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L A B O R A T O R I O

Il lungo XX secolo. Una replica


Giovanni Arrighi

Lattualit e il rilievo delle tematiche poste da Il lungo XX secolo di Giovanni Arrighi, cui era dedicata la rubrica Bersaglio del numero 3/2003 di Contemporanea, ci hanno indotto a chiedere allo stesso Arrighi una breve replica alle osservazioni critiche poste in quella sede da Francesco Benigno, Filippo Andreatta, Tommaso Detti e Giuseppe Maione, che, assieme a Giovanni Arrighi, ringraziamo ancora per la collaborazione e la disponibilit. Nel suo interessante intervento, Tommaso Detti osserva che libri come Il lungo XX secolo
sono in realt di grande interesse proprio per il motivo che li rende quasi inevitabilmente schematici e lacunosi, cio il loro essere fondati su generalizzazioni e modelli. infatti da qui che scaturiscono spesso ipotesi interpretative, contestualizzazioni e punti di vista capaci di indirizzare la ricerca su strade innovative ed a questo livello che a mio parere ha senso criticarli.

Vorrei riformulare questa considerazione dicendo che Il lungo XX secolo non n era stato concepito come unopera storica destinata a mettere in luce fatti nuovi relativi allo sviluppo del capitalismo mondiale, compito che ritengo sia meglio lasciare agli storici di professione. Piuttosto, unopera di sociologia storica, volta a produrre generalizzazioni e modelli (ovvero, una teoria) in grado di gettare nuova luce sul passato, il presente e forse anche il futuro sviluppo del capitalismo mondiale. In conformit alla tradizione metodologica della sociologia storica, Il lungo XX secolo formula una teoria storicamente fondata 1. Ma, a prescindere da quanto sia radicato nella storia, ci che il libro propone un modello teorico ed a questo livello che ha senso criticarlo. Numerose critiche di Francesco Benigno e Giuseppe Maione non sono a questo livello. Invece, evidenziano schematismi e lacune, che sarebbero imperdonabili nellopera di uno storico, ma che sono tipiche di quelle

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1 A quanto mi consta, la sociologia storica in Italia non ha conosciuto la rinascita sperimentata negli Stati Uniti e altrove. Dico rinascita, perch la maggior parte dei grandi scienziati sociali del lungo Ottocento da A. Smith attraverso K. Marx fino a T. Veblen, M. Weber, J. Schumpeter e K. Polanyi furono in un modo o nellaltro dei sociologi storici. Il fatto che lItalia sia rimasta sostanzialmente estranea a questa rinascita pu essere unaltra ragione, oltre a quelle identificate da Detti, della scarsa fortuna italiana di Il lungo XX secolo.

Contemporanea / a. VI, n. 4, ottobre 2003

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dei sociologi storici. Analoghi criteri di giudizio applicati ai lavori di Smith, Marx, Veblen, Weber, Schumpeter e Polanyi i giganti sulle cui spalle si regge la mia sociologia storica li rivelerebbe carenti quanto Il lungo XX secolo. Ovviamente, non sto dicendo che gli storici debbano astenersi dal criticare gli schematismi e le lacune dei sociologi storici. Tutto ci che intendo affermare che tali critiche sono rilevanti solo nella misura in cui individuano dati di fatto che sono errati o dimostrano che questioni o eventi non presi in considerazione invaliderebbero il modello teorico. Mi pare che n Maione n Benigno sostengano che il libro contiene dati di fatto errati. Quelli da loro indicati sono essenzialmente errori di omissione. Daltronde, Benigno non chiarisce se luso di un pi ampio ventaglio di fonti relative a Genova, Venezia, la Spagna, i banchieri di Carlo V o i mercanti inglesi dellet della rivoluzione, avrebbe invalidato la teoria del capitalismo mondiale costruita ne Il lungo XX secolo. N Maione ci dice se la teoria sarebbe invalidata se si prendessero in considerazione la controversia sulle origini dellindustrializzazione britannica, il Bagehot di Lombard Street, lopera di Brown sul funzionamento del

Gold Standard tra le due guerre o la discussione tra i cliometrici volta a stabilire, in termini quantitativi, se vi sia stata una decadenza delleconomia inglese a fine Ottocento2. La mia conoscenza di questi studi mi fa ritenere che il loro uso avrebbe arricchito, ma non invalidato il modello teorico proposto ne Il lungo XX secolo. Discutiamo dunque la validit e lutilit di questo modello ai fini di una interpretazione delle dinamiche attuali del capitalismo mondiale. Mi soffermer su tre principali rilievi critici: laffermazione di Maione e Benigno che lespansione finanziaria degli anni Settanta e Ottanta non risultata essere il segnale del declino dellegemonia statunitense e del concomitante emergere dellAsia orientale come il pi dinamico centro mondiale di accumulazione capitalistica; laffermazione di Detti che la mia insistenza sulla ricorrenza delle espansioni finanziarie porta ad escludere in linea teorica la possibilit di interpretare lespansione finanziaria dellultimo trentennio come fenomeno qualitativamente nuovo; laffermazione di Filippo Andreatta che la teoria dellegemonia mondiale sviluppata in Il lungo XX secolo non riesce a cogliere levoluzione del sistema politico internazionale e rischia di sminuire limpor-

2 Non sono sicuro di comprendere ci che sostiene Maione a proposito della decadenza delleconomia inglese a fine Ottocento. Se intende che il relativo declino industriale britannico fu accompagnato da una ripresa economica basata principalmente sul commercio globale e lintermediazione finanziaria, questa precisamente una delle tesi centrali de Il lungo XX secolo. Neppure capisco perch, come egli afferma, secondo lo schema di Il lungo XX secolo, lascesa produttiva del Giappone non avrebbe dovuto essere anche finanziaria. In realt, secondo lo schema di Il lungo XX secolo, le precedenti ascese produttive di Olanda, Inghilterra e Stati Uniti erano state tutte anche finanziarie. Pi imbarazzante, tuttavia, laffermazione di Maione che Il lungo XX secolo si fonda in modo neppure tanto implicito [...] sullidea [...] per cui finch si producono e distribuiscono le merci materiali, si compie unazione economicamente utile, mentre quando si sposta semplicemente denaro, si entra in una sfera inquietante e perversa dellaccumulazione capitalistica. Sono imbarazzato, perch precisamente lidea che Il lungo XX secolo cerca di criticare dallinizio alla fine.

tanza delle dinamiche nazionali nei processi di sviluppo politico ed economico. Riguardo alla prima critica, debbo riconoscere che nello specifico passaggio citato da Maione (anche se non altrove nel libro) sono in effetti stato troppo frettoloso nellaffermare che la Belle epoque del regime statunitense lera reaganiana era comparsa e poi svanita pi velocemente dei regimi precedenti. E Maione ha perfettamente ragione nel sostenere che negli anni Novanta la Belle epoque americana non svanita, ma ha conosciuto un periodo di ulteriore affermazione, mentre il Giappone ha registrato la pi grave e lunga recessione del secondo dopoguerra. Riconosciuto questo, per, non ne consegue come invece sostengono sia Maione sia Benigno che queste tendenze hanno mostrato un andamento del tutto opposto a quello previsto ne Il lungo XX secolo. Al contrario, mi pare che siano andate, se non con la velocit prevista, certamente nella direzione prevista. In primo luogo, lasserzione di Maione che in nessun periodo della sua storia conosciuta, leconomia statunitense cresciuta in modo pi continuo e regolare come nella congiuntura 1992/2001 a dir poco azzardata. Negli anni Novanta vi stata infatti una ripresa delleconomia americana. Ma, come ha ampiamente documentato lo storico Robert Brenner, quella ripresa non regge

il confronto con le precedenti prestazioni delleconomia statunitense. Ancor pi, essa si largamente basata su una grande bolla finanziaria e su una enorme dilatazione dellindebitamento pubblico e privato nei confronti di governi (in prevalenza est-asiatici) e investitori esteri, che non ha precedenti nella storia mondiale3. La Belle epoque americana ha cos conosciuto un periodo di ulteriore affermazione, ma solo aggravando ulteriormente le contraddizioni che stavano alla base della crisi degli anni Settanta. Al tempo stesso, le crisi attraversate dalle economie giapponesi ed est asiatiche negli anni Novanta non invalidano di per s la tesi che lepicentro delleconomia globale stia spostandosi dagli Stati Uniti allAsia orientale. Maione e Benigno dimenticano che la crisi economica pi grave del periodo tra le due guerre mondiali si verific negli Stati Uniti. Sono sicuro che essi non userebbero il crollo di Wall Street del 1929-31 e la conseguente Grande Depressione americana per sostenere che lepicentro del capitalismo mondiale non stesse spostandosi dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. Allo stesso modo, non dobbiamo essere troppo frettolosi nel trarre analoghe conclusioni dalle crisi dellest asiatico negli anni Novanta4. Ci da raccomandarsi anche alla luce di due fatti ulteriori. Il primo che le crisi degli anni Novanta nellest asiatico non hanno

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3 Vedi R. Brenner, The Boom and the Bubble: The US and the World Economy, London-New York, Verso, 2002; G. Arrighi, The Social and Political Economy of Global Turbulence, New Left Review, Marzo-Aprile 2003, pp. 5-71. In questo articolo, sulla base di una ricerca condotta da Greta Krippner, dimostro che prendendo in considerazione i profitti e gli investimenti, anzich le percentuali di Prodotto interno lordo, come fa Maione nel suo intervento, risulta molto chiaramente la finanziarizzazione del capitale statunitense negli anni Ottanta e Novanta, allinterno e allesterno del settore finanziario. 4 Su questo tema cfr. G. Arrighi e B.J. Silver, Caos e governo del mondo, Milano, Mondadori, 2003, in particolare il primo capitolo e la conclusione.

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coinvolto il gigante demografico della regione, la Cina, la cui espansione economica ha conosciuto una grande accelerazione. E laltro che, nonostante le crisi, il ruolo di Giappone, Cina, Hong Kong e Taiwan quali principali paesi creditori a livello mondiale (e specialmente degli Stati Uniti) si ulteriormente rafforzato5. Ci significa che noi stiamo assistendo allo stesso tipo di transizione che si verific, nel XVIII secolo, dallegemonia olandese a quella britannica e, tra la fine del XIX e linizio del XX secolo, da quella britannica a quella americana? Non necessariamente, e secondo le previsioni di Il lungo XX secolo, probabilmente no. Questo ci conduce allosservazione di Detti relativa alla mia insistenza sulla ricorrenza delle espansioni finanziarie. Diversamente dagli altri commentatori, Detti comprende che la previsione de Il lungo XX secolo non era quella di una sostituzione di unegemonia giapponese allegemonia americana. Semmai, era che le novit geo-politiche del mondo contemporaneo sono tali da rendere pi probabile il venir meno proprio di quel modello di capitalismo mondiale costruito nel libro. Ci potrebbe accadere sia attraverso la formazione di un impero globale imperniato sugli Stati Uniti, sia attraverso la formazione di una societ di mercato mondiale avente il proprio baricentro nellest asiatico, sia, infine, con un caos sistemico e interminabile. Dopo aver notato questi tre scenari

futuribili, Detti si chiede se [...] lipotesi di un mutamento epocale di tale portata non prevenga lobiezione relativa alla ripetitivit implicita nel modello dellautore, destituendola di fondamento. A suo avviso la risposta no, perch [Il lungo XX secolo] non interroga il passato alla luce del presente, ma spiega il presente e predice il futuro con il passato. Mi permetto di essere in disaccordo. La mia attenzione al ricorrere delle espansione finanziarie non era volta a dimostrare che la storia ripete se stessa attraverso schemi ricorrenti, o che allepoca di ciascun ricorso non si verificano fenomeni qualitativamente nuovi. Seguendo una regola basilare del metodo comparativo, lattenzione alla ricorrenza era volta invece ad identificare periodi comparabili come passaggio preliminare per lanalisi delle differenze tra tali periodi e quindi del cambiamento da un periodo allaltro. Cos, gran parte dellanalisi de Il lungo XX secolo dedicata a mostrare come periodi comparabili di espansione finanziaria furono in realt epoche di trasformazioni fondamentali nella scala, nello scopo e nelle modalit di funzionamento del capitalismo mondiale. Per effetto di queste trasformazioni successive, il sistema evoluto in una forma tale da non potersi sviluppare ulteriormente con le stesse modalit con cui lo ha fatto nei cinque secoli precedenti. Di qui, i tre scenari futuribili delineati nelle pagine conclusive del libro6.

5 G. Arrighi, P.-K. Hui, H.-F. Hung e M. Selden, Historical Capitalism East and West, in G. Arrighi, T. Hamashita e M. Selden (a cura di), The Resurgence of East Asia: 500, 150 and 50 Year Perspectives, London-New York, Routledge, 2003, pp. 259-333. 6 Per una sintesi della discussione su queste successive trasformazioni, vedi G. Arrighi e B.J. Silver, Capitalism and World (Dis)Order, Review of International Studies, 2001, pp. 257-279.

A questo proposito, condivido laffermazione di Andreatta che


la primazia degli Stati Uniti si basa molto pi sul settore politico e militare che su quello economico, nel quale gli Usa hanno subito un sostanziale declino tra il 1945, quando la produzione americana rappresentava il 50% di quella mondiale, e oggi, dato che la quota si praticamente dimezzata.

Una sostanziale divaricazione tra potenza politico-militare e potenza finanziaria in effetti la principale novit geo-politica delle trasformazioni contemporanee identificate in Il lungo XX secolo. Nelle precedenti transizioni di egemonia, i centri economici emergenti erano anche potenze politicomilitari effettive o potenziali di livello superiore ai centri economici declinanti: lInghilterra in rapporto allOlanda, gli Usa in confronto alla Gran Bretagna. Oggi, al contrario, la capacit politico-militare effettiva e potenziale dei centri economici emergenti in Asia orientale (Cina compresa) notevolmente inferiore a quella del centro eco-

nomico declinante costituito dagli Stati Uniti. Nel tempo, questa situazione pu mutare. Per adesso, tuttavia, rende ciascuno dei tre scenari sopra menzionati un esito delle tendenze in corso pi probabile che non una transizione di egemonia del genere di quelle verificatesi nel passato. Al contrario di quanto afferma Andreatta, dunque, Il lungo XX secolo coglie un aspetto fondamentale dellevoluzione del sistema politico mondiale. vero, per, che nel far ci lanalisi mette in ombra altri importanti aspetti di tale evoluzione, come Andreatta e Detti osservano correttamente. Come spiego nella prefazione e nellintroduzione al libro, la scelta di un angolo visuale ristretto stata dettata dalla necessit di rendere lanalisi praticabile. In Caos e governo del mondo, recentemente pubblicato in italiano, i miei coautori ed io abbiamo considerevolmente ampliato la prospettiva, per includervi, tra laltro, le dimensioni fondamentali del conflitto sociale e le relazioni tra le civilt occidentali e non-occidentali. Ma sono perfettamente consapevole che molto rimane da fare.

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