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BOLLETTINO FILOSOFICO

Annuario a cura del Dipartimento di Filosoa dellUniversit della Calabria

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Bollettino Filosoco XXIV (2008)


Linguaggio ed emozioni
a cura di Felice Cimatti

Copyright MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065
ISBN

97888548xxxxx ISSN 15937178

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dellEditore. I edizione: gennaio 2009

Indice
Felice Cimatti, Premessa ................................................................................................. p. 9 Daniele Gambarara Lombra illuminata: con Tommaso Russo Cardona ....................................................... p. 11 Sezione monografica: Linguaggio ed emozioni
FERDINANDO ABBRI

Costruzione delle emozioni e linguaggi contemporanei ................................................ p. 25


FELICE CIMATTI

Dentro il corpo, fuori del corpo. La biologia artificiale delle emozioni ..................... p. 37
MARTA CLEMENTE

Linguaggio, intenzioni e razionalit pratica ................................................................. p. 55


ANNALISA COLIVA

Tu chiamale se vuoi emozioni ........................................................................................ p. 71


ROSSANA DE ANGELIS

La categoria timica. Appunti sulla Semiotica delle passioni ................................... p. 86


MARGHERITA DI MARIANO

Per una storia naturale delle emozioni. Note su Wittgenstein ..................................... p. 101
EMANUELE FADDA

Sentire ci che giusto ....................................................................................................... p. 118


MIRELLA FORTINO

Scienza ed emozioni ........................................................................................................... p. 128


ROSSELLA GUZZO FOLIARO

Linguaggi grafici e passioni ideologiche .......................................................................... p. 146


FRANCESCO LESCE

Natura, passioni, corpo, mondo. Spinoza e lontologia dellaffettivit ..................... p. 154


VALENTINA MARTINA

Emozioni, linguaggio e attivit in Lev S. Vygotskij ...................................................... p. 169


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MARCO MAZZEO

Bollettino Filosofico XXIV (2008)

Imprecisione del limite: contraddizione e melanconia ................................................... p. 182


ALESSANDRA PANDOLFO

Emozioni e mente morale ................................................................................................... p. 195


FRANCESCA PIAZZA

Passioni retoriche. Lanalisi dei pathe nella Retorica di Aristotele ........................... p. 213
TOMMASO RUSSO

Ironia: emozioni e orizzonte di coscienza ........................................................................ p. 223


BARBARA SCAPOLO

Linguaggio, sensibilit ed emozioni in Paul Valry: alcune prospettive ..................... p. 238


EMILIO SERGIO

Smata, pathmata, lgos: Vico e la scienza nuova dei segni antichi .................... p. 260
ALESSIA TOMAINO

Contemplazione dellaltro: la parola come sguardo estetico ......................................... p. 283


GIANBATTISTA VACCARO

Gilles Deleuze: il linguaggio tra passione e potere ........................................................ p. 290


PAOLO VIRNO

Passioni e regresso allinfinito ........................................................................................... p. 306 Sezione II: Note e discussioni


GIUSEPPE BARRESI

Margini della responsabilit. Lofferta dellaltrove........................................................ p. 323


ADALGISA CAIRA

Una moralit fuori dalla storia? ....................................................................................... p. 335


ARMANDO CANZONIERI

Le innumerevoli risorse della ricerca fenomenologica Intervista a Roberta De Monticelli ............................................................................ p. 343
ADELINA CATALDO

Lincubo marziano. The War of the Worlds di H.G. Wells ....................................... p. 351
LUIGI CRISTALDI

Le regole dellarte. Bourdieu tra Saussure e Benjamin ............................................. p. 361

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ANNABELLA DATRI

Indice

Il principe Amleto e la filosofia ......................................................................................... p. 374


ROBERTA DE FRANCESCO

Davant la lettre ou lAutre dlire de ltre. Letterature in E. Lvinas .................. p. 393


ANNA DE MARCO

Ontogenesi delle categorie funzionali in L1: un confronto interlinguistico ................ p. 404


ROSSELLA DE ROSE

Ontologia della vita e dimensione dellulteriorit nel pensiero tragico di Fdor Dostoevskij ......................................................................... p. 428
GIUSY GALLO

Rileggendo il rapporto tra percezione e linguaggio: artefatti e istituzioni sociali .... p. 438
ANTONIA GIGLIO

Sensibilit pedagogica nel pensiero di Leibniz ................................................................ p. 459


ALFREDO GIVIGLIANO

Pratica di ricerca e linguaggio della sociologia .............................................................. p. 467


ELENA GIORGIANA MIRABELLI

Il movimento della vergogna. Note a J.M. Coetzee ..................................................... p. 489


DANIELA PALMERI, MONICA M. PASQUINO

Il linguaggio dellautocoscienza tra filosofia e teatro: Carla Lonzi e Dacia Maraini ............................................................................................ p. 494
RITA PAONESSA

Note su Michael Tomasello, Le origini culturali della cognizione umana .......... p. 509
STEFANIA PESCE

Logica del limite e lgos del limite. JeanLuc Nancy e la trascendenza ................... p. 516
SILVIA REDENTE

Sullirreversibilit dei mutamenti. Peirce, Saussure e la rete linguistico-sensoriale .. p. 530


FRANCESCO G. SACCO

Meanest foundations and nobler Superstructures: il metodo in Hooke ............ p. 540


FRANCESCO FERRETTI, MARIA PRIMO

Taking co-evolution seriously. A Commentary on Christiansen & Chater ................. p. 556 Recensioni ......................................................................................................................... p. 561

I curatori dellediting di questo numero sono stati Giusy Gallo ed Emilio Sergio. Giusy Gallo e Daniele Gambarara sono stati i redattori dellediting e delle note dellarticolo di Tommaso Russo, Ironia: emozioni e orizzonte di coscienza. Luigi Cristaldi ha curato la parte grafica dellin memoriam di Daniele Gambarara.

Premessa

Nella sezione monografica di questo numero del Bollettino Filosofico del Dipartimento di Filosofia dellUniversit della Calabria vengono pubblicate alcune delle relazioni presentate nel Seminario Dottorale dellA.A. 2006-2007 che aveva come tema Linguaggio ed emozioni. Oltre a questi contributi vengono pubblicati anche interventi di studiosi di altre Universit invitati a partecipare a questo numero del Bollettino. con un misto di gioia e di dolore che viene pubblicata anche la traccia molto articolata, di fatto quasi pronta per la pubblicazione, della relazione che lamico e collega Tommaso Russo Cardona riusc a presentare nel nostro seminario pochi mesi prima di morire il 13 settembre 2007. Il tema del seminario di quellanno rappresenta la continuazione, e forse anche la naturale conclusione, delle discussioni che molti dei partecipanti a questo numero sia nelle precedenti edizioni di questo stesso Seminario Dottorale che nelle loro lezioni per il Corso di Laurea in Filosofie e Scienze della Comunicazione e della Conoscenza intrattennero sul tema della natura umana. Il punto della questione era, ed , quale sia il rapporto fra facolt del linguaggio, lingue e dotazione biologica dellanimale umano. Il problema cercare di stabilire quanto incida e modifichi la sua natura il fatto che lumano sia lunico animale che parli (e pensi in) una lingua. C una natura umana su cui si innesta, successivamente, la competenza linguistica, oppure lesperienza della lingua ridefinisce fin alle sue radici la stessa dotazione biologica naturale dellHomo sapiens? Il tema affrontato nella sezione monografica si presta in modo particolare allo sviluppo di queste due diverse impostazioni. Secondo la prima, infatti, le emozioni sono la diretta manifestazione della biologia umana; sono quindi universali e istintive. In questo caso le diverse lingue umane sostanzialmente non intaccano questo fondo, ci che significa tornando al tema della natura umana che questa distinta e distinguibile dalle forme culturali che variamente possono manifestarla e talvolta celarla ma certo non modificarla. Secondo laltra impostazione, lesperienza linguistica, e culturale in generale, rientra a pieno titolo nella biologia umana, e pertanto ristruttura lo stesso campo delle emozioni, che quindi, anche nelle loro forme pi elementari, sono letteralmente un impasto di carne sangue e logica. Quelle discussioni, oltre ad aver collettivamente generato libri e riviste, si incarnano infine in molti dei con9

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Felice Cimatti

tributi che potrete leggere nelle pagine seguenti. Personalmente considero un privilegio ed un onore avere vissuto, e seppur in minima parte contribuito, a quegli anni e a quelle discussioni. Allo stesso modo, come accade nella filosofia e nella scienza, e non solo ad esse, quella discussione ha dato quello che poteva dare. Lo Spirito, se con presunzione osiamo sperare che per qualche tempo abbia sostato incuriosito nellaula seminari del Dipartimento di Filosofia dellUniversit della Calabria, ora altrove. Per questa ragione molti sono i contributi nuovi, di studiosi spesso giovani e soprattutto di tradizioni filosofiche diverse, che ospitiamo in questo numero del Bollettino. Per inseguire, appunto con nuove forze e nuove idee, quello Spirito, senza il quale il nostro lavoro del tutto inutile.
FELICE CIMATTI

Lombra illuminata: ancora con Tommaso Russo Cardona


No, Time, thou shalt not boast that I do change.

Le Lingue dei Segni esce nel marzo 2007, ma per trarne tutte le conseguenze occorre tempo: gi attraverso alcune presentazioni e discussioni pubbliche (in particolare a Roma e a Siena), ma soprattutto poi, rileggendolo, anche assieme agli studenti nei corsi in cui labbiamo adottato, ci accorgiamo sempre meglio che lo sguardo generale e filosofico, di forte teoria del linguaggio e dei segni che esso porta su queste lingue verbali considerate a torto minori riapre ampiamente la considerazione di nozioni che davamo per scontate, sulle lingue e il linguaggio*. Ad approfondirne punti, sempre nel 2007, viene pubblicato in sede internazionale larticolo in collaborazione con Paola Pietrandrea Diagrammatic and Imagic Iconicity in Verbal and Signed Languages, che trova ulteriore proseguimento, ad inizio 2008 sul numero di Gesture curato da Tommaso stesso, con Metaphors in Sign Languages and in Coverbal Gesturing. Nel 2007 escono ancora, a luglio Sulla formativit del segno linguistico, e a settembre Impliciti e intenzionalit: il primo articolo prende spunto da un nuovo testo saussuriano per giungere al rapporto pensierolinguaggio, il secondo ridiscute questioni di pragmatica al centro del dibattito di pi correnti filosofiche. Un passo ulteriore, che lega la ricerca saussuriana a quella sulla gestualit strumentale e comunicativa umana, larticolo Asymtries du signe: outils, gestes, mots/signes, stato questanno pubblicato sui Cahiers F. de Saussure 60 (2007 [ma 2008]). Nelle relazioni e nelle discussioni del XV Convegno della Societ di Filosofia del linguaggio, nel settembre 2008 ad Arcavacata, i contributi di Tommaso sono richiamati pi volte, come era gi successo al Convegno precedente, a Siena. Nel frattempo Grazia Basile ha rivisto editorialmente Peripezie dellironia, che sta per essere pubblicato da Meltemi, e ai cui temi si collega la traccia pubblicata in questo stesso Bollettino filosofico. Ci confronteremo cos con un altro suo grande libro che esplora il rapporto tra atti comunicativi, contesto dellenunciazione, il ruolo della lingua nel rimettere in movimento e nel fissare nuovamente situazioni ritualizzate, credenze ed
*

Si veda la recensione di Donata Chiric in questo volume.

Bollettino Filosofico 24 (2008): 11-19

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Daniele Gambarara

emozioni del parlante nellaccordarsi e discordarsi da quelle dei suoi interlocutori. Con Emanuele Fadda e Alessandro Chidichimo, predisponendo la pubblicazione nel prossimo numero dei Cahiers F. de Saussure di Ngativit, rcursivit et incalculabilit, ci siamo ulteriormente resi conto di quanto sia coraggiosa e fertile la ricerca di Tommaso, che ci ha gi imposto di rivedere i nostri articoli che accompagnano il suo. Con larticolo Systme, emploi et jeu des signes, in pubblicazione il prossimo anno, salgono a cinque i saggi che dal 2004 Tommaso avr dedicato ad approfondire un Saussure inedito sia per i testi messi in questione sia per le domande teoriche a cui risponde. giusto che questo suo prossimo lavoro esca in un volume collettivo che ne condivide lorientamento. Altri saggi ancora sono in preparazione, su lingue orali e lingue dei segni, iconismo e metafora, ironia e silenzio, uso e gioco dei segni, formativit del linguaggio, temporalit e mente. Nella bibliografia che segue indico solo quelli in avanzato stato di pubblicazione: verranno poi gli aggiornamenti. Chi ha il privilegio di curare questi lavori comincia pensando di rendere servizio, e scopre di trarne lui un considerevole vantaggio. Tommaso il compagno di lavoro che ti conosce bene, ti sta sempre a fianco, e prima ancora che tu gli chieda qualcosa, pronto a porgertela nel momento in cui ti serve. Compagno di lavoro che ha molto da dare, e, quindi, molto da chiedere. In primo luogo una lettura lenta e attenta, che metta da parte ogni pregiudizio e ogni interpretazione veloce, che anzi ricostruisca al meglio le argomentazioni anche avversarie, e si confronti con esse, considerando che abbiamo bisogno di ogni prospettiva di ricerca e che irriderne una vuol dire renderle vane tutte. Insomma, il contrario del malcostume imperante nelle universit italiane, che chiede da che parte stai, e conta in fretta chi sottoscrive una posizione come se fosse il soldatino arruolato in un esercito (il suo, o quello del nemico). Tommaso sa ascoltare tutti, traendo da ciascuno il meglio, e collaborare con tutti portando con s e donando agli altri uno spirito di apertura che le pi diverse tendenze della filosofia del linguaggio, semiotici, cognitivisti e analitici, hanno imparato ad apprezzare. Fa suoi dallinterno alcuni grandi autori, Peirce, Saussure e Wittgenstein, li fa lavorare sulle questioni che abbiamo di fronte, come ci appaiono oggi, estendendoli fino ai loro limiti, e guardando oltre. In questo momento, il gruppo di lavoro di filosofia del linguaggio che ha trovato un baricentro ad Arcavacata si rinnova, perch, come gi nel

Lombra illuminata

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passato, alcuni amici che hanno avuto in esso un ruolo centrale stanno passando ad altre universit. Ma la robustezza di una corda dice Wittgenstein di un fenomeno analogo non data da un filo che la percorre in tutta la lunghezza, bens dallintrecciarsi e sovrapporsi di pezzi di filo. Proprio il fatto che la conversazione con Tommaso non sia interrotta la pi forte garanzia di continuit attraverso il mutamento. Sar la sua presenza di contenuto e di metodo nel lavoro comune a far ritornare spesso e a tenerci ancora vicini gli amici trasferiti in altre sedi, saranno la sua prospettiva ed il suo stile ad attrarre ed integrare nel gruppo di lavoro i nuovi collaboratori e amici che verranno. Sta a noi far s che anche chi non lo conosceva possa accorgersi che c qualcuno dal quale abbiamo imparato le virt rivoluzionarie della pazienza e dellironia, senza cui le passioni sono fuochi di paglia, e che nel nostro sorriso c leco di un sorriso che abbiamo visto diventare bellissimo, per nascondere un dolore crescente. Sarebbe difficile non essergli fedeli, con la fedelt con cui lautunno muta in inverno, e linverno in primavera.
DANIELE GAMBARARA

Pubblicazioni di Tommaso RUSSO (dal 2007 Tommaso RUSSO CARDONA) Roma, 26 Ottobre 1970 13 Settembre 2007
Settembre 1996 Ottobre 1999 dottorato di ricerca in Filosofia del linguaggio (Universit di Palermo, della Calabria e di Roma 1) Novembre 2000 Ottobre 2002 professore a contratto di Sociolinguistica, Universit di Bologna Dicembre 2000 Dicembre 2002 borsa post-dottorato, Universit della Calabria Febbraio 2003 Febbraio 2005 assegno di ricerca, Universit della Calabria Novembre 2005 Settembre 2007 ricercatore universitario di ruolo di Filosofia del Linguaggio, Universit della Calabria 1995 01) Tommaso RUSSO, Nomi Propri e individuazione. Peirce, Wittgenstein, Lvi-Strauss e alcune teorie linguistiche contemporanee. Tesi di laurea in Filosofia del Linguaggio, presso lUniversit di Roma La Sapienza, 21 aprile 1995, relatore Tullio DE MAURO, correlatore Massimo PRAMPOLINI, voto 110/110 e lode. 1997 02) Anna Maria PERUZZI, Paolo ROSSINI, Tommaso RUSSO e Virginia VOLTERRA, I

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Daniele Gambarara

nomi propri nella LIS, ovvero i segni nome. In: Maria Cristina CASELLI e Serena CORAZZA (a cura di), LIS: Studi esperienze e ricerche sulla Lingua dei Segni in Italia (Atti del I Convegno nazionale sulla LIS, Trieste 13-15 ottobre 1995). Tirrenia (PI): Edizioni del Cerro, 1997, ISBN 88-8216-009-2, pp. 260-265. 03) Tommaso RUSSO, Segni nome e identit culturale nella comunit sorda in Italia. In: Amir ZUCCAL (a cura di), Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi (Atti del Convegno, Universit di Roma 15-16 aprile 1996). Roma: Meltemi (Gli argonauti), 1997, ISBN 88-86479-33-6, pp. 69-83. 04) Tommaso RUSSO, Iconicit e metafora nella LIS. In: Filosofia del Linguaggio. Teoria e Storia [II] (Preprints del Convegno, 2-3 ottobre 1997). Rende (CS): Dipartimento di Filosofia, Universit della Calabria, pp. 136-141. 05) Tommaso RUSSO, Testi per la trasmissione e il sito MediaMente, 1997-1999 www.mediamente.rai.it/home/tv2rete/mm9798/tematich/ www.mediamente.rai.it/home/tv2rete/mm9899/tematich/ 1998 06) Tommaso RUSSO & Elena PIZZUTO, Iconicity and metaphors in Italian Sign Language poetry: the functional shift from phonological to morphological values of sign parameters elements. Paper presented at the 2nd Intersign ESF Workshop (Leiden December 1998: Phonology). Abstract online at: www.sign-lang.uni-hamburg.de/ BibWeb/LiDat.acgi?ID=49431 1999 07) Elena PIZZUTO, Barbara ARDITO, Daniela FABBRETTI, Mari Luz PEREA COSTA, Paola PIETRANDREA, Paolo ROSSINI & Tommaso RUSSO, Italian Sign Language (LIS): text corpora and notation systems. Paper presented at the 3rd Intersign ESF Workshop (Siena-Pontignano 12-15 march 1999: Morphosyntax: text corpora and tagging). Abstract online at: www.sign-lang.uni-hamburg.de/Intersign/Workshop3/Pizutto.html 2000 08) Tommaso RUSSO, Immagini e metafore nelle lingue parlate e segnate. Modelli semiotici e applicazioni alla LIS (Lingua Italiana dei Segni), tesi di Dottorato di ricerca in Filosofia del Linguaggio: Teoria e storia (Universit di Palermo, della Calabria, di Roma La Sapienza), XI ciclo (1996-1999; depositata nel dicembre 1999, discussione sostenuta il 10 febbraio 2000). Direttore di tesi: Antonino PENNISI, Lettore: Elena PIZZUTO, Coordinatore del dottorato: Franco LO PIPARO [cf. 27]. 09) Tommaso RUSSO, Senso e coscienza dei sensi. Alcune riflessioni sulle Lingue dei Segni. Ou. Riflessioni e provocazioni, IX (2000, n. 1) (= Sensi del senso, a cura di Federica VERCILLO. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane), pp. 105-110. 10) Anna Maria PERUZZI, Paolo ROSSINI, Tommaso RUSSO e Virginia VOLTERRA, Segni nome ed identit personale nella LIS. In: Caterina BAGNARA, Giampaolo CHIAPPINI, Maria Pia CONTE e Michela OTT (a cura di), Viaggio nella Citt Invisibile (Atti del II Convegno nazionale sulla LIS, Genova 25-27 settembre 1998). Tirrenia (PI): Edi-

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zioni del Cerro, 2000, ISBN 88-8216-088-2, pp. 488-494. Rosaria GIURANNA e Giuseppe GIURANNA, Sette poesie in Lingua dei Segni Italiana (LIS). CD-ROM + libretto, prototipo, preedizione Roma: Istituto di Psicologia CNR, 2000 [cf.19-20] Il libretto di accompagnamento contiene: 11) Elena PIZZUTO e Tommaso RUSSO, Presentazione. 12) Tommaso RUSSO, Sintesi delle poesie. 13) Tommaso RUSSO, The crosslinguistic study of poetical texts in signed and vocal languages: productivity, redundancy and form-function relations in a LIS (Italian Sign Language) poem. Paper presented at the 7th International Conference on Theoretical Issues in Sign Language Research (TISLP 7, Amsterdam July 23rd-27th 2000). Abstract online at: www.sign-lang.uni-hamburg.de/BibWeb/LiDat.acgi?ID=52873 2001 14) Tommaso RUSSO, Rosaria GIURANNA & Elena PIZZUTO, Italian Sign Language (LIS) poetry: iconic properties and structural regularities. Sign Language Studies, 2.1 (Fall 2001, Special Issue), Print ISSN: 0302-1475, E-ISSN: 1533-6263, Gallaudet University Press, pp. 84-112. http://muse.jhu.edu/journals/sign_language_studies/v002/2.1russo.html o .pdf with an animated clip from the poem "The Clock" http://gupress.gallaudet.edu/1.avi 14 bis)Una versione preliminare (14 marzo 2000) online a: www.sign-lang.uni-hamburg.de/intersign/Workshop2/Russo_Pizzuto/Russo_Pizzuto.html 15) Tommaso RUSSO, Sordit e cieco-sordit: teorie e stato dellarte. In: Antonino PENNISI e Rosalia CAVALIERI (a cura di), Patologie del linguaggio e scienze cognitive. Bologna: Il Mulino (Percorsi), dicembre 2001, ISBN 88-15-08457-6, 9788815084576, pp. 51-99. 16) Tommaso RUSSO e Elena PIZZUTO, Musica visiva in Lingua Italiana dei Segni: invito alla scoperta di un universo poetico sconosciuto. Crossover Festival Magazine (a cura di Carlo Rea), n. 1, Luglio 2001 (Civitella del Tronto, TE), p. 28. 2002 17) Roberto CONTESSI, Marco MAZZEO e Tommaso RUSSO (a cura di), Linguaggio e percezione Le basi sensoriali della comunicazione linguistica (Atti del Convegno Universit di Roma La Sapienza 15-16 febbraio 2002). Roma: Carocci (Biblioteca di testi e studi/Linguistica 203), ottobre 2002, ISBN 88-430-2431-0, 9788843024315, 144 pp. 18) Tommaso RUSSO, Antinorma poetica, ritmo e metafora: tra lingue dei segni e lingue vocali. In: CONTESSI, MAZZEO e RUSSO (a cura di), Linguaggio e percezione, Roma 2002 [17], pp. 88-98. Rosaria GIURANNA e Giuseppe GIURANNA, Sette poesie in lingua dei segni italiana (LIS). CD-ROM + libretto 16 pagg., Tirrenia (PI). Edizioni del Cerro, 2002 (e 2003) 2a edizione, ISBN 88-8216-137-4 [cf. 11-12]. Il libretto di accompagnamento contiene:

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Daniele Gambarara

19) Elena PIZZUTO e Tommaso RUSSO, Presentazione. 20) Tommaso RUSSO, Sintesi delle poesie. 21) Tommaso RUSSO, Sistemi antroponimici e identit personale: appunti sulla semantica dei nomi propri di persona. Rivista Italiana di Onomastica (RIOn), VIII/1 (2002), ISSN 1124-8890, pp. 29-57. 22) Tommaso RUSSO, Nomi Propri [Recensione di: Rita Caprini, Nomi propri, Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2001]. Rivista Italiana di Onomastica (RIOn), VIII/1 (2002), pp. 183-187. 23) Tommaso RUSSO, La specie simbolica [Recensione di: Terrence W. Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, Roma: Giovanni Fioritti Editore, 2001]. Annali dellIstituto Superiore di Sanit (AISS), 38/1 (2002), ISSN 00212571, pp. 97-100. http://www.iss.it/binary/publ/publi/381rece.1108638531.pdf 2003 24) Tommaso RUSSO, Metafore come ipoicone nelle lingue dei segni e nelle lingue vocali. In: Aureliano PACCIOLLA e Natalino NATOLI (a cura di), Metafora e psicologia. Roma: Laurus Robuffo, 2003, ISBN 88-8087-348-2, 9788880873488, pp. 391-433. 25) Tommaso RUSSO, Metafore e comprensione tra segni, gesti e parole. In: PACCIOLLA e NATOLI (a cura di), Metafora e psicologia, Roma 2003 [come 24], pp. 435-467. 26) Tommaso RUSSO, Sensi individuali e significati condivisi: patologie sensoriali, gioco simbolico e discorso autofasico [Seminario tenuto allUniversit della Calabria, 5 aprile 2000]. Bollettino filosofico (Univ. della Calabria), n. 18 (2002) [ma gennaio 2003] (= Cronache dottorali, a cura di Daniele Gambarara), ISSN 1593-7178, pp. 290-313. 2004 27) Tommaso RUSSO, La mappa poggiata sullisola. Iconicit e metafora nelle lingue dei segni e nelle lingue vocali. Rende (CS): Centro Editoriale e Librario, Universit della Calabria (CELUC), Collana Filosofia del Linguaggio: Teoria e Storia, settembre 2004, ISBN 88-7458-017-7, 350 pagine [cf. 08]. 28) Tommaso RUSSO, Iconicity and Productivity in Sign Language Discourse: an analysis of three LIS discourse registers. Sign Language Studies, 4.2 (Winter 2004), pp. 164-197. 29) Tommaso RUSSO, Come fatta una lingua dei segni. In: Stefano GENSINI (a cura di), Manuale di semiotica. Roma: Carocci (Universit/Semiotica e comunicazione 562), 1a ediz. Marzo 2004, 3a Ristampa 2007, ISBN 88-430-2922-3, 9788843029228, pp. 359-382. 2005 30) Tommaso RUSSO, Metafore come ipoicone. La dimensione iconica delle metafore nelle lingue vocali e nelle lingue dei segni. Versus: quaderni di studi semiotici, n. 97 (2005) ISSN 0393-8255, pp. 151-177.

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31)Tommaso RUSSO & Virginia VOLTERRA, Comment on Children Creating Core Properties of Language: Evidence from an Emerging Sign Language in Nicaragua. Science 309, 56b. (2005 1 July). http://www.sciencemag.org/cgi/reprint/309/5731/56b.pdf Cf. Ann SENGHAS, Asli ZYREK, and Sotaro KITA, Response to Comment on Children Creating Core Properties of Language: Evidence from an Emerging Sign Language in Nicaragua, Science 309 (5731), 56c. 32) Tommaso RUSSO e Tiziana ZALLA, Patologie dello sviluppo cognitivo e comunicativo. In: Francesco FERRETTI e Daniele GAMBARARA (a cura di), Comunicazione e scienza cognitiva. Roma-Bari: Laterza (Biblioteca di Cultura Moderna, 1180), marzo 2005, ISBN 88-420-7588-4, 9788842075882, pp. 153-190. 33) Tommaso RUSSO, Stereotipia e sintassi substandard nella scrittura degli adolescenti italiani: un confronto tra le strategie testuali e sintattiche di sordi ed udenti romani. In: Giuseppe ARDRIZZO e Daniele GAMBARARA (a cura di), La comunicazione giovane (Atti del convegno Majise, Univ. della Calabria, 26 gennaio 2001). Soveria Mannelli (CZ): Rubettino, aprile 2005, ISBN 88-498-1245-0, 9788849812459, pp. 321-343. 34) Tommaso RUSSO, A Crosslinguistic, Cross-cultural Analisys of Metaphors in Two Italian Sign Language (LIS) Registers. Sign Language Studies 5: 3 (Spring 2005, Special Issue: Metaphor in Signed Languages), pp. 333-359. 35) Tommaso RUSSO, Un lessico di frequenza della LIS. In: Tullio DE MAURO e Isabella CHIARI (a cura di), Parole e numeri. Analisi quantitative dei fatti di lingua. Roma: Aracne, marzo-aprile 2005, ISBN 88-548-0040-6, 9788854800403, pp. 277-290. 36) Elena PIZZUTO, Paolo ROSSINI, Tommaso RUSSO e Erin WILKINSON, Formazione di parole visivo-gestuali e classi grammaticali nella Lingua dei Segni Italiana (LIS): dati disponibili e questioni aperte. In: Maria GROSSMANN e Anna M. THORNTON (a cura di), La formazione delle parole. (Atti del XXXVII Congresso internaz. di studi della Societ di Linguistica Italiana SLI, L'Aquila 25-27 settembre 2003). Roma: Bulzoni (Pubblicazioni della SLI 48) dicembre 2005, ISBN 88-7870-093-2, pp. 443-463. 37) Tommaso RUSSO, Language and Hegemony in Gramsci [Recensione di: Peter Ives, Language and Hegemony in Gramsci, London: Pluto Press, 2004]. International Review of Sociology, 15, 2, July, 2005, pp. 397-401 38) Tommaso RUSSO, Recensione di: Tullio De Mauro, traduzione, introduzione e note a F. De Saussure, Scritti inediti di linguistica generale, Roma-Bari: Laterza, 2005. Bollettino di Italianistica, IV, 2005, ISSN 0168-7298, pp. 278-284. 2006 39) Barbara FIORE e Tommaso RUSSO, Linguaggio rituale e divinazione. Forme di Vita 5/2006 (= Il rito tra natura e cultura), Atti del convegno Salerno 10-11 giugno

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Daniele Gambarara

2005. Roma: DeriveApprodi, aprile 2006), ISBN 88-88738-99-1, 9788888738994, pp. 98-120. 40) Tommaso RUSSO, Compte Rendu de: F. de Saussure, Scritti inediti di linguistica generale, trad. introd. e note di Tullio De Mauro, Roma-Bari: Laterza, 2005. Cahiers Ferdinand de Saussure 58 (2005) [ma marzo 2006], ISSN 0068-516-X, ISBN 2600-01070-X, pp.299-308. 41) Elena PIZZUTO, Paolo ROSSINI, e Tommaso RUSSO, Representing signed languages in written form: questions that need to be posed. In: Chiara VETTORI (ed.), Proceedings of the Second Workshop on the Representation and Processing of Sign Languages: Lexicographic Matters and Didactic Senarios (LREC 2006 5th International Conference on Language Resources and Evaluation, Genoa, May 28th 2006). Paris: ELRA, 2006, pp. 1-6. 42) Tommaso RUSSO, Metaphors and blending in LIS (Italian Sign Language) discourse: a window on the interaction of language and thought. In: QUADROS, Ronice M. de (ed.): TISLR 9: Theoretical Issues in Sign Language Research 9: (9 Congreso International de Aspectos Tericos das Pesquisas nas Linguas de Sinais. December 6 to 9, 2006, Universidade Federal de Santa Catarina Florianpolis, SC Brasil). Florianpolis: Lagoa Editora, 2006, pp. 183-184. Cf. Terry JANZEN and Sherman WILCOX (eds.), Cognitive Dimensions of Signed Languages. Cognitive Linguistics 15 (2004). 43) Grazia BASILE e Tommaso RUSSO, OGM e stampa italiana (2003-2005). Roma: (Consiglio dei Diritti Genetici) MediaBiotech, report # 1/2005 [ma 2006], 49 pp. 2007 44) Tommaso RUSSO CARDONA e Virginia VOLTERRA, Le Lingue dei Segni. Storia e Semiotica. Roma: Carocci (Quality Paperbacks 207), marzo 2007, ISBN 9788843040575, 153 pagine. 45) Tommaso RUSSO CARDONA, Catastrofe e ironia. Forme di vita 6/2007 (= Logica e antropologia). Roma: DeriveApprodi, febbraio 2007, ISBN 788889969229, pp. 85-104. 46) Tommaso RUSSO CARDONA, Lontogenesi come Philosophia prima [Recensione di: David Gargani, La nascita del significato, Linguaggio ed esperienza nell'ontogenesi del significato verbale, Perugia: Guerra Ediz., 2004]. Forme di vita 6/2007 (= Logica e antropologia). Roma: DeriveApprodi, febbraio 2007, ISBN 788889969229, pp. 216-221. 47) Tommaso RUSSO CARDONA, Sulla formativit del segno linguistico nello scritto saussuriano De lessence double du langage. In: Annibale ELIA e Marina DE PALO (eds.), La lezione di Saussure. Saggi di epistemologia linguistica (Atti del Convegno Universit di Salerno 18 Giugno 2004). Carocci (Quaderni), luglio 2007, ISBN 9788843041770, pp. 171-186. 48) Tommaso RUSSO CARDONA, Impliciti e intenzionalit. La dimensione intersoggettiva dellintenzionalit nel discorso frammentato o reticente. In: Raffaella PETRILLI

Lombra illuminata

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e Diego FEMIA (eds.), Il filo del discorso. Intrecci testuali, articolazioni linguistiche, composizioni logiche (Atti del XIII Congresso Nazionale della Societ di Filosofia del Linguaggio, Viterbo 14-16 Settembre 2006). Roma: Aracne (Pubblicazioni della Societ di Filosofia del Linguaggio 04), settembre 2007, ISBN 9788854813311, pp. 91-109. 49) Paola PIETRANDREA e Tommaso RUSSO, Diagrammatic and Imagic Iconicity in Verbal and Signed Languages. In: Elena PIZZUTO, Paola PIETRANDREA & Raffaele SIMONE (eds.), Verbal and Signed Languages: Comparing structures, constructs and methodologies (Atti del Colloquio internaz. Roma 4-5 Ottobre 2004). Mouton De Gruyter (Empirical Approaches to Language Typology [EALT] 36), 2007. ISBN 978-3-11019585-9, pp. 35-36. 2008 50) Adam KENDON and Tommaso RUSSO CARDONA (eds.), Dimensions of gesture. Gesture, 8/1 (2008) Special Issue, (Atti del Convegno Il gesto nel Mediterraneo, Procida, 20-23 ottobre 2005). Amsterdam: Benjamins. 51) Tommaso RUSSO CARDONA, Metaphors in Sign Languages and in Co-verbal Gesturing. In: KENDON, and RUSSO CARDONA (eds.), Dimensions of gesture, Gesture, 8/1 (2008) [50], pp. 62-81. 52) Tommaso RUSSO CARDONA, Asymtries du signe: outils, gestes, mots/signes (Relazione alla Tavola rotonda del XXXVI Congresso AISS, Universit della Calabria, 17 Novembre 2006). Cahiers Ferdinand de Saussure 60 (2007) [ma maggio 2008], pp. 107-122. 53) Tommaso RUSSO, Ironia: emozioni e orizzonte di coscienza [Seminario tenuto allUniversit della Calabria, aprile 2007]. Bollettino filosofico (Univ. della Calabria), n. 24 (2008) (= Linguaggio ed emozioni, a cura di Felice Cimatti), ISSN 15937178, pp. 223-237. IN PUBBLICAZIONE 54) Tommaso RUSSO CARDONA, Peripezie dellironia. Studio sul rovesciamento ironico, Roma: Meltemi, in corso di stampa. 55) Tommaso RUSSO CARDONA, Ngativit, rcursivit et incalculabilit: les quaternions dans De lessence double du langage Cahiers Ferdinand de Saussure, 61 (2008), in corso di stampa. 56) Tommaso RUSSO CARDONA, Forme, jeu des signes et emploi dans De lessence double du langage (Relazione presentata al convegno Rileggere Saussure, Ragusa, 28-29 Aprile 2006). In: Daniele GAMBARARA (a cura di), Lesprit du langage. Un voyage de Saussure en Italie, in pubblicazione. 57) Tommaso RUSSO CARDONA, Il ricamo dei segni. Un viaggio nel paese dei sordi attraverso la loro poesia, in preparazione.

Sezione monografica: Linguaggio ed emozioni

FERDINANDO ABBRI Costruzione delle emozioni e linguaggi contemporanei

Le emozioni disegnano il paesaggio della nostra vita spirituale e sociale. Le emozioni lasciano un segno nelle nostre vite rendendole irregolari, incerte, imprevedibili. M.C. NUSSBAUM, Lintelligenza delle emozioni1.

Il tema delle emozioni da sempre al centro dellinteresse della filosofia e, in tempi pi recenti, anche delle scienze cognitive: la loro importanza per il tono e la qualit della vita mentale e affettiva di un individuo ha talmente catalizzato lattenzione dei filosofi che si possono individuare nella storia e nella filosofia contemporanea un numero ragguardevole di concezioni diverse sulle emozioni. Nella filosofia classica e in quella moderna ogni capitolo delletica doveva necessariamente indicare il ruolo delle emozioni e delle passioni in una vita ben vissuta, ovvero risolvere questioni di carattere normativo in merito ad un eventuale loro contributo alla razionalit. Sui problemi connessi alle emozioni esiste una mole impressionante di ricerche in prospettiva storico-filosofica, teorica ed etica: la ricostruzione delle concezioni in merito alle passioni che hanno attraversato la storia della filosofia compone capitoli decisivi della storiografia filosofica; questioni correlate ad unontologia delle emozioni o ai rapporti tra razionalit, conoscenza di s, moralit e emozioni hanno dato vita a lavori di innegabile interesse filosofico. N va ignorato il ruolo che il linguaggio svolge nella costruzione delle passioni o emozioni nella vita individuale. In questo saggio intendo solo segnalare un aspetto della cultura contemporanea che pu essere di un qualche interesse al fine di definire ulteriormente il gi complesso quadro della questione emozioni nel contesto della filosofia e delle scienze umane contemporanee. Luso del termine costruzione nel titolo richiama una precisa posizione epistemologica, ossia
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M.C. NUSSBAUM, Lintelligenza delle emozioni [I ed. 2001], Bologna, il Mulino, 2004, p. 17.

Bollettino Filosofico 24 (2008): 25-36

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lidea che le concezioni (filosofiche, scientifiche, storiche, di gender, sessuali, ecc.) sono costruzioni che si presentano come strettamente correlate a contesti culturali e sociali. Ladesione ad una forma (debole) di costruzionismo sociale non implica una svalutazione o relativizzazione della conoscenza, al contrario vuole privilegiare il momento genetico nella delineazione e affermazione di una conoscenza che viene pur sempre pensata come decisiva e storicamente influente2. Una qualunque considerazione del tema delle emozioni rinvia ad uno dei libri pi importanti pubblicati sullargomento negli ultimi anni, ossia a Upheaval of Thought. The Intelligence of Emotions (2001) di Martha C. Nussbaum3, che una vera e propria summa filosofica del problema delle emozioni in prospettiva etica. Tra i molteplici aspetti del libro della Nussbaum uno colpisce subito il lettore: la capacit della filosofa americana di muoversi con straordinaria lucidit e padronanza degli argomenti tra contesti di riferimento differenti. Dalla filosofia classica e moderna agli approcci psicologici e cognitivi, dalla letteratura alla poesia in un gioco sottile di rinvii e trattazioni trasversali tra Platone, Spinoza, Proust, Agostino e Dante, Emily Bront, Joyce e Whitman, senza dimenticare Gustav Mahler, Nussbaum propone la sua concezione neostoica che valuta le emozioni come decisive per la vita etica e vede larte e la letteratura, in quanto strumenti significativi per la educazione delle nostre emozioni, come capaci di svolgere un ruolo di primo piano nello sviluppo etico individuale. Va da s che la considerazione della compassione nella seconda parte di Upheaval , a detta degli specialisti di filosofia morale, una delle migliori trattazione attualmente disponibili nel panorama della letteratura filosofica sullargomento4. Da filosofo della musica posso solo dire che lintermezzo dedicato a musica ed emozione e il capitolo su Mahler sono una lucida messa a punto di un problema cruciale per lestetica musicale, cio il rapporto tra musica e emozione5. Si tratta di considerare nientemeno che la natura emotiva
2 F. ABBRI, Concetti e contesti di discorso: storia intellettuale e storia sociale della filosofia e della scienza, in G. CANZIANI (ed.), Storia della scienza, storia della filosofia: interferenze, Milano, FrancoAngeli, 2005, pp. 185-196. 3 M.C. NUSSBAUM, op. cit. 4 Desidero ringraziare lamico e collega Mario Micheletti con il quale ho avuto modo di discutere del libro della Nussbaum e che mi ha segnalato limportanza della trattazione della compassione da parte della filosofa americana. 5 Cf. S. DAVIES, The Expression of Emotion in Music, Mind 89 (1980), pp. 67-86. M. BUDD, Music and the Expression of Emotion, Journal of Aesthetics Education 23 (1989), pp. 19-29.

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o meno del linguaggio musicale: nella sua formalit e precisione la musica ha la capacit di suscitare passioni e emozionare lascoltatore ma difficile districarsi filosoficamente tra lipotesi di un eventuale carattere emotivo insito nel linguaggio musicale e la considerazione dellemozione musicale come il prodotto di una reazione psicologica dellascoltatore rispetto ad un insieme organizzato di suoni che , di per s, solo una creazione di tipo sintattico. Se si accetta con Martha Nussbaum lidea che le arti (la musica in particolare) e la letteratura (prosa e poesia), in quanto capaci di suscitare emozioni, sono dunque in grado dinfluenzare le nostre concezioni morali, dobbiamo ammettere che forme altre di arte contemporanea, anche se non di grande valore e qualit dal punto di vista estetico, anzi volutamente popolari, si manifestano attraverso linguaggi che sono influenti sui soggetti. Nel suo efficace e ammirevole percorso attraverso contesti differenti Nussbaum utilizza casi artistici di altissima qualit estetica ma che hanno oggi, purtroppo, un impatto limitato a livello pubblico. Mi propongo di presentare qui alcuni casi di costruzione delle emozioni facendo riferimento ad una tipologia di narrazione televisiva che non artisticamente alta, ma di grande impatto a livello pubblico. Unattenzione verso questa tipologia pu suggerire al filosofo in che modo il linguaggio popolare capace di costruire saperi etici e smascherare pregiudizi di tipo ideologico. Le serie televisive di produzione anglo-americana sono prodotti a larga diffusione internazionale e rappresentano una delle forme contemporanee pi fortunate di narrazione romanzata. Per reti televisive a livello nazionale o via cavo o satellitari (le pay TV) la produzione di una serie di successo, capace quindi di durare per diverse stagioni, costituisce un investimento economicamente importante che viene sfruttato a vari livelli (diffusione TV, DVD, internet, ecc.). Le serie televisive traggono ispirazione dal vecchio romanzo dappendice, innovato anche alla luce delle soap opera pi popolari: opportuno ricordare che esistono soap opera come ad esempio lamericana As the World Turns (dal 1956) o la britannica Eastenders (dal 1985), che durano da molti anni, e che nella loro evoluzione riflettono i mutamenti di percezione pubblica rispetto a temi di attualit. La fortuna delle serie riconducibile a fattori differenti: abilit e fluidit narrative, innovazione negli argomenti pur mantenendo una struttura tradizionale, capacit di riflettere la contemporaneit pur in una dimensione fittizia, linguaggio visuale e verbale accessibile ma non banale, possibilit di emozionare, appassionare, quindi interessare una fascia ampia di spettatori. La

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questione della perizia nel coinvolgere emotivamente rappresenta qualcosa di cruciale al fine di individuare le ragioni di successo a livello mondiale. opportuno fare un esempio relativo al cinema di argomento storico per poter chiarire la rilevanza della sfera emotiva nella creazione di un prodotto di successo. Nel 2000 il film Gladiator di Ridley Scott, che ambientato nello stesso periodo della storia romana di The Fall of the Roman Empire (1964) di Anthony Mann, ha avuto un tale successo di pubblico e di critica che ha lasciato intravedere ai produttori americani la possibilit di utilizzare di nuovo la storia antica come soggetto dopo il clamoroso insuccesso di Cleopatra del 19636. Giova ricordare che la storia antica stata sin dalle origini del cinema commerciale e, per lungo tempo, il soggetto privilegiato dei film7. In seguito il film storico e epico si trasformato in un genere la cui fortuna affidata ai corsi e ricorsi del mercato cinematografico. Sulla scia del Gladiator di Scott sono stati prodotti nel 2004 i seguenti film: Troy di Wolfang Petersen, Alexander di Oliver Stone, King Arthur di Antoine Fuqua, che ambientato in epoca tardoromana. Pur avendo avuto, in misura diversa, un buon successo, nessuno di questi film o film simili di genere epico ha conosciuto un successo commerciale e di critica pari a quello del film di Ridley Scott. Le ragioni sono molteplici e non posso entrare qui nel merito specifico, ma molti critici, riferendosi in particolare a Troy di Petersen, hanno riconosciuto che lo spazio fisico e spettacolare di questo film ragguardevole ma quello emotivo non n definito n coinvolgente8. La storia narrata da Scott non particolarmente originale, innovativa e contiene una lunga sequenza di errori storici e di anacronismi, ma lo spazio emotivo cos forte che ha garantito un enorme successo internazionale perch il pubblico, nonostante la distanza storica dagli eventi narrati, si emotivamente identificato col protagonista, e questo non pu essere certo affermato n per Troy n per Alexander. La costruzione delle passioni nella narrazione garantisce una temperatura emotiva tale da rendere significativa e coinvolgente una storia, anche se questa non troppo originale. Il gioco
Cf. M.M. WINKLER (ed.), Gladiator. Film and History, Malden Oxford, Blackwell Publishing, 2005. 7 J. SOLOMON, The Ancient World in the Cinema, New Haven London, Yale University Press, 2001. La prima edizione di questo volume risale al 1978. 8 M.M. WINKLER (ed.), Troy. From Homers Iliad to Hollywood Epic, Malden Oxford, Blackwell Publishing, 2007. F. ABBRI, Troy di Wolfgang Petersen: epica antica e cinema, in R. BERTINI CONIDI, F. LONGO (ed.), Ex adversis fortior resurgo, Pisa, Pacini editore, 2008, pp. 145-156.
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delle emozioni e del loro linguaggio espressivo decisivo per unarte visuale com il cinema. Una serie televisiva di successo capace di garantire popolarit ai personaggi e ai loro interpreti che era impensabile sino a qualche anno fa e che era riservata esclusivamente agli attori del cinema, merita quindi una considerazione attenta anche al di fuori della critica televisiva, ovvero adottando prospettiva diverse di lettura di questo fenomeno. Una serie pu dire molte cose ad uno storico e a un filosofo attenti ai fenomeni della contemporaneit. La casa editrice anglo-americana I.B. Tauris ha una collana di studi, di Reading contemporary television che dedicata alle serie televisive pi popolari degli ultimi anni. I volumi, curati in genere da Janet McCabe e Kim Akass, raccolgono saggi di diverse studiose e studiosi che considerano i vari aspetti di una serie televisiva di successo. Ad esempio il volume dal titolo Reading Six Feet Under. TV to die for (2005)9 analizza la celebre serie Six Feet Under della rete televisiva via cavo HBO, che ha svolto un ruolo decisivo nel rinnovamento del serial televisivo americano. Nel 2008 Gary R. Edgerton e Jeffrey P. Jones hanno curato per la University Press of Kentucky un volume dal titolo The Essential HBO Reader nel quale ventidue studiose e studiosi fanno la storia e analizzano le pi importanti produzioni di HBO10. Tra queste/i studiose/i figurano la McCabe e la Akass che sono appunto le curatrici della Reading Contemporary Television book series della Tauris. Giova ricordare che HBO ha prodotto non solo Angels in America dal dramma in due parti di Tony Kushner sulla tragedia dellAIDS, ma anche serie di successo come Sex and the City11, Oz12 ambientata in un
K. AKASS, J. MCCABE (eds.), Reading Six Feet Under. TV to die for, London New York, I.B. Tauris, 2005. 10 G.R. EDGERTON, J.P. JONES (eds.), The Essential HBO Reader, Lexington. The University Press of Kentucky, 2008. 11 K. AKASS, J. MCCABE (eds.), Reading Sex and the City, London New York. I.B. Tauris, 2003. 12 La serie Oz diventata anche un punto di riferimento per sociologi e antropologi sociali interessati ai problemi carcerari. A differenza di Prison Break la serie della Fox Broadcasting Company trasmessa dal 2005 Oz una serie molto dura che riflette in maniera drammatica le differenze etniche presenti nella societ americana. Una prigione maschile diventa lo specchio di una societ. Cf. M. MALACH, Oz, in G.R. EDGERTON, J.P. JONES (eds.), The Essential HBO Reader, cit., pp. 52-60. B. JARVIS, Cruel and Unusual. Punishment and US Culture, London Sterling, Pluto Press, 2004, pp. 222-232. ID., The violence of images: inside the prison TV drama OZ, in P. MASON (ed.), Captured by the Media. Prison discourse in popular culture, Cullompton, William Publishing, 2006, pp. 154-171.
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carcere maschile, trasmessa dal 1997 al 2003 e capace di richiamare lattenzione di studiosi del fenomeno carcerario The Sopranos13 e, appunto, Six Feet Under. In una serie che pu arrivare fino a cinque stagioni come Six Feet Under o addirittura a sei stagioni come Oz, The Sopranos e Sex and the City, i temi svolto dalla narrazione sono i pi diversi ma da notare che la televisione a pagamento ha offerto la opportunit di affrontare argomenti difficili per un pubblico da soap opera, e televisivo in genere. In questo ambito la messa in agenda di un ripensamento delle questioni di gender e delle sessualit assolutamente in primo piano: la figura della donna stata completamente innovata rispetto a immagini tradizionali e la diversit sessuale ha fatto la sua piena comparsa. Ci che era marginale nella raffigurazione tradizionale diventato centrale le donne che parlano di s, in prima persona esprimendo le proprie passioni, emozioni e manifestando i loro desideri mentre le persone omosessuali hanno trovato un loro spazio emotivo significativo, non marginale o puramente decorativo14. Se cambia la prospettiva emotiva di un soggetto muta ovviamente anche il linguaggio televisivo che deve esprimere quella prospettiva. Giova ricordare che molte studiose femministe hanno sottolineato come concezioni, strutturate dal punto di vista del gender, sullesperienza emotiva e sulla sua espressione hanno contribuito a mantenere la disuguaglianza tra i sessi. Nel volume su Six Feet Under la terza parte dedicata a Making visible the female subject sulle figure femminili della serie mentre la quarta riguarda le Masculinities reconsidered che contiene anche un saggio di Brian Singleton su Queering The Church: sexual and spiritual neo-orthodoxies in Six Feet Under che usa la queer theory15 per leggere il problema della diversit sessuale in relazione al problema della religione16. da sottolineare
D. LAVERY (ed.), Reading the Sopranos, London New York, I.B. Tauris, 2006. La presenza di coppie gay nelle soap opera come ad esempio Noah Mayer e Luke Snyder (2007) in As the World Turns o John Paul McQueen e Craig Dean nella soap britannica Hollyoaks costituisce un elemento di novit importante perch, giova ricordarlo, le soap opera sono trasmesse in orario mattutino o nel primo pomeriggio e sono destinate ad un pubblico ampio. Certi temi possono essere pi agevolmente presentati in serie destinate ad un orario serale che non nelle soap opera. In Oz il rapporto amoroso e sessuale tra Tobias Beecher (Lee Tergesen, stagioni 1-6) e Chris Keller (Christopher Meloni, stagioni 26), due carcerati bianchi, un filo conduttore narrativo assai importante. 15 Cf. F. ABBRI, Contesti di alterit, Cosenza, Edizioni Brenner, 2002. D.E. HALL, Queer Theories, Basingstoke, Palgrave Macmillan 2003. 16 B. SINGLETON, Queering the Church: sexual and spiritual neo-orthodoxies in Six Feet Under, in K. AKASS, J. MCCABE (eds.), Reading Six Feet Under. TV to die for, cit., pp.
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che queste due parti sono organizzate sotto una stessa rubrica dal titolo Post-Patriarchal Dilemmas che ci dice quanto la storia delle sessualit, la teoria del gender e la queer theory aiutano a fare emergere le novit presenti anche in una serie televisiva destinata ad un largo pubblico. Nel 2006 McCabe e Akass hanno curato un Reading di Desperate Housewives relativo alla fortunata serie televisiva della ABC (American Broadcasting Corporation) che in programmazione dalla fine del 2004 e che in USA arrivata alla sesta stagione. Il Reading riguarda solo le prime due stagioni di Desperate Housewives ma contiene una sezione di saggi dedicati a Sexual Politics che dimostrano come certi argomenti siano ormai irrinunciabili per una trattazione delle ideologie diffuse dai moderni strumenti di comunicazione. Non a caso in questo volume il saggio di Kristian T. Kahn dal titolo Queer Dilemmas: The right ideology and homosexual representation in Desperate Housewives contiene una dura critica alle modalit di rappresentazione di un personaggio queer, significativo anche se marginale, della serie come Andrew Van de Kamp17. La rappresentazione dei personaggi degli sceneggiati televisivi e delle loro emozioni compongono momenti importanti nella costruzione di figure specifiche e dei linguaggi emotivi a loro connessi nel nostro presente in cui la comunicazione visuale cos preponderante. Basti solo pensare alla serie americana The L Word, che giunta alla stagione sesta, ha come protagoniste un gruppo di donne omosessuali e bisessuali e che a livello internazionale distribuita da una grande compagnia come la MGM Worldwide Television18. Nel seguito di questo saggio intendo considerare brevemente due serie televisive differenti, una britannica e una americana, che hanno entrambe al centro una famiglia numerosa, le relazioni interne alla famiglia che, seppure collocata in contesti economici, sociali e politici radicalmente differenti, ci rivelano una dinamica diversa, innovativa nella costruzione delle emozioni dei personaggi. Shameless una serie televisiva britannica creata da Paul Abbott che prodotta per Channel 4, iniziata il 13 gennaio 2004 ed ha visto ad oggi la
161-173. Cf. anche S.A. CHAMBERS, Revisiting the closet: reading sexuality in Six Feet Under, ivi, pp. 174-188. 17 K.T. KAHN, Queer Dilemmas: The right ideology and homosexual representation in Desperate Housewives, in J.MCCABE, K. AKASS (eds.), Reading Desperate Housewives. Beyond the White Picket Fence, London New York, I.B. Tauris, 2006, pp. 95-105. 18 K. AKASS, J. MCCABE (eds.), Reading the L World, London New York, I.B. Tauris, 2006.

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messa in onda di cinque stagioni che sono state regolarmente tutte riprodotte e diffuse anche in DVD19. La serie ambientata in un quartiere di fantasia che si chiama Chatsworth Estate, che collocabile nella citt di Manchester ed ha come protagonisti e personaggi secondari esponenti dei ceti popolari che parlano un inglese con forte accento mancunian, cio tipico della zona di Manchester. Il protagonista principale Frank Gallagher e la sua numerosa e disfunzionale famiglia composta da sei figli di una stessa (e fuggita) madre, ai quali se ne aggiungono altri tre nel corso dello svolgimento della serie. Frank Gallagher vive solo di espedienti e passa gran parte del suo tempo a bere al pub, lasciando a s stessi i figli. Attorno ai Gallagher ruotano amici, vicini, unaltra numerosa famiglia, i Maguire, che esercita professionalmente attivit di tipo criminoso e che diventa centrale a partire dalla quarta stagione. Lalta numerosit della famiglia Gallagher un espediente narrativo tradizionale che consente agli sceneggiatori di presentare tipi umani molto differenti e dintrecciare storie amorose, relazioni personali, vicende e attivit pi o meno legali assai variegate. La famiglia il centro dello sviluppo della narrazione ma non pi una famiglia di tipo tradizionale, o meglio tradizionale nella sua configurazione, nelle sue aspirazioni ma non lo pi nei fatti. Frank ancora sposato con Monica che lo ha abbandonato con sei figli per vivere con una donna, ma ha una nuova compagna Sheila, a sua volta sposata con una figlia e sofferente di agorafobia. Da Sheila Frank ha due figli (gemelli) e la massima aspirazione di Sheila il matrimonio con Frank. da dire che non una serie per tutto il pubblico perch presenta situazioni forti sesso, droga, alcool, attivit illegali tanto che alcuni DVD della serie sono classificati come vietati ai minori di diciotto anni. Il livello di narrativit assai efficace e il successo di critica e di pubblico stato tale che dopo la prima stagione, composta da soli sette episodi, Channel 4 ha commissionato subito una seconda e una terza stagione del programma. Shameless risulta interessante, attraente perch nel suo impianto di creazione romanzesca, nelle sue esagerazioni tipicamente da romanzo popolare finisce per avvicinarsi alla realt sociale molto pi di un programma che vuole essere intenzionalmente realistico. Dalla visione della serie emergono alcune elementi che sono degni di nota e funzionali al discorso che intendo presentare in questo saggio. Le donne sono figure decisamente pi forti e equilibrate degli uomini e sin da
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Per Shameless ho potuto vedere la serie nei DVD originali britannici di Channel 4.

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giovani sono in grado di occuparsi dei fratelli e dei compagni e di risolvere i loro problemi. Le emozioni in parte di tipo sentimentale e in parte di tipo francamente sessuale sono percepite dallo spettatore avendo come punto di osservazione privilegiato la prospettiva femminile. Fiona, la figlia maggiore dei Gallagher, che figura nelle prime due stagioni, una ragazza libera, ma anche forte, responsabile, impegnata nella cura dei fratelli e decisamente innamorata di Steve: siamo di fronte a una figura assai moderna, disinvolta ma che segue anche la tradizione nelle sue aspirazioni di vita. Non a caso dalla terza serie la sorella minore Debbie a diventare il centro fondamentale di stabilit della famiglia. I personaggi si presentano e si comportano in maniera sfrontata, senza vergogna, lattivit sessuale liberamente condotta sin da giovanissimi ma nessuna delle giovani donne che restano incinte ricorre allaborto, anzi tutte pensano alla maternit come ad un momento di crescita e di responsabilizzazione. Se le donne sono centrali in Shameless la diversit sessuale maschile e femminile, pur con tutte le difficolt e remore di una societ difficile, maschilista nella sua configurazione ideologica e nei suoi ideali, trova la sua legittimazione narrativa. Ad esempio, Ian, il secondo figlio maschio di Frank Gallagher, gay e i problemi connessi alla sua identit sessuale trovano una non facile e sempre instabile risoluzione grazie ad una accettazione della sua diversit come parte dellesistenza e della variet umana. In qualche modo Shameless presenta il quadro di una vita difficile, fatta di sotterfugi, di piccoli e grandi inganni per sopravvivere, in cui i personaggi non hanno pi remore di tipo tradizionale (religiose, morali, politiche e sociali) ma esprimono sentimenti e passioni prepotentemente umane e aspirano a forme di stabilit e di idealit che sono anche di tipo tradizionale: matrimonio, figli, sicurezza professionale. Le emozioni che i vari personaggi provano, sperimentano, esprimono e testimoniano allo spettatore li rendono, pur nella loro eccentricit, profondamente vicini e coinvolgenti. La famiglia Gallagher , allo stesso tempo, uninvenzione narrativa efficace, quindi pura finzione, e uno sguardo disincantato su una realt possibile che, proprio a ragione del suo carattere immaginario, riesce ad avvicinarsi di molto ad un reale veritiero. Se dalla Manchester proletaria ci spostiamo nella California della borghesia ricca troviamo unaltra e numerosa famiglia che diventata solo di recente protagonista di una serie televisiva americana ma che ha conosciuto un grande e inaspettato successo di pubblico.

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Dal settembre 2006 la ABC ha cominciato a trasmettere una nuova serie televisiva, prodotta da Greg Berlanti, dal titolo Brothers & Sisters, che una sorta di dramma familiare incentrato sulla famiglia Walker, appartenente alla media e alta borghesia californiana20. Si tratta di una famiglia che ha origini irlandesi e ebraiche la cui principale attivit economica consiste nella produzione e distribuzione di frutta. Il patriarca William muore nel primo episodio della serie 1, e lascia dietro di s una pesante eredit umana, affettiva e finanziaria, mentre il centro della narrazione rappresentato dalla moglie Nora interpretata da una formidabile Sally Field e dalle loro figlie e dai loro figli: Sarah, Kitty, Tommy, Kevin e Justin. Ad un primo sguardo e ad una prima lettura Brothers & Sisters sembra una serie familiare tradizionale, con alcuni aspetti da soap opera quali intrecci, segreti amanti e figli ignoti drammi umani, sentimentali e sessuali. Questo non spiega tuttavia il successo di pubblico che ha gi portato alla diffusione di due serie complete mentre nel settembre 2008 cominciata la programmazione in USA della terza serie. In verit, il contenitore, lo schema sono tradizionali, nel senso che possono essere ricondotti a forme di narrazione da romanzo ottocentesco, ma i contenuti sono decisamente innovativi nei temi e nelle emozioni. Ad una lettura pi attenta la serie appare costruita in maniera assai astuta nella sua convenzionalit: la convenzione riempita da temi nuovi, forti e attuali. La questione politica posta con forza in primo piano: Nora una democratica liberal e radicale, decisamente contraria a amministrazioni e politiche repubblicane, critica della guerra in Iraq nella quale finisce per essere coinvolto il figlio pi giovane Justin che ha gi passato un periodo di servizio militare in Afghanistan. Lesperienza della guerra ha lasciato traumi e difficolt psicologiche in Justin che un disadattato da un punto di vista umano e professionale. Il perfetto contrario di Nora la figlia Kitty (Calista Flockhart), repubblicana, reaganiana, patriottica, sostenitrice almeno allinizio della serie della presidenza Bush e della guerra in Iraq. Kitty una commentatrice televisiva che presenta il punto di vista conservatore al pubblico e diventa laddetto stampa, quindi la moglie di un senatore repubblicano. Gli scontri politici tra Nora e Kitty, le difficolt esistenziali di Justin come risultato delle sue esperienze di soldato in Oriente, consentono allo spettatore di veder riflesse le emozioni di unAmerica molto diversa dopo lundici settembre. raro trovare in una serie di una
20 Per le due serie di Brothers & Sisters ho utilizzato i DVD prodotti e distribuiti dalla Touchstone Television.

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grande televisione nazionale una dimensione di discussione politica cos accesa, ampia e capace di rispecchiare punti di vista diversi rispetto a eventi tragici come le guerre in Afghanistan e in Iraq. Anche in Brothers & Sisters, come in Shameless, le figure femminili sono molto forti: Nora, le due figlie Kitty e Sarah, Holly, lamante del patriarca William, e la di lei figlia Rebecca sono donne moderne, decise, combattive, professionalmente attive ma anche tradizionali nelle loro aspirazioni sentimentali e umane. La forza televisiva della serie dovuta in larga misura ai personaggi femminili, per altro interpretati in modo egregio. Dei tre figli quello che ha richiamato di pi lattenzione del pubblico Kevin Walker (Matthew Rhys), avvocato, gay dichiarato, professionalmente affermato, radicalmente liberal come la madre, che ne ha accettato senza remore lorientamento sessuale: Kevin sessualmente libero ma alla ricerca di una relazione stabile. Alla fine della seconda serie Kevin trova il suo compagno in Scotty, gi apparso come personaggio secondario nella prima serie, e insieme formano una delle coppie sposate della famiglia Walker. Kevin Walker una delle figure gay pi positive della televisione nordamericana perch consapevole di s, brillante, seducente ma anche romanticamente alla ricerca di una stabilit emotiva e familiare: la coppia Kevin Scotty si presenta in un contesto in cui il dibattito pubblico sullestensione dellistituto giuridico del matrimonio a coppie indipendentemente dal genere assai acceso. Se sommiamo, in una struttura narrativa tradizionale, unattenzione verso questioni politiche di attualit come la guerra e le sue conseguenze sugli individui; la presentazione di figure femminili forti, espressione tipica di quella donna nuova che si venuta affermando in occidente; la diversit sessuale come esperienza umana tipica e non stravagante, si comprende allora perch Brothers & Sisters capace di suscitare emozioni, di appassionare lo spettatore e, allo stesso tempo, di fornire lopportunit di superare, o quanto meno, mettere in crisi pregiudizi e prevenzioni rispetto alle persone e alla loro vita sentimentale, sessuale, professionale. I Walker e i Gallagher sono famiglie difficili, complicate, disfunzionali, spesso irritanti nei loro comportamenti ma coinvolgono emotivamente gli spettatori televisivi perch sono esemplificazioni di tipologie umane reali che sono portatrici di sentimenti e aspirazioni plausibili. Le serie televisive sono, di sicuro, un prodotto commerciale che deve essere in grado di conoscere un successo di pubblico tale da garantire la sua sopravvivenza come serie e il suo sviluppo per alcuni anni. Non ci si deve

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certo attendere che una serie TV, che mette insieme uninvenzione romanzesca nella scrittura narrativa e una certa dose di realismo, di attendibilit, sia un prodotto alto da un punto di vista artistico e estetico. Non siamo nel campo della letteratura o del cinema dautore, e un paradigma interpretativo di tipo estetologico non funziona; lambito piuttosto quello della cultura popolare, della narrativa di intrattenimento che obbedisce a precisi canoni linguistici. La fortuna internazionale di alcune serie televisive prodotte in USA o nel Regno Unito destinata a richiamare lattenzione di una vasta schiera di studiosi attenti alla contemporaneit, e in particolare al ruolo della costruzione sociale della vita emotiva. La filosofia, le scienze umane e del comportamento animale hanno, in tempi diversi, dimostrato la rilevanza in campo etico individuale e sociale delle emozioni, hanno dunque indicato limportanza di tutti quei fenomeni che contribuiscono alla creazione di emozioni. Le serie televisive sono costruite grazie a linguaggi verbali e visuali che hanno lo scopo di coinvolgere, emozionare, appassionare il maggior numero possibile di telespettatori. La loro influenza sulle concezioni e la vita emotiva degli spettatori pu essere molto rilevante, opportuno pertanto che vengano considerate anche dai filosofi in quanto strumenti di costruzione della dimensione sociale delle emozioni. In questo breve saggio ho solo cercato, attraverso il riferimento a due serie televisive, di mostrare che certe immagini relative al gender e alle sessualit, e i linguaggi e le emozioni che le manifestano, possono essere influenti sui modi di pensare e di percepire forme e modi di vita reali. Nelle sue pi diverse espressioni la cultura popolare continua ad esercitare un ruolo formativo di primo piano.

FELICE CIMATTI Dentro il corpo, fuori del corpo. La biologia artificiale delle emozioni
Ma perch limpiego del verbo credere, la sua grammatica, costruita in modo cos strano? Ma non costruita in modo strano. Strana lo diventa soltanto se la si confronta con quella della parola mangiare (WITTGENSTEIN, 1980, trad. it. 1990, I, 751).

1. Dove stanno le emozioni Le emozioni, lo sanno tutti, sono dentro di noi, e non dipendono dalla nostra volont. Incontriamo una persona, la conosciamo da tempo, ma ora ci succede qualcosa, ora quel volto ci appare in una luce nuova, inedita. Sentiamo in noi crescere qualcosa, una emozione, un sentimento che non riusciamo ma nemmeno vogliamo controllare, come si dice pi forte di noi. Oppure, un nostro caro amico muore, ci sommerge un dolore sordo, come cos significativamente si dice, perch non ascolta nessuna parola di conforto, un dolore che ci schiaccia e ci toglie il respiro. Qui, ancora pi che nel caso precedente, lemozione prende il sopravvento, ci trascina, ci porta via con s. Una emozione che, cos almeno ci sembra naturale pensare, non dipende da quello che sappiamo dellamore o della morte; tantomeno possiamo descrivere le emozioni con le nostre povere parole, che in questi casi mostrano tutta la loro insufficienza, tanto sono incapaci di nominare la ricchezza, dolorosa e piena, di quello che stiamo provando. Le emozioni, allora, sono dentro di noi, largamente indipendenti dalla nostra volont (e questo, in fondo, ci piace, perch solo se non sono influenzabili dai nostri piani possiamo ritenerle genuine e autentiche), sono manifestazione diretta del corpo, non della mente o del linguaggio, che appunto, al massimo le esprime in modo imperfetto e approssimativo: cos secondo limmagine comune lemozione sostanzialmente solida, impermeabile alla cultura e al sociale, quindi anche tendenzialmente innata, cos come considera il corpo come luogo di espressione, ma pi ancora come lunico luogo affidabile che permetta di comprendere e di definire le emozioni (DESPRET, 2001, trad. it. 2002, p. 35).
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Cerchiamo di riassumere queste sparse e veloci osservazioni: le emozioni sono, intanto, un fenomeno essenzialmente corporeo, nel senso che non sembrano dipendere, se non in casi particolari, dalle nostre conoscenze o dalla nostra volont (cio dalla mente come, appunto, distinta dal corpo); se un fenomeno corporeo anche un fenomeno individuale, almeno nella sua origine, perch nasce come detto dentro il corpo, per poi eventualmente estendersi anche agli altri corpi; un fenomeno passivo, che in larga misura subiamo, che ci succede, che lo si voglia o no, come ci succede di prendere uninfezione se veniamo in contatto con un determinato agente patogeno; un fenomeno che sembra manifestarsi in modo innato: le emozioni non si imparano, almeno come si impara a preparare una frittata; un fenomeno, infine, che non dipende, se non in misura limitata, dalla cultura in cui nasciamo, e tantomeno dalla lingua che parliamo. Perch, allora, se tutto cos chiaro, per una volta, stiamo ancora qui a discuterne? Partiamo da una osservazione curiosa di Darwin, che peraltro sostiene che in tutto il mondo lo stesso stato danimo viene espresso con notevole uniformit ci che rappresenta una prova di una stretta somiglianza fra tutte le razze umane per quanto riguarda la struttura corporea e lattitudine mentale (DARWIN, 1872, trad. it. 1982, p. 129), curiosa perch sembra contrastare lidea che le emozioni siano effettivamente innate o istintive (Ivi, p. 127): che succede, si chiede Darwin, se si mostrano a persone diverse delle lastre fotografiche di un uomo ripreso mentre esprime delle emozioni (provocate stimolando elettricamente i suoi muscoli facciali)?
ebbi la buona idea di mostrare, senza una parola di spiegazione, molte delle lastre meglio riuscite a una ventina di persone colte di entrambi i sessi e di varie et; in ognuno dei casi chiesi di indicare quale era lemozione o il sentimento che secondo loro provava il vecchio, e annotai le risposte con le stesse parole che essi avevano usato. Molte emozioni furono riconosciute immediatamente da quasi tutti, anche se non tutti le descrissero esattamente con gli stessi termini; queste ritengo possono essere considerate corrispondenti alla realt [...]. Su altre espressioni invece furono formulati i giudizi pi disparati. Questo esperimento mi fu utile anche per un altro verso, poich mi dimostr come sia facile farsi fuorviare dalla nostra immaginazione; infatti, quando io stesso esaminai per la prima volta le fotografie [...], leggendo contemporaneamente il testo che le accompagnava e apprendendo cos che cosa volevano dimostrare, restai colpito e ammirato dalla corrispondenza con la realt, fatta eccezione per pochi casi. Sono convinto, tuttavia, che se avessi guardato le fotografie senza leggere le spiegazioni, in molti casi sarei rimasto perplesso come successo alle altre persone (Ivi, p. 126).

Ora, se davvero le espressioni esterne delle emozioni interne fossero

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innate o istintive non dovrebbe succedere quello che lo stesso Darwin onestamente ammette gli accade: non riuscire a riconoscere quali emozioni sono espresse attraverso le smorfie del viso del vecchio. C di pi, lo stesso Darwin a ricordarci che il riconoscimento delle espressioni molto facilitato dalle spiegazioni che accompagnano le fotografie; senza quelle spiegazioni in molti casi sarei rimasto perplesso. Ma allora, da dove viene la sicurezza con cui le consideriamo manifestazioni innate e istintive? Facciamo un caso diverso, in cui la componente istintiva di un comportamento sembra molto pi evidente, e non controversa. Se vedo qualcuno afferrare un oggetto con una mano, nel mio cervello si attiveranno proprio gli stessi neuroni (gli ormai celebri neuroni specchio) che si attiverebbero se fossi stato io ad afferrare quelloggetto. Questo dispositivo neuronale alla base, prima ancora dellimitazione, del riconoscimento e della comprensione del significato degli eventi motori, ossia degli atti, degli altri (RIZZOLATTI, SINIGAGLIA, 2006, p. 80). Ora, questo riconoscimento non vincolato dalla nostra cultura, e nemmeno dallappartenenza ad una stessa specie biologica: i neuroni specchio umani risuonano a quelli di una scimmia, e viceversa. Qui siamo allora pienamente legittimati a sostenere che le operazioni mediate dai neuroni specchio sono istintive, cio non apprese, e per questa ragione universali. Non il caso del riconoscimento delle espressioni delle emozioni, invece, in cui questa automaticit non c, al contrario, in molti casi lo stesso Darwin rimane perplesso. Ora, un movimento istintivo non mai perplesso, o individua senza esitazioni lo stimolo appropriato, e quindi reagisce secondo la procedura innata, oppure non un istinto. Gli istinti sono come meccanismi biologici, ed un meccanismo o funziona oppure no, un comportamento un po istintivo un modo di dire del tutto scorretto. Da tenere in conto che le persone a cui Darwin sottopone la vista delle fotografie sono persone colte; siamo sicuri che questa condizione non favorisca in qualche modo luniformit, peraltro parziale, delle loro risposte? Usare uno stesso lessico e condividere uno stesso schema concettuale, non potrebbe canalizzare le loro risposte guidandoli, inavvertitamente, a riconoscere ognuno le stesse espressioni degli altri? Questo pone un problema generale: che un certo comportamento sia universale, ammesso che lo sia effettivamente, non implica affatto che sia innato. Darwin consapevole del problema, ed insiste che osservare le espressioni non affatto una cosa semplice (DARWIN, 1872, trad. it. 1982, p. 129), soprattutto perch siamo ingannati dalla nostra immaginazione se sappiamo vagamente che cosa ci si pu aspettare (Ibidem). In que-

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sto caso, rovesciando del tutto la presupposizione innatista, luniformit dei riconoscimenti, cio il fatto che molti osservatori (ma non tutti) sostengono di osservare, ognuno per conto proprio, una stessa espressione nelle smorfie dellanziano uomo, potrebbe essere leffetto della condivisione di un comune, per quanto non esplicitamente formulato, modello delle emozioni. Vedono la stessa espressione, cio, perch proprio questo il loro schema concettuale (inconsapevole) si aspetta di osservare. Cos la configurazione stessa dellesperimento di Darwin, e di tutti quelli che lo hanno seguito (si veda come caso esemplare EIBL-EIBESFELDT, 1984), in realt presuppone proprio ci che si sostiene di scoprire nei fatti:
le esigenze del laboratorio sono relativamente esplicite: prima di tutto, si propone di andare al di l delle culture e dellincontrollabile. Per scoprire una serie di regole stabili alle quali ubbidisce il fenomeno da spiegare, lo scienziato cercher gli invarianti di questultimo. Gli occorre quindi un oggetto che possa definire, da un lato, come invariante, che lo scienziato traduce nei termini di non contaminato dalla cultura; e dallaltro, come qualcosa che possa essere controllato in maniera affidabile. La dimensione subita dellemozione, quale costruita nel laboratorio, traduce una duplice esigenza: essa sfugge al controllo della volont del soggetto (e dunque pu essere controllata dallesterno), una reazione, e sfugge alla ragione e alla sfera della cultura. Il laboratorio realizza quindi, secondo i propri imperativi, la separazione fra un intelletto definito culturale e instabile, difficilmente controllabile e interrogabile, un intelletto che agisce, e unemozione universale e non contingente, impermeabile alla cultura e al sociale, unemozione che il laboratorio pu costruire come reazione (DESPRET, 2001, trad. it. 2002, p. 42).

Universale, allora, non necessariamente implica innato, e tantomeno istintivo (KARMILOFF-SMITH, 1992; LEVY, 2004). Ma c un altro pregiudizio che il caso di rendere esplicito: lidea che per acquisire un fondamento il pi solido possibile e per accertare, indipendentemente dallopinione comune, fino a che punto particolari movimenti dei lineamenti e vari gesti siano realmente lespressione di determinati stati mentali sia di grande aiuto losservazione dei bambini (DARWIN, 1872, trad. it. 1982, p. 125). Come se il comportamento spontaneo del bambino fosse meno influenzato e influenzabile dalla cultura in cui nasce e cresce. Il punto non , evidentemente, mettere in discussione lutilit dello studio del comportamento infantile, bens il presupposto non pensato, e anzi presupposto come ovvio e scontato, secondo il quale il bambino sarebbe pi vicino allo stato naturale, rappresentando quindi una testimonianza delle capacit biologiche originarie e non culturali della specie Homo sapiens (come se, inve-

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ce, la cultura non fosse originaria). Qui c un groviglio che va dipanato: spontaneo non implica affatto innato (cf. ancora KARMILOFF-SMITH, 1992), e comportamento primitivo non significa affatto comportamento semplice. E soprattutto, che un fenomeno abbia le sue radici nella cultura non implica affatto che lo si possa, pertanto, trattare come non naturale, o addirittura non biologico, e tantomeno non originario. Per arrivare, infine, al problema maggiore, anche questo intuito da Darwin, anche se poi non lo sviluppa. Tornando alla parziale uniformit delle descrizioni delle fotografie delle espressioni delle emozioni, Darwin osserva giustamente che questa uniformit potrebbe essere causata dal fatto che quando assistiamo al manifestarsi di una forte emozione, ne siamo facilmente coinvolti, e cos la nostra attenzione ne viene distratta (DARWIN, 1872, trad. it. 1982, p. 129). un punto sottile, questo, che ci avverte che non bisogna essere frettolosi nella interpretazione dei fenomeni che coinvolgono le emozioni: tante persone reagiscono nello stesso modo, pi o meno, alla vista di un certo comportamento (RIZZOLATTI, SINIGAGLIA, 2006): va bene, ma questo non giustifica affatto linferenza che allora luomo prova dentro di s determinate emozioni, che poi esprimerebbe in un modo innato. Qui si passa da un fenomeno osservabile, il reagire nello stesso modo (pi o meno), alla vista di un certo stimolo (una determinata smorfia), ad una interpretazione dualista di quello stesso fenomeno, secondo la quale dentro il corpo c lemozione che si esprime poi allesterno con una determinata forma espressiva. Perch dovremmo tutti riconoscere in quella smorfia una stessa emozione sottostante? Qui in questione il presupposto non pensato del modello delle emozioni che abbiamo descritto allinizio di questo paragrafo: come faccio a riconoscere in me la stessa emozione che prova lui? E attenzione, riconoscere qualcosa diverso da reagire a quel qualcosa: in questultimo caso c un meccanismo, un istinto, che reagisce in modo automatico ad un certo stimolo; qualcosa che accade nel corpo che sono, non mi riguarda in modo consapevole. Il riconoscere, invece, sembra implicare una partecipazione di tipo sostanzialmente diversa in chi riconosce qualcosa come qualcosa; provo qualcosa in me, e domani provo di nuovo la stessa emozione. Il problema : come faccio a ri-conoscerla, cio a conoscerla di nuovo? Potrei sbagliarmi? E poi, come faccio a sapere che quello che prova luomo anziano dentro di s corrisponde a quello che provo io dentro di me? Come si passa da una (presunta) interiorit a quella di un altro? Il problema che ci stiamo ponendo, allora, si presenta in questa forma: il modello consueto delle emozioni e delle loro espressioni si basa su una

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presupposizione non discussa, ed anzi apparentemente invisibile: dentro di me esiste qualcosa, lemozione, che si manifesta allesterno mediante dei segnali universali; attraverso di essi riconosco nellaltro quello che anche io proverei nelle stesse situazioni. Di questo modello c un punto che ci interessa, in particolare: necessario, oltre che giustificato, presupporre lesistenza dellemozione interiore? Ci serve questa presupposizione per costruire un modello plausibile della vita psicologica degli esseri umani? Il problema viene affrontato nel consueto modo straniante da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche:
se dico a me stesso che soltanto dalla mia personale esperienza io so cosa significa la parola dolore, non debbo dire la stessa cosa anche agli altri? E come posso generalizzare questunico caso in maniera cos irresponsabile? Ora qualcuno mi dice di sapere che cosa siano i dolori soltanto da s stesso! Supponiamo che ciascuno abbia una scatola in cui c qualcosa che noi chiamiamo coleottero. Nessuno pu guardare nella scatola dellaltro; e ognuno dice di sapere che cos un coleottero soltanto guardando il suo coleottero. Ma potrebbe ben darsi che ciascuno abbia nella sua scatola una cosa diversa. Si potrebbe addirittura immaginare che questa cosa mutasse continuamente. Ma supponiamo che la parola coleottero avesse tuttavia un uso per queste persone! Allora non sarebbe quello della designazione di una cosa. La cosa contenuta nella scatola non fa parte in nessun caso del gioco linguistico; nemmeno come un qualcosa: infatti la scatola potrebbe anche essere vuota. No, si pu dividere per la cosa che nella scatola; di qualunque cosa si tratti, si annulla. Questo vuol dire: Se si costruisce la grammatica dellespressione di una sensazione secondo il modello oggetto e designazione, allora loggetto viene escluso dalla considerazione, come qualcosa di irrilevante (WITTGENSTEIN, 1953, trad. it. 1974, 293).

Posso partecipare al gioco linguistico del coleottero anche se la mia scatola non contiene alcun coleottero. Come a dire, non c bisogno della sua presenza perch il gioco linguistico delle emozioni e della loro espressione sia praticato in modo competente. Quello che c nellaltro, quando parla delle sue emozioni, ad esempio, non influisce sulla sua capacit di parlarcene, o di comprendere le nostre parole sulle nostre emozioni. Suona curioso, questo modo di ragionare, si dir, ma solo perch qui Wittgenstein sta mettendo in discussione una immagine consolidata, e apparentemente indiscutibile, di noi stessi. Ma si tratta appunto di nientaltro che di una immagine. C, in particolare, un punto che ci interessa, nellanalisi che stiamo proponendo in queste pagine: ammesso anche che io abbia nella mia scatola un coleottero, come avrei imparato a riconoscerlo, e quindi a

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dargli il nome coleottero? Se non c una buona risposta a questa domanda allora lintero modello dellemozione interna e della espressione esterna viene meno. E naturalmente la risposta non pu essere, semplicemente, che non possiamo sbagliarci sui nostri stati interni, perch al contrario proprio ci che si deve provare. 2. questa sensazione oppure questa? Se le emozioni stanno davvero dentro di noi, se appartangono al corpo, se non possiamo controllarle, allora si pone un problema non semplice: come faccio, io, a riconoscere le mie emozioni? Quando si impara ad usare la parola dolore, questo non avviene perch qualcuno indovina per quali avvenimenti interni connessi, ad esempio, al cadere a terra si usa questa parola. Se fosse cos, potrebbe anche sorgere il problema: qual , fra le mie sensazioni, quella per cui grido, quando mi faccio male? E qui immagino che uno mi indichi il proprio interno domandandosi: questa sensazione oppure questa? (WITTGENSTEIN, 1980, trad. it. 1990, I, 305). C un primo problema: cado, mi faccio male, e dico dolore!. Sembrerebbe una espressione che designa lo stato interno, cos come quando al mercato dico un chilo di mele mi riferisco ad una certa quantit di un determinato tipo di frutta. Ma non potrei sbagliarmi? In ogni momento ci sono in me molte sensazioni, non potrei allora indicare, per sbaglio, una sensazione diversa da quella di dolore? Dico mele ma in realt volevo le pere, mi sbaglio e mi correggo, scusi, intendevo dire pere. Un errore allaria aperta sempre possibile, perch allora escludere che qualcosa del genere possa accadere anche nel nostro interno? E se ammettiamo questa possibilit, come pu un bambino imparare a nominare i propri stati interni? Non importa se ho assegnato alla sensazione il giusto nome, un nome comunque glielho assegnato!. Ma come si fa, ad assegnare un nome a qualcosa, ad esempio, a una sensazione? Si pu assegnare dentro di s un nome a una sensazione? Che cosa succede, allora, e qual il risultato di questa operazione? [...] Se uno chiude mentalmente una porta, poi la trova chiusa? E questo che conseguenze ha? Che allora nessuno ha accesso allo spirito? (Ivi, I, 306). Il problema se si pu assegnare dentro di s un nome a una sensazione. Poniamo che mi sbagli, allinizio, e assegni il nome dolore ad una sensazione di piacere. Potr mai accorgermi del mio errore? Se qualcuno mi far notare che uso la parola dolore in modo scorretto, io posso sempre ribattere che non vero, che sono sicuro di

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usare questa parola proprio come si deve. Ma allora, come venire a capo della questione? Chi ha ragione, io che uso dolore per indicare il piacere, o il mio interlocutore? E soprattutto, c un modo per risolvere la questione, oppure ognuno rester della propria convinzione, e tanto peggio per la reciproca comprensione? Come fai a sapere che lesperienza che hai quella che chiamiamo dolore?. Lesperienza che ho? Quale? Come faccio a specificarla: a me stesso, e a un altro? (Ivi, I, 307). Queste sono pere, non mele, dico alla persona che si sbagliata, ma come si fa quando uno parla del suo privato coleottero, che per me del tutto invisibile? Una invisibilit di principio, attenzione, perch non c modo di vedere quali sono i suoi stati interni, nessun progresso tecnologico superer mai questo vincolo logico, non empirico. Ma il problema che Wittgenstein solleva pi grave, perch non vale solo per me rispetto ai suoi stati interni, ma soprattutto per lui per i suoi stati interni: immagina che una persona sappia, indovini, che un bambino ha delle sensazioni che non sa come esprimere. E che ora voglia insegnare al bambino a esprimere le sensazioni. In che modo dovr collegare unazione a una sensazione, perch quella diventi espressione di questa? (Ivi, I, 309). Tutto il modello delle emozioni come stati interni presuppone appunto che siano cose (per quanto di un tipo speciale) dentro le persone; solo cos sembra comprensibile il processo attraverso cui diamo loro un nome, come diamo nomi agli oggetti materiali. Ma come prendiamo alla lettera questo modello tutto diventa molto complicato: il concetto di vissuto: simile a quello di accadere, di processo, di stato, di qualcosa, di fatto, di descrizione e di resoconto. Noi pensiamo di essere arrivati a toccare il solido fondamento ultimo, di essere scesi pi in profondit rispetto a tutti i particolari metodi e giochi linguistici. Ma queste parole assolutamente generali possiedono anche un significato assolutamente vago. Esse si riferiscono in realt a un gran numero di casi speciali, il che per non le rende pi solide, bens pi fluide (Ivi, I, 648). Come pu il bambino a cui vogliamo insegnare il gioco linguistico del nominare le emozioni interne assegnare la parola che noi gli proponiamo, ad esempio dolore, al giusto stato interno? Come fa a non sbagliarsi? Forse quella persona pu insegnare al bambino: Vedi, cos che si esprime qualcosa questo, ad esempio, espressione di quello e adesso prova a esprimere il tuo dolore! (Ivi, I, 310). Certo, ma questa non la soluzione del problema, semmai una sua riformulazione. Quando dico al bambino questa emozione si chiama dolore, come fa a capire a che si riferisce il

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pronome dimostrativo? Questo oggetto dico indicando una bottiglia, si chiama bottiglia pienamente comprensibile (si fa per dire), ma quando dico questa emozione si chiama dolore che cosa indico? E se io stesso non ho chiaro, in realt, che sto indicando, come potrebbe esserlo il bambino a cui sto provando ad insegnare il gioco linguistico del nominare le sensazioni interne?
si pu dire che c fra lemozione e la sua espressione una somiglianza, in quanto, ad esempio, entrambe sono agitate? [...] E come si fa a sapere che lemozione in s stessa agitata? Chi la prova, lo nota e lo dice. E se un bel giorno qualcuno dicesse il contrario? Ma sii onesto ora, e di se davvero tu non riconosci lagitazione interna!. Ma come ho fatto a imparare il significato della parola agitazione? (Ivi, II, 334).

Il problema nasce dal fatto che proviamo a rendere conto del fatto che possiamo parlare delle emozioni cos come possiamo parlare degli oggetti materiali; in questo caso riusciamo a farci una idea, pi o meno, di come funzioni il gioco linguistico (c loggetto, ed il suo nome), nellaltro questa spiegazione in realt del tutto inadeguata. Ma se non si costruisce la grammatica dellespressione di una sensazione secondo il modello oggetto e designazione perch loggetto viene escluso dalla considerazione, come impara allora il bambino a parlare di quella che il nostro modello inconsapevole considera una emozione interna? Si tratta intanto di abbandonare lidea che lemozione sia qualcosa dentro le persone, almeno nel senso di qualcosa che sarebbe un oggetto come un oggetto una bottiglia. Cos scartiamo subito il gioco linguistico oggetto e designazione. Ma allora, che intende dire il bambino quando dice, dopo essere caduto per terra, dolore? Il comportamento primitivo del dolore un comportamento connesso alla sensazione; comportamento che viene sostituito da una espressione linguistica. La parola dolore designa una sensazione significa n pi n meno che: Provo dolore un modo di manifestare sensazioni [Empfindungsuerung] (Ivi, I, 313). Qui Wittgenstein propone un modello completamente diverso; la parola non designa un oggetto preesistente, qui la parola stessa una esperienza (AUSTIN, 1962), fa qualcosa, come chi fa una dichiarazione (che uno dei sensi della parola tedesca uerung), attraverso la quale fa qualcosa, realizza qualcosa (dire, avendone titolo, vi dichiaro marito e moglie cambia la condizione delluomo e della donna che partecipano alla cerimonia). In questo senso, ad esempio, le parole sono felice equivalgono a un comportamento di gioia (Ivi, I, 450); non si tratta di una descrizione di uno stato interno preesistente, essa stessa un comportamento di

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gioia. Per questa ragione il comportamento primitivo del dolore, ad esempio il grido inarticolato ahi!, quando si impara a parlare una lingua viene sostituito da una espressione linguistica. Il punto essenziale che la parola dolore non n una traduzione n una descrizione del grido ahi!; non una traduzione, perch ahi! non appartiene ad una lingua, non una descrizione perch ahi!non designa uno stato interno, il comportamento primitivo del dolore, cio un modo naturale, non appreso, di vivere lesperienza del dolore. Imparando a parlare il bambino non impara un nuovo modo di dire lemozione interiore del dolore (come se traducesse nella sua lingua materna lahi! della lingua naturale), impara un nuovo modo di vivere questa esperienza, un modo di cui fa parte costitutivamente anche la parola dolore. In questo senso lemozione interiore non precede la parola dolore, al contrario, si costituisce insieme ad essa:
il comunicato un gioco linguistico composto di determinate parole. Sarebbe fonte di confusione dire: le parole del comunicato, la frase annunciata hanno un determinato senso, e la comunicazione, latto dellasserire, ne aggiunge uno ulteriore. Come se lenunciato emesso da un grammofono appartenesse alla logica pura, come se in questo caso avesse il suo senso puramente logico, come se qui noi avessimo davanti loggetto che i logici maneggiano ed esaminano, mentre lenunciato, asserito, comunicato, fosse la cosa in funzione. Allo stesso modo possiamo dire: il botanico prende in considerazione una rosa come pianta, non come ornamento dellabito o della stanza, n si arma di delicata attenzione. Quello che voglio dire che lenunciato non ha alcun senso al di fuori del gioco linguistico. E ci connesso al fatto che lenunciato non una specie di nome. Il che permetterebbe di dire: Io credo ... ecco com, indicando (per cos dire internamente) ci che conferisce allenunciato il suo significato (Ivi, I, 488).

Quando il bambino impara a dire dolore non impegnato in due attivit: formulare internamente un enunciato e pronunciarlo ad alta voce in una certa situazione; in realt lenunciato non ha alcun senso al di fuori del gioco linguistico perch non basta dire a una donna ed un uomo vi dichiaro marito e moglie affinch siano effettivamente sposati; quellenunciato un atto matrimoniale valido solo se sono autorizzato a pronunciarlo, se le due persone non sono gi sposate, se sono maggiorenni, se lo pronuncio nel luogo giusto, e cos via. Al di fuori di questo contesto vi dichiaro marito e moglie propriamente non nemmeno un enunciato linguistico. Cos il bambino imparando la parola dolore scopre tutto un campo nuovo di possibilit di azione. E fra le cose che scopre ci sono anche gli stati interni, che ci sono, ora, proprio perch li evoca, per cos dire, nellatto stesso dellasserirli:

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lespressione: Chiss che cosa accade dentro di lui!. Interpretare gli eventi esterni come conseguenze di eventi interni sconosciuti o semplicemente supposti. Linteresse che si rivolge a questo interno come alla struttura chimica da cui si origina il comportamento. Infatti, basta dire semplicemente; Che cosa mimporta dei processi interni, qualunque cosa siano?! per vedere come si possa pensare a un altro atteggiamento. Ma ognuno, comunque, prover sempre interesse per il proprio interno!. Nonsenso. Se non me lavessero mai detto, io lavrei veramente saputo che il dolore, ecc. ecc. qualcosa di interno? (Ivi, II, 643).

Qui Wittgenstein rovescia completamente i presupposti da cui, invece, partiva Darwin: lo spontaneo e ovvio interesse per il proprio interno non affatto originario. In realt impariamo questo interesse, e lo impariamo perch, nellapprendere una lingua, apprendiamo anche a individuare e considerare come sussistenti in s certi stati interni che corrisponderebbero alle parole che li designano, e per di pi tutti ci fanno capire che questo interno molto importante: sto forse facendo della psicologia infantile? Quello che faccio mettere in relazione il concetto dellinsegnare con quello di significato (Ivi, II, 337). Non che da un lato c lemozione originaria e naturale che poi diventa, attraverso una operazione di associazione, il significato di una parola. Il significato della parola nasce insieme al suo insegnamento, perch nellimparare ad usare quella parola il bambino ne impara anche il significato. Per questa ragione, allora, non poi cos sorprendente che un concetto debba essere applicabile soltanto a un essere che, ad esempio, possiede un linguaggio (Ivi, II, 310), perch solo attraverso quel linguaggio quellessere impara tanto un nuovo comportamento, quanto a considerare come esistente unentit interna che corrisponderebbe a quel comportamento esterno. Riassumiamo questa analisi. Quando il bambino, dopo essere caduto per terra, grida ahi!, non sta designando uno stato interno, al contrario questo il suo modo spontaneo e naturale di comportarsi in questa situazione (forse un modo innato, ma non cos importante stabilirlo). Poi gli insegniamo a dire dolore, che un nuovo modo di comportarsi in situazioni di questo tipo. Nelluso di questa parola il bambino impara anche, sul modello di parole come bottiglia o pappa, a cercare qualcosa che corrisponda a dolore, ad esempio uno stato interno. Cos come la bottiglia sta alla bottiglia, cos il dolore sta al dolore (e cos il gioco fatto, penseremo che il dolore una specie di oggetto interno, forse astratto, ma comunque un oggetto). Ci che effettivamente acuisce la sua sensibilit e capacit di discriminazione, cosicch, parallelamente allapprendimento di parole come queste, impara anche distinguere, dentro di s, sensazioni

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diverse. Lapprendimento linguistico allo stesso tempo e inestricabilmente un apprendimento cognitivo e sensibile. Il caso ancora pi chiaro con il lessico per i colori: se qualcuno comincia con lapprendere i nomi dei colori, che cosa gli viene insegnato? Impara, ad esempio, a esclamare rosso alla vista di qualcosa di rosso. una descrizione corretta, questa, o avremmo dovuto dire: Impara a chiamare rosso qualunque cosa noi chiamiamo rosso? Entrambe le descrizioni sono corrette. [...] Si potrebbe benissimo insegnare a qualcuno il vocabolario dei colori facendogli guardare un certo numero di oggetti bianchi attraverso degli occhiali colorati. Comunque, quello che gli insegno deve essere una capacit (Ivi, II, 312). Usare la parola rosso nel modo in cui si usa questa parola nella comunit dei parlanti italiano significa saperla usare nei modi e nei contesti in cui si usa questa parola. Non cos importante che cosa, singolarmente, accada nella testa dei parlanti quando usano rosso (come non ci interessa se hanno o no un coleottero nella loro scatola quando usano la parola coleottero), quanto che abbiano acquisito la capacit, appunto, di usare quella parola. Ora, questa avere questa capacit significa, fra le altre cose, essere in grado di indicare un campione di rosso se qualcuno ce lo chiede, cio di provare una sensazione di rosso distinta, ad esempio, da quella di viola. Ma questa sensazione, per, in quanto esplicita abilit di riconoscimento, non precede lapprendimento della parola rosso, bens la segue: il gioco linguistico porta qualcosa di rosso lo descrivo proprio a chi lo sa gi giocare. A un altro posso soltanto insegnarlo. (Relativit) (Ivi, II, 313). Solo chi gi padroneggia il gioco linguistico dei colori capace di individuare esplicitamente il rosso; non ci sono dubbi che prima di giocare questo gioco fosse in grado di percepire ci che chi parla italiano chiama rosso, ma un conto essere dotato naturalmente di occhi sensibili a certe lunghezze donda dello spettro elettromagnetico, tuttaltro essere in grado di prestare selettivamente attenzione a determinate prestazioni di questa stessa abilit. La sensazione rosso, in quanto sensazione che posso sapere di provare, un effetto del gioco linguistico del nominare i colori, non la sua causa: la percezione visiva del rosso un nuovo concetto (Ivi, II, 316). un nuovo concetto perch imparo a distinguere esplicitamente il rosso attraverso il rosso, cosicch la percezione visiva in questo caso segue lapprendimento di unabilit concettuale, a sua volta basata sul gioco linguistico del nominare i colori. Ribadiamo che non si tratta di insegnare agli occhi a vedere il rosso, perch questa una loro naturale capacit e fisiologica, bens di insegnare allorganismo vivente a prestare attenzione in modo selettivo ed esplicito al rosso: abbiamo la

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propensione a immaginare la cosa come se limpressione visiva fosse un nuovo oggetto, con cui il bambino fa la sua conoscenza dopo aver imparato i primi elementari giochi linguistici delle percezioni visive. Mi pare rosso. E il rosso com?. Cos. E qui bisogna indicare il paradigma giusto (Ivi, II, 330). E il paradigma giusto quello che regola luso della parola rosso, e con esso di tutte le altre parole che indicano colori; attraverso questo paradigma il bambino si forma un nuovo oggetto, la sensazione interna (ma anche lemozione, lo stato interno in genere) con cui il bambino fa la sua conoscenza dopo aver imparato i primi elementari giochi linguistici delle percezioni visive. Ma allora siamo arrivati a rovesciare, almeno in parte, il modello che traspariva nella parole di Darwin: lemozione in quanto vissuto implicito e impensabile precede il gioco linguistico, certo, ma lemozione in quanto stato interno, in quanto entit che sentiamo dentro di noi, in realt segue quello stesso gioco linguistico. Le emozioni le impariamo, la spontaneit si sviluppa artificialmente, linterno viene dopo lesterno. Si tratta ora di chiedersi come possa, lesterno, entrare nellinterno. 3. Cosciente di me, attraverso te Il problema della coscienza di s il problema di come un organismo riesca a concentrare su di s la propria attenzione, cio di come impari ad essere attento alla propria stessa attenzione. Il problema, ad esempio, di come imparare a passare da una condizione di coincidenza con le proprie emozioni, che cos si subiscono in modo inconsapevole, ad una in cui ci si rende conto di trovarsi in un certo stato danimo. In questo caso, eventualmente, si pu anche scegliere di non sottostare a quanto quellemozione imporrebbe di fare. Dalle analisi precedenti abbiamo compreso che le emozioni in senso proprio, cio come stati interni riconoscibili, sono identificabili solo alla fine del processo attraverso il quale ne prendiamo coscienza. In questo senso chi prova le emozioni, e ci che sta provando, cio appunto le emozioni, si formano insieme nel processo durante il quale i mezzi sociali di individuazione (semiosi) vengono internalizzati dagli individui. In questultima sezione di questo lavoro ci chiediamo come un organismo vivente possa effettivamente imparare questa abilit. Partiamo dal caso di un organismo che non ci verrebbe subito in mente come esempio di animale in qualche modo cosciente di s, come se qualche limite neurologico glielo impedisse; il realt qui il vincolo solo della nostra immaginazione, che non

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riesce a figurarsi capacit mentali in animali anatomicamente molto diversi da noi. La situazione questa (FOOTE, CRYSTAL, 2007): presentiamo ad un topo uno stimolo sonoro di lunghezza variabile. In seguito gli presentiamo due aperture in cui pu infilare il muso: se il topo infila il muso in quella di sinistra gli verr chiesto, poco dopo, di classificare lo stimolo sonoro iniziale o come breve o come lungo; se riesce in questo compito ricever una ricca ricompensa alimentare, altrimenti non ricever nulla. Se, invece, infila il muso nellapertura di destra ricever subito una piccola ricompensa alimentare. Definiamo la apertura di sinistra come accetto la prova, laltra come rifiuto la prova. Aggiungiamo ora una complicazione: in un terzo delle prove il topo non pu scegliere fra apertura di sinistra e di destra, perch non viene presentata questultima possibilit, sicch il topo costretto comunque a passare per il test di classificazione dello stimolo. Proviamo a schematizzare questa situazione nella figura qui sotto:
presentazione stimolo

accetto la prova

accetto la prova

rifiuto la prova

classificazione dello stimolo piccola ricompensa breve lungo

ricca ricompensa

nessuna ricompensa

Il punto pi interessante di questo ingegnoso esperimento che quanto pi difficile classificare il suono-stimolo come breve o lungo, tanto pi i topi scelgono lopzione rifiuto la prova. Gli sperimentatori, infatti, avevano stabilito che fino ad una certa lunghezza il suono-stimolo fosse breve, oltre quella lunghezza andasse classificato come lungo. Poniamo che il tipico suono breve duri 2 secondi, ed il tipico suono lungo 8 secondi, e che la soglia fra il primo tipo ed il secondo sia 4 secondi; il compito del topo diventa progressivamente pi difficile quanto pi il suono-

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stimolo vicino alla soglia dei 4 secondi. Un suono-stimolo di 3,95 secondi breve o lungo? Ed uno di 4,01 lungo o rientra ancora nella categoria breve? Non sorprende, allora, che il numero di errori compiuto dai topi sia maggiore quando sono costretti a sostenere il test di classificazione dei suoni-stimolo di quando, invece, possono scegliere il tasto rifiuto la prova, adottando una strategia che potremmo definire, in modo informale, meglio un uovo (sicuro) oggi, che una gallina (forse) domani. Quando il topo riconosce che il compito che gli stato presentato difficile, se pu sceglie di non affrontarlo. Ma questo significa, ecco il punto che cinteressa, che il topo in qualche modo (e per una volta questo modo di dire lunico adeguato, perch proprio non sappiamo in che modo posso sviluppare una simile conoscenza) cosciente di un proprio stato percettivo, e lo valuta rispetto ad un successivo compito di classificazione. Quando infatti il suono-stimolo facilmente classificabile o come breve o come lungo, allora pi probabile che il topo scelga lopzione accetto la prova, perch sa che riuscir a superarla senza troppe difficolt. Il punto che pi ci interessa in queste pagine che questa coscienza di s del topo si manifesta, a noi ma anche allo stesso topo, perch la situazione sperimentale gli offre un mezzo esterno, le due opzioni accetto la prova e rifiuto la prova, a cui agganciare la consapevolezza di un proprio stato interno. In questo modo il topo dispone di un modo per dirigere la propria attenzione non soltanto sul suono-stimolo, ci che comunque accadrebbe, in modo involontario, perch le sue orecchie sono biologicamente predisposte per reagire alla stimolazione sonora, ma anche sulla esperienza percettiva di quel suono-stimolo: il mezzo esterno gli permette cio di percepire la propria stessa percezione. A questo punto, ora che diventata una entit mentale distinta e individuata (grazie al segno esterno), diventa possibile valutarla, e cos il topo pu adottare ulteriori linee dazione (accettare o no la prova, ad esempio) a partire da questa consapevolezza. Il problema allora disporre di un mezzo esterno che permetta di guidare in modo volontario la propria attenzione. Che sia proprio questo il punto centrale si osserva in un esperimento analogo con le scimmie reso (HAMPTON, 2001). Qui lo stimolo iniziale una immagine presentata sullo schermo di un computer. Anche in questo caso lanimale deve, ad un certo punto, scegliere se intende proseguire nellesperimento, e quindi sottoporsi alla prova di riconoscimento (limmagine stimolo appare allora insieme ad altre tre immagini, lanimale deve toccare sullo schermo quella delle quattro che gli apparsa allinizio dellesperimento), oppure accettare una ricompensa immediata, seppure po-

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co apprezzata. Dopo limmagine stimolo sul monitor appaiono due segni: toccare quello di sinistra significa accettare la successiva prova, quello di destra rifiutarla. Ora proprio questo segno che permette alla scimmia di prestare attenzione al proprio ricordo dellimmagine stimolo, che ormai non pi presente: se lanimale sente che quellimmagine ancora presente alla sua attenzione (nella sua memoria), allora accetta la prova di riconoscimento. Questa operazione possibile solo perch, grazie al segno sul monitor, lanimale diventa capace di concentrarsi non su un qualche oggetto esterno, come altrimenti succederebbe, bens su un proprio stato interno. La posta in gioco il controllo dellattenzione. Senza segno esterno lattenzione viene naturalmente attratta dagli oggetti del mondo percepibile, con il segno diventa invece possibile e per la prima volta indirizzarla su di s. Ora questo stato interno solo in modo implicito preesiste alla sua individuazione, perch per essere individuato in modo esplicito come oggetto mentale indipendente ha bisogno della necessaria mediazione di un mezzo esterno (il segno sul monitor). come se, nel segno sul monitor, la scimmia vedesse un proprio stato interno, imparando cos sia a riconoscerlo che, eventualmente, a controllarlo (perch se non si sente sicura la scimmia non accetter il compito di classificazione). Allo stesso tempo lanimale scopre, in modo implicito, di essere un tipo di entit che pu ospitare, dentro di s, degli stati interni. Coscienza e ci di cui (quella coscienza) cosciente si formano contemporaneamente, a condizione che alla consapevolezza in costruzione venga fornito, dallesterno, un mezzo pubblico che le permetta, dapprima, di uscire da s e poi rientrare in s. Nel caso del topo e della scimmia reso (ma anche di molti altri animali, cf. SMITH et al., 1997) questo mezzo esterno fornito artificialmente dalla situazione sperimentale, nel caso degli animali umani si tratta, soprattutto, delle lingue (verbali e non verbali) attraverso le quali gli adulti si rivolgono ai piccoli. In entrambi i casi si pu individuare uno stato interno, unemozione ad esempio, oppure un concetto astratto (THOMPSON, ODEN, 2000) soltanto mediante uno stato esterno, un mezzo o segno pubblico che la comunit offre allorganismo in sviluppo, sulla base del quale questi costruisce tanto una prima coscienza esplicita di qualcosa quanto, e correlativamente, di s stesso come un chi che pu essere cosciente della propria stessa coscienza. Il problema che affrontiamo in questo lavoro quello delle emozioni, e del rapporto che intrattengono con i mezzi che abbiamo per, come si dice, esprimerli, a partire dalle parole delle lingue storico-naturali. Sembra trattarsi di un problema perch mentre le emozioni le sentiamo (o almeno

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ci hanno insegnato cos) dentro, le parole sono fuori, e non riusciamo a figurarci come possano stare insieme entit cos diverse, le fluttuanti e private emozioni e indeterminate con le povere e pubbliche parole. In effetti, posto in questi termini, un rapporto fra emozioni e lingue sembra molto difficile, se non apertamente impossibile (quella della letterale indicibilit delle emozioni, infatti, una posizione molto diffusa, per quanto autocontraddittoria). In questo lavoro anzich affrontare direttamente questo problema ci siamo posti una domanda diversa: invece di assumere come gi dati tanto le emozioni che il linguaggio, cercando poi un modo per farli stare insieme, ci siamo chiesti come possa, una coscienza (animale, ma senza escludere che possa essere anche artificiale) arrivare a pensare di ospitare dentro di s qualcosa come una emozione. Il primo problema nel chiedersi come ci si possa figurare unemozione, e uno stato interno in genere, come qualcosa di unitario e, appunto, di rappresentabile (Smith et al., 1997, p. 76). Abbiamo dapprima scartato lipotesi che questa sia una abilit originaria, di cui la nostra mente sarebbe dotata in modo innato (cf. supra, 2). Qui importante la distinzione fra una sensazione implicita ed una esplicita. Se provo terrore ma non ne sono consapevole, non corretto sostenere che io provo una emozione di terrore. Al topo che non dispone del segno rifiuto la prova possiamo attribuire, noi sperimentatori che losserviamo dallesterno, uno stato mentale di incertezza ed esitazione, perch ce lo mostra il suo comportamento. Ma appunto, qui lemozione gliela attribuiamo dallesterno. Quando proprio il topo, invece, che sceglie il segno che significa rifiuto la prova (in qualunque modo il topo si rappresenti il significato di questa frase della lingua italiana), allora diventa ragionevole attribuire a lui stesso una qualche consapevolezza di un suo stato interno. Ora affatto sensato parlare di uno stato interno del topo, perch il topo stesso che, dopo averlo individuato attraverso il segno esterno, riesce a controllarlo, dimostrando cos che si rende conto della sua esistenza. In questo senso lemozione, in quanto stato interno esplicitamente pensabile e manipolabile, un effetto delle pratiche segniche, e non la sua causa (VYGOTSKIJ, 1931-1933). Insieme allo stato interno, alle emozioni, si sviluppa e si costituisce anche chi prova quello stato interno, che in tanto prova qualcosa in quanto queste ultime esistono soltanto se sono provate da qualcuno. Si imparano tanto le emozioni, nelle forme mediate dai mezzi sociali per individuarle, quanto di essere qualcosa che prova delle emozioni (CIMATTI, 2007). In questo senso, infine, le emozioni, quanto di pi viscerale ci sia, entrano nel mondo degli oggetti rappresentabili in maniera e-

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splicita, cio come qualcosa che si pu sentire, soltanto attraverso la necessaria mediazione di un artificio, che si tratti di un dispositivo sperimentale per topi e scimmie, oppure le lingue in cui prende corpo la nostra individualizzazione, e attraverso le quali soltanto pu svilupparsi una psicologia, umana e non.
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MARTA CLEMENTE Linguaggio, intenzioni e razionalit pratica: unipotesi interpretativa delle basi del giudizio morale

1. Tendenze dellazione e giudizio morale Il percorso illustrato nelle pagine che seguono ha origine allintersezione del pensiero filosofico di G.E.M. Anscombe (1919-2001) con alcuni dei recenti studi angloamericani in materia di practical reasoning. Lopera di Anscombe, per pi di un aspetto originale e stimolante, possiede una peculiare fecondit concettuale relativamente alla vexata quaestio dello statuto logico, gnoseologico ed etico dellazione, con particolare riferimento ai caratteri dellagire intenzionale1. Di seguito, i contributi di Philippa Foot e di Martha Nussbaum alla definizione di una actions theory contemporanea, hanno sviluppato e arricchito i concetti stessi di azione e di razionalit pratica, mettendone in evidenza gli aspetti pi problematici, focalizzabili nel modo seguente: 1. il rapporto fra lazione e gli elementi che ne determinerebbero la tendenza (sentimenti, passioni, desideri, attitudini, intenzioni); 2. il rapporto fra la razionalit pratica e gli atti morali; 3. il rapporto fra il linguaggio morale e lazione, poich un giudizio morale anzitutto dice qualcosa sullazione di ciascun individuo cui si applica, parlando di ci che ha una ragione (di un certo tipo, morale) per essere fatto. Negli scritti di Foot e Nussbaum, rappresentanti in maniera diversadi un naturalismo aristotelico che li oppone a buona parte delle tesi etiche non-cognitiviste2, i punti appena citati si configurano come domande di
1 ANSCOMBE (1981), raccoglie gli scritti di metafisica, epistemologia, filosofia della mente ed etica della filosofa, suddivisi in tre volumi. Nel 2000, inoltre, la Cambridge University Press ha pubblicato una raccolta di saggi in suo onore, Logic, Cause and Action, comprendente i contributi dei maggiori filosofi analitici contemporanei, fra cui Peter Geach e Michael Dummett. 2 Lespressione non-cognitivismo designa un insieme di posizioni etiche eterogenee ma accomunate dalla convinzione che gli imperativi siano espressioni linguistiche non suscettibili di falsit o di verit (REICHENBACH, 1951, cap. XVII), ovvero lidea che gli enunciati morali non abbiano valore assertivo, ma svolgano la funzione di esprimere lo stato emotivo o lattitudine dellagente, rispetto a cui hanno un ruolo descrittivo-informativo, o

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cruciale importanza: posto infatti che una teoria dellazione non per ci stesso una teoria dellagire virtuoso, il ruolo (cognitivo, oltre che conativo) attribuito ad aspetti della razionalit pratica emozioni, intenzioni, attitudini dellagente pu non avere conseguenze decisive sulla nozione stessa di atto morale? 2. Etica della virt e filosofia del linguaggio Rispetto a tale questione, il pensiero di Anscombe assume una duplice valenza. Ricordiamo in primo luogo che la rinascita di unetica della virt e dellattenzione alla saggezza pratica, nel pensiero anglosassone della seconda met del secolo scorso, risale a uno dei pi noti articoli della filosofa3, il cui il bersaglio polemico sono i well-known english writers on moral philosophy from Sigdwick4: i rappresentanti, cio, di una filosofia della morale impegnata nella fondazione unetica normativa, ma sostanzialmente indifferente alla definizione di un insieme di valori condivisi che suggerisca ipotesi risolutive dei dilemmi etici. Anscombe contesta in particolare ci che lei stessa ha definito consequenzialismo, una posizione che lega il giudizio morale di unazione particolare allinsieme delle sue conseguenze, individuando le responsabilit dellagente sulla base delle conseguenze previste della sua azione, piuttosto che sulla base di effetti intesi. Il rischio consisterebbe nel fornire una visione impersonale dellagire che, allontanando il soggetto dal suo progetto pratico, lo deresponsabilizza. Il dibattito metaetico difetta in questi termini di una coerente psicologia morale, indispensabile al recupero della domanda sui caratteri di una vita umana aristotelicamente improntata alla virt: secondo Anscombe, la filosofia moderna viziata da una deriva legalistica, cio dal far poggiare la teoria etica su nozioni quali comando, legge, azione obbligatoria, attribuendo ad esse un significato poco convincente se privato del concetto originariamente fondativo di legge divina in base a cui, nelletica medievale, lidea dellought (dovere) trovava una giustificazione. Constatare la dissoluzione moderna del fondamento eteronomo della morale significa riconoscere che la maggior parte dei concetti deontologici sono supportati non da unadeprescrittivo. Una trattazione completa delle principali tesi non-cognitiviste contenuta in CREMASCHI (2005, pp. 55-71). 3 ANSCOMBE, (1958), in ID. (1981), vol. III, pp. 26-42. 4 Ivi, p. 27.

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guata giustificazione razionale, quanto da una mera capacit di suggestione: lammissione di questi limiti consente lappello a una forma di naturalismo etico in grado sia di esplicitare gli elementi indispensabili a una vita virtuosa e all agire bene, che di spiegare come un uomo ingiusto sia un cattivo uomo, e unazione ingiusta sia unazione cattiva5. In secondo luogo, nel pi recente On Promising and its Justice6, la filosofa ha posto una stretta relazione fra la valutazione di unazione e alcune caratteristiche peculiari della vita degli esseri umani. Sono queste ultime a rendere necessario, per esempio, un istituto quale la promessa per sancire lobbligo reciproco allazione, perch non esistono altri modi non coercitivi per far fare agli altri quel che vogliamo. Indurre allazione senza luso della forza per la vita umana una necessit aristotelica, un contributo a quel bene essenziale a una specie che il preservare s stessa, le sue specificit. Il linguaggio rientra tra queste ultime: infatti, la dipendenza degli esseri umani gli uni dagli altri trova in esso una forma raffinata di cooperazione, che alla base dellumanit e che ne conserva ed estende le potenzialit attraverso il riconoscimento razionale, da parte della comunit di parlanti, di sistemi di regole condivise cui affidare la possibilit stessa della convivenza. La filosofia di Anscombe non rappresenta solo una tappa essenziale e fondante del dibattito in corso sulle questioni qui sollevate: essa concorre a fornire un originale impostazione teorica, una strategia capace di attraversare e rivisitare il naturalismo etico contemporaneo, tenendo conto della inseparabilit di praxis (dimensione pratica) e logos (linguaggio)7. 3. Concetti psicologici e actions theory In uno dei trattati sullazione pi importanti del secolo scorso8, Anscombe mette in luce come la linguisticit sia condicio sine qua non della distinzione fra un agire intenzionale e altri tipi di atto, e della sua comprensione9. Richiamandosi alla distinzione wittgensteiniana fra le cause e le raANSCOMBE, (1958), in ID. (1981), p.29. ANSCOMBE (1981), vol. III, pp. 10-21. 7 Nel corso di queste pagine ho fatto costantemente riferimento alla traduzione di Lo Piparo, che rende logos con linguaggio, piuttosto che con regola o ragione, indicando [] la capacit, che si esercita col linguaggio, di cercare soluzioni ragionevoli a problemi sia pratici che teorici. Cf. ID. (2003), p. 19. 8 ANSCOMBE (1957). 9 utile precisare cosa Anscombe intenda per intenzionalit: in questa sede bisogna distinguere fra lidea per cui la mente intratterrebbe con le cose un rapporto contraddi5 6

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gioni di unazione10, e reinterpretando il modello dellinferenza pratica aristotelica, la filosofa fa giocare al linguaggio il duplice ruolo di strumento di definizione di un problema (cosa un atto intenzionale?), e di risoluzione del problema stesso. La comprensione di unazione dipende infatti dal fornirne una corretta descrizione in un determinato contesto, posto che una stessa azione pu essere intenzionale sotto una descrizione, e non intenzionale sotto unaltra11. In particolare, essa intenzionale se viene descritta come una risposta alla domanda Perch? in cui siano menzionati, nella forma di un ragionamento pratico, le ragioni e gli scopi che la sostanziano12. In questo senso, viene negata capacit esplicativa alle teorie che interpretano causalmente il nesso azione/intenzione: esse si basano, secondo Anscombe, su un errato approccio epistemologico, che legge le azioni come fossero fatti, causalmente determinati da una tendenza/entit psicologica che viene in tal modo reificata o, in alternativa, da accadimenti fisici precedenti lazione stessa e logicamente indipendenti da essa, considerati in grado di promuovere deterministicamente lagire. Tuttavia, lazione intenzionale non pu essere compresa risalendo a ci che ne costituisce la causa, ma solo descrivendo ci cui essa tende, il suo fine intrinseco, la sua ragione. Non diciamo, ad esempio, di sobbalzare alla luce di un rumore improvviso: descrivere la propria azione come intenzionale, significa essenzialmente fornire una giustificazione del proprio comportamento, che priva di potere causale perch lesistenza di una ragione non sufficiente ad assicurare una certa azione, e perch la
stinto da una dinamica di proiezione, un mirare BENOIST (2005, p. VII), e laccezione del termine qui considerata, per cui lintenzionalit non la propriet fungente da ponte fra il fisico e lo psichico, ma un concetto psicologico designante una delle tendenze messe in atto dallagente sulla base di ragioni. In termini intenzionalisti, dunque, lintenzione anscombiana uno degli stati intenzionali. 10 Se invece, tu comprendi che la catena delle ragioni reali ha un principio, non ti ripugner pi lidea di un caso, nel quale non v una ragione del modo nel quale tu obbedisci allordine. A questo punto, tuttavia, insorge unaltra confusione: quella tra ragione e causa. A questa confusione porta luso ambiguo dellavverbio interrogativo perch. [] La differenza tra le grammatiche di ragione e di causa simile a quella tra le grammatiche di motivo e causa. La causa oggetto non di conoscenza, ma solo di congettura.. WITTGENSTEIN (1958, pp. 23-24). 11 Al modo in cui dire che un uomo sta facendo X, significa fornire una descrizione di quel che egli sta facendo secondo la quale lui lo sa. Cf. ANSCOMBE (1957, 6). 12 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, I, 2, 1094 a 22-24: E non forse vero che anche per la vita la conoscenza del bene ha un gran peso, e che noi, se, come arcieri, abbiamo un bersaglio, siamo meglio in grado di raggiungere ci che dobbiamo?.

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ragione diviene efficace solo se lagente la comprende come un modo plausibile di vedere lazione, in una dimensione valutativa che le cause non posseggono, e in cui possibile esibire il significato di un certo gesto chiamando in causa un certo tipo di operazione, di natura linguistica. Linferenza pratica aristotelica si rivela quindi particolarmente efficace nel descrivere la struttura teleologica della volizione, poich correla in modo plausibile tutti gli aspetti dellazione umana, irriducibili a una successione causale di fatti13: le due premesse esprimono infatti rispettivamente la volizione dellagente e la conoscenza dei mezzi o delle condizioni del raggiungimento di quanto voluto; la conclusione esprime invece la disposizione del soggetto agente a realizzare le condizioni stesse. Caratteristica del ragionamento pratico, inoltre, il suo indurre allazione senza che questa sia necessitata dalle premesse14: lunico elemento che giustifica la conclusione la boulesis (la volont), differente dallepithumia (il desiderio astratto) poich consistente nel cercare di ottenere un oggetto che si conosce e che possiede una caratterizzazione di desiderabilit in quanto descritto come oggetto buono. appunto tale caratterizzazione a fondare il percorso logico che trae origine da un obiettivo, rispetto a cui volont e conoscenza procedono assieme15. Lintenzione dellagente intrattiene dunque una relazione interna, logico-concettuale, con una particolare forma di descrizione ampliata degli eventi, che specifica quel che lagente ulteriormente sta facendo nel fare qualcosa, per cui le due caratteristiche, conoscenza e descrizione ampliata, sono proprio caratteristiche dellintenzione nellagire16. Anscombe intravede cos nella proairesis (scelta) aristotelica17 il fulcro di un tipo di descrizione il cui ordine presente ogni qualvolta le azioni sono compiute con intenzione18, senza la quale nulla di quel che accade potrebbe essere
La struttura formale del ragionamento pratico verr accolta successivamente in altre teorie della praxis, per esempio in quella di VON WRIGHT (1971, pp. 114-121), che si riferisce a un sillogismo pratico del seguente tipo: A intende ottenere p /A non pu ottenere p se non compiendo X/A si dispone a compiere X. 14 ANSCOMBE (1957, 33). 15 Ivi, 37. 16 Ivi, 47. 17 In Thought and Action in Aristotle (1965), Anscombe rileva come la proairesis aristotelica non possegga una valenza puramente tecnica o esecutiva, ma sia piuttosto lelemento decisivo nella realizzazione di ci che il soggetto protithetai (ci che egli mette innanzi a s in quanto lo preferisce; ci che egli intende mettere in pratica). Cf. ID. (1981, vol. I, pp.66-77). 18 Ivi, 29.
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interpretato come un atto intenzionale. La conoscenza speculativa, da sola, non sarebbe in grado di rilevare alcuna intenzionalit dellagire: utilizzando losservazione quale chiave daccesso epistemologico ai fatti, essa evidentemente insufficiente a comprendere perch si scelto di agire in un dato modo, alla luce di quale ragione. La concezione aristotelica del ragionamento pratico viene cos utilizzata wittgensteinianamente, per spostare lattenzione da ci che si verifica nel mondo alla sua descrizione, che implica il concetto di unazione umana, e non viceversa19. Congiungere concettualmente le azioni e le loro ragioni, edificare le basi della loro relazione nella funzione descrittiva del linguaggio, significa in sostanza per Anscombe definire un requisito di manifestabilit delle intenzioni e, insieme, rifiutare sia qualsiasi forma di soggettivismo emotivo, sia la posizione che interpreta lazione come leggibile alla stregua di evento separabile in linea di principio dalle sue cause e dalle sue conseguenze: il comportamento, infatti, non possiede in s e per s nulla di razionale, mentre pu essere compreso come razionale in un contesto linguistico di fini, realizzazioni e cognizioni20 da cui riceve, appunto, il suo carattere intenzionale. Un concetto psicologico come lintenzione non dunque pensabile se non entro i confini di una sfera linguistica (e pertanto intersoggettiva, sociale)
19 Nelle Ricerche Filosofiche, Wittgenstein aveva gi sottolineato come i concetti ci inducono a indagare, sono espressione del nostro interesse, e dirigono il nostro interesse (ID., 1953, 569-570, corsivo mio). Anscombe, a sua volta, evidenzia come la descrizione su cui ci concentriamo, quando vogliamo conoscere lintenzione dellagente, tale che non potrebbe esistere, se la nostra domanda Perch? non esistesse a sua volta. 20 Anscombe definisce lelemento cognitivo che tipicizza lazione intenzionale, il knowing without observation, che chiaramente di derivazione aristotelica: luomo acquisisce, con lesercizio, un habitus che applica di volta in volta al singolo atto, per cui la deliberazione non investe, in ogni caso particolare, unabilit acquisita. La conoscenza delle proprie azioni intenzionali appartiene al soggetto a prescindere dai dettagli sul modo in cui esse hanno luogo effettivamente o in cui modificano la realt. Cos, lunica cosa che accade la mia intenzione, e io faccio quel che accade. C sempre un certo grado di conoscenza od opinione del contesto/oggetto dellagire intenzionale, per cui la possibilit di osservare lo svolgersi dellazione secondaria, rappresenta al pi un aiuto, al modo in cui gli occhi ci aiutano ad avere una scrittura leggibile, ma potremmo scrivere anche senza guardare il foglio, fondandoci solo sulla conoscenza pre-osservativa della nostra azione. La possibilit di una discrepanza fra intenzione e azione effettiva dipende eventualmente da una mancata corrispondenza fra descrizione ed evento, fra linguaggio e realt, cf. ID. (1957, 42). Se apro il rubinetto per riempire una vasca, ma dimentico di chiudere lo scarico col tappo, quello che faccio (la mia intenzione) riempirla, anche se ci non avviene: la causa del mio errore (in questo caso, la distrazione) concerne la realizzazione dellatto, e non latto intenzionale in s e per s (Ivi, 32).

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in cui lazione intenzionale esiste nellambito di uno spazio logico in cui si fornisce a un interlocutore la ragione del proprio comportamento: lexplicans di un atto intenzionale contiene la ridescrizione di fatto noto (unazione) dirimente rispetto a unattribuzione di responsabilit a un soggetto, consapevole di aver fatto accadere ci che ha fatto, mentre la forma di questo tipo di ridescrizione, il modello aristotelico, d conto del senso teleologico delle nostre azioni, inscritte in una sfera di finalit consapevoli inevitabilmente escluse da qualsivoglia spiegazione nomica. 4. Il contributo del naturalismo etico angloamericano Quanto detto fin qui rende conto di quanto le tesi di Anscombe siano feconde per lo sviluppo di un discorso sulla razionalit pratica che approdi a una teoria unificata dei suoi elementi costitutivi a partire dal linguaggio come facolt che non solo descrive, ma soprattutto definisce originariamente e intersoggettivamente lumana razionalit pratica, nei suoi confini e contenuti. In questo senso sono significative le parole di Sellars, quando sostiene che [] caratterizzare qualcosa come un episodio o uno stato di conoscenza non equivale a fornirne una descrizione empirica ma, piuttosto, a collocarlo nello spazio logico delle ragioni, nello spazio in cui si giustifica e si in grado di giustificare quel che si dice21. Le potenzialit teoriche del pensiero anscombiano si accompagnano certamente ad alcuni limiti. Il pi rilevante dato da uninterpretazione dellaristotelismo che, reso docile a determinate esigenze (fra cui la congiunzione con alcune tesi wittgensteiniane), tende a valorizzare alcuni elementi della psicologia e delletica aristotelica a svantaggio di altri. Cos avviene ad esempio con laccentuazione dellimportanza del logismos (il calcolo razionale) nellazione intenzionale, a scapito del ruolo dellorexis (il desiderio) nelletica aristotelica. Il risultato la sensazione che la volont di ricostruire la struttura formale dellagire prevalga sulla necessit di dar conto di tutti gli aspetti che intervengono nella effettuazione di una scelta ragionata, dellazione che la realizza intenzionalmente. Di fondamentale importanza appare invece linsistenza anscombiana sullidea che un aspetto del practical reasoning come lintenzione, sia qualcosa di ben diverso dallelemento motivazionale, costitutivamente interno al soggetto che agisce precedente un fatto, lazione, quale suo promo21

SELLARS (1997, 36, corsivo mio).

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tore o inibitore, come sostenuto dalla maggior parte delle posizioni filosofiche neo-humeane. La considerazione di una ancillarit degli atti rispetto al modo in cui si articola la scelta dellagente, sembra in effetti rappresentare la controparte epistemologica delle posizioni etiche di Anscombe, che richiedono di spostare lattenzione dallazione in quanto tale, al carattere e alle disposizioni di colui che la compie, ovvero di abbandonare il linguaggio deontologico per adottarne uno areteico. Questidea, presente negli scritti della filosofa per lo pi sotto forma di monito o di esigenza, viene ripresa e radicalizzata, in senso naturalistico, dallallieva diretta di Anscombe, Philippa Foot, in uno dei suoi scritti pi recenti, Natural Goodness, che ben sintetizza fra laltro levoluzione delle posizioni espresse dalla filosofa in diversi articoli precedenti22. Il pensiero di Foot ha in parte un rapporto di filiazione evidente con la filosofia anscombiana, ma se ne discosta anche per diversi motivi, in particolare per la strategia adottata nella trattazione del concetto di bene e del rapporto fra atto morale e razionalit pratica. Questo dovuto in parte al fatto che linteresse prioritario di Foot di natura etica, mentre Anscombe ha riservato buona parte dei suoi scritti alla definizione esclusivamente logica ed epistemologica di determinate questioni (si pensi ad esempio al suo distanziare anzitutto epistemologicamente la nozione di causa di unazione da quella di ragione). Foot vuole dichiaratamente segnare la sua distanza filosofica da ci che accomuna le varie versioni di noncognitivismo etico, rappresentanti di un errore strategico la cui individuazione basilare per adottare un nuovo punto di vista sullagire e sulla sua moralit, due questioni che non possibile considerare separatamente, se non in virt di una fuorviante scissione teorica. Com noto, il non-cognitivismo etico sostiene la forbice humeana la distinzione tra il piano del fatti e quello dei valori col supporto dellidea che non avendo valore assertivo, i giudizi morali non siano analizzabili in termini di condizioni di verit, ma derivino da un uso particolare, pratico, del linguaggio. Pertanto, essi non esprimerebbero altro che una tendenza dellazione, in base a un principio che Foot definisce requisito di praticit di Hume, che stabilisce che la moralit essenzialmente actionguiding23, stimola o frena lagente ad agire in un certo modo. Un requisito,
FOOT (2001). Foot ha sostenuto il requisito di praticit anche in suoi scritti precedenti di stampo humeano, che sostenevano in generale le tesi di Peter Geach sullanalisi dellaggettivo buono, condotta sulla base della distinzione fra aggettivi predicativi e attributivi (GEACH,
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questo, che daltra parte la filosofa stessa ritiene sia necessario soddisfare, rifiutando per lequazione fra significato del giudizio morale e tendenze (attitudini, intenzioni, stati mentali) dellazione, e la parallela considerazione delle condizioni di verit come significato delle asserzioni: da questa impostazione del problema ha origine uno iato insanabile, che investe la relazione fatti/valori tanto da collocare il contrassegno del giudizio morale oltre le possibilit di giustificazione del giudizio stesso. In questa distanza fra giustificazione e giudizio consiste, secondo Foot, lerrore del noncognitivismo, che delimita i concetti di moralmente buono/cattivo solo tramite requisiti di coerenza logica, per cui le peculiarit del giudizio morale resterebbero isolate dal suo contenuto, e in grado di formare il nucleo di altri sistemi morali, diversi od opposti rispetto al nostro. Foot sottolinea pi volte che pensare alle buone azioni non sia come pensare a propriet di oggetti24. Tuttavia, unalternativa alla dicotomia fatti/valori pu consistere nel soddisfare il requisito humeano facendo rientrare lagire morale nella stessa razionalit pratica: lidea di bont della volont, diversamente da Kant, viene fatta cos dipendere non da unidea astratta di razionalit pratica, ma da propriet essenziali della vita specificatamente umana25. Queste ultime sono regolative di una bont naturale, cio una tensione verso la perfezione di ogni individuo rispetto alle caratteristiche della propria specie, alle funzioni che le sono proprie e, nel caso delluomo, rispetto allesser dotato di razionalit. Tale normativit naturale utilizzata in particolare nellanalisi della vita umana, ed in tutto simile alla valutazione del comportamento degli animali, eccetto per il fatto che i beni che dipendono dalla cooperazione umana []sono pi differenziati e pi difficili da delineare rispetto ai beni animali, se non altro per il fatto che un essere umano ha bisogno di com1960). A sua volta, Foot ha tentato di mostrare come le espressioni di valutazione relative a certi vizi, o a certe virt, non abbiano criteri astratti di applicazione, ma fattuali: la categoricit dellimperativo kantiano non garantisce al soggetto alcuna ragione per agire, mentre sarebbero gli imperativi categorici a possedere una maggiore capacit normativa, per quanto non posseggano una forza assoluta (FOOT, 2002). 24 Secondo il concetto di morale il pensiero che qualcosa deve essere fatto in relazione con lazione, in un modo in cui non lo , ad esempio, il pensiero che la terra rotonda, o che le fragole sono dolci, o che molti muoiono in guerra. [] Ho accettato tale premessa, interpretandola poi in modo diverso: ho suggerito che lazione morale ha una connessione privilegiata con la volont, perch essa un requisito della razionalit pratica, FOOT (2001, pp. 29-30). 25 FOOT (2000, p.115).

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prendere il perch delle sue azioni, le ragioni per comportarsi onestamente, o per mantenere una promessa26. Ci che Anscombe dice sullistituto della promessa27 diviene in Foot lesempio di un criterio generale di valutazione basato sulla specie: mantenere le promesse un bene, perch un bisogno naturale della vita umana ottenere cooperazione senza usare la forza fisica. I fatti rilevanti relativi alla forma di vita della specie cui appartiene lindividuo considerato determinano i criteri della bont (e del difetto) che dobbiamo utilizzare per valutare quellindividuo, cosicch la necessit della civetta di vedere al buio non strutturalmente distante dallumano interesse per il prossimo. Il giudizio morale non fa che spiegare lazione di un individuo che sa di avere delle ragioni per agire moralmente, e rientra nella razionalit pratica perch agire sulla base di ragioni modalit di operazione specie-specifica degli esseri umani. Fra giudizio morale e giustificazione, dunque, non sussiste alcuno scarto logico, nella misura in cui lazione morale razionale, e riconoscere le ragioni per lazione e agire di conseguenza una facolt propria degli esseri umani. I criteri della bont possono variare rispetto alle varie forme di vita, mentre rimane invariata la struttura logica dellattribuzione di buono, sia che laggettivo sia attribuito a una pianta, a un lupo o allazione di un essere umano28. La tesi di Foot impregnata di aristotelismo, soprattutto perch le caratteristiche naturali proprie degli esseri umani non sono che funzioni teleologiche determinanti il modo in cui ciascun individuo dovrebbe essere, a partire dal proprio ergon (funzione) specie-specifico. Tuttavia, unetica delle virt dovrebbe riservare unattenzione speciale alla disposizione costante dellagente, mentre letica naturalistica di Foot sembra sfociare in una sorta di realismo metafisico, in una accurata analisi fattuale che colloca i tratti essenziali di ci che va considerato di valore nella realt esterna: manca (o difetta) lanalisi convincente del ruolo effettivo che la razionalit umana e la sfera emotiva giocano nel motivare le azioni, e nella determinazione delle stesse virt. Su questo tema la Foot si limita a sottolineare una caratteristica della scelta: il fatto che in essa le emozioni, le attitudini, le intenzioni e i desideri del soggetto non sono separabili dallatto in cui si esprime la scelta medesima, o sovrapponibili ad esso come fossero lantecedente conativo di elementi cognitivi e razionali, capaci di determinare lazione e la sua tendenza.
FOOT (2001, p.25). ANSCOMBE, Promising and its Justice, in ID. (1981), vol. III, pp. 10-21. 28 FOOT (2001, pp. 59-60).
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Foot si esprime con lucidit e chiarezza sulle rischiose conseguenze etiche di una concezione siffatta, ma permane nella sua teoria la perdita di vista delle peculiarit della scelta umana, che nella concezione aristotelica ha per oggetto una cosa che desiderata perch deliberata: nella proairesis, desiderio e deliberazione si intrecciano e fondano il pensiero pratico e la moralit dellagire. La tesi footiana rappresenta certamente uno dei tentativi pi significativi, ma anche pi ardui, di salvaguardare loggettivit delle asserzioni morali eliminando ogni concessione soggettivistica e riaffermando lesigenza di non esaurire letica nellanalisi linguistica e formale, affidando ad essa dei contenuti che siano saldamente ancorati alla vita reale degli esseri umani, non solo in termini biologici, ma anche in quelli di una ricostruzione realistica di fenomeni quali il volere, lintenzionalit, la razionalit pratica29. Il ruolo imprescindibile della componente emotiva (tralasciata, in modi diversi, dalle analisi di Anscombe e Foot) nel practical reasoning, stato particolarmente valorizzato da Martha Nussbaum, per cui la filosofia aristotelica rappresenta una guida attuale e insostituibile nella costruzione di una teoria etica universale connessa alla praxis politica e alla libert umana. Lo sforzo di Nussbaum volto alla fondazione di unetica che sia realmente pluralista e che al contempo si fondi sullidea di natura umana universale, esplicitata da una lista non rigida di capacit fondamentali (tra cui figurano le emozioni e la ragione pratica) che definiscono cosa costituisce una vita autenticamente umana e che hanno contemporaneamente un valore individuale (perch perseguite per il singolo) ma anche universale (in quanto espressione di principi validi per ogni cultura e societ) di contro a un relativismo che vorrebbe far gravare sui criteri del valore etico dei vincoli locali, o legati al concetto di tradizione (nonostante le capacit stesse possano ammettere una specificazione plurale, o locale30).
Il fondare letica su uninsieme di fatti naturali primi stato ravvisato come il punto di maggior debolezza della teoria, per esempio da McDowell, vicino a gran parte delle tesi footiane ma convinto che letica non possa basarsi su fatti puri: essa il risultato di uneducazione, una seconda natura poich si dispiega allinterno del pensiero riflessivo, del lgos pratico, e non ci consente di assumere un punto di vista esterno, astratto rispetto allagente. Per McDowell, il giudizio sulle azioni umane deve tenere conto del lato biologico-naturale, ma anche della presa di distanza rispetto ad esso che la ragion pratica necessariamente compie. MCDOWELL (1998, pp.188-197). 30 NUSSBAUM, Natura, funzione e capacit: la concezione aristotelica della ridistribuzione politica, in ID. (2003, pp. 41-42): evidente che, di necessit, la migliore costituzione (politeia) costituita dallordinamento (taxis) che permette a chiunque (ostisun) di essere nella
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Il contributo di Nussbaum al non-consequenzialismo e al neo-aristotelismo contemporaneo rilevabile da almeno tre punti di vista: 1. Nussbaum ritiene che la presenza o assenza di alcune delle capacit presenti nella lista siano contrassegno della presenza o assenza della stessa vita umana: il rispetto di una serie di capacit fondamentali non si inserisce in una prospettiva consequenziale perch viene riconosciuto come fondamentale principio normativo, rendendo unazione giusta sulla base di propriet indipendenti dalle conseguenze da essa realizzate. Secondo Nussbaum, per Aristotele compito dellordinamento politico creare un contesto in cui ciascuno sia libero di scegliere di funzionare in modi costitutivamente umani, e gli stessi concetti di funzionamento (rgon) e capacit (dynamis), sono desunti dalla filosofia aristotelica e posti in un rapporto tale che le capacit rappresentano il fine per cui necessario ricercare determinati funzionamenti come strumenti di realizzazione, strumenti che vanno imposti, entro un certo limite, anche contro i desideri del soggetto (per esempio, nel caso del diritto allistruzione primaria e secondaria). Questa analisi, dunque, adotta una concezione oggettiva del bene, nel senso che ci che bene indipendente dai desideri del soggetto. 2. Nussbaum attribuisce per al desiderio un ruolo tale che fra ci che desiderato, e ci che considerato di valore, debba comunque sussistere una qualche relazione, e opponendosi alle tesi che sostengono che desiderio e scelta non abbiano alcun ruolo nel giustificare la bont di una cosa, concepisce aristotelicamente la scelta come desiderio deliberativo, intreccio di desiderio e ragione in cui il primo costitutivamente intenzionale, cos come sono intenzionali, e quindi dotati di intelligenza e di consapevolezza, anche gli appetiti e le emozioni dellagente. La filosofa riserva quindi un ampio spazio allo sviluppo di una psicologia morale comprensiva di una geografia della vita emotiva che evidenzi il carattere cognitivo e valutativo delle emozioni, considerando, ad esempio, lelemento valutativo contenuto nel desiderio, che consente ad esso di uscire dallirrazionalit ed entrare nella definizione di ci che viene considerato di valore31. In generacondizione migliore (arista prattoi) e di vivere beatamente (zoe makarios). Questa una delle affermazioni pi chiare della concezione dei compiti dellordinamento politico che oggetto di questo scritto. Per identificare tale concezione utilizzo qui lespressione concezione distributiva.[] Tale concezione ci impone di valutare un ordinamento politico tenendo conto delle capacit di ciascun consociato ossia tenendo conto della sua idoneit a mettere i consociati in condizione di realizzarsi al meglio delle loro possibilit. 31 NUSSBAUM (2001, p. 22).

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le, le emozioni hanno la capacit di relazionare individuo e mondo proprio in base alle valutazioni emotive, e quindi ai progetti e alle aspettative, alla propria idea di eudaimonia, che Nussbaum traduce con prosperit piuttosto che con felicit, in base alloriginario significato del termine, connesso alla dimensione dellattivit, e non a uno stato interiore. In questo senso, non solo le emozioni posseggono unintelligenza, ma sono essenziali affinch la stessa intelligenza umana non risulti amputata e si impegni, assieme alle altre componenti del carattere dellagente, nella ricerca della virt, di ci che appropriato scegliere allinterno di una certa sfera desperienza. 3. Questo arricchimento e inspessimento del concetto di azione, alla luce del recupero del valore cognitivo delle emozioni, si accompagna a unulteriore considerazione del rapporto fra luomo e lesperienza: la possibilit di individuare delle esperienze universali data dal costante contatto della vita umana coi beni esterni e con la fragilit, che giocano un ruolo attivo nella determinazione delle virt umane, tanto da rendere la tragedia greca uno dei pochi modelli capaci di narrare la storia di una deliberazione complessa. A differenza dellascetismo platonico e stoico, che individuano leccellenza umana nel trascendimento della stessa umanit, evitando lesposizione alla fortuna e la vicinanza a beni esterni e caduchi, laristotelismo afferma che solo gli uomini, a differenza degli animali (che non possono formare concetti) e degli dei (che non hanno alcuna esperienza del limite) sono in grado di formare concetti etici e vivere secondo virt. Lesperienza della vulnerabilit, in cui si colloca la possibilit di essere virtuosi, una condizione non sufficiente ma necessaria dellumanit, poich leccellenza strettamente legata a fattori esterni, non sottoponibili al controllo della ragione, ed solo grazie alla fragilit che pu essere definita tale. In tal senso, la fragilit del bene ha in s il bene della fragilit, cio quella possibilit di vivere una vita virtuosa che si costruisce a partire dalla sperimentazione della finitezza32. 4. Conclusioni Nussbaum contribuisce per pi aspetti a restituire spessore e consistenza a unanalisi dellazione e della scelta umane, evidenziando il carattere semplicistico ed eticamente rischioso delle teorie che considerano lazione
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NUSSBAUM (1986).

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intenzionale alla stregua di un prodotto di credenza e desiderio, o preceduta da stati interiori soggettivi che determinerebbero la tonalit emotiva della tendenza di una certa azione. Inoltre, le posizioni nussbaumiane possono avere in parte il ruolo di compensare alcune delle lacune concettuali delle tesi di Anscombe (in cui desideri ed emozioni hanno un ruolo poco definito) e di Philippa Foot (in cui mancano quasi del tutto considerazioni relative alla sfera emotiva, e in cui lutilizzo della nozione di natura, a cui assegnato un pesante ruolo normativo, appare problematico e vago). Di contro, il pensiero di Nussbaum pu risultare arricchito dallincontro con una delle pi forti esigenze della filosofia anscombiana e, ancor prima, di quella aristotelica: il guardare al linguaggio come fondamento del darsi di un agire con certe caratteristiche (volontariet, intenzionalit ecc.) ma anche della stessa possibilit di un impegno etico che spinga a scegliere fra azioni giuste e ingiuste, buone e malvagie, utili o dannose. Fra logos, desiderio e prosperit sussiste cos un legame interno, poich la scelta ponderata, ovvero il desiderare in maniera argomentata una cosa piuttosto che unaltra, unagire che pu essere praticato solo dagli animali dotati di linguaggio, e la scelta etica guidata dalla ricerca dellorthos logos, il discorso che enuncia la norma corretta che seleziona in ciascuna circostanza il comportamento virtuoso33. Intrecciare limpostazione teorica anscombiana coi temi del naturalismo etico, pu indicare un percorso vicino a quella funzione chiarificatrice che la filosofia deve recuperare nei confronti delle criticit irrisolte della contemporaneit. I temi della globalizzazione e del relativismo appartengono infatti allattualit di una societ dove le possibilit di convivenza tra individui e comunit dipendono sempre pi, per dirla con Habermas, dalla capacit di restituire al linguaggio la funzione di garante del senso e del telos (fine) dellagire: in tal senso, il tentativo anscombiano di definire una manifestabilit delle intenzioni pu avere interessanti ricadute sul pi ampio dibattito intorno alla possibilit di un sistema di diritti e di regole essenziali, che si fondino sulle ragioni condivise da visioni del mondo spesso pericolosamente divaricate e tendenti a un soggettivismo delle ragioni che pu essere messo in discussione dal logos, il contrassegno pi naturale e specifico della nostra umanit. Definire la relazione logico-concettuale fra azioni e intenzioni significa infatti porre le basi di una teoria della responsabilit etica, connessa a un
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LO PIPARO (2003, pp. 16-17).

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agire che sia anzitutto imputabile nel senso platonico per cui ciascuno causa della propria scelta34: se ci possibile parlare delle nostre intenzioni descrivendo le ragioni che ci hanno indotto ad agire in un certo modo, la causa della nostra azione non consiste in altro che in noi stessi in quanto agenti razionali, responsabili di un ragionamento, in base al quale ci disponiamo ad agire. E per questo che la phronesis si orienta su phronimos, vale a dire: su colui che esercita la ragione pratica35. Proprio questultima affermazione, tuttavia, segna la problematicit della delineazione di una teoria naturalista che non si scontri con la questione delloggettivit normativa: valorizzare le risorse che la dimensione linguistica pu fornire alla riflessione areteica non determina immediatamente la conciliazione fra laffermazione del primato del carattere dellagente, e dunque di un elemento particolare, con lesigenza di una teoria che abbia una valenza universale. Questa difficolt presente nel tentativo di Foot di utilizzare le norme naturali relative alla specie umana come vincoli a partire da cui fissare i criteri di una vita virtuosa, a scapito della capacit del soggetto di gestire razionalmente gli aspetti biologici e naturali della sua esistenza. Ancora, la crucialit del rapporto fra particolare e universale ha un rilievo considerevole nella ricognizione di Nussbaum di un insieme di capabilities che non oscuri la possibilit di un individuo di esercitare la propria facolt di scelta, sia in relazione alla sua razionalit pratica che alla sua cultura e al suo tempo36. Tenendo conto del carattere aperto di tali questioni, si voluto soprattutto mostrare come il recupero di una concezione non strumentale del linguaggio possa fornirci una solida chiave interpretativa delle criticit del discorso etico, attraversandole e ridefinendole sia da un punto di vista metaetico che normativo. I tragitti teorici qui delineati, fanno luce fra laltro sullimpossibilit di concepire il logos unicamente come strumento di descrizione delle attivit umane: piuttosto lintero campo di tali attivit, a dipendere dalla peculiare capacit umana di costituirle e sussumerle attraverso il linguaggio in un orizzonte di sensatezza che comprenda, non secondariamente, lo spazio delletica.

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PLATONE, Repubblica, X, 617e. BUBNER (1976, p. 228). 36 NUSSBAUM (2003, pp. 45-52).

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ANNALISA COLIVA Tu chiamale se vuoi emozioni

Che cos unemozione? O, se volete, che cosa chiamiamo, propriamente, emozione? La domanda vecchia quanto il mondo: in fin dei conti, demozioni viviamo, o vorremmo vivere, e se non lo sappiamo fare anche peggio. Le emozioni sono un motore potente delle nostre azioni, da quelle pi banali e quotidiane, a quelle che contribuiscono a scrivere alcuni capitoli della storia dellumanit: ci guidano nella scelta triviale di quale film guardare stasera, quale libro leggere, quale CD ascoltare, per quale squadra, atleta o giocatore tifare; in quella un po meno banale di chi corteggiare, o per chi dannarci lanima, o salvarcela; ancora, indubbio che spesso anche la ricerca demozioni che spinge gli esseri umani a imprese che li mettono a confronto coi loro limiti, come scalare gli Ottomila, navigare in solitaria gli Oceani, percorrere a piedi il Polo Nord nella lunga notte artica. Di ci non paghi, intorno alle emozioni abbiamo addirittura costruito interi settori della vita e della produzione intellettuale della nostra specie, dalle arti in genere ai movimenti culturali da quelli che le esaltano come lo Sturm und Drang a quelli che sincentrano sul loro controllo, come tutte le forme di classicismo. La conoscenza delle proprie emozioni, infine, fa parte di quel piccolo bagaglio di saggezza che ognuno di noi dovrebbe costruirsi durante la propria vita, per imparare a dominarle, quando necessario, e ad abbandonarvisi, quand possibile, per vivere quella vita felice che, con un pizzico di fortuna e di coraggio, forse non solo una promessa la cui realizzazione debba attendere il post mortem. Che cos unemozione?, per, anche una domanda vecchia quanto lo storia della filosofia o quasi. In questa lunga storia, sono state avanzate sostanzialmente tre risposte: (1) le emozioni sono sensazioni; (2) le emozioni sono giudizi; (3) le emozioni sono stati mentali sui generis con contenuto sia rappresentazionale sia fenomenico. Essendo un filosofo del tre, per dirla con Derrida, dichiaro fin da subito la mia simpatia per la risposta cos numerata: se c una tesi e unantitesi, a me piace trovare la sintesi, sempre. Che poi questa sia una ricetta per avere pi nemici che amici, pazienza, limportante come diceva Oscar
Bollettino filosofico 24 (2008): 71-85

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Wilde che se ne parli. O anche, in maniera un po meno estetizzante, limportante la ricerca della verit e se la verit sta nel mezzo, o ha buone probabilit di starci, tant mieux. Mi si lasci aggiungere che questo compito di classificazione solo apparentemente sterile, perch ovvio che soltanto una buona classificazione pu guidare linterpretazione sia di quanto accade nel nostro foro interiore, nello stream of consciousness, in cui le emozioni si presentano a ciascuno di noi, sia linterpretazione dei dati che ci vengono dalle neuroscienze, su cui, per, qui non dir nulla. Tuttavia, prima di tacere, mi sia concesso notare due cose. Primo, che la classificazione concettuale, basata sullesperienza cosciente ed eventualmente raffinata da osservazioni teoriche, necessaria allo studio scientifico delle emozioni, perch viceversa, avremmo solo una messe di dati riguardanti le reazioni cerebrali senza sapere a quali aspetti della nostra vita mentale conscia connetterli. Secondo, se, come spero di riuscire a sostenere in questo intervento, unemozione non si esaurisce nella mera sensazione, tanti dati che ci vengono dalle neuroscienze sulle risposte del cervello a certo tipo di stimolazioni provano ben poco sulle emozioni come tali, checch ne dicano gli scienziati. Ma ho promesso di non parlare di questo argomento e vorrei mantenere la parola data. 1. Preliminari Un primo problema classificatorio riguarda il fatto che nel linguaggio ordinario il termine emozione usato per una gran variet di casi: sensazioni, come il dolore e il piacere; umori, come la depressione o lallegria; sentimenti, come lodio e lamore; appetiti, come il desiderio sessuale, la fame o la bramosia. Di fronte a una tale eterogeneit, si pu essere indotti a disperare di fornire un resoconto teorico adeguato. Alcuni degli stati mentali appena menzionati, per esempio, non hanno (o possono non avere) oggetto, come la depressione o lallegria, altri s (o devono averlo), come lodio e lamore, visto che generalmente si ama o si odia qualcuno o qualcosa1. Alcuni hanno contenuto rappresentazionale, come la bramosia, che sempre brama che qualcosa accada o si dia, altri, come il dolore e il piacere, si pu sostenere invece di no2.
Anche quando unintera categoria ad essere oggetto damore o di odio. Notoriamente Gareth EVANS (The Varieties of Reference, Oxford, Clarendon Press, 1982) ha avanzato lidea che il dolore la rappresentazione di una parte del corpo come
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Credo per che questa reazione sarebbe eccessiva: come il concetto di gioco funziona per somiglianze di famiglia, cos quello demozione appare ugualmente vago e dai confini aperti, almeno nel linguaggio ordinario. Eppure questo non ci impedisce di parlare e di studiare i giochi. Similmente, questa eterogeneit non dovrebbe dissuaderci dal compito di parlare e di studiare le emozioni. Per scopi teorici, poi, si possono sempre introdurre distinzioni, un po come ho fatto pocanzi, e decidere di occuparsi di un insieme specifico di stati mentali che risultano tra loro sufficientemente omogenei da poter essere sicuramente catalogati come emozioni e indagare successivamente per somiglianze e differenze con i casi centrali gli altri stati mentali che il linguaggio ordinario chiama (talvolta) allo stesso modo. In effetti, questa la strategia pi diffusa tra coloro che si occupano non solo di emozioni, ma un po di tutta la complessa geografia del mentale (anche di credenze e desideri, a ben guardare, ne esistono tipi diversi) ed la stessa che adotter qui. Ancora, pu rivelarsi utile fissare lattenzione su qualche esempio per focalizzare la discussione e mobilitare le intuizioni. Si potr successivamente determinare che cosa vi sia di strettamente specifico nellesempio prescelto e cosa, invece, di pi generale, estensibile a tutta la categoria in questione. Anche questa una strategia diffusa nellambito della discussione filosofica sulle emozioni (e non solo), che far mia in quanto segue. Come case study vorrei considerare un caso classico, cio quello della paura per esempio dei cani e, pi nello specifico, la paura di un particolare cane, poniamo uno schnauzer nano, che ci sta di fronte. Ho scelto questo esempio un po perch, avendo paura dei cani, lo conosco meglio di altri, un po perch fa riferimento a un mio tratto disposizionale, entrando per nello specifico di un caso concreto una delle manifestazioni della mia (disposizionale) paura dei cani , la cui razionalit dubbia, visto che oggettivamente lo schnauzer nano non particolarmente pericoloso. Inoltre, ho scelto questo esempio perch mi sembra sufficientemente distinto da altri fenomeni mentali che non vorremmo forse immediatamente catalogare come emozioni: sensazioni come il dolore e il piacere, che non credo abbiano contenuto rappresentazionale e non hanno aspetti disofferente. Tale rappresentazione pu inoltre essere corretta oppure no: cio pu essere vero oppure no che quella particolare parte del corpo sofferente (si pensi al dolore nellarto fantasma). A parte la possibile circolarit, credo si possa provare dolore di natura psichica, senza che questo sia essenzialmente localizzato in una parte del corpo.

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sposizionali; il desiderio sessuale che chiaramente una sensazione e potrebbe essere privo doggetto; oppure un sentimento come lamore che ha invece un oggetto, uno stato mentale disposizionale, ma un po troppo complicato, visto che si possono distinguere molte forme damore eros, agape e philia, solo per attenerci alle distinzioni classiche . In alcune delle sue manifestazioni, poi, lamore pu avere ben poco a che fare con lemozione: se amo le piante, per esempio, non detto che abbia nessuna particolare reazione emotiva al vederle, o al prendermene cura. Lamore, come si dice, un sentimento, che pu avere come non avere aspetti fenomenologici salienti, e, in taluni casi, ridursi a una serie di disposizioni comportamentali, come, appunto, prendersi cura di qualcosa o qualcuno. Si tratta anche di un esempio sufficientemente complesso da poter offrire pane per i nostri denti: lo ripeto, prendere come case study un fenomeno mentale molto puntuale e specifico, come il dolore, o il piacere, potrebbe dirci qualcosa su stati mentali connessi forse s alle emozioni, cio le sensazioni, ma lascerebbe fuori una quantit enorme di altri fenomeni mentali che vogliamo giustamente considerare emozioni. Lesempio che ho proposto come case study, invece, chiaramente pi complesso e coinvolge sia aspetti cognitivi ha un oggetto e un contenuto rappresentazionale sia non cognitivi accompagnato da una miriade di sensazioni. Ma nel motivare la mia scelta dellesempio credo di aver gi fornito alcune indicazioni su quelle che, a mio avviso, noi tutti consideriamo genuinamente emozioni: senza voler presupporre quello che vorrei provare, sto dicendo che il nucleo centrale del nostro concetto di emozione ha a che vedere con fenomeni mentali che hanno sia aspetti cognitivi sia meramente fenomenici. Le due analisi classiche delle emozioni quella secondo la quale le emozioni sono identiche a sensazioni e quella per cui sono invece identiche a giudizi di valore sono quindi entrambe riduzionistiche: propongono di ridurre le emozioni a luno o allaltro dei loro elementi (apparentemente) costitutivi. Per contro, lanalisi che vorrei difendere non riduzionistica. Se fosse plausibile, quindi, ritengo avrebbe un notevole vantaggio teorico su quelle rivali perch permetterebbe di dar conto di entrambi gli aspetti salienti delle emozioni. 2. Emozioni come sensazioni Lidea classica che le emozioni sono sensazioni stata sostenuta da molti, in particolare Hume (sebbene non senza complicazioni esegetiche su cui

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non entrer in questa sede) e William James. Per darne una caratterizzazione semplice, utile considerare lanalisi dellesempio che ho proposto che ne deriverebbe. Sostanzialmente, la teoria in questione ricondurrebbe lesempio a due fattori: uno cognitivo, cio il giudizio Questo cane pericoloso, e un altro sensibile, cio la particolare sensazione che accompagna tale giudizio. Poich il primo un mero giudizio, passibile dessere corretto oppure no, lemozione come tale consisterebbe semplicemente nella sensazione che laccompagna. La necessit di questultimo fattore evidente: giudicare solo che il cane che ci sta di fronte pericoloso, non sufficiente a dar luogo alla paura. Ovviamente, per, si pone il problema di quale sensazione debba accompagnare il giudizio, affinch si possa rendere conto della paura di quel cane. Evidentemente non ogni sensazione andrebbe bene, ma dovrebbe essere una sensazione caratteristica, col suo intrinseco quale, quello tipico della paura. Ora un po di riflessione fenomenologica mostra che la sensazione avrebbe come tratti per esempio certe reazioni fisiche tremito, sudore, alcune sensazioni propriocettive, come il chiudersi della bocca dello stomaco, ecc. Questa sarebbe la paura. La domanda da porsi quindi la seguente: provare questa sensazione, avere cio queste reazioni fisiche, sufficiente a individuare la paura? Una prima risposta negativa potrebbe venire dalla seguente considerazione, le emozioni come tali hanno un oggetto, vertono cio su qualcosa e, come tali, sono passibili di valutazione semantica, cio hanno un contenuto rappresentazionale che pu essere corretto, oppure no. Per esempio, nel caso che stiamo esaminando, falso che lo schnauzer che mi sta di fronte sia pericoloso. Secondo la teoria che stiamo considerando, per, sia il contenuto intenzionale sia quello rappresentazionale dipenderebbero dal giudizio che non parte dellemozione come tale. Le sensazioni fisiche, daltro canto, non hanno un oggetto come tali, n sono passibili di valutazione semantica: si hanno e basta, non ha senso chiedersi se siano corrette oppure no. Ergo, un primo limite di questa analisi che non chiaro come possa rendere conto del fatto che le emozioni hanno sia un contenuto intenzionale vertono su qualcosa sia un contenuto rappresentazionale sono cio passibili di valutazione semantica. Ho detto che non chiaro come questa teoria possa spiegare il contenuto intenzionale e rappresentazionale delle emozioni, non che impossibile. Evidentemente i suoi fautori potrebbero complicare il quadro dicendo che la sensazione accompagna (o deve accompagnare) il giudizio e che questultimo a rendere conto del contenuto intenzionale e rappresentazio-

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nale che tendiamo, superficialmente, ad attribuire alle emozioni come tali. Potrebbero anche tentare di difendere ulteriormente la loro analisi adducendo casi in cui si ha paura e basta si ha cio la particolare sensazione tipica della paura senza nessun oggetto ed, evidentemente, senza nessun contenuto rappresentazionale. Ora, non voglio entrare nella discussione di questa proposta ma credo, per esempio, che vorremmo dire che una paura senza oggetto non razionale, cio non n motivata, visto che non c niente che possa rappresentare un pericolo, n corretta, visto che non c nessun pericolo in vista. Se per la razionalit/irrazionalit di quellemozione non spiegabile in riferimento al giudizio cui connessa, posto che questultimo non c, come spiegarla? Ma non dilunghiamoci oltre su questo punto (sebbene meriterebbe una risposta), perch ci sono altre considerazioni che militano contro la teoria in questione. Ritorniamo alla sensazione di paura. Guardata pi in dettaglio sembra risolversi in alcune reazioni fisiche. Ora, il problema se quelle reazioni siano sufficienti a caratterizzare la paura come tale. Un attimo di riflessione fenomenologica mi pare sia sufficiente a mostrare che la riposta debba essere negativa: sono certa di avere provato le stesse sensazioni anche in casi di mero imbarazzo, di fronte a persone che non avevo piacere dincontrare. E, pi in generale, credo che quelle stesse sensazioni potrebbero darsi anche attraverso lassunzione della pillola giusta, o per un colpo in testa, per un colpo di calore, o in qualunque altro modo. In nessuno di questi casi, per, diremmo che il soggetto ha paura3. Quindi, mi pare che, sebbene non abbia fornito nessun knock-down argument, ci siano numerose considerazioni, alcune pi forti di altre, che militano contro lidea che le emozioni siano identiche a sensazioni. Per i miei scopi, che si risolvono nel voler motivare e tratteggiare una visione alternativa, penso che questo sia sufficiente. 3. Emozioni come giudizi Nella letteratura filosofica contemporanea, lidea che le emozioni sono
3 interessante notare come la letteratura sulle basi neuronali delle emozioni faccia confusione su questo punto: affidandosi alla ricostruzione di William James, Antonio DAMASIO, per esempio, (Descartes Error, New York, Putnams Sons, 1994, tr. it. 19951) ritiene che le emozioni basilari siano innate (cap. 7). Quello che pu essere innato, invece, se ho ragione a criticare il modello delle emozioni come sensazioni, la particolare risposta fisica a certi stimoli, non lemozione come tale.

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essenzialmente giudizi di valore stata sostenuta principalmente da Martha Nussbaum nel suo Upheavels of Thought. The Intelligence of Emotions (2001, tradotto infelicemente visto che rimuove la parte pi interessante e dotta del titolo, che una citazione da Proust le escrescenze geologiche del pensiero con Lintelligenza delle emozioni, 2004). Si tratta di unidea di ascendenza stoica: per gli stoici, secondo la ricostruzione datane da Nussbaum, le emozioni erano giudizi di valore sempre falsi che, per tale ragione, dovrebbero essere estirpate. Per Nussbaum, invece, possono essere giudizi di valore veri. Pertanto, ma anche per unestensione di tale analisi ai casi dellemotivit animale e infantile che gli stoici non riconoscevano, la proposta di Nussbaum pu dirsi neostoica. Anche in questo caso non intendo entrare nei dettagli e dar solo una caratterizzazione elementare di come si articoli questa proposta. A tal fine, far nuovamente riferimento a come analizzerebbe il nostro esempio guida. La mia paura dello schnauzer nano che mi sta di fronte si risolverebbe in un giudizio di valore: Questo cane pericoloso per me. Leventuale sensazione che laccompagnerebbe non potrebbe individuare la paura, dato che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le reazioni fisiche tipiche non sono sufficienti a individuare la paura come tale. I vantaggi di questa proposta sono essenzialmente due: (i) permetterebbe facilmente di dare ragione sia del contenuto intenzionale dellemozione sia di quello rappresentazionale, posto che sarebbero entrambi dati dal giudizio e (ii) permetterebbe di spiegare facilmente lirrazionalit di quellemozione, visto che, ceteris paribus, falso che lo schnauzer di fronte a me pericoloso. Tuttavia, contro questa proposta credo si debba notare come la formulazione di quel giudizio non sia sufficiente al darsi della paura: potrei formularlo senza perci avere paura. Si consideri la seguente analogia: da fumatrice occasionale qual sono, ho spesso formulato il giudizio Questa sigaretta (che sto per accendere) pericolosa per me, eppure non ho mai avuto paura n della sigaretta, n del fumarla (anzi, ho sempre provato un certo gusto nel farlo). Ancora, si pu notare come, in effetti, la proposta in questione risulti abbastanza implausibile se (i) si vogliono riconoscere emozioni anche a soggetti a o prelingusitici, visto che difficile attribuire loro giudizi come Questo cane pericoloso 4. altrettanto implausibile se (ii) si vogliono
4 Ora, si potrebbe sostenere che hanno quei concetti pur non avendo le capacit linguistiche per esprimerli, ma non unopzione semplice da sostenere. Ancora, limpossibilit di attribuire loro tali giudizi condusse gli stoici a negare che avessero emozioni.

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connettere le emozioni alla risposta estetica. Sembra pi intuitivo dire che perch unopera darte provoca in noi certe emozioni che lapprezziamo (oppure no) e la consideriamo un esempio artistico felice, riuscito (oppure no); piuttosto che dire che il valutarla esteticamente in un certo modo identico al provare certe emozioni, oppure che il valutarla in un certo modo giustifica il nostro giudizio estetico su di essa. Infine, (iii) la teoria che stiamo considerando ha lo svantaggio di non poter spiegare, almeno non intuitivamente, la tipica fenomenologia passiva delle emozioni: come le sensazioni, ma al contrario dei giudizi, che sono azioni mentali, spesso ponderate, le emozioni ci capitano, ci colpiscono, o, addirittura, ci assalgono. (Si noti per converso che la teoria delle emozioni come sensazioni ha buon gioco a rendere conto di tutti e tre questi aspetti). Ancora una volta, non credo di avere fornito nessun knock-down argument, ma una serie di considerazioni che motivano la cautela nellaccettare la teoria delle emozioni come giudizi e la ricerca di unalternativa. 4. Emozioni come fenomeni mentali sui generis In definitiva il difetto delle analisi classiche delle emozioni uguale e simmetrico: entrambe aderiscono al dato iniziale che le emozioni sembrano presentarsi come
Emozione =prima facie giudizio di valore + sensazione5

Ma, da un lato, si privilegia la sensazione che accompagna il giudizio di valore; dallaltro, si privilegia il giudizio di valore che accompagnato dalla sensazione. Le emozioni, quindi, vengono ridotte o a mere sensazioni o a meri giudizi di valore. Cio si passa da (1) a
(2) Emozione = sensazione

oa
(3) Emozione = giudizio di valore

Nel primo caso, si perde tutta la componente cognitiva, nel secondo, tutta quella sensibile.
5 Si tratta solo di una caratterizzazione prima facie, posto che, come dir tra un istante, entrambe queste analisi riducono le emozioni alluno o allaltro di questi aspetti caratteristici.

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La domanda che dobbiamo porci a questo punto se si possano tenere insieme queste due componenti. Ovviamente, la prima idea che pu venirci in mente di continuare a aderire a (1), ma sostenere che entrambi i tratti caratteristici della fenomenologia delle emozioni siano costitutivi di quelle6. Le emozioni, quindi, sarebbero giudizi di valore necessariamente accompagnati da sensazioni. Io per credo che questo modello erediti un po tutti i problemi dei suoi predecessori. Per esempio, permetterebbe s di rendere conto del contenuto intenzionale e rappresentazionale dellemozione, visto che ritiene il giudizio di valore una componente necessaria dellemozione, ma erediterebbe i problemi che affliggono la teoria secondo la quale le emozioni sono identiche a giudizi di valore: il fatto che non facile vedere come soggetti privi di linguaggio possono averle; che non spiegherebbe in maniera intuitivamente corretta la relazione tra emozione e risposta artistica; e, infine, che non renderebbe conto della passivit delle emozioni. Inoltre, la sensazione che dovrebbe accompagnare necessariamente il giudizio di valore, deve essere una sensazione di paura, perch ovvio che se fosse invece una sensazione di piacere, non servirebbe a dar conto del tipo demozione che stiamo analizzando: dopo tutto c chi si eccita di fronte al pericolo (riconosciuto come tale). Ma abbiamo visto come la sensazione in questione in realt non individui, come tale, la paura, dato che potrebbe esserci senza di quella. In effetti, se giudicassi che il cane di fronte a me pericoloso, ma il sudore, il tremito, la chiusura dello stomaco, ecc., fossero provocati da un colpo di calore, lavere quelle reazioni fisiche, in concomitanza con quel giudizio di valore, non sarebbe sufficiente al darsi della paura del cane di fronte a me. Quindi, penso che vi siano considerazioni sufficienti a motivare la scelta di abbandonare (1). Le emozioni non sono, neppure necessariamente, giudizi valoriali pi sensazioni. Il che significa ammettere che se le emozioni esistono affatto, sono stati mentali sui generis non riconducibili (o riducibili) ad altro: n a giudizi di valore, n a sensazioni, n alla loro somma. Si noti che ho detto che se le emozioni esistono affatto, allora devono
6 Questa, in effetti, sembra la posizione di DAMASIO, cit., per esempio a p. 139, della versione inglese, in cui scrive: In conclusione, lemozione la combinazione di un processo mentale di valutazione, semplice o complesso, e delle risposte disposizionali a quel processo, per lo pi verso il corpo stesso, che d luogo a uno stato fisico emotivo, ma anche verso il cervello stesso (), che d luogo a ulteriori cambiamenti mentali (mia la traduzione e la sottolineatura, i corsivi sono nelloriginale).

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essere degli stati mentali sui generis, e non che sono con unimplicazione desistenza stati mentali sui generis. Si potrebbe, infatti, essere tentati di negare che esistono. Il nome emozione sarebbe quindi il nome di una categoria vuota, o riservato a un insieme di fenomeni in realt non specificabili in maniera coerente, che dovrebbe sparire da una classificazione teoricamente (e scientificamente) adeguata. Non so se le emozioni esistano, come tali, anche se ritengo che appaiono sovente nelle spiegazioni psicologiche e che abbiamo limpressione fenomenologica che esistano. So per che se anche la possibilit di caratterizzarle come stati mentali sui generis fallisse, questa sarebbe una buona ragione per abbracciare leliminativismo nei loro confronti. Vale quindi la pena di esplorare questa possibilit7. Un primo passo per caratterizzarle come stati mentali sui generis consiste nel modellarle non tanto sui giudizi, o le sensazioni, o la loro somma, quanto piuttosto su unaltra classe di stati mentali rispetto cui presentano maggiori analogie. Mi riferisco alle percezioni. In effetti, a ben guardare, le emozioni sono molto pi simili a queste ultime che non ai giudizi o alle sensazioni: (i) sono delle affezioni dellanima e non delle azioni (vs. i giudizi, ma come le percezioni): ci capitano, non siamo noi a formarle deliberatamente; (ii) hanno un contenuto intenzionale, cio vertono su un oggetto o uno stato di cose (vs. le sensazioni, ma come le percezioni); (iii) hanno un contenuto rappresentazionale, visto che (vs. le sensazioni, ma come le percezioni) possono rappresentare in maniera corretta o scorretta una porzione di mondo: pu essere vero oppure no, che, poniamo, il cane che mi sta di fronte pericoloso. Anche se importante notare che, nel caso delle emozioni (vs. percezioni), il contenuto rappresentazionale e quello intenzionale non coincidono. Inoltre, opportuno sottolineare che il contenuto rappresentazionale delle emozioni non dato da, n equivalente a, un atto di giudizio: il modo caratteristico in cui lemozione in questione rappresenta il suo contenuto intenzionale; (iv) hanno un contenuto fenomenico (vs. i giudizi, probabilmente) visto che, come la percezione, la rappresentazione di una porzione di mondo come, poniamo, pericolosa, ha anche degli aspetti qualitativi caratteristici, in parte variabili da individuo a individuo e da unoccasione a unaltra;8
7 Unidea siffatta, ma non esplorata affatto nei dettagli, si trova in C. PEACOCKE, The Realm of Reason, Oxford, Oxford University Press, 2004, cap. 8. 8 Magari non a tutti la paura fa sudare le mani, o non a tutti produce un tremito. Op-

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(v) sono particolarmente insensibili alla correzione (vs. i giudizi, ma come le percezioni): cos come sapere che le due linee nellillusione Mller-Lyer hanno uguale lunghezza non fa andar via limpressione visiva che siano diverse, similmente sapere che il cane che ci sta di fronte non pericoloso non fa andare via la paura (come chiunque abbia paura dei cani sa benissimo e sarebbe utile che anche i padroni dei cani tenessero in conto prima di profondersi nella loro giaculatoria classica Il mio cane non fa male a nessuno). Le emozioni, per, si differenziano dalle percezioni in tre aspetti: (i) come abbiamo visto, per il fatto che il loro contenuto intenzionale e rappresentazionale non coincidono; (ii) per il fatto che il loro oggetto non deve necessariamente darsi effettivamente qui ed ora, o affatto, per provocare lemozione: posso avere paura al pensiero, al ricordo, nellimmaginare, o nel giudicare che cera, ci sar o ci potrebbe essere uno schnauzer nano di fronte a me (o anche un oggetto fittizio); mentre ovviamente non posso vedere uno schnauzer nano di fronte a me se non c (al limite posso allucinarlo, ma lallucinazione di quel cane non la percezione erronea di quel cane); (iii) per il fatto di non essere stati mentali primari. Mi spiego: il contenuto intenzionale di una percezione non dipende dallavere altri stati mentali, ma solo dallinterazione causale col mondo l fuori. Quello delle emozioni, invece s. Vale a dire: per avere unemozione come la paura di un particolare cane, devo vederlo (oppure immaginarlo, o ricordarlo, o giudicare che vi sia, o che vi potrebbe essere, ecc.). Le emozioni, quindi, ereditano il loro contenuto intenzionale da altri stati mentali intenzionali che abbiamo. Forse proprio per questa concomitanza e dipendenza dellemozione da altri stati mentali, quanto al suo contenuto intenzionale, che si pensato di ridurla a questi, oppure a quelle sensazioni che sembrano accompagnarli. Sia come sia, ritenere che invece che le emozioni ereditino il loro contenuto intenzionale da altri stati mentali spiega perch siano passive in effetti, doppiamente tali e non attive, pur non avendo sempre bisogno dellesistenza concreta, qui e ora o affatto, del loro oggetto: esistono non solo in tanto in quanto sinteragisce causalmente col loro oggetto, ma perch il loro oggetpure a volte lo stesso individuo pu avere entrambe quelle reazioni, a volte una sola. Per ritengo che almeno una qualche reazione fisica debba averla, nel caso della paura. Ma anche le percezioni sono cos: a volte un suono pu apparirci acuto per sopportabile, a volte, invece, lo stesso suono, pu sembrarci acuto e insopportabile, magari perch siamo particolarmente stanchi e nervosi. E, ovviamente, lo stesso suono pu produrre reazioni diverse in persone diverse.

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to ci sempre dato mediatamente, cio attraverso una percezione, un ricordo, unimmagine mentale, un giudizio, ecc. Inoltre, rende conto del fatto che le emozioni sono apprese attraverso lesperienza: solo perch esperiamo certe situazioni negative o positive cio come foriere di dolore o piacere, in senso lato che sviluppiamo la capacit di provare paura, oppure di provare gioia, ecc., quando le stesse situazioni (o situazioni sufficientemente analoghe) si ripresentano. Questo spiega inoltre come mai non tutti abbiano paura dei cani, dei rettili, o, pi in generale, di certe situazioni: se non le abbiamo esperite come foriere di dolore in senso lato, non abbiamo ragione di temerle quando hanno nuovamente luogo. Quindi, se le emozioni esistono come tali sono stati mentali parassitari, come mi piace dire, e sui generis. 4. Alcune conseguenze Vorrei finire esponendo telegraficamente alcune conseguenze della proposta che ho avanzato circa la natura delle emozioni. Emozioni e creature a- o non-linguistiche: nella misura in cui vogliamo riconoscere la capacit dintrattenere contenuti rappresentazionali anche a soggetti privi di linguaggio, come io faccio nel caso delle percezioni9, penso si possa ritenere che anchessi provino emozioni, soprattutto quelle basilari10 come la paura che ho descritto qui, o la tristezza, o, forse, la malinconia. Emozioni e linguaggio: molto spesso si sente dire o si legge che il linguaggio d forma, se non addirittura che crea, le emozioni. Credo che sia una questione empirica e che abbia pi probabilit dessere vera per emozioni complesse e sofisticate, ammesso e non concesso che esistano: tri9 Si vedano i miei I concetti. Teorie ed esercizi, Roma, Carocci, 20062, cap. 6; The problem of the finer-grained content of experience. A redefinition of its role within the debate between McDowell and non-conceptual theorists, Dialectica 57 (2003) 1, pp. 57-70; In difesa del contenuto non-concettuale della percezione, in P. PARRINI (ed.) Conoscenza e cognizione, Guerini, Milano, 2002, pp. 147-161; Wright and McDowell on the content of perception and the justification of empirical beliefs, Lingua e Stile 36 (2001) 1, pp. 3-23. 10 Parlo qui di emozioni basilari e non, sebbene nella letteratura sulle emozioni sia pi usuale chiamarle primarie e secondarie, solo perch ho detto che le emozioni non sono stati mentali primari, nel senso di indipendenti, quanto al loro contenuto intenzionale, da altri stati mentali con contenuto intenzionale, come le percezioni, i ricordi, le immagini mentali e i giudizi.

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stezza, malinconia, ecc., mi sembrano sufficientemente basilari, tant vero che possono provarle sia i bambini piccoli sia alcuni animali e non mi chiaro se lamore sia unemozione o piuttosto un sentimento. Che poi in certi lingue si parli, che so, di saudade o di homesickness e che questi termini non siano (facilmente) traducibili in altre lingue come litaliano, non mi pare dimostrare che ci sono emozioni molto lontane da quelle basilari, create dalla lingua che si parla: solo il loro oggetto che non immediato, cio sempre di malinconia si tratta, ma rispetto alla propria patria, alle proprie origini, ecc. Tuttavia, come ho detto, per le emozioni basilari non mi pare che siano necessari n il linguaggio, n, forse, i concetti. Pertanto sarei disposta a riconoscerle anche a creature a- o non-linguistiche. Emozioni e cultura: a volte, invece, si sente dire che la cultura a dar forma o a creare le emozioni. Credo che quello che vi di culturalmente appreso11 abbia essenzialmente a che vedere con lespressione delle emozioni, pi che con la loro esistenza. Inoltre, non bisogna confondere le situazioni che danno luogo a una risposta emotiva, con la natura stessa e la presenza negli individui di quella stessa emozione: i bambini nordamericani sono tipicamente indifferenti allidea di parlare in pubblico, ma si emozionano molto allidea di un contatto fisico (non di natura sessuale). Notoriamente gli anglosassoni sono molto freddi, ma hanno dato vita al movimento romantico insieme allo Sturm und Drang pi importante al mondo e, comunque, sono (spesso) sensibilissimi. Quindi, una volta introdotte queste distinzioni, penso che ci si possa attendere una sostanziale identit emotiva da un punto di vista qualitativo, sintende tra gli esseri umani, anche se ovviamente le situazioni in cui le emozioni si producono e il modo in cui sono espresse pu essere molto diverso. Emozioni e arte: il modo in cui propongo dintendere le emozioni le rende del tutto compatibili con il fatto che fungano da base del giudizio estetico, senza identificarsi con quello. In effetti, il fatto che per me le emozioni siano stati mentali che presentano un certo stato di cose, fornito da un altro stato mentale come per esempio la percezione, in maniera affettivamente connotata, spiega perch certe opere, siano esse artistiche, letterarie o musicali, ci colpiscono e altre no: solo alcune di queste, infatti, sono
11 Come ho detto, credo che le emozioni dipendano dallapprendimento attraverso lesperienza. Quindi, in certo senso, molto debole, sono prodotti culturali. Quello che per si vuole dire, quando si parla di dipendenza culturale delle emozioni, ben altro, cio lidea che lappartenenza a culture diverse, ossia a gruppi umani con usi, costumi, lingue e tradizioni differenti, faccia s che i soggetti che vi appartengono abbiano emozioni diverse.

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tali che rispondiamo emotivamente ad esse, mentre altre ci lasciano indifferenti. Il giudizio estetico, quindi, pu legittimamente fondarsi su queste nostre risposte emotive, senza per questo esserne determinato. Mi spiego: si pu giudicare bello sia ci che rasserena, sia ci che fa paura; o, pi precisamente, si pu giudicare bello qualcosa che fa paura (o che rasserena), e non giudicare tale qualcosaltro proprio perch non fa paura (o non rasserena). Ciononostante, il giudizio estetico si basa sulla risposta emotiva attraverso lapplicazione di un principio generale (per esempio, Se unopera darte fa paura (o rasserena) allora (non) bella [e, quindi, (non) riuscita]. Emozioni ed etica: non credo (contrariamente a NUSSBAUM e a PEACOCKE, cit.) che le emozioni abbiano essenzialmente a che vedere con letica. Se ho ragione, infatti, non sono giudizi di valore e a me pare che letica abbia essenzialmente a che vedere con tali giudizi. Non sono neppure essenziali per letica se si pensa, contrariamente a quanto ritengo, che questa altro non sia che lespressione delle proprie reazioni soggettive. Come ho detto, le emozioni, per me, non sono sensazioni, bench le sensazioni costituiscano il contenuto fenomenico delle emozioni. Certo, a volte le emozioni possono essere gli antecedenti causali del giudizio etico, ma, in tal caso, non detto che questultimo sia corretto. Chi ha paura del cane di fronte a s, potrebbe pensare che sia giusto abbatterlo, se prendesse in considerazione solo la propria emozione. Ma, evidentemente, sbaglierebbe. N si deve essere cos sentimentali da credere che solo il giudizio retto accompagnato dalle emozioni appropriate, o basato causalmente su quelle, sia lespressione delletica. Sono perfettamente convinta che potrebbero (logicamente) darsi esseri privi di emozioni eppure giusti. Certo, la base emotiva pu servire in taluni casi a capire meglio come si starebbe se quello che accade o facciamo ad altri succedesse a noi. Tuttavia, non mi pare essenziale. Potrebbe essere semplicemente un tratto contingente della psicologia umana. una conseguenza di quanto ho detto sin qui che, a mio avviso, vi una differenza tra giudizio estetico e giudizio etico: mentre il primo deve basarsi sulla risposta emotiva, pur non essendone determinato, come abbiamo visto, il secondo non mi sembra che debba esserlo. Quindi mi comprensibile lidea di un soggetto privo demozioni ma giusto, ma non di un soggetto privo di emozioni e capace di giudicare bella o brutta unopera darte (o un paesaggio, o la natura in genere). Emozioni e cure dellanima: un aspetto interessante dellanalisi delle emozioni che ho proposto che considerandole stati mentali parassitari, provocati dal loro oggetto in quanto dato al soggetto attraverso un altro stato

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mentale (una percezione, un ricordo, unimmagine mentale, ecc.), facile dar conto di alcune perle di saggezza delle nostre nonne. Per esempio: che il tempo lenisce il dolore per un evento spiacevole perch ne affievolisce il ricordo; che lontano dagli occhi, lontano dal cuore, perch se non si vede qualcuno ogni minuto non c loggetto il cui darsi percettivamente provoca lemozione; che un modo per curarsi lanima ferita da un amore infelice, per esempio, non pensare alla persona amata e tenersi occupati con altro, ecc. Sono palliativi, si sa, perch fintanto che non si ripara il male subito non si pu essere felici. Ma, senza darsi una mano da soli, liberandosi un po dalle emozioni negative, difficile avere lo spazio mentale prendete limmagine quasi letteralmente per riaprirsi alla vita, come chiunque abbia attraversato un dolore sa benissimo. Emozioni e neuroscienze: tipicamente nelle neuroscienze ci si concentra sulle sensazioni provocate da certi stimoli. Come ho avuto modo di sostenere, a mio avviso le emozioni non si riducono alle sensazioni, bench queste siano un aspetto di quelle, cio il loro contenuto fenomenico (n sono identiche alla somma di giudizio valoriale e sensazione). Se ho ragione, quindi, ben poco degli attuali studi chiarisce la natura fisica delle emozioni propriamente dette, pur avendo notevole rilevanza per la comprensione delle basi neurologiche delle sensazioni. Ma avevo promesso di non parlare di questo argomento e a me piace mantenere la parola data.

ROSSANA DE ANGELIS La categoria timica. Appunti sulla Semiotica delle passioni

Allor distese al legno ambo le mani; per che l maestro accorto lo sospinse, dicendo: Via cost con li altri cani! (Dante, Inferno, canto VIII, vv. 31-42)

0. Introduzione Partendo da una riflessione su Hjelmslev iniziata negli anni Sessanta, Algirdas J. Greimas (1917-1992) sviluppa lidea che si possa descrivere il piano del contenuto dei linguaggi, giungendo allidentificazione di unit minimali che costituiscano la base dei processi di significazione. Questa riflessione lo conduce a occuparsi di testi, piuttosto che di segni, e delle loro strutture immanenti, ossia delle strutture soggiacenti che portano a determinati processi di significazione e producono le strutture semiotiche osservabili. Il piano del contenuto dei linguaggi si mostra, in questo modo, come un sistema stratificato, che va da uno strato pi profondo e astratto, identificabile nel famoso quadrato semiotico1, verso un livello superficiale e concreto, che corrisponde alle strutture discorsive. Ci accade attraverso processi di conversione e di incremento del senso che consentono di passare dalle relazioni categoriali alle relazioni narrative osservabili in superficie. Si arriva, cos, al livello della manifestazione, ossia alle strutture testuali specifiche del testo considerato.
1 Il quadrato semiotico la rappresentazione visiva dellarticolazione logica di una categoria semantica qualunque. Esso costituisce, nella semiotica greimasiana, la struttura elementare della significazione e, poich parte da una relazione tra almeno due termini, si basa su distinzioni di opposizione che caratterizzano lasse paradigmatico del linguaggio considerato. Innanzitutto, esso presuppone due tipi di relazioni binarie (A/A, caratterizzate dalla presenza o dallassenza di un tratto distintivo definito; A/non-A, che manifesta in qualche modo lo stesso tratto distintivo, ma presente due volte in due forme diverse), che si determinano attraverso relazioni di contraddizione, implicazione, complementarit, contrariet. GREIMAS, COURTS (1979, trad. it. 1986, pp. 275-278). I quattro termini che risultano dalla disposizione sul quadrato semiotico sono definiti soltanto come punti di intersezione, ossia come supporti di relazioni.

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Questo , in sintesi, nella riflessione di Greimas, ci che viene indicato come percorso generativo del senso2, che si fonda sullipotesi per cui il senso pu essere colto solo attraverso la sua narrativizzazione. La narrativit diventa, allora, il principio regolatore e il criterio danalisi di tutti i linguaggi e di tutti i discorsi (le lingue storico naturali, i linguaggi visivi, musicali, i testi letterari, ma anche quelli giuridici, scientifici, ecc.). Nellultima fase della sua produzione teorica, Greimas ha allargato il campo dindagine alla sfera del sensibile e alla dimensione del corpo. per questo motivo che ha applicato i modelli teorici formulati allanalisi delle passioni, pubblicando Semiotica delle passioni. Dagli stati di cose agli stati danimo (1991), insieme a Jacques Fontanille. Si cos indagato, nella prospettiva aperta, da una parte il ruolo delle emozioni e degli stati psicologici nella costruzione del senso e delle strutture di manifestazione; dallaltra, lefficacia e la coerenza nellapplicazione del proprio modello teorico anche nel campo della percezione. Lanalisi del sensibile viene, perci, integrata al modello narrativo che si esprime nelle forme di articolazione del percorso generativo, narrativizzando anche le passioni. Questa possibilit deriva, per, dallapplicazione di modelli teorici consolidati e coerenti con la riflessione condotta dallautore. La grammatica narrativa3 e la teoria delle modalit4 rendono conto rispettivamente della dimensione performativa e della dimensione cognitiva degli attori (ossia dei soggetti coinvolti nellazione narrativizzata). Queste due dimensioni venIl termine percorso implica non soltanto una disposizione lineare e ordinata degli elementi, ma anche una prospettiva dinamica, ossia una progressione da un punto a un altro attraverso istanze intermedie, procedendo da strutture pi semplici e astratte a strutture pi complesse e concrete. Il percorso generativo conduce dalle strutture semio-narrative, attraverso le strutture discorsive, alle strutture testuali, ossia alla manifestazione pi concreta. Esso una costruzione ideale, secondo Greimas indipendente e anteriore alle lingue naturali (ivi, pp. 157-159). 3 Le strutture semio-narrative, ossia il livello pi astratto e iniziale del percorso generativo del senso, si presentano sotto forma di una grammatica semiotica e narrativa che prevede due componenti, sintattica e semantica, e due livelli di profondit: prima una sintassi fondamentale e una semantica fondamentale, a livello profondo; poi una sintassi narrativa e una semantica narrativa, a livello superficiale. Cos accade anche per le strutture discorsive, che trasformano il livello superficiale precedente passando attraverso listanza di enunciazione, e si distinguono anchesse in una componente sintattica e una semantica (ivi, p. 165). 4 La teoria delle modalit rinvia direttamente al processo di modalizzazione inteso come la produzione di un enunciato modale che surdetermina un enunciato descrittivo. Infatti, negli studi semiotici condotti da Greimas, le modalit (volere, dovere, potere, sapere) sono considerate come valori che investono lessere e il fare, lo stato e lazione, di un soggetto e, dunque, intervengono direttamente nellorganizzazione semiotica del discorso (ivi, pp. 215-216).
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gono integrate dalla dimensione patemica che, invece, rende conto delle loro emozioni, tensioni e disposizioni psicologiche. Il nucleo centrale della semiotica delle passioni risiede proprio in questa discorsivizzazione della dimensione patemica, che comporta unanalisi delle passioni cos come esse si presentano allinterno di un discorso gi compiuto o come potrebbero presentarsi in un discorso. Si svolge velocemente, cio, nellanalisi semiotica cos condotta, laspetto aurorale delle disposizioni patemiche, delle affezioni del soggetto in relazione al mondo. Cercheremo, allora, di capire i punti cruciali della semiotica delle passioni che ruotano intorno alla nozione di categoria timica, intesa come fondamento della dimensione patemica, e i due tipi di analisi che da questi presupposti conseguono. 1. La categoria timica Pezzini riassume cos la semiotica delle passioni nella premessa al libro di Greimas e Fontanille, Semiotica delle passioni5:
sul piano pi astratto, di semantica fondamentale, per arrivare a definire il passionale si inizia a parlare cos di una categoria timica, espressa dallopposizione euforia/disforia, che pu investire e cio sovradeterminare le altre categorie e che sarebbe dunque allorigine del costituirsi di assiologie, dei campi di valori in cui ci muoviamo a livello semio-narrativo pi di superficie, in particolare nellambito della grammatica narrativa, dove linterazione di soggetti e oggetti traduce le attrazioni/repulsioni in desideri, lotte, scambi, competizioni. Il passaggio dalla semantica fondamentale alla semantica narrativa consiste infatti essenzialmente, per Greimas, nella selezione dei valori disponibili e nella loro assunzione da parte degli attanti della sintassi narrativa di superficie: lo stampo sintattico in cui si rappresenta questa operazione originariamente lenunciato di stato, che definisce soggetti e oggetti sulla base della loro con- o dis- giunzione, e che viene appunto a essere arricchito dalle possibili modalizzazioni dellessere, in analogia con quanto previsto dagli enunciati di fare e di trasformazione. Nellambito della semiotica discorsiva, infine, si parla di passioni come di effetti di senso, di configurazioni e di ruoli patemici, in analogia ai ruoli tematici6.

5 Ci siamo qui soffermati soltanto sullo sviluppo della teoria greimasiana, tralasciando per questo il diverso percorso teorico sviluppato negli anni da Fontanille (come, ad esempio, la semiotica tensiva portata a compimento insieme a Claude Zilberberg). 6 GREIMAS, FONTANILLE (1991, trad. it. 1996, p. XXXIII).

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Poich ogni semiotica7 un reticolo relazionale, le strutture elementari che organizzano queste relazioni vengono considerate categorie semantiche: a seconda del piano del linguaggio che servono a costituire, esse sono dette categorie semiche (relative al piano del contenuto) e categorie femiche (relative al piano dellepressione). Le categorie semiche articolano luniverso semantico, considerato coestensivo a una cultura o a una persona. Esse si differenziano a seconda che le classificazioni semiche abbiano o meno dei corrispettivi nella semiotica del mondo naturale. Ogni categoria semantica pu essere assiologizzata, cio investita di valore, mediante la sovradeterminazione, sul quadrato semiotico che la articola, compiuta dalla categoria timica. La categoria timica corrisponde a criteri di classificazione ben precisi. Essa una categoria del piano del contenuto che deriva dal senso del termine tima, intesa come disposizione affettiva di base. Si tratta di una categoria primitiva, detta anche propriocettiva poich con il suo aiuto si cerca di descrivere, per quanto sommariamente, il modo in cui ogni essere vivente, inscritto in un ambiente e considerato come un sistema di attrazioni e repulsioni, sente se stesso e reagisce a ci che lo circonda8. La categoria timica consente di articolare la dimensione semantica relativa alla propriocettivit9, ovvero alla percezione che luomo ha del proprio corpo. Dunque, la tima si pone allinterno di una categoria sovraordinata, in cui si oppongono estracettivit e intracettivit10, che consente perci di riclassificare linsieme delle categorie semiche di un universo semantico. La distinzione tra propriet estracettive, provenienti dal mondo esterno, e dati intracettivi, che invece non trovano alcuna corrispondenza nel mondo esterno, ma anzi sono presupposti nella percezione dei dati estracettivi, apre alla propriocettivit come termine medio tra i due mondi, esterno e interno. Seguendo lo sviluppo della riflessione greimasiana, non entriamo nel merito di queste distinzioni, ma le accogliamo come passaggi di questo stesso percorso teorico.
7 Il termine semiotica si adopera in sensi diversi a seconda che designi (A) una grandezza manifesta qualunque, che ci si propone di conoscere; (B) un oggetto di conoscenza, come appare nel corso e in seguito alla sua descrizione, e (C) linsieme dei mezzi che rendono possibile la sua conoscenza. GREIMAS, COURTS (1979, trad. it. 1986, pp. 314). 8 GREIMAS (1983, trad. it. 1984, p. 89). 9 Termine di ispirazione psicologica, rimpiazzato poi proprio dal termine tima, che ha invece connotazioni psicofisiologiche, come dichiarato da Greimas e Courts nel Dizionario (GREIMAS, COURTS 1979). 10 Anche esterocettivit e interocettivit.

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La categoria timica si articola a sua volta in euforia e disforia. Greimas sostiene che qualsiasi categoria semantica rappresentata sul quadrato semiotico sia suscettibile di essere assiologizzata, ossia investita di valore, proprio attraverso la categoria timica. Ogni categoria semantica applicata al quadrato semiotico crea, infatti, dei microuniversi semantici, costituiti appunto dalle relazioni tra le stesse categorie. La tima , come si detto, la disposizione di base, ma soprattutto rappresenta per questo, nella riflessione greimasiana, la relazione primitiva dellessere vivente con le cose e con le persone con cui entra in contatto. Questa attrazione o repulsione di base pu denominarsi anche diversamente, cio fora, che si articola appunto in euforia (attrazione, dunque movimento di avvicinamento) e disforia (repulsione, dunque movimento di allontanamento). Leuforia il termine positivo della categoria timica che serve a valorizzare positivamente i microuniversi semantici trasformandoli appunto in assiologie11. Essa si oppone quindi alla disforia, che valorizza negativamente le categorie semantiche. La stessa categoria timica comporta anche un termine neutro, aforia. Allora, attraverso la categoria timica avviene la valorizzazione positiva (euforica) o negativa (disforica) di ogni altra categoria semantica, compresa nella struttura elementare della significazione, ossia nel quadrato semiotico. La categoria timica connota come euforica una deissi12 (positiva) del quadrato semiotico e come disforica la deissi (negativa) opposta, provocando appunto la suddetta valorizzazione positiva o negativa di ciascuno dei termini del quadrato semiotico. Qualsiasi categoria semantica, astratta o concreta, suscettibile anche di ulteriori specificazioni: queste dipendono, infatti, dalla relazione con i diversi contesti con cui si trovano in relazione. In base allazione di valorizzazione compiuta dalla categoria timica possono distinguersi, infine, passioni euforiche (gioia, speranza) e passioni disforiche (verNella semiotica greimasiana si designa con il nome di assiologia il modo di esistenza paradigmatico dei valori, in opposizione alla ideologia che designa il loro ordinamento sintagmatico. GREIMAS, COURTS (1979, trad. it. 1986, p. 39). 12 La deissi una delle dimensioni fondamentali del quadrato semiotico che unisce, attraverso le relazioni di implicazione, uno dei termini dellasse dei contrari con il contraddittorio dellaltro termine. Si distinguono, cos, due deissi: luna (che parte dal primo termine positivo dellasse dei contrari e si mette in relazione al contraddittorio del termine negativo) detta deissi positiva; laltra (che parte dal termine negativo dellasse dei contrari e si mette in relazione al contraddittorio del termine positivo) detta deissi negativa, ma i termini positivo e negativo in questo caso non implicano alcuna attribuzione di valore. Questo avviene soltanto attraverso la proiezione sul quadrato semiotico della categoria timica, che sovradetermina le categorie semantiche gi messe in relazione (ivi, p. 95).
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gogna, paura), cos come passioni che non sono n prevalentemente euforiche n disforiche (indifferenza), ma anche passioni altalenanti, ossia euforiche e disforiche a seconda dei momenti e delle situazioni (amore). Quindi, in questa prospettiva, ogni passione si caratterizza innanzitutto come disposizione nei confronti del mondo, e soltanto in un secondo momento si concretizza nelle strutture discorsive da cui riceve particolari connotazioni culturali. 1.1. Dalle assiologie Come scrive Pezzini nella premessa a Semiotica delle passioni, la tima
sembra ricoprire per non pi soltanto la percezione, il sentire proprio del corpo. () I termini investiti dalla categoria assiologica si trasformano in tal modo da valori in senso linguistico, descrittivo, in valori in senso appunto assiologico. Si tratta di valori allo stato virtuale: perch essi si attualizzino, diventino cio valori per qualcuno, necessaria la loro conversione al livello superficiale della grammatica narrativa, che ha appunto una rappresentazione antropomorfa. E poich a livello profondo il valore assiologico costituito da due elementi, un termine semico (o valore descrittivo, costitutivo delle tassonomie13) sovradeterminato da un termine timico, questi due elementi andranno distinti anche a livello pi superficiale. Si dice pertanto che i termini semici sono convertiti quando sono investiti nelle unit sintattiche denominate Oggetti, i quali a loro volta sono legati alle unit sintattiche Soggetti da una relazione di giunzione (disgiunzione o congiunzione): a questo punto i valori possono essere detti iscritti in un enunciato di stato14.

Ecco come la valorizzazione compiuta dalla categoria timica passa progressivamente da un livello semantico profondo a un livello pi superficiale. Facciamo un esempio simile a tanti altri reperibili in Semiotica delle passioni: se in un testo si racconta di una bambina che desidera una bambola, e che lotta per poterla ottenere, a livello profondo il valore selezionato per la bambola, tra gli altri possibili, pu essere /rara bellezza/; a livello superficiale questo stesso valore pu essere investito nelloggetto (la bambola) e trovarsi con il soggetto del desiderio (la bambina) in relazione di disgiunzione (la bambina non possiede la bambola). Lenunciato di stato
13 Le tassonomie semiche sono gerarchie costruite non attraverso la classificazione lessematica del mondo, come accade invece per le tassonomie lessicali, ma attraverso una rete di relazioni semiche (o tratti distintivi) soggiacente alla manifestazione linguistica considerata (ivi, p. 355). 14 GREIMAS, FONTANILLE (1991, trad. it. 1996, pp. XXVII-XXVIII).

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(che attesta la disgiunzione tra soggetto e oggetto) trascrive e sintetizza questa relazione. La conversione di valori considerati dal punto di vista timico (ossia il fatto che il valore /rara bellezza/ sia sovradeterminato da una forma di /euforia/, ossia una valorizzazione che deriva dallapplicazione della categoria timica per cui il soggetto teso verso loggetto, portato a un movimento di avvicinamento ad esso) consente a Greimas di reinterpretare le modalit (volere, sapere, potere, dovere), che accompagnano le articolazioni della grammatica narrativa reggendo le relazioni fra soggetti e oggetti, come il risultato della riarticolazione dello spazio timico profondo in uno spazio modale pi superficiale.
lo spazio timico, che a livello di strutture astratte considerato rappresentare le manifestazioni elementari dellessere vivente in relazione con il suo ambiente (cf. /animato/), a livello pi superficiale, antropomorfo, del percorso generativo trova la sua corrispondenza nello spazio modale (cf. /umano/). () Si dir che la conversione di valori non solo si fa carico di un termine semico selezionato allinterno del quadrato e inscritto nelloggetto in quanto valore, ma comporta anche la selezione di un termine timico, che devessere investito nella relazione che lega il soggetto alloggetto. La relazione tra il soggetto e loggetto che definisce il soggetto in quanto esistente semioticamente si trova cos dotata di un surplus di senso, e lessere del soggetto ne modalizzato in modo particolare15.

Dunque, le categorie modali articolate a partire dai termini volere, dovere, potere, sapere corrispondono alla pi profonda categoria timica, ma a un livello superiore. Il termine timico euforia, ma anche disforia, pu dunque essere convertito nelle diverse modalit. Ci che resta di difficile comprensione sono, per, le procedure di questa conversione. 1.2. alle modalizzazioni In base al tipo di relazione costitutiva degli enunciati elementari di fare e di stato16, che viene rivista dalla modalizzazione, Greimas distingue fra due tipi
(1983, trad. it. 1984, p. 91). Nella semiotica greimasiana sono riconosciuti due tipi di enunciati elementari: gli enunciati di stato, in cui i due termini costituenti, ossia il soggetto e loggetto, si trovano tra loro in relazione di con- o dis- giunzione (poich la categoria di giunzione si articola anchessa in due termini contraddittori); gli enunciati di fare, invece, rendono conto del passaggio da uno stato a un altro. I due termini soggetto e oggetto sono riconosciuti in base alle loro posizioni reciproche, e a seconda che si trovino allinterno di un enunciato di stato o
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di modalizzazione che costruiscono due classi di modalit: le modalit del fare, che comprendono le relazioni intenzionali, e le modalit di stato, che comprendono le relazioni esistenziali. Con- e dis- giunzione non costituiscono momenti statici della discorsivizzazione, ma sono il luogo in cui accade qualcosa, che non si riconosce n in una dimensione propriamente pragmatica, n in una dimensione esclusivamente cognitiva, ma caratterizzano quella dimensione eccedente la narrazione tradizionale, ossia la dimensione patemica. Le modalizzazioni del fare sono modificazioni dello statuto del soggetto del fare. Per cui il soggetto del fare sar caratterizzato da una serie di modalit che lo riguardano e che costituiscono ci che Greimas chiama la sua competenza modale. Le modalizzazioni del soggetto di fare investono di rimando loggetto di valore17. Entrambi si interdefiniscono attraverso le relazioni di giunzione che li legano, perci costituiscono e determinano lesistenza modale del soggetto di stato. Infatti, il soggetto di fare si presenta come un agente che raccoglie tutte le potenzialit del fare; il soggetto di stato appare, invece, come un paziente, ossia come colui che riceve le sollecitazioni del mondo, inscritte negli oggetti che lo circondano. per questo che le modalizzazioni del soggetto del fare, che si ripercuotono a loro volta sulloggetto di valore, determinano lesistenza del soggetto di stato. La nozione di competenza modale copre, infatti, lo iato tra il soggetto e il suo fare. Nella riflessione di Greimas le modalit possono distribuirsi diversamente allinterno degli enunciati narrativi in cui agiscono. Esse possono, infatti, concernere sia il soggetto che loggetto, e la loro proiezione sul quadrato semiotico consente di individuare forme di loro compatibilit o incompatibilit18. Greimas distingue tre diverse serie di modalizzazioni: 1quelle dellenunciato, attraverso la mediazione del predicato; 2- quelle del soggetto del fare; 3- quelle delloggetto, che si ripercuotono sul soggetto di stato, chiamate modalizzazioni dellessere. Questi dispositivi modali consentono una specie di calcolo delle modalit che mostrano le diverse forze e le diverse competenze dei soggetti in relazione agli oggetti, a loro volta modalizzati, e ne favoriscono o impediscono la circolazione. La circodi fare sono detti rispettivamente soggetto/oggetto di stato (di fare). GREIMAS, COURTS (1979, trad. it. 1986, p. 124). 17 Loggetto definito oggetto di valore poich esso il luogo di investimento dei valori (o delle determinazioni) con i quali il soggetto congiunto o disgiunto (ivi, pp. 238-239). 18 Cf. GREIMAS (1976).

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lazione degli oggetti lespressione metaforica con cui Greimas parla in termini di forze della relazione tra soggetto e oggetto in cui si costruisce la dimensione patemica. 2. Dal livello profondo alle strutture discorsive A livello discorsivo, quellinvestimento timico delle categorie che avviene a livello profondo, per tradursi poi in vere e proprie strutture discorsive attraverso la grammatica narrativa, si dispone in configurazioni (ossia microracconti) e ruoli patemici. Il ruolo patemico, che riguarda colui che agisce, concerne lessere del soggetto, il suo stato. Il ruolo patemico funzione, a livello superficiale, dellinvestimento timico a livello profondo. Esso appare come una organizzazione gerarchica di modalit, che si dispiega, da un punto di vista sintagmatico, nelle strutture discorsive sotto forma di configurazioni (dette patemi). Dunque, a livello delle strutture discorsive si parla delle passioni come effetti di senso, che si riconoscono proprio nelle configurazioni passionali e nei ruoli patemici. Ci consente ai soggetti dellazione di essere allegri, tristi, felici, collerici, ecc. necessario sottolineare come in questa prospettiva la dimensione patemica diventi la componente presupposta e fondamentale di ogni tipo di discorso, ed presente in ogni tipo di discorso proprio perch precede logicamente la costituzione del discorso stesso. La passione, anzi, sotto forma di tensivit forica (ossia, quella tensione primitiva verso cose e persone), precede logicamente innanzitutto ogni forma di categorizzazione, contribuendo alla sua generazione. 3. Due tipi di analisi Lanalisi semiotica delle passioni si sviluppa in una duplice direzione: da una parte e innanzitutto, lanalisi lessematica, ossia lo smembramento dei lessemi alla ricerca dei percorsi narrativi latenti; dallaltra, lanalisi di testi, in cui le passioni si trovano gi inserite in un discorso e dunque imbrigliate in percorsi narrativi compiuti. Ci consente di consolidare la metodologia analitica utilizzata per identificare le passioni, apparentemente in modo indipendente dalle connotazioni sociolettale e idiolettale, ossia al di l delle specifiche codificazioni culturali e individuali (come, ad esempio, le moralizzazioni), ma in ogni caso sempre inserite allinterno del sistema costrui-

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to dagli enunciati elementari. Quindi, lanalisi della dimensione patemica non potr mai essere disgiunta dalla codificazione culturale operata innanzitutto dalle lingue storico-naturali, proprio perch passa attraverso il modo in cui le passioni si dicono. 3.1. Analisi lessematica
Secondo un punto particolare della teoria hjelmsleviana, le definizioni non sono altro che espansioni di denominazioni, per questo sostituibili le une alle altre. Lapplicazione di questo principio permette di individuare un buon uso dei dizionari e, pi in generale, del livello lessicale delle lingue naturali, in vista di esplorazioni semantiche miranti a meglio comprendere il loro funzionamento discorsivo. Dato che le definizioni dei dizionari duso corrente non sempre sono costruite in termini rigorosi, si impongono alcune necessarie precauzioni. Per questo motivo si spesso portati a completare questo approccio metodologico con lintroduzione di elementi di analisi semica e con la riformulazione dei segmenti definitori dei dizionari in termini di strutture attanziali e narrative. In breve, inscrivendo lo studio lessicale nel quadro metodologico ed epistemologico pi generale19.

Greimas intraprende innanzitutto unanalisi lessematica delle passioni. Supponendo che i lessemi siano delle condensazioni che racchiudono strutture narrative complesse, Greimas prende come oggetto di analisi una passione lessicalizzata, come, ad esempio, lo studio esemplare sulla collera20, e servendosi delle definizioni dizionariali la analizza smontando il lessema e scoprendo i percorsi narrativi latenti e possibili. Ci che deriva dallanalisi la rappresentazione della collera, o di qualsiasi altra passione lessicalizzata, come un lessema che pu coprire una sequenza discorsiva costituita dal succedersi di situazioni statiche e azioni (le possibili storie di un soggetto affetto da quella certa passione). Il punto di vista da cui si compie lanalisi , perci, sintagmatico e sintattico. Per passioni complesse, proprio come la collera, si analizza il testo che deriva dallinsieme delle definizioni di quella passione fornite dal dizionario, scomponendole in una sequenza discorsiva costituita di stati e di fare, in cui si isolano unit sintagmatiche. Il lessema, scomposto in unit sintagmatiche, conduce alla ricostruzione di una configurazione passionale, un microracconto che rappresenta la definizione della passione-lessema analizzata.
19 20

Cf. GREIMAS (1991). Cf. GREIMAS (1981).

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Le definizioni dizionariali della collera sembrano nascondere una sequenza narrativa che Greimas esplicita come: frustrazione scontento aggressivit. Questa sequenza di disposizioni patemiche sfocia poi nellazione. Intervengono nella sequenza narrativa anche la delusione e lattesa. Infatti, la collera nascerebbe anche dalla delusione per una attesa non soddisfatta. Visto che la passionalit caratterizza le relazioni intersoggettive21 in cui sono intessute le strutture narrative, i percorsi narrativi che si scoprono latenti nelle passioni rivelano queste stesse relazioni22. Nonostante lanalisi condotta da Greimas sia rigorosa da un punto di vista metodologico, dettagliata e complessa, essa per consente lanalisi delle passioni solo in quanto narrativizzabili. Al di fuori dellorizzonte narrativo non , per, possibile svolgere alcun tipo di analisi, proprio perch la nozione di narrativit a fondamento della semiotica greimasiana. 3.2. Analisi testuale Lo stato patemico, come Greimas afferma alla fine dellanalisi della nostalgia, la sovrapposizione sincronica e il sincretismo dellinsieme dei capovolgimenti patemici, tramite una serie di presupposizioni, costitutivi di un a monte generativo23. Lanalisi delle passioni, che vedono il loro momento aurorale con la categoria timica, si compie, infine, come analisi testuale. Le passioni vengono, perci, analizzate nel quadro teorico del percorso generativo, basato sulla nozione di narrativit. Secondo Greimas, nel livello pi profondo delle strutture semio-narrative che si generano le passioni, a partire da disposizioni fisiche che producono attrazione o repulsione nei con21

Sullintersoggettivit e la dialogicit proprie della dimensione patemica, cf. GAMBA-

RARA (2001).
22 Lanalisi della collera implica che un soggetto di stato innanzitutto ripone fiducia nei confronti di un soggetto del fare (che pu essere un attore diverso o identico). Se il soggetto del fare viene meno alla fiducia che il soggetto di stato ha riposto in lui, allora linsoddisfazione che ne consegue pu portare allesplosione della collera. Questa sequenza narrativa che identifica la configurazione passionale (che, come si pu notare, rimane sempre allinterno delle strutture di un discorso gi fatto o potenziale) si arricchisce attraverso il riferimento ad un insieme di termini collegati alloggetto dellanalisi: in questo caso, ostilit, rancore, offesa, vendetta, ecc. Lanalisi lessematica di queste ulteriori passioni lessicalizzate consente di chiarire maggiormente lanalisi della collera con cui si trovano in relazione. Cf. GREIMAS (1981). 23 GREIMAS (1991), in FABBRI, MARRONE (2001, p. 235).

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fronti di soggetti e oggetti, ossia del mondo (come abbiamo visto). La stessa dimensione patemica, per, si dispiega attraverso le strutture discorsive. Dunque, in questa prospettiva, le passioni sono analizzabili soltanto attraverso i testi. Greimas analizza precisamente testi letterari (molti sono gli esempi tratti dalla Recherche di Proust), ma gli studi semiotici contemporanei sulle passioni prendono come oggetto anche testi diversi (fumetti, film, pubblicit, ecc.), come testimoniano le pubblicazioni pi recenti. Due tendenze si affermano, infatti, a partire dalla semiotica delle passioni: da un lato, lanalisi dei testi; dallaltro, la precisazione dei concetti teorici che costituiscono gli strumenti dellanalisi e ne sorreggono la metodologia. Il rapporto di questi due tipi di analisi di reciproca influenza: non si elaborano nozioni teoriche per poi applicarle allanalisi dei testi, n si estrapolano generalizzazioni direttamente dalle superfici dei testi, ma si guarda ai testi cercando di individuare strutture pi astratte, ossia processi, riconosciuti come generalizzabili, e insieme strumenti teorici per una pi adeguata analisi testuale. Soltanto con questo continuo interscambio la semiotica delle passioni impedisce la propria cristallizzazione o trasformazione in tassonomie e sistemi rigidi, come sostengono Fabbri e Sbis24. 4. Conclusioni La difficolt di comprendere e spiegare singoli termini allinterno del discorso sulle passioni condotto da Greimas consiste nellimpossibilit di scindere e considerare questi stessi termini in modo isolato. Coerentemente alla considerazione delle categorie semantiche come determinazioni prodotte esclusivamente dal loro essere in relazione, i termini di categoria timica, foria, quindi euforia/disforia, non possono in alcun modo essere scissi dal reticolo di relazioni che essi intrattengono con gli altri termini del discorso greimasiano. Da qui la necessit di esplicitare e sciogliere ogni termine incontrato soltanto per meglio comprendere la categoria timica, ossia quellorigine somatica su cui poggia lintera semiotica delle passioni. Il ricorso continuo al Dizionario ragionato della teoria del linguaggio di Greimas e Courts (1979), in cui si coglie il senso della semiotica di Greimas intesa come metalinguaggio, ha consentito di dipanare (parzialmente) la fitta rete di termini in cui quello di categoria timica, come ogni altro, si trova imbrigliato. I punti cruciali della semiotica delle passioni si constatano nel confronto
24

Cf. FABBRI, SBIS (1985).

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con le analisi condotte sui pi diversi oggetti. A proposito dellanalisi lessematica della nostalgia, Greimas sostiene:
lesplicitazione di dati lessicali appare immediatamente produttiva, per la semplice ragione che il livello lessematico del linguaggio si presenta come una condensazione che ad ogni momento sottende dei discorsi in espansione. Le manchevolezze delle definizioni offerte dai dizionari correnti producono incertezze che per il momento solo i modelli narrativi della semiotica sembrano capaci di rettificare. Per queste ragioni il tipo di descrizione che abbiamo praticato, se anche apre la via alla comprensione della nostalgia alla francese, forse non ci autorizza a quelle generalizzazioni che pure auspichiamo25.

La semiotica delle passioni si scontra, infatti, con possibili accuse di relativismo, dovute proprio al ricorso alle lingue storico-naturali come campo di verifica della metodologia analitica e dei suoi stessi risultati. Inoltre, la semiotica contemporanea che deriva da questo stesso paradigma teorico si sviluppata attraverso lanalisi dei fenomeni sociali e culturali non solo contribuendo in prima persona alla costruzione di una narratologia coerente ed efficace, ma addirittura proponendo la nozione di narrativit come ipotesi interpretativa dei sistemi culturali e ideologici pi profondi, supposti per questo essere quasi universali26. Da qui si origina lidea che le strutture narrative contribuiscano allarticolazione semantica soggiacente dei testi e dei discorsi, ma anche delle pratiche sociali concrete e delle esperienze vissute. Si vedano, come esempi di questo sviluppo applicativo della semiotica contemporanea, gli attuali studi semiotici sulle passioni27. Tutti testimoniano la costante applicazione di metodologie assodate agli oggetti testuali pi diversi. Proprio nel nome della narrativit, ogni oggetto testuale presenta, infatti, anche una dimensione patemica che pu essere perci analizzata. Una certa semiotica contemporanea, che ha fondato le proprie basi sulle teorie greimasiane, spesso trascura, per, la riflessione propriamente teorica sui termini coinvolti dalla semiotica delle passioni, lasciando, invece, ampio spazio allanalisi. Questa stessa riflessione , invece, portata avanti dai filosofi del linguaggio, mentre lorientamento filosofico si indebolito in molta semiotica contemporanea.

GREIMAS (1991), in FABBRI, MARRONE (2001, p. 236). MARRONE (2007), in MARRONE, DUSI, LO FEUDO (2007, p. 7). 27 Cf. lattuale riflessione semiotica italiana negli articoli pubblicati su E/C, rivista online ufficiale dellAiss, Associazione italiana di studi semiotici.
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MARGHERITA DI MARIANO Per una storia naturale delle emozioni. Note su Wittgenstein
Soltanto allinterno di certe manifestazioni normali della vita si d una manifestazione del dolore. Soltanto allinterno di manifestazioni della vita di portata pi vasta c modo di esprimere la tristezza, o laffetto. E cos via (BPP I 151). Il concetto di dolore appunto incorporato nella nostra vita in un determinato modo. caratterizzato da contesti (Zusammenhnge) ben determinati. Cos come al gioco degli scacchi dato muovere il re solo in un determinato contesto. Non si pu liberare la mossa da tale contesto (Zusammenhang). Perch al concetto corrisponde una tecnica. (Locchio sorride solamente in un volto umano). [BPP II 150; PU I 583].

Lintento del presente lavoro quello di interrogarsi sul rapporto tra sensibilit, intesa come facolt di provare sensazioni, sentimenti, desideri, e linguaggio, inteso come insieme di giochi linguistici1. Pi precisamente si cercher di comprendere la natura peculiare che tale indissolubile rapporto assume allinterno dei fenomeni e dei comportamenti umani alla luce del pensiero di Wittgenstein ed in particolar modo alla luce del suo concetto di storia naturale (Naturgeschichte)2.
La nozione metodologica di Sprachspiel, elaborata da Wittgenstein a partire dagli anni trenta (BrB, BT), ha lo scopo di evidenziare le diverse funzioni assolte dalla lingua, intesa come forma di prassi connessa con le reazioni primitive degli uomini: qui la parola gioco linguistico (Sprachspiel) deve mettere in evidenza il fatto che parlare una lingua fa parte di unattivit, o di una forma di vita (Lebensform) PU 23; LC, p. 53. Su tale nozione cf. ad esempio ANDRONICO (1997); BLACK (1988); PERISSINOTTO (2000). 2 La nozione metodologica di storia naturale assume una funzione essenziale nella concezione wittgensteiniana del linguaggio ed emblematicamente significativa dellindissolubile rapporto tra natura e cultura nella forma di vita umana; cf. PU I 25, 415; PU II, xii; BPP I 46-48, 950; BPP II 15, 18. Cf. inoltre ANDRONICO (1997), BOUVERESSE (1975); CAVELL (1979), ID. (2000); MCDOWELL (1999, pp. 84-115).
Bollettino filosofico 24 (2008): 101-117
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Al riguardo, la prima domanda che ci si dovr porre nellaffrontare il tema del rapporto tra sensibilit e linguaggio se essi abbiano per davvero una realt ontologicamente diversa; se, in altri termini, il linguaggio, quale fenomeno sociale, si limiti a governare la sensibilit, realt fenomenica ad esso preesistente ed indipendente, ovvero se il linguaggio, originariamente intrecciato alla sensibilit e alle altre facolt umane, modifichi e riorganizzi anche questultima capacit naturale. Tale questione resa poi particolarmente complessa dal fatto che, se da una parte vi sono sensazioni e emozioni, le quali in quanto modificazioni ed espressioni di ogni corpo sensibile sembrano essere autonome e indipendenti dalla padronanza di una lingua, dallaltra vi sono, per converso, sensazioni ed emozioni che non potrebbero n esprimersi n essere sentite senza il linguaggio. Si pensi da un lato al fatto che gli animali provano emozioni senza parlare e che i computer, al contrario, riescono a padroneggiare una lingua senza provare emozioni, e dallaltro invece al legame indissolubile tra emozioni complesse, come il sentimento della speranza, ed il possesso del linguaggio3. stato in particolare merito di Wittgenstein aver suggerito come per comprendere tale complesso rapporto tra sensibilit e linguaggio sia necessario, da una parte, distinguere tra due diverse tipologie di sensazioni o emozioni, quelle non linguistiche e quelle linguistiche4, e, dallaltra, mostrare come in realt il linguaggio sia necessariamente connesso nella forma di vita umana con entrambe le tipologie di sensazioni ed emozioni. Seguendo le sue argomentazioni ci si rende infatti conto di come anche le sensazioni primitive5 siano riarticolate, e quasi modificate, nel momento in cui vengono utilizzate allinterno dei giochi linguistici umani; tali sensazio3 Sulla connessione tra le emozioni umane (come la speranza, la tristezza, il timore) e il linguaggio v. ad esempio BPP I 14-19, 15, 836; BPP II 29, 153-154 e 659; LW I 365; PU II, I, p. 229. 4 Nelle BPP Wittgenstein, agevolato dalla variet di termini impiegati nella lingua tedesca per riferirsi ai fatti psicologici, distingue e cerca di cogliere le somiglianze e le sottili differenze tra impressione (Eindruck), sensazione (Empfindung; Krpergefhl), emozione (Gefhl; Gemtsbewegungen) e sentimento (Gefhl), descrivendo i diversi gradi di sensibilit, quella primitiva e quella che implica la padronanza di una tecnica; cf. BPP I 125, 150151, 449, 836; BPP II 63, 133-135, 148-149; PU 256, PU II, XI, p. 274. Sul tema percezione e linguaggio in Wittgenstein cf. CASATI (1997); FORTUNA (2002); VIRNO (2003, in particolare pp. 143-184). Sullimportanza della distinzione tra sensazioni linguistiche e non linguistiche cf. LO PIPARO (2003). 5 Cf. BPP I 836; BPP II 63; PU II, p. 229. Sul concetto di primitivo cf. BPP I 93, 131; UG 402, 475; UG, p. 23; PU II, p. 285.

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ni, in altri termini, sembrano trasformarsi attraverso il linguaggio in nuovi comportamenti6.


Il bambino che impara la prima espressione verbale primitiva del proprio dolore e che poi comincia a raccontare un dolore passato un bel giorno pu raccontare: Quando ho un dolore viene il medico. In questo processo di apprendimento la parola dolore ha cambiato significato? S; ha cambiato impiego. Ma la parola nellespressione primitiva e nella proposizione non si riferisce alla stessa cosa, e cio alla stessa sensazione? Certo; ma non alla stessa tecnica (LW I 899).

Lapprendimento della lingua, aumentando le possibilit di espressione delle sensazioni, delle emozioni e delle pulsioni umane, determina non soltanto un cambiamento del modo di pensare a tali fenomeni, ma anche del modo di agire in presenza delle loro espressioni (BGM V 15; BPP II 727). In tal senso, il concetto di dolore, essendo incorporato nella vita umana attraverso il linguaggio, inteso come una tecnica che consente di articolare diversamente la stessa sensazione (PU I 384, 583)7, assumer in essa un significato diverso e nuovo rispetto a quello che pu avere in una forma di vita non linguistica (o a quello che potrebbe avere nella trib senzanima immaginata da Wittgenstein, in cui i bambini vengono addestrati a non esprimere n fisicamente n verbalmente il dolore)8. Al fine di render conto dellindissolubile legame che connette il linguaggio ad ogni forma di sensibilit umana, occorre dunque descrivere (e immaginare) i fatti che appartengono alla storia naturale degli uomini, ovvero quei fatti che caratterizzano la natura umana e segnatamente la natura linguistica. Soltanto attraverso tale metodo , infatti, possibile vedere in che modo il linguaggio si interponga, ad esempio, tra emozione e sua espressione corporea, e come lemozione, a sua volta, si mostri nei giochi linguistici. Ed proprio attraverso le rappresentazioni di tali fatti che Wittgenstein riuscito, da una parte, a mettere in luce i limiti e le difficolt che stavano alla base delle ipotesi sostenute allinterno del dibattito tra psicologismo e antipsicologismo (o tra mentalismo e comportamentismo) della prima met del 9009 e, dallaltra, a delineare unimmagine complesCf. ad esempio BPP I 142, 151, 165, 910; BGM V 15; LW 1 874. Attraverso luso della lingua luomo pu infatti staccarsi dallimmediatezza e parlare non solo di ci che accade qui ed ora, ma anche di ci che solo possibile, cf. DE MAURO (1999). 8 Cf. BPP I 662; BPP II 706-709. 9 Degli esponenti di questo dibattito Wittgenstein cita da una parte Frege e Husserl,
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sa, ma unitaria, della natura umana ridefinita a partire dal linguaggio, inteso come suo carattere ontologico distintivo. 2. Coerentemente con il pensiero che permea la sua intera ricerca, ovvero quello dellinfondabilit e dellintrascendibilit del linguaggio concepito come ci da cui impossibile prendere le distanze10, Wittgenstein non tratta il tema della relazione tra sensibilit (percezione, sensazione ecc.) e linguaggio dal punto di vista del loro fondamento prelinguistico (o extralinguistico). Egli piuttosto, alla luce della sua idea del linguaggio come istinto11, tratta del concetto di sensibilit dal punto di vista della sua manifestazione (uerung, Ausdruck) attraverso il linguaggio, vale a dire mostrandone la necessaria relazione con la padronanza di una lingua12. Infatti, come Frege (1918-1919) e come alcuni esponenti della corrente fenomenologico-esistenzialista della prima met del 90013, Wittgenstein ritiene che per rispondere alla domanda sulla natura delle emozioni, e pi in generale sulla natura degli stati mentali (interni), non siano sufficienti le spiegazioni psicologiche o neurofisiologiche che riconducono tali fatti ai loro correlati fisici, ma che sia invece necessario spostarsi sul terreno del significato14. Tuttavia spostarsi sul terreno del significato non vuol dire per il filosofo abbandonare il mondo dei fatti, perch occuparsi del significato di unemozione significa in realt occuparsi della natura stessa dellemozione15. Lintento piuttosto quello di dimostrare che il linguaggio caratterizza ogni aspetto della vita umana. Non soltanto perch senza il linguaggio non potrebbero esistere quei sentimenti propriamente umani, come la speranza, la malinconia o il sentimento del bene, ma anche perch esso con la sua presenza
dallaltra James, Khler; il cuore della sua critica al mentalismo e allidea di un mondo privato (interno) delle rappresentazioni (Vorstellungen) il tema dellimpossibilit di un linguaggio privato, connesso al problema del seguire una regola (PU 135-244). Il suo antimentalismo tuttavia non assume la forma del comportamentismo, come tiene a precisare lo stesso Wittgenstein in alcune osservazioni: PU 307-309. Al riguardo cf. CASATI (1997), CIMATTI (2007), JOHNSTON (1998). 10 BT; T. 5.6. Sui limiti del linguaggio e sul mistico cf. HADOT (2006). 11 UG 475; VB, p. 67; T. 4.002. 12 Cf. BPP II 18-19, 284; BFG, p.21. 13 Sul dibattito tra psicologismo e antipsicologismo cf. DE CAROLIS (2005). 14 Cf. BPP II 903-906; Z 608-611. 15 Infatti, nella misura in cui, nella mia domanda, si parla della parola rappresentazione mentale, viene anche messa in questione lessenza della rappresentazione mentale, PU 370.

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riplasma e organizza le attivit bio-cognitive non linguistiche che luomo condivide con gli altri animali16, come provare piacere e dolore o farsi rappresentazioni. Sul farsi rappresentazioni (immaginare), ad esempio, nelle Note sul Ramo doro di Frazer si legge:
se riteniamo ovvio che luomo si diletta con la propria fantasia, teniamo presente che questa fantasia non un dipinto o un modello plastico, ma una formazione complicata di costituenti eterogenei: parole e immagini. []. La cattiveria di un uomo pu ripugnare tanto nellimmagine dipinta quanto nella realt; ma pu ripugnare anche nella descrizione, ossia nelle parole (PG I 132; BT 22,5; BGB, p. 21).

Bench alcune delle sue osservazioni possano far sembrare che egli tracci una linea netta di demarcazione tra la forma di vita umana e quella animale, in realt Wittgenstein non sembra interessato a negare agli animali la capacit di provare, per esempio, piacere e dolore, o di comportarsi in modo intelligente. Egli cerca piuttosto di mettere in evidenza come la percezione umana del dolore e quella animale siano incommensurabili in conseguenza del fatto che nella forma di vita umana il dolore si esprime non solo nei comportamenti non linguistici, ma anche in quelli linguistici17. Al riguardo, linterpretazione delle osservazioni in cui la nozione di storia naturale viene impiegata per indicare pi o meno la differenza delluomo dalle altre specie (BPP II 18; PU I 25; PU II, XII, p. 299) mostra come la lingua e le altre istituzioni umane non costituiscano nella sua concezione la linea divisoria tra ci che naturale e ci che non naturale nelluomo, ma tra due diversi tipi di naturalit, quella animale e quella umana, dato che comandare, domandare, raccontare, chiacchierare sono azioni tanto naturali, quanto lo sono il camminare, il bere, il giocare (BT, p. 220; BGF, p. 26; PU I 25, 185). Si potrebbe dire che per Wittgenstein se gi in quanto animale luomo ha linguaggio, ovvero se il linguaggio fa parte integrale della natura animale degli esseri umani, allora non pu esistere una vera e propria contrapposizione tra emozione e linguaggio basata sul fatto che mentre la prima sarebbe legata al corpo e quindi allistinto, il secondo sarebbe viceversa legato alla mente, allo spirito (Geist), alla cultura. Nel suo pensiero il linguaggio,
LO PIPARO (2003, p. 25). Cf. BGB, pp. 23-26; BPP I 93, 100, 150; BPP II 14-22, 29 659; BT 22, 5; PU 25, 384, 583; PU II, p. 229. Su tale tema cf. inoltre CIMATTI (2007); FRONGIA (1996); SPARTI (2006).
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unitamente alle altre geistiges Fhigkeiten (capacit mentali o spirituali) che fanno parte della storia naturale degli uomini (PU 25), si caratterizza infatti per essere un istinto del corpo umano; e tuttavia esso un istinto peculiare dato che si sviluppa spontaneamente soltanto sotto determinate condizioni: concordanza nella forma di vita, regolarit, esistenza di una lingua o di una tecnica (BGM VI 2, 32, 43-45; PU 206-208; 240-244).
Aber das Phnomen der Sprache beruht auf der Regelmigkeit, auf der bereinstimmung im Handeln [ma la lingua riposa sulla regolarit, sulla concordanza nelle azioni] (BGM VI 39).

Se vero che i giochi linguistici sono istintivi (naturali) per lessere umano, anche vero, daltro canto, che essi presuppongono come loro condizione di possibilit lesistenza di una lingua parlata. Pertanto le lingue non possono essere spiegate in termini di sviluppo isolato delle capacit innate del singolo parlante: un uomo da solo non pu parlare (BGM VI 32). Luomo animale linguistico perch animale sociale. E tale considerazione vale, secondo Wittgenstein, anche per gli altri comportamenti istintivi e primitivi attraverso i quali lessere umano pu esprimere le proprie sensazioni ed emozioni; si pensi ai gesti, alle espressioni del volto e a tutte quelle azioni immotivate (rituali), come bruciare uneffigie, baciare limmagine dellamato (BGB, p. 21), descritte nelle sue riflessioni. Anche questultimi comportamenti, pur essendo istintivi, sono originariamente legati alla socialit dellessere umano, al vivere in una forma di vita comune e possono essere trasformati attraverso laddestramento (Abrichtung, cf. BT 40 910; BGB, pp. 26, 30-35, 49; PU 198). Non che si voglia sostenere che un uomo isolato sin dalla nascita, come ad esempio lenfant sauvage, non soffra o che esso non possa provare ed esprimere sensazioni e sentimenti. logico tuttavia che se esistono le lingue e se esse vengono utilizzate dagli uomini anche per esprimere le loro sensazioni e emozioni, occorre che chi le usa possa confidare nella facolt recettiva di colui che quel gioco linguistico deve recepire. Non si tratta soltanto di usare lo stesso sistema di segni. Si tratta piuttosto di sapere che la forma di vita (la natura) di chi ascolta sia comune a quella di chi parla, cio di sapere che tra gli uomini ci sia una concordanza non delle opinioni, ma appunto della forma di vita, definita da Wittgenstein come concordanza dei giudizi, ovvero dei modi di giudicare (BGM VI 30, 49; PU 241-242). Se rivolgendomi a qualcuno dico provo dolore, devo sapere (cio mi aspetto) che colui al quale mi rivolgo sappia cosa sia il dolore e

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che possa immaginare cosa significhi provare un dolore e capire ci che io provo quando dico di provare dolore. Nella maggior parte dei casi luomo si aspetta, infatti, che il suo interlocutore agisca e pensi da essere umano, nonostante sia sempre possibile che la sua aspettativa venga delusa e che in certe occasioni, di fronte a certe reazioni, egli non riconosca, per cos dire, luomo nelluomo.
La lingua, vorrei dire, riposa su una Lebensweise (modo di vivere). Per descrivere il fenomeno della lingua, si deve descrivere una prassi (BGM VI 34).

Per Wittgenstein, non soltanto in relazione al linguaggio, ma anche in relazione alle sensazioni, alle pulsioni, alle emozioni e ai sentimenti umani il riferimento alla societ, alla regolarit e alla prassi imprescindibile. Infatti, anche le emozioni possono essere riconosciute dalluomo soltanto se si trova inserito in un determinato ambiente sociale e pubblico18, ambiente vitale in cui un segnale (il pianto, ad esempio) viene trattato come segno che rinvia a qualcosaltro, come segno che rinvia al reale oggetto del nostro interesse: al dolore, alla tristezza e cos via (BFG, pp. 34-35; BT 1 22, 40 7-9; VB, p. 146). Ne consegue che i fenomeni che contraddistinguono la storia naturale delluomo si caratterizzano per il fatto di mantenere e riflettere la stessa duplicit daspetti, naturale e culturale, del corpo dellessere umano, che quel corpo capace per natura di parlare una lingua. In tale prospettiva le sensazioni e le emozioni umane sono, dunque, connesse al linguaggio, in quanto sono modificazioni ed espressioni di un corpo per natura linguistico; ed in forza di tale connessione che alcuni sentimenti (Gefhlen) possono talvolta essere usati come espressioni del soprannaturale, cio delletica e del mistico. La connessione originaria tra linguaggio e sensibilit d luogo, infatti, a sensazioni, emozioni e sentimenti peculiari della forma di vita umana, come il sentimento del bene, del giusto e del mistico, i quali possono essere sentiti soltanto da colui che padrone di una lingua (tecnica). Se vero che per Wittgenstein non possibile parlare sensatamente del bene, del mi18 Con luso della nozione di ambiente circostante o vitale (Umgebung, Umstnde) Wittgenstein non intende rinviare alle circostanze materiali degli atti di enunciazione (ai contesti), ma al tessuto (Gerst) di relazioni (logiche e materiali) che costituisce lo sfondo delle nostre azioni (PU 240). Tale sfondo (Hintergrund) lingranaggio della vita. E il nostro concetto designa qualcosa in questo ingranaggio (Getriebe) BPP II 65. Il filosofo ne mette in evidenza la natura particolare, naturale e culturale, ad esempio in BPP I 776. Cf. anche BPP I 150-151, BPP II 149, 154; PU I 256, 583.

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stico, e di ogni valore che rinvii allambito del dover essere, anche vero, daltro canto, che nel suo pensiero tali concetti entrano a far parte della nostra storia naturale nella forma di esperienze vissute (Erlebnisse), cio di sentimenti (Gefhlen) che si caratterizzano per il fatto che, pur non potendo essere spiegati e pur non potendo esser detti, non sarebbero possibili senza la padronanza di una lingua intesa come forma di vita. Per quel che qui rileva, si pu dire che i concetti di bene, di giusto, di bello e di correttezza entrano nella nostra vita attraverso il linguaggio, perch attraverso il linguaggio che si stabiliscono delle regole pubbliche che consentono agli uomini di poter confrontare i fatti tra di loro e di poter stabilire caso per caso cosa sia giusto fare, cio la mossa corretta allinterno di un sistema (UG 10). Luomo pu giudicare ci che bene o ci che giusto soltanto sullo sfondo di un sistema di riferimento allinterno del quale unazione ha una sua funzione e pu essere corretta, giusta, o buona relativamente ad una certa meta (BGM VI 2; LC, pp. 711, pp. 52-65; UG 105, 156). Se da una parte le riflessioni di Wittgenstein sulletica, sullestetica e sulla nozione di regola dimostrano come il confronto tra i diversi giochi linguistici non possa spiegare n il Bene, n il Mistico, n in generale i valori assoluti, in quanto essi non possono essere dei fatti del mondo e dunque non possono esser descritti (LC, pp. 5-18; PU I 97; T. 6.41, 6.42), dallaltra, invece, queste stesse riflessioni, lette alla luce dellidea della distinzione tra dire e mostrare (tra ci che pu esser detto e ci che si mostra), mettono in luce un nuovo aspetto fecondo della concezione wittgensteiniana del linguaggio, delletica e dei sentimenti umani. A ben vedere, tali osservazioni implicano non solo che i concetti di bene, di bello, di mistico non siano rappresentabili senza il concorso del linguaggio19, ma anche che essi non possano mostrarsi al di fuori della padronanza di una lingua20 e delle operazioni logico linguistiche che costituiscono il cuore duro della nostra storia naturale (BGM VI 49). Tali sentimenti vengono infatti a configurarsi come esperienze del limite, come esperienze, cio, che si provano dinanzi al mostrarsi dei limiti del nostro linguaggio e dunque del nostro mondo (T. 5.6). Non a caso Wittgenstein identifica il mistico, esperienza soprannaturale, con il sentimento (Gefhl), e dunque con qualcosa che appartiene alla storia naturale delluomo: La visione del mondo sub specie aeterni la visione del mondo come totalit
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Cf. anche LO PIPARO (2007). Cf. BPP II 109-113; BPP I 120-125; LW1 379; PU II, p. 241.

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delimitata. Il sentimento del mondo come totalit delimitata il sentimento (Gefhl) mistico (T. 6.45). E il mistico, per lappunto, non pu esser detto, ma mostra s (T. 6.522). Pi precisamente, il sentimento del mistico rappresenta un fenomeno peculiare della storia naturale dellessere umano, non soltanto perch luomo non potrebbe rappresentarsi i concetti di mondo e di totalit delimitata senza luso del linguaggio, ma anche perch il mistico, proprio perch non pu essere spiegato attraverso il linguaggio, quel sentimento che si mostra, paradossalmente, nel momento in cui luomo si trova dinnanzi ai limiti della lingua stessa.
Luomo ha limpulso ad avventarsi contro i limiti del linguaggio. Pensate per esempio alla meraviglia che qualcosa esista.[]. Questavventarsi contro i limiti del linguaggio letica. a priori certo che qualsiasi definizione si possa dare del Bene, sempre un malinteso supporre che nella formulazione si esprima ci che in realt si vuol dire. Ma la tendenza, lurto, indica qualcosa (LC, pp.21-22).

In certe osservazioni tali sentimenti (esperienze vissute) vengono esplicitamente distinti dalle altre sensazioni, perch indicano qualcosa, ma non indicano come una sensazione ci indica un oggetto, e neppure ce lo fanno congetturare. Esperienze, pensieri la vita pu imporci questo concetto. Che poi in qualche modo simile al concetto di oggetto (1950, VB, p. 159). Il tema della distinzione tra sensazioni primitive e sensazioni, per cos dire, di secondo grado21 trover, poi, il suo pieno sviluppo nella seconda parte delle Ricerche Filosofiche e nelle Osservazioni sulla Filosofia della Psicologia in cui Wittgenstein parla di concetto modificato di sensazione (LW I 744 e PU II, XI, pp. 274-275, p. 286) per indicare quelle sensazioni, come ad esempio il sentimento di familiarit di una parola (BPP I 6, PU II, p. 279), o il sentimento di profondit del significato (BT 2, 11-12), le quali hanno come loro condizione logica di possibilit la padronanza di una tecnica (PU II, XI, p. 275). Alle sensazioni di secondo grado appartengono anche tutte quelle espressioni e quei gesti che Wittgenstein raccoglie nellidea di evidenza imponderabile.
allevidenza imponderabile (unwgbaren Evidenz) appartengono le sottili pecu21 Sul sensismo di secondo grado, ossia sullidea di unesperienza sensibile che ha nel linguaggio niente di meno che la propria condizione di possibilit, e sul suo sviluppo nelle Ricerche Filosofiche cf. MAZZEO-VIRNO (2002), ora in VIRNO (2003: 91-110).

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liarit dello sguardo, del gesto, del tono.[] Mi piacerebbe tanto che il gesto che io fingo fosse esattamente uguale a uno autentico, e tuttavia non questidentit a prodursi (LC, p. 41; LW I 936; PU II, XI, p. 228).

La nozione di evidenza imponderabile rimanda a ci che non pu esser detto n spiegato, ma che pu essere riconosciuto attraverso lesperienza (LC, p. 41) soltanto da colui il quale inserito allinterno di una lingua. Non un caso che tale idea, affrontata nelle osservazioni finali delle Ricerche Filosofiche, rimandi alla stessa distinzione tra dire e mostrare da cui segue linvito, che chiude il Tractatus, a tacere su ci di cui non si pu parlare (T. 7). Infatti, anche questultime esperienze, di cui non si pu offrire una prova o conferma22, costituiscono lultimo anello (il limite) della catena delle ragioni (PU 326), ovvero la roccia basilare contro cui la vanga della spiegazione e della giustificazione dei fatti umani si piega (BT 13 17; PU 185, 217)23. E ci che gli uomini accettano come giustificazione mostra come pensano e vivono (PU 325). 3. Una volta preso atto dei diversi gradi di sensibilit (non-linguistica e linguistica), occorre tuttavia notare come tale distinzione perda, per cos dire, la propria rilevanza nel momento in cui si consideri che entrambe tali tipologie di sensazioni sono accomunate dal fatto di convertirsi, attraverso luso del linguaggio, in parole e frasi. In altri termini, sia le forme primitive di sensibilit, come le sensazioni di piacere e dolore, sia le sensazioni che non potrebbero esistere senza luso di una lingua, come la speranza (BPP I, 365; BPP II 153; PU II, I, p. 229), si caratterizzano per il fatto di mostrarsi attraverso le espressioni verbali (uerungen, Ausdrcken; cf. BPP I 93; PU 384). Ma in che modo avviene tale passaggio dallespressione primitiva dellemozione alla sua espressione verbale? A tale domanda Wittgenstein cerca di rispondere in quelle riflessioni, come le Lezioni sullEstetica, in cui, attraverso lanalisi del linguaggio pi primitivo, viene dimostrato che parole come buono, bello, grazioso non sono utilizzate originariamente come descrizioni, bens come interiezioni:
un bambino applica generalmente una parola come buono prima di tutto al cibo. Una cosa straordinariamente importante nellinsegnamento lesagerazione dei gesti e dellespressioni del volto. La parola viene insegnata come sostitu22 23

Cf. ad esempio BPP II 685, 697, 709-715. BPP I 709-715; LC, pp. 41-43; LW I 734.

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to di unespressione del volto o di un gesto. Che cosa fa, di una parola, uninteriezione di assenso? E non di disapprovazione? il gioco in cui appare, con la forma della parola (LC, p. 53).

Nella stessa direzione vanno le pi note osservazioni delle Ricerche, si pensi ad esempio alla seguente osservazione:
come impara un uomo il significato dei nomi di sensazioni? Ecco qui una possibilit: si collegano certe parole con lespressione originaria, naturale della sensazione, e si sostituiscono ad essa. Un bambino si fatto male e grida; gli adulti gli parlano e gli insegnano esclamazioni e, pi tardi, proposizioni. Insegnando al bambino un nuovo comportamento del dolore. Tu dunque dici che la parola dolore significa propriamente quel gridare? al contrario; lespressione verbale del dolore sostituisce, non descrive il grido (PU I 244).

Lespressione linguistica provo dolore non rappresenta un mero sviluppo graduale del grido animale, n una descrizione, sia pure pi articolata, del <gridare>; al contrario essa rappresenta una vera e propria sostituzione di quel grido da parte di un individuo inserito in una comunit linguistica:
quando uno impara a usare la parola dolore, questo non avviene perch qualcuno indovina per quali avvenimenti interni connessi, ad esempio, al cadere a terra si usa questa parola. Se fosse cos, potrebbe anche sorgere il problema: qual fra le mie sensazioni, quella per cui grido quando mi faccio male? E qui immagino che uno indichi il proprio interno domandandosi: questa sensazione, oppure questa? (BPP I 305; PU I 15-16).

Alla luce di tali questioni si pu vedere chiaramente come la connessione tra espressione primitiva della sensazione e sua espressione verbale non sia empirica, ma logica. Tale conclusione vale poi anche per le altre espressioni verbali di sensazioni, di gioia, di felicit, e cos via, e anche per le espressioni verbali delle emozioni complesse, le quali sono equivalenti ai gesti e alle altre espressioni corporee che vanno a sostituire.
Quando uno dice Spero che verr d un resoconto del suo stato danimo oppure manifesta la sua speranza? Questa cosa posso dirla, per esempio, a me stesso. E non mi do proprio nessun resoconto. Pu essere un sospiro, ma non necessario che lo sia. Se dico a qualcuno Oggi non posso concentrare i miei pensieri sul lavoro; penso sempre al suo arrivo questa si chiamer una descrizione del mio stato danimo (PU 585).

Infatti, proprio con riferimento al passo sopra citato, come il sospiro, cos anche lenunciato spero che verr una manifestazione della speran-

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za, un suo gesto24. E come il sospiro, anche questultimo gesto linguistico non ha necessariamente la funzione di comunicare agli altri lo stato danimo di chi lo enuncia: se il grido non la descrizione del dolore, allora non lo neppure lespressione verbale che lo sostituisce. Le manifestazioni verbali non sono descrizioni, ma espressioni di dolore (BPP II 728; BPP II 722-723; PU II, XI, p. 249). Alla luce di tali osservazioni si comprende come le espressioni verbali (del dolore, della speranza), pur andando a sostituire lespressione primitiva (grida animali, voci, gesti), ne conservano intatta la natura (funzione) originariamente gestuale (espressiva, figurativa). In tal senso, il gioco linguistico unestensione dellespressione primitiva, cio un comportamento ad essa equivalente: Le parole sono felice equivalgono ad un comportamento di gioia (BPP I 450). Per il fatto che le sensazioni sono incorporate nella vita umana attraverso il linguaggio, inoltre, il poter dire tali sensazioni viene considerato come criterio per riconoscere e attribuire agli altri e a se stessi tali sensazioni. Ora, lidea delloriginaria funzione espressiva degli enunciati che si riferiscono alle rappresentazioni e agli stati psicologici consente di superare la concezione secondo la quale le proposizioni, in quanto rappresentazioni dei fatti del mondo, si distinguono per la loro funzione dalle grida e dai versi animali. Su tale idea si basava non solo la distinzione tra uomini e animali, ma anche la concezione tradizionale delluomo inteso come una strana entit bipartita, in cui il mondo animale, la sensibilit e le emozioni, intese come espressione del corpo, sono distinte e contrapposte alla lingua, intesa come espressione della mente. Al contrario per Wittgenstein del comportamento animale e primitivo delluomo fa parte luso della lingua. E in generale ne fa parte sia ci che viene appreso sia ci che non viene appreso, come le grida del bambino (BPP I 93, 131). Naturalmente, mettere in luce loriginaria funzione gestuale delle espressioni verbali non significa dire n che un enunciato, come spero di rivederlo presto, non possa assumere una nuova funzione in nuove circostanze, n che esso non possa essere usato come resoconto dello stato danimo di chi parla. Tale operazione ha invece la funzione di dimostrare che il linguaggio non ha come unica e principale funzione quella di rappresentare accadimenti esterni o interni (PU 23, PU II, XI, p. 224; LW I 909). La funzione descrittiva di un enunciato, come spero che verr, soltanto un
24

LC, p. 114; VB, pp. 131-133.

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uso derivato reso possibile dalla padronanza di una lingua, di una tecnica, che costituisce lo sfondo necessario, non solo per poter sostituire lespressione primitiva con quella verbale, ma anche per poter trasformare luso (significato) di tale espressione in circostanze nuove. Ad esempio, lenunciato spero che verr, originariamente utilizzato come sostituto del sospiro, pu essere impiegato in una conversazione per descrivere allaltro il proprio stato danimo: la constatazione (Bericht) , per cos dire, parte di una conversazione (BPP II 164). In particolare, secondo Wittgenstein, luomo pu apprendere luso di unespressione verbale soltanto sulla base della necessaria e regolare connessione tra emozione e sua espressione (manifestazione) naturale. Infatti, anche lindividuo che dice di provare un determinato sentimento, per poterlo riconoscere e identificare necessita di criteri esterni che pu apprendere solo con lesperienza e con laddestramento linguistico (BPP I 169170): ma se gli uomini non esternassero i loro dolori (non gemessero, non torcessero il volto ecc.) allora non sarebbe possibile insegnare ad un bambino luso delle parole ho mal di denti. [] (PU I 258, 256). In altri termini, sia lespressione verbale del dolore, sia lespressione verbale della speranza non potrebbero andare rispettivamente a sostituire, creando dunque nuove possibilit, i correlativi gesti primitivi del grido e del sospiro senza questa connessione con lespressione originaria. In tale prospettiva, infatti, lespressione verbale pu sostituire quella pi primitiva soltanto sulla base di una preliminare regolarit del modo comune di comportarsi che costituisce lo sfondo necessario dal quale si stagliano i singoli usi linguistici (cf. PU 207-208). Una lingua, oltre a non poter essere parlata da un individuo isolato, non pu essere fondata su atti che vengono eseguiti una sola volta nella vita (BGM VI 32, 39, 43; BPP 435), dato che essa unistituzione (BGM VI 32), una pratica, e in quanto tale necessariamente pubblica. Affinch possa esistere o possa essere inventato un gioco necessaria una preliminare regolarit del modo di comportarsi comune agli uomini, che costituisce il substrato a partire dal quale possibile istituire delle regole pubblicamente osservabili (BGM VI 32-34; UW, p. 24), le quali, a loro volta, connettono uno stato (sensazione, emozione) con la sua espressione, ovvero una capacit naturale con i modi arbitrari in cui essa si realizza. Alla luce delle precedenti considerazioni possibile comprendere come tale modo di comportarsi comune agli uomini, che coincide con linsieme dei fatti della nostra storia naturale (PU 25, PU 23, BPP I 18), sia

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caratterizzato dalla compresenza di aspetti istintivi e di aspetti appresi, di aspetti naturali e di aspetti culturali. Tale regolarit , infatti, rappresentata come una zona grigia in cui non vi una netta distinzione tra piano empirico (fatti) e piano grammaticale (regole, valori)25. Non a caso nelle riflessioni di Wittgenstein tale preliminare regolarit emerge in primo piano non soltanto nei casi derrore, ma anche, e soprattutto, in quelle situazioni di crisi in cui luomo fa capo ad essa o per insegnare ad altri la propria lingua, ovvero per apprendere una lingua straniera (BPP I 664; PU 206-208)26. Queste circostanze mostrano, infatti, chiaramente come il modo comune di comportarsi (natura comune) condiviso da tutti gli uomini non debba essere inteso come un sistema di regole, di rappresentazioni e di schemi innati, bens come linsieme di capacit e di operazioni naturali le quali, in quanto facolt (potenzialit), non hanno alcuna manifestazione autonoma dai modi contingenti in cui si realizzano (BP 5a; BPP II 426-427; Z 357358). In conseguenza di ci, i giochi linguistici, cos come gli altri comportamenti primitivi, sono attivit naturali, ma non necessarie, se con necessario sintende causalmente determinato o conforme ad uno scopo (BPP I 49, 951; BGM I 116; BT 55 9-14). In altri termini, tutto quello che posso fare nel linguaggio dire qualcosa, dire una cosa. Dire una cosa nello spazio delle possibilit di quello che avrei potuto dire (BT 1 14). Non si pu tralasciare infine che lidea secondo la quale gli enunciati che si riferiscono agli stati interni (ai vissuti) delluomo non sono descrizioni (Bescreibungen o Abbildungen), bens espressioni (Ausdrucken, uerungen) di tali stati, gioca un ruolo decisivo nella critica wittgensteiniana allesistenza di un linguaggio privato (PU I 243-257), cio di un linguaggio delle sensazioni in linea di principio inaccessibile agli altri. Attraverso tale critica, la quale strettamente connessa al problema del seguire una regola (PU I 135-243), Wittgenstein, infatti, non intende negare che esistano fatti psicologici (interni) o fatti semantici, quanto piuttosto che tali fatti godano di unesistenza autonoma nellinteriorit delluomo. In tal modo egli muove verso una nuova concezione dellinterno in cui questultimo non visto come contrapposto allesterno, ma come ci che esiste nel momento in cui appare nei giochi linguistici e nelle pratiche umane: noi componiamo diverse cose in una forma [Gestalt] modello, in quella dellinganno, ad esempio. Limmagine (Bild) dellinterno (Innern) completa questa forma (Gestalt) [BPP II 651].
25 26

UG 94-99. Cf. VIRNO (2005).

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il linguaggio, inteso come molteplicit di giochi linguistici, a sdoppiare luomo e a renderlo consapevole della propria interiorit, consentendogli di dare un nome ai propri sentimenti e di considerarli come oggetti. Al riguardo, scrive Wittgenstein: E se il gioco di espressioni si evolve, allora posso dire che si sviluppa un animo, una vita interna. Ma ora linterno non pi causa (o primum movens) dellespressione (LW I 947). Quella dellanima (interno) unimmagine che si impone appena cerchiamo di dare un senso alle attivit ed espressioni delluomo, ovvero essa un riflesso del nostro atteggiamento nei confronti di un altro uomo, che Wittgenstein definisce come un atteggiamento nei confronti di unanima (LW I 324). Tale comportamento istintivo e non poggia su unopinione, cos come istintivo per lessere vivente prendersi cura dellaltro (cf. BPP I 915). limpossibilit di fondare la conoscenza del nostro mondo interno su fatti che possono essere provati (dimostrati), come ad esempio limpossibilit di dimostrare lautenticit di uno sguardo damore o di una confessione ad indurre luomo comune, cos come il filosofo, ad isolare uno spazio del reale, linterno, e a considerarlo impenetrabile, nascosto dietro ai comportamenti:
Unimmagine si impone su di noi, quella dellincorporeo che anima il volto (come il tremore di un soffio). Dobbiamo pensare espressamente al fatto che un volto pu essere dipinto con unespressione intensamente spirituale, per credere che colori e forme da sole possono esercitare un tale effetto su di noi (LW I 325). Il volto lanima del corpo (VB, p. 53; PU II, p. 236).

In conclusione, lanalisi dei giochi linguistici in cui gli uomini impiegano enunciati intorno a sensazioni ed emozioni mostra come luniformit del modo di presentarsi del linguaggio induca spesso a dimenticare che i giochi linguistici, che scandiscono il fluire della vita umana, non hanno come unica funzione quella di descrivere e comunicare eventi esterni o interni agli altri:
il paradosso scrive Wittgenstein scompare soltanto se rompiamo in modo radicale con lidea che il linguaggio funzioni in un unico modo, serva sempre allo stesso scopo trasmettere pensieri siano questi pensieri intorno a case, a dolori, al bene e al male, o a qualunque altra cosa (PU I 304).

Il linguaggio non soltanto un mezzo di comunicazione (Z 329), ma il luogo in cui i pensieri e le emozioni prendono forma. In tal senso, un gioco linguistico unattivit, una forma di prassi in cui appaiono (si manifestano) la gioia, la tristezza, la paura, la speranza e cos via.

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EMANUELE FADDA Sentire ci che giusto. Emozioni, sentimenti e valori nel pragmatismo di Peirce, Mead e Morris1

In questo breve testo vorrei proporre almeno le linee di una considerazione generale del legame tra emozioni, sentimenti e valori in alcuni autori del pragmatismo americano classico2 e nella semiotica di Charles Morris. Lintento, ovviamente, non quello di scrivere un capitoletto seppur minimo della storia di questo movimento (o di una pi generale storia delle idee), quanto semmai di proporre alcune riflessioni su quale sia la vera natura di alcune tendenze, classificate come irrazionaliste, proprie di tale movimento, e sul legame che intercorre tra questa matrice irrazionalista e gli esiti semiotici che diversi esponenti del pragmatismo hanno voluto dare al proprio pensiero. Cercher dunque quello di mostrare come lattenzione ai temi della moderna semiotica, in questi autori, non si possa disgiungere dalla peculiare forma di etica che almeno in certi aspetti molto generali li accomuna. 1. Linfluenza di Emerson e del trascendentalismo3 I rapporti tra trascendentalismo4 e pragmatismo le due pi antiche correnti filosofiche americane sono noti da tempo, ma la storiografia li ha spesso passati sotto silenzio, anche per sottrarre il pragmatismo dallaccusa di irrazionalismo (che aveva colpito soprattutto e non senza qualche ragione il pensiero di James) e per cercare di accentuare in qualche modo
1 Larticolo costituisce la rielaborazione di una relazione con lo stesso titolo, tenuta nellambito del seminario dottorale del Dipartimento di filosofia dellUniversit della Calabria il 13 giugno 2007. Ringrazio Anna Maria Nieddu per avermi messo a disposizione materiale ancora non pubblicato allepoca del seminario. 2 Sul pragmatismo che potremmo chiamare classico (circoscritto, dunque, alle figure di Peirce, James, Dewey e Mead) cf., tra gli altri, SINI (1972) e CALCATERRA (2003). 3 Per il contenuto di questo paragrafo e non solo sono debitore verso NIEDDU (2006). 4 Si tratta di una variegata corrente di pensiero, che riunisce filosofi (e in primis R.W. Emerson), ma anche letterati, come Thoureau, Whitman e Melville. Sul trascendentalismo in generale cf. MATHIESSEN (1954).

Bollettino filosofico 24 (2008): 118-127

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gli elementi di continuit tra il pragmatismo classico e il neopragmatismo5. Solo ultimamente i legami tra il pensiero di Emerson e quello dei primi pragmatisti sono stati sottolineati e posti nella giusta luce6. Non si tratta certo di una vera e propria filiazione ma piuttosto, nei termini di Nieddu (2006, p. 302), di una consapevole appropriazione selettiva di alcuni motivi emersoniani da parte di alcuni pragmatisti soprattutto James e Dewey. Ma linfluenza di questa peculiare forma di pensiero, di questa filosofia non filosofica7, si riverbera anche sul pensiero degli autori di cui mi occuper, in particolare per quanto riguarda i due punti seguenti: a) Attenzione a sentimenti, emozioni e valori. Il carattere originariamente non-filosofico del trascendentalismo, che erge a fonte di valori anzitutto la letteratura8, in ragione della compartecipazione simpatetica e compassionevole esercitata dallimmaginazione poetica (NIEDDU 2006, p. 303) e della capacit di accogliere ragioni immaginative e sentimentali (ibidem, p. 302) accanto e oltre alle ragioni razionali, si ritrova in molti appelli allimportanza dei valori del bello, del buono e del giusto come fonte dei valori logicorazionali, non solo nellirrazionalista James, ma anche in Peirce, Mead e Morris. b) Attenzione alla creativit individuale. Se le caratteristiche del trascendentalismo enfatizzavano soprattutto il ruolo della creazione estetica e letteraria, i pragmatisti in genere ma soprattutto Mead9 universalizzano
5 Il quale, per (soprattutto nella versione di Rorty), pi facilmente inquadrabile nel contesto della cosiddetta svolta post-analitica, che vede protagonisti personaggi come Quine, Davidson e Putnam. Il neopragmatismo sarebbe dunque maggiormente debitore della filosofia analitica che del pragmatismo classico: su questidea cf. in prima istanza NIEDDU (2006, pp. 293 sgg. n. 2) e la bibliografia ivi citata. 6 Cf. p.es. WEST (1989). Lopera di West mira a definire i connotati di unoriginale identit americana in senso culturale e sociopolitico, analizzandola nella sua genesi. Gli esordi della filosofia americana sono dunque analizzati in parallelo con la nascita di una nazione di nazioni, povera di patrimonio storico, a paragone con gli Stati della vecchia Europa, e per ci stesso vogliosa di differenziarsi attraverso caratteristiche peculiari e inconfondibili. 7 Cf. CAVELL (2003). La strategia di questo autore quella di accentuare le distinzioni tra i due movimenti, ma proprio le distinzioni da lui presentate permettono di vedere, per contrasto, gli elementi di continuit. 8 Si veda p.es. il seguente passo di WHITMAN (1867, pp. 37 sgg.): Pu accadere che un singolo pensiero nuovo, una creazione della fantasia, un principio astratto o anche uno stile letterario () causi a tempo debito cambiamenti, crescite, rimozioni pi vaste che non la pi lunga e sanguinosa delle guerre, o il pi stupendo rivolgimento puramente politico, dinastico o commerciale. 9 Cf. ad esempio il seguente passo di MEAD (1934: 214): Questi valori [scilicet i valori della creativit] non sono peculiari allartista, allinventore, al ricercatore scientifico, ma

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questidea, rimarcando il ruolo della parole individuale (per usare una espressione saussuriana) nelle istituzioni in genere10. Questi due aspetti come vedremo saranno recepiti da Peirce, Mead e Morris. Le differenze dapproccio (e, talvolta, di spessore) tra questi autori non devono per occultare la matrice comune, che ha dei debiti verso il trascendentalismo, anche se non pu essere semplicemente ridotta ad esso. 2. Le scienze normative in Peirce Lapproccio di Peirce al tema dei valori incentrato intorno al tema delle scienze normative, le quali occupano il posto centrale nella classificazione delle scienze operata da Peirce nel 1903 (cf. PRONI 1990, p. 220 sgg.): fanno parte della filosofia, che si pone a met tra la matematica vista come fondativa e la idioscopia (la scienza dei particolari, o scienza propriamente detta); inoltre, anche nellambito della filosofia, si pongono a met tra la fenomenologia (o dottrina delle categorie) e la metafisica. Dunque, se esse non assumono un ruolo propriamente fondativo, il loro valore comunque fondamentale e poco importa che il filosofo americano confessi candidamente la propria ignoranza in materia. Peirce, che dedica loro una delle sue Harvard Lectures11, cos le definisce:
La scienza normativa comprende tre divisioni, ampiamente distinte: estetica, etica, logica. Lestetica la scienza degli ideali, o di ci che oggettivamente ammirevole senza alcuna ulteriore ragione. () Letica, o scienza del giusto e dello sbagliato, deve appellarsi allestetica per essere aiutata nel determinare il summum bonum. E la teoria della condotta autocontrollata, o deliberata. La logica la teoria del pensiero autocontrollato, o deliberato; e, come tale, deve appellarsi alletica e ai suoi principi (CP 1.191).

sono al contempo propri della esperienza di tutti i S nei quali c un Io che risponde al Me. Sul tema della creativit in Mead cf. NIEDDU (2005); sul valore dei termini Io, Me e S nella psicologia sociale di Mead cf. NIEDDU (2005) e FADDA (2006, 3.6.3). 10 Per questo autore, infatti, le istituzioni sono tanto migliori quanto pi riescono ad accogliere le istanze dei singoli. Come scrive NIEDDU (2006, p. 313): Nel discorso filosofico e antropologico di Mead () il ricorso ad artefatti regolativi nellambito della vita sociale sembra porsi fin dai primordi in termini di compensazione nei confronti della ricorrente immaturit organizzativa delle situazioni consolidate, spesso impreparate, o non disposte, ad accogliere la spinta innovativa e creativa delle individualit. Sul rapporto tra creativit individuale e istituzioni democratiche nel trascendentalismo v. anche WHITMAN (1867). 11 The Three Normative Sciences, in PEIRCE (1998, pp. 196-207).

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In questo contesto, il primo aspetto notevole la posizione della logica, che non viene posta come fondamento assoluto del sistema delle scienze ruolo che spetta invece alla matematica, come si gi visto e viene considerata come dipendente dallestetica e dalletica12. Secondo Peirce, lestetica ci dice cosa ammirevole, letica che cosa perseguire, la logica come farlo. Non si pu ragionare, dunque, se si prescinde dal senso estetico e dal senso morale. Insomma, il logico Peirce, colui che aveva criticato il generico appello ai sentimenti di James e Schiller, e per questo era arrivato a dissociarsi dal movimento da lui stesso fondato13, pone la logica sotto legida del bello e del buono come tali! La posizione peirceana, nella sua paradossalit, risulta per giustificata (almeno sotto laspetto della coerenza interna del suo pensiero), se si ponga mente a come la tricotomia delle scienze normative venga ad inquadrarsi nel suo sistema triadico complessivo, a partire dalla dottrina delle categorie inquadramento che pu sintetizzarsi col seguente schema:
1. 2. 3. Primit Secondit Terzit feeling (re)azione rappresentazione ESTETICA ETICA LOGICA

Nella fenomenologia di Peirce, lesperienza ci si mostra sotto forma di primit, secondit e terzit: le primit sono tantissime, e ci si presentano come assolutamente indeterminate; le secondit sono quelle primit che provocano una reazione nella mente, e le terzit sono quelle secondit i cui effetti assurgono a un qualche livello di rappresentazione da parte della mente medesima14. Conseguentemente, come vi sono molte pi primit che secondit, e molte pi secondit che terzit, cos loggetto dellestetica molto pi vasto di quello delletica, che a sua volta molto pi vasto di quello della logica. Ma la vita mentale, ovvero lesperienza, non potrebbe essere descritta senza fare riferimento alle prime due categorie sebbene per descriverle le si debba rappresentare, e terzificare. Questo non inficia, peraltro, il loro carattere originiario, che prerappresentativo, prelogico e presemiotico.
12 Posizione, questa, che si ritrover anche in un pragmatista italiano, come Vailati: cf. p.es. AQUECI (2007, cap.1). 13 Per differenziare anche formalmente il proprio pensiero, egli decise di anche adottare il termine pragmatiCIsmo, un neologismo come egli ebbe a scrivere abbastanza brutto per essere al riparo dai rapitori di bambini (PEIRCE, 2003, p. 402). 14 Su questi argomenti v. almeno FABBRICHESI LEO (1993, 65 sgg.).

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Ecco perch il primato dei sentimenti, delle emozioni e delle reazioni prelogiche non solo non contradditorio con il complesso del pensiero di Peirce, ma costituisce un puntello irrinunciabile della struttura triadicocategoriale della sua filosofia. 3. Mead: lesperienza estetica Lopera di G.H. Mead, autore conosciuto quasi solo per Mente, S e societ e per lutilizzo di questopera compiuto dallinterazionismo simbolico, presenta invece molteplici spunti di interesse, anche per ci che riguarda gli scritti meno noti15. Tra questi ve n uno, The Nature of Aesthetic Experience (MEAD, 1924), particolarmente pertinente riguardo ai temi che mi interessano qui. In questo testo, lo studioso dellUniversit di Chicago affronta i problemi basilari dellestetica a partire da due capisaldi del pragmatismo: la nozione di prassi e quella di esperienza. Il punto di partenza il seguente: per provare lesperienza estetica bisogna sospendere la prassi normale e porsi in un atteggiamento valutativo. Dobbiamo cio passare, nellaccostarci agli oggetti dellesperienza, da una considerazione di tipo pi immediato, in cui vediamo e sentiamo soltanto ci che appare sufficiente alluso e dal riconoscimento passiamo alloperazione (MEAD, 1924, p. 297), a una considerazione di tipo apprezzativo, in cui contempliamo, accettiamo e ci arrestiamo sulle nostre rappresentazioni (ibidem). Quando interrompiamo questo un esempio dellautore la nostra scalata della montagna per fermarci a vedere il panorama, e il sole dietro le cime, ci che vediamo non pi finalizzato al riconoscimento o alluso, ma vincolato a una sensazione di compimento. In questo senso non vi soluzione di continuit tra la contemplazione del bello gi-fatto (p. es. il bello naturale) e la creazione del bello ex novo: chi capace di godere del bello comunque, in qualche modo, unindividualit creatrice se non di qualche cosa di nuovo, almeno di un modo nuovo, e svincolato dallutilit pratica, di guardare alle vecchie cose. Lesperienza estetica dunque sempre una esperienza di compimento di un atto creativo: in un certo senso sembra suggerirci Mead chi gusta un paesaggio prova un po della gioia che ha avuto Dio nel crearlo16.
Su Mead in generale, cf. in prima istanza NIEDDU (1978) e FADDA (2006, cap. 3 passim). Si potrebbe dire che il ripetersi dellespressione e Dio vide che era cosa buona in Gen. I sottolinea appunto il passaggio dalla dimensione operatoria a quella apprezzativa.
15 16

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Daltra parte, la dimensione estetica ed etica, per questo autore, sono fortemente connesse. I valori, come tali, sono insieme estetici ed etici. Si legga ad esempio il seguente passaggio:
Quando un individuo arresta il suo comune lavoro e i suoi sforzi per avvertire la solidariet da parte dei suoi colleghi, la lealt dei suoi sostenitori, la risposta del suo pubblico, per gustare la comunione di vita nella famiglia, nella professione, nel partito, nella chiesa, o nel paese, per assaporare alla maniera di Whitman gli aspetti comuni dellesistenza, il suo atteggiamento estetico. (MEAD, 1924, p. 297 sg.; trad. A.M. Nieddu)

Se latteggiamento qui descritto quello esteticoapprezzativo, i valori in gioco sono di natura etica. E non a caso cf. supra 1 il nome di Whitman viene citato in questo contesto, in cui gli aspetti pi comuni dellesperienza, visti in una dimensione estetica (come saprebbe esprimerli, ad esempio, un poeta), acquistano una rilevanza etica, sociale e politica. 4. Dalla teoria dellazione di Mead alla semiotica di Morris Charles Morris noto ai pi come uno dei fondatori della semiotica moderna17, ma egli fu anche un continuatore cosciente del pragmatismo. Allievo di Mead, egli fu tra i primi a riconoscere (cf. MORRIS 1938b e 1970) laffinit tra questi e Peirce, e la comune cifra semiotica al di l delle intenzioni e delle denominazioni adottate del pensiero dei due. Per questo, anche se la sua statura sembra indubbiamente inferiore a quella dei suoi maestri, il suo pensiero (che parte da Mead per arrivare in qualche modo a Peirce) risulta interessante ai nostri fini. Le due opere di Morris pi conosciute dai semiologi sono Foundations of a Theory of Signs, del 1938, e Signs, Language, and Behaviour, del 1948. Nel passaggio dalluna allaltra, lautore opera un deciso cambiamento di prospettiva adottando una forma di comportamentismo abbastanza radicale, che fece storcere il naso a non pochi suoi allievi, tra i quali Sebeok ma lascia invece inalterato un aspetto fondamentale: a una teoria unitaria dellazione, come era quella di Mead, egli oppone una dicotomia tra teoria dei
probabile che lo stesso Mead pensasse a questo esempio: infatti egli univa alla componente religiosa tipica del pensiero di tutti i pragmatisti il fatto d'essere figlio di un pastore battista. 17 Soprattutto due schemi sono passati nella vulgata della disciplina: si tratta della tricotomia sintattica-semantica-pragmatica (cf. MORRIS, 1938), e della cosiddetta quintupla di Morris (cf. MORRIS, 1946).

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segni e teoria dei valori, trattate separatemente (e spesso in lavori differenti)18. Un tentativo di riunificazione si avr solo con Signification and significance, del 1964. Il punto di partenza, ancora una volta, Mead, e precisamente la distinzione tra le tre dimensioni dellazione presentata in Mead (1938). Ad ognuna di esse Morris associa una dimensione semioticosemantica ed una assiologica, secondo il seguente schema:
AZIONE Percettiva Manipolativa Compitiva SIGNIFICAZIONE Designativa Prescrittiva Apprezzativa VALORE Distacco Dominio Dipendenza

Questa tricotomia forse in qualche modo associabile a quella peirceana sopra ricordata (anche se vista allinverso, con la scienza al primo posto, letica al secondo, e lestetica alla sommit); ma in questa sede non mi interessa se non mostrare come non solo i valori siano messi in primo piano, ma essi siano inoltre legati a doppio filo ai segni e alla prassi. Questo nesso, esplicito nellultimo Morris, si pu per mettere in luce anche negli altri autori citati, come vedremo. 5. Conclusioni: il pragmatismo tra segni e valori Il nostro breve giro di orizzonte ci ha portato a evidenziare alcuni caratteri che sembrano propri dellapproccio di tutto il pragmatismo (o almeno degli autori qui considerati) al tema dei valori, e che si possono schematizzare come segue: 1. Tutti gli autori considerati pongono una forte enfasi sui valori, e sul loro carattere sociale. 2. Per tutti e tre lestetica primariamente (e coerentemente con limpianto pragmatista) una modalit dellesperienza, come mostrano esemplarmente la relazione tra fenomenologia e scienze normative in Peirce, e il concetto di esperienza estetica in Mead. 3. Infine, la contiguit tra etica ed estetica testimoniata tanto dallimpianto delle scienze normative in Peirce, che dalla sostanziale unit della dimensione assiologica in Mead e Morris.

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Su questi aspetti cf. PETRILLI (2000).

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Ma il ruolo di una tale dimensione valoriale eticoestetica non pienamente comprensibile se non sullo sfondo di ci che non valore, ovvero la prassi quotidiana come orizzonte di senso gi dato anche se sempre fallibile e rivedibile mediante habit-changing (Peirce) o role-taking (Mead) e non in questione, quel come si fa che lambiente in cui ci muoviamo senza farci troppe domande. In particolare, non usiamo chiederci da che cosa si origini il nostro fare, n dove tende, eppure lorigine e il fine del nostro fare sono in qualche modo rintracciabili, e possono essere chiamati in causa, alloccorrenza. E il pragmatismo, come metodo filosofico, segue un percorso in qualche modo analogo a quello del singolo individuo: in generale, infatti, esso si concentra sulla natura logico-operatoria dellazione (ovvero la relazione mezzofine) e pone i valori (etici ed estetici) come laltro dallazione in s. In questo contesto, la dimensione valoriale, e in generale valutativa, posta o prima dellazione (Peirce) o dopo lazione stessa (Mead e Morris). In tutti questi casi, per, i valori estetici ed etici si pongono come regola dellazione. Se da una parte lenfasi posta sullazione in s, dallaltra fondamentali sono non solo i come, ma i perch dellazione stessa e quei perch, sono valori. La domanda allora la seguente: se i valori giustificano lazione, cosa giustifica i valori? La loro giustificazione eminentemente sociale: ammirevole ci che comune. Ci che trova il consenso di molti (e potenzialmente, di tutti) un valore. Ma ogni valore nasce sempre come qualcosa di indeterminato e individuale. Per questo non c nessuno iato, e nessun ponte da gettare tra la dimensione sociale, conservativa, e quella individuale, creativa, in quanto lintersoggettivit originaria le ricomprende entrambe: la creazione individuale gi in potenza regola sociale, e la regola socializzata e istituzionalizzata porta in s memoria dellintuizione innovativa del singolo. In conclusione, il carattere sociale dei valori (e la loro comunicabilit) assunto dai nostri autori come punto di partenza e di arrivo: da una parte, ogni valore aspira ad essere universale; ma, dallaltra, esso nasce gi sociale, perch condivisibile almeno potenzialmente, sebbene esso non sia allorigine che un sentimento, unemozione un feeling. Ugualmente, lesperienza delluomo descritta dai pragmatisti come maicompletamente individuale, perch inscritta nella costituzione originaria dellintersoggettivit e della mente come dialogo inseausto con le altre menti e con s. Ma questo dialogo tanto quello interno che quello esterno si svolge per

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signa: la semiosi la garanzia del rapporto degli uomini con s, con gli altri, e con il loro ambiente. La semiosi ugualmente lunico modo per definire gli oggetti, che non preesistono alle relazioni e che sono dunque sempre per riprendere la locuzione di Mead oggetti sociali. Insomma, tanto per Peirce, quanto per Mead e Morris, non ci sono che relazioni, e non ci sono che relazioni semiotiche. Limportanza primaria assegnata al sentire, al fare e al credere, poggia su un impianto in cui la comunicazione e la socialit, non sono tanto il fine da raggiungere (se non sotto la forma piena delluniversalit), quanto la situazione gi-sempre-data che definisce la natura umana (e la natura in generale). Ecco perch il nucleo del pragmatismo porta in s unistanza semiotica ineliminabile.
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MIRELLA FORTINO Scienza ed emozioni. Bellezza, invenzione, scoperta e verit nella scienza

Noi conosciamo la verit non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore (PASCAL, Pensieri)

1. Introduzione
Chi [] abbia goduto di una lunga visione [delle Idee] lass [nellIperuranio] quando scorga un volto dapparenza divina, o una qualche forma corporea che ben riproduca la bellezza, subito rabbrividisce e lo colgono di quegli smarrimenti di allora, e poi rimirando questa bellezza la venera come divina1.

Nelle splendide pagine del Fedro Platone scriveva, come mostra questo brano, che lanima quando si trovava al seguito di un dio nella regione superceleste ha contemplato lIdea della Bellezza, che splendeva di vera luce [] fra quelle essenze2. La contemplazione della bellezza sensibile perci platonicamente occasione che d allanima ali, elevandola alla estatica contemplazione, con la reminiscenza, di quelle essenze, vale a dire dellEssere vero, immutabile e perfetto, dellEssere delle Idee coincidenti con il divino o Assoluto. Ed elevando lo sguardo dalle cose sensibili verso lEssere vero, lanima colta da un brivido, da un delirio, da un rapimento divino a tal punto che in tale condizione afferma Platone nel Fedro uno rischia di apparire uscito di senno. La contemplazione del Bello intelligibile, a partire dal bello sensibile, dunque per lanima fonte di emozioni. Nella dottrina greca il Bello ( ) richiama concetti molteplici: ordine, bene, eros e vero. Tra Bello, Bene e Verit, che sono le caratteristiche dellEssere perfetto nella filosofia del mondo antico, sistituisce un legame etico e conoscitivo. E non deve stupire vedere che queste essenze sono invocate anche nellopera di illustri scienziati tra il secolo XIX ed il secolo XX, sebbene in tali opere sia sovente bandita la ricerca della Verit assoluta
1 2

PLATONE, Fedro, in Opere, Laterza, Roma-Bari 1984, vol. 3, 251a, p. 243. Ibid.

Bollettino filosofico 24 (2008): 128-145

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a vantaggio di un sapere che, spesso sicuramente deontologizzato a favore di nozioni relazionali, tuttavia vanta come diremo prerogative di natura teoretica. Particolarmente avvezzi a concepire il sapere scientifico come il dominio di verit rigorose e, soprattutto nellambito delle Matematiche, come discorso che riposa su proposizioni evidenti derivanti con necessit assoluta da assiomi e postulati, proposizioni che incatenerebbero addirittura la mente del Creatore, o nelle scienze empiriche da premesse implicanti conseguenze parimenti necessitanti, quasi tutti a dire il vero sono assai poco inclini a riconoscere nella scienza una funzione conoscitiva a facolt alogiche, ad esempio al sentimento, alle emozioni, ai poteri dellinconscio imposti dai movimenti dello spirito, poteri che sono relegati quindi nellambito di ci che non oggettivo ma soggettivo e mutevole. Studiando la storia del pensiero scientifico accade tuttavia di scoprire confidenze autobiografiche di uomini di genio i quali, con il riconoscimento del ruolo essenziale esercitato dalle emozioni, dalla sfera dellinconscio nel loro quotidiano lavoro dindagine, confutano senza esitazione la rassicurante esclusione di ogni psicologismo, sancita in nome dei poteri logici, dal campo della conoscenza scientifica. La storia della scienza rappresenta lo scenario in cui possibile vedere che il processo che conduce a scoperte e invenzioni importanti non di rado non si assoggetta a regole precise, mentre queste regole precise tuttavia indubbiamente si rivendicano in un successivo momento, quello del controllo di tali invenzioni e scoperte. Unepistemologia intesa in senso ampio, vale a dire che non precluda, contemporaneamente allo studio critico dei principi e del valore della scienza, lesplorazione della dimensione psicologica dellinvestigazione scientifica, ci svela il ruolo dei valori estetici, delle emozioni, della sfera dellinconscio, che spesso non sono disgiunti dai valori teoretici nella genesi dei saperi3. Si vedr che i momenti dellinvenzione e della scoperta sono quelli in cui le emozioni rappresentano una deroga allo spirito di analisi il quale, pur perdendo priorit nella genesi del processo conoscitivo, non si
3 A. LALANDE, Vocabulaire technique et critique de la philosophie, PUF, Paris, 1926 19933, p. 264: Il me semble quen distinguant lEpistmologie de la Thorie de la con-

naissance, il serait bon dlargir par un autre ct le sens du premier terme, de manire y comprendre mme la psychologie des sciences: car ltude de leur dveloppement rel ne peut sans dommage tre separe de leur critique logique, surtout en ce qui concerne les sciences ayant le plus de contenu concret; et, mme pour les mathmatiques, on est amen en tenir compte ds quon sort de la pure logistique.

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rivela gnoseologicamente secondario. Se le immediate illuminazioni della mente svolgono un ruolo positivo a queste infatti deve seguire unattenta sistemazione logica. I riferimenti ad alcuni momenti della storia filosofica della scienza nelle pagine seguenti sono volti a mostrare questo duplice valore, intuitivo e logico, del processo conoscitivo concepito sul piano psicologico. Della fecondit di questo duplice valore si mostra una vivissima consapevolezza specialmente nella cultura filosofico-scientifica francese allinizio del secolo XX proprio mentre nei caff di Vienna le discussioni di un gruppo di studenti preludono alla formazione del Wiener Kreis, di quel nuovo positivismo che, sebbene erede ed interprete della filosofia positiva fondata ed esaltata da Auguste Comte nel Cours de philosophie positive e nel Discours de philosophie positive, da essa si distingue in quanto, mentre dilagano il nazionalismo e lirrazionalismo nei primi lustri del 900, una nuova temperie culturale sollecita ad applicare, immediatamente dopo il primo conflitto mondiale, lanalisi logica al discorso scientifico, nel tentativo di espungere rigorosamente dal dominio della scienza tanto le idee metafisiche, reputate prive di significanza, quanto i pregiudizi e le nozioni a priori4. 2. Invenzione, linguaggio e verit nelle matematiche Nella storia del pensiero scientifico tra Ottocento e Novecento si scopre che tra razionalit ed intuizione non si pone una vera antitesi e che la soggettivit va rivendicando diritti che la filosofia del positivismo aveva mortificato ingiustamente. Nel cercare di far luce sullidea di convenzione che tra Ottocento e Novecento caratterizza la riflessione critica sui fondamenti delle scienze si impegnati a scoprire la scaturigine di questidea che sembra talvolta complice del nominalismo e del relativismo e della deriva
4 H. HAHN, O. NEURATH, R. CARNAP, Wissenschaftliche der Weltauffassung. Der Wienen Kreis (1929), trad. it. La concezione scientifica del mondo. Il Circolo di Vienna, Roma-Bari, Laterza, 1979. In questo scritto che costituisce il Manifesto del Circolo di Vienna leggiamo: Lintuizione, rivendicata in special modo dai metafisici come fonte di cognizioni, non viene generalmente respinta dalla concezione scientifica del mondo; ma, per ciascuna conoscenza intuitiva, si richiede, passo dopo passo, una giustificazione razionale ulteriore. legittimo cercare con ogni mezzo; tuttavia, ci che viene trovato deve reggere al controllo. Segue, quindi, il rifiuto della dottrina che vede nellintuizione un processo conoscitivo superiore, pi acuto e profondo, capace di oltrepassare i dati dellesperienza, prescindendo dagli stretti vincoli del pensiero concettuale (pp. 79-80).

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dispirazione scettica della riflessione sul potere e il valore della scienza. Nella patria di Descartes e di Pascal, i poteri dellintuizione non si lasciano intimidire da quel nascente logicismo destinato a registrare consensi ed innegabili successi. Un riconoscimento paradigmatico di questi poteri possiamo scoprirlo in Science et mthode. Nel capitolo intitolato Linvention mathmatique, testo di una Conferenza tenuta a Parigi il 23 maggio 1908, allInstitut gnral psychologique, Poincar ha cura di svelarci limportanza della dimensione inconscia della soggettivit nel processo dellinvenzione matematica5. Tale importanza non dovrebbe sorprendere molto soprattutto laddove si consideri la forte e dichiarata avversione di Poincar al logicismo, di cui tra Ottocento e Novecento i principali rappresentanti, Georg Cantor, Bertrand Russell, Goblot Frege, David Hilbert, Giuseppe Peano, Louis Couturat, manifestano la pretesa di ridurre la matematica a segni, cio alla logica. Si tratta di indagare come apprendiamo in Science et mthode non intorno ad un sicuro istinto o vaga coscienza geometrica, ma di vedere se nella dimostrazione matematica lintuizione, una volta accolti i principi logici, non assolve alcun ruolo6. Il principio dellinduzione completa nellepistemologia di Poincar reputato un vero giudizio sintetico a priori di cui rivendicata senza alcuna esitazione una certezza intuitiva. Lirrsistible vidence dovuta al fatto che quel giudizio nest que laffirmation de la puissance de lesprit qui se
5 H. POINCARE, Linvention mathmatique, in: Bulletin de lInstitut gnral psychologique, VIII (1908), pp. 175-187; Revue gnrale des sciences pures et appliqu-es, XIX, pp. 521-526; Revue du mois, VI, pp. 9-21; Lenseignement mathmatique, X, pp. 357-371 ed anche in Science et mthode (1908), trad. it. Scienza e metodo, Torino, Einaudi, 1997, da cui citiamo. interessante vedere che secondo Jacques Hadamard la distinzione tra invenzione e scoperta meno scontata di quanto comunemente si pensi. Non c quasi differenza tra linvenzione del parafulmine da parte di Franklin e la sua scoperta della natura elettrica del fulmine. Per questa ragione, la distinzione sopracitata [fra invenzione e scoperta] non ci riguarda: e, di fatto, le condizioni psicologiche sono identiche per entrambi i casi. J. HADAMARD, The Psychology of Invention in the Mathematical Field (1954), trad. it. La psicologia dellinvenzione in campo matematico, a cura di B. Sassoli, Introd. di G. Giorello, Milano, Cortina, 1993, p. XXIII. 6 H. POINCARE, Science et mthode, trad. it. Scienza e metodo, p. 126. Questo brano tratto dal capitolo primo di Science et mthode, capitolo che riproduce la prefazione di Poincar alla prima edizione americana, del 1907, di La valeur de la science. Si noti che mentre Auguste Comte vedeva nella scienza il mezzo della rigenerazione dellUmanit nel brano riferito vediamo esaltato un piacere estetico che sembra metter capo al godimento interiore del soggetto conoscente. Cf. H. POINCARE, La valeur de la science, Flammarion, Paris

1970; trad. it. Il valore della scienza, a cura di G. Polizzi, Firenze, La Nuova Italia, 1994.

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sait capable de concevoir la rptition indfinie dun mme acte ds que cet acte est une foi possible. Lesprit a de cette puissance une intuition directe7. Si un thorme est vrai pour le nombre 1, si on a dmontr quil est vrai de n + 1, pourvu quil le soit de n, il sera vrai de tous les nombres entiers positifs8. Nel campo dellaritmetica questo lunico caso di giudizio sintetico a priori mentre in campo geometrico, nonostante la nozione di gruppo sia ritenuta in potenza preesistente nello spirito, lidea di convenzione irriducibile ad ogni apriorismo. Qui tuttavia vogliamo riferirci a quanto ci viene confidato nello scritto Linvention mathmatique per la semplice ragione che ci particolarmente importante proprio in relazione alla genesi di quellidea di convenzione che caratterizza non solo lopera filosofico-scientifica di Poincar ma alla fine dellOttocento provoca una rivoluzione concettuale nellinterpretazione filosofica della scienza. Questo scritto sullinvenzione matematica pu gettar luce aggiuntiva su quella genesi. Considerando limpegno di Poincar nel campo delle funzioni si scopre che in questo campo tale impegno annovera la scoperta delle funzioni fuchsiane, scoperta che costituisce, come notava Gaston Darboux nel 1913, il titolo di gloria le plus clatant del matematico francese9. Lidea di convenzione ha una natura linguistica ed legata alla nozione di gruppo, nozione che secondo Poincar a priori. Poincar afferma che nel nostro spirito esiste lidea di vari gruppi. Lesistenza di tali gruppi legittima il pluralismo geometrico nullificando la millenaria presunzione dellunicit della geometria euclidea. Nella filosofia della scienza di Poincar si legittimava lidea della intertraducibilit delle geometrie: ogni geometria pu essere trasformata in unaltra e ci possibile ricorrendo a dizionari appropriati, dunque grazie al linguaggio. Egli difende la tesi secondo cui loggettivit della scienza risiede nelle relazioni fra le cose e tali relazioni possono essere espresse da linguaggi che sono convenzionali, arbitrari e interscambiabili. La scelta di uno dei gruppi preesistenti nello spirito suggerita dallesperienza. Se scegliamo la geometria euclidea sostiene Poincar ci vuol dire che essa
7 H. POINCARE, La science et lhypothse (1902), trad. it. La scienza e lipotesi, a cura di C. Sinigaglia, Milano, Bompiani, 2003, p. 41. 8 Ivi, p. 74. Cf. J.J.A. MOOIJ, La philosophie des mathmatiques de Henri Poincar, Paris/Louvain, Gauthier-Villars, 1966. 9 Cf. G. DARBOUX, Eloge historique dHenri Poincar (1913), in Oeuvres, Paris, GauthierVillars, 1916-1956, t. II, pp. VII-LXXI, qui p. XXV

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(al contrario di quanto mostrer Einstein) la pi adatta alla descrizione del nostro mondo fisico. Ora, negli scritti del geometra francese scopriamo che le funzioni fuchsiane sono quelle funzioni che possono gettar luce sullorigine della tesi convenzionalista e perci rivestono una particolare importanza sia sul piano scientifico sia sul piano filosofico. Esiste infatti un legame fra le funzioni fuchsiane ed il non euclidismo. Le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni fuchsiane scrive Poincar erano identiche a quelle della geometria non euclidea10. Nella Conferenza Linvention mathmatique Poincar non esita a rievocare la genesi psicologica della sua prima memoria sulle funzioni fuchsiane. A tal riguardo egli mostra la fecondit dellio subliminale, anzi il suo ruolo cruciale, nella genesi dei concetti matematici. Vale la pena riportare la pagina in cui illustrata tale genesi psicologica.
Vi racconter soltanto come ho scritto la mia prima memoria sulle funzioni fuchsiane. Vi chiedo di scusarmi se far ricorso ad alcune espressioni tecniche, ma queste non vi devono spaventare, perch non avete nessun bisogno di capirle []. Quel che interessa lo psicologo non il teorema, sono le circostanze. Da quindici giorni mi sforzavo di dimostrare che non poteva esistere nessuna funzione analoga a quelle che ho in seguito denominato funzioni fuchsiane. A quel tempo ero molto ignorante; ogni giorno rimanevo una o due ore seduto a tavolino, provavo un gran numero di combinazioni e non arrivavo a nessun risultato. Una sera, contrariamente alle mie abitudini, bevvi una tazza di caff nero e non riuscii a prendere sonno; le idee scaturivano a ridda, le sentivo quasi cozzare le une con le altre, fino a quando due di esse non si agganciavano, per cos dire, a formare una combinazione stabile. Al mattino, avevo stabilito lesistenza di una classe di funzioni fuchsiane, quelle che derivano dalla serie ipergeometrica. Non mi restava altro da fare che mettere per iscritto i risultati, un lavoro che mi richiese solo poche ore []. In quel periodo partii da Caen, ove allora abitavo, per partecipare a una escursione geologica organizzata dallcole des Mines. Le peripezie del viaggio mi fecero dimenticare i miei lavori matematici; giunti che fummo a Coutances, salimmo in omnibus per non so pi quale gita. Nel momento stesso in cui misi il piede sul predellino, ecco che mi venne lidea, senza che nulla nei miei precedenti pensieri, almeno in apparenza, mi ci avesse predisposto: le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni fuchsiane erano identiche a quelle della geometria non euclidea. Non feci la verifica non ne avrei avuto nemmeno il tempo, giacch, appena seduto, ripresi la conversazione che avevo iniziato in precedenza ma ne fui subito assolutamente certo. Ritornato a Caen, verificai il risultato a mente fresca, per mettermi la coscienza a posto11.
10 11

H. POINCARE, Science et mthode, trad. it. Scienza e metodo, p. 43. Ivi, pp. 42-43.

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Dopo che nel corso dellOttocento hanno visto la luce le geometrie non euclidee, tale scoperta sul piano filosofico condurr alla legittimazione della tesi secondo cui le diverse geometrie non sono altro che linguaggi, convenzioni nominali o meglio non proposizioni ma dfinitions dguises e in quanto tali n vere n false. Tali linguaggi non si escludono reciprocamente poich essi bench arbitrari sono intertraducibili, e quindi logicamente equivalenti se si ha cura di strutturare dizionari adeguati. Tali dizionari non tradiscono ma pongono in rilievo propriet invarianti date dai rapporti che restano costanti nei gruppi di trasformazioni12. La notion des groupes fuchsiens et kleinens tant ainsi fonde, une fonction fuchsienne (ou kleinenne) est celle qui reste invariante par toutes les substitutions dun de ces groupes13. Ora, nello sviluppo delle funzioni fuchsiane la geometria richiesta quella lobacevskijana. Si andava legittimando con linvariantismo quellidea di convenzione che caratterizza la riflessione filosofica di Poincar sui fondamenti della scienza. E ora, la rievocazione della genesi psicologica di tali funzioni mostra tutta limportanza della soggettivit inconscia nella scoperta scientifica. La storia del pensiero scientifico ci mostra diversi esempi di illuminazione improvvisa. Lo stesso carattere di spontaneit improvvisa, scrive Jacques Hadamard, era stato indicato, alcuni anni prima, da un altro grande maestro della scienza contemporanea: Helmholtz ne aveva parlato in un importante discorso. Dopo Helmholtz e Poincar, gli psicologi lo hanno riconosciuto come un tratto comune a tutti i tipi di invenzione14. Reputiamo che non a caso nellepistemologia bachelardiana il razionali12 Cf. H. POINCARE, La science et lhypothse, trad. it. La Scienza e lipotesi, pp. 72-74; inoltre, ID., On the Foundation of Geometry (1898), trad. it. Sui fondamenti della geometria, a cura di U. Sanzo, Brescia, La Scuola, 1990. Cf. inoltre U. BOTTAZZINI, Poincar. Il cervello delle scienze razionali, Le scienze, 7 (1999), pp. 4-13. Sulla convenzionalit della geometria nella concezione di Poincar mi sia permesso il rinvio a M. FORTINO, Convenzione e razionalit scientifica in Henri Poincar, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997 13 J. HADAMARD, Loeuvre mathmatique de Poincar, in Oeuvres de Jacques Hadamard, Paris, Editions du C.N.R.S., 1968, vol. IV, pp. 1921-2005, qui p. 1930. Per quanto riguarda la scoperta delle funzioni fuchsiane ed il contesto in cui essa si situa si rinvia allIntroduzione di U. Sanzo a H. POINCAR, Sui fondamenti della geometria (trad. it. di On the Foundation of Geometry), cit., pp. VII-XII. La corrispondenza tra Fuchs e Poincar (e quella di Poincar con Flix Klein, il cui programma prevedeva luniformazione della geometria) contenuta nel volume XI delle Oeuvres (pp. 13-65) di Poincar. 14 J. HADAMARD, The Psychology of Invention in the Mathematical Field; trad. it. La psicologia dellinvenzione, p. 14. Cf. S.A. PAPERT, Linconscio matematico, in J. WECHSLER (ed.), On Aesthetics in Science (1982); trad. it. Lestetica nella scienza, Roma, Editori Riuniti, pp. 127-145.

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smo si alimenter di quei valori surrazionali che trovano una loro fonte primaria nella creativit e nellimmaginazione del soggetto conoscente. Nelle pagine di ouverture di Lengagement rationaliste, Bachelard esalta la dialettizzazione degli spiriti impostasi con la nascita delle nuove geometrie immaginarie.
Dal giorno in cui ha dialettizzato la nozione di parallela, Lobacevskij egli scrive ha invitato lo spirito umano a completare dialetticamente le nozioni fondamentali. Una mobilit essenziale, uneffervescenza psichica, una gioia spirituale si sono trovate associate allattivit della ragione. Lobacevskij ha creato lumore geometrico applicando lesprit de finesse allo spirito geometrico; ha promosso la ragione polemica al rango di ragione costituente; ha fondato la libert della ragione nei riguardi di se stessa allentando lapplicazione del principio di non contraddizione. Sfortunatamente non si mai fatto un uso positivo, reale, surrealista di questa libert che potrebbe rinnovare tutte le nozioni completandole dialetticamente. Sono arrivati i logici e i formalisti. E invece di realizzare, di surrealizzare la libert razionale che lo spirito sperimentava in tali dialettiche precise e frammentarie, hanno al contrario derealizzato, depsicologizzato la nuova conquista spirituale. Ahim! Dopo questatto di formalizzazione vuota di tutto il pensiero, dopo questo accanito bisogno di sotto-realismo, lo spirito non diventato pi vivace e vigile, ma pi lento e disincantato15.

In questo brano di Lengagement rationaliste scopriamo che per Bachelard, difensore in sede epistemologica dei valori di ragione, fra ragione ed emozioni, non vi dunque estraneit ma complicit. Bachelard se col surrazionalismo, con la dialettizzazione della ragione certamente non intendeva indulgere al mero estetismo, ma rivelava unantropologia della ragione, si potrebbe dire diversamente delle seguenti affermazioni contenute in Science et mthode, vale a dire chesse indulgono ad un mero estetismo? In Science et mthode vediamo che la sensibilit svolge un importante ruolo dal momento che
i fenomeni inconsci privilegiati quelli suscettibili di divenire coscienti sono quelli che, direttamente o indirettamente, impressionano in maniera pi profonda la nostra sensibilit. Pu forse destare meraviglia il fatto di invocare la sensibilit a proposito di dimostrazioni matematiche che, a quel che sembra, possono avere a che fare solo con lintelligenza. Ma ci signi15 G. BACHELARD, Lengagement razionaliste (1972), Lengagement rationaliste; trad. it. Limpegno razionalista, a cura di F. Bonicalzi, Prefazione di G. Canguilhem, Milano, Jaca Book, 2003, p. 27.

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ficherebbe dimenticare il senso della bellezza matematica, dellarmonia dei numeri e delle forme, delleleganza geometrica: un vero e proprio senso estetico che tutti i veri matematici ben conoscono. E tutto questo appunto sensibilit16.

Individuando gli enti matematici privilegiati ci si accorge anche del fecondo gioco fra sensibilit ed attivit della mente quando leggiamo:
Orbene, quali sono gli enti matematici cui si attribuiscono queste caratteristiche di bellezza e di eleganza, e che sono capaci di suscitare in noi una sorta di emozione estetica? Sono quelli i cui elementi sono disposti armoniosamente, in modo che la mente riesca a coglierne senza sforzo linsieme senza, con questo, lasciarsi sfuggire nessun dettaglio. Questa armonia soddisfa alle nostre esigenze estetiche e costituisce un aiuto per la mente, della quale sostegno e guida; e nello stesso tempo, mettendoci sotto gli occhi un tutto ben ordinato, ci fa presagire una legge matematica17.

Armonia, bellezza ed eleganza non possono dirsi criteri meramente estetici se vero che larmonia ci fa presagire una legge matematica. Facendoci presagire una legge matematica larmonia possibilit di scoperta, ed ha implicazioni indubbiamente teoretiche. Se ci si riferisce ad una sorta di vis divinatoria, intuitiva, bellezza ed eleganza non si configurano insomma come criteri puramente pragmatici; esse si pongono in funzione della scoperta dei valori di ragione. Inventare scegliere18. Si scelgono, come sostiene Poincar, le combinazioni utili, quelle che sono utili conoscitivamente. Questa scelta, dice Jacques Hadamard, operata in virt di regole fini e delicate19. E tali regole quasi impossibile enunciarle con un linguaggio preciso: esse possono essere sentite pi che formulate20. Tra la dimensione cosciente e quella inconscia non sinstaura tuttavia unantitesi. Fra il conscio e linconscio vi cooperazione piuttosto che subalternit delluno allaltro. Per appena il caso di notare che quanto alla scoperta di Poincar sullomnibus, la sua scoperta preceduta da un atto deliberativo. La scoperta scrive Hadamard parlando dellattivit direttrice del conscio dipende necessariamente dallazione preliminare pi o meno intenPOINCAR, Science et mthode; trad. it. Scienza e metodo, p. 48. Corsivo nostro. Ibid. 18 J. HADAMARD, The Psychology of Invention in the Mathematical Field; trad. it. La psicologia dellinvenzione in campo matematico, p. 28. 19 Ivi, p. 29. 20 Ibid.
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sa della coscienza21. Essa frutto della tensione che caratterizza la ricerca e perci sarebbe davvero inopportuno dire ch dovuta al caso. Nelle Matematiche se invece si considerasse il valore della semplicit si scoprirebbe che questo aiuto per la mente si rivelato ingannevole, fallace, come dimostra la storia della scienza. La geometria euclidea agli occhi di Poincar appariva pi semplice, come un polinomio di primo grado pi semplice di uno di secondo; ma ben osservava Bachelard quando diceva che il progresso dei valori di ragione esige talvolta drastiche rotture: la relativit einsteiniana vedr nella geometria quadridimensionale, e non in quella euclidea, la geometria pi adatta alla descrizione del nostro mondo fisico. Purtuttavia ci non tradisce il fatto che nella tradizione filosofico-scientifica francese, limmaginazione, la rverie, la psicologia della ragione, sono esigenze profonde dello spirito e non possono che testimoniare la persistenza dellindissolubile e antico legame fra filosofia e scienza, in nome di un sapere non riduzionista e di un sapere in divenire, che nella sua storicit, nel suo carattere progressivo segnato anche da brusche rotture epistemologiche, ripone bachelardianamente le ragioni della sua vitalit. 3. Semplicit, bellezza, linguaggio nelle scienze fisiche Fin dalle origini del pensiero filosofico la ricerca dellarch, del principio, ha svelato il ruolo fondante di quellesigenza di ordine e di armonia che con i Pitagorici conduce a riporre nel numero il fondamento della realt. Questesigenza di ordine e di armonia sottesa anche alla scienza moderna. La matematica il linguaggio per esprimere lordine geometrico del mondo. Copernico, Keplero e Galilei sono gli eredi moderni dello spirito pitagorico che nel mondo antico caratterizza inoltre lattivit del Demiurgo platonico che plasma la chora, come si legge nel Timeo, non a caso, ma secondo forma e numero. Il Demiurgo lartefice ottimo che in quanto tale ha inoltre plasmato la chora secondo bellezza. Perci il mondo bello. Nellet moderna Copernico, nella lettera dedicatoria del De revolutionibus orbium coelestium a Paolo III, cercando le ragioni della tesi eliocentrica nel tentativo di emancipare lastronomia dal disordine in cui versava quella a lui precedente, fa dellordine, dellarmonia delluniverso e della certa simmetria delle sue parti ragioni fondamentali dellavventura della ricerca
21

Ivi, p. 38.

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astronomica22. E Keplero, affascinato dallarmonia delle orbite planetarie, e convinto della concordanza fra immagini interiori, nellanima, ed oggetti esterni, alla fine della sua opera sullarmonia delluniverso come ricorda Werner Heisenberg proruppe in un grido di gioia: Ti ringrazio Signore Iddio, nostro Creatore, che mi permetti di vedere la bellezza della tua opera di creazione23. Che una scoperta matematica [...] trovi la sua esatta replica nella natura, mi convince ad affermare che la bellezza ci a cui la mente umana risponde nei suoi recessi pi profondi e segreti. Che la semplicit limpronta del vero e che la bellezza lo splendore della verit24. Cos scrive lastrofisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar. Dunque, si direbbe che pulchritudo splendor veritatis [est]. Nella storia della scienza la scoperta dellordine, dellarmonia e della bellezza una pretesa costante che rivendica un valore ontologico e logico. Il mondo essenzialmente vale a dire ontologicamente armonia di forme e il linguaggio della scienza, con la formulazione di leggi e teorie che nella semplicit pretendono trovare il loro sigillum veri, ha il potere di rispecchiare questa vera (o forse solo presunta) strutturale armonia e di rendere cos intelligibile il mondo fisico. Agli inizi del secolo XX il legame con la tradizione di cui stiamo dicendo molto forte nella concezione di diversi scienziati. Basti pensare, fra gli altri, al fisico e psicofisiologo Ernst Mach, al fisico Pierre Duhem ed a Poincar. Eleganza, semplicit e bellezza nella loro opera diventano canoni metodologici e quasi fine della ricerca perch illuminano la via da seguire nella ricerca ed al tempo stesso sono capaci di appagare lintelligenza e22 Cf. N. COPERNICO, De Revolutionibus orbium coelestium, a cura di A. Koyr, Torino, Einaudi, 1975, p. 17 (trad. it. delled. del 1934). 23 W. HEISENBERG, Schritte ber Grenzen (1971); trad. it. Oltre le frontiere della scienza, Roma, Editori Riuniti, 1984, capitolo su Il significato del bello nelle scienze esatte, pp. 186-199, qui p. 192. Heisenberg fa notare che il fisico atomico di Zurigo Wolfgang Pauli, amico dello psicologo Jung, esprime idee simili a quelle di Keplero. Il fisico svizzero nel far ci si richiama secondo Heisenberg proprio alla definizione di simbolo data da Jung. Ivi, p. 197. Allo stadio preconscio della conoscenza, sostiene Pauli, sono presenti immagini con un forte contenuto emozionale, che non sono pensate, ma sono viste come dei dipinti. Poich queste immagini sono lespressione di una circostanza presentita ma ancora sconosciuta, possono essere chiamate simboliche, in accordo con la definizione di simbolo data da Jung []. Tuttavia si deve stare attenti a trasferire questa conoscenza a priori nella coscienza e metterla in relazione con Idee precise razionalmente formulabili. Ibid. 24 S. CHANDRASEKHAR, Truth and Beauty: Aesthetics and Motivations in Science (1987); trad. it. Verit e bellezza. Le ragioni dellestetica nella scienza, presentazione di M. Hack, Milano, Garzanti, 1990, p. 10.

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sploratrice dello scienziato. Ne La thorie physique: son objet et sa structure Duhem attinge nellopera di Mach lidea di economia di pensiero traducibile in quella nozione di simbolo che caratterizza la sua concezione della teoria fisica non come spiegazione bens come rappresentazione, cio come insieme di segni utili per rendere conto delle apparenze fenomeniche25. In essa le considerazioni di natura estetica si fondono con lintelligibilit teorica del reale.
Partout o lordre rgne, il amne avec lui la beaut; la thorie ne rend donc pas seulement lensemble des lois physiques quelle reprsente plus ais manier, plus commode, plus utile; elle le rend aussi plus beau. Il est impossible de suivre la marche dune des grandes thories de la Physique, de la voir drouler majestueusement, partir des premires hypothses, ses dductions rgulires; de voir ses consquences reprsenter, jusque dans le moindre dtail, une foule de lois exprimentales, sans tre sduit par la beaut dune semblable construction, sans prouver vivement quune telle cration de lesprit humain est vraiment une oeuvre dart26.

Qui si noti che a quei criteri che si definirebbero di natura pragmatica, come lutilit e la comodit27, si aggiunge il valore estetico della teoria assimilata allopera darte. Apertamente in sintonia con le idee di Osiander e Bellarmino, la riflessione di Duhem non pu celare, a differenza del credo pragmatico ed antirealista di questi ultimi, una certa ambivalenza dal momento che ne La thorie physique il criterio di economia coesiste con ammissioni di natura realista. In essa infatti la teoria assimilata ad unopera darte, non una costruzione artificiale ma una classificazione naturale che ha la pretesa di rivelare lordine ontologico del mondo attraverso un continuo processo di approssimazione. Ed il bello quindi, nonostante lostentata simpatia di Duhem per Osiander e Bellarmino, sostenitori dello strumentalismo teorico contro la concezione realista28, anche qui funzione del vero. Parleremo perci di estetica intellettuale della filosofia della scienza duhemiana. Ma colui che allalba del XX secolo meglio sa esprimere la magia della bellezza in termini visibilmente vibranti per Poincar quando
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fisica. Il suo oggetto e la sua struttura, Bologna, Il Mulino, 1978.


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Cf. P. DUHEM, La thorie physique. Son objet et sa structure (19142); trad. it. La teoria

Ivi, p. 31. Usiamo il condizionale perch nella concezione di Duhem, come abbiamo osservato altrove, lutile non finalizzato allazione ma alla conoscenza. Cf. M. FORTINO, Essere, apparire e interpretare. Saggio sul pensiero di Duhem (1861-1916), Milano, Franco Angeli, 2005. 28 Cf. P. DUHEM, Sozein ta phainomena. Essai sur la notion de thorie physique de Platon a Galile, Introduction de P. Brouzeng, Paris, Vrin, 1994, p. 136.

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in Science et mthode leggiamo che


luomo di scienza non studia la natura perch ci utile; la studia perch ci prova gusto, e ci prova gusto perch la natura bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena conoscerla, n varrebbe la pena vivere la nostra vita. Non intendo parlare, naturalmente, di quella bellezza che colpisce i sensi, della bellezza delle apparenze qualitative; non che la disdegni, tuttaltro, ma essa non ha niente a che vedere con la scienza. Intendo invece parlare di quella bellezza pi riposta che deriva dallordine armonioso delle parti, e che pu essere colta dalla pura intelligenza. [...]. La bellezza intellettuale [...] basta a se stessa, e forse pi che per il bene futuro dellumanit, per essa che luomo di scienza si assoggetta a dure e lunghe fatiche. dunque la ricerca di questa bellezza speciale, il senso dellarmonia del mondo, che ci inducono a scegliere i fatti che sono pi adatti a contribuire a questa armonia, cos come lartista sceglie, fra i lineamenti del suo modello, quelli che completano il ritratto e gli danno vita e carattere. E non si deve temere che questa preoccupazione istintiva e inconfessata possa sviare lo scienziato dalla ricerca della verit29.

In questo lungo brano del primo capitolo di Science et mthode, la bellezza si configura come armonia delle parti di un tutto ed sintesi essenzialmente di tre valenze diverse, teoretiche, estetiche ed etiche, indisgiungibili. Queste valenze esprimono una mera Weltanschauung? Oppure possiamo reputarle elementi costitutivi del divenire della scienza, anzi del divenire filosofico della scienza? In questo capitolo che nel 1907 ha costituito la prefazione, col titolo The choice of facts, della prima edizione americana dellopera del 1905, La valeur de la science (tale prefazione con il medesimo titolo pubblicata in The Monist nel 1909), sotto le molteplici metafore sono ben visibili categorie interpretative della proposta convenzionalista che, di contro alle interpretazioni fuorvianti cui essa andata incontro, non indulgono allutilitarismo e al pragmatismo. Tali categorie nel discorso di Poincar si rivelano invece complici dellintellettualismo. Il classico antagonismo fra sensibilit ed intelletto in questo discorso infatti si risolve a favore del privilegio conoscitivo del secondo (anche se nellepistemologia dello scienziato francese i sensi assolvono un ruolo fondamentale). Tale precisazione molto significativa dal momento che la proposta convenzionalista di Poincar stata di contro spesso intesa, in ragione soprattutto dellinterpretazione nominalista del filosofo bergsoniano douard Le Roy, come espressione del nominalismo, del pragmatismo e dellantiintellettualismo dilaganti allinizio del 900, anzi come una specie di romantisme utilitaire.
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H. POINCARE, Science et mthode, trad. it. Scienza e metodo, p. 15.

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Positivisticamente impegnata a negare nel dominio della scienza cause nascoste e la natura intima, cio lessenza, dei fenomeni, lopera epistemologica di Poincar si situa tra realismo ed antirealismo. Se in Duhem il realismo dai critici a volte inteso come espressione della filosofia di un fisico credente, nella concezione di Poincar, le ragioni estetiche in linea con unesigenza realista sono piuttosto scevre, ma non completamente emancipate, da presupposti di natura ontologica. Basti pensare al principio della semplicit. La semplicit talvolta reale ma talvolta essa , come mostra la teoria cinetica dei gas, soltanto apparente. Si nous tudions lhistoire de la science, nous voyons se produire deux phnomnes pour ainsi dire inverses: tantt cest la simplicit qui se cache sous des apparences complexes, tantt cest au contraire la simplicit qui est apparente et qui dissimule des ralits extrmement compliques30. Se la semplicit non reale essa una mera credenza: il nest pas sr que la nature soit simple. Pouvons-nous sans ranger faire comme si elle ltait?31. Tale disincanto non si afferma tuttavia senza un non indifferente coinvolgimento dello spirito, che ha la sua pi celata origine in unesigenza cartesiana, fondata sullevidenza intuitiva, che nel secolo XX sar destinata a dissolversi ne Le nouvel esprit scientifique dellepistemologia non cartesiana di Bachelard. Fortunatamente la storia della scienza ha regole intrinseche al suo stesso divenire, quindi avverse ad ogni dover essere: vera o presunta che fosse la pretesa copernicana di ordine davanti alla confusione dellastronomia precedente subordinata al modello esplicativo basato su eccentrici ed epicicli, pretesa sorretta dal postulato metafisico, di origine platonica, della semplicit, lipotesi copernicana attendeva che il genio di Galilei provasse la verit dellipotesi realista dellastronomo polacco. In ogni caso la ricerca della semplicit nella dottrina convenzionalista metodologicamente criterio che guida le scelte teoriche e meta della ricerca. Se la semplicit invocata come criterio metodologico assume il carattere di unescogitazione meramente pragmatica, dal momento che tale criterio si rivela a ben vedere arbitrario32, cosa dire invece di quelle analogie a volte nascoste che lintelligenza indovina? e che permettono di presagire lintelligibilit del reale? Tale intellezione possibile grazie al linguaggio matematico il quale, preludendo alla scoperta, fa tuttuno con larte ed quindi anchesso fonte di emozione.
H. POINCARE, La science et lhypothse, cit., p. 162. Ivi, p. 161. 32 Sul carattere arbitrario del criterio della semplicit si veda C.G. HEMPEL, Philosophy of Natural Science (1966); trad. it. Filosofia delle scienze naturali, a cura di A. Pasquinelli, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 67-74.
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Ne La valeur de la science, del 1905, ancor prima del riconoscimento degli straordinari poteri dellinconscio relativamente allinvenzione matematica di cui si parla in Science et mthode, Poincar fa interagire logica ed emozioni quando riconosce che le matematiche vantano un triplice fine: consentono di studiare la natura ed inoltre vantano un fine filosofico ed un fine estetico. Riferendosi ad esse il sentimento estetico congiunto alla scoperta di nuove prospettive scientifiche:
Et sourtout leurs adeptes y trouvent [nelle matematiche] des jouissances analogues celles que donnent la peinture et la musique. Ils admirent la dlicate harmonie des nombres et des formes; ils smerveillent quand une dcouverte nouvelle leur ouvre une perspective inattendue; et la joie quils prouvent ainsi na-t-elle pas le caractre esthtique, bien que les sens ny prennent aucune part? Peu de privilgis sont appels la goter pleinement, cela est vrai, mais nest-ce pas ce qui arrive pour les arts les plus nobles?33

Lo stretto legame fra fisica e matematica, legame caratterizzato dalla reciproca penetrazione, istituito specialmente in virt della lingua che le matematiche offrono alla fisica. E grazie alla lingua si attua un progresso di pensiero. Storicamente ci infatti ad esempio visibile nel passaggio dal calore, indicante erroneamente una sostanza indistruttibile (perch il calore era un sostantivo) allelettricit. Accade dunque benissimo che lestetica linguistica si traduca in un progresso della ragione scientifica.
Eh bien, pour poursuivre la comparaison, les crivains qui embellissent une langue, qui la traitent comme un objet dart, en font en mme temps un instrument plus souple, plus apte rendre les nuances de la pense. On comprend alors comment lanalyste, qui poursuit un but purement esthtique, contribue par cela mme crer une langue plus propre satisfaire le physicien34.

E i cambiamenti linguistici sono forieri di cambiamenti teorici, quindi preludio di verit in particolare grazie a generalizzazioni insospettabili. Ci accaduto nel passaggio dalla legge di Keplero a quella di Newton da cui dedotta tutta la meccanica celeste. Fra fenomeni apparentemente senza rapporto si scorge invece un legame. Ci grazie allo spirito matematico, allanalisi che nous a appris connatre les analogies vritables, profondes, celles que les yeux ne voient pas et que la raison devine35. Lo spirito maH. POINCARE, La valeur de la science, cit., p. 104. Ivi, p. 105. 35 Sulle analogie nella scienza cf. C.G. HEMPEL, Aspect of Scientific Explanation (1965); trad. it. Aspetti della spiegazione scientifica, Milano, Il Saggiatore, 1987, capitolo su Modelli e analogie nella spiegazione scientifica, pp. 161-176.
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tematico dunque ricco di una vis divinatoria che per il fisico preziosa. Nella concezione convenzionalista le lingue, assimilate qui ad un oggetto darte, non sono allora teoricamente equivalenti, nonostante questa concezione abbia sancito larbitrariet dei linguaggi concepiti come mezzi di espressione per esprimere i rapporti veri tra le cose. Cos scopriamo che se il matematico lavora da artista, preoccupandosi al pari dello scrittore, delle nuances de la pense, pu rendere importanti servizi alla fisica. Daltronde non vero che fin dal 1892 Duhem sosteneva, nel difendere la tesi della sottodeterminazione teorica, del pluralismo teorico, che vi sono criteri di preferenza che consentono di scegliere la teoria pi adeguata al modello, cio alla natura?36 La valorizzazione dei poteri intuitivi implicata dalla ricerca delle analogie, analogie a volte nascoste, non sar tuttavia esente da critiche. Ad esempio, ne La formation de lesprit scientifique, Bachelard ritiene che i principi di armonia e les analogies ne favorisent aucune recherche37. Nonostante tutte le possibili riserve critiche nei confronti della riflessione di fine Ottocento sulla scienza resta vero che, nella pi disincantata filosofia della scienza di tale periodo, n la tesi convenzionalista, n la tesi olista erano tese a giustificare reticenze di natura antiintellettualistica. Si potrebbe piuttosto ad esempio notare che la logica della falsificazione, nonostante le tante riserve critiche avanzate e il carattere indubbiamente conservatore del continuismo di scienziati come Poincar e Duhem, negli scritti di questi non solo non rifiutata ma i momenti in cui si registrano esperimenti confutatori convincenti sono anzi, in essi, fonte di emozione. Insomma il ricorso al simbolo, alla convenzione, alleconomia di pensiero, alleleganza delle proposizioni scientifiche sviano dal progresso, rendono impossibile la confutazione dei principi, delle teorie? Come abbiamo sostenuto in altri scritti una simile esegesi lascerebbe in ombra luoghi in cui la confutazione teorica si rivela fonte di gioie inattese. Ci visibile sia nellopera di Poincar, sia nellopera di Duhem. Le physicien qui vient de renoncer une de ses hypothses devrait tre, au contraire, plein de joie, car il vient de trouver une occasion inespre de dcouverte38. Questo atteggiamento reputato consono, in merito a questa affermazione, ne La
36 P. DUHEM, La valeur de la science, cit., p. 106. Cf. ID., Quelques rflexions au sujet des thories physiques, in Revue des questions scientifiques, XXXI, t. I, pp. 139-177; ora in Prmices philosophiques, introduction de S.L. Jaki, Leiden, Brill, 1987. 37 G. BACHELARD, La formation de lesprit scientifique (1938), Paris, Vrin, 1993, p. 88. 38 H. POINCARE, La science et lhypothse, cit., p. 165.

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science et lhypothse, di fronte alle scoperte di Henri Becquerel sulla radioattivit, e ne La thorie physique di fronte ad esempio allexperimentum crucis di Lon Foucault riguardante la velocit della propagazione della luce. Parimenti resta vero che Duhem, innamorato della filosofia di Pascal, nellesprit de finesse di questi ripone immensa fiducia, al fine di dirimere le incertezze riguardanti la confutazione di unipotesi di un insieme teorico39. Particolarmente influente si andava rivelando dunque la tradizione di quel soggettivismo gnoseologico impostosi col cogito cartesiano, e dellesprit de finesse pascaliano che ritroviamo in Duhem investito del potere di scorgere lipotesi singola che in un sistema teorico devessere falsificata. E a causa dello stretto legame tra science, bon sens e finesse Duhem ostenter tutta la sua esacerbazione nei confronti dello spirito tedesco chegli tanto depreca poich lo ritiene povero di quei poteri intuitivi che a suo avviso sono prerogativa esclusiva dello spirito francese. La scienza tedesca ancilla della scienza francese (Scientia germanica ancilla scientiae gallicae) sostiene Duhem nel 1915 ne La science allemande, opera intrisa di risentimento antitedesco40, quando ormai in ambito austriaco erano stati gettati i semi, tra il 1907 e il 1912, della tradizione impostasi con la Wissenschaftliche der Weltaffaussung (concezione scientifica del mondo), determinata a trovare nella logica il linguaggio adeguato ad esprimere loggettivit del sapere scientifico. sicuramente vero che nella tradizione filosofico-scientifica francese le bon sens, lesprit de finesse non possono essere divelti perch essi sono fonte di scoperta e dunque dellemozione che accompagna, e non potrebbe non accompagnare, la conquista del vero. Daltronde, non vero che proprio Bachelard, profondamente engag nella denuncia di ogni specie di ostacolo epistemologico, e perci profondamente votato alla psicoanalisi della razionalit scientifica, ne Lengagement rationaliste cui accennavamo sopra, scrive che Lobacevskij ha creato lumore geometrico applicando lesprit de finesse allo spirito geometrico?41. Il riconoscimento bachelardiano appare tanto pi significativo in quanto situato nellopera di colui che denuncia e vuole espungere ogni ostacolo epistemologico o meglio tutto ci che sembra violare i valori di ragione. Lintuito
Cf. M. FORTINO, Essere, apparire e interpretare, cit. P. DUHEM, La science allemande, Paris, Hermann et Fils, 1915, p. 143. 41 G. BACHELARD, Lengagement rationaliste, trad. it. Limpegno razionalista, p. 27. Cf. J.J. WUNENBURGER, Imaginaire et rationalit: une thorie de la crativit gnrale, in F. BONICALZI, C. VINTI (eds.), Ri-cominciare. Percorsi e attualit dellopera di Gaston Bachelard, Milano, Jaca Book, 2004, pp. 125-136.
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Scienza ed emozioni

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sostiene invece proprio la causa della razionalit scientifica. Era questa finesse una risorsa inestinguibile della tradizione speculativa e scientifica francese destinata per a veder prevalere, nella cultura mitteleuropea negli anni compresi fra le due guerre, la Wissenschaftliche und Weltauffassung, allinterno della quale sono ben visibili e dichiaratamente riconosciute dai suoi maggiori rappresentanti le eredit di quel convenzionalismo di cui dicevamo allinizio del presente scritto, e allinterno del quale soprattutto si trattava di fare i conti con quella rigogliosa razionalit scientifica che vanta fra le sue produzioni eminenti la fisica relativistica e la fisica quantistica. Quel che comunque importante notare che le questioni inerenti la scoperta, linvenzione e le altre nozioni non si configurano come esito di una libert arbitraria, e soprattutto, richiamandoci a Ilya Prigogine, occorre anche dire che la question philosophique de linvention dans les sciences communique avec celle de lhistoire des sciences42, anzi il fatto inventivo non pu essere disgiunto dalla cultura di cui partecipe43.

42 Cf. I. PRIGOGINE, I. STENGERS, Le problme de linvention et la philosophie des sciences, Revue Internationale de Philosophie, n. 121-132 (1980/81), pp. 5-25. 43 Ivi, p. 13.

ROSSELLA GUZZO FOLIARO


Linguaggi grafici e passioni ideologiche

I simboli grafici sono il combustibile naturale delle passioni, in quanto condensati culturali, espressioni marcatamente identitarie che ingenerano contrastanti moti di amore/odio, detengono una funzione rassicurante e al contempo inquietante, collegata alla loro natura sociale. Che si tratti della croce per i cristiani, della svastica per i nazisti, del tricolore per gli italiani, il loro comun denominatore sta nel risvegliare un senso profondo dappartenenza, letimologia stessa del termine syn- ballein (mettere insieme) rinvia ad un momento di unione e condivisione. La croce rossa e i cerchi olimpici sono esempi paradigmatici di marchi identificativi globalizzati, riconosciuti a livello internazionale e in grado di creare vincoli emotivo-affettivi su ampia scala. Due simboli caratterizzati, in quanto tali, da una duplice trascendenza: semantica, data dalloltrepassamento di senso e dallevocativit polisemica, e pragmatica, poich il simbolo avvolto in una trama relazionale, risveglia un senso dappartenenza, lesigenza di riconoscersi in una comunit reale o virtuale (VALLAURI, 2005, p. 15). I linguaggi simbolico-grafici cui facciamo riferimento si collocano al crocevia tra i simboli della terminologia saussuriana, segni motivati opposti a quelli linguistici, e l icona, che secondo Peirce un segno che rappresenta un oggetto per somiglianza (PEIRCE, 1931-1958, trad. it 1980, p.186), qualcosa che, come il simbolo, sta per unaltra entit, evoca sinteticamente unelaborazione mentale fungendo da equivalente visivo della parola. Licona non tuttavia figurativamente mimetica rispetto al rappresentato, una sua rielaborazione culturale, che ne seleziona alcuni tratti convenzionali. Dalla non arbitrariet del legame tra linvolucro e il suo contenuto discende la dimensione narrativa del simbolo che non solo rappresenta ma racconta. La funzionalit evocativa degli emblemi del Movimento internazionale della Croce Rossa e del Movimento olimpico ci mostra utensili dal fascino narrativo, icone capaci di innescare infinite catene semantiche. Il farsi storia del simbolo dovuto al suo potere di rimando, alla possibilit di dare chiavi di lettura differenziate del legame tra, ad esempio, il simbolo della croce e il rimando alla solidariet e neutralit che animano lassociazione umanitaria che rappresenta.
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Daltra parte la sottolineatura iconica immette direttamente nellambito della comunicazione visiva, riguarda la capacit delle immagini di toccare la sfera emotiva piuttosto che quella logico-razionale propria del linguaggio. Le suggestioni visive creano un coinvolgimento immediato penetrando nel subconscio. Occorre ricordare a riguardo che la visione non un mero automatismo percettivo, ma comporta sempre una rielaborazione culturale dei dati sensoriali. Linformazione visiva si accompagna alle aspettative, ai residui di memoria, alle associazioni innescate dagli input visivi, comporta una selezione di tratti essenziali che guidano luomo verso la conoscenza della realt. nellalveo di queste considerazioni che J. Gibson, esaminando le modalit e la fisiologia della visione, distingue il campo visivo dal mondo visivo. Il campo visivo dato dagli impulsi registrati dalla retina, dalla rilevazione meccanica da parte dei captatori sensoriali della vista; il mondo visivo invece la traccia soggettiva lasciata da quellinsieme di stimoli che vengono interiorizzati dallindividuo, traducendosi in immagini e quindi in concetti, sensazioni, informazioni, conoscenza (APPIANO, 2001, p. 261). Il positivismo, sfondo elaborativo sia della croce rossa che dei cerchi olimpici, estrapola i simboli saussurianamente intesi, dalle loro circoscritte coordinate spazio-temporali, dilatandole in senso interculturale. Le due istituzioni a caratura internazionalistica investono su un messaggio iconico in grado di superare le barriere della comunicazione verbale e i collaterali problemi legati alla traducibilit. Due esperimenti coevi ma con esiti opposti. Un modello vincente sicuramente rappresentato dal Movimento Olimpico che dal 1896 conserva come simbolo universalmente accettato i cerchi decubertiani. Lottimismo positivista del promotore Pierre De Cubertin fu premiato insieme alla sua brillante intuizione grafica: i cerchi che uniscono i cinque continenti sono riusciti ad armonizzare nel grande evento sportivo ogni differenza di razza, religione e opinione politica (HEYER, 2005, p. 37). Dallincontro di filantropia e semiotica scaturisce uno dei marchi pi conosciuti e contestati: il logo della Croce Rossa come indicatore della prima Organizzazione umanitaria per il soccorso dei feriti in guerra. Un ordine significante si fa strada nellentropia dei campi di battaglia, dove viene introdotto dalla Croce Rossa il rivoluzionario valore della neutralit del ferito e dei soccorritori, indipendentemente dal fronte di appartenenza. La Convenzione di Ginevra, siglata il 22 Agosto 1864, ancora il lusinghiero risultato diplomatico allunit del signe distinctif, ovvero la croix rouge sur fond blanc (BUGNION, 1977, p.22). Laccettazione unanime della croce ros-

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sa su fondo bianco, ottenuta mediante linversione dei colori della bandiera svizzera, patria del fondatore dellOpera Henry Dunant e depositaria atavica del principio di neutralit, viene percepita dai promotori come incarnazione ottimale del corollario di principi che sorreggono limpalcatura del Movimento (BUGNION, 1989, p. 223). Una certezza che croller dopo pochi anni sotto il peso delle differenze culturali. Nel corso della guerra Russo-Turca che insanguin i Balcani nel 1876- 78, i reparti medici ottomani sostituiscono la croce, designata in un contesto laico, aconfessionale e di respiro internazionale, con un simbolo nazionalistico e religioso: la mezzaluna rossa, ponendosi come antesignani di una proliferazione di emblemi che mina i presupposti universalistici dellOpera (BUGNION, 2000, pp. 427-477). Ladesione della Turchia allimpalcatura strutturale dellorganizzazione umanitaria non impedisce il rifiuto di un simbolo, quello della croce, percepito nelle sue connotazioni religiose, che anzich incarnare limparzialit e neutralit evoca un retroterra occidentale, eurocentrico e cristiano (POLLARD, 1995, p.22). Il caso mostra in maniera esemplare come la spinta differenziale prema sulle pareti dellunit simbolica. in scena il dramma umano della frammentazione e del relativismo, mali alla radice di ogni idea universale e onnicomprensiva. Non si tratta tuttavia solo di assistere alla tragedia filosofica di un impossibile reductio ad unum ma, come proprio dellanima pragmatica della Croce Rossa, si apre una stringente questione: dal momento in cui un emblema protettivo che dovrebbe garantire lintangibilit suscita sentimenti di avversione religiosa, di odio etnico, la franchigia dellinviolabilit viene risucchiata in una spirale di violenza. Lambivalenza del simbolo, che diventa controverso oggetto di amore/odio, ci consente di rinvenire nel suo comportamento il fenomeno del transfert teorizzato da Freud. La simbolizzazione implica infatti la traslazione di unimmagine evocativa di uno stato danimo, di aspettative, ansie, fobie. Sul simbolo si trasferiscono pulsioni positive, che determinano un vero e proprio attaccamento amoroso, ne fanno un oggetto di adorazione. Il transfert ha tuttavia una doppia natura, convoglia una componente minacciosa e oscura, contiene eros e thanatos. In questo senso lostensione di un simbolo pu produrre profonda avversione fino a scatenare una vera e propria furia iconoclasta. Pensare ad una croce come elemento araldico e farne il simbolo delluniversalit denuncia sicuramente lingenuit di un contesto creativo ancora acerbo. Tuttavia anche la smaliziata societ post-moderna, affetta da

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overdose di logo, ha difficolt a dirimere la questione dellemblema, a garantire la corrispondenza tra lunit del Movimento e quella del suo segno distintivo. La Federazione che coordina le societ nazionali di soccorso ha accolto la denominazione di Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, rafforzando mediante questo binomio limpropria percezione di due grandi culti monoteistici giustapposti, senza risolvere la storica antinomia tra croce e mezzaluna (SOMMARUGA, 1992, pp. 347-352). La vicenda deve essere ricontestualizzata nellattuale quadro di recrudescenza religioso-identitaria. La cartografia post-moderna propone una mappatura culturale del pianeta, un ritorno in auge delle civilt che, contrariamente ai vaticini sul tramonto di ogni pratica cultuale, pongono di fronte ad una rinascita religiosa spesso intransigente ed aggressiva. La formazione di comunit ripiegate su loro stesse, sui propri attributi identitari, accresce il sospetto verso lAltro, il diverso, estraneo ai rituali diniziazione (BURKE, 2001, trad. it. 2002, pp. 36-40). Nel manuale delle appartenenze si inseriscono vecchi e nuovi segnali distintivi , che regolano i meccanismi di inclusione ed esclusione. Ogni identit si struttura a livello di appartenenze culturali e si alimenta nella produzione simbolica. Il proliferare di particolarismi accompagnato dal moltiplicarsi di simboli di appartenenza , spesso di matrice religiosa, in crescente reciproca rivalit. La reazione al disordine globale diventa lordine delle civilt demarcate, come ha proposto Huntington, da confini simbolico- culturali invalicabili, separazione che rischia costantemente di sfociare in un devastante scontro di civilt (HUNTINGTON, 1997, trad. it. 1999, p. 14). I simboli nel loro ruolo strutturante di identit collettive, fanno leva su pulsioni inconsce e primitive, che consolidano un noi protettivo e rassicurante, mentre indirizzano e focalizzano le spinte aggressive e sopraffattorie verso un loro grottesco e caricaturale. Agiscono come compattante di gruppi che si riconoscono in un symbolon, fungendo nello stesso tempo da catalizzatori di violenza nel mobilitare contro lAltro, il diverso, lo sconosciuto, per il quale il simbolo estraneo si trasforma in diabolon, ci che separa. Negli scenari attuali le associazioni umanitarie, gli enti no profit, le organizzazioni internazionali si confrontano quotidianamente con le problematiche del multiculturalismo e le difficolt del dialogo interculturale (PICCIAREDDA, 2003, pp. 7-10). La Croce Rossa internazionale ha sperimentato sul campo che la condivisibilit interculturale dei simboli profila un pro-

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blema di traducibilit analogo a quello delle lingue, denunciando la fragile pretesa di un sistema di comunicazione universale. Da un lato i simboli in virt della loro ambiguit semantica tenderebbero ad assorbire le differenze, prestandosi ad unopera di mediazione, dallaltro questa stessa ambiguit fonte di fraintendimenti ed equivoci, proprio perch si possono estrarre dal medesimo contenuti diversi e contraddittori. Lavvio di un simbolismo interculturale impone innanzitutto la negoziazione di un significante e di un significato condivisi, affrontare in chiave dialogica la diversit, impegnandosi in una comunicazione interattiva che consenta lassestamento su posizioni comuni. Le recenti Conferenze internazionali del Movimento Internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa hanno voluto contrapporre alle possibili interpretazioni aberranti del simbolo, il tentativo di creare un nuovo segno, legato ad un fascio di istruzioni univoco. Discutere dellappropriatezza di un simbolo nel rappresentare unidea lecito, da un punto di vista semiologico, proprio in quanto il rapporto tra rappresentante e rappresentato non del tutto arbitrario, pertanto suscettibile di rielaborazione. Saussure ne d autorevole conferma opponendo laccettazione fatalistica delle corrispondenze tra immagini sonore e concetti , allapproccio critico ai simboli: Si potrebbe anche discutere di un sistema di simboli, perch il simbolo ha un rapporto razionale con la cosa significata (SAUSSURE, 1922, trad. it. 1995, p. 91). Per placare il furore centrifugo dei richiami etnico religiosi si optato per il depotenziamento di ogni suggestione semantica, riducendo i margini interpretativi in una fedelt al politically correct. Il cristallo rosso, nuovo emblema aggiuntivo adottato nel 2006, sperimenta una funzionalit semplice ed essenziale, tentando di incarnare visivamente il principio di neutralit. La soluzione che il cristallo rosso costituisce a livello astratto, formale e burocratico non dispiega tuttavia il suo immenso potenziale sul piano fattuale. La risonanza mediatica dellevento stata insufficiente e non ha prodotto echi duraturi, inoltre la saga dellemblema non pu dirsi conclusa, in quanto laccordo internazionale riguarda un segno aggiuntivo e non sostitutivo. stata privilegiata una scelta flessibile, permettendo di incorporare nel cristallo i simboli approvati dal consesso internazionale, facendo del cristallo una cornice universale sul particolare. Un equilibrio funambolico che ha consentito lingresso di Israele nel Movimento, mediante ladozione della stella di David inscritta nel cristallo, ma che non si accorda con il rimedio globale e definitivo che i pi lungimiranti membri dellOrganiz-

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zazione avevano auspicato in seguito alla proliferazione emorragica di emblemi. Se il caso della Croce Rossa evidenzia la discrasia tra universali simbolici e particolari locali, laccettazione pacifica dei cerchi olimpici non esclude la problematicit connessa alla funzione semaforica delle istituzioni, che le rende portatrici di senso, significato, contenuti. Le moderne Olimpiadi rappresentano uno dei primi eventi globali, un gigantesco edificio simbolico, esperimento di fratellanza tra i popoli nel nome di una comune passione per la fiamma sportiva. Nel sogno positivista della fiducia nel progresso dellumanit si insinua lincubo delle passioni di parte e delle rivendicazioni di gruppo. Sotto la denominazione di settembre nero stata consegnata alla storia lincursione terroristica di un commando palestinese nel cuore delle Olimpiadi ospitate da Monaco nel 1972. Gli atleti israeliani vengono presi in ostaggio e la posta in gioco per il loro rilascio la liberazione di altrettanti miliziani palestinesi. Una vicende dal macabro epilogo: lirruzione della polizia tedesca porter ad uno scontro armato e ad un tragico bilancio, diciassette morti tra israeliani, agenti della polizia e fedayn palestinesi. Seguendo la nozione guida di funzione semaforica elaborata da Franco Fornari possibile unapplicazione sociale della psicoanalisi, fuoriuscendo dal suo originario dominio intrapsichico. Per poter adagiare le istituzioni su un setting psicoanalitico, occorre in qualche modo individualizzarle, umanizzarle, attribuire loro un inconscio e un dinamismo psichico, operando una transizione dal simbolo onirico privato, immaginario e confusivo al simbolo pubblico, consensuale e distintivo (CONTROZZI, DELLACQUA, 1978, p. 70). Fornari coniuga la psicoanalisi alla semiotica individuando i codici simbolici che dirigono il traffico della comunicazione, regolando lincontro-scontro tra il proprio desiderio e quello degli altri. Latto dimostrativo di Monaco 72 si inscrive sicuramente nella logica spettacolarizzante della societ mediatica, del terrorismo come noir trasmesso in diretta. Il palcoscenico olimpico che celebra lunione dei popoli diventa sede di divisioni, mostra platealmente il conflitto, mai risolto, tra universale e particolare, diventa target involontario di contestazioni violente proprio a causa della sua caratura etica e del suo alto profilo simbolico. Si realizza di fronte ad una platea globale una forma di catarsi in cui trova sfogo la nevrosi collettiva, esibita, ostentata e infine punita e repressa. Il gusto parossistico e le contraddizioni accompagnano anche lattesa delle Olimpiadi di Pechino 2008. Un incisivo nonch originale atto di de-

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nuncia stato veicolato dal simbolo storico delle Olimpiadi: i cinque cerchi si sono trasformati in altrettante manette, nel logo di protesta creato dal gruppo di Reporter senza frontiere, graffiante e critico nei confronti delle gravi violazioni in materia di diritti umani e libert despressione da parte del governo cinese. Atto assimilabile dellinterferenza culturale o culture jamming, il sabotaggio organizzato del sistema pubblicitario promosso da attivisti no-global, la deturpazione sistematica dei cartelloni promozionali allo scopo di alterarne il messaggio o parodiarne gli annunci. Latto di contestazione culturale diventa in questo modo un forte detonatore di situazioni di abuso e sfruttamento (KLEIN, 1999, trad. it. 2001, p. 248). Il dissenso dellorganizzazione dei giornalisti non riguarda naturalmente levento olimpico in quanto tale, n mira al suo boicottaggio, ma consegna ad un eloquente linguaggio grafico il paradosso cinese, poco coerente con lessenza del messaggio olimpico. Una denuncia interamente riversata su di un logo, enfatizzazione piena della brevitas, una delle principali chiavi interpretative della societ di massa. I concetti che hanno come referente unimmagine di conciliano infatti con la compressione spazio-temporale attuata dalla cultura mediatica, che tende a ridurre drasticamente gli intervalli tra azione e reazione in ogni evento comunicativo. Limmediatezza nel trasferimento di informazioni unita alla fascinazione visiva non esclude tuttavia un raffinato impianto metacomunicativo, inferenziale che passa attraverso il gioco della semiosi illimitata. Nei logo intervengono in egual misura processi semiotici e di art design: le caratteristiche grafiche innescano un meta discorso sul marchio, affinando gli strumenti retorici e narrativi, per strutturare sapientemente unidentit visiva, data dalla coerenza tra forma e contenuti (FLOCH, 1995, trad. it. 1997, pp. 1-5). Un logo che nella sua fissit e staticit esprime la sua potenza comunicativa nella capacit di sintesi ideologica e culturale. I simboli grafici costituiscono terreno di scontro e strumenti di denuncia, incanalano pulsioni di vita o di morte, valori positivi o negativi, ingenerano attaccamento o repulsione in virt del loro impatto emozionale, delle suggestioni inconsce e dei giochi di seduzione propri della comunicazione visiva.
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FRANCESCO LESCE Natura, passioni, corpo, mondo. Spinoza e lontologia dellaffettivit


Per Spinoza, alla natura delluomo non appartiene assolutamente nulla. In lui tutto pensato, ma veramente tutto, in termini di divenire. E allora, che significa divenire razionali? Cosa significa divenire liberi, una volta detto che la libert non attributo essenziale della natura delluomo? GILLES DELEUZE

1. Critica della modernit: la rottura del legame col mondo Ci che implicato nel pensiero di un filosofo pi profondo di tutti i suoi significati espliciti. Sono le sue motivazioni, le tensioni, gli assilli: tutto quello che unopera dissimula, fra le sue pieghe riflesse, come punti di traduzione e di domanda. Pi importante del pensiero , secondo una bella espressione di Proust, ce qui donne penser. su questo sfondo che affiora la domanda: cosa giunge, attraverso Spinoza, di ineluttabile e che ancora oggi ci costringe a pensare? Anzitutto lidea che le passioni siano lelemento costitutivo e inalienabile della natura umana. Ma quale definizione offre Spinoza delle passioni? Il termine passione, come si sa, sinonimo di passivit e di soggezione. Allude a una forza indocile che pur nascendo dentro il soggetto si mantiene indisponibile al suo comando. unidea, naturalmente, pi antica di Spinoza. I Greci avevano sempre sentito lesperienza delle passioni come un fatto misterioso e pauroso in cui sperimentiamo una forza che in noi, e che ci possiede, anzich venir posseduta da noi. La parola stessa pthos lo attesta: come il suo equivalente latino passio, indica qualcosa che accade agli uomini, vittime passive1. Spinoza eredita questidea avere delle passioni significa essere turbati da causa esterne e la ripropone allinterno di una trattazione nuova, senzaltro inedita nella storia del pensiero filosofico. La strategia etica appare complessa: tanto difficile quanto rara dir Spinoza. Consiste nel ricercare linfinitezza e la libert interiore, pur nel1

DODDS, I Greci e lirrazionale, Milano 2005, p. 235.

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laccettazione della costituzione fragile e intrinsecamente mortale dellesistenza. Da un lato, infatti, essendo le passioni un fattore non accessorio ma basilare della natura umana, esse introducono in ognuno di noi quellelemento di dissidio, irrazionale e perturbante, che rischia di far naufragare il desiderio di interna unit con noi medesimi. Noi siamo agitati dalle cause esterne in molti modi e () come le onde del mare, agitate da venti contrari, fluttuiamo, inconsapevoli della nostra sorte e del destino2. Dallaltro lato, per, solo assumendo le passioni come elemento indispensabile al processo di soggettivazione che, secondo Spinoza, accettiamo la vera sfida etica: essa consiste nel ricomporre il soggetto in s, in quanto essere vivente e desiderante, nel suo rapporto con lordine eterno della natura. Unetica cos concepita, se da una parte abbandona il vecchio pregiudizio moralistico di attribuire le passioni a un deprecabile vizio della natura da deridere, disprezzare, o sottoporre a rigida sorveglianza, dallaltra, offre in controluce diversi elementi di una critica lungimirante della modernit, come lha definita Tosel3. Sono molti gli spunti critici offerti dallo spinozismo che bene si applicano ad alcuni aspetti fondativi del pensiero filosofico moderno. Essi orientano, in primo luogo, una riflessione sulle contraddizioni del soggettivismo cartesiano che spinge in direzione di un sovvertimento teorico di alcune sue conseguenze specifiche. in questa prospettiva di lettura che il lascito di Spinoza si lega allimpegno di un radicale ripensamento della modernit. uneredit, quella spinoziana, che ci incoraggia a ripensare la modernit, le sue logiche evidenti e le sue segrete patologie, a partire da unesigenza critica che, a ben vedere, ha accomunato i punti di vista pi significativi del pensiero filosofico contemporaneo4. possibile ravvisare una linea di continuit che attraversa le divergenze e ricompone le prospettive intorno allidea, di ispirazione nietzscheana, che la modernit sia lepoca del mondo ridotto a favola. Lungo questo asse dinterpretazione incrociamo la lettura di Martin Heidegger. Per il filosofo tedesco, il pensiero di Descartes contiene la matrice ontologica di quel processo di derealizzazione che risolvendo il mondo a entit
Le opere di Spinoza, di cui indicheremo di seguito le traduzioni italiane utilizzate, sono designate dalle abbreviazioni dei titoli: BT (Breve Trattato, introduzione, traduzione e note di F. Mignini, LAquila 1986); TEI (Trattato sullemendazione dellintelletto, a cura di E. de Angelis, Milano 1990); E (Etica, a cura di E. Giancotti, Roma 1997); TP (Trattato politico, a cura di L. Pezzullo, Roma-Bari 1991). Il passo riportato nel testo si riferisce a E, III, LIX, pr., schol. 3 TOSEL, Du matrialisme de Spinoza, Paris 1994. 4 Cf. GALLI (a cura di), Logiche e crisi della modernit, Bologna 1991.
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oggettuale delle rappresentazioni soggettive dispone il terreno di una completa razionalizzazione della realt. il costituirsi del mondo a immagine ci che distingue e caratterizza il Mondo moderno5. Beninteso, con immagine, dice Heidegger, intendiamo il mondo stesso, e questo significa che la stessa sostanza del reale ad essere risolta nellesser-rappresentato. La metafisica moderna individua nel subjectum il cardine della realt e il principio di determinazione di un mondo ridotto a sfondo della mera oggettivit. In questo quadro, lo stesso accadere degli enti non pi pensabile al di fuori del dtournement soggettivo in cui sono le certezze del cogito che, per mediazione divina, sorreggono il mondo e lo riflettono a immagine delluomo6. Tuttavia, il problema da rilevare in questa dialettica del soggetto proprio la paradossale separazione fra uomo e mondo che essa determina. Questa coerente contraddizione, che unisce il potere della rappresentazione del soggetto e la rottura del suo legame con loggetto, si esprime nelle stesse parole di Descartes. Per cui dato che questa verit: Io penso dunque sono, cos ferma e certa che non avrebbero potuto scuoterla neanche le pi stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accogliere senza esitazione come il principio della mia filosofia. Poi, esaminando con attenzione ci che ero, vidi che potevo supporre s di non avere alcun corpo, e che non esistesse il mondo o altro luogo dove io fossi, ma non perci potevo supporre di non esserci io, perch, anzi, dal fatto stesso di dubitare delle altre cose, seguiva nel modo pi evidente e certo che io esistevo7. La mossa cartesiana strategica: per risalire a se stesso, come sostanza prima e principio di ordine assoluto, il soggetto deve anzitempo trascendere la propria realt materiale; deve cio, da una parte decorporeizzare il s individuale, dallaltra desostanzializzare il mondo empirico, le cui pressioni appariranno comunque inaggirabili solo verso la fine delle Meditazioni8. La svolta cartesiana ratifica cos il primato dellastrazione che tuttavia non simpone dal di fuori, giacch non richiama alcuna esteriorit che esuli dal movimento di costituzione soggettiva della realt. Il contrappunto critico a Descartes giunger, secoli dopo, attraverso le parole di Gilles Deleuze: Il fatto moderno che noi non crediamo pi in questo mondo. Non crediaHEIDEGGER, Sentieri interrotti, Firenze 1999, p. 89. La metafisica antropomorfismo il configurare e vedere il mondo a immagine delluomo; HEIDEGGER, Nietzsche, Milano 1995, p. 640. 7 DESCARTES, Discorso sul metodo, in Opere, Bari 1967, vol. I, 47, 151; Id., Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, in ivi, vol. I. 8 Cf. GUEROULT, Descartes selon lordre des raisons, Paris 1953.
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mo neppure agli avvenimenti che ci accadono, lamore, la morte, come se ci riguardassero solo a met () il legame fra uomo e mondo a essersi rotto9. Ma da dove ha origine questa frattura che separa luomo dal mondo, il corpo dal pensiero e, in ultima analisi, il soggetto dai propri vincoli naturali? Per rispondere a queste domande proviamo a spostare langolo visuale assumendo direttamente il punto di vista spinoziano. Secondo Spinoza la rottura del legame fra uomo e mondo si determina nel momento in cui luomo smette di considerarsi una parte della totalit dellordine naturale, da cui si stacca per allestire lo spazio della propria incontrastata signoria. Rimossa lidea che i propri atti siano il risultato di un sistema di determinazioni naturali, luomo si affida alla propria volont priva di legami come a quellunico baluardo in grado di arginare la mutevolezza dellordine naturale10. Ed proprio in questo stacco dal mondo materiale che si dissolve la consapevolezza che laffettivit sia lelemento costitutivo, seppur problematico, della soggettivit. La maggior parte di coloro che hanno scritto sugli affetti e sul modo di vivere degli uomini danno limpressione di trattare non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono al di fuori della natura. Sembra anzi che concepiscano luomo nella natura come un dominio allinterno di un dominio. Credono, infatti, che luomo turbi lordine della natura pi che seguirlo e che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro che da se stesso11. Secondo Spinoza, al contrario, non possibile che luomo non sia parte della Natura, e che non patisca altri mutamenti se non quelli che possono essere spiegati mediante la sua sola natura e dei quali causa adeguata () Ne segue che luomo sempre necessariamente soggetto alle passioni e segue lordine comune della Natura12. Linsorgenza delle passioni, come si vede, il segnale pi evidente del fatto che luomo si costituisce allinterno della natura come parte di un tutto da cui egli non potr mai separarsi. un fatto insopprimibile, che rende vana lidea del libero arbitrio e con essa tutte le aspirazioni allauto-dominio ed alla disposizione senza vincoli di se stessi13. Cos, anche la strategia etica inDELEUZE, Limmagine-tempo, Milano 1989, pp. 191-192. Cf. in merito LWITH, Spinoza. Deus sive Natura, Roma 2000. 11 E, III, praef. (corsivo nostro). 12 E, IV, IV, pr. e cor. 13 Sullo sfondo della critica dellantropocentrismo si chiarisce il senso del determinismo spinoziano in cui la coincidenza di libert e necessit fornisce una spiegazione realistica sia delleffettivo potere di Dio, in quanto assoluto e illimitato, sia di quello delluomo, in quanto finito e limitato. Cf. TP, II, 7, in cui si legge: non si pu considerare luomo libero per il
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centrata sul controllo della vita passionale e sullesercizio della potenza umana non sfocia mai, in questo discorso, nellideale prometeico di dominio della natura e del mondo o nellipotesi infausta di soppressione dellumana finitudine. Noi siamo necessariamente soggetti alle passioni, pertanto passivi, o causa parziale del nostro essere. Su questo limite, che anche il terreno di ogni umana potenza, non bisogna mai dimenticare che la forza con la quale luomo persevera nellesistenza limitata e infinitamente superata dalla potenza delle cause esterne14. Qui emerge il volto anticartesiano di Spinoza o, pi in generale, la sua reazione al soggettivismo filosofico che dirige il nostro sguardo prospettico sulla modernit. Stiamo provando obliquamente a seguire la critica di Spinoza a partire da unanalisi delle passioni, poich lungo questo vettore problematico che sembra delinearsi il profilo alternativo di una soggettivit che si struttura nella dimensione dellaffettivit. Non si pu prescindere tuttavia da una rapida ricostruzione del quadro metafisico entro cui la tematica delle passioni sinscrive acquistando la sua centralit15. 2. Filosofia dellimmanenza e ricomposizione del legame fra mente e corpo Oltre il dualismo cartesiano fra res cogitans e res extensa Spinoza elabora una filosofia della natura che si svolge tutta nella prospettiva dellunit del mondo dei fenomeni. Senza mai trascendere lordine della natura e percorrendo senza sosta i confini di una necessit compresa, luomo sperimenta la possibilit di vivere felicemente nel movimento auto-produttivo di Dio. Causa sui la prima definizione che lEtica offre di Dio16, che ritorna ampliata nella affermazione di Dio come causa immanente di tutte le cose17. Si deve pertanto evitare di spiegare la produttivit divina attraverso le categorie di creazione (tomismo) o di emanazione (neoplatonismo), poich enfatto che pu esistere o perch pu non far uso della ragione, ma piuttosto in quanto ha il potere di esistere e agire secondo le leggi della natura umana. Cf. su questo le preziose analisi di GIANCOTTI, in EAD., Studi su Hobbes e Spinoza, Napoli 1995, pp. 57-80 e pp. 121-133. 14 E, IV, III, pr. 15 Com stato sottolineato, la teorica delle passioni non nel sistema di Spinoza un punto accessorio e nemmeno unapplicazione speciale di una veduta generale. Gli affetti sono per lui il centro stesso del sistema, perch rappresentano tutta la vita dellanima, e sono la base naturale dellamore di Dio nel quale si esaurisce il problema dellEtica; LABRIOLA, Origine e natura delle passioni secondo lEtica di Spinoza, Milano 2004, p. 107. 16 E, I, I, def.; gi in BT, cap. 2, 24. 17 E, I, XIII, pr.

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trambe reintroducono lidea di trascendenza che non conviene allontologia spinoziana18. Limmanenza il punto di vista fondamentale, secondo il quale Dio si esprime nel mondo poich del mondo possiede divinamente lunit e la pluralit. Ogni cosa, in quanto si produce nellimmanenza di Dio, si trova in Dio come una sua parte, frammento o grado singolare di potenza. una prospettiva di immanentismo assoluto, questa, che ci rivela come in fondo il punto di vista di Dio sia anzitutto quello delluomo e del suo modo di vivere nel movimento infinito delluniverso naturale. Gi prima dellEtica, il primo passo di Spinoza muoveva verso la ricerca di un metodo in grado di guidare, oltre la soglia del senso comune, il cammino etico delluomo. Cos nellesordio del Tractatus de intellectus emendatione.
Dopo che lesperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che frequentemente si incontrano nella vita comune sono vane e futili; e quando vidi che tutti i beni che temevo di perdere e i mali che temevo di ricevere non avevano in s nulla n di bene n di male, se non in quanto lanimo ne era turbato, decisi finalmente di indagare se si desse qualcosa che fosse un bene vero e condivisibile, dal quale soltanto, respinti tutti gli altri beni, lanimo fosse affetto; anzi, se si desse qualche bene che, trovato e acquisito, godessi in eterno di una continua e suprema letizia19.

In queste poche righe affiora una questione che ha fortemente interessato la filosofia del XVII secolo: quella dei rapporti fra il metodo e le condizioni spirituali necessarie alluomo per il raggiungimento della verit. Se si legge in controluce il testo spinoziano, lesigenza metodologica esprime di riflesso il legame, se non addirittura lindipendenza, sia della gnoseologia dalletica, sia delletica dalla metafisica. inevitabile infatti che il problema della riforma dellintelletto o del superamento delle idee inadeguate, come dir Spinoza nellEtica allarghi i confini gnoseologici dellesperienza su un pi vasto terreno problematico in cui il soggetto ricerca le condizioni spirituali che gli consentono laccesso a Dio e alla verit. Non si deve perci dimenticare che la chiave di tutta la parte prammatica dellEtica proprio questemendazione dellintelligenza, questa cura della mente, che nellEtica appena oggetto di accenni ed tacitamente presupposta; in tal senso, se non si integra lEtica col Tractatus de intellectus emendatione, non si colma la lacuna che si apre, nel corso dellEtica, tra le proposizioni che descrivo18 Su questo punto ha insistito DELEUZE, in Spinoza e il problema dellespressione, Macerata, 1999. 19 TEI, II, p. 11.

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no il necessario sviluppo delle passioni, e quelle altre che descrivono la resistenza delluomo che ha tutta razionalizzata la sua vita, alleccitazione e al canto delle Sirene delle cose esterne20. Daltro canto, si deve tenere sempre presente che il fine etico in Spinoza, ossia la possibilit della vita beata, fondabile solo metafisicamente dal momento che ogni individuo solo parte del movimento infinito della causa immanente. Il rapporto etico col verum bonum dipende dallemendazione dellintelligenza, ma non pi di quanto leffettivo svolgimento di una conoscenza chiara non condizioni gi tutto un modo di vivere da cui dipende la possibilit sempre aperta per luomo di essere felice, di vivere nel bene e nella verit. Quello del metodo il primo problema della vita filosofica quando questa intesa come luogo dincontro tra lessere del soggetto e la verit. Ma in che cosa consiste, effettivamente, il verum bonum a cui si rivolge il cammino etico delluomo? Dopo aver dichiarato che tutto ci che accade, accade secondo un ordine eterno e secondo determinate leggi naturali, Spinoza afferma che il sommo bene la conoscenza dellunione che ha la mente con tutta la natura21. Questa conoscenza viene definita in pi luoghi dellopera spinoziana cognitio Dei, a riprova del fatto che tra Dio e Natura, almeno nelle prime opere di Spinoza, c davvero coincidenza22. E sebbene avanti nel testo, anche nellEtica, questo legame ribadito: la potenza di Dio risulta per definizione identica alla potenza produttiva della Natura: Dei, sive Naturae potentia23. Divinit della Natura e partecipazione delluomo allimmensa ricchezza della sua universalit produttiva, sono i due aspetti della singolare modernit dellontologia spinoziana24. Deus sive Natura la grande affermazione
GUZZO, Il pensiero di Spinoza, Firenze 1994, p. 148. TEI, II, p. 14. 22 Deleuze fa notare come nel Breve Trattato cera una coincidenza fra la Natura e Dio, a partire dagli attributi, mentre lEtica dimostra una identit sostanziale, in funzione della sostanza unica (panteismo); di conseguenza, vi nellEtica una sorta di dislocazione della Natura, la cui identit con Dio deve essere fondata, e che pertanto pi idonea a esprimere limmanenza del naturato e del naturante; Spinoza. Filosofia pratica, Milano 1991, p. 138. Il riferimento esplicito di Deleuze allopera di GUEROULT, Spinoza. Dieu, Paris 1968. 23 E, IV, IV, pr., dem. 24 In tal senso, com stato osservato, la natura divina di Spinoza si contrappone al disincanto della modernit e restituisce pienezza assoluta, infinita e vitale alla realt cosmica; ALCARO, Filosofie della natura. Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno, Roma 2006, p. 135. In questa lettura, la singolare modernit di Spinoza viene misurata in riferimento alleredit mediterranea delle filosofie naturalistiche, il cui animismo ontologico sembra
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spinoziana che, nel contesto di riflessioni che qui intendiamo proporre sulla vita affettiva, si articola in correlazione con la teoria del parallelismo. Soffermiamoci su questo legame. Il parallelismo degli attributi costituisce il presupposto di quella che possiamo definire la rivoluzione antropologica introdotta da Spinoza, ossia linscrizione della teoria delluomo allinterno di una ontologia dellimmanenza assoluta. Se infiniti sono gli attributi di Dio, pur vero che luomo ne conosce solo due, lestensione e il pensiero, di cui partecipa attraverso i due modi della mente e del corpo. Ora, la sfera della vita affettiva ricostruita, nellEtica, proprio sul filo teorico che ricollega fra di loro mens e corpus, il cui legame non gerarchico sostiene il ritmo del mondo. Secondo la teoria del parallelismo ci che corporeo sussiste come modo dellestensione in quanto attributo divino al pari della mente: la Mente e il Corpo sono una sola e stessa cosa che viene concepita ora sotto lattributo del Pensiero e ora sotto lattributo dellEstensione25. Questa simmetria non solo salda il soggetto alla propria struttura corporea ma riconfigura non astrattamente la realt unitaria delluomo a partire dalla quale non pi ammissibile n un rapporto di causalit reale, n una relazione di eminenza fra la mente e il corpo. Ne consegue che lordine delle azioni e delle passioni del nostro Corpo simultaneo per natura con lordine delle azioni e delle passioni della Mente26. Il significato pratico di tale teoria ha un chiaro risvolto polemico, ed rappresentato dallattacco al presupposto cartesiano del dominio completo delle passioni da parte di una ratio pura e legislatrice. Descartes, infatti, che pure si sforzato di spiegare gli affetti umani per mezzo delle cause naturali, ha preferito, secondo Spinoza, imboccare la via seguendo la quale la Mente pu acquisire un dominio assoluto sugli Affetti27. Questo potere assoluto sarebbe garantito da un procedimento intellettualistico, che introduce surrettiziamente una segreta sintonia tra la determinazione della nostra volont e i movimenti di una parte del cervello che Descartes definisce ghiandola pineale, indicata come sede dei giudizi stabili28. Secondo questa ipotesi, che Spioffrire ancora oggi unefficace antidoto al nichilismo della secolarizzazione. 25 E, III, II, schol. Sul nodo che lega la mente e il corpo, le idee e gli affetti nellopera di Spinoza, cf. DELEUZE, Che cosa pu un corpo. Lezioni su Spinoza, Verona 2007, di cui segnaliamo linteressante prefazione di Aldo Pardi, pp. 7-39. 26 Ibid. 27 E, III, praef. 28 importante rilevare, per inciso, come alcuni importanti settori delle neuroscienze oggi siano orientati, in direzione anticartesiana, ad una rivalutazione del corpo e del suo legame indissolubile allattivit della mente. Tale legame riconosciuto come essenziale

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noza definisce pi occulta di qualunque qualit occulta, se determiniamo la nostra volont con giudizi certi e stabili, secondo i quali volgiamo dirigere le azioni della nostra vita e congiungiamo i movimenti delle passioni che vogliamo avere a questi giudizi, acquisteremo un dominio assoluto sulle nostre Passioni29. Qui, ogni unione tra mente e corpo annullata a vantaggio di un dualismo gerarchico che tiene forzatamente sospesa lattivit della prima su quella del secondo ed entrambi ricondotti alla volont di Dio come principio finalistico di spiegazione dei fenomeni naturali. Su questo punto il rifiuto di Spinoza netto: le sue parole rivelano un forte senso critico, aspramente anticartesiano. Avrei voluto, in verit, che avesse spiegato questa unione mediante la sua causa prossima. Ma egli aveva concepito la Mente cos distinta dal Corpo che non aveva potuto assegnare alcuna causa singolare n di questa unione, n della stessa Mente; ma gli era stato necessario ricorrere alla causa di tutto lUniverso, cio a Dio. Vorrei, inoltre, sapere quanti gradi di movimento la Mente pu attribuire a questa ghiandola pineale e con quanta forza pu tenerla sospesa30. La rottura evidente. La divergenza spinoziana risiede nella sua diversa concezione del rapporto fra mente e corpo sulla quale occorre ancora soffermarsi. importante cogliere lo sfondo della critica e, come direbbe Nietzsche, il suo retrogusto antimorale. Spinoza vuole contrastare il dualismo cartesiano tra extensio e cogitatio rovesciando il principio tradizionale sul quale si fonda la morale come impresa di dominio delle passioni e di condanna del corpo. Ecco dove si delinea la svolta. In primo luogo, ci dice Spinoza, bisogna evitare di giudicare il corpo come ostacolo della conoscenza e contestualmente di definire la Mente come una facolt astratta. Lungo questasse problematico il parallelismo ammette, fra le altre, due verit essenziali per il nostro ragionamento: a) anzitutto che non c idea della Mente che non sia idea delle affezioni del Corpo31. Ci significa che non solo la mente sempre idea di qualcosa, ma che loggetto specifico dellidea il corpo di cui inevitabile che la mente subisca le alterazioni (diminuzione o aumento di potenza); b) in secondo luogo, che la Mente
per la formazione della coscienza umana, la quale si strutturerebbe proprio allincrocio fra il funzionamento del cervello e la sfera dellaffettivit. Qui il parallelismo spinoziano diventa un riferimento indispensabile. Cf. DAMASIO, Lerrore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano 1995; DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Milano 2003. 29 E, V, praef. 30 Ibid. 31 E, II, XIII, pr.

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non ha altra coscienza di s, se non quella che acquisisce mediante le idee delle affezioni del Corpo32. In questo caso il corpo non solo oggetto della conoscenza ma anche condizione positiva del formarsi della coscienza; e secondo che esso aumenti o diminuisca la propria potenza, in relazione ad altri corpi, si avr una diversa coscienza di questo o di quello stato affettivo (gioia o tristezza). Da questultimo punto deriva che non c altro principio della natura umana al di fuori di quello contenuto nella coscienza che luomo ha di s in quanto soggetto corporeo, affettivo, desiderante. Lappetitus, dir Spinoza, la stessa essenza delluomo, da cui deriva la cupiditas intesa come lappetito cum ejusdem coscientia33. Su queste basi, dove sorge e si sviluppa una analisi senzaltro materialistica della natura umana, si rende necessario abbandonare il sogno metafisico di una sussunzione della dimensione ontica dellaffettivit alla sfera astratta della ragione calcolante. Poich, come abbiamo visto, lipotesi di un dominio assoluto delle passioni gi inficiata da quella pretesa idealistica che piuttosto che saldare, scioglie il legame fra uomo e natura, disattiva la risonanza fra corpo e mondo. Rimane tuttavia ecco il punto focale della questione la necessit di un trattamento etico delle passioni senza il quale la loro assunzione irrazionale apparirebbe altrettanto nefasta per luomo e per il suo rapporto con la realt. Sarebbe riduttivo, da questo angolo visuale, appiattire la sfera dellaffettivit allambito delle passioni: queste rappresentano solo la parte passiva che non pu essere elusa e che tuttavia devessere trasformata in affetto positivo, il solo in grado di registrare un reale aumento di potenza dellessere umano, e quindi unintensificazione del suo legame col mondo. Al di fuori di questa transitio etica, infatti, luomo rimane prigioniero del caso, inibito nella sua potenza di agire da quelle cose che non sono in suo potere e che lo rendono inerme e passivo. Limpotenza afferma Spinoza consiste soltanto in questo che luomo sopporta di essere guidato dalle cose che sono fuori di lui ed determinato da esse a fare quelle cose che richiede la comune costituzione delle cose esterne e non quelle che esige la sua stessa natura in s sola considerata34. Avvolto dalle passioni, ossia privo di una conoscenza articolata della realt, luomo rischia di rimanere avvinto al potere dellimmaginazione in una rete di rappresentazioni illusorie che limitano la propria prospettiva di azione a favore dellattaccamento alle cose finite. A causa della sua limitazione spirituale il soggetto identifica se
E, II, XXIII, pr. E, III, IX, pr., schol. 34 E. IV, XXXVII, pr., schol. I.
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stesso con una parte della realt non potendosi sentire causa adeguata di tutte le sue azioni e parte del movimento auto-produttivo dellessere. La prevalenza passionale rischia di appiattire la potenza umana alla sfera dellinteresse limitando cos alluomo, entro i confini della propria aspirazione acquisitiva, lorizzonte della realt ad esso disponibile. 3. Passione, interesse e legame sociale Incrociamo, in questo punto, un secondo asse polemico lungo il quale Spinoza insorge contro le filosofie del suo tempo che sostengono lappropriazione razionale della natura sullo sfondo di una riduzione delle passioni alla sfera dellinteresse. Parte da qui la critica spinoziana dellindividualismo possessivo. Come stato osservato, se la storia moderna storia della genesi e dello sviluppo del capitale, la tematica della passione-interesse la tesse strutturalmente e rende effettualmente insignificante ogni pensiero, tanto pi ogni posizione metafisica, che dallinteresse come lavoro per la totalit tenti di sganciarsi35. In questa lettura, lanomalia spinoziana non si risolve nella critica del soggettivismo cartesiano ma rappresenta, pi in generale, una vera alternativa allantropologia borghese. Gi nellEtica gli spunti offerti contro lindividualismo del pensiero politico seicentesco sono numerosi, ed emergono l dove la socializzazione viene assunta al fine di un pi efficace svolgimento della potenza umana nella creazione dei legami di gioia. Partendo dal principio che luomo un Dio per luomo principio antitetico a quello su cui fondata lantropologa negativa di Hobbes (homo homini lupus) Spinoza afferma che gli uomini possono a stento vivere in modo solitario, cos che alla maggior parte assai gradita quella definizione secondo la quale luomo un animale sociale; e, in effetti, le cose stanno in modo tale che dalla comune societ degli uomini nascono molti pi vantaggi che danni36. Lorizzonte critico rappresentato dalle teorie che costruiscono lordine dei legami sociali a partire da una antropologia individualistica che assume lindividuo come soggetto di bisogno spinto da una volont acquisitiva illimitata. In questottica lindividuo appare ontologicamente compresso nel proprio egoismo proprietario, tutto riversato sulle cose particolari in uno spazio di proiezione passionale e immaginativa entro cui il valore degli enti subordinato al criterio del proprio interesse e la variet
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NEGRI, Spinoza, Roma 1998, p. 183. E. IV, XXXV, pr., schol.

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ontologica degli affetti ridotta a mera passione acquisitiva. Spinoza crede, in tal senso, che legoismo possa essere superato solo attraverso un graduale trattamento delle passioni ed una inscrizione del loro orientamento cognitivo nel percorso di elevazione spirituale delluomo nei suoi rapporti con lordine comune della natura. Se qui la metafisica si presenta come discorso sulla totalit, vero tuttavia che quella di Spinoza una totalit aperta e dinamica che se da un lato mina le pretese del soggetto astratto di ergersi al di sopra del mondo e dei fenomeni, dallaltro prova a ricucire la complessa trama delle sue azioni in un ordine immanente di unit. Spinoza ci spiega che il primo fondamento della virt etica la conservazione del proprio essere, che costituisce per luomo un bene in s, poich nessuna virt pu essere concepita prima di questa37. Sarebbe tuttavia un errore interpretativo radicalizzare la tensione immunitaria di questo ragionamento senza comprendere che, nel quadro spinoziano, il fine etico non mai riconducibile alla semplice protezione della vita, pur costituendo questa la sua precondizione negativa. Occorre quindi enfatizzare lidea di autoperfezionamento e di crescita del soggetto su se stesso, presente nel discorso spinoziano, che viene articolata in una prospettiva che nel complesso ribalta lantropologia autoconservativa di Hobbes in una pragmatica positiva che, se da una parte sostituisce alla paura della morte ladesione affermativa al desiderio di vivere38, dallaltra, incoraggia il legame sociale in un prospettiva democratica e antiassolutistica39. Ogni individuo che aspira alla libert si sforzer, per quanto pu, di giungere alla comprensione del proprio jus naturale attraverso il controllo riflessivo delle passioni e la traduzione di queste in affetti di gioia. Egli mirer a questo obiettivo senza il sacrificio di s e della propria utilitas, evitando tuttavia di subordinare le proprie passioni al dominio rigido dellegoismo calcolante. Il principio dellutile, al pari dellautoconservazione, collocato al suo posto, che non certo il pi importante. Se lutilitas rimane una qualit determinante sia per lautoconservazione, sia per i legami sociali, non lo fino al punto di trasformarsi nellunico principio organizzativo del sistema
E, IV, XXII, pr. e cor. Luomo libero non pensa a nulla meno che alla morte, e la sua sapienza meditazione non della morte, ma della vita, E, IV, LXVII, pr. 39 stato osservato come ci che Hobbes esclude [al contrario di Spinoza] la possibilit di una trasformazione interna delle passioni, la quale possa preludere alla creazione di un legame sociale tra gli uomini che non sia solo affidato alla forza della spada e della razionalit formale di unistanza coercitiva esterna; PULCINI, La passione del moderno e lamore di s, in VEGETTI-FINZI, Storia delle passioni, Roma-Bari 2004, pp. 153-154.
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delle relazioni sociale. Rimane infatti chiaro il fine etico, rappresentato dallamor intellectus Dei a cui correlato lideale politico della democrazia assoluta40. Il primo compito, come stato detto, quello di assumere le passioni congiuntamente allo spostamento interno delle passioni tristi in passioni di gioia. Questo richiede un contenimento della passivit che tuttavia deve essere assunta, elaborata e capovolta a sostegno dellespressione affermativa della vita e del legame. La condizione di ogni umana libert si sperimenta nella transitio dalla passivit, propria di chi vive totalmente esposto allazione delle cause esterne, allattivit, che si esprime nellaffetto di gioia, il solo a determinare un aumento della potenza sia fisica che simbolica del soggetto. Nel passaggio di soglia si scopre la struttura interna del corpo umano, la cui potenza sempre suscettibile di modificazione. La sua potenza di essere affetto soddisfatta da affezioni attive o da affezioni passive a seconda che lincontro con gli altri corpi determini un aumento (transitio a minore ad majorem perfectionem) o, al contrario, una diminuzione (transitio a majore ad minorem perfectionem) della potenza di agire. Si vede bene allora come lordine degli affetti dipenda sempre dallordine degli incontri (fortuitus occursus) e delle relazioni. La base affettiva della soggettivazione etica e la dimensione relazionale di questo processo espongono il soggetto al doppio pericolo di cedere, da una parte, al vento centrifugo delle libidines, e di soccombere, dallaltra, allordine coercitivo di una ratio neutra e disincarnata. Unetica dellaffettivit deve fondarsi, allora, sulla consapevolezza che le passioni siano propriet della natura umana, nonch il contrassegno pi evidente della sua inalienabile finitudine. Ma non c altro modo di intendere lazione etica se non come trasformazione dellostacolo passionale in soglia epistemologica e ontologica, la quale devessere superata attraverso gradi o generi di conoscenza che nascono in seno al processo di costruzione etica della soggettivit. su questa soglia, lungo il percorso che conduce dallimmaginazione alla ragione e da questa allamore intellettuale di Dio, che le forme dellaffettivit e quelle dellintelligenza si intersecano e crescono insieme lungo il cammino che porta luomo ad aumentare la propria vis existendi e a perseguire il perfezionamento di s e la propria fedelt al mondo. In questa visione, lelemento dellaffettivit costituisce il nucleo strutturale di un soggetto che ha abbandonato la tentazione idealistica del dominio sulle passioni, e della loro sovradeterminazio40 NEGRI, Democrazia ed eternit in Spinoza, in Spinoza, cit., pp. 380-389. Sullamore intellettuale di Dio, in cui la contrapposizione fra passione e ragione definitivamente ricomposta, cf. E. V.

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ne normativa, a vantaggio di una strategia pi duttile in cui lordine razionale sostituito dallidea di un processo di razionalizzazione nel quale la passione progressivamente depurata dai suoi aspetti distruttivi ed orientata al potenziamento delle qualit intellettuali delluomo. questo un elemento davvero singolare di Spinoza: credere che sia possibile una pratica delle passioni giocata tutta allinterno, nellimmanenza del percorso passionale stesso41. Questa metamorfosi del soggetto la sola base non astratta di ogni vita razionale. Da qui, limpossibilit di prospettare uno stato irreversibile di pura razionalit, poich lorigine non mitologica della ragione da rinvenire nella trama stessa dellaffettivit fondata sul parallelismo mente-corpo. Piuttosto che postulare la ragione come modello trascendente o come istanza trascendentale dellesperienza, Spinoza ci offre lopportunit di considerarla, in una versione materialistica, come loperatore di trasformazione del desiderio che ha il compito di limitare le sollecitazioni delle cause esterne. La ragione resta per luomo la sua somma Cupidit, con la quale cerca di moderare tutte le altre42. In questa visione, larch e il telos di ogni vita razionale hanno sede nella fisica dei corpi e nella tipologia delle idee e degli affetti ad essa correlata. Ma, come si diceva, importante insistere qui sulla dimensione relazionale, o transindividuale del processo etico, dal momento che non c individuo fuori dalla dinamica di costruzione dei rapporti umani che lo vede coinvolto43. Vivere secondo ragione significa, infatti, sia affermare se stessi, sia aprirsi allaltro. Da questo doppio movimento dipendono due verit preziose per il nostro ragionamento: a) la prima che la ricerca dellutile, a cui connessa lidea di autoconservazione, non rende necessario il ricorso alla ratio calcolante e che anzi il travaglio emotivo del soggetto avviene proprio l dove il perseguimento dellutilitas non esclude linserimento delle passioni nella ricerca della perfezione umana44; b) la seconda che la ricerca del vero utile non coincide affatto con lindividualismo solipsisistico e proprietario dellhomo oeconomicus, al contrario costituisce la premessa della creazione di un legame sociale45. Non vi nulla dunque di pi utile alluomo che luomo stesso; nulla,
BODEI, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicit: filosofia e uso politico, Milano 2003. E. IV, app., IV cap. 43 BALIBAR, Spinoza e il transindividuale, Milano 2002. 44 Lidea spinoziana di utilitas ha poco a che vedere con lindividualismo possessivo moderno () Tale utilitas non affatto posta sotto la tutela della ratio come calcolo () Essa soprattutto strumento di maggiore perfezione; BODEI, op. cit., p. 342. 45 Ancora BODEI: Il problema teorico posto da Spinoza perci quello della conciliabilit postulata fra utile e gioia individuale e utile e felicit pubblica; Ivi, p. 344. Cf. E.,
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dico, gli uomini possono desiderare di pi efficace per la conservazione del proprio essere quanto che tutti concordino su tutte le cose in modo tale che le Menti e i Corpi di tutti compongano quasi una sola Mente e un solo Corpo e tutti, simultaneamente, si sforzino, per quanto possono, di conservare il proprio essere e tutti, simultaneamente, cerchino per s lutile comune di tutti; da ci segue che gli uomini che sono governati da ragione, cio gli uomini che cercano il proprio utile secondo la guida della ragione non ricercano per s nulla che non desiderino anche per gli altri uomini e sono, pertanto, giusti, fidati e onesti46. In questo orizzonte di relazioni, lelaborazione etica delle passioni rimanda al dinamismo di una prassi in cui il soggetto tesse la trama di un mondo il cui senso traspare proprio nel punto di contatto fra s e gli altri, e che ricompone la difficile dinamica dellintersoggettivit. Lombra delle passioni evoca la traccia di unalterit impressa nel cuore del soggetto, e il suo limite indisponibile, che anche il sigillo di ogni umana potenza, ci testimonia che la vita felice una possibilit etica e politica per luomo e non lesito naturale del suo destino. In questo punto, dove letico e il politico sintrecciano, la filosofia ritrova una nuova quadratura: la natura, gli affetti, il corpo, il mondo. Elementi che ricostruiscono il piano dellessere, dove il percorso etico integrato in una pratica sociale dei legami umani non pi subordinati al potere ma vissuti nellimmanenza di una prassi comune. Lapertura filosofica dello spinozismo rappresenta uneredit e insieme un compito per unontologia della politica che cerca di controeffettuare il nichilismo della sua fine.

IV, XXXV, pr., II, cor. In questo quadro critico di riflessione, cf. BARCELLONA, Lindividualismo proprietario, Torino 1987; PULCINI, Lindividuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Torino 2005. 46 E, IV, XXVIII, pr., schol.

VALENTINA MARTINA Emozioni, linguaggio e attivit in Lev S. Vygotskij

1. Vygotskij e la psicologia storico-culturale Per comprendere il tipo di rapporto che intercorre fra linguaggio ed emozioni, occorre fare riferimento al concetto di attivit, nozione centrale nel paradigma della psicologia storico-culturale. In tale contesto rilevante il concetto di sviluppo basato sul lavoro dellessere umano e sulluso degli strumenti per mezzo dei quali egli trasforma la natura e, di conseguenza, se stesso. Il nostro proposito mettere in luce in che senso Vygotskij interpreti il concetto di strumento, tratto distintivo dellattivit umana. Lessere umano, fa in modo che la natura, attraverso le sue trasformazioni serva ai suoi scopi, padroneggiandola. Ci proponiamo di individuare la peculiarit della forma di vita pi elevata, propria soltanto delluomo, nella forma sociale e storica di attivit vitali legate al lavoro, allutilizzazione degli strumenti del lavoro e alla nascita del linguaggio. Per prendere in considerazione lattivit delluomo che lavora bisogna mettere a fuoco il problema della coscienza, che si genera dallesperienza sociale, concetto che ben messo in evidenza da Lurija:
Per la psicologia il rapporto con le scienze sociali ha unimportanza risolutiva. Le forme fondamentali dellattivit psichica delluomo nascono nelle condizioni della storia sociale, procedono nelle condizioni dellattivit oggettuale che si venuta a formare nella storia, si basano su quei mezzi che si sono formati nelle condizioni di lavoro, di utilizzazione degli strumenti e del linguaggio. [...] Naturalmente le forme di attivit delluomo sono realizzate dal suo cervello e si fondano sulle leggi dei suoi processi nervosi superiori; ma nessun sistema nervoso, da solo, potrebbe assicurare la formazione e lutilizzazione degli strumenti e del linguaggio e spiegare linsorgere delle forme estremamente complesse di attivit umana nate dalla storia sociale (LURIJA, 1975, trad. it., p. 10).

Una psicologia che assume come centrale le attivit dellessere umano adotta il metodo dialettico materialistico che comporta la fondamentale esigenza di studiare storicamente, e nel suo sviluppo, i comportamenti dellanimale umano: in questo senso viene prestata particolare attenzione ai processi di sviluppo storico, cio alle funzioni psichiche superiori. Il comBollettino filosofico 24 (2008): 169-181

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portamento dellessere umano pu essere compreso solo se non lo si riduce ai fenomeni pi semplici ed elementari, dal momento che in psicologia ci che pi complesso necessario per comprendere ci che pi semplice. Cos, la scelta di fondare una teoria della natura umana sul metodo storico implica una definizione dellessere umano nei termini dei processi di sviluppo, prestando attenzione alle forme superiori del comportamento umano, teso a trasformare e a modificare la stessa natura. Con il linguaggio ha luogo una gestione del proprio comportamento che implica un rapporto con lambiente e che costituisce la base per il lavoro, forma specificamente umana di utilizzazione degli strumenti. La psicologia storico-culturale manifesta, in primo luogo, il valore pratico della psicologia come scienza, tenendo assieme una psicologia ingegneristica, intesa come psicologia del lavoro, e un tipo di psicologia attenta allo sviluppo. Laspetto ingegneristico della psicologia, come viene definito da Lurija, ha come fondamento il sistema uomo-macchina: i mezzi tecnici complessi devono essere adattati alle possibilit delluomo ed quindi necessario creare le condizioni nelle quali il sistema si sviluppi in modo ottimale e possa realizzarsi con il minor numero di errori. Lindustria esige di conoscere quali fattori psicologici devono essere presi in considerazione per assicurare la massima affidabilit del lavoro e la minima percentuale di incidenti:
La costruzione degli strumenti (che talvolta supponeva anche una distribuzione naturale del lavoro) mut da sola lattivit delluomo primitivo e la distinse dal comportamento degli animali. Il lavoro per la costruzione dello strumento non unattivit semplice, determinata da motivazioni biologiche immediate (il bisogno di cibo). In s questa lavorazione della pietra priva di senso e non giustificata in alcun modo dal punto di vista biologico [] in altre parole, questattivit richiede la conoscenza delle operazioni da compiere per realizzare lo strumento ma anche la conoscenza del suo impiego futuro (ivi, p. 69).

Le riflessioni dello psicologo russo Alexandr Lurija, relative al valore pratico della psicologia, fanno da sfondo per introdurre il tipo di relazione fra natura e cultura, assumendo come caso empirico e concettuale lo stretto legame fra emozioni e attivit. 2. Le emozioni e il nesso biologia-cultura La dimensione emozionale, allinterno della psicologia storico-culturale, deve essere presa in considerazione nella descrizione dellontogenesi delle

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funzioni psichiche superiori. Lintento di Vygotskij quello di creare un ponte fra la psicologia e la neurobiologia. In un suo articolo del 1930, intitolato Il fondamento biologico degli affetti, Vygotskij riflette sul rapporto fra natura e cultura, tra corpo e mente, sostenendo che i meccanismi sociali non aboliscono le attivit biologiche e non ne prendono il posto proprio come i meccanismi biologici non aboliscono le leggi della meccanica e non le sostituiscono ma le subordinano a loro. Il sociale, dunque, nel nostro organismo si sovrainnalza sul biologico, cos come il biologico sul meccanico. Se in Pensiero e linguaggio la questione dellinterazione fra affetto e intelletto poco affrontata, al contrario posto come problema in La teoria delle emozioni, opera in cui Vygotskij afferma che il suo proposito creare le basi principali di una teoria psicologica degli affetti che abbia una natura filosofica degna di diventare uno dei capitoli della psicologia umana. In questo contributo lo psicologo russo, in seguito a una lunga discussione critica, sviluppa unargomentazione alternativa a quella dei difensori delle teorie organicistiche delle emozioni formulate, tra la fine del XIX e linizio del XX secolo, da William James, Carl Lange e Walter Cannon. Vygotskij contesta queste tesi psicologiche, ritenendole insufficienti da un punto di vista filosofico, fisiologico e psicologico. Lautore sostiene che queste teorie condividono con quella cartesiana il dualismo tra anima e corpo. Il modello teorico che Vygotskij predilige quello proposto da Spinoza che ha posto il problema relativo al rapporto fra intelletto e affetto, centrato sul valore dinamico delle emozioni. Vygotskij, in Psicologia dellarte, si richiama alla seguente citazione di Spinoza:
Di che cosa sia capace il Corpo non ancora stato definito da nessuno [...] Ma, diranno, dalle sole leggi della Natura, in quanto questa sia considerata esclusivamente come corporea, non sarebbe possibile dedurre le cause delle opere architettoniche, dei lavori della pittura e di tutte le altre cose simili prodotte soltanto dallarte umana: il Corpo umano, diranno, non sarebbe in grado di fabbricare alcun tempio, se a ci non fosse determinato e guidato dalla Mente. Io ho gi dimostrato, per, che costoro non sanno di che cosa il Corpo sia capace, e ci che si possa dedurre dalla sola osservazione della sua propria natura [] (SPINOZA, Etica, III).

Il continuo riferimento a Spinoza e alle critiche che questultimo ha mosso alla teoria cartesiana delle emozioni, in favore di un principio monistico della natura umana che tenesse assieme affetto e intelletto, costituisce il terreno teorico su cui Vygotskij si sarebbe mosso nella direzione di concezione incentrata sulla natura della coscienza, che per non ebbe luogo a causa della morte avvenuta nel 1934.

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Lassunto di fondo di una teoria filosofica delle emozioni, tesa a dar conto dellintreccio fra corporeit e linguaggio che qualsiasi bisogno naturale, per diventare un desiderio specificamente umano, deve necessariamente passare attraverso lo stadio della rifrazione ideologica e, di conseguenza, sociale. Michail Bachtin, vicino alle posizioni dello psicologo russo, sostiene che lessere umano non pu pronunciare neanche una sola parola restando un individuo biologico. Ad esempio, la pi semplice espressione della fame come voglio mangiare, che costituisce una necessit biologica, pu essere espressa soltanto in un determinato linguaggio e con una determinata intonazione, grazie alla quale riceve inevitabilmente una colorazione di carattere sociologico e storico. Le emozioni sono delle reazioni organiche, proprio perch si caratterizzano come una risposta dellorganismo a un avvenimento esterno ma, nel contempo, si situano in una zona intermedia tra lo stato fisiologico dellorganismo e la loro verbalizzazione. Occorre precisare che, stando a quanto afferma Bachtin, il punto in questione non costituito dal fatto che lemozione ha senso nel momento in cui viene espressa verbalmente; si tratta piuttosto di sostenere che attraverso il linguaggio (o meglio il discorso, o lespressivit delle parole), inteso come terreno originario della sfera storico-sociale, possibile considerare lemozione nella vita, e pertanto nellattivit dellessere umano. In questo senso, il linguaggio quellambito in cui lorganismo transita dallambiente fisico a quello sociale. Lo stato puramente fisiologico di per s non pu avere unespressione: per rendere viva unemozione occorre guardare alla collocazione sociale e storica dellorganismo. Il fattore decisivo sempre costituito dalla domanda: Chi ha fame?, A chi si comunica la fame?. Ogni espressione emotiva ha un orientamento sociale ed determinata dai partecipanti al dato evento dellenunciazione. I significati sono mediati dalla parola, che non altro che un mezzo per padroneggiare le informazioni percettive ed i concetti. Luso funzionale del segno, della parola, un mezzo di cui si serve lindividuo per sottomettere al suo potere le proprie operazioni psichiche:
Linteriorizzazione della parola allo stesso tempo esteriorizzazione del pensiero. Loggettivizzazione del pensiero si realizza attraverso una soggettivizzazione della parola. Si pu dunque parlare della realizzazione del proprio pensiero nelle parole degli altri (CLOT, 1999, p. 167).

Il punto decisivo per comprendere in che senso vi sia un circolo virtuoso fra linguaggio, emozioni e attivit e, di conseguenza, una complementa-

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rit fra naturale e sociale, costituito da unindagine relativa al modo in cui le emozioni guidano e producono una determinata azione. Se, da un lato, il sentimento per necessit privo di chiarezza dallaltro, non pu essere inconscio, proprio perch lessenza del sentimento sta nel fatto che esso sentito e, pertanto, noto alla coscienza. Ma in che senso il sentimento un processo nervoso? Come possibile dar conto del passaggio dalla sfera biologica a quella storico-sociale? Perch non basta considerare le emozioni semplici risposte dellorganismo allambiente esterno?A tal proposito le riflessioni formulate da Vygotskij in Psicologia dellarte ci aiutano a mettere in luce il gioco reciproco fra lemozione come scarica nervosa e lemozione come processo che genera fantasia e immagini:
Ancora pi chiaro diverr questo principio delleconomia dei sentimenti [...] se cercheremo di chiarire il valore sociale dellarte. Larte quanto di sociale vi in noi: e, se la sua azione si svolge in un individuo singolo, ci non vuol dire che individuali ne siano le radici e lessenza. [...] La socialit anche l dove vi un solo uomo. [...] La modellazione dei sentimenti avviene al di fuori di noi in forza del sentimento sociale, che fuori di noi trasportato, oggettivato, materializzato e rinvigorito negli oggetti darte a noi esterni, divenuti strumenti della societ. La pi essenziale caratteristica delluomo che, a differenza dellanimale, egli introduce e separa dal suo proprio corpo cos lapparato della tecnica, come quello della conoscenza scientifica, i quali diventano degli strumenti della societ. [...] anche larte una tecnica sociale del sentimento, uno strumento della societ, per mezzo del quale questultima trasporta nel giro della vita sociale i lati pi intimi e pi personali del nostro essere. (VYGOTSKIJ, 1972, p. 339).

Per comprendere il processo e la natura delle emozioni Vygotskij fa riferimento alle emozioni senza oggetto, mettendo in luce come ogni emozione viene servita dallimmaginazione e si ricollega a tutta una serie di rappresentazioni fantastiche e immagini. Ad esempio pu darsi il caso che ognuno di noi possa essere in preda al panico senza alcuna ragione, nel senso che semplicemente la nostra fantasia a suggerirci che potrebbe accadere qualsiasi avvenimento da un momento allaltro. A tal proposito, Vygotskij si richiama alla realt dei sentimenti. Pu capitare che di notte si scambi un cappotto appeso sullattaccapanni per un uomo e sebbene sia del tutto evidente che non presente alcun uomo, la paura che sperimento in quel determinato momento del tutto reale. Pertanto, tutte le nostre emozioni, sebbene possano essere irreali (perch lessere umano ingannato dai sensi) presentano una base emozionale del tutto reale. Di conseguenza, il sentimento e la fantasia non sono pro-

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cessi isolati luno dallaltro, ma sono vincolati e la fantasia lespressione della reazione emozionale. Il nostro proposito comprendere in che senso lemozione un tipo di reazione a una determinata situazione. Che tipo di rapporto c fra azione ed emozione nella psicologia storico-culturale? Per tentare di comprendere la natura di questo problema, la nostra idea far riferimento a dei casi empirici, relativi alle attivit lavorative. Assumeremo come punto di partenza, facendo riferimento alle riflessioni di Vygotskij, che la condizione dellazione dellessere umano costituita dalle possibilit che non si sono ancora realizzate. Lemozione una scarica nervosa caratterizzata, nel contempo, dallaccrescimento e dallindebolimento della spesa energetica. Le nostre emozioni possono essere frenate e trattenute, tuttavia esse perdurano in modo latente, proprio come, ad esempio, nellatto di dare un pugno il movimento della mano viene trattenuto ma pur sempre pronto a far partire il colpo. Nel caso empirico che ci apprestiamo a illustrare vedremo come i comportamenti degli esseri umani sono il risultato di alcune reazioni emotive e cio di quelle che hanno prevalso su altre. Queste ultime, tuttavia, permangono proprio perch il reale dellattivit anche ci che non si fa, che non si pu fare, che si desidera fare, che si cerca di fare senza riuscirvi [] che si sarebbe voluto o potuto fare, che si pensa o si sogna di poter fare altrove (CLOT, 1999, trad. it., p. 114). Stando alla posizione vygotskijana, i segni e le attivit degli altri sono alla base dello storia dello sviluppo del singolo individuo, e, in seguito, diventano gli strumenti per i suoi scopi. Questo un processo a spirale che tiene assieme i due aspetti dello sviluppo, inteso come terreno originario e come storia dellessere umano: dapprima a livello sociale (interpsicologico), poi a livello personale (intrapsicologico) per poi ritornare al livello sociale (cf. VEGGETTI, 1998; GARGANI, 2004):
Il nostro concetto di sviluppo implica un rifiuto del modo di vedere secondo cui lo sviluppo cognitivo risulta dallaccumulazione graduale di cambiamenti distinti. Noi crediamo che lo sviluppo infantile sia un complesso processo dialettico caratterizzato dalla periodicit, dalla irregolarit nello sviluppo delle diverse funzioni, dalla metamorfosi, o trasformazione qualitativa di una forma in unaltra, dallintrecciarsi di fattori interni e esterni (VYGOTSKIJ 1978, trad. it., p. 111).

Yves Clot, in La psicologia del lavoro, propone di interpretare la psicologia vygotskiana come uno strumento essenziale per comprendere le azioni dellessere umano in una determinata attivit lavorativa. La tradizione

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vygotskiana elabora una teoria della coscienza che lega, nellattivit, il pensiero, il linguaggio e le emozioni del soggetto. Lo psicologo francese fa riferimento a un esempio calzante per comprendere il tipo di rapporto fra reazione, emozione e attivit. Nel 1992 sul monte Sainte-Odile precipit laereo Lione-Strasburgo. Il contesto sociale che fa da sfondo a questo incidente quello del conflitto sulla composizione a due o a tre elementi dellequipaggio A-320:
In queste circostanze [...] si talvolta incoraggiato i copiloti a mettere in discussione le decisioni del loro comandante di bordo. [...] Nella catastrofe del monte Sainte-Odile, sarebbe questa una delle fonti di disturbo che avrebbe compromesso la disponibilit dellequipaggio. [...] Le riportiamo solo per descrivere uno dei possibili contesti dellazione che [...] darebbe un senso e un tono alle intenzioni ribadite dal comandante di bordo al suo copilota. La sua scelta, operata contro il parere del collega [...] in effetti non elimina laltra scelta possibile, che continuer ad agire nella situazione. Cos, secondo questa prospettiva lintenzione solo parzialmente protetta dalle altre intenzioni rivali. Comunque, riteniamo che essa sia nata dallo scambio fra due soggetti in un contesto sociale, condiviso in tutti i sensi. Cos definita, lintenzione che assegna al pilota il compito di atterrare a Strasburgo con una procedura ILS sulla pista 23, probabilmente non ha potuto emanciparsi dal contesto dorigine, trovandosi di fronte a uno sviluppo inatteso nel nuovo contesto dattivit. [...] La formazione delle intenzioni si produce allincrocio dei due assi: quello che collega il soggetto alloggetto e quello che lega sempre pi soggetti fra loro, col rischio che il distacco risulti cos inadeguato a garantire lefficienza dellazione (CLOT,1999, trad. it., pp. 40 e 42).

Lesperienza storica, assieme a quella sociale, costituisce il presupposto dellazione umana: lessere umano si trova ab initio nel contesto sociale e, nel contempo, lo ricrea, lo trasforma, lo padroneggia. Lessere umano un sistema poliedrico, poich presenta varie sfaccettature: un sistema biologico e un attore sociale. Il riferimento a questo caso empirico contribuisce a cogliere i tratti distintivi che caratterizzano lessere umano e che non sono componenti esterne, ma endogene volte a connotare lintreccio fra attivit ed emozioni. Seguendo la teoria delle emozioni in Vygotskij, lattivit del pilota si basa sulla collaborazione reciproca fra la partecipazione corporea e la costruzione mentale che trae origine dal ruolo dinamico e mediatore delle emozioni. I nostri affetti mostrano che siamo tuttuno con il nostro corpo.

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Lazione, intesa come occupazione del soggetto, emerge dallintreccio delle proprie pre-occupazioni, inclusa lattivit degli altri. Lazione che occupa i piloti letteralmente pre-occupata. Quando il comandante di bordo decide una modalit di azione opposta a quella del copilota, non compie solo un atto positivo, ma elimina dalla sua azione ci che lo pre-occupava, vale a dire lazione del suo collega e, nel contempo, la propria indecisione di fronte alle svariate possibilit. Dunque, lazione negativa, in quanto il pilota rifiuta altre possibili azioni e questo rifiuto la condizione sine qua non per dare inizio allazione stessa. Lazione si forma in un contesto popolato di attivit eterogenee e svariate che non costituiscono un contesto esterno allazione che intraprende il pilota, piuttosto si situano in un terreno che si configura come lambito interno. La singola azione non pu essere compresa isolatamente, proprio perch la sua origine da individuare nelle attivit che si intersecano negli altri contesti, al cui interno essa si forma e si trasforma. 3. Le emozioni da un punto di vista biologico Il caso empirico che abbiamo assunto come sfondo della presentazione dellazione reciproca fra emozione e attivit ben sintetizzato da Damasio:
Pu essere utile pensare al comportamento di un organismo come allesecuzione di un brano orchestrale, la cui partitura viene inventata via via: la musica il risultato prodotto da molti gruppi di strumenti che suonano tutti insieme a tempo e il comportamento di un organismo il risultato prodotto da numerosi sistemi biologici che agiscono simultaneamente [] Pur essendovi svariate componenti il comportamento in ciascun momento un tutto integrato, la fusione di contenuti diversi, non dissimile da una fusione polifonica di unesecuzione orchestrale (DAMASIO, 2000, pp. 111-112).

Recentemente, contro le teorie classiche della decisione che fanno riferimento a una concezione disincarnata e, pertanto, non realistica dellazione, il fisiologo della percezione Alain Berthoz e il neurobiologo Antonio Damasio hanno proposto una teoria biologica dellessere umano fondata sul dialogo fra percezione, emozione e azione. Lemozione orienta la percezione: aiuta a selezionare quanto osserviamo nel mondo e a organizzarlo a seconda del nostro orientamento allazione. Lancoraggio della decisione sta in quei processi che preparano il corpo e il cervello alle conseguenze delle azioni a venire, nelle emozioni, appunto, la cui grammatica si costi-

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tuita attraverso i processi di adattamento. La riflessione di Berthoz condivide, con quella di Damasio ed Edelman, il rifiuto dellerrore di Cartesio e, in generale, ogni prospettiva dualistica che tenda a separare la materia dallo spirito, il pensiero dalla carne e la ragione dallemozione. Il tentativo di Berthoz quello di fondare la decisione su una teoria del cervello come emulatore dellazione: lemozione prepara lorganismo alla creazione interna di un mondo emulato. Lemulazione si incontra con lemozione affinch trasformi il mondo in un mondo magico per farlo assomigliare a ci che il cervello pu accettare. Non si darebbero processi decisionali se non potessimo uscire dal nostro corpo ed entrare in dialogo con noi stessi, se non avessimo due corpi, quello di carne e quello simulato, o meglio emulato al nostro interno: da questo dialogo che scaturisce la coscienza. Il carattere globale della decisione conferma lipotesi secondo la quale i modelli dellesecuzione dellazione utilizzati dal cervello non sono di tipo logico-formale, ma procedono simultaneamente, come se il cervello spazializzasse, costruisse paesaggi e mappe. Il cervello, quando decide, istituisce un dialogo fra noi e il nostro doppio, ovvero lo schema corporeo:
Non sentiamo loggetto allestremit dello strumento, ma allestremit di un insieme costituito dalla mano e dallo strumento come se, di colpo, lo strumento fosse diventato parte del nostro corpo, come se la mano si fosse prolungata. [...] I piloti dei piccoli aerei dicono di sentire, atterrando, le ruote come se fossero parte del corpo, e abbiamo la stessa impressione in automobile: se una gomma della nostra auto urta il marciapiede, reagiamo come se avessimo battuto noi. [...] In questo caso, il corpo non si proietta nel mondo, vi si prolunga. Le decisioni percettive di origine tattile sono cos integrate nel funzionamento del corpo (BERTHOZ, 2003, trad. it., p. 161).

Il parallelismo tra movimenti visti e movimenti prodotti trova una conferma nella scoperta dei neuroni mirror, riscontrati nella corteccia premotoria della scimmia e, in seguito, accertati nel cervello dellessere umano. Questi neuroni si attivano non solo quando la scimmia esegue azioni finalizzate con la mano, ma anche quando osserva le stesse azioni eseguite da un altro individuo. Affinch questi neuroni siano attivati durante losservazione di unazione, questa deve consistere nellinterazione fra la mano e un oggetto. Esiste, dunque, una capacit, basata su precisi meccanismi neuronali, di tradurre la prospettiva corporea di chi esegue una determinata azione in quella di chi losserva. I neuroni mirror ci consentono di affermare che losservazione di unazione induce lattivazione dello stesso circuito nervoso deputato a controllarne lesecuzione: losservazione dellazione induce nel-

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losservatore lautomatica simulazione della stessa azione e, attraverso questultima, la sua comprensione. Comprendere il significato del comportamento altrui presuppone la capacit del nostro cervello di creare dei modelli di questo comportamento allo stesso modo in cui esso stesso crea modelli del nostro. Con i neuroni mirror di Gallese abbiamo un livello di base delle nostre relazioni interpersonali che non prevede luso del linguaggio. Riteniamo che queste recenti teorie che mettono in risalto lintreccio fra emozione e azione mostrino una consonanza con le riflessioni vygotskijane, per quel che riguarda lintervento delle emozioni nelle azioni degli individui. Tuttavia vi una differenza decisiva: come possibile dar conto dellappartenenza dellattivit e delle emozioni dellessere umano nel contesto storico-sociale? Che ruolo svolge il linguaggio nel dare vita alle emozioni stesse? A questa ipotesi di simulazione incarnata non segue la necessit che ci sia sempre armonia tra il movimento del nostro corpo e il movimento osservato e che il primo debba forzatamente riprodurre il secondo. In tal senso, il nostro schema corporeo proprio ci che ci consente di distaccarci dal movimento di un determinato oggetto. Ad esempio, si prenda il caso del ritmo: in quale misura il ritmo di un mezzo meccanico, che si tratti di un treno o di un aereo, in armonia con le strutture ritmiche del corpo umano?
Spesso cerchiamo di adeguare il ritmo del treno con il nostro solo per renderci conto dellimpossibilit di far coincidere il nostro ritmo organico con quello meccanico. Questo un fenomeno che avviene ogni volta che ci mettiamo a confronto con analoghe situazioni motorie. Anche se non siamo capaci di adeguare i ritmi del nostro corpo con quelli meccanici, possibile che queste pressioni motorie possano creare uno squilibrio pi o meno uguale a quello che vorrei chiamare schema corporeo dinamico (DORFLES, 1965, p. 46).

Il riferimento a una prospettiva prettamente biologica delle emozioni consente di individuare un terreno originario, non linguistico, in cui possibile fondare le azioni dellessere umano. Tuttavia, queste teorie trascurano il modo in cui il linguaggio d corpo alle emozioni. La nostra idea non quella di rifiutare un approccio preverbale alle emozioni, ma di individuare la natura della continuit fra preverbale e verbale. Vogliamo mettere in luce che non sempre opportuno dare per scontato il prolungamento fra il nostro corpo e gli oggetti che frequentemente usiamo: in che modo il linguaggio rivisita il rapporto che gli esseri umani hanno con gli oggetti?

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4. Conclusioni: emozioni e attivit, fra non linguistico e linguistico La relazione tra emozioni e attivit che abbiamo analizzato fornisce alcuni spunti per ripensare il tema dellorigine del linguaggio, da un punto di vista filosofico-concettuale. A tal proposito, interessante rivolgere lattenzione al linguaggio inteso come processo naturale che fornisce una chiave di lettura per contestualizzare il comportamento dellessere umano nello sfondo storico-culturale. Il linguaggio uno strumento apparso nel corso delle attivit legate al lavoro e, pi precisamente nel corso dellorganizzazione della cultura. La lingua creata dal gruppo umano, allo stesso modo in cui si creano le produzioni della cultura materiale, gli oggetti di prima necessit e gli elementi di produzione collettiva (come i giochi, larte, la danza, il canto e la musica e, ancora, il diritto e gli altri valori sociali). La lingua riflette i diversi stadi di sviluppo della cultura e delle interazioni fra esseri umani che hanno luogo inizialmente nel gruppo e che si riversano nel rapporto fra collettivit e ambiente circostante. La lingua riflette gli stadi di sviluppo della cultura materiale, levoluzione degli strumenti di lavoro e del progresso materiale ad esso legato. La versione paleontologica della lingua, proposta da Nikolaj Marr, rivolge lattenzione a verbi come davat (dare), brat (prendere) e darit (offrire) che provengono dalla stessa rappresentazione della mano. La formazione delle parole e la verbalizzazione del concetto dipendono dalle capacit cinematiche del corpo umano (in particolare dalla mano). Marr sostiene che la lingua un fenomeno socioculturale che, a sua volta, diventa lo strumento universale dei cambiamenti sociali e culturali: in questo senso, la formazione delle parole paragonabile alla fabbricazione degli strumenti di lavoro. Sono le funzioni della lingua, assieme allavanzamento della tecnica che trasformano gli strumenti di lavoro in mezzi di creazione culturale. Occupandosi della relazione fra lingua e coscienza, Marr attribuisce un ruolo principale alla mano, stabilendo un legame fra le funzioni polisemantiche della mano nella cultura e le specificit del discorso non articolato e della coscienza primitiva (rucnoe soznanie). La mano (ruka), in quanto strumento universale di conoscenza, di comunicazione e di lavoro costituisce il mezzo principale e integrale che permette di avere coscienza del mondo. La mano costituisce la forma primitiva del comportamento cosciente e questa forma di coscienza pu essere considerata alla stregua della coscienza infantile. In altre parole, la filogenesi (levoluzione degli organismi viventi) e lontogenesi (lo sviluppo dellindividuo) si intrecciano nella mano,

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strumento di conoscenza, di comunicazione e di lavoro. La portata del contributo di Marr da rintracciare nellaccurata analisi filologica e, al tempo stesso, filosofica delle numerose parole che gravitano attorno alla rappresentazione della mano (ruka), strumento vitale di produzione. Esiste infatti un gran numero di parole associate alla mano. Ad esempio, si trovano parole come sila (forza), sredstvo (mezzo), obraz (immagine). La mano esprime non solo la forza e il potere, ma anche gli strumenti e i materiali di fabbricazione: cos dal significato della parola elezo (ferro) possibile risalire a quello della parola kamen (pietra), il cui significato, a sua volta, legato a quello della mano. Si pu ugualmente supporre che limmagine della mano allorigine di altri verbi, come stroit (costruire), razruat (distruggere), napravlat (dirigere), moc (potere). Il comportamento dellessere umano subisce linfluenza della mano e gli schemi cinestesici si formano sulla base dei movimenti della mano e delle dita, utilizzati come indicatori dei fatti, degli eventi, delle azioni e delle emozioni. La mano unisce la diversit delle funzioni creative della cultura materiale e spirituale e costituisce il fondamento della comunicazione. Le funzioni energiche e cognitive della mano hanno offerto il potenziale tecnico di cui luomo primitivo ha avuto bisogno. La mano costituisce quella parte del nostro organismo che fa di noi esseri umani degli individui biologici e sociali e un possibile punto di partenza per pensare un rapporto dinamico fra mente e corpo.
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MARCO MAZZEO Imprecisione del limite: contraddizione e melanconia1

1. Il limite del linguaggio: tautologia, meraviglia, sicurezza In uno dei suoi testi pi noti, la Conferenza sulletica, Ludwig Wittgenstein propone laccostamento tra una figura logica, la tautologia, e due stati danimo, la meraviglia e la sicurezza. Se ci spingiamo fino ai limiti del linguaggio e decidiamo di arrischiarci nel terreno paludoso in cui le parole tendono a perdere senso, scopriamo che le affermazioni etiche o religiose sono simili a espressioni del tutto quotidiane, allapparenza meno impegnative. Wittgenstein propone al suo uditorio due esempi in grado di mostrare le caratteristiche logico-linguistiche di affermazioni del genere: la meraviglia per lesistenza del mondo (Quanto straordinario che qualcosa esista: CE, p. 13) e la sensazione di sentirsi assolutamente al sicuro (Sono al sicuro, nulla pu recarmi danno, qualsiasi cosa accada, ibid.). Si tratta di versioni della meraviglia e della sicurezza che potremmo chiamare, impiegando una espressione assente nel testo, superlative. Esse differiscono dai loro equivalenti ordinari per un aspetto: mentre se dico mi meraviglio che oggi tu abbia indossato quella cravatta a righe, ci avviene perch mi sono immaginato che avresti potuto sceglierne unaltra (a tinta unita, ad esempio), quando affermo che mi meraviglio dellesistenza del mondo non sono in grado di immaginare cosa accadrebbe se tutto quello che oggi esiste non ci fosse pi. Wittgenstein si sofferma su due caratteristiche di espressioni del tutto ordinarie la cui struttura la stessa delle affermazioni etiche o religiose. La prima labbiamo intravista. Frasi del genere sono il prodotto di un cattivo uso della lingua (ivi, p. 13): lindizio principale della loro mancanza di
Vorrei dedicare questo scritto a Tommaso Russo Cardona. Sia chiaro: il saggio non ne allaltezza, mi permetto di farlo solo in base a un motivo pi modesto e personale. Nel momento stesso in cui ho capito come rimettere mano a un testo in parte gi scritto, mi venuta alla mente una frase di Tommaso a proposito del rapporto tra malinconia e sublime, tema del quale avevamo discusso mesi addietro. Solo ora comincio a capire perch e in che modo avesse ragione. La sua assenza, tanto dolce e cos invadente, segno tangibile della sicura durezza e della potenziale fertilit degli stati malinconici. Un giro di frasi complicato per dire del modo in cui, anche oggi, Tommaso qui.
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senso dato dal fatto che mettono sotto scacco limmaginazione. Come immaginare qualcosa di completamente altro rispetto a quello che conosciamo? La seconda caratteristica riguarda la loro struttura liminare, sostanzialmente vuota, che fa assomigliare questo tipo di asserzioni a una tautologia (ivi, p. 14). Laccostamento non casuale. Secondo il Tractatus, del quale la Conferenza sulletica la ripresa e il primo continuamento, la tautologia costituisce il limite interno del linguaggio, linsostanziale centro delle proposizioni (T, 5.143). La tautologia (la proposizione A=A, ma anche quanto azzurro questo azzurro! o, per lappunto, mi meraviglio che esista il mondo) una forma linguistica che riveste per il linguaggio unimportanza simile a quella che assume il tubo per lo scorrimento dei liquidi: una struttura portante e, contemporaneamente, vuota. Laccostamento (del quale Wittgenstein per primo, occorre dirlo, si dichiara insoddisfatto) efficace ma parziale. Nel Tractatus si specifica, infatti, che esiste una seconda figura logica, la contraddizione, in grado di delineare i limiti del linguaggio: tautologia e contraddizione sono i casi limite del nesso segnico, ossia della sua dissoluzione (T, 4.466). La contraddizione incarna i margini esterni del linguaggio, il suo limite esteriore (T, 5.143). Lassenza di questa figura logica nella Conferenza sulletica pi eclatante di quanto si potrebbe credere: se per un verso le due strutture sono tra loro simmetriche (incarnano il centro e la periferia del linguaggio, il vuoto e il pieno) e dunque citare la prima significa implicitamente accennare alla seconda, per un altro verso i due termini sono tra loro speculari e, dunque, a orientamento inverso. Mentre la tautologia segue da tutte le proposizioni (T, 5.142), la contraddizione segna il punto di origine di ogni affermazione poich da essa ogni proposizione discende (Q, 3.6.1915, p. 194). Mentre la tautologia si configura come un mellifluo camminare sul posto, la connotazione vagamente spettrale della contraddizione dovuta al fatto che questa si propone come una falsa partenza. La prima ha il volto regolare e prevedibile di una scultura manieristica: priva di difetti, pu lasciare di stucco nel senso duplice dellespressione. La frase quanto azzurro questo azzurro! pu impersonare la meraviglia pi assoluta ma anche trasformarsi rapidamente in un parlare vacuo e noioso. Il Tractatus cerca di nascondere sotto il tappeto la tensione prodotta dal rapporto di somiglianza e differenza tra le due figure logiche. Wittgenstein afferma perentorio: le proposizioni della logica sono tautologie (T, 6.1). Presa alla lettera, laffermazione innesca un cortocircuito imbarazzante.

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Poich le contraddizioni sono proposizioni logiche, anche le contraddizioni dovrebbero essere tautologie, cosa ovviamente contraddittoria. Negli scritti precedenti, in particolare nei Quaderni, la simmetria speculare e rovesciata tra tautologia e contraddizione invece esplicita. Wittgenstein si rende conto che il carattere estremo della contraddizione sta nel fatto che questa dovrebbe anzi dire pi di tutte le altre proposizioni (Q, 11.6.1915, p. 200) e che se p.~p POTESSE esser vera direbbe davvero moltissimo (Q, 13.6.1915, p. 200. Maiuscolo e corsivo nel testo). Il carattere allusivo della contraddizione di ordine diverso da quello che anima la tautologia: la contraddizione non vera ma se lo fosse illuminerebbe la struttura germinale del linguaggio. Questo controfattuale incarna non solo la debolezza logica ma anche la profondit epistemica e la struttura emotiva di un figura linguistica che non dipinge semplicemente i tratti di una impossibilit totale (come sottolinea il Tractatus: T, 4.464) o di uno sbarramento allazione (la strategia wittgensteiniana nelle opere successive, la contraddizione come muro: cf. ad es. Z, 687). La contraddizione porta con s unassenza mal digerita, un colpo andato a vuoto. Se la tautologia paragonabile al clic, innocente e un po stupido, di una pistola scarica, la contraddizione il frutto di una mira non a punto, prestazione di unarma imprecisa che per spara il suo colpo. La tautologia immobile; anche se nella direzione sbagliata, la contraddizione si muove poich mette insieme due cose che, insieme, non possono stare. Nella conferenza Wittgenstein si concentra solo su stati danimo piacevoli e positivi: la meraviglia nel guardare lazzurro del cielo (CE, p. 14), la sensazione di sicurezza di chi ha ormai scampato il pericolo (ibid.). Nel testo c qualcosa di edulcorato e immobile che segnala una doppia mancanza: logica (la simmetria speculare tra tautologia e contraddizione) ed emotiva (lassenza del correlato inquieto della meraviglia). possibile sopperire a questa mancanza attraverso unindagine che si concentri sullanalisi del corrispettivo emotivo della contraddizione. Esiste la possibilit che questo caso non costituisca il semplice doppio del primo, magari pi pericoloso e instabile, ma rappresenti un punto di vista diverso, addirittura pi estremo, sui limiti del linguaggio. Propongo come candidato uno stato danimo particolarmente sfuggente e complesso, la melanconia2. Per un verso la
2 Preferisco la parola melanconia allitaliano corrente malinconia per sottolineare la parziale coincidenza tra due accezioni del termine. Quella contemporanea pi ristretta e specializzata poich indica uno stato danimo, pi o meno transitorio, che pu opporsi alla mania. Il termine melanconia il calco del termine greco corrispondente: indica una

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melanconia lo stato danimo contraddittorio per eccellenza: mania e blocco dellazione, eccesso e difetto di azione, linguaggio, emozione ( 2). Per un altro, la melanconia offre il vantaggio di coinvolgere direttamente limmaginazione. Se tautologia, meraviglia e sicurezza mettono limmaginazione in una situazione di stallo, la melanconia sfodera la potenziale produttivit dei suoi eccessi ( 3). 2. Una vita priva di misura: melanconia e contraddizione Nella tradizione occidentale, Aristotele a fornire una delle prime trattazioni sistematiche della melanconia. Per avere sotto mano una microfenomenologia di questo stato danimo pu essere utile ripercorrere i temi principali dei cosiddetti Problemata XXX, il testo in cui descritto chi affetto da uno squilibrio che, secondo la tradizione ippocratica, riguarda la bile nera. Quel che colpisce della descrizione aristotelica la variabilit del comportamento melanconico. Tre coppie di aggettivi antinomici ne forniscono il ritratto: il melanconico lussurioso (Probl, 953 b 33) e intorpidito; (ivi, 954 a 23), taciturno (ivi, 953 b 13) e ciarliero (ivi, 954 a 34); sciocco (ivi, 954 a 31) e geniale (ivi, 954 a 32). Basta leggere qualche riga del testo per rendersi conto che, nell'accezione originaria, la melanconia non indica quel che oggi chiameremmo unindole depressiva ma ha un significato pi ampio. Esprime unambivalenza termodinamica (KLIBANSKY, PANOFSKY, SAXL, 1964, p. 39): gli alti e bassi della variabilit di una sostanza che, riscaldata o raffreddata, produce comportamenti opposti. Nel testo proposto in modo quasi ossessivo il parallelismo tra bile nera e vino, fluidi che rivelano la variabilit del comportamento umano. Il melanconico simile a un ubriaco perch, come chi ha bevuto troppo, manifesta un comportamento imprevedibile che rovescia abitudini e previsioni: il mite diventa aggressivo, il forte mostra la propria debolezza. La coppia depressione-mania, che oggi trova il suo sunto psichiatrico nella cosiddetta sindrome bipolare, qui emerge con fattezze diverse. proprio Aristotele il primo a svincolare questo stato danimo da una concezione puramente patologica: la bile nera fornisce la descrizione primigenia della natura umana. Il melanconico non semplicemente colui che, afflitto, guarda lorizzonte disarmato (come sar nelle rappresentazioni cinquecentesche di
condizione contraddistinta da una sintomatologia molto pi ampia che, ad esempio, comprende al suo interno gli stati maniacali.

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Drer o Cranach) ma colpisce chi preda di un moto oscillatorio. Labile e incostante, ogni equilibrio scompare tra euforia e abbattimento, azione forsennata e paralisi abulica. La fenomenologia dell'ebbro melanconico fornisce la grammatica della pulsione: questa, senza gli argini dell'istinto, ostaggio dell'incostanza dello stato d'animo e della forza impetuosa di una costituzione psichica squilibrata (Probl. 954 b 27). La psiche melanconica tradisce la necessit di sostegni esterni, di forme di appoggio e completamento. Non a caso, in un altro testo, Aristotele l'accosta alla giovinezza (Eth. Nic., 7, 1154 b 10-15): lo squilibrio di comportamento fa tutt'uno con le necessit di cure di un animale neotenico, caratterizzato da una infanzia cronica, da una ontogenesi che, rispetto a quella delle altre forme di vita, priva di pause. Le tre coppie di aggettivi indicano uninstabilit che riguarda, non a caso, ogni sfera della vita umana: quella pulsionale (il melanconico intorpidito e lussurioso), cognitiva (sciocco e geniale) e linguistica (taciturno e ciarliero). I Problemata XXX impiegano un termine specifico per indicare la condizione melanconica: chi ne affetto peritts, aggettivo greco dallo spettro semantico unitario seppur relativamente ampio. Il termine significa che passa la misura, eccessivo, ridondante, dispari, eccellente, singolare, ricercato, sovraccarico. La costruzione del termine consiste nella lessicalizzazione di una forma grammaticale. Come in greco antico epissa vuol dire figlia minore perch allude al successivo (ep) per eccellenza, peritts la forma aggettivale di una preposizione grammaticale, per: intorno, ma anche al di l, attraverso, molto. La melanconia aristotelica incarna innanzitutto il regno dellapprossimazione: il mondo di chi stenta a cogliere il bersaglio, di chi si accosta, per eccesso o per difetto, alla soluzione. La parola incarna sia leccesso che lapprossimazione, in entrambi i casi indica lo scacco della misurazione. La melanconia il corrispettivo emotivo di un movimento oscillatorio: la sindrome che evidenzia il volto anomals (ivi, 954 b 5; 954 b 9; 955 a 30; 955 a 36-37) del comportamento umano, cio irregolare e incostante. la bile nera che forma il carattere (lethos: ivi, 955 a 34), afferma esplicitamente Aristotele. La tradizione successiva spesso insister solo sul carattere eccezionale del melanconico (nel bene o nel male, accentuandone i tratti geniali o patologici), mentre laspetto interessante dellimmagine, ripresa dalla medicina ippocratica ma che avr diffusione fino allinizio del XVII secolo (FOUCAULT, 1972, p. 232), che lincostanza del flusso svolge un ruolo doppio. Per un verso, lincostanza la regola: la diversa consi-

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stenza a formare la psiche determinando lappartenenza categoriale di ciascuno di noi (Probl, 955 a 32-33); per un altro una caratteristica della bile nera particolarmente accentuata nei melanconici. Chi affetto da melanconia rappresenta per la specie una vera e propria iperbole (uperboln: ivi, 955 a 39), la sovrabbondanza pulsionale dellorganizzazione corporea della specie. I curatori della traduzione italiana dei Problemata non aiutano a far luce su un aspetto, peraltro fondamentale, della questione poich risentono della vulgata che si limita a sottolineare la presunta eccezionalit del melanconico. Angelino e Salvaneschi intitolano il testo La melanconia delluomo di genio dando per scontato che peritts significhi semplicemente straordinario. Peccato per che, almeno in una circostanza, siano proprio loro a tradurre laggettivo con il termine opposto (litaliano mediocre) in un passo per altro decisivo da un punto di vista teorico:
Come, infatti, si diversi non per lavere un volto ma per avere un determinato volto [eidos], bello gli uni, brutto gli altri, altri ancora mediocre [perittn] sono questi i moderati [mesoi] per natura cos anche coloro che poco partecipano di un siffatto temperamento [quello melanconico] sono moderati, quelli che ne partecipano in dose elevata sono diversi dai pi (ivi, 954 b 21-26).

Il significato di peritts rischia di essere sfuggente, e con esso la melanconia, per almeno tre ragioni. Aristotele paragona le oscillazioni della bile nera, la termodinamica della malinconia, alleidos. Il termine non significa semplicemente volto (come suggerisce la traduzione italiana) ma indica, almeno nella principale delle sue accezioni, una coppia metonimica: vuol dire sia aspetto che bellaspetto, forma ma anche formosit. Leidos per laspetto quel che peritts per la misura: indica una scala valutativa e, contemporaneamente, uno dei termini della scala (il bello, il misurato). Pensiamo allespressione quel ragazzo ha un viso espressivo. In questo caso laggettivo espressivo ha un valore duplice. Significa che quel viso ha espressioni diverse, sia belle che brutte. Significa anche, per, che quel viso in grado di assumere espressioni tra loro molto differenti. Gi per questo e aldil della gradevolezza delle singole espressioni, quel viso ha una sua bellezza. Il paragone con leidos consente di mettere in chiaro unaltra caratteristica del peritts. Secondo la concezione classica della bellezza, il bello coincide con larmonia proporzionata delle forme. La bellezza una forma media che supera gli eccessi grazie al proprio equilibrio. Allo stesso modo,

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peritts indica contemporaneamente due estremi di una gradazione oppositiva: si riferisce sia alleccesso che alla mediet. La faccenda resa complessa dal fatto che uno dei suoi estremi, la moderatezza, per definizione quel che nel mezzo. Lopposizione indicata dal termine, dunque, corre sul filo di una peripezia logico-pulsionale. Il termine che si oppone per struttura logica (e non semplicemente per contrasto, in un modo che oggi potremmo definire reattivo: dati due termini A e B, se tu scegli A io prendo B) a una estremit non laltra estremit (di un segmento, ad esempio) ma il punto mediano (se tra A e B tu scegli A, io non prendo B ma C): A peritts C peritts Il carattere contemporaneamente estremo e mediano del peritts mostra le qualit, altrettanto paradossali, di un terzo aspetto che riguarda una questione pi generale, propria della misurazione ma non della valutazione dellaspetto. Il parallelo tra i due casi, forma estetica e misura, si interrompe nel momento in cui analizziamo il carattere potenzialmente autoriflessivo dei due termini. In entrambi i casi abbiamo a che fare con una scala graduata. Mentre, per, nel primo i due estremi sono costituiti da termini che si riferiscono allaspetto (bello, brutto), nel secondo gli estremi riguardano la misurazione, cio lattivit stessa del costruire scale graduate. proprio grazie al carattere non reattivo de peritts che possibile non irrigidire lesperienza tra due semplici estremi (A contro B; letologo direbbe attacco contro fuga) ma articolare il loro rapporto in una infinit di gradi intermedi. Si immagini la presenza di due punti isolati, A e B. Il carattere (anche) mediano del peritts proprio quel che consente la formazione del segmento che, contemporaneamente, li congiunge e distanzia. Il peritts esprime il carattere antropologico del paradosso di Zenone non per sposarne la paradossalit ma per indicarne il fondamento logico-pulsionale:
1) 3) A B 2) n) A B

A C B D E (peritts) (peritts)

C (peritts) e cos via fino alla costruzione del segmento AB

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Questa terza dimensione del problema mostra il profondo rilievo antropologico del peritts malinconico poich chiama in causa il rapporto tra animali umani e misurazione. proprio perch nascono senza misura che i sapiens possono misurare, cos come proprio perch nasce senza un sistema di comunicazione preformato che lessere umano pu parlare. Il peritts, da tradurre dunque non tanto con eccezionale quanto con smisurato, smodato o anche approssimativo, impreciso, quel che costituisce la condizione di possibilit della misura. Un animale non umano non ha bisogno di crearsi unit di misura perch le ha gi: ha i suoi meccanismi di controllo per orientarsi nello spazio, emettere suoni comunicativi o ingerire la giusta quantit di cibo. Gli umani sono esseri misurativi perch non nascono con unit di misura predefinite: proprio per questo sono a rischio di eccesso o difetto. Il motto protagoreo luomo misura di tutte le cose, citato polemicamente pi volte da Aristotele, banalizza un tratto decisivo della specie dandone unaccezione relativista. Lespressione va intesa in termini pi radicali: non in modo soggettivo (quale singolo uomo: ognuno la vede come gli pare) ma universale (lumano in quanto tale deve dare misura: CARDONA, 1985, p. 44). Protagora scambia la molteplicit dei sistemi di misura (pollici e metri, once e grammi) con lunit di un fatto di fondo, cio di un invariante biologico, la capacit-bisogno di costruire sistemi metrici. Come dire: occorre tenere bene a mente un dato di partenza, siamo animali approssimativi. Per questa ragione, il peritts il fondamento della scala di misurazione, delle sue estremit e dei suoi gradi intermedi. La sregolatezza della bile nera, la sua anomalia, il luogo di origine della regolarit; la sua mancanza di misura la condizione di possibilit dellorganizzazione misurativa di una forma di vita che non nasce con un gran numero di clich metrici (oggi li chiameremmo istinti) gi pronti. Attenzione, per. Laggettivo il motore drammatico del testo aristotelico perch la messa a punto di un sistema di misura non risolve una volte per tutte il problema della smodatezza. Il peritts ha a che fare con la melanconia perch allude non solo allestremo e alla mediet della misurazione, ma anche alla misurazione di quel che misura non pu trovare. La melanconia anomala, cio incostante e irregolare, perch rivela la continua possibilit per lanimale umano di essere diverso da quello che , di trasformarsi. Se si vuole, luogo di origine di due figure complementari: lo Zelig di Woody Allen che cambia sempre identit al fine di mimetizzarsi nel tessuto sociale; Jacques l'Aumne, il protagonista di Suburbio e fuga di Queneau, che immagina di fare qualunque

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mestiere per assaporare ogni lato della vita umana e costruire una identit sempre pi individuata (eccezionale nel senso di individuato, eccentrico, ricercato). Lo stato danimo che meglio incarna il peritts, la melanconia, non pu che ripercorrerne le alterne vicende. uno stato emotivo che rischia un continuo sfasamento rispetto a se stesso producendo una vertigine prossima a quella prodotta dalla contraddizione. Sono paralizzato e maniacale, ebbro e lucido, loquace e muto: emerge una specie di dialettica delle qualit che [] cammina attraverso rovesciamenti e contraddizioni (FOUCAULT, 1972, p. 233). Nel caso in cui le oscillazioni arrivino al culmine, questi stadi giungono a una indeterminatezza del comportamento prossima a quella prodotta dalla sospensione di quel che il libro Gamma della Metafisica chiama principio di non contraddizione. Da questo punto di vista, la storia labirintica e polimorfa del concetto di melanconia (per una rassegna: KLIBANSKY, PANOFSKY, SAXL, 1964) indica due crocevia antropologici in grado di suggerire perch la melanconia sia un candidato in grado di riempire quel vuoto, logico ed emotivo, segnalato nella Conferenza sulletica di Wittgenstein. La melanconia il correlato pulsionale della contraddizione perch questultima ne descrive sia la struttura che la causa scatenante. Per un verso, si tratta di uno stato danimo contraddittorio per sintomo e forma. Dal medioevo fino all'Ottocento, melanconia sar sinonimo di licantropia e cannibalismo, vampirismo e di ogni stato al confine tra lumano e lanimale (lo stesso Aristotele laccosta alla malattia sacra, cio allepilessia: Probl. 953 a 10; 953 b 6). Linstabilit dei sapiens trova le forme pi diverse in figure di confine che segnalano la precariet di una identit sempre pronta a mescolanze improprie, a ritorni di fiamma di un disordine del quale la bile nera il simbolo fisiologico. Per un altro verso, la melanconia lo stato d'animo suscitato dalla contraddizione. Allinizio del Seicento, un pastore anglicano riesce a mettere a fuoco con particolare chiarezza questo aspetto, sotterraneo ma onnipresente, del tono emotivo dominato dalla bile nera. In Anatomia della melanconia, Robert Burton (15771640) estremizza unidea gi espressa da Ippocrate e dalla sua scuola: il saggio si trova in una condizione simile a quella del melanconico perch prende atto dei contrasti e delle contraddizioni che attraversano il mondo. Ne ride amaramente, prendendone distanza. Lattenzione di Burton si concentra su Democrito, il filosofo incontrato da Ippocrate in uno dei suoi viaggi e definito dal medico greco simile a chi colpito dalla bile nera. Il discepolo di Eraclito figura emblematica: sua la filosofia che, pi di ogni

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altra (almeno fino alla dialettica di Hegel), si concentra sulle dinamiche che legano gli opposti in un rapporto di perenne separazione e unione. La variabilit pulsionale non costituisce solo il fondamento biologico della melanconia, come sembra suggerire Aristotele, ma anche il suo oggetto di riflessione, il motivo concreto e contingente della sua esplosione. La variabilit comportamentale umana la causa scatenante della melanconia non solo perch ne rappresenta il motore pulsionale ma anche perch ne costituisce linnesco. Il mondo pieno di ridicole contraddizioni (BURTON, 1621, p. 88) perch gli uomini, grazie alla loro variabilit, sono simili a camaleonti (si pensi a Zelig o a Jacques l'Aumne). Allo stesso tempo, leccessiva mutevolezza di opinione e comportamento pu tramutarsi anche nel suo opposto, nellottusit di chi non vuole cambiare idea. Contro la variabilit dellanimo umano lesercizio retorico non offre garanzie (nei Problemata lals, ciarliero, si oppone esplicitamente a retoriks: Probl. 953 b 1-2): non solo la parola dellaltro pu portarlo allerrore, ma pu non riuscire a convincerlo della verit. Poich non esiste un tribunale ultimo, nessuno pu essere inchiodato dallevidenza dei fatti (BURTON, 1621, p. 113). Burton non punta il dito solo sulle ingiustizie delle societ umane ma anche sulle difficolt a debellarle. Il titolo dellopera allude esplicitamente a un processo di scomposizione: anche se si procede a un'anatomia dei fatti e li suddivide in porzioni pi piccole non possibile arrivare a elementi primi, ad atomi indiscutibili di pura evidenza. Democrito, con il suo sorriso amaro, ride del suo stesso atomismo poich trovare fatti elementari (gli stessi auspicati dallautore del Tractatus) non cos facile3. Il peritts malinconico d ragione a Protagora (luomo misura di tutte le cose: questo vale per tutti gli umani ed ecco uno dei suoi invarianti biologici) e, cos facendo, ne elimina il relativismo. Lo supera spiegandone il senso antropologico. 3. Incommensurabilit e rivolta: contraddizione e immaginazione La melanconia non solo motore del problema, linstabilit pulsionale di una specie facile preda della contraddizione, ma pu indicare una via d'uscita: qui che uno dei protagonisti della Conferenza sulletica, limmaginazione, fa il suo ritorno.

questo uno dei punti di connessione tra melanconia e ironia: RUSSO CARDONA, in stampa.

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Per spiegare il rapporto tra linguaggio e mondo, il Tractatus si avvale di unimmagine geometrica: la proposizione come un metro apposto alla realt (T, 2.1512). Come sottolinea Lo Piparo (2002, p. 102), la tautologia strettamente imparentata con la nozione di misura-campione: il modo pi secco per rispondere alla domanda com il rosso drago? mostrarne un esempio visibile. E quel che, di fatto, accade in ogni negozio di colori o stoffe. La Conferenza sulletica privilegia questo tipo di esempi. Nellesclamazione quanto azzurro questo azzurro! ritroviamo il cortocircuito tra campione ed espressione corrispondente: con meraviglia constatiamo un fatto altrimenti normale, quanto il campione calzi con il suo modello. Luguaglianza tra lespressione rosso drago e il colore equivalente assomiglia a unespressione tautologica, A=A. In entrambi i casi emerge la struttura del mondo, la sua armatura (T, 4.023). La contraddizione porta in scena uno stato danimo, la malinconia, che non si concentra sulla stretta connessione tra i due termini, la macchia e il suo nome, quanto sul margine di gioco che sussiste tra loro. Riprendiamo il paragone wittgensteiniano tra linguaggio e geometria. La tautologia, con la sua rassicurante meraviglia, si concentra sulla coincidenza tra il metro e la realt, la parola e il mondo. Vuoi sapere quanto grande questa stanza? Nessun problema, prendo il metro e comincio a misurarne i lati per poi calcolare larea. La contraddizione matrice della malinconia perch si annida negli interstizi delle pratiche misurative, nelle sue incertezze, nelle sue necessarie approssimazioni. Prendo le misure della mia stanza e, allimprovviso, sono preda di una esitazione. Quanto devo approssimare per avere una misura che sia precisa? Al centimetro? Al millimetro? Meno? La fettuccia pu mettermi in profondo imbarazzo: prendo la misura e vedo che la fine della stanza non coincide con una delle tacche del mio metro. l, a met, tra un millimetro e un altro. ovvio: di solito, questo residuo qualcosa di innocuo, ad esso semplicemente non facciamo caso. Ma peculiare dello stato melanconico mettere in evidenza la potenziale profondit dello scarto: quella tacca indica e non indica la misura giusta, per uscire dalla trappola costituita dal limite indecidibile tra due misure devo inventare qualcosa. Come frasi allapparenza semplici (quanto azzurro questo azzurro!) tradiscono la struttura interna delle proposizioni etiche e religiose, cos le approssimazioni misurative quotidiane ricordano leterno agguato di situazioni nelle quali la regola non mi dice pi nulla (WAISMANN, 1967, p. 114). La contraddizione non si configura solo come semplice blocco per

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lazione o per il ragionamento ma come spinta a prendere una decisione, cio introdurre unulteriore regola (ibidem. Il corsivo nel testo). A e non A deve il suo carattere inquietante anche al fatto che una proposizione che spinge allinnovazione e al cambiamento: se la tautologia mostra la struttura del gioco attraverso un processo di congelamento, la contraddizione lo mette non solo in discussione ma di nuovo in moto. Leccesso e la mancanza di misura, i crucci della bile nera, trovano in una capacit melanconica, limmaginazione, una via costruttiva: lindeterminatezza semantica propria della contraddizione messa al lavoro per costruire nuove forme di organizzazione di un mondo tanto instabile, per dare spazio a una vita eccezionale perch soluzione individuale al problema della specie. La tautologia si ferma alla constatazione del mondo come tutto limitato (ivi, p. 55); la melanconia ne costituisce il risvolto problematico perch si chiede dove cada questo limite, se si dia sempre una sovrapposizione tra limite del linguaggio e limite del mondo. La tautologia animata da una meraviglia che un vero e proprio sentimento mistico (WAISMANN, 1967, p. 55): per questo lascia tutto com. La contraddizione melanconica animata da una spinta per Wittgenstein pi sospetta, un bisogno di metafisica (caro al suo amico/nemico Schopenhauer: MAZZEO, 2001) potenzialmente produttivo e, per questo, paradossalmente pi materialista perch alla ricerca non solo di una spiegazione del mondo ma anche del suo cambiamento. Non fermarsi alla meraviglia ma avventurarsi nei rischi dellimmaginazione malinconica significa questo: sapere che ogni cosa ci che (secondo lespressione di Butler spesso citata da Wittgenstein), ma non arrendersi allidea che non possa esser trasformata in unaltra cosa.
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ALESSANDRA PANDOLFO Emozioni e mente morale


che l mondo delle gentili nazioni egli stato pur certamente fatto dagli uomini (VICO, Principi di una Scienza Nuova, 1725)

0. Breve prologo in terra In una tiepida serata di marzo, attraversata da un molle vento di scirocco, passeggio in una piazza della mia citt. Un gruppo di ragazzi si attarda ai piedi di una statua. Scherzano, ascoltano musica, con accento strascicato chiacchierano, immersi nellindolente atmosfera delle vacanze pasquali. Ad un tratto, uno di loro lancia in alto delle bottiglie di vetro. Queste, cadendo si frantumano e scagliano in modo esplosivo schegge di vetro che sfiorano i passanti stupefatti, presto sottratti al loro distratto incedere Cosa passa per la mente di quel giovane? Quali le ragioni e la tonalit emotiva di quel gesto? Che rappresentazione possiede di s, dellaltro, dello spazio sociale in cui vive? 1. Socializzazione/individuazione nello spazio logico dellintersoggettivit linguistica Il significato e il peso delle norme e dei vincoli nella vita umana varia enormemente nei diversi contesti normativi con effetti vistosi sul piano della felicit e della sofferenza. Ma, quali sono le condizioni della relazione normativa sempre attraversata dalla tensione tra istanze individuali e sociali? Su questa tensione bisogna far leva per evidenziare la matrice affettiva di diversi atteggiamenti rispetto ai vincoli normativi che, disposti idealmente lungo un continuum di possibilit, trovano ad un estremo il sentimento di obbedienza tipico delle forme di eteronomia e, dallaltro, la mera indifferenza propria degli spazi anomici. Ricostruiamo, quindi, lo spazio logico della normativit attraverso i fattori dellintersoggettivit linguistica che presiedono al processo di socializzazione/individuazione1.
1 Presento qui in forma schematica lidea del radicamento della vita normativa nellintersoggettivit linguistica che ho sviluppato nella Tesi di Dottorato di ricerca; cf. in particolare il capitolo terzo di PANDOLFO (2007).

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a) Lo scambio prospettico dei ruoli tra identit e differenza. Ricalcando le orme di Mead2, sottolineo anzitutto la dinamica dello scambio prospettico dei ruoli, che permette ad un co-agente di trasformarsi operativamente nellagente, ri-eseguendone il gesto e impossessandosi cos della regola del partner. Su questa forma si innesta la socialit umana, che garantisce mediante la dinamica di esecuzione e ri-esecuzione quel patrimonio comune di regole che nel co-operare si stabilizzano. Ma lo scambio prospettico attiva anche il processo di differenziazione dei ruoli che dilata uno spazio di gioco, nel quale ogni azione diventa una mossa imprevedibile che offre un ventaglio di possibili risposte operative da coordinare con esiti pi o meno accettabili. Secondo Mead grazie al processo di differenziazione dei ruoli, vera matrice di variabilit delle regole, gli agenti possono interpretare in modo innovativo le condotte sociali condivise, moltiplicando le possibilit del fare. In tal senso, ladulto che si prende cura del bambino, lo espone alla contingenza di un gioco interpretativo irriducibile ad automatismi, nel quale sussiste una dinamica di stabilizzazione, differenziazione e aggiustamento reciproco dei vincoli. questo il primo nucleo della comprensione sociale3. b) io e tu, la codificazione linguistica del processo di identificazione/differenziazione4. La forma dialogica della prassi raggiunge le sue condizioni specifiche con la comparsa del linguaggio che codifica la differenza dei ruoli nella funzione degli operatori linguistici io-tu. Dicendo di s io, il parlante afferma la nonidentit rispetto al tu, ma, per altro verso, attribuendo al tu la capacit di dire di s io, riconosce lidentit che li accomuna. La vita linguistica condizione di identit e differenza. Per il semplice fatto di parlare, un parlante entra nel gioco dialogico che lo costringe ad occupare una specifica posizione irriducibile a quella dellaltro. Io e tu sono le coordinate linguistiche dello spazio sociale che identificano gli specifici posizionamenti responsabili della flessibilit delle regole inscritte nelle pratiche comuni. Tra io e tu si dilata lo spazio nel quale lesperienza del mondo pu essere riorganizzata
2 Il contributo dello scambio prospettico alla strutturazione della mente sociale analizzato in MEAD (1934), nella parte dedicata alla Mente. 3 Per unanalisi dettagliata dei fattori psicologici che contribuiscono precocemente allo sviluppo della mente sociale cf. LEGERSTEE (2005). 4 Attraverso la lettura di Habermas e di Benveniste ho appreso quanto la genesi degli operatori linguistici io/tu contribuisca a creare lo spazio della socialit normativa nella quale si articolano identit e differenze. Cf. in particolare Lapparato formale dellenunciazione, in BENVENISTE (1974). Il tema diffusamente presente in Habermas, ma mi limito a segnalare HABERMAS (1981, trad. it. 1986, pp. 547-696).

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secondo modalit inedite. La polarit io-tu una componente essenziale dello spazio normativo, dove la tensione tra le regole consolidate e la possibilit di eseguire nuove regole non eliminabile. Qui si genera lesperienza del S, nella quale prendono corpo vincoli e norme, ma anche desideri e bisogni, insieme allattivit di mediazione tra istanze sociali e individuali che dura per tutta la vita. c) La dimensione consensuale della coordinazione delle azioni. Con questa felice espressione di Maturana5 indico laltro fattore della vita normativa, e cio la dinamica dialogica innescata dalloperatore linguistico s/no6 che avvia il processo di validazione dei vincoli e, quindi, la possibilit di coordinare consensualmente le azioni. Nella prassi intersoggettiva la pluralit dei ruoli crea un ambito in cui coesistono da un lato un patrimonio di vincoli comuni e, dallaltro, il potenziale di variazione delle pratiche condivise posto nella capacit dei soggetti di fare e dire diversamente. La contingenza un tratto specifico della vita normativa e rende inesauribile il compito di coordinazione delle azioni, spesso messo a dura prova dalle trasformazioni decise dal soggetto. Ma come accade che, delle differenti forme dazione, alcune vengano riconosciute legittime e degne di vincolare, altre no? Loperatore linguistico s/no il fattore della selezione validativa per comparare le regole in modo che lesibizione delle loro qualit possa condurre a coordinare consensualmente le azioni. La dinamica dialogica del s/no istituisce lincerta mediazione tra norme stabilizzate e il complesso di bisogni e desideri al quale lindividuo pu dar voce. Irrompendo nella vita pubblica le motivazioni soggettive, lungi dallessere necessariamente ascritte alla sfera dellarbitrio, possono avanzare legittime pretese di validit esibendo argomenti e ragioni che ne attestino le qualit. Desideri, passioni e credenze possono, cos, divenire ragioni dazione. 2. Modelli etici e tonalit emotiva del sentimento sociale Varcare la soglia dellintersoggettivit linguistica significa al tempo stesso entrare nella scena della vita normativa; tramite il processo di socializza5 Secondo Maturana la specifica competenza della forma di vita che possiede linguaggio risiede proprio nella possibilit di coordinazione consensuale di azioni; il tema trasversalmente presente in MATURANA (2006). 6 Per la struttura dialogica dellintesa umana mi riferisco allorizzonte teorico habermasiano che ha il merito di aver riportato la genesi dei vincoli normativi alla matrice dialogica dellintersoggettivit linguistica.

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zione/individuazione il S si struttura rispetto ai vincoli sociali. Va precisato che si tratta di fattori logici astrattamente considerati, pure condizioni di possibilit dei concreti scenari normativi che ad uno sguardo ravvicinato esibiscono specifici livelli di problematicit. Gli abitanti dello spazio intersoggettivo non possono sottrarsi al lavoro di coordinazione tra identit individuale e sociale. N la costruzione delle poleis sfugge agli esiti incerti della mediazione normativa con la beffa che relazioni sociali a fatica costruite possano sciogliersi come neve al sole per lurto del reciproco misconoscimento che fa saltare ogni vincolo. Mi soffermo, adesso, sulla fisionomia che il nesso tra ragionamento morale e sentimento sociale assume nei diversi contesti etici, partendo da unosservazione di carattere generale. Lethos di una comunit indica il complesso di criteri che orientano lagire sociale entro forme di vita buona. Nella sfera etica si sedimentano i giudizi valutativi che selezionano forme di coordinamento dazione pubblicamente riconosciute valide. Quanto pi gli agenti si conformano a quei giudizi, tanto pi garantito lethos di una societ. Per chiarire la specifica tonalit emotiva di uno spazio etico, bisogna osservare come si strutturano i seguenti fattori: le procedure sociali di giustificazione dei valori, le modalit di trasmissione dei criteri alle nuove generazioni, la designazione di autorit deputate alla tutela dellethos, lintensit dellesercizio del vincolo e le forme di sanzione della violazione. Letica, per, non basta a garantire forme di vita buona. Indica la dimensione fattuale delle forme di coordinazione gi approvate e, quindi, la condizione a partire da cui i soggetti si impegnano nel compito di misurare le proprie istanze rispetto allo sfondo di valori condivisi, al fine di articolare una specifica esistenza presumibilmente difendibile. E poich ci preme capire i livelli di benessere degli individui negli spazi normativi, ci chiediamo a questo punto: dato un contesto etico, quali margini di iniziativa spettano agli individui? Che tipo di attivit valutativa incoraggiata per la scelta dei criteri dazione? Qual la tonalit emotiva dominante? Proviamo a rispondere, individuando le forme del sentimento morale sociale in tre tipici contesti etici: eteronomia, anomia e modello dialogico. 3. Il modello delleteronomia tra obbedienza e sentimenti di paura, sacrifico, rassegnazione Iniziamo con lanalisi dei modelli etici definiti da elevati livelli di eteronomia, nei quali forte la pretesa che i criteri del bene e del male siano

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universali, stabili e ben trincerati nelle istituzioni che ne garantiscono la validit. Che si tratti di autorit politiche, religiose o culturali, ad esse spetta lonere di fondare e giustificare i valori, tracciando un confine netto tra azioni conformi e non conformi ai criteri. Alle medesime autorit spetta il compito di trasmettere il patrimonio normativo alle nuove generazioni per dare continuit alle forme di coordinazione sociale. Il potere vincolante dei valori sulla volont degli individui elevato, cos come il peso della sanzione in caso di violazione. Direi, pertanto, che in questo spazio etico i valori-matrice intorno a cui si struttura lintero sistema morale sono quelli della coesione e dellomogeneit; e di contro, disgregazione e difformit sono i principali disvalori. Non a caso qui occupa un posto di rilievo la forma illocutiva del comando imperativo. Il soggetto giustifica le proprie azioni tramite giudizi morali di conformit al criterio valido: pertanto, la validit fattuale della norma etica solo debolmente esposta al rischio che lindividuo ne metta in discussione la legittimit. Le istanze difformi dai modelli dazione sono delegittimate e nel processo di individuazione/socializzazione il piatto della bilancia pende nettamente a sfavore dellindividuo. Qual la tonalit emotiva di questo scenario? I sentimenti-matrice in gioco sono quelli relativi alla sfera dellobbedienza, della fede, della paura e della vergogna. Per costruire un sentimento positivo verso le direzioni dazione previste dal codice etico, in modo da render preferibile la conformit ad esso, bisogna far leva pi che sulla desiderabilit del fine, sulla fuga da temibili sanzioni. Forme etiche analoghe si insinuano nei modelli funzionalistici per mezzo degli organismi educativi che stabilizzano i modelli valoriali. Se osserviamo attentamente, anche in questo caso i valori assumono la forma di imperativi che chiedono obbedienza senza spazi di mediazione per le istanze individuali che alla finalit del sistema vanno sacrificate, pena lincremento della disgregazione sociale. La componente autoritaria, per, nel modello sistemico si nasconde tra le pieghe di una potente strategia di razionalizzazione che legittima il primato delle forze assimilatorie, non in base allo schietto principio dautorit, ma appellandosi allefficienza di inviolabili meccanismi biologici di autoregolazione. Parsons, infatti, identifica i valori culturali con le funzioni cibernetiche7 che assicurano al sistema livelli ottimali di adattamento ambientale, scongiurando la minaccia delle istanze individuali. In effetti, a ben vedere, nel contesto sistemico emergono alcune
7 Per lanalisi critica del modello funzionalistico parsoniano cf. HABERMAS (1981, trad. it. 1986, pp. 880-882).

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differenze rispetto al modello puramente imperativo: la forma illocutiva dominante quella della persuasione strumentale e la forma tipica del ragionamento morale implica la comparazione tra gli effetti laceranti dellazione difforme dai modelli e gli effetti aggreganti dellazione conforme. I sentimenti di cieca obbedienza o di paura della sanzione sono meno diffusi, a vantaggio del sentimento stoico del sacrificio di s in vista di un bene superiore. Unulteriore variet emotiva quella della rassegnazione, qualora il soggetto maturi la convinzione che le proprie istanze siano oggettivamente incapaci di incidere sulla realt sociale diretta con fermezza dalla logica sistemica. 3.1. Breve excursus su ragione e passione Sul potente modello delletica eteronoma si innerva la tradizionale contrapposizione tra ragione e passione che a lungo ha costituito lo sfondo della riflessione etica, sia di quella che condanna le emozioni allostracismo, sia di quella che fonda la moralit sullinnato sentimento sociale. Allorigine del dissidio sta lidea di unontologica divisione di funzioni tra il punto di vista generale della ragione e lorientamento egoistico della vita patemica. Senza poter qui ripercorrere la storia delle teorie etiche, vorrei mostrare quanto porti fuori strada lidea che la soluzione al conflitto morale risieda semplicemente nel temperare le passioni ardenti col ghiaccio della ragione. In particolare, perdiamo di vista il fatto che ci sono cattive ragioni, egoistiche e strumentali, cos come passioni buone e per niente esecrabili. N mi pare che risolva il problema la pi conciliante prospettiva la Hume che attribuisce alla ragion pratica un ruolo meno censorio senza giungere alla rimozione generalizzata delle passioni; queste, piuttosto, sono aspetti naturali della vita da tutelare. La ragione, allora, deve orchestrare le voci dei sentimenti, valorizzando le buone e istintive passioni sociali, mettendo a tacere le voci dissonanti di innaturali istinti egoistici. cos che per Hume la virt, senza andare in giro vestita a lutto, pu apparire gentile, affabile o addirittura gaia8. Lipotesi dellistintiva socialit e della virt gaia accattivante, ma lascia irrisolti troppi problemi, non ultimo quello della spiegazione del procedimento con cui il soggetto misura lutilit sociale delle azioni. Non facile liberarsi dal sospetto che la ragione interpreti la voce interiorizzata della societ che invita al consenso, facendo leva, pi che
8

Cf. HUME (1751, trad. it. 1997, p. 179).

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sulla paura delle sanzioni, sulla desiderabilit dellapprezzamento sociale. E, allora, dietro lopposizione ragione/passione si cela, forse, lindebita identificazione della razionalit col punto di vista della morale costituita. Poco importa che la virt indossi gli abiti luttuosi del sacrificio o che la si imbelletti, incoraggiando qualche rinuncia in vista dellapprezzamento sociale. Lutilitarismo, bench esprima una societ benevolmente disposta a gratificare i sacrifici dellHonnte Homme, non si sottrae affatto alla logica eteronoma. Occorre, per, esser consapevoli che in tal modo si riducono drasticamente le possibilit di coordinazione consensuale, e il conflitto etico assume la forma dellalternativa secca: o le cieche passioni o la razionalit che illumina la mente con imperativi sociali, pi o meno ingentiliti o minacciosi. La nobile istanza di decentramento dallegoismo annunciata, ma praticata in una forma distorta, dove il punto di vista sociale soppianta senza possibilit dappello la volont dellindividuo. A questo punto, direi che lostinato modello della ragion pratica repressiva delle emozioni sia un modo improprio di fissare un legittimo criterio distintivo della vita etica: la possibilit di decentrare le istanze dazione nello spazio intersoggettivo in modo che la coordinazione possa avvenire in maniera consensuale. E listanza di decentramento non riguarda soltanto passioni o emozioni, ma anche credenze, teorie, abitudini, insomma tutto ci che nel ragionamento morale pu diventare principio dazione. Ma questo un modo ben diverso di intendere il lavoro della ragion pratica. Non si tratta di unautorit legislatrice che dirige e sanziona, ma della capacit di decentrare le istanze individuali nello spazio intersoggettivo perch siano riconosciute legittime e condivisibili. E, allora, non detto che le passioni siano incompatibili con la vita etica. Sono incompatibili, semmai, con lo spazio contratto e asfittico delleteronomia. Ma le dinamiche dellintersoggettivit linguistica di per s potrebbero offrire ben altre forme di coordinazione consensuale senza togliere diritto di cittadinanza a passioni, emozioni o desideri degli individui. 4. Il modello dellanomia: la semplificazione del sentimento di piacere e dolore Soffermiamoci, adesso, sul modello dellanomia, pur senza nascondere limbarazzo e i dubbi incontrati nellanalisi di uno spazio etico cos ravvicinato. Lindividuo norma a se stesso, questa la cifra dellethos in cui viviamo, esito ultimo dello smantellamento delleteronomia, dettato dallesigenza di riabilitare desideri, convinzioni e passioni degli individui. Una

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lettura frettolosa potrebbe limitarsi a considerare desiderabile la condizione del soggetto che, divenuto norma a se stesso, pu esprimere liberamente le istanze fin l rimosse. Ma la faccenda ben pi complicata. N il caso di proporre una lettura altrettanto semplicistica che capovolge il giudizio di apprezzamento in rituali formule di denuncia dei crescenti livelli di violenza e disgregazione della societ anomica. Violenza e disgregazione sono un fatto che nessuna denuncia pi o meno lamentosa pu cancellare. Ci interessa, piuttosto, ricostruire la logica delle relazioni anomiche per capire se la dimensione patemica, che vorremmo recuperare nella vita etica, abbia qui diritto di cittadinanza. Sosterr che lesodo dalleteronomia ha di fatto condotto ai margini dellintersoggettivit linguistica in uno spazio asfittico e paradossale che contrariamente alle attese riduce in modo sensibile la possibilit che i soggetti esprimano le loro ragioni. Lo spazio anomico risulta dal graduale allentamento della polarit io-tu prodotto da reiterate modalit dazione che riducono le forme di coordinazione, sfilacciando il tessuto dialogico. Nel tentativo di riabilitare lio nella vita pubblica la via pi facile apparsa quella che porta a svincolare gli individui tra loro con la speranza di dilatare gli spazi di iniziativa. Ma, il carattere sempre pi intermittente del gioco dialogico ha un vistoso effetto collaterale: lestrema variabilit e incoerenza delle regole e dei giochi proposti dagli individui svincolati. Ciascuno gioca un gioco idiolettale con proprie regole in uno spazio instabile dove non facile indovinare la mossa giusta per coordinare il proprio agire con altri agenti cos mutevoli. In tale contesto, direbbe Wittgenstein, difficile scorgere lazione che funge da applicazione paradigmatica9 della regola. E, allora, lincerta trama delle regole rende imprevedibili le mosse degli agenti, poich in un ambito di gioco ambiguamente perimetrato non c un comportamento pi o meno giusto; tutti si equivalgono. Rispetto a cosa, poi, andrebbe stabilita la qualit dellazione? Tra individui svincolati lefficacia della coordinazione non un criterio, e non pu esserlo proprio da un punto di vista logico: se ci fosse coordinazione, laltro diventerebbe un limite per la mia azione. Come operare, allora, la selezione validativa che riduce i livelli di contingenza? Nel gioco di coordinazione dialogica le due polarit io-tu, iosociet si misurano reciprocamente per trovare forme pi o meno riuscite di selezione cooperativa che strutturano ragioni e non ragioni dellagire so9 Ricordiamo che Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche utilizza largomento paradossale del linguaggio privato proprio per mostrare il carattere pubblico dellesperienza del seguire la regola; cf. in particolare i paragrafi 243-427 di WITTGENSTEIN (1953).

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ciale. Ma se lio rimane un polo sospeso e irrelato, loperazione di riduzione della contingenza interamente affidata al soggetto. E se non ci sono n norme, n partner ben identificabili, se non ci sono mosse probabili e non nemmeno certo il terreno di gioco, il lavoro di comparazione tra diverse possibilit operative si semplifica parecchio. Chi agisce, infatti, non deve affannarsi troppo a formulare ipotesi circa le conseguenze o le risposte di altri agenti; laltro scompare dallorizzonte dazione. Nello spazio monologico, a differenza che nelle pratiche intersoggettive di coordinazione, si attenua il peso della valutazione degli effetti dellazione rispetto ad altri agenti usciti di scena. Se lio diventa il criterio senza alcuna mediazione normativa con altre menti, il rapporto tra azione e realt diventa pi lineare. Ma chi lio che decide che fare?. lio spinto ai margini dellintersoggettivit, contratto nel perimetro di unidentit corporea scarsamente socializzata, non nel senso che vive in solitudine, tuttaltro. Ma unidentit corporea distante dalle dinamiche che moltiplicano i sensi e le ragioni del vivere sociale. Se gettiamo un rapido sguardo su queste dinamiche, ci accorgiamo che il criterio orientativo di ogni forma di vita, costituito dallopposizione piacere/dolore, passando attraverso il prisma dellintersoggettivit linguistica, si scompone in una variopinta pluralit di modi di orientare lagire. E, nel momento in cui si moltiplicano le forme di coordinazione (giudizi, valori e abiti), la capacit percettiva del piacere e del dolore si diversifica a sua volta in quella pluralit di qualit affettive che chiamiamo emozioni, sentimenti e passioni, ineliminabili dal nostro fare, dire e pensare. Lo sforzo di coordinazione induce, tra laltro, a pertinentizzare le innumerevoli sfumature che disarticolano la vita affettiva, originariamente attraversata dalla mera distinzione piacere/dolore, in una struttura a grana fine dove prendono corpo le qualit affettive positive o negative di cui la vita umana intrisa. E poich, come sostiene De Monticelli, ogni evento esibisce qualit di valore che ci toccano, muovono e commuovono con gradi diversi di intensit, la vita affettiva componente indispensabile per formare il sistema di preferenze tramite cui persone e situazioni acquistano rilevanza nella nostra esperienza10. Per questo la vita patemica entra di diritto nel gioco di coordinazione consensuale. Che ne di questo variopinto mondo per lio rattrappito nel perimetro dellidentit corporea non pienamente socializzata dal gioco di coordina10

Cf. DE MONTICELLI (2002, pp. 79-82).

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zione consensuale? probabile che i criteri orientativi delle sue azioni siano riconducibili alla medesima matrice piacere/dolore, bench indifferenziata e irriflessa. Ma, cos, la vita affettiva nellinterruzione della relazione dialogica io-tu resta grossolanamente insensibile alla ricchezza delle qualit negative o positive di valore, che caratterizzano la nostra esperienza. Ecco, quindi, profilarsi lautorit normativa nellethos dellanomia: il bisogno primario (senza mediazione intersoggettiva) della ricerca del piacere e della fuga dal dolore. un criterio inequivocabile che distingue nettamente le situazioni piacevoli da quelle spiacevoli, senza complesse procedure di valutazione, o giustificazione (e dinanzi a chi si dovrebbe giustificare se qualcosa procura piacere o dolore?). N occorrono sofisticate pratiche educative per trasmettere i criteri dazione; basta esibire un campionario sociale di situazioni piacevoli/spiacevoli, al quale attingere senza lintervento di pratiche di negoziazione. La diversificazione dellofferta tale che chiunque pu reperire qualcosa che vada bene. In fondo la mera imitazione prova sufficiente per testare lefficacia del campionario. Il meccanismo di trasmissione diretto, perch il criterio del piacere e del dolore non necessita di forme elaborate di apprendimento; non a caso, liter della crescita si accorcia parecchio. Inoltre, lo spazio anomico non ha bisogno di forme di controllo per perpetuare se stesso, ma si reitera secondo la logica della coazione a ripetere, tramite cui gli individui ritagliano isole di regolarit per arginare la contingenza prodotta dalla rarefazione delle forme di coordinazione. Lingestibile mondo caotico e debolmente perimetrato da vincoli induce i soggetti disorientati a costruire nicchie para-sociali di regolarit. Se un comportamento soddisfa al semplicistico criterio piacere/dolore, si reitera con inerzia. Ma allora gli individui svincolati, per un verso sono esonerati dal gioco sociale che richiede conoscenza e applicazione interpretativa delle regole per compiere mosse giuste. Per altro verso, rischiano di restare irretiti nel gioco solitario che ossessivamente esige la ripetizione consolatoria di schemi semplificati dazione che liberano dallincertezza della contingenza. 5. Fatticit dellintersoggettivit linguistica e possibile costruzione dello spazio dialogico Dinanzi al disagio evidenziato c certamente un po di saggezza in chi sostiene che i vizi di anomia ed eteronomia fanno parte del gioco e che riconoscerli significa prender atto della natura umana con buona dose di rea-

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lismo. Reputo, per, imbarazzante linerzia dinanzi allinamovibilit delle forme del vivere che sconfina fatalmente in complicit scevra da ogni senso di disagio. Trovo spiacevoli, daltra parte, le proposte di frettolosi riformatori etici11 che vorrebbero sanare gli abiti sociali, imponendo dallalto forme ben definite di vita buona. Se legittima listanza di cambiamento, ogni qual volta si avvertono i limiti di uno spazio etico, appare ingenua (o strumentale?) la pretesa di eludere leffettiva dinamica della vita normativa che rende lenta e incerta la costruzione di nuovi abiti. Ci detto per chiarire che, se nei modelli esaminati fa difetto il gioco dialogico e si riduce lo spazio per le istanze di benessere degli individui, si pu tentare di riabilitare quel gioco, anzitutto, attraverso unopera di chiarificazione delle sue regole. In secondo luogo, va detto che per avviare un gioco, a poco servirebbe una qualche riforma; lo si pu avviare, giocandolo. Quanto poi un gioco diventi un abito radicato nelle pratiche sociali non affatto prevedibile, tuttal pi auspicabile. Ma un gioco non si gioca primariamente per sanare lethos della comunit. Giocare un gioco significa semplicemente coltivare una forma di vita. Vediamo, quindi, qual la condizione affinch uno spazio etico possa incrementare i livelli di benessere degli attori sociali, dilatando i margini di iniziativa. Parto dal presupposto che la pretesa di vita buona sia ineliminabile dallo spazio logico dellintersoggettivit linguistica. Dal momento in cui lindividuo scaraventato nel gioco dialogico, lesposizione alle molteplici modalit del fare innesca un processo di selezione validativa. Lazione connessa alla formulazione di giudizi che attribuiscono priorit ad una certa regola rispetto ad altre. Anche quando non sia evidente, lagente formula ragionamenti pratici che assegnano ad uno schema operativo lo status di regola da seguire. Il giudizio la base del convincimento che impegna ad agire in un certo modo. Pretesa di validit, giudizio, ragionamento ci danno la misura del carattere pubblico della prassi umana. La necessit della selezione validativa simpone a partire dal comune spazio dazione. E per questo lagente esposto alla possibilit che gli si chieda di giustificare la qualit del suo agire, che nel bene o nel male lascia una traccia nello spazio abitato da altri agenti. Tuttavia, linserimento fattuale nelle dinamiche intersoggettive con11 Traggo spunto dalle osservazioni di Zagrebelsky che critica i cosiddetti procacciatori, o postulatori didentit, e i politici (teologi) che dinanzi alle forme identitarie carenti delle societ contemporanee sempre pi disgregate, cercano facili scorciatoie, rivolgendosi impropriamente alle prestazioni della religione come fattore di coesione sociale; cf. ZAGREBELSKY (2008, pp. 3-34).

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dizione necessaria per il coordinamento consensuale. Ma non condizione sufficiente, e non comporta ipso facto impegno verso le forme di coordinamento consensuale. Questo impegno indispensabile per dilatare gli spazi per le pretese di vita buona e consiste, pi precisamente, nellimpegno a tenere in vita quella fragile polarit io-tu che di fatto data nel gioco dialogico, ma che potrebbe anche non esserci. Non tutte le forme di coordinazione dazione sono buone per alimentare la polarit io-tu; alcune, anzi, la minacciano palesemente. Labito dialogico, invece, implica forme di ragionamento pratico che avanzano nello spazio pubblico istanze non lesive della fragile polarit io-tu. Se questa la struttura della mente morale, direi, diversamente da Hauser, che davvero difficile immaginare levoluzione dellistinto morale come se si trattasse di una capacit che cresce naturalmente allinterno di ogni bambino, progettata per generare giudizi rapidi su ci che moralmente giusto o sbagliato basandosi su uninconsapevole grammatica dellazione12. Vero che con linserimento fattuale nellintersoggettivit linguistica lindividuo assimila automaticamente le dinamiche dello scambio prospettico, della codificazione linguistica dei ruoli io-tu, della coordinazione consensuale. Ma, che il ragionamento pratico si strutturi con altrettanta immediatezza secondo la logica del decentramento rispetto ad istanze di altri agenti, mi pare discutibile. Niente, a mio avviso, esige maggiore impegno della formazione di menti morali mediante esplicite pratiche educative. Quindi, nessun senso morale la Hume risultato inevitabile della normale crescita, in nulla diverso dalla crescita di un braccio o di un occhio13. Lo spazio intersoggettivo fattualmente dato, ma la moralit un modo specifico di indossare labito del decentramento che prende a tema e tutela la dinamica dialogica. Ma questo modo va costruito e coltivato con la consapevolezza che, per la fragilit della polarit io-tu, si tratta di un risultato instabile da riconfermare sempre di nuovo. Certo, si potrebbe chiedere perch dovremmo impegnarci a custodire la polarit io-tu, quando qualcuno potrebbe sostenere di preferirne la violazione. Ma forse proprio qui sinsinua il punto di vista morale, nella possibilit di dire di no alle istanze che pretendono di sospendere lo spazio di gioco dei giochi umani. Il problema etico consiste nel tenere sempre aperto questo spazio, provando ad indicare le vie duscita, per evitarle. E allora, mente morale e abito dialogico esprimono la consapevolezza di volersi tenere
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HAUSER (2006, trad. it. 2007, p. 9). HAUSER (2006, trad. it. 2007, p. 35).

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lontani dalle vie duscita, semplicemente perch vogliamo essere umani. Questa volont qualcosa di diverso dallistinto dellorgano morale; un desiderio intrecciato con la conoscenza delle dimensioni dello spazio dellintersoggettivit linguistica, rispetto al quale il problema non quello di individuare un gioco pi giusto degli altri14, ma di individuare le condizioni per continuare a giocare i giochi umani, potendosi sempre interrogare sulle opportunit di benessere offerte ai giocatori. 6. Modello dialogico e mente morale: il sentimento di rispetto dellaltro Resta ancora da mostrare in che misura la costruzione di spazi dialogici mitighi la sofferenza che le forme di eteronomia e di anomia portano con s. Inizialmente potrebbe sembrare che la logica del decentramento imbrigli la prassi in una fitta rete di vincoli che toglie agio alle pretese di benessere degli agenti. E, invece, per mostrare che le forme di coordinazione consensuale garanti della polarit io-tu incrementano i livelli di autonomia degli agenti e lintensit delle istanze di benessere, utilizzo due idee cruciali del modello kantiano di mente morale: la struttura dialogica del ragionamento morale e il sentimento di rispetto. Pu sembrare paradossale la scelta di una teoria morale unanimemente tacciata di rigorismo e, pertanto, in prima battuta poco funzionale alla riabilitazione di passioni ed emozioni. Ritengo, tuttavia, che malgrado certi limiti, Kant abbia ben chiarito la struttura dialogica della mente e del ragionamento morale. Facendo leva su questa struttura, si pu far breccia nel rigido sistema della ragion pratica per tracciare attraverso Kant e oltre Kant uno spazio morale rispettoso delle aspettative di eudaimonia e prosperit15.
14 In tal senso, concordo con CIMATTI (2007, p. 252) che evidenzia la difficolt di definire allinterno dei giochi linguistici il gioco giusto, anche se poi: nel gioco non rimane che accettare che laltro appaia e parli, e poi rispondere, se lo si pu fare, e poi ancora ricominciare. Laltro libero, semplicemente. Questo un gioco giusto. Non chiede altro ai suoi partecipanti. Mi pare che qui un criterio si dia e che consista proprio nelle condizioni di possibilit del gioco. Il che non significa appellarsi ad una biologia normativa, poich non si assume un modello definito di natura umana come dover-essere; abbiamo qui a che fare con quel peculiare desiderio/volont di prendersi cura delle condizioni che permettono di continuare a giocare nuovi giochi. Credo che questo desiderio/volont sia qualcosa di diverso da un mero istinto, poich implica riflessione e costruzione. Questa istanza vedrei condensata nella celebre invocazione di Wittgenstein (riportata in quelle pagine da Cimatti) facci essere umani. 15 Questa coppia di termini ampiamente utilizzata da Nussbaum che sottolinea il ruo-

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Che si possa leggere in senso non rigoristico lastratta nozione di legislazione universale, lo ha mostrato Bagnoli con una efficace lettura che, sviluppando fino in fondo le implicazioni del modello kantiano, ricava la possibilit di interpretare lattivit morale in una dimensione intersoggettiva dove gli agenti articolano il loro agire secondo una logica di reciproco riconoscimento che non mortifica, anzi potenzia lidentit personale col suo carico di sentimenti, desideri e bisogni16. Per Kant, infatti, lesercizio dellautonomia coincide con la pratica dialogica del ragionamento morale, e cio con lelaborazione di principi dazione attraverso un confronto serrato tra orientamenti soggettivi e universali. Entrambi i punti di vista avanzano energiche pretese per determinare la volont dellagente. Potremmo, quindi, dire che Kant non esclude dallo spazio logico morale il ruolo delle istanze soggettive, anzi: Esser felici necessariamente il desiderio di ogni essere razionale ma finito, e perci un motivo determinante inevitabile della sua facolt di desiderare17. Bisogna, per, capire come questo motivo operi. Se determinasse interamente la volont simporrebbe di necessit. Si potrebbe, allora, avanzare il sospetto che non ci sia spazio per alcuna forma di autonomia o autodeterminazione. La logica morale dellazione scatta, invece, nel momento in cui listanza soggettiva di felicit, senza esser rimossa, venga rideterminata dal ragionamento in una prospettiva di decentramento. La massima, in termini propriamente kantiani, deve adattarsi alla legislazione universale, ovvero: Opera in modo che la massima della tua volont possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale18. questa la forma della legge morale che non esclude le istanze soggettive, ma richiede che acquistino voce legittima dinanzi ad altri agenti. La legittimazione non avviene sul piano del contenuto materiale, ma sul piano della forma che queste assumono per la logica del decentramento. Pertanto, la ragion pratica non limita in senso repressivo la prassi. Anzi, come afferma Bagnoli, che lagente possa e debba dar conto del proprio agire sulla base di considerazioni condivisibili tutto quello che chiede letica kantiana. Non una richiesta da poco, perch presuppone che lagente si ponga in una relazione
lo nella vita etica di ci a cui lagente attribuisce valore; cf. NUSSBAUM (2001, trad. it. 2004, pp. 52-53). 16 Bagnoli cerca attraverso Kant una concezione pi complessa di razionalit pratica che riconosce alla sensibilit un ruolo strutturale, in BAGNOLI (2007), p. 177. 17 KANT (1788, trad. it. 1989, p. 31). 18 KANT (1788, trad. it. 1989, p. 39).

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con gli altri tale per cui gli si pu domandare ragione delle sue azioni. Eppure, questa richiesta di giustificazione non impone allagente di ignorare le proprie emozioni, le proprie inclinazioni, i propri affetti, i propri progetti personali. Nel chiedergli di dar conto e ragione del proprio agire, non gli si chiede di rinunciare alla propria integrit, ma di entrare in una certa relazione di mutuo rispetto e riconoscimento19. Nello spazio intersoggettivo la pratica della giustificazione inevitabile poich ogni azione in qualche modo coinvolge altri agenti, in presenza dei quali i principi dazione (incluse emozioni e passioni) possono acquisire lo status di ragioni legittime, dopo esser stati giudicati condivisibili e non lesivi della polarit io-tu. La ragion pratica , quindi, la capacit linguistica di selezionare principi dazione della cui ragionevolezza si possa rispondere ad altri agenti. Affinch le passioni divengano criteri legittimi, occorre un gioco di coordinazione consensuale, pena lurto della mia identit su quella degli altri e reciprocamente lurto dellidentit degli altri sulla mia. In tal modo, osserva Nussbaum, sentimenti ed emozioni mostrano la loro intelligenza20. La vita affettiva, infatti, non per forza attraversata da energie non pensanti21 o sovversive della moralit22. Altrettanto De Monticelli sottolinea il carattere non necessariamente irrazionale dellesperienza affettiva che impregna la prassi: ai giudizi di validit sui principi dazione si accompagna la convinzione che quelle azioni siano cariche di qualit affettive positive o negative23. C senzaltro un carattere identitario del sentire24, poich i vissuti affettivi sono risposte personali alle circostanze reali, ma non detto che siano risposte prive di ragioni. Se le situazioni esibiscono qualit di valore positive o negative alle quali siamo sensibili e che colorano i nostri vissuti con gradi diversi di intensit, ci significa che percepiamo e giudichiamo i differenti livelli di importanza che cose e persone acquistano nella nostra esperienza. Al sistema di vissuti affettivi che rende lagente disposto a gioire, soffrire, desiderare, temere, sotteso un giudizio che pone ordini di preferenze rispetto al mondo. E poich ragionamenti e giudizi di valore sono espressione di attivit linguistica, il sistema di preferenze eBAGNOLI (2007, pp. 72-73). Alludo, ovviamente, a NUSSBAUM (2001), dove il tema dellintelligenza delle emozioni, che d il titolo allopera, ampiamente analizzato. 21 NUSSBAUM (2001, trad. it. 2004, p. 43). 22 NUSSBAUM (2001, trad. it. 2004, p. 29). 23 Cf. DE MONTICELLI (2002, pp. 80-81). 24 Cf. DE MONTICELLI (2002, pp. 82-84).
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sposto ad una continua attivit di ristrutturazione e ri-negoziazione tra agenti. In questo gioco dialogico si struttura sensatamente lidentit affettiva. Il che non esclude che rimangano vistose zone dombra; inesauribile il lavoro che organizza le risposte affettive rispetto al mondo. Mi soffermo adesso sul sentimento di rispetto della legge morale25, ricordando che lunico al quale Kant riconosca una qualche legittimit. un sentimento ambivalente: per un verso il rispetto della legge morale indica che il soggetto le riconosce la forza di limitare le inclinazioni soggettive. In questo senso, dinanzi alla legge luomo umiliato nelle sue tendenze sensibili. Ma, daltra parte, la rappresentazione della legge morale eccita [] il rispetto di s26. Lumiliazione compensata dalla sensazione positiva, per cui lagente guadagna davanti a s maggior valore. Il riconoscimento del valore della legge morale sollecita il riconoscimento del proprio valore, in quanto lagente riconosce a se stesso la capacit di relazionare le inclinazioni soggettive ad un punto di vista pi ampio che restituisce loro legittimit27. Trovo feconda la dinamica di reciprocit del kantiano sentimento di rispetto; direi che pu senzaltro essere considerato il sentimento-matrice della vita affettiva nello spazio morale. Occorre, per, una chiarificazione: bench Kant parli sempre di rispetto della legge morale, afferma anche che il rispetto si riferisce sempre soltanto alle persone, non mai alle cose28. Insisterei su questa affermazione pi di quanto Kant non abbia fatto, per chiarire che la dinamica della reciprocit riguarda non tanto la relazione monologica e coscienzialista io-legge, ma la relazione dialogica iotu. Si tratta, cio, di riconoscere che laltro pu legittimamente chiedere conto e ragione del mio agire e che questa sponda dialogica pu far guadagnare pubblica validit alle mie scelte dazione. Sentimento del rispetto percezione del valore dellaltro che, nella misura in cui riconosce il senso
Per lanalisi del sentimento del rispetto della legge morale cf. KANT (1788, trad. it. 1989, pp. 91-100). 26 KANT (1788, trad. it. 1989, p. 92). 27 Afferma KANT (1788, trad. it. 1989, p. 99-100): Esso [il sentimento] dunque, come assoggettamento a una legge, cio come comando (che significa violenza per un soggetto affetto sensibilmente), non contiene nessun piacere, ma, in questo senso piuttosto dispiacere per lazione in s. Daltra parte, siccome questa violenza viene esercitata solo mediante la legislazione della propria ragione, esso contiene anche unelevazione [Erhebung], e leffetto soggettivo sul sentimento [] si pu quindi chiamare semplicemente approvazione di s relativamente allelevazione, poich ci si riconosce determinati senza un interesse, solo mediante la legge []. 28 KANT (1788, trad. it. 1989, p. 94).
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delle mie istanze, pu reciprocamente dar valore alla mia vita. Solo cos, emozioni, passioni, sentimenti possono divenire legittime ragioni dazione, se diventano articolazioni di un vissuto emozionale positivo rispetto allalterit. Il sentimento di rispetto, e cio il riconoscimento della legittima presenza dellaltro, la condizione logica necessaria per la strutturazione della mente morale. Certo resta il sospetto che Kant attribuisca alla ragion pratica lattitudine a legiferare solo dal punto di vista universale che prescinde dagli agenti realmente presenti sulla scena, pervenendo allipostatizzazione dellesigenza di decentramento rispetto ad un Altro eccessivamente generalizzato. Ma, rendendo astratto il polo dialogico verso cui lio dovrebbe decentrare il proprio agire, Kant si preclude leffettiva pratica dialogica che d corpo ai reali bisogni e desideri degli agenti. Afferma, infatti, Bagnoli: Non possiamo metterci in relazione con gli altri in quanto altri, semplicemente considerandoli in astratto, come vuoti loci di razionalit. La relazione morale personale29. Rispetto al nostro itinerario questo paragrafo funge da epilogo nella polis e ribadisce che nella vita normativa tutto dipende dalla costruzione della trama di relazioni tessuta dagli agenti. E, tuttavia, inutile imporre forme definite di vita buona a mo di barriere contro lincalzante anomia. Nessuna scorciatoia per guadagnare forme di coordinazione consensuale. Tuttal pi, occorrono consapevoli strategie politiche ed educative per ri-lanciare pubblicamente il gioco dialogico. Qui Kant non pi di grande aiuto poich descrive la logica dellagente, il cui punto di vista morale sia gi formato. Sarebbe bello non doversi impegnare nella costruzione di abiti dialogici e menti morali, qualora crescessero da s. Ma, in realt, non soccorre neanche il naturalismo di Hauser che ipotizza la crescita spontanea dellorgano del senso morale. Se la mente umana naturalmente sociale, labito morale va costruito. E, quindi, pensare moralmente, costruire un ragionamento morale una possibilit, non una necessit della vita umana, realizzabile a condizione che si riesca ad intrattenere con gli altri una relazione di mutuo riconoscimento30 che restituisca agli agenti pari dignit. Non vanno costruite, semmai, le condizioni di inserimento nello spazio intersoggettivo con le quali si acquista precocemente la percezione sociale. Queste, per, non bastano a strutturare la mente morale: imbattersi di fatto negli altri, non significa ne29 30

BAGNOLI (2007, p. 39). BAGNOLI (2007, p. 24).

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cessariamente assumere lalterit come orizzonte di legittimazione del proprio agire. Solo questa mossa permette la formazione di menti e abiti morali, poich ci situa nello spazio dialogico dove laltro non interlocutore casuale, ma legittimo partner di gioco, rispetto al quale poter far valere emozioni, desideri e bisogni quali ragionevoli istanze dazione.
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FRANCESCA PIAZZA Passioni retoriche. Lanalisi dei pathe nella Retorica di Aristotele
Non a caso che la prima trattazione sistematica delle emozioni che la tradizione ci tramandi non sia stata condotta nellambito della psicologia. Aristotele analizza i pathe nel secondo libro della Retorica. Linterpretazione tradizionale presenta la retorica come una sorta di disciplina; essa deve invece essere intesa come la prima ermeneutica sistematica dellessere-assieme quotidiano (). Linterpretazione ontologico-fondamentale dei principi delle emozioni non ha compiuto alcun passo avanti degno di nota, da Aristotele in poi. Al contrario: affetti e sentimenti, collocati tematicamente tra i fenomeni psichici, furono intesi come la terza classe di questi, dopo la conoscenza e la volont. Decaddero cos al rango di fenomeni accompagnatori. (HEIDEGGER, Essere e Tempo, cap. V, 29).

Lunica analisi approfondita delle passioni umane nellintero corpus aristotelico si trova nel secondo libro della Retorica (II, 2-11). Tali capitoli rappresentano lesame dettagliato di una delle tre prove (pisteis) cosiddette tecniche (Rh., 1355b 37-40), quella consistente nel disporre lascoltatore in un certo modo (Rh., 1356a 3) e quindi realizzata attraverso gli ascoltatori (Rh., 1356a14). Intorno a questa sezione della Retorica sono state sollevate numerose questioni interpretative che talvolta hanno messo in gioco anche la coerenza, sia testuale sia concettuale, dellintera opera. Non potr naturalmente soffermarmi su ciascuna di esse, mi limiter a mettere a fuoco soltanto un aspetto, quello relativo al valore epistemologico da attribuire a questa analisi, assumendo come peraltro ormai generalmente riconosciuto che lopera abbia una struttura sostanzialmente unitaria. Nella letteratura specialistica sullargomento, domina la tendenza a negare che lanalisi dei pathe contenuta nella Retorica non solo nei risultati, ma anche nelle intenzioni del suo autore abbia un reale valore filosofico o, come talvolta si dice, scientifico. A partire da questo assunto di fondo, raramente messo in discussione, si fronteggiano, in generale, due differenti linee interpretative: una insiste sulla natura retorico-dialettica dellindagine (riconducendo a questa specificit le differenze rispetto a quanto Aristotele
Bollettino filosofico 24 (2008): 213-222

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dice sui pathe nelle altre opere); laltra tende, invece, a considerare quei capitoli come una sorta di prestito della psicologia filosofica alla retorica, inserito in un contesto comunque disinteressato allacquisizione di conoscenze accurate. In entrambi casi, sottesa unimplicita contrapposizione (o un rapporto di subordinazione) tra retorica e filosofia, che proprio ci che intendo mettere in discussione. Potrei, in sintesi, formulare cos la tesi che sto per sostenere: lanalisi dei pathe contenuta nella Retorica unanalisi filosofica non nonostante ma grazie al fatto di essere condotta da un punto di vista specificamente retorico. Pur nella variet delle posizioni, la maggior parte degli studiosi converge nel lamentare lassenza, nel corpus aristotelico, di una teoria generale delle passioni (GASTALDI, 1990). A questa osservazione segue spesso un diffuso stupore nel constatare che la trattazione pi dettagliata delle passioni (seppure non una vera e propria teoria) si trova in effetti nella Retorica e non come sembrerebbe pi ovvio nelle opere etiche o nel De Anima. Per ragioni di brevit, mi limito qui a citare soltanto due esempi che mi sembrano rappresentativi di questa tendenza generale. Si tratta dei giudizi di J. Cooper e G. Striker, i quali pur divergendo nellinterpretazione complessiva condividono questo atteggiamento di fondo. Cominciamo da J. Cooper. Dopo aver messo in evidenza che Aristotele non si occupa in modo analitico di emozioni n nelle opere etiche n nel De Anima (COOPER, 1996, p. 238), egli prosegue affermando che Aristotle does however develop fairly detailed accounts of some eleven or twelve emotions on a generous count, perhaps fifteen in an unexpected place, the second book of Rhetoric (ivi, p. 238, corsivo mio). La Retorica dunque per Cooper un luogo inaspettato per unanalisi dettagliata delle passioni e pertanto si domanda se proprio a questopera che dobbiamo rivolgerci per trovare la full theory of emotions di Aristotele. La risposta a questa domanda negativa. Egli ritiene, infatti, che non possiamo considerare lanalisi dei pathe della Retorica come dotata di un valore scientifico definitivo, come saremmo invece abilitati a fare se essa si trovasse nelle opere etiche o nel De Anima (ivi, p. 239). Pur non negando interesse, sia teorico sia storico, a questa sezione della Retorica, Cooper sostiene, in sintesi, che essa va considerata a preliminary, purely dialectical invesigation that clarifies the phenomena in question and prepares the way for a philosophically more ambitious overall theory, but does no more than that (COOPER, 1996, p. 239). Ma una teoria filosoficamente pi ambiziosa delle emozioni Aristotele non lavrebbe mai effettivamente elaborata. Quella

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contenuta nella Retorica sarebbe dunque unicamente unindagine dialettica basata su endoxa (opinioni accreditate) che, pur possedendo un legame con la verit, non avrebbe tuttavia alcuna ambizione scientifica. Del tutto sufficiente per gli scopi delloratore, essa non sarebbe nientaltro che una raccolta di established and reputable opinions about what the various relevant emotions are, and about various relevant points about them (ivi, p. 240). Pur non condividendo il giudizio sulla natura esclusivamente dialettica del contenuto di Rh. II, 2-11, anche G. Striker non nasconde il suo stupore per la particolare collocazione che Aristotele riserva allanalisi delle emozioni. Dopo aver riconosciuto che nel corpus Aristotelico si trova la trattazione pi esaustiva e dettagliata di ci che i greci chiamavano pathe, ovvero le affezioni dellanima, aggiunge per che il fatto che essa si trovi nella Retorica a strange and remarkable fact, given the importance of emotional dispositions in Aristotles theory of the moral virtues, and indeed in his moral psychology in general (STRIKER, 1996, p. 286, corsivo mio). In mancanza di una trattazione sistematica nelle opere di etica e psicologia non ci resta altro, dunque, che rivolgerci alla Retorica per integrare ci che Aristotele dice in altri luoghi (ibid.). Questo modo di impostare la discussione sulla teoria aristotelica delle emozioni indipendentemente dallinterpretazione cui esso conduce il frutto, a mio avviso, di un atteggiamento di sostanziale svalutazione della retorica alla quale di fatto negato laccesso a verit che non siano (nel migliore dei casi) il risultato di indagini scientifiche condotte da altre discipline. Neppure quei pochi che, come Fortenbaugh, riconoscono il carattere sistematico e il valore teorico dellanalisi dei pathe contenuta nella Retorica si chiedono se ci sia effettivamente uno specifico retorico dellanalisi, ma si limitano ad affermare che essa ha dato un contributo alla retorica, rendendola una disciplina pi filosofica (FORTHENBUAGH, 2002, p. 16). Con alcune importanti eccezioni (GRIMALDI, 1972, GARVER, 1986), si tratta di un atteggiamento ancora piuttosto diffuso, anche se non sempre esplicito, tra gli interpreti della Retorica, un atteggiamento che non riguarda soltanto lanalisi dei pathe, ma investe lopera nella sua interezza. Priva di un nucleo teorico forte, la Retorica sarebbe unopera con scopi puramente pratici nella quale si troverebbero inseriti, ad uso e consumo del bravo oratore, compendi provenienti dalle altre discipline, come la logica, letica o la psicologia, ritenute pi serie e filosoficamente pi impegnate (BARNES, 1995). Nel caso specifico di cui ci stiamo occupando, per, la situazione resa ancora pi complicata dalla constatazione del fatto che, nelle altre o-

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pere aristoteliche, non si trova una teoria delle emozioni di cui quella retorica rappresenterebbe il compendio. Da qui lo stupore. Ma si tratta di uno stupore comprensibile soltanto a partire da queste assunzioni. Se, invece, si attribuisce alla retorica uno specifico dominio teorico e un valore epistemologico diverso, ma non inferiore, rispetto a quello delle altre discipline, la questione si pone in modo del tutto differente. Piuttosto che un fatto di cui stupirsi, la particolare collocazione dellanalisi dei pathe diventa, al contrario, un dato significativo sul peculiare modo aristotelico di affrontare la questione. Invece di domandarsi come mai un argomento cos importante sia trattato da Aristotele solo nella Retorica e se questo ci autorizza a considerare scientificamente valide le osservazioni l contenute, ci si dovrebbe pi semplicemente interrogare sul significato da attribuire al fatto, da tutti riconosciuto, che la trattazione pi esaustiva dei pathe si trova proprio nella Retorica. Detto altrimenti, la domanda da cui partire : unanalisi retorica dei pathe in grado proprio in quanto retorica di far emergere aspetti filosoficamente interessanti che altre prospettive invece occultano o lasciano sullo sfondo? La mia risposta a questa domanda positiva. Pi esattamente, ci che intendo sostenere che il punto di vista specificamente retorico sulle emozioni, essendo focalizzato sulla costruzione di discorsi persuasivi, consente di mettere in luce il nesso, cruciale nella prospettiva aristotelica, tra possesso del logos, emotivit e socialit nellanimale umano. Per compiere unoperazione di questo tipo necessario per riconoscere alla retorica aristotelica legittime ambizioni teoriche. lo stesso Aristotele, daltra parte, a dichiarare, sin dalle prime battute del suo trattato, tali ambizioni. Come noto, egli attribuisce alla retorica contro la svalutazione platonica lo statuto epistemologico di techne (e quindi di conoscenza di cause), definendola come la capacit di scoprire (theorein) ci che pu essere persuasivo (t endechomenon pithanonn) in ogni argomento (Rh. 1355 b 27). Agli occhi di Aristotele, dunque, il persuasivo o, meglio, ci che pu risultare persuasivo, rappresenta un argomento degno di divenire oggetto di una riflessione filosofica, di un theorein, e costituisce il fulcro teorico intorno al quale ruota lintera Retorica. vero che lambito specifico della retorica quello di ci che accade per lo pi, e quindi di ci che pu essere diversamente da com, ma questa non una ragione sufficiente per svalutare il valore epistemologico di questa techne, soprattutto se si tiene conto del fatto che la maggior parte delle discipline filosofiche del corpus aristotelico fisica inclusa ha tra i suoi oggetti anche (o esclusivamente) realt

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di questo tipo. Nella riflessione antropologica aristotelica, daltra parte, il fenomeno della persuasione occupa un posto non secondario (anche se spesso occultato dalle letture tradizionali), il che non dovrebbe stupire se si pensa che, per Aristotele, ci che ci caratterizza come animali umani proprio il contemporaneo possesso di logos e polis (LO PIPARO, 2003). In quanto animale ad un tempo linguistico e politico, si pu dire che luomo per Aristotele anche un animale retorico, dal momento che il discorso persuasivo svolge un ruolo cruciale nella costruzione della polis (PIAZZA, 2005). per questa ragione che la Retorica di Aristotele non soltanto una concessione, da parte di un filosofo impegnato, ad una disciplina molto in voga al suo tempo (e neppure semplicemente un manuale di retorica scritto da un filosofo) ma unopera filosofica a tutti gli effetti, parte integrante del corpus. Pi esattamente, essa pu essere legittimamente considerata come un momento della pi generale riflessione antropologica di Aristotele (PIAZZA, 2008). Il fatto che, come ripetuto in diverse occasioni, la retorica intrattenga rapporti privilegiati con altre discipline, e in particolare con la dialettica, letica, la politica e la poetica, non un buon motivo per negarle autonomia teorica ma, al contrario, un segno della sua vitalit. senzaltro vero (ed lo stesso Aristotele a segnalarlo) che molte delle questioni dibattute nella Retorica sono discusse anche nelle altre opere, ma questo non autorizza a parlare di semplici prestiti o volgarizzazioni. Si tratta piuttosto di indagini condotte da punti di vista differenti e con obiettivi diversi. A rendere unitarie e coerenti le analisi retoriche lobiettivo generale, ovvero lindividuazione di ci che pu risultare persuasivo (Rh. 1355 b 27-28). Lesame dei pathe non fa eccezione e a questo punto dovrebbe anche dissolversi lo stupore per la sua particolare collocazione. Dal punto di vista di Aristotele, infatti, il discorso persuasivo ha come scopo ultimo un giudizio (krisis) e, pi esattamente, un giudizio relativo alle azioni umane (Rh. 1377 b 6-7 e 1391b 8-20). In ultima analisi, dunque, i discorsi persuasivi hanno di mira unazione o, forse meglio, una deliberazione, che ci che precede (e prepara) lazione vera e propria. Nella prospettiva aristotelica, i pathe svolgono un ruolo essenziale nella formazione di questo tipo di giudizi. vero, dunque, che loratore per raggiungere il suo obiettivo ha bisogno di conoscenze relative alla sfera emotiva, ma non perch deve essere semplicemente in grado di sfruttare a suo vantaggio le debolezze degli ascoltatori. Una posizione del genere resta vittima della radicata tendenza a considerare le emozioni un semplice elemento di disturbo, una componente irrazio-

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nale che, in condizioni normali, sarebbe bene riuscire a neutralizzare ma che, in alcune particolari circostanze (come il discorso persuasivo), possiamo utilizzare per i nostri scopi. Non questa, per, la posizione di Aristotele, per il quale i pathe non sono fattori di disturbo da neutralizzare o sfruttare a seconda dei casi, ma un momento costitutivo del giudizio relativo alle azioni. Limportanza dellintreccio tra giudizio e pathos (o, come potremmo dire con una terminologia contemporanea, tra la componente cognitiva e quella emotiva) emerge con chiarezza gi nella definizione generale dei pathe che precede lesame dettagliato delle singole passioni:
le passioni (pathe) sono ci in base a cui (diosa), mutando (metaballontes), [gli uomini] differiscono rispetto ai giudizi e a cui seguono dolore e piacere, come ad esempio lira, la piet, la paura e tutte le altre ad esse simili e anche quelle contrarie (Rh. 1378 a 20-23).

Non mia intenzione discutere qui le numerose questioni connesse a questa definizione, ma soltanto focalizzare lattenzione sul fatto per altro generalmente riconosciuto che dal punto di vista aristotelico la sfera emotiva gioca un ruolo imprescindibile nella formulazione dei giudizi relativi allazione e, di conseguenza, nel discorso persuasivo. Tale definizione svolge il ruolo di introdurre lanalisi dei singoli pathe, mettendo in evidenza gli aspetti pi pertinenti dal punto di vista della retorica, e in particolare il nesso con il giudizio e il ruolo della coppia piacere/dolore. Limportanza di questi aspetti (per i quali rimando agli studi di LEIGTHON, 1982/1996, NUSSBAUM, 1996) viene chiaramente in luce anche nelle definizioni dei singoli pathe nelle quali si trovano sempre riferimenti sia alla presenza della coppia piacere/dolore sia alla componente cognitiva (in particolare alla phantasia). Si consideri, a titolo desempio, il caso dellira. Essa definita come
desiderio, accompagnato da dolore (orexis met lupe), di manifesta vendetta, per una palese offesa o nei nostri confronti o nei confronti di qualcuno a noi legato, quando loffesa non meritata (Rh. 1378 a 30-b10).

Come si vede, lira strettamente legata con (se non direttamente causata da) un giudizio: quello di avere subito unoffesa immeritata. In quanto orexis (desiderio), essa anche alla base di unazione (la vendetta) ed sempre accompagnata da dolore ( una orexis met lupe). Pur non rappresentando un suo tratto definitorio, anche il piacere costituisce un elemento im-

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portante dellira. Poco pi avanti, infatti (1378b 1), Aristotele aggiunge che ogni manifestazione dira accompagnata (epetai) o seguita (akolythei) anche da un certo piacere (edon tis) e spiega che tale piacere deriva sia dalla speranza di vendicarsi che a sua volta piacevole perch piacevole pensare di ottenere ci che si desidera (1378b 2-3) sia dal fatto che si passa il tempo a vendicarsi con il pensiero e la rappresentazione mentale (phantasia) che ne deriva produce piacere, proprio come accade nei sogni (1378 b 7-10). Lira , dunque, un pathos che implica sia dolore sia piacere e questultimo deriva, in ultima analisi, da una rappresentazione mentale (una phantasia) e, pi esattamente, da un tipo particolare di phantasia, connessa con il futuro, che Aristotele attribuisce unicamente agli animali linguistici (la phantasia logistik o bouletik, DA, 433b, 28-30) e che essenziale alla deliberazione (LO PIPARO, 2003, p. 24). Considerazioni di questo tipo potrebbero farsi per ciascuno dei pathe analizzati da Aristotele, ma non possibile soffermarsi adesso su ognuno di essi. Ci che mi interessava mettere in luce, attraverso questo singolo esempio, lintreccio tra piacere/dolore e giudizio, un intreccio essenziale a chiarire il ruolo delle passioni nel discorso persuasivo e, pi in generale, nelle azioni umane. Lintento teorico dellanalisi retorica dei pathe segnalato anche dal metodo con cui essa condotta, un metodo che, come dabitudine, Aristotele non manca di esplicitare (1378 a 23-26). Ciascuna passione verr innanzitutto definita per essere poi analizzata secondo tre differenti aspetti: 1. la disposizione danimo in cui si soliti provarla; 2. il tipo di persone verso cui pi facile provarla; 3. ci che la provoca. Per restare al caso dellira, per esempio, si dovr distinguere in che modo sono disposti coloro che sono in collera (pos te diakeimenoi orgiloi), con che tipo di persone sono soliti andare in collera (tisin eiothasin orgizesthai) e, infine, su che tipo di questioni (ep poiois) (1377b 24-26). Su questa tripartizione costruita lintera analisi dei pathe contenuta nella sezione di cui ci stiamo occupando. Si tratta di unanalisi condotta con un metodo sistematico e rigoroso, per quanto concesso dalla natura dellargomento, il cui scopo finale chiaramente la costruzione di discorsi persuasivi. Hanno ragione pertanto coloro che sostengono che lindagine ha una natura eminentemente retorica e che quei capitoli possono essere considerati delle vere e proprie topiche (linsieme dei luoghi in base a cui costruire argomentazioni) relative alla prova basata sul pathos (GRIMALDI 1972, CONLEY, 1982). Numerosi sono gli indizi che conducono a questa conclusione: il metodo seguito, lindividuazione di relazioni logiche (soprattutto di contrariet) tra i diversi pa-

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the, la formulazione delle osservazioni in forma di eikota (verosimili) e semeia (segni), che sono le tipiche premesse dellentimema, e, soprattutto, una gran quantit di affermazioni esplicite nelle quali Aristotele stesso dichiara, a conclusione di ogni singola analisi, di aver indicato gli elementi da cui (ek ton) nascono le argomentazioni (pisteis) relative a tali questioni (1388b 29-30). Ma il carattere topico, e quindi retorico, di queste analisi cos come il fatto che esse siano costruite sulla base di endoxa non una buona ragione per negare loro interesse teorico e valore filosofico. Se specificamente retorico non significa automaticamente disinteressato alla verit ma interessato allindividuazione di ci che pu risultare persuasivo e quindi al nesso linguaggio/sfera emotiva lanalisi retorica dei pathe pu essere guardata come unanalisi condotta s a partire da un punto di vista particolare (e magari anche parziale), ma non per questo con un valore esclusivamente preliminare rispetto ad una, di fatto inesistente, teoria pi scientifica. Daltra parte, la coesistenza di indagini su uno stesso oggetto condotte da punti di vista diversi (e quindi con metodi ed esiti differenti) un aspetto peculiare del modo di procedere di Aristotele e non un caso speciale esclusivamente limitato alla nozione di pathos. Al contrario, la ricerca a tutti i costi di una teoria unificata (e di un metodo universale) unesigenza tipicamente moderna lontana invece dallo spirito di Aristotele. Il corpus aristotelico disseminato di osservazioni di carattere metodologico sulla necessit di adeguare il metodo alloggetto e sullopportunit di non pretendere da ogni tipo indagine lo stesso grado di rigore. Affermazioni di questo tipo non mirano tanto allistituzione di gerarchie di valore tra le diverse discipline, quanto piuttosto ad evitare lerrore di utilizzare sempre gli stessi strumenti di indagine, indipendentemente dalle questioni in gioco. certamente significativo che una di queste osservazioni si trovi proprio allinizio del De Anima e riguardi anche le passioni dellanima (pathe tes psychs). In quel contesto, sottolineando la difficolt, e insieme il grande pregio, di una ricerca relativa alla psych, Aristotele mette in guardia il lettore dallillusione dellesistenza di un metodo unico e comune [per stabilire] che cosa [ciascuna cosa] (402a 18). Poco pi avanti, la difficolt dellindagine, insieme alla necessit di variare i punti di vista, esplicitamente riferita ai pathe. Inseparabili dal corpo nel quale si realizzano (403a 16), i pathe tes psychs che alle linee 403a 26 Aristotele definisce, con un espressione che alle nostre orecchie moderne suona quasi come un ossimoro, discorsi nella materia (logoi enyloi) , verranno analizzati in modo diffe-

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rente a seconda del punto di vista e degli obiettivi. Il dialettico e il fisico, continua Aristotele, definiranno per esempio lira (org) luno come desiderio di restituire un dolore, o qualcosa di simile, laltro invece come ebollizione del sangue e del calore intorno al cuore. Di costoro, uno indica la materia, laltro la forma (eidos) e il discorso (logos) (403a 31-b 2). I due punti di vista sono, ovviamente, complementari e certo non uno solo che si occupa delle affezioni inseparabili della materia (pathe tes hyles t m chorist), e che non le considera in quanto separabili. In effetti, il fisico si occupa di tutte le attivit e affezioni (erga kai pathe) di un determinato corpo e di una determinata materia, mentre delle caratteristiche dei corpi che non sono di questo tipo se ne occupa un altro: di alcune si interessa il tecnico (technites) secondo i casi, ad esempio larchitetto o il medico (403 b 10-14, trad. it. G. MOVIA). Tra questi tecnici pu tranquillamente trovare posto anche il retore. Alla luce di quanto detto fin qui, la particolare collocazione dellanalisi dei pathe nel II libro della Retorica non solo non stupisce, ma risulta anzi del tutto coerente con le indicazioni generali del De Anima. La particolare angolatura dalla quale essa condotta non costituisce un limite ma, al contrario, la sua peculiarit, se non il suo punto di forza. Considerare i pathe dal punto di vista del discorso persuasivo costringe, infatti, a guardare in modo originale alla complessa relazione tra sfera emotiva e dominio del linguaggio. Lanalisi aristotelica dei pathe si rivela, cos, non soltanto uno strumento fornito al retore per costruire discorsi pi efficaci, ma unindagine retorica sulla natura delle emozioni umane.
Bibliografia BARNES, J. (1995), Rhetoric and poetics, in The Cambridge Companion to Aristotle, (ed. by J. Barnes), Cambridge, Cambridge University Press, pp. 259-285. CONLEY, Th. (1982), Pathe and pisteis: Aristotle Rhet. II, 2-11, Hermes, CX, pp. 30015. COOPER, J.M. (1996), An Aristotelian Theory of the Emotions, in Aristotles Rhetoric (ed. by A. Oksenberg Rorty), Berkeley (Ca.), University of California Press, pp. 238-257. FORTENBAUGH, W.W. (2002), Aristotle on Emotion, Duckworth (I ed. 1975) GARVER, E. (1986), Aristotles Rhetoric as a Work of Philosophy, Philosophy & Rhetoric, 19, pp. 1-22. GASTALDI, S. (1990) Aristotele e la politica delle passioni. Retorica, Psicologia ed etica dei comportamenti emozionali, Tirrenia Stampatori, Torino.

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GRIMALDI, W. (1972), Studies in the Philosophy of Aristotles Rhetoric, Hermes Einzelschriften, Wiesbaden, Steiner. LO PIPARO, F. (2003), Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua, Roma, Laterza. LEIGHTON, S.R. (1982), Aristotle and the Emotions, Phronesis, XXVII, pp. 143-174 [ripubblicato in Aristotles Rhetoric (ed. by A. Oksenberg Rorty), Berkely, University of California Press, 1996, pp. 207-237). NUSSBAUM, C.M. (1996), Aristotle on Emotions and Rational Persuasion, in Aristotles Rhetoric (ed. by A. Oksenberg Rorty), Berkeley (Ca.), University of California Press, pp. 303-323. PIAZZA, F. (2005), La citt retorica. Giustizia, felicit e persuasione in Aristotele, Forme di vita 4, pp. 98-112. PIAZZA, F. (2008), La Retorica di Aristotele. Introduzione alla lettura, Roma, Carocci. STRIKER, G. (1996), Emotions in Context: Aristotles Treatment of the Passions in the Rhetoric and His Moral Psychology, in Aristotles Rhetoric (ed. by A. Oksenberg Rorty), Berkeley (Ca.), University of California Press, pp. 286-302.

TOMMASO RUSSO CARDONA Ironia: emozioni e orizzonte di coscienza*

Slides 0. Tesi: 1) Il dominio dellironia quello della categorizzazione dellazione tramite la lingua 2) Lironia implica una forma di normativit che coinvolge le relazioni sociali e si trova alla radice del processo di formazione delle categorie dazione 3) La matrice intenzionale dellironia opera a partire da un campo emotivo per tradurne i contenuti nella dimensione cosciente 4) Lironia riuscita opera un allargamento dellorizzonte di coscienza 1.
Il miglior riconoscimento quello che si ha simultaneamente con il rovesciamento, com per esempio nellEdipo re, ARISTOTELE, Poetica, 52a 33

Anagnorisis come processo di ritorno su una categorizzazione gi effettuata, per motivi pratici oltrech conoscitivi. Cap. XI della Poetica Lagnizione, il riconoscimento, come indica la parola stessa il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza o dallinimicizia allamicizia o viceversa, fra i personaggi destinati cos alla buona o cattiva fortuna. ... Il pi bello tra tutti il riconoscimento, che avviene insieme al rovesciamento, cos come avviene nellEdipo re. Ma vi sono anche altre specie di riconoscimenti, e ci che prima si detto pu avvenire per oggetti animati o inanimati e puramente accidentali o vi pu essere riconoscimento attraverso la scoperta di ci che uno ha fatto o non ha fatto.
* Questo scritto costituisce la traccia a partire dalla quale Tommaso Russo tenne il seminario dottorale del 28 febbraio 2007. Non si tratta di un articolo in senso proprio, ma di una raccolta di appunti con una ipotesi di ricerca. Preferiamo pubblicarli cos come li abbiamo ricevuti dallautore, limitando gli interventi editoriali ad un numero minimo di note (NdR).

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Infatti un riconoscimento del genere, unito a peripezia, produrr o piet o terrore, e precisamente di azioni di questo genere la tragedia imitazione, secondo la definizione che ne abbiamo data. E anche lessere felici o infelici dei personaggi dipender da riconoscimenti e da peripezie di questa forma1. 2. Anagnorisis dunque come riconoscimento che amplia la sfera della coscienza rispetto a fatti gi noti, processo di ricategorizzazione Nel cap. XVI della Poetica si distinguono quattro specie di anagnorisis: 1) attraverso segni 2) per artificio del poeta 3) tramite la memoria o per ragionamento 4 ) la migliore agnizione come nellEdipo quella che trae origine dalle vicende stesse, allorch la sorpresa nasce da cause verosimili come nellEdipo e nellIfigenia. Edipo e allargamento del suo orizzonte di coscienza: linterpretazione di Hillman. Doppia matrice categoriale dellironia: contrapposizione delle due matrici categoriali e prevalenza della seconda: ne consegue il rovesciamento. Perch il rovesciamento sia efficace entrambe le categorizzazioni devono avere un orizzonte di validit consolidato. Inoltre perch ci sia rovesciamento le due categorizzazioni devono essere mutuamente esclusive, nella maggior parte dei casi. 3. Ironia nel discorso Lironia come atto linguistico ha la stessa struttura di doppia matrice categoriale, ma prende come dominio la ritualizzazione delle azioni grazie alla lingua: si fonda sul potere organizzatore della lingua rispetto allazione e sui suoi limiti. Austin (1962)2: sono performativi e dotate di forza illocutiva una serie di azioni linguistiche che presuppongono la collaborazione dei locutori, una sorta di patto cooperativo articolato in condizioni: condizioni di felicit. Compromissione nellazione o impegno rispetto agli altri: cos lode, ringraziamento, promessa e il loro carattere rituale.
Ibid. (NdR). J. AUSTIN, How to do things with words (1962), trad. it. Come fare cose con le parole, Genova, Marietti, 1987 (NdR).
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Si presentano come azioni semplici grazie al potere categorizzante della lingua che le riunisce sotto un unico tipo. (Nota: il carattere del performativo solo quello di dare unetichetta esplicita, ma Austin dice che ci sono performativi impliciti e dunque la forza illocutiva si pu estendere a tutta la lingua)3. Lironia ha un carattere antiperformativo 4. Lode, ringraziamenti e altri atti linguistici sono facilmente oggetto di rovesciamento ironico. Il rovesciamento ironico mette in luce linefficacia delle condizioni di felicit, a volte in maniera anchessa rituale. Le forme ritualizzate di ironia servono a mettere in luce sistematicamente questa inefficacia e sono frasi come: Grazie tante! Complimenti! Bella promessa! In questi casi siamo di fronte a forme ritualizzate per sancire linefficacia di certi atti linguistici rituali. (Nota: La messa in crisi del rituale sempre implicita nella stessa dimensione rituale che in quanto ripetitiva sempre a rischio di diventare un colpo a vuoto). 5. In genere, lironia un atto linguistico dotato di efficacia antiperformativa che serve a operare una ricategorizzazione pragmatica dellevento discorsivo. Il carattere antiperformativo le viene dal sovrapporre una matrice categoriale performativa in contrasto con le condizioni di felicit dellatto linguistico. Dire Peccato, ci vorrebbe un terzo tempo detto dopo un film di lunghezza esorbitante dallordinario. Categorizza latto linguistico come quello
3 A. DURANTI, Linguistics Anthropology (1997), trad. it. Antropologia del linguaggio, Roma, Meltemi, 2000; P. VIRNO, Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana, Torino, Bollati Boringhieri, 2003 (NdR).

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della deprecazione, o del desiderio, ma questa categorizazione performativa sconfessata dal fatto che la cosa non appare affatto desiderabile, in maniera evidente, e anzi mette in luce un difetto del film. Cos stata una festa dellintelligenza, detto dopo una serie di fraintendimenti reciproci e di disattenzioni e fallimenti nella cooperazione da parte di un gruppo di persone nel fare un trasloco. Lironia qui una operazione di anagnorisis perch sovrappone una matrice linguistica allevento in corso, allinterazione sancendo una ricategorizzazione dellazione linguistica. La matrice categoriale dellatto linguistico /lode/ fa emergere la necessit di una serie di condizioni di felicit che dovrebbero esserci, ma non ci sono: lesito dunque una ricategorizzazione dellazione. Proprio la sovrapposizione sulla situazione di quella matrice categoriale, che si riferisce ad azioni in cui ci si compromette o impegna reciprocamente, fa emergere delle condizioni che dovrebbero esserci, che esprimono un dover essere delle azioni collettive. Lespressione di questa matrice categoriale deontica mette in luce lassenza delle condizioni richiamate, lesorbitare dellazione dai limiti categoriali evocati. Ci possibile solo se elementi caratteristici di una categorizzazione opposta sono fortemente corroborati nel contesto. Inoltre tanto pi la matrice categoriale opposta (quella richiamata ritualmente) consolidata e tanto pi latto ironico che riesce a mostrarne lassenza, comporta un rovesciamento. 6. Parentela con gli atti linguistici indiretti e la dimensione perlocutiva Certo che fa molto caldo qui atto linguistico constativo che viene interpretato come una richiesta coperta. Sei appena sceso dalla funivia, sfrutta lo stesso irraggiamento delle parole sulle azioni, lo stesso potere di riclassificare la situazione e le azioni co-

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operative in corso. In tutti e due i casi il risultato di attirare lattenzione, portare a livello di coscienza aspetti presenti della situazione che sono sotto al livello della consapevolezza e non sono direttamente in gioco negli atti linguistici. Tuttavia se nel primo caso questo avviene attraverso una categorizzazione condivisibile e stereotipa della situazione, nel caso dellironia avviene attraverso una ricategorizzazione che esorbita da quelle date per condivise. Questo spinge a cercare quegli elementi che permettono laggancio tra azioni e parole: questaggancio possibile solo al prezzo di mettere in luce un contrasto insanabile tra frames. Mentre nel caso della richiesta indiretta basta aprire la finestra per esaudire lalone perlocutivo della frase, non cos nel caso dellironia che si risolve solo in una constatazione del contrasto. 7. In questo quadro appare centrale levidenza situazionale: tuttavia essa non un dato prefissato, ma viene costruita per contrasto, si cristallizza nel momento dellenunciazione ironica perch questa segna con precisione dei limiti e quindi rende possibile valutare in che misura sono stati violati. Tuttavia levidenza situazionale si pu costruire testualmente: (Io e Annie) Woody Allen. Qui lo sfondo delle parole dato dai pensieri che passano come sottotitoli. In questo caso lefficacia delle parole dei due protagonisti subito ridelimitata grazie allo sfondo dei pensieri: leffetto ironico per lo spettatore, ma non per i due protagonisti. Oppure attraverso una sapiente costruzione testuale: Cortzar Rayuela, Il gioco del mondo: Da Solo allora ... a Madame Trpat4. 8. Matrice intenzionale dellironia e dover essere delle categorie messe in questione dallatto linguistico ironico: Il dover essere implicito in ogni performativo implica lo spazio per un a4

CORTZAR RAYUELA, Il gioco del mondo, Torino, Einaudi, 2005, p. 105 (NdR).

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dempimento che si costruisce nella relazione: Wittgenstein: lattesa e il suo adempimento si toccano nel linguaggio. Si toccano in quanto sono istituiti e messi in forma dalla lingua. Come abbiamo visto non tanto in gioco la nozione di contraddizione, perlomeno non nel senso logico: qui sono in gioco le categorie per lazione che vengono violate sulla base del loro adattarsi o meno alla situazione in corso. La nozione di contraddizione non pu essere del tutto di aiuto perch presuppone categorie gi formate, mentre lironia opera al livello della formazione (rituale) delle categorie. Chiamare in causa il principio di non contraddizione fa perdere di vista la dinamicit dellatto ironico il suo riferirsi al consolidarsi dei limiti categoriali e del loro sfaldarsi in una dialettica linguistica. Tuttavia lironia implica una forma di normativit: Si tratta del dover essere dei limiti categoriali, del loro doversi istituire come vincoli comportamentali. Lironia costruisce una categorizzazione dellazione proprio per mostrare la sua inefficacia, ma nel contempo apre alla necessit di una nuova categorizzazione. Lironia presuppone, dunque, i limiti di ogni categorizzazione, ma anche esibisce la matrice deontica di ogni categorizzazione dellazione. 9. Sdoppiamento ironico e parlante comune Lo sdoppiamento ironico richiama lalterit originaria implicita nella propria parola. Quella che per Sperber e Wilson la dimensione citazionale dellenunciato corrisponde, per noi, alla possibilit che ogni enunciato sia inteso come eco di altri atti enunciativi, come traccia di altre prese di parola, radicate in certe condizioni pragmatiche. Questa dimensione interdiscorsiva evidente nelle interazioni e nella conversazione quotidiana, come in questo esempio. A: Perch non sei venuto stasera B: Dovevo rilassarmi A: Ah, dovevi rilassarti La matrice intenzionale dellironia sembra comportare un gioco metarap-

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presentativo quasi da teoria dei giochi: pluralit di voci. Bachtin. Peccato che non c il terzo tempo detto dopo aver visto un film di lunghissima durata. come se lironista assumesse la voce di questo parlante comune come momentaneo portavoce del gruppo e delle sue emozioni, allinterno di un atto linguistico collettivo. a questo punto che giunti al limitare del dare per scontato, al momento dellassumere latteggiamento del portavoce come comune e di ratificarlo come tale, emerge, con la maggior forza, che tale parlante collettivo agisce in modo incongruo, antiperformativo: ci rende il portavoce una semplice voce rispetto a cui si devono prendere distanze, avere atteggiamenti pi o meno svalutativi o pi o meno comprensivi. Lincongruenza del portavoce si dimostra, infatti, tale da condurre allassurdo o condurre a conseguenze pratiche, affettive o valutative, che con molta evidenza preferibile rigettare per molti dei presenti, oppure, tali da non poter essere assunte senza un serio cerimoniale di riesame, date le convenzioni sociali e argomentative. 10. Questa possibilit di scambio e di specularit, a cui tuttavia si sfugge allultimo istante, che radice ha? Oggi la letteratura sullironia tende ad accentuare il carattere metarappresentativo dellironia e a distaccarlo dalluso della lingua. Si riapre alla nozione di simulazione ma spogliandola dei contenuti retorici e linguistici. Al contrario per noi lorigine dello sdoppiamento ironico risiede in una metadarstellung pi che in una metavorstellung cio in una metarapresentazione operata tramite simboli. Lo sdoppiamento ironico una finzione di una finzione. Lacan: mentre la finta caratteristica anche degli animali, gli animali non possono fingere di fingere, e, dunque, non possono mentire. Lironia richiede appunto una forma di simulazione che assimilabile alla finzione della finzione. Fingendo di assumere un punto di vista incongruo con la situazione data, lironista confida di essere smascherato, egli, appunto, finge di fingere.

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Solo la capacit di padroneggiare finemente e in maniera esplicita le metarappresentazioni tramite simboli allorigine di quella capacit ironica di distaccarsi dalle categorizzazioni ritualizzate predisposte nellinventario linguistico. La matrice dellintenzionalit ironica risiede nel movimento originario attraverso cui tramite la dimensione simbolica si interviene nel processo di categorizzazione delle azioni proprie altrui e del loro effetto. 11. Lorigine sta nellintreccio di desideri originario non ancora linguistico che trova nel simbolico, listituzione di categorie che si ritualizzano e mettono in forma il comportamento reciproco. Il desiderio del desiderio appannato dalle inibizioni, ma le inibizioni sono, soprattutto, messe in atto nei confronti rispetto al desiderio rivolto agli altri: Lacan e Winnicott. La creazione simbolica appare come listituzione dei limiti categoriali entro cui lazione individuale possibile in relazione agli altri: la mediazione simbolica il luogo del trasferimento inibitorio del desiderio, della sua apertura al possibile: la simbolicit come abito condiviso, si istituisce solo a partire da uno sfondo pulsionale che si trasforma in emotivit relazionale, in desiderio dellaltro e necessit di scambio. Per Lacan questa non una scelta ma lunica opportunit per il bambino che nello stadio dello specchio riconosce nella sua figura sdoppiata il limite interno e quello esterno del suo io, prima ancora di averne autocoscienza, e si trova cos di fronte al bivio dellossessione paranoica, della riduplicazione ecoica, oppure del transfert simbolico in cui laltro diviene il motore di un riconoscimento di se sempre diverso, e mai interamente simmetrico, grazie alla parola. Il momento in cui si compie lo stadio dello specchio inaugura, grazie allidentificazione con limago del simile, ... la dialettica che dora in poi lega lio a situazioni socialmente elaborate. Questo il momento che in modo decisivo fa dipendere tutto il sapere umano dallopera di mediazione del desiderio dellaltro, che ne costituisce gli oggetti in unequivalenza astratta

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per via della concorrenza daltri e fa dellio quellapparato per il quale sar un pericolo ogni spinta degli istinti anche quando risponde ad una maturazione naturale, e quindi la stessa normalizzazione di questa maturazione dipende nelluomo da un tramite culturale: come si vede per loggetto sessuale nel complesso di Edipo5. 12. Seconda citazione di Lacan: Qui si apre la questione dello sfondo emotivo dellatto ironico. 13. Ironia, motto di spirito ed emozioni la figurazione mediante il contrario non pu sottrarsi allattenzione cosciente, come fanno invece quasi tutte le altre tecniche argute; chi cerca di mettere in moto in s stesso, il pi deliberatamente possibile, il meccanismo del lavoro arguto scopre ben presto che il modo pi semplice per replicare a unaffermazione con un motto di sostenere laffermazione contraria, lasciando poi allispirazione del momento il compito di sbrigarsi con un capovolgimento di interpretazione, della prevedibile obiezione contro tale replica. Forse la figurazione mediante il contrario deve questo privilegio alla circostanza che essa forma il nucleo di un altro modo di espressione del pensiero che apporta piacere e non ci obbliga a tirare in ballo linconscio per essere capito. Mi riferisco allironia 6. La struttura del motto particolarmente significativa, da questo punto di vista: essa presuppone un locutore, una vittima e un ascoltatore/complice. Questa terza persona , appunto, fondamentale perch diviene leffigie dei vincoli sociali e delle censure che il motto riesce ad aggirare7. Il motto funziona proprio grazie a questa struttura tripartita: la deviazione verbale descritta con minuzia nel lungo capitolo sulle tecniche del motto mette in luce una falla, un momento di defaillance del lavorio incessante dei vincoli consci sulle pulsioni inconsce. Mentre la cornice del motto una struttura presentabile, la deviazione che in essa si fa strada lascia spazio alle
J. LACAN, Scritti I, Torino, Einaudi, 1974, p. 92 (NdR). S. FREUD, Der Nitz und Seine Beziehung zum Unberwuten (1905), trad. it. Il motto di spirito e la sua relazione con linconscio, Roma, Newton Compton, 2004, p. 196 (NdR). 7 Cf. P. VIRNO, Motto di spirito e azione innovativa, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, pp. 24 sgg (NdR).
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pulsioni inconsce nei confronti della vittima. Queste pulsioni non trovano sfogo direttamente, attraverso lazione, ma trapelano, indirettamente, attraverso quella parte del motto che rappresenta una deviazione verbale: una formazione condensata, un senso doppio presentato come se fosse univoco, uno spostamento dellaccento psichico, un ragionamento in apparenza impeccabile, ma erroneo, fondato su un controsenso. Cos sono motti, allo stesso titolo, le formazioni sostitutive condensate come nel caso seguente: Ho viaggiato tte--bte con lui8 e gli spostamenti di accento psichico come nel seguente dialogo tra un venditore di cavalli e il compratore: Se prende questo cavallo e monta in sella alle quattro del mattino, alle sei e mezzo sar gi a Presburgo; Gi e che ci faccio a Presburgo alle sei e mezzo di mattina?9. Il motto , dunque, un Giano bifronte che dietro a una facciata presentabile ne nasconde una impresentabile, un allusione vietata dalle inibizioni psichiche o anche un ragionamento che travalica le leggi dellargomentazione razionale e, cos facendo, mette in luce qualche aspetto della situazione o qualche qualit della vittima che normalmente andrebbe sottaciuta o rimossa, oppure semplicemente che oggetto di libido. Coscienza. Freud e la contraddizione come principio preconscio. Estensione del modello inconscio-linguaggio allironia. Motti ironici. Intersezione tra motto e ironia e loro separazione. Questa differenza di tecnica si accompagna a una differenza anche nel modo in cui la struttura pulsionale che sottende allironia entra in relazione con i vincoli della censura dellio. Nel motto la censura viene aggirata, e le pulsioni emergono attraverso la falla costituita dallo stato deccezione del normale funzionamento linguistico. Nel caso dellironia la censura, le norme linguistiche precostituite, non vengono aggirate, ma semplicemente esautorate della loro funzione e rovesciate a favore di norme diverse, di un regime dellazione che si impone ex novo. In questo senso, la dimensione pulsionale tutta contenuta nel contrasto tra la due serie di assunti normativi contrapposti, ma non libera di sfogarsi verbalmente come nel caso del motto. A una serie normativa ne viene
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S. FREUD, op. cit., p. 49 (NdR). S. FREUD, op. cit., p. 56 (NdR).

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contrapposta unaltra e questo determina il predominio della dimensione conscia. Ci non toglie, tuttavia, che specifico dellironia sia il contrasto tra le due serie normative di assunti contrapposti. centrale il fatto che in condizioni normali, o in molti altri casi la serie di assunti normativi su cui si fa ironia sembri accettabile o, addirittura, venga assunta automaticamente. Contro questo automatismo muove lironista nella sua capacit di contrapporre due insiemi di assunti pragmatici e nel far percepire per un attimo che la maggiore validit delluno sullaltro non pu essere decisa a priori, ma viene determinata solo nelle specifiche condizioni denunciazione. Cos la caratteristica dellironia quella di permettere alla tensione pulsionale di trapelare, appunto come dietro a un paravento, solo attraverso la contrapposizione tra due insiemi di assunti normativi. Questo confina lironia nella dimensione conscia, perlomeno nei suoi due poli estremi, quello della fonte dellespressione ironica e quello della riambientazione contestuale. Lironia di Shakespeare nellAntonio e Cleopatra: The noble Brutus Hath told you Caesar was ambitious: If it were so, it was a grievous fault, And grievously hath Caesar answered it Here, under leave of Brutus and the rest, For Brutus is an honourable man; So are they all; all honourable men. Come I to speak in Caesars funeral. He was my friend, faithful and just to me: But Brutus says he was ambitious; And Brutus is an honourable man 14. Emotivit come desiderio del desiderio nel linguaggio Lironia riesce, in extremis, a mantenere una relazione con la dimensione della consapevolezza, ma lo sforzo si manifesta nel suo rapporto con la relazione di contraddizione tra gli assunti impliciti. La contraddizione, che avviene al livello pragmatico, lultimo degli strumenti consci per tenere insieme materiali pulsionali che si ribellano alle censure dellio. Il fatto che nellironia la contraddizione sia avvertita, ma nello stesso tem-

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po utilizzata per unoperazione di rovesciamento, indica proprio questo sforzo in extremis della dimensione conscia. Loperazione ironica attinge alla dimensione pulsionale dellaggressivit e al campo emotivo dei partecipanti allinterazione, per sovvertire i contenuti della censura, facendo valere al contempo unistanza normativa contrapposta. Nel confronto tra le due istanze normative: lo stereotipo della cornice performativa (/lode/, /constatazione razionale, deprecazione) vs. listanza antiperformativa (il biasimo, linattingibilit del giudizio spassionato, lopposizione netta verso un contenuto), non abolisce listanza formale della normativit: essa un tratto comune alla censura e al suo opposto (lanticensura la cessazaione della sua validit) e cos apre la strada a un rinnovamento di prospettiva mossa da quellistanza formale e che non pu tuttavia che passare attraverso le macerie della categorizzazione originaria per attingere a una ricategorizzazione interamente da costruire. In tal modo si realizza il potere trasformativo dellironia: rovesciamento della cristallizzazione linguistica, non elimina, in questo caso, la normativit, ma la reindirizza verso un terreno aperto e sconosciuto. Lironia permette cos di dare una nuova apertura allazione senza per la perdita del dover essere relazionale delle categorie. Questa compresenza del dover essere che allorigine del simbolico e della presa in carico di uno scacco legato alla realt il principale motore del rinnovamento di prospettiva e dellampliamento di coscienza operato dal rovesciamento ironico. Conclusione: ancora Shakespeare su azione e parole nel Macbeth. (Maras) Rituali ironici: trickster e marginali, loro relazione con la verit, potere di disvelamento insito nel trovarsi ai margini delle categorie consolidate nel costruire la propria vita sfruttando le maglie lasciate aperte dalle recinzioni, dai confini tradizionali. Esempio di questo , spesso, la volpe: La volpe Yurugu si inserisce allinterno delle partizioni consolidate e ne sovverte i valori. Il suo essere sempre allesterno dei modi di agire consolidati, le rende possibile vedere ci che agli altri celato. Ci le permette di leggere il senso delle parole in modo diverso. Socrate il vero rappresentante della figura del trickster.

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Sullironia* Un maestro e amico mi ha scritto a un certo punto che a lui pareva che lironia fosse un atto che si realizza nellagire complessivo, perfino, forse, nel Dasein e solo sussidiariamente in/con parole. Intorno a questo problema girano molte delle mie riflessioni, perch se da un lato mi pare chiaro che lironia coinvolge tutta una serie di abilit e conoscenze non linguistiche, a me sembra centrale il modo in cui lironia se ne serve linguisticamente. Il punto, del resto, consiste nel dove poniamo il limite tra linguistico e non linguistico. Ora io tento di caratterizzare lironia in questo modo: un tratto centrale della modalit ironica quello di mostrare il punto morto, il limite oltre il quale un certo modo di agire convenzionalizzato (e dunque categorizzato ritualmente) si trova privo di ragion dessere, svuotato di senso al punto che ogni ulteriore azione pu scaturire solo dalla presa datto di questa vuotezza e inefficacia, se deve avere una qualche presa sulla realt. Da qui il potere trasformativo delle forme pi radicali e riuscite di ironia. Lo svuotamento o inefficacia suddetti si manifestano attraverso la sovrapposizione nel fare ironico tra la categorizzazione rituale di un tipo di agire e lo scheletro, la matrice categoriale (ovvero gli elementi necessari a una categorizzazione opposta) di una situazione che inficia i presupposti stessi dellagire in questione. Questo vale tanto per lironia linguistica che per quella cosiddetta non linguistica. In quella linguistica la categorizzazione condivisa o pi agevolmente condivisibile della situazione tale da evidenziare lantiperformativit di un atto linguistico codificato. Nel caso della cosiddetta ironia non linguistica o di situazione, la categorizzazione della situazione condivisa tale da rendere quellazione non linguistica, data per appartenente a una certa categoria, inficiata nei suoi stessi presupposti. Esempio: Edipo categorizza la sua azione, il suo ruolo come quelli di un padre, un marito e di un re (tyrannos). La situazione di incesto e lessere causa della rovina della citt, come categorizzazione condivisa dal pubblico e poi dallo stesso Edipo, inficiano quei ruoli, attraverso la sovrapposizione su di essi di una struttura contraddittoria: quella del figlio e del paria (pharmaks).

* Pubblichiamo qui il testo di una lettera di Tommaso Russo a Daniele Gambarara. La lettera fu spedita da Tommaso durante la preparazione del seminario (NdR).

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Come si vede, dunque, tanto per lironia linguistica quanto per quella cosiddetta non linguistica il ruolo centrale svolto 1) da una categorizzazione ritualizzata dellazione e dei ruoli, 2) da una contrastante categorizzazione della stessa azione che condivisa e corroborata nella situazione data, e 3) che mutuamente esclusiva con il primo dato che ne inficia i presupposti di fondo. Il carattere antiperformativo dellironia implica, dunque, per me il suo stretto legame con lazione, sia pure attraverso la via in negativo della denuncia dei limiti dellagire convenzionalizzato. Ora la centralit della lingua si delinea proprio, mi pare, nella misura in cui essa uno strumento centrale nella convenzionalizzazione e ritualizzazione di ogni azione. Questa centralit tale, direi, come mostra Wittgenstein, che le stesse azioni sono informate dalla lingua, e questultima genera uno specifico tipo di prassi che funzionale a tirare le fila e a riorganizzare tutti gli altri tipi di azioni. Che ne allora, si potrebbe obiettare e anchio me lo chiedo, dellautonomia saussuriana del sistema lingua? La competenza linguistica deve allora includere tutti i frames e gli scripts di cui la lingua intessuta? S e no, io direi. S, nel senso che li deve includere, ma al livello formale del principio organizzatore di queste attivit. Prima ancora di essere formativa rispetto alle conoscenze che abbiamo larbitrariet della lingua (la sua ricorsivit metalinguistica e la sua ridondanza e indeterminatezza) sono formative per le pratiche da cui estraiamo queste conoscenze. La lingua ci che fa s che scripts e frames siano organizzati in modo da prevedere sempre un ruolo per gli altri parlanti. Inoltre la lingua informa i frames nel senso di precostituire un formato esplicito di rappresentazione delle azioni che sempre condivisibile con gli altri. La lingua, poi, anticipa la conoscenza per il bambino fornendogli dei segni in contesti duso parziali che si arricchiscono progressivamnente di altri usi contestuali permettendo di ristrutturare e di reinterpretare ricorsivamente i primi sulla base dei secondi. La lingua, insomma, un perno delle azioni umane oltre a far perno su di esse, come gi Prieto aveva intuito. In questo senso la lingua non solo il segmento fonico o segnico articolato, ma lintera articolazione del gioco linguistico (bada bene: la sua articolazione, non il gioco in s). Insomma, mi sembra che se non vogliamo ridurre la competenza linguistica alla competence chomskiana dobbiamo far rientrare lironia tra i princi-

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pi linguistici di regolazione dellagire. Che poi questo agire abbia anche manifestazioni non linguistiche si pu ben concedere. Tuttavia nel momento in cui le azioni subiscono una qualche forma di categorizzazione rituale, la lingua sembra esercitare il suo ruolo: questo avviene anche nei casi di ironia situazionale, come nel caso dellEdipo re dove i ruoli in gioco sono quelli di padre e di figlio, di re (tyrannos) e di paria (pharmaks), prima istituzionalizzati e poi portati a una crisi che mostra i limiti dellagire umano. Anche questi ruoli passano attraverso il setaccio della lingua, nel loro stesso codificarsi e istituzionalizzarsi socialmente, no? La loro natura rituale insieme condizione della lingua, ma anche possibile solo a partire dallintrinseca socialit e riflessivit dellanimale umano, ovvero a partire dal primo sostrato della linguisticit. Sostrato che non mi pare possibile disgiungere dalla linguisticit stessa, perch proprio nellintrecciarsi insieme di queste caratteristiche che si d qualcosa di nuovo: ovvero la stessa linguisticit. Del resto, proprio la capacit dellironia di cogliere il punto limite oltre il quale le parole dette sono prive di efficacia, senza usare altre parole se non quelle stesse, non fa leva proprio sullarbitrariet, nella sua duplice matrice di metalinguisticit e indeterminatezza? Lequilibrio di queste due propriet non forse specificamente linguistico o perlomeno specificamente simbolico? Tommaso Russo, febbraio 2007

BARBARA SCAPOLO Linguaggio, sensibilit ed emozioni in Paul Valry: alcune prospettive


Pour moi, laspect excitant des recherches sur le langage est dans le dsir de concevoir la place ou le rle de cette fonction trange dans la mcanique gnrale de la pense et de ltre vivant P. VALRY, Cahiers, 1911 dedicato a Ludovico Gasparini

Ombrag quelquefois par ton ombre pensive Non cercare mai la perfezione o la potenza di una mente in un risultato (C, I, 323; Q, I, 351)1. Non cercare la verit Ma cerca di sviluppare quelle forze che fanno e disfanno le verit (C, I, 328; Q, I, 357). Attorno ad un lavoro su di s, mai concluso, conscio dellimportanza di ci che permane incompiuto2, ruota la pratica filosofica di Valry, intera1 Legenda delle sigle adottate: , I, 1: uvres, dition tablie et prsente par J. Hytier, I-II, Gallimard Pliade, Paris 1997 (1 ed. 1957) et 1993 (1 ed. 1960); il primo numero, in cifre romane, indica il volume; il secondo, in cifre arabe, indica la pagina. C, I, 1: Cahiers, I-II, dition tablie et prsente par J. Hytier, Pliade Paris 1997 (1 ed. 1957) e 1993 (1 ed. 1960); il primo numero, in cifre romane, indica il volume; il secondo, in cifre arabe, la pagina; Q, I, 1: Quaderni, I-V, a cura di R. Guarini, Adelphi, Milano 1995-2002 (in corso di completamento); il primo numero, in cifre romane, indica il volume; il secondo, in cifre arabe, la pagina. C, 1, 1: Cahiers, riproduzione anastatica integrale, 29 voll., CNRS, Paris 195761; il primo numero indica il volume, il secondo la pagina. Ch, I, 1: Cahiers 1894-1914, I-X, dition tablie et prsente par N. Celeyrette-Pietri, J. Robinson-Valry, R. Pickering, Gallimard, Paris 1987-2006 (tuttora in corso di completamento); il primo numero, in cifre romane, indica il volume; il secondo, in cifre arabe, indica la pagina. 2 Per Valry linachev/inachevable evita ogni possibilit di immobilizzare, di cristallizzare il pensiero in una forma esaustiva/esauriente il reale. Per un approfondimento, ci si permette di rimandare al nostro B. SCAPOLO, Sono nato plurimo e sono morto uno. Le Storie infrante come luogo dei possibili di un pensiero avvolgente la vita reale, in VALRY, Storie infrante, a cura di B. Scapolo, San Marco dei Giustiniani, Genova 2006, pp. 9 sgg.

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mente volta ad indagare, kantianamente, le condizioni di possibilit e i limiti dellattivit di conoscenza, ed orientata dalla necessit di sviluppare tutto il potenziale di quelle forze che fanno e disfanno le verit. Punto di volta fondamentale ai fini delloggetto che qui si intende prendere in esame, ovverosia lelaborazione teorica del rapporto tra linguaggio ed emozioni, la celebre nuit blanche3, durante la quale Valry giunse al ripudio di qualsiasi idolo tranne quello dellintelletto, a domare tutti gli istinti, tutte le passioni, in una parola, tutta la propria sensibilit, che, fino a quel momento, lo aveva sopraffatto limitando cos il suo potere:
Tutto questo mi condusse a decretare tutti gli Idoli fuori legge. Li immolai tutti a quello che fu ben necessario creare per sottomettervi gli altri, lIdolo dellintelletto; del quale il mio Monsieur Teste fu il gran sacerdote (, II, 1512). Tentai dunque di ridurmi alle mie propriet reali. Avevo poca fiducia nelle mie capacit e facilmente trovavo in me tutto quello che occorreva per odiarmi; ma ero forte del mio infinito desiderio di precisione, del mio disprezzo delle convinzioni e degli idoli, del mio disgusto per la facilit e del senso dei miei limiti (, II, 12-13)4.

La riduzione alle proprie propriet reali, funzionale al potenziamento della propria intelligenza (che si vuole trasparentemente conscia dei propri limiti e delle proprie potenzialit), ha come primo esito il giovanile disprezzo e timore dei sentimenti (C, I, 173; Q, I, 185): con violenza, in un primo momento Valry affronta e respinge gli effetti della sensibilit sul proprio Moi, denunciando lindeterminatezza e il disordine dei sentimenti, che conducono ad uninstabilit di qualsiasi conoscenza o acquisizione. Va tuttavia evidenziato che il giovanile ripudio della filosofia e delle cose Vaghe e Impure, mosso da unesigenza epistemologica di oggettivit e da una forma critica della coscienza, non conosce alcuna soluzione di continuit, sebbene questa posizione verr progressivamente ammorbidendosi nel corso degli
3 Avvenuta il 4-5 ottobre 1892 (anno dinizio della redazione dei Cahiers, ma anche della genesi dellIntroduction la Mthode de Lonard de Vinci e di Monsieur Teste), la nuit de Gnes per Valry un momento di crisi e di cambio di prospettiva del suo pensiero di fondamentale importanza. La nuit blanche infatti lunico avvenimento unanimemente definito dalla critica come decisivo, visto che come tale lo definisce lo stesso Valry, in un numero impressionante di luoghi. Sono stati persino avanzati dubbi sulla reale esistenza di tale evento, aprendo alla possibilit di leggerlo come una sorta di teorema, di riferimento necessario ed inventato, come una specie di mito dellorigine. Immediatamente alle spalle di tale crisi, abbiamo la scoperta delle Illuminations di Rimbaud e il primo incontro con Mallarm, avvenuto nel 1891. 4 Trad. it. Monsieur Teste, a cura di L. Solaroli, SE, Milano 19942, p. 14.

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anni. Valry risponde alla costitutiva necessit del suo pensiero di ridurre tutto ad certum et incertum, primaria esigenza di un appello indiscutibilmente cartesiano, forte della necessit di una visione strumentale della verit, che lega la validit di ogni assunzione teorica alla possibilit della sua verifica5. A partire dalla nuit de Gnes, Valry opta quindi per un esplicito rifiuto di tutti gli idoli impuri, ma procede anche verso un progressivo distacco dalla purezza della poesia di Mallarm. tuttavia necessario cercare di determinare in maniera pi precisa quale sia leredit con cui Valry si trova a misurarsi, imprescindibile sostrato teorico-critico di tutta la sua successiva riflessione. Egli costretto a confrontarsi con lesito estremo della parabola simbolista, ovvero con una parola dal potere impotente, cos come la defin M. Foucault6: Mallarm condusse infatti le sue ricerche intorno ad un linguaggio puro trasformando radicalmente la concezione della scrittura letteraria e della sua tecnica, portando quindi a termine la costruzione della Letteratura-Oggetto attraverso latto estremo di tutte le oggettivazioni: luccisione7. Con le parole di Valry, dal saggio incompiuto Sur Stephane Mallarm (1897-1898):
Per la prima volta, il lavoro letterario stato [da Mallarm] sottomesso ad una serie di operazioni, di cui le pi importanti erano di natura astratta e di cui le pi profonde, le prime, erano di natura puramente psicologica. [...] tutti gli effetti della cosa scritta partono da questo, che essa si compone di parole scritte sulla carta, del loro ordine e della loro disposizione (Ch, II, 276).

Con incisivit, sempre Foucault descrive come intransitivit radicale lo stato in cui, immediatamente dopo lesperienza simbolista, verser la letteratura: divenuta nel XIX secolo pura e semplice affermazione di un linguaggio che ha per legge solo laffermare, contro tutti gli altri discorsi, la propria esperienza scoscesa, la letteratura del XX secolo sembra solo potersi incurvare in un perpetuo ritorno su di s, come se il suo discorso non potesse avere per contenuto che il dire la propria forma8.
5 La regola molto semplice: l dove non c niente di osservabile, niente di verificabile, non c, e non ci possono essere altro che giochi di parole Teologia, filosofia, psicologia giochi di parole, e senza dubbio alcune immagini, ma non coscientemente tali. Meglio prenderne coscienza. E allora Retorica! Arte della parola (C, 7, 893). 6 M. FOUCAULT, Le parole e le cose. Unarcheologia delle scienze umane, a cura di E. Panaitescu, G. Canguilhem, Bur, Milano 20067, p. 324. 7 Cf. R. BARTHES, Il grado zero della scrittura seguito da Nuovi saggi critici, a cura di G. Bartolucci, R. Guidieri et al., Einaudi, Torino 20066, p. 5. 8 M. FOUCAULT, Le parole e le cose, cit., pp. 324-325.

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Lesperienza letteraria condotta dal simbolismo alla frontiera del linguaggio, giungendo dove questultimo non sarebbe altro che forma, o assenza di materia, appare al poeta e lo tormenta come uninfermit, divenendo il principio della sua estetica, nonch mondo di impossibilit9. Contro il pericolo di sembrar perseguire uno scopo meramente verbale (, I, 126810), o formale, nel senso pi deteriore del termine, il problema di Valry, ombrag dallombre pensive del maestro Mallarm (cf. Ch, II, 292), sar sempre quello che ruota attorno alla domanda come fare?, essendo il faire la nostra condizione, e conseguentemente essendo il pensiero, lanalisi e la composizione assolutamente funzionali allagire stesso (cf. C, I, 1060; Q, III, 308). Dopo la nuit de Gnes e il ripudio di tutta la propria sensibilit, Valry si rinserrer nel silenzio poetico (che sar rotto solo con la pubblicazione de La Jeune Parque 1917), rifugiandosi nella meditazione condotta in modo rituale nellintimo della scrittura privata dei Cahiers, vera e propria pratica spirituale quotidiana. A Valry simpone la necessit di cercare la propria personale strada intellettuale, cosa che comporter, sebbene faticosamente, lallontanamento e la differenziazione del suo cammino da quello compiuto dal maestro Mallarm. Sono proprio le modalit di questo faticoso allontanamento ad interessarci per introdurci nello specifico dellanalisi del rapporto sussistente tra linguaggio ed emozioni secondo Valry. Differentemente da Mallarm, per Valry la poesia ha infatti una sua autonomia soltanto allinterno dellorizzonte pi vasto dellesercizio, di cui essa rappresenta una forma particolare, ma non superiore alle altre. La differenza pi profonda tra Valry e Mallarm sta proprio in questa valenza, tutta pratica, del faire creativo-composivo: lintento di Valry non fu mai quello di essere poeta (cf. C, I, 247-248; Q, I, 268269), quanto piuttosto quello di un faire, che insieme un farsi, e che si esplica secondo le modalit del dfaire e del rfaire. Laddove la poesia per Mallarm loggetto essenziale e unico, per Valry essa diventa una particolare applicazione dei poteri dellesprit (C, I, 307; Q, I, 334)11, una
A. THIBAUDET, La posie de S. Mallarm: tude littraire, Gallimard, Paris 1912, p. 37. Trad. it. Leonardo e i filosofi, in Scritti su Leonardo, a cura di E. Di Rienzo, Electa, Milano 1984, p. 97. 11 Per un approfondimento in relazione allesprit come mente e alla ricerca di una sem9 10

Per la prima volta da quando esiste la letteratura, essa stata usata dal punto di vista <psicologico> come una cosa astratta, trattabile in se stessa, quasi indipendentemente dalle cose significate almeno secondo una prima approssimazione. [] Limiti. Tutta la letteratura contenuta nella combinazione di parole. Fate in modo di vederne il pi possibile, di esaurire il possibile, da cui esperienza (Ch, II, 277-278).

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composizione delle proprie puissances (cf. , I, 360), in quanto [] tutte le arti sono forme differenziate dellazione, e [] vanno analizzate in termini di azione (, I, 1401-140212). Il problema che fa da fulcro a quello che si potrebbe indicare come un fondamentale momento di riflessione sul tema del linguaggio e della poesia ruota intorno alla ricerca di una poesia pura13, e viene enunciato dallo stesso Valry nel modo seguente:
se si possa, quindi, per mezzo di unopera in versi o meno, dare limpressione di un sistema completo di rapporti reciproci fra le nostre idee, le nostre immagini, da un lato, e i nostri mezzi despressione, dallaltro [...] questo a grandi linee il problema della poesia pura. Dico pura nel senso in cui il fisico parla di acqua pura. Intendo dire che si pone il problema di sapere se si pu giungere a produrre unopera che sia pura da elementi non poetici. [...] Insomma, ci che chiamiamo poesia composto in pratica di frammenti di poesia pura incastonati nella materia di un discorso. [...] bisognerebbe allora intenderla nel senso di una ricerca degli effetti risultanti dalle relazioni tra le parole, o meglio dalle relazioni tra le risonanze specifiche delle parole, il che suggerisce, tutto sommato, unesplorazione di tutto quel settore che governato dal linguaggio. Questa esplorazione pu esser fatta a tastoni. Ma non impossibile che un giorno venga condotta sistematicamente (, I, 1457-1458)14.

Sono principalmente tre gli elementi da rilevare per poter procedere: in primis, laggettivo puro, sia esso applicato alla pratica poetica, alla filosofia o al pensiero15, da intendersi essenzialmente come quanto si presenta
pre maggiore precisione e di una espansione sempre pi completa nella funzionalit de lesprit, dobbligo il cf. con J. ROBINSON-VALRY, Lanalyse de lesprit dans les Cahiers de Paul Valry, Jos Corti, Paris 1963. Si veda inoltre lintera ricerca di L. GASPARINI, Azione e comprensione nei Cahiers di Paul Valry, Franco Angeli, Milano 1996 e il recente e prezioso contributo di G. FEDRIGO, Gladiator, latleta del possibile. Valry e lo sport della mente, QuiEdit, Verona 2007. 12 Trad. it. Filosofia della danza, in AA.Vv., Filosofia della danza, a cura di B. Elia, Il Melangolo, Genova 1992, pp. 89-90. 13 Per un approfondimento specifico al problema della poesia pura, mi permetto di rimandare a B. SCAPOLO, La Querelle sulla Posie pure: riflessioni su Paul Valry, Trasparenze, 24, 2004, pp. 53-68. 14 Trad. it. Taccuino di un poeta, in La Caccia magica, a cura di M.T. Giaveri, Guida, Napoli 1995, pp. 51-52. 15 Estrema sintesi della valenza del puro in Valry costituita dalla figura del Moi pur, la quale, spogliata di qualsiasi determinazione personale, sostanzialmente senza attributi, da intendersi come sensazione propria dellattivit cerebrale (C, 3, 781), punto di osservazione privilegiato dellattivit cosciente sulla propria stessa attivit (la celebre conscience consciente). Si pensi alla sua messa in forma in Monsieur Teste (Io sto esistendo e sto veden-

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come non contaminato, non mescolato, non soggetto ad alcuna manipolazione esterna; in secondo luogo, la giovanile e, per certi versi, smisurata ambizione volta a produrre un sistema di rapporti reciproci tra le nostre idee (detto altrimenti tra i nostri oggetti mentali idee ed immagini) e i nostri mezzi di espressione, conduce Valry ad indagare lambito governato dal linguaggio; infine, emerge come indispensabile la necessit che tale indagine sia finalmente condotta in modo rigoroso16.
Cerco un modo di vedere il linguaggio. Modo netto e utilizzabile. A cosa pensare, che pensare se penso al linguaggio? Questo il punto17 (Ch, X, 355). Tanto se si avverte fortemente che il linguaggio tutto, o che non niente, si arriva allo stesso punto: limportante non assumere una posizione media, vaga, confusa (tra il linguaggio e le cose) [...] (Ch, X, 380).

Corollario implicito di queste considerazioni il fatto che Valry sembri indicare il linguaggio non solamente come un mezzo di trasmissione del pensiero, ma come lunico strumento attraverso cui possibile indagare il contenuto mentale (e, di conseguenza, lattivit conoscitiva propria delluomo), comunque si voglia intendere il nesso tra pensiero e linguaggio; questultimo dunque da Valry concepito come una chiave daccesso privilegiata a tutti i maggiori problemi filosofici e antropologici18.
domi; sto vedendomi vedere e cos di seguito Pensiamo con precisione , II, 25; trad. it. Monsieur Teste, a cura di L. Solaroli, SE, Milano 19942, p. 30), e ne La Jeune Parque (v. 35: Je me voyais me voir, sinueuse, et dorais / De regards en regards, mes profondes forets). 16 Mi accorgo che la mia ambizione letteraria (tecnicamente) quella di organizzare il mio linguaggio in modo da farne uno strumento di scoperte un operatore, come lalgebra o piuttosto uno strumento di esposizione e deduzione di scoperte e osservazioni rigorose (C, I, 386; Q, II, 11). 17 Al sentimento ingenuo del parlante come del linguista, il linguaggio ha per funzione il dire qualcosa. Cos esattamente questo qualcosa in vista del quale il linguaggio articolato, e come delimitarlo in rapporto al linguaggio stesso? Il problema della significazione posto (. BENVENISTE, Problmes de linguistique gnrale, vol I, Gallimard, Paris 2002 I ediz. 1976, p. 7). 18 Va rilevato che Valry stabilisce un nesso preciso tra attivit intellettiva e sensibilit: ogni parola produce infatti un effetto sensibile sui nostri sensi. Abbracciando questa ipotesi, egli non sembra molto lontano dalle prospettive enunciate dalla riflessione romantica sul linguaggio, nate sulla scia critica dellenorme lacuna di tutta la riflessione kantiana nella mancata di considerazione del linguaggio (ci riferisce alle analisi linguistiche di J.G. HERDER in particolare, al Saggio sullorigine del linguaggio [1770] , di J.G. HAMANN cf. Scritti sul linguaggio (1760-1773) e di W. von HUMBOLDT cf. La diversit delle lingue [1936]). Sui problemi linguistici dibattuti a Berlino nellambito della ricostituita Accademia delle scienze, cf. limportante saggio, con la relativa bibliografia, di H. AARSLEFF, La tradizione di Condillac. Il problema dellorigine del linguaggio nel XVIII secolo e il dibattito allAccademia di Berlino prima di Herder, in

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Forte dellesperienza mallarmeana e della risolutezza a tenter autre chose, Valry praticher il suo esercizio di pensiero essenzialmente nellambito governato dal linguaggio19; innanzitutto, lattivit di ricerca che aspira alla purezza e al rigore si sforzer nel tentativo di non pensare mai con parole che non siano nette, che non [si domino] completamente e che introducano sensi multipli o indefiniti (C, I, 414; Q, II, 41-42). Il linguaggio infatti criticamente visto come lo strumento primario alla metafisica (cf. C, 13, 93) e, in quanto tale, devessere posto sempre in stato daccusa (, II, 14) poich veicola vecchi presupposti metafisici, tende a imporre una rappresentazione antropomorfica delle cose, fa nascere nello spirito questioni di origine puramente verbale, permettendo di fornire risposte illusorie. quindi possibile individuare una specifica attitudine nei confronti del linguaggio e dei suoi effetti (C, 27, 406), connessa allindagine e alla critica del valore fiduciario che ogni linguaggio porta in seno20; si tratta dunque di determinare le principali caratteristiche di questa critica. Il dovere di non credere alle parole
Il ruolo del linguaggio strano. Come quello della fiducia che permette di acquistare senza averne i mezzi o di vendere, il linguaggio permette delle combinazioni che possono fare a meno di valori autentici e non sono convertibili in essi. Molte parole sono insolvibili e coloro che le rifiutano vengono chiamati scettici. E lo stesso vale per molte combinazioni di parole. Si sostituisce il poter vedere (o fare) col poter esprimere, che esige soltanto condizioni che dipendono esclusivamente dal funzionamento dei segni e non dalle cose significate (C, I, 475; Q, II, 108).

Partendo dallassunto di base per cui il senso (semantico) di una parola pu cambiare con il tempo, sotto linfluenza dei valori che gli sono stati
ID., Da Locke a Saussure, trad. it. di M. Ciotola, il Mulino, Bologna 1984, pp. 175-266. 19 In ogni problema, e prima di esaminarne il contenuto, io considero il linguaggio; ho labitudine di procedere alla maniera dei chirurghi, i quali, prima di ogni altra cosa, si disinfettano le mani e preparano il campo operatorio. quello che io chiamo il repulisti della situazione verbale (, I, 1316, trad. it. Variet, a cura di S. Agosti, SE, Milano 1990, p. 278; cf. K. LWITH, Paul Valry, a cura di G. Carchia, Celuc, Milano 1986, pp. 47-88). 20 REY, Le crdit et la ruine, in ID., La part de lautre, Puf, Paris 1998, pp. 129 sg. Nello specifico del rapporto credito/linguaggio, cf. anche M. JARRETY, Valry devant la littrature. Mesure de la limite, Puf, Paris 1991, pp. 65 sg. e B. SCAPOLO, Disincanto e critica (pars destruens), in ID., Comprendere il limite. Lindagine delle choses divines in P. Valry, Pref. di J.M. Rey, Pellegrini Editore, Cosenza 2007, pp. 141-159.

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attribuiti (C, 23, 329), in primis necessario diffidare di tutte le parole (, II, 5321), non confonderle (, II, 6222), secondo una manire de faire che presta costantemente la pi estrema attenzione a ci che passa come non percepito nellordinario, a ci che apparentemente ha una minima importanza23.
larte di trattare le parole come si meritano. Cio riconoscendo il loro valore duso in un lavoro serrato dello spirito (, II, 23824).

Nel considerare e soppesare il linguaggio rispondendo innanzitutto ad una volont igienico-critica (studiare i linguaggi precisamente non gi rifare ma fare coscientemente ci che prima stato fatto senza troppa coscienza C, I, 392; Q, II, 17), che limiti, soprattutto sul piano filosofico, luso parassitario del linguaggio, emerge vistosamente pi di unanalogia con lanalisi e lindagine filosofica proposta da L. Wittgeinstein e dai neopositivisti del Wiener Kries, in unepoca pressappoco coeva. Tanto per Valry quanto per Wittgenstein, lattivit critica sul linguaggio devessere sostituita ad ogni filosofia25.
La sterilit della filosofia dovuta al linguaggio alla distorsione delle osservazioni alla mancanza di controllo e di verifiche al non discernimento degli eTrad. it. Monsieur Teste, cit., p. 66. Ivi, p. 78. 23 REY, Le crdit et la ruine, cit., p. 137. 24 Trad. it. Lidea fissa, a cura di V. MAGRELLI, Adelphi, Milano, 2008, p. 76 (corsivo mio). Si ricordino i noti versi goethiani: Sta scritto: In principio era il Verbo! Son gi bell fermo! Chi mi aiuta a proseguire? impossibile chio stimi la parola in modo cos alto. Devo tradurre altrimenti, se lo Spirito millumina bene. Sta scritto: In principio era il Pensiero. Rifletti bene, sin dalla prima riga affinch la tua penna non abbia troppa fretta. forse il pensiero che tutto crea ed in tutto agisce? Allora dovrebbe essere: In principio era la Forza!. Ma mentre scrivo questa espressione, gi un non so che mi ammonisce che non mi ci fermer. Lo Spirito mi aiuta! Improvvisamente mi si fa luce dentro: in principio era lAzione! (J.W. GOETHE, Faust, vv. 1224-1237, trad. it. Faust e Urfaust, a cura di G.V. Amoretti, vol. I, Feltrinelli, Milano 19998, p. 63). 25 Sostituir ad ogni filosofia una ricerca sul linguaggio (C, 26, 627); Il punto capitale della mia filosofia leliminazione sistematica di ci che parola (C, I, 395; Q, II, 20). Tutta la filosofia critica del linguaggio (L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, trad. it. a cura di A.G. Conte, Einaudi, Torino 20016, p. 43. Per un approfondimento sul rapporto tra i due filosofi, cf. R. PIETRA, Valry, Wittgenstein et la philosophie, Bulletin des tudes valryennes, 20, 1979, pp. 46-65; K. TSUNEKAWA, Valry et Wittgenstein lgotisme et le solipsisme, Bulletin des tudes valryennes, 88-89, 2001, pp. 163-174; L. GASPARINI, Valry e Wittgenstein, in ID., Azione e comprensione nei Cahiers di P. Valry, cit., pp. 209 sgg.
21 22

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lementi e delle operazioni e degli effetti reali di queste operazioni (C, 2, 588). I filosofi inventano tante nozioni quante gliene occorrono ed un loro diritto ma non [si] preoccupano affatto della comprensibilit di queste nozioni Ed un grave errore (C, I, 387; Q, II, 12).

Criticare il linguaggio prima di tutto un saper porre nettamente i problemi. Posto che soltanto ec-ce-zio-nal-men-te la parola significa quello che essa pretende di significare (C, I, 395; Q, II, 20) e che [l]a maggior parte dei problemi della filosofia sono dei non-sensi; voglio dire che generalmente impossibile porli precisamente senza distruggerli (C, 5, 576), la filosofia non deve avere altro scopo che delucidare le questioni, eliminando ogni vaghezza e impurit attraverso lutilizzo di un linguaggio chiaro, semplice e sensato. Quali enunciati possono dirsi sensati agli occhi di Valry? Innanzitutto, si deve precisare che tutte le questioni relative al senso si pongono solo allinterno delle cornici di vocabolari adattati dal lavoro critico volto al repulisti de la situation verbale, e non allesterno di esse; in secondo luogo, devessere rilevata la funzione di mediatore-intermediario che il linguaggio assume nellanalisi di Valry (cf. Ch, X, 373). Una questione connessa al pi generale tema del credito e della fiducia quella secondo cui se il Tutto fosse istantaneo o dato nella sua interezza, niente linguaggio (C, I, 396 o Ch, X, 357; Q, II, 21): se il Tutto fosse interamente dato (cf. Ch, X, 403) non avremmo linguaggio; la sua funzione26, essenzialmente mediatrice, tra lattivit conoscitiva e il reale sarebbe assolta nellimmediatezza della comprensione; non si creerebbe nessuno iato tra parola e cosa, e nessuna fiducia o credito potrebbe inter-agire nella diretta assunzione del significato. Pertanto, se si vuol parlare del vero senso delle parole, bisogna dire che: il vero senso di una PAROLA ci che essa produce in quanto effetto, istantaneamente e per sempre in modo che questo effetto abbia svolto la sua funzione transitiva, e non ci sia pi un problema di espressione. Risulta chiaramente, da questo, che ci sono tanti veri sensi per quante volte si verifica una simile trasformazione. lassenza di stasi o di esitazione quel che definisce il vero senso. Il resto uninvenzione di lessicoIl concetto di funzione in Valry tra i pi pregnanti: la prospettiva che egli adotta quella secondo lindividuo sarebbe un sistema dintersezione di funzioni (, II, 1343); riassumendo brevemente la sua posizione, se ci possibile individuare una certa funzione in una certa entit, ovvero se la si identifica come entit che per qualcosa, ci accade perch disponiamo di un determinato congegno psicologico che fa s che la si identifichi come entit che sta per qualcosa (condizione che, peraltro, sembra conservare uneco irriducibile del significato che il concetto ha secondo il senso comune): secondo tale senso, il linguaggio in assoluto tra le principali funzioni proprie delluomo.
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grafi (C, I, 469; Q, II, 101). Se dunque il linguaggio veicola un contenuto/dei contenuti che suscitano un effetto/degli effetti in modo chiaro e permanente, allora esso sensato, in quanto la sua funzione di tramite stata correttamente assolta. Laddove la parola porti invece con s dei residui interpretativi, delle lacune o del surplus (un valore aggiunto) rispetto a ci che essa vuole effettivamente indicare ( il caso dei termini Vaghi e Impuri della metafisica), allora, per Valry, essa priva di senso. Si deve menzionare il fatto che la molteplicit dei veri sensi che le parole possono veicolare apre ad un altro tema valeryano, quello secondo cui la realt inesauribile, eccedente, sovrabbondante di senso, e quindi essa , a rigore, inesplorabile e inconoscibile, in quanto ogni sua conoscenza appare necessariamente parziale (nellindeterminatezza di una conoscenza completa consta tutta la cifra della miseria delluomo). Riprendendo i capisaldi dellirriducibile dicotomia tra ltre e il connatre in Valry (altrimenti declinata come opposizione fra la vita e la verit cf. C, II, 582; Q, V, 269), la realt diviene ci che rifiuta lordine che il pensiero vuole imporgli (, I, 1301): da questo punto di vista
Niente stabile, niente ha del significato qui il reale il reale non ha nessun significato. Ogni significato esige un certo punto di vista (C, 9, 553).

Detto altrimenti, il reale consiste in ci di cui non si pu esaurire la virt significativa27, in quanto ci che sprovvisto di ogni significazione ed capace di assumerle tutte (C, 9, 615); la realt quindi per Valry ci che resiste a qualsiasi tipo di presa conoscitiva:
Lidea nascosta o il volere nascosto nella nozione di realt questo: c qualcosa di pi in ogni cosa reale che la percezione pi netta e pi completa non fanno vedere. E quindi questo quid inalterabile attraverso le vicissitudini della percezione. Nessuna percezione lesaurisce (C, 11, 188).

Il connatre non pu che rinunciare ad ogni spiegazione che aspiri ad essere esaustiva (esauriente) del reale (cf. , II, 167-168); in particolare, il linguaggio a portare in seno lintera cifra di questa insufficienza:
Man mano che ci si avvicina al reale, si perde la parola. Un oggetto pu essere espresso soltanto da un nome pi grande di lui e che soltanto il segno della sua molteplicit di trasformazioni implicite o mediante metafore o mediante costruzioni. Il reale intrasformabile [] (C, I, 386-387; Q, II, 11). Vedo questo e non so da dove cominciare ad esprimerlo.
27

P. VALERY, Lettres quelques-uns, Gallimard, Paris 1997 (I ediz. 1952), p. 153.

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Io vedo confusamente questo, e so che se mi metto ad esprimerlo mi vedr costretto a trovarne la struttura precisa (Ch, X, 362).

Di fronte a tale riconosciuta insufficienza, lattivit conoscitiva delluomo sembra doversi limitare, quindi, ad unattivit di tipo pratico-poietica, per cui il mondo consisterebbe dei modi, pi o meno corretti, di descriverlo28. Stando alle considerazioni finora svolte, anzich in una caccia della verit, il filosofo parrebbe quindi doversi impegnare innanzitutto nella ricerca di una teoria linguistica (necessario tramite di ogni conoscenza), fornita dei requisiti del rigore, della coerenza, della semplicit, della prevedibilit (che fornisce stabilit alla conoscenza), della pragmaticit, ecc. Sebbene in maniera embrionale, ci sembra che Valry comprenda allinterno della sua riflessione sul rapporto tra linguaggio e realt uno dei tratti fondamentali che caratterizzano la cultura scientifico-filosofica contemporanea, ovvero quel processo di dissolvenza al quale destinata la concezione della conoscenza come rappresentazione adeguata e accurata della realt o, altrimenti detto, delle cose come sono in se stesse, processo che comporta la fuoriuscita dal regime delle identificazioni mimetiche e iconiche per entrare in un nuovo dominio che precisamente quello dei contesti, delle relazioni e delle inferenze29. Le numerose questioni finora sollevate suggeriscono le coordinate di fondo entro cui intendere la complessa questione del rapporto linguaggioemozioni. La specifica riflessione intorno al linguaggio ha origini molto precoci (negli anni 1897-1898), con il cahier Analisi del linguaggio, larticolo su La smantique de Michel Bral30 (cf. , II, 1449-1456) e il gi citato
28 Secondo questa prospettiva, Valry parrebbe, per certi versi, anticipare la dottrina dei ways of worldmaking di N. Goodman (cf. N. GOODMAN, Ways of Worldmaking, 1978, trad. it. Vedere e costruire il mondo, a cura di C. Marletti, Laterza, Roma-Bari 1988). 29 A.G. GARGANI, La nozione di prova tra filosofia, scienza e linguaggio, in V. AND, G. NICOLACI (eds.), Processo alla prova. Modelli e pratiche di verifica dei saperi, Carocci, Roma 2007, pp. 43-76, qui p. 53. 30 Conoscenza che Valry mutu dallamicizia con Marcel Schwob (1867-1905). Bral indicato da Valry come uno dei grandi conoscitori di tutto ci che si sa e di tutto ci che esiste in linguistica (, II, 1450) ed egli, com noto, fu maestro della maggior parte dei linguisti francesi sul finire del XIX secolo. Saussure fu allievo e amico di Bral, sebbene nelle sue note e nelle sue lezioni riporti pochissimi riferimenti allopera del maestro (tuttavia, dato per assodato il ruolo chiave che il progetto della semantica di Bral ebbe nell'ambito della contestualizzazione della formazione del pensiero saussuriano negli anni parigini). Ouzounova-Maspero osserva che i commentatori dei Cahiers sono concordi nel dire che Valry ha sviluppato le sue principali idee molto prima dalla comparsa del Cours [di Saussure] (J. OUZOUNOVA-MASPERO, Valry et le langage dans les Cahiers (1894-1914),

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saggio Sur Stephane Mallarm (cf. Ch, II, 275-287). A partire da questi anni, Valry si pone di fronte alla questione relativa alle relazioni fondamentali che il linguaggio intrattiene con ci che si nomina esprit; a Valry simpone la necessit di approfondire il difficile del linguaggio una volta constatato che il linguaggio in quanto nozione definita sulla quale si possa agire [] ci appartiene molto meno della maggior parte degli altri fenomeni (, II, 1450); a questo scopo, la semantica gli appare, almeno in un primo momento, uno studio indispensabile; tale disciplina ci ricorda che le parole hanno dei significati [che] consistono in un gruppo di due membri, uno fisico, laltro mentale. Lo studio del primo ha portato molto lontano; lo studio del secondo progredito molto poco; lo studio dellinsieme non esiste, e questa sarebbe una cosa importante (, II, 1451; cf. Ch, II, 278). Attraverso e al di l della semantica
Fisiol[ogia] e Fisiol[ogia] del linguaggio Colui che sapr legare il linguaggio alla fisiologia sapr molto, e nessuna filosofia potr prevalere contro questo (C, I, 446; Q, II, 76-77).

Lo studio del rapporto tra sensibilit e linguaggio assume in Valry unimportanza capitale anche per lo scopo di comprendere noi stessi: infatti, il linguaggio comunica luomo alluomo, e luomo a se stesso (Ch, II, 279). Un saliente esempio del modo di condurre il ragionamento e lanalisi sul linguaggio da parte di Valry costituito dal saggio incompiuto su Mallarm, nel quale, a partire dalle gi menzionate considerazioni sulla spinosa eredit simbolista, egli si misura attivamente con questioni propriamente linguistico-semantiche31, legate alla funzionalit del linguaggio nel suo rapporto con i contenuti mentali (idee o immagini) e loggetto reale indicato/rappresentato32.
LHarmattan, Paris 2003, p. 20). Valry potrebbe aver tratto qualche eco dellopera di Saussure anche attraverso lamico Pierre Quillard che, come M. Schwob, aveva partecipato ad alcuni dei corsi saussuriani (cf. Ch, X, 481, n. della p. 58). 31 Si deve tuttavia rilevare che il Valry pi maturo andr progressivamente rifiutando il primato della semantica e della linguistica per lo studio del linguaggio: in una tarda nota dei Cahiers (1942-1943), egli afferma che la linguistica non cinsegna niente di essenziale sul linguaggio Dei problemi di origine, di similitudine. Ma lintima funzione del linguaggio, il suo intervento nel funzionamento, il suo meccanismo Conservazione-Trasformazione e ci che esso ai diversi livelli: Io puro; Io, Qualcuno; Io e Altro ecc. Il suo uso interno, esterno e interno-esterno ?? (C, I, 464; Q, II, 95; cf. C, I, 460-461; Q, II, 91-92). 32 Il linguaggio riproduce la realt. Questo devessere inteso nella maniera pi lettera-

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Posto che il linguaggio non la riproduzione del pensiero. Non si occupa di fenomeni mentali reali ma di unimmagine semplificata e molto lontana da questi fenomeni33 (Ch, II, 284), e che il linguaggio pu essere studiato solo attraverso il rapporto con i fenomeni mentali: quelli da cui proviene, e quelli che esso suscita (Ch, II, 281), quel che ci interessa approfondire in questa sede il fatto che per Valry la parola fisica, che ci giunge come tante altre sensazioni, costituisce una sensazione singolare che distinta dal resto dei suoni o delle figure, istantaneamente, nel pensiero. Penso che la sua propriet sia di conservare nellesprit una relazione invariabile tra certi fenomeni: tutte le volte che essa si ripresenta alla nostra conoscenza, certi fenomeni si ripresentano (Ch, II, 279). Queste considerazioni evocano il problema detto del cratilismo34 nella misura in cui a Valry sembra, ad esempio, che il termine puntura (piqre) punga (pique cf. Ch, I, 238); infatti, Valry non considera che la parola sia limmagine di una cosa, ma il suo segnale, capace di produrre sullorganismo un certo effetto, parzialmente identico a quello del citato esempio della puntura. Come si cercher di mostrare in seguito, il Valry poeta prender in alta considerazione questa propriet della parola, capace di creare un effetto fisico attraverso il suo solo valore fonetico-sintattico (che pu riprodursi indipendentemente dal contesto). Un primo, fondamentale legame che la parola stabilisce con la sfera della sensibilit riguarda dunque leffetto che una determinata parola, in quanto segnale, suscita nellesprit35, effetto che riproducibile fisicamente tutte le
le: la realt nuovamente prodotta attraverso lintermediario del linguaggio (. BENVENISTE, Problmes de linguistique gnrale, vol I, cit., p. 25). 33 Lo scrittore mentre scrive scontento di ci che scrive, non di ci che concepisce. Egli cerca inutilmente una equazione impossibile tra questi 2 termini. Lo scrittore cosciente separa la sua visione, il suo pensiero, dai mezzi che maneggia e che dovrebbero agire su altri [mezzi]. La sua opera determinata da questi MEZZI pi che dal suo pensiero. Allora egli cerca di moltiplicare questi mezzi (Ch, II, 287; cf. Ch, X, 362). Non si scrive ci che si pensa. Si legge solo ci che si pu pensare (Ch, II, 285). 34 Cos definito in relazione al dialogo platonico Cratilo che, com noto, riguarda lo studio del rapporto tra le parole e le cose, delle quali i nomi dovrebbero rappresentare lessenza. Si veda in particolare i passi 426c sgg. dove, al fine di sostenere la grande forza dellimitazione nella creazione del linguaggio, Socrate individua lettere e sillabe che devono essere intenzionalmente usate nellesigenza di interpretare, proprio mediante limitazione stessa, lessenza delle cose. Ad esempio nella parola rhein (scorrere) proprio la lettera rho () che si incarica di imitare lo scorrere stesso. 35 Si preferisce mantenere il termine in francese per la molteplicit dei significati che esso comprende (intelligenza, mente, intelletto, anima, spirito), lasciano che sia il contesto, di volta in volta, a suggerirne il significato pi adatto. In questo caso, tuttavia, con

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volte che vogliamo, tutte le volte che la pensiamo. Ne consegue che questa propriet esiste perch laccoppiamento di un suono con unidea, che crea una parola, perfettamente arbitrario, nel caso pi generale (ibidem). Detto in termini saussuriani, si potrebbe quindi affermare che ad essere arbitraria, secondo lanalisi di Valry, la determinazione del segno nellaccoppiamento tra significante e significato36: infatti, per Valry il segnoparola sparisce se cambia il suono37:
Evitando una sorta di equazione assurda tra una cosa variabile e una costante, dobbiamo pensare che la relazione della forma esteriore di una parola con il suo correlativo mentale convenzionale, non meno indipendente dallesprit che se ne serve. Questa convenzione isola le parole in quanto sensazioni da tutte le altre sensazioni (Ch, II, 280)38.

Quando una sensazione nasce in quanto innescata dalla parola (P S) , agli occhi di Valry essa diversa da tutte le altre sensazioni per il suo carattere di precisa e netta riproducibilit, laddove il segno-parola permanga invariato. opportuno precisare che questa sostanziale differenza per Valry fondamentale, essendo che le altre sensazioni (non innescate dal linguaggio) e lintero dominio della sensibilit40 appartengono invece allambito dellambiguo, dellinstabile, dellindeterminabile:
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La parola sensibilit ambigua. Essa significa a volte facolt di sentire, produzione di sensazioni; e altre volte modo di reazione, reattivit, modo di traesprit Valry parrebbe intendere il corpo della mente (cf. C, 8, 402). Per un approfondimento sulla fisiologia del corpo della mente, cf. G. FEDRIGO, Gladiator, latleta del possibile. Valry e lo sport della mente, cit., pp. 41 sgg. 36 Cf. F. DE SAUSSURE, Cours de linguistique gnrale [1916], Payot, Paris 2003 (I ediz. 1967), pp. 97 sgg. Come Bral, Valry giudica necessario studiare laspetto semantico di una parola quanto la sua forma sonora, e si applica ad analizzare il senso attribuendogli una componente stabile (cf. Ch, IV, 272; Ch, V, 299; Ch, X, n. 2 p. 501). 37 Un uomo che soffre il freddo e che dice: Ho freddo, non pronuncia queste parole indifferentemente. Egli deforma i suoni e questa deformazione importante. In tutte queste materie cos delicate da analizzare ricordarsi che non c mai relazione diretta tra suono e senso ma indiretta. Ma ben reale (quando essa ). [...] (Ch, X, 383). 38 Con leggere varianti il passo in questione viene riportato anche successivamente: cf. Ch, II, 281. 39 Dove S = sensibilit, P = parola, segno linguistico. 40 Per unintroduzione al tema della sensibilit, cf. anche S. BOURJEA, La sensibilit dans les Cahiers de P. Valry, Bulletin des tudes valryennes, 19, 1978, pp. 37-58; J.M. GUIRAO, Esquisse dune thorie de la sensibilit, Bulletin des tudes valryennes, 96-97, 2004, pp. 85-100.

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smissione. E significa altres legame irrazionale (C, I, 1206; Q, III, 465).

Detto in altri termini, la sensibilit tout court confinata nellambito delle Cose Vaghe e Impure, che, come si visto, vengono da Valry decisamente rifiutate a partire dalla nuit de Gnes41. Tuttavia, procedendo nellanalisi del caso opposto, cio del rapporto che si innesca a partire dalla sensazione che produce linguaggio (S P), particolarmente interessante la riflessione che Valry propone rispetto allassenza di fatto di eventi sensibili, che aiuta a comprendere per quale motivo egli definisca la sensazione anche come un evento di coscienza (C, I, 1154; Q, III, 408).
Il linguaggio esprime attraverso un fatto positivo che ci che si chiama una negazione un fatto negativo o assenza di fatto. Quando si dice: Io non sento niente, o zero. (Lo zero di sensazione lascia ancora o forse provoca ancora un qualcosa: lio? come se lio esistesse tra questo zero e lo zero assoluto, non conoscenza totale) (Ch, X, 377).

La considerazione dellespressione linguistica di fronte ad unassenza totale di sensazione, se sommata alle constatazioni precedenti, spiega per quale motivo Valry sia portato a pensare che, veicolata dal linguaggio, la mancanza di eventi sensibili produca nondimeno una sensazione precisa: il processo di attivazione sarebbe allora cos costituito: S = 0 P S = X. La sensazione, in questo caso, un evento di coscienza nella misura in cui pu essere distaccata, distinta da ogni corrispondenza, da ogni trasformazione, da ogni adattamento (cosa che si manifesta esplicitamente nel caso limite appena esposto). Si deve inoltre rilevare che, per Valry, una cosa diventa sensibile soltanto per la mancanza piuttosto che per la presenza di qualche condizione (C, I, 1157; Q, III, 411): la sensazione (o la mancanza di sensazione) come una scintilla in una camera di specchi che anima uninfinit di figure e inoltre di relazioni implesse42 tra queste figure (C, I,
41 Insomma il mio immutabile sentimento dal 1892 che bisogna distinguere sempre non confondere mai le percezioni le immagini le astrazioni-relazioni che sono atti ben definiti e gli sconfinamenti ottenuti mediante i segni ossia ci che non potrebbe esserci senza segni o convenzioni (C, I, 425; Q, II, 53). Il turbamento il contrario della chiarezza. il movimento senza direzione una trasformazione attraverso la confusione (C, I, 415; Q, II, 43). 42 Implesso, parola di mia invenzione, significa che il possibile (e secondo molteplici modi) un costituente funzionale del vivente (C, 29, 61): limplesso designato come il resto nascosto strutturale e funzionale (non il sub-cosciente) di una conoscenza, o azione cosciente (C, 17, 63).

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1156; Q, III, 410), nonch lattivit di produzione di effetti incommensurabili con le loro cause (C, I, 1173; Q, III, 429).
Ci che si presenta43 alla mente sono a volte parole a volte frasi, a volte forme, canti, inizi Secondo lora, lelaborazione prolunga questo o questaltro. Si cifra e si decifra senza posa. Perpetuo passaggio dalle parole alle idee e dalle idee alle parole (C, I, 396 o Ch, X, 333; Q, II, 21). [...] Quante risonanze, quanti echi, quante interferenze, quanti armonici in questo impero! (C, I, 396; Q, II, 21).

Come si visto, per Valry lambito del sensibile incarna una sostanziale meccanica dellincoerenza, dellineguaglianza, della discontinuit, della differenza e delle sproporzioni (C, I, 1206; Q, III, 465), e pertanto esso destinato a mettere perennemente a soqquadro il mondo intellettuale (cf. C, I, 1160; Q, III, 415). Per questo motivo, gli appare un errore conferire alla sensibilit, allintensit delle sensazioni e delle emozioni, un valore o unimportanza significativa:
La sensibilit ha proprio la caratteristica contraria. Essa tale che una causa piccolissima pu metterla interamente in gioco. per sua natura tale da invertire a ogni istante la proporzionalit fra gli effetti e le cause. [...] E inoltre: la relazione fra la causa e leffetto sensibile qualsiasi variando da uomo a uomo e da un giorno allaltro. [...] (C, I, 1158; Q, III, 413).

Allo stesso tempo, il linguaggio a sua volta presenta non pochi gravi difetti; il passo seguente, tratto da una nota del 1929 dei Cahiers, assume una valenza indubbiamente riepilogativa di quanto finora analizzato:
Scavare il senso di una parola credendo che ci si trover qualche altra cosa oltre che valori linguistici o convenzionali mascherati credere che ci si troveranno valori indipendenti dalle creazioni e formazioni del linguaggio, ossia dallepiteto Il linguaggio ha questi gravi difetti 1 di essere convenzionale 2 di esserlo in modo insidioso, occulto, di nascondere le convenzioni nella Ima infanzia 3 di essere nello stesso tempo estraneo per origine e sviluppo, e intimo, intimamente unito ai nostri stati pi intimi al punto che non possiamo concepire noi stessi senza linguaggio senza comunicare mediante segni discontinui (e quindi combinabili) con n[o]i stessi. [...] (C, I, 429; Q, II, 57-58).
43 Si noti che Tutto ci che si presenta deve poter mirare ad una sorta di perfezione, conformit finale dellinsieme con un sistema di definizioni (C, X, 410).

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La ricerca di una forma che possa com-prendere le passioni Attraverso lesplorazione del tema particolarmente delicato costituito dalla funzione del linguaggio nel rapporto con la sensibilit, emerge come il problema non stia solo nel trovare parole che traducano ci che proviene dal dominio della sensibilit, ma anche nel modo stesso in cui questo stesso processo possa venir rappresentato e, quindi, compreso a fondo. Va tuttavia rilevato che per Valry sentire incomincia, precede, accompagna e finisce tutto. E dunque, tutto. Sicch, impossibile andare al di qua o al di l di questa parola una parola che un punto-limite o piuttosto un riflettore totale, che riflette tutto e non assorbe niente (C, I, 1206; Q, III, 464-465). Le questioni finora sollevate paiono complicarsi ulteriormente se si prende in esame lo specifico del rapporto sussistente tra linguaggio ed affettivit. Per Valry, allo stato nascente, il sentimento indiscernibile dalla sensazione (C, II, 348; Q, V, 17); esso utilizza le parole che pu pi forte, pi esse sono inesatte [] (C, II, 377; Q, V, 49). Enunciato a chiare lettere un sostanziale limite della funzione del linguaggio come intermediario tra la sfera dellaffettivit e la sfera intellettivo-conoscitiva, Valry tuttavia non smette la ricerca di una forma che possa permettergli di comprendere (ovverosia, di tenere insieme), nel modo pi chiaro e rigoroso possibile la sfera della sensibilit e lambito delle passioni umane (cf. C, II, 340; Q, V, 8), rifuggendo ogni credito o fiducia accordabile alle parole. Differentemente da Wittgenstein, che, com noto, ha rifiutato con vigore la tentazione di una lingua artificiale dalle caratteristiche universali, di un metalinguaggio, Valry stato sedotto da questa possibilit (e le ricerche in questo senso di R. Lullo e di G.W. Leibniz non lo lasciarono affatto indifferente).
Noi pensiamo, scriviamo in un linguaggio al quale non crediamo pi. Sappiamo bene che esso trascina con s una pluralit disordinata di concezioni del mondo, di ipotesi fisiche, cosmologiche, psicologiche, che hanno indotto i filosofi a rompersi inutilmente la testa intorno a esseri ed essenze inesistenti; come lessere, lanima, il tempo, la volont ecc. Ma in che modo costruirne un altro, e come concepirlo? (C, I, 411; Q, II, 38)44.
44 Come animati dalla volont di creare un metalinguaggio sono da intendersi tutti i luoghi dove appare lindicazione Self-langage, presenti con significativa frequenza nei Cahiers, soprattutto in quelli dei primi anni. noto che in inglese self significa proprio: Valry spinge allestremo questa ricerca di un linguaggio proprio, arrivando anche a proporsi come obiettivo una scrittura [...] ideografica. Tentare di fabbricarne una (Ch, I, 191).

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Alle caratteristiche di oggettivit, chiarezza, precisione e rigore che Valry, a partire della nuit blanche, impone al proprio linguaggio (plasmato sullazione critica della conscience consciente), sembrano nettamente opporsi le caratteristiche proprie del sentimento. Come emerge dalla lettura dei Cahiers, Valry cercher in tutti modi di escogitare manuvres45 per non subire linvasivit dei turbamenti provenienti dalle sfere della sensibilit e dellaffettivit e, non da ultimo, per difendersi dagli effetti del credito e della fiducia. Gli appare tuttavia chiaro che il sentimento sembri rifiutare ogni esito, ogni compimento (soprattutto formale): detto altrimenti, il linguaggio di cui disponiamo non parrebbe permettere di essere uniformato ad un sistema definito di segni, di condizioni e di elementi:
Chi dice linguaggio, dice innanzitutto tavola di significati, e di segni, ossia istituzione di una corrispondenza, uno ad uno, fra certi atti percettibili o eventi producibili a piacere e certi eventi-significati, corrispondentisi reciprocamente (C, I, 411; Q, II, 38). La natura, lessenza del sentimento e dellemozione di essere incommensurabile, dunque opposto alladattamento. una sorta di definizione e bisogna sostituire la parola con la nozione di incommensurabilit (ibid.). [...] In particolare tutti i sentimenti sono mescolanze, confusioni. Non ci sono sentimenti senza false attribuzioni, senza lo sconvolgimento delluniformit delle corrispondenze. E finch esiste il sentimento, ogni chiarezza o nitidezza instabile. Il che spiega: limpossibilit di esprimere il sentimento con la riga e il compasso (C, II, 352; Q, V, 21).

Tuttavia, gi alla fine del suo saggio giovanile su M. Bral, Valry indica il mondo mentale come un mondo dove si pu simbolizzare (cf. , II, 1455). Ora, che cos un simbolo se non esso stesso un linguaggio, paradigma per eccellenza di tutte le operazioni di simbolizzazione?46 Ecco dun45 La manuvre ci che resta da compiersi in maniera indefinita quando si ha, se non rinunciato allopera, almeno colto la sua impossibilit: un lavoro quotidiano, tenace, sul credito da accordare alle parole, sulla messa in atto delle operazioni del linguaggio, a proposito degli oggetti che si delineano in questo lavoro rinnovato (J.M. REY, Paul Valry. Laventure dune uvre, Seuil, Paris 1991, p. 50). Secondo me, la filosofia pi autentica non risiede negli oggetti della nostra speculazione, quanto invece nellatto medesimo del pensiero e nella sua manovra (, I, 1336; cf. trad. it. in Poesia e pensiero astratto, in ID., Variet, cit., p. 298). 46 Luomo [...] utilizza inoltre il simbolo che istituito dalluomo stesso; bisogna capire il senso del simbolo, bisogna essere capaci di interpretarlo nella sua funzione significante e non solamente percepirlo come impressione sensoriale, poich il simbolo non ha relazione naturale con ci che simboleggia. [...] Questa capacit simbolica alla base delle funzioni concettuali. Il pensiero non altro che questo potere di costruire delle rappresenta-

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que secondo quale senso bisogna intendere laffermazione per cui un errore credere che il sentimento ecc. sia inimitabile, non coglibile dallintelletto. [] Tutta larte prova che il sentimento coglibile (Ch, X, 399)47. Rifacendosi alla propriet della parola, capace di creare un effetto fisico anche solo attraverso il suo valore semantico (che pu riprodursi indipendentemente dal contesto il fenomeno del cratilismo, cf. supra), Valry ha di mira, da un lato, unarte formale del linguaggio, sulla falsariga dellesperienza mallarmeana e delleredit di [E.A.] Poe, la self-consciousness48 (cf. C, 29, 536). Ogni progressivo avanzamento nella composizioni delle cose e di operare su queste rappresentazioni. Esso per essenza simbolico (. BENVENISTE, Problmes de linguistique gnrale, vol. I, cit., pp. 27-28). 47 Una nota dei Cahiers del 1931, relativa ai Nombres plus Subtils (N + S), cio alla ricerca, nella riflessione di Valry, di una misura comune delle cose eterogenee, specifica ulteriormente tale rapporto tra linguaggio, sensibilit e arte: N + S. Ego. Ho pensato, ho creduto con fede che fosse possibile concepire una sorta di scienza di tutto lesprit cio semplicemente di poter tradurre tutto in un linguaggio secondo il quale )) sensibilit e significazione, durata e cose manifestassero delle equivalenze di sostituzione e di generazione reciproche (( i cui effetti sono propriamente lesprit stesso. Ed in questo che la creazione artistica (essa sempre artistica) possibile e in questo che essa consiste (C, 15, 576). 48 Valry riconosce esplicitamente il suo debito nei confronti dellopera pi teorica di E.A. Poe, nello specifico di The Philosophy of Composition (1846) e di The poetic Principle (1849). Linfluenza dellopera di Poe , com noto, tra le pi conclamate e le pi solide nel suo pensiero; essa assume, al pari dellincontro con Mallarm, la valenza di una vera e propria rivoluzione spirituale, pur differenziandosi da questultima in quanto non conosce alcuna crisi nel corso degli anni. In una maniera pressoch costante e ai suoi inizi ossessiva, il peso di Poe esplicito: partendo dalla precoce ed ingenua parafrasi di The Philosophy of Composition contenuta nel breve saggio giovanile Sur la technique littraire (1889), fino a ripresentarsi come primo tema delle letture al Collge de France (iniziate nellottobre del 1937), Poe resta tra le principali materie di discussione anche nei Cahiers e nelle Correspondances di Valry, nonch presenza non celata in molte delle sue opere. A Poe che afferma di preferire liniziare pensando subito a un effetto, in quanto una poesia merita il nome di poesia soltanto nella misura in cui riesce ad eccitare attraverso unesaltazione dellanimo, fa eco il giovane Valry in Sur la technique littraire: Una volta datasi unimpressione, un sogno, un pensiero, bisogna esprimerla in modo tale che si produca nellanima di chi ascolta il massimo effetto e un effetto interamente calcolato dallartista (, I, 1830). Pi esplicitamente, ne Lintroduction la mthode de Lonard de Vinci (1894), si legge: Edgar Poe [...] ha chiaramente individuato nella psicologia e nella probabilit degli effetti il punto di contatto con il lettore. Considerato da questa angolatura, ogni spostamento di elementi fatto per essere percepito e valutato, dipende da alcune leggi generali e da un particolare modo di recezione, che pu essere stabilito in anticipo almeno nei riguardi di quella determinata categoria di persone cui le opere sono specialmente destinate; lopera darte diventa cos un meccanismo atto a suscitare e a organizzare le formazioni individuali della mente (, I, 1197-1198, trad. it. Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci, seguito

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zione del poema richiede una tecnica compositiva caratterizzata da conscious effort e calcolo: com noto, tale principio poetico viene applicato da Valry a tutta la sua composizione letteraria. Lartista anche tecnico e il tecnico anche artista, dato che il loro fare, la loro poesis, comportano in entrambi i casi un savoir faire ed uno specifico metodo; detto in altri termini, la loro attivit comprende ad un tempo una conoscenza pratica e una partecipazione cosciente e consapevole a ci che si produce. Tanto Mallarm quanto Poe, in maniera esemplare, a Valry sembrano aver fornito un metodo che permetta di salvare il linguaggio piegando ad esigenze compositive logico-formali la letteratura (cf. , I, 631)49, dunque fornendo una chiara via, un metodo di utilizzo del linguaggio, atto a creare forme che producano determinati effetti di senso e che, al contempo, non soggiacciano ad alcun effetto causato dal credito e/o dalla fiducia. A questo metodo sottesa la volont di Valry di sperimentare in tutta la sua estensione lincidenza e lazione del pensiero sui processi mentali, allo scopo di chiarire e approfondire le proprie puissances. Dallaltro lato, una volta messo in atto il metodo della self-consciousness, si tratter dunque di cercare unazione diretta sulla percezione del lettore50, mediante unarte di frasi trascendenti utili per esprimere lineffabile, cio utili a procurare leffetto dellinesprimibile, di quasi-espresso (Ch, X, 386) e, non da ultimo, atte a suscitare del sentimento:
Cos le sensazioni che trasmettono la percezione ordinaria delle cose hanno trasmesso e trasmetteranno forse sentimenti, ma il meccanismo intellettuale li ha addomesticati e mutati in segni. Una volta riconosciuta la cosa, lo stato di disuguaglianza annullato, o forma unuguaglianza; x quella data cosa. Ma un artista andr oltre, abolir questa uguaglianza, ritrover la disuguaglianza e lemozione originarie. Tenter allora di formare una nuova specie di compensazione, a lui propria. Ma il sentimento vale pi di ogni altro fenomeno solo in quanto creada Nota e digressione, a cura di S. Agosti, Abscondita, Milano 2002 (1 ed. SE, Milano 1996), p. 61; cf. , I, 1157, trad. it. cit. p. 15; , I, 1185, trad. it. cit. p. 47). 49 Il problema, per Valry, per non tanto quello dun ricorso alla matematica, quanto invece a imitazione della matematica di riuscire a riprodurre alcune particolari condizioni di rigore nellapplicazione delle facolt conoscitive e, parallelamente, di procurarsi uno strumento il pi possibile adeguato allesercizio delle medesime (S. AGOSTI, Pensiero e linguaggio in P. Valry, in P. VALRY, Variet, cit., p. 325). 50 Per un approfondimento sul rapporto autore/lettore in Valry, ci si permette di rimandare al nostro B. SCAPOLO, Tchne del lgos e lgos della tchne: note intorno al fare poietico-dialogico di Paul Valry, in AA.Vv., Le potenze del filosofare. Lgos, tchne, plemos, a cura di L. San, Paradosso. Annuario di Filosofia, Il Poligrafo, Padova 2007, pp. 141-177.

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tore, attore, inventore, consumatore di energia. (C, II, 358; Q, V, 29).

Riconosciuta la difficolt di rappresentare, di imbrigliare i sentimenti mutandoli in segni (operazione propria del linguaggio), Valry al contempo riconosce al linguaggio propriamente artistico la capacit di suscitare emozioni, capacit dovuta alla valenza simbolico-metaforica che il linguaggio incarna. La vaghezza del sentimento finisce quindi con lapparire essenziale a Valry (cf. C, II, 340; Q, V, 8). La potenzialit del troppo che il reale suggerisce e che luomo tenta di com-prendere, pur condividendo alcuni problemi con le ricerche di Wittgenstein (secondo le quali urge attraversare in modo critico le macerie del linguaggio ordinario, fermo restando che esso misura tutto il proprio limite proprio attraverso il tentativo di cogliere esprimendo linguisticamente, quindi com-prendendo i facta bruta che compongono il reale), per Valry impone di disimpegnarsi dal tono e dallandamento del discorso ordinario per collocarsi in un modo completamente diverso e come in un altro tempo (, I, 450). Si tratta dunque di tentare di creare attraverso le parole [] lo stato di mancanza delle parole (, I, 375), ovvero si tratta di dar forma al sentimento, allemozione che scaturisce dalla presa di contatto con lineffabile. Per realizzare questa creazione (finalizzata ad una composizione dellessere con il conoscere cf. C, 7, 581 , volta a combinare nei possibili quel resto incompleto in cui sfociano le nostre rappresentazioni, linguistiche e non), Valry erge come modello la mistica, il solo punto, o la sola chance, forse illusoria, di contatto tra lessere e il conoscere51. In che modo e secondo quale senso lesperienza mistica viene posta come modello da Valry? Si tratta di com-prendere se davvero si dia la possibilit di trarre specifiche propriet dellio dallopera del mistico, che per Valry interamente
51 P. VALRY, lettera in P. BIBESCO, Le confesseur et les potes, Grasset, Paris 1970, p. 172; unidentica formulazione si trova nei Cahiers (cf. C, 9, 485), dove la mistica anche indicata come mescolanza, confusione dellessere e del conoscere (C, 9, 793). Il futuro nel misticismo, sola ed ultima chance di mettersi da parte, di fuggire alla conformit delle conoscenze, allequivalenza degli altri, a questa morte dellorgoglio che perisce nel numero (Ch, VIII, 326). Il riferimento alla mistica qui da intendersi come riferimento ad una pratica mistica che com-prenda limpossibilit di descrizione e tuttavia la fiducia che il reale e lessere esistano, [che indichi una] mancanza di significazione, [una] sovrabbondanza inesauribile, [un]impressione di eternit o, almeno di assenza di tempo (W. INCE, Etre, connatre et mysticisme du Rel selon Valry, in AA.VV., Entretiens sur Paul Valry, Dcades de Crisy-la-Salle, Mouton, Paris 1986, p. 215). Per un approfondimento sulle questioni legate alla riflessione sulle choses divines in P. Valry, cf. il nostro B. SCAPOLO, Comprendere il limite. Lindagine delle choses divines in P. Valry, cit.

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tesa allassegnazione di uno statuto fenomenico ai sentimenti di potenza e di presenza (non immediatamente e logicamente percepibili come fenomeni e pertanto estranei alle proprie strutture logico-conoscitive): tale azione passa interamente attraverso una sorta di costruzione della fenomenicit delle choses absentes, volta alla loro razionale giustificazione e legittimazione (, I, 873). Haec vera sunt quia signa habeo (, I, 879): il mistico colui che [vede] attraverso un riferimento a unintuizione segreta come segni che devono essere decifrati particolarmente e non classificati [...] (Ch, VII, 372). Allo scopo di voler conferire potenza di avvenimento, potenza di realt (actio praesentiae) alle immagini, alle emozioni, alle parole, agli impulsi che gli giungono per via interiore, il mistico si trova a dover costruire (dare forma) ad una sorta di realt seconda o di secondo ordine, la quale, inserita nellordine di ci che intrieur, indica il vero senso delle cose sensibili (immediatamente esperibili), cos come d ragione della natura simbolica del nostro stesso pensiero. Come ha acutamente osservato Gasparini, se i fatti e le conoscenze sono di competenza delle scienze, alla filosofia non resta che la forma, ovvero la ricerca della 'poesia' nella produzione e organizzazione intrinseca delle idee52. Il problema del rapporto tra linguaggio ed emozioni, che arriva a (con)fondersi con quello relativo allindagine delle choses divines, per Valry evidenzia il fatto che necessario arrivare a fare il vero pi che a trovarlo (cf. C, II, 585; Q, V, 272-273; cf. Ch, VII, 407) mediante la forma.
la Filosofia una questione di forma: essa la ricerca duna forma capace di tutti i punti di vista di cui pu disporre un individuo53 (cf. Ch, VII, 103; Ch, X, 20).

Lindagine delle propriet e della funzione del linguaggio sfocia quindi nelle questioni relative al dominio dellestetica e dellesperienza spirituale; la parola, mediante il suo potere simbolico e guidata dalla self-consciousness, potr quindi esprimere tutto quel che ingombra la vista, ludito e lodorato, tutto quel che eccita la mente e diverte lessere (, II, 860).
Sono la mia sensazione, il mio pensiero, il mio impulso e non posso non considerarli come dei fatti. Non sono libero di provarli e di produrli. Sono quel che sono e in conclusione io sono quel che essi sono (C, 27, 491).
Cf. L. GASPARINI, Azione e comprensione nei Cahiers di P. Valry, cit., p. 177. P. VALRY, Nota, in Eupalino o dellarchitettura, trad. it. di R. Contu, commento di G. Ungaretti, Biblioteca dellimmagine, Pordenone 1986, pp. 9-11; p. 10; cf. , I, 1238 (note a margine), trad. it. Leonardo e i filosofi, cit., pp. 79-80.
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EMILIO SERGIO Smatha, pathmata, lgos: Vico e la scienza nuova dei segni antichi* Nelle Vici Vindiciae (1729), Vico ricorda come abbia cominciato, diversi anni prima, ad occuparsi del problema della natura umana, della nascita del linguaggio e delle prime istituzioni umane. Ad un certo punto, egli racconta di aver avvertito la necessit di non leggere pi libri, e di immergersi in quella grande biblioteca del senso umano, per meditare sugli antichissimi fondatori delle genti. Si tratta di un passo dolente, difficile (Vico scrive le Vici Vindiciae per difendersi dalla recensione della prima edizione della Scienza nuova, 1725, apparsa nel volume del 1727 degli Acta Eruditorum), nel quale tuttavia Vico restituisce il sentimento esatto dello stato della sua ricerca filosofica:
Tu, poi, o equanime lettore, sappi che io ho composto questo opuscolo mentre ero ammalato di unulcera cancrenosa alla gola, un morbo non solo mortale e a rapido decorso, ma anche di una terapia pericolosa e che pu causare ai vecchi lapoplessia. Sappi poi che da quasi ventanni ho dato addio a tutti gli altri libri per offrire, pur col mio debole ingegno, un contributo alla dottrina del diritto naturale delle genti, e per questa dottrina mi sono affaticato molto, poich mi seppellivo tutto in una biblioteca appartata e silenziosa e ricchissima di tutte le varie opere del pensiero umano, dove io meditavo sugli antichissimi fondatori delle genti, dai quali, dopo pi di mille anni, sono scaturiti gli scrittori; e questa medesima cosa ha ritenuto di dover fare Thomas Hobbes, che tra i suoi amici letterati e tra i suoi contemporanei si gloriava di essere stato, in questo modo e non in un altro, liniziatore di quella dottrina e di aver arricchito la filosofia di questa aggiunta importante; ma egli tuttavia si gloriava a torto, perch non ha tenuto in alcun conto la Divina Provvidenza, che avrebbe potuto, essa sola, illuminare la strada a lui che cercava di conoscere le oscure origini della storia umana; e cos, nelloscurissima notte dellantichit perduta nel tempo, egli vaga smarrito seguendo il caso di Epicuro, contro le cui dottrine e princpi soprattutto polemizzo...1
Lidea originaria della presente relazione nata sulla scorta delle numerose suggestioni e linee di ricerca illustrate negli Atti del Convegno Il corpo e le sue facolt. G.B. Vico, Napoli, 3-6 novembre 2004, a cura di G. CACCIATORE, V. GESSA KUROTSCHKA, E. NUZZO, M. SANNA e A. SCOGNAMIGLIO, in Laboratorio dellIPSF, II (2005) 1. Alcuni percorsi interpretativi del pensiero vichiano che qui ho tentato di sviluppare prendono le mosse da contributi specifici del convegno, che citer di seguito. 1 G. VICO, Petitio Ab Aequanime Lectore, in Vici Vindiciae [1729]; trad. it. in Varia, a cura di G.G. Visconti, Napoli, 1996, p. 106, corsivi miei.
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Su questo passo si sono misurati diversi interpreti e traduttori, a volte in conflitto tra di loro2; ma non c dubbio che dietro laffermazione di non voler leggere pi libri, Vico volesse comunicare che lordine di problemi inaugurato con la prospettiva storicoantropologica della Scienza Nuova non avrebbe potuto trovare una compiuta risposta nei libri degli antichi, n in quelli dei moderni suoi contemporanei, poich le risposte cercate attenevano ad un ordine di discorso di cui lo stesso Vico si sentiva in qualche modo liniziatore. Cos come Hobbes, molti anni prima, aveva definito il suo De Cive (1642) la prima opera di filosofia civile che meritasse lappellativo di scienza, allo stesso modo Vico definiva la propria opera come una scienza, una scienza nuova dei segni antichi, avente come oggetto dindagine la storia dellumanit3. Non si pu scommettere che laffermazione vichiana di non leggere pi libri fosse effettivamente sincera; ma plausibile pensare che, allacme della sua formazione filosofica, coincidente grosso modo con la pubblicazione del De antiquissima Italorum sapientia (1710), Vico cominciasse a diventare pi selettivo che in passato nella scelta delle letture che passavano dal suo scrittoio4. Quel che pi importa, del resto, la ragione profonda che stava dietro la sua tesi. Come nel caso di Hobbes5, essa aveva una sola spiegazione: laver creato una nuova scienza. La produzione di un nuovo universo di discorso aveva inevitabilmente portato il suo autore ad operare una riduzione delle fonti apprezzabili. Vico aveva raggiunto la consapevolezza che le risposte pi urgenti alle proprie domande le avrebbe ricavate unicamente da se stesso, dopo lunga e profonda meditazione, immergendosi, per lappunto, in quella silenziosa e vastissima biblioteca, ricchissima di tutte le varie opere del pensiero umano: la storia dellumanit, dei suoi miti, dei suoi primi costumi e delle sue istituzioni religiose e civili.
Su tale questione, mi permetto di rinviare al mio Hobbes a Napoli (1661-1744): note sulla ricezione della vita e dellopera di Hobbes nel previchismo napoletano e nellopera di Vico, Bollettino del Centro di Studi Vichiani (dora in poi BCSV) 37 (2007), pp. 113-141. 3 Cf. JRGEN TRABANT, La scienza nuova dei segni antichi. La sematologia di Vico, a cura di T. De Mauro, Bari, Laterza, 1996. 4 Al riguardo cf. gli interventi di F. TESSITORE, G. CACCIATORE e P. ROSSI in Seminario di presentazione delledizione critica di Giambattista Vico, BCSV 28-29 (1998-1999), pp. 253-274. 5 Cf. T. HOBBES, De Cive [1642], The Latin Edition, by H. Warrender, Oxford, at the Clarendon Press, Epistola ad Lectorem; ID., Thomae Hobbes Angli Malmesburiensis Philosophi Vita, Carolopoli, Apud Eleutherium Anglicum, 1682, p. 42.
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Uno dei problemi chiave della Scienza Nuova riguardava lanalisi della natura umana. Vico non esitava a manifestare diffidenza verso i tentativi, intrapresi da parte dei filosofi antichi e moderni, di venire a capo di questa grande questione. Un aspetto che egli lascia emergere gi nelle famose Orazioni inaugurali (16991709), e poi nel Liber Metaphysicus (De antiquissima, 1710), riguarda la sfiducia nutrita nei confronti di quei moderni approcci al problema antropologico che avevano ridotto lessenza della natura umana ad una intuizione intellettuale di tipo aprioristico (come nel caso di Descartes), o ad una definizione astratta, atemporale, incapace di tenere conto della storicit dellessere umano, della complessit del suo essere concreto, del suo essere corporeit fisica di linguaggi e passioni, di miti originari e istinti primordiali6. Le critiche alla dottrina cartesiana del cogito, il rifiuto della fisica galileiana, il diniego della moderna filosofia degli atomi, le perplessit verso la riduzione della natura umana alla pura invenzione matematica sono tutti indizi inequivocabili della diffidenza di Vico verso un approccio astratto al problema antropologico. Secondo Vico, la conquista moderna di un nuovo metodo scientifico, fondato sul mos geometricus, ha permesso di conseguire risultati eccellenti in campo matematico, a partire dalla fisica di Galileo; ma non ha favorito alcun progresso conoscitivo nellindagine dellessere delle cose, dei nessi concreti che stanno dietro la manifestazione di fenomeni particolari, dei fenomeni determinati della storia naturale e umana. Daltronde, lindagine della natura umana, a differenza della semplice investigazione dei fenomeni naturali, conserva una sua specificit, una peculiarit che fa di essa una disciplina irriducibile agli schemi metodologici della nuova filosofia atomistica o della nuova fisica matematica. Essa riguarda innanzitutto un universo di fenomeni in cui loggetto del conoscere allo stesso tempo il soggetto di quel conoscere. Secondo Vico, questa coincidenza del soggetto con loggetto consente in una certa misura di analizzare la natura umana non solo attraverso le modificazioni della propria mente, ma anche attraverso le modificazioni della mente dei propri simili7. La sostanziale somiglianza degli individui della specie umana permette a cia6 G. CACCIATORE, La facolt della mente rintuzzata dentro il corpo, in Il corpo e le sue facolt, cit., p. 93. 7 Nelle famose Aggiunte alla Scienza Nuova Seconda (1730), Vico suffragher questa tesi attraverso laffermazione delluniversalit della mens. Cf. PAOLO CRISTOFOLINI, La Scienza nuova di Vico. Introduzione alla lettura, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995, pp. 31-32 e sgg.

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scun uomo di essere in grado di interpretare i segni, i pensieri prodotti dagli altri uomini. Lappartenenza ad una stessa specie abilita entro certi limiti a conoscere se stessi attraverso la conoscenza degli altri, e a conoscere gli altri attraverso la conoscenza di se stessi. Questo processo cognitivo non si limita alla comprensione della propria esperienza personale, della propria vicissitudine, ma pu e deve estendersi alla comprensione della propria storia, la storia della propria specie, della comparsa dei primi segni della civilt umana nel mondo. In tale impresa conoscitiva, in cui entrano in gioco una pluralit indefinita di fenomeni particolari e di fatti storici, la conoscenza della natura umana non pu ridursi ad una conoscenza astratta, formale, allintuizione dellessere del proprio pensiero (come nellego cogito di Descartes), e neanche risolversi in un semplice elenco delle passioni o delle virt (come nella migliore tradizione della filosofia aristotelica, delletica stoica o della psicologia platonica). Nella Scienza nuova Vico chiede qualcosa di pi: una piena conoscenza di s, della natura umana, della natura della propria specie deve essere raggiunta attraverso una profonda meditazione della storia degli uomini, a partire dalle sue origini pi remote. Dalla conoscenza delle proprie origini, gli uomini potranno trovare risposta a molte delle questioni poste dalla scienza moderna e dalla tradizione filosofica, sulla natura della mente, sullessenza del linguaggio, sullorigine delle lingue, sui fondamenti del diritto. La scienza nuova di cui parla Vico riguarda dunque la conoscenza della storia umana per mezzo dei suoi artefatti (linguistici, religiosi, etici, giuridici). In questo senso essa realizza la perfetta unione di filosofia e di filologia, della conoscenza speculativa e della concreta effettivit storica. La storia umana diventa il luogo in cui le ragioni della filosofia si incontrano con le certezze della filologia, il verum dellelaborazione filosofica si incontra con il certum, il dato della ricostruzione storica. E nella metafisica della mens si riuniscono i molteplici dati, le modificazioni, le forme di vita, i segni disseminati nel corso della storia umana. Nellaffrontare la questione antropologica a partire dalla sua storia, Vico intende fare i conti con la tradizione filosofica. C un autore dellantichit col quale egli apre un dialogo critico: questo autore Aristotele. Beninteso, Aristotele non lunico autore della classicit con cui Vico intende misurarsi. Lo Stagirita diventa tuttavia di importanza capitale in relazione al disegno antropologico della Scienza nuova, a partire dalla concezione della natura del linguaggio, e nello studio dei primi segni della civilt umana.

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La rilevanza di Aristotele per il tipo di problematiche presenti nella Scienza nuova si misura facilmente prendendo in esame una delle pagine pi celebri dellopus aristotelico: lincipit del De interpretatione. Qui troviamo riuniti gli elementi fondamentali della terminologia filosofica e linguistica (smatha, semeion, pathmata, lgos, grmmata, psyche ecc.) del pensiero antico:
Anzitutto bisogna stabilire che cos il nome (noma) e che cosa il verbo (rma); indi che cos la negazione, laffermazione, lenunciazione e il discorso (lgos). Ora, i suoni che sono nella voce sono simboli delle affezioni che sono nellanima (psyche pathemton symbola), e i segni scritti (grmmata) lo sono dei suoni che sono nella voce. E come neppure le lettere dellalfabeto sono identiche per tutti, neppure le voci sono identiche. Tuttavia ci di cui queste cose sono segni (semea prton), come di termini primi, sono affezioni dellanima identiche per tutti (pathmata ts psychs), e ci di cui queste sono immagini sono le cose (prgmata), gi identiche (omoimata)8.

Gli studiosi di Aristotele e dellaristotelismo sanno bene che lAristotele conosciuto, interpretato e commentato in et moderna non si distingue nettamente da quello della tradizione aristotelica della prima e seconda scolastica, e della scolastica dellet barocca , anzi spesso i piani delluno e dellaltro si confondono e si sovrappongono9. Sicch, solo per una convenzione circostanziata dagli intenti del presente contributo che accettiamo che Vico scelga Aristotele come interlocutore privilegiato. Com noto, Vico aveva ricevuto una formazione rigorosamente improntata sulle opere della tradizione aristotelica, avendo studiato presso lordine dei Gesuiti, avendo avuto tra i suoi maestri dei cultori dellaristotelismo medievale, ed avendo egli stesso trascorso molti mesi nello studio dellopera di Suarez, le Disputationes metaphysicae, nonch delle opere di Lorenzo Valla, e di diversi commentari sulla poetica e sulla retorica aristoteliche10. Sulla scorta dellintuizione fondamentale della Scienza nuova che lessenza della natura umana vada cercata nella sua storia, nella storia delle pratiche religiose e civili , Vico ha un senso di disappunto verso la tradizione filosofica, che sembra essere stata, per oltre venti secoli, vittima di un paradosso. I filosofi si sono concentrati quasi esclusivamente sulla scienza del mondo naturale; un mondo che, afferma Vico,
ARISTOTELE, Dellinterpretazione, 16a 1-8, a cura di M. Zanatta, Milano, BUR, p. 79. Cf. A. LO PIPARO, Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua, Roma-Bari, Laterza, 2003. 10 G. VICO, Vita scritta da se medesimo (1725-1728), in Opere di G. Vico, a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1990, vol. I, p. 7.
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perch Iddio egli il fece, esso solo ne ha scienza; e trascurarono di meditare su questo mondo delle nazioni (SN44, sez. III, p. 542, 331).

I capisaldi della Scienza nuova maturano nella mente di Vico ex negativo; prendendo cio le distanze da autori come Aristotele, e, tra i moderni, Galileo, Descartes, Hobbes, Locke. Sotto il profilo dellintuizione di una prospettiva storicoantropologica che la tradizione filosofica non avrebbe adottato come punto di vista programmatico per affrontare il problema della natura umana, la tesi di Vico si svolge secondo un registro argomentativo che tende a raggruppare sotto la medesima denuncia o critica pi di una tradizione di pensiero, pi di una corrente filosofica. Circa il secolare fraintendimento del principale oggetto della filosofia (il mondo delle nazioni, la natura umana prima che il mondo naturale), secondo Vico non passano sostanziali differenze tra un Aristotele e un Galileo, tra un Descartes e un Locke. Ad accomunarli v la responsabilit di aver anteposto la prospettiva astrattospeculativa su quella storica, schiacciando il diacronico sul sincronico, il dato antropologico su quello metafisico, privilegiando il ragionamento apodittico, trascurando lunione del verum col certum, la presenza del vero nelle vicende della storia umana. Antichi e moderni hanno creduto di poter legittimamente considerare gli oggetti dindagine della scienza delluomo come oggetti delle scienze naturali, alla stregua cio di oggetti definibili secondo il metodo della fisica galileiana o della geometria euclidea. Con il senso di una fallacia originaria inscritta nella tradizione filosofica Vico citava, nelle pagine introduttive della prima edizione della Scienza nuova (1725), ladagio virgiliano Ignari hominumque locorumque erramus, vaghiamo ignari degli uomini e dei luoghi11. Un concetto analogo aveva espresso nel De ratione (1706), nella forma di un monito, esortando i filosofi che stiano attenti a non trattare con sicurezza la natura, sicch, mentre attendono a curare i tetti, trascurino con pericolo le fondamenta di quelle case12. Cruciale diventa perci la ricostruzione dellorigine delle lingue, la descrizione del processo storico che ha condotto lumanit alle prime forme di comunicazione non verbale, allo sviluppo delle facolt cognitive superiori e alla genesi del linguaggio verbale. La descrizione di tale processo essenziale non solo perch la storia naturale della capacit umana di comunicare con i propri simili coincide con la storia della natura umana, ma an11 12

G. VICO, SN1, p. 979, 3. Cf. VIRGILIO, Aen. I, 323. G. VICO, De ratione, in Opere, cit., IV, p. 115.

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che perch lungo il corso di questa storia Vico ha modo di chiarire il tipo di rapporto esistente tra linguaggio e sensibilit, ragione e passione, intelletto ed emozioni, e di fornire spunti importanti circa il modello epistemologico adottato nella sua indagine storicoantropologica. Si pu dire che lapproccio vichiano al problema della natura umana conferisca ab initio unattenzione non secondaria alla sfera delle emozioni, dei sentimenti e degli istinti rispetto a quella delle ragioni. Si tratta di unattenzione suffragata dalla stessa prospettiva storica nella quale Vico situa il problema della natura umana e dellorigine del linguaggio. Dal punto di vista storico, secondo Vico, legittimo supporre che la comparsa delle prime forme di pensiero linguistico sia stata preceduta dallesistenza di forme di vita sociale di tipo prerazionale e prelinguistico, e dunque da propriet cognitive, affettive e sensibili non solo cospecifiche, condivise con altre specie del mondo animale, ma anche pi tipiche della stessa razionalit13. Due ordini di problemi Prima di entrare in medias res, due fondamentali rilievi. Che possono essere considerati come le premesse della nostra ricerca. 1) Conferendo unimportanza non secondaria alla sfera emotivosensibile su quella razionale, Vico deve essersi posto, in qualche modo, il problema del rapporto tra la sfera razionale e quella prerazionale, fra la dimensione linguistica e quella prelinguistica nella ricostruzione storica delle prime trac13 Questa precisazione non ripete la distinzione tradizionale, di matrice agostiniana, di pensiero e linguaggio, perch Vico non disposto ad ammettere lesistenza di una supposta purezza del pensiero pre-verbale, di un pensiero privato sine verbis, che preceda quello pubblico, fatto di segni. Nella prospettiva vichiana, supporre che il linguaggio derivi storicamente da condizioni di natura pre-verbale, sociale e/o emotiva che chiamiamo extralinguistiche o pre-linguistiche, serviva innanzitutto a prendere le distanze da prospettive razionalistiche che egli riteneva unilaterali. Qualche anno fa D. GAMBARARA scriveva: Le passioni umane sono norme dialogiche. Dialogicit, in questo caso, non comporta necessariamente linguisticit, o quanto meno, non comporta riduzione delle passioni al linguaggio verbale. [] Si potrebbe anzi pensare che [] lo stabilirsi di questo dialogo dei sentimenti, sia una precondizione da cui pu successivamente emergere, mimandone lo schema, anche la dialogicit linguistica. [] Mentre possiamo almeno intravedere come dal dialogo delle passioni emerga il dialogo delle parole, non c alcun modo per dedurre quel primo da questo secondo, ma soprattutto chi non colloca il rapporto con gli altri allinizio della sua strada, non lo incontrer pi, n per la via rappresentazionale causale, n per quella computazionale (Quando nel linguaggio si spengono le passioni, in Passioni e linguaggio nel XVII secolo, ed. F. Bonicalzi e Claudia Stancati, Lecce, Milella, 1999, p. 179).

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ce cognitive della civilt umana. Un essere vivente che un coacervo di istinti, sensazioni e passioni senza ragione pu creare qualche difficolt nel reperire in tale coacervo qualcosa che sia predicabile dellumano in modo specifico, s da essere incluso nel corso di una storia che giunge ad un certo punto alla genesi delle facolt linguistiche o verbali. Detto in altri termini, Vico deve essersi posto il problema della natura specifica di un essere preumano, ancora privo delle caratteristiche pi evolute dellanimale umano (la razionalit e la dialogicit verbale), e tuttavia considerabile nella prospettiva storica come anteriore alla comparsa di quelle caratteristiche o qualit. Si tratta di immaginare lo scenario evolutivo che rende umano un essere preumano14, un tema che diventato celebre presso gli studiosi come il tema dei bestioni di Vico15. 2) Il rapporto sincroniadiacronia, metafisicaantropologia stato e continua ad essere uno dei problemi pi controversi della prospettiva storicolinguistica della Scienza nuova. Circa questo punto, possiamo affermare che Vico sia riuscito, dal 1720 in poi, ad occuparsi pi liberamente della filogenesi della capacit umana di comunicare attraverso diverse specie di segni, anche perch, al momento della stesura della prima edizione della Scienza nuova (1725), egli riteneva di essere riuscito a risolvere in qualche modo, in via preliminare, laspetto metafisico16. Com noto, la soluzione offerta da Vico attinge dal patrimonio della tradizione platonica17. Luomo stato fatto da Dio, allinizio della Creazione, come un essere umano compiuto (come Vico afferma nella Sinopsi del De universi iuris, luomo nosse, velle, posse, quod tendat ad infinitum18); e tuttavia, la sua stessa natura di
J. TRABANT, Grido, canto, voci, in Il corpo e le sue facolt, cit., p. 26. Cf. R. MAZZOLA, I giganti in Vico, BCSV 24-25 (1994-1995), pp. 49-76. 16 Vico comincia a fornire i primi elementi della sua metafisica gi nel De ratione (1706) e nel De antiquissima (1710), e poi nel De universi iuris uno principio et fine uno (1720). 17 Circa questultimo punto, gli studiosi sono daccordo nel ritenere che anche la matura visione vichiana della metafisica della mente e del rapporto mente-corpo non riesce a cancellare del tutto leredit del platonismo (G. CACCIATORE, La facolt della mente rintuzzata dentro il corpo, cit., p. 95). 18 Ma luomo, di animo e di corpo composto, ed cognizione (nosse), volont (velle) e possanza (posse); essendo egli composto di animo e di corpo, dallanimo e dal corpo gli deriva la sua possanza; lanimo per essere spirituale, non da luogo alcuno circoscritto, mentre il corpo, per le corporali sue condizioni, trovasi posto fra limiti terminati; dunque, egli una Cognizione, una Volont, una Possanza finita che tende verso lInfinito (G. VICO, Sinopsi al Diritto Universale, in Opere giuridiche, a cura di P. Cristofolini, Firenze, Sansoni, 1974, p. 36). Sono indispensabili, al riguardo, le considerazioni di G. CACCIATORE, La facolt della mente rintuzzata dentro il corpo, cit., pp. 91-105.
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essere finito fa s che egli si esponga allindeterminatezza e alla possibilit19. In questo senso, una volta messo sul cammino della storia, questo uomo archetipico pu regredire, fino a toccare la pura animalit, la quasi bestialit. Pu, perch il dono della ragione, del linguaggio e di molte altre qualit umane (che luomo conquista nel corso della sua storia naturale) qualcosa che si trasmette alla propria discendenza come unars, come un sapere, e non solo come un corredo innato. Il bene supremo della ragione (di quella ragione archetipica, di quella ragione possibile, cui allumano dato accedere) va conquistato attraverso un continuo rintuzzarsi (per riprendere la parafrasi di Cacciatore) della mente dentro il corpo; un rintuzzarsi che non avviene in uno spazio senza tempo, ma si svolge, al contrario, fra individui, nellagone della storia umana20. In questa possibilit sempre aperta della regressione e delloblio, che Vico definisce con lefficace espressione di erramento (o divagamento) ferino, luomo storico , segnatamente agli albori del suo cammino, solo in potenza un soggetto conoscente razionale con tutte le qualit di un animale linguistico. Questo quanto sarebbe accaduto allumanit dopo il Diluvio Universale. Nella Scienza nuova prima (1725) si afferma, sia pure come caso limite, la possibilit sempre aperta di un regresso umano fino alla condizione di quasi bestialit, anteriore al linguistico:
Lo stato nel quale pone Grozio luomo nella solitudine e, perch solo, quindi anche debole e bisognoso di tutto, nel quale stato le razze ... dopo il Diluvio, dovettero cadere, dappoi che, per liberarsi unicamente dal servaggio della religione, quando da altro freno non erano trattenute, voltarono le spalle al vero Dio de loro padri Adamo e No, ... ed andarono nella libert bestiale a perder lingua e a stupidire ogni socievole costume, per questa gran selva della terra dispersi. ... E si va meditando da quali prime necessit o utilit comuni a s

La mente umana, sostiene Vico, stata creata da Dio, ma essa non ha carattere di completezza e definitivit. Essa, piuttosto, rappresenta il mondo della indeterminatezza e della possibilit (G. CACCIATORE, La facolt della mente rintuzzata dentro il corpo, cit., p. 97). 20 Lintelligente escogitazione di una mente che [] costretta a rintuzzarsi nel corpo, quasi a restare silente nelle manifestazioni, tutte ispirate alla robusta fantasia e naturalit, dei primi uomini, consente a Vico di mettere, per cos dire tra parentesi, la preoccupazione metafisica, per dare senso e funzione a ci che la mitologia, la storia e la filologia ci dicono essere allinizio e senza il quale il mondo umano non solo non avrebbe avviato il suo processo di incivilimento, ma non avrebbe rappresentato la realizzazione dello stesso disegno provvidenzialistico, cio le peculiari forme di esperienza e conoscenza che la mente ha lasciato, per il momento, alla potenza fantastica della sensibilit corporea (ivi, p. 99).
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fatta natura duomini selvaggi e bestioni si dovessero risentire per riceversi alla umana societ21.

Vico sembra perseguire fino in fondo la coerenza di questa tesi, riconoscendo ad esempio la quasi impossibilit di comprendere, a partire dalla sua attualit di essere linguistico, uno stadio prelinguistico originario:
Onde intendere appena si pu, affatto immaginar non si pu, come dovessero pensare i primi uomini delle razze empie in tale stato, che non avevano gi innanzi udita mai voce umana, e quanto grossolanamente gli formassero e con quanta sconcezza unissero i loro pensieri. De quali non si pu fare niuna comparazione, nonch coi nostri idioti e villani che non san di lettere, ma co pi barbari abitatori delle terre vicine a poli e ne diserti dellAffrica e dellAmerica (de quali i viaggiatori pur ci narran costumi tanto esorbitanti dalle nostre ingentilite nature che fanci orrore), perch costoro pur nascono in mezzo a lingue, quantunque barbare, e sapran qualche cosa di conti e di ragione22.

Giungiamo cos al problema sollevato dalla nostra prima premessa. Infatti, secondo Vico, nellumano giunto, ad un certo punto della sua storia, alla condizione prerazionale di un bestione, deve poter riconoscersi qualcosa che possa permettere di affermare che quel bestione, quella quasimente non sia del tutto indistinguibile dal resto degli animali non umani. Questo qualcosa non sono propriamente i sensi, che il bestione ha in comune con il resto degli animali, e non sono neanche, nel loro insieme, le passioni o i sentimenti tout court, poich nella regressione ferina essi possono disarticolarsi, fino a perdere la complessit tipica degli esseri umani razionali; n lo sono gli istinti primari, presi nella loro generalit. Si tratta piuttosto di una sorta di scintilla, di traccia seminale del soggetto razionale, che Vico chiama sensus communis. Sensus communis come il marchio di fabbrica della divinit, il segno pi evidente che Dio abbia creato luomo a sua immagine, ed ci che permette (dono della provvidenza, del principio dordine della divina architetta) che il bestione, la quasi mente dello stato ferino possa risalire verso piani cognitivi superiori, e riconquistare gradi successivi di umanit, le forme di vita dellumanit integra. Il sensus communis, scintilla del soggetto razionale, un giudizio senza alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, tutto un popolo o nazione, o da tutto il generumano23, che permette di riG. VICO, SN1, lib. II, cap. III, pp. 1009-1010, 47. G. VICO, SN1, lib. I, cap. XIII, p. 1003, 42. 23 G. VICO, SN2, Degnit XI, p. 138. Cf. SN44, Degnit XII, pp. 498-499, 142.
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conoscersi come i membri di una stessa specie, i simili di uno stesso genere. Coscienza di genere, istinto sociale primordiale, esso permette il formarsi storico di qualit o di predisposizioni cognitive e comportamentali che potranno essere trasmesse alle generazioni seguenti, per via culturale. Nelledizione finale della Scienza nuova (1744), Vico racconta:
Quando gli uomini per lunga et non poteron esser capaci del vero e della ragione [occorse che] frattanto si governassero col certo dellautorit il qual (criterio) il senso comune desso genere umano, sopra il quale riposano le coscienze di tutte le nazioni24.

Il sensus communis di cui parla Vico non uno strumento cognitivo o una propriet logicorazionale che consenta direttamente linvenzione, la costruzione, la genesi di funzioni della facolt linguistica. Il sensus communis piuttosto il mezzo con cui, nella temporalit storica, e con il supporto delle facolt sensibili della memoria, della fantasia e dellingegno, il vivente messo nelle condizioni di apprendere comportamenti collettivi, di darsi istintivamente delle regole comuni, di adeguarsi a regole non scritte o ad abitudini di socialit comune, e dunque di costruire, insieme ad altri uomini, quegli strumenti, quegli artefatti cognitivi che si riveleranno utili per la genesi del linguaggio verbale, per la successiva produzione di funzioni o di facolt logicolinguistiche. Sensus communis in qualche modo imparentato con il cosentire di Aristotele (synaisthanesthai), il fondamento biologico delle societ animali, pur contenendo qualcosa di pi del synaisthainesthai. Il sensus communis pu essere concepito in senso generale come synaisthainesthai, ma va determinandosi nella storia umana come una koin asthesis, come una prima forma rudimentale di coscienza di s attraverso il sentirsi parte di un gruppo, cio, simile alle parti di un gruppo. Nel cammino della storia umana, il sensus communis, il giudizio senza riflessione del sentireinsieme va specializzandosi come la specificit dei sensi comuni di una specie, di una nazione o di un popolo, diventando cos, come lo stesso Vico afferma, sinonimo di costume25. Che cosa afferma Vico intorno ai sensi del sensus communis? Nei passaggi iniziali della Scienza nuova (1725) troviamo una sorta di gerarchia dei sensi comuni, tra cui riconosciamo le precondizioni, i fattori extralinguistici, e poi anche linguistici, dello sviluppo dellumanit:
G. VICO, SN44, lib. I, sez. IV, pp. 552-553, 350. La parola costume viene usata in SN1, lib. II, cap. VII, p. 1022, 75, a proposito dellimportante costume di seppellire i morti, che d latini si dice humare.
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S fatta vana scienza, dalla quale dovette incominciare la sapienza volgare di tutte le nazioni gentili, nasconde per due gran princpi di vero: uno, che vi sia provvedenza divina che governi tutte le cose umane; laltro, che negli uomini vi sia libert darbitrio, per lo quale, se vogliono e vi si adoperano, possono schivare ci che, senza provvederlo, altramenti loro apparterrebbe. Dalla qual seconda verit viene di sguito che gli uomini abbiano elezione di vivere con giustizia; il quale comun senso comprovato da questo comun desiderio che naturalmente hanno gli uomini delle leggi, ove essi non sien tcchi da passione di alcun propio interesse di non volerle. Questa, e non altra, certamente lumanit, la quale sempre e dappertutto resse le sue pratiche sopra questi tre sensi comuni del genere umano: primo, che vi sia provvedenza; secondo, che si facciano certi figliuoli con certe donne, con le quali siano almeno i princpi duna religion civile comuni [...]; terzo, che si seppelliscano i morti26.

Quel comun desiderio che naturalmente hanno gli uomini delle leggi, allora una sorta di habitus che presume necessariamente un istinto sociale originario, una naturale empatia verso i membri della propria specie. Non si potrebbe avere desiderio di legge (che desiderio di sottomettersi ad una comune autorit, ad unautorit che ci conferma nella similitudine), se non si godesse di una speciale sintonia verso i simili della propria specie, se quel generale sentire insieme delle specie animali non si specializzasse, lungo la linea filogenetica delluomo, come un sentire di specie, o una coscienza di genere. In questa prospettiva, come se la specie umana avesse, oltre ad una generale bioempatia (il synaisthainesthai di Aristotele), anche una speciale empatia di genere, che lempatia della propria specie. Dati questi presupposti (che Vico sviluppa, beninteso, fino ad un certo punto27), il sensus communis pu essere inteso come una propriet
G. VICO, SN1, lib. I, pp. 983-984, 9-10. In questo passo Vico non stabilisce gi un vero cominciamento, ma piuttosto una prima specializzazione umana di sensi comuni. 27 Come stato detto da diversi studiosi, onde evitare il facile anacronismo e le fuorvianti categorie del precorrimento, i riferimenti storico-testuali di Vico circa la nozione di sensus communis restano sempre, oltre ad Aristotele, quelli appresi nel corso della sua professione di professore di retorica (lo stoicismo antico, i poeti e i retori latini, fino agli umanisti del Quattrocento, come Lorenzo Valla, e agli esponenti della seconda scolastica, come F. Suarez); a cui si aggiungono, ovviamente, i riferimenti tipici della psicologia dei moderni, da Descartes a Bayle. Cf. E. GRASSI, La priorit del senso comune e della fantasia in Vico, in Leggere Vico, ed. G. Tagliacozzo, Milano, Spirali, 1982, pp. 128-143; poi ID., La priorit del senso comune e della fantasia: limportanza della filosofia di Vico oggi, in Vico e lumanesimo, Milano, Guerini e Associati, 1990, pp. 41-67; G. MODICA, La filosofia del senso comune in Giambattista Vico, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1983. Sempre utile, al riguardo, il saggio di ADA LAMACCHIA, Senso comune e socialit in Giambattista Vico, Bari, Levante, 2001.
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naturale dellanimale umano che potr essere appresa, nelle sue funzioni specifiche, attraverso le forme (culturali o storiconaturali) della condivisione sociale, ovvero attraverso le occasioni storiche del suo manifestarsi. Di esso si pu forse dire che non infallibile (non lo perch va appreso; una identit sensibile di cui si diventa gradualmente coscienti); un istinto che si impara. Il bimbo allevato dallorsa pu anche identificarsi con la specie dellorsa, ma solo perch ha appreso (in quella socialit embrionale che si realizza nel rapporto madrefiglio) lempatia specifica degli orsi28. Il sensus communis non neanche un pensiero puro senza linguaggio. Potremmo definirlo una sintonia dialogica con cui un individuo, sia pure nellanomia della sua protosoggettivit, si riconosce come membro di una specie o di un gruppo perch ha una sintonia istintiva con quelli che sente e imparer a sentire essere i suoi simili. un istinto sociale che il bestione impara gradualmente a sentire, stando insieme ai propri simili29. Abbiamo finora individuato nel sensus communis un giudizio senza riflessione, una qualit appartenente alla dimensione del corpo pi che a quella della mente, una qualit prelinguistica che tuttavia consentirebbe al genere umano di percorrere la strada di un incivilimento possibile, e dunque la conquista di gradi superiori di razionalit, fino alla linguisticit verbale. Si tratta ora di stabilire come, secondo Vico, sia possibile presupporre una subumanit che abbia almeno la potenza, la dynamis di diventare una umanit parlante, tenendo conto che, come per Aristotele, deve essere vero, entro certi limiti, che non sia possibile unanima umana senza il parlare30. La nozione di potenza (dynamis) facilita, almeno nella prospettiva aristotelica, il postulare unanima umana, anche se, secondo Aristotele, le
28 Nel XVIII secolo si diffuse il racconto del cosiddetto homo sylvius, cio di un bambino lituano abbandonato nella foresta e successivamente adottato da unorsa, che lo accolse e lo nutr insieme alla sua prole. Uno dei primi resoconti dellhomo sylvius si trova nella History of Poland (London, 1698) del medico britannico Bernard Connor (v. figura). 29 Anche un istinto si apprende. Si interagisce fantasticamente con esso, direbbe Vico. 30 F. LO PIPARO, Aristotele e il linguaggio, cit., p. 5.

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condizioni causali di un possibile passaggio dalla potenza allatto dovranno essere sempre osservate in maniera asimmetrica, a partire da un ex post. Sembra ripetersi anche in Vico unasimmetria che Lo Piparo trova in Aristotele, definendola come lasimmetria circolare delle necessit naturali:
Chi capace di produrre voce articolata allora necessariamente anche un animale che respira; un animale che respira non produrr necessariamente voce articolata. La relazione logica che lega la successione degli eventi temporali asimmetrica: non esiste omogeneit tra un evento che accaduto e un evento che accadr31;

e ancora:
Gli eventi storici [] appartengono al dominio delle cose che potrebbero essere diversamente da come sono. La necessit condizionata degli eventi che hanno preceduto e causato levento finale in questi casi, per cos dire, appesa alla contingenza dellevento finale32.

In altri termini, non siamo in grado di asserire che da certe condizioni (che riconosciamo ex post come necessarie) consegua sempre e invariabilmente un certo effetto. Lintroduzione del fattoretempo impedisce la formulazione di predizioni univoche nel campo della storia naturale delluomo. Postulando, nel caso di Vico, che il primo e pi generale sensus communis provenga dal riconoscersi membri di una stessa specie con certe prime necessit o utilit comuni33, quella della Scienza nuova potrebbe essere definita lasimmetria circolare delle necessit naturali e delle occasioni storicoculturali, la quale sancisce che ci che eleggiamo a condizioni storiconaturali della genesi della facolt linguistica, cui tentiamo di dare in seguito anche un ruolo funzionale, non pu essere eletto a modello causale per la predizione del futuro; perch non si ha alcuna garanzia che a partire da certe condizioni naturali, biologiche, extralinguistiche si sviluppi sempre lo stesso effetto. Non esiste omogeneit tra un evento che accaduto e un evento che accadr, afferma Aristotele. Su questo punto crediamo che sia lo stesso Vico a sciogliere il dilemma, precisando che si tratta non solo di cause, ma anche di occasioni, di circostanze storiche che possono consistere in certe prime necessit o utilit comuni, nelle quali possiamo riconoscere in un senso generale, ma solo ex post, il ruolo di condizioni per la genesi, ad es., della facolt di parIvi, p. 148. Tra inglesine doppie citato il passo aristotelico di An. Post. 95a 38-39. F. LO PIPARO, Aristotele e il linguaggio, cit., pp. 149, 150. Cf. ARISTOTELE, Phys. 200a 33-34: il fine la causa della materia e non la materia la causa del fine. 33 G. VICO, SN1, lib. II, cap. III, pp. 1009-1010, 47. Cf. SN44, Degnit XI, p. 498, 141.
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lare. Le occasioni della storia, sia pure universali, non potranno mai assumere il ruolo di cause necessarie, invariabilmente valide, ex ante, in ogni tempo e in ogni spazio34. Anche se lidea vichiana della provvidenza consente di assicurare che certe qualit umane verificatesi nella storia una prima volta potranno ricorrere anche una seconda (lidea implicita alla dottrina della storia eterna ideale luniformit della natura e la validit universale delle sue leggi, nel tempo e nello spazio)35, niente ci assicura che quelle potenzialit si verificheranno sotto le stesse condizioni (cause + occasioni) precedentemente osservate o postulate. Verso una conclusione Laspetto pi importante che sta alla base della Scienza nuova , come si detto, lintuizione del fattore storicoantropologico, un fattore che viene introdotto nella riflessione vichiana ribaltando lo schema galileianocartesiano di un soggetto astorico, di un sensibile vivente da cui siano stati diffalcati gli accidenti della materia, trasformando lanimale umano in una entit astratta, segregata, separata dallaspetto sensibile ed emozionale36.
34 La teoria delle cause-occasioni compendia in un certo senso lasimmetria circolare delle necessit naturali di matrice aristotelica, spostando lago della teoria dalla parte della diacronia. Sul tema, sempre utile il saggio di ANTONINO PAGLIARO, La dottrina linguistica di G.B. Vico, Atti della Accademia Nazionale dei Lincei CCCLVI (1959), Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, s. VIII, v. VIII, fasc. 6, pp. 379-486. 35 Cf. G. VICO, SN1, lib. II, cap. V, p. 1013, 55; cap. VIII, p. 1032, 90. Al riguardo, conveniamo con P. CRISTOFOLINI allorch riconosce che la possibilit che il mondo sinferisca, e di nuovo si rinselvi da Vico contemplata almeno come caso limite o possibilit estrema; e tuttavia dissentiamo dallo studioso quando questo aggiunge che ove, per ipotesi, si verificasse [il ricorso dello stato ferino], la condizione degli uomini a quel punto ricadrebbe al di fuori del raggio di comprensione della scienza nuova: questa scienza della natura delle nazioni, ossia del mondo civile fatto dagli uomini, e il sapere che si espande oltre questo ordine di cose appartiene piuttosto alla scienza del mondo naturale (La Scienza nuova di G. Vico, cit., p. 66). Sebbene, infatti, dal punto di vista metodologico, il ricorso dello stato ferino ricadrebbe al di fuori del raggio di comprensione della scienza nuova, dallaltra parte, linnegabile sforzo vichiano di comprendere la condizione delluomo pre-civile non potrebbe essere posto al di fuori del raggio di comprensione di quello che J. Trabant ha definito lo scenario evolutivo che rende umano un essere pre-umano (J. TRABANT, Grido, canto, voci, cit., p. 26.). 36 Su tale questione cf. VANNA GESSA KUROTSCHKA, La morale poetica. Vico, Aristotele e le qualit sensibili della mente, in Il Corpo e le sue facolt, cit., pp. 151-174, spec. 155: per Vico [] fondamento del sapere non pu essere la certezza di s del soggetto

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Ora, a questo punto dellanalisi, come conseguenza della sua intuizione storico-antropologica, Vico fa unaltra importante scoperta. Secondo Vico, il fatto che esista un metodo scientifico e un oggetto della scienza naturale che oppone la sfera delle ragioni a quella delle passioni non una ragione sufficiente per dire che lessenza dellumano si riduca ad uno dei termini di tale opposizione. I filosofi moderni non si sarebbero accorti di questa aporia semplicemente perch hanno ridotto lindagine della natura umana ad una operazione di semplificazione del complesso. Vico constata che gli effetti positivi o negativi delle passioni sulla comunit degli esseri umani razionali sono una cosa del tutto diversa dal ruolo che le passioni o le emozioni possono avere avuto nella formazione di propriet specifiche dellumano lungo la linea filogenetica. Smatha, pathmata, lgos, dunque. In questo rimescolamento delle carte della filosofia del linguaggio del suo tempo, Vico giunge ad affermare una corporeit del vivente fatalmente destinata, nella sua storia, ad acquistare una vita semiotica, la forma della vita linguistica. E se errato definirla una corporeit gi semiotica, possiamo almeno definirla come una corporeit che, ab initio, alla costante ricerca della sua mesotes del mezzo giusto, migliore; una corporeit che desidera il semiotico (almeno quanto desidera una condizione partecipata con lAltro) prima ancora di averne avuto piena cognizione e funzione37. Vico descrive daltronde la fallacia del riflettere sulla presunta debolezza della connessione esistente tra cognizione e comunicazione, ossia di una concezione dello spirito o della mente che, pensando gli oggetti del mondo, creerebbe i contenuti della coscienza, i quali sarebbero identici per tutti e creati indipendentemente dal linguaggio. A questa presunta autoseparata dai sensi, dai sentimenti e dalle passioni. Persino Hobbes, che era stato uno dei propugnatori della visione meccanicistica del mondo, molto attento a non cadere nel gioco ingannevole del ridurre la natura umana allintuizione soggettivistica dellessere del pensiero (Descartes) o alla differenza specifica di una definizione logica (lo zoon lgon di Aristotele). Non qui il luogo per soffermarsi sullantropologia hobbesiana, ma basti almeno pensare che, secondo Hobbes, lattribuzione di qualit razionali alluomo non ne rivela la natura specifica, sia perch luomo condivide con gli animali non umani forme di ragionamento non verbale e di deliberazione volontaria, sia perch la stessa umanit comprende aspetti non propriamente razionali, come gli appetiti, il timore, lo stupore, la curiositas ecc. Su questultimo aspetto cf. GIANNI PAGANINI, Hobbes e la questione dellumanesimo, in Alle origini dellumanesimo scientifico: dal tardo Rinascimento allIlluminismo, Atti del Convegno Internazionale, Napoli, 27/29-9-2007, in corso di stampa. 37 J. TRABANT usa il termine di sematologia, anche se di recente tornato sulla questione parlando di semiosi umana ( Grido, canto, voci, cit., p. 24).

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certezza del s Vico oppone lalternativa della certezza del sapere del mondo civile, fatto di segni grafici, di lettres; di caratteri scritti sulla tavola dello spirito38. Per comprendere meglio questa prospettiva, prover a riformulare la celebre tripartizione vichiana delle et in cui luomo si fa interprete, manipolatore e produttore di diversi tipi di segni (dagli indizi ai segni fonici), servendomi di uno schema elaborato nel cap. I del Bipede implume di D. Gambarara39:
Et Degli dei La scienza nuova Interpretazione naturale di indizi (naturali e soprannaturali): Sineddoche, metonimiametafora Creazione poetica; creazione di universali fantastici Produzione di segni fonici Bipede implume Indizi (interpretazione naturale di segnali) Propriet Dialogicit non verbale

Degli eroi Degli uomini

Icone; Metonimia, sineddoche, metafora Simboli; comunicazione o dialogicit verbale

Intenzionalit comunicativa Creazione funzionale-sistematica di segni fonici

Ai primi poeti (che non sono gi i parlri, ma una forma preistorica di cantori) e alla loro vivissima fantasia, Vico attribuisce la funzione di creatori. Indicando gli oggetti del mondo, i primi poeti fantastici danno loro vita, animandoli. La pietra uno spirito, lalbero una ninfa, il lampo Giove40. Nel riconoscimento di questa primitiva attribuzione di una vita animata agli oggetti, che una sorta di intuizione antropologica dellanimismo primitivo, viene colto un evento fondamentale: la nascita dei primi germi di una mentalit religiosa; qualcosa che si riveler cruciale per lo sviluppo delle propriet cognitive superiori. Vico descrive questa storia primordiale attraverso diversi passaggi. Il pi rimarchevole quello in cui i bestioni subumani cominciano ad interpretare la manifestazione di eventi naturali come indizi non solo e puramente naturali; ad esempio il saettare di un fulmine:
Per fisiche ragioni ... dopo il Diluvio, lunga et la terra non avesse mandato esalazioni ovvero materie ignite in aria ad ingenerarsi de fulmini; e, coJ. TRABANT, La scienza nuova dei segni antichi, cit., p. 22. D. GAMBARARA, Dai segni alle lingue, in ID., Come bipede implume. Corpi e menti del segno, Roma-Acireale, Bonanno Editore, pp. 44-45. 40 J. TRABANT, La scienza nuova dei segni antichi, cit., pp. 40-41.
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me le regioni furono pi vicine agli ardori dellequinoziale, qual lEgitto, o pi lontane, quali sono la Grecia, lItalia, cos pi prestamente, o pi tardi vi avesse il cielo tuonato. Quindi tante nazioni gentili cominciarono dalle religioni di tanti Giovi, de quali il pi antico egli fu Giove Ammone in Egitto. La qual moltiplicit di Giovi fa tanta meraviglia a filologi, la qual si risolve per gli nostri princpi, perch appo tutte fu egualmente fantasticata una divinit in cielo che fulminasse. Questi tanti Giovi confermano fisicamente il diluvio universale e compruovano il principio comune di tutta lumanit gentilesca, perocch Giove atterra i giganti empi41.

Il fulmine diventa lemanazione di una divinit, indizio o segno di una entit soprannaturale. Quella che finora consisteva in una semplice interpretazione di indizi naturali, diventa ad un certo punto qualcosa che implica un dislivello. Il fulmine, evento inspiegabile per la mentalit primitiva, diventa lemanazione di qualcosa di superiore. Credo che non sia illecito supporre (Vico non lo fa, ma mi permetto di farlo io) che in quel preciso momento al bestione subumano si manifesti un evento recante una forma rudimentale di intenzionalit comunicativa. Certamente, prima di tale esperienza il bestione era gi immerso in una dialogicit non verbale, in forme spontanee di intenzionalit comunicativa; ma questo evento mette il bestione per la prima volta di fronte alla coscienza di quella intenzionalit; il segno naturalsoprannaturale diventa lindizio di una identit portentosa il cui motivo del suo manifestarsi quello di voler comunicare. Di voler farsi sapere. Di dire a qualcuno qualcosa da capire42. Si creano in questo modo le condizioni per la pi antica delle istituzioni umane: la religione.
41 G. VICO, SN1, lib. II, cap. XIII, p. 1038, 104-105. Da questo evento discendono per Vico la religione primitiva, il senso comune o costume delle unioni familiari, la divinazione, losservazione delle stelle ecc., fino alla lingua. Lidea che dallattribuzione di un senso divino al fenomeno del fulmine dipendano le precondizioni per il successivo sensus communis dellaccoppiarsi stabilmente viene a Vico da una manipolazione del principio hobbesiano della paura: per timore di una forza superiore e soprannaturale che i bestioni incominciano a sentire la venere umana o pudica; che spaventati, non potendola usare in faccia al cielo, afferrarono a forza donne e a forza le strascinarono e le tennero dentro le loro grotte. Onde incomincia a spiccare la prima virt negli uomini, con la quale ammendano la natural leggerezza delle femmine, e quindi la natural nobilt del sesso virile, cagione della prima potest che fu quella sopra il sesso donnesco. Con questo primo costume umano nacquero certi figliuoli, da quali provennero certe famiglie, sopra le quali sursero le prime citt e quindi i primi regni (SN1, p. 1039, 106). Qui nasce la divinazione. Sul principio della paura e della vergogna della divinit. Cf. SN1, cap. VI, pp. 1014-1015, 57-58. 42 J. TRABANT, La scienza nuova dei segni antichi, cit., p. 41. Lintenzionalit comunicativa in questo caso come lappalesarsi di un tu originario. Luomo apprende lintenzio-

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Giove [...] il principio dellidolatria e della divinazione o sia scienza degli auspci, nella guisa che si sopra dimostro che egli fu il primo dio nato dalle greche fantasie. E lidolatria e la divinazione, per gli nostri princpi della poesia, nacquero figliuole gemelle di quella prima civile metafora che Giove fosse il cielo, che scrivesse le leggi con la folgore e le pubblicasse col tuono43.

Da un punto di vista semiotico, il fulmineindizio contiene anche qualcosaltro. Esso pu aver fatto nascere nella protomente del bestione anche un altro tipo di consapevolezza: che esistano cio indizi naturali che possono essere il segno di qualcosa che non presente, se non in quanto emanazione di s. Si introduce per questa via una seconda propriet dellumano, e condizione di possibilit del linguaggio: ovvero, lopportunit di creare segni in grado di rappresentare cose non presenti (in origine, il segno pu essere lo stesso indiziofulmine, ma in seguito, attraverso la ritenzione mnemonica e la phantasia, esso pu diventare segno di un segno, il rappresentante di qualcosa che rappresenta a sua volta qualcosa di non presente)44. Secondo Vico, queste condizioni nascono in seno allumano, protomente non ancora pienamente umana, grazie al fatto che egli, primitivo bestionalit comunicativa dalla decodificazione di un fatto esterno, che in realt era gi da sempre depositato nella mente dogni uomo, nella scintilla depositata dalla divina architetta. Trabant aggiunge al riguardo che in questi primi stadi Vico intende con parlare non il parlare verbale, ma pi in generale il comunicare o il dire a qualcuno qualcosa da capire (ibid.); il manifestare a qualcuno la propria volont di capire, ossia di sapere, e di far capire, ossia di far sapere. 43 G. VICO, SN1, lib. V, cap. VI, p. 1180, 411. 44 Un fattore chiave dello sviluppo cognitivo umano la possibilit di impiegare la phantasia, che una prima presa di distanze dal mondo dotata di intenzionalit cognitiva. Nella mentalit primitiva, la magia del fare apparire nella mente, propria e altrui, delle immagini attraverso lemissione di un suono, o il compiere un dato gesto, pu essere stata un elemento costitutivo per la nascita della mentalit religiosa. La phantasia dunque la possibilit di creare pathmata da se stessi (ARIST., De An. 427b 17-20), che sono copie di prgmata che non sono creati solo dal linguaggio, ma sono come invarianti rispetto alla linguisticit dellanimale umano. Secondo Vico, lanimale umano, oltre ad essere dotato di sensi corpulentissimi, deve essere stato in grado di esperire questa invarianza, con cui si sono potute creare condizioni di ripetibilit rappresentativa. A conferma del fatto che ad un certo punto avvenga il passaggio dallidentificazionesineddoche del fulmine col dio-Zeus allavviso sensibile mandato agli uomini dagli Dei, c un passo di Vico posto nelle righe iniziali della SN1, p. 983, 9: le false religioni tutte sursero dallidolatria, o sia culto delle deitadi fantasticate sulla falsa credulit desser corpi forniti di forze superiori alla natura, che soccorrano gli uomini ne loro estremi malori; e lidolatria nata ad un parto con la divinazione, o sia vana scienza dellavvenire, a certi avvisi sensibili, creduti esser mandati agli uomini dagli di.

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ne, sia ancora un coacervo di pathmata, e non ancora un lgos produttore di funzioni smata. Ci vuole per lappunto la fantasia di un primitivo, sensi corpulentissimi, e perturbatissimi effetti, per creare i semi di una religione naturale, a partire dalla semplice decodificazione fantastica, allegorica, di indizi naturali45. Erano necessari istinti forti per far crescere il bestione che come il fanciullo, dice Vico: destinato a diventare parlro, ma ancora bisognoso di condizioni emotive che siano come quelle necessit naturali di cui parlava Aristotele46. Riassumendo, secondo Vico le condizioni di possibilit del linguaggio verbale sono di tipo extralinguistico; nascono in modo paradigmatico dal fulmineZeus, dalla rappresentazione di una sineddoche che si evolve in metafora, la quale riproduce lo schema primitivo della comunicazione. La presenza comunicata di qualcosa che non si vede e non si sente. Un segno che a met strada tra linterpretazione degli indizi e i segni allegorici. Attraverso il ricordo di questo evento, il bestione protomente comincer a familiarizzare con lidea di un segno naturale che rinvia ad una realt presente/non presente. Dopo questo stadio, il bestione non dovr fare altro che sospendere liniziale primitivismo di identificare lindizio con lentit rappresentata. In questo caso come se la religione primitiva che si snoda a partire da questo evento fosse lanello mancante che dalla semplice produzione di indizi conduce alla produzione di segni, i quali, in quanto allegorie, rinviano a, o stanno per una realt seconda. Il che molto affine allo status dei segni verbali, che sono per lappunto dotati di incertezza semantica, e nei quali si comunica il senso di qualcosa che risulta staccato, separato dalle circostanze della enunciazione o della rappresentazione. E per ci stesso, se ne pu parlare in assenza47. La religione primitiva addestrerebbe i bestioni proto-menti a: 1) immaginare relazioni di segni a concetti di oggetti sempre presenti ma come assenti; 2) presumere nellemittente
G. VICO, SN1, lib. II, cap. XXVI [XXVII], pp. 1132-1133, 314. In questa primordiale corsa ad ostacoli, le passioni (i sensi corpulentissimi e i perturbatissimi affetti) hanno un ruolo strumentale, ma decisivo. Le condizioni del linguaggio verbale nascono dalla relazione uomo-Dio delle religioni primitive, a cui luomo pre-civile dovr affiancare un pensiero-azione logico-matematico, affinch la successiva produzione di segni fonici possa organizzarsi in base ad un sistema. Vedi infra, nota 48. 47 Questo aspetto del parlare di Dio in assenza apre diversi ordini di problemi, tra cui quello dei caratteri fondanti delle religioni arcaiche. Sarebbe interessante analizzare le ragioni del divieto dimmagini di Dio della tradizione ebraica, che equivale in qualche modo al divieto di parlarne in assenza, e alla superfluit del parlarne in presenza. Ma ci porterebbe lontano dagli scopi del presente lavoro.
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unintenzionalit comunicativa che una volont di far sapere, la quale non avrebbe luogo se il ricevente non vi riconoscesse, al contempo, la propria volont di far sapere. Giunti a questo stadio, ai bestioni protoumani occorrer, per diventare parlri, unaltra, fondamentale condizione: che il pensiero matematico abbia conquistato un sufficiente grado evolutivo. Giunti sin qui, occorrer che essi abbiano luniversale cognitivo e linguistico del numero e della quantit, del tutto e della parte48. Il perseguimento della prospettiva diacronica reso possibile, almeno per Vico, a partire dal fatto che una fondazione metafisicotrascendentale si gi svolta a monte, attraverso lazione divina e pi in particolare attraverso lintervento della provvidenza, della divina architetta, che la donatrice di un senso dellordine (delle cose e della natura), e che cede alla creatura umana (il fabbro del mondo) la capacit di farsi libero strumento di una creazione che in qualche modo si prolunga nella storia. Come si detto, il lascito della divina architetta si presenta nella storia (con puntuale ciclicit) sotto forma di sensus communis (che il primo livello in cui il reale diventa razionale, per mezzo dellazione di un ingegno operante nel tempo)49. Per la comprensione di questo quadro, che diventa via via pi complesso, abbiamo bisogno di due immagini o metafore: la prima quella del pendolo. Il farsi umano nella storia si dispiega sulla traiettoria di un pendolo: il pendolo della storia umana oscilla infatti, come gi ebbe a notare Nicola
48 Il passaggio al terzo stadio presume una ratio calcolante, anche se Vico insiste circa il fatto che lacquisizione di una sintesi geometrica presuma una linguisticit gi in atto. Nella Scienza nuova troviamo dei passi perspicui: apprendono di pi i fanciulli delle nazioni mediocremente incivilite labito di numerare, il cui atto astrattissimo e tanto spirituale che per una certa eccellenza chiamato ragione [] il numero il meno corpolento (G. VICO, SN1, lib. I, cap. XII, p. 1003, 42); i fanciulli che nascon in nazione che gi fornita di favella, eglino di sette anni al pi si ritruovano aver gi apparato un gran vocabolario, che [...] il corron prestamente tutto e ritruovano subbito la voce convenuta per comunicarla con altri, e ad ogni voce udita destano lidea che a quella voce attaccata: talch, in formare ogni orazione, essi usano una certa sintesi geometrica, con la quale scorron tutti gli elementi della lor lingua, raccolgono quella che lor bisognano e a un tratto gli uniscono; onde ogni una lingua una gran scuola di far destre e spedite le menti umane (ivi, cap. XIII, pp. 1002-1003, 42-43). 49 Il richiamo alle radici provvidenzialistico-trascendentali della storia permette di affiancare al lemma del sensus communis un secondo lemma, gi ricordato dallo stesso Vico allinizio della SN1: la libert, che Vico aveva gi ben colto nel Liber Metaphysicus con lanalisi del rapporto tra fare e conoscere. Libera volont, volont di fare che non a caso si colloca, attraverso la triade di memoria-phantasia-ingenium, alla base dellinvenzione del linguaggio.

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Badaloni, tra un massimo di subumanit, e un massimo di razionalit50. Questa oscillazione resa necessaria dal fatto che lumano si affaccia nella storia come il portatore privilegiato del pi prezioso dei doni della divina provvidenza: questo dono la libert. Il fatto stesso di affidare alluomo, attraverso la libert, le chiavi del suo destino, rende possibile tale oscillazione. Certo, la parte pi complessa di questa operazione filosofica spetta al lettore moderno, nel tentativo di ricomprendere il tutto in una chiave antropologica.
Dal detto fino qui si raccoglie, che la Provvedenza Divina appresa per quel senso umano, che potevano sentire uomini crudi, selvaggi, e fieri, che ne disperati soccorsi della Natura anco essi disiderano una cosa alla natura superiore [...] ch l primo Principio, sopra di cui sopra stabilimmo il Metodo di questa Scienza, permise loro dentrar nellinganno di temere la falsa divinit di Giove, perch poteva fulminargli; e s dentro i nembi di quelle prime tempeste, e al barlume di que lampi videro questa gran verit, che la Provvedenza Divina sovraintenda alla Salvezza di tutto il Gener Umano. Talch quindi questa Scienza incomincia per tal principal aspetto ad esse, e una Teologia Civile Ragionata della Provvedenza; la quale cominci dalla Sapienza Volgare de Legislatori, che fondarono le Nazioni, con contemplare Dio per lattributo di Provvedente; e si compi con la Sapienza Riposta de Filosofi, che l dimostrano con ragioni nella loro Teologia Naturale51.

Il passo successivo quello di riuscire a comprendere il rapporto esistente tra la sfera logica del soggetto sincronico e la sfera apparentemente antilogica del soggetto nella storia. Logica e filogenesi come filosofia e filologia52. Giungiamo cos alla seconda immagine, che quella della spirale: la linea che scorre nella forma della spirale quella di un divenire che non ritorna mai su se stesso, ma procede indefinitamente da unorigine; in questo caso le circostanze del reiterarsi di eventi gi accaduti sono stabilite dalla proporzione dei valori angolari della figura. Vi sono condizioni di un dato momento tx che possono essere equiparate alle condizioni di un altro
50 N. BADALONI, Introduzione a G. VICO, Opere filosofiche, a cura di P. Cristofolini, Firenze, Sansoni, 1971, pp. XXXVI-XXXVII, XL-XLI. 51 G. VICO, SN44, lib. II, sez.I, cap. II, p. 576, 385. 52 Sul tema, cf. G. CACCIATORE, Geschichte, Poesie und Metaphysik. ber die Philosophie von Giambattista Vico, Berlin, Akademie, 2002; MANUELA SANNA, La fantasia ch locchio dellingegno. La questione della verit e della sua rappresentazione in Vico, Napoli, Guida, 2002; E. NUZZO, Tra ordine della storia e storicit. Saggi sui saperi della storia in Vico, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003; G. CACCIATORE, V. GESSA KUROTSCHKA, E. NUZZO, M. SANNA (eds.), Il sapere poetico e gli universali fantastici. La presenza di Vico nella riflessione contemporanea, Napoli, Guida, 2004.

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momento tn, ma non si tratter mai di una semplice ripetizione dellidentico53. La figura della spirale si apparenta allasimmetria circolare delle necessit naturali a cui si fatto cenno, ma non solo. La storia dellumanit pu essere racchiusa, come gi Locke insegnava, nella storia di un fanciullo che diventa adulto; la filogenesi si pu sposare con la ontogenesi, e la diversa comprensione di s e del mondo pu far capo, di et in et (ritenendo quasi incommensurabili le formae mentis di et estremamente lontane della storia umana), ad un sentire comune che non solo simile da individuo a individuo, da popolo a popolo, ma anche ci che permette di asserire, nella differenza diacronica, che permanga un continuum di identit. Questo continuum quella originaria identit sensibile, quella Sinnlichkeit che luomo conserva dalla fanciullezza sino alla tarda maturit. Essa si esprime attraverso la variet delle forme della corporeit sensibile e una vicissitudine emotiva che si tiene insieme, ancora una volta, per mezzo della pi originaria e corpulenta delle facolt delluomo: quella triade di memoriafantasiaingegno su cui Vico insister in tutti i suoi scritti. Limmagine della spirale rinvia ad una concezione integrativa (per usare unespressione della Kurotschka) del rapporto corpomente, in cui memoria, fantasia e ingegno sono ununica facolt mossa dalla passione e dal sentimento, un sapere eminentemente pratico in un rapporto strettissimo col corpo che si sarebbe sviluppato, secondo Vico, quando il mondo aveva bisogno di tutti i ritruovati per le necessit ed utilit della vita54. In quella sproporzione esistente, nella Scienza nuova, fra sincronia e diacronia, lingua e sistema, gi Antonino Pagliaro aveva riconosciuto che, nellapproccio integrativo di Vico, tutto luomo, non la sola ragione, partecipa alla creazione di s e del proprio mondo55.
Desidero ringraziare Daniele Gambarara e Felice Cimatti, per avere accolto la mia proposta di relazione nei Seminari di Filosofia del Linguaggio 2007-2008, ed averla supportata fino alla presente stesura.
53 Sulla figura della spirale nella filogenesi delle forme semiotiche, cf. D. GAMBARARA, Tre luoghi comuni teorici: mente, arbitrariet, comunicazione, in ID., Come bipede implume, cit., pp. 103-122, spec. 107. 54 G. VICO, SN44, lib. II, sez. VII, cap. II, p. 767, 699. Cf. V.G. KUROTSCHKA, La morale poetica. Vico, Aristotele e le qualit sensibili della mente, cit., p. 166. 55 A. PAGLIARO, La dottrina linguistica di G.B. Vico, cit., p. 429.

ALESSIA TOMAINO Contemplazione dellaltro: la parola come sguardo estetico La tesi che cercheremo di sostenere nel presente articolo che lattivit estetica, oltre ad essere specificamente Rveillez vous, cueurs endormis, Le dieu damours vous sonne. umana, presenta dei risvolti di tipo etiA ce premier jour de may, co, e questo, riscontrabile esemplarOyseaux feront merveillez, mente nelluso naturale ed estetico Pour vous metre hors desmay delle lingue. In altre parole, il dominio Destoupez vos oreilles. dellarte appartiene tipicamente ed eEt farirariron, freely joly. Vous serez tous en ioye mis, sclusivamente al genere umano in quanCar la saison est bonne. to genere morale e le lingue ne sono in Vous orrez, mon advis, un certo senso la prova. Une dulce musique Si potrebbe obiettare, tuttavia, che Que fera le roy mauves, forme darte primitive o originarie, sodune voix autentique (le merle aussi, no rintracciabili gi negli animali non Lestournel sera parmi): umani: pensiamo al canto degli uccelli. Ty,ty,pyty,chou,chou, Alcune particolari famiglie come quella Chouty,thouy,thouy. degli Alaudidi, per esempio, sono caratToi que di tu. Le petit sansonnet de Paris, terizzate proprio dalle sofisticate meloLe petit mignon. die prodotte dai piccoli bipedi che vi Quest la bas, passe vilain! appartengono. La cosa straordinaria Saige, courtoys,et bien apris. che, mentre i richiami di alcune specie Saincte teste Dieu!... come le colombe, sono gi strutturati e completi alla nascita, i canti elaborati dai cosiddetti uccelli canori, sono spesso profondamente influenzati da processi di apprendimento. Un uccello allevato in isolamento, ad esempio, canta una versione molto semplificata del canto che svilupperebbe allo stato selvatico. Potremmo descrivere questo strano fenomeno nei termini di una vera e propria forma di cultura con tanto di relativa trasmissione di competenze da una generazione allaltra: gli uccelli adulti insegnano ai piccoli delle melodie da cantare. Anche adottando il punto di vista di questa prospettiva, il canto degli uccelli pu davvero essere considerato una forma darte precedente o addirittura fondante rispetto allarte umana? In realt, un processo di risalimento tramite stratificazioni al nucleo originario dellesperienza estetica, non congeniale ai fini del nostro discorso in
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quanto non chiarisce bene il nostro obiettivo: far emergere le specificit dellestetica umana.
Esistono certamente delle stratificazioni, ed possibile identificare una sorta di archeologia degli strati sommersi. Ma il modo con cui ci viene inteso ha molto del metaforico. La differenziazione prende strade diverse, si dirama in rivoli molteplici, s che [...] il recente ci svela meccanismi apparentemente simili ma in realt procedenti come forme autonome. (PRODI, 1983, p. 23).

Lautonomia del recente, come si evince dalle parole di Prodi, non cronologica nel senso che ci a cui assistiamo oggi indipendente e non derivante da ci che cera prima bens logica. Levoluzione di alcune forme darte a partire da altre precedenti e in un certo senso, meno sofisticate, non qui messa in discussione, ma messa da parte poich sostanzialmente irrilevante per una comprensione generale dellarte umana. Ma cosa intendiamo per attivit estetica umana? E perch ci interessa costruire, o meglio, portare alla luce, un parallelo tra questo tipo desperienza e lesperienza linguistica? Quando esaminiamo lattivit estetica ci riferiamo allesperienza di qualcosa fatto dalluomo (o anche esistente in natura), tale da generare in noi un qualche interesse disinteressato [] un interesse volto non immediatamente a piaceri sensibili, a scopi, a conoscenze utilizzabili, ma piuttosto un interesse per quellinteresse (GARRONI, 2005, p. 96). Il nucleo centrale della nostra riflessione sta proprio in questo strano tipo di interesse di cui ci parla Emilio Garroni e che, nellipotesi che vorremmo delineare, trova spazio sia nellatto della ricezione dellopera artistica, sia nelluso comune delle lingue. In entrambe queste attivit entra in gioco il pi generale rapporto tra essere umano e mondo. La percezione di unopera darte implica, lo abbiamo appena visto, un tipo di sguardo disinteressato che pur sempre uno sguardo e quindi un atto percettivo: paradossalmente, per, si tratta di un atto che non si risolve in unazione nei confronti del percepito ma resta, per cos dire, in sospeso, terminando laddove cominciato. Siamo come posseduti dallopera nella sua determinatezza-indeterminatezza, mentre la creiamo e la ricreiamo in noi, e lo siamo consapevolmente, mentre nella percezione che non intenzionale, pur essendo parimenti posseduti dalle immagini che ne ricaviamo, spesso lessere posseduti ci sfugge e, per esempio, siamo richiamati innanzi tutto dallutilizzabilit pratica o conoscitiva delle cose che percepiamo (GARRONI, 2005, p. 99).

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Questo essere posseduti dal percetto, che avviene consapevolmente nella ricezione dellopera darte, mostra in modo esemplare quello che accade costantemente nel corso della percezione di ci che ci circonda. La differenza sta per proprio in quel consapevolmente. Quando percepiamo infatti non il nostro essere catturati che si pone al centro della nostra attenzione, bens i possibili usi che dai nostri percetti possiamo ricavare. In tal modo il nostro stato di coinvolgimento viene scavalcato per passare allazione che ha come oggetto il percepito stesso. Mi muovo nella stanza, vedo gli oggetti e li scanso per non sbattervi contro. O ancora, muovo lo sguardo sulla scrivania alquanto disordinata e focalizzo la mia attenzione sui floppy disc che cercavo da giorni per memorizzare al computer alcuni dati.

Si tratta di una percezione che potremmo definire direzionata, che si proietta in avanti saltando da un oggetto al suo uso. In questa prospettiva, il nostro, sarebbe un mondo strumentalizzato per definizione. Ogni cosa uno strumento e quindi serve per fare qualcosa. Ma davvero cos? Seguendo lipotesi prima accennata la percezione umana caratterizzata dal fatto di riuscire ad astrarsi dalluso degli oggetti. In altre parole, la percezione umana capace di contemplazione. Attenzione, non dobbiamo pensare ad una contemplazione di tipo cultuale, ad una sorta dadorazione, anche se, per certi versi, questa definizione forte di percezione potrebbe rivelarsi feconda. Tralasciando questo aspetto per, quando parliamo di contemplazione, vogliamo dire semplicemente che la percezione umana capace di guardare ad una cosa senza doverla necessariamente considerare un mezzo per un fine, senza, direbbe Garroni, doverla traguardare per passare oltre. Questo tipo di percezione tipicamente quella delle opere darte che si contemplano per lo stesso gusto di contemplarle, che si guardano per il semplice scopo di guardarle e non per farne qualcosa.

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Non siamo pi di fronte ad un atto percettivo direzionato verso lesterno, verso uno scopo, bens di fronte ad un atto che torna su s stesso, che si concentra sulla condizione stessa del percepire.
Per potere arrivare alla conoscenza umana linguistica, la prima condizione che alluso immediato della cosa, propria di tutti gli organismi, si sia sostituita una condizione di sospensione e di attesa [...]. Le cose non sono pi significative in quanto servono e sono metabolizzabili, ma in quanto esistono fuori e indipendentemente (PRODI, 1983, p. 26-27)1.

Di fronte ad un topo, un gatto non pu che percepire una preda e correre; di fronte ad una luce, un insetto non pu che sentirsi attirato ed avvicinarsi; di fronte ad una mosca, una rana non pu che stendere la lingua per acchiapparla. Un comportamento diverso da questi appena descritti significherebbe che c qualcosa che non va, che letteralmente non funziona in quellorganismo. La differenza con lessere umano non sta (o almeno non solo) in un mancato determinismo della nostra specie, innanzitutto perch anche gli esseri umani sono ricchi di istinti, e poi, molti animali non umani sono capaci di comportamenti molto complessi e quasi impossibili da descrivere adottando un punto di vista deterministico. Quello che ci sembra particolarmente rilevante, ai fini del nostro discorso, quellastensione dal me1 Pur costruendo unanalogia tra il pensiero garroniano e pi in particolare la nozione di interesse-disinteressato che si mostra in particolar modo nella percezione delle opere darte e quello di Prodi, che ci parla di conoscenza umana linguistica come condizione di sospensione e di attesa, resta fermo che la metodologia dei due autori presenta notevoli differenze.

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tabolismo di cui ci parla Prodi, quel non dover dare significato a ci che ci sta di fronte solo in vista di un fine che con quel qualcosa potremmo raggiungere.
Lo sviluppo della conoscenza umana legato permanentemente ad un momento di sospensione, che diventa poi, a stadi ulteriori, atteggiamento complesso di contemplazione-rispetto, radicato psicologicamente ed eticamente (ibid.).

La sospensione dal metabolizzare il mondo-percepito ci rimanda necessariamente ad un discorso sulletica. Se davvero la nostra specie infatti capace di un tipo di contemplazione-rispetto che gli permette di guardare qualcosa senza per questo dover pensare a ci che con essa si pu fare, allora questo tipo di atteggiamento si applica esemplarmente allatto dello sguardo rivolto verso una persona. Analizziamo meglio questa situazione. Nel volto dellaltro non vedo il mezzo per raggiungere un fine, ma vedo uno sguardo che a sua volta si rivolge a me riconoscendomi come suo simile. In tale prospettiva paiono del tutto inadeguate le distinzioni tra conoscenza come manipolazione e conoscenza come contemplazione. Luna non senza laltra (ibid.). Questo significa che la percezione-conoscenza, non assume gradi diversi in base alla situazione che si trova ad affrontare perch sempre potenzialmente strumentalizzante e non. Facciamo qualche esempio. Di fronte alla celebre pala della Maest di Duccio di Buoninsegna, per esempio, si pu restare estasiati dal blu del panneggio che riveste la Madonna ma altres pensare: se la rubassi e la rivendessi diventerei milionario. Di fronte ad un volto si pu assumere un atteggiamento di contemplazione e dunque di riconoscimento, ma altres, un atteggiamento di sfruttamento dellaltro in vista del raggiungimento di uno scopo. Dunque, la conoscenza umana costantemente di fronte ad un bivio, costantemente chiamata a, per cos dire, decidere quale posizione assumere. La nostra indagine non si rivolge allatteggiamento che abbiamo definito di strumentalizzazione, perch abbiamo visto, questo caratteristico anche degli animali non umani. Ci che ci preme analizzare latteggiamento opposto, quello morale, quello che prevede una sospensione dalla metabolizzazione.
Nei rapporti con lesterno si verifica uno iato quando la cosa significativa non scatena un riflesso specifico, ma vista per s, in modo autonomo: e cio assunta mediatamente (PRODI, 1983, p. 142).

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Da cosa reso possibile questo rapporto mediato tra noi e il mondo? In natura [] nella rete dei riflessi rigidi compare una strana pausa. La parola [] riempie lattimo della sospensione (Ivi, p. 28). La parola, ci suggerisce Prodi, e dunque la lingua storico naturale allinterno della quale viviamo, crea il nostro ambiente naturale facendosi mediatrice tra noi e il mondo. La parola, per natura, si fa pertanto portatrice di valori etici perch lunico modo che abbiamo per non metabolizzare il mondo; pi radicalmente, lunico modo che abbiamo di stare al mondo. Nella lingua la biologia diventa storia, diventa umana (CIMATTI, 2007, p. 105). Costituendo il nostro ambiente naturale, ed essendo intrinsecamente pubblica, la lingua esemplarmente un fatto morale presupponendo lesistenza di un noi, prioritario rispetto al singolo io. Si pu infatti essere soggetto solo allinterno di quella realt puramente sociale che la realt del discorso:
Soltanto nella lingua ci sono esseri umani che parlano, e solo nella lingua i suoni che escono dalle loro bocche significano qualcosa [...]. Nella lingua allora i parlanti si possono comprendere o fraintendere, perch solo la lingua offre uno spazio logico in cui i singoli atti di parole2, di per s irrimediabilmente diversi, e quindi incomunicabili, possono confrontarsi (Ivi, p. 115).

Il confronto, laccettazione, il riconoscimento dellaltro sono pratiche possibili solo allinterno dei fatti umani e cio dei fatti linguistici che nella loro natura pubblica e sociale offrono il loro spazio facendosi ambiente di vita. In questo spazio la diversit dei singoli individui si appiattisce sulla lingua creando un io che si rivolge necessariamente a un tu e viceversa, in una situazione di parit morale che implica la non strumentalizzazione reciproca.
Potrebbe esistere una soggettivit isolata [...] oppure la relazione con laltro intrinseca alla soggettivit? [...]. Il risvolto etico di questo problema nel primo caso, quello di una soggettivit isolata, la relazione etica sarebbe sempre e comunque accessoria rispetto alla sua natura, sarebbe cio al pi una scelta come unaltra, unopinione. Nellaltro caso la relazione etica, sarebbe, invece, costitutiva della sua natura; gi nel semplice parlar allaltro sarebbe cio implicito un naturale atteggiamento etico (Ivi, p. 234).

2 Per la nozione di parole cf. SAUSSURE, Cours de linguistique gnrale, Payot, Paris 1922; trad. it. Corso di linguistica generale, a cura di T. De Mauro, Laterza, Bari 1978.

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Rivolgere la parola, gi di per s un atto morale. Latto linguistico, infatti, prevede un tipo di contemplazione dellaltro che sembra identico a quello che si ha di fronte ad unopera darte quando la si osserva per ci che , in una situazione di sospensione dalluso. Abbiamo fatto risalire il fatto morale al momento in cui luomo, di fronte a una cosa, rinuncia a farla sua e a distruggerla, rispettandola in s stessa. []. Lestetica il momento morale in cui luomo, di fronte al suo patrimonio linguistico e alla sua storia, si pone in una posizione di rispetto, senza volersene servire a scopi immediati ed usuranti (PRODI, 1983, p. 367). Ci che pertanto avviene esemplarmente nellattivit estetica, si riflette quotidianamente nella realt del discorso. Solo che, come dice Garroni Ecco: larte, ce ne fa accorgere (GARRONI, 2005, p. 98).
Bibliografia CIMATTI, F. (2004a), Mente segno e vita, Roma, Carocci. CIMATTI, F. (2004b), Il senso della mente. Per una critica del cognitivismo, Torino, Bollati Boringhieri. CIMATTI, F. (2007), Il volto e la parola. Psicologia dellapparenza, Macerata, Quodlibet. GARRONI, E. (1968), Semiotica ed estetica, Bari, Laterza. GARRONI, E. (1972), Progetto di semiotica, Bari, Laterza. GARRONI, E. (1976), Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla critica del giudizio di Kant, Milano, Unicopli. GARRONI, E. (1978), Creativit, in Enciclopedia Einaudi, Torino, Einaudi. GARRONI, E. (1986), Senso e paradosso, Bari, Laterza. GARRONI, E. (1992), Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano, Garzanti. GARRONI, E. (2003), Larte e laltro dallarte, Roma-Bari, Laterza. GARRONI, E. (2005), Immagine Linguaggio Figura, Roma-Bari, Laterza. JANEQUIN, C., Le Chant des Oyseaux, http://www.scottishchamberchoir.org.uk/. PRODI, G. (1983), Luso estetico del linguaggio, Bologna, Il Mulino. SAUSSURE, F. de (1922), Cours de linguistique gnrale, Paris, Payot; trad. It. Corso di linguistica generale, a cura di T. De Mauro, Laterza, Bari 1978. WITTGENSTEIN, L. (1953), Philosophische Untersuchungen, Oxford, Blackwell (trad. it. Ricerche Filosofiche, a cura di Mario Trinchero, Torino, Einaudi, 1974).

G. BATTISTA VACCARO Gilles Deleuze: il linguaggio tra passione e potere

Una delle eredit che lo strutturalismo ha lasciato al pensiero posteriore che da esso si sviluppato linteresse per il linguaggio, che nei filosofi poststrutturalisti trova unulteriore ragion dessere nel nesso, che essi mutuano da Heidegger, tra il linguaggio e quella metafisica che essi intendevano decostruire sotto il comune denominatore del logos come istanza organizzatrice sia delluna che dellaltro. Con un passo ulteriore poi questi filosofi, muovendo dalla contestazione del nesso tra metafisica e potere allinterno di una modalit di pensiero strutturata verticalmente in base al principio di identit, estendono loperazione decostruttiva al ruolo del linguaggio allinterno dei giochi di potere che si estendono su tutto il campo sociale. Cos Derrida denuncer nel linguaggio la presenza dellessere1, Lyotard la costituzione di un ordine inteso a scongiurare lemergenza della pulsione di morte2, e Baudrillard una delle istanze di rimozione e repressione del simbolico la cui irruzione scardina il sistema economico3. Ma il filosofo che forse con pi costanza e pi a lungo si dedicato ad una critica del linguaggio Gilles Deleuze, che in essa si impegna a pi riprese fin dalla fine degli anni Sessanta. Questa critica a sua volta si colloca sullo sfondo di una riflessione ontologica che accompagna tutta levoluzione del pensiero di Deleuze e si arricchisce in essa. Lobiettivo dichiarato di questa riflessione di rovesciare il platonismo4 mettendone sotto scacco lo strumento principale ereditato poi da tutta la filosofia occidentale, la rappresentazione5, attraverso la quale la molteplicit degli eventi ricondotta allunit del concetto e del soggetto che lo pensa, del cogito, come le copie sono ricondotte a un modello. A questa metafisica Deleuze contrappone unontologia della differenza, in cui
Cf. J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, trad. it. Milano, Jaca Book, 1968. Cf. J.-F. LYOTARD, Discorso, figura, trad. it. Milano, Unicopli, 1988. Su questo volume cf. il mio Lyotard e la lettura della modernit, Critica marxista, XXVIII, 1990, n. 2, pp. 161-176. 3 Cf. J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1979. 4 Cf. G. DELEUZE, Rovesciare il platonismo, ora in ID., Logica del senso, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1972, pp. 223-234, col titolo Platone e il simulacro. 5 Cf. G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1971.
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gli enti, in un radicale empirismo e materialismo6, si affermano per se stessi come copie di altre copie senza modello, come simulacri, lessere si presenta come la differenza che si predica di ciascuno di essi e come problematico, cio abitato da una virtualit che lo mette in divenire aprendolo a una sempre maggiore differenziazione che si attualizza lungo linee divergenti e sempre asimmetriche tra loro. Lordine che ne deriva in realt un caos di distribuzioni nomadi e di gerarchie anarchiche, e il soggetto che si muove in esso passivo, cio portatore di facolt che vengono messe in movimento dallincontro con enti, costituito da questi incontri, un io debole, scisso, un nomade7. A partire dagli anni Settanta Deleuze tenta di spiegare la genesi della metafisica ricorrendo ad un modello unitario in cui il pensiero dellidentit spiegato come una piega del dinamismo del reale, il momento del suo distendersi. Cos nellAnti-Edipo esso scaturisce da un particolare investimento del desiderio, e in Mille piani dallirrigidirsi delle linee di fuga lungo cui si compie il divenire in linee molari, sedentarie, che producono dispositivi di potere, apparati di stato e di codificazione. Il linguaggio, e i rapporti di significazione che esso espone, sono evidentemente organici alla rappresentazione, dicono lorganizzazione a cui danno luogo le linee molari. Gi nel 1969, in Logica del senso, Deleuze aveva ricondotto il linguaggio allevento come attributo incorporeo dei corpi che non esiste al di fuori della proposizione che lo esprime, ma differisce per natura dalla sua espressione8, che esso rende possibile separando i suoni dai corpi, dai loro rumori, in modo da renderli disponibili per la funzione espressiva. La parola si colloca allora su una superficie intermedia tra il rumore delle profondit e la voce delle altezze che proibisce a partire da un ordine delle preesisten6 Per uninterpretazione di Deleuze come filosofo materialista cf. F. LESCE, Unontologia materialista. Gilles Deleuze e il XXI secolo, Milano, Mimesis, 2004. Per una ricostruzione complessiva del pensiero di Deleuze cf. il mio Deleuze e il pensiero del molteplice, Milano, Angeli, 1990; C. DI MARCO, Deleuze e il pensiero nomade, Milano, Angeli, 1995; U. FADINI, Deleuze plurale. Per un pensiero nomade, Bologna, Pendragon, 1998. Sulla differenza dellontologia di Deleuze da quella di Heidegger cf. i miei Ontologia della differenza e pensiero della molteplicit. Note su Deleuze e Heidegger, Fenomenologia e societ 16 (1993) 2, pp. 9-26, e Una disavventura della differenza. Heidegger e i francesi, in Soggetto e verit. La questione delluomo nella filosofia contemporanea, a cura di E. Fagiuoli e M. Fortunato, Milano, Mimesis, 1996, pp. 119-136. 7 Sul soggetto in Deleuze cf. il mio Soggettivit e storia, Milano, Unicopli, 2002, pp. 2351, e F. CASSINARI, Dalla differenza al soggetto, Milano, Mimesis, 2000, pp. 45-59. 8 G. DELEUZE, Logica del senso, cit., p. 162.

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ze. Questa superficie ancora la superficie fisica della sessualit. Condizionata da questa, la parola non ancora linguaggio, poich le manca il senso, quella materia o strato ideale capace di assicurare una genesi reale della designazione e delle altre dimensioni della proposizione9 che ci che espresso dalla proposizione, appunto levento indicato dal verbo di essa. La parola diventa linguaggio quando si produce il senso, ma ci avviene sulla superficie metafisica attraverso la desessualizzazione. Il linguaggio dunque una organizzazione secondaria nella quale le serie sessuali vengono duplicate e rimosse: attraverso tutto ci che il linguaggio designer, manifester, significher, vi sar una storia sessuale mai designata, manifestata n significata per se stessa, ma che sussister in tutte le operazioni del linguaggio10. Ora le forme della rappresentazione riproducono i loro diritti [] nelle designazioni, significazioni, manifestazioni del linguaggio quotidiano sottoposto alle regole del buon senso e del senso comune, in un ordinamento finale [che] riprende la voce dallalto del processo primario11 in vista di quello che il vero obiettivo della rimozione: la profondit che minaccia continuamente di investire con la propria energia tutte le superfici sconvolgendone le organizzazioni, poich, come stato notato, il non senso [] pu anche cessare di passare nel senso, inghiottendolo e provocando la mescolanza tra i fonemi e le azioni e le passioni dei corpi [] La logica del senso una logica della non sussistenza e della non consistenza del senso; essa mostra sia la possibilit del suo irrigidimento nel senso comune che leventualit di una sua caduta nel delirio12. Questa spiegazione della funzione del linguaggio si ritrova in Mille piani, dove essa viene pi ampiamente articolata da Deleuze, e da Flix Guattari, coautore dellopera, attraverso la critica dei postulati della linguistica, in un contesto in cui lanalisi si spostata dal livello della proposizione, al quale ancora si manteneva in Logica del senso, al livello pi profondo dellenunciato, come funzione espressiva primitiva impersonale e in rapporto con ambiti non discorsivi13. In base al primo di questi postulati il linguaggio sarebbe informativo e comunicativo, ma Deleuze, lavorando sul modello offerto dalluso del linguaggio da parte di un insegnante nellesercizio delle
Ivi, p. 25. Ivi, p. 214. 11 Ivi, p. 219. 12 C.-C. HRLE, Linguaggio, evento, paradosso. Sulla Logica del senso di Deleuze, in Figure del paradosso, a cura di R. Genovese, Napoli, Liguori, 1992, p. 143. 13 Cf. G. DELEUZE, Foucault, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1987, pp. 13-31.
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sue funzioni, rileva che esso in realt impone qualcosa al bambino, cio d ordini, e non si preoccupa neppure di essere creduto, ma che si obbedisca, secondo il modello dei comunicati della polizia o del governo, indifferenti alla loro stessa verosimiglianza. Perci lunit elementare del linguaggio lenunciato la parola dordine14, che Deleuze definisce non una categoria particolare di enunciati espliciti (per esempio allimperativo), ma il rapporto di ogni parola o di ogni enunciato con presupposti impliciti, cio con atti di parola che si compiono nellenunciato e possono compiersi soltanto in esso, per cui le parole dordine rinviano a tutti gli atti che sono legati a enunciati da un obbligo sociale, e lintero linguaggio non pu essere definito se non dallinsieme delle parole dordine, presupposti impliciti o atti di parola che insistono a un dato momento in una lingua15. La teoria critica del linguaggio in Mille piani ruota tutta intorno a questa asserzione. Deleuze sottolinea infatti come non ci sia enunciato che non contenga questo rapporto, per cui anche una domanda o una promessa sono in realt parole dordine. Al linguaggio interessa solo che qualcosa venga detta, essa poi comunicher la quantit minima dinformazione necessaria a trasmettere e far eseguire un ordine. In questo senso il linguaggio non si limita ad andare da un primo a un secondo, da qualcuno che ha visto a qualcuno che non ha visto, ma necessariamente da un secondo a un terzo, nessuno dei quali ha visto, cio trasmette ci che stato comunicato, un sentito: lorigine del linguaggio il linguaggio, e la traslazione propria del linguaggio quella del discorso indiretto16. Ogni linguaggio trasmissione di parole dordine in quanto discorso indiretto, e viceversa, e per questo la parola dordine una funzione coestensiva al linguaggio. Per spiegare questa coestensivit Deleuze si appoggia alle tesi di Austin secondo le quali tra parola ed azione non ci sono rapporti estrinseci, come descrivere o provocare unazione, ma anche rapporti intrinseci in quanto ci sono azioni che si compiono dicendole, nel linguaggio performativo, o semplicemente parlando, nel linguaggio illocutivo. In entrambi i casi ci troviamo davanti a presupposti impliciti o non discorsivi del linguaggio. Gi da questo Deleuze trae tre conseguenze: limpossibilit di concepire il linguaggio come un codice e la parola come la comunicazione di uninfor14 G. DELEUZE F. GUATTARI, Mille piani, trad. it. Roma, Cooper & Castelvecchi, 2003, p. 127. 15 Ivi, p. 131. 16 Ivi, p. 129.

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mazione, che presuppongono un uso pi ristretto del linguaggio; la centralit della pragmatica, che diviene il presupposto delle altre dimensioni del linguaggio; e infine limpossibilit di distinguere lingua e parola perch non esiste un uso individuale di una significazione primaria o di una sintassi al di fuori degli atti di parola che esse presuppongono. Ma sulla base di questo Deleuze sottolinea che mentre il performativo non rinvia a degli atti, ma, come dimostra Benveniste, a termini autoreferenziali, i cosiddetti shifters, come io, tu ecc., in modo che gli atti sono spiegati da una struttura di soggettivit, lillocutivo che si spiega con atti equivalenti di atti giuridici che distribuiscono i soggetti nella lingua, e cos costituisce i presupposti impliciti o non discorsivi e spiega lo stesso performativo. Ora, fra lenunciato e latto non c identit, ma piuttosto ridondanza. La parola dordine questa ridondanza, alla quale sono subordinate sia linformazione e la comunicazione, sia la significanza e la soggettivazione, per cui non c significanza indipendente dalle significazioni dominanti, non c soggettivazione indipendente da un ordine costituito di assoggettamento, poich ambedue dipendono dalla natura e dalla trasmissione delle parole dordine in un determinato campo sociale, e quindi, pi in generale, non vi enunciazione individuale e neppure soggetto denunciazione17: lenunciazione sempre sociale, rinvia a concatenamenti collettivi che determinano come propria conseguenza i processi relativi di soggettivazione, le assegnazioni di individualit e le loro distribuzioni mobili nel discorso e che Deleuze identifica appunto con i complessi ridondanti dellatto e dellenunciato che lo compie, secondo un modello che ricorda levento di Logica del senso. Deleuze ritiene infatti ancora provvisoria tale definizione, e indica la via per giungere ad una definizione pi compiuta nella comprensione degli atti immanenti al linguaggio, che egli definisce ora appunto come gli eventi di Logica del senso, cio come linsieme delle trasformazioni incorporee che hanno corso in una determinata societ e che si attribuiscono ai corpi di questa societ18, che sono lespresso di un enunciato. Esempi di questa trasformazione incorporea sono trovati da Deleuze nella sentenza di un magistrato, che trasforma un imputato in un condannato senza incidere sulla corporeit, n sua n di altri; o nel decreto di mobilitazione generale che trasforma i cittadini in soldati. Ci che caratterizza tutti questi casi listantaneit del rapporto dellenunciato con le trasformazioni incorporee che esso esprime.
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Ivi, p. 132. Ivi, p. 133.

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A questo punto non resta altro da specificare della critica deleuziana del primo presupposto della linguistica se non lenfasi che Deleuze pone sulla centralit della pragmatica in quanto politica della lingua, capace di mostrare fino a che punto la politica lavori la lingua dallinterno, facendo variare non soltanto il lessico, ma la struttura e tutti gli elementi delle frasi, nello stesso tempo in cui le parole dordine mutano19. La pragmatica infatti definisce leffettuazione della condizione del linguaggio e luso degli elementi della lingua20, che sono compiuti appunto dalle parole dordine e dai concatenamenti collettivi, che non si confondono con il linguaggio, che si trasformano ma non in funzione del linguaggio, ma senza i quali il linguaggio rimarrebbe pura virtualit21. Grazie a questa effettuazione la parola dordine, attraverso il concatenamento collettivo da cui discende, una funzione coestensiva al linguaggio. A partire da questi presupposti, e continuando a riprendere le analisi di Logica del senso, Deleuze obietta al secondo postulato della linguistica, che attribuisce alla lingua lautonomia da fattori esterni, che una lingua presenta una forma di contenuto, che la trama dei corpi, e una forma despressione, che il concatenamento degli espressi, espressione di trasformazioni incorporee. Queste due forme sono indipendenti ed eterogenee, e la seconda si attribuisce ai corpi, ma non per descriverli o rappresentarli, bens per intervenire con le sue trasformazioni istantanee nei contenuti e nelle loro modificazioni continue: in breve, lindipendenza funzionale delle due forme soltanto la forma della loro presupposizione reciproca e del passaggio incessante dalluna allaltra22. Qui Deleuze mette in guardia da due possibili errori che egli ritiene derivare da una concezione dellenunciato da lui definita ideologica, e che caratterizzano in fondo la concezione tradizionale della lingua. Il primo consiste nel credere che il contenuto determini lespressione per azione causale. Tale errore non tiene conto dellindipendenza delle forme di contenuto e di espressione ed attribuisce loro le lotte che attraversano un corpo sociale e da cui invece sono esenti, mentre esse vengono prese dal concatenamento collettivo che le deterritorializza e le riterritorializza determinando sia le loro variabili sia le loro inserzioni reciproche. Il secondo errore consiste invece nel credere alla sufficienza dellespressione come sisteIvi, pp. 135-136. Ivi, p. 139. 21 Ivi, p. 138. 22 Ivi, p. 141.
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ma linguistico identificato come una semantica di fronte a cui i contenuti verrebbero considerati un semplice riferimento e la pragmatica unesteriorit di fattori non linguistici. A questa concezione Deleuze obietta di non essere abbastanza astratta, di fermarsi ad un livello di astrazione intermedia dove i fattori linguistici possono essere considerati in se stessi e come delle costanti. Procedendo invece verso una maggiore astrazione si raggiungerebbe un livello in cui queste costanti farebbero posto a delle variabili despressione inseparabili da variabili di contenuto, cio si rivelerebbe la pragmatica interna ad ogni linguistica. Ora contenuto ed espressione non sono pi il significato e il significante, ma le variabili del concatenamento e la lingua appare penetrata dal campo sociale e dai problemi politici, dislocata su un piano i cui elementi non hanno pi un ordine lineare fisso23. Lidea che la lingua contenga delle costanti o universali si presenta anche alla base di quello che Deleuze individua come il terzo postulato della linguistica, autorizzando la definizione della lingua come sistema omogeneo e tenendolo ancor pi al riparo dalla pragmatica. Al di l del fatto che questo problema assume varie forme tra loro connesse che Deleuze illustra e che qui non possibile riprendere, Deleuze contesta che ci sia ragione di legare lastratto alluniversale o al costante, poich anzi ogni sistema in variazione e non si definisce per le sue costanti e le sue omogeneit, ma al contrario per una variabilit che ha la caratteristica di essere immanente, continua, e regolata in modo assai particolare24. Una lingua allora definita non tanto dalle sue invarianti quanto dalla linea di variazione che lattraversa e che investe non solo le situazioni, ma anche lenunciato, secondo, appunto, il punto di vista della pragmatica gi chiarito da Deleuze. Quanto alla linea di variazione, Deleuze la definisce in termini bergsoniani, e perci ontologici, come un virtuale che reale senza essere attuale, quindi dotata di una continuit che non la continuit della variabile, che pu interrompersi senza che si interrompa la sua variazione continua, secondo un modello che Deleuze ritrova nelle procedure della musica. La legittimit di questa interpretazione della struttura, o forse meglio della vita di una lingua scaturisce dalla constatazione che tutte le lingue sono in variazione continua immanente: n sincronia n diacronia, ma asincronia, cromatismo come stato variabile e continuo della lingua25, e in questa variazione Deleuze vede consistere quello che chiamiamo stile, che
Ivi, p. 146. Ivi, pp. 148-149. 25 Ivi, p. 154.
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finisce col formare una lingua nella lingua, in modo che la linguistica deve aprirsi non solo alla pragmatica, ma anche a quella stilistica che stata invece tradizionalmente tenuta distinta da essa. Perci Deleuze pu concludere che non c [] motivo di distinguere una lingua collettiva e costante e degli atti di parola, variabili e individuali, poich una lingua non universale e nemmeno generale, singolare; [] non ha regole obbligatorie e invariabili, ma regole facoltative che variano incessantemente con la variazione stessa, essa come il diagramma di un concatenamento: traccia le linee di variazione continua, mentre il concatenamento concreto tratta le variabili26, e questo per Deleuze un altro modo di esprimere la coestensivit della parola dordine alla lingua, indicando nei soggetti parlanti i vettori dellarticolarsi concreto del concatenamento nella lingua. Ma lemergere di questultimo aspetto della lingua mette in crisi anche il quarto postulato della linguistica: la trattabilit scientifica della lingua solo nelle condizioni di una lingua maggiore o standard. Deleuze rimprovera a questo metodi di fare tuttuno con un modello politico attraverso il quale la lingua viene omogeneizzata, centralizzata, standardizzata, lingua di potere, maggiore o dominante, poich formare frasi grammaticalmente corrette , per lindividuo normale, la condizione preliminare di ogni sottomissione alle leggi sociali: lunit di una lingua anzitutto politica27, e la politica impone ai parlanti le costanti isolate dalla scienza, raddoppiando limpresa di questa. E tuttavia Deleuze si rifiuta di opporre alle lingue maggiori delle lingue minori definite dalla potenza della variazione quali potrebbero essere i dialetti o le lingue che su scala mondiale cedono alla supremazia dellinglese. Una lingua minore infatti finisce con lessere trattata allo stesso modo di una lingua maggiore, in modo da diventare una lingua maggiore locale, ma allo stesso tempo non c lingua maggiore, e linglese ne la prova pi evidente, che non sia lavorata dallinterno da variazioni continue a cui sottoposta dalle sue minoranze che la espongono al modo di essere minore. Anche qui, come in tutta questa analisi, Deleuze contrappone i risultati della sociolinguistica di W. Labov al modello generativista di Chomsky, da lui ritenuto troppo rigido, o tale da irrigidire il divenire di una lingua legato ad istanze extralinguistiche. In realt dunque maggiore e minore non qualificano due lingue, ma due usi o funzioni della lingua28, o due trattamenti possibili di una stessa
Ivi, p. 157. Ivi, p. 158. 28 Ivi, p. 162.
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lingua, luno dei quali estrae costanti dalle variabili, laltro mette tutti gli elementi di una lingua in variazione continua lasciando spazio allazione dei tratti non distintivi, pragmatici, prosodici di essa, come quella esercitata dal tono sui fonemi, dallaccento sui morfemi, dallintonazione sulla sintassi: costante non si oppone a variabile, un trattamento della variabile che si oppone ad un altro quello della variazione continua29. In questo una lingua minore appare allo stesso tempo pi ricca e pi povera: la sua povert una sottrazione di costanti, e la sua ricchezza unestensione delle variazioni, per cui non abbiamo a che fare con una povert e una sovrabbondanza che differenzierebbero le lingue minori in rapporto a una lingua maggiore/standard, ma con una sobriet e una variazione simili a un trattamento minore della lingua standard, a un divenir-minore della lingua maggiore. Il problema non quello di una distinzione fra lingua maggiore e lingua minore, ma quello di un divenire30. Ancora una volta ed anche in questo caso come in tutto il suo pensiero, Deleuze sostituisce ad un modello dualistico un modello fortemente monistico e fortemente dinamico. Ma se il primo modello aveva senzaltro una matrice strutturalista, poich la linguistica strutturale si costruisce su dualismi come lingua/parola o asse sintagmatico/asse paradigmatico, la sua sostituzione mostra quanto lanalisi del linguaggio sia importante per Deleuze anche come terreno sul quale prendere le distanze dallo strutturalismo, che secondo lui non rende conto di questi divenire, che esso anzi svaluta in quanto vi scorge fenomeni di degradazione che deviano lordine vero e proprio e dipendono dalle avventure della diacronia31. Deleuze insiste molto su questo divenire, perch gli permette di distinguere nella nozione di minore il momento politico e giuridico della minoranza, come stato definibile in base ad una sua territorialit, come un sottoinsieme non creativo, non rivoluzionario, quale pu essere appunto il dialetto, o lo slang di un ghetto, e il momento del minoritario, i cui germi sono contenuti nella condizione di minoranza ma che sorge solo nella forma di un divenire minoritario di tutti che trascina tutte le dimensioni di una lingua maggiore e a cui Deleuze d il nome di autonomia grazie proprio al suo continuo sottrarsi creativo allo spazio della Dominazione e del Potere, al Fatto maggioritario che di Nessuno32. Il problema allora non
Ivi, p. 161. Ivi, pp. 162-163. 31 Ivi, p. 340. 32 Cf. ivi, pp. 164-165.
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pi neanche quello del trattamento maggiore o minore di una lingua, ma, pi radicalmente, del divenire minoritario di essa attraverso la variazione continua. Ma qui lanalisi di Deleuze ritorna al suo punto di partenza, se mai se ne era allontanata, alla parola dordine che, effettuando le condizioni di una lingua, rende conto del trattamento delle variabili e definisce luso della lingua stessa. Ora, la parola dordine ha due aspetti: da un lato, come si gi visto, sentenza, verdetto che attribuisce ai corpi una trasformazione immediata, e come tale essa figura; dallaltro come un grido dallarme e un segnale di fuga, e qui le variabili entrano nella variazione continua, le trasformazioni incorporee non cessano di essere attribuite ai corpi, e la figura viene esaurita. Ora la lingua tende al proprio limite e la forma di espressione e quella di contenuto non si possono pi distinguere ma implodono nel gioco di una stessa materia senza figura, che serve da espressione come potenza incorporea e da contenuto come corporeit senza limiti. Un divenire minoritario del linguaggio dovr allora ritrovare il continuum virtuale della vita sviluppando tutta la potenza di fuga della parola dordine, dovr estrarre una parola dordine dalla parola dordine, poich sotto le parole dordine vi sono parole lasciapassare. Parole che sarebbero come di passaggio, mentre le parole dordine segnano arresti, composizioni stratificate, organizzate. La stessa cosa, la stessa parola, ha probabilmente questa doppia natura: bisogna estrarre luna dallaltra trasformare le composizioni dordine in componenti di passaggio33. Prima di vedere come secondo Deleuze questa trasformazione possibile e soprattutto da parte di chi essa pu essere effettuata, va notato che la teoria della lingua elaborata da Deleuze e finora esposta si apre su altre prospettive che Deleuze non manca di esaminare e che qui possibile solo indicare. Infatti, poich i concatenamenti si riuniscono in un regime di segni o macchina semiotica, Deleuze rileva che una societ attraversata da molte semiotiche e possiede di fatto regimi misti34. Queste semiotiche sono speculari agli usi della lingua descritti finora. Deleuze ne distingue quattro, da quella pi rigida, la semiotica significante, in cui i segni rinviano luno allaltro e sono organizzati intorno a un Significante, il viso, a quella pi flessibile, la semiotica postsignificante, in cui un segno o un fa33 Ivi, pp. 169-170. Si noti come gi in Foucault cit. la nozione di passaggio era servita a Deleuze a definire lenunciato nella sua caratteristica di variazione continua attraverso sistemi eterogenei. 34 G. DELEUZE, Mille piani, cit., p. 137.

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scio di segni si distacca dalla rete circolare e fila su una linea retta lavorando per proprio conto, il rapporto di significazione sostituito da un rapporto di enunciazione, il soggetto da una concatenazione collettiva di enunciazione che attiva un processo di soggettivazione, e il significante viene meno perch il viso si distoglie e si mette di profilo. Eppure in tutte queste semiotiche ancora attiva una procedura di surcodificazione, affidata in ciascuna di esse a unistanza diversa, e perfino nella quarta la linea di fuga che emerge ancora negativa. Perci Deleuze contrappone ad essa una diagrammatica come piano in cui la linea di fuga acquista valenza positiva determinando lesplosione delle semiotiche e il disfacimento del viso, garante della significazione e della soggettivazione che schiacciano la polivocit. La lingua dunque come sistema di significazione promana dal volto del despota che parla frontalmente distribuendo parole dordine, mentre come diagramma della linea di fuga delle variabili denunciazione si muove su un volto che non una superficie liscia ma segnata da buchi attraverso cui ribollono e risalgono le profondit della caverna platonica e le altezze sprofondano irrimediabilmente, congiungendo questi buchi, questi fulcri di passione di unidentit dissolta: essa la lingua del cogito per un io dissolto di cui Deleuze aveva parlato in Differenza e ripetizione. E con questo appunto lanalisi del linguaggio in Deleuze si apre anche sul problema di una nuova costituzione della soggettivit. Ma qui si torna al punto dove ci eravamo fermati prima di questa breve digressione: chiarire chi questo io dissolto che parla significa chiarire chi effettua il divenire minoritario della lingua e quale la sua lingua. Se fino ad ora Deleuze attraverso la critica della linguistica ha fornito le coordinate di una teoria materialistica del linguaggio, il compito che gli sta davanti ora di produrre un linguaggio che riproduca il simulacro come puro divenire e quindi il caos popolato dai simulacri. A questo scopo si rivela proficua la nozione di variazione continua. Essa produce infatti una nuova forma di ridondanza caratterizzata dallenfasi sulla congiunzione e che viene ripetuta allinfinito proprio per mettere in variazione le variabili. In questo modo la variazione continua traduce quella sintesi disgiuntiva che in Differenza e ripetizione aveva affermato le serie divergenti di attualizzazione della virtualit dellessere problematico, e nellAnti-Edipo aveva espresso la potenza del desiderio35, in entrambi i casi in funzione di critica dellidentit. In Logica del senso questo modello era stato applicato al linguaggio come
35

Cf. G. DELEUZE-F. GUATTARI, Lanti-Edipo, trad. it. Torino, Einaudi, 1975, pp. 82 sgg.

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espressione del senso, cio dellevento puro, paradossale, problematico, per spiegare il rapporto di significazione come articolazione di due serie grazie ad un elemento mobile eccedente nelluna e assente nellaltra e capace non solo di connettere le due serie, ma anche di ramificarle e differenziarle allinfinito36. Questo elemento dunque gioca un ruolo di tensore, fa in modo cio che la lingua tenda verso un limite dei suoi elementi, forme o nozioni, verso un al di qua o un al di l della lingua: il tensore opera una specie di transitivizzazione della frase e causa una reazione dellultimo termine su quello che lo precede [] Esso assicura un trattamento intensivo e cromatico della lingua37, quel trattamento cio in cui consiste la messa in variazione, il divenire minoritario. Deleuze indica nelle sue diverse opere vari tipi di tensori. Tale pu essere la stessa congiunzione e nel suo eterno contrapporsi al verbo , che afferma lidentit. In Logica del senso tensori sono le parole esoteriche di scrittori come il Joyce di Finnegans Wake o Lewis Carroll e tra esse soprattutto quelle che Deleuze chiama parole-bauli, che non si limitano a contrarre due serie eterogenee o a farle coesistere, ma le disgiungono perch operano una ramificazione infinita delle serie coesistenti, e vertono a un tempo sulle parole e sui sensi, sugli elementi sillabici e semiologici38. Ad un livello superiore tensori sono le espressioni atipiche, agrammaticali, asintattiche e asemantiche, che deterritorializzano una lingua strappando le forme corrette al loro stato di costanti, come quelle, che Deleuze ritrova in Cummings, del tipo he danced his did o they went their came. Tensori sono infine quelle che Deleuze chiama le lingue segrete, dialetti, gerghi, lingue professionali, filastrocche, grida di venditori, lingue intensive e cromatiche capaci di operare variazioni continue sugli elementi comuni di una lingua, di mettere in variazione il sistema delle sue variabili39. Quando il tensore riesce a mettere in variazione una lingua, si riconosce dal prodursi di una sorta di effetto di balbuzie, come quella legata al ripetersi della congiunzione e. Ma Deleuze precisa che si tratta qui di una balbuzie particolare, come quando si diviene balbuzienti del linguaggio e non soltanto della parola. Essere uno straniero, ma nella propria lingua [] Essere bilingue, multilingue, ma in una sola, medesima lingua, senza avere nemmeno un dialetto o un gergo. Essere un bastardo, un meticcio.
Cf. G. DELEUZE, Logica del senso, cit., pp. 30 sgg. G. DELEUZE, Mille piani, cit., p. 156. 38 G. DELEUZE, Logica del senso, cit., p. 49. 39 Cf. G. DELEUZE, Mille piani, cit., pp. 153 e 156.
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cos che lo stile si fa lingua. cos che il linguaggio diventa intensivo, puro continuum di valori e dintensit40, diventa minoritario, linguaggio non pi delle altezze ideali ma delle passioni corporee. Non hanno allora torto coloro che credono che la messa in variazione della lingua sia un affare di bambini, di pazzi o di poeti, e se Deleuze li critica solo perch ritengono che sia un affare solo di costoro, destinato a rimanere marginale e a non esprimere il lavoro ordinario di una lingua, poich egli stesso, quando deve indicare forme di messa in variazione di una lingua, ricorre agli esempi forniti dai bambini, dai pazzi e dai poeti. Per quanto riguarda i bambini pu valere lesempio del linguaggio messo in campo da Carroll o quello delle filastrocche, tanto pi che Deleuze si occupa poco di loro, mentre maggiore attenzione rivolge ai pazzi. In Logica del senso Deleuze aveva anticipato questa attenzione attraverso una ripresa di Artaud e della sua avversione per le parole esoteriche di Carroll. In Artaud infatti la funzione di tensore svolta da una parola sovraccaricata di consonanti gutturali che restituiscono non tanto una sintesi di valori fonetici di serie divergenti quanto i valori tonici del tutto inarticolati espressi dai rumori della profondit. Questo linguaggio ritrovato da Deleuze appunto nella schizofrenia attraverso lanalisi del delirio linguistico di Lewis Wolfson, che consiste nella conversione continua di termini di una lingua in termini di unaltra lungo linee segnate dalla presenza di consonanti comuni. Il procedimento di Wolfson infatti esemplare per Deleuze, in quanto indica il ruolo di agenti di disgiunzione che le parole hanno nel linguaggio schizofrenico: ora infatti la parola intera perde il suo senso [] scoppia in frammenti, si decompone in sillabe, lettere, soprattutto consonanti [] ha cessato di esprimere un attributo di stato di cose, i suoi frammenti si confondono con qualit sonore insopportabili41, diventano valori fonetici urtanti, esclusivamente tonici e non scritti, che sostituiscono i valori letterali, sillabici e fonetici. una parola-passione che ricade sul corpo e lo fa soffrire, cancellando la linea di distinzione e articolazione dei corpi e degli enunciati, del significante e del significato, linea del senso e del linguaggio, e rendendo quindi impossibile lintera organizzazione di questultimo. Nel linguaggio schizofrenico infatti la parola funziona come un oggetto parziale che non deriva da un tutto e non finalizzato ad esso, anzi ribelle ad ogni totalizzazione e ad ogni simbolizzazione, tale da imporre il suo carattere
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Ivi, p. 155. G. DELEUZE, Le schizophrne et le mot, Critique XXIV (1968) 255-256, p. 740.

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di frammento anche a ci che rappresenta. Da ci deriva una logica delloggetto parziale caratterizzata da questo rapporto pezzo su pezzo come rapporto di imbricazione violenta e di insufflazione di flussi attraverso cui le cose sono prese nelle parole42, che rende impossibile sia la designazione, sia la significazione, sia il senso in forza della differenza tra un pezzo e laltro e della definizione di ogni pezzo in base ad una molteplicit formale. Ma ancor pi attenzione Deleuze rivolge al linguaggio letterario, la cui analisi domina tutta lultima fase del suo pensiero. Gi linteresse per Carroll e Artaud in Logica del senso, pur collocandosi allinterno di un pi vasto e sempre costante interesse di Deleuze per la letteratura, aveva testimoniato questa attenzione, ma ci che ora diviene centrale nella sua ricerca di modelli ed esempi di un uso bastardo, balbuziente, straniero della lingua lesperienza dello scrittore alloglotto, dellirlandese Becket che scrive contemporaneamente in inglese e in francese, o dellebreo ceco Kafka che scrive in tedesco, vero modello , secondo Deleuze, di una lingua minore, poich nellImpero austriaco, il ceco una lingua minore in rapporto al tedesco; ma il tedesco di Praga funziona gi come lingua potenzialmente minore in rapporto a quello di Vienna o di Berlino; e Kafka [] fa subire al tedesco un trattamento creatore di lingua minore, costruendo un continuum di variazione, negoziando tutte le variabili per restringere le costanti ed estendere contemporaneamente le variazioni43. Kafka produce in questo modo un linguaggio che cessa di essere rappresentativo per tendere verso i suoi limiti o i suoi estremi44, poich sfrutta i suoi elementi intensivi o tensori e cos recupera le modalit schizofreniche del linguaggio diventando un linguaggio di puri suoni, strappato al senso, conquistato sul senso, che opera una neutralizzazione del senso, [e] trova la propria direzione solo in un accento di parola, in uninflessione45. Questo linguaggio soddisfa per Deleuze le tre condizioni che qualificano quella che egli chiama una letteratura minore, e cio la deterritorializzazione della lingua, linnesto dellindividuale sullimmediato-politico, il concatenamento collettivo denunciazione46, grazie alle quali la letteratura diviene real42 G. DELEUZE, Schizologie, Prface L. Wolfson, Le schizo et les langues, Paris, Gallimard, 1970, pp. 14-15. 43 G. DELEUZE, Mille piani, cit., p. 162. 44 G. DELEUZE-F. GUATTARI, Kafka. Per una letteratura minore, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1975, p. 38. 45 Ivi, p. 35. 46 Ivi, p. 30.

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mente macchina collettiva despressione47, capace di disorganizzare le proprie forme, e di disorganizzare le forme di contenuti, per liberare dei puri contenuti che si confonderanno con le espressioni in ununica materia intensa48. Si d dunque letteratura minore solo attraverso luso minore del linguaggio, ma questa la sola condizione a cui la letteratura veramente popolare, rivoluzionaria, creativa. Ma questa non una questione che riguarda solo la letteratura, poich anzi ciascuno deve trovare la lingua minore, dialetto o piuttosto idioletto, a partire dalla quale potr rendere minore la sua propria lingua maggiore: questa la lezione che ci viene dalla letteratura minore, da quegli autori che vengono chiamati minori, e sono i pi grandi, i soli realmente grandi: dover conquistare la loro stessa lingua, raggiungere cio nelluso della lingua maggiore una sobriet che potr metterla in stato di variazione continua49. Perci luso minore della lingua contribuisce anche a individuare quella figura che Deleuze chiama lanomalo rispetto al proprio gruppo, cio quel fenomeno dei bordi che porta solo affetti50 e per questo non solo orla ogni molteplicit di cui determina, con la dimensione massima provvisoria, la stabilit temporanea e locale; [] ma conduce le trasformazioni di divenire o i passaggi di molteplicit sempre pi lontano sulla linea di fuga51 deterritorializzando il proprio gruppo stesso. Luso minore della lingua allora un compito che riguarda tutti, allinterno del generale compito di divenire minoritari, di divenire minoranze e come aspetto specifico di esso. Ma poich Deleuze convinto che divenir-minoritario una questione politica che ricorre a tutto un lavoro di potenza, a una micropolitica attiva52, si vede in quale direzione si allarga il discorso di Deleuze sul linguaggio. C la lingua maggiore, lingua della maggioranza, della grammatica e della sintassi, lingua dei soggetti identitari, lingua delle altezze, della metafisica e del potere, e c la lingua minore, quella delle minoranze, lingua delle intensit, del divenire, della variazione continua, lingua dei soggetti scissi, delle identit perdute, della schizofrenia, lingua delle profondit corporee e delle loro passioni che trascinano le
Ivi, p. 31. Ivi, p. 45. 49 G. DELEUZE, Mille piani, cit., p. 163. 50 Ivi, p. 349. 51 Ivi, p. 355. 52 Ivi, p. 406.
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identit, lingua dei nomadi e di un pensiero nomade. Parlare di una pragmatica della lingua significa collocare la lingua su questo sfondo articolato in cui politica e pensiero, inconscio e societ ricadono luno sullaltra. Significa capire che il linguaggio attraversato dalla politica, un campo di battaglia tra listanza del potere e quella della sovversione. Significa pensare che la rivoluzione anche un microprocesso che riguarda il modo stesso di parlare come espressione di un modo di pensare e di vivere. Significa ribadire che nella lingua non in questione solo la lingua.

PAOLO VIRNO Passioni e regresso allinfinito1

La preminenza da accordare ad alcune categorie logiche in una antropologia materialistica dipende in misura ragguardevole dal fatto che senza il loro ausilio andrebbe a vuoto ogni tentativo di ricostruire la trama delle passioni tipicamente umane. Non vi una sola tonalit emotiva degna di nota, tale cio da qualificare il rapporto dellHomo sapiens con lambiente e i conspecifici, che non sia innervata o modificata alla radice dalla negazione, dalla modalit del possibile, dal regresso allinfinito. Proprio queste tre strutture logiche, che pure appartengono alla regione pi disincarnata e autoriflessiva del pensiero verbale, garantiscono larticolazione tra il pensiero verbale nel suo insieme e lambito percettivo-pulsionale. Le passioni della nostra specie sono il risultato di questa articolazione. Scrive Aristotele: un desiderio che pensa, e un pensiero che desidera, questo luomo (EN, 1139 b 4-5; cf. LO PIPARO 2003, pp. 14-19). A determinare non tanto i pensieri del desiderio e i desideri del pensiero, quanto la stessa giuntura tra desiderio e pensiero, provvedono sempre di nuovo, come si detto, la negazione, la modalit del possibile, il regresso allinfinito. Sicch, una teoria delle passioni che voglia aderire realmente al proprio oggetto, evitando di perdersi nelle astrazioni a un tempo spassionate e spensierate di cui prodigo lapproccio psicologistico, deve rivolgere senzaltro lo sguardo alla logica. In queste pagine, tuttavia, non sono in questione la negazione e la modalit del possibile, ma soltanto il regresso allinfinito. Si tratta dunque di capire in che modo le cos via privo di esito incida sugli affetti dellanimale umano, alcuni riorganizzandoli in profondit, altri addirittura suscitandoli di bel nuovo. Le passioni dellanimale umano sono legate a doppio filo alle tre prerogative fondamentali che consentono alla nostra specie di adattarsi al contesto vitale: liper-riflessivit, ossia la necessit biologica di rappresentare le proprie rappresentazioni e di intervenire operativamente sulle proprie o1 Avvertenza. Questo testo corrisponde ad una parte di un lavoro pi ampio in svolgimento, il cui tema limportanza che ha la figura logica del regresso allinfinito per una antropologia dalle spalle larghe, in grado cio di cogliere realmente i tratti salienti della nostra specie.

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perazioni; la trascendenza, ossia la necessit biologica di proiettarsi al di l del qui-e-ora per restare aggrappati a esso, di distaccarsi dalla propria vita per continuare a vivere; la duplicit di aspetto, ossia la necessit biologica di una esistenza artificiale o storico-culturale, comunque extra-biologica. Le passioni dellanimale umano mettono radici in questi dispositivi adattativi, li segnano da cima a fondo, ne sono definite e concorrono a definirli. Non mi sembra azzardato parlare partitamente di affetti iper-riflessivi, stati danimo trascendenti, emozioni dal duplice aspetto. quel che far di qui a poco. Prima, per, indispensabile una considerazione di portata generale. Sappiamo che le tre prerogative bio-antropologiche sono sottoposte alla ricorsivit sintattica (cf. CHOMSKY 1957, 1965, 1975 e PUTNAM 1981): possono applicarsi nuovamente, cio, agli stati di cose che proprio esse hanno appena generato. Sappiamo anche che, se reiterate ricorsivamente, liper-riflessivit, la trascendenza, la duplicit di aspetto danno luogo a un regresso allinfinito: ogni metarappresentazione diventa la materia prima di unaltra e pi potente rappresentazione, ogni trascendimento del qui-e-ora figura come il punto di partenza di un ulteriore trascendimento. Ora, del tutto evidente che le tonalit emotive della nostra specie, essendo radicate nelle tre prerogative bio-antropologiche, risultano esse pure passibili di reiterazione ricorsiva: un affetto si applica ogni volta da capo alla situazione che la sua stessa insorgenza ha provocato. Poich la ricorsivit sintattica non cessa di modularle, anche le passioni, al pari dei dispositivi adattativi in cui si incistano, sono aperte a un regresso allinfinito. Ci che conta questa apertura, non leffettivo decorso del regresso. la semplice possibilit di un inconcludente e cos via a determinare la natura delle passioni, nonch i modi della loro manifestazione. La tristezza istantanea e la gioia di un breve momento, pur non duplicandosi realmente in tristezza per la tristezza e in gioia per la gioia, sono quel che sono perch potrebbero nondimeno duplicarsi pi e pi volte, ovvero perch non mancano mai di covare in seno una interminabile marcia a ritroso. Emozioni e ricorsivit sintattica, affetti e regresso allinfinito. Lesame di questo nesso cruciale si articola nei seguenti passi: a) lindividuazione di una passione talmente basilare, da risultare coestensiva a tutte tre le prerogative bio-antropologiche, inseparabile dalla loro stessa definizione; b) una rassegna sommaria delle passioni che, viceversa, concernono specificamente lesercizio delluna o dellaltra singola prerogativa; c) la descrizione del modo in cui una gerarchia ascendente di livelli logici trasforma alcuni affetti fino a renderli meritevoli di un nuovo nome; d) la messa in rilievo

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dei sentimenti che, lungi dal preesistere al regresso ed essere poi riplasmati da esso, si presentano piuttosto come i sentimenti del regresso: dunque quelli che, oltre a costituire una conseguenza diretta delle cos via privo di esito, hanno in questultimo il loro peculiare contenuto emotivo. 1. Lanimale vergognoso Liper-riflessivit, la trascendenza, la duplicit di aspetto introiettano e metabolizzano un dato di fatto che caratterizza la nostra specie: la mancanza di una corrispondenza biunivoca tra il profluvio di stimoli provenienti dallambiente e le azioni da compiere per conservare e potenziare la propria vita (cf. GEHLEN 1940). Poich le impressioni percettive non si traducono in un repertorio di compiti operativi, lanimale umano affetto da una basilare incertezza la cui tonalit emotiva la vergogna. Vergogna di non sapere che cosa fare nelluna o nellaltra circostanza, di non discernere con innata sicurezza ci che nocivo da ci che propizio. Vergogna di compiere azioni sempre e comunque arbitrarie, mai veramente proporzionate alle sollecitazioni sensoriali. Le tre prerogative bio-antropologiche, insieme alla mancata corrispondenza tra stimoli ambientali e comportamenti vantaggiosi, introiettano e metabolizzano anche la tonalit emotiva che a tale deficit intimamente correlata. La vergogna il contrappunto sentimentale della iper-riflessivit, della trascendenza, della duplicit di aspetto. Proprio questa passione accomuna i differenti dispositivi adattativi, costituendo linamovibile orizzonte contro cui si stagliano le loro particolari prestazioni. Come una sorta di basso continuo, la vergogna accompagna ogni metarappresentazione, ogni distanziamento dal proprio qui-e-ora, ogni condotta naturalmente artificiale. La loro incompletezza attestata dalla necessit di rappresentare la metarappresentazione, distanziarsi dal precedente distanziamento, elaborare un pi complesso artificio conferma sempre di nuovo, infatti, lo iato iniziale tra stimoli e azioni. ben vero, tuttavia, che le tre prerogative bio-antropologiche occultano per un momento loriginaria incertezza dellanimale umano. In tal modo, esse convertono la vergogna in pudore. Ma il sentimento del pudore ambivalente, dato che intensifica a dismisura limbarazzo che vorrebbe interdire. Loccultamento pudico della nostra incertezza circa le azioni da compiere implica che il suo prossimo e inevitabile disoccultamento sia pi increscioso che mai. Lungi dal combaciare con la paralisi e limpotenza, la vergogna anche operosa:

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la sua peculiare attivit consiste nel sollecitare un insieme di contromisure che, se per un verso sembrano placarla, per laltro la ripropongono con pi forza, come accade in ogni spirale che si rispetti. La costante metamorfosi del pudore adattativo in vergogna da disorientamento e della vergogna in pudore alimenta una marcia a ritroso sentimentale. Il pudore, del resto, gi in se stesso una vergogna alla seconda potenza, reiterata ricorsivamente: vergogna di avere vergogna, per lappunto. Dal canto suo, laperto imbarazzo che sopravviene subito dopo alla terza potenza, giacch comprende al proprio interno, come un gradino subordinato, la precedente tappa pudica: vergogna di avere vergogna di avere vergogna. E cos via, allinfinito. 2. Affetti iper-riflessivi, stati danimo trascendenti, emozioni dal duplice aspetto Nel novero delle passioni tipicamente umane, che dora in avanti chiamer senzaltro ricorsive, la vergogna gode di una posizione unica: in virt del suo carattere basilare e pervasivo, essa non esce mai di scena. Poich avvolge e impregna di s tanto liper-riflessivit che la trascendenza e la duplicit di aspetto, la vergogna fa tuttuno con lesistenza stessa di queste prerogative fondamentali della nostra specie, costituendo il loro minimo comune denominatore emotivo. Le rimanenti passioni sono connesse, invece, al concreto esercizio di una singola prerogativa. Alcuni affetti ineriscono soprattutto allattivit metarappresentativa, altri esprimono soltanto il cronico distanziamento dal contesto ambientale, altri ancora si limitano a scandire la perpetua oscillazione tra naturalezza e artificialit della prassi. opportuno soffermarsi su questa tripartizione. Se la vergogna uno sfondo sempre presente, le passioni cui ora accenneremo hanno una ubicazione circoscritta e ben rilevata allinterno dello spazio antropologico. Consideriamo anzitutto gli affetti iper-riflessivi. Inscindibili da una serie virtualmente infinita di metarappresentazioni sono, per esempio, la gelosia, la paura, il desiderio dellIo di essere riconosciuto da un altro Io. La gelosia implica la preliminare capacit di rappresentarsi le rappresentazioni della persona per la quale si prova questo sentimento, come pure la successiva inclinazione a prendere come oggetto di rappresentazione la propria iniziale, e assai dolente, metarappresentazione. La paura si nutre di una spirale di prestazioni riflessive rispetto allo stato di cose potenzialmente minaccioso: il timore che mi toglie il respiro si appunta sempre, oltre che sul pericolo determinato, sul resoconto allarmato che me ne faccio; sempre,

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quindi, timore del mio stesso temere. Il reciproco riconoscimento tra conspecifici d luogo a una gerarchia ascendente di desideri. Il singolo Io autocosciente, volendo essere riconosciuto per quel che , desidera che un altro Io lo desideri (cf. KOJVE 1947, trad. it. pp. 17-44). Ci che davvero gli manca di mancare al suo conspecifico. Leventuale desiderio del secondo Io consister, a sua volta, nel desiderare il desiderio del primo. Tuttavia, poich il desiderio di questi era fin dal principio un desiderio-del-desiderio, il secondo Io, l dove riconosca il primo, non si trover a desiderare il semplice desiderio di un altro animale umano, ma il suo pi complesso desiderio di essere desiderato. Va da s che anche il desiderio del primo Io soggetto, in linea di principio, a un innalzamento progressivo del proprio livello di riflessivit. Passiamo ora agli stati danimo trascendenti. Correlati al distanziamento dal proprio contesto vitale e da s medesimi in quanto parte di tale contesto sono, per esempio, la meraviglia, lorgoglio e lumilt, lambizione, la speranza, il senso di colpa. La meraviglia deriva dallavvertire i limiti dellambiente in cui nondimeno si racchiusi; o meglio, dallintendere il proprio immediato campo di azione come A+L, ambiente dato e limiti di esso. Corredata dalle passioni altalenanti (o addirittura simultanee) dellorgoglio e dellumilt, la meraviglia si ripresenta sempre di nuovo, ma ogni volta a un gradino logicamente pi elevato. Infatti, poich anche del campo di azione costituito da A+L si possono mettere a tema i limiti, si avr uno stupore alla seconda potenza, incardinato alla ulteriore (ma non conclusiva) dilatazione della nozione di ambiente: (A+L)+L. Lambizione e la speranza sono, esse pure, articolazioni emotive di quel requisito bio-antropologico che la trascendenza. Pi precisamente, ambizioso e carico di speranze lanimale che, dovendo garantire la sua stessa esistenza, si colloca sempre al di l di s medesimo come mero esistente. Il distanziamento dal contesto vitale, nonch dalla propria nuda vita, non va mai esente da un basilare senso di colpa, ovvero dal sentimento di essere sempre fuori posto e mai realmente autorizzato a fare quel che si sta facendo. Per niente statico, il senso di colpa aperto fin dallinizio a una reiterazione ricorsiva. Di pi: la colpa, quanto al resto indeterminata, risiede proprio nella deprecabile dimestichezza con il regresso allinfinito insito nella trascendenza. Infine, le emozioni dal duplice aspetto. Manifestazioni ragguardevoli dellunit-scissione tra biologia e cultura sono, per esempio, il sentimento del perturbante, lipocrisia, il disprezzo, quella passione della duttilit che chiamiamo per lo pi opportunismo. Perturbante uno stato danimo segna-

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to da una fondamentale ambivalenza: ci che pocanzi sembrava massimamente familiare e protettivo diventa, allimprovviso, inquietante e minaccioso. Questo stato danimo sopravviene allorch le istituzioni storicosociali, il cui compito primario sta nellattenuare la contingenza della prassi (dovuta alla sovrabbondanza di stimoli ambientali privi di una precisa finalit biologica), mostrano di essere, al tempo stesso, un formidabile moltiplicatore di tale contingenza. Una potenzialit informe, e per ci stesso minacciosa, prorompe proprio dagli apparati culturali (regole, abitudini) che dapprima lavevano tenuta a freno. Il sentimento del perturbante, che rende pressoch indiscernibili il pericolo e il riparo, il corrispettivo emotivo delloscillazione tra naturalit dellartificiale e artificialit del naturale. Anche lipocrisia e il disprezzo sono espressioni di una oscillazione siffatta, ossia di quellunit tra biologia e cultura che per si d a vedere proprio e soltanto come loro divaricazione. Ipocrita chi dissimula la naturalezza del proprio comportamento artificiale o, viceversa, cela lartificialit del proprio comportamento naturale. Dal canto suo, il disprezzo prende di mira la naturalezza in nome dellartificialit, ma anche, subito dopo, lartificialit in nome della naturalezza. La tonalit emotiva dellopportunismo rispecchia la reciproca implicazione tra i concetti di mondo e di ambiente. Opportunista chi sa assecondare col massimo di flessibilit adattiva sia la mondanizzazione di una nicchia (pseudo)ambientale, sia la successiva ambientalizzazione del mondo. Si potrebbe anche dire: opportunista colui che mostra una esasperata sensibilit per lo scarto che sussiste tra le regole e la loro applicazione in un caso particolare; o ancora, colui che se ne sta sempre a mezza strada tra le norme ben definite e ci che Wittgenstein (1953) ha chiamato il modo di comportarsi comune agli uomini (o la regolarit della nostra forma di vita). Inutile aggiungere che il sentimento del perturbante, lipocrisia, il disprezzo, lopportunismo sono passibili di reiterazione ricorsiva e, quindi, restano esposti alla possibilit di una marcia a ritroso senza fine. Anzi, sono quel che sono proprio perch segnati in ogni momento da questa possibilit. 3. La metamorfosi della paura in angoscia e della contentezza in felicit Tra le passioni appena menzionate e tra le molte sottaciute, ve ne sono alcune la cui natura originaria modificata in tutto o in parte dal regresso allinfinito, l dove esso, anzich restare una eventualit latente, arrivi a scandire realmente il loro dispiegamento. La trasformazione delle caratte-

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ristiche salienti di un certo affetto a causa di un interminabile e cos via ratificata, spesso, dalladozione di un nuovo nome cui spetta lonere di designare il risultato finale del mutamento intervenuto. Un esempio eminente la metamorfosi della paura, passione condivisa da innumerevoli organismi viventi, nella tonalit emotiva specificamente umana che chiamiamo, invece, angoscia. Esempio eminente, dicevo: se non altro, per limportanza cruciale che Heidegger (1927, 40) ha attribuito a questi due sentimenti e, soprattutto, allo iato che sembra separarli. Sostenere che langoscia una paura sottoposta a regresso allinfinito significa, per, discostarsi in modo irrevocabile dallinterpretazione heideggeriana. Altri esempi di un certo rilievo sono la conversione della contentezza in felicit e il passaggio dalla tristezza alla malinconia: in entrambi i casi, si ha da vedersela con uno stato danimo che prende diverse sembianze (e un nuovo nome) in seguito alla sua reiterazione ricorsiva, dunque per il solo fatto di riproporsi a un livello logico sempre pi elevato. La trasformazione del primo termine (contentezza, tristezza) nel secondo (felicit, malinconia) avviene con le medesime modalit che contraddistinguono la trasformazione della paura in angoscia. Unico il procedimento logico che d luogo a queste metamorfosi sentimentali. Nel tentativo di darne conto, mi limiter a esaminare brevemente la genesi e le caratteristiche di quelle passioni per molti versi simmetriche, anzi speculari, che sono langoscia e la felicit. Una critica minuziosa delle pagine che Heidegger dedica allo scarto tra paura e angoscia sarebbe, qui, non solo impossibile, ma anche superflua (cf. tuttavia VIRNO 1994, pp. 59-76). Conviene piuttosto estrapolare dal testo heideggeriano la descrizione fenomenica dei due stati danimo. Ammirevole e perspicua, questa descrizione, di per s, non ostacola in alcun modo una spiegazione dellangoscia come reiterazione ricorsiva della paura. Di pi: la avalla. Secondo Heidegger, la paura attizzata da un evento ben definito, circoscritto e contingente (lincendio, che ora incombe, poteva anche non scoppiare). Essa si lascia chetare da opportuni accorgimenti fattuali: un rischio particolare suggerisce sempre una forma adeguata di protezione. Tuttal contrario, langoscia non vincolata alluno o allaltro stato di cose, non insorge in occasioni prevedibili, si fa beffe dei tentativi di eluderla o di mitigarla. La minaccia tanto pressante, quanto generica; il pericolo non ha volto n nome: il davanti-a-che dellangoscia completamente indeterminato (HEIDEGGER 1927, trad. it. p. 234). Ed indeterminato, il motivo del timore angoscioso, perch fa tuttuno con lessere-nel-mondo in quanto tale. Ci che viene in primo piano, ora, la relazione dellanimale

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umano con il proprio contesto vitale considerato nel suo insieme; non pi, come accade invece nella paura, con i fatti che di volta in volta si inscrivono in esso. Tipico di un contesto, o meglio, del mondo come contesto dellesperienza, di essere sempre nei paraggi, senza per disporre di una ubicazione precisa: non sta qui o l, non occupa un posto distinto dagli altri posti, non ha una direzione. Proprio per questo, la minaccia correlata al puro e semplice essere-nel-mondo cos vicina che ci opprime e ci mozza il fiato, ma non in nessun luogo (ibid.). Langoscia si insedia in una prossimit atopica. I tratti fenomenici dellangoscia sono, dunque, lindeterminatezza contenutistica, lassenza di una causa empirica, il riferimento al contesto (e non a quanto in esso avviene), una vicinanza non localizzabile. Vedremo tra un momento come e perch questi tratti dipendano, tutti, dal modo in cui il regresso allinfinito riplasma la paura. Prima, per, vale la pena di osservare che la felicit, se solo la si distingue dalla contentezza (ossia dalla soddisfazione che si prova accontentandosi di ci che capita in sorte), presenta caratteristiche formalmente simili a quelle dellangoscia. A differenza della contentezza, sempre correlata a uno stato di cose particolare, la felicit manca di un contenuto definito, non imputabile a uno specifico evento, manifesta sempre una prossimit avvolgente cui non corrisponde per un luogo di residenza ben perimetrato. Laspetto decisivo che, nella felicit proprio come nellangoscia, si ha la prevalenza di uno stato danimo contestuale o atmosferico, che soppianta stati danimo evenemenziali o fattuali quali sono, invece, la contentezza e la paura. A voler civettare con il gergo heideggeriano, si potrebbe dire che la felicit, al pari dellangoscia, concerne unicamente lessere-nel-mondo in quanto tale. A me sembra che lerrore di Heidegger a proposito dellangoscia, e di altri autori nei riguardi della felicit, consista nel trascurare il nesso indissolubile tra fatti e contesto; pi precisamente, nel trascurare la regressione logico-emotiva che, sola, conduce dai primi al secondo. Il sentimento che nutriamo nei confronti del contesto vitale, di quel tuttattorno in cui si inserisce ogni nostro gesto e ogni nostro discorso, un sentimento derivato, non originario; sempre obliquo, mai diretto. Passioni atmosferiche come langoscia e la felicit costituiscono il risultato dello sviluppo ipertrofico cui sono talvolta soggette le passioni evenemenziali che portano il nome plebeo di paura e di contentezza. Langoscia un riverbero della iper-riflessivit connaturata alla paura dellanimale umano. O meglio: essa insorge se, e solo se, tale iper-rifles-

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sivit si dispiega senza limiti di sorta, con un ritmo compulsivo. Si detto in precedenza che il timore, oltre a mettere a fuoco una minaccia circostanziata, trae alimento dalla rappresentazione di questa prima rappresentazione. Mi spaventa il pericolo, ma anche, e in molti casi soprattutto, lo spavento da cui sono preso al suo cospetto. Il sentimento della paura si applica ricorsivamente a ci che esso stesso ha prodotto. La spirale di metarappresentazioni atterrite si dipana con volute sempre pi ampie: alla paura di aver paura fa seguito la paura che ci afferra per aver provato paura di aver paura; ma gi sopravviene una paura di grado ancora pi elevato, che si erge al di sopra di quelle fin l succedutesi (nello stesso modo in cui lennesimo metalinguaggio subordina a s il suo immediato predecessore, riducendolo al rango di linguaggio-oggetto); e cos di seguito, allinfinito. Ebbene, allorch prevale una paura della paura di aver paura ecc., si allenta e poi decade del tutto il riferimento a un pericolo determinato. Il timore permeato dalla ricorsivit sintattica smarrisce la connessione con il fatto empirico che da principio lha suscitato. un timore lancinante e pervasivo, ma di nulla in particolare. L dove si articola in una gerarchia ascendente di livelli logici, la paura non ha pi oggetto e, proprio per questo, diventa angoscia. Inoltre, poich la rende indipendente da ogni innesco occasionale, il regresso allinfinito sottrae alla paura una precisa collocazione spaziale. La minaccia angosciosa, coincidendo infine con le cos via privo di esito, dovunque e in nessuno luogo, prossima ma atopica. Si potrebbe anche dire: langoscia una paura che prende a tema se stessa. Salvo aggiungere che la spirale autoriflessiva non attenua la passione su cui si innesta, n permette di tenerla sotto controllo: al contrario, ne accentua a dismisura la prepotenza e limmediatezza. Tutto questo vale anche, con qualche modesta variante, per la metamorfosi della contentezza in felicit. Mi sembra inutile esporre da capo i singoli passaggi. Basti notare che la contentezza per un particolare stato di cose sempre, in certa misura, contentezza per la propria contentezza. E che la soddisfazione di secondo livello pu costituire a sua volta loggetto di una nuova e pi estesa soddisfazione: mi rallegro dellallegria che provo nellessere allegro. La reiterazione ricorsiva del medesimo stato danimo emancipa questultimo dallevento che lo aveva generato. La contentezza per ci che accade proprio qui e proprio ora, nei casi in cui realmente lavorata dal regresso allinfinito, si svincola dal qui-e-ora e si sgrava da ogni contenuto determinato. Non riferendosi pi a un fatto localizzabile, la contentezza diventa felicit.

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Langoscia un addentellato logico della paura; la felicit, uno sviluppo sintattico della contentezza. Tanto luna che laltra fanno la loro comparsa allorch il sentimento iniziale, applicandosi a s medesimo (paura della paura, contentezza della contentezza), d effettivamente luogo a un regresso allinfinito. Angosciosa la gerarchia ascendente dei timori, felice le cos via che talora si inocula in una particolare soddisfazione. Sappiamo che la paura e la contentezza dipendono da un evento contingente: il licenziamento che pu colpirmi (ma anche risparmiarmi), la persona che pu farmi dono di s (ma anche negarsi con alterigia). Langoscia e la felicit si basano, esse pure, sulla modalit del possibile, o meglio, su quel simultaneo poter-essere e poter-non-essere che la tradizione filosofica chiama contingenza. Ma con un decisivo spostamento di accento. Il regresso allinfinito, che trasforma la paura in angoscia e la contentezza in felicit, fa dellevento contingente (il licenziamento, lincontro amoroso ecc.) un sintomo rivelatore della contingenza che inerisce, in generale, a tutti gli eventi. La modalit del possibile, anzich limitarsi a qualificare i fatti empirici che provocano uno stato danimo, diventa essa stessa loggetto preminente, anzi esclusivo, di alcuni stati danimo. In balia dellangoscia colui che non teme un evento contingente, ma la contingenza di tutto ci che avviene; felice colui che in questa stessa contingenza onnilaterale (anzi, nella sua necessit) trova invece una dimora abituale, capace di garantire quella forma di appagamento atmosferico che lo stare a proprio agio. La contingenza di tutto ci che avviene, della quale ci avvediamo soltanto grazie alla reiterazione ricorsiva di emozioni (paura e contentezza) correlate inizialmente a singoli eventi contingenti, caratterizza il contesto vitale dellanimale umano. Langoscia e la felicit, il cui unico contenuto per lappunto la contingenza di tutto ci che avviene, sono, dunque, sentimenti del contesto: passioni atmosferiche, non fattuali. La contingenza di tutto ci che avviene incardinata, come sappiamo, a un tratto distintivo della nostra specie: lassenza di un nesso stringente tra stimoli ambientali e azioni biologicamente vantaggiose. Poich non si traducono in un minuzioso repertorio di comportamenti finalizzati allautoconservazione, le sollecitazioni percettive provenienti dal contesto vitale serbano sempre un aspetto indeterminato e potenziale. Quando si parla di un profluvio di stimoli, non si vuol certo dire che questi ultimi sono troppo numerosi, e per ci stesso vaghi, o che la nostra mente una tabula rasa: chi polemizza contro questi bersagli immaginari (Pinker, per esempio), somiglia a una vecchia dama che bara giocando al solitario, e poi si compiace della sua poco stu-

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pefacente vittoria. Sebbene siano in se stessi nitidi, e semmai limitati per quantit o frequenza, gli stimoli ambientali costituiscono nondimeno un profluvio indeterminato e potenziale perch non implicano mai un comportamento univoco. Sia langoscia che la felicit sono il risultato emotivo del regresso (interminabile, si badi) da un fatto puntuale, o da un comportamento storicamente consolidato, al profluvio di stimoli contestuali in cui si radica la contingenza di tutto ci che avviene. Il rischio insito in tale profluvio fonte di angoscia; lagio procuratoci dal medesimo profluvio il nocciolo della felicit. Ma ecco il punto: tanto il rischio che lagio non sono mai avvertiti di per s, allo stato puro, preliminarmente. Essi si manifestano soltanto quando la paura per il pericolo determinato o la soddisfazione per lattuale stato di cose sono colonizzati in lungo e in largo da un e cos via senza esito. Non vi alcun sentimento ispirato direttamente alla contingenza di tutto ci che avviene. Lunica passione originaria e pervasiva la vergogna: ma perfino la vergogna, rammentiamocene, non si riferisce alla contingenza come tale, ma a un suo effetto: la cronica incertezza nellagire, lineliminabile arbitrariet delle azioni di volta in volta compiute. Tardi e obliqui e derivati sono i sentimenti che si attagliano allo scarto tra stimoli contestuali e comportamenti vantaggiosi. A questo scarto si pu risalire, e soltanto risalire, mediante una operazione logica che trasforma certi sentimenti filogeneticamente pi primitivi, condivisi da molte altre specie viventi. Con una battuta: per manifestarsi, il caos deve attendere lultimo giorno della creazione. Seriamente: gli affetti che hanno per materia prima lintreccio tra poter-essere e poter-non-essere abbisognano di numerosi presupposti, costituendo il capitolo conclusivo (assai raffinato, ma niente affatto autonomo) di una teoria delle passioni. Dalla paura allangoscia, dalla contentezza alla felicit, dalle passioni evenemenziali a quelle atmosferiche: ecco la strada maestra di una antropologia che, volendosi materialistica, tenga nel debito conto il ruolo emotivo del regresso allinfinito. Il percorso inverso (langoscia come condizione originaria alla cui luce va compresa la stessa paura) misconosce il ruolo degli operatori logici nella vita affettiva dellanimale umano e, proprio per questo, recide ogni legame con lindagine naturalistica.

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4. La noia come risvolto emotivo del regresso allinfinito Bisogna esaminare, infine, le passioni che hanno per oggetto proprio e soltanto il regresso allinfinito, quelle la cui trama coincide senza residui con un inesauribile e cos via. In questione, ora, non pi il ruolo assolto dal regresso logico nei diversi stati danimo, ma il regresso logico in quanto specifico stato danimo. Ci che importa, ora, non pi il modo in cui la ricorsivit sintattica scandisce ogni sorta di tonalit emotive, ma la ricorsivit sintattica in quanto peculiare tonalit emotiva. Per chiarire meglio il punto, conviene sottolineare la differenza capitale che separa questo genere di passioni dai sentimenti su cui ci siamo trattenuti pocanzi. Langoscia una paura riplasmata da una incessante marcia a ritroso, la felicit una contentezza dilatata da una gerarchia ascendente di livelli logici. Il contenuto reale di entrambe consiste, per, nella contingenza di tutto ci che avviene: non nella marcia a ritroso come tale, n nella pura e semplice gerarchia ascendente di livelli logici. Bench siano generate dal regresso allinfinito (o meglio, dalla metamorfosi che esso provoca in un sentimento pi elementare), langoscia e la felicit non sono certo definibili in base al solo regresso: la prima pur sempre un timore, la seconda pur sempre un appagamento. Non sembra un compito proibitivo, tuttavia, identificare alcune passioni i cui tratti essenziali, diversamente da quelli dellangoscia e della felicit, fanno tuttuno con le caratteristiche logiche dellinterminabile e cos via. Non si tratta di passioni riorganizzate (o rese possibili) dal regresso, ma di passioni del regresso. Di questultimo, esse costituiscono limmediato corrispettivo sentimentale. Tra gli affetti che figurano come gemelli siamesi del regresso allinfinito, trascelgo, qui, un unico esempio: la noia. Tediosa la gerarchia ascendente di livelli logici che ripropone ogni volta da capo, sia pure in una forma sempre pi astratta e sofisticata, il medesimo problema iniziale. Linfinita successione dei metalinguaggi, ciascuno dei quali manca il proprio scopo nel preciso momento in cui sembra attingerlo, induce quello stato di febbrile indifferenza che, per lappunto, merita il nome di noia. Il sentimento del tedio attecchisce soltanto in presenza di un e cos via virtualmente illimitato; reciprocamente, non vi un e cos via virtualmente illimitato che sia esente dal sentimento del tedio. La posta in gioco non una semplice implicazione, del tipo: se x, allora y, ma una vera e propria identit: x indiscernibile da y. Non abbiamo pi a che fare, lo ripeto, con passioni riarticolate da un dispositivo logico, ma

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con un dispositivo logico che, di per s, anche una passione di macroscopica rilevanza. I caratteri salienti del regresso allinfinito sono, al tempo stesso, caratteri salienti della noia; e viceversa. Se questo vero, c da credere che lanalisi del tedio si risolva in una ripetizione abbreviata (o in una proiezione sul piano emotivo) di quanto si detto in precedenza a proposito della inconcludente marcia a ritroso cui sempre esposto lanimale linguistico. Chi cerchi ragguagli sulla noia, deve prestare attenzione soltanto alla struttura fondamentale del regresso allinfinito, non alle sue diverse modalit (per alternanza o per presupposizione), n alla particolare prerogativa bio-antropologica (iper-riflessivit o trascendenza o duplicit di aspetto) in cui esso si radica di volta in volta. La noia concerne unicamente il procedimento formale che accomuna tutti gli e cos via. A tediare, insomma, non il regresso cui sottoposta luna o laltra esperienza determinata, ma la nuda esperienza del regresso. A questultima faceva cenno una descrizione assai rudimentale che, in mancanza di meglio, ho utilizzato proprio allinizio della mia esposizione, quando tutto era ancora da dire. Vale la pena di ricordarla. lecito parlare di regresso allinfinito a due condizioni: 1) se un certo limite, cognitivo o pragmatico che sia, confermato dal suo stesso superamento; 2) se questo superamento, in virt della ricorsivit sintattica che contraddistingue il pensiero verbale, si applica sempre di nuovo al limite che proprio esso ha appena ripristinato. Le due condizioni definiscono la struttura fondamentale di ogni e cos via logico e, insieme, offrono un attendibile ritratto della noia. L dove un limite scompaia e poi si ripresenti e di nuovo scompaia e poi si ripresenti e di nuovo scompaia (HEGEL 1812-1816, trad. it. vol. I, p. 251), si cade in balia di un movimento pietrificato, o anche, ma lo stesso, di una animatissima paralisi: ebbene, il tedio non altro che un movimento (o una paralisi) di tal fatta. Il continuo sorpassare il limite, che limpotenza di toglierlo e la perenne ricaduta in esso (ivi, p. 250), prospetta la novit al solo scopo di escluderla, scatena il divenire per rappresentarne larresto, induce linerzia pi profonda mediante una costante mobilitazione delle energie vitali: proprio in questa ambivalenza, o implacabile eterogenesi dei fini, dato riconoscere a occhio nudo limpronta digitale della noia. Sarebbe un errore madornale ridurre il tedio al sentimento di oppressione e disgusto che suscita in noi una monotona replica dello stesso evento o dello stesso discorso. Un errore analogo, si badi, a quello commesso da chi, trascurando il peso decisivo della ricorsivit sintattica nel regresso al-

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linfinito, assimilasse questultimo alla coazione a ripetere indagata da Freud (1920). La noia, al pari dellinterminabile e cos via di cui la tonalit emotiva, non paratattica, ma architettonica. Essa non consiste soltanto nella riproposizione dellidentico limite da parte del suo superamento, ma anche e soprattutto nella successione gerarchicamente stratificata dei superamenti e delle riproposizioni. Si osservato a suo tempo che superare sempre di nuovo il limite significa, s, ripristinarlo da capo, ma a un livello di maggiore generalit logica, dunque come un limite sempre nuovo. Lulteriore metalinguaggio realmente qualcosa di inedito, dato che sviluppa come mai prima lautoriflessione del parlante. Ma esso , a un tempo, qualcosa di risaputo, poich esibisce senza variazioni di sorta la medesima incompletezza che gi affliggeva i metalinguaggi meno potenti che lo hanno preceduto, ossia limpossibilit di dare conto anche di se stesso. Lepicentro del tedio risiede per lappunto in questa convergenza di inedito e risaputo; o meglio, nel carattere risaputo dellinedito e nellaspetto inedito di cui si ammanta il risaputo. Noiosa non mai una semplice ripetizione, bens la ripetizione che mostra una fisionomia innovativa e linnovazione che subito si rovescia in ripetizione del gi stato. Tanto nel tedio, quanto nel regresso allinfinito che di esso la forma logica, predomina il reciproco rimando, anzi la completa giustapposizione, tra eterno ritorno delluguale e raggiungimento di uno stato mai attinto prima, stereotipia e creativit, conferma della situazione di partenza e suo tumultuoso oltrepassamento. ben vero che la noia ha una grande dimestichezza con la monotonia: ma, bisogna precisare, con la peculiare monotonia che caratterizza il funzionamento della ricorsivit sintattica allinterno di un regresso logico. Detto altrimenti: a chi si annoia sembra massimamente monotono proprio quelluso infinito di mezzi finiti da cui pure dipende, in generale, la capacit innovativa del linguaggio verbale. Tedioso soltanto lancora una volta che, lungi dallescluderlo o dal contrastarlo, presuppone il mai visto e sempre se ne nutre. Preda del tedio non , dunque, colui per il quale la prassi e leloquio hanno perso ogni creativit, ma colui cui capita di cogliere le fattezze stereotipate che talvolta assume il pieno dispiegamento della creativit.
Bibliografia ARISTOTELE, EN (= Ethica Nicomachea), trad. it. con testo greco a fronte Etica nicomachea, a cura di Marcello Zanatta, Rizzoli, Milano 1986.

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Sezione II: Note e discussioni

GIUSEPPE BARRESI Margini della responsabilit. Lofferta dellaltrove

Leggere Derrida come un autore che ha pensato e reintrodotto, seppur indirettamente, delle concettualizzazioni teoretiche ed etico-politiche che presentano la discussione e lutilizzo di categorie come la causalit e la finalit segnate da un dirompente carattere utopico, potrebbe apparire come una tesi assolutamente discutibile. La difficolt di elaborare una riflessione con questo taglio e su questo aspetto consiste in due precisi motivi. Il primo, quello pi decisivo poich riguarda le caratteristiche e la natura del discorso derridiano, deriva dal fatto che il filosofo franco-algerino non si preoccupa mai, nei suoi testi, di imbastire una discussione che approcci lutopia in maniera diretta e frontale. Tuttavia, in soccorso della chiave di lettura che esporremo pi innanzi e in riferimento a questo primo punto, bene far osservare lesistenza di alcune riflessioni da parte di autori che si sono cimentati in considerazioni sul carattere della supposta inutilit pratica delle speculazioni politiche di Derrida. Ci riferiamo, ma con ci non intendiamo essere esaustivi, alle considerazioni critiche di Dooley sulla polemica imbastita da Richard Rorty in riferimento alla cosiddetta ironia privata che contraddistinguerebbe la visione politica del franco-algerino, o allarticolo di Kelly, che nel titolo fa riferimento esplicito allutopia pi esattamente alla possibilit di unutopia non-utopica nel trattare le considerazioni del filosofo sulla democrazia che viene, che ha da venire1. Il secondo motivo, che cercheremo di decostruire, riguarda pi da vicino il concetto di utopia nella sua deriva attuale. Il punto che, per pregiudizio diffuso, la cultura filosofica razionalistica non riesce a fare a meno di pensare lutopia come uno spregevole esercizio retorico, che inficia ogni discussione teorica o, ancor meglio, di teoria politica. Il senso primo, letterale, della parola utopia colpito dal triste destino di passare inosservato, di rimanere debole di fronte allimponente
1 Cf. M. DOOLEY, Private Irony vs. Social Hope: Derrida, Rorty and the Political, Cultural Values 3 (1999) 3, pp. 263-290; S. KELLY, Derridas cities of refuge: toward a non-utopian utopia, Contemporary Justice Review 7 (2004) 4, pp. 421-439.

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giudizio comune che scorge in codesta parola il senso sofistico dellinganno, delladulazione e della demagogia. La parola utopia venuta ad assumere il significato di categoria im-politica, anzi, a ben vedere, di categoria impolitica per antonomasia, contro la quale si sono sempre fatte valere tutte le altre idee politiche. Poco importa, poi, se tutte le categorie e le forme despressione del pensiero politico abbiano avuto o abbiano tuttora a che fare con essa, per giunta nella sua espressione pi banale. Lessenziale, ci che conta veramente, nellepoca dellesportazione delle idee, dellimposizione della pace, della democrazia chiusa nelle valigie dei generali, che si creda esattamente il contrario. Il ripensare e ridiscutere il pensiero derridiano, come essenzialmente attraversato da una continuit marcata dallutopia, quanto tenteremo e ci sforzeremo di fare. Tornando alla radice etimologica del termine, imponiamoci di farlo, non possiamo non mettere in luce il suo oscillare fra le due categorie dello spazio e del tempo. Utopia ci che non ha luogo, che non ha realt, ma che nello stesso tempo potrebbe av/venire, giungere in chiaro attraverso il tempo, il futuro, lapertura del e verso il divenire. Ma questa oscillazione non lunica ad interessarci. Ve ne sono delle altre, che in qualche modo sono generate da questa prima, e che non sono meno importanti. Il non luogo per eccellenza nella storia della filosofia occidentale ci che precede il filosofare, non il mito, ma ci che pi originario ancora, quello che nel Timeo di Platone chiamato chra 2 . Il problema suscitato dal pensiero dellorigine implica anche che si riconsideri il pensare stesso. La domanda circa la chra interrogherebbe tutta la storia della filosofia e darebbe origine, nella strategia interpretativa adottata da Derrida, ad uno smarcamento spiazzante nei riguardi delle categorie classiche del pensiero filosofico, delle dicotomie, e di conseguenza dellintero apparato antropocentrico e fonocentrico della razionalit occidentale. La chra, ma Derrida nella sua trattazione ometter da un certo momento in poi larticolo determinativo la per assimilare il nome chra ad un nome proprio, ci che precede tutta lorigine della filosofia, ci che prima della classica distinzione fra lgos e mythos. Chra il nome che sta per luogo, posto, area, regione, contrada. Essa il luogo prima del tempo, anzi riceve il tempo della filosofia, lo lascia giungere senza farsi marcare o segnare da
2 Il testo cui faremo riferimento per lanalisi derridiana riguardante linterpretazione dei passi del Timeo platonico sul problema della chra : J. DERRIDA, Il segreto del nome, a cura di G. Dalmasso e F. Garritano, Milano, Jaca Book, 1997.

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esso. Fra le sue prerogative c quella di non avere niente di proprio da preservare e custodire, di ricevere infinitamente ci che giunge a lei senza prendere le caratteristiche di ci che riceve. Chra non pu addirittura pensarsi se non attraverso una logica diversa da quella di non contraddizione dei filosofi, un ragionamento in grado di de-centrare la logica dicotomica. La chra qualcosa, ma non una cosa poich assolutamente impossibile pensarla attraverso le distinzioni, i tipi e i generi del pensiero logico. Il pensiero della chra come origine apre uno spazio attraversato dal divenire. Essa si mischia col tempo dellaltro che giunge ad inscriversi nel suo seno. Daltra parte il richiamo alla figura metaforica della madre/nutrice utilizzata dallo stesso Platone e Derrida non tralascia affatto di notarlo. In altre parole, la chra, il suo nome, rimanda allinnominabile nellatto di pronunciare il nome; il nome nomina, ma cosa veramente nomina ci che si chiede Derrida. utile, a questo proposito, far affiorare ci che rimarrebbe sullo sfondo del problema del nominare, del chiamare, dellindicare nominale. Per Derrida in qualche modo implicito; in un altro testo, La voce e il fenomeno3, fa notare che il proprio della filosofia, del suo linguaggio e delle sue categorie logiche (la soggettivit prima di tutto), risiede interamente nel tentativo di rimozione dellinsopportabile esperienza della morte. Tale rimozione, a nostro avviso, allopera nellatto del nominare metaforicamente la chra con i termini di madre/nutrice. In essi si scorge la prima pulsione di morte provata dalluomo, costituita dal complesso di Edipo. Pietro Barcellona, a questo proposito, ha scritto che nella societ il pensiero della morte da considerarsi osceno e che, in ossequio a questa estromissione, persino il parlare dei sentimenti ambigui, che i figli provano verso i genitori ed i genitori nei confronti dei figli, assolutamente vietato. Lansia di conoscere della coscienza , per Barcellona, da imputare alla negata risoluzione del problema di Edipo4. Gi Heidegger aveva fatto notare che la facolt di linguaggio ed, ancora pi specificatamente, il nominare, il mezzo attraverso il quale si fa esperienza continua della morte. Nominando un oggetto ci si riferisce sempre ad unassenza, quella della cosa, che assumerebbe, quindi, le sembianze di cadavere, di scarto estraneo al nome, destinato sempre ad indicare il concetto e non loggetto di ci che nomina. Derrida vuole compiere lo sforzo di non sorvolare sul valore della suddetta assenza. Ecco perch il suo gesto filosofico non tralascia mai di soffermarsi sul valore della scrittura, del
3 4

J. DERRIDA, La voce e il fenomeno, a cura di G. Dalmasso, Milano, Jaka Book, 1997. P. BARCELLONA, La strategia dellanima, Troina, Citt aperta, 2003.

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segno, della marca5. Ci che scritto sempre traccia di qualcosa che non c, di una presenza che segnala linstabilit irriducibile tra lessere e il non essere. Chra non esiste, tuttavia . Torniamo, per, alla questione della chra come (non)luogo dellorigine. Non possiamo non far notare come anche in questo caso si manifesti unoscillazione di significato del termine platonico. Esso certamente un luogo situato prima del tempo, ma in quanto ricettacolo (avevamo omesso questo altro significato di chra al solo fine di introdurlo a tempo debito nella nostra discussione) che accoglie ci che viene, esso accoglie il divenire, si apre a ci che giunge ad esso attraverso il tempo. Questo luogo che stato in un passato (inevitabilmente ci vediamo costretti a nominare con categorie temporali ci che si colloca fuori dal tempo) aporeticamente, destinato ad accogliere il futuro. Pur situata fuori dal tempo, la chra accoglie ci che av/verr, nella storia del lgos filosofico, a partire proprio dalla rimozione della razionalit del problema della (sua) origine. Si instaura quindi un meccanismo particolare che ha come protagonisti gli atti del donare e del ricevere. Il ricettacolo chra pronto a ricevere ci che viene, ad accogliere i discorsi altri e degli altri, il discorso (lgos) primo della filosofia. Questo ricevere non possiede per nulla le caratteristiche legate alla sfera economica del dono. Esso al di l del debito e, come tale, spezza irrimediabilmente le catene e gli ingranaggi del circolo economico di dono e contro-dono instaurato dallo stesso concetto di dono allorquando esso venga assimilato e confuso con il concetto di scambio6. Non v attesa, aspettativa, imbarazzo o subordinazione nel ricevere della chra. A partire dalla creazione del cosmo, questo al di l del debito, questo dono che si misura a partire dalla sua irriducibilit fenomenica scomparso. Il donum i Romani possedevano linguisticamente questa distinzione con il munus, che implicava il debito, la subordinazione il vero dono che non giunge al fenomeno e come tale possiede il carattere aporetico di evento impossibile. Affiora qui, per la prima volta in maniera decisiva e indiscutibile, il tema dellirrealizzabilit fenomenica e reale di molte concettualizzazioni derridiane. Lidea del dono come evento impossibile il paradigma variabile dellintera connotazione iperfenomenologica della filosofia del pensatore
5 Per lelaborazione dei concetti di scrittura e traccia cf. J. DERRIDA, La scrittura e la differenza, tr. it. di G. Pozzi, Torino, Einaudi, 1990; ID., Firma evento contesto, in Margini della filosofia, a cura di M. Iofrida, Torino, Einaudi, 1997. 6 Per approfondire la tematica del dono cf. J. DERRIDA, Donare il tempo, tr. it. di G. Berto, Milano, Cortina, 1996.

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franco-algerino. Iperfenomenologia che eredita dalla lezione di Heidegger unattenzione maggiore verso lambito etimologico del termine fenomeno, ma che nel frattempo estremizza la discussione indirizzandola proprio verso ci che rimane nascosto e non appare, verso ci che non giunge alla fenomenicit. Le stesse considerazioni raggiunte sul carattere del dono possono esser fatte valere per tutte le teorie di Derrida che riguardano da vicino tematiche con implicazioni di carattere politico. Premesso che, per lo stesso Derrida, praticamente impossibile individuare, allinterno del pensare filosofico, ambiti prettamente teoretici che non contengano comunque delle connotazioni politiche ogni pensare filosofico , dunque, un pensare politico7 , giusto fare osservare che questo indirizzo politico derridiano stato spesso considerato, in maniera assolutamente impropria, come inficiato da una colpevole mancanza di reale possibilit di realizzazione. Di pi. In alcuni ambiti filosofici, e precisamente in quelli legati al pensiero cosiddetto analitico, lintero pensiero filosofico derridiano viene ad essere tacciato di non seriet, di poca attinenza con i dettami della logica e di conseguenza relegato al margine dellinteresse accademico. ben nota laccesa polemica che ha riguardato Searle e Derrida a proposito dellinterpretazione e la discussione che questultimo ha imbastito sul tema dei performativi ed in particolare sulla rilettura delle considerazioni di Austin riguardo il parassitismo ed il carattere citazionale di alcuni di essi, quando questi si iscrivano, per esempio, in ambiti diversi dal linguaggio ordinario serio8. Il presupposto derridiano sempre lo stesso: tentare di decostruire il linguaggio della metafisica tradizionale, addirittura rintracciandone leredit persino in ambiti che ritengono di aver poco a che fare con esso. Partendo da questo presupposto che, opportuno farlo osservare, non rimane del tutto isolato nellambito filosofico e finanche epistemologico contemporaneo, diviene pi agile penetrare nel nucleo teorico del filosofo franco-algerino. Lo scarto compiuto da Derrida , lo abbiamo visto anche nei passaggi dedicati alla chra, indirizzato tutto contro la metafisica del soggetto e coinvolge in maniera radicale anche i presupposti logico-razionali del pensiero scientifico. In essi Derrida vede comunque allopera il vecchio leit motiv della metafisica della presenza, della soggettivit, dellin7 Nelle parole dello stesso Derrida: Ogni colloquio filosofico ha necessariamente un significato politico (J. DERRIDA, Margini della filosofia, cit., p. 155). 8 La polemica fra Searle e Derrida riportata per intero in J. DERRIDA, Limited Inc., tr. it. di N. Perullo, Milano, Cortina, 1997; cf. in particolare Limited Inc a b c, pp. 41-159, e Postfazione. Verso unetica della discussione, pp. 161-230.

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tenzionalit cosciente che, da Cartesio in poi, passando per la perentoria riaffermazione hegeliana, si costantemente mascherato, pur rimanendo, in definitiva, se stesso. Lobbiettivo diviene, quindi, operare e portare a termine ci che gi Nietzsche aveva iniziato. Rintracciare nelle pretese veritative della filosofia e, in primis, della logica (poich il compito autoassegnatosi da questultima proprio laccertare la verit e la falsit delle proposizioni), vere e proprie mistificazioni, significa presupporre che in esse sia in gioco, non gi loggettivit e limparzialit, bens unarroganza ermeneutica che ha il suo cardine nellinterpretazione parziale, caratterizzata dal principio di volont di potenza del soggetto. E cos come Nietzsche non si era limitato ad uno smascheramento teoretico, ma aveva senza dubbio guardato in una direzione assolutamente etico-politica, Derrida muove la sua azione filosofica proprio verso questultimo aspetto dellagire e del pensare umano poich se la parola decostruzione possiede un significato, questo da rintracciare nel suo volgersi al plurale, allevento non programmabile, allavvenire e alla venuta dellaltro9. Ritorna il tema dellospitalit ed un ritorno significativo. Ospitalit aporetica di ci che altro ma vive e tiene in ostaggio ci che proprio, il s, al punto che diviene improprio il discutere riguardo il concetto stesso di propriet e di ipseit. Ritorna anche la problematica del dono, del ricettacolo assoluto rappresentato dalla chra, che viene ad identificare la venuta dellaltro come lgos che si dona, che marca lorigine. Ma se la chra mantiene se stessa come non intaccata dalla venuta dellaltro, luomo, ontologicamente diverso, non pu non ricevere niente senza portarne i segni. La prima differenza che segna lo statuto ontologico delluomo , dunque, questa com-passione, questa co-appartenenza dellumano con il mondo che lo circonda e nel quale vive. Il vivere nel mondo presuppone il farsi carico di responsabilit che in s sono inassumibili. E questa inassumibilit della responsabilit ha come sfondo limpossibilit della decisione10. Ogni decisione impossibile
9 Sulla problematica definizione del termine decostruzione cf. i seguenti testi: J. DERRIDA, Une folie doit veiller sur la pense, in Points de suspension, Paris, Galile, 1992; Lettre un ami japonais, in Psich. Inventions de lautre, cit.; Sauf le nom, Paris, Galile, 1993. Tra le opere sulla decostruzione ed il decostruzionismo derridiano citiamo inoltre: C. RESTA, Pensare al limite. Tracciati di Derrida, Milano, Guerini e associati, 1990; G. CHIURAZZI, Scrittura e tecnica. Derrida e la metafisica, Torino, Rosenberg & Sellier, 1992; R. DIODATO, Il decostruzionismo, Milano, Editrice Bibliografica, 1996; S. PETROSINO, Jacques Derrida e la legge del possibile, Milano, Jaca Book, 1997. 10 Sui concetti di responsabilit e decisione cfr. ad esempio J. Derrida, Politiche dellamicizia, Raffaello Cortina, Milano 1995.

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non solo, banalmente, perch si riconosce che sia difficile decidere fra una o pi opzioni possibili, ma perch la rinuncia reca con s il fardello dello scarto di ci che irrimediabilmente verrebbe ad essere escluso. La promessa, il giuramento, il performativo, qualunque atto materiale o linguistico che presupponga interamente la presenza a s del soggetto operante sono destinati a rimanere ambigui. Dove la coscienza subisce lo smacco subentra la performance, il rito, la ripetibilit assoluta della proposizione proferita a dare valore di legge, di impegno da mantenere, di patto da rispettare. Ogni promessa uno spergiuro11. Promettere di mantenere una cosa, tener fede ad una promessa vuol dire senza ombra di dubbio alcuno, prima di tutto, mancare qualcosaltro. Aporia della decisione, quindi, che per non cede assolutamente il posto al non agire. Tuttaltro: luomo chiamato, nonostante o, per meglio dire, proprio in virt di questa connaturale impossibilit della decisione, ad agire. La necessit della sua azione da imputare a questa impossibilit. Poich lospitalit inizia con laccoglienza incondizionata dellaltro che proferisce il suo s, tutto allora inizia con una risposta, il s appunto, che presuppone che non ci sia primo inizio, che non si conosca la domanda originaria, ma si parta da una venuta ad una chiamata e ci si assuma in pieno la responsabilit della risposta. Ecco spiegato il nesso profondo che lega, nellottica derridiana, letica dellospitalit a quella della responsabilit. Tale nesso affiora in maniera evidente anche nellanalisi etimologica del verbo respondeo, rispondo, a cui riconducibile il termine responsabilit. Bisogna riconoscere, arrivati a questo punto, il primato delletica rispetto allontologia, dellaccoglienza incondizionata che non chiede nulla preliminarmente riguardo lessenza dellaltro che viene. Il che cos lascia il posto alla risposta della venuta dellaltro, allaccoglienza, o meglio, allaccoglienza come risposta ad una domanda venuta da fuori, ad un accadere, ad un giungere dellaltro che, in maniera paradossale, potremmo definire gi come risposta originaria. Responsabilit e decisione si configurano a partire dalla condizione del loro strutturale non poter aver luogo. Esse si instaurano in vista della venuta di qualcosa non importante il cos da un luogo lontano, da un luogo che per il soggetto non esiste concretamente, ma da cui incalzato con la domanda circa la responsabilit. Non v responsabilit se essa programmabile, prescrivibile, anticipabile. Essa assolutamente evene11 Per approfondire il tema della promessa cf. AA.VV., La philosophie au risque de la promesse, a cura di M. Crpon e M. de Launay, Paris, Bayard, 2004.

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menziale ed insaturabile. Non pu in alcun modo venire ad inscriversi allinterno di un programma che de-responsabilizzi il soggetto. una decisione sul fondo dellimpossibile. Il non-luogo, lungi dallessere completamente staccato dalla dimensione umana e dal suo dialogo con se stessa, un altrove che non necessita della presenza fenomenica. Lutopia si configura, quindi, come una promessa da mantenere sul crinale della responsabilit di una decisione impossibile. Lutopia, questo luogo che non esiste, oltre che rimandare indietro al problema dellorigine, al ricettacolo che accoglie il discorso della filosofia, diviene il non-ancora delle categorie etiche delluomo, il loro ineluttabile volgersi al divenire. Tutte le principali discussioni derridiane sui temi di carattere politico ed etico, pensiamo allamicizia, alla decisione responsabile, alla democrazia e al marxismo si strutturano in base al loro essere sempre inattuate e inevitabilmente inattuabili nel presente fenomenico. Lirruzione di ci che viene destruttura lesistente e lo costringe a ripensarsi come categoria ontica in divenire e quindi sempre diversa da s. Problema non da poco visto che, oltre alla ridiscussione dellorigine, in questo modo si configura anche la tematica dellaltrove come zona grigia spaziotemporale. Lutopia, lungi dallessere una categoria dellimpolitico o dellimmorale, esattamente il contrario: essa ci a partire da cui si realizzano le istanze etiche e politiche, il non-luogo da cui giungono, come spettri, i pensieri delle promesse, siano essi lideale della democrazia, la critica marxista o, ancora pi generalmente, lamicizia e lospitalit. Il pensiero dellutopia viene a configurare unetica e una politica iperboliche, perch strutturate a partire dallassenza, dalla scrittura e dalla firma. Questultima , infatti, la marca che segna la decisione assumendosi, a partire dalla sua singolarit ed iterabilit, la responsabilit di aprire un nuovo inizio promesso dalla contro-firma dellaltro, dallapertura al dialogo. Venendo a mancare questo utopico altrove si ricadrebbe nella regola, nellevento programmabile e calcolabile che de-responsabilizza. La decostruzione, allora, necessita dellimpossibile in quanto proprio questo a salvaguardarla da ogni caduta nellalveo della regola, logica o grammaticale che sia, ma anche in quello, per certi versi assai pi pericoloso e suadente, della morale del dovere categorico kantiano, assicurandole di sfuggire alla necessit del dovere a tutti i costi e di rimanere conseguentemente imbrigliata in un vuoto formalismo. A questo proposito, infatti, Derrida cos si esprime: Un gesto damicizia o di gentilezza non sarebbe n amichevole n gentile se obbedisse puramente e sempli-

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cemente ad una regola rituale. [] Non si deve essere amichevole o gentili per dovere. [] Ci sarebbe, dunque, un dovere di non agire secondo il dovere: n conformemente al dovere, direbbe Kant (pflichtmssig), n persino per dovere (aus Pflicht)?12. La decostruzione, dunque, non perde nulla nel confessare la sua impossibilit. La prospettiva utopica della promessa permea in profondit ogni applicazione pratica, nel presente fenomenico, di qualsivoglia carattere politico. Luomo costretto ad una dimora al margine del proprio, dellappartenenza e dellidentificazione13. Abitare il margine, dimorare in questo ritardo (dimorare significa stanziarsi, vivere, abitare e quindi anche passare il tempo, attardarsi significativo riscontrare questa significazione temporale che indica il ritardo nel dialetto calabrese: addimurari vuol dire appunto fare tardi, ritardare) la prima conseguenza dellinterrogarsi. Dellinterrogarsi e del prendere tempo. Prendere tempo ritardare il tempo di qualcosa, un qualcosa che chiede di essere deciso ed attuato e che non lascia tempo ad altro. Derrida giunge al margine della dimora, alla sua soglia, solo per affermare che il confine indefinibile ed ambiguo. Lorizzonte , alla maniera greca, insieme termine ed apertura. Per capirlo basta spostarsi in avanti, ridurre lo spazio che ci divide da esso. La dimora, nella ratio occidentale, ha sempre voluto dire circoscrizione, chiusura, individuazione di un limite. Questo significato acuisce ancora di pi lo scarto etimologico presente nella suddetta parola. Essa un double bind, un luogo in cui si incontra la pluralit dellevento, in cui limpossibile diviene il fondo di ogni possibilit e in cui ogni margine si scopre dirimpettaio di un altro14. In questo contesto di apertura e di chiusura, di lettura destinata al movimento doppio di andata e ritorno da intendere, ad esempio, un testo come Timpano15, che sperimenta, con un artificio meramente materiale (una stessa pagina su cui scrivere due testi) la disseminazione e la frammentazione allopera nella scrittura. Il senso frutto di un continuo passaggio, di una lettura parallela e discontinua dalle righe delluno alle righe dellaltro. Non
J. DERRIDA, Passioni. Lofferta obliqua, in Il segreto del nome, cit., pp. 94-95. Per approfondire il problema sollevato dal termine dimora e le sue implicazioni con il tema sul carattere identitario nella lingua cf. M. CRPON, Langue sans demeure, Paris, Galile, 2005. 14 Sul tema del double bind, traducibile come doppia seduta o anche come indecidibile cf. J. DERRIDA, Posizioni, Verona, Bertani Editore, 1975. 15 J. DERRIDA, Timpano, in Margini della filosofia, cit.
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che non si possano leggere distintamente, ma in questo modo ci si sentir, anche emotivamente, esclusi da quello che accade dallaltra parte, da unaltra parte del testo che, tuttavia, non lo stesso testo. richiesta una lettura obliqua, di traverso, che sorpassi i margini di ciascun testo e sia pronta a ricollegarlo allaltro. Nella misura di questo andirivieni si configura pertanto laccoglienza dellaltro che giunge a ridefinire il proprio del testo ovvero il suo senso. La pluralit si offre obliquamente, e il tema dellofferta, di questa offerta obliqua, ridescrive i canoni dellamicizia e persino della gentilezza e della cortesia. Ma chi e cosa si offre obliquamente? E soprattutto: non rischia, il pensiero dellobliquo, di diventare una scelta di comodo, un calcolo geometrico a favore della rapidit e dellincompletezza? Forse! La chiave di tutto torna ad essere, allora, la responsabilit della decisione. Solo questa sua congenita struttura aporetica ci e si preserva dal ricadere nei meccanismi della programmabilit. Il meccanismo si inceppa ogniqualvolta si tenta di erigerlo a grammatica universale, a codice interpretativo o persino ad utile economico (il risparmio del tempo). Lobliquo resta la scelta di una strategia ancora rozza, obbligata a far fronte alle necessit pi urgenti, un calcolo geometrico per sviare pi rapidamente e lapproccio frontale e la linea diritta: il pi corto sentiero presunto da un punto allaltro16. Lofferta richiede lapertura originaria al dialogo dellaltro. Vuole che ci si decida ad ascoltare. Ma questa decisione dellascolto si dipana in un luogo talmente particolare da essere lassolutamente vuoto e neutro: lo spazio bianco che intercorre fra un testo e laltro. Il margine che divide i discorsi in realt il luogo in cui essi si intrecciano. Offre dimora al peregrinare del senso configurandosi come una pausa, una sosta (un ritardo), e tuttavia anche come luogo dellincontro e dellaccoglienza. Ritorna loscillazione fra lo spazio e il tempo di cui parlavamo allinizio della nostra breve discussione. Lindecidibile decisione dimora in un non-luogo, nel non luogo per antonomasia della parola scritta: lo spazio bianco e le interlinee che sono, nello stesso tempo, sempre uguali ed iterabili cos come lontane ed irriducibili. Labitare i margini parte da una inaugurale epoch di ogni regola, dal ritardo della decisione a favore di un suo ripensamento sul fondo dellindecidibile che presupponga la sospensione della regola e la sua re-inven16

J. DERRIDA, Passioni, cit., p. 107.

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zione. Tale concettualizzazione appare incalzante quando si discute a proposito della giustizia e del diritto alla giustizia (la giustizia del diritto e il diritto della giustizia), soprattutto, quindi, quando essi vengano ad essere decostruiti a partire dal concetto di violenza fondatrice ed istitutrice17. Non vorremmo tirare in ballo argomenti che si suppone (a torto) abbiano poca attinenza con queste discussioni, ma ci sembra doveroso sottolineare la distanza che intercorre fra la visione derridiana della ripetibilit della regola e il suo necessario momento di rottura del calcolo e del programma istitutivo in cui essa giunge ad iscriversi, e le posizioni di Wittgenstein che, a nostro parere, glissa, con la sua idea riguardante la problematica del seguire una regola, tutta una possibile discussione sul momento originario e fondativo della regola stessa18. Non serve a nulla sostenere la tesi della differenza di ambito che soggiace alle prospettive wittgensteiniane, rimarcando, appunto, che laustriaco si riferisce a regole grammaticali o matematiche, mentre quello derridiano un contesto assolutamente politico, anche se in molti ambiti si stenta addirittura a definirlo tale. Derrida vedrebbe comunque allopera, e abbiamo visto come in maniera sottile si nasconda un approccio politico in ambiti teorici e logici, una decisione istitutrice di un rapporto di forza, condizionata dal peso delle rispettive forze o, perfino, abitudini, in gioco. Torniamo a noi. Appare chiaro come laspetto riguardante la giustizia sia di non poco conto nella discussione riguardante i margini della decisione. La giustizia lossessione dellindecidibile, giacch nessuna giustizia si d senza decisione, ma questa gioca al/nel margine dellindecidibile. Accanto al diritto umano decostruibile Derrida pone unidea della giustizia come incondizionata dal presupposto del calcolo e della misura. La forma umana della giustizia si muove fra il diritto calcolante e la giustizia incondizionata e disimmetrica. La giustizia assoluta si d nellordine dellindecidibile, ma essa, in maniera pi perentoria di ogni altro concetto derridiano che abbia a che fare con il divenire, comanda di decidere. Il tempo dellattesa viene cos a configurarsi nellistante della decisione; un istante che valica continuamente i margini della sua strutturale incondizionatezza e della necessit della decisione giuridica di essere presa. La prospettiva contro-istituzionale della filosofia di Derrida, ma anche della filosofia tout court,
17 A proposito delle riflessioni sul diritto e la giustizia cf. J. DERRIDA, Forza di legge, a cura di F. Garritano, Torino, Bollati Boringhieri, 2003. 18 Le riflessioni sul seguire una regola sono contenute in L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, tr. it di R. Piovesan e M. Trinchero, Torino, Einaudi, 1967.

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si gioca tutta allinterno del problema della ricostruzione del senso del discorso e del testo. Il senso frutto di un movimento a partire dalla sua istituzione e del suo valore istituzionale ed istitutivo che costeggia i margini di ci che, aporeticamente, non possiede dei margini propri e che non avendo mai fine irrompe nei molteplici ambiti che strutturano la forma di ogni diritto: il diritto alla/della filosofia, quello alla risposta e il diritto alla decisione. In altre parole: laltrove conduce fino a noi la domanda circa il diritto dellavere diritto a qualcosa e del diritto di qualcosa. Diritto e dovere si prefigurano sempre a partire da rapporti e bilanciamenti di forze. Il dovere di qualcuno sempre il diritto di un altro e viceversa. Se le cose stanno davvero cos lunica possibilit di uscita appunto linterrogare il diritto a partire dalla sua infinitezza, per liberarlo da ogni morsa dellimposizione fenomenica, del dover essere qualcosa. Laltrove domanda e una possibile risposta, parafrasando Nietzsche, sarebbe: Perch, poi, la risposta ad ogni costo?. Ed aggiungiamo: Se pensate che questa sia comunque una risposta, ebbene, tanto meglio.

ADALGISA CAIRA Una moralit fuori dalla storia?

Immaginiamo questa scena, del tutto ordinaria: un bambino, chiamiamolo Sergio, entra in casa urlando: Mamma oggi la maestra mi ha sgridato perch, lanciando la gomma, ho colpito in faccia Filippo. La mamma: Amore, non lo devi fare! sbagliato. E Sergio: E perch sbagliato?. Questa domanda apparentemente semplice e diretta, che, sin da bambini, pronunciamo in diverse circostanze, rimbalza sulla scena teorica, oggi, con una portata insidiosa e conseguenze altrettanto rilevanti. Questa domanda, che quasi quotidianamente ci poniamo o ci viene posta, che si presenta e ripresenta in contesti affatto ordinari, attira su di s la vastit di un dibattito etico ricco di fratture e contrasti. Mai come negli ultimi tempi, le questioni concernenti il problema della moralit e della natura delle sue norme sono poste al centro di svariati dibattiti e tavole rotonde. Innumerevoli i campi dindagine coinvolti: dalla filosofia alla biologia, dalla bioetica alla medicina, dalla sociologia alla psicologia. Innumerevoli le domande affiliate, da quelle che ci fanno accennare un lieve sorriso come giusto non annaffiare una rosa e lasciarla morire? a quelle che si impongono in maniera incisiva sulla scena sociale giusto lasciare morire un essere umano, se questi lo ritiene opportuno?, a quelle che si presentano con una portata ancora pi originaria Perch esistono il bene e il male?, La morale una nostra prerogativa?. E altrettanto innumerevoli le potenziali risposte: Questo non deve farsi perch la religione o la legge lo impone, oppure Questo non deve farsi perch il cuore o la ragione ce lo dice, e ancora Dobbiamo comportarci cos perch siamo esseri umani, perch la nostra natura. Diverse pertanto le entit adottate, tradizionalmente, per giustificare i diversi atteggiamenti morali: da entit metafisiche a entit culturali, da principi razionali e deontologici a principi emotivi. E oggi una nuova e presunta teoria della morale si affaccia al banchetto di una cos affollata ricerca, attirando su di s polemiche e consensi, una teoria che si rif esclusivamente ai dettami delle scienze naturali, dal taglio evoluzionista, e che lascia al largo le categorie classiche delle scienze storico-sociali: quella presentata da Marc Hauser, professore di Psicologia e Biologia evolutiva allUniversit di Harvard, nel
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suo ultimo libro, Menti morali. Le origini naturali del bene e del male (Il Saggiatore, 2007). Il testo ricco di suggestioni e contaminazioni filosofiche, antropologiche, economiche e supportato da dati sperimentali riconosciuti, si inserisce appieno nella cornice di una ricerca cognitivista della natura umana e ne sposa compiutamente le metodologie esplicative. Il testo, che approfondisce tutti i campi di ricerca menzionati, si snoda in tre parti: una prima sezione dedicata al problema delluniversalit della morale, una seconda sezione dedicata al problema dellinnatismo della morale e una terza dedicata al problema dellevoluzione. Ma, in sintesi, unico lobiettivo di fondo del libro: riuscire a legittimare, inforcando gli occhiali delladattazionista, lesistenza di fondamenti biologici ed innati sottostanti ai nostri concetti e alle nostre pratiche morali, senza ricorrere, per farlo, a entit trascendenti, culturali o sociali. Sulla scia della rivoluzione linguistica compiuta, a partire dagli anni Cinquanta, dalla teoria generativista del linguista americano Noam Chomsky, Hauser avverte lesigenza di rintracciare i principi della nostra sfera morale, non prendendo in esame gli usi concreti delle norme morali da parte di individui che si relazionano, ma prendendo in considerazione ci che avviene nella testa (mente/cervello) del singolo individuo. Lo studioso in questione, sfruttando il proficuo parallelismo con gli studi chomskyani, arriva a postulare lesistenza di una facolt morale innata, universale e grammaticalmente strutturata, che ci consentirebbe di creare giudizi morali in maniera immediata, intuitiva, pre-riflessiva ed automatica, senza coinvolgere artifici culturali, razionali o emozionali. La nostra facolt morale scrive Hauser nel Prologo del suo testo dotata di una grammatica morale universale, un insieme di strumenti per costruire sistemi morali specifici. Una volta acquisite le norme morali specifiche della nostra cultura un processo pi simile alla crescita di un arto che a una lezione di catechismo sui vizi e le virt giudichiamo se le azioni sono lecite, obbligatorie o proibite senza bisogno di un ragionamento conscio e di un ricorso esplicito ai principi soggiacenti. [] I nostri istinti morali sono immuni ai comandamenti espliciti trasmessi dalle religioni e dalle autorit. [] Al contrario, ritengo che i giudizi morali siano mediati da un processo inconscio, una grammatica morale nascosta che valuta le cause e le conseguenze delle azioni nostre ed altrui (pp. 9-14). Ora, con grammatica Hauser si riferisce, pertanto, alle regole e alle operazioni innate che permettono ad ogni essere umano di sviluppare e

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comprendere inconsapevolmente un insieme di giudizi e norme morali presenti nella propria cultura nativa. Ogni individuo sarebbe dotato, sin dalla nascita, di una predeterminata gamma di principi morali, evolutivamente e geneticamente codificati, e di un altrettanto definito numero di parametri, che stimolati da input ambientali, determinerebbero, fissandosi in un modo gi internamente programmato, la variabilit culturale delle norme morali. In tal modo il meccanismo principi-parametri spiegherebbe la naturale dialettica tra dotazione biologica e componente culturale. Il problema dellacquisizione della morale, cos come nel caso della teoria linguistica chomskyana, diverrebbe un problema inconscio di regolazione di interruttori e non un processo cosciente suffragato da un ragionamento esplicito. Tali principi, inaccessibili alla coscienza e alla variabilit delle esperienze sociali, sarebbero localizzati in un organo della morale, situato nella mente/cervello di ogni animale umano. Seguendo questa via di riflessione, Hauser arriva a sostenere che cos come necessaria, per parlare una lingua, una competenza innata che ne garantisca lacquisizione veloce, nonostante la povert degli stimoli esterni, anche per la morale possibile postulare lesistenza di un programma innato non determinato da norme istituite socialmente. Il bambino attuerebbe, anche in ambito morale, un processo di codifica e decodifica simile a quello che realizza durante lascolto o la produzione di un enunciato: segmentazione di unazione in unit formali discrete, riconducibili ai principi soggiacenti ad una struttura profonda. Cos, attraverso il proficuo parallelismo con il linguaggio e con il supporto dei dati sperimentali delle ricerche di alcuni teorici della mente e della simulazione, Hauser riassume lipotesi della sua teoria morale (pp. 62-63):
esiste una grammatica morale universale ed innata, organizzata secondo una struttura a principi e parametri; ciascun principio genera un giudizio rapido e automatico in merito alla possibilit che un atto o un evento sia moralmente lecito, obbligatorio o proibito; i principi operano su esperienze che sono indipendenti da ogni consapevolezza razionale e da origini sensoriali, comprese scene visive immaginate e percepite, eventi uditivi, e tutte le forme di linguaggio: parlato, dei segni e scritto; lacquisizione del sistema morale nativo veloce e spontanea, non motivata, in pratica, da nessuna istruzione; la facolt morale vincola la gamma dei sistemi etici possibili e stabili; la facolt morale per funzionare correttamente deve interagire con altre capacit mentali, alcune unicamente umane, altre condivise con altre specie;

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la facolt morale implementata in sistemi cerebrali specializzati, un danno a questi sistemi pu causare deficit selettivi nei giudizi morali, mentre un danno alle aree di supporto della facolt pu causare deficit nellazione morale e non nel giudizio.

Ebbene, lipotesi, cos brevemente schematizzata, dellesistenza di una facolt morale specie-specifica, corroborata, nel testo in questione, non da mere speculazioni teoriche, ma dai risultati empirici di alcune ricerche, compiute da Hauser e dal suo gruppo di lavoro, attraverso il progetto del Moral Sense Test (http://www.moral.wjh.harvard.edu), un test del senso morale, originale quanto bizzarro, disponibile su internet e in parte nel testo in questione. Negli esperimenti sono stati coinvolti individui normodotati, appartenenti a culture diverse, anche a culture tribali, e individui con danni ad alcuni circuiti cerebrali e sottoposti a dilemmi morali e contro-dilemmi di vario tipo, eccone tre brevi saggi: 1) In un ospedale stanno morendo cinque pazienti per una grave patologia di cinque distinti organi. Ognuno di loro verrebbe salvato se si trovasse un donatore per quellorgano, ma non ci sono donatori di sorta. Uninfermiera, a un certo punto, comunica al chirurgo che in sala d'aspetto c un uomo sano, con i cinque organi richiesti in perfette condizioni e adatti al trapianto. giusto effettuare lespianto sulluomo sano per salvare cinque vite? 2) Un uomo sta guidando la nuova auto sportiva quando vede una bambina, sul ciglio della strada con una gamba sanguinante, invocare aiuto. La bambina chiede al guidatore di portarla in ospedale. Il proprietario dellauto considera questa richiesta, mentre pensa anche ai 200 euro di costo per la riparazione degli interni in pelle dellauto. obbligatorio per luomo portare la bambina allospedale? 3) Denise un passeggero di un treno fuori controllo. Il conducente alla guida svenuto e la locomotiva sta avanzando verso cinque persone che camminano sui binari e che non potranno salvarsi in tempo perch le banchine sono troppo scoscese. Il percorso ferroviario prevede una deviazione a sinistra e Denise potrebbe effettuare la deviazione. Sul tracciato alternativo per presente unaltra persona. Ora, moralmente lecito per Denise manovrare lo scambio e far deviare la locomotiva? Orbene, i risultati di tali sperimentazioni mostrano, seguendo la linea teorica di Hauser, che i diversi individui coinvolti, nonostante lappartenenza a background socio-culturali diversi, presentano nei giudizi un certo grado di universalit e ancor di pi presentano grandi difficolt quando si chiede loro di argomentare con un ragionamento esplicito le loro scelte. Universalit dei giudizi e difficolt nelle giustificazioni varrebbero da supporto allipotesi di una grammatica universale e inconscia, imper-

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meabile a riflessioni coscienti e a variazioni storiche e sociali. Per utilizzare le metafore fornite da Hauser, lessere umano compierebbe le proprie scelte morali inforcando dapprima gli occhiali della creatura rawlsiana, creatura che opera cognitivamente secondo i principi e le dinamiche sottostanti alla teoria della giustizia del filosofo politico John Rawls, per poi utilizzare, ma non necessariamente, le lenti della creatura kantiana e di quella humeana. In breve, secondo lo schema hauseriano (pp. 192-193), le creature rawlsiane giudicherebbero unazione morale segmentandone cause e conseguenze secondo principi inconsci ed emotivamente freddi; le creature humeane farebbero appello al cuore, alle emozioni, alla consonanza emotiva per decidere ci che giusto e sbagliato; quelle kantiane, invece, articolerebbero i propri giudizi morali per mezzo di un ragionamento conscio, un processo che implica una riflessione deliberata sui principi o sulle regole (riferimento agli imperativi categorici), che rendono alcune cose universalmente giuste e altre universalmente sbagliate. In sintesi, i nostri giudizi morali verrebbero formulati dapprima in maniera inconscia ed automatica e solo in seguito suffragati da spinte emotive o da deliberazioni esplicite. Limpermeabilit dei nostri giudizi morali a spinte emotive sarebbe ulteriormente avvalorata da alcune ricerche (ancora in corso) condotte su pazienti con danni alla connessione tra lobi frontali e sistema limbico, in breve con danni ai circuiti emozionali. Questi pazienti, nonostante lassenza di riscontri e consonanze emotivi, si dimostrerebbero deficitari solo nei comportamenti morali e non nei giudizi morali. Tirando le fila, la capacit del nostro cervello di formulare giudizi su bene e male sarebbe quindi inconscia e indipendente dalle emozioni e dalle ragioni. Ne risulta che queste ultime influirebbero certamente sul comportamento, ma non sulla formulazione del giudizio morale. Molte azioni di carattere politico e legale, che fanno parte del background culturale di un paese, non avrebbero quindi effetto sul nostro concetto di bene e di male, formalmente uguale per tutti. Parafrasando Hauser: lidea che ho sviluppato in questo libro che dovremmo concepire allo stesso modo la morale. Alla base della vasta variazione interculturale che osserviamo nelle nostre norme sociali asprese, esiste una grammatica morale universale che permette ad ogni bambino di sviluppare una gamma ristretta di possibili sistemi morali. Quando giudichiamo unazione moralmente giusta o sbagliata, lo facciamo istintivamente, utilizzando un sistema di conoscenza morale che opera inconsciamente e ci inaccessibile (p. 409).

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Ebbene, la teoria della morale propugnata da Hauser, s in maniera originale quanto radicale, attira su di s, per, i limiti e le fratture di un paradigma internista e formalista. Gli studi condotti da Hauser si inseriscono pienamente allinterno di un progetto, dimpostazione cognitivista, rivolto alla naturalizzazione della vita umana. Tale programma di ricerca si propone di studiare lanimale umano ricorrendo esclusivamente agli apparati concettuali e metodologici avvalorati dalle scienze empiriche. E si propone, inoltre, di porre la lente dingrandimento su una mente umana internamente individuata e determinata, dalle facolt (organi mentali) specializzate, invarianti e specificamente modulari. Lisomorfismo che si instaura tra una mente di questo tipo e lambiente circostante sarebbe caratterizzato da rapporti causali e formali, che selezionano evolutivamente caratteri universalizzabili e pertanto ripetibili. Ricondurre lo studio, per, della sfera morale umana allo studio dei principi innati, inconsci di una presunta grammatica universale, immune ai cambiamenti storico-sociali, implica togliere dal raggio dindagine elementi specifici della nostra natura di uomini ed implica ancora imbattersi in dualismi controproducenti, del tipo interno-esterno, semplice-complesso, individuale-sociale. Rintracciare il fondamento della nostra moralit esclusivamente allinterno di strutture profonde ed istintive della nostra individuale mente/cervello significa abbassare lo sguardo di fronte alla concretezza delle diverse pratiche morali umane, di fronte alla complessit sociale delle pratiche morali. In altri termini dovremmo conoscere la morale attraverso processi inconoscibili e inaccessibili, usando una metafora hegeliana quasi a imparare a nuotare prima di arrischiarsi nellacqua (Hegel 1817, trad. it. 2002, p. 16). Il punto di vista morale diverrebbe quasi uno sorta di sguardo noumenico, uno sguardo posto al di qua del contesto etico esistente e delle relative ritualit. Ebbene, uno sguardo implicito, inconscio, formale. E lidea di una soggettivit morale preformata finisce per legare lesperienza morale alla formalit di questa stessa soggettivit e sganciarla da qualsiasi processo collettivo di emancipazione, di Bildung, di prassi che si storicizza. Finisce per sconfessarne la realt storica sussistente, la realt storica (Geschichte) in cui gli individui si costituiscono. Tiriamo in ballo il filosofo tedesco Hegel, cercando per di rapirne, solo, stenograficamente i tratti salienti: lEticit il Concetto della Libert divenuto mondo dato (Vorhandenen Welt) e natura dellautocoscienza (Hegel 1821, trad. it. 2006, 142). Luomo etico, quindi libero, quando sganciandosi da una natura egoistica, si realizza pienamente nel mondo presente come autocoscienza universale e

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riconosciuta. Quando essendo ancora una quasi autocoscienza (e non una mente/cervello preformata) lotta per la vita e per la morte (durch den Kampf auf Leben und Tod) per essere riconosciuta dallaltro, sponda necessaria del suo processo di individuazione: lautocoscienza in s e per s solo quando e in quanto in s e per s per unaltra autocoscienza, cio solo in quanto qualcosa di riconosciuto (Hegel 1807, trad. it. 2000, p. 275). Una lotta (sia individuale che sociale) che apre un riconoscimento (Anerkennung) per poi anche negarne un altro (processo dellAufhebung). Perch il processo storico-sociale dei riconoscimenti* non mai saturo, ma polisemico e aperto a crisi, non deterministicamente selezionate, che possono rigenerare la consuetudine delle nostre consolidate abitudini, norme morali o meno. E togliere, pertanto, luomo con i suoi dilemmi morali fuori dalla propria storia, fuori dalle proprie pratiche pubbliche vuol dire togliere luomo fuori dal proprio ethos ed incatenarlo allistante di un ambiente identico. I nostri giudizi morali cambiano perch la storia e le pratiche tra individui creano nuove forme di riconoscimento (si pensi alla legalizzazione dellaborto, ma anche, facendo riferimento allattuale mondo televisivo, si pensi allentrata nella casa del GF8 di un ex transessuale). Lesperienza morale unesperienza complessa, frutto, direbbe Hegel, di un processo dialettico tra individui che si riconoscono e disconoscono nello storicizzarsi di uno Spirito Oggettivo, frutto di uno Spirito che si realizza e si manifesta in un mondo esistente, presente e che si incarna negli Spiriti dei popoli (Volksgeist) che si succedono nella dialettica affermativa e negatrice della storia. Non mettiamo in discussione la natura universale della nostra morale, se questa implica pubblicit e concretezza, ne contestiamo la versione astratta, individuale e addirittura inaccessibile. E che sorte ha, inoltre, nellorizzonte teorico di Hauser, il linguaggio? Lo studioso scrive: i principi morali operano su esperienze che sono indipendenti [] da tutte le forme di linguaggio (p. 62). Dovremmo pertanto fondare i nostri giudizi morali al di fuori di ci che ci rende tipicamente umani, ossia il linguaggio. E dal momento che il linguaggio permea le nostre esperienze di umani dovremmo ricercare le nostre basi morali fuori dal nostro ambiente, fuori dalla nostra storia naturale, direbbe Wittgenstein. Dovremmo concepire cos il nostro habitat come un epifenomeno. Usando, invece, i termini chomskiano-hauseriani dovremmo concepire il linguaggio verbale solo come linterfaccia di un linguaggio formale interno
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Mi riferisco ancora alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel.

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Adalgisa Caira

e il senso (anche morale) della comunicazione come un rigido procedimento di traduzione sintattica operata da un organo precostituito. Le diverse lingue, da noi quotidianamente parlate, con le quali comunichiamo, costruiamo sensi ed identit (morali nel caso del testo in questione) sociali ed individuali, con le quali preghiamo, litighiamo, amiamo collasserebbero in una sola ed invariante facolt (organo) di linguaggio, non alimentata da alcuna prassi sociale: che prassi mai si potrebbe avere tra individui che hanno gi in s tutto quello che dovrebbe venir fuori da altri? Lingua e societ diventano semplici accessori del corredo umano. Ecco il paradosso: chi pretende di naturalizzare la mente umana e le sue attivit senza considerare il linguaggio, la storia e la pubblicit delle sue pratiche concrete, in realt assume un punto di vista antinaturalistico, perch trascura proprio la natura di ci che sta studiando, la sua specificit biologica. Ed ecco come risponderebbe Hegel: nel linguaggio, la vera e propria singolarit essente per s dellautocoscienza emerge nellesistenza ed per gli altri (Hegel 1807, trad. it. 2000, p. 683). Hauser sembra per di pi rimanere intrappolato nelle sue stesse argomentazioni: com possibile stabilire una grammatica morale universale e formale, utilizzando come strumenti dindagine la diversit dei fatti sociali e concreti? E ancora perch tener conto nei risultati dei test solo delle risposte uniformate? Che fine fanno quelle che non presentano un certo grado di universalit? Ebbene, avremo un istinto morale (forse!), ma questo non basta. Altrimenti lo scotto sarebbe troppo consistente.
Bibliografia HAUSER, M.D. (2006), Moral Minds (trad. it. Menti morali. Le origini naturali del bene e del male, Milano, Il Saggiatore, 2007). HEGEL, G.W.F. (1807), Phnomenologie des Geistes (trad. it. Fenomenologia dello Spirito, Milano, Bompiani, 2000). HEGEL, G.W.F. (1817), Encyclopdie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Heidelberg, Owald (trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche, Roma-Bari, Laterza, 2002). HEGEL, G.W.F. (1821), Grundlinien der Philosophie des Rechts (trad. it. Lineamenti di Filosofia del diritto, Milano, Bompiani, 2006). WITTGENSTEIN, L. (1953), Philosophische Untersuchungen, Oxford, Blackwell (trad. it. Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1999).

Intervista a ROBERTA DE MONTICELLI1 Le innumerevoli risorse della ricerca fenomenologica di ARMANDO CANZONIERI 1. Sembra che la fenomenologia sia un movimento di pensiero che rinasce sempre dalle sue stesse ceneri; i problemi posti dalla filosofia cambiano ma questa disciplina continua ad avere qualcosa da dire. Quali sono, secondo lei, i concetti, nati allinterno del movimento fenomenologico, che oggi possono essere ancora utilizzati dalla riflessione filosofica per affrontare il problema della natura umana e dellesperienza umana cosciente? Pi che dalle sue stesse ceneri, la fenomenologia rinasce dalle ceneri dei fraintendimenti e delle ignoranze, a volte involontarie e altre no, che hanno fatto la sua (s)fortuna nel secolo scorso. Rinasce dalle assurde riduzioni che si sono fatte del suo spirito, quanto mai aperto alla ricerca anche empirica e alle sue avventure, a quello di un attardato cartesianesimo tutto chiuso nella rocca del cogito; o di un razionalismo ignaro del ruolo di affetti, corpo, azione nella stessa formazione della ragione, o ignaro della ragionevolezza, cio dellesercizio della ragione in condizioni limitate. Rinasce dalla riduzione del metodo di ricerca che la fenomenologia ad un sistema filosofico fra gli altri, accompagnata di solito dalla riduzione della fenomenologia a un fenomenismo o a una sorta di idealismo (che disconosce lambizione della fenomenologia a dire qualcosa sulla realt e non solo sulla coscienza che ne abbiamo), anzi a parlare di ambiti di realt diversi (regioni ontologiche) eppure connessi (dalle relazioni di fondazione che connettono fra loro le diverse regioni ontologiche come natura, persona eccetera). E questo ci introduce alla domanda pi specifica. Unontologia della regione persona, vale a dire una caratterizzazione essenziale di che cosa rende tale una persona umana fin dal secondo libro delle Idee di Husserl uno dei punti principali del programma di ricerca fenomenologico. Ma essenziali apporti sono venuti da quei fenomenologi che si sono pi intensamente concentrati sullanalisi delle strutture dellaffettivit e del volere, vale a
Ringrazio la professoressa De Monticelli per aver accolto la proposta di accompagnare e completare la recensione del testo Neurofenomenologia (2006) con questa intervista.
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dire di quelle disposizioni i cui atti sono detti egologici. Gli atti di tipo conativo (ad esempio le decisioni e le azioni volontarie) e quelli di tipo affettivo (ad esempio il provare dolore, speranza, paura) sono caratteristicamente esperienze in cui ciascuno, mentre le vive, sperimenta se stesso come tale, come soggetto degli atti stessi. Mentre le vive, e non per riflessione. Per riflessione posso riconoscermi soggetto di un atto puramente cognitivo, come risolvere unequazione, ma non ho certo bisogno di esser presente a me stesso, mentre cerco di ricordarmi i passi da fare per risolverla. Invece non posso sentire male senza sentirmi male, non posso suonare il piano senza sentirmi agente e causa dei suoni che produco. Gi questo concetto di atti egologici, che isola e descrive i tipi di esperienza in cui si costituisce la nozione di soggetto, fa fare un enorme passo avanti alla sterile problematica della soggettivit come lato interno, inaccessibile e ineffabile delloggetto persona, come fascio di qualia o simili. 2. Quindi lei crede che a partire da una fenomenologia dellaffettivit e del volere che il problema della persona umana possa essere circoscritto e chiarito. Non c nulla di ineffabile nella descrizione di quegli atti in cui effettivamente noi, a partire dalla prima infanzia, facciamo esperienza della nostra capacit di subire e della nostra efficacia causale, cio dei contenuti esperienziali della nozione di soggetto. Ci sono, anzi ottime teorie fenomenologiche del volere, da un lato, degli innumerevoli e ben connessi fenomeni della sfera affettiva dallaltro. Questa nozione preliminare alla comprensione della definizione fenomenologica di persona come soggetto datti. Naturalmente occorre, per capire questa definizione e la teoria che essa introduce, la teoria stratificata degli atti (DE MONTICELLI, 2007), soffermarsi anche su quegli strumenti concettuali indispensabili che sono la differenza fra atti e stati, la differenza fra motivi e cause e la differenza fra azioni ed eventi. Si tratta di distinzioni ontologiche, e non di una riedizione delle vecchie distinzioni neo-kantiane o al pi wittgensteiniane fra scienze della natura e scienze umane, o fra spiegare e comprendere. Impossibile dunque entrare qui nei dettagli della teoria: si pu comunque dire sulla base di queste argomentate distinzioni, essere una persona equivale a emergere sui propri stati mediante i propri atti. Questo emergere distingue la persona umana in tutti gli aspetti principali in cui si differenzia da altri animali superiori: grado di libert dazione, capacit di assumere impegni, capacit di creare istituzioni e artefatti complessi, capacit di parlare una lingua atta non solo alla comunicazione ma al giudizio e alla finzione. Anche il problema dif-

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ficile secondo Chalmers, il problema della coscienza, ne riceve una luce del tutto nuova, ci torneremo forse pi avanti. 3. La ricerca filosofica pu ancora avere una autonomia quando le domande fondamentali sulluomo vengono poste da scienza quali biologia e neurologia? Se si, che tipo di autonomia e come il confronto con queste scienze ha modificato i metodi della ricerca filosofica? Io credo che la fenomenologia nasca e rinasca come risposta a questo processo di naturalizzazione, ovvero di acquisizione di sempre pi larghe parti dellinterrogazione filosofica tradizionale ai metodi scientifico-empirici. Un processo abbondantemente in corso gi ai tempi di Husserl, e che oggi cresciuto in modo esponenziale. In realt ci che pu sconcertare i filosofi non sono certamente i risultati empirici, sui quali del resto bisognerebbe tenersi informati, ma le generalizzazioni filosofiche fatte a partire da essi, e in particolare le forme oggi sul mercato di materialismi riduttivi, o addirittura eliminativi: che cio riducono ad altro o eliminano dallambito di ci che esiste i principali fenomeni di cui abbiamo parlato sopra dalla nostra coscienza alla nostra libert, dai colori del mondo visibile ai valori delle cose e delle situazioni nel mondo della nostra vita. Queste riduzioni ed eliminazioni corrispondono precisamente a quello scetticismo nei confronti dei fenomeni, cio della realt apparente immediatamente esperibile, nei modi della percezione ma anche del sentire, dellempatia, e in altri modi della cognizione diretta quello scetticismo dunque, per combattere il quale la fenomenologia appunto nasce e cresce. Nasce e cresce dunque come una nuova risposta al mandato di Platone, salvare i fenomeni, e ci aiuta a sondare la profondit di questo mandato. Ma contro questo scetticismo relativo ai fenomeni nessun argomento conclusivo. Quello che occorre non un argomento, per quanto complesso, ma una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire i rapporti fra apparenza e realt: una rivoluzione non solo relativamente alla filosofia moderna, ma anche a quella antica (ancora una volta, non si tratta dunque di un ritorno alle radici). Questa vera e propria rivoluzione ontologica la fenomenologia. Solo riconoscendo ai livelli molecolari di indagine la loro perfetta legittimit, ma anche pretendendo il riconoscimento di uno statuto di realt a quei fenomeni che non sono pi abbordabili a un livello molecolare, ma costituiscono oggetto di studio per la filosofia, si potr ritrovare un rapporto proficuo fra le nuove scienze delluomo e la ricerca filosofica.

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4. Come descrivere una possibile interazione proficua tra queste discipline e la filosofia? Ecco, diciamo anzitutto in cosa consiste questa rivoluzione. Partiamo dalle cose apparenti nel senso pi semplice del termine, le cose visibili. Noi tendiamo a pensare che la vera realt della cosa risieda nella sua parte non apparente, o nascosta, vale a dire che la cosa sia in effetti quello che questa parte nascosta. Ad esempio la sua struttura fisica, le particelle di cui in ultima analisi composta e le interazioni che le tengono insieme. Per la verit anche chi pensa che la realt di una cosa poniamo, di una persona sia la sua anima, tende a pensare a questa realt come a unentit nascosta. In ogni caso lentit vera la sostanza viene anche nel linguaggio comune contrapposta allapparenza della cosa. E infine, per quanto senza uscita siano le oscurit in cui ci avvolgiamo, noi tendiamo a pensare questo rapporto fra sostanza e apparenza, fra realt e fenomeno, in termini di causazione (la realt causa lapparenza, la determina, ovvero questa risulta a partire dalla realt sottostante). In ognuno di questi casi il vero essere della cosa, la sua realt o sostanza, pensato risiedere non nellapparenza, ma in ci che la fonda, la determina, la causa. Il linguaggio corrente suggerisce questo quasi inevitabilmente. In conclusione, noi tendiamo a pensare che ci che fonda ontologicamente pi importante di ci che fondato; la base o linterno pi importante di ci che emerge alla superficie. Una sorta di atavica grammatica mentale, insomma, ci induce tacitamente a pensare che lentit e lidentit della cosa risieda pi nella sua base nascosta che nelle sue propriet emergenti: lacqua realmente nelle sue molecole piuttosto che nella sua liquidit e trasparenza, la realt di una persona nelle sue basi biologiche piuttosto che nella sua fioritura personale, e cos via Questa grammatica atavica ci che chiamiamo ontologia. Ma in realt non che unontologia, unontologia che chiede oggi una profonda revisione. Questa profonda revisione la fenomenologia. 5. In che modo viene operata questa revisione? La fenomenologia ridefinisce completamente il rapporto fra realt e apparenza. Fenomeno non semplicemente lapparenza della cosa. La parola denota quella che chiameremo la struttura emergente della cosa. A questo punto facile definire il rapporto fra le discipline empiriche e la filo-

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sofia: questa si occupa soltanto delle propriet emergenti delle cose, fra le quali tuttavia si trovano le propriet essenziali, per mezzo delle quali si identifica il tipo di cosa di volta in volta in questione. Una persona sar identificata cio dalla sua capacit di impersonare liberamente le disposizioni caratteristiche della natura umana, e non dalla descrizione biologica di questa natura, bench naturalmente questa natura sia fondante rispetto alla sua personalit. Una statua, dalle sue qualit estetiche specifiche, e non dalle molecole del marmo di cui fatta. Detto in breve, fare ricerca filosofica ricondurre le realt basilari e parziali che le scienze studiano ai loro interi di appartenenza e occuparsi di questi ultimi. 6. Focalizziamo lattenzione sulla neurofenomenologia. Leggendo i diversi saggi contenuti nel libro da lei curato (penso soprattutto allarticolo di Jean Petitot La svolta naturalista della fenomenologia e di Natalie Depraz Mettere al lavoro il metodo fenomenologico), ma anche durante la lettura degli altri testi di Varela, ho avuto limpressione che un interrogativo fosse assente o solamente accennato, riguardante la relazione tra analisi fenomenologica e analisi semantica dei vissuti. Lei crede che sia possibile esplicitare le operazioni semantiche che sono sottintese allepoch e alla variazione eidetica e collegare in questo modo lanalisi eidetica dei vissuti ad una analisi grammaticale dei loro resoconti in prima persona? Vediamo dapprima pi in generale il senso e linteresse dellapplicazione neurofenomenologica della fenomenologia. Scrive Vittorio Gallese nel suo contributo alla raccolta: Personalmente, credo sia molto pi interessante fenomenologizzare le neuroscienze cognitive che naturalizzare la fenomenologia. Utilizzare cio vari aspetti della riflessione fenomenologica sul corpo vivo e sul ruolo da esso giocato nella costruzione della nostra realt, e in particolare nella costruzione della realt intersoggettiva. La nostra ambizione nelledizione del reading certamente pi modesta e preliminare. Ci pareva utile insistere sulle risorse che il metodo fenomenologico offre per fare una cosa che nessun altra disciplina pu fare, ma solo la filosofia, e di cui abbiamo oggi un bisogno estremo: gettare un po di luce sulle relazioni fra il mondo della vita quotidiana, che anche il mondo in cui nascono tutte le nostre curiosit cognitive e le nostre risposte emotive, oltre che quello in cui si radicano i nostri interessi, le nostre scelte, le nostre azioni, la cultura e le sue istituzioni; e i mondi scoperti e indagati negli ultimi secoli, ma soprattutto nellultimo cinquantennio, dalle

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scienze naturali, in particolare la fisica, la biologia e le scienze della mente, e ancora pi particolarmente le neuroscienze. Entriamo ora un po pi nello specifico della sua domanda: analisi fenomenologica e analisi semantica. Secondo alcuni autori, la nozione di noema, o di senso dessere, in fondo una generalizzazione della nozione fregeana di senso o pensiero (SMITH, 1982 e DUMMETT,1995). Questa lettura ha del vero, anche se non sottolinea abbastanza le differenze: in primo luogo, un pensiero certamente per Husserl il senso di un enunciato, ma a differenza che in Frege un momento di quellinterodi-significato che una proposizione (un pensiero pu cio essere riformulato in altri enunciati, ma non pu sussistere senza il momento linguistico, n un enunciato tale senza il senso di cui investito). In secondo luogo, un noema semmai un pensabile ma resta un dato essenziale, non un significato linguistico per mezzo del quale posso descriverlo. Resta vero per che quello che Frege dice del contenuto di quegli atti che sono i giudizi, cio dei pensieri o portatori di verit e falsit, Husserl lo generalizza ai contenuti di atti in generale: cognitivi (non solo giudizi o asserzioni, ma anche gli atti che procurano a questi una giustificazione appropriata, come percezioni, operazioni logiche quali dedurre o inferire, ecc.); affettivi, conativi. 7. Quindi lidea stessa di norma conoscitiva, in contrapposizione alla legge fisica e logica ad essere differente? Questi contenuti non sono mentali, non stanno nella mente e neppure nel cervello, perch sono ci senza di cui non avremmo norma di adeguatezza ai nostri atti, cio non avremmo norma di ragione ai nostri comportamenti. In particolare, non avremmo norma di verit ai nostri giudizi, ad esempio non avremmo i principi logici e le regole di deduzione che pure le scienze empiriche, e in particolare le scienze del cervello e quelle della mente presuppongono validi. Ma non avremmo norma di validit neppure alle nostre percezioni, ai nostri ricordi, alle nostre emozioni, ai nostri desideri, alle nostre decisioni. Un mondo senza oggettivit n in scienza, n in etica il mondo di quello che Husserl, con una parola usata in modo caratteristicamente lato e radicale, chiama lo scetticismo. un mondo in cui gli atti delle persone non hanno condizioni di validit. Reciprocamente, gli atti delle persone hanno condizioni di validit se e solo se accedono a quelle fonti di normativit che sono le cose stesse nel loro tenore eidetico. In quanto contenuto

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di un atto, un noema in certo modo un noumeno, un intelligibile: la parte visibile alla coscienza di una realt essenziale, di un dato non empirico. Per un fenomenologo, abbiamo a che fare tutto il tempo coi noumeni, le cose in s. Dalla pi effimera delle percezioni alla pi fatale delle decisioni della nostra vita. Seria e degna di essere vissuta la vita in questa prospettiva. Non affatto, quindi, alla naturalizzazione della mente (o psiche) che il fenomenologo portato ad opporsi, ma alla naturalizzazione della coscienza: lo , mutatis mutandis, per le stesse ragioni per cui Frege si opponeva alla naturalizzazione delle leggi della logica. In effetti, non la psiche ma la coscienza presenza, in ultima analisi, di pensabili, e quindi di verit possibili (a proposito di fatti, di essenze, di valori, di doveri). Questa eccedenza della coscienza sulla psiche uno dei fenomeni emergenti che caratterizzano la novit ontologica delle persone. 8. Nel suo contributo al testo Neurofenomenologia, proprio questa ontologia della persona che lei cerca di tratteggiare. Questo un problema che da tempo accompagna la sua riflessione. Pu delinearne i contorni e accennare ai metodi che ritiene efficaci per affrontarlo? In quellarticolo mi soffermo su due problemi: come uscire dal quadro ontologico implicito nel problema mente-corpo e nelle sue varie soluzioni, che configurano come unica alternativa di fondo un monismo materialistico e un dualismo seppure unalternativa sfumata da una serie virtualmente infinita di combinazioni. E come costruire unontologia dellessere personale allinterno della quale si possa risolvere il problema dellidentit personale. Discuto due versioni molto differenti di ontologia adatta a render ragione della natura delle persone umane, che hanno in comune la circostanza di sfuggire allalternativa fra monismi materialistici e dualismi. Sono le teorie degli esseri materiali (viventi) di Peter Van Inwagen e quella delle persone di Lynne Baker. Cerco in quellarticolo di mostrare che nessuna delle due teorie fornisce una soluzione soddisfacente al problema dellidentit personale. Argomento a questo scopo molto pi utile del concetto di composizione (Van Inwagen) e di quello di costituzione (Baker) risulta quello husserliano di Fundierung, che non solo d conto di una dipendenza dellesser persona umana dalle basi biologiche specifiche, e d conto anche dellirriducibilit o novit ontologica della persona rispetto alle sue basi biologiche; ma inoltre d conto di quel carattere veramente caratterizzante dal punto di vista on-

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tologico che mi sembra essere, per le persone, la loro individualit essenziale. Abbozzo quindi una caratterizzazione formale del concetto di individualit essenziale, che sostanzialmente rende conto dellunicit, questa caratteristica delle persone umane: esse sono non replicabili, cio impossibilitate a differire, nonostante in linea di principio replicabili siano i loro genomi individuali (come accade anche nel caso dei gemelli omozigoti). Lunicit, a mio parere una delle tre caratteristiche ontologiche di cui godono congiuntamente le persone e solo le persone (ne conosciamo solo di umane ma nulla vieta che se ne incontrino in futuro di marziane o basate su unaltra biologia): e cio le caratteristiche che riassumo in altri lavori nelle categorie di profondit, o eccedenza dessere rispetto allaspetto e alla presenza personali, eccedenza che fa loggetto potenzialmente inesauribile della conoscenza personale di s e degli altri; e di inizialit, neologismo questo in cui raccolgo due caratteristiche tradizionalmente riconosciuteci da una parte della tradizione filosofica: il libero arbitrio, e la capacit di dare esistenza a cose di tipo nuovo.

ADELINA CATALDO Lincubo marziano. The War of the Worlds di H.G. Wells

In The War of the Worlds, il discorso antiutopico, tipico dei romances wellsiani, prende il via da una prospettiva cosmica che prende spunto dagli interessi astronomici dellepoca, i quali forniscono materiale di straordinaria attualit. Lo stesso Wells si era occupato a pi riprese della possibilit dellesistenza di vita intelligente nel cosmo, e in particolare su Marte. Lo spunto a tali riflessioni veniva dagli studi attuati da Percival Lowell, i cui scritti avevano contribuito a diffondere la convinzione che Marte fosse attraversata da una vasta rete di canali, i quali rappresentavano una complessa opera di ingegneria, disegnata per diffondere lacqua proveniente dallo scioglimento stagionale delle cappe polari1. Un altro studioso, di nome Robert S. Ball, aveva publicato su The Fortnightly Review The Possibility of Life in Other Worlds, ipotizzando la presenza di acqua su Marte2. Wells era ovviamente a conoscenza di tali studi, ma la sua immaginazione lo avrebbe portato ancora pi lontano; cos, accanto allosservazione del cosmo, egli colloca nel suo romance la proiezione futurologica, con le sue supposizioni riguardanti levolversi dellumanit. Marte un pianeta pi antico della Terra, per cui il popolo che lo abita dovrebbe costituire una civilt pi evoluta, sul piano scientifico e tecnologico, nonch su quello biologico. I tratti caratteristici dei Marziani divengono, dunque, la proiezione futurologica dei tratti tipici della nostra specie. In The Man of the year Million, Wells aveva infatti previsto, per il genere umano, la perdita progressiva di tutti quei caratteri morfologicamente animali, come i denti e i capelli, che, alle origini della specie avevano avuto lo scopo di proteggerci dalle insidie ambientali, ormai scomparse, grazie allo sviluppo della civilt umana. Luomo del futuro avrebbe allora avuto un
T. DOBBONS & R. BAUM, Observing a Fictional Moon (H.G.Wellss novel The First Men in the Moon inspired by astronomer W.H. Pickerings lunar discoveries), Sky & Telescope, June 1988, 95/6, p. 105. 2 R.S. BALL, The Possibility of Life in Other Worlds, cit. in C. PAGETTI, I Marziani alla corte della regina Vittoria, Pescara, Tracce, 1986, p. 26.
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corpo rimpicciolito, con un cervello enorme, e delle mani sensibilissime, quasi delle appendici tentacolari. Il riferimento a questo saggio reso esplicito nel secondo capitolo del secondo libro di The War of the Worlds:
a certain speculative writer of quasi-scientific repute, writing long before the Martian invasion, did forecast for man a final structure not unlike the actual Martian condition3.

Nel romance, i Marziani vengono descritti come grossi octopuses, tutto cervello, e dotati di sottili tentacoli, che vengono peraltro richiamati nella struttura che essi danno alle loro macchine da guerra, enormi tripodi da cui pendono articulate ropes of steel4 per mezzo dei quali afferrano le loro vittime. Tale rappresentazione evolutiva dei marziani, permette inoltre a Wells di portare avanti la sua critica agli effetti della meccanizzazione, e, come sosterr H.L. Sussman, nel suo Victorians and the Machine:
The physical grotesqueness of the Martians, like the animality of the Morlocks and the effiminacy of the Eloi, is an evolutionary extrapolation of the present effects of the machine5.

Marte dunque un pianeta pi evoluto, ma, di conseguenza, anche morente: essendo pi antico della Terra, esso anche pi vicino alla fine, per via del processo di raffreddamento che un giorno interesser anche il nostro pianeta. Necessity ha dunque spinto i marziani a cercarsi unaltra dimora: poich la Terra il pianeta abitabile pi vicino, una spedizione marziana la invade con la sua superiore tecnologia. Ci che ne consegue appunto una lotta per la sopravvivenza, uno scontro tra human e nonhuman.
3 Continua: His prophecy, I remember, appeared in November or December, 1893, in a long- defunct publication, the Pall Mall Budget []. He pointed out [] that the perfection of mechanical appliances must ultimately supersede limbs; the perfection of chemical devices, digestion; that such organs as hair, external nose, teeth, ears, and chin wee no longer essential parts of the human being, and that the tendency of natural selection would lie in the direction of their steady diminution through the coming ages. The brain alone remained a cardinal necessity. Only one other part of the body had a strong case for survival, and that was the hand, teacher and agent of the brain (H.G. WELLS, The War of the Worlds, New York, Lancer, 1967, p. 178). 4 Ivi, p. 63. 5 H.L. SUSSMAN, Victorians and the Machine. The Literary Response to Technology, Harvard (Ma.), Harvard University Press, 1968, p. 176. Scrive inoltre Sussman: The deterioration of physical strength in a mechanized age was a common fear throughout the century.

The War of the Worlds di H.G. Wells

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La voce a cui Wells affida il racconto dellincubo Marziano ha il compito di riportare la narrazione dalla sua dimensione cosmica alla realt quotidiana di un paesaggio e di comportamenti umani che sono parte integrante dellesperienza comune e contemporanea. Il narratore , infatti un uomo come tanti altri, e tale espediente serve a sferrare un attacco alla complacency, tipicamente borghese, di una umanit fiduciosa verso il proprio avvenire, e che dunque non si accorge della futilit della societ contemporanea. In questo contesto, si colloca lironico preambolo, affidato, naturalmente, a quellalter ego wellsiano, peraltro senza nome, a cui delegato lintero racconto, a partire da The Eve of the War:
No one would have believed in the last years of the nineteenth century that this world was being watched keenly and closely by intelligences greater than mans and yet as mortal as his own; that as men busied themselves about their various concerns they were scrutinized and studied, perhaps almost as narrowly as a man with a microscope might scrutinize the transient creatures that swarm and multiply in a drop of water. With infinite complacency men went to and fro over this globe about their little affairs, serene in their assurance of their empire over matter6.

Tale prospettiva pone luomo in una posizione ambigua allinterno della scala naturale: da una parte egli predatore rispetto alla natura pi bassa, ma anche vittima della natura superiore dei marziani, e dunque preda7. I marziani osservano lumanit come luomo osserva al microscopio gli esseri, altrimenti invisibili, che nuotano e si moltiplicano in una goccia dacqua. Ancora una volta, in The War of the Worlds, luomo sperimenta quel sense of dethronement, di cui scrive P. Parrinder a proposito di The Time Machine e The Island of Dr. Moreau8. I Marziani giungono infatti sulla terra per sostituire al dominio delluomo il proprio Reign of Terror. Inoltre, per rendere pi plausibile larrivo dei cilindri lanciati da Marte e contenenti gli alieni incaricati della colonizzazione della terra, Wells fa
H.G. WELLS, The War of the Worlds, cit., p. 7. Cf. J. HUNTINGTON, The Logic of Fantasy: H.G.Wells and Science Fiction, cit. In AA.VV., Twentieth-Century Literary Criticsm, Gale Research Company, 1986, vol. 19, p. 443. Huntington sostiene, inoltre, che: This structure makes us aware of the ethical horror of natural evolutionary behavior and makes us reconsider the relations that can exist across species lines (ibid.). 8 P. PARRINDER, Shadows of the Future. H.G. Wells, Science Fiction and Prophecy, Liverpool University Press, 1995, p. 49.
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riferimento ad una mass of flaming gas 9 che sarebbe stata rivelata dagli osservatori del pianeta rosso circa sei anni prima della catastrofe. Il narratore pu ora sorprendersi di come gli uomini, allora del tutto inconsapevoli della tragedia che stava per abbattersi sulle loro teste, avevano continuato ad occuparsi tranquillamente di petty concerns 10 . A tal proposito, lambientazione dellinvasione marziana resa con una straordinaria ricchezza di dettagli topografici (in quegli anni lo stesso Wells viveva a Woking, e imparava ad andare in bicicletta). Il quadro di tranquilla quotidianit serve ad accentuare lo shock causato dal suo successivo stravolgimento. Gli alieni provenienti da Marte arrivano sulla terra con le loro terrificanti macchine da guerra, frutto della loro superiore tecnologia, e iniziano immediatamente la loro opera di distruzione. Cos, non appena si apre il primo dei cilindri piovuti dal cielo, inizia il macello,
secondo il principio della predazione totale, quasi un incubo di morlockiana memoria, ma inserito in un contesto tecnologizzato. Questa volta, la ricerca disumanizzata e di-sumanizzante del cibo si compie con il fuoco del raggio della morte (Heat Ray) e con il ferro spietato delle macchine da guerra (Handling Machines), a morfologia tentacolare come gli esseri che le hanno costruite11.

I Marziani, da soli, sono appena in grado di strisciare, trascinando lentamente i propri corpi, appesantiti tra laltro dallatmosfera terrestre; tuttavia, la loro superiore intelligenza li ha resi in grado di costruire micidiali macchine da guerra che fungono da naturale prolungamento di quei corpi. Nelle fasi successive del racconto, infatti, i Marziani vengono letteralmente persi di vista, sostituiti dallimmagine degli enormi tripodi che avanzano a grandi passi, simili ad esseri viventi:
it was no mere insensate machine driving on its way. Machine it was, with a ringing metallic pace, and long, flexible, glittering tentacles [] swinging and rattling about its strange body. It picked its road and went striding allong, and the brazen hood that surmounted it moved to and fro with the inevitable suggestion of a head looking about12.
H.G. WELLS, The War of the Worlds, cit., p. 11. Il narratore non esclude neanche se stesso in questa critica: For my own part, I was much occupied in learning to ride the bicycle, and busy upon a series of papers discussing the probable developments of moral ideas as civilization progressed (ivi, p. 15). 11 A. MONTI, Invito alla lettura di H.G. Wells, Milano, Mursia, 1982, p. 57. 12 H.G. WELLS, The War of the Worlds, cit., p.64.
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Si offusca cos, decisamente, il confine tra creatura e macchina, di cui il Marziano si ridotto a semplice cervello motore13:
They have become practically mere brains, wearing different bodies according to their needs just as men wear suits of clothes and take a bicycle in a hurry or an umbrella in the wet14.

La macchina diventata viva, e lo scontro ora fra luomo e le fighting machines che i marziani indossano come unarmatura da combattimento. Per Sussman: le macchine da combattimento rappresentano
more than the conventional anthropomorphic wonders. In his preceding work, The Invisible Man (1897), Wells had illustrated through the naturalistic method the potential for cruelty in the purely scientific intellect; in this work the fighting machines become symbols of the same theme. For the Martians are not evil; they are merely efficient15.

Le macchine dei marziani stanno dunque a simbolizzare unaltra forma di razionalit amorale nel campo scientifico. lo stesso narratore a sottolineare il fallimento etico rappresentato dagli alieni:
Without the body the brain would, of course, become a mere selfish intelligence, without any of the emotional substratum of the human being16.

Con la loro tecnologia, essi si accingono a distruggere una civilt di cui sono appena consapevoli. Il paragone con la politica imperialista britannica doveva certamente risultare chiara a moltissimi lettori dellepoca. Una lettura in tal senso stata avanzata da D. Hughes, per il quale la trama di The War of the Worlds analizzabile come
unallegoria della conquista della societ primitiva da parte di colonizzatori tecnicamente progrediti senza alcun rispetto per i valori o la cultura originari17.
13 Cos, il narratore, osservando la crab-like handling machine che i Marziani utilizzano per la costruzione delle loro macchine da guerra, dir che: It seemed infinely more alive than the actual Martians lying beyond it [], panting, stirring ineffectual tentacles, and moving feebly (ivi, p. 183). 14 Ivi, pp.181-182. 15 H.L. SUSSMAN, op. cit., p. 179. 16 H.G. WELLS, The War of the Worlds, cit., p. 179. 17 D. HUGHES, The Garden in Wellss Early Science Fiction, in S. SUVIN e R. PHILMUS, H.G. Wells and Modern Science Fiction, Lewisburg, Bucknell University Press, 1977, cit. in A. Monti, op. cit., pp. 63-64.

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E, per ovviare alla possibilit che tale critica passasse inosservata al lettore tardo-vittoriano, Wells inserisce un commento talmente esplicito da sciogliere ogni dubbio a riguardo:
The Tasmanians, in spite of their human likeness, were entirely swept out of existence in a war of extermination waged by European immigrants in the space of fifty years. Are we such apostles of mercy as to complain if the Martians warred in the same spirit?18

Cos, da un lato, The War of the Worlds esprime un certo senso di colpa per la politica imperialista, ma, dallaltro, rappresenta il terrore delle invasioni che costituiva una preoccupazione tipica della societ vittoriana negli ultimi decenni dellottocento. LInghilterra viene allora a coincidere con la Tasmania degli avvenimenti storici, e la favola anti-imperialista raccontata dal punto di vista delloppresso, il quale viene ridotto alla sua componente di animalit regressiva:
I began to compare the things to human machines, to ask myself for the first time in my life how an iron-clad or a steam-engine would seem to an intelligent animal19.

La macchina, come simbolo, assume un significato politico e il confronto tra umano e alieno implica un confronto tra umani di razze diverse. Cos, quando il narratore incontra un gruppo di soldati e offre loro la sua descrizione degli alieni, uno dei soldati risponde: It aint no murder killing beasts like that20, per cui lestraneit dei marziani rispetto alla razza umana sottrarrebbe i soldati dallaccusa di omicidio. La verit che il disastro dellumanit ha causato una regressione che ha distrutto ogni traccia di moralit collettiva, riducendo ancora una volta lesistenza alla dialettica primordiale di preda e predatore; e in tal modo Wells intende ricordare, nuovamente, alluomo la sua parentela con il mondo naturale:
When the novel opens, Homo sapiens is on one side of a dividing-line, with the rest of earth-life on the other. With the arrival of the Martians, man is pushed back amongst his fellow terrestrials. Imagery constantly reclaims him for the
H.G. WELLS, The War of the Worlds, cit., p. 10. Ibid. 20 Ivi, p. 53.
18 19

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animal world: in the course of the book, men are compared to infusoria, monkeys, lemurs, sheep dodos, cows, ants, frogs, bees, wasps, rabbits, rats and oxen21.

La guerra arriva a cancellare ogni distinzione o regola che salvaguardi il patrimonio specifico didentit elaborato dalluomo nel corso della sua storia. Cos, alla fine, i marziani non sono molto diversi dagli uomini, e la conferma a ci ci viene data, ancora una volta, dal tema dellantropofagia. Occorre allora ricordare che, nei primi scientific romances di Wells, laddove presente il tema del cannibalismo, esso costituisce una prova di diversit. Se implicato il cannibalismo, e il terrore ad esso connesso, ci significa che le due specie, in realt, sono parte di un tutt'uno. I marziani si nutrono infatti, preferibilmente, di sangue umano e lidea, secondo il narratore, horribly repulsive 22 . Essi rappresentano delle vere e proprie creature da incubo, ma ci che pi disturba del loro essere la consapevolezza che, come per i temibili Morlocks di The Time Machine, anche nel caso dei marziani ci si trovi di fronte allimmagine di uno dei possibili futuri dellumanit23, un futuro antiutopico, come altri descritti da Wells. * * * *

Nel capitolo intitolato In London, leggiamo che I marziani stanno dirigendosi verso la capitale, utilizzando una nuova arma, un fumo velenoso dagli effetti devastanti. Il panico creato dalla diffusione di questa notizia conduce al grande esodo descritto nel capitolo sedicesimo. Qui si assiste alla cronaca minuto per minuto della dissoluzione della societ metropolitana: lenorme massa di gente nelle strade costituita da un miscuglio eterogeneo di persone provenienti da diversi strati sociali. Qui Wells manifesta tutta la sua abilit descrittiva:
So you understand the roaring wave of fear that swept through the greatest city in the world just as Monday was dawning the stream of flight rising
P. KEMP, H.G. Wells and The Culminating Ape. Biological Imperatives and Imaginative Obsessions, London, Macmillan Press, 1996, p. 23. 22 Inoltre, secondo Kemp, lo stesso aspetto dei marziani d unimpressione di considerable voracity: There was a mouth under the eyes, the brim of which quivered and panted and dropped saliva (ivi, p. 23). 23 Ci spiegherebbe i vari punti di contatto tra la descrizione fisica dei marziani e quella di The Man of the Year Million. Probabilmente, secondo Wells, fra un millione di anni, anche gli uomini avranno huge round bodies e slender, almost whiplike tentacles.
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swiftly to a torrent, lashing in a foaming tumult round the railway-stations, banked up into a horrible struggle about the shipping in the Thames, and hurrying by every available channel northward and eastward. [] All the railway lines north of the Thames and the South-Eastern people at Cannon Street had been warned by midnight on Sunday, and trains were being filled. People were fighting savagely for standing-room in the carriages even at two oclock. By three, people were being trampled and crushed even in Bishop Street24.

Lesodo da Londra particolarmente terribile: nel momento in cui un pericolo mortale minaccia lumanit, gli uomini non sono migliorati, al contrario hanno palesato tutti i loro difetti. Nelle strade rapinano ed uccidono; i capitani delle navi in partenza dai porti inglesi prendono e requisiscono tutto quanto possiedono le persone che vogliono salire a bordo; i marinai affogano le persone che si avvicinano alle navi. In The War of the Worlds appaiono anche, per la prima volta, alcune delle idee che Wells avrebbe considerato molto seriamente in futuro. Ci avviene nel capitolo intitolato The Man on Putney Hill, dove viene affidato allArtilleryman il compito di sancire ci che al lettore dovrebbe orami apparire evidente:
Nothings to be done. Were under! Were beat! []. This isnt a war, []. It never was a war, any more than theres war between man and ants25.

chiaro che latmosfera di tranquilla quotidianit descritta nel primo capitolo non esiste pi; essa stata spazzata via dalla tempesta marziana. Da questo contesto scaturisce la profezia dellartilleryman che annulla completamente quei little affairs da cui gli uomini erano cos presi alla vigilia dellinvasione aliena:
There wont be any more blessed concerts for a million years or so; there wont be any Royal Academy of Arts, and no nice little feeds at restaurants. If its amusement youre after, I reckon the game is up. If youve got drawingroom manners or a dislike to eating peas with a knife or dropping aitches, youd better chuck em away. They aint no further use26.

Lunica cosa che l'uomo pu cercare di fare istruirsi:


We dont know enough. Weve got to learn before weve got a chance27.
H.G. WELLS, The War of the Worlds, cit., p. 128. Ivi, p. 214. 26 Ivi, p. 217. 27 Ivi, pp. 217-218.
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Abbiamo qui il primo accenno di Wells al bisogno di una lite di intellettuali che dominer il suo pensiero sociale e che raggiunger la sua maggiore espressione in A Modern Utopia. Lartigliere si mostra infatti soddisfatto della dissoluzione di quella societ per cui linvasione marziana stata a godsend. La maggior parte dei suoi membri havent any spirit in them no proud dreams and no proud lusts28.
They just used to skedaddle off to work [], bit of breakfast in hand, running wild and shining to catch their little season ticket train, [] working at businesses they were afraid to take the trouble to understand; skedaddling back for fear they wouldnt be in time for dinner; [] sleeping with the wives they married, not because they wanted them, but because they had a bit of money that would make for safety in their one little miserable skedaddle through the world.29

Di questi uomini i marziani will make pets, ma, fortunatamente, ve ne saranno altri che fonderanno una nuova civilt sotterranea, composta da pochi eletti, che si dedicheranno ad approfondire le proprie conoscenze scientifiche e che, un giorno, si approprieranno delle macchine aliene, dando inizio alla riscossa delluomo. a questa lite che Wells affida la sopravvivenza del genere umano, ma cosa accadr quando luomo si approprier della tecnologia marziana? Wells non fornisce una risposta definitiva a questo quesito, ma qualcosa si pu ugualmente dedurre dalle parole dellartigliere:
Fancy having one of them lovely things, with its Heat-Ray wide and free! Fancy having it in control!30

significativo che, nel finale, gli uomini non siano salvati dal proprio intelletto, bens da the humblest things that God, [] has put upon this earth: disease bacteria against which their systems were unprepared31. Ed fortemente ironico che esseri cos sofisticati vengano abbattuti da creature microscopiche, invisibili ad occhio nudo. Ancora una volta, labisIvi, p. 218. curioso come la descrizione fatta dallartigliere corrisponda al curato, laltro personaggio in cui il narratore si era imbattuto, suo malgrado. Il curato, nonostante la sua fede, era un uomo debole, la cui incapacit di affrontare realt violente, contrasta bruscamente con il piano di sopravvivenza dellartigliere. Tuttavia, nonostante lenorme divario tra i due, luno si rivela inefficace quanto laltro. 29 Ivi, pp. 218-219. 30 Ivi, p. 223. 31 Ivi, p. 237.
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so che divide Marziani e Inglesi si rimpicciolisce di fronte alla presenza di un darwiniano mondo animale e degli stessi agenti batteriologici che hanno provocato la sconfitta degli invaso. vero che la conclusione restaura apparentemente lordine sociale e naturale pre-esistente, ricacciando nella dimensione dellincubo i mostruosi alieni, ma intanto ogni sicurezza psicologica, ogni richiamo alla solidit della tradizione ha rivelato tutta la sua assurdit.

LUIGI CRISTALDI Le regole dellarte. Bourdieu tra Saussure e Benjamin


En revanche, il ny a pas de parole collective SAUSSURE, III corso di linguistica generale

1. Larte e la sociologia Le regole dellarte1 il testo in cui Pierre Bourdieu si interroga sul rapporto tra arte e sociologia. La domanda che sta alla base del testo : vale ancora la classica regola aurea secondo la quale va rivendicata e difesa lautonomia della letteratura, in particolare, dal contatto sacrilego che essa pu avere con la sociologia2? Per il sociologo francese la risposta non pu che essere negativa: la lettura sociologica, analizzando i rapporti tra i personaggi, tra lautore ed il testo e tra lautore e il proprio contesto storico, rompe lincantesimo e consente di descrivere e comprendere il lavoro specifico che il creatore di unopera ha dovuto compiere nella scrittura3 di unopera. Non a caso Flaubert4 parler esplicitamente di scrivere il reale5 e dir: non si scrive ci che si vuole6:
BOURDIEU (1992, trad. it. 2005). BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 47-52). 3 Bourdieu chiaro: quando un autore mette per iscritto qualcosa fa entrare in gioco il processo della scrittura [che] crea in tal modo un universo pieno di dettagli significativi e, con ci, pi significante di quello reale, come testimonia labbondanza di indizi pertinenti offerti allanalisi e attraverso lanalisi delle reti sociali che si instaurano fra i personaggi del romanzo. I romanzieri contribuiscono enormemente al riconoscimento pubblico della nuova entit sociale, nonch della costituzione della sua identit [...], dei suoi valori, delle sue norme e dei suoi miti (BOURDIEU 1992, trad. it. 2005: 57 e 113). 4 Lesempio addotto da Bourdieu per spiegare come la sociologia abbia molto da dire sulla letteratura (e sullarte in generale) basato sullanalisi che egli stesso fa de Leducazione sentimentale di Gustave Flaubert. Perch proprio questo autore? Perch Flaubert, nella lettura di Bourdieu, insieme a Manet, soprattutto, e a Baudelaire, sono gli autori che con le loro opere hanno permesso la costituzione del campo letterario/artistico moderno a partite dalla met dell800 in poi. 5 BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 159). 6 Epigrafe di Flaubert scelta da Bourdieu per la prima parte del libro stesso.
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Cercare nella logica del campo letterario o del campo artistico il principio dellesistenza dellopera darte nella sua dimensione storica, ma anche metastorica, significa trattare lopera come un segno intenzionale orientato e regolato da qualcosaltro, di cui essa anche un sintomo. Significa supporre che vi si enunci una pulsione espressiva che la trasposizione formale imposta dalla necessit sociale del campo tende a rendere irriconoscibile. La rinuncia allangelismo dellinteresse puro per la forma pura il prezzo che occorre pagare per comprendere la logica di quegli universi sociali che, grazie allalchimia sociale delle leggi storiche di funzionamento riescono a estrarre dai conflitti spesso feroci delle passioni e degli interessi particolari lessenza sublimata delluniversale; per offrire, dunque, una visione pi vera e, in definitiva, pi rassicurante, in quanto meno sovrumana, delle conquiste pi alte dellattivit umana7.

2. La costituzione del campo Seguendo Bourdieu, Baudelaire che, con I fiori del male, istituisce per la prima volta la frattura tra leditoria commerciale e quella davanguardia e contribuisce a far nascere nel campo una divisione tra due tipi di scrittori e due tipi di editori8. Una rottura che fa da spartiacque tra il passato ed il futuro della letteratura. Ma che cos il campo? Da dove deriva questa nozione? Un campo una rete di relazioni oggettive [...] fra posizioni9; parafrasando Bourdieu, esso definibile come un sistema10 di relazioni sociali definito dal possesso, dalla produzione e dalluso 11 di una specifica forma di capitale. Ogni campo , in maggiore o minor misura, autonomo12 e la posizione di dominante o dominato occupata dai partecipanti nel campo dipende in una certa misura sulle norme specifiche dello stesso. Esso strutturato in una serie di settori, ivi compresi le reciproche influenze e le relazioni di dominio tra loro, utilizzato per descrivere il tessuto sociale. Campo qui da
BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 52). BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 126). 9 BOURDIEU (1979, trad. it. 2007). 10 Intendiamo con sistema un insieme di elementi, forze, forme e funzioni in reciproco rapporto funzionale. 11 Per Bourdieu questi tre processi vanno sempre di pari passo e sono alla base della costituzioni di ogni relazione sociale. 12 Bourdieu spiega nel testo come la costituzione del campo, in questo caso quello letterario, porti il campo stesso ad un livello di autonomia nei confronti sia dei produttori che dei consumatori in una sorta di equilibrio in continua discussione grazie ai meccanismi della concorrenza. Cf. BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 127).
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intendersi come in fisica quando si fa riferimento al campo elettromagnetico o gravitazionale dove ognuno di essi un insieme di forze dotato di una struttura con proprie caratteristiche13. Una definizione, questa, che ricorda quanto sosteneva, a proposito della lingua, il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure nel III corso di linguistica generale tra il 1910 ed il 1911 riportato negli appunti di Emile Constantin rimasti inediti per 47 anni e pubblicati solo in edizione completa nei Cahiers Ferdinand de Saussure numero 58 del 200514. Facciamo un passo indietro. Il Corso di Linguistica generale di Saussure15 viene chiamato in causa da Bourdieu in Language et pouvoir symbolique 16 . Bourdieu contro la vulgata saussuriana (lo sa e lo dice) ma in accorso con posizioni pi autentiche (senza saperlo). Quello che fa il linguista ginevrino, secondo la vulgata, distinguere tra una parte sociale e una individuale del linguaggio. Il primo, la langue, non esiste mai completamente all'interno di un singolo individuo, essa la parte sociale del linguaggio, lintero magazzino composto dalla totalit dei segni linguistici, un serbatoio, una somma totale di tutte le manifestazioni individuali di linguaggio, gli atti di parole. Nella nostra ipotesi proprio questo sviluppo della teoria linguistica saussuriana ad influenzare metodologicamente il punto di vista relazionale di Bourdieu. In Le sens pratique17, infatti, manifesta chiaramente come egli condivida in larga misura questa base semiotico-linguistica saussuriana secondo la quale ogni elemento riceve la sua completa definizione solo attraverso la sua relazione con il complesso di elementi di cui fa parte, come una differenza all'interno di un sistema di differenze18. Quello che Bourdieu non accetta dellimpostazione del linguista svizzero questo suo mettere in pratica una doxa internalistica secondo la quale:
la teoria saussuriana interpreta le opere culturali (le lingue, i miti, strutture strutturate senza soggetto strutturante, e anche, per estensione, le opere
13 Ogni tipo di campo ha caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono e lo rendono un qualcosa s completo e omogeneo ma allo stesso tempo in continua rivoluzione permanente grazie alle continue variazioni delle forze da cui composto. 14 Cf. GAMBARARA 20051 e 20052. Le citazioni delle pagine dei Cahiers recheranno la dicitura C per indicare i quaderni di Constantin e poi il numero della pagina relativa. 15 SAUSSURE (1916, trad. it. 1967). Il testo uscito postumo nel 1916 e fu redatto da due allievi di Saussure, Charles Bally e Albert Schehaye. 16 BOURDIEU (2001). Cf. anche BOURDIEU (1972, trad. it. 2003). 17 BOURDIEU (1980, trad. it. 2005). 18 HJELMSLEV (1943, trad. it. 1968).

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darte) come prodotti storici di cui lanalisi deve porre in luce la struttura specifica, ma senza far riferimento alle condizioni economiche o sociali della produzione dellopera o dei suoi produttori19.

La linguistica saussuriana viene cos accusata di trattare la lingua solo come un oggetto formale da contemplare quando invece dovrebbe essere trattato come qualcosa che ha un impatto sulla realt, qualcosa che uno strumento di azione e di potere. Quello che manca, ancora una volta, non il fatto che lorientamento e la forma del cambiamento dipendano dallo stato del sistema, ovvero dal repertorio di possibilit attuali e virtuali offerto in un dato momento dalle prese di posizioni culturali ma manca un riferimento attento e preciso ai rapporti di forza simbolici fra gli agenti e le istituzioni. Ma se si prende in considerazione quanto affermato in riferimento nei Quaderni di Constantin20 la questione cambia totalmente e si entra in una lettura che avvicina ancora di pi il linguista ginevrino ed il sociologo francese andando ben oltre le prime dichiarazioni dintenti. Dai fogli fedeli di Constantin emerge una forte nozione teorica di mente collettiva, il modle collectif, che appare attenuata nel Corso di Linguistica Generale sia perch essa propria del III corso sia per una colpevole cautela degli editori. La lingua non un qualcosa di statico e di armonioso, tuttaltro. Essa, come il campo letterario definito da Bourdieu, in balia dei fruitori-produttori ed aperta sempre ai mutamenti. Annota Constantin:
La circonstance que la langue est un fait social lui cre un centre de gravit. Mais nous avons admis ds le dbut ce fait, il est inutile de ddoubler maintenant la langue. Il faut ajouter le facteur temps. Les forces sociales agissent en fonction du temps et nous montrent en quoi la langue nest pas libre. [...] En effet la langue est, tout le temps, solidaire du pass, cest ce qui lui te sa libert, et elle ne le serait pas, si elle ntait pas sociale. Mais il faut ajouter la considration de temps, la transmission de gnration en gnration (C 317).

E ancora:
Pour quil y ait langue, il faut une masse parlante se servant de la langue. La langue pour nous rsidait demble dans l'me collective. Ce second fait renBOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 268). Emile Constantin assistette alla relazione di dottorato di Robert Godel nel 1958 sulle fonti manoscritte del Course (allepoca ad essere conosciute erano solo quelle di Georges Dgallier) e dopo qualche giorno gli si presenta e gli si presenta spiegandogli che anche lui ha seguito il III corso di Saussure e che ne ha conservato gli appunti. I quaderni di Constantin sono il testimone pi dettagliato (407 pagine) e fedele sulle ultime lezioni di Saussure. Cf. GAMBARARA (20051: 165).
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tre dans la dfinition; il ne sapplique pas parole (les actes de parole sont individuels). [...] La masse parlante sans le temps, nous venons de voir que les forces sociales de la langue ne se manifestent que si on fait intervenir le temps. Nous arrivons la ralit complte avec ce schma, cest--dire en ajoutant laxe du temps: La masse parlante est multiplie par le temps, considre dans le temps. Ds lors la langue nest pas libre parce que mme a priori le temps donnera occasion aux forces sociales intressant la langue dexercer leurs effets, par la solidarit infinie avec les ges prcdents. La continuit enferme comme par un fait insparable laltration, dplacement plus ou moins considrable des valeurs, invitable avec la dure. Invoquons simplement ce fait que nous ne connaissons aucune chose qui ne s'altre dans le temps (C 324).

La massa parlante21, o meglio, la mente collettiva22 paragonabile con i produttori e con i fruitori del campo letterario che sottopongono la scrittura e il linguaggio23 ad uno stato di continua crisi: sono la morte e la nascita degli individui che aprono spazio alle forze sociali nella vita delle societ umane. Il parlante, ancora, per Saussure, come un compositore di musica. Ben altra cosa, dunque, rispetto alle pagine 37-38 del Course dove emerge soltanto il richiamo scontato al fatto che la lingua sociale e richiede una massa parlante. La portata delloperazione messa in atto nel III corso pi importante. Qui Saussure realizza la completa combinatoria tra sociale e storico:
La transmission des institutions humaines, voil la question plus gnrale dans laquelle nous voyons enveloppe la question pose au dbut: pourquoi la langue nest pas libre? Il y aura lieu de comparer le degr de libert quoffrent dautres institutions. Il sagit dune balance entre les faits, facteurs historiques et sociaux. Pourquoi tel facteur est-il moins puissant que tel autre? Pourquoi le facteur historique est-il tout puissant? Pourquoi exclut-il un changement gnral et subit? Car nous rservons changements partiels, de dtail. Si lon compare d'autres institutions (par exemple systme de signes) il ne semble pas quune rvolution complte soit exclue (C 313).

Le lingue cambiano perch sempre nuovi portatori le fanno loro, portatori con una loro storia, con un loro insieme di relazioni sociali, con un loro strato sociale di provenienza, con un loro habitus ed uno spazio dei
Cf. SAUSSURE (1916, trad. it. 1967: 37-38). Cf. GAMBARARA (20052: 173 sgg.). 23 Qui campo e lingua non sono la stessa cosa, o meglio, se presi dal punto di vista dei beneficiari hanno molti punti in comune. La scrittura nel caso del campo e il linguaggio nel caso della lingua, infatti, sono i due enti che grazie alluso da parte dei beneficiari sono sempre in continua evoluzione.
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possibili in cui poter attuare le proprie disposizioni: il mutamento continuo24 sempre in atto ma il grado di fattibilit di una rivoluzione totale del sistema lingua molto alto e difficile da concretizzare:
Parmi les circonstances extrieures la langue elle-mme, nous constatons que la langue est une chose dont se servent tous les individus, tous le jours, tout la dure de la journe. Ce fait fait de la langue une institution non comparable dautres (code civil, religion trs formaliste). Le degr de rvolution radicale est ainsi diminu dans une trs grande proportion. [...] Base arbitraire du signe. Les signes sont arbitraires et il semblerait quil soit ais de les changer. Mais grce a ce fait, la langue ne peut pas tre sujet discussion pour la masse, mme la suppost-on plus consciente quelle nest (C 315-6).

Il campo letterario non permette grandi rivoluzioni e i cambiamenti non sono mai attuati volontariamente n nel campo 25 , n nella lingua: Les signes sont arbitraires et il semblerait qu'il soit ais de les changer. Mais grce a ce fait, la langue ne peut pas tre sujet discussion pour la masse, mme la suppost-on plus consciente quelle nest (C 315-6). Allo stesso modo di come lhabitus realizza le proprie disposizioni solo se si interseca in un determinato modo con il campo letterario, latto individuale di parole (o anche, pratica sociale) si realizza solo secondo una determinata langue26. 3. Lo status dellopera darte
Cosa fa di unopera darte unopera darte e non un oggetto qualsiasi o un semplice utensile? Cosa fa di un artista un artista, e non un artigiano o un pittore della domenica? Cosa fa s che un orinale o un portabottiglie esposti in un museo siano opere darte? Il fatto di essere firmati da Duchamp e non da
Anche se nel testo compare la locuzione rivoluzione permanente Bourdieu stesso a specificare, in pi parti, come nel campo sia molto difficile avere un totale cambiamento ma solo piccole rivoluzioni. 25 Vedi nota precedente sui cambiamenti nella lingua mentre sulla coscienza del cambiamento ne campo letterario cf. BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 328). 26 Bourdieu spiega chiaramente: La relazione tra le posizioni e le disposizioni evidentemente a doppio senso. Gli habitus, in quanto sistemi di disposizioni, si realizzano effettivamente solo in relazione con una struttura determinata di posizioni socialmente connotate [...] ma, allo stesso tempo, attraverso le disposizioni, pi o meno aggiustate alle posizioni, che si realizzano queste o quelle potenzialit insite nelle posizioni (Bourdieu 1995, trad. it. 2005: 346). Sono le possibilit offerte dalla sfera pubblica a permettere le realizzazioni delle disposizioni dellhabitus stesso.
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un commerciante di vini o da un idraulico? Non si rinvia cos semplicemente dallopera darte come feticcio, al feticcio del nome del maestro, di cui parlava Benjamin? Chi, in altre parole, ha creato il creatore in quanto produttore riconosciuto di feticci?27.

La risposta, ancora una volta, sta nelleffettuare una analisi che delinei lemergere progressivo dellinsieme dei meccanismi sociali che rendono possibile il personaggio dellartista come produttore di quel feticcio che lopera darte, vale a dire, di descrivere la costruzione e costituzione del campo artistico come il luogo che rende possibile lopera darte stessa. Occorre sostituire alla questione ontologica la questione storica della genesi dell'universo in seno al quale si produce e si riproduce incessantemente, mediante una vera e propria creazione continua, il valore dellopera darte, ovvero il campo artistico28. questa la vera essenza del testo del sociologo francese tanto che, volendo riassumere con una domanda tutta la questione conclusiva, potremmo porla in questi termini: cosa fa la differenza fra larte dellartista geniale e larte dellartigiano coscenzioso? Bourdieu, in questi passi, pare continuare e ampliare il lavoro del filosofo tedesco Walter Benjamin. Ne Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica29, testo in cui viene analizzato da altri punti di vista limportanza delle avanguardie artistico-letterarie, egli constata come nella societ a lui contemporanea, mediante la diffusione dellinformazione e delle immagini30, tenda ad affermarsi sempre pi unesigenza di avvicinamento, alle cose e alle opere. Ci che per viene meno, in unepoca caratterizzata dal bisogno di rendere le cose, spazialmente e umanamente, pi vicine e in cui si fa valere in modo sempre pi incontestabile lesigenza di impossessarsi delloggetto da una distanza il pi possibile ravvicinata nellimmagine, o meglio nelleffigie, nella riproduzione, quel peculiare intreccio di vicinanza e lontananza nel quale risiede, secondo Benjamin, lessenza dellaura: fine dellaura significa fine di quellintreccio tra lontananza31,
BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 374-375). BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 376). 29 BENJAMIN (1955 [1936], trad. it. 1966). 30 La specificazione necessaria: nel primi del 900 limmagine comincia ad essere il modo pi diretto per veicolare informazioni. 31 Benjamin esplicita chiaramente questo punto nella nota 8 al testo: Definire laura unapparizione unica di una distanza, per quanto questa possa essere vicina non significa altro che formulare, usando i termini delle categorie della percezione spazio-temporale, il valore cultuale dellopera darte. La distanza il contrario della vicinanza. Ci che sostanzialmente lontano linavvicinabile. Di fatto linavvicinabilit una delle qualit prin27 28

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irripetibilit e durata che caratterizzava il nostro rapporto con le opere darte tradizionali, e avvento di una fruizione32 dellarte basata sullosservazione fugace e ripetibile di riproduzioni. Limpostazione sembra seguire le stesse direttrici: una data opera assume, per entrambi i pensatori, il valore simbolico che la societ pronta a darle in base alle proprie disposizioni e al posto che essa occupa nel tessuto sociale. Unopera trae il proprio statuto dalla societ in cui prodotta: originariamente, spiega Benjamin, le opere darte erano parte inscindibile di un contesto rituale33, prima magico e poi religioso; la loro autorit e autenticit, la loro aura, era determinata proprio da questa appartenenza al mondo del culto. La riproduzione de-storicizza34 unopera facendone decadere laura:
Il processo sintomatico; il suo significato rimanda al di l dellambito artistico. La tecnica della riproduzione, cos si potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto allambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto35.

Una de-storificazione che non vuol dire mettere fuori dal criterio storico-sociale ma ricollocare secondo le nuove esigenze sociali la funzione di una data opera. E il motivo che porta alla costituzione sia del campo letterario moderno che alla fine dellaura, in sostanza, lo stesso: laccesso allarte (letteratura, pittura, etc.) da parte di un gran numero fruitori. La
cipali dellimmagine cultuale. Essa rimane, per sua natura, lontananza, per quanto vicina. La vicinanza che si pu strappare alla sua materia non elimina la lontananza che essa conserva dopo il suo apparire Cf. BENJAMIN (1936, trad. it. 1966: 49). 32 Intendiamo in questo testo fruizione come sinonimo di ricezione e di osservazione. 33 Le opere darte hanno sempre fatto parte di un contesto sacrale e sono sempre state viste come qualcosa di lontano, di secolarizzato, questo ha creato nellimmagine collettiva questa sorta di lontananza fra gli osservatori e le opere stesse. Con la riproducibilit tecnica e la nuova concezione dellarte propagandata dalle avanguardie, larte , per definizione, qualcosa per tutti tutti devono poter fare poesia dice Breton nel manifesto del Surrealismo. Questo processo sradica le opere dal loro contesto rituale per aprirsi ad una fruizione collettiva e non semplicemente mitico-rituale. 34 Con questo termine ci riferiamo alla sfera concettuale del filosofo italiano Ernesto De Martino, il quale, col termine de-storicizzazione indica la sospensione, labolizione della storia. Cf. DE MARTINO (1977). 35 BENJAMIN (1936, trad. it. 1966: 23).

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capacit di ridefinire il rapporto tra larte e le masse36 aperta dal cinema, dunque, risiede per Benjamin nella possibilit di una fruizione collettiva37 nella quale la critica non soffocata da una forma di devozione cultuale nei confronti dellimmagine. La riproducibilit tecnica dellopera darte modifica il rapporto delle masse con larte e il loro accesso a essa stessa:
Il fatto appunto questo, che la pittura non in grado di proporre loggetto alla ricezione collettiva simultanea, cosa che invece sempre riuscita allarchitettura, che riusciva un tempo allepopea, che riesce oggi al film38.

Ma il testo che maggiormente palesa questi punti di contatti tra lanalisi benjaminiana e quella di Bourdieu Lautore come produttore. Benjamin afferma che unopera ha una tendenza politica giusta solo se, allo stesso tempo, essa mostra una corretta tendenza letteraria e viceversa. Ma c un passo ulteriore: unopera, di qualsiasi tipo essa sia, non pu e non deve essere isolata ma deve collocarsi nelle vive connessioni sociali. Unopera39 nasce in un dato periodo storico, in esso cresce e si riproduce e lo cambia. Affinch unopera faccia questo e risieda nelle vive connessioni sociali di unepoca le deve poter cambiare perch impensabile che unopera darte non sia un qualcosa di innovatrice in una data epoca. Questopera di ridefinizione e cambiamento che mette in atto lautore come produttore impersonificato da Tretjakov nelle strutture sociali realizza quello che Benjamin, citando Brecht, definisce cambiamento di funzione, una fondamentale operazione che ogni opera deve compiere per rifornire e trasformare un apparato di produzione, altrimenti essa non avr compiuto a fondo il suo lavoro:
Per la trasformazione delle forme di produzione e degli strumenti di produzione e degli strumenti di produzione nel senso dellintellighenzia progressiva e quindi interessata allemancipazione dei mezzi di produzione, e quindi utile nella lotta di classe Brecht ha coniato il concetto di cambiamento di funzione. Egli stato il primo ad affermare, per lintellettuale, questa importante esigenza: egli non deve rifornire lapparato di produzione senza nello stesso tempo trasformarlo, nella misura del possibile, nel senso del socia36 Folla e massa sono da intendersi come termini sinonimi spogliati di ogni significato politico. da intendersi con lo stesso significato con cui usava il temine Hugo e citato da Benjamin a p. 100: Folla era per lui, quasi in senso antico, la folla dei clienti, del pubblico. 37 Intesa come accesso simultaneo di pi persone ad uno stesso oggetto. 38 BENJAMIN (1936, trad. it. 1966: 39). 39 Cf. BOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 400), La genesi sociale dellocchio e Locchio del Quattrocento.

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lismo. La pubblicazione dei Versuche dice lautore nellintroduzione alla raccolta omonima ha luogo in un momento in cui certi lavori non devono pi essere tanto esperienze vissute [Erlebnisse] individuali (avere carattere di opera), quanto essere diretti allutilizzazione (trasformazione) di determinati istituti e istituzioni. [...] Qui vorrei accontentarmi di sottolineare la differenza decisiva che esiste fra il semplice rifornimento di un apparato produttivo e la sua trasformazione40.

Lautore deve meditare sulle condizioni di produzione perch solo cos il suo lavoro non sar solo rivolto ai prodotti ma anche ai mezzi della produzione per avviare alla produzione altri produttori e mettere a loro disposizione un apparato migliorato. Questo concetto benjaminiano mostra chiaramente quello che Bourdieu definisce rivoluzione permanente. Il principio lineare ed ben definito dal francese41: abbiamo un campo analizzato in una situazione di calma apparente (sincronica) ma in realt in continua evoluzione (diacronica per il lavoro del tempo e della massa sociale) perch aperto sempre a nuove entrate e a nuove modificazioni a patto che portino innovazione. questa base storico-sociale del campo artistico-letterario a garantirne lesistenza del campo stesso e dellopera darte:
Non si tratta soltanto di esorcizzare il feticcio del nome del maestro con una semplice inversione sacrilega e un po puerile che lo si voglia o meno, il nome del maestro proprio un feticcio. Si tratta di delineare lemergere progressivo dell'insieme dei meccanismi sociali che rendono possibile il personaggio dellartista come produttore di quel feticcio che lopera darte; vale a dire di descrivere la costituzione del campo artistico (nel quale sono inclusi gli analisti e gli storici dell'arte stessi) come luogo in cui si produce e si riproduce incessantemente la credenza nel valore dell'arte e nel potere di creazione di valore che appartiene allartista. Il che conduce a rilevare non soltanto gli indizi di autonomia dellartista [...] ma anche gli indizi dellautonomia del campo, quali lemergere dellinsieme delle istituzioni specifiche che sono la condizione del funzionamento delleconomia dei beni culturali: luoghi di esposizione [...], istanze di consacrazione [...], agenti specializzati
Lesempio addotto dal filosofo tedesco nel testo Lautore come produttore il caso di Sergej Tretjakov e sul tipo di scrittore operante da lui definito e impersonato. Tretjakov distingue due tipi di scrittore: quello che opera e quello che informa. Lo scrittore non deve informare e, semplicemente, rimanere a guardare, a contemplare e riportare, ma lottare, intervenire attivamente come egli stesso fece con gli Scrittori nel kolkoz. Cf. BENJAMIN (1955, trad. it. 1973: 204-207). 41 Questa legge di trasformazione pu benissimo essere condivisa sia da Saussure che da Benjamin (v. supra).
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[...], dotati delle disposizioni oggettivamente richieste dal campo e di categorie di percezione e di valutazione specifiche, irriducibili a quelle normalmente utilizzate nell'esistenza ordinaria e capaci di imporre una misura del valore dellartista e dei suoi prodotti42.

4.Conclusioni In questo lavoro, partendo dallanalisi de Le regole dellarte, abbiamo provato a descrivere come la base della sociologia relazionale43 di Pierre Bourdieu possa essere rintracciata, in larga parte, nellopera del linguista ginevrino Ferdinand de Saussure. Il lavoro di riscoperta dei quaderni di Constantin ha permesso ancor di pi di chiarire e palesare questo dialogo. In particolare: i connotati e le caratteristiche del campo, il sistema di opposizione di forze tra loro e i principi del mutamento mostrano una chiara assonanza con le caratteristiche della lingua (e del linguaggio) definite da Saussure. La rilettura del testo di Bourdieu operata grazie ai quaderni di Constantin, da cui emerge un altro Saussure, mostra in grado ancora maggiore, lassonanza tra i testi del sociologo francese e le idee del linguista ginevrino in nome di quella che Fadda44 e Gambarara45, riprendendo un termine di Prieto caro a Saussure stesso, definiscono Teoria delle istituzioni. Scrive Fadda:
Aspetti importanti di essa sarebbero il rilievo assegnato ai fenomeni simbolici (e la centralit assoluta delle lingue storico-naturali), la natura arbitraria e sociale delle istituzioni medesime (e dunque il ruolo fondamentale della pressione sociale nella definizione del comportamento individuale) e una definizione storica, sociale e funzionale della mente e della soggettivit. Una teoria di questo tipo avrebbe tutto da guadagnare ad aprirsi a diversi contributi [...] e a diverse discipline. Ma essa non potrebbe comunque prescindere o almeno cos ci sembra dal pensiero e dalle categorie elaborate da Pierre Bourdieu46.

Pensiero e categorie che, a nostro avviso, concordano in larga parte anche con quelle elaborate dal filosofo tedesco Walter Benjamin. Nella seBOURDIEU (1992, trad. it. 2005: 376). GIVIGLIANO (2007 e 2008). 44 FADDA (2006). 45 Cf. GAMBARARA (20052). 46 FADDA (2006: 61-62).
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conda parte del lavoro, infatti, abbiamo cercato di fare un doppio lavoro: mostrare come il lavoro di Benjamin e di Bourdieu seguano le stesse direttrici e vedere come il lavoro dello stesso Benjamin, messo in relazione a Le regole dellarte, mostri lo stesso oggetto di analisi da una impostazione diversa ma che fondi anchessa la sua analisi sulla base storico-sociale del campo artistico-letterario che nel filosofo tedesco riflette anche la struttura (e le mutazioni) che avvengono in seno alla societ (o allo spazio sociale, per usare la terminologia di Bourdieu). Ribadendo come la sociologia sia alla base non solo del campo letterario ma anche di quello artistico (e linguistico con Saussure) e rendendo vana la regola aurea della nonanalisi sociologica delle opere darte. Mettere da parte un tipo di teoria di questo tipo significa creare una inesistente ed inutile barriera tra la le condizioni storico-sociali di un prodotto e tra i suoi produttori. Capire lopera darte (o la lingua), in pratica, non significa solo capirne la struttura o il suo valore simbolico ma significa, soprattutto, comprendere la visione del mondo propria del gruppo sociale (quello che fa la differenza fra larte dellartista geniale e larte dellartigiano coscienzioso proprio lesistenza di una massa sociale che rende possibile questa differenziazione) a partire dal quale lartista avrebbe composto la propria opera e che, committente o destinatario, causa o fine, si sarebbe in qualche modo mostrato tramite lartista. Impostata su questi canoni una teoria delle istituzioni potrebbe essere molto fruttuosa anche per altre discipline.
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ANNABELLA DATRI Il principe Amleto e la filosofia

1. La questione Lespressione di certo pi famosa di tutta la letteratura teatrale mondiale, e forse anche di tutta la letteratura in generale, cio il To be or not to be: that is the question (SHAKESPEARE 1963, p. 142), con la quale Shakespeare d inizio al densissimo monologo del terzo atto dellAmleto, , in tutta evidenza, una questione dal forte significato filosofico, e riguarda il pi originario e fondamentale contrasto metafisico, quello appunto fra lessere e il non-essere o il nulla. Ciononostante la ricchissima letteratura secondaria su Shakespeare e in particolare sullAmleto solo di recente ha sviluppato il tema del rapporto fra il grande drammaturgo inglese e la filosofia1. Anche la critica letteraria ha cos, a suo modo, fatto tesoro delle accese discussioni che hanno investito la filosofia e la sua storia, scegliendo quindi nuove e stimolanti modalit di approccio ai testi letterari in cui si cerca, da un lato, di riconoscere le tracce di temi e dibattiti filosofici presenti nelle culture dalle quali emergono, dallaltro di evidenziare la prossimit delle questioni presenti con le tematiche filosofiche attualmente pi vive nella cultura contemporanea2.
Non intendiamo indagare qui sulle cause di un tale fenomeno; ci limitiamo a riportar quanto ironicamente scrive a tal proposito McGinn: Gli studi critici tendono a focalizzarsi su questioni che riguardano i personaggi, la trama e lesposizione, oltre che il contesto sociale e politico delle opere, ma i concetti filosofici che permeano i drammi vengono citati solo occasionalmente. Ci senza dubbio dovuto al fatto che generalmente coloro che si occupano di studi shakespeariani a livello accademico non sono per formazione o per inclinazione filosofi. La filosofia, magari, li rende nervosi (MCGINN, 2008, p. 3) 2 In particolare la necessaria combinazione di questi due approcci, che lautore chiama rispettivamente historicism e presentism sostenuta da Hugh Grady, il quale presenta il proprio approccio ai testi shakespeariani in linea con quei lavori che constitute an important challenge to historicist premisses because they underline the salient point that all our knowledge of works from the past is conditioned by and dependent upon the culture, language and ideologies of the present, and this means that historicism itself necessarily produces an implicit allegory of the present in its configuration of the past (GRADY, 2002, p. 2). Ai fini del nostro discorso il lavoro di Grady interessante, pi che per queste premesse metodologiche che francamente appaiono banali per i lettori italiani, consapevoli
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A partire da alcune di queste recenti e stimolanti letture di alcune opere di Shakespeare, in particolare dellAmleto, intendiamo mostrare come nellet di Shakespeare, che la medesima et di Montaigne e di Cartesio, e che let in cui affonda le sue radici la nostra modernit, il ritorno della questione metafisica, che Leibniz sintetizzer con la domanda Perch lessere e non piuttosto il nulla3, si presenta strettamente correlata con la questione esistenziale della ricerca di senso da parte delluomo moderno che, di fronte a un mondo nuovo e alla crisi delle tradizionali certezze, si trova alle prese con la definizione della propria soggettivit. Let di Shakespeare, che com noto vive a cavallo fra i secoli XVI e XVII, nel segnare anche il passaggio fra due culture4, si presenta attraverso le opere del grande drammaturgo come et in cui le luci e le ombre del vecchio mondo si mescolano con le luci e le ombre del nuovo appena intravisto. Scrive McGinn: corretto, a mio avviso, definire il tempo di Shakespeare come un momento di transizione, in cui a un certo tipo di autorit (la Chiesa, la Monarchia) cominciava a sostituirsene un altro (la Scienza e la ragione delluomo, un nuovo ordine sociale) (MCGINN, 2008, p. 5). Sulla base di queste ultime considerazioni possiamo allora assumere come premessa che la contemporaneit delle tematiche filosofiche rintracciabili nelle opere di Shakespeare si deve al fatto che, a cavallo fra il ventesimo e il ventunesimo, secolo abbiamo assistito a un analogo momento di passaggio da una determinata concezione filosofica a una nuova, che alcuni caratterizzano semplicemente come crisi delle ideologie5, altri definiscono
della tesi crociana della contemporaneit della storia, per le analisi sulla presenza in Shakespeare di tracce del pensiero di Montaigne e di Machiavelli. 3 Occorre ricordare che questa formulazione leibniziana della domanda metafisica, ricordata anche da HEIDEGGER (2001, p. 67), non coincide con la originaria formulazione aristotelica della domanda sullessere, come stato messo in evidenza dagli studiosi della metafisica di Aristotele. Scrive magistralmente Aubenque: Aristotele, come tutto il pensiero greco nel suo insieme, non ha mai posto laltra questione: perch c dellessere piuttosto che niente? (AUBENQUE, 1994, p. 13). 4 Lanalogia fra le epoche storiche potrebbe estendersi anche alla fase di passaggio dal mito al logo nella cultura greca, al passaggio cio fra let dei grandi tragici a quella dei grandi filosofi, dallet della sofistica allet di Platone e Aristotele. Scrive a questo proposito Nemi DAgostino: Il teatro pi grande sempre uninvenzione che risponde a un terremoto delle certezze (DAGOSTINO, 1994, p. 54). 5 A proposito dellanalogia fra let contemporanea e let di Shakespeare con quella dei grandi tragici greci cos si esprime DAgostino: Un passaggio analogo lo vissero gli elisabettiani, e lo viviamo noi stessi ai nostri giorni, nella crisi delle ideologie, nella perdita delle norme e delle certezze, che per pu aprire, a un pensiero libero e laico, la possibi-

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post-metafisica e che altri invece individuano come inizio di una rinnovata concezione dellessere e dellesistere umano6. La questione sullessere di fatto quella che inevitabilmente pi coinvolge noi uomini nel senso indicato da Heidegger in Essere e tempo, indubbiamente uno dei libri che pi ha caratterizzato il ventesimo secolo e che ha segnato intere generazioni di lettori: solo a degli esseri mortali e finiti quali noi siamo e che si trovano a nascere come gettati nel mondo dato di interrogarsi sul senso della vita e dellesistenza e cio sul senso dellessere in generale, dellessere in quanto essere. Se lantica questione, posta alle origini in questi termini da Aristotele, torna ancora a risuonare con sempre maggiore frequenza anche ai nostri giorni, e non solo in luoghi dotati di particolare suggestione quali i teatri, laddove il to be or not be di Amleto ancora la questione pi ripetuta e parafrasata, lo si deve al fatto, su cui gi genialmente Aristotele aveva a suo modo messo laccento, che essa si colloca sul confine fra conoscenza e scienza da un lato e, dallaltro, credenza, fede e mistero; pericolosa terra di confine quindi, la metafisica, ma unica dimora possibile per luomo, questo impasto di terra e soffio vitale, nato per essere cittadino di due mondi: uno, si sa, certamente quello sensibile e laltro? Cosa possiamo ancora dire di questo altro: che , come sosteneva Kant, lintellegibile, o piuttosto quellabisso su cui luomo-sonnambulo di Nietzsche ha steso un tenue filo per poter camminare, passo dopo passo, destreggiandosi con la sua arte o ancora, semplicemente ma terribilmente, il puro non-essere? 2. La tragedia di Amleto Non deve destare meraviglia il fatto che proprio a Nietzsche, al quale in qualche maniera si rifanno tutti i contemporanei pensatori post-metafisici, siamo debitori di un giudizio critico sullAmleto di Shakespeare dai toni marcati, che ne mette in evidenza i motivi di continuit con la grande tragedia greca. In La nascita della tragedia dallo spirito della musica Nietzsche si richiama allesperienza di Amleto per mostrarvi allopera il conflitto, sempre presente anche se occultato nella vita umana, fra lelemento dionisiaco e quello apollineo. Riportiamo lintero brano di Nietzsche:
lit della scepsi-ricerca, il tornare a interrogarsi magari senza risposta, su ci che credevamo di sapere (DAGOSTINO, 1994, p. 52). 6 Per una rapida carrellata sulla presenza della metafisica aristotelica nella filosofia analitica contemporanea mi sia permesso di rinviare a DATRI, 2008b.

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Lestasi dello stato dionisiaco con il suo annientamento delle barriere e dei limiti abituali dellesistenza contiene infatti, mentre dura, un elemento letargico, in cui si immerge tutto ci che stato vissuto personalmente nel passato. Cos per questo abisso di oblio, il mondo della realt quotidiana e quello della realt dionisiaca si separano. Ma non appena quella realt quotidiana rientra nella coscienza, viene sentita con nausea come tale; una disposizione ascetica, negatrice della volont, il frutto di quegli stati. In questo senso luomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero nellessenza delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte allagire; giacch la loro azione non pu mutare nulla nellessenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che fuori dai cardini. La conoscenza uccide lazione, per agire occorre essere avvolti nellillusione questa la dottrina di Amleto [] Ora non c consolazione che giovi, lanelito si rivolge al di l di un mondo, dopo la morte, al di l degli stessi di, viene negata lesistenza con il suo splendido riverbero negli di o in un al di l immortale. Nella consapevolezza di una verit ormai contemplata, luomo vede ora dappertutto soltanto latrocit o lassurdit dellessere, ora comprende il simbolismo del destino di Ofelia, ora conosce la saggezza del dio silvestre Sileno: prova disgusto (NIETZSCHE, 1972, 55-56).

Come si vede, la tesi di fondo qui espressa da Nietzsche7, che di seguito analizzeremo nei dettagli, consiste nel sostenere che Amleto , s, luomo della conoscenza ma nel modo dionisiaco, capace cio di cogliere lassurdit dellesistenza e la vanit dellagire; un tale tipo viene contrapposto alluomo della conoscenza logica, al tipo socratico-platonico che invece ha come fine quello di far apparire lesistenza comprensibile e giustificata e che insegna a saper morire grazie alla fede nellal di l. Se da una parte possiamo trovare in questa tesi di Nietzsche, e nella sua influenza sulla critica shakespeariana posteriore, una possibile spiegazione della scarsa attenzione della filosofia accademica nei confronti di Shakespeare, considerato pi incline alla narrazione discontinua, ai colpi di scena e alle dissonanze che a rispettare il rigore tipico dellargomentazione filosofica, dallaltro il riavvicinamento, operato dalla cosiddetta filosofia continentale, del procedere filosofico a un semplice stile letterario, reso pos7 Com noto Nietzsche ritorn pi volte sulle tesi espresse in questopera, riconoscendole pervase di eccesso di romanticismo e di fiducia nel potere consolatorio dellarte; non credo per che una tale revisione critica possa valere anche per il giudizio espresso da Nietzsche su Amleto, giudizio che invece, con lapprofondirsi dellanalisi sul tema del nichilismo, a nostro avviso non solo resiste ad ogni tentativo di autocritica, ma guadagna anzi nuove suggestioni.

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sibile proprio dalla massiccia influenza del pensiero niceano, consente oggi un pi maturo esame critico dei rapporti fra Shakespeare e la filosofia8. Chiediamoci innanzitutto perch proprio Amleto sia da considerarsi lopera pi filosofica di Shakespeare, e anche se, fra le questioni presentate nel corso dellopera ( stato anche sottolineato come nel corso della tragedia la parola question sia presente ben 17 volte)9 to be or non to be sia da considerarsi quella centrale. La prima scena della tragedia, com noto, ci fa assistere alla discussione fra Orazio, Marcello e Bernardo, guardie del castello di Elsinore, sulla realt e sulla identit della figura che loro appare simile al defunto re, Amleto padre. Perch questo impallidire e impaurirsi di soldati di fronte a something that is not more than fantasy (SHAKESPEARE, 1963, p. 42)? Non pu sfuggire la particolarit del fatto che a dar avvio al dramma la presenza sulla scena di un fantasma, di un qualcosa che, pur molto pi vicino al non-essere che allessere10, genera in Amleto quellinsieme di sospetti che lo inducono a decidersi per una azione, la vendetta su Claudio il fratricida, lusurpatore del trono e del cuore della madre Gertrude, vendetta che nel corso del dramma verr per costantemente procrastinata. Se la tragedia si apre dunque con la questione posta sul fantasma e sui tratti della sua figura11, con la questione cio se esso coincida o no con il vecchio re, la stessa questione, cio dellidentit del re, verr brevemente ma icasticamente ripresa nel quarto atto, dopo che Amleto avr ucciso, non avendolo veduto, Polonio, il saggio ministro del re Claudio nonch padre dellamata Ofelia. Ebbene, in questa concitata scena, nel mentre
8 Uno dei primi ad aver messo in evidenza la complessit della lettura niceana di Amleto stato Harold Bloom nel suo fondamentale lavoro su Shakespeare (BLOOM, 1999, pp. 393 sgg.), fatto che invece McGinn, per altro estimatore del lavoro di Bloom, non coglie adeguatamente. 9 Bloom sostiene che lAmleto deve considerarsi una tragedia obsessed, ossesionata dalla parola question (BLOOM, 1999, p. 386). 10 Come stato notato da Silvia Bigliazzi, sulla scorta di Howard Gaygill, in Shakespeare nothing pi che il semplice nulla, ed strettamente connesso con lessere (BIGLIAZZI, 2005). 11 McGinn accosta una tale posizione del problema dellidentit nellAmleto con la trattazione filosofica del tema dellidentit dellio in David Hume, notoriamente posteriore: il suo Treatise of Human Nature venne pubblicato a Londra nel 1739 (MCGINN, 2008, p. 43). Se losservazione di McGinn indubbiamente interessante al fine di sottolineare i contenuti filosofici presenti nellopera shakespeariana, occorrerebbe in verit unanalisi pi approfondita delle mutazioni avvenute nello scetticismo dallet di Shakespeare a quella di Hume: come ha ampiamente messo in evidenza Popkin, nel mezzo fra questi due scetticismi si colloca la fase della vittoria sullo scetticismo rappresentata da Cartesio e dalla nascita del metodo scientifico (POPKIN, 1968, pp. 175-196).

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viene condotto presso Claudio, Amleto cos si esprime, in uno dei suoi tanti giochi linguistici, considerati dai meno colti degli altri personaggi segni certi della sua follia: il corpo con il re, ma il re non con il corpo. Il re una cosa da nulla (a thing of nothing (SHAKESPEARE, 1963, p. 201). Linterpretazione non solleva particolare difficolt: Amleto lascia intendere che per diritto e per personalit il vero re sarebbe Amleto suo padre, che per stato privato del proprio corpo da Claudio il quale, pur essendo chiamato re, veste solo le forme esteriori della regalit; di conseguenza non v nessuna cosa in Danimarca di cui si pu dire con verit che il re. Ci sarebbe, certo, la possibilit di rimettere le cose in ordine, di ricollocare nella giusta cornice lo stato di Danimarca che ora in rovina, tutto un disordine, out of frame (SHAKESPEARE, 1963, p. 51): sarebbe sufficiente cio compiere la giusta vendetta invocata dal fantasma padre. Shakespeare lascia infatti intendere che il principe Amleto molto amato dai suoi sudditi, rispettato come persona valorosa, colta e saggia e non troverebbe ostacoli nellessere nominato re. Fra laltro nelle prime battute appare chiaro che anche lo stesso re Claudio ritiene Amleto suo legittimo successore. Eppure proprio questa possibilit non diventer realt a causa della serie di avvenimenti che, pur messi artificiosamente in essere dalla progettualit strategica di Amleto, conducono ad altri risultati rispetto a quelli voluti dal principe malinconico e ironico: com noto, tutti i protagonisti principali del dramma moriranno, tutti tranne Orazio, lamico fidato, incaricato di narrare ai posteri lautentica storia del principe di Danimarca. Linsieme di questi riferimenti induce, se non a correggere, certamente a completare il giudizio pi comune sulla tragedia, che viene generalmente considerata, proprio sulla scorta degli episodi ricordati, imperniata sulla questione dellio, sulla ricerca dellidentit personale e sulla impossibilit della conoscenza delle menti altrui12. In effetti bisognerebbe aggiungere che nella tragedia una tale questione, quella cio della ricerca da parte di Amleto del suo essere pi intimo e autentico e quindi del tentativo di costruzione della sua stessa personalit, si complica ulteriormente intrecciandosi con la questione dellessere in generale e del suo senso. Altrimenti il celeberrimo inizio del monologo dellAtto terzo non pu che apparirci esasperato e quasi fuori posto perch in esso Amleto, pur partendo dalla questione sullessere o il non essere, passa poi immedia12 Ad esempio cos scrive McGinn a proposito dellAmleto: Si tratta essenzialmente di un dramma su ci che costituisce lio. [] Il dubbio fondamentale di Amleto Chi sono? (MCGINN, 2008, p. 45).

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tamente a porre la questione del senso dellesistenza personale e affronta infine il tema della morte come rimedio desiderato alle sofferenze dellanima: Morire per dormire. Dormire, forse sognare. proprio qui lostacolo (SHAKESPEARE, 1963, p. 143). Si rende in effetti necessario fornire una spiegazione per questo cambio di tono e per questo slittamento del pensiero che passa da una questione di estensione universale ad una questione cos intimamente individuale. Ebbene, questa linterpretazione che proponiamo, lassenza totale di certezze sullessere in quanto essere a impedire il gesto estremo; solo un nichilismo dal segno negativo, quello che Nietzsche riserverebbe ai deboli, trarrebbe come conseguenza, di fronte a una vita senza pi alcun senso, la decisione di togliersi la vita. Lassioma di Amleto infatti che gli uomini non conoscono cosa li aspetta dopo la morte, ma anche che non conoscono se la realt che vivono sia solo un sogno e una fantasmagorica illusione; se Amleto nobile, robusto, colto e appartiene alla stirpe dei signori della terra, allora il suo nichilismo non pu che essere quello attivo, quello proprio degli spiriti forti, che conduce la volont a dire di s al mondo, a volere la ripetizione di ogni gesto, di ogni sofferenza, di ogni inganno e intreccio, a volere che la tragedia si ripeta e si rinnovi ogni volta uguale13: per questo Orazio deve sopravvivere, per poter narrare fedelmente gli avvenimenti. Molto opportunamente la critica pi recente ha suggerito come, dietro le affermazioni dal sapore filosofico di Amleto, sia facile scorgere le tesi scettiche di Montaigne, i cui testi erano ampiamente diffusi nel mondo colto e anche nellInghilterra rinascimentale della fine del sedicesimo secolo. Indubbiamente Shakespeare aveva letto i Saggi di Montaigne14: in essi Sha13 A beneficio del lettore riportiamo qui di seguito il celeberrimo aforisma 341 della Gaia Scienza di Nietzsche, dove viene presentato il pensiero dellEterno Ritorno dellUguale: Il peso pi grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella pi solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: Questa vita, come tu ora la vivi e lhai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sar in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovr fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione e cos pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e cos pure questo attimo e io stesso. Leterna clessidra dellesistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con esse, granello di polvere (NIETZSCHE, 1971, p. 192) 14 Oltre al testo di Grady, esplicitamente dedicato al rapporto Shakespeare-Montaigne (GRADY, 2002), qualcuno si spinto fino a sostenere che Shakespeare abbia ripreso lo stesso argomento della vita come sogno proprio dai saggi di Montaigne (MCGINN, 2008, p. 22).

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kespeare trovava la ripresa delle tesi degli antichi pirroniani i quali sostenevano, di contro allo scetticismo dogmatico degli Accademici, che lesercizio del dubbio conduce a sospendere ogni giudizio, anche quello che afferma che tutto ci che crediamo di sapere sia da mettere in dubbio; in Montaigne poteva inoltre trovare la tesi dellimpossibilit di determinare in cosa consista lessenza della razionalit umana nonch lessenza della realt, e infine anche la tesi che, vista la estrema variabilit dei giudizi morali e delle opinioni su ci che sia da considerarsi un comportamento buono, non possibile fondare razionalmente la universalit della morale. Ed ancora, in particolare, proprio in Montaigne Shakespeare poteva trovare ricorrente la tesi della incertezza della conoscenza sensibile, che rende la nostra esperienza da svegli molto simile a quella che viviamo da dormienti durante il sogno15. Dovremmo allora affermare che mentre Cartesio (che, com noto, solo di pochi decenni successivo a Shakespeare) risponde e reagisce allo scetticismo di Montaigne, facendo dello stesso dubbio il fondamento e la base solida sulla quale costruire la certezza dellesistenza del cogito o sostanza pensante16, Shakespeare rimane interamente coinvolto dal pirronismo di Montaigne, facendo dellio e del soggetto nientaltro che un fascio di episodi tenuti insieme solo dalla narrazione. Se facile sostenere che la mente del principe malinconico quanto di pi distante possa essere descritto rispetto alla mente cartesiana, cos sicura di se stessa che nellauto-evidenza dei suoi stessi contenuti ritrova il criterio e la misura per giudicare sulla validit delle conoscenze, non deve essere sottovalutato il fatto che altrettanto distante dal modello cartesiano la concezione metafisica presente nella tragedia shakespeareana. Amleto infatti non solo interessato a se stesso e al proprio destino, ma si sente portatore di una conoscenza pi universale:
questa armoniosa struttura della terra (goodly frame) mi sembra appena uno sterile promontorio, e questo meraviglioso padiglione dellaria, questa volta splendida del firmamento, questo tetto maestoso adorno daurei fuochi, non mi si mostra altro che come un impuro aggregato di vapori pestilenziali. Qual capo
15 Per un esame del ruolo di Michel de Montaigne nella storia dello scetticismo e del contributo del suo pensiero alla formazione del mondo moderno sempre validissimo il testo di R. Popkin, The history of scepticism from Erasmus to Descartes (POPKIN, 1968, pp. 44-66). 16 Su questo aspetto del metodo cartesiano mi sia consentito rinviare a DATRI, 1998a, dove si pu trovare discussa la tesi del fondamento scettico dellargomento cartesiano del cogito ergo sum.

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dopera (piece of work) non luomo? Com nobile per la sua ragione, e infinitamente ricco per le sue facolt, la sua forma, i suoi movimenti; com ammirevole e spedito nelle sue azioni, com simile agli angeli per lintelligenza, com simile a Dio! Lui, la bellezza del mondo, il paragone degli animali! E nondimeno, per me, che cos mai questa quintessenza di polvere (quintessence of dust)? Delluomo non mi prendo alcun piacere (SHAKESPEARE, 1963, p. 119).

Il dissesto dello stato di Norvegia si confonde cos con il dissesto dello stesso firmamento; la volta celeste, quella stessa volta che suggerir a Kant il sentimento del sublime e lanalogia con la legge morale nelluomo, appare ad Amleto come un insieme di vapori in cui lo stesso essere umano non che polvere frammista allaria e volteggiante in essa. Alla luce di questo brano ora pi agevole ritornare sul giudizio niceano per meglio cogliere quel nesso fra la conoscenza e linazione che Nietzsche sostiene essere presente nella tragedia. La polvere e i vapori rappresentano infatti proprio quellindistinto essere originario che solo la logica e la volont di individuazione di costanti e sostanze solide rende armonico e ordinato, cos come quel non provare piacere per luomo fa tuttuno con il disgusto di fronte al mondo dal quale si diffondono per tutta laere odori pestilenziali. Cos linazione figlia della conoscenza, del sapere che non v un senso o una direzione nelluniverso, che non siamo certi dellesistenza di alcuna divinit e neanche che questo mondo abbia quella cornice e quella struttura che gli attribuiamo. Potremmo anche dire che in un mondo in cui i vecchi valori hanno perso la forza del loro essere veri, non v pi n alto n basso, parafrasando proprio ci che dir Nietzsche il trasvalutatore, il distruttore di ogni certezza, il grande profeta del nichilismo novecentesco. Da una parte dunque non possiamo non ricordare che il famoso monologo di Amleto si conclude con la seguente affermazione: Tutti ci rende vili la coscienza, e lincarnato naturale della risoluzione reso malsano dalla pallida tinta del pensiero (SHAKESPEARE, 1963, p. 143), testimoniando cos che proprio leccesso di conoscenza in Amleto a tenere bloccata lazione, daltra parte lo stesso Amleto si mostra tanto irresoluto nel compiere la sua vendetta, quanto invece deciso ad agire al fine di conoscere la verit, al fine di ritrovare dei segni tangibili della fondatezza dei suoi sospetti sullassassinio del padre. Se anche la conoscenza dellinsensatezza delluniverso impedisce lazione, questultima comunque messa da Amleto al servizio della sua volont di conoscere il recente passato della sua famiglia. Potremmo dire, facendo ancora una volta uso di una felice espressione

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di Nietzsche, che Amleto luomo della conoscenza e intende bere fino in fondo il calice della verit anche se sa che in tal modo il suo malessere e la sua nausea, che insieme disgusto per la corruzione nella sua famiglia e nel suo stato e per la vacuit dellesistenza, non trover un rimedio. Siamo cos indotti a ritenere che corretto usare il termine di nichilismo per definire il pensiero filosofico di Amleto, anche se necessario aggiungere a tale termine ulteriori specificazioni. Occorre cio ora chiarire in che senso possiamo parlare del nichilismo di Amleto. 3. Amleto e il nichilismo Martin Heidegger, rispondendo alle accuse di nichilismo rivolte alla sua prolusione del 1929 a Friburgo, dal titolo Che cos metafisica?, in cui aveva avanzato la tesi che il niente non sia un concetto afferrabile dalla logica, ma solo attraverso uno stato danimo fondamentale, cio attraverso langoscia, presenta la seguente definizione, quotidiana e volgare, del nichilismo:
La Prolusione fa del Niente loggetto unico della metafisica. Ma poich il Niente ci che pura e semplice nientit, questo pensiero porta a ritenere che tutto sia niente, cosicch non vale la pena n di vivere n di morire. Una filosofia del Niente nichilismo compiuto (HEIDEGGER, 2001, p. 74).

Di contro a questa definizione, che identifica il nichilismo con la tesi che tutto sia niente cio privo di senso, Heidegger ribadisce che lesperienza del niente sia da ritenersi decisiva per la storia stessa della metafisica in quanto in essa depositata addirittura la chiave per cogliere la verit sullessere. Non si tratta evidentemente di una concezione della verit di tipo logico, che la riduce cio al modello della verit come corrispondenza o adeguazione della mente alle cose; e si tratta invece di ritornare alla antica concezione greca della verit come manifestativit, come venire allessere nellapparire. Quale la via che Heidegger indica verso questa nuova concezione del pensiero? Quella del linguaggio rammemorante, cio del linguaggio poetico, che si fa guardiano dellessere:
Il pensiero iniziale leco del favore dellessere in cui si apre nella radura e si lascia avvenire questa unica cosa: che lente . Questeco la risposta delluomo alla parola pronunciata dalla voce silenziosa dellessere. La risposta del pensiero lorigine della parola umana, quella parola che, sola, fa sorgere il linguaggio come dizione della parola nei vocaboli (HEIDEGGER, 2001, p. 82).

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Ebbene anche il non-essere la prima fra queste parole che, se abbandonate al pensiero logico perdono ogni forza evocativa, e che invece, se riscoperte nella loro polivocit, possono dare origine a grandi tragedie metafisiche quali appunto lAmleto. Il principe melanconico infatti presentato da Shakespeare come un grande artista della parola, che conosce i molteplici significati del linguaggio e che sa adoperare opportunamente nella costruzione delle sue battute di spirito. Quello che ad Amleto non si pu chiedere invece la lucidit ed efficacia del pensiero calcolante, di quel pensiero che, indicato oggi come lunico per il quale vale la pena impiegare risorse intellettuali, definiamo tecnico-operativo, e identifichiamo con labilit nel portare a compimento unopera, come un saper fare qualcosa; il procedere di un tale pensiero calcolante viene cos efficacemente descritto da Heidegger: costringe se stesso nella costrizione a dominare tutto dal punto di vista della coerenza del suo procedere (HEIDEGGER, 2001, p. 80). Che la follia di Amleto appare tale appunto perch la sua mente vaga libera e non si costringe alla coerenza del procedimento logico, considerazione facilmente avanzabile; ma lanalisi filosofica consente un ulteriore passo avanti nellinterpretazione. Lincapacit (o inettitudine) di Amleto a dar corso alle sue decisioni, tanto sottolineata dalla critica, e che lo stesso principe nel corso del dramma si rimprovera, torturandosi con il dubbio se non sia dettata da vilt17, da ritenersi provocata dalla sua angoscia esistenziale, dalla paura che le sue azioni possano confondersi con quelle stesse di cui prova nausea. Se siamo infatti indotti, con Heidegger, a chiamare angoscia quel sentimento che consiste nel non potersi pi sentire a casa, tale appare il sentimento di Amleto di fronte allo stato in cui versa la sua amata terra, che non potr pi tornare a essere quel luogo ospitale in cui valeva la pena vivere18. La vendetta infatti non restituir alla madre il suo onore ormai macchiato e ad Amleto la sua dimora; un animo nobile, quale appunto quello di Amleto, non pu lasciare che a decidere per lazione sia il risentimento nei confronti delloffesa ricevuta. La vendetta un concetto comprensibile solo grazie a una ragione calcolante che si illude di far torOra sia esso un brutale oblio, ovvero uno scrupolo vigliacco di pensare troppo attentamente a quali possano essere le conseguenze un pensiero che, spaccato in quattro, serba soltanto una parte di saggezza e ben tre di vigliaccheria io non so perch continuo a vivere soltanto per ripetere: Questa cosa si deve fare! dal momento che per farla non solo ho un motivo, ma anche la volont, la forza e i mezzi (SHAKESPEARE, 1963, p. 211). 18 Non potendo qui soffermarmi sul rapporto in Heidegger fra lanalisi dellangoscia come spaesatezza e quellospite inquietante in cui consiste per Nietzsche il nichilismo, mi permetto di rinviare a DATRI 2006.
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nare i conti, di rimettere in sesto il mondo, annullando un delitto con un altro delitto; la ragione di Amleto invece al servizio del pensiero meditativo e continuamente rammemorante: non il lutto con i suoi rituali, a volte finti, non il tempo possono cancellare loffesa ricevuta. Il nichilismo di Amleto da considerarsi infatti originato dal traboccare della passione e dalla consapevolezza che lazione, pur voluta, rimane inadeguata rispetto al corso del destino. Per comprendere questa apparente incoerenza nellagire di Amleto ancora una volta ci fornisce un valido aiuto Nietzsche, in particolare in un aforisma della Gaia Scienza, il cui contenuto, come di norma nel suo stile, sovverte i nostri consueti criteri di valutazione tanto da renderne anche ardua la comprensione del senso. Si tratta dellaf. 301, dedicato allanalisi delluomo contemplativo; questi
crede di essere posto come spettatore e ascoltatore dinnanzi al grande spettacolo visivo e sonoro, che la vita; chiama la sua natura contemplativa e, ci facendo, si lascia sfuggire che lui stesso il vero poeta e linesausto poeta della vita, e che, se anche si distingue indubbiamente molto dallattore di questo dramma, il cosiddetto uomo dazione, ancor pi si distingue da un mero osservatore e un semplice ospite donore innanzi alla scena. A lui come poeta certamente propria la vis contemplativa e lo sguardo retrospettivo sulla sua opera, ma al tempo stesso e innanzitutto gli propria la vis creativa, che manca alluomo dazione, a onta di quel che possono affermare lapparenza e lopinione comune. Siamo noi, i pensanti-senzienti a fare realmente e continuamente qualcosa che ancora non esiste: tutto il mondo eternamente crescente di valutazioni, colori, pesi, prospettive, serie graduali, affermazioni e negazioni. Questo poema da noi inventato continuamente assimilato nellapprendimento e nellesercizio, tradotto in carne e realt, anzi in quotidianit, dai cosiddetti uomini pratici (i nostri attori). (NIETZSCHE, 1971, p. 168)

Sorprende come e quanto questa analisi, che Nietzsche riserva alla vita considerata come un grande spettacolo teatrale, valga per lAmleto, una effettiva opera teatrale ma che funge da metafora della vita e dellesistenza umana; ed inoltre, circostanza straordinaria nella storia della letteratura teatrale, il principe Amleto nella tragedia svolge contemporaneamente tutte le funzioni qui indicate da Nietzsche: come dato immediato ha senzaltro una natura contemplativa e vive quindi la sua vita da spettatore tanto che a volte, in particolare nei monologhi, si sdoppia fino al punto di poter essere osservatore di se stesso e dei moti del proprio animo, ma anche, ovviamente, lattore principale del dramma e, circostanza decisiva per la comprensione dellintera tragedia, diventa anche ospite donore dello spettacolo

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che lui stesso chiede venga recitato dalla compagnia di attori giunti a corte; infine Amleto anche regista ed in parte autore19 del dramma che viene rappresentato. Com noto, Amleto intende, grazie allo spettacolo teatrale che riproduce un assassinio simile a quello che presume essere stato compiuto da Claudio, generare nello stesso Claudio un turbamento emotivo tale da essere facilmente riconosciuto e da poter quindi costituire una sorta di assunzione di colpa da valere come una vera e propria confessione. Non v dubbio che nella ideazione di questo complesso poema inventato sia allopera la grande potenza creativa di Amleto che intende per lasciare che siano gli altri, gli attori sulla scena ma anche gli uomini pratici, attori nella vita, a tradurre in carne e realt la propria creazione. Se facciamo attenzione al corso della narrazione, notiamo anche che proprio da questo preciso momento scenico, costituito da una rappresentazione teatrale inserita allinterno della rappresentazione principale, che gli avvenimenti si susseguono veloci fino a condurre al noto e tragico esito finale: Claudio si convince che deve liberarsi di Amleto, Amleto uccide Polonio e lascia Elsinore, poi vi ritorna e rimane vittima della macchinazione ordita contro di lui da Claudio, il quale a sua volta viene ucciso dalla stessa spada avvelenata da lui destinata a uccidere Amleto per mano di Laerte, il quale intendeva vendicare la morte del padre Polonio e della sorella Ofelia; Amleto infine uccide Claudio solo dopo che la propria madre Gertrude ha bevuto il veleno destinato a se stesso. Amleto cos da considerarsi protagonista ma non responsabile del susseguirsi degli avvenimenti, che pure rende possibili attraverso una mera rappresentazione scenica, da valutare ovviamente come un prodotto, s, ma non di unazione bens di una creazione poetica: solo cos trovano risposte le domande che sorgono nel riflettere sul carattere poco pratico di Amleto. Una conferma della correttezza di una tale interpretazione viene dallo stesso Shakespeare il quale mette in bocca allattore che nella pantomima recita la figura del re la seguente decisiva affermazione: Corso contrario ha il nostro volere e il nostro fato/ Sempre son rovesciati tutti i nostri progetti (devices)/ I fini non son nostri, pur se nostri i concetti (SHAKESPEARE, 1963, p. 163).
19 Come nota Harold Bloom, Shakespeare lascia intendere che lo stesso Amleto abbia aggiunto qualche linea allopera Lassassinio di Gonzaga per farla divenire La trappola per topi che viene rappresentata a corte; in tal modo egli diviene interprete teatrale della sua propria storia (BLOOM, 1999, p. 424).

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La tragedia di Amleto quindi da considerarsi il dramma della volont che si riconosce impotente di fronte al corso degli eventi, ma non impotente rispetto alla capacit di esprimere in concetti i pensieri e le emozioni degli uomini. Non dobbiamo certo dimenticare che ci troviamo agli albori del Seicento, negli stessi anni del rogo di Bruno, agli inizi quindi di quellenorme fenomeno culturale rappresentato dalla rivoluzione scientifica, ben prima cio che la ragion tecnica avesse la meglio sulla ragione contemplativa e che la volont di potenza delluomo assumesse il volto rassicurante del progresso scientifico, ma ci troviamo comunque in pieno Rinascimento, et che vede laffermarsi dellidea che luomo sia essenzialmente homo faber, e resta il fatto straordinario che, di contro, il principe Amleto rappresentato da Shakespeare come quelluomo che, pur possedendo molte arti e tecniche (sa maneggiare benissimo sia la spada che il linguaggio) ed essendo capace di mettere in essere molti stratagemmi (devices), non ha per il potere di dirigere il fato20, calcolando in anticipo e progettando il futuro. In quel lungo processo che attraversa la cultura europea dal Rinascimento allIlluminismo, processo che condurr ad affermare il primato delle scienze pratico-operative sulle scienze contemplative e la separazione delle belle arti dalle tecniche21, siamo quindi costretti a riservare allAmleto uno spazio del tutto originale. Ma ulteriori motivi di riflessione emergono da quello che spesso viene considerato solo un semplice espediente teatrale, cio la recita di uno spettacolo allinterno della tragedia. Se da un lato comunque noto che questa e simili trovate shakespeariane faranno da modello a molte generazioni di scrittori, inaugurando un nuovo modo di fare teatro, quello che qui ci interessa notare che nellAmleto la pantomima viene rappresentata con un fine ben preciso, non quello di dilettare, ma di costruire segni e testimonianze: essa diviene cio un vero e proprio strumento di conoscenza, segnalando quellintima connessione fra arte e verit che, occultata nei secoli successivi, tornata a essere reintegrata nella sua validit anche grazie al pensiero di Nietzsche e di Heidegger. Ed proprio su questo nesso che dobbiamo in chiusura soffermarci sulla strada che potrebbe condurre anche noi a osare una risposta alla domanda metafisica di fondo dellAmleto:
20 C chi ha sapientemente mostrato come lAmleto segni anche il passaggio di Shakespeare ad una fase dichiaratamente anti-machiavellica mostrando la inaffidabilit di ogni ragione strumentale alla politica (GRADY, 2002, pp. 256-265). 21 Mi sia consentito di rinviare a DATRI, 2008a, in cui un tale processo viene seguito nelle sue linee di fondo.

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possibile trovare unalternativa fra lessere e il non-essere, fra la solidit e la univocit dei valori e la fluidit e inconsistenza della nostra esperienza del mondo? O ancora, riprendendo la metafora di Nietzsche: se la vita non che un grande intrattenimento da commedianti e saltimbanchi, se non che un grande spettacolo visivo e sonoro che chiama mondo la sua scena, perch continuare a recitarla, perch continuare a poetare e, poetando, a creare e inventare un mondo? 4. Larte di Amleto Per rispondere alla domanda formulata sopra, non possiamo non andare al momento conclusivo del dramma e alla morte di Amleto: solo infatti quando la vita del principe sar giunta al suo termine potremo averla davanti come un tutto di cui cogliere il senso, potremo catturare quel carattere unitario, quella personalit che il personaggio Amleto insegue durante lintero dramma e che solo a noi lettori-spettatori dato di cogliere nellinterezza del suo svolgimento. Ecco le battute finali del principe morente:
Orazio, son morto. Tu vivi. Racconta di me e della mia storia in modo onesto (aright) a coloro che non la conoscono. [] Pensa, o buon Orazio, se le cose resteranno, come adesso, ignorate, qual buon nome ferito non vivr dopo di me! E se vero che tu mhai voluto bene, astieniti ancora un poco dalla felicit, e sguita a respirare dolorosamente in questo mondo crudele, non fosse altro che per raccontar la mia storia (to tell my story). (SHAKESPEARE, 1963, p. 285)

Di certo lespediente, narrativo che lascia vivo sulla scena un personaggio perch si incarichi di raccontare la storia, non uninvenzione shakespeariana e non dovremmo quindi essere sorpresi dal desiderio di Amleto di una qualche vita dopo la morte. Eppure proprio questo finale ha suscitato non poche domande negli interpreti pi acuti i quali lo trovano dissonante rispetto al personaggio che Shakespeare ha delineato nel corso dellintero dramma. Il principe Amleto infatti non mostra mai alcun interesse per lopinione altrui, posseduto com dai suoi pensieri di vendetta e dalle sue angosce; sa di essere ritenuto folle, ma non se ne prende cura, anzi quasi se ne compiace in quanto questo giudizio gli consente di continuare a recitare fino in fondo la sua parte; ciononostante in punto di morte si d molta pena per il suo buon nome, ha paura che la sua storia venga narrata in maniera non veridica. Come si deve intendere questo estremo desiderio

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di verit da parte del teorizzatore della opinabilit e volubilit dei giudizi umani? Perch questa pretesa che il racconto sia fedele, aright, da parte di Amleto morente, nel momento di massima tensione del dramma, dopo che nel famosissimo monologo si era interrogato sul senso della vita e della morte e aveva concluso che gli uomini sono condannati allignoranza del loro destino dopo la morte? Se da una parte sembra che proprio in punto di morte Amleto riesca a liberarsi del suo male di vivere e della paura di qualcosa dopo la morte22, dallaltra egli ha comunque bisogno di sapere che la sua storia sar tramandata in maniera corretta. Il resto silenzio laffermazione con la quale Amleto esce di scena definitivamente, lasciandoci riflettere sul fatto che solo le parole riempiono di senso quel deserto che il mondo sarebbe, privato delluomo narrante; fra il regno dellessere e quello del non-essere siamo cos indotti a ammettere un terzo regno, quello della rappresentazione, che Nietzsche, come abbiamo visto, definisce il mondo eternamente crescente di valutazioni, colori, pesi, prospettive, serie graduali, affermazioni e negazioni. Di certo Amleto non esisterebbe senza la serie completa delle sue valutazioni, delle sue affermazioni e negazioni, che rinviano alla prospettiva dalla quale, guardando al mondo, lo ha artisticamente creato. Harold Bloom, riprendendo un giudizio di Hegel, ha giustamente sottolineato come, in maniera ancora pi sublime rispetto ad altri protagonisti shakespeariani, Amleto, come libero artista di se stesso (BLOOM, 1999, p. 417), crea anche un nuovo modo di interpretare lessere uomo23. Il bisogno di Amleto che la sua storia venga narrata e rivissuta sulla scena non pu venire interpretata come foscoliana illusione di sopravvivenza nel ricordo dei posteri, quanto piuttosto come vera e propria volont di essere, di continure a calcare la scena del mondo24. Egli ha infatti bisogno che la sua storia sia narrata da chi pi lo ha amato: Amleto sa, a differenza di quanti hanno fede nella verit, che nessuno pu essere testimone autentico e oggettivo e che dietro i nostri resoconti e le nostre descrizioni si ce22 Chi sadatterebbe a portar cariche, a gmere e sudare sotto il peso di una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore confonde e rende perplessa la volont, e ci persuade a sopportare i malanni che gi soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali non sappiamo nulla. (SHAKESPEARE, 1963, p. 143) 23 In maniera quanto mai appropriata Harold Bloom titola il suo lavoro su Shakespeare, The invention of the human. 24 Lo ha colto bene McGinn quando di lui scrive: Pu essere solo quando interpreta un ruolo. Ed costituito dalla sua stessa storia. (MCGINN, 2008, p. 68)

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lano le nostre valutazioni e le nostre passioni. La correttezza e onest che Amleto pretende da Orazio non la veridicit dello storico, ma quella dellattore che si immedesima in una parte e, immedesimandosi, la ricrea. Come non si pu chiedere a nessun attore di rimanere fedele alloriginario, non si pu chiedere ad Amleto lo scettico, lettore e seguace di Montaigne, di essere fedele a se stesso. Nel corso del dramma in verit Shakespeare parla esplicitamente delle virt proprie delluomo e fa della fedelt a se stessi, to thine own self be true, la pi importante delle virt, quella dalla quale discendono tutte le altre, anche la lealt verso gli altri (SHAKESPEARE, 1963, p. 69); ma non pu essere sottovalutato il fatto che queste parole sono indirizzate da Polonio, il pedante ministro di corte, al figlio Laerte in partenza per la Francia: luniformit e solidit del carattere che si richiede infatti a dei bravi soldati, a dei buoni figli, a degli onesti cittadini non pu appartenere ad Amleto. Pi che fedelt a se stesso il principe solitario invoca la nicceana fedelt alla terra: Amleto, nel concludere la sua breve esistenza, esprime il suo s al destino che lo ha condotto a vivere intensamente e dolorosamente alterne e straordinarie vicende. Quando prega Orazio di farsi narratore della sua storia, esprime in realt la volont che la sua stessa vita, ripetuta infinite volte sulla scena, eternamente ritorni con tutti i suoi umori, dolori, paure e dubbi. Cos siamo certi che ritorner ancora infinite volte a risuonare sui palcoscenici dei teatri del mondo il to be or not to be: that is the question per ricordarci che una tale domanda merita di essere costantemente ripetuta, non perch sia possibile trovare la soluzione definitiva al problema dei problemi, ma perch altrimenti luomo cesserebbe di essere quellevento che, pur se inspiegabile, colora di sensi il mondo. Se questo il modo proprio delluomo di essere nel mondo, Shakespeare contribuisce in maniera sublime a rendere pi vivo, cio mirabilmente colorato di emozioni, il mondo moderno; dobbiamo a Martin Heidegger il merito di aver ripreso, nella seriet del pensiero che esprime, un verso di Hlderlin, pieno di merito, eppure poeticamente abita luomo su questa terra (Voll Verdienst, doch dichterisch wohnet / Der Mensch auf dieser Erde) (HEIDEGGER, 2005, p. 229)25; lo stesso Heidegger aggiunge, a proposito dellessenza del linguaggio poetico: Il partecipare che il poeta pensa costituisce il nostro esserci nel quale ne va in generale dellessere e del non25 La traduzione pi piana di dichterisch con poeticamente non invece quella seguita da Demarta che preferisce tradurre dettatoriamente per meglio rendere il carattere divino e ispirato di ogni poetare (Si veda quanto scritto a p. 330, nel Glossario in appendice alla traduzione italiana citata).

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essere (HEIDEGGER, 2005, p. 64). Quello che qui Heidegger dice in maniera filosofica lo stesso pensiero ontologico al quale fa riferimento Amleto nel monologo: nellatto del poetare luomo partecipa dellessere, ma in maniera tale da mettere costantemente in gioco la questione della sua stessa esistenza, di quella modalit dessere che propria delluomo il quale, per poter pensare fino in fondo tale questione, indotto a pensare alla morte come il proprio not to be, quel radicalmente altro dallessere, che pu trovare una sua consistenza fantastica solo ed unicamente nei pensieri umani, dettati dalle emozioni ed espressi nel linguaggio. Poeticamente abita luomo su questo terra anche la tesi che, a suo modo, nel suo sublime linguaggio, Shakespeare avanza nellAmleto. Pu essere illuminante, per confermare la onest della lettura che proponiamo, riprendere un brevissimo passaggio della tragedia laddove Amleto, nel chiarire a Rosencratz perch ha identificando la Danimarca con una prigione, aggiunge che il mondo stesso per lui una prigione, anche se per altri pu non essere tale: Vuol dire che per voi unaltra cosa: e difatti non c nulla di buono o di cattivo, al mondo, che il pensarlo in un certo modo non lo renda subito tale: per me una prigione (SHAKESPEARE, 1963, p. 115). Ci vuol dire che anche per Amleto labitare delluomo, cio il suo modo di vivere, o di essere al mondo caratterizzato dal pensiero ma, questo il tratto decisivo, non dal pensiero che calcola e programma sulla scorta di criteri comuni e misure unitarie, bens dal pensiero che immagina e ricrea, quindi non dalla ragion tecnica bens dalla ragion poetica26. Se le cose stanno cos, fra lessere e il non essere, la decisione di Amleto quello di lasciare che lessere sia ma sotto il segno del non-essere, cio nella forma della descrizione fantastica in cui le cose perdono la loro solidit ma a favore di una robusta presenza, attraverso la variet e polivocit del linguaggio, della mente che rielabora le emozioni e le passioni dellanima. Solo allopera darte concesso di oltrepassare i confini del rigore logico argomentativo, per essere libera di rendere giustizia alle storie umane, troppo umane per poter essere riassunte da una formula o da una maschera sulla scena.

26 Com noto, sempre lo stesso Heidegger ad indicarci la strada del pensiero poetico come via per la salvezza delluomo di fronte a quel dominio metafisico della tecnica che la mentalit contemporanea ha ormai sancito. Per questa tesi di Heidegger mi sia consentito rinviare a DATRI 2008a, pp. 194-200.

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Bibliografia

Annabella DAtri

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ROBERTA DE FRANCESCO Davant la lettre ou lAutre dlire de ltre. Letterature in E. Lvinas

a parle. Filosofia e letteratura: una traccia altra sulla traccia dellAltro Allinterno del percorso filosofico levinassiano, proteso verso un senso altro dal sapere e dalle gesta dellessere, dal concetto di totalit che domina la filosofia occidentale, si ritiene trovi collocazione una inedita saldatura teoretica ed etica instaurabile tra logos filosofico e logos letterario. La prospettiva di lettura proposta, esorbitando dai limiti materiali e non materiali del presente lavoro a causa del punto di vista assunto e dellampiezza e portata dellopera di Lvinas, non potr che offrirne un parziale orizzonte, focalizzandosi solo su alcuni rilievi. Larticolazione del rapporto, attraverso incidenze e snodi delle sue linee teoretiche, profila, infatti, un fecondo spazio dinterrogazione, la cui configurazione consente di rintracciare nella filigrana letteraria la quasi totalit delle linee direttrici che innervano il pensiero del filosofo lituano. Rilevanza di una relazionalit confermata nel mantenimento del primato delletica che anima dal profondo tutta la riflessione levinassiana, in un mobile rinvio, nel cuore stesso della filosofia, allapertura etica alla letteratura e della letteratura, quale singolare articolazione interna del rapporto con lalterit: prospettiva cui attiene la schiusura di una letteratura dellalterit e, al contempo, di una alterit della letteratura. La voce letteraria fa infatti segno verso laltrimenti che essere di un tempo e di un linguaggio altro e dellaltro, inaugurando la possibilit di rompere la supremazia del logos ontologico, emblema dellaccecamento della ragione, stigma dellunit del sapere permanente nel Medesimo. Il logos letterario altro dal filosofico non apre dunque lal di l del logos, frantumando la totalit del suo sapere/potere? Al contempo il nucleo pi inerente alla letteratura levinassianamente intesa a riproporre lo statuto stesso dellal di l del detto, eminente apertura al Dire: il logos letterario come del resto laspirazione (respirazione/inspirazione) pi autentica del discorrere filosofico si configura essenzialmente come significanza di un logos gi al di l del logos, laltrimenti che essere del logos1.
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La letteratura significa, infatti, come canto che non risolve la sua pienezza espressiva

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Emerge dunque il senso di una litterature davant la lettre 2 come volto, trascendenza ed enigma dellespressione, ri-volta a un prima e davanti alla lettera3 e alla tematizzazione: de-posizione della lettre, per un cammino al di l del circolo delltre. pertanto indubbiamente significativo che la strutturale e costante attenzione alla letteratura sottesa nel tessuto delle opere levinassiane4 si specifichi attraverso plurali ed eccentrici percorsi, radicandosi su un solido piano teoretico5, ma, insieme, esplicandosi e ramificandosi attraverso concreti effetti letterari, cos da configurare litinerario di una caratteristica riproposizione di alcuni canoni letterari in singolare e articolato incrocio contrappuntistico alla formulazione di cruciali rilievi filosofici6. Ponendosi in ascolto del cuore stesso del chiasmo filosofia-letteratura, sembra risuonare la necessit pi intima della teoresi levinassiana protesa verso lalnellaccordo perfetto tra il Dire e il Detto (E. LVINAS, Noms propres, Fata Morgana, Saint-Clment, 1975, trad. it. di F. P. CIGLIA, Nomi propri, Marietti, Casale Monferrato 1984, p. 10), ma che pur significa lintimit timbrica di un logos e-levato gi oltre ogni logos, il mistero della tensione tonale di unalterit incarnata nellidentit. 2 Cf. E. LVINAS, LAu-del du verset, Minuit, Paris, 1982, trad. it. di G. Lissa, Lal di l del versetto, Guida, Napoli, 1986, p. 60. 3 Avant la lettre: prima e davanti alla lettera. 4 Si esamini la cronologia dei saggi letterari raccolti in E. LVINAS, Nomi propri, cit.; cf. inoltre S. MALKA, E. Lvinas. La vie et la trace, ditions Jean-Claude Latts, Paris, 2002, trad. it. di C. Polledri, E. Lvinas. La vita e la traccia, Jaca Book, Milano 2003, pp. 24-25. 5 Del resto, come evidenzia Lvinas, la genesi della sua filosofia e cos del pensiero sgorga effettivamente da una sorgente altra da s, da un altrimenti-che-essere: dalla letteratura. Cf. E. LVINAS, thique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Fayard, Paris, 1977, trad. it. di E. BACCARINI, Etica e infinito, Citt Nuova, Roma, 1984, pp. 43 e 46; cf. F. POIRI, E. LVINAS, Entretiens, La Manufacture, Lyon 1987, p. 69; cf. E. LVINAS, Lio e la totalit, in Il pensiero dellaltro. Lvinas Marcel Ricoeur, a c. di F. Riva, Edizioni Lavoro, Roma, 1999, p. 39. questa una prospettiva di importanza capitale: esiste sempre un prefilosofico che fonda ogni pensiero filosofico, di cui letica persino letteraria rappresenta la dimensione privilegiata in virt del senso che la filosofia ricerca. La letteratura costituisce dunque lavvio alla riflessione, il pungolo che d incipit e anima alla filosofia, rappresentando e ri-chiamando lalterit che la fonda, ma a cui costantemente ri-volta. 6 In tal senso indispensabile puntualizzare che il ruolo delle citazioni e riproposizioni di logoi letterari non assolutamente riducibile al solo passo riportato e analiticamente esaminato nellambito e nei limiti di questo lavoro, espressamente legato alla figura di Ulisse e alle ombre. In numerose altre sedi , infatti, possibile riscontrare la cifra della significanza letteraria, capace di riproporre, rinnovare, ampliare e irraggiare in pi tappe il cuore delle riflessioni levinassiane. Centrali sono, infatti, i costanti riferimenti a insigni noms propres di autori letterari, e a selezionati ed emblematici loro caratteri, quali Dostoevskij, Shakespeare (e in particolare Macbeth, Amleto, Re Lear), Kafka, Tolstoj, Pukin, Edgar Allan Poe, Goethe, Proust).

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trove di una segreta oltranza. La sfera letteraria, nodo di una traccia altra e sulla traccia dellAltro, pu, infatti, proporsi e profilarsi quale altro e costitutivo volto della filosofia dellalterit levinassiana allalba di una nuova intelligibilit, distillando, cos, oltre il vortice luminoso dellessere, i vertici speculativi di un al di l della luce e di un altrimenti-che-essere: infinito dellalterit per lidentit sovrana della caratterialit segnica e umana. Le ombre di Ulisse o volti in contrappunto Lapertura di un varco verso laltro, lo scarto dallinconsistenza alla significanza, dallanonimato al significato il cuore della tensione che dischiude e puntualizza costantemente la rilevanza della dimensione etica del pensiero levinassiano. La struttura dellidentit desiderio e devozione o bisogno e deviazione se pur de-riva, pu infatti inabissarsi alla deriva. Il vuoto dellinconsistenza , cos, uno dei termini centrali contro i quali si eleva il logos filosofico, in fecondo contrappunto con il letterario:
Ridotta alla pura e nuda esistenza, come lesistenza delle ombre incontrate da Ulisse agli inferi la vita si dissolve come unombra7.

In virt dellattenzione levinassiana allalterit letteraria, significativo interrogarsi sul senso di un simile parallelismo. Linstaurazione di una relazionalit contenutistica fra i due logoi, infatti, consente innanzitutto di analizzare i tratti filosofici caratterizzanti la dissoluzione dellidentit e, al contempo, dellalterit, esplicitando cos la significanza di cui la letteratura investita, sempre in pertinente connessione con fondamentali capisaldi teoretici. Qual , dunque, il carattere dellumbratilit letteraria a cui Lvinas allude e da cui attinge e che dilegua il senso dellumano? Quando Ulisse scende agli inferi 8 accerchiato dalla notte di infelici mortali che vani svolazzano9 . Sono anime tessute dombra perch incapaci di aprirsi alE. LEVINAS, Totalit et Infinit. Essai sur lextriorit, Nijhoff, La Haye 1961, trad. it. di A. DellAsta, Totalit e infinito. Saggio sullesteriorit, Jaca Book, Milano 2004, p. 112. Analoghi rimandi letterari alla figura di Ulisse e alle ombre compaiono ampliandosi in pi tappe: cf. Ivi, p. 246 o E. LVINAS, Sur Blanchot, Fata Morgana, Paris 1975, trad. it. di A. PONZIO, Su Blanchot, Palomar, Bari 1994, p. 90. 8 Odissea, XI, 1-640, edizione a cura di F. Ferrari, Utet, Torino 2001 (tutte le citazioni faranno riferimento a questa edizione e dove opportuno verranno modificate). 9 Ivi, XI, 14 sgg.
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lincontro, di posare lo sguardo sul volto dAltri, di proferire alcuna parola impossibilitati a rispondere di Altri e ad Altri. Corrispondono allipseit ed economia del levinassiano io interiore e psichico. Anime sorde perch avvolte dal silenzio del s o dissenso (non certo dal silenzio che linguaggio e precede il linguaggio, linguaggio dellinespresso e dellinesprimibile): rinchiuse nel mutismo proprio delleroe tragico di cui scrive Rosenzweig10. Ombre tramontate ancor prima della morte perch consolidate e sepolte nella separazione e solitudine del s, lunico altro compreso e compresso nelluniverso delle proprie mura. Se e quando si misurano con lalterit, infatti, tentano solo di annientarla, ma in verit non sono altro che agonisti paralizzati, isolati e vanamente corazzati perch inchiodati allinesorabilit del fato, come sudditi legati alloscillazione costante ora della signoria dellessere, ora del non-essere, del tutto incapaci di plasmare il proprio destino, incollati alla definitivit del definitivo11. Anime infrante dal peso del passato, su cui gravano le colpe dei padri mai convertite in germe di correzione, perdono, fecondit. Al contrario, sottolinea invece Lvinas:
Lopera profonda del tempo liberazione da questo passato in un soggetto che rompe i legami con suo padre. Il tempo il non-definitivo del definitivo, alterit dellattuato che comincia sempre di nuovo il sempre di questo nuovo inizio12.

Lopera del tempo, in cui si produce un essere infinito, consente di realizzare, dunque, una rottura della continuit e una continuazione attraverso la rottura13: essa, pertanto, insieme perdono, ovvero conservazione attuata attraverso la ripetizione e purificazione del passato, che cos convertito e riconciliato nella fecondit della giovinezza assoluta del nuovo istante, proteso ad un illimitato avvenire. I passi dellOdissea, che delineano la catabasi di Ulisse, presentano, invece, spettri che si consumano fino alla morte perch eretti dallanelito di soccombere, come eroica consacrazione
10 F. ROSENZWEIG, Der Stern der Erlsung, Kauffmann, Frankfurt, 19302 (1921), trad. it. di G. Bonola, La Stella della Redenzione, Marietti, Genova, 1996, pp. 80-86. 11 Cos Laio, nel tentativo di sventare la realizzazione delle predizioni funeste, intraprender proprio ci che necessario perch esse si compiano. Edipo, col suo successo, lavora alla sua sventura [] come la preda che sulla pianura ricoperta di neve fugge in direzione rettilinea il rumore dei cacciatori e proprio in questo modo lascia le tracce che costituiranno la sua rovina []. Quando la goffaggine dellatto si ritorce contro lo scopo perseguito, siamo in piena tragedia (E. LVINAS, Nomi propri, cit., p. 165). 12 E. LVINAS, Totalit e infinito, cit., p. 294. 13 Ibid.

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e cristallizzazione della pi chiusa insistenza del s su se stesso14. Riduzione della vita ad assunzione della morte. Spettri cui al contempo in nessun modo lessere si oppone nella sua totalit, poich nellopposizione allessere lio chiede riparo allessere stesso: il taedium vitae immerso nellamore della vita che rifiuta15. Da qui limpossibilit di uscire dalla tragedia e commedia dellesistenza o di punirne definitivamente i valori16. Le ombre degli inferi sono lacerate perch, pur fagocitate dalla morte, seminano morte: qui si aggirano i fautori ancora sanguinanti e squarciati17 delle stragi di eroi (Achille, Agamennone, Aiace). La drammaticit della violenza, che genera linconsistenza sia dellidentit che dellalterit, pi esattamente, imputabile alla sovversione e dissoluzione della sostanzialit, poich, chiarisce Lvinas:
la violenza non consiste tanto nel ferire e nellannientare, quanto nell interrompere la continuit delle persone, nel far loro recitare delle parti nelle quali non si ritrovano pi, nel far loro mancare, non solo a degli impegni, ma alla loro stessa sostanza, nel far compiere degli atti che finiscono con il distruggere ogni possibilit datto18.

Sapere o avere coscienza e libert significa, invece, avere del tempo per aggiornare lora del tradimento, evitare e prevenire listante dellinumanit infima differenza tra luomo e il non-uomo. Il tempo, precisamente, rivela tutta lesistenza dellessere mortale offerto alla violenza quale non ancora, modo di un essere che ha da venire, non completamente nato e anteriore alla propria definizione o natura. Elezione di un nuovo ordinamento della vita interiore, chiamata alle responsabilit infinite dellesistere per altri: salto mortale consistente nel temere lomicidio dellalterit piuttosto che la morte dellidentit. Fra le ombre affiora, invece, Sisifo19, consunto dalleterno ritorno del
La Stella della Redenzione, cit., p. 83. E. LVINAS, Totalit e infinito, cit., p. 148. 16 Donde il grido finale di Macbeth che affronta la morte, vinto perch luniverso non scompare insieme alla vita []. Il suicidio tragico perch non risolve tutti i problemi che la nascita ha prodotto e non in grado di umiliare i valori della terra []. La sofferenza, ad un tempo, dispera dessere unita allessere, e ama lessere al quale unita; Gli eroi si trovano a recitare una parte in un dramma che va al di l delle loro stesse intenzioni eroiche, che a causa della loro stessa opposizione a questo dramma, affrettano il compimento dei progetti estranei a queste intenzioni (ivi, p. 232). 17 Odissea, XI, 40 sgg. 18 E. LVINAS, Totalit e infinito, cit., p. 20. 19 Odissea, XI, 593-600.
15 14 F. ROSENZWEIG,

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macigno o destino maligno al quale non pu sottrarsi. Obbligato a prodigare invano le sue forze, come scrive Blanchot, limmagine di ci che si perde20, la vittima dellacrobazia del cadere e continuamente smarrirsi, per poi rialzarsi e ritrovarsi infinitamente identica. questa linfernale tragedia di Sisifo che pur brucia senza consumarsi ma insieme e pi profondamente,
la struttura del presente, dellattuale, dellOggi []. Linfernale che si mostra ad Auschwitz ma che si rimpiatta nella temporalit del tempo e la trattiene []. Oltre le sofferenze, linferno questa inversione dello spazio, questo vicolo cieco del tempo eternizzato, questa distorsione della Ragione pura, delle sue intuizioni e delle sue categorie. Follia del giorno. Una voce irrevocabile dice: Non c niente da fare []. Nel cuore del tempo che passa, niente si svolge, n accade []. Il flusso degli istanti si impiglia a cerniere che girano su se stesse e che riprendono il Medesimo. Iterazione di un racconto che racconta questo medesimo racconto []. Movimento trattenuto in un trattenimento che, in un S umano il soffocamento in s21.

Lumbratilit , dunque, la chiusura delle anime nellAde omerico, che muoiono in un movimento senza fuori, in una ex-pulsione senza vuoto per accogliere la diaspora22 al pari della blanchottiana Follia del giorno23-, cos come lanima sola di Aiace24, muta, inerte, perennemente sdegnata e in disparte25, o limmersione nel nulla di Tantalo26, che ha tarpato il desiderio di una fame e sete incolmabili. Il desiderio metafisico, infatti, va al di l di tutto ci che pu semplicemente completarlo27:
20 M. BLANCHOT, Faux Pas, Gallimard, Paris, 1943, trad. it. di E.K. Imberciadori, Passi falsi, Garzanti, Milano, 1976, p. 63. 21 Ivi, pp. 87, 93. 22 Ivi, p. 87. 23 Cf. M. BLANCHOT, La Folie du jour, Fata Morgana, Saint-Clment, 1973, trad. it. di G. Patrizi e G. Urso, La follia del giorno, Elitropia, Reggio Emilia, 1982. Qui, precisa lo stesso Lvinas, questo racconto della vita sotterranea che il dopo morte diviene riprende nella modernit, ma sondato nel suo reale orrore, il racconto dellAde visitato da Ulisse (E. LVINAS, Su Maurice Blanchot, cit., p. 90). 24 Odissea, XI, 542 sgg. 25 Ivi, XI, 543 sgg. 26 Odissea, XI, 582-592. 27 Perci nel Cantique des Colonnes Valry parla di desiderio senza mancanza riferendosi a Platone [.]. Bisogno di chi non ha pi bisogni, si riconosce nel bisogno di un Altro che altri, che non mio nemico, n mio complemento (E. LVINAS, En dcouvrant lexistence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris, 1967, tr. it. parziale di F. Ciaramelli, La traccia dellaltro, Tullio Pironti, Napoli 1979, p. 32).

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come la bont il Desiderato non lo riempie, ma lo svuota [] al di fuori della fame che pu essere soddisfatta, della sete che pu essere estinta e dei sensi che possono essere appagati28.

Solo Tiresia, lindovino tebano cieco, si staglia dalla schiera delle ombre. Rappresenta, infatti, il movimento dellincontro, lanima che accorre e soccorre Ulisse, colui che ascolta linvocazione di Altri e risponde ad Altri; la mente saggia il cui sapere non ha misura comune con ogni vedere, gli occhi ciechi che, trascendendo la luce, possono vedere lal di l della luce. questo uno dei sensi pi propri dellumanesimo delluomo e, pi esattamente, della fecondit di cui scrive Lvinas:
Nella fecondit lio trascende la luce. Non per dissolversi nellanonimato del c, ma per andare pi lontano della luce, per andare altrove29.

Infatti la vista (non pi senso per eccellenza, o eccellenza del senso), che sempre un vedere allorizzonte, non incontra lalterit (imperscrutabile) a partire da ci che sta al di l di ogni essere, ma lidentico rimando al Medesimo e al suo asse focale, in cui il soggetto si riflette e assorbe: qui che la coscienza rinvia a se stessa pur rifugiandosi nella visione30. La rivelazione del trascendente, che volto, parola, infinito, , invece, ascolto dellapertura dellessere e dunque impossibilit di una riflessione totale, indicibilit sia in termini di contemplazione che di pratica, poich sporgenza irriducibile dellaltezza del faccia a faccia:
solo la relazione con altri introduce una dimensione della trascendenza e ci conduce verso un rapporto totalmente diverso dallesperienza nel senso sensibile del termine, relativa ed egoista31.

Tiresia allora il dono in verit macchiato da Ulisse di un destino altro, al di l dellessere: il miracolo delle possibilit che sovvertono limpasse
28 E. LVINAS, Totalit e infinito, cit., p. 32. Il Desiderio si rivela, dunque, bont, poich il desiderabile non sazia il desiderio, ma lo rende pi profondo, nutrendolo, in qualche modo, di nuova fame. Ecco la ragione per cui vi una scena in Delitto e castigo in cui, a proposito di Sonia Marmeladova che osserva Raskolnikov nella sua disperazione, Dostoevskij parla di compassione insaziabile. Non dice compassione inesauribile. Infatti la compassione di Sonia per Raskolnikov come una fame che la presenza di Raskolikov nutre oltre ogni appagamento, accrescendola allinfinito (E. LVINAS, La traccia dellaltro, cit., p. 33). 29 Ivi, p. 276. 30 Ivi, p. 196. 31 Ivi, p. 197.

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dellidentit. il maestro che prova a rianimare le ombre, spingendo Ulisse a dissetarle con il sangue di animali offerti in sacrificio, ricordando che una sorgente altra la linfa di vita32. Solo perch imbevute nellaltro e dallaltro, alcune ombre potranno sciogliere la lingua e dischiudere le orecchie. quanto accade ad Anticlea33, finalmente, ma brevemente, capace di riconoscere il volto poco prima assente del figlio, e di muovere e smuovere alate parole34. Dunque cosa si inscrive esattamente nel cuore della chiusura e nella chiusura del cuore alla filialit e allalterit? Proprio nel nodo di tale questione emblematico interrogare la figura (assente) di Ulisse e di riflesso dellio totale. Leroe, al pari delle ombre, sempre contraddistinto dallinconsistenza: lo smarrimento dellalterit non pu che significare, dunque, la perdita dellidentit. Il suo nostos si conclude ricongiungendolo alla sua casa, ai suoi averi e poteri, alla propria totalit: Ulisse
attraverso tutte le sue peregrinazioni, non fa altro che andare verso lisola natale35. Viene dalla casa e vi fa ritorno, movimento dellOdissea in cui lavventura vissuta nel mondo soltanto un caso accidentale capitato sulla strada del ritorno36.

lio circolare e concentrico: lio del bisogno che si apre in un mondo che per s e ritorna in s:
Madre mia, il bisogno mi ha condotto verso la casa di Ade [] per interrogare Tiresia , se un consiglio mi dava su come giungere nella ripida Itaca37.

Odissea, XI, 25-26; 35-37; 147-149. La precedente inconsistenza di Anticlea evidenziata, infatti, dai seguenti tratti: ivi, XI, 141 sgg.: Vedo qui lanima della madre defunta, muta e non osa guardare il volto del figlio e parlargli. Si tratta di un corpo privo di sostanza: tre volte tentai e mi spinse ad abbracciarla il mio animo, e tre volte mi vol dalle mani, simile ad un ombra o a un sogno (XI, 206 sgg.). 34 Ivi, XI, 152 sgg.: Mia madre bevve il sangue [] Subito mi riconobbe e piangendo mi rivolse alate parole. Tuttavia Anticlea si dissolver poco dopo, non appena Ulisse lAltro si avvier alla partenza e assenza. 35 E. LVINAS, La traccia dellaltro, cit., p. 27. 36 E. LVINAS, Totalit e infinito, cit., p. 181. Cf. inoltre ivi, p. 280: Ulisse ha la struttura del soggetto che dopo ogni avventura fa ritorno alla sua isola; e ivi, p. 25: desidera soltanto di tornare a casa sua. 37 Odissea, XI, 164 sgg. Si potrebbe dire della sua esistenza quanto J. Wahl cita di Eraclito, paragonando la vita ad un arco teso: essa non trascende se stessa, ma rivolta verso una vita futura quaggi (J. WAHL, Trait de Mtaphysique, Payot, Paris, 1968, p. 357).
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leroe assente perch lontano da s e dagli altri, cos come viene stigmatizzato da Anticlea uccisa dal dolore scaturito dalla perdita del figlio. la soggettivit che fa ritorno a s e converge sul proprio centro per installarvisi trionfante nel riposo della terra sotto la volta del cielo 38 . Ragioni per le quali Lvinas potr scrivere:
Al mito di Ulisse che torna ad Itaca vorremmo contrapporre la storia di Abramo39 che abbandona per sempre la propria patria per una terra ancora sconosciuta e che proibisce al suo servo di ricondurre persino suo figlio al punto di partenza40.

Paradossalmente, come le ombre, anche Ulisse muto, perch avvinto dal peso dellessere, mutilato da una sorte filata41 da divinit senza volto. Tace perch la sua parola spezzata dalla violenza ( questultima che acceca Polifemo, circuendolo, cancellando il suo nome proprio che dice molto incendiando la sua identit Nessuno; la violenza che, di ritorno ad Itaca, cifra della strage vendicativa dei Proci)42. Persino i mutamenti didentit (che ne richiamano costantemente la frantumazione) sono, in fondo, fittizi: la trasformazione di Ulisse in mendicante, operata da Atena, in effetti, lo rende incapace di entrare nei panni dAltri, poich camuffato per obliare la sua nudit, mascherato e rivestito solo a fior di pelle dellalterit43. Leroe dai molti viaggi lio dai mancati incontri. Le analisi levinassiane consentono, pertanto, di contrapporre ad Ulisse oltre che Abramo il naufrago Robinson, a cui il carattere privilegiato dellalterit:
E. LVINAS, Lal di l del versetto, cit., p. 19. Abram , infatti, supremamente eretto e diretto dalla parola daltri: colui che per andare verso se stesso si affida ciecamente alla voce che lo fa uscire fuori da se stesso. Cf. S. FACIONi, La cattura dellorigine, Jaca Book, Milano, 2005, p. 11: Abram in Genesi 14,13, definito (per la prima volta nella Torah) haivri, vale a dire lebreo, perch, secondo il racconto di Bereit Rabbah, discendeva da Hever, parlava lebraico e, soprattutto, mentre tutto il mondo andava da una parte, lui andava dallaltra: uomo del transito, Abram anche luomo che affida alla trasformazione della lingua il compito di un passaggio al di l della materialit del detto, del significato letterale, della rigida fissit di un qualsivoglia senso che si pretenda assoluto, univoco. Si badi, dunque, a rilevare come Abram schiuda un senso di centrale importanza allinterno del percorso che il presente lavoro sta conducendo. 40 J. DERRIDA, Lcriture et la difference, d. du Seuil, Paris 1967, trad. it. di G. Pozzi, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino, 1971, pp. 197-198. 41 Odissea, XI, 139: Tiresia, lhanno filata gli dei questa sorte. 42 Lo stratagemma e limboscata arte di Ulisse costituiscono lessenza della guerra [] simultaneit dellassenza e della presenza (ivi, p. 230). 43 Ulisse non contempla il desiderio dellassolutamente Altro o la nobilt, dimensione della metafisica.
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si rivela quando nello splendore del paesaggio tropicale, non avendo troncato alcun legame con la civilt, grazie ai suoi utensili, alla sua morale, al suo calendario, egli riconosce nel suo incontro con Venerd44 il pi grande evento della sua vita insulare, quando finalmente un uomo che parla riesce a colmare la tristezza inesprimibile delleco45.

La relazione con il volto dAltri si produce, infatti, come trascendenza: bont che consiste nellandare dove nessun pensiero illuminante cio panoramico lha preceduta, nellincondizionata risposta allingiunzione etica prescritta da Altri, nellavventura assoluta dellessere-per-altri. La presenza dellaltro, lungi dallequivalere ad una mera coesistenza con lidentit, si compie nellascolto ed connessa allorigine trascendentale della parola proferita, che eccedenza dellinsegnamento e irriducibilit rispetto ad ogni sufficienza e apologia del proprio spirito, comunione mistica, oggettivit teoretica, esperienza e conoscenza assimilante, o appagamento di una visione epicentrica e inglobante. Si tratta, nella presenza, di ritrovare la vita 46 . Vita soggiacente allo sguardo, insonnia vigilante dellidentit: sensibilit nei riguardi dellalterit. Infatti, continua Lvinas: laggettivo vivente non designa questa veglia che si d sola come incessante risveglio? 47 . La soggettivit , dunque, ospitalit, responsabilit, esposizione, soggezione e passione, dove patire segna lesplosione (o lesotismo assoluto) della temporalit della pura presenza: da qui il movimento di retro-scendenza attraverso cui emerge linsaturabilit dellalterit e lesteriorit traumatica dellin dellinfinito nel finito, coincidente con la pi profonda intimit del s. Cos, se lassenza irrimediabile dellUno o dellAltro il disumano movimento che spegne lUno-per-lAltro, allora
questo privilegio dellAltro smette di essere incomprensibile non appena ammettiamo che il fatto primario dellesistenza non n lin s, n il per s, ma il per altro; detto in altri termini che lesistenza umana creatura. Con la parola proferita, il soggetto che si pone si espone e, in qualche modo prega48.

Anche la letteratura parola gi al di l della parola:


Venerd , infatti, il volto o infinito: il mistero di ogni luce, il segreto di ogni apertura [] manifestazione della traccia di Dio e luce della rivelazione che inonda luniverso (E. LVINAS, Nomi propri, cit., p. 124). 45 Ivi, p. 119. 46 E. LVINAS, De Dieu qui vient lide, Vrin, Paris, 1982, trad. it. di G. Zennaro, Di Dio che viene allidea, Jaca Book, Milano, 1997, p. 45. 47 Ivi, p. 39. 48 E. LVINAS, Nomi propri, cit., p. 120.
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Parola nella quale lInfinito nasconde il suo segreto, facendone una dimora che, per non estenuarvisi in essere, disfa e disdice senza mai dissiparla del tutto risolvendola in nulla49.

La letteratura cos come la metafisica del volto, epifania dellaltro risveglio e resurrezione50. Il senso di una parola ritrosa51, ma insieme vivente, dirompente, vigilante, eccedente al di fuori dellessere e delle categorie che lo descrivono: la significativit che avvia al levinassiano segreto dellalterit quale assenza generosa di un mostrarsi che un tuttuno col ritirarsi52. Un chiasmo scompagina la tautologia identitaria del Medesimo: da qui la possibilit di un soggetto etico, capace di sorgere solo dallintrigo dellAltro, nel momento esatto in cui il sapere dellEssere tramonta. Sapere a cui lAltro ricorda
che la sua totalit non totale che il discorso coerente di cui si vanta, non raggiunge un altro discorso che non riesce a far tacere, che questaltro discorso disturbato da un rumore ininterrotto, che una differenza non lascia dormire il mondo, e disturba lordine in cui lessere e il non-essere si organizzano in dialettica. []. Non che un terzo escluso che, propriamente parlando, non neppure. Tuttavia vi in esso pi trascendenza di quanta alcun secondo mondo ne abbia mai dischiusa53.

E. LVINAS, Lal di l del versetto, cit., p. 27. Configurandosi quale evento per eccellenza o avvento di senso nellessere, Lvinas connette, cos, la significativit della scrittura alla possibilit che levento abbia luogo: modalit del raccogliere come espulsione dellio al di fuori della sua navicella o della sua pelle (E. LVINAS, Nomi propri, cit., p. 109). 50 Ivi, pp. 9-17. 51 La letteratura significa al di l del suo senso ovvio e invita, perci, allesegesi, dritta o tortuosa ma per niente frivola che vita spirituale (E. LVINAS, Lal di l del versetto, cit., p. 60). 52 E. LVINAS, La traccia dellaltro, cit., pp. 54-55: modo di manifestarsi senza manifestarsi che risalendo alletimologia del termine greco e in opposizione allindiscreto e vincente apparire del fenomeno lo definiamo enigma. Cf. E. LVINAS, Su Blanchot, cit., p. 77: La presenza dellassenza non pura negazione. La scrittura non diviene poesia? Il brusio anonimo e incessante non vinto dal canto che riempie lo spazio letterario?. 53 Ivi, p. 80.
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ANNA DE MARCO Ontogenesi delle categorie funzionali in L1: un confronto interlinguistico

0. Introduzione La riflessione relativa allo sviluppo delle categorie linguistiche nella prima grammatica del bambino parte da due problematiche importanti che corrispondono alle questioni alle quali una qualsiasi teoria dellacquisizione del linguaggio dovrebbe rispondere: a. perch le grammatiche dei bambini differiscono dal modello delle grammatiche adulte; b. levoluzione di tali grammatiche nelle grammatiche adulte. Queste prime questioni, naturalmente, rimandano ad unaltra serie di questioni che riguardano: a. che cosa realmente presente, nella mente del bambino, quando inizia il processo di apprendimento? b. quali meccanismi vengono utilizzati nel corso dellacquisizione? (i bambini utilizzano procedure di apprendimento che sono dominio specifiche e cio specifiche del linguaggio o dominio generali e, dunque, comuni alla cognizione o al problem solving?) c. che tipo di input guida il sistema di apprendimento linguistico dalle fasi iniziali a quelle pi avanzate? d. i bambini fanno affidamento alla conoscenza graduale delle convenzioni sociali o compiono unanalisi strutturale sofisticata? Nel corso della discussione tenteremo di fornire un contributo alla spiegazione del fenomeno acquisizionale attraverso il ricorso allapproccio funzionalista e costruttivista. 1. Brevi cenni teorici Le impostazioni teoriche nello studio del linguaggio infantile che si sono affermate negli ultimi cinquantanni, e che si contrappongono al filone innatista degli studi di linguistica teorica ed acquisizionale, sono diversi e si soffermano su aspetti diversi dello sviluppo del linguaggio. Un primo gruppo di studi costituito da studiosi che danno unimpronta di tipo descrittivo e diaristico agli studi sullacquisizione. Un secondo gruppo riconducibile al filone semanticista che si afferma negli anni settanta, secondo cui laBollettino filosofico 24 (2008): 404-427

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nalisi della lingua in componenti semantiche di base permetterebbe di evidenziare una precisa sequenza evolutiva nellacquisizione della grammatica da parte del bambino. Alla fine degli anni settanta si intensificano le analisi di un terzo gruppo di ispirazione pragmatica, tendente a caratterizzare il linguaggio come fenomeno di interazione ed interessato a mettere in luce gli aspetti sociali ed extralinguistici nello scambio comunicativo (CAMAIONI, VOLTERRA, BATES, 1976). Il filone di studi pi recente, di approccio funzionalista, ha concentrato gran parte delle ricerche sullo sviluppo della morfologia proponendo un modello interazionista che costituisce il cuore di questo contributo e che dunque presenteremo pi avanti1. Seguendo una classificazione di Hirsh-Pasek e Michnick Golingoff (1999) le teorie che si sono sviluppate dalla rivoluzione chomskiana in poi si possono suddividere in due grossi filoni denominati inside out e outside in. Le teorie classificate come inside out si suddividono in due sottogruppi, il primo e prototipico modello del gruppo orientato alla struttura il modello chomskiano: il bambino viene al mondo con una conoscenza linguistica altamente specializzata e dominio specifica. Nellambito della teoria generativista, iniziata proprio con Chomsky, il modo attraverso cui si sviluppata una certa teoria dellacquisizione ha trovato il suo fondamento su un esame fine e minuzioso delle grammatiche adulte. Mentre la parte stabile della grammatica infantile fa parte del suo bagaglio genetico, il compito acquisizionale del bambino coincide con la fissazione di alcuni parametri di variazione della lingua sulla base e in dipendenza dai dati primari. Poich questo modello si fonda sulla lingua adulta, lacquisizione viene idealizzata e trattata come un processo istantaneo. Anche nel nuovo modello minimalista chomskiano non c nessuna proposta di una verifica empirica della grammatica universale. Nellusare un rigoroso formalismo per descri-vere sia la grammatica adulta, che quella del bambino, il tentativo non tanto quello di rendere conto della competenza linguistica umana, quanto piuttosto quello di spiegare la core grammar e cio gli aspetti pi sistematici e astratti della lingua, con il lessico, le frasi idiomatiche e le costruzioni sintattiche pi idiosincratiche consegnate alla periferia di una tale grammatica. La distinzione fra core e periferia (il lessico, la pragmatica) costituisce la ba1 La presenza dei lavori longitudinali in questo paradigma di ricerca notevolmente cresciuta negli ultimi quindici anni anche grazie alla costituzione dei gruppi di ricerca sia del CNR italiano sia in ambito internazionale da progetti mirati come quello di Vienna per il linguaggio infantile e quello di Pavia per lacquisizione di L2.

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se per le diverse proposte teoretiche recenti che spiegano lacquisizione di una lingua naturale attraverso il ricorso a due distinti processi: regole astratte e a priori per il core linguistico e dei processi normali di apprendimento e di memoria per la periferia linguistica (CHOMSKY, 1980; PINKER, 1990). La questione centrale che riguarda il problema acquisizionale ha a che fare, perci, con la manifestazione dei principi e dei parametri della grammatica universale; lingresso nel sistema dominio specifico dato. Le abilit con cui i bambini iniziano ad affrontare il compito acquisizionale sono labilit di segmentare il flusso linguistico, trovare le classi di parole e le categorie linguistiche, essere in grado di condurre unanalisi della struttura della frase e posizionare i parametri. Linteresse specifico di una tale teoria (la teoria linguistica coincide per Chomsky con la teoria che nel bambino fin dalla sua nascita) quello di fissare questi parametri e quindi di stabilire i dati linguistici primari che permettono al bambino di spostare e adattare i parametri alla lingua a cui esposto. Il problema dellapprendimento per gli innatisti, comunque, una questione marginale in quanto, secondo questo paradigma di ricerca, una lingua non si apprende, proprio come, ad esempio, non si apprendono i recettori di senso sulla retina per la percezione delle linee orizzontali e verticali. Secondo quanto sintetizzato finora, dunque, possiamo concludere, con una delle affermazioni portanti la teoria generativista, e cio che tutte le lingue condividono una serie di principi universali innati. A seguito di questa ultima affermazione ci sembra utile chiedersi: perch mai lacquisizione del linguaggio non un processo istantaneo e perch gli esseri umani non nascono parlanti se le costruzioni linguistiche sono connaturate ai geni? Il problema del meccanismo acquisizionale come un meccanismo simultaneo deriva proprio dal postulato innatista della accessibilit immediata del bambino ai dati linguistici. Emerge chiaramente, infatti, in questa posizione, un radicale rifiuto del ruolo dellinput linguistico nella costituzione dei processi di sviluppo della lingua da parte del bambino. Gli studi condotti in ambito non innatista hanno mostrato, al contrario, che il processo evolutivo del bambino, attraverso grammatiche intermedie, lungo e non sempre lineare. La risposta immediata alla domanda posta sopra , dunque, che il linguaggio coinvolge qualcosa di pi dei i geni: in assenza di un input adeguato il meccanismo di acquisizione specifico (LAD) non pu essere attivato (ne sono testimonianza gli individui deprivati della possibilit di interagire con altri esseri umani dalla nascita che non riescono a sviluppare in modo completo un sistema di comunicazione verbale).

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Una delle ipotesi che scaturisce dal paradigma innatista, in relazione alla spiegazione dello sviluppo del linguaggio lipotesi della maturazione (IM): le categorie funzionali sono assenti dalle prime grammatiche dei bambini e la loro maturazione regolata da una sorta di programma biologico (REDFORD, 1990). Redford, in particolare, ha suggerito che la disponibilit di categorie funzionali potrebbe essere dipendente da un programma di crescita, e che tali categorie potrebbero essere inattive o quanto meno latenti nelle prime fasi dellacquisizione linguistica. Il modello esplicativo adottato da Redford sollecita ulteriori quesiti che richiedono una maggiore chiarezza sui meccanismi che portano alla maturazione e attivazione delle categorie mancanti. Secondo tale modello teorico, lipotesi di una fase linguistica caratterizzata dallassenza di categorie funzionali convalidata dal fatto che una volta che tali categorie maturano, compaiono una serie di realizzazioni morfosintattiche in precedenza precluse. Tuttavia, mentre in teoria ogni principio pu maturare, spiegare gli stadi di transizione attraverso il ricorso alla maturazione rende debole il potere esplicativo di questa teoria perch costruisce delle ipotesi che sono di fatto impossibili da falsificare. C un'altra questione importante su cui lIM non riesce a fare chiarezza e cio le discrepanze nello sviluppo delle categorie funzionali in lingue diverse. Questo programma biologico prevede, infatti, che le categorie emergano con le stesse modalit per tutti gli apprendenti, a prescindere dalla lingua a cui essi sono esposti. Tuttavia, ad unattenta analisi del percorso acquisizionale, che coinvolge apprendenti di lingue diverse questo non verifica. Nelle lingue morfologicamente ricche, infatti, lintegrazione di categorie funzionali nelle grammatiche infantili avviene piuttosto presto, mentre in lingue come linglese o lo svedese le prime fasi sono caratterizzate da strutture lessicali-tematiche. I dati relativi allo sviluppo delle L1 vengono meglio spiegati, come vedremo, da modelli basati sullinput (ossia un apprendimento guidato dallinput), in cui uno degli assunti che i principi che governano la comparsa delle categorie funzionali sono in teoria sempre disponibili al bambino ma la salienza dellinput che lo guida ad integrare tali categorie nella grammatica in una fase iniziale. In sostanza, in relazione alle domande che ci siamo posti sopra, la risposta che ci deriva dallipotesi della maturazione insoddisfacente rispetto a due ordini di fattori: il primo riguarda la circolarit dellargomento e il secondo, la mancanza del supporto interlinguistico. Il secondo gruppo relativo alle teorie inside out quello orientato al processo e tende ad enfatizzare i mezzi attraverso i quali i bambini scoprono la

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grammatica focalizzandosi sul rapporto forma funzione, si concentrano su come certe rappresentazioni linguistiche iniziali si formano e come lacquisizione va avanti una volta che i bambini hanno prodotto le loro prime parole. Pinker, uno dei sostenitori di tale posizione, sostiene che il bambino dotato di conoscenze linguistiche specifiche sulle classi di parole come il nome e il verbo, di categorie sintattiche come soggetto e oggetto (PINKER 1984, GLEITMAN 1990), il bambino deve essere predisposto, insomma, ad interpretare le parole in un modo specifico. Non solo deve identificare le parole in classi di parole ma deve anche essere capace di scorgere esempi di queste classi nellinput. Il principio del bootstrapping semantico, proposto da Pinker, un esempio del meccanismo attraverso il quale il bambino utilizza la presenza di entit semantiche come cosa, agente causale, per rintracciare nellinput oggetti corrispondenti ad universali sintattici come nome, soggetto, ecc. Ovviamente, essendo innatista, Pinker sostiene che i bambini possiedono delle regole di collegamento per far combaciare la parola per il referente alla classe nome e in seguito al soggetto della frase. Egli sostiene, inoltre, che ci sono dei mezzi non linguistici, non dominio specifici, che il bambino utilizzerebbe per scoprire come funziona la propria lingua (per es. la scoperta di alcuni schemi ricorrenti). Per quanto concerne limportanza dellinput, esso non viene visto solo come una sorta di innesco (attivatore della competenza linguistica, alla Chomsky) ma come una certa predisposizione che condurrebbe i bambini a compiere precise ipotesi nel corso dellanalisi dellinput linguistico. In relazione al rapporto innatezza e ambiente linguistico, Pinker propone unaltra ipotesi che modifica lipotesi della maturazione sotto alcuni aspetti che lipotesi forte della continuit. Secondo questa ipotesi, lampio spettro delle categorie funzionali presente fin dalla nascita (PINKER 1984) per cui, non appena i dati primari forniscono gli esempi pertinenti, i vari parametri vengono conseguentemente fissati. In realt, il bambino sembra abbastanza selettivo nellimmagazzinare i dati ai quali esposto. In particolare, pare che siano i fattori maturativi ad influenzare la ricettivit nei confronti dei dati uditi da un lato, e la disponibilit dei principi della GU, dallaltro. Le domande che ci poniamo rispetto a questa ulteriore ipotesi rimangono sostanzialmente disattese e sono essenzialmente simili a quelle gi avanzate per lIM. In particolare ci chiediamo: perch certe costruzioni non emergono prima di altre (a meno che non si ammetta che linput sia fortemente ordinato, cosa che non appare dai dati infantili, molto difficile spiegare le fasi di transizione)? Come possibile sostenere la continuit fra le strutture del

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bambino e quelle adulte dato che non c un modo possibile per spiegare come il bambino possa passare da strutture linguistiche basate su item ricorrenti alle potenti categorie astratte che caratterizzano la lingua adulta? Molti degli approcci alternativi che concepiscono la competenza linguistica in termini pi psicologici e meno astratti, per esempio gli approcci basati sulluso, riescono a superare il problema della continuit riconoscendo al bambino delle abilit cognitive e di apprendimento pi potenti, specialmente in relazione a meccanismi come lanalogia, la capacit di combinazione di strutture; il vantaggio di questi ultimi approcci quello di non avere un problema di messa in relazione fra lapprendimento di strutture locali e quelle di una grammatica universale. In questa visione dello sviluppo linguistico, c continuit rispetto al processo, e cio rispetto ai meccanismi cognitivi di apprendimento che sono immutabili lungo gli stadi acquisizionali, anche se permane una discontinuit nelle strutture. Children's concrete and item-based language early in development rests on lexically specifc syntagmatic and paradigmatic categories (thrower, thing thrown, etc.), not on the kinds of abstract and verb-general categories and schemas that characterize much of adult linguistic competence (TOMASELLO, 2000, p. 246). Non c dubbio, come sostiene Tomasello, che le grammatiche formali possono essere scritte per il linguaggio infantile, proprio come possono esserlo per ogni fenomeno naturale inclusa la musica, il genoma umano e i sogni. La domanda da porsi a questo punto se queste grammatiche formali siano entit psicologicamente reali per i bambini. Le teorie di stampo generativo hanno semplicemente assunto che lo siano e questa ipotesi della continuit stata utilizzata per giustificare la buona pratica di descrivere un enunciato del linguaggio infantile allo stesso modo dellequivalente enunciato prodotto da un adulto. Lapproccio teorico identificato come outside-in, enfatizza lidea di sviluppo, cambiamento e cultura e, sostiene che la conoscenza linguistica pu essere spiegata attraverso gli stessi meccanismi che rendono conto di altri tipi di apprendimento. Una delle versioni di questo tipo di approccio quella proposta da Bloom (1970, 1993) che ha costantemente valorizzato il fatto che la conoscenza linguistica, non riducibile ad altri generi di conoscenze. Linguistic development is neither isomorphic nor a necessary result of cognitive development; how children have learned to think about the objects, events and relations in their experience is something apart from how they have learned to represent such information in linguistic messages (BLOOM, LIGHTBOWN, HOOD, 1975, pp. 29-30). In questa vi-

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sione, lacquisizione del linguaggio non una semplice messa in relazione tra la conoscenza cognitiva e quella linguistica e la lingua diventa un problema a s stante. Il problema dellacquisizione viene affrontato attraverso un approccio bottom up, e cio, il bambino applica dei principi cognitivi generali al compito acquisizionale. Sebbene i bambini siano impegnati, sin dallinizio della strutturazione di un sistema linguistico, in una analisi formale e dunque nellanalisi di strutture sintattiche, Bloom non spinge molto oltre questa affermazione, come fa Pinker, assegnando una conoscenza innata delle categorie sintattiche al bambino, ma sostiene che il bambino in grado di fare uso delle categorie sintattiche sin dalla produzione dei primi enunciati (e non prima). Tuttavia, il ruolo che questo tipo di teorie conferisce allambiente e alle strutture cognitive un forte elemento di differenza con gli approcci di tipo inside-out. Una differenza cruciale fra i due approcci sta nel fatto che per questi ultimi, la complessit della lingua, cos come la sua specificit, non pu essere spiegata se non attraverso restrizioni innatamente date sulla facolt di linguaggio. Questi approcci, inoltre, assegnano al bambino la competenza linguistica dominio specifica ed enfatizzano la scoperta della grammatica piuttosto che la sua costruzione. In realt i due tipi di approcci teorici hanno pi punti in comune di ci che sarebbe possibile concepire ad una analisi superficiale delle ipotesi che le caratterizzano. Quando si tratta di stabilire cosa sia presente nel bambino nel momento in cui ha inizio il processo di acquisizione, entrambe le teorie considerano il bambino sensibile e capace di individuare un numero di unit linguistiche (nomi, verbi, frasi) e la loro potenziale distribuzione. Il problema che si intravede, anche in alcune delle teorie dellapproccio outside-in sta proprio nella difficolt a spiegare come fa il bambino a passare da un tipo di sistema linguistico basato su categorie cognitive (semantiche) e sociali ad un sistema linguistico adulto basato su categorie sintattiche astratte. Resta, dunque, il problema della discontinuit fra le strutture cognitive e quelle linguistiche. Possiamo per pensare che il bambino possa essere effettivamente predisposto allindividuazione della molteplicit e sovrapponibilit di indizi nella struttura grammaticale di una lingua, ossia, la predisposizione a catturare certi tipi di associazioni o di informazioni nel mondo linguistico e non linguistico. La problematica della discontinuit ci porta a ritenere che i meccanismi utilizzati nel corso dellapprendimento siano, in qualche modo, riferiti a limiti che sono specificatamente linguistici come guarda alle marche flessive o pi generali del tipo stai attento allordine delle paro-

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le. Ogni tipo di indizio linguistico, semantico, sintattico, prosodico e lunione di questi, contribuisce a spingere il sistema linguistico del bambino verso un maggiore sviluppo. Ossia, non necessario che si dia al bambino, dal principio, alcuna nozione strettamente formale e linguistica, ma plausibile che queste si sviluppino, invece, da nozioni cognitive pi generali. Lapproccio che illustreremo nel seguito di questo contributo, parte da un orientamento di tipo outside-in e convoglia in un unico quadro teorico alcune delle teorie cognitive e funzionaliste che si sono sviluppate allinterno di questo paradigma di ricerca. Una delle principali differenze con gli approcci inside-out, che le propriet universali della grammatica sono indirettamente innate essendo basate sullinterazione fra categorie e processi che non sono specificatamente linguistici. In altre parole, possibile sostenere linnatezza di una Facolt del Linguaggio ma plausibile pensare che ci siano forti restrizioni circa il grado della competenza dominio specifica che richiesta per rendere conto dellacquisizione delle strutture linguistiche delle lingue naturali. 3. Lapproccio cognitivo-funzionale Lapproccio che si contrappone, in primo luogo allidea della modularit innata del sistema linguistico e che, a nostro avviso, pu offrire delle risposte plausibili alle questioni poste nella nostra introduzione, lapproccio cognitivo-funzionale e interazionista. I modelli funzionalisti di orientamento linguistico sono di tipo empirista induttivo e non modulare e considerano lapprendimento di una L1 come quello di altre conoscenze o abilit cognitive complesse puntando sui meccanismi interni alla mente del parlante a partire dallinput in L1, fino ad arrivare alla realizzazione delloutput. Tali modelli riguardano, quindi, in primo luogo, il processo di elaborazione della L1 piuttosto che la competenza ad essa sottesa (ossia il prodotto finale). Lidea di sistema linguistico e di lingua connaturata a questo tipo di approccio funzionalista nel senso che considera le forme delle lingue naturali come create, governate e limitate, acquisite e utilizzate al servizio delle funzioni comunicative; le lingue non sono acquisite e usate in un vacuum ma soddisfano scopi comunicativi e cognitivi. Il sistema linguistico, in particolare, non un organo mentale autonomo ma fa parte del complesso mosaico di attivit cognitive e sociali strettamente integrate ed interconnesse al resto della psicologia umana (TOMASELLO, 1995).

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Le funzioni sono implicate in certe strutture nei modi convenzionali e multi relazionali essendo le strutture composte di quattro tipi di mezzi simbolici: le parole, le marche sulle parole, lordine delle parole e la prosodia (BATES-MACWHINNEY, 1989). Da un punto di vista dello sviluppo del linguaggio, lassunto pi generale quello che le categorie linguistiche non sono date innatamente ai bambini ma sono gradualmente costruite dal bambino sulla base di una sorta di scambio tra predisposizioni generali e lo stimolo connesso allinput linguistico. Tale input permette al bambino di fare delle generalizzazioni sulla base delle abilit di categorizzazione sulla lingua alla quale sono esposti (TOMASELLO, 1995). possibile sostenere, secondo Tomasello, che abilit, diverse da quelle specificatamente linguistiche, che concorrono allacquisizione del linguaggio siano innate e cio abilit cognitive pi generali che hanno a che fare con: a. la capacit di percepire e concettualizzare oggetti, azioni e propriet; b. la capacit di acquisire simboli per queste ed altre entit esperienziali attraverso le interazioni con altri parlanti adulti; c. la capacit di costruire categorie per questi simboli. In una tale prospettiva i bambini mostrano pattern differenti di sviluppo in funzione delle singole propriet della lingua a cui sono esposti dunque alle differenze formali nellinput linguistico; d. la capacit di combinare in una singola frase simboli e categorie di simboli e di marcare simbolicamente per ognuno di essi i ruoli che giocano in tali combinazioni; e. la capacit di discriminare e di produrre una variet di suoni rilevanti delle lingue. molto importante, per modelli di questo tipo, verificare attraverso il confronto interlinguistico i modi attraverso cui le lingue vengono apprese per articolare gli universali e i processi particolari che caratterizzano il percorso dacquisizione. La tipologia della lingua che viene appresa e il tipo di input a cui il bambino viene esposto (linterazione fra le predisposizioni cognitive e linguistiche del bambino e lambiente) fanno in modo che i bambini sviluppino dei percorsi di acquisizione simili per le primissime fasi dellacquisizione (seppure con tempi diversi anche fra bambini della stessa lingua di partenza) che si diversificano man mano che il percorso acquisizionale procede e che le caratteristiche della lingua madre impongono al bambino una ristrutturazione progressiva del sistema. Nel filone degli approcci cognitivo-funzionali (in parte appartenenti a quelli outside-in descritti sopra) dedicano attenzione ad aspetti cognitivi,

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modelli come il Competion Model (MACWHINNEY, 1987). In particolare, tale modello si interessa alle modalit attraverso cui un apprendente individua il rapporto forma e funzione facendo leva su indizi formali (o cues fonologici, morfologici sintattici) di certe funzioni linguistiche: per individuare il soggetto in inglese decisivo lindizio sintattico della posizione preverbale. Lapprendimento di una lingua comporterebbe lindividuazione e la valutazione di indizi (talora in competizione fra di loro) utili per cogliere nellinput la manifestazione di strutture, categorie e significati della lingua e per costruire la sua grammatica. Verrebbero utilizzati gli indizi pi frequenti (disponibili), affidabili (quelli che pi coerentemente rimandano a una certa funzione), i pi validi in caso di competizione di indizi. Ovviamente gli indizi pertinenti sono differenti da lingua a lingua e diversamente pesanti (in inglese pesa di pi la posizione preverbale per individuare il soggetto, in italiano laccordo col verbo e lanimatezza). Altre spiegazioni dello sviluppo graduale delle categorie funzionali sono sempre di prevalenza psicolinguistica. Slobin (1985), ad esempio, ritiene che il bambino sia guidato nel compito acquisizionale, inizialmente, da alcuni principi operativi (OP, come, per esempio, prestare attenzione alla fine delle parole, evitare le eccezioni, tener conto della frequenza di strutture e forme) indipendenti dalla particolare lingua che il bambino apprende, concepiti come strategie cognitive adottate dal bambino nel costruire la grammatica della propria lingua. 3.1. Il funzionalismo e le teorie linguistiche Com noto, gli studi funzionalisti comprendono ipotesi teoriche diverse, pur avendo, tuttavia, alcuni punti in comune, che possono essere individuati in: a) linteresse cruciale per il rapporto forma/funzione e nellassunto che la funzione degli elementi linguistici determini in qualche modo la forma, b) la prospettiva di analisi dei fenomeni linguistici basata sulla comunicazione e la cognizione (e quindi sulla semantica e sulla pragmatica) piuttosto che sulla sintassi formale dimpronta generativa. Pertanto, gli autori e le teorie di riferimento per le ricerche acquisizionali possono essere considerati, Simon Dik e la Functional Grammar, Wolfgang Dressler e la Morfologia Naturale. Lapproccio funzionale ai processi di acquisizione ha trovato un naturale sostegno nella psicolinguistica dei gi citati Dan Slobin e Michel Tomasello.

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3.1.1. La Morfologia Naturale I modelli teorici che si rifanno allapproccio funzionalista in linguistica sono pi di uno e in parte si differenziano fra loro. Il modello teorico del funzionalismo, che contraddistingue la Morfologia Naturale, in contrapposizione allapproccio generativista, considera i componenti della grammatica (fonologia, morfologia e sintassi) come moduli che funzionano in modo semiautono in quanto essi interagiscono non soltanto fra di loro ma anche con le altre capacit cognitive. Il rapporto tra questi moduli di tipo conflittuale e dinamico (cf. CROCCO, 2007), vale a dire che ciascuno di essi, risponde ad esigenze specifiche del sistema il cui soddisfacimento genera conflitti che si risolvono solo attraverso dei rimodellamenti continui, dando luogo cos alla prevalenza di un componente su di un altro a secondo della loro salienza semiotica. Secondo la Morfologia Naturale, sono fenomeni naturali quei fenomeni che assecondano la struttura e il funzionamento di un componente (fonologico, morfologico ecc.), innaturali quelli che, viceversa, non lo facilitano. Valga come esempio la regola della palatalizzazione delle occlusive velari davanti a vocali palatali: amic-o vs amic-i. Nonostante questo processo sia naturale, esso non costituisce una regola dellitaliano perch ci che naturale ai fini della fonologia, non lo ai fini della morfologia. Dal momento che pi utile per una lingua assicurare lidentificabilit dei morfemi se questa oscurata dallapplicazione di una regola fonologica (la palatalizzazione), nel conflitto tra i due componenti hanno la meglio le esigenze della naturalezza morfologica dato che la logica del codice attribuisce pi peso ai morfemi, che sono segni, piuttosto che ai fonemi, che sono unit distintive. Il sistema linguistico, cos inteso, si offre come punto di ancoraggio per una teoria dellacquisizione linguistica che vede, nel funzionalismo e nel dinamismo dei sottosistemi linguistici, e nella loro interazione con lambiente, la ragione della sua evoluzione. 3.1.2. Dipendenza dai principi semiotici per lo sviluppo del linguaggio La dipendenza da principi semiotici (salienza, trasparenza, iconicit, biunivocit) quanto quella dalla marcatezza delle regole morfologiche e dalla produttivit che si richiamano alla Morfologia Naturale, costituiscono la motivazione funzionale dellapprendimento. Vediamo, qui di seguito, in che cosa consistono questi principi e quanto essi incidono soprattutto nella prima evoluzione dei sistemi linguistici.

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La salienza riguarda tutto ci verso cui il bambino attratto, sia esso visivo o acustico e che si riferisce a criteri fonologici o semantici e che dirigono lattenzione del bambino verso linformazione pi importante (dal punto di vista degli elementi maggiormente percepibili); laccento e lintonazione, ad esempio, rappresentano gli indizi che permettono al bambino di segmentare linput e di memorizzarlo, dunque, ragionevole prevedere che le prime forme avranno le sembianze di unit che sono confezionate dal nucleo di intonazione. noto che i bambini posseggano una elevata sensibilit verso certi aspetti ritmici e di intonazione e molti studi hanno mostrato che laccento un fatto percettivo determinante nellacquisizione delle regole morfologiche. Se una forma frequente e possiede i contorni di un ritmo e di una intonazione peculiari pi facilmente memorizzabile di una forma che si distingue per una sola di queste caratteristiche2. La diagrammaticit un altro principio semiotico e iconico, che guida il processo di segmentazione dellinput da parte del bambino. Tale principio consiste in una relazione in cui si crea unanalogia fra signans e signatum; in inglese, ad esempio, laggiunta del suffisso -s rappresenta unanalogia tra forma e significato: laggiunta nel significato e nella forma ha un peso rilevante nelle produzioni dei bambini i quali compiono scelte diagrammatiche che rispondono allesigenza di far corrispondere una realizzazione formale ad ununit concettuale, secondo il principio one form one meaning. Nellacquisizione della morfologia dellitaliano la generale segmentabilit delle forme sembra costituire una buona guida per lapprendente. Di conseguenza, la mancata diagrammaticit del plurale zero in italiano porta i bambini a ricreare questo tipo di rapporto attraverso la formazione di plurali come auti, filmi ecc. e ad evitare quindi i plurali zero nel tentativo di eludere forme poco iconiche e quindi poco naturali. La trasparenza delle forme un altro fattore che facilit lacquisizione della morfologia per cui forme che hanno una relazione diretta con la modificazione del significato vengono preferite dai bambini: un esito come vie-nono viene sostituito allesito standard vengono per una minore presenza forme che non hanno una diretta relazione con il significato. Costruzioni allinterno del limite affisso base con interferenza nulla o minima di regole morfofonologi2 I diminutivi sono un esempio in cui la salienza gioca un ruolo importante. Tali forme sono, infatti, molto frequenti nellinput rivolto al bambino e allo stesso tempo sono accentate e particolarmente enfatizzate in quanto strettamente legate ad una funzione pragmatica (vezzeggiativi) e pertanto tendono ad essere utilizzati per creare una situazione particolarmente intima e affettuosa con il bambino.

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che sono pi facili da acquisire di quelle in cui questo tipo di regole presente. Lopacit morfotattica di una regola di affissione elimina la possibilit di un confronto tra base e derivato: amiko amiti, sedere siedo. La trasparenza riguarda anche il significato dei morfemi: nellinterpretare e nel creare nuove parole i bambini sembrano affidarsi alla relazione forma significato sulla base di parole gi conosciute: piedare per toccare qualcosa col piede, trenista per conducente di un treno e macchinista per conducente di una macchina. La biunivocit, altro principio iconico, si realizza quando una e la stessa forma ha lo stesso significato. Per i bambini pi semplice individuare il rapporto tra forma e significato quando questo uno a uno (in russo il rapporto molti a molti, un suffisso serve per esprimere molti significati ma quegli stessi significati possono essere espressi da altre forme diverse da quel suffisso, anche in italiano ci sono suffissi che hanno una relazione uno a molti: il suffisso -o marca sia il genere che il numero). Tutti i fattori ora sintetizzati vengono integrati, dalla Morfologica Naturale, al parametro della marcatezza che colloca i fenomeni morfologici su una scala di naturalezza. Cosicch, un fenomeno sar pi naturale, meno marcato, quanto pi esso sar trasparente e iconico. Quanto pi un fenomeno universale3 tanto pi comparir in un numero maggiore di lingue, sar appreso prima dai bambini, perso per ultimo nei soggetti afasici e sar pi stabile in diacronia. Analogamente, secondo questo paradigma teorico, una regola morfologica naturale se pi facile da processare e da produrre, appresa presto, persa tardi e resiste al mutamento linguistico. La marcatezza una nozione opposta e complementare alla naturalezza. Una teoria di questo tipo in grado di fornire una serie di predizioni per lo sviluppo della morfologia, per cui, il bambino passa da uno stadio di assenza di regolarit o operazioni morfologiche a pi stadi di graduale acquisizione di regole e di costruzione progressiva del modulo e dei sottomoduli morfologici. Ovviamente, pu accadere che un dato fenomeno possa non essere considerato allo stesso modo su parametri differenti e quindi essere naturale secondo un parametro e innaturale secondo un altro parametro. Questo conflitto importante perch permette di prevedere la naturalezza di un fenomeno in maniera probabilistica, e solo su un ampio campione di lingue. Un esempio di quanto espresso finora, pu essere facilmente verificato nel conflitto fra i due parametri della marcatezza4 e della produttivit.
3 Gli universali linguistici sono generalizzazioni induttive riguardanti i vari livelli linguistici formulati a partire da ampi campioni di lingue anche geneticamente irrelate. 4 Il concetto di marcatezza viene considerato sia in unaccezione generativista che tipo-

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Questultima intesa come la capacit di utilizzare le regole che caratterizzano un paradigma flessivo con parole nuove: flirt flirt-are, porzione porzionare. I bambini tendono ad apprendere prima e a generalizzare le regole pi produttive della lingua, tuttavia, non sempre cos semplice fare una previsione del genere proprio perch il parametro della produttivit interagisce con quello della marcatezza. Questa relazione spiega perch, ad esempio, una classe di verbi abbastanza produttiva in italiano, e cio i verbi in /-isk-/del tipo finire, capire, non emerge nelle prime fasi di acquisizione ma solo in fasi pi avanzate. Il motivo di questa incongruenza fra parametri risiede nel fatto che i verbi di questa classe volano due principi importanti della naturalezza, ossia il principio della brevit e quello della trasparenza morfotattica: lamplificazione della radice del verbo la rende pi lunga del tema verbale e linserimento dellinfisso rende la forma del verbo pi opaca rispetto ad altre microclassi verbali nel tempo presente. Sebbene, dunque, una certa regola del sistema sia produttiva in una lingua, se essa anche pi marcata e meno naturale, viene appresa pi tardi. 3.2. Il modello costruttivista dellacquisizione Il paradigma funzionalista perfettamente congruente al modello costruttivista-interazionista che assumiamo per spiegare lemergenza delle categorie funzionali. Tale modello sostiene che lo sviluppo delle strutture cognitive derivano da processi neuronali auto-organizzantisi da cui hanno origine sistemi sempre pi complessi e modulari. Secondo questa proposta lorganizzazione modulare del linguaggio, dunque, non presente fin dallinizio ma si sviluppa gradualmente attraverso lo stabilizzarsi delle connessioni neuronali in unattivit continua che mira a preservarne lequilibrio. Il processo di modularizzazione del sistema linguistico e dei suoi sottosistemi si sviluppa in ontogenesi. In particolare, lacquisizione caratterizzata da una continua comparsa
logica. Secondo laccezione tipologica vi sarebbero tendenze e generalizzazioni spesso implicazionali induttivamente ed empiricamente astratte a partire da campioni di lingue diverse e numerose. Nellaccezione generativa gli universali linguistici formulati deduttivamente allinterno della teoria stessa, sarebbero un insieme di principi potenzialmente applicabili ad ogni lingua ed un insieme di parametri che possono variare da una lingua allaltra entro dei limiti definiti precisamente. Nel corso dellacquisizione si imparerebbe il modo di applicare tali principi ad una lingua particolare ed a fissare teoricamente in modo istantaneo il valore appropriato dei singoli parametri della GU.

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di schemi: con un crescente accumulo di input il tipo di lingua, non solo a cui il bambino semplicemente esposto ma di cui fa esperienza il bambino costretto a spostare il focus della sua attenzione e a riaggiustare le ipotesi precedentemente elaborate. Le regole vengono scoperte, applicate e ipergeneralizzate fino al punto in cui il sistema linguistico raggiunge un livello di complessit ed indotto a ristrutturarsi. I sottosistemi come quello sintattico e morfologico si sviluppano e si riorganizzano in uno stato di ordine. Le regole morfologiche, ad esempio, vengono acquisite secondo un ordine di naturalezza, i morfemi pi naturali e meno marcati sono facili da acquisire e quindi tra i primi a far parte del sistema iniziale della lingua. Piuttosto che concepire la facolt di linguaggio come altamente specificata, secondo quanto previsto dalla Grammatica Universale nel paradigma generativista, il modello dellauto-organizzazione dei sistemi prevede che il processo di acquisizione sia graduale e caratterizzato da una interazione continua tra principi genetici e ambiente. Lorganizzazione modulare dei sistemi linguistici, perci, non presente fin dallinizio ma si sviluppa gradualmente in seguito alla stabilizzazione delle connessioni neuronali fino al permanere del suo equilibrio (KARPF, 1991). Il modello teorico della Morfologia Naturale, che fa propria questa idea della cognizione e del complesso rapporto mente linguaggio, ha individuato, in particolare per lacquisizione della morfologia, tre stadi principali che analizzeremo nel resto del nostro contributo attraverso il confronto di apprendenti di lingue diverse. 3.2.1. Gli stadi dellevoluzione dei sistemi: un confronto interlinguistico5 1. Lo stadio della Premorfologia caratterizzato dalla prevalenza dei principi cognitivi generali su quelli specificatamente linguistici; tali principi sono necessari alla selezione degli schemi e alla formazione di operazioni morfologiche primitive (in questa fase c una maggiore uniformit nellevoluzione del sistema fra apprendenti di lingue diverse); questa fase caratterizzata , inoltre, da un iniziale apprendimento mnemonico di forme la cui selezione basata sui principi della naturalezza (come quelli analizzati sopra). Le forme prodotte dai bambini di L1 diverse (italiano, francese, tedesco e greco) mostrano delle caratteristiche comuni: la produzione di nomi al sin5 I dati esposti in questo paragrafo si riferiscono ai contributi al volume collettaneo a cura di DRESSLER (1997).

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golare o pochi nomi al plurale senza controparte al singolare, tutti i bambini tranne la bambina francese (per una questione di non produttivit dei diminutivi in francese) mostrano i primi diminutivi senza controparte della forma base. In questo periodo nessun processo morfologico in opera e le forme prodotte sono memorizzate e centrate sullinput. Una caratteristica comune ai bambini in questa fase la presenza di operazioni extramorfologiche: violazione delle regole morfologiche, non consistenza nellapplicazione e non modificazione sistematica di significante e significato, forme onomatopeiche, troncamenti, ta, fante. Nella fase di transizione alla protomorfologia (i bambini hanno raggiunto lo stadio di due parole) vengono introdotte alcune forme del verbo: la 3 pl. per lit. dommo, per il ted. shauma (guarda); le prime parole onomatopeiche vengono sostituite progressivamente, come nel caso della fr.: poum, poumer che convive con tomber (cadere) per diverso tempo (caso di analogia). Il bambino gr. inizia a marcare il caso nominativo al singolare nella classe dei nomi maschili che appartengono alla classe di declinazione pi ampia: papu-s (nonno) e comincia ad emergere luso produttivo di un verbo nella 3 sg (th)eli vuole. Compaiono le prime forme di articoli come proto-forme (fillers) che rappresentano uno dei modi per sostituire un materiale non analizzato ed lespediente attraverso cui i bambini mostrano di fare affidamento a strutture prosodiche o fonologiche per costruire le ipotesi sulla grammatica. Occupano, perci, spazi prosodici i fillers, che non superano la sillaba e consistono di una sillaba atona, es. it. e domme, a bau. 2. Lo stadio della proto-morfologia il momento in cui comincia a svilupparsi il modulo morfologico in conformit alle caratteristiche della lingua specifica. il momento della creativit linguistica e della sovraestensione delle regole morfologiche (ci si attende una variazione individuale e applicazione di regole che vanno in una direzione errata). I bambini iniziano a costruire la morfologia: it. comparsa dei primi participi passati regolarizzati ha bevito, mi ha puntito, nascondata. I primi tentativi di produzione degli articoli sono prodotti nel ted. attraverso la realizzazione dei articolo sg.m. dat. dem Papa al pap. In questo periodo si intravede una prima definizione della sintassi: in fr. comparsa di frasi di due parole in cui la produzione dei verbi raggiunge il 50%. In it. si verifica lintroduzione delle preposizioni anche con infinitive: metto a dommie, colla mano lho massata, o ancora dellinf+mod., posso andare, voglio togliere. In ted. abbiamo tentativi di accordo nome e articolo determinativo, esempi di accordo con aggettivo flesso: wieder kaputt-es (wieder ein kaputtes, di nuovo uno rotto), Auto grosse (grosses Auto); sempre in ted. si osserva la produzio-

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ne di forme al plurale con controparte al singolare; dei suffissi per la formazione del plurale i bambini ted. selezionano quelli pi semplici, il primo a comparire -n e poi -e: Baum vs. Baumen (ted. Bam-e, fiori), Fu vs. Fuss-n, (ted. Fss-e, piedi). In gr. Il bambino inizia ad usare la corretta declinazione delle classe pi ampia in tutti i casi, al maschile e al femminile e solo al nominativo e accusativo. Nella seconda classe dei nomi, nel neutro usa solo nominativo e accusativo. In questo periodo tutti bambini cominciano a formare i primi miniparadigmi verbali6. Nella fase di transizione occorrono diverse forme analogiche con cambiamento di classe: metter, mettre, apir, appuyer, a prendu, apris, it. candelare. Il bambino ted. applica le tre classi produttive del plurale analogicamente alle forme plurali adulte: Hunde (gi forma pl.) pl. Hunden (cani), Rder (gi pl.), pl. Rdern (ruote). La bambina francese produce allinfinito tutti i verbi che si situano al di fuori della prima macroclasse in quanto sembra aver compreso che questa la classe produttiva nella sua lingua. 3. Nello stadio della morfologia modulare, quando cio il bambino si trova ad aver bisogno di una rapida espansione del suo repertorio lessicale, e quando lespansione della sintassi richiede la presenza (per molte lingue) di marche morfologiche, un sistema morfologico primitivo si dissocia dagli altri sistemi. Le pi importanti differenze fra i bambini sembrano essere sostanzialmente differenze che riflettono le variet dei sistemi linguistici. Per quanto riguarda i fillers quelli che precedono il nome si grammaticalizzano prima di quelli preverbali (ausiliari). La bambina francese quella pi lenta ad acquisire le marche di persona sul verbo, difficolt probabilmente dovuta allomofonia delle forme del presente, la 2 pl. lunica ad avere una marca differente ma che di solito lultima ad essere acquisita. Nellacquisizione delle forme personali il tedesco pi tardivo (dovuto allestesa omofonia delle forme) mentre lit. e il gr. sono i primi a manifestare tali forme in questo periodo. Lo stesso vale per le forme sintetiche e analitiche del verbo: il gr. acquisisce prima le forme sintetiche (aoristo) e per ultimo il participio passato, mentre gli altri usano per primi le forme composte e poi quelle sintetiche (il passato composto o limperfetto).

6 Un paradigma flessivo costituito da tutte le forme flesse della stessa base: il paradigma del verbo mangiare costituito da tutte le forme flesse del verbo secondo la modificazione della persona, del tempo ecc., es. mangio, mangia, ho mangiato, manger e cos via.

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3.2.2. Sullordine di acquisizione e le differenze dei sistemi Per sintetizzare quanto finora espresso diciamo che lo sviluppo delle marcature riguardanti la morfologia verbale, di cui abbiamo fornito alcuni esempi sopra (temporalit, modalit, aspetto, e persona), sono rappresentate nella lingua del bambino come corrispettivi linguistici (in questo caso in paradigmi) dello sviluppo di concetti cognitivi piuttosto importanti come lanalisi deittica del tempo e la modalit di svolgimento dellazione e la configurazione del riferimento personale. E, se da un lato una progressione teorica e ipotetica, che segua lo sviluppo cognitivo, potrebbe prevedere inizialmente forme neutre polifunzionali riprese dallinput, prime marche morfologiche legate a fatti nozionalmente pi basilari, infine marche legate a fenomeni cognitivamente pi complessi (scansione che si rispecchia nel concetto di maggiore o minore naturalezza), in realt si riscontra che questi stadi acquisizionali basati su precedenze nozionali vengono modellati anche dal tipo (maggiore o minore diagrammaticit e salienza percettiva) e dalla quantit di morfologia che ciascuna lingua dedica alle categorie grammaticalizzate: ci complica fortemente la possibilit di stabilire progressioni rigide proprio perch il concetto di complessit nozionale va ad incrociarsi con lofferta morfologica della lingua materna (CALLERI et alii, 2003, p. 229). ragionevole prevedere, quindi, che in lingue provviste di marche flessionali obbligate e abbondanti, relativamente alla nozione di tempo, si vedano apparire prima forme di default, che possiamo presupporre come non analizzate, e, solo pi tardi, marche relative a concetti primari (come il presente abituale) e in seguito a opposizioni nozionalmente facili come il passato deittico (ivi, p. 239); e solo pi tardi tempi tipo il futuro, largamente preceduto da forme lessicali come avverbi: domani, quando viene pap ecc. Analogamente, rispetto alla persona avremo inizialmente forme non analizzate e riprese dallinput presentato al bambino (2a e 3a sg.) poi le forme relative al numero (forme meno marcate), prima quelle singolari e poi quelle plurali (come abbiamo ampiamente mostrato pi sopra). In relazione alla differenza di sviluppo dei sistemi di lingue diverse, possiamo riassumere brevemente che i bambini che parlano lingue agglutinanti iniziano a marcare il caso molto presto rispetto a bambini di lingue flessive. Tra laltro il turco (pi tipicamente agglutinante) considerata una lingua child friendly i cui morfemi nominali sono, infatti, posposti, sillabici e tonici che li rendono percettivamente pi salienti; sono obbligatori ed impiegano una quasi perfetta corrispondenza uno a uno tra forma e funzione che li

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rende pi prevedibili; essi sono, inoltre, legati al nome piuttosto che liberi e quindi pi locali; sono invariabilmente regolari in differenti sintagmi nominali e strutture pronominali che li rende prontamente generalizzabili. In finlandese, il genitivo e laccusativo vengono appresi prima rispetto alle altre marche di caso, mentre in greco il genitivo viene acquisito pi tardi (la marca del genitivo pi eterogenea rispetto al finlandese). Per quanto riguarda la categoria del numero, la tecnica agglutinante per esprimere il numero e il caso nellindicare marche separate favorisce la precoce acquisizione delle distinzioni di caso nel plurale. La tecnica lessicale per marcare il plurale attraverso i quantificatori e i numerali sembra essere disponibile da molto presto, indipendentemente dal tipo morfologico delle lingue acquisite, e non solo precede la marca del numero di tipo sintetico sui nomi, ma sembra addirittura opporsi al referente singolare dallinizio, mentre le forme plurali vengono usate indistintamente per il singolare e il plurale. 3.2.3. Sulla questione della interdipendenza dei sistemi e sottosistemi linguistici Unaltra delle importanti implicazioni dellapproccio funzionalista che le categorie linguistiche emergono e si sviluppano in relazione allo sviluppo di altre abilit cognitive e linguistiche, in particolare, alle abilit lessicali. Questa affermazione chiama in causa lassunto principale della grammatica generativa che vede la sintassi come indipendente dagli altri livelli del sistema linguistico. Di contro, la concezione interazionista e funzionalista ha maturato la convinzione che i parlanti usano e integrano simultaneamente fonti e livelli di informazione diverse come quella lessicale, sintattica e pragmatica. Molti dati longitudinali condotti in questa prospettiva hanno mostrato che esiste una forte interdipendenza tra le diverse dimensioni della lingua nel corso del processo di acquisizione. In particolare, una forte correlazione stata individuata fra lampiezza del lessico e lo sviluppo grammaticale (e questa potrebbe essere una propriet universale dello sviluppo del linguaggio, cf. CASELLI, CASADIO, BATES, 1999). Indagando aspetti specifici della grammatica, MARCHMAN e BATES (1994) hanno controllato il numero dei verbi che i bambini usano in relazione allo sviluppo della morfologia verbale. Il rapporto fra il numero dei verbi nel vocabolario dei bambini e forme di passato (suffisso zero, corretti irregolari e sovrageneralizzazioni scorrette) si presenta come una relazione non lineare che evidenzia uno specifico rapporto tra le strutture grammaticali e

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la cosiddetta massa critica degli elementi lessicali (BATES, GOODMAN, 1999): lipotesi della massa critica sostiene che gli sviluppi allinterno della morfosintassi vengano innescati dallaumento nella grandezza del lessico al di l di un certo livello, dando prova dellinterdipendenza dello sviluppo lessicale e grammaticale. Risultati simili sono stati rilevati per il francese in uno studio longitudinale che ha mostrato una relazione temporale tra lo sviluppo quantitativo di verbi e nomi e lo sviluppo grammaticale delle classi dei nomi e dei verbi. Lesplosione di nomi e verbi nel processo di grammaticalizzazione (uso dei determinanti e della flessione dei verbi e degli ausiliari) si sono manifestati subito dopo laumento della produzione lessicale. In uno studio successivo, sempre sul francese, il numero dei types relativi ai verbi stato fortemente correlato al livello del processo di grammaticalizzazione (BASSANO, EME, 2001). Gli approcci di tipo cognitivo-funzionalista, dunque, che postulano lesistenza di una non autonomia dei moduli linguistici sono in grado di spiegare quanto abbiamo rilevato a proposito della forte correlazione fra i moduli linguistici e alla dipendenza dello sviluppo e della comparsa delle categorie funzionali e lo sviluppo del lessico. 3.2.4. Sulle implicazioni del funzionalismo per lacquisizione della L2 Il ricorso a principi di ordine naturale e lapproccio di tipo funzionalista allo sviluppo dei sistemi linguistici trova largo spazio nelle ricerche sulle interlingue degli apprendenti della L2. Appare, infatti, rilevante il peso nelle produzioni degli apprendenti di scelte diagrammatiche che rispondono allesigenza di far corrispondere una realizzazione formale ad ununit concettuale, secondo il principio one form-one meaning. Unapplicazione di strategie diagrammatiche stata individuata nellapprendimento della morfologia dellitaliano: la capacit di segmentare linput , certamente, una capacit di carattere universale, ma attivabile con maggiore prontezza in una lingua come litaliano. Anche la sovraestensione di una forma del paradigma verbale a contesti che non la richiedono una strategia di apprendimento frequente in apprendenti che non hanno ancora appreso il valore funzionale della flessione verbale in italiano. Ad apprendenti cinesi di italiano, ad esempio, si presenta il compito di elaborare concettualmente la categoria del genere grammaticale e di capire che le variazioni nella forma delle parole sono portatrici di un valore funzionale. Analogo il caso dei determinanti (articoli definiti ed indefiniti) che non sono presenti in molte

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lingue, e che richiedono lelaborazione del valore funzionale che gli articoli svolgono in italiano (GIACALONE RAMAT, 2003). In questa attivit di concettualizzazione gli apprendenti sembrano affidarsi a principi e a strategie cognitive generali come quelle che abbiamo illustrato sopra. I modelli teorici a cui si sono ispirate le ricerche anche sullacquisizione di lingue seconde sono quelli gi detti sopra della tipologia funzionalista che considera cruciale il rapporto forma/funzione e guarda con attenzione alla cognizione, alla concettualizzazione dellesperienza, alle condizioni pragmatiche degli enunciati. 3.3. Conclusioni Nel proporre un confronto fra gli approcci teorici pi recenti, applicabili alla questione dellacquisizione dei sistemi linguistici e allemergenza delle categorie funzionali nelle grammatiche infantili, abbiamo voluto dimostrare, attraverso la descrizione di alcuni dati acquisizionali, che possibile rendere conto del processo attraverso cui tali grammatiche si sviluppano, piuttosto che descrivere semplicemente i prodotti o gli stati finali di un tale processo. Ci sembra che il modello funzionalista e interazionista sia in grado di spiegare i dati acquisizionali come lesito di uno sviluppo graduale che dipende da (e interagisce con) i dati provenienti dallinput ed legato alla frequenza della loro occorrenza. Abbiamo altres dimostrato come i sistemi e i sottosistemi linguistici non siano dati innatamente ma si sviluppino attraverso una fase iniziale guidata da principi cognitivi generali e che gradatamente tendono a modularizzarsi. Nelle esemplificazioni, illustrate sopra, in relazione al modulo morfologico, abbiamo mostrato che le prime regole della morfologia sono governate da principi cognitivi generali in accordo con quelli semiotici e sistema-specifici, postulati dalla Morfologia Naturale. Man mano che lo sviluppo procede il modulo morfologico comincia a dissociarsi dagli altri sistemi e i bambini cominciano a ristrutturare e a rivisitare le ipotesi che formulano sulla lingua che stanno apprendendo, lungo questo percorso essi applicano le regole morfologiche agli elementi del sistema che appartengono alle classi pi frequenti e produttive presenti nellinput. Unaltra delle risposte che abbiamo tentato di fornire in questo contributo riguarda la diversificazione dello sviluppo dei sistemi in bambini di diverse L1. In particolare, gli studi sulle differenze tipologiche dei sistemi in ambito acquisizionale hanno mostrato che il peso che diverse lingue attribuiscono alla sintassi o alla morfologia condiziona lordine e i tempi con

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cui il bambino apprende certe parti del sistema. Le scelte che i bambini compiono e che determinano lingresso di alcuni elementi della struttura della lingua, in tempi diversi, sono strettamente legate alle caratteristiche tipologiche del sistema di riferimento, per cui ogni sistema detta in qualche modo scelte di naturalezza. Il tipo flessionale tende ad avere pi forme suppletive, pi opacit e ambiguit rispetto al tipo agglutinante che favorisce, di contro, una maggiore trasparenza, biunivocit e grammaticit. Da qui di fatto possibile prevedere, e i dati confortano questa previsione, che i bambini turchi sono pi facilitati ad apprendere la morfologia rispetto ai bambini italiani (DRESSLER,1997, DE MARCO, 2005). Lapplicabilit delle teorie cognitivo-funzionali alle variet di apprendimento di lingue seconde e quindi al sistema di interlingua (gi di per s un modello di tipo cognitivo) ci sembra possa rafforzare il potere esplicativo ed euristico della Morfologia naturale e del modello neurologico dellautorganizzazione. I principi della Morfologia Naturale sono in grado di spiegare molte delle strategie di elaborazione della L2: principi cognitivi generali e fattori quali la marcatezza e la produttivit del sistema insieme anche alle differenze tipologiche dei sistemi danno conto dei fenomeni di complessificazione progressiva della grammatica di L2. Possiamo concludere affermando tuttavia che, a tuttoggi non esistono delle teorie pienamente adeguate a spiegare il modo attraverso cui i bambini arrivano alla costruzione di un sistema cos ricco e complesso. A nostro avviso, questo determinato dal fatto che, spesso, lo studio dellacquisizione linguistica stato lasciato fuori dallo studio delle abilit cognitive e sociali. La speranza di riuscire a districare alcuni dei misteri dellacquisizione del linguaggio sicuramente riposta in approcci che inglobano questi molteplici fattori e dunque in approcci che includono, non solo modelli linguistici espliciti ma anche lampio spettro dei processi biologici, culturali e psicolinguistici coinvolti in questa impresa.
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ROSSELLA DE ROSE Ontologia della vita e dimensione dellulteriorit nel pensiero tragico di Fdor Dostoevskij

noto come un filone della letteratura critica abbia evidenziato che il sentimento della morte non costituisce un momento fondamentale dellopera di Dostoevskij, tanto che egli sembra porsi agli antipodi dallossessione tolstojana e dal fascino echoviano per la morte1. Losservazione pu sembrare paradossale, se si considera meccanicamente la serie di morti soprattutto violente o repentine che ricorrono nei romanzi dostoevskijani. Ma gli omicidi e i suicidi degli eroi di Dostoevskij, nonch le loro morti naturali, hanno lo stesso senso e lo stesso effetto che le catastrofiche interruzioni dellesistenza mantengono allinterno della tragedia: vanno al di l del piano individuale per assumere una dimensione generale. Ci che affascina e sgomenta Dostoevskij la terribile complessit dellesistenza fuori dai suoi limiti individuali e nelle sue dimensioni cosmico-storiche. Anche le morti pi terribili, come il suicidio di Stavrogin ne I Demoni o di Svidrigajlov in Delitto e castigo, hanno il valore di atti metafisici e la cruda naturalit delle loro rappresentazioni si trasfigura in sottili significazioni super naturali2. Nondimeno, lopera di Dostoevskij permeata di un suo senso di morte e di agonia: non della morte degli uomini, ma della morte delluomo, non della fine di singole esistenze, ma della fine di universali valori. E la morte, passando dal piano particolare a quello generale, perde il suo carattere di ineluttabilit e assume un carattere problematico, di lotta, appunto, col suo contrario e nemico: con la vita. Come ha ben evidenziato Luigi Pareyson, luniverso di Dostoevskij la sede di un conflitto tra antitetici sensi e valori, lesito del quale non sembra predeterminato3. Tutta lopera di Dostoevskij potrebbe definirsi allinsegna dei concetti che danno il titolo allopera maggiore di Tolstoj: Guerra e Pace4.
G. LUKCS, Dostoevskij, Milano, SE, 2000, p. 15. S. GIVONE, Dostoevskij e la filosofia, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 30. 3 L. PAREYSON, Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, 1993, p. 31. 4 V. STRADA, Le veglie della ragione, Torino, Einaudi, 1986, p. 28.
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Ma a mutare radicalmente il significato che, nel pensiero di Dostoevskij, si attribuisce a tali parole. La guerra come scontro tra potenze nemiche, assume allora in Dostoevskij un significato radicalmente diverso da quello tradizionale: conflitto non tra potenze nazionali e statali, ma trasversale rispetto a queste entit. E non guerra locale e localizzabile, ma guerra ubiqua ed occulta. La guerra come politica stessa, come forma essenziale della nuova identificazione di politica, filosofia, religione ed etica. Di conseguenza, col concetto di guerra, muta anche il concetto di pace: la pace, di fronte alluniquit sotterranea della guerra, diventa pi aleatoria e costituisce un ideale meno facilmente conseguibile. Inoltre, luniversalit della guerra spezza luomo interiormente infliggendo una ferita che non pu essere sanata col balsamo dellautoperfezionamento, tanto che persino i santi dostoevskijani, dal principe Mykin ad Ala Karamzov, ne sono sofferenti e sono privi di poteri taumaturgici per rimarginare le piaghe delle anime altrui. La natura della guerra di cui Dostoevskij il romanziere tale da non essere facilmente decifrabile. Si sa che la posta in gioco totale, radicale: luomo stesso. Ma si sa anche che una guerra che luomo combatte contro luomo in nome delluomo: una guerra fratricida tra diverse concezioni delluomo. Ed una guerra, in cui a fronteggiarsi non sono eserciti regolari, ma forze sparse, spesso misteriose e clandestine ed i combattimenti si svolgono nella oscurit di un inesplorato sottosuolo, piuttosto che nella dimensione solare. E sopra il suolo e il sottosuolo, teatro delle mischie e degli attentati, v un sopra-mondo di forze angeliche e demoniache, che assistono e partecipano a questa guerra universale. Si tratta osserva Vittorio Strada di un conflitto dove la mimetizzazione ed il travestimento confondono ancora di pi la divisione tra avversari che si compenetrano e, per fare un unico esempio, in nome di Cristo il Grande Inquisitore pu oppugnare Cristo di cui egli si vuole vicario5. Il cronista di questa guerra pi che raccontarne le inefferabili vicende, dovr decifrarne gli sfuggenti segni, individuare le mobili linee di frontiera, coglierne gli sdoppiamenti ed i mascheramenti, distinguere le false identit, avvertirne le segrete metamorfosi, ed il suo occhio dovr avere la freddezza clinica di chi, pur parteggiando per una delle prospettive in lotta, sa di dover prestare attenzione soprattutto alla parte avversa, lasciando ad essa, nelle proprie analisi, completa libert di manifestazione, per non essere accecato da un fatale pregiudizio. In ci il cronista, vale a dire Dostoevskij,
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Ivi, p. 29.

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favorito dal fatto di aver partecipato egli stesso al conflitto e di essere passato non solo e non tanto da una parte allaltra, ma soprattutto di essersi elevato al di sopra della parte in cui si alla fine collocato, conquistando una prospettiva inevitabilmente parziale, ma estremamente libera e vasta. Nella guerra dostoevskijana le forze belligeranti possono sembrare a volte le stesse della guerra tolstojana: da una parte la Russia e dallaltra lo straniero, anzi addirittura uno stesso straniero, Napoleone. Non vi forse lidea di Napoleone che compare nel mondo immaginario di Raskolnikov e lo spinge, tra altri impulsi interiori, al delitto sperimentale? E non forse la Russia, la pova (il suolo) che si contrappone, attraverso la mediazione di Sonja, a tale forza irrompente? Ma linvasione del Napoleone reale, raccontata e trasfigurata dal Tolstoj, pi facilmente oppugnabile rispetto alla invasione del Napoleone ideale, al quale il russo Raskolnikov non solo non sa opporre sue forze di resistenza, ma anzi conferisce una aggressivit nuova, portandone le potenzialit insospettate alle conseguenze pi estreme e universali. E poich la guerra si configura come guerra metafisica ed intellettuale, intellettuali e metafisiche devono divenire la strategia e la tattica di chi vi opera. I romanzi dostoevskijani sono dunque romanzi dialogici6 o meglio, sono romanzi polemologici, dove il , prima ancora che tra individui e gruppi, combattuto nellanima di ognuno. Anzi, lanima protagonista assoluta di questa guerra, nel senso che la coscienza del singolo opera liberamente in un ambiente che non ne determina le direzioni e le opzioni di comportamento. Per ragioni che dovrebbero chiarirsi nel corso di tale ricerca, particolarmente interessanti paiono due letture interpretative di Dostoevskij, che, pur illuminando in parte i suoi romanzi, portano fuori di essi, verso la realt di cui tali romanzi costituiscono una interpretazione, rendendo in tal modo meno sfuggenti i contorni di quella guerra di cui Dostoevskij lo storico fantastico. Ci si riferisce a Friedrich Nietzsche ed a Gyrgy Lukcs. I rapporti tra Nietzsche e Dostoevskij sono molto complessi e la loro complessit discende anche dal fatto che essi sono paradossalmente reciproci. Difatti, se Nietzsche fu un lettore interessato ed ammirato di Dostoevskij, questultimo, che nulla sapeva del filosofo tedesco, ne anticip temi e tesi fondamentali, facendoli oggetto della propria ricerca dialogico-romanzesca. Le assonanze tra Dostoevskij e Nietzsche hanno richiamato da tempo lattenzione critica e il parallelo tra essi divenuto canonico7.
6 Lespressione di M. BACHTIN, Problemy poetiki Dostoevskogo, Moskva, Khudozh, 1972, trad. it. Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1994, p. 21. 7 Del resto, ormai appurato che Dostoevskij e Tolstoj costituirono per Nietzsche la

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Alcune fasi decisive di questo dialogo sono state portate alla superficie ed possibile porre lampio problema dei rapporti Nietzsche-Dostoevskij su una base filologicamente pi sicura. Mi riferisco, in particolare, agli appunti di lettura de I demoni di Dostoevskij che Nietzsche conobbe nella traduzione francese uscita a Parigi nel 18868. Nietzsche lettore de I demoni trascura lattualit politica del romanzo, la quale anzi quasi certamente gli era ignota. Lassenza del momento politico dellorizzonte di lettura del romanzo non cosa trascurabile perch per Dostoevskij il caso Neaev, trasfigurato ne I demoni, non fu un mero dato di cronaca, bens la manifestazione essenziale di una crisi di cui egli, a partire almeno dalle Memorie dal sottosuolo, aveva anticipato la presenza e di cui da tempo aveva iniziato lanalisi9. Crisi metafisica, secondo Dostoevskij, che diviene necessariamente crisi politica e che nella rivoluzione trovava la sua naturale sede di sviluppo. Per Dostoevskij, il nichilismo rappresentava un fenomeno metafisicopolitico e non un caso che questo termine, che in Occidente a partire da Jacobi aveva un significato puramente filosofico, in Russia sia servito a disegnare il movimento rivoluzionario10. Se nella prefazione alla Volont di potenza Nietzsche poteva scrivere: Ci che racconto la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ci che verr, ci che non potr pi venire diversamente: lavvento del nichilismo11, lo stesso avrebbe potuto scrivere Dostoevskij a premessa dei suoi romanzi, anche se non solo il suo atteggiamento verso il nichilismo era antitetico a quello di Nietzsche, ma diverso era in parte il contenuto stesso che in lui assumeva questo concetto, contenuto per lui inevitabilmente anche politico. Qui, oltre alle differenze personali, conta, evidentemente anche la differenza tra punti di vista storico-nazionali: era in Russia infatti che le idee nichiliste si erano tradotte in un nuovo tipo di azione rivoluzionaria. Nietzsche interessato alla figura di Stavrgin, ma i centri maggiori di
fonte prima della sua concezione del Dio cristiano e che con questi due scrittori lautore dellAnticristo intrattenne un dialogo sotterraneo, intessuto di illuminazioni e di ripulse. 8 Si veda F. NIETZSCHE, Opere, vol. VIII, t. II, Roma, Newton Compton, 1982, pp. 345 e sgg. Si veda al proposito C.A. MILLER, The Nihilist as Temper-Redecmer: Dostojewskys Man God in Nietzsches Notebooks, Nietzsche-Studien 4 (1975), pp. 175-226. 9 Per una trattazione particolare di questo tema nellambito della discussione ideologica russa ed europea si veda il saggio di V. STRADA, Il problema di Delitto e castigo, in ID., Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa, Torino, Einaudi, 1980. 10 F. VERCELLONE, Introduzione a: il nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 35. 11 F. NIETZSCHE, Opere, cit., p. 352.

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attenzione, indicati nei titoli dei gruppi di annotazioni (Psicologia del nichilista, La logica dellateismo e Dio come attributo della nazionalit), confluiscono nel suicidio di Kirllov e nella sua filosofia delluomo-dio. Il contesto dellinteresse di Nietzsche per I demoni ed in particolare per Kirillov, quello della sua riflessione sul nichilismo che, per lautore della Volont di potenza, consiste in una svalutazione dei valori tradizionali (morali, metafisici, religiosi) finora ritenuti sommi, ma una svalutazione che deriva necessariamente dalla natura di quei valori, i quali, nella fase estrema della loro storia, si autosmascherano e si autoannullano, applicando a se stessi quel culto della verit da loro stessi coltivato. Nietzsche dice che il perfetto nichilismo la necessaria conseguenza degli ideali finora coltivati, mentre lepoca in cui viviamo quella di un nichilismo incompleto e di vani tentativi di sfuggire al nichilismo12. Nel nichilismo spontaneo, per cos dire, ed incompleto della nostra epoca di transizione, Nietzsche si reputa colui che porta la consapevolezza del nichilismo, favorendo cos lo svolgimento di questultimo alla sua completezza. Su tale nichilismo perfetto egli opera la trasvalutazione di tutti quei valori che erano stati alla base del nichilismo stesso ed in tal modo vuole aprire la via verso lesodo del nichilismo. Ma mentre il nichilismo era un evento necessario, il suo superamento un evento possibile, cio politico, e lAnticristo Nietzsche lautore di un Antivangelo salvifico: Il mio problema scrive in un frammento intitolato Superuomo non di stabilire cosa possa prendere il posto delluomo, bens quale specie di uomo debba essere scelta, voluta, allevata come specie di valore superiore13. Dostoevskij coglie perfettamente nei suoi romanzi la logica del nichilismo che non semplicemente ateistico, bens rigorosamente antiteistico, anche se per lui il nichilismo non la conseguenza immanente dei valori tradizionali cristiani, ma una negazione di essi nata in seno ad una particolare versione storica (cattolica e protestante) di quei valori. Ne I demoni lantiteismo si dirama in una serie di figure che ne manifestano le potenzialit: dalla noia metafisica di Stavrogin al costruttivismo sociale di igalv. Ma in Kirillov che la logica dellateismo si dispiega con una coerenza esemplare. Nel suo incontro con Ptr Verchovenskij poco prima di mettere in atto il suicidio, Kirillov chiarisce non soltanto la logica antiteistica dellautodeificazione delluomo, ma anche il significato redentivo che egli attribuisce al proprio suicidio: mediante tale gesto, ragiona con folle coerenza, non soltanto si riappropria della libert trasgredita in Dio, ma, no12 13

F. NIETZSCHE, Opere, cit., p. 125. Ivi, p. 394.

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vello Salvatore, apre allumanit la via della rivolta metafisica e della libert totale, restituendo ad essa lattributo principale della divinit: lo svoevolie, cio larbitrio come libert illimitata. Luomo nuovo, superiore che nascer da questo primo atto consapevole di liberazione e di salvazione, secondo Kirillov, dovr rigenerarsi anche fisicamente, poich nellaspetto fisico attuale () non si pu affatto essere uomo senza il vecchio Dio14. Il suicidio di Kirillov, sebbene serva da copertura per il delitto organizzato da Ptr Verchovenskij, nondimeno non circonfuso di luce nera e derubricato in una dimensione puramente negativa, in quanto la grandezza di Kirillov non ne sminuita: piuttosto una sua geniale comprensione della trama in cui lantiteismo viene ad essere impigliato. Il suicidio logico di Kirillov sembra agli antipodi col vitalismo dionisiaco di Nietzsche, se non si pone mente al fatto che si tratta di un gesto sacrificale e simbolico, la cui missione soteriologica quella di aprire la via ad un oltreuomo trasformato anche biologicamente. In questo senso Kirillov ancora cristiano. Il punto di divergenza tra Nietzsche e Kirillov risiede probabilmente nellincanalamento dellenergia vitale liberata dalla negazione di Dio. Tra i frammenti di quello stesso periodo interessante un altro riferimento a Dostoevskij. Allinterno di una nota di riabilitazione delle qualit affermative del delitto, Nietzsche scrive: Non a torto Dostoevskij ha detto, dei reclusi dei penitenziari siberiani, che essi formano la parte pi forte e pregevole del popolo russo15. Qui, forse, Nietzsche costringe innaturalmente Dostoevskij ad una esaltazione rinascimentale del delinquente come personalit energica e forte, come in precedenza egli aveva gi fatto con Stendhal. Ma pi vicino allidea che Nietzsche aveva di Dostoevskij ci che di lui egli scrive nellAnticristo, rammaricandosi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo dcadent, cio di Cristo, mescolanza di sublimit, malattia e infantilismo16. Kirillov, il quale restituisce alluomo la propria divinit alienata non mediante quellatto di energica vitalit che pu essere il delitto, bens mediante quella antivitalit per eccellenza che il suicidio, rappresenta, per Nietzsche, un tipo della dcadence, un trasvalutatore di tutti i valori che
F.M. DOSTOEVSKIJ, Besy, trad. it. di R. Kfferle, I demoni, Milano, Mondadori, 1987, p. 802. F. NIETZSCHE, Opere, cit., p. 129. 16 F. NIETZSCHE, Opere, vol. IV (1993), p. 204. Si possono utilmente vedere al riguardo le pagine del saggio di V. STRADA, Il santo idiota e il savio peccatore premesso a F.M. DOSTOEVSKIJ, Lidiota, Torino, Einaudi, 1981.
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ancora non si liberato del nichilismo. Al contrario, per Dostoevskij, Kirillov, con la coerenza ferrea del suicidio, non fa che svolgere lintera dialettica dellannichilazione delluomo. Per Dostoevskij, infatti, il suicidio di Kirillov non un fatto psicologico, ma un fatto simbolico, al pari di come simbolicamente universali sono le altre manifestazioni della antiteistica deificazione delluomo (Stavrogin, igalv). Per Dostoevskij il vero dcadent sarebbe stato proprio Nietzsche, nel credere di superare il nichilismo conducendo questultimo alla perfezione in un gioco estetico che sfocia nellautoannichilazione. Mentre rifletteva sulla logica di Kirillov, nella quale era anticipatamente interpretata la figura dello stesso Nietzsche, lautore della Volont di potenza non poteva non identificarsi e insieme differenziarsi rispetto ad essa, cio fare questultima oggetto di una intensa attenzione ed al contempo criticarne quella che, a suo giudizio, costituiva ancora una non superata dcadence. La guerra raccontata da Dostoevskij passa anche attraverso questa lettura nietzschiana del suo romanzo. Il problema, evidenzia Sergio Givone, quello di sapere se lutopismo dionisiaco di Nietzsche sia il superamento del nichilismo decadente o non, al contrario, una sua estrema manifestazione e dunque se a scrivere la storia dei prossimi due secoli sia stato Nietzsche o non piuttosto Dostoevskij17. Si potrebbe credere di risolvere il problema del nichilismo uscendo dallalternativa Dostoevskij-Nietzsche e spostandosi in direzione di una terza posizione, che prende il nome di Karl Marx. Poich tra questultimo e Dostoevskij non vi sono punti di contatto diretti e dal momento che Marx, come problema storico universale si posto in tutta la sua portata soltanto a partire dal 1917 con la rivoluzione russa, da illuminante mediazione tra queste due figure pu servire Gyrgy Lukcs nella fase di transizione del suo pensiero verso il marxismo e verso la rivoluzione. In Lukcs, difatti, proprio allora Dostoevskij assunse un significato centrale e decisivo, divenendo anzi il tramite di tale transizione. Lultimo paragrafo della Teoria del romanzo lukcsiana si presenta come un inno tanto entusiastico quanto sibillino a Dostoevskij, di cui, da una parte, si dice che non ha scritto romanzi e, dallaltra, che appartiene al nuovo mondo e si domanda se egli sia gi lOmero e il Dante di questo nuovo mondo, o abbia solo levato i canti che i poeti futuri insieme con altri precursori comporranno in una grande unit18.
S. GIVONE, op. cit., p. 107. G. LUKCS, Teoria del romanzo, Milano, SE, 2004, p. 31. Loscurit di questi accenni finali si dissipata di recente, quando si appreso che la Teoria del romanzo doveva essere per Lukcs semplicemente lintroduzione di unopera su Dostoevskij, la quale a sua volta
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Se la conclusione della Teoria del romanzo una esaltazione esoterica del genio dostoevskijano, linizio di questo libro di Lukcs una celebrazione della grecit quale forse non si era pi avuta dai tempi del Winckelmann. Lantica Grecia vi ritratta coi toni luminosi e nostalgici di unet delloro, come il regno dellassoluta armonia portata a forma ideale. Tradotta nelle immagini dei romanzi dostoevskijani, la Grecia di Lukcs il quadro di Claude Lorrain Aci e Galatea che, emblema di un paradiso perduto, ricorre, ad esempio, ne I demoni, ed insieme il pianeta fantascientifico, popolato da gente incontaminata e felice, dove giunge nel sogno luomo ridicolo dellomonimo racconto di Dostoevskij. E, proprio come in questo racconto, anche nella Teoria del romanzo, come forse in tutta la filosofia di Lukcs, tale bella armonia viene perduta dalluomo, che gettato nel regno dellalienazione, in un mondo disertato dagli dei19. Non importa stabilire quali siano i meccanismi che, a giudizio di Lukcs, hanno condotto al peccato originale causa di tale caduta, meccanismi che, del resto, nella Teoria del romanzo egli enuncia in termini metafisici, mentre li analizzer in termini sociologici nel Dramma moderno. Limportante invece rammentare che nellepoca della compiuta peccaminosit, come egli definisce con parole fichtiane il mondo dellalienazione successivo alla cultura chiusa della grecit, viene a predominare il romanzo, come forma di epopea di un tempo in cui il senso della vita si fatto problematico e lindividuo, parimenti problematico, nondimeno anela ad una totalit che non gli pi data. Dostoevskij segnerebbe la fine di questepoca romanzesca, vale a dire la fine del mondo disertato dagli dei e costituirebbe il preannuncio di unet futura in cui, su una nuova base ed a un nuovo livello, si ricostituisce larmoniosa unit perduta. La teoria del romanzo si svolge dunque tra due grandi miti: quello tradizionale, soprattutto in Germania, della grecit, e quello nuovo, e diffuso soprattutto nella cultura tedesca della fine dellOttocento e del primo Novecento, della Russia, ed in particolare di Dostoevskij.
doveva superare i limiti di una ricerca puramente letteraria per affrontare una problematica etico-politica generale. La scoperta del piano di lavoro di questopera e lanalisi che di essa stata fatta da un allievo di Lukcs, Ferenc Fehr, consentono di rileggere con pi aderenza la Teoria del romanzo e, soprattutto, di capire il ruolo essenziale svolto da Dostoevskij in questa fase decisiva del pensiero lukcsiano alla vigilia delladesione alla rivoluzione ed al comunismo. F. FEHR, Al bivio dellanticapitalismo romantico in F. FEHR, A. HELLER, G. MRCUS, A. RADNTI, La scuola di Budapest: sul giovane Lukcs, Firenze, Sansoni, 1978. 19 G. LUKCS, Teoria del romanzo, cit., p. 107. Si veda il saggio di V. STRADA, Utopia e verit: il problema teorico del romanzo nella Russia sovietica premesso a G. LUKCS, M. BACHTIN ET ALII, Problemi di teoria del romanzo, Torino, Einaudi, 1976.

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Come si evince, lo schema filosofico lukcsiano non estraneo alla problematica dostoevskijana, problematica squisitamente cristiana che Lukcs aveva ricevuto dalla teologia secolarizzata dellidealismo tedesco, nonch dal post-idealismo da Feuerbach a Marx. Questo atteggiamento era vicino alla critica che del capitalismo europeo-occidentale aveva fatto Dostoevskij a partire dalle Note invernali su impressioni estive. E, ancora, vicina a Dostoevskij era lattenzione rivolta da Lukcs al socialismo, come soluzione, presunta o reale, di tutto un insieme di problemi e, in special modo, dei quesiti di ordine etico che tali problemi ponevano al singolo. Ma qui incomincia anche la divergenza di Lukcs rispetto a Dostoevskij. Se Nietzsche era stato attratto dalla figura di Kirillov, Lukcs, come risulta dai suoi appunti di lavoro, attratto invece dai Karamazov, da Ivan, ma soprattutto da Ala. Parimenti, per Lukcs si pone il problema dellateismo, ma la soluzione va in una direzione alquanto diversa da quella del Superuomo. Ci che tormenta Lukcs, in questo periodo di ricerca che lo rende davvero simile ad un eroe dostoevskijano, , in sostanza, il problema della conquista di una nuova comunit di anime e dunque di un superamento del mondo disertato dagli dei. Ma tale aspirazione etica deve scontrarsi con gli istituti della societ in atto e trasformarsi in azione politica. Si origina il problema della violenza e del terrorismo e della giustificazione di essi dal punto di vista dei valori cristiani, pervertiti a strumento di potere nel mondo della compiuta peccaminosit. Si ripresenta, immancabilmente, la dialettica della Leggenda del Grande Inquisitore e di fronte a Lukcs sorge, come modello di riflessione, la figura di Ala Karamazov, puro spirito cristiano il quale, nella seconda parte del romanzo, sarebbe dovuto diventare rivoluzionario e cadere nella colpa della violenza. noto che proprio in questi anni Lukcs come ipnotizzato dal terrorismo rivoluzionario russo e dallateismo religioso russo che egli contrappone allateismo pervertito, cio egoista e meccanico del mondo borghese occidentale. La questione dostoevkijana del tutto permesso si pone proprio allinterno dellateismo religioso e comunitario, e del resto nello stesso Raskolnikov essa oscillava tra un impulso superomistico ed un ideale altruistico. Ma proprio nel punto in cui Lukcs cita la formula di Raskolnikov in connessione col problema del terrorismo, compare un fulmineo, ma pregnante riferimento: Giuditta: la trasgressione. Il riferimento a Christian F. Hebbel ed al suo dramma Giuditta, dove il delitto (luccisione di Oloferne) trova una complessa giustificazione etico-religiosa. Il Lukcs che medita su Dostoevskij e sul suo Grande Inquisitore turbato dal rapporto tra il cristianesimo e quello che egli chiama geovismo, vale a dire tra limpulso di Cristo e listi-

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tuzionalizzazione giuridica, statale, ecclesiastica di tale impulso. La sua utopia di una nuova comunit delle anime modellata sul cristianesimo di Dostoevskij priva di strutture istituzionali e vale come un impulso etico che scaturisce da una pura fonte religiosa. Ma gi ravvisabile nel Lukcs di questo periodo pre-marxista una tendenza che lo conduce in direzione opposta al cristianesimo etico dostoevskijano, verso quel cattolicesimo che Dostoevskij considerava non soltanto perverso, ma altres affine al socialismo ateo e autoritario. Quando Lukcs sceglier quella nuova Grecia cattolica che, a suo giudizio, rappresentava la Russia marxista egli, di fatto, nei termini di Dostoevskij, sceglier il Grande Inquisitore o, nei termini dello stesso Lukcs lettore di Dostoevskij, sar costretto a scegliere il geovismo contro lenigmatica figura del Cristo della Leggenda. Nellarticolo Tattica e etica, che sancisce la svolta antidostoevskijana, scriver sul terrorismo con parole degne di un eroe di Dostoevskij: Solo lazione omicida delluomo, il quale sa con assoluta certezza e senza dubbio alcuno che in nessuna circostanza lomicidio deve essere approvato, pu avere, tragicamente, una natura morale. Per esprimere questo pensiero sulla pi grande delle tragedie umane con le incomparabilmente belle parole della Giuditta di Hebbel: E se Dio avesse posto il peccato tra me e lazione che mi stata imposta, chi sono io perch possa sottrarmi ad esso?20. Come nel caso di Nietzsche, anche la storia di Lukcs era stata gi raccontata da Dostoevskij e sar raccontata nuovamente in quella figura dostoevskijana che il gesuita Naphta della Montagna incantata di Thomas Mann. Anche quella di Lukcs la storia di un grande peccatore che per restare fedele al proprio impulso cristiano credette di dover sacrificare la propria anima al Grande Inquisitore e finanche a igalv, labietto utopista dei Demoni. Dostoevskij, si considerava allinizio, non ha descritto la morte dei singoli, ma ha analizzato la morte degli universali: la morte violenta degli dei delluomo occidentale e lautodistruzione delluomo stesso. Ma il Dio in cui Dostoevskij voleva credere era un Dio che perisce e risorge e nella resurrezione vive anche in coloro che lo negano e di nuovo lo uccidono. Era questa la fede di Dostoevskij, nutrita proprio verso luomo come persona. E, forse, nel suo personalismo cristiano sta la radice di quel polifonismo21 che un altro lettore di Dostoevskij, Michajl Bachtin, ha teorizzato in un celebre saggio, facendone in seguito il principio di una propria filosofia del dialogo. Munito di un tale polifonismo, Dostoevskij ha scritto la storia dei prossimi due secoli, una storia alla quale egli non avrebbe potuto porre la parola fine.
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G. LUKCS, Scritti politici giovanili, Bari, Laterza, 1972, p. 70. M. BACHTIN, Dostoevskij. Poetica e stilistica, cit., p. 15.

GIUSY GALLO Rileggendo il rapporto tra percezione e linguaggio: artefatti e istituzioni sociali1
La mente umana possiede un misterioso dispositivo, capace di convincerci che quella pietra sempre la stessa pietra, sebbene la sua immagine per poco che spostiamo il nostro sguardo, cambi di forma, di dimensione, di colore, di contorni. ITALO CALVINO, Collezione di sabbia

0. Introduzione Negli ultimi anni numerosi studi hanno ruotato attorno al tema della percezione, il quale si prepotentemente imposto allattenzione degli studiosi delle Scienze Cognitive e dei filosofi, come mostra la storiografia di riferimento degli ultimi decenni. Allinterno del dibattito che nato su questo tema emerge il rapporto tra percezione e linguaggio, anche per la centralit che il linguaggio ha avuto negli anni del linguistic turn. Da parte mia, mi propongo di rileggere il rapporto tra percezione e linguaggio attraverso il caso esemplare degli artefatti poich, analizzando questo caso specifico, si pu osservare che il riconoscimento percettivo correlato alla categoria dellintersoggettivit e a quella della progettualit ed circoscritto in una dimensione prelinguistica. Il percorso di rilettura inizia con una prima definizione dei termini usati e del contesto teorico in cui ci si pone ( 1.0). In seguito, si comparano due approcci psicologici della percezione visiva ( 2.1, 2.2), per mettere in luce gli elementi che suggeriscono una loro comune matrice filosofica che la fenomenologia husserliana ( 2.3). A partire dal carattere intersoggettivo e progettuale ( 3) degli artefatti, che emerge in questa comparazione, ha avvio una serie di riflessioni in merito allontologia dellartefatto stesso ( 4). In questo quadro centrale il ruolo del soggetto e della corporeit in un
1 Questo articolo un estratto della mia tesi di Laurea Specialistica Queste sono forbici. Vedere i propri strumenti (discussa nellanno accademico 2006/2007 presso lUniversit della Calabria, relatore prof. Daniele Gambarara, correlatori prof.ssa Claudia Stancati e dott. Tommaso Russo Cardona).

Bollettino filosofico 24 (2008): 438-458

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Rileggendo il rapporto tra percezione e linguaggio

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sistema che richiama diverse pratiche umane, e per questa ragione sostengo la visione dellhomo faber, per come gi Bergson (1907) laveva declinata. Dalla comparazione tra homo faber e homo loquens, pu sorgere il dubbio che esista un altro tipo di artefatto, quello linguistico, contraltare dellartefatto materiale di cui sembra presentare le stesse caratteristiche. Ma una corretta definizione dellontologia della lingua mostra come il suo essere sia molto diverso da quello di un oggetto materiale: differenti, infatti, sono le pratiche che li marcano e differente il rapporto che i soggetti intrattengono con essi. 1. Realt e tipi di cose La realt che ci circonda costituita da innumerevoli tipi di res: fatti, eventi, oggetti materiali, azioni e istituzioni2. Monografie assai recenti (RIGOTTI, 2007; FERRET, 2007; BOTTANI-DAVIES, 2007) sono state dedicate al tema delle cose e delle loro ontologie, con lintento di fotografare diversi modi dessere a partire da propriet e usi. difficile dare una univoca, se possibile, definizione di cosa e dei potenziali modi del suo essere. Nelluso comune tendiamo ad unificare le nozioni di oggetto e di cosa, riferendoci agli enti materiali. Le accezioni filosofiche secondo cui possibile considerare la nozione di oggetto sono le seguenti: 1. ci che oggetto di un atto, ad esempio ci che pensato nellatto del pensare (ABBAGNANO, 1971; LALANDE, 1926); 2. ci che provvisto di validit ed quindi reale, esterno, indipendente (ABBAGNANO, 1971, AUROUX, 1998; LALANDE, 1926); 3. ci che si presenta alla nostra percezione esterna (ABBAGNANO, 1971, AUROUX, 1998; LALANDE, 1926). Qui diciamo che accettiamo lunificazione tra oggetto e cosa, quando questultima intesa come una entit materiale del mondo. Tuttavia, necessario tenere presente che alcune correnti della filosofia italiana contemporanea considerano cosa e oggetto come enti con due statuti ontologici differenti, ognuno determinato dalla presenza o meno di una relazione dellente con luomo. Un ente una cosa se non vi alcuna relazione con esseri umani. Secondo alcuni studiosi (VYGOTSKIJ, 1934; LURIJA, 1961, CIMATTI 2001; 2004), un ente un oggetto a partire dal momento in cui si pone attenzione ad esso attraverso lattivit linguistica. Un oggetto, quindi, tale solo grazie alla relazione linguistica che luomo intrattiene con esso.
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Per la nozione di res, cf. LALANDE, 1926; AUROUX, 1998.

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La relazione col soggetto che rende la res oggetto determinata dalla posizione in cui si trova rispetto a un soggetto che gli sta di fronte. Tuttavia, seguendo la nostra prospettiva, un ente comunque un oggetto e lo si riconosce gi in una dimensione prelinguistica. La nominazione un passo successivo e non determinante nel riconoscimento di un oggetto. Gi durante la fase del riconoscimento percettivo emerge una distinzione elementare tra oggetti; esistono, infatti, oggetti naturali e oggetti artificiali. I primi sono quelli che una certa tradizione filosofica a partire da Putnam (1975) denomina natural kinds, ossia tipi naturali, il cui riferimento non determinato dalle descrizioni dei parlanti ma dalla stessa sostanza di cui sono composti. In seguito Barton e Komatsu (1989), dopo lanalisi di dati empirici, hanno sostenuto che un natural kind riconosciuto per mezzo delle sue propriet molecolari, in contrapposizione ad un artefatto, riconosciuto per mezzo delle loro propriet funzionali. Il dibattito sulla distinzione tra oggetti naturali e oggetti artificiali ha inizio negli anni Sessanta e ha alimentato ambienti culturali molto differenti tra loro. Allinterno del paradigma delle Scienze Cognitive, in una prospettiva non materialista3, Herbert Simon pone attenzione al carattere necessario delle cose naturali e a quello contingente degli artefatti. Malgrado quella che ai nostri occhi pu essere considerata unepoca di arretratezza tecnologica, gi allora Simon affermava che luomo vive in un mondo artificiale, ossia determinato per lo pi dal suo intervento. Un artefatto non mai totalmente staccato da ci che si presenta in natura, per cui una foresta pu essere un fenomeno naturale; una fattoria certamente non lo (SIMON, 1969, trad. it, 1988, p. 23). in questo quadro teorico interno alle Scienze Cognitive classiche4 che definiamo un oggetto artificiale come sintetizzato dalluomo e
3 Sul rapporto tra materialismo e Scienze Cognitive classiche e post-classiche, PARISI (2005, pp. 150-155) afferma che In tutta la met del 900 le due idee del materialismo e delloperazionismo non sono state molto popolari nello studio della mente, e la scienza cognitiva si mossa in direzioni sostanzialmente diverse da quelle indicate da Somenzi. I modelli teorici della scienza cognitiva e dellintelligenza artificiale sono stati per molto tempo modelli non materialistici bens modelli ispirati allidea che la mente, come un computer, sia un lavorare su simboli (symbol processing) [...] Un modello materialista della mente, cio un modello che ritiene che il comportamento e la mente vadano studiati usando soltanto concetti che fanno riferimento a entit fisiche e a processi fisici, e non a simboli e al lavorare su simboli, pu benissimo essere un modello simulato in un computer. 4 Alla fine degli anni Novanta stata pubblicata la MITECS MIT Enciclopedia of Cognitive Sciences. Non vi abbiamo trovato n la nozione di artefatto n di cosa n di oggetto ma solo quella di object recognition.

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sviluppato secondo un progetto aderente a scopi e funzioni (SIMON, 1969). Nello stesso periodo, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, allinterno del paradigma materialista, Ferruccio Rossi-Landi, definisce un oggetto costruito dalluomo come arte factum, ossia un qualsiasi prodotto di lavoro umano, cio qualcosa che non esiste in natura e che per esistere richiede (ha richiesto) lintervento delluomo (ROSSI-LANDI, 1968, p. 181). Recentemente, studiosi di diverse discipline, tra cui filosofia e design, che si sono raccolti attorno alla rivista Artifacts5, hanno definito un altro elemento proprio dellontologia dellartefatto. Nel circoscrivere le propriet tipiche di un artefatto, un altro carattere fondamentale la dimensione storico-sociale in cui stato prodotto: The definition of the word artifact, and only that, leaves us to conclude that artifacts cannot exist outside a story of their making, however simple this story may be (KRIPPENDORFF, 2006, p. 9). Che il tema della natura degli oggetti, e degli artefatti in particolare, sia presente in ambienti e tradizioni culturali differenti mostra che la distinzione tra oggetto naturale e artefatto non un artificioso espediente attraverso cui parlare del mondo circostante, ma fonda la possibilit di delineare il tipo di rapporto che il soggetto intrattiene con esso. La questione ontologica circa gli oggetti, quindi, la pietra angolare su cui poggia il rapporto tra il soggetti e il mondo esterno, a partire dal problema del riconoscimento percettivo. Come afferma Robert Nozick:
un programma per lontologia quello di delineare i tipi di cose che esistono, i differenti statuti ontologici che le cose possiedono, tramite linsieme di trasformazioni rispetto a cui tali cose risultano invarianti. [...] Queste trasformazioni possono essere usate per definire o identificare il modo dessere di una cosa (NOZICK, 2001, trad. it. 2003, p. 77).

In questa prospettiva teorica, linvarianza lelemento che tiene assieme e guida altre tre propriet della nozione di oggettivit. Secondo Nozick, un fatto oggettivo: 1) se accessibile da differenti punti di vista, 2) se su di esso vi accordo intersoggettivo e 3) se indipendente dal soggetto. Nozick desume la nozione di invarianza dai lavori dello psicologo James Gibson. Questultimo usa il termine invariante a proposito della struttura
5 Artifacts una rivista edita da Routledge. Al progetto editoriale partecipano filosofi, ingegneri, psicologi e linguisti, che si interrogano sul ruolo della tecnologia e il rapporto tra lo sviluppo e gli artefatti.

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della luce ambiente. La luce ambiente strutturata da un ambiente di superfici che emettono e riflettono la luce, cos da fornire informazioni sullambiente stesso. Per spiegare la nozione di struttura invariante, Gibson considera lassetto ottico di un punto di osservazione in movimento. Sebbene si sia portati a pensare che lassetto muti al pari del movimento del punto di osservazione, esso ha una struttura persistente, almeno in alcuni suoi tratti. Il movimento, infatti, non genera cambiamenti di struttura della luce ambiente, ma variazioni che si riferiscono al singolo istante del movimento. Queste variazioni sono tipiche di una struttura prospettica. Muovendoci, infatti, in ogni istante avremo una rappresentazione diversa della scena percettiva, ma la sua struttura invariante secondo alcuni tratti. La dicotomia varianza/invarianza pu essere mostrata attraverso lesempio seguente:
Consideriamo, per esempio, il vecchio problema del modo in cui una superficie rettangolare come il piano di un tavolo si viene a presentare alla vista, quando invece da presumere che tutto quello che un occhio pu vedere un gran numero di forme trapezoidali, mentre solo una forma di tipo rettangolare che si viene a dare, e che quella che viene vista quando locchio posizionato su una linea perpendicolare al centro della superficie (GIBSON, 1986, trad. it. 1999, pp. 133-134)6.

Gibson sostiene che, durante il movimento, losservatore vede delle figure, ma non tutto ci che si viene a dare reale. Sebbene limpostazione del problema faccia pensare ad un nozione di decorso, in cui sono il tempo e lo spazio i riferimenti per la descrizione dellesperienza, Gibson afferma che nellambiente ecologico il riferimento al mondo determinato dalla dicotomia varianza/invarianza: Anche se il mutare degli angoli e delle proporzioni dellinsieme un fatto, anche un altro fatto che non cambiano le relazioni tra i quattro angoli e le proporzioni invarianti in tutto linsieme (ibid.). In questo sistema si coglie, allora, il significato della teoria di Nozick per cui Gli oggetti fisici o le relazioni di ordine superiore che li concernoGibson, allievo di Langfeld, prende a prestito dalla filosofia un esempio analogo gi utilizzato da Franz Brentano (1874). In un recente volume, COSTA (2007) pone una questione analoga. Se su un tavolo c un disco rosso, guardandolo da lontano, in una certa prospettiva, il cerchio sul tavolo sembra ellittico visto di scorcio. E sin quando dico di avere sensazioni ellittiche resto certamente allinterno della sfera dellevidenza (p. 51). Ma, sostiene il filosofo, le sensazioni ingannano, non con lesperienza sensibile che arriviamo al centro delle cose reali ma con il giudizio. Vediamo un cerchio ellittico perch risponde a regole di geometria prospettica, ossia un fenomeno fisico e la sensazione quindi un fenomeno fisico.
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no sono invarianti rispetto a una vasta gamma di trasformazioni. Un dolore, un miraggio, un tavolo, una particella elementare sono invarianti rispetto a differenti insiemi di trasformazioni. Le trasformazioni definiscono, e delimitano, la categoria ontologica di qualcosa (NOZICK, 2001, p. 78). Le invarianze sono colte dal nostro sistema di sensi. dunque nel livello della percezione e non della nominazione che, a nostro avviso, dobbiamo cogliere le distinzioni che ci interessano. 2. Il soggetto e i suoi oggetti 2.1. Un dispositivo input/output. Ogni essere umano in relazione con il mondo attraverso il linguaggio e la percezione. Questultima contrae un impegno ontologico con le cose del mondo e per mezzo di essa emerge il loro modo di essere. Uno dei quesiti che da tempo si pone chi si occupa di percezione quello del riconoscimento degli oggetti. Qui si propone unanalisi del problema a doppio livello, utilizzando la prospettiva proposta dalle ricerche della psicologia e la prospettiva filosofica. Linterazione di teorie psicologiche antitetiche generer un approccio pi efficace (NEISSER, 1976; PATERNOSTER, 2007), il cui denominatore comune trova radici profonde nella fenomenologia husserliana. A partire dagli assunti della Scienza Cognitiva classica, in un paradigma inteso come indiretto e ricostruttivo, Marr (1982) presenta una teoria della visione il cui scopo il riconoscimento della forma di un oggetto. Secondo questo paradigma, la percezione visiva determinata in un processo di elaborazione di un input, ossia unimmagine retinica, in un output, ossia una rappresentazione tridimensionale di un oggetto, per mezzo di tre stadi di elaborazione. La prima fase della visione, prende avvio dallinterazione tra la luce focalizzata sulla retina e il pigmento visivo delle cellule della retina, con la formazione di una matrice di valori di luminosit che costituiscono unimmagine a livelli di grigio. Vengono individuati spigoli, vertici, forma di un oggetto. Questa elaborazione produce uno schizzo primario grezzo bidimensionale che viene ulteriormente processato per ottenere uno schizzo 2 D, ossia unimmagine che fornisce informazioni sulla profondit delloggetto e sullorientamento delle superfici, sul suo posizionamento dello spazio a partire dal punto di vista dellosservatore. Non trova risposta la domanda sullontologia delle cose del mondo poich la loro rappresentazione varia a seconda dellosservatore. Invece, il terzo livello del-

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lelaborazione, quello che costituisce la visione secondaria, restituisce al soggetto una rappresentazione di un oggetto invariante rispetto ad un punto di vista. A partire da questo tipo di rappresentazione, loggetto riconosciuto in seguito al confronto della sua rappresentazione con quella di un catalogo mentale. Ogni rappresentazione di un oggetto, secondo Marr consta di una organizzazione modulare della forma. Recognition involves two things: a collection of stored 3-D model descriptions, and various indexes into collection that allow a newly derived description to be associated with a description in the collection (MARR, 1982, p. 318). Dopo Marr (1982) e Marr e Nishihara (1987), Biederman (1987) sviluppa ulteriormente il tema del riconoscimento degli oggetti con la Recognition-by-Components (RCB): In object perception, the primitive components may have their origins in the fundamental principles by which inferences about a three dimensional world can be made from the edges in a two-dimensional image. [...] RCB thus provides, for the first time, an account of the heretofore undecided relation between these principles of perceptual organization and human pattern recognition (BIEDERMAN, 1987, p. 145)7. Si nota che la percezione di un oggetto di qualsiasi natura avviene sempre allo stesso modo: si passa da una rappresentazione centrata su un osservatore ad una rappresentazione che tiene conto di elementi invarianti necessari per il confronto con un catalogo mentale. Non chiaro, tuttavia, secondo quali modalit si formi il catalogo. Inoltre, Biederman non spiega come mai il riconoscimento non preveda la costruzione di una rappresentazione centrata sulloggetto ma si fermi ad un livello di elaborazione di immagine bidimensionale, quindi basata sul punto di vista.
Non solo per Marr e Nishihara, ma anche per Biederman limmagine di un oggetto pu essere scomposta in sottoelementi, ossia in geoni (geometrical ions), primitivi volumetrici come cilindri, sfere, cubi. Linsieme dei geoni che servono per scomporre un oggetto viene individuato a partire dallimmagine bidimensionale delloggetto stesso e come sostiene Biederman: recognition need not follow the construction of an object centered (MARR, 1982) three-dimensional interpretation of each volume (ivi, p. 122), alludendo alla possibilit di una forma di riconoscimento che si riferisce alla varianza determinata dal punto di vista. Allinterno di questo paradigma costruttivista, Biederman ipotizza il riconoscimento di un oggetto come un processo graduale composto da pi fasi; durante la prima fase vengono estratte dalloggetto che si percepisce informazioni circa il colore, la superficie, la luminosit; la seconda fase vede lattivazione di due processi contemporanei: la rilevazione delle propriet non-accidentali di un oggetto (ad esempio, gli spigoli) e lazione di parsing delle parti concave dell'oggetto; la terza fase quella che riguarda lidentificazione dei geoni; la quarta fase riguarda la corrispondenza tra i geoni e la rappresentazione delloggetto; lultima fase quella della identificazione dell'oggetto.
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2.2. Le disposizioni a degli artefatti Secondo lapproccio ecologico, teorizzato da James Jerome Gibson, la percezione un atto psicosomatico, non della mente, n del corpo, ma di un osservatore vivente (GIBSON, 1986, trad. it 1999, p. 364). La percezione un potenziale guardare il mondo ecologico; essa non finalizzata al riconoscimento di un oggetto dellambiente. La condizione di possibilit del nostro guardare e della maggior parte delle nostre azioni dipende da due fattori: il nostro corpo e la struttura del mondo in superfici. Per ci che riguarda il rapporto tra corpo e percezione, Gibson afferma che la visione naturale dipende da occhi posti in una testa che sta su un corpo che poggia sul suolo, e che il cervello solo l'organo centrale di un sistema visivo integrato [complete] (ivi, p. 33). Lambiente ecologico8 non saturo di oggetti ma strutturato in superfici che si compongono formando dei layout, ossia degli oggetti che non sono altro che layout di superfici. Luomo non solo percepisce le superfici ma manipolandole, le modifica, cambiando laspetto del mondo. Le variazioni apportate alle superfici modificano le affordances9 degli oggetti cos da rendere lambiente pi adatto agli scopi e aderente alle azioni delluomo. La chiave di volta attorno a cui ruota lapproccio ecologico della percezione visiva la nozione di affordance, che consiste nel carattere di disposizione a proprio di ogni oggetto.
Un fatto importante che riguarda le affordances che lambiente offre, che esse sono in un certo senso oggettive, reali e fisiche, a differenza di valori e significati, che si ritiene di solito che siano soggettivi, fenomenici e mentali. Ma, di fatto, unaffordance non una propriet oggettiva n soggettiva; o, se si vuole, entrambe le cose. Unaffordance taglia trasversalmente la dicotomia tra oggettivo e soggettivo, e ci aiuta a comprenderne linadeguatezza. allo stesso tempo un fatto ambientale e un fatto comportamentale. sia fisica che psichica, eppure non n luna n laltra. Unaffordance si indirizza in entrambe le direzioni, in quella dellambiente e in quella dellosservatore (ivi, p. 208).

chiara, quindi, la relazione tra affordance e azione, ma questa rimanda


8 Lambiente ecologico, diverso dal mondo fisico, unarea costituita da un mezzo, latmosfera gassosa da varie sostanze pi o meno solide, e da superfici che separano il mezzo dalle sostanze. 9 Il termine affordance stato coniato, per sua stessa ammissione, da J. Gibson e deriva dal verbo to afford. Cf. GIBSON (1986, trad. it. 1999, p. 205). Luso di questo termine che indica il carattere di disposizione a di un oggetto nasce per filiazione dalla Gestaltpsycologie e si accosta al carattere di richiesta degli oggetti.

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alla percezione. Latto del lanciare il complemento della percezione di un oggetto lanciabile (ivi, p. 358). Pur non fornendo sufficienti dati empirici, Gibson sostiene che gi i bambini percepiscono le affordance di un oggetto, ancora prima di qualit come la sostanza, la superficie, la forma e il colore. Come una persona adulta, il bambino esperisce gli oggetti del mondo e coglie le sue affordance per mezzo dellazione, tanto che riconosce sia le affordance che si danno a lui che quelle che si danno agli altri osservatori. Il riconoscimento delloggetto un processo che coinvolge il darsi dellaffordance e luso delloggetto, per cui leventuale appartenenza di un oggetto ad una categoria pu essere pensata come possibile in un quadro wittgensteiniano delle family resemblances10. A completare la dicotomia tra queste due teorie paradigmatiche della visione, vi la teoria della percezione di Ulrich Neisser che propone una sintesi dei due paradigmi per mezzo della nozione di schema. La visione, un processo diretto, possibile perch luomo dotato di uno schema, ossia una struttura cognitiva biologicamente determinata e innata, possibile di cambiamenti, che raccoglie e immagazzina le informazioni. Lapproccio ecologico stato ulteriormente rivalutato attraverso un saggio di Tomasello (1999), in cui corroborando le tesi di Neisser con i risultati di alcuni esperimenti, si mostrava levidenza che i bambini, durante la fase dellesplorazione oculo-manipolativa di artefatti, tendono a coglierne in prima istanza le affordances. Risulta rilevante la precisazione che gli artefatti non sono solo oggetti materiali ma anche simboli. 2.3. La dimensione intersoggettiva del riconoscimento Se in psicologia cognitiva gli approcci sono stati diversi, dal punto di vista filosofico, numerose sono state le teorie della percezione. Sia la teoria computazionale che la teoria ecologica mostrano tratti di forte analogia con una delle riflessioni filosofiche sulla percezione di maggior peso del 900, quella di Edmund Husserl. Si possono rileggere gli scritti dellultimo Husserl, quello delle Lezioni sulla Sintesi Passiva (1966), delle Meditazioni Cartesiane (1931) e di Esperienza e Giudizio (1948), tenendo sullo sfondo la dicotomia tra variante e invariante, rendendo possibile lemergenza del radicamento filosofico delle due teorie psicologiche della visione prima considerate. Il tema del riconoscimento pu essere considerato come la cerniera che
10

Cf. WITTGENSTEIN (1953) e ROSCH MERVIS (1975).

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unisce la percezione esterna e il rapporto del soggetto con una comunit. Questo tema il filo rosso dellintero scritto husserliano come testimoniato dal passo celebre che citiamo:
Questo mondo circostante non contiene mere cose, bens anche oggetti duso (abiti, utensili domestici, armi, strumenti), opere darte, prodotti letterari, mezzi di azione religiosa, legale (sigilli, distintivi ufficiali, insegne regali, simboli ecclesiastici, ecc.) e non contiene soltanto persone singole: le persone sono, piuttosto, membri di comunit, di unit personali di ordine superiore, che vivono in quanto totalit, che si mantengono e continuano nel tempo indipendentemente dalla comparsa e dalla scomparsa dei singoli, che hanno una loro conformazione di comunit, i loro ordinamenti etici e giuridici, i loro modi di funzionare agendo insieme con altre comunit e con singole persone, le loro dipendenze da circostanze, la loro regolata mutevolezza, un loro modo di svilupparsi o di mantenersi temporaneamente costanti, a seconda delle particolari circostanze. I membri della comunit, del matrimonio e della famiglia, del ceto, dellassociazione, del comune, dello stato, della chiesa, ecc. si sanno loro membri, si trovano coscienzialmente dipendenti da essi e sanno, eventualmente, di agire coscienzialmente su di essi (HUSSERL, 1952, Idee, II, p. 578).

Il mondo che ci circonda contiene oggetti noti per la loro funzione e soggetti organizzati in comunit regolate da istituzioni11. Tutti gli oggetti hanno natura funzionale che emerge per mezzo di una negoziazione generata tra i membri di una comunit. Queste osservazioni sembrano stridere con la considerazione della percezione come vissuto intenzionale, laddove questultimo inteso come una relazione bipolare di un soggetto che tende verso un oggetto. la stessa percezione esterna per mezzo di momenti associativi che rende possibile il riconoscimento di un oggetto. La percezione consiste in una serie di decorsi che non svelano mai al soggetto lintero oggetto percepito. Un oggetto, ad esempio un tavolo, viene colto da un certo punto di vista. Se giriamo attorno al tavolo ne cogliamo i differenti lati, secondo diverse prospettive, che contribuiscono a fornire al soggetto ulteriori informazioni. Le manifestazioni percettive dello stesso oggetto sono fenomenicamente differenti e varianti, ma in esse, come elemento invariante, si manifesta sempre lo stesso oggetto. I decorsi che costituiscono latto percettivo rimandano ad una sua natura processuale, la cui unit determinata da una successione che ne garantisce, da un lato, la continuit e, dallaltro, rilancia informazioni che vengono svelate da decorsi percettivi successivi.
11 Cf.

PIANA (1966) http://www.filosofia.unimi.it/~piana/problemi/p-idx-00.htm.

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Se vediamo il tavolo, lo vediamo da un lato qualunque, e questo ci che visto propriamente: il tavolo tuttavia ha ancora altri lati. Ha un lato posteriore e un suo interno che non sono visibili, ma che sono titoli che stanno per vari lati, per vari complessi che possono diventare visibili (HUSSERL, 1966, trad. it. 1993, p. 34).

Al variare delle manifestazioni percettive, ad essere invariante loggetto percepito. E qui si trova una profonda analogia con lapproccio ecologico alla percezione visiva, sostenuta dal fatto che Gibson era stato allievo di Langfeld, quindi esposto ad influenze fenomenologiche. Dopo la descrizione dellatto percettivo, rimane aperto il problema del riconoscimento degli oggetti. Questultimo, a differenza della soggettivit che permea latto intenzionale, si radica nellintersoggettivit. Lepoch, che segna il passaggio alla dimensione intersoggettiva, rende possibile ritrovare tutto ci da cui si era preso le distanze, ossia tutti gli oggetti e le istituzioni di una civilt di monadi. dopo questo passaggio che ci si pu spiegare come gli oggetti vengano conosciuti secondo il loro senso strumentale:
Il fanciullo, per esempio, che gi vede oggetti come cose, intende quasi per la prima volta il senso strumentale delle forbici, sicch da ora in poi egli vedr senz'altro le forbici al primo sguardo; non per naturalmente, per una riproduzione esplicita o in una comparazione o in un ragionamento (HUSSERL, 1931, trad. it. 1960, p. 131).

Il senso oggettuale non fissato da una singola monade, ma si ritrova in almeno una coppia di esse, una Paarung di ego e alter ego, che trova la sua radice nellintenzionalit. Infatti, secondo Husserl:
Nella intenzionalit cos delineata si costituisce il nuovo senso dessere che oltrepassa il mio ego monadico nella identit che gli propria e si costituisce un ego non come io stesso, che per si rispecchia nel mio io proprio, nella mia monade. Il secondo ego non semplicemente presente, datoci autenticamente, ma costituito come alter ego, ove questego incluso nella espressione alter ego sono proprio io nel mio proprio essere (ivi, p. 117).

A partire dalla possibilit di passare da un ego ad un alter ego e viceversa, si coglie lintersoggettivit come genesi e momento teoretico. Si trova qui un doppio carattere del riconoscimento: prima del senso di un oggetto e della sua funzione dobbiamo riconoscere il nostro alter ego come tale, quindi, come unit psicofisica analoga a noi, dotata anchessa di un corpo proprio [Lieb], mezzo di tutte le percezioni.

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Il riconoscimento degli altri e degli oggetti del mondo passa dalla percezione e in questa prospettiva non troviamo alcun cenno riguardante il linguaggio. In Husserl, presente il riferimento allesperienza predicativa, radicata in quella ante-predicativa, come ampiamente dimostrato in Esperienza e Giudizio (1948). Lesperienza ante-predicativa in cui avviene il riconoscimento pu e deve comunque essere considerata nella sua dimensione simbolica, sebbene non linguistica. Nello spazio intersoggettivo del riconoscimento, luomo costruisce i suoi oggetti, affina le sue relazioni e getta le basi per la costituzione delle istituzioni: quando ci imbattiamo in animali, uomini o prodotti della civilt (oggetti duso, opere darte e cos via) noi non abbiamo di fronte la mera natura, ma certe espressioni di un senso dessere spirituale; qui noi siamo portati oltre ad dominio di ci che schiettamente e sensibilmente esperibile (HUSSERL, 1948, trad. it. 1995, p. 49). Quando il giudizio predicativo emerge da un sostrato ante-predicativo, la sua funzione pienamente teoretica e consiste nel fissare e rendere disponibile alle generazioni future il riconoscimento, che si sostanzia in giudizi del tipo S p. 3. Il riconoscimento di una dimensione progettuale Si inizialmente affermato che la caratteristica principale dellartefatto consiste nel suo essere un oggetto costruito dalluomo. La costruzione di oggetti una prassi in continua evoluzione che ha preso avvio milioni di anni fa, come mostrano i risultati di diverse ricerche in campo di paleoantropologia (LEROI-GOURHAN, 1964; TOBIAS, 1982). La condizione di possibilit dellattuale progresso tecnologico dellHomo sapiens sapiens risiede nella stazione eretta e nella progressiva liberazione della mano dalla locomozione. Questi due fattori biologici, che permettono le pratiche strumentali, rendono possibili ulteriori condizioni necessarie per la liberazione degli organi facciali cos da essere impiegati nella pratica comunicativa. In questo senso, quindi, non solo la produzione di oggetti ma anche di segnali (anche se quelli degli Arcantropi, non ancora dotati del tratto vocale sopralaringeo, sono solo dei rozzi richiami) tipica gi dei primi esemplari di Australopiteci. Secondo Leroi-Gourhan (1982) gi i Pitecantropi costruivano oggetti per soddisfare i propri bisogni e desideri. Homo Habilis mostrava una certa inclinazione anche per gli oggetti estetici, visto il ritrovamento di frammenti di ocra rossa accanto i suoi resti (TOBIAS, 1982).

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La lenta e inarrestabile evoluzione delle pratiche strumentali parte gi da Australopitecus Africanus che attua una rivoluzione esosomatica utilizzando strumenti, ossia schegge prodotte volontariamente per la propria sopravvivenza. Una scheggia usata per tagliare e togliere via pellami e cortecce si sostituisce a aiuta gli arti superiori nel loro compito. Lutensile quindi una secrezione del corpo e del cervello12:
siamo arrivati alla nozione di utensile come vera e propria secrezione del corpo e del cervello degli antropiani. logico, quindi, applicare a questo organo artificiale norme degli organi naturali: deve rispondere a forme costanti, a un vero e proprio stereotipo. questa infatti la regola per tutti i prodotti della industria umana nei tempi storici: esiste uno stereotipo del coltello, dellascia, del carro, dellaereo, che non solo il prodotto di unintelligenza coerente ma il prodotto di quella intelligenza integrata nella materia e nella funzione (LEROI-GOURHAN, 1964, trad. it. 1977, p. 109).

Levoluzione tecnica della pratica strumentale determinata dalla variazione della serie di gesti impiegate per costruire gli utensili. Ai semplici gesti degli Arcantropi, si aggiungono altri gesti tipici della cultura mousteriana: Lestrazione della punta richiede almeno sei serie di operazioni rigidamente concatenate, condizionate le une dalle altre, che presuppongono una rigorosa programmazione. Tali operazioni mobilitano e combinano le due serie di gesti di cui si erano impossessati gli Arcantropiani (ivi, p. 121). Un oggetto tipico della cultura mousteriana la punta triangolare, strumento non semplice da costruire da un Uomo di Neanderthal. Costruire una punta triangolare implica necessariamente lacquisizione di una serie di gesti piuttosto raffinati e la possibilit di progettare loggetto a partire da un blocco di selce. Loggetto, quindi, non predisposto in natura, ma estratto modellando del materiale grezzo. La costruzione di un oggetto diventa, finalizzata ad un uso, una pratica sociale condivisa, gi a partire dai primi ominidi. La nozione di progetto legata a quella di socialit in due sensi: si progetta e si costruisce assieme ad altri conspecifici e il risultato finale di questa pratica condivisa condensata in un oggetto materiale. Il prerequisito necessario alla progettazione e alluso condiviso il riconoscimento simbolico degli altri conspecifici. Sia da un punto di vista filogenetico che ontogenetico, questo tipo di simbolicit non linguistica precede e favorisce lo sviluppo della simbolicit linguistica tipicamente umana, che
12 In seguito LEROI-GOURHAN (1982) insister sul rapporto tra corpo e utensile, considerando questultimo come un organo amovibile che, da un certo momento in poi nella storia delluomo, ha funzionato come un prolungamento del corpo.

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compare con la presenza del tratto vocale sopralaringeo (CAVALIERI-CHIRIC, 2005; GAMBARARA 2005a). Coinvolgendo la questione della simbolicit, nella dimensione del progetto non pu essere tralasciato il problema dellinvenzione delloggetto, che richiama due costanti presenti in ogni artefatto: forma e funzione. Mentre la prima varia e si evolve nel corso degli anni e dei secoli, la funzione permane come tratto invariante, necessario durante il riconoscimento delloggetto a partire dal momento della sua invenzione. Recentemente a sostegno di questa nozione di intersoggettivit progettuale si mossa la Scienza Cognitiva: il processo di invenzione di un artefatto visto come distribuito tra pi menti ed una scoperta multipla (LEGRENZI-VIANELLO, 2002, p. 290). Pi precisamente, oltre che linvenzione, anche levoluzione dellartefatto considerata in base alla relazione tra il soggetto e lartefatto. When a person uses a wrench as a part of a hammer, there is a direct assimilation of the artifact in the constituted scheme. In the largest case, the development of the human side leads to a deeper reorganization of the human side of the instrument (BGUIN, 2006, p. 3). in dipendenza del fatto che A hammer is not an artifact. To be an instrument, the subject (the users or the workers) must associate an organized form of psychological and motor operations with the artifact (ivi, p. 1). 4. Il soggetto, gli artefatti e le istituzioni Fino a qui si considerato lartefatto come oggetto materiale a carattere strumentale, costruito sulla base di un progetto, con lobiettivo di soddisfare un bisogno. Tuttavia, piuttosto diffusa la convinzione che il termine artefatto non possa designare solo oggetti materiali ma anche segnali linguistici o simboli, come mostrano recenti ricerche nellambito delle Scienze Cognitive (KRIPPENDORF, 2006), della psicologia (TOMASELLO, 1999) e della semiotica (ROSSI-LANDI, 1968; 1972). Accettando la nozione di artefatto come strumento e sovrapponendola a quella di segnale linguistico, si pu arrivare a sostenere che il linguaggio sia uno strumento. Tuttavia, accostare le nozioni di artefatto e di linguaggio comporta non pochi problemi. In primo luogo, il linguaggio pu essere considerato come uno strumento, lo strumento del pensiero prima ancora che della comunicazione e tale stato considerato in una lunga tradizione di riflessione filosofica e linguistica. Da questa posizione prende le distanze il linguista mile Benveni-

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ste (1966). Nei suoi testi egli ascrive al paradigma comportamentista questo modo di intendere il linguaggio ed il comportamentismo a costituire il suo principale bersaglio. Secondo Benveniste, il linguaggio non uno strumento poich ci implicherebbe renderlo una cosa: La zappa, la freccia, la ruota non si trovano in natura, sono degli artefatti. Il linguaggio nella natura delluomo, che non lha fabbricato (BENVENISTE, 1966, trad. it. 1994, p. 311). Luomo, infatti, non mai alle prese con il momento dellinvenzione ma soltanto con quello della reiterazione della pratica linguistica. La critica di Benveniste pu introdurci alla seconda accezione del termine artefatto per porla in relazione con le nozioni di linguaggio e lingua. Da qui in avanti, la nozione di artefatto verr intesa come opera dellattivit umana. Anticipando Benveniste nella critica dellidea di linguaggio come strumento, Wilhelm von Humboldt pone la lingua come tramite tra il singolo individuo e il mondo circostante. Seguendo la tradizione filosofica pi diffusa tra la fine del Settecento e linizio dellOttocento, Humboldt considera la lingua come il luogo in cui si cristallizza il patrimonio collettivo di una nazione, tanto che essa non il prodotto del singolo ma della nazione intera:
La lingua non affatto un libero prodotto del singolo uomo, ma appartiene sempre alla nazione intera; in questa altres le successive generazioni ricevono la lingua dalle generazioni esistite in passato (HUMBOLDT, 2004, p. 739).

Lessenza della lingua non si manifesta nel suo essere unopera compiuta, ossia un oggetto materiale (ergon) ma energheia, ossia attivit, un perenne lavoro dello spirito. Non a caso, dunque, Cassirer, presentando il pensiero humboltdiano, si sofferma su questo punto:
Ci che noi chiamiamo essenza e forma di una lingua non quindi nientaltro che lelemento permanente e uniforme che noi possiamo mostrare non in una cosa, ma piuttosto nel lavoro con cui lo spirito innalza il suono articolato a espressione del pensiero (CASSIRER, 1923, trad. it. 2004, p. 122).

Seguendo Humboldt, quindi, la lingua non uno strumento ma prende forma a partire dal lavoro reiterato del parlante. In questo quadro, Humboldt ritiene necessario uno studio del linguaggio per mezzo della sua inner Sprachform, ossia quella struttura interna a cui faranno riferimento studi semiotici pi di uno secolo dopo. Secondo Ponzio (1988), proprio questo il punto di partenza dellanalisi di Ferruccio Rossi-Landi.

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Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, Ferruccio Rossi-Landi affronta il tema del linguaggio per mezzo dellomologia di produzione tra artefatti linguistici e artefatti materiali; la pietra angolare delle sue teorie la nozione di lavoro. Rossi-Landi sostiene che: la nozione di artefatto si applica tale e quale al linguaggio. Anche parole, enunciati, discorsi e cos via sono prodotti umani, artefatti: essi non esistono in natura senza intervento umano; e la loro presenza denuncia immediatamente ed inequivocabilmente la presenza dell'uomo (ROSSI-LANDI, 1968, p. 185). Lesistenza di artefatti nel mondo circostante non rimanda ad una mera presenza dellessere umano ma al suo agire e alle pratiche in cui coinvolto. Applicando le categorie del marxismo13 al linguaggio, Rossi-Landi sostiene che il linguaggio lavoro, mentre la lingua il prodotto della sedimentazione del lavoro sociale di una comunit di parlanti. Infatti, La lingua lesserci medesimo della comunit che la parla (ROSSI-LANDI, 1972, p. 273) e nella dialettica tra produzione e consumo, essa rappresenta il patrimonio costante di una comunit, mentre i parlanti rappresentano un patrimonio variabile. possibile affermare, quindi, che lanalisi della lingua secondo la prospettiva marxista si pone a livello delle strutture del sistema sociale di produzione linguistica. In questo quadro, allinterno della lingua, il valore di ogni segno dato dal lavoro linguistico sociale di cui prodotto. Sebbene la riflessione di Rossi-Landi sul linguaggio risenta della teoria marxista14 e abbia radici nellidealismo humboltdiano riletto da Cassirer, essa mostra diverse analogie con la teoria saussuriana. In primo luogo, nel Cours de linguistique gnrale15 Saussure distingue la lingua dal linguaggio, sostenendo che essa ne una parte ed un prodotto sociale. Proprio la socialit della lingua centrale nel confronto tra una teoria che vede la lingua come un artefatto e quella che la considera unistituzione. Infatti, come per Rossi-Landi i parlanti sono parte di un capitale variabile da analizzare, per Saussure la lingua si realizza pienamente solo nella massa dei parlanti e non in un singolo individuo. In Saussure, rimane valida la definizione della lingua come un sistema di segni, non statico ma in continua trasformazione:
13 Sul rapporto tra marxismo e linguaggio si vedano: STALIN (1950), VOLOINOV (1929), FORMIGARI (1973), SERIOT (2008). 14 A tal proposito, lo stesso ROSSI-LANDI (1968, p. 105) a fornire la cornice teorica in cui inquadrare le sue ricerche: lo schema teorico da me proposto pu essere visto come unapplicazione di alcune categorie della scienza economica nella sua fase classica, cio ricardiano-marxista, alla struttura di una lingua e del suo uso pratico-comunicativo 15 Da qui in avanti CLG.

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il punto di vista del movimento della lingua nel tempo, ma di un movimento che a nessun momento, giacch tutto non arriva ad essere in conflitto col primo principio dellunit della lingua nel tempo. C trasformazione, e sempre e ancora trasformazione, ma non c da nessuna parte riproduzione o produzione di un essere linguistico nuovo, che abbia un esistenza distinta da ci che lo precede e che lo seguir (SAUSSURE, 2005, p. 101).

Nel CLG la mutabilit del segno linguistico riguarda le alterazioni a cui il rapporto tra significato e significante sottoposto con il passare del tempo. Tuttavia, le trasformazioni a cui soggetto il sistema linguistico sono imposte dalla massa dei parlanti, senza che la volont di un singolo soggetto possa sortire alcun effetto su di esso; la lingua situata insieme nella massa sociale e nel tempo, nessuno pu modificarla (SAUSSURE, 1922, trad. it. 2003, p. 94). Il segno linguistico, quindi, simultaneamente mutabile e immutabile il simulacro del gioco ininterrotto della prassi linguistica. La lingua unistituzione sociale, anzi listituzione sociale che regge e governa tutte le altre, opera di una mente collettiva16, sempre soggetta a trasformazioni e allo stesso tempo invariante. Per quanto i tipi di analisi qui considerati possano apparire differenti, dalla posizione saussuriana emergono due elementi rilevanti: il ruolo della massa parlante nel tempo e la nozione di lingua, allo stesso tempo, istituzione e sistema. A partire da questo luogo teorico, si pu ritornare al cuore del nostro problema: il rapporto tra percezione e linguaggio. La doppia relazione tra percezione e linguaggio, da un lato, e tra cose e soggetti, dallaltro, trova un suo rinnovato equilibrio in una recente rilettura della nozione di valore linguistico in chiave semiotico-cognitiva (THIBAULT, 2004). possibile considerare la lingua non come un principio di categoriz16 Cf. GAMBARARA, 2005c e SAUSSURE, 2005. Negli scritti del terzo corso di Linguistica Generale tenuto da Saussure a Ginevra nel 1910-11, si pu rintracciare la nozione di mente collettiva, ossia una mente propria di ogni individuo ma che custodisce quel bene comune che la lingua. Rimane, tuttavia, da chiarire il rapporto tra individuale e collettivo e tra collettivo e lingua intesa come istituzione. Sarebbe interessante mettere in evidenza il rapporto tra lazione della collettivit e leventuale progettazione di diversi tipi e gradi di istituzioni. Una serie di prime risposte a questi quesiti si trova nelle riflessioni di Friedrich von Hayek, il quale, allinterno dellindividualismo metodologico e del liberalismo politico, sostiene che alla base della nostra civilt non ci sia il singolo individuo ma lintrecciarsi delle azioni dei singoli. La compenetrazione delle azioni dei singoli non segue alcun un progetto definito, ma solo un ordine spontaneo (HAYEK, 1949). Pu essere interessante un confronto con una forma pi recente di individualismo metodologico, ad esempio cf. BOUDON (1979) e la nozione di attore individuale.

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zazione del mondo ma una sua rideterminazione a partire da un dominio non linguistico. a questo punto che la lingua sembra radicata nella percezione. Thibault (2004) mostra come gli elementi di un sistema emergano e si riorganizzino conferendo un preciso significato alle due masse amorfe delle idee e dei suoni. Lazione che riconfigura i due livelli del sistema dipende, secondo Thibault, dai corpi dei soggetti che esplorano lambiente. Tra le masse informi delle idee e dei suoni, la lingua emerge come possibile interfaccia tra queste e il mondo esterno. A questo proposito, con un riferimento al lessico ecologico:
Saussures discussions of the way in which language emerges between the two amorphous or topological continuous substrates of sound and thought can be seen ad an early attempt to explain how language and other semiotic resource systems must reduce and entrain the many degrees of freedom the vague and indeterminate possibilities of both the bodily processes and dynamics involved in the articulation and production of speech sounds and the stimulus information while the organism picks up in its environment (THIBAULT, 2004, p. 60).

Il dominio del percettivo non viene, allora, categorizzato, ma determinato simbolicamente dalla lingua. Considerare la nozione di valore e la sua rilevanza sul piano dei suoni e delle idee rende possibile, nella prospettiva della semiotica cognitiva, legare coerentemente lazione umana e il mondo circostante. In questo quadro, ma spostando il fuoco del discorso sullintenzionalit, si muove un gruppo di ricercatori che ha fondato il Social Ontology Group (Universit di Berkeley). Essi sostengono che azione e percezione sono intimamente collegate tra loro per mezzo di un particolare tipo di intenzionalit, la we-intentionality. Ed proprio lintenzionalit collettiva che non solo spiega il rapporto tra percezione e azione ma il nucleo su cui si fonda la percezione umana. Come si visto, il caso esemplare degli artefatti porta a due livelli di considerazioni: quelle sul rapporto tra percezione e linguaggio e quelle relative allontologia di lingua e artefatti. I due livelli, tuttavia, non seguono percorsi disgiunti ma si intersecano nelle nozioni di azione e di intersoggettivit. Per studiare lontologia delle cose del mondo, anche della lingua, e fare in modo che emergano i tratti invarianti dei diversi enti, uno dei criteri rimane senza dubbio quello dellintersoggettivit, come sostenuto da Nozick. quindi da questo luogo teorico che potrebbe essere possibile ripartire per delimitare i fattori invarianti delle istituzioni sociali come la lingua.

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ANTONIA GIGLIO La dimensione sociale e culturale della conoscenza leibniziana

Nei Nuovi saggi sullintelletto umano e, precisamente nel capitolo in cui parla della divisione delle scienze, Leibniz sostiene unalleanza della pratica con la teoria. Tale alleanza si vede presso coloro che insegnano quelli che si chiamano gli esercizi, come anche presso i pittori o scultori e musicisti, e presso altre specie di virtuosi. Secondo Leibniz, se i principi delle professioni, delle arti e dei mestieri fossero insegnati praticamente [] questi studiosi sarebbero veramente i precettori del genere umano. A questo proposito Leibniz scrive:
Bisognerebbe [] mutare in molte cose la situazione attuale della letteratura, e delleducazione dei giovani, e di conseguenza dellamministrazione pubblica1.

Appare chiaro che non pu esserci un ottimo stato senza unottima educazione. Nella visione leibniziana la societ tedesca deve porsi come compito quello di migliorare le condizioni di vita delluomo2. Come sostiene Wilhelm Dilthey, Leibniz ritiene che si debba creare in Germania un centro per i nuovi metodi della conoscenza della natura e riportare la sua terra natale nella connessione internazionale, in cui doveva realizzarsi il progresso del lavoro scientifico e la cultura su questo fondata3. Nasce cos nel luglio del 700 lAccademia, che nella sua universalit doveva superare ogni cosa che il mondo avesse visto fino allora in istituti analoghi4. Wilhelm Dilthey sembra essersi reso pienamente conto del fatto che, per Leibniz, lAccademia doveva migliorare lesistenza delluomo in tutte le sue
1 G.W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sullintelletto umano, in Scritti Filosofici, a c. di M. Mugnai e E. Pasini, 3 voll., Torino, UTET, 2000 (dora in poi SF), vol. II, lib. IV cap. XXI, 1, p. 524. 2 Cf. W. DILTHEY, Leibniz e la fondazione dellAccademia di Berlino, in Leibniz e la sua epoca, a c. di R.B. Oliva, Napoli, Guida, 1989, p. 112. 3 Ibid. 4 Ivi, p. 113. Questo lavoro universale della cultura era per Leibniz lo scopo dello Stato moderno, come allora lo concepiva in divenire; questo lideale dello Stato dellilluminismo tedesco. Ora questo Stato doveva crearsi un altissimo organo nellAccademia, che gli forniva lo strumento scientifico per questo lavoro, che anzi vi partecipava con proposte pratiche, e lAccademia doveva infine legittimare questo lavoro, in quanto fondava la connessione di questo con lordinamento divino del mondo.

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espressioni ed attivit, doveva promuovere agricoltura e manifattura, fabbriche e commercio, coscienza politica e nazionale, infine morale e religione5. La conoscenza il pi grande fra i tesori di cui luomo dispone.
Il a souvent parl du progrs de la science humaine dans le pass et dans lavenir, des moyens de lobtenir plus rapidement et a essay dy contribuer par luimeme, non seulement par ses dcouvertes, mais encore par la fondation des Acadmies6.

Leibniz mette in campo una strategia teorica che vede il sapere connesso al continuo tentativo di migliorare la condizione individuale. Il sapere non si riduce mai a mera erudizione, ma uno strumento per migliorare la vita delluomo. In tal senso, le conoscenze, dal momento che sono volte alla publica utilitas, devono anche essere comunicabili, diversamente luomo non potrebbe servirsi del progresso scientifico. Gi in uno scritto del 1677, Il vero metodo, Leibniz sosteneva che la scienza necessaria per la vera felicit7. A riguardo si veda lanalisi di Jean Baruzi, secondo cui nellazione sociale si trova la realt ultima delluniverso leibniziano8. Non dimentichiamo, inoltre, che per Leibniz il compito del doctus va oltre lerudizione: egli, infatti, deve associare alla cultura loperosit. In altre parole: migliorare le conoscenze della tradizione, non solo per trasmetterle ai posteri, ma per ricavarne noi stessi un profitto sia per lo spirito che per il corpo.
Le conoscenze solide e utili sono il pi grande tesoro del genere umano e la vera eredit lasciata dai nostri progenitori, che dobbiamo mettere a profitto e accrescere, non solo per trasmetterla ai nostri successori in miglior condizione di come labbiamo ricevuta, ma ancor pi per trarne profitto noi stessi quanto possibile, per la perfezione dello spirito, la salute del corpo e le comodit della vita9.

In questottica il soggetto conoscente non costituito dal singolo, isolato studioso, bens da una comunit di individui che lavorano insieme in
Ivi, p. 114. L. DAVILL, Leibniz Historien, Essai sur lactivit et la mthode historiques de Leibniz, Paris, Alcan, 1909, p. 710 (Egli ha spesso parlato del progresso della "scienza umana" nel passato e nellavvenire, dei mezzi per ottenerlo il pi rapidamente ed ha cercato di contribuirvi egli stesso, non solo attraverso le sue scoperte, ma anche attraverso la fondazione delle Accademie). 7 G.W. LEIBNIZ, Il vero metodo, in SF I, p. 183. 8 Cf. J. BARUZI, Leibniz et lorganisation religieuse de la terre (1907), Aalen, Scientia Verlag, 1975, p. 456. 9 G.W. LEIBNIZ, Discorso intorno al metodo della certezza e allarte dello scoprire, per concludere le dispute e per compiere in breve tempo grandi scoperte, in SF I, p. 488.
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vista del bene comune. Siamo di fronte allidea di un sapere enciclopedico alla cui realizzazione devono concorrere in molti, giacch uniti si riesce meglio e si contribuisce al rinnovamento culturale della societ. A questo proposito stato affermato che per Leibniz il soggetto conoscente lumanit tutta intera, oggettivamente, nellimmanenza della storia10. Nella visione leibniziana la crescita culturale necessita della cooperazione tra gli uomini. la storia delle idee che sorgono nel tempo e nello spazio, in ogni angolo della terra e pretendono di assurgere, coadiuvate dalla ragione che riflette lumanit, al rango che spetta alla nascente civilt del diritto, in quella che si definisce civilt moderna. Leibniz fonda la sua idea di societ sul buon governo, sul sentimento damicizia e di mutua assistenza e sullistruzione. Resta inteso che il compito del filosofo quello di evidenziare non solo i bisogni dello Stato, ma anche i suoi doveri. Ne consegue, a nostro avviso, una sensibilit pedagogica che recupera il meglio della tradizione pedagogica seicentesca: in questa direzione, infatti, che vanno i progetti per listituzione di Accademie per gli ufficiali dellesercito e per gli impiegati dello Stato; lattivazione di laboratori, biblioteche, osservatori, giardini botanici e zoologici al fine di unadeguata istruzione scientifica. Linteresse di Leibniz, inoltre, anche rivolto alleducazione femminile, il che mostra la sua sensibilit verso le diversit di genere che compongono la realt delluniverso umano. tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento che emerge nella cultura europea una nuova figura, la femme savante. Insieme allimmagine della lettrice emerge quella della mediatrice di cultura e della scrittrice nel senso pieno del termine. Le donne partecipano in prima persona, sebbene spesso in incognito, alla circolazione della cultura e delle idee. Si rivolgono alla filosofia e si fanno portatrici di istanze di rinnovamento che investono il ruolo delle scienze e gli strumenti della formazione intellettuale11. In questo contesto di discussione si sviluppa il piano di studi leibniziano, che non perde mai di vista il contatto della cultura e delleducazione con la vita e con la societ12. A riprova di quanto detto ricordiamo la sua posizione nei riguardi della querelle sulla lingua latina. Leibniz, nonostante la considerazione nutrita nei confronti del latino, comprende limportanza dellinsegnaCf. Y. BELAVAL, Leibniz critique de Descartes, Paris, Gallimard, 1960, p. 125. Riguardo alla figura della femme savante si veda il lavoro di G. MOCCHI, Individuo bene fundatum. Controversie religiose moderne e idee per Leibniz, Roma, Carocci, 2003, pp. 55-90. 12 Cf. D. CAMPANALE, Il diritto naturale tra metafisica e storia. Leibniz e Vico, Torino, Giappichelli, 1988, p. 61.
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mento della lingua materna e delle lingue moderne al punto da sostenere che le dispute giuridiche dovessero svolgersi in tedesco13. Il nostro filosofo considera le lingue fattori didentificazione soggettiva, culturale e sociale, che non a caso costituiscono relazioni aperte alla differenza. Leibniz ha compreso il potere comunicativo che una lingua possiede: essa unisce gli uomini e rende possibile luniversale armonia. Del resto, egli stesso parla il tedesco, il francese, il latino, comprende il greco, lebraico, litaliano e linglese, e verso la fine della sua vita studier anche le lingue slave. Lintento di Leibniz non di sminuire limportanza della lingua latina nella formazione dei giovani. Lo studio del latino , infatti, molto utile per la comprensione dei termini scientifici, mentre le lingue moderne sono indispensabili per poter esercitare alcune arti e professioni. Il latino, inoltre, pur essendo una lingua dotta, poich la lingua della comunit scientifica, unisce lEuropa intellettuale. su queste basi che si consolida limmagine della lingua latina come lingua ideale dellEuropa. Nei Progetti per leducazione di un principe, scritti probabilmente tra il 1693 e il 1703, si delinea lidea leibniziana della formazione delluomo colto, destinato dal proprio rango a governare14. Il principe deve essere un perfetto conoscitore di storia e geografia, di leggi e canoni, di teologia ed economia, di architettura, matematica, medicina e chimica15. Tre, osserva Leibniz, sono i gradi di perfezione a cui si pu mirare nelleducazione di un principe: il primo di essi necessario, il secondo serve allutilit, il terzo allornamento16. Al principe richiesto di essere un uomo onesto, coraggioso, giudizioso e garbato, attento ai suoi doveri, esperto in politica e nellarte militare e preparato in ogni disciplina17. Del resto, nella visione leibniziana lo stesso metodo degli studi un modo per giungere allo stato delle azioni perfette, o meglio, allo stato della ragione, che il filosofo chiama habitus 18. Lhabitus una sorta di prontezza ad agire: Status autem iste dicitur Habitus, quem definio: Agendi promptitudinem acquisitam et
13 Cf. G.W. LEIBNIZ, Nova Methodus discendae docendaeque Jurisprudentiae, Praefatio, in Smtliche Schriften und Briefe, hrsg, v.d. Preussischen Akademie der Wissenschaften, Darmstadt, Otto Reichl Verlag, VI/I, 1930 (rist. G. Olms-Verlag, Hildesheim-New York 1971), II, 98, p. 361 (dora in poi Nova Methodus). 14 Cf. G.W. LEIBNIZ, Progetti per leducazione di un principe 1693 e 1703 ( ?), in Scritti politici e di diritto naturale, trad. it. a c. di V. Mathieu, Torino, UTET, 1951, p. 265. 15 Cf. Ivi, pp. 266-267. 16 Ivi, p. 265. 17 Cf. Ivi, pp. 265-266. 18 Cf. G.W. LEIBNIZ, Nova Methodus, I, 1, p. 266.

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permanentem19. Si tratta di uno stato di azioni perfette cui ogni essere deve pervenire. Luomo raggiunge questo stato con lausilio della ragione. In tal senso la permanenza di cui parla Leibniz costanza. Come sostiene Domenico Campanale, la prontezza ad agire non data naturalmente, ma acquisita e permanente20. Sulla base di queste indicazioni lhabitus rationis status, cio spontaneit consapevole o autodeterminazione razionale. Si tratta di fattori del carattere che formano la personalit dellindividuo. Sempre nei Progetti per leducazione di un principe, Leibniz sostiene che la formazione del giovane principe deve avvenire nel rispetto della libert del suo corpo e della sua mente. Al bambino non deve essere proibito di giocare n di fantasticare. Leducazione politica non deve essere separata da quella morale e religiosa: lo spirito deve arricchirsi di sentimenti di virt, di generosit e di carit. Leducazione, inoltre, deve considerare che non v nulla di cos malleabile come la pi tenera et. Molte volte, infatti, si scambia per naturale ci che dovuto alle prime impressioni ricevute nellinfanzia21. Occorre, quindi, aver cura delle prime impressioni del fanciullo, in modo che non ne sia intimorito, addolorato, ingannato o disgustato. la stabilit della verit appresa a rendere solido un insegnamento. Per questa ragione non si pu accondiscendere ad ogni capriccio del bambino: egli ritiene che bisogna evitare sia gli eccessi sia la troppa cautela, che pu degenerare in mollezza22. Il bambino deve divertirsi, ma senza malizia: non sono consentiti scherzi cattivi contro persone o animali. Leibniz, infine, riconosce che in un buon processo di apprendimento bisogna soddisfare la curiosit del bambino. In altri termini, istruirlo divertendolo. Leibniz afferma che gli studi devono iniziare allet di quattro anni e sotto forma di gioco. Lattivit ludica facilita lapprendimento. Attraverso il gioco, infatti, il bambino imparer dapprima le lettere dellalfabeto e in seguito a scrivere23. Inoltre, sempre al fine di facilitare lapprendimento si organizzeranno delle rappresentazioni teatrali. significativo che Leibniz abbia recepito insieme alla necessit della formazione scientifica e culturale limportanza della rappresentazione scenica e delle favole nella formazione
19 Ivi, I, 2, p. 266 (Questo stato si dice Habitus, che definisco: la prontezza acquisita e permanente di agire). 20 Cf. D. CAMPANALE, Il diritto naturale tra metafisica, cit., p. 54. 21 Cf. G.W. LEIBNIZ, Progetti per leducazione di un principe, cit., p. 269. 22 Ibid. 23 Ivi, p. 270.

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del carattere e nelleducazione della ragione24. Linfanzia unet, scrive Leibniz, in cui domina limmaginazione, si deve approfittare di ci per riempirla di mille belle idee25. Limmaginazione si costruisce con materiali fornitici dalla realt. Quanto pi ricca sar lesperienza dellindividuo, tanto pi abbondante sar il materiale di cui la sua immaginazione potr disporre. Lattivit creativa quella che rende luomo un essere rivolto al futuro, capace di dar forma a questultimo e di mutare il proprio presente. Senza limmaginazione, come possibilit di ritenere la traccia dellesperienza anche in assenza della sensazione, non avremmo rappresentazione, richiamo mnemonico, significato logico; non avremmo altres sensibilit emotiva e intelletto, estetica e logica, immagine e significato. Limmaginazione una forma di pensiero che scaturisce da una libera associazione di tutte quelle immagini elaborate dallinventiva che caratterizza lumano. Luomo in grado di elevarsi al di l di se stesso e di ipotizzare con il suo estro linfinito. Vale a dire: pu informare di infinito gli angusti limiti del quotidiano. Uno slancio verso lignoto con cui intuire lincommensurabile, poich solo luomo in grado di deificarsi pu dare una diversa lettura di tutti quei fenomeni complessi e misteriosi che costituiscono loriginaria attivit dello spirito umano. Degno di attenzione, inoltre, lo spazio assegnato da Leibniz alle passeggiate e ai giochi istruttivi, alle illustrazioni e alla costruzione di modelli anatomici, che rappresentano la macchina del corpo umano o delle sue parti. A Leibniz preme, poi, di osservare che ogni giovane studioso debba avere una formazione storica. Vale a dire: deve acquisire delle competenze di storia universale, sacra, moderna e antica. Il filosofo di Hannover si rattrista che in un paese come la Francia les classes suprieures des collegs nenseignassent pas lhistoire et que les matres en ignorassent souvent celle de leur temps; on ny apprenait gure alors que lhistoire ancienne et dans les Universits lenseignement de lhistoire faisait entirement defaut26. Al contrario, in Germania cet ensegneiment tait assez bien organis, surtout dan les Universits ds la fin du XVII sicle27. Leibniz comprende
Cf. G.W. LEIBNIZ, Nova Methodus, I, 28-30, pp. 281-284. G.W. LEIBNIZ, Progetti per leducazione di un principe, cit., p. 271. 26 L. DAVILL, Leibniz Historien, cit., p. 378 (Si lamentava che in Francia le classi superiori dei collegi non insegnassero la storia e che i maestri ignorassero spesso quella dei loro tempi; non vi si apprendeva nientaltro che la storia antica e nelle Universit linsegnamento della storia era completamente assente). 27 Ibid. (In Germania, al contrario, questo insegnamento era molto bene organizzato, soprattutto nelle Universit gi alla fine del XVII sec.).
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che linsegnamento della storia, per essere fecondo, deve essere anche gradevole. E al fine di rendere produttivo lapprendimento di tale disciplina ritiene che si debbano utilizzare come espedienti didattici le carte geografiche e le tavole storiche. Leducazione, osserva Domenico Campanale, nella visione leibniziana consiste non solo nella formazione di buone abitudini, ma anche nel mettere luomo in grado di poter raggiungere lhabitus rationis, che nel processo educativo serve da norma sia alleducazione che alla didattica28. Riteniamo che leducazione sia un processo intenzionale di promozione della persona, in termini individuali e sociali. In altre parole: una riflessione sul dover essere della persona e della societ. Del resto, sostiene Luca Basso, non dimentichiamo che in Leibniz anche presente una visione molto pratica della politica. Leibniz non solo un filosofo politico e un filosofo del diritto, ma anche un politico, un diplomatico, nonch un giurista attento ad ogni singola situazione dellesperienza umana. Al riguardo, occorre sottolineare che Leibniz conosce molto bene i meccanismi politici e costituzionali presenti nellEuropa del tempo, grazie ai suoi viaggi29. Il filosofo traccia unanalisi della politica che ogni Stato dovrebbe seguire per essere il migliore che si possa concepire. Bisogna che i cittadini, sostiene Leibniz, siano contents e modrs30.
Mais maintenant je ne traite pas de lutilit publique lgard des gouvernants, mais pour elle-mme. [] En second lieu, il faut faire en sorte que tous les citoyens soient modrs ou bien quils puissent rgler leurs affections31.

La prudenza d alluomo tranquillit, conserva la serenit del suo spirito e fa in modo che le sue azioni scaturiscano dalle sue capacit e non dal caso. Alla base del discorso sta un nesso insolubile di competenza, capacit a migliorare, specializzazione e perfezionamento delle stesse competenze. Sicuramente lindividualit prassi. Per questa ragione, diversamente da coloro che separano teoria e prassi, il filosofo considera la dimensione del pensare nella pratica. In questa prospettiva, il giusto ordine quello che ogni individuo occupa conformemente alle sue capacit ed ai suoi meriti: giusto che ad ogni uomo siano date le stesse possibilit (sebbene reagisca in
D. CAMPANALE, Il diritto naturale tra metafisica, cit., p. 55. L. BASSO, Individuo e comunit nella filosofia politica di G.W. Leibniz, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, p. 13. 30 Cf. G.W. LEIBNIZ, De la plus importante rgle de droit (1678 ?), in Le droit de la raison (Textes runis et prsents par Ren Sve), Paris, Vrin, 1994 (dora in poi DR), p. 153. 31 G.W. LEIBNIZ, De la plus importante rgle de droit (1678 ?), in DR, p. 152.
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modo diverso a quello che la sua natura o la societ gli fornisce)32. Lazione individuale partecipa dellordine universale attraverso linteriorit espressiva della monade. Si tratta della relazione tra universalit e particolarit pensate come struttura della consistenza di individuale e comune. A tale argomento viene inoltre aggiunta la notazione per cui luomo ha il diritto naturale di potersi migliorare, e lo Stato che lo rappresenta deve garantirgli le opportunit necessarie allesplicazione dello scopo. In questottica leducazione la pi importante delle possibilit che lo Stato deve garantire allindividuo. Per questo motivo i giovani devono conoscere la costituzione e le leggi del loro paese, nonch quelle degli altri paesi33. Leibniz ritiene che il faut bien duquer la jeunesse34, giovent che ununit di differenze animata da una pluralit di ispirazioni particolari. In tal senso il compito di Leibniz quello di far coesistere una pluralit di soggetti in una dimensione unitaria che non sia rigida reductio ad unum. In unEuropa dilaniata dalle guerre di religione, Leibniz andato al di l dei suoi tempi, superando il senso delle sue quaestiones. A tal proposito Meinecke scrive: Dipende dai tempi e dagli uomini che determinate idee dei grandi pensatori siano destinate a manifestare pienamente la loro fecondit, nel qual caso poi finiscono ordinariamente col superare di gran lunga le intenzioni dei loro autori, e cos contribuiscono alla creazione del nuovo35. Si tratta di un passaggio obbligato per pervenire allemancipazione culturale di una ragione-strumento che sappia tracciare un piano vero di rigenerazione sociale, dove acquistano una configurazione vera, ossia conseguente alle forze della natura, le relazioni morali, sociali ed ideali degli uomini36. In questa prospettiva, la ricerca leibniziana dellarmonia diviene lelemento unificante della profonda differenziazione dellesistente. la valorizzazione di un orizzonte in movimento che vede i cittadini rivolti al bene comune, alla piet, allamore per chi li governa, allamore per i loro corpi, alla virt, al decoro che molto pu sul prossimo, amici tra loro, esperti in molti campi, non indigenti perch lindigenza rende luomo miserabile e lo abbrutisce37.
32 Cf. G.W. LEIBNIZ, Les divisions de la justice, in DR, p. 145 : Le fondement du droit priv est lgalit, puisque discerner la supriorit est trs difficile; de l avant de trouver une norme certaine de celle-ci, tous les hommes doivent tre considrs comme gaux. 33 Cf. G.W. LEIBNIZ, Nova Methodus, I, 41-42, pp. 291-292. 34 G.W. LEIBNIZ, Projet dun mmoire pour le Tzar (1708), in DR, p. 242. 35 F. MEINECKE, Le origini dello storicismo, Firenze, Sansoni, 1954, p. 15. 36 G. IMBRUGLIA, Ragione, in lIlluminismo. Dizionario storico (a c. di V. Ferrone e D. Roche), Bari, Laterza, 1997, p. 84. 37 Cf. G.W. LEIBNIZ, De la plus importante rgle de droit (1678?), in DR, pp. 153-154.

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Per lo spirito scientifico ogni fenomeno in effetti un momento del pensiero teorico, uno stadio del pensiero discorsivo, un risultato preparato. Esso viene piuttosto prodotto che indotto. Lo spirito scientifico non pu essere soddisfatto legando in modo puro e semplice gli elementi descrittivi di un fenomeno a una sostanza, senza nessuno sforzo per stabilire una gerarchia, e senza determinare in modo preciso e dettagliato le relazioni con gli altri oggetti1.

0. Introduzione Ora, io so bene, e non far nulla per nasconderlo, che in realt sono andato scoprendo solo poco a poco, anche sul terreno della ricerca, i principi che orientavano la mia pratica2. Le parole di P. Bourdieu che aprono queste considerazioni tracciano una traiettoria. La pratica del sociologo, la pratica del ricercatore sociale, la pratica del filosofo, la pratica di un soggetto3 che vivendo il suo habitus scisso4, arriva a delineare la propria intera teoria sociale, del sociale, il proprio modo di fare ricerca. La vaga5 linea di confine fra il momento teoretico, la sfida euristica e il vivere la propria scienza6. Scopo delle presenti riflessioni quello di fissare un momento, un singolo attimo, allinterno di un percorso di ricerca teorico di questo tipo, che ha come controparte euristica la costruzione7 e descrizione di un moBACHELARD (1938, p. 119). BOURDIEU (2002, p. 12). 3 Per la descrizione di soggetto qui utilizzata si rimanda al par. 3. 4 Per la descrizione di habitus e di habitus scisso qui utilizzata si rimanda al par. 12. 5 Per la descrizione di vaghezza qui utilizzata si rimanda al par. 13. 6 Una Scienza che vive la propria complessit di iperspecializzazione e contestuale bisogno di andare al di l delle singole discipline in maniera di volta in volta differente. Si entra, imboccando questa strada, allinterno dei, a loro volta complessi, rapporti tra Scienza e scienze e tra Scienza e differenti dimensioni del sociale. 7 Per la descrizione di costruzione qui utilizzata si rimanda al par. 8.
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dello8, di un modo, di una declinazione del linguaggio della sociologia. Declinazione che essa stessa una costruzione, nelle sue dimensioni e nella sua processualit. Problema: il linguaggio con il quale ed attraverso il quale questo processo emerge; queste prime considerazioni introduttive ne sono forse un esempio. Verranno forniti una serie di termini, non una traduzione, n un tentativo di chiarificazione, semplicemente un modo di guardare alla vaghezza del rapporto complesso tra linguaggio naturale e linguaggi scientifici (della sociologia, della filosofia, della matematica, etc.), ad oggi, in maniera non sicuramente esaustiva, ma allinterno di una continua e costante interrogazione. Questa non altro, forse, che una sintesi ed una messa alla prova nel mezzo del cammino. 1. Realt Che cosa la realt? Fornire una risposta a questa domanda pu forse rappresentare lintera impresa scientifica di un autore, di uno scienziato, di un filosofo, come anche, daltra parte, di un uomo che vive semplicemente il mondo della vita di tutti i giorni9. Due aspetti da affrontare: il primo, la risposta sempre e comunque quella fornita da uno studioso, quindi, non un qualcosa di assoluto, meglio un qualcosa con un grado di assolutezza allinterno, per, di ogni singola e specifica costruzione teoretica con la quale e per mezzo della quale si deve instaurare e risolvere una tensione con il mondo che l fuori, che comunque c. Secondo, usare lespressione il vivere semplicemente il mondo della vita di tutti i giorni, non un voler ridurre lesperienza del quotidiano su un solo ed unico livello. Nel mondo di tutti i giorni le nostre esperienze appartengono e determinano dimensioni sociali di questo mondo differenti tra loro10. Lo stesso avviene nel momento in cui vogliamo studiare scientificamente il mondo delle relazioni sociali. I livelli ontologici, le dimensioni del reale, che posseggono una propria autonomia e contestualmente una continua relazioPer la descrizione di modello qui utilizzata si rimanda al par. 9. Se domando Qual la forma generale della proposizione?, mi si pu replicare: Ma abbiamo un concetto generale di proposizione che vogliamo ora /semplicemente/ esprimere in modo esatto? Cos come: abbiamo un concetto generale di realt? WITTGENSTEIN (1929-1938, 15.7); cf. anche PEIRCE (1878a). 10 Differenti, ma che, tuttavia, sfumano le une nelle altre; non si sovrappongono, sfumano, per arrivare alla costruzione di una complessit del sociale.
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ne le une con le altre11, se viste separatamente producono risultati parziali, forse pi semplici ed immediati da ottenere, ma sicuramente non descrivono il reale; ne determinano porzioni, ma non ne colgono la complessit. 2. Sfera Lungo le singole dimensioni della realt, cos come nella realt stessa come tutto complesso possiamo individuare come punto di partenza dellanalisi le sfere sociali. Con questo termine entriamo allinterno delle relazioni di una cosiddetta scienza sociale con la pi dura e formalizzata matematica. Scienza sociale, la sociologia, che fin dai primissimi momenti della propria storia ha spesso visto nellesigenza di una espressione in termini matematici dei propri risultati una delle discriminanti della propria scientificit. Il rivolgersi al numero, alla percentuale, ai metodi inferenziali e processuali della matematica, delle matematiche, stato spesso una strada precisa da imboccare ed un obiettivo preciso da raggiungere. Nel momento in cui, lungo la nostra traiettoria, usiamo il termine sfera, tuttavia, rendiamo complesso questo rapporto sociologia-matematica. Una sfera nel mondo delle relazioni sociali non solo, ma nello stesso tempo non del tutto, una sfera come descritta allinterno di una formalizzazione geometrica, di qualsiasi tipo essa sia. Non lo pu essere12. La determinazione, la descrizione, di sociale pone dei problemi sia per quanto riguarda la forma che il contenuto delloggetto sfera allinterno del linguaggio della sociologia e di quello della matematica presi distintamente, ma anche nel momento in cui i due linguaggi confluiscono nel movimento di costruzione ed analisi degli oggetti sociologici. Una sfera sociale rappresenta/ linsieme (altro termine matematico e sociologico) delle pratiche sociali dei soggetti. Del loro vivere, del loro essere, del loro agire e del loro stesso relazionarsi.
11 Relazione nella quale, attraverso la quale e per mezzo della quale, sfumano le une nelle altre. Lo sfumare che viene riproposto pi volte una caratteristica strutturale, logica e non solo, propria della strategia di gestione ed analisi della vaghezza del reale, in tutte le sue forme e dimensioni. La ricerca stessa una relazione, in questo contesto. 12 Si dovrebbe infatti, prima di tutto, determinare cosa un oggetto matematico, quale tipo di filosofia giace dietro le determinazioni matematiche, quindi, istaurare una serie di relazioni tra gli oggetti matematici e gli oggetti sociologici. Una sola filosofia dietro tutto questo? Pi approcci filosofici? Pi approcci sociologici? Pi approcci matematici? Bisogna rispondere a queste domande.

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Nel momento stesso in cui si utilizza, il termine insieme deve essere comunque descritto e costruito nei termini di una formalizzazione matematica, che ha, quindi, come riferimento una posizione filosofica che determina anche lo stesso modo di descrizione e costruzione dei fenomeni sociali. Ricapitoliamo: le dimensioni del termine sfera sociale sono da un lato quella formale, dallaltro quella del contenuto. La prima riguarda il momento della costruzione e delluso delle tecniche e degli strumenti di ricerca ed analisi (matematica); la seconda, il momento in cui si costruisce loggetto sociologico da investigare (sociologia). Due dimensioni che necessariamente devono tener conto luna dellaltra. In questo modo possibile costruire una rete dove i nodi non sono solo ed esclusivamente dei punti, ma delle sfere di esperienze e significati, sfere che vengono collegate e descritte allinterno e per mezzo di una topologia del sociale13. Rete che partendo dalle acquisizioni della social network analysis tradizionale ne modifica in parte le determinazioni. Entrano in gioco i termini di soggetto, struttura, relazione allinterno di una prospettiva relazionale e processuale. 3. Soggetto La costruzione delle sfere riguarda in primo luogo i soggetti. Il soggetto il primo termine dellunit complessa di base dellanalisi del sociale, del mondo della vita di tutti i giorni. Non lo si pu analizzare in modo disgiunto dagli altri due (che affronteremo tra breve), ma nello stesso tempo ne possiamo dare una descrizione propria14. In prima istanza possiamo caratterizzarlo come un insieme di posizioni allinterno dello spazio sociale, che costruisce, si muove, lungo una determinata traiettoria sociale. Cosa vuol dire insieme di posizioni? Con questa
13 Un buon punto di partenza pu essere: Il luogo, topos, pu essere definito assolutamente come il sito in cui una cosa o un agente ha luogo, esiste, insomma, come localizzazione o, relazionalmente, topologicamente, come una posizione, un rango in un ordine, BOURDIEU (1997, p. 138). 14 La societ il fine ultimo e lindividuo soltanto un mezzo, l'individuo il fine ultimo e lassociarsi degli uomini in societ soltanto un mezzo per il loro benessere: entrambe le enunciazioni sono le parole dordine che i gruppi contrapposti inalberano in riferimento alla loro situazione attuale, alle loro angustie e ai loro interessi quotidiani. Entrambe esprimono qualcosa di ci che i due gruppi desiderano che debba essere, ELIAS (1987, p. 19). La nostra descrizione vuole andare al di l di queste due posizioni, seguendo anche, sotto determinati rispetti, le indicazioni dello stesso Elias. Andare al di l per ricomporle secondo una logica differente, non della mutua esclusivit, ma della complessit.

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espressione vogliamo descrivere le dinamiche dei vissuti esperienziali del soggetto lungo le singole dimensioni, i singoli livelli ontologici che costituiscono il reale. Dimensioni e livelli che, in altre parole, sono le singole esperienze, nei diversi momenti della vita di tutti i giorni; esperienze che il soggetto si trova a vivere, determina, ma nello stesso tempo ne determinato nel modo di affrontare il suo quotidiano. Limmagine di partenza non pu che essere quella di un diagramma cartesiano, ma se si accettasse in modo definitivo questa rappresentazione, si utilizzerebbe il linguaggio della matematica in termini di pura applicazione al mondo sociale, non di contestuale determinazione matematica e sociologica di un linguaggio proprio della sociologia. Il soggetto non si pu trovare n al centro degli assi, origine, punto zero; n tanto meno pu essere una semplice coordinata. La sfida quella di far interagire tra loro matematica e sociologia, linguaggio della matematica e linguaggio della sociologia, in modo tale da non avere una semplice quantificazione, riduzione, traduzione di un vissuto esperienziale che non pu essere isolato15 in una serie di numeri16. Questo sia per quanto riguarda il momento teorico, che quello conseguente di predisposizione dei metodi, fino alla conclusiva costruzione ed uso delle tecniche di analisi, i cui risultati ritornano poi sulla e nella teoria. Il soggetto agisce, sottoposto a forze sociali costruite dalle relazioni con altri soggetti a loro volta in relazione tra loro. Pu essere individuale o collettivo, comunque complesso. Non il prodotto della societ, come non n il semplice produttore; non al di fuori del tempo, non il centro del tempo. Vive allinterno della storia che modifica e ne modificato. Vivendolo modifica il passato in relazione al proprio oggi, preparando il suo futuro. Il soggetto sociale sempre comunque un soggetto in relazione con strutture. 4. Struttura Il discorso riguardante i soggetti, quindi, inscindibile da quello riguar15 Non si pu analizzare una dimensione per volta, non si pu analizzare solo una dimensione staccandola da tutto il resto della realt sociale del soggetto, del suo vivere allinterno di una realt complessa. Ogni singola esperienza parte (ha in s), tra laltro, da tutte quelle passate che portano il soggetto a vivere loggi; questo vivere, a seconda del problema da affrontare loggetto di studio di volta in volta diverso (eppure unico). 16 Ancora una volta bisognerebbe prima identificare il concetto di numero che si vuole utilizzare.

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dante le strutture sui differenti piani che descrivono le strutture stesse. Secondo termine dellunit complessa. Secondo non logicamente, n tanto meno temporalmente o nel senso di derivato dal primo. Anche per le strutture sociali possiamo affrontare il problema su differenti livelli di analisi. In primo luogo, una struttura sociale un qualcosa con il quale ci confrontiamo, quindi, un oggetto presente, sotto qualche forma ed in qualche modo agente su di noi nel mondo esterno. In secondo luogo, questo oggetto pu esistere nel momento in cui si decide che esiste: viene progettato, costruito, determina ed determinato nella sua realt dai soggetti che si trovano ad interagire con esso, sia da un punto di vista esterno, che da un punto di vista interno17. Una struttura in interazione con soggetti che le sono esterni, ma nello stesso tempo determinata da soggetti che ne sono allinterno: dal complesso sistema delle relazioni sociali tra tutti questi soggetti ed essa stessa. Tuttavia, nel momento in cui i soggetti esterni entrano in interazione con la struttura in questione ne fanno in un qualche modo parte: processo di ricorso di organizzazione18 che esemplifica una dinamica della complessit del reale. Ulteriore livello quello che si pu individuare come momento formale della struttura: la struttura come momento formale e insieme di contenuti di significato. il modo, il processo attraverso il quale, le relazioni ed i soggetti si co-determinano. Una struttura, quindi, pu anche essere identificata con le modalit stesse con le quali i soggetti sociali possono entrare in relazione tra loro; specularmente, il modo in cui le relazioni possono connettere tra loro i soggetti. Le forme strutturano i significati che a loro volta si concretizzano nelle, e danno vita alle, forme. Descrivere una struttura come linsieme di forma e contenuto vuol dire andare al di l, ad esempio, di un uso della social network analysis e delle sue determinazioni in termini di reti che guarda puramente alla conformazione delle rappresentazioni dei grafi di rete, o delle matrici che traducono quelle rappresentazioni e vi operano attraverso trasformazioni logiche, algebriche, statistiche. Strutture simili, reti strutturalmente equivalenti19, lo sono in ragione della
17 Questo processo avviene non solo nella vita effettiva di tutti i giorni, ma anche nel momento in cui un ricercatore sociale si pone un oggetto di studio ed analisi, un fenomeno da descrivere e discutere. Questo secondo aspetto rientra nel processo di oggettivazione delloggettivato. Cf. BOURDIEU (2001). 18 Cf. MORIN (1977); MORIN (1991). 19 Per una descrizione classica cf. LORRAIN, WHITE (1971); WHITE, BOORMAN, BREI-

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loro forma che determinata dal loro contenuto di significati sociali, ma nello stesso tempo determina i significati sociali che la costituiscono. Tutto questo deve essere presente nel momento dellinterazione degli oggetti del linguaggio della sociologia con gli oggetti del linguaggio della matematica. In altre parole le strutture non sono solo forme, insiemi di contenuti, rappresentazioni o oggetti, ma una costruzione che tiene conto di tutto questo. Il tutto complesso si comprende meglio nel momento in cui introduciamo il termine relazione. 5. Relazione Non si pu e non si deve guardare solo ed esclusivamente ai soggetti ed alle strutture, lo abbiamo visto nella discussione di questi oggetti, entrano comunque in gioco le relazioni. Terzo termine dellunit complessa. dal gioco complesso tra soggetto, struttura e relazione che il fenomeno sociale nasce e attraverso il quale pu essere descritto ed analizzato. Anche per questa (la relazione20) si pu individuare un livello pi strettamente logico, formale, che diventa matematica per poi tornare ad essere sociologia. In altri termini, il linguaggio della matematica e quello della sociologia si incontrano ancora una volta nella proposta teorica, di ricerca ed analisi del sociologo21. Una relazione tale nel momento in cui connette tra loro due oggetti,
(1976); WASSERMAN, FAUST (1994); CARRINGTON, SCOTT, WASSERMAN (2005, eds.). Per lidentificazione del cosiddetto equivoco strutturale cf. SALVINI (2005). 20 Un buon punto di partenza che permette di comprendere come loggetto relazione si declini su pi livelli pu essere: Non solo ogni fatto in realt una relazione, ma il nostro pensiero lo rappresenta implicitamente come tale. Cos quando uno pensa questo bianco il dimostrativo questo mostra che egli sta pensando a qualcosa che viene portato a sua conoscenza; mentre laggettivo mostra che egli riconosce unidea familiare come applicabile a tale oggetto. Cos, il nostro pensiero, quando venga spiegato, si sviluppa nel pensiero di un fatto concernente loggetto in questione e concernente la bianchezza. Ancora si deve ammettere che, prima che il nostro pensiero venga analizzato, non pensiamo effettivamente allessere bianco come a un oggetto distinto, e perci non pensiamo alla relazione come una relazione. Cos lemissione di vapore dalla locomotiva, pu essere pensato come una mera azione della locomotiva, ed il vapore non viene allora considerato come una cosa distinta dalla macchina. quello che esprimiamo dicendo la locomotiva sbuffa, PEIRCE (1892, 3.417). 21 Entrambi, linguaggio della sociologia e linguaggio della matematica, sono a loro volta in relazione con quello naturale, singolarmente ed insieme, allinterno del circuito della complessit.
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almeno due oggetti tra i quali la relazione stessa nasce e determina, nel suo complesso, un oggetto di altro tipo. Una relazione sociale, quindi, connette tra loro oggetti sociali22; si possono avere relazioni su pi ordini, dipende da quali sono i poli da connettere. Tuttavia, non un qualcosa di derivato, dipende certo da ci che in relazione, ma nello stesso tempo lo determina e modifica. Ancora una volta non ci sono relazioni perch ci sono oggetti da mettere in relazione tra loro (o che sono gi in relazione tra loro), come non ci sono oggetti distinti solo perch sussiste, pu essere costruita e/o identificata, una qualche relazione che li individua. La relazione pu essere descritta come un oggetto complesso. Cosa vuol dire questo? Primo: sullo stesso livello logico dei soggetti e delle strutture: sono i soggetti ad essere in relazione tra loro con, allinterno e costruendo strutture. Secondo: nella tensione tra relazioni, soggetti e strutture si costruisce il fenomeno sociale. Terzo: contiene, struttura ed strutturata dal senso delle esperienze dei soggetti. Contiene perch ogni singola relazione nasce ed formata nel suo essere nel mondo reale attraverso e per mezzo delle esperienze dei soggetti, esperienze che non possono non essere relazionali; struttura, perch il soggetto, in relazione, deve comunque tener conto (esplicitamente o implicitamente) di non essere isolato, quindi, le stesse relazioni che vive, gli dicono, in un qualche modo come le pu vivere; strutturata, perch contestualmente determinata da queste possibilit dei soggetti. Allinterno della social network analysis, possiamo vedere tutto questo, ad esempio, nel modo in cui i differenti nodi sono tenuti insieme da links e ne emerge una struttura: la relazione data dallintero diagramma, dai possibili nodi e dalle possibili connessioni tra nodi nel momento dellinterazione tra linguaggio della sociologia (costrutti sociologici) e linguaggio della matematica (formalizzazioni allinterno di una matematica). Queste reti non sono allinterno di un vuoto, ma vivono e si modificano nello spazio sociale. 6. Spazio Allinterno di queste considerazioni lo spazio23 non pu essere identificato
22 Come sar chiaro dallintera discussione, gli oggetti sociali, possono essere descritti come lunit complessa di soggetto-relazione-struttura. In questo modo si vede anche la determinazione ricorsiva dellemergenza delle relazioni. 23 Punto di partenza pu, quindi, essere: Nello spazio sociale, gli individui non si spostano a caso, da un lato, perch le forze che danno a questo spazio la sua struttura si impongono

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in maniera esclusiva con lo spazio fisico. Se cos fosse, se lo spazio sociale fosse una traduzione dellidea di spazio fisico24, si avrebbe un uso della matematica e della fisica tale per cui entreremmo allinterno di un determinismo meccanicista di tipo classico, o da questo direttamente derivante25. Lo spazio sociale una costruzione stessa sia dei soggetti che lo vivono, sia del ricercatore che vuole studiare determinati fenomeni sociali; ricercatore che delinea, in questo modo, lo spazio sociale nel quale questi fenomeni avvengono in relazione alla disposizione spaziale dei soggetti, delle strutture e delle relazioni. Il termine spazio racchiude al suo interno, per mezzo dei vissuti esperienziali dei soggetti e dei ricercatori sia le sfere sociali che la costruzione complessa che ne emerge dei campi sociali. La stessa scienza un campo sociale. In questo modo possiamo vedere come la strutturazione del mondo della vita di tutti i giorni sia una strutturazione che produce ed prodotta da pratiche sociali, dei soggetti che lo vivono e dei soggetti che lo studiano. Coesistono, quindi, relazioni tra soggetti e strutture e tra habitus e campi: il tutto allinterno dello spazio sociale. Spazio sociale, strutture che sono comunque un qualcosa di differente dai sistemi. 7. Sistema Il termine sistema viene delineato in relazione alla idea di complessit che soggiace a queste considerazioni. Il concetto di sistema complesso26 quello
a loro (per esempio attraverso i meccanismi oggettivi di eliminazione e di riorientamento) e, dallaltro, perch impongono alle forze del campo la propria inerzia, cio le loro propriet, che possono sussistere in forma incorporata, come atteggiamenti, o in forma oggettivata, nel possesso di beni, titoli, ecc. Ad un determinato volume di capitale ereditario corrisponde una gamma di traiettorie pressappoco egualmente probabili, che portano a posizioni pi o meno equivalenti: si tratta del campo delle possibilit oggettivamente offerte ad un determinato agente sociale; mentre il passaggio da una traiettoria sociale allaltra dipende spesso da avvenimenti collettivi guerre, crisi, ecc. o individuali incontri, legami, protezioni, ecc. che, in genere, vengono descritti come casi fortunati (o disgraziati), nonostante che anchessi dipendano statisticamente dalla posizione e dagli atteggiamenti di coloro che ne sono toccati (per esempio dal senso delle relazioni, che consente a coloro che posseggono un consistente capitale sociale di conservare o di accrescere questo capitale); quando non sono addirittura controllati dagli interventi, istituzionalizzati (clubs, riunioni di famiglia, sodalizi di ex, ecc.) o spontanee, da parte degli individui o dei gruppi., BOURDIEU (1979, pp. 111-112). Punto di partenza che, tuttavia, non anche un punto di arrivo definitivo. 24 Anche nel senso di una spazializzazione metrica del sociale. 25 Cf. ISRAEL (1996; 2002). 26 Il sistema allo stesso tempo pi, meno, qualcosa di diverso dalla somma delle parti. Le parti stesse sono meno, in certi casi pi, in ogni modo diverse da ci che erano o che

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che ci permette di vedere gli elementi di base soggetto, struttura, relazione, come una unit, una unit complessa. In questo modo si va al di l di descrizioni che possono essere identificate come olistiche, individualistiche, formalistiche. In primo luogo il sistema non contrapposto al soggetto. Non si ha una dicotomia netta e forte tra sistema e soggetto, questultimo componente necessaria del primo, ma nello stesso tempo non si pu analizzare se non alla luce, allinterno delle dinamiche dei sistemi stessi. I sistemi sono sempre e comunque sistemi di soggetti che si relazionano con altri soggetti; ma nello stesso tempo i soggetti determinano i sistemi. C il rischio di confondere, a questo punto, sistema e struttura, ma lo stesso percorso seguito per delineare la tensione tra sistema e soggetto deve essere contestualmente seguito nella analisi della relazione tra sistemi e strutture. Un sistema sociale non una struttura sociale, come non una semplice somma di pi strutture. In secondo luogo, allinterno del sistema complesso non vi , quindi, una predominanza di uno dei tre elementi, ma la loro interazione complessa, continua, dinamica, ricorsiva e, quindi, non lineare che permette di costruire il sistema stesso. In questo modo, lanalisi contestualmente su pi livelli: non si ha un obbligo di scelta tra sistema e soggetto, il soggetto coesiste con il sistema allinterno dellunit di analisi grazie alla sua dinamica con le strutture e le relazioni. Anzi, proprio lunit complessa di base che, caratterizzando i sistemi, li determina nel mondo della vita di tutti i giorni. Vanno, quindi, riconsiderate le descrizioni del rapporto tra un sistema e le sue parti. Le classiche analisi che estendono le propriet del sistema alle parti o, viceversa, quelle delle parti al sistema, su cui si basano gli approcci olistici e individualistici, partono dallidea di dover analizzare esclusivamente strutture o soggetti. La relazione diviene un problema. Possiamo, quindi, definire sistema una concretizzazione dellunit complessa in un dato momento storico. Ovviamente nello stesso momento possono coesistere pi concretizzazioni, quindi, pi sistemi. Concretizzazioni che sono costruzioni. 8. Costruzione La costruzione in un certo senso lo stile e lapproccio epistemologico,
sarebbero esternamente al sistema, MORIN (1977, pp. 147-148). Sistema, che, quindi, non quello fornito dalla descrizione di N. Luhmann (1984).

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di ricerca teorico ed empirico, dellintera proposta che qui stiamo delineando. In effetti avremmo dovuto dire costruendo. Punto di partenza e di riferimento pu essere:
Tutto il mio progetto scientifico infatti si fonda sulla convinzione che non dato cogliere la logica pi profonda del mondo sociale se non immergendosi nella particolarit di una realt empirica, storicamente situata e datata, ma solo per costruirla come caso particolare del possibile, secondo la formula di Gaston Bachelard, ossia come tipo di configurazione in un universo finito di configurazioni possibili27.

I differenti livelli ontologici hanno sempre e comunque una tensione con il mondo esterno, questo ovviamente non costruito nella sua propria determinazione, ma ne sono costruite le modalit, gli strumenti, con i quali e per mezzo dei quali noi entriamo in relazione con esso. questo che costituisce le dimensioni ontologiche dei fenomeni sociali, come anche lintera serie degli strumenti e delle modalit e categorie che ci permettono di studiare ed analizzare i soggetti, le relazioni, le strutture nel mondo della vita di tutti i giorni. Le differenti dimensioni che costituiscono la realt le permettono di acquisire la determinazione di sociale nel momento in cui il ricercatore, con un atto intenzionale, si rivolge verso il mondo esterno ed inizia a costruire le modalit della propria osservazione. Costruisce la propria osservazione, che non pi, quindi, una operazione di registrazione, un tentativo di tradurre un qualcosa di gi dato ed inserirlo allinterno di uno schema di riferimento, di un approccio scientifico, di una costruzione gi data. la costruzione del sapere del ricercatore, delle dimensioni lungo cui si svolgono i fenomeni sociali. La costruzione stessa dei fenomeni sociali. Porre sotto analisi questo processo vuol dire trattare la stessa sociologia come un oggetto. Dallinterazione tra il linguaggio della sociologia ed il linguaggio della matematica emerge una modalit di costruzione degli oggetti teorici e del modo di costruirli come oggetti scientifici. Da questa interazione emerge unaltra dimensione, un altro linguaggio: il modello. 9. Modello Fin dallinizio di questa descrizione, nel momento in cui abbiamo preso
27

BOURDIEU (1994, p. 14).

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in esame il termine realt, la tensione con e tra il/i linguaggio/i stato uno dei fili conduttori del nostro discorso, ora possiamo aggiungere un ulteriore passaggio. Le prime considerazioni che dobbiamo fare sul termine modello riguardano la tensione che pu instaurarsi tra luso di un modello di realt e la realt del modello28. Tensione che pu essere considerata come un problema nel momento in cui per realt del modello si intende estendere alla realt esterna le determinazioni di un preciso modello, prescindendo dalle considerazioni che hanno portato alla costruzione di questo ed operando una pura e semplice identificazione del mondo della vita di tutti i giorni con una posizione teorica che lo identifica come ontologicamente unitario. Un modello un linguaggio, una determinazione diagrammatica29, non necessariamente per diagrammi30, con il quale leggere i fenomeni sociali. Con determinazione diagrammatica vogliamo intendere le caratteristiche che questo linguaggio possiede; caratteristiche che permettono di com28 Non si pu non citare un testo nel quale Wittgenstein con una certa disinvoltura raccoglie tutte le questioni evitate dallantropologia strutturale e senza dubbio pi in generale da qualunque intellettualismo, che trasferisce la verit oggettiva stabilita dalla scienza in una pratica che esclude la postura in grado di rendere possibile stabilire tale verit: Che cosa chiamo la regola in base alla quale procede? Lipotesi che descrive in modo soddisfacente il suo uso delle parole che noi osserviamo; o la regola che tiene presente nellusare i segni; oppure quella che per tutta risposta ci enuncia quando gli chiediamo qual la regola cui si attiene? Ma, se losservazione non ci permettesse di riconoscere chiaramente alcuna regola, e la nostra domanda non ne mettesse in luce nessuna? Infatti alla mia domanda: che cosa intendesse per N, mi ha bens dato una definizione; ma era pronto a ritirarla e a modificarla. Dunque, come devo determinare la regola secondo cui giuoca? Non lo sa neppure lui. O, pi correttamente: che cosa vuole ancor dire, qui, lespressione: Regola secondo cui procede!. Fare della regolarit, cio di ci che si produce con una certa frequenza, statisticamente misurabile, il prodotto del regolamento coscientemente istituito e coscientemente rispettato (ci che presupporrebbe che se ne spieghi la genesi e lefficacia), o della regolazione inconscia di una misteriosa meccanica cerebrale e/o sociale, significa voler scivolare dal modello della realt alla realt del modello: Consideriamo la differenza tra il treno ha regolarmente due minuti di ritardo ed la regola che il treno abbia almeno due minuti di ritardo: [...] in questultimo caso si suggerisce che il fatto che il treno sia in ritardo di due minuti in accordo con una politica o un piano [...]. Le regole rinviano a dei piani e a delle politiche, non cos le regolarit [...]. Pretendere che debbano esserci delle regole nella lingua naturale equivale a pretendere che le strade debbano essere rosse perch corrispondono a delle linee rosse su una carta, BOURDIEU (1972 (2000), pp. 202-203). Bourdieu, quindi, cita direttamente prima L. Wittgenstein (1941-1949, 82) e poi P. Ziff (1960, p. 38). 29 Cf. PEIRCE (1902, 2.277). 30 Intesi come figure geometriche, o esemplificazioni quali i diagrammi di flusso. Se fosse solo questo, si avrebbe di nuovo un mera traduzione, una applicazione non problematizzata di un linguaggio (spesso quello della matematica) ad oggetti di un altro linguaggio.

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prendere come sia effettivamente una questione riguardante il linguaggio la costruzione stessa di un modello. Un modello non quindi una parte o una esemplificazione o una riduzione funzionale di una teoria. Questo sia per ragioni logiche, che per considerazioni epistemologiche. Un modello pu, quindi, essere descritto come la costruzione di significati scientifici attraverso la tensione tra differenti linguaggi. Tensione che genera possibilit duso allinterno della riflessione teorica, della progettazione di metodi e costruzione ed applicazione di tecniche. La costruzione del modello una delle pratiche sociali del ricercatore nel campo della scienza. Pratica sociale, che come tutte le altre, strutturata su e da vincoli e possibilit. 10. Vincolo Possibilit Vincolo e possibilit non possono essere analizzati separatamente, a differenza dellunit complessa di base soggetto-strutture-relazioni. Rappresentano, sono, i meccanismi interni dellintero processo: le due facce di una medaglia che la stessa operazione del conoscere. Non si d vincolo che non sia contestualmente anche possibilit31. Nel momento stesso in cui decidiamo di costruire, costruiamo, le nostre descrizioni del fenomeno sociale, delineiamo vincoli logici, epistemologici, tecnici. Non barriere insormontabili32, ma guide sfumate lungo il percorso. In questo modo ogni vincolo una serie di possibilit, di opzioni che permettono di proseguire e determinare altri vincoli. Il tutto non avviene allinterno di un laboratorio asettico e rigidamente controllato, ma nel mondo della vita di tutti i giorni, nel mondo della costruzione di conoscenza scientifica, mondi che ammettono, se non anelano, la possibilit di serendipity33. Nel momento in cui diciamo che non sono barriere insormontabili lasciamo aperta la porta alla vaghezza. Sicuramente i vincoli biologici sono
31 Mentre i soggetti non sono strutture e non sono relazioni, ma i tre oggetti si determinano reciprocamente, anche in termini di vincoli e possibilit, questi ultimi sono in effetti ununica determinazione funzionale. 32 Pu anche accadere che lo siano, ma anche questa una possibilit determinata da un particolare vincolo, che determina a sua volta altri particolari vincoli. Siamo nel mondo in cui leccezione la regola, non quello chiuso e ben ordinato della logica classica, ma quello pi dinamico delle descrizioni vaghe e caotiche. 33 Anche in relazione al processo abduttivo cf. PEIRCE (1878b); PEIRCE (1901); MERTON (1949 [1968]); MERTON, BARBER (1992).

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invalicabili, ma solo se determinano in modo diretto, lineare, univoco le proprie possibilit di riferimento. Il corpo delluomo non pu volare, ma luomo vola. Entrano in gioco gli spazi delle disposizioni sociali. 11. Disposizioni Le disposizioni34 sono la possibilit di azione di ogni singolo soggetto allinterno dellunit complessa con le strutture e le relazioni concretizzatasi lungo la traiettoria del soggetto. Possibilit concretizzatasi che apre a nuove possibilit. Rappresentano, sono, la tensione tra il contenuto delle singole posizioni e linsieme stesso delle posizioni del soggetto35. Lo spazio delle disposizioni di volta in volta il punto di partenza di ogni singolo soggetto nel suo vivere il mondo della vita di tutti i giorni. Non un semplice poter fare questo piuttosto che quello, ma contiene anche il perch potremmo fare questo o quello, il perch potremmo scegliere di fare luno o laltro. Sono, quindi, lantecedente temporale delle pratiche sociali. Antecedente temporale, non logico in quanto sono pratiche esse stesse36. Pratiche come lo sono, sotto determinati rispetti, gli habitus. 12. Habitus Disposizioni, pratiche, habitus tre oggetti allinterno e determinanti la processualit del sociale. Analizzate le disposizioni passiamo agli habitus. La descrizione del termine habitus forse uno dei nodi pi intricati da sciogliere allinterno di questo percorso. Perch si dovrebbe inserire questo oggetto nel momento in cui abbiamo gi i soggetti, le disposizioni, le strutture, le relazioni? Sicuramente non lo facciamo per amore della complicatezza, ma per descrivere la complessit. Per descrivere il movimento continuamente processuale e ricorsivo di una descrizione del reale che non mai statico, fermo, unidimensionale.
34 In una nota Bourdieu afferma: La parola disposizione sembra particolarmente appropriata per esprimere ci che designa il campo dellhabitus (definito come sistema delle disposizioni). Infatti, esso esprime in primo luogo il risultato di unazione organizzatrice presentando quindi un senso delle parole molto vicino a quello di struttura; per altro, designa anche un modo di essere, uno stato abituale (in particolare del corpo) e nello specifico, una predisposizione, una tendenza, una propensione o uninclinazione, BOURDIEU, (1972 [2000], n. 39, p. 206). 35 Cf. BOURDIEU (1972 [2000], p. 225). 36 Non si deve, tuttavia, identificare disposizioni e pratiche. Le disposizioni sono pratiche sociali alla base di altre pratiche sociali.

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Il modo pi semplice per arrivare ad una descrizione di questo termine parte da un confronto tra una posizione contestualmente logica, semiotica e filosofica con una propriamente sociologica37.
Per sviluppare il significato di qualsiasi cosa, dobbiamo semplicemente determinare quali abiti produce, perch ci che una cosa significa semplicemente labito che comporta. Ora, lidentit di un abito dipende da come pu indurci ad agire, non solamente nelle circostanze che probabilmente si daranno, ma anche in quelle che potrebbero darsi, a prescindere dalla loro improbabilit38. Poich condizioni di esistenza differenti producono differenti habitus, cio sistemi di schemi generatori suscettibili di venir applicati, per semplice trasferimento, ai pi diversi ambiti della pratica, le pratiche generate dai diversi habitus si presentano come configurazioni sistematiche di propriet, che rendono manifeste le differenze oggettivamente iscritte nelle condizioni di esistenza, sotto forma di sistemi di distanze differenziali che, percepiti da soggetti dotati di quegli schemi di percezione e di valutazione indispensabili per individuarne, interpretarne e valutarne gli aspetti pertinenti, funzionano come stili di vita. Ci significa che il rapporto tra le condizioni di esistenza e le pratiche, o il senso delle pratiche, non deve venir inteso n in una logica meccanica n in una logica della coscienza39.

Le due citazioni, la prima di C.S. Peirce, la seconda di P. Bourdieu, ci aiutano, quindi, a capire come punto di partenza di ogni discussione sul concetto di habitus sia quello di descriverlo come un principio generatore di pratiche. il momento processuale che porta uno spazio di disposizioni a diventare, concretizzarsi, in uno spazio delle pratiche. Esso stesso una pratica sociale40. Attraverso lhabitus, inoltre, abbiamo unulteriore descrizione del superamento della rigida dicotomia individualismo-olismo41. Ancora, possiamo arricchire il nostro percorso confrontandolo con le considerazioni di N. Elias sui processi di coinvolgimento e distacco42 e attraverso la descrizione in
37 Sar, quindi, chiaro come le due descrizioni non appartengono a dimensioni distinte nettamente e rigidamente, ma forniscono lo spunto per comprendere la complessit stessa della costruzione di una descrizione scientifica (quindi, logica, semiotica e filosofica) in termini sociologici. 38 PEIRCE (1878a, 5.400). 39 BOURDIEU (1979, p. 175). 40 Vale, a questo punto, la stessa precisazione che abbiamo dato riguardo alle disposizioni. Gli habitus sono pratiche nel senso che sono il momento processuale del passaggio da disposizioni a pratiche, quindi, in quanto processo sono essi stessi una pratica. Una pratica sociale tout court pu essere descritta, in prima istanza, come il concretizzarsi da uno spazio di disposizioni, attraverso linstaurarsi di un habitus, di un vissuto esperienziale. 41 BOURDIEU (1997, p. 164). 42 Cf. BOURDIEU (2002, p. 31); ELIAS (1983); ELIAS (1987).

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atto che ne d, sempre, Bourdieu nel momento in cui costruisce una sfera lungo la traiettoria nellanalisi della sua pratica sociale di scienziato attraverso la ricostruzione del suo habitus scisso43. Un habitus scisso non in termini netti e precisi, ma con significati che sfumano, quindi, vaghi. 13. Vaghezza Arriviamo, quindi, alla descrizione di una delle caratteristiche irriducibili della realt sociale. La vaghezza del sociale pu essere descritta come la complessit dellinformazione. Nella tensione tra differenti linguaggi che porta alla costruzione di un modello, quindi, alla contestuale identificazione dei livelli ontologici della realt che diventano dimensioni sociali, la vaghezza costituisce la complessit stessa dellinformazione. Ogni singola dimensione sociale costituita e costituisce significati sociali, contenuti di senso che si concretizzano nei vissuti esperienziali dei soggetti e delle strutture generando relazioni e, contestualmente, generate per mezzo di relazioni. Utilizzando come cornice di riferimento, per il momento teoretico, quello metodologico e quello euristico, una logica che abbia come scopo quello di eliminare la vaghezza si arriverebbe a fornire una informazione parziale. Si dovrebbe necessariamente incentrare lintero discorso su di una delle dimensioni del reale, per poter fornire una certezza allinterno di un sistema formale rigido e chiuso. I fenomeni sociali sono tuttaltro che sistemi formali rigidi e chiusi44, quindi il volerli analizzare attraverso e per mezzo di questi meccanismi45 risponde sicuramente ad esigenze di ricerca e di ottimizzazione di strumenti sia concettuali che analitici a disposizione, tuttavia si rischia di imporre una realt del modello, piuttosto che gestire e analizzare la complessit della realt tramite modelli pi adeguati. Non la realt che si deve plasmare sul modello, eliminando informazione, ma il modello che deve costruire conoscenza in interazione con una realt complessa.
43 questo habitus scisso, prodotto di una conciliazione degli opposti che predispone alla conciliazione degli opposti, trova la sua migliore espressione nello stile caratteristico della mia ricerca, nel tipo di oggetti che mi interessano, nel mio modo di affrontarli, BOURDIEU (2002, p. 96). 44 Un aspetto importante di questa considerazione riguarda il ruolo giocato dalle norme allinterno della descrizione e costruzione dei fenomeni sociali. Considerazioni particolarmente interessanti sono state sviluppate da Coleman (1990) nel momento in cui affronta il problema del posto, del ruolo e della funzione da attribuire a queste allinterno dellorganizzazione generale di una teoria sociale. 45 Nella forma di sistemi formali rigidi e chiusi.

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14. Pratica di ricerca Un possibile esempio di come tutto questo si concretizzi in, sia esso stesso una pratica di ricerca, deve necessariamente essere sviluppato lungo due dimensioni che sfumano luna nellaltra: la prima, quella del ricercatore che analizza, costruisce lanalisi di, un determinato fenomeno sociale; la seconda, quella del processo stesso di ricerca che deve diventare a sua volta oggetto di studio. Le due dimensioni non si possono scindere. Il ricercatore costruisce il proprio oggetto di studio attraverso la analisi della unit complessa soggetto-struttura-relazione. Egli stesso nel momento in cui fa ricerca appartiene ad una di queste unit complesse che sfuma in quella oggetto il carattere della vaghezza proprio della realt sociale anche nel momento della ricerca scientifica. Unit complessa soggetto-struttura-relazione, che , quindi, in tensione con i sistemi sociali che la producono, ma che ne sono al tempo stesso prodotti, attraverso e per mezzo dei vincoli e delle possibilit dellunit complessa e dei sistemi stessi. In questo modo possiamo comprendere come le sfere sociali sono costruite attraverso il processo che intercorre tra disposizioni ed habitus allinterno dello spazio sociale. Unit complessa soggettostruttura-relazione che non si concretizza come oggetto sociale reale se non nel momento della sua costruzione. Nello stesso tempo il ricercatore che la indaga contribuisce a questa costruzione attraverso quella di un modello della realt nel momento in cui concretizza il proprio spazio delle disposizioni attraverso gli habitus in una pratica sociale, per descrivere, costruire, le sfere sociali attraverso lanalisi dellunit soggetto-relazioni-strutture allinterno dello spazio sociale. Il tutto in tensione con il sistema sociale della scienza: vincoli e possibilit reciproche fanno la loro comparsa. Detto in altri termini: partendo dalla molteplicit delle dimensioni della realt sociale si pu vedere come lungo tutte queste dimensioni, dimensioni vaghe che sfumano le une nelle altre, vi sono sfere sociali che sono il modo in cui la tensione tra soggetti-strutture-relazioni si concretizza allinterno di uno spazio sociale che contribuisce a costruire, ma che nello stesso tempo ne il produttore. Soggetti-strutture-relazioni che sono a loro volta in tensione reciproca con i sistemi sociali, li costruiscono in relazione ai propri vincoli e possibilit e ne sono a loro volta costruiti. In questo modo si passa dagli spazi di disposizioni alle pratiche sociali attraverso gli habitus. Il ricercatore legge, costruisce, questa ontologia del complesso attraverso modelli di realt che sono determinati dai suoi vincoli e dalle sue possibilit

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teoretiche. Vincoli e possibilit che sono il frutto del suo essere soggetto allinterno di una relazione che si determina attraverso e per mezzo di strutture con il sistema scienza. Lo stesso processo, si pu descrivere, quindi, prendendo come oggetto la ricerca scientifica stessa e costruendo la sfera del ricercatore allopera nello spazio sociale attraverso il passare dalle sue disposizioni alla sua pratica attraverso i suoi habitus. 15. Ricomposizione Tutti i termini che abbiamo descritto contribuiscono a tracciare una proposta teorica che , nello stesso tempo, una ricerca euristica. Oggetto sociale, fenomeno da indagare, risultato essere: come descrivere un possibile approccio alla sociologia stessa. A questo punto si dovrebbero tirare i vari fili che abbiamo lasciato disseminati tra i singoli termini, fili che non sono altro che i modi in cui i vari termini sfumano gli uni negli altri. Non vi sono strutture che non siano al tempo stesso soggetti in relazione e relazioni tra soggetti; non vi sono soggetti che non siano al tempo stesso produttori di strutture attraverso relazioni e prodotti di relazioni tra strutture; non vi sono relazioni che non siano al tempo stesso strutture di soggetti e soggetti che determinano strutture. La ricorsivit di tutto questo diventa ancora pi esplicita nel momento in cui si inseriscono gli altri termini nel gioco sociale. Per renderlo evidente, abbiamo compilato due differenti elenchi dei termini proposti (due possibili percorsi): il primo, seguendo un preciso percorso teoretico, una pratica46 (quello che effettivamente stato seguito per le nostre considerazioni); il secondo, semplicemente ponendo in ordine alfabetico i termini (Tabella 1). Tutto questo per arrivare alla costruzione, attraverso un incrocio47
In altre parole ogni conoscenza inserita in una pratica. Poich daltra parte ogni pratica, compresa la pratica di comunicazione, implica evidentemente un certo modo di conoscere la realt su cui si esercita, conoscenza e pratica, cio conoscenza e funzione, sono inseparabilmente legate, e la struttura che determina un modo di conoscere non dunque mai una struttura che determina semplicemente questo modo di conoscere, ma sempre una struttura che, come appunto la lingua, rende possibile nello stesso tempo una certa pratica, PRIETO (1975, p. 10). 47 Si iniziato dal primo termine in alto a sinistra (realt), si passati al corrispettivo nella seconda colonna (costruzione), a questo punto stato individuato nella prima e si proceduto fino alla ricomparsa del primo termine della prima colonna nella seconda. Quindi, si passati nella prima colonna ad individuare il primo termine non presente nella prima sequenza (soggetto) e si ripetuto il processo. Le sequenze individuate sono:
46

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tra le due colonne di un terzo percorso il quale mostra come le sequenze presentino, comunque, termini vicini che sfumano gli uni negli altri. Questo terzo percorso stato presentato nella figura 1.
PERCORSO 1 PERCORSO 2 Realt Costruzione Sfera Disposizioni Soggetto Habitus Struttura Modello Relazione Possibilit Spazio Realt Sistema Relazione Costruzione Sfera Modello Sistema Vincolo Soggetto Possibilit Spazio Disposizioni Struttura Habitus Vaghezza Vaghezza Vincolo Tabella 1: Gli ordinamenti dei termini Fig. 1: Ricomposizione diagrammatica dei termini allinterno del processo
Realt Costruzione Vincolo

Sfera Vaghezza Soggetto Struttura Disposizioni Relazione

Modello Habitus Possibilit Sistema

Spazio

1) Realt costruzione sfera disposizioni struttura modello sistema relazione possibilit spazio realt; 2) Soggetto habitus vaghezza vincolo soggetto

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Il perch di una tale ricomposizione, di una tale possibile ricomposizione, risiede nella ricorsivit e co-costruzione degli oggetti in questione. La rappresentazione che stata costruita risente del vincolo della bidimensionalit del foglio di carta, quindi, le possibilit delle doppie frecce sono state sfruttate per rendere la ricorsivit dellintero processo. Qualsiasi altro criterio di ordinamento sarebbe stato equivalente, in un certo senso sarebbe stato un isomorfismo.
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ELENA GIORGIANA MIRABELLI Il movimento della vergogna. Note a J.M. COETZEE, Disgrace, trad. it. Vergogna, Torino, Einaudi, 2003
Vergogna esplora gli estremi territori di ci che significa essere umani: alla frontiera della letteratura mondiale The Sunday Telegraph

0. Le grandi opere narrative, quelle potenti, corpose, definitive, ben si prestano ad una lettura di tipo filosofico per la capacit che hanno di porsi ad un livello di descrizione del reale, del mondo e dellanimale che lo vive, assolutamente perspicua. Possono ancor di pi essere concepite come vere e proprie opere filosofiche. Dostoevskij ne un esempio paradigmatico, i suoi romanzi, potenti e definitivi, hanno sollevato questioni sullesistenza umana e sui suoi pi intricati interrogativi, quali la libert, la colpa e lespiazione e il sacro. Le grandi figure quali il Rasklnikov di Delitto e castigo o Ivan Karamazov de I fratelli Karamazov ancora oggi ci aprono a questioni che riguardano lanimale umano in tutta la sua specificit ed interezza, in tutta la sua inquietudine e incompletezza. Non diversamente il romanzo di Coetzee, Vergogna pubblicato nel 1999 e tradotto in Italia nel 2000 oltre che descrivere i cambiamenti del Sudafrica post-apartheid, offre ai lettori la possibilit di riflettere sul senso stesso di essere umani. Ci che emerge anzitutto un Sudafrica dove i fatti avvengono ancora, un mondo dove il corpo ha ancora un suo peso ancora radicato nella terra1. Un Sudafrica in cui comincia ad affiorare la possibilit di una convivenza fra i neri e i bianchi, un Sudafrica in cui tale possibilit viene rappresentata dalla decisione di utilizzare il proprio corpo per renderla reale, un figlio della violenza che diventa promessa di quella possibilit. In altre parole mette in scena e offre una descrizione della retroazione sul singolo delle trasformazioni sociali, della retroazione sul singolo della collettivit di appartenenza. Una descrizione di come il soggetto accetti tali cambiaGIAN PAOLO SERINO, Forever Coetzee, in Carmilla. Letteratura, immaginario e cultura di opposizione, www.carmillaonline.com, Ottobre 2003.
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menti di cui esso stesso artefice, di come il singolo concreto si rapporti ad una norma di tipo collettivo e di quali caratterizzazioni emotive tale rapporto metta in campo. 1. La vergogna la caratterizzazione emotiva di cui Coetzee si interessa e di cui tenta di dare una descrizione che renda evidente quella cesura fra collettivit e singolo concreto che prodotto e nello stesso tempo produttore di trasformazioni di tipo sociale e politico. Il protagonista David Lurie una sorta di centro di gravit attorno al quale si muove il gioco della vergogna, gioco che mostra il proprio andamento mutevole. Parler infatti di un movimento della vergogna chiarendo gi da ora i termini che intender adottare e che, in momenti diversi, diventeranno attributi di David Lurie (il protagonista del gioco della vergogna): parler di oggetto e di soggetto di vergogna. Utilizzer il primo termine qualora la caratterizzazione emotiva venga attribuita ad un dato soggetto (il nostro David Lurie) dallo sguardo altrui, senza che loggetto di attenzione collettiva riesca ad interiorizzare quello sguardo e a provare esso stesso vergogna per s. Il secondo termine (soggetto di vergogna) lo utilizzer qualora linteriorizzazione dello sguardo altrui sia in atto e qualora tale soggetto provi vergogna per se stesso. In un primo momento, infatti, David Lurie oggetto di vergogna. il suo comportamento ad essere definito vergognoso, la collettivit tutta che prova vergogna per lui:
No, professor Lurie, lei sar pure illustre, avr chiss quante lauree, ma se fossi in lei mi vergognerei profondamente di me stesso, che Dio mi aiuti2. Certo che me la prendo con lei! Con te e con lei. Lintera vicenda vergognosa, dal principio alla fine. Vergognosa e anche volgare. E te lo dico senza alcun rincrescimento3

2. David Lurie un professore della Cape Town University, un cinquantaduenne divorziato al centro di unaccusa di molestie sessuali. una sua studentessa Melanie Isaacs con la quale intrattiene una relazione, a denunciarlo. La commissione dinchiesta che chiamata a decidere sul da farsi decreta e riconosce quale vergognoso il suo atto.
2 J.M. COETZEE, Disgrace (1999), trad. it. Vergogna, a cura di Gaspare Bona, Torino, Einaudi, 2003, p. 40. 3 Ivi, p. 47.

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David ammette la sua colpevolezza, che quella di aver dato ad Eros il comando, di non aver impedito che limpulso si facesse spazio e lo annichilisse, ma non mostra di provare pentimento n vergogna. Difatti non David Lurie a provare vergogna, ancora durante questa fase del movimento, D.L. incapace di interiorizzare lo sguardo altrui e a concepire esso stesso quale vergognoso il proprio atto, ma la collettivit studenti, colleghi, i suoi cari a vedere in lui e ad attribuire a lui tale caratterizzazione emotiva. Per una ragione ben precisa: David si sottratto ad una regola, non lha rispettata. Una regola proibitiva che riguarda le relazioni intergenerazionali, una regola che stabilisce i comportamenti etici che un professore deve mantenere con i propri allievi. Ed nella trasgressione4, la vergogna. nel momento in cui lintimit viene rivelata e resa pubblica, la vergogna. nella presa di posizione forte di David Lurie di non riconoscere pubblicamente il suo errore5, la vergogna. nel sentirsi scoperto, svelato allo sguardo altrui, nel dipendere da quello sguardo, la vergogna.
LIo cos subordinato al tu-io, sempre sotto il suo sguardo, uno sguardo da cui dipendo e che non dipende da me: questa la condizione antropologica della vergogna6.

Lo sguardo altrui diviene sprezzante, giudicante. uno sguardo capace di punire D.L. perch il non riconoscimento, da parte di questi, della propria colpa, la mancanza di rossore, il non provar vergogna per se stesso, rendono colpevole David Lurie di hybris, e ci rende il comportamento di D.L. ancor pi vergognoso. come se venisse messo in luce lattrito fra D.L. e la collettivit, o meglio fra D.L. e il modello di comportamento adottato dalla collet4 La vergogna come caratterizzazione emotiva dellanimale umano legata al problema della trasgressione di una norma, o ancora meglio come quella caratterizzazione emotiva legata allinadeguatezza del singolo di fronte allapplicazione di una regola accettata e stabilita dalla collettivit, uninadeguatezza che viene esposta allo sguardo di quella collettivit. Allinterno del romanzo Coetzee fa pi volte riferimento allo sguardo e alla collettivit come una sorta di organismo che ha diritto di sapere e che ha il compito di infliggere la sanzione. Lo sguardo della collettivit ci da cui ha origine e si sviluppa il movimento della vergogna. 5 Ivi, p. 61. 6 F. CIMATTI, Vergogna e individuazione, Forme di vita, 5 (2006), p. 191.

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tivit (in questo caso la collettivit costituita da colleghi e studenti, la collettivit della Cape Town University). come se, attraverso la descrizione di tale attrito, Coetzee ci mostrasse una forma di civilt di vergogna, dove la mancata adesione ad una regola di comportamento, ad un modello positivo di comportamento, porta alla vergogna nel suo aspetto duplice, di sanzione individuale intesa come rossore, come riconoscimento dello sguardo altrui verso cui si prova scarsa aderenza e come sanzione sociale che consiste nello sguardo sprezzante della comunit. Nel caso di D.L. la sanzione sociale si manifesta nellallontanamento/ licenziamento dello stesso dalla collettivit universitaria. Ormai senza lavoro e punito dalla collettivit, David decide quindi di trasferirsi dalla figlia Lucy in campagna adeguandosi alla nuova vita dei campi e ai suoi ritmi. Anche qui in campagna David si ritrova nel gioco della vergogna, questa volta potremmo dire quale spettatore, lui infatti a provare vergogna per qualcuno. Ed una sensazione che retroagisce sul quel chi che David Lurie come uomo. Sua figlia Lucy viene stuprata da tre individui e se da una parte non riuscir a comprendere la ragione dellaccettazione dellatto da parte di Lucy, dallaltra il ribrezzo e la vergogna per latto dodio compiuto dai tre, si riflette su David stesso. Decide di ritornare in citt, e il David che cammina adesso per le strade cittadine differente dal David che i lettori hanno conosciuto fino a questo punto. altro anche per quella collettivit che lo ha allontanato e che ora stenta a riconoscerlo e ad accettarlo. Ora un altro impulso a farlo muovere. David sente di doversi esporre, manifestarsi a quella collettivit che pi di tutti ha subito gli effetti dellazione vergognosa di partenza: gli Isaacs, i genitori di Melanie, i genitori di chi svergognandolo si svergognata7. David Lurie comprende di doversi esporre non alla comunit universitaria ma ad un nucleo di collettivit. Dimostra cos di essersi pentito e di provare vergogna, questa volta per s, divenuto soggetto di vergogna inginocchiandosi di fronte alla madre di Melanie la quale, potremmo dire, assurge a simbolo della femminilit offesa.
7 J.M. COETZEE, Vergogna, cit., p. 33: La cosa non lo meraviglia: svergognando lui hanno svergognato anche lei.

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3. Ho tentato di mostrare quanto un testo letterario come Vergogna possa sollevare questioni di tipo filosofico, quanto uno scrittore come Coetzee (premio Nobel per la letteratura nel 2003) assolutamente dostoevskiano per i nodi concettuali e gli interrogativi posti sia capace di offrire descrizioni penetranti del reale. Con uno stile crudo, piano che a tratti potrebbe sembrare cinico, Coetzee stato capace di descrivere la violenza subita dai personaggi e gli stati danimo che li caratterizzano, di descrivere e mostrare la realt della vergogna, la sua natura assolutamente sociale. Ha sollevato la questione della trasgressione della norma, lattrito fra il singolo e la regola collettiva, linadeguatezza del singolo di fronte allapplicazione della regola. Ha posto il problema dellidentit e il processo di emersione della stessa.

DANIELA PALMERI, MONICA M. PASQUINO Il linguaggio dellautocoscienza tra filosofia e teatro: Carla Lonzi e Dacia Maraini
La differenza femminile sono millenni di esclusione dalla storia. Approfittiamo della differenza. Carla Lonzi

0. Premessa In che modo il sapere femminista utilizza il termine autocoscienza dislocandone il significato rispetto alla tradizione filosofica occidentale attraverso teorie e pratiche differenti? Perch il movimento delle donne degli anni Settanta sceglie per dare forza alle proprie lotte uno dei termini pi ricorrenti e stratificati della tradizione filosofica occidentale? Lautocoscienza femminista parte dal riconoscimento che il punto di vista sessuato sia unineludibile categoria del conoscere e rivoluziona la pratica del conosci te stesso politicizzandola e sottraendola al neutro: il soggetto del conosci te stesso non pi avulso dal contesto storico-culturale e acquisisce una sua singolarit e parzialit nella misura in cui entra in gioco il suo genere fondando una nuova ermeneutica della differenza sessuale. a partire da questa nuova ermeneutica che, nel sapere femminista degli anni Settanta, il termine teoria acquisisce unaccezione particolare in cui losservazione della realt viene attraversata dal genere del soggetto interpretante. Lautocoscienza si pone come forma di conoscenza di s basata sul riconoscimento del genere, sulla relazionalit e sulla politica del collocamento1: il
1 Nel percorso di conoscenza di s diviene fondamentale il situarsi allinterno di un contesto storico-sociale, come dimostrano il concetto di sapere situato introdotto da Donna Haraway e la politica del collocamento di Adrienne Rich. Lepistemologa americana propone il concetto di Situated Knowledge alla fine degli anni Ottanta, per rispondere al problema della definizione dell'obiettivit nella ricerca scientifica, ribadendo il valore della soggettivit e ponendo, quindi, l'accento sul soggetto interpretante. Allo stesso modo la poetessa americana, Rich, ripensa il soggetto donna mettendo l'accento sulla corporeit sessuata del soggetto (maschile e femminile) entro un nuovo simbolico che tiene conto delle differenze tra donne: differenze di razza, di classe sociale, etc. Cf. D. HARAWAY, Situated Knowledges: The Science Question in Feminism as a Site of A Discourse on the Privi-

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soggetto impara a situarsi nel proprio vissuto riappropriandosi del simbolico attraverso il confronto con altre donne. In questa pratica fondamentale lesperienza della separatezza, fondamentale perch le donne ritrovino la sapienza di partire da s2 e di autorappresentarsi3. Il termine in questione delinea un campo mobile i cui confini possono essere spostati di volta in volta: si tratta, nella fattispecie, di un percorso di conoscenza di s in gruppo, di un particolare approccio al proprio vissuto che parte dal genere, di una pratica politica che segna linizio della rivoluzione delle donne negli anni Settanta. In questo articolo partiamo da queste suggestioni e ci riferiamo al termine autocoscienza in senso ampio interpretandola come linguaggio. Con questa espressione vogliamo mettere in risalto come lautocoscienza abbia avuto un valore rilevante nella genesi linguistica e letteraria di alcuni scritti che hanno fatto il femminismo italiano. Accogliendo linvito allinterdisciplinarit della critica femminista, abbiamo provato a far interagire due campi diversi: quello della produzione testuale di Carla Lonzi e quello del teatro della Maddalena fondato da Dacia Maraini nel 1973. Lopera di entrambe non sarebbe stata realizzata senza la loro partecipazione al gruppo di autocoscienza, che consente il recupero del non detto, del rimosso, dietro cui si nascondono le dinamiche che regolano il campo di tensione del genere. Mostrare limportanza del linguaggio dellautocoscienza sia nella filosofia di Lonzi che nel teatro di Maraini ci sembrato un modo produttivo per ovviare alla rimozione delle esperienze che avvengono lontano dallufficialit del sapere istituzionale e che vanno incontro facilmente allesclusione dal canone, di cui entrano a far parte solo i prodotti rappresentativi della cultura nazionale e patriarcale4. Attraverso la teoria politica di Carla Lonzi e il teatro di Dacia Maraini, la nostra attenzione si focalizza sul femminismo degli anni Settanta e sul processo di revisione della tradizione filosofica e letteraria che investe vari ambiti del sapere tessendo unintricata trama intertestuale. Lintertestualit, propria di molte scritture di donne, imlege of Partial Perspective, Feminist Studies 14 (1988) 3 pp. 575-599. Cf. A. RICH, Lo spacco alla radice, Firenze, Estro, 1985. 2 DIOTIMA, La sapienza di partire da s, Napoli, Liguori, 1996. 3 A. CAVARERO, Per una teoria della differenza sessuale, in DIOTIMA, Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 1987, pp. 43-79. 4 Sul concetto di canone e sulla complessa posizione delle scrittrici, si veda Dentro / Fuori /Sopra/Sotto. Critica femminista e canone letterario negli studi di italianistica, a c. di A. Ronchetti e M.S. Sapegno, Ravenna, Longo Editore, 2007. Questo libro intraprende unindagine sul canone negli studi di italianistica e fornisce unottima griglia metodologica ed epistemologica per poter cogliere la politicit del problema del canone nelle varie discipline.

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plica una lettura non lineare e non teleologica che si impernia sui rimandi, sugli incroci, sui corto circuiti tra un testo e un altro. 1. Lautocoscienza nel lessico di Carla Lonzi Nel corso del ventesimo secolo, il termine autocoscienza indica lindagine di un soggetto su s stesso che si basa sullatteggiamento di osservazione del proprio vissuto e che spesso porta alla luce contenuti conflittuali inconsci. La pratica femminista dellautocoscienza nasce in consonanza con lutilizzo novecentesco del termine e, tuttavia, segna uno scarto non indifferente, una dissonanza5. Nelle testimonianze del femminismo italiano degli anni Settanta, il termine segnala una forma di conoscenza empirica della realt interiore praticata in luoghi frequentati esclusivamente da donne 6 . Autocoscienza sinonimo di una pratica concreta di ri-conoscimento di s nellaltra di tipo destrutturante7. Infatti la comunicazione, la scoperta e la condivisione della propria vita affettiva, lavorativa ed emotiva tra donne intrinsecamente legata al lavoro di de-strutturazione personale e collettiva che consiste nellindividuazione delle forme di subordinazione patriarcali e delle possibili strategie di resistenza ad esse. Riconoscimento relazionale e destrutturazione costituiscono il filo rosso delle pratiche femministe:
5 Non infatti un caso se, aprendo il vocabolario Treccani alla voce autocoscienza, si trova, in riferimento agli usi pi recenti del termine: il particolare tipo di analisi collettiva realizzata da gruppi pi o meno numerosi di persone che esprimono e analizzano le proprie esperienze vissute e le confrontano insieme per una migliore comprensione di s e degli altri. Tuttavia, bisogna distinguere la pratica dellautocoscienza femminista dalla relazione analitica individuale e da quella praticata nei gruppi di Self-Help. Questi ultimi sono gruppi eterogenei che a loro volta svilupparono pratiche dalle modalit diverse. Ad esempio nel gruppo francese Psicoanalise et politique e in alcuni gruppi detti dellinconscio, presenti soprattutto a Milano, si inser la figura professionale di una psicoanalista. Rimandiamo per questo al testo collettivo Pratica dellinconscio e movimento delle donne pubblicato in LErba voglio, n. 18/19, ott. 1974 - gen. 1975. 6 Successivamente la pratica dell'autocoscienza si estesa anche in Italia in gruppi misti o di soli uomini, seppure in casi isolati e con una portata diversa. Si consultino a riguardo il sito internet ww.maschileplurale.it e V.J. SEIDLER, Riscoprire la mascolinit. Sessualit, ragione, linguaggio, Roma, Editori Riuniti, 1992 [1991]. 7 Cf. AA.VV., Atti del seminario: Dalle donne in politica alla politica delle donne, a cura del collettivo femminista Il colpo della strega, Universit di Roma La Sapienza, 9-10-11 marzo 1995; AA.VV., Cronache del movimento femminista romano, DONNIT, Roma, 1976; M. FRAIRE, R. SPAGNOLETTI, M. VIRDIS, L'Almanacco. Luoghi, nomi, incontri, fatti, lavori in corso, del movimento femminista italiano dal 1972, Roma, Edizioni delle donne, 1978.

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Attraverso lautocoscienza (v. Pratica dellautocoscienza) le donne arrivano a definire unarea conoscitiva che supera le soglie dellio cosciente e della parola per indagare pi in fondo, dietro la coscienza e la parola, per riconoscere i fantasmi di cui si alimenta lesistenza femminile e come questi siano i pi profondi segni delloppressione8.

La libert femminile ha vissuto lautocoscienza come un atto di svelamento del politico nel privato affidato al confronto e allo scambio. Scrive Maria Gabriella Frabotta nel saggio Pratica dellautocoscienza:
Si avverte che la politicit del movimento si fonda su una pratica che di volta in volta personale e politica: il dentro (presa della parola, presa di coscienza, recupero del corpo, analisi delle contraddizioni e dellinconscio) e il fuori (lotte nei luoghi di lavoro e nelle istituzioni), devono venir considerati solo come i due versanti sempre dialettizzati della stessa pratica9.

Pertanto intendere e praticare lautocoscienza ha portato ad una rivoluzione simbolica: la donna, genere da sempre subalterno, diventa soggetto attraverso il riconoscimento della differenza sessuale. I gruppi femministi di autocoscienza operano per lo scatto a soggetto delle donne che luna con laltra si riconoscono come esseri umani completi, non pi bisognosi di approvazione da parte delluomo10. In Italia Carla Lonzi la prima femminista a utilizzare innovativamente il termine a partire dallesperienza del gruppo di Rivolta femminile di Milano e della piccola casa editrice ad esso collegato. Lonzi molto esplicita riguardo alla natura relazionale dellauto-coscienza: Lautocoscienza di una incompleta e si blocca se non ha riscontro nellautocoscienza di unaltra11. Ancora: Il femminismo ha inizio quando una donna cerca la risonanza di s nellautenticit di unaltra donna, perch capisce che il suo unico modo di trovare se stessa nella sua specie12. La nascita di s a soggetto si compie non solo al momento di esprimersi ma anche durante lascolto dellaltra che diviene fondamentale per riacquisire il simbolico e sottrarlo alla codificazione maschile. questa pratica della relazione, a dispetto di una relazionalit dellautocoscienza solo teorizzata, dunque, che distingue luso di tale termine proprio del femmini8 M. FRAIRE, 1978, Lessico politico delle donne, in Teorie del femminismo, 3 voll., Milano, Gulliver, p. 103. 9 Ivi, pp. 137-138 (saggio di M.G. FRABOTTA). 10 C. LONZI, Significato dellautocoscienza nei gruppi femministi, in EAD., Scritti di Rivolta femminile, Milano, Editoriale Grafica, 1974, p. 145. 11 C. LONZI, Taci, anzi parla, in Scritti di Rivolta femminile, cit., p. 73. 12 C. LONZI, Significato dellautocoscienza nei gruppi femministi, cit., p. 147.

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smo rispetto al panorama filosofico. Infatti, nella tradizione filosofica, almeno a partire da Hegel, la relazionalit implicata nel concetto di autocoscienza si fonda su articolazioni e distinzioni gerarchiche, presupposte come naturali e, dunque, estranee allargomentazione del logos filosofico, come quella tra principio maschile attivo e principio femminile passivo. Oltre alla pratica della relazione, dunque, la differenza: liberarsi per le donne significa non uniformarsi al modello maschile dominante, ma riconoscere e valorizzare lalterit:
La donna non va definita in rapporto alluomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libert. Luomo non il modello a cui adeguare il processo della scoperta di s da parte della donna. La donna laltro rispetto alluomo. Luomo laltro rispetto alla donna13.

Sono almeno due le peculiarit di Rivolta rispetto ad altri gruppi di donne che vanno a formarsi in quegli anni. La prima riguarda il particolare legame tra scrittura e autocoscienza, il fatto che la scrittura del Manifesto sancisca la nascita del gruppo e non la succeda. La seconda che tutte le donne che collaborano a Rivolta, appartengono a generazioni precedenti quella del Sessantotto, nessuna di loro aderisce ad organizzazioni politiche di sinistra e per lo pi sono di ceto intellettuale-borghese14. Lonzi scrive Sputiamo su Hegel nel 1970 e La donna clitoridea e la donna vaginale nel 1971; insieme a Carla Accardi e Elvira Banotti, nel luglio del 1970, svolge un ruolo fondamentale nella stesura dellatto di nascita del gruppo di Rivolta il Manifesto di Rivolta femminile che contiene le frasi pi significative che lidea generale di femminismo ci aveva portato alla coscienza durante i primi approcci tra di noi15. In queste pagine prevale lidea che autocoscienza delle donne e femminismo si implichino a vicenda: luna non pu essere pensata disgiuntamente dallaltra.
Il femminismo la scoperta e lattuazione della nascita a soggetto delle singole componenti di una specie soggiogata dal mito della realizzazione di s nellunione amorosa con la specie al potere16.

Lintreccio tra autocoscienza e femminismo, tra confronto dialogico e


13 C. LONZI, Sputiamo su Hegel/La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, in Scritti di Rivolta femminile, cit., p. 19. 14 M.L. BOCCIA, Lio in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, Milano, La Tartaruga edizioni, 1990. 15 C. LONZI, Manifesto di Rivolta, p. 8. 16 Ivi, p. 147.

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progetto politico si svela tra le pagine di La donna clitoridea e la donna vaginale attraverso la critica alacre della teoria freudiana della sessualit che considera la donna vaginale come manifestatrice di una sessualit sana mentre la donna clitoridea come immatura, mascolinizzata e perfino frigida17. Lonzi descrive lorgasmo clitorideo come atto di affermazione della differenza sessuale e di espressione della sessualit femminile essendo autonomo e non funzionale n al sesso maschile n alla riproduzione. Secondo Lonzi, la donna incarna perfettamente la figura dello spettatore dellopera d'arte, che vive completamente dimentico di s e delle proprie capacit creative. La donna, come lo spettatore, non ha la possibilit concreta di fornire il proprio apporto creativo allo sviluppo sociale e non ha ancora seguito litinerario di emancipazione tracciato dalla soggettivit maschile. La situazione materiale di imparit con luomo sostenuta da una tradizione di pensiero nella quale si sussegue limmagine della donna come essere sussidiario e complementare al maschile. Pertanto lo scopo dellanalisi lonziana storicizzare le categorie di maschile e femminile e sottolinearne la valenza culturale. Come afferma Dacia Maraini: Il sesso, come lamore, un figlio della storia, talmente bagnato e fradicio di cultura da rendere quasi irriconoscibile la sua matrice fisiologica18. Il soggetto femminile sempre stato oggetto del discorso delluomo, che ha costruito, conservato e tramandato limmagine di un femminile al negativo, stabilito in relazione a ci che il maschile non , anzi, funzionale e necessario alla sua definizione e quindi tenuto nellimpossibilit di costituirsi come soggetto di un discorso proprio ed autonomo. Pertanto rileggendo la storia della filosofia occidentale Carla Lonzi sputa su Hegel. Secondo Lonzi, il filosofo tedesco19 pensa e nomina la differenza sessuale e razionalizza il potere patriarcale nella dialettica tra un principio divino femminile e un principio umano virile. Pertanto nel sistema hegeliano la donna non oltrepassa lo stadio della soggettivit: riconoscendosi nei congiunti e consanguinei essa resta immediatamente universale, le mancano le premesse per scindersi dallethos della famiglia e raggiungere lautocosciente forza delluniversalit per la quale luomo diventa cittadino20. La
C. LONZI, Sputiamo su Hegel, cit., p. 83. D. MARAINI, 1987, p. 9. 19 Hegel viene utilizzato dalle femministe come modello eccellente del pensiero maschile nella tradizione occidentale (Cf. L. IRIGARAY, Speculum. Laltra donna, Milano, Fel18 17

trinelli, 1979 [1974].


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C. LONZI, Sputiamo su Hegel, cit., p. 25.

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differenza, proprio quando viene messa a tema e discussa, viene cancellata, negata come accidente secondario: il soggetto femminile, detto e pensato nella lingua dellaltro, viene inferiorizzato e reso passivo. Riprendendo Carla Lonzi, Adriana Cavarero, una delle maggiori teoriche della estraneit femminile, afferma:
La donna non ha un linguaggio suo, ma piuttosto utilizza il linguaggio dellaltro. Essa non si autorappresenta nel linguaggio, ma accoglie con questo le rappresentazioni di lei prodotte dalluomo. Cos la donna parla e pensa, si parla e si pensa, ma non a partire da s21.

Il femminismo della differenza sostiene con radicalit linscindibilit dellaspetto simbolico e di quello materiale: lassenza storica delle donne dalla sfera pubblica (produzione, sapere, politica) e la condizione di oppressione sociale si sostengono sullimpossibilit di creare modelli simbolici alternativi elaborati autonomamente dalle donne in carne ed ossa, in grado di competere e affiancare quelli maschili e di dare vita ad un sistema di identificazioni positive. Rosi Braidotti, tra le pensatrici femministe oggi pi autorevoli, sottolinea questo aspetto in uno dei suoi testi pi ragguardevoli:
Il tratto pi comune della riappropriazione femminista radicale della differenza la critica al valore trascendentale e universale accordato al soggetto maschile, la controparte del quale il sacrificio simbolico del femminile, la sua messa tra parentesi. Questa squalifica simbolica coestensiva alloppressione materiale, socio-economica delle donne reali. La radicalit di questa posizione consiste proprio nel rifiutare di separare il simbolico dal materiale, indicando cos che il sacrificio del soggetto femminile si confonde con gli stessi fondamenti del vincolo omosociale e dellordine culturale22.

Lonzi parte dallinscindibilit dellaspetto materiale con quello simbolico per costruire una critica serrata non solo del sistema hegeliano, come dimostra il titolo del pamphlet, ma anche delle ideologie rivoluzionarie. Se le donne sono inferiori ed oppresse in quanto tali e non per ragioni economico-sociali, il marxismo e la lotta di classe, equiparando i due sessi, non possono costituire un rimedio efficiente. Subordinarsi allimpostazione classista scrive Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel significa per la donna riconoscere
21 A. CAVARERO, Per una teoria della differenza sessuale, Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga edizioni, 1987, pp. 43-79, qui p. 52. 22 R. BRAIDOTTI, Dissonanze. Le donne e la filosofia contemporanea, Milano, La Tartaruga edizioni, 1994, p. 192.

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dei termini mutuati a un tipo di schiavit diverso da quello suo proprio e che sono la testimonianza pi convincente del suo misconoscimento. La donna oppressa in quanto donna, a tutti i livelli sociali: non a livello di classe, ma di sesso23. Eppure quasi la totalit delle femministe italiane dava pi credito alla lotta di classe che alla loro stessa oppressione24. Marx, Engels e Lenin hanno la colpa di aver spinto le donne ad anteporre la propria libert ad altri fini: la dialettica servo-padrone descrive solo le dinamiche interne al mondo maschile: una regolazione di conti tra collettivi di uomini che non prevede la liberazione della donna25. Secondo Lonzi, se Hegel avesse riconosciuto lorigine delloppressione femminile, come ha riconosciuto quella del servo, avrebbe dovuto applicare a quella la stessa dialettica servo-padrone:
In questo caso avrebbe incontrato un serio ostacolo: infatti se il metodo rivoluzionario pu cogliere i passaggi della dinamica sociale, non c dubbio che la liberazione della donna non pu rientrare negli stessi schemi. Sul piano donnauomo non esiste una soluzione che elimini laltro, quindi si vanifica il traguardo della presa del potere26.

La scrittura di Lonzi scorre su due binari: da una parte la critica teorica e decostruzionista del sistema patriarcale attraverso lanalisi formale delloggetto in discussione condotta con estremo rigore, dallaltra la costruzione e la restituzione del simbolico femminile che rimanda a ci che definiamo linguaggio dellautocoscienza, quindi ad un sapere legato al vissuto del corpo.
procedendo per legami associativi con liberazione di pezzetti di esperienze rimosse, la parola profondamente legata allemotivit di chi comunica e si ripetono gli antichi modi di chi convince, seduce caricando le parole di un contenuto non detto o operando paradossalmente attraverso il potere del silenzio27.

Spesso si tratta di appunti, trascrizioni dincontri o di idee emerse nella discussione collettiva. In ogni caso, la forza della scrittura di Lonzi consiste nel partire da s. Carla Lonzi mette in concetti il vissuto ed il processo della sua presa di coscienza nelle parole di una delle sue interpreti pi
C. LONZI, Sputiamo su Hegel, cit., p. 24. Ivi, p. 8. 25 C. LONZI, Manifesto di Rivolta, p. 17. 26 C. LONZI, 1974, p. 27. 27 M.G. FRABOTTA in FRAIRE, 1978, p. 134.
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attente ovvero compie quel passaggio dal concreto allastratto, e dal singolare al genere, che essenziale per poter dare forma, per poter nominare la realt propria e del mondo28. 2. Autocoscienza e femminismo a teatro Se Carla Lonzi ha il merito di introdurre il termine autocoscienza nella teoria e nella pratica politica femminista, Dacia Maraini riesce a trasporre le spinte, su cui essa si basa, sulla scena teatrale: la pratica del partire da s, la condivisione con altre donne, lo slogan il personale politico, la lotta per il riconoscimento della differenza sessuale costituiscono il centro nevralgico della sua drammaturgia. Scrittrice versatile, Maraini, sperimenta il suo talento in vari generi letterari e si dedica al teatro per oltre trentanni scrivendo e mettendo in scena testi impegnati dalla parte delle donne con uno sguardo particolarmente attento allattualit politica e sociale italiana29. Dal primo teatro di cantina di via Belsiana al teatro di Centocelle, dal primo teatro ufficiale delle Arti di Roma alla Magliana, dal Politecnico alla Garbatella, il femminismo di Maraini raggiunge la sua massima realizzazione nellesperienza di un teatro di donne. Infatti, il perseverante lavoro sulle donne e con le donne giunge il 6 dicembre del 1973 alla fondazione del teatro di barricata30 della Maddalena, che viene inaugurato con lo spettacolo Mara, Maria, Marianna. Materiali per un discorso sulla condizione attuale della donna, testo elaborato da Maraini con Maricla Boggio ed Edith Bruck e prodotto da un collettivo femminista. La Maddalena lunico teatro italiano fondato, gestito e destinato a donne, di cui Maraini presidentessa dal 1973 al 1983, contribuendo alla promozione di un ricco calendario di spettacoli teatrali e di occasioni di confronto sul femminismo. Nellintroduzione alla raccolta di testi teatrali, scritti dagli anni Sessanta
M.L. BOCCIA, Lio in rivolta, cit., p. 19. Per uno sguardo complessivo sullintera produzione di Maraini, si veda M.A. CRUCIATA, Dacia Maraini, Firenze, Cadmo, 2003. 30 Per unulteriore approfondimento cf. S. BASSNETT, Towards a theory of Womens Theatre, in Semiotics of Drama and Theatre: New Perspectives in the Theory of Drama and Theatre, a cura di Herta Schmid e Aloysius Van Kesteren, Amsterdam and Philadelphia, Benjamins, 1984, pp. 445-466. Afferma Maraini: Abbiamo iniziato con un teatro che rompeva con il passato, attaccava, costruiva barricate... (ibid., p. 455). Cf. anche D. CAVALLARO, Dacia Marainis Barricade Theater, in The pleasure of writing critical essays on Dacia Maraini, a cura di Rodica Dia Conescu-Blumenfeld e Ada Testaferri, West Lafayette Indiana, Purdue University Press, pp. 135-145.
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ad oggi, Maraini afferma che fare teatro coincide con fare politica e significa vincere una paura profonda, ridare la parola ad un significato primordiale che ancora minaccia i nostri sogni infantili31. La scrittrice giustifica in questo modo il suo amore ostinato e granitico per il teatro fortemente legato al desiderio di dare corpo alle emozioni che spesso vengono negate, taciute e rimosse. Scegliere il genere teatrale significa appropriarsi di un luogo poco visitato dalle donne e, spesso, anche tradizionalmente proibito al sesso femminile32. In unintervista, alla domanda Che peso ha nella sua scrittura il suo impegno femminista?, Maraini risponde: Non un contenuto. un modo di guardare il mondo. Appartiene al mio giudizio, alla mia interpretazione delle cose33. Nel teatro questo modo di guardare il mondo permette alla differenza sessuale di venire alla luce: nelle storie rappresentate il personale si intreccia con il politico e i personaggi non solo superano la dimensione privata cui il sesso femminile stato relegato da sempre (essendo stato identificato con la famiglia) ma propongono un recupero della dimensione politica e relazionale della soggettivit. questa la motivazione profonda che spinge al racconto di storie di donne comuni e alla riscrittura di personaggi femminili appartenenti alla letteratura e alla storia: da Suor Juana Ins de la Cruz a Eleonora Fonseca Pimentel, da Carlotta Corday a Maria Stuarda, da Veronica Franco a Camille Claudel, da Isabella di Morra a Catarina da Siena. Queste figure si impongono quasi pirandellianamente generando una sorta di vertigine metaletteraria in cui il nostro immaginario viene riletto e riscritto in unottica di genere. Molti testi nascono dagli intensi scambi con gruppi femministi e di autocoscienza34 e raccolgono le istanze delle battaglie politiche delle donne per il riconoscimento della differenza sessuale e per la riforma del diritto di famiglia, la tutela sociale e la legalizzazione dellaborto. La Maddalena si basa sullautocoscienza non in quanto sede fisica di questa pratica, ma in quanto luogo che convoglia le energie di donne che seguono questo percorso fuori dalle pareti teatrali e che, sulla scena, porD. MARAINI, Introduzione, in EAD., Fare teatro, Milano, Rizzoli, 2000, vol. I, p. V. A proposito si veda DonnaWomanFemme, n. 41 (1999), interamente dedicato al complesso rapporto delle donne con il teatro. Cf. anche SH. WOOD, Women and Theatre in Italy: Natalia Ginzburg, Franca Rame and Dacia Maraini, Europa 4 (1997). 33 Cf. lintervista a Dacia Maraini di M.A. CRUCIATA in EAD., Dacia Maraini, cit., p. 143. 34 Negli anni Settanta, il Teatro della Maddalena organizza incontri con femministe come Juliett Mitchell, Luce Irigaray, Kate Millet e con vari gruppi di Self Help.
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tano i desideri, le paure, le ansie e le aspettative che vanno emergendo nei gruppi femministi dellItalia di allora. Come afferma Dacia Maraini:
La pratica di autocoscienza era fatta fuori dalla Maddalena. [...] Quasi tutte partecipavamo a gruppi di autocoscienza. Io stessa facevo parte di un gruppo di autocoscienza con quattro donne, che non erano le stesse con cui facevo teatro. Ci vedevamo ogni volta in una casa diversa ed era anche un confronto doloroso. Venivano fuori le esperienze di violenza in famiglia, di rapporti difficili con i genitori, coi fratelli, ecc. 35

Se lautocoscienza viene esclusa dalla Maddalena, in che modo la pratica e il sapere che si sviluppano attraverso di essa influenzano questo teatro? Negli spettacoli realizzati dal Teatro della Maddalena il riconoscimento del valore della differenza sessuale il centro da cui si dipanano le storie narrate: i ruoli sessuali non sono dati una volta per tutte ma sono il prodotto della storia biografica e della cultura. Pertanto diviene fondamentale un processo di disconoscimento e riconoscimento di s attraverso lautocoscienza: i personaggi femminili si muovono tra desideri, paure, bisogno di autorealizzazione, attesa di un riconoscimento sociale e lottano con gli stereotipi che da sempre vengono attribuiti al sesso femminile. In questo senso, pensiamo che la Maddalena non sia solo unesperienza limitata nel tempo e che riguardi solo la storia del teatro italiano, quanto uno specchio che riflette il femminismo italiano e raccoglie il tentativo di costruire spazi di sole donne, destrutturando millenni di esclusione dalla storia e approfittando della differenza in stile lonziano. Ne Il ricatto a teatro, dramma metateatrale del 1968, in cui gli attori discutono di un dramma da rappresentare, Maraini racconta la storia di due donne che sembrano fare autocoscienza a teatro, mettendo a nudo le loro emozioni e scoprendo il valore e il piacere dello stare tra donne. Non un caso che proprio la scrittrice affermi:
Il testo che pi si avvicina alle pratiche del nostro teatro che, ripeto per non erano proprio pratiche di autocoscienza, si chiama Ricatto a teatro. un testo su un gruppo di attori che vogliono mettere in scena un testo ma cascano continuamente nel loro privato36.

Perch le protagoniste cascano nel privato? La scrittrice usa questa


35 D. MARAINI, 2008. Queste parole sono tratte da una intervista inedita a Dacia Maraini, avvenuta il 31 luglio 2007. 36 Ibid.

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espressione provocatoriamente: come sostiene Lonzi, il privato non il focolare, cui la donna stata relegata da sempre, quanto il personale, spazio legato alla pratica del partire da s e dalla propria esperienza di soggettivit sessuata. Durante la messa in scena di questo dramma a Montepulciano, i baci di Giulia e Lin, che esprimono liberamente il loro amore omosessuale, provocano il sequestro della commedia e la denuncia per oltraggio alla morale: la schiettezza, con cui le due protagoniste mettono in discussione la loro identit sessuale e si interrogano sulla natura del loro amore, non ben accettata nellItalia di quegli anni. Un altro testo dichiaratamente femminista Il Manifesto, del 1969, nato da uninchiesta sulle prigioni femminili nelle borgate romane; in esso la protagonista Anna, giovane ribelle del Sud, racconta le violenze subite. La storia di Anna vista come simbolo della condizione vissuta dalle donne. Come afferma Maraini in un articolo, la violenza deve essere intesa non solo come catastrofe maligna che capita fra capo e collo ma come abitudine, pratica quotidiana [...]37. Anna, la protagonista, intraprende unazione di smascheramento delle dinamiche maschiliste e misogine, su cui si basa la societ, e si rivolge alle donne, interlocutrici privilegiate di un manifesto che promuove lemancipazione del sesso femminile e il riconoscimento dellalterit della donna. Il manifesto di Anna ribadisce quanto affermato da Lonzi: la donna non va definito in rapporto alluomo38. Nel 1976 debutta presso La Maddalena Dialogo di una prostituta con un suo cliente in cui si alternano sulla scena un uomo totalmente nudo, nei panni del cliente del sesso, e una donna vestita, nel ruolo di prostituta filosofa. La dialettica, con cui la prostituta filosofa denuda le dinamiche maschiliste e patriarcali della prostituzione, non pu non rimandare alla consapevolezza di s che le donne acquisiscono nei gruppi di autocoscienza esprimendo il nuovo e rivoluzionario senso di s acquisito dal sesso femminile. Il testo gioca sul ribaltamento dei ruoli sessuali classici: Manila, la protagonista, una prostituta anomala, colta e sapiente, che conosce bene le dinamiche sottese alla prostituzione. Durante la messa in scena del dramma, la protagonista esibisce una forte consapevolezza di s e si rivolge varie volte alla platea ponendo delle domande provocatorie sul sesso e creando un vero dibattito con il pubblico che rompe la finzione teatrale. La prostituzione vista come metafora della condizione femminile attuale e
37 D. MARAINI, Riflessione sui corpi logici e illogici delle mie compaesane di sesso, in EAD., La bionda, la bruna e lasino, Milano, Rizzoli, 1987, p. VI. 38 C. LONZI, 1974, p. 19.

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rimanda a domande pi complesse e capillari sulluso del corpo, sul senso del piacere e sul concetto di libert. Ancora una volta Maraini utilizza il linguaggio dellautocoscienza imperniato sulla destrutturazione delle imperanti codificazioni maschili e sulla costruzione di nuove figurazioni, in questo caso la prostituta colta e vestita che mette in ridicolo il cliente nudo e ignorante attraverso la formula del capovolgimento. Ne I sogni di Clitennestra del 197839, libera rivisitazione dellOrestiade di Eschilo, ambientata a Prato negli anni Settanta, Clitennestra unex operaia tessile al centro di un procedimento di ribaltamento del mito che passa per la desacralizzazione e il declassamento dei personaggi classici. Il mito viene stravolto perch guardato dalla parte di lei: Clitennestra non pi la moglie infedele e assassina ma colei che, dopo aver subito luccisione della figlia da parte del marito e il suo abbandono, decide di costruirsi una vita propria. Il lavoro di Maraini sul testo greco quello di evidenziare ed esasperare i conflitti di genere mettendo in evidenza la violenta formazione di gerarchie di valore: maschile superiore e femminile inferiore40. La drammaturga pone in primo piano le dinamiche che determinano i rapporti di forza fra i personaggi, da una parte sovradeterminati dai rispettivi archetipi con cui interagiscono e, dallaltra, creati ex novo. Nella messa in scena contemporanea di Clitennestra, la storia d corpo al mito, attraverso un processo dallastratto al concreto, che si basa sulla messa a fuoco spiazzante di un corpo che diviene teatro di desideri e tab, rimozioni e narrazioni, non detti e detti e che trasuda la cultura femminista degli anni Settanta. Il lessico utilizzato da Clitennestra richiama alla memoria parte del vocabolario lonziano della differenza sessuale. In un articolo intitolato Clitennestra o della perversione, Maraini sostiene che Clitennestra venga punita non per il delitto commesso quanto per la sua capacit di autodeterminarsi concedendosi la possibilit di governare liberamente la citt e di darsi al piacere sessuale proprio come farebbe un uomo. Per Maraini, Clitennestra rappresenta la scoperta che il piacere sessuale legato alla libert e la libert al potere41.
39 Questo dramma non appartiene anagraficamente al Teatro Della Maddalena ma ad un workshop di teatro sperimentale tenutosi a Prato con Luca Ronconi; tuttavia, i nodi concettuali sviluppati in Sogni rimandano alla Maddalena e allintenso lavoro sul genere. 40 Sulla riscrittura di Clitennestra, si veda linteressante saggio di D. CAVALLARO, I sogni di Clitennestra: The Oresteia according to Dacia Maraini, Italica 3 (1995), p. 340355. Cf. anche linteressante saggio di G. CODY, Remembering what the closed eye sees. Some notes on Dacia Marainis Postmodern Oresteia, in The pleasure of writing critical essays on Dacia Maraini, cit., pp. 215-231. 41 D. MARAINI, Clitennestra o la perversione, in EAD., La bionda, la bruna e lasino, cit.,

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Nella riscrittura, il ruolo di Atena, la dea misogina che nellOrestiade si schiera contro Clitennestra, viene rivestito da una moderna psicanalista che critica la sessualit femminile riconducendola freudianamente allinvidia della virilit.
Psicanalista: da bambina ti occupi molto del tuo corpo ed giusto: devi imparare a conoscerlo. Da bambina ti masturbi e sei languida ed aggressiva: giusto, perch devi ancora scoprire la tua femminilit. Il tuo mondo non molto dissimile da quello maschile: il centro della tua sessualit la clitoride, il tuo atteggiamento di scontro. Ma poi, ecco, poi cresci, diventi donna e trasferisci il tuo piacere dallesterno allinterno, impari a essere ricettiva, docile, materna. Diventi donna. Questo liter della femminilit che matura sanamente. Tu... tu no, tu sei rimasta bambina, aggressiva, indocile, clitoridea. Ed questo che ti fa pazza42.

Attraverso la figura della psicoanalista, Maraini critica linterpretazione freudiana della donna in cui lautoerotismo solo una tappa allinterno di un percorso di crescita, che si risolve nel superamento e nellaccettazione di un ruolo passivo nelle relazioni sessuali. evidente il riferimento teorico-politico a La donna clitoridea e la donna vaginale43, in cui Carla Lonzi legge il piacere vaginale come piacere ufficiale della cultura sessuale patriarcale44 e riscatta la specificit del piacere clitorideo. Maraini affida a Clitennestra il ruolo di portavoce del femminismo facendole svelare le dinamiche patriarcali inscritte nel mito e analizzate e legittimate dalla psicoanalisi. Sebbene non vi siano riferimenti diretti allautocoscienza, questa Clitennestra sembra parlare il linguaggio delle donne degli anni Settanta: consapevole di s, del suo corpo, prova a pensar-si e a parlar-si a partire da s, compiendo quello sforzo di autorappresentazione di cui parla Cavarero. Luso di un linguaggio scevro di censure e incentrato sul corpo permette di cogliere un punto importante dellesperienza della Maddalena: il tentativo del femminismo di lavorare sullimmaginario e di cambiarlo a partire dal doloroso e creativo percorso di autocoscienza. Certo, il discorso non si esaurisce qui: ci sarebbe molto da riflettere sul perch una delle esperienze pi originali, non solo sulla scena italiana, ma anche europea, stata quasi rimossa dalle varie storie del teatro italiano
p. 8. Secondo Maraini, il sesso, come lamore, un figlio della storia, talmente bagnato e fradicio di cultura da rendere quasi irriconoscibile la sua matrice fisiologica (ivi, p. 9). 42 IVI, p. 8. 43 C. LONZI, Scritti di Rivolta Femminile, cit., p. 14. 44 Ivi, p. 24.

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cos come una delle pi importanti elaborazioni del pensiero sessuato, non entri a far parte dei libri di storia del pensiero. Seppure lo scopo di questo articolo non sia rispondere a questa domanda, il tentativo di mettere al centro del nostro discorso il linguaggio dell'autocoscienza vuole rimandare al valore della differenza sessuale espressa dalle femministe, una differenza spesso che non solo non viene compresa, ma addirittura rimossa. Parlare di autocoscienza come linguaggio permette di mettere in evidenza la cifra e la ricchezza di senso contenuta nel lessico non canonico delle femministe che, scommettendo sulla sovrapposizione produttiva di pratiche discorsive e politiche, lavora in vista della costruzione di un simbolico che considera la conoscenza di s non un processo apolitico e neutro ma legato al corpo, alla cultura e alla storia.

RITA PAONESSA Note su MICHAEL TOMASELLO, The cultural origins of human cognition (1999), trad. it. Le origini culturali della cognizione umana, Bologna, Il Mulino, 2005 Cosenza, mattina soleggiata: un esemplare maschio di Homo sapiens sapiens viene alla luce. Nello stesso momento, non molto lontano, nasce un piccolo di Pan troglodythes, scimpanz comune. I due condividono il 99% del patrimonio genetico eppure, a partire dalle stesse abilit sociocognitive di base (categorizzare, rappresentarsi cognitivamente lo spazio, riconoscere individualmente i conspecifici, comprendere le relazioni in cui non si direttamente coinvolti), seguiranno due percorsi ontogenetici piuttosto differenti. Per spiegare questa differenza, Tomasello, nel libro Le origini culturali della cognizione umana, ipotizza che, in virt di un adattamento specie-specifico, lanimale umano riconosca gli altri come agenti intenzionali e mentali al pari di s. Grazie a questo meccanismo biologico lanimale umano si identifica con i propri simili e impara da e attraverso essi, motivo per cui gli artefatti, di cui coglie la dimensione intenzionale (lo scopo per cui noi usiamo quellartefatto), sono trasmessi fedelmente da una generazione allaltra. Perci, ogni generazione usa ed eventualmente migliora gli artefatti culturali a partire da quanto fatto dalla generazione precedente, senza tornare indietro (effetto dente darresto): i cambiamenti apportati agli artefatti in diversi momenti storici non vanno persi, ma si accumulano. In questo modo sono garantite la stabilit e la perennit di un mondo di strumenti, pratiche, simboli culturali allinterno del quale avviene lontogenesi umana, intesa dallautore come sviluppo e non come semplice maturazione. La natura seleziona percorsi ontogenetici1 Lontogenesi umana, per Tomasello, un processo graduale basato sul riconoscimento e lattribuzione di stati intenzionali. In particolare, il bambino comincia ad attribuirli intorno ai nove mesi di et: ricorrendo alla propria esperienza interna dellavere uno scopo e del cercare di raggiungerlo, egli simula gli stati intenzionali degli altri poich se gli altri sono come lui, come lui hanno degli scopi in quanto tali, distinti dalle strategie
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comportamentali usate per conseguirli. In virt di questa nuova comprensione dei propri simili il cucciolo duomo in grado di: interagire contemporaneamente con ladulto e con loggetto, ovvero relazionarsi con luno attraverso laltro2; scoprire il Me nel momento in cui lattenzione delladulto focalizzata sul bambino stesso; cogliere le intenzioni comunicative delladulto; individuare gli obiettivi e gli oggetti verso cui lattenzione delladulto rivolta. Le ultime due capacit sono le condizioni necessarie per lapprendimento dei simboli linguistici: individuare gli obiettivi o gli oggetti focalizzati dalladulto consente al bambino di selezionare gli elementi pertinenti e, quindi, di ridurre il campo dei possibili referenti delle parole usate dallaltro in funzione delle sue intenzioni comunicative. Ci non significa che, allinterno delle interazioni sociali, il bambino apprenda singole parole, al contrario, acquisisce la padronanza di unintera lingua, che se da una parte la conseguenza di attivit sociocomunicative preesistenti, dallaltra ristruttura profondamente la cognizione del piccolo poich plasma i concetti dando luogo a rappresentazioni cognitive flessibili, multiprospettiche e forse dialogiche. Infatti, dal momento che si possono usare diversi mezzi linguistici per riferirsi alla stessa situazione percettiva (ad esempio, una rosa un fiore, il simbolo della passione ecc.), il bambino diventa capace di assumere diverse prospettive simultaneamente, di usare e creare analogie e metafore, di costruire narrazioni. Inoltre, chiamato a coordinare la sua prospettiva con quella dellaltro: a partire dallesperienza interna degli scopi, del loro mancato riconoscimento, delle credenze e dei pensieri, il bambino simula credenze, desideri e prospettive degli altri nellatto di esprimersi linguisticamente: intorno ai quattro sei anni, riconosce gli altri come agenti mentali e, al tempo stesso, giunge ad una nuova comprensione dei propri pensieri e delle proprie credenze. Ora, la teoria della simulazione proposta da Tomasello interessante nella misura in cui gli consente di fornire una teoria dellapprendimento che, tra laltro, d rilievo alla gradualit dello sviluppo e allimportanza
Per la prima volta il bambino agisce in una relazione triadica, preludio alle entit triadiche di cui costituito il mondo culturale. Infatti, i segni sono collegati ai referenti mediante un termine intermedio (sia esso un contenuto mentale o un habitus); i pensieri sono caratterizzati dalla direzione verso un obietto (intenzionalit alla Brentano) mediata da un modo di rappresentazione; le azioni si compongono di movimenti del corpo fatti per raggiungere uno scopo attraverso lapplicazione di una norma. E segni, pensieri, azioni sono intrinsecamente sociali: per essere tali hanno bisogno della presenza degli altri (cf. CIMATTI 2004).
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del suono per la condivisione dei simboli linguistici 3 . E tuttavia, desta qualche perplessit: per un verso il bambino prima esperisce i suoi stati intenzionali/mentali e poi, grazie alla capacit ereditata biologicamente di riconoscere i conspecifici come simili a S, li attribuisce agli altri; per un altro verso, per, si scopre come Me solo dopo essersi relazionato agli altri. Lautore, su questo punto, cerca di prevenire qualsiasi critica e scrive: Secondo una diffusa interpretazione, tale concezione [la teoria della simulazione] implica che i bambini siano in grado di concettualizzare i propri stati intenzionali prima di poterli usare per simulare il punto di vista degli altri. Ci appare smentito dai dati empirici: i bambini non concettualizzano i propri stati mentali prima di concettualizzare gli stati mentali degli altri [GOPNIK 1993], e nemmeno ne parlano in un periodo precedente [BARTSCH e WELLMAN 1995]. Ma questo non necessariamente un problema se la simulazione non vista come un processo esplicito nel quale il bambino concettualizza un contenuto mentale, con la consapevolezza che quello il suo contenuto mentale, e poi lo attribuisce a unaltra persona in una specifica situazione4. E pi avanti prosegue: Essi [i bambini] semplicemente percepiscono il modo generale di funzionare dellaltro attraverso unanalogia con il S, e la loro capacit di individuare un particolare stato mentale in particolari circostanze dipende da molti fattori5. Innanzitutto, non ben chiaro che cosa voglia dire concettualizzare uno stato intenzionale. Tomasello specifica che il bambino attribuisce stati intenzionali senza averne consapevolezza, ma, se cos , in che modo il bambino riesce ad attribuire stati intenzionali alle altre persone se non sa che quelli sono stati intenzionali? E con quali mezzi accede ai suoi stati intenzionali? In secondo luogo, Tomasello fa riferimento ad una semplice percezione del modo in cui funziona laltro attraverso unanalogia con il S. Anche qui, viene spontaneo domandarsi in che modo il bambino istituisca unana3 Anche Vygotskij pone laccento sulla gradualit con cui il bambino apprende la piena funzione significativa della parola: Allinizio dello sviluppo nella struttura della parola esiste esclusivamente il suo riferimento oggettuale e le sue funzioni sono soltanto la funzione indicativa e denominativa. Il significato, indipendente dal riferimento oggettuale, e la significazione, indipendente dallindicazione e dalla denominazione, compaiono pi tardi () (VYGOTSKIJ 1934, trad. it. 2003: 343). Tuttavia, lo psicologo russo, al contrario di Tomasello, aveva trascurato limportanza fondamentale della consistenza materiale dei simboli linguistici (cf. VIRNO 2003) 4 TOMASELLO 1999, trad. it. 2005: 98. 5 Ivi, p. 98.

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logia fra s e laltro, se non ha un concetto di s. Inoltre, specificare in che modalit il piccolo percepisca gli altri potrebbe essere utile. Rifacendosi a Vygotskij, si potrebbe ipotizzare che il bambino, dal momento che non distingue lio dal mondo, dapprima non percepisca gli altri, ma si muova allinterno di una sorta di nebulosa, la comunit in cui vive. In seguito alle ripetute interazioni sociali, gradualmente, si accorgerebbe dellesistenza degli altri e, quindi, di S stesso (cf. VYGOTSKIJ 1934). In terzo luogo, Tomasello usa la parola intenzione riferendosi agli scopi, ma adotta solo un significato pregnante della parola che pu essere usata e fraintesa in diversi modi in diverse situazioni linguistiche (vedi WITTGENSTEIN 1953). Oltretutto, nel passo appena citato lautore sostituisce stati mentali a stati intenzionali; in effetti, quando uno ha un certo scopo si trova in un certo stato mentale, ma se pensiamo allintenzionalit alla Brentano, essere intenzionali non significa necessariamente avere uno scopo. E poi vero che ogni volta che parliamo lo facciamo in vista di uno scopo? Cerchiamo solo di fare in modo che laltro presti attenzione a ci che vogliamo? Quale scopo tentiamo di raggiungere quando chiediamo al vicino di casa come sta? Certo, potremmo volerne sapere di pi sulla sua storia damore andata male o potremmo volere entrare nelle sue grazie, ma escludendo questi buoni propositi, non riusciamo ad individuare unintenzione comunicativa, cos come non riusciamo ad associare unintenzione comunicativa ad un grido di dolore o ad unespressione blasfema. Gli esempi potrebbero continuare allinfinito: per dirla con Wittgenstein, la teoria tomaselliana d conto di una regione circoscritta dei diversi giochi linguistici 6, descrive un caso limite (cf. GAMBARARA 2005, in particolare il cap. 9 e VIRNO 2003). Nei punti appena trattati, dunque, proponiamo unesplorazione pi approfondita della parola, unanalisi concettuale. Questo modo di procedere potrebbe sembrare antiquato, superato, eppure anche oggi la chiarificazione concettuale necessaria e importante poich 1) se anche si vuole co-struire una teoria scientifica, prima di tutto, bisogna definire i termini che si useranno; 2) allinterno della stessa scienza cognitiva c disaccordo proprio sulle parole, su che cosa si debba considerare grammatica universale e su che cosa significhi innato, anche se non c un reale dibattito in merito (vedi TOMASELLO 2004)

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Il singolo e la sociogenesi Tomasello definisce la sociogenesi come la successione di processi ontogenetici, ma non affronta i problemi relativi a questa impostazione (probabilmente non rientrano nei suoi interessi): 1. Il rapporto tra il contributo del singolo e la sociogenesi: la sociogenesi di un artefatto la semplice somma, qualcosa di pi o qualcosa di meno delle singole ontogenesi? Parafrasando Morin, potremmo dire che , allo stesso tempo, qualcosa di pi e qualcosa di meno. qualcosa di meno perch loperato e linventiva del singolo, soprattutto nei casi di miglioria collettiva, si dissolve nellopera e col passare del tempo. qualcosa di pi perch i prodotti umani diventano autonomi, non restano circoscritti a coloro che li hanno inventati. E ci particolarmente plausibile per le lingue, che non solo si sottraggono allarbitrio del singolo, ma non vengono nemmeno modificate coscientemente e volutamente dai gruppi di singoli, semplicemente si modificano nelluso, meglio, negli usi che i gruppi di singoli ne fanno. 2. La creativit dellanimale umano. Allevoluzione degli artefatti contribuisce linventiva del singolo, ma la capacit dellanimale umano di creare cose nuove rimane inspiegata. Forse favorita dalla produttivit dei sistemi di segni che, quindi, forniscono il modello per lidea stessa della possibilit del nuovo? In proposito, lautore mette in luce una tensione che si traduce in uno scambio dinamico: se da una parte il bambino in grado di fare dei salti creativi e andare oltre ci che apprende grazie alle abilit di categorizzazione comuni a tutti i primati che gli consentono di cogliere individualmente alcune relazioni categoriali o analogiche, dallaltra questi salti creativi sono favoriti da strumenti culturali come i simboli linguistici e matematici e le rappresentazioni iconiche convenzionali7. Conclusioni Tomasello, attraverso le ricerche condotte insieme ai colleghi al Max Planck Institute, cerca di individuare le fasi attraverso cui il bambino riconosce gli altri come esseri intenzionali e mentali al pari del S, impara luso convenzionale dei simboli, acquisisce la propria lingua, assume diverse prospettive simultaneamente, interiorizza le rappresentazioni flessibili
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e multiprospettiche rese possibili dalla lingua stessa, che non crea nulla dal nulla, ma rivoluziona le abilit condivise con gli altri primati non umani. Lo psicologo rivaluta i processi storico-culturali e ontogenetici che fanno dellanimale umano lanimale che , rigettando la tesi del modularismo in quanto i 6 milioni di anni in cui lanimale umano si differenziato dagli altri primati sono un tempo evolutivamente troppo breve per la formazione dei moduli la Fodor o la Chomsky. Egli supera la distinzione geni/ambiente, per costruire un quadro complesso delluomo in cui non possibile distinguere lindividuale dal culturale, la biologia dalla cultura: il bambino eredita alcune abilit, ma queste emergono e si sviluppano nellinterazione con gli altri; impara alcune cose da s, ma acquisisce importanti informazioni solo dagli e attraverso gli altri. Biologia e cultura costituiscono ununit la Vygotskij: pur muovendosi su piani differenti, si intersecano continuamente. E Tomasello non d questa unit come un brute fact, ma la giustifica analizzando come la linea di sviluppo individuale si congiunga e si disgiunga con la linea di sviluppo culturale. Quanto allontogenesi umana, essa si fonda sulla simulazione, quindi, sullattribuzione di stati intenzionali prima e stati mentali poi. Ma che cosa sono le intenzioni? Che differenza c se ve ne una tra stati intenzionali e stati mentali? Con quali strumenti il bambino ricorre allesperienza interna dei suoi stati intenzionali? E perch ha la capacit di compiere salti creativi che vanno al di l delle possibilit offerte dal mondo in cui vive? Tomasello sembra non preoccuparsi di queste domande e non considera nemmeno un ulteriore fattore di complessit nei rapporti tra il cucciolo duomo e i suoi simili, in particolare i piccoli come lui. Infatti, il bambino diventa cosciente di S come agente intenzionale/mentale solo dopo aver interagito con gli altri; nello stesso tempo, attribuisce stati intenzionali/mentali agli altri; inoltre, gli altri bambini penseranno a S e alla loro prospettiva solo dopo essersi relazionati ad egli stesso. Sembra quasi che non sia possibile stabilire chi influenza chi, che non sia possibile tracciare un confine netto, dire prima viene A e poi segue B. La difficolt rimanda a una questione metodologica di fondo: preferibile trovare una spiegazione lineare o sostare, senza paura, nel circolo, quel circolo tanto caro ad Heidegger? Si deve usare laccetta della precisione che stabilisce con nettezza meccanismi e processi o si devono mantenere i poli contrari e complementari come suggerisce Morin? Il codirettore del Max Planck Institute, dunque, propone unipotesi affascinante perch stabilisce una stretta interdipendenza tra elementi

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biologici ed elementi culturali, ma lascia delle caselle vuote. Probabilmente il paradosso dellanimale che parla, dellanimale che vive in due regimi logici, quello delle cause e contemporaneamente quello delle ragioni, destinato a non essere sciolto.
Bibliografia HANNAH ARENDT 1958, The Human condition, Chicago, The University of Chicago Press, trad. it. di S. Finzi, Vita Activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1964. NOAM CHOMSKY, 1988, Language and problems of knowledge. The Managua Lectures, Cambridge (Ma.), The MIT Press, trad. it. di C. Donati e A. Moro, Linguaggio e problemi della conoscenza, Bologna, Il Mulino, 1991. FELICE CIMATTI 2004, Mente, segno e vita, Roma, Carocci. FRANCESCO FERRETTI, 2007, Perch non siamo speciali. Mente, linguaggio e natura u-mana, Roma-Bari, Laterza. DANIELE GAMBARARA, 2005, Come bipede implume, Roma, Bonanno Editore. MORIN EDGAR 1990, Introduction la pense complexe, trad. it. di M. Corbani, Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling & Kupfer, 1993. TOMASELLO MICHAEL, 1999, The cultural origins of human cognition, Cambridge (Ma.), Harvard University Press, trad. it. di M. Riccucci, Le origini culturali della cognizione umana, Bologna, Il Mulino, 2005. TOMASELLO MICHAEL, 2004, What kind of evidence could refute the UG hypotheses?, Studies in Language 28 (3): 642-645. Sito Web Max Planck Institute Department of Developmental and Comparative Psychology: http://www.eva.mpg.de/psycho/index.html. PAOLO VIRNO, 2003, Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana, Torino, Bollati Boringhieri. LEV S. VYGOTSKIJ, 1934, Myslenie i rec Psichologiceskie issledovanija, Gosudarstvennoe Socialno Ekonomiceskoe Izdatetelstvo, MoskvaLeningrad, trad. it. di L. Mecacci, Pensiero e Linguaggio, Roma-Bari, Laterza, 1990. LUDWIG WITTGENSTEIN, 1953, Philosophische Untersuchungen, Oxford, Basil Blackwell, trad. it. di R. Piovesan (pp. 3-182) e M. Trinchero (pp. 183-301), Ricerche Filosofiche, Torino, Einaudi, 1967.

STEFANIA PESCE Logica del limite e lgos del limite. JeanLuc Nancy e la trascendenza
Plus le corps est une limite consciente, plus lespace est illumin. P. SOLLERS

Dare senso al limite o dire del limite del senso (ossia di un senso situato al limite) la questione intorno a cui si coagula il pensiero di JeanLuc Nancy e il cuore pulsante della sua instancabile ricerca filosofica. Scrivere un saggio sul filosofo francese non cosa semplice data la sterminata bibliografia e la variet dei campi su cui il suo sguardo indagatore si posato; si potrebbero scegliere molteplici piste: quella pi strettamente teoretica (a partire dallanalisi del soggetto cartesiano e dal ripensamento del cogito, allerculeo tentativo di annullare qualsiasi ricorso del pensiero allessenza, alla serrata polemica col cristianesimo e col pensiero carnista della fenomenologia, al passaggio dalla preminenza della vista al tatto), oppure si potrebbero seguire le inflessioni politiche della sua ontologia (ad esempio come si declina il concetto di comunit nellepoca della mondializzazione, oppure le implicazioni del tema dellintrusione relazionato alla venuta dello straniero), cos come ci si potrebbe fare ammaliare dalle pieghe estetiche che prende il suo discorso, o ancora ci si potrebbe divertire a cercare dei punti di tangenza (e lontananza) con grossa parte del panorama filosofico francese post-heideggeriano Derrida, Bataille e Deleuze, Merleau-Ponty e Lvinas. Qui, per, non ci occuperemo di un tema in particolare, ma utilizzeremo una linea-guida che permetta di accostarsi facilmente al suo pensiero labirintico, senza imboccare alcuna strada maestra ma accostandosi alle numerose entrate senza escluderne alcuna. Per questo scopo assumeremo come leitmotiv la nozione di limite, giacch ci sembra enucleare una vera e propria logica, cui nessun concetto nanciano resta immune. Questo perch in una metafisica svuotata da ogni riferimento ad unessenza fondante1, al divino, allultraterreno, quale quella tratteggiata
1 Cf. J.L. NANCY, Il senso del mondo, tr. it. di F. Ferrari, Milano, Lanfranchi, 1997. In questopera Nancy argomenta la tesi decostruzionista secondo cui il mondo non ha pi un senso, perch non rinvia ad alcun senso esterno ad esso n ultraterreno, n metafisico ma il senso.

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da Nancy, la filosofia del limite lunica possibile, lunica veramente umana. Oltre che un sistema politico e morale, essa delinea una concezione del mondo, una filosofia di vita, un modus vivendi che sembra essere non gi il fondo, ma lo sfondo mellifluo su cui prendono forma e colore i pensieri dellautore. La prima questione che ci proponiamo di analizzare : se la logica del limite2, rintracciabile nel pensiero nanciano, anche un logos del limite, cos che dice il limite, cosa parla nel limite? chiaro che una simile domanda porta con s un peso specifico, quello della metafora che la parola limite riesce ad evocare, e di tutti i sensi che gravano su di essa. In questo senso, il concetto di limite abbraccia sia problemi esistenziali sia questioni preminentemente filosofiche quali il limite della conoscenza, della comprensione, dellesperienza, della verit, fino allantico dilemma di limite e illimitato, finito contro infinito, secondo una parabola discendente e ascendente facilmente rintracciabile nella storia della filosofia. Infatti, se lapeiron dei naturalisti greci e il limite/numero dei pitagorici sottintendevano una concezione positiva del limite, attribuendogli un valore epifanico, iniziale, in quanto esso consentiva allente di venire alla luce dal suo essere indeterminato; successivamente, con il cristianesimo, tale concetto ha subito una sterzata in senso negativo, essendo considerato come privazione e mancanza dessere, sempre legato al concetto di illimitato, da cui direttamente discende e dipende; soltanto in epoca moderna, con il criticismo kantiano, il limite ha riacquistato una certa positivit, divenendo la base della trascendenza, fino ad Heidegger, che lo definisce come ci a partire da cui una cosa inizia la sua essenza3 e da qui alla fenomenologia e allermeneutica, a Gadamer, alleffrazione del limite nel corpo sacrificale di Bataille, allesperienza del limite nella scrittura, analizzata da Philippe Sollers4.
Davide Tarizzo spiega perch quella di Nancy possa essere considerata una logica (logica che prende diversi nomi, si articola in pi modi: logica della spartizione o partage, logica dellabbandono, logica della libert, logica dellesperienza): questa esperienza dellessere, della sorpresa e libert dellessere, il logos come tale la logica del pensiero, vale a dire la legge che regola i rapporti tra il pensiero e lessere (D. TARIZZO, Il pensiero libero, Milano, Cortina, 2003, p. 110). 3 M. HEIDEGGER, Costruire, abitare, pensare, in ID. Saggi e discorsi, a c. di G. Vattimo, Milano, Mursia, 1976, p. 103. 4 A partire dallesperienza con la rivista (e gruppo) davanguardia Tel Quel fino a Lcriture et lexprience des limits (Paris, Seuil, 1968), Sollers ha studiato la trasgressione operante nel linguaggio, sostenendo lidea di una faglia del discorso rinvenibile nei testi-limite della letteratura, con unattenzione particolare allopera limite di Bataille e di Artaud.
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La parola limite comunemente indica il punto estremo cui pu arrivare qualcosa, cosa che nellimmaginario pi fantasioso rimanda allidea dei confini del mondo, alle leggendarie colonne dErcole, e da qui alla fascinazione del mistero di ci che sta oltre la soglia, dellignoto. Ma limite pu anche riferirsi ai limiti della ragione umana, oppure al problema della morte in quanto termine della vita, fino a coinvolgere dibattiti etici quali sono i limiti della scienza? e questioni psicopatologiche qual il punto tra normalit e follia, quali gli estremi della ragione umana? A questo proposito lesperienza di Antonin Artaud (ma potremmo citare il caso del marchese de Sade piuttosto che Grard de Nerval) emblematica: lesperienza del limite e della sua continua valicazione prova dello spossessamento, dellallontanamento da s, di lacerazioni profonde della psiche che affondano le radici nella schizofrenia, e nel contempo potenza creatrice, liberazione, slancio vitale. Il limite, dunque, assume plurimi aspetti, si presta a molteplici interpretazioni; insomma uninfinit di nomi5; tutto e il contrario di tutto di fatti nel linguaggio comune pu essere connotato negativamente (si dice: quel tale limitato) e positivamente (ex. c un limite a tutto); esso fa parte della vita, esperienza comune, inaugurale o terminale, consapevole o inconscia; uno status mentale ed uno stile di vita. Come testimonia efficacemente Artaud esso anche una propensione: tenermi sempre al limite insensibile delle cose, essere permanentemente nello stato in cui le cose passano, senza mai agganciarle o incorporarmele6. Il limite non mai statico, fisso, ma ogni volta messo in gioco e rimette in gioco, si afferma e si ritrae; per questo non mai una linea precisa, ma piuttosto una sottile zona dombra, eterea ed evanescente. per questo che parlare del limite richiede coraggio7, e se cos il nostro autore ne ha da vendere. Nancy, infatti, ha analizzato il limite in tutte le sue pieghe, nei suoi pi bui anfratti, dando voce a quello che esso dice, al suo logos, restituendogli lautorevolezza che un concetto cos articolato merita. Il pensiero del filosofo mostra efficacemente come nel limite in gioco non solo la scrittura e
M. CHARVET e E. KRUMM suggeriscono: questo limite mi pare poter essere caratterizzato dai nomi che la storia lineare quello in cui noi parliamo mistica, erotismo, follia, letteratura, inconscio (Tel Quel: unavanguardia del materialismo, Bari, Dedalo, 1974, p. 60). 6 A. ARTAUD, Note per una lettera ai balinesi, in ID., CsO: il corpo senzorgani, a c. di M. Dotti, Milano, Mimesis, 2003, p. 67. 7 B. CALLIERI, Prefazione in AA.VV., Al limite del mondo. Filosofia,estetica, psicopatologia, a c. di F. Leoni e M. Maldonato, Bari, Dedalo, 2002, p. 5.
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larte, leros e la morte, la politica e lestetica, la sorte della filosofia e del pensiero, ma anche il nostro modo di essere al mondo. Finanche il senso del mondo e lessere vanno letti sotto linesauribile logica del limite. Questultima , in primis, capace di spiegare il modo in cui possibile il mondo: giacch il mondo ha luogo come immensa pressione di corpi 8 , come infinito reticolato di corpo a corpo, il limite traccia quelle linee divisorie che impediscono che il mondo sia una massa informe e compatta, un vuoto indistinto. In altre parole, esso rende possibile la singolarit, il garante del mantenimento delle forme. Secondariamente, attraverso la logica del limite si precisa il modo dessere dellessere-con, nodo cruciale dellontologia nanciana: lesistere si configura immediatamente come un co-esistere, come un essere in comune, come una pluralit di enti, in cui il con il presupposto del s, perch non c singolarit senza altre singolarit. Grazie al limite sappiamo che il contatto universale, di cui si parla ripetutamente in Essere singolare plurale9, non deve essere pensato come se operasse una continuit tra i soggetti in causa, come se i corpi fossero situati luno accanto allaltro, perch si cadrebbe in un triplice errore: 1) si confonderebbe la pluralit di cui parla Nancy con una totalit, una unit onni-comprensiva; 2) in questa unit i corpi verrebbero ammassati confusamente e sarebbero, cos, riducibili gli uni agli altri, ossia intercambiabili; 3) lesistenza di una massa compatta implicherebbe lindifferenziazione dei corpi, dunque la stessa invisibilit dei corpi. Al contrario, Jean-Luc Nancy mantiene e il singolare e il plurale dellessere in quella che viene definita una singolarit nella pluralit: la singolarit dellessere il suo plurale. Ma lessere non pi detto in molti modi a partire da un unico presunto nocciolo di senso []. Lessere la spaziatura, il sopraggiungere la spaziatura sopraggiungente del co, singolare plurale10. Bisogna sottolineare che la singolarit (cosa ben diversa dallindividualit) preservata, attraverso la nozione di limite, a dispetto della demolizione dellunico e delleccezionale e della celebrazione dello straordinario operanti nella nostra societ, considerati sintomi della disgregazione del senso, cui viene contrapposta positivamente la rivalutazione del comune e del banale. Allora il limite svolge una doppia funzione: da un laJ.-L. NANCY, Corpus, tr. it. di A. Moscati, Napoli, Cronopio, 1995, p. 35. J.-L. NANCY, Essere singolare plurale, tr. it. di Davide Tarizzo, Torino, Einaudi, 2001. 10 Ivi, p. 54.
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to preserva la singolarit del corpo, e a dallaltro rende possibile il contatto. Questultimo, difatti, per stabilirsi necessita sempre di una distanza, di una separazione operante tra gli oggetti che giungono a toccarsi. Limportanza del limite aumenta vertiginosamente se si considera che, nel mondo visto dagli occhi del filosofo, il contatto legge universale e infrangibile: essa prescrive che la prima condizione perch ci sia un individuo che sia toccato da qualcosa e che tocchi qualcosa, poich sempre insieme ad altri che viene al mondo, e, a sua volta, la condizione affinch un corpo tocchi un altro corpo , appunto, lesistenza del limite. Non c contatto senza distanza, non c prossimit senza lontananza, non c rapporto senza differenza; da un singolare allaltro c contiguit, ma non continuit, poich: se non ci fosse una distanza da colmare, non ci sarebbe motivo di dare o di chiedere il superamento di una distanza che tale solo perch vi sono corpi che si sentono11. Tutto questo pu essere riassunto in due concetti fondamentali dellontologia nanciana: lo spaziamento dei corpi, che si connette direttamente alla localizzazione dellessere. La metafisica del nostro autore, che risente chiaramente della lezione kantiana (prima) e heideggeriana (poi), infatti, fortemente imperniata sul concetto di spazio: un corpo si configura sempre come un -ci (il -ci del Dasein heideggeriano), ossia occupa sempre uno spazio, un luogo, una posizione. Di conseguenza due corpi non possono occupare mai lo stesso posto: sempre grazie alla differenza possibile il contatto. Ma c dellaltro: i corpi non occupano semplicemente uno spazio, ma danno vita essi stessi allo spazio. In questa dis-locazione universale non esiste confusione; al contrario, come abbiamo visto, la distinzione necessaria. cos che i corpi possono essere visti: la vista avviene sempre tra corpi ossia sempre vista del visibile, e colui che vede compare insieme con ci che vede. Ecco tornare il con: i corpi appaiono insieme, sempre con altri corpi, ammassati, abbracciati, in quella che la comparizione. In uno scenario simile lesperienza consiste in un sentirsi toccare o sentirsi toccati, che non sarebbe possibile senza quel limite di cui dicevamo prima. Inoltre, bisogna rilevare che proprio nellimpatto con il corpo dellaltro che posso conoscere il limite del mio corpo: cos nel con-essere che ho percezione del mio essere. Attenzione, per: in questo reticolato di contatti, nella pressione globale dei corpi, il toccare non mai appropriativo, cio non arriva mai ad inglobare in s laltro, poich tra i due corpi esiste sempre una distanza. Il tocco, infatti,
11 D. CALABR, Dis-piegamenti. Soggetto, corpo e comunit in Jean-Luc Nancy, Milano, Mimesis, 2006, p. 92.

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incontra immediatamente un limite, il limite del corpo dellaltro. Il contatto consiste, cos, nel perdere il proprio nel momento in cui si tocca, significa perdere s nel momento in cui il s, toccando laltro, si fa altro e per laltro. Jacques Derrida, nel suo corposo volume dedicato al toccare e a Jean-Luc Nancy, parla a questo proposito di un toccare senza toccare, di un premere senza premere, di una discrezione del contatto12. Il contatto si risolve quindi in unimpotenza, in uninterruzione: ci che Nancy chiama sincope. A pensarci bene, nessuno, nessun corpo ha mai toccato con la mano o col contatto della sua pelle qualcosa di tanto astratto quanto un limite. Ma, vale anche il contrario, cio non tocchiamo mai nientaltro che un limite. Toccare sempre toccare un limite, una superficie, un bordo, un contorno. lecito chiedersi allora: cosa significa toccare, se toccare toccare il limite, ossia qualcosa dimmateriale? Per il filosofo significa avvicinarsi al sublime. In Un pensiero finito, si legge infatti:
il modo singolare della presentazione di un limite, che questo limite viene ad essere toccato: bisogna cambiare senso, passare dalla vista al tatto. Questo infatti il senso della parola sublimitas: quel che si tiene appena sotto il limite, ci che lo tocca13.

Come concepire un toccare che tocca ci che incorporeo? Com possibile un contatto che giunge a toccare limpossibile? a questo punto che si inserisce la questione del senso. Esso costituisce lo spazio in cui i corpi si dislocano: lincorporeo del senso si infiltra nella distanza tra i corpi, anzi fonda tale scarto. Il senso, allora, non altro che il rapporto tra un corpo e laltro, la configurazione ogni volta diversa che assume il con, e che la parola giunge a esprimere14. Lontologia dei corpi di cui si fa portavoce Nancy allora anche unontologia dellincorporeo: infatti, se il dire corporeo, in quanto voce udibile o scrittura, ci che viene detto incorporeo, e questo incorporeo il linguaggio, veicolo del senso. Eliminato il ricorso allessenza, a tutto ci che sa di fondamento, non resta che rintracciare il senso del mondo nel mondo stesso. Se la peculiarit dell'esistenza il non avere alcuna essenza, allora il corpo lapertura, la spaziatura, leffrazione, liscrizione del senso; se lesistenza appare come unesposizione corporea, allora il pensiero avr come
J. DERRIDA, Le toucher, Jean-Luc Nancy, Paris, Galile, 2000, p. 109. J.-L. NANCY, Un pensiero finito, tr. it. di L. Bonesio e C. Resta, Milano, Marcos y Marcos, 1992, pp. 102-103. 14 D. TARIZZO, Il pensiero libero, cit., p. 113.
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oggetto il corpo e lesperienza del toccare, listituzione del senso nellestensione e vibrazione dei corpi. Il corpo diventa cos il corpo del senso per questo ogni scrittura ha un corpo dove senso non rinvia e non si riferisce pi a s, non rinvia pi a nessuna interiorit, ad alcun dentro insondabile, ma rimane spalmato sul bordo, sulla superficie esterna, cio sul limite. Il luogo atto ad ospitare il senso sar, allora, proprio quellimpossibile insito in ogni toccare, quellincorporeo del corpo che giungiamo a toccare toccando laltro. Lo spaziamento dei corpi anche spaziamento del senso, per cui esso partag, cio condiviso, parcellizzato, pluralizzato. Cos si esprime il filosofo a tale proposito: partage significa sia partecipazione che divisione: questo lo spaziamento del senso. La sincope questa divisione di spaziamento: separa e interrompe al cuore del contatto15. Nancy opera cos una volgarizzazione col significato di democratizzazione del senso, cancellandone qualsiasi auralit che lo renda irrepetibile e unico. Da qui si rende esplicito il tentativo coraggioso delleliminazione dellidea di senso come un ch di nascosto da decifrare, risiedente in unalcova a cui solo pochi dotti o mistici possono accedere. Nellontologia nanciana il senso disseminato sui corpi, sempre di nuovo. Tutto ci mina alle fondamenta la nozione della verit come un concetto saldo, oppure della verit intesa come rivelazione, abolendo, di conseguenza ogni tradizionale ricerca della verit. Cos com tratteggiato da Nancy, il senso diviene accessibile a tutti; con una battuta di spirito lo si potrebbe definire un senso a portata di mano, proprio perch il suo segreto viene svelato ogni volta dalla mano che si accosta allaltro. Questo sostare del senso sul limite espresso anche con il termine di escrizione, intesa come la scrittura del senso nel fuori, nellex, sulla pelle. Si legge infatti:
Lescrizione del nostro corpo ci per cui dobbiamo innanzitutto passare. La sua inscrizione-fuori, la sua messa fuori-testo come il movimento pi proprio del suo testo []. Il corpo non precipitato ma sul limite, sul bordo esterno, estremo, che niente richiude16.

Lescrizione del senso pu essere considerata lessenza del linguaggio e di ogni inscrizione, ma anche il senso della moda attualissima dei tatuaggi e della body art, della nudit e dellesposizione del corpo. Il concetto di escrizione ci conduce alla riflessione nanciana sulla scrittura della pel15 16

J. DERRIDA, Le toucher, Jean-Luc Nancy, cit., p. 221. J.-L. NANCY, Corpus, cit., pp. 13-14.

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le di quella pelle che sinscrive di marchi provenienti dal di dentro: rughe, nei, verruche, escoriazioni; e marchi procurati da fuori, talvolta gli stessi, o anche screpolature, cicatrici, bruciature, tagli17 che si coagula nella questione: scrivere: toccare lestremit. Come dunque giungere a toccare il corpo, invece di significarlo o di farlo significare? 18 . Loriginalit del pensiero di Nancy sta nel sostenere che nella scrittura non si danno significati, poich scrivere non vuol dire significare ma proprio (e solo) toccare il corpo, dato che toccare sempre toccare il limite e la scrittura accade sempre sul limite. Da cui si deduce che il corpo viene inteso interamente come una superficie di scrittura:
Scrittura non vuol dire mostrare o dimostrare un significato, ma indica un gesto per toccare il senso. Un toccare, un tatto che come unapostrofe: chi scrive non tocca comprendendo, afferrando, prendendo in mano [] ma tocca rivolgendosi, inviandosi al contatto di un fuori, di qualcosa che si sottrae, si allontana, si spazia19.

Ecco affacciarsi, insieme allidea che il senso escritto, quella di una verit sulla/della pelle20: la pelle sia ci che mette in contatto con laltro, sia una superficie su cui scrivere, dunque imprimere dei significati, esporli dal vivo, in una parola, comunicare. Quindi, ammettendo con Nancy che esiste una verit della pelle, lecito chiedersi cos che dice. E, in secondo luogo, se la nudit dei corpi ha a che fare con questa verit (come sembra suggerirci la Nuda Veritas di Klimt). La messa a nudo dei corpi, imperante nella societ postmoderna, non fa altro che portare allestremo, nel senso di al limite, il concetto di epoca dellimmagine del mondo, di heideggeriana memoria. doveroso allora prendere sul serio quella nudit che quotidianamente la moda, larte, i media ci mettono davanti, attribuendole un senso precipuo: nel denudamento in gioco molto pi della mera esposizione di s, nel piacere di guardare e di essere guardati in gioco la possibilit stessa della nostra esistenza. Vediamo perch:
J.-L. NANCY, 58 indici sul corpo, in D. CALABR, Dis-piegamenti, cit., p. 175. J.-L. NANCY, Corpus, cit., p. 12. 19 Ivi, p. 18. 20 Dice Nancy: la verit la pelle. Essa nella pelle, fa pelle: autentica esposizione esposta, completamente rivolta al di fuori nel mentre avvolge da dentro, dal sacco riempito di borborigmi e tanfi. La pelle tocca e si fa toccare. La pelle accarezza e lusinga, si ferisce, si scortica, si gratta. irritabile ed eccitabile (J.-L. NANCY, 58 indici sul corpo, cit., p. 175).
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Chi si denuda si fa immagine: pura esposizione. Di conseguenza, limmagine non si dedica al nudo per caso, n per curiosit oggettiva o erotica. Limmagine del nudo rimette ogni volta in gioco la propria nudit, si gioca la propria pelle dimmagine: presentazione integrale, in primo piano, sul piano unico dellimmagine, del fatto che non si d un altro piano, non c una profondit dissimulata, non c segreto. Il segreto sulla pelle (il segreto e la sua sacert). Dipingere, disegnare o fotografare il nudo significa accettare ogni volta la medesima sfida: rappresentare lirrappresentabile fugacit della messa a nudo, il pudore istantaneo che spoglia di ogni rivelazione e lindecenza che rivela la spogliazione. Nel nudo si mostra, di volta in volta, che un soggetto nel senso stretto di sub-jectum non ha nulla sotto di s, non nasconde pi nulla. Il soggetto riposa su se stesso e il s la sua pelle, lo spessore sottile della sua pelle e del suo incarnato21.

attraverso la pelle che lesposizione di s allaltro si compie appieno; in tale messa a nudo il corpo raggiunge il culmine della propria apertura. Nella nudit, infatti, ci si espone totalmente, senza alcun velamento, senza indugi, senza vergogne. La verit della pelle si offre, proprio come il seno nudo dellamata si offre allaltro senza intenzione22. A questo proposito ricordiamo che Alain Badiou ha dedicato pagine molto belle al tema dellofferta in Nancy (associata al motivo dellesposizione, di cui tra poco diremo), ribadendo che il seno offerto senza domanda, l, di fronte laltro, totalmente in estensione23. Questultimo termine non va sottovalutato perch afferisce alla concezione nanciana della materia: i corpi sono innanzitutto masse, sia in quanto pesano, sia per il modo in cui si dispongono (le immagini quotidianamente mostrano masse di bambini denutriti, masse di soldati in guerra, masse allo stadio). La massa di cui sono costituiti i corpi non concentrazione, ma estensione, dato che non si concentra allinterno, in s, ma il suo s allesterno, lal di fuori in cui si espone il suo interno. Il corpo una pelle esposta gi da sempre al mondo, proteso naturalmente verso il fuori, piuttosto che essere tutto raccolto in una supposta interiorit, in un dentro colmo di significati, come insegnava Paul Valry quando diceva che la profondit dell'uomo la sua pelle. Siamo cos arrivati al cuore dellontologia nanciana: lesposizione fa tuttuno con lescrizione, con il Mitsein, con il limite, con la pelle (ecco perch si legge ex-peau-sition). Questultima non solo estensione di una superficie,
Ivi, pp. 8-9. Cf. J.-L. NANCY, La naissance des seins, Valence, Erba, 1997. 23 Cf. A. BADIOU, Loffrande rserve, in AA.VV., Sens en tous sens, Autour des travaux de Jean-Luc Nancy, a c. di F. Guibal e J.-C. Martin, Paris, Galile, 2004, pp. 13-24.
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ma anche estensione delle parti, disseminazione, poich il corpo anche partes extra partes:
Esposizione non significa sottrarre lintimit al suo ritrarsi e portarla fuori, metterla in evidenza. In questo caso il corpo sarebbe unesposizione del s, una traduzione, uninterpretazione, una messa in scena. Esposizione significa invece che lespressione stessa intimit e ritrarsi24.

Nellesposizione non in gioco un movimento di allontanamento del s da s, ma piuttosto una partenza, uno spaziamento dalla s, uno spaziamento che proprio al corpo in quanto luogo dellaperto, in quanto luogo di mille intrusioni: lintrusione dellio, dellaltro, della tecnica, della protesi25. Questo uscire da s operato nel corpo dallego, questo andare al limite, quasi uno sconfinare, non equivale ad un rendersi pienamente trasparente del soggetto, n ad un movimento dialettico, in cui sia contemplato un ritorno a s, ma consiste nellabbandonarsi allesistenza, al suo differire da s, alla sua infinit variet e molteplicit di forme. Simile non aderenza a s dellessere, con cui coincide il concetto di esposizione, cio il fatto di essere consegnati agli altri e di portare sulla pelle il peso del senso e della sua continua sospensione, non altro che la finitezza dellessere. Essa consiste in una continua interruzione del senso che, una volta sospeso, rinasce ogni volta nellapertura dellessere, essere che avviene continuamente, che capita, e lo fa infinitamente, coagulandosi in ogni singolare. In tale apertura trova il suo spazio il senso profondo del limite, come ci che non lal di qua o al di l dei margini ma ci che li unisce e li separa, come la faglia che si insinua tra entit differenti. Allora partendo dalla nozione di limite come il negativo, come ci che permette la negazione di s, la contraddizione della cosa stessa, landare oltre e in questo il nostro si rif esplicitamente a Hegel26 che si pu teorizzare lesistenza di una finitezza infinita: una finitezza che non ha linfinito al di l di s e quindi non si protende verso di esso come verso una perfezione e una pienezza che le mancano. Linfinito nello stesso
J.-L. NANCY, Corpus, cit., p. 30. Cf. J.-L. NANCY, Lintruso, tr. it. di Valeria Piazza, Napoli, Cronopio, 2000. 26 Cf. J.-L. NANCY, Hegel. Linquietudine del negativo, tr. it. di A. Moscati, Napoli, Cronopio, 1998. Inoltre si veda lilluminante paragrafo Sul ruolo delle categorie logiche della limitazione nellinterpretazione hegeliana della romanitas curato da ANTONIO MORETTO in AA.Vv., Hegel, Heidegger e la questione della romanitas, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2004, pp. 139-155.
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differire da s del finito, nel suo sottrarsi, ma anche nel suo spartirsi e perci nella sua apertura27, come spiega bene Daniela Calabr. Ci richiama lantica dicotomia tra infinito e finito, illimitato e limitato, facendo per attenzione a non considerarla un mero contrasto tra termini antitetici, e neppure di una dialettica negativo-positivo: il finito non va superato, in qualche modo insuperabile perch legato indissolubilmente allinfinito. Nancy opera proprio nella sottile linea che li separa, lavorando intensamente nella ri-elaborazione di un pensiero finito che includa in s linfinitezza, senza per questo dover ricorrere al divino. Inoltre si tratta di una trascendenza realizzata dallego, da un ego che non si ritrova nei pi reconditi recessi di una supposta interiorit, ma si esteriorizza sempre, si fa continuamente altro e per laltro28. Interessante la concezione del soggetto sottesa da tale discorso: esso non pi considerato come preesistente al proprio corpo o costituente il senso del corpo, non il dentro del corpo, poich questultimo un rigetto-di-soggetto, obiezione al s. Ci non porta per ad un dualismo, n ad unabolizione del soggetto, ma fa emergere una specie di unit nella differenza di s e corpo, di ego e materia. Lego, infatti, non pu esistere da solo, non in s, ma si situa nellogni volta, nella bocca che lo pronuncia: esso ha senso solo se pronunciato, sempre localizzato. Appare evidente che tale proposta ontologica, che potremmo definire unermeneutica della finitezza29, non lineare, ma densa di insenature e zone frastagliate. Per gettare luce sullestrema portata di tale operazione metafisica non potremmo trovare parole migliori di quelle del filosofo stesso:
non un pensiero della limitazione, che implica lillimitatezza di un aldil, ma un pensiero del limite come ci a partire da cui, infinitamente finita, lesistenza si solleva e a cui si espone. Non un pensiero dellabisso e del nulla, ma un pensiero dellinfondatezza dellessere: del solo essere la cui esistenza esaurisca tutta la sostanza e tutta la possibilit30.

Si capisce perch, in una simile ottica, la logica del limite assuma un ruolo centrale: il limite contemporaneamente ci che ci rende umani e
D. CALABR, Dis-piegamenti, cit., p. 70. Cf. J.-L. NANCY, Ego sum, Paris, Flammarion, 1979. 29 Cf. D. DI CESARE, Ermeneutica della finitezza, Milano, Guerini e Associati, 2004. 30 J.-L. NANCY, Il pensiero sottratto, tr. it. di M. Vergani, Torino, Bollati Boringhireri, 2003, p. 55.
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finiti perch il limite della morte, il limite del pensiero, il limite della libert, il limite della comprensione e ci che rende partecipi del senso. Il limite dice che c altro, esperienza delloltre da noi. Pensare il limite, per il filosofo, significa ammettere che proprio nelle caratteristiche peculiari delluomo, ossia finitezza, libert ed esposizione, che si pu rinvenire lesistenza di una dimensione trascendente. Infatti, bench la libert umana non sia infinita, ma sempre limitata, in seno ad essa che si apre lo spazio per la trascendenza:
La libert dellesistenza a esistere, lesistenza stessa nella sua essenza [] che consiste nellessere spinta fino al limite in cui lesistente quel che solo nella trascendenza. E la trascendenza stessa non altro che il transito verso il limite. Non il superamento del limite, ma lessere-esposti sul limite, al limite e come limite31.

Con ci Nancy sostiene che non esiste unessenza racchiusa da unimmanenza allinterno del bordo, ma la libert liberazione dellesistenza dallessenza, libert esplosiva, diffrazione del senso. La libert continuo mantenersi sul limite da parte dellesistenza, un abitare il limite che non mai statico:
La libert lintervallo, il limite, la differenza che taglia la comunit nella forma dell ogni volta, del di volta in volta, delluno alla volta della trascendenza che la sospende sul proprio fuori o che proietta quel fuori al suo interno. La libert lesteriorit interna della comunit32.

dimostrato, cos, com possibile conservare una sorta di trascendenza anche senza che esista un essere distinto dallesistenza di ogni esistente che sia direttamente collegata alla nozione di finitezza in modo del tutto indissolubile: la trascendenza che realizza la libert la trascendenza della finitezza, in quanto lessenza della finitezza non consiste nel contenere in s la propria essenza, ma nellessere [] lesistere dellesistenza33. Ecco sorgere un dubbio: come si coniuga questa istanza del pensiero nanciano con il risalto dato in altri punti alla dimensione materiale dellessere34? Sia per quanto attiene alla libert esistente come fatto ed
J.-L. NANCY, Lesperienza della libert, tr. it. di D. Tarizzo, Torino, Einaudi, 2000, p. 23. R. ESPOSITO, Libert in comune, in AA.VV., Incontro con Jean-Luc Nancy, Milano, Cortina, 2003, p. XXIX. 33 J.-L. NANCY, Lesperienza della libert, cit., p. 87. 34 Ci che la spartizione spartisce non qualcosa dellordine di una sostanza unica cui
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esperienza , sia per quanto concerne il pensiero che, in quanto pensiero dellesperienza, si configura come un pensiero corporante, ci si trova in una sorta di impasse, se si considera che rinviano entrambi ad una dimensione trascendente. Nancy risolve la difficolt spiegando che lesperienza : tanto empirica quanto trascendentale. O [] il trascendentale lempirico35. Lo stesso vale per il concetto di con-tatto; anche in questo caso possiamo rintracciare una forma di trascendenza, palesemente espressa nelle parole: il senso il toccare. Il trascendentale (o lontologico) del senso il toccare: loscuro, limpuro, lintoccabile toccare36. Sicuramente non semplice comprendere appieno lintimo connubio tra ordini apparentemente antitetici, tant che il filosofo stesso deve ammettere: si tratta di un concetto tra i pi difficili: a questo originario o a questo trascendentale, infatti, non si risale, poich esso strettamente contemporaneo a ogni esistenza e a ogni pensiero37. La nozione di transimmanenza proposta da Roberto Esposito ci sembra efficace per indicare questa particolare commistione tra una specie di trascendenza e una blanda immanenza. cos che il filosofo partenopeo ce la spiega: tempo di uscire dalla classica contrapposizione tra trascendenza e immanenza e di pensare la trascendenza dellimmanenza: una transimmanenza intesa come la differenza interna allimmanenza stessa, come la resistenza dellimmanenza alla propria chiusura38. Il ch fa tuttuno con limpegno, preso da Nancy, di ri-pensare il limite a partire da Derrida come problema39. Pensare il limite, giocare con esso non affatto un vezzo filosofico, o una banale dietrologia, ma innanzitutto investe e reinventa questioni ontologiche forti come quella dellio e dellaltro (ossia il problema insoluto dellidentit); si pone, poi, come domanda di ci che fuori dal soggetto, oltre il soggetto; si conclude con laffermazione dellimponderabilit dello spazio che si apre tra due mani, tra due corpi ansimanti, tra due cuori desiderosi. Neppure la fusione che opera latto sessuale riesce a varcare la soogni essente partecipi: ci che spartito al tempo stesso ci che spartisce, ci che strutturalmente costituito dalla spartizione e che noi definiamo la materia. Lontologia dellessere-con non pu che essere materialista (J.-L. NANCY, Essere singolare plurale, cit., p. 113). 35 Ivi, p. 93. 36 J.-L. NANCY, Un pensiero finito, cit., p. 115. 37 J.-L. NANCY, Essere singolare plurale, cit., p. 57. 38 R. ESPOSITO, Libert in comune, cit., p. XXXIV. 39 Cf. J. DERRIDA, Aporie. Morire attendersi ai limiti della verit, tr. it. di G. Berto, Milano, Bompiani, 2004.

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glia dellaltro, a penetrarlo in profondit; neanche la pi completa unione amorosa pu colmare la distanza irriducibile con laltro, che rimane quindi il mio vicino sempre distante; neanche la morte pu appropriarsi del limite ultimo. Vengono in mente le parole che Derrida rivolge affettuosamente allamico, e come in ogni cadavre exquis, aggiungono qualcosa (una nuova luce, un nuovo senso) a quanto detto in precedenza: Nancy lavora a pensare-pesare limpe(n)sabile. Pi esattamente che possibile, egli misura (pe(n)sa) limpossibile. Per questo resta un filosofo rigoroso nel momento stesso in cui i limiti del filosofico tremano. Nancy si sottomette allora senza tremare al tremito40.

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J. DERRIDA, Le toucher, cit., p. 201.

SILVIA REDENTE Sullirreversibilit dei mutamenti. Peirce, Saussure e la rete linguistico-sensoriale

1. La retroazione dei sensi sul significato Ci che vi di relazionale nella logica nominalista del senso comune probabilmente la necessaria corrispondenza tra menti linguistiche e mondo come contesto o universo logico. Se accettiamo questa come premessa del rapporto tra le categorie peirceane e la logica categoriale che lo stesso Peirce propone dobbiamo cercare di comprendere cosa determina la formazione della significativit vista come oggetto del segno considerato in relazione alle parti. La nozione di simbolicit manifesta la generale ambiguit tra ci che linguistico e ci che deve essere realizzato come tale nella comunicazione. Prendiamo ad esempio la nozione di quasi-mente1: essa si riferisce a ci che simbolico nei luoghi in cui simbolo ci che non comprensibile dal punto di vista di altre forme di segni che possono essere presenti nella stessa classe. Per semplificare qui pensiamo al prodotto derivato tra ci che deve essere visto, quindi vincolato dallindicalit e la funzione che esso svolge in contestualit diverse. Riprendiamo lesempio peirceano del cristallo. Esso pu essere visto come mero agglomerato inorganico piuttosto che come realt complessa di oggetto universale, suscettibile a ricevere variazioni dallesterno (non soltanto se viene colpito, rotto, ma anche se analizzato e usato come campione), purch derivato da un processo di relazionalit con altra materia. Il continuum di materia e forma nella quasimente universalmente riformulabile in altre quasimenti o classi dinamiche di relazioni interrelate. PosNel lessico peirceano, si tratta dellidea dincompletezza semantica propria di ciascun segno che vive nella categoria della Secondit, e che ha, quindi, caratteri materiali propensi ad agire causalmente. Ci che importa dissociare, secondo Peirce, i caratteri delle normativit propri della Terzit da quelli delle altre due categorie cenopitagoriche, per la nuova matematica che il filosofo adopera. Le categorie sono generali applicabili ad ogni tipo di forme esistenti, del mondo organico e inorganico, e sono la Primit (Orienza o Originariet), la Secondit (Obsistenza o Binarit) e la Terzit (Transuazione o Mediazione) che muovono incessantemente i processi di trasformazione segnica, da icone a indici a simboli. Per alcune esemplificazioni cf. HOUSER, 1997.
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siamo destinare alla logica abduttiva la posizione di forma logica adeguata alla relazionalit della terzit? Se cos fosse non ci sarebbero che finalit interne alla semiosi che abbraccerebbe cos qualsiasi discorso che si definisca specularmente alla effettivit dellazione comunicativa. Di fatto il polimorfismo, ad esempio, di un cristallo, un modo per differenziare il cristallo A dal cristallo B. Questo tipo di scarto tale da poter stabilire come variabile la differenza tra A e B e linsieme in definiendo di A rispetto a B, o il modo di formazione del cristallo pi o meno variabile2. Se possibile costruire un rapporto sistematico, relazionale tra A e B, allora terzit ci che determina ciascuna sostanza presa in considerazione. Poter spostare lasse di riflessione dalla materialit alla forma significa invece che analizzare delle realt di per s neutrali, fermare in gerarchie ci che preminentemente lineare, non gerarchico, potenzialmente onniformativo, per usare un termine hjemsleviano, ossia linguistico. ci che accade nelle logiche introspettive: lautoanalisi irreversibilit logica. Peirce fa un esempio rilevante a tal proposito, sullo stato di semicoscienza che si ha nel passaggio dal sonno alla veglia3, in cui non ci si trova che nella possibilit di ipotizzare intuitivamente la realt materiale che si suppone retroagisca sulla possibilit di comprendere lo stato di referenzialit rispetto al soggetto. Tuttavia lo statuto dei segni che delimita la corrispondenza tra la quasimente semicosciente e la vera selezione che si fa delle informazioni sul mondo sensibile. In questo senso entrano in gioco la semiosi e i suoi caratteri asistematici ma relativi alla categorizzazione formale in classi e relazioni. Tra le diverse relazionalit dei segni c un modo specifico di formazione semiotica che quello dellinterpretante emozionale. Possiamo considerare linterpretante emozionale peirceano in due sensi. Il primo in relazione al rapporto tra il segno e loggetto, dunque come interpretante semplice (immediato o dinamico, in base alla tendenza che vogliamo considerare); ed in questo caso non si deve che applicare la logica alla quale ogni tipo di segno si adegua. Il secondo caso quello di un interpretante emozionale come punto di riferimento esterno al segno; esso si colloca, nella termi2 Peirce usa spesso formule che indicano il presente progressivo per ribaltare lidea funzionalistica del rapporto tra il nome e la sua spiegazione. La definizione essa stessa, sotto alcuni punti di vista, indeterminata, se vista nel presente, come qualcosa che sembra essere attuata sottoponendosi a una certa logica (cf. PEIRCE, 1998 [1905], p. 350). Cf. FADDA, 2006, 2004a, 2004b. Sulla regolarit normativa delle logiche diagrammatiche cf. FERRIANI, 1990, pp. 383-404. 3 Cf. PEIRCE 1998 [1894], p. 5.

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nologia di Peirce come segno energetico, la cui energia la base di un comportamento simbolico, basato sulla presenza di sentimenti (feelings) nella prassi comunicativa umana. Lo spostamento (come movimento radicato nella possibilit della degenerabilit, intesa come propriet delle menti di assumere variabili allinterno della propria funzionalit, come parti integranti del processo semiotico), riveste la possibilit di opporre al senso della verit formale, della logica di per s, quella relativa alla necessit al singolare dei bisogni individuali. Il problema che si pone quello di una detenzione soggettiva della forma, o in altre parole, di una universalit tale da non poter essere soddisfatta dalla forza pura, che nel senso peirceano portatrice di degenerabilit (il secondo degenerato dal terzo o, meglio, un ente che della/nella secondit un ente semialtro e quasialtro). Linterpretante emozionale e quello energetico sembrano essere inglobati allinterno delluniverso del segno come forze necessarie alla significazione stessa. Ed in questo che si mostra, ancora, come sia necessaria una differenziazione che non si basi su semplici attributi o etichette, ma sui modi di attuarsi dei sensi, verso la significazione. In effetti, si pu pensare allinterpretante emozionale come al motore interno della significazione, proprio in virt della sua stessa finalit intrinseca di semplice ma onnipresente aggregato di reazioni estranee alla pura razionalit. Tale aggregato pu essere considerato il principale discrimine tra la categorizzazione kantiana e quella peirceana della realt significativa dei segni. 2. Corrispondenze logiche La nozione di mente collettiva che Peirce propone va analizzata qui alla luce della cosiddetta essenza duplice o doppia del linguaggio che si manifesta nella complessit della lingua, come evidenzia Saussure. Se vero che, da un lato, non c dualit nella logica della Terzit, anche vero che, dallaltro lato, la propriet dei segni di essere interpretanti o simboli rispecchia la necessaria plurivocit della significazione. Ma essa non pu porsi al di l della forma generale della differenzialit nei termini di una complementarit non conclusa tra un segno e un interpretante. Se vero che la nozione appena proposta, quella cio di rapporto differenziale, non esplicita in Peirce, anche vero che egli ricolloca (e Saussure, dal suo lato lo fa in maniera simile) nella forma complessa della funzione quaternionale il valore logico della vera continuit tra i segni, in cui la diacronicit delle

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identit si scontra con la sincronia della forma logica nel continuum spaziotemporale dellatto comunicativo4. Ci che emerge una forma semplice di fenomeno tipico (typical) e non un insieme di fenomeni dati da campionare come prototipi del segnale a cui attribuire un significato in s o un senso (meaning). Se ci che riguarda la comunicazione tra menti non pu essere supportata da paradigmi esterni alla reale affermazione dellenunciazione da parte di qualche parlante, deve esistere e non soltanto essere postulato il terreno contestuale di riferimento. Cosa una relazionalit il primo punto che deve essere affrontato per arrivare alla corrispondenza tra classi di sensi o significazioni e alla strutturazione formale o linguistica. Abbiamo la possibilit di ipotizzare la corrispondenza tra due menti tale che al simbolo corrisponda il significato aprire la porta. Pensiamo alle massime conversazionali di Grice5 della pertinentizzazione contestuale e, insieme, al significato simbolico della rappresentazione messa in atto tra due attori su di un palcoscenico. Quale differenza v tra i modi di comprensione in atto tra i parlanti? Il legame che si crea nella potenzialit, nel senso di movimento da ci che realt manifesta a ci che ne condivide lessenza, si riallaccia allidea di forma logica nella fattispecie di fenomeno destoricizzato dalle contingenze esterne alla propria fenomenologia6, come abbiamo accennato nel caso del cristallo polimorfo. Tuttavia cosa rimane delle forme logiche quando le si applica alla realt, se non relazioni? Il movimento tra il gioco di segni e linterpretante di ciascun segno correlato con variabili reali, pi o meno contingenti, accanto a realt fenomeniche oppositive: chiaro come in un quadrilatero il rapporto tra i lati opposti relativo alle distanze tra i punti esistenti tra i lati, che godono tutti delle stesse propriet numeriche. Come sulla scacchiera non ci sono regole ma regolarit impresse sulla superficie di gioco, similmente la relazione tra il livello cosciente di realt semiotica condivisa tra i soggetti parlanti e la posizione che essi assumono nel contesto pragmatico relativa alla forma logica che si assume come fine del
4 A giudizio di Roy Harris: In whatever version it is presented in Saussures teaching, the problem of differential identification remains intractable (HARRIS 2000, p. 304). 5 Cf. GRICE, 1989. La connessione tra i due modi di realizzazione, uno tecnico-analitico e laltro storico-naturale delle lingue porterebbe ad una significativit forte che abbraccia le specie linguistiche come unit complete in se stesse (cf. F. DE SAUSSURE, 1957, pp. 50-51). Tuttavia questo idealismo mette in campo problemi fondamentali, poich le semantiche di tipo olistico non dicono abbastanza a proposito della verit o della falsit delle proposizioni (cf. HARRIS, HUTTON, 2007, pp. 111-123). 6 Che Faneroscopia (cf. PEIRCE, 2003 [1906], p. 178).

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gioco: la vittoria segue regole che hanno indipendenza dai singoli giocatori, semplici occorrenze di un gioco che sempre stato giocato allo stesso modo. Tuttavia, ci possono essere finalit che hanno altre funzioni, come nel caso di una fune utilizzata, ad esempio, per governare un animale selvaggio o per trascinare unautomobile in panne, o, ancora, per impiccare qualcuno. La gravit della materia non si misura con i fini razionali esterni ad essa, ma ne vincola la portata fenomenica. Nelle temporalit afferenti a ciascun tipo di relazionalit semiologica, come nel caso della scrittura rispetto alla comunicazione orale, si installa la predominanza delle categorie originarie di ciascun tipo di segni. Pensiamo al senso di Ci vuole tempo: la particella pronominale segna il noi, soggetto al quale si riferisce la necessit di una volont, indipendente dal cosa, oggetto della proposizione. Il tempo un oggetto, indica una presenza che come tale si oppone a cichemanca, oblio dellessere, infermit della realt manifesta. Pensiamo a cosa significa aspettare qualcuno o che qualcosa accada: in questultimo caso si tratta di tendere ad un fine che deve poter essere presente e quindi deve poter essere gi stato visto come tale, o per motivi esterni ad esso, come nel caso di unimitazione, anche complessa, di abiti (pensiamo a quelle persone che sognano di sposarsi perch vedono il matrimonio felice degli altri); nel primo caso si attende qualcuno che gi stato presente, mentre nel secondo almeno relazionale alla nuova forma di pensiero in questione. Ad esempio, si aspetta di crescere per diventare qualcuno di affermato, o si cerca un lavoro migliore per decidere cosa fare della propria vita. In ogni caso, accedere allenunciazione di una possibilit di mutamento (dico quindi differenzio ci che cera prima della parola detta da ci che nellistante dellatto comunicativo, indipendentemente dal contenuto) classificare attraverso forme logiche date una realt che si definisce quasi totalmente in se stessa. Il quasi, come Peirce suggerisce, permette di far s che ci che rimane esclusivo del soggetto sia ancorato alla non verbalit, alla possibilit di circoscrivere altri insiemi di relazioni, anche non linguistiche, tra i pensierisegni. In primo luogo, questa massa amorfa ad essere bloccata dallenunciazione: accade negli animali non umani, come nei bambini molto piccoli, ed accade negli umani. Emettere suoni, anche insensati, permette uno spostamento dal qui al l, non soltanto perch ci si rivolge ad un altro, ma, per esempio, per la capacit di resistere allirreversibilit dei processi mnemonici associativi, che di fatto, se lasciati a se stessi (pensiamo ai casi estremi di schizofrenia e di paranoia), non permettono il controllo della relazionalit tra i pensieri.

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Se uno stato della lingua supportato da un significato, possibile piegare il problema metodologico su quello della formazione della sistematicit di tipo cartesiano nei rapporti sintagmatici e paradigmatici. Se il significato tradizione esso riconoscibile, ad esempio, attraverso la letteratura del canone, mentre se impresso nella coscienza della mente collettiva, esso in uso anche nelle parole della verbalit quotidiana. In qualche modo, quindi, il significato c, gi esistente. Lessenza , seguendo Peirce, una forma logica o semiotica di rappresentazione relazionale tra segni. Ci che non presente perci ci che pu essere esistito e di cui si intuisce il senso, il fine positivo (sarebbe azzardato ma utile pensare a cosa si intende per desiderioins), che non perde forza al modificarsi del modo di presentarsi: lespressione stato di coscienza non ha relazionalit con la possibilit di realizzazione di un fine esterno allimpressione contingente della relazionalit stretta tra emittente e ricevente, ad esempio, di un apparecchio mediatico con un utente. Per essere meno schematici, pensiamo ancora a ci che si intende per attesa, nella maniera pi usuale. Poich ad essere atteso sempre qualcosa daltro, non possibile delinearne i confini, si tratti di una persona (come sapere se verr senza dubbio allappuntamento?) o di un fatto, di unoccasione, o di un cambiamento personale: non ci sono che tenui indizi, ma, in definitiva, tutto ci che chiamiamo futuro una massa amorfa che nella lingua trova termini di confronto e dunque limitazioni semiotiche tali da essere preformanti dellattesa stessa, cos da formare una sorta di prototipo del fenomeno possibile. In questa speciale contingenza che la possibilit di una progettualit che si mostri come fatto storico, si incanala la necessit di una forma particolare di movimento segnico che Peirce chiama pensiero diagrammatico. Caratteristica di questa forma semiologica linattendibilit della definizione delle relazioni tra le parti. Nessuno si aspetta che un coniglio disegnato sia esattamente equivalente a quello in carne e ossa, o che unequazione algebrica sia esattamente conciliabile con un saggio critico, ma in entrambi i casi c unattivit formale che mira a una attualit pregressa, che si rif a ci che Peirce chiama abiti, i quali si relazionano a ci che pu essere rimosso, in senso tecnico, memorie di esperienza, o mantenuto vivo attraverso la conformit ad un type inteso come modello identitario di riferimento. 3. La relazionalit identitaria Un primo modo di vedere la relazionalit tra ci che stato e ci che si

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pu presentare in una forma simile sono le differenze tra impressione e imprevedibilit (R1) e significato e sensi rapportati a positivit e differenze che si manifestano nei casi della sensibilit linguistica comune. Caratteristica di quella forma linguistica che chiamiamo definizione la certezza condivisa dai parlanti di quella lingua di determinare lindeterminato, o, in altri termini, di fermare in una conclusione il risultato di un processo abduttivo. Ci che dobbiamo distinguere , in questo caso, la relazionalit di primo tipo, che agisce per via induttiva e quella che si riconosce in base ad una forma linguistica condivisa che quella della conclusione definitoria (R2). Entrambe queste forme relazionali (R1 e R2) seguono la logica complessa dellirriducibilit dei rapporti al singolo fenomeno o occorrenza segnica; esse ci permettono di avvicinare o di capovolgere, mostrandone i limiti e le conseguenze, una nozione che spesso contraddetta dalla natura stessa dei fenomeni semiotici, che quella di identit. La sensorialit relazionale ci che determina il rapporto tra impressione e imprevedibilit. Riprendiamo la questione che riguarda laspettativa per o verso un futuro. Poich non si aspetta un significato, ma, semmai, ci si muove verso qualcosa (linterpretante logico di Peirce ne lesempio calzante), la sequenza di azioni che delimita il farsi stesso della significativit un parametro o modello di paragone possibile per un altro modo di realizzazione dellazione di attesa. Se non un modello, il modo di realizzazione dellazione, almeno un indice della strumentalit della forma relazionale rispetto alla puntualit della imprevedibilit. Ogni sistema comunicativo perci dinamico, e quindi relativo ad una sequenza di azioni tra elementi presenti ma differenziali rispetto ad un altro sistema: unosservazione x senza effetto, ad esempio, se la si conosce come mera relazione di un fatto gi dato, mentre se una causa del fatto Z, essa gi una forma segnica interpretabile, cio soggetta alle prassi umane. ci che caratterizza lindecifrabilit la chiave di violino della pratica verbale, poich non si pu deteriorare alcuna prospettiva n restituire ci che ancora non pu essere visto. Il fatto che la divisibilit ossia la presenza di elementi discreti parte della compresenza di oggetti dinamici e immediati permette di decifrare la questione della precisione comunicativa attraverso modelli non deterministici: lentelechia alla quale Peirce si riferisce per spiegare il particolare tipo di rapporto necessario e causale tra segni, menti e mondo prima di tutto propriet in senso ampio e non pu essere ridotta alla mera staticit delle forme inorganiche. In questo senso evolutivo, dunque, non ci che gi determinato da fattori genetici, per esempio, ma ci che si pu modificare sensibil-

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mente attraverso continue approssimazioni fino alla possibilit di restituirne la forma nuova attraverso un altro senso o significato in s (meaning) riconoscibile nelluso dei segni. In questa possibilit immessa lazione della sensorialit relazionale (feeling secondo Peirce) che divide il gi stato presente alla memoria dal presente istantaneo, attraverso una fenditura trasversale al modello segnico entrato in gioco. Lindicalit dellespressione Alt! proferita dal vigile per proteggere un bambino che attraversa la strada determina unimpressione nella mente dellinterprete tale da allontanare la prassi in corso (il camminare lungo una certa direzione, con una certa velocit, ecc.) e produce unazione contraria ad essa. Ci che c di determinato lespressione linguistica Alt, ma ad essa si contrappone il contesto in cui usata, che limpiego o funzione dei segni ancorati ad una predisposizione pi che ad abiti. In effetti, lindeterminatezza della presenza reale degli interlocutori a mostrare le differenze tra fenomeni ripetibili, e perci identitari, e fenomeni differenziali, che si posizionano nella linea ipotetica delle definizioni di cui si nutre il senso comune. Se nella rete delle identit intese come possibilit di corrispondenza tra un fatto A ed un altro ad esso sostituibile si sovrappone la realt definitoria di ciascun elemento o nome, ci che resta pari alla risultante codificabile dal linguaggio umano. Come evidenzia Roy Harris, nella logica tradizionale presupposta la definibilit dei termini che implica la possibilit di denotare con uno stesso nome comune la stessa classe di enti7. In un certo senso, la realt logica fondata sulla formazione indicaleiconica che veicola la possibilit di rivelare le somiglianze senza integrare necessariamente i residui differenziali della lingua, come tutto ci che non pu essere conosciuto, in senso ampio, da un parlante in un momento dato. In effetti, dovremmo dire che la natura stessa della rappresentazione ad essere completa in s. Come afferma Wittgenstein:
Nel linguaggio, aspettazione e adempimento si toccano.8

Pensiamo al senso di una fila di esseri umani davanti alla porta di un medico: essi aspettano qualcosa che ne rende simile il comportamento (limpazienza tipica del paziente), ma ciascuno non ha accesso che al proponimento suo e degli altri, dei quali presuppone la aderenza alla sua stessa attesa. Ciascuno un segno nel senso in cui rende visibile agli altri una
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Cf. HARRIS, HUTTON 2007. WITTGENSTEIN, 1953, prop. 445, p. 172.

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significativit della realt comune, determinandone il senso ( la relazionalit di primo tipo, che abbiamo individuato come R1). Oltre a ci, vi un modello originario autoevidente che viene seguito intransitivamente e che si appoggia su una fedelt alla lettera, potremmo dire, permettendo il passaggio dalla reazione causale allazione programmatica.
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FRANCESCO G. SACCO Meanest foundations and nobler Superstructures: il metodo in Hooke*

1. La necessit di disporre di uno strumento che permetta di comprendere il libro della natura rappresenta, com noto, uno dei caratteri principali della nuova scienza del XVII secolo. Osservazioni sullorigine della conoscenza e riflessioni sul metodo del nuovo sapere attraversano, con frequenza variabile, le pagine di tutti i protagonisti della rivoluzione scientifica. Uno spazio rilevante occupano nellopera di Robert Hooke. Allievo di John Wilkins ad Oxford egli senza dubbio uno scienziato baconiano, sostenitore dellastronomia copernicana, della fisica corpuscolare e della iatrochimica. Nella sua opera leredit baconiana sincontra con la nuova visione meccanica della natura. Da questo incontro ha origine il tentativo di costruire una scienza che sia al contempo sperimentale e meccanica1. In questo progetto il metodo scientifico svolge un ruolo determinante, poich destinato a essere lo strumento che funga da guida e diriga lazione delluomo di fronte al labirinto della natura, aiutandolo a trovarne il filo:
Di questo metodo nessun uomo eccetto lincomparabile Verulamio, ha avuto alcuni pensieri; egli infatti lo ha promosso fino ad un buonissimo livello, ma c ancora qualcosaltro da aggiungere, per il quale sembra che egli avesse bisogno di altro tempo per completarlo2.

Il metodo baconiano per Hooke lunico tentativo valido, ma incompleto. Gli strumenti con i quali intraprendere la riforma baconiana della scienza necessitano quindi di essere completati. Nel Novum Organum Bacone aveva indicato nelle somministrazioni artificiali alle facolt umane gli strumenti di cui si compone il metodo, rispettivamente una storia naturale sufficiente e buona che rimedi ai difetti del senso, tavole e coordinazioni delle istanze che facilitino il lavoro della memoria e uninduzione
* Si riprende qui la relazione presentata con il titolo Il programma metodologico di Robert Hooke al Seminario congiunto SUM-Coordinamento Nazionale Dottorati di Ricerca in Filosofia tenutosi presso lIstituto Italiano di Scienze Umane di Firenze dal 10 al 13 giugno 2008. 1 HOOKE (1665, p. III, pref. n.n.). 2 HOOKE (1705, p. 6).
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legittima e vera destinata a guidare lopera finale di interpretazione della natura da parte della ragione3. Anche Hooke pensa al metodo come un insieme di somministrazioni artificiali alle deboli facolt umane4. Ma le somministrazioni che egli propone sono diverse da quelle baconiane. in queste differenze che emerge il carattere meccanico del progetto baconiano di Hooke. I nuovi strumenti scientifici sono indicati quali rimedi ai limiti percettivi delluomo. La storia naturale sperimentale rimane il fondamento dellintero edificio del sapere, ma viene concepita come strumento ausiliario della memoria umana, mentre per lintepretatio naturae Hooke pensa ad uno strumento logico del tutto nuovo, diverso dallinduzione baconiana. Il prevalere in Bacone delluso induttivo della storia rispetto a quello narrativo5 si ritrova nel carattere filosofico della storia naturale pi volte sottolineato da Hooke6. Per Hooke, come per Bacone il metodo deve essere capace di realizzare la scomposizione dei corpi fino a giungere alle forme o nature semplici, lo schematismo e il processo latente, che rappresentano le lettere con cui scritto il libro della natura7. Limpresa della filosofia, scrive Hooke, consiste nel raggiungimento della conoscenza perfetta della natura e delle propriet dei corpi, e delle cause dei fenomeni naturali8, che egli designa con i termini inequivocabilmente baconiani di schematismi latenti e strutture dei corpi9. Tuttavia solo una parte delloriginario significato baconiano di schematismo e struttura permangono in Hooke, a causa della connotazione esplicitamente corpuscolare della sua visione meccanica della natura. Le forme baconiane, segnate dalla dottrina rinascimentale dello spiritus, lasciano il posto a strutture di tipo geometrico interamente materiali e invisibili a occhio nudo. Questa variazione corpuscolare nellimmagine della natura pone alla metodologia baconiana nuove esigenze, o meglio spinge a guardare ai vecchi problemi in modo nuovo. Una tale variazione allorigine delle significative modifiche apportate alle somministrazioni baconiane e con esse allintera metodologia sperimentale, poich, come ha osservato Larry Laudan, la metafisica e lepistemoloBACON (1857-59, vol. I, pp. 235-235), tr. it. BACONE (1975, pp. 649-650). HOOKE (1665, pp. I, III). 5 KUSUKAWA (1996, p. 53). 6 HOOKE (1705, p. 44). 7 BACON (1857-59, vol. I, pp. 168, 215, 227-228), tr. it. BACONE (1975, pp. 567, 626, 639-640). 8 HOOKE (1705, p. 3). 9 HOOKE (1665, pp. 88-89, 204).
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gia della filosofia meccanica conducevano, per profondi motivi logici, a sostenere una determinata metodologia10. 2. Oltre alla fondamentale importanza conferita in questo nuovo contesto a strumenti scientifici come il microscopio, assurti a vere e proprie somministrazioni, viene teorizzata la legittimit e necessit delluso delle ipotesi nella filosofia sperimentale. La storia naturale di Hooke non solo una raccolta di dati di fatto (matters of fact)11, ma unopera in cui alla registrazione di esperimenti e osservazioni si accompagnano annotazioni, questioni (queries) e congetture. La loro funzione non quella di salvare i fenomeni in modo plausibile ponendo fine alla ricerca, ma di guidare lattivit sperimentale verso nuovi esperimenti che avvicinino alla scoperta della natura nascosta dei corpi12. La necessit avvertita da Hooke di una somministrazione allintelletto diversa da quella baconiana non comporta lesclusione dalla nuova filosofia meccanica e sperimentale dellinduzione. Bacone aveva concepito linduzione come coronamento dellindagine delle nature semplici poich operante sui dati sperimentali ordinati nelle tavole, la cui funzione quella di stabilire un ordine di comparazione delle istanze di fronte allintelletto13, mostrando presenza, assenza, aumento o diminuzione degli effetti associati alla natura cercata. Posta di fronte ai risultati della storia naturale ordinati nelle tavole allinduzione viene assegnato il compito di procedere per comparazione alla identificazione del legame che si istituisce tra un determinato effetto e la natura che lo causa. Questo procedimento non avviene per enumerazione semplice degli effetti, insufficiente e con esito solo probabile in quanto esposto a possibili istanze contraddittorie, ma per legittime esclusioni ed eliminazioni degli effetti accidentali o secondari14. Solo questo tipo di induzione capace di analizzare e scomporre la natura alla ricerca di essenze e di qualit assolute, che sono il terminus ad quem dellindagine: forma, schematismo e processo latente15. Anche se lesito dellindagine in Hooke si configura come la relazione geometrica e corpuscolare delle strutture fondamentali dei corpi, grazie al suo carattere escludente e seletLAUDAN (1984, p. 52). In evidente contrasto con limmagine della filosofia sperimentale delineata da SHAPIN-SCHAFFER (1994, pp. 399, 426-427). 12 HOOKE (1705, pp. 18, 28); cfr. ANSTEY (2004, pp. 252-255) 13 BACON (1857-59, vol. I, p. 256), tr. it. BACONE (1975, p. 675). 14 BACON (1857-59, vol. I, p. 137), tr. it. BACONE (1975, p. 535). 15 ROSSI (19742 , p. 322); cf. PEREZ-RAMOS (1988, p. 239).
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tivo linduzione baconiana rimane uno strumento fondamentale del metodo. Compito dellinduzione per Hooke porre ordine tra le diverse osservazioni e congetture, in modo da ridurre a regolarit, certezza, numero, peso e misura i dati ricavati dallesperienza, e stabilire ordine, congruit, disaccordo o similitudine tra i fenomeni osservati16. Questo processo lungo e tedioso non a caso posto allinterno delle storie stesse e non a seguito di esse, poich come le congetture e le questioni serve a evitare di disperdersi in una variet amorfa e senza fine di particolari, stabilendo un ordine nel momento stesso in cui questi vengono raccolti, dando allattivit sperimentale una direzione che permetta di giungere, sebbene non in modo lineare, allindividuazione di esperimenti e osservazioni nuove e determinanti o suggerisca ipotesi suscettibili di ulteriore sviluppo. La interpretatio naturae, osserva Hooke, necessita di uno strumento capace di completare la risalita della piramide della conoscenza naturale per la quale necessario dotarsi di quello strumento logico che Bacone aveva definito Scala Intellectus:
Lintelletto umano come un corpo privo di ali, che non si pu muovere da un livello inferiore verso uno superiore di conoscenza, altrimenti che per gradi (). Ma se lascesa elevata, difficile e oltre il suo potere, necessario ricorrere a un novum organum, un nuovo strumento, una nuova specie di algebra o arte analitica, con la quale possibile risalire17.

La nuova somministrazione allintelletto si presenta come un procedimento di tipo analitico e deduttivo, capace di svolgere nellambito della filosofia naturale la stessa funzione svolta dallalgebra nella geometria; non a caso viene definita unalgebra filosofica, o unarte di dirigere la mente nella ricerca delle verit filosofiche. Si tratta di uno strumento destinato a mostrare che anche le ricerche fisiche e naturali come quelle matematiche e geometriche saranno capaci di dimostrazione. Il riferimento allalgebra non si esaurisce nella volont di estendere alla scienza naturale certezza, regolarit e carattere dimostrativo delle matematiche. Lassunzione dellalgebra come modello epistemologico dettata dalla necessit, caratteristica delle filosofie meccaniche, di passare dal noto allignoto, dal livello superficiale dellesperienza ordinaria al livello nascosto e latente della microstrutture inosservabili che sono la causa ultima dei fenomeni. Cos come lalgebra in geometria dirige e regola gli atti della
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HOOKE (1705, pp. 34-35, 42). HOOKE (1665, p. 93).

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ragione nel processo dalla questione al quaesitum, lalgebra filosofica destinata a guidare linterpretazione della natura dalle comparazioni degli effetti della storia naturale alle cause ignote dei fenomeni18. Hooke ritiene che due sono le strade legittime che si possono seguire nellindagine della natura, la via sintetica, che procede dagli effetti alle cause, e la via analitica, che procede dalle cause agli effetti e quasi suppone le cose gi date e conosciute. Sebbene sia maggiormente adatta alle ricerche sperimentali, la via sintetica sarebbe eccessivamente lunga se non fosse assistita dallanalisi. Il procedimento deduttivo e dimostrativo dellanalisi pu essere finalmente integrato nella scienza sperimentale poich, diversamente dalla geometria pura, i principi su cui si basa sono dati dalla storia naturale sperimentale. Dalle comparazioni storiche delle induzioni da una moltitudine di particolari si ottengono definizioni e proposizioni generali sulle quali possibile fondare congetture e ipotesi, dalle quali possibile dedurre conseguenze da verificare con nuovi esperimenti e nuove osservazioni19. Lalgebra filosofica, quindi, consiste in unintegrazione dellanalisi nella sintesi, che trasforma il processo lineare ascendente baconiano in un tortuoso rimando circolare tra induzioni, ipotesi, deduzioni ed esperimenti, per produrre deduzioni dai fenomeni e indagare i fenomeni dalle deduzioni20. Lalgebra intende congiungere gli effetti noti alle loro cause ignote attraverso le ipotesi, costruite sulla comparazione induttiva degli effetti nella storia naturale e sperimentale e sottoposte alla verifica deduttiva degli esperimenti. In questo nuovo contesto listantia crucis, intesa da Bacone come procedimento interno allinduzione, lascia il posto allexperimentum crucis, che Hooke presenta come scelta tra ipotesi alternative21. 3. Lesigenza di estendere alla filosofia sperimentale il carattere dimostrativo e certo delle deduzioni matematiche ha, senza dubbio, origine cartesiana. Tuttavia sono profonde le differenze che separano lalgebra filosofica dalla mathesis cartesiana. La pi significativa riguarda la fondazione intuitiva della deduzione operata da Cartesio22, incompatibile con lesi(1705, pp. 6-7). HOOKE (1705, pp. 330-331). 20 HOOKE (1705, p. 553). 21 HOOKE (1665, p. 54), HOOKE (1705, p. 35). 22 DESCARTES (1974-86, vol. X, p. 368; vol. VII, pp. 63-64, 71), tr. it. DESCARTES (1994, vol. I, pp. 241, 710, 717).
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genza baconiana di Hooke di avvio, sviluppo e conclusione della conoscenza negli esperimenti e nelle osservazioni. Nella fisica trattata geometricamente, afferma Hooke, non c spazio per principi autoevidenti23. Il modello deduttivo alla base dellalgebra filosofica non sembra essere quello della matematica e della geometria pura, bens quello delle matematiche miste. Nella meccanica pratica, secondo Hooke, trovano posto il modello deduttivo ma astratto della matematica e il fondamento fisico dei principi24. Lalgebra filosofica appare infatti il risultato dellestensione del metodo geometrico alla filosofia naturale attraverso il passaggio determinante della meccanica pratica, che rappresenta la via sperimentale e non teoretica di Hooke alla filosofia meccanica25. lo studio delle macchine semplici e non delle entit geometriche astratte a fornire il modello delle leggi fondamentali del moto, e soprattutto un metodo di indagine accurata e dimostrativa e di esame delle operazioni fisiche26. Per le stesse ragioni appare difficile ascrivere alla sola influenza cartesiana ladozione sistematica delle ipotesi da parte di Hooke. La struttura del metodo ipotetico-deduttivo, la sua fondazione e leffettiva coincidenza tra dichiarazioni di principio e strade effettivamente seguite da parte di Cartesio rimangono, tuttora, argomenti controversi tra gli storici. Sebbene sia possibile affermare con certezza che tutti i fenomeni sono il risultato di particelle di materia in movimento, con la sola ragione, afferma Cartesio nei Principi della filosofia, non ci per possibile determinare quanto queste parti della materia siano grandi [e] quanto rapidamente si muovano. Si rende pertanto necessario ricorrere nelle spiegazioni scientifiche allesperienza. Degli effetti di cui si pu avere esperienza possibile fare uso per valutare le nostre ipotesi, ma laddove i nostri sensi malfermi e limitati si arrestano, debbono bastare cause verosimili, anche se forse non vere27. Si tratti dellesigenza di adeguare i principi generali di estensione e moto ai fenomeni particolari28, di estendere tali principi al mondo inosservabile delle microstrutture29 o di costruire su di essi una conoscenza di tipo
HOOKE (1705, p. 73). HOOKE (1705, pp. 19-20). 25 Cf. BENNETT (1980, p. 43), BENNETT (1986, p.1) 26 HOOKE (1705, p. 19); cf. ROSSI (1997, pp. 190-191); ROSSI (2002, pp. 5-6); per un approccio diverso PREZ-RAMOS (1988, p. 195). 27 DESCARTES (1974-86, vol. VIII, pp. 101-102), tr. it. DESCARTES (1994, vol. II, p. 166). 28 GARBER (1988, pp. 241-242). 29 LAUDAN (1984, pp. 36-38).
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causale30, la deduzione delle ipotesi procede in ogni caso da principi intuitivamente evidenti. questo che appare del tutto inconciliabile con la dichiarata volont da parte di Hooke di sviluppare le ipotesi dagli esperimenti e di verificarle sperimentalmente. Al contrario di quanto ha sostenuto Laudan, lesigenza di revisione metodologica dei filosofi sperimentali non ascrivibile unicamente allinfluenza cartesiana, bens agli effetti della pi ampia visione meccanicistica della scienza e della natura31. La storia, anche quella delle idee, ha notato Paolo Rossi, piena di fastidiosi accidenti32, di fronte ai quali categorie generali e consolidate appaiono di colpo approssimative, insufficienti a rendere ragione della complessit delle teorie. Limmagine, consolidata da una lunga tradizione (tuttora operante), di un Bacone empirista puro che attende al divorzio della scienza dalle teorie e delle ipotesi dalle interpretazioni33, ha impedito finora di riconoscere lorigine baconiana di importanti aspetti dellalgebra filosofica. Linsistenza di Hooke sulla deduzione dalle ipotesi congiunta alla contrapposizione baconiana tra anticipazioni della mente e interpretazioni della natura ha portato non pochi storici a etichettare come esclusivamente cartesiani elementi che hanno unorigine ben pi complessa. Sebbene fosse convinto che il trionfo delle opere di Dio (ovvero la Natura) si realizza solo anteponendo le tesi alle ipotesi34, latteggiamento di Bacone verso queste ultime non riducibile a una rigorosa messa al bando dalla scienza. Lincomprensione della funzione sistematica delle ipotesi per il progresso del sapere rimane, senza dubbio, uno dei limiti maggiori della sua immagine della scienza35, ma la condanna baconiana delle ipotesi va letta alla luce del significato astronomico che il termine aveva assunto nei secoli XVI e XVII. Ipotesi per Bacone unanticipazione della mente rispetto alla natura, una spiegazione semplice e coerente ma spesso priva di un significato reale come gli eccentrici e gli epicicli della tradizione. La necessit di zavorrare lintelletto, per evitarne i facili voli nel regno dellimmaginazione e costringerlo al duro lavoro di compilazione delle storie dettata dallesigenza di un sapere certo e dai fondamenti solidi. Ma la scienza non si esaurisce nella storia naturale. Allinizio della Instauratio maCLARKE (1998, pp. 262-263). Cf. ROSSI (1986, pp. 141-146); ROSSI (1997, pp. 187-190); ROGERS (1966, p. 238). 32 ROSSI (1986, p. 135). 33 ZAGORIN (2001, p. 391); cf. ROSSI (1986, pp. 95-117). 34 BACON (1857-59, vol. II, p. 14). 35 ROSSI (19742, p. 347).
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gna, nella Distributio operis, Bacone riconosce la necessit di avere nelle stesse storie naturali osservazioni e prime proposte, che fungano da sguardi dalla storia alla filosofia a indicare che non si destinati a restare per sempre prigionieri dei flutti della storia36. Basta leggere la Norma historiae presentis della Historia naturalis et experimentalis, per capire che nel metodo di Bacone trovano posto una serie di elementi che si possono considerare appartenenti alla categoria delle ipotesi, senza ricadere in quella delle anticipazioni. Non solo osservazioni e commenti sulle possibili cause, ma anche assiomi imperfetti, che se non veri sono per assai utili a indicare una direzione proficua allindagine sperimentale37. Nelle tavole e nella stessa induzione trovano posto tentativi parziali di generalizzazione antecedenti alla scoperta della forme, possibili grazie al suo carattere escludente38. Restituendo al progetto baconiano la sua originaria ampiezza possibile comprendere il modo in cui esso si prestato, gi nel XVII secolo, a interpretazioni diverse. Il movimento baconiano che attraversa la rivoluzione scientifica caratterizzato da una visione comune della storia e delluomo, ma anche da una molteplicit di modi diversi dintendere la natura e il suo studio. Il programma metodologico di Hooke, sotto la spinta determinante di una concezione corpuscolare della natura, non appartiene a quelle interpretazioni empiristiche che identificano scienza e storia naturale, e condannano ogni forma di ipotesi39. Per quanto sia prevalente e non priva di seguito, grazie allopera di Boyle, Newton e Locke, questa tradizione non esaurisce lintero panorama della filosofia sperimentale. La teorizzazione esplicita delluso sistematico di ipotesi, congetture e deduzioni viene concepita da parte di Hooke come un completamento del progetto baconiano ma lungo linee gi tracciate da Bacone. Egli riconosce, con Boyle e Newton, la necessit di evitare il dogmatismo e lassunzione di ipotesi non sufficientemente fondate e confermate dagli esperimenti, ma ritiene che congetture e questioni non siano interamente disapprovate dal metodo baconiano40, che, afferma Hooke, non consiste in altro che nellesame delle ipotesi con gli esperimenti e lindagine degli esperimenti
BACON (1857-59, vol. I, p. 143), tr. it. BACONE (1975, p. 541). BACON (1857-59, vol. II, p. 18). 38 JARDINE (1974, pp. 134-135); PEREZ-RAMOS (1988, p. 262). 39 BOAS-HALL (1983, p. 25); HUNTER (2003, p. 122); di contro MAHLERBE (1984, pp. 187-188 n. 9) e PREZ-RAMOS (1996, pp. 317, 319) non tengono in debito conto questi elementi. 40 HOOKE (1665, epistola dedicatoria alla Royal Society, non numerata).
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con le ipotesi41. Diversamente da quanto hanno sostenuto Floyd Centore e David Oldroyd, gli storici ai quali si devono alcuni dei pi importanti contributi allo studio di Hooke, nellopera di Bacone che trovano origine anche quegli elementi del programma metodologico che sembrano allontanarsi maggiormente dal disegno baconiano42. 4. Anche in merito al ruolo degli strumenti nel nuovo metodo le significative innovazioni di Hooke sembrano muoversi lungo una direzione gi tracciata da Bacone, allinsegna della necessit di preparare una storia non solo della natura libera e sciolta () ma principalmente una storia della natura costretta e tormentata, che cio rimossa a forza dal suo stato ordinario, e premuta e forgiata mediante larte e il ministerio umano43. Esperimenti e strumenti sono per Bacone il frutto dellapplicazione dellarte alla natura, che permette di superare i limiti dellosservazione ordinaria e dei sensi umani di fronte alla grande sottigliezza della natura. Com noto latteggiamento baconiano inizialmente entusiasta verso il microscopio e il telescopio al loro primo apparire si attenua col tempo. La sua predilezione per gli esperimenti non dovuta allincomprensione del ruolo dei nuovi strumenti ottici ma alla semplice constatazione, espressa nel Novum Organum, che la sottigliezza degli esperimenti di gran lunga maggiore di quella dei sensi, anche se questi siano aiutati da squisiti strumenti44. I limiti tecnici che egli intravede nei primi strumenti, accentuati dalle grandi attese iniziali, non impediscono a Bacone di affidare al microscopio il fondamentale compito di rivelare gli schematismi e i moti occulti che costituiscono il fine ultimo dellinterpretazione della natura45. La comparsa di nuovi strumenti scientifici, come la pompa ad aria, che al pari degli esperimenti chimici sottopongono la natura a condizioni non ordinarie, e lo sviluppo crescente delle capacit di risoluzione di quelli ottici permettono ad Hooke di lasciarsi alle spalle la distinzione di Bacone tra le due vie dellarte meccanica. Elevati a livello di unica somministrazione
NEWTON (1959-77, vol. I, p. 202). CENTORE (1970); OLDROYD (1972); ben diverse le indicazioni di HESSE (1966, p. 82), secondo cui lenfasi sulla deduzione dalle ipotesi pu portare a etichettare Hooke come cartesiano, ma () la componente di controllo deduttivo presente in Bacone almeno tanto chiaramente quanto in Cartesio. 43 BACON (1857-59, vol. I, p. 141), tr. it. BACONE (1975, p. 539). 44 BACON (1857-59, vol. I, p. 138), tr. it. BACONE (1975, p. 536). 45 BACON (1857-59, vol. I, p. 307), tr. it. BACONE (1975, p. 732); cf. ROSSI (19742, p. 347).
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ai sensi, gli strumenti ottici assumono un ruolo fondamentale nel programma di Hooke. Limitata nella fascia intermedia tra linfinitamente grande e linfinitamente piccolo, allesperienza umana della natura sono precluse tanto le estremit delluniverso quanto le profondit degli abissi della materia46. Nel mondo invisibile presente quello che la filosofia sperimentale spinge a indagare e di cui la filosofia meccanica preannuncia la configurazione. Lesigenza baconiana di forzare la natura per carpirne i segreti si congiunge in tal modo con quella meccanicista di dimostrarne il carattere corpuscolare. Da qui il ruolo fondamentale del microscopio nel metodo di Hooke destinato a costruire una scienza meccanica e insieme sperimentale. Grazie al microscopio, si legge nella Micrographia, un nuovo mondo visibile stato scoperto alla nostra comprensione47. Le sottili composizioni dei corpi, le strutture delle loro parti e i loro moti interni che determinano le diverse nature, forme e configurazioni della materia sono, per la prima volta, alla portata della scienza. Il microscopio agli occhi di Hooke destinato a rendere verificabili tutte quelle entit teoriche finora solo immaginate e spesso fantasticate:
Per queste vie si troveranno molte ragioni per sospettare che quegli effetti dei corpi finora comunemente attribuiti alle qualit considerate occulte sono realizzati da piccole macchine della natura, indiscernibili senza questi aiuti, che appaiono i meri prodotti di moto, figura e grandezza48.

5. Lobiettivo che Hooke sembra porsi non la possibilit di spiegare tutti i fenomeni attraverso i principi, tanto vaghi quanto generali, di materia e movimento, bens lindividuazione delle configurazioni specifiche della materia e delle cause particolari dei fenomeni. Questo progetto si scontra per con la radicale inaccessibilit osservativa delle entit postulate da tutte le filosofie di tipo meccanico49. Il microscopio di cui si dispone permette di oltrepassare i limiti della vista ma non ancora di giungere alle strutture elementari della materia. Posto di fronte alla sproporzione tra la sottigliezza della natura e la capacit dingrandimento dello strumento, Hooke riconosce la necessit di dotare il metodo di strumenti logici cui ricorrere quando quelli materiali cessano di essere utili. Fino a quando il
HOOKE (1705, p. 73). HOOKE (1665, p. IV). 48 HOOKE (1665, p. XXV); cf. HUTCHINSON (1982, pp. 233, 242, 246) e WILSON (1995, pp. 50-56). 49 LAUDAN (1984, p. 28), ROSSI (1986, pp. 141-146); ROSSI (1997, pp. 187-190).
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nostro microscopio o altri strumenti non ci metteranno in grado di scoprire il vero schematismo o struttura di tutte le specie di corpi, afferma Hooke, dobbiamo, per cos dire, brancolare nel buio, e soltanto supporre le vere ragioni delle cose mediante similitudini e comparazioni50. Lindagine delle cause inosservabili dei fenomeni osservabili pu essere condotta attraverso la comparazione con fenomeni simili, le cui cause siano note, risalendo dallanalogia degli effetti allanalogia delle cause. Parti integranti dellinduzione e della storia naturale comparazioni, analogie e similitudini permettono di elaborare ipotesi probabili, che, per quanto incerte, possono essere valutate sperimentalmente attraverso le deduzioni che da esse si traggono51. Questa forma dinferenza appartiene a quelle che Mary Hesse ha definito analogie materiali52. possibile in presenza di due tipi di relazioni: somiglianza e causalit. La somiglianza tra due termini dati A e B (effetti osservabili) permette di estendere la relazione di causalit che occorre tra A e un terzo termine C (causa osservabile) a B e a un quarto termine D (causa inosservabile). Anche Cartesio aveva fatto ricorso a una forma simile dinferenza analogica. Nelluniformit assoluta dellestensione cartesiana la sua capacit euristica per limitata dal carattere probabile dei suoi risultati. Le celebri analogie della Diottrica servono solo a rendere comprensibili aspetti di un fenomeno complesso come la luce che reso conoscibile, com scritto nel Discorso sul metodo, da certi germi della verit che risposano naturalmente nelle nostre anime53. Allanalogia riconosciuta solo certezza morale, sufficiente a congiungere le cause universali, note per altra via, agli effetti particolari di cui si ha esperienza54. Diversa la funzione di questa inferenza in Bacone. Le parti interne dei corpi, quegli spiriti invisibili inclusi nelle parti tangibili55, sono lo scopo finale della scienza. Tra le istanze di supplemento lanalogia chiamata a ricondurre al senso qualcosa di non sensibile, mediante un analogo corpo sensibile. , ammette Bacone, poco sicura e da usare con cautela56. Ma la
HOOKE (1665, p. 114). HOOKE (1705, pp. 165, 537). 52 HESSE (1980, pp. 88-99). 53 DESCARTES (1974-86, vol. VI, p. 64), tr. it. DESCARTES (1983, p. 164). 54 DESCARTES (1974-86, vol. VIII, pp. 325-329), tr. it. DESCARTES (1994, vol. II, pp. 387-390); GARGANI (19832, pp. 19-25); GALISON (1984, p. 311), CLARKE (1998, p. 280). 55 BACON (1857-59, vol. II, pp. 380-382). 56 BACON (1857-59, vol. I, pp. 316-317), tr. it. BACONE (1975, pp. 742-743).
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sua capacit euristica fondata su unimmagine delluniverso attraversato da corrispondenze reali e similitudini tra diversi livelli di oggetti e realt, che fanno parte di un labirinto per orientarsi nel quale il metodo offre solo un fragile filo che va di volta in volta appeso alle similitudini pazientemente raccolte nelle tavole57. Il ragionamento analogico fa parte in Hooke, come gi si detto, dellinduzione, eredit baconiana. Comparazioni e similitudini permettono di elevarsi dalla compilazione storica allinterpretazione causale per giungere ai principi generali cui sottostanno le diverse classi di fenomeni. La via sperimentale alla scienza non procede per enumerazioni e conferme, percorso incerto e senza fine, ma per comparazioni, similitudini ed esclusioni. Lanalogia ha pertanto pieno valore euristico, inserita com a pieno nellalgebra filosofica. Luso baconiano del principio analogico , per, allapparenza molto distante da quello proposto da Hooke. Nella selva baconiana, assente tale continuit, la similarit svolge la funzione di segno, rappresentazione e non modello in scala ridotta58. Al contrario nelluniverso meccanico di Hooke si da una continuit scalare tra i fenomeni osservabili e le nature latenti. Il passaggio dal sensibile allimpercettibile legittimato dalluniformit corpuscolare della natura, in ogni sua parte composta da materia in movimento, e dal fatto che Natura nihil agit frustra sed frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora59. 6. Nonostante questo lanalogia ha agli occhi di Hooke, dei limiti che vanno ben oltre le ristrette capacit percettive e strumentali di cui si dispone. Questo ci permette di mostrare linadeguatezza di alcune rappresentazioni della filosofia sperimentale e meccanica di Hooke come un insolito accostamento di metodo interamente baconiano e visione della natura sostanzialmente cartesiana. Un quadro, questo, dai contorni netti e ben delineati, in cui non c spazio per sfumature, chiaroscuri e zone dombra, che pure non mancano. Sebbene siano composte secondo leggi universali che regolano il movimento di una materia uniforme originaria, le opere della natura, sostiene Hooke, costituiscono un grande labirinto, in cui Omne simile non est idem60. possibile, infatti, osservare fenomeni senza pari, come gli anelli di
ROSSI (1986, p. 125). BLASI (1993, p. 469). 59 HOOKE (1705, p. 179). 60 HOOKE (1705, pp. 84, 167).
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Francesco G. Sacco

Saturno, che mettono in crisi lestensione universale del principio di uniformit61. Dalluniverso corpuscolare di Hooke non scompaiono quei fenomeni individuali non riconducibili a nessuna classe su cui Bacone aveva posto lattenzione62. I limiti dei sensi costringono ad affidarsi allimmaginazione, verso la quale necessario usare la massima cautela. Troppo spesso, infatti, prendiamo la forma delle cose per la sostanza, piccole apparenze per buone similitudini, similitudini per definizioni63. La disattenzione per lesperienza e la cieca fiducia nellimmaginazione hanno condotto molti filosofi moderni a grandi assurdit, vere e proprie chimere, come i tre principi dei chimici, la materia sottile e i vortici dei cartesiani64. La verifica sperimentale costante pu aiutare a controllare i pericoli dellanalogia. Ma solo lesperienza oculare diretta permette il formarsi di una corretta idea delle cose. Con un evidente richiamo al ruolo primario conferito allautopsia da Harvey nella prefazione al De generatione animalium65, Hooke riafferma il ruolo primario dellesperienza diretta nel metodo sperimentale, congiunto alla fiducia nellillimitata possibilit di progresso nella strumentazione ottica. 7. La via che un tale programma sperimentale traccia non priva di conseguenze sul suo esito finale. Lo scopo della filosofia naturale la conoscenza delle cause particolari e delle strutture specifiche dei corpi, che dipendono dai diversi e contingenti processi di configurazione della materia. La natura, composta solo di materia in movimento uniforme, ma i singoli fenomeni sottostanno a cause nelle quali i principi generali assumono forme specifiche, che non possono essere semplicemente dedotte. Posta di fronte allindagine sperimentale la natura mostra una complessit estranea alla tradizionale filosofia meccanica. per questo che quei nuovi regni della natura capillarit, fenomeni elettrici e magnetici, gravit, luce in cui sono apparsi evidenti i limiti del meccanicismo cartesiano e dellatomismo vengono a costituire i campi dindagine sui quali si sofferma lattenzione di Hooke.
HOOKE (1726, pp. 262-263). BACON (1857-59, vol. I, p. 306), tr. it. BACONE (1975, pp. 702); BACON (1857-59, vol. III, p. 729); ROSSI (1986, p. 145). 63 HOOKE (1665, p. II); cf. HOOKE (1726, p. 263). 64 HOOKE (1679, p. 311); HOOKE (1726, pp. 263-264). 65 HARVEY (1651, pp. 16-18, 24), tr. it. HARVEY (1963, pp. 178-179,184); cf. PAGEL (1966, pp. 31, 38-39); GARGANI (19832, pp. 8-9).
61 62

Il metodo in Hooke

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Esito dellincontro tra unimmagine baconiana della scienza e unimmagine corpuscolare dalla natura66 il programma metodologico di Hooke rappresenta la base sulla quale si costruisce una forma eterodossa di meccanicismo, in cui trovano posto forze attrattive centripete per spiegare la gravit, propriet attrattivo-repulsive che rendono conto delle relazioni dei corpi e una concezione dinamica e vibratoria della materia, in cui alle diverse configurazioni strutturali microscopiche corrispondono specifiche propriet di intere classi di macro-fenomeni.
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66

Cf. ROSSI (1986, pp. 23-24).

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Francesco G. Sacco

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Il metodo in Hooke

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FRANCESCO FERRETTI, MARIA PRIMO Taking co-evolution seriously. A Commentary on Christiansen & Chater (2008), Language as shaped by the brain*

Abstract. C&Cs claim highlights just one side of co-evolution, from brain to language. We propose that at least one component of mindreading shows the return effect of language on the brain, thus revealing the existence of specific adaptations for language. Criticism to UG as a biological adaptation cannot therefore be used to argue that language is not a biological adaptation.

The idea that language is a beneficial parasite of the brain is consistent with a perspective of co-evolution between language and brain. In general, asserting that two entities co-evolve is, at minimum, arguing that they have a mutual exchange relationship. Recognizing that kind of interchange does not mean, however, that the entities involved combine equally to bring about that relationship: more often there is a kind of asymmetry which regulates it. C&Cs perspective is biased toward one of the two entities: brain shapes language and not vice versa. It is not the priority given to the brain, therefore, that troubles co-evolution, but the fact that C&C do not recognize the return effect that language has on brain. Now, since C&Cs idea of co-evolution depends on their view of language as a kind of biological adaptation, in order to re-establish a fruitful equilibrium between language and brain we have to propose an alternative view of language as adaptation. The question whether language is an adaptation admits (at least) two different hypotheses. The first is the Standard Theory of Universal Grammar. C&C demonstrate that UG cannot adequately account for the learning, comprehension and linguistic production of real individuals and, cre* Lo scritto che segue un commento al recente articolo di Morten Christiansen e Nick Chater, Language as shaped by the brain apparso come Target Article su Behavioral and Brain Sciences nellottobre 2008. Dal momento che tale rivista ha disposto di non pubblicare ulteriormente continuing commentaries ai diversi articoli nei numeri successivi, si pensato di inviare telematicamente i nostri commenti ai due autori. Essi gentilmente hanno concesso di poter pubblicare, di seguito al nostro articolo, anche le loro risposte.

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dibly, demonstrate that the identification of language with UG nativism invalidates every attempt to consider language as a biological adaptation. From that analysis, however, C&C draw the unconvincing conclusion that if UG is not a biological adaptation, then language is not a biological adaptation at all. A direct consequence of this conclusion is that since language is not a specific biological adaptation then language is a cultural adaptation hence the issue that historical variation of languages should be considered a model of language evolution. We challenge this account by showing that it is possible to consider language a biological adaptation without adhering to UG nativism. The greatest difficulty with C&Cs view is that of accounting for the specificity of language from the general purpose cognitive processes that would represent its basis. Let us take grammar complexity, as an example. C&C maintain that there is no need to involve specific biological adaptations for language to explain such a component: the need for more adequate communication together with neural constraints lead to forms of complication of the expressive code which follow the rules of cultural variation. If we take to be true what C&C are sustaining in regards to UG not being an innate component of mind, and that grammaticalization is a process driven by cultural evolution, two remarks about this idea are called for. First, proposing that selection pressure for the complication of language at the grammatical level depends on a generic need for improving expressive abilities is a true but too weak a claim to make. Since other organisms are able to communicate, a generic selective value of communication cannot be invoked to explain the specificity of human language. The evolutionary path from animal communication to human language, cannot be argued by just making reference to the expressive code, primarily because language does not only have an expressive function (Carruthers, 2002). This leads to a second remark. To investigate the evolutionary interrelationship between brain and language we have to look at something more basic than cultural variation. Let us suppose that the evolutionary gap between animal communication and human language was the emancipation of human verbalization from the code model as proposed by Sperber and Wilson (1985/1996) in their neo-gricean theory of relevance. Grices distinction between utterances meaning and speakers meaning (Grice 1957) states that meaning processes are inextricably linked to speakers intentions. In such a view, a me-

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Francesco Ferretti, Maria Primo

chanism for mindreading seems necessary for the learning and the use of language, as well as for its origins. C&C recognize that such a device is a basic neural condition of language but stop their analysis at the first step. The role of a mindreading device in language can be, in fact, extended to a model that admits a double path of constitution (from language to brain as well as from brain to language). This would confer to language the status of biological adaptation and give rise to a more convincing view of the coevolutionary relationship between language and brain. Referring to a generic mindreading device used in language can be admitted only for a generic level of analysis. One way to more specifically understand the kind of device we are dealing with is to ask whether intentions involved in communication are different from those involved in the interpretation of other kinds of behavior. If communicative intentions have distinct properties, it may be more useful to consider a specific cognitive device adapted to the reading of such intentions, instead of relying on a general hypothetical mindreading device. Origgi and Sperber (2000; Sperber, 2000; Origgi 2001) suggest by using empirical data the need to distinguish a metapsychological device (adapted for attributing generic intentions) from a metacommunicative device (adapted to the specific interpretation of communicative intentions). If Origgi and Sperber are right, then it seems possible to hypothesize that a metacommunication system could be an evolutionary development (a biological specific adaptation for language) of a generic metapsychological system. Now, since mindreading is necessary to account for how animal communication codes lead to human language, we can interpret the specialization of a generic metapsychological device into a metacommunicative one, as being due to a return effect that language had on neural systems which in turn fostered its functioning. Devices affected by and adapted to this specific aim, are cognitive adaptations specific for language. In a view of language as an organism, such devices are integral parts of language: but if integral parts of language are specific adaptations, it is not possible to state that language is not a form of biological adaptation at all. This is why criticism to UG as a biological adaptation cannot be used to argue that language is not a kind of specific biological adaptation. Taking co-evolution seriously is believing that language is shaped by the brain AND vice versa.

A Commentary on Christiansen & Chater (2008)

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560 Da: Nick Chater A: francesco ferretti Inviato: 9 Set 2008 12:57 Dear Francesco and Maria,

Francesco Ferretti, Maria Primo

thanks very much for sending over your commentary - and for your kind thoughts on our paper. We would agree, I think, that it is entirely possible (and perhaps probably) that coevolution has been an important factor in the emergence of general pragmatic /communicative system the coevolution we would like to rule out concerns arbitrary features of language (as these will freely vary in the linguistic environment, prior to any relevant biological constraints); whereas the coevolution of brain structures with functional aspects of language (including its pragmatic role) seems entirely plausible. Im sorry you didnt have a chance to put your thoughts through BBS (theyve discontinued the continuing commentary system) - good luck with pursuing these interesting thoughts further, best wishes, Nick *********************************************************** Dear Francesco and Maria, Many thanks for your email and positive response to our BBS paper. I, too, am sorry that you were not able to submit your thoughts as a continued commentary. As Nick noted we agree that it is possible that there may have been some coevolution for functional features of language, such as our pragmatic abilities, though wed expect that to some degree such adaptations may have taken place prior to the emergence of language (perhaps as part of an increased social intelligence). But it is likely that some subsequent co-evolution might have taken place to further develop these functional abilities. The full paper and associated commentaries along with our response is expected to be available later this fall. Best wishes, Morten

VINCENZO COSTA, Esperire e parlare. Interpretazione di Heidegger, Milano, Jaca Book, 2006, pp. 162. La ricerca di Vincenzo Costa pu essere considerata una interpretazione attraverso Heidegger, dato che le problematiche che si intendono delineare sono affrontate a partire da quel particolare modo del domandare inaugurato dal pensiero heideggeriano. Rifarsi ad Heidegger vuol dire, prima ancora che fare un uso diretto della ragione, interrogarsi sulle condizioni a partire dalle quali la razionalit si potuta costituire, sullorigine dei luoghi di costituzione del sapere, e porsi la domanda originaria a partire da che cosa un discorso si costituisce. Il riferimento ad Heidegger, come ad una diversa concezione del lavoro filosofico, appare dunque imprescindibile. Uno dei meriti di questo volume sta nella descrizione dellemergenza della problematica del mondo e del linguaggio come elemento strutturante della nostra esperienza, a partire dal dibattito volto a rintracciare la specificit della natura umana rispetto al mondo animale. questo un tema caro allantropologia classica: Platone, Kant, Herder sono solo tre espressioni di unantichissima tradizione che legge luomo in un rapporto di discontinuit rispetto allanimale, non in forza della differenza spirituale che, sotto i nomi di anima, intelletto, ragione, coscienza o spirito, ha reso possibile la glorificazione delluomo, ma in forza di quella carenza istintuale che, a differenza dellanimale, non concede alluomo un ambiente a lui preordinato in cui potere dispiegare, sotto la tutela degli istinti, unesistenza garantita da margini di sicurezza. Se seguiamo questa direzione, che stata poi riproposta anche da Nietzsche e nel nostro tempo da Gehlen, la mancanza di un ambiente determinato fa delluomo un essere manchevole, non specializzato. Al di l degli esiti cui giunge una simile impostazione del problema, ci che importante che gi questa tradizione avvertiva la necessit di emanciparsi dalla visione tradizionale che concepisce luomo come animale razionale, cio la necessit di superare il dualismo anima-corpo che una simile caratterizzazione aveva introdotto, ossia quella dualit insanabile per cui luomo da un lato, veniva visto come homo naturalis, pura istintualit biologica e dallaltra parte come spirito, razionalit, apertura verso Dio. Proprio a questa determinazione, accolta per altro anche da Scheler, che Heidegger cerca di opporsi, attraverso quei continui passi indietro, tipici del suo pensiero, che lo portano preliminarmente ad impostare i criteri che devono guidare la ricerca; per potersi infatti porre il problema della differenza antropologica, bisogna prima stabilire a quali condizioni siamo disposti a par561

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lare di animale e di uomo. Il criterio indicato da Heidegger consiste nella nozione di mondo. Una prima differenza tra uomo e animale consiste nel dire che solo il primo ha un mondo, cio formatore di un mondo, in cui agisce; allanimale invece il mondo si d, come ambiente da cui riceve meccanicamente un profluvio di stimoli cui reagisce. Il mondo propriamente umano , secondo Heidegger, costituito in prevalenza da oggetti duso, pragmata, tali che il loro significato emerge esclusivamente dalla funzione pratica che essi rivestono allinterno del mondo stesso. Al contrario degli animali, per i quali un oggetto diventa utilizzabile solo se ricade allinterno di quel cerchio istintuale da cui sono necessitati, per luomo un utensile continua a rivestire quella funzione pratica che lo definisce, cio continua a rappresentare una possibilit reale, anche quando non presente nel suo campo percettivo e non chiamato a soddisfare un bisogno attuale. Solo luomo, per Heidegger, allora pu cogliere il significato delloggetto, perch solo luomo sa percepire loggetto come inserito allinterno di una totalit di rimandi che non dipende dalla vicinanza spaziale e temporale. Costa fa lesempio del gesso il cui significato, come sappiamo, tratto da ci per cui serve: il gesso quel oggetto che serve a scrivere sulla lavagna; questi rimandi sono presenti anche quando il gesso e la lavagna non sono spazialmente vicini. Di conseguenza, per comprendere un singolo oggetto dobbiamo gi avere una precomprensione della catena di rimandi in cui inserito, della forma di vita che lo fa emergere, della struttura contestuale che lo rende appunto significante. ( Per esempio non capiremo mai il significato di una lavagna se non allinterno di una civilt che ha conosciuto la scrittura.) Il nesso che lega luomo al mondo quindi strutturale, e ci che caratterizza questo rapporto che alluomo dato di cogliere se stesso come una totalit di possibilit tra cui chiamato a scegliere, per decidere chi vuole essere. Dopo Nietzsche non pi possibile parlare dellIo come di un centro unitario, atemporale e astorico cui ricondurre ogni rappresentazione; cade la pretesa da parte della soggettivit di conferire il senso alle cose, come se i significati fossero eterni e abitassero la mente o la coscienza delluomo, ma Heidegger a farci notare come il senso sia afferrabile da parte delluomo perch si muove in una concatenazione di significati gi data, cio allinterno di possibilit pratiche dazione che continuamente lo interpellano. Rapportarsi a se stessi vorr dire allora rapportarsi al proprio poter-essere, non come a una realt immutabile, ma come a una possibilit. Luomo chiamato, allinterno di quella totalit di possibilit in cui si muove e che lo definisce un essere profondamente storico, a determinare se stesso, a dare senso e forma alla propria esistenza, esponendosi in prima persona attraverso lazione,

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perch nellazione che luomo mette in gioco se stesso, il profondo del suo esserci; lessere umano non scopre se stesso nellintrospezione, cio ad un livello teoretico, ma nellazione, cio ad un livello fondamentalmente pratico. Essere-nel-mondo significa essere-nel-mondo per fare. qui lo scarto rispetto allanimale, che non si rapporta a se stesso come a un insieme di possibilit da realizzare, non ha un progetto su se stesso, quindi non ha un rapporto con il tempo, o meglio il suo rapporto con il tempo fortemente limitato dal suo essere interamente assorbito dal presente; questa condizione, che Nietzsche definiva felice e che riteneva invidiabile dalluomo, Heidegger la definisce stordimento, intendendo con questo termine quellessere coinvolto in s dellanimale che gli preclude quellapertura al senso, in base alla quale luomo, aprendosi al mondo e al suo poter-essere, determina se stesso. Luomo allora si distingue dallanimale perch ha un mondo, il che implica un rapporto particolare con il tempo che solo alluomo permette di guardare a se stesso come ad un insieme di possibilit, un rapporto che alluomo dato di intrattenere perch ha un linguaggio; questo il passaggio fondamentale che ci introduce nella seconda sezione del libro, dedicata appunto allanalisi del linguaggio. Come ha opportunamente messo in luce Costa, spostando lasse del problema dalluomo al linguaggio, il tema della differenza antropologica rimanda ad unica radice: lanalisi del modo dessere del linguaggio. Il linguaggio pensato da Heidegger come un ordine che governa una certa esperienza del mondo, come ci che ci consente di fare esperienza di quella totalit di rimandi, allinterno della quale si definiscono i significati; scoprire qual la funzione degli oggetti allinterno di un mondo equivale a rivelare la loro essenza, che sappiamo non essere immutabile ma profondamente storica, instabile, provvisoria. Siamo nellambito della manifestativit dellente, in rapporto alla quale lessenza del linguaggio allora sar quella di mostrare, disvelare lente nel suo essere originario, e le infinite relazioni che lo connettono agli altri enti in un mondo. Ancora una volta, la soggettivit trascendentale nel suo porsi come absoluta, cio sciolta da quel fondamentale rapporto che luomo intrattiene con la sfera pratica, ad essere liquidata nella misura in cui luomo non il signore dellessere ma sempre esposto e consegnato storicamente ad unipotesi di senso cui deve corrispondere.
IRENE CHIERA

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SILVANO FACIONI, La Cattura dellOrigine. Verit e Narrazione nella tradizione Ebraica, Milano, Jaca Book, 2005. Nella tradizione Ebraica la parola Pardes non definisce semplicemente il paradiso dei Testi Sacri, ma anche e soprattutto lacrostico (PRDS) dei quattro livelli di interpretazione della Scrittura: Pat, Remez, Dra, Sod; Pat indica ad un livello pi basso il senso letterale del testo; Remez il senso analogico o simbolico; col Dra si gi al di fuori del testo poich tale livello indica un senso che assente (ovvero che va ricercato) nel testo; Sod infine il senso segreto, cio il pi lontano dal testo. Ci significa che c un percorso di lettura che parte da una pura presenza letterale del senso (Pat), e che allontanandosi sempre pi dal testo conduce ad un senso nascosto, segreto, che dice quasi la sua impossibilit a manifestarsi, ma che allo stesso tempo permane nellorizzonte di una tradizione, quella ebraica, che ha generato una catena inesauribile di interpretazioni. Queste considerazioni preliminari sono tratte dal testo di Silvano Facioni, e vogliono indicare un possibile percorso di lettura dello stesso libro, percorso che sar seguito lungo la riflessione che segue. a partire dalla consegna della Torah a Mos dal Sinai che si declina quel percorso di eredit-trasmissione, lungo il quale si sviluppa unintera tradizione, poich a Mos sul Sinai non viene consegnata solo la Scrittura, ma anche la possibilit del Commento, ovvero la possibilit di un rinnovamento del senso (chidu). Eredit-trasmissione che viene allora a configurarsi come assenza, o meglio, vuoto da colmare attraverso il Commento che scaturisce dalle infinite interpretazioni, che hanno come luogo ermeneutico privilegiato le discussioni tra maestro e discepolo. In tal senso la tradizione lesodo del sapere da se stesso, e la trasmissione figura di questo esodo (p. 16). Linterpretazione si svolge allora ad un livello che va oltre (trans-gradi) il senso letterale del testo (Pat). Paradigma di tale assunto la lettera ( lamed), lunica lettera dellalfabeto ebraico che sopravanza la linea su cui sono appese le lettere sulla pergamena. Lamed che quindi caratterizzata metaforicamente da quel movimento di trasgressione tipico dellinterpretazione. Ma lamed anche lultima lettera dellultima parola (IsraeL) che chiude la Torah. Ma tale chiusura non ha il carattere dellesaustivit, anzi apre il testo al commento, apre cio quello spazio vuoto a partire dal quale si stagliano le diverse interpretazioni. Vi dunque un vuoto, un assenza che condizione di possibilit di generazione del senso. a partire da questo contesto che lautore fa riferimento ad unaltra lettera dellalfabeto ebraico, la alef, che segue un percorso significativo nella costituzione di un senso che si manifesta come presente/assente. La alef, che la prima

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lettera dellalfabeto, non si pronuncia singolarmente, viene cio scritta, ma in s stessa non viene pronunciata (p. 39). La alef anche la prima lettera della parola verit (emet), e perci mette in gioco la stessa possibilit che la verit si disveli. Infatti la alef di emet/verit non ha un suono proprio, tuttavia essa inscindibile dalla parola, poich se viene rimossa nella scrittura si ottiene la parola met che significa morte (p. 41). La alef si configura in tal senso come presenza/assenza impadroneggiabile allinterno del testo. Ed ancora la alef declina il percorso del popolo ebraico dallesilio verso la redenzione: il termine esilio golah, mentre redenzione geulah. Anche qui la presenza/assenza della alef definisce lo scarto tra due differenti modalit che si implicano ma allo stesso tempo si escludono a vicenda. La redenzione compie lesilio attraverso la consegna di una alef, che invece lesilio cerca di catturare. Il termine esilio nella tradizione ebraica rimanda subito allEgitto, in cui lassolutismo del Faraone nega la possibilit dellincontro con laltro, poich il monarca come una Piramide, cio chiuso in s stesso, e lunico modo di rapportarsi allaltro appropriandosene. Ritorna allora il paradigma della cattura che emerge nel racconto di Genesi 39,12 in cui Giuseppe scappa dalla moglie di Potifar (archetipo dellEgitto) la quale riesce per a ottenere la sua veste. Ovvero tenta lunico approccio al simbolico che ella pu concepire: il possesso. Ma lEgitto fa la sua comparsa in Genesi molto prima, nellepisodio (9,20-23) che vede protagonisti No e i suoi tre figli Sem, Cam e Iafet, i quali daranno vita rispettivamente ad Israele, allEgitto e alla Grecia. qui Cam il protagonista assoluto dellepisodio, nel quale egli entra nella tenda del padre vedendone la nudit (ervat), e lo racconta ai fratelli i quali provvedono a coprire il padre con una tunica (simlah, parola riconducibile a semel che significa simbolo) che portano camminando allindietro. Sem e Iafet non vedono cos la nudit del padre, tentano cio un approccio di tipo simbolico attraverso quel percorso a ritroso che gli consente di coprire il padre (che rappresenta lOrigine) senza disvelarne la nudit. Cam, precursore della cultura egizia, compie una violazione verso il padre/Origine poich posando lo sguardo sulla sua nudit (che dice anche unassenza) rinuncia al simbolico, e dunque rinuncia alla modalit della narrazione, interrompendo cos il percorso di eredittrasmissione. Sem e Iafet al contrario, ovvero attraverso il loro percorso a ritroso nel quale coprono lorigine col simbolo, comprendono che dellorigine possibile solo unapprossimazione che lorigine stessa a consentire [] lorigine non altro che lascito, eredit, genealogia o, in una parola: consegna (che sempre il contrario della cattura) (p. 83). dunque nella paradossalit della sua presenza/assenza che lorigine pu manifestarsi/celarsi. A questo punto non privo di interesse far riferimento alla questione messianica che pervade lintero testo di Facioni ma che si dispiega esplicita-

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mente nelle ultime pagine. Nel Pentateuco non presente alcuna allusione al Messia. Tuttavia i commenti, che dalla Scrittura scaturiscono, fanno spesso riferimento alla questione messianica. Se il commento ci che va a colmare i vuoti della Scrittura allora il Messia dovr essere in qualche modo presente anche allinterno della Scrittura stessa. Il Messia allora riflette quella modalit di presenza/assenza che abbiamo visto allopera con lorigine. Il Messia infatti non pu identificarsi con una persona, con un luogo, ma si caratterizza come qualcosa di inafferrabile, di assente, anchegli traccia, annuncio di una redenzione che levento unico ed irripetibile in cui egli stesso compreso (p. 115). Se un evento, il Messia allora ha a che fare col tempo, egli stesso un modo di declinare il tempo. Infatti il tempo messianico il tempo dellattesa. Ma levento non pre-determinabile, non c un prima (ma neanche un dopo) dellevento. Il tempo messianico allora rompe la linearit delle estasi temporali. Nel racconto talmudico riportato a p. 111, il Messia che sta tra i lebbrosi alle porte di Roma, alla domanda: quando verrai?, risponde: oggi. La dimensione temporale messianica il presente, loggi dellattesa, ma un presente a venire, cio una dimensione temporale che non pu ricadere entro orizzonti che la pre-determinano. Dunque anche parlare del Messia diventa qualcosa di estremamente complesso, poich parlare dellunicit dellevento messianico significa racchiuderlo entro un orizzonte linguistico. Non un caso se nella riflessione dellautore intervenga ad un certo punto la poesia di Mandeltam e Celan accompagnata alle considerazioni di Derrida sulla circoncisione. infatti nellambito poetico che il linguaggio opera uno scarto, una fuoriuscita dallordinariet della comunicazione. La poesia un evento unico che parla un linguaggio proprio ai limiti della dicibilit, voce che giunge da un altrove per annunciare il commiato da ogni tempo, apocalisse che rivelando il proprio annunciarsi dichiara finite le attese orientavano il tempo verso un futuro determinato (p. 99). Altro paradigma dellevento la circoncisione, ovvero il rito che avviene una sola volta, per sempre, ossia permane nella storia delluomo e del popolo come il gesto che allinfinito rinvia alloccasione unica che lo ha istituito come unico, non ripetibile (p. 101). Ci su cui si finora riflettuto non pu riferire adeguatamente le notevoli questioni che il testo di Facioni apre, ma pu costituire un invito alla lettura, consapevoli del fatto che questo lavoro, come lautore stesso scrive, non ha nessuna pretesa di esaustivit, anzi, si configura come una delle voci che, allinterno di quel percorso di eredit-trasmissione, cercano di ricoprire lorigine con quel simbolo che la rende inaccessibile, ma allo stesso tempo generatrice di senso.
SAVERIO ALESSANDRO MATRANGOLO

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ALASDAIR MACINTYRE, Edith Stein. A Philosophical Prologue, 1913-1922, Lanham, Rowman & Littlefield, 2006, pp. 195. Con questa opera MacIntyre si propone essenzialmente due obiettivi: offrire una biografia filosofica di Edith Stein a un pubblico non specialistico; evidenziare, attraverso la biografia della Stein, la possibilit di una vita filosofica nella societ contemporanea. Ci che determina la forma complessiva della vita di un filosofo oggi infatti il role-playing tipico di ogni accademico professionalizzato, la cui principale caratteristica quella di tentare di difendere la vita sociale quotidiana dallinvasione della filosofia. Dai totalitarismi moderni la societ contemporanea ha imparato che, per neutralizzare la portata critica consustanziale alla filosofia, occorre compartimentalizzare vita pubblica e vita privata, cos come accade nellaccademia. Il punto di vista da cui MacIntyre si pone quindi quello di chi intende problematizzare la possibilit del proprio atto filosofico, inteso tanto come atto teoretico quanto come gesto pratico. C un terzo obiettivo non esplicitato nel testo macintyriano, interno alla problematica del suo pensiero successivo a Dopo la virt (1981): fare chiarezza intorno alla questione della dialettica tra tradizioni rivali questione che al centro di Giustizia e razionalit (1988), First Principles, Final Ends and Contemporary Philosophical Issues (1990) e Enciclopedia, genealogia e tradizione. Tre versioni rivali di ricerca morale (1990). Per dar conto di tale dialettica MacIntyre si era servito soprattutto degli strumenti concettuali elaborati dalla epistemologia post-popperiana, in particolare da Th. Kuhn, I. Lakatos e L. Laudan. La ricerca intellettuale va intesa innanzitutto come una pratica sociale, informata da criteri intersoggettivi di carattere teorico e morale (le virt), la quale si svolge allinterno di programmi o tradizioni di ricerca capaci di ospitare al loro interno teorie tra loro rivali. La crisi di una tradizione di ricerca risolubile nel momento in cui appaiono sulla scena ricercatori in grado di condividere lo sfondo epistemologico della tradizione in crisi e di una tradizione alternativa, capace di oltrepassare le questioni irrisolte allinterno della prima tradizione offrendo approcci e punti di vista innovativi. Ci possibile anche se MacIntyre condivide lassunto kuhniano della incommensurabilit tra tradizioni di ricerca; incommensurabilit non significa infatti incomparabilit, non implica che la scelta tra due tradizioni alternativa sia possibile solo sulla base di fattori extra-scientifici arazionali o irrazionali. La possibilit di comparare tradizioni di ricerca rivali retrospettiva: ragionevole preferire una tradizione di ricerca a unaltra quando la prima in grado di offrire un resoconto narrativo capace di render conto della crisi della seconda e della propria progressivit (nel senso lakatosiano del termine).

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La soluzione macintyriana della questione della dialettica tra tradizioni di ricerca rivali non immune da critiche e non casuale che molti interpreti si siano soffermati su di essa. MacIntyre stesso ha ritenuto opportuno intervenire pi volte sulla questione per specificare meglio il suo punto di vista. La posta in gioco quella di un modello di ragione che sia allo stesso tempo storica ma non storicistica, capace di sostenere una nozione di verit come qualcosa che esiste indipendentemente da chi la cerca ma che esprimibile solo allinterno dellapparato linguistico-concettuale precipuo della tradizione cui il ricercatore appartiene. In altre parole la verit esiste solo nella tensione della ricerca di essa ricerca che implica il rispetto di presupposti epistemologici, morali e psicologici, tra cui quello che qualifica la verit in termini oggettivistici e il soggetto che la cerca in termini sostanzialistici. La ricerca sempre immanente a una tradizione e quindi sempre situata socialmente e storicamente, al punto che labbandono di una tradizione di ricerca per unaltra rivale la conversione filosofica concepibile solo nei termini di risposta alla domanda: di quale comunit devo far parte? La mossa che MacIntyre compie in questopera quella di affrontare la questione della sfida dialettica tra tradizioni di ricerca senza tematizzarla esplicitamente, raccontando la vita della Stein dagli anni della sua formazione filosofica sino alla sua conversione al cattolicesimo, evidenziando le tensioni e i conflitti tra gli assunti epistemologici e morali precipui di una ricercatrice di scuola fenomenologica inquadrata (seppure in maniera instabile) nellaccademia e quelli che la Stein inizia ad assimilare e praticare durante la sua conversione e il suo incontro con il tomismo. Da questo punto di vista la vita della Stein acquista diltheyanamente un valore paradigmatico, universale, nel suo mostrare come i conflitti teorici tra tradizioni di ricerca rivali siano nel medesimo tempo conflitti esistenziali che si svolgono nellanimo di quei ricercatori che non sperimentano un dualismo tra la propria ricerca e la propria vita. Evidenziare ci significa inoltre mostrare che solo il tomismo in grado di render conto di quegli assunti epistemologici, morali e psicologici che sottendono ogni ricerca scientifica, indipendentemente dalla tradizione cui essa immanente. In ultima istanza questa opera una resa dei conti di MacIntyre con il suo stesso percorso esistenziale e filosofico, dal marxismo e dalla filosofia analitica al cristianesimo e al tomismo.
SANTE MALETTA

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ALFREDO GIVIGLIANO, La costruzione del dato in sociologia. Logica e linguaggio, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 295. Qual [] il linguaggio proprio della sociologia? Esiste un linguaggio proprio, linguaggio scientifico, per questa scienza? In che relazione si pone con il linguaggio naturale della vita di tutti i giorni? In che modo il dato sociale partecipa della eventuale tensione tra questi due tipi di linguaggio? In che modo possibile descrivere loggetto della sociologia attraverso il dato stesso? (p. 18). Sono questi gli interrogativi di fondo del libro di Alfredo Givigliano, La costruzione del dato in sociologia. Logica e linguaggio, preceduti dalle pagine su La socialit del linguaggio: un dato omaloidale per la sociologia, scritte da Daniele Gambarara. Quando si consideri che il culto del fatto domina il pensiero positivistico, di cui sono celebre espressione le idee del fondatore della sociologia, Auguste Comte, il saggio di Givigliano assume un tono che si rivela eversivo di quel pensiero. La sociologia nasce nellOttocento come scienza alla quale Comte assegna il compito di scoprire le leggi dei fenomeni sociali, oggetto dindagine a suo avviso non meno degno di quello delle scienze naturali; per entrambe lo scienziato deve osservare e sperimentare e comparare i fatti per segnare analogie e differenze. Ora, il saggio da noi considerato esprime la consapevolezza della complessit, consapevolezza che ormai ha una sua fonte privilegiata sicuramente nel pensiero del sociologo francese Edgar Morin. Il volume si compone di quattro capitoli: Il problema sociologico del dato nellOttocento e nel Novecento (cap. I); Per una teoria dellagire sociale e degli oggetti sociologici (cap. II); Passaggio attraverso le logiche (cap. III); Epistemologia e metodologia del conoscere sociologico(cap. IV). Unampia bibliografia correda il volume. Dopo aver preso in considerazione nella parte prima (capp. I e II) le teorie dei maggiori rappresentanti del pensiero sociologico, quelle di Comte, Herbert Spencer, mile Durkheim, Vilfredo Pareto, Bertrand Russell, Rudolf Carnap, Max Weber, Alfred Schutz, Aaron V. Cicourel, Paul Lazarsfeld, Robert K. Merton, Niklas Luhmann, Edgar Morin, lanalisi di Givigliano si concentra sulla logica e il linguaggio sociale nel capitolo III. Riferendosi agli studi di Kit Finw e di Lotfi A. Zadeh essa si cimenta nel tentativo di scandagliare il cuore di ci che vago, ossia la vaghezza, oggetto tanto sfuggente quanto inquietante a dire il vero. La domanda alla quale si cerca una risposta nella definizione della vaghezza : il mondo delle relazioni sociali un mondo vago. In che senso? (p. 147). La questione che Givigliano cerca di definire la questione del rapporto complesso fra il linguaggio comune, della vita quotidiana, e il linguaggio della sociologia, linguaggi tra i quali sinstaura una tensione che inerisce alla costruzione del dato. Ma come si definisce il dato? Si definisce co-

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me graduazione dellappartenenza ad una propriet (ed individuazione della posizione delloggetto) in uno spazio-tempo di relazione (con n oggetti) a sua volta compreso nello spazio-tempo fisico, spazio-tempo di relazione che si configura come spazio delle possibilit (p. 148). Ci che risulta in questione in fondo il rapporto fra il ricercatore e il suo oggetto, sempre variabile; insomma il rapporto fra le tecniche dindagine e la verit, verit concepita realisticamente come corrispondenza a ci che esiste nella realt sociale. Givigliano riesce a evidenziare come si declina il tentativo di vanificare la vaghezza, la quale di ardua precisazione soprattutto perch essa non appare docile al rispetto del principio di non contraddizione. La vaghezza si chiede Givigliano contraddittoria? Certamente, non possiamo affermare che non lo sia, altrimenti sarebbe un qualcosa di ben preciso e delineato in termini esclusivi rispetto a ci che non vago. Ma allora come si potrebbe se non attraverso una simbologia chiaramente univoca, determinante e determinata, individuare un qualcosa rispetto alla sua controparte formale? Ma tale simbolo, che dovrebbe stare per la vaghezza, non potrebbe che essere vago a sua volta, in quanto dovrebbe dare ragione di un qualcosa che non esprimibile in termini precisi, quindi, non ci potrebbe essere certezza (pp. 156-157). Ci si chiede, dopo, la vaghezza fa parte della logica oppure no? (p. 157). Il problema della definizione e del significato vengono ad interagire nel tentativo di circoscrivere la vaghezza. Si tratta di rivendicare, allinterno della logica del sapere sociologico, unintelligibilit di natura scientifica. Ne La costruzione del dato in sociologia sono messe in luce le conclusioni di argomentazioni che assumono uno svolgimento circolare. Un limite dato dalla tensione verso la completezza. Non si tratta di tendere alla delimitazione, in termini di approssimazione, ma di una selezione di un tutto ideale declinato attraverso e per mezzo di strumenti logico-euristici che non prendono in considerazione il tutto inteso come complesso, bens come complicato. Processo interpretabile, quindi, come una riduzione della complessit, una riduzione della vaghezza (p. 159). Se le relazioni sociali sfumano le une nelle altre (p. 162), se il mondo sociale non un dato stabile, non un mondo esterno completamente e univocamente dato, ma un mondo vissuto dai soggetti, da loro continuamente rideterminato e modificato (ibid.), ci vuol dire veder vanificare ogni approccio alloggetto dindagine nei termini della Logica classica? Perci nella II parte del volume lanalisi di Givigliano fa riferimento ad alcune analisi della vaghezza che si situano allinterno della Logica classica. Sono prese cos in considerazione alcune analisi: quelle di M. Black nellarticolo Vagueness, del 1937; di Kit Fine nel saggio Vagueness, Truth and Logic, del 1975; e infine quella della Fuzzy Logic, espressione con la quale si indicano il problema dei confini di un insieme (p. 173) e le difficolt inerenti allappartenenza di un oggetto a un

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insieme (ibid.). Tali difficolt sono dovute soprattutto allimprecisione dei confini dellinsieme, imprecisione che chiama in causa la formulazione della descrizione linguistica. Quanto stato finora accennato sia sufficiente per sollecitare una lettura attenta sulle questioni di status di un sapere, la sociologia, che nella ottocentesca dottrina comtiana, alla luce di unesigenza fondazionale, si configura come la pi giovane di tutte le scienze. Tale lettura mostrer che la ricerca di Givigliano segna, come scrive Daniele Gambarara nelle prime pagine del volume, il riconoscimento che la comune avventura iniziata pi di un secolo fa fra sociologia e linguistica non esaurita (p. 11). Una ragione dinteresse storico e scientifico al tempo stesso per appassionare sia filosofi del linguaggio che sociologi alla lettura dellopera di Givigliano. Sul piano storico ci segna limportanza, fra la fine dellOttocento e gli inizi del Novecento, della scuola sociale di linguistica, di cui la maggiore fu indubbiamente quella di Ferdinand de Saussure.
MIRELLA FORTINO

SANTE MALETTA, Biografia della ragione. Saggio sulla filosofia politica di MacIntyre, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, pp. 144. Il saggio di Sante Maletta sulla filosofia politica di MacIntyre si propone il compito di enucleare gli aspetti pi problematici e attuali del pensiero di un filosofo che in Italia stato spesso frainteso e interpretato in maniera avulsa dal contesto principale in cui si svolta la sua opera filosofica. Quello di MacIntyre un percorso continuo di critica al pensiero liberale, anche se attraverso diverse tradizioni di pensiero. Infatti, sebbene adesso la sua critica al liberalismo (inteso sia nella sua forma socio-politica che in quella culturale) sia inseribile nel filone tomistico-cattolico, allinizio della sua carriera accademica essa era invece di stampo marxista. Come a Maletta preme sottolineare, la diversit delle impostazioni di MacIntyre non comporta un mutamento di prospettiva nella critica al liberalismo, semmai un rafforzamento tramite il passaggio dal marxismo al tomismo, secondo un filo rosso che unisce le varie fasi della sua biografia intellettuale: un radicalismo di stampo essenzialmente morale che ha come principale obiettivo la natura alienante dei rapporti sociali tipici della modernit liberale (p. 5).

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Unaltra peculiarit della filosofia politica macintyriana che essa non risponde a logiche moderne di divisione specialistiche. In questo modo Maletta ci conduce alla connessione fra la filosofa politica e la filosofia morale di MacIntyre, lungo la divisione che MacIntyre stesso aveva sottolineato fra due diversi tipi di moralit: la prima, una moralit di tipo comunitario, che tramite i miti eroici era capace di trasmettere una determinata tradizione e di condurre allo sviluppo di una determinata comunit attraverso limitazione di quei miti, che venivano a costituire lautorit a cui rifarsi e che portavano alla costruzione di unidentit comunitaria. In poche parole una moralit concreta, come quella della polis greca, in cui il perseguimento di un bene individuale era, ipso facto, il perseguimento di un bene comune. La seconda invece, una moralit astratta, valida non per una particolare comunit, ma che si rif a dei principi validi per ogni tempo e per ogni luogo a cui bisogna imprescindibilmente obbedire, ma che non rappresenta nessun tipo di autorit concreta e, per questo motivo, incapace di creare unidentit comunitaria. Da questo punto di vista facile comprendere come MacIntyre si sia sempre preoccupato di ancorare la moralit delluomo al contesto socio-culturale in cui una comunit si sviluppa. una presa di posizione che risale agli anni 60, quando MacIntyre era vicino al contestualismo etico della cosiddetta filosofia analitica del linguaggio comune e del secondo Wittgenstein, i quali ritenevano fondamentale per la comprensione dei termini etici il contesto che ne formava la base, ma allo stesso tempo cercava il modo di superarlo dato che il contestualismo della filosofia analitica si fermava solo al livello linguistico del termine. MacIntyre cercava qualcosa di pi che non una semplice spiegazione dei comportamenti umani: una comprensione dellagire umano che potesse fornirne un senso, accompagnata da precetti morali che le fornissero un sostegno concreto in periodi di crisi morale. Attraverso questa presa di coscienza MacIntyre sviluppa la sua concezione dei miti che forniscono i precetti morali che fungono da base a una determinata tradizione. I miti sono storie che vengono tramandate, narrate, in una comunit etica e costituiscono il principale esempio di quella che MacIntyre chiama storicit dellesistenza umana, cio una piena compenetrazione fra vita vissuta dalluomo e vita narrata. Per questo, come sottolinea giustamente Maletta, MacIntyre ribadisce la funzione epistemologica della narrazione stessa, nel momento in cui una determinata tradizione comunitaria attraversa un periodo di crisi morale. in virt di questa funzione della narrazione che MacIntyre, lungo il suo sviluppo concettuale, stato portato a considerare ogni tradizione come tradizione di ricerca, nel senso che ogni tradizione sempre portata a confrontarsi criticamente con una o pi tradizioni rivali, pena una crisi che ne mini le fondamenta.

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facile comprendere come lautore scozzese abbia conseguentemente adottato un tipo di verit di tipo tomistico, che stia al di sopra di ogni tipo di tradizione e che fornisca dei criteri stabili di valutazione, oltre a dare allindividuo una dimensione trascendente attraverso miti che lassimilano al divino e un senso alla vita umana nella sua interezza. MacIntyre riprende i quattro livelli delletica aristotelica (phronesis, ethos, filosofia pratica e metafisica, intesa come teleologia), perch ritiene che sia proprio la mancanza di unontologia trascendente a porre la morale in una situazione aporetica. Infatti la morale macintyriana, che come quella di Aristotele una morale della prima persona, recupera lunit della vita, intesa come pratica narrativa inserita in una determinata tradizione. Anche le tradizioni sono delle pratiche narrative, allo stesso tempo pratiche e teoriche, impegnate continuamente in un processo di autocomprensione (pp. 36-37), cio sempre aperte alla critica sia interna che da parte di una tradizione rivale, che in tempi di crisi pu migliorarla o rovesciarla completamente. Maletta sottolinea come MacIntyre ritenga difficile conciliare due tradizioni di ricerca rivali, impossibile se non si padroneggiano i linguaggi di entrambe, come nel caso della sintesi tomista operata da Tommaso dAquino. La superiorit della tradizione tomista consiste per MacIntyre nel porre come fine della ricerca la verit indipendente dalla tradizione stessa, la cui ricerca si configura come unimpresa pratica, ma il cui fine, che nel caso della morale il bene, concepito anche in senso metafisico. Nel tomismo presente lunit narrativa della vita, inverata da una prospettiva trascendente. Per questo MacIntyre pu ribadire la superiorit della tradizione tomista rispetto a quella liberale, la quale proprio perch non riconosce nessun valore assoluto, perde ogni validit nel campo pratico dove un fine trascendente necessario per costituire il senso della ricerca e il criterio di giudizio di essa (p. 46). Questo relativismo presente in qualsiasi istituzione del nostro tempo condanna la tradizione liberale allimpossibilit del confronto con tradizioni differenti e al non superamento della crisi al suo interno. Esempio pratico di questa impasse sono secondo MacIntyre le universit, in cui limpossibilit di un accordo razionale su determinate questioni deve poter essere superato con il ripensamento delluniversit in quanto istituzione, come luogo del dissenso forzato, capace di portare a una sintesi fra posizioni differenti, o al superamento di quelle inconciliabili, come lo era lUniversit di Parigi del XIII secolo, luogo in cui lAquinate formul la sua la sintesi fra aristotelismo e agostinismo. MacIntyre ritiene possibile la filosofia politica dal momento in cui luomo si pensa come essere politico. Lo scozzese distingue due approcci della pratica filosofico-politica ormai sedimentatisi, pi o meno inconsciamente, a livello di

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senso comune. Il primo segue lo schema liberale alla Locke e quello utilitarista, tipici della tradizione culturale enciclopedica. Secondo questa prospettiva lo Stato pensato solo come garante degli interessi individuali, incapace di sindacare su qualsiasi lotta fra tradizioni o pratiche differenti, mascherando il disaccordo radicale intorno alle regole morali tanto a livello teorico quanto a livello pratico, coprendolo con la retorica sui valori condivisi, i quali sono insufficienti a guidare lazione (p. 74). Il secondo approccio segue lo schema comunitario. In questo caso la comunit formata da quellinsieme di individui che sono parte integrante della comunit stessa e perseguono un bene che riguarda i singoli solo come parte di un pi ampio bene comune. Secondo questa prospettiva il governo parte integrante della comunit stessa, non mero strumento di protezione degli interessi individuali, e luomo, inteso come animale politico, parte integrante del governo e della comunit stessa. Maletta riprende litinerario intellettuale attraverso il quale MacIntyre arrivato a questa concezione politica, lungo lo sviluppo di un pensiero marxista portato a enfatizzare gli aspetti culturali e umanistici nella formazione della classe operaia piuttosto che gli aspetti scientifici del pensiero marxiano, individuando nel concetto di alienazione il punto dintralcio a una considerazione unitaria della vita umana. qui presente in nuce, come sostiene Maletta, il concetto di vita come un tutto, intesa come pratica, nellenfasi posta dallo scozzese sul rapporto bilaterale fra teoria e prassi e sulla valutazione positiva del procedimento marxiano attuato nelle Tesi su Feuerbach, in cui MacIntyre ravvisa un tentativo da parte di Marx di concepire un alternativa alla societ contemporanea capace di superare, dallinterno della societ stessa, la divisione fra societ civile e societ politica, dovuta alla compartimentalizzazione dei ruoli e delle pratiche nellera liberale, cio di proporre pratiche tali che coloro che sono impegnati in esse si trasformano e si educano attraverso la loro attivit auto-trasformativa, pervenendo a concepire il loro proprio bene come il bene interno a quellattivit (p. 74). Il fallimento della critica marxiana dovuto, per MacIntyre, al suo cambio di prospettiva: non pi una critica dallinterno della societ liberale, attraverso lo stesso punto di vista e lo stesso schema narrativo (penso alla critica delleconomia politica liberale), ma una disamina al di fuori di quello schema narrativo, che suppone una falsa superiorit del marxismo, facendogli perdere ogni valenza critica morale trasformandosi in ideologia (falsa coscienza). La prospettiva comunitaria secondo MacIntyre non comunque attualizzabile in una prospettiva politica ampia come quella degli Stati moderni, essa tuttal pi pu essere praticabile in ristrette comunit di ricerca come le universit. Ciononostante la sua filosofia morale non perde valenza politica. Infatti la continua ricerca e riflessione intorno al bene comune, costituito dal-

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lattivit cooperativa attraverso cui li si acquisisce [determinati beni diversi da quelli individuali] e dalla comprensione condivisa del loro significato (p. 75) e laccento posto sullimportanza dei precetti della legge naturale, vale a dire le virt (il coraggio, la costanza, la veridicit, la pazienza etc.), la cui obbedienza un prerequisito per lacquisizione di quella saggezza pratica necessaria per poter vivere in comunit, altro non sono che il tentativo di pensare possibili piccole comunit, anche se facenti parte di tradizioni culturali diverse, le quali tramite il dialogo razionale fra di esse (p. 85) siano capaci di trovare un senso generale alla vita nellera liberale e risolvere allo stesso tempo il problema politico e quello morale (p. 86). una prospettiva, quella macintyriana, che a mio avviso fornisce una valida alternativa al modo di pensare liberale, soprattutto per gli aspetti giuridici, culturali e politici che da essa derivano, ma consta di una fondamentale limitazione che la preclude a quanti non ritengano pensabile una vita dotata di senso attraverso la fede in una dimensione trascendente.
ANDREA CELIA MAGNO

MARIO IAZZOLINO, Lillusione realista ovvero lo specchio deformante, Cosenza, Pellegrini, 2007. Il grande tema del libro di Mario Iazzolino quello della presenza dello scrittore nella narrazione, anche in quella cosiddetta realistica. In particolare egli mette in luce quel relativismo soggettivo che, mettendo in primo piano le specificit personali, porta a una costruzione della storia romanzesca come realismo soggettivo, come visione personale spesso anche arbitraria (p. 14). Di questa visione le parole sono spesso testimoni troppo legati ai modelli convenzionali della comunit per rendere lidea fino in fondo, per ridare la pienezza delle sensazioni e delle emozioni tanto che il narratore costretto ad affidarsi allevocazione verbale del silenzio, ad affermare lineffabilit. La verit si va cos nascondendo nelle pieghe del racconto degli eventi che lo scrittore ha piegato allespressione della propria individuale visione delle cose. Ed questa che egli offre al lettore come biais, come spiraglio, per suggerirgli di guardare lazione sotto quel punto di vista. Solo la possibilit del lector in fabula libera la verit ma sempre attraverso linterpretazione.

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Del resto, si domanda Iazzolino, tutto ci che costituisce il mondo del narratore, in quanto linguaggio, pensiero, sensibilit, scrittura non , a sua volta, parte del mondo che la sua narrazione ha per oggetto? Sposando le tesi del relativismo linguistico, Iazzolino afferma che se non ci sono le cose ma solo il loro modo di nominarle, la letteratura in tutte le sue forme istituisce la realt ed quindi illusoria la pretesa di ricusare i diversi sistemi di segni (p. 23). Una volta accettata questa condizione di ineludibilit della parola, questo allontanarsi ineluttabile di ogni oggettivit, si pu allora ancora chiedere se la parola sia immagine, metafora, simbolo o rivelazione, quale sia il tipo di relazione di questi segni al mondo, agli eventi, allio che ha dato loro forma e vita e persino a ci che non detto ma dietro le parole appare. On me croit pris du rel et je lexcre. Car cest en haine au ralisme que jai entrepris ce roman cita Iazzolino (p. 39). il Flaubert di Madame Bovary che, a suo avviso, compendia questo complesso rapporto tra lo scrittore e la realt, tra il suo proprio io divenuto personaggio nel romanzo e la sua assenza dalla narrazione, secondo un meccanismo di prsence clatante del suo io maschile dentro la protagonista femminile del suo grande romanzo. Il soggettivismo che Iazzolino definisce evidente e pertinente conduce dunque ogni autore alla fondazione di quello che egli definisce il realismo soggettivo come nelle sfera riflettente di Escher scelta per la copertina del saggio. La storia come racconto, la realt come punto di vista, i caratteri costruiti, per un processo di astrazione, anche quando partono dallosservazione di personaggi realmente esistiti, questa , per Iazzolino, la cifra della grande stagione del romanzo francese da Stendhal e Flaubert fino a Proust. Lautore dietro ogni apparente descrizione in presa diretta degli eventi e dei personaggi, e si propone come specchio deformante di ogni possibile realt oggettiva, la cui ricostruzione a posteriori , daltronde, come si detto, sempre e soltanto interpretazione del lettore, coevo o a venire che sia. Anche il Verismo italiano pu essere considerato in fondo, a giudizio di Iazzolino, un modo di concepire il romanzo in cui il realismo, visto spesso dallangolo ancora una volta prospettico del regionalismo, raggiunto come faticosa costruzione dellartista, ancora una volta, dunque, la cifra quella di una autorialit fortissima. Linteresse dellautore rivolto anche alla cultura poetica e letteraria dellItalia del Novecento, fino al Neorealismo, con una particolare attenzione ad autori calabresi o che alla Calabria hanno dedicato alcune tra le loro migliori pagine. Attraverso tappe/capitoli il viaggio di Iazzolino nellineludibile legame di soggettivit e linguaggio, tocca anche la poesia e il teatro, per approdare al

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confronto tra parola e immagine al passaggio tra Impressionismo ed Espressionismo nella pittura. Iazzolino analizza la scrittura, il linguaggio e la struttura del romanzo fino alla natura dellexplicit, appunto alla modalit di congedo dello scrittore dal romanzo e dai suoi lettori. Maneggiando con perizia le categorie della filosofia del linguaggio, egli abbozza, attraverso innumerevoli e diverse citazioni, un trattato di semantica referenziale del romanzo e della letteratura in generale, in cui alle infinite sfumature del Sinn corrisponde una ed una sola Bedeutung, quella dellautore e del suo occhio prospettico.
CLAUDIA STANCATI

FRANCESCO FERRETTI, Perch non siamo speciali. Mente, linguaggio e natura umana, Roma-Bari, Laterza, 2007. Francesco Ferretti, autore di numerosi saggi di filosofia della mente e del linguaggio, con il suo libro dal titolo Perch non siamo speciali. Mente, linguaggio e natura umana affronta una questione basilare: che cosa ci caratterizza in quanto umani? La risposta dellautore che la prerogativa peculiare della nostra specie il linguaggio. Tuttavia, diverse concezioni di cosa sia il linguaggio comportano differenti affermazioni circa la natura umana. Lintento di fondo di questo libro dimostrare che la parola ci rende specifici, ma non speciali; tale obiettivo perseguito attraverso la rivalutazione del ruolo dellintelligenza nel linguaggio. Per sostenere un tesi come questa, nellambito della scienza cognitiva, un confronto necessario quello con la prospettiva chomskiana. Secondo la concezione autonomista sostenuta dal fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, il linguaggio deve essere inteso come completamente separato dallintelligenza. In opposizione allipotesi dellintelligenza generale, la concezione di Chomsky si inserisce nel quadro della teoria modularista della mente, secondo cui la facolt linguistica un sistema di elaborazione specifico della mente-cervello che risponde in modo automatico e involontario quando si presentano gli input capaci di attivarlo. Queste propriet di automaticit e di obbligatoriet dei moduli sono adattamenti evolutivi per risolvere il problema della velocit di risposta; da questo punto di vista, i moduli sono simili ai riflessi: essi vengono attivati automaticamente dagli stimoli per i quali sono specifici. Poich i riflessi si caratterizzano per una risposta obbligata e automatica, essi agiscono in maniera non intelligente; di conseguenza, se i moduli sono, sotto questo rispetto, simili ai riflessi, allora sono stupidi.

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Il modello chomskiano separa, dunque, lintelligenza dal linguaggio; cos facendo la capacit di parlare pone una cesura netta tra gli umani e gli altri animali e supporta una precisa idea di natura umana, secondo cui il linguaggio posto a garanzia dello statuto speciale della nostra specie. Una spiegazione naturalista e continuista del linguaggio richiede, dunque, una revisione della prospettiva chomskiana. Lidea di linguaggio sostenuta da Chomsky si scontra, inoltre, con la difficolt di spiegare come il linguaggio ancorato al mondo: si tratta del problema di Cartesio. Chomsky considera il problema di Cartesio come insolubile in linea di principio, data la natura finita della mente umana; esso riguarda pi nello specifico la questione della flessibilit e della creativit dellessere umano. Ad essere in discussione la questione di come il linguaggio possa essere utilizzato nel modo creativo usuale. Cos intesa, la creativit del linguaggio non chiama in causa soltanto il tema della flessibilit e dellindipendenza dagli stimoli, ma solleva la questione pi complicata di come il linguaggio possa essere appropriato alla situazione. Pi precisamente, apre la strada alla difficolt di comprendere come sia possibile mantenere insieme la flessibilit del linguaggio e la sua appropriatezza alla situazione. Il punto in discussione la coerenza e la consonanza alla situazione da una parte e la libert dagli stimoli esterni e interni dallaltra: come pu il linguaggio essere allo stesso tempo libero dagli stimoli e appropriato alla situazione? Un buon modo per rispondere a questa domanda prendere in esame una questione sollevata da Steven Pinker, secondo cui la comprensione del linguaggio implica uno sforzo cognitivo, governato dallintelligenza generale in tutta la sua potenza. Ci che secondo Pinker in atto solo in alcune situazioni comunicative specifiche, secondo Ferretti in gioco in ogni situazione di comprensione del linguaggio. La presenza di questo sforzo mentale estremamente significativa, infatti se Chomsky avesse ragione riguardo ai processi che regolano lo scambio linguistico, noi non dovremmo esperire alcuno sforzo di comprensione. In realt, invece, la nostra comune esperienza conferma che la comprensione implica necessariamente uno sforzo. Lidea di Ferretti che lo sforzo cognitivo implicato nei processi linguistici sia una spia dei processi mentali allopera nel linguaggio: lo sforzo segnala che i processi di comprensione linguistica implicano una forma di intelligenza. Tuttavia, come possibile parlare del ruolo dellintelligenza allinterno del contesto di riflessione della scienza cognitiva contemporanea, in cui prevale la concezione modulare dellarchitettura mentale? evidente che dobbiamo disporre di una nozione di intelligenza adeguata. Un modo interessante di definire lintelligenza considerarla come lequilibrio adattivo che si stabilisce tra sistemi di elaborazione in cooperazione/com-

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petizione tra loro. Ogni forma di adattamento una forma di intelligenza, vale a dire che intelligente ogni attivit tesa a ristabilire lequilibrio del rapporto tra un organismo e il suo ambiente. Lintelligenza , dunque, la capacit che regola lancoraggio dellorganismo al mondo sociale e a quello fisico: lequilibrio adattivo degli organismi sociali allambiente fisico e al gruppo dei conspecifici ha la forma di una relazione triadica (io, tu, mondo) tra elementi in competizione. Lipotesi centrale del libro che la discussione circa il ruolo adattivo dellintelligenza non valga soltanto per descrivere la generica relazione di equilibrio tra organismo e ambiente, ma valga anche per i processi di comprensione del linguaggio. Sulla base di queste osservazioni diventa evidente che la difficolt chomskiana di trovare una spiegazione dellappropriatezza del linguaggio strettamente correlata alla caratterizzazione del processo di comprensione propria del modello del codice che, a sua volta, rinvia alla tesi dellautonomia del linguaggio. Una possibile spiegazione dellappropriatezza del linguaggio richiede di considerare, invece, che lintelligenza sociale e quella ecologica, poste a garanzia dellancoraggio degli organismi al mondo, siano a fondamento del linguaggio e ne garantiscano lappropriatezza al contesto sociale e fisico. La comunicazione , allora, un processo di costituzione di un equilibrio tra le intenzioni del parlante e le aspettative dellascoltatore che si sostanzia nella comprensione rappresentazionale comune; essa il prodotto di una costruzione, non di una decodifica. Lessere umano continuamente esposto al linguaggio e comprendere implica, dunque, una forma di sforzo cognitivo. L dove c sforzo c intelligenza, anche se non tutti gli sforzi sono necessariamente intelligenti. Questa idea della comprensione verbale legata allo sforzo cognitivo interpretabile nei termini della teoria della pertinenza proposta da Sperber e Wilson. Gli esseri umani tendono automaticamente a massimizzare lefficacia del loro trattamento dellinformazione, che ne siano coscienti o no; infatti, i loro interessi coscienti, diversi e mutevoli, risultano dal perseguimento costante di tale scopo in condizioni variabili. Lo scopo cognitivo particolare che un individuo persegue in un dato istante , dunque, sempre un caso particolare di uno scopo pi generale: massimizzare la pertinenza dellinformazione trattata. La pertinenza regola lequilibrio tra lo sforzo di elaborazione e leffetto cognitivo: maggiore leffetto cognitivo ottenuto mediante lelaborazione di un input, maggiore la pertinenza; maggiore lo sforzo di elaborazione, minore la pertinenza di quellinput per lorganismo. Un ruolo importante in questo processo svolto dalle emozioni; gran parte della nostra vita accompagnata e regolata dalle emozioni, le quali ci consentono di valutare immediatamente le variazioni pi o meno improvvise dellambiente e di reagire ad esse in maniera efficace e vantaggiosa. Lappropriatezza risulta dallequilibrio adattivo tra processi interni ed esterni; essa il prodotto dellintelligenza guidata dalle emo-

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zioni. In questo senso, dobbiamo notare che la nozione di pertinenza alla base di qualsiasi tipo di processo adattivo. Tutti i sistemi che sfruttando la pertinenza massimizzano lefficacia del loro trattamento di informazione sono sistemi intelligenti. Questo spiega perch lintelligenza possa essere considerata una caratteristica che i processi alti di pensiero condividono con le forme di base dellattivit biologica. Lintelligenza ci che consente di analizzare lorigine e il funzionamento del linguaggio in una prospettiva di continuit evolutiva con le altre specie. Lintelligenza appartiene alla materia organica ed una propriet che in gradi diversi appartiene a tutti gli organismi; di conseguenza, non possiamo ritenere che lessere umano sia speciale solo ed esclusivamente perch possiede il linguaggio, in quanto alla base del linguaggio vi lintelligenza, che colloca la mente umana in un quadro concettuale di continuit evolutiva. Dunque, lattenzione rivolta al tema della continuit e della dipendenza del linguaggio dal sistema concettuale una prova in favore della tesi che considera gli umani come esseri specifici ma non speciali. Assicurato questo obiettivo, il problema dei modelli continuisti quello di dar conto degli aspetti di specificit rispetto alle propriet condivise con altri animali. La tesi continuista rappresenta solo un primo passo nella spiegazione del ruolo del linguaggio nella natura umana; la seconda mossa riconoscere che, una volta acquisito, il linguaggio svolge un effetto cognitivo di ritorno sulla rappresentazione non linguistica del mondo. Dire che il linguaggio ammette elementi di comunanza e di specificit significa sostenere che il pensiero verbale che connota gli umani presenta, allo stesso tempo, caratteri che lo pongono in continuit con altre forme di pensiero e caratteri che segnano una specificit rispetto a queste. Dunque, se non c una caratteristica specifica del linguaggio in grado di garantire lunicit degli umani, allora il linguaggio non pu essere posto a fondamento di una differenza qualitativa tra gli umani e gli altri animali: tutto ci che possiamo assicurare agli umani attraverso il linguaggio la specificit, non la loro presunta specialit. La coevoluzione di aspetti specifici e linee di continuit la strada da percorrere per mostrare che gli umani non sono cos speciali come spesso amano dipingersi.
NICOLETTA ALVARO

GIULIANO GASPARRI, Le grand paradoxe de M. Descartes. La teoria cartesiana delle verit eterne nellEuropa del XVII secolo, Firenze, Leo S. Olschki, 2007, pp. 316, 35,00.

Il problema cartesiano delle verit eterne ha interessato negli ultimi trentanni un nutrito numero di studiosi, producendo unaltrettanto vasta messe di

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studi sullargomento. Si tratta di uno di quei temi che Descartes formul sin dagli inizi della sua riflessione; esso fu annunciato per la prima volta in una serie di lettere a Mersenne, nel 1630, in cui Descartes stabiliva che la verit della conoscenza ha carattere di permanenza e di eternit grazie al fatto che lesistenza di Dio la prima di queste verit, da cui tutte le altre discendono. Come ricorda Giuliano Gasparri, autore de Le grand paradoxe de M. Descartes, il tema delle verit eterne tema tocca un ampio ventaglio di problemi filosofici che spaziano dallo statuto gnoseologico degli assiomi logico-matematici ai problemi teologici legati al rapporto tra il possibile e lonnipresenza divina. Il confronto con lidea della dipendenza da Dio delle verit eterne costituir, per quasi un secolo, una sorta di capitolo obbligato nellopera dei maggiori filosofi, e sar uno dei nodi pi problematici che la teologia razionale tenter di risolvere (Introduzione, p. VII). Circa il problema delle ricadute, nel dibattito filosofico e teologico del XVII secolo, della dottrina cartesiana delle verit eterne, la critica ha spesso avvertito la necessit di spiegare in via preliminare perch tale dottrina diventasse nella seconda met del XVII secolo uno dei problemi pi discussi, nonostante che Descartes le avesse dedicato, in maniera esplicita, uno spazio esiguo. La risposta va cercata non soltanto nelleffettiva diffusione delle lettere cartesiane (che vi fu, grazie allimpegno di Clerselier), ma anche nello speciale posto riservato, negli ambienti filosofici e teologici del XVII secolo, al tradizionale dibattito sulla potentia Dei, e al problema, connesso, del rapporto fra volontarismo e razionalismo. Di recente Margaret Osler ha tentato di mettere in luce le diverse implicazioni epistemologiche di tale dibattito, nel contesto della riflessione scientifica dellet moderna; lo ha fatto richiamandosi ad una tradizione di studi particolarmente sensibile alla relazione esistente tra il pensiero teologico moderno e leredit medievale (una tradizione che, dagli studi di F. Oakley, R. Hooykaas e W.J. Courtenay giunge, in ambito italiano, agli ormai celebri studi di E. Randi, S. Landucci e M.E. Scribano). Questi studi hanno contribuito a mettere in luce la stretta correlazione esistente tra problematiche di tipo metafisico, teologico e scientifico, come il rapporto esistente fra quantit e materia, fra leggi fisiche e origine del mondo, fra le architetture della materia e la differenziazione degli esseri, mostrando come ogni nuovo risultato della scienza moderna, ogni nuova ipotesi sulla natura delluniverso finisca sempre col dover fare i conti con uno sfondo problematico di tipo teologico. celebre, al riguardo, la Query 31 dellOpticks (1728) di Newton, in cui lo scienziato britannico contestava, pi apertamente di quanto non avesse fatto gi nei Principia mathematica (1687, 1713, 1726), la coincidenza cartesiana di materia ed estensione, la quale poneva a suo avviso due ordini di problemi nella spiegazione

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meccanica del cosmo: 1) il problema della generazione, cio del come gli esseri naturali, e ancor prima le particelle di cui erano composti sorgessero da una materia prima assolutamente omogenea; e 2) il problema della conciliazione di una materia omogenea, anteriore alla generazione degli esseri, e perci eterna e incorruttibile, con lidea di un Dio provvidenziale, di una volont creatrice che, nella prospettiva di Newton, la filosofia di Descartes finiva per escludere. Non occorre chiedersi qui se Newton abbia effettivamente letto le famose lettere di Descartes a Mersenne sul problema del rapporto fra le verit della filosofia naturale e il ruolo della potentia Dei: nel caso di Newton, bastavano gi le pagine dei Principia philosophiae o delle Meditationes di Descartes, dedicate anche solo indirettamente a tale nucleo di problemi, per spingere il filosofo britannico a giudicare sulla presunta incoerenza delle conseguenze prodotte dalla filosofia di Descartes sul piano teologico-metafisico. Lidentit cartesiana di materia ed estensione, per esempio, apriva fatalmente una serie di interrogativi che toccavano saperi diversi, come la cosmologia, la teologia e le scienze della vita: se, infatti, lestensione, ossia la quantit, coincide con il corpo, coeterna alla materia, come si sono formate le differenze tra gli esseri e le specie esistenti in natura? e quale spazio resta alla creazione? e che ne della provvidenza divina? E se, invece, la materia, essendo creata, esiste prima dellestensione, quali saranno gli attributi di una materia priva di quantit? Si tratta di interrogativi che aprono questioni di enorme portata, alimentando un dibattito che, prima ancora di arrivare a Newton, animer gli ambienti filosofici e teologici dellEuropa nella seconda met del XVII secolo. Lambizione della ricerca di Gasparri stata, per lappunto quella di prendere in considerazione le ripercussioni, la ricezione, nellEuropa moderna, del problema cartesiano delle verit eterne, o pi in generale del problema del rapporto tra volontarismo e intellettualismo teologico, alla luce delle diverse problematiche aperte, dallo stesso Descartes, con la sua filosofia naturale (nei Principia philosophiae) e con la riflessione sul metodo e sui principi della metafisica (nel Discours de la mthode e nelle Meditationes). Lintento di Gasparri stato quello di fare propria la prospettiva di una storia delle idee che si vuole quasi quantitativa, tentando di allargare al massimo il numero degli autori considerati, per restituire unimmagine quanto pi possibile viva dellimpatto della teoria [cartesiana] sulla cultura del tempo, e del ruolo che essa gioc nel dibattito sulla teodicea (p. IX). Per questa ragione, lautore si concentrato pi volentieri sui filosofi cosiddetti minori che sui grandi critici post-cartesiani, come Adriaan Heereboord, Johann Clauberg, Christoph Wittich, Samuel Desmarets, Lambert van Velthuysen, Arnold Geulincx, Baruch Spinoza, Leibniz e Malebranche. Oltre a questi ultimi, che Gasparri ha dovuto comunque tenere nel debito conto, il volume offre un am-

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pio excursus sul dibattito che avr modo di svilupparsi in Francia, tra il 1650 e il 1679, prendendo in considerazione autori come L. de La Forge, A. Arnauld, B. Pascal, R. Desgabets, A. Rochon, S. Foucher e P. Poiret. Un secondo e lungo capitolo dedicato alla ricezione del tema delle verit eterne nei Paesi Bassi (pp. 61-123), attraverso la produzione filosofico-teologica di van Velthuysen, Spinoza, Geulincx, Frans Burman, Melchior Leydekker, Abraham Heidanus, L. Wolzogen e i cartesiani e anticartesiani della cosiddetta seconda generazione, come C. Wittich, S. Desmarets e C. Bontekoe. Il terzo capitolo consiste in una breve ricognizione sulla ricezione della teoria cartesiana in Inghilterra, attraverso i nomi di Samuel Parker, Antoine Le Grand, John Locke e John Norris. Si tratta di un capitolo di grande pregio, che tuttavia avrebbe potuto incrementare la sua ricchezza di contenuti con lanalisi della posizione di Newton, un autore che ha impegnato per lungo tempo la storiografia filosofica sul tema della potentia Dei. Il quarto capitolo riprende il filo della ricezione francese, aggiungendo una serie di autori che contribuiscono a rendere pi realistico lo scenario delle ripercussioni del cartesianesimo negli ultimi decenni del XVII secolo e nei primi del XVIII: con L. de La Ville, F. Bernier, C.-J. de Troyes, P. Cally, P.L. Du Vaucel, P.-D. Huet, P. Bayle, G. Daniel, A. de La Ville e J.-.B. Bossuet. Chiude il volume un quinto, interessante capitolo su LOlanda dei rfugis e Leibniz. Questultimo rappresenta il passaggio obbligato di un excursus sulla fortuna del cartesianesimo, cos come la problematica dei rfugis in Olanda costituisce un tema di grande interesse non solo per la storiografia cartesiana, ma anche per la filosofia libertina e per la letteratura filosofica clandestina. Il ricco dossier di Gasparri si aggiunge allintenso lavoro prodotto negli ultimi anni dalla storiografia cartesiana in lingua italiana e francese (ricordo per tutti i recenti studi di Antonella Del Prete, di Massimiliano Savini e della sopra citata Emanuela Scribano): e c da augurarsi che la collaborazione tra gruppi di ricerca italiani e francesi prosegua negli anni successivi con studi di altrettanto peso e respiro. Circa il lavoro compiuto da Gasparri, c solo una lacuna che ci sentiamo in dovere di segnalare: la vistosa assenza del recente studio di ZBIGNIEW JANOWSKI, Cartesian Theodicy. Descartes Quest for Certitude (Dordrecht, Kluwer Academic Publishers, 2000); un lavoro, questultimo, di indubbio rigore storiografico, che lautore di Le grand paradoxe de M. Descartes avrebbe dovuto menzionare, anche solo per esprimerne leventuale dissenso circa alcune questioni metodologiche di fondo (come, ad esempio, la presa di distanze dallapproccio gilsoniano, e la rivalutazione della tradizione agostiniana). Ma su questo, siamo sicuri, Giuliano Gasparri avr modo di intrattenerci con i suoi prossimi studi.
EMILIO SERGIO

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TOMMASO RUSSO CARDONA, VIRGINIA VOLTERRA, Le Lingue dei Segni, Roma, Carocci, 2007, pp. 153, 15,50.
Linsegnante una donna, fa estrema attenzione a tenere le mani dietro la schiena e parla articolando esageratamente e fermandosi sui movimenti della bocca molto correttamente. Gli allievi leggono sulle labbra. a questo punto che capisco lestensione del disastro () Questa donna che non si serve n delle mani n del suo corpo per insegnare, che significa attraverso il suo comportamento il divieto di utilizzare una lingua diversa dalla parola, mi sembrava una provocazione. () Ma gli altri guardano ed ascoltano attentamente ed io non oso interrompere. Mi sforzo di comprendere ci che viene detto. Niente. Lo vede bene; io non so nemmeno di che lezione si tratta. E. LABORIT, Il grido del gabbiano

Nel Trattato sulla Pittura Leonardo da Vinci raccomanda di imparare dai muti, ovvero dai sordi, il buon uso dei gesti e dei movimenti del corpo: Non rinfacciatemi che vi propongo un insegnante che non parla, perch egli vi insegner meglio con i fatti, che tutti gli altri maestri attraverso le parole. Il buon pittore ha da dipingere due cose principali: luomo e la mente sua. Il primo facile, il secondo difficile, perch si ha a figurare con gesti e movimenti delle membra, e questo ha da essere imparato da chi meglio li fa che alcuna altra sorta duomini. Siamo alla fine del 400 e laffermazione di Leonardo tanto lungimirante quanto estranea alla mentalit dellepoca. Nella storia della nostra cultura la questione filosofica di che tipo di mente e di indole potesse avere un individuo privo della parola assunse presto i connotati di un vero e proprio accanimento. difficile spiegare altrimenti quel precetto contenuto nel Levitico (19,14) il quale raccomanda di non disprezzare i sordi e include questi ultimi tra coloro i quali devono essere protetti dalle ingiustizie e dalla prepotenza del potere. Bisogna dire che in epoca classica il punto di vista sui sordi non ha i toni cupi a cui successivamente ci hanno abituati filosofi, medici e giuristi. Platone, per esempio, individua nel canale visivo-gestuale una delle possibilit attraverso cui pu essere declinata la prassi linguistica (Cratilo, 422e1-423b10) mentre Aristostele affronta il problema da un punto di vista biologico per affermare sostanzialmente che la voce condizione necessaria ma non sufficiente per avere un linguaggio il quale voce linguisticizzata, vale a dire voce articolata per mezzo delludito (Historia Animalium, IV, 9, 536a). Altrimenti detto, per Aristotele era chiaro quello che chiaro non sembr essere per intere generazioni di intellettuali che gli sono succeduti e, cio, che i muti non hanno lin-

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guaggio non perch manchino naturalmente di intelligenza ma semplicemente perch sono privi di udito. Allo stesso tempo, fondamentale evidenziare che, malgrado il fatto che Platone avesse prospettato la possibilit dellesistenza di una lingua diversa da quella verbale e che Aristotele avesse affrontato la questione della sordit in termini neutri, un umano fatto come tutti gli umani, ma privo del linguaggio, culturalmente ha creato non pochi problemi. Il sordo una progenie scomoda, difficile da collocare. un bipede, partorito e concepito da umani e cresce tra umani. Eppure non parla, non trova il modo di esibire la sua umanit. La sua voce non disciplinata e non disciplinabile. mostruosa, grido, stridore. Il sordo un dentro che si colloca prepotentemente fuori, un membro della societ che ontologicamente sfugge alla macchina disciplinare della lingua socialmente condivisa: non ascolta. Non pu farlo. La porta principale, ludito, chiusa. Non vi si pu accedere in nessun modo. Nessuna voce pu arrivare, nemmeno quella di Dio. Come non indovinare i motivi profondi e quasi ancestrali che hanno spinto intere societ a bandire i sordi dalla vita sociale? Come non immaginare quanta diffidenza devono aver suscitato persone totalmente noncuranti del suono di una campana (che allo stesso tempo comunit e chiesa), piuttosto che di una richiesta di aiuto, di un pericolo che arriva alle spalle o altre espressioni del vivere sociale? Come dimenticare che la parola, in quanto fatta di voce e non in quanto fatta di qualche altra materia, per la nostra civilt la sola degna di incarnare il linguaggio? Come non rendersi conto che lo statuto sociale svalutato del sordo ha a che fare con lo statuto della corporeit nel linguaggio e nella conoscenza? La storia dei sordi non una bella storia. Non lo per questi ultimi. Non lo per una cultura che si dimostrata, e sovente si mostra ancora, intollerante e accanita nei confronti di queste anime mute. Recentemente, tuttavia, essi stanno cercando di scrivere una pagina diversa e si apprestano a fondare una citt. Ce lo racconta Tommaso Russo Cardona, amico compianto e coautore (insieme a Virginia Volterra) del libro che qui presentiamo. Si tratta di una citt progettata per tutti coloro che usano la lingua dei segni, nella fattispecie la Lingua Americana dei Segni (ASL). Non un citt di sordi; una citt di segnanti, una citt in cui i sordi convivranno con gli udenti, agevolati da un ambiente concepito apposta per loro (p. 15). In questa citt, che si chiamer Laurent (dal nome di Laurent Clerc, il brillante insegnante per sordi trasferitosi dalla Francia in America per tenere a battesimo la prima scuola per sordi e, quindi, linsegnamento della lingua dei segni), in tutti i negozi dovranno esserci commessi che conoscono il sign language, i citofoni e i tele-

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foni saranno sostituiti da videocitofoni e videotelefoni e i servizi sociali, dagli ospedali alle poste, saranno concepiti in maniera tale da rendere possibile a chi usa questa lingua visiva e gestuale di accedervi con facilit. Anche i bambini riceveranno uneducazione scolastica bilingue, in inglese e in ASL (p. 15). Siamo nel nord degli Stati Uniti, nel South Dakota, a qualche chilometro dalla citt di Salem e lideatore di questo progetto, di questa vera e propria citt che non c, un sordo prelinguistico. Si chiama Marvin T. Miller e se riuscir a realizzare quanto sin qui prospettato, gli Stati Uniti avranno, dopo lunica Universit al mondo per sordi (Gallaudet University), anche la prima citt al mondo che contempli una forma di vita bilingue per i suoi abitanti e visitatori, una citt in cui sordi e udenti possono ritrovarsi senza sentirsi due varianti della stesso genere. Nella storia degli uomini le citt sono state fondate per diversi motivi: per ricordare una persona amata, le gesta di un imperatore, la provenienza dei suoi primi abitanti, una battaglia. Non sono mai state fondate per sancire un bisogno cos fortemente culturale ed esistenziale quale la possibilit di imparare a parlare una lingua e praticarla. In effetti, la costruzione di questa citt (a pi di cento anni dal Congresso di Milano) rappresenta un risarcimento, la materializzazione di unutopia e una grande scommessa. Basta seguire il testo per scoprire perch potrebbe incarnare queste tre cose messe insieme. Il primo capitolo dedicato ad una breve ricostruzione storica dello statuto giuridico e della considerazione socio-culturale in cui nel passato venivano tenuti i sordi. qui che ci viene ricordato che il Corpus Iuris Civilis promosso nel 531 da Giustiniano (che nel 529 aveva chiuso la scuola filosofica di Atene) priva i sordi di alcuni diritti fondamentali: quelli di fare testamento, di stipulare contratti, di rendere testimonianza (p. 18). Un contributo in questa direzione ascrivibile al pi importante tra i pensatori della patristica, Agostino, il quale nel Contra Iulianum sottolinea che la sordit un male perch pu comportare una mancanza di fede (p. 19) e questo malgrado il fatto che nel De Quantitate Animae avesse scritto di aver visto un sordomuto in grado di esprimersi compiutamente attraverso la lingua dei segni (p. 19). noto che esiste qualche sporadica presa di posizione a favore della possibilit di apprendere il Vangelo attraverso i segni (San Gerolamo). Tuttavia, Tommaso Russo Cardona ricorda giustamente che la consapevolezza dellesistenza di una comunicazione gestuale in segni resta molto poco diffusa. Al contrario, sembra che nel Medioevo latteggiamento prevalente sia quello di considerare i sordi alla stregua di molte altre figure ai limiti del mondo sociale, come gli ammalati cronici, i mendicanti, ma anche ai limiti di quello della fede, come i saltimbanchi e i guitti che praticano la pantomima. Questo vuol dire che possiamo senzaltro affermare che tra il Corpus Iuris Civilis e il Rinascimento, la condizione dei sordi e la considerazione della lingua gestuale

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resta sostanzialmente invariata. solo quando lo stretto contatto (p. 20) tra medicina, filosofa neoplatonica e alchimia fanno in modo che si torni a riflettere sul ruolo dei sensi per la conoscenza che finalmente si suggerisce che la vista potrebbe sopperire alle carenze delludito, anche nei sordi dalla nascita (p. 20). Bisogna dire, tuttavia, che in questa primissima fase di riflessione sulla sordit non si pensava ancora alla possibilit che i sordi potessero avere una loro lingua emancipata da quella degli udenti. Si pensava, per lo pi, a fornire a singoli sordi la possibilit di accedere ai rudimenti della scrittura e della lettura nonch alluso di alcuni semplici vocaboli. A tal proposito, c da tenere conto che in moltissimi di questi casi gli interventi erano destinati a figli di famiglie aristocratiche presso le quali la presenza di un sordo rischiava di interrompere lasse ereditario dacch allepoca erano ancora in vigore norme che escludevano i sordi dal diritto di ereditare o fare testamento (p. 21). a partire da ci che si spiega come mai la storia della pedagogia speciale per sordi sia caratterizzata da tecniche educative finalizzate ad indurre produzione di suoni vocali, vale a dire comportamenti linguistici che potessero essere approvati dagli udenti e dalla cultura logocentrica di cui eravamo e siamo profondamente intrisi. cos tanto per Juan Pablo Bonet in Spagna quanto per Conrad Amman, autori rispettivamente delle due pi importanti opere di riferimento del nascente oralismo: Reduccon de las letras y arte para ensear a hablar a los mudos (1620) e Surdus loquens. Sar cos a lungo e a pi riprese. cos ancora oggi, era di impianti cocleari, fragorosomente definiti orecchio bionico. Ci fu un momento, tuttavia, in cui ci che mai i sordi avevano potuto dire venne semplicemente detto e fatto dal protagonista di quella che pu essere definita la prima grande rivoluzione pedagogica della storia: labate CharlesMichel de lpe. Siamo nella Parigi pre-rivoluzionaria, nella Parigi dei grandi filosofi illuministi, dei filosofi dai libri messi al bando dalla Sorbona, nella Parigi in cui il pluricensurato (e anche pi volte chiuso alla Bastiglia) Denis Diderot aveva dedicato un testo filosofico alla cecit (Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono, 1746) ed uno alla sordit (Lettera sui sordi ad uso di coloro che sentono e che parlano, 1751). in questo clima che Lpe, gi inviso alla Chiesa per la sua simpatia nei confronti del giansenismo, si imbatte in due giovani gemelle sorde fino a quel momento affidate ad un suo confratello. questa loccasione in seguito alla quale egli comincia ad occuparsi in maniera pi estesa di educazione di sordi. Si installa praticamente nella sua casa di famiglia insieme ai suoi primissimi allievi e tiene lezioni pubbliche e gratuite. Bisogna dire che le sue lezioni attiravano non solo i sordi, ma praticamente tutta Europa. Da lpe si reca Giuseppe II, imperatore di Germania, il nunzio del Papa, numerosi istitutori, filosofi, intellettuali. Per la prima volta nella storia

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qualcuno aveva semplicemente ascoltato i sordi: Lpe aveva cominciato a sviluppare il suo metodo quando alla fine degli anni cinquanta era divenuto precettore di due allieve sorde: due sorelle le quali avevano sviluppato da sole una complessa forma di comunicazione gestuale. De lpe era rimasto colpito dalle possibilit comunicative e dalla rapidit di apprendimento di queste due piccole allieve e aveva cominciato a pensare che i segni sviluppati naturalmente dai sordi potessero essere dausilio nelleducazione. () Lintuizione di lpe appunto che al bambino sordo debba essere data una via di accesso naturale ai contenuti della comunicazione che gli permetta innanzitutto di uscire dallisolamento e di sviluppare le proprie conoscenze (pp. 25-26). Nasce cos il segnismo e quella prima scuola per sordi a cui lo stesso Luigi XVI assegna una sede ed un contributo finanziario (1785) e del cui futuro si occuper direttamente lAssemblea dei rappresentanti della Comune di Parigi dichiarandola Istituto Nazionale (1791) non senza che lpe fosse menzionato tra i cittadini benemeriti della patria e dellumanit. I successi politici e culturali di Lpe e della sua scuola non salvarono i sordi e la loro lingua da una nuova e pi feroce ondata di normalizzazione. Nel 1880, il Congresso internazionale che riunisce le grandi scuole per sordi, bandisce la lingua dei segni da ogni ordine e grado di istruzione nonch sancisce il divieto di utilizzarla al di fuori delle scuole. Principali promotori del congresso tre italiani (Giulio Tarra, Serafino Balestra e Tommaso Pendola) i quali motivarono la loro battaglia antisegnista con la difficolt di catechizzare le persone sorde (p. 28) e trovarono nellossessione di influenti personaggi quali Alexander Bell secondo il quale lutilizzo di una lingua dei segni avrebbe favorito la nascita di una razza sorda del genere umano, il terreno favorevole alla diffusione del loro punto di vista anche negli Stati Uniti dove, per un momento, era sembrato che la svolta oralista potesse essere in parte arginata (p. 29). importante a questo punto ricordare quello che mette in evidenza Tommaso Russo Cardona: La lettura in chiave razziale della contrapposizione tra oralismo e manualismo non che la pi evidente manifestazione della confusione profonda a proposito del ruolo della comunit sorda, del suo statuto intermedio tra condizione biologica e dimensione socioculturale e svela, ancora una volta, i timori che da sempre questa condizione di diversit suscita nei sostenitori dellordine costituito (p. 29). La storia dei sordi fin qui brevemente ricostruita spiega alcune delle caratteristiche interne delle lingue dei segni le quali, malgrado laccanimento di cui sono state destinatarie, hanno continuato a vivere ed oggi assommano a 114. Alcune sono piccoli mondi, vengono adoperate da comunit linguistiche il cui numero dei segnanti estremamente ridotto. questo il caso dellAdomorobe Sign Language, una lingua dei segni parlata in un villaggio del Ghana da solo

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300 segnati nativi. Diverso il caso dellAmerican Sign Language, utilizzato da circa 500.000 persone (p. 33). Come ogni sopravvissuto, le lingue dei segni portano in s il marchio delle difficili condizioni in cui hanno dovuto farsi spazio. Estremamente difficoltosa resta oggi la possibilit di individuare i loro rapporti genealogici. Una certezza: le relazioni tra variet segnate sono del tutto autonome rispetto a quelle tra le lingue parlate nei paesi corrispondenti (p. 33). Passando dalla diacronia alla sincronia, c da rilevare che le lingue dei segni restano oggi debolmente standardizzate. Una spiegazione di questo fenomeno risiede nella mancanza di una forma di scrittura (p. 33), ma altres nel fatto che esse non sono mai diventate un veicolo anche parziale di informazione. Del resto, Tommaso Russo Cardona ricorda che processi di omogeneizzazione si sono realizzati laddove, ad esempio, esistono trasmissioni televisive in lingua dei segni o istituzioni culturali e di formazione in cui essa utilizzata per linsegnamento e, quindi, per gli scambi interpersonali e per il normale svolgimento della vita (p. 33). questo ci che avvenuto negli Stati Uniti grazie alla Gallaudet University e ci spiega perch il grado di omogeneizzazione linguistica diverso per le lingue dei segni, di paese in paese (p. 33). Da questo punto di vista un fattore importante di cui tenere conto la composizione interna delle comunit linguistiche sorde (p. 34), nonch le condizioni in cui prende il via lapprendimento di una lingua dei segni. C da tenere in considerazione il fatto che esse sono composte da individui che hanno competenze linguistiche estremamente differenziate e che per la maggior parte di loro (pi del 90%) la lingua dei segni unacquisizione tardiva e sicuramente successiva ai primissimi anni di vita. Pochissimi sono i sordi figli di sordi e, quindi, pochissimi sono i sordi che entrano in contatto con la lingua dei segni come con una qualsiasi lingua madre (p. 34). Tuttavia, nuove lingue dei segni emergono dovunque ci sia la possibilit che si formi una comunit linguistica abbastanza ampia perch la lingua diventi un veicolo di comunicazione condiviso (p. 34), ovvero in qualsiasi parte del mondo bambini ed adulti sordi si trovino insieme e possano socializzare (p. 35). Come opportunamente ricostruisce Tommaso Russo Cardona, il complesso fenomeno delle lingue emergenti dei segni dipende da due condizioni diverse: il grado di coinvolgimento della comunit sorda e la forma in cui la comunit udente incoraggia lo sviluppo della comunicazione segnata (p. 35). Egli descrive tre casi considerati paradigmatici: il caso del Nicaraguan Sign Language (NSL), quello dellAl Sayyd Bedouin Sign Language (ABSL) e quello delle Lnguas de Sinais Primrias (LSP) dei sordi brasiliani. Estremamente interessante sono le circostanze in cui nato lAl Sayyd Bedouin Sign Language (ABSL) e la sua comunit segnante integrata (p. 37). Ci troviamo di fronte al caso di una lingua adoperata allinterno di una comunit in cui specifiche condizioni

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biologiche e storiche hanno fatto s che il numero di persone sorde sia superiore alla media degli altri paesi occidentali (4,28% contro lo 0,01%). Tale circostanza ha finito per indurre (anche grazie a matrimoni misti) la diffusione della lingua segnata fra gli udenti i quali, a loro volta, divenendo parte costitutiva della comunit segnante, hanno contribuito al processo di standardizzazione e omogeneizzazione linguistica. Opposta a questa, ma altrettanto significativa, la congiuntura in cui sono emerse le Lnguas de Sinais Primrias (LSP) le quali dimostrano che nel caso un numero ridotto di sordi si trovi nelle condizioni di dover comunicare con una comunit di udenti, quelli sviluppano strutture grammaticali autonome e complesse riadattando i materiali comunicativi gestuali che condividono con gli udenti e modificando le loro forme di comunicazione (p. 37). Il Nicaraguan Sign Language (NSL) ha, invece, una storia spiegabile a partire dai vantaggi delleducazione speciale per sordi. Fino a quando, infatti, sono esistite scuole specificamente dedicate ai sordi, sono esistiti posti in cui i sordi non vivevano isolati. Questo ha fatto s che, anche nel periodo in cui tali istituti puntavano sullapprendimento della lingua parlata, i bambini utilizzavano la loro competenza gestuale per creare delle forme linguistiche (p. 35). Originariamente influenzate dalla gestualit degli udenti e dalle caratteristiche grammaticali dello spagnolo letto sulle labbra (pp. 35-36), nel tempo essi hanno contribuito a fare emergere una lingua dei segni nicaraguense condivisa da un numero piuttosto ampio di segnanti (p. 36) in cui le le strutture lessicali e grammaticali create dalla prima generazione di segnanti si sono evolute e stabilizzate in forme nuove, raggiungendo un equilibrio nellarco di un paio di generazioni (ibid.). Interessante a questo proposito la conclusione a cui giunge lautore: I sordi sembrano, quindi, riuscire a sviluppare un lessico in segni e anche forme rudimentali e via via pi complesse di sintassi sulla base di un processo di convenzionalizzazione e di adattamento di tutti i materiali comunicativi a loro disposizione. In particolare, una volta che si sviluppa un lessico abbastanza ampio, le prime forme grammaticali e sintattiche emergono spontaneamente. Questo processo nasce dai bisogni comunicativi e si esplica quando i sordi sono in contatto tra loro o con persone udenti. Lintreccio tra predisposizioni biologiche alla comunicazione e dimensione sociale si rivela cos fondamentale e, soprattutto, dinamico, ovvero mutevole a seconda del tipo di interazioni e in relazione a ci che si comunica (p. 38). Questo spiega perch quando si cerca di stabilire sulla base di quali elementi sia possibile (e per la verit anche necessario) parlare di appartenenza di una persona alla comunit dei sordi (p. 39), fermo restando che il primo strumento di identificazione delle persone sorde la lingua dei segni (p. 41), si contestualmente obbligati ad ancorarsi da una parte al fatto biologico del-

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lessere sordi e dallaltra alla distanza dal mondo udente. Tommaso Russo Cardona ha definito questa distanza in termini di abitudini, usi e costumi che uniscono i sordi tra loro nonch di oggettive difficolt a usufruire dei servizi sociali e a integrarsi economicamente (p. 39). Come che sia, la lingua dei segni, nata da un artificio che allorigine aveva visto un codice gestuale incarnarsi in una grammatica per lingua verbale, storicizzandosi si naturalizza e diventa una lingua vera e propria. E la lingua, come ci ricorda lautore, ha di straordinario proprio questo: tenace, attraversa il tempo e lo spazio sapendo che per rimanere sempre se stessa deve essere capace di mescolarsi a tutto: Una lingua, in particolare, si differenzia da altri sistemi comunicativi non linguistici, come la pantomima o i segnali stradali, per il suo alto grado di sistematicit e per la sua apertura al mutamento nel corso del tempo, nello spazio e in relazione alle esigenze comunicative dei parlanti. Inoltre ogni lingua una forma di comunicazione e di azione pervasiva che investe la vita di ciascuno, in ogni momento e in tutte le attivit sociali che ci caratterizzano (p. 49). Lattento studioso di teorie linguistiche che stato Tommaso Russo Cardona ci ricorda che le lingue dei segni come tutte le lingue verbali sono caratterizzate da sistematicit, variabilit, arbitrariet, iconicit e doppia articolazione (pp. 53-65). Prive di scrittura, esse restano scarsamente standardizzate e omogeneizzate e divengono luogo di proliferazione di variet e dialetti segnati (pp. 54-55). Interessanti sono le osservazioni relative al ruolo delliconicit la quale non si contrappone, ma convive con il carattere sistematico della lingua (p. 75). A questo proposito messo opportunamente in rilievo che nelle strutture discorsive tipiche del segnato, liconicit pu emergere in forme che sono spesso produttive e sono legate dinamicamente ai processi di comprensione (p. 81). cos che scopriamo che costruzioni segnate dotate di iconicit discorsiva sono significativamente presenti nel testo poetico (53,4% di costruzioni segnate), ridotte nelle libere narrazioni (43%) e limitate nella variet formale usata in occasione di conferenze (pp. 81-82). Dato il carattere visivo-gestuale delle lingue dei segni, i rapporti tra iconicit e arbitrariet sono diversi rispetto a quelli presenti nelle lingue vocali (p. 92). In particolare, Tommaso Russo Cardona, dopo aver evidenziato che tale caratteristica dipende dalla strutturazione interna del sistema linguistico e dai suoi utenti (pp. 92-93), mostra un particolare interesse per lipotesi secondo cui la pervasivit di tratti iconici nella lingua dei segni sia anche da attribuire alla sua base neuropsicologica. In effetti, studi recenti sui fondamenti biologici del linguaggio hanno dimostrato che i segnanti utilizzano larea di Broca nello stesso modo in cui viene utilizzata dai parlanti, vale a dire per produrre quello speciale tipo di movimenti volontari che sono i segni di una lingua. Allo stesso tempo, Tommaso Russo Cardona attira lattenzione sul fatto

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che nel corso delle loro prestazioni linguistiche i segnanti sembrano evidenziare un maggior coinvolgimento dellemisfero destro e mostrano abilit particolari per tutti i compiti legati alla percezione visiva (p. 93). Contestualmente questi si rif agli studi sui neuroni specchio i quali come noto si attivano (nei primati e negli umani) quando viene compiuto o osservato un comportamento, nella fattispecie un atto motorio, intenzionale. Essi si attivano, cio, quando una scimmia afferra o osserva un suo simile afferrare un oggetto con un certo fine (manipolarlo, spostarlo, mangiarlo, etc.) piuttosto che quando un umano compie o osserva qualcuno compiere gesti di tipo analogo, compresa la produzione di segni nella sua versione parlata e segnata. interessante constatare che a questo punto viene messo laccento sul fatto che i neuroni specchio caratterizzano lattivit di quelle aree cerebrali che nelluomo si specializzeranno in prestazioni linguistiche ma la cui attivit riguarda la produzione e, quindi, la percezione visiva di azioni di manipolazione (p. 93). Andando pi nello specifico, Tommaso Russo Cardona ribadisce che essi sono in azione non solo nella produzione e nella percezione di azioni manuali dotate di significato, ma anche nel caso di movimenti labiali (p. 94). Il forte interesse fin qui dimostrato da questultimo per la serie di studi neuroscienfici che abbiamo evocato, spiegabile anche attraverso il fatto che egli teneva molto a contribuire ad una linguistica incarnata, ad uno studio del linguaggio in cui si sia capace di tenere conto del diverso accesso sensoriale alla realt e della diversit dei mezzi di espressione. Teneva altres molto a ricordare che proprio lo studio delle umiliate lingue dei segni pu concorrere a rilanciare la suggestiva ipotesi di Leroi-Gourhan secondo la quale esiste un legame tra origine del linguaggio e attivit manipolative e strumentali (p. 94) e, quindi, tra evoluzione e prassi. Da questo punto di vista le lingue dei segni possono a giusto titolo essere considerate come un sistema comunicativo inscritto nel nostro codice genetico, vestigia delle prime forme di comunicazione, che si realizza come prima lingua, oggi, solo nelle persone sorde (p. 94). Un testo denso e appassionato come quello che Tommaso Russo Cardona riuscito a lasciarci (insieme ad altri due per ora non pubblicati) prima che il suo viaggio nella vita e nella filosofia del linguaggio fosse interrotto dalla malattia, non poteva che approdare alla poesia. Del resto, come potrebbe una lingua orale come quella dei segni non avere i suoi rapsodi? Come potrebbe una lingua che probabilmente stata la lingua originaria del genere umano non essere anche ritmo, armonia? Pi specificamente, Tommaso Russo Cardona analizza finemente Orologio, una poesia in Lingua Italiana dei Segni composta da Rosaria Giuranna, poetessa sorda siciliana. Il tema il tempo quale dimensione che influenza e limita i rapporti tra le persone. un tema che ha molto a che fare con la cultura sorda in quanto la temporalit vista in relazione

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alla possibilit di condividere la dimensione sociale, in una comunit frammentata dove gli incontri e le possibilit di relazione sono limitati (p. 105). Se ripercorriamo quanto pazientemente ricostruito impariamo molte cose. Impariamo che lespressione poetica in lingua dei segni adopera procedimenti linguistici paragonabili a quelli tipici delle lingue vocali, come il metro, la rima, la versificazione, anche se nella forma specifica di questo tipo di comunicazione visivo-gestuale (p. 96) e che le forme create dalla mani si compongono armoniosamente come in una danza (p. 103). Impariamo altres che nei componimenti poetici segnati il ruolo giocato nelle lingue vocali dallintonazione, dalliperarticolazione delle parole, dallaccento e dalla quantit vocalica svolto dallo spazio, dal rapporto tra le mani e gli articolatori non manuali, dalla simmetria tra le due mani e dal rapporto interno tra il movimento e gli altri parametri formazionali. Impariamo, soprattutto, che esiste una radice comune a segni e parole (p. 116) e che attraverso il filtro delle lingue dei segni possibile riflettere sui tratti universali del linguaggio poetico (p. 96). Virginia Volterra, che chiude il libro con un interessante capitolo dedicato allapprendimento della lingua dei segni, non manca di dedicare una riflessione specifica proprio al ruolo rivestito del gesto nellorigine e nellapprendimento del linguaggio verbale. Ella ricorda che importanti studiosi hanno sostenuto, anche di recente, che la prima forma di comunicazione, il protolinguaggio, era sostanzialmente costituita da componenti manuali accompagnati da espressioni facciali ai quali successivamente si sarebbe aggiunta, e non sostituita, la produzione di suoni e larticolazione vocale. La sintassi, al canto suo, sarebbe nata dai e con i gesti e successivamente si sarebbe trasferita nella lingua vocale (pp. 118-119). Passando dalla filogenesi allontogenesi, Virginia Volterra ricorda che nel momento in cui il bambino comincia ad utilizzare le prime parole, a circa un anno di et, gi in qualche modo sa comunicare attraverso comportamenti sia gestuali () che vocali e che gli elementi gestuali del primo repertorio comunicativo dei bambini sono molto pi comprensibili rispetto a quelli vocali (p. 120). Pi specificamente, in una fase comunicativa iniziale i bambini udenti normalmente esposti alla lingua parlata sembrerebbero prediligere la modalit gestuale ed solo attorno ai due anni che la modalit vocale prevale rispetto a quella gestuale (p. 125). Insomma, tanto lontogenesi quanto la filogenesi suggeriscono che nulla impedirebbe ai bambini sordi di imparare da subito e con gli stessi risultati e ritmi dei loro coetanei udenti una lingua dei segni. Eppure sappiamo che non stato e non questa la metodologia normalmente seguita. Generazioni e generazioni di sordi prelinguistici sono stati obbligati a forzare i loro limiti biologici e mimare suoni che non erano in grado di ascoltare e che mai avrebbero potuto dare vita ad un atto di parole. lera degli istituti speciali nei quali inse-

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gnanti ed assistenti si mostravano per lo pi orgogliosi di non utilizzare i segni con i bambini e si dichiaravano convinti del fatto che solo parlando li avrebbero indotti () ad utilizzare la voce (p. 127). Essendo queste le condizioni, a quanto pare peggiorate dalla nascita delle classi speciali in scuole ordinarie e dallinaugurazione del cosiddetto regime del sostegno (p. 131), come le lingue dei segni abbiano fatto a sopravvivere quasi un mistero. Sta di fatto che negli ultimi quindici anni la situazione sembra, almeno in parte, modificata: una legge del 1992 (L. 104) permette di richiedere un assistente alla comunicazione per chiunque (dal nido alla scuola superiore) conosca e utilizzi la LIS (p. 133). Alcune scuole hanno sperimentato modelli di educazione bilingue italiano-LIS il cui fine far s che bambini sordi ed udenti imparino insieme in un ambiente bilingue e biculturale (p. 136). Molto interessanti sono, infine, le esperienze di insegnamento dei segni a bambini udenti le quali dimostrano che questi imparano con estrema facilit la lingua dei segni come seconda lingua (p. 138) e che il suo apprendimento pu contribuire () allo sviluppo di abilit quali lattenzione e la memoria visiva (p. 139).
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Bollettino Filosofico
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Il Bollettino Filosofico un annuario fondato nel 1978 dal personale docente del Dipartimento di Filosofia dellUniversit della Calabria. I numeri hanno di volta in volta un curatore e un comitato di redazione scelto dal curatore. Ogni numero prevede ordinariamente due sezioni principali: una monografica e una sezione a tema libero in cui possono apparire saggi brevi e note critiche. Una terza sezione di Recensioni accoglie la segnalazione di libri, saggi e Atti di convegni. Si collabora soltanto dietro invito del curatore o dei suoi redattori.

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Finito di stampare nel mese di gennaio del 2009 dalla tipograa Braille Gamma S.r.l. di Santa Runa di Cittaducale (Ri) per conto della Aracne editrice S.r.l. di Roma
CARTE: Copertina: Digit Linen 270 g/m2; Interno: Usomano bianco Selena 80 g/m2 ALLESTIMENTO: Legatura a lo di refe / brossura Stampa realizzata in collaborazione con la Finsol S.r.l. su tecnologia Canon Image Press

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