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Unione Ministero del lavoro e Regione POR

Europea delle politiche sociali Siciliana Sicilia

ORO NERO
Il sommerso di lavoro e il
sommerso d’impresa nella Provincia di Palermo

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO


Facoltà di Economia
Dipartimento di Contabilità Nazionale
ed Analisi dei Processi Sociali
L’isola Ferdinandea fu avvistata al largo di Sciacca nel 1831, rimanendo emersa
solo per alcuni mesi: il tempo necessario per innescare una lunga serie di rivendi-
cazioni e discussioni che ancora oggi trovano eco tra storici e scienziati.
Dal 2001 sembra aver avviato un nuovo processo di emersione, segnalato da inte-
ressanti quanto inquietanti fenomeni sismici. Gli scienziati sono concordi: sotto o
sopra il mare Ferdinandea costituisce non solo un affascinante mistero, ma anche
una rischiosa minaccia per la Sicilia intera.

In copertina: L’Isola Ferdinandea - riproduzione tratta dal sito


htpp://www.educeth.ch/stromboli/others/ferdinandea/ferdinandea02-it.html
ORO NERO

Il sommerso di lavoro e il
sommerso d’impresa nella
provincia di Palermo
La verità consiste nell’allineamento
della teoria con i fatti osservati.

(Stanners, 1999)
INDICE

Prefazione, C. Piacentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9


Presentazione, S. La Rosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13
Introduzione, M. Cuffaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 19

1. L’economia sommersa: definizioni, metodi di stima, fonti statisti-


che, M. Cuffaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23

1.1 Il sommerso di lavoro e di impresa: alcune indagini relative alla


Sicilia, M. Cuffaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31

2. Le caratteristiche socio-economiche e demografiche del territorio


della provincia di Palermo, M. Cuffaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 34

3. L’indagine sui lavoratori, G. Notarstefano .............................. » 43

3.1 La stima del lavoro irregolare totale e parziale ** . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 62

3.2 Il rischio di essere irregolare, G. Notarstefano ....................... » 65

4 L’indagine sulle imprese, G. Notarstefano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 68

5. Conclusione, M. Cuffaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 85

APPENDICE (A):
La strategia di campionamento e la qualità del dato nell’indagine sui
lavoratori ** . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91
Procedura per la correzione del dato campionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 98

APPENDICE (B):
La regressione logistica: alcune note metodologiche, G.
Notarstefano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100

7
APPENDICE (C):
La strategia di campionamento e la qualità del dato nell’indagine
sulle imprese** . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 103

APPENDICE (D):
Il questionario per i lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106

APPENDICE (E):
Il questionario per le imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 109

Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 112

Ringraziamenti:

** Per la redazione di questi paragrafi si ringrazia la Prof.ssa P.


Andolina

Un contributo prezioso all’indagine è stato dato dalle Dott.sse Rita


Lima e Giuliana Pecoraro, che con intelligenza hanno curato la
somministrazione dei questionari.
La dott.ssa Rita Lima ha inoltre curato la codifica del questionario e
il caricamento dei dati.

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Questo volume nasce nell’ambito del progetto “ORO NERO” co-
finanziato dal Fondo Sociale Europeo, dal Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale e dall’Assessorato del Lavoro, della
Previdenza Sociale, della Formazione Professionale e
dell’Emigrazione della Regione Sicilia.
Il progetto, a valere della misura 3.11 del POR SICILIA 2000-2006,
è realizzato da Artha s.r.l. in partenariato con il Dipartimento di
Contabilità Nazionale ed Analisi dei Processi Sociali dell’Università
degli Studi di Palermo
Al progetto ha aderito la Commissione Regionale per l’emersione
del lavoro nero e il CLES (Comitato per il lavoro e l’emersione del
sommerso) della provincia di Palermo.

9
PREFAZIONE

Nell’ambito di alcuni progetti coerenti con la Misura 3.11,


“Sostegno al lavoro regolare ed all’emersione delle attività non
regolari“, relativa all’Asse III Risorse Umane del POR Sicilia 2000-
2006, il Dipartimento di Contabilità Nazionale ed Analisi dei
Processi Sociali della Facoltà di Economia dell’Università degli
Studi di Palermo, nella qualità di partner dei progetti, si è occupato
della attività di ricerca per la conoscenza e la stima quantitativa del
fenomeno del lavoro irregolare con riferimento all’ambito territoria-
le comprendente rispettivamente per il “ Progetto EMERGENDO
“la provincia di Caltanisetta e per il “Progetto ORO NERO” la pro-
vincia di Palermo.
E’ appena il caso di rilevare che lo stesso fenomeno oggetto di
studio pone grossi problemi sia in termini definitori che in termini
di conoscenza quantitativa, basti pensare alla misurazione dell’eco-
nomia sommersa non inclusa nelle statistiche ufficiali.
A partire dagli anni novanta gli Istituti di statistica dei paesi
facenti parte dell’OCSE hanno fatto proprie le definizioni stabilite a
livello internazionale e contenute nel Sistema dei Conti Economici
Nazionali (Sistem of National Accounts, SNA 93 ), nel successivo
Sistema Europeo dei Conti (SEC 95) e nell’Handbook for
Measurement of the Non-Observed Economy dell’OECD, producen-
do un concetto di attività sommersa tale da rappresentare il punto di
riferimento per le stime di contabilità nazionale effettuate dai diver-
si Istituti Nazionali di Statistica come presupposto per garantire una
certa omogeneità ed esaustività delle stime del PIL.
Le attività economiche che vengono incluse nella stima del PIL
ma che, non essendo osservabili in modo diretto, non possono esse-

11
re registrate nelle indagini statistiche condotte presso le imprese o
nei dati fiscali ed amministrativi utilizzati ai fini del calcolo delle
stime dei conti economici nazionali, prendono il nome di economia
non (direttamente) osservata (ENO), al cui interno insieme alla
economia illegale (o criminale), alla economia informale, trova
collocazione il concetto di economia sommersa ovvero quella parte
di economia che riguarda le attività produttive legali di cui la pub-
blica amministrazione non ha conoscenza per diversi motivi ( eva-
sione fiscale, evasione di contributi sociali, non osservanza della
normativa sul lavoro, mancato rispetto di norme amministrative ).
Se le attività sommerse sono determinate dalla volontà di non rispet-
tare norme di legge per ridurre i costi di produzione allora vengono
comprese nel sommerso economico, se invece non vengono rileva-
te per scarsa sensibilità statistica nella compilazione dei relativi que-
stionari statistici o per cause dovute ad inefficienza dello stesso
sistema statistico allora fanno parte del sommerso statistico.
Particolare attenzione viene posta sia da parte degli studiosi del
fenomeno che da parte delle Istituzioni interessate ad un rilevante
aspetto dell’economia sommersa cioè al lavoro sommerso, inten-
dendo per esso una qualsiasi attività retribuita, lecita di per sé, ma
non dichiarata alle autorità pubbliche, con la conseguente mancanza
di tutele per i lavoratori.
E’ evidente che il lavoro sommerso assume un peso ed una rile-
vanza non indifferenti per quanto concerne il finanziamento dei ser-
vizi pubblici e della protezione sociale, nonché la mancata contribu-
zione per il funzionamento di altri regimi sociali quali i fondi pen-
sione, l’assistenza sanitaria, i fondi per una migliore copertura
sociale ed economica per il lavoratore dichiarato.
I progetti “EMERGENDO” ed “ORO NERO” hanno interessa-
to, nell’ambito territoriale considerato cioè la provincia di
Caltanisetta e la provincia di Palermo, un significativo campione di
datori di lavoro e di lavoratori. La somministrazione di questionari

12
statistici all’uopo predisposti ha consentito di ottenere dei risultati
interessanti ma certamente non esaustivi della conoscenza e della
stima del fenomeno del lavoro sommerso.
Risulta necessario, anche alla luce di quanto emerso dalle inda-
gini dell’ISTAT, del CENSIS e della BANCA D’ITALIA, condotte
in tempi recenti, proseguire nella conoscenza del fenomeno del
lavoro sommerso nel contesto territoriale dell’economia meridiona-
le nonché in una organica azione di accompagnamento.
Siamo certamente d’accordo con il CENSIS (2003) quando
afferma: “Analizzando il sommerso a partire dall’economia reale e
dai processi sociali, si perviene ad una prima conclusione: per l’area
di economia sotterranea non è sufficiente agire sui soli paradigmi
strutturali (alta regolazione e pressione fiscale, mancanza di con-
trolli, rigidità del mercato del lavoro), ma è indispensabile articola-
re le azioni di contrasto per tipologie, settori e territori”.
Un plauso ed un ringraziamento per il lavoro svolto nella con-
duzione dell’indagine e della ricerca vengono rivolti al gruppo di
ricerca costituitosi presso il Dipartimento di Contabilità Nazionale
ed Analisi dei Processi Sociali della Facoltà di Economia di Palermo
così composto:

“Progetto EMERGENDO”: Prof. V. Lo Iacono, Dott.ssa P. Andolina,


Dott. G. Notarstefano.

“Progetto ORO NERO”: Prof. S. La Rosa, Prof. M. Cuffaro, Dott.


Notarstefano.

Il Coordinatore dei Progetti di Ricerca


“EMERGENDO “ e “ORO NERO”
Prof. Cesare Piacentino

13
PRESENTAZIONE

In un’accorata quanto “indignata” riflessione sulla crisi delle


istituzioni nel nostro Paese, oggetto di un succoso libro recente-
mente edito da G. Einaudi (Il regno inerme, Collana “Gli Struzzi”
Settembre 2002), Giuseppe De Rita afferma: “una società moderna
vive di reti di fiducia e il buon funzionamento delle istituzioni è ele-
mento almeno minimale perché tali reti si costituiscano. Se le istitu-
zioni sono in crisi e non rispondono alle istanze collettive di fiducia,
queste ultime si volgono altrove: verso figure carismatiche di verti-
ce, verso movimenti di massa e di piazza, verso poteri di fatto non
sempre adeguatamente controllabili, verso l’egoismo particolaristi-
co (individuale o collettivo che sia).”

L’oggetto della ricerca monografica che presentiamo riguarda


il lavoro nero e l’economia sommersa, fenomeni patologici scatu-
renti anche da crisi di fiducia: fiducia in un regime fiscale equo e
sostenibile, fiducia in apparati burocratici snelli ed efficienti, fidu-
cia in istituzioni affidabili ed efficaci.
Ma la crisi di fiducia non può certamente costituire un alibi nel
senso che occorre studiare più in profondità il fenomeno, analizzar-
ne le cause meno apparenti incrociando gli angoli visuali dei prin-
cipali protagonisti del fenomeno: i lavoratori che pur di conquista-
re un salario sono disposti ad accettare qualunque condizione e le
imprese che per garantirsi la permanenza sul mercato ricorrono ad
espedienti che vanno dalla elusione della normativa sul lavoro, alla
evasione fiscale totale o parziale.

15
Il Rapporto approfondisce l’analisi delle cause di natura eco-
nomica, sociale, psicologica che incidono sulla fenomenologia del
lavoro nero e dell’economia sommersa.
La stessa organizzazione aziendale si è progressivamente
allontanata dagli schemi tradizionali della cultura di management
ed è andata strutturandosi orizzontalmente verso l’esternalizza-
zione, l’outsourcing, la ragnatela dell’indotto, accentuando l’arti-
colazione minuta (dimensionale e organizzativa) dei processi pro-
duttivi; tale destrutturazione ha portato necessariamente ad una
tendenziale diminuzione del peso del lavoro dipendente, più o
meno gerarchicamente organizzato e quindi a una tendenziale cre-
scita del lavoro individuale (imprenditoriale, artigiano, professio-
nistico, precario).
Questi processi, come sostiene De Rita, hanno ormai una forza
di spinta da far pensare che i fenomeni di molecolarità del mondo
delle imprese e del lavoro non sono né un residuo del passato da
superare, né una patologia socioeconomica, ma sono di fatto con-
geniti nell’attuale stadio di evoluzione della società italiana, quale
che sia il giudizio di modernità e di forza competitiva che si può ad
essi attribuire.

E il panorama quantitativo che ne risulta è di notevole spessore


se si pensa che in Italia operano quattro milioni e mezzo di imprese
prevalentemente a conduzione familiare e con dimensioni assai ridot-
te, oltre quattro milioni di professionisti (regolamentati e non regola-
mentati) un “sommerso” che comunque (a seconda del metodo di
conteggio) coinvolge cinque milioni di persone, circa due milioni di
“collaborazioni coordinate e continuative”, quasi settecentomila
posizioni di lavoro interinale e addirittura cinque milioni di posizio-
ni individuali all’interno del lavoro dipendente tradizionale.

16
Si tratta dunque di fenomeni di notevole ampiezza e complessi-
tà la cui analisi richiede approcci adeguati perché sfuggenti alle
tradizionali rilevazioni statistiche.

La metodologia adoperata nello studio che presentiamo è quel-


la dell’indagine sul campo ed è volta a stimare, tra l’altro, il “tasso
di irregolarità” a livello provinciale. L’indagine è stata condotta
attraverso la predisposizione di appositi questionari somministrati
a lavoratori ed imprese operanti nella provincia di Palermo ed
impiegando per l’analisi e l’interpretazione dei risultati convenien-
ti tecniche statistiche.

Nelle economie occidentali avanzate si parla sempre più di


sistemi di responsabilità sociale dell’impresa intendendo con tale
termine “uno strumento gestionale costituito da un insieme di rego-
le e di procedure che le imprese possono liberamente scegliere di
adottare per garantire che i propri prodotti sono stati realizzati nel
rispetto dei lavoratori, in coerenza con i criteri relativi al non
impiego di lavoro minorile o di lavoro obbligato, al mantenimento
di condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro, alla libertà di asso-
ciazione, all’assenza di pratiche discriminatorie o coercitive alla
definizione di un orario di lavoro e di una retribuzione equa.”
Tali norme, codificate con la sigla SA-8000, servono essenzial-
mente a tre categorie di soggetti: ai lavoratori perché costituiscono
una garanzia al riconoscimento ed al rispetto dei loro diritti; ai con-
sumatori perché al momento dell’acquisto possono scegliere cono-
scendo i comportamenti sociali delle aziende che finanziano acqui-
standone i prodotti; alle imprese perché possono ottenere un van-
taggio competitivo basato non più su fattori come il basso costo
della mano d’opera od altre forme di sfruttamento, ma sull’immagi-

17
ne derivante dalle garanzie fornite circa l’eticità del proprio ciclo
produttivo.

Tutte condizioni dunque che si contrappongono alle caratteristiche


di amoralità del lavoro nero nel senso che l’irregolarità delle
assunzioni e dei licenziamenti, l’insicurezza degli ambienti di lavo-
ro, lo sfruttamento del lavoro minorile, la quasi totale evasione
fiscale tendono a creare un clima di diffusa illegalità che legittima
comportamenti illeciti ed innesca quella crisi di fiducia nelle istitu-
zioni della quale parlavamo sopra.

Con la redazione del Rapporto s’è voluto offrire un contributo alla


conoscenza delle caratteristiche provinciali del lavoro nero e del-
l’economia sommersa in una realtà variegata e complessa come
quella palermitana.
L’auspicio è che le istituzioni preposte possano avvalersene per inter-
venti e strategie idonei a contrastarne efficacemente il fenomeno.

18
L’analisi del sommerso
Introduzione

L’economia sommersa riguarda tutte quelle attività economiche


che sfuggono all’osservazione diretta e che pertanto non sono inclu-
se nelle stime del Pil o delle unità di lavoro. Il fenomeno ha assun-
to, negli ultimi trenta anni, dimensioni rilevanti, con una dinamica
crescente, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo.
L’analisi di esso riveste un interesse particolare, non solo per gli
studiosi, ma soprattutto per governi e organismi internazionali. Le
attività economiche non dichiarate influenzano negativamente il
funzionamento “sano” di un’economia: lo Stato, infatti, registra
minori entrate e conseguentemente deve diminuire i servizi pubbli-
ci o aumentare la pressione fiscale, riducendo così, ulteriormente,
l’incentivo delle imprese a rimanere nell’economia “legale”. E
ancora, il sommerso introduce una distorsione nel corretto funzio-
namento dei mercati dei beni e del lavoro, causando concorrenza
sleale all’interno del paese e tra i paesi e nuocendo fortemente ai
lavoratori coinvolti. In termini più generali, poi, vi è una progressi-
va “erosione” del sistema fiscale e contributivo e un progressivo
affievolirsi del significato e del valore di alcuni indicatori congiun-
turali e strutturali, che insieme alle stime degli aggregati di contabi-
lità nazionale, servono per la valutazione degli interventi di politica
economica.
Fin qui, in estrema sintesi, le conseguenze, ma quali sono le
cause dell’economia sommersa?
Le cause, con riferimento soprattutto alle economie occidentali,
sono molteplici: la crescita del carico fiscale e contributivo, la cre-
scente e intensa regolamentazione dell’economia ufficiale, soprat-
tutto nei mercati del lavoro, la riduzione forzata della settimana
lavorativa, i pensionamenti anticipati; il sistema di welfare che per-
mette ai beneficiari dei trasferimenti sociali un reddito complessivo
più elevato, se lavorano in nero (Schneider e Enste, 2000). Oltre ai

21
fattori economici, vi sono ovviamente fattori di natura sociale e psi-
cologica, che possono spiegare la decisione degli individui di lavo-
rare in nero (Frey, 1997).
Quanto detto spiega, dunque, in parte il crescente interesse degli
studiosi e degli organismi ufficiali preposti all’informazione econo-
mica per i problemi di stima e misura dell’economia sommersa. A
tale proposito, è stato osservato da più parti (CNEL, 2001) come sia
evidente la difficoltà di procedere alle stime basandosi esclusiva-
mente su dati macroeconomici e, pertanto, viene enfatizzata l’op-
portunità di ricorrere sempre più ad indagini sul campo, strumento
utile ad arricchire le informazioni su un fenomeno così difficilmen-
te rilevabile.
È proprio in questo contesto che si inserisce la nostra ricerca,
relativa alla città di Palermo ed alla provincia, che ha per oggetto
una stima quantitativa del lavoro irregolare, sia totale che parziale1,
e l’analisi del comportamento delle imprese, soprattutto, in merito
alla normativa relativa all’emersione del lavoro irregolare.
Abbiamo scelto, pertanto, di effettuare contestualmente due
indagini, l’una rivolta ai lavoratori, l’altra alle imprese, e ciò al fine
di una più oculata e attendibile stima del fenomeno “sommerso” a
Palermo.
In particolare, abbiamo predisposto un’indagine campionaria,
centrata sull’individuo (il lavoratore), orientata ad una comprensio-
ne del fenomeno basata sia su variabili strutturali quali-quantitative
(sesso, età, titolo di studio, settore di attività, composizione del
nucleo familiare, anzianità lavorativa), che su variabili di natura psi-
cologica quali la soddisfazione della remunerazione e l’appagamen-

1
Per lavoro irregolare, com’è noto, si intende un rapporto di lavoro non rego-
lato da un contratto di lavoro (lavoro irregolare totale) o un rapporto di lavoro che
non rispetta qualcuna delle condizioni previste dal contratto (lavoro irregolare
parziale).

22
to della condizione occupazionale. Per raggiungere tale obiettivo è
stata scelta una metodologia di rilevazione accurata, attenta alle
implicazioni delle scelte campionarie che, con alcuni semplici
accorgimenti, sia nella metodica di campionamento che nella som-
ministrazione degli item, ha consentito di ottenere una migliore qua-
lità delle stime del tasso di irregolarità a livello provinciale I risul-
tati ottenuti con questa indagine, ci hanno consentito di esplorare la
relazione esistente tra struttura dell’economia locale e dimensione e
caratteristiche del lavoro irregolare, quindi conoscere quali variabi-
li influenzano l’offerta di lavoro irregolare e qual è la “probabilità di
essere irregolare”. Con la seconda indagine campionaria, centrata
sulle imprese, abbiamo raccolto alcune informazioni relative alle
caratteristiche strutturali delle imprese intervistate, all’interesse che
queste manifestano riguardo agli incentivi per gli investimenti, al
loro comportamento in relazione alle leggi relative all’emersione del
lavoro irregolare, alla loro “percezione” del sommerso ed alle cause
che lo alimentano.
Le due indagini sono state precedute da un’indagine-pilota con-
dotta nella provincia di Trapani2, per testare sostanzialmente la vali-
dità del questionario sui lavoratori e da una serie di interviste a
“testimoni privilegiati” (sindacalisti, esperti del diritto del lavoro,
liberi professionisti).
Non vi è dubbio che le indagini sul campo costituiscono degli
strumenti meno “raffinati” delle più “eleganti” metodologie econo-
metriche; è pur vero, però, che è dalle prime che i policy makers
possono trarre delle indicazioni utili per elaborare misure radicate
nelle economie locali, mentre i theory makers possono trovare (o
meno) conferma delle loro teorie. D’altra parte, il compito degli sta-

2
L’indagine è stata svolta con la collaborazione di un laureando, Antonio
Salvo, residente in quella provincia. La tesi di Salvo è interamente riportata sul
sito: www.emersionesicilia.it.

23
tistici è quello di migliorare la qualità dell’informazione, oltre che di
ampliarla; per non incorrere, però, in un mero esercizio “di misura
senza teoria” (Koopmans, 1947), occorre riferirsi costantemente,
soprattutto nell’interpretazione dei risultati, alle argomentazioni teo-
riche, finora elaborate per “spiegare” il sommerso.

24
1. L’economia sommersa: definizioni, metodi di stima, fonti stati-
stiche.

La letteratura relativa all’economia sommersa è talmente vasta


da non poter proporre qui una sintesi esaustiva; il crescente interes-
se per questo tema spiega il proliferare di articoli, libri, convegni,
indagini. Alcuni punti fermi si sono già raggiunti: riguardano alcu-
ne definizioni e alcuni metodi di stima.
Le definizioni riconosciute in sede internazionale ed adottate
dagli Istituti Nazionali di Statistica dei paesi dell’OCSE sono le
seguenti: economia sommersa, economia informale, economia ille-
gale.
L’economia sommersa è quell’insieme di attività legali che
sfuggono alla conoscenza per evasione fiscale o contributiva, per
elusione della normativa lavoristica o di norme amministrative. Essa
comprende il sommerso d’impresa (aziende di varie dimensioni
completamente o parzialmente sconosciute al fisco) e il sommerso
di lavoro (caratterizzato da una regolarità solo formale, ma di fatto
da una serie di irregolarità legate ad un salario e condizioni di lavo-
ro diversi da quelli contrattuali).
L’economia informale comprende quelle attività svolte non in
vere e proprie unità produttive ma piuttosto nell’ambito delle fami-
glie, per i servizi personali, o nel campo artigianale o del commer-
cio ambulante. Minore è dunque il peso di essa nell’economia di un
paese industrializzato, mentre piuttosto elevato è il peso in un paese
più povero, dove è causata generalmente dalla scarsa domanda di
lavoro, dai flussi migratori verso le città, dal basso livello d’istru-
zione.
L’economia criminale comprende, invece, quelle attività che
vengono esercitate in violazione del codice penale.
Interessante, oltre a questa tripartizione, è quella proposta dalla
Banca d’Italia:

25
a) il sommerso fisiologico, che coincide grosso modo con l’e-
conomia informale delle imprese individuali, dei lavoratori autono-
mi saltuari, dei prestatori d’opera marginali;
b) il sommerso per arretratezza sociale o produttiva, caratteriz-
zato da lavoratori poco istruiti o poco qualificati, da minori, da immi-
grati irregolari e caratterizzante aree a sviluppo lento o ritardato;
c) il sommerso per riduzione di costi, causato dalla forte pres-
sione fiscale e contributiva, che caratterizza il nostro paese e che
costringe le imprese medio-piccole ad evasione ed elusione, al fine
di rimanere competitive.
A questo sommerso “economico” si aggiunge quello “statisti-
co”, che deriva dalle inefficenze del sistema statistico e che com-
prende tutte quelle attività produttive non registrate per mancata
compilazione dei questionari o di altri modelli amministrativi.
La Commissione Europea (1998) ha individuato tra le principa-
li cause del sommerso in Europa, la crescente domanda di servizi
personali a forte intensità di lavoro, la disarticolazione verticale del-
l’organizzazione industriale, l’espansione delle tecnologie informa-
tiche, ed una serie di fattori locali o nazionali (la pressione fiscale e
contributiva, diffusa sindacalizzazione, bassa competitività delle
imprese…). I soggetti coinvolti sono nell’ordine: i lavoratori in
nero, le persone con più posizioni lavorative, gli studenti e le casa-
linghe, i disoccupati, gli immigrati clandestini; mentre, i settori dove
più massiccio è il fenomeno sono quelli tradizionali (agricoltura,
costruzioni, commercio al dettaglio, alberghi e ristoranti, servizi
domestici e personali), l’industria di trasformazione e i servizi com-
merciali con una forte competitività da costo, e ancora i servizi della
New Economy.
In Italia, in particolare, il sommerso appare concentrato nei ser-
vizi privati e personali, nelle costruzioni, nelle attività manifatturie-
re, nell’agricoltura, nel turismo e nel commercio.
Già nel ’76, il Censis, in un libro dal titolo L’occupazione occul-

26
ta dava conto della “esistenza di un secondo invisibile circuito del-
l’economia che si andava sviluppando silenziosamente” (Roma,
2001, pag.17).
Secondo l’ultima nota informativa dell’Istat (settembre 2003), il
valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico nel
2000 è compreso tra un minimo del 15,2% del Pil ed un massimo del
16,9%. Nel 1992 le percentuali erano rispettivamente del 12,9% e
del 15,8%: la dinamica del fenomeno mostra, dunque, un trend cre-
scente sebbene differenziato rispetto alle due ipotesi (ipotesi mini-
ma = Pil certamente ascrivibile al sommerso; ipotesi massima = Pil
presumibilmente derivante dal sommerso).
Una dimensione differente, altrettanto efficace, del fenomeno si
può desumere dai tassi di irregolarità costruiti dall’Istat: i tassi con-
tengono al numeratore le unità di lavoro irregolare e al denominato-
re il complesso delle unità di lavoro occupate.
Le unità di lavoro derivanti dalle stime degli occupati, corrette
con le ore effettivamente lavorate, sono state introdotte nella
Contabilità Nazionale (SEC ’95) a fini teorici e per effettuare con-
fronti scevri da fattori locali.
Dalle ultime note diffuse dall’Istat, risulta che il tasso di irrego-
larità nel 2000 era in Italia pari al 15% contro una media del
Mezzogiorno del 22,4% e del Nord-Est dell’11,3%. In questo con-
testo non certo rassicurante, il dato ancora più inquietante è quello
della Sicilia, pari, sempre nel 2000, al 23,31% (intera economia) con
due cifre ancora più allarmanti, quello relativo all’agricoltura
(41,5%) e alle costruzioni (33,1%).
Volgendo lo sguardo alla dinamica del tasso di irregolarità nel
quadriennio 1995-2000, si vede come in Sicilia questo sia aumenta-
to di ben 22 punti percentuali per il totale dell’economia, a fronte di
un aumento medio (dato relativo all’Italia) del 7% circa. I settori che
registrano gli aumenti più elevati sono quelli dell’industria in senso
stretto (con il 29%) e quello dei servizi (con il 33%).

27
La Sicilia, accanto alla Sardegna, è la “punta di diamante” nel
contesto meridionale, in cui il tasso di irregolarità è cresciuto, in
modo, però, più contenuto (dell’11.2% per l’intera economia e del
23,1% per il settore dei servizi).
Queste cifre sono sicuramente da addebitare a fattori di lungo
periodo, socio-culturali, strutturali, demografici, ma anche a fattori
legati al periodo sotto osservazione.
L’aumento della domanda di servizi, la crescente “volatilità”
dell’economia, la crisi dell’impresa di grandi dimensioni, hanno
prodotto la frammentazione delle imprese e l’aumento del lavoro
autonomo e, da un punto di vista territoriale, una maggiore “forza-
ta” flessibilizzazione del lavoro. E così di fatto “il sommerso di
lavoro, accanto a quello d’impresa, rettifica notevolmente i dati rela-
tivi ai tassi di disoccupazione e i livelli di reddito per gran parte
delle regioni meridionali, dove la pratica del lavoro nero è ampia e
diffusa” (Roma, 2001, pag.19).
E dunque il peso crescente dell’economia sommersa nell’eco-
nomia “visibile”, ha stimolato un interesse particolare degli studiosi
verso i problemi di misura e di stima.
La più comune classificazione vede da un lato i metodi diretti con-
trapposti a quelli indiretti, e ancora quelli basati su un modello (model
approach) e quelli che potremmo definire eclettici, che prevedono il
confronto tra dati di diversa fonte o indagini campionarie, come quel-
le promosse dal Comitato per l’emersione del lavoro irregolare.
I primi sono sostanzialmente quelli adottati dagli uffici statisti-
ci dei paesi membri della Comunità Europea al fine di correggere le
stime del PIL e sono orientati alla stima del lavoro nero (demogra-
phic employment approach e sensitivity method) e alla frode tributa-
ria (metodo basato sulle ispezioni effettuate dalle autorità fiscali,
metodo del confronto tra il reddito dei lavoratori autonomi e quello
dei lavoratori dipendenti, l’approccio della spesa).
Tra i metodi indiretti, che utilizzano più indicatori macroecono-

28
mici, quello più diffuso è basato sulla domanda di moneta (currency
demand approach), nell’ipotesi che le transazioni sommerse avvenga-
no in contanti, per non lasciare tracce visibili alle autorità competenti.
Un aumento del circolante indicherebbe quindi un aumento del-
l’economia sommersa. Il metodo, introdotto da Cagan nel ’58 e per-
fezionato da Tanzi (1983) e più di recente da Bhattacharyya (1990),
prevede la stima dell’economia sommersa attraverso il seguente
modello:

log (C/M2) = a + b log PF+ c log (W/RN) + d log I + e log Y+ u [ 1.1 ]

in cui:
C= contante; M2= moneta complessiva, inclusi i depositi; PF=
proxy della pressione fiscale; W/RN= incidenza del reddito da lavo-
ro dipendente sul reddito nazionale; I= tasso d’interesse sui deposi-
ti vincolati; Y= Pil pro-capite; u= termine di disturbo.
La quantità di circolante imputabile al sommerso si ottiene
come differenza tra la domanda di contante stimata con l’equazione
e quella ottenuta con l’analoga in cui la variabile T (causa principa-
le del sommerso) assume valore nullo o pari al suo minimo storico
nel periodo di riferimento.
Successivamente si ottiene il valore del Pil sommerso, attraver-
so l’equazione quantitativa della moneta (MV=pT) moltiplicando la
velocità per l’eccesso di circolante. L’ipotesi forte, dunque, che
sostiene questo approccio è quella di una stretta relazione tra eco-
nomia sommersa e uso del circolante.
Le critiche al metodo sono numerose e riguardano il fatto che
non tutte le transazioni, nell’economia sommersa, avvengono in con-
tanti, per cui si avrebbe una sottostima della stessa, la considerazio-
ne che nell’ambito dell’economia sommersa vi sono fenomeni molto
differenti, la difficoltà ad identificare un anno base “senza sommer-
so” per il quale calcolare la velocità di circolazione ufficiale.

29
Nonostante ciò, il metodo ha prodotto delle stime confrontabili tra
i diversi paesi: per quanto riguarda l’Italia, per esempio, le più recen-
ti stime del valore aggiunto sommerso ottenute con questo metodo
sono sempre superiori a quelle dell’Istat, ma la dinamica, nel periodo
’92-’98, è coerente con quella delle stime Istat (Zizza, 2002).
Il periodo è contraddistinto da una crescita continua del sommer-
so fino al 1997, una flessione nel ’98, che, nelle stime di Zizza, pro-
segue nel ’99, ma non nel 2000, in cui si registra un lieve aumento.
Stime differenti sono state ottenute con lo stesso metodo, ma
considerando, tra le determinanti del sommerso, oltre alla variabile
relativa alla tassazione, alcune proxy della situazione di squilibrio
del mercato del lavoro (Chiarini e Marzano, 2003).
Questo modo di procedere è giustificato dal fatto che l’imposi-
zione fiscale sulle imprese è stata sempre minore nelle regioni meri-
dionali, dove, nonostante ciò, il lavoro irregolare ed in genere l’eco-
nomia sommersa hanno un peso molto elevato.
La serie stimata del valore aggiunto sommerso mostra una
dinamica più lenta rispetto a quella Istat, ma appare più simile a
quella di Zizza; pur tuttavia l’aspetto più interessante che emerge è
che l’andamento crescente dell’economia sommersa è da addebitare
non solo alla pressione fiscale, ma anche agli squilibri nel mercato
del lavoro (disoccupazione, ore di CIG, ecc.).
Riteniamo che proprio quest’ultima causa possa essere tra quel-
le fondamentali alla base della forte crescita dell’ economia som-
mersa nel Sud e soprattutto in alcune regioni, quali per esempio la
Sicilia, dove com’è noto i tassi di disoccupazione giovanile sfiorano
il 50%. Come vedremo più avanti, queste considerazioni sono in
parte sostenute dai risultati delle nostre indagini.
Ritornando al tema centrale del paragrafo, in particolare ai
metodi di stima indiretti, possiamo dire che questi comprendono
anche il model approach solo che in quest’ultimo caso il sommerso
rappresenta una variabile non osservabile (latente) connessa ad alcu-
ni fattori, “ sintesi statistica” di variabili osservabili.

30
Il modello statistico di riferimento è il modello fattoriale, che
fornisce una descrizione parsimoniosa di un set di dati spiegando “la
correlazione tra le variabili osservate in funzione di un numero
ridotto di fattori non osservabili” (Fabbris, 1997).
Le stime del sommerso ottenute con il modello fattoriale (Zizza,
2002) confermano l’importanza della pressione fiscale e della dis-
occupazione, nel determinarne l’entità, e, inoltre, riproducono una
dinamica coerente con le stime Istat e quelle ottenute con il currency
demand approach.
I metodi “eclettici”, sicuramente meno rigorosi dei metodi eco-
nometrici precedentemente citati, forniscono delle informazioni utili a
discernere caratteristiche, cause e struttura dell’economia sommersa,
soprattutto in contesti locali micro. Per esempio, per individuare aree
a più forte presenza di sommerso è stato utilizzato il metodo dei con-
fronti tra graduatorie (di comuni, di province o di mercati locali del
lavoro) ottenute con diversi indicatori (depositi bancari pro-capite,
reddito o consumi pro-capite, tassi di disoccupazione e così via).
Le differenti posizioni raggiunte dalle unità statistiche (comuni,
province o altro) nell’ordinamento con due o più indicatori è indice
di una qualche incongruenza ed un segnale indiretto di presenza di
economia sommersa.
Le indagini campionarie rappresentano un altro strumento utile per
avere indicazioni sul sommerso: per esempio, la recente indagine
ISAE (2002), presso imprese e famiglie, ha messo in luce la forte
diversificazione territoriale del fenomeno, avvalorando così l’utilità
delle indagini in contesti geografici differenziati, anche a livello micro.
I risultati ISAE mostrano che al Nord il sommerso è un feno-
meno poco significativo, almeno nella percezione degli imprendito-
ri, e quello esistente è, comunque, connesso in particolare all’eva-
sione fiscale e poco alle imprese non registrate o ai lavoratori irre-
golari (in imprese dichiarate).
Al Centro e al Sud, invece, la situazione è quasi opposta, con

31
una forte presenza di imprese non registrate e di lavoratori irregola-
ri (questi soprattutto al Sud).
In particolare, poi la più forte concentrazione di imprese e lavo-
ratori irregolari si ha nei settori tradizionali e nelle classi dimensio-
nali più piccole.
L’utilizzo anche di indagini con campioni non probabilistici è
stato enfatizzato dal Comitato Nazionale per l’emersione, nella con-
siderazione che non conoscendo l’universo di riferimento (delle
imprese, dei lavoratori) non è possibile estrarre un campione proba-
bilistico di soggetti da intervistare.
La soluzione di questo problema è il campionamento a valanga
o “a palla di neve”, in cui si utilizzano i primi intervistati per avere
un elenco di altri intervistandi e così via, sino ad ottenere una nume-
rosità congrua.
Ancora il “metodo della persona conosciuta” in cui si utilizza
come rilevatore un residente dell’area oggetto della ricerca, che però
deve essere ristretta e ben delimitata.
Inoltre, il metodo dei “testimoni privilegiati” permette di avere
delle valutazioni sul fenomeno da operatori esperti e ben informati.
Per esempio, nel ’98 proprio il Censis ha proceduto ad effettua-
re una stima del sommerso di lavoro con le valutazioni derivanti da
245 testimoni territoriali – professionisti, sindacalisti, imprenditori-
in 28 province campione dell’ Italia centro-settentrionale.
Ovviamente tutti questi metodi presentano un grosso problema:
non si possono inferire i risultati all’universo, nonostante ciò contri-
buiscono a fornire descrizioni delle realtà utili alla comprensione del
fenomeno ed a interventi di policy.
Come sostiene Meldolesi: “Basta conoscere l’ordine di gran-
dezza del sommerso: sapere che è elevato e che ha una morfologia
complessa. Infatti, al responsabile della policy interessa di più cono-
scere il funzionamento dell’economia sommersa di uno specifico
territorio, per individuarne la genesi e i meccanismi ed intervenire di
conseguenza” (Meldolesi, 2003).

32
1.1 Il sommerso di lavoro e d’impresa: alcune indagini relative
alla Sicilia

Nel 1995 la Fondazione Curella e l’Istat hanno effettuato un’in-


dagine diretta sul lavoro non regolare in Sicilia: l’indagine campio-
naria è stata rivolta a singoli individui ed inoltre la rilevazione con-
dotta su testimoni privilegiati ha contribuito ad arricchire il quadro
informativo (Busetta e Giovannini, 1998).
I dati confermano l’esistenza di un mercato del lavoro forte-
mente segmentato in cui accanto ai lavoratori regolari vi sono tante
figure di irregolari – con una attività unica, con una seconda attivi-
tà, in ogni caso con impegno orario modesto – ma anche forme di
doppie attività lavorative. Il numero dei non regolari “in senso stret-
to” – coloro il cui tipo di prestazione o di contratto viola delle norme
fiscali e contributive – ammonta in quell’anno e in tutta la Sicilia a
337 mila unità, cioè il 26,9% dell’occupazione complessiva (tasso di
irregolarità); considerando pure le doppie posizioni lavorative, il
tasso di irregolarità sale al 34,7%. La non regolarità è molto diffusa
tra i disoccupati, le persone in cerca di occupazione e le persone in
mobilità, ed è presente in quasi tutti i settori di attività. Nel com-
mercio, ad esempio il 45,4% degli occupati è irregolare, nel com-
parto degli alberghi e pubblici esercizi, la quota degli irregolari è di
ben il 65,1%, mentre nei settori dell’agricoltura e delle costruzioni
la quota risulta più modesta, rispettivamente del 37% e del 20%.
Da un’indagine più recente, condotta dall’Università di Messina
(Università di Messina, 2002) emerge un quadro della struttura pro-
duttiva siciliana della provincia messinese, che in parte giustifica le
cifre allarmanti del lavoro irregolare: l’azienda prevalente è una pic-
cola ditta individuale (0-5 addetti), presente nei settori tradizionali,
operante sul mercato locale, senza una strategia innovativa, che
possa ampliare la dimensione e la capacità produttiva. In circostan-
ze in cui non si investe in Ricerca e Sviluppo o formazione del per-

33
sonale e si “fa fatica” a stare sul mercato, vi è un’alta propensione
ad utilizzare manodopera irregolare (il 5% degli intervistati dichia-
ra apertamente di utilizzare lavoro irregolare).
D’altra parte vi è un esiguo ricorso alle opportunità legislative,
in parte per mancanza d’informazione, ma anche per sfiducia in que-
ste leggi, le cui procedure sono ritenute troppo lunghe e complesse
e più adatte alle imprese medio-grandi.
L’indagine sul campione di lavoratori impiegati nelle costruzio-
ni e nel commercio, mette in luce che il 34,7% del campione è costi-
tuito da lavoratori irregolari, il 19,4% dei quali ha chiesto inutil-
mente al proprio datore di lavoro di essere regolarizzato e ben il
18.4% che non ha mai affrontato l’argomento.
Elevata è pure la quota di lavoratori regolari che sono incorsi,
durante la loro esperienza lavorativa, in episodi di irregolarità: ore
di straordinario non retribuite (22,4%) o pagate fuori busta (8%) o
con compenso inferiore a quello dichiarato in busta paga (13,3%).
Dunque il quadro che si delinea è veramente drammatico: il 34,7%
del campione è costituito da lavoratori “completamente in nero”, ma
se si aggiunge il 43,7% di lavoratori che si dichiarano regolari, ma
in realtà sono “semi-sommersi”, si ha una percentuale del 78,4% di
lavoratori in condizioni critiche.
Nonostante ciò, il ricorso alle leggi agevolative sull’occupazio-
ne e l’autoimprenditorialità è piuttosto esigua: la più sfruttata è la
Legge 407/90 relativa all’assunzione dei disoccupati di lunga durata
(10.3%), seguita dai Pip (3%) e da quella sul credito d’imposta (2%),
mentre solo l’1% dei soggetti tenta di mettersi in proprio attraverso la
legge sul prestito d’onore (L 608/96). Dai risultati dell’indagine si deli-
nea una mappa delle unità produttive che rispecchia la classificazione
del Censis (Roma, 2001): le attività di piccole dimensione (0-5 addet-
ti) sono quelle a forte intensità di occultamento di lavoro, mentre le
aziende di dimensioni medio piccole possono definirsi “a regolarità
limitata”, “con almeno qualche decina di dipendenti assunti regolar-

34
mente” (Roma, 2001, pag. 82). In definitiva, in Sicilia, così come nel-
l’intero Mezzogiorno, il sommerso rappresenta una soluzione “fisiolo-
gica” per superare condizioni obiettivamente difficili: l’imprenditore
utilizza il lavoro sommerso per poter “sopravvivere” sul mercato sem-
pre più competitivo e il lavoratore preferisce lavorare in nero o lavora-
re con alcune irregolarità anziché non lavorare affatto. I risultati della
nostra indagine che esporremo nel paragrafo 3 confermano questi trat-
ti caratteristici anche per la provincia di Palermo.

35
2. Le caratteristiche socio-economiche e demografiche del terri-
torio della provincia di Palermo.

Gli indicatori statistici provinciali più accreditati3 normalmente


collocano la Sicilia nelle posizioni estreme della graduatoria nazio-
nale e spesso anche di quella meridionale. Nell’ambito regionale,
comunque, le relative posizioni provinciali variano, anche sensibil-
mente, sia rispetto alla media nazionale che a quella meridionale.
In particolare, la provincia di Palermo è contrassegnata, con
riferimento all’anno 2001, da un reddito disponibile pro-capite di
10596,35 e, sensibilmente più basso della media meridionale
(11100,32 e) e della media nazionale (15036,87 e). Com’è noto, il
reddito disponibile si compone, in misura preponderante, del reddi-
to da lavoro dipendente (al netto delle imposte) e in misura più con-
tenuta del reddito da lavoro autonomo e da capitale (anche questi al
netto delle imposte), oltrecchè di trasferimenti e prestazioni. Con
riferimento alla componente prevalente (il reddito da lavoro) può
esser utile, pertanto, esaminare i dati relativi al mercato del lavoro
(in particolare i dati degli occupati dipendenti) per avere una infor-
mazione più completa.
Nel 2002 il tasso di occupazione nella provincia è pari al 31,6%,
valore questo di ben 12 punti percentuali più basso di quello medio
nazionale (44%); in particolare, poi, nella classe di età 30-64 è del
47,8% (contro una media regionale del 41,8% e una media naziona-
le del 55,4%). Gli occupati, inoltre, sono prevalentemente concen-
trati nelle “Altre Attività” (79% circa contro una media nazionale
del 63,2%) e in misura marginale nell’”Industria” (17,7% contro la
media nazionale pari al 31,8%).

3
Ci si riferisce ai dati forniti dall’Istat, dall’Unioncamenre e dall’Istituto “G.
Tagliacarne”.

36
Ma le difformità più eclatanti, rispetto ai dati medi, si riscontra-
no soprattutto con riferimento al tasso di disoccupazione nelle clas-
si di età giovanili. Sempre con riferimento al 2002, nelle classi 15-
24 e 25-29 troviamo dei valori, rispettivamente, del 60,2% e del
51,9%, contro una media nazionale del 27,2% e del 20,1%.
La differenza si attenua per il tasso di disoccupazione globale,
ma è pur sempre allarmante: il 23,4% contro il 9%.
Volgendo lo sguardo al 1995, vediamo che il tasso di occupa-
zione complessivo a Palermo e provincia era pari al 28,8%, mentre
quello di disoccupazione era pari al 24,6%: i valori pressoché stabi-
li nel tempo dei tassi indicano che vi sono caratteristiche strutturali
specifiche del mercato del lavoro, che trovano una prima forte rela-
zione con la debole struttura dell’economia locale. Questa, peraltro,
si differenzia notevolmente sia da quella meridionale che da quella
nazionale: con riferimento all’anno 2001, vediamo che il valore
aggiunto provinciale si compone di un 2,5% del valore aggiunto
dell’Agricoltura (media Mezzogiorno=4,4; media nazionale=2,7), di
un 14,8% dell’Industria (media Mezzogiorno =20,5; media naziona-
le=27,7) e di un valore di 82,7% delle Altre Attività (media
Mezzogiorno =75,0; media nazionale=69,5).
Questa informazione può essere opportunamente integrata con
quella relativa alle importazioni ed alle esportazioni della provincia
nei confronti del Resto del Mondo (estero): questi valori opportuna-
mente combinati in specifici indicatori danno conto indirettamente
della struttura del sistema produttivo, ma, in misura maggiore, di
quanto questo sia “proiettato” verso l’esterno con produzioni che
interessano la domanda estera. Il rapporto tra il valore delle esporta-
zioni e quello delle importazioni, normalmente noto quale “grado di
copertura delle importazioni”, misura quanta parte del valore delle
importazioni è compensato (o coperto) dal valore delle esportazioni;
esso risulta maggiore o minore di 100 a seconda che le esportazioni
siano rispettivamente maggiori o minori delle importazioni.

37
È interessante calcolare l’indicatore in relazione soprattutto ai
beni industriali, suddivisi, secondo la tassonomia di Pavitt: a) pro-
dotti tradizionali e standard e b) prodotti specializzati e high tech.
Nel 2002 il valore dell’ indicatore per a) e per b) era rispettiva-
mente di 42,85 e 96,7, entrambi ben al di sotto della media sicilia-
na, pari a 138,44 e 147,8, e della media del meridione, pari a 124,99
e 158,9. Notevolmente al disotto di entrambe le medie è anche il
“tasso di apertura del commercio estero” (rapporto tra esportazioni
e valore aggiunto) che, nel 2001, per l’Industria, globalmente consi-
derata, era pari al 19,1% contro il valore medio siciliano del 44,2%
e quello meridionale pari al 50% circa.
Passando dall’ottica macroeconomica a quella micro, è oppor-
tuno andare a considerare un’altra caratteristica di debolezza strut-
turale dell’economia provinciale: le imprese per dimensione e per
settori di attività.
Relativamente al primo aspetto vediamo che, nel 2002, nella
provincia su un totale di 58426 “imprese con addetti”, ben l’83%
circa ha 1-2 addetti e il 14,11% è compreso nella classe dimensio-
nale 3-9 addetti.
Il resto delle imprese (poco più del 3%) rappresenta le classi
dimensionali medio-grandi (10-49, 50-249, 250 addetti e oltre).
Relativamente al secondo aspetto, rileviamo una concentrazio-
ne delle imprese soprattutto nel settore del commercio all’ingrosso
e al dettaglio (38,6% sul totale delle imprese attive-74140-) e del-
l’agricoltura (19,2%), contro un 10,9% e un 10,4% rispettivamente
nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni.
Indicativi di un tessuto produttivo fragile sono pure i tassi di
“natalità” (Imprese iscritte/Imprese registrate) e “mortalità”
(Imprese cancellate/Imprese registrate) delle imprese e il relativo
tasso “di sviluppo” (tasso di natalità - tasso di mortalità): nel perio-
do compreso tra il 1998 e il 2002, quest’ultimo ha assunto, per l’in-
tera economia, valori contenuti e decrescenti, attestandosi , nell’ul-

38
timo anno, ad un valore di 3 dovuto alla differenza tra un tasso di
natalità del 6,9 e un tasso di mortalità del 3,9. Con riferimento al
2002, in particolare, le attività manifatturiere registrano in prevalen-
za dei tassi di sviluppo negativi, con qualche eccezione per la fab-
bricazione di articoli in gomma e materie plastiche (tasso di svilup-
po=2,6), macchine per uffici, elaboratori ecc. (tasso di svilup-
po=2,7), apparecchi medicali, di precisione e strumenti ottici (tasso
di sviluppo=2,1), mezzi di trasporto (tasso di sviluppo=2,3). Degni
di qualche rilievo sono i valori del tasso di sviluppo del commercio
al dettaglio (2,1), alberghi e ristoranti (3,4), attività ausiliarie dei tra-
sporti (3,5), noleggio di macchine (8,0), informatica e attività con-
nesse (2,4). Se vogliamo poi integrare il quadro con indicatori “indi-
retti”, ma altrettanto validi, vediamo quanto Palermo si discosti
dalla media del Mezzogiorno e da quella nazionale per la percen-
tuale di energia elettrica utilizzata nell’Industria e nel Terziario
(anno 2000)4: la prima è rispettivamente del 19,4% contro il 48,6%
del Mezzogiorno e il 53,9% della media nazionale; la percentuale
del Terziario è, invece, del 32,4% contro il 20,9% e il 22,1%. La
realtà economico-produttiva della provincia appare dunque nel com-
plesso asfittica e priva di una qualche caratterizzazione di rilievo
che non sia quella del Commercio e del Terziario pubblico.
A sfavore della nascita di un tessuto imprenditoriale denso nelle
attività manifatturiere hanno giocato diversi fattori la cui influenza
si è stratificata nel tempo, ma sicuramente un ruolo non trascurabi-
le è quello della scarsa dotazione di infrastrutture.
A tale proposito è utile confrontare gli “indici di dotazione infra-
strutturale” elaborati dall’Istituto Tagliacarne e da Unioncamere per
l’anno 1999: gli indici sono calcolati, con riferimento al dato medio

4
I rapporti di composizione sono riferiti al totale provinciale per settore di
attività.

39
nazionale (Italia=100), per differenti tipologie di infrastrutture (rete
stradale, rete ferroviaria, porti, aeroporti, impianti e reti energetico-
ambientali ecc.). Gli indici che si presentavano inferiori sia alla
media siciliana che a quella meridionale erano relativi alla rete stra-
dale (Palermo = 82,7; Sicilia = 87,4; Meridione = 91,8), alla rete fer-
roviaria (Palermo = 56,8; Sicilia = 64,7; Meridione = 84,7), alle reti
energetico-ambientali (Palermo = 61,9; Sicilia = 65,9; Meridione =
63,8). Nel complesso, l’indice generale di infrastrutture economiche
era pari a 82,6, inferiore a quello siciliano (87,1), ma leggermente
superiore a quello meridionale (76,6) dovuto alla presenza dell’aero-
porto e di una apprezzabile rete di strutture per la telefonia e la tele-
matica e di servizi bancari.
Ancora, a completare il quadro tratteggiato, onde voler “giusti-
ficare” in qualche modo uno degli indicatori più allarmanti della
provincia (il tasso di disoccupazione), è opportuno considerare la
componente demografica, ed in particolare la struttura per età della
popolazione. Questa, com’è noto, influenza tutti i fenomeni di natu-
ra sociale, oltrecchè quelli economici, dall’offerta di lavoro, alla
struttura dei consumi e dei risparmi, dagli orientamenti politici ai
fenomeni di devianza sociale.
Gli indicatori che sintetizzano efficacemente una delle peculia-
rità della popolazione della provincia sono: l’indice di dipendenza
strutturale (Pop.>64 anni + Pop.0-14/Pop.15-64) e l’indice di dipen-
denza giovanile (Pop. 0-14/ Pop.15-64).
Questi, nel 2001, sono ambedue superiori alla media nazionale
(rispettivamente 53,1% contro il 47,9% il primo; 29,8% contro il
21,4% il secondo), indicando che il peso dei bambini e dei ragazzi,
ed in misura più contenuta, quella degli anziani è molto elevato sulla
popolazione in età lavorativa. Il fenomeno, peraltro attenuatosi nell’
ultimo decennio, è segnalato pure dall’indice di ricambio (Pop.60-
64/Pop.15-19).
Questo ha un interesse soprattutto congiunturale ed ha un signi-

40
ficato molto interessante in relazione all’ingresso dei giovani nel
mercato del lavoro.
Le nuove leve, infatti, trovano lavoro non solo in funzione del-
l’espansione dell’economia, ma anche in funzione dei posti che ven-
gono resi disponibili da coloro che escono dal mercato, soprattutto
per motivi di età e di pensionamento.
Un valore basso dell’indice indica che le condizioni sul merca-
to del lavoro sono più difficili: pochi escono dall’età attiva rispetto
ai molti che vi entrano e viceversa.
Il valore dell’indice per Palermo è pari a 71,9% contro un valo-
re medio nazionale del 110,6%. Gli indicatori, che per brevità, sono
stati considerati solo negli anni più recenti, sono, comunque, gene-
rati da una dinamica complessa, che si è stratificata nel corso di
decenni, e da una molteplicità di interrelazioni tra i diversi aggrega-
ti economici e tra questi e la struttura della popolazione, per cui è
lungi da noi il volerli considerare esaustivi di una “realtà locale”, la
cui analisi meriterebbe un ben più ampio approfondimento, anche in
relazione al contesto regionale.
Purtuttavia, la partizione di alcuni aspetti, messi in risalto dagli
indicatori utilizzati, è pur sempre una fonte informativa utile per capi-
re la generalità del contesto e per interpretare meglio i risultati delle
nostre indagini, sia quella sui lavoratori che quella sulle imprese.

41
Il lavoro sommerso nella
provincia di Palermo
3. L’indagine sui lavoratori

Il questionario somministrato (vedi Appendice D) consta di ven-


tisette domande. L’analisi delle elaborazioni tratte dal questionario
verrà effettuata distinguendo idealmente 3 sezioni all’interno del
questionario stesso, al fine di facilitare la lettura dei risultati raccolti.
La I sezione riguarda i dati anagrafici ed il profilo dell’azienda
nella quale l’intervistato lavora (domande da 1 a 12, 21, da 26 a 27).
La II sezione comprende le caratteristiche relative alla natura
del rapporto di lavoro e le percezioni in tema di soddisfazione del
lavoratore (domande 13, 14 e 15, 19, 20).
La III sezione invece si concentra sull’utilizzo di forme di age-
volazione e bandi di finanziamento previsti dalla normativa vigente
(domande da 16 a 18, da 22 a 25).
Sono stati somministrati 570 questionari, la maggior parte dei
lavoratori intervistati risiede nel Capoluogo siciliano (60%), il 25%
a Termini Imerese, gli altri sono distribuiti equamente su altri 30
Comuni della Provincia di Palermo, su complessivi 32 Comuni.
La distribuzione per sesso degli intervistati è equamente riparti-
ta tra i due sessi.
L’età degli intervistati va da un massimo di 70 anni ad un mini-
mo di 13 (sono 16 gli intervistati con età inferiore ai 18 anni).
Il campione si presenta “ giovane”: il 73% degli intervistati ha
un’età compresa tra i 13 e i 45 anni, mentre solo il 27% ha un’età
superiore a quest’ultima.
Dal punto di vista dello stato civile il campione è sostanzial-
mente suddiviso tra celibi/nubili (43%) e coniugati (50%).
Gli intervistati sono per la maggior parte nati a Palermo e
Provincia (91%), soltanto il 5% è comunque nato in Sicilia e il
restante 2% è di origine extracomunitaria.
Il 33% degli intervistati ha almeno un titolo di studio riferito
al ciclo dell’obbligo (media inferiore), il 47% possiede un diplo-

45
ma di scuola media superiore e soltanto il 16% ha conseguito la
laurea.
I lavoratori appartengono a famiglie poco numerose: i nuclei
familiari di provenienza sono, in prevalenza, formati da 3 o 4 com-
ponenti (rispettivamente 23% e 37%). Il numero degli altri percetto-
ri di reddito, oltre i lavoratori intervistati, è normalmente pari ad uno
(53%), il 22% indica altre due persone percettrici di reddito nella
propria famiglia e soltanto il 4% degli intervistati afferma che altri
tre familiari possiedono un reddito fisso.

Graf. 3.1 - Il grado di istruzione

16% 4%

33%

47%

licenza elementare licenza media diploma laurea

46
Graf. 3.2 - L’ampiezza del nucleo familiare

40,00

35,00

30,00

25,00

20,00

15,00

10,00

5,00

0,00
1 2 3 4 5 6 7 12
Numero di componenti

Graf. 3.3 - Le forme contrattuali

10%

40%

33%

2% 15%

lavoratore a tempo indeterminato lavoratore a tempo determinato lavoratore in prova/tirocinio


lavoratore irregolare altro

47
Graf. 3.4 - I canali informativi

4%
16%

12% 53%

8%
7%

conoscenze personali ufficio di collocamento annunci economici


raccomandazioni di amici concorsi altro

Il 40% degli intervistati occupa una posizione lavorativa a


tempo indeterminato, il 15% lavora con contratto a tempo determi-
nato, mentre circa il 33% (187 degli intervistati) dichiara di lavora-
re secondo “forme irregolari”; infine, le “Altre tipologie contrattua-
li” sono pari al 10% e le varie forme di apprendistato costituiscono
soltanto il 2% degli intervistati. Quasi la metà dei lavoratori intervi-
stati ammette di avere ottenuto il posto di lavoro tramite conoscen-
ze personali, il 16% tramite concorso e il 12% tramite raccomanda-
zione. Soltanto l’ 8% dichiara che per la sua assunzione sono state
attivate forme di agevolazione, mentre il 14% non sa rispondere a
questa domanda; con riferimento al tipo di agevolazione primeggia-
no sulle diverse tipologie indicate i Lavori Socialmente Utili (LSU)
e i Piani di Inserimento Professionale (PIP).
Per ciò che concerne la distribuzione settoriale, si è preferita
ovviamente una aggregazione maggiore, rispetto alla classificazione
prevista dall’ISTAT per le branche (Ateco 2002), in ragione anche

48
di una difficoltà dei rispondenti ad “autoclassificarsi”. Le branche
produttive che concentrano la maggior parte dei lavoratori intervi-
stati sono, nell’ordine, la macro-aggregazione “Commercio ed
Artigianato”5 (39%), quella degli “Altri Servizi privati” (28%) e
quella della “Pubblica Amministrazione” (23%).
L’industria occupa il 6%, mentre il settore Agricolo e quello delle
Costruzioni sono poco rappresentati (1% e 2% rispettivamente).
Le risposte relative alle dimensioni aziendali della “struttura di
appartenenza”, rivelano – in linea con la complessiva struttura pro-
duttiva provinciale – che il 62% degli intervistati (equivalente a 353
lavoratori su 562) svolge la propria attività in aziende con meno di
dieci addetti e, circa il 14% lavora presso “strutture” con un nume-
ro di addetti compreso tra 10 e 19; il resto degli intervistati (cioè il
23%) è, dunque, compreso nelle aziende medio-grandi, appartenen-
ti cioè alle classi 20-49 (il 7,54%), 50-99 (il 6,7%), 100-499 (il
5,4%) e oltre 500 addetti (il 3,16%).
Con riguardo all’anzianità lavorativa degli intervistati, il 45%
dei rispondenti dichiara di lavorare da oltre sei anni, mentre il 37%
degli intervistati lavora da due anni o meno (Graf. 3.6).

5
È stata scelta questa denominazione che “incrocia” la dimensione tipica-
mente produttiva, rappresentata dalla modalità di branca (Commercio) e la dimen-
sione organizzativa (la forma artigianale), in ragione della prevalenza di tale tipo-
logia di unità produttive nel campione selezionato.

49
Graf. 3.5 - Il settore di attività

1% 6% 2%
24%

39%

28%

agricoltura industria costruzioni


commercio e artigianato altri servizi privati pubblica amministrazione

Graf. 3.6 - L’anzianità lavorativa

38%
45%

7% 10%

da 0 a 2 anni da 2 a 4 anni da 4 a 6 anni oltre 6 anni

50
Volendo ora analizzare le caratteristiche del campione, in rela-
zione ad alcune variabili rilevanti, vediamo che per ciò che con-
cerne la distribuzione delle forme contrattuali secondo il sesso,
sono gli uomini a prevalere nettamente nelle varie forme di
apprendistato (79%) così come in quelle a tempo determinato
(54%).
Le due percentuali relative ai due sessi si avvicinano (uomi-
ni 52%, donne 48%) con riferimento ai contratti a tempo indeter-
minato; infine sono le donne che subiscono in misura preponde-
rante le varie forme di contratti irregolari (61%) rispetto agli
uomini.

Graf. 3.7 - Forme contrattuali e sesso (valori assoluti)

120,0

100,0

80,0

60,0

40,0

20,0

0,0
Tempo Indet. Tempo Det. Prova/tirocinio Irregolare Altre forme
maschi femmine

51
Graf. 3.8 - Forme contrattuali ed età degli intervistati (valori assoluti)

120,0

100,0

80,0

60,0

40,0

20,0

0,0
Tempo Indet. Tempo Det. Prova/tirocinio Irregolare Altre forme
da 13 a 25 anni da 26 a 45 anni oltre 45 anni

Come si evidenzia dal Graf. 3.8, i lavoratori a tempo determinato


e quelli in prova o tirocinio hanno per lo più un’età compresa tra i ven-
tisei e i quarantacinque anni, mentre i lavoratori irregolari sono per la
maggior parte giovani al di sotto dei ventisei anni (53%); così come
quelli in prova o tirocinio (43%); coloro che invece hanno oltre qua-
rantacinque anni sono in prevalenza impiegati a tempo indeterminato
I primi si sono anche dichiarati in prevalenza celibi/nubili
(54%), così come anche gli irregolari (60%) e i lavoratori in prova
o tirocinio (71%); invece i lavoratori a tempo indeterminato sono in
prevalenza coniugati (66%).
Un’altra variabile di solito rilevante nel caratterizzare la condi-
zione occupazionale è il titolo di studio: in questo caso, però, essa
non differenzia particolarmente la condizione dei lavoratori a tempo
indeterminato da quella dei lavoratori a tempo determinato e irrego-
lari. Va menzionata tuttavia una percentuale rilevante (22,2%) di
laureati tra i lavoratori a tempo determinato.

52
L’irregolare, comunque, è contraddistinto da titoli di licenza media
inferiore (43,2%) e superiore (44,3%), mentre i lavoratori a tempo
indeterminato e determinato possiedono prevalentemente un titolo di
licenza media superiore e, in misura minore, la laurea (Tab. 3.1).

Tab. 3.1 - Titoli di Studio e tipologie occupazionali


prova/
TITOLO DI STUDIO Indeterm. Determin. Irregolare Coadiuv. tirocinio Altro Totale
Licenza Elementare 1,3 2,2 4,1 12,8 0 16,7 3,7
Diploma
Media Inferiore 30,0 22,2 43,2 34,0 7,1 50,0 33,0
Diploma - Media
Superiore 52,1 53,4 44,3 36,2 42,9 0 47,7
Laurea 16,6 22,2 8,4 17,0 50,0 33,3 15,6
Totale 100 100 100 100 100 100 100

Tab. 3.2 - Branche produttive e tipologie occupazionali


SETTORI Indeterm. Determin. Irregolare Coadiuv. prova/tiroc. Altro Totale
Agricoltura 0,4 3,3 1,1 2,1 - - 1,2
Industria in s.s. 12,1 5,6 0,5 - 7,1 - 6,0
Costruzioni 1,8 1,1 4,2 2,1 - - 2,5
Commercio 23,8 18,9 59,8 70,3 28,6 50,0 39,1
Turismo/trasporti 3,6 4,4 1,6 2,1 14,3 - 3,2
Credito e assicurazioni 4,0
Altri Servizi privati 13,9 27,8 25,9 14,9 28,6 33,3 20,7
Servizi non vendibili
Totale 100 100 100 100 100 100 100

Un altro aspetto importante riguarda la concentrazione delle tipo-


logie occupazionali nelle varie branche produttive: dalla Tab. 3.2 si
rileva che i settori dell’ “Industria” e dei “Servizi non vendibili” assor-
bono la maggiore quota dei lavoratori a tempo indeterminato mentre
sono i settori del “Commercio” e degli “Altri servizi privati” ad assor-
bire i lavoratori irregolari e quelli a tempo determinato.
In particolare, poi, gli irregolari lavorano prevalentemente in
aziende di piccolissime dimensioni (1-9 addetti) prevalentemente
con un’anzianità lavorativa inferiore ai due anni, mentre i lavorato-
ri a tempo indeterminato, pur lavorando in aziende di piccolissime

53
dimensioni, hanno per lo più un’anzianità lavorativa di oltre sei anni
(Graff. 3.9 e 3.10).
Graf. 3.9 - Forme contrattuali e dimensioni aziendali (valori assoluti)

180,0

160,0

140,0

120,0

100,0

80,0

60,0

40,0

20,0

0,0
Tempo Indet. Tempo Det. Prova/tirocinio Irregolare Altre forme
1 - 9 addetti 10 - 19 addetti 20 - 49 addetti 50 - 99 addetti 100 - 499 addetti oltre 500 addetti

Graf. 3.10 - Forme contrattuali e anzianità lavorativa (valori assoluti)

160,0

140,0

120,0

100,0

80,0

60,0

40,0

20,0

0,0
Tempo Indet. Tempo Det. Prova/tirocinio Irregolare Altre forme
da 0 a 2 anni da 2 a 4 anni da 4 a 6 anni oltre 6 anni

54
A questo punto è utile analizzare il grado di soddisfazione dei
lavoratori intervistati, sia in relazione alla retribuzione percepita che in
relazione alle condizioni generali del lavoro, comprendendo in esse
non solo il salario ma anche una serie di fattori quali, ad esempio,
l’ambiente di lavoro, la possibilità di fare carriera e le gratificazioni.
Dai dati emerge che più della metà dei lavoratori intervistati risultano
soddisfatti sia della retribuzione percepita (54,2%) che del proprio
lavoro (58,6%).
Se incrociamo queste informazioni con le tipologie contrattuali
(Tabb. 3.3 e 3.4), vediamo che, come atteso, i lavoratori regolari
risultano essere i più soddisfatti in assoluto; il dato che sorprende è
quello relativo ai lavoratori irregolari che, nonostante la loro condi-
zione precaria, si dichiarano soddisfatti della retribuzione (ben il
41%) e appagato delle condizioni di lavoro “in generale” (il 40,3%).
Questo dato è certamente emblematico di una realtà complessa,
e può essere spiegato con la giovane età e gli alti livelli di disoccu-
pazione giovanile che caratterizzano il mercato del lavoro provin-
ciale; pertanto il giovane che trova un lavoro, pur precario, si ritie-
ne comunque soddisfatto.

Tab. 3.3 - Soddisfazione relativa alla retribuzione e tipologia contrattuale


Tipologia contrattuale
Tempo Indet. Tempo Det. Prova/Tirocinio Irregolare Altro Totale
non sufficiente 75 37 8 101 3 224
(%) 34,40 43,02 61,54 56,74 17,65 43,75
adeguata 137 48 5 73 14 277
(%) 63 56 38 41 82 54
più che adeguata 5 1 - 3 - 9
(%) 2,29 1,16 - 1,69 - 1,76
altro 1 - 1 - 2
(%) 0,46 - 0,56 - 0,39
218 86 13 178 17 512
Totale 100 100 100 100 100 100

55
Tab. 3.4 - Soddisfazione “generale” del lavoratore e tipologia contrattuale
Tipologia contrattuale
Tempo Indet. Tempo Det. Prova/Tirocinio Irregolare Altro Totale
non sufficiente 75 37 8 101 3 224
(%) 34,40 43,02 61,54 56,74 17,65 43,75
adeguata 137 48 5 73 14 277
(%) 63 56 38 41 82 54
più che adeguata 5 1 - 3 - 9
(%) 2,29 1,16 - 1,69 - 1,76
altro 1 - 1 - 2
(%) 0,46 - 0,56 - 0,39
218 86 13 178 17 512
Totale 100 100 100 100 100 100

Peraltro gli irregolari insoddisfatti sembrano vivere la loro con-


dizione in modo rassegnato: l’83% circa dichiara infatti di non cer-
care un’altra occupazione.
Questa “rassegnata soddisfazione” rafforza l’informazione che
si ricava dalle domande poste, con riferimento, alla richiesta di
un’eventuale ricorso alle diverse forme di sostegno all’autoimpiego
e alla imprenditorialità.
Soltanto il 7% dei lavoratori intervistati afferma di avere parte-
cipato a bandi previsti da leggi di finanziamento per l’autoimpren-
ditorialità, in prevalenza si tratta di quelli previsti dalla legge del cd.
“prestito d’onore” (35%), dell’“imprenditoria femminile” e
dell’“imprenditoria giovanile” (entrambi 23%).
Le relative informazioni sono state raccolte dagli intervistati
soprattutto attraverso i consulenti del lavoro (35%), le associazioni
di categoria e gli organi sindacali (entrambi 12%).
Coloro che viceversa non hanno usufruito di tali bandi, pari al
91%, indicano come ragioni principali la mancanza di informazione
(29%), la scarsa propensione al rischio e la mancanza di idee
imprenditoriali (rispettivamente 19% e 16%).

56
Sono i lavoratori in prova o tirocinio (categoria peraltro poco
numerosa) a mostrare la più alta propensione a partecipare a bandi
per l’autoimprenditorialità (29%), viceversa la categoria contrattua-
le meno propensa appare evidentemente quella dei lavoratori a
tempo indeterminato (4,5%).
Un dato da sottolineare è la percentuale degli irregolari che
ricorrono a bandi o altre forme di finanziamento: si tratta di un valo-
re molto basso pari all’8,6%.
Paradossalmente, i lavoratori che considerano la propria retri-
buzione “non sufficiente” sono i meno propensi a partecipare a
bandi per l’autoimprenditorialità (29%), mentre quelli che la consi-
derano “adeguata” e “più che adeguata” si attestano intorno al 68%.
Inoltre, l’essere soddisfatti o insoddisfatti per il lavoro attualmente
svolto non sembra riflettersi in alcun modo sulla maggiore o mino-
re propensione a partecipare a bandi per l’autoimprenditorialità;
infatti la percentuale di coloro che hanno attivato azioni di parteci-
pazione a bandi è equidistribuita tra soddisfatti e insoddisfatti.

Graf. 3.11 - Grado di soddisfazione per la retribuzione percepita e partecipazio-


ne a bandi per l’autoimprenditorialità

3% 3%
29%

65%

non sufficiente adeguata più che adeguata altro

57
Graf. 3.12 - Grado di soddisfazione per l’attuale lavoro svolto e partecipazione a
bandi per l’autoimprenditorialità

42%

58%

soddisfatti insoddisfatti

È utile a questo punto, analizzare i dati relativi alle forme di irre-


golarità parziale (lavoro grigio determinato dalle varie forme di
“irregolarità del regolare”) e alle variabili cui esso è collegato.
Dai dati ottenuti dall’indagine emerge che le forme più fre-
quenti di irregolarità risultano essere le ore di straordinario non
retribuite (36%) seguite dalle ore di straordinario retribuite in
“nero” (19%).
A ruota segue il licenziamento con conseguente riassunzione
(7%) ed infine il pagamento di un salario inferiore a quello dichia-
rato in busta paga (7%).
Occorre precisare comunque che il 62% degli intervistati non ha
risposto a questa domanda, ciò equivale ad affermare di “non esse-
re mai incorsi” in nessuna delle tipologie di irregolarità previste,
anche se ci sembra legittimo presumere una certa reticenza dietro a
tale affermazione.

58
Graf. 3.13 - L’ “irregolarità” del regolare
17%
36%
14%

14%
19%

compiere ore di straordinario non retribuite compiere ore di straordinario retribuite "in nero"
essere licenziato e poi riassunto ricevere un compenso inferiore a quello della busta paga
altro

Relativamente ai lavoratori irregolari si vede che, nella maggior


parte dei casi l’argomento della regolarizzazione non è mai stato
affrontato (32%), e ciò rimanda ad un comportamento passivo, poco
incline a denunciare gli eventuali abusi subiti, del lavoratore paler-
mitano, probabilmente determinato anche dall’eccesso di offerta che
caratterizza il mercato di lavoro meridionale.
Una percentuale più modesta di lavoratori (13%) ha proposto la
regolarizzazione ma questa non è stata accolta dal datore di lavoro.
Solo una piccolissima percentuale di lavoratori (6%) ha rifiuta-
to la regolarizzazione proposta dal datore di lavoro.
Incrociando il fenomeno del “lavoro grigio” con una delle
variabili più rilevanti (il titolo di studio), rileviamo un’associazione
positiva: esso interessa maggiormente i lavoratori con titolo di stu-
dio più elevato (Graf. 3.15).
Se si considerano solo i lavoratori regolari6, le situazioni di irre-

6
Aggregato che equivale alla somma dei lavoratori a tempo indeterminato, di
quelli a tempo determinato e dei lavoratori in prova o i tirocinanti.

59
golarità parziale sono ricondotte prevalentemente sia alle ore di
straordinario effettuate e non retribuite che al minore compenso per-
cepito rispetto quello dichiarato in busta paga.

Graf. 3.14 - Motivi della mancata “regolarizzazione”

13%
6%

49%

32%

rifiuto da parte del datore di lavoro rifiuto da parte del lavoratore


ingresso in azienda con promessa di regolarizzazione futura argomento mai affrontato

Graf. 3.15 - Titolo di studio e fenomeni di “irregolarità” del regolare

40

35

30

25

20

15

10

0
licenza elementare licenza media diploma laurea
compiere ore di straordinario non retribuite compiere ore di straordinario retribuite "in nero"
essere licenziato e poi riassunto ricevere un compenso inferiore a quello della busta paga
altro

60
L’incidenza dei fenomeni di “irregolarità” cresce con il “grado
di istruzione” del lavoratore: paradossalmente accade che il 38% dei
laureati intervistati effettuano ore di straordinario non retribuite con-
tro, rispettivamente, il 25% e il 21% dei loro colleghi con la licenza
elementare e la licenza media.
Mentre la distribuzione dei lavoratori licenziati e poi riassunti
risulta associata negativamente al titolo di studio: sono i soggetti
con titolo di studio della scuola dell’obbligo a subire, in prevalenza,
un simile tipo di trattamento scorretto (Graf. 3.15).
Sempre con riferimento ai lavoratori regolari, possiamo vedere
in quali settori di attività si concentrano le situazioni di “irregolari-
tà parziale”.
I settori di attività in cui sono più frequenti le ore di straordina-
rio non retribuite sono: il “Commercio” (28%), gli “Altri servizi pri-
vati” (26%) e i “Servizi non vendibili” (29,6%). Per quanto riguar-
da invece la percentuale di lavoratori che riceve un compenso infe-
riore a quello dichiarato nella busta paga, la più alta è stata registra-
ta nel Commercio e negli Altri servizi privati (19%).
Dai risultati dell’indagine emerge inoltre che sono proprio i
lavoratori a tempo indeterminato ad effettuare spesso ore di straor-
dinario non retribuite (42%) o retribuite in nero (23%). Il 33% dei
lavoratori in prova o in tirocinio riceve un salario inferiore a quello
dichiarato nella busta paga, percentuale che si abbassa al 25% per i
lavoratori a tempo determinato e al 7% per i lavoratori a tempo inde-
terminato.
La stessa analisi condotta per i soli lavoratori irregolari dimostra
che i diplomati, affrontano l’argomento “regolarizzazione” più fre-
quentemente dei colleghi con la licenza elementare, e che una con-
sistente percentuale di lavoratori con un titolo di studio elevato, è
stata assunta con la promessa da parte del datore di lavoro, di una
futura regolarizzazione (Graf. 3.16). E ancora, vediamo che è nel
settore del Commercio che si annidano i maggiori comportamenti di

61
irregolarità “grigia, mentre il settore in cui i lavoratori hanno affron-
tato l’argomento della regolarizzazione con il proprio datore di lavo-
ro è quello dell’Industria in s.s. (40%).
Quasi la metà dei lavoratori irregolari intervistati non ha mai
affrontato l’argomento della “regolarizzazione” con il proprio dato-
re di lavoro, mostrando così un atteggiamento passivo nei confronti
dell’abuso subito.
Il fenomeno diffuso di questo tipo di irregolarità “grigia” viene
sostanzialmente rafforzato dalla percezione (Graf. 3.17). Secondo il
5% degli intervistati, lavorano irregolarmente almeno tre persone,
secondo l’8% gli irregolari sarebbero due e secondo il 16% uno.
Fortunatamente soltanto otto intervistati (poco più dell’1%) dichia-
rano che tra questi lavoratori irregolari vi sia un minore di 14 anni,
gli altri lo escludono.

Graf. 3.16 - Titolo di studio e fenomeni di “irregolarità” dell’irregolare

90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
licenza elementare licenza media diploma laurea
rifiuto da parte del datore di lavoro rifiuto da parte del lavoratore
ingresso in azienda con promessa di regolarizzazione futura ingresso in azienda con promessa di regolarizzazione futura
argomento mai affrontato

62
Graf. 3.17 - Percezione dell’irregolarità nella propria azienda

60,00
59,65

50,00

40,00

30,00

15,79
20,00
8,42
10,00 4,91
2,11 1,23 0,35
0,88 0,18 0,35 0,35 0,18

0,00
0 1 2 3 4 5 6 7 10 11 15 18
Numero di lavoratori "irregolari" nella struttura

L’“identikit” stilizzato del lavoratore irregolare palermitano7,


emerso dall’analisi descrittiva dei dati è il seguente: è prevalente-
mente una donna (61%), nubile (60%), sotto i ventisei anni (53%);
appartiene a nuclei familiari con 3-4 componenti (52%, probabil-
mente la famiglia di origine), è mediamente istruito (diploma di
scuola media superiore o licenza media); lavora soprattutto in pic-
cole o piccolissime imprese (1 – 9 addetti: 89%) commerciali/arti-
gianali, ma anche in imprese che erogano altri servizi privati oppu-
re nella Pubblica Amministrazione; ed occupa questa posizione
lavorativa da non più di due anni (60%), ma nel 20% dei casi da
oltre sei anni.

7
Almeno uno su tre lavoratori intervistati si è dichiarato irregolare, non
tenendo conto delle “altre forme contrattuali”.

63
3.1 La stima del lavoro irregolare (totale e parziale)

Alla luce delle indicazioni emerse dalla analisi preliminare dei


dati, esposte in Appendice (A), si ritiene possibile pervenire ad una
quantificazione sufficientemente corretta del tasso di irregolarità
utilizzando la misurazione “indiretta” del fenomeno8.
I risultati che abbiamo ottenuto (Tab.3.1.1), mostrano chiara-
mente che l’occupazione irregolare è un fenomeno largamente dif-
fuso nelle piccole e piccolissime imprese e questa indicazione si
allinea a quanto riportato in bibliografia.
Dai nostri dati, però, risulta che essa è presente, seppure con ali-
quote minime, anche nel contesto delle imprese di medie dimensioni.
Utilizzando la correzione riportata in Appendice A, si perviene
ad una stima dell’occupazione irregolare che complessivamente
ammonta al 28,1%.
Tale dato risulta invero più allarmante se si considera il rappor-
to tra lavoratori irregolari e quelli regolari: l’aliquota sale al 39,1 %.
Se riportiamo questo tasso agli addetti del Censimento Intermedio
Istat (1996) (pari a circa 134000), il fenomeno interesserebbe circa
52000 unità.
Un’altra indicazione che emerge dall’indagine è quella inerente
il rilevante numero di imprese sommerse (sommerso d’impresa)9.
Queste ultime risultano ampiamente presenti nel tessuto economico
e mostrano caratteristiche endemiche, soprattutto nell’impresa indi-
viduale (Tab. 3.1.2).
Se ad una più approfondita analisi tale indicazione si dovesse
rivelare corretta, potremmo stimare, utilizzando la procedura espo-

8
Il calcolo di tale indice viene presentato in Appendice (A).
9
L’indicazione è stata ottenuta estrapolando il numero di imprese che, in base
alle indicazioni forniteci dagli intervistati, risultavano operare esclusivamente con
occupati non regolarizzati, compreso il titolare.

64
sta in Appendice (A), che il tasso di imprese in nero (in termini di
unità locali) ammonta a circa il 44% ( in termini assoluti, corrispon-
de a 23000 unità, stima basata sui dati del Censimento Intermedio
Istat del ’96).
Un’altra causa che, come si sa, alimenta il mercato del lavoro
sommerso, sono le seconde attività. Queste sono qui stimate per
difetto, poiché l’informazione veniva richiesta soltanto a coloro che
dichiaravano di essere insoddisfatti dell’occupazione principale e la
domanda rivestiva più un interesse di carattere sociologico che sta-
tistico.

Tab. 3.1.1 - Unità Locali per classe di addetti e percentuale di occupati irregolari
Distribuzione delle UL distribuzione delle UL
Classe di Addetti Percentuale di irregolari nel campione al censimento.'96
1 57,5 7,3 25,18
2 52,24 12,3 10,66
3 -- 5 34,77 27,1 13,69
6 -- 9 30,52 16 7,68
10 --15 16,11 11,8 5,74
16 -- 19 0,09 2,3 2,21
20 -- 49 0,61 7,7 8,41
50 -- 99 0,01 6,8 5,3
100 --199 0,13 2 5,18
200 -- 249 0 1,4 1,5
250 -- 499 0 2,1 4,5
500 -- 999 0 1,2 7,14
1000 e più 0 2 2,81

Tab. 3.1.2 - Sommerso d’impresa per classe di addetti


Numero di addetti Percentuale di "nero"
1 57,5
2 30,4
3 13,9
4 7,3
5 5,1
6 4,9

65
Nonostante questi vincoli, veniamo a sapere che il 27% dei
lavoratori “non appagati” svolge una seconda attività; se questa
informazione dovesse realmente riguardare soltanto i soggetti insod-
disfatti – e siamo i primi a dubitarne – il fenomeno interesserebbe il
10% degli occupati; indicazione questa, che aggiunta alle preceden-
ti, fa ulteriormente lievitare la quota delle attività irregolari.
Abbiamo altresì rilevato il consistente fenomeno del “sommer-
so grigio” (irregolarità parziale): infatti oltre la metà dei lavoratori
regolari (a tempo determinato e indeterminato) segnala sistematici
comportamenti scorretti da parte del datore di lavoro: precisamente
il 52%.
Tali comportamenti riguardano l’espletamento di ore di straor-
dinario che non vengono retribuite (questo è l’abuso più frequente
e riguarda il 33% delle scorrettezze denunciate) lo straordinario
pagato fuori busta, una retribuzione inferiore a quella pattuita, la
prassi di licenziamento e riassunzione periodica, il sottoporre l’as-
sunzione del lavoratore alla contemporanea sottoscrizione di lette-
ra di dimissioni in bianco, nonché la frequente coesistenza di più
violazioni.

66
3.2 Il “rischio” di essere irregolare.

I risultati del logit stimato10 (vedi Appendice (B)) ci permettono


di fornire un’interpretazione dei coefficienti Exp(B) anche nel senso
di “fattori di rischio” della condizione irregolare.
Con riferimento al primo modello (IRREG) occorre in primo
luogo osservare l’ordine di ingresso delle esplicative che “clamoro-
samente” esclude, in quanto non significativa, la variabile “Settori
di Attività”: al primo passo dell’algoritmo entra la variabile “Età”
che segnala come per le persone con più di 25 anni il rischio di irre-
golarità si riduce progressivamente di un terzo, divenendo però un
po’ più elevato per i lavoratori più anziani (maggiori di 45 anni).
La variabile sesso è la seconda ad entrare nel modello, confer-
mando la particolare associazione tra la partecipazione femminile al
mercato del lavoro e la condizione di irregolarità nella provincia di
Palermo: le femmine hanno un rischio di irregolarità di 2.58 volte
più elevato di quello dei maschi.
Al terzo e quarto passo entrano le variabile “Istruzione” e
“Durata” che offrono un’analoga informazione: il rischio di irrego-
larità si riduce al crescere del titolo di studio e, in modo meno evi-
dente, della permanenza nella posizione lavorativa occupata al
momento dell’indagine (anzianità di servizio), rinviando ulteriori
commenti ad una verifica dell’effetto “interazione” di queste due
variabili.
Un’interpretazione economica e sociale di tale risultato può
essere ricondotta alla struttura economica e produttiva della provin-
cia di Palermo, basata su un terziario di matrice pubblica, dove le
dinamiche di carriera sono legate fortemente alla formazione supe-
riore.

In questa fase si è deciso di considerare soltanto gli effetti principali, esclu-


10

dendo così le possibili interazioni tra le esplicative considerate.

67
La variabile relativa all’anzianità lavorativa, seppur non sempre
significativa, presenta un valore di Exp(B) di 0,48 rispetto alla cate-
goria di riferimento (persone che hanno da 2 a 4 anni di permanen-
za nella posizione) ed un valore leggermente crescente alla modali-
tà 3 (persone che hanno da 4 a 6 anni di permanenza nella posizio-
ne), ciò può interpretarsi come una relativa persistenza del rischio di
irregolarità anche oltre i 5 anni dall’ingresso nel mercato del lavoro.
La variabile relativa al grado di istruzione, il cui coefficiente è
statisticamente non significativo per la categoria dei licenziati della
scuola media, sembra suggerire comunque l’ipotesi di una relazione
discordante tra “Istruzione” e “Irregolarità”.

Tab. 3.3.1 - Il modello logistico “IRREG”


Variabile N. step di B S.E. p-valore*** Exp(B)
entrata*
Sesso 2 (15, 504) 0,000
Sesso (1) 0,947 0,219 0,000 2,578
Età 1 (87,876) 0,000
Età (1) - 1,081 0,266 0,000 0,339
Eta (2) - 0,929 0,366 0,011 0,395
Istruzione 3 (19,072) 0,000
Istruzione (1) - 0,266 0,535 0,619 0,766
Istruzione (2) -1,301 0,543 0,017 0,272
Istruzione (3) - 1,904 0,611 0,002 0,149
Durata 4 (27, 437) 0,000
Durata (1) - 0,726 0,346 0,036 0,484
Durata (2) - 0,548 0,390 0,160 0,578
Durata (3) - 1,598 0,317 0,000 0,202
costante 0 (717,577**) - 0, 611 0,180 0,001 0,543
La percentuale complessiva di corretta classificazione è del 76,2.
* Tra parentesi è riportato il guadagno nella bontà della stima del modello conseguente all’introdu-
zione della nuova variabile. La bontà è misurata dalla differenza tra i valori di –2LL del modello cor-
rente e di quello successivo. I valori sono altamente significativi.
** È il valore iniziale di –2LL, relativo cioè al modello con la sola costante.
*** In corsivo sono evidenziati i valori non significativi al 5%.

68
Tab. 3.3.2 - Il modello logistico “NONREG”
Variabile N. step di B S.E. p-valore*** Exp(B)
entrata*
Sesso 4 (13,243) 0,000
Sesso (1) 0,819 0,229 0,000 2,267
Età 1 (83,491) 0,000
Età (1) - 1,139 0,281 0,000 0,320
Età (2) - 1,002 0,378 0,008 0,367
Istruzione 3 (27,195) 0,000
Istruzione (1) - 1,011 0,641 0,115 0,364
Istruzione (2) - 2,082 0,650 0,001 0,125
Istruzione (3) - 2,542 0,712 0,000 0,079
Durata 2 (18,706) 0,000
Durata (1) - 0,731 0,357 0,041 0,481
Durata (2) - 0, 488 '0,414 0,239 0,614
Durata (3) -1,553 0,325 0,000 0,212
costante 0 (656,271**) -0,204 0,203 0,314 0,815
La percentuale di corretta classificazione è 73,6.
* Tra parentesi è riportato il guadagno nella bontà della stima del modello conseguente all’introdu-
zione della nuova variabile. La bontà è misurata dalla differenza tra i valori di –2LL del modello cor-
rente e di quello successivo.
** È il valore iniziale di –2LL, relativo cioè al modello con la sola costante.
*** In corsivo sono evidenziati i valori non significativi al 5%.

Va infine notato come, osservando il valore relativo alla “per-


centuale di corretta classificazione”, il modello migliore risulta esse-
re quello relativo a IRREG in quanto classifica correttamente il
76,2% dei lavoratori palermitani.
È opportuno sottolineare anche come, sebbene la regressione
logistica sia stata utilizzata in senso confermativo rispetto a precise
ipotesi formulate prima della rilevazione, tale approccio multivaria-
to non è esente da limiti dal punto di vista interpretativo, in ragione
soprattutto della natura del fenomeno studiato che, in quanto riferi-
to alla sfera sociale, è soggetto a complessità strutturale, molteplici-
tà della struttura associativa e forte variabilità nello spazio tra le
unità statistiche.

69
4. L’indagine sulle imprese

Il questionario somministrato agli imprenditori si propone di


indagare su cinque ambiti di interesse ed è idealmente suddiviso in
cinque sezioni: la prima riguarda i dati anagrafici ed il profilo dell’a-
zienda (dom 1 –7), la seconda comprende le modalità di assunzione e
le tipologie occupazionali (dom. 8 -9 e dom.20), la terza sezione,
invece, si concentra sulle forme di utilizzo delle normative a favore
dello sviluppo e dell’occupazione (dom.10-16); ancora, la quarta
sezione tende a conoscere le previsioni che le imprese fanno riguardo
all’ampliamento dell’organico e degli impianti produttivi e l’eventua-
le ricorso a contributi o agevolazioni finanziarie (dom.17 – 19b).
L’ultima parte del questionario si sofferma sulla percezione che
gli imprenditori hanno del lavoro sommerso e sulla valutazione rela-
tiva, riguardo i fattori che lo causano (dom. 22-26). Le imprese
intervistate nel territorio provinciale palermitano sono state 254, di
cui 143 residenti nel territorio urbano e le restanti 141 distribuite in

Tab. 4.1 - Indicatori “Uso del Suolo”

Superficie Comune Urb_tot Urb_rel Prod Trasf


(Kmq) (%) (%) (%) (%)
159,45 Palermo 0,44 0,94 0,01 0,01
78,21 Termini Imerese 0,06 0,45 0,54 0,01
30,03 Sciara 0,03 0,56 0,00 0,44
29,99 Bagheria 0,20 0,85 0,02 0,13
20,88 Trabia 0,06 1,00 0,00 0,00
Fonte: Carta dell’Uso del Suolo, Progetto Corine - Landcover, Regione Siciliana, 1994

LEGENDA:
Urb_tot: % di superficie del comprensorio comunale con “territori modellati artificialmente”
Urb_rel: % di superficie modellata artificialmente destinata a “zone urbanizzate”
Prod: % di superficie modellata artificialmente destinata a “zone produttive e infrastrutture”
Trasf: % di superficie modellata artificialmente destinata a “zone in trasformazione11”

70
alcuni paesi della “cintura” palermitana, prevalentemente nella zona
ad est della città (Bagheria, Trabia, Termini Imerese): si tratta di un
territorio caratterizzato da un profilo dell’uso del suolo a prevalen-
za rurale, con basse percentuali di “urbanità complessiva” general-
mente a “tessuto denso” (Urbanità relativa, URB_REL); bassa è la
superficie specificatamente dedicata ad insediamenti produttivi
(aree industriali, infrastrutture generiche, porti e aeroporti) eccetto,
ovviamente, che per il comune di Termini Imerese e, in parte, del
comune di Palermo.

Fig. 4.1 - I comuni della cintura palermitana

11
Tale categoria prevista dalla “Carta Uso del Suolo”, comprende i territori
in cui sono stati rilevati a livello fotogrammetrico, aree in costruzione, escavazio-
ni, suoli rimaneggiati, discariche e aree estrattive.

71
Tale notazione risulta estremamente interessante: le unità pro-
duttive palermitane che sono state intervistate si localizzano all’in-
terno del tessuto urbano, e il loro comportamento può essere inter-
pretato alla luce del modello di “industrializzazione leggera” di cui
parla Meldolesi (1999).
Si tratta di imprese abbastanza “giovani”, sorte prevalente-
mente nel periodo che va dal 1980 al 2002 (Tab. 4.2), solo il 3,1%
delle intervistate ha dichiarato un anno di costituzione anteriore al
1970. Si tratta, all’85%, di imprese unilocalizzate, mentre solo il
15% ha dichiarato di possedere altre unità locali; tra le imprese
plurilocalizzate il 49% possiede più unità locali residenti nel terri-
torio del comune di Palermo e il 38% ha più unità locali a Termini
Imerese.

Tab. 4.2 - Età di costituzione dell’azienda


Frequenze assolute Frequenze relative (%)
prima del 1970 8 3,1
1971-1980 19 7,5
1981-1990 76 29,9
1991-2002 146 57,5
dopo 2002 3 1,2
TOTALE 254 100

Dal punto di vista della distribuzione per branca produttiva, le


imprese intervistate risultano appartenere in prevalenza al macro
settore dei servizi privati, con particolare riferimento al
“Commercio” e agli “Altri servizi vendibili”; tale distribuzione
riflette sostanzialmente quella delle imprese attive, riscontrata nel
registro Movimprese di Infocamere (Graf. 4.2a e Graf. 4.2b).
Le imprese intervistate sono organizzate soprattutto nella forma
della ditta individuale (55,5%), solo il 24,4% sceglie la forma di una
società di capitali (di solito Srl), mentre bassissima è la percentuale
di imprese familiari (2,4%).

72
Tab. 4.3 - Settore di attività
Frequenze assolute Frequenze relative (%)
Industria in s.s. 15 5,9
Costruzioni 18 7,1
Commercio 129 50,8
Turismo e Trasporti 17 6,7
Credito e Assicurazioni 7 2,8
Altri Servizi Vendibili 68 26,8
Totale 254 100

Tab. 4.4 - Forma giuridica


Frequenze assolute Frequenze relative (%)
Associazione 1 0,4
Concessione governativa 1 0,4
ditta individuale 141 55,5
impresa familiare 6 2,4
SAS 24 9,4
SNC 42 16,5
SPA 6 2,4
SRL 32 12,6
studio professionale 1 0,4
Totale 254 100

Graf. 4.2a - Distribuzione per branca delle imprese attive (2002)


4% 0%
6% 1%
1% 1% 19%

3% 2%
0% 0%
3% 11%

0%

39%
10%
Agricoltura, caccia e silvicoltura Pesca,piscicoltura e servizi connessi
Estrazione di minerali Attivita' manifatturiere
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua Costruzioni
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la cas Alberghi e ristoranti
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz. Intermediaz.monetaria e finanziaria
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca Istruzione
Sanita' e altri servizi sociali Altri servizi pubblici,sociali e personali
Serv.domestici presso famiglie e conv. Imprese non classificate

Fonte: Nostra elaborazione su dati Movimprese.

73
Graf. 4.2b - Distribuzione per tipologia giuridica delle imprese attive (2002)

4% 7%
11%

78%

Società di Capitale Società di Persone


Ditte Individuali Altre forme

Fonte: Nostra elaborazione su dati Movimprese.

Anche da questo profilo, il campione selezionato appare pro-


porzionato rispetto alla distribuzione che si ricava dall’archivio di
Infocamere.
Le imprese intervistate risultano avere anche una bassa propen-
sione all’esportazione e i loro circuiti economici sono configurabili
come relazioni corte: gli intervistati (nel l’81,5% dei casi si tratta del
titolare dell’impresa stessa) stimano che, mediamente, il 90,8%
della propria produzione si rivolge al mercato locale e il 17,9%
appena a quello regionale. Bassissima è la percentuale di imprese
che esportano nel resto di Italia (0,8%) e fuori l’Italia (0,8%), dato
peraltro abbastanza “variabile”, come si può osservare dal coeffi-
ciente di variazione (Tab. 4.5).

74
Tab. 4.5 - Mercati di sbocco
Valore medio Deviazione standard CV(*)

Mercato locale 90,8 23,3 0,3


Mercato regionale 6,7 17,9 2,7
Mercato nazionale 1,9 9,0 4,8
Mercato estero 0,8 4,6 5,6
(*)
Coefficiente di variazione, calcolato come rapporto tra deviazione standard e valore medio.

Per ciò che concerne la dimensione aziendale del campione


osservato, occorre sottolineare la prevalente presenza di piccole e
piccolissime realtà produttive: si tratta di imprese con massimo 5,4
addetti in media e solo il 3,1% del totale di esse ha più di 20 addet-
ti; osservando peraltro il campo di variazione12 non elevato, si può
affermare come l’impresa “più grande” intervistata abbia al massi-
mo 59 addetti, dimensione che rientra tra le categorie delle “medie
imprese” prevista da Eurostat (classe 50 - 249)13.

Il campo di variazione (range) è una delle misure più ingenue della varia-
12

bilità di una distribuzione statistica. Nel nostro caso esso coincide con il valore
massimo, dal momento che il numero minimo di addetti è zero, anche se tale valo-
re ha una frequenza relativa dell’1,6% equivalente ad appena 4 imprese intervi-
state su 254.
13
Il dibattito sulla classificazione dimensionale è molto interessante e si con-
fronta, nelle economie occidentali, con la riduzione progressiva delle dimensioni
medie. Vale la pena di citare in questa sede, la definizione proposta dalla Legge
317/91 che sancisce, per l’ordinamento italiano, le caratteristiche delle piccole e
medie imprese: si parla di piccola impresa industriale nel caso di impresa con non
più di 50 dipendenti e un fatturato non superiore ai 5 milioni di ECU e di media
impresa industriale nel caso di imprese con dipendenti compresi tra 51 e 250 e un
fatturato non superiore a 20 milioni di ECU; mentre la piccola impresa di servizi è
quella con non più di 20 dipendenti e un fatturato medio annuo non superiore a 1,9
milioni di ECU e la media impresa di servizi è quella con dipendenti compresi tra
21 e 95 addetti e un fatturato medio annuo non superiore a 7,5 milioni di ECU.

75
È molto interessante analizzare l’informazione che si ricava dis-
aggregando per settore di attività economica e osservando il valore
sintetico dell’indice di posizione: esso si rivela più elevato per
l’Industria in senso stretto (23 addetti in media) e più basso per il
settore dei servizi (4 addetti in media nelle imprese del
“Commercio”, 3,5 addetti in media per le imprese del “Turismo e
dei Trasporti” e 3,7 addetti in media per le imprese operanti negli
“Altri servizi vendibili”) come si evince dalla Tabella 4.6.
Tab. 4.6 - Distribuzione delle imprese per settore di attività e classe di addetti
Industria Costruzioni Commercio Turismo e Credito e Altri Totale
in s.s. trasporti assicurazioni servizi
vendibili
da 0 a 5 addetti 13,3 44,4 85,3 70,6 42,9 88,2 76,8
da 6 a 10 addetti 6,7 38,9 11,6 29,4 28,6 7,4 13,8
da 11 a 20 addetti
da 20 a 59 addetti
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

da 0 a 5 addetti 1,0 4,1 56,4 6,2 1,5 30,8 100,0


da 6 a 10 addetti 2,9 20,0 42,9 14,3 5,7 14,3 100,0
da 11 a 20 addetti
da 20 a 59 addetti
Totale 5,9 7,1 50,8 6,7 2,8 26,8 100,0

Valore medio * 23 7 4 3.5 8 3.7 5,4


* Si tratta di una media aritmetica ponderata.

Tab. 4.7 - Struttura media dell’occupazione


n° dirigenti n° impiegati n° operai specializzati n° operai generici Altro
Valore Medio 1,1 2,3 1,3 0,5 0,3
Deviazione Standard 0,9 3,3 4,3 1,9 1,1
Campo di variazione 7 24 30 20 10
Valore minimo 0 0 0 0 0
Valore massimo 7 24 30 20 10
CV 0,8 1,4 3,4 3,5 4,2
Non risposte 2 4 4 4 4
Totale intervistati 252 250 250 250 250
(*) Coefficiente di variazione, calcolato come rapporto tra deviazione standard e valore medio.

L’articolazione interna delle figure professionali tende a “com-


plessificarsi” in ragione ovviamente dell’aumento delle dimensio-

76
ni medie di impresa (Tab. 4.7): le imprese hanno mediamente 2,3
impiegati (ma una singola azienda può arrivare ad averne 24) e 1,3
operai specializzati (ma c’è anche chi ne ha 30) e solo una delle
aziende arriva a 7 dirigenti, mentre in media, nel complesso dei
settori di attività osservati, le figure “manageriali” sono media-
mente 1,1.
È importante notare la prevalenza di figure impiegatizie e
“dirigenziali”, informazione che viene rafforzata dall’incrocio con
la branca “Commercio”14, che suggerisce uno scenario fatto di
microaziende dalla struttura produttiva molto gerarchizzata, con
stile di direzione paternalistico, con bassa tendenza all’innovazio-
ne e basso orientamento alla specializzazione: l’impiegato (o l’o-
peraio) è un “tuttofare” che affianca l’imprenditore-padrone (o i
suoi stretti collaboratori, generalmente familiari) nella gestione
ordinaria.

Tab. 4.8 - Tipologia contrattuale


Valore medio Deviazione standard

occupati a t. indeterm. 4,9 7,7


occupati a t. determ 0,6 1,6
occupati in prova e tir. 0,1 0,5
occupati altro 0,1 0,8

Per ciò che concerne la “tipologia contrattuale”, mediamente le


aziende hanno 5 lavoratori a tempo indeterminato e tra queste quasi
il 59% ha al massimo tre dipendenti (Tab. 4.8), mentre bassissimo è

14
Cioè della branca di attività più numerosa non solo nel campione osserva-
to, ma anche nel complesso delle attività economiche presenti nella provincia di
Palermo.

77
il valore medio dell’occupazione a tempo determinato, così come
poco rilevanti sono i casi dei lavoratori in prova o tirocinanti.
Graf. 4.3 - Canali di reclutamento

4%
10%
2%
3%

81%

relazioni personali relazioni non personali altro entrambe diverse

Il sistema di reclutamento della forza lavoro è sostanzialmente


affidato ai canali informali: prevalgono le “conoscenze personali”
sui canali formali (agenzie per l’impiego, ex- collocamento, annun-
ci economici).
Pare interessante notare il consistente tasso di non risposta a
questa domanda che si assesta al 20%.
Il 54,7% degli imprenditori dichiara di non essersi avvalso mai
delle opportunità offerte dalla legislazione a sostegno dell’occupa-
zione e del lavoro regolare: gli imprenditori meno disposti15 a ricor-
rere alle agevolazioni sono quelli del settore dei servizi (70,6% nel

15
Meno intraprendenti o meno interessati: probabilmente sono le due facce
della stessa medaglia del “sottodimensionamento” dell’impresa palermitana.

78
settore “Turismo e Trasporti”, 60% nel “Commercio” e 43% negli
“Altri servizi vendibili”), ma anche del settore delle Costruzioni
(60%), valore che sorprende, anche se è riferito ad un piccolo grup-
po di imprese (18 sulle 254 imprese intervistate). Così come si
osserva dalla Tab. 4.9b, coloro che utilizzano agevolazioni a soste-
gno dell’occupazione sono concentrati soprattutto nelle due classi
centrali comprese tra sei e 20 addetti, mentre chi rifiuta l’utilizzo di
agevolazioni è compreso nelle classi più estreme: il 61% delle
imprese comprese nella classe 0 – 5 addetti e il 75% delle imprese
con più di 20 addetti.

Tab. 4.9a - Utilizzo di agevolazioni a sostegno dell’occupazione per settore di


attività (valori %)
Industria in Costruzioni Commercio Turismo e Credito e Altri servizi Totale
s.s. trasporti assicurazioni vendibili

si 46,7 38,9 37,2 29,4 85,7 52,9 42,9


no 53,3 61,1 60,5 70,6 14,3 42,6 54,7
Non risponde

Totale 100 100 100 100 100 100 100

Tab. 4.9b - Utilizzo di agevolazioni a sostegno dell’occupazione per dimensione


aziendale (valori %)
da 0 a 5 addetti da 6 a 11 addetti da 11 a 20 addetti oltre 20 addetti Totale
si 36,4 65,7 81,3 25,0 42,9
no 61,0 31,4 18,8 75,0 54,7
Non risponde
Totale 100 100 100 100 100

Solo il 10% di chi non utilizza delle agevolazioni ha specifica-


to come causa principale l’inadeguatezza dal punto di vista delle
informazioni disponibili, ma generalmente le motivazioni principa-
lei risalgono alla indisponibilità ad ampliare la base occupazionale o
alla mancanza di significative opportunità economiche percepite.

79
Il 42,5% del campione ha dichiarato, invece, di apprezzare le age-
volazioni esistenti ai fini del reclutamento per la propria organizza-
zione aziendale: il 43% di questi dichiara di utilizzare diverse misure,
ma la preferenza netta è verso la forma del “credito d’imposta” (32%),
mentre una bassissima percentuale di imprenditori utilizza esplicita-
mente le leggi per l’emersione e i contratti di riallineamento (2%).
L’attuale prospettiva “attendista” (scarsa propensione ad amplia-
re la base occupazionale, manifesta valutazione di non convenienza
economica delle misure a favore dell’occupazione, scarso utilizzo
delle norme a favore dell’emersione) dimostrata dagli intervistati
viene confermata allorquando agli imprenditori viene richiesta una
previsione relativa a possibili future assunzioni: solo il 21,6% afferma
di voler assumere nuova forza lavoro, e tale proporzione è verificata
in quasi tutte le branche produttive, mentre solo il settore del “Credito
e delle assicurazione” presume di effettuare una rilevante percentuale
di nuove assunzioni (71%), (cfr. Tab. 4.10a e Tab. 4.10b).
Tra chi intervistato intende assumere nell’immediato futuro, il
33% ritiene di farlo anche grazie a diverse agevolazioni: in partico-

Tab. 4.10a - Disponibilità ad assumere in futuro per settore di attività (valori %)


Industria in Costruzioni Commercio Turismo e Credito e Altri Totale
s.s. trasporti assicurazioni servizi
vendibili

SI 26,7 11,8 11,8 25,0 71,4 35,3 21,6


NO 73,3 88,2 88,2 75,0 28,6 64,7 78,4

Totale 100 100 100 100 100 100 100

Tab. 4.10b - Disponibilità ad assumere in futuro per dimensione aziendale (valori %)


da 0 a 5 addetti da 6 a 10 addetti da 11 a 20 addetti oltre 20 addetti Totale

SI 20,6 24,2 26,7 25,0 21,6


NO 79,4 75,8 73,3 75,0 78,4

Totale 100 100 100 100 100

80
lare il 43,5 % afferma di voler utilizzare diverse forme (PIP, credito
di imposta, leggi a favore dell’emersione) e risulta la forma del cre-
dito di imposta quella preferita per “creare nuova occupazione” (il
32,4% degli imprenditori ha dichiarato di volersene avvalere per le
nuove assunzioni).
Il 77% del campione, al contrario, afferma di non prevedere
nuove assunzioni soprattutto perché “non ne ha necessità”, ma sol-
tanto il 30% di questi confessa di “non poter sopportare” il costo di
nuove assunzioni.
Vale la pena, peraltro, di aggiungere che il costo del lavoro per
addetto, in particolare nel settore dei servizi, nella Provincia di
Palermo è sostanzialmente in linea a quello del resto della regio-
ne: le stime dell’Istituto “G. Tagliacarne” per il 2000 presentava-
no un valore di u 25.000 per addetto per le società di capitale del
terziario, a fronte di u 20.500 per addetto del totale regionale e di
u 24.400 del totale nazionale.

Tab. 4.11 - Utilizzo di agevolazioni, contributi e finanziamenti per settore e


dimensione (valori %)*
da 0 a 5 addetti da 6 a 10 addetti da 11 a 20 addetti oltre 20 Totale
addetti
Utilizza contributi e 12,0 28,6 37,5 87,5 18,4
agevolazioni

Ricorre al 7,7 17,6 37,5 50,0 12,3


finanziamento pubblico
Si avvale di agevolazioni 36,4 65,7 81,3 25,0 42,9
per assumere

Industria Costruzioni Commercio Turismo e Credito e Altri Totale


in s.s. trasporti assicurazioni servizi
vendibili
Utilizza contributi e 73,3 22,2 11,1 11,8 14,3 20,9 18,4
agevolazioni

Ricorre al 53,3 22,2 6,3 0 0 16,2 12,3


finanziamento pubblico
Si avvale di agevolazioni 46,7 38,9 37,2 29,4 85,7 52,9 42,5
per assumere

* Il tasso di Non risposta alle tre domande è molto basso (inferiore al 4%)

81
Anche se rispetto al totale degli intervistati rileviamo percen-
tuali molto basse, occorre sottolineare l’informazione che si ricava
dalla disaggregazione settoriale; sono in genere le imprese con più
di 20 addetti che dichiarano di avere ottenuto contributi e agevola-
zioni (87,5%) prevalentemente nel settore dell’Industria in s.s.
(73,3%), così come nel caso dei finanziamenti pubblici, mentre l’u-
nica eccezione in tal senso è quella relativa all’utilizzo di misure a
sostegno dell’occupazione, di cui si è già parlato.
Poco consistente è anche il ricorso a forme occupazionali “atipi-
che” (Tab. 4.12): al primo posto troviamo il lavoro a termine, mentre
poche sono le imprese che utilizzano forme di compartecipazione dei
dipendenti; basso è anche l’utilizzo del lavoro interinale. Allargando
lo sguardo ai meccanismi di finanziamento utilizzati dalle aziende del
campione, viene confermata l’idea di una bassa propensione ad inve-
stire dimostrata dagli imprenditori palermitani intervistati.
Solo il 18% di essi dichiara di avere ottenuto contributi o age-

Tab. 4.12 - Forme atipiche utilizzate


1° Lavoro a termine (9)
2° Lavoro interinale (5)
3° Lavoro a progetto (4)
4° Lavoro a intermittenza (3)
5° Lavoro in subappalto (2)
6° Forme di associazione in partecipazione (2)
Tra parentesi il dato della numerosità.

volazioni, anche se si verifica una tendenza confortante: l’utilizzo


delle misure di incentivo e il ricorso ad agevolazioni si addensa
negli anni successivi al ‘93, in corrispondenza sia della “nuova poli-
tica dei redditi” avviatasi in quel periodo, sia con l’avvento della
nuova politica strutturale dell’Unione Europea. Infatti se si incrocia
il dato del ricorso a contributi e agevolazioni con l’anno di costitu-
zione, tale dinamica è decisamente confermata: le imprese “più gio-

82
vani” sono più sensibili alle politiche di incentivazione, sempre più
indirizzata all’innovazione tecnologica dell’apparato produttivo e
alla diversificazione delle “aree strategiche di affari” (Tab. 4.13).

Tab. 4.13 - Motivo del ricorso alle agevolazioni secondo l’età dell’azienda (valori %)
Ampliamento Sostituzione Introduzione Diversificazione Altro (1) + (3) (2) + (3) Totale
Impianti Impianti di Nuove della Produzione
Tecnologie
(1) (2) (3) (4) (5)
prima del 1970 10 0 0 0 0 0 0 4,9
1971-1980 10 0 14,3 33,3 0 0 0 12,2
1981-1990 15 60 28,6 33,3 0 0 100 26,8
1991-2002 65 40 57,1 33,3 100 100 0 56,1
TOTALE 100 100 100 100 100 100 100 100

prima del 1970 100 0 0 0 0 0 0 100


1971-1980 40 0 20 40 0 0 0 100
1981-1990 27,3 27,3 18,2 18,2 0,0 0,0 9,1 100
1991-2002 56,5 8,7 17,4 8,7 4,3 4,3 0,0 100
TOTALE 48,8 12,2 17,1 14,6 2,4 2,4 2,4 100

I finanziamenti sono generalmente di provenienza “regionale”,


anche se all’origine di questi vi sono misure comunitarie, mentre il
finanziamento nazionale più utilizzato (o forse si dovrebbe dire “più
riconosciuto”) è la legge 488/92 e, in genere, vengono utilizzate le forme
agevolative in conto capitale, tuttavia occorre anche dire che ciò dipen-
de sia dalla distribuzione settoriale che dalla dimensione aziendale.
Apparentemente contraddittoria appare la risposta fornita alla
domanda relativa al ricorso a “finanziamenti pubblici”: solo il 12%
degli imprenditori afferma di averlo fatto, riconoscendo in tale fatti-
specie di agevolazione soprattutto le forme di programmazione
negoziata (Patti territoriali, Contratti d’area e simili).
Il restante 88% degli intervistati sostiene di non essere mai
ricorso a simili forme di incentivo, soprattutto perché si dichiara dis-
interessata (44,5%) mentre il 29,6% afferma di essere poco infor-
mato al riguardo e il 25,2% le trova “poco convenienti”.
Non sembra peraltro giocare un ruolo rilevante né la differen-
ziazione delle unità produttive né la variabile dimensionale, infatti

83
sia le imprese plurilocalizzate che quelle con un’unica unità locale,
sia le ditte individuali che le imprese di dimensioni medie (con più
di 10 addetti) rispondono con percentuali simili.
La percezione del “sommerso” è elevata: il 73% degli intervi-
stati lo considera come una “caratteristica” fortemente presente nel
settore in cui opera.
Particolarmente rilevante si rivela nei settori tipicamente più “a
rischio”: Costruzioni, Commercio e Industria gli Altri servizi vendibili.

Tab. 4.14 - Percezione del “Sommerso” nei diversi settori di attività (valori %)
Industria in s.s. Costruzioni Commercio Turismo Credito Altri Servizi Totale
e Trasporti e Assicurazioni Vendibili
SI 73,3 94,4 77,2 60,0 42,9 64,2 72,7
NO 26,7 5,6 22,8 40,0 57,1 35,8 27,3

100 100 100 100 100 100 100

Industria in s.s. Costruzioni Commercio Turismo Credito Altri Servizi Totale


e Trasporti e Assicurazioni Vendibili
SI 6,1 9,4 54,1 5,0 1,7 23,8 100
NO 5,9 1,5 42,6 8,8 5,9 35,3 100

6,0 7,2 51,0 6,0 2,8 26,9 100

Abbiamo chiesto agli intervistati una valutazione della presenza


del sommerso nella propria realtà economica16: tale valutazione è stata
ottenuta “sintetizzando” le informazioni ricavate dalle risposte ottenu-
te a tre tipi di domande (vedi Appendice E) che richiedevano la quan-
tificazione della percentuale di imprese “in nero”, la percentuale di
lavoratori “in nero” e di imprese completamente sommerse.
Incrociando tali risposte con il settore di attività, con l’anzianità
dell’azienda e con le dimensioni aziendali, abbiamo osservato che

16
È presumibile che, viste le ridotte dimensioni e il sistema di relazioni
“corte” dell’impresa, la percezione del sommerso sia ascrivibile soprattutto ad un
ristretto ambito territoriale ed economico.

84
hanno manifestato una percezione più alta17 (pari a valori dal 30% al
50%) le aziende con dimensione inferiore ai 5 addetti, operanti nel set-
tore del Commercio e con almeno 10 anni di esperienza18: tale infor-
mazione è simile nella distribuzione delle risposte alle tre domande.
Tuttavia la necessità di quantificare un valore sintetico, ci ha
condotto a calcolare un valore medio, per il totale economia,
“schiacciando” o, per meglio dire “collassando”19 l’informazione
settoriale, dimensionale e relativa all’età.
Abbiamo così effettuato una media ponderata dei valori relativi
alle percentuali valutate dagli imprenditori intervistati, consideran-
do tali valori in senso “cardinale”20: il risultato ottenuto è rappresen-
tato nella seguente Tabella 4.15.
Tab. 4.15 - Valutazione complessiva del fenomeno sommerso da parte degli
imprenditori per settore di attività*
Industria Costruzioni Commercio Turismo Credito Altri Totale
PUNTEGGIO MEDIO in s.s. e e Assic. Servizi
Trasporti Vend.
%
di imprese in nero 6.1 9.6 23.14 5.2 0.4 12.25 27.5

%
di lavoratori in nero 5.2 9.3 22.3 5.3 0.4 13.1 26.7

N° di imprese 0 0 1 0 0 1 2
totalmente in nero

*Le non risposte sono state considerate come risposte nulle.

17
Ci si riferisce al valore “modale”, cioè quello che ha ottenuto la frequenza
massima.
18
Le imprese costituite prima del 1970 “non sembrano” avere consapevolez-
za del fenomeno oppure dobbiamo ritenere che esiste un alto tasso di reticenza tra
gli imprenditori “più anziani”.
19
Con tale espressione, si intende la riduzione dimensionale all’interno del-
l’analisi di tabelle di contingenza, per ulteriori approfondimenti si veda il testo di
Agresti citato in bibliografia.
20
“Per i caratteri ordinali può manifestarsi l’interesse ad una quantificazione
delle rispettive modalità, cioè l’assegnazione di valori numerici interpretabili

85
Infine risulta interessante osservare le cause determinanti il
fenomeno sommerso: all’invito a produrre una graduatoria di pun-
teggi rispetto a tre ordini di motivazioni, gli imprenditori hanno
individuato tra le cause maggiormente incidenti i fattori economici,
ossia quelli relativi alla complessiva gestione e organizzazione
aziendale, più che quelli fiscali, mentre hanno dato punteggi infe-
riori ai fattori legali, cioè ai vincoli burocratici e amministrativi;
dalla Tabella 4.15 si osserva come la quasi perfetta discordanza tra
la graduatoria dei fattori economici e quella dei fattori legali, e
ovviamente la discordanza tra i punteggi assegnati alle cause eco-
nomiche e a quelle fiscali.
La ripartizione è, pur nella sua voluta sfocatezza, evocativa di
come il sommerso oggi venga considerato una risposta di sopravvi-
venza economica da parte dell’imprenditore palermitano.

Tab. 4.16 - I fattori che alimentano il sommerso (punteggi da 1 a 10)

cause economiche cause fiscali cause legali altro


1 0,9 6,6 29,5 30,8
2 0,4 7,9 25,0 15,4
3 0,0 5,2 18,6 11,5
4 1,3 6,1 7,7 4,8
5 4,8 4,4 6,8 3,8
6 7,5 6,6 4,5 8,7
7 7,5 12,7 2,7 8,7
8 16,2 18,8 2,7 4,8
9 29,8 13,5 0,0 2,9
10 31,6 18,3 2,3 8,7

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Non risponde 10,2 9,8 13,4 59,1


* Le non risposte sono state considerate come risposte nulle.

come misure del fenomeno considerato e non semplicemente come codici delle
categorie dello stesso” così si esprimeva il Grazia Resi citato in Zani (1997).

86
5. Conclusione

Il costante e intenso mutamento strutturale del mercato del lavo-


ro, del sistema produttivo e della società tutta hanno comportato una
ricerca di nuove definizioni e di strumenti di misura sempre più ade-
guati a tener conto dei molteplici e nuovi aspetti fenomenologici.
Questa esigenza è particolarmente sentita nell’ambito delle
misure statistiche relative al mercato del lavoro, che ha subito negli
ultimi anni, una profonda trasformazione legata, più che ai livelli
occupazionali, alla sua composizione. Si è registrato un proliferare
di tipologie lavorative tipiche e atipiche, ma anche una consistente
quota di lavoro non regolare.
Ad esempio, relativamente a quest’ultimo, l’Istat stima che, in
Italia, la quota di unità di lavoro non regolari sulle unità di lavoro
totali è, nel 2000, del 15%, con una diffusione a livello regionale che
va dal 29,1% della Calabria o del 23,3% della Sicilia, alla più con-
tenuta quota dell’Emilia (10,5%).
La necessità di dare una spinta competitiva al sistema economi-
co italiano al fine di rispettare i parametri di Maastricht, le novità
introdotte dalla legge Treu del ’97, una diffusa “crisi della legalità”,
hanno progressivamente indotto gli operatori economici ad avvaler-
si di una variegata gamma di forme contrattuali (lavoro a domicilio,
tirocinio, PIP, apprendistato, lavoro interinale, co.co.co., job on
call…), che “ si collocano il più delle volte ai confini della legalità,
alimentando così una fiorente economia sommersa che non sempre
coincide con il lavoro nero tout court” (Biagi et al., 2002).
La nostra indagine sui lavoratori ha rilevato proprio questo: l’e-
sistenza di varie tipologie di lavoro, un diffuso adattamento (da
parte del lavoratore) a forme contrattuali non sempre “rigorosamen-
te” regolari, una “appagata rassegnazione” alla condizione di irre-
golare. Secondo le nostre stime, l’irregolarità totale (occupati irre-
golari/occupati in totale) è, nella provincia di Palermo, del 28%,

87
mentre l’irregolarità parziale (quota di lavoratori regolari che incor-
rono frequentemente in comportamenti scorretti da parte dell’im-
prenditore) è del 52%.
L’irregolarità è diffusa nel territorio, nelle diverse fasce di età,
in quasi tutti i settori di attività. L’economia e il mercato del lavoro
locali sono “impregnati” di irregolarità così come, in genere, la con-
dizione quotidiana dell’individuo-lavoratore. Se poi questo è irrego-
lare tout court è prevalentemente giovane, con un titolo di studio di
scuola media superiore, appartiene ad un nucleo familiare “protetto”
(con almeno un percettore di reddito), lavora nelle piccole e picco-
lissime aziende, soprattutto nel commercio o artigianato, dove è
stato assunto con la promessa di essere “regolarizzato” al più presto.
Accanto a questa condizione, per così dire dilagante e pervasiva, vi
è quella dell’irregolare adulto (45-65 anni), dell’irregolare unico
detentore del reddito familiare, dell’irregolare laureato. Ma nella
realtà locale esaminata avere un lavoro, anche se irregolare, è
meglio che non averlo affatto: così si spiega l’atteggiamento rasse-
gnato dell’individuo, “indolente” e generalmente appagato sia dal-
l’occupazione (perché comunque c’è) sia dalla retribuzione, per il
significativo sostegno che questa dà a redditi familiari insufficienti21.
E questa generalizzata “indolenza” può spiegare pure il bassis-
simo numero di coloro che fanno ricorso ai bandi sull’autoimpren-
ditorialità: la maggior parte dei soggetti non nutre alcun interesse
per queste forme di agevolazione, altri menzionano una scarsa pro-
pensione al rischio o la mancanza di un’idea imprenditoriale valida.
Probabilmente “sperano” in una regolarizzazione della loro posizio-

21
Da una ricerca condotta nella sola città di Palermo nel 1999 (Rapporto su
Palermo, 2002) e relativa a 4600 famiglie circa, emergeva, appunto, una tenden-
ziale propensione, da parte dei disoccupati, ad accettare una paga inferiore a quel-
la contrattuale (80%) o un lavoro in nero (68%) e ciò a causa della lunga ricerca
di lavoro, che a volte dura anche anni.

88
ne, pur sapendo che spesso l’azienda in cui lavorano è un’azienda
“fantasma”.
Le nostre stime del “sommerso d’impresa” lo confermano: dal-
l’indagine sui lavoratori emerge che, nella provincia, le imprese in
nero sono circa il 44%, e, dall’indagine sulle imprese, si ricava
intanto che la percezione del “sommerso di lavoro” e del “sommer-
so d’impresa” è diffusa nel 73% degli imprenditori intervistati. In
particolare, poi, questi stimano i due fenomeni nella misura rispetti-
vamente del 27% e del 28%.
A questo punto, val la pena chiedersi quali sono le peculiarità
dell’impresa palermitana “visibile” per cercare d’individuare un
qualche nesso causale tra questa e il sommerso esistente.
Le imprese intervistate sono in prevalenza “giovani”, uniloca-
lizzate, operanti prevalentemente nei settori del Commercio e degli
altri Servizi vendibili (dato, peraltro, in linea con quella dell’univer-
so di Movimprese-Infocamere), collocano la produzione soprattutto
nel mercato locale (il 91%), hanno una dimensione piccola o picco-
lissima (con 5 addetti in media). Esse poi si caratterizzano per la
conduzione familiare, con un imprenditore-padrone, coadiuvato da
qualche impiegato e dai familiari più stretti con mansioni diversifi-
cate, assumono la mano d’opera attraverso la rete di conoscenze per-
sonali ed, infine, hanno una bassa propensione ad investire e ad
innovare. Infatti, solo il 18% di esse è ricorsa a contributi ed agevo-
lazioni per effettuare investimenti o ampliare la base produttiva:
sono in particolare le imprese di costituzione più recente, apparte-
nenti all’industria in senso stretto, con più di 20 addetti, ad aver
richiesto e ottenuto contributi e agevolazioni (in special modo a par-
tire dal ’93), soprattutto di provenienza regionale (nell’ambito dei
fondi strutturali europei) e solo in parte di fonte nazionale (in parti-
colare relativi alla Legge 488/92). Esigua è pure la quota di impre-
se che è ricorsa a finanziamenti pubblici (12%), in particolare alle
forme di programmazione negoziata (Patti territoriali, Contratti d’a-

89
rea e simili). Inoltre, ben il 54,7% degli imprenditori dichiara di non
essersi mai avvalso delle leggi a favore dell’occupazione, soprattut-
to per mancanza di prospettive di ampliamento della base occupa-
zionale; invece, solo il 42,5% apprezza queste forme agevolative, ed
è ricorso soprattutto al “credito d’imposta” (32%) e pochissimo alle
leggi per l’emersione e ai contratti di riallineamento (2%).
La realtà di questo tessuto imprenditoriale, “pulviscolare” e fra-
gile nel contempo, giustifica, in parte, le cifre del sommerso, il cui
ruolo, nella realtà esaminata, appare quasi fisiologico al normale
“funzionamento” dell’economia.
Nel nostro mercato del lavoro permanentemente in disequili-
brio, a sfavore soprattutto delle fasce giovanili della popolazione,
è più conveniente per l’individuo avere un lavoro, anche se irre-
golare, che non averlo affatto. L’impresa, d’altra parte, che come
visto, opera prevalentemente nel settore dei servizi, con una pic-
cola dimensione e con un mercato essenzialmente locale, preferi-
sce adottare una strategia “di conservazione” per garantirsi la
sopravvivenza. E, infatti, tra le cause del sommerso, così come
indicato dagli imprenditori, prevalgono quelle economiche, legate
proprio al funzionamento dell’azienda e, solo in parte, quelle
fiscali.
La nostra indagine fornisce, dunque, dei risultati che, seppur da
valutare con cautela, in quanto risultati di “indagini sul campo”,
vanno ad incrociare le acquisizioni teoriche più recenti: il nesso tra
lavoro regolare e disoccupazione (Boeri e Garibaldi, 2001), la fun-
zione che il lavoro irregolare assorbe nell’ambito del reddito fami-
liare (risk sharing) e nell’ambito dell’impresa (production smoo-
thing) (Busato e Chiarini, 2002).
Le risposte degli imprenditori, inoltre, collocate nel contesto dei
macro-indicatori, contribuiscono a delineare quel profilo di arretra-
tezza e di marginalità dell’intera struttura economica provinciale.
Non è solo la “piccola dimensione” il punto cruciale di questa

90
realtà imprenditoriale, ma la scarsa presenza di imprese nel mani-
fatturiero, anche tradizionale, la scarsa capacità delle unità esistenti
di “fare impresa” in termini innovativi, l’assenza di imprenditoriali-
tà in certi settori “trainanti”. Anche la “storia” dell’ imprenditoriali-
tà italiana è stata caratterizzata, sin dalle origini del decollo indu-
striale, da una diffusione di piccole e piccolissime imprese nel mani-
fatturiero, nell’agricoltura e nel terziario (Castagnoli e Scarpellini,
2003).
Queste piccole imprese, però, in alcune aree geografiche, grazie
a strategie di carattere personale e familiare, sono riuscite nel tempo,
a creare distretti industriali, poli fortemente radicati nelle economie
locali, nuclei specializzati nel terziario avanzato.
La piccola dimensione è stata “vincente” per un lungo periodo:
nelle fasi di congiuntura sfavorevole, ha avuto capacità di adattarsi
con flessibilità alle situazioni di domanda stagnante e di aumento
del costo del lavoro; ma nelle fasi di ripresa e soprattutto, in presen-
za di “grandi sfide”, quali quelle attuali della globalizzazione e del-
l’innovazione tecnologica, si dovrà puntare sulla crescita dimensio-
nale, sulle economie di scala, per fare ricerca e innovare, per fron-
teggiare la concorrenza dei paesi emergenti e competere a livello
internazionale.
Ma se queste esigenze saranno sempre più pressanti per l’indu-
stria italiana tutta, esse saranno delle “condizioni imprescindibili”
per quella siciliana.
Nel contesto siciliano, occorrerà, inoltre, compiere un salto qua-
litativo e provvedere ad affiancare alle varie attività terziarie, altre
attività manifatturiere, a promuovere e agevolare iniziative produtti-
ve in “nicchie tecnologiche”, in produzioni ad alto contenuto di
ricerca avanzata (biotecnologie, nanotecnologie, “nuovi materiali”).
Per raggiungere questi obiettivi, diventerà essenziale potenziare le
infrastrutture; innalzare progressivamente il livello qualitativo della
forza-lavoro, le sue conoscenze, la sua capacità di aggiornamento e

91
di specializzazione, la sua capacità “di innovarsi”, di mettere in atto,
in sintesi, un processo di formazione “continua” del capitale umano.
E quando questi obiettivi saranno raggiunti, un’altra indagine
sul sommerso rivelerà probabilmente un più ridotto numero di lavo-
ratori e di imprese “irregolari”, ma “la maniera migliore di predire il
futuro è di partecipare alla sua costruzione”22 e noi stiamo tentando
di farlo!

22
Da un’intervista ad uno scienziato americano riportata sulla rivista
“Nature” di qualche anno fa.

92
APPENDICE A
La strategia di campionamento e la qualità del dato nell’indagine
dei lavoratori

L’obiettivo della prima parte della nostra indagine, come già


detto, è quello di quantificare il fenomeno del lavoro sommerso
attraverso un approccio diretto con gli occupati in generale, median-
te una indagine sul campo.
L’argomento su cui indagare risulta essere difficoltoso a coglie-
re nella sua interezza. Il suo studio deve essere condotto con meto-
dologie di analisi che tengano conto della specificità ed elusività del
fenomeno; pertanto, non è utile ricorrere alle più usuali metodologie
di indagini che fanno riferimento ad unità campionarie di cui si
conosce la probabilità di inserimento nel campione.
Siamo infatti alla presenza di un fenomeno in cui l’errore di
risposta assume connotazioni rilevanti e ciò comporta che, la stima
del semplice errore di campionamento condurrebbe comunque a
risultati poco validi.
Il primo ostacolo da superare, per ottenere una attendibile valu-
tazione del fenomeno, è la diffidenza degli intervistati e ciò è possi-
bile soltanto se l’intervistatore gode della fiducia del rispondente: il
contrario di ciò che generalmente si richiede ad una indagine sul
campo di tipo probabilistico, dove l’estrazione a caso degli elemen-
ti campionati esclude, in generale, l’esistenza di un rapporto tra
intervistato e intervistatore.
Stabilito che le unità di analisi siano i lavoratori, in questa fase
dell’indagine abbiamo fatto ricorso al campionamento a valanga.
Questa è una tecnica di campionamento non probabilistica sorta per
raccogliere informazioni inerenti i “fenomeni rari” (Goodman,
1961).
Si basa sull’idea di formare, partendo da pochi elementi, liste
progressivamente più ampie sulla base delle informazioni che ven-

93
gono raccolte direttamente presso i rispondenti. Esso viene usato
nelle indagini sociali che si pongono l’obiettivo di indagare su
“popolazioni nascoste” (hidden), per es. homless, handicappati, dro-
gati, ecc. con l’intento principale di pervenire ad una quantificazio-
ne del fenomeno (Beàta e Snijders, 2002).
La popolazione, oggetto della nostra indagine, è da ricondurre,
per certi aspetti, a tale tipologia, in quanto non si dispone nè di
archivi né di liste di nominativi a cui fare riferimento, inoltre, il
fenomeno oggetto d’indagine, si pone tra quelli che socialmente
vengono definiti “delicati” e che insieme alle informazioni inerenti
fatti privati, personali o riprovevoli si sa bene che vengono taciuti o
denunciati con molta ritrosia dando corso ad un errore nella stima di
tipo sistematico; nel caso in cui si decidesse di ricorrere ad un cam-
pionamento di tipo probabilistico, una parte di essa resterebbe
comunque “nascosta”.
Il ricorso al campionamento “snowball”, risulta particolarmente
indicato in questo caso proprio per aggirare la reticenza dei rispon-
denti in quanto prevede che le unità campionarie della prima fase
siano persone conosciute dagli intervistatori; elimina così il fattore
‘anonimia’ e fa leva sul rapporto di fiducia che esiste tra i due sog-
getti;
Anche nelle fasi successive dell’indagine, quando l’intervistato-
re, esaurite le proprie conoscenze, si rivolge ai nominativi, che gli
stessi rispondenti delle fasi precedenti hanno indicato, e possibil-
mente presentato, sarà comunque più facile ottenere risposte mag-
giormente veritiere sul fenomeno.
Per minimizzare la reticenza dei rispondenti per di più siamo
ricorsi ad un artifizio e, seguendo l’esperienza positiva ottenuta in
alcune ricerche condotte in Campania (Meldolesi e Stame, 1998),
all’intervistatore è stato consigliato di presentarsi, ai soggetti non
direttamente conosciuti, quale “laureando”, che raccoglieva le infor-
mazioni per la sua tesi di laurea. Si era infatti notato che con questa

94
modalità anche la diffidenza che può resistere nel comunicare un
comportamento non consono alla norma (la propria condizione di
lavoratore irregolare) ad una ‘istituzione’ pubblica, seppure
l’Università, viene ulteriormente limitata.
Il campionamento a valanga, sebbene ha indubbi vantaggi ope-
rativi, similmente a quanto succede in tutti i metodi di campiona-
mento non probabilistici, venendo meno l’informazione sulla pro-
babilità di inclusione del singolo individuo nel campione, non per-
mette di attuare nessun processo induttivo e può condurre a stime
non corrette dei parametri. Ciò accade, a parità di condizioni, tanto
più quanto diverso risulta il profilo del campione da quello della
popolazione, (rappresentatività del campione), soprattutto per quei
parametri che risultano correlati al fenomeno oggetto di studio.
In altri termini, se la variabile oggetto di analisi, è correlata ad
una certa caratteristica della popolazione, e questa non viene corret-
tamente rappresentata nel campione, anche la prima non potrà esse-
re misurata correttamente.
Diverse sono le cause per cui può fallire la rappresentatività del
campione e ricordiamo che neppure l’estrazione casuale in un cam-
pionamento probabilistico la garantisce. Taluni autori, anche in pre-
senza di campionamenti non probabilistici si orientano a proporre,
sotto ipotesi restrittive, una stima dell’errore di campionamento23. Di
fatto riteniamo che tali strategie, alla luce del pensiero matematico -
probabilistico, siano poco sostenibili senza l’esplicito riferimento ad
assunti preliminari che giustifichino l’uso dell’impostazione infe-
renziale e ci sembra più proficuo che il ricercatore, si renda conscio
e faccia partecipe il lettore, dei fattori di distorsione che possono
presentarsi e quindi si adoperi, ove possibile, ad individuarli, a limi-
tarli e a correggerli con l’unico l’obiettivo euristico di pervenire ad

23
Sull’uso improprio di test statistici, cfr. Pesarin, 2003.

95
una misura affidabile del fenomeno attivando processi di analisi pre-
liminare del dato di tipo “logico-deduttivo”.
Il campionamento a valanga, per le modalità che adotta, presen-
ta due particolari cause che incrementano sensibilmente il rischio
della non uniformità del campione alla popolazione. Un primo fat-
tore di distorsione è dovuto proprio alla preventivata relazione tra
intervistatore e rispondente.
Se questa è una condizione essenziale per ottenere delle rispo-
ste “franche”, può però divenire condizione di ‘preferenza’ nella
scelta dei soggetti da parte dell’intervistatore e le sue personali con-
vinzioni potrebbero condurlo a preferire, anche inconsciamente,
taluni soggetti da intervistare piuttosto che altri.
Così pure un altro fattore erratico può sorgere dalla concatena-
zione fra i rispondenti; questo mette in moto due componenti errati-
che, una nasce dal fatto che l’intervistato successivo, essendo indi-
cato dal primo, non può essere ritenuto “indipendente” da questo (e
ciò finisce per incrementare ulteriormente l’effetto intervistatore su
esposto); l’altro dal fatto che l’intervistatore non conoscendo diret-
tamente il secondo intervistato, può non raggiungere il grado di con-
fidenza che aveva con il primo intervistato, in questo caso le rispo-
ste potrebbero presentare un grado di reticenza più elevato.
Sia la prima fonte erratica, che chiamiamo “effetto intervistato-
re”, sia la seconda che diremo “effetto concatenazione”, non posso-
no essere eliminate.
L’unica strategia che riteniamo perseguibile è appunto quella di
individuarle e di limitarne gli effetti attivando alcune forme di con-
trollo degli elementi campionabili, quindi successivamente monito-
rarli al fine di ottenere una indicazione del peso che hanno assunto
e tenerle in debita considerazione nell’analisi finale.
Con l’obiettivo di delimitare l’influenza di tali fattori erratici, ai
due intervistatori, di cui disponevamo, è stato chiesto di sottoporre
il questionario a circa 60024 soggetti che svolgevano una qualunque

96
attività lavorativa e, contemporaneamente, però, abbiamo posto dei
“paletti” limitativi, usando tre fattori di controllo demografici.
Il primo fattore di controllo, è costituito dalla distribuzione dei
residenti nel territorio provinciale: le quote del campione avrebbero
dovuto rispettare la distribuzione geografica dei residenti nella pro-
vincia in base alle stime della popolazione residente nei vari comu-
ni italiani effettuata dall’ISTAT per l’anno 2000.
La provincia di Palermo, caratterizzata da una concentrazione di
residenti nel capoluogo è stata suddivisa in due strati: il primo stra-
to coincide con la città di Palermo, il secondo con il resto della pro-
vincia. Le sedi di intervista, per quest’ultimo strato, sono state scel-
te in base alle entrature dei due intervistatori, curando contempora-
neamente una corretta distribuzione areale delle stesse.

Tab. A.1 - Distribuzione percentuale degli intervi-


stati e dei residenti per zona geografica
Prov.(b) Palermo Prov.
Campione 0,25 0,68 0,32
Istat 2000 0,28 0,56 0,44
Tab. A.2 - Distribuzione percentuale
dei residenti e degli inter-
vistati per classe di età e
per provincia
Residenti Intervistati
Età PA* PA
Meno di14 ….
14 - 25 20,7 21,2
26 - 45 34,2 41,6
46 - 65 45,1 36,1
Più di 65 …. 0,7
* Dato relativo alla popolazione ufficiale censita nel 2001

24
L’ampiezza campionaria è stata stabilita in base all’indicazione di un erro-
re campionario pari al 4% circa, nel caso in cui il campione fosse stato di tipo
casuale semplice con α = 0,05 e p = q.

97
Come secondo fattore di controllo è stata adottata l’età della
popolazione residente, a livello provinciale.
Le classi scelte sono le seguenti: meno di 14 anni, 14 - 25, 26 -
45, 46 - 65, più di 65 anni. Successivamente, verificata la difficoltà
di trovare occupati appartenenti alle due classi estreme, queste sono
state ridotte25 come riportato in Tab. A.2; vediamo in ogni modo che
gli intervistatori di Palermo hanno leggermente sovradimensionato
la classe 26-45 a scapito di quella più anziana.
Come terzo fattore di controllo è stata usata la variabile sesso: il
campione provinciale deve essere rappresentato in proporzioni
uguali da maschi e da femmine.
Questa condizione è stata rispettata nell’indagine: la percentua-
le dei maschi ammonta al 50%.
Un ulteriore controllo dell’effetto intervistatore è stato ottenuto
con due distinte misure del tasso d’irregolarità: la prima misura
(diretta) è il rapporto tra il numero degli irregolari e il numero tota-
le dei rispondenti; l’altra (indiretta) è il rapporto tra il numero degli
irregolari, che i rispondenti dichiaravano esistenti nell’azienda pres-
so cui lavoravano e il numero di occupati totali presenti nella stessa
azienda.
Questa seconda misura doveva servire da fattore di correzione
(smoothing) per la stima del tasso di irregolarità, nel caso in cui si
fosse presentato un comportamento particolarmente selettivo da
parte degli intervistatori. Per esempio, se questi si fossero orientati
esclusivamente verso interviste a lavoratori irregolari, senza tale
correzione, avremmo avuto una misura diretta (ed errata) del feno-
meno, pari ad un tasso del 100% di irregolarità. La misura indiretta

25
Si è deciso di mantenere le poche interviste effettuate in queste classi di età
estreme e di riproporzionare il campione in base alla numerosità delle classi cen-
trali.

98
corregge, seppur parzialmente, questa informazione, dal momento
che le due misure non possono ritenersi indipendenti.
Successivamente si è cercato di indagare sull’“effetto intervista-
tore”, effettuando dei confronti fra i risultati ottenuti da ciascun inter-
vistatore e saggiando la significatività degli scarti in base al test del χ2.
Tale confronto è stato effettuato per le variabili classi di età,
sesso, tipologia occupazionale e settori produttivi. In base ai risulta-
ti ottenuti (Tab. A.3) vediamo che in entrambe le province non si
sono registrate differenze significative rispetto alla scelta del sesso
e della classe di età – che ricordiamo fungono da variabili di con-
trollo –: possiamo, pertanto, dedurre che, rispetto a queste variabili,
non ci sono stati meccanismi di prelazione da parte degli intervista-
tori. Relativamente ai settori di attività e alla tipologia occupaziona-
le, abbiamo constatato, invece, degli orientamenti differenziati.
Abbiamo, pertanto, approfondito l’analisi di possibili distorsio-
ni, in particolare, sulla tipologia occupazionale, variabile focale
della ricerca, vagliando “l’effetto intervistatore” sulla misura indi-
retta dell’irregolarità. I dati sono stati sottoposti al test della diffe-
renza tra le percentuali, separatamente per le due province.

Tab. A.3 - Effetto intervistatore nella provincia di


Palermo
Variabile χ2 Grad. lib. α= 0,05
Sesso 0,697 1 no

Classe di età 4,139 4 no


Sett. Attività 44,996 7 si
Tip. Occup. 34,186 5 si

I risultati ci hanno confortato: le differenze tra i valori non sono


risultate significative, per cui tale misura è da ritenersi scevra dal-
l’effetto intervistatore. Questo è per noi un ulteriore valido motivo
per stimare l’ammontare del fenomeno in base alla misura indiretta.

99
I risultati sono riportati nella tab. A.4: gli intervistatori sono
indicati con il numero 1 e 2.

Tab. A.4 - Quote (%) di irregolarità registrate dagli intervistatori

Per misurare l’“effetto concatenazione” abbiamo fatto ricorso


all’indice di correlazione lineare di Pearson. Tale misura, nel caso in
cui tale effetto si verificasse, presenterebbe valori elevati e negativi.
A tal fine i questionari vengono ordinati e suddivisi in sestili, suces-
sivamente sono calcolati i valori medi del tasso di irregolarità (misu-
ra diretta e indiretta) per ciascun sestile. Poiché i coefficienti di cor-
relazione riportati in tab. A.5, risultano entrambi molto deboli e sta-
tisticamente non significativi, possiamo ritenere trascurabile l’“effet-
to concatenazione”.
Tab. A.5 - Misurazione del-
l’effetto concatenazione

Procedura per la correzione del dato campionario


Come è ben noto, e come risulta anche dalla nostra indagine, la
presenza di lavoratori irregolari è fortemente connessa all’ampiezza
dell’unità produttiva26, poiché questa non è correttamente rappresen-
26
Nel questionario si è chiesto di indicare il numero d’occupati e d’irregola-
ri presenti nell’impresa in cui il rispondente lavora. Di fatto, però, si viene ad otte-
nere un’indicazione inerente l’Unità Locale (UL). Tale approssimazione, che

100
ta nel nostro campione, per ottenere una stima dell’irregolarità pre-
sente nella provincia, sarà necessario preventivamente correggere
questa distorsione del campione.
La correzione da apportare consisterà nell’ottenere una ponde-
razione adeguata delle specifiche tipologie d’impresa. A tale fine si
è utilizzato il dato del censimento intermedio ISTAT 1996, e abbia-
mo operato come segue:

n r
IT = Σ ( I i / Oi )(C ij / Aij ) = Σ M j C j [A1]
i =1 j =1

con: IT = tasso di irregolarità


i = i-esimo soggetto intervistato
Ii = numero di irregolari presenti nell’UL, come dichiarato dall’i-
esimo intervistato
Oi = numero di occupati complessivi nell’UL, come dichiarato dal-
l’i-esimo intervistato
j = j-esima classe di ampiezza delle UL
Cij = quota di addetti appartenenti alla j-esima classe di ampiezza,
come risulta al censimento intermedio ISTAT e relativa all’intervi-
stato i-esimo
Aij = quota di addetti appartenenti alla j-esima classe di ampiezza
del campione e relativa all’intervistato i-esimo
Mj = tasso di irregolarità nelle UL
Cj = quota di addetti nelle UL al censimento intermedio ISTAT

abbiamo preferito preservare in quanto altrimenti avrebbe comportato la rinuncia


all’uso del linguaggio corrente durante l’intervista e al rischio di non essere
comunque compresi, comunque non inficia minimamente l’informazione ineren-
te le imprese più piccole poichè queste generalmente vengono a coincidere con le
U.L.

101
APPENDICE B
La regressione logistica: alcune note metodologiche

Quando la struttura di associazione tra le variabili di interesse


assume una direzione (relazione di tipo asimmetrico) è possibile
rappresentarla attraverso un modello “Logit”, altrimenti noto come
modello di regressione logistica: il modello di regressione logistica
viene utilizzato per prevedere i valori di una variabile - risposta
“dicotomica” in base ad un set di esplicative che possono essere di
varia natura (categoriale, ordinale, metrica)27.
La scelta di tale modello è motivata dalla possibilità di legare la
probabilità della variabile risposta alla combinazione delle variabili
esplicative attraverso una funzione di tipo “sigmoide” (la logistica
di Verhulst appunto) che risente fortemente della variazione dei
valori intermedi delle esplicative (compresi tra 0 e 1), mentre è
meno influenzata dai valori estremi dell’intervallo.
La funzione “logit” viene definita come segue:
π ( x)
logit π (x) = ln [C1]
1 − π ( x)

ovvero π (x) = [exp (α+ βx)]*[1 + exp (α+ βx)] -1 [C2]

dove π (x) = Pr (Y= 1 x) e il rapporto π (x) /(1- π (x)) è denominato “rap-


porto di probabilità (odd)”. Il modello logistico risulta pertanto il
seguente:
π ( x) k
logit (π (x) = ln = β +Σ β x j
= Xβ [C3]
1 − π ( x) 0
j =1
j

Il modello della regressione logistica è assimilabile al modello loglineare,


27

qualora le variabili esplicative siano tutte categoriali, ossia riferibili a tabelle di


contingenza, cfr. Agresti (1990); Dobson (1991); Bottiroli Civardi e Chiappero
Martinetti (1997).

102
Nel nostro caso abbiamo voluto analizzare la relazione tra due
differenti variabili risposte dicotomiche (IRREG e NONREG28)
rispetto ad un set di esplicative, interpretabili anche come “fattori di
rischio” della condizione di irregolarità (Tab. B1).
È stato scelto tra i tanti possibili offerti dal software SPSS29 uti-
lizzato, ai fini della stima del modello, il processo di “selezione in
avanti” (forward selection) che, procedendo in modo iterativo, inse-
risce singolarmente le esplicative scelte e le “accetta” nel modello,
sottoponendole ad un criterio di rimozione basato sul Likelihood
Ratio (LR)30. Tale confronto tiene conto del “guadagno” (improve-
ment) delle stime di β conseguente all’introduzione di una nuova
variabile.
Un’ultima notazione va fatta in merito alla parametrizzazione
scelta nella presente analisi: tra i possibili schemi di contrasto dis-
ponibili, si è adottata la procedura SIMPLE (first): le covariate cate-
goriali vengono trasformate in modo da poter interpretare i risultati
in confronto ad una categoria di riferimento (baseline) che, nel
nostro caso, corrisponde alla prima modalità di ciascuna covariata
(maschio, tra i 14 e i 25 anni, con licenza elementare, lavoratore
agricolo, con meno di due anni di anzianità lavorativa).

28
La variabile IRREG assegna valore 1 ai soggetti che hanno risposto di
lavorare irregolarmente e 0 alle altre tipologie contrattuali (tempo indeterminato,
tempo determinato, prova/tirocinio e altro), mentre nella costruzione della varia-
bile NONREG sono stati esclusi dall’analisi i casi riferibili ai lavoratori in
prova/tirocinio e nelle altre forme, pertanto il campione viene riproporzionato tra
“irregolari” (valore 1) e “contrattualizzati a tempo indeterminato e a tempo deter-
minato (valore 0).
29
SPSS, versione 10.0.7.
30
Tale criterio è ottenuto dal rapporto tra i valori della verosimiglianza rela-
tivi, rispettivamente, al modello ridotto e a quello completo, molti autori lo giudi-
cano preferibile alla statistica-test di Wald, dal momento che quest’ultimo può
incorrere in errori di I specie, quando i valori di β sono elevati (Fabbris, 1997;
Bottiroli Civardi e Chiappero Martinetti op. cit.).

103
La “bontà di adattamento” del modello, selezionato dall’algorit-
mo forward, è stata saggiata attraverso il test Deviance (McCullagh
e Nelder, 1989) che consente di selezionare i modelli a partire da un
confronto con il modello saturo (quello massimale contenente tutti i
parametri) o con il modello minimale con sola intercetta: nel primo
caso il valore della devianza ricercato è il più piccolo possibile, nel
secondo caso è il più grande31.
Tale test si distribuisce asintoticamente come un χ2 con n - p
gradi di libertà.

Tab. B1 - Le variabili esplicative utilizzate


NOME VARIABILE CODIFICA MODALITÀ DESCRIZIONE
Sesso 1 Maschio
2 Femmina
Età 1 Da 14 a 25 anni
2 Da 25 a 45 anni
3 Oltre 45 anni
Istruzione 1 Licenza elementare
2 Licenza media
3 Diploma
4 Laurea
Attività 1 Agricoltura
2 Industria in senso stretto
3 Costruzioni
4 Commercio
5 Altri servizi vendibili
6 Servizi non vendibili32
Durata33 1 Da 0 a 2 anni
2 Da 2 a 4 anni
3 Da 4 a 6 anni
4 Oltre 6 anni

31
Va osservato come “la logverosimiglianza aumenta in valore all’aumenta-
re del numero delle osservazioni … perciò valori elevati della logverosimiglianza
non equivalgono necessariamente ad un buon modello” (Fabbris, 1997 p. 139).
Vale la pena di osservare come le due tesi partano da due prospettive diffe-
renti che trovano il loro equilibrio nel c.d. “principio di parsimonia”.
32
Si tratta sostanzialmente di impiegati nelle pubbliche amministrazioni, in
prevalenza assunti in virtù dell’ormai celebre “articolo 23”.
33
Questa variabile misura l’anzianità lavorativa dell’intervistato relativa alla
posizione lavorativa posseduta al momento dell’indagine.

104
APPENDICE C
La strategia di campionamento delle imprese e la qualità del dato
Il piano di indagine riguardante le imprese escludeva a priori le
imprese con un solo addetto e la Pubblica Amministrazione, ciò in
quanto le prime nella generalità dei casi coincidono con la partico-
lare figura del lavoratore autonomo, le seconde per la loro specifici-
tà che le escludeva dalle finalità dell’indagine. Sebbene, qui sareb-
be stato possibile disporre di liste aggiornate della popolazione di
riferimento e pervenire ad un campione probabilistico, di fatto,
abbiamo dovuto constatare che la bassa disponibilità dei risponden-
ti (titolari o collaboratori ‘informati’) avrebbe comunque comporta-
to un elevato errore (non di campionamento) a causa delle mancate
risposte, per cui anche l’indagine sulle imprese è stata effettuata con
il metodo del campionamento a valanga.
È da aggiungere che la difficoltà di stabilire un contatto con le
imprese non si è completamente estinta neppure ricorrendo a questo
metodo; per cui qui non è stato possibile attivare i controlli campio-
nari, similmente a quelli approntati nella prima fase Alla fine il cam-
pione è risultato formato da 254 unità così ripartite: 81,5% titolari e
i restanti collaboratori.
Tab. C1 - Imprese per classe di ampiezza
Classe di addetti Campione Istat*
2
32 49,3
3-5
44,4 34,6
6-9
10,8 8,6
10-15
7,6 3,5
16-19
1,6 0,9
20-49
2,4 2,1
50-99
1,2 0,5
100 --199
0 0,2
200 -- 249
0 0,0
250 -- 499
0 0,1
500 -- 999
0 0,0
1000 e più
0 0,0

* Fonte: Censimento intermedio dell’Industria e dei Servizi, Istat, 1996

105
Il campione rispetto alla classe di addetti si distribuisce come si
vede dalla Tab. C2
Confrontando questa distribuzione con quella ISTAT, le impre-
se con due addetti appaiono sottodimensionate, probabilmente a
causa delle loro struttura, poco difforme da quella dell’impresa con
un solo addetto e conseguentemente scartata a priori dagli intervi-
statori. Di contro appaiono sovradimensionate quelle della classe
immediatamente successiva.
Per avere un ragguaglio più preciso della conformità esistente
tra la nostra composizione campionaria e quella censuaria abbiamo
confrontato le due depurate dalle imprese con 2 addetti.

Tab. C2 - Imprese per classe di ampiezza superiore a 2 addetti


Classe di addetti Campione (%) Istat* (%)
3-5
65,3 69,2
6-9
15,9 17,3
10-15
11,2 7,0
16-19
2,4 1,8
20-49
3,5 4,3
50-99
1,8 1,0
100 --199
0,0 0,4
200 -- 249
0,0 0,1
250 -- 499 0,0 0,2
500 -- 999 0,0 0,1
1000 e più 0,0 0,1

* Censimento intermedio dell’Industria e dei Servizi, Istat, 1996

106
Vediamo così che la struttura per addetti del nostro campione,
risulta ancora leggermente sottodimensionata per le imprese più pic-
cole e per quelle più grandi mentre è leggermente sovradimensiona-
ta l’impresa con 10-15 addetti.
Complessivamente possiamo ritenere che, esclusa l’impresa che
ha soltanto due addetti, il profilo del campione è abbastanza prossi-
mo a quello della popolazione censuaria.
Gli incroci dei dati, effettuati comparando i differenti atteggia-
menti che si registrano nelle specifiche tipologie aziendali, ci con-
sentiranno comunque di ottenere informazioni più dettagliate anche
per quei contesti che risultano essere stati ‘trascurati’, cioè quelle
con 2 addetti.
Verranno, invece, a mancare le informazioni delle imprese delle
due fasce estreme: l’impresa con un addetto e quelle delle imprese
con 100 e più addetti.

107
APPENDICE D
Il questionario per i lavoratori

N. questionario …..…….. Comune …………....….. Intervistatore ……………...........…………

SEZIONE PRIMA

1 - Sesso:
❑ M
❑ F

2 - Luogo di nascita: …………………………………..…………………..…..

3 - Anno di nascita: ……………..……………………..…………………..…..

4 - Stato civile:
❑ Celibe/nubile
❑ Coniugato/a
❑ Separato/a
❑ Divorziato/a
❑ Vedovo/a

5 - Titolo di studio:
❑ Licenza elementare
❑ Licenza media
❑ Diploma
❑ Laurea

6 - Comune di residenza: …………..…………….....………..……

7 - Numero componenti nucleo familiare: …………..……………………..……

8 - Numero percettori di reddito (oltre il lavoratore che risponde): ...……

108
9 - Attualmente lei è impiegato come lavoratore:
❑ tempo indeterminato
❑ a tempo determinato
❑ In prova/tirocinio
❑ Irregolare
❑ Altro …………………………….

10 - In quale settore lavora?


………..................................................................................................…………………….

11 - Quanti sono complessivamente gli occupati, compreso lei, nella


struttura in cui lavora? …………………………….

12 - Da quanto tempo svolge la sua attuale occupazione?


…………………………………………………………………………………………

SEZIONE SECONDA

13 - Rispetto alle mansioni che svolge come giudica la sua retribuzio-


ne?:
❑ Non sufficiente
❑ Adeguata
❑ Più che adeguata
❑ Altro

Per il lavoratore regolare

14 - Può indicarci se le sono mai capitati fenomeni quali quelli sotto


elencati?
❑ Fare sistematicamente delle ore di straordinario senza che le ven-
gano retribuite
❑ Fare sistematicamente delle ore di straordinario che le vengano
retribuite al di fuori della busta paga
❑ Essere licenziato e poi riassunto

109
❑ Riceve un compenso inferiore a quello dichiarato nella busta paga
❑ Altro

Per il lavoratore irregolare

15 - Può specificarci se si sono mai verificate delle condizioni quali


quelle sotto indicate?
❑ Ha chiesto di essere regolarizzato ma il suo datore di lavoro non
lo ha accettato
❑ Nonostante la volontà del suo datore di lavoro di regolarizzarla Lei
non ha accettato
❑ È entrato nell’azienda come irregolare con promessa di essere
regolarizzato al più presto
❑ Non avete mai affrontato l’argomento

16 - Attraverso quali canali ha ottenuto il posto di lavoro che ricopre


attualmente?
❑ conoscenze personali
❑ ufficio di collocamento
❑ Annunci economici
❑ raccomandazioni di amici
❑ Altro (specif.) ………………..

17 - Per la sua assunzione sono state attivate forme di agevolazione


previste dalla normativa vigente? (borse lavoro, PIP, credito d’imposta
ecc.)
❑ Si ❑ No ❑ Non so

18 - Se sì: specificare quali ……………………............................................................……………………

19 - Si ritiene appagato dalla sua attuale occupazione?


❑ Si
❑ No

110
20 - Può indicarci se:
❑ È in cerca di un’altra occupazione
❑ Svolge un secondo lavoro (specificare il settore) ………………....………......

21 - Se svolge un secondo lavoro: In questo lavoro, lei è impiegato come


lavoratore:
❑ a tempo indeterminato
❑ a tempo determinato
❑ In prova/tirocinio
❑ Irregolare
❑ Altro …………………………….

SEZIONE TERZA

22 - Ha mai partecipato a bandi previsti dalle leggi di finanziamento


per l’Autoimprenditorialità?
❑ Si
❑ No

Se sì
23 - Quali?:
❑ Legge 95/95 ex 44/86 (per l’imprenditoria giovanile)
❑ Legge 236/93 (interventi urgenti a sostegno dell’occupazione)
❑ Legge 135/97 (opportunità in favore dell’agricoltura e dell’agritu-
rismo)
❑ Legge 608/96 (prestito d’onore)
❑ Legge 215/96 (imprenditoria femminile)
❑ Altro ………………………………

24 - Attraverso quali canali ha ricevuto le informazioni utili:


❑ Quotidiani d’informazione generale
❑ Stampa specialistica
❑ Organizzazioni Sindacali
❑ Associazioni di categoria

111
❑ Consulenti del lavoro
❑ Altro ………………………………

Se no
❑ potrebbe indicarci le ragioni :
❑ Mancanza di informazione
❑ Scarsa propensione al rischio d’impresa
❑ Mancanza di un’idea imprenditoriale valida
❑ Altro

25 - Nell’azienda in cui lavora quanti sono, secondo lei, i lavoratori


irregolari?
…….............……………….....…………

26 - Di cui minori di 14 anni …….....…............…

27 - La sua azienda figura sulle pagine gialle (SEAT)?


❑ Si ❑ No ❑ Non so

112
APPENDICE E
Il questionario per le imprese

N. questionario ....... Comune ……..………....….... Intervistatore ………....………..…....

Intervistato: ❑ Titolare ❑ Collaboratore ……………....…....

1 - Qual è la forma giuridica della sua impresa? ………...................................................…..


2 - L’anno di costituzione
❑ …........................
❑ 1971/1980
❑ 1981/1990
❑ 1991/2002

3 - Il principale settore di attività ...................................................…....…..........................................……

4 - L’impresa ha altre unità locali?


❑ Si ❑ No

5 - In quale percentuale la sua attività è rivolta al mercato:


locale ..............................…....…
Regionale ....................…....…
Nazionale ....................…....…
Estero ....................….............…

6 - Di quanti addetti dispone complessivamente (l’unità locale, com-


preso il titolare)? ....................…....…

7 - Quanti sono i:
Dirigenti n. .................
Impiegati n. .................
Operai specializzati n. .................
Operai generici n. .................
Altro (specif.) n. .................

113
8 - Per le assunzioni, quale sistema di reclutamento utilizza principal-
mente?
❑ conoscenze personali
❑ ufficio di collocamento
❑ Annunci economici
❑ raccomandazioni di amici
❑ Altro (specif.) ........................

9 - Quanti occupati nella sua azienda sono:


A tempo indeterminato n. .................
A tempo determinato n. .................
In Prova o tirocinio n. .................
Altro .................................... n. .................

10 - L’impresa si è finora avvalsa delle opportunità offerte dalla legis-


lazione a sostegno dell’occupazione e del lavoro regolare?
❑ Si ❑ No

Se sì:
11 - attraverso quali misure?:
❑ credito d’imposta
❑ dichiarazione di emersione
❑ PIP
❑ Borse lavoro
❑ Contratti di riallineamento
❑ Contratti di formazione e lavoro
❑ Altro (specificare) .....................................

Se no:
11b - Per quale motivo?
❑ Mancanza d’informazione a riguardo
❑ Nessuna necessità di aumentare gli addetti
❑ Scarsa convenienza
❑ Altro (specificare) ......................................

114
12 - La sua impresa ha mai partecipato a bandi per ottenere forme di
finanziamento pubblico?
❑ Si ❑ No

Se sì:
13 - Quali canali ha utilizzato?
❑ Patti territoriali
❑ Contratti d’Area
❑ Legge 488/92
❑ Altro (specificare) .....................................

Se no:
13 b - Per quali motivi?
❑ Mancanza d’informazione a riguardo
❑ Disinteresse per qualsiasi forma di finanziamento pubblico
❑ Scarsa convenienza
❑ Altro (specif.) .....................................

14 - L’impresa ha mai ottenuto contributi o agevolazioni?


❑ Si ❑ No

Se sì:
15 - Può indicarne
l’anno ...........................................
la natura .....................................

16 - Per quale esigenza ha richiesto i contributi o le agevolazioni?:


❑ Ampliamento impianti
❑ Sostituzione impianti
❑ Introduzione di nuove tecnologie
❑ Diversificazione della produzione
❑ Altro(specificare) ……….............………

115
17 - La sua impresa, prevede di effettuare nuove assunzioni nel breve
periodo?
❑ Si ❑ No

Se sì:
18 - prevede di far ricorso a strumenti legislativi di agevolazione
finanziaria?
❑ Si ❑ No

Se sì: 19a - Quali? :


❑ Credito d’imposta
❑ Riduzione degli oneri sociali
❑ Altro(specificare) …………………

Se no: 19b - Perché?


❑ È sufficiente il ricorso agli straordinari
❑ Non possiamo sopportarne il costo
❑ Non ne abbiamo necessità
❑ Altro (specificare) …………………

20 - Oggi il mercato del lavoro consente di fare ricorso a forme con-


trattuali cosiddette atipiche. Ne elenco alcune, mi dica se la sua impre-
sa nell’ultimo anno ne ha utilizzato qualcuna.
❑ Lavoro interinale
❑ Lavoro a termine
❑ Lavoro a progetto
❑ Lavoro a intermittenza
❑ Lavoro in subappalto
❑ Forme di associazione in partecipazione

21 - Il fenomeno del lavoro nero (lavoro non dichiarato) è presente in


tutta l’economia siciliana. Sa se esiste anche nel suo settore di attivi-
tà?
❑ Si ❑ No

116
Se si:
22 - A suo giudizio, qual è la percentuale di imprese che vi ricorre?……..

23 - Secondo lei qual è la percentuale di lavoratori in nero?..........…….……..

24 - Sa di imprese che lavorano completamente in nero?


❑ Si ❑ No

25 - Secondo lei, quali sono i fattori che alimentano questo fenomeno?


(dare un punteggio da 0 a 10)
Economici 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Fiscali 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Legali 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Altro 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

117
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Finito di stampare
presso le Grafiche Renna
nel mese di gennaio 2004

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