutique". In questa raccolta esso porta il titolo di "Sonnet du Trou du Cul". Esso figura parimenti in "Hombres", la raccolta di brani sodomitici di Verlaine. In questo volume indicato che le quartine sono opera di Verlaine e le terzine sono di pugno di Rimbaud. Apprendiamo anche che questo sonetto una parodia di Albert Mrat. Questi aveva pubblicato tutta una serie di sonetti sulle bellezze di una dama. Gli antichi animali.... Verso 7, "Klber": generale francese (1753-1800). Allusione a una statua che lo raffigura evidentemente senza prominenze genitali!

Come un garofano viola, oscuro e increspato.... Verso 14, "Canaan": la terra promessa della Bibbia.

ALBUM DIT ZUTIQUE. L'"Album dit Zutique", un album manoscritto sul quale i poeti amici di Verlaine, e che Rimbaud frequent alla fine del 1871, scrivevano delle fantasie rimate. Questa raccolta stata per lungo tempo ignorata. La sua esistenza non fu rivelata che nel 1936 da un catalogo di autografi della casa Blaizot. All'"Album dit Zutique" avevano contribuito i differenti poeti del gruppo. Vi si rilevano dodici pezzi di Verlaine, ventiquattro di Lon Valade, altri ancora di Cabaner, di Carjat, di Richepin, di altri pi oscuri. Sono sovente parodie di qualche poeta o rimatore noto, di Banville per esempio, o di Coppe, di Lon Dierx, di Louis-Xavier de Ricard. 1 collaboratori si burlavano volentieri dei Parnassiani, ma si burlavano anche di se stessi, e Rmbaud si divertiva a parodare Verlaine. Ciascuno scriveva di suo pugno i versi che aveva appena composto. Egli metteva in calce al pezzo, in tutte lettere, il poeta parodiato come se egli ne fosse l'autore. Al di sotto metteva le proprie iniziali. E' cos che noi sappiamo in maniera sicura quali pezzi dell'"Album dit Zutique" sono opera di Rimbaud. I poeti che collaborarono all'"Album dit Zutique" non formavano, secondo la testimonianza di Delahaye, una societ regolarmente costituita. Si trattava di semplici incontri. Degli scrittori, degli artisti avevano preso in affitto un locale al terzo piano dell'Htel des trangers, all'angolo di Boulevard SaintMichel e della rue Racine. Il musicista Cabaner assicurava una buona manutenzione della sala e poich vi era stata installata una cantina, egli aveva l'incarico di comprare i liquori e, all'occorrenza, di sciacquare i bicchieri. Rimbaud l'aiutava in questo compito. Questo piccolo gruppo che rifiutava ogni forma organizzata, sembra tuttavia che avesse un animatore. Era il dottor Antone Cros, fratello di Charles Cros, ed lui che scrisse il titolo "Album dit Zutique" sulla prima pagina dell'album. Era ancora lui che voleva che il circolo prendesse nome di "Zutisme" ("Zut" = al diavolo, alla malora!).

Coglionerie. Questi tre pezzi non sono delle parodie, ma dei giochi di rime e di parole. COCCHIERE UBRIACO: sonetto monosillabico. Questa forma divertente era gi stata praticata all'epoca romantica, da Ressguier e da Amde Pommier. Banville se ne era burlato. Charles Cros ha scritto un sonetto monosillabico, "Sur la femme". "L'Album dit Zutique" ne contiene diversi. GIOVANE PAPPONE: cfr. nota al "Cocchiere ubriaco". PARIGI: Rimbaud si diverte a giustapporre dei nomi che allora i parigini pronunciavano sovente, Nella sua enumerazione si trovano dei poeti, Catulle Mends e Eugne Manuel, a fianco di un fabbricante di cioccolato (Menier), di un fabbricante di pianoforti (Wolf-Pleyel), di un mercante di cappelli (L'Hriss) e di un mercante di redingotes (Galopeau o Gallopeau). Non dimentica Godiflot e le sue calzature destinate all'armata francese. Cita Jacob et Gambier, fabbricanti di pipe. Leperdriel era un farmacista che vendeva calze per le varici e prodotti speciali per vescicanti e cauterizzazioni. Rimbaud evidentemente si diverte a certi accostamenti e gli parrebbe divertente collocare l'assassino Troppmann fra Louis Veuillot ed mile Augier. Nel verso precedente, Kinck il nome della famiglia che Troppmann aveva massacrato nel settembre 1869 (cfr. "Vers pour les lieux"). Alcuni nomi sembrano citati senza intenzione burlesca: Boribonnel, che aveva pubblicato nel 1860 il racconto delle sue cacce Andr Gill che aveva dato ospitalit a Rimbaud all'inizio del 1871. Verso 8, "Guido Gonin": (supponendo che questa lettura sia esatta) sconosciuto. Versi 8-9, "Panier Des Grces!": questo Panier potrebbe essere un nome proprio.

Versi 13-14, "Enghiens Chez soi!": fa allusione alla pubblicit di una marca di confetti che permettevano di fare "chez soi" una cura di acqua d'Enghien (cfr. l'enfant qui ramassa).

Vecchio della vecchia. Il Principe Imperiale, figlio di Eugenia, era nato, per essere esatti, non il 18, ma il 16 marzo 1857.

Le labbra chiuse. Allusione al titolo del libro di Paul Demeny, "Les Lvres closes", apparso nel 1867. Parodia del poeta parnassiano Lon Dierx.

Festa galante. Parodia di qualcuna delle "Ftes galantes" di Verlaine. Verso 1, "Scapn": Scapino, domestico intrigante che figura nel teatro classico, furbo e ladro. Verso 5, "pina": da piner, verbo osceno: fregare, scopare eccetera.

L'Angeluccio maledetto. Parodia di Louis Ratisbonne, poeta spiritualista e religioso.

Gigli. Parodia di Armand Silvestre, poeta parnassiano conosciuto per l'abuso della parola "lys" nei suoi versi (cfr. "Ce qu'on dit au Pote propos de fleurs"). Verso 1, "balanoirs": fandonie, sciocchezze (lett. Altalene). - "clysopompes": tubo di caucci terminante con una cannula per lavaggi e azionato da una pompetta. Effettivamente la rassomiglianza con la forma del giglio lampante!

Rimembranze del vegliardo idiota. Questo pezzo traduce manifestamente un partito preso di grossolana oscenit e sarebbe quindi imprudente vedervi solo una esatta confidenza di Rimbaud sui suoi primi anni. Ci non toglie che certi tratti si accordino con quello che noi sappiamo di lui: gli almanacchi, i cessi, le immagini pie, il padre, la madre, la sorella, i terrori (la ghiaia nera), la masturbazione (- et tirons-nous la queue!), le misere gioie del fanciullo solitario e ostinato, l'angoscia erotica e onirica che ritroveremo nei "Dsert de l'amour" e le ambigue metamorfosi di "Bottom".

Esilio. Pubblicato per la prima volta da M. M. Petifils et Matarasso nell'articolo di Mercure de France, 12 maggio 1961. E' evidentemente il frammento di una satira politica. Verso 1, "Conneau!": da "con", coglione (volgarmente: stupido). Verso 2, "Oncle Vainqueur": Napoleone Primo, zio di Napoleone Terzo. "Ramponneau!": (lett. colui che fa colpi di stato) arrampicatore sociale, avventuriero politico: Napoleone Terzo. Verso 5, "sied": presente d seoir verbo antico e inusitato, che significa: convenire, concordate, concedere. Verso 6, "Bari-barou!": termine infantile della lingua parlata per confusione, caos, ossia il nostro favolistico "Babau"!

Ipotiposi saturnine, ex Belmontet.

Lous Belmontet aveva, nel 1871, settantadue anni. Era un sopravvissuto del gruppo della Muse franaise, dove il romanticismo monarchico e religioso si era affermato. La nota finale di Rimbaud sembra significare che, ai suoi occhi, l'Ecole parnassienne non aveva che da seguire la vecchia strada del pietoso Belmontet. "Hypotyposes": figura retorica: ipotiposi, ossia narrazione al vivo.

Le sere d'estate.... L'eletto Coppe spera che un'ideale glaciazione distrugga la stupidit umana... da cui naturalmente si sente immune! Si noter questa evocazione di una sera d'estate, questo chiosco, questi ippocastani, e ci si ricorder di "A la Musique". Verso 5,"brle-gueule": la pipa corta dei ciabattini, dura nel senso di forte. Verso 7, "Ibled": nota marca di cioccolato.

Ai libri d'arte serena.... Rimbaud-Coppe (!) si vanta della propria retriva e sciocca cultura. Verso 2, "Obermann et Genlis": ironicamente scrittori da comodino ("chevet"). "Ver-vert": il poema di Gresset (1734). Ai tempi di Rimbaud di grande popolarit. - le Lutrin: lutrino, gallicismo nella lingua parlata, per leggio. Verso 5, "Docteur Venetti": Nicolas Venetti, autore nel Diciassettesimo secolo di un trattato "De la gnration de l'homme ou Tableau de l'amour coniugal".

Ero in un vagone.... Parodia di Coppe. Non si riesce a scoprire con certezza chi questo rampollo reale. E' stata fatta, tuttavia, un'ipotesi seducente. Si tratterebbe di Napoleone Terzo e del suo incarceramento al forte di Ham. Questo forte non esattamente nei pressi di Soissons. Ma su una carta a grande scala, si pu ammettere che esso non ne sia troppo lontano. Qui la cronaca quotidiana, che Rimbaud vede tra le pi banali, vissuta da Coppe con toccante retorica!

Senz'altro scelgo.... Altra parodia del realismo di Coppe, il quale continua la sua retorica dell'umile, in cui vede significati inesistenti, per Rimbaud.

Stato del sedere? Il punto interrogativo attira discretamente la nostra attenzione sul gioco di parole del titolo: "sige" (Stato) di Parigi, "sige" (o pi chiaramente "sant") (sedere) del povero conduttore di omnibus. Il lirismo moraleggiante e democratico di Coppe doveva pur finire d'inciampare, per Rimbaud, nell'equivoco... anatomico!

Rimembranza. C' bisogno di osservare che Rimbaud, nato nel 1854, non poteva ricordarsi della nascita del principe imperiale nel 1857, figlio di Napoleone Terzo? Ma a questo principio, che qui eccita nello stile di Coppe la vena caustica di Rimbaud, il ragazzo di Charleville aveva gi indirizzato spontaneamente un omaggio in versi latini nel marzo 1868, in occasione della sua prima comunione. Verso 10, "la Sainte espagnole": l'imperatrice Eugenia di Spagna, moglie di Napoleone Terzo, non santa per Rimbaud, ma bigotta.

Il Pbero ove.... E' tradizione collocare qui questo brano. Ma deve essere ben inteso che esso non figura nell'"Album dit Zutique". Esso fu rivelato da Flix Rgamey nel suo libro "Verlaine dessinateur", nel 1896. Rgamey, d'altra parte, lo attribuiva a Verlaine. L'enfant qui ramassa les balles allude ai ridicoli racconti della stampa ufficiale sull'attitudine eroica del principe imperiale alla battaglia di Sarrebrcken (Adam). Verso 8, son ... bel Enghien!": (cfr. "Paris") la sua acqua di colonia. Verso 10, "il a ... l'Habitude!": Rimbaud spietato nella sua ironia: il principino non sar certo un eroe, per ora un ragazzo come tutti gli altri con il suo vizio nascosto: l'onanismo!

La scopa. Strofa alla maniera di Coppe. Secondo Rmbaud, il pietoso Coppe vorrebbe rendere nobile l'ignobile.

ULTIMI VERSI. Quando Rimbaud arriv a Parigi e si leg,con Verlaine e il suo gruppo, la sua rottura con la tradizione dell'Ecole de l'Art s'era gi consumata. Ma le conversazioni ch'egli ebbe con Verlaine l'orientarono in un senso che "Le Bateau ivre" non faceva prevedere. Una frase rivelatrice, in "Une Saison en Enfer", ci porta l'eco delle discussioni che ebbero allora i due poeti. Sono, scrive Rimbaud, Les magies, les alchimies, les mysticismes, les parfums faux, les musiques naves... Ben presto, a partire dal 1873, egli non avrebbe pi visto in tutto ci che degli erreurs. Ma alla fine del 1871, egli fu sedotto, ed questa poesia impalpabile, sono queste musiche senza ritmi che noi ritroviamo nei pezzi che egli compose a partire da questa data fino alla partenza per Bruxelles nel luglio 1872. Vera poesia dell'irreale. A questa trasformazione della sua poesia corrispondeva un cambiamento profondo delle sue disposizioni intime. Quando all'inizio del febbraio 1872 lasci Parigi e ritorn nelle Ardenne, egli non ebbe soltanto la sensazione che le sue ambizioni letterarie lo avevano portato allo scacco pi completo: egli se ne era distaccato. Egli si era allontanato perfino dai suoi sogni di avventura.

Memoria. Autografo della collezione Lucien-Graux. "Mmoire" ha avuto le interpretazioni pi diverse. Per Berrichon questo pezzo si ispira alla prima fuga di Rimbaud, il 29 agosto 1870. Per Marcel Coulon essa ricorda la partenza definitiva del padre, nel 1864. Ernest Delahaye vi vede non gi la rievocazione di una scena precisa, ma una pura successione di immagini. Il complesso dei commentatori l'ha seguito, ma il loro disaccordo completo non appena tentano di fissare il significato simbolico delle parole impiegate da Rmbaud. Questi versi mettono insieme delle immagini, ma difficile scoprirne il legame. Si deve pensare che Rimbaud parta dall'immagine dell'acqua per fantasticare corpi di donne, orfiamma, bastioni? Sta immaginando un quadro dove figurano in una volta donne, orifiamma, bastioni, un fiume? "Mmoire" una delle espressioni pi perfette della lirica ermetica moderna. E' impossibile riassumere la straordinaria ricchezza emotiva, la proliferante abbondanza dei richiami e delle analogie. La memoria che si impone sintomaticamente fin dal titolo la protagonista della poesia, ed ha un duplice significato di memoria dentro il sogno e di legame fra i dati oggettivi (Margoni). Verso 4, "pulzella": quella di Orleans, Govanna d'Arco? Verso 6, "Elle": l'eau claire (tiemble). Verso 11, "des fillettes": le sorelline di Rimbaud? Comunque il poeta ha visto sul prato delle ragazzine come alberi, e a questi le identifica!

Verso 14. " l'pouse!": il colore giallo come una moneta (louis) della ninfea ("Souci d'eau") viene associato all'idea della Sposa. Sta gi sorgendo l'immagine di Madame Rimbaud? Verso 17, "Madame": certamente la signora Rimbaud, che si teneva troppo impettita ("trop debout"), tanto da far ridere. Rimbaud evoca qui le passeggiate che faceva con sua madre lungo la Mosa. Questo fiume forse il soggetto di tutto il poema. Verso 20, "des enfants": i "fratellini" di Rimbaud? Versi 21-24, "Lui... Elle...": Le Soleil et la rivire per alcuni, per altri il padre e la madre di Rimbaud. Il poeta gioca su due piani, li fonde mirabilmente: ne sorgono un padre e una madre mitici, e un sole e un'acqua come principi umani! Tuttavia questa un'immagine dell'infanzia di Rimbaud: la madre, i fratelli, le sorelle in riva alla Mosa. Egli ricorda la partenza del padre ("de l'homme"). La catastrofe familiare irreparabile. Davanti a lui il sole (padre) tra monta, e l'acqua (madre) diventa nera e fredda! Verso 27, "des chantiers": presso Charlevlle c'era un cantiere per dragare il fiume (Bernard). Verso 29, "Qu'elle pleure...": sempre la giustapposizione del poeta: l'acqua della Mosa e nello stesso tempo la triste signora Rimbaud. Versi 33-40, Il soggetto ora Rimbaud. La sua avventura di memoria si conclude disperatamente in un fondale fangoso, senza aver potuto cogliere il fiore della famiglia ("jaune-pouse") e quello della libert ("bleue").

Per noi che sono.... Autografo della collezione Pierre Brs. E' sufficiente leggere questo pezzo per essere sicuri che esso stato scritto nelle settimane che seguirono l'arrivo di Rimbaud a Parigi. I poeti che Verlaine gli ha fatto conoscere detestano la reazione borghese che si scatena dopo l'abbattimento della Comune. Rimbaud condivide la loro collera. Questo brano esprime i desideri impotenti di vendetta dei Comunard vinti, e i loro sogni. Essi immaginano una catastrofe che trascini nello stesso tempo la fine della societ, la fine dei continenti, la fine del mondo. L'autografo non porta titolo. Il titolo "Vertige" di certe edizioni stato inventato da Berrichon per una sua edizione del 1912. Verso 22, "Noirs inconnus": Rimbaud invita a questa grande migrazione rivoluzionaria la folla degli sfruttati. "Noirs" un anticipo sconcertante del futuro problema negro?! Verso 24, "la terre fond": Rimbaud, nel momento di mettersi in marcia, sente la terra mancargli sotto i piedi. Verso 25, "j'y suis toujours": egli non rinuncer mai.

Mchel e Christine. Autografo della collezione Pierre Brs. L'affinit di ispirazione con "Larme" e "La Rivire de Cassis" invita a pensare che "Michel et Christine" sia della medesima epoca, cio del maggio 1872. Alcuni si rifiutano di riconoscere in questo poema il minimo elemento di realt. A dar loro retta, Rimbaud partirebbe dal titolo di un vaudeville, il "Michel et Christine" di Scribe, e questo titolo sarebbe sufficiente a risvegliare in lui immagini di tempesta. Queste visioni ne scatenano un'altra, quella di una cavalcata di antichi cavalieri nel cielo. A sostegno di questa spiegazione questi commentatori citano, in "Une Saison en Enfer", questa frase: Un titre de vaudeville dressait ses pouvantes devant moi. All'inizio, il testo di "Michel et Christine" prova che il titolo del vaudeville di Scribe non ha avuto alcuna parte. Rimbaud in aperta campagna, e all'improvviso scoppia il temporale. Il sole scompare. Sotto il rovescio improvviso, le greggi fuggono. Ma ecco che l'immaginazione di Rimbaud si anima. Queste nubi nel cielo, questa fuga disperata di animali risvegliano in lui l'idea di una guerra, di una cavalcata di cavalieri barbari, d'una invasione. E' soltanto a questo punto che il titolo di Scribe scaturisce nella sua mente.

Perch Michel il nome che in Francia una tradizione secolare d alla Germania. La guerra che si svolge nel cielo e nella pianura l'invasione tedesca. E perch Christine non sarebbe la Francia? Il tema di "Michel et Christine" trovato. La calma ritorner, forse, e la riconciliazione della Gallia e della sua vecchia nemica. L'Agnello pasquale sar il segno della pace ritrovata. Ma Rimbaud precipita dall'altezza dei suoi sogni. L'idillio finito (Adam). Verso 16, "Solognes": la Sologna una regione presso la Loira. Verso 17, "mille graines sauvages": le orde barbariche che in seguito si concretizzano ("cent bordes"). Versi 26-27. "yeux bleus,... front rouge... blanc Agneau": associazione cromatica, la bandiera tricolore francese, simbolo della riconciliazione.

Lacrima. Questo brano, tanto che sia stato scritto negli ultimi giorni passati a Roche quanto nei primi giorni del ritorno a Parigi, evoca in ogni modo le passeggiate di Rimbaud nella campagna delle Ardenne. Ma esso non descrive, nel senso abituale della parola; esso traduce piuttosto le fantasticherie alle quali il giovane passeggiatore si abbandona, e lo fa in maniera tale che nessuna traduzione esatta possibile. Insieme a "Mmoire" una delle pi belle poesie ermetiche di Rimbaud. Verso 5, "Oise": ruscello che passa vicino a Roche (?). Verso 7, "colocase": colocasia, pianta del genere dell'aro, di foghe larghe e fiore a imbuto. Anche se non serve per fabbricare una fiasca ("gourde"), Rmbaud ci ha visto un rapporto di colore ("une gourde jaune": cfr. "Une Saison en Enfer") o di forma. Verso 8, "liqueur d'or, fade...": la birra allungata con acqua che Madame Rimbaud dava da bere a suo figlio. Verso 9, "j'eusse t mauvaise enseigne d'auberge": si riferisce a "que pouvaisje-boire...." e cio: ubriaco di lacrime non sarei certo stato un'attraente insegna per osteria. Versi 15-16, Gli ultimi due versi Adam li interpreta psicologicamente cos: Vedevo dell'acqua e non pensai di bere. Non sono che un sognatore impotente.

Il rivo di Ribes. Autografo dato da Rimbaud a Forain. La composizione evoca, come "Larme", le passeggiate di Rimbaud durante il suo soggiorno nelle Ardenne, sia intorno a Charleville, sia intorno a Roche e Attigny. Delahaye suppone che questa valle sia la Semoye, fra Bouillon e Montherm, profondamente incassata dentro la foresta delle Ardenne. Ma potrebbe trattarsi anche di un vasto parco circondato da un muro, nelle vicinanze di Attigny. Verso 1, "La Rivire de Cassis": checch si dica, Cassis un fiume inesistente sulle carte geografiche, e anche se la maiuscola del manoscritto autorizza a vedervi un nome proprio, in italiano esso non ha alcun significato, mentre in francese significa ribes nero, il colore violetto che ogni corso d'acqua assume nel vallo di un'abetaia. Certo Rimbaud ha identificato questo rivo ("rivire", rivo e non fiume) allo sciroppo scuro del frutto campestre: era nel suo stile. Verso 7, "mystres rvoltants": sono quelli di un passato feudale. Verso 9, "donions": la valle di Bouillon - "parcs importants": quello di Attigny (?). Verso 13, "le piton": il viandante forse lo stesso Rimbaud. - "ces clairevoies": la cancellata attraverso la quale Rimbaud guardava il parco di Attigny, l dove il muro di chiusura s'interrompeva (Delahaye). Verso 17, "Faites fuir d'ici le paysan", eccetera: desiderio di Rimbaud di spopolare questa natura pervasa di passato nauseante, di morte? (Margoni).

Commedia della sete. Autografo dato da Rimbaud a Forain. La "Comdie de la soif" deve essere esattamente contemporanea di "Mmoire" e datare, come "Mmoire", dal soggiorno di Rimbaud a Charleville nei primi mesi del 1872. Questo brano uno di quelli che ci introducono pi profondamente nell'animo di Rimbaud durante questo periodo in cui egli prende coscienza del suo scacco e si sente divorato dalla sua sete di vita intensa e da un profondo bisogno di andarsene molto lontano, sempre pi lontano. Egli deciso a non ingannare questa sete che porta in s con delle soddisfazioni illusorie. Ne "Les Parents" le voci della famiglia gli dicono di accontentarsi delle bevande della cantina. Lui invece vuole morire ai fiumi barbari. Poi ne "L'esprit" si rammenta del tempo in cui ha creduto alla poesia, quale la comprendeva il suo tempo, immagini graziose e fresche, Ondine e Venere, evocazioni di paesi del Nord o del mare. Ma questa bevanda non gli bastata. La sua sete un'idra installata nel suo petto, che lo corrode e lo dissecca. L'autunno dell'anno precedente egli andato a Parigi. Ha conosciuto i poeti. Essi sono diventati suoi amici, "Les amis". Essi l'hanno trascinato a bere il bitter selvaggio e l'assenzio. Egli ha deciso di non ricominciare. Preferirebbe morire che ottenere l'ubriachezza a quel prezzo. Tuttavia non dispera. E' paziente. Verr un giorno, forse, in cui egli si fermer, rassegnato, in qualche citt. Ecco "Le pauvre songe". Sar il Mezzogiorno o il Nord? Ma allora egli si riprende. Se ripartir, un giorno, per altri viaggi, egli partir deciso ad abbandonarsi all'avventura. La "Conclusion": tutta la vita sete, tutta la vita fuga verso la morte. Verso 1, "tes Grands-Parents": forse i nonni materni di Rimbaud, ricchi e rozzi proprietari agricoli, bevitori accaniti (De Lacoste, Bernard). Verso 24, "les urnes": Bernard ritiene che urna ha significato di urna funeraria, simbolo di morte, nel quale Rimbaud vede e spera la fine della tirannia familiare. Verso 31, "Anciens exils chers": i poeti. Verso 46, "L'absinthe aux verts pilien": l'assenzio, bevanda velenosa e decadente di quel tempo; la Muse verte (cfr. "Soeurs de Charit"). Versi 60-61, "Choisirai-je le Nord Ou", eccetera: Rimbaud ha una scelta da fare: il Nord, la neve o il Sud, il vino? CONCLUSIONE: la conclusione l'arsura totale che travolge uomini e bestie.

Pensierino del mattino. Autografo della collezione Barthou. Poich Rimbaud scrive da Parigi ad Ernest Delahaye, nel giugno 1872, ch'egli si alza alle cinque del mattino per andarsi a comperare il pane, e che a quell'ora les ouvriers sont en marche partout. Marcel Coulon ne ha concluso che questo pezzo stato scritto in giugno a Parigi; che il cantiere di cui parla il verso 5 un cantiere parigino. La sua interpretazione stata seguita. E' tuttavia sufficiente leggere questo brano senza prevenzione per convincersi che una tale interpretazione contraddice violentemente il testo di Rmbaud. Ch'egli sia a Parigi o nelle Ardenne, alla campagna ardennese che il poeta pensa. Ma egli pensa nello stato di allucinazione volontaria ch'egli evocher in "Alchimie du verbe", e pi precisamente in "Dlires". Qualche riga, nella minuta di "Dlires II. Alchimie du verbe" chiarisce ci che vi di oscuro in "Bonne pense du matin". Rimbaud riflette sulla felicit delle bestie. Pensa al bruco, alla cimice, bruna persona. L'alba di opale invade la scena. Noi comprendiamo allora che l'immenso cantiere la natura che si sveglia, che quegli incantevoli operai non sono i lavoratori parigini, bens gli animaletti che si animano, che si affaccendano nel loro deserto di muschio. Cos si scorge il senso generale di questi versi. Ma non si stupiti che tanti particolari restino oscuri. C' da temere che il re di Babilonia resti a lungo un enigma. Nella "Saison en Enfer" Rimbaud aveva scritto di amare la littrature dmode, latin d'glise, livres rotiques sans ortographe, romans de nos aieules, contes de fes, petits livres de l'enfance, refrains niais, rythmes nafs. Si sa ch'era particolarmente attratto dai libretti di Favart. Forse dovremmo vedere in

"Bonne pense du matin" un tentativo per esprimere una visione moderna nella forma a cui erano affezionati i poeti del Diciottesimo secolo (De Renville). Verso 6, "le soleil des Hesprides": le Esperidi si trovano a occidente e non a oriente. E' ovvio che Rimbaud non alluda al sole, ma alla stella Venere, ancora luccicante all'alba, e chiamata pure Espero al mattino. Verso 12, "faux cieux": sono i cieli dipinti sul soffitto delle case signorili, i cosiddetti tromp-l'oeil. Verso 17, "Rene des Bergers!": il pianeta Venere, protettore degli "Amants", quelli dell'"heure du berger", ossia del mattino. Verso 20, "le bain dans la mer": secondo Yves Denis, uno scherzo di Rimbaud, che va letto: le bain dans l'amer (curaao), l'alcool del mezzod corrisponde all'alcool del mattino (verso 18).

Feste della pazienza. BANDIERE DI MAGGIO: autografo dato da Rimbaud a Richepin. "Bannires de Mai" traduce i sentimenti di Rmbaud nel periodo che segu la sua grande sconfitta, quando comprese che non aveva niente da sperare a Parigi e che Verlaine stesso si staccava da lui. Delahaye ha visto bene il pensiero che ispira questo poema. Rmbaud, egli dice vi continua le parti pris d'un doux fatalisme. Pareva semplice ora a Rimbaud annoiarsi. Egli accetta di essere oppresso dall'immensa Natura. Verso 14, "char de fortune": il carro del Sole. Verso 16, "je meure": morendo nella Natura, Rimbaud non si trova totalmente annullato, poich si ritrova l'Essere infinito. Verso 17, "Bergers": (cfr. "Bonne pense du matin"). L'identificazione che Bernard ha voluto, pastore = amante, qui non avrebbe ragione d'essere. Berger d piuttosto l'idea dell'uomo attivo, opposto al poeta che si perde nella contemplazione del mondo. Versi 24-25, "C'est rire aux parents, quau soleil, Mais moi je ne veux rire a rien": Rimbaud intende dire che chi ride al sole ride ancora alla vita, e a tutte le sue schiavit, compresa la famiglia. Rimbaud vuole la sua sfortuna libera e pura. CANZONE DELLA PIU' ALTA TORRE: autografo della collezione Richepin. E' difficile non vedere in questa incantevole e dolorosa canzone, ispirata a un ritornello cantato da Izambard nelle campagne di Charleville, una confidenza disperata, Rimbaud vi traduce il suo stato d'animo in questi primi mesi del 1872. Egli ha la sensazione di aver perso la sua vita. Egli l'ha perduta a forza di accettare in buona fede tutte le suggestioni e tutte le influenze. Egli aveva accettato di accogliere tutto. Ed ecco che il desiderio si impadronisce di lui e lo tortura. Egli consegnato ad esso senza difesa. Docilmente sottomesso a tutto ci che la vita gli proponeva, egli aveva sperato di raggiungere, per questa strada, la felicit, e invece ha perso la sua vita. Versi 19-24, Rimbaud si paragona a un prato abbandonato, dove egli trova il migliore e il peggiore, l'incenso e la zizzania. Le mosche da immondezzaio che ronzano. Verso 25, "veuvages": delusione, scacco. C' chi vede la separazione da Verlaine (?). Versi 31-36, Rimbaud sfugge al male, volgendosi al cielo (Notre-Dame), e prega. L'ETERNITA': autografo dato da Rimbaud a Richepin. "L'ternit" annuncia la morte della speranza, la certezza del supplizio. In effetti questo brano si riallaccia strettamente alla crisi della primavera del 1872, quando Rimbaud, avendo rinunciato alle sue ambizioni e assunto un nuovo sentimento dell'infinito delle cose dove ogni essere particolare si annienta, accetta tale annientamento e raggiunge a questo prezzo l'eternit.

Verso 9, "humains suffrages": l'ammirazione pubblica. Verso 10, "communs lans": l'entusiasmo della folla. Verso 12, "selon": secondo il proprio slancio (Bernard). Verso 19, "Science avec patience": l'umile sapere e la lucida attesa, le dure nozioni che hanno sostituito le antiche illusioni, quando Rimbaud sognava ancora la rivoluzione. L'ETA' D'ORO: autografo della collezione Richepin. Questa canzone fatta per scoraggiare ogni tentativo di spiegazione esatta, e non ci si stupisce di ci se si immagina che Rimbaud voglia rendere sensibile la confusione di voci multiple che parlano in lui. Pare che ce ne siano due, soprattutto, che si fanno intendere. Una rammenta l'infanzia, le sue immagini semplici e pure; l'altra avverte che 2 mondo vizioso e che occorre mettersi al di fuori della vita, abbandonare i suoi oscuri infortuni al fuoco e lasciare che si consumino. Alla fine, un'immagine di pace: un bel castello, fuori del tempo, che resta lontano dai luoghi abitati. Verso 4, "Vertement": acerbamente. La spiegazione di cui si dice ha dunque il tono di un secco rimprovero (Margoni). Verso 27, "D'un ton Allemand": Delahaye ci racconta un divertente aneddoto: Rimbaud, a Charleville, sotto l'occupazione tedesca, si beffava apertamente del tono autoritario degli ufficiali.

Giovane coppia. Autografo dato a Vanier da Charles Grolleau. Questo autografo era stato dato da Rimbaud a Forain, poich sul retro si trova un biglietto con la scrittura di Forain. A dispetto di certe critiche che non vogliono vedere qui nient'altro che una sciarada senza alcun rapporto con la realt, sembra che "Jeune mnage", scritto il 27 giugno 1872, alcuni giorni prima della grande partenza, evochi i giorni di estrema tensione che Rimbaud visse allora: un "mnage", degli spiriti malefici, un topo maligno che interverr nella vita del "mnage", un fuoco fatuo che scoppier improvviso. Ma se si vuol precisare maggiormente, il disaccordo degli esegeti grande. Gli uni, seguendo M. Gengoux, vedono in questo "mnage" quello di Verlaine e di Mathilde, e Rimbaud si riconosce nel topo maligno. Per altri, il "mnage" quello di Verlaine e di Rimbaud, ed Mathilde il topo maligno, poich ella turba le loro relazioni. Ad ogni modo, l'atmosfera di sogno tale che ogni spiegazione precisa sarebbe vana. Verso 7, "la fe africaine": Mathilde la moglie di Verlaine? la madre di Rimbaud? Verlaine propende semplicemente per il ragno (l'Arachne mitica, ossia esotica?) Siamo in clima di favola: ci sono anche dei folletti ("lutins"). Verso 8, "rsilles": tele di ragno (!). In questo caso la stanza sarebbe piuttosto quella di Rmbaud, che non quella dei coniugi Verlaine. Verso 9, "marraines mcontentes: si riferisce a "fe africaine". Verso 13, "le vent qui le floue": il senso potrebbe essere: il vento imbroglione per natura, e mette a soqquadro la stanza durante l'assenza dello sposo, mentre gocce d'acqua ("esprits des eaux") colano dal soffitto ("sphres de l'alcve"). Verso 21, "feu follet": chi? Mathilde Verlaine? l'ha appena chiamata "malin rat". Verso 23, "spectres saints et blancs de Bethlem": i salvatori della situazione? i messaggeri di pace e d'armonia?

Bruxelles. Autografo della collezione Pierre Brs. In realt, conviene accostare "Bruxelles" e "Est-elle-aime?" che , come vedremo, la descrizione di una grande citt, evidentemente Bruxelles, e che contiene anche una frase letteralmente simile a questa, in "Bruxelles": C'est trop beau! trop! Ora, l'autografo di "Est-elle-alme?" porta una data, ed luglio 1872.

Questa data ben stabilita, se non permette di decifrare nel particolare questo poema oscuro, ha almeno il vantaggio di escludere certe spiegazioni. Non possibile che la "cage de la petite veuve" significhi la prigione dove Verlaine era rinchiuso, n ch'egli sia la Folle par affection come si avuta l'audacia di pretendere. La "Fentre du duc" non pu designare gli edifici della Sret belga, stabilita al numero 2 di rue Ducale, a lato del boulevard du Rgent. Ci non significa, d'altronde, che "Bruxelles" sia, come vorrebbe un commentatore, una serie di cabrioles verbales o, come egli dice, un nonsens. Delahaye era stato molto pi serio quando aveva detto, in "Les Illuminations" e "Une Saison en Enfer", nel 1927, che Rimbaud a Bruxelles, seduto in un punto qualunque di boulevard du Rgent, ch'egli ha davanti a s il palazzo del re, il palazzo ducale, e che si lascia andare alle pi libere immaginazioni (Adam). Verso 2, "palais de jupiter": forse il Palazzo Reale, forse quello dell'Accademia. Verso 10, "la Folle par affection": per Adam Ofelia, per altri addirittura Verlaine, come la "petite veuve"! Verso 11, "les fesses des rosiers": nel dialetto ardennese queste chiappe sono i rami flessibili (Bruneau). Verso 12, "Juliette": per Adam l'eroina shakespeariana, per altri sempre Verlaine che Rimbaud ricorderebbe al balcone. Verso 13, "Henriette": per vaga assonanza ricorda il nome di una stazione ferroviaria (Adam). Verso 20, "Bavardage des enfants et des cages": esisteva al n. 10 di boulevard du Rgent, un collegio di fanciulle (Duflandre). Verso 21, "Fentre du duc": il n. 25 dello stesso boulevard, era la dimora dei duchi d'Aremberg (Duflandre).

E' forse alma?.... Autografo della collezione Lucien-Graux. Come in "Bruxelles", Rimbaud, di fronte ad uno spettacolo che gli si offre, sogna. Ci si pu domandare qual questo spettacolo. Si immaginato che fosse il mare. Ma l'errore sicuro, poich egli non si imbarc ad Ostenda che la sera del 7 settembre 1872. Per la medesima ragione non penseremo a Londra. Non pu trattarsi che di Bruxelles. Berrichon aveva pensato ad Anversa. Ma c' il sospetto che Rimbaud commetta semplicemente uno strafalcione sulla splendide tendue. Verso 1, "elle": la grande citt che Rimbaud ha sott'occhi. - "alme": una danzatrice dell'India. All'alba la citt sverr come una "danseuse-fleur"? Versi 5-8, Rimbaud prova il bisogno di capire e giustificare la sua folle immaginazione.

Feste della fame. Autografo che faceva parte del lotto di Charles de Sivry, fotografato nella raccolta Messein. Se la data di agosto 1872, riportata sull'autografo Messein, esatta, Rimbaud ha scritto questo poema durante le sue scorribande nella regione di Bruxelles. Egli vi esprime la fame di vagabondaggi, di spazio, di pietre e di piante. Occorre ripetere qui che Verlaine e Rimbaud non hanno raggiunto l'Inghilterra che il 7 settembre. Le "Ftes de la faim" non si possono dunque spiegare con la fame che essi avrebbero patito a Londra, come vorrebbero alcuni critici. Margoni sostiene, a ragione, che il "dclic" icastico del ritornello fornito dalla celebre espressione di una delle mogli del Barbabl di Perrault: Anne, ma soeur Anne, ne vois-tu rien?...

Il lupo urlava....

Gli editori hanno Preso l'abitudine, discutibile, di porre nella raccolta delle "Posies" questi dodici versi che non si leggono che in "Une Saison en Enfer". Non si sa niente su di essi ma evidente che sono stati scritti in maggiogiugno 1872. Pierre Petitfils considera possibile che questi versi in cui ritornano i temi della voracit abbiano fatto parte di una versione pi completa ed ora scomparsa di "Faim". Verso 12. "Cdron": un torrente che scorre ai piedi di Gerusalemme.

Odi come bramisce.... Un testo autografo, nella collezione Ronald Davs. La data di questi versi evanescenti, di questa canzonetta dell'aereo nulla non attestata. Se i commentatori la collocano nel 1872, solo perch essa corrisponde all'estetica di Rimbaud nei primi mesi di quest'anno. Ernest Delahaye riuscito a cavarne il senso generale. Il poeta in un giardino. La luna illumina i monti e i tetti. Nel suo alone il poeta vede disegnarsi teste di santi. Non forse privo di interesse accostare a questi versi alcune righe del diario di Vitalie, durante un soggiorno a Roche: Passiamo ogni nostra serata ad esaminare al chiaro della luna i giardini, le canapaie e il recinto... La luna, levandosi nobilmente dal mezzo delle nuvole, gettava un mantello d'argento addosso agli alberi, che parevano a quell'ora dei grandi giganti che esplorassero la propriet. Va precisato, d'altra parte, che questa scena si pone, non nel 1872, ma nell'aprile 1873. D'altro canto si legge in La Grive, ottobre 19501 una indicazione curiosa sulla tenuta di Roche. Una donna molto vecchia, che aveva conosciuto la signora Rimbaud, ha detto che essa andava a Pregare un santo, la cui nicchia si trovava in un muro cespuglioso. Questo piccolo fatto ci aiuta ad immaginare perch, in questo brano, Rimbaud ha parlato di saints d'autrefois. Verso 6, "Febe": Febe la luna. Verso 18, "Sicile, Allemagne": Rimbaud, stregato da suoi avi ("ces chers Anciens"), li vede in marcia verso Bisanzio, attraverso l'Europa nella loro grande avventura santa (cfr. "Mauvais Sang", in "Une Saison en Enfer").

O castelli, o stagioni.... Autografo della collezione Pierre Brs. Questo pezzo uno di quelli che si sono prestati alle pi stravaganti divagazioni. Per Roland de Renville, Rimbaud accede alla saggezza suprema dell'India, com' indicato chiaramente dal "coq gaulois"! Henry Miller ha scorto in questi versi la gioia di trovare Dio. Un commentatore recente si dichiara sconcertato davanti a certe interpretazioni del "coq gaulois", dal momento che questo gallo di chiara derivazione dai Vangeli e serve a significare i palpiti del cuore umano verso la felicit. Queste edificanti esegesi si rivelano di una grande stramberia, dichiara A. Adam allorch si studia il testo di Rimbaud negli stati successivi che la minuta ha rivelato. Il senso del poema diventa allora chiaro. Si spiega con l'esplosione di gioia sensuale che avvenne quando Rimbaud visse di nuovo con Verlaine. Rimbaud confessa che si ingannava quando credeva di poter sfuggire alla seduzione del piacere pi carnale. Egli ha cercato la definizione della felicit. Ed ecco che la trova, ora che Verlaine gli propone il suo desiderio. Egli si abbandona corpo e anima. Egli rinuncia a lottare. Verso 1, "O stagioni": Rimbaud usa spesso questo termine per indicare la successione del tempo. - "O castelli": emblematico per le felicit sognate. L'interpretazione di Adam dei primi due versi mi sembra la pi plausibile: o successioni d'ambizioni e di progetti, o sogni rischiosi, debolezza a cui ho ceduto come tutti gli altri!

Verso 5, "Bonheur": lo ha studiato e trovato, ma non sono n le stagioni n i castelli. Verso 6, "lui": si riferisce a "Bonheur", in italiano lei poich la Gioia. Verso 9, "Il s'est charg de ma vie": questa Gioia di abbandonarsi a colui che si ama. 1 versi seguenti parlano senza mistero delle gioie dell'abbandono. Versi 12-13, "Que comprendre ma parole? Il fait qu'elle fuie et vole!": chi legger questi versi non capir, perch l'amore di Verlaine ("Il fait...") ha trasformato le parole del suo amico. Versi 17-18, "Il faut que son ddain, las! Me livre au plus prompt trpas": se Verlaine un giorno lo disprezzasse, egli (Rimbaud) non resisterebbe. La morte lo aspetta.

La vergogna. Autografo della collezione Perre Brs. Sulla data di composizione di questo pezzo non esiste testimonianza. Per Ruchon, assistiamo ad una disputa fra Rimbaud e Verlaine. Per Claude Vige, ascoltiamo una diatriba di Rimbaud contro Verlaine, e Rimbaud, il ragazzino insolente, dice a Verlaine che farebbe meglio ad uccidersi. Seguendo J. -A. Bd, Verlaine rimprovera Rimbaud, ma questi risponde che finch Verlaine non avr realizzato il suo desiderato omicidio, finch lui, Rimbaud, conserver il suo stupido cervello, non ceder e toccherebbe piuttosto a Verlaine di tagliarsi il naso, eccetera, e questo sarebbe meraviglioso. Per Gengoux il cervello da tagliare quello di Verlaine. In un senso molto diverso, Bouillane de Lacoste pensa che noi stiamo ascoltanto in "Honte" i rimproveri della signora Rimbaud a suo figlio. Queste interpretazioni cos differenti le une dalle altre, hanno il torto comune di misconoscere quella specie di rivoluzione interiore che si prodotta nell'animo di Rimbaud quando tornato nelle Ardenne nel febbraio 1872. Egli si osserva, si comprende, si giudica. Ma finalmente egli si accetta. Egli sa di portare in s delle forze demoniache. Ma sa anche che per abolirle occorrerebbe cambiare la sua natura, mettergli un altro cervello, dovrebbe abbandonare le sue meravigliose gambe che lo portano sulle strade, verso l'avventura. Fino a quel punto non cambier certo. Finch la lama non gli avr tagliata la testa, finch le pietre non gli avranno maciullato il fianco, finch non gli si sar portata la fiamma nelle viscere, egli rester ci che . Ci che , una specie di gatto selvatico, che non sa fare che il male. Egli lo sa. Non ci pu far nulla. Ma ora non pensa pi ad inorgoglirsi dei suoi vizi e a proclamare la sua rivolta. Nell'umilt della sua vergogna egli attende che, alla sua morte, una preghiera si elevi per lui verso Dio. Un Dio al quale egli non crede, ma del quale egli non pensa di farsi beffe (Adam). Verso 5, "Ah! Lui": naturalmente Rimbaud. Verso 8 , "De ses jambes! merveille!": Verlaine aveva parlato delle meravigliose gambe di Rimbaud, fatte per marce infinite. Versi 13-14, "l'enfant Gneur": Rimbaud. Per tutta la vita stato d'impiccio agli altri, e ovunque colpevole d'aver provocato turbamenti. Verso 15, "Ne doit cesser": Rimbaud un essere pericoloso che non deve (cio, non pu) smettere di essere tale per gli altri, fino alla fine. Verso 17, "chat des Monts-Rocheux": non esiste, ma sta per animale selvatico. Verso 20, "S'lve quelque prire!": Rimbaud ha sempre soffocato una sensibilit religiosa, che talvolta affiora suo malgrado.

ILLUMINAZIONI. Nel mese di maggio 1875, Verlaine scriveva a Delahaye. Egli diceva, nella sua lettera, che Rimbaud gli aveva chiesto di inviare a Germain Nouveau dei poemi in prosa composti da lui. Nouveau si sarebbe incaricato di farli pubblicare. Il titolo di "Illuminations" appare per la prima volta soltanto nel 1878, in una lettera di Verlaine a suo cognato Ch. de Sivry. Nel 1880, allorch Verlaine decide di pubblicare i suoi "Potes Maudits", chiede nuovamente a Sivry il prezioso manoscritto.

Aspetter invano. Insister ancora. Solo nel 1886, quando G. Kahn, che intendeva pubblicare i testi in La Vogue, preg Verlaine di farglieli avere, questi, tramite L. Le Cardonnel, amico del cognato, riusc a ottenerli da Sivry. Da questa lunga storia, risulta che ogni teoria sulla formazione dell'opera rimane ipotetica. Quando le "Illuminations" furono pubblicate, gli autografi formavano un fascio di carte fogli volanti e senza numerazione. In seguito furono progressivamente dispersi. Gran parte di essi, dopo essere appartenuti alla collezione LucienGraux, si trovano oggi alla Bibliothque Nationale. Pochi altri appartengono ancora a collezioni private. Alcuni sono spariti. Ieri la critica pretendeva che le "Illuminations" fossero state composte prima di "Une Saison en Enfer", oggi afferma che furono scritte tutte dopo il dramma di Bruxelles, fra il luglio 1873 e il febbraio 1875, basandosi su una frase di Verlaine. A ogni buon conto l'incertezza sulla formazione della raccolta impedisce qualsiasi giudizio sistematico sulla data della composizione dei poemi. Dopo il diluvio. Nonostante molte stravaganti spiegazioni, la linea di questo poema si svolge con una certa precisione. C' stato un diluvio, e la natura ha ritrovato la sua freschezza primeva. Ma le losche attivit umane riprendono. E' ritornato il tedio, e Rimbaud invoca un nuovo diluvio. Pi che una favola (tiemble), pare una grande metafora, in cui si possono scoprire precise intenzioni. Il diluvio la catastrofe della recente guerra? L'atmosfera di noia quella che s'installa in Francia dopo la pace? Rimbaud in modo pi esatto, non pensa forse alla Commune e all'ordine borghese ristabilito? (Adam). In un articolo su La Brche (1965). Y. Denis tenta di spiegarci: Allorch cadde la speranza della Commune ("il diluvio"), il borghese codardo ("la lepre") si rinsedi. Preg Dio ("l'arcobaleno"), nel suo rito cattolico ("la tela del ragno"), di averlo salvato. La verit ("le pietre preziose") scoperte per poco, vengono risepolte. Le attivit riprendono ("nello stradone sporco..."). L'ordine viene ristabilito dalla repressione ("il sangue versato"), organizzata dai capi ("Barbabl"). La fucilazione dei Comunardi provoca dei carnai ("i mattatoi"). Le chiese ("i circhi") sono stipate di prigionieri. La ricostruzione ("i castori") ricomincia. La scuola ("la casa di vetri") riprende. Solo Rimbaud ("il bambino") rifiuta di tornarci ("sbatt una porta"). Solo il sesso ("Madame ***") pu consolare ("un pianoforte") il mondo ("le Alpi") ormai privo di gioia. Nota 1. "Mazagran": citt dell'Algeria che d nome a una bevanda calda, miscuglio di caff e alcool. Nota 2. "Madame ***": nel dicembre 1875, la signora Rimbaud affitta un pianoforte, che viene trasportato in casa, issandolo per le scale ("les Alpes"). (Testimonianza di E. Ltrange, allora impiegato della casa di trasporti Lefvre). E' un curioso aneddoto che pu aver alimentato la grande metafora. Nota 3. Rimbaud pensa qui ai viaggi di piacere di una societ che ha ripreso i propri affari. Nota 4. "Eucharis": nome di una ninfa nel "Tlmaque" di Fnelon. Rimbaud la cita in senso derisorio, poich dal 1871 tutto ci che bucolico egli lo identifica con la borghesia. Nota 5. "Sorcire": lo spirito di Rimbaud era ossessionato dal tema della Strega (cfr. anche "Une Saison en Enfer"). Rappresenta l'essere che non si adattato alla civilt e all'ordine sociale. E' la sola a possedere segreti esaltanti, in mezzo alla noia universale, ma non ne parla mai.

Infanzia. In questi cinque brevi poemi Rimbaud raccoglie alcuni sogni, immagini, scene ed emozioni, vissuti nella propria infanzia. Nota 1. "Cher corps, cher coeur": non si tratta necessariamente di Verlaine, se si pensa che sovente Rimbaud esprime la sua noia per l'amore fisico in genere. Nota 2. "la petite morte": Adam suppone possa essere Vitalie, morta il 18 dicembre 1875, ma essa non era mai diventata "jeune maman" di cui Rimbaud evoca l'immagine. Questa mamma defunta si ha buona ragione di credere fosse Elise

Moncomble, cugina di Verlaine, della quale l'amico aveva molto parlato a Rmbaud (M. A. Fongaro). Segue "la calche du cousin", ovvero del cugino Verlaine, che ne avvalora la tesi. Nota 3. "le petit frre (il est aux Indes!)": il fratellino Rimbaud stesso, ed ragionevole supporlo, considerando l'inciso ch'egli avrebbe aggiunto al testo dopo il suo ritorno dall'Indonesia (Batavia, 23 luglio 1876). Nota 4. "la maison du gnral": si tratterebbe di una villa nei dintorni di Charleville, nominata appunto La casa del generale Noiset. (Delahaye). Nota 5. "Ville monstrueuse": M. Underwood dice che certamente Londra, dove, secondo una lettera di Vtalie a Isabelle del 24 luglio 1874, Rimbaud port sua madre e sua sorella nel sotterraneo ("salon souterrain") che passa sotto il Tamigi, come una vera tomba ("tombeau") molto profonda ("trs loin sous terre"), all'epoca vittoriana imbiancata a calce ("blanchi la chaux"), nella cui volta ("au coin de la vote") si aprono verso i marciapiedi dei tombini ("une apparence de soupirail"). Dopo tanti sogni, sinistra realt del quinto poema. Rimbaud si sente sepolto dalla metropoli moderna, ossia da una notte senza fine ("nuit sans fin!"), schiacciato dalle fogne ("des gouts"). Chiss se potr mai un giorno risalire lui, il signore del silenzio ("je suis matre du silence"), verso la luce ("les gouffres d'azur")? Atroce asfissia del poeta.

Racconto. E' ovviamente un autoritratto metaforico. Il Principe protagonista della breve storia Rimbaud, il quale si pente delle sue volgarit, crede non pi alla donna come oggetto di piacere, sogna di rivoluzionare l'amore e rincorre un'idea nuova di verit. Purtroppo le sue ambizioni risultano chimeriche, e il suo sogno non si attua. Nota 1. "Gnie": l'apparizione dell'anima di Rimbaud, del suo doppio. (E' terribile. Sento due uomini in me, G. de Nerval). il Genio ha sognato un Eden di felicit eterna ("les toits d'or, les belles btes...") Ma anche questo un'illusione. Principe e Genio sono la medesima persona, e si annientano vicendevolmente. La vita volgare continua ("la musique savante manque notre dsir"). Rimbaud si dichiara nuovamente sconfitto.

Parata. Secondo Lacoste una sfilata di soldati, per Gengoux una riunione di fumatori d'ascisc, per Delahaye una parata di girovaghi vista a Charleville, per P. Caddau una pagina dei viaggi del capitano Cook. Adam ci vede una rassomiglianza con "L'Enfer d'un maudit" di Raabe, oppure insinua che in questa pagina Rmbaud abbia voluto descrivere una cerimonia vista durante il suo soggiorno a Milano, nell'aprile 1875, alloggiato al n. 39 di piazza del Duomo: cerimonia religiosa nella cattedrale milanese che Toppfer descrive come un ignobile mercato nei suoi "Voyages en zig zag". Fra tante fantasiose supposizioni, S. Bernard ci d l'ipotesi pi attendibile: "Parade" uno sfogo d'odio per la civilt occidentale, la sua religione e il suo militarismo. Margoni ritiene trattarsi di evocazione di un mondo violento, pieno d'inganni ciarlataneschi, di truffe spettacolari, di teatralit feroce, di mostruosit a met strada tra il prete, il soldato e il pagliaccio. Conoscendo lo spirito di Rimbaud, tutto diventa chiaro, l'indovinello ("J'ai seul la clef de cette parade sauvage") non c' pi, ci rimane semplicemente un vissuto polemico del mondo che il ragazzo ribelle ci propone in una sfida ermetica che lo rende ancora pi violento. Nota 1. "Des drles trs solides": questi durissimi bricconi altro non sono che quei maestri spirituali che Rimbaud conosceva bene in collegio, sfruttatori di coscienze ("Plusieurs ont exploit vos mondes...") Nota 2. "vois effrayantes": sono le voci dei castrati, che ovviamente non sono pi fatti per l'amore ("come potrebbero guardarlo, Cherubino?") Nota 3. "prendre du dos": non mi pare proprio nello stile di Rimbaud, il parlare di giovani con qualche pericolosa risorsa ("quelques ressources dangereuses") (la sodomia? probabile) agghindati con un lusso schifoso per essere poi

spediti in citt "a farsi le ossa" (cfr. Matucci). La frase popolaresca ha un significato ancor pi rafforzato dal contesto, chiaramente osceno. Nel "violentissimo Paradiso della moina imbestialita" dove vi sono "crudeli maneggi di fronzoli!" i damerini non vanno certo a farsi le ossa, a formarsi, a quadrarsi le spalle, ma a "prenderselo in..." Nota 4. "ils jouent... des tragdies de malandrins et de demi-dieux...": Adani vi scorge una allusione alla passione del Cristo, crocifisso fra i due ladroni. Nota 5. "Matres jongleurs, ils transforment le lieu et les personnes et usent de la comdie magntique...": i preti che dicono la messa, un aspetto di questa cerimonia barbara ("parade sauvage"). Parodia che nasconde il rispetto del veggente per il dramma sacro?

Anticaglia. Pu darsi davvero un medaglione neoclassico e ermetico (Margoni), che ci riporta alla "Tte de Faune" delle Poesie, a un passaggio delle "Metamorfosi" ovidiane (4, versi 393-97) che certamente Rimbaud, bravo latinista, aveva letto in collegio. Tuttavia questa prosa d'arte, genere in voga presso i poeti di allora, si riscatta subito dal sospetto di manierismo. La figura mitica evocata da Rimbaud, specie di fauno ermafrodita ("ce ventre o dort le double sexe"), "si anima", si pervade tutta di erotismo omosessuale, diventa viva. Rimbaud la invita addirittura a passeggiare, nella notte, come fosse un amico, e a mostrargli il suo sesso ("cette cuisse, cette seconde cuisse"). Nota 1. "Antique": s.f. designante un cimelio antico. Nota 2. "en mouvant doucement cette cuisse, cette seconde cuisse": il verbo "mouvoir", nel suo riferimento ambiguo e priapico, non ha lo stesso significato di "bouger", "muovere", adottato dai traduttori, bens di "sollecitare", "eccitare".

Bella creatura. Titolo originale del poema. Rimbaud ha trovato quest'espressione inglese in una poesia di Longfellow, "Footsteps of Angels" (C. A. Hackett); ho ritenuto ragionevole tradurla alla stregua del testo francese. Al di l di ogni clucubrata interpretazione (Starkie: l'essere scorto da Gordon Pym, in Poe. Adam: una danzatrice asiatica nella sua attivit professionale. tiemble, Gauclre, S. Bernard: una visione) mi pare che "Bella Creatura" sia l'evocazione, in forma di bellezza, di un Eros ideale e assoluto. Nondimeno, come per il fauno di "Antique", questo Essere astratto prende vita, si fa donna in carne e ossa, e mette in movimento il mondo, Rimbaud stesso sente che il suo corpo reagisce e s'infiamma. Nota 1. "blessures carlates et noires": molto semplicemente, mettendo da parte il candore di certi esegeti che preferivano vedervi una bocca e degli occhi, o addirittura "les teintes de la mort", si tratta dei capezzoli del seno della "mre de beaut" e del sesso femminile. Nota 2. "un nouveau corps amoureux": il corpo stesso di Rimbaud in cui si ridesta il desiderio d'amore. Nota 3. "cusson de crin": anche qui l'immagine si riferisce al sesso. Vedi in "Enfance: Cette idole... crin jaune". Nota 4, "Le canon sur lequel ie dois m'abattre...": considerato il carattere erotico dell'evocazione, chiaro che Rimbaud alluda al proprio fallo mitizzato sul quale soddisfa, nella solitudine campestre, il proprio desiderio.

Vies. Un uomo che non s'identifica necessariamente con Rimbaud, bench certi passaggi del testo siano espliciti riferimenti a un passato autobiografico, parla del suo viaggio in Oriente, del suo ritorno nelle campagne europee, dove ora, sentendosi fuori dalla vita, si annoia. E' poema di potenza e di amara sconfitta: Rimbaud-Prometeo tenta di sublimare il proprio destino, e alla fine cade, scompare. E' un esempio significativo della tendenza caratteriale di Rimbaud di esaltarsi e poco dopo annullarsi.

Nota 1. "la main de la campagne": il manoscritto attesta "campagne", che secondo Adam sarebbe inaccettabile se le "Illuminazioni" mancassero del tutto di assurdit (!) Renvifle e Mouquet correggono addirittura con "compagne" (compagna). A me pare che non si consideri abbastanza l'allegorismo simbolico che pervade molto dell'opera di Rimbaud, l dove l'intensit della sensazione si mitizza al punto di animare l'inanimato, e di antropomorfizzare lo spirito del luogo e delle cose. Altroch non-sens: la campagna pu ben farsi persona che posa la sua mano sulla spalla del poeta e lo accarezza! Nota 2, "poivres": comune l'idea della spezia legata ai paesi esotici. Vedi in "Dmocratie: Aux pays poivrs..." (pepati, coltivati a pianta di pepe). Nota 3, "J'ai eu une scne...": sono le immagini magnifiche che occupano costantemente la memoria di Rimbaud come fosse un teatro. Nota 4, "J'observe l'histoire des trsor...": sono i falsi tesori scoperti dall'Europa, ironicamente indicati nella tecnica orgogliosa e nelle inumane competizioni che la porteranno alla rovina ("Te vois la suite!") Nota 5, "Ma sagesse est aussi ddaigne...": le ricchezze morali che, invece, egli riporter dalle Indie saranno rifiutate. Nota 6, "Qu'est mon nant...": l'uomo che conosce la dottrina del nulla, la saggezza orientale, sa bene ci che aspetta l'Occidente, lo stupore in cui sprofonder. Nota 7, "des cinq ou six veuvages": le "vedovanze" sono gli amori che finiscono male, e si pu senza indugio supporre che Rimbaud, all'epoca dei suoi vagabondaggi, abbia avuto, oltrech diverse esperienze sessuali traumatizzanti (cfr. la poesia: "Le Coeur vol" in cui racconta di essere stato corrotto in una caserma), anche pi di una relazione intima. Il legame con Verlaine non certo stato il solo, pur essendo stata la sua unica vera unione conclusasi miseramente. Verlaine aveva scritto le "Mmoires d'un veuf". Nota 8. "Dans un grenier...": il solaio di Roche (?). Nota 9. "Dans une cit du Nord...": forse la citt di Anversa, dove egli avrebbe visto in un museo dei ritratti femminili. Nota 10. "Dans un vieux passage Paris...": Choiseul, il ritrovo dove s'incontravano i Parnassiani (?). Nota 11. "Dans une... demeure cerne par l'Orient... j'ai accompli mon... oeuvre et pass mon illustre retraite": Rimbaud si riferisce alla fase magica della sua esperienza poetica, usando per la sua immagine simbolica, termini come "Oriente, opera, ritiro", proprii alla Tradizione Alchemica.

Partenza. Troppe partenze nella vita di Rimbaud perch si possa stabilire a quale appartiene questo frammento. Tuttavia il Vagabondo mette qui un punto fermo al suo passato, pronto a ripartire per un nuovo destino (Adani). Nota 1. "Rumeurs des villes...": ...ha significato pi largo di "bruit", rumore (brusio, vedi trad. Mattucci). Voci di "citt" ha senso pi pieno. "Les arrets de la vie": se il Vagabondo mette un punto fermo al suo passato, non mi pare esatto tradurre "arrets" con "pause" (Mattucci) o decisioni (Margoni), bens con "decreti", poich Rimbaud sente qui che sono le leggi della vita a stabilire i suoi nuovi distacchi. La frase ha qualcosa di perentorio, fatale, e non ha niente a che vedere con la temporalit ("pausa") o la volont ("decisione").

Regalit. Sono state fatte molte ipotesi su quest'altro racconto. Per Gengoux, l'uomo sarebbe Rimbaud, la donna Verlaine; per Renville si tratterebbe del poeta e della sua anima. Inoltre viene ricordata la loro passione travolgente, a Londra ("ils se pmaient l'un contre l'autre"), Se si considera che in francese "autre", a differenza dell'italiano altro, altra, pronome invariato per il genere maschile e femminile, si pu davvero pensare che Rimbaud intendesse se stesso e il suo amico. Tuttavia il significato simbolico di questa brevissima storia rimane oscuro. Nota 1. "ils furent rois toute une matine...": il loro amore trionf solo un mattino di festa.

A una ragione. Nel 1871 una delle idee di Rimbaud fu la dottrina del Nuovo Amore. Un Amore riscattato da tutte le morali stantie, sulle razze, sulle classi sociali, sul sesso. Rimbaud credeva che il regno del Nuovo Amore presto si sarebbe stabilito fra gli uomini. L'Amore non altro che questa "raison": gli uomini si metteranno in marcia con il suo passo, giacch questa "ragione" annuncia una nuova armonia. Il destino dell'umanit cambier e i suoi beni saranno portati ad altezze ancora sconosciute (Adam). In questo poema l'aspirazione di Rimbaud al mutamento della condizione pi metafisica che storica (Margoni). Francamente mi paiono fuori posto tutte le altre supposizioni: platonismo (Renville), logos alchemico (Starkie), rigenerazione laica (temble), illuminismo (S. Bernard)!... Pi di una speranza rivoluzionaria nella Commune, davvero un'esaltazione mistico-messianica. Nota 1. "la nouvelle harmonie": cfr. in "Gnie: Il est l'amour, mesure parfaite et rinvente". Nota 2. "la leve des nouveaux hommes": cfr. ancora in "Gnie: Son pas! les migrations plus normes...".

Mattinata d'ebbrezza. Il prof. M. Sendrail consider questo poema (cit. tiemble) come un protocollo di esperienza tossicologica trasposta poeticamente. Infatti Delahaye testimonia che Rimbaud fece la sua prima esperienza di ascisc a Parigi, verso la fine del 1871. L'impressione che Rimbaud si diletti nella sua visione tra il piano fisiologico e quello spirituale. Allude alle prime "ripugnanze" del fumatore, al gelo del "ghiaccio" che s'impadronisce di lui alla fine. Nello stesso tempo spera che la droga, il "veleno", lo liberi "dal bene e dal male", dalle "onest tiranniche". Egli crede di poter realizzare "il pi puro amore". E' convinto d'inventarlo e perseguirlo: "Noi ti affermiamo, o metodo!" Perci ringrazia la droga come "una maschera" che lo ripaga, grato ad essa perch "ha glorificato ieri tutte le sue et", e confida in lei. Ma presto si sentir "restituito alla disarmonia di un tempo", e della meravigliosa avventura "cominciata nelle risate dei bambini" non rester niente, "finir con loro". Tuttavia Rimbaud continuer a credere, da vero Veggente, che "il tempo di Assassini", dei fumatori di ascisc stia per giungere, e anche lui, come gli Hasciscin (l'antica setta araba omicida del secolo Dodicesimo) che perivano in missione, "sapr dare la sua vita ogni giorno, interamente".

Frasi. Al di l di ogni elucubrazione dei commentatori, suggerita dalle difficolt del manoscritto, l'opinione che Rimbaud abbia raccolto sotto il titolo generico di "Frasi" un gruppo di "Illuminazioni" (Margoni) disunite nei tempi di redazione, ma unite nell'intenzione visionaria, mi pare la pi accettabile. Adam sostiene che, pur nella successione oscura delle idee, certamente "Phrases" ha un significato generale. Non si tratta della coppia Verlaine-Rimbaud di fronte a un amico o un'amica, bens dell'uomo e della donna, eternamente attratti l'uno verso l'altra, nella loro disperata commedia. Rimbaud confessa, nella prima parte, la sua definitiva delusione per l'amore della donna. Ella non potr mai darti la felicit. E' la segreta nemica che soffoca il compagno. Ma senza di lei, l'uomo infelice. Dunque le parole d'amore non sono che frasi... "la sola lusinga di questa disperazione vile". La seconda parte del tutto differente: un giorno di luglio, mentre la popolazione in festa (la ricorrenza della presa della Bastiglia?), Rimbaud nella solitudine della sua stanza si abbandona all'immaginazione. Infine "si butta sul letto", rivolto verso la parete, "dalla parte dell'ombra", e i suoi sensi si mettono a sognare. Nota 1. "en un seul bois noir": Rimbaud si ricorda forse del verso di Verlaine, ne "La Bonne Chanson (XVII)": "Isols dans la vie ainsi qu'en un bois noir".

Nota 2. "pour deux enfants fidles": Verlaine aveva scritto ("Ariettes oublies", IV):" Soyons deux enfants". Altro ricordo? Nota 3. "pourquoi pas dj les joujoux et l'encens?": un mese di luglio cos freddo che Rimbaud crede sia venuto il Natale. Nota 4. "en ftes de fraternit": una delle tante, il 14 luglio? Nota 5. "une cloche de feu rose": questa "campana di fuoco... fra le nubi" fa davvero pensare a un fuoco d'artificio, visto da Rimbaud, durante i festeggiamenti di commemorazione per la Bastiglia. Nota 6. "mes filles! mes reines!": le figure femminili che fin dalla pubert, hanno sempre stregato l'immaginazione di Rimbaud.

Operai. Questo frammento di una storia, che siamo tentati per varie ipotesi (Henrika una donna qualsiasi o lo stesso Verlaine? E stato scritto in Olanda nel 1878 o in Inghilterra nel 1873?) a considerare un episodio della vita di Rimbaud, soprattutto un poema totalmente privo di significati simbolici e di visioni del Veggente, cosa assai rara nelle Illuminazioni. E' forse la poesia pi triste e umana di Rimbaud; un uomo (il giovanetto di Charleville?) trascinato dall'avventura lontano dal suo paese, in una squallida e grigia regione del Nord. Sventurato e miserabile nel suo esilio, pieno di nostalgia per un Sud luminoso e mitico, e nel ricordo di un'infanzia disperata, egli decide che un giorno partir. Nota 1. " l'autre monde, l'habitation bnie par le ciel et les ombrages!": non dimentichiamo che Rimbaud ha sempre sognato l'Oriente e ci ha vissuto, anche se per tre settimane, nel 1876. Nota 2. "Le Sud me rappelait les misrables incidents de mon enfance...": un passo che fino alla sua conclusione ("nous ne serons j'amais que des orphelins fiancs!") ci autorizza a indicarlo come un possibile ricordo della vita di Rimbaud, nel suo rapporto con Verlaine.

I ponti. Rimbaud non evoca nessun luogo geografico. Egli ha sotto gli occhi un dipinto o una stampa. Non ha importanza sapere di quale citt o fiume si tratti. Solo l'ultima frase suggerisce l'idea di un miraggio ("Un rayon blanc... anantit cette comdie") e, come giustamente sottolinea Margoni, di una fragilit onirica del mondo. Ancora una volta Rimbaud esprime il suo concetto di realt-commedia che finir per essere cancellata.

Citt. Si ha l'impressione che Rimbaud abbia sotto gli occhi una citt reale, una metropoli moderna, con tutti i suoi squallori e le sue volgarit, oppressa dal fumo, dalla morte, dalla disperazione. Alcuni sostengono sia Londra, perch qui "la lingua ridotta alla sua pi semplice espressione", ma il fatto che non via sia alcun "monumento della superstizione" rende la cosa inaccettabile. Del resto non credibile che Rimbaud nei suoi viaggi occupasse un cottage. Nondimeno qualcuno c' accanto a lui che condivide i suoi ricordi ("nostri boschi, nostra notte"). Ma per tiemble si tratta soprattutto di una citt inventata che, come per "Ouvriers", apparterrebbe a una serie di poemi dove Rimbaud annota le impressioni di un viaggiatore. Nota 1. "Aussi comme... je vois ...!": c' chi lo vede sintatticamente senza senso, o dice addirittura che Rimbaud ha dimenticato di cancellarlo nel ricopiare la poesia. A parer mio, ha carattere esclamativo: "Anche come", ossia: "O come ancora io vedo...!"

Carreggiate. Nota 1. "Dfil de feries": Sfilata di fantasmagorie. La chiave del poema ce la d Rimbaud. A che vale supporre un circo americano visto a Charleville (Delahaye), o un circo visto con Verlaine verso Saint-Glles nel 1872 (S.

Bernard)? Il fantastico qui ben pi grande della realt. Il fanciullo-Rimbaud ha ancora le sue visioni fiabesche: "des carrosses anciens ou de contes"... Nota 2. "Mme des cercueils...": A. Fongaro ritiene che questa frase sia ispirata al "Corbillard au galop" di Verlaine.

Citt. Paesaggio, mito, favola sono spesso il tessuto della attivit surreale di Rimbaud. La spiegazione di questo acrobatico poema racchiusa nella sua ultima frase: "Cette rgion d'ou viennent mes sommeils et mes moindres mouvements". Inutile quindi cercare il ricordo di un lungo: queste "Citt" sorgono dalle regioni profonde del sogno e del desiderio del poeta. Tuttavia Adam tenta alcuni riferimenti: forse Rimbaud ha letto ne "I ricordi di A. Bedloe" di E. Poe, la descrizione di una citt orientale ("ces Libans de rve"); certamente ha visto una funicolare nelle Alpi ("Des chalets de cristal et de bois qui se meuvent sur des rails et des poulies invisibles"). Sta di fatto che queste "Villes" sono formate, in un caos fantastico, da immagini venute da ogni parte ("Toutes les lgendes voluent"), e confermano qui la confusione prodigiosa del Visionario. Non sono d'accordo con tiemble che vi rintraccia un'idea di citt avveniristiche.

Vagabondi. Testo dal significato preciso. "I due vagabondi" sono Verlaine e Rimbaud. "Il pietoso fratello" Verlaine. Egli stesso si riconosciuto in quel termine: Rilette le "Illuminazioni"... dove figuro in qualit di Dottore satanico (non vero, per niente). (Lettera al cognato Sivry, agosto 1878). "Vagabonds" un documento prezioso sulla relazione avventurosa ("cette entreprise") dei due uomini, in cui il debole Verlaine ("son infirmit"), rimproverando continuamente Rimbaud per i suoi sogghigni ("je m'tais jou de son..."), lo accusava di esporli al rischio di un ritorno a Parigi ("en exil, en esclavage"). Nota 1. "la campagne traverse par des bandes de musique...": molti hanno visto delle vere e proprie bande musicali attraversare la campagna. Ma Rimbaud in "Veilles" parla di una successione di strisce atmosferiche ("bandes atmosphriques"). S. Bernard nota che sono assai frequenti nelle "Illuminazioni" le percezioni visive della sonorit! lo direi il contrario: le percezioni sonore della visivit, dato che Rimbaud si affaccia a una finestra per guardare il paesaggio. Nota 2. "fils du Soleil": che intendeva Rimbaud nel voler "restituire" Verlaine "al suo stato primitivo del Sole"? La spiegazione di S. Bernard l'unica accettabile: Rimbaud voleva far partecipare l'amico alla potenza magica del Veggente, alla regalit simbolica (il Sole). Nota 3. "vin des cavernes": alcuni correggono in "tavernes", che d un senso pi immediato alla frase, nonostante che il manoscritto dia nettamente "cavernes"; altri (Bruneau, La Grve, oct. 1954) affermano che la parola, sulle Ardenne, significa "sorgente". Perch allora non potrebbe trattarsi semplicemente di quell'acqua che sgorga dal cavo ("cavernes") di una pietra per dissetare il viandante ("nous errions, nourris"... ) che si nutre della pagnotta che porta nel sacco ("du biscuit de la route")?

Citt. Ancorch si accettasse l'idea che questo poema sia il miglior saggio rimbaudiano di humour freddo, essendo il poeta ironicamente urtato dal gigantismo architettonico allora in voga nelle capitali europee, e si divertisse alle spalle della boria industrialnazionale, ci non toglie che questa citt possa essere davvero reale. Molti commentatori la ritengono Londra (Starkie, S. Bernard), ma il nome di Hampton Court al quale essi si riferiscono usato da Rimbaud solo per paragone. Le rimanenti descrizioni contraddcono nettamente questa opinione, L'analisi di

Adam sul testo, che lo porta a rintracciare una citt del nord dove Rimbaud ha in effetti soggiornato, mi pare la pi seria. Nota 1. "Un Nabuchodonosor norwgien": pur con la riserva del fantastico quasi sempre usato da Rimbaud, la frase potrebbe applicarsi a Bernadotte che determin, al congresso di Vienna, l'annessione della Norvegia alla Svezia. Nota 2. "un bras de mer sans bateaux... entre des quais chargs de candlabres gants": a Stoccolma esisteva un braccio di mare dove i battelli non circolavano perch, alle estremit, due ponti impedivano il loro passaggio. Era la Ridderholmskanalen: fotografie dell'epoca la mostrano decorata di grandi lampioni in forma di candelabro. Nota 3. "la Sainte-Chapelle": il duomo di Rdderholrnskyrken, dove sono sepolti i re di Svezia. Nota 4. "un circus... avec galeries arcades": a Stoccolma, a mezza strada fra il Ridderholmskyrken e il castello reale, esiste effettivamente un "circo ad arcate" con un centro commerciale. Nota 5. "le Comt": non solo in Inghilterra, ma anche in Svezia le region amministrative si chiamavano Contee (Len).

Veglie. Con il termine di "allucinazione" tutti i commentatori concordano sul presentare queste tre Veglie con esperienze di droga, vissute in tempi diversi. Solo Faurisson pensa che la chiave sia erotica. Orbene, se Rimbaud insiste tanto nel carattere onirico delle sue sensazioni ("et le rve frachit... rve intense et rapide") che lo portano a un mondo di estrema semplicit e purezza (Matucci), non vedo come ogni spiegazione non possa essere plausibile, dal momento che "sogno", "visione", "amore", "incantamento" si fondono qui in un'unica parola. Delahaye ricorda che Rimbaud, all'inizio del 1872, sognava una vita come adesione pura e silenziosa alla Vita, e chiama questo primo poema: un trasporto alla quiete. Nota 1. "L'ami": Verlaine, o forse semplicemente l'essere femminile, o la vita accanto e che accogliamo. Nota 2. "L'aime": cos come per "l'amico", una figura femminile o la vita stessa, "aria e mondo inesplorati"? Nel secondo poema i commentatori, senz'ombra di dubbio, vedono il "veilleur" allucinato che annota i suoi stati confusionali. Mi domando se occorrano davvero degli stupefacenti perch l'immaginazione, possa talvolta vedere, nelle nostre "rveries", figure ("tres... de toutes les apparences"), luci ("bandes atmosphriques"), forme ("accidents gologiques"), o non sia sufficiente un naturale abbandono della fantasia. (Come se il nostro poeta ne fosse stato privo!) Il discorso vale per la terza parte. Quanti ragazzi, e non soltanto prodigiosi come Rimbaud, hanno mai veduto, nei loro solitari trasognamenti, trasformarsi la loro camera da letto? proprio ndspensabile che Rimbaud fosse in preda alla droga per sentirsi improvvisamente nella cabina d una nave? Pu essere vero, ma vero anche il contrario. In ogni caso, ci che importa solo la bellezza di questo suo rapimento ("Ah! puits des magies, seule vue d'aurore"). Nota 1. "Steerage": termine inglese che indica il "tavolato del ponte di una nave". Ho ritenuto di tradurlo, poich se nella pronuncia francese l'esotismo voluto da Rimbaud pu avere il suo effetto, nel verso italiano ha un ritmo francamente brutto. Nota 2. "Amlie": con molta probabilit un essere inventato.

Mistico. Quando non sono sorretti da precisi riferimenti, i commentari su Rimbaud, tendono alle pi stravaganti e divergenti conclusioni. Non pare superfluo, dunque, tentare una spiegazione, disturbando addirittura "L'Agnello mistico" di Van Eych, come fa Tielroov. E' intanto una poesia occasionale: Rimbaud se ne sta sdraiato ai piedi di una scarpata e contemplala notte. Il suo fantasticare si traduce in simboli arditi e in giustapposizoni d'immagini, che sono la tipica

strutturazione espressiva di certo surrealismo. La visione si anima di figure e di eventi fantomatici, che sfumano alla fine in un sublime notturno. Tutto ci non ha forse a che vedere con il misticismo? Nota 1. "la... du tableau est forme": non necessariamente un dipinto (Adam ipotizza perfino un giudizio universale rivisitato con spirito moderno (!)) quello che vede Rmbaud. Un cosiddetto "quadro" ben pi sovente un paesaggio reale.

Alba. Come sempre, Rmbaud in cammino. Non importa sapere dove e quando. L'alba appare sul bosco ch'egli sta attraversando. La narrazione impressionistica della natura che si risveglia, cede poco per volta a una plasticit panica, finch all'apparizione della dea ("je reconnus la desse") la lirica si fa epica, e si pervade di quel profondo senso mitico di cui era ricca l'anima del poeta. Il fanciullo Rimbaud abbraccia l'alba (donna divinizzata) dopo un esaltato inseguimento e si fonde con lei, annientandosi in un'estasi sensuale. L'eros panteistico dunque lo stimolo di questa composizione gioiosa fra le sue pi celebri (Margoni). Nota 1. "Wasserfall": il testo porta la parola tedesca per "chute d'eau". Alcuni, a tal proposito, ricordano il soggiorno di Rimbaud a Stoccarda nel febbraio 1875. A parte il riferimento storico, ho ritenuto di doverla tradurre, per la stessa ragione adottata in Veilles, nella nota su "steerage".

Fiori. A mio avviso, questo breve e luminoso scoppio lirico di una semplicit quasi elementare, pur nelle sue barocche similitudini. Rimbaud non vuole che celebrare la bellezza della natura: siamo su una terrazza fiorita, in riva a un mare abbagliante. Il poeta dopo aver descritto dei fiori, con traslati luminosi (il solo ad averlo capito tiemble), vede - come gi in Aube - un dio dagli occhiglauchi ("la mer et le ciel") e dalle nuove forme ("terrasses de marbre"), che abbraccia quest'orgia fiorita ("la foule... de roses"). Ecco tutto. Se si pensa che i critici hanno divagato oltremisura su un canto cos chiaro e puro cimentandosi nelle pi assurde interpretazioni (spettacolo di balletto, linguaggio alchimistico, vetrina di gioielleria)! Si leggono addirittura sapienti garbugli come il seguente: Rmbaud attratto dal mondo dell'inorganico, che lo seduce... soprattutto per la sua mancanza di vita cosciente animale. L'ispirazione metallico-minerale di Rmbaud costituisce probabilmente l'esito cosciente del suo odio della condizione umana. L'inorganico afferma una perfezione al di fuori della coscienza, eccetera eccetera (!!)

Notturno volgare. E' proprio, sempre, indispensabile che Rimbaud sia in preda ai fumi dell'ascisc per descriverci le mostruose trasformazioni degli oggetti ch'egli guarda? Il discorso fatto per Veilles vale anche qui: la polemica con la realt umana e un leitmotiv di tutta l'esistenza di Rimbaud. Quando non aveva altre armi per attaccare la vitanemica, e capovolgerla, il Veggente, prima di ricorrere al "poison" liberava la propria energia fantastico-onirica. In questi poemi, cosiddetti dell'allucinazione, o come dice bene Margoni questa catastrofe dei limiti e dei contorni del quotidiano domestico, che via via si sposta all'aria aperta... ("Un souffle disperse les limites du foyer"), non mi pare lecito negare del tutto, pur nella sua complessit visionaria e formale, una lucida coscienza letteraria. Nota 1. "opradique": aggettivo foggiato da Rimbaud sull'inglese "operatic", che ha carattere teatrale, per l'appunto: operistico. Cfr. L'Art du Dix-huitime sicle dei Goncourt, a proposito di Watteau: ... un arrengement opradique (Underwood). Nota 2. "foyers": se in "Veilles" ("la plaque du foyer noir") il termine focolare intendeva chiaramente il caminetto su cui applicata la pietra di ghisa, qui "foyer" piuttosto riferito al focolare domestico cio alla casa in

senso lato, tanto pi che "un soffio disperde le soglie" e Rimbaud si trova fuori, all'aperto. Nota 3. "ce carrosse": questa specie di carrozza il sogno ("carro funebre del mio sonno,... ovile della mia banalit") con il quale Rimbaud viaggia ("Postiglioni e bestie di sogno...") fino a sprofondare nell'oblio ("a sprofondarmi nella fonte di seta fino agli occhi"). Nota 4. "maison de berger": Rimbaud farebbe allusione alla "Maison du berger" di Vigny, la casa ambulante dei pastori francesi. Nota 5. "Solyme": Slima, come in Mauvais Sang, Gerusalemme. Nota 6. "foyer": focolare qui al singolare, ma il suo senso ripetuto, a parer mio, non cambia.

Marina. Esempio assai raro, per la sua epoca, di poema in versi liberi, forma adottata in seguito dai simbolisti e da gran parte della poesia moderna. Rimbaud si diverte a mescolare, nella visione, le immagini di un vascello che fende il mare e quelle di un carro che fende il suolo. Si spiegano allora questi carri e queste prue che "battono la schiuma", ma anche "sollevano i ceppi dei rovi"; per la stessa ragione le onde del mare sono "le correnti delle lande e i solchi del riflusso". Questa visione-creazione nasce da un fulcro di luce ("des tourbillons de lumire") che Rimbaud vede urtare sia una foresta, sia una diga.

Festa d'inverno. Impossibile essere precisi sull'ispirazione di questo frammento. E probabile che Rmbaud abbia evocato, liberamente, nel gusto delle "Ftes galantes" di Verlaine, una vecchia stampa d'epoca passata.

Angoscia. In apparenza un testo oscuro, ove "Elle e la Vampire" (il medesimo soggetto del poema secondo Adam, e anche a parer mio) hanno suscitato le pi complicate interpretazioni: la donna (Gengoux), la strega (tiemble, Gauclre), la lama (Matucci), la morte cristiana (S. Bernard)! A ben riflettere "Elle" non pu essere che la Vita, alla quale Rimbaud non perdona tutte le sue sconfitte ("les ambitions... crases"). Ma Rimbaud si domanda se la Vita non pu ripagarlo, alla fine, con un po' di conforto e di successo ("une fin aise rpare... un jour de succs nous endorme"). Egli vede i progressi del mondo moderno ("ferie scientifique", "fraternit sociale") e non capisce come la sua grande ambizione potr far fronte a simili bassezze ("restitution progressive de la franchise premire"). La Vampire dunque la Vita che ci seduce e rammollisce (nous rend gentils), nell'oblio e nei divertimenti ("que nous nous amusion"). Ma Rimbaud rifiuta questa prospettiva e sceglie di continuare la sua avventura angosciosa nelle "tortures qui rient, dans leur silence atrocement houleux".

Metropolitano. Il poema composto simmetricamente, di quadri sovrapposti, ognuno dei quali si chiude con una parola-chiave, che funge da titolo: la citt, la battaglia, la campagna, il cielo, la forza. Rimbaud evoca una "citt" dove vive una popolazione povera. Poi uno spettacolo che fa pensare a una "battaglia". Quindi a partire dalla descrizione di una "campagna", i paesaggi si fanno sempre pi fantastici sotto il "cielo" che certamente riguarda un viaggio. Alla fine riappare "lei" nuovamente (la Vampira di "Angoisse"), la Vita che fa sentire la sua impotenza, mentre lui, il poeta, continua ad affermare la sua "forza". "Mtropolitain": aggettivo maschile. Rimbaud intende qui o poema metropolitano o se stesso protagonista metropolitano. Non si capisce perch le traduzioni italiane portino Metropolitana (s.f.) come fosse da

Mtropolitaine (Ferrovia metropolitana), e perch anche i commentatori francesi si ostinino a vederci il Mtro di Londra! Nota 2. "Mers d'Ossian": sono i mari che circondano parte delle coste della Scozia e dell'Irlanda, dove Rimbaud sbarc nel 1876 di ritorno da Giava. Nota 3. "boulevards de cristal": una volta di pi questi "viali cristallini che salgono" impediscono di pensare a una ferrovia sotterranea (!) ma piuttosto ci rimandano agli "chalets de cristal" di "Villes", intendendo strade fiancheggiate da case con grandi vetrate. Nota 4. "les casques, les roues, les barques, les croupes...": enumerazione non tanto fantastica quanto si crede. Rimbaud immagina un porto formicolante di attivit umane, che davvero possono sembrare una "battaglia". Nota 5. "Samarie!: nome che figura nelle "Proses evangliques". Rimbaud ha sempre mescolato, nella sua tensione poetica, frammenti di ricordi vissuti a pura immaginazione. Nota 6. "ces crnes lumineux...": immaginari o no, Rimbaud deve aver visto dei contadini intenti a coltivare l'orto "tra le file dei piselli". Nota 7. "Damas damnant de langueur": la lezione "longueur" (lunghezza, invece di languore) che alcuni preferiscono, riferendosi alla strada di Damasco, assurda! Una seta damascata, immagine che calza perfettamente a un languido fiore. Nota 8. "aristocraties ultra-Rhnanes, japonaises, Guaranies": proprio perch "feriques" anche questi proprietari terrieri appartengono alle iperboli rimbaudiane. Nota 9. "Elle": la Vita, come gi si detto.

Barbaro. Molti commentatori si chiedono cosa abbia voluto dire Rimbaud con questa parola. Se noi riflettiamo su questa "fuga in fuoco e in ghiaccio", dobbiamo ragionevolmente ritenere che per il Visionario una "potenza primitiva, barbarica" regge il mondo ("- O monde! -"). Infatti il poema evoca un paesaggio "artico" ossia elementare, dove i geyser ("les brasiers") fuoriescono dal cuore della terra "(par le coeur terrestre... carbonis"). Nota 1. "Bien aprs... les pays": Rimbaud ha gi alle spalle grandi viaggi. Nota 2. "Le pavillon en viande saignante sur la soie des mers": per Adam si tratta della bandiera norvegese o danese (croce blu o bianca sul fondo rosso) che Rimbaud avrebbe visto, al suo ritorno da Giava, dopo la sua diserzione dal corpo di spedizione olandese del 1876. Nota 3. "(elles n'existent pas)": chi? "les fleurs arctiques". Tra parentesi? Rmbaud allude alla libert della fantasia, dove esiste anche ci che non esiste? Si direbbe. Nota 4. "loin des anciens assassins": non vedo proprio che c'entri qui l'ascisc e la setta degli Assassini di "Matine d'ivresse", e quindi il rinnegare esperienze allucinatorie da parte di Rimbaud (Bernard). Questi "antichi assassini" non sono altro che gli uomini malvagi, e gli eroi falsi ("fanfares d'hrosme") dai quali il poeta prende le distanze. Nota 5. "La musique, virement des gouffres": i viaggiatori del Diciannovesimo secolo segnalavano, a molta distanza dei maelstrom, un boato che dava l'impressione di un enorme urto di ghiacci ("choc des glaons aux astres") E' nell'ultimo verso del poema che Rimbaud evade dai suoi ricordi e dalle sue letture. Egli sente la musica del mondo, incontaminato, puro, nella sua dolce barbarie " douceur!"). Una voce misteriosa ("la voix fminine") sale dalle profondit della terra e lo riempie di commozione ("les larmes blanches").

Saldo. Saldo vuol dire vendere sotto costo, ossia svendere. E' errato dunque tradurre il "A vendre" dei ripetuti capoversi con "In vendita". E' una liquidazione, una svendita, non un elenco delle scoperte della "Lettera del Veggente" (tiemble, Gauclre). Che senso pu avere un Rimbaud che con volont esaltata voglia arricchire gli altri con le sue scoperte, e quindi vende, ossia comunica (!) ci che non sar

mai venduto agli altri, eccetera eccetera? E' un evidente travisamento del testo. E' forse il poema dal significato pi chiaro. Rimbaud, deluso, esprime lo scacco totale delle sue grandi speranze. Liquida i suoi sogni. Aveva creduto a una natura regolata dall'uomo con forza armoniosa e a un'unica grande voce del mondo; all'uomo nuovo libero dalla schiavit della razza e del sesso; aveva creduto alla scomparsa di ogni gerarchia e alla soddisfazione inevitabile dell'artista; ai grandi movimenti umani e alle invenzioni della scienza; allo "slancio insensato e infinito verso invisibili splendori, verso insensibili delizie..." E ora i suoi sogni si sono infranti, non gli resta che "svenderli". Nota 1. "Les voyageurs...": i viaggiatori di commercio, non certo i poeti come qualcuno suggerisce. Rimbaud intende dire che i venditori possono ancora aspettare la loro paga; la svendita non ancora finita. Altroch: i poeti che possono aspettare a rinunciare alla loro opulenza (!)

Fairy. Nel leggere tutte le spiegazioni che sono state date fino ad oggi del testo, si ha la sensazione che nessun commentatore ne abbia afferrato il senso: per Adam "Hlne" una "danzatrice", per Faurisson il "sesso" di Rimbaud, per Renville la "personificazione gnostica dell'amore", per Dhtel "l'anima del poeta", per Bernard il "simbolo della bellezza femminile". Il solo ad essersene avvicinato Matucci, il quale sospetta che "Hlne" sia il "poeta stesso". Infatti in inglese Fairy vuol dire Fata, ed con questo termine che viene familiarmente indicato un omosessuale. Ora, se vogliamo considerare le particolari tendenze sessuali di Rimbaud, il senso del poema si fa chiaro. Anche Rimbaud, come gli omosessuali di tutti i tempi, ha certamente conosciuto, almeno una volta nella sua immaginazione, il f ascino del travestimento femminile. Cos Rimbaud si crede per un attimo donna e si d il nome di una regina favolosa (e vedi caso, nell'inglese "queen", "regina" vale per il nostro popolare "checca"). Mi pare dunque inutile andare a ricamare sulla figura mitica. Elena non quella di Troia, bens quella di Charleville. Cos si spiega, senza tante interpretazioni sublimi, il perch questa Regina si trovi "nella trama delle ombre e dei silenzi, e la sua indolenza sia affidata... ad amori morti e profumi esausti, ed ella passi per torrenti... boschi... valli ... nello scampanio delle greggi; e la sua infanzia tremi per le pellicce ... il petto dei poveri e le leggende". Non sono forse gli itinerari vagabondi del ragazzo Arthur? Sicuro. Negli ultimi versi Rimbaud fa di "Hlne" una danzatrice: la danza meravigliosa, superiore al momento vissuto, alla vita stessa, !ai lumi preziosi e ai freddi influssi!. Ma chi non ha mai visto un travestito trascendere la propria triste condizione umana attraverso l'oblio di una frenetica danza? Nota 1. "Aprs le moment...": seguo la lezione di S. Bernard Aprs, le moment: dopo (di ci, viene) il momento... Altrimenti, la frase non avrebbe senso simbolico.

Guerra. Sono d'accordo con Matucci che accosta "Guerre" a "Sonnet" di "Jeunesse", dando a entrambi un valore immediatamente autobiografico. Un uomo (Rimbaud) parla della sua infanzia come fosse un indovinello. Nota 1. "Les Phnomnes s'murent": i Fenomeni che si destarono nell'infanzia di Rimbaud sono molti (la poesia, la rivolta, i sogni, l'eros anormale, ecc.). Quali intendeva? Nota 2. "l'infini des mathmatiques...": nell'autunno del 1875 Rimbaud intendeva dare la maturit scientifica (lettera a Delahaye). Di qui la menzione dell'esame di matematica? Nota 3. "respect de l'enfance trange...": Rimbaud sa di essere un bambino particolare, quindi non potr essere accettato che da compagni particolari e da sentimenti strani.

Nota 4. "je songe une Guerre": si pensato a un progetto che aveva in mente Rimbaud nell'estate 1875, di arruolarsi nell'esercito carlista. Nota 5. "C'est aussi simple qu'une phrase musicale": La soluzione del mio enigma semplice come una frase musicale, se Rimbaud vuol dirci questo, allora il verso va messo in relazione con "Trouvez Hortense" di "Hortense", e con "j'ai seul la clef..." di "Parade".

Giovinezza. Rimbaud ci racconta quattro momenti della sua giovinezza. Il tratto comune della meditazione inquieta sulla propria vicenda umana fatta di favolosi vagheggiamenti e di delusioni amare, apparenta queste poesie. 1. DOMENICA: Rimbaud si distrae dall'occupazione dei propri studi, e lascia che i sogni discendano in lui e i ricordi affiorino. Si abbandona ai ritmi di una visione poetica che lo rapisce. E' una domenica. Vede (o immagina) un paesaggio con dei cavalli al galoppo, una donna infelice, dei barboni, e dei fanciullini simili a lui quando imprecava giocando lungo le rive della Mosa. Alla fine si riprende e ricomincia a studiare. "turf": in inglese "erba minuta", per estensione "l'ippodromo" che essa ricopre, termine accettato anche in francese. Nota 2. "la peste carbonique": il fumo nero della citt. Nota 3. "Les desperadoes": Underwood ci d il nome, frequente nei romanzi inglesi dell'epoca, per fuorilegge, vagabondi. 2. SONNET: Rimbaud pensa alla sua giovinezza. Egli non era anormale. Era fatto per amare le donne e conoscere i piaceri della carne. Pericolo o forza, era posseduto da un bisogno di volont. D'altra parte si sentiva crede della violenza, con una vocazione alla sventura. Sia l'amore sia il mondo l'attiravano pericolosamente. Tornato nel presente, Rimbaud rende volutamente oscuro il suo testo. Egli si rivolge a se stesso. Evoca i suoi progetti e le sue impazienze di una volta, e pensa alla stagione in cui la sua impresa parve riuscire. L'ora passata. Del suo tentativo rivoluzionario, il mondo non apprezzer che la prova poetica: una danza e una voce. Nota 1. "la chair n'tait-elle pas un fruit...": a proposito di "Sonnet", Underwood cita un sonetto di Verlaine il cui primo verso "Chair! seul fruit..." La somiglianza palese. Nota 2. "toi... toi...": Rimbaud stesso e non, come alcuni propongono, Verlaine e Rimbaud. Nota 3. "votre... votre...": naturalmente gli altri uomini. Nota 4. "Saison": la variante "raison" falsa; il senso della frase la respinge. Il successo di Rimbaud durato una "stagione". 3. VENT'ANNI: A parer mio pi che ragionevole pensare sia Rimbaud a parlare dei suoi vent'anni. Egli s'accorge di non pi udire "le voci che lo istruivano", e che la sua "purezza nativa" perduta. La sua giovinezza stata un sano e meraviglioso "egoismo", il desiderio di "sapere", la confidenza nell'avvenire. Ora subentrato un sentimento "d'impotenza e di assenza", e per calmarlo ecco un "coro". Nota 1. "Ingenuit": per Rimbaud ha qui il senso latino di "noblesse naturelle intacte", ossia di purezza. 4.: Un uomo fa sentire a un altro la debolezza delle sue concezioni, in cui si nascondono paura, prostrazione e orgoglio puerile. Lo paragona a sant'Antonio durante le sue tentazioni. Ma presto costui si rimetter al lavoro, a un'opera gi progettata; saranno creazioni spirituali, nutrite dalla memoria e dai sensi, miranti ad armoniose architetture. Se l'uomo che parla in questa dichiarazione, si rivolge a qualcuno che non conosciamo, nulla c'impedisce di supporre che sia proprio Rimbaud a rivolgersi a se stesso. Questa interpretazione avvalorata dall'ultima frase: "E' il mondo, quando ne uscirai, che sar diventato? Nessuna delle sembianze attuali, in ogni caso", ove il tono profetico non pu applicarsi che allo spirito del Veggente.

Promontorio.

Underwood ha dimostrato che molti dettagli del testo si riferiscono in modo preciso alla citt di Scarborough, sulla costa est dell'Inghilterra, a 380 chilometri da Londra. Per questa ragione egli sostiene che "Promontoire" sia stato composto dopo il mese di luglio del 1874. Giustamente Adam sottolinea che simili informazioni, al di l della loro utilit storica, sono di grande importanza per capire come Rimbaud costruisce i suoi poemi: la realt delle sue esperienze sempre il punto di partenza della sua immaginazione. Perci il critico ne conclude che, onde evitare teorie incontrollabili, bene rendersi conto, ogni volta che si affronta l'ermetismo rimbaudiano, della futilit di certe glosse trascendenti. Infatti Rimbaud, nel suo stravolgimento fantastico, d a un modesto promontorio le dimensioni del Peloponneso, dell'Epiro e addirittura del Giappone e dell'Arabia; mescola tutto, epoche e continenti, e accosta canali di Cartagine a banchine di Venezia, antiche processioni pagane a danze italiane. Nota 1. "fanums": i "fani" sono i templi antichi. Nota 2. "thories": le "teorie" sono le processioni sacre ad Atene. Nota 3. "Embankments": sono le banchine che bordeggiano il Tamigi. Nota 4. "des Royal ou des Grand": i due principali alberghi di Scarborough sono effettivamente il Royal Htel e il Grand Htel. Le loro "faades circulaires" non sono che invenzioni di Rimbaud. Ma Underwood ci fa sapere che la facciata del Grand Htel semicircolare, e quella del Royal forma un quarto di cerchio. Nota 5. "Scarbro'...": la pronuncia di Scarborough. Nota 6. "Brooklyn": Rimbaud non mai stato a Brooklyn, tuttavia Underwood spiega che, quando Rimbaud and a Scarborough, vide due ponti di ferro somiglianti a quello di Brooklyn in costruzione.

Scenari. Rimbaud ci d qui l'impressione che il mondo non che un teatro e che pu essere visto come una scenografia fittizia, o inversamente che il teatro rappresenta un altro mondo in cui la nostra immaginazione pu giocare pi liberamente (S. Bernard). E' evidente che l'immagine di uno o pi spettacoli lo ha qui ispirato. Di conseguenza Scnes sono piuttosto gli Scenari che non le Scene, come d'uso tradurre. Lo spettacolo comporta dei "viali di trespoli, Un lungo pontile di legno da un capo all'altro di un campo, Una folla barbarica che s'aggira sotto gli alberi al lume delle lanterne". Alcune di queste scenografie si collocano anche fuori d'Europa "intorno alle sale dell'antico Oriente". Ma la prima frase sembrerebbe fissare un'idea precisa di Rimbaud nell'Europa: il continente una "decrepita commedia" che continua a svolgersi stupidamente, per "Idilli". Nell'ultima frase egli attribuisce all'Europa le dimensioni meschine dell'OpraComique, in contrapposizione a una ben altra forma di teatro all'aria aperta, in mezzo ai "boschi cedui", gli "uccelli misteriosi" e le "barche degli arcipelaghi". Anche in questa composizione il procedimento va dal dclic ottico all'autonoma visione fantastica, e fa di Rimbaud uno dei primi poeti capaci di riscattare il banale, e farne la piattaforma del sogno (Margoni). Nota 1. "pier": parola inglese che vale per "molo", "pontile". Nota 2. "gaze noire...": la "garza nera", quel velo d'ombra che le foghe nei corridoi dei viali spandono sotto le lanterne. Nota 3. "oiseaux des mystres": Rimbaud aveva scritto in precedenza "oiseaux comdiens", per cui i commentatori, sorretti anche dal fatto che a Giava, dove Rimbaud soggiorn, le rappresentazioni drammatiche erano recitate da attori mascherati da uccelli, credono di capire che questi volatili altri non sono che commedianti in costumi piumati. Tuttavia non vedo perch si debba intendere "mystres" per sacre-rappresentazioni, quando la vita sempre stata per Rimbaud una commedia misteriosa. Nota 4. "L'opra-comique se divise", eccetera: la frase ci permette di capire che questa parte di spettacolo si svolge per Rimbaud nella sala di un teatro.

Sera storica. Il testo va interpretato in funzione della Veggenza. E' una grande metafora sulla storia del mondo che secondo Rimbaud alla fine ("Soir"). Mi pare riduttivo parlare di rappresentazione teatrale (Margoni) o di allucinazione (S. Bernard). Un viaggiatore ("touriste naf", lontano dall'Europa del profitto ("retir de nos horreurs conomiques"), sogna di un passato leggendario in un paesaggio magico ("la main d'un matre anime... miroir vocateur... chromatismes lgendaires"). Il viaggiatore per un attimo trema ("il frisonne") nel vedere la miseria del mondo ("la comdie... pauvres et faibles... sur ces plans stupides!"). Ma egli non pu liberarsi della sua visione ("A sa vision esclave"), e continuer a sognare di antiche Asie, Afriche ("les dserts tartares... cleste Empire") pur riconoscendo che sar sempre un mondo piatto e livido ("un petit monde blme..."). Poi egli andr pi avanti nel suo viaggio ("o la malle nous dposera") e trover sempre la solita atmosfera vile della societ borghese ("la mme magie bourgeoise... une chimie sans valeur") alla quale sente di rivoltarsi pieno di risentimenti ("il n'est plus possible de se soumettre... brume de remords"). A questo punto il viaggiatore si fa profeta, e immagina un futuro di disastri cosmici ("de la plante emporte, et des exterminations consquentes") preannunciati ("indiques dans la Bible"). Rimbaud afferma che la sua visione non falsa e che la grande catastrofe avverr ("ce ne sera point un effet de lgende!") Nota 1. "les Nornes": sono le Parche della mitologia scandinava, legate a una visione della fine del mondo.

Bottom. La parola inglese "bottom" significa "la parte pi bassa di una cosa", ed usata familiarmente per indicare il "sedere". Di qui il carattere chiaramente erotico della poesia, associata a una metamorfosi bestiale. Ma Bottom anche il personaggio del "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare, lo spasimante della regina Titania, il quale sogna di diventarne l'amante, ma risvegliatosi, subisce una trasformazione del desiderio diventando invece un asino. E' chiaro dunque che "Madame" non si riferisce alla vedova di Milano o a quella di Londra (!), che Rimbaud avrebbe conosciuto secondo Verlaine, bens a quella simbolica donna del desiderio, creatura carnale irraggiungibile e quindi umiliante per un uomo dalle tendenze ("bottom") di Rimbaud. Sul testo sono state fatte inutili difficolt. Rimbaud immagina di trovarsi nell'appartamento di una Signora e ha la sua prima metamorfosi in un grande uccello. (il volo non forse una metafora del sogno di desiderio?) Nella seconda metamorfosi egli diventa un grosso orso, un oggetto al servizio della Signora, e precisamente uno di quegli scendiletti ("au pied du baldaquin") fatti con l'animale imbalsamato, le fauci spalancate ("aux gencives violettes"), la pelliccia scolorita ("au poil chenu de chagrin"), gli occhi di vetro fissi nel vuoto ("les yeux aux cristaux et aux argents des consoles"). E' l'umiliazione, l'impotenza. La terza metamorfosi avviene quando l'uomo all'alba fugge dalla stanza e si ritrova all'aria aperta nella sua solitaria libert. E' il fallimento dell'atto sessuale, ma Rimbaud lo compensa vivendo un mito itifallico: diventa un asino lubrico. E il fantastico membro (ne, claironnant et brandissant mon grief"), il reclamo sfoderato come una tromba, verr soddsfatto da un assalto di prostitute ("les Sabines de la banlieue"). Nota 1. "acquarium ardent": logico che un uomo, l'occhio intorbidito dalla brama, possa vedere la camera da letto dell'amante come fosse immersa in una vaporosit ardente e ombrosa. Non si capisce questo primo acquario illuminato dalla luce elettrica, al Cristal Palace di Londra nel 1872, che avrebbe colpito Rimbaud, in visita alla capitale inglese (!) (Underwood), se non come un esempio di quelle pedanterie che costellano i commentari dell'opera di un poeta, spesso inafferrabile qual era Rimbaud.

H. Rimbaud ci sottopone un enigma. Descrive una scena allusiva, ce ne nasconde il significato, forse ritenendolo sconveniente, e ci stimola a decifrarne il protagonista. Chi Hortensia? ("trouvez Hortense"). Ora, se consideriamo che un omosessuale tende talvolta a immedesimarsi in una figura femminile (cfr. "Fairy") dandosi un nome di donna, si pu ragionevolmente supporre che, scartata ogni stravagante soluzione ("Hortense - simbolo", "Hortense - anagramma" di Eros e then, "Hortense - cortigiana", eccetera), anche Rimbaud non abbia fatto eccezione. E se Hortensa non altri che il giovinetto di Charleville, allora la chiave senza ombra di dubbio la masturbazione, come del resto tienne e Gauclre ritengono. Nota 1. "Toutes les monstruosits violent les gestes atroces d'Hortense": Rimbaud intende dire che le mostruosit della morale corrente condannano, rendendo atroce il suo gesto solitario. Nota 2. "Sa solitude est la mcanique rotique": Rimbaud si sente dunque costretto alla solitudine, la quale produce fatalmente un automatismo erotico. Nota 3. "Sa lassitude, la dynamique amoureuse": un atto sessuale, la cui abitudine porta a una particolare spossatezza fisica. Nota 4. "Sous la surveillance d'une enfance": su questa frase i commentatori si sono sbizzarriti inutilmente. A parer mio inequivocabile: Rimbaud era ancora un ragazzo, ed proprio nell'adolescenza che si scoprono e si sorvegliano i primi moti dell'eros. Nota 5. "elle a t, des poques nombreuses, l'ardente hygine des races": la masturbazione, secondo Rmbaud avrebbe sempre risolto presso i popoli grandi problemi sociali (demografia, violenza, crimini sessuali). Nota 6. "Sa porte est ouverte la misre": l'amore solitario non costa niente, anche i poveri vi possono tranquillamente accedere. Nota 7. "L, la moralit des tres actuels se dcorpore en sa passion ou en son action": in quest'atto voluttuoso un uomo alleggerisce il proprio obbligo morale spargendo il proprio seme, ossia scorporandolo. Nota 8. "... frisson des amour novices": il brivido terribile che suscitano i primi orgasmi infantili. Nota 9. "... sur le sol sanglant": sinonimo di imbrattato, colante, ferito. Se si pensa all'esplicito collegamento di questo fremito erotico che si scarica sul pavimento della stanza del ragazzo, insudiciandolo (nell'immaginazione di Rimbaud la macchia di sperma qui si drammatizza come se il suolo sanguinasse per una ferita), ci si domanda come abbiano potuto aver credito le pi strampalate interpretazioni. Yves Demis (art. su La Brche, novembre 1965) addirittura scrive: Solo gli esseri forti, liberi e felici, dovrebbero avere accesso a Hortense, ossia a quell'amore che nei tempi primitivi si faceva pubblicamente ("sous la surveillance d'un enfance"). Gli uomini attuali non fanno che sprofondare nella fornicazone ("... tres actuels se dcorpore en sa passion"). Dov' il tempo degli amori senza rimorso, sulla terra un tempo cos accogliente, ma oggi insanguinata dalla guerra? ("sur le sol sanglant)" (!) Nota 10. "par l'hydrogne clarteux": semplicemente la lampada a gas che illumina la stanza. Clarteux nel dialetto della Mosella, sta per clart.

Movimento. Mi pare sensato accettare la lezione di Adam, il quale, escludendo ogni riferimento alla coppia Verlaine-Rimbaud ("Un couple de jeunesse"), al fiume Escaut, e al loro viaggio nel Mare del Nord il 26 marzo 1873, o a una loro traversata in battello da Anversa a Londra, vede in Mouvement un significato puramente simbolico. I passeggeri evocati dal poema sono i nuovi "conquistadores" del mondo. Vanno in cerca, della fortuna ("les conqurants du monde cherchant la fortune"), e questa fortuna il progresso scientifico e tecnico ("chimique", "route hydraulique", "motrices", "accidents atmosphriques"). Naturalmente Rimbaud disapprova, ma capisce che nessuno pu impedirlo. Allora immagina due esseri giovani e puri che si tengono in disparte, e vivono nella nostalgia di una umanit primitiva. Per quanto riguarda la forma del poema, vale la nota di "Marine". In un certo senso si apparentano, e per i versi liberi e per le descrizioni di una navigazione.

Nota 1. "tambot": il "dritto di poppa", un sostegno del timone. Nota 2. "trombes du val": secondo S. Bernard le "cascate del fiume". Nota 3. "strom: in tedesco la "corrente marina". Nota 4. "se poste": significa "mettersi da parte", "appartarsi per osservare", quindi "nascondersi".

Devozione. Rimbaud innalza la sua preghiera muta e la indirizza con un seguito di invocazioni, ora sincere ora ironiche, a esseri e cose che ha conosciuto. Si parlato di fervida litania (S. Bernard), di divertimento parodistico (Margoni), di mistificazione (B. de Lacoste). Fu un testo molto amato dai surrealisti. Comunque sia, a mio avviso, l'interpretazione alta di Adam, il quale parla di sentimento profondo di adorazione suona falsa, mentre quella erotica di Faurisson la pi attraente, e forse la pi plausibile. "Faire ses dvotions" significherebbe masturbarsi e "soeur" indicherebbe ancora oggi il sesso maschile, nel linguaggio triviale dei ginnasiali. Faurisson e tiemble hanno proposto una serie di curiosi e osceni epigrammi per alcune frasi. "Lulu" sarebbe un nomignolo collegiale per il membro virile. "Culte" sarebbe l'onanismo, comune ai poveri (cfr. "H."), all'alto clero, agli adolescenti, ai vegliardi, agli eremiti, ai missionari... Malgrado lo si legga in questa chiave, il poema ha una sua religiosit profana che sgorga dal cuore e attraversa lo spazio verso un ignoto impenetrabile. Nota 1. "Soeur Louise Vanaen de Voringhem...": Voringhem il nome di una citt fiamminga sconosciuta. Louise Vanaen sarebbe, per A. Goldie, una suora conosciuta da Rimbaud all'ospedale Saint-Jean di Bruxelles, quando fu ferito da Verlaine nel luglio 1873 (?) Se accettiamo invece la versione di Faurisson, Rimbaud non fa che dare scherzosamente un nome al suo membro ("soeur") che vede come la cornetta girata verso il Nord di un naufrago ossia di chi sommerso da questo vizio. Nota 2. "Soeur Lonie Aubois d'Ashby...": Ashby il nome di pi di una localit inglese. Aubois, per Adam, sarebbe un'altra suora impiegata nel suddetto ospedale, ma addetta al reparto maternit ("Pour la fivre des mres et des enfants") (?). Alla luce di questa preghiera equivoca, simili interpretazioni suonano ridicole. Rimbaud ha in mente piuttosto quei giardini sporchi di escrementi coperti di mosche ("l'herbe d't bourdonnante et puante") dove i bambini vanno a nascondersi ("Baou" = "Bau Bau!") per masturbarsi ("soeur Lonie...") con un'agitazione ("pour le fivre") ben diversa da quella delle madri che li sorvegliano. Nota 3. "Lulu...": secondo Adam una donna saffica che si collegherebbe con il volume "Les Amies" di Verlaine, e che Rimbaud spedisce agli uomini perch la guariscano (?). Ma se "Lulu" ha il senso datogli da Faurisson, allora chiaro che per l'alunno il sesso nei collegi religiosi ("les oratoires... son ducation"), in un clima di rapporti omosessuali (infatti Rimbaud chiama gli amici le Amiche), abbia avuto connotati infernali ("dmon"). Nota 4. "A madame ***": provocazione ironica, a mio avviso. Rimbaud dedica a una donna qualsiasi quel "Lulu" che aveva sempre riservato per gli uomini ("Pour les hommes!"). Nota 5. "en telle place de culte": luogo dove si pratica l'onanismo ("culte") secondo la lezione di Faurisson, quindi alla memoria ("mmoriale") perch si riferisce anche a un'et infantile, passata. Nota 6. "notre propre vice srieux": questo "vizio serio" sembra ribadire il senso della nota precedente. Nota 7. "Circeto": sappiamo che Rimbaud come tutti i ragazzi ha il gusto della facezia nominale. Con una vaga eco mitologica (Circe, la maga) un'altra denominazione viene data al "solito oggetto di devozione"? Pu essere, se riteniamo con Faurisson che "altri ghiacci", "grassa come un pesce", "notte rossa", facciano parte di una simbologia erotica, ancorch oscura. Nota 8. ("Son coeur ambre et spunk"): questo "cuore color ambra" potrebbe confermare il carattere fallico di tutto il poema, se teniamo conto che "spunk" ("esca", in inglese) nell'uso popolare significa "sperma" ("The Engl. Dialect Dictionnary", J. Wright, 1904).

Nota 9. "Avec tous les airs...": aria sta qui per momento, circostanza, caso, occasione, clima (cfr. "Depart: tous les airs"; Rimbaud innalza la sua preghiera ad ogni costo e in ogni occasione, purch non si tratti di ritornare alla religione che soffoc la sua infanzia ("Plus alors").

Democrazia. Nelle "Illuminations" ci siamo imbattuti sovente nelle riprovazioni di Rimbaud per la civilt occidentale. Anche quest'invettiva contro la democrazia industriale e colonialista s'inserisce in questi testi. Rimbaud evoca il suo passaggio nella Legione Straniera olandese, a Giava, nel 1876. Questi uomini brutali sono i legionari. Sono incaricati di soffocare una rivolta che lo sfruttamento coloniale rende logica. E' naturale che la loro presenza nella citt favorisca la prostituzione (Adam). Nota 1. "Le drapeau va au paysage immonde, et notre patois touffe le tambour": la reazione colonizzatrice ("le drapeau") occupa un paese miserabile ("immonde") e il nostro parlare, ossia il nostro stile ("notre patois") distrugge la tradizione, i costumi delle popolazioni indigene ("le tambour"). Nota 2. "Aux centres nous alimenterons...": per Rimbaud i mercenari s'identificano con tutti gli occidentali, i quali nelle citt occupate corrompono e massacrano. Nota 3. "les pays poivrs et dtremps!": (cfr. "Vies: les plaines poivres". Si tratta verosimilmente di una terra esotica, di spezie, un paese orientale. Nota 4. "Conscrits de bon vouloir": soldati volontari ("di buona volont" ironico). Nota 5. "la crevaison pour le monde qui va": per Rimbaud creperemo tutti quanti noi colonialisti, per un mondo futuro mostruoso, non soltanto i legionari, strumenti di sfruttamento industriale e militare. Nota 6. "C'est la vraie marche...": E' il vero cammino... (chiaramente ironico). Il disastroso progresso ("En avant, route!")

Genio. Chi il Genio? Il Cristo (Delahaye)? Lo spirito demiurgico del Veggente (de Renville, Matucci)? Il nuovo amore rigeneratore che troviamo nella visione romantica della Storia di Michelet o di Quinet (Adam)? o in quella degli illuminati progressisti Vermersch, Valls, del '70 (S. Bernard)? O semplicemente un simbolo della vita universale (Dhtel)? Scartata la prima ipotesi, tutte le altre possono essere fondate, dice Margoni. E la sua spiegazione oltremodo convincente. Rimbaud avrebbe qui sintetizzato quel suo afflato messianico - palingenetco, sotto l'influenza di un pensiero esoterico; si sarebbe addirittura identificato con il Genio, in quanto sintesi delle sue aspirazioni e dei suoi grandi progetti. "Genie" dunque la sublimazione dei desideri frustrati, l'incandescente soffio spiritualista che incenerisce tutto quello che il poeta non ama: societ, religione, morale borghese. Rimbaud invoca un regno dell'Amore, della luce. Nota 1. "Et si l'Adoration s'en va, sonne, sa promesse sonne...": Certo. Via il fanatismo religioso, la superstizione, il vecchiume retorico della famiglia ("ces mnages"), il nuovo Amore annuncer la sua venuta, su questo mondo che affondato ("cette poque - ci qui a sombr!") Nota 2. "Il ne s'en ira pas, il ne redescendra pas d'un ciel...": questo Spirito Universale non far il percorso del Cristo ("n'accomplira pas la rdemption", eccetera). Nota 3. "Car c'est fait, lui tant, et tant aim": tutto gi stato fatto, dall'eternit, perci questo amore , e da sempre. Nota 4. "l'orgueil plus bienveillant que les charits perdues": l'orgoglio sar preferibile alla carit impotente del cristianesimo. Nota 5. "le chant clair des malheurs nouveaux!": l'avvenire non sar roseo, ma comunque pi chiaro, liberato dalla religione.

Una stagione all'inferno.

"Une Saison en Enfer" l'unica opera di Rimbaud pubblicata da lui stesso. Fra agosto e settembre 1873 egli si era messo in rapporto con un editore di Bruxelles, l'Alliance-typographique. La signora Rimbaud aveva acconsentito a pagare le spese dell'edizione, convinta dal figlio che l'opera gli avrebbe assicurato la gloria. Quando Rimbaud torn in Francia con le sue copie d'autore, ne distribu a pochi amici. Verlaine ebbe la sua nella prigione di Mons, poi Delahaye, Miflot, Richepin, Forain. Ma per una ragione sconosciuta Rimbaud non pag il saldo delle 500 copie stampate, e queste rimasero nei depositi dell'editore. Il poeta ben presto se ne disinteress. Solo nel 1901, Losseau, un bibliofilo belga, le trov per caso e rivel la sua scoperta. Rimbaud aveva fatto apporre sul testo del suo capolavoro: aprileagosto 1873. L'indicazione non lascia dubbi sulla data della composizione che, secondo un ritratto, disegnato da Verlaine, di Rimbaud al tavolo di un "public house", sarebbe avvenuta proprio tra la crisi di Londra e il dramma di Bruxelles. Le interminabili discussioni dei critici sulla cronologia della Saison sono prive d'interesse, se pensiamo che le parole stesse di stagione all'inferno non troverebbero migliore allusione che a quel drammatico periodo del "mnage" Verlaine-Rimbaud. Adam sostiene, forte di una lettera a Delahaye (maggio 1873), che Rmbaud lavorava a delle "storielle in prosa" intitolate "Livre paen" o "Livre ngre", e che codesti primi abbozzi sarebbero poi stati utilizzati da Rimbaud per la sua opera definitiva. Tuttavia "Une Saison en Enfer", pur presentandosi in una successione di prose frammentarie, legata in tutte le sue parti da una grande idea unitaria. E' la recita di una stagione che ha sconvolto la vita di Rimbaud, portandolo quasi al delitto e alla morte. Aveva provato gioia per la vita, ma in seguito, rifiutando ogni valore, aveva scelto il salto fuori dalla realt, e si era dato all'inferno. Poi, un giorno si era risvegliato e aveva riaccettato la vita e i suoi errori. Quest'itinerario viene descritto in "Prludes", in "Mauvais sang", in "Nuit de l'enfer". Del suo periodo infernale Rimbaud ci d alcune pagine del suo taccuino di dannato. Lo intitola "Dlires" sapendo di aver sfiorato la follia. E' qui il punto culminante della "Saison". Poi il ritorno progressivo alla ragione attraverso le disperazioni. "L'Impossibile" il sogno della saggezza orientale, le chimere della scienza e della religione. "L'clair" l'idea della vanit del tutto, la rivolta, il misticismo. In "Matin" le prospettive a poco a poco si rischiarano, e nella notte deserta gli occhi di Rmbaud restano fissi sulla stella. Nell'"Adieu" il dramma ha fine, la via ritrovata, Rimbaud capisce la vera legge, ha un dovere da compiere, ogni giorno, umile e serio. La lotta si conclusa e l'aurora si alza. *** In questo preludio Rimbaud traccia l'itinerario della sua avventura trascorsa, alcuni dicono, a Bruxelles, altri a Londra. La questione cronologica non essenziale. Il testo si fa leggere chiaramente: gioia per la vita all'inizio e poi il rifiuto della Bellezza. In seguito rivolta contro l'ordine sociale, fuga e rifiuto della speranza. Quindi, per concludere, rinuncia alla rivolta e tentazione di gustare nuovamente gli antichi piaceri. Ma ecco ch'egli si ridesta. Sente di appartenere al Male, e scrive il suo taccuino di dannato. Nota 1. "j'ai assis la Beaut... et je l'ai injurie": l'idea che si tratti (Adam, Bernard) della rivolta contro l'estetismo poetico dei Parnassiani (1871), mi pare riduttivo. Direi piuttosto che la Bellezza va presa qui in senso di Arte, in generale. Rimbaud negli appunti dell'"Alchimie" scriveva: Ora posso dire che l'arte una stupidaggine. In tal senso la Bellezza amara, non basta per rivoltarsi contro la condizione umana, essa delude. Infatti egli si arma contro l'ordine sociale ("la justice"), e a questa serve solo un opzione etica definitiva. Nota 2. "O sorcires": Rimbaud aveva letto "La Sorcire" di Michelet. Per lui la strega il simbolo dell'essere che l'ordine sociale ha condannato. Nota 3. "j'ai appel les bourreaux... Et j'ai jou de bons tours la folie": la descrizione della suprema abiezione coltivata da Rimbaud nella crisi del maggio 1871.

Nota 4. "... l'affreux rire de l'idiot": Rimbaud ha la coscienza che ogni sregolatezza approda alla follia e all'idiozia. Nota 5. "Couac": crac, fallimento, capitombolo. Il periodo di Londra, di Bruxelles? Nota 6. "la clef du festin ancien... la charit est cette clef: cette inspiration prouve que j'ai rv!": l'antico festino l'innocenza infantile che Rimbaud ha cercato di ritrovare per salvarsi dal crac, attraverso una chiave, quella della carit cristiana, ma subito annullata sarcasticamente ("j'ai rv"). Nota 7. Tu resteras hyne. .. et tous les pchs capitaux: Rimbaud accetta pienamente il peccato. Raggiunger la morte. Nota 8. "Cher Satan, je vous en conjure... vous qui aimez dans l'crivain... je vous dtache...":Gengoux sostiene, riferendosi al "Satanique docteur" delle "Illuminazioni", che anche questo "Caro Satana" sia Verlaine, poich la frase seguente caratterizza bene la poetica dell'amico di Rimbaud e "le piccole vilt ritardatarie" indicherebbero le bassezze postume di una violenta relazione amorosa dissolta rovinosamente. Adam del parere completamente opposto: quasi sdegnato dall'ipotesi Satana-Verlaine, afferma che una poesia descrittiva ("facults descriptives") suppone l'accettazione della vita, e una poesia didattica ("facults instructives") suppone valori morali, e che Rimbaud e il suo maestro Satana, le rifiutano entrambi ("vous qui aimez dans l'crivain l'absence..."); e conclude: - Che c'entra qui Verlaine? Personalmente propendo per la lezione di Gengoux.

Cattivo sangue. 1. Rimbaud scopre la propria natura nell'esistenza di una razza della Francia antica, ieri sottomessa, ma fedele alle proprie tradizioni millenarie che il cristianesimo non riuscito a scalfire. Egli sa che deve ai Galli i suoi occhi azzurri, e tutti i suoi vizi. A quegli uomini del Medioevo, crociati e conquistatori dell'Oriente, egli deve il suo spirito vagabondo, le sue tendenze mistiche, la sua attrazione per il Diavolo: crede dei suoi antenati, di una razza inferiore, che s'inteneriva sul Crocifisso o sulla Vergine Maria, e allo stesso tempo si dedicava ai Sabba. In questa genealogia delle barbarie, in cui Rimbaud si attribuisce con un vero gusto della perfidia (cfr. "Honte") tutti gli orrori morali, ferocia, lussuria, menzogna, affiorano alcuni suoi temi fondamentali: l'odio atavico del lavoro, la repulsione per la Scienza e il Progresso borghese, l'antipatia per il cristianesimo, diritto minaccioso e sterilizzante sulla vita e la libert. Nota 1. "Pas une famille d'Europe que je ne connaisse...": Rimbaud ha capito le leggi ipocrite che fanno agire i popoli d'Europa. Egli si sente sempre pi anarchico. Il suo disprezzo per questi figli di famiglia (come la sua) dichiarato. 2.. Dopo aver descritto la propria ascendenza, Rimbaud evoca un passato di cui si sente prigioniero, ma spiega la sua identit presente. Alla fine egli si pone solitario di fronte a un mondo nuovo che sta per nascere. Nota 1. "Si j'avais des antcdentes... Mais non, rien": Rimbaud vuol dire che nessun uomo degno di tal nome pu figurare tra i suoi antenati. Nota 2. "je ne puis comprendre la rvolte": Rimbaud non capisce la rivolta, nel senso di lottare per creare un ordine nuovo. Nota 3. "Byzance... Solyme": la strada delle crociate, Gerusalemme. Nota 4. "Qu'tais-ie au sicle dernier. ie ne me retrouve qu'aujourd'hui": nel mondo moderno, nel regno della ragione, nel trionfo della scienza. Nota 5. "Oh! la science!...": i nuovi valori hanno sostituito i vecchi. Una volta la vita dello spirito era il divertimento dei signori, oggi la scienza diventata popolare, accessibile a tutti. L'ironia qui palese. Nota 6. "C'est la vision des nombres. Nous allons l'Esprit": Numeri e Spirito sono termini del sapere mistico, della liberazione spirituale che Rimbaud profetizza per il mondo futuro, pur essendo incapace di esprimere questa palingenesi senza parole iniziatiche ("paennes").

3. In questo mondo moderno Rimbaud ha creduto di poter trovare il suo posto. Ma non l'ha trovato. Non gli resta che partire per grandi viaggi e andare a vivere in mezzo a popoli primitivi. Quando ritorner, sar abbastanza forte per dominare questa societ abietta. E si salver. Nota 1. "Le sang paen revient! L'Esprit est proche...": N il Vangelo, n il Cristo sono in grado di aiutare Rimbaud a ricevere lo Spirito che sta per ritornare. Se questo "Esprit" lo spirito universale della tradizione misteriosofica antica (cfr. "Genie" nelle "Illuminazioni") non pu esser certo l'"esprit du Christ" come sostiene Adam. Del resto se questo "sangue pagano" (la spiritualit precristiana), prossimo, Rmbaud si domanda, sospirando, perch non pu trovare nell'era del Cristo, quella nobilt e libert dell'anima, adatte a riceverlo. Chiede aiuto, ma la parola evangelica gi svanita. Nota 2. "La plage armoricaine": le spiagge della Bretagna (Armor). Nota 3. "... retour des pays chauds": Rimbaud anticipa, da vero veggente, il suo futuro: i paesi lontani, l'oro guadagnato, il ritorno del feroce infermo! 4. Rimbaud aveva annunciato la sua partenza, ma non parte pi, non pu liberarsi. Egli non sa pi quale senso dare alla sua vita. Al tempo stesso si sente spinto verso il peccato, e verso le altezze della perfezione e della carit. Il suo strazio impotente. Esiste un brogliaccio della quarta parte di "Mauvais Sang", dove gi si ritrova l'idea fondamentale del poema: l'insabbiamento e la rassegnazione alla disfatta. Nota 1. "charg de mon vice": alcuni commentatori credono che sia l'omosessualit di Rimbaud. Altri propendono, e forse hanno ragione per il Male, sotto ogni forma, al quale fin dalla sua infanzia Rimbaud era attratto dalla sua rivolta, e che implica un conflitto interiore tra vizio e virt assai pi generale. Nota 2. "A qui me louer?, - Dans quel sang marcher?": ogni scelta violenta gli si offre. E' in imbarazzo sulla propria decisione. Nota 3. "ici-bas, pourtant!": da intendersi, dopo il suo slancio verso la perfezione, come una messa in guardia dal ricadere nelle vecchie credenze. Nota 4."suis-je bte?": dopo tanta aspirazione alla carit, ritorna il sogghigno. Rimbaud si giudica stupido a prendere certi atteggiamenti. 5. Il pi bel poema di "Mauvais Sang". Rimbaud ricorda i suoi sogni di fuorilegge che popolavano la sua infanzia, ricorda i suoi viaggi a Parigi d'inverno, il freddo, l'atroce indigenza, evoca l'incendio della citt nella settimana di sangue, durante la Commune. Egli s'immagina di trovarsi di fronte al plotone d'esecuzione al tempo della feroce repressione. Immagina di essere un figlio di Cam, un negro in faccia ai Bianchi che stanno sbarcando per conquistare il paese. E' una splendida visione liberatrice, in cui Rimbaud cerca nelle profondit del suo spirito contraddittorio il nuovo empito che colmi la sua anima assetata di giustizia. Nota 1. "Et, lui seul! pour tmoin de sa gloire et de sa raison": Rimbaud non aderir mai ai valori della societ. La sua gloria e la sua ragione sono tutte in lui stesso. Nota 2. "Sur les routes... au matin j'avais le regard si perdu...": alla fine di febbraio 1871, Rmbaud si trovava a Parigi, in un'atroce miseria, affamato, andava a dormire sulle banchine e nei barconi. Quando torn a Charleville, nel mese di marzo, era uno straccione ammalato. Nota 3. "je voyais une mer de flammes et de fume au ciel": difficile stabilire se Rimbaud fu davvero presente alla settimana di sangue a Parigi oppure se la descrizione dello spettacolo degli incendi gli fu ispirata dai giornali. In ogni caso Rimbaud si sempre immaginata una grande citt moderna "dal cielo macchiato di fuoco e di fango" (cfr. "Adieu"). (Cfr. anche in "Enfance: La boue est rouge et noire"). Nota 4. "je suis une brute... un bte, un ngre": Rimbaud s'incarna nel simbolo di un rifiuto della societ, ma di quella societ della morale borghese e cristiana che disprezza e odia, quindi per antinomia "un nobile rifiuto". Nota 5. "Vous tes des faux ngres...": i falsi negri sono i rappresentanti di questa societ ("il mercante", "il magistrato", "il generale") che la reggono con mille mistificazioni ("maniaci", "feroci", "avari"). In una lettera del 25

febbraio 1890, Rimbaud parla dei "negri-bianchi dei paesi cosiddetti civilizzati". Nota 6. "Empereur, vieille dmangeaison": Cfr. Victor Hugo, nella "Lgende des sicles". Un paladino, in "Eviradnus", dice: Non hai forse unghie, vile mandria, (ossia il popolo) - per quei pruriti da imperatori (da grattarti) sulla tua pelle. Nota 7. "Infirmes et vieillards...": il popolo miserabile incapace di rivoltarsi, fatto per essere sfruttato " tre bouillis"). Meglio per uno come Rimbaud andarsene via dall'Europa ("quitter ce continent") e rifugiarsi nel paese primitivo non ancora raggiunto dalla maledizione della civilt ("vrai royaume des enfants de Cham"). Nota 8. "Plus de mots. J'ensevelis les morts dans mon ventre. Cris, tambour, danse...": Rimbaud entra in un mondo cos primordiale che il linguaggio umano, ovvero la menzogna, vi sconosciuto. L si mangiano i morti, si cannibali e non ci sono che gridi e danze, in attesa dell'arrivo dell'uomo bianco che ti annienter. 6. Il paese ideale, primitivo, stato conquistato, colonizzato, civilizzato dai bianchi con la violenza ("il cannone!") Rmbaud, spesso contraddittorio, si sente per un momento nuovamente amico della vita. E' pronto ad aderire all'ordine nuovo. Non si sente colpevole del proprio passato. Si riconcilia con i suoi simili. Guarda in faccia all'avvenire con una serenit disperata. Questo attimo di accettazione mosso dal suo ricorrente spirito messianico. Non sono d'accordo con i commentatori che vedono in questa parte una parodia della conversione. Nota 1. "je n'ai point fait le mal": questa frase di ingenua confessione presa con le seguenti: ("la nature n'est qu'un spectacle de bont") ("Dieu fait ma force") ("ce ne sont plus des promesses d'enfance"), eccetera ribadiscono la sincerit dei suoi sentimenti, ancorch passeggeri, e non un'intenzione ironica come crede S. Bernard. 7. Rimbaud non rinnega affatto ci che ha appena detto. Bernard parla di rifiuto definitivo del cristianesimo in toni sarcastici, ma in errore. Dice bene Adam: Rimbaud si sente guarito dalla sua malattia, quella noia che lo perseguita fin dall'infanzia, e liberato dalla sua follia, guarda in faccia la situazione nuova. Ma egli non si abbassa a un cristianesimo dove il Cristo recita il ruolo ridicolo di "suocero", nonostante non accetti di farsi imprigionare dalla propria ragione. Egli vuole la salvezza, ma nella libert, fuori dall'ordine sociale, dalla famiglia, dal lavoro, dalla religione convenzionale. Tutta la vita una farsa, e che gli altri la recitino pure! Nota 1. "Les saints!... des artistes comme il n'en faut plus": il mondo presente non ne vuol pi sapere di loro, perch non sono come la massa dei mediocri. 8. Rimbaud che si sente perpetuamente in lotta, usa qui una metafora: pensa ai combattimenti della Commune, e si vede debole in mezzo a uomini coraggiosi, ai quali chiede di esser fucilato, altrimenti non gli resterebbe che farsi calpestare dai cavalli. Dopo il momento di esaltazione Rimbaud cambia registro, all'improvviso, secondo i suoi noti sussulti psicologici, e si rassegna ironicamente alla propria disfatta. L'ignobile pace viene ristabilita "la pace alla francese"; bisogna abituarvisi.

Notte d'inferno. Al suo ritorno nelle Ardenne nell'aprile 1873, Rimbaud non pi l'ateo forsennato, sente in lui un certo misticismo profondo, atavico. Non indifferente alla prima conversione religiosa di Verlaine. Infatti intitoler inizialmente "Nuit d'enfer", "Fausse conversion", in cui ha evocato le settimane infernali di Londra; qui ha ingoiato una dose troppo forte di "veleno", la morale della crudelt, della rivolta, la cultura di tutti i vizi che lo aveva portato, in compagnia dell'amico, a un disastro tanto crudele. Della sua caduta, Rimbaud rende responsabile Verlaine che chiaramente chiama "Le Damn", e che, nella prima redazione del testo, lega a immagini che si

riferiscono al poeta delle "Romances sans paroles" ("les musiques naves"), del "Crimen amoris" ("les mysticismes", "les parfums faux"). "Nuit de l'enfer", un poema caotico e disperato: frasi incoerenti, gridi, certezze, allucinazioni, sogni di dominio o di evasione, voci ghignanti di Satana, e sempre quel complesso del peccato inculcato nel fanciullo che la causa di ogni male ("l'enfer ne peut attaquer les paens"). Alla fine, l'ammissione della disfatta, il ritorno all'abiezione ("c'est le feu qui se relve avec son damn"). Nota 1. "j'ai aval une fameuse gorge de poison": tutti si sono sbizzarriti a dare una spiegazione a questo veleno. Sarebbe il bicchiere d'alcool ingoiato dopo il colpo di pistola a Bruxelles; il veleno del dubbio; il calice di ignominia; il veleno della fede cristiana; la droga. Mi pare l'interpretazione di Adam la pi ampia e quindi la pi accettabile: per finire all'Inferno Rimbaud ha accolto in s tutte le forze malvage che hanno provocato la sua ricaduta. Nota 2. "Satan...": Satana non certo Verlaine, ma la voce interiore di Rimbaud che gli dice che la sua collera sciocca, e il fuoco del rimorso ignobile. Nota 3. "Le clair de lune quand le clocher sonnait douze...": il corsivo nel testo segnala che si tratta di una citazione. Ma se si considera che questo verso si trova testualmente in "Lunes" di Verlaine, sussiste un problema ancora irrisolto, ma non necessario: Rimbaud che cita Verlaine, o viceversa? Nota 4. "Les hallucinations sont innombrables": frase che rafforzerebbe l'opinione di alcuni sulle allucinazioni artificiali di Rmbaud, tuttavia nel testo non vi nulla che lo confermi. Ragion per cui mi pare pi giusto supporre qui una corrispondenza con quelle forze profonde e spontanee che Rimbaud possedeva fin dalla sua infanzia. Nota 5. "Satan, Ferdinand": secondo Delahaye i contadini di Vouziers, nelle Ardenne, cos chiamavano il diavolo. Nota 6. "Jsus marche... La lanterne nous le montra...": seguo la lezione di Adam: E con la lanterna magica, che la scena di Gesti che cammina sulle acque fu mostrata al piccolo Rimbaud. Per il fatto che la scena evangelica, secondo San Giovanni, si svolge di notte, Rimbaud parlerebbe di una "lanterna", pensano alcuni commentatori (!) Nota 7. "Que je plonge la recherche de l'anneau?": eccoci di nuovo alle prese con certe stiracchiature nterpretative (l'anello del mago Merlino, l'anello dei Nibelunghi, l'anello dell'oro alchemico, eccetera). Ma il semplice gioco dell'anello da cercare in fondo all'acqua ("que je plonge") dove ovviamente si sparisce alla vista ("que je disparesse") ben conosciuto. Nota 8. "Ah! mon chteau, ma Saxe, mon bois de saules!": sono i sogni della sua infanzia, che lo avevano reso felice. Perch dovrebbero essere delle allucinazioni da intossicazione di oppio o ascisc?

Deliri. VERGINE STOLTA: "L'poux infernale". E' il pi celebre capitolo della "Saison". E sempre stato considerato come la testimonianza pi importante della relazione Verlaine-Rimbaud. Verlaine ("la Vierge folle") racconta la sua drammatica avventura sentimentale in compagnia di Rimbaud ("l'poux infernale"). Attraverso il monologo tormentato del "compagnon d'enfer", Rimbaud tratteggia il proprio drammatico profilo. Il lamento di Verlaine, lacrimoso e sensuale, su se stesso, si fa via via pi lacerante, mentre l'esperienza di Rimbaud, attraverso abissi di angoscia amorosa e di terrore, diventa una vera tragedia. M. Ruff ci d una versione del tutto opposta e astratta: lo sposo infernale e la Vergine folle significherebbero in realt le due voci che parlano nel cuore di Rimbaud. La Vergine stolta (come quella della parabola evangelica) l'anima fanciulla di Rimbaud, l'anima tenera, passiva alla vita. Lo sposo infernale si presenta a lei con delicatezze misteriose, la seconda anima di Rimbaud, quella che gl'insegna a disdegnare l'amore degli uomini volgari, ossia la donna. Essa insieme il genio del Male e del Bene, che gli fa sognare una nuova umanit, e lo esalta al crimine e alla carit, all'abiezione e alla purezza. Ma un gorgo profondo e infinito attira l'essere umano verso tutto ci che l'oltrepassa e finisce per distruggerlo. Sinceramente propendo per la prima interpretazione, quella classica, forte del fatto che un ragazzo, pur del genio visionario di Rimbaud, sarebbe pi portato,

dopo un'esperienza traumatica come quella avuta con Verlaine, a tradurla in un "delirio" reale, anche se mitizzato, piuttosto che in un'allegoria filosofica. Nota 1. "compagnon d'enfer": Verlaine. Nota 2. "O divin poux, mon Seigneur": ovviamente Dio, in opposizione allo Sposo infernale. Nota 3. "O mes amies!": sono le altre Vergini stolte. Nota 4. "Mais moi...": sono io dice la Vergine Stolta, io, Verlaine. Nota 5. "je suis veuve...": allusione alla separazione di Verlaine dalla moglie? Alle "Mmoires d'un veuf" del poeta? Al sentimento di vedovanza che Verlaine aveva provato prima dell'incontro con Rimbaud? Nota 6. "L'amour est reinventer": il leit-motiv del Rimbaud ribelle alla natura umana, misogino, ambiguo, al pari di certo idealismo tardoromantco (Beaudelaire, Corbire, Laforgue, Lautramont). Nota 7. "mes pres taient Scandinaves": riappare la leggendaria genealogia barbarica (cfr. "Mauvais sang"). Nota 8. "Nous nous roulions, je luttais avec lui! - Les nuits, souvent, ivre...": un'evocazione delle notti di Verlaine con il suo amico a Londra. Nota 9. "Parfois il parle...: il feignait d'tre clair.. je le suivais, il le faut!": tutto il periodo allude a Rimbaud. Verlaine lo vede con grande tenerezza in tutte le sue migliori qualit, solidale con i derelitti, sensibile, fino al pianto, a tutte le miserie della vita. E non pu fare a meno di seguire questo "sposo infernale" che si rivela in fondo un angelo di bont ("il avait la piti d'une mre mchante pour les petits enfants"). Nota 10. "A ct de son cher corps endormi": la frase, dopo "les bouges o nous nous enivrions...", che prova senz'ombra di dubbio che tutto il testo si riferisce al rapporto intimo fra i due poeti (cfr. il verso di Verlaine: "Ce soir, je m'tais pench sur ton sommeil"). Nota 11. "Avec ses baisers et ses traintes amies": altro argomento che toglie definitivamente credibilit alla pudibonda versione di M. Ruff, avallata da Adam. Nota 12. "mes bras sous ton cou... cette bouche sur tes yeux": altro che le due anime che Rimbaud, sdoppiato, porterebbe dentro se stesso! (Adam). Nota 13. "Oh! la vie d'aventures qui existe dans les livres des enfants": Verlaine si ricorda delle sue letture infantili, e spera che il suo "Sposo infernale" lo porti a quella vita libera che sognava. Nota 14. "S'il doit remonter un ciel": logico che Verlaine pensi che un giorno il ragazzo sparir ("il disparaitra") e torner a un mondo di sogni, il suo mondo ("un ciel".

Deliri. 2. ALCHIMIA DEL VERBO Rimbaud racconta la sua storia poetica ed evoca subito le tappe che lo porteranno alla crisi decisiva. Egli inizia a prendere le distanze dalle forme della poesia contemporanea, creando un mondo di immagini libere e assolutamente nuove. Siamo nell'autunno del 1870. Egli inventa il colore delle vocali. Il senso di questa idea non tanto una scoperta metafisica quanto l'ambizione di creare un linguaggio, che produca delle sensazioni piuttosto che dei sentimenti. E una vera e propria estetica del meraviglioso. Cos nasce "Alchimie du verbe". Rimbaud porta fino in fondo la distruzione dei ruoli tradizionali e va a cercare come esempio i versi che aveva gi composto a quell'epoca. Rimbaud libera definitivamente la poesia dalla schiavit dell'esperienza e della ragione, per coltivarla nella pura visione (cfr. "Michel et Christine"). Questa novit poetica diventa per lui uno stile di pensiero e di vita. Delahaye ce lo descrive sonnambulo, vagabondo nei vicoli puzzolenti della citt, chiuso in spaventosi silenzi. Egli praticava tutti i sofismi della follia. Ma all'epoca di "Alchimie du verbe", egli condanna decisamente questa cultura dell'allucinazione, lungamente praticata fin dal 1871. ("L'histoire d'une de mes folies", la sua prima frase. L'ultima : "Cela s'est pass. Je sais aujourd'hui saluer la beaut"). Egli non chiede pi alla follia mistica di fornirgli un universo in cui vivere, ma la bellezza del mondo gli basta.

P. Petitfils ha dimostrato che certe differenze di testo fra i versi citati nel secondo "Dlires" e quelli dei manoscritti poetici non sono dovute a correzioni, bens a piccole mancanze di memoria, non avendo avuto Rimbaud sott'occhio i suoi autografi. Nota 1. "Gnral.. et que dissout un rayon!": il generale non altri che il sole, e tutto il periodo spiega chiaramente la sua azione luminosa e violenta sulle cose. Nota 2. "ce monsieur...": questo signore, che ironicamente Rimbaud chiama "monsieur" e non "seigneur", Dio, che "non sa quello che fa". Nota 3. "Cette famille...": Rimbaud disprezza l'umanit, "una nidiata di cani". Nota 4. "Ainsi, j'ai aim un porc": l'allusione ingiuriosa a Verlaine, sostenuta da alcuni commentatori, qui priva di senso. Rimbaud, dopo aver ricordato a qualcuno che esiste un'altra vita ("Devant plusieurs hommes, je causai... avec un moment d'une de leurs autres vies"), probabilmente rimane deluso dalla loro insensibilit, e preferisce cos rivolgere il suo amore a un essere ben pi vile ("un porc") nella scala animale, ma pi felice e innocente. Nota 5. "Cimmrie...": a detta degli antichi, era la terra favolosa delle brume, sede dei morti. Rimbaud si sente approdare a questa regione, dopo le sue esperienze di droga, di cui parla qui in modo esplicito. Nota 6. "L'arc-en-ciel": l'arcobaleno il simbolo della religione cristiana, dalla quale spesso Rimbaud si era sentito condannare. Nota 7. "Cela s'est pass. Je sais aujourd'hui saluer la beaut": un addio alla poesia di'tipo verlaniano (Bernard)? Un addio alla letteratura tout court (tiemble)? Un addio all'odioso stile allucinato (Adam)? A me pare semplicemente che Rimbaud si senta ridestare alla bellezza della vita, ormai liberato dal suo Infernoche tanti riflessi ha avuto sulla sua psiche ("les lans mystiques") e sulla sua poesia ("les bizareries de style"), e che ora odia ("Je hais"). (Per le poesie di "Derniers vers": "Larme", "Bonne pense du matin", "Chanson de la plus haute tour", "L'ternit", "Ftes de la faim"," Le loup criait...", " saisons, chateaux" - citate da Rimbaud in questa seconda parte dei "Dlires", valgono le note gi riferite ai rispettivi testi nella sezione delle Poesie).

L'Impossibile. E' il capitolo pi illuminante della "Saison" sul dramma intellettuale di Rimbaud e ci aiuta a capire come gli si presentava il problema della vita. Comincia con il disprezzo. Segue il sarcasmo sui suoi compagni di dannazione. Conclude con un attacco ai falsi eletti della societ. Il tema centrale la contrapposizione fra un Occidente borghese-cristiano, che attraverso la scienza ha generato il tipo d'uomo pi esecrato da Rimbaud (avvelenato dal buon senso pi fetido, dall'alcool, dal tabacco, dalle brume industriali, dallo scientismo sciocco, ecc.) e un Oriente mistico - salvatore, ch'egli vede come la sua vera patria. Tuttavia non facile per lui scampare alla sontuosa "aiuola dell'imbecillit occidentale". Alcuni sostengono che "L'Impossible" la prova che Rimbaud fu un iniziato ai libri sacri orientali e alla Cabbala. A parer mio non necessario conoscere testi misteriosofici per disprezzare il modo di pensare e di vivere dell'Occidente, e un'iniziazione esoterica ben altra cosa che non le letture casuali di un ragazzo. Nota 1. "... de nos femmes, aujourd'hui qu'elles sont si peu d'accord avec nous": Rimbaud aveva ragione di disprezzare quei benpensanti-parassiti ("ces bonshommes") sottomessi alle loro donne, che certo non approvano tutti quelli come lui, i ribelli ai valori sociali, i "damns". Secondo Adam questi dannati sarebbero solo i pederasti! Vale la pena di pensare che Rimbaud, cos feroce con la mentalit borghese, non indulgerebbe a fare del sarcasmo su simili interpretazioni moralistico-arroganti: Les pdrastes se reconnaissent toujours, et ils n'ont que dgout les uns pour les autres (sic!) Nota 2. "Les marchands, les nafs!": l'ironia palese, per "ingenui" s'intenda ipocriti. Nota 3. "Mais les lus...": leggi "faux lus" come sotto. Sono i ricchi e i potenti che Rimbaud detesta.

Nota 4. "M. Prudhomme...": il piccolo-borghese che sguazza nella sua religione, il cristianesimo. Nota 5. "Rien pour vous dans l'histoire des peuples orientaux": la Chiesa cerca di dissuadere Rimbaud dal suo sogno orientale, facendogli credere che nell'idea cristiana c' gi tutto quello che lui cerca, anche l'Eden, il paradiso perduto. Nota 6. "La science ne va pas assez vite pour nous": Rmbaud aveva gi attaccato l'orgoglio degli inventori, ragion per cui questa "scienza troppo lenta" (cfr. anche in "clair") va intesa come inadatta alla rapidit del desiderio di salvezza spirituale. Nota 7. "je voguerai en pleine sagesse!...": Rimbaud in questo slancio verso la "saggezza prima e eterna" sente di essere intralciato da errori commessi "in un'epoca immemorabile".

Il lampo. Dopo le tenebre de "L'Impossible" evocate, in cui Rimbaud cerca un appiglio nel suo abisso, ecco scintilla un lampo, l'idea che tutto non vano, che il lavoro umano illuminato dalla scienza dia un senso alla vita. E la prospettiva del mondo moderno. Ma ben presto riaffiora la disperazione. Alla lentezza dell'azione egli contrappone nuovamente la soluzione del sogno, della rivolta, della mistica e nostalgica infanzia, ma subentra alla fine un rigurgito d'indicibili tormenti. Crolla ogni speranza, Il lampo iniziale spento. Non c' cosa che porti alla felicit. La lotta ricomincia, ma non pi con la storia, con la morte. Nota 1. "Rien n'est vanit...": dice l'Ecclesiaste moderno, esattamente il contrario dell'Ecclesiaste antico, per il quale "Tutto vanit". Nota 2. "l-bas, par del la nuit, ces rcompenses futures... les chapponsnous?": queste gioie, oltre il buio della vita terrena, nell'aldl, le perderemo? Rimbaud ha fretta di ottenere queste ricompense ("Ah! vite, vite...), ma teme che gli sfuggano. Nota 3. "saltimbanque... prtre!": enumerazione di tutte le attitudini che egli assumer, poich obbligato a vivere ("Et nous existerons"). Reciter persino la parte del prete, con quella del mendicante, dell'artista e del bandito: il dileggio della religione della sua infanzia evidente ("l'odeur de l'encens m'est revenue"). Nota 4. "Sur mon lit d'hpital": E' la degenza all'ospedale di Londra di cui parla Izambard, o quella all'ospedale di Bruxelles dove Rimbaud fu curato dopo essere stato ferito dal colpo di pistola di Verlaine? Nota 5. "Chre pauvre me": l'anima stessa di Rimbaud, non certo Verlaine come alcuni vorrebbero credere.

Mattino. Nella "Saison" si prospetta finalmente un mattino chiaro. Rimbaud si domanda come abbia potuto precipitare nella disperazione. Egli esce dall'inferno. Un mondo nuovo sta per nascere, dove avr il suo posto anche lui. Al limite del deserto e della noia vede un Natale sorgere. Per l'umanit non pi tiranni e superstizioni, ma lavoro e saggezza: i popoli sono in marcia e i cieli cantano, gli schiavi non devono per maledire la vita. Tuttavia quest'alba di fraternit non che una speranza. La realt "non cambia". E' sempre la stessa notte. Invano gli occhi di Rimbaud guardano la stella, ma i re magi, che sono "il cuore, l'anima e lo spirito", non si muovono. Quando si realizzer questa speranza?

Addio. Rimbaud si sottrae alla disperazione, ma non per abbandonarsi alla fantasia. Bisogna sotterrare ricordi e immaginazioni. Gi a diciannove anni entra nel suo autunno, stagione che gli fa evocare le brume di Londra e il cielo fangoso. Non rimpiange il sole, poich ritrova la forza nella coscienza di scoprire "la chiarit divina". Si era creduto mago e angelo, esente da ogni morale, ed ecco che si ritrovava a terra, con un dovere da cercare. Aveva vissuto nell'immaginario, ed ecco che si

ritrovava "bifolco". Ora era solo e forte, senza un amico, non s'inteneriva pi per i diseredati della vita; si era liberato dalla carit, forse sorella della morte e della distruzione. Non gli resta pi nulla della tentazione religiosa. L'uomo, maestro di se stesso, non si lascia invadere dalle forze mortali dell'aldil. La lotta finita, il sangue si secca sul suo volto. L'aurora si alza. Rimbaud pronto a partire verso paesi lontani ("entreremo nelle splendide citt"), verso un avvenire di rigenerazione. Nota 1. "la cit norme...": Londra. Nota 2. "cette goule..." : vampiro, lmia. E' una metafora della miseria ("J'excre la misre") che regna su milioni di anime. Nota 3. "Je redoute l'hiver...": l'inverno esige un conforto e Rimbaud sprovvisto di danaro per procurarselo, teme dunque questa stagione. Nota 4. "Je n'ai rien derrire moi, que cet horrible arbrisseau!...": certi commentatori si abbandonano addirittura a interpretazioni bibliche (l'albero del Bene e del Male, il roveto di Mos). Quante volte Rimbaud ha dormito sotto le stelle ("dure nuit") nei suoi vagabondaggi, accanto a un "orribile arbusto", coricato in un campo! Nota 5. "l'enfer des femmes l-bas": Rmbaud si sente avvantaggiato di poter ridere dei normali amori "bugiardi"? Ha sempre rifiutato i comuni valori e condannato la donna. Ma alcuni intendono "quelle coppie bugiarde" come le relazioni omosessuali di cui Rimbaud riesce infine a liberarsi.

OPERE DIVERSE. Prose e versi francesi di collegio. PROLOGO: P. Berrichon riporta nella sua "Vie de Jean-Arthur Rimbaud 1897" il testo scolastico, datandolo 1862; in seguito ci dice ("A. Rimbaud le pote", 1912) che la narration fu redatta da Rimbaud all'istituto Rossat, fra l'ottobre 1862 e la Pasqua del 1865; infine egli ci d una terza indicazione: anno scolastico 1862-63. Generalmente si ammette che Rmbaud abbia scritto questo compito quando non aveva ancora compiuto nove anni. Tuttavia Adam si domanda: considerando che il quaderno contiene testi latini, il che fa pensare che l'alunno avesse gia cominciato i suoi studi latini, come possibile che Rimbaud, prima di entrare in collegio, sapesse gi di "Nabopolassar", di "Darius" e di "Alexandre", degli Imperi d'Oriente e della Grecia che formavano il programma di storia della sesta classe? Malgrado le discrepanze cronologiche, rimane la sbalorditiva precocit del ragazzo di Charleville, il suo carattere gi anticonformista, l'antipatia per il lavoro e la societ, che presto si riscontrer come uno dei temi dominanti di tutta la sua opera letteraria. "Prologue" la prima testimonianza della sua infanzia, che precede di pochi anni quelle poetiche di "Les Premiers Communions", "Les potes de sept ans", "Les remembrances du vieillard idiot". Nota 1. Secondo tiemble non si tratta di un tema in classe, ma di un lavoro di fantasia. La sorella Isabelle ammette che a quell'et, Arthur, scriveva racconti di avventura e di viaggi. Nota 2. "Nabopolassar": re babilonese, padre di Nabuccodonosor. INVOCAZIONI A VENERE:Questi versi sono riportati nel Bulletin de l'Acadmie de Douai, nel fascicolo dell'11 aprile 1870. E' un esercizio poetico sulla traduzione di Sully-Prudhomme dal "De rerum natura" di Lucrezio. L'alunno Rimbaud, con sicurezza, corregge qua e l i versi del traduttore, con un apporto di gusto personale sorprendente per la sua et. I deserti dell'amore. Delahaye nel suo "Rimbaud, l'artiste et l'tre moral" (Messein 1923) scrive: Nella primavera del 1871, va menzionato un genere di lavoro letterario in cui debutta Rimbaud, genere che in seguito lo porter lontano. La lettura di Baudelaire gli ha suggerito di tentare dei "poemi in prosa". Egli scrive l'inizio di una serie che ha per titolo "I Deserti dell'Amore".

Il testo dunque costituito da alcuni frammenti che descrivono due sogni, riguardanti pi chiaramente che altrove il problema angoscioso del suo erotismo: il desiderio della donna, il piacere che ne deriva, la donna cancellata, il suo sentimento di solitudine e di disperazione. Il discorso sull'omosessualit del poeta potrebbe essere impostato a partire da questi sogni. La novit indiscutibile dei due frammenti l'adeguamento dello stile alla visione, per cui l'onirismo rimbaudiano non ha qui nulla a che vedere con l'automatismo surrealistico, non soltanto un contenuto psichico, ma una forma d'espressione (Margoni). Il testo che si riproduce quello manoscritto autografo trovato e rettificato da P. Hartmann ("Club du meilleur livre", 1957). AVVERTENZA: Nota 1. "Tout jeune homme": il corsivo di "uomo" nel testo, ha il senso dell'autoritratto, che viene nelle righe seguenti amaramente definito. Non proprio il caso di rintracciarvi subito una allusione alla sua omosessualit, come suggerisce S. Bernard. Tuttavia gi vi si sente una certa ambiguit autoironica. Nota 2. "N'ayant pas aim de femmes": un'esplicita confessione nel senso pederastico che intende S. Bernard, a mio avviso pi accettabile che non il pietoso arzigogolo di Adam, il quale ritenendo che Rimbaud era fatto per amare le donne, non ne ha trovata nessuna (!) Nota 3. "des erreurs tranges et tristes": sono certamente quei sogni a cui Rimbaud ha dedicato tutte le sue forze. Oggi ne parla con tristezza, come degli errori in cui ha sprecato la sua vita. Nota 4. "Ses amours!": Rimbaud include nei suoi sogni sbagliati anche i suoi amori. Nota 5. "Mahomtains lgendaires": forse un'allusione al sonno continuo sotto l'effetto dell'ascisc. Nota 6. "cette bizarre souffrance possedant une autorit inquietante": Rimbaud avverte che nel suo dolore chiusa la bizzarria fatale di uno spirito inquietante ("une autorit"), un potere dominante. E questo un brano teneramente straziante nel suo desiderio d morire, si, ma nobilmente. Nota 7. "La mme campagne": alcuni pensano che la frase d'apertura del nuovo frammento non abbia senso, se non come seguito di un altro sogno di cui si perso il testo (S. Bernard, Adam). Non vedo perch non si possa fare una correlazione con la casa di campagna dei suoi genitori. Il poeta dentro il sogno e accosta l'immagine sognata all'immagine ricordata (Margoni). Nota 8. "Prtre...": Delahaye ci dice Il seminarista non inventato. Era un condiscepolo che gli prestava dei libri. Ho visto quel giovanotto bruno, bonario, in un villaggio presso Charleville. Il mio amico gli portava certe opere, non ricordo pi che poeta... e rivedo la "stanza color porpora, con le impannate di carta gialla", e i volumi rilegati in cuoio di Russia. Nota 9. "Un petit chien": ha dato adito a molte complicate spiegazioni. A me pare semplice. Rimbaud sorpreso che una serva cos bella manifesti tanta sottomissione, al pari di "un cagnolino". Nota 10. "Cette fois, c'est la Femme que j'ai vue dans la ville": qui inizia il nuovo sogno erotico di Rimbaud; il primo rustico, il secondo urbano. In entrambi i casi, poich si tratta di un desiderio onirico, inutile andare in cerca di riferimenti reali a luoghi e persone. Per anni il ragazzo stato ossessionato dalla grande citt e dalla donna. E' chiaro che Rimbaud trovandosi, una notte, solo, in casa, abbia immaginato un incontro amoroso con una "adorabile" mondana, poi dissoltasi ("alors la Femme disparut") nella nebbia delle sue lagrime di delusione ("J'ai laiss finir toutes les larmes") per non averla potuta possedere.

Prose evangeliche. Suite Giovannea: I tre frammenti erano in possesso di Verlaine. Li affid al suo amico Cazals, affinch li depositasse presso Vanier. Gli editori hanno tentato di datare le composizioni, e hanno concluso che le "Proses vanglques" erano state scritte nel 1873, nello stesso periodo di "Une Saison en Enfer".

La presente edizione del testo stata stabilita da B. de Lacoste, con la revisione di P. Hartmann (cfr. Club du meilleur lvre). Come spiegare l'argomento di queste prose? Dopo tanti sarcasmi blasfemi? si chiede Margoni. E se lo spiega con due sole evidenze: l'attrazione che ha sempre esercitato su Rimbaud la figura di Gesti e il tono ambiguo che Rimbaud ha sempre avuto con gli interlocutori del cristianesimo. A SAMARIA: Nota 1. "A Samarie... de sa loi protestante...": anacronismo, simbolismo, metafora, Rimbaud continua a praticarli tutti, dando cos sempre pi forza alla realt delle cose. Samaria l'Inghilterra, l'Albione ("la perfide"), il paese che consolida la sua ricchezza e il suo egoismo ("l'goste"), e si vanta di osservare una religione rigorosa ("sa loi protestante... plus rigide"). Nota 2. "... gorg plusieurs prophtes": Nell'Inghilterra-Samaria, fiera e ricca, non c' posto per i profeti della societ di domani, qui addirittura si sgozzano. Nota 3. "... la femme la fontaine": la Samaritana (cap. 4, 1-26) che incontra Ges al pozzo di Giacobbe, e alla quale Ges prova di conoscere i segreti della sua vita. Rimbaud riprende la risposta evangelica della donna: Signore, vedo che sei profeta. Le parole suonano sinistre ("un mt sinistre") perch in Samaria, come in Inghilterra, pericoloso essere profeta. Nota 4. "... s'il tait pris comme prophte... qu'aurait-il-fait?": Rimbaud ritiene che i profeti sono impotenti e non possono minacciare il mondo, quindi debbono tacere ("Jsus n'a rien pus dire ..."). IN GALILEA: Rimbaud segue l'ordine di San Giovanni Evangelista: Ges passa dalla Samaria in Galilea (4, 43-54); Ges scaccia i mercanti dal Tempio (2, 13-17). Nota 1. "les habitants le reurent... miracle de la jeunesse ple et furieuse...": il profeta, figura alla quale Rimbaud sembra idealmente identficarsi, visibilmente il simbolo dell'agitatore rivoluzionario moderno. La sua collera cade sui mercanti e su quelli che maneggiano il danaro. Egli agisce mediante la sua "giovinezza furiosa", ed bene accolto da un popolo buono. Nota 2. "L'officier...": l'ufficiale che nell'episodio di Cana (4, 46) si presenta a Ges e gli chiede di guarire suo figlio. Nota 3. "il eut un mouvement d'orgueil enfantin et fminin": se si pensa che questo Ges non che un simbolo rivoluzionario e che Rimbaud sognava di essere questo profeta, i due aggettivi "puerile" e "femmineo" non suonano affatto blasfemi, riferendosi ai moti d'orgoglio del poeta stesso. Nota 4. "Il avait... parl un peu bautement la Sainte Vierge": durante le nozze di Cana, Ges aveva detto a sua madre: Donna, non hai nulla a che fare con me. Rimbaud riprende la frase e la fa sua. Nota 5. "Pharmacie lgre..." : l'idea di una farmacia portatile con la quale - secondo alcuni critici - l'ufficiale se ne andrebbe via, pare, se non buffa, almeno fantasiosa. Pi verosimile che Rimbaud intendesse la parola del profeta come un medicamento miracoloso, "un lieve toccasana". Nota 6. "Enfin il vit au loin la prarie...": Rimbaud il profeta, sente il bisogno di allontanarsi dalla citt degli uomini e ritrovarsi in campagna, tra l'erbe e i fiori. BETSAIDA: Ecco un altro testo di Rimbaud che ha provocato discussioni senza fine, tra i fautori dell'interpretazione cristiana e di quella anticristiana. Molti commentatori si sono sbizzarriti per dare un senso a questa evocazione evangelica, dicendola una conversione abbozzata (Berrichon) o una rottura con Dio (tiemble) eccetera. Indubbiamente la narrazione emblematica rispecchia una delle crisi esistenziali di Rimbaud, che spesso ebbero anche carattere religioso, nell'abbandono a un messianismo salvatore. Rimbaud continua a seguire l'ordine del Vangelo di San Giovanni. Dopo l'episodio dell'ufficiale, ecco quello del paralitico della piscina di Betsaida (5, 2), in Gerusalemme, presso la porta del Pecore: la piscina probatica dei cinque portici ("cinq galeries"). Nota 1. "La Premire action grave": seguo la lezione di Adam che mi pare la pi ragionevole. "Les infirmes" sono i dannati, i figli del Peccato, quelli che sono

legati alla Societ, che malvagia. Essi fanno quello che si sempre fatto per guarire (ils descendent dans la piscine), ma non guariscono. Il Male li tiene. Ed ecco che la presenza del profeta produce presso uno di loro, il paralitico (Rmbaud?), la liberazione. Egli si alza, se ne va, guarito. Un uomo, in questa terra di Peccato, salvato, ed ecco la prima azione grave compiuta dal profeta. Per grave s'intende qui lo scandalo che il miracolo produce nella mentalit dei "bourgeois" (cfr. "En Galile"), gli uomini cosiddetti per bene. Nota 2. "Non. Les pchs les rejetaient sur les marches...": questi infermi, dannati, non possono essere guariti, possono solo cambiare di posto, perch hanno bisogno di guadagnare. La societ li tiene con il denaro.

Un cuore sotto la tonaca. Il manoscritto era appartenuto a Izambard, il quale ritenne di non doverlo pubblicare. Della stessa idea furono, in seguito, Verlaine e P. Berrichon, che addirittura ne ignor l'esistenza. Nel 1912 un bibliofilo, H. Saffrey, scopr l'autografo, ma Berrichon nuovamente si oppose alla sua pubblicazione, giudicandolo scandaloso. Soltanto nel 1924, Breton e Aragon, fecero pubblicare lo scritto presso l'editore Ronald Davis. Infine J. Mouquet, esaminato il testo originale, e rettificati alcuni errori di lettura di Berrichon, lo utilizz per la sua edizione della Pliade. Il racconto fu scritto nel 1870, prima della partenza di Izambard da Charleville, alla fine dei corsi scolastici. Scandalizzarsi sul suo contenuto sarebbe davvero poco saggio. Sappiamo che Rimbaud fu sempre un accanito anticlericale, "Un coeur sous une soutane", oltrech essere una pungente canzonatura di quel mondo borghese che disprezzava, anche l'unico esempio della sua forza narrativa.

LETTERA DEL VEGGENTE. La data del 15 maggio nell'autografo (coll. A. Saffrey), e non pu essere messa in discussione. Pi che di una lettera si tratta di una vera e propria esposizione d'idee, coraggiosa e polemica. Nel pensiero di Rimbaud essa dunque assume un'importanza capitale. Il principio quello dell'illuminismo democratico dove il Poeta si fa profeta, e quindi veggente, a cui viene assegnata la missione di guidare gli uomini sulle vie dell'avvenire. Tale dottrina prende in Rimbaud un significato del tutto particolare: il poeta deve la sua visione sovrumana alla cultura delle sensazioni, alla sregolatezza dei sensi. Egli Veggente non soltanto perch scopre i destini dell'umanit, ma perch coltiva in s le allucinazioni dovute alla droga, alla malattia, al crimine. Rimbaud non fa che sviluppare in modo sistematico "Les Paradis artificiels" di Baudelaire. La lettera del Veggente rivela tutte le convergenze aggressive e rivoluzionarie che il ragazzo aveva con gli scrittori che prima di lui avevano sviluppato idee analoghe. Nota 1. "Theroldus": Turoldo lo sconosciuto che appare alla fine della "Chanson de Roland", forse l'autore stesso del poema. Nota 2. "Racine est le pur, le fort le grand": Rimbaud si burla di Racine, come gi avevano fatto Victor Hugo, Jules Valls, e Vermorel sul giornale Jeune France del 1861, e altri. Racine il "divino sciocco", il versificatore perfetto, il contrario del Veggente. Nota 3. "Le premier venu auteur d'Origines": forse un'allusione iperbolica, per dire che una simile opera sommamente banale. Nota 4. "Car je est un autre": Rimbaud dice che i romantici hanno capito questa verit essenziale, che la poesia una creazione di cui il poeta stesso non ha una chiara coscienza ("la chanson est si peu souvent... la pense chante et comprise du chanteur") Baudelaire aveva detto che la contemplazione degli oggetti esteriori fa dimenticare la nostra propria esistenza. L'uomo si confonde con le cose e Rimbaud poteva quindi dire: "Io un altro", ossia l'io che parla in lui non il suo essere cosciente. Nota 5. "Vers et lyres rythment l'Action": l'idea che la poesia azione sempre stata cara agli scrittori progressisti. G. Bergerat scriveva: Sa mission

sera militante... elle glorifiera l'oeuvre de la science (cfr. Marinetti e i futuristi). Nota 6. "C'est pour eux": Adam sostiene che Rimbaud alludesse a Leconte de Lisle, quale rinnovatore di quei vecchiumi. Nota 7. "Comprachicos": sono i ladri di bambini, che li mutilano per farne dei mostri (cfr. "L'Homme qui rit" di V. Hugo). Nota 8. "Il faut tre voyant...": "Il poeta un veggente", gi concetto fondamentale del romanticismo tedesco. Nota 9. "Mes petites amoureuses": (cfr. nota alla poesia). Nota 10. "Mes Amants de Paris... et ma Mors de Paris": poesie di Rimbaud di cui s'ignora l'esistenza. Forse progetti. Nota 11. "Cet avenir sera matrialiste": Rimbaud non mai stato un materialista ateo; simile filosofia egli la giudicava sterile. Egli intendeva dire che viviamo un'epoca di fusione intima dello spirito e della materia. Nota 12. "Quand sera bris l'in fini servage de la femme... elle sera pote, elle aussi": gli illuministi annunciavano l'affrancamento della donna e le attribuivano un dono profetico. Ella stava per diventare la sibilla dell'avvenire. Al tempo di Rimbaud erano sorte le prime donne autrici e veggenti, e Rimbaud ammirava in quel movimento di femminismo idealista, tra le altre, George Sand, Daniel Stern e Louisa Siefert. Nota 13. "La mesure de la vue de Hugo": non si direbbe che Rimbaud amasse la veggenza del pi grande poeta romantico francese (!) dai troppi "Geova", le troppe "colonne" e le troppe "vecchie enormit crepate". Nota 14. "Musset est quatorze fois excrable...": la contestazione sul poeta di "Nuits" era gi cominciata nel 1853, in Francia. Gli attacchi della critica di allora traducevano l'opinione che avevano su quel poetare decadente, i giovani scrittori progressisti, "insultati da quella pigrizia d'angelo". Nota 15. "... cet odieux gnie qui a inspir Rabelais, Voltaire, Jean la Fontaine...": la letteratura illuminista (e di rimando Rimbaud) aveva preso l'abitudine di vedere in quegli scrittori dei critici negatori. V. Hugo addirittura li declassava, accanto a Goethe e Orazio, quei magnifici egoisti dell'infinito. Nota 16. "panadis": nella voce familiare ha due significati di "pavone", o colui che si pavoneggia, e di "panbollito", colui che un impiastro. Se Rimbaud vedeva De Musset pavoneggiarsi, certo poteva anche sembrargli un impiastro di poeta. Nota 17. "Rompue aux formes vieilles": la nuova scuola che ha rotto con il vecchiume, di cui, per Rimbaud, non vi sono che due Veggenti, Albert Mrat e Paul Verlaine. Nota 18. "Accroupissements": (cfr. note alla poesia).

OPERE ATTRIBUITE. Veleno perduto. Il problema dell'autenticit posto da "Poison perdu" di quelli che non permettono n le affermazioni n le negazioni perentorie. D'altra parte esso appare in una prospettiva leggermente differente da quando M. Gyorgy Gera ha pubblicato in Le Figaro littraire una lettera di Verlaine che conteneva il testo del sonetto e l'attribuiva a Rimbaud. Delahaye verso il 1905 aveva sottoposto la questione del "Poison perdu" a Germain Nouveau e questi era stato formale. Sicuramente "Poison perdu" era di Rmbaud. Di fronte alle attestazioni di Verlaine e davanti alla testimonianza precisa e formale di Delahaye, sussiste una sola obiezione: il tono, la maniera di "Poison perdu" non fanno davvero pensare a Rimbaud, ma piuttosto a Germain Nouveau, e questa obiezione cos forte da impedire ogni certezza sull'autore del sonetto. Ci che potrebbe giustificarla, che Rimbaud potrebbe avere scritto "Poison perdu" come una specie di la manire de Nouveau, suo amico (Adam).

Lettera del Barone di Petodicapra.

Da una quarantina di anni le edizioni di Rimbaud contengono questa parodia epistolare come se la sua autenticit fosse stata definitivamente stabilita. Jules Mouquet aveva trovato questa lettera in un giornale repubblicano di Charleville, Le Nord-Est, nel numero del 16 settembre 1871. Era firmata Jean Marcel. Basandosi sul fatto che Rmbaud s'interessava a quel giornale, e che l'inverno precedente il giovane aveva preso lo pseudonimo di Jean Baudry, nella sua corrispondenza con Le Progrs des Ardennes, J. Mouquet stabil che lo scritto fosse opera di Rimbaud. Nel 1949 lo pubblic presso l'editore Pierre Caffier. Ma A. Adam pone alcune riserve e si dichiara incapace di accettare gli argomenti del pur eccellente erudito che fu Jules Mouquet. Egli dice: La lettera porta la data del 9 settembre 1871, e gli avvenimenti politici di cui parla si collocano in effetti nei giorni immediatamente precedenti a quella data. Si deve dunque supporre che Rimbaud fosse al corrente, ancora prima del 9 settembre, dei dettagli delle cronache politiche di Versailles. Inoltre nella lettera tutto rivela una conoscenza intima e abituale del mondo politico di allora. Come si pu credere che Rimbaud sapesse tutto ci nello stesso momento, a Charleville? Rimbaud parte per Parigi verso il 14 del mese ed ancora a Charleville quando la lettera fu redatta. Si dovr pur ammettere che nei giorni in cui egli si prepara alla grande avventura, aveva altro per la testa che tenersi perfettamente al corrente delle cronache politiche di Versailles e di Parigi. Ci detto, il disprezzo e il sarcasmo che serpeggiano nella satira sono pur dello spirito ribelle del ragazzo di Charleville. Vi sono dunque buone probabilit che il componimento non sia un falso.

Anda mungkin juga menyukai