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Il nome e la definizione
1
Cf. O. PIANIGIANI, Vocabolario etimologico della lingua italiana, Fratelli Melita
Editori, Genova 1988.
2
S. VANNI ROVIGHI, Elementi di filosofia, vol. I, La Scuola, Brescia 1962, 68.
2
La questione dunque è di stabilire che cosa intendiamo per “monache”,
per verificare se le Sorelle Povere appartengono o no a questo genere di
religiose. Nel linguaggio ecclesiale che cosa intendiamo con il termine
“monaca”? Bisogna distinguere.
“In principio Dio […] maschio e femmina li creò” (Gen 1,1.27). È la
prima distinzione all‟interno del genere umano. Tutte le donne poi sono o
battezzate o non battezzate. Le donne battezzate sono cristiane. Tra le cristiane
possiamo distinguere le religiose dalle laiche. Le religiose (o consacrate) si
distinguono dalle laiche perché hanno fatto professione dei consigli evangelici.
Distinguiamo le religiose a seconda della loro appartenenza agli antichi ordini
monastici o ai moderni istituti e congregazioni di vita consacrata e società di vita
apostolica. Ci sono tante differenze specifiche all‟interno del genere comune di
“vita consacrata”, fino ad arrivare agli istituti secolari.
La stessa vita monastica non è univoca, ma abbraccia diverse specie di
esperienze (benedettine, cistercensi, clarisse, carmelitane, passioniste ecc.).
Ognuna di queste si caratterizza per le sue differenze specifiche, di ordine
storico, teologico e spirituale. Le monache legate agli ordini mendicanti
medievali - e più ancora le istituzioni tridentine o post-tridentine – offrono un
contributo originale rispetto alla più antica tradizione monastica. Se ne deve
tener conto.
Ci chiediamo dunque: cosa caratterizza le monache in genere, in
confronto con le altre religiose? A mio modesto avviso il fatto storico-spirituale
che caratterizza l‟esperienza monastica consiste fondamentalmente nella sua
radicale consacrazione alla vita contemplativa. Da questa unione d‟amore con
Dio sgorga una sorgente di grazia che vivifica il Corpo mistico di Cristo.
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“Gli istituti dediti interamente alla contemplazione (quae integre ad contemplationem
ordinantur), tanto che i loro membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel
silenzio, nella continua preghiera e nella gioiosa penitenza, pur nella urgente necessità
di apostolato attivo conservano sempre un posto eminente nel corpo mistico di Cristo,
in cui „tutte le membra non hanno la stessa funzione‟ (Rm 12,4)” (PC 7).
4
La contemplazione non è vista come “ricerca della perfezione
individuale”, ma come attuazione della vocazione ecclesiale all‟unione perfetta
con Dio. L‟esigenza prioritaria di stare con il Signore viene assunta nella sua
radicalità. Un luogo circoscritto viene assunto quale spazio vitale
dell‟identificazione con il mistero pasquale di Cristo. Attraverso la donazione
del proprio corpo in una povertà radicale, la monaca partecipa all‟annientamento
del Cristo, che ha scelto la croce e l‟Eucaristia quali incarnazioni del suo amore
redentivo. La clausura monastica, quale libera risposta a questo amore, diventa
luogo teologico della comunione con Dio e con i fratelli.
Infine Giovanni Paolo II, inneggiando alla bellezza sponsale di questo
amore puro, esorta le monache a vivere la fedeltà al loro carisma:
“Esse si offrono con Gesù per la salvezza del mondo. […] Grazie al loro esempio,
questo genere di vita continua a registrare numerose vocazioni, attratte dalla radicalità
di un’esistenza ‘sponsale’, dedicata totalmente a Dio nella contemplazione. Come
espressione di puro amore che vale più di ogni opera, la vita contemplativa sviluppa
una straordinaria efficacia apostolica e missionaria” (ib.).
3
Naturalmente“la contemplazione” (conoscenza sperimentale ed amorosa di Dio, nel
mistero della grazia e della storia) non si identifica con “la vita contemplativa” (stile e
organizzazione di vita di un ordine religioso che mira alla contemplazione). Non basta essere
membro di un certo ordine religioso per essere un contemplativo e non tutti i contemplativi
sono religiosi. Ma questo è un altro problema, che richiederebbe una riflessione molto più
ampia.
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Nel cap. I, intitolato non a caso: “L‟Ordine delle monache di santa Chiara”,
proprio nell‟art. 1 si precisa “La natura del nostro Ordine”:
“La nostra famiglia, dunque, che a ragione viene chiamata „Ordine di santa Chiara‟, o
anche „Ordine delle Sorelle Povere‟ e costituisce il Secondo Ordine francescano, dedita
a vita integralmente contemplativa, professa l‟osservanza del Vangelo secondo la
Regola confermata rispettivamente da Innocenzo IV o da Urbano IV”.
4
Per esempio le Clarisse Francescane Missionarie del SS. Sacramento, le Suore
Francescane di S. Filippa Mareri e le Suore Clarisse Apostoliche.
6
usano comunemente i termini generici di sorores, sanctimoniales o moniales, e quelli
specifici per indicare l’Ordine cui appartengono. A conferma che, nel medioevo, il
termine moniales era divenuto di uso comune, valgano alcuni riferimenti tratti dalla
storia delle Damianite e Clarisse: papa Gregorio IX, inviando nel 1228 la Formam et
modum vivendi alle Damianite di Pamplona, parla di pauperibus monialibus reclusis;
s. Chiara, nella regola approvata nel 1253, parla di consacrare una sorella in monialem;
e papa Urbano IV conosce, oltre ai termini di sorores e di dominae, anche quello di
moniales (I. Omaechevarría, ed., Escritos de santa Clara, Madrid 19822, p. 214 per
Gregorio IX; p. 286 per la consacrazione in monialem; p. 329 per Urbano IV) ”5.
5
G. ROCCA, Sanctimoniales, I. Questioni di vocabolario, in Dizionario degli istituti di
perfezione, vol. X, Paoline, Roma 2003, 702.
6
Cf. GUILLAUME DE ST.-THIERRY, La lettera d’oro, a cura di C. LEONARDI, Sansoni,
Firenze 1983.
7
Cf. J.F. GODET et G. MAILLEUX, Corpus des Sources Franciscaines V, Opuscula
sancti Francisci. Scripta sanctae Clarae, Publications du CETEDOC, Louvain 1976.
7
Questo testo, inserito da Chiara nella sua Regola, testimonia fedelmente il
modo di parlare di Francesco. L‟espressione è confermata dai Tre Compagni, a
proposito della profezia fatta durante il restauro di S. Damiano:
“Venite, aiutatemi nel lavoro per la chiesa di San Damiano, che diventerà un monastero
di signore, (monasterium dominarum) e per la fama della loro santa vita, sarà glorificato
in tutta la chiesa il nostro Padre celeste” (3Comp 24).
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Ci sembra invece poco credibile la tardiva testimonianza di frate Stefano: “Quando
poi venne a conoscenza che le donne raccolte in quei monasteri venivano chiamate sorelle, si
turbò grandemente e si dice che abbia esclamato: „Il Signore ci ha tolte le mogli, il diavolo
invece ci procura delle sorelle‟” (Cronaca di frate Stefano 4).
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del suo carisma da parte della Chiesa, con l‟approvazione ufficiale della sua
Regola. La ricerca storica sembra oggi aver raggiunto alcuni punti sicuri9.
Nel 1215 il Concilio Lateranense IV cercò di porre un limite a quella che
sembrava un‟effervescenza eccessiva e disordinata di comunità religiose. Emanò
a questo fine la famosa costituzione Ne nimia religionum diversitas, nella quale
si proibiva che per il futuro si fondassero nuovi ordini religiosi (novam
religionem). Chi avesse voluto abbracciare una forma di vita religiosa avrebbe
dovuto scegliere una di quelle già approvate. Ugualmente chi avesse voluto
fondare una nuova casa religiosa avrebbe dovuto assumere la regola e gli
ordinamenti di un ordine religioso già approvato10. Si stabiliva dunque che tutte
le nuove fondazioni dovessero camminare nella via sicura delle antiche regole
già approvate. Le regole più prestigiose e diffuse erano allora quella agostiniana
per la vita canonicale, quella benedettina per la vita monastica e quella basiliana
per i cenobi di rito greco. Accanto alla Regola, quale garanzia canonica, la vita
delle comunità si basava poi su una propria institutio, ossia su consuetudines e
observantiae particolari.
La regola benedettina venne dunque assunta dalla comunità damianita
come “clausola di regolarità”, a garanzia della canonicità della vita religiosa che
conduceva, per ricevere l‟approvazione della Santa Sede. Papa Innocenzo IV nel
1243, in una lettera ad Agnese di Praga, spiegherà autorevolmente che
l‟osservanza della regola di san Benedetto, nell‟Ordine di S. Damiano, serviva
solo a garantire l‟autenticità della vita religiosa11.
A S. Damiano dunque l‟esempio vivo e la parola di Francesco erano la
guida concreta e immediata del cammino spirituale. Siamo in una fase fluida
dello sviluppo comunitario, in cui ancora manca la chiarezza giuridica degli anni
successivi. Nemmeno i Frati Minori avevano ancora una Regola approvata. Le
sorelle di S. Damiano non diventano per questo “benedettine” in senso proprio,
ma adottano una configurazione canonica di tipo monastico. Il fatto non può
essere ritenuto casuale, perché la Regola di santa Chiara, pur seguendo
9
La bibliografia sarebbe sterminata. Ottima guida per lo studio di questa evoluzione
storica può essere il lavoro recentemente pubblicato dalle Sorelle della FEDERAZIONE S.
CHIARA DI ASSISI DELLE CLARISSE DI UMBRIA-SARDEGNA, Chiara di Assisi. Una vita prende
forma. Iter storico, Messaggero, Padova 2005.
10
Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. ALBERIGO, G.L. DOSSETTI, P.P.
JOANNOU, C. LEONARDI, P. PRODI, consulenza di H. JEDIN, ed. bilingue, EDB, Bologna 1991,
242.
11
INNOCENZO IV, In divini timore nominis, in BF I, 315-17. Trad. it. in FEDERAZIONE
S. CHIARA DI ASSISI DELLE CLARISSE DI UMBRIA-SARDEGNA, Chiara di Assisi…, 148-150.
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principalmente quella dei Frati Minori, conserverà tracce notevoli di quella
benedettina.
“non si deve dimenticare che S. Chiara non ha optato per l‟istituzione di religione
canonicale (Regola agostiniana), ma ha optato per l‟istituzione di religione monastica
(Regola Benedettina). Poiché S. Chiara ha abbracciato l‟istituzione di religione
monastica, la legislazione clariana, comunque rielaborata, dovrà sempre essere una
legislazione monastica, fedele interprete di questa eroica esperienza di vita
12
evangelica” .
12
A. BONI, Tres Ordines hic ordinat. Giuliano da Spira, a cura dell‟Ufficio Giuridico
della Curia Generale OFM, Porziuncola, Assisi 1999, 84.
13
FEDERAZIONE S. CHIARA DI ASSISI DELLE CLARISSE DI UMBRIA-SARDEGNA, Chiara
di Assisi…, 28.
14
Papa Innocenzo IV nel 1246 precisa che, affidando ai Minori la cura spirituale, non
intende affatto incorporare i monasteri al loro Ordine: INNOCENZO IV, Licet olim del 12 luglio
1246, in BF I, 420.
10
obbedienza, al ministro generale e ai suoi successori di prendersi cura delle
Povere Monache recluse:
“considerando che l‟Ordine dei Frati Minori tra tutti gli altri è grato e accetto a Dio, a
te e ai tuoi successori affidiamo la cura (curam committimus) delle predette monache,
ordinandovi rigorosamente in virtù d‟obbedienza, di avere verso di esse cura e
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sollecitudine (curam et sollicitudinem) come di pecore affidate alla vostra custodia” .
“Il beato padre […] scrisse per noi una forma di vita in questo modo: „Poiché per
divina ispirazione […], voglio e prometto, per mezzo mio e dei miei frati, di avere
sempre di voi come di loro, cura diligente e sollecitudine speciale‟ (volo et promitto
per me et fratres meos semper habere de vobis tamquam de ipsis curam diligentem et
sollicitudinem specialem). Ciò che adempì diligentemente finché visse, e volle che
fosse sempre da adempiere dai frati” (RegCh VI,2-5).
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Testo in BF I, 36, n. 16. Traduzione italiana in Chiara d’Assisi. Scritti e documenti,
a cura di G.G. ZOPPETTI e M. BARTOLI, Ed. Francescane, Assisi 1994, 394-395.
11
La Madre affida le sue figlie all‟Ordine dei Frati Minori, chiedendo cura e
aiuto spirituale per custodire la loro vocazione, in continuità con l‟opera di padre
e fondatore svolta da san Francesco. All‟interno dell‟istituzione di vita
monastica santa Chiara seppe sviluppare il carisma che lo Spirito le aveva
donato attraverso la mediazione di Francesco. Gli elementi che diedero
un‟impronta tipica alla nuova comunità religiosa furono lo stile di vita
evangelica e fraterna, la scelta dell‟altissima povertà, protetta dal Privilegium
paupertatis, e il legame privilegiato con i frati. Le soluzioni istituzionali
rimasero sempre al servizio della fedeltà carismatica, anche nei momenti più
oscuri e sofferti.
Questo non significa che i frati minori non debbano essere contemplativi o
magari vivere in un romitorio. Ma non lo devono essere all‟interno di una vita
monastica che non è loro.
Le Clarisse invece (Secondo Ordine) sono monache, perché hanno
adottato una vita integralmente dedita alla contemplazione, secondo la specifica
forma vivendi che santa Chiara, nella sua Regola, afferma di aver ricevuto da
16
OFM, Seguaci di Cristo per un mondo fraterno. Guida per l’approfondimento delle
priorità dell’Ordine dei Frati Minori (2003-2009), Curia Generale OFM, Roma 2004, 33.
12
san Francesco. Il carisma apostolico dei frati si armonizza col carisma
contemplativo delle Sorelle, formando un‟unica famiglia spirituale. Bisogna
distinguere per unire e non appiattire per confondere.
Sono d‟accordo che le Sorelle Clarisse non possono essere solo
genericamente delle monache, come le benedettine o le carmelitane, ma devono
essere anche Sorelle Povere, cioè vere figlie di santa Chiara. Non sono
d‟accordo che la forma vivendi specifica delle Sorelle Povere le collochi al di
fuori della tradizione e della spiritualità tipica dell‟istituzione monastica.
Compito dei Frati Minori, per incarico di san Francesco, è prendersi cura
diligente della loro vocazione.
Spero che queste poche riflessioni, condivise con fraterna semplicità,
possano contribuire ad una maggiore comprensione del carisma francescano-
clariano.
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