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DIRITTO PENALE II


INTRODUZIONE.

Il catalogo dei reati non si esaurisce nel codice penale. E' praticamente impossibile dire oggi con
certezza quanti reati esistano in Italia. Alcune materie come l'ambito finanziario sono interamente
disciplinate da leggi speciali. Si parla quindi di sovra-espansione del diritto penale. In alcuni
sistemi (come quello spagnolo) si aggiunge la c.d. riserva di codice ossia la previsione per cui ogni
norma penale (che identifica quindi il reato) sia contenuta nel codice. Questo sistema ha per pro
e contro.
La parte generale del codice penale si applica a tutti i reati di parte speciale (salvo deroga
espressa). Esistono nel nostro diritto penale dei veri e proprio sottosistemi, ovvero ambiti per i
quali ci sono regole autonome rispetto alla parte generale. Questi sottosistemi sono:
ambito di competenza del giudice di pace in materia penale
D.p.r. 488/88 sistema penale minorile
sistema della responsabilit amministrativa degli enti
Codice militare di guerra e di pace
sistema dell'illecito amministrativo altro ramo rispetto al diritto penale che per sta
avendo un importanza sempre crescente.

IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA.

In generale affrontiamo il tema di come si riflette nella parte speciale l'applicazione delle novit di
parte generale.
Partiamo dal principio di colpevolezza: questo principio fu elaborato per la prima volta
dall'importante sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, riguardo all'art. 5 c.p.
(nessuno pu invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale) sulla base di una rilettura
dell'art. 27 Cost. per il quale la responsabilit penale personale. La Corte Cost. ha dichiarato
illegittimo l'art. 5 nella parte in cui non esclude dall'inescusabilit della ignoranza della legge
penale l'ignoranza inevitabile.
Infatti: se vero art. 27 Cost NO responsabilit per fatto altrui ma SOLO responsabilit per fatto
proprio necessario nesso di causalit quando si pu muovere un rimprovero al soggetto
colpevole + presenza degli elementi psicologici del reato dolo/colpa. Al contrario la responsabilit
oggettiva la responsabilit sempre per fatto proprio ma il soggetto punito solo sulla presenza
del mero nesso causale, indipendentemente dal dolo o dalla colpa.
Riflettiamo sul principio di colpevolezza con l'analisi dell'omicidio preterintenzionale ex art. 584
c.p.: Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582,
cagiona la morte di un uomo, punito con la reclusione da 10 a 18 anni.
Norma di parte speciale: un soggetto compie un reato di lesione o percosse ma causa anche la
morte. L'articolo parla di atti diretti a quindi il reato si pu configurare anche con il semplice
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tentativo. Infatti questo articolo era stato letto dal Codice Rocco come un versari in re illecita
responsabilit oggettiva per cui il soggetto punito per TUTTE le conseguenze negative che ha
cagionato con la sua condotta.
Ma in conseguenza dell'introduzione del principio di colpevolezza necessario rileggere questa
norma in maniera coerente a questo principio: ci dovr essere almeno un contenuto minimo di
colpa = quando colui che voleva realizzare una lesione o percosse in quel contesto poteva
prevedere la conseguenza pi gravosa.
In contrapposizione una sentenza un po' di anni fa dice: se l'azione presuppone un'attivit
corporea, ogni volta che si attinge alla sfera corporea, anche l'evento morte deve risultare
prevedibile. Vediamo come il principio di colpevolezza venga qui svuotato di significato.
Ma in cosa consiste quindi il rimprovero di colpa? Consiste nell'aver agito nonostante che quella
condotta avrebbe prodotto un rischio illecito o non consentito.
Il rischio non consentito (o illecito) quando l'evento era prevedibile e la condotta doveva essere
evitata. Ci sar colpa quando l'evento pi gravoso era prevedibile dall'uomo medio avveduto,
concetto tra l'altro astratto e di difficile verificazione concreta.
La colpa si distingue in SPECIFICA, quando deriva da violazione di regole scritte, e in GENERICA,
quando deriva dalla violazione di regole di diligenza, prudenza e perizia.
Il reato alla base dell'omicidio preterintenzionale l'omicidio colposo ex art. 589 c.p.:
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona punito con la reclusione da sei mesi a cinque
anni.
Se il fatto commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di
quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena della reclusione da due a sette anni.
Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto commesso con violazione delle
norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nel caso di morte di pi persone, ovvero di morte di una o pi persone e di lesioni di una o pi
persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la pi grave delle violazioni commesse
aumentata fino al triplo, ma la pena non pu superare gli anni quindici.

Si tratta di una norma molto importante per il suo utilizzo. La condotta di base di fatto non
costituirebbe reato, se non per il fatto che ne deriva una morte.
Esempio: Tizio passa con il semaforo giallo ma quando passa l'incrocio diventa rosso e un motorino
dall'altra strada gi partito. Tizio uccide Caio e Sempronio sul motorino. I giudici qui parlano di
omicidio colposo (o addirittura di dolo eventuale).
Questo reato assimilabile ai reati aggravati dall'evento (come ad esempio l'omissione di soccorso
ex art. 593, per il quale se ne deriva la morte di una persona la pena aumentata a 2 anni; oppure
come l'abuso dei mezzi di correzione ex art. 571). L'art. 586 rappresenta la norma di chiusura di
questa tematica (morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto). Vediamo come l'evento
morte non voluta nel nostro diritto penale sia trattato in maniera differente ossia con diversi
reati, che prevedono tra loro anche pene differenti.
Mentre nell'omicidio doloso il soggetto ha proprio l'intenzione di cagionare la morte (evento
preveduto e voluto), agisce esattamente per quel fine e sceglie una condotta esattamente idonea a
raggiungere quel risultato (perci l'evento preveduto molto probabile che si realizzi),
nell'omicidio colposo il soggetto agente non consapevole oppure lo ma la probabilit di
verificazione dell'evento nel caso specifico scarsa.
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Ad una attenta analisi per vediamo come vi sia una CONTRADDIZIONE PREVENTIVA nel reato
colposo: come se su 100 persone che violano una regola di condotta il diritto penale punisce
quell'uno sfortunato al quale si verificato l'evento lesivo. Tantissimi passano con il giallo ma
non tutti causano un omicidio colposo. Il soggetto a cui capita, viene punito. Tantissime persone
compiono la stessa condotta rischiosa ma il rischio non si verifica e quindi non vengono puniti.
Invece quello pi sfortunato al quale l'evento dannoso si verifica viene punito, con una pena che
acquisisce quindi una sorta di funzione simbolica, in netto contrasto con il principio di funzione
preventiva della pena.
Sarebbe invece necessario un controllo preventivo di tutte le condotte, non un sistema che
stabilisce una super-pena per i pi sfortunati (punisco 1 per educarne 100). Infatti alzare le pene
dell'omicidio colposo non pu portare a nulla di positivo. Nell'ambito della circolazione stradale,
non servito a diminuire i morti sulle strade, mentre i sistemi, come il moderno tutor nelle
autostrade, che attuano una funzione preventiva e di controllo delle condotte, stanno
statisticamente dimostrando la loro efficacia.
Quando parliamo di quelle condotte che non vengono punite, non parliamo della cd cifra oscura,
che fa riferimento ai reati che non vengono puniti perch non vengono scoperti o denunciati, ma di
quei comportamenti che pur idonei a provocare un evento dannoso rilevante per il diritto penale,
non vengono puniti perch l'evento non si verifica.
Di fronte all'utilizzo di una pena simbolica il nostro sistema penale si avvicina di pi ad un sistema
retributivo, in contrasto con il principio di colpevolezza.
Possiamo affermare quindi che si nasconde una sorta di responsabilit oggettiva mascherata. Il
legislatore se n' accorto e negli ultimi 20 anni ha provveduto all'introduzione di regole volte al
controllo delle condotte. Solo cos si riduce la verificazione di eventi dannosi. Ad esempio
riscontriamo una legislazione pi aggressiva nella disciplina della circolazione stradale, realizzata
non pi con l'illecito penale ma con l'illecito amministrativo che risulta molto pi duttile e quindi
molto pi efficace in questo campo. Oppure vediamo la stessa tendenza nell'ambito della
prevenzione nell'infortunistica sul lavoro e nei reati ambientali.
Vediamo il moltiplicarsi di legislazioni che tendono alla prevenzione del reato di pericolo tramite un
severo controllo delle condotte. Ma nello stesso tempo vediamo una sorta di schizofrenia del
legislatore: da una parte aumenta la legislazione sul controllo delle condotte, dall'altra non
abbandona la strada tradizionale di previsione di pene gravi nel reato colposo.
L'aumento delle pene in quest'ambito pu infatti portare addirittura a conseguenze negative come
la pirateria stradale, cio il soggetto che commette un delitto colposo e poi scappa per timore della
pena. Perci viene da chiedersi: davvero produttivo creare terrore con l'aumento delle pene nel
campo dei delitti colposi? Evidentemente no!
L'art. 589 ci consente di riprendere un altro concetto di parte generale, cio l'imputabilit (vedi
comma 2). La pena infatti aumentata se il soggetto che commette un omicidio colposo era in
stato di ubriachezza alcolica oppure sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Qui siamo nel caso
delle FINZIONI DI IMPUTABILIT ex art. 92 e 93 Cod. Pen. (l'ubriachezza non derivata da caso
fortuito o da forza maggiore non esclude ne diminuisce l'imputabilit). Nei casi descritti, il giudice
dispensato dall'accertare l'incapacit perch in questi casi il soggetto si considera come se fosse
sobrio presunzione d'imputabilit.
Questa normativa per porta ad effetti strani:
Tizio si ubriaca da solo e in casa, esce e incontra un suo storico nemico e lo uccide reato
doloso (dolo naturalistico perch il soggetto ha il fine di uccidere il nemico ma non comprende il
reale significato del gesto perch ubriaco) e si dice che trattasi di un reato doloso del non
imputabile in questo caso appare giusto per l'opinione pubblica considerare la persona come se
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fosse sobria.
Se invece Tizio si ubriaca in discoteca, si mette alla guida e passa con il semaforo rosso investendo
tre persone reato colposo ma in questo caso l'opinione pubblica percepisce la norma come al
ribasso: qui apparirebbe troppo comodo considerare Tizio come se non fosse ubriaco. Ma in realt
questo comportamento troppo clemente perch Tizio sapeva di doversi mettere alla guida ed
perci che si spiega un l'aumento di pene da parte del legislatore proprio perch il soggetto sapeva
di dover guidare! Il problema, per, qui non deve essere quello di infliggere una pena gravissima
per spaventare le persone e renderle pi giudiziose, applicandola sul soggetto colpevole che si
messo alla guida ubriaco, ma ci che necessario intervenire prima che questo accada,
attraverso un controllo razionale delle condotte e non attraverso una super-pena meramente
simbolica. Servirebbero quindi nuove pene, non detentive ma incisive su reali interessi in gioco.

APPROFONDIMENTO SU CONCETTI DI PARTE GENERALE.

Perch ci sia un illecito penale sempre necessaria una CONDOTTA. Distinguiamo reati di condotta
dai reati di evento, sulla base di cosa serve per perfezionare il reato. Non bisogna per confonderli
con l'altra distinzione tra i reati di pericolo ed i reati di danno, che differiscono sulla base
dell'oggetto tutelato.
Un esempio di reato di evento l'incendio che contenuto nei reati contro l'incolumit (e non
contro il patrimonio).
Tuttavia sia nei reati di pura condotta, sia nei reati di evento si deve sempre realizzare L'EVENTO IN
SENSO GIURIDICO, ovvero l'offesa al bene giuridico, il danno al bene tutelato dalla norma. Il
giudice deve sempre realizzare che ci si sia verificato.
Fatta questa premessa, quali caratteristiche deve avere la condotta rilevante?
Innanzitutto non deve essere semplice pensiero ma deve estrinsecarsi in una azione concreta (il
Codice parla di azione cosciente e volontaria, quindi non deve consistere in atti riflessi o
istintuali). Ma cosa pi importante L'IDONEIT della condotta a cagionare l'evento, cio la
condotta deve sempre essere tale da provocare proprio quel rischio tutelato dalla norma.
Infine la condotta rilevante quella che produce il RISCHIO ILLECITO o NON CONSENTITO.
Non tutte le condotte causali di un evento sono idonee a provocare quel rischio illecito. Ci sono
molti eventi fisici e non che fanno da contorno alla condotta che realmente cagiona il danno. Per
esemplificare, in un omicidio con una pistola non pu essere considerato colpevole anche quello
che l'ha costruita e quello che l'ha venduta legalmente, ma solo il soggetto che ha premuto il
grilletto e ucciso la vittima. Gli altri rappresentano delle conditio sine qua non ma non
costituiscono delle condotte penalmente rilevanti perch non realizzano il rischio illecito.
Alcuni sostengono che la condotta rilevante meramente quella che realizza una violazione di una
regola di diligenza, ma questa opinione non pu essere condivisibile. Alla base di qualsiasi condotta
penalmente rilevante deve esserci un rischio non consentito. Se violazione di una regola di
diligenza fare male una cosa che si pu fare, a fortiori violazione di una regola di diligenza fare
una cosa che assolutamente non si pu mai fare! Perci si afferma che la condotta rilevante non
proprio quella che realizza una violazione di una regola di diligenza, ma quella che realizza un
rischio illecito.
Ad esempio, il nipote che consiglia allo zio di prendere l'aereo nella speranza che l'aereo cada e lo
zio muoia, se l'aereo davvero cade e lo zio davvero muore, il nipote non si pu considerare
colpevole perch la condotta di consigliare allo zio di prendere l'aereo non realizza un rischio
illecito.
Ci che determina il limite del rischio consentito (che determina quindi quando si cade in una
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condotta che realizza un rischio non consentito) pu essere una regola scritta. Non sempre per c'
una regola scritta e allora in questo caso bisogna valutare che il rischio fosse PREVEDIBILE ed
EVITABILE. Ma come si fa a stabilire quando il rischio prevedibile ed evitabile? Come si fa a
stabilire che la condotta doveva essere evitata o no se non presente una regola scritta di
diligenza?
Bisogner innanzitutto valutare se quella condotta, oltre a realizzare un danno, produca anche un
possibile beneficio. Ma questa valutazione facile se il danno ed il beneficio ricadono sulla stessa
persona: es. il chirurgo che salva il ferito da una lesione mortale danno e beneficio ricadono
entrambi sul ferito che viene operato dal chirurgo e salvato.
Risulter molto pi difficile valutare se la condotta doveva essere evitata quando invece danni e
benefici ricadono su persone diverse: es. industria chimica sperimentale che produce innovazioni e
benefici per tutta la comunit ma crea danni fisici ai suoi operai. In questi casi come si pu
valutare, dato che tutti i soggetti sono uguali e nessuno maggiormente meritevole di vedere
tutelati i suoi diritti?
In questi casi alcuni tendono a seguire la regola del rischio 0, cio la condotta pu essere tenuta
solo se realizza un rischio pari a 0, cio nessun rischio. Ma ci praticamente impossibile (
ammessa la circolazione aerea ma gli aerei che volano sulle case non producono certo un rischio
pari a 0)
Inoltre il diritto penale tende ad intervenire ex post, cio punisce solo dopo che il rischio si sia
realmente realizzato. Ed in questi casi congruo punire per reato colposo anche se il rischio era
bassissimo? Ci pu essere un livello accettabile di rischio?
In realt s, un livello accettabile ci deve essere ma pi facile trovarlo dove c' una regola scritta
(ad es. possibile viaggiare a 130 Km/h in autostrada), ad esempio nei casi di colpa specifica si
accettano anche rischi importanti. Ma il paradosso che se non c' una regola scritta vale la
regola del rischio 0.
Vediamo come con le regole scritte si pu avere una tutela anticipata, mentre se non c' una
regola scritta si interviene solo dopo che si verificato l'evento lesivo.

DOLO INTENZIONALE E DOLO EVENTUALE.
Schema del dolo intenzionale:
Pe C e
Pe = prospettiva mentale dell'evento e
C = condotta
e = evento
Il soggetto agente ha la prospettiva mentale di un evento e che vuole raggiungere e sa che per
raggiungerlo pu tenere la condotta C che porta all'evento e.
Schema del dolo eventuale:
Px C x?
e
Px = prospettiva mentale di un fine x
C = condotta
x? = evento qualsiasi che per non si verifica oppure si verifica ma con l'evento dannoso e
e = evento dannoso non previsto o non voluto che non era oggetto della prospettiva mentale
Ogni condotta umana ha sempre a monte una prospettiva mentale che le da causa. Quando questa
prospettiva per proprio quella di cagionare un evento dannoso, allora la condotta sar
caratterizzata da dolo intenzionale.
Nel dolo eventuale invece la prospettiva mentale che ha causato la condotta un fine qualsiasi, ma
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la condotta che mirava al fine qualsiasi provoca anche un evento non voluto che cagiona un danno,
quindi penalmente rilevante (ricordare che anche nel dolo intenzionale la condotta deve essere
idonea a cagionare un rischio non consentito).
Noi analizziamo gli schemi del dolo intenzionale e del dolo eventuale partendo dalla prospettiva
mentale, ma bisogna ricordare come il giudice invece fa il percorso all'opposto, cio parte da un
evento e e da questo deve risalire alla condotta e poi alla prospettiva mentale del soggetto
agente.
Se il giudice verifica che il soggetto agente aveva proprio la prospettiva ci causare l'evento dannoso
e allora lo punisce per reato doloso.
Se riflettiamo sulla storia dell'uomo ci rendiamo conto che tutte le scoperte e le innovazioni
tecnologiche sono state create, dal punto di vista esteriore e concreto, dal movimento corporeo
dell'uomo. Dietro ciascun movimento corporeo infatti vi una prospettiva mentale e la condotta
C pu essere scomposta fino alla sua base rappresentata appunto dal puro movimento corporeo.
Lo schema del dolo intenzionale Pe C e pu essere contenuto in uno schema uguale ma pi
ampio, per cui rappresenta a sua volta nel suo insieme la condotta di una prospettiva antecedente
e di un evento ulteriore:
P1 [ P2 ( Pe C e ) e2 ] e1
dove:
P1 = comprare una casa
P2 = prendere l'eredit della nonna
Pe = uccidere la nonna
C = avvelenare il caff della nonna
e = morte nonna
e2 = ottenimento eredit della nonna
e1 = acquisto di una casa
Pe C e = C2
P2 C2 e2 = C1
Per il giudice ogni prospettiva estremamente rilevante perch costituiscono i moventi del reato,
ma incidono anche sulle circostanze del reato (aggravanti e attenuanti) e sul tipo di dolo (generale
o specifico). La condotta posta in essere senza moventi fa pensare invece che si tratti di un soggetti
incapace di intendere e di volere.
Fino a quanto possiamo andare a ritroso nelle prospettive mentali?
Infatti la cosa importante capire perch si instaura nella mente di un soggetto una prospettiva
che da innocente diventa criminosa e questo problema il diritto penale se lo pone raramente.
Sarebbe invece utile che si ponesse questo interrogativo per esercitare una vera prevenzione
primaria, quindi agire sulle cause che portano ad un reato.
Passiamo ora all'analisi dello schema motivazionale dell'evento non voluto, quindi del dolo
eventuale.
COLPA NON COSCIENTE: evento dannoso non voluto che non era neanche preveduto.
DOLO DIRETTO (che andrebbe meglio definito indiretto): l'evento dannoso non era voluto ma il
soggetto era certo che con quella condotta si sarebbe verificato quell'evento, quindi era previsto
(es. Tizio mette una bomba su un aereo per lucrare sull'assicurazione sapendo che questo avrebbe
ucciso il pilota).
DOLO EVENTUALE : si ha quando l'agente pone in essere una condotta che sa che vi sono serie
possibilit o probabilit che produca un evento integrante un reato.
Abbiamo studiato che il dolo eventuale dato dall'accettazione del rischio.
La categoria del dolo eventuale non ha base normativa ma ha creazione dottrinale. Questa
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categoria usata (a volte impropriamente) dalla giurisprudenza per avere una maggiore certezza,
sia per colpire pi duramente alcune azioni che altrimenti sarebbero colpose, ma anche per punire
azioni che altrimenti non sarebbero reato, dato che il reato colposo deve essere espressamente
previsto.
Quando da colpa cosciente si passa al dolo eventuale?
Su questa tematica abbiamo due correnti di pensiero:
1) Teoria della rappresentazione: secondo questa teoria (solo apparentemente rifiutata dalla
giurisprudenza) si ha colpa cosciente quando il soggetto si rappresenta un rischio che non
giudica particolarmente grave. Si ha dolo eventuale quando il soggetto si rappresenta il
rischio nella sua mente ed cosciente della sua gravit. Queste teorie fanno riferimento
quindi ad un giudizio sul rischio, ad un giudizio sulla sua gravit e sulla probabilit che si
verifichi o meno. (solitamente colui che accetta di correre un rischio perch lo percepisce
non grave o di scarsa probabilit di verificazione).
2) Teoria del consenso: alle teorie della rappresentazione viste sopra rimproverano di ridurre il
dolo alla mera rappresentazione dell'evento. La teoria del consenso contrappone alla teoria
della rappresentazione l'art. 43 del Codice che distingue il dolo e la colpa sulla base
dell'elemento psicologico. Il dolo ha natura psicologica. Non basta il giudizio sul rischio e la
sua accettazione ma occorre qualcosa di pi della mera rappresentazione dell'evento, un
qualcosa che si avvicini al dolo. E quell'elemento che avvicina il dolo eventuale al dolo
intenzionale, allontanandolo cos dalla colpa il CONSENSO. Il soggetto agente ha previsto
la possibilit di verificazione dell'evento dannoso ma interiormente d il consenso a che ci
si verifichi.
Posizione di Marcello Gallo: la persona sa che si pu realizzare l'evento ma nella colpa cosciente,
pensandoci bene, esclude che quel rischio si possa realizzare mentre nel dolo eventuale
pensandoci bene non esclude la realizzazione di quel rischio. Questa posizione porta a soluzioni
paradossali: di fatto si arriva a premiare l'ottimista! Tra due stesse persone che superano il limite di
velocit si considera colpa cosciente colui che comunque pensa che non succeder niente
(ottimista) e si addossa il dolo eventuale a colui che sa che la probabilit di incidente alta
(pessimista). Il paradosso che si finisce per punire il pessimista e premiare l'ottimista.
Quale teoria quella accettata dalla giurisprudenza?
Il problema della formula dell'accettazione del rischio la sua poca specificit. molto vaga, non si
capisce che cosa significa davvero accettazione del rischio e lascia carta bianca al giudice,
causando incertezza nella parte speciale del diritto penale tra il punibile ed il non punibile. La
formula dell'accettazione del rischio finisce per non avere una base empirica e ci contrasta con il
principio di materialit del diritto penale.
Perci in realt il vero criterio che i giudici utilizzano quello delle teorie della rappresentazione
che in un primo momento sembrano rifiutate ma, data la mancanza di contenuto della formula
dell'accettazione del rischio, finisce per riprendere valore.
Il dolo eventuale viene quindi identificato con la rappresentazione del rischio, che per sacrifica il
dolo come elemento psicologico. Vediamo perch.
C' nella realt una condizione psicologica che sia diversa dalla colpa cosciente e dal dolo
eventuale? Probabilmente esiste! Facciamo riferimento alla sentenza della Cassazione del
26/11/2009: questa sentenza ha ricostruito il dolo eventuale ponendo uno stato di dolo eventuale
che presente anche nel dolo diretto il soggetto non vuole l'evento ma certo che per
raggiungere il suo obiettivo l'evento dannoso e non voluto si deve realizzare, come se fosse una
sorta di prezzo da pagare per il raggiungimento dell'evento voluto. Questa sentenza ha tradotto
questo aspetto nel dolo eventuale utilizzando la importantissima FORMULA DI FRANK : c' dolo
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eventuale quando vi sono elementi per affermare oltre il ragionevole dubbio che, pur non essendo
certo del verificarsi dell'evento non voluto, avrebbe continuato ad agire anche davanti alla
certezza. Ossia ci sono elementi per afferire che quel soggetto se (ipoteticamente) avrebbe avuto
la certezza della realizzazione dell'evento dannoso sarebbe comunque andato avanti nella
condotta.
La formula di Frank una formula di garanzia in quanto riduce l'ambito di applicazione del dolo
eventuale e quindi l'ambito di discrezionalit del giudice nel giudizio su di esso.
Tra dolo e colpa (oltre alle differenze strutturali chiare a tutti) vi un altra differenza: la colpa
anche se ha una componente psicologica un giudizio normativo che consiste nell'aver prodotto
un rischio non consentito, non aver tenuto uno standard di comportamento. Il dolo non un
giudizio normativo ma uno stato psicologico. Per l'art. 43 il dolo rappresentazione e volizione
dell'evento. Quella tra dolo e colpa non una distinzione solo quantitativa ma soprattutto
qualitativa.
Invece la definizione di dolo eventuale come mera rappresentazione porta a un sistema in cui la
differenza tra dolo e colpa diventa solamente quantitativa!
Nel dolo infatti vivono 2 definizioni: quella dell'art. 43 (rappresentazione e volizione) e quella del
dolo eventuale, che richiede molto di meno perch richiede solo l'accettazione del rischio, la sua
mera rappresentazione.
Quale delle due definizioni quella vera del dolo? Quella del dolo eventuale, perch se tra le due
definizioni ce n' una che richiede di meno significa che rappresenta la definizione minima di dolo,
ci che serve al minimo per configurare il dolo. Quindi il dolo eventuale viene ad essere la vera
definizione di dolo, che quella che la giurisprudenza ritiene necessaria.
L'art. 43, che rappresenta la definizione pi ampia e pi generale, perde cos la sua centralit.
Unica vera definizione di dolo diventa questa: eri pienamente disposto ad accettare il rischio e
non ti saresti fermato anche se avessi avuto la certezza del verificarsi del fatto lesivo (formula di
Frank).
Pericolo della normativizzazione del dolo: ridurre la differenza tra dolo e colpa togliendo
l'elemento volitivo, riducendo la componente psicologica solo alla mera rappresentazione; si
finisce per eliminare ogni differenza qualitativa tra dolo e colpa.
Tutto ci sbagliato. Il vero giudizio di dolo dovrebbe essere un giudizio su uno stato psicologico e
non una valutazione sul rischio.

Abbiamo visto che il dolo eventuale non disciplinato dal Codice Penale, ma analizzando alcuni
articoli del Codice vediamo come invece si tenga conto dell'esistenza del dolo eventuale.

Art. 323. Abuso d'ufficio:
Salvo che il fatto non costituisca un pi grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico
sevizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di
regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a s o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni.
La pena aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravit.
Il reato si configura quando un pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio
intenzionalmente procura a s o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri
un danno ingiusto.
L'abuso d'ufficio un delitto e in quanto tale richiede il dolo, salvo casi espressi di colpa. Perci
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perch stato posto quel intenzionalmente dal legislatore? Che significato ha questo avverbio?
L'avverbio intenzionalmente ha qui proprio il significato di escludere il dolo eventuale. Questa
norma di recente modifica e infatti le ultime riforme hanno spesso introdotto avverbi come
intenzionalmente proprio con l'obiettivo di escludere la punibilit per dolo eventuale. Ma se
hanno questo scopo, vuol dire che nello stesso tempo questo istituto viene di fatto riconosciuto dal
legislatore, nonostante nel Codice Penale non venga formalmente disciplinato.

Art. 216 della Legge fallimentare:
questo rappresenta un altro esempio di come venga riconosciuto il dolo eventuale. Per la
configurazione del reato di bancarotta fraudolenta la norma richiede che l'imprenditore sia
dichiarato fallito. Domanda: questa condizione condizione obiettiva di punibilit (quindi basta la
sua presenza oggettiva; estrinseco al reato) oppure elemento costitutivo del reato (per cui
occorre su questo dimostrare che vi stato dolo; intrinseco al reato)?
Per rispondere facciamo una parentesi sul reato di incesto ex art. 564 c.p.
Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un
ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, punito con la
reclusione da uno a cinque anni. La pena della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione
incestuosa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l'incesto commesso da persona
maggiore di et con persona minore degli anni diciotto, la pena aumentata per la persona
maggiorenne. La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della patria potest o
della tutela legale.
Per la configurazione del reato di incesto la norma dice che il rapporto tra parenti deve aver creato
un pubblico scandalo. Anche qui, questa condizione condizione obiettiva di punibilit, quindi
estrinseco al reato, oppure intrinseco e perci elemento costitutivo del reato?
In base alla risposta le conseguenze sono diverse poich nel caso in cui siano condizioni obiettive di
punibilit, in quanto elemento estrinseco, non necessario dimostrare il dolo ma basta la presenza
oggettiva della condizione (nel caso dell'incesto ininfluente la volont di recare ; se si tratta
invece di elemento costituivo del reato, in quanto elemento intrinseco al reato, necessario che su
questo venga provato il dolo.
Sulla risposta riguardo al delitto di incesto vi sono due orientamenti:
1) quello maggioritario sostiene che non si interviene penalmente se non si ancora resa nota
l'esistenza dell'incesto. Questa opinione risponde all'esigenza di evitare di andare a
destabilizzare un equilibrio familiare, perci considera la condizione come estrinseca al
reato.
2) Quello minoritario sostiene che il reato di incesto in realt non vuole tutelare l'equilibrio
familiare ma i buoni costumi, perci il pubblico scandalo ha piena relazione con il bene
tutelato ed quindi intrinseco al reato. Quest'opinione considera il pubblico scandalo
elemento costituivo del reato e quindi deve esserne provato il dolo.
Ora ritorniamo nel reato di bancarotta fraudolenta e rispondiamo al quesito che ci siamo posti in
partenza. Chiediamoci se la dichiarazione di fallimento inerente al bene tutelato (tutela dei
creditori) se considerassimo la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore come elemento
costitutivo del reato vorrebbe dire che per punirlo di bancarotta fraudolenta necessario
dimostrare il dolo nel rendersi un imprenditore fallito. Nella realt questo assurdo! Un
imprenditore mai arriva dolosamente, quindi volontariamente, al fallimento, perci il risultato
sarebbe che questo reato non avrebbe mai applicazione pratica!
Di conseguenza si considera che la dichiarazione di fallimento consista in una condizione obiettiva
di punibilit che rileva quindi oggettivamente, indipendentemente dal dolo dell'imprenditore, in
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quanto aspetto estrinseco al reato che non ha nulla a che vedere con il bene tutelato.
Tuttavia un giudice che si trovava in un giudizio fallimentare ha trovato un escamotage per
considerare la dichiarazione di fallimento come elemento del reato. Poich stava scadendo il
termine di prescrizione egli pens di utilizzare la locuzione che sia dichiarato fallito come
elemento di reato in modo da posticipare l'inizio della decorrenza del termine prescrizionale al
momento della dichiarazione di fallimento, non al momento anteriore in cui l'imprenditore ha
posto in essere gli atti per cui stato incriminato di bancarotta fraudolenta, momento dal quale
sarebbe decorso il termine di prescrizione se lo si considerasse condizione obiettiva di punibilit.
Cos il giudice si trov a dover dimostrare il dolo dell'imprenditore ed qui che utilizz il dolo
eventuale: non bisogna dimostrare il dolo nel fallimento ma basta che si dimostri che
l'imprenditore abbia preveduto e accettato il rischio.
Ma, come abbiamo visto, questa categoria talmente generica che pu essere adattata per ogni
caso, con evidente violazione del principio di legalit!

Abbiamo detto che il dolo eventuale, dato dalla rappresentazione dell'evento, viene a
rappresentare la definizione minima di dolo, che invece dato dalla rappresentazione e dalla
volizione.
Per vedere le conseguenze negative dell'assimilare il dolo alla mera rappresentazione,
allontanandolo dall'aspetto volitivo, analizziamo le differenze tra la prova della volizione e la prova
della rappresentazione.
Prova della volizione: per provare il dolo il giudice deve mettere in campo tutte le prospettive
mentali plausibili che potrebbero aver portato ad una condotta (esempio: sparo di fucile
prospettive mentali possono essere l'uccisione di una persona, festeggiamenti di capodanno, la
caccia...). Il giudice arriva a provare il dolo quando pu escludere oltre ogni ragionevole dubbio
tutte le prospettive tranne una e quella che rimane quella dolosa. Ma per escludere tutte le altre
prospettive deve descrivere in maniera precisa il contesto in cui si tenuta la condotta (esempio: il
giudice verifica che non era capodanno, che non si era in un bosco per la caccia, ecc.).
Quando l'unica prospettiva che rimane quella di cagionare l'evento dannoso allora si provato il
dolo.
Nel manuale del Fiandanca-Musco avevamo visto che per provare il dolo bisogna far riferimento
alle massime di esperienza alla luce dei dati situazionali. Cosa significa?
La definizione del manuale pu essere fuorviante in quanto fa pensare che per provare il dolo
bisogna fare riferimento alle massime di esperienza. Questo vero, ma non basta! Bisogna inoltre
considerare tutti i dati situazionali del caso concreto.
Tutto ci che fa riferimento al comportamento umano non mai una legge universale, al massimo
pu essere una legge di tipo (massime di esperienza). Le massime di esperienza non sono
universali anche perch possono coesistere con delle massime di senso opposto. Per esempio:
offesa vendetta oppure perdono.
Perci provare il dolo con le sole massime di esperienza potrebbe essere pericoloso. necessario
integrarle con le considerazioni dei dati specifici inerenti al caso concreto. Esempio: Tizio
acerrimo nemico del suo vicino Caio. Una notte buia rientrando a casa in macchina a tutta velocit
Tizio investe Caio ma sull'asfalto non c' nessun segno di frenate. E' vero che una massima di
esperienza dice che una persona che ha con un altra un rapporto di forte inimicizia sarebbe portata
portata anche ad ucciderla ma fermandosi alla massima di esperienza sarebbe omicidio colposo,
per se analizziamo i dati situazionali del caso concreto (era buio, tizio era di fretta per un certo
motivo, ecc.) pu essere che non vi sia il dolo che la massima di esperienza prospettava.
Prova della rappresentazione: provare la rappresentazione molto pi difficile perch significa
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andare ad analizzare che cosa c' nella mente di una persona, se quella persona nella sua mente si
prospettata l'evento lesivo. Questo non certo facile! Perci la prova della rappresentazione
avviene comodamente con l'utilizzo delle presunzioni, che portano a fare delle generalizzazioni del
caso specifico. Infatti utilizzando il metodo presuntivo si finisce per generalizzare il caso
individuando gli aspetti comuni, facendo riferimento ad esempio alle condizioni del soggetto, alla
sua professione, all'et, e cos via.
Conclusione: mentre la volizione suscettibile di una prova INDIVIDUALIZZANTE, la
rappresentazione suscettibile solo di una prova GENERALIZZANTE.
Se il dolo smarrisce la centralit della volizione e diventa solo rappresentazione (come nel dolo
eventuale che sembra essere oggi la vera nozione di dolo) il percorso di ricostruzione del dolo di
presta sempre pi a presunzioni.
Un esempio pu servire a chiarire questa problematica: Fino a una decina di anni fa esistevano i
reati valutari che colpivano chi portava una somma di denaro oltre i limiti all'estero. Un direttore di
una banca di Como aveva fatto operazioni che si erano rivelate in fine operazioni di valuta. Il
percorso che fece l'accusa (e poi il giudice) fu questo:
1) il direttore ha violato uno standard di di comportamento, ha agito con negligenza. Quindi per
ora saremmo sul piano della colpa incosciente.
2) Per egli un direttore da pi di 10 anni di esperienza, quindi doveva sapere che quelle
operazioni correvano il rischio di essere classificate come esportazione di valuta. Si passa
quindi al piano della colpa cosciente.
3) Per se si reso conto significa che ha accettato il rischio che la sua condotta poteva portare
all'evento che la norma contro i reati valutari vieta. Si passa al dolo eventuale.
Come si vede da questo emblematico esempio, escludendo ogni riferimento alla volizione facile
usare solo mezzi di rappresentazione (quindi presuntivi) per arrivare a dimostrare il dolo.
Disancorare il dolo dalla volizione porta al fatto che sia molto facile passare dalla colpa incosciente
al dolo intenzionale. E questo molto pericoloso in un diritto penale come il nostro orientato al
principio di colpevolezza.

IL DOLO EVENTUALE NEL REATO OMISSIVO IMPROPRIO.
Continuando con la riflessione sul dolo eventuale, facciamo alcune esemplificazioni che ci
insegnano a non essere schiavi delle categorie dogmatiche di parte generale, ma verificare
sempre se le categorie corrispondono nella realt a situazioni reali. La realt molto spesso pi
ampia delle categorie che studiamo.
Il reato omissivo improprio quello dell'art. 40 c.p. quando afferma al comma 2 che non impedire
un fatto che costituisce reato equivale a cagionarlo.
Come sappiamo vi molta incertezza nello stabilire quando vi l'obbligo di intervenire. Non a caso
il reato omissivo improprio insieme al dolo eventuale sono due tra gli istituti pi incerti del diritto
penale.
Domanda: pone qualche problema l'applicabilit del dolo eventuale al reato omissivo improprio?
Esempio: un baby sitter preposta alla vigilanza di un bambino si distrae per guarda
re la televisione, il bambino giocando con la presa della corrente si provoca delle gravi lesioni.
Quando in casi come questi si pu parlare di dolo? Sicuramente escludiamo il dolo intenzionale, la
baby sitter non si certo messa a guardare la televisione con l'intento di far si che il bambino si
facesse male.
In alcuni manuali si dice che per configurare il dolo nel reato omissivo improprio necessaria:
- la consapevolezza della posizione di garanzia
- la consapevolezza di dover intervenire
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- la decisione di non agire.
Ma basta questo?
In realt la consapevolezza di correre un rischio configura la colpa cosciente, non il dolo. Tuttavia
abbiamo affrontato la teoria della rappresentazione con la quale si ricostruisce il dolo con questo
requisito della mera accettazione del rischio.
L'esempio della baby sitter evidentemente un caso di colpa cosciente.
Per rimane il problema del dolo eventuale e della sua applicabilit al reato omissivo improprio.
Vediamo ora esempi in cui la formula di Frank si potrebbe applicare e sembra quindi riconoscersi il
dolo eventuale, anche se di dolo eventuale non si pu parlare.
I esempio:
un vigile del fuoco si trova davanti ad un appartamento in fiamme. Una persona si trova
imprigionata in una stanza. Egli ha le capacit, o meglio, i mezzi idonei per intervenire. Tuttavia
bloccato dalla paura non interviene e la persona nella stanza muore.
Risponde di omicidio intenzionale (attraverso la categoria del dolo eventuale)?
II esempio:
un marito, che mai avrebbe alzato un dito sulla moglie, era per una persona vile. Durante una
passeggiata in riva al fiume la moglie scivola e cade in acqua a pochi metri dalla riva, ma rischia di
annegare perch non sa nuotare. Il marito per non interviene.
Si tratta di dolo eventuale? responsabile come se avesse impugnato una pistola e sparato alla
moglie?
III esempio:
caso Oneda (purtroppo questo un caso vero). Due genitori, estremamente affezionati alla propria
figlia, che tutto avrebbero fatto per lei, non portano all'ospedale la piccola malata per una
trasfusione di sangue, in quanto la loro religione (testimoni di Geova) vietava le pratiche di
trasfusione, che invece le avrebbero salvato la vita. A causa di questo comportamento la bambina
muore.
Si pu parlare di dolo eventuale, invece che di colpa?
In tutti i tre casi visti qui sopra indubbiamente c' la colpa, ma si pu parlare anche di dolo? Che
cosa cambia in questi 3 esempi rispetto ai casi tradizionali che abbiamo visto parlando di dolo
eventuale?
Il problema di fondo che mentre le azioni positive hanno sempre un fine, al contrario non sempre
le omissioni hanno un fine. In una azione positiva infatti il rischio per il soggetto che soccombe
nasce sempre dal fatto che il soggetto agente ha deciso di agire per raggiungere proprio quel fine.
Ma non sempre cos nei casi di comportamenti omissivi.
Negli esempi che abbiamo visto sopra le omissioni (quindi il non intervenire nei diversi casi) non
hanno un fine lesivo. E senza fine non pu configurarsi una forma di dolo.
Sono pochi i casi in cui l'omissione ha un fine (ad esempio il chirurgo che deve impiantare una
valvola cardiaca ad una persona per salvarle la vita ma non lo fa per utilizzare la costosissima
valvola nella sua clinica privata; in questo esempio un fine all'omissione c', non era mera inerzia).
Tuttavia in molti casi l'omissione non ha un fine.
La conclusione che i tre esempi fatti sopra dimostrano che, anche se la formula di Frank sembra
applicabile, lasciano perplessi sull'applicabilit del dolo eventuale (e per questo all'inizio abbiamo
detto di evitare di essere schiavi delle formule dogmatiche, ma sempre confrontarsi con la realt).

IL REATO DI LESIONE PERSONALE, ART. 582 COD. PEN.
Continuiamo sul percorso iniziale in cui verifichiamo come le novit di parte generale (es. il
principio di colpevolezza) incidano sulla parte speciale.
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L'art. 582 disciplina il reato di lesioni personali e dopo l'enunciazione del reato base abbiamo la
disciplina sulle circostanze aggravanti, art. 583.

Art. 582. Lesione personale:
chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o
nella mente, punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze
aggravanti prevedute dagli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e
nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto punibile a querela della persona offesa.
L'art. 582 afferma che si ha lesione personale quando ne deriva una malattia nel corpo o nella
mente e questo elemento ci che differenzia la lesione personale dal reato di percosse (art.
581).
L'articolo fa una distinzione tra la malattia che ha durata superiore a 20 giorni e la malattia che ha
durata inferiore a 20 giorni. In quest'ultimo caso il reato perseguibile a querela della persona
offesa.
Il seguente art. 583 disciplina le circostanze aggravanti del reato di lesione personale e qui si
distingue quando la lesione personale da lieve (art. 582) diventa grave o gravissima.
Nei casi qui affrontati infatti si applica una pena superiore (lesioni lievi ex art. 582 reclusione da
3 mesi a 3 anni; lesioni gravi ex art. 583 comma 1 reclusione da 3 a 7 anni; lesioni gravissime ex
art. 583 comma 2 reclusione da 6 a 12 anni).
L'Antolisei sosteneva che queste circostanze gravi e gravissime non costituivano circostanze
aggravanti ma rappresentavano dei reati autonomi, in modo tale che nell'ambito del reato delle
lesioni personali si vengono a configurare 3 reati diversi: lesioni lievi, gravi e gravissime.
Il discorso dell'Antolisei (sostenuto da argomentazioni sul concetto di malattia e su come viene
utilizzato dagli artt. 582 e 583) nasceva per il perseguimento di un obiettivo ben preciso che era
quello di ottenere risultati in bonam partem, quindi diminuire la severit delle norme del Codice
Penale.
Infatti, se le circostanze aggravanti le avesse considerate, come lo erano al tempo dell'Antolisei,
circostanze del reato, queste avrebbero rilevato oggettivamente, quindi indipendentemente dal
dolo o dalla colpa e dalla loro conoscibilit, con il conseguente aggravamento della pena. Si
trattava di un versari in re illecita. Inoltre, quando scriveva l'Antolisei, le circostanze aggravanti
indipendenti (cio che prevedevano una pena autonoma, specificata direttamente dal legislatore)
non rientravano nel giudizio di equivalenza tra circostanze in concorso nel medesimo reato (art. 69,
bilanciamento tra aggravanti e attenuanti), perci il giudice non aveva alcun potere discrezionale
per compensare le circostanze aggravanti con quelle attenuanti.
Ad esempio: Tizio d uno schiaffo a Caio ma non ricorda di avere un grosso anello al dito e gli
provoca una sfregio sul viso al tempo dell'Antolisei Tizio avrebbe risposto di lesioni gravissime.
Oggi, dopo la sentenza 364/1988 Corte Cost. e dopo l'intervento riformatore del legislatore nel
1974, le circostanze aggravanti rilevano solo se conosciute o conoscibili.
Si voluto un intervento riformatore del Codice Rocco (in quanto non era possibile fare un nuovo
codice) per rendere meno severi e pi compatibili con il principio di colpevolezza alcuni istituti
della disciplina penale. Si procedette quindi ad allargare l'ambito di discrezionalit del giudice nel
giudizio di bilanciamento sulle circostanze aggravanti e attenuanti, oltre che a introdurre le altre
modifiche previste dalla riforma del '74 (recidiva sempre facoltativa, introduzione delle circostanze
generiche ex art. 62-bis, estensione del regime del concorso formale eterogeneo).
L'Antolisei al suo tempo era intervenuto proprio anticipando queste riforme, considerando
l'esistenza di tre reati di lesione personale di diversa gravit, in modo tale da ridurre il regime
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severo del Codice precedente alla riforma del '74, perch cos facendo sarebbe stato necessario
provare il dolo nelle circostanze, che non avrebbero dovuto pi rilevare solo oggettivamente.
Con questa nuova introduzione, riprendendo l'esempio fatto sopra, Tizio non risponderebbe pi di
lesioni gravissime ma si applica il reato ex art. 586 morte o lesioni come conseguenza di un altro
delitto, per il quale le pene previste sono attenuate.

IL REATO DI FURTO.
Un altro esempio in cui il legislatore intervenuto con lo stesso percorso dell'Antolisei e ha
trasformato due aggravanti in due reati autonomi il caso del reato di furto ex art. 624 Cod. Pen.
Infatti fino agli anni 2000 il furto in abitazione ed il furto con strappo (scippo) erano aggravanti del
furto, mentre con l'introduzione dell'art. 624-bis sono diventati due reati autonomi.
L'art. 624-bis disciplina il furto in abitazione e il furto con strappo, mentre l'art. 625 elenca le
circostanze aggravanti del reato di furto.

Art. 624. furto:
chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne
profitto per s o per altri, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 a
516.
agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia
che abbia un valore economico.
Il delitto punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o pi delle circostanze di
cui agli articoli 61, numero 7) e 625.

Art. 624-bis. Furto in abitazione e furto con strappo:
Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne
profitto per s o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in
parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, punito con la reclusione da uno a sei anni e con
la multa da euro 309 a euro 1.032.
Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui,
sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per s o per altri, strappandola di mano o di
dosso alla persona.
La pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549 se il reato
aggravato da una o pi delle circostanze previste nel primo comma dell'articolo 625 ovvero se
ricorre una o pi delle circostanze indicate all'articolo 61.

Art. 625-bis. Circostanze aggravanti:
La pena per il fatto previsto dall'articolo 624 della reclusione da uno a sei anni e della multa da
euro 103 a euro 1.032:
1) ()
2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
3) se il colpevole porta in dosso armi o narcotici, senza farne uso;
4) se il fatto commesso con destrezza;
5) se il fatto commesso da tre o pi persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli
la qualit di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio;
6) se il fatto commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli
scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;
7) se il fatto commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o
15
a pignoramento, o esposte per necessit o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o
destinate a pubblico servizio o a pubblica utilit, difesa o reverenza;
8) se il fatto commesso su tre o pi capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su
animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.
8 bis) se il fatto commesso allinterno di mezzi di pubblico trasporto;
8ter) se il fatto commesso nei confronti di persona che si trovi nellatto di fruire ovvero che abbia
appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di
denaro.
Se concorrono due o pi delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali
circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61, la pena della reclusione da tre a
dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549.
Il furto rappresenta il reato-base e si configura quando un soggetto s'impossessa della cosa mobile
altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne un profitto per s o per altri.
Leggendo invece l'elenco delle circostanze aggravanti ci si accorge di un fatto paradossale: molto
raro che le situazioni riportate non si verifichino nella realt! Pensiamo ad esempio alla circostanza
aggravante del furto commesso con destrezza: quasi logico che un ladro agisca con destrezza
mentre sottrae una cosa al suo proprietario!
Per di pi se andiamo ad analizzare l'ultimo comma dell'art. 625 vediamo che il rigore della norma
si fa ancora pi severo in quanto la pena aumenta se nel reato concorrono due o pi circostanze
aggravanti oppure se una di queste circostanze concorre con una di quelle previste dall'art. 61 Cod.
Pen. E anche qui vi un paradosso perch nel furto molto frequente o quasi immanente al reato
che queste circostanze concorrano con altre.
Se invece analizziamo l'art. 624-bis, vediamo che queste aggravanti sono state trasformate in reati
autonomi ma la pena non cambia rispetto a quella prevista per le circostanze aggravanti
(reclusione da uno a sei anni).
Perci, qual' il reale obiettivo del legislatore nel rendere queste circostanze due reati autonomi?
Possiamo affermare che il percorso seguito dal legislatore lo stesso che abbiamo visto per il reato
di lesione personale in cui l'Antolisei ha trasformato due circostanze in reati autonomi. Ma il
risultato esattamente l'opposto. Mentre l'Antolisei aveva un obiettivo in bonam partem, qui il
legislatore ottiene un effetto in malam partem.
Lo scopo del legislatore era quello di escludere queste ipotesi dal giudizio di bilanciamento al quale
sono sottoposte le circostanze di reato. Trasformandoli in reati autonomi abbiamo ottenuto infatti
un risultato negativo ed uno positivo: il primo quello che, essendo reati autonomi e non pi
circostanze di reato, sono ipotesi che nel momento in cui si verificano la pena certamente
aumentata perch non pi sottoposta al giudizio di bilanciamento; il secondo quello che,
diventando reati autonomi, necessario dimostrare il dolo, e la prova quindi (in teoria) pi
difficile da dare, mentre se erano circostanze la prova della conoscibilit pi semplice.
Tuttavia questo effetto favorevole in realt non si verifica mai! Il furto praticamente sempre
commesso con dolo. estremamente raro che il ladro compia un furto in abitazione o con strappo
per errore!
L'art. 625-bis rappresenta una norma molto importante per la sua novit. Infatti si tratta di una
norma premiale, cio una norma che per incentivare un comportamento (in questo caso
l'indicazione da parte del colpevole dei complici o dei ricettatori) offre un beneficio in termini di
pena. Questa norma premia quindi la collaborazione di giustizia e pu esistere anche al di fuori dei
reati in ambito di criminalit organizzata.
Le prime norme premiali sono state introdotte in tema di criminalit organizzata. Tuttavia si tratta
di norme che pongono dei problemi in quanto portano ad una sorta di costi per il sistema penale
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che non possono essere sottovalutati.

DELITTI IN MATERIA DI ONORE.
Anche affrontando questo tema vedremo come la storia ha inciso profondamente sulle norme
penali.

Ingiuria, art. 594:
Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente punito con la reclusione fino a sei
mesi o con la multa fino a euro 516.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o
con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l'offesa consiste
nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di pi persone.
Si configura quando un soggetto offende l'onore o il decoro di una persona presente o tramite un
mezzo di comunicazione, quali telefono o scritti diretti alla persona offesa.
Elemento fondamentale la presenza della persona offesa.
La condotta libera e poco specificata (chiunque offende).

Diffamazione, art. 595:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con pi persone, offende
l'altrui reputazione, punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena della reclusione fino a due
anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicit, ovvero in atto
pubblico, la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l'offesa recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o
ad una autorit costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Si instaura quando un soggetto, comunicando con pi persone, offende la reputazione di un altro
individuo.
Qui elemento caratterizzante , al contrario dell'ingiuria, la mancanza della comunicazione diretta
con la persona offesa.
Leggendo le due norme notiamo un aspetto molto importante: il Codice Rocco prescinde dalla
veridicit dei fatti offensivi. Non si pone il problema di una distinzione tra fatti offensivi veri o falsi.
Questa scelta del Codice Rocco sottintende un aspetto storico molto importante. Infatti il Codice
Rocco risale al 1930, periodo fascista, e la libert di stampa e di cronaca giornalistica era esclusa,
per questo motivo le due norme dell'ingiuria e della diffamazione non si pongono il problema sulla
veridicit dei fatti.
Alla disciplina di questi due reati si aggiunge quella dell'art. 596 (esclusione della prova
liberatoria) che, in un certo senso, tenta di essere liberale ma in realt non lo .

Art 596. esclusione della prova liberatoria:
Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non ammesso a provare, a sua
discolpa, la verit o la notoriet del fatto attribuito alla persona offesa.
Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e
l'offensore possono, d'accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un
giur d'onore il giudizio sulla verit del fatto medesimo.
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Quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verit del fatto
medesimo per sempre ammessa nel procedimento penale:
1) se la persona offesa un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio
delle sue funzioni;
2) se per il fatto attribuito alla persona offesa tutt'ora aperto o si inizia contro di essa un
procedimento penale;
3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verit o la falsit
del fatto ad esso attribuito.
Se la verit del fatto provata o se per esso la persona, a cui il fatto attribuito, per esso
condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'imputazione non punibile, salvo
che i modi usati non rendano per se stessi applicabili le disposizioni dell'art. 594, comma 1, ovvero
dell'articolo 595, comma 1.
Infatti l'art. 596 prevede innanzitutto che il colpevole non ammesso alla prova della verit o della
notoriet del fatto attribuito alla persona offesa, ma successivamente al comma 2 ammette che,
quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l'offensore
possono , d'accordo, decidere di deferire ad un giur d'onore il giudizio sulla verit del fatto
medesimo. Questo giudice non punir l'offensore se risulter che i fatti attributi alla persona offesa
sono veri.
Ma, come abbiamo gi anticipato, si tratta di un falso liberalismo, perch molto difficile che
l'offeso accetti di rivolgersi al giur d'onore per valutare i fatti.
Al terzo comma l'art. 596 specifica i 3 casi in cui la prova liberatoria della verit del fatto
ammessa, sempre nell'ambito di una attribuzione di un fatto determinato. Questi 3 casi sono:
1) se la persona offesa un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce
all'esercizio delle sue funzioni;
2) se per il fatto attribuito alla persona offesa tutt'ora aperto o si inizia contro di essa un
procedimento penale;
3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verit o la
falsit del fatto ad esso attribuito.
Queste tre situazioni sono state introdotte nel codice nel 1944. Quest'anno di grande importanza
perch l'anno immediatamente successivo alla caduta del fascismo in Italia e nel territorio
italiano abbiamo ancora uno stato di guerra, con i governo Badoglio.
Lo scopo che si voleva raggiungere in quel periodo era proprio quello di dare all'Italia un'impronta
liberale e cancellare gli elementi dittatoriali del fascismo, ci anche, e soprattutto, attraverso la
concessione della libert di stampa. Unico limite per rimane la veridicit dei fatti espressi.
Successivamente con l'avvento della Costituzione Italiana si avr un maggiore ampliamento del
valore della libert di stampa e di cronaca giornalistica (libert di critica e di satira politica...),
sempre per sotto alcuni limiti. Ulteriori limiti saranno poi posti anche dalla giurisprudenza.
L'anno 1944 rappresenta un anno importante anche perch viene abolita la pena di morte (prima
abolizione europea da parte del Granducato Toscano), anche se non si tratta di una abolizione tout
court ma riguarda solamente la pena di morte prevista da leggi speciale, facendo riferimento alle
leggi fasciste. Mentre l'abolizione totale avverr con l'avvento della Costituzione e quella della
pena di morte per le leggi di guerra avverr ancora pi avanti (NB. La pena di morte non era
presente nel codice Zanardelli ed stata introdotta proprio dal codice Rocco).
Ritorniamo ad analizzare i 3 casi di ammissione della prova liberatoria. Abbiamo detto che
l'offensore pu arrivare a non essere punito. Ma di che non punibilit si tratta?
Ricordiamo che ci sono 3 livelli di non punibilit:
1) CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE: il fatto tipico ma non antigiuridico ( lecito).
18
2) CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILIT IN SENSO STRETTO: il fatto antigiuridico ed il
soggetto colpevole ma in questa situazione eccezionale non punibile.
3) CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA: il fatto antigiuridico ma il soggetto non si
considera colpevole.
Esempio di causa di giustificazione (1): in questi casi ci troviamo davanti a due beni giuridici in
conflitto e l'ordinamento giuridico deve compiere una scelta, attuando un bilanciamento degli
interessi. Esempio tipico quello della legittima difesa dove tra il bene vita dell'offensore e quello
della difesa dell'offeso l'ordinamento predilige quello della difesa, se proporzionato all'offesa.
Infatti l'offeso deve stare attento a non avere una reazione sproporzionata all'offesa (eccesso di
difesa), oppure potrebbe cadere nel caso dell'erronea supposizione di causa di giustificazione.
Esempio di di causa di esclusione della punibilit in senso stretto (2): art. 649 non punibilit e
querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti. Questo il caso ad esempio
del furto commesso a danni di un membro della propria famiglia. Il colpevole non viene punito.
L'esclusione della punibilit non avviene perch il fatto lecito, ma perch si rispetta una
valutazione di pura opportunit. Il giudice penale semplicemente si astiene dall'incidere su
questioni di carattere personale. Possiamo dire che questo caso esattamente speculare alle
condizioni obiettive di punibilit (rif. pubblico scandalo nel reato di incesto).
Esempio di causa di esclusione della colpevolezza (3): il caso in cui il fatto non rimproverabile
perch il soggetto non pu essere considerato colpevole perch ad esempio minorenne oppure
incapace di intendere e di volere.
Secondo alcuni autori un altro caso di esclusione della colpevolezza quello dell'art. 384 (casi di
non punibilit), cio quei casi in cui il soggetto non punibile perch ha commesso il fatto per
difendere se stesso o un prossimo congiunto da un danno alla libert o all'onore, oppure se il fatto
commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini
delle indagini o assunto come testimone, perito o consulente, cio, ad esempio, la moglie o altro
stretto familiare e che pu avere interessi nel caso.
Esempio classico quello della moglie che aiuta il marito a nascondere alcune prove del reato da
lui commesso. Qui ci troviamo di fronte al fatto che la moglie si trova in una posizione tale per cui
sarebbe eccessivo esigere da lei ci che si esige normalmente da un qualsiasi cittadino, slegato da
qualsiasi rapporto di interesse con suo marito. Per la moglie, testimoniare o dichiarare contro il
marito implicherebbe delle conseguenze disastrose che non succederebbero con qualsiasi altro
cittadino (si potrebbero recidere i legami familiari con la persona, paura di un suo arresto, ecc.).
Comporta alla moglie sacrifici maggiori di quelli che sopporterebbe un qualsiasi altro cittadino. In
questo caso infatti meglio parlare di NON ESIGIBILIT della moglie ad adempiere a certi
comportamenti obbligatori in funzione della comunit.
Altri autori invece considerano questo caso non come una esclusione della colpevolezza (3) ma
come esclusione della punibilit in senso stretto (2). La differenza sta nel fatto che nella prima si
parla di non esigibilit del comportamento mentre nella seconda si parla di non opportunit ad
irrogare la sanzione.
Dopo tutta questa analisi sui 3 livelli di non punibilit possiamo ora arrivare a chiarire che tipo di
non punibilit quella prevista per i reati contro l'onore dall'art. 596.
Analizzando attentamente la norma ci accorgiamo che in essa vi sono due beni giuridici
contrapposti, cio l'interesse della societ a far emergere i reati e l'interesse del privato di tutela
della privacy e dell'onore. Ci troviamo quindi nell'ambito delle cause di giustificazione (1), nelle
quali l'ordinamento giuridico considera prevalente uno dei due interessi in gioco ed in questo caso
predilige l'interesse della societ, con il solo limite della veridicit dei fatti attribuiti alla persona
offesa.
19
(N.B. La diffamazione e l'ingiuria, come tutti i reati, sottost al principio di colpevolezza quindi
necessario che per la configurazione del reato vi sia la lesione del bene giuridico tutelato (l'onore).
Per esempio se ora il professore dice ad uno studente che un suo compagno ha commesso un
reato grave, il professore non commette reato di diffamazione perch noi tutti sappiamo che sta
facendo un esempio e quindi manca l'offesa concreta al bene giuridico.)

CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILIT E ART. 119 (VALUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE DI
ESCLUSIONE DELLA PENA).
I tre tipi non punibilit visti sopra hanno incidenza diversa nei confronti dei concorrenti in un reato.
In questa materia il codice chiama queste tre distinzioni circostanze di esclusione della pena
all'art. 119 (notare come il codice le definisce circostanze e non cause di esclusione).

Art. 119. Valutazione delle circostanze di esclusione della pena:
Le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato
hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono.
Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel
reato.
L'articolo fa distinzione tra circostanze oggettive e soggettive. Le circostanze oggettive si applicano
a tutti i correi e tra queste rientrano le cause di giustificazione. Le cause di esclusione della
colpevolezza sono, invece, circostanze soggettive e, quindi, non si estendono a tutti coloro che
sono concorsi nel reato ma hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono.
Per quanto riguarda le cause di esclusione della punibilit in senso stretto, l'opinione ancora
divisa e si tende ad affermare la loro valutazione caso per caso, anche se la giurisprudenza
maggiormente orientata verso la natura soggettiva.

CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILIT E ART. 59 (CIRCOSTANZE NON CONOSCIUTE O
ERRONEAMENTE SUPPOSTE).
Analizziamo ora come si rapportano le tre tipologie di cause di esclusione della punibilit con l'art.
59 che segna la disciplina delle circostanze non conosciute o erroneamente supposte.

Art. 59. Circostanze non conosciute o erroneamente supposte.
Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente, anche se da
lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui
conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono
valutate contro o a favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre
valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilit non
esclusa, quando il fatto preveduto dalla legge come delitto colposo.
Il primo comma dell'art. 59 afferma che le circostanze che attenuano o escludono la pena sono
valutate a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti.
Ci significa che le circostanze attenuanti rilevano oggettivamente.
Questo rilievo oggettivo, invece, non pu valere anche per le circostanze aggravanti. Infatti al
secondo comma la norma afferma che le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico
dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore
determinato da colpa.
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L'ultimo comma dell'art. 59 tratta invece del caso opposto al primo comma, cio della situazione
nella quale l'agente crede che esistano delle circostanze attenuanti che invece non sussistono. Se la
convinzione dell'agente deriva da errore, le circostanze attenuanti sono comunque valutate a suo
favore. Se invece si tratta di errore determinato da colpa e il fatto preveduto dalla legge come
reato colposo, la punibilit non esclusa.
La domanda che ci poniamo : le regole espresse dall'art. 59 al primo e all'ultimo comma si
applicano a tutte e tre le tipologie di esclusione della punibilit?
L'opinione maggioritaria (sostenuta anche dal prof. Romano) sostiene che, con riguardo al primo
comma, la rilevanza oggettiva delle attenuanti si applica ovviamente alle cause di giustificazione e
anche alle cause di esclusione della punibilit in senso stretto (es. il figlio che ruba una cosa ad una
persona ma non sa che quella persona suo padre).
Il dubbio sussiste invece riguardo alle cause di esclusione della colpevolezza. Si applica il primo
comma dell'art. 59? Per rispondere partiamo da un esempio:
la moglie che aiuta il marito latitante esclusione della colpevolezza. Ma se la moglie non sapesse
che il latitante che sta aiutando in realt suo marito? Secondo l'opinione maggioritaria in questo
caso l'art. 59 primo comma non si applica e la ratio sta nel fatto che l'obiettivo dell'art. 384 quello
di tutelare il familiare dal quale non si pu richiedere un comportamento che invece si attende da
un qualsiasi cittadino, perch legato al soggetto agente da un particolare legame, quello familiare.
Ma la moglie, nell'esempio, agisce non sapendo che il latitante fosse suo marito, quindi lo sta
aiutando in quanto latitante estraneo.
Per quanto concerne, invece, l'applicazione dell'ultimo comma (cio, come abbiamo visto, la
situazione contraria al primo comma il soggetto crede erroneamente che sussistano delle cause
di esclusione della punibilit), l'opinione maggioritaria sostiene che, ovviamente, si applica alle
cause di giustificazione, in quanto la norma fatta proprio per questo caso e si applica anche alle
cause di esclusione della colpevolezza (riprendendo l'esempio della moglie che aiuta il marito
latitante se la moglie crede che il latitante che sta aiutando suo marito ma invece non lo , la
circostanza attenuante valutata a suo favore).
Il dubbio qui si pone, invece, per le cause di esclusione della punibilit in senso stretto, per
esempio il figlio che ruba una cosa ad una persona che crede erroneamente che sia suo padre ma
invece non lo . In questo caso l'opinione maggioritaria sostiene che la norma dell'ultimo comma
non applicabile, perch l'art. 384 ha l'obiettivo di evitare che il diritto penale interferisca in
rapporti personali, come quello familiare, ma in questo caso questo rapporto non sussiste poich la
persona offesa in realt non il padre.
La tesi che abbiamo qui esposto, nonostante sia quella prevalente, si espone per ad una
obiezione: si tratta certamente di una lettura razionale dell'art. 59 ma formalmente la norma non
fa queste distinzioni. L'art. 59 sembra riferirsi alle cause di esclusione della punibilit in generale e
quindi a tutte e tre le tipologie.
Seguendo l'opinione affrontata si attua una distinzione in malam partem, poich non si
applicherebbe l'art. 59 ad alcune circostanze con conseguente aggravamento della disciplina
penale.
Attenzione: questo tipo di lettura riduttiva in malam partem non sarebbe contraria, quindi, al
principio di legalit? Un dato del diritto penale pu essere interpretato da una lettura, seppur
razionale, che passa da una dimensione formale ad una sostanziale?
(Esempio: professore che addossa reati ad alunni della prima fila, dal punto di vista formale
commette un reato che per non reato perch manca l'offesa al bene giuridico principio di
offensivit: tutti i reati devono realizzare l'offesa al bene giuridico).
La risposta pu essere individuata sulla base del PRINCIPIO DI OFFENSIVIT, secondo il quale
21
l'azione deve realizzare un'offesa al bene giuridico tutelato.
Alcuni autori (come Federico Stella) ricollegano questo principio alla Costituzione; altri sostengono
che il suo fondamento sia rinvenibile nell'art. 49 del codice penale sul REATO IMPOSSIBILE (l'atto
inidoneo o l'oggetto inesistente impossibilit dell'offesa).
Il principio di offensivit importante proprio perch implica un passaggio da una interpretazione
formale ad una sostanziale. Nelle varie ipotesi ci si chiede se concretamente si realizza l'offesa al
bene giuridico.
In base alla risposta, il passaggio ad una lettura in senso sostanziale porta ad una riduzione
dell'ambito del punibile oppure ad una sua estensione. Quest'ultimo caso, per, pu costituire un
problema poich si andrebbe contro allo scopo garantistico del nostro ordinamento giuridico e
quindi contro il principio di legalit.
Esempio: responsabilit per non aver impedito un evento che si aveva l'obbligo giuridico di
impedire (art. 40, reato omissivo improprio) posizione di garanzia. L'obbligo giuridico pu
nascere da legge o da contratto ma anche da altre fonti, ad esempio obblighi di assistenza
familiare. Questi quando davvero sorgono? Quando c' una famiglia. Oppure basta una
convivenza? E se basta una convivenza, deve essere lunga oppure sufficiente una breve
convivenza? Qui vediamo come una lettura in senso sostanziale di una norma pu estendere
l'ambito del punibile con il rischio di forzare il principio di legalit.

IL REATO DI INCENDIO, ART. 423 C.P.
Abbiamo detto come per tutti i reati valga il principio di offensivit, quindi l'azione deve
necessariamente arrecare l'offesa al bene giuridico tutelato.
L'offesa pu consistere in una LESIONE oppure in una messa in PERICOLO.

Art. 423. Incendio.
Chiunque cagiona un incendio punito con la reclusione da tre a sette anni.
La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto
deriva pericolo per l'incolumit pubblica.
L'art. 423 punisce il reato di incendio e questo un esempio di reato di pericolo. Infatti il reato di
incendio non mira a tutelare il patrimonio, perch altrimenti basterebbe l'art. 635 sul
danneggiamento, ma posto a tutela dell'incolumit pubblica (infatti posto nell'ambito dei reati
contro l'incolumit pubblica).
Inoltre, aspetto importante del reato di pericolo, che rappresenta un elemento di tutela
anticipata.
L'art. 423 pone una distinzione tra due situazioni:
2 comma se la cosa incendiata una cosa di mia propriet non basta incendiarla ma
occorre che il giudice verifichi che l'incendio abbia posto in pericolo qualcuno.
1 comma chiunque cagiona un incendio (di cosa altrui) punito senza che il giudice
debba verificare che in concreto si sia verificato un pericolo per qualcuno.
Notiamo come il primo comma non lascia al giudice alcuna possibilit di valutazione sulla reale
messa in pericolo di qualcuno e questo limite pu essere considerato incostituzionale, poich
contrasta con il principio di offensivit.
Nel primo comma si parla, infatti, di reato di pericolo PRESUNTO, mentre il secondo comma
prevede un'ipotesi di pericolo CONCRETO.
Tuttavia la dottrina sostiene che i reati di pericolo possono essere distinti in 3 categorie e non in 2:
1) reati di pericolo concreto, in cui il giudice deve accertare la concreta messa in pericolo
dell'incolumit pubblica;
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2) reati di pericolo ASTRATTO, per i quali il giudice non deve verificare la concreta sussistenza
del pericolo perch gi stato previamente accertato dal legislatore, attraverso la
dimostrazione di leggi scientifiche, che quell'azione porta inevitabilmente ad un pericolo
per l'incolumit pubblica (ad esempio nel divieto di uso di amianto il giudice non tenuto a
valutare la concreta messa in pericolo);
3) reati di pericolo presunto in questo caso il legislatore ha gi deciso previamente, senza la
base di leggi scientifiche, ma solo secondo valutazioni di mera opportunit, che una
determinata azione comporta intrinsecamente un pericolo. Il legislatore si rende conto che
rispetto ad un fatto non sempre certo che si verifichi un pericolo, ma per semplificare la
valutazione decide di punire in ogni caso. Questo tipo di ragionamento incostituzionale
perch contrario al principio di offensivit.
Tuttavia non tutti i manuali accettano le tre distinzioni e uniscono il reato di pericolo presunto con
quello di pericolo astratto.
La domanda che ci poniamo : l'art. 423 comma 1 un reato di pericolo presunto?
La risposta s, a prima vista. Ma sappiamo che non automatico che una cosa altrui incendiata
crei un pericolo all'altrui incolumit (ad es. un incendio in un campo deserto lontano dalle
abitazioni non creerebbe nessun pericolo all'incolumit pubblica). La questione stata posta,
quindi, alla Corte Costituzionale.
La Corte ha affermato che apparentemente reato di pericolo presunto ma poi dispone che
sussistono degli elementi per cui l'interpretazione del 1 comma pu essere analoga a quella del 2
comma, nel quale abbiamo un reato di pericolo concreto. Il 1 comma usa le seguenti parole
chiunque cagiona un incendio si tratta di un reato di evento. Non dice invece chiunque
appicca un incendio oppure chiunque provoca una combustione di materiale mobile.... Vediamo
come il concetto di incendio si differenzia proprio dal concetto di appiccare un fuoco proprio
perch si tratta in s di una fiamma di dimensioni tali da porre in pericolo l'incolumit pubblica.
come se la pericolosit esattamente intrinseca al concetto di incendio.
La Corte Costituzionale risponde proprio utilizzando questo ragionamento, cio che l'incendio di
per s, per dimensioni e controllabilit, tale da porre in essere un pericolo. Non un semplice
appiccare un fuoco.
Con questa interpretazione la Corte respinge la questione di incostituzionalit considerano
costituzionale il 1 comma dell'art. 423.
Sempre rimanendo in questo argomento, vediamo come il nostro legislatore sia stato oggi poco
attento, perch negli ultimi anni sono stati introdotti reati non per una vera utilit, ma per
rispondere alla paura che si viene ad insediare nell'opinione pubblica, soprattutto dopo
accadimenti scioccanti e gravi come gli ultimi fenomeni frequenti di incendi molto estesi.
Nel 2000 stato, infatti, introdotto il reato di incendio boschivo ex art. 423-bis.

Art. 423-bis. Incendio boschivo.
Chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al
rimboschimento, propri o altrui, punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
Se l'incendio di cui al primo comma cagionato per colpa, la pena della reclusione da uno a
cinque anni.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall'incendio deriva pericolo
per edifici o danno su aree protette.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della met, se dall'incendio
deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente.
Anche qui vale il discorso fatto prima, per cui il termine incendio porta con s una valutazione di
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pericolosit. I primi dubbi emergono gi nel primo comma nel classificare alcune figure indicate
dalla norma come ad esempio le selve: cos' una selva? Bastano 2 alberi? 50? o 100?
Il secondo comma parla del reato di omicidio boschivo colposo, espressamente previsto se si tutela
l'incolumit pubblica. Si vuole evitare la morte o la lesione di persone a causa dell'incendio. Ma se
si fa un paragone con il reato-base di omicidio colposo si nota qualcosa di stravagante:
nell'incendio boschivo (dove pu anche non esserci la morte) la pena per il delitto colposo ha un
minimo edittale pi alto dell'omicidio colposo!
Ma le perplessit pi incisive emergono con la lettura del 3 e 4 comma i quali prevedono ipotesi
aggravanti. previsto un aumento di pena correlato con il porre in pericolo edifici o aree protette
(3 comma) oppure se deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente (4 comma).
Quanto prevedono questi ultimi commi molto strano perch le aggravanti sono state poste a
tutela non dell'incolumit pubblica ma a tutela degli edifici o dell'ambiente, concetto quest'ultimo
molto generico che fa a pungi con il principio di tassativit e che non esiste neppure nella
Costituzione.
Inoltre un delitto inserito tra i reati contro l'incolumit pubblica, ma poi fa dipendere le
aggravanti dal pericolo procurato alle cose o dal danno all'ambiente.
come se il legislatore non si fosse reso conto che la collocazione della norma contrastante con il
Titolo nel quale inserita. come se fosse stata collocata l perch c' il reato-base di incendio.
Nonostante questo l'interprete deve tener conto di questa collocazione, seppur strana, quindi sar
necessario richiedere anche per questo reato il requisito della pericolosit sociale.
Vediamo un esempio per capire alcune problematiche che possono nascere dal reato di incendio:
Tizio brucia l'auto a Caio. Viene a formarsi un incendio di grandi dimensioni dove il giudice senza
dubbio valuta che c' pericolo per la pubblica incolumit. Il concorso di reati formale oppure si
tratta solo di un concorso apparente? Tizio risponde di due reati (danneggiamento + incendio
cumulo giuridico) oppure di uno solo di essi?
A prima vista sembrerebbe concorso formale di reato (due reati con una sola azione). A volte per
il concorso solo apparente e quindi si applica solo uno dei due reati. Il codice utilizza in questi casi
il principio di specialit ex art. 15 c.p., secondo il quale quando due norme disciplinano la stessa
materia si applica la norma pi speciale. Sull'interpretazione del concetto di stessa materia vi
una disputa dottrinale: un primo filone lo interpreta come stessa situazione di fatto; un secondo
filone interpreta in maniera pi riduttiva sostenendo che si tratta di norme che attengono alla
tutela del medesimo bene giuridico (es. furto e rapina). In un sistema penale vasto come il nostro
molto pi facile trovarsi davanti a medesime situazioni di fatto che fanno riferimento a pi
norme, piuttosto che di tutele di uno stesso bene giuridico. Perci la maggior parte della dottrina
fa riferimento al primo filone interpretativo, per rendere pi utilizzabile il concorso formale.
Nell'esempio fatto, si tratta della stessa materia (= stessa situazione di fatto) perci si tratta di un
concorso apparente e si applicher la disciplina pi ristretta, pi specifica ed in questo caso
quella del reato di incendio.
Per concludere, abbiamo detto che per ogni reato deve realizzarsi la lesione o la messa in pericolo
del bene giuridico, quindi l'offesa. Se deve realizzarsi l'offesa necessario, per che anche l'offesa
del bene stesso sia oggetto del dolo. Questo, per, non vuol dire che io voglio/mi rappresento
l'offesa del bene tutelato. Questa situazione molto difficile che accada realmente. molto pi
frequente che che il soggetto agente voglia la verificazione di un evento ma non importa se
raggiungere il suo fine significa anche cagionare una lesione. Affinch si configuri il dolo nei
confronti dell'offesa del bene giuridico basta che il soggetto, qualsiasi sia suo fine, si renda conto
che la sua condotta leda o metta in pericolo un bene giuridico.

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I REATI SESSUALI.
I delitti contro la persona stanno al penultimo posto nel codice. L'impianto del Libro II del Codice
Penale espressione della matrice totalitaria del nostro sistema e del legislatore dell'epoca, nella
quale si tendeva a concepire l'individuo subordinato ad una realt statuale del tutto autonoma.
Con l'entrata in vigore della Costituzione questa tutela di una entit superiore che lo Stato in
funzione della tutela dei diritti individuali, che trovano cos affermazione in ogni ambito del diritto.
Ma collocare i delitti contro la persona al penultimo posto non di certo corretto dal punto di vista
dei valori. Questo un caso in cui il codice Rocco dimostra il suo carattere totalitario. Nonostante
ci riuscito a resistere anche con l'introduzione del sistema democratico perch si tratta di un
codice adattabile e rinnega principi estremisti. Tuttavia da un'analisi pi approfondita possiamo
riscontrare altri aspetti dai quali traspare la sua matrice assolutistica, come ad esempio la
responsabilit oggettiva.
Fino al 1996 i reati sessuali erano collocati nel titolo dei "reati contro la morale pubblica" quindi
quello che si voleva tutelare era un interesse dello stato e non proprio l'individuo come tale.
Oggi invece i reati sessuali si trovano nel titolo dei reati contro la persona" e, pi
specificatamente, contro la libert personale. Il legislatore non si limitato a spostarli ma ha anche
introdotto alcune novit alla disciplina.
Fino al '96 c'era l'art. 519 intitolato "violenza carnale", che oggi disciplinata, invece, dall'art. 609-
bis e si intitola "violenza sessuale". Fino al '96 c'era, poi, un altro reato, i delitti di libidine
violenta, disciplinato dall'art. 521, ma era meno grave in quanto mancava l'elemento del
congiungimento carnale.Oggi la distinzione viene meno e c' una sola fattispecie in cui si sanziona
la sola costrizione a compiere atti sessuali.

Art. 609-bis. Violenza sessuale:
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorit, costringe taluno a compiere o
subire atti sessuali punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorit fisica o psichica della persona offesa al momento del
fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravit la pena diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Oggi l'art. 609-bis fa riferimento alla nozione generale di atti sessuali. Atti un termine
generico quindi la determinatezza della norma data dall'aggettivo sessuali. Tuttavia anche
questo un termine abbastanza generico quando un atto travalica il limite del pudore per cui
ricade nell'ambito sessuale?
Con la norma dell'art. 609-bis non c' pi distinzione, come in passato, tra il congiungimento
carnale e altri atti. La norma non indica in modo chiaro quali sono gli atti sessuali, finendo cos
per far ricadere sul giudice la valutazione di quando un atto rientra tra quelli previsti dall'art. 609-
bis. Valutazione questa che verr fatta alla luce del bene tutelato, ossia la libert sessuale.
Affidando al giudice una cos ampia discrezionalit, si sono creati diversi filoni interpretativi,
differenti tra loro e non vincolanti.
Proprio per controbilanciare questa scelta del legislatore di unire due vecchi reati (violenza carnale
e delitti di libidine violenta) in uno solo (violenza sessuale), il legislatore prevede, all'ultimo
comma, una circostanza attenuante per le ipotesi di non rilevante gravit, nei quali possibile che
il giudice riduca la pena di massimo 2/3 e applichi solo 1/3 di pena.
Anche qui la norma caratterizzata da indeterminatezza (nei casi meno gravi). Anche le ipotesi di
minore gravit lasciano ampia discrezionalit alla valutazione del giudice. Infatti, non chiaro
25
quando c' una minore gravit.
Prima ci che rilevava era un evento, cio l'atto sessuale, ora una condotta, la costrizione.
Ma non qualsiasi costrizione rilevante. La norma precisa: con violenza ,minaccia, abuso di
autorit.
Con questa specificazione il legislatore indica tre criteri probatori per non lasciare al diritto
processuale penale di utilizzare criteri generici. Inoltre, l'indicazione specifica delle condotte punite
porta il concetto astratto di costrizione ad un riferimento empirico e quindi concretamente
accertabili. Il legislatore fa capire a cosa fare riferimento per constatare se un atto rientra o meno
nell'ambito degli atti sessuali puniti dall'art. 609-bis.
Ancorare la fattispecie a qualcosa di delimitato e fattuale (principio di materialit) volto ad
evitare accuse infondate e infamanti. Spesso, infatti, la rottura dei legami affettivi, ad esempio,
porta ad accuse infondate di violenza sessuale.
Minaccia = fare paura attraverso un male ingiusto per il futuro (se non fai quello che ti dico,
render nota una cosa che tu non vuoi che si sappia).
La giurisprudenza non ha riscontrato problemi nella verifica che si tratti di minaccia o di abuso di
autorit. Problemi nascono, invece nella verifica che si tratti o meno di violenza.
La violenza una coartazione che sta prima dell'atto sessuale ed preordinata a quello (ti
strattono al fine di farti porre in essere l'atto sessuale). Il legislatore dice: o c' una minaccia,
oppure occorre che prima dell'atto sessuale ci sia una coartazione che implichi un contatto fisico
con la persona.
Un concetto di violenza cos immediatamente ed esclusivamente riferito al contatto fisico, crea il
dubbio se si debba considerare anche la violenza di carattere psicologico.
Riguardo a ci abbiamo diversi filoni giurisprudenziali, chi risponde affermativamente, chi
negativamente. Al primo filone per da obiettare che, cos affermando, il confine con la minaccia
diventa molto labile.
Da sottolineare per i reati sessuali la necessit della querela. Non c' procedibilit d'ufficio, il
reato perseguibile solo su querela ma questa, al contrario della disciplina generale, non pu
essere respinta.

Art. 609ter, circostanze aggravanti:
La pena e della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui allarticolo 609-bis sono commessi:
1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
2) con luso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze
gravemente lesivi della salute della persona offesa;
3) da persona travisata o che simuli la qualit di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico
servizio;
4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libert personale;
5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia
lascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.
La pena e della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto e commesso nei confronti di
persona che non ha compiuto gli anni dieci.
Qui abbiamo tutti gli elementi della violenza sessuale, quindi la costrizione, ma in pi vi sono
circostanze che aggravano la pena. La costrizione in riferimento a soggetti particolari per l'et o la
condizione personale.
Il fatto che la vittima sia minore di 14 anni circostanza aggravante.
Da notare il numero 5, caratterizzato dal fatto che la vittima si trova in una condizione (quella di
discendente) tale per cui la sua possibilit di difendersi minorata.
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L'aggravante 5-bis stata introdotta nel 2009.

Art. 609quater, atti sessuali con minorenne:
Soggiace alla pena stabilita dallarticolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto
articolo, compie atti sessuali con persona che al momento del fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia lascendente, il genitore anche adottivo,
o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di
istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e affidato o che abbia, con questultimo, una
relazione di convivenza.
Al di fuori delle ipotesi previste dallarticolo 609-bis, lascendente, il genitore, anche adottivo, o il di
lui convivente, o il tutore che, con labuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali
con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, e punito con la reclusione da tre a sei anni.
Non e punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nellarticolo 609-bis, compie atti
sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di eta tra i soggetti
non e superiore a tre anni.
Nei casi di minore gravita le pena e diminuita fino a due terzi.
Si applica la pena di cui allarticolo 609ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto
gli anni dieci.
L'art. 609ter si differenzia dall'art. 609quater perch, mentre nel primo abbiamo l'elemento della
costrizione, ed quindi violenza sessuale, nel secondo non c' costrizione ma, in funzione dell'et
minore ai 14 anni, l'eventuale consenso della persona minorenne non rileva. Quindi se manca il
consenso (indipendentemente dall'et) c' violenza sessuale ex art.609-bis e, se ci sono circostanze
aggravanti (tra i quali la vittima minore di 14 anni), la pena aggravata ex art.609ter; invece se c'
il consenso ma la vittima minore di 14 anni reato di violenza sessuale ex art. 609quater.
Inoltre la soglia dei 14 anni sostituita con quella dei 13 anni se la differenza di et tra i soggetti
non superiore a 3 anni. Perci non punibile il minorenne che al di fuori delle ipotesi previste
dall'art. 609-bis, compie atti sessuali con una minorenne che abbia compiuto 13 anni se la loro
differenza di et non supera 3 anni (ad esempio. Un ragazzino di 16 anni ed una ragazzina di 13
non reato).
Un soggetto acquista l'imputabilit penale a 14 anni, ma anche al di sotto dei 14 anni il soggetto
non imputabile pu andare incontro a misure di sicurezza. Non ci sono infatti limiti minimi di et
rispetto alle misure di sicurezza (vedi il DPR 448 su minorenni che prevede il collocamento in
comunit, ecc.).
L'art. 609quater fa applicare il comma 2 dell'art. 609ter se la persona offesa minore di 10 anni.
Perci in caso di violenza sessuale il fatto che la vittima abbia meno di 10 anni aggravante con
maggiore aumento della pena; se vi consenso ma la persona offesa minore di 10 anni, il
consenso non rileva e si applica sempre la pena prevista dall'art. 609ter 2 comma.

Art. 609sexies, ignoranza dell'et della persona offesa:
quando i delitti previsti negli articoli 609bis, 609ter, 609quater e 609octies sono commessi in danno
di persona minore di anni quattordici, nonch nel caso del delitto di cui all'articolo 609quinquies, il
colpevole non pu invocare a propria scusa, l'ignoranza dell'et della persona offesa.
Questo articolo afferma che, nei reati che abbiamo analizzato, se la vittima minore di 14 anni,
l'errore sull'et non rilevante. Il colpevole non pu invocare a propria scusa l'ignoranza dell'et
della persona offesa.
Qui si parla di un errore di fatto e non di diritto (l'errore di diritto quello sulla disciplina
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normativa).
Ad esempio Tizio ha rapporti sessuali con una ragazza e crede che abbia 16 anni e invece minore
di 14 anni. Qui l'errore di fatto non scusa. Si tratta di una eccezione alla regola generale per cui
l'errore di fatto scusabile se non determinato da colpa e rispondi a titolo di colpa se il fatto
preveduto dalla legge come delitto colposo. In materia sessuale, invece, l'errore sull'et non scusa
mai.E' una ipotesi di responsabilit oggettiva.
Questa decisione del legislatore nasce da una particolare esigenza di tutela. Da un lato sorge
dall'esigenza di condannare chi ha rapporti sessuali con minori di 14 anni dall'altro c' il principio di
colpevolezza che qui per viene violato. L'incostituzionalit risiede nel fatto che non rilevante
l'errore inevitabile. Ci pu accadere quando il minore trae in inganno l'altra persona facendogli
credere che sia maggiorenne.
Tuttavia la Corte Costituzionale in passato si comunque espressa scusando l'errore che ha
valutato concretamente inevitabile, ad esempio quando il minorenne mostra all'altra persona un
documento falso, ma non considera errore inevitabile nel caso in cui la persona chiede l'et al
minore oppure quando il minore ha un notevole sviluppo fisico tale per cui sembra maggiorenne.
In questi ultimi casi l'errore sull'et non considerato scusabile.
L'art. 5 Cod. Pen. (ignoranza della legge penale) riguarda l'errore di diritto e afferma che l'errore di
diritto non scusa mai, a meno che l'errore stato inevitabile (sent. 364/1988 Corte Cost.). Quindi si
punisce solo l'errore di diritto avvenuto per colpa. Il soggetto che commette un reato sulla base di
un errore di diritto commesso per colpa punito come se vi fosse stato dolo.
L'art. 47 Cod. Pen. invece riguarda l'errore di fatto e ammette che l'errore sul fatto che costituisce
reato esclude la punibilit dell'agente (1 comma). Ma se l'errore di fatto determinato da colpa
ed il fatto preveduto dalla legge come delitto colposo, la punibilit non esclusa (2 comma).
L'art. 609sexies contrasta con l'art. 47 ed come se si applicasse sempre e solo la disciplina
dell'art. 5, perch rende l'errore di fatto sempre inescusabile, quindi sempre colposo e perci
sempre punito come se il reato fosse avvenuto con dolo.
Questo ragionamento molto pericoloso, proprio perch si finisce per punire un comportamento
colposo come doloso. La Corte Costituzionale, come abbiamo detto prima, ha comunque
temperato questo rigore.
In questa materia il professore afferma che il principio di colpevolezza viene frainteso: non
dovrebbe solo significare che se un errore incolpevole non risponde, ma dovrebbe anche
significare che se devi rispondere a titolo di dolo rispondi a titolo di dolo, se devi rispondere a
titolo di colpa rispondi a titolo di colpa.
Invece la tesi maggioritaria dice: l'errore di diritto la non conoscenza di una norma ex art. 5. Se
un errore inevitabile non punito, se un errore colposo rispondi di reato cio a titolo di dolo.
Invece per l'errore di fatto ex art. 47 (salvo che per l'eccezione di art 609sexies) il soggetto agente
risponde a titolo di dolo se c' dolo e a titolo di colpa se c' colpa. Mentre in art 609sexies le
ipotesi sono che o si risponde a titolo di dolo oppure non risponde affatto perch l'errore era
inevitabile.

Art. 609octies, violenza sessuale di gruppo:
La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di pi persone riunite, ad atti
di violenza sessuale di cui allarticolo 609-bis.
Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo e punito con la reclusione da sei a dodici
anni.
La pena aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dallarticolo 609ter.
La pena e diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella
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preparazione o nella esecuzione del reato.
La pena altres diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono
le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dellarticolo 112.
Avviene quando pi persone partecipano ad atti di violenza sessuale. Qui abbiamo
un'aggravamento di pena (da 6 a 12 anni) rispetto alla disciplina generale del concorso (da 5 a 10
anni). Inoltre il concorso fa scattare l'esistenza di un reato autonomo e non un'aggravante, quindi
la presenza di pi persone non costituisce una circostanza sottoposta al giudizio di bilanciamento.
Che cosa necessario perch ci sia partecipazione?
Facciamo riferimento all'art. 110 rende punibili condotte che da sole non sarebbero punibili.

Art. 110. Pena per coloro che concorrono nel reato.
Quando pi persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per
questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
Si tratta di condotte atipiche che altrimenti non sarebbero rilevanti penalmente. Ad esempio
regalare una scala ad una persona non reato, ma lo se la si presta ad una persona che sai deve
commettere un furto.
Si tratta di condotte atipiche perch non hanno niente a che fare con una fattispecie di reato.
Questa funzione creativa di condotte penalmente rilevanti non affidata solo all'art. 110 ma lo
vediamo anche nell'art. 56 del delitto tentato (per cui se compi atti idonei diretti in modo non
equivoco a commettere un delitto rispondi di delitto tentato se l'azione non si compie o l'evento
non si verifica) e nell'art. 40 ultimo comma nel quale si punisce una condotta omissiva (non
impedire un evento che si aveva l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
In base all'art. 110, quando una condotta rilevante ai fini del concorso? Abbiamo due tesi:
1) quando la condotta ha agevolato la commissione del reato tesi non condivisibile
2) quando la condotta atipica rappresenta un contributo necessario tale per cui se non ci fosse il
reato non verrebbe compiuto tesi da condividere.
La prima tesi non condivisibile perch deroga alla disciplina generale del nesso di causalit,
perch non tiene conto del fatto che deve esserci una condotta causale.
La seconda tesi invece quella condivisibile perch tiene conto del nesso causale. Inoltre non fa
differenza per il contributo di minima importanza (vedi art. 114). Basta che la condotta sia legata al
reato da un nesso causale, non importa se di minima importanza, cio che potrebbe essere
facilmente sostituito. Tuttalpi la pena pu diminuire (art. 114).
Facciamo degli esempi:
5 ragazzi incontrano una ragazzina e 3 di loro la fermano e la violentano. Gli altri due non
fanno nulla, non intervengono, non scappano e non chiedono aiuto. Possono essere puniti?
Non possono essere puniti per violenza sessuale perch la loro condotta non legata con
l'evento da un nesso causale, e non possono neanche essere puniti per reato omissivo
improprio, perch non erano titolari di una posizione di garanzia e non avevano quindi un
obbligo giuridico di impedire l'evento
5 ragazzi incontrano una ragazzina e 4 di loro la violentano. Il ragazzo che non fa niente
quello che ha istigato gli altri alla violenza. Risponde per istigazione a delitto. L'istigazione
deve essere causale, non basta una semplice connivenza.
Quando in un gruppo alcuni materialmente non tengono la condotta che costituisce reato e
restano inerti, bisogna valutare se la loro inerzia interpretabile come istigazione. Ad esempio
questo avviene nel caso di un gruppo mafioso, dove il capo, solitamente, non commette
materialmente i reati. L'inerzia corrisponde al comportamento tipico del capo mafioso.
Ma analizziamo bene il reato omissivo improprio:
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questo nasce avendo in mente il non impedire un evento, che si aveva l'obbligo giuridico di
impedire. Ma sorge una domanda l'ultimo comma dell'art. 40 applicabile anche quando
l'impedimento implica il contrasto con la condotta altrui? applicabile a colui che non interviene
quando l'intervento porterebbe ad un contrasto sul campo co il comportamento aggressivo di un
altro individuo?
In questi casi il soggetto inerte si esporrebbe ad un rischio, perci ci poniamo la domanda se sia
applicabile la regola dell'ultimo comma dell'art. 40. L'art. 40 chiede di agire anche per impedire
una condotta altrui o solo un evento naturalistico?
Ad esempio: un gruppo mafioso decide di uccidere un suo membro che ha tenuto un
comportamento contrastante con i loro intenti. All'interno del gruppo c' anche il padre di quello
che deve essere ucciso che tenta in ogni modo di dissuadere gli altri a decidere per l'omicidio del
figlio. Il padre non viene ascoltato e poi non fa pi nulla per avvisare il figlio dell'intento del gruppo
di ucciderlo; la madre che non impedisce il rapporto sessuale della figlia minore di 14 anni
prostituita dal padre.
In questi casi la giurisprudenza afferma che il soggetto che non impedisce l'evento non punibile.
La decisione sulla base del fatto che l'art. 40 fa riferimento solo all'impedimento di eventi
storico/naturalistici, non all'impedimento di condotte altrui che portino ad uno scontro, e quindi ad
un rischio per il soggetto che non interviene (rif. Esempio dei 2 ragazzi che non fanno nulla mentre
gli altri 3 violentano la ragazzina).
Ritorniamo all'analisi dell'art. 609octies: per quanto riguarda la nozione pi persone la versione
in malam partem sostiene che vorrebbe dire non una, quindi possono essere anche due. Per di
pi la legge non richiede espressamente tre o pi, perci potrebbero bastare due persone per la
configurazione del reato di violenza sessuale di gruppo.
Questo ha conseguenze pi gravose se non esistesse questa norma perch altrimenti si
risponderebbe di concorso nel reato di violenza sessuale, mentre il concorso nella violenza
sessuale un reato autonomo analizzato da una norma a s.
Tuttavia la societ, con il termine pi persone, fa riferimento solitamente a pi di due individui.
Da qui discende una interpretazione in bonam partem.
Altro aspetto importante che l'art. 609octies fa riferimento ad un gruppo di persone riunite.
Cosa significa ci? da preferire la tesi secondo la quale la pluralit di persone deve sussistere nel
momento in cui avviene il fatto, dall'inizio alla fine. Se invece la pluralit di persone si crea perch
una persona sopraggiunge, questo non determina la creazione di un gruppo riunito come lo
intende la norma.
Torniamo ora all'esempio in cui Tizio trascende a violenza sessuale su una ragazza e Caio rimane li
inerte, non interviene e nemmeno chiama aiuto. Chiediamoci: Caio non pu rispondere di reato
omissivo improprio perch non ha un obbligo giuridico di intervenire. Ma potrebbe rispondere di
reato omissivo proprio, cio di omissione di soccorso ex art. 593?

Art. 593. Omissione di soccorso.
Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra
persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per
altra causa, omette di darne immediato avviso all'autorit punito con la reclusione fino a un anno
o con la multa fino a 2.500 euro.
Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una
persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne
immediato avviso all'autorit.
Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena aumentata ; se ne
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deriva la morte, la pena raddoppiata.
Questa norma molto particolare perch, in un certo senso, obbliga alla solidariet. Infatti tutte le
volte che abbiamo un reato omissivo, il legislatore intende promuovere una condotta positiva utile.
Solitamente questa condotta attiva ben precisata dal legislatore, ma nel caso dell'omissione di
soccorso possiamo ben notare che la condotta richiesta ha un carattere molto generale, il
legislatore non parla di atti precisi perch fa riferimento a qualunque condotta che pu costituire
una omissione di assistenza.
I comportamenti richiesti dall'art. 593 sono due: al 1 comma richiede di dare immediato avviso
all'Autorit; al 2 comma richiede di prestare l'assistenza occorrente.
Al caso nostro si potrebbe fare riferimento al secondo comportamento? Analizzando bene
l'articolo vediamo che questo utilizza il verbo trovare un corpo inerme, che significa un
imbattersi casualmente in un corpo apparentemente senza vita.
Gli elementi descritti dalla norma dell'omissione di soccorso non coincidono con quelli della
situazione in cui Caio non fa nulla davanti alla visione dell'amico che compie una violenza sessuale
su una ragazza.
Perci non possiamo estendere la norma del 2 comma dell'art. 593 al caso in cui vi il mancato
intervento di un intervento che comporta un rischio, cio lo scontro con una condotta altrui.
Il 1 comma invece richiede il comportamento di dare immediato avviso all'Autorit. Questo tipo di
intervento non porta a nessun rischio perch non comporta nessuno scontro con la condotta altrui.
Perci a Caio pu essere almeno richiesto di rivolgersi all'Autorit? Sulla base di questo
ragionamento, potrebbe essere punito per omissione di soccorso ex art. 593 1 comma?
Anche qui per la risposta negativa. Se analizziamo le situazioni descritte dalle norme vediamo
che sono ben diverse. Caio sarebbe tenuto a chiamare l'Autorit nel mentre in cui avviene la
commissione del reato di violenza sessuale, e non dopo che ha trovato un corpo inerme. Ci non
sarebbe avviso all'Autorit ma diventa un obbligo di denuncia.
Tuttavia l'obbligo di denuncia esiste, ma per situazioni ben circoscritte e non estendibili: art. 364
(omissione di denuncia di reato contro la personalit dello Stato) e la norma sull'obbligo di
denuncia in caso di sequestro per scopo di estorsione. Ma sono gli unici casi in cui il cittadino
chiamato ad adempiere ad un obbligo di denuncia. E queste norme non si considerano estendibili
al nostro caso.
Possiamo concludere che l'obbligo per Caio di denuncia sussiste per lo meno quando l'atto di
violenza sessuale si concluso e si trova davanti ad una persona ferita, non durante la
commissione del reato.

QUESTIONI BIOGIURIDICHE: ABORTO, FINE-VITA, RESPONSABILIT PENALE DEL MEDICO.
Negli ultimi anni in materia di vita umana abbiamo assistito ad una grande estensione dell'ambito
del penalmente punibile. Estensione operata in tre ambiti: quello PRENATALE, quello del FINE-VITA
e quello della RESPONSABILIT PENALE DEL MEDICO per lesioni o per attivit terapeutica svolta
senza il consenso.
Vedremo come l'approccio sui beni giuridici pu cambiare di fronte alle nuove scoperte
scientifiche. In passato, ad esempio, non si poteva fare nulla nella fase prenatale e l'aborto poteva
intervenire solo entro un certo periodo breve di gestazione e solo per certe motivazioni gravi.
Fatti nuovi, come la scoperta della fecondazione in vitro, hanno posto la necessit per il legislatore
di determinare quando legalmente nasce la vita umana e quando un individuo pu essere
considerato persona, ma anche quando vi la morte di un individuo.
In tali questioni si tratta del bene giuridico importantissimo della vita umana. Per questo si tratta di
questioni estremamente delicate e le nuove scoperte scientifiche mettono mettono in crisi
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determinate certezze e valori.
Pensiamo alla fecondazione in vitro in cui, per la prima volta, si tratta con embrioni umani creati
artificialmente e al di fuori del corpo della donna e solo successivamente impiantati nell'utero.
Problematiche analoghe si pongono trattando della morte umana, del fine-vita.
Quando veramente muore una persona? Un tempo si diceva che si ha la morte con la cessazione
della attivit cardiaca, ma poi la medicina ha scoperto che non si ha la morte con l'arresto cardiaco,
cio con l'arresto della attivit cardio-respiratoria, perch comunque possibile che, a seguito di
rianimazione tale attivit riprenda.
La morte sopravviene solo con la cessazione dell'attivit cerebrale. La morte cerebrale avviene
dopo 20 minuti in cui il soggetto si trova in stato di mancanza di attivit cardio-respiratioria.
Qui i fatti nuovi che sono intervenuti riguardano la scoperta di macchine che permettono la
rianimazione in terapia intensiva. Con queste si pu protrarre il flusso cardio-respiratorio di una
persona e ci ha importanti conseguenze perch in questo modo una persona morta pu essere
tenuta in vita per espianto di organi al fine della donazione.
facile comprendere il fatto che ci troviamo davanti a situazioni estremamente delicate perch
riguardano aspetti anche molto soggettivi e che hanno a che fare con l'etica e la dignit umana.
Fino a circa 50 anni fa l'ordinamento non si occupava dei criteri per capire quando inizia la vita
umana. Esistevano norme penali solo in relazione al divieto di incesto, al divieto di rapporti sessuali
con persona troppo giovane o al divieto di procreare mediante violenza sessuale. Salvo questi limiti
non era necessaria la ricerca di ulteriori criteri della generazione umana, che veniva lasciata
all'individualit (rapporto sessuale tra uomo e donna, unione naturale di gameti maschili e
femminili).
Oggi con la fecondazione in vitro, si viene ad avere la materiale disponibilit di gameti maschili e
femminili. Di conseguenza l'uomo ha il potere di procreare un individuo al di fuori del corpo
femminile e la generazione umana pu avvenire anche per qualsiasi fine.
In teoria l'uomo ha quindi la possibilit di attuare la clonazione umana. Sorgono domande
ineludibili: questo procedimento fa parte di una umanit di una generazione? un modo umano di
generare un essere vivente? Quali sono i criteri minimi perch una generazione umana possa
essere considerata degna di creare un individuo dotato di dignit umana?
Tutte queste novit pongono la necessit di guardare in maniera diversa certi beni giuridici (come
la vita umana) o addirittura di crearne di nuovi (il feto).
Nascendo la necessit di definire la criteriologia della generazione umana, il diritto penale si trova
a prendere in considerazione la vita umana e per fare questo deve necessariamente fare ricorso ad
altre scienze, perch limitare la definizione della vita umana ad una definizione prettamente legale
si rischia di commettere errori gravi che possono portare anche a delle ingiustizie.
QUANDO ESISTE LA VITA UMANA?
La vita esiste quando c' un PROCESSO ESISTENZIALE AUTONOMO, CONTINUO E COORDINATO.
Autonomo = significa che non ha bisogno di alcuno stimolo esterno. Non significa che l'individuo
vivente non ha bisogno di un ambiente circostante adatto che invece sempre necessario e
fondamentale (l'aria, il cibo, ecc.).
Continuo = la vita deve essere continua perch quando manca la continuit c' la morte. Questa
continuit governata dall'interno del corpo stesso dell'individuo. L'autonomia comporta che si
tratta di una esistenza AUTOGOVERNATA.
Coordinato = significa che il processo avviene secondo un progetto ben preciso.
Questa sequenza autonoma, continua e coordinata che determina l'esistenza della vita, e non solo
quella umana, quando inizia e quando finisce?
FINE-VITA: la morte sopravviene quando non c' pi un coordinamento unitario delle cellule
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dell'organismo, non quando muoiono tutte le cellule, perch queste non possono non morire
contemporaneamente. Alcune possono rimanere in vita ma ci che rende un individuo deceduto
la mancanza di coordinazione tra le cellule. Si parla infatti di morte cerebrale, non si fa riferimento
all'attivit cardio-respiratoria.
Un individuo in terapia intensiva pu andare in morte cerebrale ma le macchine lo tengono ancora
in vita. In questa situazione ci sono ancora alcuni organi in funzione, ma manca un coordinamento
sistemico. Dopo 6 ore in cui l'individuo si trova in questo stato si considera deceduto e le macchine
devono essere staccate.
La legge 31 dicembre 1997 individua la morte cerebrale come criterio per determinare il decesso di
un individuo e stabilisce che le macchine non devono essere staccate in due casi, cio quando
devono essere espiantati gli organi per il trapianto e quando il soggetto deceduto una donna che
deve portare a termina una gravidanza.
INIZIO-VITA: la vita ha inizio con la fecondazione, la quale porta ad un processo autonomo,
continuo e coordinato. La fecondazione pu avvenire con un atto sessuale oppure, oggi, con al
fecondazione in vitro.
Nel momento in cui i gameti maturano, si ha una meiosi, vengono espulsi 23 dei 46 cromosomi e
poi si ha un riposizionamento dei geni sui cromosomi. I gameti maschili circondano l'ovulo
femminile e quando un gamete maschile penetra la membrana dell'ovulo si ha la fecondazione e
quindi l'inizio del processo esistenziale. Se tale sequenza trova un ambiente adatto essa procede.
Lo zigote la prima cellula che si forma, ha una sua nuova informazione genetica che poi costituir
tutte le cellule di quell'individuo. La sequenza esistenziale d luogo, infatti, al moltiplicarsi delle
cellule in modo esponenziale. Le cellule che si sviluppano per, mantenendo la stessa informazione
genetica, assumono caratteristiche e funzioni diverse. Si sviluppano cos i diversi organi del corpo.
Da questo momento si ha lo svolgersi della sequenza esistenziale umana nella sua mera
dimensione corporea o nella sua integrit umana?
ovvio che le qualit proprie dell'essere umano si sviluppano nel corso del tempo con l'aumentare
dell'et, ma stata da tempo abbandonata l'idea platonica in cui l'essere umano prima una mera
dimensione corporea e solo successivamente il corpo viene riempito di un'anima.
Le dimensioni superiori dell'umano, capacit cognitiva e intellettiva, sono connesse alla
dimensione del corpo ed ormai certo che le dimensioni superiori non intervengono dopo.
Una delle pi grandi conquiste del diritto moderno stata proprio quella secondo cui la fase di
sviluppo non ha nulla a che fare con i diritti umani. Vediamo la dichiarazione ONU dei diritti del
fanciullo: un bambino anche se non ha sviluppato tutte le capacit proprie dell'uomo, non vuol dire
che non ha una dignit umana e quindi non pu essere titolare di diritti, ma al contrario
rappresenta un soggetto debole che necessita invece di una tutela maggiore. Questo conferma
come i diritti umani sono indipendenti dallo sviluppo dell'essere.
Non ci sono ragioni razionali per affermare che il feto non un uomo, un individuo.
La sequenza esistenziale umana pu nascere anche in modo diverso dalla fecondazione. Lo zigote
la prima cellula, fino a meno di 8 cellule possibile che una di queste cellule subisca una minuscola
mutazione genetica, e poi tale cellula da origine ad altre cellule con quella mutazione genetica:
questo il fenomeno della gemellanza, nel quale si sviluppano due sequenze esistenziali.
Ma c' una diversa ipotesi di gemellaggio, rappresentato dall'esperimento della clonazione. Qui la
sequenza esistenziale umana nasce in modo diverso dalla fecondazione: da un ovulo maturo
femminile viene tolto il nucleo che ha 23 cromosomi dopo la meiosi. Poi si prende una qualsiasi
cellula dell'organismo e viene tolto il nucleo con i 46 cromosomi. Questo nucleo viene messo
nell'ovulo femminile maturo che cos si trova ad avere 46 cromosomi ma 23 non sono dell'ovulo
femminile ma sono tutti della cellula. Cos nasce una nuova sequenza esistenziale ma non una
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copia ma le caratteristiche genetiche sono esattamente quelle dell'individuo da cui abbiamo preso
la cellula.
Nel caso della clonazione sorgono domande di importanza morale: l'individuo nato dalla
clonazione come pu essere trattato? Pu essere la clonazione un criterio di umanit?
Il diritto penale per trattare di queste problematiche deve per forza fare riferimento alle leggi della
biologia.
Per quanto riguarda il momento dell'inizio della vita umana il nostro ordinamento prevede gi
delle tutele:
gi l'art. 1 della L. 40/2004 afferma che il concepito soggetto, e non quindi un oggetto.
E la L. 194 del 1978 in materia di aborto afferma che "lo stato..... tutela la vita umana fin dal suo
inizio" (quindi non il diritto che definisce quando la vita ha inizio).
Anche il Codice Penale tutela l'inizio-vita attraverso la previsione del reato di aborto, infanticidio e
interruzione di gravidanza fuori dai casi consentiti.
La L. 40 del 2004, sempre in materia di aborto, all'art. 14 tutela l'embrione attraverso il divieto di
soppressione di embrioni.
In questo quadro, fatto proprio dal nostro stesso legislatore italiano, che non ha mai messo in
discussione la tutela dell'embrione e del feto in quanto soggetto e non oggetto (diversamente da
altri paesi di origine anglosassone) viene spontaneo porsi questa domanda: su che basi si potuta
costruire la normativa sull'aborto in un ordinamento come il nostro che presenta la tutele viste
sopra?
Per rispondere dobbiamo analizzare quali sono le ipotesi in cui esclusa la punibilit dell'aborto.
Nei paesi anglosassoni la legge indica un termine massimo di gravidanza all'interno del quale
lasciata la totale discrezionalit di scelta alla donna sul tenere o meno il bambino. Il feto quindi
considerato, fino a questo termine, esclusivamente un bene giuridico.
In Italia invece la legge indica dei requisiti di carattere non solo temporale ma anche procedurale e
una serie di condizioni che, solo se sussistono, l'aborto consentito.
Con la L. 194/1978 vengono identificate 3 fasi della gravidanza (requisito di carattere temporale):
1) i primi 90 giorni di gravidanza (art. 4)
2) dopo i primi 90 giorni fino al momento in cui il feto potrebbe sopravvivere ad un parto
prematuro (art.6)
3) da quest'ultimo momento fino alla nascita.
La non punibilit della donna che decide di abortire condizionata al fatto che la gravidanza pu
essere un pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni la legge 194 all'art. 4
prevede che la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la
maternit comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica in relazione:
al suo stato di salute;
alle sue condizioni economiche o sociali o familiari;
alle circostanze in cui e avvenuto il concepimento;
alle previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.
In questo caso la donna si rivolge ad un consultorio.
N.B. Non bastano queste 4 condizioni ma devono arrecare un SERIO PERICOLO per la salute
psichica o fisica della donna.
L'art. 6 della stessa legge prevede che l'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi
novanta giorni, possa essere praticata:
1) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
2) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o
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malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o
psichica della donna.
Da notare: nei primi 90 giorni richiesto un serio pericolo, dopo i primi 90 giorni richiesto un
GRAVE PERICOLO per la salute fisica o psichica della donna.
Queste sono le condizioni poste dalla legge, ma la prassi non sempre completamente aderente a
quanto richiedono le norme. Infatti per capire il reale valore di una legge necessario fare
un'analisi sotto 3 profili, cio cosa dice la legge, cosa consente la legge e, infine, come viene
recepita la legge nella prassi.
Questa analisi molto importante applicarla proprio sulla normativa dell'interruzione di gravidanza
per vedere come stata realmente applicata nella pratica.
Nei primi 90 giorni richiesto un colloquio a cui deve sottoporsi la donna in stato di gravidanza che
ha la funzione di offrirle tutto l'aiuto possibile al fine di rimuovere le cause che la porterebbero
all'aborto. Questo aiuto non previsto solo a tutela della conservazione del feto ma anche per la
donna stessa.
Art. 5: Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti
medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della
gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute
della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta,
nel rispetto della dignit e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del
concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la
porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di
lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna,
offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. Quando la donna si
rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della
dignit e della libert della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la
donna lo consenta, nel rispetto della dignit e della riservatezza della donna e della persona
indicata come padre del concepito, anche sulla base dell'esito degli accertamenti di cui sopra, le
circostanze che la determinano a chiedere l'interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei
spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui pu fare ricorso, nonch sui consultori e le
strutture socio-sanitarie. Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il
medico di fiducia, riscontra l'esistenza di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, rilascia
immediatamente alla donna un certificato attestante l'urgenza. Con tale certificato la donna stessa
pu presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non
viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell'incontro il medico del consultorio o della
struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere
la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all'articolo 4, le rilascia copia di un documento,
firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta, e la invita a
soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna pu presentarsi, per ottenere la
interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma,
presso una delle sedi autorizzate.
Domanda: su quale base giuridica stato possibile costruire una ipotesi di non punibilit
dell'interruzione della gravidanza? Questa base pu essere considerata valida?
La strada che il nostro ordinamento giuridico segue per non punire un atto lesivo della vita umana
altrui e la strada dello STATO DI NECESSIT ex art. 54 Cod. Pen.
Lo stato di necessit rappresenta l'unico elemento scriminante che si pu legare alla disciplina
sull'aborto (non punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessit di
salvare s od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non
35
volontariamente causato, n altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo).
L'importante sentenza n. 27 del 1975 della Corte Cost. sta alla base dell'attuale legge sull'aborto
del 1978.
Questa sentenza ha reso incostituzionali alcuni vecchi reati sull'aborto e nello stesso tempo ha
comportato una estensione dell'applicazione dello stato di necessit nella materia dell'aborto.
Questa sentenza giustifica la non punibilit della donna che decide per l'interruzione di gravidanza
sulla base dell'accertamento di un pericolo medicalmente accertato per la vita o la salute psico-
fisica della donna.
La sentenza della Corte Cost. comprende un pericolo non solo per la vita della donna ma anche per
la sua salute, fisica o psichica. Tuttavia questa nozione crea problemi di interpretazione perch
accertare un pericolo per la salute psichica molto difficile e poi perch l'estensione del concetto
di stato di necessit all'aborto fa s che venga a mancare la proporzione tra azione e pericolo.
Infatti viene sacrificato un bene fondamentale quale il bene vita (del feto) per un bene non ad esso
proporzionato quale pu essere la salute della donna oppure le sue condizioni economiche.
La corte costituzionale invece aveva in mente una malattia, si rende conto che in ipotesi diverse da
una malattia lo stato di necessit non potrebbe essere invocato perch mancherebbe il requisito
della proporzionalit che invece richiesto dall'art 54.
Ma analizziamo cosa dice la nostra Costituzione:
art. 2 la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalit;
art. 3 tutti sono uguali di fronte alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua...di
condizioni personali e sociali.
Da questi due importantissimi articoli della Costituzione comprendiamo che i diritti inviolabili
dell'uomo dipendono esclusivamente dall'esistenza in vita. questo il fondamento del principio di
uguaglianza dell'art. 3 Cost. Siamo uguali perch la titolarit dei diritti umani non dipende da un
giudizio sulle condizioni sociali o personali, ma solo dall'esistenza umana.
La Corte Costituzionale, alla luce degli artt. 2 e 3 Cost., si rende conto che sarebbe totalmente
incostituzionale ammettere la soppressione di un feto per motivi quali quelli indicati proprio dalla
normativa sull'aborto, cio per motivazioni di carattere economico e per valutazioni sulle
condizioni personali del feto (malformazioni).
Quindi l'unica base giuridica per la non punibilit dell'aborto sembra essere quella dello stato di
necessit, ma senza l'elemento della proporzione, perch, come abbiamo detto, non sussiste, dato
che da un lato abbiamo il bene vita e dall'altro la salute fisica o psichica.
Per sciogliere questo contrasto la Corte afferma che, s, l'embrione tutelato dall'art. 2 Cost. ma
non nella stessa misura del gi nato, perch persona deve ancora diventare.
Con questo inciso la Corte riesce a far sussistere nell'aborto la proporzionalit che richiede l'art. 54
c.p. per lo stato di necessit.
Questa scelta della Corte pu essere considerata inaccettabile perch attua una discriminazione
rispetto al bene giuridico vita umana, perch considera l'embrione diverso dal gi nato. La Corte fa
riferimento all'art. 1 del Codice Civile secondo il quale la capacit giuridica la si acquista dal
momento della nascita.
Ma attenzione, perch tale articolo non dice che i diritti fondamentali non ci sono fino al momento
della nascita, perch altrimenti sarebbe in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Cost., ma fa riferimento
a quei diritti che sono consequenziali ai gi esistenti diritti inviolabili.
Quindi il riferimento implicito della Corte all'art. 1 del c.c. non pertinente, non rappresenta una
valida base giuridica e non c' neanche una valida base scientifica a favore della tesi per cui il feto
ha qualcosa in meno del gi nato.
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Da tutte queste considerazioni vediamo come questo impianto giuridico sull'aborto sia alquanto
discutibile.

Alla luce di tutte le considerazioni fatte, ci chiediamo ora come sono da classificare le ipotesi di non
punibilit prevista dalla normativa sull'aborto dal punto di vista penale.
Sono ovviamente cause di esclusione della pena, ma la soluzione crea problemi. Nel caso in cui la
donna sia consenziente ma non si rientra nelle ipotesi previste dalla legge 194, si ha responsabilit
sia del medico sia della donna. E per la donna che pena prevista? Vedi art. 19 L. 194/1978 pena
pecuniaria di 51 euro. Ma si pu considerare ammissibile una pena pecuniaria per tutelare il bene
vita? Tuttavia ovvio che la pena detentiva sarebbe inadeguata ma necessario trovare un'altra
pena diversa da quella pecuniaria prevista.
La Corte Costituzionale fa riferimento, per la non punibilit allo stato di necessit, ma come
abbiamo visto, manca la proporzione. Perci si pu trattare di una CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE. Le
conseguenze di questa scelta hanno una forte rilevanza sociale: l'interruzione di gravidanza
sarebbe un comportamento considerato sempre lecito!
Da un lato abbiamo uno scopo di non punibilit, dall'altro lo stato si impegna con il colloquio
previsto dall'art. 5 della legge 194 a dissuadere la donna dalla scelta per l'aborto. se fosse
veramente considerato lecito (causa di giustificazione) ci non sarebbe previsto!
Per questo possiamo fare riferimento ad un'altra ipotesi che considera l'esclusione della punibilit
dell'aborto come una causa di esclusione della pena in senso stretto (come il caso del figlio che
ruba al padre). In questo modo il comportamento continua ad essere considerato illecito, ma non
reso punibile per ragioni di mera opportunit.
Tuttavia dire che gli artt. 4 e 6 della legge 194 sono cause di esclusione della pena in senso stretto,
porta ad una maggiore discrezionalit del legislatore nel definire i requisiti. Inoltre per essere una
causa di esclusione della pena ci deve essere alla base una strategia preventiva e qui qual'? Quei
51 euro di pena pecuniaria? da considerare inammissibile!
Non c' proporzionalit non una causa di giustificazione.
Non c' una vera strategia preventiva alternativa non una causa di esclusione della pena.

La terza fase della gravidanza, prevista dalla legge 194 quella che va dal momento in cui il feto
pu sopravvivere ad un parto prematuro.
In questa fase l'aborto non legale se non per casi di strettissima necessita ed urgenza.
Tuttavia oggi la fase in cui il feto avrebbe la possibilit di sopravvivere dopo un parto prematuro si
molto anticipata (circa dalla 21esima settimana; in alcuni casi anche dalla 19esima settimana il
feto pu nascere vivo).
L'art. 5 della legge prevede che nella prima fase, invece, vi sia il colloquio preventivo che ha la
funzione proprio di prevenzione rispetto alla scelta abortiva e tenta la rimozione delle cause che
porterebbero all'interruzione della gravidanza.
Il colloquio consta di due momenti: il primo che consiste nell'aiuto alla donna, ed il secondo che
quello in cui, se la donna continua a volere l'aborto, le viene rilasciato un documento che attesta lo
stato di gravidanza e la presenza dei requisiti per abortire e invita la donna a riflettere per 7 giorni.
Trascorsi i 7 giorni, se la donna non ha cambiato idea, pu recarsi in un centro apposito oppure in
un ospedale per procedere con l'interruzione.
L'aiuto che viene offerto nella fase del colloquio non solo di tipo psicologico, ma anche di tipo
materiale: infatti oggi ricorrono all'aborto anche molti immigrati o famiglie italiane in grosse
difficolt economiche. Ma tale aiuto va molto al di l dell'aiuto economico. Ha anche lo scopo di far
capire alla donna, tramite i consultori ed il servizio sanitario, che non deve agire per convenzioni
37
sociali ma che la sua gravidanza stimata e ben accetta dalla societ, una cosa bella e positiva.
Da un punto di vista giuridico possiamo affermare che il medico un pubblico ufficiale che deve
accertare la sussistenza del pericolo per la salute fisica e psichica della donna e la sussistenza delle
4 condizioni previste dalla legge 194.
Nella materia dell'aborto abbiamo pochissima giurisprudenza, proprio perch non ci sono ricorsi,
dato che ovviamente il soggetto che soccombe il feto, che non in grado di tutelarsi, viene a
mancare un soggetto rappresentativo.
L'art. 5 prevede che il colloquio possa essere effettuato non solo davanti al consultorio ma anche
dal medico di fiducia. Con questa concessione si aggira, di fatto, lo scopo preventivo affidato al
colloquio, proprio perch viene a mancare la specificit del consulto psicologico tipico del
consultorio.
Dopo il 90esimo giorno si aprono quindi problematiche eugenetiche. Si decide infatti sulla base di
elementi genetici se far nascere il bambino o no. Nella realt si guarda solo alla presenza di
malformazioni ma non dovrebbe essere cos, perch oltre alle malformazioni bisogna dimostrare la
sussistenza di un pericolo grave alla salute fisica o psichica della donna. Ma nella pratica la
differenza diventa molto labile.
La fase successiva al 90 giorno resa necessaria proprio perch certe verifiche mediche prenatali
possono essere svolte solo dopo che sia trascorso un certo tempo di gravidanza.
Nella fase successiva al 90 giorno manca il colloquio preventivo.
Il comitato nazionale per la bioetica (di cui il professore era membro) ha formulato un parere
approvato all'unanimit sull'aiuto da dare alla donna.
Le problematiche che si vengono ad instaurare sono di natura culturale. Con le scoperte della
genetica ci sar la possibilit di conoscere ogni aspetto di un embrione e di modificarlo. Il
problema risiede nel fatto di come verranno utilizzate queste scoperte, se per terapia o per fare
selezione (eliminare quello che non corrisponde a determinati requisiti), che sarebbe innaturale.
Nel momento in cui viene ad esistenza una vita, non si pu fare distinzione tra questa ed un'altra
valutando qual' valida e quale no. Tutti godono della dignit umana.
Alcuni corti europee sono intervenute sul fattore economico-sociale o familiare che rappresenta
una delle motivazioni che ammettono l'interruzione di gravidanza. Queste corti hanno sostenuto
che tali fattori non potevano essere ammessi come cause di giustificazione di un aborto. In
quest'ambito lo Stato sarebbe tenuto a colmare i problemi economici e sociali degli individui.
In Italia infatti non si dovrebbe abortire solo per questioni di carattere economico o sociale ma per
il disagio che da esse pu derivare. Tuttavia nella prassi non sempre cos.
Quando bisogna valutare l'opportunit dell'aborto si tiene conto anche delle condizioni in cui
avvenuto l'atto di concepimento (ad esempio uno stupro).
Ricorda i casi avvenuti in Bosnia di stupro etnico, in cui le donne musulmane venivano stuprate
dagli uomini di altra etnia perch i figli avrebbero proseguito l'etnia del padre. Papa Giovanni Paolo
II davanti a molte donne musulmane che avevano subito lo stupro etnico e non avevano abortito
disse che tutte coloro che non avevano ricorso all'aborto non avevano tramutato in male il male
subito.

LA LEGGE 40/2004 SULLA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA.
La legge n. 40 del 2004 la legge che disciplina la procreazione medicalmente assistita.
Qui viene disciplinata la situazione particolare in cui l'embrione viene creato al di fuori dell'utero
femminile, con tecniche mediche.
La procreazione in vitro ci fa scattare domandi etiche: quali sono i criteri di identificazione della
generazione umana? Quando la generazione umana al di fuori della fecondazione naturale
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ritenuta ammissibile? Nella fecondazione in vitro quanti embrioni possono essere generati? Ci
devono essere dei limiti?
La prima problematica riguarda proprio il coinvolgimento di embrioni. La legge ammette l'uso di
embrioni solamente per fine medico.
L'embrione al di fuori dal corpo femminile non in grado di crescere da solo e deve essere
trasferito dentro l'utero ddi una donna entro 36/48 ore dalla fecondazione. La donna quindi
considerata solo come utero?
Non sempre il trasferimento di embrioni ha successo per instaurare una gravidanza e molto
dipende dalle condizioni fisiche e dall'et della donna.
Gli embrioni che, una volta impiantati, non si sviluppano vengono persi. Perci la nostra legge
attua la medesima scelta della legge tedesca, cio ammette la generazione di tanti embrioni
esattamente quanti ne verranno trasferiti nell'utero. La nostra legge infatti rifiuta la produzione
eccessiva di embrioni per evitare la loro soppressione o congelamento.
Creare un numero pi alto di embrioni sarebbe utile per la donna proprio perch le
permetterebbe, in caso di insuccesso del primo tentativo, di procedere con un successivo tentativo
senza subire un'altra stimolazione ovarica, un procedimento che causa molti problemi di salute alla
donna.
Ma questa scelta comporterebbe il congelamento degli embrioni ed il nostro ordinamento lo vieta.
La nostra legge preferisce quindi rispettare regole etiche per cui si predilige piuttosto la qualit
tecnica ma per un numero limitato di embrioni, per non correre il rischio di fecondazioni inutili. Gli
embrioni in eccesso verrebbero infatti soppressi o congelati.
Analizziamo la legge 40 del 2004:
Art. 13. Sperimentazione sugli embrioni umani
1. E' vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano. 2. La ricerca clinica e
sperimentale su ciascun embrione umano consentita a condizione che si perseguano finalit
esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo
sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative. 3. Sono,
comunque, vietati: a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o
comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge; b) ogni forma di selezione a scopo
eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di
manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio
genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad
eccezione degli interventi aventi finalit diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente
articolo; c) interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce
dell'embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca; d) la fecondazione di un gamete
umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere. 4. La violazione dei
divieti di cui al comma 1 punita con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a
150.000 euro. In caso di violazione di uno dei divieti di cui al comma 3 la pena aumentata. Le
circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste dal comma 3 non possono
essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste. 5. E' disposta la sospensione da uno a
tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria
condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo.

Art. 14. limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni
1. E' vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto
dalla legge 22 maggio 1978, n. 194. 2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto
dell'evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall'articolo 7, comma 3, non devono creare
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un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo
impianto, comunque non superiore a tre. (
1
) 3. Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni
non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute
della donna non prevedibile al momento della fecondazione consentita la crioconservazione degli
embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile. (
2
) 4. Ai fini
della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita vietata la riduzione embrionaria di
gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194. 5. I soggetti di cui
all'articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni
prodotti e da trasferire nell'utero. 6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai
commi precedenti punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000
euro. 7. E' disposta la sospensione fino ad un anno dall'esercizio professionale nei confronti
dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno dei reati di cui al presente
articolo. 8. E' consentita la crioconservazione dei gameti maschile e femminile, previo consenso
informato e scritto. 9. La violazione delle disposizioni di cui al comma 8 punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
La norma base l'art. 14 che pone come principio il fatto che si possono generare tanti embrioni
quanti sono quelli che vengono trasferiti. Il numero massimo di embrioni trasferibili stabilito dalla
norma 3.
Inizialmente si era posta la questione di poter generare in vitro molti pi embrioni e poi di
trasferirne due o tre. Se la gravidanza non si fosse instaurata si sarebbe potuto procedere con il
trasferimento degli altri embrioni che erano stati prodotti e nel frattempo congelati.
Ma questa scelte porrebbe problematiche di tipo etico, dato che se poi la gravidanza si instaura
con un embrione che era stato prima congelato, l'individuo che nasce avrebbe trascorso un
periodo prenatale di congelamento. E poi ci si chiede dove andranno a finire gli embrioni creati e
non impiantati.
Altro problema che per creare molti embrioni necessaria una forte stimolazione ovarica della
donna e questo processo ha conseguenze gravi sulla salute, per cui sarebbe meglio evitarlo.
Per questi motivi la legge decide di non puntare sulla quantit ma sulla qualit tecnica
dell'impianto per aumentare le possibilit di successo.
In materia intervenuta nel 2009 una importante sentenza della Corte Costituzionale che ha
parzialmente modificato l'art. 14 comma 2.
Questa sentenza ha eliminato dall'articolo le parole unico impianto e la frase e comunque non
superiore a tre. Il risultato che la norma ha una portata molto pi generale.
In particolare afferma che si deve creare un numero di embrioni non superiore a quello necessario
ma non pone un limite. Qual' il numero strettamente necessario? Ha una risposta soggettiva.
Inoltre c' la possibilit di effettuare pi impianti.
Con questa sentenza si ripete un atteggiamento analogo a quello tenuto dalla sentenza del 1975
sull'aborto, stabilendo che il feto non gode della stessa tutela del gi nato perch persona deve
ancora diventare.
La differenza sta nel fatto che qui l'altro piatto della bilancia non la salute della donna, ma il
desiderio di gravidanza. Quanto pu essere sacrificato il diritto dell'embrione ad una vita rispetto al
desiderio di una gravidanza?
La Corte sostiene la sua tesi affermando che nel momento in cui si ammette una legge che
permette la fecondazione assistita inevitabile mettere in conto la perdita di embrioni. Tuttavia la
perdita di embrioni, sostiene la corte, avviene anche nella fecondazione naturale.
Ma nella fecondazione naturale non certo per natura che quegli embrioni instaurino una
gravidanza, mentre con la fecondazione in vitro gli embrioni vengono creati proprio apposta per il
40
trasferimento nell'utero.
Con queste tesi la Corte arriva nel 2009 ad affermare che il diritto dell'embrione un DIRITTO
AFFIEVOLITO. Il risultato che il diritto della vita umana pu essere quindi bilanciato alle esigenze
altrui. Si tratta di un passaggio estremamente delicato e pericoloso. Questo discorso potrebbe
oltrepassare i limiti del biodiritto e allora la questione diventerebbe davvero preoccupante.
Il problema che, trovandoci davanti ad embrioni al di fuori del corpo femminile, ci si chiede se si
possa effettuare delle analisi, oltre a quelle al microscopio, prima che vengano impiantati
nell'utero.
Tecnicamente si pu togliere ad un embrione di 6 o 8 cellule, una o due cellule per vedere se ci
sono delle anomalie. Ma prima di tutto, togliere una o due cellule ad un embrione di 8 una
modifica estremamente invasiva. Le conseguenze di questo procedimento non sono ancora
conosciute, non si sa a cosa potrebbe portare all'individuo una volta nato.
Inoltre l'attendibilit dei riscontri genetici fatti in et cos precoce estremamente bassa, anche
perch le caratteristiche tendono a cambiare nel corso dello sviluppo. Si potrebbero prendere delle
decisioni basate su analisi imprecise e non attendibili.
Se questo considerato un procedimento inaccettabile, per si pongono problemi nei casi in cui vi
sono i genitori portatori di una malattia e hanno tutto l'interesse di non trasferire la loro malattia al
figlio. In questo caso vorrebbero conoscere le informazioni genetiche dell'embrione che deve
essere impiantato.
Con queste scoperte sembra che il futuro permetta di poter attuare una selezione della vita degna
di essere vissuta, selezione di una vita a vita gi iniziata!
L'art. 13 infatti vieta che la fecondazione in vitro possa essere utilizzata per scopi non medici ma di
mera selezione degli embrioni prima dell'impianto.
Un'altra norma della legge per permette che la coppia che lo richiede, ha diritto di essere
informata sulle caratteristiche genetiche dell'embrione prima dell'impianto. cos permessa
l'osservazione dell'embrione ma non la diagnosi genetica tramite il prelievo di una cellula a scopo
di selezione.
Questa norma si trattava di un atto amministrativo che toglieva il limite alla osservazione degli
embrioni e che viene contestato davanti al TAR del Lazio.
Nei fatti tuttavia non avviene quello che la legge prescrive. Se da un'osservazione viene accertato
che un embrione presenta delle anomalie genetiche e di conseguenza la donna si rifiuta di
procedere all'impianto, il medico non ha nessun potere coercitivo. La donna non pu essere
obbligata fisicamente a sottoporsi all'impianto degli embrioni nel suo utero.
Quindi se da una parte la selezione vietata, dall'altra per, il fatto che la legge permetta
l'osservazione, la donna che poi rifiuti l'impianto non pu essere costretta ed il risultato sempre
lo stesso: si attua sostanzialmente una selezione, anche se formalmente vietata.
Criteri della generazione dalla legge 40/2004:
1) La fecondazione in vitro ammessa solo per scopo procreativo e non per altre finalit (art.
13).
2) La fecondazione in vitro non risponde ad un criterio elettivo della coppia ma ammessa
solo nei casi di necessit. Le coppie non possono decidere discrezionalmente di effettuare
fecondazione in vitro ma ammessa solo nei casi di infertilit o sterilit (art. 4).
3) La fecondazione assistita non pu operare selezione tra i gameti.
4) La legge non consente, se in futuro diventer possibile, la ectogenesi, cio la gravidanza
artificiale, al di fuori dell'utero della donna. La questione se il ruolo della madre solo
quello di fornire un utero o se ha un ruolo essenziale nella vita di ogni individuo.
5) vietata la surrogazione di maternit, cio l'utero in affitto nel quale la gravidanza viene
41
delegata ad un'altra donna la quale, dopo la nascita, consegner il bimbo alla madre
biologica.per la legge italiana genitore chi mette alla luce il bambino.
6) La legge vieta la clonazione. La generazione umana nasce dal patrimonio genetico di due
individui, con la clonazione nascerebbe dal patrimonio genetico di un solo individuo. Con la
clonazione si pongono infatti problemi con il diritto e sul trattamento giuridico del soggetto
prodotto dalla clonazione. La legge rifiuta la clonazione per il suo contrasto con la natura.
7) La legge vieta la fecondazione in vitro eterologa, cio la fecondazione con l'utilizzo di
gameti diversi da quelli del partner con il quale si vuole avere un figlio. Con la fecondazione
eterologa la generazione di un figlio avviene non tra i gameti maschili e femminili della
coppia ma tra i gameti femminili della donna e quelli maschili di un donatore. Le
conseguenze potrebbero essere molto gravi, dato che, se i gameti di un donatore vengono
utilizzati pi volte per le fecondazioni eterologhe, si creano i presupposti per commettere
incesto, poich gli individui che nascono sono geneticamente fratelli e sorelle (art. 5 e art.
12).
Come vediamo, sulla tecnica della fecondazione in vitro viene proposta una riflessione che riguarda
la propria coscienza. Diverso ci che esigenza sociale e ci che invece parte della nostra
coscienza.
Dopo tutte queste valutazioni possiamo notare come con le scoperte scientifiche il diritto si debba
adeguare alla tutela dei beni giuridici.
Le cellule staminali adulte sono quelle che oggi possono servire per scopi medici, mentre le cellule
staminali di un embrione sono molto pi complicate da gestire perch, in quanto prese da un
embrione, possono svilupparsi cellule di diverso scopo.
Tuttavia dalle cellule staminali di un embrione si scoperto che con esse possibile curare delle
malattie ed proprio in questo senso che verrebbe utilizzata la clonazione, se fosse legale. Quindi
verrebbe utilizzata non per fare un'altro individuo ma per avere un clone che, dopo essere stato
congelato, potrebbe essere utilizzato in futuro per curare l'individuo corrispondente malato.

Tematica strettamente correlata al tema dell'aborto quello della pillola del giorno dopo.
La pillola del giorno dopo un farmaco utilizzato come metodo contraccettivo post-coitale, ossia
per la contraccezione di emergenza. Deve essere assunta entro 72 ore (3 giorni) successive ad un
rapporto sessuale.
Le problematiche che fa sorgere sono legate al fatto che non sicuro se agir prima della
formazione dell'embrione bloccando la generazione dei gameti oppure se intervenga dopo
l'annidamento dell'embrione, provocano di fatto un aborto.
Da notare, inoltre, come questa sia materia disciplinata da un atto amministrativo e ci va a
derogare ad una legge e quindi ad una tutela penale.
Tuttavia, secondo gli studi pi recenti non ha effetti sull'impianto e quindi non in alcun modo una
pillola abortiva. L'Organizzazione Mondiale della Sanit (OMS) ha chiarito che la pillola del giorno
dopo non in grado di impedire n l'ingresso dello spermatozoo nell'ovulo, n l'annidamento
dell'ovulo fecondato nell'utero e, per tale motivo, la pillola stata catalogata come farmaco anti-
ovulatorio (impedisce il rilascio dell'ovulo dalle ovaie).
In passato si pensava che invece potesse inibire l'impianto dell'ovulo fecondato, avendo quindi un
effetto abortivo, secondo la vecchia definizione di gravidanza che ne identificava l'inizio con la
fecondazione anzich con l'annidamento come prevede oggi l'OMS. Tuttavia la questione se la vita
ha inizio con l'unione dello spermatozoo e l'ovulo, e quindi dell'embrione, o con l'annidamento
ancora dibattuta e ci sono opinioni contrastanti.
La pillola del giorno dopo non va confusa con la pillola RU-486 che , invece, un farmaco (uno
42
steroide sintetico) utilizzato per l'aborto chimico nei primi due mesi della gravidanza.
Questa pillola provoca l'aborto non attraverso la tecnica medica ma con la semplice assunzione
della pillola. Il medico si limita alla prescrizione ed la donna che agisce da sola all'aborto. In
questo caso l'iter abortivo si realizza nell'arco di pi giorni. Rispetto ai metodi abortivi tradizionali
non rende indispensabile da un punto di vista clinico l'ospedalizzazione e ha il vantaggio di non
richiedere un intervento chirurgico.
Con la pillola RU-486 la donna come se fosse meno cosciente dell'aborto per le modalit, perch
si realizza in tempi pi lunghi e in maniera molto pi naturale.
L'Aifa ha dato l'autorizzazione per poter mettere in commercio questa pillola ma nel 2009 il
governo ha stabilito che non pu essere venduta in farmacia, ne essere assunta direttamente dal
paziente senza un controllo medico. La donna deve necessariamente chiedere e ottenere il
ricovero in ospedale per l'assunzione della pillola abortiva. Resta sotto osservazione fino alla fine
del periodo post-abortivo. La pillola RU-486 stata cos sottoposta alle stesse procedure previste
dalla legge 194.

RESPONSABILIT DEL MEDICO NELL'ATTIVIT MEDICO-CHIRURGICA.
Si tratta di un tema molto complesso che riguarda da vicino la colpa medica ed il ruolo del
consenso nell'attivit medico-chirurgica. La questione : una attivit di per s benefica ma svolta
senza la copertura del consenso del paziente come va trattata giuridicamente?
Trattiamo quindi del caso in cui dall'attivit del medico ne deriva una lesione per il paziente e non
un miglioramento della salute e di come vada trattata la sua responsabilit.
Da un lato c' la necessit di evitare la malpractice dell'attivit medica (malasanit), dall'altro
lato per bisogna riconoscere che il medico una figura particolare. un professionista che si
espone a scelte molto delicate riguardo alla salute dei pazienti, con un rischio maggiore rispetto ad
ogni altro cittadino di arrecare lesioni ad un'altra persona.
Da questo rischio deriva il cosiddetto problema della MEDICINA DIFENSIVA che positiva quando il
medico fa svolgere analisi e trattamenti non necessari ma al solo scopo di evitare di accollarsi la
responsabilit su eventuali lesioni e coprirsi cos le spalle contro eventuali azioni contro il suo
operato (fa di pi di quello che sarebbe ragionevole fare per evitare rischi per lui;questo comporta
costi alti e non necessari per l'ospedale).
La medicina difensiva molto pi grave se negativa, cio il medico si astiene dal svolgere un
certo intervento, valutando i rischi che ne deriverebbero, in modo da evitare le conseguenze.
C' un'importante sentenza del 2009 della Corte di Cassazione a sezioni unite sull'attivit senza
consenso.
Le questioni importanti riguardo a questo argomento sono due: che tipo di responsabilit pu
essere attribuita al medico? E poi, come devono essere valutati i criteri di prudenza, perizia e
diligenza rispetto all'attivit medica tenendo conto, tuttavia, dell'inevitabile tasso di errore a cui
sottoposto anche il medico pi capace e scrupoloso?
Teoricamente e dal punto di vista penale si potrebbe identificare un omicidio colposo se non
addirittura il dolo eventuale del medico. Ma si tratta di una situazione difficile da provare oltre ogni
ragionevole dubbio. Mentre molto pi facile sarebbe la mera prova del nesso di causalit tra
l'intervento positivo del medico e la lesione subita dal paziente.
qui che si colloca l'importanza del consenso. Come pu tale consenso coprire tutto quello che
verr fatto? Oggi c' la tendenza di molti medici a richiedere consensi il pi analitici possibili per
evitare di esporsi a rischi.
C' l'esigenza di tutelare sia il paziente, sia il medico che con il suo intervento pu arrecare un
danno, derivante dall'esposizione a rischi ma non per un fine egoistico, ma per il fine altruistico di
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salvare la vita umana. I medici si trovano molto spesso a prendere decisioni che comportano rischi
per il malato e assumono questi rischi nell'interesse del malato.
Perci qui che si tiene distinta la responsibilit civile da quella penale, poich mentre quella civile
coperta dalle assicurazioni, quella penale no e dovr essere trattata diversamente.
(Ricorda: colpevole il soggetto che di fatto stato il pi sfortunato perch si verificato l'evento
rischioso a cui si esposto).
In linea di massima la colpevolezza del medico non diversa da quella di qualsiasi altra persona;
ma di fatto si viene a creare giuridicamente una responsabilit che ha aspetti peculiari (rischio di
errore molto alto, particolare valutazione dei requisiti di perizia, diligenza e prudenza, tassi di
errore inevitabile, incongruit utilizzo criterio diverso da quello usato nel civile).
Secondo la medicina contrattualistica, alla base di ogni trattamento ci deve essere il consenso.
Analizziamo diversi esempi:
caso 1 il medico chiede il consenso al paziente per un intervento ma opera un intervento pi
invasivo di quello per cui il paziente aveva dato il consenso. Il medico agisce quindi al di fuori del
consenso ma l'intervento ha buon esito. In questo caso rileva l'assenza di consenso ai fini penali?
Caso 2 (caso massimo) il medico chiede il consenso al paziente per un intervento ma opera un
intervento pi invasivo di quello per cui il paziente aveva dato il suo consenso. Ma in questo caso
l'intervento non ha buon esito e la paziente muore.
Nel caso 2 la sentenza della Corte fu la seguente: posto che ci sono state lesioni e posto che non
c'era il consenso per quell'intervento pi invasivo, con l'avvenuta morte si ha OMICIDIO
PRETERINTENZIONALE (con dolo diretto).
Questa sentenza avr conseguenze molto incisive, spavent molto l'ordine dei medici e cambio
anche le opinioni nelle aule universitarie.
Ma attenzione: questa sentenza non autorizza a dire che in ogni caso in cui un medico fa un
intervento pi incisivo di quanto concordato c' sempre la punibilit per reato di lesioni,
nonostante l'intervento abbia avuto buon esito. Anzi la sentenza semplicemente considera che, in
caso di morte del paziente, il medico pu essere punito per omicidio preterintenzionale, perch,
come ad esempio nel caso sottoposto all'esame di quei giudici, si riscontra che l'intervento di quel
chirurgo non era conforme alle modalit con cui si doveva intervenire in quel caso, secondo le linee
guida dello standard comportamentale del medico.
Da questi esempi possiamo operare un distinguo: se l'operazione chirurgica senza consenso
effettuata contro lo regole mediche o la prassi medica, un danno allora stato cagionato (reato di
lesioni o omicidio). Ma attenzione perch la Corte parla di lesioni/danno quando queste provocano
una malattia = lesione anatomica negativa.
Ma se l'alterazione anatomica positiva, avendo l'intervento buon esito per il paziente, non c'
stata lesione. Un'operazione che ottenga questo risultato ma non coperta comunque dal consenso
non pu essere paragonata ad una lesione. Il danno/la lesione esiste solo quando c' una
alterazione funzionale. Perci se da un operazione ne deriva non un danno ma un beneficio non c'
alcuna alterazione funzionale dell'organismo ma un miglioramento funzionale delle condizioni di
salute.
Riassumendo: in mancanza di consenso, un intervento svolto in conformit alle regole mediche e
con buon esito, non sussiste lesione; sempre in mancanza di consenso ma con un intervento svolto
in contrasto con le regole mediche e con esito negativo, sussiste una lesione ed rilevante ai fini
penali.
Poniamo per il caso del medico che agisce senza consenso ma secondo le indicazioni terapeutiche
ma purtroppo l'operazione va male. Il medico di cosa risponde? Di lesioni o omicidio colposi?
La risposta negativa perch ha violato s una regola (il consenso) ma non quella che era finalizzata
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a tutelare la salute del paziente (regole e prassi mediche). Quindi in questo caso se non pu
comportare un reato di lesioni, il medico pu essere punito di altro reato?
Dato che la violazione riguarda la regola del consenso e, posto che il bene offeso dalla violazione
del consenso la libert morale, molti hanno identificato in questo caso un delitto contro la libert
morale. Tuttavia, dato che il reato contro la libert morale consiste nel costringere qualcuno a fare
qualcosa tramite violenza o minaccia (art. 610 C.P.), davvero si pu dire che il medico pu essere
punito per reato contro la libert morale? Si pu dire che il medico costringe con minaccia o
violenza il paziente?
La Corte di Cassazione risponde negativamente a questa opinione proprio perch manca la
violenza e la minaccia e non c' neanche un nesso causale tra queste ed il fatto che il paziente
subisca l'intervento. La Cassazione conclude in questo senso: agire senza consenso, nelle ipotesi in
cui il consenso dovuto, illecito ma non illecito penale, bens illecito civile. Ci implica che il
medico in questo caso sottoposto ad una responsabilit civile.
Ora che abbiamo riconosciuto che l'attivit medica deve essere svolta con il consenso, chiediamoci
se per questa attivit possa sempre essere regolata dal consenso. Per capire facciamo un
esempio: il medico ha il consenso per l'intervento ma durante l'operazione si accorge che serve
qualcos'altro. Cosa fa? Pu agire comunque?
Se ci fermassimo alla convinzione che, anche in questo caso, il consenso l'unico elemento
rilevante, trasformando cos l'attivit medica in una attivit meramente contrattuale, come si
potrebbe giustificare una norma come quella dell'art. 583-bis (pratiche di mutilazione degli organi
genitali femminili)?
Questa norma penale vieta le pratiche di infibulazione alle donne. Ma se una donna desse il suo
consenso la pratica eventualmente effettuata rimarrebbe comunque reato. Qui il consenso non
rileva, perch nonostante che ci fosse, un'operazione che va contro la morale.
Vediamo come la medicina non pu essere ridotta alla logica contrattualistica.
Poniamo l'esempio dei genitori contrari alla chemioterapia della figlia, che porterebbe l'80 % di
chances di guarigione. I genitori non danno il consenso ma cos facendo la bambina andava verso
morte certa. La sent. di primo grado afferma che, tra 2 terapie nessuna delle quali in grado di
assicurare la certezza della guarigione, i giudici non possono dire quale delle 2 si deve fare (la
bimba infatti faceva una terapia alternativa).
La sentenza di appello render obbligatoria la chemioterapia ma nel frattempo erano passati 10
mesi e la situazione era molto pi grave; inoltre la bambina, che aveva fiducia nei genitori, non
vuole pi sottoporsi alla chemioterapia. Questa non viene fatta e la bimba muore.
Quindi in medicina non si pu ridurre tutto a un contratto,il medico ha ragione nel coinvolgere i
genitori di un minore ma poi deve valutare se essi stanno agendo nell'interesse del bimbo.
Il consenso, quindi, non sar mai perfetto. O viene reso una lista puramente tecnica, oppure viene
richiesto un consenso sulla base di una spiegazione dei problemi e dei rischi in modo che il malato
capisca davvero la situazione. Il problema che, in questo secondo caso, il medico ci perde se le
cose non dovessero andare bene, nonostante lui abbia cercato di informare davvero il paziente.
Regola 1: il malato non pu essere abbandonato anche nell'ipotesi in cui non pi possibile una
terapia per curarlo. La medicina tenuta a dare sostegno al paziente anche quando non curabile,
ad esempio con un terapia sostitutiva che riduca almeno il dolore.
Regola 2: anche se non c' un riferimento legislativo esplicito, il medico deve agire per la tutela
della vita e della salute in modo e con mezzi proporzionati, senza accanimento terapeutico. Qui
l'intervento diventerebbe, infatti, sproporzionato. La proporzione implica una valutazione dei
benefici per il malato in relazione ai costi, si deve cio valutare se i benefici per il malato sono
maggiori o no dei costi in termini di sofferenza e menomazione. Anche quando il medico si trova
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davanti un malato terminale, deve stare attento a non compromettere maggiormente le sue
condizioni esistenziali solo per recuperare qualche momento di vita in pi.
Regola 3: per iniziare una terapia occorre il consenso del paziente, salvo i casi in cui la legge
prescrive un trattamento sanitario obbligatorio. Ma da questa regola possiamo dedurre che il
nostro ordinamento rifiuta il riconoscimento di un diritto a morire?
Attenzione: non ci stimo riferendo alla facolt di fatto di un soggetto di togliersi la vita con il
suicidio (es facolt di fatto di buttarsi sotto un treno), perch , appunto, una facolt, non un
diritto.
Un diritto implica sempre una relazione, un rapporto con un altro soggetto, quindi ci riferiamo al
diritto di un soggetto di chiedere ad altro soggetto di cooperare nel proprio intento di morire.
Esiste nel nostro ordinamento il diritto di chiedere ad un altro soggetto di cooperare nel proprio
intento di morte?
Alcuni hanno fatto riferimento all'art. 31 2 comma Cost. per affermare l'esistenza di un diritto a
morire.
Ma attenzione! Non e' il diritto di morire quello affermato nel 32 co.2 Cost. (nessuno pu essere
obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge). Ma e' il divieto
imposto al medico di agire in modo coercitivo, coattivo sul corpo del paziente. In assenza di
possibilit di agire in modo coercitivo il medico dovr spiegare la situazione al paziente, chiamare i
famigliari, indicare i rischi, le conseguenze prevedibili e le diverse possibilit.
La medicina ha 3 finalit date dalla tutela della vita, della salute e dal lenire le sofferenze.
L'art 32 co.2 della Costituzione neanche storicamente nasce come diritto a morire. Nasce alla fine
della seconda guerra mondiale non come espressione del diritto a morire ma come divieto a carico
dello stato, dei medici, di porre in essere interventi coercitivi sul corpo altrui.
Ad esempio, il medico sportivo pu invitare un giocatore di calcio a sottoporsi a una visita e anche
allontanarlo dalla squadra se non si sottopone alla visita, ma non obbligarlo coercitivamente a
farla.
I problemi giuridici in gioco sono due:
1) Si pu chiedere a un medico di intervenire per interrompere una terapia gi in corso?
Bisogna distinguere se la terapia risulta proporzionata o meno. Se risulta sproporzionata
(ad es. un paziente in terapia intensiva ma non risponde agli stimoli secondo certi
parametri) pu intervenire. Se invece la terapia risulta proporzionata, il medico non pu
intervenire per interrompere il trattamento gi in corso, altrimenti sarebbe cooperazione
alla morte (ma vedere sentenza di cassazione perch li si dice che possibile l'interruzione).
Prendiamo l'esempio di un uomo che, a seguito di una serie di arresti cardiaci, subisce un
intervento nel quale gli viene inserito uno stimolatore cardiaco particolare che gli consente
di trascorrere una vita normale. Egli per, a seguito di una relazione con una nuova
compagna, chiede che venga rimosso lo stimolatore cardiaco per evitare che la compagna
venga a conoscenza dell'intervento (lo stimolatore cardiaco infatti si nota facilmente). Il
medico per non toglie lo stimolatore per non andare incontro alla probabile morte del
paziente il suo comportamento stato corretto.
2) Dichiarazioni anticipate (o impropriamente definite testamento biologico). Consiste nella
possibilit di lasciare orientamenti e desideri per quando la persona non sar pi capace di
esprimere il suo volere. Il problema che sussiste che la dichiarazione resa data in un
contesto psicologico che non attuale a quello della eventuale malattia. una
dichiarazione data non contestualmente allo stato di malattia, quindi non si pu capire
come ci si sentir. Si cos stabilire che un medico futuro ed incerto non dovr adottare
determinate terapie, anche se del tutto proporzionate e a prescindere dalla loro utilit.
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come se si chiedesse ad un futuro medico di cooperare per la propria morte. Il problema :
pu una dichiarazione anticipata obbligare in futuro il medico ad instaurare una relazione
con la mia morte?
Solitamente se la manifestazione di volont non disponibile nel momento del trattamento, ad
essa supplisce il rappresentante.
La prima questione in riferimento al fatto che l'intervento del medico deve essere proporzionato.
Tuttavia alcuni sostengono che non si deve valutare la proporziona dell'intervento ma solo la
presenza del consenso.
Riguardo al testamento biologico, bisogna tenere conto che davanti ad una malattia, la prima
reazione istintiva di un soggetto pu essere proprio quella di rifiutare le cure, ma non per un
desidero di morte, bens per una incapacit di affrontare il problema e scappare dalla realt.
Inoltre la psicologia clinica ci insegna che nello stato di malattia, la lettura dell'atteggiamento che
tiene il malato molto complessa da fare. Il malato quando da solo e si sente abbandonato
tende a rifiutare un trattamento, ma non per un reale desiderio di morte. Quindi una medicina
puramente contrattualistica contro gli scopi della tutela esistenziale.
Altro argomento importante che bisogna fare attenzione a non trasformare il diritto a morire in
un dovere! Ad esempio in Olanda l'eutanasia legalizzata. Cos si finisce per considerare le cure
non come una cosa normale ma come un qualcosa sottoposto alla scelta personale. E questo pu
portare a gravi conseguenze, tenendo conto del fatto che un soggetto malato spesso portato a
non voler essere un peso per le persone che gli stanno attorno ed un costo anche economico per
loro e per lo stato. C' il rischio di una colpevolizzazione che inevitabilmente porta al rifiuto delle
cure. La legalizzazione dell'eutanasia, e quindi l'introduzione di un diritto a morire, renderebbe
ancora pi debole verso la morte un soggetto gi debole. Il malato intuirebbe che dietro questo
diritto a morire ci sono anche considerazioni di tipo economico.
Ci possono essere situazioni in cui le condizioni esistenziali sono estremamente precarie, come
quelle dello stato vegetativo (ad esempio il caso Englaro). Non sono casi di malattie terminali e
neanche si tratta di persone viventi perch attaccate ad una macchina, ma di persone che vivono
autonomamente ma non hanno una condizione esistenziale attiva. Sono sottoposti ad idratazione
e alimentazione che sono di segno opposto rispetto alle macchine perch non contrastano uno
stato patologico per evitare la morte, ma forniscono quel necessario che serve a qualsiasi vita
umana, ed anche a quella.
Perci per far morire quella persone non bisogna staccare una macchina che la tiene in vita, ma
bisogna togliere loro l'idratazione e l'alimentazione che sono aspetti essenziali per ogni vita umana.
Il problema che sorge in queste situazioni riguarda proprio il loro trattamento giuridico. Vediamo
come in quest'ambito non sono ancora intervenute opinioni giurisprudenziali tali da porre
chiarezza sull'argomento.

REATI IN AMBITO ECONOMICO. IL DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA.

Il falso in bilancio.
Si tratta di una problematica molto attuale ed una delle pi discusse.
Il reato di falso in bilancio inserito nel libro V del Codice Civile tra i reati societari. La recente
riforma del 2002 ha sdoppiato la fattispecie di falso in bilancio in due norme: gli artt. 2621 e 2622
del C.C.
Queste due norme erano state interpretate inizialmente in modo che fossero rivolte solo alla tutela
dei soci e dei creditori. I soci che investono il loro denaro in una societ hanno diritto ad una
dichiarazione chiara e trasparente del bilancio. Il fatto che si facesse riferimento ad una
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esposizione fraudolenta (inserire fraudolentemente notizie false in bilancio) veniva interpretato
che il bilancio era ingannevole per i soci ed i creditori, che erano, quindi, l'oggetto della tutela della
norma sul falso in bilancio (frode = non solo dire bugie ma utilizzare tecniche per rendere il falso
credibile).
Questa interpretazione tiene fino agli anni '80. Successivamente si presentano in giurisprudenza
realt e situazioni nuove che esplodono con il caso Tangentopoli.
Si presenta un nuovo fenomeno: le dichiarazioni fraudolenti in bilancio non erano volte ad
ingannare i soci o i creditori, ma avevano lo scopo di ottenere delle agevolazioni economiche in
quanto societ, creare fondi neri e pagare tangenti. Al contrario, quindi, questo fenomeno era
proprio a favore dei soci.
Si comincia, cos, a pensare di applicare il falso in bilancio in un'altra ottica, cio al fine della tutela
di un'altro bene: l'interesse dell'intera collettivit alla TRASPARENZA dei bilanci delle societ
perch ogni cittadino pu essere un potenziale investitore.
Ci si chiede, quindi, non se applicabile la pena ultima, ma se applicabile la pena immediata
della CUSTODIA CAUTELARE.
Domanda: pu attuarsi un mutamento di costruzione interpretativa di una norma in modo che ne
estenda l'ambito di applicazione? Questo passaggio viene svolto a livello giurisprudenziale
accettabile che questa estensione avvenga per applicazione giurisprudenziale?
Perci, vista la necessit di un intervento legislativo, nel 2002 interviene il Governo e si attua una
riforma che prende atto di come le nuove esigenze di tutela impongono una estensione. Vengono
introdotte due norme, l'art. 2621 e l'art. 2622 del C.C.

Art. 2621. False comunicazioni sociali.
Salvo quanto previsto dall'articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti
alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di
ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per s o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci,
nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico,
espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorch oggetto di valutazioni ovvero omettono
informazioni la cui comunicazione imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della societ o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore
i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a due anni.
La punibilit estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati
dalla societ per conto di terzi.
La punibilit esclusa se le falsit o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione
della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della societ o del gruppo al quale essa
appartiene. La punibilit comunque esclusa se le falsit o le omissioni determinano una
variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o
una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.
In ogni caso il fatto non punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la
sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore,
sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili
societari, nonch da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o
dell'impresa.

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Art. 2622. False comunicazioni sociali in danno della societ, dei soci o dei creditori.
Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili
societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di
conseguire per s o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre
comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali
non rispondenti al vero ancorch oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui
comunicazione imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della
societ o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari
sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale alla societ, ai soci o ai creditori, sono
puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorch aggravato, a danno del
patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato,
di altri enti pubblici o delle Comunit europee.
Nel caso di societ soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al
primo comma da uno a quattro anni e il delitto procedibile d'ufficio.
La pena da due a sei anni se, nelle ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave
nocumento ai risparmiatori.
Il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo
0,1 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella
distruzione o riduzione del valore di titoli di entit complessiva superiore allo 0,1 per mille del
prodotto interno lordo.
La punibilit per i fatti previsti dal primo e terzo comma estesa anche al caso in cui le informazioni
riguardino beni posseduti o amministrati dalla societ per conto di terzi.
La punibilit per i fatti previsti dal primo e terzo comma esclusa se le falsit o le omissioni non
alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della societ o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilit comunque esclusa se
le falsit o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo
delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore
all'1 per cento.
In ogni caso il fatto non punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la
sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore,
sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili
societari, nonch da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o
dell'impresa.
False comunicazioni sociali le due norme hanno ad oggetto la medesima condotta (condotta
complessa), ma mentre l'art. 2621 punisce la condotta in quanto tale, l'art. 2622 punisce la
condotta in quanto lede la societ, i soci o i creditori.
Perci il primo reato si esaurisce nella condotta reato di condotta.
Il secondo reato punisce solo se quella condotta realizza anche l'evento lesivo reato di evento.
Il bene tutelato dall'art. 2621 proprio il diritto alla trasparenza; nell'art. 2622 il bene tutelato il
patrimonio dei soci e dei creditori.
Altra differenza che l'art. 2621 costituisce una contravvenzione, realizzabile per solo con dolo e
non con colpa (si sceglie la contravvenzione perch ha termini di prescrizione pi brevi e pene pi
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leggere); mentre l'art.2622 un delitto.
Inoltre, l'art. 2622 proprio perch posto a tutela dei beni patrimoniali, quindi personali e non
generali, perseguibile su querela; l'art. 2621 posto, invece, a tutela di un bene generale, quale
la trasparenza, ed quindi perseguibile d'ufficio.
La domanda che ci possiamo porre la seguente: se i soci rinunciano alla querela si pu procedere
a norma dell'art. 2621? se la risposta fosse positiva ci sarebbe contrasto con le norme di
procedura penale perch lo stesso reato non pu essere perseguito pi volte.
Analizziamo ora le due norme in riferimento agli istituti di parte generale.
Art. 2622 soggetto attivo: (amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione di
documenti contabili societari, sindaci e liquidatori) un reato proprio = art. 2621 con stessi
soggetti attivi.
Non c' falso in bilancio se si tratta di una dichiarazione spontanea, come ad esempio una lettera,
ma devono essere dichiarazioni richieste dalla legge.
Art. 2622 condotta: 1) dire il falso; 2) omettere dichiarazioni. NB la norma non richiede solo la
dichiarazione corretta ma richiede che anche le valutazioni economiche siano corrette. Il bilancio
non rappresenta, infatti, solo un elenco di fatti materiali, ma per essi occorre una corretta
valutazione di ogni elemento (esponendo fatti materiali non rispondenti al vero, ancorch oggetto
di valutazione economica).
Art. 2622 requisiti soggettivi: delitto che consiste in un reato di evento che richiede il dolo
generico (evento voluto dal soggetto agente). Ma sono previsti anche due doli specifici: 1) con
l'intenzione di ingannare; 2) al fine di conseguire per s o per altri un ingiusto profitto.
In un sistema, come il nostro, che riconosce il principio di colpevolezza indispensabile che, nelle
norme, ad ogni elemento soggettivo vi sia il corrispondente elemento oggettivo e viceversa.
In questa norma, questa duplicit di elementi viene addirittura esplicitamente segnalata in
modo idoneo ad indurre in errore. Se c' un elemento soggettivo (dolo specifico) vi deve essere
una condotta idonea (elemento oggettivo). Viceversa se ci fosse solo la richiesta di una condotta
idonea implicitamente richiesto il dolo (elemento soggettivo). In questo articolo, invece, vengono
esplicitati entrambi ridondanza che rende pi faticoso l'iter probatorio.
L'art. 2621 presenta le medesime caratteristiche dell'art. 2622, che abbiamo appena analizzato, ma
con la differenza che non richiede il danno ai soci e ai creditori ma si limita a punire la condotta. Il
reato coincide con la condotta (reato di condotta).
Problema: leggendo attentamente gli articoli ci accorgiamo che le condotte NON SONO PUNITE
SEMPRE, ma le norme prevedono delle soglie minime di punibilit.
Prima condizione di punibilit che l'alterazione che si verifica con le dichiarazioni false deve
essere sensibile. Questo precisato dal legislatore ma ci si poteva arrivare in via interpretativa
perch chiaro che i beni tutelati dalle due norme sono messi in pericolo solo se la percezione del
bilancio modificata in maniera consistente e non marginale principio di offensivit. Ma
l'intento della norma quello di sottrarre la punibilit a valutazioni troppo generali. Bisogna tenere
conto solo delle soglie di punibilit elencate dalla norma, al di sotto delle quali non c' punibilit.
L'art. 2621 espone poi altri 3 parametri che se non superati la punibilit esclusa.
Ma queste soglie di punibilit sono elementi costituivi del reato o condizioni obiettive di punibilit?
Il criterio per rispondere, come abbiamo gi visto, valutare se rilevano oggettivamente o
soggettivamente.
Sappiamo che la responsabilit oggettiva stata abolita ma si accetta che le condizioni obiettive di
punibilit rilevano oggettivamente quando non violano il principio di colpevolezza. Non violano
questo principio quando la condizione estrinseca, cio non ha nulla a che fare con il bene
tutelato. In questo caso risponderebbe ad una mera opportunit punitiva.
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L'esempio quello che abbiamo visto nel reato di incesto che si punisce solo quando realizza il
pubblico scandalo condizione obiettiva, rileva oggettivamente, indipendentemente dal dolo o
colpa.
Quindi, se nel reato in bilancio considerassimo le soglie di punibilit come condizioni obiettive di
punibilit, rilevano oggettivamente, sono totalmente slegate dal bene tutelato, non necessaria la
prova del dolo.
Se invece le considerassimo elementi costitutivi del reato, allora rilevano soggettivamente, quindi
sarebbe necessaria la prova del dolo.
Tuttavia davvero difficile che la soglia non sia collegata con il bene tutelato, proprio perch al di
sotto della soglia non c' offesa. Perci possiamo concludere che la soglia di punibilit nel reato di
falso in bilancio elemento costitutivo del reato, perci se viene a mancare, non c' reato.
Ma attenzione, questo non vuol dire che non possa instaurasi una responsabilit di altro genere.
Infatti al di sotto delle soglie di punibilit si instaura un illecito amministrativo, perch anche per le
norme amministrative il bilancio deve essere corretto. Il colpevole verr punito per diritto
amministrativo e non per illecito penale.
Ma al tempo della riforma la norma sembrava poco effettiva, soprattutto per la breve durata della
prescrizione, perci sembrava che il legislatore non aveva interesse a punire la condotta. In realt
non cos, perch il fine del legislatore non deve essere l'aumento delle pene ma che il contrasto
al reato sia reale.
Infatti, non sempre creare una migliore tutela vuol dire aumentare le pene. In una tipologia di reati
come quelli economici o quelli dei colletti bianchi, le pene detentive hanno meno efficacia rispetto
a quelle che comportano conseguenze di tipo patrimoniale, proprio perch l'interesse del
soggetto colpevole accumulare ricchezza. Una pena di tipo patrimoniale sarebbe s meno grave,
ma, in quest'ambito, pi effettiva.
(Dopo le vicende Parmalat sono state introdotte altre soglie).

I reati tributari.
Questo tipo di reati riguarda le dichiarazioni del reddito per l'imposta.
La disciplina data dal D.lgs. 74/2000, che rappresenta il punto d'arrivo di un percorso legislativo
un po' accidentato.
Oggi questa disciplina prevede 4 ipotesi di reato: 2 fattispecie di dichiarazione fraudolenta, una di
dichiarazione infedele e un'altra di omessa dichiarazione.
Analizziamo il decreto.
Art. 1 contiene le definizioni.
Art. 2 e art. 3 sono i due delitti di dichiarazione fraudolenta. Ricorda: frode non il mero
dichiarare il falso ma consiste anche nel corroborarlo di circostanze che lo rendono veritiero.
Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti
E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte
sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti,
indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono
detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.
Se l'ammontare degli elementi passivi fittizi e' inferiore a lire trecento milioni, si applica la
reclusione da sei mesi a due anni.

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Art. 3. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
Fuori dei casi previsti dall'articolo 2, e' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni
chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa
rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolarne l'accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte
elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando,
congiuntamente:
a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire
centocinquanta milioni;
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo
degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, e' superiore a lire tre miliardi.
Art. 2: condotta indicare elementi passivi fittizi utilizzando fatture false.
pena reclusione da 1 anno e mezzo a 6 anni.
Art. 3: non parla pi di fatture false ma di mezzi fraudolenti idonei con i quali indica elementi
attivi o passivi fittizi.
Quindi, mentre nell'art. 2 la condotta consiste nel gonfiare il passivo, nell'art. 3 la condotta
consiste, invece, nel ridurre l'attivo e gonfiare il passivo con mezzi idonei e non con fatture false.
La pena invece la stessa.
Perch diversificare le due condotte? Perch due reati? Cosa li differenzia?
Nell'art. 2 abbiamo una situazione attenuata perch abbiamo una soglia, che riferita all'entit
delle fatture false, che deve essere superata. Anche nell'art. 3 abbiamo una soglia ma questa
consiste in due limiti (vedi punti a e b).
La differenza sta nel fatto che nell'art. 2 al di sotto della soglia comunque un illecito penale
mentre nell'art. 3 al di sotto delle soglie diventa un illecito amministrativo.
Queste soglie sono elementi costitutivi del reato o sono condizioni obiettive di punibilit? dato
che solo sopra la soglia si realizza il reato, rappresentano un elemento costitutivo del reato.
L'art. 4 rappresenta invece l'ipotesi delittuosa della dichiarazione infedele:

Art. 4. Dichiarazione infedele
Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, e' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al
fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali
relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi
passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento
milioni;
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo
degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, e' superiore a lire quattro miliardi.
La dichiarazione infedele punita meno gravemente. Si caratterizza per il fatto di non usare artifici
che suffraghino il carattere veritiero di ci che non vero.
La problematica della soglia di punibilit uguale a quella dell'art. 3.
L'ultima ipotesi di reato quella dell'omessa dichiarazione, disposta dall'art. 5.

Art. 5. Omessa dichiarazione
E' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul
valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette
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imposte, quando l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a lire
centocinquanta milioni.
Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata
entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato
conforme al modello prescritto.
Anche qui abbiamo la medesima pena. punito chiunque non presenta le dichiarazioni annuali
quando l'imposta evasa superiore ad una certa soglia. La soglia riferita esclusivamente
all'imposta che si doveva pagare se la dichiarazione fosse stata corretta.
Nonostante sia prevista la stessa pena dell'art. 4, il comportamento dell'art. 5 pu talora essere
ben pi grave del reato dell'art. 4. Questo perch chi non presenta la dichiarazione o noto al fisco
ma non presenta le dichiarazioni dovute oppure pu trattarsi del cosiddetto EVASORE TOTALE, cio
l'evasore che rende nascosta al fisco anche l'esistenza dell'attivit.
L'evasore totale colui che non da nessun indizio fiscale della sua presenza, mentre colui che d
dichiarazioni false per lo meno sottopone le proprie dichiarazioni alle indagini. Nonostante ci la
sanzione prevista la stessa.
Da questo ragionamento si collega il tema del problema del sistema sanzionatorio. Qui appare
opportuno l'uso di un intervento pesante di carattere patrimoniale che risulterebbe infatti pi
efficace, e ci contro la tendenza del nostro sistema a considerare la pena detentiva quella
principale e pi efficace. Non detto infatti che una maggiore pena detentiva risponde all'esigenza
di una sanzione pi efficace.
A questa normativa abbiamo due eccezioni a regole generali. Eccezioni non cos pregnanti da poter
dire di avere un sottosistema.
La prima deroga la vediamo nell'art. 6 per il quale i reati precedenti non sono puniti a titolo di
tentativo, per la difficolt di specificare quali sarebbero gli atti idonei ad omettere, per esempio,
una dichiarazione.

Art. 6. Tentativo
I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo.
Questa deroga ammessa proprio perch il Codice Penale una legge che pu essere derogata da
altra legge, ma diverso per quei principi di diritto penale che sono anche principi costituzionali.
Diversamente da quanto accade negli ordinamenti stranieri (pensiamo al sistema tedesco) l'Italia
ha una norma generale sul tentativo, mentre negli altri paesi europei il tentativo previsto di volta
in volta per ogni reato, e non con una norma generale.
La seconda deroga ci impone di considerare un altro reato, l'art. 8.

Art. 8. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi
l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti.
Ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di pi'
fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si
considera come un solo reato.
Se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti e' inferiore a lire
trecento milioni per periodo di imposta, si applica la reclusione da sei mesi a due anni.
Questo articolo punisce le cosiddette cartiere, cio quelle persone che producono fatture false,
fatture dietro le quali non ci sono operazioni reali: operazioni inesistenti che vengono dichiarate
per indicare un costo che in realt non c' stato (collegamento con art. 2).
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La mera emissione di una fattura falsa gi punita, ma se poi un individuo emette, nello stesso
periodo di imposta, pi fatture di operazioni inesistenti, questo viene considerato un unico reato.
Questa decisione dirime un problema di parte generale: quando c' un reato solo e quando un
concorso di reati?
A volte la risposta palese pi azioni = pi reati. Ma altre volte non cos agevole. Ad esempio
Tizio va a rubare in un supermercato ed entra ed esce pi volte portando via ogni volta un
computer. Qui abbiamo s pi azioni ma un unico reato, un unico furto. La situazione invece
cambierebbe se Tizio tornasse a rubare la settimana successiva, perch viene a mancare lo stesso
contesto.
Lo stesso discorso vale per il reato dell'art. 6. Qui la norma dirime un problema di concorso.
Sul modello dell'art. 2 anche qui abbiamo che la soglia riferita non all'entit dell'imposta evasa
ma all'entit della fattura evasa. La soglia non di punibilit ma una soglia di minore punibilit, al
di sotto della quale scatta esclusivamente la sanzione amministrativa.
All'art. 9 possiamo vedere, a prima vista, un'altra eccezione a regole di parte generale, ma con
un'analisi pi attenta ci possiamo accorgere che non si tratta di una vera deroga, anche se la norma
cos espressamente la definisce.

Art. 9. Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti
In deroga all'articolo 110 del codice penale:
a) l'emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo
non e' punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'articolo 2;
b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo
non e' punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'articolo 8.
Chi emette fatture false non chiamato per concorso con il reato di dichiarazione fraudolenta.
A prima vista si potrebbe pensare che chi emette fatture false commette anche reato di cui all'art.
2 proprio perch perfettamente d'accordo con lo scopo di evasione. Essendo due reati correlati,
proprio in funzione di questa correlazione automatica, l'art. 9 ha premura di precisare quando
escluso il concorso. punito solo il reato compiuto in maniera diretta.
Qui abbiamo una deroga espressa al concorso di persone, ma anche senza l'art. 9 saremmo arrivati
alla stessa conclusione perch richiamata la problematica del concorso apparente. Ricordiamo
che per risolverlo si fa riferimento al principio di specialit.
Ma la giurisprudenza va oltre la disciplina dell'art. 15 C.P., introducendo altri criteri, quali quello
dell'assorbimento e consunzione. Questo criterio si applica quando due condotte si implicano, una
servente rispetto all'altra. Si tratta della problematica dell'antefatto e del post-fatto non punibile.
Perci potevamo arrivare alla stessa soluzione dell'art. 9 in via interpretativa.
ovvio che se Tizio fa una dichiarazione fraudolenta antefatto la condotta di essersi procurato
delle fatture false, pagando qualcuno per farle. E chi ha fabbricato una fattura falsa ovviamente la
fa per scopo di evasione fiscale, come post-fatto.

Ma vediamo ora come storicamente si arrivati a questa disciplina fissata dal D.lgs 70/2000.
La vicenda che ha portato a questa situazione ha avuto un primo passaggio nel 1982. La situazione
prima del 1982 prevedeva gi dei reati in materia tributaria: era punito chi evadeva al di sopra di 5
milioni di Lire.
La norma, per, risult pletorica perch la valutazione del superamento o meno dell'imposta evasa
era affidato ad un procedimento amministrativo, ad un accertamento tributario, ed il tempo che
passava fino alla definizione giuridica dell'imposta evasa era di molto superiore al termine di
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prescrizione del reato.
La situazione ante 1982 era, quindi, caratterizzata dalla cosiddetta PREGIUDIZIALIT TRIBUTARIA,
cio il giudice penale per perseguire il reato e applicare la pena aveva prima bisogno di attendere il
termine del procedimento amministrativo. Dato che quest'ultimo era molto pi lungo del termine
prescrizionale del reato, l'intervento penale era totalmente disapplicato.
Nel 1982 venne introdotta una nuova legislazione il cui slogan fu manette agli evasori, che
rimasto anche molto attuale.
La disciplina introdotta nel 1982 prevedeva una evoluzione importante, cio l'eliminazione della
pregiudizialit tributaria, cos che il giudice penale potesse muoversi autonomamente per
l'accertamento dell'evasione di imposta.
Con questa disciplina i reati tributari vennero costruiti attraverso fattispecie base di pericolo,
consistenti non in una entit di imposta evasa, ma di condotte oggettive sintomatiche di un'assai
probabile evasione di imposta. Si costruirono, perci, prevedendo dei comportamenti che di per s
non consistevano in una evasione di imposta, ma erano considerati prodromici rispetto al reato di
evasione (ad esempio, la non dichiarazione di tutto quello che hai fatturato segno di una volont
di evasione di imposta).
Questo sistema ha consentito al giudice penale di muoversi subito, nel momento in cui viene
constatato un comportamento sintomatico di evasione.
Tuttavia, anche con questa normativa non si raggiunge il fine che il legislatore si era prefissato con
la riforma del 1982, perch s vero che il giudice penale poteva intervenire subito, al contrario
della disciplina precedente, ma anche vero che questa facilit di intervento portava al medesimo
risultato che il legislatore voleva appunto evitare: si aprirono talmente tanti processi in materia
tributaria che molti, data la lentezza dei procedimenti, andavano in prescrizione.
Infatti il numero dei casi di mancata dichiarazione nelle scritture contabili era elevatissimo e per
ogni caso si apriva subito un processo penale.
Questa fu la situazione fino al 2000, anno in cui venne fatta una riforma per cercare di porre
rimedio a questo problema. Lo scopo del legislatore era, perci, quello di prevedere un intervento
penale non pi a pioggia ma solo in determinate situazioni di particolare gravit, cio quando
l'evasione superava certe soglie.
L'intervento penale, quindi, non si doveva attivare sempre, ma solo quando l'evasione superava le
soglie stabilite, essendo considerata un'evasione grave.
Il fatto che con la disciplina del 2000 torna a comparire l'entit dell'imposta evasa fa s che si torni
alla situazione precedente al 1982? La risposta negativa, perch con la disciplina del 2000 il
giudice penale non doveva pi attendere il termine del procedimento amministrativo per
intervenire.
A riguardo vediamo gli artt. 19, 20 e 21 del D.lgs. 70/2000.

Titolo IV : rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e fra procedimenti

Art. 19. Principio di specialit
Quando uno stesso fatto e' punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che
prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.
Permane, in ogni caso, la responsabilit per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati
nell'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone
fisiche concorrenti nel reato.
Il principio di specialit vale anche tra illecito penale ed illecito amministrativo.

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Art. 20. Rapporti tra procedimento penale e processo tributario
Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere
sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui
accertamento comunque dipende la relativa definizione.
Il procedimento amministrativo e quello tributario non possono essere sospesi per l'apertura della
procedura penale. Le due procedure vanno avanti autonomamente.

Art. 21. Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti
L'ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie
fatte oggetto di notizia di reato.
Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall'articolo 19,
comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o
sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza
penale del fatto. In quest'ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il
provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all'ufficio competente; alla
comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi.
Nei casi di irrogazione di un'unica sanzione amministrativa per pi violazioni tributarie in concorso
o continuazione fra loro, a norma dell'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472,
alcune delle quali soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del presente articolo
opera solo per la parte della sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile in relazione
alle violazioni non penalmente rilevanti.
L'ufficio amministrativo irroga comunque le sanzioni amministrative. Queste non sono eseguibili
nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall'art. 19, salvo che il procedimento penale si
sia concluso con sentenza di assoluzione. In questo caso abbiamo responsabilit amministrativa e
non penale.

Il reato di bancarotta.
Il reato di bancarotta rappresenta una materia esempio di inerzia del legislatore perch la legge
fallimentare stata pi volte riformata ma non nell'ambito dei reati fallimentari nel Codice Rocco,
che, riguardo a questa materia, resta invariato dal 1942.
Si tratta in ogni caso di una disciplina insufficiente. Abbiamo gi detto come il Codice Rocco si
occupa ben poco dei reati in materia economia e punisce da un lato solo ideologicamente lo
sciopero e la serrata, e, dall'altro, comportamenti che porterebbero un danno all'economia
pubblica. Non ci sono interventi volti a garantire la concorrenza, ma si occupa dell'economia
pubblica solo da questi due punti di vista e lascia il resto a discipline esterne a codice penale.
Una delle materie pi tradizionali e discusse proprio quella degli artt. 216 e 217 della Legge
Fallimentare (Regio Decreto n. 267 del 1942), cio le ipotesi di bancarotta fraudolenta e
bancarotta semplice.

Art. 216. Bancarotta fraudolenta.
punito con la reclusione da tre a dieci anni, se dichiarato fallito, l'imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo
scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passivit inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a s o ad altri un
ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in
guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare,
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commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o
falsifica i libri o le altre scritture contabili.
punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura
fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula
titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per
uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione
all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacit per la stessa durata ad esercitare uffici
direttivi presso qualsiasi impresa.

Art. 217. Bancarotta semplice.
punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori
dai casi preveduti nell'articolo precedente:
1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;
2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o
manifestamente imprudenti;
3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio
fallimento o con altra grave colpa;
5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o
fallimentare.
La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento
ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre
scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna
importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacit ad esercitare uffici
direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.
L'art. 216 punisce il reato di bancarotta fraudolenta (reato base). un reato di carattere
patrimoniale.
punito l'imprenditore (reclusione da 3 a 10 anni) che, in qualche maniera, ha fatto sparire i suoi
beni a scapito dei creditori.
Al punto 1 dello stesso articolo vengono unificati comportamenti che hanno un disvalore diverso
distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato i suoi beni e esposto o riconosciuto
passivit inesistenti.
Leggendo l'art. 217 sorge spontanea una domanda: dove sta il confine tra la bancarotta
fraudolenta e la bancarotta semplice?
Ad una prima lettura non molto chiara la differenza tra i due reati. Per di pi, si parla
dell'imprenditore individuale che costituisce una figura oggi ormai molto rara (vedremo poi una
disciplina che estende il reato di bancarotta agli amministratori e ad altre figure inerenti
all'impresa).
Per rispondere alla domanda partiamo dall'inciso comune ad entrambe le norme: punito
l'imprenditore se dichiarato fallito. Domanda: questo rappresenta un elemento costitutivo del
reato o una condizione obiettiva di punibilit? Il fallimento interno alla fattispecie di bancarotta?
Va proprio contro il bene che il legislatore vuole tutelare? Cosa veramente vuole tutelare il
legislatore?
vero che il fallimento uno strumento di garanzia al risarcimento dei creditori. Ma questo non
basta. Dobbiamo chiederci che conseguenze porta il scegliere l'una o l'altra ipotesi.
57
Se fosse elemento del reato occorrerebbe dimostrare il dolo, cio che l'imprenditore ha tenuto
quei comportamenti proprio per arrivare al fallimento. Ma con questa soluzione si arriverebbe
praticamente a non punire mai il reato di bancarotta perch raro che ci si verifichi perch
l'imprenditore voleva fallire.
Perci l'opinione prevalente da decenni considera il fallimento una condizione obiettiva di
punibilit.
Ma di recente una sentenza ha dichiarato, in opposizione all'opinione dominante, che la
condizione di fallimento fosse un elemento costitutivo del reato. Questa dichiarazione stata data
per aggirare il problema del termine di prescrizione, perch, se il fallimento elemento costitutivo,
la prescrizione comincia a decorrere dalla dichiarazione di fallimento e quindi si guadagna i termini
di prescrizione.
Ma da questo guadagno di tempo il giudice deve adempiere ad un arduo compito che quello di
dare la prova del dolo nel fallimento. Ovviamente prova molto difficile da fornire.
Cos l'ostacolo della prova del dolo viene aggirato con l'utilizzo del dolo eventuale, con tutte le
problematiche che abbiamo gi affrontato.
Quindi, qual' la differenza tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice? Dove sta il confine
tra spese eccessive e il dissipare i propri beni?
Una opinione diffusa, ma dal punto di vista della teoria del diritto penale molto sbagliata traccia la
differenza traendo spunto dal fatto che nella bancarotta semplice si parla di colpa, negligenza,
imprudenza e spese eccessive, e quindi si arriva a questa conclusione: la bancarotta semplice
colposa mentre la bancarotta fraudolenta dolosa.
Questa ipotesi lascia molte perplessit. La bancarotta semplice anch'essa un delitto e i delitti
sono tutti puniti solo a titolo di dolo, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge. Questa
ipotesi andrebbe proprio contro questo principio perch la bancarotta sarebbe sempre punita con
colpa.
vero che la bancarotta semplice tiene comportamenti negligenti, ma quel comportamento
negligente davvero solo per colpa? No, il fatto che la bancarotta semplice prevede condotte di
negligenza non vuol dire che debbano essere necessariamente commesse per colpa o
disattenzione. Sono condotte che possono anche essere commesse volontariamente. Ad esempio:
un imprenditore che rischia il fallimento compra un diamante molto costoso per la fidanzata.
Ovviamente non l'ha comprato per disattenzione ma era conscio, il comprare il diamante era un
comportamento volontario. Se seguissimo l'ipotesi per cui la bancarotta semplice sempre
colposa, anche questo caso sarebbe un caso di bancarotta fraudolenta. E allora, dato che ogni
comportamento di spesa di denaro volontario, la bancarotta semplice non verrebbe mai
applicata. Invece i giudici praticamente applicano quasi sempre il reato di bancarotta fraudolenta!
Questa tesi infatti da scartare. Bisogna dare una interpretazione corretta alla differenza tra le due
ipotesi di reato di bancarotta.
Poniamoci la domanda inversa: la bancarotta fraudolenta sempre dolosa? No, perch la legge
prevede che fare spese eccessive bancarotta semplice ed sempre un delitto.
NB: fraudolenta vuol dire con l'inganno del destinatario, con frode (rif. Pagg. precedenti).
Fraudolenta la bancarotta quando c' l'elemento della FRODE. La frode c' quando l'imprenditore
non solo fa spese eccessive, ma ha anche abusato (sfruttando) della sua condizione di
imprenditore per creare affidamento in un fornitore per ricevere da lui ma sapendo gi che non lo
ripagher.
Questo comportamento fraudolento deducibile anche dal dolo specifico perch dall'art. 216
traspare che il comportamento avvenuto allo scopo di recare pregiudizio ai creditori.
Attenzione: questo inciso sembra riferito solo al secondo tipo di comportamenti espressi dal punto
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1 dell'art. 216 (esposto o riconosciuto passivit inesistenti), ma da considerarlo riferibile anche
al primo gruppo di condotte tramite l'utilizzo della analogia. Qui l'analogia accettabile perch
porta ad un effetto in bonam partem: prevedere il dolo specifico anche al primo gruppo di
condotte non estende l'ambito del punibile ma, al contrario, lo restringe.
Detto ci dobbiamo ritenere che l'intento fraudolento proprio di tutto il comportamento
espresso dal reato di bancarotta fraudolenta ex art. 216, ed proprio questo elemento della frode
che lo differenzia dalla bancarotta semplice.
NB: la condotta di bancarotta punita in quanto idonea a mettere il colpevole in condizioni di
essere insolvente nei confronti dei creditori, quindi occorre in ogni caso l'offesa al bene giuridico
tutelato e che l'offesa sia oggetto del dolo. L'imprenditore deve essere consapevole che la sua
condotta idonea ad arrecare un pregiudizio ai suoi creditori. Punire il mero pericolo presunto
sarebbe incostituzionale e. poich non c' nessuna legge scientifica che accerti che un danno si
verificher, occorre che si sia concretamente realizzato il pericolo. Ma quando si passa dal rischio
consentito a quello non consentito? Dove sta la soglia e quali comportamenti sono ammessi?
Il codice non da dei criteri identificativi ma usa espressioni generali (spese eccessive). Perci ex
ante dovr farsi una valutazione sulla condotta per vedere se idonea a produrre il pericolo.
Vediamo ora gli artt. 223 e 224 della Legge Fallimentare che sono contenuti nel capo sui reati
commessi da persone diverse dal fallito.

Art. 223. Fatti di bancarotta fraudolenta.
Si applicano le pene stabilite nell'art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai
liquidatori di societ dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel
suddetto articolo.
Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell'art. 216, se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della societ, commettendo alcuno dei fatti
previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile; (
1
)
2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della societ.
Si applica altres in ogni caso la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 216.

Art. 224. Fatti di bancarotta semplice.
Si applicano le pene stabilite nell'art. 217 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai
liquidatori di societ dichiarate fallite, i quali:
1) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo;
2) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della societ con inosservanza degli
obblighi ad essi imposti dalla legge.
Si tratta di norme applicate molto spesso nella realt.
Non si limitano ad estendere la sfera della responsabilit del reato base (bancarotta) alle figure
indicate ma prevedono anche delle ipotesi autonome.
L'art. 223 al primo comma attua una mera estensione del reato per le figure indicate
(amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori).
Il secondo comma prevede invece due ipotesi:
il punto 1 punisce coloro che hanno provocato il dissesto della societ con una particolare
condotta che quella di un reato societario (artt. 2621, 2622 e ss.). Questa rappresenta
l'unica norma nei reati fallimentari che stata riformata.
Notiamo che si tratta di un reato di evento e non un reato di condotta come il reato-base della
bancarotta. Fa riferimento ad un evento di ordine sostanziale e non giuridico, cio il dissesto della
societ, ma non vi nessun riferimento al fallimento.
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Il testo precedente alla riforma prevedeva una ipotesi di responsabilit oggettiva perch bastava
aver compiuto il reato societario (fallimento) per la punibilit. Con la riforma ed il nuovo testo
dell'art. 223 l'intento del legislatore proprio quello di ricondurre il reato entro il principio di
colpevolezza. Tuttavia, anche la norma attuale pone qualche problema perch di fatto va a punire il
dolo eventuale, dato che molto difficile che ci sia dolo intenzionale nel creare il dissesto della
societ.
Il punto 2 tratta, invece, del caso in cui gli amministratori hanno agito proprio per condurre
al fallimento. Anche questo un reato di evento. Tuttavia anche qui incontriamo dei
problemi interpretativi. Se la norma si limitasse a dire con dolo, questo sarebbe solo a
scopo di enfasi. Ma la lettera della norma con dolo o per effetto di operazioni dolose.
Perch il legislatore ha utilizzato questa espressione? Per rispondere bisogna tener conto
che l'emanazione della legge fallimentare di poco successiva al Codice Rocco, il quale
prevedeva solo il dolo come intenzionale. Rocco infatti aveva la precisa intenzione di
escludere il dolo eventuale. Quindi, la funzione di questa espressione, introdotta con la
riforma, sembra proprio quella di estendere il dolo a quello eventuale.
L'art. 224 rappresenta il corrispondente dell'art. 223 per la bancarotta semplice. Il punto 1 ha la
mera funzione di estendere l'art. 217 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori. Il
punto 2, invece, prevede una forma di reato di evento (economico) comportamenti che
costituiscono violazione di legge.

IL TESTO UNICO SUGLI STUPEFACENTI.
(Premessa: i reati connessi con le sostanze stupefacenti sono anche collegati con i reati della
criminalit organizzata. Questa solitamente intimamente collegata con attivit economiche. Ci
sono infatti delitti, come il reato di riciclaggio, che vanno proprio a toccare questa materia.)
La disciplina sulle sostanze stupefacenti data dal DPR 309/1990, il Testo Unico sulla droga.
Noi analizzeremo principalmente la parte sanzionatoria del decreto.
L'impianto della normativa risale al 1975.
La scelta di fondo quella di distinguere le condotte di spaccio da quelle di detenzione per uso
personale. La scelta italiana stata quella di considerare sempre illecita ogni condotta che implichi
le sostanze stupefacenti e quindi anche la semplice detenzione.
Tuttavia, la mera detenzione punita con sanzione amministrativa mentre lo spaccio ha
conseguenze penali. Il nostro ordinamento, quindi, non usa strumenti penali per punire condotte
autolesioniste ma le considera comunque illecite. Per lo meno, il detentore di droghe considerato
come un individuo non idoneo alla relazione con gli altri. L'ordinamento, infatti, punisce non solo
per tutelare la salute ma anche l'aspettativa di ogni cittadino di relazionarsi con soggetti idonei ed
affidabili.
La sanzione amministrativa porta a conseguenze come il ritiro della patente, la privazione del
diritto al porto d'armi, del diritto di espatrio, ecc. Prevede inoltre la possibilit di un percorso
riabilitativo.
Cercando di fare un quadro storico della disciplina sugli stupefacenti, individuiamo 4 tappe che si
articolano principalmente sul criterio distintivo tra uso personale e uso non personale (per
spaccio).
Nel 1975 il criterio distintivo era dato dall'elemento della modica quantit. Il problema era, per,
che i tribunali fecero di questo concetto una diversa applicazione.
Nel 1990 abbiamo una innovazione in senso pi severo. Il concetto della modica quantit viene
sostituito dal concetto di dose media giornaliera ed erano state redatte delle tabelle che
indicavano la dose media giornaliera riferita ad ogni tipo di sostanza stupefacente.
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Vi era per un problema di tipo penale: le tabelle potevano violare il principio di riserva di legge
penale, dato che erano tabelle amministrative. La Corte Costituzionale afferm che questo
contrasto non sussisteva, ma di fatto non si poteva escludere che esercitavano una certa influenza
sul diritto penale.
Nel 1990 vi una ulteriore novit. Originariamente l'uso personale era sanzionato solo come
illecito amministrativo, mentre nel 1990 viene previsto un aggravamento del trattamento
sanzionatorio: nel caso di ulteriore episodio di violazione delle prescrizioni del percorso
riabilitativo, la sanzione prevista incideva maggiormente sulla libert personale restringendola. Ed
in caso di terza trasgressione delle direttive amministrative si passa ad un profilo sanzionatorio
penale (arresto da 1 a 4 mesi).
Questo sistema venne eliminato con il referendum del 1993 con il quale venne abrogata la
disciplina sulle tabelle amministrative della dose media giornaliera consentita. Il criterio discretivo
sull'uso personale venne lasciato, quindi alla valutazione del giudice.
Inoltre cadde l'aggravamento sanzionatorio del passaggio da illecito amministrativo a illecito
penale dell'uso personale. L'uso personale divenne sempre punito a livello amministrativo,
indipendentemente da quante volte il soggetto viene sorpreso.
Infatti il legislatore del '90 aveva creato delle sanzioni puramente esemplari, simboliche. La norma
dava una sorta di messaggio sociale, con l'introduzione di una norma a manifesto.
Ma nel '93 venne abrogato anche il comma che vieta l'uso personale di sostanze stupefacenti. Con
questa abrogazione, sembra che l'uso personale diventava assolutamente lecito, ma non era cos.
Nel 2006 abbiamo la riforma Fini-Giovanardi. Allora le sostanze stupefacenti erano ancora
suddivise in droghe pesanti e droghe leggere e prevedevano un sistema sanzionatorio
differenziato. Nel 2006 questo distinguo viene meno e tutte le droghe vengono ricondotte sotto un
unico ambito edittale.
Inoltre rimase il distinguo tra uso personale e uso non personale, ma se prima del 2006 l'uso
personale era mero illecito amministrativo, con la riforma non tutte le condotte di uso personale
sono punite con illecito amministrativo, solo 5 determinate dalla legge.
La riforma del 2006 ripropone al giudice dei criteri normativi per distinguere tra uso personale e
non. Anche questa proposta consiste in una tabella indicativa ma, al contrario di quella precedente,
non vincolante per il giudice ma gli viene lasciato un certo margine di valutazione discrezionale.
Si pone, per, un problema (di natura costituzionale): una volta che c' stato un referendum il
legislatore pu riformare la materia, ma quanto vincolato il legislatore all'esito del referendum? E
per quanto tempo? Il legislatore del 2006, infatti, usa le stesse categorie della legge del 1990
cambiandole solo di poco.
Altra novit della riforma del 2006: si introducono altri livelli delle sanzioni amministrative (livello 2
e 3).
Procediamo ora all'analisi del decreto nelle sue norme fondamentali.
L'art. 73 rappresenta la norma base. Elenca una serie di condotte rilevanti che costituiscono lo
spaccio. un reato di condotta, punito con la reclusione e la multa. un'unica norma che
ricomprende una fenomenologia ampia: dal pi grande spacciatore internazionale al piccolo
spacciatore di quartiere.
Al comma 5 abbiamo un contraltare alla reclusione grave (min. 6 anni). Abbiamo una eccezione
perch il giudice acquisisce un ampio potere di valutazione del caso e quindi lo spazio edittale si
allarga.
Il comma 1-bis fa un distinguo fra uso personale e uso non personale. Elenca 5 condotte (importa,
esporta, acquista, riceve, detiene) che sono punite allo stesso modo a meno che appaiano di uso
personale. Ma il criterio distintivo non pi lasciato alla mera valutazione del giudice perch
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vengono indicati i criteri per fare questa valutazione: per quantit, per modalit di presentazione
ovvero per altre circostanze. Sono i criteri sulla base dei quali il giudice pu valutare se la droga
detenuta (o altro) per uso personale oppure no.
Per il criterio della presentazione vengono dati altri indici, cio il peso ed il confezionamento.
Per quanto riguarda la quantit se superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale.
La cassazione ha interpretato questo elemento in senso formale: il giudice valuta alla luce della
quantit, cio se sono stati superati i limiti, ma non dice espressamente che il giudice vincolato.
Parallelamente si vedr che l'art. 75 afferma che quando queste 5 condotte risultano palesemente
per uso personale sottoposto a delle conseguenze amministrative.
Tuttavia l'aver selezionato 5 condotte pone certi problemi pratici che non c'erano prima del 2006.
si tratta di problemi distintivi: colui che detiene una pianta di marijuana nel balcone punito? Chi
coltiva non sarebbe punito, ma cosa significa davvero coltivare? La coltivazione deve essere
interpretata come produzione o semplice cura e crescita delle piante? vediamo che grosse
difficolt pu incontrare il giudice nel segnare il confine tra detenzione per uso personale e
detenzione per spaccio.
Altra condotta delicata in questo senso il trasportare. In diritto penale il trasporto diverso
dal porto (d'armi). Anche qui abbiamo problemi di confine. Quando il mero portare diventa il
trasportare punito?
Il comma 5 presenta una circostanza attenuante ma vediamo come lo spazio edittale sia molto
ampio.
Il comma 5-bis rappresenta un'apertura verso una forma sanzionatoria diversa, cio il lavoro di
pubblica utilit. Questo rappresenta una sanzione sostitutiva, dove necessaria la concreta
adesione della persona punita. Quando la pena consiste in un fare vediamo come sia necessario il
consenso e l'adesione del soggetto punito.
Al comma 7 troviamo una disciplina particolare, che la disciplina premiale. Ci sono diverse
tipologie di normativa premiale. Abbiamo una norma premiale quando una norma prevede un
vantaggio inteso a favorire una condotta che l'ordinamento giuridico auspica.
Il comma 7 non fa riferimento necessario alla collaborazione di giustizia ma parla di adoperarsi per
evitare che la condotta criminosa porti a conseguenze negative ulteriori. una norma che mira a
ottenere dall'autore del reato, che ha quindi offeso il bene giuridico, una sorta di impegno di
riparazione postuma al danno gi subito. La lesione c' gi stata ma il soggetto stimolato, tramite
la proposta di un vantaggio, ad adoperarsi per prevenire conseguenze dannose ulteriori.
Attenzione: le pene previste sono diminuite per chi si adopera per evitare e non per chi
semplicemente consente o lascia che siano evitate. Tuttavia non necessario il risultato di aver
conseguito l'evitamento di danni ulteriori, ma basta lo sforzo di essersi adoperati per farlo. Se il
beneficio dipendesse dal caso e non dalla volont di adoperarsi, si applicherebbe come una
responsabilit oggettiva al contrario. Sarebbe incostituzionale. Basta la meritevolezza per ottenere
il beneficio. Deve esserci una condotta idonea a far capire la volont reale di evitare l'evento
dannoso.
L'art. 75 indica quelle 5 condotte che poste in essere configurano l'uso personale. Vediamo come
sono modificate le sanzioni.
Il comma 2 prevede una sanzione amministrativa che fa da occasione per l'invito ad un programma
terapeutico riabilitativo. Ma questo invito rischia di essere solo teorico se non prevista una
norma premiale. Vediamo infatti il comma 11 dove viene esposta la norma premiale: se la persona
punita accetta di sottoporsi al programma riabilitativo e questo ha buon esito la sanzione
amministrativa viene revocata dal prefetto.
Tuttavia la forza incentivante della norma premiale si fortemente stemperata. Infatti, fino al 2006
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bastava iniziare il programma per ottenere la revoca della sanzione amministrativa, ora invece la
revoca interviene solo quando il programma riabilitativo stato ultimato. Poich il programma
riabilitativo ha anch'esso una durata non breve, l'incentivo risulta indebolito.
Resta comunque che la sanzione amministrativa fa da invito a seguire il programma terapeutico
riabilitativo.
Da notare che l'autorit preposta alla revoca il prefetto. Infatti vediamo al comma 14 che il
prefetto pu non applicare la sanzione amministrativa in casi di particolare tenuit e quando
traspare chiaramente che la persona si asterr nel futuro dal tenere i comportamenti che lo hanno
condannato alla sanzione amministrativa.
Qui il prefetto sarebbe tenuto a fare dei giudizi prognostici, a cui spesso chiamato anche il
giudice. Questo si scontra con la regola per cui, salvo i casi nei quali in gioco un giudizio
psicologico, il giudice non pu disporre perizie sulla personalit o sul carattere dell'imputato. N
tanto meno pu farlo il prefetto! (art. 220 comma 2 Cod. Proc. Pen. divieto per il giudice di fare
indagini sulla personalit dell'imputato).
Su quale base quindi il giudice o il prefetto potranno fare una prognosi per il futuro?
Ovviamente diverso il caso del giudizio del tribunale di sorveglianza sulla condotta in carcere di
un condannato, perch ha elementi per valutarla (tutto il periodo passato in carcere). Al contrario
il giudice della condanna o quello amministrativo non hanno elementi sulla base dei quali
giudicare.
Quando il giudice decide di applicare una pena ad un condannato come un medico che da un
medicinale senza prescrizione. Il giudice condanna a prescindere dalla conoscenza della
condizione personale dell'imputato.
Importante il comma 5 che prevede che per i minorenni il mero ammonimento la regola.
L'art. 75-bis rappresenta la traduzione della scelta della riforma del 2006 di inasprimento delle
sanzioni amministrative. Prevede che in particolari condizioni la sanzione amministrativa non pi
la semplice sospensione della patente o del porto d'armi ma diventa molto pi incisiva. Si tratta di
sanzioni incidenti sulla libert personale e tali da non essere pi leggibili come occasione per
proporre il programma riabilitativo, ma hanno un vero scopo di difesa sociale (obbligo di
presentarsi almeno due volte a settimana presso l'ufficio della Polizia di Stato competente; obbligo
di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscire prima di un'altra ora
prefissata; divieto di frequentare determinati locali pubblici; divieto di allontanarsi dal comune di
residenza; obbligo di comparire nell'ufficio di Polizia negli orari di entrata e uscita dagli istituti
scolastici; divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore).
Si tratta per di adempimenti formali in realt poco adatti ad un soggetto che fa uso di sostanze
stupefacenti, proprio per la sua debolezza e instabilit. Anche il fatto che il contravventore punito
con la reclusione fino a 18 mesi una scelta inadatta.
Al comma 1 vediamo i presupposti per applicare questo regime pi restrittivo. Innanzitutto fa
riferimento a quando possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica dalla condotta (possa
derivare espressione molto vaga e quindi inaccettabile). Altro requisito che l'interessato deve
essere gi stato condannato per i reati elencati oppure deve essere stato sanzionato gi per la
stessa condotta o sottoposto a misura di sicurezza o prevenzione.
Ci sono dei profili di probabile incostituzionalit:
crea un distinguo tra chi si droga e chi si droga ma pu essere anche un pericolo per il
pubblico, ma difficile capire quando ci avviene. come dire che drogarsi su una
panchina pi grave che utilizzare cocaina in appartamento. Molto spesso, invece, chi si
droga in pubblico quel soggetto che ha pi bisogno i aiuto e meno pericoloso;
si aggrava la posizione di chi ha condanne precedenti anche non definitive contrasto con
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la presunzione di innocenza;
se questo livello di pi intenso intervento amministrativo dipende dai precedenti, che cosa
c'entra la misura di sicurezza? Teniamo conto del fatto che la misura di sicurezza spesso
applicata a chi ha un vizio di mente. Vediamo come questo maggior livello sanzionatorio
non dipende dai precedenti dell'interessato, ma dipende dalla sua condizione personale, il
che ci riporta alla problematica della colpa d'autore, non ammessa dal nostro sistema
penale.
Il comma 3 da rilevanza al programma di disintossicazione, prevedendo che in caso di accettazione
del programma le sanzioni amministrative possono essere modificate in corso di esecuzione con
provvedimento del giudice di pace competente.
Il comma 4 fa capire la vera incidenza del programma riabilitativo perch una volta ultimato pu
avere l'effetto di sospendere la sanzione amministrativa pi grave.
L'art. 74 punisce l'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Questa norma fa da ponte con i reati della criminalit organizzata perch punisce un reato
associativo. Implica delle pene fortissime. Ricordiamo che l'estensione dell'associazione non
rilevante.
Possiamo notare nell'articolo una povert di definizione del reato associativo, sul piano soprattutto
dei confini quando tre o pi persone si associano?
Inoltre vediamo come un soggetto incriminato sia per spaccio di droga sia per associazione
soggetto a conseguenze sanzionatorie estremamente pesanti.
Questo articolo presenta un elemento sanzionatorio molto forte. Inoltre se l'associazione armata
la partecipazione punita pi gravemente.
L'art. 74 e l'art. 73 finiscono per avere un ventaglio applicativo che viene a comprendere situazioni
completamente diverse. Anche qui infatti abbiamo la medesima norma che si applica al grande
trafficante a livello internazionale come allo spacciatore dei giardinetti di un paese, che anche
drogato e finanzia cos la sua dipendenza con lo spaccio.
Di questo si rende conto il legislatore il quale attua nella norma stessa un tentativo di
ridimensionamento. Lo troviamo al comma 6: se l'associazione finalizzata a commettere fatti di
lieve entit non si applica la disciplina dell'art. 74 ma quella generale delle associazioni.
Il problema che lo spettro applicativo di questa norma rischia di essere dubbio, perch si richiede
che l'associazione sia esclusivamente ed esplicitamente finalizzata a compiere fatti di lieve entit.
(In carcere troviamo solo il 35% dei tossicodipendenti).
Del Testo Unico sugli stupefacenti troviamo altre due norme di particolare importanza: gli artt. 90 e
94. Queste due norme, al contrario di quanto abbiamo visto fino ad ora, non riguardano il soggetto
che compie reati di droga, ma riguardano il soggetto che fa reati essendo tossicodipendente.
Inoltre prevedono dei benefici che la riforma del 2006 ha esteso all'autore di reato
tossicodipendente.
L'art. 94 riguarda una particolare forma di affidamento in prova ai servizi sociali, che una misura
alternativa che si applica fin dall'inizio dell'esecuzione della pena. Ha quindi una funzione analoga
alle pene sostitutive di sanzioni detentive brevi.
Con la riforma sul sistema penale si ottenuto che la misura dell'affidamento in prova possa essere
applicato senza il passaggio in carcere e fin dall'inizio dell'esecuzione della pena ma non dal giudice
della condanna, bens dal tribunale di sorveglianza. Ricorda che con condanna definitiva inferiore a
3 anni il condannato ha 30 giorni di tempo senza dover entrare in carcere per chiedere al tribunale
di sorveglianza l'affidamento in prova.
Ma come fa il giudice del tribunale di sorveglianza a giudicare se concedere l'affidamento in prova
o meno, dato che non ha elementi su cui valutare la sua scelta?
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Di solito infatti si valuta in base alla condotta tenuta in carcere ma qui la detenzione non
avvenuta. Perci il giudizio si fonder sulla condotta che il condannato ha tenuto tra il momento
del reato ed il momento del giudizio di condanna.
L'art. 94 prevede un particolare affidamento in prova ove la pena non sia superiore a 6 anni o 4
anni , solo per alcuni tipi di reato (reati pi gravi dell'art. 4-bis ord. Penitenz.). Questo affidamento
in prova consiste o nell'andare in comunit oppure nel sottoporsi ad un trattamento terapeutico
riabilitativo. quindi di contenuto diverso dall'affidamento in prova ordinario.
Se il programma terapeutico riabilitativo ha buon esito e termina prima della condanna in carcere,
il condannato non va in carcere ma libero. Se invece durante il trattamento tiene una condotta
non positiva, l'affidamento in prova viene revocato.
L'art. 90 presenta anch'esso una pena detentiva non superiore a 6 o 4 anni per alcuni tipi di reato
(reati pi gravi dell'art. 4-bis ord. Penitenz.). Ma mentre ai fini dell'art. 94 il programma non
ancora concluso o non ancora iniziato (e puoi chiedere solo l'affidamento in prova), ai fini
dell'art. 90 il programma riabilitativo se gi concluso, il tribunale pu sospendere la pena di 5
anni, con la possibilit di revoca.
Ulteriore requisito per questa disciplina: non per qualsiasi reato commesso ma solo se il reato
commesso stato realizzato in relazione alla condizione di tossicodipendenza.
Si vuole, quindi, evitare di mandare in carcere una persona che ha gi concluso positivamente un
programma terapeutico riabilitativo in quanto la detenzione in carcere potrebbe distruggere i
risultati ottenuti grazie al programma.
Bisogna riconoscere che, a questo proposito, la riforma del 2006 ha segnato un passaggio
favorevole, al contrario degli altri profili di novit della riforma non favorevoli per il soggetto
agente. Tuttavia nella previsione favorevole abbiamo un profilo negativo, infatti prima del 2006 per
avere il provvedimento della sospensione dell'esecuzione ex art. 90 bastava aver semplicemente
iniziato il programma terapeutico riabilitativo, mentre ora richiede che il programma sia gi
concluso e che ci sia gi la relazione sull'esito positivo del programma. Quindi si reso meno facile
l'applicazione della sospensione dell'esecuzione estendendo l'ambito dell'affidamento in prova in
casi particolari.

I REATI ASSOCIATIVI.
Abbiamo gi visto in materia di stupefacenti l'art. 74 che con livelli sanzionatori francamente gravi
e con pene aggravate se ci sono armi vi una descrizione estremamente generica, tanto che quel
si associano tutto sommato riempito dalla giurisprudenza, ma non essendo in un sistema di
common law la giurisprudenza non fa precedente, e quindi potrebbe anche esserci un'evoluzione
interpretativa magari meno stringente.
Con la previsione dei reati associativi, l'ordinamento mira a prevenire il formarsi di associazioni a
delinquere (art. 416 c.p.). Si tratta, quindi, di una tutela anticipata. Ma guardando la realt, parlare
di mera tutela anticipata evidentemente non sufficiente. Infatti, nella pratica la tutela interviene
solo dopo che i reati scopo delle associazioni a delinquere sono stati commessi.
Altro aspetto importante dei reati associativi che consentono di colpire soggetti per i quali non
agevole la prova della loro partecipazione ai singoli reati (si pensi ad esempio ai reati di mafia e ai
loro boss).
La possibilit di intervento si estende proprio perch si richiede solo la prova di essere membro
dell'associazione e non anche la prova di aver partecipato ad un determinato reato. Bastando solo
questo requisito, comprendiamo l'estrema delicatezza dei reati associativi.
Tuttavia la descrizione dei requisiti necessari per il reato associativo molto povera (nella
fattispecie si legge solo si associano). Abbiamo una descrizione estremamente generica.
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Queste lacune sono tutte riempite dall'attivit della giurisprudenza ma, non essendo il nostro
ordinamento un sistema di Common Law, l'opinione giurisprudenziale pu cambiare col tempo in
senso pi o meno restrittivo.
Alla luce dell'art. 115 c.p. l'unica cosa certa che l'associazione non pu consistere in un mero
accordo e nemmeno in un mero programma, ma deve includere l'esistenza di mezzi idonei a
commettere un numero indeterminato di delitti, di un progetto di reato e di un organizzazione
stabile. Se solo un mero accordo al massimo applicabile la misura di sicurezza.

Art. 115. Accordo per commettere un reato. Istigazione.
Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o pi persone si accordino allo scopo di
commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse punibile per il solo fatto
dell'accordo. Nondimeno nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice pu applicare
una misura di sicurezza. Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un
reato, se l'istigazione stata accolta, ma il reato non stato commesso. Qualora l'istigazione non
sia stata accolta, e si sia trattato d'istigazione a un delitto, l'istigatore pu essere sottoposto a
misura di sicurezza.
Il problema capire se un soggetto realmente membro oppure no di una determinata
associazione, alla luce degli scarsi requisiti proposti dalla norma del codice penale, per cui il
confine diventa delicato. Pu essere infatti che per un singolo reato scopo un soggetto non
entrerebbe in carcere ma se risulta che fa parte dell'associazione allora il trattamento
sanzionatorio pi grave.
Iniziamo con il confronto tra gli artt. 416 e 416-bis.
L'art. 416 disciplina l'associazione a delinquere. L'art. 416-bis, invece, tratta dell'associazione di
tipo mafioso.

Art. 416. Associazione per delinquere
Quando tre o pi persone si associano allo scopo di commettere pi delitti, coloro che promuovono
o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ci solo, con la reclusione da tre a
sette anni. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena della reclusione da uno a
cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati
scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni.
La pena aumentata se il numero degli associati di dieci o pi. Se l'associazione diretta a
commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, si applica la reclusione da cinque a
quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal
secondo comma.

Art. 416 bis. Associazione di tipo mafioso
Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o pi persone, punito con la
reclusione da sette a dodici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione
sono puniti, per ci solo, con la reclusione da nove a quattordici anni. L'associazione di tipo
mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento e di omert che ne deriva per commettere delitti,
per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attivit economiche,
di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti
per s o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare
voti a s o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Se l'associazione armata si applica la
pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a
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ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilit, per il
conseguimento della finalit dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o
tenute in luogo di deposito.
Se le attivit economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono
finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei
commi precedenti sono aumentate da un terzo alla met.
Nei confronti del condannato sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono
destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne
costituiscono l'impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta e alle altre
associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza
intimidatoria del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di
tipo mafioso.
L'art. 416-bis aggiunge alla fattispecie dell'art. 416 la qualifica di tipo mafioso. La definizione
data, tuttavia, non risolve i problemi di indeterminatezza, che tra l'altro riguardano tutta la materia
dei reati associativi.
Comma 2 abbiamo le pene base per l'associazione di tipo mafioso.
La sostanza della definizione sta nel riconoscimento di una particolare forza di intimidazione
dell'associazione che rileva se provoca una condizione di assoggettamento ed omert. Ci per
non vuol dire che non possa identificare una associazione di stampo mafioso in re ipsa.
L'ultimo comma dell'art. 416-bis ci dice come questo elemento di intimidazione non appartiene
solo alla mafia ma a tutte le altre associazioni, chiamate in altro modo, che perseguono i medesimi
fini e con gli stessi metodi. Tuttavia non ripete il requisito dell'assoggettamento e dell'omert ma
estendibile in via interpretativa. Si tratta comunque di requisiti correlati l'uno con l'altro.
Altro aspetto peculiare che vengono elencate una serie di attivit di per s lecite, che di per s
non sono delitti, ma che diventano illecite se usate con la forza di intimidazione, cio con i metodi
tipici dell'associazione mafiosa. Troviamo poi anche finalit di per s lecite ma che diventano
illecite.
Ad esempio un profitto civilmente ingiusto illecito civile, ma se ottenuto con i metodi
dell'associazione mafiosa diventa illecito penale.
Possiamo attuare questo distinguo: nell'associazione a delinquere ex art. 416 vengono puniti dei
reati; nell'associazione di tipo mafioso vengono punite condotte penalmente lecite ma che
diventano reati.
Il comma 5 tratta dell'associazione armata. Qui bisogna definire che cosa realmente si intende con
arma. Nel codice penale c' una definizione di arma ma messa in un contesto contingente, cio
l'art. 585 (circostanze aggravanti di reati di lesioni personali e omicidio), secondo comma:
Agli effetti della legge penale, per armi s'intendono:
1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale l'offesa alla persona;
2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali dalla legge vietato il porto in modo assoluto,
ovvero senza giustificato motivo.
Siamo infatti in un contesto assolutamente diverso e di carattere particolare ma che contiene una
norma di carattere generale, cio la definizione di arma (agli effetti della legge penale). Questa
norma pone anche un problema: il primo punto del secondo comma parla del concetto di
destinazione naturale concetto di difficile interpretazione quando un coltello ha
destinazione naturale ad uccidere?
Anche il numero 2 pone certi problemi interpretativi confini poco chiari del concetto di arma.
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Questa definizione va integrata anche con l'art. 704 contenuto nel libro III (delle contravvenzioni).
L'art. 704 ai soli fini dei reati contravvenzionali, restringe il concetto di arma (Agli effetti delle
disposizioni precedenti, per armi si intendono: 1) quelle indicate nel numero 1 del capoverso
dell'articolo 585; 2) le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, e i
gas asfissianti o accecanti).
Quello che da sottolineare qui come concetti generali siano contenuti in norme particolari.
Il comma 6 molto importante perch per la prima volta si forza una norma che rappresenta in
maniera marcatissima l'ideologia dei codici tradizionali (e per questo comma Pio La Torre perse la
vita). Si mette mano anche al patrimonio.
Per capire l'importanza di questa norma dobbiamo riprendere l'art. 240 c.p. sulla confisca:

Art. 240. Confisca.
Nel caso di condanna, il giudice pu ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate
a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto.
E' sempre ordinata la confisca:
1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce
reato, anche se non stata pronunciata condanna.
La confisca considerata dal codice Rocco una aggiunta alla pena, cio una misura di sicurezza, un
qualcosa non di cos importante. Infatti Cesare Beccaria aveva insegnato che lo scopo della pena
non era quello di far marcire in carcere il colpevole, ma evitare che la pena non paghi e non dia
vantaggio economico al colpevole. Per l'appunto la maggior parte dei rati rispondono ad un intento
di tipo economico e questi profitti ricavabili dal reato devono essere bloccati per avere una pena
realmente efficace.
Questo intervento sui profitti del reato molto importante anche perch interviene sugli interessi
di coloro che hanno semplicemente commissionato il reato e che non lo hanno commesso
praticamente e quindi la cui responsabilit non pu essere provata facilmente.
Intervenire sui profitti del reato estremamente importante perch si interviene sugli interessi
delle persone che non si riusciti a catturare o per i quali non ci sono abbastanza prove per
mandarle in carcere.
Dal comma 1 dell'art. 240 nella sua versione originale vediamo come il Codice Rocco prevede che
la confisca delle cose che furono usate dal reo per commettere il delitto e la confisca del prodotto
o profitto del reato non siano obbligatorie ma sono lasciate alla decisione discrezionale del giudice
(pu ordinare).
Se facoltativo significa che non ci sar necessariamente una struttura finalizzata all'indagine.
Spesso difficilissimo ricostruire i profitti del reato, che fine hanno fatto i soldi acquisiti del reato,
ecc.
Ma poi stato necessario svolgere un passo avanti (per il quale, come abbiamo detto, morto Pio
La torre).
Solo successivamente sorto il bisogno di punire necessariamente il profitto o il prodotto. L'art.
240 tutt'ora in vigore ma ora costituisce, quindi, oggetto di eccezione di norme (cos come il
comma 4).
Il reato associativo considerato oggi un reato come un altro, perci dobbiamo chiederci se la
disciplina dell'art. 110 c.p. sul concorso di persone si pu applicare anche ai reati associativi.
Ci poniamo questa domanda perch il reato di associazione a delinquere punisce gi coloro che
fanno parte di un organizzazione e che hanno partecipato in qualche modo alla commissione dei
reati. Ma a questo si pu applicare anche il concorso di persone? E che forma prende il concorso di
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persone nel reato associativo?
L'art. 110 un reato che amplia la sfera dei soggetti punibili e, in un certo senso, crea reati perch
rende penalmente rilevanti dei comportamenti che di per s non lo sarebbero (comportamenti
atipici).
Dall'art. 110 traspare che ogni reato mono soggettivo pu essere realizzato per concorso. Questo
vale anche per il reato associativo?
Si tratta di un argomento abbastanza attuale poich i casi del cd. CONCORSO ESTERNO nei reati
associativi sono molto frequenti e la natura di questa condotta ancora molto dibattuta. Secondo
diversi punti di vista il concorso nel reato associativo pu risultare coerente oppure impossibile da
identificare.
Concorso esterno , ad esempio, quello di un commercialista che fa una prestazione lavorativa per
una associazione mafiosa per il reinvestimento di capitali di provenienza illecita.
Il concorso esterno nasce perch sempre pi le organizzazioni criminali ricorrono a soggetti esterni
esperti o tecnici in un determinato ramo (come ad esempio il commercialista nell'ambito
economico o l'avvocato nell'ambito legale). L'attivit dell'associazione si lega quindi a contributi di
tipo collaborativo provenienti da terzi.
Tuttavia quali che siano le attivit a cui preposto un terzo, sono attivit redditizie per il terzo
stesso. Perci pu nascere questo interrogativo: in realt il fulcro della collaborazione l'interesse
della mafia a rivolgersi, in casi di necessit, a realt economiche o a soggetti qualificati come
politici, ministri, giudici ecc. oppure il fulcro l'interesse del terzo di usufruire dell'organizzazione
mafiosa che gli permette di esercitare quel potere intimidatorio di cui propria, al fine di ottenere
per se stesso dei benefici? In parole povere, la mafia che ha interesse a rivolgersi a esterni o sono
gli esterni che hanno interesse a rivolgersi alla mafia?
importante che il contributo del terzo esterno sia un contributo essenziale. Contributo dal quale
nasce una collaborazione tra una realt in s non mafiosa con una realt mafiosa.
Tuttavia non agevole rispondere a questi interrogativi perch il concetto stesso del concorso nel
reato associativo desta molte perplessit. Ci si chiede infatti se sia giusti lasciarlo nel reato
associativo semplicemente ampliando l'ambito di applicazione.
Tenendo conto della possibilit di un concorso esterno, punito con qualsiasi contributo atipico
all'associazione. Con il concorso esterno, praticamente, diventa punibile con la medesima pena
colui che concorre per la realizzazione del reato.
Nonostante il codice non preveda alcuna disciplina sul concorso esterno nel reato associativo, di
fatto si rende conto della possibilit che questo venga ad instaurarsi. Vediamo infatti la norma
dell'art. 418 c.p.
Questo articolo stato scritto facendo riferimento all'art. 416. Si tratta infatti di una norma vecchia
e nata prima dell'art. 416-bis. Infatti, nella redazione di questa norma il legislatore non aveva in
mente l'associazione mafiosa ma quella base dell'associazione a delinquere (i banditi).
L'articolo sancisce che se qualcuno aiuta l'associazione non essendo membro punito con la
reclusione da 2 a 4 anni.
Lo scopo centrale di questa materia riuscire a bloccare la capacit tentacolare delle organizzazioni
criminali di interagire con spazi leciti della societ, tramite appunto un concorso esterno. Ed per
questo che su un problema cos delicato e su cui restano ancora molte perplessit sarebbe
auspicabile un intervento da parte del legislatore.
Vediamo ora altri articoli del codice penale correlati con l'associazione a delinquere e l'associazione
mafiosa.

Art. 270 associazioni sovversive:
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Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e
idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a
sopprimere violentemente l'ordinamento politico e giuridico dello Stato, punito con la reclusione
da cinque a dieci anni.
Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma punito con la reclusione da uno a tre
anni.
Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le
associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.
Si tratta di associazioni dirette a sovvertire violentemente i poteri dello Stato. In questo articolo si
segnala una sorta di gigantismo della norma, per cui abbiamo delle espressioni talmente vaste e
vaghe che si scontrano con il principio di determinatezza e di tassativit.

Art. 270-bis associazioni con finalit di terrorismo anche internazionale o di eversione
dell'ordine democratico: Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni
che si propongono il compimento di atti di violenza con finalit di terrorismo o di eversione
dell'ordine democratico punito con la reclusione da sette a quindici anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Ai fini della legge penale, la finalit di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono
rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale.
Nei confronti del condannato sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono
destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne
costituiscono l'impiego.
Mentre l'articolo precedente pi generale, questo ha un riferimento pi specifico e ha pi rilievo
empirico. Anche qui abbiamo la ripresa della confisca obbligatoria.

Art. 270ter assistenza agli associati:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, d rifugio o fornisce vitto,
ospitalit, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano
alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270-bis punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena aumentata se l'assistenza prestata continuativamente.
Non punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Come l'art. 418, anche il 270ter rappresenta un indizio del fatto che il legislatore da rilevanza al
concorso esterno. Sembrerebbe che questa norma si ricollegasse all'ipotesi del concorso esterno
con la frase fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento.... Questo inciso potrebbe
voler significare fuori dai casi di concorso interno nel reato (e non esterno), dove colui che aiuta
gi un associato, un concorrente nel reato. Tuttavia non abbiamo nessun indizio che l'articolo
faccia riferimento al caso di concorso esterno.
Inoltre ipotizzando che faccia questo riferimento, sembrerebbe ipotizzare un atteggiamento pi
favorevole per altri tipi di concorso, ma questa ipotesi non da considerare accettabile.
Possiamo considerare che mette questo inciso per evitare che si faccia riferimento anche ad un
concorso interno, rischiando cos di punire due volte lo stesso soggetto per fattori che fanno parte
necessariamente del vincolo associativo ( ovvio che un appartenente ad una organizzazione
criminosa aiuta, oppure d vitto e alloggio ai suoi compagni, mentre non scontato per un
soggetto che non fa parte dell'associazione).
Anche questa norma finisce per essere esempio lampante della indeterminatezza di questa
materia.

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Art. 270sexies condotte con finalit di terrorismo:
Sono considerate con finalit di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono
arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo
scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale
a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture
politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione
internazionale, nonch le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalit di terrorismo
da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia.
L'articolo da una definizione delle condotte di terrorismo, dicendo che sono quelle condotte che
per natura o contesto possono recare un grave danno ad un Paese, compiuto allo scopo di
intimidire la popolazione o allo scopo di costringere i poteri pubblici a compiere o ad astenersi dal
compiere un qualsiasi atto.
L'ultimo inciso che fa riferimento allo scopo di costringere i pubblici poteri a compiere o a non
compiere un atto, una frase estremamente generica che rischia di comportare conseguenze
paradossali stando alla lettera della norma potrebbe ricomprendere anche una grossa
manifestazione popolare per evitare che lo Stato prenda determinate decisioni politiche.
Questa ampia genericit inaccettabile. Vediamo ancora una volta la genericit e
l'indeterminatezza della materia dei reati associativi, cosa che porta a far dipendere tutto dalle
interpretazioni della giurisprudenza.
Ancora non chiaro il distinguo tra organizzazioni belligeranti non terroristiche (da riconoscerne la
possibile esistenza dalle norme di diritto internazionale) e organizzazioni terroristiche. Anche
questo materia oggetto solo di sentenze giurisprudenziali, ma non interventi legislativi.
Consideriamo ora alcune norme ricomprese nei delitti contro la personalit dello Stato sempre con
riferimento ai reati associativi.

Art. 305 cospirazione politica mediante associazione:
Quando tre o pi persone si associano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302,
coloro che promuovono, costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ci solo, con la
reclusione da cinque a dodici anni.
Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena della reclusione da due a otto anni.
I capi dell'associazione soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Le pene sono aumentate se l'associazione tende a commettere due o pi delitti sopra indicati.
Anche in questa norma ritroviamo la solita genericit. Quando tre o pi persone si associano al fine
di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, coloro che promuovono, costituiscono od
organizzano l'associazione sono puniti, per ci solo, con la reclusione da cinque a dodici anni.

Art. 306 banda armata: formazione e partecipazione:
Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, si forma una banda armata,
coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ci solo alla pena
della reclusione da cinque a quindici anni.
Per il solo fatto di partecipare alla banda armata la pena della reclusione da tre a nove anni.
I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
L'associazione diventa una banda armata se volta a commettere i delitti indicati nell'art. 302. Per
definire una banda armata fare riferimento agli articoli sulla definizione di arma.

Art. 307 assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, d rifugio o fornisce vitto,
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ospitalit, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano
all'associazione o alla banda indicate nei due articoli precedenti, punito con la reclusione fino a
due anni.
La pena aumentata se l'assistenza prestata continuatamente.
Non punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Agli effetti della legge penale, s'intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il
coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella
denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorch sia morto il coniuge e
non vi sia prole.
Anche qui abbiamo un indizio della rilevanza del concorso esterno.

Art. 304 cospirazione politica mediante accordo:
Quando pi persone si accordano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302,
coloro che partecipano all'accordo sono puniti, se il delitto non commesso, con la reclusione da
uno a sei anni.
Per i promotori la pena aumentata.
Tuttavia, la pena da applicare sempre inferiore alla met della pena stabilita per il delitto al quale
si riferisce l'accordo.
Qua non siamo pi di fronte ad un reato associativo! Infatti la lettera della norma non dice
quando 3 o pi persone ma quando pi persone per delitti contro la personalit dello Stato si
accordano e non si associano. Parlando di accordo questo articolo rappresenta una eccezione
al principio dell'art. 115, secondo il quale il mero accordo non punibile a titolo di associazione a
delinquere, quando non seguito da atti di inizio. Tuttavia lo stesso art. 115 dispone la possibilit di
una riserva di legge per le deroghe.

Art. 280 attentato per finalit terroristiche o di eversione:
Chiunque per finalit di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico attenta alla vita od alla
incolumit di una persona, punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e,
nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.
Se dall'attentato alla incolumit di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena
della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena
della reclusione non inferiore ad anni dodici.
Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni
giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell'esercizio o a causa delle loro funzioni, le
pene sono aumentate di un terzo.
Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano nel caso di
attentato alla vita, l'ergastolo e, nel caso di attentato alla incolumit, la reclusione di anni trenta.
Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le
aggravanti di cui al secondo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o
prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantit di pena risultante
dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
Quest'articolo tratta invece di chiunque attenta alla vita o alla incolumit di una persona. Come le
pene sono diverse in base alla gravit della lesione, cos le pene sono anche diverse in base al
tentativo di lesioni o attentato alla vita.
Qui abbiamo una tipica fattispecie di attentato. Al contrario del solito dove il reato base il reato
consumato, il reato base qui costituito dall'attentato. Vediamo una anticipazione della tutela ed il
realizzarsi dell'evento fa si che questo diventi un reato aggravato dall'evento (non un reato
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consumato). Abbiamo quindi l'inversione dello schema tradizionale.
Altra caratteristiche saliente che le pene nel caso di omicidio sono pene fisse, cio al giudice non
offerto nessuno spazio edittale. L'ergastolo gi per sua natura una pena fissa, ma qui abbiamo
eccezionalmente una pena fissa anche per la reclusione!
Le pene fisse vanno contro certi principi di diritto penale contenuti nella Costituzione (vedi art. 27
1 comma e 3 comma).
Anche questa norma, come altri reati di recente introduzione, dichiara all'ultimo comma che
queste pene per l'evento aggravante derogano alla riforma del 1974 per la quale tutte le
circostanze aggravanti rientrano nel giudizio di bilanciamento. Perci la norma esplicita che questa
circostanza aggravante non rientra nel giudizio di bilanciamento. Quindi non applicher
l'attenuante facendolo ritornare nel reato base, ma applicher l'attenuante partendo dalla pena
aggravata.

IL SISTEMA SANZIONATORIO.
Il modo con cui si concepiscono le sanzioni fondamentale per capire come vengono poi applicate.
Il termine commisurazione sembra invocare il fatto che per determinare la quantit di pena da
infliggere (o il tipo di pena), il giudice debba fare un calcolo matematico.
La commisurazione della pena la determinazione da parte del giudice della quantit di pena da
infliggere in concreto al reo tra il minimo e il massimo edittale, oppure, in altri casi, la scelta del
tipo di sanzione da applicare per il reato commesso.
Tutti i reati sono sottoposti ad una pena detentiva, tranne alcuni casi in cui prevista una pena
contravvenzionale e nei casi in cui competente il giudice di pace.
Ordinariamente la condanna quando viene inflitta una pena detentiva e solo a posteriori, mai
nella fase di irrogazione, pu essere tramutata in una sanzione alternativa non detentiva. Il nostro
sistema penale funziona, quindi, come una sorta di clessidra: qualsiasi sia il fatto commesso si
passa sempre prima per la strettoia della pena. Solo in un secondo momento, in fase di
esecuzione possono venire applicate misure sostitutive. Le misure alternative si applicano con
sentenza del Tribunale di sorveglianza, mentre quelle sostitutive solo in corso di esecuzione.
Ma nel momento in cui viene irrogata, la pena detentiva il risultato di un calcolo aritmetico.
Quindi nonostante quanto detto dall'art. 133 c.p. e nonostante il principio costituzionale del fine
rieducativo della pena, nel momento di esecuzione della pena questa non risponde nella realt ad
un progetto per il condannato ma si avvicina di pi alla logica retributiva.
Questo confermato anche, se vogliamo, da quanto prevede l'art. 220 comma 2 del codice di
procedura penale: salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di
sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualit o la professionalit nel reato, la
tendenza a delinquere, il carattere e la personalit dell'imputato e in genere le qualit psichiche
indipendenti da cause patologiche.
Questo articolo, dicendo che non sono ammesse perizie sulla personalit o sul carattere
dell'imputato (al di fuori del caso in cui bisogna valutare la capacit naturale del soggetto),
conferma che la pena non pesata come un progetto per il condannato, ma resta vincolata alla
retribuzione, alla gravit del fatto.
Solo successivamente, nella fase esecutiva, si vorrebbe che la pena diventi un progetto ad hoc per
il condannato di rieducazione. Mai gi nella fase di irrogazione della pena.
L'art. 13 dell'ordinamento penitenziario sancisce che nel momento in cui il condannato entra in
carcere sottoposto ad un programma di trattamento fondato sulla osservazione della personalit.
Perci, prima, nel momento di irrogazione della pena, vietata ogni perizia sulla personalit del
condannato; solo dopo, nell'ingresso in carcere, ci pu e deve avvenire. Quindi solo dopo il
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principio di risocializzazione e di rieducazione si concretizza.
Nonostante questo l'art. 133 c.p. sancisce che nella individuazione della pena il giudice deve tener
conto non solo della gravit del fatto, ma anche della capacit del soggetto a delinquere. Qui
sembra che l'art. 133 predisponga anche una perizia personale. Sembra che l'art. 133 sia in questo
senso una norma moderna.
Ma facciamo delle considerazioni che smentiscono la possibilit di considerare l'art. 133 come una
norma esponente del principio di rieducazione della pena:
1) innanzitutto non dice in che modo si deve tener conto degli indici e dei fattori che vengono
indicati, non d indicazioni finalistiche;
2) c' da chiedersi come potrebbe il giudice tener conto davvero dei dati relativi alla
personalit se il codice di procedura penale lo vieta all'art. 220;
3) c' da chiedersi anche se il giudice potesse disporre di una perizia, come potrebbe essergli
utile dato che comunque vincolato al minimo e al massimo edittale, e quindi pu dare
solo un po' di pi o un po' di meno. Come possono essere utili i dati su una persona se poi
non pu fare un progetto di pena relativo a quella persona?;
4) l'art. 133 rischia di essere una norma molto insidiosa: rappresenta un compromesso tra la
scuola classica e quella positiva, dando al giudice la possibilit di aumentare (o diminuire) la
pena per fatti esterni al reato. Infatti la prima parte della norma riflette la concezione della
scuola classica (dati oggettivi + intensit del dolo o della colpa); la seconda parte riflette il
pensiero positivista, per il quale si nega il libero arbitrio e l'autonomia di scelta nell'uomo e
quindi il presupposto della condanna non la colpevolezza ma la pericolosit sociale il
concetto : rieducare i rieducabili e neutralizzare/scartare i non rieducabili. Non a caso i
regimi totalitari hanno usufruito a loro favore dell'idea positivista.
In quest'ottica il codice Rocco non fa una scelta radicale, ma applica l'ottica positivista sia ai non
imputabili, sia agli imputabili. Quindi anche a quest'ultimi si applica la misura di sicurezza oltre alla
pena (sistema del doppio binario). Oggi per l'aggiunta di una misura di sicurezza si applica molto
raramente perch stata eliminata dal codice la pericolosit presunta, e quindi le valutazioni sulla
pericolosit e sull'opportunit di una misura di sicurezza vengono lasciate alla discrezionalit del
giudice.
Vediamo qui come l'influenza della scuola positiva ha inciso non solo sul codice del 1930 ma anche
sull'art. 133, in quanto concede al giudice la possibilit, oltre che di infliggere la pena, di diminuirla
o di aumentarla (ed era questo lo scopo) sulla base di elementi che non hanno niente a che fare
con il fatto di reato. Da qui i paradossali risvolti incostituzionali dell'art. 133 che contrastano con il
principio costituzionalmente riconosciuto della commisurazione della pena sulla rilevanza del fatto.
In questo senso possiamo dire che l'art. 133 una norma insidiosa.
Tuttavia ci sono fattori di cui bisogna tener conto: ad esempio un ragazzino e un uomo rubano ad
una vecchietta. Il ragazzino lo fa per puro divertimento, mentre l'uomo un padre di famiglia
molto povero e senza lavoro. Da questo esempio vediamo come necessario che il giudice tenga
conto di fattori che, nonostante siano personali, di fatto hanno un collegamento con la
commissione del reato.
Conclusione: tutto ci conferma come la pena nel momento in cui viene inflitta non ha lo scopo di
porre un progetto ma risponde solo ad un calcolo aritmetico basato sulla gravit del fatto, e ci
nonostante le idee e i principi della dottrina e della giurisprudenza. come se la pena fosse tenuta
a rappresentare agli occhi del pubblico la gravit del fatto commesso. E solo dopo vi sono
valutazioni personalistiche rispondenti ad un progetto di risocializzazione e rieducazione del
condannato.
A queste considerazioni si collega il grande tema su cosa sono veramente prevenzione e giustizia.
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GIUSTIZIA E PREVENZIONE.
Troppo spesso il diritto penale ha pensato di poter fare a meno della criminologia e della politica
criminale, ma si tratta di scienze da cui il diritto penale non pu prescindere.
Cos in materia penale si rischia di seguire il pensiero del filosofo Kant sulla prevenzione, e cio si
rischia di pensare che tutto ci che c' da fare per prevenire i reati sia predisporre una
conseguenza negativa ad un comportamento negativo (concezione retributiva assoluta). Questo
pensiero tende a rendere arretrata la materia penale e renderebbe inutili gli studi criminologici.
Il sistema penale non ha lo scopo di punire il male con il male ma ha invece lo scopo di fare
prevenzione, sia generale che speciale, abbandonando il diritto penale assoluto e la concezione
retributiva.
La concezione moderna di prevenzione tenta di prendere le distanze dalla posizione kantiana
male per male ma rimane comunque di fondo un'idea retributiva.
La concezione moderna di prevenzione, sia generale che speciale, si traduce infatti in una
prevenzione negativa.
Per quanto riguarda la prevenzione generale negativa, l'irrogazione della pena si traduce in una
forma di intimidazione verso i consociati. La prevenzione generale consiste nella minaccia
dell'applicazione di una conseguenza negativa corrispondente al male commesso con il reato. Si
pensa quindi che il timore della pena faccia prevenzione, perci si pensa che pi rigido il
parametro di corrispondenza tra male commesso e pena, minori saranno i reati.
Ma a ben vedere questa ideologia attuale corrisponde proprio alla concezione retributiva, cio
rispondere al negativo con il negativo.
E questo vale anche per la prevenzione speciale negativa. Oltre all'intimidazione, il pensiero
positivistico aggiunge anche la neutralizzazione. L'idea che come il reato qualcosa di negativo,
cos anche la pena deve essere qualcosa di negativo.
Queste riflessioni ci fanno capire che il passaggio da una concezione assoluta ad una relativa, di
fatto non ha apportato nessun cambiamento sul modo con cui vengono applicate le pene.
cambiato solo lo scopo della pena, che solo teoricamente passa da una funzione retributiva ad una
rieducativa, ma le pene sono sempre le stesse e la loro gravit sempre calcolata sulla base del
male arrecato con il reato.
Perci sorgono spontanee le domande: questa visione del negativo al negativo razionale? Fa
davvero prevenzione? Cosa vuol dire davvero fare prevenzione?
Partiamo da un capitolo sulla prevenzione che da anni stato spesso messo da parte, cio la
PREVENZIONE PRIMARIA.
La prevenzione primaria non soltanto educazione preventiva ma consiste in tutti quegli interventi
volti ad evitare ed eliminare tutti quei fattori che favoriscono la commissione dei reati. E questo
capitolo viene dimenticato perch si tratta di un intervento che ha dei costi, consistenti
nell'introduzione di norme che non sempre hanno un ampio consenso sociale, proprio perch
comportano dei sacrifici per tutti i cittadini di alcuni loro interessi. Per esempio in tema di
criminalit organizzata, si sa che la trasparenza fiscale agisce contro le organizzazioni criminali, ma
una politica tesa a favorire la trasparenza fiscale s una prevenzione primaria contro le mafie, ma
comporta delle limitazioni e dei sacrifici per tutti i consociati, che devono rispettare le regole di
trasparenza, bench molto severe.
La prevenzione primaria attiene quindi ad aspetti che riguardano il prima della commissione di
un reato, mentre la prevenzione generale e speciale attiene agli effetti che scaturiscono dopo la
commissione di un reato.
Tuttavia, in tema di prevenzione, gi Cesare Beccaria osservava che ci che fa prevenzione non la
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pena esemplare, ma la certezza della pena, intesa a togliere i benefici che ne deriverebbero
all'autore del reato. Cio, se il potenziale autore del reato si rende conto che non conviene
delinquere perch non otterr i benefici a cui mira, sar portato a non delinquere.
Lo Stato con la previsione di una pena esemplare intende imporre la sua autorit, ma i dati
statistici e i fatti dimostrano come la severit non porta a fare prevenzione, anzi ottiene i risultati
opposti.
Riguardo alla pena di morte Beccaria infatti diceva: non capisco perch per evitare un omicidio se
ne predisponga uno sulla piazza!. E infatti negli stati in cui prevista la pena di morte (come negli
USA) il tasso di omicidi molto pi elevato degli stati che non la prevedono (si pensi agli Stati Uniti
dove il tasso di omicidi ben 7 volte quello italiano e in alcuni stati vige ancora la pena di morte).
Per quanto riguarda la prevenzione generale, questi dati ci fanno capire una cosa fondamentale:
ci che fa prevenzione non la gravit della pena, ma l'autorevolezza da cui proviene la norma.
Se lo Stato punisce l'omicidio con la pena di morte (quindi con un altro omicidio), viene meno la
sua autorevolezza e destabilisce il messaggio della norma (non devi uccidere). Con ci un cittadino
si sentirebbe pi autorizzato ad uccidere (perch anche lo Stato stesso lo fa) e si sentirebbe anche
autorizzato quando si tratta di uccidere, ad esempio, una persona malvagia o che sta a lui
antipatica.
Riguardo all'efficacia dell'autorevolezza, si pensi al rapporto tra padre e figlio: se il rispetto delle
regole si basa sulla costrizione o sull'obbligo, il figlio appena raggiunge un'et adulta e non sar pi
sotto il controllo del padre, si sentir finalmente libero di trasgredire le regole. Il figlio arriver
invece a rispettare le regole se le sente provenire da una fonte autorevole e se le condivide perch
capisce il loro significato. Ma ci pu avvenire solo con un dialogo e con l'educazione, non con
l'imposizione di obblighi e punizioni severe e basta.
Bisogna quindi passare da una prevenzione generale negativa ad una prevenzione generale
positiva. Mentre quella negativa si fonda sul timore, sull'autorit esterna e la coazione, quella
positiva si fonda sull'autorevolezza della norma e sul consenso che la norma riesce ad ottenere non
per timore ma per scelta e convinzione di condividerla, perch la si comprende.
La prevenzione generale negativa trascura l'importanza di tenere elevati i livelli di consenso, e
quindi di autorevolezza. E infatti gli studi criminologici dimostrano come vi sia meno criminalit
negli stati che puntano a mantenere elevati i livelli di consenso e autorevolezza rispetto agli stati
che adottano strategia criminali che impostano il rapporto con il cittadino sul piano
dell'intimidazione e della severit. Questi stati come se considerassero il cittadino come un
elemento da condizionare, un oggetto, mentre con una prevenzione positiva il cittadino viene
trattato come un interlocutore.
Tutto questo discorso sull'inefficacia di questo tipo di prevenzione diventa ancora pi evidente nel
caso di prevenzione speciale.
Con una prevenzione speciale negativa non abbiamo solo intimidazione ma anche
neutralizzazione. Ma guardando i fatti anche la politica di neutralizzazione non porta a limitare la
criminalit, perch i posti dei criminali neutralizzati verranno presi da altri criminali. Di
conseguenza il tasso di criminalit non si abbassa.
Ci avviene perch, nonostante dei criminali vengano neutralizzati, le condizioni oggettive esterne
che danno la possibilit di delinquere sono rimaste intatte. Si solo pensato a neutralizzare i
criminali ma non a cambiare le condizioni che li hanno portati a delinquere.
Si pensi all'esempio della mafia in Italia: i numerosi arresti negli ultimi hanno non hanno sconfitto
l'organizzazione mafiosa in quanto sono rimaste intatte le condizioni oggettive che favoriscono
questo fenomeno e quindi i posti criminali rimasti liberi per via degli arresti vengono presi da altri.
necessario quindi passare ad una prevenzione speciale positiva. In cosa deve consistere la
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prevenzione speciale positiva?
Questa deve tendere al consenso del sottoposto e quindi deve prevedere delle tipologie di
intervento che aiutano il criminale a riflettere sulla sua vita passata e a cambiare i suoi
comportamenti antisociali. Il criminale deve essere scoraggiato a commettere il reato ma non
perch si sente sotto chiave da un'autorit coercitiva e severa, ma perch emerge da parte sua la
scelta di non delinquere e di accettare le norme. proprio ci a cui si riferisce la Costituzione
quando parla di rieducazione. Il criminale va rieducato tramite interventi di recupero.
Solo cos quel soggetto non sar pi portato a delinquere e solo cos si pu evitare che altri
prendano il suo posto. E nonostante ci abbia costi e sforzi pi elevati rispetto alla prevenzione
speciale negativa, e nonostante porti meno sicurezze (se un criminale viene punito con l'ergastolo
sono sicuro che non commetter pi reati, se viene rieducato e rimesso in libert non ne ho la
certezza assoluta), ne vale comunque la pena, perch non c' nulla pi di un criminale rieducato
che rafforza l'autorevolezza delle norme. Questo ruolo fondamentale che gioca la persona
criminale recuperata viene spesso dimenticato dal diritto penale.
E questo riscontrabile nell'esperienze mafiose: la mafia non teme tanto le condanne severe ma
teme di pi coloro che decidono di recidere i contatti con l'organizzazione e di collaborare con la
giustizia. Esempio del fallimento della prevenzione speciale negativa anche il fatto che le
organizzazioni mafiosi ritengono la condanna per il carcere un passaggio obbligato per i giovani
criminali.
Tutte queste considerazioni si legano con le teorie criminologiche di Sutherland.
Sutherland sostiene, in contrapposizione con il pensiero deterministico-positivo, che la criminalit
di un soggetto da lui appresa nel contesto in cui vive. Il comportamento criminoso si sviluppa se
questo comportamento stimato e accettato dal gruppo in cui inserito un individuo. La
criminalit risponde, quindi, non tanto ad uno schema di causa-effetto ma pi ad aspetto di tipo
culturale.
Ma se un soggetto di quel gruppo viene rieducato e mette in discussione quel comportamento, egli
pu bloccare lo sviluppo di quel comportamento. Pu costituire quindi un elemento di prevenzione
importantissimo.
Abbiamo visto quindi come la prevenzione positiva, generale e speciale, sia capace di ottenere i
risultati che la prevenzione negativa non capace di ottenere.
Bisogna fare attenzione perch alcuni manuali talvolta usano l'espressione prevenzione positiva
per indicare le concezioni cd. neo-retributive. Negli ultimi 30 anni ci sono state, infatti, correnti
che hanno interpretato le teorie retributive in maniera pi evoluta, secondo la visione neo-
retributiva.
Secondo questa visione l'effetto general-preventivo non dipende tanto dal timore della pena ma
dal soddisfacimento del bisogno sociale di ritorsione nei confronti del soggetto che ha commesso
un reato. Ci perch, secondo questa concezione, ognuno di noi sarebbe dentro di s portato
istintivamente a delinquere e quando qualcuno dei consociati commette un reato come se non
fosse stato capace di controllare i propri istinti. Nasce negli altri consociati un sentimento di invidia
e di disprezzo nei suoi confronti perch, al contrario degli altri che si impegnano ad inibire i loro
impulsi, lui non l'ha fatto. Gli altri cittadini vedranno soddisfatto il loro senso di giustizia solo se
vedranno punito il criminale e il compito della pena consiste proprio in questo.
Ma queste teorie dette neo-retributive sono da rifiutare e nonostante vengano affiancate
all'espressione prevenzione positiva, non corrispondono affatto a quanto intendiamo noi per
prevenzione positiva e non bisogna confonderle.
Alla luce di quanto detto importante fare una precisazione: dato per assodato che il fulcro della
prevenzione non l'intimidazione, tuttavia una dimensione intimidatoria non pu essere esclusa in
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un particolare settore, che quello dei reati economici. Qui l'autore a mente fredda fa un calcolo
preciso di quali sono i costi e i benefici del delinquere, quindi una valutazione tra la pena ed il
guadagno che ricava dal reato. Qui l'intimidazione gioca un ruolo molto pi importante perch in
questa valutazione tra costi/benefici, il potenziale autore di reato riterr i costi troppo elevati.
Questo discorso di intimidazione invece non pu valere per gli omicidi volontari, anche perch
nella maggior parte dei casi nascono da un raptus e non c', quindi, nessun calcolo tra costi e
benefici. Aumentare le pene non servirebbe a nulla.
Quindi si pu considerare lo schema retributivo (rispondere al male con il male) uno schema
razionale nel nostro sistema penale?
Con questa domanda non si vuole mettere in dubbio che la commissione di un reato deve essere
punita e che la pena deve essere impegnativa, ma ci chiediamo se lo schema per il quale la pena
pensata come la riproduzione in modo analogico della gravit del reato commesso sia ancora
razionale alla luce dei principi costituzionali che sorreggono il nostro ordinamento giuridico.
Lo schema retributivo razionale in un ottica di giustizia intesa come una bilancia (al bene si
risponde con il bene, al male si risponde con il male). L'idea di una giustizia come bilancia risponde
ad una visione di reciprocit. Ma bisogna fare attenzione perch questa concezione pu essere
pericolosa.
Infatti per sapere come trattare un soggetto bisogna prima giudicarlo per vedere se c' del male.
Ma seguendo l'idea di giustizia come bilancia sar sempre possibile trovare del negativo nell'altro
tale da giustificare il mio negativo nei suoi confronti. Lo si potrebbe giudicare in negativo anche
senza che abbia commesso un reato ma anche solo sulla base di una sua condizione esistenziale
(questo stava alla base dell'agire dei sistemi dittatoriali e totalitari che hanno compiuto dei
genocidi).
Probabilmente, quindi, concepire la giustizia come bilancia e quindi come reciprocit sbagliato.
Quale sarebbe ad esempio il reciproco di un genocidio? Quale sarebbe il male reciproco e
bilanciato al male causato da un genocidio? Qui il sistema retributivo entra i crisi.
Possiamo infatti identificare ben 5 critiche all'idea di giustizia come bilancia:
1) Se davvero il compito del diritto fosse quello di rispondere alla colpevolezza con una
reazione corrispondente, questo richiederebbe di quantificare in maniera precisa la
colpevolezza, ma questo impossibile e non ci sono mezzi empirici per quantificare la
colpevolezza insita in una persona. Possiamo solo considerare i fattori che hanno inciso
sulla commissione di un fatto di reato, ma impossibile rispondere alla domanda su quanto
di totalmente libero c' nell'azione di un soggetto, perch molto difficile sondare l'uso
della libert.
2) Se davvero il compito del diritto penale fosse quello di rispondere alla colpevolezza con una
reazione corrispondente, per quale ragione si dovrebbe rispondere cos solo al male che sta
scritto nel codice penale? Il male che incide socialmente non solo quello predeterminato
nel codice penale, ma esiste del male al di fuori di quello tipico. E non detto che il male
atipico sia di scarsa rilevanza. Pensiamo ai bambini nei paesi sottosviluppati che muoiono
per malattie per noi facilmente curabili. Anche questo un male socialmente rilevante,
eppure come potremmo rispondere se seguissimo l'idea di giustizia come bilancia?
Vediamo come il codice penale non il confine tra tutto ci che bene e tutto ci che
male.
3) Se davvero il compito del diritto penale fosse quello di rispondere alla colpevolezza con una
reazione corrispondente, in questo modo si trascurano i fattori che favoriscono la
criminalit, ovvero trascura la corresponsabilit sociale alla criminalit. Si tratta di fattori
che andrebbero contrastati con la prevenzione primaria, ma solo se siamo in una societ
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che non si identifica come una societ dei giusti, separata e indifferente a quella che sta
dentro le mura del carcere, allora ci sono i presupposti perch la societ sia disposta a fare
dei sacrifici necessari per fare prevenzione primaria (pensiamo all'esempio della
trasparenza fiscale che coinvolge tutti e tutti quindi dovranno fare dei sacrifici al fine di
eliminare quei fattori che favoriscono la formazione della criminalit organizzata).
4) La concezione dei diritto come bilancia coglie un aspetto ben presente nella psicologia
collettiva e ripreso dal filosofo Hegel. Diffuso nella psicologia collettiva il pensiero che la
pena cancelli il reato. Solo con la pena fatta giustizia ed il male del reato rimosso (anche
se non in termini materiali). Questo per non realisticamente vero. Se il compito dello
stato fosse quello di cancellare il reato, sarebbe un compito praticamente impossibile, dato
che n il diritto n l'umano possono eliminare ci che accaduto. Quello che successo
non pu essere cancellato neanche dalla inflizione della pena al colpevole.
Hegel sostiene questa teoria, per cui la pena cancella il reato, attraverso una formula matematica.
R = reato = negazione della legge (e dei diritti delle persone) = -L
P = pena = negazione del reato = -R
P = -(-L) = +L la pena negazione del reato e affermazione della legge
La concezione di Hegel idealistica, cio rileva il valore che si d ad una certa realt. Conta la realt
virtuale e non la realt concreta. E questa realt virtuale attribuisce alla pena la capacit di negare
la commissione del reato, perch il suo valore quello di negare il reato e riaffermare la legge.
Questo pensiero altamente interiorizzato dalla coscienza collettiva, ma la sensazione per cui la
pena cancella il reato sentita solo dalla collettivit esterna al reato, perch invece la vittima ed il
colpevole certamente non hanno la percezione che il reato sia cancellato dalla pena, ma il male
arrecato vissuto concretamente e costantemente ogni giorno (reclusione per il colpevole; morte
della vittima per i familiari).
5) Lasciando da parte per un momento quanto stato detto nella prima critica,
concentriamoci sul secondo piatto della bilancia, quindi sulla pena. Se dobbiamo rispettare
il principio del diritto come bilancia bisogna infliggere una pena che sia ontologicamente
giusta in s, niente di pi e niente di meno. Ma esiste la pena giusta in s corrispondente ad
un certo reato? No, impossibile configurare una pena che sia giusta in s. Il diritto penale,
come tutte le materie che si occupano delle relazioni umane, obbligato ad interrogarsi su
cosa ragionevole fare di fronte ad una certa situazione e non pu stabilire a priori che il
giusto riprodurre il negativo al negativo. Ma anche se l'idea di giustizia quella della
bilancia non esiste una pena ontologicamente giusta in s.
Kant si accorge di questo problema ed opera una semplificazione che Hegel rifiuta. Kant afferma
che la pena giusta il taglione (eguale con eguale, occhio per occhio). Ma la legge del taglione
lega la pena al risultato esterno e non alla colpevolezza.
Hegel invece sostiene che ovvio che non esiste una pena che riproduca esattamente la negativit
del reato. Con il suo pensiero di dare valore virtuale e non concreto alle situazioni, egli dice che la
compensazione al reato non deve essere materiale ma dipende dal valore che si da a quella
determinata azione delittuosa. Dice che dipende dal valore sociale e per spiegare questo suo
pensiero fa questo esempio: il furto di una rapa al mercato pu essere punito con una multa di
qualche soldo o con la pena di morte, dipende dal clima socio-culturale dell'epoca in cui viene
commesso il reato.
Con questo esempio Hegel ci fa capire come non esiste a priori e in assoluto una pena in s e pre s
giusta ed esattamente corrispondente al male cagionato dal reato, perch tutto dipende dal valore
sociale che si attribuisce ad una cosa o ad una certa azione.
Non esistendo una pena giusta in s siamo obbligati ad interrogarci su cosa ragionevole fare per
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fronteggiare una situazione delittuosa e su cosa giusto fare a fronte dei valori sociali. Interrogarsi
su ci e trovare le soluzioni proprio il compito della politica criminale.
Tutto questo ci fa capire anche l'equivoco in cui erano caduti Kant e Hegel, due grandi pensatori
che hanno molto inciso sulla realt moderna.
Kant parte da presupposti assolutamente condivisibili: l'uomo non pu essere trattato come mezzo
ma solo come fine (e anticipa cos il riconoscimento dei diritti inviolabili). Tuttavia Kant scrive in
un'epoca in cui le teorie utilitaristiche radicali erano dominati (prevenzione generale e speciale
negative intimidazione scopo era evitare che altri commettessero altri reati il colpevole era
utilizzato come mezzo per diffondere intimidazione e dissuadere gli altri dal commettere altri reati
la pena inflitta molto grave perch ha lo scopo di intimorire). In questo clima Kant dice che
non bisogna infliggere la pena che serve a distogliere gli altri da commettere reati, ma bisogna
infliggere la pena giusta. Ed qui che Kant commette un equivoco: qual' la pena giusta in s?
Questa non esiste ma lui arriva alla conclusione errata che la pena giusta comunque quella
retributiva, cio il negativo per il negativo, quindi il taglione.
Kant risponde affermando che ve inflitto al colpevole quanti di negativo stato da lui commesso,
ma affermando ci va esattamente in contrapposizione con ci che lui voleva combattere
attraverso il rifiuto dell'utilizzo dell'essere umano come mezzo. Nonostante le sue premesse
fossero condivisibili, arriva comunque ad un risultato per il quale la pena ha una funzione
retributiva, che lui stesso voleva combattere affermando che l'uomo pu essere solo un fine ma
mai un mezzo.
qui l'equivoco di Kant, perch lui avrebbe dovuto riflettere sull'affermazione di una prevenzione
positiva e non negativa. In questo modo avrebbe intuito che la risposta era ben diversa da quella a
cui lui giunto (la pena giusta il taglione).
























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LA PIRAMIDE DELLA POLITICA CRIMINALE.




2 LIVELLO (sanzioni)
sanzioni

leggi e altre
norme
1 LIVELLO (prevenzione primaria)
educazione culturale
e politico-sociale

1 LIVELLO. La prevenzione primaria data da altri due gradini:
1) educazione culturale e politico-sociale. Se una societ non elabora nulla sul piano
educativo-culturale sar difficile creare consenso sulle norme.
2) leggi e altre norme che per non sono quelle del diritto penale ma si tratta di quelle
materie non penalistiche ma che incidono sul diritto penale. Sarebbe a dire che se non c'
una buona legislazione civile, amministrativa, tributaria o commerciale la normativa penale
non potr avere efficacia nel contenimento della criminalit.
Analizziamo il primo gradino: dimensione educativo-culturale.
Se vero che la prevenzione non un qualcosa che risponde ad una logica di causa-effetto ma
una dinamica pi complessa che si basa sull'approvazione generale di comportamenti condivisi,
una societ democratica e pluralistica pu fare questo tipo di prevenzione? Pu condividere valori?
Se la societ pluralistica quella neutrale, in teoria, dove non c' nulla da condividere, diventa
davvero difficile fare prevenzione perch quel processo di condivisione che porta a fare
prevenzione non possibile.
In teoria, diversamente dalla societ totalitaria, la societ pluralistica non potrebbe condividere
valori. Ma allora se cos fosse come sarebbe possibile fare prevenzione? Cosa diventerebbe il
codice penale?
Il codice penale finirebbe per essere una sorta di borsa valori, dove tutte le condotte delittuose,
esattamente come i titoli in borsa, hanno un costo: il furto costa un certo numero di anni di
carcere, l'omicidio costa 24 anni di carcere, e cos via estremizzando.
In uno stato fascista o religioso ci sono dei valori assoluti. Ma con la democrazia o con il pluralismo
non vuol dire che non ci possono essere valori condivisi, ma la differenza sta nel fatto che non c'
un'autorit precostituita che fa il proprio interesse e che decide a priori quali sono i valori da
condividere. Il nostro impianto costituzionale non segue valori o interessi di parte ma si fonda su
esigenze morali e sulla dignit dell'uomo (dichiarazione dei diritti fondamentali eliminazione
della pena di morte, ecc).
Tutti condividono il valore fondamentale dei diritti inviolabili dell'uomo, che porta alla condivisione
dell'interrogativo morale. Per questo motivo le rivoluzioni si fondano sul riconoscimento dei diritti
umani: affermazioni che insieme siamo capaci di individuare valori comuni condivisi.
La morale dovrebbe essere la base condivisa da tutti gli esseri umani. Poi sulla base di questa scelta
comune (la morale) le scelte di ognuno possono essere diverse.
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L'idea che sta alla base di ogni democrazia infatti che ogni essere umano si rende conto che nella
vita non ci sono soltanto questioni in cui si tratta di decidere, ma anche questioni in cui si tratta di
comprendere e capire. Nelle questioni di politica criminale, secondo un approccio democratico,
non bisogna prima di tutto decidere ma si tratta primariamente di una questione di
comprendere. Cio l'interrogativo pu essere: come trattare un colpevole?.
Proprio l'interrogativo morale quello che condiviso da ogni essere umano.
C' una visione alternativa a questa, oggi molto presente: non ci sarebbe alla base alcuna
esperienza morale da condividere ma solo scelte discutibili e motivabili che ognuno di noi fa. Prima
ci sono le scelte (votare destra o sinistra, essere laico o cattolico, ecc) e poi da queste nascono i
comportamenti che corrispondono alle scelte. Da ogni scelta nasce quindi un'etica. Perci secondo
questa visione le etiche non possono dialogare. una concezione relativistica, nella quale diventa
difficile, anche ai fini del diritto penale, cercare di coltivare le motivazioni che rendono una societ
aggregata sotto dei valori fondamentali comuni e diventa difficile, quindi, fare prevenzione.
La visione classica dove c' un punto di incontro tra illuminismo e religione che nella vita non c'
solo da decidere ma anche da comprendere.
Vediamo oggi come scienza ed etica sono in contrapposizione, ma in realt hanno lo stesso
background.
Facendo un'analisi pi approfondita vediamo che la scienza non altro che la conoscenza di un
qualcosa della realt che gi esiste ma che riusciamo a comprendere solo parzialmente.
Perch non dovrebbe esserci qualcosa da conoscere anche sull'etica? Etica non anch'essa lettura
della realt? davvero cos motivabile l'antinomia tra scienza ed etica?
Da questo approfondimento ricolleghiamoci di nuovo alla piramide della politica criminale.
2 LIVELLO. Qui parliamo invece di quando un illecito gi stato commesso e bisogna capire come
trattarlo (illecito di rilevanza pubblica).
L'illecito pu essere affrontato prima di tutto attraverso l'illecito amministrativo. Sopra l'illecito
amministrativo c' l'illecito penale.
Nel nostro sistema penale la pena sempre quella detentiva, ma non scritto da nessuna parte
che debba per forza essere quella la pena (ricorda la clessidra).
A ben vedere per nella piramide non abbiamo 3 livelli, ma 2. L'illecito amministrativo infatti
rientra nel 2 livello che quello delle sanzioni.
Il 2 livello infatti pu essere suddiviso a sua volta in 3 gradini: quello dell'illecito amministrativo,
quello delle pene non detentive e l'ultimo che il gradino delle pene detentive.



p.d.
2 LIVELLO
p.non.d.

ill. amministrat.

1 LIVELLO



Tra l'illecito amministrativo e le pene detentive c' un settore, tra l'altro molto povero, di pene non
detentive.
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Essendo poco utilizzato si valorizza cos il sistema amministrativo. La sanzione amministrativa in
certi ambiti infatti pi efficace di quella penale, anche perch mentre la sanzione penale , in un
certo senso, fissa ( sempre uguale, detenzione), quella amministrativa pi flessibile, ha
maggiori margini.
Ad esempio l'imprenditore edile che fa una lottizzazione edile teme pi una sanzione
amministrativa che pu consistere nella totale demolizione della sua costruzione, con
consequenziale perdita del suo valore economico, che una pena detentiva di 6 mesi, che limita
certamente la sua libert ma non toglie il guadagno.
Vediamo quindi come in certi ambiti, nonostante il diritto penale mantenga una certa severit, la
sanzione amministrativa pi temibile.
Ma quindi qual' la differenza tra illecito penale e illecito amministrativo? Le sanzioni non
detentive possono essere, infatti, sia penali che amministrative. Allora dove sta la differenza?
La differenza non attiene tanto al tipo di sanzione, ma attiene principalmente all'autorit che
procede. L'autorit amministrativa gerarchicamente dipendente dal potere esecutivo, ha minore
indipendenza rispetto all'autorit penale, che invece risponde soltanto alla legge e costituisce un
ordine gerarchicamente autonomo.
In secondo luogo, l'autorit amministrativa dotata di limitati poteri d'indagine e assicura garanzie
che non sono quelle del processo penale.
Perci, ci sono ragioni per cui una determinata materia deve restare di competenza della
magistratura oppure possibile anche affidarla all'autorit amministrativa? Quando ci troviamo
davanti ad una determinata materia questo l'interrogativo che ci possiamo porre, se c' un
motivo particolare per cui necessario che rimanga sotto l'autorit penale oppure possibile
anche affidarla all'autorit amministrativa.
Prendiamo ad esempio la normativa anti doping, che una normativa penale che vedremo risulta
controproducente perch, punendo sia l'atleta sia il fornitore di sostanze dopanti, favorisce
l'omert. Perci ci sono ragioni politico-criminali che spingerebbero a portare la materia
nell'ambito amministrativo ma questa scelta porterebbe a rinunciare a certi poteri d'indagine e a
certe garanzie procedurali di cui dispone oggi l'autorit penale per fronteggiare il reato di doping.
Per questo motivo la normativa anti doping rimane nell'ambito dell'illecito penale.
Tutti questi ragionamenti, insieme allo schema della piramide della politica criminale, ci fanno
capire il PRINCIPIO DI EXTREMA RATIO (principio di sussidiariet) del diritto penale.
Ma a ben vedere si pu dire che l'extrema ratio non in riferimento all'intervento del diritto
penale, ma sarebbe pi corretto parlare di extrema ratio della pena detentiva, cio arrivare ad
utilizzare la pena detentiva solo quando necessario.
In alcuni casi, come quello del doping, il sistema penale necessario (non la pena detentiva che
invece controproducente, come abbiamo detto); in altri casi dove necessaria la pena detentiva
(ad es. nella criminalit mafiosa) non bisogna per dimenticarsi degli altri livelli sanzionatori (come
le sanzioni amministrative) necessarie per una vera prevenzione primaria.
Bisogna infatti cercare di fare TUTELA ANTICIPATA per presidiare quelle normative che devono
contrastare la crescita della criminalit. Abbiamo sempre di pi la minaccia di una sanzione
amministrativa o penale a fronte dell'adempimento di determinati obblighi. Vediamo ad esempio
la normativa sui casi di infortunistica sul lavoro se non rispetti la disciplina, quindi gli obblighi,
rischi prima ancora dell'infortunio, la sanzione amministrativa o penale. Questo un caso in cui il
diritto penale interviene prima dell'evento, facendo cos prevenzione. La politica criminale cerca
infatti di predisporre obblighi volti ad arginare il pericolo dello sviluppo della criminalit.
Questo ragionamento sulle sanzioni ci ha permesso di comprendere il ponte che collega le
considerazioni sulle politiche sanzionatorie ed il modo con cui vengono concepiti i reati.
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POSITIVISMO E RELIGIONE NELLA CONCEZIONE RETRIBUTIVA.
L'idea del diritto penale come bilancia si radicano nella societ grazie anche all'apporto della
filosofia positivistica e, si pensa, anche della religione.
Il positivismo nasce come una scuola filosofica che intende combattere l'idea della pena come
bilancia. Per la prima volta si discute sui fattori che incidono sulla criminalit e sul tema della
rieducazione, ma viene fatto in un'ottica molto pericolosa.
Il positivismo, infatti, si basa su una VISIONE DETERMINISTICA dei comportamenti umani, per cui
l'uomo non sceglie, non libero nelle sue azioni. Perci chi commette reati visto come un
soggetto anomalo, come il malato mentale o il dissidente politico. Chi non rispetta certi canoni e
regole non un soggetto che ha scelto liberamente di non rispettarli, ma un anomalo, un corpo
malato che va ricondizionato e rieducato a comportarsi in maniera non deviata. questo il
concetto di rieducazione che sostiene il positivismo e, come possiamo ben vedere, diverso dal
concetto di rieducazione affermato oggi dalla nostra Costituzione.
Se prevale una visione deterministica delle azioni umane, l'uomo non pi libero nell'agire e
quindi la colpevolezza perde di significato. Perci prende il sopravvento l'applicazione delle misure
di sicurezza.
La rieducazione intesa come possibilit di rieducare solo i rieducabili, coloro che hanno
commesso reati che vengono considerati come un corpo malato da ricondizionare. I non rieducabili
invece devono essere sottoposti a pena detentiva.
Il positivismo ha quindi svalutato l'autonomia individuale in funzione della concezione
deterministica e, al contrario dell'intento originale, ha favorito l'ancoraggio alla pena detentiva.
Quando parliamo di rieducazione in riferimento al positivismo non bisogna pensare ad un
cedimento della concezione deterministica, ma l'esatto opposto. Quel positivismo, che pure per
primo aveva discusso sui fattori che favoriscono la criminalit, ha invece completamente snaturato
il concetto di rieducazione ( guarire il guaribile; misura di sicurezza fino a che non guarito; se
criminale un corpo malato ampia diffusione dei manicomi).
Da questi aspetti del positivismo facile comprendere come la concezione positivistica del diritto
sia stata ampiamente utilizzata alla base dei sistemi dittatoriali e totalitari come quello nazista.
La visione della giustizia di tipo retributivo ha cercato fondamenti non solo nella filosofia (abbiamo
visto in quella positivistica), ma anche nella religione, dove l'equivoco di base che l'idea di
giustizia di Jahv fosse di tipo retributivo.
Nella societ multietnica e multi-religiosa questo argomento di vitale importanza per il futuro.
Nessuna religione (dal cristianesimo all'islam) di base concepisce e giustifica la punizione del male
con il male. Tuttavia si spesso affermato che la visione retributiva sarebbe giustificata da
elementi religiosi e perci la religione stata spesso strumentalizzata per compiere del male o
punire il male attraverso il male.
Ed infatti ad una lettura superficiale possiamo trovare nella religione alcuni appigli alla concezione
retributiva: riferimenti al taglione, alla pena di morte o all'idea di Dio che punisce sembrano
riportare all'idea retributiva. inoltre fuori di dubbio che un modello utilizzato per giustificare la
pena in senso retributivo sia il giudizio finale.
vero che da letture cos superficiali sembra si possa ricavare una concezione retributiva della
pena proprio dalle letture bibliche; ma facendo un'analisi pi approfondita e dando uno sguardo
completo alla tradizione biblica, l'immagine di giustizia che emerge davvero quella di distruzione
del male con il male?
Tuttavia nell'antico testamento ci sono modelli di concezione retributiva attribuiti alle punizioni
divine. Ci ci deve stupire? In realt no! La Bibbia la narrazione della lunga vicenda evolutiva
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storico-politica dell'uomo e in particolare di un popolo. Perci ovvio che nella Bibbia rientrano
tutti quelli che sono i valori culturali e sociali dei quel popolo e in quell'epoca. Il popolo ebraico,
che sta al centro della narrazione biblica, infatti un popolo mesopotamico e si porta con s tutte
le regole giuridiche (il codice di Hannurabi) che facevano parte della cultura della civilt
mesopotamica. Questa infatti aveva una concezione retributiva della giustizia e basava la pena
sulla proporzionalit e sulla corrispondenza al fatto di reato commesso (quindi la legge del
taglione).
Nella stessa vicenda biblica c' una tradizione pi superficiale di quella retributiva: Dio non tuo
padrone, ma tuo liberatore e questa frase viene interpretata come se Dio fosse liberatore
dell'uomo nei confronti dell'altro (del nemico). Lo stesso Ges ne pagher le conseguenze di questa
lettura superficiale (ad egli verr detto: tu sei figlio di Dio? Allora dimostralo, liberaci dal
nemico!).
Al tempo credevano infatti che il Messia avrebbe fatto qualcosa di pi di Mos, mentre Ges,
quando si rivelato figlio di Dio non ha liberato dal nemico, ma ha predicato amore e pazienza nei
confronti del prossimo, perci il popolo, rimasto deluso, lo condanna. Il popolo non coglie il
significato della liberazione interiore e non della liberazione dal nemico.
Oggi ci che importante, infatti, non creare solo degli elementi di pace e di giustizia tra
Cristiani, ma anche a livello internazionale.
Nella Bibbia possiamo trovare un diversa visione di giustizia (che tuttavia ha inciso in maniera
limitata sulla cultura occidentale) e per dimostrare questa tesi citiamo 2 storie emblematiche: la
storia di Adamo ed Eva e la storia di Caino e Abele. In queste due narrazioni vedremo una
concezione di giustizia umana.
Adamo ed Eva sono il prototipo di ogni uomo e donna. La situazione iniziale quella di armonia
completa e l'insegnamento che viene dato che nel momento in cui l'uomo in pace con Dio non
c' morte. Ma c' tentazione (raffigurato dal serpente che offre la mela).
Se l'uomo cede alla tentazione, arrivando a credere che la felicit data da altri valori, che non
sono quelli di Dio ma che sono quelli terreni, l'armonia si frantuma. Adamo ed Eva cedono al
peccato e si ritrovano nudi; nella nudit si esprime la voglia di nascondersi, espressione del
fallimento dell'uomo.
questo l'insegnamento che d la Bibbia: se commetti un reato non sei male perch vieni punito,
ma al di l della pena sei male proprio per aver ceduto alla tentazione; sei fallito.
Dio cerca Adamo ed Eva che si sono nascosti, ma non li cerca per punirli, ma per riportarli sulla
retta via (Dio cuce delle tuniche di pelle per vestirli). Il significato che nella realt dell'uomo fatta
di peccato e di nudit, Dio non viene per schiacciarti ma per indicarti e ricordarti ci per cui sei
stato creato.
L'intervento di Dio non per la morte ma per la vita. La strada che va verso quella vita di bene il
rifiuto della tentazione di Satana.
La giustizia che impone qui Dio una GIUSTIZIA SALVIFICA e non una giustizia che ti opprime per il
male che hai commesso. Non ci deve essere contrappasso nella giustizia, ma deve imporre
all'uomo di fare i conti con se stesso per la sua salvezza, deve portarlo sulla retta via.
Mentre nella storia di Adamo ed Eva al centro sta il rapporto dell'uomo con Dio, nella storia di
Caino e Abele al centro sta il rapporto tra l'uomo e un'altro uomo, la relazione con il prossimo.
Caino si chiede: chi l'altro per me?. Egli comincia a credere che l'altro rappresenta un limite alla
sua esistenza. Caino pensa: e se l'altro non ci fosse? e cede a questa tentazione.
Egli crede che la sua affermazione avvenga solo con l'eliminazione dell'altro, cio Abele,
indipendentemente dal fatto che sia buono o cattivo, perch un limite per la propria esistenza.
Ma anche Caino, nel momento in cui cede alla tentazione e uccide Abele, non trova la realizzazione
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che credeva ma si ritrova nudo e fallito (come Adamo ed Eva) e anche lui si nasconde.
Dio lo cerca e quando lo trova gli chiede: dov' tuo fratello?, e Caino risponde: sono forse io
custode di mio fratello?. una risposta modernissima avendo giudicato Abele come negativo,
Caino ha risposto con il negativo, uccidendolo.
Ma Caino ora crede che avendo compiuto lui del male, per il principio della reciprocit, anche gli
altri saranno legittimati a fare del male a lui. Teme che Dio gli voglia fare del male. Ma al contrario
Dio, come con Adamo, non lo punisce ma ne fa da garante (nessuno tocchi Caino) e gli concede
la possibilit di seguire la buona strada. Questo un altro emblema della giustizia salvifica.
Questa dinamica si ripete pi volte nell'antico testamento il popolo tradisce ma Dio gli rimane
fedele.
Per quanto riguarda i cristiani, nel nuovo testamento la prospettiva della giustizia salvifica
pienamente espressa dalla figura di Ges. Ges presentato nella Bibbia come il giusto per gli
ingiusti, cio il contrario della visione del male per il male.
Anche Ges non vuole morire, ma quando capisce che deve andare incontro alla morte non si tira
indietro ma dice, rivolgendosi a Dio: sia fatta la tua volont (volont di Dio = bene). La parafrasi di
questo passo potrebbe essere: non voglio morire (aspetto umano di Ges) ma se per il bene
sono pronto.
Questa scelta riassume tutto il Cristianesimo: la scelta d'amore di Ges non sconfitta ma pienezza
della vita. La scelta d'amore davanti al male, proprio questa la sfida del Cristianesimo.
L'essenza dell'esperienza di Ges quella di rispondere con il bene davanti al male (anche se
questo gli costa la vita) idea completamente opposta alla concezione retributiva. Per questo
possiamo dire che dal Cristianesimo traspare un'idea di giustizia diversa che non quella punitiva
ma quella salvifica.
Allora, detto ci, sorge spontanea la domanda sul significato del giudizio finale. Come deve essere
concepita la giustizia? solo giustizia salvifica?
Papa Giovanni Paolo II fece una riflessione sull'inferno: l'inferno non una pena che viene inflitta
da Dio ma la condizione in cui l'uomo ha scelto di mettersi quando resta chiuso all'amore nella
vita. Nonostante Dio abbia fatto di tutto per la salvezza dell'uomo, anche facendosi uomo lui stesso
e morendo in croce, l'uomo che va all'inferno ha scelto il male, radicalizzando la sua scelta di
infelicit. Dio non ha mandato l'uomo, ma ha cercato di salvarlo. L'inferno quindi l'emblema della
separazione da Dio protratta anche dopo la morte (diavolo = colui che divide).
Questa lunga digressione servita per affermare che la religione non pu essere utilizzata per fare
del male per combattere il male e per alimentare, quindi, la concezione retributiva.
Passando ad un analisi laica, la stesso Costituzione agli artt. 2 e 3 ci fa capire come la giustizia non
possa essere male, ma pu solo essere un progetto di bene per sconfiggere il male. La giustizia non
rispondere al bene con il bene e al male con il male, seguendo uno schema di reciprocit, ma
giustizia significa fare un progetto di bene. E qui risiede il compito della politica criminale e del
diritto penale: capire che tipo di provvedimenti necessario adottare per perseguire questo
modello di giustizia.

SISTEMA PENALE DEL GIUDICE DI PACE.
Abbiamo gi parlato dell'auspicio ad un superamento della pena detentiva come unica modalit
sanzionatoria. Tre sottosistemi rappresentano la concretizzazione di questo auspicio:
a) sistema penale del giudice di pace
b) sistema penale minorile
c) responsabilit penale per reati di persone giuridiche
Occupiamoci ora del sistema penale del giudice di pace.
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L'intervento del Giudice di Pace riguarda reati di rilievo minore.
La prima importante novit questa: presso il giudice di pace non si applicano pene detentive, ma
pene differenti da quelle previste dall'art. 17 c.p. Presso il giudice di pace si applicano solo le pene
degli artt. 50, 52 e 55 del d.lgs 274/2000 che sono:
l'obbligo di permanenza domiciliare
il lavoro pubblica utilit (se accettato)
la sanzione di carattere pecuniario
Per quanto riguarda l'ambito di competenza del giudice di pace, non si sono riscritte le pene, ma i
reati rimangono nel codice penale, l'art. 52 del decreto indica una clausola generale:

Art. 52. Sanzioni
Ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace per i quali e' prevista la sola pena della multa
o dell'ammenda continuano ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti.
Per gli altri reati di competenza del giudice di pace le pene sono cosi' modificate:
a) quando il reato e' punito con la pena della reclusione o dell'arresto alternativa a quella della
multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire
cinquecentomila a cinque milioni; se la pena detentiva e' superiore nel massimo a sei mesi, si
applica la predetta pena pecuniaria o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta
giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilit per un periodo da dieci giorni a tre mesi;
b) quando il reato e' punito con la sola pena della reclusione o dell'arresto, si applica la pena
pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione a cinque milioni o la pena della
permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di
pubblica utilit da venti giorni a sei mesi;
c) quando il reato e' punito con la pena della reclusione o dell'arresto congiunta con quella della
multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione
e cinquecentomila a cinque milioni o la pena della permanenza domiciliare da venti giorni a
quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilit da un mese a sei mesi.
Nei casi di recidiva reiterata infraquinquennale, il giudice applica la pena della permanenza
domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilit, salvo che sussistano circostanze attenuanti
ritenute prevalenti o equivalenti.
La disposizione del comma 3 non si applica quando il reato e' punito con la sola pena pecuniaria
nonch nell'ipotesi indicata nel primo periodo della lettera a) del comma 2.

Art. 55. Conversione delle pene pecuniarie
Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilit del
condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo
non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalit indicate nell'articolo 54.
Ai fini della conversione un giorno di lavoro sostitutivo equivale a lire venticinquemila di pena
pecuniaria.
Il condannato pu sempre far cessare la pena del lavoro sostitutivo pagando la pena pecuniaria,
dedotta la somma corrispondente alla durata del lavoro prestato.
Quando e' violato l'obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione della pena
pecuniaria, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell'obbligo di permanenza
domiciliare secondo i criteri di ragguaglio indicati nel comma 6.
Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo, le pene pecuniarie non eseguite per
insolvibilit si convertono nell'obbligo di permanenza domiciliare con le forme e nei modi previsti
dall'articolo 53, comma 1, in questo caso non e' applicabile al condannato il divieto di cui
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all'articolo 53, comma 3.
Ai fini della conversione un giorno di permanenza domiciliare equivale a lire cinquantamila di pena
pecuniaria e la durata della permanenza non pu essere superiore a quarantacinque giorni.
Problemi pratici: proprio perch non si prevede la pena detentiva non si applica la sospensione
condizionale. Vediamo un maggior rigore rispetto alla pena detentiva. Qui la pena non viene n
sostituita n sospesa condizionalmente.
Seconda novit importante: oltre a non applicarsi la pena detentiva, presso il giudice di pace
sempre possibile realizzare una definizione anticipata del processo, senza arrivare quindi
all'inflizione di una delle pene previste. Ci pu avvenire attraverso 3 modalit indicate da:
art. 29 comma 4
art. 30
art. 35
Le prime due norme non sono applicabili a qualsiasi reato di competenza del giudice di pace
mentre la norma dell'art. 35 quella pi rilevante e sempre applicabile.

Art. 29 comma 4 reati perseguibili a querela:
Il giudice, quando il reato e' perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal
caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice pu rinviare l'udienza per un periodo
non superiore a due mesi e, ove occorra, pu avvalersi anche dell'attivit di mediazione di centri e
strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel
corso dell'attivit di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della
deliberazione.
N.B. Regola del diritto penale la perseguibilit d'ufficio, ma ci sono reati in cui si parla di reati
perseguibili a querela, reati di carattere patrimoniale, a querela in quanto la parte offesa pu
scegliere o meno di perseguire il reato, ad esempio i reati sessuali.
Qui lo stesso giudice che agisce per la stessa remissione della querela.
Il giudice svolge una funzione di conciliazione: egli si impegna a creare condizioni tra le parti per la
conciliazione. Qui di seguito vediamo le modalit con cui svolge questa funzione conciliativa.

Art. 2 detta una norma di carattere generale principi generali del procedimento davanti al
giudice di pace:
Nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ci che non e' previsto dal presente decreto,
si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e
II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ad eccezione delle disposizioni relative:
a) all'incidente probatorio;
b) all'arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto;
c) alle misure cautelari personali;
d) alla proroga del termine per le indagini;
e) all'udienza preliminare;
f) al giudizio abbreviato;
g) all'applicazione della pena su richiesta;
h) al giudizio direttissimo;
i) al giudizio immediato;
l) al decreto penale di condanna.
Nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione
tra le parti.
Quindi ci che prevede l'art. 29 comma 4 previsto dai principi generali dell'attivit del giudice di
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pace. L'art. 29 comma 4 una specificazione del modo in cui devono essere attuati i principi
dell'art. 2.
Questa l'unica norma del sistema italiano che parla di mediazione penale. Tuttavia dai giudici di
pace poco utilizzata mentre lo di pi nel sistema minorile (anche se nella disciplina del
tribunale dei minori non se ne parla).
L'ufficio di mediazione la realt che lavora in collaborazione con il tribunale dove si rende
possibile l'incontro tra l'agente di reato e la vittima. Per rendere possibile questo incontro si attua
una deroga ad un principio del processo secondo cui nessuno tenuto a scolparsi (se dici la verit
pu essere usato contro di te nel processo, ecco perch vige il brocardo nemo tenetur se
detegere = nessuno tenuto a danneggiare se stesso). necessario quindi che si crei uno spazio
neutro dove ci si possa sbilanciare dicendo verit negative su se stessi senza che ci influisca
sulla condanna.
Torniamo al comma 4 dell'art. 29: ai sensi del testo sembra che il giudice si debba come
sdoppiare; nella mediazione il giudice non si deve comportare da giudice. In sostanza se il giudice
sospende il processo per fare la conciliazione non potr utilizzare le dichiarazioni rese dalle parti;
ugualmente quello che il giudice sente nel procedimento di mediazione non deve assolutamente
influire sul processo nel caso in cui questo riprenda.
ove occorra la conciliazione pu essere portata avanti dal giudice a sua discrezione.
Quindi la prima novit del sistema quella di far emergere la mediazione.

Art. 34 novit importante (la ritroveremo nel sistema minorile). Si tratta dei casi di particolare
tenuit del fatto.
Posto che per il principio di offensivit, se manca loffesa il reato non c.
In molti Paesi si affronta il problema della tenuit del fatto, come uno degli strumenti che
consentono di non svolgere un processo per ogni reato. In Italia non si potuto attuare in virt del
fatto che si voluto rendere autonomo il diritto penale dal potere esecutivo: il pubblico ministero
fa parte della magistratura e appartiene al CSM.
La Costituzione ha voluto che i PM avessero lobbligatoriet dellazione penale: non pu
selezionare quali reati portare avanti e quali no, mentre in alcuni Paesi il PM ha potere
discrezionale, come negli USA.
L'obbligatoriet dell'azione penale e la visione garantistica della Costituzione hanno portato in
Italia allintasamento della macchina giudiziaria e anche al fatto che le norme costituzionali sono
superate dai fatti, eluse dalla pratica. Il PM in pratica decide quali processi portare avanti e quali no
selezione informale da parte del PM circa lordine di quali procedimenti portare avanti prima;
ecco perch alcune procure della Repubblica hanno elaborato criteri trasparenti di precedenza.
Nasce il problema di valutare se vale la pena di fare processi penali per piccole cose, o se pi
conveniente lasciare la questione al civile.
Ma abbiamo nel nostro sistema due norme (l'art. 34 e la giustizia minorile) che hanno posto un
filtro (che non anticostituzionale perch non una cernita per il p.m.): il giudice delle indagini
preliminari in questi casi pu riconoscere la irrilevanza del fatto e dichiarare il non luogo a
procedere. Vediamo cosa dice la norma dell'art. 34:

Art. 34. Esclusione della procedibilit nei casi di particolare tenuit del fatto
Il fatto di particolare tenuit quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguit del danno o del
pericolo che ne derivato, nonch la sua occasionalit e il grado della colpevolezza non giustificano
l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altres del pregiudizio che l'ulteriore corso del
procedimento pu recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona
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sottoposta ad indagini o dell'imputato.
Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d'archiviazione il non doversi
procedere per la particolare tenuit del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa
alla prosecuzione del procedimento.
Nel primo comma sono espresse le condizioni del non luogo a procedere, che sono L'ESIGUIT DEL
DANNO O DEL PERICOLO, L'OCCASIONALIT e IL GRADO DELLA COLPEVOLEZZA.
La gravit del danno qualcosa che per pu dipendere da fattori casuali.
A seconda della fase del processo pu esserci l'esito dell'improcedibilit:
nelle indagini preliminari occorre un giudizio del giudice sull'interesse a procedere (questo
strano: il processo penale fatto nell'interesse pubblico non privato!)
fase dell'indagine superata rappresenta una sorta di diritto di veto della parte.
Qui non prevista espressamente una mediazione ma resta valida la previsione dell'art. 2; quindi
per via interpretativa si pu dire che il giudice pu tentare la via conciliativa, e cos se la
conciliazione viene raggiunta di conseguenza viene meno l'interesse della parte offesa alla
prosecuzione del processo.
Ultimo istituto importante in questa materia quello previsto dall'art. 35, cio la procedura
riparativa (unico manifestarsi in Italia di un istituto che negli altri paesi molto diffuso; si pensi che
in Austria un quarto dei processi si risolve cos). Vediamo cosa dice il decreto:

Art. 35. Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie
Il giudice di pace, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato,
enunciandone la causa nel dispositivo, quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima
dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le
restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.
L'imputato propone una condotta riparativa. Il termine riparativo a livello internazionale non
vuol dire risarcimento, ma vuol dire condotta impegnativa tesa concretamente alla riparazione.
Ma vi poi unaggiunta al comma 2:
Il giudice di pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1, solo se ritiene le
attivit' risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di
prevenzione
Esigenze di riprovazione del reato e prevenzione una formula amplissima, che lascia
grossissimo spazio discrezionale.
Si dice: se entro la fase delle indagini, limputato va dal giudice e propone una condotta riparativa
riparativo non vuol dire risarcimento civilistico del danno ma condotta impegnativa a favore
della vittima o del bene tutelato, occorre quindi un significativo impegno di riparazione.
Se questa proposta valida:
giustizia valida
vittima soddisfatta
implicita ammissione responsabilit
sostanziale conciliazione realizzata
Anche qui la mediazione non espressamente prevista per alla luce dell'art. 2 pu essere tentata
dal giudice.
In Austria pi di un quarto dei processi penali viene gestita cos.
La c.d. ristorative justice consiste proprio nell'eliminazione delle conseguenze del reato
Interpretazione conforme al principio di colpevolezza beneficio concesso solo se c una sorta di
meritevolezza, quindi l'aver eliminato il pi possibile le conseguenze del reato.
Il sistema penale del giudice di pace, di cui abbiamo trattato, rappresenta certamente una novit,
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ma spesso il giudice di pace definisce il processo con la pena pecuniaria, ossia la pena pi semplice
e quindi utilizza molto poco queste pene di cui abbiamo parlato. Quindi nella carta questo sistema
del giudice di pace molto innovativo e presenta strumenti interessanti; nella pratica per i giudici
di pace applicano quasi sempre la pena pecuniaria, quella tradizionale.
Questo sistema ha per una importanza non da poco: la procedura riparativa potrebbe essere
utilizzata anche in altri procedimenti.

SISTEMA PENALE MINORILE.
Il sistema penale minorile regolato dal DPR 448/ 1988. Il decreto si configura come una sorta di
sistema di deroghe alla disciplina del processo per gli adulti e tali differenze hanno uno spessore
sostanziale importantissimo.

Art. 1. Principi generali del processo minorile:
Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per
quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni sono applicate
in modo adeguato alla personalit e alle esigenze educative del minorenne.
Il giudice illustra all'imputato il significato delle attivit processuali che si svolgono in sua presenza
nonch il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni.
Al 1comma emerge il termine personalit. Questo elemento ha una dimensione rivoluzionaria:
in deroga ai principi generali, qui la personalit del minorenne rileva nel processo. Infatti l'art. 220
comma 2 c.p.p. esclude la perizia relativa alla personalit dell'imputato (adulto) procedimento
nel quale la pena inflitta a prescindere dalla conoscenza dell'individuo ma come mera entit del
reato. Al contrario il sistema penale minorile prevede che tali disposizioni sono applicate in modo
adeguato alla personalit e alle esigenze educative del minorenne.
N.B. Nel processo minorile non si parla di rieducazione ma di educazione, in quanto si presume che
il minore debba essere educato, rimettendo in essere un iter formativo ancora in corso.
Ancora pi rilevante ci che emerge dal 2comma dell'art. 1: sembra fare riferimento ad un
dialogo del giudice con l'imputato; il giudice tenuto a spiegare ed illustrare qualcosa che in
termini di diritto penale classico appare inconcepibile. Infatti nel processo contro un adulto il
giudice sta zitto e assiste al confronto tra l'accusa e la difesa, giungendo alla fine alla scelta tra
condanna o assoluzione.
Nel processo penale minorile, per evitare un inquinamento tra esigenze diverse, non prevista la
costituzione di parte civile. Diversamente poi da quanto accade per l'UEPE che si occupa degli
adulti solo dopo la condanna, i servizi sociali per i minori (USSM) si occupano del minore anche
durante tutto il processo.
Norme fondamentali di questa normativa sono:
Art.9 Accertamenti sulla personalit del minorenne:
Il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali,
familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l'imputabilit e il grado di
responsabilit, valutare la rilevanza sociale del fatto nonch disporre le adeguate misure penali e
adottare gli eventuali provvedimenti civili.
Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni da persone
che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche senza alcuna
formalit.
Comma 1 traspare che il pubblico ministero ed il giudice acquisiscono elementi circa le
condizioni personali, familiari, sociali e ambientali del minore al fine non solo dell'imputabilit ma
anche per qualsiasi altro fine di genere diverso.
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Quanto prevede questo articolo rappresenta l'esatto contrario dei principi dell'art. 220 comma 2
del c.p.p. Cosa ce ne facciamo dello studio della personalit se i poteri del giudice sono quelli di
dare un po' di pi o un po' di meno di pena prevista dalla scala edittale? Lo studio sulla personalit
ha senso se da questo nasce un progetto di pena, un progetto che riguardi quell'individuo
trattamento individualizzato previsto dall'art. 13 dell'ordinamento penitenziario, ma qui lo studio
sull'individuo viene fatto dopo la condanna e non prima.
Quindi l'art. 9 appena visto sarebbe inutile se il potere del giudice fosse solo quello di
discrezionalit per quanto concerne il minimo ed il massimo edittale della pena.

Art. 28 Sospensione del processo e messa alla prova:
Il giudice, sentite le parti, pu disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di
dover valutare la personalit del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma 2. Il
processo sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali
prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri
casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo sospeso il corso della
prescrizione.
Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione
della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune
attivit di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice pu
impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione
del minorenne con la persona offesa dal reato.
Questo articolo introduce l'istituto della MESSA ALLA PROVA.
un istituto rivoluzionario nel nostro sistema penale. Rappresenta la possibilit per il giudice di
sospendere il processo e intraprendere una sorta di binario parallelo. Il progetto predisposto
dai servizi sociali sulla base della personalit del minorenne e viene svolto in libert (non vi
detenzione, al massimo ci pu essere l'affido in comunit). I contenuti del programma sono liberi e
i tempi vanno da 1 anno ad un massimo di 3 anni. Se la messa alla prova ha buon esito il processo
si riapre solo per dichiarare estinto il reato, viceversa il processo riprende per giungere ad una
conclusione se la messa alla prova non ha buon esito.
Con la messa alla prova abbiamo per la prima volta nel diritto penale una risposta al reato che
consiste in un progetto sull'imputato e, in pi, prevede la dimensione di carattere
conciliativo/riparativo della pena. l'unico caso in cui non prevista una inflizione di una pena e si
supera l'idea di una risposta al reato che rifletta la gravit del reato medesimo. Infatti la messa alla
prova non dipende dalla gravit del reato ma dalle condizioni della persona.
L'idea quella di un progetto di prova che ha anche finalit conciliative, una conciliazione di
carattere anche relazionale.
In teoria pu essere utilizzata per ogni reato, in pratica la durata massima di 3 anni ne limita
l'utilizzo ai reati pi gravi; si auspica infatti l'innalzamento ad almeno 5 anni.
L'art. 28 non d nessun criterio per cui il giudice sceglie tra processo e messa in prova. Il rischio
che tale scelta sia fatta sulla base delle risorse disponibili nell'ufficio giudiziario (quasi sempre
scarse) o su altre valutazioni; il rischio quindi che proprio i ragazzini pi difficili e bisognosi ne
siano esclusi, perch magari non hanno una famiglia con cui collaborare adeguatamente.
All'interno dell'istituto della messa alla prova vediamo per alcuni problemi giuridici.
La messa alla prova presuppone una certa apertura con il minorenne, l'art. 1 parla infatti di
dialogo e non di scontro.
Tuttavia possibile dialogare solo quando la risposta al reato non prevista come risposta contro
di s ma come progetto che pu essere utile per il proprio futuro. Infatti se la risposta ha
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contenuto progettuale, l'imputato sar pi interessato a collaborare affinch il progetto sia per lui
il migliore possibile.
Perci l'interesse che nasca un dialogo nella messa alla prova si verificher appieno solo se il
minorenne sicuro che poi non si torna al processo (dove quello che dico potrebbe essere
utilizzato contro di me). Ma quando nella fase delle indagini non sa se il giudice decider di
utilizzare il binario ordinario o la messa alla prova, quindi il minore sar incerto sul se e cosa dire,
sul se collaborare.
Equivoco: l'idea nuova della messa alla prova e quindi del progetto ci potrebbe essere interesse
a dialogare, ma questo solo se l'imputato sicuro che la risposta al reato non sia quella del
processo tradizionale, dove tutto ci che dico pu essere utilizzato contro di me.
La messa alla prova non potr essere data prima che il giudice del tribunale minorenni non abbia
escluso di poter assolvere: il giudice dovr prima valutare se il fatto stato commesso e se la
persona ne responsabile.
Le procedure di messa alla prova non consentono di posticipare la prova alla fine del processo
altrimenti verrebbe meno il senso complessivo dellistituto.
In questo senso non un caso che, sebbene non sia scritto da nessuna parte nel decreto, proprio
nel tribunale dei minorenni che stata introdotta la mediazione. un passo in pi verso questo
istituto conciliativo.
Il giudice durante le indagini deve studiare la personalit dell'imputato. Successivamente pu
sospendere il giudizio e invitare l'imputato all'ufficio mediazione. Il giudice qui non presente ma
se il mediatore bravo, diventa possibile rielaborare quello che successo e dirsi qualcosa di
vero tra le parti perch questo non verr riferito al giudice (non c' nessun problema con la verit
processuale, qui non c' il giudice).
L'incontro delle parti un momento delicato ma pu essere molto importante. Si riacquista una
sorta di dimensione umana. L'esigenza della vittima non quella di vendetta, ma quella di veder
riconosciuto quello che successo come ingiusto, e vederlo riconosciuto da chi l'ha commesso
molto importante; anche perch se la mediazione va bene il colpevole si adoperer per la
riparazione ai danni sofferti dalla vittima o ai suoi beni.
Per quanto riguarda la mediazione in generale i dati dicono che il tasso di soddisfazione delle
vittime vicino al'80%.
Il mediatore fa poi una relazione al giudice in cui dice solo se la mediazione andata a buon fine
oppure no, ma non rivela cosa le parti si sono dette nella mediazione.
Anche il giudice minorile ha lo strumento per dichiarare l'irrilevanza del fatto art.27 (parallelo
all'art.34 del giudice di pace). Questo strumento rappresenta un filtro tra fatti che possono
costituire reato e fatti che non costituiscono reato.
Il sistema penale minorile ha costruito percorsi alternativi per non giungere alla pena. Su questa
base vediamo come va ben al di l di quello che dice il codice penale per i minorenni.
Il codice dei minorenni prevede solo la diminuzione di pena, una maggiore applicazione della
sospensione condizionale, il perdono giudiziario e una maggiore applicazione delle sanzioni
sostitutive. Il resto era uguale alla disciplina degli adulti.
Questo fino all'introduzione del DPR 448/1988 che, aggiungendo maggiore specificit alla disciplina
prevista dal codice, differenzia il trattamento penale tra adulti e minorenni. Inoltre prima del 1988
erano frequenti i casi in cui un minorenne era dichiarato incapace di intendere e volere per
immaturit. Dopo il DPR del 1988 questi casi sono diminuiti drasticamente fino a scomparire. La
ragione di questo comportamento del giudice prima del 1988 era che solo escludendo
l'imputabilit il giudice poteva evitare di far andare in carcere il minorenne. Era quindi l'unico
strumento e se invece lo riteneva pericoloso lo condannava alla libert vigilata o al riformatorio.
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Dopo la riforma del 1988 questi casi spariscono perch il giudice dotato di strumenti nuovi, quali
la messa alla prova e l'irrilevanza del fatto, introdotti per poter evitare il carcere al minorenne.
Attenzione: non bisogna confondere la messa alla prova con l'affidamento in prova ai servizi
sociali perch sono differenti: la prima solo per i minorenni e viene fatta durante il processo
(misura per evitare la pena); l'affidamento in prova una misura alternativa sui generis e quindi
presuppone la condanna ed prevista anche per gli adulti prima dell'ingresso in carcere.

N.B. L'ambito della giustizia riparativa ha oggi ampio sviluppo. L'idea della giustizia riparativa
quella, ovviamente, non di negare il reato ma di affermare la verit e di riparare al danno sofferto.
Oggi queste modalit sanzionatorie diverse potrebbero essere applicate con interventi severi sugli
interessi economici legati alla commissione del reato inflizione di pene pecuniarie o di sanzioni
interdittive per responsabilit di impresa (ad es. il divieto di ricoprire determinati ruoli) possono
essere molto pi incisive, mentre oggi le pene interdittive ricoprono solo un ruolo marginale.

RESPONSABILIT PENALE DELLE PERSONE GIURIDICHE.
Nel 2001 abbiamo l'introduzione della responsabilit penale degli enti.
L'antico brocardo societas delinquere non potest nasce dall'idea retributiva: il diritto penale deve
infliggere necessariamente dolore. Quindi la societ cos intesa non poteva commettere delitti.
Questa concezione si rivelata col tempo inaccettabile.
Spesso oggi la criminalit organizzata commette reati come societ. In passato la societ che
commetteva un reato rispondeva solo per il tramite della persone che aveva materialmente
commesso un reato, con tutte le conseguenze che ne derivavano. Tuttavia era gi prevista una
responsabilit civile da reato, che avveniva tramite il risarcimento del danno. Ci significa che la
societ poteva patire solo gli oneri di responsabilit civile. Vi era quindi un paradosso: se
l'amministratore commetteva un reato nell'interesse dell'ente, rispondeva lui in quanto persona
fisica, ma poi l'ente beneficiava di quel reato.
Quindi, salvo il risarcimento del danno l'ente non pativa le conseguenze negative del reato
commesso dall'amministratore a favore dell'ente stesso. Di conseguenza i soci avrebbero potuto
avere proprio l'interesse oggettivo a che gli amministratori producessero denaro illegittimamente,
perch tanto non avrebbero risentito degli oneri della responsabilit penale.
In ogni caso l'amministratore gode di determinati vantaggi: gode di una difesa legale fornita
dall'ente, non risente di pene pecuniarie. L'unica minaccia era la pena detentiva, ma trattandosi
solitamente di soggetti non pericolosi ed incensurati, potranno godere delle attenuanti e
dell'applicazione delle pene sostitutive (sospensione condizionale).
Il risultato era che dal punto di vista preventivo e dal punto di vista dell'incisivit del diritto penale
il sistema era fallimentare. Il diritto penale perdeva la sua incisivit nell'ambito economico.
Infatti le pene che inciderebbero in campo economico non sono quelle detentive, ma quelle che
incidono sugli interessi in gioco, cio sugli interessi di tipo economico. Quando affermiamo che i
white collar crime non sono puniti nel nostro paese, non significa che bisogna aumentare la
severit delle pene detentive, ma semplicemente che bisogna cambiarle qualitativamente.
Nel 2001 l'Italia fu cos chiamata ad adeguarsi alla normativa europea, prevedendo la disciplina
della responsabilit penale degli enti sul modello di quelle straniere. La disciplina contenuta nel
d.lgs. 231/2001.
La responsabilit delle persone giuridiche fu introdotta inizialmente solo limitatamente a 2 tipi di
reato: corruzione e abuso dei finanziamenti UE. Nel corso degli anni la disciplina stata estesa ad
altri reati ma non abbiamo ancora raggiunto una responsabilit generalizzata per tutte le
fattispecie. Si estende solo ai reati compresi nell'art. 25 bis - nonies.
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La responsabilit degli enti stata costruita con un escamotage: il timore era che la norma fosse
portata davanti alla Corte Costituzionale per contrariet al principio per cui la responsabilit penale
personale (art. 27 Cost). Per aggirare l'ostacolo la responsabilit penale degli enti venne
qualificata come responsabilit amministrativa da reato. Si trattava quindi di una responsabilit
amministrativa derivante non da illecito amministrativo ma da illecito penale.
Ma sorge un dubbio: il fatto che sia una responsabilit amministrativa comporta oppure no che si
applichino tutte le norme generali sull'illecito penale previste dalla Costituzione?
Da qui tutti riconoscono che non si tratta altro che di un escamotage, dato che una vera e propria
responsabilit penale che viene solo formalmente definita amministrativa.
Analizziamo ora il d.lgs. 231/2001.

Art. 1 soggetti:
1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilit degli enti per gli illeciti amministrativi
dipendenti da reato.
2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalit giuridica e alle societ e
associazioni anche prive di personalit giuridica.
3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici
nonch agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
Sono esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli altri enti pubblici non economici, gli enti di
rilievo costituzionale (parlamento, Corte Costituzionale, ecc). Gli enti economici non sono quindi
esclusi. La responsabilit dell'ente non una responsabilit oggettiva, ma presuppone la
colpevolezza e quindi la colpevolezza del soggetto che autorizzato ad agire. Dubbio: quando la
colpevolezza del soggetto porta alla responsabilit dell'ente?

Art. 5 responsabilit dell'ente:
1. L'ente e' responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente
o di una sua unita' organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonch da persone
che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo
proprio o di terzi.
L'ente responsabile se per reati commessi nel suo interesse e vantaggio. Il problema
soprattutto per i reati colposi. Mentre nei reati dolosi l'interesse del soggetto esattamente quello
della societ, il discorso diventa pi delicato nei reati colposi. Se automaticamente l'ente
rispondesse per la negligenza di un suo amministratore si estenderebbe eccessivamente la
responsabilit.
L'ente invece considerato responsabile solo quando la negligenza coinvolge i controlli e
l'organizzazione dell'ente, quindi quando l'organizzazione interna dell'ente ad essere fatta in
modo negligente.
L'art. 5 individua due tipi di responsabilit in base ai soggetti che commettono il reato:
1) reati commessi da soggetti apicali (dirigenti);
2) reati commessi da soggetti non apicali.
Attenzione: si da rilievo a situazioni in cui di fatto, e non di diritto, il soggetto riveste un ruolo
dirigenziale.
Al secondo comma l'art. 5 chiarisce che anche se c' un vantaggio l'ente non risponde se le
persone indicate hanno agito nell'interesse proprio o di terzi. Questo punto pone delicatissimi
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problemi di interpretazione.

Art. 8 autonomia della responsabilit dell'ente:
1. La responsabilit dell'ente sussiste anche quando:
a) l'autore del reato non e' stato identificato o non e' imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell'ente quando e'
concessa amnistia per un reato in relazione al quale e' prevista la sua responsabilit e l'imputato ha
rinunciato alla sua applicazione.
3. L'ente pu rinunciare all'amnistia.
La responsabilit dell'ente sussiste anche quando il soggetto agente non stato identificato e
quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia (ad es. la morte del soggetto
agente).
L'ente quindi responsabile anche quando non si riesce ad individuare la persona fisica che ha
commesso il reato, ma certo che il reato stato commesso. Esempio lampante pu essere un
reato ambientale: posto che il colpevole un determinato operaio di un'azienda che ha fatto
rovesciare per negligenza del liquido tossico in un fiume, l'azienda rimane responsabile anche se
non si riesce ad identificare l'operaio che per sbaglio ha aperto la valvola e inquinato cos il fiume
con il liquido tossico.
Da notare che questa potrebbe sembrare una responsabilit oggettiva dell'ente, ma non cos.
L'ente risponde non per responsabilit oggettiva ma perch chiaro che un soggetto ha agito
nell'interesse dell'ente.
Inoltre, da sottolineare che la responsabilit dell'ente non alternativa a quella del soggetto
agente, ma si affianca a quella di quest'ultimo. Infatti anche se sopravviene la morte del soggetto
agente ed il reato per lui si estingue, la responsabilit dell'ente per no.
Art. 9 sanzioni:
1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:
a) la sanzione pecuniaria;
b) le sanzioni interdittive;
c) la confisca;
d) la pubblicazione della sentenza.
2. Le sanzioni interdittive sono:
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attivit;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione
dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di
un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli gi
concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Individua 4 tipi di sanzione:
1) la sanzione pecuniaria
2) le sanzioni interdittive sono le pi efficaci perch costituiscono per l'ente un onere che
ne pu provocare la morte giuridica. Le sanzioni interdittive sono l'interdizione
dall'esercizio dell'attivit; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o
concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; il divieto di contrattare con la p.a.,
salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l'esclusione da agevolazioni,
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finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli gi concessi; il divieto di
pubblicizzare beni o servizi. Sono molto pi efficaci perch hanno un costo economico per
l'ente ben pi elevato di quello di una sanzione pecuniaria;
3) la confisca qui la pena principale e non la misura sui profitti (intervento diretto sui
profitti);
4) la pubblicazione della sentenza non ha un significato marginale, si pensi alla reputazione
della societ.
Poniamo ora l'attenzione sulle sanzioni pecuniarie (che nel nostro sistema hanno dei risultati
fallimentari).
In molti casi il nostro codice penale prevede una pena aggiuntiva che la pena pecuniaria, ma il
problema che nel nostro ordinamento la quasi totalit delle pene pecuniarie non viene riscossa.
La motivazione che le pene pecuniarie sono previste per entit assolute. Ci significa che la pena
pecuniaria incide sulla base del reddito del reddito e del livello socio-economico del soggetto
(anche se c' l'art. 133-bis). Il giudice infatti tenuto a calcolare la pena pecuniaria in base al livello
socio-economico del colpevole.
Negli altri stati invece l'applicazione della pena pecuniaria avviene per quote. Questo sistema
copre in Germania i delle sanzioni penali.
I vantaggi da un sistema per quote risiedono nel fatto che, in primo luogo, il messaggio della pena
pecuniaria che il soggetto colpevole paga alla societ civile esattamente il danno che ha
cagionato, cio paga a quei servizi che ha utilizzato illegalmente per scopi egoistici; in secondo
luogo, nonostante sia una pena onerosa che incide sullo status economico del colpevole, lascia
per intatta l'integrazione sociale dell'individuo, cosa che non avviene con la reclusione in carcere.
Le pene pecuniarie per quote ora sono state previste proprio dal d.lgs 231/2001 all'art. 10 comma
2.
La legislazione italiana riprende negli artt. 6 e 7 alcuni aspetti della legislazione americana. L'art. 6
riguarda i soggetti apicali, mentre l'art. 7 riguarda i soggetti non apicali.
La ricostruzione dei fatti di un reato economico richiede indagini complesse. Si avverte la necessit
non solo di prevedere una responsabilit giuridica dell'ente, ma una buona prevenzione nasce se
fatta anche all'interno dell'ente stesso, attraverso la capacit dell'ente di autocontrollarsi. Lo scopo
quello di far sorgere nell'ente l'interesse a predisporre un controllo su se stesso. Come possibile
creare un tale interesse nell'ente?
Il sistema americano prevede i cd. compliance programs. Si tratta di accordi tra l'ente e pubblico
ministero per i quali se l'ente provvede a denunciare la persona fisica che ha commesso il fatto,
l'ente non risponde.
L'Italia, ugualmente, oggi invita gli enti a creare una struttura di controllo interno, il cd modello
organizzativo. A certe condizioni, se la struttura di controllo interno ha operato correttamente,
l'ente non risponde.

Art. 6 soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente:
1. Se il reato e' stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente
non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto,
modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro
aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e
di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di
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gestione;
d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui
alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attivit nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni
dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalit di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei
reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul
funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate
nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al
comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli
enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, pu
formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneit dei modelli a prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere
svolti direttamente dall'organo dirigente.
5. E' comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per
equivalente.
L'art. 6 pone le condizioni per cui l'ente non tenuto a rispondere. Al comma 2 vengono espresse
le finalit e i requisiti del modello organizzativo.
Si cerca di creare una prevenzione non posteriore ma anteriore. Pi precisamente, una
prevenzione primaria interna.
L'ente risulta per esonerato dalla responsabilit solo se riesce a dare le 4 prove elencate dall'art. 6
per quanto riguarda i soggetti apicali. Inoltre l'ente che deve provare di essere stato frodato
disciplina molto rigorosa perch prevede l'inversione dell'onere della prova.
Art. 7 soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente:
1. Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente e' responsabile se la commissione del
reato e' stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
2. In ogni caso, e' esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della
commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione,
gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonch al tipo
di attivit svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attivit nel rispetto della legge e a
scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
4. L'efficace attuazione del modello richiede:
a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative
violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o
nell'attivit;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel
modello.
Per quanto riguarda i soggetti non apicali, l'ente esente da responsabilit se dimostra di aver
costituito misure ed organizzazione idonee. Qui la disciplina meno rigorosa.

LA LEGGE SUL DOPING: L. 294/2000.
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La normativa sul doping data dalla L. 294/2000. Si tratta di una normativa poco chiara su quale sia
il bene tutelato e di certo non aiuta il fatto che sia punito allo stesso modo sia chi fornisce le
sostanze dopanti sia chi ne fa uso. una scelta originale il fatto di disciplinare questa materia con
lo strumento penale, perch solitamente non si fa uso della legge penale per combattere le
condotte autolesioniste. Certo tutto ci che condotta autolesionista non pu essere considerato
lecito, e lo abbiamo gi visto con la normativa sulle sostanze stupefacenti.
Al sistema normativo non pu essere indifferente l'autolesionismo solo perch ad esempio il
suicidio non viene punito. Il suicidio non punisce ovviamente colui che lo commette, ma
riconosciuto dal sistema penale tanto che infatti sono puniti i reati di istigazione o aiuto al
suicidio (art. 580 c.p.) e di omicidio del consenziente (art. 579 c.p.).
Tuttavia resta singolare il fatto che una condotta autolesionista sia punita penalmente.
A conferma del fatto che ordinariamente il nostro ordinamento non punisce l'autolesionismo
vediamo l'art. 642 c.p. Fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione
fraudolenta della propria persona:
Chiunque, al fine di conseguire per s o per altri l'indennizzo di una assicurazione o comunque un
vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose
di sua propriet, falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di un
contratto di assicurazione punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace chi al fine predetto cagiona a se stesso una lesione personale o aggrava
le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non
accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione
relativi al sinistro. Se il colpevole consegue l'intento la pena aumentata. Si procede a querela di
parte.
Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche se il fatto commesso all'estero, in
danno di un assicuratore italiano, che eserciti la sua attivit nel territorio dello Stato. Il delitto
punibile a querela della persona offesa.
Attenzione perch qui potrebbe sembrare condotta autolesionista punita penalmente ma,
leggendo attentamente la norma, si capisce che l'autolesionismo posto allo scopo di frodare, ad
esempio una compagnia di assicurazione, quindi il bene tutelato non la salute della persona ma il
patrimonio.
Analizziamo ora la L. 294/2000.

Art. 1 tutela sanitaria delle attivit sportive. Divieto di doping:
1. L'attivit sportiva diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e deve essere
informata al rispetto dei principi etici e dei valori educativi richiamati dalla Convenzione contro il
doping, con appendice, fatta a Strasburgo il 16 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 29
novembre 1995, n. 522. Ad essa si applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di
tutela della salute e della regolarit delle gare e non pu essere svolta con l'ausilio di tecniche,
metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l'integrit psicofisica
degli atleti.
2. Costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente
o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da
condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo
al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.
3. Ai fini della presente legge sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci o di
sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione di pratiche mediche non
giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei
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controlli sull'uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2.
4. In presenza di condizioni patologiche dell'atleta documentate e certificate dal medico, all'atleta
stesso pu essere prescritto specifico trattamento purch sia attuato secondo le modalit indicate
nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle
specifiche esigenze terapeutiche. In tale caso, l'atleta ha l'obbligo di tenere a disposizione delle
autorit competenti la relativa documentazione e pu partecipare a competizioni sportive, nel
rispetto di regolamenti sportivi, purch ci non metta in pericolo la sua integrit psicofisica.
Da questo primo articolo sembra che il bene primariamente tutelato sia il bene salute, ma si vedr
che non cos. Il comma 2 contiene la definizione di ci che anche detto all'art. 9.
Art. 9 disposizioni penali:
1. Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e
con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o
favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive,
compresi nelle classi previste all'articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni
patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al
fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei
controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze.
2. La pena di cui al comma 1 si applica, salvo che il fatto costituisca pi grave reato, a chi adotta o
si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste all'articolo 2, comma 1, non
giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche
dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i
risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche.
3. La pena di cui ai commi i e 2 aumentata:
a) se dal fatto deriva un danno per la salute;
b) se il fatto commesso nei confronti di un minorenne;
c) se il fatto commesso da un componente o da un dipendente del CONI ovvero di una federazione
sportiva nazionale, di una societ, di un'associazione o di un ente riconosciuti dal CONI.
4. Se il fatto commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue
l'interdizione temporanea dall'esercizio della professione.
5. Nel caso previsto dal comma 3, lettera c), alla condanna consegue l'interdizione permanente
dagli uffici direttivi del CONI, delle federazioni sportive nazionali, societ, associazioni ed enti di
promozione riconosciuti dal CONI.
6. Con la sentenza di condanna sempre ordinata la confisca dei farmaci, delle sostanze
farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.
7. Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive
compresi nelle classi di cui all'articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al
pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che
detengono farmaci direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente, punito con la reclusione
da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni.
Al comma 1 dice procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo la legge
mette sullo stesso piano la condotta di chi assume e di chi procura sostanze dopanti.
La condotta una condotta di dolo specifico ( al fine di alterare le prestazioni agonistiche).
Nella norma si parla poi di prestazioni agonistiche dubbio: e il doping nelle palestre allora
come dovrebbe essere trattato?
La frase al fine di si deve trattare di un comportamento idoneo, fa riferimento al fine oggettivo
(dolo specifico). Vi la necessaria compresenza della componente oggettiva e quella soggettiva.
Chiediamoci: come si deve valutare questa normativa?
100
Innanzitutto, se il bene protetto la salute, questa normativa davvero capace di fare
prevenzione?
Come abbiamo visto, questa normativa punisce entrambi gli agenti, sia chi fornisce il doping sia chi
ne fa uso. Ma questo porta a conseguenze negative. Se un atleta vuole tirarsi fuori dal giro del
doping si trova in una situazione difficile: egli potrebbe semplicemente recarsi dal medico per il
fine di disintossicarsi ed in questo caso vale l'art. 365 c.p. (chiunque, avendo nell'esercizio di una
professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i
caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne
all'Autorit indicata nell'articolo 361, punito con la multa fino a cinquecentosedici euro. Questa
disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento
penale). L'atleta non rischia quindi di essere denunciato dal medico. Ma se l'atleta ha intenzione
invece di denunciare l'utilizzo del doping, esporrebbe anche i suoi compagni ad una responsabilit
penale e ci lo porterebbe facilmente a cambiare idea.
Quindi la normativa capace di tutelare la volont dell'atleta che vuole uscire personalmente
dall'uso del doping, ma non favorisce l'emersione del problema, cio la denuncia del fatto.
Favorisce invece quel patto di omert, che si vede anche nel reato di corruzione, tra utilizzatore e
spacciatore. Nessuno, per non mettersi in posizioni scomode, andr a denunciare il fatto.
Perci ci si chiede se realmente questa normativa sia a tutela della salute e se sia realmente capace
di fare prevenzione. Quale sarebbe il vero bene tutelato? Forse la garanzia alla regolarit delle gare
sportive?
Una soluzione (proposta anche dal professore al Comitato della bioetica) per contrastare il doping
era quella di prevedere una responsabilit dell'ente sportivo presso il quale si esercita l'atleta (sulla
falsariga di quella degli enti), in modo tale che l'ente diventi direttamente interessato a contrastare
il doping. Questo progetto, per, era pieno di obiezioni e non fu pi realizzato.
Un'altra ragione che ha mantenuto la responsabilit personale dell'atleta riguarda il fatto che
l'intervento penale ha maggiori possibilit d'indagine di un intervento amministrativo. Il fatto che il
reato di doping sia sottoposto all'autorit giudiziaria permette di poter svolgere una serie di
operazioni (come le perquisizioni) che l'autorit amministrativa non pu svolgere. Perci questa
materia rimasta nell'ambito di una responsabilit penale di tipo personale, piuttosto che di una
responsabilit amministrativa.
Ma chi ha detto che certi poteri d'indagine non potrebbero essere affidati anche al giudice
amministrativo?
Una legislazione antecedente a quella del doping, che riguarda le scommesse sportive che
coinvolgono direttamente l'atleta (ad es. la frode sportiva), ha preso delle scelte sanzionatorie
addirittura meno gravi rispetto a quelle del doping.
Rimane quindi il dubbio su quale sia realmente il bene tutelato dalla normativa antidoping, perch
non ancora ben chiaro.

I REATI DI USURA E RICICLAGGIO ( ARTT. 644 E 648-bis C.P.).
Il reato di usura ed il reato di riciclaggio li affrontiamo assieme, in quanto hanno degli aspetti in
comune. Entrambi sono collocati nell'ambito dei reati contro il patrimonio, ma entrambi hanno un
legame un po' particolare con il patrimonio perch la loro funzione travalica la sua mera tutela.
Queste due norme, infatti, hanno in comune che, oltre alla tutela del patrimonio, mirano a
contrastare la criminalit organizzata, perch di fatto si tratta di denaro sporco, cio derivante da
illecito.
Tuttavia la loro collocazione nell'ambito dei reati contro il patrimonio, bench messa in
discussione, pone come presupposto del reato la lesione al patrimonio.
101
Il reato di usura, art. 644:
Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per
s o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilit, interessi o altri vantaggi
usurari, punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma,
procura a taluno una somma di denaro od altra utilit facendo dare o promettere, a s o ad altri,
per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono
sempre usurari. Sono altres usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o
compensi che, avuto riguardo alle concrete modalit del fatto e al tasso medio praticato per
operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra
utilit, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di
difficolt economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito.
Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla met:
1) se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attivit professionale, bancaria o di intermediazione
finanziaria mobiliare;
2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o propriet
immobiliari;
3) se il reato commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato commesso in danno di chi svolge attivit imprenditoriale, professionale o
artigianale;
5) se il reato commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni
dal momento in cui cessata l'esecuzione.
Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura
penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, sempre ordinata la confisca dei beni che
costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilit di cui il reo ha la
disponibilit anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri
vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al
risarcimento dei danni.
In passato (fino a 20 anni fa) il reato di usura era punito con un minimo edittale che non
corrisponde a quello odierno: il massimo edittale era pari al nostro odierno minimo edittale (2
anni).
avvenuto questo cambiamento con la proclamazione della libert contrattuale e la sanzione al
reato di usura stata aumentata proprio perch costituisce un ostacolo alla piena libert
contrattuale.
Qui ci troviamo in una situazione diversa da quella dei reati di doping e corruzione perch
solamente uno dei due soggetti viene punito, nonostante l'altro abbia volontariamente scelto di
rivolgersi ad un usuraio.
In passato il giudice era chiamato a verificare che si fosse verificato lo sfruttamento dello stato di
bisogno da parte del colpevole. Al giudice veniva quindi richiesta un'indagine molto complessa.
Oggi il reato non parla pi di sfruttamento dello stato di bisogno; infatti in quest'ambito viene ad
inserirsi una riforma che andata molto vicina a trasformare il reato in un reato di pericolo
presunto, ma anche molto vicina alla commissione concreta del reato.
Oggi infatti non prevede n uno sfruttamento dello stato di bisogno, n uno sfruttamento dell'altra
102
parte, ma sufficiente il semplice aver acquisito degli interessi usurari.
Il legislatore ha posto un limite indicativo oltre il quale gli interessi sono sempre considerati
usurari. la L. 108/1996 che definisce, all'art. 1 comma 4, il criterio per stabilire quando un
interesse usurario. Le operazioni che possono dar luogo ad usura sono gi catalogate e per
ciascuna di queste operazioni il Ministero dell'economia determina per ogni trimestre il TASSO
MEDIO PRATICATO nel sistema del credito. Questo rappresenta l'indice per valutare quando degli
interessi devono essere considerati usurari.
Questa scelta, che sembra avvicinare l'usura ad un reato di pericolo, viene in qualche modo
inquinata dal comma 3 dell'art. 644: sono altres usurari... il giudice pu decidere che si
tratta di tasso usurario anche al di sotto del taso medio praticato quando il tasso d'interesse
comunque considerato sproporzionato, sulla base della gravit della situazione economica di chi ha
chiesto il prestito.
Quanto previsto dal comma 3 dell'art. 644 fa rivivere un certo margine di discrezionalit del
giudice. Bisogna infatti valutare se sussiste l'offesa al bene giuridico tutelato, cio il patrimonio
(principio di offensivit), oltre a valutare se stato oltrepassato il tasso usurario determinato dalla
legge. Per esempio se due persone si mettono d'accordo in un contratto con interessi usurari ma
per fini diversi dallo sfruttamento, non c' offesa al bene giuridico tutelato e quindi l'art. 644 non si
applica.
Abbiamo detto che ogni 3 mesi il Ministero dell'economia (il Governo) delegato a stabilire per
ogni tipo di operazione economica il tasso medio praticato di interessi. Dubbio: non c' in questo
caso una violazione del principio di riserva di legge?
Dal punto di vista formale risponderemmo negativamente, perch si tratta solo di una
specificazione tecnica su una disciplina gi completamente trattata dalla legge (non a caso alcuni
manuali utilizzano il caso dei tassi usurari per spiegare la riserva di legge).
L'anno scorso, per, si verificato un caso particolare riguardante la commissione di massimo
scoperto concesso dalle banche. Mentre le banche consideravano tale commissione come
qualcosa di diverso dal mutuo, come remunerazione di un servizio a parte, la Cassazione, invece,
disse che le commissioni di massimo scoperto rientravano nel calcolo per capire se quel tasso
d'interesse era usurario.
Perci le banche si sono trovate, senza saperlo, ad aver applicato dei tassi usurari. Il Governo,
infatti, nella sua opera di definizione legislativa aveva fatto attivit discrezionale non considerando
i tassi di massimo scoperto.
I funzionari di banca si trovavano a dover rispondere di usura? Come potevano essere difesi?
Una prima soluzione poteva essere la dimostrazione che mancava il dolo. Tuttavia era comunque
un errore di diritto, anche se su norma extrapenale (errore su norma extrapenale sempre scusato
art. 47 c.p. ma dipende se la norma integratrice o meno). E in questo caso era una norma
integratrice, perci si pu far valere l'art. 5 c.p. l'errore non scusabile.
Ma ricordiamo che con la sent. 364 della Corte Costituzionale viene reso scusabile l'errore
inevitabile, e in questo caso era un errore per le banche inevitabile.
Vediamo quindi come anche dal punti di vista della riserva di legge questa norma pone problemi di
chiarezza.
In materia di usura, inoltre, la L. 108/1996 ha introdotto una novit. Questa legge traduce la
consapevolezza che per combattere l'usura non serve solo intervenire a posteriori, dopo che il
reato di usura gi stato commesso, ma sarebbe necessario predisporre degli strumenti per
contrastarla a priori.
Proprio questa legge predispone tali strumenti. Vengono istituiti due fondi.
Il primo (pi tradizionale) fatto in maniera similare a quello posto a tutela delle vittime di racket e
103
del pizzo e serve ad aiutare, attraverso finanziamenti agevolati da parte dello Stato, le vittime di
usura (art. 14). Non ha per solo una finalit di aiuto alle vittime perch l'art. 14 della L.108/1996
pone una certa condizione per accedere al finanziamento agevolato: la vittima deve aver
denunciato l'usuraio e essersi costituita parte civile.
Si tratta di una sorta di norma premiale; le norme premiali solitamente prevedono dei vantaggi per
il colpevole di un reato a fronte di un suo comportamento auspicato dall'ordinamento, ad esempio
a fronte di una sua collaborazione con la giustizia. In questo caso la norma premiale posta invece
a favore della persona offesa dal reato, scelta singolare ma basata sul fatto che nel reato di usura la
vittima coscientemente ha scelto di rivolgersi ad un usuraio ed ha quindi, in un certo senso,
favorito il reato. Perci la vittima pu accedere al fondo solo se si resa disponibile a denunciare il
reato e costituirsi parte offesa nel processo.
Abbiamo quindi una doppia faccia in questa norma: una di carattere di aiuto, l'altra di carattere
premiale.
Il secondo fondo (pi innovativo) il fondo di prevenzione primaria. Tiene conto del fatto che
l'usura non nasce dovunque ma solo in circostanze particolari, ovvero nei casi di difficolt di
accesso al credito.
Questa condizione pu riguardare non solo imprenditori sull'orlo del fallimento, ma anche
imprenditori che semplicemente non hanno beni idonei a fornire una garanzia alle banche per
ottenere un credito. Cos, non potendo ottenere un credito lecito, si rivolgono all'illecito. Perci il
fondo viene predisposto per integrare le garanzie che pu prestare un imprenditore alle banche, in
modo tale da permettergli di ottenere il credito.
In questo caso non abbiamo nessuna norma premiale ma si tratta di una pura norma di tutela.
Rappresenta, inoltre, una vera norma di prevenzione primaria, in quanto interviene sulle
condizioni che portano al reato.
Il reato di riciclaggio, art. 648-bis:
Per quanto riguarda il reato di riciclaggio, partiamo dal fatto che il legislatore, pur avendo previsto
un reato per questo comportamento, si reso conto che in questo campo le indagini sono molto
costose e impegnative e, inoltre, prevenire il reato risulta molto difficile. Perci, nonostante il reato
rimanga, la tutela preventiva si ampliata e vengono individuati dei soggetti che svolgono una
funzione di filtro, ad esempio il collegio sindacale delle s.p.a. svolge importanti funzioni di
controllo.
Tuttavia oggi sono stati istituiti, oltre che dei controlli interni, delle autorit esterne di controllo,
quali la CONSOB e le societ di intermediazione finanziaria (le SIM). Inoltre vi sono obblighi per le
banche che vanno al di l dei rapporti con i privati (dal superamento del segreto bancario agli
obblighi di garanzia).
Il punto di arrivo di questo percorso anti-riciclaggio il d.lgs. 231/2007, dove questi obblighi di
controllo vengono a coinvolgere anche alcuni liberi professionisti. Abbiamo quindi un fenomeno di
estensione dei soggetti sottoposti a controllo per evitare che le operazioni di mercato nascondano
operazioni di riciclaggio di denaro sporco.
Possiamo quindi studiare il reato di riciclaggio sia dal punto di vista della norma ad hoc prevista dal
codice penale, sia dal punto di vista degli strumenti preventivi, con sanzioni di carattere penale o
amministrativo.
La norma sul riciclaggio va letta avendo per prima analizzato il reato di ricettazione, art. 648 c.p.
Questa norma non pi quella originaria del codice in quanto stata riscritta pi volte.
Confrontiamo le due norme.

Art. 648. Ricettazione.
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Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a s o ad altri un profitto, acquista,
riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel
farle acquistare, ricevere od occultare, punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa
da euro 516 a euro 10.329. La pena della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516,
se il fatto di particolare tenuit. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando
l'autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non imputabile o non punibile ovvero
quando manchi una condizione di procedibilit riferita a tale delitto.
Qui abbiamo una condotta specifica (dolo specifico) di chi acquista, riceve o nasconde denaro o
cose provenienti da reato o si introduce per farle acquistare, ricevere o nascondere.
Questa norma non stata sufficiente a coprire anche l'ambito del riciclaggio perch interviene solo
in presenza di condotte determinate (acquista, riceve o nasconde), e questo riflette la ratio
originaria della ricettazione che era quella della difesa del patrimonio limitando il furto.
Fuori dai casi di concorso nel reato la ratio di questo inciso : ordinario il fatto che chi ha
conseguito illecitamente un certo bene ne cerchi di trarne beneficio. Cio colui che ha commesso il
reato base quasi ovvio che poi cerchi di trarne profitto dal reato commesso, quindi dal bene che
ha acquisito illecitamente. Perci si evita di punire due volte per reati che sono necessariamente
consequenziali, altrimenti si rischierebbe di duplicare la pena.

Art. 648-bis. Riciclaggio.
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilit
provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, punito con la reclusione da quattro
a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493. La pena aumentata quando il fatto
commesso nell'esercizio di un'attivit professionale.
La pena diminuita se il denaro, i beni o le altre utilit provengono da delitto per il quale stabilita
le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo
648.
Anche qui abbiamo l'inciso fuori dai casi di concorso e la ratio la stessa (cd. autoriciclaggio).
La condotta quella di chi sostituisce o trasferisce denaro o altri beni provenienti da delitto non
colposo.
L'illecito di partenza quindi un delitto doloso e inoltre non abbiamo una condotta specifica,
quindi non c' nel riciclaggio, al contrario della ricettazione, un dolo specifico.
Infatti la norma fa riferimento anche ad altre operazioni, quindi la condotta descritta solo nella
sua idoneit lesiva, non nelle sue modalit (condotta generale, poco chiara).
L'inciso in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa indica che la
condotta rileva solo se stata anche capace di rendere difficile l'identificazione della provenienza
del denaro o dei beni. Non si richiede quindi una pura attitudine ad ostacolare, ma che l'ostacolo si
sia effettivamente realizzato. Infatti il denaro sporco viene preso e ripulito, tramite un suo
utilizzo strategico, tale per cui sia resa irreperibile la sua origine delittuosa.
La pena prevista per il reato di riciclaggio assai incisiva: da un minimo di 4 anni ad un massimo di
12 anni.
Il 2 comma prevede una aggravante, cio il fatto di aver commesso il reato nell'esercizio di
un'attivit professionale; il 3 comma invece prevede un'attenuante, cio che la pena diminuita
se i beni o il denaro derivano da attivit illecita per la quale prevista un a pena alla reclusione per
un massimo edittale di 5 anni.
Il reato di riciclaggio in sostanza vuole punire il comportamento di chi compie una operazione che
ostacoli l'identificazione della provenienza del bene e deve essere una persona diversa da quella
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che ha commesso il reato base. La norma quindi intende prevenire l'intervento di terzi nel reato,
che di solito, per raggiungere il fine di ostacolare l'identificazione della provenienza illegale di un
bene, frequente e necessaria.
L'ambito principale tutto quello che attiene al trasferimento di denaro, quindi il reato di
riciclaggio cade soprattutto nell'ambito finanziario.
Attenzione! Non punito l'auto-riciclaggio, con il quale intendiamo il riciclaggio effettuato da chi
ha anche commesso il reato base (come abbiamo visto fuori dai casi di concorso nel reato).
Tuttavia c' una forte sollecitazione e prevedere il reato di auto-riciclaggio, soprattutto dalle
commissioni antimafia e dalla DNA (Direzione Nazionale Antimafia).
Le ragioni della non punibilit dell'auto-riciclaggio non attengono tanto ad esigenze di diritto
penale sostanziale, ma derivano da considerazioni di carattere procedurale. L'incriminazione del
soggetto agente nel reato base anche per il reato di riciclaggio estende le possibilit di indagine
della magistratura perch diventano di sua competenza anche atti che non hanno a che fare con il
reato base, e inoltre incide anche su aspetti che hanno a che fare con la valutazione della
prescrizione e altri temi.
Nonostante queste problematiche c' comunque una forte pressione, soprattutto dalla DNA.
Se si dovesse decidere di punire anche l'auto-riciclaggio sarebbe anche necessario definire molto
pi specificatamente le condotte, perch altrimenti qualsiasi agenti di reato risponderebbe anche
di riciclaggio.
Tuttavia, mentre ai sensi dell'art. 648-bis c.p. l'auto-riciclaggio non reato, ai fini del d.lgs.
231/2007 esso rileva. Perci ai fini delle norme sulla tutela anticipata l'auto-riciclaggio rileva.
In ogni caso la delicatezza dell'art. 648-bis legata principalmente alla descrizione della condotta
che costituisce riciclaggio e che quindi ne ostacola una immediata identificazione.
Altro problema molto delicato sul riciclaggio la sua realizzazione anche per DOLO EVENTUALE.
Il riciclaggio una condotta punita molto gravemente per un soggetto che per non autore del
reato base ma che volontariamente fa un'operazione per camuffare la provenienza illegale di beni
o di denaro e che ovviamente, per fare questo, ne deve ricavare dei benefici. Tuttavia la norma non
richiede che il comportamento sia avvenuto a fronte di un beneficio ricevuto dal colpevole e
nemmeno richiede un dolo specifico, ma punisce l'atto puro e semplice di aver commesso
riciclaggio.
Perci ci chiediamo se sia possibile configurare il reato di riciclaggio con dolo eventuale, cio da
parte di un soggetto che ha agito semplicemente accettando il rischio di commettere riciclaggio.
Infatti bisogna distinguere la condotta dell'operatore bancario che opera riciclaggio di denaro
sporco volontariamente per aiutare una associazione mafiosa, dalla condotta dell'operatore
bancario che invece commette riciclaggio involontariamente per negligenza nel suol lavoro.
Sembrano quindi esserci tutte le ragioni per escludere la punibilit del riciclaggio per dolo
eventuale, ma prima di arrivare a questa conclusione analizziamo il d.lgs. 231/2007.
Abbiamo gi detto che questo testo rappresenta il punto di approdo di un percorso che ha
progressivamente portato ad individuare soggetti che possano fare da filtro per evitare che il
riciclaggio venga commesso. Negli ultimi anni si assistito ad una estensione di soggetti a cui
vengono attribuiti compiti del tutto disomogenei dai loro interessi privatistici e garantistici
dell'interesse generale a prevenire il reato di riciclaggio. Compiti estesi non pi solo ad istituzioni
come la Consob ma anche a banche e a soggetti singoli privati incaricati ad adempiere determinati
obblighi garantistici.
Il fatto di affidare obblighi di questo tipo a soggetti privati ci si domanda sulla possibilit di punire
questi soggetti per riciclaggio commesso per dolo eventuale, cio per mancanza di adempimento
degli obblighi, se possiamo intenderli come posizioni di garanzia ex art. 40 c.p., obbligati quindi ad
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intervenire per impedire l'evento.
In realt non possiamo considerare la posizione di questi soggetti come quella di chi ha l'obbligo di
attivarsi ex art. 40 c.p., perch non ogni obbligo di attivarsi un obbligo di impedire l'evento,
altrimenti i titolari di questi obblighi, se inadempienti, diventerebbero colpevoli esattamente al
pari di colui che volontariamente ha commesso riciclaggio (ricorda: non impedire un evento che si
ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo qui non cos!).
Analizziamo le norme del d.lgs 231/2007.

Art. 2: Definizioni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e finalit del decreto.
1.Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono
riciclaggio:
a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da
un'attivit criminosa o da una partecipazione a tale attivit, allo scopo di occultare o dissimulare
l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attivit a sottrarsi alle
conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento o la dissimulazione della reale
natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, propriet dei beni o dei diritti sugli
stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attivit criminosa o da una
partecipazione a tale attivit;
c) l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro
ricezione, che tali beni provengono da un'attivit criminosa o da una partecipazione a tale
attivit;
d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere
tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a
commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.
2. Il riciclaggio e' considerato tale anche se le attivit che hanno generato i beni da riciclare si sono
svolte nel territorio di un altro Stato comunitario o di un Paese terzo.
3. La conoscenza, l'intenzione o la finalit, che debbono costituire un elemento degli atti di cui al
comma 1, possono essere dedotte da circostanze di fatto obiettive.
4. Ai fini del presente decreto per finanziamento del terrorismo vale la definizione di cui all'articolo
1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109.
5. Al fine di prevenire l'utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per finalit di
riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, il presente decreto detta misure volte a tutelare
l'integrit di tali sistemi e la correttezza dei comportamenti.
6. L'azione di prevenzione di cui al comma 5 e' svolta in coordinamento con le attivit di repressione
dei reati di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Qui abbiamo la definizione di ci che s'intende per riciclaggio e finanziamento del terrorismo ai
sensi del decreto (ai soli fini del decreto). Infatti, solo ai fini del decreto rileva la condotta di auto-
riciclaggio.
Al comma 5 vengono indicate le finalit ed il bene tutelato, cio evitare che il sistema finanziario
possa essere sfruttato per attivit che non gli sono proprie. Da notare, inoltre, che ai fini del
decreto rilevano condotte che sono state poste in essere non in modo ma allo scopo di
occultare, ecc., quindi rileva la finalit della condotta, cio basta che gli atti siano stati fatti per
quello scopo (diverso dall'art. 648).
Il comma 6 indica che la strategia complessiva del sistema si gioca sia attraverso le norme del
codice penale (art. 648-bis), sia attraverso le norme di tutela anticipata poste dal decreto. Da
notare infatti la diversit di espressioni tra attivit di repressione del codice penale e quella di
prevenzione del decreto.
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Art. 3: Principi generali.
1. Le misure di cui al presente decreto si fondano anche sulla collaborazione attiva da parte dei
destinatari delle disposizioni in esso previste, i quali adottano idonei e appropriati sistemi e
procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle
operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di
gestione del rischio, di garanzia dell'osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per
prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Essi adempiono gli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite
nell'ambito della propria attivit istituzionale o professionale.
2. I sistemi e le procedure adottati ai sensi del comma 1 rispettano le prescrizioni e garanzie
stabilite dal presente decreto e dalla normativa in materia di protezione dei dati personali.
3. Le misure di cui al presente decreto sono proporzionate al rischio di riciclaggio dei proventi di
attivit criminose o di finanziamento del terrorismo in relazione al tipo di cliente, al rapporto
continuativo, alla prestazione professionale, al prodotto o alla transazione.
4. L'applicazione delle misure previste dal presente decreto deve essere proporzionata alla
peculiarit delle varie professioni e alle dimensioni dei destinatari della presente normativa.
Il primo comma riassume il senso di tutte le disposizioni e del contenuto degli obblighi. Da notare
che parla di obblighi di natura attiva, parla di collaborazione attiva. Non si richiede solo di
adempiere agli obblighi ma di seguire, nell'ambito della loro attivit, le modalit pi idonee per
rispondere adeguatamente agli obblighi di cui sono titolari. Si richiede l'individuazione dei modi
adeguati per l'attuazione degli obblighi in modo tale da renderli coerenti con le finalit della legge.
Per questo motivo nasce il problema di individuare quel' il limite oltre il quale si considera che un
soggetto non abbia agito attivamente in modo tale per cui il giudice pu considerare che non abbia
adempiuto agli obblighi affidati. L'attivit di collaborazione deve essere proporzionata al tipo di
attivit.
Il comma 3 specifica che i soggetti affidatari degli obblighi devono adempiere la loro attivit
proporzionando il loro giudizio sul tipo di cliente e sul tipo di situazione.
Art. 6: Unit di informazione finanziaria.
1. Presso la Banca d'Italia e' istituita l'Unit di informazione finanziaria per l'Italia (UIF).
2. La UIF esercita le proprie funzioni in piena autonomia e indipendenza. In attuazione di tali
principi la Banca d'Italia disciplina con regolamento l'organizzazione e il funzionamento della UIF,
ivi compresa la riservatezza delle informazioni acquisite. La Banca d'Italia attribuisce alla UIF mezzi
finanziari e risorse idonei ad assicurare l'efficace perseguimento dei suoi fini istituzionali.
3. Il Direttore della UIF, al quale compete in autonomia la responsabilit della gestione, e' nominato
con provvedimento del Direttorio della Banca d'Italia, su proposta del Governatore della medesima
Banca d'Italia, tra persone dotate di adeguati requisiti di onorabilit, professionalit e conoscenza
del sistema finanziario. Il mandato ha la durata di cinque anni ed e' rinnovabile una sola volta.
4. Per l'efficace svolgimento dei compiti fissati dalla legge e dagli obblighi internazionali, presso la
UIF e' costituito un Comitato di esperti del quale fanno parte il Direttore e quattro membri, dotati di
adeguati requisiti di onorabilit e professionalit. I membri del Comitato sono nominati, nel
rispetto del principio dell'equilibrio di genere, con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze, sentito il Governatore della Banca d'Italia, e restano in carica tre anni, rinnovabili per altri
tre. La partecipazione al Comitato non d luogo a compensi, ne' a rimborso spese. Il Comitato e'
convocato dal Direttore della UIF con cadenza almeno semestrale. Esso cura la redazione di un
parere sull'azione dell'UIF che forma parte integrante della documentazione trasmessa alle
Commissioni parlamentari ai sensi del comma 5.
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5. Il Direttore della UIF, per il tramite del Ministro dell'economia e delle finanze, trasmette
annualmente alle competenti Commissioni parlamentari un rapporto sull'attivit svolta unitamente
a una relazione della Banca d'Italia in merito ai mezzi finanziari e alle risorse attribuite all'UIF.
6. La UIF svolge le seguenti attivit:
a) analizza i flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro o di
finanziamento del terrorismo;
b) riceve le segnalazioni di operazioni sospette di cui all'articolo 41 e ne effettua l'analisi
finanziaria;
c) acquisisce ulteriori dati e informazioni, finalizzati allo svolgimento delle proprie funzioni
istituzionali, presso i soggetti tenuti alle segnalazioni di operazioni sospette di cui all'articolo 41;
d) riceve le comunicazioni dei dati aggregati di cui all'articolo 40;
e) si avvale dei dati contenuti nell'anagrafe dei conti e dei depositi di cui all'articolo 20, comma 4,
della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e nell'anagrafe tributaria di cui all'articolo 37 del decreto-
legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;
7. La UIF, avvalendosi delle informazioni raccolte nello svolgimento delle proprie attivit: a) svolge
analisi e studi su singole anomalie, riferibili a ipotesi di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo, su specifici settori dell'economia ritenuti a rischio, su categorie di strumenti di
pagamento e su specifiche realt economiche territoriali; b) elabora e diffonde modelli e schemi
rappresentativi di comportamenti anomali sul piano economico e finanziario riferibili a possibili
attivit di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; c) pu sospendere, anche su richiesta del
Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, della DIA e dell'autorit giudiziaria, per
un massimo di cinque giorni lavorativi, sempre che ci non pregiudichi il corso delle indagini,
operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, dandone immediata notizia a
tali organi.
Istituzione del UIF = unit di informazione finanziaria. Fa da coordinamento di tutta l'attivit di
tutela anticipata ed istituita presso la Banca d'Italia. I suoi compiti corrispondono al
coordinamento del monitoraggio, segnalazione di operazioni sospette, ecc.
Vediamo ora i destinatari degli obblighi, disciplinati dagli artt. 10 14.

Art. 10: Destinatari.
1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ai soggetti indicati negli articoli 11,
12, 13 e 14.
2. Le disposizioni contenute nel presente decreto, fatta eccezione per gli obblighi di identificazione e
registrazione indicati nel Titolo II, Capi I e II, si applicano altres:
a) alle societ di gestione accentrata di strumenti finanziari;
b) alle societ di gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari e ai soggetti che
gestiscono strutture per la negoziazione di strumenti finanziari e di fondi interbancari;
c) alle societ di gestione dei servizi di liquidazione delle operazioni su strumenti finanziari;
d) alle societ di gestione dei sistemi di compensazione e garanzia delle operazioni in strumenti
finanziari;
e) alle seguenti attivit, il cui esercizio resta subordinato al possesso di licenze, da autorizzazioni,
iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio di attivit specificamente
richieste dalle norme a fianco di esse riportate:
1) commercio, comprese l'esportazione e l'importazione, di oro per finalit industriali o di
investimento, per il quale e' prevista la dichiarazione di cui all'articolo 1 della legge 17
gennaio 2000, n. 7;
2) fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l'esportazione e l'importazione di oggetti
109
preziosi, per il quale e' prevista la licenza di cui all'articolo 127 del TULPS;
3) fabbricazione di oggetti preziosi da parte di imprese artigiane, all'iscrizione nel registro
degli assegnatari dei marchi di identificazione tenuto dalle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura;
4) commercio di cose antiche di cui alla dichiarazione preventiva prevista dall'articolo 126 del
TULPS;
5) esercizio di case d'asta o galleria d'arte per il quale e' prevista alla licenza prevista
dall'articolo 115 del TULPS;
f) alle succursali italiane dei soggetti indicati nelle lettere precedenti aventi sede legale in uno stato
estero; g) agli uffici della pubblica amministrazione.

Art. 11: Intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attivit finanziaria
1. Ai fini del presente decreto per intermediari finanziari si intendono:
a) le banche;
b) Poste italiane S.p.A.;
c) gli istituti di moneta elettronica;
d) le societ di intermediazione mobiliare (SIM);
e) le societ di gestione del risparmio (SGR);
f) le societ di investimento a capitale variabile (SICAV);
g) le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all'articolo 2, comma 1, del CAP;
h) gli agenti di cambio;
i) le societ che svolgono il servizio di riscossione dei tributi; l) gli intermediari finanziari iscritti
nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del TUB;
m) gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale previsto dall'articolo 106 del TUB;
n) le succursali italiane dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede in uno Stato estero
nonch le succursali italiane delle societ di gestione del risparmio armonizzate e delle imprese di
investimento;
o) Cassa depositi e prestiti S.p.A.
2. Rientrano tra gli intermediari finanziari altres:
a) le societ fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966;
b) i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste
dall'articolo 155, comma 4, del TUB;
c) i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste
dall'articolo 155, comma 5, del TUB;
d) le succursali italiane dei soggetti indicati alle lettere a) e c) aventi sede all'estero.
3. Ai fini del presente decreto, per altri soggetti esercenti attivit finanziaria si intendono:
a) i promotori finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 31 del TUF;
b) gli intermediari assicurativi di cui all'articolo 109, comma 2, lettere a) e b) del CAP che operano
nei rami di cui al comma 1, lettera g);
c) i mediatori creditizi iscritti nell'albo previsto dall'articolo 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108;
d) gli agenti in attivit finanziaria iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo
25 settembre 1999, n. 374.
4. I soggetti di cui al comma 1, lettera n), e comma 2, lettera d), osservano gli obblighi di adeguata
verifica della clientela e di conservazione anche attraverso misure e procedure equivalenti a quelle
stabilite dal presente decreto, fermo restando quanto previsto dall'articolo 5 del Codice in materia
di protezione dei dati personali. Qualora la legislazione del Paese terzo non consenta l'applicazione
di misure equivalenti, gli intermediari finanziari sono tenuti a darne notizia all'autorit di vigilanza
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di settore.
5. I soggetti esercenti attivit finanziaria di cui al comma 3, adempiono agli obblighi di
registrazione con la comunicazione di cui all'articolo 36, comma 4.
6. Le linee di condotta e le procedure applicate in materia degli obblighi stabiliti dal presente
decreto dagli intermediari finanziari a succursali e filiali controllate a maggioranza situate in Paesi
terzi, sono comunicate all'autorit di vigilanza di settore.

Art. 12: Professionisti.
1. Ai fini del presente decreto per professionisti si intendono:
a) i soggetti iscritti nell'albo dei ragionieri e periti commerciali, nell'albo dei dottori commercialisti e
nell'albo dei consulenti del lavoro;
b) ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da periti, consulenti e altri soggetti che svolgono in
maniera professionale attivit in materia di contabilit e tributi;
c) i notai e gli avvocati quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi
operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella
predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:
1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attivit
economiche;
2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;
3) l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
4) l'organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o
all'amministrazione di societ;
5) la costituzione, la gestione o l'amministrazione di societ, enti, trust o soggetti
giuridici analoghi;
d) i prestatori di servizi relativi a societ e trust ad esclusione dei soggetti indicati dalle lettere a), b)
e c).
2. L'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all'articolo 41 non si applica ai soggetti
indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o
ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o
dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento
giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualit di intentare
o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il
procedimento stesso.
3. Gli obblighi di cui al Titolo II, Capo I e II, non si osservano in relazione allo svolgimento della mera
attivit di redazione e/o di trasmissione della dichiarazione dei redditi e degli adempimenti in
materia di amministrazione del personale di cui all'articolo 2, primo comma, della legge 11 gennaio
1979, n. 12.

Art. 13: Revisori contabili.
1. Ai fini del presente decreto per revisori contabili si intendono: a) le societ di revisione iscritte
nell'albo speciale previsto dall'articolo 161 del TUF; b) i soggetti iscritti nel registro dei revisori
contabili.
2. I soggetti indicati nel comma 1 osservano le disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2.

Art. 14: Altri soggetti.
1. Ai fini del presente decreto per altri soggetti si intendono gli operatori che svolgono le attivit
di seguito elencate, il cui esercizio resta subordinato al possesso delle licenze, autorizzazioni,
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iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio attivit specificatamente
richieste dalla norme a fianco di esse riportate:
a) recupero di crediti per conto terzi, in presenza della licenza di cui all'articolo 115 del TULPS;
b) custodia e trasporto di denaro contante e di titoli o valori a mezzo di guardie particolari giurate,
in presenza della licenza di cui all'articolo 134 del TULPS;
c) trasporto di denaro contante, titoli o valori senza l'impiego di guardie particolari giurate, in
presenza dell'iscrizione nell'albo delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di
cose per conto di terzi, di cui alla legge 6 giugno 1974, n. 298;
d) gestione di case da gioco, in presenza delle autorizzazioni concesse dalle leggi in vigore, nonch'
al requisito di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito,
con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30;
e) offerta, attraverso la rete internet e altre reti telematiche o di telecomunicazione, di giochi,
scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro, in presenza delle autorizzazioni concesse dal
Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ai sensi
dell'articolo 1, comma 539, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
f) agenzia di affari in mediazione immobiliare, in presenza dell'iscrizione nell'apposita sezione del
ruolo istituito presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ai sensi della
legge 3 febbraio 1989, n. 39.
Obblighi per le banche erano gi previsti prima del decreto, ma qui vengono sintetizzati.
Novit importante invece l'art. 12 che attribuisce gli obblighi anche ai professionisti (dottori
commercialisti, consulenti del lavoro, notai e avvocati che assistono i loro clienti per operazioni
finanziarie o immobiliari). Al comma 2 precisa che gli obblighi di segnalazione sono esclusi quando
l'attivit dell'avvocato quella tipica di difesa o rappresentanza, cio la tipica attivit forense.
Vediamo ora gli obblighi che il decreto elenca. In base alla tipologia possiamo distinguere 4 gruppi
di obblighi:
il primo gruppo riguarda gli obblighi di adeguata verifica della clientela (per chi fatta
l'operazione e che tipo di operazione si sta facendo); artt. 15 e ss.
Il secondo gruppo riguarda gli obblighi di registrazione, volti a mantenere la rintracciabilit
delle operazioni; artt. 36 e ss.
Il terzo gruppo riguarda gli obblighi di segnalazione di operazioni sospette; l'obbligo pi
pregnante perch va oltre quello della semplice conservazione dei dati ma comporta
l'adempimento di una iniziativa; artt. 41 e ss.
Il quarto gruppo concerne gli obblighi derivanti dalle norme sulle limitazioni alle operazioni
con denaro contante; artt. 49 e ss.
PRIMO GRUPPO:

art. 16 Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte dei professionisti e dei revisori
contabili.
1. I professionisti di cui all'articolo 12 osservano gli obblighi di adeguata verifica della clientela nello
svolgimento della propria attivit professionale in forma individuale, associata o societaria, nei
seguenti casi:
a) quando la prestazione professionale ha ad oggetto mezzi di pagamento, beni od utilit di valore
pari o superiore a 15.000 euro;
b) quando eseguono prestazioni professionali occasionali che comportino la trasmissione o la
movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro,
indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con pi operazioni
che appaiono collegate o frazionate;
112
c) tutte le volte che l'operazione sia di valore indeterminato o non determinabile. Ai fini dell'obbligo
di adeguata verifica della clientela, la costituzione, gestione o amministrazione di societ, enti,
trust o soggetti giuridici analoghi integra in ogni caso un'operazione di valore non determinabile;
d) quando vi e' sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da
qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;
e) quando vi sono dubbi sulla veridicit o sull'adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini
del-l'identificazione di un cliente.
2. I revisori contabili di cui all'articolo 13 osservano gli obblighi di identificazione del cliente e di
verifica dei dati acquisiti nello svolgimento della propria attivit professionale in forma individuale,
associata o societaria, nei casi indicati alle lettere a), d) ed e) del comma 1.

Art. 19 modalit di adempimento degli obblighi.
1. L'adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, di cui all'articolo 18, avviene
sulla base delle modalit di seguito descritte:
a) l'identificazione e la verifica dell'identit del cliente e del titolare effettivo e' svolta, in presenza
del cliente, anche attraverso propri dipendenti o collaboratori, mediante un documento d'identit
non scaduto, tra quelli di cui all'allegato tecnico, prima dell'instaurazione del rapporto continuativo
o al momento in cui e' conferito l'incarico di svolgere una prestazione professionale o
dell'esecuzione dell'operazione. Qualora il cliente sia una societ o un ente e' verificata l'effettiva
esistenza del potere di rappresentanza e sono acquisite le informazioni necessarie per individuare e
verificare l'identit dei relativi rappresentanti delegati alla firma per l'operazione da svolgere;
b) l'identificazione e la verifica dell'identit del titolare effettivo e' effettuata contestualmente
all'identificazione del cliente e impone, per le persone giuridiche, i trust e soggetti giuridici
analoghi, l'adozione di misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio per comprendere
la struttura di propriet e di controllo del cliente. Per identificare e verificare l'identit del titolare
effettivo i soggetti destinatari di tale obbligo possono decidere di fare ricorso a pubblici registri,
elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque contenenti informazioni sui titolari effettivi,
chiedere ai propri clienti i dati pertinenti ovvero ottenere le informazioni in altro modo;
c) il controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale si attua
analizzando le transazioni concluse durante tutta la durata di tale rapporto in modo da verificare
che tali transazioni siano compatibili con la conoscenza che l'ente o la persona tenuta
all'identificazione hanno del proprio cliente, delle sue attivit commerciali e del suo profilo di
rischio, avendo riguardo, se necessario, all'origine dei fondi e tenendo aggiornati i documenti, i dati
o le informazioni detenute.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, pu
adottare, con proprio decreto, disposizioni attuative per l'esecuzione degli adempimenti di cui al
comma 1.

Art. 20 approccio basato sul rischio.
1. Gli obblighi di adeguata verifica della clientela sono assolti commisurandoli al rischio associato al
tipo di cliente, rapporto continuativo, prestazione professionale, operazione, prodotto o transazione
di cui trattasi. Gli enti e le persone soggetti al presente decreto devono essere in grado di
dimostrare alle autorit competenti di cui all'articolo 7, ovvero agli ordini professionali di cui
all'articolo 8, che la portata delle misure adottate e' adeguata all'entit del rischio di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo. Per la valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo, gli enti e le persone soggetti osservano le istruzioni di cui all'articolo 7, comma 2,
nonch i seguenti criteri generali:
113
a) con riferimento al cliente:
1) natura giuridica;
2) prevalente attivit svolta;
3) comportamento tenuto al momento del compimento dell'operazione o dell'instaurazione del
rapporto continuativo o della prestazione professionale;
4) area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte;
b) con riferimento all'operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale:
1) tipologia dell'operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale posti in
essere;
2) modalit di svolgimento dell'operazione, rapporto continuativo o prestazione
professionale;
3) ammontare;
4) frequenza delle operazioni e durata del rapporto continuativo o della prestazione
professionale;
5) ragionevolezza dell'operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale
in rapporto all'attivit svolta dal cliente;
6) area geografica di destinazione del prodotto, oggetto dell'operazione o del rapporto
continuativo.

Art. 23 obbligo di astensione obbligo di astenersi dall'instaurare un rapporto se soggetto non
in grado di adempiere all'obbligo di verifica.
1. Quando gli enti o le persone soggetti al presente decreto non sono in grado di rispettare gli
obblighi di adeguata verifica della clientela stabiliti dall'articolo 18, comma 1, lettere a), b) e c),
non possono instaurare il rapporto continuativo ne' eseguire operazioni o prestazioni professionali
ovvero pongono fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale gi in essere e
valutano se effettuare una segnalazione alla UIF, a norma del Titolo II, Capo III.
3. Gli enti e le persone soggetti al presente decreto si astengono dall'eseguire le operazioni per le
quali sospettano vi sia una relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo e
inviano immediatamente alla UIF una segnalazione di operazione sospetta.
4. Nei casi in cui l'astensione non sia possibile in quanto sussiste un obbligo di legge di ricevere
l'atto ovvero l'esecuzione dell'operazione per sua natura non possa essere rinviata o l'astensione
possa ostacolare le indagini, gli enti e le persone soggetti al presente decreto informano la UIF
immediatamente dopo aver eseguito l'operazione.
I soggetti di cui all'articolo 12, comma 1, lettere a), b) e c), e all'articolo 13, non sono obbligati ad
applicare il comma 1 nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o
dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento
giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualit di intentare
o evitare un procedimento.

SECONDO GRUPPO: (leggere)

TERZO GRUPPO:

Art. 41 segnalazione di operazioni sospette.
1. I soggetti indicati negli articoli 10, comma 2, 11, 12, 13 e 14 inviano alla UIF, una segnalazione di
operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano
in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del
114
terrorismo. Il sospetto e' desunto dalle caratteristiche, entit, natura dell'operazione o da
qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche
della capacit economica e dell'attivit svolta dal soggetto cui e' riferita, in base agli elementi a
disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito dell'attivit svolta ovvero a seguito del
conferimento di un incarico.
2. Al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette, su proposta della UIF sono
emanati e periodicamente aggiornati indicatori di anomalia:
a) per i soggetti indicati nell'articolo 10, comma 2, dalla lettera a) alla lettera d), e lettera f), per gli
intermediari finanziari e gli altri soggetti che svolgono attivit finanziaria di cui all'articolo 11 e per
i soggetti indicati all'articolo 13, comma 1, lettera a), ancorch contemporaneamente iscritti al
registro dei revisori, con provvedimento della Banca d'Italia;
b) per i professionisti di cui all'articolo 12 e per i revisori contabili indicati all'articolo 13, comma 1,
lettera b), con decreto del Ministro della giustizia, sentiti gli ordini professionali;
c) per i soggetti indicati nell'articolo 10, comma 2, lettere e) e g), e per quelli indicati nell'articolo 14
con decreto del Ministro dell'interno.
3. Gli indicatori di anomalia elaborati ai sensi del comma 2 sono sottoposti prima della loro
emanazione al Comitato di sicurezza finanziaria per assicurarne il coordinamento.
4. Le segnalazioni sono effettuate senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l'operazione,
appena il soggetto tenuto alla segnalazione viene a conoscenza degli elementi di sospetto.
5. I soggetti tenuti all'obbligo di segnalazione si astengono dal compiere l'operazione finche' non
hanno effettuato la segnalazione, tranne che detta astensione non sia possibile tenuto conto della
normale operativit, o possa ostacolare le indagini.
6. Le segnalazioni di operazioni sospette effettuate ai sensi e per gli effetti del presente capo, non
costituiscono violazione degli obblighi di segretezza, del segreto professionale o di eventuali
restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative e, se poste in essere per le finalit ivi previste e in
buona fede, non comportano responsabilit di alcun tipo.
Questo articolo lascia discrezionalit di apprezzamento costruita su termini estesi.
Quando hanno...motivi ragionevoli per sospettare presupposto dell'obbligo di segnalazione
che ci siano sospetto o motivi ragionevoli per sospettare. L'inciso sembrerebbe significare che il
soggetto deve averne la consapevolezza della presenza dei motivi ragionevoli per sospettare. Non
sembra dire che ci devono essere ma il soggetto li deve avere.

Art. 45 riservatezza sul nome del segnalante.
1. I soggetti obbligati alla segnalazione ai sensi dell'articolo 41 adottano adeguate misure per
assicurare la massima riservatezza dell'identit delle persone che effettuano la segnalazione. Gli
atti e i documenti in cui sono indicate le generalit di tali persone sono custoditi sotto la diretta
responsabilit del titolare dell'attivit o del legale rappresentante o del loro delegato.
2. Gli ordini professionali di cui all'articolo 43, comma 2, adottano adeguate misure per assicurare
la massima riservatezza dell'identit dei professionisti che effettuano la segnalazione. Gli atti e i
documenti in cui sono indicate le generalit di tali persone sono custoditi sotto la diretta
responsabilit del presidente o di un soggetto da lui delegato.
3. La UIF, la Guardia di finanza e la DIA possono richiedere ulteriori informazioni ai fini dell'analisi o
dell'approfondimento investigativo della segnalazione ai sensi dell'articolo 47 al soggetto che ha
effettuato la segnalazione secondo le seguenti modalit: a) nel caso di segnalazione effettuata con
le modalit di cui agli articoli 42 e 44, le informazioni sono richieste all'intermediario finanziario o
alla societ di revisione di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a); b) nel caso degli ordini
115
professionali individuati ai sensi dell'articolo 43, comma 2, le informazioni sono richieste all'ordine
competente; c) nel caso di segnalazione effettuata da professionista che non si avvale dell'ordine
professionale, ovvero dagli altri soggetti di cui agli articoli 10, comma 2, lettere e), 13, comma 1,
lettera b), e 14, le informazioni sono richieste al segnalante, adottando adeguate misure al fine di
assicurare la riservatezza di cui al comma 5.
4. La trasmissione delle segnalazioni di operazioni sospette, le eventuali richieste di
approfondimenti, nonch gli scambi di informazioni, attinenti alle operazioni sospette segnalate,
tra la UIF, la Guardia di finanza, la DIA, le autorit di vigilanza e gli ordini professionali avvengono
per via telematica, con modalit idonee a garantire la riferibilit della trasmissione dei dati ai soli
soggetti interessati, nonch' l'integrit delle informazioni trasmesse.
5. La UIF, la Guardia di finanza e la DIA adottano, anche sulla base di protocolli d'intesa e sentito il
Comitato di sicurezza finanziaria, adeguate misure per assicurare la massima riservatezza
dell'identit dei soggetti che effettuano le segnalazioni.
6. In caso di denuncia o di rapporto ai sensi degli articoli 331 e 347 del codice di procedura penale,
l'identit delle persone fisiche che hanno effettuato le segnalazioni, anche qualora sia conosciuta,
non e' menzionata.
7. L'identit delle persone fisiche pu essere rivelata solo quando l'autorit giudiziaria, con decreto
motivato, lo ritenga indispensabile ai fini dell'accertamento dei reati per i quali si procede.
8. Fuori dalle ipotesi di cui al comma 7, in caso di sequestro di atti o documenti si adottano le
necessarie cautele per assicurare la riservatezza dell'identit delle persone fisiche che hanno
effettuato le segnalazioni.
Affrontiamo ora la parte delle sanzioni:

art. 55 sanzioni penali.
1. Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, chiunque contravviene alle disposizioni contenute
nel Titolo II, Capo I, concernenti l'obbligo di identificazione, e' punito con la multa da 2.600 a
13.000 euro.
2. Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, l'esecutore dell'operazione che omette di indicare le
generalit del soggetto per conto del quale eventualmente esegue l'operazione o le indica false e'
punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa da 500 a 5.000 euro.
3. Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, l'esecutore dell'operazione che non fornisce
informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto continuativo o dalla prestazione
professionale o le fornisce false e' punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da
5.000 a 50.000 euro.
4. Chi, essendovi tenuto, omette di effettuare la registrazione di cui all'articolo 36, ovvero la
effettua in modo tardivo o incompleto e' punito con la multa da 2.600 a 13.000 euro.
5. Chi, essendovi tenuto, omette di effettuare la comunicazione di cui all'articolo 52, comma 2, e'
punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da 100 a 1.000 euro.
6. Qualora gli obblighi di identificazione e registrazione siano assolti avvalendosi di mezzi
fraudolenti, idonei ad ostacolare l'individuazione del soggetto che ha effettuato l'operazione, la
sanzione di cui ai commi 1, 2 e 4 e' raddoppiata.
7. Qualora i soggetti di cui all'articolo 11, commi 1, lettera h), e 3, lettere c) e d), omettano di
eseguire la comunicazione prevista dall'articolo 36, comma 4, o la eseguano tardivamente o in
maniera incompleta, si applica la sanzione di cui al comma 4.
8. Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, chi, essendovi tenuto, viola i divieti di comunicazione
di cui agli articoli 46, comma 1, e 48, comma 4, e' punito con l'arresto da sei mesi a un anno o con
l'ammenda da 5.000 a 50.000 euro.
116
9. Chiunque, al fine di trarne profitto per se' o per altri, indebitamente utilizza, non essendone
titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al
prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, e' punito con la
reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi,
al fine di trarne profitto per se' o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o
qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o
alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza
illecita o comunque falsificati o alterati, nonch ordini di pagamento prodotti con essi.
prevista una sanzione penale con la multa principalmente per inadempimenti degli obblighi di
identificazione.
un delitto quindi ci deve essere dolo (per il dolo eventuale vedi sotto).
Al comma 9 abbiamo un reato a se stante, cio il reato di utilizzazione indebita di carte di credito.

Artt. 56 e ss sanzioni amministrative in particolare sono previste sanzioni amministrative per
le violazioni degli obblighi di registrazione.

Art. 57.
1. Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto del provvedimento di sospensione di cui
all'articolo 6, comma 7, lettera c), e' punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a
200.000 euro.
2. L'omessa istituzione dell'archivio unico informatico di cui all'articolo 37 e' punita con una
sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 500.000 euro. Nei casi pi gravi, tenuto conto della
gravit della violazione desunta dalle circostanze della stessa e dalla sua durata nel tempo, con il
provvedimento di irrogazione della sanzione e' ordinata al sanzionato la pubblicazione per estratto
del decreto sanzionatorio su almeno due quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico, a
cura e spese del sanzionato.
3. L'omessa istituzione del registro della clientela di cui all'articolo 38 ovvero la mancata adozione
delle modalit di registrazione di cui all'articolo 39 e' punita con una sanzione amministrativa
pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
4. Salvo che il fatto costituisca reato, l'omessa segnalazione di operazioni sospette e' punita con
una sanzione amministrativa pecuniaria dall'1 per cento al 40 per cento dell'importo
dell'operazione non segnalata. Nei casi pi gravi, tenuto conto della gravit della violazione
desunta dalle circostanze della stessa e dall'importo dell'operazione sospetta non segnalata, con il
provvedimento di irrogazione della sanzione e' ordinata la pubblicazione per estratto del decreto
sanzionatorio su almeno due quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico, a cura e spese
del sanzionato.
5. Le violazioni degli obblighi informativi nei confronti della UIF sono punite con una sanzione
amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
prevista all'art. 57 una sanzione amministrativa estremamente rilevante (dall'1% al 40%
dell'importo dell'operazione non segnalata) vedi maggiore incisivit della sanzione
amministrativa nell'ambito economico.
Al comma 4 salvo che il fatto non costituisca reato di regola il principio di specialit vale
anche tra illecito penale e illecito amministrativo. Qui per si dice che questa norma generale non
si applica, perch prevale l'illecito penale su quello amministrativo.
Potrebbe il comportamento di mancata segnalazione essere incriminato per dolo eventuale? E qui
ci ricolleghiamo al dubbio che avevamo espresso sul dolo eventuale nel reato di riciclaggio.

117
Configurabilit nel riciclaggio del dolo eventuale.
un problema molto delicato capire l'intenzione di una persona. Poniamo il caso dell'operatore
bancario che compie delle operazioni ma non ha intenzione di commettere riciclaggio, ma c' il
sospetto che possa commetterlo.
molto difficile capire che cosa pensava una persona nel momento in cui ha agito, perci i giudici
fanno riferimento ad indizi concreti.
Innanzitutto bisogna ricordare che non sempre un obbligo di fare comporta necessariamente un
obbligo di impedire, ma occorre che la legge si esprima esplicitamente in tal senso.
Nel caso del riciclaggio siamo di fronte ad una condotta attiva e non omissiva e dobbiamo
verificare se il soggetto possa essere imputato per dolo eventuale, quindi che aveva il sospetto di
commettere riciclaggio ma ha agito accettandone il rischio.
La problematica sul dolo eventuale nel riciclaggio poteva essere esclusa se questa azione fosse
stata gi prevista come illecito amministrativo. L'illecito amministrativo per escluso se
quell'azione costituisce anche reato.
Quindi come ci dobbiamo comportare di fronte all'operatore bancario? Va punito per riciclaggio
tout court, come dolo intenzionale?
Per poter giustificare un temperamento del trattamento sanzionatorio possiamo fare riferimento al
d.lgs 231/2007.
Art. 16 lettera d) obblighi di adeguata verifica della clientela prevede il caso in cui vi
sospetto di riciclaggio. La norma pone il dovere di verificare se c' violazione e se c' stata si
provveder con le sanzioni ex art 55 del decreto.
Il riciclaggio ha la sua matrice nella ricettazione (art. 648 c.p.).
Se un soggetto non ha la certezza che una determinata cosa sia rubata ma lo sospetta e
nonostante ci la nasconde, pu essere accusato per dolo eventuale? Secondo la maggior parte
della dottrina la risposta negativa perch s'instaura invee la contravvenzione di incauto acquisto
(art. 712 c.p.).
Abbiamo visto che il dolo eventuale viene fatto ricadere nella nozione di accettazione del rischio.
Quindi secondo la maggior parte della dottrina l'art. 712 c.p. comprende non solo la condotta
colposa ma anche quella posta in essere per dolo eventuale. Quindi in questo caso non ci sarebbe
ricettazione perch affinch si configuri il reato occorre la consapevolezza che la cosa derivi da
reato.
Questa opinione della dottrina poteva essere un'ottima giustificazione per non applicare il dolo
eventuale al riciclaggio e quindi si dovrebbero applicare gli illeciti specifici del d.lgs. 231.
Interviene per una sentenza della Cassazione a sezioni unite il 26 novembre 2009. gi in
precedenza c'erano state sentenze nell'uno e nell'altro senso e per la Cassazione interviene qui a
Sezioni Unite.
Questa sentenza va contro la dottrina maggioritaria che estende l'applicazione fatta per la
ricettazione al riciclaggio, ma da una definizione restrittiva del dolo eventuale (si tratta di una
sentenza a doppia faccia).
Secondo quanto afferma la sentenza: nell'art. 648 si fa riferimento ad una verifica che la cosa derivi
da reato. Mentre nell'art. 712 non richiede questa verifica ma bastano i dubbi (anche se tuttavia i
dubbi nascono da qualche verifica).
La corte vedendo questa differenza tra le due norme (differenza pi testuale che contenutistica)
non voleva ammettere che ci fossero dei delitti per i quali per via puramente interpretativa non si
poteva applicare il dolo eventuale, senza l'appiglio ad un riferimento testuale di legge
(intenzionalmente avverbio che ritroviamo spesso).
Ma per la prima volta la Cassazione definisce il dolo eventuale in una accezione pi ristretta: il dolo
118
eventuale, sostiene, ravvisabile quando l'agente non avrebbe agito diversamente se avesse avuto
anche la certezza ( definizione di Frank del dolo eventuale).
La corte ritiene quindi che il dolo eventuale configurabile nella ricettazione, ma ne d una
definizione pi ristretta, diversa da quella dell'accettazione del rischio. Infatti la dimostrazione che
bisogner dare per provare il dolo eventuale sar molto pi difficile.
L'attribuibilit del dolo eventuale molto rara perch bisogna dare la prova non dell'accettazione
ma che avrebbe agito ugualmente nonostante la certezza della provenienza della cosa da reato.
Tuttavia, quanto incider questa sentenza in futuro, data la sua obsolescenza, non dato saperlo.
La novit sta proprio nel fatto che con questa sentenza il pericolo di incriminazione di un operatore
bancario onesto diventato molto difficile.

DELITTI IN MATERIA DI RELIGIONE.
Sono dei reati configurati dal Codice Rocco agli articoli 402 e ss. Occorre precisare come il codice
penale sia del 1930, periodo di regime fascista successivo ai patti Lateranensi e l'inserimento di
questi reati nel codice ha avuto principalmente una funzione di ossequio, cio si tratta di una
strumentalizzazione per attirare il favore della Chiesa al regime. Infatti i codici pre-unitari erano
soliti porre tra i posti pi rilevanti proprio i delitti in materia di religione.
La struttura educativa della Chiesa Cattolica veniva inglobata nella dimensione educativa dello
Stato. Nasce cos il concetto di religione di stato.

402. Vilipendio della religione dello Stato. (abrogato)
Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato punito con la reclusione fino a un anno.

Art. 403. Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone.
Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa,
punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a
chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.

Art. 404. Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose.
Chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una
confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano
consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, ovvero commette il
fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, punito
con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge,
disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano
consacrate al culto o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto punito con la
reclusione fino a due anni.

Art. 405. Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa.
Chiunque impedisce o turba l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una
confessione religiosa, le quali si compiano con l'assistenza di un ministro del culto medesimo o in un
luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, punito con la reclusione fino
a due anni. Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da
uno a tre anni.

Art. 406. Delitti contro i culti ammessi nello Stato. (abrogato)
Chiunque commette uno dei fatti preveduti dagli articoli 403, 404 e 405 contro un culto ammesso
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nello Stato punito ai termini dei predetti articoli, ma la pena diminuita.
L'art. 402, vilipendio, tutela la religione cattolica in quanto tale, mente gli articoli 403, 404 e 405
non tutelano la religione in quanto tale ma solo nel momento in cui una certa condotta incida sulla
persona che professa la religione o su un bene oggetto del culto. L'art. 406, invece, estende
l'applicabilit degli articoli 403, 404 e 405 di tutela mediata anche ad altre confessioni religiose, ma
con una pena diminuita.
Questo impianto era quello originario del codice del 1930 ma successivamente risult
incostituzionale e venne pi avanti modificato dalla legge 24 febbraio 2006 n. 85 che abrog gli
articoli 402 e 406.
Mentre l'art. 402 stato abrogato, gli articoli 403, 404 e 405 sono rimasti in vigore. Questi
prevedono una tutela della religione in generale e, quindi, senza pi distinzioni, in via mediata: la
tutela alla religione avviene solamente in quanto una certa condotta abbia interessato persone o
cose. La condotta deve, quindi, incidere sulla persona che sta professando la religione o su un
oggetto di culto, deve cio esserci la tutela ad un bene giuridico preciso (persone o cose), la cui
protezione porta anche a tutelare indirettamente la religione, in quanto i beni risultano collegati
con la religione stessa, cosicch tutelando gli uni si tutela anche la confessione religiosa (tutela
mediata).
Come detto sopra il cammino per i delitti in materia religiosa fu molto travagliato, nacquero come
ossequi formali del fascismo alla religione Cattolica, quindi, inizialmente, non vi fu alcuna
attenzione per gli altri credi religiosi. Solo successivamente si arriv ad estendere la tutela anche
ad altre confessioni, grazie allart. 406, il quale prevedeva per unattenzione differente ed inferiore
alle religioni che non fossero il cattolicesimo: erano protette, ma gli autori venivano colpiti, per gli
stessi reati, con pene inferiori rispetto a quelle previste contro la religione di Stato.
Con lavvento della Costituzione naturalmente entra in campo lidea secondo cui non si pu
tutelare unistituzione se questa non sia finalizzata alla primaria tutela dei diritti fondamentali
dell'uomo: non si pu tutelare la religione Cattolica in quanto tale, perch questa non un bene
giuridico rilevante, non un diritto inviolabile degli uomini. Lo invece la libert religiosa in
generale, senza alcun riferimento ad una religione di Stato, allora questa s che risulta passibile di
tutela a livello penale e costituzionale. Si parla, quindi, per la prima volta di tutela della religione in
generale, di libert religiosa generalmente considerata, non si sta pi parlando dellistituzione della
Chiesa Cattolica.

Vicende costituzionali degli articoli in materia di delitti religiosi. Il primo articolo a passare al
vaglio della Corte Costituzionale fu proprio l'art. 402, contro il vilipendio alla religione di Stato e
proprio tale qualificazione religione di Stato fu il centro della questione. Con la Costituzione si
poteva intendere come implicitamente venuto meno il concetto di cui si dibatte, ma ci si pose in
quel caso esplicitamente il dubbio sulla sua costituzionalit, cio se una tale previsione poteva
andare in contrasto con l'art. 3 Cost. sul principio di uguaglianza. Altra questione fu quella
sull'opportunit di tutelare con una norma penale il sentimento religioso.
In un primo momento la Corte salva lart 402, perch per religione di Stato si intende la religione
Cattolica e solo nell'ambito dei reati contro la religione era definita cos. dire religione di Stato
sinonimo, in Italia, di religione Cattolica; inoltre la religione Cattolica era quella professata dalla
maggioranza dei cittadini italiani e aveva avuto importanti influenze sulla cultura politico-sociale
del paese e ci giustificava la sua particolare tutela da parte del codice penale.
Si disse che non sussisteva alcun problema di libert religiosa. Infatti, intendere la religione di Stato
come quella Cattolica non portava ad alcuna discriminazione nei confronti delle altre religioni,
perch la sua tutela particolare era giustificata; tuttavia una prospettiva che non poneva al centro
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la libert religiosa, perch se cos fosse non sarebbe giustificata una tutela speciale della religione
cattolica. In un primo momento la Corte resta legata, quindi, a valutazioni di carattere storico-
demografico.
La svolta arriva nel 2000, quando la Corte muta proprio il suo indirizzo ed arriva allabrogazione in
toto dell'art. 402, sulla base proprio del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Unosservazione che
si pu subito rilevare che, se il problema fosse stato solo la violazione del principio di
uguaglianza, si sarebbero potute semplicemente togliere le parole di Stato vicino alla parola
religione, cosicch si sarebbe parlato di religione in generale, di religione in quanto tale,
intendendo quindi ogni confessione senza discriminazioni. Perch invece si scelta la strada
dellabrogazione totale?
Per rispondere andiamo a guardare gli articoli 403-404-405. Questi erano s estesi ad ogni
confessione, ma a norma dell'art. 406 la loro applicazione a tutela di altre confessioni ammesse
dallo Stato portava ad una diminuzione delle pene per gli autori dei reati.
Il meccanismo previsto dall'art. 406 creava problemi di contrasto con gli articoli precedenti. La
Corte, davanti a questo ulteriore problema, aveva due strade percorribili: 1) abrogare l'art. 406
dove si configuravano le diminuzioni di pena per le altre religioni (mantenendo le pene elevate); 2)
applicare l'art. 406 estendendolo anche alla religione Cattolica, cio diminuire a tutti le pene e
renderle uguali per tutte le confessioni.
La strada scelta dalla Corte fu quella al n 2, ovvero applicare a tutti i reati, contro tutte le
confessioni, le pene diminuite comerano previste nell'art. 406 per le sole religioni diverse da
quella di Stato, abrogando poi, con la legge del 2006, l'art. 406. In entrambi i casi di
incostituzionalit (artt. 402 e 406) la Corte ha agito al ribasso, cio con abrogazione dell'art. 402 e
con diminuzione e parificazione delle pene verso tutte le confessioni reinterpretando l'art. 406.
La risposta alla domanda che ci siamo posti sopra si ha nella riserva di legge: applicare a tutti pene
maggiori, estendere a tutte le confessioni il vilipendio (togliendo dall'art. 402 la sola parola di
stato), avrebbe portato ad unestensione dellambito del punibile, estensione che si sarebbe
generata da uninterpretazione costituzionale e questo avrebbe portato ad una violazione del
principio di riserva di legge, per il quale lestensione dellambito del punibile, e la penalizzazione,
possono essere configurati solamente attraverso lo strumento della legge, per questioni
garantistiche: in materia penale c una riserva assoluta di legge. Quando le interpretazioni
arrivano ad agire in bonam partem, intese a ridurre, invece, lambito del punibile, allora possono
essere fatte dalla Corte senza violare il principio di riserva di legge, cos come le norme favorevoli
rilevano oggettivamente, mentre quelle sfavorevoli solamente se conosciute o conoscibili e
presenti al momento di commissione del fatto, cos come quelle favorevoli retroagiscono, mentre
quelle sfavorevoli sono irretroattive.

Questioni di portata generale sulle interpretazioni costituzionali in chiave penale. Sono
sindacabili alla Corte Costituzionale norme favorevoli, cio in bonam partem? Il problema che si
pone quindi se la Corte Costituzionale possa decidere una questione sollevata su una norma
favorevole allimputato, facendola diventare, con la proprio interpretazione, sfavorevole.
Si tenga presente che per poter sollevare alla Corte una questione di natura costituzionale questa
deve risultare innanzitutto incidentale al processo a quo, ma deve anche essere rilevante ai fini
della risoluzione dello stesso. Uninterpretazione su una norma favorevole, invece, risulta essere
irrilevante ai fini del processo a quo, con conseguente improponibilit della questione. La
conclusione che il quesito su una norma favorevole risulta improponibile, essendo questo
irrilevante nel processo a quo. Ma perch sarebbe irrilevante tale questione?
Si parla di un'interpretazione che deve essere emessa dalla Corte su una norma a favore
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allimputato, che diventerebbe in malam partem (visto che lalternativa posta davanti alla Corte
lasciare la norma favorevole oppure interpretarla in senso pi restrittivo per limputato). Si pensi a
titolo di esempio ad una norma che stabilisse unimpunit, e su questa venisse sollevata la
questione costituzionale per dichiararne lincostituzionalit: se fosse accolta la questione il
soggetto non avrebbe pi la norma che lo salvava dalla sanzione penale, poich il fatto a cui ha
dato luogo diventerebbe antigiuridico. Se si applicasse, quindi, la nuova interpretazione anche al
processo in corso (come una questione costituzionale normalmente prevede), agendo
retroattivamente, linterpretazione in malam partem andrebbe a sfavore dellimputato, che
potrebbe ora essere condannato, quando per egli aveva agito confidando nella norma
sullimpunit che, al tempo dellazione commessa, lo scusava.
Lirrilevanza della questione per il processo a quo si desume, quindi, dallirretroattivit delle norme
in malam partem, le quali operano solo per il futuro e non possono applicarsi retroattivamente.
Per non parlare del principio di stretta legalit, secondo cui lestensione dellambito del punibile si
pu fare solamente tramite la legge, e nessun altro strumento. Non si hanno, invece, violazioni al
principio di riserva di legge se uninterpretazione riduca lambito del punibile (vedi loperare della
corte nei delitti in materia di religione). Il principio da tenere ora in considerazione che le
interpretazioni in malam partem, su norme favorevoli della corte, sono irretroattive e quindi sono
irrilevanti, perch non sarebbero mai applicate nel processo a quo data lirretroattivit della
decisione e perch limputato pu vedersi applicate le norme favorevoli esistenti al momento del
fatto (non applicando linterpretazione della corte in malam partem), cos come solo le norme
sfavorevoli in vigore al momento del fatto.
La problematica vista sopra pone in luce lirrilevanza di una questione su norma favorevole per il
processo in corso, perch le interpretazioni in malam partem non sono retroattive (altrimenti
violerebbero il principio di legalit sullestensione del punibile solo a norma di una legge), anche
perch nel momento di commissione del fatto non cera la norma incriminatrice (come lha
interpretata la Corte), ma solo quella favorevole, ed alla luce della norma favorevole che lautore
ha regolato e programmato la sua condotta, decidendo di agire.
Quindi risulta insindacabile per due ragioni: 1) per irrilevanza perch irretroattiva e quindi non
applicabile al processo in corso; 2) perch, accogliendo la questione d'incostituzionalit su norma
in bonam partem, la Corte amplierebbe l'ambito del punibile e agirebbe in contrasto con il
principio di riserva di legge su norma penale.

La problematica dellirragionevolezza di una norma in bonam partem: eccezione
allirretroattivit dellinterpretazione della corte.
Tuttavia la Corte non pu sempre abrogare completamente una norma per evitare di incorrere
nella violazione della riserva di legge (come avvenuto con l'art. 402 in materia di reati contro la
religione), perch a volte potrebbe portare a conseguenze gravi ed estendere eccessivamente
l'ambito di applicazione della norma favorevole (ad es. si pensi all'abrogazione di una norma contro
il furto).
Dato che non sempre la Corte potr estendere la norma pi favorevole a tutti, la soluzione sta nel
valutare attentamente che cosa significa rilevanza della questione nel processo.
La rilevanza contingente quando se non ci fosse il principio di irretroattivit questa pronuncia
della Corte la potrei applicare al processo. Per via interpretativa possiamo dedurre che la rilevanza
va intesa come rilevanza di principio e non solo come rilevanza contingente.
Riguardo invece all'irrilevanza delle interpretazioni in mala partem di norme favorevoli, quindi,
chiediamoci: Questa irrilevanza delle interpretazioni in malam partem di norme favorevoli, ad
opera della Corte, un principio generale e sempre valido?
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Come abbiamo appena detto non sempre possibile agire come la corte ha agito per l'art. 402 con
l'abrogazione totale della norma, perch si rischia di estendere eccessivamente l'ambito di
applicazione della norma favorevole. Una sentenza del 1983 ammette perci che in alcuni casi si
possa fare linterpretazione in malam partem di una norma favorevole, senza considerare
lirrilevanza, ed il caso in cui la norma in bonam partem risulti totalmente irragionevole: si pensi
ad una norma che escluda la punibilit dallomicidio per tutti i soggetti che hanno i capelli rossi.
Qui si prescinde dal giudizio di rilevanza o meno della questione, perch trattando di una norma
totalmente irragionevole si fa strada ad uneccezione al principio generale dellirrilevanza sopra
sancito. La sentenza del 1983 afferm quindi che anche le norme penali favorevoli possono essere
oggetto di giudizio della corte, ed essere dichiarate incostituzionali, nel caso per siano, appunto,
irragionevoli.
Il legislatore sicuramente libero di introdurre tutti i reati che vuole e la Corte non potr mai
sindacare sull'opportunit o meno di una norma posta dal legislatore, ma una volta che un reato
entrato nellordinamento, la Corte pu sindacare sulla loro ragionevolezza, quindi valutare che
quella norma favorevole sia basata su un principio costituzionalmente tutelato. La ragionevolezza
si ha infatti quando le questioni sulla punibilit (ad es. delle attenuanti) abbiano una riconducibilit
a ragioni e valori di rango costituzionale. Ad esempio vedi la minor pena prevista per i reati tra
familiari (ragionevole perch i legami familiari sono tutelati dalla Costituzione).
Viste queste premesse, davvero si pu dire, quindi, che il legislatore sia libero di introdurre tutti i
reati che vuole? La risposta va ricercata nella riflessione fatta in precedenza sulla teoria del bene
giuridico, cio il Parlamento pu introdurre soltanto reati che tutelino beni essenziali o esigenze
essenziali e costituzionalmente tutelati. E questo perch il diritto penale una norma a doppio
taglio con le pene incide su beni fondamentali del cittadino (libert). Per questo il diritto penale
deve agire come extrema ratio. Da qui nasce ovviamente la discussione al criterio di individuazione
dei beni giuridici considerati essenziali a tal punto da prevedere una tutela penale. Come abbiamo
gi detto, anche affrontando il principio di offensivit, questa una problematica che tocca
soprattutto le scienze empiriche e sociali come la criminologia. Spetta a loro cosa bene per la
convivenza civile (attenzione a non interpretarla come bene pubblico che una cosa diversa).
Il criminologo Bricola ha cercato di trovare un criterio per identificare i beni che possono essere
tutelai dal diritto penale e li ha ricondotti a tutti quei beni che sono, appunto, costituzionalmente
rilevanti.
Tutta questa indagine perch il diritto penale deve essere sussidiario, cos come non sempre la
detenzione la sanzione pi idonea alla prevenzione e agli scopi del diritto penale oggettivamente
orientato. Il diritto penale extrema ratio proprio perch arma a doppio taglio, come fosse un
bisturi: tutela dei beni giuridici sacrificandone altri, come il bisturi cura tagliando la pelle, il diritto
penale tutela facendo venir meno la libert personale dei soggetti.
Dato che col diritto penale si pu limitare la libert personale, che un bene costituzionale, la
norma che prevede la limitazione della libert personale deve essere necessariamente finalizzata
alla tutela di un'altro bene di rango costituzionale. proprio questo il compito della Corte, che le
permette di sindacare su una norma favorevole ma irragionevole: valutare quando una norma
penale irragionevole, cio quando la sua previsione non basata sulla tutela di un bene
costituzionalmente rilevante e quindi incide ingiustamente sulla libert personale, anch'esso
principio di rango costituzionale (il legislatore con una norma irragionevole, infatti, violerebbe l'art.
13 Cost).
Conclusioni sui reati in materia religiosa. Dopo il percorso giurisprudenziale della Corte
Costituzionale intervenuta finalmente la legge del 2006 che ha fatto definitivamente fatto
sparire, abrogandoli, i reati agli artt. 402 e 406, creando appunto la riduzione dellambito del
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punibile, per i motivi sino ad ora detti. La religione dello Stato non esiste pi e la religione
tutelata non pi in quanto tale ma solo quando la condotta incide sulla persona che professa una
religione o sui beni di culto.
Dopo tale riforma restano, quindi, solo i reati configurati agli articoli 403-404-405; la condotta di
vilipendio rimane, ma deve comunque offendere una confessione, mettendo in pericolo beni
primari, come le persone e le cose. Finch si offende verbalmente, le sanzioni saranno solamente
pecuniarie, mentre distruggendo intenzionalmente cose destinate al culto ci sar la sanzione della
reclusione.
Art. 403 vilipendio di chi professa.
Art. 404 al comma 2 chiunque intenzionalmente dolo intenzionale ed esclude, quindi, il
dolo eventuale. Stesso discorso per art. 405.
Molti dubbi interpretativi restano comunque aperti, dubbi che ostano ad una vera e piena
applicazione delle fattispecie configurate, impedendo una tutela efficace e reale. Un esempio
molto chiaro il dubbio circa cosa debba intendersi per ministro di culto. Non si ha una
definizione legislativa, ed allora ci chiediamo quando si applica la norma relativa alla sua tutela. Per
i Cristiani chiara la definizione di ministro di culto, dal momento che presente nellimmaginario
collettivo e culturale, ma quali sono i ministri di culto per le altre confessioni?

I DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
Concussione e corruzione.
I reati di concussione e corruzione sono racchiusi nell'ambito dei reati contro la pubblica
amministrazione.
La differenza tra questi due reati risiede nella presenza dell'elemento della costrizione.

Art. 317. Concussione.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualit o dei suoi
poteri costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o
altra utilit, punito con la reclusione da quattro a dodici anni.

Art. 318. Corruzione per un atto d'ufficio.
Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per s o per un terzo, in denaro
od altra utilit, una retribuzione che non gli dovuta, o ne accetta la promessa, punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio
da lui gi compiuto, la pena della reclusione fino a un anno.

Art. 319. Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio.
Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo
ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per s
o per un terzo, denaro od altra utilit, o ne accetta la promessa, punito con la reclusione da due a
cinque anni.

Art. 321. Pene per il corruttore.
Le pene stabilite nel primo comma dell'articolo 318, nell'articolo 319, nell'articolo 319-bis, nell'art.
319ter, e nell'articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano
anche a chi d o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro od
altra utilit.
La concussione un reato proprio, non pu essere commesso da chiunque ma solo da un pubblico
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ufficiale o da un incaricato ad un pubblico servizio.
La condotta quella di costrizione o induzione alla promessa o della dazione di danaro o altra di
utilit, abusando del potere della sua posizione.
La costrizione non fisica, ma si tratta di una costrizione psichica tale per cui al concusso resta un
margine di libert di azione tale per cui per non avrebbe potuto agire diversamente senza
ricevere un danno. Infatti la norma non richiede una condotta di costrizione materiale ma basta
l'induzione.
Si tratta di un reato a concorso necessario ma punito solo il soggetto agente, mentre il concusso
considerato solo una vittima, anche se ha comunque tenuto un comportamento adesivo ma
dettato dall'esigenza di evitare un danno minacciato dall'agente. I soggetti non sono sullo stesso
piano, per questo punito solo l'agente. pi o meno il discorso che vale anche per il reato di
usura.
Al contrario, nel reato di corruzione risponde anche il corrotto, cio il soggetto che non il
pubblico ufficiale.
Fatte queste premesse, in che cosa consiste, quindi, la differenza tra corruzione e concussione?
La domanda importante perch nel caso di Tangentopoli era infatti un problema capire se i
pubblici ministeri si trovavano davanti ad un reato di concussione o di corruzione.
La differenza risiede nel fatto che solo nel reato di concussione presente l'elemento della
costrizione o induzione, mentre nella corruzione questo elemento di pressione non c'.
Nella corruzione infatti entrambi i soggetti hanno degli interessi, perci il soggetto privato non si
trova nella condizione di agire per evitare un danno, come nella situazione del concusso.
inoltre molto importante sottolineare che per la corruzione non conta chi ha avuto l'iniziativa e
questo rilevabile dal codice penale attraverso la lettura dell'art. 322, istigazione alla corruzione:
Chiunque offre o promette denaro od altra utilit non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un
incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualit di pubblico impiegato, per indurlo a
compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla
pena stabilita nel primo comma dell'articolo 318, ridotta di un terzo.
Se l'offerta o la promessa fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico
servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi
doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita
nell'articolo 319, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio
che riveste la qualit di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra
utilit da parte di un privato per le finalit indicate dall'articolo 318.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico
servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilit da parte di un privato per le
finalit indicate dall'articolo 319.
Il primo ed il secondo comma si riferiscono al caso in cui l'iniziativa viene dal privato; il terzo ed il
quarto comma si riferiscono invece al caso in cui l'iniziativa del pubblico ufficiale.
Vediamo come per l'istigazione alla corruzione stato creato un reato ad hoc, mentre questa
previsione non c' per il reato di concussione, perci per la concussione si fa riferimento alla
norma base del tentativo.
Un aspetto fondamentale del reato di corruzione che il fatto che sia punito sia il corruttore sia il
corrotto porta come conseguenza che il reato difficilmente verr denunciato. Si tratta dello stesso
discorso sul patto d'omert che abbiamo visto per il doping.
Perci dal punto di vista politico criminale la gestione del problema molto delicata. Infatti se la
stessa scelta prevista per la concussione di non punire la vittima fosse presa anche per il reato di
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corruzione, questo creerebbe problemi molto delicati.
Nella concussione, come abbiamo visto, c' l'elemento della costrizione o induzione, tale per cui i
soggetti in gioco non sono sullo stesso piano; nella corruzione, invece, c' una corrispettivit di
interessi.
Si tratta per solo di criteri orientativi perch se l'elemento costrittivo, per ipotesi, coesistesse con
la corrispettivit degli interessi, sarebbe molto difficile valutare se si tratta davvero di concussione.
Soprattutto negli anni di tangentopoli era poi frequente la discussione se la concussione poteva
essere anche una concussione AMBIENTALE, definita cos quella concussione che deducibile per
fatti concludenti, cio senza che vi sia una esplicita richiesta e costrizione. Nella concussione
ambientale la prova stringente della costrizione non necessaria dato che l'avvenimento
avvenuto in un particolare contesto tale per cui si sa gi quali possono essere le conseguenze
negative di una mancata sottomissione all'agente del concusso.
Questa comunque una materia molto delicata che necessita di un nuovo futuro trattamento
legislativo. Infatti quello della concussione e della corruzione un terreno fertile per sperimentare
forme di pena alternative, dato che la mera minaccia della detenzione qui spesso inefficace.

Il peculato, art. 314 c.p.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o
servizio il possesso o comunque la disponibilit di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne
appropria, punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo
di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, stata immediatamente
restituita.
Questo reato lo avevamo gi affrontato in parte trattando dell'appropriazione indebita, art. 646
c.p:
Chiunque, per procurare a s o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile
altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, punito, a querela della persona offesa, con la
reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032 .
Se il fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena aumentata. Si
procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle
circostanze indicate nel n. 11 dell'articolo 61.
L'appropriazione indebita un reato comune a dolo specifico. Si differenzia dal furto perch la cosa
gi in possesso del reo.
Rispetto all'appropriazione indebita, il peculato un reato proprio, in quanto pu essere
commesso solo dal pubblico ufficiale o dall'incaricato ad un pubblico servizio, che si trova gi nella
disposizione materiale della cosa mobile altrui o del denaro.
La pena prevista per il peculato ha una gravit e ambito diversi dall'appropriazione indebita
(reclusione da 3 a 10 anni).
Tra il reato di peculato e quello di appropriazione indebita c' un rapporto di specialit (non si
applica il cumulo), tale per cui si pu rispondere solo di peculato e non anche di appropriazione
indebita (concorso apparente applicazione principio di specialit).
Ma ricordiamo che l'art. 15 c.p. dice quando pi leggi regolano la stessa materia... e in
riferimento al significato di questo inciso abbiamo due interpretazioni: 1) per applicare il principio
di specialit basta che pi norme si riferiscano alla medesima situazione di fatto, quindi stessa
materia = medesima situazione di fatto interpretazione pi favorevole; 2) stessa materia
significa non solo medesima situazione di fatto ma anche tutela dello stesso bene giuridico
interpretazione pi gravosa, l'ambito dei casi di applicabilit si restringe.
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Secondo quest'ultima interpretazione, pi gravosa, in caso di concorso apparente tra
appropriazione indebita e peculato non si potrebbe applicare il principio di specialit, ma ci
sarebbe cumulo scelta non condivisibile.
Prima del 1990 il peculato comprendeva anche una seconda condotta, che era quella della
DISTRAZIONE di denaro o di un bene. La distrazione avviene quando non c' una vera e propria
appropriazione, ma quando un determinato bene o del denaro sono utilizzati per scopo di profitto
per un fine diverso da quello a cui stato incaricato il pubblico ufficiale o l'incaricato a pubblico
servizio.
Oggi invece il reato di peculato non punisce pi la distrazione ma comprende solo la condotta di
appropriazione indebita.
Quindi oggi la condotta di distrazione dove viene punita? Viene ricondotta nell'art. 323, abuso
d'ufficio, che ha anche racchiuso anche la condotta dell'abrogato art. 324, interesse privato in atti
d'ufficio.

Art. 323. Abuso d'ufficio:
Salvo che il fatto non costituisca un pi grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico
sevizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di
regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a s o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni.
La pena aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravit.
L'abuso d'ufficio, inizialmente previsto come norma residuale, diventa sempre pi una norma
centrale.
Tuttavia, la riconduzione della condotta di distrazione nell'abuso d'ufficio fa nascere un problema:
l'abuso d'ufficio punito meno gravemente del peculato (reclusione da 6 mesi a 3 anni; mentre il
peculato reclusione da 3 a 10 anni).
A prima vista sembra una scelta logica, dato che il peculato comporta l'appropriazione indebita,
mentre l'abuso d'ufficio comporta solo la distrazione del bene, cio adoperarlo per un utilizzo
diverso da quello a cui stato destinato.
Ma in concreto non sempre l'appropriazione indebita comporta un danno peggiore rispetto alla
distrazione. Per esempio: la maestra della scuola elementare che si appropria di una scatola di
pennarelli della classe e se li porta a casa, risponde di peculato, quindi soggetta a pene pi
gravose; l'assessore comunale a cui erano stati affidati un milione di euro per la costruzione di una
casa di risposo e che li utilizza per ristrutturare la via dove ha delle case (distrazione del denaro, no
appropriazione), risponde di abuso d'ufficio e, quindi, soggetto a pene meno gravi rispetto alla
maestra dell'elementari. Questo conseguenza paradossale, in quanto la condotta dell'assessore
comunale ha palesemente e concretamente comportato un danno socialmente maggiore.
In questo modo potrebbe quindi risultare peculato una appropriazione di scarsissimo valore, e
abuso d'ufficio un utilizzo privato molto grave di un bene con una funzione pubblica.
A questa incongruenza viene la tentazione di operare una regolazione giurisprudenziale, e infatti la
giurisprudenza spesso intervenuta portando molte condotte di distrazione all'interno dell'ambito
del peculato, data una loro certa gravit. Questa scelta si basa su una distinzione proposta proprio
dalla giurisprudenza: se la distrazione cos macroscopica tale per cui il bene non realizza pi in
alcun modo il fine e la funzione a cui era destinato, allora la condotta del pubblico ufficiale viene
considerata come un'appropriazione, perch egli ha agito esattamente come se il bene o il denaro
distratto fossero di sua propriet, quindi si configura il reato di peculato; se la distrazione non ha
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un'importanza cos macroscopica tale da annullare completamente il fine e la funzione dei beni
distratti, rimane nell'ambito dell'abuso d'ufficio.
Rispetto a ci ritorniamo nella problematica di valutare fino a che punto la giurisprudenza pu
rielaborare in malam partem le incongruenze del legislatore.

Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione. Art. 328 c.p.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo
ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanit,
deve essere compiuto senza ritardo, punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio,
che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non
risponde per esporre le ragioni del ritardo, punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa
fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni
decorre dalla ricezione della richiesta stessa.
Il non compimento di un incarico da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico
servizio costituisce reato. La norma individua 4 ragioni per le quali l'atto deve essere compiuto
senza ritardo, altrimenti diventa reato: per ragioni di giustizia, di pubblica sicurezza, di ordine
pubblico o di igiene e sanit.
Questa nuova norma introduce 2 ambiti di intervento: mancato compimento di atti d'ufficio (1
comma) e ritardo in mancanza di ragioni giustificative (2 comma).
Il primo comma riguarda determinate categorie di atti che devono essere compiuti senza ritardo
(diventa difficile definire quando vi sia ritardo) e che il pubblico ufficiale rifiuta di compiere. Il
rifiuto deve essere un rifiuto indebito, quindi che non ha un fondamento legislativo.
Il secondo comma contempla, invece, una realt assolutamente nuova, che quella della messa in
mora del pubblico ufficiale, nei casi in cui l'atto deve essere compiuto assolutamente senza ritardo.
Ci significa che il reato si realizza solo dopo che sia decorso inutilmente un termine di messa in
mora di 30 giorni, decorrente non automaticamente ma dal momento in cui vi , da chi vi abbia
interesse, una richiesta di compimento dell'atto, redatta in forma scritta e finalizzata non solo ad
ottenere il compimento dell'atto ma anche l'esposizione delle ragioni del ritardo. Quella del
secondo comma diventata la norma di regime generale.
Nel secondo comma, rispetto al primo, non c' riferimento esplicito ad un ritardo indebito. Gli
ideatori di questa norma credevano che la previsione di un termine e la messa in mora avrebbe
risolto molti problemi della pubblica amministrazione, perch avrebbe accelerato il processo di
emissione degli atti. Ma qui non essendoci la condizione dell'indebito del ritardo sembrerebbe una
previsione contrastante con il principio di colpevolezza. Perci, per sciogliere questo nodo, si fa
riferimento alla frase ...non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del
ritardo..., nella quale la congiunzione e indica che il pubblico ufficiale deve non solo compiere
l'atto ma esporre anche le ragioni del ritardo. Perci in mancanza di ragioni vi la configurazione
del reato.
L'esposizione delle ragioni del ritardo fa riferimento ovviamente a quando l'atto non viene
compiuto e da quel momento con la richiesta della parte interessata al compimento dell'atto
decorre il periodo di 30 giorni di messa in mora dell'ufficiale, termine entro il quale va emesso
l'atto e le ragioni del ritardo.
Tuttavia da ritenere che nel caso in cui non stato possibile emettere l'atto, l'esposizione delle
ragioni evita che possa configurarsi il reato, anche se le ragioni non sono specificate nella tipologia
e nei contenuti perci basta la loro esposizione. Deve trattarsi per di ragioni che per non fanno
riferimento ad un comportamento negligente. Sarebbe stato comunque eccessivamente gravoso
128
conferire al giudice penale la valutazione sulla congruit o meno del contenuto delle ragioni.
La norma risulta avere, quindi, un valore ben diverso da quello che avevano in mente i suoi
pensatori, i quali pensavano che con questa norma sarebbe stato pi facile punire il pubblico
ufficiale. In ogni caso il pubblico ufficiale rischia una grave responsabilit penale, per questo resta
comunque una norma di delicata applicazione.
La sua applicazione risulta ancora pi delicata in quei casi in cui vi spazio per L'OBIEZIONE DI
COSCIENZA. L'obiezione di coscienza avviene quando un pubblico ufficiale rifiuta l'emissione di un
determinato atto perch lo lo considera contrario alla sua coscienza e ai suoi valori, perci si
dichiara obiettore di coscienza (pensiamo a titolo di esempio, anche se in un'altro ambito, ai
medici non abortisti).
L'obiezione di coscienza ammessa, e riceve quindi una tutela, solo quando il bene in nome del
quale si fa obiezione di coscienza sovraordinato al bene che con l'obbligo giuridico del pubblico
ufficiale si vorrebbe salvaguardare.
Questo avviene prima di tutto quando si tratta del bene vita, ma la discussione sul fatto che
l'ordinamento possa consentire atti che sacrificano un bene non trova qui la sua sede per
affrontarla.
L'obiezione di coscienza, inoltre, pu nascere solo quando gli atti incidenti su quel bene, a tutela
del quale il pubblico ufficiale si dichiara come obiettore di coscienza, non costituiscono un evento
tipico di quella professione. Perci se, invece, il sacrificio di quel bene tipico proprio di quella
professione, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio non possono esimersi dal
compimento.
Ad esempio se un individuo sceglie di fare il militare consapevole che questa professione
comporta l'uso di condotte violente che sacrificano il bene vita, quindi non potr dichiararsi
obiettore di coscienza in nome della sua tutela. Non avrebbe dovuto scegliere di fare il militare!
N.B. L'avverbio indebitamente, che troviamo anche in altre norme e sotto forma di altre
espressioni simili ( intenzionalmente, illegittimamente, illecitamente) che significato pu avere?
Perch stato aggiunto e che cosa cambierebbe se non ci fosse? In effetti sembra a prima vista che
non cambi proprio nulla. Ma facciamo delle valutazioni pi approfondite.
Molto spesso la giurisprudenza si limita a dire che indebitamente significa che non sussiste una
causa di giustificazione; come se la giurisprudenza con quell'avverbio voglia sollecitare il giudice
ad una particolare attenzione perch in quella situazione potrebbero sussistere delle ragioni
giustificative e quindi va valutato che non sussistano. chiaro che il giudice prima di condannare
deve valutare se quella condotta giustificata o meno, quindi ben venga che in qualche caso il
legislatore con questo tipo di avverbi ricordi al giudice di essere particolarmente in quel caso.
Ma invece quando e in che termini avverbi di questo genere potrebbero avere un significato che va
al di l del semplice richiamo al giudice di valutare se sussistono cause giustificative?
Per queste situazioni si parla di norme ad illiceit speciale.
Queste norme avrebbero un contenuto loro proprio se ne derivasse quello che la maggior parte
della dottrina riconosce proprio per quanto riguarda l'art. 328.
Noi conosciamo il principio per cui l'ignoranza della legge penale non scusa (art. 5 c.p.) e sappiamo
che questo viene reso ancor pi rigido perch assorbe anche l'errore su legge extra penale.
Tuttavia abbiamo l'art. 47 che opera un distinguo e la giurisprudenza opera una distinzione tra
norma integratrice e norma non integratrice, anche se nella maggior parte dei casi la considera
integratrice e quindi applicabile l'art. 5 c.p.
Possiamo pensare che il contenuto vero dell'avverbio indebitamente oltre a sollecitare il giudice
a valutare attentamente se sussiste una causa giustificativa della condotta, sia volto a fungere da
deroga proprio all'art. 5 del codice penale.
129
Posto che il carattere indebito della condotta diventa un elemento esplicitato nella norma questo
comporta che quella norma applicabile solo se il carattere indebito effettivamente conosciuto
dal soggetto agente.
Costituisce una deroga all'art. 5 perch se il carattere indebito espressamente indicato dalla
norma vuol dire che deve essere coperto dal dolo anche il carattere indebito. Ci significa che il
pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio deve essere consapevole che sta operando in
violazione di norme di legge.
Questo rappresenta un ulteriore elemento di contrazione dell'ambito del punibile, perch non
basta la conoscibilit del divieto ma l'aver esplicitato che la condotta deve essere indebita
comporta che sia necessaria anche la presenza del dolo, quindi che fosse effettivamente
conosciuta l'illiceit.
Questa interpretazione rappresenta un elemento di controbilanciamento alla lettura
estremamente rigoristica dell'art. 47 c.p. e quindi permette di riconoscere, almeno nei casi in cui vi
sia una illiceit espressa tramite gli avverbi di cui abbiamo trattato, una deroga al rigore dell'art. 47.

Le nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato ad un pubblico servizio.
In tutto ci non abbiamo ancora spiegato chi un pubblico ufficiale e un incaricato di un pubblico
servizio. Vediamo ora le nozioni di queste due cariche, nozioni quasi esclusivamente di origine
giurisprudenziale.
La prima nozione di pubblico ufficiale la ritroviamo nell'art. 357 c.p:
Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione
legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e
da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volont della
pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
L'art. 357 al primo comma definisce il pubblico ufficiale colui che esercita una pubblica funzione
legislativa, giudiziaria o amministrativa. Tuttavia la norma non definisce in cosa consiste la funzione
legislativa e quella giudiziaria, ma al secondo comma definisce solo la funzione amministrativa.
La tipica funzione amministrativa consiste in quegli atti immediatamente riconducibili
all'amministrazione pubblica. Da un lato un'attivit attraverso la quale si esprime una volont
pubblica e non personale del soggetto che agisce, dall'altro esprime la volont che ha poteri
autoritativi e certificativi.
Al centro non sta quindi il soggetto in quanto pubblico funzionario, ma si fa riferimento non pi ad
elementi di investitura ma ad elementi sostanziali di disciplina e di funzione, quindi si fa
riferimento ad attivit disciplinate da norme di diritto pubblico e di pubblica amministrazione, e ad
elementi di funzioni autoritative e certificative (ad esempio pu trattarsi anche di notai o avvocati).
L'art. 358 definisce la nozione della persona incaricata di un pubblico servizio:
Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque
titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un'attivit disciplinata nelle stesse forme della pubblica
funzione, ma caratterizzata, dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello
svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
Il primo comma non dice nulla di pi del titolo ma al secondo comma viene definito il pubblico
servizio. La definizione in questo caso viene costruita a contrariis, si afferma che un'attivit
disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione ma caratterizzata dalla mancanza dei
poteri tipici della pubblica amministrazione. Perci la differenza sta nel fatto che nel pubblico
servizio svolto da un incaricato mancano i caratteri del potere autoritativo e certificativo proprio
130
del pubblico ufficiale, cio manca l'elemento della discrezionalit, tipico della pubblica
amministrazione.
...con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine o della prestazione di opera
meramente materiale. si tratta di compiti immediatamente esecutivi, senza nessuna possibilit
di valutazione (ad es. operaio dipendente del comune). Si tratta di una norma che pone grossi
problemi interpretativi.
Diversa ancora la nozione di persone esercenti un servizio di pubblica necessit, art. 359:
Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessit:
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia
per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il
pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, n prestando un pubblico servizio,
adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessit mediante un atto della pubblica
Amministrazione.
Questa norma vuole significare come il pubblico non pu valersi per la salvaguardia della salute di
persone che non siano medici laureati o comunque abilitati all'attivit sanitaria; lo stesso vale per
le attivit forensi.

Art. 650. Inosservanza dei provvedimenti dell'autorit.
Sempre nell'ambito della pubblica amministrazione vediamo una norma che rappresenta la prima
contravvenzione elencata dal codice penale.
L'art. 650 dice: Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorit per ragione
di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, punito, se il fatto non costituisce
un pi grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206.
Qui non siamo pi nell'ambito dei reati propri del pubblico ufficiale, ma si tratta di un reato
comune (chiunque...).
Per quanto riguarda la pena, questa alternativa, in quanto prevede o l'arresto o l'ammenda e la
scelta quindi lasciata al giudice.
Se la norma avesse previsto solo l'ammenda questa sarebbe stata oblazionabile ed il reato si
sarebbe potuto estinguere (art. 162 c.p.), mentre qui si applica l'art. 162-bis, perch abbiamo
l'alternativa tra arresto e ammenda.
Questa norma tuttavia delicatissima in quanto viola il principio di determinatezza, dato che non si
esprime su che base il giudice deve scegliere tra arresto e ammenda. Ma oltre a questo possiamo
dire che c' anche violazione del principio di riserva di legge?
C' violazione del principio di determinatezza perch la norma fa rinvio ad elementi incerti, ma
l'opinione maggioritaria sostiene che non si possa arrivare a configurare una violazione della
riserva di legge, poich stato il legislatore stesso che ha deciso che alcune condotte in un certo
ambito siano punite con la norma penale. Tuttavia anche se formalmente non vi violazione del
principio di riserva di legge, sostanzialmente la violazione sussiste perch conferisce all'autorit
pubblica la possibilit di fatto di creare reati.
Infatti gli amministratori pubblici potrebbero creare un reato con la previsione di un ordine o di un
provvedimento che vincola i cittadini (ad esempio pensiamo al sindaco che decide di punire ex art.
650 c.p. i rom lavavetri per inottemperanza di un ordine dell'autorit pubblica di cessare le loro
attivit).
Spesso questa norma stata utilizzata proprio come pretesto per creare reati.

IL TESTO UNICO IN MATERIA DI STRANIERI (D.LGS. 286/1998).
131
Facciamo qui un'analisi dell'intreccio che troviamo nella normativa sugli stranieri tra la normativa
amministrativa e quella penale.
Dobbiamo innanzitutto tenere presente che si assistito all'introduzione nella normativa dell'art.
10-bis, cio di un nuovo reato consistente nella mera presenza irregolare sul territorio dello Stato.
In precedenza era reato solo il mancato rispetto dell'ordine di allontanamento dal Paese,
preceduto da un decreto e da serie valutazioni giudiziarie; era poi punito il reingresso dopo
l'espulsione. Mentre con l'introduzione dell'art. 10-bis configura reato l'ingresso nel Paese senza il
rispetto delle norme ed reato contravvenzionale punito con l'ammenda, ma in questo caso
sottratto al regime dell'oblazione.
Dal punto di vista della funzionalit reale del reato introdotto, dalla sua struttura sembra che sia un
reato totalmente inutile. Inoltre strana la previsione dell'ammenda perch sar del tutto
inapplicabile in molti casi, dato che l'immigrato solitamente un nullatenente. Il rischio sar quello
di applicare l'iter di espulsione che era gi preveduto in precedenza.
Altro punto debole della norma che questo reato assegnato alla competenza del giudice di pace
e dal punto di vista della sua applicazione davvero improbabile che il processo venga portato a
compimento, dato che molto facile che il caso che si presenti davanti al giudice di pace sia di
scarsa rilevanza, e quindi il giudice di pace trover facilmente i motivi per chiudere il processo per
irrilevanza del fatto.
Alla luce di quanto detto, che incidenza pratica pu avere questo reato (oltre a quella di mera
propaganda)?
Per capire la sua incidenza pratica occorre mettere questo nuovo reato in collegamento con gli
articoli 361 e 362 del codice penale, riguardanti l'omessa denuncia di reato rispettivamente da
parte del pubblico ufficiale e da parte dell'incaricato ad un pubblico servizio. Possiamo pensare che
l'impatto prioritario della norma dell'art. 10-bis sia proprio quella di far sorgere in capo al pubblico
ufficiale l'obbligo di denuncia del soggetto che risiede irregolarmente nel Paese.
Questo pone problemi delicatissimi soprattutto per il rischio di automatica denuncia per il risiedere
irregolarmente nel territorio del Paese quando siamo davanti a situazioni in cui il soggetto si trova
in una struttura sanitaria oppure quando si trova con un figlio che va all'asilo nido o alla scuola
materna. Si tratta di due rischi estremi che sono stati presi in considerazioni dalle norme che
vedremo.
Considerazione politico-criminale: davvero di interesse preventivo un obbligo generalizzato di
denuncia?
Che conseguenze ha quest'obbligo generalizzato? La conseguenza che crea la situazione nella
quale lo straniero si trova nell'impossibilit di poter stabilire una qualsiasi relazione con le
istituzioni pubbliche.
Legislazione degli Stati Uniti in materia di immigrati straniero anche irregolare vittima di reato
che denuncia non per questo identificato in termini tali da essere sfornito di tutela.
La delicatezza questa: se immigrato non ha la possibilit di instaurare un contatto con lo Stato,
perch altrimenti rischia l'espulsione, la popolazione degli immigrati nel Paese facilmente
diventer oggetto di reati e di atti discriminatori o addirittura strumentalizzata per reati di
criminalit organizzata.
Per quanto riguarda le due problematiche viste sopra (struttura sanitaria e asilo), vediamo
innanzitutto l'art. 35 comma 5 del Testo Unico sugli Immigrati: l'accesso alle strutture sanitarie da
parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non pu comportare alcun tipo di
segnalazione all'autorit, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parit di condizioni con il
cittadino italiano.
Per quanto riguarda il problema dell'accesso alle strutture sanitarie poteva gi rispondere anche
132
l'art. 365 c.p., omissione di referto:
Chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera
in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d'ufficio, omette
o ritarda di riferirne all'autorit indicata nell'articolo 361 punito con la multa fino a euro 516.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento
penale.
L'ultimo comma infatti dice che l'obbligo di referto non sussiste se questo dovesse esporre la
persona assistita a procedimento penale. Tuttavia questa norma riguarda specificatamente la
figura del medico, mentre non contempla la struttura amministrativa sanitaria in s. Per questo
l'art. 35 importante, perch si riferisce alla struttura sanitaria.
L'altra norma importante l'art. 6 comma 2:
Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attivit sportive e ricreative a carattere
temporaneo, per quelli inerenti allaccesso alle prestazioni sanitarie di cui allarticolo 35 e per quelli
attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui
all'articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del
rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero
comunque denominati.
Si creato un ambito di eccezione, cio degli ambiti in cui l'obbligo di denuncia non viene a
configurarsi. Tuttavia parla delle prestazioni scolastiche obbligatorie e ricordiamo che la scuola
materna non lo . In materia non abbiamo una norma esplicita nel Testo Unico ma un atto del
Ministero che estende esplicitamente l'ambito di eccezione ad ogni grado di scuola, quindi anche a
quella materna.
La ratio del comma 2 dell'art. 10-bis poteva essere configurato anche in un'altro aspetto che
inizialmente quando l'articolo fu introdotto era stato pensato, ma che oggi andato perso di vista.
Abbiamo visto che apparentemente in termini di prevenzione non sia molto utile e abbiamo visto
che la ragione concreta finiva per essere l'obbligo di denuncia.
Ma possiamo pensare ad una probabile seconda ratio direttiva europea n. 115/2008 che
entrata in vigore nel dicembre 2010 prevede che l'ordine di allontanamento dal territorio dello
Stato debba ordinariamente prevedere un lasso di tempo tra 7 e 30 gg nel quale deve essere
lasciata l'opportunit all'immigrato di adempiere spontaneamente all'allontanamento. Questo
lasso di tempo per non era prevedibile quando determinati comportamenti dello straniero
fossero considerati reato dal territorio dello stato.
Data questa previsione della normativa comunitaria sembra che il comma 2 dell'art. 10-bis trova
una sua ratio anche nell'intento di elusione della normativa europea, dato che questa norma
prevede proprio la presenza irregolare nel territorio dello stato come reato, e di conseguenza il
lasso di tempo non potr mai essere concesso.
Inoltre con l'entrata in vigore della direttiva nel dicembre del 2010, nasce un duplice problema:
sappiamo che ancora prima dell'art. 10-bis erano reati l'inottemperanza all'ordine di
allontanamento e il reingresso dopo essere uscito in funzione dell'ordine. Dopo il dicembre
2010 come ci si deve comportare nei casi in cui l'ordine non sia stato eseguito? Bisogna
considerare reato se non stato concesso il lasso di tempo previsto dalla direttiva.
Per i reati relativi a inadempimenti antecedenti al dicembre 2010? Qui abbiamo la
problematica della successione di leggi ma non si tratta di leggi penali ma cambiata una
norma extra-penale che fa da presupposto alla legge penale. Sappiamo gi che in caso di
successione di norme penali si applica la norma pi favorevole; ma questo vale anche
quando la norma extra-penale, come la direttiva 135/2008? Su questo caso la
giurisprudenza sembra rispondere affermativamente, quindi anche qui si applica la norma
133
pi favorevole. Ed interessante il fatto che una circolare del mese di gennaio del Ministero
degli interni ha previsto che sulla base della direttiva debba sempre essere assegnato un
lasso di tempo per permettere allo straniero di adempiere spontaneamente
all'allontanamento. Proprio in questo frangente vediamo come sia delicato il problema
relativo al rapporto tra normativa penale interna e normativa comunitaria, argomento che
affronteremo pi avanti.
Prendiamo in considerazione ora un'altra fattispecie di reato che quella dell'art. 6 comma 3 del
Testo Unico sugli immigrati: Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza,
non ottempera, senza giustificato motivo, allordine di esibizione del passaporto o di altro
documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la
regolare presenza nel territorio dello Stato punito con larresto fino ad un anno e con lammenda
fino ad euro 2.000.
Questo comma tratta del caso dell'immigrato che non ottempera all'ordine dei pubblici ufficiali di
esibizione del passaporto o di altro documento e del permesso di soggiorno.
Quale problematica possiamo riscontrare in questa norma?
La norma posta alla salvaguardia dell'interesse dello Stato alla identificazione degli stranieri. Fino
alla riforma del 2009 l'identificazione poteva essere fatta tramite qualsiasi documento del cittadino
dell'altro paese da cui proveniente; invece in questa norma abbiamo per lo straniero l'obbligo di
esibizione sia del passaporto sia del permesso di soggiorno.
Letta in maniera superficiale la norma sembra affermare che lo straniero irregolare nel caso in cui
venga fermato dalla forza pubblica finirebbe per compiere due reati: 1) presenza irregolare nel
territorio dello Stato (art. 10-bis); 2) rifiuto di esibizione di documenti (art. 6 comma 3).
La problematica di parte generale che qui palesemente richiamata quella del concorso
apparente di reati, quindi della situazione in cui apparentemente un soggetto abbia commesso pi
reati con una sola azione.
Ma attenzione: l'art. 6 comma 3 punisce chi obbligato a presentare un documento che esiste, di
cui in possesso; ma lo Stato non pu punire un soggetto che non esibisce un documento di cui
non in possesso perch non esiste! Il fatto che il non possesso rappresenti una situazione di
irregolarit non pu rendere lecito la decisione di punire un soggetto per non aver mostrato un
documento che non aveva, perch altrimenti verrebbe punito per due reati e ingiustamente. Infatti
non lo esibirebbe per giustificato motivo, perch il documento non esiste. Senza giustificato
motivo si riferisce alla non esibizione, non alla non esistenza del documento.
Alla luce del giustificato motivo, la norma dell'art. 6 comma 3 ha il fine di identificare il soggetto e
una volta identificato l'interesse soddisfatto, non importa con quale documento. Quindi la
congiunzione e che si trova tra passaporto e permesso di soggiorno non indica che devono
essere esibiti necessariamente entrambi. Va bene l'uno o l'altro.
Nel caso in cui il permesso di soggiorno non venisse esibito il soggetto punito ex art. 6 comma 3
solo se il documento esistente e non lo mostra. Ma se non esistente allora si configurer
tutt'altro reato, quello dell'art. 10-bis.
Vediamo i provvedimenti rilevanti.

Art. 13 espulsione amministrativa: (disposta dal prefetto) non per tale da sola a provocare
l'uscita dello straniero dal territorio, ma occorre un secondo provvedimento che dato dall'art. 14.

Art. 14 esecuzione dell'espulsione, eseguita dal questore.
Entrambe queste procedure stanno al vaglio giurisdizionale del giudice di pace.
All'esecuzione corrisponde l'accompagnamento alla frontiera che deve essere convalidato entro 4
134
giorni dal giudice di pace.
L'accompagnamento alla frontiera solo raramente effettivamente realizzato. Pu darsi che per
mancanza di messi o in attesa di identificazione o accertamenti, lo straniero venga collocato nel
centro di identificazione e di espulsione e anche questo provvedimento, incidendo sulla libert
personale, deve essere convalidato dal giudice di pace.
Quindi dopo che il decreto di espulsione stato dichiarato esecutivo possiamo avere l'effettiva
esecuzione, o il trasferimento in un centro di identificazione ed espulsione, oppure ancora il
questore che ordina allo straniero di lasciare il territorio dello stato, dopo che passato il periodo
massimo di permanenza nel centro di identificazione ed espulsione.
Su questo sistema si radicano delle disposizioni penali, tuttavia gi preesistenti alla riforma.

Art. 13 comma 3quinquies:
Se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal
comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato pi grave per
il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale.
Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia
cautelare, quest'ultima ripristinata a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale.
Riguarda il caso dello straniero che dopo l'espulsione rientra illegalmente nel territorio dello Stato,
prima del termine previsto (10 anni). In questo caso si applica l'art. 345 c.p.

Art. 13 comma 13:
Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non pu rientrare nel territorio dello
Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo
straniero punito con la reclusione da uno a quattro anni ed nuovamente espulso con
accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente
comma non si applica nei confronti dello straniero gi espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2,
lettere a) e b), per il quale stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29.

Art. 13 comma 13-bis:
Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso punito con la
reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, gi denunciato per il reato di cui al comma 13
ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno
a cinque anni.

Art. 14 riguarda il secondo provvedimento amministrativo, cio l'esecuzione dell'espulsione e
qui abbiamo il caso in cui non abbiamo lo straniero che stato portato fuori e rientra ma il caso
dello straniero che deve uscire.

5. bis. Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza
temporanea, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o il
respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di
cinque giorni...

5ter. Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione
dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, punito con la reclusione da uno a
quattro anni

135
5quater. Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5ter e di un
nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5-bis, che continua a permanere illegalmente nel
territorio dello Stato, punito con la reclusione da uno a cinque anni...
Lo straniero che ha avuto convalidato il provvedimento di esecuzione dell'espulsione ove
l'espulsione non sia effettivamente eseguita dal questore ma gli si dia l'ordine di lasciar il territorio
dello Stato deve farlo altrimenti reato (reato gi previsti prima del pacchetto sicurezza). punto
con la reclusione da 1 a 4 anni.
Se non si allontanato e viene quindi fatto un nuovo provvedimento e non rispetta neanche
questo, la pena aumentata e la reclusione diventa da 1 a 5 anni.
Qua intervenuta una sentenza della Corte Costituzionale del 17 dicembre 2010 che ha
confrontato il comma 5ter (violazione semplice dell'ordine di allontanamento) con il comma
5quater (violazione del secondo ordine di allontanamento) dell'art. 14.
C' una differenza testuale: nel comma 5quater manca l'inciso senza giustificato motivo. Qui la
norma che incide maggiormente sul piano penale quella che fa riferimento al non rispetto
dell'ordine di allontanamento (comma 5ter). La giurisprudenza aveva ritenuto che il giustificato
motivo poteva essere dato anche dalla mancanza di risorse economiche per abbandonare lo Stato
dal quale viene espulso per poter ritornare nel suo Paese. Si tratta di una impossibilit reale di
poter lasciare il paese.
La Corte Cost. ritiene non giustificabile la mancanza dell'inciso nel comma 5quater e ha esteso
anche a questo l'applicabilit dell'inciso sul giustificato motivo.
Questa sentenza non pone problemi di contrasto con la riserva di legge perch si tratta di una
estensione di una norma favorevole.
Ci diventa tutto pi chiaro andando a vedere come incide la direttiva UE n. 115/2008.
L'art. 7 della direttiva, intitolato partenza volontaria prevede la concessione di un lasso di tempo
tra 7 e 30 giorni per dare la possibilit allo straniero di effettuare un allontanamento spontaneo,
tranne per i casi previsti dai paragrafi 2 e 4, cio pericolo di fuga, domanda di soggiorno irregolare
perch respinta oppure quando il soggetto costituisce un pericolo pubblico. Fuori da questi casi lo
stato obbligato a concedere un periodo per la partenza volontaria.
L'art. 2 intitolato ambito di applicazione e afferma che pu non essere applicata nel caso in cui
il rimpatrio sia previsto come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale.
Avevamo infatti visto come l'art. 10-bis preveda gi il soggiorno irregolare proprio come reato e
quindi con questa previsione la norma avrebbe avuto una funzione elusiva della direttiva europea.
Tuttavia questo orientamento stato abbandonato anche dallo stesso Ministero degli interni il
quale ha egli stesso previsto una circolare che prevede l'obbligo di concessione del lasso di tempo
per permettere allo straniero l'allontanamento spontaneo. Il termine della partenza volontaria non
invece concesso per gli stessi motivi elencati dalla direttiva all'art. 7.
Quindi i reati di cui all'art. 14 commi 5ter e 5quater del Testo Unico perdono presupposto
applicativo se non stato concesso il periodo di tempo previsto dalla direttiva per permettere
all'immigrato l'allontanamento spontaneo.
Ma che cosa accade per quelle condotte poste in essere ed eventualmente punite in precedenza?
Noi sappiamo che all'art. 2 c.p. vige il principio per cui in caso di successioni di leggi penali si
applica la norma pi favorevole al reo; abbiamo gi affrontato questo tema e abbiamo gi detto
che la giurisprudenza ha affermato che questo principio vale anche se non la norma penale a
cambiare ma una norma extra penale che fa da presupposto ad una norma penale. Qui ci
troviamo davanti alla medesima situazione: non cambiata la norma penale ma quella extra
penale che ne fa da presupposto, quindi anche qui si applica la norma pi favorevole al reo.
Abbiamo una situazione che estremamente problematica e rispetto alla quale c' una
136
problematicit tale sul piano umano che sarebbe interessante che questa problematica non
venisse trattata come elemento di banale contrapposizione politica. Siamo davanti a situazioni
complesse: lo straniero che risiede nello stato irregolarmente va incontro al provvedimento di
espulsione che poi necessita di un provvedimento di esecuzione dell'espulsione medesima ma a
questo punto se non ci sono le condizioni particolari dell'art. 7 bisogna concedere questo periodo
di tempo. E se questo non stato dato non si pu applicare ovviamente un reato.
A questo punto la realt sembra essere soltanto quella di una gestione di queste problematiche
che vada allontanandosi dal diritto penale e che diventi legata al favorire delle relazioni di pace e
creare il pi possibile le condizioni tali nei paesi di provenienza per cui questi influssi di immigrati
vengano azzerati. Questo quello che accaduto ad esempio in Albania.
Ci troviamo di fronte e situazioni delicatissime, situazioni in cui molto difficile l'esecuzione
dell'espulsione. Non si pu imporre la legge senza un giustificato motivo. Naturalmente chi tenta di
venire nel nostro Paese nemmeno conosce il quadro normativo.
L'espulsione crea anche vari problemi di tipo morale. Molti che arrivano fanno addirittura
domanda per vedersi riconosciuto il diritto di asilo asserendo che se tornano al loro paese a causa
delle condizioni pessime o del regime politico potrebbero rischiare la propria vita.
Un' applicazione formalistica della norma iniziale del Testo Unico si allontanerebbe dal trattamento
del problema secondo un punto di vista pi umano.
La regola per cui se lo straniero si presenta alla frontiera senza documenti pu essere respinto e
anche subito dopo il passaggio della frontiera, una norma pensata avendo in mente le frontiere
terresti, nelle quali facile effettuare controlli. Problema drammatico se questa restrizione della
frontiere viene fatto sulla linea di confine evanescente che quella delle acque dei mari. I pericoli
per la salute degli immigrati qui sono molto pi frequenti, tenendo conto dei vecchi barconi con cui
arrivano e delle condizioni di salute di cui soffrono al loro arrivo.
Vediamo come questo argomento abbia un forte coinvolgimento politico.
Vediamo le norme che prevedono la espulsione come misura di sicurezza o come sanzione
sostitutiva:
abbiamo una particolare utilizzazione di un provvedimento visto all'art. 13 che nasce come provv.
amministrativo ma che viene utilizzato come provvedimento penale.
Art. 15 espulsione a titolo di misura di sicurezza:
Fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice pu ordinare l'espulsione dello straniero che sia
condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale,
sempre che risulti socialmente pericoloso.
Estensione di quella possibilit dell'aggiunta di una misura di sicurezza alla pena nel momento
stesso della condanna. Espulsione nel caso in cui l'imputato sia considerato soggetto pericoloso pu
essere utilizzata come misura di sicurezza.

Art 16 espulsione a titolo di misura sostitutiva o alternativa alla detenzione:
Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena
su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che
si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere
irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la
sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale ovvero nel
pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui allarticolo 10-bis, qualora non ricorrano le
cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, che impediscono
lesecuzione immediata dellespulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica, pu sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non
137
inferiore a cinque anni.
Vediamo come in settori particolari abbiamo una forzatura marcata delle categorie.
Qui abbiamo sanzione sostitutiva che ha un significato di tutela di interessi generali, non ha tanto a
che fare con la tutela dell'individuo. In qualche caso infatti per il soggetto potrebbe essere pi
grave l'espulsione che scontare una pena all'interno del Paese.
Nel primo comma emerge la possibilit per il giudice di prevedere la sostituzione.
Vediamo invece il comma 5 dell'art. 16:
Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate
nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a
due anni, disposta l'espulsione. Essa non pu essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda
uno o pi delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale,
ovvero i delitti previsti dal presente testo unico.
disposta l'espulsione la misura alternativa finisce per avere un significato ben diverso da
quello ordinario delle misure alternative.
Infatti noi abbiamo visto che lo scopo primario della pena la risocializzazione. Ma allora che
funzione ha l'iter riassociativo dello straniero se poi la pena prevede l'allontanamento dalla societ,
cio l'espulsione?
Vediamo come la previsione dell'espulsione sia come provvedimento amministrativo sia come
contenuto di provvedimento di natura penale (misura di sicurezza o sanzione sostitutiva o misura
alternativa) porta a snaturare completamente la logica delle sanzioni sostitutive e delle misure di
sicurezza.
Il penale quindi nella materia degli immigrati abbiamo visto come pu costituire reato in caso di
non rispetto dell'ordine di allontanamento e come contenuto di provvedimento penale di misura di
sicurezza o misura alternativa.

RAPPORTI TRA NORMATIVA PENALE INTERNA E NORMATIVA EUROPEA.
Il problema dei rapporti tra normativa penale interna e normativa europea riguarda due punti di
vista: all'interno degli atti comunitari che hanno incidenza nel nostro ordinamento interno
distinguiamo le problematiche derivanti da quegli atti, e in particolare quelli che hanno una
applicazione diretta, che possono incidere sull'ambito del punibile restringendolo, da quegli atti
automaticamente applicabili o che esigono interventi penali interni fino a prevedere l'ampliamento
degli ambiti sanzionatori (problema ancora pi delicato).
Queste problematiche sono molto delicate perch, quanto meno nella situazione pre-trattato di
Lisbona, gli organi legislativi erano, e lo rimangono in parte anche oggi (anche se oggi dopo il
Trattato di Lisbona abbiamo la procedura della co-decisione ma un procedimento comunque
molto limitativo), non derivano da elezione diretta ma sono espressione dell'esecutivo, e
nonostante ci, in forza dell'obbligo degli stati di adeguarsi alle direttive europee, la legislazione
comunitaria incide ampiamente sull'ambito di sanzionabilit penale.
Ultimo aspetto problematico riguarda i rapporti fra le due Corti che qui possono venire in
considerazione, cio la Corte Costituzionale di ciascun Paese e la Corte di giustizia europea, poich
il rapporto diventa in molti casi non completamente nitido, tenendo conto che esiste un terzo
soggetto di grande incidenza che la Corte di Strasburgo a tutela dei diritti dell'uomo.
Il problema del rapporto tra norma penale e normative europee un problema anche di politica
legislativa.
importante su questo punto l'analisi dell'art. 83 del Trattato di Lisbona, perch pone problemi di
interpretazione.
Nella situazione precedente al trattato vediamo due realt di partenza:
138
1) espansione della criminalit sovranazionale l'esecuzione di molti reati passa per realt
geografiche diverse (reati informatici, riciclaggio, traffico di droga, ecc);
2) gli stati sviluppano sempre pi corpi legislativi omogenei anche nel diritto penale. Questo
processo di coordinamento pu avvenire in due modi diversi:
- tramite un coordinamento spontaneo dei codici da parte degli stati, quindi non derivante da
normativa superiore dell'UE ma da una libera adesione;
- tramite atti di provenienza dell'Unione Europea con incidenza di diritto positivo sugli stati
membri.
Fino al Trattato di Lisbona (2008) l'Unione Europea non ha una potest penale diretta altrimenti
avremmo avuto dei problemi di contrasto con i principi costituzionali di riserva di legge presenti nei
vari ordinamenti interni degli Stati. Gli atti dell'UE nascevano dal ruolo coordinato tra Consiglio e
Commissione che non erano organi direttamente elettivi. Con il Trattato di Lisbona si ha una
modifica parziale di questa situazione perch abbiamo atti nati da procedimento di co-decisione
tra Consiglio e Parlamento il problema comunque non viene risolto anche se abbiamo un
maggior rilievo della componente parlamentare e quindi della componente rappresentativa, anche
se i Paesi di piccole dimensioni hanno comunque una scarsa rappresentanza.
Come abbiamo gi detto, il rapporto tra normativa penale interna e normativa europea coinvolge
due ambiti problematici: 1) l'incidenza delle norme europee che restringono l'ambito del punibile;
2) il problema pi delicato dei provvedimenti suscettibili di estendere l'ambito del punibile.
Sappiamo che gli atti dell'unione europea si distinguono in regolamenti e direttive. I regolamenti,
come i Trattati, sono dotati di applicabilit diretta; il problema riguarda invece le direttive, le quali
non hanno una applicabilit diretta ma semplicemente obbligano gli Stati al conseguimento di un
determinato risultato ma lasciano la discrezionalit agli stati sulla scelta delle modalit e dei mezzi
per raggiungerlo.
C' stata una sentenza del 1985 (sentenza Ratti) della Corte di Giustizia europea che conferisce a
certe direttive una efficacia in sostanza equiparabile ai regolamenti, sulla base della presenza di
contenuti dettagliati ed analitici. Queste direttive con contenuti dettagliati ed analitici sono
definite direttive self-executive, proprio perch senza un atto di recepimento interno sono
direttamente applicabili nei paesi membri, vietando quindi l'introduzione di norme interne non
conformi alla direttiva.
Le direttive self-executive arrivano ad avere quindi un'incidenza diretta nell'ambito del punibile. Un
esempio per capire fu una sentenza del 2004 in materia ambientale per cui la normativa
comunitaria considerava lecito l'utilizzo di determinate sostanze che in Italia invece l'ordinamento
interno considerava vietato.
Il problema quindi di non poca rilevanza dato che arriva ad incidere sull'estensione dell'ambito
del punibile o ampliandolo o restringendolo.
Tema pi delicato riguarda il c.d. terzo pilastro (GAI giustizia, sicurezza e interni) nella
situazione ante trattato di Lisbona.
Questo terzo pilastro attribuiva la possibilit di prendere decisioni-quadro in materia penale (dato
che l'UE non ha potest penale diretta), cio esprimeva la volont di creare una sorta di
coordinamento anche nella materia penale, tramite appunto delle decisioni-quadro. Il problema
era per che le decisioni-quadro non sono direttamente applicabili e funzionano esattamente
come le direttive non self-executive.
Tuttavia anche le decisioni-quadro, esattamente come le direttive, cominciano ad avere sempre pi
contenuti analitici e precisi, caratteristiche sempre pi vicine alle direttive self-executive.
Tanto vero che per quanto riguarda le decisioni-quadro nella materia penale, si richiedeva agli
stati di prevedere una determinata normativa penale e questo configurava in capo agli stati un
139
obbligo di disciplinare determinate materia con la norma penale, in contrasto con i principio del
diritto penale come extrema ratio.
Per alcune decisioni-quadro pur parlando di norme di coordinamento minimo cominciano a
prevedere espressioni nelle quali si richiede agli stati di prevedere norme penali effettive,
proporzionali e dissuasive. Qui diventa ulteriormente specifico il contenuto, fino in taluni casi
estremi a prevedere addirittura livelli minimi di ricorso alla pena detentiva.
Ci fu una sentenza del 13 settembre del 2005 che in riferimento a questa situazione vide
contrapposte la Commissione ed il Consiglio rispetto ad una certa decisione-quadro in materia
ambientale. La Commissione si rivolge alla corte europea affermando che la materia ambientale
non poteva essere affrontata con decisioni-quadro perch rientrava nel primo pilastro, e quindi
poteva essere affrontato solo con direttive.
In questa sentenza emerge un principio che fa un passo in avanti: nonostante il principio per cui
l'UE non ha una potest penale diretta, i provvedimenti penali non in bonam partem che erano
stati presi con decisioni-quadro si dice che quando un tema riguarda materie afferenti in maniera
necessaria alla politica comunitaria l'indicazione penale pu venire anche attraverso una direttiva.
Quindi fino al 2005 solo le decisioni-quadro potevano prevedere indicazioni penali perch erano, al
tempo, una disciplina minimale, anche se poi, come abbiamo detto, si sono spinte pi in l
avvicinandosi nei contenuti alle direttive self-executive; dopo la sentenza del 2005 si afferma che
anche le direttive possono portare indicazioni penali, se la materia afferisce strettamente alla
politica comunitaria.
A controbilanciare questa liberalizzazione, l'indicazione penale della direttiva deve comunque
essere generale e lasciare la specificazione del tipo di pena e della durata all'ordinamento interno
degli stati membri. Non devono quindi trattarsi di direttive self-executive.
Dal 2009 entra in vigore il trattato di Lisbona che elimina la distinzione formale dei tre pilastri e
abbiamo l'introduzione di una potest normativa che si fonda su una co-decisione tra Consiglio e
Parlamento.
Per la materia penale viene in gioco l'art. 83 del Trattato. Questo articolo prevede una potest che
si fonda sul concetto di norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia
di criminalit grave e a dimensione transnazionale, derivante dall'indicazione dei reati stessi e dalla
necessit di contrastarli con una disciplina omogenea.
La definizione dell'art. 83 tende a stabilire l'ambito entro il quale pu determinarsi un intervento
normativo UE in materia penale. Definizione, per, piuttosto generica per pi profili.
Innanzitutto si fa riferimento a norme minime ma riguardo ad argomenti fondamentali, quali
appunto la definizione dei reati e delle sanzioni. Gi il concetto di norme minime un concetto
generico che riprende quello che nel trattato di Amsterdam (art. 31) dava luogo al contenuto delle
decisioni-quadro che erano, per l'appunto, norme generali (anche se poi sappiamo che erano
andate ben oltre diventando sempre pi analitiche).
Si tratta di norme minime che riguardano proprio il contenuto stesso del diritto penale. Non
prevista una potest generale ma riguarda solo l'ambito di criminalit grave e transnazionale,
concetti a loro volta da definire perch generici.
Il secondo paragrafo fa indicazione delle sfere della criminalit alle quali si pu estendere
l'intervento ma anche qui abbiamo alla fine una clausola generale che fa riferimento alla necessit
di ravvicinamento in materie che gi sono state oggetto di argomentazione. In settori dove c' gi
stata una armonizzazione l'UE si riserva quindi la facolt di poter intervenire.
Certo gli atti che possono essere costituiti sulla base dell'art. 83 non hanno la natura delle direttive
self-executive ma sono direttive che pongono delle discipline minime quindi non possono essere
applicate in maniera diretta. Per sono direttive effettivamente vincolanti, perch gli stati devono
140
recepirle e se non lo fanno vanno incontro ad una serie di provvedimenti sanzionatori.
L'UE finisce quindi per creare un ambito potenzialmente molto esteso nel quale crea obblighi agli
stati di intervento penale. Il concetto di norme minime, vista anche la vicenda espansiva delle
decisioni-quadro rimane molto incerta.
Viene perci di fatto a crearsi una competenza penale diretta in capo all'UE.
Questo articolo 83 ha contenuti tali per cui lascia aperta la strada ad una configurazione penale
ampiamente strutturata non pi a livello statale ma a livello europeo. L'art. 83 ha riferimenti cos
ampi che si fa fatica a capire come sar questo intervento, la sua reale portata.
La situazione aperta ad evoluzioni difficilmente prevedibili. Insoluti rimangono tre problemi:
1) non c' decisione affidata totalmente al Parlamento, organo davvero rappresentativo;
2) riguardo l'intensit dell'armonizzazione i concetti utilizzati dall'art. 83 (norme minime,
criminalit grave, transnazionale, ecc) sono concetti altamente generali da definire;
3) non c' valorizzazione adeguata del settore pi tipico dell'ambito sanzionatorio che non
quello penale ma quello amministrativo. La modalit originaria dell'intervento UE era di
carattere amministrativo; ora invece abbiamo una forte enfatizzazione dell'intervento di
carattere penale. L'UE dal momento che fa fatica ad affermare la propria autorit in ambito
di politica economica e commerciale e di altri settori, ha come risultato l'enfatizzazione di
una identit europea nell'ambito penale. Tuttavia sarebbe abbastanza pericoloso dare
all'identit penale una funzione propulsiva per lo sviluppo di una identit dell'Unione
Europea negli altri settori, tramite questo utilizzo strumentale dei diritto penale.
Oggi abbiamo l'art. 83 che indica l'ambito definito di intervento dell'UE. Avremo norme interne che
sono applicazione di direttive UE.
Ma questa riserva di legge realmente rispettata? La possibilit del legislatore interno di
discostarsi dalla disciplina normativa molto scarsa, nonostante gi sia a conoscenza del
contenuto.
Abbiamo un problema di interpretazione del concetto di norme minime tenendo conto che
formalmente l'unione europea non ha un'autorit diretta.
Importante l'organo deputato a verificare la corretta applicazione delle direttive in materia
penale e del trattato la Corte di Giustizia Europea di Bruxelles che dar interpretazione corretta
dei concetti di norme minime, di criminalit particolarmente grave, ecc. Vediamo un diritto penale
sempre pi di creazione giurisprudenziale.
Il trattato UE da valore giuridicamente vincolante anche alla Convenzione Europea dei diritti
dell'uomo (CEDU), che un atto del Consiglio D'europa che ha estensione pi ampia dell'UE.
La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo non ha capacit di vincolare gli stati e invece ci
troviamo che diventa anche atto lecitativo dell'UE con efficacia pari a quella del trattato e quindi
con efficacia diretta. La conseguenza una sovrapposizione di competenze tra Corte dei diritti
dell'uomo e Corte di Bruxelles.
Prima del 2009 non era cos.
Primo principio: il giudice non pu disapplicare una norma interna per contrasto alla Convenzione
ma deve dare una interpretazione coerente alla Convenzione e se ci non possibile deve
sollevare questione alla Corte Costituzionale.
Secondo principio: poi l'interpretazione della Convenzione doveva avvenire sulla base dei principi
espressi dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. E questo valeva anche per la stessa Corte
Costituzionale.
Terzo principio: impianto visto sopra valido salvo che la Corte Costituzionale faccia valere i c.d.
contro-limiti la corte costituzionale deve interpretare non secondo i suoi principi ma secondo
quelli della Corte Europea dei diritti dell'uomo, salvo che la corte costituzionale faccia valere un
141
contrasto con l'impianto della costituzione o dei suoi principi fondamentali. Questa disciplina
faceva salva l'autorit delle costituzioni dei vari paesi erano i contro-limiti all'interpretazione
della corte europea dei diritti dell'uomo.
Era un impianto molto delicato, perch la costituzione italiana molto attenta nella configurazione
della composizione della corte costituzionale, in modo che siano bilanciati i poteri, ma questa
specificit non presente nella composizione della corte europea dei diritti dell'uomo.
Tutto questo era quanto stabilito prima del 2009, ma fino al 2009 la CEDU non c'entrava nulla con
l'UE. Dopo il 2009 la Convenzione diventa normativa interna dell'Unione a pari del trattato UE. Va
oltre il principio di partenza per cui il giudice interno non pu disapplicare la norma interna. La
conseguenza sarebbe che la normativa della Convenzione diventerebbe direttamente applicabile.
Altro dubbio: a questo punto che potest avr la corte europea dei diritti dell'uomo? Su questi
argomenti si sta riunendo la dottrina per cercare di dare risposta a questi nodi. Rimangono ancora
molte non chiarezze.

SENTENZA 28 APRILE 2011, CORTE DI GIUSTIZIA UE.
Sentenza molto recente che riguarda le norme che abbiamo considerato del Testo Unico in materia
di immigrazione. Questa sentenza richiama tutta una serie di principi che abbiamo considerato.
Riguarda la norma dell'art. 14 del Testo Unico, la norma la quale dice che se uno straniero dopo
aver avuto il decreto di espulsione, che non produce di per s effetto, ha anche un ordine di
allontanamento e non si allontana punito con la reclusione da 1 a 4 anni.
Quindi questa norma sanziona il mancato allontanamento dopo l'ordine. L'iter che avevamo
studiato prevede che dopo l'ordine di espulsione lo stato possa, con un provvedimento di
accompagnamento, eseguire questa espulsione. Se lo stato non esegue il provvedimento esecutivo
per mancanza di mezzi o per altre ragioni la legge italiana prevede il trattenimento nel centro di
identificazione ed espulsione e se neanche nelle more della permanenza in questo centro viene
data l'espulsione, pu darsi che venga dato allo straniero un ordine di allontanamento spontaneo.
Proprio questo ordine, che si inserisce in un ambito amministrativo altrimenti eseguito dallo stato,
si inserisce questa norma penale portata al giudizio della corte di giustizia UE.
Le norme riprese sono quelle dell'art. 15 comma 5ter e 5quater del T.U.
La vicenda vedere il punto n 18 della sentenza.
Punto 23 paradossalmente l'instaurazione di un procedimento penale rallenta la procedura di
espulsione richiesta alla corte europea di indici indicativi dei principi di proporzionalit, di
adeguatezza e di ragionevolezza della pena. La corte d'appello di Torino sospende il procedimento
e si rivolge alla corte europea e chiede gli indici su questi punti altrimenti considera che non pu
andare avanti.
Punto 25 artt. 15 e 16 della direttiva ostino:
c' un anomala attuazione della procedura amministrativa di rimpatrio si passa
direttamente alla procedura penale non avendo utilizzato gli altri strumenti per realizzare
diversamente il fine il non essere passati per il centro di identificazione
la mera mancata cooperazione dell'interessato non rispetto del primo ordine di
allontanamento pu essere sanzionata, chiede la corte d'appello, una mancata
cooperazione ad un provvedimento di espulsione quando l'ordinamento giuridico ha
comunque gli strumenti per ottenerlo?
Punto 29 la questione.
Punto 33 qui troviamo quel principio secondo cui l'ordinamento UE pu limitare la potest
penale degli stati considerando leciti certi comportamenti oppure considerandoli illeciti ma non
tali da giustificare la sanzione penale o la sanzione penale di un certo tipo. Ci sono delle norme
142
comuni, delle regole minime sulle modalit del rimpatrio e non possono non essere rispettate, n
non provvedendo completamente al rimpatrio ma nemmeno prevedendo norme pi gravose per il
soggetto da rimpatriare.
Punto 34 tenere a mente questo con precisione: fa riferimento a quando una direttiva con
contenuti analitici e precisi diventa direttamente applicabile. Punto che verr ripreso della
sentenza. La sentenza dice che c' un aspetto di precisione della direttiva.
Punto 35 Gli stati membri sono obbligati ad adottare una procedura di rimpatrio ma non in
qualsiasi modo.
Punto 38 Se ci sono delle ragioni lo stato membro pu prevedere degli obblighi aggiuntivi.
La Corte UE non esclude che vengano prese procedure coercitive quando ne sussistono le ragioni,
come quando lo straniero non adempie all'allontanamento spontaneo.
Punto 39 altro principio notevole, perch, avendo presente i numeri precedenti ha fatto una
sorta di scaletta di provvedimenti tra i quali quello estremo il trattenimento nel centro di
identificazione ed espulsione.
Punto 40 riprende limiti massimi del trattenimento che la direttiva prevede.
Punto 41 lo stato non pu semplicemente se non esegue l'ordine di espulsione portarli al centro
senza altre ragioni. Il trattenimento la soluzione estrema. La corte , nella sentenza, evidenzia che
questi centri devono essere del tutto separati dalle strutture penitenziarie.
Punto 46 sentenza post trattato di Lisbona ma riprende i principi enunciati in precedenza.
Notare non solo quando stato non recepisce direttiva ma anche quando recepisce ma non lo fa
correttamente.
Punto 49 avevamo detto che siccome art. 2 della direttiva dice che le norme non si applicano
quando l'espulsione costituisce una sanzione penale ricordiamo che in Italia siccome era sempre
reato allora non si applica la direttiva, interpretazione che era stata superata ma qui la corte UE fa
un passaggio chiarificatore.
Punto 53 qui stiamo parlando di una incidenza dell'UE restrittiva non il caso in cui UE chiede
introduzione di norme penali.
Punto 55 argomentazione formale della corte, paradossalmente procedimento penale pu
anche rallentare il procedimento previsto dalla direttiva di espulsione.
Punto 57 Enorme importanza viene ad assumere il concetto da un lato di proporzionalit e di
efficacia dei mezzi dall'altro. Concetti qui usati in bonam partem ma che diventano pi delicati se la
direttiva, al contrario, chiede un intervento di carattere penale.
Punto 58 la corte considera sproporzionato il tipo di reazione avendo lo stato la possibilit di
dare esecuzione al rimpatrio in altro modo. E lo spiega al punto 59.
Punto 59 torniamo sul paradosso che la procedura e tempi necessari per arrivare all'ambito
penale possono ritardare l'esecuzione. Non fa solo un discorso di umanitarismo ma fa anche un
discorso di efficacia.
Punto 61 giudice di rinvio la corte d'appello di Trento che deve applicare le disposizioni del
diritto dell'UE: vediamo l'efficacia diretta delle norme. Si fa riferimento poi ad altre sentenze, come
quella Simmenthal che port ad una restrizione dell'ambito del punibile in forza di norma europea.
La normativa pi favorevole, quale venga a configurarsi da questa interpretazione delle norme
europee, viene ad essere applicata anche ai fatti commessi quando la direttiva europea non era
entrata in vigore, cio prima del dicembre 2010. Fa riferimento a principi comuni degli ordinamenti
costituzionali come una sorta di patrimonio di valore equiparabile a quello dei trattati.
Questa sentenza, che molto breve, l'abbiamo letta, non tanto per ritornare sulla questione
dell'immigrazione, ma per avere una sintesi recentissima e molto efficace e soprattutto successiva
al trattato di Lisbona e quindi ci facilita a comprendere determinati principi.
143

SENTENZA N 115/2011 CORTE COSTITUZIONALE, IN RIFERIMENTO ALL'ART. 650 C.P.
Questa sentenza riguarda una norma, l'art. 650 che abbiamo gi visto (inosservanza dei
provvedimenti dell'autorit), inserita nel T.U. degli enti locali che attribuiva poteri straordinari ai
sindaci.
Questa sentenza interessante anche perch ci insegna una cosa di notevole rilievo, cio che per
valutare oggi l'area applicativa del diritto penale sempre pi necessario conoscere la normativa
complementare di carattere non penalistico. Anche la dichiarazione di incostituzionalit delle
norme che andremo vedere di per s non costruita in rapporto al diritto penale.
Punto 1 la parte della sentenza che racconta che cosa ha ritenuto il tribunale che rimette la
questione alla corte. Elenco di norme della costituzione che vengono ritenute violate. Solo
indirettamente abbiamo norme che attengono all'ambito penale.
Andiamo a vedere in che cosa consiste la questione, saltando la parte che riguarda la narrazione, e
vediamo perch ha rilevanza per il diritto penale.
Il TAR del veneto emette una ordinanza dove solleva una questione di incostituzionalit dell'art. 54
comma 4 del T.U. degli enti locali, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del
governo, di adottare provvedimenti a contenuto normativo e ad efficacia a tempo indeterminato a
fine di prevenire od eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana, anche fuori dai casi
di contingibilit e urgenza.
Questo anche sembra una parola insignificante ma finisce per creare un qualcosa di radicalmente
nuovo. accaduto che rispetto al testo precedente della legge sull'ordinamento degli enti locali
che prevedeva questi poteri del sindaco in casi molto ristretti cio solo di contingibilit e di
urgenza, l'aver introdotto quell'anche finiva per implicare che il sindaco pu emanare
provvedimenti di questo genere anche fuori da queste situazioni particolari ed estreme. Sindaco
potest ok per situazioni di gravit ed urgenza ma non di carattere generale!
Punto 1.1 se si da un potere generale al sindaco viene meno la determinatezza che richiesta
per gli atti amministrativi, verrebbe dato un potere di discrezionalit praticamente illimitato.
Punto 3.1 la situazione precedente a quel anche era quella secondo cui il sindaco poteva
intervenire con provvedimenti solo in presenza di situazioni di contingibilit e urgenza e in quel
caso era tenuto a rispettare i principi generali dell'ordinamento. La legislazione consentiva poteri
notevolissimi di introduzione di un provvedimento anche in deroga alle norme vigenti tenendo solo
per fermi i principi generali dell'ordinamento. Potere non debole in deroga alle norme vigenti, ma
purch rispetti i principi generali e solo in casi di urgenza. Con l'introduzione di della parola
anche si era affacciata l'interpretazione che il sindaco potesse emettere provvedimenti in deroga
alle norme vigenti in qualsiasi caso, rispettando soltanto i principi generali dell'ordinamento.
N.B. Non stiamo parlando di qualsiasi provvedimento, ma solo di quei provvedimenti in materia di
sicurezza urbana e di incolumit pubblica!
La corte costituzionale fa un passaggio chiarificatore. Sul piano interpretativo dice: questa
interpretazione non corretta! L'interpretazione con l'aggiunta della parola anche consente si al
sindaco di fare provvedimenti in materia di sicurezza anche fuori dai casi di urgenza e contingibilit,
ma quando fuori da questi casi non pu andare in deroga alle norme vigenti. Pu andare in
deroga solo quando ci sono i requisiti della contingibilit e dell'urgenza. In questo caso ha come
unico limite i principi generali dell'ordinamento. L'interpretazione generalista non accettabile. La
corte da quindi una sorta di sentenza anche interpretativa.
La corte nella sentenza fa l'esempio di come sarebbe dovuto essere scritto se si voleva interpretare
nel modo che riteneva scorretto. Solo se le virgole fossero state costruite nel secondo modo allora
avrebbe voluto dire che tutti gli atti del sindaco possono limitarsi a rispettare i principi generali
144
dell'ordinamento. Non di meno anche con questa lettura interpretativa la corte giunge a ritenere
incostituzionali questi nuovi poteri assegnati al sindaco in materia di sicurezza fuori dai casi di
contingenza e urgenza. Quindi nonostante la chiarificazione dell'interpretazione, li dichiara
comunque incostituzionali (vedi sentenza).
La corte li ritiene comunque indeterminati secondo il principio di legalit. Non si pu comprimere
la sfera di libert dei consociati con dei provvedimenti del tutto indeterminati.
C' un punto della sentenza in cui la legge parla della distinzione tra riserva relativa e riserva
assoluta che riguarda le legge penale.
La corte richiama precedenti sentenze che avevano riconosciuto accettabile una deroga al principio
dell'art. 23 Cost. in situazioni di eccezionalit ed urgenza sulla base di una serie di argomentazioni e
della estrema delimitazione dei poteri di intervento in materia di sicurezza del sindaco.
Vediamo che questa sentenza non nomina il penale ma ha una efficacia notevolissima sugli effetti
del penale. Andando a rivedere la norma dell'art. 650 c.p. vediamo come pratica una dilatazione
praticamente indeterminata nel contenuto dei poteri del sindaco in materia di sicurezza e
ovviamente ha efficacia sul penale perch pu prevedere come reati certi comportamenti e quindi
penalmente sanzionabili violazione principio di riserva di legge penale.
La sentenza ad un certo punto richiama la vicenda fiorentina dei lavavetri. Un provvedimento del
sindaco che prevedeva il divieto di chiedere un compenso per la prestazione dei lavavetri non
aveva portato all'applicazione della sanzione penale dell'art. 650 perch la procura della repubblica
di Firenze riteneva che quel comportamento rientrava gi nell'illecito specifico, quello di
accattonaggio che era per illecito amministrativo e non penale, in forza del principio di specialit.
Se non c' una norma esplicitamente derogatoria, il principio di specialit vale anche tra norma
penale e norma amministrativo, non vero che il penale prevale sull'amministrativo. Il sindaco
aveva modificato la sua ordinanza per slegarla dall'aspetto della richiesta di denaro che lo faceva
diventare accattonaggio.
Con l'analisi di questa sentenza abbiamo visto come una sentenza della corte in materia non
penale incide invece proprio sull'efficacia del diritto penale.

PROVVEDIMENTI DI CONTRASTO ALLA CRIMINALIT ORGANIZZATA.
Le prime norme che affrontiamo riguardo la criminalit organizzata sono il D.l. 206/1992 convertito
poi nella L. 306/1992.
Ci occupiamo di due articoli della legge che mettiamo a confronto: art. 12quinquies e art.
12sexies.

Art. 12quinquies. Trasferimento fraudolento di valori. Secondo comma:
2. Fuori dei casi previsti dal comma 1 e dagli articoli 648, 648bis e 648ter del codice penale, coloro
nei cui confronti pende procedimento penale per uno dei delitti previsti dai predetti articoli o dei
delitti in materia di contrabbando, o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste
dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivit delle associazioni
previste dallo stesso articolo, nonch per i delitti di cui agli articoli 416-bis, 629, 630, 644 e 644-bis
del codice penale e agli articoli 73 e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ovvero nei cui confronti in corso
di applicazione o comunque si procede per l'applicazione di una misura di prevenzione personale i
quali, anche per interposta persona fisica o giuridica, risultano essere titolari o avere la
disponibilit a qualsiasi titolo di denaro, beni o altre utilit di valore sproporzionato al proprio
reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attivit economica, e dei quali non
145
possano giustificare la legittima provenienza, sono puniti con la reclusione da due a cinque anni e il
denaro, beni o altre utilit sono confiscati.

Art. 12sexies. Ipotesi particolari di confisca. Primo comma:
1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 del codice di
procedura penale, per taluno dei delitti previsti dagli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 600, 601,
602, 629, 630, 644, 644bis, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis, 648ter del
codice penale, nonch dall'art. 12quinquies, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito,
con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, ovvero per taluno dei delitti previsti dagli articoli
73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina
degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sempre disposta la confisca del
denaro, dei beni o delle altre utilit di cui il condannato non pu giustificare la provenienza e di cui,
anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilit a
qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul
reddito, o alla propria attivit economica. Le disposizioni indicate nel periodo precedente si
applicano anche in caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta, a norma dell'art. 444
del codice di procedura penale, per taluno dei delitti commessi per finalit di terrorismo o di
eversione dell'ordine costituzionale.
L'art. 12quinquies stato dichiarato incostituzionale mentre il 12sexies no. La domanda che ci
poniamo perch il primo stato dichiarato incostituzionale ed il secondo no, dato che
presentano degli elementi simili?
L'art. 12quinquies comma 2 fa riferimento agli articoli riguardanti ricettazione e riciclaggio e tutti
quei reati gravi che riguardano spesso la criminalit organizzata.
Se il soggetto ha in corso procedimenti penali per reati gravi e risulta che ha beni sproporzionati al
suo reddito o all'attivit economica se non dimostra la legittima provenienza punito con la
reclusione da 2 a 5 anni e i beni sono confiscati.
Perch stata dichiarata incostituzionale? Il primo elemento che la norma prevede di fatto
un'inversione dell'onere probatoria, perch l'imputato deve dimostrare la legittima provenienza. Il
non dimostrare la legittima provenienza, per coloro che si trovano nella condizione detta dalla
norma, costituisce reato.
C' anche da riflettere anche sulla legittimit del presupposto, dato che si tratta della pendenza di
un procedimento penale che non ha ancora raggiunto un provvedimento definitivo e quindi
l'imputato potrebbe invece essere prosciolto.
Leggendo l'art. 12sexies vediamo che anche qui se il soggetto condannato per quei reati ed
titolare di beni sproporzionati al reddito e non pu dimostrare la legittima provenienza, la
conseguenza la confisca dei beni.
Per qui non intervenuta una dichiarazione d'incostituzionalit. Perch?
Il primo elemento che il presupposto diverso dato che non si parla di processo ma di pena gi
data. Secondo elemento che il non dare la prova non viene a configurare un reato autonomo ed
aggiuntivo ma solo una conseguenza lato sensu sanzionatoria che la confisca, classificata come
misura di sicurezza di carattere patrimoniale.
Anche qui abbiamo un'inversione ma qui non porta all'applicazione di un'altro reato e quindi di
una pena aggiuntiva, ma da luogo semplicemente ad una ulteriore conseguenza sanzionatoria.
Qui vediamo il concretizzarsi di una considerazione che avevamo gi fatto quando parlavamo del
sistema sanzionatorio a proposito del fatto che superare la centralit della pena detentiva
importante non soltanto per una considerazione di tipo umano ma anche per considerazioni di
146
efficienza. Ricordiamo che la pena detentiva spesso fa da alibi ad altri strumenti che potrebbero
venire in gioco. La applicazione della pena detentiva giustamente esige il massimo di garanzia, ma
bisogna stare attenti che il massimo delle garanzie non facciano da alibi ad un sistema penale
troppo severo.
Nella misura in cui la conseguenza sanzionatoria non di carattere detentivo ma attiene al
patrimonio allora ci pu essere una modulazione delle garanzie, che non vuol dire che non ci
devono essere!
Nell'art. 12quinquies l'incostituzionalit stata dichiarata perch l'inversione dell'onere della prova
ha come conseguenza, in mancanza di prova della provenienza legittima dei beni, una limitazione
libert personale (reclusione da 2 a 5 anni).
L'art. 12sexies non stato dichiarato incostituzionale perch la mancanza di prova della
provenienza legittima dei beni non consegue un provvedimento che incide sul bene della libert
costituzionale, ma prevede solo un aggravamento della pena consistente in un provvedimento
che incide sulla sfera patrimoniale del soggetto, non sulla sua sfera personale come avveniva con
l'art. 12quinquies comma 2.
Il giudizio di incostituzionalit dato perci alla luce delle conseguenze che potrebbero derivare
dall'inversione dell'onere della prova.
Altro provvedimento molto importante in materia di criminalit organizzata costituito dalla prima
legge base antimafia, cio la L. 575/1965.
Analizziamo l'art. 2ter, comma 2:
2. Salvo quanto disposto dagli articoli 22, 23 e 24 della legge 22 maggio 1975, n. 152, il tribunale,
anche d'ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui
confronti iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il
loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivit economica svolta ovvero
quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attivit
illecite o ne costituiscano il reimpiego []
3. Con lapplicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati
di cui la persona, nei cui confronti instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima
provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la
disponibilit a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle
imposte sul reddito, o alla propria attivit economica, nonch dei beni che risultino essere frutto di
attivit illecite o ne costituiscano il reimpiego.
Siamo in una procedura per l'applicazione di misure di prevenzione e anche qui viene previsto il
sequestro dei beni, dei quali la persona, nei cui confronti iniziato il procedimento, risulta disporre
quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivit economica svolta
ovvero, quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di
attivit illecite o ne costituiscano il reimpiego.
Il sequestro si differenzia dalla confisca perch un provvedimento provvisorio e cautelare, mentre
la confisca viene adottata da una sentenza.
Le misure di prevenzione sono provvedimenti molto delicati che non presuppongono
l'accertamento penale di una commissione di reato ma si fondano su indizi di pericolosit. Anche
se affrontate in maniera limitata dai manuali, bisogna tener presente che le misure di sicurezza
sono uno strumento molto diffuso. Inoltre bisogna sottolineare che le misure di prevenzione sono
misure amministrative di sicurezza, non penali!
Vediamo al terzo comma che mette sullo stesso piano la confisca di beni dei quali sussiste la prova
della lor provenienza illecita con quei beni che, sussistendo l'indizio della sproporzione rispetto al
reddito o all'attivit economica, il soggetto non in grado di dimostrare legittima provenienza.
147
Anche in questo caso riguardo al provvedimento di confisca abbiamo un elemento che di per s fa
da inversione dell'onere della prova ma che non incide sulla libert personale, ma sulla sfera
patrimoniale del soggetto.
Qui troviamo le stesse motivazioni di costituzionalit che abbiamo visto per l'art. 12sexies della
legge 306/1992.

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO.
Rapina, art. 628 c.p.
Chiunque, per procurare a s o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o
minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene punito con la
reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065.
Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione,
per assicurare a s o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a s o ad altri
l'impunit.
La pena della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro
3.098: 1) se la violenza o minaccia commessa con armi , o da persona travisata, o da pi
persone riunite; 2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacit di volere o di
agire; 3) se la violenza o minaccia posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di
cui all'articolo 416 bis.
La rapina rappresenta il reato complesso per antonomasia. reato speciale rispetto al furto perch
consiste nel furto con modalit particolari, cio nel furto con violenza o con minaccia.
Si tratta di una violenza non rivolta alla cosa, ma violenza rivolta alla persona.
La violenza attraverso la quale si realizza una rapina potrebbe essere anche una violenza che va
ben al di l dei requisiti della violenza privata. La violenza privata, come sappiamo, un reato a s
stante ed un delitto non contro il patrimonio ma contro la libert morale :

Violenza privata, art. 610.
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa
punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
La rapina pu realizzare l'impossessamento violento attraverso una lesione oppure attraverso una
percossa o addirittura un omicidio.
La norma per parla genericamente di violenza. Vediamo l'art. 581 sulle percosse:

Art. 581. Percosse.
Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, punito, a
querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 309.
Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o
come circostanza aggravante di un altro reato.
Il secondo comma dell'art. 581 fa proprio riferimento a tutte quelle situazioni elencate dai codici in
cui con una medesima azione si realizzano due condotte lesive differenti (concorso apparente) tra
le quali c' proprio la rapina. Quindi la norma ci dice che se realizzo una rapina nella quale la
violenza consiste in percosse non si applica il reato di percosse ma viene assorbito nel reato di
rapina.
Posto che la condotta parla di violenza nella persona e se questa violenza inquadrabile nell'art.
610 anche qui rispondo di rapina, quindi anche in questo caso la violenza privata assorbita nella
rapina.
148
La dottrina ne deriva che quando la violenza non consiste n in una mera percossa n
esclusivamente in ci che consiste l'art. 610, allora ci troviamo proprio nel caso di concorso e
quindi il soggetto agente risponde sia di rapina sia, per esempio, di omicidio.
Ma dalla pura lettura della norma non abbiamo elementi espliciti che fanno riferimento a questo
aspetto del concorso. Lo ricaviamo solo dalla lettura delle altre norme.
La rapina pu essere propria o impropria.
Leggendo attentamente il comma 2 ci accorgiamo che abbiamo riunite nella medesima norma due
situazioni che non sono cos omogenee come appare.
Il primo comma configura la situazione della rapina propria punisce l'atteggiamento di chi
disposto per una finalit di carattere patrimoniale ad agire sulla sfera fisica o psichica di un'altra
persona, quindi usa la dimensione violenta come strumento per realizzare un fine meramente
patrimoniale.
Nel secondo comma la situazione diversa, non c' uso della violenza per fine patrimoniale.
Questo fine realizzato senza l'uso della violenza. Ma prima si realizza la sottrazione (sottrazione
non impossessamento) ma la violenza compare solo in un secondo momento, come se non fosse
programmata, al fine di assicurare il possesso della cosa, cio che dalla sottrazione si possa passare
all'effettiva signoria sulla cosa, o al fine di evitare di essere identificato e quindi punito.
Condotta analoga a quella del furto, con dolo specifico e si tratta di una condotta non libera
perch deve consistere in una minaccia o violenza.
Qui cominciano i problemi interpretativi.
La violenza coazione del volere e ricomprende ci che idoneo a costringere; quindi la violenza
priva l'aggredito della capacit di formare liberamente e attualmente (cio nel momento stesso in
cui viene esercitata) la sua volont.
Ma la violenza soltanto ci che attinge fisicamente il corpo di un'altra persona? soltanto l'atto
fisico che attinge alla sfera corporea dell'altra persona?
Constateremo come tutti questi reati che vedremo hanno visto diversi atteggiamenti attuativi. La
giurisprudenza tende ad una interpretazione estensiva. Ad esempio si detto che la violenza
potrebbe essere realizzata anche con un narcotico o con un gas lacrimogeno e qui vediamo come si
va oltre la concezione originaria della violenza come attinente solo alla sfera corporea
dell'individuo.
Talora si identifica la violenza nella semplice spinta o nel semplice urto! La conseguenza cos
diventa privilegiata la sfera applicativa della rapina rispetto a quella del furto, cio la sfera
applicativa della rapina si dilata, restringendo quella del furto.
La violenza, in ogni caso, pu essere esercitata anche nei confronti di un terzo purch vi sia un
legame tra la violenza la terzo e l'acquisizione della cosa nei confronti di chi in quel momento la
detiene. Quindi non necessario che al violenza sia esercitata nei confronti del soggetto che
detiene la cosa.
La stessa cosa vale per la minaccia. La minaccia consiste nella prospettiva di un male futuro e
ingiusto nei confronti della persona minacciata se non compie una determinata azione voluta dal
soggetto agente; ovviamente deve prospettare una lesione ad un bene giuridico che abbia un
legame significativo per la persona che subisce la sottrazione e la minaccia.
Facciamo l'esempio di un caso problematico e discusso: poniamo che due persone si fingano due
poliziotti e pretendono di dover svolgere una perquisizione nella casa di una vittima. Questa,
inesperta in materia giuridica perch non richiede il mandato che necessario per ogni
perquisizione, li lascia entrare e i due finti poliziotti sottraggono dei beni dalla casa. Qui abbiamo
violenza?
Qui non abbiamo una situazione in cui la violenza viene percepita come tale dalla vittima e quindi
149
diventa causa della sottrazione. un caso discusso: ma la dottrina pi autorevole conclude che al
violenza e la minaccia devono apparire come tali alla vittima e ,quindi, non costituire l'esito di una
condotta ingannevole. Deve essere percepita come violenza e non deve consistere in un inganno,
quindi nell'esempio fatto dei due ladri che si spacciano per poliziotti, la loro condotta di inganno,
quindi non siamo nell'ambito della rapina.
Ordinariamente si dice che la distinzione tra rapina ed estorsione sia data dall'elemento della
collaborazione della vittima. Nella rapina la sottrazione viene esercitata senza una collaborazione
della vittima, ma con una violenza; mentre sarebbe caratteristica dell'estorsione proprio la
collaborazione della vittima, anche se si tratta di una collaborazione non liberamente scelta.
Leggiamo l'art. 629, estorsione:
chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa,
procura a s o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, punito con la reclusione da cinque a
dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2065 [...]
Abbiamo l'elemento del costringere a fare od omettere (notare che manca il terzo termine previsto
dall'art. 610 che il tollerare). Nell'estorsione si tratta solo di una costrizione a fare o ad
omettere di fare.
L'opinione tradizionale ritiene che la collaborazione determina l'estorsione, ma una conclusione
affrettata perch si espone a delle contraddizioni.
Sulla base di questa opinione dovremmo arrivare a ritenere che se c' un gruppo di banditi che
ferma un'automobile e con fucili minaccia o la borsa o la vita e questi per evitare ulteriori danni
consegna la borsa, questa sarebbe una estorsione. Ma sarebbe una soluzione troppo forzata
Allora l'opinione dominante ritiene che si tratti di rapina quando il soggetto non ha alcuna
alternativa se non la messa in repentaglio della sua vita.
Ad esempio poniamo che Tizio subisce una rapina o un tentativo di rapina, cerca di opporsi ma
soccombe e con violenza gli vengono sottratti borsa e telefono. A questo punto cessa di opporsi e
consegna tutto quello che ha. Se vedessimo la differenza tra rapina ed estorsione nel fatto formale
del mero subire o del dare materialmente, in un caso di questo genere dovremmo concludere che
si siano configurati due reati, prima una rapina e poi un'estorsione, ma questa conclusione non
sarebbe accettabile!
Perci si ritiene che resti il reato di rapina quando il soggetto passivo si trova in totale balia
dell'agente, cio che non ha nessuna alternativa se non quella di mettere attualmente a
repentaglio la sua vita.
Da questo punto di vista sembrerebbe che la rapina abbia un elemento di maggiore rarit rispetto
all'estorsione, perch si pone il soggetto passivo in una condizione di maggiore gravit, in totale
privazione della libert di scelta.
Questa la lettura dominante, ma rileviamo una contraddizione, contraddizione che ci fa vedere
come avvenga cos spesso la innovazione legislativa in materia penale sull'onda della sensibilit
dell'opinione pubblica su un determinato tema. E proprio sulla materia della rapina e
dell'estorsione c' stata una forte attenzione dell'opinione pubblica.
La contraddizione sta nel fatto che originariamente rapina ed estorsione avevano un regime
sanzionatorio equivalente. Attualmente invece l'estorsione ha un regime sanzionatorio pi grave
(reclusione da 5 a 10 anni). E diventa difficile raccordare questa maggior penalizzazione rispetto
alla ricostruzione che abbiamo appena fatto, cio che la rapina configura una situazione ben pi
grave rispetto a quella configurata dell'estorsione.
Si rilevato che nella estorsione, rispetto alla rapina, c' proprio una libert a collaborare
nell'illecito, cosa che nella rapina non c', quindi una situazione pi gravosa. E allora perch
l'estorsione punita con pene pi gravi? questa la contraddizione.
150
Abbiamo detto che rapina reato con dolo specifico. Leggendo la norma vediamo per che non
basta l'impossessarsi in maniera violenta ma occorre la finalit di profitto e che questa violenza sia
finalizzata proprio al profitto. Qui che problema sorge? Cos' il profitto?
Dal punto di vista terminologico potremmo non ci dovrebbe sorprendere questo nesso con il
profitto, dato che ci troviamo nell'ambito dei reati contro il patrimonio; normale che si parli di
profitto e non meramente di vantaggio o utilit, che abbiamo visto, invece, in altri reati.
Sembra si debba concludere che il profitto debba essere un concetto legato necessariamente alla
sfera patrimoniale o quanto meno che abbia un significato economico. Invece andiamo sempre pi
incontro ad una interpretazione giurisprudenziale che tende alla depatrimonializzazione del
concetto di profitto.
Ad esempio Tizio sottrae in maniera violenta una cosa ma non per trarne profitto ma
semplicemente per distruggerla. Oppure Tizio litiga con un'altra persona ed in modo violento gli
sottrae un orecchino ma per solo fargli del male, non per rubarlo c' sottrazione e violenza ma
non c' il carattere di patrimonialit, quindi non possiamo parlare di rapina.
Il profitto deve essere non solo di tipo patrimoniale ma deve essere anche un profitto ingiusto,
quindi non deve fondarsi su una pretesa tutelata dall'ordinamento giuridico. Poniamo che in
maniera violenta si agisce per la tutela di un diritto: si risponde di violenza ma non di rapina
(esempio del cliente di una prostituta che, dopo la prestazione sessuale ed il pagamento,
violentemente riprende il proprio denaro violenza ma no rapina perch quel genere di
prestazione e di pagamento non riconosciuto e tutelato dal nostro ordinamento).
Detto questo riguardo alla rapina propria, affrontiamo ora la rapina impropria.
Abbiamo gi visto come nel caso della rapina impropria la violenza utilizzata non ai fini della
sottrazione. Anche nella rapina impropria abbiamo dolo specifico.
Analizziamo una espressione che pone problemi interessanti: per procurare a s o ad altri
l'impunit.
Cosa vuol dire questa frase? Vuol dire per sottrarsi all'arresto? Tutte le volte che si usa violenza per
sottrarsi all'arresto sarebbe rapina impropria?
Bisogna avere una prospettiva pi ampia delle norme e per questo andiamo ad analizzare le
aggravanti dell'omicidio, art 576, punti 3 e 4:
3) dal latitante, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione ovvero per procurarsi i
mezzi di sussistenza durante la latitanza;
4) dall'associato per delinquere, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione.
Dalla lettura di questi punti capiamo che quando l'ordinamento giuridico intende specificare che la
finalit di sottrarsi alla limitazione della libert personale usa un'espressione ad hoc.
Questo interessante perch l'art. 576 al primo punto fa riferimento anche alle circostanze
aggravanti generali dell'art. 61 e anche qui troviamo l'espressione per procurarsi l'impunit.
Nelle aggravanti dell'omicidio abbiamo la distinzione tra il concetto di procurarsi l'impunit ed il
concetto di sottrarsi all'arresto quindi non bisogna interpretarle come espressioni equivalenti.
Anche se la giurisprudenza tende ad applicare la rapina impropria anche solo quando il soggetto
usa violenza per sottrarsi all'arresto.
Al contrario in anni precedenti un filone giurisprudenziale riconosce pi correttamente una rapina
impropria quando la finalit non sottrarsi all'arresto ma il non essere identificato, cio riguarda
i casi in cui la persona che aveva appena commesso la sottrazione con violenza non una persona
gi identificata o identificabile. Quindi perch ci sia rapina impropria non basterebbe la violenza
per evitare l'arresto ma si richiederebbe che la persona non era ancora identificata o identificabile.
Nel caso in cui la violenza non usata per questo fine, avremmo invece un concorso di reato di
furto e di violenza privata.
151
Problema classico che si pone con riguardo alla rapina impropria consiste nel problema del
tentativo, cio ci si chiede quando si realizza il tentativo di rapina impropria. Da questo punto di
vista c' un'unanimit di opinione secondo la quale il tentativo si pu realizzare quando la persona
ha realizzato la sottrazione e usi o cerchi di usare violenza senza per riuscire ad esercitarla per i
fini di cui al secondo comma, quindi per assicurare il possesso o per garantirsi l'impunit (= per
evitare di essere identificato).
Il fine patrimoniale realizzato quindi senza violenza e qui si instaura violenza per gli altri fini e, in
questo caso, abbiamo detto che si ritiene configurarsi il reato di rapina impropria.
Ma sorge un problema delicato nell'ipotesi in cui la sottrazione non si realizzata, quindi c' stato
tentativo ma il soggetto agente non riuscito a sottrarre la cosa che voleva e dopo questo
tentativo usa violenza, ancora per il fine di non essere identificato.
La giurisprudenza applica qui il tentativo di rapina impropria, mentre la dottrina unanime
nell'affermare che invece non si pu configurare il tentativo di rapina impropria e in questo caso ci
sar il tentato furto con il concorso della violenza privata. La dottrina ferma su questa posizione
perch il presupposto della rapina impropria proprio che la sottrazione sia gi avvenuta e
nell'esempio fatto la sottrazione non si affatto realizzata. Perci non c' tentativo di rapina
impropria ma il concorso tra due reati, quello di furto e quello di violenza privata.
(N.B. Riprendere nella parte generale rapporto tra tentativo e dolo specifico).
Truffa, art. 640 c.p.
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a s o ad altri un ingiusto
profitto con altrui danno, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51
a euro 1032.
Qui la condotta prescinde dalla violenza.
Abbiamo un reato di evento (procura a s ad altri un ingiusto profitto), non abbiamo la descrizione
di un dolo specifico. Il profitto e il danno devono sussistere entrambi. Ma la condotta
accuratamente precisata (inducendo taluno in errore).
Abbiamo in effetti una sequenza di eventi che si devono realizzare. Innanzitutto vi la necessit
che si realizzi un errore come conseguenza degli artifici o raggiri e abbiamo il presupposto che
questo raggiro porti la vittima ad un errore. Dall'errore deve derivarne poi un danno.
Ma non abbiamo detto tutto, anche se leggendo superficialmente la norma sembrerebbe di s.
Infatti la truffa va collocata nell'ambito di quei delitti nei quali il danno, la lesione del bene
patrimoniale, si realizza tramite un coinvolgimento del comportamento del soggetto passivo. Ad
esempio nella rapina non c' un coinvolgimento del soggetto passivo.
La truffa invece parla proprio di un artificio o raggiro che induce in errore la vittima, ma collocato
nei reati contro il patrimonio, quindi dobbiamo indurre che sussiste un elemento implicito che si
inserisce tra l'errore ed il danno. Elemento implicito costituito da un atto di disposizione di
carattere patrimoniale. Il soggetto truffato, quindi, non rimane inerte ma in virt dell'errore in cui
fatto cadere dal raggiro indotto a tenere un comportamento che lo porta a subire lui stesso un
danno patrimoniale.
Vediamo come un elemento fondamentale della truffa finisce per essere colto non direttamente
dalla lettura della norma ma solo in via interpretativa.
Dobbiamo considerare che la truffa punisce una aggressione non pi realizzata attraverso la
violenza o la minaccia, ma attraverso un inganno che induce la vittima stessa ad auto-danneggiarsi.
questo l'elemento che non esplicitato dalla norma del codice.
Abbiamo progressivamente assistito ad un fenomeno per cui la norma della truffa viene utilizzata
come reato passpartout, cio stato spesso utilizzato come un reato a forma libera, utilizzato in
moltissimi casi pratici utilizzando la prova dell'inganno e dell'induzione all'atto dispositivo di
152
carattere patrimoniale che porta la vittima ad auto-danneggiarsi.
La realt che le lungaggini del processo civile hanno favorito l'uso del processo penale per
ottenere pi velocemente ci che ordinariamente si dovrebbe ottenere con strumenti civilistici.
Per questo, quando una parte subisce un danno a causa di un errore derivante da un
comportamento poco trasparente della controparte, la situazione stata spesso affrontata con un
procedimento penale facendo ricadere immediatamente questa situazione nell'ambito del reato di
truffa, che invece magari ricadeva in un ambito civilistico (utilizzo della truffa come una sorta di
reato tappabuchi).
Questo utilizzo della truffa come una sorta di scorciatoia per avere riconoscimenti dei diritti per via
penale proprio per evitare le lungaggini della strada civilistica rappresenta una delle disfunzioni
dell'ordinamento.
Sul piano storico la truffa viene a configurare la c.d. frode penale che si distingue dalla ormai
inesistente frode civile perch in quella penale c' proprio questo elemento di errore e di inganno
con un atteggiamento di auto-danneggiamento da parte della vittima.
Artificio e raggiro sono termini alquanto generici. L'artificio consiste nella manipolazione o
trasfigurazione della realt esterna, simulando l'esistenza di determinate circostanze che non
esistono oppure fingendo l'inesistenza di elementi che invece realmente esistono.
Il raggiro aggiunge alle caratteristiche dell'artificio la dimensione argomentativa.
Anche dal punto di vista della ricostruzione di due concetti, che gi di per s sono difficili da
definire, vi una tendenza alla dilatazione dei concetto.
Ci si chiede infatti se la semplice menzogna possa costituire artificio o raggiro. La risposta per
dovrebbe essere rigorosamente negativa, perch abbiamo gi visto che la mera menzogna non
compatibile con il concetto di artificio o raggiro che riporta alla dimensione della frode. Il mero
inganno per far apparire vero ci che non lo , fine a se stesso, non frode. La tendenza invece
quella di considerare artificio o raggiro qualsiasi espediente usato per indurre gli altri in errore. Si
rischia cos di confusione con l'atteggiamento fraudolento tipico dell'artificio e del raggiro.
Altra questione: la norma, alla luce del principio di offensivit, richiede che ci sia un certo grado di
pericolosit della condotta. Non truffa il mero fatto che si sia realizzato un danno e un inganno,
ma occorre che non ci si trovi in una situazione nella quale la vittima con l'ordinaria diligenza
avrebbe potuto evitare di cadere in errore.
Bisogna evitare di trasformare la truffa in una sorta di fattispecie a responsabilit oggettiva,
dimenticando quello che abbiamo imparato sulla condotta cio che deve essere sempre una
condotta tale da violare regole finalizzate ad evitare quel determinato risultato. Si fa quindi
riferimento alla diligenza ordinaria o la diligenza richiesta a quella particolare categoria di
interlocutore.
L'esempio di Tot che paga un americano che lo prende in giro vendendogli la fontana di Trevi
non c' truffa perch qualsiasi uomo con l'ordinaria diligenza si sarebbe accorto che era uno
scherzo.
La problematica processuale della truffa porta quindi anche a sindacare sull'affidamento che il
soggetto ha prestato all'interlocutore. Ci si chiede in particolare: quell'affidamento sulla base delle
circostanze era correttamente dato? Una persona diligente in quella situazione sarebbe potuta
essere truffata?
Questi interrogativi perch bisogna anche evitare possibili truffe a persone particolarmente
sprovvedute quindi chiaro che il giudizio sar condotto sulla base delle caratteristiche della
persona. Si deve valutare se a quel soggetto passivo si pu o meno muovere un rimprovero di
mancata diligenza e si valuta anche la consapevolezza del soggetto truffatore che stava
approfittando della debolezza dell'altro soggetto.
153
Abbiamo detto che la mera menzogna non rappresenta una condotta di artificio o raggiro. Lo
potrebbe configurare invece il silenzio, cio un comportamento omissivo?
Se, ad esempio, una squadra A compra dalla squadra B un giocatore pagandolo molti soldi e poi
constata che la societ venditrice non aveva fatto presente una serie di problemi fisici tali per cui il
giocatore venduto non in grado di giocare, pu rispondere per truffa?
Parte della dottrina nega che l'omissione sia rilevante, cio sostengono che nn prevista una
condotta omissiva nella norma. Ma rilevante solo se c' la presenza di un comportamento
concludente, cio se la squadra B oltre a non dichiarare le condizioni fisiche reali del giocatore
venturo, affianca tutta una serie di comportamenti concludenti che fanno pensare palesemente
che quel giocatore era abilissimo ed era sano; ad esempio mostra un video in cui il giocatore gioca
magnificamente, corre velocemente o fa esercizi tali per cui sembri tutto meno che malato. Questa
parte della dottrina ritiene che qui ci sia un comportamento equiparabile all'argomentazione del
raggiro.
Ma dobbiamo per rispondere correttamente a questo dubbio dobbiamo domandarci se ci sono i
requisiti dell'art. 40 c.p. Tutte le volte che diamo rilievo ad un atteggiamento omissivo infatti
dobbiamo sempre chiederci se c' la presenza dei requisiti dell'art. 40 e questo ci riporta alla
problematica riguardo al principio espresso da questo articolo per cui non impedire l'evento che si
aveva l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. L'obbligo che aveva la squadra
venditrice era un obbligo giuridico tale per cui non impedire un evento equivale a cagionarlo?
Nel nostro ordinamento sono rari i casi che prevedono un obbligo giuridico di comunicazione, e
quando ci troviamo davanti ad una situazione come l'omissione nella truffa cosa dobbiamo
pensare?
Apparentemente l'art. 40 c.p. sembra applicabile a qualsiasi comportamento, ma in realt il limite
sta proprio nel fatto che non devono essere ritenuti realizzabili per omissioni i reati di evento a
forma vincolata, cio dove la condotta rilevante per la causa dell'evento descritta in maniera
precisa dal legislatore.
Perci se il reato come l'omicidio, cio a forma libera, non ci sono requisiti della condotta e
l'art. 40 applicabile. Mentre per i reati dove la condotta altamente specificata dal legislatore
l'art. 40 non pu valere. Per tutte queste ragioni difficile affermare che anche una condotta
omissiva possa costituire artificio o raggiro nel reato di frode.
Altra questione: abbiamo detto che l'artificio o il raggiro devono indurre la vittima in errore. Dato
per assodato che l'errore non pu consistere in una mera ignoranza, sarebbe invece compatibile
con la truffa il fatto che gli artifici o raggiri abbiano procurato nella vittima non un errore ma uno
stato di dubbio?
Se la persona ha un dubbio concreto, cio ha dinnanzi a se elementi specifici e circostanziati che la
pongano nella condizione di non essere certa che il quadro che le viene rappresentato corretto,
sarebbe improprio affermare che si realizzato l'inganno, anzi si dovrebbe dire che la condotta del
soggetto agente ha provocato proprio l'effetto opposto, cio mettere la persona in allerta. In
questo caso diventa quindi difficile parlare di induzione in errore. Non c' truffa.
Semmai potrebbe rimanere compatibile l'induzione in errore con il sospetto del tutto teorico e
generico (tutto quello che mi ha raccontato magari nn vero).
Quindi non appena questo stato di dubbio non pi teorico e generico ma va a riferirsi a precisi
elementi ben definiti che il soggetto ritiene inaffidabili allora non possiamo pi pensare che sia
truffa, ma dobbiamo considerare che il soggetto passivo ha agito sulla base di una sua negligenza.
Altra questione: abbiamo detto che l'elemento patrimoniale consiste in un atto dispositivo del
patrimonio, ma pu essere un comportamento che abbia solamente un rilievo patrimoniale?
Poniamo che A con artifici o raggiri convinca B a distruggere l'unico esemplare di un francobollo
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preziosissimo che ha solo A. Gli artifici o raggiri vediamo che provocano un errore e un
comportamento ma che qui non ha carattere patrimoniale ma ha comunque un rilievo
patrimoniale.
La risposta tradizionale che la disposizione debba essere una disposizione assolutamente di
carattere patrimoniale. Mentre ancora in discussione se possa avere rilievo un comportamento
che non un atto di disposizione ma che meramente ha rilievo patrimoniale.
Altra questione se pu rappresentare un comportamento con rilievo patrimoniale anche un
comportamento omissivo. L'atto rilevante patrimonialmente pu consistere anche in una
omissione?
Ad esempio vengono raggirati dei pubblici funzionari ed in modo che siano indotti a non effettuare
delle imposizioni di somme che invece avrebbero dovuto effettuare. Il pubblico ufficiale indotto in
errore non fa un atto dispositivo, non fa neanche un atto con significato patrimoniale, ma
comunque non fa un qualcosa e questo non farlo ha conseguenze patrimoniale ad esempio per la
pubblica amministrazione.
Altro esempio di un caso posto alla Cassazione: Tizio espone sul parabrezza della macchina un
bollo falso, cosicch trae in inganno il vigile che ingannato omette di fare la multa.
Perci possiamo cos ipotizzare:
ipotesi originaria atto di carattere dispositivo
ipotesi estesa atto che ha almeno un significato economico
ipotesi estrema oggetto dell'inganno potrebbe essere addirittura una omissione.
Anche qui il filone dottrinale pi attento ad una ricostruzione tassativa dei requisiti della fattispecie
afferma che una situazione come quella dell'ipotesi estrema finirebbe per dilatare eccessivamente
l'ambito applicativo del reato di truffa.
Vediamo un ultimo esempio: Tizio vuole prendere un oggetto di Caio e con l'inganno riesce a
convincere Sempronio che quell'oggetto di Caio in realt suo e che perfettamente autorizzato a
ridarglielo. Anche qui c' l'inganno ma non attuato nei confronti del soggetto passivo ma nei
confronti di una terza persona e quindi non abbiamo la conseguenza dell'auto-danneggiamento
quindi in questo caso sarebbe molto difficile ad arrivare ad identificare un reato di truffa. Questa
situazione sar piuttosto da considerare come un furto realizzato da un autore mediato.
Nell'esempio che abbiamo fatto si tratter di decidere se si tratta di un concorso di furto o pi
probabilmente e pi semplicemente se si configura la situazione dell'art. 48 c.p: le disposizioni
dell'articolo precedente si applicano anche se l'errore sul fatto che costituisce reato determinato
dall'altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha
determinata a commetterlo.
A meno che non troviamo in Sempronio un concorso di responsabilit, risponderebbe solo il
soggetto che vuole appropriarsi della cosa, quindi nell'esempio Tizio, e risponderebbe di furto e
non di truffa.
Il soggetto passivo, nell'esempio, non stato ingannato e quindi subisce un furto. Ad essere
ingannato stato invece Sempronio. Se Sempronio d'accordo con Tizio allora avremo invece una
truffa.
Resta il fatto che dall'inganno si deve provocare danno e profitto. Ma anche qui c' qualcosa da
chiarire.
Abbiamo detto che il reato di truffa stato utilizzato in maniera forzata e aveva bypassato in toto
gli elementi della truffa.
Ci sono problematiche anche per quanto riguarda la ricostruzione del danno. Il danno dovrebbe
essere di carattere patrimoniale ma il suo concetto stato considerato da alcuni in termini non pi
patrimoniali.
155
La dottrina giustamente fa riferimento ad una concezione economico-obiettiva del danno, sotto il
profilo del danno emergente e del lucro cessante. Questo necessario se vogliamo lasciare la
truffa nell'ambito dei delitti contro il patrimonio.
Caratteristica del sistema penale italiano la moltiplicazione dei reati applicabili, dando luogo ad
un concorso formale di reati nell'ambito di un caso. Vero che la problematica del concorso
formale diventata meno difficile da quando si applica il cumulo giuridico e non matematico, ma
resta sempre un aggravio di pena.
L'opinione originale quindi quella che il danno si instaura in un ambito patrimoniale, anche se
qualcuno in questo orientamento parlava anche di un danno che deve consistere nella perdita di
un diritto o assunzione di un obbligo. Altri, parlano di danno patrimoniale ma che pu consistere
non solo in questi profili ma anche solo e semplicemente in un danno attinente all'ambito
economico.
Le forzature di questa logica possono avere queste caratterizzazioni e pongono certamente
problematiche importanti.
Poniamo che il raggirato riceva una controprestazione economicamente equivalente alla propria
prestazione ma inidonea a soddisfare un suo bisogno personale. In sostanza Tizio contratta per la
merce A, crede di ricevere la merce A che gli serve ma invece riceve la merce B simile ad A ma che
non risponde alle sue necessit.
Da un lato il valore delle merci che riceve economicamente non sproporzionato alla sua
prestazione, quindi in teoria la controparte ha dato un valore corrispondente, ma siccome non era i
grado di dare ci che veniva richiesto, pur di fare il contratto ha consegnato un'altra merce. Si pu
dire che c' danno rigorosamente patrimoniale?
Alcuni ritengono che va guardata la situazione concreta, cio se la controprestazione sia in grado o
meno di essere egualmente utile per il soggetto passivo. Per questa impostazione non potrebbe
comunque essere seguita all'estremo perch altrimenti andremmo ad una totale personalizzazione
del giudizio, cio si creerebbe la possibilit di querela per truffa in tutti i casi che la cosa ricevuta
non proprio quella che gli serviva. Quanto meno bisognerebbe dare un giudizio riferito a un
soggetto terzo, ad un ragionevole soggetto esterno, cio chiedersi se quella controprestazione ad
un operatore economico del pari livello sarebbe stata una controprestazione utile.
Resta comunque il problema di fondo, cio se c' stata una controprestazione di valore
corrispondente alla prestazione o se si debba considerare il danno che va a riguardare anche
l'utilit che aveva la cosa e, quindi, se bisogna dare un valore anche al danno non patrimoniale.
Altro esempio: Tizio un venditore di macchine e per venderle manomette i contachilometri.
truffa? Viene di mezzo il penale o solo una illiceit di tipo civile?
Infatti quello che ci stiamo chiedendo di fatto se la illiceit penale corrisponda alla illiceit civile.
Pu darsi che sul piano civile implichi, in tutti gli esempi che abbiamo visto, una responsabilit, ma
bisogna vedere se implichi anche un'illecito di tipo penale.
Per risolvere l'esempio bisogna distinguere se la manomissione del contachilometri ha inciso sulla
valutazione economica dell'auto e allora truffa; ma se la manomissione non ha inciso sulla
valutazione economica dell'auto ma stato solo un modo per rendere pi appetibile la macchina
ai clienti c' certamente un atteggiamento civilistico scorretto, ma non c' reato.
Nello stesso modo si deve risolvere altre problematiche che riguardano comportamenti illeciti che
magari sono rilevanti per altri fini ma non a quelli penali.
Ad esempio, Tizio riesce a farsi assumere in un pubblico impiego presentando una documentazione
falsa. Qui abbiamo raggiri e profitto, ma dobbiamo vedere se questa assunzione (sicuramente
illecito civile ma penale?) implichi anche un danno per la pubblica amministrazione. Se stato
assunto con procedure non regolari ma ha svolto il suo lavoro correttamente, anche qui
156
comportamento illecito civilmente ma non rilevante penalmente.
Altro esempio: un laboratorio analisi si impegna di svolgere delle analisi per l'ASL e ha l'ordine di
eseguirle in proprio e nel suo laboratorio, ma invece le subappalta. Per rispondere bisogna
valutare, ad esempio, dove stato subappaltato: se stato subappaltato ad un laboratorio che non
era a regola con certe normative ma non c' stato nessun danno, allora l'illecito non va configurato
nella truffa ma solo in un illecito civilistico.
Altra situazione potrebbe essere quella (nel nostro paese purtroppo molto frequente) nella quale si
riescono ad avere sussidi ed agevolazioni (ad esempio per persone disabili) presentando
documenti falsi. truffa? Certo c' una violazione di legge e certo un comportamento scorretto
nei confronti degli altri cittadini ma non c' danno per la pubblica amministrazione.
Questo discorso per comprendere che non bisogna usare certe norme come passpartout e di
questa problematica si ben reso conto il legislatore nel momento in cui ha aggiunto al delitto di
truffa, pur mantenendolo nell'ambito formale dei delitti contro il patrimonio, l'art. 640-bis, truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche:
La pena della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'art. 640
riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo,
comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle
Comunit Europee.
Il problema, se guardiamo bene, non ben risolto dal legislatore, perch egli si rende conto che la
norma generale dell'art. 640 non era applicabile, ma qui agisce come se si trattasse di introdurre
una circostanza aggravante (quando l'oggetto del raggiro...riguarda contributi, finanziamenti, ecc
si da la pena..). Il problema che questa norma non ridipinge gli elementi della truffa, quindi
sembra riprendere tout court gli elementi dell'art. 640 quindi se l'interpretazione resta quella
rigorosa originaria l'ambito applicativo del 640-bis sar modesto. Comportamento del legislatore
che sembra predisporre una rilettura in senso dilatorio dei requisiti della truffa del 640.
Abbiamo un art. 640-bis che non dichiara di voler ampliare il 640 ma l'interprete per dare un
significato all'art. 640 bis lo deve interpretare con una funzione estensiva. una stranezza perch
avremo una norma che finisce per essere interpretata in modo diverso non solo rispetto al danno
ma anche rispetto all'oggetto tutelato.
Prima di concludere poniamoci un interrogativo classico: punibile la truffa in atti illeciti?
Io sono in relazione con te per realizzare una attivit illecita ma nell'attivit illecita io ti truffo.
Nella condotta illecita una truffa verrebbe punita?
Poniamo che il soggetto che ha il danaro sporco, da al riciclatore (banca o commercialista) 100 in
danaro sporco ma riceve 50 in danaro pulito quando invece era stato pattuito 80. il fatto che il
contratto sia un contratto illecito (illiceit della causa) lascia la sussistenza del reato di truffa
oppure no?
Oggi si tende a dire di s. Paradossalmente in passato, dove pi che alla tutela dei beni individuali si
guardava a beni super individuali c'era la tendenza a dire che se tu compi un atto illecito qualsiasi
cosa ti accada in quell'ambito illecito come vittima non sei tutelato. Ma questa considerazione
avrebbe delle conseguenze estreme.
Oggi invece si tende a dire che la responsabilit c' per il soggetto agente se il soggetto passivo
dell'inganno ha subito un danno, anche se il contesto era un contesto illecito. Da comunque luogo
alla truffa. C' anche un indizio testuale, rilevabile dal secondo comma dell'art. 640:
la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1549:
1) se il fatto commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far
esonerare taluno dal servizio militare.
Indizio interpretativo siccome un simile pretesto ha a che fare con un illecito sarebbe la norma
157
stessa che prevedendo questa aggravante riconosce che pu essere soggetto passivo di truffa
anche chi ha accettato di inserissi in un contesto illecito.
Profitti illeciti profitti che devono essere confiscati ci non toglie che l'ingannatore possa
essere punito. Ma se il fatto illecito di base indica che il profitto debba essere confiscato allora ci
sarebbe un ritorno sul delitto di truffa perch comunque verrebbe meno paradossalmente proprio
il danno patrimoniale perch a quel punto essendo il fatto illecito di base tale da far si che qualsiasi
profitto debba essere confiscato verrebbe meno il profitto in ogni senso. Quindi si potrebbe
discutere in questi casi se poi davvero ci sia stato un danno.
Ci si chiede anche se possa realizzarsi anche una truffa processuale, cio presentando
documentazioni false al giudice per ottenere una pronuncia favorevole dal punto di vista
patrimoniale.
Ma qui la risposta stavolta nettamente negativa perch c' una scelta legislativa che prevede in
questa materia una fattispecie ad hoc, nell'ambito dei delitti contro l'amministrazione della
giustizia, che la frode processuale; quindi la problematica di atteggiamenti fraudolenti tenuti in
sede processuale viene assorbita nella norma dell'art. 374.

Articolo 374. Frode processuale.
Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice
in un atto dispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia,
immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, punito, qualora il fatto
non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi
a tre anni.
Il problema anche di carattere sostanziale nel danno della sentenza sbagliata del giudice non si
potrebbe identificare un comportamento consistente in un atto di disposizione di carattere
patrimoniale.
Nell'articolo 374 abbiamo una scelta molto chiara di sanzionare atteggiamenti fraudolenti in sede
processuale secondo confini ben stabiliti. Quindi non c' truffa.
Una delle aggravanti della truffa previsto al comma 2 punto 2 dell'art. 640:
2) se il fatto commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o
l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell'autorit.
Qui non abbiamo un inganno, ma si genera il timore di un pericolo immaginario.
Per pericolo immaginario si intende un pericolo che non in grado di realizzarsi. Il contrario, cio la
minaccia di un pericolo che sono in grado di realizzare, non truffa aggravata ma estorsione.
Il soggetto agente fa credere alla vittima che si tratta di un pericolo che in grado di determinare
ma in realt non cos. Questo minaccia di un pericolo immaginario.
Questo fa sorgere un'altra questione, cio se il pericolo irrealizzabile in s; ovviamente nei casi
del pericolo immaginario si parla di un pericolo che umanamente realizzabile ma che il soggetto
agente non in grado di realizzare.
Poi dobbiamo avere una disposizione patrimoniale che consegue all'inganno, anche se l'inganno
avviene sulla base di un pericolo immaginario.
Vediamo due esempi tratti dal Fiandanca-Musco:
1. una fattucchiera si fa dare del denaro dalla vittima superstiziosa facendole credere che
avrebbe fatto un sortilegio sulla base della previsione che un caro amico della vittima avr
un brutto male ed il sortilegio lo salver;
2. una fattucchiera si fa dare del denaro da una persona perch altrimenti far il malocchio al
figlio della vittima.
Nel caso 1 la dazione determinata effettivamente dal pericolo immaginario, nel caso 2 c'
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minaccia. Che reato abbiamo considerando la minaccia e considerando che la vittima teme un
pericolo che per immaginario?

Estorsione, art. 629 c.p.
Come abbiamo gi detto presenta forti analogie con il reato di truffa. La differenza sta nel fatto che
anche qui abbiamo una disposizione patrimoniale della vittima ma nella estorsione ci frutto di
una costrizione determinata da violenza o minaccia. Il soggetto non agisce come libero ma agisce
nel contesto di una minaccia o di una violenza. Nella truffa invece l'atto dispositivo del patrimonio
avveniva sulla base di un inganno della vittima.
La forma di estorsione pi nota quella del pizzo.
Se quel medesimo comportamento posto in essere dal pubblico ufficiale o da l'incaricato ad un
pubblico servizio sappiamo che invece si configura il delitto di cui all'art. 317, cio la concussione.
La condotta dell'estorsione consiste nell'uso di violenza o minaccia diretto a determinare uno stato
di costrizione psichica diretta a sua volta ad ottenere un profitto ingiusto (nella truffa invece
abbiamo artifici o raggiri per determinare uno stato di errore).
Vediamo cosa dice la norma:

Art. 629. Estorsione.
Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa,
procura a s o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, punito con la reclusione da cinque a
dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2065.
Manca anche qui l'elemento del tollerare tipico della violenza privata.
Abbiamo il medesimo evento della truffa.
Per quanto riguarda il concetto di violenza: nasce il problema se deve essere considerato rapina o
estorsione quella situazione in cui la cosa non viene strappata di dosso dalla vittima ma viene
consegnata dal soggetto passivo che non ha nessuna scelta se non la lesione alla sua incolumit.
Effettivamente sembrerebbe che il tipo di violenza di cui ci parla l'estorsione un tipo di violenza
che deve produrre l'effetto di ottenere dalla vittima il comportamento imposto senza annullare
completamente la sua possibilit di autodeterminazione, nel senso che l'unica alternativa non deve
essere subire la lesione alla sua incolumit altrimenti rientra nella rapina (come abbiamo gi visto).
Se la violenza dell'estorsione deve lasciare pi ampia libert di scelta non c' allora tanta differenza
con la minaccia. Il concetto di violenza e quello di minaccia vengono cos ad essere similari
nell'estorsione.
A proposito dell'estorsione nascono problemi dopotutto simili a quelli della truffa.
Ad esempio, si pu realizzare estorsione mediante omissione? ritorna problematica art. 40.
Un caso ipotetico: Tizio, all'epoca in cui c'erano dei vincoli per certe modalit di affitto, chiede,
sapendo del bisogno di Caio di avere una casa per s e la sua famiglia, un prezzo con aliquota in
nero superiore a quello che lecitamente pu essere chiesto, minacciando altrimenti di non
mettergli a disposizione la casa che, poniamo, in quel luogo l'unica che risponde alle esigenze del
destinatario. certamente una situazione riprovevole che rileva anche sotto altri punti di vista, ma
nonostante Tizio usa una modalit scorretta, non c' estorsione perch non c' nel nostro
ordinamento un obbligo di dare la disposizione di una casa a chi ne ha bisogno, altrimenti ci
sarebbe un obbligo per tutti nei confronti di chiunque ne ha bisogno.
La formula pi ristretta di quella usata dal legislatore per la violenza privata, dove viene usata la
parola tollerare. Questa scelta volta a limitare i confini con la figura della rapina: se la vittima
costretta a tollerare con violenza allora sarebbe rapina (se ci sono poi gli altri requisiti).
Vediamo l'effetto provocato dal reato ingiusto profitto con altrui danno (come per la truffa).
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Caso classico Tizio costringe Caio, parte lesa in un procedimento penale per sfruttamento di
prostituzione a ritrattare le sue accuse non c' nessun danno di carattere patrimoniale non
estorsione.
L'estorsione un reato di evento o dolo specifico?
Sembrerebbe a prima vista reato di evento ma anche qui ci sono diverse discussioni. La base
sembra essere per chiara: certo che occorre una volont di coartare ma nella sua complessit il
reato di evento, anche se ovviamente occorre la volont di conseguire l'evento.
Questa riflessione sul dolo specifico non poi cos banale perch effettivamente un elemento
aggiuntivo di dolo specifico c' perch chiaro che il soggetto deve avere ovviamente anche
l'intento costrittivo ma questo sembra non aggiunga nulla a quella che sarebbe una lettura
ordinaria della norma. Occorre inoltre la volont del danno e del profitto ed una volont di
costrizione, che poi effettivamente deve realizzarsi. Non basta la volont alla costrizione ma deve
anche realizzarsi concretamente.
Quindi il reato non in nessun modo a dolo specifico.
Violenza o minaccia devono necessariamente causare danno e profitto.
Quando il reato consumato? Se viene predisposta la dazione con accordo di una forza pubblica,
cio il soggetto passivo del racket d'accordo con la polizia che posiziona videocamere, microfoni
e poliziotti pronti ad arrestare il soggetto agente estorsione consumata o tentata?
La risposta che ESTORSIONE TENTATA perch la norma richiede la realizzazione dell'evento, che
consiste nell'aver conseguito un ingiusto profitto e non si pu dire che in una condizione di questo
genere si sia realizzato un reale arricchimento della persona, perch il possesso della cosa era
ancora totalmente precario.
In situazioni di questo genere, se vogliamo essere rigorosi, ci potrebbe essere anche una
problematica di reato impossibile. Ci si era domandati (Marinucci) se l'idoneit per il tentativo va
guardata a base parziale o a base totale. Siamo tutti d'accordo che nel tentativo l'idoneit degli atti
si valuta ex ante e non ex post (ex post saranno sempre valutati inidonei). Ma dal punto di vista di
chi? Dal punto di vista di cosa era noto soltanto al soggetto agente o dal punto di vista generale?
Dal primo punto di vista, cio del soggetto agente, facilmente dubitabile che i requisiti del
tentativo ci siano nell'esempio di estorsione che abbiamo visto. La giurisprudenza infatti si colloca
in questo senso.
Ma Marinucci e altri autori sostengono che, stando all'art. 49 c.p. che punisce il reato impossibile,
l'idoneit deve essere valutata a base totale, cio non tenendo conto solo di ci che sapeva il
soggetto agente ma anche di ci che sapevano tutti i soggetti coinvolti e soprattutto alla luce di ci
che sapeva la vittima.
Nell'esempio fatto la vittima sapeva gi che quella condotta in concreto si sarebbe rivelata
inidonea per realizzare l'estorsione perch si era rivolto alla polizia. Quindi con una valutazione a
base totale della idoneit ci sono gli elementi per dire che si tratta di un reato impossibile e quindi
l'unico strumento applicabile la misura di sicurezza. A meno che gli atti compiuti dall'estorsore
prima dell'accordo con polizia avessero gi effettivamente superato il limite del tentativo, cio
quando gli atti posti prima del coinvolgimenti della polizia superano i limiti del tentavo, allora si
configura pi che altro un principio di esecuzione del reato reato consumato, no tentativo.

Appropriazione indebita, art 646 c.p.
L'appropriazione indebita l'avevamo gi menzionata in altri casi, in particolare, quando avevamo
parlato di peculato e abbiamo gi trattato anche del rapporto tra appropriazione indebita e furto.

Art. 646. appropriazione indebita.
160
Chiunque, per procurare a s o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile
altrui di cui abbia, a, qualsiasi titolo, il possesso, punito, a querela della persona offesa, con la
reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1032.
Se il fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena aumentata.
Si procede d'ufficio se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle
circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61.
COSA SMARRITA = cosa che il proprietario non ricorda pi dov', cio uscita completamente dalla
sua sfera di dominio.
Il concetto di cosa smarrita deve essere distinto da quello di COSA DIMENTICATA. La cosa
dimenticata la cosa che uscita di fatto dalla sfera di controllo immediato del proprietario, ma
non dalla sua sfera di dominio perch si ricorda dov' e pu sempre recuperarla.
Se quindi Tizio si appropria della cosa smarrita commette appropriazione indebita mentre se si
appropria della cosa dimenticata commette furto. Si tratta di un formalismo ma da sempre si dice
cos e si attiene molto al profilo oggettivo.
Ma a questo punto chiediamoci: se Tizio si appropria della cosa credendo che fosse dimenticata,
invece smarrita, di cosa risponde?
Tizio risponde pur sempre di appropriazione indebita, perch si tratta di un REATO PUTATIVO. Vedi
art. 49 3 comma:
nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un
reato diverso, si applica la pena prestabilita per il reato effettivamente commesso.
reato putativo nel caso esemplificativo ma si applica il terzo comma. Risponde del reato che ha
effettivamente commesso che , nell'esempio, appropriazione indebita.
Poniamo il caso opposto: Tizio si appropria di una cosa che crede sia smarrita, invece dimenticata
risponde di furto o di appropriazione indebita?
Risponde di appropriazione indebita anche in questo caso, perch si tratta di un ERRORE DI FATTO,
per cui si esclude la punibilit; il delitto colposo, poi, non previsto quindi non risponde di reato
colposo ma risponde comunque di appropriazione indebita perch vale l'art. 47 2 comma:
l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilit per un reato diverso.

IL REATO DI STALKING.
Il reato di stalking disciplinato dall'art. 612-bis, atti persecutori:
Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni
chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e
grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per lincolumit propria o di
un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da
costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena aumentata se il fatto commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da
persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena aumentata fino alla met se il fatto commesso a danno di un minore, di una donna in
stato di gravidanza o di una persona con disabilit di cui allart. 3 della legge 5/2/1992 n. 104,
ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela di sei
mesi. Si procede tuttavia di ufficio se il fatto commesso nei confronti di un minore o di una
persona con disabilit di cui allart. 3 legge 5/2/1992, n.104, nonch quando il fatto connesso con
altro delitto per il quale si deve procedere di ufficio.
Questo nuovo reato rappresenta un modello per vedere come non bisognerebbe scrivere una
norma di un reato.
161
Siamo sicuri che la migliore strada della prevenzione quella del pan-penalismo, in cui tutte le
risposte ai problemi della societ si creano nel diritto penale?
La modalit comportamentale qui punita una delle sintomatologie pi tipiche dei problemi sociali
di relazione.
Viviamo in un contesto storico in cui il problema di insicurezza possa essere risolto dal diritto
penale.
L'art. 612-bis stato introdotto dal D.l. 11/2009 (art. 7) ed stato considerata una norma di
successo, visto l'alto numero di denunce che si sono seguite. Ma invece che una norma generica,
avrebbe avuto pi senso la previsione di una norma finalizzata ad una TUTELA ANTICIPATA, quando
la molestia poteva diventare pericolosa per l'incolumit fisica. Invece la norma si pone solo
nell'ottica repressiva del persecutore.
Questa norma, nella sua indeterminatezza, crea un livello di autodeterminazione dei rapporti con
l'altro problematico.
una norma posta a tutela della libert morale. Il bene tutelato l'autodeterminazione della
persona nell'ambito dei rapporti con gli altri.
salvo che il fatto costituisca pi grave reato deroga al principio di specialit.
chiunque un reato comune.
condotte reiterate un reato abituale, cio per essere consumato richiede una pluralit di
condotte.
minaccia o molesta sono in realt condotte gi rilevanti a livello penale (minaccia = artt. 610,
612; molestia = art. 660) ma prese a se stanti.
in modo da cagionare che cosa vuol dire? una locuzione ambigua: un reato di evento o di
pericolo?
Questo inciso vorrebbe dire in termini tali da cagionare quindi un reato di evento.
Per quanto riguarda le conseguenze:
1) perdurante stato di ansia o paura il reato palesemente di evento, ma se cos
bisogna riconoscere che gli elementi che descrivono l'evento (che porta al reato) sono al
massimo dell'indeterminatezza. Si fa riferimento ad elementi soggettivi (perdurante stato
di ansia o paura sono sono stati d'animo estremamente soggettivi).
2) fondato timore per la propria incolumit come si pu definire un fondato timore??
3) costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita anche questo elemento di
difficile valutazione empirica.
In generale, se lo si considera reato di evento o il giudice si fida delle dichiarazioni della persona
offesa che sono basate su sensazioni sue soggettive e personali, oppure pu instaurare una
indagine pi tecnica con periti ed esperti per analizzare la reale sussistenza dello stato psicologico.
Se lo si considera invece reato di pericolo, l'accertamento sarebbe pi facile. Se di pericolo
concreto poi deve provare che si sia effettivamente creato un pericolo concreto e da spiegare da
dove nasce.
Non viene fatto alcun riferimento a dimensioni di violenza seppure la motivazione che ha spinto
per la nascita del reato di stalking poteva essere proprio quella di evitare una successiva violenza
da parte dello stalker. Era quindi quello di evitare che si arrivasse ad una catena di eventi, dalle
minacce, alla violenza fino all'omicidio.
Il reato perseguibile a querela, ma si procede d'ufficio quando commesso su minore o disabile
o quando c' gi un altro reato (ultimo comma).
La querela, che nei reati sessuali non pu essere revocata, qua invece s, anche se, anche in questo
caso, c' comunque l'esigenza di evitare pressioni.
Il dolo qui che cosa esige? Innanzitutto occorre la volont di realizzare questi eventi. Ma come si
162
concilia l'elemento del dolo con il reato abituale? Occorre che ci sia la volont di realizzare questo
effetto di disturbo caso per caso (sapendo di molestare ogni volta) oppure occorre la volont
dell'effetto globale delle condotte?
Se un reato di evento e se la situazione psicologica di ansia e timore il contenuto del reato,
ovviamente da preferire la seconda ipotesi, non basta la volont singola di recare molestia la
prima, la seconda e la terza volta e cos via, ma occorre che ci sia un dolo che abbracci la volont di
ledere l'autodeterminazione che crei tutte le conseguenze che elenca la norma.
Parallelamente all'introduzione di questo reato il medesimo decreto legge ha introdotto una novit
che era utilizzata da tempo, cio l'istituto dell'AMMONIMENTO del questore (art. 8).
la vittima che non ha ancora dato querela pu rivolgersi all'autorit e far s che il questore
ammonisca lo stalker e quindi lo richiami a tenere una condotta conforme alle regole.
Questo strumento rappresenta una minuscola versione italiana di un istituto gi conosciuto in
alcune realt estere ingiunzione, che fa da filtro ad un passaggio troppo immediato ad un
trattamento di tipo penale di una condotta. Ci si rivolge quindi all'autorit di polizia, ma senza
ingenerare un procedimento penale.
Alcune modalit di ammonimento erano gi presenti in passato nel nostro ordinamento, ma erano
tutte cadute perch il legislatore degli anni '30 era un legislatore di tipo autoritario e quindi questi
modelli andavano a scontrarsi con principi di rango costituzionale.
Il fatto che in Italia questo strumento invece ora ricompaia causa di questo timore di affidare
provvedimenti che possano incidere sulla libert personale da parte dell'autorit di polizia e non
del giudice, ma indirettamente dall'autorit di governo.
Senz'altro l'annullamento di modalit come l'ammonimento andata di pari passo alla sconfitta
dei regimi totalitari. Ma in un paese come l'Italia, dove la democrazie saldamente acquisita,
escludere delle dimensioni ingiunzionali (pre-penalistiche) esclude invece la possibilit di utilizzare
strumenti utili. Quindi il timore di cui sopra forse infondato, perch altrimenti ci priveremmo di
strumenti invece molto utili.
Peraltro questo art. 8 comunque gestito in una maniera criticabile. Prima di tutto non dice nulla
di come deve avvenire la procedura davanti al questore e in particolare non dice nulla sul
contraddittorio.
Ma il problema pi grave che se nonostante l'ammonimento il soggetto persiste nella sua
condotta di stalking la conseguenza l'aggravamento della pena e la procedibilit d'ufficio. una
cosa grave perch l'aumento di pena di fatto dipende da una condizione personale (di ammonito).
un istituto molto interessante e utile ma gestito male dall'ordinamento.

LA DISCIPLINA DELL'INFORTUNISTICA SUL LAVORO.
Il tema sulla prevenzione e sugli strumenti nuovi per attuarlo lo troviamo anche in questa materia.
Sulla materia degli infortuni sul lavoro intervenuto il D.lgs. 81/2008 che ha sostituito la
precedente legge n. 326 che era la prima disciplina sull'argomento ad impianto sistematico.
Quando avevamo parlato del reato colposo si era evidenziata una certa schizofrenia del
legislatore, che da un lato ha continuato ad aumentare le pene per l'evento non voluto, dall'altro la
legislazione recente ha cominciato a por mano a modalit di controllo delle condotte, infatti la
prevenzione vera avviene se queste condotte effettivamente poi non vengono tenute, ed quello
che accade con il D.lgs. 81/2008.
(2 casi in cui abbiamo gi visto un intervento preventivo: d.lgs 231/2001 sulla responsabilit
amministrativa degli enti; d.lgs 231/2007 sul riciclaggio).
Il passaggio a sistemi normativi di controllo non andato sostituendosi al modello tradizionale, ma
dilatandolo.
163
Nel famoso caso Tyssen abbiamo visto infatti per la prima volta l'applicazione anche dell'omicidio
volontario, seppure non c'era la volont di cagionare la morte, per la gravit delle violazioni alle
misure di sicurezza. E l'opinione sociale, non solo in termini legali, stata ben favorevole ad
accogliere questa novit.
Si pensa che sia maggiormente rispettata la dignit dei lavoratori perch si applica l'omicidio
volontario, ma si tratta di un equivoco, perch in realt la dignit dei lavoratori rispettata se si
sono attivate, prima dell'evento morte dei lavoratori, le misure di sicurezza necessarie per evitare
la morte.
La condotta dei datori non grave perch i lavoratori sono morti ma perch non sono stati
rispettati prima degli obblighi fondamentali di sicurezza.
Bisogna stare attenti a far cadere la distinzione tipologica tra dolo e colpa, perch altrimenti finisce
per diventare un canone generale.
Avendo attribuito il dolo eventuale sar interessante vedere nel caso Tyssen se si seguir la strada
tradizionale accettazione del rischio; oppure se i giudici di Torino nel caso Tyssen utilizzeranno la
definizione di Frank adottata per la prima volta dalla cassazione in tema di dolo eventuale sulla
ricettazione (Marzo 2010).
Il D.lgs. 81/2008 persegue quindi non la strada di una pena grave rappresentativa ma attua la strada
del controllo preventivo dell'adozione delle misure di sicurezza. Non porta ad una dilatazione delle
pene.
Inoltre questa normativa associa sanzioni penali a sanzioni amministrative. Articola i
comportamenti richiesti in forme molto innovative.
Chiede proprio al soggetto che crea dei rischi di tenere una posizione di garanzia. Deve rendersi
garante anche con condotte di auto-monitoraggio = valutazione dei rischi presenti nel suo stesso
ambito e adozione di misure idonee ad azzerarli. Obblighi che se non rispettati portano a
responsabilit.
Cenni storici: diritto penale dell'ottocento delitti, reati naturali di carattere doloso (omicidio).
Societ diventa pi complessa reati a tutela anticipata. Seconda met del novecento
esplosione del reato colposo.
In passato il reato era posto in essere dal cattivo. Con l'evoluzione della societ, questa punisce
gli omicidi avvenuti per condotte non dolose ma per negligenza e violazione di regole. Ci si rende
conto che il diritto penale, per essere anche tutela dei beni giuridici, non deve essere solo punitore
del malvagio.
Passiamo ora all'analisi del decreto (fare riferimento alle copie del testo).
Lo dividiamo innanzitutto in due parti: la prima parte contiene norme di applicazione generale; le
parti successive costituiscono analisi di vari settori e vi la ripetizione dello schema presentato
nelle norme di carattere generale.

Art. 15 misure generali di tutela:
una norma programmatica generale.
Primo passaggio il MOMENTO VALUTATIVO, valutazione di tutti i rischi. Il datore si trova in
una posizione di garanzia (si parla sempre di attivit in radice lecite).
Secondo passaggio il MOMENTO DI PROGRAMMAZIONE, la legge impone alla singola
unit produttiva di auto-programmare la prevenzione nel suo specifico ambito;
programmazione della prevenzione.
Terzo passaggio L'ELIMINAZIONE DEI RISCHI oppure la loro riduzione al minimo se non
possibile la loro totale eliminazione il rischio 0 l'obiettivo, ma si deve comunque avere
la consapevolezza che in alcuni ambiti ci non possibile.
164
Riduzione dei rischi alla fonte.
Sostituzione di ci che pericoloso
obblighi non solo per il datore ma anche per i lavoratori stessi.

Art. 16 delega di funzioni:
Fino a pochi anni fa non era affrontata da nessuna normativa ma il problema comunque sussisteva.
Nell'economia normale che vengano attribuiti compiti a soggetti subordinati. Se l'impresa
grossa, formalmente certi obblighi competono a chi ha la rappresentanza dell'ente.
Ma questi soggetti delegati di determinate funzioni, che responsabilit hanno? In che misura il
soggetto investito di un determinato obbligo, e quindi possibile autore di reato proprio, pu essere
esente da responsabilit se ha delegato le sue incombenze ad altri soggetti?
La delega di funzioni prevede proprio che il titolare dell'obbligo possa andare esente da
responsabilit se ha correttamente delegato le sue funzioni.
Fino a pochi decenni fa era un tema affrontato ma la problematica sussisteva comunque ed era
aperta, per evitare una sorta di responsabilit oggettiva e perch portava a 2 sub-problemi:
1) il delegato pu rispondere in funzione della delega?
2) la delega pu esonerare completamente il soggetto delegante? A questo interrogativo si
risponde negativamente perch il delegante non pu andare esente da certi obblighi
(scegliere bene il delegato, informarlo, controllarne l'operato, ecc ).
Per lungo tempo la soluzione stata affidata alla dottrina e alla giurisprudenza che lungi dal vedere
la delega come uno scarico di responsabilit, la considerano invece in realt un elemento di
diligenza, perch nell'ambito di un assetto complesso come quello di un'impresa, l'unico modo per
garantire davvero sicurezza creare una rete di deleghe. Anzi, proprio la sua mancanza in un
complesso aziendale pu costituire oggi una negligenza.
L'art. 16 del decreto afferma che la delega di funzioni ammessa ove non espressamente esclusa e
acquista il carattere di ordinariet. Deve rispettare per determinati limiti e condizioni (vedere
lettera e del decreto non c' automatismo di delega nei confronti del dipendente ma
necessaria l'accettazione per iscritto).

Art. 17 obblighi del datore di di lavoro non delegabili:
La delega di funzioni diventa una struttura di carattere ordinario e generale. Vediamo come una
struttura di effettiva tutela richiede una organizzazione, che implica una delega di funzioni.
Il datore di lavoro non pu delegare (risponde in proprio) la valutazione di tutti i rischi e il
conseguente redazione del documento e la designazione del responsabile del servizio di
prevenzione protezione dai rischi.
Da questo articolo in poi abbiamo una serie di norme sugli obblighi dei diversi soggetti. Vediamo gli
obblighi dei datori e dei dirigenti, obblighi pi ampi di quelli non delegabili; centrale sono tutti gli
adempimenti rilevabili all'art. 26 e 28.

Art. 19 obblighi del preposto:
figura intermedia tra quella del mero dirigente e del mero esecutore.

Art. 20 obblighi dei lavoratori:
Il lavoratore non pi considerato semplicemente destinatario di obblighi e mero soggetto di
tutela ma ha un compito di cooperazione, di contribuire insieme al datore di lavoro e ai dirigenti
preposti ad adempiere gli obblighi (vedi alla lettera a ed e). il lavoratore medesimo viene ad avere
un ruolo attivo nell'ambito della sicurezza sul lavoro; destinatario anche lui di obblighi che se non
165
adempie pu incorrere in sanzioni.
Le norme successive sono norme parallele riferite per ad altre figure.
Poi troviamo la sezione II che si concentra sulla VALUTAZIONE DEI RISCHI.

Art. 28 oggetto della valutazioni dei rischi:
da sottolineare come questa valutazione non sia una valutazione in astratto ma debba essere
effettuata esattamente in riferimento a quel contesto, quindi deve essere una valutazione in
concreto dei rischi riferimento all'art. 17 comma 1 lettera a) anche nella scelta delle
attrezzature, ecc. deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, cio deve
essere effettuata una valutazione complessiva dei rischi.
Da questa valutazione dei rischi deriva la redazione di un documento riguardante proprio la
valutazione dei rischi, indicante anche i criteri adottati nella valutazione, dotato di completezza e
idoneit. L'art. 28 parla di criteri di brevit, semplicit o comprensibilit, in modo che il documento
non sia un testo meramente accademico ma sia reso realmente operativo in concreto.
Una volta operata la valutazione dei rischi il secondo contenuto l'indicazione delle misure di
prevenzione e protezione dai rischi adottate.

Art. 29 modalit di effettuazione della valutazione dei rischi:
Il datore del lavoro effettua la valutazione in collaborazione con il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dei rischi e con il medico competente. Vi poi la previa consultazione del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Le prime due figure servono perch non detto che il datore di lavoro abbia tutte le competenze
necessaria per effettuare la valutazione complessiva, mentre la terza figura connessa con il ruolo
attivo che hanno i lavoratori nell'impianto normativo delineate dal decreto.
La valutazione deve essere poi continuamente aggiornata.
Poi abbiamo delle distinzioni rispetto all'entit dei dipendenti.

Art. 30 modelli di organizzazione e di gestione:
Questa norma richiama la normativa sulla responsabilit degli enti del D.lgs 231/2001. Questo
decreto riguarda la responsabilit per i reati commessi nell'interesse o vantaggio dell'ente
medesimo. La responsabilit inoltre non generale per qualsiasi reato ma solo per alcuni reati
specificatamente indicati dal decreto (all'inizio era previsto solo per l'abuso dei finanziamenti
dell'UE e corruzione ma si assiste ad una recente espansione).
Questo decreto legislativo 81/2008 ha anche introdotto l'art. 25septies al D.lgs. 231/2001. Questa
normativa prevede che l'ente possa comunque rispondere in tema di infortunistica sul lavoro ma
risponde in modo tradizionale, cio solo se si realizzata la morte o la lesione alla salute del
lavoratore, quindi non risponde per la mera violazione delle norme di sicurezza previste dal
decreto 81.
Questo un elemento di arretratezza della norma, di mancato coraggio di fare un passo in pi
se previsto un controllo delle condotte, l'ente deve rispondere anche per inadempimento degli
obblighi di sicurezza, prima ancora di cagionare la morte o la lesione.
Tuttavia la morte o la lesione deriva proprio da un mancato rispetto delle norme in materia di
sicurezza sul lavoro, che per non trovano tutela nella responsabilit dell'ente ma sono sanzionate
in altro modo.

Art. 25septies. Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle
norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
166
1. In relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione
dell'articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto
2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in
misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si
applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre
mesi e non superiore ad un anno.
2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale,
commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una
sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di
condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui
all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
3. In relazione al delitto di cui all'articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con
violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione
pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al
precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una
durata non superiore a sei mesi.
Vengono in sostanza previsti due livelli di responsabilit per la persona giuridica nell'ipotesi di
omicidio colposo, a seconda che l'omicidio derivi dalla violazione di determinate tipologie o di altre
tipologie della norma di sicurezza sul lavoro, ma l'ente non risponde direttamente ma solo se si
realizzata la morte o la lesione.
Nel primo e nel secondo comma la norma rinvia all'art. 589 c.p. sull'omicidio colposo.
Il terzo comma invece prevista la responsabilit dell'ente in caso di violazione di norme sulla
sicurezza nel caso derivino lesioni e qui fa riferimento all'art. 590 c.p. sulle lesioni personali
colpose.
Il quadro quindi : l'ente risponde in aggiunta alle persone fisiche quando si realizza la morte o la
lesione.
Ma alla luce di quanto detto sorge una riflessione sul caso Tyssenkrupp: c' una stranezza La
norma dice che anche l'ente risponde quando c' morte del lavoratore o lesione per omicidio
colposo.
Il paradosso che se nel caso in cui per tutti gli imputati venisse applicato il dolo eventuale, a
rigore, in caso di imputazione per omicidio volontario, l'ente non risponderebbe perch l'art.
25septies parla di omicidio colposo. Si fatto riferimento con la norma all'ordinariet perch non
si poteva pensare che si facesse imputazione per omicidio volontario.
Per comprendere questa scelta di denominazione del reato di omicidio volontario bisogna andare a
vedere i capi sanzionatori: quei soggetti a cui non stato attribuito il dolo eventuale ma l'omicidio
colposo aggravato plurimo la gravit stata considerata cos alta da arrivare a differenze
sanzionatorie sostanzialmente minime rispetto alla condanna di omicidio volontario scelta di
fondo di attribuire come messaggio sociale l'omicidio volontario, per far emergere la riprovazione
sociale per la morte lavoratore, ma non per attribuire un regime sanzionatorio pi grave.
Da questo discorso riprendiamo l'analisi dell'art. 30 del D.lgs 81/2008.
Questo articolo ha lasciato molti dubbi riguardo all'interpretazione che non affatto semplice.
Quando si adotta un modello organizzativo ai fini della normativa 231/2001 questo si deve
occupare anche delle questioni pertinenti alla tutela dei lavoratori, in particolare per quanto
riguarda l'assicurazione che i soggetti apicali svolgano adeguatamente tutti gli obblighi, a maggior
ragione quelli non delegabili (ricorda art. 16 del decreto). Di tutto questo si deve occupare il
modello organizzativo. Il modello organizzativo del decreto 231 non pu ignorare di monitorare il
corretto adempimento degli obblighi che fanno capo ai soggetti rilevanti ai fini della norma del
167
decreto 231.
N.B. Se si dovesse seguire la lettera sorge un interrogativo: il modello organizzativo sembra
diventare un modello obbligatorio (adottato ed efficacemente attuato, assicurando...). Proprio
per l'inserimento di quella virgola, che probabilmente era meglio non mettere, sorge un dubbio
non meramente grammaticale che il modello organizzativo potesse essere diventato un modello
obbligatorio.
Sembra presupporre che quel modello debba obbligatoriamente essere attivato ma in realt non
cos, un sistema assolutamente facoltativo, quindi l'art. 30 ovviamente riguarda solo i casi in cui il
modello adottato e solo in questo caso l'ente esonerato dalla responsabilit del reato anche ai
sensi dell'art. 25septies del d.lgs 231 del 2001.
Solo nel rispetto di quel modello c' l'esonero per la responsabilit dell'ente ed occorre anche che
il modello si sia occupato dell'attuazione da parte dell'ente degli obblighi in materia di sicurezza.
Il non avere il modello organizzativo previsto dalla 231 esporrebbe alla responsabilit del reato e
esporrebbe anche alla responsabilit del reato ai sensi del 25septies, invece se l'ente ha adottato
quel modello organizzativo interno prevedendo anche come oggetto dell'attivit di questo modello
quanto quindi previsto sar pi facile che l'ente andr esente da responsabilit dei reati anche
per i reati di omicidio e lesioni colpose previsti dell'art. 25septies.
Il fatto che viene a far parte degli obblighi e dei compiti del modello organizzativo interno ai sensi
della 213 anche questa parte attinente alla prevenzione infortunistica del lavoratore non vuole
assolutamente dire che allora non debba essere costituito il servizio di prevenzione ed il
responsabile per la sicurezza dei lavoratori, ecc. Tutto quello che abbiamo visto finora deve
comunque essere presente. Ma se si vuole l'esonero da responsabilit per reati previsti dall'art.
25septies, l'ente deve dimostrare di aver attuato il modello di organizzazione interna. Ma per
andare esonerato rispetto ad omicidio colposo e dalle lesioni il modello deve occuparsi anche di
questo settore ed in particolare per quanto riguarda l'adempimento degli obblighi dei soggetti
apicali e, a maggior ragione, quelli non delegabili.
Passiamo alla sezione III in realt si pone in continuit con quanto abbiamo detto prima, cio co
il discorso sulla valutazione del rischio. Questa sezione parla del servizio di prevenzione e
protezione attivato dal datore di lavoro e che collabora con lui nell'adempimento dell'obbligo non
delegabile di valutazione dei rischi.

Art. 31 servizio di prevenzione e protezione:
questo servizio fa da supporto, organizzato direttamente dal datore oppure da soggetti esterni da
lui incaricati. Gli addetti responsabili del servizio, interni o esterni che siano, devono presentare le
caratteristiche richieste dall'articolo seguente, devono essere in numero sufficiente rispetto alle
caratteristiche dell'azienda e devono disporre dei mezzi adeguati, non devono subire pregiudizio
sulla base della funzione che svolgono.

Art. 32 capacit e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di
prevenzione e protezione interni ed esterni:
la norma elenca i criteri e i requisiti che deve avere il servizio interno di prevenzione e protezione:
deve essere dotato di sufficiente indipendenza e competenza per poter lavorare (disporre di mezzi
e di tempi adeguati).
Per certe aziende che superano determinati valori occupazionali (per aziende industriali oltre 200
dipendenti) l'istituzione del servizio obbligatoria.

Art. 33 compiti del servizio di prevenzione e protezione:
168
si sovrappongono ai compiti non delegabili dal datore. Il servizio di prevenzione e protezione
provvede a individuare i fattori di rischio, individuare le misure per la sicurezza sul lavoro e
proporre il programma di informazione e formazione dei lavoratori, ecc.

Art. 47 rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
Abbiamo gi visto che il lavoratore non considerato solo soggetto di protezione collabora ed
soggetto di determinati doveri.
Questa cooperazione dei lavoratori, che ha anche un controllo da parte dei lavoratori stessi, si
realizza anche attraverso la nomina dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Non soltanto
l'ente costituisce quel famoso organo di controllo per vedere se tutti gli adempimenti vengano
effettivamente attuati, ma, seppur in maniera marginale, un controllo viene istituzionalizzato
anche da parte dei lavoratori.
Quindi abbiamo due gradini di controllo per la sicurezza nell'ambiente di lavoro:
1) La previsione da parte del datore di istituire un servizio di prevenzione e protezione
2) L'ente per l'esonero da responsabilit ex art.25septies del decreto 231 deve controllare che
tutto sia effettivamente fatto con attuazione del modello.
Ma ora abbiamo un terzo gradino: compiti di garanzia e di controllo esercitata direttamente dei
lavoratori ( art. 47 rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).
Quindi riassumendo: 1gradino datori valutazione dei rischi; 2 gradino adesione al
modello organizzativo + art. 47 posizione di garanzia e controllo esercitata dai lavoratori.
Il rappresentate dei lavoratori per la sicurezza eletto o designato in ogni azienda o unit
produttiva; di solito nominato dai lavoratori attraverso le rappresentanze sindacali in azienda
(RSA o RSU).

Art. 50 Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
consultato preventivamente e tempestivamente in ordina alla valutazione dei rischi; consultato
sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione; ha libero accesso ai
luoghi di lavoro; riceve informazioni; ha compiti attivi e cosa importante pu fare ricorso alle
autorit competenti qualora ritiene che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate e
i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. Ha
quindi un potere di iniziativa, un potere notevole autonomo, un vero potere di denuncia che pu
esercitare autonomamente.
Al capo IV abbiamo le DISPOSIZIONI PENALI, in particola affrontiamo le sanzioni.
Vediamo attribuito l'aggettivo penale non solo alle sanzioni penali ma a quelle amministrative di
carattere sanzionatorio abbiamo sanzioni penali o amministrative.
Questa norma riflette tutta la povert e i difetti del diritto penale che conosce solo la pena
detentiva. Qui allora abbiamo pene di carattere puramente sanzionatorio. In sostanza sono tutte
norme penali che di contenutistico non dicono nulla, prevedono solo una pena e dicono che per
chi viola gli obblighi prevista una certa pena. Lo schema sanzionatorio svolto attraverso la
tecnica del rinvio.
Qui vediamo l'esempio di un diritto penale che interviene con strumenti tutto sommato
tradizionali con materia invece nuova.
Sono previsti principalmente pene contravvenzionali l'arresto quasi mai realizzato
concretamente in forma detentiva.
Abbiamo un sistema di obblighi sull'infortunistica del lavoro e ma questo sistema prevede le solite
sanzioni penali, contravvenzionali quindi usato il sistema penale che molto povero riguardo
alla variet e innovazione di sanzioni
169
In una visone tradizionale del diritto penale infondo si sarebbe detto che se tu sei professore di
penale occupati soltanto di far studiare i reati, ma perch noi ampliamo lo sguardo? Noi non ci
occupiamo solo del reato, ma facciamo una riflessione sulla tutela del bene giuridico penalmente
tutelato. Per questo abbiamo visto due filoni: quello tradizionale che interviene solo quando capita
l'evento; quello innovativo che cerca di prevedere rischi, posizioni di garanzia, obblighi per
prevenire reati, anche se poi questo sistema di adempimenti viene presidiato da sanzioni
assolutamente tradizionali che sono quelle del diritto penale, quindi non innovative.
Schema di sanzioni per non adempimento di obblighi lo ritroveremo ripetuto per tutte le parti
successive della normativa. Vediamo ripetuto lo schema: serie di definizioni serie di obblighi e
serie di compiti serie di misure preventive serie di sanzioni.

DELITTI CONTRO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.
Favoreggiamento personale, art. 378.
Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la
reclusione, e fuori dai casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni
dell'Autorit, o a sottrarsi alle ricerche di questa, punito con la reclusione fino a quattro anni.
Quando il delitto commesso quello previsto dall'articolo 416bis, si applica, in ogni caso, la pena
della reclusione non inferiore a due anni.
Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la
pena della multa fino a euro 516.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non imputabile o
risulta che non ha commesso il delitto.
Il reato consiste nella condotta di chi, dopo che fu commesso un delitto, aiuta taluno a eludere o a
sottrarsi alle investigazioni dell'Autorit, e la pena prevista quella della reclusione fino a 4 anni.
Siamo fuori dal caso dell'aiuto degli associati perch non si parla di un'associazione, ma di un
favoreggiamento realizzato per un singolo o anche per un'associazione e di un atteggiamento
successivo all'attivazione della macchina giudiziaria.
La pena non inferiore a 2 anni se il favoreggiamento fatto ad associazione a delinquere.
Inoltre, il reato si applica anche a persona non imputabile o che non ha commesso il delitto.
Bisogna distinguere il favoreggiamento personale dal favoreggiamento reale.

Favoreggiamento reale, art. 379.
Chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648bis e 648ter
aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, punito con la reclusione
fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di
contravvenzione.
Si applicano le disposizioni del primo e dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Il favoreggiamento reale (es. metti la cosa rubata in casa mia) un'ipotesi diversa dall'art. 648
(ricettazione compro la cosa rubata) e dell'art. 648-bis (riciclaggio).
Ma come nella ricettazione e nel riciclaggio anche qui l'agente di questo reato non deve essere
concorrente, cio non deve aver concorso nel reato base perch evidente che chiunque
commette un furto cerca di assicurarsi il prodotto o profitto o prezzo.
Infatti, ci che unisce le due norme sul favoreggiamento personale e sul favoreggiamento reale
che entrambi precisano fuori dai casi di concorso nel reato. Ci significa che non si punisce di
favoreggiamento il concorrente, altrimenti sarebbe sempre punito per due reati.
un reato di condotta o di evento? La dottrina maggioritaria lo ha sempre considerato un reato di
condotta.
170
Ma attenzione, la domanda non di poco rilievo: la distinzione tra reati di condotta e reati ad
evento fisico naturalistico un po' una distinzione a fisarmonica: in alcuni reati la distinzione tra
l'evento e la condotta molto chiara; ma ci sono alcuni reati che a rigore prevedono una condotta
che pu essere considerata come mero movimento corporeo oppure pu essere vista come una
nozione riassuntiva comprendente anche un evento. Tutto dipende se la condotta la voglio
considerare come qualcosa di simile pi ad un mero movimento corporeo oppure la considero
come un qualcosa di pi.
Avevamo visto come lo schema del dolo era P C E; quindi se la condotta non solo
movimento corporeo pu risultare pi complesso distinguere tra reati di condotta e reati di evento.
Ad esempio, l'evasione dal carcere considerata un reato di condotta ma dovrei dire che il mero
movimento corporeo di uscire dal carcere la condotta, tuttavia non appena il carcerato fuori
dalle mura del carcere si realizza un evento.
Quindi si pu pensarsi che l'aiuto deve essere effettivamente avvenuto, cio non basta la semplice
condotta.
C' quindi anche chi sostiene che il favoreggiamento sua un reato di evento, cio non basterebbe
l'idoneit della condotta ma occorrerebbe che vi sia il risultato di eludere le investigazioni.
Resta quindi l'interrogativo se va inteso come reato di condotta o come reato di evento per cui non
basta la condotta ma necessario che si verifichi l'evento di elusione delle investigazioni.
Questa problematica potrebbe assumere un certo rilievo rispetto anche a questa domanda: il
favoreggiamento personale pu realizzarsi in forma omissiva?
Possiamo ipotizzare un favoreggiamento omissivo ad esempio quando una persona non denuncia
pur sapendo dove si trova l'oggetto di un furto, oppure dove si trova un latitante, quindi non dice
nulla su cose che sarebbero utili alle indagini.
Questa condotta pu rilevare ai fini penali? Possiamo rispondere affermativamente se sussiste un
obbligo giuridico di impedire l'evento.
Si pu rispondere di reato omissivo in 3 situazioni:
1) quando, nell'ambito di un reato di evento, la norma stessa che lo prevede, cio quando
l'obbligo deriva dalla legge (obbligo di referto, omesse informazioni alla Consob, abuso
d'ufficio quando non si astiene da una condotta per conflitto d'interessi)
2) nel caso dei reati omissivi propri, cio quando l'omissione stessa costituisce reato
(omissione di soccorso)
3) quando non espressamente previsto dal legislatore una responsabilit per omissione ma
rientra nel caso della norma dell'art. 40 comma 3 del codice penale: non impedire un
evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Ovvio deve essere un
obbligo di derivazione giuridica.
Attenzione alle posizione di garanzia alla Fiandanca! La tesi sostenuta da Fiandanca era quella di
abbandonare il famoso trifoglio (cio che obbligo giuridico nasce da contratto, legge, fatto illecito)
e andiamo su posizioni pi sostanzialistiche. Ma abbiamo visto che il passaggio da formale a
sostanziale va bene quando riduco l'ambito del punibile ma non quando faccio la cosa opposta.
Qui per bisogna chiarire cosa vuol dire obbligo giuridico di impedire l'evento. L'art. 40
originariamente fa riferimento all'impedimento di eventi naturalistici, non si pensava al contrasto
con la condotta altrui. Nel 1930 non si pensava ai reati di condotta ma si faceva riferimento
esclusivamente all'evento.
Non impedire l'evento come obbligo di opporsi all'attivit altrui sostenibile all'interno dell'art. 40
c.p.?Impedire che il bagnante anneghi obbligo di attivarsi per il bagnino; ma l'art. 40 non
ricomprende l'obbligo di attivarsi quando il tuo attivarsi implica il contrasto con l'attivit altrui, nei
confronti di un'altro individuo.
171
L'altro profilo questo, nel 1930 non si pensava ai reati di condotta ma solo a quelli di evento. Nel
momento in cui si ammette che l'art. 40 ricomprende anche l'obbligo di contrastare
comportamenti altrui allora ci pu anche stare l'obbligo di impedire una condotta di un'altro
individuo, quindi un reato di condotta.
questo il problema di fondo: applicabile l'art. 40 per impedire ci che si realizzi per un reato di
condotta e non di evento? Resta questa problematica di fondo.
In effetti chi dice che il favoreggiamento personale pu essere realizzato in forma omissiva tende a
considerarlo come reato di evento, cos evita tutte queste problematiche.
Non si capisce bene che cosa si dovrebbe impedire davvero nel reato ci condotta. Il realizzarsi della
lesione del bene giuridico? difficile anche perch la stessa condotta da impedire proprio quella
del soggetto che non denuncia (auto-impedimento della propria condotta di favoreggiamento
paradossale)
La giurisprudenza incline ad ammettere il favoreggiamento omissivo ma solo per una certa
situazione che vedremo pi avanti.
Se si vuole pensare ad una omissione abbiamo detto che occorrerebbe un obbligo. Effettivamente
ci sono ragioni che sembrano stringenti per dire che un obbligo generalizzato non c', perch il
codice stesso, nelle norme precedenti a quella di favoreggiamento, prevede i casi in cui c'
espressamente un obbligo di denuncia. Noi sappiamo che questo obbligo di denuncia c' in caso di:
obbligo di denuncia del pubblico ufficiale (art. 361)
obbligo di denuncia dell'incaricato ad un pubblico servizio (art. 362)
obbligo di referto (art. 365)
Ma per quanto riguarda il cittadino in quanto tale l'obbligo di denuncia sussiste in due situazioni:
a) art. 364 c.p. il cittadino che, avendo avuto notizia di un delitto contro la personalit
dello Stato, per il quale la legge stabilisce l'ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia
all'Autorit... punito...
b) abbiamo una estensione che riguarda il caso di sequestro di persona a scopo di estorsione.
L'ambito dell'obbligo di denuncia che ricade sul cittadino in quanto tale vediamo che ricopre una
casistica ben ristretta. Vediamo come da questo punto di vista sia difficilissimo costruire un reato di
favoreggiamento omissivo dato l'ambito limitatissimo dell'obbligo di denuncia che ricade sul
cittadino in quanto tale.
Al di l di queste norme ci sono altre norme che prevedono un obbligo del cittadino di parlare. Non
solo quando tenuto a fare una denuncia, cio a prendere un'iniziativa, ma anche quando viene
chiamato si fa riferimento al reato di falsa testimonianza, art. 372: chiunque, deponendo come
testimone innanzi all'Autorit giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in
parte, ci che sa intorno ai fatti sui quali interrogato, punito con la reclusione da due a sei
anni.
Oltre alla falsa testimonianza abbiamo anche altre due estensioni artt. 371bis e 371ter, cio
dove il cittadino ha obbligo di dire in fase di indagine quando gli venga richiesto di riferire
informazioni utili all'indagine al pubblico ministero:

Art. 371-bis. False informazioni al pubblico ministero.
Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero di fornire
informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ci che
sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, punito con la reclusione fino a quattro anni.
Anche il difensore oggi pu fare autonome attivit d'indagine e quindi pu richiedere dichiarazioni.
Il cittadino non obbligato a dare queste dichiarazioni ove richiesto all'avvocato, ma se decide di
rendere queste dichiarazioni, deve dire la verit, non deve mentire.
172
Quindi oltre ai due obblighi di denuncia ci sono tre obblighi di testimonianza in senso lato.
Qual' il caso in cui finisce per porsi la questione giurisprudenziale?
Oltre all'ipotesi secca della persona che non ha preso l'iniziativa di andare a denunciare, l'ipotesi
finisce per essere quella della persona che non risponde o non dice il vero alla polizia, ma fuori dal
caso della polizia agisca come longa manos del pubblico ministero. Tipico il caso in cui la polizia
chiede sul campo chi ti ha dato la droga?.
Vorrebbe dire affermare che l'autorit di polizia pu chiederti tutto quello che vuole anche al di
fuori da un incarico dall'autorit giudiziaria e tu alla polizia sei tenuto sempre a dire tutto quello
che sai, alla polizia che dipende all'autorit amministrativa diventa una questione delicata
non da una base su cui costruire un obbligo, perch gli obblighi sono accuratamente definiti dal
legislatore.
Semmai qui una distinzione che si potrebbe fare questa: in effetti un conto il tacere, un conto
dare notizie fuorvianti. In quest'ultimo caso si rischia di tornare dalla condotta omissiva a quella
attiva.
Allora la soluzione pi equilibrata sarebbe quella di tenere il favoreggiamento omissivo non
configurabile nei confronti del cittadino; semmai si configura favoreggiamento quando di fronte
alla domanda il cittadino risponde e ci sia un'atteggiamento fuorviante. Ma bisogna fare riflessioni
anche qui: se il contesto in cui erano state date era un contesto in cui la persona ancora aveva un
certo ambito di libert di espressione, cio non si trovava in un possibile stato di pressione (stato di
necessit); e l'altra considerazione da fare valutare se c' il dolo, cio se il soggetto ha detto cos
per puro caso oppure perch intenzionalmente voleva fuorviare le indagini dell'autorit.

CODICE DELLA STRADA E CONSIDERAZIONI PENALI.

Art. 140 principio informatore della circolazione:
1. Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la
circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale.
2. I singoli comportamenti, oltre quanto gi previsto nei precedenti titoli, sono fissati dalle norme
che seguono.

Art. 141 velocit:
1. E' obbligo del conducente regolare la velocit del veicolo in modo che, avuto riguardo alle
caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della
strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la
sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione.
Vediamo quale incidenza queste norme del Codice della strada hanno con la materia trattata.
Il problema che traspare che una norma di questo genere, con condotte molto indeterminate,
rende assolutamente indomabile la regola della diligenza, valida ai fini dei reati colposi. Una norma
di questo genere rende sostanzialmente incerto qualsiasi limite posto dalla legge riguardo la
velocit (...in modo che sia evitato ogni pericolo...). incerto il limite sugli elementi che rendono
la guida non sicura.
Vuol dire che il guidatore deve tenere una velocit tale per cui ogni rischio sia azzerato, ma questo
impossibile. Si instaura cos una sorta di responsabilit oggettiva.
Vediamo come una norma sul piano morale corretta e deontologicamente giusta, possa
permettere l'instaurarsi di una responsabilit oggettiva in quanto risulter facile provare che un
guidatore non ha tenuto una condotta che ha azzerato completamente ogni rischio di pericolo alla
sicurezza.
173
Paradossalmente il rischio azzerato solo se non ci si mette alla guida!
Questo un esempio di come norme extra penali, se anch'esse indeterminate possono portare a
problemi oggettivi nell'applicazione del diritto penale.


IL REATO DI RISSA E CONSIDERAZIONI PENALI.

Art. 588. Rissa.
Chiunque partecipa a una rissa punito con la multa fino a euro 309.
Se nella rissa taluno rimane ucciso o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della
partecipazione alla rissa, della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se
l'uccisione o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.
Il primo comma non ci dice nulla. La rissa non definita, non sappiamo che cosa sia. Viene indicata
solo qual' la pena (multa) ma non definisce quando si parla di rissa.
Leggendo bene la prima parte del comma 2 (se nella rissa taluno rimane ucciso o riporta lesione
personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa...), notiamo un aspetto che va
ben oltre la responsabilit oggettiva: si tratta di una RESPONSABILIT PER FATTO ALTRUI.
La responsabilit oggettiva caratterizzata dal fatto che il soggetto colpevole indipendentemente
dalla sussistenza del dolo o della colpa ma soprattutto indipendentemente dall'esistenza del nesso
causale.
Il codice Rocco all'art. 42 era rimasto ancorato all'idea che la responsabilit pur oggettiva rimaneva
ancorata al nesso di causalit, infatti l'art. 42 comma 3 dice: la legge determina i casi nei quali
l'evento posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione.
Quel altrimenti indica i casi di responsabilit oggettiva. Quindi il codice Rocco nell'art. 42 tiene
fermo almeno il fatto proprio, cio la sussistenza del nesso di causalit.
Nell'art. 116 (reato diverso da quello voluto dai concorrenti) una responsabilit oggettiva o
anche qui una responsabilit per fatto altrui? Nell'art. 116 invece una responsabilit per fatto
proprio (responsabilit oggettiva) e non per fatto altrui, perch richiede (fare attenzione a
equivoco)
anche il soggetto che non voleva il reato pi grave risponde se ha dato un contributo al reato,
anche prima della commissione del reato.
Nella rissa invece andiamo davvero oltre questo limite, perch non c', almeno ad una prima
lettura, nessun riferimento al nesso causale. Sembra che un soggetto che partecipa ad una rissa
sembra che anche se non da nessun contributo all'uccisione risponde in maniera aggravata, solo
perch ha preso partecipazione.
Questa lettura molto grave dell'art. 588 nella sua versione originale, confermata dalla seconda
parte del comma 2 (la stessa pena si applica se l'uccisione o la lesione personale avviene
immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.) N.B. in conseguenza della rissa, non in
conseguenza del contributo! Quindi, ad esempio, se c' stata una rissa dove Tizio partecipa e, dopo
che terminata, Tizio va verso casa ma Caio, che si sente offeso a seguito di quella rissa, rincorre
Tizio e lo uccide, secondo questa lettura della norma un'altro soggetto, Sempronio, che ha
partecipato alla rissa risponde dell'uccisione, perch la norma dice che la stessa pena si applica se
l'uccisione avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza della rissa, non in conseguenza
del contributo. Quindi anche se Sempronio non ha contribuito all'uccisione ma ha partecipato alla
rissa, proprio in virt di questa partecipazione risponde dell'uccisione.
Ovviamente questa una lettura estremamente gravosa e quindi bisogner leggere la norma in
un'altra maniera.
174
Questa norma oggi verr letta in maniera da renderla costituzionale, e quindi si dovr richiedere
anche il nesso di causalit per rispondere ai sensi del comma 2 di rissa aggravata e bisogna
richiedere anche che questo evento sia prevedibile requisiti per rispondere ai sensi di rissa
aggravata: NESSO CAUSALE e PREVEDIBILIT.
Ma da dove lo deduciamo che ci debba essere un nesso causale, anche se la norma espressamente
non lo richiede? Perch se non ci fosse il nesso causale sarebbe incostituzionale?
Lo deduciamo dall'art. 27 comma 1 della Costituzione richiede il contenuto primario e minimale
che si tratti di fatto proprio e non di fatto altrui; la responsabilit penale personale, quindi il fatto
deve essere conseguenza della propria azione od omissione ed in secondo luogo deve esserci
almeno la responsabilit colpevole (sussistenza del dolo o colpa).

DELITTI CONTRO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: CALUNNIA E CONSIDERAZIONI PENALI.

Art. 368. Calunnia:
Chiunque, con denunzia, querela , richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta
all'autorit giudiziaria o ad un'altra autorit che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un
reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, punito con la
reclusione da due a sei anni.
La pena aumentata se s'incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della
reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena pi grave.
La reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore
a cinque anni; da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo; e si applica la
pena dell'ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte.
Anche se inserito tra i delitti contro l'amministrazione della giustizia, ad essere tutelato anche
l'interesse del cittadino a non essere accusato sulla base di indizi falsi
La calunnia pu essere punita per dolo eventuale?
Ad esempio: Tizio denuncia un soggetto basandosi su una fonte di cui non era certo, nel dubbio
sulla sua reale colpevolezza applicazione della formula di Frank anche se fossi certo che si
realizza una calunnia, io lo denuncio ugualmente.
La norma dice ...incolpa di un reato taluno che egli sa innocente chiediamoci: pu essere
punito per dolo eventuale?
Nella calunnia il dolo eventuale si realizzerebbe quando il soggetto attivo agisce nell'incertezza
degli indizi ma ha agito ugualmente, nel dubbio e nella possibilit di commettere reato di calunnia
(rif. formula di Frank).
La lettera della norma per sembra esigere una situazione di certezza (...che egli SA innocente...).
La formula normativa sul punto sembra chiara, ma l'atteggiamento della giurisprudenza non lo .
Infatti talvolta richiede che il soggetto che denuncia debba fornire anche gli eventuali elementi di
incertezza. Ma proprio questa richiesta contrastante con la lettera della norma che richiede,
come abbiamo visto, la certezza.
Proprio per escludere il rischio della punibilit per calunnia con dolo eventuale, frequente che gli
avvocati non facciano la denuncia ma il semplice ESPOSTO, che consiste nella mera esposizione dei
fatti, e poi sar il giudice a fare le valutazioni atteggiamento cautelativo.
Il ruolo del difensore di estrema delicatezza, rispetto al profilo deontologico.
Prestare denuncia infondate, tendenziose situazione molto grave il nostro diritto penale
impreparato riguardo al tema della giustizia riparativa, cio si dovrebbe prevedere una mediazione
per valutare se davvero ci sono degli elementi per poter fare una denuncia, evitando denunce
infondate in sede pregiudiziale.
175
La calunnia si avvicina quindi alle problematiche dello stato di necessit e di legittima difesa: in
base a dove sposto l'attenzione della tutela si predilige una parte, piuttosto che l'altra; restringo
l'ambito di tutela da una parte per ampliarla dall'altra.


CONSIDERAZIONI PENALI SULLO STATO DI NECESSIT.
Posto che il principio di legalit un principio garantistico, secondo il professore alle cause di
giustificazione sarebbe applicabile l'analogia.
Ma art. 14 delle preleggi (applicazione delle leggi penali ed eccezionali): le leggi penali e quelle
che fanno da eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi
considerati in esse = non si applica l'analogia.
Per rispondere alla domanda se le cause di giustificazione possono essere suscettibili di analogia
dobbiamo chiederci se sono norme penali o se sono norme eccezionali a norme generali.
Innanzitutto possiamo affermare che non sono norme penali ai fini dell'analogia, perch a tal fine
sono considerate penali solo le norme incriminatrici, e le cause di giustificazione non sono norme
incriminatrici.
Ma non sono neanche norme che fanno da eccezione a regole generali, perch almeno alcune di
esse sono esse stesse norme generali.
Lo stato di necessit si differenzia dalla difesa legittima proprio perch la condotta lesiva va a
colpire l'innocente, a differenza della legittima difesa che va a colpire invece il colpevole.
Perci bisogna stare attenti ad applicare l'analogia a norme come lo stato di necessit, perch se
amplio la sfera applicativa dello stato di necessit, automaticamente tutelo di pi colui che ha agito
nello stato di necessit ma restringo la tutela di colui innocente che ha subito l'azione dettata dallo
stato di necessit del soggetto agente.
Domanda su argomento delicato: 11 settembre 2001 quattro aerei stando andando, due contro
le torri gemelle, uno contro pentagono e uno contro il campidoglio. Il quarto aereo precipitato
perch i passeggeri hanno tentato di sopraffare i dirottatori ma a quanto sembra erano gi in volo
degli aerei per abbattere quell'aereo, con tutti i passeggeri a bordo. Tutti quei passeggeri
sarebbero comunque morti, quindi ci giustifica l'abbattimento dell'aereo per salvare il
campidoglio? stato di necessit?

Art. 54. stato di necessit:
non punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessit di salvare s od
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato, n altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessit
determinato dall'altrui minaccia; ma in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata
risponde chi l'ha costretta a commetterlo.
Lo stato di necessit (art. 54 c.p.) riguarda principalmente 3 situazioni:
1) caso in cui il soggetto agente salva se stesso compromettendo il diritto di un innocente;
2) caso in cui il soggetto agente salva un altro soggetto sacrificando un suo diritto di rango
inferiore (ad esempio il caso del medico che opera un ferito grave per salvare il bene
vita/salute ma sacrifica quello della libert morale);
3) caso in cui il soggetto agente nello stato di necessit salva un individuo ma a danno di un
altro situazione nella quale il soggetto agente si erge a giudice della scelta tra chi deve
subire un danno e chi no, intervenendo sul corso degli eventi.
176
Nella bibbia alla morte di Ges: meglio che muoia un solo uomo per il popolo principio
tutt'oggi vigente. Ma allora perch non legittimare la tortura o esperimenti su malati terminali?
Se tutto diventa meramente quantitativo e suscettibile di bilanciamento si perdono di vista certi
valori.
Esempio di scuola: un treno a tutta velocit arriver tra 40 minuti ad una stazione di testa ed il
macchinista ha avuto un ictus e non riesce pi a governare il treno. Cosa fare per evitare che il
treno si riversi sulla stazione senza frenare dove ci sono migliaia di persona in attesa e molte
sostanze pericolose, generando cos una catastrofe? Decidono di dirottarlo su un binario fuori uso
dove ci sono 4 operai che stanno lavorando e che morirebbero all'arrivo del treno in velocit e
fuori controllo. I 4 operai morirebbero ed il treno finirebbe in un dirupo dove morirebbero i
passeggeri ma non cagionerebbe nessuna catastrofe. Stato di necessit?
Qualcuno tenta una distinzione: la persona che usufruisce di questo servizio sa che nel caso limite
di salvare l'umanit rischieresti la vita; se tu prendi l'aereo accetti che se in quell'aereo ci fossero
dei dirottatori il tuo aereo verrebbe abbattuto. Alcuni quindi sostengono questa ipotesi di
accettazione tacita. Ma una opinione non condivisibile.
Quindi bisogna stare attenti ad ampliare troppo i concetti sullo stato di necessit per evitare di
arrivare a opinioni estreme come questa e anche a scelte come quelle di legittimare la tortura o gli
esperimenti su malati terminali, ecc.
Su questo argomento il codice tedesco individua 2 situazioni di stato di necessit: uno stato di
necessit SCRIMINANTE ed uno stato di necessit SCUSANTE.
Talvolta vero che lo stato di necessit opera come esclusione della colpevolezza, perch no si pu
dire che l'ordinamento che in questi casi opera un bilanciamento privilegiando un bene piuttosto
che un altro. Pi che altro l'ordinamento prende atto della inesigibilit dell'eroismo (= non si pu
chiedere ad una persona di sacrificare se stesso per salvare una vita altrui).
Ma non esclusione della colpevolezza quella del medico che salva una persona facendo una
valutazione degli interessi e privilegiando la vita al diritto di autodeterminazione. Quale ragione
avrebbe da addurre il medico nell'ambito di una richiesta di eutanasia passiva? logica di
carattere contrattuale trova limite nello stato di necessit non punibile se salva comunque
la vita della persona.
Non condivisibile la posizione di chi sostiene che il medico non avendo carattere di contiguit con
il malato non pu valutare lo stato di necessit, quindi non pu salvargli la vita in nessun caso.
Nel caso delle dichiarazioni anticipate, invece, il medico non deve fare una valutazione sugli
interessi (malato dice: non voglio essere intubato) siamo fuori da un contesto di dialogo.
Lo stato di necessit come esclusione della colpevolezza possibile solo nel primo caso delle tre
situazioni che abbiamo visto sopra (io per salvare me stesso pregiudico un altro). Qui il soggetto
non giustificato, ma scusato.
Ma quando io agisco su terzi qui che dobbiamo tornare a fare valutazioni di proporzionalit, con
il delicatissimo interrogativo di quando modifico il corso degli eventi, pregiudicando qualcuno a
favore di altri.
Abbiamo gi visto gli esempi del caso di scuola del treno e quelli degli aerei dell'11 settembre.
Il problema dello stato di necessit diventa drammatico nel caso di soccorso di altri, quando
bisogna sacrificare la vita di uno per il bene di altri.
Se noi applicassimo per la risoluzione di questi casi il principio per cui bisogna guardare alle
conseguenze questo potrebbe diventare molto pericoloso. Ancor pi pericoloso se applicassimo un
criterio meramente numerico (sacrifico 1 per salvarne 100). Perch allora non fare sperimentazioni
su malati terminali o legittimare la tortura?
Qui si inserisce la problematica della FLESSIBILIZZAZIONE DEI BENI FONDAMENTALI:
177
si era visto come la Corte Costituzionale nel caso dell'aborto aveva interpretato la non punibilit
dell'aborto con lo stato di necessit.
L'aborto rappresenta l'unica norma dell'ordinamento giuridico che ci permette di agire su un
innocente, a suo danno.
Si costruito l'aborto intorno al pericolo di salute serio per la donna ma il pericolo p stato esteso
anche alla salute psichica e non solo fisica.
La Corte salva la norma nonostante la disparit di trattamento tra la vita del concepito e la salute
della donna, attraverso il fatto che il concepito persona che deve ancora diventare. Ma questo
inciso non ha alcuna valenza scientifica. Non c' proporzionalit tra diritto del concepito e diritto
della donna. Il concepito ha s un diritto costituzionale ma in maniera diversa del gi nato, cio un
diritto FLESSIBILE.
Un diritto fondamentale, come quello della vita, finisce per essere reso flessibile, bilanciabile con
altre esigenze (salute della donna).
Questo problema della flessibilizzazione dei diritti fondamentali rischia di essere uno dei problemi
pi delicati per l'assetto costituzionale. Le costituzioni si fondavano sul fatto che alcuni nuclei di
diritti fondamentali non erano assolutamente bilanciabili. E questo invece non viene rispettato.
La sentenza n. 151/2009 sulla legge 40/2004 riprende una considerazione analoga rendendola pi
ampia di quella del legislatore del 1975. nella sentenza viene esposto un concetto di questo
genere: l'embrione pu soccombere non pi solo rispetto all'incolumit della donna, ma anche
rispetto al desiderio procreativo, nell'ottica che esiste sempre e comunque un diritto a procreare o
a non procreare 8procreazione in vitro e aborto). Si dice questo perch i diritti del concepito
sarebbero diritti che affievoliscono rispetto ai diritti della donna, di chi gi nato.
Prima embrione non ha diritti.
Ora ce li ha ma sono bilanciabili.
Sempre nell'ottica della flessibilizzazione: si pensi ai barconi degli immigrati nessuno
negherebbe che hanno dei diritti fondamentali, ma se questo reso bilanciabile allora perch non
bilanciarlo con il diritto alla sicurezza del cittadino? Questo ragionamento lo si fonda sullo stesso
percorso logico (l'immigrato cittadino che deve ancora diventare).
Stesso discorso per esempio sui diritti fondamentali di un detenuto che affievoliscono rispetto al
diritto dei cittadini di vivere in sicurezza.
La sentenza del 2009 riguarda la fecondazione in vitro: avendo liberalizzato il numero degli
embrioni impiantabili, ha creato la condizione per cui pu diventare applicabile la selezione tra gli
embrioni. La ricerca per dovrebbe essere sui gameti, non sugli embrioni (quindi a vita non ancora
iniziata, non quando una vita gi iniziata).

CONSIDERAZIONI PENALI SU TEMATICHE BIO-GIURIDICHE: LA PILLOLA DEL GIORNO DOPO.
Quando avevamo parlato dell'aborto e della fecondazione assistita avevamo detto che la vita
comincia quando c' una sequenza continuata, autogovernata e coordinata e avevamo detto che
nel momento in cui inizia la sequenza esistenziale del corpo inizia l'integralit dell'umano.
Detto questo, nel 2001 viene autorizzata la commercializzazione della pillola del giorno dopo.
La pillola del giorno dopo che problematiche pone? Cosa la differenzia dal punto di vista giuridico
da altri farmaci?
Le stesse industrie farmaceutiche indicano nel foglietto illustrativo che l'effetto potrebbe essere di
due tipi e non si sa mai con certezza quale si realizzato:
1) blocca l'ovulazione e blocca la risalita dei gameti maschili;
2) ma se l'ovulazione c' appena stata oppure imminente pu essere che la fecondazione ci
sia stata e poi la gravidanza non proceda perch quell'embrione non riesca ad annidarsi
178
nella parete uterina perch resa inospitale dal farmaco.
Quindi pu avere non solo un effetto contraccettivo ma anche un effetto abortivo precoce.
Problema tecnico-giuridico: nel 2001 il ministero della sanit autorizza la commercializzazione, ma
noi gi allora avevamo una legislazione, anche penalmente rilevante, che indirettamente affermava
che lo stato tutela la vita umana dal suo inizio, ma la legge non precisava in maniera esplicita
l'inizio della vita umana ma rimandava ai dati scientifici. Non prevedeva una norma specifica di
carattere penale sulla soppressione non dell'embrione in fase precoce. Cosa che invece avveniva
gi dal 1990 in Germania che da quel momento punisce la soppressione dell'embrione.
Questo da noi avviene nel 2004 con la legge 40 che tutela l'embrione e sanziona penalmente la
distruzione di embrioni.
Domanda: pu un atto amministrativo derogare a un principio di tutela fissato dalla legge?
Perch la legge sull'aborto per paradosso, anche quando prevede il reato di aborto fuori dai casi
previsti dalla legge, non sarebbe applicabile alla pillola del giorno dopo? Perch la legge sull'aborto
presuppone una gravidanza accertata, quindi mancherebbe un requisito di applicazione della
legge.
Ma resta il primo interrogativo, cio la possibilit del contrasto tra l'atto amministrativo e la legge.
Questo diventa ancora pi delicato nel 2004, ma l'atto amministrativo era precedente.
(applicazione formula di Frank non ho la certezza dell'evento lesivo ma agisco anche se fossi
certo che ci fosse).
Dopo il 2004 c' quindi il problema di rapporto tra l'atto amministrativo e la legge 40. ancora
discusso che rapporto ci possa essere e come possa essere risolto.
Per qui in realt c' un altro problema. La commercializzazione della pillola del giorno dopo ha
toccato un altro bene giuridico, che quello dell'informazione.
Nel 2001 si disse: siccome c'era il timore che qualcuno sollevasse il contrasto con la legge
sull'aborto (anche se richiede una gravidanza accertata, almeno per quanto riguarda le sanzioni) il
ministero della salute dice che vero quello che evidenziano le case farmaceutiche sul fatto che ci
pu essere un effetto secondario oltre a quello del blocco dell'ovulazione, ma si definisce
gravidanza il periodo successivo all'annidamento dell'embrione, escludendo i primi 5/7 giorni di
sviluppo dell'embrione e di spostamento dalle tube fino all'utero.
Con questa definizione la pillola del giorno dopo risulta non interruttiva della gravidanza, perch
interviene in una fase successiva a quella della gravidanza (cos intesa dal Ministero), quindi non
abortiva. Quindi tutti i cittadini considerano la pillola del giorno dopo come semplice farmaco
contraccettivo, mentre non viene reso chiaro ai cittadini delle reali possibili conseguenze. C'
quindi una violazione del diritto ad una corretta informazione.
Tra l'altro definire gravidanza solo la fase successiva all'annidamento contraddice cosa dice
espressamente la legge sull'aborto 90esimo giorno di gravidanza nessuno ha mai pensato che
si calcolasse a partire dal momento successivo di annidamento dell'embrione dell'utero, quindi
dopo 5/7 giorni.
Possiamo quindi avere due interpretazioni sul 90esimo giorno: o facendo riferimento al momento
presunto del concepimento nell'arco del ciclo o fare riferimento all'ultimo ciclo femminile, ma
nessuno aveva inteso 90 giorni dal momento presuntivo di annidamento.
Se volessimo essere precisi questo problema della pillola del giorno dopo dovrebbe richiedere una
grande trasparenza informativa. Facciamo un esempio: noi sappiamo che i farmaci contraccettivi
hanno avuto una modifica di composizione per evitare una serie di effetti collaterali. Il problema
del basso dosaggio pone qualche problema: le case farmaceutiche dicono che questo farmaco
agisce in 4 modi: inibisce l'ovulazione, riduce fortemente la presenza di muco cervicale, riduce la
motilit delle tube e provoca irritazione nella parete uterina. La casa farmaceutica ha dato una
179
informazione completa?
In realt no, perch non ha dato una informazione importante dal punto di vista etico-legale: dopo
l'avvento dei dosaggi pi limitati i primi due effetti si realizzano nel 100% dei casi? Se cos
l'ulteriore effetto dell'irritazione della parete uterina non ha rilevanza, ma se c' una percentuale
pur minoritaria che a basso dosaggio c' la possibilit che si instauri una gravidanza allora l'effetto
dell'irritazione della parete uterina diventa rilevante perch rende inospitale l'utero e
l'impossibilit che si annidi l'embrione.
Quindi mancano in sostanza dati pi trasparenti e precisi; vengono dati gli effetti ma manca
l'informazione che sarebbe invece incisiva sulla scelta dell'assunzione del metodo contraccettivo.

LA LEGITTIMA DIFESA.

Art. 52. Difesa legittima.
Non punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessit di difendere un
diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata all'offesa.
Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui
al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi
indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumit:
b) i beni propri o altrui, quando non vi desistenza e vi pericolo d'aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto
all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attivit commerciale, professionale o
imprenditoriale.
Il secondo comma dell'art. 52 costituisce una delle modifiche pi delicate introdotte nel 2006.
introduce una norma molto strana, ci dice che c' proporzionalit anche quando non c' nei
casi previsti dall'art. 614 (violazione di domicilio) sussiste il rapporto di proporzione...se taluno
legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicai usa un'arma legittimamente detenuta o altro
mezzo idoneo....
La norma precisa quando l'uso dell'arma legittimo.
Problema: in un contesto di legittima difesa, il fatto che l'arma sia detenuta legittimamente
dovrebbe centrare molto poco. Anzi viene dato un brutto messaggio sociale: ti autorizzo a usare
l'arma anche se non c' proporzione basta che l'arma sia detenuta legittimamente.
Questa norma stata interpretata come autorizzazione a commettere un reato per difendere la
propriet. Se il messaggio sociale che passa questo, si rischia di fare qualcosa di molto pericoloso,
soprattutto dal punto di vista dei beni che si vogliono tutelare.
D'altra parte le statistiche dimostrano che i paesi che autorizzano l'uso delle armi al di fuori del
vincolo di propriet si trovano ad avere molto pi casi di rapine e furti anche con vittime.
Non assolutamente vero per rendere pi facile la difesa fai da te diminuisce il tasso dei reati.
Rendere pi libera la detenzione di armi non fa rendere i cittadini pi sicuri ma rende i criminali pi
determinati e pi armati.
Ma la norma dice qualcosa di molto diverso da questo messaggio veicolato dai mass media (anche
perch la norma non voleva cadere immediatamente nel vaglio di incostituzionalit)
L'ampliamento inferiore a quello che a prima vista pu sembrare. Se leggiamo bene la norma
dice: difendere la propria od altrui incolumit posso usare l'arma solo quando in concreto
pericolo l'incolumit. Siamo qui pi vicini al concetto di proporzione. Il numero 1 della norma del
secondo comma rientra quindi nel solco della proporzionalit.
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Il secondo quello pi delicato perch dice al fine di difendere i beni propri od altrui. Se la norma
si fermasse qui sarebbe palesemente incostituzionale, ci sarebbe una preferenza a beni di carattere
materiale rispetto alla vita. Ma dopo la norma precisa: quando non vi desistenza e vi pericolo
di aggressione.
La specificazione non specifica che l'uso dell'arma deve essere proporzionato all'aggressione
problema della proporzionalit dell'uso dell'arma legittimamente tenuta.
Una cosa usare l'arma per sparare alle caviglie, un'altra utilizzarla per colpire al cuore di un
individuo.
Per fortuna questa modifica del 2006 non ha portato ad un mutamento sostanziale nella prassi, n
ad effetti di riarmo.
L'uso dell'arma deve rientrare nell'ambito della proporzionalit all'aggressione. Teniamo presente
per che l'eccesso colposo rimane in vigore come bilanciamento.

LEZIONE FINALE (prof. D'alessandro).
Soglie di punibilit uno dei profili pi problematici; il legislatore su alcune previsioni tipo se
fallito non d un etichetta per definire questi incisi. un lavoro interpretativo. Esempio: false
comunicazioni sociali (art.2621-2622cc) introducono specularmente delle soglie di rilevanza del
falso solo falsit che determinano uno spostamento del valore del 1% del patrimonio netto e 5%
del conto di esercizio 2 soglie di rilevanza quantitativa del falso. Che valore hanno queste soglie
di punibilit: le alternative sulla carta possono essere diverse:
1. sono elementi costitutivi del fatto (elementi descrittivi che stanno dentro la tipicit) come i
raggiri e gli artifici nel reato di truffa.
Problema: su tutti gli elementi del reato deve essere fatta valutazione sulla colpevolezza (principio
costituzionale); bisogna provare su di essi oltre il ragionevole dubbio, che il soggetto ha voluto, o si
rappresentato il superamento di quella soglia prevista
2. le soglie sono condizioni oggettive di punibilit: secondo questa posizione le soglie non
contribuiscono a descrivere il fatto. Come tutte le condizioni oggettive si collocano al di
fuori della tipicit. Condizioni oggettive di punibilit art. 44 codice penale : sono quelle
condizioni in presenza delle quali scatta la punibilit del soggetto anche se non sono da lui
volute. Esempio classico: delitto di incesto (art. 564) se dal fatto dipende il pubblico
scandalo fino a che non si verifica il pubblico scandalo il legislatore non interviene.
Basta il superamento delle soglie, non serve che il soggetto si sia prefigurato il pubblico scandalo.
Non serve che su essi sia provato il dolo. Se noi optiamo per questa soluzione la scelta del
legislatore quella di punire tutti i falsi in bilancio, tutte le dichiarazioni fraudolente, poi seleziona
quelle che raggiungono una certa soglia. Dire questo soprattutto per quanto riguarda i reati
societari, dire troppo, perch la riforma dei reati societari ci dice che il legislatore quando ha
limitato la rilevanza dei falsi in bilancio, lo ha fatto perch riteneva (a torto..) che falsi al di sotto di
quelle soglie fossero falsi non meritevoli di un giudizio di disvalore penale. In quella riforma le
soglie servivano per delimitare ci che meritano rilievo penale da ci che non lo merita. Il
legislatore con l'introduzione di quelle soglie decide di non punire alcuni falsi in bilancio (anche se
dolosi!). Diverso il discorso per i reati tributari: qui la collocazione delle soglie come elemento
costitutivo del reato pi dubbia. (alcuni parlano di cause di esclusione della tipicit)
Bancarotta preferenziale poi per: non punibile chi ha tenuto quelle condotte all'interno di
procedure di ristrutturazione causa di non punibilit per lo stesso motivo visto sopra; quelle
condotte non sono pi tipiche. La tesi pi accreditata parla di cause di esclusione del tipo. Questo
al contrario significa che quando siamo sopra le soglie, le soglie contribuiscono a definire il tipo, e
come tali devono essere trattate.
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RAPPORTI TRA D.LGS 231/01 e 81/2008 d.lgs 81/2008 (prof D'alessandro).
sicuramente un innovazione la norma 106/2009 rappresenta un correttivo, ha inciso
soprattutto sulla delega, ammissibilit o meno della sub-delega (art. 16 comma 3) e su
quell'aspetto dell'intersezione tra ci che il datore di lavoro e i suoi collaboratori devono garantire
in termini di sicurezza e ci che il modello organizzativo.
Rapporti tra modello di organizzazione dell'attivit di controllo e sicurezza dei lavoratori, e il
modello organizzativo di controllo e gestione previsto dal decreto legislativo 231/2007. Sul punto
stata fatta molta confusione: i due modelli non sono tra loro separati; sono connessi ma sono due
cose diverse! Il modello di organizzazione gestione controllo richiesto dal decreto legislativo
231/2001 il modello che consente a una organizzazione complessa (ente) di esentarsi dalla
responsabilit amministrativa quando uno dei soggetti dell'ente ha realizzato uno dei reati previsti
dallo stesso decreto. Il decreto 81 parla di modello di organizzazione (art. 30) e fa riferimento a un
modello che se adottato ed efficacemente attuato pu mandare esente da sanzione
amministrativa l'ente e da sanzione penale le persone fisiche. La intersezione di questi 2 piani
delicata. Tra i reati presupposto della responsabilit dell'ente stato aggiunto al d.lgs 231 l'art.
25septies (illeciti o lesioni colpose con violazione di norme sulla sicurezza) 2 livelli a presidio
dell'obbligo di garanzia:
obbligo immediato e diretto di rispettare le norme del decreto 81
creazione di una struttura di controllo che verifichi che all'interno dell'organizzazione si stata
data attuazione e sia stato applicato ci che il decreto 81 prevede.
La somma di questi 2 modelli ci da un modello idoneo, che se efficacemente attuato, pu mandare
esente da responsabilit la persona giuridica (l'ente) in relazione agli illeciti di cui all'art. 25septies.

DELITTI CONTRO L'ECONOMIA PUBBLICA TITOLO VIII.
In linea di massima i delitti contro l'economia pubblica stanno al di fuori del codice penale.
Il codice penale ha questa parte sull'economia pubblica. Ma gi l'aggettivo pubblica denota un
modo di intendere le economia che appartiene al passato. Le norme del codice del 1930 non si
occupavano di tutelare la correttezza dei rapporti economici (concorrenza, mercato..) ma avevano
una prospettiva che li rendeva applicabili a un idea di stato sovraordinato ai cittadini. Esempio:

Art. 499. Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali, ovvero di mezzi di
produzione.
Chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, ovvero mezzi di produzione,
cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale o far venir meno in misura notevole merci
di comune o largo consumo, punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa non
inferiore a euro 2.065.
grave nocumento alla produzione nazionale questa era la prospettiva di tutela. Reato di fatto
impraticabile. Bisogna far parecchio per distruggere un economia nazionale.
L'economia veniva tutelata non come regole di rapporto tra operatori economici, ma nella sua
globalit di ricchezza nazionale. Non tutela il diritto alla regolarit del rapporto economico, ma
tutela l'interesse generale dello Stato.
Buona parte delle norme di questo capo sono state demolite per incostituzionalit (sciopero,
serranda ideologia corporativa dello stato fascista).
Alcuni anni fa stato introdotto un reato: reato base aggiotaggio, art. 501 c.p. visione sempre
globale
Art. 501. Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio.
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Chiunque al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga
notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una
diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel
pubblico mercato, punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 516 a euro
25.822. Se l'aumento o la diminuzione del prezzo delle merci o dei valori si verifica, le pene sono
aumentate. Le pene sono raddoppiate: 1) se il fatto commesso dal cittadino per favorire interessi
stranieri; 2) se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello Stato,
ovvero il rincaro di merci di comune o largo consumo. Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti
si applicano anche se il fatto commesso all'estero, in danno della valuta nazionale o di titoli
pubblici italiani. La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici.
Nel 1975 stato introdotto l'art. 501-bis (aggiotaggio del formaggio):

Art. 501-bis. Manovre speculative su merci.
Fuori dei casi previsti dall'articolo precedente, chiunque, nell'esercizio di qualsiasi attivit
produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra od incetta
materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessit, in modo atto a
determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, punito con la reclusione da sei mesi a
tre anni e con la multa da euro 516 a euro 25.822.
Alla stessa pena soggiace chiunque, in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato
interno delle merci indicate nella prima parte del presente articolo e nell'esercizio delle medesime
attivit, ne sottrae all'utilizzazione o al consumo rilevanti quantit. L'autorit giudiziaria
competente e, in caso di flagranza, anche gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedono al
sequestro delle merci, osservando le norme sull'istruzione formale. L'autorit giudiziaria
competente dispone la vendita coattiva immediata delle merci stesse nelle forme di cui all'articolo
625 del codice di procedura penale.
La condanna importa l'interdizione dall'esercizio di attivit commerciali o industriali per le quali sia
richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte
dell'autorit e la pubblicazione della sentenza.
Redazione negativa.
Dolo specifico = turbare il mercato interno
2 elementi:
prima condotta: chiunque nell'esercizio di qualsiasi attivit produttiva compie manovre
speculative come pu esistere un reato che dice chiunque compie manovre
speculative? Allora tutta l'attivit di borsa dovrebbe rientrarvi.
Cosa era successo: era sparito il parmigiano (per una qualche ragione di mercato..) la cosa aveva
creato un tale scalpore che il legislatore ha fatto questa strana norma.
Seconda condotta: occulta, accaparra od incetta materie prima...

INFORMAZIONE.
Il diritto penale non tanto la materia delle pene, ma la materia della tutela dei beni.
Il tema dell'informazione in materia biogiuridica scarsissima informazione sulle conoscenze
relative alla fertilit. Oggi molto facile acquisire la cognizione della conoscenza o meno della
presenza di fertilit in un dato momento del ciclo.
L'organizzazione mondiale della sanit ha stabilito che la regolazione naturale delle nascite ha la
stessa incidenza statistica (di fallimento) della contraccezione.
Le cause farmaceutiche per non hanno mai percorso questa strada; non hanno mai investito su
strumenti di rilevazione automatica della fertilit. Qual' la ragione per cui questi strumenti di
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carattere conoscitivo non sono stati incentivati? Innanzitutto per un motivo di carattere
economico; ma un'altra ragione di carattere culturale.
Il problema della regolazione naturale della fertilit non tanto al fatto che funzioni o no. Il
problema che se tu nell'ambito della societ interpreti la sessualit come attinente a una
dimensione relazionale chiaro che una conoscenza della fertilit ha senso. Ma se il modello della
sessualit quello secondo cui la sessualit non ha nulla a che fare con le relazioni ma si basa su
incontri casuali/episodici allora chiaro che il mio corpo deve essere sempre pronto ad un
eventuale occasione di sessualit. Per questo che il diritto penale non si occupa solo di pene, ma
da un punto di vista socio-culturale anche di studiare strategie di prevenzione.
I beni giuridici non li possiamo dare per acquisiti una volta per tutti. Non dimentichiamo mai che i
dittatori del secolo scorso sono andati al potere con il consenso.
Il bene giuridico pu anche essere scritto in costituzione ma se esso non vive pi nella cultura e
nella dimensione educativa, quel bene rimane carta e non si pensi che basti il diritto penale a
tutelarlo.
La prevenzione un fattore di consenso/adesione sui beni giuridici.

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