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L'EUCARESTIA

BIBLIOGRAFIA
Della vastissima produzione sul tema dellEucarestia segnaliamo soltanto quelle opere tenute
presenti nella redazione di queste dispense:

AA. VV. La cena del Signore (Quaderni di lettura biblica, 7), Bologna 1983.
AA. VV. La liturgia eucaristica: teologia e storia della celebrazione (anmnesis 3/2), Casale
Monferrato 1983.
AA. VV. Eucaristia. Aspetti e problemi dopo il Vaticano II, Assisi 1968.
AA. VV. Eucharisties dOrient et d Occident, Paris 1970.
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AA. VV. Studi Eucaristici, Orvieto 1966.
J. AVER-J. RATZINGER, Il mistero dellEucaristia, Assisi 1972.
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J. BETZ Die Eucharisti in der Zeit der griechischen Vater, Band I/1, II/1, Freiburg i. B. 1955-1961.
J. BETZ Leucaristia come mistero centrale, in Mysterium salutis v. 8 (=MS 8).
L. BOUYER Eucaristia. Teologia e spiritualit della Preghiera eucaristica, Leumann (Torino)
1983.
L. DEISS La cena el Signore, Leucaristia nella Chiesa, Blogna 1977.
H. DE LUBAC Corpus mysticum. Leucharestie et leglise au moyen age, Paris 1983.
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B. FORTE La chiesa nelleucarisia, Alba 1977.
C. GIRAUDO La struttura letteraria della preghiera eucaristica, Roma 1981.
J. JEREMIAS Le parole dellultima cena, Brescia 1973.
R. LAURENTIN Ges presente, Roma 1982.
X. LEON-DUFOUR, Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Testamento, Leumann
(Torino) 1983.
F. -J. LEENHARDT, Le sacrament de la sainte cne, Neuchatel - Paris 1948.
F. -J. LEENHARDT Questo il mio coro. La presenza eucaristica, Firenze 1969.
A. MANARANCHE Il corpo di Crsito pane della speranza, Brescia 1976.
R. MASI Il sacredozio e leucarestia nella vita della Chiesa, Roma 1966.
C. ONEILL Nuove prospettive sul mistero eucaristico, Assisi 1968.
A. PIOLANTI Il Mistero Eucaristico, Citt del Vaticano 1983.
E. QUARELLO Il sacrificio di Cristo e della sua chiesa, Brescia 1970.
J. SOLANO Textos Eucaristicus Primitivos, tomo I, II, Madrid 1952-1954.
A. SACHENKER Leucarestia nellAntico Testamento, Milano 1982.
E. SCHILLEBEECKX La presenza eucaristica, Roma 1968.
M. THURIAN Leucaristia, memoriale del Signore, sacrificio di azione di grazia e dintercessione,
Roma 1971.
J. -M. R. TILLARD Leucharistia pque de lglise, Paris 1964.


LEucaristia comunione di Cristo con il Padre: primogenito tra i risorti, per mezzo dello Spirito,
Cristo si offre come sacrificio per la nostra salvezza. Tutta la sua vita presente in questa offerta.

LEucaristia comunione di Cristo con noi: associati al suo gesto di totale oblazione, diventiamo
con lui vittima gradita a Dio. La comunione con lui la via che conduce al Padre.
LEucaristia il massimo sacramento ecclesiale: dalleucaristia la chiesa nasce come comunit
nuova. Ha per legge il nuovo precetto di amare e trova in Cristo il suo modello di comunione.
L'Eucaristia amore che diventa missione: consumando il sangue sparso per la remissione dei
peccati, la Chiesa si offre con Cristo per la vita del mondo, luce e sostegno di comunione
universale.

(C.E.I. Eucaristia, comunione e comunit, 22-5, 1983, n. 3).

Le parole del documento della C.E.I. dicono in sintesi ci che leucaristia stata, e deve
continuare ad essere per la vita della Chiesa. Essa il Mysterium fidei, il mistero proclamato e
attuato della fede cristiana, il centro indiscusso della vita del popolo di Dio. Intorno a questo
mirabile misteriosi concentrata e sviluppata ladorazione e la riflessione dei fedeli, per
comprendere, senza mai esaurirla, lineffabile ricchezza, linsondabile profondit.

Scrive il Durrwell: La comprensione che la Chiesa pu acquisire a diversi livelli. Esiste una
cognizione primaria delleucaristia, che profonda, essenziale. Dono della fede, essa appartiene alla
sfera dellintuizione e viene data dalla ricezione stessa delleucaristia, giacch, offrendosi in
comunione, il Signore si fa conoscere. C un altra conoscenza delleucaristia che si sviluppa sul
piano della ragione e si acquisisce nello sforzo della riflessione. Questa conoscenza seconda.
Anche se frutto di lungo e accurato studio, meno profonda, meno essenziale, a servizio del prima e
consecutiva ad essa. La prima pu essere detta teologale, nel senso in cui sono teologali le virt
della fede, della carit e della speranza, le quali raggiungono il mistero inaccessibile ai discorsi. La
seconda chiamata teologica; cerca di esprimere il senso delleucaristia in concetti, la natura di
questa presenza e di quello che detto sacrificio eucaristico; tenta di far luce sul modo misterioso in
cui Cristo presente nel pane e nel vino, e di concentrare tutto ci in un discorso coerente (11-12).

Il nostro lavoro naturalmente riguarda il secondo tipo di conoscenza, quella teologica, la quale tenta
di penetrare, con la ragione illuminata della fede, il mistero delleucaristia.

La molteplicit delle opere dedicate al nostro argomento, le divergenze di fede e di opinioni su
punti anche essenziale, la verit di metodi e di tentativi di sintesi non rendono facile il lavoro.

Pensiamo che il punto di partenza debba essere senzaltro la lettura dei testi biblici. Bisogna per
tener presente che esistono diverse letture della Scrittura (come del resto di ogni altra fonte della
teologia). Osserva ancora il Durwell: Si pu leggere con occhi da esegeta storico, ponendosi le
seguenti domande e altre simili: qual stata la natura dellultima cena di Ges, cena della pasqua
ebraica o semplice pasto testamentario in cui Ges prende congedo dai suoi discepoli? Qual
stato il tenore primitivo delle parole di Ges, tramandate in maniera differente dalle tradizioni da
cui sono derivate da una parte le formule di Matteo e di Marco, dallaltra quelle di Luca e di ! Cor
11, 24-25? Come si sono costituiti, prima della redazione dei vangeli, i racconti della cena, qual
lapporto redazionale di ciascuno dei Sinottici? Si pu anche fare una lettura teologica delle
Scritture, cercando di afferrare il mistero cui fanno riferimento e di cui la fede delle comunit
primitive espressione. Questa lettura teologica differisce di molto, nel suo metodo, dagli studi di
esegesi storico-critica e dalle sue analisi; giustificata dallo scopo perseguito, che la conoscenza
non solo dei testi e della loro storia, ma del mistero di cui parlano quei testi. Non pu disinteressarsi
degli studi storici, li fa propri, ma li mette al servizio del suo scopo specifico: la conoscenza del
mistero eucaristico. Mentre lesegesi critica utilizza soprattutto lanalisi strumento di ricerca, la
teologia getta sulla Scrittura uno sguardo dinsieme e scopre elementi di sintesi anche l dove
prima scorge elementi di separazione e perfino contrapposizioni (35).

Teniamo presente questo duplice modo di lettura della Scrittura in primo luogo, ma anche delle altre
fonti della teologia (non ci fermiamo ordinariamente sulle fonti liturgiche studiate nella specifica
materia). Dividiamo cos il capitolo in due sezioni, una di analisi, laltra di sintesi teologica

SEZIONE 1 - Analisi delle fonti ANALISI
I fondamenti biblici

Nel N. T. non troviamo ancora il termine eucharistia per indicare il sacrificio sacramentale
dellultima cena. a questultima invece sono riferite le espressioni che vengono usate per esprimere
la celebrazione eucaristica, come cena del Signore (Kyriacon deipnon),(1 Cor 10, 21) o frazione
del pane, spezzare il pane (Klasisi tou rtou, Klan ton arton) (At 2, 42.46; 10, 7.11; 1 Cor 10, 16),
o messa del Signore (trapela Kyriou) (1 Cor 10, 21).

Il vocabolo eucharistia viene usato ben presto per designare la liturgia eucaristica: molto
probabilmente gi nella Didach (9, 5), certamente in Ignazio (Smirn. 7, 1) e in Giustino (1 Ap. 66,
2).

Gli agiografi del N. T. usano eucharistia - eucharistein nel significato di ringraziamento,
specialmente reso a Dio. Questa eucharistia si rende a Dio in modo particolare prima del pasto e in
questo caso eucharistein pu essere accompagnato o sostituito da eulogein: il fatto che il verbo
eucharistein (come pure eulogein) venga usato nei racconti dellultima cena di Ges, determin
luso di eucharistia - eucharistein per la celebrazione eucaristica.

I testi del N. T. che ci parlano delleucaristia non sono molti, anche se sufficienti per fondare senza
ombra di dubbio il rito centrale delle comunit cristiane per dedurne le verit teologiche essenziali.
Abbiamo i testi che ci parlano della pratica del banchetto eucaristico o ad esso si riferiscono sia
esplicitamente che per illusioni: At 2, 42.46; 20, 7-11; 1 Cor 11, 17-34; 10, 16-26; Lc 24, 30-35; At
27, 35; Ap 2, 17 ecc.; le pericope dellistituzione: 1 Cor 11, 23-26; mc 14, 17-26; Mc 14, 17-26; Mt
26, 20-29; Lc 22, 14-20; il discorso di Gv 6 sul pane di vita.

Inoltre va tenuto presente, come fanno ancora le parole e i gesti dellultima cena e la anafore dalla
Chiesa primitiva hanno le loro radici nellAntico Testamento e quindi lo studio dei testi eucarisici
va illustrato con quanto Dio aveva maturato nellesperienza del popolo dIsraele (cf. soprattutto le
opere di Schenker; Girando; Bouyer; Thurian e La cena del Signore, 7-86).

Ci limiteremo a unanalisi degli elementi essenziali dei testi eucaristici, riservandoci di ritornare su
alcuni temi nella II sezione e rinviando per una conoscenza pi dettagliata delle opere citate (cf.
soprattutto Lon-Dufur; Jeremias; Betz II/1; MS 10 230-258; La cena del Signore).

Leucaristia nella comunit apostolica. Nella 1 Cor Paolo testimonia come nella comunit cristiana
di Corinto i fedeli celebravano la cena del Signore (1 Cor 11, 20). LApostolo scrive la lettere
verso il 55/56, ricordando che lui stesso aveva trasmesso, verso lanno 50, quando Paolo and per
la prima volta a Corinto, ci che aveva ricevuto il Signore (1 Cor 11, 23). Probabilmente ci che
ha trasmesso la catechesi ricevuta ad Antiochia, dove era stato educato alla fede negli anni
35/40 (Lon-Dufur, 87). Fin dalle origini dunque la celebrazione della cena del Signore un fatto
abituale delle comunit cristiane.

C un altra importante testimonianza negli Atti degli Apostoli. In essi viene ricordata pi volte
unazione che caratterizzava la comunit cristiana fin dallet apostolica. Non descritta nei
dettagli: lautore ne parla come di cosa conosciuta dai lettori, indicandola semplicemente con la
espressione frazione del pane (At 2, 42) o con il verbo spezzare (il) pane; viene fornita un unica
precisazione: ci avveniva a casa (At 2, 46). Inoltre il conteso indica che la frazione del pane
supponeva la riunione della comunit, e che si trattava di una pratica frequente. La menzione ritorna
in At 20, 7; in questo caso non ci si trova pi a Gerusalemme, ma a Troade, cittadina sulla costa
nord-ovest della Turchia attuale. Lespressione, sconosciuta nel mondo greco, rimanda in primo
luogo a unusanza ebraica. Il gesto di rompere il pane ricordato una sola volta nellAntico
Testamento, (Ger. 16, 7), mentre lo sovente nella letteratura rabbinica (Lon-Dufur, 29).

Cosa significa questa frazione del pane? Presso gli ebrei era il gesto che dava inizio al pasto della
famiglia. Il capofamiglia prendeva il pane, pronunciava la preghiera di ringraziamento o
benedizione a Dio per il comune dono del cibo necessario per la vita, poi lo spezzava con le mani e
lo distribuiva ai commensali.

Mangiando il pane cos condiviso, ciascuno dei commensali riceve una parte della benedizione
della tavola; lamen comune e che il mangiare in comune il pane della benedizione uniscono quanti
partecipano al pasto della comunanza di tavola (Jeramias, 290).

Per i primi cristiani venuti dal giudaismo lo spezzare del pane doveva spontaneamente significare
lunit dei fedeli voluta da Cristo (cf. 1 Cor 10, 17) ed facile che per i discepoli di Ges questo
gesto richiamasse la presenza del Maestro che lo compiva, come capofamiglia, quando era in mezzo
a loro e soprattutto l comp, col significato nuovo che gli diede, nella cena daddio. Il significato
rituale della frazione del pane emerge pi chiaramente nellepisodio di Troade: Il primo giorno
della settimana ci eravamo riuniti (synegmenon) a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e
poich doveva partecipare il giorno dopo, prolung la conversazione fino a mezzanotte. Cera un
buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove erano riuniti... Poi (Paolo) risal,
spezz il pane e ne mangi e dopo aver parlato ancora molto fino allalba, part (At 20, 7-8.11).
Molti indizi favoriscono linterpretazione eucaristica. I fedeli si radunano (synegmenon: un termine
ce diverr tecnico per leucaristia: synaxis), il primo giorno della settimana, il dono delle adunaze
liturgiche cristiane (cf. 1 Cor 16, 2; Didach 14, 1). Lo scopo della riunione di spezzare il pane
(Klasai arton). Cera un buon numero di lampade, probabilmente per ragioni liturgiche eucaristiche
dei primi secoli (Plinio nel 112 scrive che i cristiani si radunavano stato die ante lucem). Il tutto
accompagnato dalla parola dellApostolo.

Da notare che la frazione del pane una delle cose che caratterizzano la vita della comunit
primitiva: Erano assidui nell'ascoltare linsegnamento (didach) degli apostoli e dellunione
fraterna (koinonia),nella frazione del pane (Klasei tou artou) e nelle preghiere (proseuchais) (At 2,
42).

Senza addentrarci in questioni particolari, possiamo concludere: Cena del Signore e frazione del
pane... si presentano come lespressione simbolica di unesperienza comunitaria di fede. Tuttavia il
rito non si trova mai isolato, ma accompagnato dalla Parola che gli permette di evitare il rischio di
un falso ritualismo, e lo spinge ad un continuo rinnovamento. Esso inseparabile dalla esigenza del
mutuo servizio nella giustizia e nellamore. Daltra parte, le due denominazioni primitiva
convergono nel loro significato. La frazione del pane, che indica anzitutto un rito, significa anche la
partecipazione al pane, e in tal modo tiene presente la dimensione sociale dellEucaristia. Da
parte sua, la espressione cena del Signore, che indica per prima cosa la riunione comunitaria
senza distinzione di classe, significa anzitutto che tale riunione attuata dal Signore e quindi
attenta alla presenza di Dio stesso durante il banchetto. Da qualche parte la si consideri, lEucarestia
collega intimamente culto ed esistenza (Lon-Dufur, 37-38).






I racconti dellultima cena. I testi pi importanti per leucaristia sono le quattro pericope che ci
narrano come Ges nellultima cena comp quei gesti che la Chiesa ripete ogni volta che celebra il
mistero eucaristico. Si tratta di Mt 26, 26-29; Lc 22, 14-20; 1 Cor 11, 23-26.

Data la loro importanza, questi testi son stati attentamente studiati anche dal punto di vista
esegetico. Tra gli studi pi noti, quello di Jeremias e varie pubblicazioni di H. Schurmann; ma in
queste pagine seguiremo soprattutto lopera del Lon-Dufur che tiene conto dei lavori precedenti e
rielabora la materia con prospettive esegetiche pi attuali /cf. pure MS 8, 230-253). Naturalmente
nessuno studio definito,n esaustivo.

Le quattro pericope narrano sostanzialmente lo stesso episodio: Ges, mentre cena con i discepoli,
distribuisce loro il pane e il vino su cui ha pronunciato particolari parole. Dice inoltre alcune
espressioni che accennano a una interruzione del bere il vino fino a quando non sia venuto il regno
di Dio. Da notare che le quattro recenzioni sono molto simili, ma non identiche: ognuna presenta
delle particolarit.

Il Leon-Dufour distribuisce gli elementi della narrazione su tre assi:

1. Un asse verticale, che unisce Ges alla creazione da una parte (pane e calice) e dallaltra a Dio
(benedizione) e al suo regno (parola escatologica).

2. Un asse orizzontale, che collega Ges ai discepoli presenti e attraverso di loro ai molti.

3. Un asse temporale, che congiunge nel presente puntuale il racconto passato di Ges di Nazareth
(il suo modo di parlare, vita di servizio, discepoli riuniti attorno a lui) e lavvenire, del quale
vengono suggerite tre scadenze: la morte prossima, la comunit operante dei discepoli, e il
banchetto finale (61).

La prima azione di Ges consiste nel prendere il pane, dire la benedizione, spezzare e distribuire.
Similmente fa con il calice del vino.

Nel mondo biblico il pane indica anzitutto lalimento di cui nessuno pu fare ammeno e
addirittura, in metafora, il cibo in generale. Poich mantiene la vita quotidiana, proviene dalla
potenza del Creatore che lo d a colui che glielo chiede. Soprattutto in un contesto pasquale, il pane
ricorda la benevolenza di YHWH verso il popolo prediletto e quindi la sua costante presenza. Il
pane destinato a essere condiviso, soprattutto con laffamato: questo il gesto predestinato a
essere condiviso, soprattutto con laffamato: questo il gesto primordiale delluomo giusto. Fin
dallesperienza della manna, donata dal cielo per sostenere Israele nel deserto, il pane aveva finito
collindicare anche il Cibo escatologico (Lon-D. 64).

Al pane Ges non associa lacqua, ma il vino che nella Bibbia simboleggia facilmente il lato bello
dellesistenza, lamicizia, lamore, la gioia; nei banchetti unito alla musica; infine indica la felicit
celeste (ibidem, 65). C quindi unespressione di felicit, di pienezza di vita.

Prendendo in mano il pane e il calice, Ges si mette in relazione col cibo quotidiano e insieme
festivo. Proprio sotto questi due aspetti egli assume la creazione come sorgente di vita e di comunit
tra gli uomini. Collegandola a Dio con la benedizione (o lazione di grazie), Ges aumenta
infinitamente il valore della sua azione. Nelle sue mani la creazione, presente nel pane e nel vino,
anchessa in relazione col Creatore e capace di esprimerne la presenza (ibidem).

Lasse orizzontale dellultima cena manifesta un carattere relazionale: Lazione totalmente
orientata sui discepoli, come mostrano chiaramente sia i verbi dare e dire a, sia i pronomi
personali utilizzati. Ai discepoli viene comandato di prendere (Mc/Mt), oppure si dichiara che il mio
corpo dato e il mio sangue versato per voi (Lc/Paolo), dove lio e il voi si corrispondono
indissolubilmente. Naturalmente in tal modo viene annunziata la morte imminente, essa per viene
ricordata solo in funzione dei discepoli.

Insomma gesti e parole di Ges acquistano il loro senso soltanto in questo rapporto con in
commensali. Questi gesti e parole per devono essere capiti anche dal punto di vista di Ges stesso.
Allora rivelano che Cristo dominato da un profondo desiderio: fare di questo gruppo la sua"
comunit nel mondo, quella comunit viva che sar creata dalla sua morte e dalla sua vita accanto a
Dio... Questo morente dispone dellavvenire: certamente la morte separa, ma da essa proviene
lalleanza che, in Ges che torna la Padre, unisce i discepoli a Dio (ibidem, 66-67).

Lasse temporale infine fa confluire nel momento della cena il passato del popolo dIsraele (Pasqua,
alleanza) e il passato della vita di Ges, che con il dono di s stesso nel pane e nel vino riassume
latteggiamento di donazione manifestato nella vita pubblica verso gli uomini rappresentata ora dai
discepoli che hanno condiviso la sua missione. Ma il presente si apre pure sullavvenire: sulla morte
imminente; sul tempo della Chiesa in cui i discepoli rievocheranno i gesti della cena; sul
compimento del regno, dove Ges certo di bere il vino nuovo insieme ai discepoli.

Dopo questo sguardo sintetico, consideriamo il carattere e i contenuti delle pericope.

Tradizione cultuale. Tutti gli autori sono oggi daccordo nel riconoscere ai racconti dellistituzione
un carattere liturgico (cf. Jeremias, 130-137; MS 8, 232-233). Ci non vuol dire che le narrazioni
non siano storiche nel loro nucleo essenziale, ma che le redazioni che abbiamo risultano dalle
tradizioni cultuali.

Per il Lon-Dufour lultima cena stata riferita anche secondo una tradizione testamentaria, come
pasto daddio, presente soprattutto nel vangelo di Giovanni, ma con tracce in Mc/Mt e in modo
particolare in Luca.

A noi interessa ora la tradizione cultuale.

Comunemente si riconoscono due tradizioni liturgiche: una rappresentata da Paolo/Lc e chiamata
antiochena, laltra di Mc/Mt che si suppone proveniente da Gerusalemme o Cesarea. Sulla propriet
delle due tradizioni i pareri sono discordi, come pure sono diversi i risultati dei tentativi di
ricostruzione della tradizione originaria comune (xcf. MS 8, 233-238).

Le particolarit delle tradizioni si notano dalla sinossi dei testi: le terremo presenti nella ricerca dei
contenuti delle narrazioni che ora cercheremo di mettere in rilievo.

Le parole sul pane. secondo le quattro narrazioni, Ges prese il pane e dette la benedizione (
Paolo/Lc avendo reso grazie) lo spezz, lo diede ai discepoli e disse:

Prendete, mangiate, questo il mio corpo (Mt).
Prendete, questo il mio corpo (Mc).
Questo il mio corpo che () dato per voi" (Lc).
Questo il mio corpo che () per voi (Paolo).

Questo (tutto): il pronome che non si riferisce soltanto alla realt materiale del pane, ma a ci che
quel pane significa nel gesto di Ges.

Il mio corpo (to soma mou). Sappiamo che nel linguaggio sematico la parola corpo indica la
persona in quanto pu esprimersi ed entrare in relazione con gli altri. Il termine soma nelluso dei
LXX pu indicare anche un cadavere, quindi nei nostri testi potrebbe pure esprimere il corpo di
Ges che sta per subire la morte.

Che () dato (Lc) per voi (hyper hymon). Nel N. T. la preposizione hyper indica unazione a
vantaggio di qualcuno. Dato il contesto, molti autori riferiscono lespressione al corpo di Cristo che
sta per essere sacrificato sulla croce. Qualcuno la riferisce direttamente al cibo del suo corpo che
Cristo offre perch abbiamo la sua vita.

(Questo) (touto estin). La precisazione del significato di (estin) particolarmente importante:
esprime un paragone o unidentit? Le risposte sono spesso determinate dalla fede che si ha nella
presenza reale di Cristo nellEucaristia.

Non ha importanza affermare che nelloriginale aramaico il verbo copulativo sarebbe sottinteso: di
fatto il testo greco ha avuto bisogno di esprimerlo.

Gli autori interessati a negare lidentit tra il pane e il corpo di Cristo hanno fatto leva su quei passi
in cui il verbo essere esprime un paragone: Io sono la vite vera (Gv 15, 1); Io sono la porta (Gv
10, 9); oppure usato nel senso di significare, essere figura di: La pietra era Cristo (1 Cor 10, 4)
ecc.

Largomento ha il suo peso, ma non costringente. Nei testi in cui il verbo essere esprime un
paragone (come nelle parabole del regno) una cosa piuttosto oscura che viene chiarificata con una
cosa ben conosciuta presa dal suo significato universale (p. e. il regno simile a una rete, a un
seminatore); nelle parole dellistituzione invece una cosa ben conosciuta e determinata che viene
identificata a una persona concreta (cf. Betz, II/1, 56-57). In altri casi (Io sono la luce, la porta, la
vite) non tanto il verbo essere che cambia significato, quanto il predicato che viene elevato a
significare qualcosa che sorpassa la usa realt concreta.

Resta vero comunque che il verbo essere pu significare sia identit che similitudine: il contesto a
determinare il senso.


Non pensiamo che siano molto determinati neppure le osservazioni di carattere linguistico (cf.
Lon-Dufour, 127-130). Largomento decisivo rester la lettura che ne ha fatto la Chiesa.

Le parole sul calice. Il testo riguardante il calice pi ricco di quello del pane; si pu dire che di
una densit eccezionale, in quanto ricapitola in poche parole il senso e la portata dellesistenza di
Ges di Nazareth (Lon-D. 137).

Le principali differenze delle redazioni sono tra la tradizione antiochena Questo calice () la nuova
alleanza nel mio sangue (Paolo/Lc) e quella di Mc/Mt; Questo il mio sangue nellalleanza.
Comunque le due tradizioni concordano nellunire strettamente il sangue versato e lalleanza.

Lalleanza richiama tutta la teologia dellantico patto tra Dio e Israele, alleanza che stabilisce una
comunione di vita ed esige che il popolo sia in armonia con la volont di Jahveh. Di fronte alla
durezza e alle infedelt dIsraele, Dio promette di stabilire una nuova alleanza in cui dar uno
spirito nuovo capace di trasformare il cuore delluomo. E questa nuova alleanza che Ges
proclama realizzata nel suo sangue.

Il mio sangue dellalleanza richiama evidentemente il testo dellalleanza mosaica: Ecco il sangue
dellalleanza che il Signore ha concluso per voi (Es 24, 8). Anche qui necessario appellarsi al
significato del sangue nell'A. T. Esso era considerato come anima della vita che appartiene a Dio:
versato sullaltare viene restituito a Dio come sacrificio di comunione o di espiazione.

Di questo sangue della nuova alleanza detto che versato. Il sangue versato si riferisce alla
passione a cui Ges va incontro: Come il sangue univa laltare e il popolo, cos Ges
contemporaneamente dalla parte di Dio mediante la sua missione e la sua obbedienza e dalla parte
degli uomini mediante la sua morte. In tal modo mette in rapporto Dio e gli uomini: ed il sangue
che li unisce (Lon-D. 146).

La tradizione Mc/Mt precisa che il sangue versato per molti (hyper (peri) pollon), in
remissione dei peccati (Mt).

Queste espressioni si riferiscono chiaramente a Is 53,12, cio alla profezia del Servo di Jahveh di
cui si dice che effuse la sua anima fino alla morte.... allorch egli stesso portava il peccato delle
moltitudini (het-rabbim: hamartias pollon).

I molti sono tutti, in quanto traduce il rabbim ebraico che pu avere un significato inclusivo (la
totalit che comprende molti singoli) (Jeremias, 200). Il richiamo alla figura del Servo di Jahveh ci
parla del mediatore della nuova alleanza: Ci che il profeta contempla non pi il sangue delle
vittime animali che raffigurava ritualmente limpegno del popolo, ma limpegno vissuto da un
uomo, dal Servo fedele sino alla morte: come alleanza del popolo, col dono della propria anima
egli porta a compimento ci che significava il rito del sangue, la comunione con Dio (Leon-D.
151).

Tutti questi accenni vanno illuminati da una teologia dellalleanza, del sacrificio, della redenzione e
dei suoi effetti.

La memoria. Nella tradizione antiochena, due volte in Paolo, una in Luca, viene riportato il
comando: Fate questo in memoria di me (eis ten emen anamnesin).

Da alcuni anni le parole in memoria hanno attirato lattenzione degli studiosi, che vedono
nellespressione dellultima cena la traduzione dellebraico le-azkarah o le-zikkaron, derivanti da
ZKR (ricordare). Queste due espressioni, tradotte dai LXX con eis anamesis e eis mnemosinon sono
molto usate nel linguaggio cultuale dellA. T. (per unesposizione dettagliata cf. Thrian, 21-147).

In modo particolare ci si fermati a considerare la pasqua come memoriale della liberazione
dIsraele dallEgitto: Questo giorno sar per voi un ricordo (le-zikkaron) e lo celebrerete come la
festa in onore di Jahveh (Es 12, 14). La liberazione dallEgitto era un evento compiuto una volta
da Dio, ma tutte le nazioni si sentivano partecipi di quellevento che aveva fatto di Israele un popolo
libero. Rabbi Gamaliele insegnava: In ogni generazione luomo deve considerarsi come se fosse
stato tratto dallEgitto, perci detto: E a causa di quanto Jahveh ha fatto per me nelluscita
dallEgitto (Es 13, 18). Perci siamo obbligati a ringraziare... a lodare colui che ai nostri padri e a
noi ha fatto queste meraviglie.

Il passaggio dalla pasqua ebraica, la pasqua della nuova e definitiva liberazione. Celebrando
leucaristia in sua memoria, i cristiani rivivranno levento pasquale di morte e risurrezione,
partecipando alla potenza del suo dinamismo: Nel quadro rituale dello Zikkaron (memoriale)
dellantica pasqua che tendeva a ricondurre i fedeli, attraverso la sacramentalit degli alimenti del
banchetto, nella situazione di liberazione collettiva creata dall'avvenimento salvifico dellEsodo,
Cristo offre ai discepoli il suo corpo e il suo sangue sotto i segni del pane e del vino. egli non li d a
loro come semplici simboli, ma perch in ciascuno dei suoi e si realizzino, al ritmo della storia
umana, leffetto compiuto una volta per tutte nell'evento morte-resurrezione: la salvezza definitiva
(Tillard, 112-113).

Ci si domandati: lultima cena fu una cena pasquale? La risposta definitiva non stata ancora data
(cf. la confutazione degli argomenti portati da Jeramias in favore del banchetto pasquale in Lon-
Dufour, 290-292). Comunque anche chi non riconosce nellultima cena un vero banchetto pasquale,
ammette che i sinottici la descrivono nella cornice pasquale, anche se la festa celebrata
propriamente quella di Ges: si tratta della sua Pasqua personale (ibidem, 186).

La prospettiva escatologica.I racconti dellultima cena hanno pure unapertura sul compimento del
regno: In verit vi dico che non berr pi del frutto della vite fino a quel giorno quando lo berr
nuovo nel regno di Dio (Mc 14, 25; cf. Mt 26, 29; Lc 22, 16.18). Anche in 1 Cor 11, 26 si dice:
Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte
del Signore finch egli venga.

Tralasciamo i problemi particolari e i tentativi di soluzione, per riassumere invece il senso di questi
logica escatologici. Seguiamo il Lon-Dufour: Senza dubbio Ges ha appena annunziato di
versare il suo sangue, senza dubbio dichiara che non festegger pi la Pasqua sulla terra, ma in
questo momento afferma con tutta la chiarezza di essere animato da una fiducia perfetta: egli certo
di partecipare al banchetto dellultimo giorno. Se offre il suo corpo e il suo sangue, lo fa nella sicura
prospettiva della gioia finale.

Invece di fermarsi sulla morte prossima, ancor meno sulle sofferenze e sullingiustizia che essa
implica, Ges rivolge totalmente lo sguardo alla vittoria di Dio. Un termine qualifica questo
successivo: il vino del banchetto celeste viene detto nuovo (Kainon), cio non giovane in
rapporto a vecchio, ma radicalmente diverso, inventato, inaspettato, proprio come la terra nuova e
i cieli nuovi... Lazione cultuale vale soltanto nel tempo intermedio; la presenza del corpodi Ges,
manifestata attraverso il pasto preso nel nome di Ges, ha il suo pieno significato soltanto in
funzione del banchetto escatologico al quale prepara (193-194).

Bench fuori delle parole dellistituzione, il riferimento escatologico presente anche in Paolo, il
quale dichiara che lassemblea, con la celebrazione eucaristica, proclama la morte del Signore
finch egli venga (achri ou elethe). Questultima frase esprime unidea di finalit, di attesa, come
dire: fino a quando, finalmente, verr. E lespressione di un ardente desiderio che accompagner
le assemblee cristiane: Maranatha: Signore vieni!


LA CENA DEL SIGNORE IN S. PAOLO.
In 1 Cor 10-11, oltre al testo dellistituzione gi esaminato, ci sono altri dati preziosi per la dottrina
eucaristica.
Paolo non ha elaborato una teologia delleucaristia. Anzi, se i corinzi non gli avessero posto dei
problemi, non ne avrebbe parlato affatto (i critici avrebbero cos affermato con sicurezza che
lApostolo la ignorava!).
Loccasione per ricordare leucaristia offerta dal problema delle carni immolate agli idoli e
dagli abusi che si verificano quando i fedeli si radunano per celebrare la cena del Signore.

I cristiani potevano mangiare le carni degli animali che venivano sacrificati alle divinit pagane e
che in parte erano vendita anche ai mercati? Per s, se la carit non consiglia di fare altrimenti a
motivo dello scandalo, il semplice mangiare delle carni immolate a idoli che non sono niente non
crea alcun problema. Diverso il caso di partecipazione ai conviti cultuali pagani. Paolo teme che i
neo-convertiti possano ricadere nell'idolatria, quindi li esorta ad agire con prudenza e senza
presunzione.

E qui che lapostolo passa a considerazioni di carattere dottrinale: Perci, miei cari, fuggite
lidolatria. Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: il calice della
benedizione (poterion tes eulogias) che noi benediciamo no forse comunione (Koinoina) con (tou)
il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non forse comunione con il corpo di Cristo?
Poich c un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti partecipiamo
dellunico pane. Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non
sono forse in comunione con laltare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne immolata agli
idoli qualche cosa? O che un idolo qualche cosa? No, ma dico che i sacrifici dei pagani sono
fatti a demoni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione (Koinonous) con i
demoni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni (1 Cor 10, 14-21)

Paolo ragiona partendo dalla mentalit comunemente condivisa che la partecipazione a un parto
cultuale crea una comunione vitale tra i commensali e le divinit a cui sono offerte le vittime. Ora,
dietro agli idoli, che sono nelle nullit, ci sono i demoni che sono reali, quindi partecipare a un
convito cultuale pagano significa entrare in comunione con i demoni. Ci incompatibile con la
partecipazione alla mensa del Signore, al calice e al pane che creano comunione (Koinonia) con il
sangue e il corpo di Cristo.

Il termine Koinonia indica che fra due esseri esiste una certa relazione, in rapporto a qualche cosa,
una comunione di pensiero o una comunit di interessi capace di fondare un tipo di societ... (nel
nostro testo) lespressione sembra oltrepassare il significato di partecipazione per indicare
ununione molti intima, una comunione veramente personale tra il fedele e Ges Cristo, sia
direttamente, sia attraverso il pane e il calice (Lon-Dufour, 201-202).

Il v. 17 esprime secondo alcuni lunit dei fedeli (Chiesa) creata dalla partecipazione allunico pane.
Ma forse nel contesto viene messa in primo piano l idea dellunicit della comunione con Cristo la
cui vita, mediate il pane eucaristico, si diffonde nella totalit dei credenti, alimentando il suo corpo
ecclesiale, rendendo cio la Chiesa un solo corpo con il suo Capo.

In 1 Cor 11, 17-34 Paolo affronta il problema degli abusi che pur si verificano nelle assemblee in
cui si celebra la cena del Signore. Nel brano troviamo il primo documento che ci parla del rapporto
tra le assemblee liturgiche cristiane e lultima cena.

LApostolo rimprovera i Corinzi perch ci sono tra loro divisioni e discriminazioni che sono in
stridente contrasto con il significato della cena del Signore. Deve essere rispettato il carattere
eminentemente religioso e comunitario della celebrazione: E mai possibile celebrare l'eucaristia
disinteressandosi della presenza die fratelli, o standosene ognuno per conto proprio? La conclusione
simpone: il pasto del Signore presuppone uno stare insieme, un far corpo nellassemblea: nessun
Eucaristia possibile senza queste condizioni (Lon-D. 210).

Il comportamento durante le assemblee eucaristiche una cosa molto seria. Paolo ricorda ed esorta:
Perci chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del SIgnore, sar reo del corpo e
del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di
questo calice; perch chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve le
propria condanna. E per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero
sono morti (1 Cor 11, 27-30). Viene esclusa cos ogni concezionemagica della partecipazione
alleucaristia, che pu addirittura diventare motivo di condanna, se chi vi partecipa non esamina la
propria condotta. Difficile precisare se lApostolo consideri solo la condotta dei corinzi nei confonti
dei fratelli nellassemblea (contesto immediato) o se voglia dare una norma generale. Tuttavia,
anche se il testo dovesse riferirsi direttamente solo al caso in questione, il principio della condanna
per chi mangia indegnamente il corpo del Signore deve pur valere per altri casi.

LEUCARISTIA NEL VANGELO DI GIOVANNI.
E un fatto strano: Giovanni che si diffonde lungamente nel riferire i discorsi di Ges nellultima
cena, non parla dellistituzione delleucaristia.

La spiegazioni di questo fatto sono varie e sono discorsi i pareri degli esegeti sulla dottrina
sacramentale del vangelo giovanneo.

Secondo X. Lon Dufour, Giovanni tende a collegare i sacramenti con i vari momenti della vita di
Ges Cristo (vedi i brani in cui si parla dellacqua a cui Cristo conferisce il significato simbolico),
quindi, se Giovanni non riferisce il racconto dellistituzione (quasi ritenesse inutile ridire ci che si
conosceva e si praticava gi molto bene), egli ha cura di legare esplicitamente questo rito, questa
liturgia sacramentale, alla fede, alladesione personale al ministero di Ges. Ed per questo chegli
il solo a riferire, dopo la moltiplicazione dei pani, il discorso di Ges in cui viene messo in luce il
vero senso di questo miracolo (I Vangeli e la storia di Ges, Cinisello Balsamo 1986,133).

La maggior parte degli esegeti tuttavia ammette che il discorso sul pane vivo (Gv 6) abbia carattere
eucaristico, anche se resta problematico dire in che senso la sia.

La difficolt maggiore per attribuire un significato eucaristico a Gv. 6, 48-58 che il concetto
cristiano di eucaristia per gli uditori di Ges era totalmente sconosciuto: come poteva esigere che lo
avessero capito? Daltra parte anche incontestabile che, quando fu scritto il vangelo di Giovanni,
espressioni come Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna non potevano
non essere intese come parole riferite alla cena del Signore che tutti i cristiani celebravano.

Da questi dati di fatto nascono le diverse interpretazioni.
Troppo facile e tutta da provare la soluzione di chi vede nei passi pi evidentemente eucaristici
interpolazioni di un redattore finale del vangelo preoccupato di mettere daccordo la dottrina
giovannea incentrata sulla fede e la pratica sacramentale della Chiesa.
Il tutto va affrontato cos com, tenendo presente il modo di procedere di tutto il vangelo di
Giovanni.

Non possiamo seguire le lunghe e complesse interpretazioni di Gv 6 (cf. A. Feuillet, Etudes
Johaniques, Paris 1962, 47-129; Lon-Dufour, 241-258; S. A. Panimolle, in La cena del Signore,
112-124). Cerchiamo solo di coglierne gli orientamenti e gli insegnamenti essenziali

Senza negare il fondamento storico del discorso sul pane di vita, riteniamo tuttavia che nella forma
in cui stato redatto contiene linterpretazione data per la luce dello Spirito, dopo che Cristo ha
compiuto lopera di salvezza e la Chiesa ha iniziato il suo cammino. Diciamo con il Lon-Dufour:
Lunica lettura valida infatti quella che non dimentica mai il rapporto che il presente dello Spirito
ha, per levangelista, con il passato di Ges, lindividuo di carne visto in Israele. In definitiva, sono
proprio questi due tempi che il testo testimonia, e levangelista vuol dimostrarci che il primo
simboleggia il secondo e che il secondo, senza di esso, sarebbe soltanto una gnosi incosciente
(252).

Il Feuillet vede alla base di tutto il discorso (Gv 6, 26-71) tre tempi biblici: quello della manna
come simbolo di un nutrimento spirituale, quello del banchetto messianico e quello del convito
della sapienza. Si tratta di una successione di temi intimamente collegati e culminati nelle
dichiarazioni pi esplicite sulleucaristia.

Alla folla che chiede un segno prodigioso come quello di Mos (manna) per credere il lui, Ges
risponde che il vero pane quello che da il Padre dal cielo (32-33), Ges stesso, il pane della
vita (35), cio il pane che dona la vita, che si ottiene aderendo a Cristo, credendo in lui. Come
promesso per il banchetto messianico (cf. Is 65,13) chi manger di questo pane non avr pi fame,
non avrete pi sete.

Ges fa anche propri gli inviti della Sapienza (cf. Prov 9, 1-6) identificandosi cos ad essa. Perch
gli uomini possano partecipare al convito della sapienza necessario che il Padre li inviti, li
istruisca, li doni a Cristo. E di fatto il Padre vuole che gli uomini credano in cristo e da lui ricevano
la risurrezione per la vita eterna (36-47).

Fino a questo punto il discorso poteva anche intendersi dellaccoglienza, nella fede, della parola di
Dio manifestata dalla Sapienza venuta ad abitare in mezzo a noi. Ma Ges sviluppa il tema del pane
di vita, presentandosi ancora come il pane vivo e affermando chiaramente che questo pane la sua
carne (sarx) immolata per la vita del mondo (47-51).

Di fronte allobiezione dei giudei (52), Ges incalza: In verit, in verit vi dico: se non mangiate la
carne del Figlio delluomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciter nellultimo giorno. Perch la mia
carna vero cibo e il mio sangue vera bevanda (53-55). Le parole di Ges sono di un verismo
cos accentuato che non possono essere prese in senso traslato per indicare linteriorizzazione della
rivelazione... il linguaggio di Gv 6, 53-58 appare cos forte e crudo, che non pu non applicarsi al
sacramento delleucaristia, durante la cui istituzione il Cristo disse ai suoi discepoli, appunto di
mangiare il pane che il suo corpo e di bere il vino che il suo sangue (Panimolle, 117-118).

Si possono trovare punti di contatto tra Gv 6 e le pericope dellistituzione. Oltre alle espressioni
mangiare la carne e bere il sangue, c un richiamo la sacrificio del Servo di Jahveh: La mia
carne per la vita del mondo (51), corrispondente al mio corpo dato per voi (Lc 22, 19) e al
sangue sparso per molti (Mc 14, 24). In 6, 64 c amche lannunzio del tradfimento di Giuda (cf.
Lc 22,21).

Da notae che i frutti portati dal mangiare la carne e bere il sangue, cio risurrezione e vita eterna
(54) sono gli stessi che si ottengono in dipendenza dalla fede nel Figlio di Dio (40).

Possiamo dire: Chi crede al Cristo e alla sua dottrina si nutre gi attualmente il Cristo, Parola
uscita dalla bocca di Dio e Sapienza di Dio. Le relazioni intime che esistono tra la parola di Dio e
l'Eucaristia, dato tradizionale nella Chiesa, trovano il pi soldi fondamento in Gv 6 (Feuillet, 123).

C come unassimilazione progressiva a Cristo che inizia e si sviluppa nella fede, ma trova la
realizzazione pi profonda nellunione vitale che si stabilisce tra il Cristo e i discepoli che
mangiano la sua carne e bevono il suo sangue.

L'EUCARISTIA NELLA STORIA DELLA CHIESA
Se nella Scrittura riusciamo a scoprire i fondamenti della teologia eucaristica, perch leggiamo la
parola di Dio alla luce di una prassi liturgica che, attestata gi unanimemente dai primi documenti,
non ha mai cessato di essere al centro della vita della Chiesa.

Proprio per il suo ruolo vitale e centrale il mistero eucaristico stato oggetto di attenta
considerazione, di approfondita meditazione, oggetto anche, come successo per i maggiori misteri
della fede, di controversie ed errori e di relative decisioni del magistero della Chiesa.

E bene quindi, prima di affrontare la parte sistematica, scorrere lungo i secoli e vedere i punti
nevralgici di uno sviluppo dottrinale che ha arricchito e precisato la comprensione ecclesiale
delleucarestia.

Seguiremo lesposizione del Betz, che uno specialista in materia (vedere MS 8, 259-323). Qui
diamo soltanto un breve schema di quello che stitueremo nel testo indicato.

Troviamo la prima teologia eucaristica gi nei Padri apostolici e negli apologisti, ma soprattutto
nelle pi antiche anafore che ci mostrano come la Chiesa abbia formato le sue celebrazioni della
cena del Signore assumendo molti elementi delle preghiere giudaiche, sopratutto della todh e della
berak (cf. le opere di Girado e di Boyer).

Testimonianze pi ricche ci vengono offerte dai Padri dei secoli successivi, sia orientali che latini.
Nei Padri orientali pi accentuata la presenza dellevento salvifico nellazione liturgica, in cui
opera, come attore principale, il Cristo risorto consacrando gli elementi e distribuendoli ai
commensali (cf. lopera pi dettagliata del Betz, I/1).

Nei Padri latini, pur rimanendo presente lidea fondamentale della memoria dellopera salvifica,
troviamo un maggior interesse rivolto agli elementi del convito. Particolare influenza nellepoca
successiva ebbe la dottrina di S. Agostino, dottrina che suscita ancora molte discussioni (cf. anche
A. Trap in La cena del Signore, 232-243).

Nel medioevo sempre presente la fede che mediante l'eucarestia si partecipa al sacrificio di Cristo
ed molto sviluppata la dottrina del rapporto tra eucarestia e Chiesa (cf. De Lubac). Ma il problema
pi controverso fu quello della realt del corpo eucaristico di Cristo. Un primo momento di tensione
fu creato dalle affermazioni realiste di Pascasio Radberto (a. 844) a cui si contrappone il
simbolismo di Ratrammo. Poi il problema esplose con la negazione della presenza reale da parte di
Berengario di Tours (+ 1088), condannato da diversi sinodi. Questultima controversia favor lo
sviluppo della dottrina sacramentale in genere 3, per eucaristia, port allo studio della sostanza
delle specie eucaristiche e della loro mutazione, studio che approfondirono insieme gli altri
elementi, i grandi dottori della scolastica.

Con la Riforma protestante leucaristia divenne oggetto di lotte molto pi aspre e radicali di quelle
del passato.

I riformatori si trovarono praticamente daccordo nel rifiutare il carattere sacrificale della messa.
Non sono daccordo invece sul problema della presenza di Cristo nel pane e nel vino: Lutero
orientato verso la consustanziazione; Zwingli nega la presenza reale di Cristo nelleucaristia che
solo in segno della sua presenza; Calvino sostiene che nelleucarestia non riceviamo la vera carne di
Cristo, ma la vita che scaturisce dalla sostanza della sua carne.

Il Concilio di Trento defin la dottrina cattolica del sacrificio della messa e della presenza vera,
reale e sostanziale di Cristo nel sacramento dellaltare, con tutte le conseguenze che derivano da
queste due verit.

La teologia post-tridentina si occup principalmente del problema della transustanziazione e del
carattere sacrificale della messa.

Un notevole rinnovamento di tutta la teologia eucaristica si verificato nel nostri secolo, soprattutto
negli ultimi decenni. I risultati e le ipotesi pi recenti verranno tenuti presenti nella seconda sezione.



SINTESI
SEZIONE II - Sintesi teologica

Limportante enciclica di Paolo VI Mysterium fidei (1965) ricorda che leucarestia un
altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la sacra liturgia, il mistero della fede.... E dunque
necessario che specialmente a questo mistero ci accostiamo con umile ossequio, non seguendo
umani argomenti, che devono tacere, ma aderendo fermamente alla divina Rivelazione (6).

Con queste parole non si nega che si debba cercare di comprendere il misteri eucaristico con tutte le
risorse della ragione umana, ma si sottolinea il fatto che linvestigazione non pu minimamente
prescindere dallambito della fede e che si deve seguire come una stella il magistero della Chiesa
(8), dato che ci troviamo di fronte a un mistero di fede cos impervio alla ricerca puramente umana.

Riassumendo linsegnamento secolare della Chiesa, il Conc. Vat. II dice Il nostro Salvatore
nellultima cena, la notte in cui fu tradito, istitu il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo
sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare cos
alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione: 1
sacramento di piet, 2 segno di unit, 3 vincolo di carit, 4 convito pasquale nel quale si riceve
Cristo, 5 lanima viene ricolmata di grazia e ci dato il 6 pegno della gloria futura (SC 47).

Non facile esporre la dottrina eucaristica nei suoi vari aspetti, con i suoi molteplici problemi,
soprattutto perch necessario esaminare separatamente dei dati che di fatto sono strettamente
collegati tra loro, come il carattere sacrificale della messa e la presenza reale di Cristo sotto la
specie del pane e del vino. Tuttavia abbiamo il vantaggio di accostarci a un misteri di fede di cui gi
abbiamo considerato gli elementi essenziali contenuti nella rivelazione e nella storia dei dommi di
cui abbiamo pure una certa conoscenza globale.

Possiamo quindi affrontare i singoli problemi la cui chiarificazione permetter di formarci una
comprensione e una sintesi pi ricca.

PRESENZA DI CRISTO NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

Tra le varie strade seguite dai teologi, pensiamo sia preferibile scegliere quella che parte dalla
considerazione generale della presenza di Cristo nella celebrazione delleucaristia.

Scrive il Durrwell: Leucaristia fondamentalmente presenza. Ai nostri giorni, si preferisce
fermare lattenzione su altri aspetti, sul pasto comunitario, sulla festa della fraternit e della
spartizione, sullassemblea di lode, o anche sul cibo santificante di vita eterna. Ma prima di tutto e
pi di tutto ci, leucarestia la presenza. Tale fu lesperienza prima, la mistica eucaristica
primitiva: le comunit cristiane hanno riconosciuto il Signore in mezzo a loro durante questa cena.
Leucaristia il sacramento della risurrezione di Ges fra i suoi discepoli; Luca lo fa capire nel
racconto in cui il Signore si manifesta a due discepoli nello spezzare il pane (24, 35)... Gi dal
nome che portava l'eucarestia-mensa o cena del Signore- si sapeva che la comunit convocata dal
Risorto e riunita alla sua presenza (43-44).

Che questa sia stata la convinzione generale della Chiesa dei primi secoli dimostrato dalle
numerose testimonianze dei Padri la cui dottrina, studiata con ampia documentazione dal Betz,
viene cos riassunta: La patristica pone la presenza reale del corpo e del sangue nellampia cornice
dellavvenimento eucaristico totale. Per essi leucarestia sempre prima di tutto avvenimento,
azione, actio... Avvenimento, in cui Dio direttamente attivo e opera la salvezza soprannaturale
della sua creatura, porta a compimento la storia della salvezza. Questa ha il suo perenne centro, a
cui rimane per sempre legata, nell'opera salvifica di Ges Cristo. La storia della salvezza tuttavia
non conclusa con la morte di Ges: essa abbraccia anche tutto il tempo della Chiesa. Perch in
essa domina Ges come Kyrios glorificato e agisce in modo particolare sui suoi discepoli. E ci
avviene proprio nella celebrazione eucaristica. E una concezione fondamentale della dottrina
patristica delleucarestia che Cristo stesso colui che invita al banchetto, si fa corpo nel cibo e nutre
i suoi fedeli con la sua carne e il suo sangue. Cos egli presente nella celebrazione, non soltanto
come il Dio onnipresente, che sta a guardare benevolo e tranquillo le azioni dei suoi seguaci e
accetta la loro adorazione. Egli presente proprio come operatore e titolare della celebrazione
eucaristica che ora si sta compiendo. Egli Initiator di questo avvenimento non solo in quanto ha
istituito questo banchetto e ha comandato di ripeterlo, ma anche come colui che sta dietro questa
celebrazione ora compiuta, la sostiene e produce. In continuazione dellagostiniano Christus est,
qui baptizat, possiamo considerare come formula della fede dei Padri: Christus est, qui
consecrat; Christus est, qui coenam dat. Cos troviamo nelleucaristia della Chiesa unattiva
presenza personale del Cristo, invisibile perch ora in un modo di esistere pneumatico (I, 1,
XXIII).

Riteniamo particolarmente importante la testimonianza dei Padri, perch in essa possiamo scoprire
come le comunit ecclesiali hanno ricevuto dalla Chiesa apostolica il mistero eucaristico e come lo
hanno sentito e vissuto. Trattandosi dellesperienza centrale di fede della Chiesa, l'eucaristia va
compresa proprio alla luce di ci che le comunit cristiane hanno percepito nelle assemblee
liturgiche, nelle quali il gesto compiuto da Ges nellultima cena diventato il rito in cui i fedeli
hanno sperimentato la presenza viva del Signore risorto e della sua offerta sacrificale e del suo
corpo e del suo sangue dati in cibo e bevanda di vita eterna.

L'estensione fatta dal Betz delle parole di S. Agostino Christus est qui baptizat allazione dello
stesso Cristo nella celebrazione eucaristica pu far pensare che la presenza del Signore nel rito
eucaristico non differisca dalla sua presenza nella celebrazione degli altri sacramenti (vedi sopra, p.
7-9). I documenti del magistero gi esaminati i parlao per di una presenza particolare che si
verifica soltanto nel sacrificio della messa sia nella presenza del ministro... sia soprattutto sotto le
specie eucaristiche (SC 7): le testimonianze dei Padri confermano la peculiarit di questa presenza
che appunto percepita cos viva in quanto qualitativamente pi intensa di quella che si verifica
negli altri riti sacramentali.

Ora, se ci domandiamo in che consiste questa peculiarit, pensiamo si debba rispondere che va vista
proprio nella presenza reale e sostanziale di Cristo sotto le specie eucaristiche. Se si nega o si
attenua il realismo di questa presenza, non si comprende pi la centralit e leminenza
dell'eucaristia nella vita della Chiesa; mentre la fede nella presenza reale e sostanziale del corpo e
del sangue di Cristo spiega bene, oltre al valore della comunione, come nell'eucaristia Cristo sia
particolarmente sentito presente in mezzo allassemblea e come particolarmente presente sia
percepito il mistero salvifico della morte e resurrezione di Cristo. In questo senso il concetto di
presenza unifica i vari aspetti delleucarestia, che vanno perci studiati alla luce di questa verit
fondamentale.

Lo stesso Betz, nella riflessione sistematica scritta per Mysterium salutis articola la presenza di
Cristo nelleucaristia in tre aspetti:

1. La presenza operante personale e pneumatica (presenza attuale) del Cristo glorioso come
prinipalis agens nellazione sacramentale (la principale presenza attuale);

2. La presenza anamnestica della sua opera di salvezza compiuta un tempo (presenza attuale
anamnestica, memoriale);

3. La presenza sostanziale della persona fisica di Cristo sotto la specie del pane e del vino, che nella
scuola viene definita semplicemente presenza reale (MS 8, 329).

Possiamo servirci, come linea direttiva, di questo schema, ricordando per che i vari aspetti del
mistero eucaristico vanno sempre considerati alla luce della sua unit.

PRESENZA OPERANTE DI CRISTO NELLASSEMBLEA PRESIEDUTA DAL SACERDOTE

Leucaristia il sacramento di Cristo che, con la sua morte, viene presso i suoi e realizza in loro la
salvezza che in lui (Durrwell, 48).

Secondo il Durwell infatti, Ges mediante la sua morte viene glorificato e ritorna a noi con la
pienezza dei doni salvifici: Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, lha mandato prima di tutto a
voi per portarvi la benedizione e perch ciascuno si converta dalle sue iniquit (At 3, 26).

La Chiesa dei Padri ha considerato il Cristo presente nella celebrazione eucaristica sia come
dispensatore dei doni sacramentali, sia come sommo sacerdote del sacrificio eucaristico.

Teofilo di Alessandria scrive: Cristo oggi ci ospita, oggi Cristo ci serve, Cristo, lamico degli
uomini, ci offre il riposo... il Figlio di Dio d riferimento, il Dio-Logos divenuto carne ci incoraggia
ad andarci (PS. Cirillo, Hom. 10 in coen. myst.). E Giovanni Crisostomo: Il sacrificio lo stesso
sia che lo offra questo che quello, sia Paolo che Pietro. Si tratta della stessa cosa: quello che Cristo
diede ai suoi discepoli e quello che ora compiono i sacerdoti. E questultimo non minore del
primo, perch anche questultimo non consacrato dagli uomini ma da colui che consacr il primo
(In 2 Tim. hom. 2, 4).

Come sommo sacerdote, diventano tale per la sua morte e risurrezione, Cristo agisce attraverso la
sua immagine che il sacerdote: E poich Cristo nostro Signore si offerto per noi in sacrificio e
cos divenne per noi effettivamente un sommo sacerdote, un immagine di quel pontefice, bisogna
pensare che rappresenta colui che ora presso questo altare. Egli non vi offre il proprio sacrificio,
non neppure lui che veramente il sommo sacerdote, ma come in una specie di immagine che
egli compie la liturgia di questo sacrificio ineffabile (Teodoro di Mops. Cat. 15, 21).

Ci che distingue la presenza attuale di Cristo nella celebrazione della eucaristia da quella che si
verifica nelle altre azioni sacramentali il fatto che in essa lautosacrificio di Cristo diviene
presente insieme alla vittima in una maniera pure essa sacrificale. Cristo diviene presente come
soggetto del sacrificio, quindi come gran sacerdote sacrificatore, ma anche come vittima, come
soma didomenon (MS 8, 335-336).

Si sa che questo esercizio del sacerdozio di Cristo ha sempre esigito un ministro ordinato che agisce
in persona Cristi (cf. Auer-Ratzinger, 355-357). Il magistero della Chiesa dovuto intervenire per
difendere questo punto. Gi il Concilio Lateranense IV contro i valdesi e gli albigesi dichiar: Una
sola la Chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno pu salvarsi, in cui lo stesso Ges
Cristo sacerdote e sacrificio, il cui corpo e sangue veramente contenuto sotto le specie del pane e
del vino nel sacramento dellaltare... E nessuno pu compire questo sacramento se non il sacerdote
validamente ordinato (DS 802).

Il Concilio di Trento con i Riformatori che negavano la sacramentalit del sacerdozio ministeriale,
defin: se qualcuno dice che con le parole Fate questo in memoria di me, Cristo non ha costiuito
gli apostoli come sacerdoti, o non ha ordinato che essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo corpo e il
suo sangue, A. S. (DS 1752). Lo stesso concilio, parlando del valore propiziatorio del sacrificio
della messa, dice: Una e la stessa la vittima, lo stesso colui che, offertosi una volta sulla croce,
si offre ora per il ministero del sacerdote (DS 1743).

Il Concilio Vaticano II conferma la dottrina precedente dicendo che nella loro qualit di ministri
delle cose sacre, e soprattutto nel sacrificio della messa, i presbiteri agiscono in modo speciale a
nome di Cristo (personam specialiter gerunt Christi) (PO 13), ma si preoccupa di rimettere in rilie
vo il ruolo attivo di tutto il popolo di Dio (cf. J. De Baciocchi, in Eucaristia, aspetti e problemi
dopo il Vaticano II, 44-48). La Lumen Gentuim precisa: Il sacerdote ministeriale, con la potest
sacra i cui investito forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona
di Cristo (In persona Christi) e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virt del regale
loro sacerdozio, concorrono alloblazione delleucaristia (n. 10). E importante tener presente il
ruolo del sacerdote e di tutto il popolo cristiano per capire lintegrazione della Chiesa nel sacrificio
di Cristo di cui parleremo.

Oggi si discute con diverse prospettive sulla specificit del ministero della sacerdote nei confronti di
tutta lassemblea.
C chi lo vede come rappresentante del Cristo Capo di fronte alla Chiesa: Il suo ruolo di
rappresentare il Cristo come capo del corpo , come laltro rispetto alla Chiesa. Non impone una
distanza nel senso peggiorativo del termine, ma una distinzione... Il ministro ordinato colui che
sta i fronte e che interpella, riproducendo cos la maniera in cui Cristo si offre alluomo nel
Vangelo: quella di un forestiero che interroga (Lc 24) e quella di un profeta che interviene. Nella
sua grande filantropia, Ges ha voluto che la sua presenza attuale nelle nostre vie fosse quella di
un volto umano, non soltanto quella di un libro (Manaranche, 83).

C invece chi, pur rispettando la sua specificit, lo vede pi strettamente unito allassemblea: Il
popolo cristiano non celebra altra messa che quella stessa del sacerdote. Il rapporto del sacerdote e
dellassemblea deve essere concepito in maniera concentrica, poich il cerchi dellassemblea
eucaristica si traccia a partire dal sacerdote e dalla sua celebrazione. Ora, nulla integrato al cerchi
quanto il centro. al di l di una divisione facile e fittizia tra sacerdote e laici, in cui il ministro
agirebbe da solo in nome di cristo, di fronte alla Chiesa, la teologia deve accettare il paradosso di
cui tutti gli organismi viventi presentano un analogia, una funzione assolutamente unica, che
tuttavia si integra interamente nellattivit di tutto il corpo e che la funzione stessa di questo
corpo. Il ministro eucaristico del sacerdote, di per s unico, quello della Chiesa al punto centrale
della sua ministerialit... Ecclesiale, questo ministero tuttavia quello di Cristo. Il sacerdote agisce
in persona Christi, il suo nome per mezzo di lui. La Chiesa infatti esiste soltanto in virt di colui
che ne il capo, il principio (Col. 1, 18), e dipende dal suo Signore anzitutto nel suo ministero
centrale, quello del sacerdote. L'assemblea celebra leucarestia nella messa celebrata dal sacerdote,
perch ha il suo principio in Cristo, di cui il sacerdote il rappresentante. Lunica unzione
sacerdotale di Cristo giunge in maniera differente, fino alle estremit del corpo della Chiesa
(Durrwell, 136-138).

Sono modi diversi di considerare il rapporto tra il sacerdote e i fedeli nella celebrazione eucaristica,
modi che non si discostano dallinsegnamento della tradizione e le magistero. Questo distacco
invece si verifica in alcune eccezioni dettate da un democraticismo esasperato, che tendono a fare
assorbire il celebrante dallassemblea, la quale spesso finisce per assorbire anche il Cristo e a farne
il garante delle proprie emozioni e dei propri progetti. Non per questo che Cristo si rende presente
nella celebrazione ma per essere il sacrificio della Chiesa e nutrirla con il suo corpo e il suo sangue.

IL SACRIFICIO EUCARISTICO
Abbiamo gi detto che il punto in cui i Padri della riforma protestante concordano il rifiuto del
carattere sacrificale della messa (per la dottrina dei singoli riformatori, cf. La liturgia eucaristica,
73-76).


Alla base di questo rifiuto ci sono grossi problemi dommatici: Per Lutero i sacramenti sono
essenzialmente delle azioni di recezione, la cena un dono di Dio alluomo, un testamento, ma mai
un dono delluomo a Dio quindi un sacrificio. Il sacrificio renderebbe la messa opera, idolatria...
Il fondamento teologico pi profondo di questa concezione dato dal principio fondamentale della
Riforma solus Deus, che vale anche per la cristologia e per la cena. Secondo esso soltanto Dio
opera la salvezza. Si deve perci tenere lontano anche da Ges ogni giustizia delle opere e ogni
legalismo. Neppure il sacrificio della croce avrebbe avuto il valore da Ges in quanto uomo, ma
sarebbe opera e prova della misericordia benevola di Dio verso di noi, il quale ha reso Cristo
peccato al fine di operare la riconciliazione. Questa riduzione cristologica non lascia alcuno spazio
per un sacrificio delluomo Ges (MS 8, 354).

E tutta la soteriologia che coinvolta nel rifiuto della messa come sacrificio; e per elaborare una
teologia del sacrificio eucaristico necessario farsi unidea pi chiara del modo in cui Cristo ha
realizzato il disegno salvifico del Padre, del valore della sua solidariet con gli uomini, del
sacrificio della croce, dellassociazione della Chiesa al sacrificio redentore.

Notiamo che lo studio pi approfondito di questi problemi, soprattutto a livello biblico, ha portato
molti teologi protestanti di oggi ad attenuare le rigidi tesi del protestantesimo primitivo. Comunque
il Concilio di Trento si trov di fronte al rifiuto netto del carattere sacrificale della messa, che
poteva essere considerato tuttal pi sacrificio di lode e ringraziamento, ma mai un sacrificio
propiziatorio. E a questo problema, con le questioni annesse, che dedicata la Sessio XXII del
Concilio.

Nel cap. 1, dopo aver detto che il Cristo, nuovo sacerdote, aveva sostituito limperfetto sacerdozio
dell Antico Testamento, dichiara: Pertanto il nostro Dio e Signore, anche se stava per offrire se
stesso a Dio Padre, una volta per sempre, con la sua morte, sullaltare della croce per realizzare una
redenzione eterna; poich il suo sacerdozio non doveva cessare con la morte (Eb 7, 24.27),
nellultima cena, nella notte in cui fu tradito (1 Cor 11, 13), per lasciare alla sua diletta sposa , la
Chiesa, un sacrificio visibile, come esige la natura degli uomini, in cui fosse rappresentato
(rapraesentaretur) quel sacrificio cruento che doveva compiere una volta per tutte sulla croce e
rimanesse la sua memoria sino alla fine del mondo e fosse applicata la sua potenza salvifica in
remissione dei peccati da noi commessi ogni giorno, dichiarandosi costituito sacerdote in eterno
secondo lordine di Melchisedech (Sal 109, 4), offr a Dio Padre il suo corpo e il suo sangue sotto la
specie del pane e del vino e sotto gli stessi simboli li diede agli apostoli, che allora costituiva
sacerdoti della Nuova Alleanza, perch li ricevessero, e comand ad essi e ai loro successori nel
sacerdozio che li offrissero, con le parole Fate questo in memoria di me, cos come sempre la
Chiesa cattolica ha sempre insegnato. Infatti, celebrata lantica Pasqua, che i figli dIsraele
immolavano in memoria delluscita dallEgitto (Es 12, 1 ss), istitu la nuova Pasqua, in cui egli
stesso sarebbe stato immolato, dalla Chiesa per mezzo dei sacerdoti sotto segni visibili, in memoria
del suo transito da questo mondo al Padre, quando con leffusione del suo sangue ci redense e ci
liber dal potere delle tenebre e ci trasfer nel suo regno (Col 1, 13) (DS 1740-1741).

Nei canoni relativi viene tra laltro dichiarato:

Can. 1: Se qualcuno dice che nella messa non offerto a Dio un vero e proprio sacrificio o che
questa oblazione non sia altro che cibarsi di Cristo, A. S. (DS 1751).

Can. 3: Se qualcuno dice che la messa solo un sacrificio di lode e di ringraziamento o una nuda
commemorazione del sacrificio della croce e non un sacrificio propiziatorio ; oppure che giova solo
a chi lo riceve, e che non si deve offrire per i vivi e per i defunti, per i peccati, le pene, espiazioni e
le altre necessit, A. S. (DS 1753).

Il Concilio definisce che la messa un vero sacrificio propiziatorio che si offre a Dio per i vivi e per
i defunti e per tutte le necessit per le quali si offre un sacrificio. Afferma pure che la messa non
un oltraggio o un deprezzamento del sacrificio compiuto sulla croce (can. 4, DS 1754), ma si
identifica in esso, in quanto una e identica la vittima, lo stesso che ora la offre per il ministero del
sacerdote... rimanendo diverso solo il modo in cui viene offerta (DS 1743). Cos il sacrificio
eucaristico non che il sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte (semel), che con la messa
viene reso presente (rapraesentaretur), come memoriale della nuova Pasqua di liberazione.

Le dichiarazioni del Concilio di Trento sul carattere sacrificale della messa, che potevano trovare la
giustificazione sia nella Scrittura che nella tradizione patristica (cf. Auer-Ratzinger, 303-313),
lasciarono alla teologia il compito di studiare lintima natura del sacrificio eucaristico (cf.
ibidem,321-326). Le teorie escogitate dai teologi nei secoli scorsi, che partivano dal concetto
generale di sacrificio per vedere come esso poteva essere applicato alla messa, sono solo un ricordo
storico. Il problema vero non ha cessato di essere studiato e anche nel nostro tempo si sono avanzate
varie ipotesi di soluzione.

A differenza delle teorie del passato che singegnavano a scoprire nella stessa celebrazione
eucaristica il modo in cui si realizzava il concetto di sacrificio (nellofferta, o nella distruzione vista
misticamente nella separazione del corpo e del sangue, o nella modificazione della materia
sacrificale, o nelloblazione o immolazione personale), le ipotesi sorte dopo il rinnovamento degli
studi liturgici tendono a rimettere in rilievo la relazione tra il sacrificio della messa e quello della
croce, cercando di spiegare come il sacrificio redentore si renda presente nella celebrazione
eucaristica (cf. Beni, 139-142; Quarello, 124-141). Sotto questo aspetto il problema si riallaccia a
quello generale della presenza degli atti salvifici di Cristo nelle azioni sacramentali (v. sopra), con
la teoria del Casel, le relative critiche e i nuovi tentativi di soluzione.

Particolarmente valorizzato a questo proposito stato il concetto di memoriale (cf. Thurian, Tillard
ecc.) inteso in senso molto realistico, o quello di attualizzazione del sacrificio della croce.
Recentemente il DUrrwell ha proposto: Quando, mediante leucarestia, Cristo si rende presente
alla comunit, in quellistante, nellattualit del sacrificio,egli viene. Leucarestia non sopraggiunge,
non un sacramento post-pasquale, non viene ad aggiungersi allevento pasquale, che
escatologico, pienezza terminale. Essa non una riproduzione o un rinnovamento, non moltiplica
allinfinito il sacrificio di Cristo, mai ripetuto, per sempre irripetibile. Non lo riattualizza, giacch
questo sacrificio attuale per sempre, ma la sua apparizione nel nostro mondo. Ogni volta che si
celebra questo sacrificio come memoriale, lopera della nostra redenzione si mostra sulla scena del
mondo; viene fuori allo scoperto. Il sacrificio la fa apparire nella Chiesa... Essa dunque sacrificio
quanto presenza e perch presenza, giacch il corpo di Cristo anche il suo sacrificio; la venuta e
la presenza di Cristo sono quelle del mistero pasquale, poich Cristo questo mistero, la salvezza
nel suo evento. La sua presenza donazione di s; egli viene nella morte per molti, nelleterna
nascita per essa (63-64).

La posizione del Durrwell indubbiamente suggestiva, ma pensiamo sia giusta la critica che le
muove il Piolanti, quando osserva che tutta la tradizione teologia parla di una certa novitas del
sacrificio dellaltare nei confronti di quello della croce, senza contare che nella teologia,
indubbiamente ricca, del Durrwell, centrata tutta sulla risurrezione di Cristo, il mistero della croce
non sempre sufficientemente valutato, mentre la celebrazione eucaristica, pur attuando la presenza
del Cristo risorto, resta un annuncio della morte del Signore e un dono del corpo dato per noi e del
sangue effuso per la remissione dei peccati.

Non crediamo necessario affrontare la non facile impresa di presentare i vari contributi dati negli
ultimi anni per la soluzione del nostro problema, contributi che vorrebbero essere pi o meno
decisivi, ma che vengono poi regolarmente messi in questione (cf. Quarello; Piolanti; A. Bellini in
Eucaristia e rito).

Proprio il susseguirsi di tentativi dimostra che una soluzione soddisfacente non facile a dirsi. Le
varie ipotesi hanno in genere elementi validi, in quanto utilizzano concetti presenti negli stessi testi
eucaristici neotestamentari, come il concetto i memoriale, di alleanza, di banchetto, di nuova
Pasqua. Ci sembra di poter notare pure un difetto piuttosto comune a molte opere: quello di spiegare
la presenza degli atti salvifici di Cristo nella celebrazione eucaristica con delle teorie che valgono
indubbiamente per leucarestia, ma sono vere anche per alte celebrazioni sacramentali, e quindi non
risolvono il problema specifico della natura del sacrificio della messa.

Per questo crediamo sia necessario considerare pi attentamente il significato specifico del sacrifico
eucaristico nella vita sacramentale della Chiesa.

LEUCARISTIA COME SACRIFICIO DELLA CHIESA

Prendiamo come base di riflessione una pagina molto densa del Betz: Come abbiamo visto,
leucaristia il sacrificio attualmente presente di Ges Cristo e con questo sacrificio si identifica
non fenomenicamente, ma sostanzialmente. Il suo senso e il suo fine lintegrazione dei cristiani
nellazione salvifica di Cristo, mentre la loro elevazione al Padre rappresenta la cristificazione
massima degli uomini. Ci implica una confermazione a Cristo e al suo atteggiamento sacrificale.
Tale confermazione avviene fondamentalmente gi nella fede, che nella sua figura fondamentale di
fiducia equivale a dedizione a Dio. Linteriore atteggiamento sacrificale della Chiesa ora
nelleucaristia viene personificato in un evento esterno, esso pure sacrificale, in una offerta cultuale.
Ora il momento del sacrificio distingue la cena dagli altri sacramenti. Ad esempio anche il
battesimo e la sua penitenza sono anamnesis della morte e risurrezione di Ges, essi per non sono
sacrificio. Certamente la confessione pu essere o presupporre un grande sacrificio interiore, ma il
suo segno esteriore di penitenza non un sacrificio, bens un procedimento giudiziario, imitazione e
attualizzazione del giudizio sui peccati e i peccatori che stato compiuto in Ges. Nelleucaristia
invece viene attualizzata la dedizione sacrificale di Ges al Padre sulla croce, e ci nella figura
simbolica ad essa adeguata di un sacrificio cultuale, nel cui svolgimento diviene presente
sostanzialmente la stessa vittima Ges. Nel sacramento dellaltare abbiamo quindi uno spessore
particolare della realt. Il sacrificio cruento di Cristo nel sacrificio cultuale della Chiesa acquista un
nuovo modo spazio-temporale di presentazione, sviluppa cos la sua ricchezza e produce
lintegrazione dellumanit nel Christus totalis (MS 8, 347-348).

Sottolineamo tre concetti che cercheremo pio di approfondire: 1) leucaristia si distingue dagli altri
sacramenti in quanto sacrificio cultuale mediante la presenza sostanziale, sotto i segni
sacramentali, della stessa vittima nel suo sacrificio redentore; 2) la novit del sacrificio eucaristico
nei confronti di quello della croce di essere il sacrificio cultuale della Chiesa; 3) questo sacrificio
della Chiesa produce lintegrazione degli uomini nel Cristo nel suo atteggiamento sacrificale.

Leucaristia dunque il sacramento del sacrificio di Cristo in quanto sacrificio. E un sacrificio
anamnestico, che rende presente il sacrificio della croce, comunque questa presenza si possa
spiegare. Quando il sacerdote, in persona Christi, ripete sul pane e sul calice le parole dellultima
cena, rende presente il corpo e il sangue di Cristo offerti per noi, sotto i segni che esprimono la
dedizione totale (secondo alcuni esprimono la separazione sacrificale del corpo e del sangue). La
messa va quindi vista e vissuta come il sacrificio di Cristo che viene di nuovo offerto
sacramentalmente nella Chiesa.

E qui appunto la novit del sacrificio della messa nei confronti di quello della croce. Si tratta dello
stesso sacrificio, ma nella messa la Chiesa si costituisce come soggetto del sacrificio anche se pu
farlo soltanto en Christo, come corpo del capo Cristo (MS 8, 352).

Scrive A. Bellini: La celebrazione della messa la memoria delle parole e del gesto con cui
Ges ha chiamato i discepoli ad aver parte e ha fatto loro dono del suo donarsi al Padre sulla croce
in favore degli uomini e quindi ha fatto dono di se stesso e della sua esistenza come esistenza tutta
in favore dellumanit. Quando, in obbedienza al suo comando, ripeteranno quanto Ges ha detto e
ha fatto, i discepoli avranno parte al sacrificio di Ges, il cui donarsi sulla croce al Padre per gli
uomini visto come un donarsi continuato nella Chiesa e nella storia. Lassemblea che celebra
fatta partecipare allevento della croce, che costituisce il passaggio al Padre, quindi nella vita e
nelleterno, dellumanit, come umanit liberata e accettata. Ordinando ai discepoli di far memoria,
prima che della sua morte, del dono che egli fa loro nellultima cena del suo donarsi al Padre sulla
croce, Ges continua a far dono alla comunit del suo donarsi al Padre e quindi, nello stesso tempo,
continua a donarsi al Padre attraverso la comunit stessa (in Eucaristia e rito, 29).

Similmente J. H. Nicolas vede un identificazione simbolica tra lazione della Chiesa e latto
salvifico di Cristo: In forza di questa identificazione simbolica, questa azione, che come azione
della Chiesa e del Cristo, in questo momento del tempo, nuova, distinta e separata nello spazio e
nel tempo, rivestita del valore sacrificale della morte del Cristo: cos che, se essa unaltra azione,
e compiuta dalla Chiesa, non tuttavia unaltro sacrificio. Essa offre al sacrificio del Cristo,
compiuto un tempo dal Cristo solo e in modo cruento, un supporto ontologico del nostro tempo,
nella comunit che celebra leucaristia e nella Chiesa attuale che si realizza in essa, per essere
realmente presente presente, attivo, offerto, non pi al Cristo soltanto, ma dalla Chiesa con lui
(938).

La convinzione della Chiesa espressa dallantica e diffusa formula celebrando la memoria,
offriamo (Memnemenoi prospheromen - memores offerimus), con cui la comunit ecclesiale
afferma di essere il soggetto che offre con Cristo la stessa offerta di Cristo, che poi Cristo nella
sua offerta al Padre per la salvezza del mondo.

Offrendo con Cristo, la Chiesa offre pure con Cristo: leucaristia produce lintegrazione dei fedeli
nel sacrificio di Cristo, cos che la messa diventa il sacrificio del Cristo totale, del Capo e delle
membra.

Questa dottrina stata mirabilmente illustrata da S. Agostino in un celebre brano: Vero sacrificio
ogni opera che si compie per congiungerci a Dio in una santa unione (ut sancta societate
inhaereamus Deo)... Per cui luomo consacrato in nome di Dio e votato a Dio, in quanto muore al
mondo e vive per Dio sacrificato... Cos avviene che tutta la citt redenta, cio la riunione e la
societ dei santi si offra a Dio come sacrificio universale per mezzo del Gran Sacerdote, il quale ha
anche offerto se stesso per noi con la sua passione nella forma di servo, per farci essere il corpo di
un cos eccelso capo... Questo il sacrificio die cristiani: molti in un solo corpo in Cristo. E questo
sacrificio la Chiesa lo celebra assiduamente nel sacramento dellaltareben noto ai fedeli, in cui le
viene dimostrato che, nella stessa oblazione che offre, essa stessa offerta (in e a re quam offert,
ipsa offeratur) (De Civ. Dei, 10,6).

A questo brano si riferisce pure lenciclica Mysterium fidei: La Chiesa fungendo in unione con
Cristo da sacerdote e da vittima, offre tutta intera il sacrificio della messa e tutta intera vi offerta.
Questa mirabile dottrina, gi insegnata dai Padri (cf. De Civ, Dei X, 6) recentementa esposta dal
nostro Predecessore Pio XII (enc. Mediator Dei), ultimamente espressa dal Concilio Vaticano II
nella Costituzione De Ecclesia a proposito del popolo di Dio (n. 11), noi ardentemente desideriamo
che sia sempre pi spiegata e pi profondamente inculcata nellanimo dei fedeli... Tale dottrina
infatti quanto mai adatta ad alimentare la piet eucaristica, ad esaltare la dignit di tutti i fedeli,
non che a stimolare l'animo a toccare il vertice della santit, che altro non che mettersi tutto a
servizio della divina Maest con una generosa oblazione di s (n. 14).

Per comprendere meglio questo aspetto del sacrificio della messa dovremo prima studiare la
partecipazione del fedele al convito eucaristico e considerarne gli effetti.
Concludiamo largomento con alcuni corollari.

1.La partecipazione alla messa anche senza ricevere la comunione, bench non sia piena, ha sempre
un grande valore in quanto si partecipa al sacrificio di Cristo reso presente nel sacrificio della
Chiesa.

2.La messa ha sempre un carattere pubblico e sociale, poich ogni messa, anche se privatamente
celebrata da un sacerdote, non tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, le quale
nel sacrificio che offre ha imparato ad offrire s medesima come sacrificio universale, applicando
per la salute del mondo intero lunica e infinita virt redentrice del sacrificio della croce
(Mysteruim fidei, 15).

3.Come sacrificio della Chiesa, la messa, oltre ad avere un effetto salutare per tutto il mondo, pu
essere applicata, mediante lintenzione del ministro, a favore di qualche persona particolare (cf.
ONeill, 40-41).

LA PRESENZA REALE SOSTANZIALE DI CRISTO NELLEUCARISTIA

Dopo aver studiato la presenza di Cristo nella celebrazione eucaristica e la presenza del suo
sacrificio nel sacrificio della Chiesa, affrontiamo il problema della presenza reale sostanziale del
corpo e del sangue di Ges sotto le specie del pane e del vino.

Il problema non va isolato dallinsieme della dottrina dell'eucaristia, ma richiede un
approfondimento particolare, come verit che conferisce a tutto il mistero eucaristico un valore
unico. Proprio il carattere unico, assolutamente straordinario, di questo tipo di presenza ha causato
difficolt nel passato e continua a causarne: gli interventi del Magistero ma hanno diffuso tutta la
realt, interpretando realisticamente le parole: Questo il mio corpo e Questo il mio sangue.

Il Magistero poteva fondare tranquillamente linterpretazione realistica sulla tradizione della
Chiesa, nella quale fin dallinizio la presenza reale di Cristo testimoniata in maniera
sorprendentemente chiara (Sm. 7, 1).

Dallaffermazione dellidentit tra il pane e il vino e il corpo e il sangue del Signore, si pass a
quella della presenza del Cristo totale nelle due specie e in tutta le eucarestie (cf. MS 8, 359-362).

Il problema della presenza reale si acutizz con la negazione di Berengario. La formula di fede che
gli impose il Sinodo Romano del 1059, composta dal cardinale Umberto da Silva Candida
identificava in senso ultrarealistico il corpo eucaristico di Ges con il suo corpo storico, in quanto
nelleucaristia in maniera sensibile il copro di Cristo poteva essere toccato e spezzato dalle mani
dei sacerdoti e frantumato dai denti dei fedeli (DS 690).

Per evitare questi eccessi ultra realistici e confermare la realt della presenza di Cristo, fu introdotto
il concetto di presenza secondo l'essenza o sostanza che fu poi elaborata con maggiore precisione
dalla Scolastica.

La negazione della presenza reale fu rinnovata dai catari, dagli albigesi, da Wyclif, poi da Zwingli
che sosteneva una presenza puramente simbolica e da Calvio che ammetteva solo una presenza
dinamica.

Il Concilio di Trento nella sessione XIII, dopo aver esposto la dottrina cattolica sulla presenza reale
e sulle sue conseguenze, dichiara:
Can. 1.Se qualcuno nega che nel santissimo sacramento delleucaristia contenuto veramente,
realmente e sostanzialmente (vere, realiter et substantialiter) il corpo e il sangue insieme con
lanima e la divinit di Nostro Signore Ges Cristo, ma dir che in esso vi presente in segno o in
figura o in potenza, A. S. (DS 1651).
Can. 3.Se qualcuno che nel venerabile sacramento delleucaristia sotto ciascuna specie e, avvenuta
la divisione, sotto le singole parti di ciascuna specie sia contenuto tutto il Cristo, A. S. (DS 1653).

Il Concilio definisce anche la permanenza della presenza di Cristo nelle ostie non consumate e
conservate (DS 1654); la validit del culto che si rende al S. S. Sacramento nelladorazione anche
pubblica e nelle processioni (DS 1656); la liceit della conservazione delleucaristia nel sacrario
(DS 1657).

Per quanto riguarda il modo in cui la presenza reale si attua lo stesso Concilio dichiara nel Can. 2:
Se qualcuno dice che nel sacrosanto sacramento dell'eucaristia rimane la sostanza del pane e del
vino insieme al corpo e al sangue di Nostro Signore Ges Cristo, e nega quella mirabile e singolare
conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue,
rimanendo soltanto la specie del pane e del vino, conversione che la Chiesa cattolica chiama in
maniera molto adatta transustanziazione, A. S. (DS 1652).

La convinzione dei fedeli e le dichiarazioni del Magistero confermano la fede che il pane e il vino
diventano il corpo e il sangue di Cristo, cio Cristo stesso in senso reale, sostanziale, in modo che si
debba dire: il pane non pi pane e il vino non pi vino, ma sono diventati il corpo e il sangue di
Cristo.

Fin dai primi secoli si cercato di dare una spiegazione di questo grande mistero di fede.

I Padri greci hanno applicato alleucarestia il concetto di mutazione (metabole), considerandola
come effetto del Logos o dello Spirito che scendono sul pane e sul vino e li rendono corpo e sangue
di Cristo. Avviene nelleucaristia qualcosa di simile a quello che avvenuto nellincarnazione: Il
corpo (eucaristico) veramente unito alla divinit, quel corpo nato dalla Vergine, e ci non perch
il corpo asceso in cielo vi ridiscenda nuovamente, ma perch il pane e il vino vengono trasformati
nel corpo e nel sangue di Dio. Ma se chiedi come e in che modo ci avvenga, ti basti sapere questo:
ci avviene per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che per opera dello Spirito Santo il
Signore ha assunto per s e in s dalla santa Vergine unesistenza nella carne (Giovanni
Damasceno, De fide orth. 4, 13).

Anche i Padri latini, come Agostino, parlano di mutamento (mutare, convertire), appellandosi alla
forza creatrice della parole di Cristo, senza dare una spiegazione pi precisa del modo in cui
avviene la conversio.

E nel medioevo, sotto la spinta delle controversie suscitate prima da Ratmano contro Pascasio
Radberto e poi da Berengario, che si form man mano la dottrina della trasformazione della realt
profonda, interiore del pane e del vino (substantia) di cui rimaneva immutata soltanto lapparenza
esteriore (species).

Con lingresso della filosofia aristotelica, si adott il suo concetto di sostanza (materia e forma) che
ha la propriet di essere in se stessa ed fondamento degli accidenti che esistono in essa e la
manifestano. I grandi maestri della scolastica, come Alessandro di Hales, Bonaventura, Tommaso,
sostennero la teoria della transustanziazione , cio del cambiamento della sostanza dei doni
eucaristici nel corpo e sangue di Cristo, rimanendo immutati gli accidenti del pane e del vino.

Evidentemente il concetto di sostanza adottato dagli scolastici va compreso in un ampio sistema
filosofico: esso indica lessere-soggetto in opposizione alla molteplicit e alla mutabilit dei
predicati e la permanenza di questo soggetto di fronte alla mutazione delle forme fenomeniche. Si
tratta di uno dei predicamenti dellessere finito quello che il sustrato di tutti gli altri (che vi si
aggiungono = accidentes), non va quindi considerato come una realt sperimentabile fisicamente. Il
Betz scrive: Noi oggi la pensiamo, in un senso pi generale e sovratemporale, come profondit
dellente, come nucleo essenziale proprio delle cose, che esercita una duplice funzione: anzitutto
quella di soggetto dellatto ontologico o fondamento sussistente delle qualit, e in secondo luogo
quello del loro fondamento quidditativo determinante. Rispetto a ci la forma di apparizione
(species) il tessuto degli accidenti, linsieme delle propriet fisico-chimiche, nelle quali si esprime
la natura, la sostanza (MS 8, 367).

Ora per, mentre nellesperienza naturale la sostanza si presenta sempre con gli accidenti ad essa
connaturali, nelleucaristia le sostanze del pane e del vino vengono convertite nelle sostanze del
corpo e del sangue di Ges, ma il modo di presentarsi come pane e vino da parte degli elementi
viene conservato, sotto di essi ora divengono presenti il corpo e il sangue di Ges (ibidem). La
presenza di Cristo per modum substantiae permetteva agli scolastici di spiegare molte propriet
delleucaristia, come la totalit della presenza di Cristo sotto ogni specie e ogni parte di esse, la non
estensione della stessa presenza, la sua non percettibilit, la presenza di Cristo in molti luoghi senza
moltiplicazione.

Il Concilio di Trento evidentemente defin ci che con questo linguaggio si voleva esprimere, non
defin il valore dello stesso linguaggio n della filosofia di cui era espressione.

A questo proposito ci sembrano chiarificanti le osservazioni di ONeill: Il dogma della
transustanziazione... afferma soltanto, in termini pre-filosofici, ci che si deve ammettere se le
parole di Cristo, questo il mio corpo, questo il mio sangue, sono da attuarsi per fede; cio,
lintera sostanza del pane si deve cambiare nel corpo di Cristo, lintera sostanza del vino nel suo
sangue. Ci che il dogma afferma non altro che ci che si esige se le parole di Cristo, dette
allultima cena e nella Messa, devono essere capite come riferentesi alla realt posta sulla tavola o
contenuta nel calice. Infatti, al livello pre-filosofico del senso comune, sostanza ci che si
permette di affermate che una cosa che esiste indipendentemente da noi, dalla nostra conoscenza o
dai nostri atteggiamenti pane oppure il corpo di Cristo. Al senso comune evidente che una cosa
intesa in questo modo non pu essere simultaneamente pane e corpo di Cristo. Con la sua
affermazione dogmatica la Chiesa rende chiaro il senso in cui legge il racconto biblico delle parole
id Cristo allultima cena; la parola , come risultato del potere di Cristo, indica una reale identit
fra ci che sulla tavola e il suo corpo (101).

Al di fuori del senso comune, le chiarificazioni della presenza sostanziale presuppongono sempre
un sistema filosofico o comunque un particolare modo di considerare la realt che le sostiene.

I limiti del corso non ci permettono di addentrarci nei dettagli dei vari tentativi di interpretazione
(cf. le opere di Gerken, Masi, Piolanti), non possiamo tuttavia non accennare alla teoria della
transignificazione e transfinalizzazione proposta da diversi autori e contro la quale ha messo in
guardia la enciclica Mysterium fidei.

Le nuove proposte cercavano di venire incontro alle difficolt delluomo di oggi ad accettare una
teoria del mutamento della sostanza, quando si sa che da un punto di vista fisico-chimico non si
verifica alcun cambiamento.

Gi nel 1955 il teologo calvinista F. J. Leenhardt nellopera Ceci est mon corps (trad. italiana 1969)
sosteneva: Dal punto di vista di una riflessione schiava delle categorie greche del pensiero, la
sostanza di una cosa ci che la cosa in se stessa. Per cui si pensa che il pane debba diventare
altra cosa da quello che era, e che rimanga ci che diventato. Dal punto di vista di una riflessione
che vede la sostanza non in ci che le cose sono ma in ci che Dio fa di esse, il pane diventa il
corpo di Cristo quando Dio attua per il credente la misteriosa presenza del suo Figliolo
(59). Partendo da queste premesse, che sarebbero in armonia con il modo di pensare delluomo
biblico, il Leenhardt accetta, ecumenicamente, anche la verit della transustanziazione, ma
evidentemente in un senso diverso da quello inteso dal Tridentino.

Qualche teologo cattolico segu le proposte del Leenhardt (Vanneste, De Baciocchi ecc.), altri
invece (Smits, Davis, Schoonenberg, Schillebeeckx ecc.) cercano nuove soluzioni muovendosi su
un piano pi personalistico sulla base della fenomenologia che ritiene assurdo parlare delle cose in
se stesse senza luomo, mentre presuppone che tutto ci di cui luomo possa parlare Lin-se-
stesso-per me. Nelleucaristia Cristo stabilisce una presenza offerta a noi, una presenza orientata
alla donazione, alla reciproca comunione. Ci che cambia non il pane e il vino, ma il loro
significato, la loro funzione, quindi si deve parlare di transignificazione e trasfinalizzazione non in
senso soggettivo, ma oggettivo, in quanto il pane e il vino diventano il dono della presenza di Cristo
(per unesposizione abbastanza chara cf. ONeill e Piolanti).

La fenomenologia ignora che la realt, nel manifestarsi a me come per me, allo stesso tempo si
manifesta come indipendente da me (ONeill, 98): si comprende come uninterpretazione della
presenza eucaristica di Cristo fondata su questa filosofia porta a considerare la conversio del pane e
del vino pi o meno sullo stesso piano di ci che avviene ai biscotti quando diventano
manifestazioni di dono e di amicizia al momento di t (paragone usato dai sostenitori della teoria).

Contro questa interpretazione lenciclica Mysterium fidei richiamava la dottrina precedente del
Magistero e la confermava con espressioni chiaramente realistiche: Avvenuta la transustaziazione,
le specie del pane e del vino senza dubbio acquistano un nuovo significato e un nuovo fine, non
essendo pi lusuale pane e lusuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e il segno di un
alimento spirituale; ma intanto acquistano nuovo significato e nuovo fine in quanto contengono una
nuova realt, che giustamente denominiamo ontologica. Giacch sotto le predette specie non c
pi quel che cera prima, ma unaltra cosa del tutto diversa; ci non soltanto in base al giudizio
della fede della Chiesa, ma per la realt oggettiva, perch convertita la sostanza o natura del pane e
del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane pi del pane e del vino che le sole specie, sotto
le quelli Cristo tutto intero presente nella sua fisica realt, anche corporalmente, sebbene non allo
stesso modo con cui i corpi sono in un luogo (n. 24-25).

Realt ontologica, fisica realt, corporalmente: le parole dellenciclica non lasciano dubbi
sullinterpretazione nettamente realistica, affermando appunto che sotto le predette specie non c
pi quel che cera prima, ma unaltra cosa del tutto diversa. Del resto solo un tale realismo ci
permette di non svuotare leucaristia del suo significato mirabile ed unico.

Senza ricorrere ad alcun sistema filosofico, alla luce della fede e dei dati dellesperienza attuale,
potremmo tentare di considerare il mistero della transustanziazione pi o meno cos. Cristo ci ha
lasciato il suo corpo e il suo sangue sotto i segni del pane e del vino, quindi il pane e il vino devono
apparire come pane e vino per essere i segni della presenza di Cristo che si fa nostro cibo e bevanda
nel sacrificio e convito eucaristico.

La nostra mentalit attuale, pi empirica di quella dei teologi del passato, ci dice che il pane e il
vino sono agglomerati di sostanze chimiche che a loro volta sono in un insieme di molecole, di
atomi, di particelle subatomiche. Se tutto questo non cambia,allora cos che cambia per far s che il
pane e il vino non siano pi tali? Dovremmo forse pensare, come qualche teologo aveva pensato per
spiegare la permanenza degli accidenti, che Dio mantiene intatta miracolosamente le propriet del
pane e del vino in modo da farli apparire tali anche di fronte a qualsiasi analisi? Pensiamo piuttosto
che lonnipotenza divina possa assumere tutta la realt fisica del pane e del vino per farla diventare
la realt fisica, sostanziale, sacramentale, del corpo e del sangue di Cristo, senza maturarne le
qualit fisico-chimiche.

In fondo il nostro corpo un agglomerato di sostanze che sono unite per formarlo, che diventano
noi perch nella loro funzione attuale sono una parte del creato destinata attualmente ad essere il
nostro corpo animato dal nostro spirito. Dio pu destinare le sostanze che formano il pane e il vino
ad essere, realmente, ontologicamente, il corpo e il sangue di Cristo, perdendo cos la loro
precedente destinazione ontologica e assumendone unaltra completamente diversa, pur
conservando tutte le loro propriet fisico-chimiche. Allora il pane e il vino veramente non sono pi
pane e vino, ma Cristo stesso, il corpo insieme alla sua anima e alla sua divinit, Cristo che non si
rende presente incarnandosi nel pane (impanazione) n coesistendo con la sostanza del pane e del
vino (consustanziazione), ma assumendo la sostanza della sua presenza sacramentale, del dono che
fa di se stesso come sacrificio e alimento spirituale della sua Chiesa.

Cos dovunque avviene la consacrazione si realizza, per uno stupendo prodigio dellinfinita carit di
Dio, un nuovo modo di presenza di Cristo, il quale non deve discendere dal cielo per prendere posto
sotto le specie consacrate, ma dispone di realt del mondo terrestre - il pane, il vino - ai fini di una
presenza pi intensa e totale (Durrwell, 94).

Si tratta evidentemente di un modo di presenza che non ha paragoni, di un mistero di fede che il
pi difficile a credere (Bonaventura, In IV Sent., 4, 1, 2), ma non impossibile a realizzarsi
dallonnipotenza di Dio che pu disporre come vuole delle sue creature.

La presenza reale resta una presenza per modum substantiae, quindi con le conseguenze che un tale
modo di presenza comporta.
Essa esclude le esagerazioni di Pascasio Radberto o di alcuni avversari di Berengario, i quali
concepivano il corpo eucaristico di Cristo in maniera ultra realistica (maniera detta, un po
umoristicamente, cafarnaitana): non si pu dire che il corpo di Cristo viene frantumato con i denti o
cose del genere.

La presenza di Cristo si verifica corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono
in un luogo (Myst, fidei, 25): la sostanza del pane e del vino che viene convertita nel corpo e nel
sangue di Cristo e quindi, concomitanter, nel Cristo tutto intero (ibidem), il quale non presente
nella sua estensione, ma per modum substantiae, ovunque si trovi la sostanza del suo corpo e del
suo sangue e in ogni parte di tale sostanza, sia che le specie rimangano intere, sia che vengano
divise.

La transustanziazione permette di realizzare una molteplicit di presenza dellunico corpo glorioso
(pneumatico) di Cristo: le specie eucaristiche definiscono il luogo di questa presenza.

La realt della transustanziazione giustifica a fede nella permanenza della presenza reale al di fuori
della messa, finch esiste il segno (specie) che la manifesta. Perch cessasse tale presenza sarebbe
necessario un altro intervento di Dio che riconvertisse la sostanza del corpo e sangue di Cristo nella
sostanza del pane e del vino.

Conseguenza di tale permanenza non solo la possibilit di comunicarsi al di fuori della messa, ma
anche la validit del culto eucaristico nelle varie forme che sono sorte nella Chiesa. A questo
proposito listruzione Eucharisticum Mysterium del 1967 dice: I fedeli poi, quando venerano
Cristo presente nel sacramento, ricordino che questa presenza deriva dal sacrificio e tende alla
comunione, sacramentale e spirituale insieme (n. 50).

(Per li problema delleplichesi rimandiamo allo studio della teologia liturgica).

IL CONVITO EUCARISTICO

Il sacrificio pasquale si rende presente in un segno conviviale fate questo ha detto Ges; e la
Chiesa fa quello che egli ha fatto nellultima cena. Il banchetto il segno sacramentale di cui si
riveste e in cui si fa presente levento pasquale. Ci imbandita una mensa che sazia la nostra fame
di Dio e la nostra sete di salvezza. E ci comandato di prendere e mangiare C. E. I. Eucaristia,
comunione e comunit, (n. 16).

Le parole del recente documento della C.E.I. riflettono la tendenza della teologia attuale a voler
unire strettamente sacrificio e comunione e a sottolineare il valore della convivialit nella
celebrazione eucaristica.

Il Tillard osserva: Tutta una teologia e una certa spiritualit hanno per molto tempo separato il
sacrificio eucaristico e la comunione eucaristica...oggi esistono pochi teologi che non ammettono la
congiunzione essenziale tra sacrificio eucaristico e comunione eucaristica... Nella celebrazione
eucaristica a Chiesa riunita , nella sua struttura di popolo di Dio organicamente unito a Cristo Capo
offre al Padre, mediante il ministero del sacerdote sacramento di Ges, sotto le specie del pane e
del vino separati, transustanziati nel corpo e nel sangue di Cristo, il movimento ascendente
delloblazione della croce.. Ma poich il suo sacrificio (di fatto il sacrificio storico dellevento
morte-resurrezione misteriosamente ri-presentato) gi accettato, essa riceve in risposta, nel
mangiare la vittima, comunione ai beni divini di cui il Padre ha gratificato per essa questa vittima
(100-103).

Dopo aver ricordato i pasti presi da Ges con i discepoli e con i peccati e le parabole in cui si parla
del convito degli uomini con Dio, il Gerken scrive: la presenza eucaristica di Cristo da vedersi in
primo luogo nella presenza dellospitante, che mediante il suo convito dona comunione con s come
realizzazione massima della promessa: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (Mt
28, 20). La tavola che la Chiesa prepara per la celebrazione eucaristica ed alla quale essa stessa si
nutre la mensa imbandita da Ges mediante lultima cena, mediante la sua promessa, la sua morte
e la sua resurrezione. Come risorto egli ha nella forza del suo spirito il potere di imbandite in qualit
di padrone la mensa eucaristica. Ci che egli offre a questa mensa la comunione con se stesso, e
per questo tramite la partecipazione alla sua unione col padre, il che si concreta nel fatto che Ges
fa del pane e del vino, mangiato e bevuto durante il convito festivo, unespressione della sua
donazione di vita, un segno della sua comunione coi discepoli (25-26).

Non sono che esempi di un nutrito coro di voci che ha voluto rimettere in rilievo la tensione verso la
comunione del sacrificio eucaristico. Nulla da ridire su una teologia che promuova la partecipazione
dei fedeli alla comunione e ne metta in luce tutto il valore anche nel Concilio Vaticano II risuona
lesortazione perenne della Chiesa: Si raccomanda molto quella partecipazione pi perfetta alla S.
Messa, per la quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote ricevono il corpo del Signore dal
medesimo sacrificio (sc 55). Il nuovo codice di diritto canonico raccomanda: I fedeli abbiano in
Sommo onore la santissima Eucaristia partecipando attivamente nella celebrazione dellaugusto
sacrificio, ricevendo con frequenza e massima devozione questo sacramento e venerandolo con
somma adorazione (C. 898).

Da un punto di vista strettamente dogmatico sono necessarie alcune precisazioni e riflessioni.

Mentre fino al IV sec. in genere i fedeli che partecipano alla mensa si accostavano pure alla
comunione, a partire da questo periodo inizia in oriente luso di comunicarsi raramente. Gi S.
Ambrogio pu dire: Se quotidiano questo pane, perch tu devi attendete un anno per riceverlo,
come i greci usano fare in oriente? (De Sacr. 5, 4, 25), E S. Girolamo testimonia: tu mi domandi se
bisogna ricevere ogni giorno leucaristia come si dice usino la Chiesa romana e a Spagna..
Possiamo ricevere pure leucaristia in ogni tempo (semper) senza la nostra condanna e senza rimorsi
di coscienza (Epist. 71, 6).

La frequenza dellaccesso alla comunione ha subito nei secoli delle variazioni sorprendenti (cf. H.
M. Legrande, in Eucaristia, aspetti e problemi dopo il Vaticano II, 88-94). Non facile spiegare
questo fatto, che certamente motivato da disposizioni e sentimenti diversi che possono essere il
desiderio di nutrirsi ogni giorno del corpo di Cristo o una riverenza eccessiva (!) che ha consigliato
una frequenza pi distanziata; la faciloneria di comunicarsi senza troppi scrupoli o la pigrizia e
trascuratezza di tanti cristiani.

Lautorit della Chiesa dovuta intervenire per obbligare tutti i fedeli a ricevere la comunione
almeno in tempo pasquale, pur esortando pi volte alla comunione frequente.Va tuttavia notato che
mentre la stessa autorit rendeva obbligatoria la partecipazione domenicale alla messa, in materia di
frequenza della comunione ha lasciato pi libert.

Se le leggi ecclesiastiche si considerano anche espressione del ministero pastorale della Chiesa,
bisogna dedurre che la partecipazione alla messa, anche senza accostarsi alla comunione, ritenuta
pi necessaria della comunione, oppure che la partecipazione alla comunione considerata un
momento molto intenso ed elevato della vita del cristiano, per cui, pur rendendone obbligatorio un
minimo di frequanza, lasciata maggiormente alla decisione dei fedeli, al loro grado di maturit e
di esigenza di vita spirituale.

Ci che il magistero della Chiesa ha difeso che il sacramento della messa conserva il suo valore
anche se i fedeli non si comunicano ( invece obbligatoria, per lintegrit del sacrificio, la
comunione del sacrificio, la comunione del celebrante con lostia e il vino consacrati durante la
messa) (cf. DS 1758). Lenciclica Mediator Dei) richiama questo principio: Si allontanano
dunque dal cammino della verit coloro i quali si rifiutano di celebrare se il popolo cristiano non si
accosta alla mensa divina; e ancora di pi si allontanano quelli che, per sostenere lassoluta
necessit che i fedeli si nutrano del convito eucaristico insieme al sacerdote, asseriscono
accidiosamente che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un convito di fraterna comunanza, e
fanno della santa Comunione compiuta in comune quasi il culmine di tutta la celebrazione... La
santa Comunione appartiene alla integrit del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo
della comunione allaugusto Sacramento; e mentre assolutamente necessaria al ministro
sacrificatore, ai fedeli soltanto da raccontare vivamente.

Un latro punto in cui il magistero della Chiesa si pronunciato la liceit e validit della
comunione ricevuta sotto una sola specie, dato che sia nel pane che non vino consacrati presente
Cristo nella sua integrit (cf. DS 1731-1733).

LEUCARESTIA NELLA VITA DELLA CHIESA

Cosa significa l'eucarestia per la vita dei fedeli, per la vita della Chiesa? Qual la sua res, la sua
grazia specifica? E lultimo problema che affrontiamo, il punto di convergenza di quanto
abbiamo detto fin ora.

Consideriamo l'eucarestia nella sua totalit, come sacrificio sacramentale di comunione da cui
scaturiscono per la Chiesa i tesori di grazia propri di questo mistero che come il cuore e il centro
della sacra Liturgia, in quanto la fonte di vita che ci purifica e ci corrobora in modo che viviamo
non pi per noi, ma per Dio, e tra noi stessi ci uniamo col vincolo strettissimo della carit
(Mysterium fidei, n. 1).

Notiamo che, malgrado la sua indiscutibile centralit e preminenza, l'eucarestia non stata ritenuta
necessaria alla salvezza in senso assoluto (necessitate medi)come il battesimo e la penitenza per chi
caduto in peccati gravi dopo il battesimo (cf. DS. 1514; 1618; 1706; 1734). Il suo scopo infatti
non di donarci o di restituirci la grazia della giustificazione o della comunione con Dio, ma di
alimentarla, di accrescerla.

Il Decretum pro Armenis dice: Leffetto di questo sacramento, che esso produce nellanima di chi
lo riceve degnamente lunione delluomo a Cristo (adunatio hominis ad Christum). E siccome per
la grazia luomo si incorpora a Cristo e si unisce alle sue membra, ne consegue che in chi lo riceve
degnamente la grazia, per questo sacramento, si accresce, (augeatur); rispetto alla vita spirituale
questo sacramento opera ogni effetto del cibo e della bevanda materiale rispetto alla vita del corpo,
col sostentarla, accrescerla, guarirla, riempirla di gaudio (DS 1322).

Non facile ordinare gli effetti delleucaristia intorno a un principio unico. Accogliendo varie
suggestioni dei teologi che hanno costruito le maggiori sintesi teologiche (De la Taille, Schmaus
ecc.) possiamo dire che la grazia fondamentale delleucaristia lincorporazione a Cristo (adunatio
hominis ad Christum). da cui scaturiscono una prospettiva soteriologica (guarigione delle colpe,
crescita nella vita di grazia); una prospettiva ecclesiologica (formazione della Chiesa, unione di
carit); una prospettiva escatologica (pane di vita eterna, cammino verso la risurrezione).

Leucaristia veramente carne di Cristo, carne offerta in sacrificio e santificata, totalmente
permeata dallo Spirito, ressa sorgente di vita nuova. Essa si unisce alla nostra carne per comunicarle
la sua stessa vita, per trasformarla, da carne peccatrice votata alla morte, in carne corruttibile,
posseduta dallo Spirito, perci aperta al mondo divino, aperta allamore di Dio e dei fedeli. La
medesima vita di Cristo, diffondendosi in noi e cumunicandoci lo Spirito, edifica la Chiesa, la
grande famiglia formata da uomini dispersi dal peccato ma riunita dalla carit che risana e fa tornare
fratelli, forma la Chiesa come corpo di Cristo mediante il quale il Kyrios si rende presente nel modo
e vi compie la sua missione. Ed ancora la Chiesa che viene assimilata da Cristo nella sua Pasqua,
nel suo passaggio da questo mondo al Padre fino al giorno in cui parteciper alla sua gloria di
Signore risorto.

Cerchiamo di precisare i contenuti di questa visione sintetica.

Leucaristia rende presente il sacrificio di Cristo che la Chiesa totale, Capo e corpo, offre al padre,
nello Spirito, cos che i fedeli partecipano alla forza redentrice del mistero pasquale. Scrive il
Durrwell: Bisogna dirlo con forza: il pane eucaristico il corpo dato, il calice quello del
sangue versato. Cristo tanto immolato quanto presente nelleucaristia; la realt del sacrificio
pari allautenticit della presenza. Leucaristia il sacramento della comunione con Cristo nel suo
sacrificio. La Chiesa infatti deve raggiungere Cristo, divenire un corpo con lui, l dove si realizza la
salvezza: nella morte in cui Cristo glorificato ... Solo cos si cristiani: nella comunione di una
stessa morte e risurrezione con Cristo. Il compito di ogni sacramento, e anzitutto delleucaristia,
dintrodurre luomo nella comunione pasquale di cristo... la Scrittura insegna che la morte salutare
nel suo rapporto con la gloria (1 Cor 15-17); non parla il linguaggio dellapplicazione die meriti, ma
quello della comunione, di una comunione realizzata oggi con Cristo nella sua pasqua (26-27).
Cos si pu dire che leucaristia il sacramento di Cristo che, con la sua morte, viene presso i suoi
e realizza in loro la salvezza che in lui (ibidem, 48).

Leucaristia, come memoriale della Pasqua e comunione con il Cristo morto e risorto per noi,
alimenta la nuova vita iniziata nel battesimo e significata con specifiche virtualit negli altri
sacramenti. Essa quasi il compimento della vita spirituale della vita spirituale e il fine di tutti i
sacramenti (S. Tommaso, Sum. Th., III, q. 73, a. 3). Ora, sappiamo che la nostra partecipazione al
mistero pasquale produce la morte delluomo peccatore ed edifica la nuova vita secondo lo Spirito.

Il Concilio di Trento afferma che leucarestia lantidoto con cui veniamo liberati dalle colpe
quotidiane e preservati dai peccati mortali (DS 1638). La stesso Concilio tuttavia condanna che
dice che il frutto principale della santissima eucarestia la remissione dei peccati (DS 1655) e
stabilisce che per comunicarsi a coloro che sono coscienti di peccato mortale, per quanto possano
giudicarsi contriti, se c disponibilit di confessori, necessario permettere la confessione
sacramentale (DS 1661).

Che leucarestia purifichi il corpo di Dio, lo strappi dal peccato, un dato attestato largamente dalla
tradizione (cf. Tillard, 107-158). E naturale che sia cos, perch Cristo viene a noi con il suo corpo
sacrificato per noi e con il sangue effuso per la remissione dei peccati. Pure il Con. di Trento ricorda
che mediante il sacrificio della messa il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza,
rimette i delitti e i peccati anche enormi (DS 1743).

Perch allora non ammettere alla comunione coloro che sono coscienti di aver peccato gravemente,
senza prima essere riconciliati con Dio mediante il sacramento della penitenza? Appunto perch l
comunione con il corpo di cristo presuppone che si sia gi in possesso di una vita di grazia che deve
essere alimentata e accresciuta mediante lunione di carit con il Cristo che forma la sua Chiesa.

E giusto ci che dice il Tillard: E dunque indegno, per s, delleucaristia (e dunque non pu, per
s, riceverne leffetto di perdono) solo colui il quale, ancora coscientemente attaccato al suo
peccato, dunque ancora in una situazione di rifiuto della comunione di Vita con il Padre e i fratelli
di Ges, viene pertanto a chiedere il pane della carit, segno e causa del corpo ecclesiale. Indegnit
che deriva da una menzogna attuale: egli manifesta esteriormente unintenzione che non la sua,
esigendo socialmente un effetto che interiormente rifiuta, mangiando il nutrimento che fa la Chiesa
mentre pretende di restare separato dal Capo e dalle membra (129).

La distruzione del peccato contemporanea alledificazione della vita nuova nel Cristo, poich il
peccato non altro che il peccatore chiuso nella santit: Dio sopprime il peccato, quando trasforma
il peccatore. La Chiesa perdonata nelleucarestia, perch entra in comunione con lAgnello di Dio
che la santit di Dio nel mondo (Durrwell, 162).

Nelle osservazioni fatte fin qui sincontra continuamente il riferimento alla Chiesa. E naturale,
perch leucaristia stata sempre considerata essenzialmente come il sacramento che forma la
Chiesa. Il Betz riassume cos questo tema: Il luogo in cui il glorificato manifesta la validit e
luniversalit escatologica della sua opera salvifica la Chiesa. Essa lintegrazione del Christus
individualis al Christus totalis, allagostiniano Christus capur et corpus. E soltano in base a questo
Christus universalis si svela lessenza dell'eucarestia. Essa e la Chiesa sono cos intimamente
intrecciate che si costituiscono a vicenda. Non a caso concordano nella designazione di corpo di
Cristo. Questo concetto esprime lessenza della Chiesa nella sua forma pi profonda, la descrive
come lunit dei molti in e mediante Cristo, come la manifestazione visibile del glorificato.
Lespressione valida per la Chiesa non soltanto in un senso metaforico-sociologico, ma in uno
molto pi reale. Essa il popolo di Dio che viene animato dalla parole di Cristo, segnato e plasmato
nei sacramenti della sua opera salvifica, colmato dal suo santo Spirito, e persino nutrito con il suo
corpo e il suo sangue per essere compaginato come corpo suo... il convito del Signore lattuazione
pi intensa e profonda della Chiesa quale corpo di cristo. In esso infatti Cristo prende corpo nei
segni sacramentali e si consegna ai cristiani, al fine di incorporarseli, non solo spiritualmente, ma
anche in maniera corporale-totale, di renderli suo corpo e di coinvolgerli cos nel suo movimento
sacrificale per elevarli al Padre (MS 8, 327-328).

Lopera di De Lubac dimostra con abbondantissima documentazione come, sulla scia di S.
Agostino, per tutti gli autori latini del VII, VIII, e IX secolo leucarestia riferita alla Chiesa come
la causa alleffetto, come il mezzo al fine, nello stesso tempo che come il segno alla realt (23).
Gerhoh scriveva: Manducando Christi corpus fiunt Chiristi corpus (In psalm. 9), cio maginado il
corpo (eucaristico) di Cristo, i cristiani diventano il corpo di Cristo (la Chiesa).

Non possiamo neppure accennare a tutte le implicazioni di questo tema (cf. la opera di B. Forte e a
livello pi pastorale e spirituale, Eucarestia un solo corpo un solo spirito). Dobbiamo tuttavia
ricordare che leucaristia va considerata in modo tutto particolare come il sacramento della carit e
dellunit della Chiesa: Il pane spirituale, infatti, spiritualizza quelli che lo mangiano. Lo Spirito,
che lespressione dellessere di Dio e il signore del mistero pasquale impone alla Chiesa
eucaristica la legge del mistero pasquale che quella di Dio: una legge di amore e di comunicazione
di s. Leucaristia apporta alluomo peccatore, chiuso su se stesso, la grazia che lo salva aprendolo
agli altri; consente di essere in una maniera nuova, pasquale, di essere simile a Cristo che esiste in
stato di donazione di s e di comunione. La grazia eucaristica un bene che si possiede
condividendolo; di carattere trinitario e instaura nel mondo il regime della vita divina... Fatte le
debite proporzioni, i fedeli diventano fra di loro ci che Cristo per loro: spiriti datori di vita,
esseri in stato di donazione di s, dirradiazione di vita (Dorrwell, 149-150).

Formando con leucaristia il suo corpo ecclesiale, Cristo unisce i fedeli al suo sacrificio, alla sua
vita donata al Padre, alla sua vita donata al mondo. E in questa partecipazione alla vita sacrificale
di Cristo donata nelleucaristia che la Chiesa trova la sorgente pi valida della sua stessa missione,
perch la missione pi che una cosa da fare, un modo di essere. Lo stesso modo di essere del
Cristo, che linviato del Padre (C.E.I. Eucaristia... n. 55).

Mentre la Chiesa partecipa alla vita e alla missione di Cristo, trova nelleucaristia anche il pegno
della sua speranza, il pregustamento del convito eterno del Regno di Dio. Citiamo ancora il
Durrwell: Leucaristia il mondo futuro che sintroduce nella Chiesa, affinch la Chiesa vi penetri.
Infatti Cristo, di cui leucaristia il sacramento, in persona tutta lescatologia. La sua risurrezione
parusiaca; non c altra parusia allinfuori di quella, in cui Dio risuscita il suo Cristo incontro agli
uomini e il cui fulgore, un giorno, risplender agli occhi di tutti. Cristo egli stesso il Regno dei
Cieli; chiunque in lui, con lui nei cieli (73).

Con questa apertura alla pienezza di comunione di vita nel Regno, dove Cristo sieder per sempre a
mensa con i suoi dopo che si sar compiuta in essi pienamente la sua Pasqua, concludiamo queste
pagine dedicate al mistero eucaristico.

Il comprendere laltezza e la profondit di questo mistero un problema di grazia, di esperienza, di
vita.

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