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Raffaele Marchetti
Utilitarismo e giustizia globale*

l riconoscimento della giustizia globale come problema politico a pieno titolo costituisce una delle novit pi rilevanti della discussione internazionalistica odierna. Tale legittimazione il frutto di un acceso dibattito trentennale che riuscito ad emergere lentamente dal limbo in cui era stato lasciato per molto tempo, sin dalle prime affermazioni della disciplina delle International Relations. Tra le cause desclusione di diversa natura e duguale effettivit tre hanno rivestito, sino agli anni Settanta, un ruolo particolarmente significativo per ci che concerne questo studio: legemonia della scuola realista nel dibattito politologico delle relazioni internazionali; la situazione politica mondiale dovuta alla guerra fredda; e linteresse prevalentemente meta-etico della filosofia darea anglosassone della prima parte del Novecento. Il dibattito specifico sulletica applicata alle relazioni internazionali si avviato negli Stati Uniti proprio in diretta contrapposizione al paradigma realista che, fino ad allora, aveva esercitato una vera e propria egemonia dottrinale. Contro le pretese realiste, che intendendo la politica come perseguimento dellinteresse nazionale riservano alletica universalistica uno spazio del tutto marginale, i filosofi morali e politici hanno fatto valere con rinnovata passione le considerazioni etiche transnazionali. Una delle prime affermazioni pubbliche di questa controtendenza riconosciuta nella risoluzione del 1967 della American Philosophical Association contro la guerra in
* Desidero ringraziare Eugenio Lecaldano e Michele Marchetti per i commenti a una precedente versione di questo saggio.

FILOSOFIA E QUESTIONI PUBBLICHE 1, 2005

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Vietnam 1, la quale mise in moto un ampio dibattito che port poi alla fondazione, da parte di alcuni filosofi come Morgenbesser e Nagel, della Society for Philosophy and Public Affairs nel 1969, progenitrice dellomonima rivista, per anni punto di riferimento per il presente dibattito. Da allora la discussione si molto diffusa tanto che quasi tutte le scuole di pensiero si sono cimentate sugli specifici temi internazionalistici: dal contrattualismo al marxismo, dalla teoria liberale dei diritti al femminismo, dal giusnaturalismo al postmodernismo, dal neokantismo al neohegelismo, dal nazionalismo al repubblicanesimo, tutti hanno detto la loro sulla giustizia globale 2. In questo gran calderone anche lutilitarismo ha fatto la sua parte, sebbene sia stata, a parere di chi scrive, una parte sottovalutata e ancora non sviluppata a pieno. La produzione utilitaristica che si sviluppa a partire dagli anni Settanta 3 si concentra su una serie molto ampia di questioni di carattere internazionalistico (fra i quali, la guerra e la deterrenza nucleare; la migrazione e la cittadinanza; la sovranit, i diritti umani e la democrazia internazionale; i problemi demografici e quelli delle generazioni future; la povert e la giustizia distributiva internazionale; lingerenza esterna e lautodeterminazione; la crisi ambientale e il nazionalismo) 4, ma non riJournal of Philosophy, 1, 1967. Come opere dinquadramento generale sulla discussione corrente sulla giustizia globale si veda: C. Brown, International Relations Theory: New Normative Approaches, Harvester Wheatsheaf, Hemel Hempstead 1992; K.G. Giesen, Letique des relations internationales. Les theories anglo-americaines contemporaines, Bruylant, Brussels 1992; C. Jones, Global Justice: Defending Cosmopolitanism, Oxford University Press, Oxford 1999; S. Caney, Review Article: International Distributive Justice, Political Studies, 5, 2001. 3 Malgrado siano di Bertrand Russell i primi scritti di utilitarismo internazionalistico del XX secolo, la sua figura rimane tuttavia del tutto esterna al presente dibattito. B. Russell, Human Society in Ethics and Politics, Allen & Unwin, London 1954. 4 Cfr. la seguente bibliografia divisa per argomenti per un primo approccio alla letteratura utilitaristica internazionalistica contemporanea. GUERRA E DETERRENZA: R.B. Brandt, Utilitarianism and the Rules of War, Philosophy and Public Affairs, 1, 1972, R.B. Brandt, When Is It Morally Permissible to Use Tactical Nuclear Weapons, paper presentato al War and Morality Symposium, US Military Academy, West-Point, 1980; J.E. Hare e C.B. Joynt, Ethics and International Affairs, Macmillan, London 1982; R. Goodin, Disarmement as a Moral Certainty, Ethics, LXLV, 1985; R.M. Hare, Essays on Political Morality, Clarendon Press, Oxford 1989, G. Pontara, Antigone o creonte, Editori Riuniti, Roma 1990; G. Pontara, Guerra etica, etica della guerra e tutela globale dei diritti, Ragion Pratica, gennaio, 2000; J. Glover, Humanity. A Moral History of the Twentieth Century, Pimlico, London 2001. MIGRAZIONE E CITTADINANZA: R. Goodin, What is So Special about Our Fellow Countrymen?, Ethics, 4, 1988; P. e R. Singer, The ethics of refugees policy, in M. Gibney, Open borders? Closed societies?: The Ethical and Political Issues, Greenwood, New York 1988; B. Barry e R.E. Goodin, a cura di, Free Movement: ethical issues in the transnational migration of people and money, Harvester Wheatsheaf, Hemel Hempstead 1992; R. Goodin, Inclusion and Exclusion, Archives Europennes de Sociologie, 2, 1996. DIRITTI UMANI: D. Lyons, Human Rights and the General Welfare, Philosophy and Public Affairs, 6, 1977; R. Goodin, The Development-Rights Trade Off: Some Unwarranted Economic and Political Assumptions, Universal Human Rights, 1, 1979; J. Narveson, Human Rights: Which, if Any, Are There?, Nomos, XXII, 1981; A. Gibbard, Utilitarianism vs. Human Rights, in E. P. Frankel et al., a cura di, Human Rights, Oxford University Press, Oxford 1984; G. Pontara, Interdipendenza e indivisibilit dei diritti economici, sociali, culturali e politici, in AA.VV., a cura di, I diritti umani a 40 anni dalla dichiarazione universale, Cedam, Padova 1989. SOVRANIT E DEMOCRAZIA INTERNAZIONALE: P. Singer, One World: the Ethics of Globali2 1

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esce a generare una sintesi che funga da punto di riferimento critico ultimo per lintera scuola. Malgrado leterogeneit di contenuto, questi temi richiedono, infatti, delle risposte normative che rimandano inevitabilmente a un approccio comprensivo di giustizia globale, il quale non tuttavia facilmente identificabile in modo univoco. dunque su tale prospettiva generale che il presente saggio si concentra, tentando di tirare delle fila di tipo comparitivistico su quegli argomenti di giustizia globale che supportano le specifiche proposte che hanno animato il dibattito utilitaristico degli ultimi trentanni. Partendo dalla constatazione della mancanza, pressoch assoluta, di unopera che funga da raccordo tra i vari scritti 5, il presente lavoro
zation, Yale University Press, New Haven 2002; R. Goodin, Justice in One Jurisdiction, No More, Philosophical Topics, 2, 2002; R. Goodin, Globalising Justice, in D. Held e M. Koenig-Archibugi, a cura di, Taming Globalisation: Frontiers of Governance, Polity Press, Cambridge 2003. PROBLEMI DEMOGRAFICI E GENERAZIONI FUTURE: J. Narveson, Utilitarianism and New Generation, Mind, 76, 1967; J. Narveson, Moral Problem of Population, Monist, 1, 1973; J. Fletcher, Give if It Helps but not if It Hurts, in W. Aiken e H. La Follette, a cura di, World Hunger and Moral Obligation, Prentice-Hall, Englewood Cliffs 1974; G. Hardin, Lifeboat Ethics: the Case Against Helping the Poor, in W. Aiken e H. La Follette, a cura di, World Hunger and Moral Obligation, cit.; J. Fletcher, Feeding the Hungry: an Ethical Appraisal, in G.R. Lucas e T.W. Ogletree, a cura di, Lifeboath Ethics. The Moral Dilemmas of World Hunger, Harper & Row Press, New York 1976; G. Hardin, Carrying Capacity as an Ethical Concept, in G.R. Lucas e T.W. Ogletree, Lifeboath Ethics. The Moral Dilemmas of World Hunger, cit.; G. Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995. POVERT E GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA INTERNAZIONALE: J. Narveson, Aesthetics, Charity and Distributive Justice, Monist, 56, 1972; P. Singer, Famine, Affluence, and Morality, Philosophy and Public Affairs; J. Narveson, Morality and Starvation, in W. Aiken e H. La Follette, a cura di, World Hunger and Moral Obligation, cit.; P. Singer, Reconsidering the Famine Relief Argument, in P.G. Brown e H. Shue, a cura di, Food Policy. The Responsability of the U.S. in the Life and Death Choices, The Free Press, New York 1977; T. Carson, Utilitarianism and World Poverty, in D. Miller e H. W. Williams, a cura di, The Limits of Utilitarianism, University of Minnesota Press, Minneapolis 1982; G. Pontara, Filosofia pratica, il Saggiatore, Milano 1988; G. Elfstrom, Ethics for a Shrinking World, Macmillan, London 1989; P. Unger, Living High and Letting Die: Our Illusion of Innocence, Oxford University Press, Oxford 1996; B. Hooker, Rule-consequentialism and the Obligation to the Needy, Pacific Philosophical Quarterly, 79, 1998; P. Singer, The Singer Solution to World Poverty, New York Time online, September 5, 1999; B. Hooker, Ideal Code, Real World: A Rule-Consequentialist Theory of Morality, Oxford University Press, Oxford 2000; A. Kuper e P. Singer, Debate: Global Poverty Relief, Ethics and International Affairs, 1, 2002. INGERENZA ESTERNA E AUTODETERMINAZIONE: G. Elfstrom, On Dilemmas of Intervention, Ethics, 93, 1983; J. McMahan, Ethics of International Intervention, in A. Ellis, a cura di, Ethics and International Relations, Manchester University Press, Manchester 1986; S. Brittan, Morality and Foreign Policy, A Restatement of Economic Liberalism, Macmillan, London 1988; J. McMahan, Intervention and Collective Self-Determination, Ethics and International Affairs, 1996. PROBLEMI ECOLOGICI: R. Goodin, International Ethics and the Environmental Crisis, Ethics and International Affairs, 4, 1990; R. Goodin, Green Political Theory, Polity Press, Cambridge 1992. SALUTE: J.E. Roemer, Distributing Health: The Allocation of Resources by an International Agency, in M. Nussbaum e A. Sen, The Quality of Life, Clarendon Press, Oxford 1993. NAZIONALISMO E MULTICULTURALISMO: R. McKim e J. McMahan, a cura di, The Morality of Nationalism, Oxford University Press, New York 1997; R. Goodin, Conventions and Conversions, or, Why Is Nationalism Sometimes so Nasty?, in R. McKim e J. McMahan, The Morality of Nationalism, cit. 5 Lunico saggio interamente dedicato allutilitarismo internazionalistico larticolo A. Ellis, Utilitarianism and International Ethics, in T. Nardin e D.R. Mapel, a cura di, Traditions of International Ethics, Cambridge University Press, Cambridge 1992, che per un lavoro breve e del tutto sommario, in quanto presenta molte lacune soprattutto per la parte contemporanea. Pi completo il capitolo che Jones ha dedi-

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tenta di offrire una prima organizzazione dei vari ragionamenti utilitaristici sulla giustizia globale al fine di contribuire a colmare tale lacuna 6. Non intende per difendere una specifica prospettiva normativa utilitaristica, in quanto riconosce i gravi limiti epistemologici che laffliggono in termini di inaffidabilit pubblica delle comparazioni interpersonali dutilit 7. inevitabile che anche lutilitarismo, cos come gran parte dellodierna filosofia politica, tenga presente i cambiamenti che stanno mutando la vita civile e politica dogni cittadino, tra i quali uno dei pi significativi il progressivo superamento dei confini nazionali intesi come limite ai rapporti tra gli individui. Il settore che traina il processo quello economico, ma a seguire, o parallelamente, anche la politica, il dititto e la cultura stanno vivendo inedite trasformazioni globali che mettono in crisi i vecchi canoni di condotta 8. Il caso della filosofia politica emblematico: da un lato lideologia della sovranit nazionale viene continuamente corrosa, dallaltro il dibattito sulle nuove forme dellinterrelazione politica estremamente acceso. Si affiancano proposte verso lalto e verso il basso: si va da un ritorno comunitaristico alle tradizioni partecipative locali, alle esigenze di una pi estesa cooperazione confederativa macroregionale, alla riforma e creazione dorganismi mondiali federativi e cosmopolitici. Quale che sia la proposta che prevarr, il dato etico da considerare che lintensificazione delle relazioni internazionali sta provocando unespansione dellambito dei sentimenti morali comuni e delle relative responsabilit politiche. Di fronte ai problemi che questi cambiamenti hanno generato e continuano a esacerbare, gli utilitaristi hanno suggerito diverse risposte normative. Questa raccolta presenta le pi rilevanti fra le argomentazioni internazionalistiche generali avanzate a partire dal famoso articolo del 1972 di Peter Singer. Come detto, queste
cato allutilitarismo in C. Jones, Global Justice: Defending Cosmopolitanism, cit., sebbene anche questo soffra dalcune deficienze rilevanti come ad esempio gli argomenti di R.M.Hare. Libri di estrazione utilitarista con pretese multitematiche sono infine C.B. Hare and J.E. Joynt, Ethics and International Affairs, cit. e P. Singer, One World: The Ethics of Globalization, cit., ma anchessi non riescono a fornire un quadro completo degli argomenti in campo. 6 Se lo studio delle relazioni internazionali in Italia nato tardi, per quanto riguarda il tema specifico dellutilitarismo internazionalistico, la ricezione nellambiente accademico italiano stata pressoch nulla. Unica eccezione quella, in un certo senso per esterna, di Giuliano Pontara che si dedicato a pi riprese al tema della povert e della disparit tra Nord e Sud del mondo. 7 A parere dellautore, una prospettiva pi soddisfacente offerta dal conseguenzialismo cosmopolitico. Per uno sviluppo di tale tipo di argomentazione si veda: R. Marchetti, Cittadinanza cosmopolitica e migrazione, Teoria Politica, 1, 2004; R. Marchetti, Principi e struttura del cosmopolitismo consequenzialista, in S. Maffettone e G. Pellegrino, a cura di, Etica delle relazioni internazionali, Costantino Marco, Cosenza, 2004; R. Marchetti, Consequentialist Cosmopolitanism and Global Political Agency, in J. Eade e D. OByrne, a cura di, Global Ethics and Civil Society, Ashgate, Aldershot 2005; R. Marchetti, La riforma delle Nazioni Unite: modelli normativi e proposte politiche, di prossima pubblicazione in Teoria Politica, 2, 2005. 8 Per una presentazione del dibattito sulla situazione internazionale odierna si veda Undp, Human Development Report: Globalization, Oxford University Press, Oxford 1999; A.G. McGrew e D. Held, The Global Transformations Reader: An Introduction to the Globalization Debate, Polity Press, Cambridge 2000.

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saranno esplicitate come proposte normative di carattere globale, evitando di entrare nel dettaglio delle applicazioni ai casi speciali, se non per esemplificare i principi generali. I problemi di carattere generale che lutilitarismo internazionalistico affronta sono gli stessi che hanno stimolato il risveglio delletica applicata alle relazioni internazionali negli anni Settanta. La constatazione tipicamente utilitaristica, invece, che il sistema mondiale attuale non massimizza il benessere generale dellumanit e quindi richiede una revisione del sistema politico istituzionale e dei suoi principi normativi. Ci spinge a un esame critico dei concetti filosofici su cui si basano le istituzioni politiche attuali e a unidentificazione di una nuova struttura normativa multilivello di diritti e doveri di stampo universalistico. Il risultato tendenziale su cui, come vedremo, concordano molte delle argomentazioni utilitaristiche consiste in un universalismo cosmopolitico morale, quandanche non istituzionale. Largomento singeriano Il saggio di Peter Singer del 1972, Famine, Affluence and Morality, costituisce la prima, certamente la pi influente, riflessione utilitarista contemporanea sulla giustizia internazionale e rappresenta quindi il fondamentale punto di partenza per capire come le varie argomentazioni di questa scuola si siano evolute. Il caso esaminato in questarticolo riguarda principalmente le carestie, ma suscettibile destensione al tema generale della diseguaglianza e della giustizia globale, come lo stesso autore ha indicato nelle versioni successive dello stesso e poi sviluppato nella sua ultima, pi complessiva, opera 9. La posizione normativa generale di Singer nasce dal riconoscimento della centralit del carattere universalistico dei giudizi etici. Da qui, egli deduce un principio base deguaglianza: il pari rispetto degli interessi di tutti gli esseri senzienti. Caratteristica, quindi, per essere considerati, da un punto di vista imparziale, soggetti morali non qualche facolt razionale, bens la capacit di avere interessi, da cui poi discende un principio di compenso secondo il bisogno e limpegno, piuttosto che per le capacit personali. Di conseguenza, vengono individuati alcuni interessi fondamentali delluomo (quali evitare dolore, sviluppare le proprie capacit, soddisfare i bisogni primari di cibo e riparo, godere di rapporti personali amichevoli e essere liberi di perseguire i propri progetti senza interferenze) 10, i quali insieme al principio dellutilit marginale decrescente conducono a una versione dellutilitarismo degli
9 P. Singer, Reconsidering the Famine Relief Argument, cit.; P. Singer, Practical Ethics, Cambridge University Press, Cambridge 1979; P. Singer, The Singer Solution to World Poverty, cit.; P. Singer, One World, cit.. 10 P. Singer, Practical Ethics, cit., p. 37.

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interessi, o delle preferenze, ricca di fertili ricadute per le politiche redistributive globali 11. Il ragionamento di Singer pi specificatamente attinente al problema della fame composto da tre premesse argomentative (due morali e una fattuale), che hanno la pretesa dessere minimali e di poter quindi essere accettate da un vasto pubblico, a prescindere dalla simpatia nei confronti della teoria utilitaristica. In forma sintetica sono le seguenti: 1) la sofferenza e la morte per mancanza di cibo, tetto e cure mediche (o seguendo le varie versioni in senso cronologico: linedia e la povert assoluta) male. Il grado di bont del mondo, a parit delle altre condizioni, dipende dal minor numero di persone in tale stato. 2) se si pu prevenire che qualcosa di male accada, senza sacrificare nulla di moralmente importante, si ha il dovere di agire (versione moderata). Se si pu prevenire che qualcosa di male accada, senza sacrificare nulla dimportanza morale comparabile, si ha il dovere di agire (versione forte). 3) i cittadini dei paesi sviluppati sono nella posizione di poter ridurre il numero di persone in stato di inedia nel mondo. 4) la conclusione normativa, basata sul principio utilitaristico negativo e su quello imparzialistico che ne segue, secondo la versione forte preferita da Singer, che abbiamo il dovere di prevenire quanta pi inedia possibile, fino al punto in cui ci implicherebbe sacrificare qualcosa di altrettanto importante da un punto di vista morale. Molte argomentazioni di stampo liberale, come ad esempio quella di Robert Nozick, puntano a relegare i doveri daiuto ai bisognosi nella categoria in cui latto benemerito, ma non obbligatorio in senso stretto. Se lo si compie si viene lodati, altrimenti non c merito n colpa. Il pregio dellapproccio singeriano consiste, invece, nel riportare il dovere dassistenza nel campo dei doveri perfetti, secondo i quali in caso domissione si passibili di sanzioni, almeno morali, quali il biasimo. Il vecchio modo di pensare letica secondo cui laiuto ai poveri lasciato alla beneficenza caritatevole privata va abbandonato. In questo bisogna essere, sostiene Singer, controintuitivi, perch, date le caratteristiche della presente societ, appiattirsi sulle attitudini etiche esistenti non permetterebbe di andare oltre un conservatorismo di posizioni divenute ormai immorali. Avanzando pretese che possono risultare provocatorie, come fa lautore con il suo articolo, si pu invece facilitare lingresso nel senso comune di nuovi standard morali che permettano unevoluzione civile adeguata al nuovo ambiente socio-politico mondiale.
11 Per una critica della sua doppia fondazione, utilitaristica e egualitaria, cfr. S. Maffettone, Le ragioni degli altri, il Saggiatore, Milano 1992, p. 73 e la sua introduzione alledizione italiana di P. Singer, Etica pratica, Liguori, Napoli 1989.

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Per Singer, la versione forte, quella cio che richiede un impegno fino al limite rappresentato da un costo personale dimportanza morale comparabile allaiuto dato, quella meglio difendibile. Ci richiede una trasformazione radicale della nostra vita e una rinuncia a buona parte della societ consumistica attuale. Purtroppo per lautore non esplicita i modi, che nascondono non poche insidie, attraverso i quali condurre tale trasformazione. Sono, infatti, molte le vie di transizione che, se non percorse in modo graduale e pacifico, metterebbero a rischio il saldo netto di benessere totale. Forse anche per questo la richiesta definitiva nei confronti dei cittadini abbienti ridotta pragmaticamente al 10 per cento di uno stipendio medio, in memoria di quella tassa, la decima, che era consuetudine pagare nel medioevo per aiutare i poveri. Al di l di ci, il testo non per insensibile alle necessit pratiche di un coinvolgimento istituzionale nellaiuto internazionale, sebbene ci non sia stato spesso rilevato dai critici. Se tutto il ragionamento di stampo individualistico, la conclusione alla quale si arriva implica e richiede anche un impegno politico di sostegno alle campagne di finanziamento pubblico per progetti di cooperazione internazionale e, come sottolineato nella sua ultima opera, a quelle di modifica della struttura istituzionale internazionale rappresentata da organismi quali il Wto e le Nazioni Unite. Laltra caratteristica, che segna una differenza netta rispetto ai sostenitori delletica comunitaristica degli obblighi speciali, costituita dal valore universale dei precetti qui indicati. Per Singer, fattori come la prossimit o il numero dei potenziali aiutanti non incidono, direttamente e significativamente, sullaspetto qualitativo della prescrizione. chiaro per che, dato il fine ultimo consequenzialista della massimizzazione del benessere generale, rimangono possibili delle divisioni del lavoro, attraverso le quali la dimensione territoriale riacquisti, in modo indiretto, valore. Inoltre, lobiezione del non cambia nulla che io aiuti o meno respinta facendo riferimento allefficacia dellimpegno individuale nellaiuto anche di una sola situazione di sofferenza. Infine, il problema multiculturale viene in parte evitato facendo riferimento a situazioni base, in cui i confronti interpersonali sono facilitati dai termini di riferimento elementari e lanalisi costi-benefici resa perci possibile 12. Punto daccesa discussione delle tesi di Singer laccettazione del metodo consequenzialista del triage come criterio selettivo per destinare gli aiuti in situazioni di scarsit di risorse da riallocare. Il metodo mutuato dalla pratica medica secondo cui la selezione degli assistiti, in caso di limitate risorse mediche, decisa sulla base della maggiore capacit dei pazienti di beneficiare della cura. Singer lo adotta per
12 Una tale strategia argomentativa per possibile solo a livello minimale. Se linsieme dei beni da riallocare si espande, la difficolt aumentano geometricamente. Si veda Narveson, Aesthetics, Charity and Distributive Justice, cit. per unavvertenza contro la tentazione e lillusione di poter comparare le utilit dei diversi beni a livello universale.

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giustificare la precedenza degli aiuti umanitari ad alcuni paesi rispetto ad altri, che non attuano politiche tese a massimizzare il benessere potenziale dei beni riallocati, che non praticano, ad esempio, una politica demografica di controllo delle nascite. Da un punto di vista utilitaristico, il ragionamento prima facie coerente, sebbene, a livello critico, si ripresenti il serio problema, che qui non possibile discutere, della responsabilit democratica interna e dei problemi assiologici per ci che riguarda il multiculturalismo. Oltre la specificit di tali critiche, un diverso tipo di considerazioni emerge se si assume una prospettiva pi ampia. Dagli anni Settanta, Singer ha vigorosamente stimolato la discussione sulla giustizia globale, suggerendo un modo di vita cosmopolitico post-Vestfalia profondamente alternativo alle proposte contemporanee e attraendo cos inevitabilmente una serie di critiche provenienti da quasi ogni angolo politico, al punto da essere accusato allo stesso tempo di essere un egualitarista radicale, pronto a divulgare una parola rivoluzionaria e un conservatore inconsapevole interessato pi alla carit neoliberale che alla giustizia politica. Malgrado tali critiche, il contributo di Singer rimane fondamentale come componente di una narrazione, antinomica alla scuola rawlsiana dominante nelletica internazionale, sviluppata alla luce dello spirito di critica sociale che ha caratterizzato come leitmotiv una parte della tradizione politica utilitaristica, da Mill via Russell a Singer stesso 13. I neomalthusiani e letica della scialuppa Tra i consequenzialisti che hanno affrontato i temi della fame e della povert su scala mondiale, un posto di rilievo occupato dai cosiddetti neomalthusiani, i quali non negano la drammatica situazione di molti paesi in via di sviluppo, ma la possibilit da parte dei paesi sviluppati di intervenire positivamente su di essa. La loro analisi ha pi di un punto in comune con quella degli altri utilitaristi, ma la divergenza rimane forte per ci che concerne le loro proposte pratiche. Spesso accusati dimmoralit, o meglio damoralit, questi filosofi tentano di offrire una lettura scientifica del problema della fame e della povert, affiancata da un approccio normativo universalistico che si rif a Thomas Malthus. Secondo questultimo, infatti, dato il differenziale di crescita tra la popolazione (geometrica) e mezzi di sostentamento (aritmetica), non si pu far altro che aspettare, con leccezione delleducazione allastensione procreativa, che il ciclo naturale si compia attraverso guerre, carestie ed epidemie per riportare lequilibrio tra crescita demografica e approvvigionamenti. I neomalthusiani non vanno perci confusi con i politici realisti alla Morgen13 Per unulteriore analisi dei pi recenti argomenti singeriani si rimanda a A. Kuper e P. Singer, Debate: Global Poverty Relief, cit.; R. Marchetti, recensione di One World. The Ethics of Globalization, Utilitas, 3, 2004, pp. 332-334.

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thau i quali propugnano un semplice particolarismo nazionalistico. Sin dagli anni Settanta, Garrett Hardin, il loro caposcuola, ha scandalizzato il mondo accademico con la sua etica della scialuppa (lifeboat ethics) 14, dando allo stesso tempo un contributo impareggiabile alla vivacit della discussione. Per Hardin, letica della scialuppa rappresenta solo unapplicazione speciale della logica dei beni comuni. Il caso esemplare, che si presenta in forma di tragedia, quello della terra in comune, nel quale, se ognuno alleva quanto bestiame vuole e gode da solo di ci che coltiva, si arriver ben presto allinaridimento del terreno e quindi alla povert generalizzata. In un mondo sovrappopolato, il superamento della soglia di capacit biologica di sostentamento delle risorse pubbliche (carrying capacity) porta alla rovina per tutti. Meglio allora, anche da un punto di vista etico, lasciare che quelli che affogano intorno a noi rimangano nella loro condizione, piuttosto che caricarli sulla nostra scialuppa, facendola cos affondare, e ritrovarci tutti in acqua senza speranza per il futuro. La popolazione una bomba che minaccia tutti, sostengono i neomalthusiani, bisogna quindi tentare di disinnescarla prima che esploda colpendo lumanit intera 15. Lapproccio etico dei neomalthusiani riserva, in questo modo, una particolare attenzione alle problematiche ambientali. Il concetto di capacit di sostentamento fa diretto riferimento alle potenzialit del territorio rispetto alle generazioni presenti e future. Una conseguenza di ci consiste nel fatto che il tasso di sconto sul futuro debba essere bilanciato dalla considerazione che la popolazione futura sar molto maggiore dellattuale. La domanda centrale di Hardin and then what? ha, perci, un doppio senso: per i posteri e per le conseguenze delle azioni. Il bersaglio polemico principale sono, dunque, in primis quelle teorie etiche deontologiche per le quali vale lantica massima fiat iustitia, pereat mundus 16. Per i neomalthusiani, insomma, non possiamo sfamare il mondo intero e quindi nemmeno dobbiamo. questa unassunzione che si basa su un attento esame diacronico e che evita cos la fallacia della potenzialit (capacity fallacy). La constatazione che attualmente la produzione alimentare sufficiente a coprire il fabbisogno mondiale non intacca il loro ragionamento, giacch unazione distributiva del genere farebbe balzare in avanti il gi alto tasso dincremento demografico, riproponendo domani e in modo aggravato la situazione senza via duscita della scialuppa. Per i seguaci di Malthus si darebbe, insomma, un caso di generosit auto-confutantesi (self-defeating) in due situazioni: a) quando le probabili conseguenze della condivisione mettano in pericolo la sopravvivenza della maggioranza i cui interessi sono coinvolti (donanti e riceventi insieme); b) quando le pro14 15

G. Hardin, Lifeboat Ethics: the Case Against Helping the Poor, cit. P. Ehrlich, The Population Bomb, Ballantine, New York 1971. 16 J. Fletcher, Give If It Helps but not If It Hurts, cit.

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babili conseguenze delle condivisione aumentino, piuttosto che alleviare, la miseria dei riceventi 17. Dal momento che in entrambi questi casi si avrebbe una perdita netta di vite umane, i neomalthusiani, o almeno quelli meno radicali 18, propongono aiuti allo sviluppo vincolati allaccettazione dei paesi riceventi di politiche di controllo delle nascite e alla ragionevole prospettiva di un possibile miglioramento delle condizioni socio-economiche dei beneficiari 19, invece che meri aiuti alimentari 20. Ammettono, dunque, laiuto, ma a certe condizioni, quindi non a tutti: una parte dei paesi in via di sviluppo andrebbe dunque abbandonata a se stessa proprio per ragioni morali, per minimizzare cio le sofferenze totali, presenti e future. Anche alcuni neomalthusiani, come gi Singer, adottano per selezionare i soggetti da aiutare un criterio che si rif ad alcune pratiche mediche, e in particolare al triage, per cui, come detto, il nostro impegno in condizione di scarsit di risorse deve essere indirizzato non a quelli che stanno meglio n a quelli che stanno peggio, ma ai best risks per i quali solo laiuto pu fare la differenza, abbandonando cos spesso i pi vulnerabili 21. Un altro dei punti cruciali dellargomentazione neomalthusiana il rifiuto della teoria della transizione demografica, la quale sostiene che, se opportunamente aiutati nello sviluppo, tutti i paesi subiscano un tendenziale calo della natalit parallelamente alla crescita del livello di vita medio. I neomalthusiani affermano invece che, laddove ci si ottenga, questo rimane un risultato casuale dal quale non si pu dedurre una legge universale, citando ad esempio i casi di Francia, Irlanda e Stati Uniti in cui allo sviluppo economico-sociale si accompagnata una grande crescita demografica. Gi lutilitarismo classico internazionalistico era stato messo in guardia dalloriginale testo malthusiano. Non un caso, dunque, che sia ancoroggi possibile trovare dei punti di contatto tra le argomentazioni di Hardin e, per esempio, quelle di Singer. Entrambi, infatti, pur proponendo soluzioni normative differenti, condividono lo stesso paradigma consequenzialistico. La costante attenzione alle conseguenze totali e di lungo periodo dei vari corsi dazione porta, infatti, in alcuni casi a proposte come quella dei sacrifici attuali per benefici futuri che altre teorie normaJ. Fletcher, Feeding the Hungry: an Ethical Appraisal, cit., pp. 57-58. Vedi, perci, Fletcher, piuttosto che Hardin. 19 Ci porta, comunque, ad escludere dallaiuto la categoria dei paesi del quinto mondo, i quali hanno superato la loro capacit biologica di sostentamento autonomo a causa delleccessiva popolazione e di conseguenza soffrono di croniche carestie e della paralisi della crescita economica. In questa categoria rientrerebbero paesi come lIndia, il Bangladesh, il Senegal e il Niger. Cfr. J. Fletcher, Give If It Helps but not If It Hurts, cit., pp. 108-109. 20 Gli aiuti alimentari sono ammessi solo come supporto a quelli allo sviluppo e solo per casi di carestie temporanee, ma mai per quelle croniche. questa una differenza con lapproccio utilitaristico maggioritario ed invece una vicinanza con la posizione rawlsiana. 21 Per un approccio utilitarista ma opposto cfr. R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, University of Chicago Press, Chicago 1985.
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tive alternative non possono accettare. I punti di contatto con gli altri utilitaristi contemporanei sono dunque molti, ma nonostante questa vicinanza permangono alcune obiezioni, quali quella sullincertezza del risultato o quella ambientale, che rendono inconciliabili i due differenti filoni di analisi normativa. Tanto lontani che non solo da un punto di vista teorico le prescrizioni delluno saranno opposte a quelle dellaltro, ma anche da un punto di vista personale gli autori arriveranno a lanciarsi giudizi poco lusinghieri 22. Il principio dellanalogia Uno dei tratti pi comuni delle varie argomentazioni internazionalistiche quello della domestic analogy, la quale si sviluppa dal paradigma originariamente applicato alle relazioni individuali allinterno di un determinato gruppo 23. Da questo livello, gli obblighi morali vengono poi traslati, sostituendo gli agenti in causa a un livello superiore dove i soggetti dobbligo e quindi di responsabilit divengono in primis gli Stati e poi, di volta in volta, gli individui universalmente considerati (e non pi i cittadini), le associazioni civili, le multinazionali e gli organismi internazionali. Il passaggio analogico comporta per il sorgere di alcuni problemi di non facile soluzione, il maggiore dei quali riguarda lo status morale dei soggetti collettivi sul quale le varie teorie politiche e legali hanno offerto letture alternative. Accanto alle interpretazioni di stampo liberal-contrattualistico, per le quali lindividuo entra volontariamente, attraverso un patto, a far parte di unassociazione con finalit che, di volta in volta, vengono fissate autonomamente dai soci in modo pubblico e accanto alle interpretazioni che, invece, pongono laccento sui caratteri collettivi delle comunit quali fattori rilevanti dello status morale dellassociazione anche lutilitarismo ha proposto una robusta interpretazione analogica dellistituzione statale che, a partire dal Fragment on Government del 1776 di Bentham (ispirato alla lezione humiana), ha generato le pi recenti versioni internazionalistiche a opera di Hare e Goodin. Gi in un articolo del 1957, discutendo delle Ragioni di Stato e della crisi del canale di Suez, Richard Mervyn Hare propone una visione morale comprensiva delle politica, includente sia la sfera interna, sia quella estera 24. Inteso in senso rappresentativo, il governo, quantunque al potere per delega, rimane responsabile delle proprie azioni in quanto ha sempre davanti a s la possibilit delle dimissioni. Il giuCfr. ad es. P. Singer, Practical Ethics, cit., p. 176. Uno dei primi a proporre questo tipo di visione degli stati a livello internazionale fu Hobbes che vide larena europea come la giungla dello stato di natura. Cfr. T. Hobbes, Il Leviatano, cap. 13-21. Per uno studio contemporaneo si veda H. Suganami, The Domestic Analogy and World Order Proposal, Cambridge University Press, Cambridge 1989. 24 R.M. Hare, Reasons of State, in Applications of Moral Philosophy, Macmillan, London 1957.
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dizio politico, come quello morale, va basato sulle conseguenze degli atti, malgrado questoperazione si presenti pi difficile nel caso governativo. Avendo, infatti, lazione politica effetti pi estesi di quella morale individuale, sostiene Hare, lo Stato sottoposto a molti pi vincoli di responsabilit, soprattutto se le conseguenze sono intenzionalmente causate e prevedibili. Quella che qui si avanza una visione che concilia, arrivando a delle conclusioni molto nette, lattenzione alle conseguenze degli atti con uno spirito universalista destrazione kantiana. Sostiene, infatti, lautore: Quando siamo di fronte a una decisione morale, dobbiamo considerare non solamente le conseguenze che sarebbero nel nostro interesse, o in quello del nostro paese, ma le conseguenze che sarebbero scelte da chiunque fosse al nostro posto. Ci significa che dovremmo considerare gli effetti delle nostre azioni sugli altri popoli e sugli altri paesi, cos come sui nostri, e, essendoci posti immaginariamente nelle loro posizioni, pensare se potremmo sostenere che dovremmo fare quello che i nostri interessi ci spingono a fare. [] In vero, la fondamentale differenza non tra la morale e linteresse; ma tra il limitato interesse nazionale e lo spirito pubblico. Entrambi possono essere chiamati tipi dinteressi, poich entrambi mirano a qualche bene e linteresse ci che conduce al bene. Ma il primo un tipo di interesse immorale, mirante solo al bene dellagente e del suo paese; mentre il secondo un tipo di interesse coestensivo con la morale 25. In seguito, Hare perfeziona la sua teoria morale attraverso la distinzione tra i due livelli di giudizio (il primo, quello da applicare nella pratica quotidiana, composto da una serie di norme che hanno valore prima facie e il secondo, quello critico dellarcangelo, da seguire raramente sotto forma di utilitarismo dellatto), che permette una maggiore copertura dei fenomeni politico-morali 26. Per ci che riguarda pi precisamente il campo della giustizia, Hare giunge alla conclusione generale per cui va riconosciuto e garantito a ognuno il diritto a unuguale considerazione e rispetto 27, dalla quale discendono poi alcune conseguenze prescrittive di giustizia sociale distributiva. Lautore afferma, infatti, che i principi di giustizia economica scelti da un pensatore critico imparziale e benevolo sarebbero moderatamente egualitari 28, e le relative attuazioni politiche sarebbero condotte gradualmente e con moderazione, in quanto da un lato rivoluzioni o confische brutali sarebbero tutto sommato negative nel bilancio complessivo utilitaristico e dallaltro un aumento graduale di ricchezze darebbe maggiore soddisfazione cumulativa, tanto quanto analogamente un calo graduale darebbe meno dolore. Ciononostante, Hare prevede modalit eccezionali in caso di urgenza umanitaria e
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Ivi, pp. 22-23. R.M. Hare, Moral Thinking: Its Levels, Method, and Point, Clarendon, Oxford 1981. 27 Ivi, p. 198. 28 Ivi, p. 210.

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non pone quindi limiti procedurali al caso specifico dellaiuto internazionale demergenza 29, sebbene poi perfezioni largomento sostenendo che bisogna mirare piuttosto a risolvere i vincoli strutturali che provocano il problema della fame mondiale 30. Laffinamento del suo pensiero conferma la visione degli obblighi politici come sottospecie di quelli morali. Il suo ragionamento, similmente a quello di John Austin, propone a livello critico una conclusione netta in base alla quale: ogni principio, se , formalmente parlando, un candidato allinclusione nella lista [dei doveri che il cittadino ha nei confronti del proprio Stato], sar accettato o respinto a seconda che la sua generale accettazione prometta o meno di promuovere la soddisfazione delle preferenze di tutti gli abitanti di tutti i paesi considerati imparzialmente 31. Ci, se da un lato esclude per (dubbie) considerazioni storiche lipotesi del governo mondiale, dallaltro lascia comunque aperta la possibilit di progetti confederativi, in cui i doveri del cittadino promettono di incrementare notevolmente la soddisfazione globale delle preferenze di tutti i cittadini considerati imparzialmente 32. Tale doppio livellamento dei principi certamente una mossa argomentativa molto fertile in ambito internazionalistico, poich permette di sottoporre a un unico principio ultimo sia gli obblighi interni sia quelli esterni, indicando per ognuno una diversa modalit dutilitarismo applicato. Ciononostante, proprio tale arricchimento della teoria evidenzia alcuni punti poco coerenti del ragionamento di Hare, sui quali vale la pena di svolgere alcune brevi considerazioni. La prima riguarda il modo di impostare la questione degli obblighi politici, in riferimento alla quale lautore riprende la classica immagine di un gruppo di naufraghi approdati su un isola deserta 33, mancando di riconoscere il cambio di paradigma politico-filosofico nel senso dellinterdipendenza delle relazioni internazionali 34. Il secondo caso riguarda, invece, le prescrizioni a riguardo degli obblighi speciali, per le quali Hare si limita, quando sostiene il patriottismo di tipo non aggressivo per preservare lordine e la stabilit internazionale, a ribadire il tradizionale dovere di non intervento 35. Invero, ben altri tipi di prescrizioni di tipo cooperativistico per il mondo attuale sembrano pi coerenti con il principio utilitaristico da Hare stesso sostenuto. Il prossimo autore, Gerard Elfstrom, sviluppa i suggerimenti di Hare in modo pi audace.
Ivi, p. 211. Ivi, p. 251. 31 R.M. Hare, Essays on Political Morality, cit., p. 90. 32 Ivi, p. 89. 33 Ivi, p. 22. 34 Si veda S. Veca, La filosofia politica, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 20-22, per la predominanza dei motivi internazionalistici nel ragionamento filosofico-politico. 35 R.M. Hare, Essays on Political Morality, cit., p. 92.
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La peculiarit internazionalistica Il principio dellanalogia stato spesso posto, soprattutto da parte dei realisti, al centro di unaccesa discussione, dal momento che in gran parte sulla possibilit del giudizio morale nei confronti delle istituzioni statali che si tradizionalmente decisa la possibilit o meno di parlare di etica nelle relazioni internazionali. Un modo per aggirare tali forche caudine realiste consiste nel puntare sullindividuo per riguadagnare le istituzioni pubbliche. Contro la posizione radicale dei realisti i quali, richiamando lattenzione sulle particolari caratteristiche degli agenti dellambiente internazionale, tentano di invalidare la fattibilit stessa di qualsiasi discorso etico che vada oltre i confini statali, alcuni filosofi morali hanno evidenziato, proprio alla luce di questi vincoli, la legittimit del discorso normativo internazionalistico. Fra questi ultimi, Gerard Elfstrom ha recentemente presentato uninteressante proposta normativa di stampo utilitaristico che tiene in conto le caratteristiche peculiari delle relazioni internazionali e le conseguenti possibilit e limiti di unetica globale 36. Secondo Elfstrom, poich le condizioni dellambiente determinano le possibilit dazione degli agenti, non si deve attuare un passaggio applicativo diretto del paradigma individualistico al contesto internazionale. La diversit delle relazioni internazionali non radicale, ma comunque significativa. Nellambito quotidiano, cardini dellazione morale del singolo sono gli effetti intenzionali previsti in un ambiente in cui sono presenti istituzioni pubbliche con compiti dassistenza. Le azioni statali internazionali sono, invece, caratterizzate da una grande incertezza, data dalla complessit dellambiente, la quale rende le conseguenze indirette e non intenzionali molto estese nel tempo e nello spazio e quindi poco controllabili a motivo della grande distanza tra coloro che prendono le decisioni e coloro che ne subiscono le conseguenze. In questa situazione, difficile scegliere quali siano le azioni con rilevanza morale e a chi addossarne la responsabilit. Sebbene, ad esempio, i capi delle istituzioni statali, che nellargomentazione di Elfstrom sono i soggetti primi chiamati in causa, abbiano dei doveri riconosciuti, lorganizzazione di cui fanno parte potrebbe essere strutturata in modo tale da impedire loro di agire correttamente. Linterrogativo al quale, in questo caso, si deve dunque dare risposta consiste nella liceit da parte dei governanti di oltrepassare il mandato istituzionale classico e dare priorit agli obblighi esterni rispetto a quelli interni. Per Elfstrom, lutilitarismo nella versione delle preferenze e dei due livelli alla Hare rappresenta la teoria normativa pi adatta a rispondere a tali problemi. Il ragionamento prende avvio dal riferimento allindividuo particolare e al suo benessere, dal quale discende la soggettivit assiologica derivata dallo Stato, caratterizzata da: capacit di deliberazione razionale e dazione, responsabilit morale e assenza
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G. Elfstrom, Ethics for a Shrinking World, cit.

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di diritto allesistenza. Gli Stati contano, secondo [questa] prospettiva morale, solo in quanto quello che a loro succede ha conseguenze ultime sulle persone individuali 37. Malgrado ci, la teoria di Elfstrom, a motivo della limitatezza dei mezzi di cui il singolo dispone per agire efficacemente a questo livello, assegna agli Stati il ruolo principale per ci che riguarda letica delle relazioni internazionali. C da notare, in proposito, che, mentre lindividuo uti singuli deve decidere individualmente di diventare moralmente responsabile, in quanto parte di unistituzione egli ha invece come scopo immediato la promozione di cambiamenti strutturali che permettano e stimolino limputabilit morale dellorganismo stesso. Capire il ruolo dellindividuo allinterno delle strutture istituzionali apre una nuova strada per riconoscere come allocare la responsabilit morale per gli atti dellistituzione 38. Unazione o una decisione , infatti, il risultato di una serie di decisioni separate, sebbene coordinate. Passaggio cardine della proposta lindividuazione dalcuni desideri basilari, universali e prioritari. Questi sono identificati, sulle orme di Bentham, con il desiderio dei mezzi di sostentamento e quello della sicurezza di non essere danneggiati da altri. Tale priorit si basa sul triplice assunto secondo cui: le persone generalmente riconoscono un valore massimo alla vita e ai mezzi di sussistenza; questi mezzi sono necessari per il godimento di qualsiasi altro valore e infine tali desideri sono facilmente misurabili e soddisfacibili. Gli altri desideri moralmente rilevanti vengono di converso definiti secondari e presentano una maggiore variet che necessita di grande impegno per la misurazione e il soddisfacimento. Il precetto morale generale che ne segue afferma che tutti hanno un obbligo assoluto di impegnarsi per la soddisfazione dei desideri basilari dovunque essi siano, ma solo un obbligo molto pi debole di badare ai desideri secondari di ogni essere umano 39. Da ci discende che si debba dare la priorit agli interessi basilari degli stranieri rispetto agli interessi secondari dei concittadini. Due casi rimangono, per, in cui la precedenza rimane a favore degli obblighi speciali che i governanti hanno nei confronti dei loro elettori: a) nel caso di conflitto con i desideri secondari di cittadini stranieri, perch gli obblighi speciali sono spesso diretti a preservare la vita e il benessere dei propri cittadini, perch servono per preservare il contesto sociale necessario per godere delle preferenze secondarie e, inoltre, perch se cos si facesse, oltre alle maggiori difficolt tecniche e finanziarie, si favorirebbe molto verosimilmente un processo dappiattimento che uniformerebbe tutte le preferenze al mondo culturale degli Stati donatori; b) nel caso in cui si debba scegliere tra i desideri basilari di propri elettori e quelli sempre basilari degli stranieri.
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Ivi, p. 32. Ivi, p. 34. 39 Ivi, p. 15.

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Il problema multiculturale rilevato da Elfstrom con chiarezza. Proprio per evitare forme di mascherato etnocentrismo lautore si appella alle preferenze, in quanto modellate dal Lebenswelt morale. In questo senso, dannosa considerata qualsiasi esperienza che si vorrebbe evitare. Cos pratiche che dallesterno del gioco culturale cui si partecipa verrebbero rifiutate possono invece trovare una giustificazione utilitaristica in base ai concreti desideri degli interessati. Sebbene dunque rimangano, per lautore, casi archetipi nei confronti dei quali si debba essere radicalmente intolleranti, latteggiamento da seguire rimane quello minimalista guidato da unestrema cautela e sensibilit che pu portare a censura o proteste, ma raramente a interventi dallesterno. Centrale rimane, quindi, lanalisi dei contesti culturali che deve guidare differenti giudizi modellati su quello che la forma di vita richiede e concede. Una questione particolarmente significativa del ragionamento di Elfstrom riguarda la giustizia distributiva internazionale. Qui, nota lautore, gli argomenti hanno generalmente stampo analogico e sono cos portati avanti attraverso unestrapolazione del ragionamento che si applica allinterno dello Stato, sia in senso negativo per negare il dovere alla ridistribuzione in nome del diritto liberale di propriet, sia al contrario in senso positivo quando ci si appella allobbligo compensativo per gli sfruttamenti passati, ai bisogni basilari o ancora ai principi che una persona sceglierebbe sotto un velo dignoranza. Questi tentativi vanno per rifiutati giacch non rilevano gli specifici problemi che caratterizzano le relazioni internazionali. Posto che il parametro di riferimento ultimo sia il benessere delle persone e date le circostanze politiche correnti, il problema della giustizia distributiva si scinde in due ipotesi riallocative: o si muovono le ricchezze o le popolazioni; o si attuano trasferimenti di risorse economiche, finanziarie e tecnologiche o simposta una diversa politica migratoria che implica una reinterpretazione del concetto di cittadinanza. Delle due luna: il principio di giustizia non sembra ammettere alternative. Laltro dilemma di fronte al quale si trova ogni teoria normativa che voglia rispondere a questi problemi concerne le soggettivit politico-legali in causa. Rappresenta questo, anzi, un doppio bivio morale: si tratta di decidere chi deve dare e chi deve ricevere e, in entrambi i casi, le possibilit sono generalmente o lo Stato o gli individui (uti singuli o come associazioni private). Come gi detto, la posizione di Elfstrom centrata sullindividuo, sebbene venga assegnato un ruolo morale derivato anche allo Stato-nazione. Posto lobbligo universale a soddisfare i desideri basilari di chiunque, lesistenza di confini nazionali diventa rilevante solo in senso strumentale. Conseguentemente, per Elfstrom i diritti di propriet nazionali dovrebbero essere limitati normativamente dai desideri basilari degli altri a prescindere dal passaporto e per converso una nuova interpretazione del dovere di non intervento dovrebbe essere accettata. Ove i governi responsabili non siano in grado, per incapacit o corruzione, di garantire la vita e il benessere necessario per unesistenza de-

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cente ai propri cittadini, allora la loro sovranit rimane soggetta a ingerenze esterne tese a garantire quei bisogni basilari. I cittadini hanno, infatti, ragione di credere di avere legami e responsabilit speciali reciproche che non condividono con gli stranieri. Essi hanno anche ragione ad avanzare pretese alle risorse materiali e culturali del proprio paese. E hanno ragione di credere che queste pretese e questi diritti abbiano peso morale. Non hanno, per, ragione quando condividono lopinione comune secondo la quale questi diritti siano assoluti e essi non hanno nessun obbligo concernente i bisogni dei non cittadini. In particolare quando si tratta di vita umana e benessere, essi hanno un obbligo stretto a rinunciare alle loro risorse a favore degli altri. [] I confini nazionali, in altre parole, non fanno nessuna differenza morale in senso fondamentale 40. Tale la nettezza della posizione di Elfstrom a riguardo dellautorit dei confini nazionali. Un altro autore che si interessato in modo significativo della rilevanza morale della con-cittadinanza Robert Goodin. Vulnerabilit e dipendenza Partendo da una nuova versione di responsabilit sociale verso i vulnerabili, coloro i quali cio dipendono direttamente o indirettamente dal nostro comportamento, Goodin prospetta una nuova fondazione, attraverso il metodo dellequilibrio riflessivo, dei nostri obblighi sociali allinterno come allesterno dei confini nazionali 41. Goodin avanza la pretesa, sulle orme di Sidgwick, di poter mostrare, attraverso una reinterpretazione della morale di senso comune, che alla base dei tradizionali obblighi speciali (verso la famiglia, gli amici, i benefattori, i clienti, i colleghi e i compatrioti) vi sia un principio generale che impone un dovere nei confronti dei socialmente vulnerabili. Da ci discende una nuova serie dobblighi individuali e collettivi, ivi inclusi quelli internazionali, che non possiamo rifiutare se accettiamo la morale di senso comune. Da questopera di smascheramento delle contraddizioni latenti nei precetti comuni consegue la riallocazione delle responsabilit, in cui il singolo in quanto tale perde centralit a favore dellazione collettiva allinterno di unorganizzazione cooperativa. Lobiettivo ultimo della teoria di Goodin consiste nella liberazione dallo stato, o meglio dal rischio, di vulnerabilit, dove la dipendenza, stato che provoca la condizione di vulnerabilit, viene caratterizzata attraverso quattro condizioni negative: 1) un equilibrio asimmetrico di potere, 2) la necessit di risorse da parte del subordinato, risorse ottenibili solo tramite la relazione e necessarie per proteggere gli interessi vitali, 3) linaggirabilit della relazione, per il subordinato, 4) lesercizio di un
Ivi, p. 171. R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, cit. e R. Goodin, Utilitarianism as a Public Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1995.
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controllo discrezionale sulle risorse da parte di chi detiene il potere 42. In questottica consequenzialista non si guarda tanto al passato, cio a chi ha creato la dipendenza, quanto al futuro ossia a come eliminarla. A riguardo, le strategie possibili per ridurre la vulnerabilit sociale sono principalmente due: dare potere al vulnerabile affinch si possa difendere e prevenire la possibilit stessa della dipendenza. chiaro, per, che non si pu alleviare la dipendenza del tutto e che, per quanto riguarda le relazioni internazionali in particolare, la soluzione si dovr cercare tra lindipendenza e linterdipendenza, data linaggirabilit dellinterdipendenza mondiale. Goodin enuclea le conclusioni normative del suo ragionamento, attraverso la formulazione dalcune regole fondative dellordinamento sociale. Tra queste, particolarmente interessanti sono il principio di responsabilit di gruppo, secondo il quale: se gli interessi di un soggetto A sono vulnerabili in conseguenza delle azioni e delle scelte di un gruppo di individui, sia disgiuntamente sia congiuntamente, allora specifica responsabilit del gruppo: a) organizzare (formalmente o informalmente) e b) implementare uno schema dazione coordinata dei membri del gruppo tale che gli interessi di A siano protetti tanto quanto nelle possibilit del gruppo, in relazione alle altre sue responsabilit 43; e il secondo principio di responsabilit individuale, secondo cui: se B un membro del gruppo che responsabile, secondo il principio di responsabilit di gruppo, di proteggere gli interessi di A, allora B specificamente responsabile di: a) assicurarsi, per quello che in suo potere, che il gruppo organizzi uno schema dazione collettivo tale che gli interessi di A siano protetti tanto quanto nelle sue possibilit, in relazione alle altre responsabilit del gruppo stesso e di b) adempiere completamente ed effettivamente alla responsabilit a lui assegnata in quello schema che potrebbe essere organizzato, fino al punto in cui non gli venga impedito di esercitare le altre responsabilit morali, in modo tale da proteggere gli interessi di A meglio di qualsiasi altra alternativa 44. Questi principi si sviluppano attraverso una reinterpretazione normativa in chiave utilitaristica dellistituzione statale. Una volta che i principi siano accettati, risulta plausibile che la societ abbia pieno diritto ad agire coattivamente al fine di far rispettare il ruolo che ognuno riveste, secondo un criterio dottimizzazione della divisione del lavoro, nello schema di cooperazione civile. Il fulcro dellargomentazione risiede nel riconoscimento del vantaggio pragmatico che si ha nellassegnare una responsabilit collettiva allocata settorialmente ai vari agenti. Se vero che lindividuo spesso fallisce quando agisce da solo, allora necessaria listituzione statale per coordinare i singoli. Le scuse di stampo individualistico sono cos azzerate responsabilizzando lo Stato, il quale, sebbene inteso strumentalmente come mezzo dallo42 43

R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, cit., pp. 196-197. Ivi, p. 136. 44 Ivi, p. 139. Per il primo principio di responsabilit individuale vedi, invece, p. 118.

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cazione di responsabilit, considerato come dotato di personalit morale, in quanto possessore di valori e obiettivi e capace dazione deliberativa. Va detto per che ci non conduce a una versione di istituzionalismo nei termini di un superorganismo collettivo, in quanto le responsabilit rimangono in ultima analisi a carico dei singoli sia come governanti, sia come consociati. In questo modo, due sole alternative sono date: ove non esista il meccanismo statale, vi il dovere di organizzarlo, ove, invece, gi esista si ha il dovere di cooperare allinterno di esso, pena la coercizione. Con questo ragionamento, si possono respingere anche le tradizionali critiche secondo le quali lutilitarismo permetterebbe limpermissibile e richiederebbe il non obbligatorio. Questo tipo di utilitarismo, per lautore, non chiede troppo poco, in quanto ha impliciti in s vincoli dovuti al riconoscimento della centralit delle regole generali applicate a casi standard, n chiede, daltro canto, troppo, giacch non prescrive atti eroici ma compiti sociali ripartiti in modo ragionevole attraverso uno schema coordinativo. In particolare per ci che riguarda le relazioni internazionali, sussiste naturalmente lanalogo internazionale del problema del sacrificio eroico. In un mondo di Stati indipendenti, a uno Stato ipercoscienzioso potrebbe, in conformit a simili calcoli utilitaristici [quelli fatti dai sostenitori della critica del troppo, non obbligatorio], essere richiesto di ottemperare ai compiti non svolti dagli Stati meno coscienziosi. La soluzione qui consiste, come sopra, nel collocare il governo nellambito delle Nazioni Unite. Proprio come il far rispettare uno schema di coordinazione allinterno pu essere giustificato in quanto legittimo obbligare i singoli a giocare il loro ruolo nello schema di adempmento dei doveri condivisi, cos anche il far rispettare lo schema internazionale pu essere similmente giustificato 45. Fulcro dellindagine critica di Goodin sulle ricadute internazionalistiche del suo ragionamento lanalisi critica della priorit normativa concessa ai connazionali e dei relativi obblighi speciali46. Operando una disamina critica di quelle che sono le maggiori teorie concorrenti, il principio pi difendibile risulta essere quello della responsabilit assegnata, la quale facendo appello alla nozione di vulnerabilit e dipendenza non solo in grado di giustificarsi per s, ma anche di scalzare le altre teorie concorrenti. La teoria delle responsabilit assegnate reinterpreta, includendoli, i doveri speciali come derivati da quelli generali e quindi da questi sopravanzabili. Gli special duties mantengono, infatti, un loro ruolo per motivi funzionali quali la divisione del lavoro e la specializzazione, la mancanza dinformazioni e le debolezze psicologiche, ma ci tuttavia non permette loro di godere di autonomia morale. La divisione territoriale ha, dunque, solo un senso organizzativo dallocazione delle responsabilit e i doveri patriottici rimangono validi, ma solo prima facie.
R. Goodin, Utilitarianism as a Public Philosophy, cit., p. 67, nota 18. R. Goodin, Protecting the Vulnerable: A Reanalysis of Our Social Responsibilities, cit., cap. 6, 2 e R. Goodin, What is So Special about Our Fellow Countrymen?, cit.
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Nello schema di cooperazione sociale, come detto, la responsabilit collettiva non annulla quella individuale, quantunque le cambi di carattere. Uno dei primi impegni individuali, in ambito internazionale, consiste nel promuovere campagne politiche interne che stimolino una diversa sensibilit nei governati come nei governanti. In questo caso, infatti, non vale largomento della generalizzazione per evadere i propri doveri. Anche dove alcuni defezionino, il nostro obbligo rimane quello di cooperare con chiunque altro stia cooperando, al fine di produrre le miglior conseguenze possibili dato il comportamento dei non-cooperanti 47; n vale largomento della supererogazione psicologica, in quanto epistemologicamente falso sostenere una concezione troppo statica della nostra psicologia dellassistenza, come insegna Singer. Afferma, infatti, Goodin: Lassegnazione delle responsabilit non sar mai perfetta, e molto fa supporre che lassegnazione implicita nel presente sistema-mondo sia veramente molto imperfetta. In tal caso, la responsabilit speciale derivata non pu impedirci di adempiere il dovere pi generale dal quale deriva. Nel presente sistema-mondo, spesso, forse normalmente, sbagliato dare priorit alle pretese dei nostri compatrioti 48. Il riduzionismo Di segno diverso lultima argomentazione di cui questa rassegna si occupa. Tale proposta, avanzata da Derek Parfit, tanto promettente quanto poco esplorata in ambiente internazionalistico e suggerisce una visione riduzionistica dei soggetti morali, in primis degli Stati 49. Parfit fa scaturire il suo ragionamento proprio dalla constatazione che il senso comune stesso ha una visione riduzionistica degli Stati e, sul modello di questa, propone poi uninterpretazione riduzionistica della concezione di persona. Egli afferma: La maggior parte di noi ritiene che lesistenza di una nazione non implichi nientaltro che lesistenza di un certo numero di persone associate tra loro. Noi non neghiamo la realt delle nazioni. Neghiamo invece che siano realt separate o indipendenti. La loro esistenza implica soltanto lesistenza dei loro cittadini che, insieme, vivono sul loro territorio e si comportano in certi modi 50. Ciononostante, parlando ad esempio della Francia ci si pu riferire a lei come nazione. Quando si usa la parola Francia, infatti, ci si riferisce alla nazione, non al governo, ai cittadini o al territorio, perch altrimenti qualora il governo, i cittadini o il territorio cambiasse non potremmo pi identificarla in quanto Francia, ma cos non . Questo un caso evidente, secondo Parfit, a conferma del fatto
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D. Regan, Utilitarianism and Co-operation, Oxford University Press, Oxford 1980, p. 124. R. Goodin, Utilitarianism as a Public Philosophy, cit., p. 287. 49 D. Parfit, Reasons and Persons, Clarendon, Oxford 1984. 50 D. Parfit, Ragioni e persone, il Saggiatore, Milano 1969, p. 434.

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che ci si possa riferire a qualcosa anche laddove non si tratti di unentit esistente in modo autonomo 51. Tale argomentazione riduzionistica si basa sulla similitudine tra lo Stato e la persona che Parfit riprende esplicitamente da David Hume, il quale gi nel Treatise sosteneva: Non potrei paragonare lanima meglio che a una repubblica, a uno Stato, in cui i diversi membri sono uniti da un vincolo reciproco di governo e di subordinazione, e danno vita ad altre persone, le quali continuano la stessa repubblica nellincessante cambiamento delle sue parti 52. La persona va interpretata, secondo tale prospettiva, come uno Stato, unassociazione, un partito politico in cui ci che conta il grado di relazione tra i vari membri. Attraverso un indebolimento della concezione dellIo e la conferma dellimportanza interpretativa della relazione R (ossia: la connessione e/o la continuit psicologica dovuta al giusto tipo di causa 53), Parfit propone, indirettamente, delle interessanti ricadute normative di etica internazionale. Oltre a evitare il problema dello status morale degli organismi statali, la sua teoria si rivela particolarmente fertile anche nellambito della parzialit spazio-temporale. Qualora una concezione pi impersonale del giusto fosse accettata ed interiorizzata, sostiene lautore, i propri Io futuri assomiglierebbero di pi agli Io futuri altrui e i propri confini personali perderebbero la loro invalicabilit cos come i propri confini nazionali. Se una nazione non altro che i suoi cittadini, meno plausibile considerare la nazione in se stessa come oggetto primario di doveri o come titolare di diritti. pi plausibile focalizzare lattenzione sui cittadini e considerarli non tanto quanto cittadini ma come persone. Sotto questa luce, pertanto, la nazionalit di una persona ci apparir come qualcosa di moralmente meno importante 54. Tale doppia riduzione prima dallo Stato allindividuo e poi dallindividuo allio implica che gli Stati non siano pi considerati soggetti principali dellarena internazionale, che perdano quindi le loro qualit giuridico-morali quali diritti e doveri e che lattenzione sia rivolta primariamente agli individui, in particolare per ci che concerne la giustizia distributiva. La teoria parfitiana della giustizia distributiva presenta aspetti tanto interessanti quanto innovatori 55. Se da un lato la portata del principio distributivo aumentata, il suo peso dallaltro per diminuito: lunit della persona abbandonata, i legami tra i vari Io sono resi pi tenui e le possibilit di compensazione minori, giacch manca un profondo fatto interiore che imponga, da un punto di vista morale, un riequilibrio tra le diverse parti della vita. Tanto manca unidentit forte nel tempo tra i diversi Io personali quanto manca tra i diversi Stati e, allinterno di questi, tra
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Ivi, pp. 596-597. D. Hume, Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 273. 53 D. Parfit, Ragioni e persone, cit., p. 333. 54 Ivi, p. 435. 55 Ivi, parr. da 111 a 118.

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le diverse generazioni. Per Parfit, ci spiega e giustifica perch, nel caso in cui fosse possibile aiutare una sola nazione tra due che presentino entrambe lo stesso tipo di sofferenza tra i cittadini, e fosse noto che quella a cui possiamo essere pi utili la nazione che, nei secoli passati, ha avuto una storia pi fortunata, la maggior parte di noi reputerebbe non essere giusto aiutare quella nei confronti della quale i nostri aiuti potrebbero essere meno efficaci e lasciare quindi che lumanit nel complesso soffra di pi, soltanto al fine compensativo di distribuire le sofferenze pi equamente tra le storie delle varie nazioni. E ci perch, nel cercare di alleviare le sofferenze, le nazioni non sono comunemente considerate come unit moralmente significative caratterizzate da una continuit storica forte 56. Anche per Parfit, dunque, le entit statali vanno spogliate di gran parte dellautorit normativa che tradizionalmente si attribuisce loro. Conclusioni opportuno dare ora uno sguardo dinsieme alle proposte utilitariste passate in rassegna fino ad ora. Per controbilanciare il riconoscimento secondario che lutilitarismo ha ricevuto nel dibattito sulla giustizia globale bene cercare di sintetizzare le diverse indicazioni forniteci dagli autori passati qui in rassegna, al fine di porre le basi dulteriori evoluzioni e affermare la rilevanza di questa tradizione per la soluzione normativa dei problemi globali correnti. Gli utilitaristi contemporanei che hanno affrontato i problemi internazionali sono arrivati in genere a conclusioni normative che, evitando le due generali obiezioni agli obblighi internazionali, vale a dire quella sulla sovranit statale e quella sul relativismo culturale 57, richiedono un ampliamento della nostra tradizionale sfera di sensibilit morale, unassunzione di responsabilit globale e, come azione pratica fra le altre, alcune misure atte a ridistribuire il benessere oltre i confini nazionali. Il testo che, oltre ad aver iniziato, ha sicuramente pi influito in questo dibattito , come detto, quello di Peter Singer del 1972, ma anche le altre argomentazioni sono rilevanti. Letica della scialuppa dei neomalthusiani, il criterio dellanalogia cos come proposto da Hare, la peculiarit internazionalistica sostenuta da Elfstrom, il principio della vulnerabilit esposto da Goodin e infine largomentazione riduzionistica di Parfit arrivano tutti, sebbene si sviluppino per vie diverse e alle volte in contrasto, a delle conclusioni simili: in primis, una riallocazione dei doveri morali in senso denazionalizzante e la conseguente rilettura dei confini nazionali in termini strumentali. Da ci discende una reinterpretazione, seppur eterogenea, di alcuni elementi centrali della moderna filosofia etico-politica, quali la sovranit statale (verso un si56 57

Ivi, p. 436. N. Dower, World Poverty: Challenges and Responses, Ebon Press, York 1983, p. 44.

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stema cooperativo internazionale), la cittadinanza nazionale (verso una cittadinanza cosmopolitica), i diritti umani (verso i doveri umani), gli obblighi speciali (verso i doveri universali), in favore di una concezione che, sebbene ancora riservi agli Stati una funzione politico-amministrativa, animata da uno spirito cosmopolita e universalista. Tale aspirazione cosmopolita, tuttavia, non esclude che queste proposte siano in grado dessere sensibili alle differenze culturali. Se, infatti, lutilitarismo internazionalistico presenta caratteristiche individualistiche e universalistiche nei suoi tratti essenziali, pur vero che anche consequenzialista, e quindi capace di adattarsi al contesto e di aprirsi a forme normative pi complesse. dunque individualista, ma anche capace di rilevare la centralit dellazione cooperativa e di riconoscere i diversi livelli applicativi per quel che concerne i diversi agenti, contenuti culturali e sfere dazione politiche. Due questioni morali, in particolare, assumono nellambito odierno delle relazioni internazionali unimportanza cruciale come criteri di legittimit per qualsiasi teoria della giustizia globale che avanzi pretese di superiorit normativa: il problema del soggetto responsabile e del danno e quello della dimensionalit multilivello dalle azioni internazionali. In entrambi i casi lutilitarismo si dimostra, come evidenziato dagli argomenti passati in rassegna, particolarmente fertile rispetto alle teorie concorrenti e quindi in grado di candidarsi a pieno titolo come teoria della giustizia globale.

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