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altri viaggi | o

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le foto sono di maurizio crema
elaborazione della foto di copertina di beppe calgaro
redazione e impaginazione: luca albani
grafica di copertina: vanessa collavino
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effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia.
ISBN: ,;--o,,-c::-c
Maurizio Crema
A Est del Nordest
in spider alla conquista della Romania
e del Far Est
edicicloeditore
Agli amici, quelli veri
che mi sopportano ancora
Introduzione
Tutto era pronto perch niente era stato organizzato. Dovevo
partire due giorni prima e invece un lutto e un passaggio epocale
mi avevano frenato. Poco male. Lobiettivo era pressato e lidea
pazza era rimasta. Anzi, sera rafforzata perch serviva anche co-
me omaggio: arrivare no alle Porte di Ferro e al Danubio, via
terra. Finalmente mangiarsi tutta la strada verso la Romania, a
Est del Nordest. E anche pi in l.
Cera un libro anche questa volta a fare da compagno di viag-
gio, quello di Claudio Magris, ricco e lento come lo scorrere di
quel grande ume che non mi apparteneva. Io ero nato sulle
sponde di un altro corso dacqua, lAdige, che a paragone era
un corsetto, un abbozzo che non niva neanche in delta ma in
un canale serpentino; eppure mi sembrava serio e ero quel mio
rivo che non segnava conni ma che prepotente aveva scavato
valli e passato citt. Ma volevo conquistare un altro viaggio e un
altro ume, per arrivare a un altro conne: quello dellEuropa.
Ueh, ueh, ol. Ormai la dovevi salutare cos lEuropa, come si
faceva con un Arlecchino o un Pantalone tanto divisa, chiasso-
sa, crapulona e indistinta. Una maschera che faceva la feroce con
i deboli la Grecia, la Romania e laccondiscendente con i forti
tedeschi. Una pura nzione geograca avrebbe potuto dire Met-
ternich. Invece per me era fatta di sangue, terra, acque, storie,
speranze, fuochi e tristezze. Ma per raccontarle nalmente dopo
gli anni ruggenti della delocalizzazione e quelli dellUnione cera
a est del nordest :c
e ventanni di vita mentre scorre la campagna del Veneto Orien-
tale, vecchie boniche e nuova colza gialla e il mare l, vicino
ma imprigionato ancora dalla laguna. Avevo deciso di fermarmi
in serata a Fiume, Rijeka per i moderni, perch la conoscevo po-
co, e, soprattutto, perch poteva essere lo sbocco al mare di un
altro viaggio sul Danubio, cio lIstro. Quello degli Argonauti.
GiasonEEEEEE, GIASONEEEEEE!
bisogno di arrivarci senza balzi, urli, motori roventi daereo. E al-
lora avevo deciso di fare lennesima pazzia, di prender su la mia
spider vecchia di ventanni, da crollo del Muro, e di mangiarmi
tutta la polvere e il caldo no alle porte della Romania. Mille e
passa chilometri da fare in pochi giorni, tanto per vedere se ave-
vo ancora il sico ed esisteva davvero una strada verso lAltra
Europa e il Mondo Nuovo, lEst.
Non cera tanto neanche da organizzare. La carta verde ce lave-
vo, quella stradale me lero comprata a Fiume, il Danubio di Ma-
gris pure, le suggestioni salgariane anche, e qualche indirizzo era
in tasca. Avevo fatto anche il solito tentativo di portare qualcuno
con me, di condividere questa follia. Senza successo. Diverso era
andare in barca a vela, anche se scassata, oppure in moto no in
Montenegro, cera sempre da passare tutto il mare bello e verace
dellAltro Adriatico. Ora no. Solo asfalto e miraggi, echi e ombre
di un mondo disgregato, quello dei Balcani. Per poi tuffarsi nella
Romania no ad arrivare da dove ero partito: a Istria. E magari an-
che pi in l, in Moldova, nello Stato che non c, la Transnistria.
Perch? Gi, perch? Per non stare fermi ad aspettare un al-
tro anno, un cambiamento, una spiegazione. Unispirazione. Vo-
levo capire unaltra parte di me e della nostra storia, quella che
incontravo ogni giorno per strada, badante, fabbrica. Viaggiare
per tornare indietro di dieci, ventanni, a quando tutto era inizia-
to e non lavevo capito. A quando il mondo cambi per allargar-
si a dismisura e iniziare a ingoiare sicurezze, welfare, aspirazio-
ni, ideologie. A quando cera il Muro che divideva e proteggeva
come un vallo di Traiano. TraianOOO, TraiANOOOO. In culo ce
labbiamo, fregati da una parte e dallaltra, pi poveri e indifesi.
TRAIANOOOO!
Il grido si perde nel vento della corsa di questa piccola e con-
sumata spider rossa giapponese arrivata gi a 220.000 chilometri
:: introduzione
A Est del Nordest
Verso est
Non amo le autostrade, sto molto meglio nelle strade di campa-
gna e non solo perch non costano. Destate non nisci bollito,
prima cosa. E poi in spider ti puoi godere la vista libera, laria,
gli odori. Come in moto ma pi comodo; come in bici, ma sen-
za fatica. Sei in mezzo al mondo che ti scorre via gentilmente o
meno (dipende dalla velocit) e puoi fermarti a chiedere unin-
formazione senza violentare nessuno, cos, mettendo una freccia
e urlando un HEY.
Lo feci molte volte in quello spicchio di viaggio che da Muggia
(ex dogana Serenissima) e Capodistria (Koper) doveva andare a
Fiume, perch avevo scelto la prima strada piccola che mi capi-
tava dopo lassedio di code e caselli, perdendomi quasi subito in
mezzo a quel verde brillante che sembrava Irlanda e poi scivo-
lava via con la regolarit austriaca. Questa la Slovenia, terra di
mezzo, orgogliosa e furba, nuovo muro dEuropa verso est (la
Croazia) e pallida superstite di una nazione che non esiste pi (la
Iugoslavia) di cui in molti hanno nostalgia. Non qui, dove cerca-
no una purezza che non esiste ma sono convinti di avercela fat-
ta ad agguantare il futuro senza dover scontare errori e orrori (la
guerra incivile aveva colpito duro pi gi, qui i morti nel 1991
erano stati venti, trenta, o solo quattro, boh). Slovenia riemersa,
sloveni sommersi dallItalia e dal fascismo, come Pahor insegna.
Che bella Pirano e le sue saline veneziane, monumentale opi-
cio a unindustria che era Serenissima (lo stata per secoli) e as-
a est del nordest :o :;
soldava migliaia di persone che vivevano in quella pianura piatta
e infuocata in mezzo a case di pietra che erano magazzini e poi
rifugi per le famiglie che lavoravano qui. La coltivazione dacqua
di mare passava tra quattro stadi (o erano tre?) prima di conqui-
stare il titolo di bianchissimo minerale gran protettore del cibo ai
tempi in cui il frigorifero non esisteva e il ghiaccio era una rarit
da ricchi. Roba pregiata, tanto da dare anche un salario. Ne avrei
viste altre di saline, a Corf (con quella chiesetta dispersa), a Ci-
pro, a Muggia, cera una strada del sale che seguiva il mare in un
commercio solido e solidale. Cera un mondo deciso che sapeva
come sopravvivere e che dialogava. Cerano miniere di salgem-
ma resti di antichi mari imprigionati dalla roccia e dal tempo, e
questi moderni campi di sole dove veniva evaporata e ltrata tan-
te volte quellacqua maledetta dai naufraghi perch imbevibile e
assassina. Che tortura deve essere abbandonati in mezzo al mare,
cotti dal sole e circondati da un elemento che non pu che in-
ghiottirti e ucciderti denitivamente. Anche lo scappottamento
ti cuoce la testa, ma puoi sempre fermarti allombra a riposarla
o metterti un cappello (che brutto!) e bere molto. E con la mia
auto non hai scelta: senza aria condizionata e i nestrini sono
rotti piombati, diventa un forno, meglio rischiare linsolazione.
Ho scelto questo mezzo di locomozione perch non ne avevo
un altro sottomano, perch non dovevo organizzarlo con nessu-
no, perch ero solo e un po disperato. Ho scelto la mia Mazda
perch lante e simpatica, maneggevole e libera, insinuante ma
non strafottente, una femmina sui quarantanni, ancora piacen-
te, che sa sorridere alla vita e anche essere maliziosa senza per
pensare per forza che i maschi debbano seguirla o corteggiarla.
Sa farsi avanti senza imporsi e anche passare inosservata perch
non cromata n accessoriata. semplice ma orgogliosa, un po
straniera e selvaggia, ma non aggressiva e procace. E poi ha due
fari da occhioni che si alzano come nei cartoni animati e hanno
un grande e solo difetto, stanno su anche quando spegni il moto-
re; cos ti possono fottere tutta la batteria. Scherzo che mi sta-
to fatto anche senza dimenticanza, cos, un passante burlone che
approtta della cappotta aperta o della portiera non chiusa. Me-
glio lui che quel vendicatore di chiss quali torti che ti segna la
portiera con la chiave.
Lex ragazza di ventanni le auto viaggiano a met strada tra
donne e gatte come anagrafe si mangia olio da motore a quin-
tali e ogni tanto spia di giallo e di rosso dal cruscotto, ma sono
problemi passanti, come il schio che usa quando lasci la chia-
ve inserita, lancinante, penetrante, sostanzialmente inutile. Ed
un bel rischio voler fare mille e passa chilometri (e altrettanti
al ritorno) in pochi giorni, di lata, senza respiro alla sua et e
con 220.000 gi alle spalle. Ma io e lei siamo afatati. E alla ne
avr ragione. Tranne un paio di multe e qualche paura di nire
senza benzina, mi riporter indietro senza fondersi trasforman-
do quel viaggio in un racconto, quasi in un sogno. LItalia degli
anni Sessanta e del Sorpasso, la Romania degli anni Duemila e
dellEuropa.
Ma ora cera da attraversare il primo conne, quello croato.
Arriv senza preavviso ed emozione, telefonato. Molto peggio
sarebbe andata alle Porte di Ferro, la grande diga sul Danubio, e
gi verso la Bulgaria, dove saddensano i trafci e i conni e c
ancora profumo dOriente ottomano. Ma questa unaltra sto-
ria, che arriver molto pi avanti, dopo un arcobaleno dIstria, il
sogno e la malia degli zingari, il delta labirintico, la sacra Bucovi-
na, lincubo Transilvania. E tanti fantasmi che iniziano a danzare
davanti al mio viaggio, badanti, puttane, imprenditori del Nor-
dest e milionari del nuovo Est.
verso est
fanno fatica a portarli a scuola perch la loro vita in strada, per-
ch il mondo gli sembra gi abbastanza grande l intorno e quello
che vedono in televisione lontano. Spero che possa continuare
cos, ma sono sicura che tempo pochi anni si sentiranno soffo-
care in quella casetta con lorto e lacqua da prendere nel pozzo
in giardino, in quei campi sempre uguali, e scapperanno in citt,
mi chiederanno di venire qui, di cambiare paese, vita. Vorranno
i cinema e le discoteche, il motorino e i viaggi, toccare con mano
quel mondo che vedono solo in TV. Non gli basteranno pi i 200
euro che gli mando ogni mese.
E io allora che far? Io che qui rimango straniera, io che sono
una serva e che sono appesa alla sopravvivenza di un vecchio rin-
citrullito che passa tutto il giorno davanti alla televisione? Dieci
anni fa, mi sembra ieri. Presi quellautobus dal mio paese, lass,
al nord vicino alla Russia che oggi Ucraina, credo. Non avevo
documenti, una sola valigia e qualche marco tedesco, i lei allo-
ra valevano ancora meno. Viaggiammo per la Slovacchia, no al
grande ume. Di l c Vienna, lEuropa, ci dissero quegli uo-
mini che avevano voluto mille marchi per un passaggio di ven-
tiquattrore verso il nulla. Qualcuno accenn a una protesta, lo
picchiarono. Noi rimanemmo zitti. Loro accesero il motore e se
ne andarono nella notte, a fari spenti. Iniziammo a camminare, e
non ci siamo pi fermati no ad arrivare qui, in questa Italia che
si chiama Veneto ma che tutti deniscono Nordest e non ho an-
cora capito perch.
La badante
Il mio futuro qui, la mia vita anche, le speranze pure. Dietro
ho lasciato la mia carne, i miei gli, e poco altro se non un pae-
se fermo, grigio, disfatto e confuso. Come mio marito, che beve
tutto il giorno e mi cerca per farsi dare altri soldi. Il mio futuro
qui, dietro a un vecchio che trema e ogni tanto sibila ordini in
una lingua che allinizio non capivo perch non era neppure ita-
liano, dialetto mi hanno spiegato poi che fosse. Parole che arri-
vavano da un passato tutto loro, di quando questanziano sulla
sedia a rotelle era giovane e anche questo posto, il Veneto, lo era.
La glia di questo signore che ogni giorno devo imboccare,
rimboccare, spostare e pulire come ho fatto ai miei bambini si fa
vedere poco. Mi raccomanda sempre di tenere il telefono acce-
so, ma poi ho capito che lo fa per togliersi i sensi di colpa. A lei
importa soprattutto che il vecchio non si lamenti e che io lo sor-
vegli perch non muoia da solo, in questa grande casa piena di
oggetti, vestiti, quadri, piatti, aggeggi elettronici e vuota di vita.
Qui nemmeno i nipoti passano mai, e cosa ci verrebbero a fare?
Il nonno non ha neanche la voglia e la memoria per raccontare
storie, la loro storia. E poi di passato ne hanno piene le scatole,
lo vedono sempre in TV. Loro amano il presente, Internet, han-
no il mondo nelle mani. Ogni tanto li guardo di sottecchio, pen-
so ai miei gli che hanno la stessa et e vivono in un paesino con
i loro nonni. So che fanno quello che vogliono, che i miei vecchi
ormai non li possono pi fermare, e neanche controllare. Che
:, la badante
Fiume
La citt ha unimpronta asburgica, pi esattamente mitteleuro-
pea. Un mondo affondato con la Prima guerra mondiale, disper-
so come un secolo e passa prima sera volatilizzata Venezia che
qui non era mai arrivata. Invece ci fu lItalia, DAnnunzio e mar-
cette, fanfare e altre sponde. Poi arriv la Iugoslavia, e ora siamo
in Croazia. A raccontarla cos sembra proprio un posto di gran-
di movimenti, cinque storie per una citt. Poi ti guardi in giro,
spii i turisti del Nord che affollano i bar e segui i camerieri at-
tenti al loro portafoglio come al tuo e capisci che alla ne siamo
sempre l, c da campare. Questo un altro conne che solo
mentale, oppure un crocevia come tanti altri che affronterai pi
avanti, posti che hanno vissuto sullorlo di un balzo mai arrivato
e che ora sopravvivono appesi a qualche suggestione. Vai in gi-
ro e ti manca qualcosa, guardi il mare e capisci. Manca il ume,
lIstro, il ramo fantasma del Danubio, quello che avrebbe dovuto
collegare il cuore dellEuropa allAdriatico e al mare interno tra
le terre. L, fuori, stanno solo il Quarnaro e le isole Assiatidi (o
Apsirtidi), nate dalle membra del fratello di Medea, che qui in-
torno ha anche un paesino, Medveja. Mito sanguinolento quello,
che afora da queste parti perch secondo la leggenda passarono
da qui gli Argonauti. Alla ne la maliarda stregonesca scapp dal
suo amore-incubo, da quel Giasone che la sfrutt per conquista-
re il vello doro e abbandonarla poi per una pi giovane e lei si
vendic nella maniera peggiore, uccidendo i due gli avuti da lui.
Brrrr. Si potrebbe ripensare a una spietatezza che ha fatto storia
e ha contagiato generazioni, ma sono solo echi, malie. Qui sem-
mai domina lipocrisia di una borghesia rifatta da nuove patrie e
vecchi affari, libera anche da legami di sangue o ipotesi di fratel-
lanza. Siamo solo noi, al massimo in famiglia.
Eppure appena fuori Capodistria e ancora ben lontano
dallIstro, quasi prosciugato dal caldo, era apparso un arcoba-
leno a farmi da buon viatico. Cadeva verso est, mi indicava la
strada, ero su quella giusta, Iride era con me, e anche gli di, mi
dissi sempre da solo. Pi semplicemente, ero partito. E alla sera
bevevo birra a Fiume (Rijeka in croato) in uno di quei posti con
le sedie di paglia e il cibo da catena di montaggio che ti accolgo-
no in tutto il mondo con la stessa facile cortesia. Cercavo di se-
guire le chiacchiere dei ragazzi del tavolo di anco, dattaccare
discorso col cameriere, osservavo una bella donna al passeggio.
Ma ero stanco e solo, meglio andare a dormire. Lindomani avrei
scoperto che la mia spiderina era stata sequestrata per parcheg-
gio in strisce gialle. Era tua quella macchina rossa? Lho appena
vista portar via col carro attrezzi, ma non preoccuparti, il depo-
sito qui vicino, mi avrebbe detto un ragazzo col mezzo sorri-
so e in italiano con accento venetico. Avrei capito dopo che qui
la Germania ha fatto scuola e che regole fanno rima con multe.
Tutto era veramente organizzato per strizzare ben bene i turisti,
soprattutto quelli di passaggio distratti come me che guardano
la luna e pestano le cacche per strada. Fuggire, scappare. Roma-
nia, aspettami!
Per prima almeno dovevo avere una bussola. Sprovvisto di
TomTom e diavolerie elettroniche per la mia atavica allergia al
controllo e la psicosi da Grande Fratello, mi ingegnai. E al di-
stributore per il pieno (la benzina in Croazia costa un po di pi
che in Slovenia ma meno che in Serbia, credo) comprai una car-
:: fiume
a est del nordest ::
ta geograca dellEuropa, di quelle che sallungano per tutto il
continente e anche di pi, che ti fanno pensare come qualsiasi
posto possa essere vicino, in contatto, fratello. Ma proprio per
rompere questincantesimo che sono partito, per fugare questo
sogno di viaggio alla Luna di Ariosto che ho deciso di sellare il
mio ippogrifo quotidiano. Non esistono Paesi vicini e conni fa-
cili, popoli comuni e nazioni unite. Ci sono strade e percorsi. Io
voglio fare allinverso quello che hanno fatto per anni milioni di
uomini, il cammino della speranza e della ricerca del benessere,
del futuro. Per conquistarne un altro. Il mio.
Luomo del Nordest
Allinizio stata unavventura, curiosit, pura curiosit. Avevo
qualche contatto, gente che ci forniva suole, tomaie. Ed era crol-
lato il Muro. A dir la verit se nerano sgretolati un bel po, dalla
Germania allUngheria, dalla Cecoslovacchia (ma l lhanno riti-
rato su) alla Romania, come se fosse cascata tutta la scenograa
che aveva tenuto in piedi il nostro mondo oltre che il loro. Era
come se si fosse aperta davanti a noi una prateria, il nostro Far
West. Ma invece del nulla, tanti bisonti e pochi indiani, cerano
fabbriche inutili, periferie cadenti e campi incolti. In pochi l, in
Romania, nel 1991, avevano ancora unidea di quello che voleva-
no se non il benessere.
Erano passati da una rivoluzione, ammazzato il loro dittatore
come noi alla ne della guerra, ma le macerie non erano fuori, per
le strade, ma nelle teste. Un sistema che li accompagnava e li pro-
teggeva era crollato miseramente. A pensarci bene, ventanni do-
po anche il nostro sembra allo stesso punto. Due zoppi insieme
non imparano a camminare. Di sicuro l ho trovato tutto da rico-
struire. Potevi fare qualsiasi cosa e rischiavi altrettanto. Non cera
legge, n regola. La gente aveva bisogno del lavoro come il pane
e nei negozi non cera molto di pi. Tu li pagavi per comprarsi al-
meno quello, 100-200.000 lire al mese. E gli insegnavi a lavorare.
Alle donne. Gli uomini no, quelli facevano altri affari o stavano al
bar, a bere, a perdersi. Avevo trovato una fabbrica dismessa e di-
messa, lo scotch alle nestre, una discarica in cortile, il tetto che
a est del nordest :
perdeva. Portai i vecchi macchinari che avevo in Italia, li feci pas-
sare come ferro vecchio, rottami, cos da non pagare dazi, tanto
l aveva gi iniziato a scaricare mezzo mondo. Aprii una societ,
bastava un milione di lire e nemmeno quello. Le tasse erano ridi-
cole, i contributi pure, la burocrazia anche. Una pacchia. Il Pae-
se di Bengodi per un imprenditore. Presi cento donne, dopo tre
anni erano gi il doppio. Facevo fare le tomaie e le suole che mi
servivano per le mie scarpe italiane, le facevo passare come mate-
ria prima, pagando poche imposte col sistema del trafco di per-
fezionamento passivo, una sigla strana, TPP, da esplosivo, ma che
racchiudeva mille possibilit. Le ragazze lavoravano dieci, dodici
ore al giorno, sei giorni e anche sette se serviva. Ogni tanto con-
cedevo qualche premio, ma i sindacati dovevano rimanere fuori
dalla porta. Cerano un paio dei miei a sorvegliarle, le pi carine
erano anche divertenti in altri modi, ma non dovevano alzare la
testa. Primo lavorare! Ho fatto tanti soldi, molti li ho lasciati l o
messi da parte in qualche paradiso, per i momenti bui. Che sono
arrivati. In Romania come da me, nel Nordest. E ora sto pensan-
do al da farsi. A Est ormai non c pi futuro, Europa. La Mol-
dova o lUcraina sono vicine, ma anche la Cina si fatta sotto. Il
mondo s ristretto. Forse arrivato il momento di tirare i remi in
barca, di godermi la vita. I ragazzi sono grandi. Potrei ritirarmi in
quella bella isola sul Danubio che mi ero preso, oppure ai Carai-
bi, in quel condominio ad Antigua che mi avevano consigliato di
comprare. E lItalia? No, quella nita. Una storia nita.
Infine al confine
Guido e penso, penso e guido, guardo e viaggio. Sono l e anche da
unaltra parte, in un altro tempo. Scorre la vita dal mio nestrino e
lingoia la strada sotto di me. Vorrei ma non posso, bea vita dietro
le spalle. Ma che cazz Lautostrada nuova di zecca e fa scorre-
re i turisti in due fondamentali direzioni: verso Zagabria, la capita-
le della Croazia che sembra una piccola Vienna post-comunista, e
gi verso Dubrovnik e la costa della Dalmazia, la quinta repubblica
marinara di Ragusa e il grande incanto di quel mare azzurro e sco-
glio che tante volte ho solcato in barca e che mi riempie di voglia
ancora. Spalato nel 1994 tra le mura e la piazza veneziana, il mar-
mo lucido del passeggio della gente, gli sguardi eri delle ragazze
sempre alte ma anche mediterranee, le isole vicine che si svolgono
come perle in una collana: Brazza dove avevo casa in unipotetica
parentela con Iride; Lesina Hvar con i suoi locali e le notti incen-
diarie; Lissa della battaglia e dellabbandono che non aveva porto
per diporto e un paese abbandonato dopo la guerra fredda; Lago-
sta-Lastovo che fa da ultima Thule e speranza di vacanza, senza la
ressa. Perch sono qui in macchina? Perch sono cos stupido da
non saltare in una barca a vela ad aspettare il tramonto per la cena
in trattoria o lalba per il tuffo da liberazione? Perch sono cos stu-
pido e solo? Perch devo fare unaltra rotta verso linterno, lumi-
dit, il caldo appiccicaticcio e stantio delle sterminate pianure del
continente, trovare unaltra strada, raccontare unaltra storia, come
Pausania, a cercare il mito e il sogno in una pietra, nellaltarino che
a est del nordest :o :; infine al confine
incontri a un crocicchio, nello sguardo del contadino incartapeco-
rito. Tanto so che l, tra quelle isole e il mare, ci sar sempre malia,
che il vero incanto di Medea quello: lipotesi di esotico, dOriente
e di mare che ogni volta si affaccia tra quelle mura e le callette stret-
te, la traccia di Venezia che simmerge nei minareti del Montene-
gro e nisce nel sole della Grecia classica, un mondo di scorribande
che sento profondamente mio anche se mai familiare. Una scoper-
ta continua perch so da dove parte e mai dove potrebbe nire: a
Istanbul e Beirut, al Cairo, a Damasco? E po pi in gi? Tutto par-
tendo da Venezia, il mio nido e base, un posto che mi sopporta e
supporta durante i sempre pi lunghi inverni. Un deserto di pietre
e acqua che diventa oasi. Che poesia! Che romanticismo! Che no-
stalgia! Meglio pensare a questa autostrada dallasfalto di cemento
che scorre monotona tra pianure e paesetti, campi di mais e illusio-
ni come quelle dei turisti che stanno scendendo a mare per godersi
il meritato riposo annuale. Anche loro ce lhanno fatta, come i cine-
si pi in l, come gli africani tra ventanni; la classe media che spen-
de e compra nalmente raggiunger quel benessere che permette
di spendere per stare meglio e ti fa star meglio se spendi, nendo
in depressione se non ce la fai pi e devi stare attento ai saldi, agli
sconti, ai bollini premio. Come accade qui, nei Balcani che un tem-
po erano iugoslavi e ricchi e che ora sarrabattono. Che vuoi farci,
quando ero giovane io, ventanni fa, mio padre aveva un signor sti-
pendio e io potevo andare in vacanza negli Stati Uniti per un me-
se, anche andare a scuola l. Si viaggiava dappertutto, avevamo il
passaporto e i soldi anche per farci una casetta, lauto nuova, luni-
versit allestero, ma era un altro mondo, cera la Iugoslavia, era-
vamo giovani e in mezzo al mondo. Ora siamo puri e divisi, e non
contiamo pi nulla mormorava Irena, che non ha neanche venti-
cinque anni, un padre da una parte, la madre dallaltra (tra conni
tipo Slovenia e Serbia). O forse s, che ne so. Mi sento di Spalato
ma non croata, e nemmeno balcanica o europea. Tutti quei casini,
le religioni, le razze, i lutti, bah. Stronzate. Mi viene in mente mia
nonna, la casetta che avevamo a Supetar, dove andavo da piccola,
senza acqua, luce. Facevamo il bagno, si pescava, mi godevo il sole.
E aspettavo che nisse la buriana, la guerra. Ma ora sono laureata,
devo trovarmi un lavoro. E c la crisi. Spalato rimane la mia citt.
Ripartir da l.
E io da dove riparto? Dal conne con la Serbia. La lunga slata
di paesetti e campi della Slavonia che nascondono ancora cicatrici
da guerre e mine si sta per chiudere alla fermata di Slavonski Brod,
Vukovar martire e delle stragi. Passaporti e poliziotti, prego, carta
verde, in Serbia non si scherza, qui non c ancora Europa e non ci
sperano come in Croazia. Il ghigno del poliziotto in nero mi ricorda
qualcosa, un altro tempo, conne, passaggio: Ungheria, 1985, Cor-
tina di Ferro, vecchie macchine da scrivere e Budapest davanti. Un
conne che si stava richiudendo su di noi facendoci abbandonare
le nostre conquiste. Allora passammo sotto la neve in Iugoslavia, in
alto, sopra Zagabria. La strada era quella di prima, gi fatta. Non
vorrei che forse
La Serbia rimane ancora un cuneo alieno in mezzo allUnione
Europea, un altro mondo che non vuole entrare, paese diverso. Ma
i ragazzi sono uguali! Lavrei scoperto in quella notte piena e prepo-
tente che non mavrebbe fatto dormire in un locale da musica viva
che si chiama ancora Iugoslavia e che ha disegnato sul muro la vec-
chia federazione unita. Un altro mito, come Tito. Ma il mito sono lo-
ro, i ragazzi con lassoluta propensione al presente di chi non si da
del futuro. Bea vita, eh! Ci si dice da noi, per convincerci che vero.
Io dovrei averla: un bel lavoro, una spiderina che funziona e un viag-
gio davanti. Gi, vero. Un sacco di possibilit. E un futuro dietro le
spalle. Proprio come loro, i balcanici. E forse anche gli altri, i rume-
ni, i moldavi, gli istri, i transnistri, i sinistri. I diversi. Gli stranieri. Io.
La prostituta
In n dei conti cosa pretendi per una sveltina? Questo busi-
ness, cinquanta euro, non puoi chiedere che un attimo di piace-
re, in n dei conti quanto ti sarebbe costato un invito a cena o
una serata in discoteca? Almeno con me non devi fare tante sto-
rie e inventarti romanticismi o tattiche: basta un schio e io ci
sono, pronta, calda, come una stufa, il tuo termosifone. Che poi
io sia una brava, unaltra faccenda. Di certo non mi spreco con
te che sei un pezzente, un impiegato, un lavoratore dipendente,
forse anche peggio, un operaio, che magari a casa ha una moglie
e un paio di gli, ovviamente uno maschio laltra femmina. Li ho
anchio, tutte e due femmine, a casa con i nonni. E le devo man-
tenere perch da quelle parti, a Giurgiu, dove passa il Danubio
e se ne va via senza considerarci proprio, non c niente. Solo il
ume. E i miei genitori hanno una pensione da fame, come tutti
gli altri nostri vecchi.
Cinquanta euro per dieci secondi di piacere, una seghina e
via. Vuoi la bocca? E allora paghi cento, mica mi spreco. E con
il goldone, ovviamente. Le negre costano meno, hai ragione. Pe-
r puzzano e sembrano tutte delle scimmie viste da vicino. Io in-
vece sono bionda, ho la pelle lattea e solo un attimo di pancetta.
Non sono come quelle tette e culi che vedi sempre in TV, per
mi ci avvicino. E poi mica dobbiamo passare la serata assieme,
quella ti costerebbe una fortuna e tu non ce lhai. Puoi solo so-
gnare di andare con una puttana di lusso, una di quelle che oggi
chiamano Escot, Escort, insomma, come la macchina. Quelle a
uno come te non ti cagherebbero nemmeno, vanno con i capi, i
politici, i banchieri, e costano. Magari mi potessi far pagare cos,
anche se ho delle amiche che si sono prese le loro soddisfazio-
ni dalle parti del lago di Garda. Girano con dei macchinoni e si
sono comprate pure casa a furia di fare marchette lungo la pro-
vinciale. Ma bisogna essere libere, non avere il magnaccia che ti
morde sul collo, che ti succhia il sangue, la vita e i soldi che fai,
che ti protegge e intanto ti strizza come un limone.
Merda! Sono una schiava, ecco cosa sono. Ma almeno vivo,
qui da voi c tutto, basta avere i soldi. E vivo meglio di quella
mia vicina di casa che fa la badante, meglio essere una puttana
che la serva di un vecchio bavoso. Ho fatto quella vita per due
mesi, dopo ho scelto di battere. Dieci minuti, cento euro, e vaiii!
Sono libera, la do a chi mi piace e per gli altri c lattenzione di
una macchina. Su e gi, hai presente i pistoni del motore? La ca-
tena di montaggio? Gi, proprio di montaggio. Siamo tutti mac-
chine, limportante saperlo e decidere quando smettere. Io so
quando. Appena ho fatto i soldi me ne vado, chiuso, stop. Tor-
no al mio paese a fare la signora. O forse no. In n dei conti qui
sono libera. Piaccio. Mi sbavate ancora addosso voi italiani fru-
strati, e mi regalate vestiti, gioielli, vacanze. L sarei solo una ex
puttana. E poi sai che noia, nel paesino, a guardare quel ume
pieno di merda.
:, la prostituta
Incubo e Alex
La strada ti entra nelle ossa e nella pelle. Lo cantava Finardi per
la musica, ma il viaggio fa lo stesso. Non come andare in barca,
in auto, non ci sono la natura, il vento, il mare a deviarti. Lunico
svincolo quello segnalato, lunica incertezza il cartello erra-
to. Non hai scuse dunque se sbagli o arrivi in ritardo. Per que-
sto diventa una corsa contro te stesso, un digrignare i denti, un
perderti nei pensieri ssando sempre lo sguardo avanti, alla stra-
da, allorizzonte. E quando il cielo si fa baluginoso, opaco, lafa
ti prende e ti soffoca, allora capisci che non sei soltanto di corsa
ma che stai mangiando i chilometri, che stai gi conquistandoli.
Per questo avevo scelto quella vecchia macchina dal rosso ormai
opacizzato dal tempo e da zero optional. Aveva storia, gi. Era
elegante, prima della mia cura. Ma, soprattutto, non ti face-
va sconti. Nessun servosterzo, aggeggione vario, vetri elettrici,
condizionatori. L sudavo e prendevo polvere anche se tenevo la
cappotta chiusa (e lo dovevo fare altrimenti cuocevo il cervello).
Quando hai davanti mille chilometri da fare in un giorno non
puoi permetterti tante pause o divagazioni.
Scorrevano le citt della guerra alla mia destra, Biha nella Bo-
snia serba, Tuzla e poi Sarajevo in quella musulmana, e prima Sla-
vonski Brod, i laghi di Plitvice. Sembrava che fossero solo fondali,
che dietro non potesse iniziare ancora la vita. Eppure nelle cam-
pagne i campi erano regolarmente coltivati, le case ricostruite an-
che se spiccavano come cicatrici i mattoni nuovi messi dopo gli
anni Novanta. Alexander Langer sarebbe stato contento di tutto
questo? Lui fu uno dei primi pacisti che chiesero lintervento di
guerra umanitario (che ossimoro schifoso) per liberare Sarajevo
dallassedio. Si suicid il 3 luglio del 1995, prima di Srebrenica e
delle bombe al mercato, prima della pace in forma di tregua e de-
gli accordi di Dayton che ancora oggi odorano di truffa e ambigui-
t ma hanno funzionato. Chiss che cavolo gli era venuto in men-
te, come poteva farsi ingoiare dalla disperazione uno cos? E io, e
tutti gli altri, che dovremmo fare? Lui era un viaggiatore leggero,
come si descrisse, un politico vero che sera impegnato no alla
morte per questi Paesi, per questo mondo che sentiva forse come
specchio dellEuropa dove faceva il deputato e che ancora oggi tie-
ne lontane queste nazioni e questa gente. Il sudtirolese che parlava
litaliano come da caricatura e che aveva il sorriso aperto e un po
intimidito del ragazzo di oratorio, del cattolico che si scusava per
la sua militanza politica, nella realt. Chiese allora, quindici anni
fa, limmediata integrazione nellUnione Europea dei Paesi che mi
stavano scorrendo davanti, di queste marche di conne che avevo
conosciuto e battuto anchio. E mise il dito in unaltra piaga, tutta
nostra questa volta: Occorre superare la dimensione degli attuali
stati nazionali (o pretesi tali) contemporaneamente in due direzio-
ni: verso il basso (con nuove e ricche autonomie) e verso lalto, con
ordinamenti federalisti sovranazionali, scriveva nel 1991. Profeti-
co. E azzeccato. E allora perch ti sei ucciso, cazzo? Avresti potuto
aiutarci in questi quindici anni di melma e contraddizioni, avresti
potuto aiutarci nei prossimi quindici, trenta, a superare il rinco-
glionimento del berlusconismo e la guerra preventiva di Bush, il
pantano afghano e il trituramento dellIraq, la nuova Cina arrem-
bante e le crisi da nanza di carta che ammazzano il welfare, la sa-
nit e la scuola pubbliche, le conquiste dellEuropa sociale, quello
che ci ha fatto diversi dagli americani e dagli ex comunisti, quel-
,: incubo e alex
a est del nordest ,: ,, incubo e alex
lo che ci fatto diventare un faro oco ma pur sempre una luce in
questo mondo di lupi, una terra promessa per i fratelli dellex area
comunista. Porca vacca, merda.
Per fortuna che c la strada da conquistare e il motore che va
e mi porta via questa malinconia.
Per fortuna che respiro e sogno ancora di vedere posti diversi
per capirci di pi io.
Per fortuna che sono ancora un po scemo e ho energia da
buttare.
Per fortuna che Vukovar gi passata, con i suoi fantasmi di
massacri e chi ha iniziato prima a massacrare, e che arriva il con-
ne assurdo.
Serbia. Solo Serbia. Stop con federazioni, nazioni, repubbli-
che altre. Ormai sono rimasti solo loro. E rischiano anche di
frammentarsi ancora in Vojvodina o Sangiaccato.
Il caldo infernale, non c vento. Per fortuna neanche code.
Il cartello in cirillico mi fa strano e gi straniero. Controlli pochi
e distratti. Tanto che cosa vuoi che faccia uno cos, al massimo
andr a divertirsi a Belgrado alla caccia di qualche ragazzetta che
ci casca con la macchina scoperta. Gi, questo era il mio proble-
ma quando la comprai, tredici anni fa, gi usata da sei: sarebbero
venute con me per la macchina? Per questo lho sempre un po
trascurata questa spiderina, per non darmi arie e fare il cafonal.
Quindi botte e graf rimasero. Lunico vero intervento fu dopo il
cappottamento. Lo dovevo fare, era ridotta a un ammasso di fer-
raglia, un osso spolpato da un cane molosso. Mero salvato per
miracolo, credo, e sbalzato proprio di fronte a una bella croce
con nome in orizzontale. La bestemmia strozzata in gola e anzi
tanti rigraziamenti al Signor Creatore. Puro culo.
E ora eccomi qui, stessa auto, ottocento chilometri pi in l,
in Serbia. Erano serviti a qualcosa tutti questi anni? Forse avevi
ragione tu Alex, ma cosa vuoi, se ti arriva il messaggio di salvezza
non puoi buttare via niente di quello che rimane. Oh, beninte-
so, senza fare il santo e il missionario, eh! No, no, credo che a un
certo punto quello che conti vivere bene, al massimo ma senza
esagerare. Se poi chiedessi a Vasco cosa vuol dire esagerare lui
risponderebbe in maniera un po diversa rispetto al signor Rossi.
Rispettare se stessi e gli altri, questo lundicesimo comandamen-
to che cerco di seguire prima di tutti gli altri che non ricordo mai
come i nomi dei sette nani.
Il sorriso malizioso e la cannuccia tra le labbra, ma non capi-
sce niente di quello che dico. Lei proprio bella, mora, piena,
un po selvaggia. Sta fra due amiche e io intimidito a tre metri,
osservo, seguo come un cane in cerca di padrone. In italiano cer-
co di attaccare bottone in mezzo a quella bolgia ma ogni sera
cos qui?! di musica, birra, luci che riempiono quella notte
qualunque di Belgrado. Lei mi sorride, scuote la testa, io ripro-
vo in inglese a dire qualcosa di simpatico, ma lei viene di nuovo
assorbita dalle amiche, dalla musica, dal ballo e mi dimentica, mi
dimenticher per altre tre ore, no a quando la notte si spegne
nellalba, quando anchio non ho pi forze e la saluto frettoloso
e ingobbito trascinandomi sorpreso fuori in un giorno che stava
gi riprendendosi tra le strade della citt vecchia. Gente ce nera
ancora in giro, evidentemente qui ci danno dentro sempre.
Ma questo sarebbe successo al ritorno, in una notte che sa-
rebbe dovuta nire in un hotel a quattro stelle dove avevo la-
sciato il mio nome e che non avrei mai pi raggiunto causa fe-
ston in quel locale budello nei sotterranei di Belgrado. Avrei fat-
to un pisolino in una piazzola dellautostrada pi tardi, col sole
gi caldo e il conne vicino ad aspettarmi con i suoi cinque chi-
lometri di coda da emigranti turchi di ritorno. Gli esodi biblici
sono questi, oggi.
a est del nordest , ,, incubo e alex
Ma ora invece cera da conquistare il Danubio e quindi Bel-
grado pass intorno a me dallautostrada che solca il cuore del-
la citt, su un grande ponte che scorre proprio sopra il Danubio
e poi la Sava, imbottigliato da una coda molto cittadina da post
ufcio che mi avrebbe fatto arrivare al conne con la Romania
e lUnione Europea solo a sera, mannaggia. Palazzoni e pubbli-
cit, Yugo modello Fiat dantan e SUV neri intorno a me, quasi,
quasi una capatina in citt, magari a Novi Beograd, dove stavano
nascosti Karadi e Mladi, i macellai dei Balcani. No, meglio al
ritorno. Ora cera da andare avanti. Ma dellautostrada non ne
posso pi e poi c da fare questa scorciatoia per non nire a Ni
e tagliare dritto. S, s, andiam. Esco nella periferia di Belgrado, la
cartina parla chiaro, Panevo e poi Poarevac, cio Passarowitz
della pace che inchiod Venezia e ingrand a dismisura lAustria
ai danni della Sublime Porta. E io, chiaramente, mi perdo. Stra-
dine di campagna, paesotti insignicanti, tortuosit e boschi e
campi e nulla. Poi buio, freddo, ma dove sono nito? Tutto si
fa indistinto e non solo perch ci vedo sempre peggio da miope.
Questo posto, questi posti sono assurdi, sembrano sconvolti dal
passaggio di un gigante. Montagne sergono allimprovviso nel-
la campagna quasi piatta, le strade prendono svolte impossibili,
solo un pazzo potrebbe averle disegnate. Ma dove sono nito?
Guido per ore in mezzo a quel caos cercando di raccapezzarmi in
una strada che in teoria dovrebbe essere dritta e lineare e invece
un tormento di fari negli occhi o curve nascoste. Pazzia. Deve
nire questa pazzia. Alla ne sbuco in un paese che scimmiotta
una citt, con quattro cinque simil grattacieli spuntati dal nulla ai
bordi della strada. C un albergo. Parcheggio davanti esausto ed
entro. Tutto parla comunista, a partire dalla moquette di pelo di
plastica muschiata, ai televisori a colori incerti, al truciolato alle
pareti da nta baita, alla faccia sorita e mal truccata della custo-
de di quel posto da Shining. E come nel lm con Nicholson mi
sarei sentito per tutta la notte. Sobbalzando a ogni latrato, sire-
na, urlo umano, alzandomi in piedi a controllare dal mio poggio-
lo se mavessero fregato la macchina parcheggiata sotto in strada.
Ero troppo stanco per continuare e troppo esausto per dormire.
Non mangiai niente e riposai ancora meno in quel letto sfondato.
Lunica consolazione che nessun italiano, ma che dico, nessun
occidentale forse si faceva vedere da quelle parti da anni. Ero un
vero esploratore. Pi esattamente, un vero pistola.
Alla ne allalba mi appisolai con un ultimo controllo e il gior-
no dopo ritrovai lauto, miracolo! Feci una colazione a base di
uova alla coque e marmellata di polistirolo. Ma dove ero nito?
Maschere per un curdo
Mi hanno portato a insegnare a fare le maschere veneziane pri-
ma a Iai e poi nella capitale di quellaltro posto, dello stato pic-
colo con cui conna, Moldova si chiama, gi. Per fortuna io ci
sono abituato a queste divisioni, anche dalle mie parti, in Kurdi-
stan, siamo persi in cinque o sei nazioni, dalla Turchia allIran.
Anche se oggi un posto nostro ce labbiamo, al nord dellIraq,
dove niscono il casino degli arabi e anche le bombe umane. Da
noi a Mosul, da dove vengo io, non ci sono pazzi fanatici, so-
lo gente che vuole chiudere col passato, con Saddam e Osama,
col casino. Certo, qualche attentato c ancora, ma vuoi mettere
con quando ci gasavano i baathisti? Con i massacri del tuo ami-
co Tarek Aziz? Io sono scappato da l da ventanni e passa, ero
gi un oppositore, uno che lottava per la libert del mio popolo,
e sono nito a Venezia a fare architettura, studente, quando an-
cora lItalia era aperta e la citt sullacqua un sogno strano, una
piccola Babilonia. Mi hanno ospitato amici, fratelli di paese, mi
sono trovato bene e ho imparato un mestiere. No, non quello di
pizzaiolo al taglio, no, un mio compaesano ne ha messe in piedi
cinque o sei, fa i soldi quello. No, io ho iniziato a fare maschere,
quelle per il carnevale, baute e roba del genere. Mi ha insegna-
to un amico argentino, era rinato il carnevale, veniva un sacco
di gente, era una festa di popolo, una marea umana assediava la
citt, una bolgia, bella anche, un caos! E tutti volevano un ricor-
do, qualcosa di unico.
Iniziarono a spuntare i primi laboratori, ma non bastavano.
Cera bisogno di gente, non un lavoro semplice. Devi imparare a
fare limpasto, il cartone arriva dalla Germania, particolare, rici-
clato e compresso, e poi bisogna usare la colla giusta, e le decora-
zioni. Per una maschera basica, una di quelle bianche, ci metti cin-
que minuti, poi c da aspettare che asciughi. Ma per una comples-
sa ce ne vogliono di pi, con tutti quei brillantini e colori, unora,
due. Ma si vendevano bene, io nelle due settimane di carnevale
guadagnavo anche cinque, dieci milioni. Ora pi difcile, c la
crisi, leuro, la concorrenza. A Venezia vendono tutti maschere o
vetro di Murano, n luno n laltro lo fanno l, quasi tutto arriva
da fuori, dalla Cina, dallAlbania (a Scutari ci sono due o tre fab-
briche di maschere, ma da anni!), dalla Romania. Solo che non
un lavoro facile, bisogna insegnarlo, ci vuole pazienza.
Io sono stato a Iai in inverno, un freddo, peggio di Venezia.
Cerano una ventina di donne in uno scantinato, ognuna col suo
banchetto, la colla, i colori, le maschere arrivavano dalla Cina o
chiss da dove. Loro dovevano solo imparare a lavorarle. Un eu-
ro, una maschera. O anche la met, non so. Io insegnavo e basta,
volevano farmi diventare socio, aprire una fabbrica come quelle
albanesi. Ci abbiamo provato, ne ho portate in Italia migliaia, in
macchina, tutto regolare eh! Ma poi, quando si sono spostati in
Moldova o Moldavia? Come si dice? li ho mollati. Ora lavoro a
casa mia, e vendo ai negozi che conosco. Io mi do di loro e loro di
me. Campo, metto da parte qualche soldo, ho quasi cinquantanni
e voglio tornare in Kurdistan. Oggi si sta meglio l che qua, e c
un futuro. Tutto da fare, ma c un futuro davanti.
,; maschere per un curdo
Miniere a cielo aperto
In una citt fantasma. Con una chiesetta ortodossa rattrappita
tra casermoni comunisti, una stazione di servizio arrugginita e
un ponte che stava su un torrente aspro. Troppo grande quel po-
sto per essere in mezzo al niente e per giusticare due alberghi,
anche se in disfacimento come quello dove avevo dormito. E la
natura non sembrava certamente cos incantevole. Decisi di an-
dare a investigare. Tanto erano le otto di mattina, avevo tempo
prima di ritornare in viaggio verso R. Tirai gi la cappotta per
godermi di nuovo laria libera dopo la notte da incubo. Un chilo-
metro tra bordi sempre pi rosicchiati, con una polvere grigia ad
alzarsi a ogni colpo di vento, un caldo gi soffocante, e poi sapr
quella mostruosa ferita. In fondo il umiciattolo faceva tristez-
za, intorno le pareti di quello che doveva essere un canyon erano
state metodicamente mangiate aprendo una valle perpendicolare
che si buttava gi per cinquanta, cento metri in angoli innaturali.
Nessun albero viveva l, neanche un animale aveva deciso di far-
si una tana o un nido. Un cartello sul ciglio della strada vietava
qualcosa, di guardare, fotografare, capire, presumo. Lopera co-
lossale di disfacimeno continuava no a perdita docchio, chiss
per quanti chilometri. Chiss cosa cercava l luomo da anni, che
preziosa risorsa fosse stata ad aver scatenato quellinsaziabile fa-
me che ancora divorava tutto.
Avrei ritrovato pi tardi, nella terra di R., unopera cos con-
tundente e pervasiva, solo che l cerano ancora uomini e tracce
di uomini allopera, nastri trasportatori che si allungavano per
chilometri come serpenti, torrette di snodo, scavatrici, camion
a solcare le viscere di quella terra smossa a cercare chiss cosa
(carbone?), guardie a sorvegliare il tutto. L invece, ancora in
Serbia, era rimasta solo limpronta del gigante caduto. Tutto era
immobile, abbandonato. Morto. Una miniera fantasma per una
citt fantasma. Mi venivano in mente quelle scene da lm we-
stern, il deserto che avanzava, i cartelli che sbattevano schioda-
ti dal vento e i binari arrugginiti che nivano nella montagna.
nito il grande duello tra la Serbia e il resto del mondo, il pisto-
lero balcanico stanco e ha abdicato anche sul Kosovo in cam-
bio della pace e della Fiat Zastava. Meglio lEuropa che i sogni
in Grande, la Iugoslavia era morta per sempre l, in quel budello
di sviluppo sfruttato. Rimaneva solo il fantasma di Tito che aleg-
giava come un progresso mutilato, come quella valle a due passi
dallUnione Europea.
,, miniere a cielo aperto
Loperaio serbo
Noi abbiamo bisogno dellEuropa, del Kosovo non me ne fre-
ga niente, altro che culla della Serbia, roba solo per preti e con-
tadini nostalgici, io voglio star bene, comprarmi unauto che
funzioni meglio della vecchia Yugo, e farmi le vacanze al mare
non in Montenegro, che costa carissimo, ma in Grecia, dove il
mare pi blu. E magari in Italia, dove si mangia bene e ci so-
no anche delle antiche citt da visitare. Io voglio la Fiat, la Ma-
gneti Marelli, la Benetton, le loro fabbriche, gli stipendi di 400
euro, un futuro alla Marchionne. Un lavoro sicuro per i prossi-
mi ventanni, tanto qui che quelle, le multinazionali, vogliono
investire perch stanno fuori dallUnione Europea, hanno van-
taggi scali, gli diamo gratis anche le aree perch altrimenti ri-
marrebbero inutili.
A Kragujevac ci sono 20.000 disoccupati e le fabbriche anco-
ra bombardate da voi nel 1999, dai vostri Tornado e dai caccia
americani. Noi vogliamo tornare a fare quello che facevamo pri-
ma. Negli anni Sessanta costruivamo la 1400, una specie di spi-
der, e la 600, lutilitaria che poi utilizzava la Milicja, la nostra po-
lizia che mitragliava multe ai vostri turisti distratti. Ora facciamo
la Punto e la prossima auto per la vostra classe media. Dici che
non esiste pi la borghesia in Italia? Che se l mangiata la crisi
degli ultimi dieci anni? Che i vostri stipendi sono fermi, anzi van-
no indietro erosi dallinazione e dai costi della vita in euro? Ma
voi almeno leuro, la paga, la cassa integrazione ce lavete! Con
gli ospedali che funzionano e una pensione decente. Sai quanto
prende un nostro vecchio? Duecento dei vostri euro al mese, so-
pravvive, se ha una casa sua. Altrimenti fa la fame ed costretto
a vivere con i nipoti e i gli, come se fossimo tutti tornati alluni-
versit.
Noi abbiamo diritto a un futuro, a un po di benessere. Ci
avete tenuti esclusi, rinchiusi nel ghetto dei Balcani per ventan-
ni perch eravamo i cattivi, i sanguinari, i reprobi, peggio degli
albanesi e dei rumeni eravamo. Ma ora quelli sono in Europa e
avete bisogno di gente che sa lavorare come me e di meno rego-
le, avete bisogno di stare fuori dallEuropa per fare concorrenza
ai cinesi. E venite qui a fare le calze Omsa, le tegole, i mobili, il
vino dopo aver gi comprato tutte le banche e le assicurazioni e
le compagnie telefoniche. E noi non vediamo lora che arriviate.
Venite, venite, le streghe son nite. Ora il tempo dello svilup-
po, del capitalismo. Forza Fiat!.
: l

operaio serbo
Ritorno al passato
Saltai sulla mia cavalcatura e diedi di speroni, oooops, di acce-
leratore. La mazdina slitt sul ciglio sterrato e diede un balzo
sullasfalto, riprendendo la strada verso Oriente. Salutai la cit-
t fantasma con soddisfazione, non mi avevano fregato la mac-
china, incassai un paio di sguardi stupiti dei passanti, per lo pi
vecchietti, e minerpicai in salita. Ben presto mi inlai in una bo-
scaglia tta ma non assillante che lasciava ltrare la luce del sole
e sapeva di muschio, di fresco, di vita. Un paradiso rispetto alla
morte che lasciavo alle spalle. Mi lanciai in una galoppata sfre-
nata, prima, seconda, terza, curva, derapata, frenata, sole, vento,
libert, libert. Poche volte incrociai segni di vita umana, un pa-
io di macchine parcheggiate al limite degli alberi, unauto che mi
incroci senza fari in quella penombra acquosa, poi niente per
unora, due, tanto che cominciai a preoccuparmi, e se avevo sba-
gliato strada? E se mi stavo inlando di nuovo in una corsa allu-
cinante verso il niente? E se qualcuno mi avesse fermato, pisto-
la in pugno? Altro che cavaliere solitario, alone ranger, solo un
allocco. Mi avrebbero lasciato in mutande e a piedi in mezzo a
quel nulla che di notte chiss cosa sarebbe diventato, bella ne
da pistola! Non potevo che sorridere a quellio spaurito e senza
nessun tipo di risorsa al ciglio di quel niente pieno di natura. In
n dei conti era la ne che avevo sempre temuto in ogni viag-
gio e che mi aveva sempre disperatamente tentato di organiz-
zare missioni di gruppo, avventure almeno in due, compagnie
anche brancaleoniche ma almeno nutrite. Invece ero l, ai con-
ni della Serbia, da solo, con una vecchia auto che aveva vissuto
tempi migliori come me e come unica consolazione il serbatoio
pieno, anzi, per tre quarti pieno perch ne avevo gi consuma-
to un bel po quando nalmente arrivai in campi aperti, fuori
da quella foresta di Sherwood. E subito mi assal il profumo del
mare, quellidea di roccia assolata, odore di erbe selvatiche e sal-
mastro che ai Greci disperati in cammino da anni n dai deserti
dellAsia farebbe urlare thalassa, thalassa! Mare, mare.
Mi viene in mente Ulisse, il mio eroe Bakim Fehmiu morto di-
silluso a Belgrado, lui, che era anche albanese; e anche il trip di
Giasone, la sua Argo e gli altri nobili viaggiatori che fondarono
forse Lubiana, il cui fantasma avevo gi incontrato a Fiume. E in-
vece era il Danubio. Ma era come se avessi conquistato il mare, il
mio mare, quello di Mezzo.
Bello e possente scorreva, la sua acqua era verde di smeraldo
tra le pendici rigogliose o rocciose di quella valle che aveva co-
struito nei secoli e nei millenni prima di arrivare al Mar Nero.
Gagliardo e orgoglioso scorreva lambendo campi ben coltiva-
ti e case coloniche, orti e frutteti che gentili digradavano verso
lacqua benigna protetti da vecchie fortezze e castelli. E poi si
rinserrava in una gola, sommergendo un antico villaggio turco.
Qui le chiatte che arrivavano dal nord portando legna o car-
bone o altri beni lavano nel vento caldo e pieno che arrivava
dal mare, scommettevo, malgrado mancassero mille chilometri
a quel mare. Ma forse era vero, forse quel dio dacqua che sol-
cava e univa lEuropa aveva uno sbocco anche sullAdriatico,
precipitava anche di fronte allItalia, allEridano Po, aprendo
una possibile porta a quel viaggio fantastico cantato da Orfeo e
narrato da Apollonio Rodio, un viaggio pi grande e comples-
so dellOdissea.
, ritorno al passato
a est del nordest
Fermai la mia fedele compagna e mi issai su una roccia prima
di una galleria. Il vento mi agitava i vestiti asciugandomi il sudo-
re e mi riempiva della luce limpida riessa dallacqua dolce lag-
gi; essa si perdeva tra le tortuose anse per mille e mille chilome-
tri in su verso il cuore dellEuropa e in gi no alla sua ne e al
Mar Nero. Garrirono le trombe della chiatta, forse mi salutava o,
pi probabilmente, avvisava chi, dopo lo sperone di roccia, stava
risalendo che arrivava. Laltra sponda era a un passo, Romania!
Ma solo pi avanti, quando la valle si sarebbe aperta e il grande
ume impoltronito in un lento e stanco uire, avrei potuto var-
carlo. Laggi, dove il suo corso sbarrato da anni dalle Porte di
Ferro, la gigantesca diga da centrale elettrica costruita dove Tra-
iano aveva gettato un ponte tra Occidente e Oriente, tra Latini e
Barbari, tra montagne e pianure, quelle pianure che si sarebbero
allungate no alla ne della terra, al Catai.
Il rumantirom
Li odio, li odiamo, ci danno fastidio, perch vergognarsi a dirlo
se lo pensiamo. Sono diversi, se ne fregano di stare in un posto,
mettere radici, comprar casa. Li accusiamo di rubare, di spor-
care, di mendicare, di sfruttare i loro bambini e rapire i nostri.
vero, siamo diversi, a loro non interessa piantare le tende una
volta per sempre, vogliono essere liberi, di errare, cambiare, im-
migrare, di non pagare le tasse, le bollette, i debiti. Hanno il loro
Elvis, le loro Madonne sporche e con la faccia scura il cine-
ma e la musica, hanno il cielo e le stelle a guidarli come i nostri
Magi, che loro pensano siano della stessa razza perch arrivano
dallAsia, dallOriente. Hanno i carri ma soprattutto le Merce-
des, i camper e le roulotte, anche se le sequestrano i poliziotti
quando sono parcheggiate vicino alle nostre case, ai nostri nego-
zi, nelle nostre citt. Cosa volete, da sempre ci prendono in giro,
ci guardano come degli scemi perch ogni giorno andiamo al la-
voro, ci tirano le maledizioni quando non gli diamo lelemosina,
come se fosse obbligatorio! Siamo vilipesi e offesi da quegli es-
seri. Ho capito che li hanno sterminati, ma alzi la mano chi non
ha pensato una volta, una volta sola! a bruciarne qualcuno.
S, degli ebrei si parla sempre, lm su lm, il popolo eletto e s-
gato, loro invece niente, nessun ricordo, nessuna Giornata della
Memoria, ci sar una ragione! Non ditemi perch ne hanno fatto
fuori la met o un quarto degli ebrei. Eppure si accanivano su di
loro come sugli altri, nei campi ci sono niti e sono stati brucia-
a est del nordest o ; il rumantirom
ti, sezionati, torturati scienticamente, per fare esperimenti, eu-
genetica la chiamavano. Eppure nessuno ne parla, nemmeno gli
ebrei. Al massimo si ricordano di loro nelle omelie dei preti pi
spaccaballe e negli articoli strappalacrime natalizi, la piccola Iri-
na, la triste Giulia, la sfortunatina Daniela, cinque, sei, otto an-
ni, che camminano per ore per andare a scuola, e prendono i bus
per poi tornare nelle loro baracche di periferia e di cartone, sot-
to i ponti, con la stufa a legna o quella a gas che rischia sempre
di esplodere e di uccidere qualcuno. E poi vedi le foto di quei
tuguri e hanno sempre la TV con lo schermo piatto e il mangia
dvd che neanchio posso permettermi, sicuramente rubato! Per
questo ci passiamo sopra con le ruspe. E non veniteci a chiede-
re di metterli in una casa popolare che non c posto nemmeno
per i nostri, per quelli che pagano le tasse. I campi attrezzati? Gli
darei io il campo col campo quelli ti fanno subito un accam-
pamento e chiamano zii, cugini, nonni, nipoti, in pochi giorni ti
ritrovi in cortile una trib, puzzolente per giunta. No. No. Lo so
che non li capiamo, proprio non capiamo come si pu vivere vi-
cino a una discarica dove i riuti fumano per autocombustione e
i loro bambini ci razzolano dentro per rubare qualcosa, oppure
in un parcheggio di una tangenziale. Ma a loro piace cos, sono
arrivati col Sultano ottomano per battere il ferro e fare pentole
mezzo millennio fa e ora girano con la Mercedes o il camper al
posto dellasino o del cavallo. Non sono vittime! Non sono vit-
time perch non sono e non vogliono diventare come noi. Ci ac-
cusano di essere schiavi delle cose e loro invece sono liberi come
laria, hanno la musica, i balli, le storie e i fuochi, i matrimoni e
le feste, le famiglie e i ricordi di tanti posti. Che si fottano! Che
stiano fuori dalle palle. E poi questa storia assurda, che hanno il
nostro stesso nome, basta, stop, niente pi rom, solo zingari, al
massimo gitani li dovranno chiamare. La Romania unaltra co-
sa. Non vogliamo confonderci, mischiarci con loro, noi siamo
cittadini europei e loro sono solo dei nomadi, degli accattoni, dei
bugiardi, dei ladri. Dicono che tutti quanti arriviamo dai Roma-
ni!!! Siete fuori di testa, tutti quanti, la crisi vi ha mandato nel
pallone, avete bisogno innanzitutto di nemici. Sono loro quelli
scuri, sporchi, poveri, luomo nero che passa e va, che si nascon-
de vicino alle scuole per rapire i tuoi teneri bambini per poi but-
tarli in mezzo alla strada a farli mendicare o peggio Noi siamo
diversi, noi siamo rumeni e loro non sono pi rom, no, c una
legge. Chiamateli zingari, singani, gipsy, ma non rumeni. Noi sia-
mo diversi. Noi siamo europei.
Porte di Ferro
Uno ha in mente un castello protetto da un ponte levatoio e da un
portone gigante spesso e cigolante. L, in fondo, stava invece una
strada dacciaio lunga cinquecento metri pi o meno, larga cinque,
alta chiss quanto, forse dieci. Chiss cosa doveva essere secoli fa,
ai tempi dei Romani. Oggi una diga mastodontica ma tutto som-
mato placida, come lacqua che fermava e indirizzava a tonnellate
producendo da grandi turbine lenergia elettrica per rifornire in-
nanzitutto i cento lampioni che la segnavano. Di l iniziava la Ro-
mania.
Ce lavevo fatta, dopo due giorni e 1100 chilometri ero arrivato
al conne, di l iniziava il mio vero viaggio.
Mi sentivo svuotato, senza pi un obiettivo e con lacuta con-
sapevolezza che tutta quella galoppata non avesse senso. Potevo
pensarci prima, eh? Questo il problema quando fai da solo, puoi
prendertela solo con te stesso e devi contare su una persona che
purtroppo conosci abbastanza bene, sai quanto debole, incerta,
volubile. Stupida. Che poi stia scrivendo su quel viaggio mi po-
trebbe far capire che qualcosa sia servito, ma poi sar pubblicato?
E apprezzato? E citato?
EEE EEEEEE EEEEEEEEE, niente sirene in giro, nessun incanto
femmineo, solo il caldo e lasfalto della strada che saliva sulle Por-
te di Ferro. Bandiere svolazzanti, poche auto e ancora meno TIR
per strada, sembrava che i pi scegliessero altri varchi per entra-
re in Europa, che quella fosse proprio una frontiera militarizzata e
super controllata come le garitte e il muso dei poliziotti voleva far
credere. Alzai le spalle, potevo anche sputare per terra come un
vero cowboy, non lo feci. Non avevo nemmeno il cappellone, solo
un cappellino da baseball di lanetta che mi proteggeva s dal sole
quando non avevo la cappotta come in quel momento ma mi face-
va bollire anche il cervello, come in quel momento. Niente da fare,
cera in me sempre un sottofondo di imbecillit che non riuscivo
proprio a togliermi, un che di nave che ritornava sempre a galla,
per questo forse non ho fatto mai carriera.
Mi feci forza e mi presentai alle forze dellordine che scrupolosa-
mente ispezionarono dappertutto questo viaggiatore in spider, fa-
cendomi aprire cofano e sportello dietro, aspirando gli odori e cu-
riosando sulle mille stronzate depositate in unauto che sembrava
piccola ma che aveva tanti anfratti dove le cose sparivano per secoli
e ricomparivano dopo millenni tipo paradossi quantistici o punta-
te di Lost. I doganieri serbi erano vestiti di blu scuro e avevano la
faccia scanzonata, capivi che erano l per dovere ma che se entrava
anche un dinosauro o un carretto di cocaina a loro interessava gran
poco. Quelli rumeni, non appena individuata la targa italiana, in-
vece si diedero un gran daffare. Deve essere lo stesso meccanismo
che si innesca quando vai in un locale nuovo e paghi e quelli ti dan-
no lo scontrino, ti chiedi se sembri uno della Finanza o se sei stato
sorteggiato per vincere il premio regolarit dopo unevasione dura-
ta due ore. Ecco, io ero levaso dallEst verace e ancora turbolento
che rientrava nellalveo dellUnione Europea e veniva controllato
accuratamente per essere riaccettato nel mondo civile.
Questo pensavano i ragazzi col mascellone e le mostrine della
NATO in Romania mentre esploravano la mia auto sempre pi per-
plessi non solo perch non trovavano i chili di droga che sospetta-
vano avessi contrabbandato dal Kosovo in Serbia per poi rivender-
li a Costanza sul Mar Nero dove imperava la festa modello Rimini.
, porte di ferro
a est del nordest ,c ,: porte di ferro
Era ovvio, quella era una rotta classica dei trafcanti di droga, anda-
re verso la Turchia invece che verso lItalia per confondere le acque,
dare le vertigini e provare le capacit delle attente forze dellordi-
ne appena entrate nella grande famiglia della legalit. E poi cosa ci
faceva una spider al loro conne, che cosa aveva in testa quel de-
ciente che si fa mille e passa chilometri per venire da Noi? No, no,
doveva esserci un trabocchetto, un secondo ne. Lunica altra spie-
gazione che dovesse sposarsi una delle nostre ragazze, magari una
del paese. Pensiero che moltiplic i loro sforzi per trovare qualche
problema, venivo anche a rubargli le donne, io, cos pasciuto e ricco
da ostentare una vecchia macchina quasi arrugginita!
Alla ne il caldo li vinse e mi mollarono. Ero solo quello che
sembravo: un pistola che invece di andare a farsi una vacanza in
Costa Smeralda, a Cortina o a Taormina, era venuto l a rimor-
chiare. Chiss cosa avrebbero detto e pensato se mi avessero vi-
sto due giorni dopo ripassare da l. Ma non lo far, cari, io esco
dal vostro Paese pi in basso e vi lascio con un palmo di naso e la
sensazione che possa avervi contrabbandato chili di eroina sotto
il naso. Piuttosto, non che davvero qualcuno me li ha nascosti
nel serbatoio a mia insaputa, magari nella citt mineraria, e ades-
so sto rischiando la galera? E in Romania non scherzano pro-
prio. Da noi non come in Italia, qui c la certezza della pena,
e quando nisci in gattabuia si dice cos?! ci stai per tutta la
condanna, e senza tante comodit. Niente TV, acqua solo fredda
dinverno, e poche visite. Ti raccomando poi le prigioni, se stan-
no ancora in piedi un miracolo, ma la nostra polizia si fa rispet-
tare, mi aveva spiegato a suo tempo Gregorj (nome di fantasia),
ex poliziotto che ora fa il muratore nel mitico Nordest, uno che
mi ha fatto sempre pensare a un agente segreto della Securita-
te malgrado il sorriso largo e avvolgente e le spalle poderose da
pugile. Non so perch, ma quelluomo cos concreto e attivo mi
sembrava troppo preparato per essere stato solo un manovale nel
suo paesino vicino a Timioara.
Era in Italia da quindici anni, aveva imboccato la strada inver-
sa delle fabbriche del Veneto e laveva fatto in clandestinit, ov-
viamente. La sua storia era appassionante e piena di buchi, come
quella di molti suoi compatrioti che ora avevano una famiglia e una
vita alla luce del sole e allora scappavano innanzitutto da loro stessi
e da un sistema, credo. Non erano convinti che il comunismo fos-
se veramente nito, anche perch al governo cerano gli stessi di
prima, spiegavano a mezza bocca. E loro lo sapevano bene. Come
sapevano bene come si viveva ora in Romania. Ogni mese spediva-
no quei 200-300 euro che servivano a mantenere un glio, una mo-
glie, una madre e qualche parente maschio alcolizzato. In cambio
ricevevano notizie e aggiornamenti dal fronte dello sviluppo e della
crisi, che da loro mordeva di pi, con rivolte di piazza (incassa tu
un taglio degli stipendi del 25%) ma che in n dei conti assorbi-
vano anche con disincanto balcanico: Noi a penare ci siamo abi-
tuati, prima cera la crisi, ora tornata, ci arrangeremo. E quindi
quando scoppi la polemica sugli immigrati, presi, ripresi, depor-
tati e rilasciati, sorridevano: Voi europei siete cos, gridate, vi lan-
ciate in crociate e poi ve ne dimenticate per unaltra emergenza.
Non avete capito che con noi dovrete sempre aver a che fare, che
noi siamo il vostro presente e, temo, il vostro futuro. Che cosa in-
tendi dire Gregorj? Tu lo sai bene, Mauricio, la questione ora se
voi diventerete come i rumeni o noi come gli italiani, o, per meglio
dire, se tutti diventeremo come i cinesi oppure i cinesi come noi.
Nel frattempo i cinesi serano accampati di fronte alla loro am-
basciata a Bucarest come dei terremotati, sbattuti fuori dai can-
tieri delledilizia arrembante della capitale dopo esser stati fat-
ti entrare di contrabbando senza passaporto. Chiamala se vuoi,
globalizzazione.
Lo zio
Qui, come in tutto lEst, quello che conta solo il denaro. For-
se era cos anche prima, quando cera il comunismo, ma ora non
hanno pi scuse ideologiche, mirano solo ai soldi. Neppure al po-
tere, quello arriva dopo. Paghi e puoi avere tutto. Come da noi, in
Occidente. In TV vedi i ragazzi in la per farsi assumere come po-
liziotti e ti dicono candidamente che lo fanno per poi taglieggiare
gli automobilisti o i commercianti, in divisa ti viene meglio. Certo,
ci sono anche brave persone, ma la societ malata o distratta o
solo ectoplasmica. Io mantengo dei vecchietti che altrimenti non
potrebbero sopravvivere, qua le pensioni sono bassissime, non ri-
esci a campare e la gente si deve arrangiare, per fortuna ha lorto.
Ed abituata. Lo faceva prima con Ceauescu, lo fa ora con que-
sti qui che comandano, e sono sempre gli stessi, si sono solo pal-
leggiati i posti e si fanno la guerra a colpi di scoop e inchieste, ar-
rivando a manovrare le indagini e anche le TV. Ma sono storture
che non ci dovrebbero sorprendere molto, non le vediamo anche
dalle nostre parti, in Italia?
Qui a Bucarest ho comprato una trentina di palazzi, in centro,
di quelli liberty, bellissimi un secolo fa, ora sono cadenti. Stanno
l, aspetto che passi questa crisi, appena riparte il mercato, e non
sar prima del 2012 o del 2013, io vendo. Sono un contadino del
mattone, prendo e aspetto che il raccolto germogli, con pazien-
za, arriva sempre il momento. Per non ristrutturo, non coltivo il
mio orto, lascio ad altri il lavoro, io cerco solo di intuire quale sa-
r il posto giusto, il gusto che verr, e per far questo devo capire
lo spirito di un posto, la sua gente. E questa una citt semplice,
che vive su un paio di boulevard e poi si irradia intorno, la per-
corri e capisci i centri di potere e despansione, le vetrine di oggi e
del futuro, le speranze e dove andranno. Ma cos che si fanno gli
affari immobiliari, o meglio, cos che mi diverto io. Patti chiari e
amicizia lunga. Come con le donne. Io le pago, tutte, da ventan-
ni. Prima no, arrivavano a frotte, facevo il dj con Vasco Rossi e
poi gestivo discoteche, anche dalle vostre parti, e le ragazze ti as-
sediavano. Pensavo perch ero bello, anche adesso me la cavo che
ho quasi sessantanni, ma allora ero meglio, sembravo un india-
no dAmerica. Poi, con gli anni, ho capito che le donne cerano
perch avevo una posizione, un ruolo, un potere. Forse loro sono
pi basiche, o hanno capito cosa conta, comunque puntano an-
che inconsapevolmente al sodo. E allora mi sono adeguato: pago
e le saluto, senza tante storie e romanticismi. Sono pronto anche
a farmi pagare, mi piace la democrazia, ma no a oggi m succes-
so solo una volta di far la parte delluomo oggetto, divertente, ma
non offriva abbastanza. Il mio non maschilismo, solo chiarez-
za. A me le donne piacciono, ho un sacco di amiche che vorreb-
bero anche mettersi con me, ma le stoppo subito quando metto
in chiaro le mie condizioni. Certo, questo per ora non mi ha per-
messo di farmi una famiglia ma arrivando dalla mia era ovvio, mio
padre lo stavo uccidendo perch continuava a pestare mia madre,
mi ha fermato mio fratello altrimenti ora non sarei qui. Ma ci cre-
do ancora, tanto che sto pensando di adottare una glia, qui in
Romania e in Russia un single lo pu fare, basta pagare. Presto
concluder tutte le pratiche, sar una bambina, le ragazze sono
pi affettuose e anche intelligenti. Le far fare le scuole migliori,
gli sport che vorr, nessun autoritarismo, nessuna violenza come
quelle che ho subito io, ma dialogo vero, profondo, limpido, al-
,, lo zio
a est del nordest ,
la pari. Non le imporr niente ma potr fare tutto, allet giusta,
sintende. Tanto io lavorer ancora una decina danni, non credo
di vivere di pi, non mi interessa diventare un vecchio inutile. Mi
son gi messo daccordo con mio fratello, se dovessi morire toc-
cher a lui la potest della piccola.
Nel frattempo mi piacerebbe anche fare il prete; qui in Roma-
nia si pu, una specie di tirocinio, ti metti in tonaca e puoi anche
celebrare messa, basta pagare. Ho un amico pope a Timioara, un
tipo simpatico, che insieme a dei colleghi va ogni tanto anche in
un bordello su un lago, ragazze bellissime e santit, non male. Qui
diverso dallItalia, i pope si possono sposare, fare gli, avere una
famiglia, e anche farsi unamante, c meno ipocrisia che in Ita-
lia, dove sono costretti a nascondersi, a vivere nel terrore di essere
beccati o ricattati, linferno in terra. Certo, lItalia lItalia, bella,
si mangia bene, si vive ancora bene; qui un casino, non hai la cer-
tezza di niente, le leggi valgono a seconda del giudice e dellavver-
sario che hai, un po una terra selvaggia. Gi, il Far Est come dici
tu. Ma cos anche a Mosca, in Cechia, in Ucraina, tutto lEst lo
stesso paese. Lunica differenza che alcuni sono in Unione Euro-
pea e altri sono fuori, ma non s ancora capito bene perch. An-
zi, si sa benissimo: cerano dei debiti geopolitici da pagare, appog-
gio durante la guerra in Bosnia e in Kosovo, manodopera a basso
costo, un mercato di ventitr milioni di persone da conquistare al
comunismo, terra vergine e, soprattutto, arrivare vicino ai conni
della Russia, il vero e grande nemico degli Stati Uniti. Lo so, lo so,
oggi pi pericolosa la Cina, ma Putin ha pi bombe atomiche e
chi comanda ha dei tic, viaggia sempre sugli stessi binari, ci sono
correnti sotterranee che governano il mondo da decenni, secoli, e
anche leconomia. Ora tutti hanno ripreso a scommettere aspet-
tando la prossima bolla e sperando che il cerino acceso nisca ad
altri. E io osservo e aspetto, faccio il contadino del mattone.
Danubio
Il grande ume scorre via lento allargandosi nella pianura, cer-
co una sponda dove celebrare un bagno rituale, il classico ce lho
fatta, sono arrivato. Entro senza volerlo a Dobreta Turnu Severin,
antica citt citata dal generale romano Gaio Scribonio Curione e
ora diventata un affastellato caotico di fabbriche abbandonate e
case fatiscenti che cuociono al sole. Finisco in mezzo a dei lavori
in corso di quello che potrebbe essere il viale principale che ni-
sce in una torre da Dracula. Parcheggio. Faccio un giro, niente
e polvere, polvere di niente. Risalgo in macchina, torno indietro
verso la gigantesca diga e nalmente trovo un passaggio sterrato
no a una casetta. Prima cera il centro turistico, una sorta di vil-
laggio vacanze che qualche imprenditore rumeno sera inventato
per allietare chi non ha i soldi per andare a un vero mare e si do-
veva accontentare del grande ume. Musica a tutto volume, tre
ombrelloni, un acquascooter, una specie di piscina e una spiaggia
di sabbia riportata. No. Voglio qualcosa di pi vero e scendo do-
ve c un canneto, mi spoglio, metto i piedi nellacqua giallastra e
vengo assorbito da una fanghiglia che mi sa di sabbie mobili, che
schifo! Guardo in giro, bottiglie di plastica a galleggiare, pezzi di
cartone e di ferro. Salto fuori e realizzo che il grande ume di-
ventato una grande discarica, che trasporta i riuti di milioni di
uomini e i detriti di migliaia di aziende, che luomo europeo ha
cambiato per sempre la natura di questo essere, che oggi in pe-
ricolo, lo sta soffocando. Uccidendo. E anchio rischio di fare la
a est del nordest ,o
stessa ne, non siamo mica sul Gange ad Haridwar qui. Nessuna
vacca per strada, niente di mistico, nemmeno uno spirito. Quel-
li sono rimasti nelle bottiglie che si scolano al bar, gi, una birra
forse meglio della nuotata. Far un brindisi al grande ume che
sta morendo e avrei rivisto alla ne nel suo Delta, immenso e la-
birintico tra pellicani e fenicotteri.
Il poeta
Immortale. Di versi. Diverso. Inverso. In versi. La citt antica
ha i suoi resti abbandonati. Dimenticati. Ignorati. La vera ter-
ra dei barbari non quella che non ha mai conosciuto larte, ma
quella che, disseminata di capolavori, non sa n apprezzarli n
conservarli, scriveva Proust. Parlava dellItalia, il grande delitto
della memoria. La terra e la patria lontana di Ovidio, anzi di Pu-
blio Ovidio Nasone. Il poeta, lo storico, lintellettuale dellImpe-
ro romano sepolto da qualche parte qui intorno. A Tomi. Cio,
Costanza. Ma dove? Pazienza che non si sia mai trovata la sua
tomba, in n dei conti era un esiliato, un reietto, un condannato
dai tempi di Augusto e Traiano, che qui a Histria sulle rive di
questo mare che invece di essere nero grigio come le loro ro-
vine avevano delle colonie. Come poi lebbero i Genovesi e i
Veneziani. Gi anche loro stavano sul Mar Nero, ma pi a nord,
alle foci del Nistro, nellantica Tyras dei Greci che divenne Al-
bum Castrum (Castello Bianco) per i Romani e Asperon con i Bi-
zantini (sempre Bianco, eh!) e inne si tinse di nero con i sere-
nissimi, che battezzarono quella citt lontana, oggi in Ucraina a
due passi dalla Moldova, Maurocastro (o Moncastro, cio Ca-
stello Nero che sta sul mare chiuso e scuro). I Turchi nel 1503
tornarono allantico glauco e la chiamarono Akkerman, i rumeni
Cetatea Alb, i russi Belgorod Dnestrovski (Citt Bianca del Ni-
stro) e oggi, con la ne dellURSS, in Ucraina ed denominata
Bilhorod-Dnistrovskyi.
a est del nordest ,
Io, per mutar contrada, o nel levante
donde si mostra la vermiglia aurora
o dove cade il sole, o per chio mora
e torni al cielo qual peregrino errante
terr di voi memoria []
*
.

Che labirinto, che sapore desotico. Ma lasciare tutto incolto, tra-
scurato, degradato un insulto in primo luogo a loro stessi, alla
memoria, alle radici di questa terra che tanto disseminata di
lupe romane ne hanno contate diciassette tra Romania e Mol-
dova e che poi assedia e affoga i resti di quellantica civilt di
palazzi, casermoni, sterpaglie. Forse i rumeni preferiscono i Daci
ai Romani, vogliono essere barbari. Vogliono essere anche in que-
sto come noi. Senza memoria e senza cura. Quindi, senza futuro.
*. Torquato Tasso.
Emigrazione e nuvole
La strada diritta stata smarrita volutamente, cera da agguantare
un altro posto, un luogo simbolo di cui ora non ricordo neanche
la storia tanto era fuori dalla mia. E minlai in questa campagna
piatta e distesa costellata di piccoli alberi, salici, incroci con ster-
rati, senza case. Quelle stavano tutte allineate lungo la strada in
piccoli paesi che vivevano attaccati allarteria con queste abitazio-
ni tutte uguali, sanguisughe che succhiavano un po di movimen-
to dallaffaccio dasfalto per molti chilometri sconvolto anche dal-
la realizzazione di fognature e canali di scolo per lacqua piovana.
Le casette di questi contadini di paese sono tutte uguali, dif-
feriscono solo dal colore dellintonaco la maggior parte grigie,
per questo risaltavano le verdine o le azzurre e dalle condizio-
ni del tetto, che, avrei scoperto pi tardi in Moldova, preva-
lentemente di eternit. Amianto. O alluminio. Quello che sembra
stagno o lamiera e rifulge al sole simpaticamente un coperchio
di tante possibili bare adagiate per chilometri lungo quella stra-
da statale che va verso i Carpazi. Le casette in questione vengo-
no spesso ingentilite da inferriate a ghirigori con porte colorate
e da panchine di legno dove la famiglia nonna, nonno, nipoti
piccoli, qualche mamma, mai uomini adulti passa le ore chiac-
chierando e osservando i vicini dallaltra parte della strada o le
auto di passaggio.
La mia faceva la sua gura passando, suscitando reazioni di-
verse in quei posti speduti dEuropa: vecchi che alzavano il ba-
a est del nordest oc o: emigrazione e nuvole
stone come se stessi spaventando il mulo che tirava il carretto in
sosta davanti alla loro porta, o gridolini estatici delle ragazze del
luogo sempre alte e sode, maglietta e pantalocini dai colori smor-
ti a contrastare le vestaglie e i palandrani dei nonni che le sorve-
gliavano. Qualcuna pi spavalda faceva anche il gesto di buttarsi
in mezzo alla strada Signooore, signoreee urlavano in un
italiano gi imparato chiss dove suscitando in me altra meravi-
glia: come capivano dalla mia targa Ve che ero italiano? Solo noi
possiamo andare in giro per quei posti con una vecchia spider
impolverata? O altri cump, pi trafcanti di me, erano gi venu-
ti da quelle parti a fare incetta di giovani corpi da buttare in fab-
brica o sulle strade dellOccidente?
Di certo lassenza totale degli uomini adulti gli unici incro-
ciati due poliziotti che volevano fare gli americani ma che non
mi insidiarono per scucirmi una falsa multa forse era dovuta
allemigrazione massiccia, capillare, penetrante che aveva spopo-
lato la Romania negli ultimi dieci anni sia di maschi che di fem-
mine tra i trenta e i quarantanni. Un esodo di milioni di persone
i rumeni che lavorano per lo pi come muratori in Italia sono
800.000, almeno i regolari, con famiglie e gli arrivano oltre il
milione (erano 437.000 nel 2005), i moldavi la met che aveva
lasciato indietro decine di migliaia di gli e nonni che avevano
dovuto inventarsi una convivenza non sempre riuscita. I giovani
spesso angariavano i vecchi, vivevano come scugnizzi per le stra-
de, spillando i soldi in arrivo dalla mamma in crisi di coscienza
in Italia, Spagna o chiss che posto dOccidente, snobbando gli
anziani spesso stanchi e disillusi dopo tanti crolli di regimi e illu-
sioni di regime. Per non dire del salto nella modernit che ave-
va preso i fratelli maggiori niti a Bucarest o a Parigi, che quan-
do tornavano era come se fossero stati in Amerika. In pochi an-
ni dieci, quindici un mondo, una societ era stata spazzata
via come se fosse passata una tempesta, una peste, un caterpillar.
Equilibri vecchi di secoli appena sorati dal comunismo, che in
n dei conti attaccava la gente alla terra in cooperative e istru-
iva i suoi cittadini in scuole selezionate, erano stati frantumati
dallimpellente necessit delloggi e dal sogno di un futuro mi-
gliore. Unemigrazione di massa che s cercato di invertire con
bonus e vantaggi ma che la crisi economica che in Romania ha
colpito durissimo ha volatilizzato come sogni al sole.
Mihai a met del 2008 aveva salutato tutti, soprattutto il can-
tiere edile dove lavorara, ed era tornato in Romania per aprire
un negozio di pneumatici, meglio del solito bar o del tabacca-
io dangolo. Unattivit vera, da gestire e far prosperare a testa
alta dopo gli anni di duro lavoro e sacrici in Italia. Ma la crisi
ha tagliato le gambe delle sue illusioni, la concorrenza straniera
aveva gi occupato quello che doveva essere il suo spazio vitale
di lavoro, ed tornato in Italia. Come altri 130.000 suoi concit-
tadini. Che sono andati a ingrossare lesercito dei lavoratori si-
lenziosi e limitro, quelli che trovi nelle case come badanti e nei
cantieri come muratori, nelle ofcine, nei campi. Gente che ogni
anno manda in Romania 22,3 miliardi di euro (dato 2009), 15,2
nella sorella Moldova, e chiss quante famiglie come quelle che
mi scorrevano vicino sono tenute unite da questo cordone om-
belicale lontano.
Io sono tornata tre anni fa, ma se potessi non me ne sarei
mai andata. Lavoravo a Jesolo, conosci Jesolo? Sta sul mare.
Gi, conosco Jesolo e anche quel mare, ma tu invece come fai
a conoscerlo cos bene? Lei avr trentanni, i capelli del biondo
balcanico, cio un po slavati, e il viso pallido arrossato dal caldo
micidiale di quel posto abbandonato da Dio dove mi ero ferma-
to per capire dovero. Il bar sta allangolo della strada principale
e prima di un quartiere di palazzoni tutti uguali. Ha una veran-
a est del nordest o:
da con gli ombrelloni e una sala senza condizionatore. Lei, Irina,
spunta da una specie di nestra circolare che arriva direttamente
dalla cucina. Mi vede boccheggiante, mi sorride e subito mi parla
in italiano, devo averlo scritto in faccia che sono italiano e non
che la cosa mi faccia piacere: Facevo la cameriera anche l, solo
che prendevo dieci volte di pi e vivevo in un bel posto, si lavo-
rava duro, dodici ore al giorno, ma cera tutto. Anche le disco-
teche. Faccio fatica a pensare a Jesolo come al Paese di Bengo-
di, poi mi guardo attorno, il vuoto della sala, le pareti con poster
anni Ottanta e la gente fuori, quattro birre al bar, e sto zitto. L
proprio non c futuro, lunica sposarsi qualcuno di bravo e ti-
rare a campare facendo famiglia sperando nei gli, che possano
conquistare quel sogno che lei ha dovuto lasciare per chiss cosa
(permesso scaduto? Angherie? Minacce?). Prendevo un sacco
di mance, la gente era gentile, tutti quei tedeschi a proposito,
vuoi qualcosa?, lo chiede come distratta, come se non fosse pi
abituata agli avventori o non sapesse cosa potermi offrire, quasi
vergognandosi del posto dove era nita e di se stessa. Ringrazio,
prendo semplicemente dellacqua. Lei sospira: Avevo imparato
anche a fare lo spritz, conosci lo spritz? Buono, eh!?.
Gi, lo spritz. Pubblicit e sballo, party quotidiano. I ragazzi
in Italia si riempiono e ciacolano, ciacolano, si guardano, si an-
nusano, sciolgono quellimbarazzo strano che hanno anche fra
di loro, come se non fossero pi abituati a guardarsi in faccia, a
vedersi i brufoli o il colore degli occhi. Saltano da un lavoretto
allaltro, dal designer al magazziniere del supermercato per man-
tenersi alluniversit e vivono in cinque, dieci per casa, due per
camera, comuni di precariet. Trafcano, tastano, sperano. E do-
po la laurea triennale fanno la biennale, e dopo lo stage, il ma-
ster, un praticantato lungo e continuo, come lumache scivolano
lentamente da un posto allaltro, da un anno allaltro, cercando
di trovare requie, sicurezza. Ne hanno una sola: i loro genitori.
E lombelico cos si perpetua, sallunga, sattorciglia lasciandoli
sempre l, sulla battigia. Guardo Irina, cos si presentata, i suoi
occhi chiari, troppo chiari, e ascolto ancora: Non vedo lora di
tornare da voi, non sai per caso di qualche lavoro, anche in ne-
ro?. E mi sembra di parlare con una ragazza veneta come tante,
una di quelle che si vedono offrire 200 euro al mese per fare la
commessa, sabati compresi. E ringrazia che ti voglio dare un la-
voro. Ringrazia di vivere, anzi, di sopravvivere Irina. Jesolo non
il Paese di Bengodi, ed sempre pi vicina alla Cina. Ma qui
sicuramente peggio. E tu lo sai bene.
o, emigrazione e nuvole
Il contadino
Mi hanno dato un milione. Di euro. Per un pezzo di terra che
avevo pagato tremila marchi. Euro. Marchi. Un milione. Tremila.
Pazzesco questo capitalismo, veramente fanno crescere i soldi dal
nulla, come le pentole doro. Ora ho messo tutto in banca e il di-
rettore mi guarda in modo diverso anche se puzzo come prima di
campo e merda. Mi parla, mi d consigli. I soldi cambiano vera-
mente tutto, ti fanno scoprire un sacco di possibilit e di persone.
Sono proprio pazzi questi italiani. Sono arrivati qui, hanno guar-
dato le cartine, hanno visto che il ume era vicino, per modo di
dire, pero cera. E hanno fatto la loro offerta. Un milione di euro.
Non so nemmeno cosa faccia in lei, credo un sacco di zeri dopo
il quattro. So solo che ora sono ricco e non devo pi spezzarmi la
schiena tutto il giorno su quella terra avida e dura. Non ho ancora
capito cosa devo fare anche se il direttore mi d un sacco di con-
sigli. Altri amici hanno preso tanti soldi dai loro campi questi
occidentali hanno proprio la mania della terra, si vede che anche
loro prima erano tutti contadini e si sono comprati una casetta,
una bella auto e hanno iniziato a passare il tempo al bar. Non sa-
rebbe male, anche se poi dopo tre anni si sono ritrovati col culo
per terra. Ma io sono diverso. Io non mi far incantare da questi
serpenti e girare la testa, io. Io e la mia vecchia staremo tranquil-
li per tutta la vita, la casetta, magari col riscaldamento nalmente
sempre acceso e non a legna come prima. E anche unauto, quella
si servirebbe, per poter andare in paese e anche pi in l, maga-
ri in citt, a Caracal, forse anche a Bucarest. No, no, l c troppa
confusione, lo vedo in TV. Ecco, una televisione di quelle grandi e
piatte da mettere in salotto, ecco un bellacquisto. Mi consiglier
quella signorina cos gentile che sta al supermercato, giovane, che
sorride sempre. Magari con questi soldi posso anche invitarla fuo-
ri a bere un caff, un giorno. Mi metto il vestito buono, mi com-
pro le scarpe italiane, quelle Geox che pare siano cos comode, e
la vado a invitare. Prima per compro la televisione, cos capisce
che ho i soldi in tasca, che ormai sono uno importante, che ha un
futuro. Che bello essere ricchi, cambia veramente tutto. Di den-
tro e di fuori. Benedetti quei pazzi di italiani!.
o, il contadino
Verso nord
Torno indietro ma come al solito non dalla stessa strada, mai
tornare sui tuoi passi, anche se qualche volta molto pi intelli-
gente. Come quella. Minlo infatti in una carretera stravolta dai
lavori in corso dove la coda si aggiunge a coda, il passaggio a
un solo senso di marcia, la gente lavora indefessamente da una
parte e dallaltra in un continuo slare di tubi, canali, ponticelli
di cemento, scavatrici, gente a torso nudo bruciata dal sole, per-
sonaggi col caschetto che indicano, polvere, polvere, polvere e
sete e sole che sembra di essere in un deserto ma sei in una delle
grandi e decisive strade fondamentali per arrivare a una citt e
intorno hai le solite casette, i soliti alberelli striminziti e una stra-
da sconvolta assistita curiosamente dalle facce dei vecchi che ci
vivono. Credo che per loro sia pi la goduria di aver qualcosa da
raccontare che la rottura di palle di mangiarsi polvere e rumori
per giorni e giorni (a vedere come procedono i lavori). Chiss
quante storie si incrociano standosene comodamente seduti l,
molte di pi di quelle che mi perdo standomene scomodamen-
te seduto qui, indeciso se alzare la cappotta per difendermi dal-
la polvere e tenerla gi per rinfrescarmi da non si sa cosa. Nel
frattempo guido a passo duomo e scruto nervosamente la car-
tina sperando di uscire da quel budello o cercando di trovare
strade alternative. Non mi importa dover scodinzolare in mez-
zo alla campagna per ore, voglio solo salvarmi da quellincubo a
cielo aperto. Ma le alternative non esistono, dovrei tornare sulla
strada maestra di prima e nel frattempo sono nito nel mezzo di
quel usso a singhiozzo, non posso andare n avanti n indietro,
proprio come se fossi prigioniero della folla, fossi nito in quel-
la manifestazione, in quelloceano arrabbiato che ventanni fa
o; verso nord
Il rivoluzionario
Non ne posso pi, non mangio da giorni, fa un freddo cane, ci
hanno lasciati soli, ci hanno abbandonato. Lui ci deve ricevere,
ci deve salvare, deve ascoltarci non pu far nta di niente. Urlo, e
come me altre migliaia. La piazza davanti alla Casa Bianca scop-
pia di gente. Siamo arrivati dappertutto, dalla provincia, dalle
miniere, dalle periferie, dallaltro mondo per chiedere al segreta-
rio, alla nostra guida, a Ceauescu, di dar da mangiare al popo-
lo e dopo anche un po di democrazia. Da dieci giorni il Paese
sconvolto, come se un terremoto avesse scosso ledicio ru-
meno dalla fondamenta scrollandolo ma senza farlo cadere. Tut-
to rimaneva in piedi ma era sullorlo del baratro. Una situazione
assurda, disperata per chi a casa ha due bambini e una moglie da
sfamare e fa il minatore come quelli che stanno arrivando a frot-
te, un esercito dicono. Una situazione molto interessante, surre-
ale direi, per un drammaturgo come me che ha lo stesso nome di
uno importante scappato allestero, in Occidente, svangandosela
da tutti i problemi e le illusioni di questo comunismo diventato
sempre pi straccione, quasi peggio di quello albanese. Dacci la
paga, dacci quello che ci spetta, porca puttana, urla il mio vici-
no insieme ad altri mille mentre la rabbia monta come unonda e
preme, preme. Poi appare il Conductor. Un vecchietto raggrin-
zito appeso a un cappello pi grande di lui e a una moglie incom-
bente oltre che grassa. Le urla si chetano. Lui inizia a gracchiare
dal microfono, la sua voce rimbomba e si diffonde da ogni par-
te, rimbalza, echeggia sempre pi stralunata, lontana. Dice paro-
le ma non hanno un senso, solo un discorso, il solito schifoso e
maledetto discorso! Basta, basta, vogliamo il pane!!!, urlo in-
sieme ad altri duemila, tremila, cinquemila, Finiscila, buffone
di m. Si alzano i pugni, i cari e vecchi pugni del comunismo,
loro rivendicano diritti, il primo, basico, sopravvivere. E lui de-
ve dare una risposta, risolvere. Distende le palme delle sue mani
ossute verso di noi, le fa ondeggiare come se ci volesse calmare
con un uido misterioso ma non sento niente, nulla. In cinque-
mila iniziamo a schiare e il sibilo rimbomba nei microfoni che
strategicamente gli agenti del KGB entrati pochi giorni prima co-
me turisti (duemila turisti la Romania di allora non li aveva mai
visti) hanno piazzato ai bordi della piazza, allargandosi, ampli-
candosi, avvolgendolo, e strozzandolo. Lui diventa paonazzo,
non capisce, non pu capire, ma come? I suoi gli, i suoi suddi-
ti che lhanno sempre adorato, rispettato, temuto in quei venti-
cinque anni, certo, non lo avevano fatto presidente a vita per la
ribellione di quei due partiti comunisti fratelli occidentali, ma
comunque sempre lui, il Conductor, il loro duce. Sua moglie,
la bastarda sanguinaria, lo prende per un braccio, cerca di sco-
starlo, lo vuole spingere indietro ma lui fa resistenza, ma come?
Come? Che succede? Balbetta e non capisce. Sono a bocca aper-
ta come lui, che dramma, la Storia. Poi arrivano dei nerboruti di
quelli che girano sempre con gli occhiali e la pistola in fondina e
lo prendono di peso. La folla applaude, scrosciante, liberatoria,
dagli al buffone, dagli alluntore, dagli al dittatore.
Due giorni dopo avrei assistito al processo e alla fucilazione in
TV. Non sarei stato soddisfatto n felice. Non sarebbe cambiato
niente. La mia tavola era ancora vuota e lo sarebbe rimasta anco-
ra per molto, molto tempo.
o, il rivoluzionario
;: craiova
Craiova
Mi scossi, i clacson rimbombavano, tutti protestavano contro quei
lavori e quella coda soffocante, ma nessuno riusciva a muoversi
dun passo. Il mondo che va veloce era rimasto imbottigliato nel-
la modernit e ora bestemmiava, come ventanni prima, contro un
potere imperscrutabile, lontano, sostanzialmente beota. Bella me-
tafora. Ma io l cero, e volevo uscirne al pi presto e vivo, porca
troia. E sgommo, e parto, e arrivo a Craiova.
La citt era polverosa e denita da quella assurda torre che sem-
brava vecchia ma era in cemento. Tutte le strade ruotavano at-
torno a lei e al centro commerciale specchi e vetro che avevano
costruito l vicino. Entrai nella torre, androne dimesso, scala di
legno, li elettrici sospesi, nessun pipistrello e nemmeno un Dra-
cula, il suo castello quello di Vlad era molto pi a nordest ed
era gi diventata unattrazione per turisti, con gusto anche. Quel
giorno cera la neve che si scioglieva dal tetto creando un ritmico
rintocco nel cortile di pietra. La foresta vicina respirava con la pri-
mavera che stava arrivando e la croce di pietra scolpita di facce e
segni sorvegliava la dimora arcana e il mercatino di cianfrusaglie
per i turisti. Ma l, a Craiova, imperava il caldo e un sogno di viag-
gio che poteva diventare una chimera.
Mi aggiravo per quella citt cercando una storia, unidea, uno
spunto per giusticare di essere arrivato n l, mille e passa chilo-
metri bisogna pur farli per qualcosa, o no?! Il centro aveva anche
una via pedonale con qualche negozietto ai lati, vestiti, elettrodo-
mestici, gli onnipresenti telefonini. Una signora col fazzoletto in
testa vendeva mais arrostito, tre suonavano nenie tzigane convinti
e sudati, due ragazzi stavano vestiti di tutta moda jeans bucati e
occhiali da sole panavisor e parlottavano occhieggiando le rade
ragazze che passavano. Spacciatori, pensai. Chiss cosa pensava-
no di me, che l in mezzo ero il pi improbabile, nemmeno pote-
vo passare da imprenditore del Nordest messo comero, pantalo-
ni di lino chiari a mezzo ginocchio, maglietta sporca e infradito.
Avevo bisogno di ricaricare le pile del cellulare, chiesi un po in
giro, alla ne un negozio di fotocopie ospit la mia richiesta sen-
za fretta e soldi, cera ancora della gente gentile a questo mondo.
Uscii nella vampata del secondo pomeriggio e intravidi dallaltra
parte della strada un bugigattolo con una vetrina polverosa e una
scritta in rosso. Ceasornicar. Mi ci tuffai subito per scoprire che
era un orologiaio, un vecchio tecnico piegato sul suo banchetto
pieno di pezzi e rotelle e arnesi, con in testa una specie di lampa-
dina e allocchio una lente dingrandimento. Mi venne in mente
il ciabattino di Cattaro in Montenegro, il fornaio di Valona in Al-
bania, la venditrice di formaggi a Shanghai, e mille altri artigiani
sparsi per il mondo, gente che continua a fare il suo lavoro con le
dita e lattenzione come cento, mille anni fa. Dinosauri di unera
di mestieri fagocitata da quella delle professioni e delle macchine
che ancora resistevano in quelle piccole riserve del dettaglio, del
tocco, del su misura che la grande ondata della modernit post e
trituratutto non era riuscita a sommergere perch non era conve-
niente o solo per la classica distrazione del mastodonte. No, non
erano dinosauri ma formiche, laboriose formiche del lavoro mi-
cro che anche da noi stavano riemergendo dal passato per fare le
rammendatrici, le sarte, le tiraossa, i meccanici di biciclette come
faceva mio padre subito dopo la guerra nella pianura mantovana,
tra zanzare e mais.
a est del nordest ;: ;, craiova
Cercai di scambiare con lui qualche parola, come al solito cera
il problema della lingua: io non so il rumeno e i rumeni in genere
non sanno linglese, tranne qualche giovane. Ah, ma sei italiano,
io ho lavorato dal 2001 al Nord, a Verona, come fornaio, mi disse
lui troncando i miei esercizi da alfabeto muto e le mie espressioni
onomatopeiche. Come al solito, loro quando imparavano litaliano
lo facevano bene e anche sul dialetto si battevano alla grande. Che
coincidenza! Che segno del destino, lavorava nella mia stessa cit-
t di nascita questuomo col nome altisonante Costantino e lo
sguardo ero e pieno di chi ha negli occhi la sua vita e il suo cuore.
Costantino un Grande.
Mi pagavano bene, ma era un lavoro duro e sempre uguale, sai
come siete fatti voi del Veneto, poche ciance e molta sostanza. Mi
hanno sempre trattato onestamente ma senza attenzione: nch
lavoravo tutti amici, poi usciti dalla fabbrica ognuno per s. Non
che si guadagnava tanto, 50-60 euro al giorno, ma ne pagavi 20
daftto e cera il mangiare. Ho deciso di tornare a fare il lavoro di
mio padre, quello che maveva insegnato: ora guadagno di pi in
proporzione e campo bene. Questo il mio Paese, questa la mia
gente. E qui mi sento veramente importante, servo a qualcosa. An-
che se quando cera il comunismo si stava meglio, col mio lavoro
da orologiaio in sei mesi unauto me la compravo, oggi invece.
Lo avevo capito subito dalla processione di gente che buttava
locchio dentro, che chiedeva lumi su un orologio elettronico sca-
rico, che portava la cipolla del nonno, che chiedeva informazioni
sullautobus. Cera il ragazzo sluccato che pensava di aver fatto
lacquisto del secolo beccandosi il solito bidone che sera subito
fermato e il bambino spedito dalla madre a mettere a posto loro-
logino da polso placcato doro che si guardava in giro come se fos-
se in un paese strano, quasi magico, proprio come me che mi ero
seduto al anco delluomo. Ma non potevo rimanere troppo in
quel posto microbico dove cera tutto quello che gli occorreva ed
era spesso dietro di me. Lo salutai e ringraziai, avevo rotto la mia
solitudine e imparato qualcosa.
Baldanzoso per il successo ottenuto ripresi ad aggirarmi per
Craiova passando davanti a un vecchio palazzo semi diroccato sti-
le liberty che aveva una grande scritta sul lato della strada e un
piccolo giardino. Mi intrufolai soprattutto per respirare un po di
fresco, scoprii di essere nito in una biblioteca e nella sede del par-
tito socialista rumeno, gli eredi dei comunisti di Ceauescu. Ma
soprattutto in un luogo strano dove le pareti si moltiplicavano in
un labirinto dove anchio mi perdevo. un gioco di prospetti-
va molto in voga negli anni Venti, spesso nei salotti di allora delle
famiglie altolocate piazzavano due grandi specchi di fronte e co-
s creavano questo gioco di rimandi che, se guardi bene, potrebbe
farti apparire il fantasma della casa. La signora Rita sorrideva, il
sole era ancora ben alto e non avevo certo paura, ma di notte, in
quel salone spoglio, un lume di candela poteva sicuramente diven-
tare uno spirito tormentato.
Poi nimmo nella biblioteca, a bere acqua per scacciare la sete in-
fernale di quel giorno caldissimo e di quel posto chiuso e a raccon-
tarci le nostre vite. La mia a dir la verit non tanto, era molto pi in-
teressante sentire la sua, di quella signora di mezza et in Italia non
si potrebbe mai dire oggi di una cinquantenne, questo perch ormai
un umano, donna o uomo che sia, rimane giovane no a passare nel-
la categoria di anziano che aveva attraversato il comunismo e la ri-
voluzione liberale per nire in Europa.
Mio padre era un anticomunista, stato in prigione per sette
anni, un giorno sparito e non pi tornato per altrettanti. Mia
madre non pianse, almeno davanti a me, non si fece vedere inti-
morita. Io non potei fare luniversit di commercio estero, era vie-
tato per i parenti di quelli che il regime chiamava criminali, e mi
a est del nordest ;
iscrissi a lingue. Per questo so il francese e curo questa biblioteca
fondata nel 1999 grazie alle donazioni e allappoggio di un grande
intellettuale rumeno. Sopra sta la sede del PDS, il partito socialista,
i vecchi comunisti. Qui in Romania non cambiato niente rac-
conta asciutta. Comandano ancora i comunisti e gli ebrei. Noi
siamo schiavi del potere come nel resto dellEuropa. Per si vive
meglio di prima perch si pu andare allestero.
Lei stata a Parigi, ha coronato uno dei suoi sogni. Peccato
poi che da un po danni non si muova pi perch non ha soldi
abbastanza, lo stipendio da bibliotecaria quello che , e lei sta
mettendo via risparmi per far studiare allestero i suoi gli. E per
fortuna i suoi le hanno lasciato una casa, perch altrimenti sareb-
be stata dura pagare un aftto. Rita che ti dice di essere felice ma
sembra malinconica perch non ha pi ventanni e un mondo da-
vanti ma solo ricordi da perseguitata e una vita che deve accon-
tentarsi delloggi, di fare la guardia a migliaia di libri e ad aspet-
tare che passi qualcuno a volerli leggere, sempre di meno perch
i ragazzi preferiscono il cellulare e Google al leggere, che no-
ioso e solitario, loro vogliono conquistare la libert e li capisco,
con tutta la TV che vedono. Rita che vede male lItalia ma poi si
corregge perch alla n ne siamo un grande Paese con un sacco
di storia. Rita che ha gli occhiali ed rotondetta e aspetta sempre
la sera per sperare un futuro diverso per i suoi gli. Rita che sor-
veglia quel palazzo in stile liberty che cade a pezzi e lei denisce
ancora esuberante come quel magnate che lha pensato e fat-
to costruire negli anni Venti, quando la Romania poteva pensarsi
come una seconda Francia e Bucarest la Parigi dei Balcani. Rita
che ogni tanto sussurra perch non si da dei comunisti del
piano di sopra che trafcano sempre per tornare al potere. Rita
che cerca di convincerti di star bene ma si capisce che si sente an-
cora esule, diversa, disadattata. Come me.
Il rom
EOOOO, batti e ribatti, AEEEEEE, batti e ribatti, EOOOO, ogni mat-
tina, AEEEEEE, in mezzo a questi casermoni sempre pi vuoti, do-
ve la gente si rifugia e si perde, AOOOOOO, che cascano a pezzi e
non mettono a posto mai, magari dentro hanno di tutto, ma fuori,
guai a farti vedere, EOOOO, devi stanarli, gridare a tutti polmoni
che vuoi i loro ferri vecchi, i loro scarti, AOOOOOO, che non san-
no che farsene ma quando vengono gi subito iniziano a contrat-
tare, quattro lei e non si accontentano, ma cosa vogliono AOOO-
OOO, gi li dobbiamo svegliare dal loro sonno, ci odiano, ci ten-
gono lontani in periferie sempre pi schifose, ci vogliono anche
cambiare nome, chiamarci zingari perch gli roviniamo la reputa-
zione, ROM UGUALE ROMANIA, ci vorrebbero anche bruciare tut-
ti, si vergognano di noi, ma ceravamo prima di loro e rimarremo
anche quando loro non ci saranno pi, emigrati tutti da qualche
altra parte, in Europa, negli Usa & Getta, buona questa AOOOO-
OO, che mi tocca urlare da sembrare un nano di Biancaneve ma
hanno le orecchie tappate come le loro case, temono tutto, la po-
vert, la crisi, e soprattutto noi tzigani, noi liberi di andare e veni-
re, noi che sui conni ci sputiamo sopra, e perch poi dovremmo
fermarci, perch? EOOOO, oggi proprio non c nessuno che viene
gi, ma domenica, chiss i bagordi ieri sera, birra e vodka tutta
la notte, una volta alla settimana si pu, quando ti permettono i
capi, il governo, il potere, ci sputo sopra al loro governo e ai loro
conni, ma in Italia non vado, per ora, mi piace pi stare qui, a
;,
a est del nordest ;o
urlare AOOOOOO, e a cacciare ferro vecchio, vivere dei loro resti,
ci chiamano ratti, spazzatura perch viviamo dei loro riuti ma
senza di noi non saprebbero che farsene, verrebbero seppelliti da
quelle robe vecchie a cui sono attaccati come parassiti, si tengono
stretti tutto e non sanno che lunica cosa che vale loro, quello
che continua a crescere e che io ho ben piantato dentro di me, al
posto dei denti, dieci ne ho e presto mi metto anche lundicesimo
dente doro, una riserva per i momenti bui e per quando me ne
andr da qualche altra parte in Europa, tanto ho il passaporto, so-
no anchio europeo, anche se i francesi ci buttano fuori, ci pagano
anche per andarcene, e io ritorno, TI, con i loro soldi mi compro
una Mercedes e torno a Parigi, come un signore, un re, qui non
mi metto a stare, siamo in tanti e saremo sempre di pi perch sia-
mo il futuro, povert e senza terra, nomadi con tutto quello che
serve dentro di noi AOOOOOO, gente venite, vi pago per la vostra
vecchia bicicletta, la stufa o le pentole ammaccate, il nostro la-
voro, lo facciamo n da quando siamo arrivati qui nel Medioevo,
insieme al Sultano, battere ferro e rame, e anche rubarlo alle vo-
stre linee elettriche e dentro i televisori che tanto amate, EOOOO,
sveglia! che qui c il vostro futuro, senza casa, e senza patria, noi
siamo i veri uomini, viviamo lieti allaria aperta, le nostre donne
fanno un sacco di gli perch tanto prima o poi troveranno la lo-
ro strada, e dalla strada impareranno a vivere AOOOOOO, voglio il
vostro ferro vecchio e anche le vostre speranze, i sogni, la musica
ve la diamo noi, insieme alle illusioni di poter essere ricchi e felici,
noi compriamo ferro vecchio e vi vendiamo illusioni, noi siamo il
vostro specchio, per questo avete paura, perch siamo diversi o
cos uguali. EOOOO, AEEEEEE.
Matrimonio zingaro
La notte era scesa appiccicaticcia sulla citt e laveva avvolta
appena solo disturbata dalle rare luci che sirradiavano dai lam-
pioni e dalle vetrine colorando facce e posti di un giallo incer-
to. Mangiai una pizza alta e spessa dopo aver riutato un paio
di ristoranti pseudo chic ed esser stato riutato da altrettan-
ti. Rimbalzavo da un posto allaltro sempre pi affamato alla
ricerca anche di umanit, di storie da osservare, di parole da
scambiare. A Craiova non cerano caff e nemmeno bar come
dalle nostre parti, posti dove bere e ciacolare. No, l la gente si
incontrava per fare qualcosa o bighellonava per strada sotto i
lampioni incerti che segnavano gli angoli e i palazzi come quel
quadro di Magritte che sta alla Fondazione Guggenheim a Ve-
nezia. Alla ne mi arresi, erano gi le dieci di sera, e minlai
in quella pizzeria lunga e stretta che ovviamente mi propin un
pezzo di ex congelato cotto a forno elettrico. Meglio la birra. Il
vero problema che intorno a me ben presto si fece il deserto
e io restai a ssare il muro e un improbabile menu in rumeno.
Triste e avvilente. E dove stava lavventura? Mille e passa chilo-
metri per arrivare l ed ero in castigo in un angolo. Pagai dopo
un paio di sollecitazioni probabilmente si erano anche dimen-
ticati di me e iniziai a bighellonare arrivando allincrocio di
una grande strada che avevo gi esplorato prima. Musica e risa-
te, vita! Arrivai davanti a un ristorante dove per tutto il giorno
serano avvicendati persone e cose. Fuori un assembramento, i
a est del nordest ; ;, matrimonio zingaro
curiosi stavano davanti, ai lati, dallaltra parte della strada, fa-
cevano ali a chi usciva da quella bolgia di voci stridate e musi-
che parossistiche.
Mi feci avanti, buttai lo sguardo, stavano tutti vestiti come
gangster con le donne scollate in completi sgargianti, ori tra i
capelli e rossetti pesanti. Divisi anche l tra i sessi, con continue
trattative tra i due fronti e rilanci al microfono. Ma cos? Chiesi
ai primi ragazzi che trovai l. Loro sorrisero.
Tu italiano, eh, io rumeno, stato in Italia ma ora qui, non po-
tevo pi rimanere io, ma vorrei tanto tornare, eh.
Gi, gi, ma questi chi sono?.
Io so, tu no?.
No.
Matrimonio, matrimonio zingaro, io non invitato, ma tu
puoi entrare, tranquillo.
Come posso entrare?.
Tu straniero, tu italiano, tu puoi. Io no, non invitato, ma tu
puoi.
Altri due o tre suoi amici intorno confermarono lasserzione,
iniziando a toccarmi per capire se ero veramente italiano, pro-
babilmente dai vestiti. Io mi divincolai, troppa pressione, tutta
quella gente fuori per un momento aveva distolto la sua attenzio-
ne dal locale illuminato e innondato di musica per guardare me.
Io mi schermai con le mani e tirai dritto: Ci vediamo dopo.
Nessuno mi segu, per fortuna, anche perch era appena uscita
una ragazza vestita di bianco con i capelli scuri raccolti seguita
da altre due della sua et fasciate tra lo smeraldo e il rosso acce-
so che potevano essere tra le vedette del matrimonio. Tutti sac-
costarono a loro che sventolavano due ampi ventagli, cercando
di allungare le mani aperte aspettandosi un regalo o chiss cosa
ma furono subito ricondotti allordine da un ragazzo tracagnot-
to basso e muscoloso che sembrava schizzare nel suo smoking
platinato che le raggiunse iniziando a far cagnara in una discus-
sione. Uscii di scena e mi immersi nel buio della strada appena
illuminata da un lampione. Da solo iniziai a respirare meglio. E
raggiunsi un altro locale con un tendone e musica a tutto volu-
me. Entrai, trovai posto su una seggiolona e ordinai da bere per
festeggiare lo scampato pericolo. E capii subito di essere nito
dalla padella nella brace. Era un karaoke. Si esibivano ragazzi
regolarmente seguiti dalle rispettive famiglie che imbracciavano
chitarre e ti ferivano i timpani con acuti e stonature degne di un
cartone animato. Il volume era tale che ovunque ti inseguivano
quei tentativi brutali che rimbalzavano anche in TV con una ca-
mera montata su piedistallo. La rete locale aveva deciso di da-
re spazio a quei dilettanti allo sbaraglio nella serata del sabato e
a giudicare della folla la trasmissione aveva anche successo, per
mia sfortuna. Infatti le performance si susseguivano senza solu-
zioni di continuit lasciando solo pochi minuti di intervallo a chi
era capitato l per caso. Ma nessuno tranne uno straniero come
me sarebbe capitato l per caso a farsi torturare. Bevvi veloce la
mia birra e uscii ributtandomi nel buio di quella notte di citt ru-
mena di periferia riettendo sui destini del mondo e miei perso-
nali alle soglie dei cinquantanni e con la pensione ancora troppo
lontana per darmi al viaggio imperituro o alla vela.
Mi aggirai per tutto lisolato e alla ne fui di nuovo attirato dal-
la musica e dagli zingari. La festa sera ulteriormente caricata e il
mio amico di prima era ancora l, appoggiato a unauto in sosta
che sbirciava dentro e fuori; non appena mi vide mi salut calo-
rosamente: Dove sei stato? Guarda che la festa sta aumentando,
entra, vai, non preoccuparti. Aveva la faccia talmente imberbe e
lespressione cos convinta che entrai sorando un paio di signore
agghindate e luccicanti.Viste da vicino non avevano pi di diciot-
a est del nordest c
to anni anche se erano truccate da Marlene anni Quaranta. Den-
tro era una bolgia con la musica a tutto volume e il complesso di
chitarre, violini, pianoforti, batterie e voci che ci dava dentro con-
vinto come negli anni Sessanta da noi mentre solo qualche coppia
ballava. Gli altri erano impegnati a guardarsi, anzi, a guatarsi (i
pi giovani) e a bere (gli anziani), cercando di convincere gli uni
e gli altri a farsi un ballo. Un circo era, un quadro di Chagall, un
lm di Fellini. In una parola, un sogno, o un incubo?
* * *
Vieni, vieni signore, vieni italiano, vieni.
Erano cos le sirene per Ulisse? Potevano prendere le sem-
bianze di tre ragazzine che al massimo avranno avuto tredici an-
ni che alle due (o erano le tre?) di una notte destate si metteva-
no a ballare in circolo intorno a te?
La strada era vuota, ma loro la riempivano con quella danza
che aveva tutto meno che linnocenza. Mi circondavano e mi co-
stringevano a seguirle tra le vocine di richiamo e le movenze da
creature della foresta. Mi ricordo soprattutto di quella vestita di
rosso, forse la pi grande, di sicuro la pi spavalda e pericolosa:
i capelli nerissimi come quelli delle favole e la gonna lunga rilu-
cente di strasse e medagliette sonanti che ruotava come una co-
rolla pronta dischiudersi. Vieni, vieni, signore, balla con noi,
diceva in italiano, o me lo stavo sognando? O mi stavo sognan-
do tutto? Ero gi instupidito da quella scena che sapeva di fore-
sta anche se eravamo a Craiova (ma cero veramente l?), tra ca-
se addormentate e luci baluginanti come stelle in quel cielo buio
e ancora infinito che noi abbiamo ormai dimenticato. Le segui-
vo ipnotizzato e gi mi saliva la voglia ancestrale di ballare con
loro, che male cera? Cosa poteva succedermi?
Mi guardavano con quegli occhi grandi da felino che brilla-
vano nella notte e mi costringevano a seguirle in tondo, in dan-
za. Mi guardai intorno, non cera nessuno, veramente ero solo
come un cane. Esposto. Indifeso. Davanti a quelle creature ma-
giche. Scatt lallarme, pericolo, mi mossi, loro mi si avvicina-
rono, io scossi la testa, vieni, vieni, signore, balla con noi, mi
diceva la strega vestita di rosso, io mi divincolai, non so se mi
avevano preso veramente ma era come se fossi finito gi invi-
schiato in una rete invisibile, un ragno rosso si stava avvicinan-
do per ghermirmi e divorarmi, io ero piccolo, solo, indifeso, e
loro stavano intorno, mi circondavano, mi volevano, mi Presi
a correre, loro gridarono signoreEEE, ma dove SCAPPI, SIGNO-
REEEEEE, ma io avevo gi girato langolo, trovato la mia ragnet-
ta, aperto la portiera, acceso il motore. Innescai la retro senza
neanche guardare, una macchina pass veloce strombazzando,
misi la prima e scappai a gomme levate, col fiatone, ringrazian-
do il mio Dio e tutte le cerimonie a cui avevo gi assistito che mi
facevano da serbatoio di fortuna. Perch di una cosa sola sono
ancora sicuro: quella notte ebbi fortuna. Tempo poco e sareb-
bero spuntati fuori i fratelli maggiori, gli amici, i sodali, i padri, i
capi trib o quello che vuoi tu, e mi avrebbero gentilmente spo-
gliato di tutto, auto compresa. Lasciandomi forse in mutande e
in vita. E poi chi mi avrebbe salvato, laggi, in fondo alla Roma-
nia e in mezzo agli zingari?
* * *
Praticamente scappai a gambe levate, mi rifugiai in albergo e
il giorno dopo di buon mattino feci dietro front. E il Delta del
Danubio? Il Mar Nero? Li avrei conosciuti e toccati pi avanti,
in un altro viaggio, in unaltra vita, in un altro sogno. Quello do-
: matrimonio zingaro
a est del nordest :
veva finire, stop. Troppa solitudine, troppi rischi, troppo tutto.
Avrei deluso Magris, non avrei mai trovato la fine di quel labi-
rinto, laltra Istria dellIstro, avrei solo sfiorato la citt di Canetti
sul grande fiume e appena intravisto il fantasma della Mitteleu-
ropa. Ma mi ero guardato abbastanza in quello specchio defor-
mato della mia e nostra storia che la Romania, avevo bisogno
di contorni netti, di confini familiari. Avevo bisogno di casa.
Ma non presi la stessa strada dellandata, quella no, non si
poteva, non ero arrivato a questo punto. No. Sarei tornato per
la Bulgaria, verso Calafat e poi Ni in Serbia, la citt dove nac-
que Costantino, ritrovando lautostrada per il ritorno.
Fu una giornata caldissima, passata tra una corsa libera e
scappottata nella grande pianura, tra paesini persi nel nulla e
campi di grano appena ingialliti, e finita nella cittadina ville li-
berty sul Danubio, Calafat, dove c un museo per lennesimo
inventore dellaereo e poco altro. L stava il confine, e un tra-
ghetto con una coda di auto gi nutrita. Passarono le ore in at-
tesa del passaggio. Quattro ragazzi fumavano e bevevano, anda-
vano in vacanza in Grecia, nella Calcidica. Bel posto. Una fami-
gliola tornava a Torino dopo aver passato le ferie dai genitori,
lui faceva loperaio e di notte il dj, era pieno di energia e non
vedeva lora di mangiarsi il ritorno, quei duemila chilometri di
Balcani e Italia, che lo separavano dalla sua vita piena. In mezzo
il grande fiume che i rumeni chiamavano Dunrea ormai sedato
e pronto per tuffarsi nel Mar Nero. Ma avebbe dovuto aspetta-
re: mancavano ancora centinaia di chilometri prima della sua fi-
ne, avrebbe dovuto lambire Bulgaria, nostalgie Belle Epoque e
grandi sogni di modernit.
Catalin, il dj rumeno desportazione in radio libera piemon-
tese, era un entusiasta e mi fece da guida in quel budello che ta-
gliava la Bulgaria per arrivare in Serbia, cartelli in cirillico vero
(i santi della scrittura bizantina erano di qui) e una campagna
ancora pi arretrata rispetto a quella rumena. Passavamo veloci
in mezzo a quel mondo fermo allOttocento che era ancora lal-
tra Europa cercando di anticipare la sera, ogni tanto appariva
un viso di bambina o di vecchio che pascolava il suo animale e
guardava sbigottito quella piccola macchinetta rossa con la cap-
potta nera come una coccinella. Arrivammo in fretta alla fron-
tiera con la Serbia, un budello di sbarre e poliziotti impettiti,
una torretta e tante bandiere delle due parti. I bulgari furono at-
tenti anche se non cera nessuno oltre a noi: verificarono sopra
e sotto che non portassimo droga e armi e chiss cosaltro, dili-
genza, poco pi. Se fossi stato un contrabbandiere li avrei messi
nel sacco, sicuro. Ma se fossi stato un contrabbandiere qualcun
altro probabilmente mi avrebbe denunciato.
I serbi fecero i duri, controllarono anche le macchine foto-
grafiche e il bagagliaio, era inquietante soprattutto quello che
stava appeso lass, sulla torretta, fucile imbracciato. Ma mi la-
sciarono con una mezza battuta sulle donne migliori tra qui e l,
smozzicata in quella lingua franca che era italoinglishlava, una
macedonia di corruzioni e correzioni che sapeva di tante inva-
sioni come il rumeno, il cui ceppo latino era mischiato al dacio,
allungherese, perfino al turco e allalbanese, come bucurie, gio-
ia in italiano, che nella lingua del Paese delle aquile bukur.
Il volto si dice obraz dal paleoslavo obrazu, ma 2 dui e 6 sest,
mentre tutto finisce! fa sa finini!, acqua ap, e freddo frig.
Un mistero la lingua, tutte le lingue, un segno didentit che
molto meno sbandierabile di quanto pensino certi puristi del
paese e della razza.
Era arrivata la sera e il mio amico torinesizzato Catalin part a
razzo, voleva a tutti i costi entrare in autostrada. Trovammo un
ponte bloccato, dovemmo passare in mezzo a tratturi di campa-
, matrimonio zingaro
a est del nordest
gna, le luci di quel viaggio erano fioche e sparirono presto sotto
una pioggia battente. Nel complesso fu unallucinazione sorretta
da una consapevolezza: se lavessi perso sarei stato finito, in mez-
zo al nulla di quel posto. E quindi anchio andavo a pi non pos-
so dietro ai suoi occhietti rossi che apparivano e sparivano, fino
a quando non trovammo lautostrada. E la fiumana di emigran-
ti turchi che tornavano verso la Germania dopo le ferie a casa.
Macchine e macchine, sulle tre corsie e nel grill vicino a Belgra-
do in cui ci salutammo: Io voglio arrivare a Torino, ormai siamo
vicini alla Croazia, altri mille e cinquecento chilometri e sono a
casa, mi disse serio e deciso Catalin mentre i bambini spilucca-
vano un panino prima di svenire in auto come la loro mamma.
Lo ringraziai e me ne uscii dallautostrada nella capitale serba.
Fu una notte assurda, conclusa nellaiuola di una piazzola di
sosta a pochi chilometri dal confine croato. Dormii un paio dore
tra lalba e il primo mattino, tra lallucinazione e il sogno, risve-
gliandomi con gli occhi di pietra e la bocca impastata ringrazian-
do ancora Dio di non essere finito catturato dagli zingari e da
Mangiafuoco. Ero a pezzi dopo quella notte di sballo serbo e ave-
vo davanti mille chilometri e una coda pazzesca di turchi. Mi fer-
mai solo per la benzina e le sigarette e la Coca-Cola, fino ad Ab-
bazia, in Istria, dove finiva lIstro e iniziava lIstria, quella vera.
Mi immersi nel mio mare, ero quasi a casa. Ce lavevo fatta. An-
che questa volta. Quando riemersi, respirando a pieni polmoni
dopo quellabbraccio tonificante che mi lev sudore e stanchez-
za, avevo una sola convinzione: non sarebbe stato lultimo viag-
gio. C ancora tanto da vedere e da imparare in questo mondo.
Cartoline daltri viaggi a Est
Lavventura continua
Tremila chilometri per niente? No, io non ci sto. E non ci so-
no stato. Romania, Moldova, Transnistria, la corsa alla frontiera
dellEuropa ha visto altre tappe, altre storie, altri viaggi, nuove
avventure. Con mezzi diversi, dal treno allaereo passando per
barche e auto. Perch sognare bello, ma conoscere meglio.
Quando si pu. Queste sono le cartoline, i ash, i racconti di
queste nuove tappe del mio personale cammino di conoscenza
verso Oriente. Alla era del Far Est.
Sogno e incubo
[Romania]
Il cuore della Romania in Bucovina, l la gente ancora aper-
ta e non pensa come in tutto il resto dellEst solo al denaro, mi
disse lo zio di Bucarest.
Cos sembra spiazzante, ma in realt ti apre la porta a un nuo-
vo sogno, a un altro viaggio. Quello verso la Bucovina, la terra
dei monasteri affrescati protetti da castelli turriti e che un tempo
quello di tefan cel Mare, Stefan III il Grande faceva da ba-
luardo contro lImpero ottomano.
Viviamo semplicemente, la stalla, i lavori per abbellire il no-
stro monastero, in comunit. Labbiamo fondato nel 1997 e ci
viviamo in una ventina. Tutti giovani come il mio Virgilio in to-
naca, poco pi che ragazzi. Con la barba lunga e i baffi, un po
hippy, molto sorridenti e anche impacciati, rustici con un passa-
to spesso di studi e una vita lontano dalle grandi citt e anche dai
paesi. Il pi vicino Dulceana, un nome da favola per un villag-
gio di poche case incuneato tra monti.
Sono finito qui perdendomi, come al solito. Ero in preda a
una fantasia frenetica da galoppata, contagiato dalla voglia di
collezionare questi posti un po turistici ma soprattutto lontani
pi di 600 chilometri dalla capitale, dalla grande metropoli Bu-
carest, a due passi dallUcraina, in una terra che pi percorrevo
e pi mi sembrava davvero quella sognata, cercata, voluta. Dol-
ci colline, boschi che cominciavano a indorare dautunno, campi
arati, paesi con casette colorate di legno, decorate come se arri-
a est del nordest ,c ,: sogno e incubo
vassero da un presepe, villaggi hobbit che si aprono ai lati delle
strade percorse indistintamente da carretti tirati da cavalli, auto,
camion, il solito casino rumeno insomma, ma che sembra non
badare troppo alla modernit e dove trovi gente quasi sempre
gentile, pronta a darti una mano, a indicarti una strada, a ven-
derti anche dei nanetti da giardino. Li fanno in Germania, so-
no belli vero?, mi fa luomo con i baffoni e la pancia da Babbo
Natale che spunta dopo avermi visto mitragliare foto su foto a
quel giardino di assurdi pupazzi dove Biancaneve sorride a Eolo
e due nanetti rasta se la ghignano guardando un leone accuccia-
to o un levriero da punta. E io che speravo di aver trovato la fab-
brica favolosa, lopificio da dove partiva la guerriglia silenziosa
al mondo civilizzato, la miniera delle guardie da giardino che in
Italia un tempo venivano sequestrate in segno di rivolta contro la
modernit di paccottiglia.
Ce ne sono di tutti i tipi: portaombrellone, accattoni, sdraia-
ti, illuminanti, proteggenti, indicanti. Ma li vendete? Domanda
difficile da fare in italiano spanglish a uno che sa solo il rume-
nomoldav. Ma il suo cane placido e ti accompagna gentilmente
fuori dal suo giardino fatato e taroccato. Io insisto, ma davvero
li fanno in Germania? Penso alla storia che anche le maschere di
carnevale veneziane, quelle che tanto piacciono ai turisti tede-
schi e giapponesi, vengono realizzate tra la Romania (Iai) e lAl-
bania (Scutari) da curdi e veneti, una moderna delocalizzazione
di cazzate che arriva dopo gli anni dello spostamento di fabbri-
che tipiche del Nordest come quelle tessili. Ma Oleg o Olaf, que-
sto vichingo di Bucovina che sembra un Obelix in sedicesimo
(invece di due metri 1,60), rimane inflessibilmente onesto: Ja,
ja, tgermania, fa scortandomi sul ponticello di legno che segna
il confine tra il suo negozio allaria aperta e la strada. Non mi
apre le porte della casetta col tetto a punta, evidentemente non si
fida molto di questo intruso. E io me ne vado un po deluso. Ma
sono solo allinizio della mia galoppata nellultima Thule rume-
na, avr tempo per meravigliarmi e perdermi nello spirito anco-
ra puro di questi posti.
Vedi, questa la nostra chiesa, il nostro pittore, che arriva
dallUcraina, sta completando gli affreschi, mi spiega un pa-
dre del monastero della Trasfigurazione (Schimbarea la Fa,
in rumeno) di Doroteia che mi ha preso gentilmente in conse-
gna dopo che un suo confratello mi aveva visto curiosare fuo-
ri dallalto muro facendomi entrare. La strada sterrata mi aveva
messo in attenzione pi volte, temevo di finire in mezzo alla fo-
resta, ai lupi, al niente pieno della natura. Oppure in un po-
sto tenebroso e allucinato come quel Tanacu dove cinque anni
fa avevano crocifisso una suora perch posseduta dal maligno:
qui Dracula e le sue ombre terrifiche sono sempre in agguato,
soprattutto nella mente del viaggiatore eccitato e solitario.
un lavoro lungo, difficile, ma lui bravo e noi abbiamo tempo,
sorride il monaco con cui dialogo in inglese dopo che avevano
tentato di appiopparmi a un ragazzotto dalla barba e dai capel-
li rossi che era stato a fare il manovale in Italia. Il pittore dallal-
to della sua impalcatura mi sorride ma non distoglie lattenzione
dal suo compito certosino, appeso lass a quattro metri come un
novello Michelangelo si impegna nella sua personale Cappella
Sistina. Non conta dove sei, importa come fai il tuo lavoro, di-
rebbe un buddista o anche un trappista. O uno di questi monaci
ragazzi che ridono quando chiedo se possono sposarsi: Quello
lo fanno i preti di citt, i pope, noi abbiamo fatto voto di casti-
t, mi spiega gentile il mio Virgilio di quella terra sacra e un po
fatata, che comunque non fuori dal mondo. Infatti attacca una
filippica sul problema del momento: i rom e Sarkozy. Ci con-
a est del nordest ,: ,, sogno e incubo
fondono sempre con loro, la gente in Europa non capisce che
rumeni e rom sono due popoli diversi, anche noi non li soppor-
tiamo, rubano, non lavorano, vanno in giro a far chiss cosa, di-
ce senza tanti complimenti. Poi si ferma, mi guarda di sottecchi
e chiede: Non sarai mica un giornalista?. Cavolo, ma ce lho
scritto in fronte? Anche l, in mezzo alla foresta e ai prati verdi
da pubblicit della cioccolata svizzera? Cerco di trovare un si-
stema per uscire da quella marcatura, ma lui sorride. Tanto
lo stesso, chi vuoi che sia interessato allopinione di un povere
monaco di campagna che per giunta sta in un monastero di pa-
ese, piccolo, disperso. Di sicuro lui un tipo simpatico che ha
un tic: appena vede che sto girando per inquadrarlo con qualche
macchina da ripresa lui se ne va, fugge, come fanno in India, do-
ve credono tutti che tu, con una telecamerina, gli possa rubare
anche lanima. Se bastasse questo ci saremmo liberati da tanta di
quella gente laggi in Occidente
Mi offre lacqua del loro pozzo ma non la grappa che sicu-
ramente fanno per sopportare un inverno che qui, appesi alla
grande pianura bessarabica e sarmatica, sar sicuramente duro e
puro. Ogni tanto occhieggiano alcuni suoi confratelli, che conti-
nuano indaffarati a rassettare, a far legna, a pregare. Il mio Virgi-
lio improvvisato a un tratto si illumina, ha finalmente da occupa-
re questo guardone matricolato dopo che mi vede seguire con la
bocca aperta un monaco che tamburella su unasse cantandosela
come se fosse unarpa. Aspetta, sono quasi le cinque. Un suo
compare alto e segaligno sinerpica sul campanile affrescato che
sormonta la porta di legno dentrata del monastero di Doroteia.
Sinfila dentro e inizia una performance degna di un percussio-
nista jazz che va avanti quasi dieci minuti. Tarappa titropta rop-
taratta tatattattta e via cos in un crescendo rossiniano che po-
trebbe concludersi tranquillamente con il lancio delle bacchette
modello concerto rock e invece parte la campana e mi si spiega
che il segaligno ha fatto tutto con mani e legno, neanche uno xi-
lofono aveva quello!
Ma s fatto tardi, io devo vedere qualche altro monastero e
loro prepararsi alle preghiere della sera, quindi vengo accompa-
gnato verso il portone dentrata di quel piccolo castello fatato
con lultima spiegazione: Qui pass tefan cel Mare e fond la
chiesa di.
Fatalit, serviva unimpronta leggendaria per dare lustro e
storia anche al piccolo monastero di provincia che, evidente-
mente, aspira a vivere per secoli, come quello di Moldovia che
pesco dopo una cinquantina di chilometri, strade sbagliate, ri-
chiesta di informazioni e il timore che arrivi presto la sera e mi
colga impreparato e incasinato. Dopo la rivoluzione sono sorti
tanti monasteri, in Maramure ce nera uno solo e adesso saran-
no cinque o sei, lo stesso in Transilvania. Ma londata di vocazio-
ni gi finita, i giovani pensano ad altro, e questi posti restano
vuoti, abbandonati. Preferiscono andare in citt o allestero, in
Italia, fa la monaca. Non sono suora, io ho fatto i voti, ormai
pi di trentanni fa, dettaglia con il suo fare teutonico e una
punta di perfidia questa florida sorella di Bucovina, tanto per
far capire che loro l sono le uniche vestali di quella tradizione e
che bisogna diffidare delle imitazioni tipo i ragazzi del bosco di
Doroteia. Sotto il comunismo era difficile fare i monaci, ti co-
stringevano a lavorare, io insegnavo in una scuola. Ma in seguito
Ceauescu inizi anche a restaurare i monasteri, e poi la gente di
qui si fidava di noi, non ci avrebbe mai denunciato come sobil-
latori o reazionari.
Il suo italiano irto e solido ma lei sorride spesso, si vede che
gli piace aver agganciato questa truppa di italiani raccogliticcia
che, per vocazione al disordine, sera infilata nel suo monaste-
a est del nordest , ,, sogno e incubo
ro sullorlo della sera. Ci aveva visto vagare dispersi tra le mu-
ra possenti e gli affreschi affascinanti della chiesa dellAnnun-
ciazione con bocca aperta e fare un po beota. Cera da capirci,
davanti a pareti intere di storie rischi di avere il torcicollo per
seguire i tanti passaggi della Bibbia e dei Vangeli dipinti mezzo
millennio fa da monaci austeri e umili che non avevano lasciato il
loro nome ai posteri. Lavoravano per la gloria di Dio, sottoli-
nea la nostra guida iniziando a raccontare della passione di Ges
dipinta in colori unici che arrivavano direttamente dalla natura,
della sua ascesi e delle storie varie che scorrono tra terra e cielo
soffermandosi su un episodio preciso affrescato solo in questo
monastero (il canone ortodosso lasciava qualche spazio dinter-
pretazione): lassedio di Costantinopoli da parte di Maometto II,
il conquistatore di quella che diventer sotto i Turchi Istanbul.
Cannoni e cavalieri sono pronti a lanciare il loro assalto finale al-
le mura turrite difese da lance e balestre, il dramma sta per com-
piersi. La paura di finire cos, sommersi dagli Ottomani musul-
mani, da queste parti era palpabile in quel lungo Medioevo che
fin solo nel XIX secolo, in pieno Romanticismo.
I colori brillanti qui in Bucovina stato inventato un blu
naturale mai eguagliato quelle scene mosse da scatti in due
dimensioni, irreggimentate in unalgida narrazione, prepotenti
spiegano secoli dassedio e conquiste e lotte e battaglie tra due
mondi che non riuscivano proprio a parlarsi, tanto che ora in
queste terre le tracce del Turco sono minime e poco restato an-
che della loro cultura. Sommersa dalla sconfitta dellImpero solo
qualche comunit sopravvissuta ma senza minareti. In Gauga-
sia, la regione autonoma nel sud della Repubblica sorella ma
ex URSS della Moldova, a trecento e passa chilometri da qui,
lunica traccia ottomana sono i baffoni che ancora ornano le fac-
ce dei contadini.
Il confine dellImpero turco lambiva questi luoghi. Qui rac-
contano orgogliosi che Iai, il principale centro della regione a
sette ore di treno da Bucarest, non fu mai conquistata dalle ar-
mate ottomane che si susseguirono nei secoli per tentare lo scon-
finamento a nord e a ovest. tefan III riusc a unire i principi voi-
vodi perch qua non ci sono mai stati re, altra sottolineatu-
ra che mi stata fatta pi volte e a battere gli Ottomani con la
tecnica privilegiata dai temporeggiatori di ogni epoca: bruciare
le campagne, avvelenare i pozzi, fiaccare il nemico e poi coglier-
lo di sorpresa in qualche gola. Non per niente il condottiero del
XV secolo che campeggia sempre orgoglioso a cavallo nelle piaz-
ze delle due Moldove viene paragonato a un altro capo balcani-
co, a quel Giorgio Castriota Scanderbeg (Gjergj Kastrioti Skn-
derbeu) che nello stesso periodo bastonava il Turco in Albania.
singolare che a salvare lEuropa cristiana allora furono un
rumeno e un albanese, alfieri di popoli che oggi vengono acco-
munati dallo stesso destino reietto e dallappellativo di perico-
losi, sanguinari e anche per sovrappi svogliati. Un classico di
chi si sente la terra sprofondare sotto i suoi tappettini da welfare
e di chi non riesce a capacitarsi che il mondo di colpo, dopo il
crollo del Muro e della Cortina di Ferro, s allargato fino a ri-
schiare di farti ingoiare dalla Cina. Lo sguardo s aperto troppo
in l, fino alla Grande Muraglia, e ha lasciato gli europei, neo e
non, sbigottiti e impauriti. Hai voglia a spiegare che di albanesi
in Italia ce ne sono 400.000, e i rumeni sono 800.000 (un milio-
ne e 300.000 con famiglie e bambini); lavorano tutti e tra loro i
delinquenti sono pochi, fanno i lavori che tuo figlio il ragaz-
zo dello spritz e degli occhiali firmati rifiuta; ti accudiscono il
padre e il nonno che altrimenti non sapresti dove sbattere. Non
lhanno chiesto loro di venire in Europa e non hanno alcuna col-
pa se laggi si fa la fame.
a est del nordest ,o ,; sogno e incubo
La storia dei sanguinari poi ha una radice antica, che affon-
da anche in questo caso nel secolo post illuminista. E si intreccia
nella tenebrosa voglia di avventura degli inglesi e degli europei
incarnandosi nella leggenda dei vampiri. Dracula, che in veri-
t si chiamava Vlad, al massimo era lImpalatore, cio Tepes:
non era altro che un capo guerriero, un uccisore di Turchi, uno
insomma di quelli che vi ha salvato nel XV secolo comandando
gli eserciti della Valacchia sento la reprimenda di Simona che
mi gira in testa come un calabrone. I vampiri semmai stavano
da altre parti e fanno parte di altre storie. vero che quello era
un cattivone, che ha ammazzato migliaia di Turchi infilandogli
un palo nel culo, ma a quel tempo lo stesso facevano loro con i
nostri e anche gli ungheresi che furono i primi a criminalizzare il
nostro Vlad III Dracul, che in rumeno vuol dire figlio del dra-
go e non figlio del Diavolo.
Su questa storia qui sono molto suscettibili, quasi quanto
quella dei rumeni che son tutti zingari. Tanto che in una mostra
a Bucarest, interessante e ricca, campeggiava una spiegazione da
propaganda. La leggenda dei vampiri secondo i curatori sa-
rebbe stata messa in giro da britannici e ungheresi due secoli fa
per far passare i rumeni come selvaggi e arretrati in quanto al-
leati potenziali dei russi, cattivoni imponenti gi a quellepoca.
Insomma, un complotto internazionale degno dei Savi di Sion
e di quelli plutomassonici. Si aprirebbe poi un capitolo da labi-
rinto sulle questioni e gli intrecci che da una guerra in un antico
Afghanistan, cio la Crimea il posto dove Cavour ha spedito
i bersaglieri per guadagnare credibilit internazionale, le mosse
della diplomazia sono sempre cos scontate? Sangue per favori e
business? arriverebbe alle grandi mareggiate della Storia che
lasciano dietro di loro problemi con minoranze (la Transilvania
stata per secoli ungherese e la minoranza magiara laggi una
forte maggioranza) che non si integrano e deportazioni di massa
per ripulire etnicamente campagne e villaggi.
Spunta poi la storia che i veri vampiri fossero i Bogumili, set-
ta di cavalieri e guerrieri tipo Templari apparsa sulla scena bal-
canica nel XII secolo, oppure genti centroasiatiche (gli Hassasi,
i fumatori di hashish che il Vecchio della Montagna utilizzava
come killer). Fu comunque lo scrittore britannico Bram Stoker
a saldare la storia di Dracul con quella dei vampiri dando il La
a una pubblicistica che ancora adesso va per la maggiore, tanto
da far resuscitare invece che mostri succhia sangue progetti spe-
culativi come quello che si voleva realizzare alla periferia di Bu-
carest qualche anno fa: un bel parco di divertimenti Dracula.
Idea che non decoll, pare perch si potevano accendere specu-
lazioni pi semplici, ma che di questi tempi potrebbe ritornare
buona per rilanciare il turismo e ledilizia dopo la grande crisi
del 2008 che ancora morde molti ricconi con in pancia un sacco
di palazzi vuoti.
Anche sul castello di Dracul-Vlad ci sono discussioni e litigi.
La cartolina ufficiale lo vuole vicino a Braov, 160 chilometri dal-
la capitale, citt bella e anche movimentata dove in inverno puoi
incontrare per strada qualche orso in cerca di cibo (per ora li
hanno avvistati solo in periferia, sembra possano esserci anche i
lupi). Il castello di Bran turrito e irto, non sta su una collina so-
litaria, non nero, e non ha sempre i fulmini che lo illuminano in
notti di tregenda. Quando lho visitato non era neppure avvolto
dalla pioggia, anzi, il sole della primavera lo scaldava e scioglie-
va la neve che ancora aveva sui tetti e nei cortili. I gradini sono
ripidi e consigliano attenzione, le stanze sono decorate, i cami-
ni spenti e quindi ti mette davvero i brividi (soprattutto dinver-
no) ma ha laria di essere fin troppo perfetto, restaurato come si
dovrebbe, come ti aspetti. Insomma una grande operazione di
a est del nordest ,
marketting completata dal solito mercatino di cianfrusaglie si-
mil-etniche made in China che lo assediano.
Molto pi bella ed evocativa la fortezza che sta a pochi chi-
lometri, a Rnov, una citt fortificata che sta su un cocuzzolo e
pare non sia mai stata conquistata; dai Turchi, ma dal principe
di Transilvania Gabriel Bthory nel XVII secolo s. Formava in-
sieme ad altre sette la cintura di castelli della Transilvania che
doveva servire da difesa contro gli Ottomani e fece da marca
di confine sassone e asburgica. Anche in questo caso i restauri
sono stati profondi questi lavori fervono in tutta la Romania,
sembrano lunico settore che non si sia fermato, complici forse
i soldi dellUnesco o dellUnione Europea il posto bello, do-
minante e imponente. Ti perdi volentieri sui camminamenti del-
le mura come potresti fare in altri castelli di citt come quello di
Sighioara, citt natale di Vlad. Simona, lamica giornalista, per
smonta lincanto e fa sicura: Il vero castello di Dracula quello
di Arges vicino a Poienari. Sta qui vicino a Bucarest, cento chi-
lometri, e Brad Pitt vuole girarci un film sui vampiri. un posto
bellissimo, quello giusto per Vlad.
Mah, il solito gioco di specchi e suggestioni che fa della Ro-
mania una nazione particolare e incasinata, da viaggiare. Ognu-
no si potrebbe tirar fuori il suo castello e il suo vampiro, basta
applicarsi e perdersi in mezzo a questo paese grande che vorreb-
be tanto diventare un grande paese ma per ora pu solo appen-
dersi alla nostalgia di un altro tempo, un altro anno: 1938.
La carta geografica appesa vicino allo sportello della bigliet-
teria del monastero di Voronet, uno dei pi belli della Bucovina.
Dentro la giovane monaca col solito cappello cilindrico e il vesti-
to nero potrebbe avvicinarsi molto a un burka senza velo leg-
ge e incassa i soldi: biglietti, eventuali foto, videocamere, carto-
line, santini, libretti, carte geografiche. Tra questultime ne man-
ca una, quella affissa: la Grande Romania - 1938 pre Seconda
guerra mondiale e post indipendenza 1918; comprendeva anche
la Moldova fino al fiume Nistro, Tiraspol quindi era il suo confi-
ne con la Russia come lo oggi, questi ricorsi ricordi storici ,
e sallungava ben bene formando una delle nazioni pi estese del
Vecchio Continente. Roba da Francia, per intendersi, proprio il
modello di quel giovane regno che aveva Parigi come grande fra-
tello e obiettivo. Che energia doveva esserci in giro per Bucarest,
e in tutto il Paese allora, se la Romania era diventata la mecca e
la speranza per emigrati anche italiani e veneti. In migliaia arri-
varono dalle parti di Iai e Brila, nel Far Est, tra la fine del XIX
e linizio del XX secolo. Dopo il secondo conflitto, a met degli
anni Cinquanta, gli italiani superstiti furono costretti a scegliere:
o Roma o Bucarest. Rimasero in qualche migliaio e si integraro-
no, ma ancora rimane una comunit col diritto di nominare un
deputato al parlamento della Repubblica, privilegio che ho visto
allopera per ora solo in Croazia. Erano tempi di elettricit, auto,
boulevard, Belle Epoque, ottimismo, energia, investimenti, tutto
quanto fa sviluppo con la sicurezza di poter solo crescere sorret-
ti dalla tecnica e dal sol dellavvenire. Poi arrivarono lalleanza
con i nazisti, le Guardie di Ferro del piccolo Mussolini Codre-
anu, il maresciallo Ion Antonescu, e lArmata Rossa sovietica a
far piazza pulita piantando nuovi confini, creando unaltra Mol-
dova e piazzando un solo partito al governo. Un comunismo di-
verso, pensavamo noi in Occidente abbagliati da Ceauescu. Poi
nel 1989 abbiamo scoperto la miseria nascosta, la megalomania
da operetta e la fame di un popolo allo stremo. Furono anni ter-
ribili, pare, ma anche equivoci.
stato un golpe di palazzo, hanno ammazzato Ceauescu e
sua moglie, e al governo sono finiti quelli del suo partito. Lui
sempre stato un burattino, la faccia di un regime che si reggeva
,, sogno e incubo
a est del nordest :cc
sulla Securitate, la polizia segreta, e che ha deciso di eliminarlo
per non perdere il potere, come infatti successo. Qui governa-
no sempre gli stessi, anche adesso fa il signor Emil. Vero, ma
quella stata una rivoluzione di popolo, io lho visto quando
scappava con lelicottero dal tetto della sua Casa Bianca, sta-
to il suo pilota ad atterrare in piena campagna e a scappare, ed
stato il suo popolo a prenderlo e a fucilarlo, la gente non ne po-
teva pi di lui, dice Carlo Carnu, ex operatore cinematografi-
co nella Cinecitt di Bucarest a Buftea, una ventina di chilometri
dalla capitale. E non vero che gli anni seguenti sono stati di
fame, che i padri mandavano a prostituire le figlie con gli stra-
nieri per dar da mangiare alla famiglia come dice qualcuno, cera
una nazione da ricostruire, un sistema da iniziare, ma non cera
questo caos, questanarchia. Forse si sta peggio ora, con questa
crisi, con gli stipendi pubblici tagliati del 25% e i prezzi sempre
in rialzo. Il boom degli ultimi anni ha illuso molti, e ubriacato al-
tri, e ora pi difficile accontentarsi. I giovani non hanno lavoro
e sognano tutti di andare allestero.
Ora sono in 800.000 ufficiali, chiss quanti irregolari e
quanti altri hanno perso il lavoro? Un recente studio della CGIA
di Mestre fotografa che un terzo degli immigrati stranieri vene-
ti a spasso. Il governatore Zaia, presidente leghista della Re-
gione Veneto, ha lanciato il monito: Non se ne facciano entra-
re altri, prima i veneti. Alla fabbrica dei grissini Bibanesi sono
gi andati pi in l: Prima quelli di Godega di SantUrbano
(Treviso) residenti qui da almeno cinque anni, pazienza che
siano anche stranieri (ma forse si sono distratti i leghisti locali),
limportante che paghino le tasse in loco e che non diano fa-
stidio. Meglio sorvolare sul fatto che molti degli irregolari siano
assunti da veneti a fare le badanti o i camerieri, o i manova-
li, o i contadini, e che difficile controllare gli stranieri quando
non si riesce nemmeno a pescare gli evasori, in moltiplicazione
esponenziale con la crisi galoppante che vive anche il Nordest
(75.000 posti di lavoro persi in un anno, 130.000 persone in cer-
ca di un qualche impiego). Oltre tutto come fai a fermare lin-
vasione degli immigrati? I rumeni entrano senza problemi, so-
no europei. Un viaggio della speranza da Iai, 1500 chilometri e
passa da Treviso, in bus dura 36 ore e costa 63 euro. Come per
gli aerei low cost ma con qualche speranza in pi. I moldavi in-
vece hanno altri sistemi, pare.
Sono arrivata in Italia da clandestina una decina di anni fa,
autobus fino al confine tra la Slovacchia e lAustria, e poi a pie-
di, di notte, in mezzo ai boschi, a varcare la frontiera. Dallaltra
parte ci sono venuti a prendere in camioncino e ci hanno deposi-
tato alla stazione dei treni di Vienna, ricorda Vania, che oggi fa
la badante dalle parti di Mestre, a due passi e qualche canale dal
palazzo della Regione di Zaia: Ho pagato 2000 euro e ora sto
aspettando da un anno la regolarizzazione che mi ha promesso
il vostro governo. Voglio pagare i contributi, le tasse, come voi.
Anzi, come una parte di voi.
Gi, il governo si concentrato in questi anni sugli sbarchi e
lemigrazione delle carrette via mare, ma l80% dei migranti arri-
vano via terra, dai confini dellest o da quelli del nord. Non puoi
fermarli. A meno di non costruire un altro Muro. Come quello
di Berlino. O come in Terra Santa. La fortezza europea cerca di
difendersi come Ceauescu faceva con i suoi sudditi. Lui il suo
castello di moderno Dracula se lera costruito in citt, a Buca-
rest, radendo al suolo interi quartieri Bauhaus e liberty della ca-
pitale e spostando anche una chiesa un chilometro pi in l.
La Casa del Popolo oggi ancora una cattedrale nel deserto.
Questo pachiderma di marmo secondo solo al Pentagono come
grandezza (e, forse, come inutilit) sorge in cima a una collinetta
:c: sogno e incubo
a est del nordest :c:
cercano di fregarti. Arrivai qui nel 1991, era il caos, i padri man-
davano a prostituire le figlie perch cera la fame, ho visto scene
che neanche simmagina, ma ora le cose sono migliorate, anche
se bisogna sempre stare attenti a tutto, soprattutto ora, che gira-
no pochi soldi e c la crisi.
Quando parli con gli imprenditori della prima ora sembra
sempre di ascoltare un reduce dal Vietnam, dalla Bosnia, o dal-
la Tannhuser bladerunneriana, ma li si pu capire. Certi Pae-
si post comunisti sembravano veramente reduci da un bombar-
damento a tappeto e ancora adesso per le strade di Bucarest o
della Romania ti puoi imbattere facilmente in case sbrecciate,
in fabbriche fatiscenti, in luoghi che potrebbero arrivare da una
guerra atomica. E invece sei qui, dentro alla Casa dei fantasmi
di Ceauescu, dai soffitti altissimi e dai finestroni pure, con gli
stucchi doro e i pavimenti di marmo, gli specchi e i lampadari in
vetro di Boemia (o gi di l) grandi come quelli delle nostre cat-
tedrali. Tutto sembra pronto per un ballo di fine Ottocento, per
un concerto di Strauss, solo che il valzer che ti sembra di ascol-
tare solo quello degli addii e delle illusioni. Ma come hanno
fatto a fargli costuire questo monumento? Come hanno potu-
to permettergli di radere al suolo interi quartieri come se fosse
scoppiata una bomba atomica (non per niente chiamavano que-
sta zona Hiroshima)? Perch questa pazzia che sannida anche
sottoterra, per chilometri, tra bunker e gallerie che uniscono tut-
ti i palazzi del potere rumeno in una ragnatela nascosta e para-
noica? Lo hanno lasciato divertire, questo palazzo assurdamen-
te grande era il suo giocattolo, suo e di sua moglie Elena, che era
pi pazza e paranoica di lui mi spiega un funzionario di lungo
corso, talmente lungo che arriva da quei tempi. Lo tenevano
occupato mentre gli altri, i burattinai, quelli che lhanno sem-
pre manovrato e poi gettato via al momento opportuno come
alla fine di un grande viale. Ed quasi tutto circondato da ster-
paglia. Dallaltra parte un altro palazzone cadente per ora atten-
de restauri e ospita una partitella di calcio tra guardie o autisti
dei boss. Nel parcheggio di quello che oggi il Parlamento ru-
meno sta in bella mostra anche il veicolo elettorale di un depu-
tato, un ex scuolabus dipinto di blu e arancione con la faccia del
giovane rampante e la scritta che urla il cambiamento: sembra
proprio un carrozzone di quelli dei vecchi circhi, chiss se il no-
stro onorevole signore riceve ancora i suoi elettori.
Il parlamento blindato, la guardia mi blocca subito quan-
do cerco di entrare indossando la mia faccia da bravo ragazzo.
Mi aggiro, voglio visitare il museo darte contemporanea che
ha conquistato unala del mastodonte neoclassicomunista. An-
che qui vengo stoppato, chiuso per apertura serale (c la notte
bianca per i 500 anni di fondazione di Bucarest). Nel piazzale
davanti sta parcheggiata una macchina dei pompieri, evidente-
mente c qualche pericolo. Forse dovuto ai lavori in corso che
hanno recintato la zona pi dimessa del posto, quella che d
sulla sterpaglia e sui resti di una balaustra. Mi affaccio sulla pas-
serella pericolante e getto lo sguardo sulla citt che si allunga
sotto, tetti che sembrano Parigi e boulevard strombazzanti che
finiscono nellentrata monumentale della Casa del Popolo. Mi
ritiro in fretta, non vorrei attivare lattenzione delle tante guar-
die a difesa della democrazia che pullulano l sotto. Ritorno in-
dietro calpestando un po di vetri rotti (alcuni finestroni dellala
sono effettivamente rattoppati con lo scotch) ed entro nel san-
cta sanctorum del Conductor attraverso una fiera dellelettro-
nica dove pesco i soliti italiani a caccia di nuovi affari e mi sor-
bisco le avventure di un imprenditore, Paolo Mantega, uno dei
cosiddetti pionieri: Conosco tutto di questo posto, anche la
lingua, e le assicuro che serve perch solo cos puoi capire se
:c, sogno e incubo
a est del nordest :c
Confine chiuso
[Romania]
Vicovu de Sus, la strada finisce di fronte a una sbarra da passaggio
a livello, il cartello di divieto, lasfalto mangiato e una fila di piop-
pi oltre il campo. Questo il confine tra Bucovina (Romania) e
Ucraina? Una strada tra casette di legno linde che si blocca al mar-
gine del villaggio, cos, senza preavviso? Almeno a Basarabeasca,
arrivavi con un po di movimento, tra un passaggio a livello e bi-
nari sconnessi, dune e gobbe, carretti e contadini con i baffoni e il
cappello a cilindro e la moglie col velo. Ma l eri in Moldova nella
regione turcomanna o tartara della Gaugasia non in Romania,
Europa. Il confine poggia sullo stesso stato, lUcraina, ma qui sia-
mo al centro del Vecchio Mondo (o mondo vecchio?) e dellordi-
ne, non allinizio del nulla bessarabico.
In ogni caso in un posto ero arrivato ed evidentemente non po-
tevo pi proseguire, quindi scendo e mi armo di macchina foto-
grafica e telecamera, tanto per documentare quella situazione di
irrealt chiusa da una nuova cortina di filo spinato, quando vedo
spuntare un paio di teste sopra una divisa blu, ohi, ohi, guarda ca-
so poliziotti. Nascondo tutto il mio armamentario da documen-
tarista e inizio a fischiettare del tipo sono passato qui per caso,
mi sono perso, sono il classico stupido occidentale. E glielo di-
co anche: Ma non si pu andare dallaltra parte?!. Grande in-
tuizione, penso autoironico, una strada abbandonata bloccata da
una sbarra con un disco rosso in linea bianca. Loro mi guardano
uno basso e cicciotto, laltro pi alto e sempre in carne, il ber-
un capro espiatorio, conducevano tranquillamente i loro affari
nellombra. Come continuano a fare anche oggi.
Un brivido, una scossa elettrica, questi saloni grandiosi e inu-
tili hanno degli spifferi, ti gelano dentro, nel profondo. Anche
perch tra leco dei tuoi passi vuoti ti sembra di distinguere la
forma di altri fantasmi, di altre suggestioni, di misteri che sono
anche i tuoi, della tua vita, della tua Italia. Ti volti di scatto e dal-
lo specchio gigantesco che domina questo salone (uno dei cento)
fugge unombra, un gobbo dal mento a punta, la insegui dopo
una delle tante maestose scalinate che scendono qui nel ventre
della Casa del dittatore, ne senti i passi ritmati e frenetici, serra-
ti nellesercizio del potere e lombra riappare l in fondo, questa
volta ancora pi bassa ma ha la testa quasi rotonda, i capelli ap-
piccicati al cranio, il doppio petto. E il sorriso del Joker. pro-
prio vero, la Romania lo specchio deformato dellItalia, tricolo-
ri diversi per un passato che fa fatica a morire.
a est del nordest :co
Transilvania e nuvole ungheresi
[Romania]
I problemi esistevano anche ai tempi dellImpero, solo che non
se ne parlava. I regnanti non avevano percezione delle minoran-
ze. Vivevano lass, a Vienna, e un po a Budapest, la sua citt. Il
resto di quel regno che voleva far rivivere i fasti del Sacro Romano
Impero e che sallungava dallItalia Settentrionale ai Balcani fino
alla Transilvania e alla Moldova erano pure espressioni geografi-
che, folklore, posizioni di forza e di difesa, punti dappoggio per
commerci o posti dove poter spremere imposte.
Pter Esterhzy ha i capelli candidi e folti come un direttore
dorchestra modello Beethoven e lo sguardo vivace e disincanta-
to di chi arriva da lontano e vede ancora pi in l. Il suo Harmo-
nia Caelestis il racconto della fine di quellImpero e linizio di un
comunismo, quello ungherese, simile agli altri dellarea di mezzo,
quella Mitteleuropa che ho sempre pi il sospetto fosse solo un
sogno soffuso, una speranza di meticciato che rivedi in qualche
palazzo di Fiume, Zagabria, a Bucarest come a Budapest, ma che
alla fine fosse piuttosto un timbro di ordine con il caos delle diver-
sit culturali, di storie, di religione, infilate solo sotto il tappeto di
Cecco Beppe, il Kaiser. Il comunismo tent di ereditare quelluni-
formit impettita e piccolo borghese ammantandola di egualitari-
smo e laicit, perpetuando un altro dominio e unaltra gigantesca
finzione, crollata col Muro nel 1989.
Ora tocca allEuropa riproporre la sfida delle diversit e del
dialogo per allungare i confini del benessere e tacitare le paure
retto in testa piazzato con malavoglia e la noia a corroderti le ossa
e il cervello e mangiano la foglia: questo uno scemo europeo.
Mi sorridono commiserandomi e mi spiegano in rumeno misto a
qualche parola in inglese che s, mi sono perso, che devo andar-
mene, non sloggiare no, perch l siamo ancora in Europa e quin-
di vige la gentilezza e lordine, ma di l c il lupo, lAltro Mondo,
e non si pu passare proprio in Ucraina, anzi, in URSS come uno
dei due si pregia di ricordarmi tanto per far capire che la guerra
fredda mica finita, si solo spostata pi in l e loro sono le sen-
tinelle della nostra pace. Ma come? faccio io nella stessa lingua
franca e mista, solo che al posto del rumeno piazzo un po di ve-
neto o latino non si va dallaltra parte da qui? Ma la cartina stra-
dale dice che insomma, non c la possibilit, la libert e nel
frattempo spero che non mi abbiamo sgamato a fotografare loro e
il confine proibito, le guardie si prendono sempre sul serio anche
se stanno a sorvegliare campi di patate a perdita docchio, daltra
parte devono fare una parte senn perch pagarli? Loro ora sono
un po meno gentili, cominciano a fare segni con le mani di smam-
mare, che non si pu parcheggiare l, che se voglio proprio passare
c un altro posto pi in l, dopo un ponte, a qualche chilometro,
che insomma quello un luogo sacro, importante, da proteggere a
ogni costo. Io faccio la faccia delusa e sempre pi beota, ma risal-
go in macchina mentre i due sorridono sempre pi impacciati. Mi
metto la cintura di sicurezza, non si sa mai che non mi appioppino
anche una multa per arrotondare la loro noia, faccio manovra e ri-
torno da dove ero venuto sbirciando dallo specchietto retrovisore
mentre quelli entrano in una delle casette di confine evidentemen-
te esausti per quella discussione.
Solo il giorno dopo avrei saputo che quelle file di pioppi e quel
confine dellUnione Europea era uno dei pi porosi e sforacchiati
del mondo. Da cacciatori e contrabbandieri. Alla salute, Bruxelles!
a est del nordest :c :c, transilvania e nuvole ungheresi
nemmeno un problema solo dellEuropa dellEst. Dappertutto i
nazionalismi si impongono, e non necessariamente lo fanno con
un linguaggio del silenzio e della tranquillit.
Sorride, lironia gli fa alzare un sopracciglio, forse gli vengono
in mente le parole di Zygmunt Bauman, lesploratore della socie-
t liquida, convinto che il potere governi sventolando linsicurez-
za e regni con lincertezza. Questi sentimenti si rappresentano su
pi livelli, quello pi primitivo dei politici. Da noi, come da voi,
osserva asciutto lo scrittore, poi ti guarda: Forse sono stato un
po ingiusto, ma ogni tanto va bene, aggiunge quasi per scusar-
si mentre mi viene in mente la storia degli Csng, un nome che
sa molto di blues e invece designa un popolo dalle salde tradizio-
ni ungheresi che sopravvive in unottantina di villaggi con le chie-
sette di legno sparsi nella valle del fiume Siret (Moldova rumena),
tra Roman e Bacu con propaggini in Bucovina, vicino a Suceava.
Sono rimasti in 60.000, pi o meno, e come gli indiani dAme-
rica vivono un po protetti e un po segregati in questo lembo di
terra arcaica fin dal Medioevo. Cattolici in una terra di ortodossi,
ungheresi in una nazione che la Romania, gli Csng (come gli
Szkely nella Transilvania centrale dalle parti di Harghita, Cova-
sna e Mures, secondo lo scrittore Stoker, Dracula arriverebbe da
questa popolazione pallida erede degli Unni) vivono da secoli sot-
to assedio, cancellati dal nazionalismo rumeno e sballottati dal-
le guerre e dalla Storia, ignorati anche dalla Chiesa cattolica, che
negli anni del comunismo prefer proteggere i fedeli autoctoni,
che in Moldova sono circa 250.000, a Iai hanno un vescovado
importante con tanto di cattedrale nuova di zecca e inaugurata ai
primi del Duemila da Giovanni Paolo II in persona, cos almeno
mi disse uno dei curati di quella diocesi magnificando le loro atti-
vit ma svicolando sulle tribolazioni di questo popolo che ha ispi-
rato le opere di Bla Bartk (ungherese nato in un villaggio oggi
delle guerra. Si partiti con la Slovenia, lUngheria, la Repubbli-
ca Ceca, la Slovacchia nel 2004, per arrivare a Romania e Bulgaria
nel 2007, prima di approdare forse alla Croazia nel 2013 e chis-
s quando a Bosnia e Serbia, i veri snodi per una pace durevole e
prospera nei Balcani. Nel frattempo Sarkozy deporta i rom e Bru-
xelles sarrabbia temendo di ritornare ai tempi di Adolf mentre in
tanti guardano allesperimento francese con interesse da sondaggi
e gli episodi di xenofobia si moltiplicano ai danni delle minoran-
ze ungheresi in Slovacchia e di quelle rumene in Ungheria, che ac-
cusa Bucarest di tenere i suoi cugini dei Carpazi e di Transilvania
(circa un milione e mezzo di persone, in parte Szkely e Csng
dalle musiche esotiche e dagli abiti colorati, i figli della grande am-
putazione post Grande Guerra), sotto una cappa di controllo, e i
rumeni rispondono che quelli se ne stanno per conto loro rifiutan-
do di imparare anche la lingua della nazione dove la Storia li ha
spiaggiati. Budapest ha concesso la doppia cittadinanza ai fratelli
doltre confine, ed scoppiato lennesimo caso.
Si pensava che con lentrata nellUnione Europea questi pro-
blemi dovessero essere superati, ma un percorso lungo lasciarsi
alle spalle diffidenze e paure dice lo scrittore ungherese premia-
to a Verona col Grosso dOro della Fondazione Masi curio-
so vedere come lavora la tradizione, le cose sono cos uguali nel
tempo che difficile potersi liberare di questi retaggi. Esterhzy
riflette, guarda il sole ancora caldo di questo inizio dautunno e
sembra armarsi del disincanto di chi vede ritornare sempre gli
stessi fantasmi, paure, problemi, sfide, questo s un sentimento
molto europeo, forse uno dei pochi che ci accomuna in questo
Vecchio Continente frullatore e minestrone.
Manca spesso la fiducia mormora con il riserbo di chi non
si sente guru e non vuole dare lezioni come anni prima faceva
alluniversit di Budapest (matematica). Non semplice, non
a est del nordest ::c
ser e Knig. C un lavoro sociale e personale sul passato e sul
nostro ruolo in questo passato che si dovrebbe fare aggiunge con
forza lo scrittore ungherese. Quello che manca nei Paesi post co-
munisti lautoconoscenza: chi siamo, cosa abbiamo fatto, che co-
sa significa questo noi. Problema che onestamente hanno anche
lEuropa e lItalia in particolare. Solo che nellEuropa dellEst
sono peggiori le condizioni per permettere queste riflessioni per-
ch tutto pi incerto economicamente e socialmente. Si soprav-
vive ma si perso quale sia il significato di vivere.
Sar per questo che si fa fatica ad accettare come vivono gli al-
tri, soprattutto i diversi, come per esempio i rom? Il loro un
problema reale, esiste effettivamente un conflitto tra la loro cultu-
ra e gli altri. La diversit sono convinto che sia una ricchezza, pe-
r dallaltro lato crea problemi di convivenza e i motivi di questi
problemi sono molto profondi e variegati. E la societ come tale
continua a fare errori, a mettere barriere, a parlare di maggioran-
za e minoranza. Quello che veramente grave nelle nostre socie-
t che manca un colloquio sereno, sobrio, ben intenzionato. A
volte si parla a voce troppo alta, come se fossimo sempre in un
campo di calcio, allo stadio. E io so cosa vuol dire perch da gio-
vane giocavo a calcio. Ride lo scrittore dellEst: un linguaggio
molto forte e colorito, anche qui in Italia si sente questa forma di
linguaggio. Da noi abbiamo coniato un motto: Forza Ungheria.
Ohib, qui si rischia veramente un tutto il mondo paese
nelle sfortune e nella superficialit. Si salvi chi pu. Ma dove?
rumeno, Snnicolau Mare) e anche del folletto serbo Bregovi. Le
loro case colorate e linde, i loro villaggi da presepe, li incontri pe-
regrinando in Moldova, sono oasi in mezzo al caos delle periferia
comuniste, spicchi di un mondo fatto di carretti e chiese di legno
che sembrano arrivare veramente da un altro tempo e chiss fino
a quando resisteranno in queste riserve indiane tra una natura ad-
domesticata e rigogliosa.
Limportante avere tanti rapporti personali. Io sono convin-
to che la cultura possa essere un ponte tra i popoli, se io leggo un
romanzo rumeno capisco un po di quel popolo anche se non
nella sua lingua, e lo stesso pu fare un rumeno con i miei libri.
Ma non basta, bisogna anche confrontarsi, parlarsi, viaggiare. In
Slovacchia lo si visto chiaramente, ci sono state tensioni, mo-
menti di scontro sulla questione degli abitanti di origine unghere-
se, poi sono arrivate azioni comuni tra scrittori, poeti, si aperto
un dialogo che importante.
Sembra poco, ma un po anche il sale di questo libro e di tut-
ti i viaggi fatti con curiosit e disponibilit, aperti, non organizzati
n trincerati. La paura della Romania era anche mia, come quella
dellAlbania, della Serbia, prossimamente della Georgia o dellAr-
menia, o di Beirut. Invece poi ti muovi, vinci diffidenze e pigrizie,
e capisci che il mondo e la gente, soprattutto la gente, sono diver-
si. Aperti, amichevoli, curiosi. Come te. Ovviamente, senza farsi
troppe illusioni. La Gara de Nord di Bucarest alle cinque di matti-
na non proprio come stare in un hotel a cinque stelle, ma anche
a Padova o Milano non molto diverso. Vero?
Ogni volta che si racconta di Vienna, Impero, Austria-Unghe-
ria, fa sempre capolino lipotesi di una nostalgia. In Ungheria og-
gi non si pu parlare di nostalgia per quei tempi e non credo nep-
pure in altri Paesi dellEst afferma Esterhzy. Ci sono altre no-
stalgie, ma non quella per il K und K, che dovrebbe stare per Kai-
::: transilvania e nuvole ungheresi
::,
del laboratorio artigiano stretto tra le richieste sempre pi pres-
santi delle grandi fabbriche tipo Benetton e dei controlli fiscali
che iniziavano a farsi un po pi capillari. L, a mille chilometri
dallItalia e a otto-dieci ore di TIR, cera una terra vergine al ca-
pitalismo, un mondo che aspettava solo di essere arato e anche
un po colonizzato. Arrivarono alla spicciolata in una societ
che era passata dalla dittatura al caos, dalla povert alla fame,
dai kombinat (le fabbriche in serie tipo sovietico) alla disoccu-
pazione, alla ruggine, allanarchia. Di quel tempo sono rimaste
tracce nelle tante periferie della Romania dove ancora oggi ci-
miniere spente e ammassi di ferraglia troneggiano ai bordi delle
strade principali assediando ancora i quartieri popolari dei ca-
sermoni fatti col cemento scadente che si sbreccia come se fosse
stato bombardato.
Chi fu il primo Cristoforo Colombo del Nordest? Chi scopr
questa terra vergine per lindustria veneta?
Come al solito in questi casi non si riesce mai a trovare un
colpevole solo. Si sa che il Delocalizzatore Zero arriv intor-
no al 1990, subito dopo la fine della dittatura. Ma forse non ce
ne fu uno solo. Cerano quelli che gi lavoravano da queste parti
nel tessile come nellalimentare, magari legati al partito comuni-
sta italiano. E poi quelli che avevano gi assaggiato lEst per le
sue donne e gli ampi territori di caccia che offriva e ancora of-
fre tra il Delta del Danubio e le montagne selvagge. E cerano i
disperati, i falliti, i vessati dal 740 e dal fisco e gli esploratori di
professione che facevano da scout per le grandi aziende e intra-
vedere qui un affare anche per le piccole dato il basso costo della
manodopera allora uno stipendio di un operaio viaggiava sul-
le 100.000 lire al mese o gi di l e la tanta manodopera dispo-
nibile dopo la fine del sistema comunista. In pi la terra costava
poco. Con dieci, venti milioni di lire potevi partire o ripartire,
Laltra Italia e lottava provincia del Veneto
[Romania]
Le fonti ufficiali parlano di circa 25.000 imprese controllate da
capitali italiani, forse tremila sono venete, ma quelle veramente
attive sono molto meno, forse neanche la met. E la crisi ha co-
stretto alla chiusura pi di qualcuno, solo nei primi sei mesi del
2010 sono fallite 15.000 imprese qui in Romania. molto pro-
babile che tra queste ve siano anche di italiane.
Luca Serena ha poco pi di quarantanni, da almeno una de-
cina lavora in Romania. Trevigiano, presidente di Unimpresa
Romania, 700 iscritti, la Confindustria di qui, e guida un grup-
po veneto attivo tra limmobiliare e il tessile. lultimo alfiere
di una storia che arriva da lontano lemigrazione dal Veneto
e dal Friuli della met del secolo XIX e anche da pi vicino,
londata della delocalizzazione delle imprese industriali che ne-
gli anni Novanta del secolo scorso ha fatto diventare Timioara,
la citt pi vicina allItalia in quello che era un tempo Impero
austro-ungarico, lottava provincia del Veneto. Fu un esodo ar-
rembante pi che biblico, una marea da popolo delle partite
Iva e delle fabbrichette, di uomini che al posto della valigia di
cartone quella che imbracciavano i loro nonni emigranti per
fare gli spaccapietre e i manovali appena caduto il Muro por-
tavano un po di capitali (lirette appena svalutate dalla crisi del
1992) e qualche macchinario per lo pi obsoleto. Fu uninva-
sione verace e anche pacifica di una generazione che aveva as-
saggiato lo sviluppo e se lo voleva tenere e non saccontentava
l

altra italia e l

ottava provincia del veneto


a est del nordest ::
gua, latina come litaliano, ma lontanissimo per modo di vive-
re. Il clima rigido fece il resto, portando a far germogliare anche
altre attivit, quelle in rosa. Ormai hanno chiuso quasi tutte le
societ aperte per coprire la fidanzata, lamante, dare lavoro a
una segretaria particolare, dice Luca. Sar, ma anche oggi al-
meno la met delle famose 25.000 imprese italiche sono inatti-
ve, scatole vuote e letti pieni. Laltra sponda era spesso quella
del talamo piuttosto che quella dellindustria.
Allora, negli ormai mitici anni Novanta per me, che ero
pi giovane, e, soprattutto, per il Nordest, che era arrembante
Timioara era una citt grigia e rigida, scomoda e con pochi
servizi. Di sera, soprattutto dinverno, le strade si svuotavano e
si riempivano i pochi ristoranti gi aperti dagli italiani. Poi, do-
po cena, cerano i night con pupe mozzafiato e poco altro, posti
pi squallidi che ruspanti. Solo a Bucarest andava un po me-
glio, anche se gli orfani della strada, gli scugnizzi rumeni, erano
cinquemila. Si nascondevano nelle fogne e nei tombini per cat-
turare un po di caldo dopo aver vagato per le strade a caccia di
cibo. Oggi sono molti di meno e soprattutto li hanno spostati
dal centro, non si vedono pi, sono in periferia, dice Luca. E
sono rimasti soprattutto i cani randagi per strada, pare che sia-
no migliaia, li vedi a tutte le ore, scorrazzano da soli o in bran-
chi, ti fanno compagnia ma anche ti guardano fisso. Li volevano
eliminare con una caccia a tappeto ma gli animalisti si sono op-
posti e ora rimangono a presidiare gli angoli delle piazze e i pa-
lazzi Bauhaus del centro in disfacimento.
La marea delle imprese del Nordest continu a ingrossarsi con
le fabbriche che lavoravano legno per i mobilifici del Livenza,
quelle che facevano parti delle calzature da passeggio oppure pez-
zi dei condizionatori e dei frigoriferi del distretto trevigiano-por-
denonese, infine arrivarono le societ di servizi (artigiani, avvo-
come negli anni Cinquanta da noi, come prima del boom. La Ro-
mania e Timioara offrivano unoccasione o una nuova carta da
giocare al poker della globalizzazione ai tanti imprenditori del
Nordest gi fatti o in erba. Operai, artigiani soprattutto, ma an-
che professionisti o piccoli industriali decisero di scomettere qui
sul loro futuro, tanto se avessero perso sarebbero sempre potuti
tornare indietro nellovatta del Nordest. E aprirono fabbriche di
scarpe, di magliette, di giacche a vento, di pantaloni, abiti firma-
ti e non. Poi arrivarono quelli che facevano pezzi per altri: parti
dauto, di frigoriferi, condizionatori, moto, trattori.
In pochi anni, nel 1995, nellarea di Timioara operavano
gi mille fabbrichette made in Nordest, e poi arrivarono Arad,
Cluj-Napoca, Bucarest, tutta la Romania diventava terreno di
conquista per questi industriali avventurosi attirati dai bassi co-
sti della manodopera e dagli spazi che si aprivano ai loro inve-
stimenti. Fu come una nuova corsa alloro nel Far West ameri-
cano, una corsa al Far Est che al posto del metallo giallo aveva
come obiettivo pascoli pi aperti per le industrie e praterie di
sviluppo in tutto quel Centro Europa che solo allora si affac-
ciava alla storia industriale e libera. Dovettero fare i conti con
la corruzione e il caos di un sistema legislativo che non sapeva
nulla di codici e protezioni perch abituato al collettivismo e al
socialismo reale. Ancora oggi ti chiedono se vuoi un buon av-
vocato, cio uno che conosce il diritto e la giurisprudenza, o
un bravo avvocato, cio uno che conosce bene il giudice, mi
racconta col vincolo dellanonimato un imprenditore, ventanni
dopo quella grande corsa. Figurarsi allora che i nordestini dove-
vano farsi largo tra amministrazioni pubbliche ignoranti e una
societ allo sbando, tra cricche locali ancora legate al vecchio si-
stema della Securitate (la polizia segreta di Ceauescu) e i nuovi
potentati in costruzione. In pi cera un Paese vicino per la lin-
::, l

altra italia e l

ottava provincia del veneto


a est del nordest ::o
pensano assolutamente ad associarsi in cooperative perch sanno
di comunista e dittatura, sottolinea Mister X. E cos ti ritrovi ad
ammirare distese e distese di pianura incolta oppure zappata an-
cora con laratro tirato dal cavallo o dalla vacca, come nellOtto-
cento, come quando qui arriv la prima ondata di emigranti del
Nordest (escludendo ovviamente i Romani di Traiano e Ovidio,
ma questa unaltra storia che racconter pi avanti, quando vi
parler del Mar Nero e delle colonie che un tempo erano impe-
riali e poi furono anche genovesi).
cati, consulenti, grossisti, banche come Unicredit, Intesa, Veneto
Banca) fino al 2005, quando unindagine ufficiale dellUnionca-
mere del Veneto registr circa 3800 aziende di capitali veneti in
tutta la Romania su un totale di quasi 18.000 italiane, ma quelle
attive erano 2578 su 11.656. Poi poco altro. Molti di quelli della
prima ora hanno chiuso per la crisi, altri si sono trasferiti in Mol-
dova, dove il lavoro costa un po meno, la maggior parte ha deci-
so di spostarsi in Cina, in India, Vietnam, spiega limprenditore
trevigiano. Chi rimasto lo ha fatto soprattutto perch si con-
solidato, ha fatto investimenti, e ha pensato anche di scommette-
re nel futuro di questo Paese di ventidue milioni di abitanti dove
ora dovrebbero svilupparsi anche lagricoltura e le energie rinno-
vabili dopo il boom delledilizia degli anni scorsi che ha un po
inebriato tutti, facendo decollare i consumi interni. E anche le
illusioni se in tanti ormai utilizzavano la carta di credito come se
fosse una matrice stampa soldi e accendevano mutui con la stes-
sa leggerezza di una grigliata in campagna. Il risultato stata una
crisi brutale, disoccupazione al 10%, tagli di un quarto degli sti-
pendi pubblici e cali di quelli privati di 200-300 euro. Tutti par-
lano di questi trenta miliardi di fondi europei in arrivo per lagri-
coltura e per costruire strade e ferrovie ricorda Luca. Ma nes-
suno spiega che quei soldi avrebbero bisogno di almeno un 20%
di investimenti locali, rumeni, per essere attivati. Il risultato
che il tesoro resta a Bruxelles, che al pari del Fondo Monetario
Internazionale si fida poco del governo di Bucarest, e le autostra-
de sono in ritardo, e lagricoltura di quello che un secolo e mezzo
fa era il granaio dEuropa allo sfascio. Complice anche un siste-
ma schizofrenico. Il governo post comunista ha privatizzato la
propriet della terra, dividendola tra tutti i contadini col risulta-
to di creare tanti piccolissimi proprietari che al massimo riescono
a produrre per la sussistenza loro e della loro famiglia e che non
::; l

altra italia e l

ottava provincia del veneto


dove proveniva il leggendario pugile Primo Carnera, il gigante
buono). Trentini, veneti, friulani, giuliani, gente che gi allora
si trovava naturalmente appesa allOriente, che non pensava so-
lo allAustralia o allAmerica come carta da giocarsi per vincere
la fame e la miseria che infuriavano in quellItalietta gi prostra-
ta da scandali e da ununit fittizia. In migliaia ogni primavera si
spostavano verso est, verso il grande Paese danubiano, appena
unificato dopo secoli di dominio turco, a cercare lavoro come
stagionali. E lo trovavano nei cantieri, nei campi, nelle citt che
si stavano costruendo in maniera frenetica sul modello francese
e grazie ai soldi del petrolio e del gas stavano appena iniziando
a sfruttarlo e alle ricchezze dei latifondisti dei cereali del gra-
naio dEuropa.
Ora di quella prosperit sotterranea rimangono solo i tralic-
ci arrugginiti di certi pozzi nella pianura verso Iai e le ricerche
delle compagnie multinazionali nel Mar Nero che certificano co-
me al largo di Costanza e del Delta vi sia un giacimento immen-
so. Ma allora, poco dopo lunit dItalia, la Romania prometteva
soprattutto lavoro duro, e anche ben pagato, ai nordestini emi-
granti: 7, 8, 12 lire al giorno, ricoveri in baracche sulla terra bat-
tuta e cibo a volont, se ti accontentavi di ciorb, la minestra
rumena. Carne solo alla domenica, quando potevi andare a ripo-
sare e a bighellonare in queste citt spoglie dove la principale at-
trattiva erano i bar, come a casa tua, nelle montagne tra Belluno
e Udine che allora non avevano ancora conosciuto il boom del-
lo ski e del trekking enogastronomico. I cognomi di questo spic-
chio di Nordest sopravvissuto al comunismo dopo la Seconda
guerra mondiale sono i soliti: Paladini, Bellio, Riccobon, Bu-
tolo, Olivotto, Vanelli, Tomaselli. Aurora Paladini di Brezoi, la
decana, novantasei anni, era lunica ad aver conservato la citta-
dinanza italiana, forse perch sera dimenticata di esserlo in quel
La terra promessa e il signor Geox
[Romania]
La fotografia un po rigida e ingiallita dal tempo, doppia fi-
la di scolari impettiti come se fossero davanti al comandante di
un reggimento e non a una macchina da ripresa. In mezzo, uni-
ci seduti a sorpassarli lo stesso di una testa, un paio di insegnan-
ti. Dietro di loro un edificio di pietre dalle grandi finestre in cui
campeggia una scritta: Soc. Carpatina. Era la scuola italiana
a Brezoi, distretto di Valcea. Transilvania, Romania profonda a
70 chilometri circa da Sibiu, una delle citt fortificate sassoni, e
a 200 o poco pi da Bucarest. Inverni gelati e orsi alle porte, un
altro mondo che era gi molto Nordest alla fine del XIX secolo.
Nel 1895 a Brezoi sono venuti 115 italiani, la maggioranza
dal Friuli e dal Veneto, soprattutto da Belluno, hanno costruito
la ferrovia Ramnicu Valcea-Sibiu, le stazioni della zona, la cana-
lizzazione della citt. Erano boscaioli, specialisti nella lavorazio-
ne del legno, lo tagliavano e lo trasportavano fino a Brezoi con
delle zattere. Grazie a loro la citt ha avuto uno dei primi siste-
mi di illuminazione elettrica della Romania. La Carpatina era la
societ di sfruttamento delle foreste fondata nel 1886 dal triesti-
no Giovanni Stagni. Elena Butolo ha raccontato tutto questo a
Corina Tucu in un libro, Veneti in Romania. Pi che veneti erano
gente del Nordest in generale i protagonisti di questemigrazione
fatta di manovali, spaccapietre, boscaioli, contadini ma anche ar-
chitetti, mosaicisti, scultori, impresari e giornalisti come Mode-
sto Gino Ferrarini, nonno da Sequals (il paese vicino a Udine da
::, la terra promessa e il signor geox
a est del nordest ::c
rendere pi stabile e civile lEuropa. Non per niente sul fronte-
spizio del suo giornale campeggiava il motto mazziniano: Giu-
stizia per tutti, Tutti per la giustizia. Cazzavillan fece fortuna
ma non dimentic mai i suoi compaesani, fondando un comi-
tato di mutuo soccorso per gli operai e i capimastri che lavora-
vano in citt, la Dante Alighieri per divulgare litaliano e una
scuola, la Regina Margherita, dove andavano i figli dei prole-
tari per costruirsi un futuro da architetti e ingegneri. Altri tem-
pi, anche se Unimpresa Romania aiuta ancora oggi gli orfani di
Bucarest ed impegnata in molte altre attivit sociali e di svilup-
po. Ci siamo integrati, questa la nostra comunit, non ci sono
solo gli affari, dice Luca Serena. E gli industriali per sdebitarsi
hanno finanziato restauro e spostamento della Lupa dellImpero
da viale Traiano dove stava persa e sperduta in mezzo al caos
del traffico di Bucarest a una piazzetta pavimentata con por-
fido in quello che sta diventando il quartiere chic della capitale,
Lipscani un appellativo che deriva dai tanti tedeschi di Leip-
zig (Lipsca in rumeno) che stavano qui. Allinizio del XV secolo
la maggior parte dei commercianti e degli artigiani rumeni, au-
striaci, greci, bulgari, serbi, armeni ed ebrei aprirono botteghe
in questa parte della citt. Anche Ceauescu la risparmi e fiori-
rono gallerie darte, negozietti dantiquariato. Poi col crollo del
comunismo nel 1989 il quartiere divenne praticamente terra di
nessuno occupata dai rom. Le case si degradarono, spuntarono
voragini nelle stradine, un buco nero sera aperto al centro del-
la capitale. Qualche anno fa iniziarono gli sgomberi forzati e gli
acquisti altolocati, i lavori per le fognature e i restauri. E sono ri-
tornati gli artisti, le gallerie, i bar e anche boutique di vestiti e ar-
redamento. Ma rimane ancora un segno del passaggio dei rom:
i negozi di abiti da sposa. Il matrimonio per i nomadi un fatto
serio, serissimo, come ho sperimentato a Craiova.
1953 quando si dovette scegliere: te ne vai oppure resti, ma solo
come rumena. Un destino simile ad altre minoranze che ora vi-
ve unaltra beffa: Sono molto scontento della politica italiana
per quanto riguarda gli italo-rumeni. Dopo il 1990 ci aspettava-
mo iniziative concrete che aiutassero noi di Brezoi nel rilancio di
attivt imprenditoriali, invece sono venute qui delle societ ita-
liane che hanno preso fondi della Comunit Europea e con quei
soldi si sono rimodernati le fabbriche da loro e qui hanno chiuso
anche la Carpatina. In realt volevano solo sfruttare la situazio-
ne e noi siamo rimasti come ai tempi dei comunisti, marginaliz-
zati e impoveriti, il ricordo di Bruno Ricobon, madre friulana e
padre bellunese. Gli italiani che hanno una tradizione di emi-
grazione pi numerosa ci hanno dimenticati e ci pongono anche
intralci a prendere la cittadinanza. Ma quanti sono gli italiani
di Romania? Modesto Gino Ferrarini ha fatto degli studi e parla
di un numero tra gli 8000 e i 10.000, sparsi tra Bucarest, Greci,
Brila, Pitesti, Iai, Costanza, Ploieti. Superstiti di una comuni-
t che prima della Seconda guerra mondiale contava 60-70.000
abitanti. Forse oggi sono pi gli imprenditori e i loro dirigenti
dei superstiti di quellaltra emigrazione, pi povera, pi di car-
tone di quella di ventanni fa. Per quelli hanno costruito chiese,
ospedali, palazzi. E anche giornali, come lUniversul di Luigi
Cazzavillan, fondato nel 1884, che in breve tempo diventer il
quotidiano pi diffuso di Romania.
Nato ad Arzignano, questo vicentino fu un vero romantico
e un garibaldino: a quattordici anni lasci la scuola per com-
battere contro gli austriaci in Trentino, poi and in Francia, nel
1876 lott con i serbi nella loro guerra di indipendenza contro
i turchi, altro che Byron! Cazzavillan era un convinto assertore
della fraternit tra italiani e rumeni, usciti dalle stesse lotte ri-
sorgimentali contro lAustria, propugnava ununione latina per
::: la terra promessa e il signor geox
a est del nordest :::
cento operaie (qui allora lavoravano soprattutto le donne), pren-
devano due o tre capifabbrica italiani per sorvegliarle e via a pro-
durre a nastro reggiseni o mutande, asciugamani o maglioncini,
tanto, anche se un prodotto su dieci era difettoso con i costi che
avevano si potevano anche buttare. E pazienza se saltava la cor-
rente elettrica o mancava il gas per il riscaldamento (problema
anche oggi, in inverno), tanto in un paio di anni si diventava ric-
chi in nero e in marchi e si poteva mollare tutto, fare la bella vita.
Pazienza poi che la met di queste illusioni svaniva al sole della
concorrenza sempre pi spietata o al ricatto di qualche poten-
te locale. La Romania era ancora grande in quegli anni Novan-
ta ruggenti. Si poteva lavorare da fachonisti (una storpiatura di
fashion, per dire che cera un po di gusto proprio), ma soprat-
tutto col contratto lohn: specifiche tecniche, numero di capi
e caratteristiche decise dal committente, che pagava a chiusura
della produzione. Era (?) il traffico di perfezionamento passivo
che permetteva di delocalizzare la produzione mantenendo spes-
so il made in Italy e di pagare molto meno i prodotti (un operaio
rumeno costava un decimo di uno italiano negli anni Novanta,
ora un ottavo o un quinto, dipende dai posti). Nel frattempo si
potevano scaricare costi e fatture sulla consorella rumena dove
le tasse erano al 10 o 20%, creando una bella provvista alleste-
ro, un tesoretto per i momenti difficili o per investire in terra o
mattone in quella che i Romani chiamavano Dacia.
Oggi tutto pi difficile. C pi concorrenza, controlli, e me-
no possibilit. Chi investe parte con milioni di euro e deve ave-
re obbligatoriamente uno sguardo pi lontano, si deve inventa-
re nuovi business come leolico vicino al Mar Nero, sfruttare il
vento in questa pianura piatta e immensa pi che la terra dura e
difficile, in posti dove lasci un trattore in una stalla e lanno do-
po non trovi le ruote.
Ora il passeggio finisce nella piazzetta con la lupa capitoli-
na, inaugurata al cospetto del sindaco di Roma Alemanno. Un
simbolo non raro in questi Balcani ai bordi delle steppe. In qua-
si tutte le grandi citt della Romania e della Moldova ne spun-
ta una, ne hanno contate diciassette, record mondiale, pi che
in Italia, un vero culto, un ricordo di altri tempi, ma forse so-
prattutto il simbolo di una voglia di integrazione, di ritrovare
quellEuropa sotto il segno della pax imperiale.
LItalia qui in Romania ancora un modello di gusto e bel vi-
vere, spunta dalle vetrine luccicanti di Bucarest anche con mar-
chi taroccati, ma gli italiani negli anni Novanta e Duemila
hanno combinato anche grossi guai, crac e fregature. E ora sono
visti un po con sospetto e diffidenza. Meglio i tedeschi o i ca-
nadesi, quelli vengono, investono soldi veri e non scappano al-
la prima difficolt, mi fa Dimitri, imprenditore della nouvelle
vague rumena. Oggi a Timioara ci sono le Generali che hanno
varato una tenuta da 5000 ettari con coltivazioni intensive e an-
cora tante fabbriche che secondo uno studio della Fondazione
Nord Est (Frontiere mobili) sono mimetizzate nelle periferie e
nelle campagne, piccole unit produttive, produzioni satelliti,
fortini lasciati dai pionieri del Nordest a presidiare un posto che
considerano sempre pi ostile: Il costo del lavoro alto, fino a
poco tempo fa non si trovava manodopera perch con lentra-
ta nellUnione Europea emigrata in Italia, e dovevamo rubarci
gli operai migliori a suon di aumenti commentava un impredi-
tore ancora pochi anni orsono. Poi cominciano anche a esserci
i sindacati, aumentano i controlli, la burocrazia. Quasi peggio
che da noi.
Non pi tempo dei ruspanti, degli improvvisati che un gior-
no dei primi anni Novanta, presi dal miraggio della ricchezza
facile e veloce, aprivano la loro fabbrichetta, ci piazzavano due-
::, la terra promessa e il signor geox
a est del nordest ::
menti per 767 persone su 880. Insomma, il sospetto che il pas-
saggio sia stato fatto per avere le mani pi libere per trovare pro-
duttori pi economici di Geox in Asia e lasciare ad altri la patata
bollente di una ristrutturazione pesante. La logica di una multi-
nazionale sempre meno produttiva e sempre pi concentrata sui
servizi, sulla vendita. Pi commerciante che industriale, lottica
che ha reso strabici molti imprenditori del Nordest e non solo
negli anni Duemila. In Romania meglio aprire solo negozi. Lim-
presa nomade si fatta ancora pi immateriale, quasi ectoplasmi-
ca, lasciando a Timioara solo lillusione di un nuovo sviluppo e
i centri commerciali che infestano la sua periferia come le nostre.
Non pi tempo per il tessile, labbigliamento, le calzature, le
fabbriche a quattro ruote sono gi andate pi in l, in Moldova,
Ucraina, nel Far Est. Anche la Geox di Mario Moretti Polegato,
lambasciatore della Romania in Italia, ha sbaraccato cedendo la
sua fabbrica di Timioara da 1500 addetti (scesi nel 2009 a 900
dopo tagli decisi) a un altro veneto, tale Vincenzo Tagliaboschi.
Abbiamo venduto a un imprenditore che poteva produrre an-
cora per noi, preferendo investire sulla logistica a Crocetta del
Montello e affidando la produzione a subfornitori asiatici, spie-
gano dal quartier generale Geox. La scarpa che respira arriv
ad Arad, trenta chilometri da Timioara, addirittura nel 1993,
quando insieme alla Diadora dava commesse alla fabbrica stata-
le Libertate. Nel 1998 il console generale onorario Moretti Pole-
gato sbarc pi decisamente, aprendo unattivit in proprio ar-
rivando a produrre fino a tre milioni di scarpe allanno. Tutto in
casa o al massimo in qualche aziendina satellite della zona, per-
ch cos si proteggevano meglio i brevetti e si tenevano i costi
bassi comunque. Anni fa visitai la fabbricona e chiesi a minimo
dieci delle operaie da queste parti sono sempre le donne a es-
sere al bancone e alla macchina da cucire quanto costavano ve-
ramente quelle scarpe e quegli stivali che imbastivano e suolava-
no tutto il santo giorno. Gli sguardi si abbassavano, le bocche si
cucivano pi delle tomaie ma alla fine qualche risposta arriv di
soppiatto e di nascosto dai capi: 7 euro un mocassino, 15 massi-
mo per gli stivali. Roba che veniva venduta nei negozi italiani a
100 euro. I salari delle operaie di Timi viaggiavano sui 250 euro
(ma oggi sono gi calati), un sesto del costo di un operaio italia-
no, ma sempre di pi di uno cinese.
Oggi Geox ha venduto e fa fabbricare le sue scarpe nel pi glo-
bale Far Est. E pare che il Tagliaboschi, fedele al suo nome, ab-
bia subito deciso di sfrondare decisamente annunciando licenzia-
::, la terra promessa e il signor geox
Nuova Cina e vecchie ristrettezze
[Romania]
Gli operai cinesi applaudivano i giovani rumeni dellassociazio-
ne di volontariato Amicu che avevano appena finito di distribuire
pane, pasta, bibite, frutta ai duecento accampati di fronte allam-
basciata di Pechino. Per proteggersi avevano messo su delle tende
improvvisate, come soffitto teloni di plastica, sui fuochi pentole
dove bollivano dei molluschi pescati nel lago vicino mezzo in sec-
ca e altrettanto inquinato. La polizia di Bucarest aveva portato dei
bagni chimici, qualcuno stendeva il bucato sulle ringhiere di fron-
te alla tangenziale della capitale. Sullo sfondo due grattacieli in co-
struzione dove i lavori languivano e il palazzo dellinformazione,
in inconfondibile stile comunista. Molti di questi disperati (sareb-
bero in tutto quasi tremila i cinesi senza lavoro e senza speranze
in Romania) erano entrati nel Paese alla chetichella e agitavano il
decreto despulsione: Ho pagato 10.000 dollari per venire a lavo-
rare qui, mi avevano promesso mille euro al mese e me ne hanno
dati 250, lavoravamo 8-10 ore al giorno e se ti capitava un inciden-
te se ne fregavano. E ora mi hanno ritirato il passaporto mi disse
il giovane che sventola il documento despulsione, un ragazzo esi-
le sui venticinque anni attorniato da una decina di suoi compaesa-
ni (arrivano da sei province cinesi diverse) non so cosa fare, non
posso tornare perch ho i debiti e lambasciata non fa nulla, per
loro non esistiamo.
Negli ultimi mesi hanno chiuso met delle piccole imprese
delledilizia, quella dei cinesi non lunica storia di disoccupa-
zione straniera qui in Romania. Ora sono senza lavoro pakistani,
indiani, cingalesi, gente che era stata assunta perch eravamo in
pieno boom edilizio e non si trovavano muratori rumeni, qui nel-
la capitale la disoccupazione era a zero. Lavoravano tutti da voi
in Italia e in Spagna e non avevano nessuna intenzione di tornare
indietro malgrado il piano di incentivazione del governo, assolu-
tamente insufficiente mi aveva spiegato Manuela Merisc, pre-
sidente della Invest Prod, societ di Bucarest da 85 addetti e 4,5
milioni di fatturato che realizzava (o fa ancora?) infissi e finestre,
una delle poche donne dintrapresa di Romania poi scoppiata
la crisi e li hanno licenziati, come molti altri rumeni. Ma io ri-
mango ottimista affermava Manuela, una che il settore lo cono-
sceva bene (lazienda del 1993) e che lavorava anche con le im-
prese italiane. Il nostro un Paese giovane, la crisi molto pi
reale in altre nazioni. Noi abbiamo un problema di sovraconsu-
mo, di troppi debiti per comprare auto, cellulari, frigoriferi. Ma
qui a differenza dellUngheria c ancora tutto da fare: strade, uf-
fici, porti, aeroporti; lagricoltura ancora a zero. Consumeremo
meno, stringeremo la cinghia tanto ci siamo abituati e poi ri-
partiremo. Anche prima dellItalia.
Qui la gente si era indebitata con tre-quattro banche per
comprare lauto, il telefonino, il frigorifero, perfino per fare la
spesa proprio come negli Stati Uniti raccontava Simona Railea-
nu, consulente per diverse imprese italiane. E ora hanno iniziato
a non pagare le rate, tanto che possono fare: pignorargli la TV?.
::; nuova cina e vecchie ristrettezze
::,
Il Delta e la memoria storica
[Romania]
In primavera una tavolozza di colori, un capolavoro dimpressio-
ni, le ninfee a sbocciare di colori accesi, i fiori a guardare il sole e
i giovani uccelli a slanciarsi nel cielo. Poi sarebbe arrivata lestate
ad assorbire quellenergia, a prosciugare i mille canali e a seccare
le canne a riva. E lautunno, la stagione in cui sono arrivato io, so-
lito fuori tempo.
Lalba era arrivata fredda e decisa nella casetta a due piani dove
in giardino cera anche la gabbia col cerbiatto: Labbiamo trovato
perso in mezzo ai canneti, ferito da chiss quale cacciatore, lab-
biamo portato qui e ora aspettiamo. La prossima primavera lo la-
sceremo libero anche se i ragazzi si sono affezionati e temiamo che
lo uccidano libero, ma sta peggio l, in gabbia.
Gi. Lomone con radi capelli e faccia larga non te le aspette-
resti cos sensibile, ma lapparenza inganna. Come quellalba. Il
freddo non ci avrebbe abbandonato, no, proprio no. Fine ottobre,
i colori della natura serano spenti come da noi, ormai la tavolozza
virava verso locra e il verde ramarro. Ci guardiamo, Marco mette
in borsa la sua macchina fotografica e sorride come fa lui, un po
per convincerti e convincersi che non stiamo facendo una cazzata.
Eravamo arrivati da Galai e Brila, citt industriali a meno di
duecento chilometri da Bucarest che stanno a un passo dalla Mol-
dova e su uno dei tanti bracci del Danubio. Nella pianura alluviona-
le verdeggiante dove ogni tanto spuntano cavalli al pascolo, pasto-
ri con i loro greggi, ci sono resti di antiche citt romane, Arrubium,
Troesmis. A Tulcea, lultimo grande centro abitato prima della ra-
gnatela di natura anfibia e del Mar Nero, c anche una moschea
che rammenta unaltra dominazione. Poi la strada diventa sterrata
e quasi pista e lacqua comincia farla da padrona e si finisce a Du-
navatu, non mi ricordo se de Sus o de Jos, detta cos sembra come
dalle nostre parti, di gi o di su. Ma l siamo ai confini dellEuropa,
finis terrae e non solo metaforicamente. Da qui in poi ti puoi muo-
vere solo in barca e con la guida, altrimenti ti perdi in questo labi-
rinto di canali che sfocia a Sulina sogno o incubo di C. e porto
industriale e pi in basso a Sfntu Gheorghe, lultimo paese dei
Lipoveni, la popolazione del Delta, e ai resti di Uspenia, Heracleea,
Argamum, Histria, la vecchia colonia ellenica e romana sul mare che
sta a due passi da Istria e a duemila chilometri da dove ero partito e
in mezzo a quel viaggio assurdo con la spider e al fantasma del poe-
ta imperiale Ovidio, esiliato da queste parti alla fine del suo impero,
dove la civilt per i Romani finiva insieme alla geografia e iniziava
un altro mondo. Come oggi, daltronde. Corsi e ricorsi storici?
Ci portiamo tutti i vestiti che abbiamo, carichiamo gli zaini in
macchina e salutiamo la famigliola in riva al grande fiume dopo
una colazione da uova e pancetta locale, una botta di trigliceridi
degna del grande freddo che arriver: Qui dinverno nevica e tira
vento, ci dice la signora. Poi arriva il suo amico vestito come un
guardacaccia, o un ranger: ci avrebbe portato al fiume, in uno dei
suoi bracci, ad affittare una barca e una guida per quel mondo che
si allungava per chilometri e chilometri in tutte le direzioni. Un
parco alla fine del mondo, un altro mondo fatto di case su palafit-
te e gente silenziosa, di pensioni come la nostra e torrette di legno
dove ti acquattavi per aspettare il passaggio degli animali che af-
follavano il Delta. Tanti. Ma alcuni se nerano gi andati a migrare
al caldo dellAfrica. Pazienza. Noi siamo qui e ora. Chiss se esiste
un tempo per tutto, noi avevamo solo questo.
il delta e la memoria storica
a est del nordest :,c
Il Delta del Danubio popolato ma i suoi abitanti spuntano
allimprovviso dalle rive come i fenicotteri che sono i veri padro-
ni di quel mondo. Fondamentalmente un labirinto che solo loro
conoscono e ti devi affidare. Di sicuro pescoso. Almeno a giudi-
care dalla caccia del tipo che ci incrocia. La nostra guida e laltro
chiacchierano e si mostrano i risultati di questa pesca: lucci, che
qui vanno alla grande, e altre bestie ben messe. Quindi linquina-
mento non arriva oppure anche loro hanno imparato a conviverci.
Di sicuro pescare non sembra unimpresa. Il nostro uomo infatti
dopo ore di esplorazioni e rincorse a stormi di pellicani, fenicotte-
ri, garzelle, cormorani e altri pennuti che vengono sorpresi e fug-
gono con nuvole di vari colori nel cielo, si ferma in un laghetto,
spegne il motore e inforca la canna da pesca. Un, due, tre tentativi
e poi arriva regolare il pesce. Ghigna alla nostra sorpresa il Caron-
te del Delta. Volete provare?, ci fa sornione. S, s. Il mio tentati-
vo rischia di farmi finire in acqua, ma poi la lenza viene tirata lon-
tano quel tanto che serve a farmi attendere invano una pesca mi-
racolosa. Stessa sorte per Marco. Evidentemente non cos facile.
comunque uno spettacolo seguire atterraggi e partenze
sullacqua di pellicani e altri bestioni alati. Utilizzano le zampe co-
me carrelli che scivolano sul liquido come su una pista creando
quellequilibrio necessario a potenziare il ritmo delle ali e avviare
finalmente il volo. un equilibrio instabile quello a cui assistia-
mo, ma anche sapiente. Sono animali anfibi che hanno imparara-
to a convivere e a sfruttare due elementi, acqua e aria, per vivere e
viaggiare. Un gioco mirabile che mi suscita meraviglia perch mi
anche straniero. Noi abbiamo sempre bisogno di appendici mec-
caniche per vincere le resistenze della natura. Siamo fatti per la
terra ma ci siamo immersi anche nei cieli con lingegno. Ma rima-
niamo sempre limitati davanti a quelle evoluzioni della natura. Pe-
r anche qui, in questo dedalo di acque e terre che ogni stagione
modella alla sua maniera, luomo riuscito a inserirsi, in qualche
maniera colonizzare. Sospetto che non sia stata cos aulica.
Linverno non ancora iniziato ma fa gi un freddo cane, lumidi-
t ti pervade sempre e le zanzare destate ti ammazzeranno. Per le
palafitte sugli argini, con i loro colori pastello e laria sempre un po
dimessa, ti danno una sensazione serafica, olimpico distacco dai po-
teri e dalle rincorse. Ma anche ti senti sullorlo di un confine che ha
mischiato tante storie, dagli Argonauti ai Genovesi, ai Turchi. Chis-
s cosa accadeva qui ai tempi del comunismo, come questo confine
fluido poteva essere aggirato dai tanti traffici che luomo sa costru-
ire ai margini di un sistema. Non posso credere che controllassero
tutto, anzi, conoscendo come agivano i ragazzi del Partito, sar stata
una grande finzione, una fluida apparizione e sparizione di ordine e
socialit. Ai margini del mondo e dentro a chiss cosa. Come oggi, i
signori del Delta se ne stanno per i fatti loro. Aspettano le stagioni,
cavalcano le acque con i loro barchini e cercano la solitudine. Sem-
brano tutti cacciatori o ex soldati con le solo vesti a caki e i cappelli
da carristi, potrebbero trasformarsi in guerriglieri. E di sicuro sono
contrabbandieri. Oggi deve essere ancora pi ghiotta loccasione.
Di l del fiume, tra gli alberi, c lUcraina. Vuoi mettere le possibi-
lit che ti d un bel Paese fuori dallUnione.
Qui mi potrei perdere ma non sono un uomo per tutte le sta-
gioni, soffro il freddo e gi ho maledetto pi volte la nostra voglia
di curiosare un habitat che alla fine sembra tutto uguale: pennuti,
canali, canneti per miglia e miglia. Penso a quello che accaduto
nel delta del Mississipi e non riesco a figurarmelo l. La morte di
un universo cos frammentato non riusciremo mai a percepirla fi-
no in fondo, anche le sue conseguenze ci sembrano arcane. Lequi-
librio prima o poi si spezzer e noi finiremo appesi allamo come
lucci, occhietti spalancati e bocca serrata intorno allo strumento
della nostra morte: il progresso, la tecnologia.
:,: il delta e la memoria storica
Nella cantina degli gnomi di Bacco
[Moldova]
La fontana sotto il finto castello turrito sprizza un liquido rosso
acceso. Non si preoccupi, non vino, acqua colorata, un gio-
co per fare un po di scena, spiega la guida, spigliata ragazza con
gli occhiali sulla trentina che ha imparato litaliano lavorando in
Italia, a Rimini, cameriera con laurea, un classico: Bel posto, e ti
davano un sacco di mance, il mare poi era bello, mi divertivo, non
come qui. Qui a Miletii Mici (combinatul de vinuri de calitate,
come si premuniscono di sottolineare nella loro pubblicit), Ia-
loveni, una manciata di chilometri da Chiinu, la capitale della
Moldova la repubblica di quattro milioni e mezzo di anime al-
la Gogol gemella della Romania appena fuori da quella perife-
ria che ha ancora limpronta del comunismo e dei kombinat. Poi
partono i vigneti che si allungano per chilometri su quelle dolci
colline che sono la vera connotazione geografica di questo picco-
lo paese che un tempo era la vigna dellURSS e ora si ritrova con le
frontiere russe sbarrate. Perch abbiamo rifiutato di riconoscere
lindipendenza della Repubblica di Transnistria, dove c ancora
il comunismo e lArmata Rossa, fa la guida.
Stop, stop, qui stiamo gi infilandoci in un ginepraio balcani-
co, anzi bessarabico. Meglio concentrarsi su questa fontana su-
per kitch buona per la coppia russa (lui sui sessanta grasso e pe-
lato, lei sui trentacinque bionda e formosa, non ci credo che sia-
no marito e moglie) che si faceva foto su foto davanti al monu-
mento dentrata e poi avrei ritrovato nella foresteria circondata
da un complesso tzigano violini e menestrelli, tavola imbandita e
lume di candela (molto romantico).
Anche la patria del metropolita di Georgia Sergi di Nekresi, un
omone sui due metri con barba e bastone pastorale che sembra un
druido, ha subito lo stesso ostracismo russo. Solo che il mio gran
pastore un convinto assertore del fatto che il vino stato inventa-
to laggi, in Crimea, e quindi si davanti a unoffesa, a una bestem-
mia quando si costringe un popolo di cos antiche tradizioni a sco-
larsi gran parte del vino che produce: Dieci litri al giorno sono un
po troppi, fa il metropolita forse ricordando come uno dei pro-
verbi pi in voga dalle sue parti sia bevi alla mattina, il resto del
giorno sar sicuramente bello.
In Moldova la gente meno pimpante e divertente di quella ge-
orgiana, pi malinconica, pi slava, se con questo aggettivo si
spiega un po lo scoppio di energia che ogni tanto li prende e la vo-
glia di vivere che viene protetta e sepolta sotto una coltre di disin-
canto. Eppure tutti e due hanno vissuto e vivono grazie alla vite di
Dioniso e alla sua vivificante ebbrezza. Mah.
In questa cantina ci entri in macchina e ti puoi perdere facilmen-
te. Si tratta di una vecchia miniera con gallerie che si allungano per
200 chilometri nel sottosuolo, solo 50 utilizzati per la produzione e
il riposo del nettare di Bacco (il resto a che serve?), a cento metri di
profondit, la temperatura costante a 12-14C e lumidit intorno
al 90%, spiega cantilenante la guida attaccando la lezioncina im-
parata a memoria. Il portone si apre dopo opportuna confabulazio-
ne con un guardiano sembra di essere a Fort Knox ed entri in
questo mondo misterioso che fa effettivamente impressione. Galle-
rie su gallerie che si sviluppano ogni tanto in androni pi ampi, in
grotte levigate dal lavoro di chiss quanti uomini che ora conten-
gono cisterne per ettolitri su ettolitri di rosso moldavo, Cabernet,
Merlot, Pinot nero, ma anche bianchi Chardonnay, Sauvignon,
:,, nella cantina degli gnomi di bacco
a est del nordest :,
Aligot che rimangono a riposare per anni, decenni in queste ba-
re cilindriche. Ogni tanto spuntano le care e vecchie botti di legno e
anche delle nicchie nella roccia dove vedi infilate bottiglie piene di
muffa o sepolte dalla polvere. Ma non vanno in aceto? chiedo io
poco esperto. Nooo, in questo ambiente anche i vini bianchi pos-
sono conservarsi per decenni, questa azienda ne ha degli anni Ses-
santa, risponde sicura la cameriera di Rimini prestata allenologia.
I miei dubbi rimangono anche se in alcune riviste specializzate i vini
moldavi vengono magnificati come ruspanti e ancora genuini come
quelli di una volta, come prima dellera delle produzioni da catena
di montaggio tutte robuste, corpose, muscolari, rotonde e barricate.
Il Negru de Purcari o il Rara Neagra sono carichi, luminosi, con
bellissime trasparenze, al naso sanno di prugne mature e fichi, liqui-
rizia, spezie come zafferano, note di eucalipto; in bocca il velluto
dei bei tannini verticali, flessibili, con ricordi di cioccolato e caff.
Ora, a parte la sviolinata che sa da presa per il culo (sfido chiunque
a pescare tutte queste sensazioni da un goccio di rosso, mi viene in
mente quellamico che leggeva la mano di qualche bella ragazza alle
feste raccontandogli la storia dellorso e della sua vita: Tu hai avuto
una delusione amorosa, hai sofferto nella tua adolescenza per il rap-
porto conflittuale con tua madre, per poi riuscire a portarsele a let-
to), effettivamente in Moldova ci sono dei vini gustosi, soprattutto i
rossi. Ma sulla loro longevit non scommetterei un leu, la moneta di
qui che un sedicesimo circa delleuro o forse meno.
Di sicuro se non stai attento e non hai una guida in auto, qui sot-
to, nel regno degli gnomi di Bacco, rischi veramente di perderti per
sempre; tra queste strade che portano il nome del vino che con-
servano, Cabernet, Feteasc, Merlot. Le gallerie continuano pare
fino a Chiinu confermando limpressione che hai quando ti han-
no fatto visitare uno dei sancta santorum di Milesti Mici: un salo-
ne con le pareti tappezzate di vini in rastrelliera e protetto da una
porta di cemento armato spessa trenta centimetri che scorre su un
binario. Roba da bunker. Questo posto, con la fine dellURSS, se
lerano anche dimenticato, pare che per festeggiare lindipendenza
degli alti notabili abbiamo passato giorni qua dentro, dice la gui-
da. Pi prosaicamente forse serano nascosti qui in attesa di capire
cosa stesse accadendo sopra, nel mondo esterno crollante.
Insomma, mi stavo aggirando in una cantina gigante, da
Guinness milioni di bottiglie e di litri che alla bisogna servi-
va anche da rifugio anti atomico. Niente di meglio che aspettare
la fine del mondo bevendo e festeggiando. Come ha fatto Putin
da queste parti celebrando pare il suo mezzo secolo di vita nella
cantina moldavo-russa situata a pochi chilometri dallUcraina che
tanto piace alla regina Elisabetta, a Purcari, dove producono pa-
re il miglior Negru del regno.
Il giro esplorativo a Miletii Mici costa un biglietto dentrata che
ti permette qualche assaggio alla fine e dura unora e poco pi. C
il tempo per capire che tutto in questa citt sotterranea del vino
dove riposano due milioni di bottiglie che esplori in auto regola-
to ancora dalla flemma comunista e che lobiettivo di fondo sareb-
be quello di far decollare le vendite anche in Occidente. C la vo-
glia di seguire esempi italiani o francesi, ma a occhio dovranno an-
cora passare anni prima che possa decollare un vero business. Per
fortuna. Altrimenti anche qui sarebbero sommersi dalla retorica
del tannino e degli aromi di ananas e cedro con chiusura di man-
dorle. Come se a qualche chilometro invece che le steppe russe
ci fosse il Mar dei Sargassi e il Corsaro Nero del mio concittadino
scribacchino Salgari! Forse qualcuno aveva bevuto troppo, o forse
la retorica da sommellier aveva tracimato in una trombonata degna
di Prova dorchestra di Fellini. Comunque il rosso di qui buono,
verace, sui bianchi non mi pronuncio, figurarsi sugli aromatizzati.
Se i nostri sono pompati, questi qui
:,, nella cantina degli gnomi di bacco
Ai confini dellEuropa
[Moldova]
Voi ci passate tutti per poveri, vero che siamo arretrati, ma que-
sta non lAfrica protesta Corina, ventotto anni, occhi chiari e
un lavoro da manager bancaria dopo aver insegnato italiano come
assistente alluniversit di Chiinu, la capitale pi oscurata dEu-
ropa (pochi lampioni e vetrine buie allinsegna del risparmio ener-
getico), circa trecento chilometri da Bucarest e un confine epocale
in mezzo segnato dal fiume Prut, cio quello con lUnione Euro-
pea. Siamo molto religiosi e gran lavoratori. Chi in Italia man-
tiene in piedi una famiglia qui e non vede lora di tornare da noi
per impiantare una sua attivit, di creare ricchezza nel suo Paese.
La Moldova non offre grandi possibilit, meglio andare
allestero, a fare le badanti, o il muratore, vedere il mondo, sus-
surra invece Irina, ventanni, che studia odontoiatria alluniversi-
t, un lavoro che qui rende 100 euro al mese se va bene. In citt.
In campagna, dove molte case non hanno lacqua corrente
(fuori in giardino c il pozzo) e il riscaldamento a legna, mol-
to meno.
Sono in tanti che fanno fatica a coniugare il pranzo con la ce-
na e hanno risolto mangiando una volta sola al giorno, spesso gra-
zie ai frutti dellorto, spiega don Sergio Bergamin, un padova-
no di San Martino di Lupari di circa sessantanni, occhiali spessi
e sguardo buono, che insieme ad altri tre confratelli dei salesia-
ni (due polacchi e un veronese) dopo aver lavorato in Romania a
Bacu e Costanza, nella periferia di Chiinu ha messo in piedi un
centro Don Bosco. Qui il problema dellemigrazione ha assun-
to risvolti pesantissimi a livello sociale, sono migliaia i ragazzi che
vivono sulla strada, 30-35.000 quelli che sono sotto la soglia della
povert, 15.000 gli internati in una specie di orfanotrofi osser-
va mentre fa vedere lopera realizzata in soli tre anni dove prima
cera unofficina abbandonata a due passi dai binari dellarrug-
ginita ferrovia per Mosca. E nelle campagne ancora peggio.
Sono i figli delle badanti andate a lavorare in Italia e che torna-
no forse dopo anni, di padri spesso alcolizzati, finiti in carcere,
ragazzi di cinque, dieci, quindici anni lasciati alle cure dei non-
ni che fanno quello che possono ma anche per loro dura vivere
con una pensione di 30-50 euro al mese e un costo della vita ele-
vatissimo. Ragazzi che spesso hanno abbandonato la scuola e vi-
vono da sbandati, fumano, bevono gi da piccoli, vanno nelle sale
giochi. E con loro la polizia molto dura.
In Moldova su quattro milioni e mezzo di abitanti, un milione
emigrato in Europa, la maggior parte donne: madri, sorelle, fi-
glie che tengono in piedi con i soldi che spediscono ogni mese in-
tere famiglie sorreggendo con il loro lavoro anche quelle italiane.
Ufficialmente dovrebbero essere 150.000 solo in Italia, ma qui
scommettono che sono pi del doppio con gli illegali, quelli che
scappano con tutti i mezzi, visti falsi, nascosti nei camion, a pie-
di nelle foreste della Slovacchia e dellAustria. Soprattutto donne
che finiscono a fare le badanti o le prostitute. Una marea dolen-
te o orgogliosa che sta rallentando a causa della crisi economica
dellOccidente alcuni anzi ritornano in patria ma che di sicu-
ro dietro di s spesso ha lasciato il deserto.
:,; ai confini dell

europa
Il Paese delle noci
[Moldova]
Prima eravamo peggio della Sicilia. Prima quando? Il sociologo
strabuzza un po gli occhi, si gratta la sua testa quasi pelata, punta
lo sguardo verso un futuro indistinto e racconta: Quando arri-
vata lindipendenza dalla Russia nel 1991 dice Andrei Badiu, uno
che un tempo, quando cerano i Soviet qui e altrove, poteva defi-
nirsi intellettuale e che ora probabilmente un tecnico prestato al
governo o allimpresa capitalista. La libert aveva portato anar-
chia, voglia di conquistare il benessere, egoismo, o solo paura. Del
futuro, del vicino, di tutto. Allora ci ha pensato il partito a risolve-
re la questione, spazzando via la delinquenza.
Almeno dalla strada. Oggi di notte cammini per Chiinu, la ca-
pitale del pi povero stato dellEuropa, senza problemi. Qualche
ragazzo spavaldo, un paio di ubriachi, una vamp un po provocan-
te, una poliziotta scortata da due militari che ti si avvicinano per
chiederti il passaporto. Hai solo la carta didentit ti fa la don-
netta in divisa un po disorientata da quel pezzo con foto che per
lei equivarrebbe al paradiso in terra dEuropa. Non va bene, do-
ve possiamo controllare se sei veramente quello scritto? se hai il
permesso di rimanere? Ci sono sempre pi immigrati illegali qui,
gente che arriva dallItalia e si ferma anni. Come faccio a control-
lare il visto?, cerca di spiegare in un inglese stentato o in rumeno
moldavo o in italiano afframezzato. Io piazzo la faccia da angio-
letto e ribatto: Abito qui vicino, se vuoi ti porto al passaporto.
Lei scuote la testa, gli altri due non capisconono unacca, e mi la-
scia andare, tra le strade poco illuminate di questa capitale appe-
sa allorlo dellEuropa. In Italia, a Milano, Padova, un quartiere
cos ti farebbe venire la pelle doca: marciapiedi dissestati, strade
coi buchi, nessuna insegna luminosa. Qui ti fa tenerezza, quasi co-
me le discoteche con le vasche degli squali e le ragazze alte di loro
inerpicate su tacchi vertiginosi e costosissimi. Fanno anche tene-
rezza questi gendarmi post comunisti che non sanno come pren-
derti a te evidente prodotto dellUnione Europea.
Come quel soldatino che mha fermato dopo che ho attraversa-
to la strada in pieno centro e non sulle striscie, in pieno giorno e
non con lautorizzazione: Ti devo dare la multa. Gli ho riso in
faccia, una multa per aver camminato in mezzo alla strada? Ma
come dare la multa a chi va in bici contromano o pedala un po
alticcio! La risata mi si spegne dentro, in Italia questo lo fanno,
ora. Il soldatino per non se ne accorge, confabula col commilito-
ne subito spuntato da un altro angolo, riprova a chiedermi il pas-
saporto anche lui. Io non glielo do. Dai dai, pedala vecchio mio,
vai a beccare qualche altro frescone, io oggi non sono giusto per
te. Conosco questi paesi, in altri posti, e sotto altre paure sono fi-
nito sotto torchio per aver fotografato una base militare. Ancora
oggi non credo che ci volessero arrestare. Ma dopo otto ore di in-
terrogatori vari e minacce non tanto velate, mi sbolognarono a un
vero poliziotto da noir, rugoso, con locchio svagato e profondo,
la camicia slacciata, la pistola appesa alla cintura: Ma che cazzo
devo fare di voi?! Andate via, rush, sparite, mi avete fatto perdere
fin troppo tempo, ci disse. E fu quasi una medaglia da appuntare
al petto, avevamo forzato la mano e lordine in zona di guerra, la
military police ci voleva sbattere in gattabuia e non le abbiamo ne-
anche prese di santa ragione. La ragione arriv dopo quando rea-
lizzai che io e Maurizio eravamo due cani sciolti, se ci avessero ar-
restato non saremmo neanche finiti sui giornali o in TV. Non ave-
:,, il paese delle noci
a est del nordest :c ::
vamo nessuno dietro e quindi eravamo solo dei coglioni, altro che
eroi. O no? Di questo riflettevo quella notte mentre camminavo in
salita verso il mio appartamentino nella zona chic di Chiinu, do-
ve una villa stile liberty spuntava prima di una casa rosicchiata dal
tempo e di un palazzo a specchi e cemento.
Ogni giorno si celebra un matrimonio tra un italiano e una
moldava, un segno di come queste due comunit si stiano fon-
dendo, declamava il commercialista alla fine della conferenza
daffari in cui aveva sciorinato i dati di un Paese dove lo stipen-
dio medio di 200 euro al mese e la gente vive soprattutto in
campagna. Un posto dove il tempo s spostato e scorre sui ritmi
di altre nazioni che danno unombra da Grande Fratello: Rus-
sia, Europa, USA, ma anche la Romania sembra tanto grande qui,
tanto che pu permettersi di investire ben centotrenta milioni in
opere pubbliche e sociali nella Repubblica sorella. Qui arriva-
va lImpero romano, il vallo di Traiano a trenta chilometri da
Chiinu, raccontava a un convegno in Italia lallora viceministro
giovane e intraprendente di una coalizione di destra che aveva
fatto la liberal aumentando i biglietti del tram (che era gratis per
giovani e vecchi) e aprendo ai mitici capitali stranieri. Questo
il primo paese esportatore di noci in Europa, spieg poi il suo
consulente. Noci? Gi, ma ci sono anche un sacco di fabbriche
tessili e dabbigliamento che producono per marchi conosciutis-
simi, ah, la Cina dEuropa. Ma abbiamo il problema che trop-
pa gente vive allestero e non ritorna diceva Veaceslav Guuui,
il viceministro. Per questo stiamo cercando di approntare una
legge che favorisca i loro investimenti in patria.
Intanto tornano sempre meno fondi, anche se per il posto so-
no sempre tantissimi: un miliardo e seicento milioni di euro di
rimesse dagli immigrati nel 2009. Intere famiglie puntellate da
soldi esteri, che finiscono in medicine, affitti, libri di scuola ma
anche birre, giochi, auto, vacanze per i ragazzi abbandonati con
i nonni o i mariti sfaticati.
Ma anche questa emergenza qui scorre via lentamente e appic-
ciccosa. A spiccare ci sono solo le donne. Quelle giovani, curate
e attente come modelle in erba. E quelle di mezza et, concrete
e piene di energia come dinamo. Una vita che nonostante tutto
scorre tra le contraddizioni e le incrostazioni di una nazione che
non ha ancora abbandonato il comunismo e non ancora entra-
ta in Occidente. Non ha la forza selvaggia e fiera dellAlbania la
Moldova, pi criptica, fugace, immersa in riti che sanno di sa-
trapia, di principato vassallo. Come lo era un tempo la Bessara-
bia (il suo antico nome) col Turco. Qui lOriente si era consoli-
dato e aveva fatto confine, perdendosi nello stesso tempo in gio-
chi bizantini. Dopo i Mongoli arrivarono gli Ottomani. LIslam
era affondato in questa immensa pianura cercando di appendersi
a riferimenti geografici il Danubio e rifluendo sempre dalle
montagne costellate di monasteri ortodossi come la Bucovina o
di castelli sassoni senza lasciare tracce, quasi che anchesso fosse
un fantasma nelle nebbie del Delta, una finzione, un incubo buo-
no per Dracul.
Caduto il Turco, era toccato a un altro impero immenso e senza
volto, quello dello zar. Bene o male siamo stati sotto Mosca per
gli ultimi 150 anni, ma anche ai tempi dellURSS eravamo lunica
repubblica dove non si scriveva in cirillico. Il nostro sempre sta-
to un alfabeto latino, ricorda orgoglioso il sociologo. Noi siamo
diversi da loro, rimarca. Il problema : a chi siete simili? A voi
italiani, una faccia una razza, non per niente qui cerano i Roma-
ni, arrivato Traiano. Ah, mi dimenticavo
La nostra una comunit appena nata, la Chiesa cattolica
di assoluta minoranza in Moldova, 20.000 fedeli, ma abbiamo
il paese delle noci
a est del nordest ::
grande entusiasmo racconta don Sergio, il prete di frontiera.
Abbiamo realizzato una sala giochi e una palestra per i ragazzi
del quartiere. Pensi che allinizio ci chiedevano se dovevano pa-
gare per entrare tanto non sono abituati a strutture come queste.
La casa famiglia per accogliere undici orfanelli ormai quasi fi-
nita e servir a salvare altre giovani vite abbandonate.
Il caro e vecchio oratorio dei salesiani ruota attorno a uno spa-
zioso campo da basket e di volley, una sala con i calcetti, una pa-
lestra attrezzata e luminosa. Vicino ci sono i laboratori professio-
nali. A settembre dovrebbero partire i primi corsi per idrauli-
ci, elettricisti, tecnici di manutenzione del riscaldamento spiega
don Sergio. Organizziamo corsi di italiano e vorremmo anche
fare una piccola scuola di informatica, cerchiamo di dare una ba-
se a quei giovani che in futuro vorranno costruire qualcosa qui
in Moldova. Basta con lemigrazione, il disagio, le sofferenze e
le disgrazie, per questo vediamo con favore gli italiani che vo-
gliono investire qui. Basta che portino soldi veri e attivit vere.
Come la sua. Intorno i ragazzi si accalcano, sono abituati a stare
sulla strada e della strada. A Bucarest negli anni Novanta viveva-
no sotto i tombini, nelle fogne dove esalava il caldo del riscalda-
mento collettivo e dove potevano scappare da chi li voleva usa-
re come donatori dorgani o scippatori. A Chiinu non era me-
glio, sottile il confine della disperazione e della libert. Vede
questa la chiesa che abbiamo messo su e l ci sono i dormito-
ri, ospiteremo dieci ragazzi alla volta, senza famiglia, di pi non
possiamo, non abbiamo le risorse fa don Sergio.
Le stanze sono linde, i mobili nuovi di zecca, una pulizia che
stona con le erbacce in giardino e i muri di cinta che ricordano
quelli di un carcere. Ma il suo sorriso vita e serenit, lui non rin-
chiude, aiuta. Un prete allantica, dei tempi degli oratori. Uno
stampo che s perso anche da noi.
Preti di frontiera
[Moldova]
La voce da omone, come lui . Locchiale spesso e assoluta-
mente fuori moda, come la pancia, esuberante, in tandem col
suo eloquio. La gente gli parla, lo tocca, gli chiede, una pro-
cessione continua verso don Cesare, il prete di frontiera finito
(o sbattuto?) ai margini dellEuropa dalla natia Puglia dopo una
storia di condanne e centri di accoglienza per immigrati. Una
coppia di giovani vuole sapere come fare ad avere il permesso
di soggiorno in Italia. Un anziano italiano gli presenta la giova-
ne fidanzata conosciuta da poco, lui benedice la coppia con un
occhio ammiccante: Lamore non ha et, sospira quasi aves-
se voglia di qualche avventura vietatagli dallabito talare. Lam-
basciatore lo consulta spesso, gli imprenditori religiosamente al
sabato affollano la sua messa per la comunit e finanziano le
mille attivit sociali che porta avanti questo prete-manager che
in Moldova e Transnistria, lautoproclamata repubblica che si
rif a Lenin e sta dallaltra parte del fiume Nistro (Dnestr in rus-
so e Nistru in moldavo), ha trovato la sua nuova patria e un ter-
reno fertile per la sua opera missionaria. Io prima cerco di aiu-
tare la gente e poi penso a educarla alla religione, ma la povert
tanta come i bisogni e io cerco di darmi da fare, concretamen-
te. Come fate voi del Nordest, poche parole, tanti fatti, raccon-
ta seduti nellasettico ufficio che funge da anagrafe dellamba-
sciata italiana a Chiinu, un posto dove sulla porta dentrata c
un belladesivo: Qui niente armi, che anche un programma
a est del nordest : :, preti di frontiera
rit, ma dar da mangiare a duecento anziani al giorno non risol-
ve i problemi. Questo Paese ha bisogno di imprenditori e quelli
veneti sono lideale. Ma perch non lancia ponti con la sua Pu-
glia? Sono dieci anni che lancio ponti, alla fine da qualche par-
te uno lo deve costruire risponde ironicamente corrosivo il don
Cesare. Io voglio costruire il dialogo e mi auguro che questa
terra non venga inquinata dagli avventurieri.
Tortuga Moldova, di sicuro dallaltra parte del Nistro gli af-
fari torbidi sono proliferati e non c dubbio che anche qui in
questo pezzo di Romania sovietizzato sono spuntati come funghi
allombra del nuovo capitalismo e dellindipendenza dallURSS.
Non per niente met dei locali notturni sono in mano ai russi.
Perch i moldavi per entrare in Italia hanno utilizzato spesso
Padova, Vicenza, Verona? Le migliori immigrazioni nascono da
quelle clandestine risponde il prete-manager di frontiera. So-
no gli irregolari che tracciano le rotte, quindi bisogna dire gra-
zie alle tante donne, molte volte vittime della prostituzione, che
hanno tracciato questo percorso. Il Veneto era il luogo della ven-
dita delle donne, della consegna delle badanti e cos via. Tutto
questo processo passato, superato. Superato? Molte volte ci
avvicinano degli irregolari con un forte accento veneto, e questo
ti fa capire che lintegrazione c, esiste, si fa nel concreto ogni
giorno, taglia corto don Cesare. Unemigrazione che ha lascia-
to dietro di s tanti ragazzi soli, allo sbando. I ragazzi sulla stra-
da esistevano ma ci abbiamo lavorato, abbiamo creato struttu-
re, centri daccoglienza, scuole. Lemigrazione genera sofferenza,
solitudine, disperazione. Abbiamo tante donne sole che lavora-
no come badanti in Italia, molto spesso abbandonate dai mariti
che trovano nellalcol una compensazione. Queste sono malattie
sociali che devono essere curate. Ricordo che la Regione Veneto
ha stanziato 600-700.000 euro per la cura dei bambini moldavi,
per molti locali notturni della capitale. Un segno dinquietudine
che potrebbe anche essere ribaltato: c sorveglianza, quindi l
dentro si pu stare tranquilli.
C sempre unaltra faccia della medaglia qui ai confini
dellEuropa ed sempre un po fluttuante tra il lecito e lillecito,
quella linea di confine dove si muove bene don Cesare Lodeser-
to e dove ha deciso di stare fin dagli anni Novanta quando qui gli
italiani erano mosche bianche e di preti cera solo lui.
Alle cinque di mattina si vedono i carretti dei contadini che
vengono a vendere la loro roba, durante la giornata ci sono i SUV
dei nuovi ricchi e alla sera la citt si svuota. Qui a Chiinu si as-
sistono concentrate a tutte le contraddizioni di un Paese giova-
ne racconta pacioso. Ci sono tutte le comodit occidentali, al-
berghi, ristoranti (anche italiani), locali notturni, boutique, ma
la vita costa come in Occidente. Poi riflette sul resto del Pae-
se: Non che la campagna sia tanto diversa da quelle meridio-
nali di non molti anni fa, una vita difficile ma la gente riesce a
campare anche del proprio prodotto. Purtroppo vero che qui
si muore prima, le aspettive di vita sono attorno ai sessanta-ses-
santacinque anni, una delle pi basse dEuropa. Per questo vo-
gliamo aprire agli imprenditori [dice proprio vogliamo, plura-
lia maestatis? n.d.A.], per migliorare anche la loro esistenza. La
Moldova rappresenta il vero ponte per dialogare con lEst. Qui
non si pu venire solo per il basso costo del lavoro, pi o meno
la met di quello rumeno, o per sfruttare i bassi valori dei terreni
o la possibilit di vendere in Russia senza dazi. Si viene per gene-
rare sviluppo. Il moldavo una persona di qualit, nel momento
in cui si sente sfruttato ti abbandona.
Marchionne, ti fischiano le orecchie? Certo che questo don
Cesare un tipo particolare, sembra veramente un manager. Io
parlo come un prete che inizialmente venuto qui per fare ca-
a est del nordest :o
Lultima fermata del Nordest
[Moldova]
Sono arrivato qui nel 1999, ed era il Far West. Ora abbiamo
fatto passi avanti ma c ancora molto da fare. la piattafor-
ma ideale per poi esportare in Russia, in Bielorussia e in Ucrai-
na, un mercato potenziale da cinquecento milioni di persone
scandisce Stefano Mercuri, presidente dellassociazione degli
imprenditori italiani in Moldova, una cinquantina di soci che
danno lavoro a circa tremila addetti. Il costo del lavoro bas-
so, 100-150 euro al mese [chiss perch cambia a ogni interlo-
cutore sto stipendio, n.d.A.], pi della met di quello rumeno.
La burocrazia non facile anche se cambiato il governo, i co-
munisti di Voronin sono finalmente allopposizione, ci sono spi-
ragli di maggiore apertura al mercato, per lavorare qui rimane
pur sempre una sfida avverte il cinquantasettenne imprendito-
re marchigiano delledilizia e delle fonti energetiche alternative
che a Udine ha un gruppo dinvestimento. Ma in Italia an-
che peggio, i clienti non pagano, le banche ti strozzano. Alme-
no qui se hai un po di soldi da parte puoi ancora tentare di far
fortuna.
Al governatore del Veneto Luca Zaia gi fischiano le orecchie
anche se proprio dalla sua Treviso part londata di emigrazione
produttiva degli anni Novanta che culmin con unassemblea di
Confindustria a Timioara e circa 4000 imprese di capitali nor-
destini al lavoro nellantica Dacia imperiale romana oggi confini
dellUnione Europea.
un gesto eroico. E il governo moldavo ha chiesto lapertura di
un patronato ACLI. Una realt che lavora tantissimo, per la le-
galit, per lo sviluppo, senza volere conversioni ma aiutando la
gente. Un prete concreto don Cesare, che in Italia sotto accu-
sa. Perch non amo i compromessi, e questo si paga. Ma si ri-
cordi che si possono fermare gli uomini ma pare che non si pos-
sa fermare Dio. E questa una cosa importante e simpatica. Ti-
reremo le somme al momento opportuno. Io non posso perdere
tempo a discutere su ci che gli altri vogliono dire, io cammino,
devo guardare in faccia la gente che soffre. Un giorno dovr ren-
dere conto a Dio se ho fatto qualcosa di male, ma ancora non de-
vo dar conto di nulla e per questo lo ringrazio. Di sicuro in
missione. Sono stato mandato dal vescovo di Lecce, siamo qui
da dieci anni, abbiamo nove strutture, anche un poliambulatorio
in Transnistria, altro Paese complesso. Altre ne stiamo costruen-
do, per esempio una scuola materna qui a Chiinu. E per i miei
cinquantanni ho deciso di farmi un regalo: una mensa da quat-
trocento posti al centro della citt. Questo il prete discusso.
Alla fine della giornata uno comunque non si misura con quello
che ha o fa, ma con quello che ha dentro.
a est del nordest : :, l

ultima fermata del nordest


Per questo mettono in piedi una societ, per un anno sono a po-
sto con la burocrazia.
Chiinu, la capitale di questo piccolo stato insomma, lo
specchio di un mondo ancora sospeso tra Occidente e Russia,
discoteche con piccoli squali nelle vasche ai lati della pista e stra-
de sterrate a due passi dal centro, pizzerie e ristoranti italiani e
casette col tetto di eternit e lorto in periferia, tram elettrici fa-
tiscenti degli anni Cinquanta e SUV neri a vetri oscurati, strade
buie e centri commerciali scintillanti. Leconomia, dopo un pe-
riodo di crescita al traino della Romania, ha subito una battuta
darresto; il governo di centrodestra ha dovuto aumentare i prez-
zi delle tariffe di trasporti e gas per far fronte al deficit di otto
miliardi di lei, circa mezzo miliardo di euro, ma ha ottenuto pre-
stiti dal FMI e dallEuropa per quasi due miliardi spiega Sergio
Dalpiaz, cinquantanove anni, responsabile di Eximbank, il quar-
to istituto di credito del Paese controllato dal 2006 da Veneto
Banca holding, una ventina di sportelli e altrettanti uffici opera-
tivi. Il problema vero che la situazione politica non si ancora
stabilizzata, i comunisti rimangono molto forti con il 45% circa
dei voti. Il 7 aprile 2009, parlamento e palazzo del presidente
Voronin furono assaltati da dimostranti che denunciavano uno
stato di polizia e la corruzione dilagante. Lhanno chiamata la ri-
voluzione di Twitter, anche se qui quelli che navigano in Rete so-
no molto pochi e in campagna si viaggia ancora col carrettino e
lasino. Le elezioni hanno segnato un cambio di maggioranza ma
tutto rimasto sospeso, in un limbo reso ancora pi incerto dai
contrasti con la Russia per il destino della Transnistria, la regio-
ne resasi indipendente nel 1991 dove in pratica si vive ancora ai
tempi del Soviet. In queste condizioni difficile investire am-
mette Giampietro Zannoni, presidente di Venetos Grup, un bel-
lunese di cinquantasette anni che in Veneto ha attivit nellidro-
Non la Romania degli anni Novanta, qui c poca manodo-
pera, in campagna hai problemi con gas e luce, ma le tasse so-
no basse e i terreni costano poco sgombra subito da facili illu-
sioni Piero, cinquantotto anni, trevigiano da delocalizzazione da
una vita (ha aperto e chiuso diverse aziende del casual di qua e
di l dei confini dellUnione Europea), che non vuole compari-
re col cognome per diatribe con gli ex datori di lavoro ma che a
cinquanta chilometri da Chiinu ha messo in piedi una fabbri-
ca dabbigliamento da trenta addette. Qui, come in Romania,
lavorano soprattutto le donne per investire da queste parti ti
devi sacrificare, ci vogliono le palle , ma io dico ai miei colleghi
piccoli imprenditori, venite qui, ci sono ancora un mondo e un
mercato da conquistare.
Per ora quelli che hanno fatto il salto sono pochi, 700 le im-
prese di capitali italiani registrate, pi o meno 200 quelle vera-
mente operative (una cinquantina dal Nordest, rami moda, edi-
lizia, informatica, ma anche casse da morto come in Transilva-
nia fa Marco Comello e i materassi della Molven del padova-
no Adriano Ceccato). Il resto sono solo di facciata o per amo-
re, cio per sistemare lamica, un classico della delocalizzazione
allitaliana e alla nordestina.
E ci sono anche quelli come me, che hanno deciso di goder-
si la pensione perch la vita costa molto meno e proviamo an-
che qualche iniziativa imprenditoriale nel campo dellallevamen-
to, suini per la precisione, avverte Giuseppe, che non ha diffi-
colt ad ammettere che arrivato per turismo sessuale ma poi il
posto mi piaciuto, poca gente, poco traffico, poco stress, tutto
quello che in Italia si perso. Per occhio, qui sono come san-
guisughe, appena vedono uno straniero vogliono spremergli tut-
ti i soldi e attenti allespulsione, dopo novanta giorni il permesso
di soggiorno per turismo scade e diventi un immigrato illegale.
a est del nordest :,c
Florida dItalia
[Moldova]
Lultima spiaggia per gli anziani dItalia, stretti da pensioni smil-
ze e costi della vita sempre pi alti, potrebbe diventare questo
Paese al centro dellEuropa e fuori dallUnione Europea. Qui la
vita costa poco e ci sono anche belle ragazze scherza Enzo (no-
me in codice, quello vero non lha voluto dire), trevigiano, meno
di settantanni ma pi di sessanta. Con i miei mille euro di pen-
sione posso godermela, e anche comprarmi una casetta. Dopo
anni di emigrazione sono un milione circa i moldavi espatriati
allestero per cercare fortuna, circa 150.000 in Italia, pi o meno
50.000 in Veneto il flusso potrebbe invertirsi e gli anziani italia-
ni e veneti iniziano a seguire le loro badanti nella terra dorigine,
un tempo URSS. I vantaggi ci sono per tutti e due. Lei potrebbe
badare al vecchietto e ai figli che aveva dovuto lasciare per anda-
re a lavorare in Italia spiega lambasciatore dItalia nella capita-
le Chiinu, Stefano De Leo. E lanziano vivrebbe bene con la
sua pensione perch il costo della vita qui molto pi basso che
in Italia e, soprattutto, i ritmi sono pi naturali, ancora legati alle
stagioni. Per ora siamo a conoscenza di una ventina di casi, ma
potrebbero anche aumentare nei prossimi anni.
Certo, Chiinu non propriamente bucolica: periferie da
palazzoni sempre uguali in puro stile comunista, tram elettrici
scalcagnati, un freddo cane dinverno. Ma qui non c traffico,
e la citt assolutamente sicura, chiunque pu constatarlo cam-
minando per strada di notte, sottolinea don Cesare. Questa
elettrico e qui dal 1999 lavora tra edilizia, informatica e coltiva-
zioni biologiche (lagricoltura la prima risorsa della Moldova,
soprattutto il suo vino, che ora per fa fatica a essere esportato
in Russia e cerca disperatamente uno sbocco in Europa) seconda
realt del Nordest qui in Moldova dopo Eximbank. Ma qual-
cosa comunque si muove. Stiamo lavorando a una joint venture
per un salumificio, c chi vorrebbe comprare una rete di distri-
butori, chi studia sbarchi nel commerciale e nel campo delle uti-
lity. Peccato poi che non si possa comprare la terra, qui molto
fertile, era il giardino dellURSS. Piccoli passi desplorazione. La
Romania rimane lontana. E ancora di pi lEuropa. Ma forse
pi vicina lAmerica. Anzi, la Florida.
a est del nordest :,:
Baron tzigano
[Moldova]
Noi vogliamo stare in pace e amore con tutti, lEuropa deve ca-
pire che i rom sono una nazione anche senza Stato, e il Consiglio
della UE ci deve rispettare.
Il barone degli zingari Artur Cerari (Aptyp Hepapb in cirilli-
co maccheronico per uno che non riesce a trovare quei caratteri
sulla tastiera) ci ha ricevuto nel suo palazzo sulla collina di So-
roca dopo una serrata trattativa conclusasi con lo sganciamento
di 100 euro e 400 lei moldavi. Allinizio il grande capo di tutti
gli zingari dellex URSS, circa venti milioni, e guida spirituale di
quelli moldavi (270.000), sindaco senza fascia ma con molti os-
sequi di quelli di Soroca (27.000) aveva chiesto sullunghia 400
dollari per aprire le porte del suo posto un po fatato. Ovviamen-
te non lui in persona, lui non si sporcherebbe mai a trattare di
vil denaro. stata la figlia, giovane e attenta, a definire laffare
che stato chiuso dal nostro autista Igor (che temeva che non
pagassimo e che ci finisse di mezzo lui e la sua auto) ed Enrico,
che in quel momento avrebbe venduto anche sua madre per po-
ter riprendere il capo dei rom fino allIndo, un signore sui cin-
quantacinque anni con barba e capelli candidi che lo fanno sem-
brare una via di mezzo tra Babbo Natale e Sai Baba. Occhioni
o naso completano perfettamente il parallelo col Maestro delle
Feste e noi per lui quel giorno siamo stati sicuramente una festa
visto che si intascato lequivalente di uno stipendio dellopera-
ia che lavora nella fabbrica di scarpe del veronese Maritan che
potrebbe diventare unisola felice dove trascorrere gli ultimi an-
ni in un contesto pi legato alla natura conferma lambasciato-
re che ha lavorato a Scutari (Albania) e Baghdad (Iraq) E poi
c la sicurezza di continuare a vivere con la badante che si ave-
va in italia. Mille euro al mese sono sufficienti? Qui lo stipen-
dio medio di 200 [e dai! unaltra cifra, n.d.A.], risponde De
Leo. Uno straniero pu rimanere per turismo novanta giorni.
Il permesso di soggiorno si ottiene per matrimonio, studio, la-
voro dipendente, volontariato, impresa, enumera don Cesa-
re, primo italiano a ottenere il passaporto moldavo, uno dei po-
chi stranieri che pu andare in Transnistria senza problemi. Il
governo sta studiando altre forme, come la residenza elettiva.
Ma perch tanta voglia demigrare qui? Dinverno dura. E gli
ospedali non sono dei migliori. vero. La gente muore prima,
la vita media di sessantanni conferma don Cesare ma i no-
stri vecchietti stanno aumentando. Il clima moldavo piace. Per
aggirare le barriere burocratiche poi c il vecchio sistema. Or-
mai vengono contratti cinque matrimoni alla settimana tra don-
ne di qui e italiani, i confini si allargano con laffetto, racconta
il prete-manager. Di solito per il signore un po pi anziano
della signora Lamore non ha confini, lamore ha storie che
molte volte sembrano fuori posto risponde il patron della Fon-
dazione Regina Pacis, che convoca tutti gli imprenditori italia-
ni di qui a messa ogni sabato. E pochi sgarrano. Ci auguriamo
che tutto questo sia un percorso, come un percorso quello del-
le tante badanti che stanno rientrando portandosi dietro il vec-
chietto italiano che hanno assistito. Gente che ha deciso di venir
qui a concludere lesistenza. Per ora non sono molti, aumente-
ranno. Sia fatta la volont della Provvidenza e dellINPS.
a est del nordest :,
arriviamo da una storia antica e fin dai tempi dellIndia, da dove
ci siamo spostati con Alessandro Magno. Allora come oggi cam-
piamo lavorando la latta, facendo pentole, coperchi, bicchieri.
A dir la verit di questa attivit metallurgica a Soroca si vede
traccia solo sui tetti dei palazzi dei rom, che scintillano al sole e
sembrano quelli di pagode tibetane. Fanno una certa impressio-
ne, anche perch spesso sovrastano tre, cinque piani mezzi co-
struiti, tirati su anche un po sbilenchi su strade ancora sterrate e
piene di buchi. Posti anche accoglienti, nel salone del Baron c
un bel forno di terracotta dove si fa anche il pane, sormontati in
qualche caso con qualche tocco da mausoleo, tipo i tre cavalli di
ferro che decorano il tetto del suo vicino di fronte. Ma sono va-
riazioni di stile che ti aspetti nella citt degli zingari, dove anche
il cimitero diventa un museo e i compaesani sono in piena azio-
ne per dipingere di azzurro o di verde le inferriate e le panchi-
ne che adornano le tombe. Noi siamo molto religiosi, ortodossi
sintende, a Pasqua qui ci sar una grande festa, tutta la nostra
gente verr con carri e auto per celebrare la Resurrezione di Cri-
sto. Hristos a nviat! E gi di Noroc! I brindisi e gli auguri si ac-
cavalleranno sicuramente, la musica tzigana riempir la collina e
la citt e le campagne in fiore celebrando non solo Cristo risorto
ma anche limperitura storia degli zingari del Baron, che preso
dalla frenesia e dalla telecamera accesa prima si mette al piano
e ci regala una delle sue canzoni che parleranno sicuramente di
amori, viaggi, bevute e zingarate, e poi finisce con la fisarmoni-
ca a suonare una polka incalzante e arrembante che di certo ha
fatto fremere e divertire legioni di suoi sudditi. Mi raccoman-
do, andate in pace e siate felici, la vita una ed un dono del Si-
gnore, godetela forse sono state le sue ultime parole prima della
nostra partenza dopo il giro in paese. Lui sicuramente ha capito
molto della vita. Molto pi di noi.
mi giurano stia in basso, dalle parti del fiume Nistro, magari pro-
prio a due passi dal massiccio castello a quadritorre che sorve-
glia da secoli, dal XVI credo, il guado oggi servito da una chiatta
che unisce regolarmente Moldova e Ucraina. Artur per di sol-
di non vuole parlare, lui mentre gli altri delle troupe trattano mi
offre caff e vodka e mi racconta nella sua lingua flautata dove
moldavo, latino, russo si mischiano a qualche parola di francese
e italiano, un bailamme che ogni tanto mi illumina. Questa la
traduzione di quella chiacchierata come lho capita io. Lui sicu-
ramente potrebbe smentirmi, ma farebbe parte del gioco e della
malia che era iniziata non appena abbiamo messo piede in quella
collina fuori dal mondo, dal mondo almeno che noi conosciamo.
Qui viviamo tranquilli, abbiamo autonomia, decidiamo sul-
le scuole, la vita, le costruzioni, paghiamo le tasse al governo e il
governo ci rispetta, non ci sono problemi con i moldavi. E nem-
meno con i russi e gli ucraini, racconta il Baron che non esclu-
de bari un po ogni tanto, accentuando su quel punto, sfumando
sullaltro, un vero politico, unanguilla che ha saputo sgusciare in
tanti posti, stati, regimi diversi. Ma stiamolo a ascoltare, faccia-
moci trasportare A dir la verit stavamo anche meglio quan-
do cera lURSS, allora potevamo andare dove volevamo in quel
grande Paese. Mi fa vedere una spilletta rossa di quei tempi e
anche una foto con qualche pezzo grosso del partito comunista
dopo che aveva svelato che una delle due auto nere Zil parcheg-
giate nel giardino del suo palazzo coperte da tappeti erano di
Andropov (segretario del PCUS ed ex capo del KGB pre Gorba-
ciov). Eravamo rispettati e benvoluti, non come adesso in Eu-
ropa. Anche se, e questo lo dico a te ma non lo direi mai in pub-
blico, Sarkozy ha ragione: i rom rumeni sono criminali, non co-
me noi che rispettiamo le regole e le leggi, lavoriamo, paghiamo
le tasse. Quelli se ne fregano di tutto, sono diversi da noi, che
:,, baron tzigano
signora vendeva tranquillamente mutande e vestiti. Era normale
in quella citt offrire in maniera improvvisata: spillette sovieti-
che fatte in Cina, croste che dovevano essere quadri, cibi volanti,
ricariche dei cellulari, abiti e reggiseni, uova colorate o di cera.
Varcai la cancellata e iniziai a perdermi in quella marea di lapidi
e ricordi in caratteri latini e cirillici, che risalivano a due secoli fa
e sallungavano fino a oggi tra cappelle neoclassiche e croci roz-
ze dipinte dazzurro o di rosso. Volti in bianco e nero mi sorri-
devano con baffoni o foulard, sguardi accesi denergia giovanile
e facce bonarie, paffute, contente del loro raccolto. Qualche vol-
ta spuntava il generale di una guerra contro i nazisti e il soldato
dellArmata Rossa con tanto di stella, ma il cimitero degli eroi sa-
rebbe arrivato pi avanti, con le sentinelle sempe impettite a fare
il cambio della guadia al monumento anni Sessanta e le fiamme
sempre accese ad ardere. Ma quello invece era il cimitero vero,
intimo, della gente. Giovani e vecchi non avevano dimenticato i
loro morti, non li avevano nascosti in un ghetto per tirarli fuori
solo il 2 novembre, il giorno in cui sto scrivendo. A quel tempo
era primavera e neppure una data di festa, eppure erano in molti
a sedersi sotto un platano, su quelle panchinette da due per go-
dersi ancora la compagnia di quella persona amata, a lasciare un
ricordo, a bere un bicchiere alla salute. Provai tenerezza e li rin-
graziai. Quel posto non era morto, aveva unanima. E maveva
fatto capire un po di pi quella gente, ancora viva malgrado il
grigio che li avvolge.
Quella era la terra. Il cielo, la luce lho trovata in una not-
te lunghissima, la vigilia di Pasqua in un monastero femminile
a una trentina di chilometri da Chiinu. Mi ci hanno portato
Piero e la sua famiglia che un po mi avevano adottato in quei
giorni. Lei giovane ed efficiente, donna manager con figlia a ca-
Terra e cielo
[Moldova]
la panchina che ti spiazza. Di legno o di ferro, aspetta, ti aspet-
ta. Se gli vuoi fare compagnia, se vuoi un po di riposo prima di
quello eterno, se hai bisogno di stare tranquillo, lei c. E tu ti
puoi fermare quando vuoi a parlare con chi sta l sotto, a riflet-
tere su chi sta ancora sopra, a chiedere un consiglio o a conqui-
stare il silenzio. Ce ne sono molte nel cimitero di Chiinu, ma
poi avrei scoperto essere unusanza di qui ma anche in Romania,
come le lapidi con la facciona del protagonista o delle coppie se-
polte in sovrimpressione, o gli angeli e le croci elaborate di pie-
tra, i racconti di gesta o i ricordi. Ma sono le panchine ad avermi
intenerito, le panchine e le loro occupanti. Signore det, cicciot-
te e ingolfate nei loro vestiti da babuska, stivali e fazzoletto in te-
sta, stavano con le mani giunte o dei fiori secchi in mano. Ogni
tanto si alzavano, eliminavano qualche altra erbaccia, una foglia
morta dallaltro inverno, poi si risiedevano. Ogni tanto mormo-
ravano, non erano preghiere, credo, ma un colloquio che durava
con il marito o il figlio che se nera andato prima di loro.
Quel cimitero lho scoperto per caso. Stava dietro la casa che
mi ospitava, tra il parco e il centro, protetto da mura di mattoni e
da uninferriata. Cera un via vai continuo di gente che mi aveva
incuriosito, pensavo a un posto di ritrovo, bar, caff allaperto,
un posto in mezzo alla natura. Solo la fioraia allangolo che espo-
neva corone dai colori accesi e vasi di piante mi aveva fatto in-
sospettire. Per poco pi in l, su un altro marciapiede, unaltra
:,; terra e cielo
a est del nordest :,
appesi al soffitto. Era il sabato di Pasqua. Quellanno quella or-
tossa sarebbe coincisa straordinariamente con quella cattolica.
Ma per loro quello non contava. La rottura, lo scisma, la divi-
sione con Roma affondava talmente lontano nei secoli che non
faceva neppure pi parte della loro storia. Qui Ges, la Chiesa,
le preghiere che iniziarono ad avvolgermi in una musica rap-
sodica e ipnotica formano un secolare mantello didentit, di
protezione, di riconoscimento. La forza dellortodossia anche
nello stesso momento la sua debolezza: antica, potente, divi-
sa, baluardo. Affonda la sua identit nel passato, rifulge ancora
di riti sempre uguali e imperituri, loro hanno il coraggio di farli
vivere per ore, per una notte come quella che mi lasci esausto,
in piedi fino alle tre, quattro della mattina, fino allalba dura-
no, a salutare il sole della Resurrezione tra le colline, tra canti e
processioni che avvolgevano quel piccolo monastero come tut-
te le chiese della Moldova e della Romania, nelle campagne co-
me nelle citt, era una vera prova di forza. Era la manifestazio-
ne pulsante e sanguigna di uno spirito che voleva farsi mistico
nella fatica e che nello stesso tempo si manifestava come uni-
co. E anche diverso. Dal Cattolicesimo, pi indulgente nei riti,
pi morbido nellapproccio, meno identitario. E dallIslam, da
sempre il suo contraltare, lavversario, in Bosnia come nei Bal-
cani tutti e nella Grecia del Monte Athos, fino alla Bulgaria e
a questa terra tra grandi fiumi e pianure che un tempo era Da-
cia e Bessarabia. Si riannodava un legame antico l, in quella
campagna di confine, e si ritrovava unidentit che la moder-
nit stava rosicchiando. Il cuore della terra che guardava il cie-
lo erano quelle donne di tutte le et che orgogliose cantavano
da ore mentre i loro uomini lentamente ma inesorabilmente si
eclissavano prosciugati da quellesercizio prima di tutto fisico
che solo come sfida poteva reggere.
rico, lui imprenditore del Nordest che aveva battuto in lungo e
in largo la Nuova Europa e alla fine sera fermato l, ai confini
dellUnione Europea, per coltivare i suoi affari in una terra anco-
ra vergine. Chi rimane in questi posti, Romania come Moldova,
ha spesso non solo affari che gli fanno mettere radici. C anche
il cuore, la voglia di ripartire, una nuova avventura da costruire,
una nuova famiglia da far crescere, come unaltra impresa. Gi,
come nel Nordest: fabbrica e famiglia, FF. Ripartire per ripro-
vare la sensazione di essere ancora pionieri nella vita come ne-
gli affari. Ne ho visti tanti, i migliori avevano sempre una donna
forte al fianco. Niente di appariscente, quelli che avevano scelto
le bellezze sembravano sempre borderline, ai limiti, sul filo del
rasoio in famiglia come nel business, un po Bonnie & Clide di
periferia: lui sovrappeso e stempiato, lei che mostrava le prime
rughe su un viso e un corpo che un tempo doveva essere da urlo,
gente sempre sullorlo del crollo. Matti e un po disperati.
Piero e la sua donna no, avevano un che di solido, di vero, di
calore. E quella sera, in quel monastero in mezzo alle colline sco-
prii il centro di quel legame, il fuoco che li scaldava ancora mal-
grado tutto intorno girasse solo sul denaro e il potere, come da
noi daltronde.
La gente aveva cominciato ad arrivare alla spicciolata, le au-
to parcheggiate vicino alla chiesetta illuminata dalle candele,
una luce fioca, il villaggio vicino e le colline intorno che si pro-
filavano indistinte tra le fiammelle dei ceri che baluginavano
nel buio. Erano appena passate le ventidue, davanti al portone
cinque o sei nonne infagottate, monache che accendevano can-
dele, qualche ragazzo, laltoparlante da Nuovo Cinema Paradiso
che gracchiava una musica solenne e registrata. I saluti, cestini
con uova sode colorate e altre cibarie, dentro una chiesa essen-
ziale, quadri severi alle pareti, liconostasi dorata, candelabri
:,, terra e cielo
a est del nordest :oc
del giorno dopo, quando ogni cortile, ogni frasca, ogni salotto si
trasforma in una piccola reggia e il vino denso, perch ancora ru-
spante, scorre a fiumi prima di lasciare il posto alla vodka e allo
stordimento che avrei visto anchio in unaia di campagna, dove
una famiglia raccolta dal mondo stava festeggiando da ore ballan-
do intorno a un fuoco e sbertucciando per una volta le galline ap-
pollaiate sul vecchio sidecar arrugginito e sovietico.
Non ressi a quella sfida, anchio crollai dopo cinque ore in
piedi, come la bambina bionda e il mio anfitrione. Me ne an-
dai dal monastero quando la notte era ancora densa, avvolto da
quegli sguardi intensi e da quei canti ancora possenti e ricchi di
sfumature che potevo solo intuire perch, curiosamente, faceva-
no parte anche della mia storia. Anche se era una storia dimen-
ticata. Come quella festa nella casa dei nonni che inizi nel mez-
zo della domenica e fin a notte. Come quel viaggio ai confini
del mio mondo che inizi da Venezia e fin dove era iniziato, tra
un sogno e un incubo.
Mi appoggiai a una colonna, in disparte, mi feci cullare per ore
da quelle voci gregoriane. Dopo che le campane e gli asperso-
ri avevano benedetto le mura di quel piccolo castello di Dio per
una, due, tre e chiss quante altre volte, i fedeli che nel frattem-
po serano ingrossati e riempivano tutta la chiesa e anche la piaz-
za esterna, giovani, ragazzi, bambini, anziani e adulti di tutti ceti,
ora brandivano i loro ceri come spade celesti e cantavano, canta-
vano in una lingua per me sconosciuta che mi riempiva di sere-
nit e forza. Un pope guidava le letture di passi della Bibbia che
si susseguivano, la badessa al suo fianco, la voce piena, lo sguar-
do vigile che accarezzava il suo gregge e seguiva il canto delle sue
pupille assiepate lass, nel coro, in alto a diffondere il Verbo in
una polifonia che dal Purgatorio man mano saliva verso il Para-
diso. Erano giovani quelle monache con i capelli raccolti nel ne-
ro di una cuffia, la pelle arrossata dal calore della candele e dalla
gioia di quella notte di Resurrezione. Erano fiere di cantare per il
loro Dio e il loro popolo, fiere di essere dentro un cammino che
affondava le sue radici nei millenni e che era sopravvissuto anche
al comunismo. Cantavano per ringraziare la Natura di unaltra
primavera in arrivo, perch da quelle parti linverno era durissi-
mo tra meno trenta gradi e due metri di neve. E la gente cantava
con loro compatta, le ragazze da marito del paese arrivate alla ce-
rimonia per farsi vedere dai giovinotti emigrati allestero o finiti
nelle grande citt, e quelle pi truccate che avevano gi assaggia-
to le discoteche di Chiinu o le notti di baldoria con i loro coeta-
nei ma che tornavano a casa sempre sotto locchio vigile di padri
e madri. Cantavano i vecchi ricordando altre liturgie sovietiche
e scaldandosi al calore diffuso da quella folla raccolta nella chie-
sa ringraziando per un altro anno in pi, e anche i contadini no-
dosi come le loro vigne e scuri come la loro terra che malgrado
tutto spillava ancora qualcosa pregustando gi la festa di Pasqua
:o: terra e cielo
Lamico imprenditore italiano non del Sud ma lavorando da
queste parti da anni era diventato un fatalista convinto. E anche i
suoi colleghi o la gente che ho conosciuto, rumeni e moldavi, ha
lo stesso approccio. Il confine del Nistro ancora un rebus e non
solo perch formalmente quel Paese non riconosciuto da nessu-
no, nemmeno dai russi che lhanno creato quando nel 1992 lar-
mata del generale Lebed si schier con i secessionisti dellauto-
proclamata Repubblica di Transnistria, e pass il fiume che scim-
miotta lIstro occupando Thighina (o Bender per i russi), la citt
che si profila in fondo allautostrada, dopo i fili spinati di questa
frontiera che ufficialmente non esiste. Vi furono scontri, una vera
battaglia, morti e feriti. Da allora la situazione congelata, e pro-
sperano i traffici.
Sono nervoso e lo anche la mia guida. Lui moldavo ma mo-
stra alle guardie transnistrie (evocativo, eh?) un passaporto rume-
no, cio europeo. Bene, proprio un bel pasticcio. Prima di arriva-
re mi ha detto di nascondere macchina fotografica e telecamera, io
mi sono infilato nelle mutande la memoria di tutte le mie preziose
foto e ho distribuito le cassette sotto il tappettino e gli apparecchi
tra le varie tasche di quel canguro dauto che mi ritrovo. Passiamo
una prima frontiera, mi si spiega che quella moldava, ah! Poi la
terra di nessuno di un chilometro tra sterpaglie e fili spinati, unau-
toblindo russa, sacchetti di sabbia e pennoni a sventolare bandiere
col montone. E arriva un altro stop. Spunta il cirillico. Questa la
Transnistria, Pridnestrovie in russo, mi spiega il mio Virgilio guar-
dia del corpo autista e chiss che altro. Il poliziotto che ci scruta ha
il colbacchetto nero e la divisa caki, mostrine lucenti e un bel pisto-
lone alla cintura. Un altro passa in rassegna lauto, batte con uno
sfollagente sulla carrozzeria, si fa aprire il cofano dietro, controlla
dentro e poi fa richiudere. Aprono le portiere dietro, io sudo fred-
do, non mi va proprio di finire in galera in un posto come questo
Il Paese che non c
[Transnistria]
La Bessarabia (Besarabya in turco) una regione compresa tra i
fiumi Prut (affluente di sinistra del Danubio nel suo corso infe-
riore) e il Nistro: attualmente suddivisa tra la Moldova (parte
settentrionale, dopo la disfatta dei Mongoli del 1343 fu annessa
al principato di Moldova) e lUcraina (parte meridionale o Bes-
sarabia storica, o Budjak Bessarabia Vecchia, Bugeac in ru-
meno, Bugiac in lingua tartara e Bugiak in turco).
Gi questo incrocio di lingue fa capire come da queste parti
sia passato di tutto e non sia ancora finito. rimasto sospeso,
aleggia come un fantasma tra la pianura di campi coltivati e fi-
lari di alberi che si allungano a distesa fino al confine che non
c. Pensi di trovarti davanti a un qualche punto geografico, un
monte, un fiume, un cocuzzolo, e invece lautostrada rattoppa-
ta finisce in un posto di blocco sorvegliato da soldati dove il
primo comandamento dei cartelli non fotografare n filmare.
Daltra parte, come si pu registrarare un posto che non esi-
ste? Sono passati una cinquantina di chilometri da Chiinu, ne
mancheranno duecento a Kiev, ma ora mi ritrovo a fare i conti
con un paradosso. Non credo che vi sia bisogno di visto per
entrare in Transnistria, ma tu portati dietro il passaporto e in
ogni caso spera, non detto che ti permetteranno di passare.
Non esiste un criterio, c gente che conosco che entra e rien-
tra, altri italiani che sono rimasti bloccati per ore senza speran-
za. Tu prova.
:o, il paese che non c

a est del nordest :o


Comunque il timbro prezioso ce lho, non da tutti finire in un
posto che non c (ufficialmente). Anche se nel mondo non sono
poi cos rari, mi viene in mente subito la Cipro Nord turca, stessa
bandiera con la mezzaluna di Ankara ma in campo bianco. E l, a
Nicosia, c anche lultimo Muro dEuropa, ma questa unaltra
storia che centra molto con Venezia, oh yeah. Mettiamo in moto,
il documento funziona, ci alzano la sbarra fatidica. Siamo dentro.
Lautostrada si snoda ancora fra campi piatti e filari di alberi, poi
entriamo in una citt moderna e spettrale, qualche tram, pochis-
sime auto, una ruota di luna park grandiosamente arrugginita e i
resti di una fortezza che ora base militare sul Nistro. Il fiume ar-
riva dimprovviso, dopo una rotonda affollata di vecchie auto, si
allunga pigro e marrone verso il Mar Nero, riflette la luce del sole
e mi abbaglia mentre giriamo attorno e finiamo quasi dritti con-
tro un carro armato, dei soldati lo sorvegliano e guardano distrat-
ti la strada, un flash e sono gi dietro, mi giro, sono russi. Passia-
mo in mezzo a uno slalom di barriere di cemento, dallalto di una
torretta spuntano altri soldati armati, e poi siamo sul viadotto che
oltrepassa il fiume sacro alla santa madre Russia e allo zar che
conquist questo posto nel 1812 e da allora se lo tiene ben stretto
anche se caduto insieme al comunismo. Ora comanda per inter-
posta persona la Repubblica di Putin, come in Abkhazia e in Os-
sezia. Mah! Getto un altro sguardo a Tighina, l la maggioranza
della popolazione era moldava, ma ora sono quasi tutti scappati
dallaltra parte e la pulizia etnica, anzi, la semplificazione etnica,
stata completata. Di qui, in Transnistria, meno di 500.000 rus-
sofoni, di l tre milioni di moldavi. Il resto sono emigrati. Bah!
Mi concentro di nuovo sulla strada, la citt ha gi lasciato posto
alla solita campagna piatta, poi spunta una costruzione moderna,
nuova di zecca, scopro che lo stadio dello Sheriff, la squadra del
signore e padrone di questo staterello che gioca anche la Cham-
dove lunico soggetto riconosciuto dal mondo la squadra di Ti-
raspol (citt del Tyras, lantico nome latino per Nistro), lo Sheriff,
punta di un iceberg che nella parte sommersa controlla un gruppo
che conta supermercati, distributori, fabbriche, televisioni, giorna-
li, distillerie, agenzie pubblicitarie, societ di costruzioni (o mam-
ma mia, mi sembra di essere in Italia!). In pratica met della ric-
chezza di questo Paese nelle tasche di un paio di agenti segreti e
del figlio del capo Oleg Smirnov. Le guardie di frontiera ci fanno
cenno di accostare, parcheggiamo davanti a un prefabbricato bas-
so e lungo dove si assiepano in altri cinquanta, donne, bambini, uo-
mini. Tutto scritto in cirillico, siamo gi in Russia. Guardo in giro,
controllo con la coda dellocchio cosa accade allauto, nessuno se
la fila. E io mi metto in fila. C da compilare un foglietto con tut-
to quello che sono, nascita, residenza, lavoro (turista, meglio non
fare i giornalisti da certe parti, o in tutte?!). Una donna dai capelli
scarmigliati e rossi, gli occhi verdi e la pelle con le lentiggini, sgomi-
ta e si piazza davanti al gabbiotto mitragliando in russo la poliziot-
ta dallaltra parte del vetro. Ride alle battute degli uomini intorno,
alza un figlio di tre anni e tiene sotto controllo laltro, capisco che
vuole andare a Kiev e arriva da chiss dove. Io cerco di scambiare
qualche parola con gli altri della coda, linglese non diffuso ma in-
tuisco che molti stiano andando in Ucraina per poi finire in Russia
dove c ancora lavoro ed pi facile trovare un posto rispetto alla
dura Europa che fa un sacco di storie, che quella una porta do-
ve transitano spesso in unemigrazione insistita che si porta dietro
chiss cosaltro. Poi il mio turno e sorrido, il mio solito sorriso be-
ota da ufficioso a ufficiale. La poliziotta, capelli neri e occhi azzur-
ri, mi guarda distratta e timbra. Il mio fascino non ha fatto molto
presa, ma almeno se l bevuta che ero solo un turista. Daltra parte
il problema non entrare, mi fa subito dopo il mio compagno di
viaggio, ma uscire. Ah, grazie!
:o, il paese che non c

a est del nordest :oo


prattutto, fuori tempo. Proprio come nel film di Zemeckis. Poi
scopro che il supermercato dello Sheriff, che la simil boutique
dello Sheriff, che anche la panetteria allangolo dello Sheriff,
ma anche la banca, la stazione di servizio, la cattedrale, lo stadio.
Non un fondale di un film, questi vivono in un Grande Fratel-
lo. Tutto del grande capo, del Leader, che ha costruito un mon-
do su misura per s e i suoi affari a colpi di leggi ad personam
e di monopoli. Tutto quello che importato nel Paese che non
c passa da una delle sue societ, dal petrolio ai profumi, dalle
scarpe alle auto. E quello che le fabbriche producono per leste-
ro, anche quelle degli italiani che lavorano qui, sotto discretissi-
me coperture, passano da sue controllate. Sto camminando in
un Matrix che reale e nello stesso tempo irreale, una Rete i cui
gangli finiscono sempre e comunque lass, da Igor Smirnov. La
sensazione di essere spiato e controllato diventa forte, dilagan-
te, ti guardi in giro, mi aspetto da un momento allaltro di essere
rapito, di scomparire nel nulla perch nessuno qui mi conosce e
io sono in un posto che non esiste, precipitato in una finzione in
un altro tempo e spazio. Forse devo smetterla di viaggiare, me-
glio starsene a casa, tranquillo, caminetto, cane e pipa. Questa
lultima volta che mi infilo in casini di questo tipo, giuro! Per
fortuna la mia guida mi ripesca mentre mi sono messo schiena al
muro in un posto riparato, schivo, grigio, insomma, una nullit.
Dai vieni, andiamo mi fa ti porto al fiume e dopo andiamo al-
la Kvint, alla distilleria dove fanno il famoso cognac. Di chi la
distilleria? Fate un nome, uno a caso? No, no, basta unosses-
sione, lunica fortuna che il Grande Capo non compare mai, in
TV o nei cartelloni, altrimenti mi sembrerebbe proprio di essere
in un altro posto e in un altro tempo. O solo nel mio?
pions. Assurdit nellassurdit. Ma il massimo lo raggiungiamo
quando entriamo a Tiraspol, la capitale, e dopo il palazzo monu-
mentale del governo e la statua di Lenin con suo crapone pelato
che non riluce pi neppure a Mosca. Passiamo davanti a un pa-
lazzo dove campeggia la scritta Venezia. Venezia! Ma dai, anche
qui, in pieno comunismo irreale dai gira, che voglio fare una
foto, dico al mio Virgilio. E lui esegue: inversione a U proprio
davanti allentrata della base russa. Bravo, perfetto, lideale per
farsi ben volere dalle truppe occupanti che stanno qui da quasi
ventanni. Ormai sono praticamente maggiorenni, gi, bella ma-
novra. Lho voluta io, s ma gi siamo fuorilegge o al limite e tu
ti metti anche a fare il rodeo drive, ma pensa te.
Comunque al primo incrocio rigiriamo, ripassiamo davanti al-
la base e finalmente arriviamo al centro di questa capitale che
non esiste. Parcheggiamo. Il mio Virgilio sinfila in un palazzo
squadrato e io mi immergo in questo altro mondo: avete pre-
sente il film Ritorno al futuro, quello dello scienziato pazzoide
che inventa lauto per viaggiare nel tempo? Bene, io ero stato
catapultato nel passato, negli anni Settanta, nel comunismo so-
vietico: ragazze con stivaletto di plastica dai colori acidi e gon-
ne smorte su uno sguardo fiero e slavo e truccatissimo. Vetrine
con le tendine che un tempo erano bianche e ora assolutamente
grigie sormontate da astruse parole in cirillico gialle o rosse do-
ve spuntano in esposizione tre oggetti, tipo uno shampoo, due
tinture per capelli, una parrucca. Negozi dove sfila su rastrellie-
re da caserma un campionario dellessenzialit, completi di po-
liestere, maglioni infeltriti, scarpe da ginnastica simil Adidas e da
passeggio che se non hai i calli devi essee un fachiro per indos-
sarle. Come Doc finiva a fare il pistolero in Texas io temevo di
dover fare il membro del PCI in trasferta nel Paradiso socialista,
cercavo di mimetizzarmi ma tutto di me era fuori luogo e, so-
:o; il paese che non c

dello stato che non riconosciuto da nessuno tranne che da pezzi


di Abkhazia e Ossezia dei turisti. Turisti di che? Del tempo che
fu? Per si avvicinano, cercano di parlarci, i sorrisi bambini mentre
vogliono spiegarci che festeggiano scopriremo giorni dopo che il
22 aprile lanniversario della nascita di Vladimir Ilic Uljanov, il
compagno col pizzetto e lo sguardo fisso come vivono, cosa so-
gnano ancora quegli occhi un po umidi che guardano a un passato
che non esiste pi eppure vive ancora in loro e in quel monumento
alto otto-dieci metri. La testa pelata del grande rivoluzionario riful-
ge al sole di questa Pasqua imminente, i baffoni e il mento aguzzo
fendono laria, lorizzonte, il braccio sta teso e chiuso in un pugno
serrato mentre sembra che si protenda, come se il gigante stesse
per parlare, per lanciare un comizio dei suoi, per infervorarsi nel-
la grande illusione comunista. Quello che spicca in questa statua,
una delle ultime rimaste di Lenin sulla faccia della terra, la co-
da che sfugge alla sua sinistra: il suo cappotto stilizzato si confon-
de in unala di granito, pronto a portare in volo lui e le sue parole
come in un quadro di Chagall. Non gli bastano i tulipani rossi co-
me omaggio, il vecchio condottiero vorrebbe di pi, forse risorgere
per lanciare una nuova sfida al capitalismo. Ma quello un mira-
colo riservato solo agli di, a Ges. Lui era solo un uomo che mor
presto, nel 1924, e non vide i disastri che aveva contribuito a par-
torire come questo stato ai confini dellEuropa, una lingua di terra
delimitata dal fiume Nistro grande poco pi della Valle dAosta e
meno della Liguria dove vivono in mezzo milione senza un passa-
porto valido per il resto del mondo (devono usarne altri, ucraini,
russi, moldavi) e con una moneta, il rublo, seppellita dalla storia
ma non dai maneggi del Grande Fratello che tutto comanda qui.
I grandi magazzini Sheriff? Le pompe di benzina? La concessio-
naria Mercedes? La fabbrica tessile? Lacciaieria, i cementifici? Ri-
storanti, discoteche, perfino la squadra di calcio, tutto suo. Senza il
Nostalgia canaglia
[Transnistria]
I fiori stanno distesi davanti al gigante di granito rosso che guar-
da il sol dellavvenire con cipiglio fiero. Un gruppo di vecchietti,
le facce abbronzate e solcate da rughe con medaglie dellArmata
Rossa e spille CCCP orgogliosamente al bavero, parlotta tranquillo
allombra della statua di Lenin che troneggia nella grande piazza
del Soviet Supremo della Pridnestrovskaia Moldavskaia Respublica
(Pridnestrovie in breve, in cirillico scriverlo unimpresa), lultima
repubblica socialista sovietica sopravvissuta al naufragio dellURSS.
In alto, sulla sommit del palazzo in stile classicocomunista svetta
ancora la falce e il martello incorniciati da spighe e uva e sormonta-
ti da una stella rossa. Tutto come allora, ventanni fa, quando cadde
lUnione e scoppi la guerra civile tra moldavi e russi, tra cirillico e
latino, tra voglia dEuropa e nostalgia del sistema che resse questo
sterminato Paese per settantanni fino allarrivo di Gorby. Duemi-
la e passa morti e una dittatura dellex capo del KGB Igor Smirnov
dopo quei ragazzi classe 1945 stanno a festeggiare il faro della Ri-
voluzione dottobre, lideologo e la scintilla di quel movimento che
voleva cambiare il mondo e ha lasciato solo ricordi e miserie. Sor-
ridono quando io e il mio compare filmico Enrico chiediamo noti-
zie, storie, informazioni provando tutte le lingue che conosciamo,
compreso il dialetto veneto, senza avere lunica che ci permette-
rebbe di dialogare con loro: il russo. Sono un po timorosi, chi sia-
mo, da dove veniamo Italianiskj, eh! ma non ci credono, non
capiscono come possano arrivare fin l a Tiraspol, nella capitale
:o, nostalgia canaglia
a est del nordest :;c
macchinari come le strutture, gli uffici, i bassorilievi, tutto sembra
essersi fermato al 1991, quando ancora cera lURSS caro lei, tranne
il castello di Bender, la citt dallaltra parte del Nistro che i molda-
vi chiamo Tighina e i russi hanno conquistato dopo una battaglia
nel 1991. Le sue torri spuntano dalle grandi vetrate della fabbrica
che confina assurdamente con questa fortezza fondata nel XV seco-
lo da tefan cel Mare, fatta possente da Solimano il Magnifico alla
met del secolo dopo e conquistata dai russi alla fine del XVIII se-
colo grazie anche al barone di Mnchausen, che qui si spar sulla
palla di cannone per far vincere le truppe del principe Potemkin,
anzi del Serenissimo Principe Potemkin Tavriceskij (cio di Tauria-
Crimea), sposo segreto della zarina Caterina II. Allinizio di quel
secolo anche gli svedesi spiaggiarono da queste parti, cercando di
battere i russi dello zar e finendo per perderci il loro re Carlo XII.
Smirnov orgoglioso di tutte queste storie e ha deciso di far
sgombrare i militari da quella che ancora per met una loro base
per iniziare restauri faraonici alle lunghe mura e alle otto torri su-
perstiti, finanziando anche la creazione di un museo e lerezione di
busti e statue a tutti i grandi generali. E il barone s conquistato un
suo angolo nel sacrario del Grande Capo, compreso di busto e la-
pidi che spiegano le sue gesta di allucinato soldato finito sulla luna
e non solo. Ma i resti delle migliaia di soldati che perirono qui per
difendere o conquistare questo avamposto strategico per commer-
ci e domini (alla foce del Nistro, settanta chilometri da qui, sorge
il castello di Moncastro o Maurocastro, ex colonia di Venezia sul
Mar Nero) sono stati piazzati allinizio della citt, in un sacrario con
tombe di tante guerre, anche dellultima che produsse 486 marti-
ri, almeno stando alla fanfara del regime. Civili e soldati che com-
batterono ex fratelli comunisti riuscendo a scamparla grazie a fra-
telli russi, quella XIV armata che oggi sembra essere stata in gran
parte sgomberata, ne rimangono solo cinquecento di soldatini.
suo s qui non puoi far niente, per questo tutto ordinato, in regola.
Qui la corruzione non esiste. In compenso potrebbero furoreggiare
traffici di armi, droga, donne, organi, adozioni illegali. Ma lui fa spal-
lucce, non ci crede: Tutta propaganda negativa, come i servizi delle
Iene in tv, girati in Moldova. Sergio Luciano un italiano del Sud
sulla quarantina che con Lenin ha in comune una bella pelata e che
tre anni fa ha deciso di trasferirsi a vivere a Tiraspol dopo aver baz-
zicato per anni in Moldova, a Chiinu. Ebreo osservante, scorrazza
tra Ucraina, Transnistria e chiss quanti altri posti di questEuropa
di confine a caccia di affari (lavora nel campo dellabbigliamento,
centra con la produzione a Tiraspol della Moncler, ma non solo) e
anche di fidanzate: Ne ho un paio a Chiinu, una a Tiraspol, unal-
tra a Odessa, dice questo maschio italiano vero accarezzandosi la
pancia accentuata. Qui hai davanti a te solo tre risposte se vuoi fa-
re affari: no, s, e partecipo anchio spiega infervorato. Perch qui
sono pronti a metterci i soldi se credono nel progetto, non come in
Moldova che ti dicono investi e poi cercano di fregarti laffare o di
prosciugarti con bustarelle varie. semplice: se a lui [cio a Smirnov,
n.d.A.] vai bene entri, altrimenti sei out. E ora vuole aprirsi al mon-
do, vuole che arrivino gli investitori dallestero, anche dallItalia.
Per questo ci ha portato a visitare una vecchia fabbrica di car-
ri armati poi diventata di camion e oggi di semoventi per grana-
glie: la Dhecmp Aemo (tradotto dal cirillico), Dnestrauto. Un po-
sto cadente che lui magnifica: Vedi tutto pulito, ti sfido a trova-
re una carta per terra, le macchine sono pulite, olio e ruggine sono
banditi. Effettivamente tranne nellultima ala della fabbrica, do-
ve i vetri rotti ci sono, il resto sembra in ordine. In ordine e an-
che in gran parte vuoto. Ventanni fa lavoravano duemila persone,
ora siamo rimasti in duecento, spiega Petr Kirilovich, vice diret-
tore della fabbrica, un bulgaro di qui (c anche questa minoranza
in questo lenzuolo di Stato incuneato tra Ucraina e Moldova). E i
:;: nostalgia canaglia
a est del nordest :;:
Le immagini
Chiss che questi vecchietti timidi sotto il testone di Lenin non
fossero dei suoi ventanni fa. Abbiamo cercato di scoprirlo con do-
mande e gesti finendo per essere quasi arrestati dagli agenti di guar-
dia al Soviet Transnistro. Per fortuna eravamo stati ben indottrinati:
Rispondete sempre che siete turisti, ci aveva detto Luciano. E noi
lo ripetemmo a tutti quelli che ce lo chiesero, anche al baffone che
doveva decidere della nostra sorte: guardina o libert? Decise che
eravamo troppo stupidi, l, sotto Lenin e il sole con macchina foto-
grafica e videocamera, per essere veramente pericolosi. Meglio cos.
E il traffico darmi descritto in un servizio delle Iene di alcuni anni fa
non c mai stato: Perch dovrebbe sporcarsi le mani Lui con que-
gli affari? Controlla gi met del PIL della Pridnestrovie, ha un patri-
monio personale stimato in tre o quattro miliardi di dollari (laltra
valuta che conta da queste parti), volete che si sporchi le mani con
queste inezie? La verit che a tutti, Moldova, Ucraina, Russia, Eu-
ropa, fa comodo che Lui comandi e che questo Stato esista, perch
qui la gente vive, studia, fa figli, affari, quindi a differenza di quello
che pensano tutti, la Transnistria c. E combatte insieme a Lui con
le sue ragazze dal tacco dodici anche per comprare il pesce dai ca-
mion cisterna. Ma hai voglia a mostrarti altera e sculettante tra vec-
chie auto zigul e nuovi SUV neri. Questo posto sospeso nel limbo
dellultimo Soviet rimane una gabbia grigia sullorlo del disfacimen-
to, con i ragazzi costretti a pascolare le pecore in periferia in mezzo
a un ex bunker sovietico e alla sporcizia, le fabbriche che stanno in
piedi per miracolo e gli imprenditori come Vyacheslav Driglov che
non vede lora di trovare sponde occidentali per far decollare la sua
software house, e i sindaci di campagna che devono implorare i preti
italiani come il padovano don Sergio di creare strutture sociali, ora-
tori, mense, ospedali nei loro paesi perch il Grande Fratello pensa
ad altro. Forse invidia il barone di Mnchausen e vorrebbe finire in
orbita con una Soyuz come hanno gi fatto altri ricconi prima di lui.
Il Grand Canyon del Danubio.
Arcobaleno oltre la Cortina di Ferro.
LIstria dove c ancora Venezia.
Sulle strade della Bucovina. Sulle strade rumene.
Monastero in Bucovina. Transilvania, la fortezza di Rnov.
Facce dUngheria rumena.
dallalto da sinistra
Tiraspol e Bender: grazie al Soviet.
Lenin ancora qui.
Le cantine sotterranee della Moldova.
Moldova, in viaggio.
Chiinu: la rivoluzione perduta. Devozione in Bucovina.
dallalto da sinistra
Pasqua ortodossa.
Il Baron tzigano guarda lontano.
Transnistria, mercatini.
nelle pagine seguenti
Tiraspol: falce e martello pi uva e cartello.
Transnistria, nostalgia canaglia.
Introduzione
A EST DEL NORDEST
Verso Est
La badante
Fiume
Luomo del Nordest
Infine al confine
La prostituta
Incubo e Alex
Maschere per un curdo
Miniere a cielo aperto
Loperaio serbo
Ritorno al passato
Il rumantirom
Porte di Ferro
Lo zio
Danubio
Il poeta
Emigrazione e nuvole
Il contadino
Verso Nord
Il rivoluzionario
Craiova
Il rom
Matrimonio zingaro
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Indice
nella stessa collana
Maurizio Crema
Viaggio ai confini dellOccidente
in moto sulle strade dellAlbania
Emilio Rigatti
Yo no soy gringo
taccuini sudamericani di coincidenze, truffe e piccoli miracoli
Maurizio Crema
Sulle ali del leone
a vela da Venezia a Corf navigando lungo le rotte della Serenissima
Luca De Giglio, Fausto Roverei
Pedalando verso Est
in bicicletta da Venezia a Mosca
Mauro Buffa
Sulla Transiberiana
Sette fusi orari, 9200 km, sul treno leggendario da Mosca al Mar del Giappone
CARTOLINE D

ALTRI VIAGGI A EST


Lavventura continua
[Romania]
Sogno e incubo
Confine chiuso
Transilvania e nuvole ungheresi
Laltra Italia e lottava provincia del Veneto
La terra promessa e il signor Geox
Nuova Cina e vecchie ristrettezze
Il Delta e la memoria storica
[Moldova]
Nella cantina degli gnomi di Bacco
Ai confini dellEuropa
Il Paese delle noci
Preti di frontiera
Lultima fermata del Nordest
Florida dItalia
Baron tzigano
Terra e cielo
[Transnistria]
Il Paese che non c
Nostalgia canaglia
Le immagini
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Finito di stampare nel mese di giugno 2011
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