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BATTISTA MONDIN

Storia
della
Metafisica
Volume 2
EDIZIONI STUDIO DOMENICANO
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i998 - PDUL Edizioni Studio Domenicano
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Finito di
stampare
nel mcsc di
giugno
1998
presso
le Grafiche Dehoniane
Bologna
INTRODUZIONE
Dalla metafisica classica alla metafisica cristiana
La metafisica classica conclude la
sua millenariaavventura con due
famose
opere
di Proclo che hanno
per
titolo: Elementi di
teologia
e
Teologia
platonica.
Questo
riferimento alla
teologia
un
fatto
importante
e alta-
mente
significativo.
Esso sta ad indicareche la
teologia"
non estranea
bens connaturale alla
metafisica; non un clandestino entrato abusiva-
mente ncl territorio della metafisica bens il
suo
legittimo proprietario.
Del resto
gi
Aristotele aveva detto che la "filosofia
prima"

doppia-
mente
teologica: perch
tratta di Dio e
perch
Dio Colui che
possiede
in
modo eccellente
questa
conoscenza.
La metafisica
corrisponde
essenzialmente, come
sappiamo,
alla se-
conda
navigazione.Questa
conduce la
ragione
oltre il mondo
sensibile,
oltre il mondo naturale della
fisica, e la eleva al mondo
sovrasensibile,
che il mondo metafisico dello
spirito.
La
lunga
e
paziente esplorazione
del mondo dello
spirito port
la
me-
tafisica
classica,
nella
sua
fase
conclusiva,
alla
scoperta
di Dio: l'unico
Dio
(lUno,
il
Bene)
di
Plotino,
Porfirio e Proclo. Cos l'ultimo
approdo
della seconda
navigazione"
non un
principio primo
anonimo, un Mo-
tore immobile,
bens Dio
stesso, e un Dio che
assume connotazioni
spic-
catamente
religiose
e non
pi semplicemente
metafisiche, un Dio che
non

pi
unicamente
oggetto
di metafisica
contemplazione,
ma
anche di
mistica
unione,
colui
con
il
quale
lanima
ama restare sola con
il Solo.
Su
questo
terreno,
il terreno di
Dio, avvenneil
passaggio,
non
forzato
ma naturale,
dalla metafisica classica alla metafisica cristiana.
Certo
per
il cristiano Dio non il
punto
darrivo della seconda navi-
gazione",
cio il risultato di
una ricerca
filosofica,bens il
punto
di
par-
tenza di
una
professione
di fede. Dio non una
scoperta
della "seconda
navigazione",
ma il dono di
una
speciale
rivelazione,
la rivelazione
che
Cristo,
il
Figlio
di
Dio,
fa all'umanit. lui che rivela il volto trinita-
rio cli
Dio,
il volto del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo. E tuttavia
anche il cristiano
pu parlare
filosoficamentedi Dio. Cos il
pensatore
che vuole
parlare
di
Dio,
pu
fare un
duplice
discorso:
un
discorso di fe-
de
e un discorso di
ragione.
l due discorsi
possono
correre
paralleli, poi-
che il discorso di fede si basa esclusivamente sullautorit: l'autoritdei
6 Introduzione
Profeti,
di
Cristo,
degli Apostoli.
Basta invocare la testimonianza di Mo-
s,
di Cristo e
degli Apostoli
e
gi
si sa tutto ci che si deve
sapere
su
Dio. Invece il discorso di
ragione
si basa esclusivamente sui
"puri ragio-
namenti e sullevidenza razionale.
Ma
poich
sulla stessa e unica
intelligenza
del credente che
gettano
la loro luce i due lumi della fede
e
della
ragione,
inevitabileche i due
discorsi
vengano
ad intrecciarsi e a fecondarsi a vicenda. C' una
fede
che si arricchisce dei concetti della
ragione,
e c' una
ragione
che si arric-
chisce dei doni della fede. Come dice
Hegel,
il
principio
della
religione
cristiana deve venire elaborato
per
il
pensiero,
la conoscenza
pensante
se
lo deve
appropriare,
esso si deve realizzare in
lei,
di modo che la co-
noscenza
pensante pervenga
alla conciliazione,
abbia in s l'idea divina,
e
la ricca cultura dell'idea filosoficasi unisca col
principio
cristianoml
Cos la metafisica cristiana diventa
teologica
in una maniera ancora
pi
intensa e
pi esplicita
della metafisica
classica, e tutto
questo
senza
venire meno
alla sua
specificit
di essere un
discorso
rigorosamente
ra-
zionale,
condotto secondo i
criteri,
le
regole
e i metodi della filosofia.
Ma una
metafisica che si
avvantaggia
di alcuni teoremi di
origine
rive-
lata,
che risultano tuttavia validi anche dal
punto
di vista della
ragione,
teoremi che la filosofia
greca
non aveva
mai
acquisito
e riconosciuto,
in
particolare
il teorema della creatio ex
nihilo e
quello
del valore assoluto
della
persona.
Pertanto la metafisica cristiana
riprende
il camminano della ricerca
della Causa ultima e del
Principio primo,
l dove l'avevano lasciato in-
terrotto i due
grandi padri
della metafisica
greca,
Platone
e Aristotele, e
lo
riprende
facendo tesoro sia dei loro
preziosissimi insegnamenti
sia
del
grande potenziale
filosoficoche
portava
con s il cristianesimo. Cos,
nella loro seconda
navigazione
i metafisici cristiani
procedono pi
si-
curi e
spediti, perch
la loro navicellae
sospinta
dai venti della divina ri-
velazione.
Il
potenziale
filosofico
e
metafisico del cristianesimo
Per
capire
i nuovi
sviluppi
e le nuove
acquisizioni
che far
registrare
la metafisica cristiana
rispetto
alla metafisica classica dobbiamoanzitut-
to considerare che il cristianesimo conteneva in s virtualmente una
potente
struttura filosoficae razionale.
1) G. W. F. HFLJEL,
Lezioni sulla Storia
dellafllosofia,
III,
Firenze
1967,
p.
101.
Introduzione
7
ll cristianesimo una
religione
e non una filosofia: un'azione di sal-
vezza (una
Heilsgesclzrclzte)
e non una
speculazione
filosofica. Il
suo
obiettivo non , come
per
la
filosofia,
fornire una
spiegazione
esaustiva
della
realt, ma stabilireun
rapporto
di comunione dell'uomo con Dio.
Di
questo presentano
una
chiara conferma anche la vita e
gli insegna-
menti di Cristo. Se richiamiamobrevemente alla memoria in che modo
fu accoltoil
messaggio
che Ges
predic
e
quello
di coloro che ad
esso si
convertirono,
dobbiamoconcludere che
non
ebbe nulla a
che fare con
la
filosofia: il Padre
nostro,
il Sermone della
montagna,
le
beatitudini,
la
parabola
del
figliol prodigo,
i detti e le ammonizioni di
Ges, come sono
raccontati dai tre
Vangeli,
sono
per
lo
pi piani,
molto
semplici,
fino al
punto
da
distinguersi
in modo antitetico non solo da
ogni
filosofia, ma
anche da
complicate religioni,
come
quella legalitaria
dell'Antico
Testamentoo
quella
ellenica,
legata
alla formalit del rito. La
purezza
di
cuore,
l'essere come fanciulli dinanzi a Dio,
la
semplicit
della fede desi-
gnano
il carattere
religioso
della nuova credenza,
che
non vuole essere
altro che
pura
religione
della
intenzione,
lontana da
ogni
fede
legalitaria
e
formalismi culturali?
E tuttavia la salvezza voluta
e attuata da Cristo abbraccia
e investe
tutto l'uomo
e, quindi,
tocca tutte le
sue
facolt. La
sua azione salvifica
riguarda
anche
l'intelligenza
e non soltanto la volont e
il
cuore.
E ci
che salva
l'intelligenza
la
conoscenza
della verit. Per
questo
Ges
Cristo vuol essere non soltanto via e vita, ma
anche verit:
Ego
sum zaia,
veritas et vita
(Gv 14, 6).
Il
suo
Vangelo
non solo l'annuncio di
una
buona
novella,
della venuta del
Salvatore,
della liberazionedalla schia-
vit del
peccato
e della
morte, ma
anche la luce che
squarcia
le tenebre e
dissipa
l'errore,
luce che illuminala mente e le fa
conoscere le
grandi
verit su Dio, sull'uomo,
sul mondo
e
sulla storia.
Il cristianesimo rivela molti misteri del tutto inaccessibilialla
ragione.
Tali
sono
i misteri della
Trinit,
della
Incarnazione,
della
grazia
santifi-
cante,
del
Corpo
mistico,
della risurrezione della
carne.
Rivela
per
anche alcune
importantissime
verit che la
ragione
di
per
s
poteva rag-
giungere
ma
che di fatto non aveva mai
raggiunto.
A
questo
secondo
gruppo
di verit si d il
nome
di
rivelabile,mentre il
primo gruppo
viene
detto ritrelatr)
(revclatitnfi
Il secondo
gruppo rappresenta
il
potenzialefilo-
soflco
e
rnetaflsico
del cristianesimo.
2)
E.
HOFFMANN,
Platonisnzo e
filosofiacristiana, tr. it.
Bologna
1960,
pp.
138-139.
3) Questa
distinzione tra revelatirm
e rezvelabile stata introdotta da E.
Cilson,
per
definire l'area della filosofia
cristiana,
che
quella
del rcvelabilc. Cf. E.
CILSON,
L0
spirito
della
filosofi}:
medioevale, Brescia 1983.
8 Introduzione
Il
potenziale
filosoficoe
metafisico
presente
nel
cristianesimo,
che
contribu ad arricchire ulteriormente sul
piano
razionale le
grandi
con-
quiste
che la metafisica classica aveva
gi guadagnato
con la "seconda
navigazione, riguarda
alcune
importantissime
verit,
esposte qui
di se-
guito,
che la filosofia
greca
non era
neppure
riuscita a sfiorare da vicino
e di cui
ignorava
i concetti e
talvolta
persino
i termini.
lL CONCETTO DI CREAZIONE
Per i
greci
il mondo era una realt divina ed
eterna, senza
origine
e
senza fine;
gli archetipi
della realt
(le
Idee
per
Platone,
le forme
per
Aristotele,
i
logo! spermatiko
per
gli
Stoici,
gli
atomi
per
Democrito e
per
gli Epicurei)
erano essenzialmente immutabili. Cos il concetto di crea-
zione inteso come
produzione
totale di una cosa
dal nulla rest totalmen-
te estraneo ai
greci.
L'unico
tipo
di azione che essi riconoscevano era
la
trasformazione,
la
produzione
cio nella materia di una nuova
forma
mediante la eliminazionedella forma
precedente, oppure
la
emanazione,
cio la
processione spontanea
di nuovi esseri da
un essere
precedente.
Persino al
Demiurgo
di Platonee
al
Logos degli
Stoici non consentito di
fare di
pi.
Ex nihilo nihil
fit
fu
sempre
il
primo
assioma della metafisica
classica,
condiviso non
solo da Parmenide e
da
Eraclito, ma
anche da
Platone e da Aristotele,
da Plotino
e
da Proclo. La creazione - intesa come
produzione
di
una cosa
dal nulla assoluto e non
semplicemente
da un
nulla relativo - un concetto
squisitamente
biblicoe cristiano, Concetto
che esalta
per
un verso l'assoluta trascendenza di Dio
rispetto
ad
ogni
altra
realt, e
per
un
altro verso sottolinea la radicale
dipendenza
di
ogni
cosa
da Dio. Creazione dice
contingenza
e
precariet rispetto
alle
cose,
ma allo stesso
tempo
attesta bont e
munificenza da
parte
di Dio.
Creazione
significa
che il mondo non il
prodotto
di divinit
maligne,
incuranti della sua sorte, non frutto del
caso,
non nasce e
perisce
ciclica-
mente,
ma un
effetto
meraviglioso
della bont di Dio.
IL CONCETTO DI SPIRITO
Il termine
pneuma
(spirito)
ricorre
spesso
nella filosofia
greca,
special-
mente
negli
Stoici. Ma viene usato
per
designare,
oltre che l'aria e il
vento,
il
principio
vitale, e
di
conseguenza
anche l'anima. Ma anche di
questa gli
Stoici hanno
una
concezione
pesantemente
materialistica.
Anche
quando
Platone e Aristotele, con
la "seconda
navigazione, rag-
giungono
la dimensione dellimmateriale,
questa
non viene definita
come
spirito,
ma
piuttosto
come Nous,
ossia come
attivit intellettiva.
Introduzione
9
Per i
greci
lo
spirito
non
adunque spirito individuale;
questa
lacuna
colmata dal
Cristianesimo,
in cui lo
spirito

come
presente,
attuale,
immediatamenteesistente nel
mondo, e dello
spirito
assoluto si ha
co-
scienza come di
un uomo immediatamente
presente>>.4
L'idea che lo
spi-
rito costituisca il livello
pi
elevato della realt e che
riguardi
non sol-
tanto un'attivit ma
possa
anche
designare
individui, sostanze e
perso-
ne, questa

una
conquista
del Cristianesimo.

nel Cristianesimo che 10
spirito
divienecoscienza
autotrasparente,
una realt "in s e
per s"_
(per
usare il
linguaggio
di
Hegel),
libera iniziativae assoluta libert. E nel
Cristianesimo che il mondo della "seconda
navigazione
diviene il
mondo dello
spirito
e
degli spiriti.
Con l'identificazione
poi
di una delle
Persone della Trinitcon lo
Spirito
e facendodi lui lo
Spiritus
creator che
comunica l'esistenza
a innumerevoli esseri
spirituali
e materiali,
nuovi
grandissimi
orizzonti
vengono spalancati
alla metafisica.
lL VALORE ASSOLUTO DELL'UOMO E n. CONCETTO DI PERSONA
Il cristianesimoha il
duplice
merito di
aver affermatoil valore assolu-
to dell'uomo
e di
avere introdotto il concetto di
persona per designare
tutte
quelle
realt che hanno in se stesse un valore assoluto. Nonostante
il
suo straordinario umanesimo la cultura
pagana greco-romana
non ri-
conosceva valore assoluto all'individuoin
quanto
tale, ma faceva
dipen-
dere il
suo Valore esclusivamente dal
ceto,
dal
censo e
dalla
razza. Inve-
ce col Cristianesimo
ogni soggetto,
l'uomo
come
uomo,
ha
per
s un
valore
infinito, destinato
a
partecipare
a
questo spirito,
il
quale anzi,
in
quanto

Dio, deve
nascere nel cuore dell'uomo,
d'ogni
uomo. L'uomo
destinato alla
libert;
lo si riconosce
qui
come liberoin s>>.5 Ma anche il
Concetto di
persona

ufiacqusizione
del Cristianesimo. Storicamente il
vocabolo
"persona"
segna
la linea di demarcazionetra la cultura
pagana
e la Cultura cristiana. La vicenda nota: sia in
greco
sia in
latino,
fino
a
Tertulliano,
il
significato
che si dava al termine
persona
(che
l'equiva-
lente del
greco prosapon)
era
quello
di "maschera"
oppure
di vo1to.6
Fino all'avvento del cristianesimo non esisteva n in
greco
n in latino
una
parola
per esprimere
il concetto di
persona
cos
come Yintendiamo
noi
oggi, perch
nella cultura
pagana questo
concetto non c'era affatto.
4) G. W. F.
HEGEL,
op.
citi,
p.
92.
5)
Ibidwp.
101.
6)
ll
grande
storico Zeller osserva che nella filosofia
greca
antica
manca
persino
il
termine
per esprimere
la
personalit (E. ZELLER,
Die
Philosophie
dei Griechcn in
ihrer
geschichtlichcn Entzuicklung,
7
ed.,
Lipsia 1920,
p.
84).
10 Intraduzione
L'uomo antico - scrive Mounier assorbitodalla citt e
dalla
famiglia
sottoposto
a un
destino cieco, senza
nome, superiore agli
stessi di.
L'istituto della schiavit
non
offende
gli spiriti pi
nobilidi
quei tempi.
I
filosofi non
prendono
in considerazionese non
il
pensiero impersonale,
il cui ordine immobile
regola
la natura come le idee: la
comparsa
del
singolare
come una
incrinatura nella natura e nella coscienza fwur)
Il
Cristianesimo in mezzo a
queste
incertezze
porta all'improvviso
una
nozione decisiva della
persona.
Non
sempre
si
comprende oggi
lo scan-
dalo che essa costitu
per
il
pensiero
e
per
la sensibilit
grecaifi
Solo
grazie
al concetto di
persona

un essere
dotato di
dignit
infini-
ta e
di un
valore assoluto -
portato
dal cristianesimo,
che fa di tutti
gli
uomini delle
immagini
di Dio create direttamente da
Lui,
diventano ille-
gittime, ingiuste,
odiose tutte le discriminazioni basate sul
sesso,
sul-
l'et,
la
razza,
la
lingua,
il
potere,
l'avere,
il culto ecc.
Tutti
gli
uomini so-
no
egualmente degni
di
stima,
di
rispetto,
di
amore, persino
i
propri
ne-
mici,
in modo
particolare
i
pi
deboli,
i
pi poveri,
i
pi
umili e
indifesi.
Grazie a
questo
concetto rivoluzionariodi
persona
i filosofi cristiani
potranno
sviluppare,
al
posto
dell'umanesimo aristocratico e
razzista
dei
greci,
un
umanesimoveramente
universale.
ILCONCETTODI LIBERT
I
greci
avevano
indubbiamenteun
grande
concetto della libert
poli-
tica,
che
per, pi
che come
libert individuale e
personale,
era
intesa
come
libert collettiva,
libert della e
nella
polis.
Essi, invece, non
rag-
giunsero
mai il concetto
della libert
psicologica, quella
libert che
rende l'uomo sovrano
di
se stesso e
delle
proprie
azioni.
Questo
concet-
to era
loro
precluso perch
consideravano l'uomo incatenato da tre
potenze
irremovibili:il
Fato,
la Natura e
la Storia. Scrive
Hegel
in una
pagina
famosissima
dell'Enciclopedia:
delle scienze
filosofiche:
Intere
parti
del mondo,
l'Africae lOriente, non
hanno mai avuto
questa
idea, e non
l'hanno ancora: essi
sapevano per
contrario,
soltanto che l'uomo e real-
mente libero merce la nascita (come
cittadino ateniese,
spartano
ecc.) e
merc la forza del carattere e
la
cultura,
merc la filosofia
(lo
schiavo
anche
come
schiavo in catene libero). Quesfidea
venuta al mondo
per opera
del Cristianesimo,
per
il
quale
l'individuo come
tale ha valore
infinito,
ed essendo
oggetto
e
scopo
dell'amore di
Dio,
destinato ad
avere una
relazione assoluta con
Dio come
spirito,
e
far che
questo
dimori in lui: cio l'uomo in s destinato alla somma
libert.8
7)
E.
MOUNIER,
II
personalismo,
Roma 1966,
pp.
14-16.
3)
G. W. F. I-IEGEL, Enciclopedia
delle scienze
filosofiche,
Bari 1951,
pp.
442-443.
Introduzione 11
ILCONCETTODI STORIA
La storia dai
greci
era
concepita
come una
sequenza cronologica
mec-
canica e fatale di
eventi, non come un insieme di momenti
propizi
(kairoi)
offerti
all'uomo,
dinanzi ai
quali egli
chiamato ad assumersi le
proprie responsabilit.
ll concetto cristiano della storia diametralmente
opposto
al concetto
greco
di
un movimento circolare che ritorna su se
stesso
dopo
un determinato
numero di anni
(calcolati
generalmente
in
diecimila). I Cristiani hanno
un concetto lineare
e ascensionale della sto-
ria, e
questa
nel suo
svolgimento
ha
gi segnato
un momento
(kairs)
decisivo,
quello
dell'avvento di Cristo. Il
tempo
storico ha
per
il cristia-
no un carattere del tutto diverso da
quello
del ciclo
cosmico,
dato che la
storia ha nella
irripetibilitdellapparizione
di
Cristo, una
data centrale
(...). Cos in
epoca
cristiana l'antica idea della ciclicit dell.a storia del
mondo si evolve in
quella
di
una dimensione lineare
(...).
Con l'ammis-
sione del
tempo
lineare
e
della
sua
data
Centrale, sono
di massimaesclu-
se dalla Coscienza Cristiana antiche
concezioni,
quale
per esempio, quel-
la dell'intero ritorno di tutte le
cose.
Uapparizione
di Cristo avvenuta
una volta
per
tutte in modo
definitivo; con ci anche la storia nella
quale
egli

entrato,
un avvenimento
irripetibile?
UN NUOVO CONCETTODI DIO
Al concetto
antropomorfco
e
polteistico
del divino che
prevaleva
nella cultura
greco-romana,
il cristianesimo
contrappone
un concetto
assolutamente
nuovo
in cui si intrecciano mirabilmentealcune
preroga-
tive che
esprimono
la
sua distanza infinita dall'uomo
e
dal mondo
(come
l'unicit
e l'infinita) e
altre che sottolineano la
sua vicinanza e
intimit
con l'uomo
e con il mondo
(come
la
paternit,
la
bont,
la mise
ricordia
ecc.).
Al concetto di
un Dio anonimo e assolutamenteineffabile
della metafisica
greca,
un Dio nascosto che
non entra in comunicazione
con
gli
uomini, un Dio che si trova oltre i confini dell'essere
e
del
cono-
scere,
il cristianesimo
contrappone
il concetto di
un Dio che
parla,
che
crea,
che rivela
se stesso, un
Dio che manifesta il
suo
triplice
volto.
Le
conseguenze
che
questo
nuovo concetto di Dio avr
per
la metafisica
cristiana
saranno
importantissime
e decisive.
9)
E.
HOFFMANN,
0p.
cit,
p.
158.
12 Introduzione
lL CONCETTODI CARIT (CARITAS, AGAPE)
I
greci
avevano indubbiamenteun vivissimo concetto dell'amore.
L'amore era
per
essi una
delle due forze
primarie
(l'altra era
l'odio o l'ini-
micizia)
che alimentavano la vita dell'universo. L'amore era
per
inteso
come desiderio, come
eros,
come
brama di
raggiungere
la
piena
realizza-
zione di
se
stessi
(con
la
generazione
fisica,
l'arte
oppure
la filosofia). 1
greci ignoravano
l'amore come
donazione di se stessi,
l'amore come
carit o
agape,
l'amore
altruistico,
gratuito,
disinteressato, universale,
qual
l'amore di Dio
per
gli
uomini.
Questo
il nuovo
genere
d'amore
rivelato da Ges Cristo. Ueros essenzialmente un amore
antropocentri-
co:
l'uomo ne la
sorgente
e
anche il
traguardo
finale;
lfixgape
eminente-
mente teocentrico: Dio il suo
punto
di
partenza
e
anche il suo
punto
d'arrivo;
un amore
che
procede
da
Dio,
un
dono di Dio con cui l'uo-
mo ama
il
prossimo
e Dio stesso.
Uagape
la caritas di cui
parlano
S. Paolo e
S. Giovanni mentre l'eros l'amore di cui
parlano
Platone e
Plotino.
Uagape
il
punto
centrale del
cristianesimo,
il motivo cristiano
fondamentaleprima
di
ogni
altro,
la
risposta
sia alla
questione
etica che
a
quella religiosa. Uagape
si
presenta
a noi come una creazione
completa-
mente nuova
del cristianesimo. il motivo che
impronta
di s tutto il cri-
stianesimo,
il
quale
senza
di
esso
perderebbe
il
suo carattere
peculiare.
Ijagape
la concezione
fondamentale originaria
del cristianesimmfloGrazie
aIVagape
il cristianesimoha
operato
una
trasformazionetotale
per quan-
to
riguarda
il
problema
etico e
il
problema religioso
(...)
il cristianesimo
ha
prodotto
un mutamento tale nel modo di
porre
sia il
problema
etico
sia
quello religioso,
che essi non hanno
pi
il medesimo
significato
di
prima;
pi ancora,
ha dato loro
una
risposta
nuova. Questo
mutamento ha la sua
radice nel concetto di
agapem
Ma oltre che sul
problema
etico e
religioso
il concetto di
agape
ha
una vasta risonanza anche sul
problema
me-
tafisico. Mentre il massimo Concetto di Dio cui era
giunta
la metafisica
ellenica era
quello
di
Bene,
che
per
era
pi oggetto
dell'eros che
sorgente
d'amore;
nella nuova
metafisica cristiana l'amore si identifica con
la
natura stessa di Dio: "Deus caritas est" sar la
nuova
definizionedi Dio.
Attingendo
al
preziosissimo capitale
filosoficoe
metafisicoche la rive-
lazione cristiana aveva
elargito
all'umanit,
i filosofi cristiani faranno fa-
re alla "seconda
navigazione"
enormi
progressi.
Con
un
lavoro assiduo e
costante che si
protrarr per
oltre
un
millennio
quel
maestoso edificio
metafisico che
Platone, Aristotele,
Plotino e Proclo avevano
gi
innalzato,
Verr ulteriormente consolidatoe
Completato
in tutte le
sue
parti.
l) A.
NYGREN,
Eros e
Agape, Bologna
1971,
p.
29.
n) bid,
pp.
24-25.
Intraduzione
13
Le caratteristiche della metafisica cristiana
Dopo
l'infuocato dibattito
degli
Anni Trenta intorno alla
filosofia
cri-
stiana
qualcuno
si domander
se si
possa parlare propriamente
e
legitti-
mamente di
metafisica cristiana, 0 se non
valgano
anche
per questa
espressione
le obiezioni sollevate da
Brunschvicg
e da
Heidegger
contro
la filosofiacristiana.
L.
Brunschvicg
sosteneva che
l'espressione
"filosofiacristiana" una
contradictin in terminis.
Infatti, o
il battesimo
somministrato da
S. Tommaso alla dottrina aristotelica ne conserva l'essenza
Oppure
la
trasforma sostanzialmente: nel
primo caso,
la filosofia tomista essendo
nella
sua intima natura aristotelica o
pagana
non di
tipo
cristiano;
nel
secondo
una
fede
e non una filosofia
(...). Ci ci induce
a concludere:
l'autoredi
un sistema di filosofia
pu
essere cristiano, ma
questo
fatto
ufiaccidentalit
senza
rapporto
con la
filosofia, come nel
caso
di
un trat-
tato di matematica o di
medicina;
oppure
se il
suo cristianesimo ha
preso possesso
dell'uomo
tutt'inter0,
il
suo modo di fare filosofico
non
pi quello
dei IOSOL
L'argomento
di
Heidegger

ancora
pi
radicale. A suo
parere
al cri-
stiano
manca addirittura la
disposizione psicologica per operare
seria-
mente da
filosofo, e
segnatamente
da
metafisico, in
quanto
il
filosofo, e
soprattutto
il
metafisico, sollevano
questioni
ultime che il cristiano a
motivo della
sua fede
non
pu esprimere
seriamente. Secondo
Heidegger
la fede esclude la filosofia
(la metafisica)
nel
suo
oggetto
stes-
so, poich
questo
consiste
nell'interrogativo
sul fondamento dell'esi-
stente: Perch vi
,
in
generale,
Yessente
e non il nulla?. E
poich
nella
fede il credente confessa che l'ente creato da
Dio,
egli
nega,
con la
sua
stessa
confessione,
ogni
ulteriore diritto alla domanda metafisica. Colui
che rimane sul terreno della fede
pu
senza dubbio in
qualche
modo
riproporre
la
domanda,
pu parteciparvi,
ma non
pu
veramente inter-
rogarsi
Con seriet senza tradire la
propria
fede
(...).
Egli
non
pu
com-
portarsi
che "come se"
; egli
non
pu
formulare realmente la domanda
nella
pienezza
della
sua
capacit interrogativa
n
partecipare all'ango-
scia che le
inseparabile;
la
sua fede nel Creatore lo sottrae alla
vertigi-
ne
dellnquietudine
metafisica. In
conclusione,
l'idea di
una filosofia
cristiana
non
pu
essere che
un
equivoco>>fl3 Altrove,
per
mostrare l'in-
sensatezza
dell'espressione
"filosofia
cristiana",
Heidegger
la
paragona
all'espressione
"ferro
legnoso",
una
espressione
ovviamente
non sensa-
ta, perch
ci che ferro non
legno
e ci che
legno
non ferro.
12) In "Bulletin de la Socit Francaise de
Philosophje,
pp.
75-76, 1931.
13) M.
HEIDEGGER,
Einfiirung
in dcr
Metaphysik, Tbingen
1953,
p.
6.
14 Introduzione
Per
Brunschvicg
e
per
Heidegger l'espressione
filosofiacristiana, e
analogamentel'espressione
"metafisica cristiana,
possono
avere
soltan-
to un
significato
storico e
culturale (in
quanto
si riferiscono a una
filoso-
fia fatta in una
cultura Cristiana e
da autori cristiani), ma non
possono
avere un
significato
teoretico e
sostanziale.
Contro
Brunschvicg, Heidegger
e molti altri storici laici
negatori
del-
la filosofia cristiana, Maritain, Gilson, Blondel, Marcel,
Garrigou-
Lagrange,
Masnovo ecc. hanno mostrato che di filosofia cristiana
(e
implicitamente
di metafisica cristiana) si
pu parlare
correttamente
non
soltanto in
senso
storico e culturale, ma
anche in senso
teoretico e
sostanziale, senza
cadere in nessun
equivoco
e senza incorrere in alcu-
na contraddizione.Del resto basta il minimo di obiettivitda
parte
dello
studioso della filosofia medioevale
per
riconoscere che in autori come
Agostino,
Boezio, Anselmo, Tommaso,
Scoto non
ci troviamo di fronte a
sistemi filosofici che meritano
l'appellativo
di cristiano" soltanto
per
ragioni
storiche e culturali, ma
anche
per
ragioni
intrinseche, teoretiche,
sostanziali. In effetti si tratta di sistemi in cui
gli
autori cristiani non
si
sono
accontentati
semplicemente
di
ripetere
le dottrine dei
grandi
filo-
sofi
greci
ma
hanno elaborato sistemi nuovi nei
quali
la forma rimane
quella specifica
della filosofia, mentre alcuni contenuti sono
derivati
direttamente dal Cristianesimo,
per
es.
i concetti di creazione,
di
perso-
na,
di
spirito,
di
libert,
di
storia,
di
agape,
dellunicit di
Dio,
della
bont della materia ecc.
Prendendouna
per
una
queste
verit anche
gli
storici di fede laica riconoscono che esse
debbono la loro
origine
al cri-
stianesimo, ma non
vogliono
ammettere che sono
stati i
pensatori
del
medioevo a
conferire loro uno statuto filosoficoe
un'espressione
razio-
nale.
Questo
sarebbeun
merito della filosofiamoderna. Ma
qui
ci trovia-
mo
di fronte a una
patente
falsificazionedella
storia, come
ha mostrato
in modo inconfutabileE. Gilson nella sua
opera
magistrale
L0
spirito
della
filosofia
medioevale e
nelle sue
eccellenti
monografie
sul
pensiero
filosoficodi S.
Agostino,
S. Bonaventura,
S. Tommaso e Duns Scoto.
Il merito di aver
costruito con
verit accessibili di
per
s alla
ragione
umana,
ma
che di fatto a
questa
vennero rese note
per
la
prima
Volta
dalla divina rivelazione, un
patrimonio
filosoficoricchissimo,
spetta
ai
Padri e
agli
Scolastici, a
quei
valenti
pensatori
cristiani
che
portano
il
nome
di Clemente Alessandrino,
Origene, Gregorio
Nisseno, Basilio,
Pseudo
Dionigi, Agostino,
Boezio, Anselmo,
Alberto
Magno,
Bonaven
tura, Tommaso,
Scoto.
14) Sul dibattito intorno alla filosofiacristiana si veda L. BOGLIOLO,
Il
problema
della
filosofia
cristiana,
3 ed.,
Roma 1995.
15) E. GILSON,
L0
spirito
della
filosofia",
cit.
Introduzione 15
La sintesi tra
pensiero
ellenico
e verit cristiane non affatto
un "fer-
ro
legnoso
come affermava
Heidegger,
ma una costruzione
armoniosa,
frutto di
un'operazione intelligente
che, da
una
parte,
ha consentito al
Cristianesimo stesso di
assumere
un'espressione
razionale che
prima
non aveva
e, dall'altra,
ha
permesso
alla
filosofia,
specialmente
alla
metafisica,
di
guadagnare
nuovi contenuti
preziosi
che i filosofi
greci
non avevano
saputo
darle.
Abbiamovisto di
quale
straordinario
potenziale
filosoficoe stato
por-
tatore il cristianesimo. Si tratta di
un
potenziale
che viene ad
arricchire,
anzitutto
e
soprattutto,
la metafisica. Esso infatti
non
riguarda
la
logica,
la
gnoseologia, l'antropologia,
la
morale, l'estetica
o la
politica.
In tutti
questi campi
moltissimo
era
gi
stato detto
e non di rado in modo
con-
clusivo dalla filosofiaellenica. Le verit
pi
difficili da
scoprire
erano
quelle
che la metafisica
greca
aveva cercato di
raggiungere
con
la se-
conda
navigazione,
ma il
pi
delle volte
senza riuscirci.
Ora,

proprio
su
queste supreme
verit: la Causa
ultima,
la sua
natura,
le sue
pro-
priet,
le
sue
operazioni, l'origine prima
delle
cose,
che il cristianesimo
irradia la sua
fulgida
luce.
dalle
nuove verit
contenute nel
grande potenziale
filosoficodel
cristianesimoche la metafisica cristiana deriva le sue
principali
caratteri-
stiche. Essa sar
sempre
una metafisica
creazionistica,
personalistica, spiri-
tualistica ed
agapica.
Infatti le dottrine che fanno da
sostegno
al
nuovo
edificio metafisico cristiano
sono: 1)
il "teorema della
creazione",
l'asset-
to cio che
gli
enti
traggono origine
dal nulla
per
liberadecisione di
Dio;
2)
il mondo trascendente il mondo dello
Spirito,
non delle Idee
o delle
Forme; 3) e un mondo abitato da esseri
intelligenti
e liberi,ossia da
per-
sone; 4)
un mondo in cui
regna
sovrano l'amore
(agapc)
e in cui anche
l'essere,
la
verit,
la
potenza,
il bene
sono
espressioni dell'amore, un
amore ovviamente
personale
e
spirituale.
H. Heimsoeth ha colto molto bene le
peculiarit
della metafisica cri-
stiana nel
suo
importante saggio
l
grandi
tenzi della
metafisica
occidentaleflv
Anche
a suo
parere
i tratti salienti della metafisica cristiana
sono il
crea-
zionismo,
il
personalismo,
lo
spiritualismo
e l'amore. Ecco
quanto egli
scrive nel
capitolo
dedicato all'anima:
(Nella visione
cristiana) ci su cui
posto
l'accento
non sono
pi
cose ed
essenze, corpi
o idee, ma solo anime
individuali,
persone
con
conflitti
e destini interiori. Alla loro
pi pura
interiorit
proposto
il
pi
immane dei
compiti:
non
questione
di
come esse sussistano in
un tutto visibileo invisibile
e ad
esso abbiano
parte,
ma di
come esse
16) Mursia, Milano 1973.
16 Introduzione
si situino,
si
rapportino
interiormente a uno
Spirito
sottratto ad
ogni
oggettivit
terrena o
superiore. Spirito
che a sua
volta
persona,
Dio
per-
sonale,
che conoscenza
di ci che accade all'uomo. Gi di
per
s la
dottrina della creazione
comporta
l'assoluto
prevalere
di ci che e
spiri
tuale in
questo
nuovo senso soggettivo-personale:
intelletto e
volont
non sono
pensati
come
funzioni
superiori
di un essere
naturale che si
eleva dalla materia all'attivit vitale e ancora
aIYagire
razionale, ma
l'intera natura,
il cosmo stesso visto come
prodotto
di un atto
perso-
nale che si
compie
mediante
pensiero
e volont. Mentre Pantichit
aveva
pensato
fino al suo tramonto secondo concetti naturali e cate-
gorie
obiettivedell'essere (il
mondo come
processo
ascendente di vita
o
irradiarsi di luce),
qui
tutto
segue
dal concetto centrale di Persona e
dalle
categorie
dellinteriorit (il
mondo come creazione, e ci in
piena
opposizione
a Platone,
eliminando
ogni
essere ideale 0
materiale che
preceda
l'atto
spirituale
o ne sia il
presupposto).
Il
principio origina-
rio,
l'unico bene, non l'essere nel senso
di Parmenide, non
idea
del bene,
n nous come
forma
perfetta
e
fine motore-immobile,ma
persona
divina,
che sa e vuole, ama e dona. La
soggettivit
del Dio
per-
sonale non viene "mescolata" con
ci che materialee
singolo quan-
do essa lo
pensa,
entra
intima relazione con esso,
come
invece si
mescolano con
la materia la forma e
l'idea
quando
le si riferiscononel
loro
operare:
conseguentemente questo
Dio non deve
distogliersi
dal
mondo e
rivolgersi
in se stesso
per
conservare
la sua
altezza e
la sua
purezza
(m).
Ora il vero essere non
pi
un
sistema di strutture
intel-
ligibili,
non

pi
forma sostanziale e
neppure
il cosmo
degli
astri
orbitanti o
degli
atomi sferici, ma un
regno
di
persone
spirituali,
di
sog-
getti
che
vogliono
e sentono,
che stanno tra di loro e con
la
persona
divina in relazioni
affettive,
di amore e dedizione,
di accostamento o
allontanamentoda essi stessi
operato>>J7
Divisione della storia della metafisica cristiana
La metafisica cristiana
ha
una
storia millenaria,
che sostanzialmente
coincide col Medioevo. Ma
se
si fa
partire
il Medioevo dalla caduta del-
l'impero
romano
d'Occidente
(476
d.
C.),
allora l'arco della storia della
metafisica cristiana
supera
i confini medievali, perch
i suoi inizi risal-
gono
al II secolo dell'era cristiana.
Due sono le
grandi epoche
in cui si
pu
facilmentedividere la metafi-
sica cristiana:
l'epoca
dei Padri che va fino al VII secolo, e
l'epoca degli
Scolastici che
giunge
fino al XV secolo. Ci che caratterizza le due
epo-
che il diverso
rapporto
che esse
hanno coni due
padri
della metafisica
classica,
Platone e
Aristotele.
17)
H. HEIMSOETH,
l
grandi
temi della
metafisica
occidentale, Mursia,
Milano 1973,
pp.
110-111. I corsivi sono
miei.
Introduzione 17
La
Patristica,
praticamente, ignora
Aristotele
e assume come unico
interlocutore
Platone;
elabora
una
metafisica in cui si fa
largo
uso del
metodo,
delle
categorie
e delle dottrine
platoniche.
Cos la metafisica dei
Padri
pu
essere definita
una
metafisica cristiano-platonica:
cristiana
nella sostanza e
platonica
nella forma.
La Scolastica
non
ignora
Platone
anzi,
nell'epoca
della Scolastica esi-
ste
sempre
una forte Corrente
platonica,
che difende
energicamente
la
causa della metafisica
cristiano-platonica
e la arricchisce ulteriormente.
Ma con la
scoperta
cli
Aristotele,
nel secolo
XII,
l'interlocutore
privilegia-
to dei filosofi
e dei
teologi
cristiani
non e
pi
Platone bens Aristotele.
Cos la Grande Scolastica elabora
una metafisica che cristiana nella
sostanza
e aristotelica nella forma.
una
Inetafisica
cristiano-aristotelica.
Entrambe le
epoche
hanno scritto
pagine
indelebilinon solo
per
quanto
attiene la storia della Chiesa
e del
Cristianesimo, ma anche la
storia del
pensiero
cristiano,
dei
dogmi,
della
teologia,
della
filosofia,
della morale e della metafisica. Entrambe hanno avuto un inizio, uno
sviluppo
e un tramonto. In entrambe ci
sono state
figure maggiori
e
figure
minori. La nostra attenzione in
questa
storia della metafisica cri-
stiana si fermer
soprattutto
sulle
figure principali
ma senza trascurare
quelle
minori.
CLEMENTEE ORIGENE:
I CREATORI DELLA METAFISICACRISTIANA
La scuola di Alessandria
La culla della metafisica cristiana fu Alessandria
d'Egitto.
Quando
nacque
il cristianesimo
questa
citt era il centro culturale
pi importante
dell'impero romano,
avendo
preso
il
posto
che
precedentemente
era sta-
to di Atene.
L'epoca
ellenistica della cultura
greco-romana
ebbe come
centro Alessandria,
dove si Coltivava la
matematica,
la
geometria,
l'a-
stronomia,
la
musica,
la
storia,
la
letteratura,
l'arte e la filosofia. Ad
Alessandria fioriva anche la
pi
numerosa comunit ebraica della dia-
spora,
una comunit colta che
aveva
provveduto
alla traduzione in
gre-
co
della
Bibbia,
la famosa traduzione dei LXX. l dottori ebrei cercarono
anche
un terreno d'intesa tra le dottrine
religiose
rivelate
e
la filosofia
pagana,
rimuovendo le
divergenze pi gravi
con
l'interpretazione
alle-
gorica
delle Scritture Sacre.
Ad
Alessandria, a cavallo tra il I sec. a. C. e
il I sec. d. C.
visse,
inse-
gn
e
compose
le
sue numerose
opere
il
giudeo
Filone.
Questi,
rinno-
vando i
quadri
della metafisica
platonica,
cre un nuovo
genere
di filo-
sofia,
quella
che G. Reale chiama filosofia mosaica". In effetti Filone
diede vita a una nuova forma di
platonismo,
riformato in alcuni
punti
essenziali, Filone
riguadagna
in
pieno
il concetto
dell'incorporeo
e cos
si
riaggancia
allautentico
spirito
del
platonismo
al di l dei fraintendi-
menti dell'Accademia
eclettica, ma riforma il concetto di Dio
ponendolo
al di
sopra
delle
Idee,
riformala concezione delle Idee facendone
produ-
zioni e
pensieri
di
Dio,
trasforma in
senso creazionistico l'attivit
demiurgica
della
divinit,
riforma il concetto di
legge
morale facendone
un comandamento" di
Dio,
trasforma
l'antropologia
introducendo
alcune novit rivoluzionarienella concezione
dell'anima,
che frantuma-
no
non
solo
gli
schemi della
psicologia platonica,
ma
anche
quelli
di
tutta la
grecitw
1) G.
REALE,
Storia della
filosofiaantica, IV,
Milano
1996,
p.
253.
22 Parte
prima
Nella sua
filosofiae nella sua
metafisica Filone cerca di armonizzare
la fede con
la
ragione
e
la rivelazione biblica con
la filosofia ellenica.
Dal loro connubio le
acquisizioni
della metafisica
platonica
uscivano
consolidate e
ampliate.
L'uso del metodo
allegorico nell'interpretazione
dei testi sacri
gli
forniva uno strumento
prezioso per
ricavare da essi Ve-
rit metafisiche
e
morali che la sola
interpretazione
letterale non sem-
brava accreditare.
Con la costruzione della sua
metafisica
mosaico-platonica
Filoneave-
Va indirizzatoCon decisione il
pensiero
occidentale Verso la metafisica
religiosa,
che in Filone diviene
appunto
la metafisica
mosaica,
mentre
nei cristiani diverr la metafisica cristiana e nei musulmani la metafisica
islamica.
Alla scuola di Filone i dottori cristiani di Alessandria
impararono
a
fare
filosofia, e a elaborare una
metafisica cristiana,
creando una sintesi
tra filosofia
greca
e il
potenziale
filosoficodel cristianesimo.
Ad Alessandria il cristianesimo era
giunto gi
alla fine del
primo
secolo e vi aveva
impiantato
una
fiorente comunit. La tradizioneattri-
buisce
a S. Marco
l'evangelizzazione
di Alessandria. Girolamo dice che
da allora
sempre
ci furono ad Alessandria dottori della Chiesa? An-
che Eusebio attesta che
era antico uso
che vi fosse ad Alessandria una
scuola di
sacre
lettere!
Come ci informa Clemente Alessandrino, verso
la fine del Il
sec.,
Panteno, un cristiano di
origine
sicula,
Vi aveva
fondato una
scuola
pri-
vata. Notizie
pi ampie
su Panteno ci ha lasciato Eusebio nella sua Sto-
ria
ecclesiastica,
dove si
pu leggere
tra l'altro
quanto segue:
Ad
Alessandria
dirigeva
allora la scuola un uomo
celeberrimo e di
grande
cultura,
Panteno.
Egli proveniva dagli
stoici,
tra i
quali primeggiava.
Si
narra
che
egli
mostr un
ardore vivissimo e un cuore
pieno
di
coraggio
verso
la Parola di
Dio, e
che si fece araldo del
Vangelo
di Cristo tra le
nazioni d'Oriente, ove si
spinse
sino all'India
(...).
Dopo
numerosi suc-
cessi,
da ultimo Panteno
pass
a
dirigere
la scuola
alessandrina,
dove a
voce e con
gli
scritti commento i tesori dei
dogmi
divini.4
Dopo
la morte di Panteno la direzione della scuola di catechesi fu
assunta da Clemente che
procuro
di conservarla e di accrescerla. Il cam-
biamentodella scuola da
opera privata
in istituzione
pubblica
avvenne
quando
il vescovo
di
Alessandria, Demetrio, ne
affid la direzione a
Origene,
con
l'incarico di trasformarlada
semplice
scuola catechetica in
2) GIROLAMO,
Vir. i'll. 36,
1.
3) EUsEBio,
Hist. eccl.
V, 10,
1.
4) llid, V, 10,
1-4.
Clemente
e
Origene
23
scuola di
teologia
scientifica. Sorse cos il Didaskalcion,
la
prima
univer-
sit
teologica
dell'antichit cristiana: in essa
gli
studi biblici erano con
dotti con
notevole
rigore
scientificoe
l'approfondimento
dei misteri della
fede era
compiuto
ricorrendo ai
procedimenti
e ai concetti della filosofia,
di
quella platonica
in modo
particolare.
Come centro di studi accademici
la scuola di Alessandria
segu
le sorti del suo fondatore,
Origene.
E
cos,
dopo
la
sua
partenza
da Alessandria il Didaskaleiondecadr nuovamente
al livello di scuola catechetica. Ma come
indirizzodi
pensiero
la scuola di
Alessandria non cess di esistere
neppure
con la
scomparsa
di
Origene.
Anzi,
da
questo punto
di
vista,
questa
scuola rester viva
per
molti secoli
ed eserciter un
influssocostante e
profondo
su tutta la
teologia
orienta-
le,
conferendolele
seguenti
caratteristiche: l'utilizzazionedella
filosofia,
la
predilezioneper
il metodo
allegorico
nella
esegesi
scritturistica e la
forte
tendenza, sostenuta da un tratto fondamentaleidealistico,
all'inda-
gine speculativa
del contenuto
soprannaturale
delle Veritrivelatem
Il merito
principale
della scuola di Alessandria di avere creato la
scienza
teologica,
concedendo la cittadinanza cristiana alla filosofia e
costruendo una
solida metafisica cristiana.
Clemente Alessandrino
VITA E OPERE
Clemente
nacque
verso
il 150 d. C.
probabilmente
ad Atene. Si con-
verte al cristianesimo durante l'adolescenza. Avidodi cultura e
di verit
viaggia
moltissimo,
fino a
quando
si stabilisce ad
Alessandria,
dove
viene creato
presbitero
e
gli
viene affidata la direzione del
Didaskaleion,
che, come
sappiamo,
era la
pi importante
scuola di catechesi
dell'epo-
ca. Costretto a
lasciare la scuola durante la
persecuzione
di Marco Au-
relio,
si
rifugia
in
Cappadocia presso
il
discepolo
S. Alessandro che
era
diventato vescovo
in
quella regione.
Successivamente
svolge
la sua
atti-
vit
religiosa
anche ad
Antiochia,
meritandosi
gli elogi
dello stesso
Alessandro. La fine della sua
vita fissata tra il212 e il 216.
Della vasta e
feconda attivit letteraria di Clemente sono
giunte
a noi
quattro opere:
il Protrettico
(una
durissima critica delle
religioni pagane);
il
Pedagogo
(un
trattato sulla formazionedel cristiano
perfetto,
che
assu-
me come maestro Ges Cristo);
il
Quis
dives salvetur
(unbrazione
sul
giusto
e
buon uso
delle
ricchezze); e
gli
stremati - Note di vera
filosofia,
la
prima
e
fondamentale
esposizione
della filosofiacristiana.
5) H.
IEDIN (ed.),
Storia della
Chiesa, I,
Milano1976,
p.
299.
24 Parte
prima
GLI OBIETTIVI APOLOGETICI E SPECULATIVI DEGLI STROMATI
Clemente
pu
essere definito il Filone
cristiano;
egli
cerca
di fare
per
il cristianesimo ci che Filone
aveva
gi
fatto
per
il
giudaismo:
difender-
lo dalle
ingiustificate
accuse
dei
pagani
e dei
giudei,
trasformare i do-
gmi
della fede cristiana in verit di
ragione,
dando loro
un solido statu-
to
logico
e dottrinale.
Questa
duplice
finalit,
apologetica
e
speculativa,

apertamente
ed
esplicitamente
espressa negli
stremati. A
proposito
della finalit
apologetica
Clemente scrive: E
tempo
di mostrare ai
greci
che solo lo
gnostico
(il
filosofo
cristiano)
veramente
pio, per
cui
quan-
do i filosofi
avranno
imparato qual
il
vero cristiano,
condanneranno la
loro
ignoranza.
Essi
perseguitano
alla
cieca, a
caso,
il
nome,
e senza cri-
terio chiamano atei coloro che
conoscono il
vero Dio. E
con
i filosofi
con-
viene forse ricorrere
agli argomenti
razionali
pi
convincenti,
s che essi
gi
esercitati sulla base della loro cultura
possano
intendere,
anche
se
non si sono ancora mostrati
degni
di
partecipare
alla
potenza
della fede
(VII, 1, 1).
Il fronte
apologetico
non include soltanto i
pagani
e i
giudei
ma si estende anche
agli
eretici,
in
particolare agli gnostici
e ai
fideisti,
che
osteggiavano
la filosofiaconsiderandola
un
gravissimo pericolo
per
la fede. Contro tutti costoro Clemente combatte
con
particolare
acrimo-
nia;
si
pu
dire che la
polemica
percorre
tutta
l'opera.
x
Ma l'obiettivo
pi importante degli
Stromati
quello speculativo.
E
quanto
dichiara lo stesso Clemente all'inizio
dell'opera: Questi
Stro-
mati racchiuderanno
pertanto
la verit mescolata alle teorie dei
filosofi,
o
meglio inviluppata
e nascosta in
esse,
come nel
guscio
la
parte
com-
mestibiledella noce: e conveniente infatti che i semi della verit siano
lasciati in custodia ai soli coltivatori della fede. Non mi
sfugge poi quel-
lo che
sempre ripetuto
da certi
pavidi ignoranti: sostengono l'opportu-
nit di
occuparsi
delle
cose
pi
essenziali, cio di
quelle
che
contengono
la
fede, e di trascurare
quanto
estraneo e
superfluo
come
travaglio
per
noi
inutile,
che ci
impegna
in attivit che
non servono al nostro
scopo.
Alcuni anzi sono davviso che la filosofia
penetrata
nella nostra vita
provenendo
dal
maligno, escogitata
da
un
malvagio
inventore a rovina
del
genere
umano. lo mostrer al contrario
lungo
tutti
questi
Stromzzti
che il
vizio, s,
ha
una natura
malvagia
e non
potr
mai adattarsi a colti-
vare un bene
qualsiasi,
e lascer
Capire
in certo modo che fra le
opere
della divina
provvidenza
e anche la filosofia
(I, 1, 18).
Ci che intende fare Clemente
per
il cristianesimo esattamente
quello
che Filone aveva
gi
fatto
per
il
giudaismo.
Filone
aveva creato una
Filosofia
mosaica;
Clemente vuole creare una "filosofiacristiana.
Quella
che Clemente chiama
gnosi
o vera filosofia"
una sintesi tra
cultura
greca
e cristianesimo, e la
sua metafisica essenzialmente
una sin-
tesi tra la metafisica
platonica
e le verit fondamentali del cristianesimo.
Clemente e
Origene 25
LA
LECITTIMAZIONEDELLA FILOSOFIA
Uno
degli
obiettivi
principali
che Clemente si
proponeva
con
i suoi
Strorrzati era
perci quello
di
provare
che la filosofia
non era un'inven-
zione del
maligno
bens
unopera
della divina
provvidenza
e che dal
suo buon uso il cristianesimoavrebbetratto
grandissimo vantaggio.
La
legittimazione
della filosofia viene
compiuta
da Clemente
con tre
tipi
di considerazioni.
Anzitutto,
in sede
storica,
egli
fa vedere che la filosofiafa
parte
di
quel
piano
salvifico
disegnato
da Dio
per preparare
tutti
gli
uomini e non
solo i
giudei
all'avvento di Cristo: Ci che la
Legge
stata
per
i
giudei,
la filosofia lo stata a sua volta
per
i
gentili
fino
allavenuta
di Cristo
(VI, 17, 159).
Infatti
quei giudei
che hanno creduto nella venuta di
Cristo
e
nell'insegnamento
delle Scritture
pervengono
alla
conoscenza
della
legge;
coloro invece che si dedicano alla
filosofia,
mediante l'inse-
gnamento
del
Signore
sono introdotti alla
conoscenza della
vera filoso-
fia
(VI, 7, 59). La verit una sola ed
essa si identifica sostanzialmente
col
Logos, per
dentro il vastissimo orizzonte di verit del
Logos
c'
posto
anche
per
la filosofia
e a
questa
Clemente riconosce la
capacit
di
cogliere
frammenti di verit: sia la filosofia barbara
(dei cristiani)
che
quella
greca
si
sono
procurate
brandelli dellEterna Verit
(I, 13).
Nellitinerario che l'uomo deve
percorrere per raggiungere
la
pienezza
della Verit ci sono varie
tappe:
la
tappa
iniziale
quella
della
filosofia,
la
tappa
finale
quella
della
gnosi,
la
quale per
richiede
sempre
la fede:
solo chi si lascia ammaestraredalla
fede,
possiede
la carit
e,
proteso
verso la
gnosi,
marcia velocemente
verso la salvezza
(VI, 17, 154).
Un secondo
gruppo
di considerazioni
riguardano
l'utilitdella filoso-
fia. Non solo
essa non dannosa
per
la
fede, ma
pu
diventare
una sua
importante
ancella che l'aiuta
a difendersi
dagli
attacchi dei
nemici, a
combattere le
eresie, a
migliorare l'espressione
dei misteri cristiani
e ad
agevolarne
l'accettazioneda
parte
dei
greci.
Quando
ti sarai fortificato
con la cinta della
filosofia, renderai la fede inaccessibilealla sofistica
(I, 5, 28).
La filosofiaaiuta a
distinguere
le eresie dalla verit
(I, 9, 43).
Lo
gnostico
si serve dei rami del
sapere
come tecniche sussidiarie
per
comunicare fedelmente la
verit,
nei limiti del
possibile
ed evitando
oggi distrazione, e
per
difenderla
dagli argomenti
che hanno
per
obietti-
vo
la distruzione della verit. Perci lo
gnostico
non sar rnanchevoledi
quanto
nel curricolo scolastico
e nella filosofia
greca pu
contribuire al
progresso
della
sua educazione; ma non vi si dedicher in maniera
prin-
cipale
ed
esclusiva,
bens solo in certe circostanze
e in modo subordina-
to. Cos
egli
sar in
grado
di
adoperare
rettamente ci di cui
gli
eretici
fanno cattivo uso (VI, 10, 83).
In
un celebre
passo
del Primo libro
degli
26 Parte
prinza
Stromati Clemente definisce il ruolo ancillaredella filosofia.
Leggiamolo
insieme: Come
gli
studi ciclici sono
utili
per l'acquisto
della filosofia,
che la loro
padrona;
similmentela filosofia
giova all'acquisto
della sal-
vezza
(sophias).
La filosofia una
via della
saggezza,
la
quale
la scienza
delle cose umane e
divine e
delle loro cause. Essa
pertanto signora
(kyria)
della filosofia, come
questa
lo
rispetto agli
studi
preliminari.
Infatti la filosofia effettua il controllo della
lingua,
dello stomaco e
del
basso
ventre;
ma se viene
praticata per
la
gloria
di Dio e
per
la
gnosi,
essa
diviene
pi angusta
e
pi
nobile(I, 5, 30).
Il terzo
gruppo
di considerazioni
riguardano
le
qualifiche
e le virt del
filosofocristiano,
lo
gnostico. Lunghe pagine
nell'ultima
parte degli
Stromati sono
dedicate a
delineare nel modo
pi completo possibile
le
caratteristiche e
le
prerogative
del cristiano
"gnostico,
vale a
dire del
filosofocristiano. Clemente in
questo
modo vuole sfatare tutti i
pregiu-
dizi che circolavano nella comunit cristiananei confronti di
quella
intel-
lighentsia
cristiana che nella
esposizione
dei
dogmi
faceva ricorso alla
filosofia.
Egli
lanciava cos la sua
sfida ai nemici interni del cristianesi-
mo. Le correnti
gnostiche,
che
pullulavano
e
sfiaccavallavanoin tutto il
mondo
greco-orientale,
avevano
intaccato la
genuina
sostanza del cri-
stianesimo e
questo giustificava
l'allarme e le denunce di Ireneo e
Tertulliano. Confusi intrecci fra teosofie orientali,
filosofia
greca
e
reli-
gione
cristiana, avevano
dato vita a una
serie di concezioni ibride nelle
quali poteva
trovare
posto qualsiasi tipo
di
pratica
condotta umana e
che
giustificavano
anche
posizioni opposte
a
quelle
cristiane. Clemente
contrappone
a
questo
insidioso e
inquietante prodotto
delleresa un suo
tipo
di
"gnostico",
che
congiunge
alla
pi perfetta
aderenza al
messag-
gio evangelico
una
profonda
conoscenza
filosofica. Servendosi della
filosofia
egli
non
solo vive ma riconosce nella loro identit le verit di
fede;
coglie
sotto la lettera delle
parole
del
Signore
lo
spirito
che vi tralu-
ce e
che il
semplice
fedele non vede;
scopre per
divina illuminazionela
progressiva
vicenda della manifestazione del
Logos
nella storia; e
al
Logos
riconduce
ogni
attivit e
l'essenza stessa della
ragione
umana.
Fede e ricerca, religione
e
ragione,
cultura biblicae
cultura classica
ope-
rano una sintesi esaustiva nell'anima dello
gnostico".
Clemente insiste a
proclamarsi
banditore e
cultore della vera filoso-
fia,
la
quale
in ultima analisi
quel
Cristianesimo a cui tutta la filosofia
greca
ha
portato
il
proprio
contributo e
la ricchezza del suo
pensiero.
In
fondo,
la sua vita e
la sua
opera
sono
unardita
risposta
alla tesi del fi-
losofo
pagano
Celso
per
la
quale
fra cristianesimo e
grecit
non ci
pote-
va essere
conciliazione.Con la
legittimazione
della filosofia Clemente
oper
una svolta decisiva sia
per
il cristianesimo sia
per
la filosofia, e da
quella
svolta traevano
vantaggio
sia il cristianesimo sia la cultura classica.
Clemente e
Origene
27
Il cristianesimo
ne usciva
pi
maturo e
pi
credibile,
acquistava
un'e-
spressione
culturale
pi
avanzata
e
pi
raffinata,
penetrava
anche
negli
strati
pi
colti della
societ,
diventava cultura
e fermento di una nuova
cultura
e si
creava una
propria
arte, una
propria
filosofia
e una
propria
teologia.
Ma anche la cultura classica
ne traeva
grandissimi
benefici.
I suoi tesori non sarebberoandati
dispersi
o distrutti, ma sarebberostati
custoditi,
preservati
e accrcsciuti. Il
caso
pi palese
e
pi importante

quello
della metafisica: il cammino iniziato da Platone
e da Aristotele
con la scconda
navigazione
Viene
ripreso gi
dallo stesso Clemente
e
condotto
verso
traguardi
fino ad allora
imprevisti
e
insperati.
IL
PLATONISMODI CLEMENTE
Ai
tempi
di Clemente lo scenario filosofico
era dominato da
quattro
scuole:
stoica,
epicurea,
scettica
e
medioplatonica.
Volendo
creare una
filosofia cristiana l'autore
degli
Stromati
segue l'esempio
di
Filone,
il
quale,
come
sappiamo,
nella elaborazione della
sua filosofia mosaica
aveva
optato per
Platone, a motivo della considerevole affinit che
pre-
sentano la
sua
antropologia,
la
sua metafisica
e
la
sua morale
con
gli
in-
segnamenti
della Sacra Scrittura.
Clemente un
appassionato
ammiratore di
Platone, al
quale elargisce
ogni
sorta di
elogi.
Lo chiama Yamico della
verit,
quasi ispirato
da
Dio
(1, 8, 42). Citando Numenio scrive: Chi Platone
se non Mos che
parla greco?
(I, 22, 150).
Infatti il fondatore
dell'Accademia,
meglio
di
qualsiasi
altro filosofo
greco,
ha riconosciuto la
vera natura di
Dio,
del
mondo, dell'uomo, e ha
compreso
che il destino dell'uomo consiste nel
distaccarsi dal mondo e dal
proprio
corpo
e nel diventare simile
a Dio.
Per
questo
in
teologia
(= metafisica),
antropologia
ed etica i riferimenti
espliciti
o
impliciti
di Clemente a Platone
sono continuifi
Clemente
platonico
nel modo di definire la
filosofia, nonch nella
scelta del
metodo,
delle tematiche
e dei
principi.
Platonico anche il concetto che Clemente ha della filosofia. Platoni-
che
sono le
seguenti
definizioni: La filosofia la scienza del bene
e del-
la verit in
se stessa
(I, 19, 93);
la filosofia il desiderio del
vero essere
(tou ontcs
nntos) e delle
conoscenze
che ad
esso conducono
(II, 9, 45).
b) Cf. E. DE FAYE, Clment dfllcxandric. Etude
sur Ies
rappurts
du christianismc et de la
plzilosophie
grecqzie
au Ilesiede, Paris
1906,
pp.
219ss.
28 Parte
prima
Il metodo che Clemente raccomanda
quello
della dialettica
platonica.
Ecco un
bel testo a
questo proposito:
La dialettica,
secondo Platone nel Politico,
una
scienza atta a sco-
prire
la rivelazione dell'essere (...)
La vera
dialettica esamina la realt
e sa
distinguere
le Dominazioni e le Potest;
poi
trascende via via
allEssenza sovrana e osa
spingersi
oltre, verso
lIddio dell'universo.
N
promette esperienze profane,
ma scienza di realt divine e celesti,
cui tiene dietro
unnadeguatapratica
delle cose umane,
nelle
parole
e
nelle azioni. A buon diritto
dunque
anche la Scrittura desidera che
noi diventiamo dialettici siffatti e cos esorta: "Fatevi banchieri di
buona
riputazione;
"certe cose
ripudiatele,
ma il beneconservatelo"
(1
Ts
5, 21).
Infatti
questa
autentica
prudenza
dialettica una
capacit
di discernimento nel mondo
dell'intelligibile
e atta a rilevarela
sostanza
fondamentaledi
ogni
ente, senza
contaminazionee
nella sua
limpida purit.
Essa
,
in altri
termini, una
facoltversata nella distin-
zione dei vari
generi
di
cose,
che discende fino alle
pi particolari
e
fa
apparire ogni
essere
nella sua
reale
purit.
Per
questo
essa
sola con-
duce alla vera
sapienza,
la
quale
una facolt divina,
capace
di cono-
scere
l'essere come e
che
possiede
in s la
perfezione,
liberada
qual-
siasi affezione (I, 28 177-178).
La dialettica, mossa
dalla
consapevolezza
che
questo
mondo non

tutto
intraprende
la "seconda
navigazione
e osa
spingersi
oltre, verso
lIddio dell'universo.
Anche
precisando
l'ambitodella ricerca filosofica Clemente dichiara
di volere
seguire Platone;
il suo
ambito
quello
"teol0gico(o
metafisi-
co):
10 studio dei misteri veramente
augusti
(I, 28, 176).
Esso coinci-
de con
l'ambitodella
gnosi",
la
quale
la
comprensione
sicura
degli
intelligibili
e
pu
a buon diritto dirsi scienza. Di
questa
la
parte
che
riguarda
il mondo divino ha
per
compito
di
indagare
che cos' la causa
prinza
e
che cosa ci
per
cui tutto fu fatto e senza
il
quale
niente fu
fatto (Gv 1, 3); e
anche che cos' che in
parte
esiste come
permeante
il
mondo e
in
parte
come contenente; e ci che
congiunto"
e
ci che
disgiunto",
e
qual
il
posto
che ciascuna di
queste
cose
occupa
e
quale
attivit e
funzione
esplica.
Per
quanto poi riguarda
il mondo umano
la
gnosi indaga
che cos' l'uomo in
s,
che cosa
secondo e
che
cosa contro
la
sua natura, e come
gli
si conviene essere
agente
e
paziente;
indi
quali
sono
le sue
specifiche
virt e vizi, e
il bene e
il male e ci che interme-
dio; e tutto ci che concerne fortezza,
prudenza, temperanza
e
giustizia,
la
pi perfetta
di tutte le virt (VII, 3, 17).
Clementee
(Jrigene
29
JESEGESI
ALLEGORICA E UINFLUSSODI FILONE
Tra i maestri di Clemente
non c'
per
solo Platone. Un altro maestro
importante
Filone.
Questi
fu
per
Clemente
una. fonte non meno in-
fluente di Platone.
Egli
infatti
persegue gli
stessi obiettivi
e si avvale de-
gli
stessi metodi del
grande giudeo
di Alessandria. Il
suo obiettivo
quello
di elaborare
una filosofia
religiosa,
una
gnosi",
che abbraccia
an-
che
gli insegnamenti
della Scrittura oltre
quelli
della
filosofia; e
perse-
gue questo
obiettivo
avvalendosi, come aveva fatto
Filone,
del metodo
allegorico.
Con Filone
egli distingue
nella Scrittura due
sensi, un senso letterale
e uno
allegorico
o
parabolico?
E cos divide
gli insegnamenti
Scritturisti-
ci in due
livelli, uno di immediata
comprensione
e uno invece
espresso
in forma
oscura e
coperta
che
reca
profitto
solo
a
chi
sa
interpretare
(cf. V, 4, 21; VI, 15, 124), ossia lo
gnostico.
Infatti n i
profeti
n il
Signore
stesso hanno enunciato i misteri divini in
una forma
semplice,
immedia-
tamente
comprensibile
a tutti, ma
hanno
parlato
per parabole (cio
per
allegorie),
come
gli
stessi
apostoli
hanno constatato
(Mt 13, 24); e ci
per
vari motivi:
per
invitare i
pi
zelanti
a ricercare
con
applicazione
e abi-
lit, e
perch
molti
non
preparati adeguatamente
ricaverebbero
pi
danno che utilit
dallintelligenza profonda
della Scrittura. I santi miste-
ri sono riservati
agli
eletti,
agli gnostici:
ecco
perch
sono
espressi
in
parabole,
che e lo stilecaratteristicodella Scrittura.
Desegesi allegorica,
che
cerca il
senso recondito
ma vero della
parola
di
Dio,
il
compito principale
dello
gnostico.
A Clemente
non
sfuggono
i
rischi che
comporta questa
ricerca, e
gli
eccessi
dellallegorismognostico
stavano l a dimostrarlo. Perci
osserva che si trova la verit
non
quan-
do si cambiail
senso del
testo, perch
cos si
pu
deformare
ogni verit,
ma solo
se
l'interpretazione
di
un
passo porta
ad affermare ci che
proprio
e conviene
perfettamente
alla maest di
Dio, e se essa fondata
sui testi scritturistici. Rimane
comunque
saldo il
principio
della
grandis-
sima utilit
dell'interpretazione
allegorica:
Utilissimo
dunque
per
molti
aspetti
il
genere dell'interpretazione
simbolica.
un aiuto alla
retta dottrina
teologica,
alla
piet,
alla dimostrazione della
intelligenza,
all'esercizio della concisione nel
discorso, a una
prova
di
sapienza
(I, 28, 177).
Seguendo Filone, Clemente trae dalla Scrittura
una
grande
messe di
sensi
allegorici,
che si riferiscono
a Cristo
(senso
cristologico),
all'uomo
(senso
antropologico),
al mondo
intelligibile(senso
cosmologico),
alla
7) Cf. H.
WOLFSON,
The
Philosophyof
the Church
Fathers, l-Iarvard
1956,
pp.
45-60.
30 Parte
prima
Vita
spirituale
(senso morale) ecc.
Ma
bisogna
anche riconoscere che,
nonostante i vistosi
imprestiti
della
esegesi
filoniana,
Clemente se ne
differenzia in modo fondamentale
perch
la sua
interpretazione
del
Vecchio Testamentoresta saldamente ancorata a Cristo,
cio alla storia)?
Cos,
mentre da Platone Clemente
attinge
il metodo dialettico,
da Fi-
lone
apprende
il metodo
allegorico.
Il
primo gli
consente di costruire la
metafisica,
il secondo lo mette in condizionedi elaborare una metafisica
cristiana.
Tutto
questo
ci autorizza a
definire la metafisica di Clemente come
una
metafisica
cristiana
platonico-filorziana.
DivisioNE DELLA FILOSOFIA
Richiamandosi chiaramente a Filone,
Clemente afferma che la filo-
sofia di Mos abbracciava
quattro aspetti: quello
storico e
quello legi-
slativo
propriamente
detto,
specifici
entrambi del
campo
etico; terzo,
quello liturgico, appartenente
alla teoria della natura.
Quarto,
supe-
riore a tutti,

l'aspetto teologico
(I, 28, 176).
La divisione della filosofia
in
etica,
fisica e
teologia qui prospettata
era in uso
presso
i
medioplato-
nici, ma
H. A. Wolfson ha mostrato che si
pu
farla risalire a Filone,
come
suggerisce
il testo clementine?
Come la filosofia mosaica anche la filosofia cristiana si divide in tre
parti:
una
riguarda
la
morale,
l'altra la fisica e
la terza la
teologia.
La
par-
te
pi importante
ovviamente
quella teologica.
E Clemente ci ricorda
che a
questa parte
Platone aveva
dato il nome di
epoptica (epopteia
=
con-
templazione);
mentre
Aristotele l'avevachiamata
metafisica
(I, 28, 176).
La metafisica, come
sappiamo, pu procedere
sia dal1'alto",
prati-
cando la Via del descenszis,
sia "dal basso,
seguendo
la via dell'ascensus.
La
prima
era stata
seguita
da Platone e
dai
neoplatonici,
mentre la se-
conda era stata
praticata
da Aristotele.
Clemente ha elaborato una
filos0fiacristiana
che essenzialmente
una
teologia,
vale a dire una
riflessionerazionaleordinata e
approfondi-
ta sui misteri della fede.
Ora,
il metodo della
teologia

sempre
necessa-
riamente un
metodo dalla1to: il
suo
punto
di
partenza
non sono
le
esperienze
ed i fenomeni di
questo
mondo bens le verit rivelate. Per-
tanto anche la metafisica che troviamo
incorporata
nella filosofiacristia-
na
di Clemente una
metafisica che
procede
dall'alto.
3)
M. SIMONETTI, Profilo
storico
delfcscgcsi patristica,
Roma 1981,
p.
41.
9)
Cf. H. A. WOLFSON,
0p.
cit,
pp.
53-54.
Clemente
e
Origene
31
Partire dall'alto
significa partire
da
Dio,
dallo studio della sua
natura,
dei suoi attributi
e delle
sue
operazioni,
per passare poi
allo studio delle
sue
creature,
da
quelle pi perfette
a
quelle
meno
perfette.
Non solo Cle-
mente ma anche
quasi
tutti i metafisici cristiani
seguiranno questa
dia-
lettica del descensus. E
questo
sar anche l'ordine della nostra
esposizio-
ne del loro
pensiero.
ESISTENZA
E NATURADI DIO
Il
guadagno speculativo
della metafisica cristiana di
Clemente,
quello
decisivo
per
i suoi futuri
progressi, riguarda
il
principio primo: quella
Causa
prima
che
era stato l'obiettivocostante della ricerca della metafisi-
ca ellenica, e a cui erano
giunti
molto vicini Platone
con le
sue dottrine
sullUno
e sul Bene e Aristotele
con la dottrina sul Motore immobile.
Seguendo
Filone, Clemente
pone
una netta distinzione tra l'esistenza
e
la natura di Dio. Commentando il celebre versetto dellEs0d0 in cui
Yaweh dice a Mos che
potr
vedere le
sue
spalle
ma non il
suo volto,
egli
afferma che le
spalle
si riferiscono all'esistenza mentre il Volto si rife-
risce alla natura di
Dio, e
che la
prima
conoscibilemediante le
opere
della
potenza divina, mentre la seconda inconoscibile
(I, 4, 26s).
Nel
libro V
degli Stronzatz,
che
quello
in cui Clementetratta
pi ampiamente
l'argomento
della
conoscenza di
Dio,
egli
dice che l'esistenza manifesta
a tutti; l'essenza, invece,
Dio la rivela solo ad alcuni
privilegiati.
Infatti
tutte le nazioni credono che
Egli esiste; ma solo a
pochi
sono state svela-
te le
cose contenute "nel
mistero di Dio.
per questo
motivo che
Platone,
nelle
epistole, parlando
di Dio dice: "Ti devo scrivere in
enigma,
affinch
se
questa
lettera viene smarrita
per
terra o
per mare,
colui che la
legge
non
possa comprenderla.
Perch il Dio dell'universo che
sorpassa qual-
siasi
parola, pensiero
e concetto, non
potr
mai venire
insegnato
con la
scrittura,
essendo ineffabilenella sua natura"
(V, 10, 64).
Clemente considera l'esistenza di Dio
un
fatto di evidenza
quasi
immediata
e non il frutto di
complesse argomentazioni.
Il Padre
e Pa-
store di tutte le
cose
- scrive Clemente riconoscibileda
tutte le
cose,
per
mezzo di
un
potere
innato senza
insegnamento:
dalle
cose inanima-
te, perch
possono
avere
simpatia
verso l'essere
vivo, e
dagli
esseri ani-
mati
gli
uni,
gi immortali,
operando
di
giorno
in
giorno, gli
altri, anco-
ra mortali,
in
parte
nel
timore, e ancora nel
grembo
della
madre,
in
parte
usufruenti di libera
riflessione, come tutti
gli uomini,
Greci
e barbari.
E
nessuna
stirpe
non solo di
agricoltori
o di
pastori pu
vivere
senza la
fede
per prenozione
nell'essere
superiore.
Perci
ogni popolo,
che si
estenda nelle
regioni
dell'Oriente
o dell'occidente,
del settentrione o del
32 Parte
prima
mezzogiorno,
tutti hanno
una
sola
e
medesima
prenozione
di Colui che
ha stabilitoil suo
impero,
se vero
che
gli
effetti
pi
universali della sua
attivit hanno
pervaso
egualmente
tutte le cose (V, 14, 133).
La
Conquista principale
della metafisica cristiana di Clemente
riguar-
da l'unicit della Causa
prima.
Contro il
politeismo
della
religione popola-
re,
ma
anche contro il dualismo metafisico di Platone e
di Aristotele,
Clemente afferma l'assolutaunicit di Dio:
Dio,
che senza
origine,
il
principio
unico e
completo
di
ogni
cosa (IV, 25, 162).
Tutti i
principi
co-
stitutivi del mondo sono
stati
creati,
anche la materia. I
filosofi,
gli
Stoi-
ci, Platone,
i
Pitagorici,
Aristotele e
i
Peripatetici
considerano la materia
come uno
dei
principi primi
e non
riconoscono l'esistenza di
un
princi-
pio
unico. Si
tenga per
ben
presente
che essi non
attribuiscono alla ma-
teria
prima
n
qualit
n forma;
Platone
poi
la identifica col
non-essere,
sapendo
che unico il
Principio prima
vero e reale
(V, I4, 89).
Con chiara
allusione a un
passo
delle
Allegorie
della
Legge
(2, 3)
di
Filone,
Clemente
afferma che Dio una cosa sola,
al di l dell'uno e
al di
sopra
dell'unit
stessa. Perci anche la
particella
tu,
la
quale
ha forza dimostrativa,
dimostra che
Dio,
il
quale era,
e sar,
veramente unico.10
Durissime sono
le critiche che Clemente muove
al
politeismo
dei
greci
e
dei romani,
soprattutto
nel Protrettico. In
quest'opera egli
si
pro-
pone
di
mostrare,
da una
parte,
la
stupidit
e
l'immoralit del
politei
smo;
dall'altra,
la ricchezza
spirituale
e la
purit
trascendente
della
dot-
trina del
Logos
incarnato. Nella denuncia
degli
errori del
politeismoegli
attinge
a
piene
mani alla ricca letteratura che
gli
Stoici,
Filone e
gli
Apologisti
avevano
gi
messo a sua
disposizione: Opinioni
false e
lon-
tane dal
vero, opinioni fragili
e
caduche - scrive Clemente
- hanno allon-
tanato l'uomo dalla Vita divina,
l'hanno disteso a terra,
e
l'hanno indotto
a venerare cose tratte dalla terram
Tra le
ragioni
che hanno favorito l'0-
rigine
del
politeismo
Clemente annovera
le
seguenti:
il fascino delle
creature,
il terrore dinanzi alla
potenza
della
natura,
l'esaltazione delle
passioni
e
dei sentimenti
pi
forti dell'uomo,
la deificazione
degli
eroi.
Molto
importante
e
originale
anche il modo con
cui Clemente sotto-
linea il carattere
personale
di Dio. Il Dio della metafisica cristiana di
Clemente dotato di
intelligenza,
volont, libert,
potenza
e
bont. Dio
non
buono involontariamente: la bont non
appartiene
a lui come
la
propriet
di riscaldare al fuoco.
ljelargizione
del bene in Lui volonta-
ria,
anche
quando
stato invocato (...).
Perci Dio non
fa il bene
per
necessit, ma
per
liberascelta
(VII, 7, 42).
La
potenza
divina non
ha li
1) CLEMENTE, Pedagogo
l,
8.
11) 113.,
Protrettiro c. 2.
Clementee
Origcne
33
miti,
in
quanto
al di fuori di Dio non c' nulla che
gli possa imporre
delle restrizioni.
Per,
essendo Dio anche
somma
sapienza,
la
sua
poten-
za non
pu agire sregolatamente,
ma
agisce
col massimo ordine.
La bont di Dio l'attributo su cui Clemente insiste di
pi.
Nella sua
metafisica
essa
prende
il
posto occupato
dalla trascendenza nella metafi-
sica di Filone. La bont
gode
di un
primato
assoluto
rispetto
a tutti
gli
altri attributi di Dio: da
essa
procedono
la creazione e la
provvidenza:
Prima di divenire creatore era Dio, era
buono
e
per questo
volle essere
demiurgo
e
padre.12
La bont di Dio trascende la bont di
qualsiasi
creatura,
unica. Mentre la bont delle creature
sempre soggetta
a
qualche
limitazione,
quella
di Dio infinita. Mentre
quella
delle creature

spesso
interessata,
quella
di Dio
sempre
disinteressata e
liberale.

una
bont che
agisce
con
impeto
e
che si traduce continuamente in fat-
ti: Come non vi luce la
quale
non illumini;
n movente che
non muo-
va,
n amante il
quale
non ami, nemmeno
v' bont la
quale
non
benefi-
chi
e non conduca a salute.13
A coloro che obiettanoche Dio non buono
perch
si adira e
castiga
gli
uomini Clemente
replica:
Nessuna cosa
pu
essere
odiata dal
Signore. Egli
infatti
non
pu
odiare una cosa e Volere allo stesso
tempo
che esista
quello
che e odiato da
lui;
n
pu
volere che
non esista e
far
esistere
quello
di cui non vuole
l'esistenza;
n
pu
non volere che esista
quello
che .14
Una obiezione
pi
forte contro la bont di Dio e
la divina
provviden-
za,
che sar
sempre
una
spina
nel fianco della metafisica
e
della metafi-
sica cristiana in
particolare,
e
che Clemente non si stanca mai di contro-
battere,

quella
che si basa
sull'esperienza
del male. Se Dio causa uni-
versale, ne
consegue
che anche
causa del
male, ma allora come si
pu
dire che Dio infinitamentebuono? A
questa
obiezioneClemente
repli-
ca
che Dio non mai causa del
male,
perch
tutte le cose sono
ordinate
alla salvezza dell'universo sia
ingenerale
sia in
particolare
(VII, 2, 12).
Clemente tuttavia non si accontenta di
respingere
le accuse contro la
bont di Dio. Rimanendofermamenteancorato alla dottrina dell'esisten-
za di
un unico
principio supremo
di tutta la
realt,
egli
condanna deci-
samente la dottrina di coloro che
cercavano
di risolvere il
problema
del
male
ponendo
due
principi primi,
uno
per spiegare
le
Cose buone,
l'altra
quelle
cattive,
ossia il dualismo manicheo. Nell'ultimo
capitolo
del lV li-
bro
degli
Sii/amati Clemente attacca fieramente
questo
determinismo
pessimistico
e dimostra che una dottrina insostenibile
perch
per spie-
12) ID.,
Pedagogo
I,
20.
13)
bid.
14)
bid.
34 Parte
prima
gare
il male non occorre
escogitare
l'esistenza di una divinit
cattiva, ma
basta la libertdell'uomo.
Per tutte
queste ragioni
a Dio noi ci
possiamo rivolgere
col
pronome
Tu. Dio un Tu non un Esso;
una
persona,
non un
principio
neutro e
impersonale.
Dio un
padre
che
prende
amorosa cura
di tutte le sue
creature, e dell'umanit in modo del tutto
speciale.
INCONOSCIBILITE INEFFABILITDI Dio
L'assoluta trascendenza di
Dio,
anzitutto a livello
ontologico
e
poi,
conseguentemente,
anche
a livello
gnoseologico
e semantico era stata
una delle
grandi conquiste
della metafisica mosaica di
Filone,
il
quale
per per
la formulazione di
questa
dottrina aveva trovato ottimi
spunti
in Platone
-nellEpist0la
VII,
nel Timeo e nel
Simposio
. sull'esempio
di
Platone,
di Filonee altri filosofi
greci,
Clemente introduce nella metafisi-
ca cristiana la dottrina
dellfizpofatisnzo.
A
questo
tema
egli
dedica vari
capitoli
del libro V
degli
Stromati,
dove adduce molti
argomenti
e molte
testimonianze a
sostegno
della tesi della inconoscibilit
e
della ineffabi-
lit di Dio.
il
primo
trattato di
un autore cristiano sui nomi
divini, un
trattato destinato ad avere un
posto importante
sia nella
teologia
filoso-
fica sia nella
teologia dogmatica.
Clemente afferma con
grande
decisione che
nessun concetto umano
pu comprendere
la realt di Dio e nessuna
parola
umana
pu
descri-
verla. Ecco un testo
esemplare
a
questo riguardo:
<<...
Alcuni hanno chiamato Dio abisso,
perch
tiene come
avvolte e
abbracciate in
seno tutte le cose:
irraggiungibile
ed infinito insieme.
Ed
precisamente questa
la
questione teologica pi difficile
da trattare: se
il
principio
di
ogni
cosa difficileda
rintracciarsi,
allora il
primo
e
pi
antico
principio
sar sommamente difficileda
dimostrare,
perch
esso
anche
per gli
altri esseri tutti causa della nascita e
dell'esisten-
za. Come infatti
potrebbe
essere
definito Colui che
non n
genere
n
differenzan
specie
n individuon numero e nemmenoaccidenten
soggetto
cui
qualcosa possa capitare
come accidente? N si
potrebbe
dire rettamente un tutto: il tutto dell'ordine della
grandezza,
ed
Egli
il Padre dell'universo.
N, infine,
si
pu parlare
di
parti
in
Lui,
poi-
ch lUno
indivisibile;
per questo
anche
infinito, non nel senso
dell'impossibilit
di
percorrerlo,
ma dell'assenza di distanze e
di
dimensioni,
pertanto
senza
figura
e innominabile.E se mai
voglia-
mo
designarlo,
e
lo
designiamo, impropriamente,
o lUno o il Bene o
l'intelletto o l'Essere in s o
Padre o Dio o Creatore o
Signore,
non
diciamo
(queste
definizioni) come
proferendo
il suo
nome,
ma in
mancanza di
meglio applichiamobegli appellativi, perch
il
pensiero
possa
basarsi su di essi senza aberrare con
il ricorrere ad altri:
ogni
singolo
termine non
pu significare
Dio, ma tutti nel loro
complesso
Clementee
Origene
35
sono indicativi della
potenza dellOnnipotente.
Poich le cose di cui si
parla
sono
desgnabili
in base alle
qualit
loro inerenti o
alla relazione
reciproca;
ma niente di ci
pu
essere assunto a
proposito
di Dio.
E nemmeno con la scienza della
dimostrazione,
perch quella
si costi-
tuisce sulla base di
premesse
anteriori e
pi note,
mentre
allIngene-
rato nulla
preesiste.
Resta
dunque
che noi
pensiamo Plgnoto
solo
per
grazia
divina e
per
il
Logos
che da esso
procede
(V, 12, 81-82).
In
questa
Concettuosa
pagina
Clemente condensa
una
lunga
serie di
ragioni per
cui Dio a un
tempo
inconoscibile
(agnostos)
e
ineffabile
(arretos): 1)
alcune sono tratte dalla natura stessa di
Dio,
la
sua infinit,
la
semplicit,
l'assenza di
qualit
e di relazioni
ecc.;
2)
altre sono ricavate
dalla nostra limitata
capacit
conoscitiva,
che
sempre legata
alle imma-
gini,
alle
figure,
alle
argomentazioni;
3) altre, infine, sono dedotte dalla
struttura e
dai
procedimenti
del
linguaggio umano,
che
per
definire
una
Cosa
deve
sempre porre
delle distinzioni
(specie,
genere,
differenza,
sog-
getto
ecc.).
Per tutte
queste ragioni,
il Dio dell'universo che
supera
qualsiasi nome,
nozione e concetto non
pu
essere
espresso
a
parole
o
per
iscritto da
parte degli uomini, ma conoscibilesolo mediante la
potenza
che da lui
procede.
Infatti
l'oggetto
della ricerca
incorporeo
e
invisibile, ma la
grazia
della
gnosi proviene
da Lui attraverso il Fi-
glio
(V, 11, 71).
Come abbiamo
gi
rilevato
Yapofatismo
e con esso
la
teologia negati-
va entra nella metafisica cristiana
per
merito di Clemente e non di Plo-
tino, come
spesso
si afferma.
Quando
Clemente scrisse i suoi Stromatz
probabilmente
Plotino non era ancora nato. E certamente
negli
ambienti
cristiani
gli
Stromati di Clemente furono assai
pi
letti ed
apprezzati
delle Enneadz" del
pagano
Plotino.
ILTEOREMA DELLA CREAZIONE
Abbiamo
gi
ricordato che il
postulato
fondamentaledella metafisica
classica
era: ex nihilo rzihil
fit.
Su
questo postulato
si
reggeva
il convinci-
mento comune a tutti i filosofi
greci,
inclusi Platone e
Aristotele,
che il
mondo increato ed eterno. Filone nella sua
metafisica mosaica aveva
abbandonato l'ex nihilo nihil
fit
e
l'aveva sostituito con
il teorema della
creatio
ex
nihlo. Era stata la
pi grande
rivoluzionemetafisica della sto-
ria. Ma nel creazionismodi Filonecerano ancora alcune esitazioni
piut-
tosto
gravi. Egli
aveva
limitato l'azionecreatrice di Dio solo alle creature
spirituali (Logos,
Potenze, Idee, anime), mentre aveva
demandato al
Demiurgo
e
alle
sue Potenze la creazione del mondo materiale. Inoltre
non aveva
preso
una
posizione
chiara
e
inequivocabileriguardo
alla ma-
teria;
per questo
alcuni studiosi
pensano
che Filoneconsiderasse la ma-
teria increata ed eterna.
36 Parte
prima
Su
questi punti
Clemente
compie
un
passo
decisivo:
egli applica
il
teorema della creazione a tutto l'universo,
sia
spirituale
che
materiale,
cio lo estende anche alla materia.
Egli
afferma
ripetutamente
che Dio
creatore di
tutto,
inclusa la materia. Dio e la Causa
d'ogni
cosa sia nell'or-
dine fisico che
morale,
sia nell'ordinedel
pensiero
che in
quello
dell'azio-
ne. Dio,
il
quale
senza
principio
(anarkos)
il
principio
unico e
totale di
ogni
cosa (arkton olon
pantels),
il
principio
efficiente. In
quanto
l'esse-
re,
il
principio primo
nella sfera
dell'azione;
in
quanto
bont il
prin-
cipio primo
nella sfera dei
costumi;
in
quanto

intelligenza
il
principio
primo
del
ragionamento
e
del
giudizio.
Eterna l'azione benefica di
Dio e la
giustizia
a Lui connaturata
procede
veramente
uguale per
tutti
da un
principio
che
non
ha
principio:
si attua secondo il merito di ciascu-
na
cosa,
ma non
ha mai avuto
principio.
Dio non
ha avuto
principio
del
suo essere
Signore
e Bont:
egli
e
sempre
ci che e non cesser mai di
essere benefico,
anche
se conduce
ogni
cosa a fine
(V, 14, 141).
Mentre
l'arte umana
produce case, navi, citt,
quadri,
come dire tutto
quello
che
Dio crea? Guarda l'universo intero: tutto
opera
sua. Il
cielo,
il
sole,
gli
angeli
e
gli
uomini "sono
opera
delle sue
mani
(Ps 8, 3).
Come
grande
la
potenza
di Dio! Frutto esclusivo della
sua
bont la creazione del
mondo. Dio solo
cre,
perch
Lui solo veramente Dio. Col suo
semplice
desiderio
Egli produce
le
cose.
Al
suo
puro
volere
segue
la
genesi
delle
cose>>J5 Nello
svolgimento
della
sua azione creatrice Dio non
ha
bisogno
d'aiuto ma fa tutto da
solo,
col suo
semplice
atto di volont: al suo
comando
vengono
all'esistenza tutte le cose.16
Clemente elimina tutti
gli
intermediari che Filoneaveva
introdotto
per
spiegare
la creazione del mondo. La causa
suprema
di tutte le cose non
pu
essere
che
una e
da
essa
le cose
derivano tutta la loro realt. La
pre-
senza
di altre cause oltre che
compromettere
la sovranit di Dio non
giova
alla soluzionedel
problema
della creazionee
perci
vieneeliminata.
Le
opere
principali
della creazione sono
il
cielo,
il mondo e l'uomo:
l'uomo il fine
per
cui Dio ha creato il cielo
e
la terra. La sua
potenza
ordinatrice
prima
si
occupa
del
mondo,
del
cielo,
dell'orbita del
sole,
del
giro
e del corso
degli
astri,
in vista
dell'uomo,
poi
si
occupa
dell'uomo
stesso,
intorno a cui
pone ogni cura;
e
stimando
questa
la sua
maggior
opera,
diede alla sua anima come
guida
la moderazione e la
saggezza,
dot il
corpo
di bellezza e
di
giuste proporzioni; riguardo poi
alle azioni
dell'umanit,
ispir
tutto ci che v' in esse
di buono
e
di beneordinato.17
15) lD.,
Potrettico c. 4.
16) lD.,
Pedagogo
I,
6.
17) bid., l,
2.
Clementee
Origcne
37
IL Locos
Quello
del
Logos
era stato un dato teoretico centrale in alcune metafi-
siche elleniche
(in
particolare
in Eraclitoe
negli
Stoici) e nella metafisica
mosaica di Filone. Nella metafisica cristiana di Clemente il ruolo del Lo-
gos
diventa
ancora
pi importante
e decisivo.
In Filone il
Logos svolge soprattutto
due funzioni: di creatore del
mondo materiale e
di mediatore tra Dio e
gli
uomini. Anche Clemente
assegna queste
due funzioni al
Logos
ma le mocifica
profondamente
adeguandole
alle
esigenze
dei due massimi misteri del cristianesimo: i
misteri della Trinite dell'Incarnazione.
Inserito nel mistero della
Trinit,
il
Logos
non
pi
una creatura co-
me in
Filone,
bens il
Figlio unigenito
del Padre
a Lui consostanziale.
Il
Logos

preesistente
ed eterno:
Egli
era da
prima; Egli
era ed
princi-
pio
di tutte le cose.18
Egli
strumento di Dio
(organon
ton theou) tutto
armonioso, melodioso, santo, Sapienza (Sophia) sopramondana,
celeste
Logos.19
A
questo
livello di seconda
persona
della
Trinit,
Egli

Logos
oziranios
(Verbo celeste)
sempre congiunto
alla
Sophia hyperkosnzios
(sapienza sovramondana).
Egli

sempre
accanto al Padre
come Princi-
pio
divino
(arch theia)
di tutto ci che
procede
da
Dio, e insieme col Pa-
dre
e con lo
Spirito
il creatore dell'universo.
Integrato
col mistero
dell'Incarnazione,
il
Logos
la
persona
divina
che
assume la natura
umana,
diventa
uomo come noi, e
svolge per
noi
un'azione mediatrice infinitamente
pi possente
e
pi
efficace di
quella
del
Logos
filoniano. Il
Logos
divino colui che si fatto
uomo
per
edu-
care, ammaestrare,
salvare
e
condurre gli
uomini alla vita eterna: ... s,
ti
dico,
il
Logos
divino si fatto
uomo, perch
anche tu da
un Uomo
possa imparare
come l'uomo diventa Dio.20 sull'identit divina del
Logos
incarnatoClementefa affermazioni chiare ed
esplicite:

questi
il
Canto
nuovo,
la manifestazione rifulsa ora in
mezzo a noi del
logos
preesistente
che
era in
principio
(Gv 1, 1);
apparso
adesso,
dunque,
il
Salvatore che
preesisteva;

apparso
Colui che
era in Colui che
,
giac-
ch il
Logos
colui che
era
presso
Dio
(Gv l, 1);
il Maestro
apparso,
per
mezzo del
quale
sono state create tutte le
cose;
il
Logos
che,
dopo
averci offerto di vivere in
principio,
creandoci,
ci ha
poi insegnato
a
ben
vivere una volta
apparso
come Maestro,
per
donarci
finalmente,
in
quanto
Dio,
di vivere eternamente>>21 In Cristo risiede
ogni
Virt
e
ogni
13) lD., Protretticu
I,
6.
w) Ibid.
20) Ibirt, I,
8.
21) Ibid, 1,
7.
38 Parte
prima
perfezione:
Perfetto in tutte le virt colui che si rivestito" dell'uo-
mo
per
amor nostro (IV, 21, 30).
La funzionemediatrice che Cristo chiamato
a
svolgere generalmen-
te
viene
designata
da Clemente col titolo di Maestro" 0
"Pedagogdfi
E
un
titolo che si intona
perfettamente
con
i destinatari dei suoi scritti
che
sono i
pagani
colti,
i filosofi,i
quali
si attendevanola salvezza dalla
filosofia,
che nell'antichit
era
sempre
concepita
come via di salvezza.
E
pertanto
chi voleva salvarsi si metteva alla scuola dei
filosofi,
maestri
di
saggezza,
di verit e
quindi
della vita beata. E cosi Clemente non si
stanca mai di
ripetere
che l'unico Vero Maestro Cristo. Noi
sappiamo
che il
Figlio
di Dio il nostro maestro
per questo
abbiamofiducia che il
suo
insegnamento
vero (V, 13, 85).
Bisogna quindi apprendere
la
verit attraverso Cristo
(Ibid., 86).
La
superbia
fa
proclamare
certi
uomini come
loro
maestri,mentre
l'insegnamento
di tutto ci che
giusti-
fica risale al
Signore
(VI, 7, 55).
La nostra
gnosi",
il nostro
giardino
spirituale,
lo stesso Salvatore nel
quale
siamo stati
innestat,
trasferiti e
trapiantati
nella terra buona dalla vita vecchia; e il
trapianto
conferisce
alla bont dei frutti. Luce e il
Signore
e
la
vera
gnosi
lui,
nel
quale
siamo stati trasferiti
(VI, 1, 4).
In
quanto Pedagogo
Cristo anche
"Medico"
dell'umanit,
guarendo
tutti,
portando gli
uomini attraverso
la illuminazionedella
gnosi
alPimmortalit e
alla vita eterna.
IL MONDO
Come abbiamo
gi
rilevato,
Clemente introduce nella metafisica cri-
stiana l'idea rivoluzionariadella creazionedel mondo
ex
nihilo: il mondo

generato
e
pertanto
non
pu
essere
eterno. Sennonch il
suo
desiderio
di far coincidere
gli insegnamenti
della Tilosofia cristiana" con
quelli
della filosofiaellenica lo
porta
ad attribuire la dottrina della creazione
del mondo anche a Platone;
il
quale per
avrebbe mutuato
questa
idea
da Mos. Ecco
quanto
scrive Clemente a
questo riguardo negli
Stromati:
Che il mondo sia
generato
e ancora una teoria che i filosofi desunsero
da Mos.
Platone,
ad
es.,
ha detto
espressamente:
"
sempre
stato, senza
aver avuto alcun
principio qualsiasi?

nato, perch
visibileed
tangi-
bile,e se
tangibile
ha anche
un
corpo.
E
dopo, quando
dice:
Scoprire
il creatore e
padre
di
questo
universo difficile
impresa",
non solo
dimostra che il mondo stato
generato,
ma
rivela che nato da
Quello
come
figlio
e Quello
chiamato suo
"padre, per
dire che nato da Lui
solo ed venuto ad esistere dal nulla
(V, 14, 92).
Tutti i
principi
costitutivi del mondo sono stati
creati,
anche la mate-
ria,
poich
Dio il
principio
unico e
completo d'ogni
cosa (IV, 25, 162).
Clemente e
Origene
39
I
filosofi,
gli
Stoici, Platone,
i
Pitagorici,
Aristotele e
i
Peripatetici
consi-
derano la materia come uno
dei
principi primi
e non
riconoscono l'esi-
stenza d'un
principio
unico. Si
tenga per
ben
presente
che essi non
attribuiscono alla materia n
qualit
n
forma;
Platone
poi
la identifica
col
non-essere, sapendo
che unico il
principio primo
vero e
reale
(V, 14, 89).
Allunivcrso Sensibile
(kosmos aisthets)
Clemente
contrappone
l'uni-
verso
intelligibile
(kosnzos noets),
il
quale comprende
sia le
idee-pensieri
di
Dio,
sia le creature
spirituali, gli angeli
(cf. V, 14, 93).
Gli
angeli
sono visti da Clemente
quali
strumenti o intermediari del
Logos, partecipi
della sua luce, ma distinti e subordinati a lui. La loro
natura viene descritta come fuoco
pensante.
Clemente
parla
anche di
una
gerarchia angelica. Vengono
anzitutto sei
angeli "primogeniti",
che
possiedono
tutti il medesimo
grado
d'essere e
la stessa
perfezione.
Essi
sono
i sommi sacerdoti
degli
altri
angeli.
Gli
angeli primogeniti
contem-
plano
il volto del
Padre,
cio il
Logos,
e sono da lui illuminati.Gli altri
sono illuminati
dagli angeli superiori,
e a
loro Volta si fanno intermedia-
ri
per
comunicare alla Chiesa la luce divina. Con
gli angeli
comunicano
in modo
speciale
i cristiani che
praticano
la
"gnosiz
lo
gnostico prega
con
gli angeli,
al
pari
di chi sia
gi
divenuto ad essi simile
(...)
anche
quando
prega
da
solo,
avendo seco
il
coro dei santi che rimane con
lui
(VII, 12, 78).
L'UOMO, ICONA DI DIO
Nella dottrina sull'uomo si
rispecchia quella
concezione fortemente
unitaria che Clemente ha della
realt, una concezione che riesce ad
armonizzare
aspetti
delle
cose,
come
fede
e
ragione,
filosofia
e cristiane-
simo,
materia e
spirito, corpo
e anima che
non solo
gli gnostici
e i mani-
chei, ma
anche cristiani come Taziano,
Ireneo e Tertulliano non riusci-
ranno a conciliare.
Nellantropologia
di Clemente Viene bandita
ogni
forma di dualismo
e, soprattutto,
di manicheismo.
L'uomo,
secondo
Clemente,
costituito essenzialmente di anima e
di
corpo,
anche
se
la
priorit ontologica
viene ovviamente
assegnata
all'anima. Ecco come
egli
descrive i
rapporti
tra anima e
corpo
in
un
bel testo
degli
Stromati:
da tutti ammesso
che
parte superiore
dell'uomo
l'anima,
inferio-
re
il
corpo.
Ma ne l'anima buona
per
natura,
n d'altronde
per
natura cattivo il
corpo;
e nemmeno ci che
non buono senz'altro
cattivo. C'
dunque qualche
mediet
e, nellintermedio, cose
che
vanno scelte e cose che
vanno
respinte.
Era
dunque opportuno
che il
composto
umano,
fatto nell'ambitodel
sensibile,
fosse costituito di
elementi diversi
s, ma non avversi,
corpo
e anima. Pertanto le buone
40 Parte
prima
azioni in
quanto mgliori",
sono
sempre
attribuite alla
parte superio-
re,
la
spirituale,
invece
quelle compiute per
volutt e
peccaminose
sono
imputate
alla
parte
inferiore,
appunto peccaminosa.
Cos l'ani-
ma del
sapiente
e
"gnostico",
che come
ospite
del
corpo,
si
compor-
ta verso
di esso in modo serio e
rispettoso,
ma senza
troppo
attacca-
mento, disposta
a lasciare l
per
l
"l'abitacolo",
quando
il momento
della
partenza
la chiami
(IV, 26, 165).
Delle Varie
prerogative
di cui dotato
l'uomo,
quella
su cui Clemente
insiste
maggiormente
e il
suo essere icona di Dio
(mlgfi
Dei).
Clemente
riconosce tre
specie
di icone di Dio:
quella
del
Logos, quella
del cristiano
e
quella
di
ogni
uomo. All'ultima che la
somiglianza
naturale che l'uo-
mo
ha
con Dio d solitamente il nome di
eikon, mentre alla
somiglianza
speciale
di cui
gode
il cristiano d il
nome
di homoiosis. La
prima appar-
tiene a tutti,
l'altra soltanto a
pochi,
ed frutto della
grazia
di Cristo.
La
somiglianza
con Dio non
riguarda
il
corpo
ma soltanto l'anima
nelle sue facolt
superiori
dellintendere e del volere:
L'espressione
"a
immagine
e
somiglianza
non si riferisce al
corpo,
perch
inammissibi-
le che il mortale
assomigli
all'immortale, ma allntelletto e
alla
ragione,
ossia a
quelle parti
dell'uomo in cui il
Signore pu
fissare conveniente-
mente, come un
sigillo,
la
rassomiglianza rispetto
al beneficaree
al
comandare
(ll, 19, 102).
Sulla iconicit divina dell'uomo Clemente costruisce tutta la
sua
spi-
ritualit. Anche in
questo
caso
egli attinge
molto da Platone e
da
Filone,
ma lo fa
rileggendo
i loro
insegnamenti
in chiave cristiana. Tutta la
spiri-
tualit clementina centrata sull'idea della assimilazionea Dio,
prenden-
do
come
esempio
il
grande Pedagogo,
Ges Cristo. "Gnostico" colui
che imita Dio. A
questo
tema Clemente ha dedicato molti
capitoli degli
Stromati. Ecco due
passaggi significativi.
Questi
lo
"gnostico",
"ad
immagine
e
somiglianza":
colui che
imita Dio
per quanto

possibile,
nulla tralasciando di
quanto giova
a
questa
realizzabile
somiglianza. Egli
continente e
paziente,
vive secon-
do
giustizia,
domina le
passioni,
d ci che
ha,
per quanto pu,
benefica
con
la
parola
e con
l'opera.
"Grandissimo nel
regno,
dice la
Scrittura,

quegli
che
opera
e
insegna"
(Mt 5, 19),
perch
imita Dio facendo del
benein modo simile: i doni di Dio sono di utilitcomune (II, 19, 97).
Uassimilazioneal
Logos
nella misura del
possibile
il nostro fine, e
cos
pure
la riabilitazionealla
perfetta
adozione filialeattraverso il
Figlio.
Essa
glorificasempre
il Padre attraverso il
"gran
sacerdote" che si

degnato
di chiamarci "fratelli" e "coeredi"
(II, 22, 134).
Clemente uno dei classici della
spiritualit
cristiana;
sia nel
Pedagogo
sia
negli
stremati
egli
ha definito la condotta del vero
gnostico
con
grande
dovizie di
dettagli,
trattando
ampiamente
della
castit,
del
Clementee
Origene
41
matrimonio e del "martirio". Il
vero
"gnostico"
tiene l'anima libera dal
cor
0;
morto al mondo
e
li otenzialmente
"martire",
meritevole d'o-
up
n n q
g
n a n n
m lode
come 1 martiri a ani che sacrificanola Vita alla atria 0 ure a
g.
....Pg..
...P
P?
un'idea. Tutti
1
cristiani, uomini e donne,
schiavi
e liberi
possono
acce-
dere a uesta as ra
filosofia della
sofferenza, e anche in uesto
Cristo,
F.
.
che rov Il
martirio nella
sua
ersona,
ci Maestro.
P
P
Tre
sono,
secondo
Clemente, 1
gradi
per giungere
alla
perfezione:
la fede la
"
nosi" e l'amore; senza l'amore la fede
e la osi
non bastano:
r g
J

detto infatti: A Chi ha sar dato in


aggiunta":
alla fede la
gnosi,
alla
gnosi
l'amore, all'amore l'eredit. E ci avviene
quando
uno si fa
dipendente
dal
Signore per
fede,
per gnosi
e
per amore,
e ascende
con
Lui l dove il Dio e Custode della nostra fede
e del nostro amore
(...). La
gnosi
conduce a un fine che senza limiti
perfetto, insegnan-
doci in
anticipo
lo stile di vita secondo
Dio,
che sar nostro
quando
saremo fra
di, liberati da
ogni castigo
e
pena
che in
conseguenza
dei
nostri
peccati sopportiamo
per
una correzione salutare.
Dopo questo
riscatto il
premio
e l'onore sono concessi ai
perfetti,
che hanno cessato
la
pena
di
purificazione
e anche
ogni
altro
ministero,
sia
pur
santo e
in
cose sante. Divenuti
"puri
di cuore" li
aspetta quindi
la
reintegra-
zione definitiva nella
contemplazione
eterna
per
l'unione
con
il Si-
gnore
(VII, 10, 56).
Trasferitein
luoghi pi
ameni le anime
"gnostiche"
non abbracciano
pi
la divina
visione di riflesso
o attraverso
specchi,
ma sono convita-
te allo
spettacolo
quanto pi

possibile
luminoso
e
perfettamente
puro,
del
quale
non si
saziano, anime straordinariamenteinfiammate
d'amore. Godono eternamente di eterna letizia e
perdurano
nel
tempo
infinito, onorate della identit della loro
somma elevazione:
tale la
contemplazione comprensiva
dei
"puri
di cuore.
Questa
dunque
l'attivit del
perfetto "gnostico:
essere vicino a Dio attraver-
so il
gran
sacerdote
(Cristo), assimilandosi
per quanto
si
pu
al
Signore
mediante tutto il culto dedicatoa Dio
(VII, 3, 13).
CONCLUSIONE
La fama di cui ha
goduto
Clemente Alessandrino
presso
i Padri
greci

sempre
stata altissima. Massimo il Confessore lo chiama "filosofodei
filosofi", "maestrodivino".
Tutti
gli
storici riconoscono in Clemente il
padre
della metafisica cri-
stiana e il creatore della
teologia scientifica,
nonch il
primo grande
arte-
fice della ellenizzazionedel cristianesimo
a livello
speculativo,
e
per
questo egli
viene esaltato
o condannato
a seconda che si veda in
questo
evento
un'operazione positiva
che ha consentito al cristianesimo di di-
spiegare
tutto il suo
potenziale
culturale
o invece
un'operazionenegati-
42 Parte
prima
va
che ha corrotto la
purezza
originaria
della fede cristiana,
facendola
degenerare
da fede in filosofia. La seconda valutazione stata
espressa
da Harnack,
il
quale
ha scritto che Clemente
ha modellato totalmente
la tradizione ecclesiastica secondo una
filosofia della
religione
di
tipo
ellenisticom Ma
questo giudizio
da ritenersi assolutamenteinfondato.
Infatti la
gnosi
salvifica di cui
parla
Clemente
legata
inscindibilmente
al
CristoLogos
e
viene data in dono da Dio all'uomo;
proprio questo
fondamentale dato biblicocristianonon
pu
essere
occultato da un
vocabolario
preso
dalla
sapienza
dei misteri e
da
una
forma di
pensiero
filosofico-religiosa.
Nel cristianesimo c' vera
gnosi
solo in base a una
previa
rivelazionedi Dio.
Oggi generalmente
si ritiene che Pellenizzazionedel cristianesimo
operata
da Clemente
negli
ambiti della
speculazione
filosoficae
della
teologia dogmatica
sia stata una
grandissima conquista.
Come ha scritto
Mondsert,
l'incontro tra ellenismoe
cristianesimo
operato
da Clemente
Alessandrino stato uno
degli
incontri
pi
fecondi della storia delle
ideem
Per
quanto
attiene la metafisica, a Clemente
spetta
il merito di avere
gettato
le basi della metafisica cristiana. Di
quest'ultima egli
ha
legitti-
mato l'esistenza,
rivendicandoal cristiano il diritto e
il dovere di
capire
il
significato
della
propria
fede e
di renderla
comprensibile
anche ai
pagani.
Quella
di Clemente una
metafisica
largamente
debitrice a
Platone e a
Filone. Nella struttura
piramidale,
nel metodo dialettico,
nella costruzione
dallalto una
metafisica
platonica
e filoniana;
nel-
l'utilizzazione
del metodo
allegorico
filoniana.
Ma la metafisica di Clemente innovatrice
rispetto
a
Platone e a
Filone su
tre
punti
di
capitale importanza:
la
rigorosa applicazione
del
teorema
della creazione con
l'eliminazionedi
qualsiasi
intermediario e
con
Pestensione della creatio ex
nihilo anche alla
materia;
laffermazione
categorica
dellunicit della causa
prima;
la caratterizzazione
in senso
personalistico
e
agapico
del
primo principio,
Dio: e un Dio con
cui l'uo-
mo
pu
intrattenere
rapporti personali,
ed
soprattutto
un
Dio che
essenzialmente
amore,
i
rapporti
del
quale
con
le sue creature, con
l'uo-
mo
in
particolare,
sono
tutti dettati dall'amore. Queste importanti
inno-
vazion trasformanola metafisica ellenica in metafisica cristiana.
22)
A. V. HARNACK, Dvgmengesdzichte
l,
p.
648.
13) C. MONDSERT,
Clment dfllexandrie,
Paris 1944,
p.
10. Cf. B. MONDIN,
Filone
e Clemente, Roma 1984,
pp.
162 s5.
Clementee
Origene
43
K
\
Origene
i
Del
progetto
di
una metafisica cristiana abbozzato da Clemente si
impadron prontamente
il
suo
geniale discepolo Origene,
il
quale
lo svi-
lupp
secondo
quelle
stesse linee
platoniche
e filonianeche
gli
aveva
consegnato
il
suo
grande
maestro.
VITA
Origene, soprannominato
Adamanzio} uomo d'acciaio"
nacque
ad
Alessandria
verso
il 185 da
famiglia cristiana,
primogenito
di sette
figli.
Il
padre
Leonida lo avvi fin da
piccolo
allo studio delle lettere e alla
conoscenza della Sacra
Scrittura, verso
la
quale
il fanciullo ben
presto
manifest una
grande passione.
Durante la
persecuzione
di Settimio Se-
vero (202-203),
particolarmente
violenta ad
Alessandria,
Leonida fu
incarcerato c
decapitato,
sorretto nella dura
prova
dallncoraggiamento
del
giovane figlio
che
gli
invio una
lettera di esortazione al martirio. Co-
s la vita di
Origene
sar indelebilmente
segnata
da due
grandi
amori:
l'amore
per
la Scrittura
e
quello
per
il
martirio,
il
quale
Viene
espresso
con
passione proprio
nella
sua
opera Esortazione
al martirio.
Quanto
all'a-
more alla Scrittura il
suo massimo
biografoEusobio
di Cesarea scrive
quanto segue:
Fin dai
primi
anni sera esercitato nelle Scritture
(...).
Non
pago
di
una
lettura cos alla buona
e scorrevole,
le esaminava
pi
addentro,
sin d'allora ne scrutava i sensi
pi profondi
e
importunava
il
padre
col
domandargli
che
cosa voleva
significare
il
disegno
della Sacra
Scrittura divinamente
ispirata.
Leonida l
per
l davanti a lui faceva
mostra di
riprenderlo, raccomandandogli
di
non cercare ci che trascen-
deva le forze della sua et e
che si nascondevadietro il
senso ovvio, ma
in
cuor suo ne
provava gran gioia
e rendeva vivissime
grazie
a Dio?!
A
causa delle
pessime
condizioni economiche in cui era caduta la
famigliadopo
la morte del
padre,
a motivo dellincameramentodei beni
da
parte
dellerario,
il
giovane Origene
fu costretto a
interrompere gli
studi e ad
aprire
una
scuola di
grammatica.
Qualche anno
dopo
(a 18
anni)
il
vescovo Demetrio lo incaricodella
preparazione
al battesimo dei
catecumeni,
compito
che
Origene
accolse con entusiasmo e
svolse
con
grandissimo
zelo. A un certo
punto, poich gli
ascoltatori aumentavano
sempre pi
e
le loro
esigenze
e la loro
preparazione
erano differenti,
egli
si vide costretto a dividere il corso in due sezioni: affid all'amico
Eacfla
la catechesi
preliminare,
mentre riservo a s il corso di
istruzionsupe-
24) EUSEBIO, Storia ecclesiastica,
VI.
44 Parte
prima
riore.
L'insegnamento
a un
pubblico eterogeneo,
formato non solo di cri-
stiani ma
anche di
pagani,
eretici e
gnostici,
10 convinse della necessit
di
una conoscenza
pi approfondita
sia della Scrittura sia della filosofia.
A tal fine si accinse allo studio della
lingua
ebraica e visit laiPalestina
per
conoscere
personalmente
i
luoghi geografici
nominati dalla Bibbia.
Contemporaneamentefrequent
le lezioni di Ammonio
Sacca,
padre
del
neoplatonismo
alessandrino. Tutto C non
lo distolse
dall'insegnamento
e dalla
pubblicazione
dei suoi
primi
commenti alla Scrittura.
Con tutta
probabilit
l'eccessiva
importanza
data alla filosofia nella
spiegazione
delle verit della fede dovette suscitare nellaChiesa di
Alessandria
qualche
riserva sul suo
pensiero
che, con landar
degli
anni,
di fronte
a
ipotesi
di eccessiva
novit,
si tramut
prima
in
opposizione
decisa
e
infinein rottura
aperta.
L'occasione fu data dalla sua ordinazio-
ne sacerdotale
(230),
durante
un
viaggio
ad
Atene, a
opera
di Teoctiso di
Cesarea e di Alessandro di
Gerusalemme, senza l'autorizzazionedel suo
vescovo Demetrio. Durissimi furono i
provvedimenti presi
nei suoi con-
fronti. Rientrato in
patria,
in due sinodi locali fu
privato dell'insegna-
mento, deposto
dall'ordine
presbiterale
e scacciato dalla comunit. De-
cisioni
poi
ratificate dal
pontefice
romano Ponziano e da altri
Vescovi, a
eccezione di
quelli
della
Palestina, Fenicia,
Arabia
e Acaia. Fu
questo
uno
dei momenti
pi
dolorosi e
difficilidella vita di
Origene,
ma
egli
si rieb-
beben
presto
dalla
prova.
AbbandonataAlessandriasi ritir a Cesarea di
Palestina
presso
l'amico Teoctiso:
qui apr
una
scuola
superiore
di teolo-
gia,
che sar la continuazionedi
quella
di Alessandria.
Allnsegnamento
univa la
predicazionepressoch quotidiana
alla comunit dei
fedeli; con-
temporaneamente
attendeva alla
composizione
di
opere
di diverso
gene-
re: commenti
scritturistici, omelie, lettere,
opere
ascetiche
e
apologetiche.
Durante la
persecuzione
di Decio
(249-250),
ormai
Vecchio, venne
impri-
gionato
e brutalmente torturato
per
la fede.
Liberato,
mor
poco dopo
in
conseguenza
delle sofferenze subite in
carcere.
Sepolto
a Tiro,
la
sua
tomba era visibilefino al
sec.
Xlll nella cattedrale della citt.
OPERE
Origene

probabilmente
l'autore
pi
fecondo dell'antichit sia
paga-
na
che cristiana: l'elenco delle sue
opere,
tramandato da Girolamo
nella
lettera 33 a Paola,
ancorch
incompleto

sorprendente. Purtroppo
la
maggior parte
di esse andata
perduta
e solo
una
piccola parte
ci
per-
venuta o
nell'originalegreco
o in traduzionelatina
(Rufino, Girolamo) o
in frammenti. La loro distruzione fu causata dalle lotte
origeniste
del IV-
VI
secolo,
che culminarono con
la condanna di Giustiniano
prima
(543)
e del Conciliodi
Costantinopoli dopo
(553).
Clementee
Origene
45
a)
Opere esegetielze
A
questo gruppo appartengono
anzitutto
gli Esapla,
opera
monumen-
tale in
cui, a fianco del testo
originale
ebraico della
Bibbia,
fu
disposta
la
traslitterazione in
greco
e le traduzioni
pi
accreditate del
tempo:
Aquila,
Simmaco, LXX,
Teodozione. Gran
parte
della
Bibbia, inoltre,
fu
da lui commentata in tre diverse forme: del commento erudito,
dell'o-
melia
e dello scolio".
Gli Scolii
erano brevi annotazioni su
passi particolari
della Scrittura.
Delle varie raccolte
nessuna ci
pervenuta integra;
molto di
questo
materiale
reperibile
nelle Catene.
Le Omelie
erano
prediche
rivolte,
durante Fazione
liturgica,
ai fedeli
di Cesarea
su interi libri della Bibbia
o
lunghi
brani di
essa. Delle 574
trascritte
dagli stenografi
ce ne sono
pervenute
circa 200. In
greco
ci
restano 20 omelie su Geremia;
nella traduzione latina di Rufino: 16 sulla
Genesi,
13
sullEsodo,
16 sul
Levitico,
28 sui
Numeri,
26 su Giosu,
9 sui
Giudici, 9 sui
Salmi;
nella traduzione di Girolamo: 2 sul
Cantico,
9
su
Isaia,
14
su Ezechiele
e 39 su Luca.
I Commentari
sono
ampi
commenti a interi libri della Scrittura di Ca-
rattere
speculativo
e scientifico, in cui
prevale l'interpretazione allegori-
ca. Di essi ben
poco
ci rimasto: solo
parti
del commento al
Cantico,
a Matteo, a Giovanni
e alla Lettera ai Romani.
b)
Opere
sistematiche
Due sono le
grandi opere
sistematiche di
Origene:
I
principi
e Contro
Celso. La
prima
fu
composta
ad Alessandria
Verso
il 220: in
quattro
libri
vi
vengono esposte
in modo sistematico e
approfondite
con
procedi-
mento teoretico tutte le verit
principali
della fede cristiana. Ci
perve-
nuta nella traduzione latina di Rufino della cui attendibilitmolto si
discusso
e si continua a discutere. La
seconda,
il Contro
Celso,
fu
compo-
sta verso
il 246
per
confutare il Discorso veritiero del
medioplatonico
Celso
(i 178).

la
pi completa
e
importante apologia
del cristianesimo
tra
quelle
scritte nei
primi
secoli.
c) Altre
opere
La
preghiera,
trattato sulla
preghiera
in
genere,
con un commentomol-
to
approfondito
del Padre
nostro;
La
Pasqua,
trattato su
questa
festa;
Di-
spute
con Eraclide, resoconto
stenografico
di
una
discussione
teologica
te-
nuta con il
vescovo Eraclidedi Arabia.
DelFampioepistolario
ci sono
giunte
solo due lettere:
una indirizzataa
Gregorio
il
Taumaturgo,
suo
discepolo
a Cesarea,
laltra a Giulio l'Afri-
cano sul valore storico
dell'episodio
di Susanna.
46 Parte
prima
IL GENIO DI ORIGENE
Origene
indubbiamenteuno
dei
grandi geni
dell'umanit e,
con
S.
Agostino,
uno
dei due massimi
geni
del cristianesimo. Sullo
sviluppo
del
pensiero
e della cultura della Chiesa bizantinail ruolo di
Origene

analogo
a
quello
fondamentalesvolto da
Agostino
nella Chiesa
latina:

praticamente impossibilesopravvalutare Origene


e la sua
impor-
tanza nella storia
del pensiero
cristiano: in
essa,
il
posto
che
gli spetta
certo a
fianco di
Agostino
e di Tommaso. A chi
intraprende
delle
ricerche di
patristica capiter
come
allo scalatore:
poco
a
poco
scom-
paiono
ai suoi
piedi quelle
cime che
un momento
prima
lo
impressio-
navano,
mentre dietro ad esse
sorge,
maestosa,
la cresta
pi
alta del
massiccio.
Dopo
i maestri di
Cappadocia
fino ad
Agostino, Dionigi,
Massimo,
Scoto
Eriugena
e Eckart, nessuno
dei
grandi
riuscito a
sfuggire
al
quasi magico potere
di attrazioneesercitato dall"uomo di
acciaio"
(come
Origene
veniva chiamato) (...).
Nessun altro nella
Chiesa rimasto
sempre
cos invisibilmente
onnipresente
come
Ori-
gene.
(H.
U. v. BALTHASAI).
La
grandezza
e
il
genio
di
Origene
non sono mai stati messi in dub-
bio da
nessuno, neppure
dai suoi critici e
dai suoi avversari. Ecco
per
es.
cosa scrive di lui Vincenzo di
Lerino, uno dei suoi critici
pi
severi:
La
sua
intelligenza
era
cos
vasta, penetrante,
acuta, nobile,
da non
avere
rivali. Aveva
poi
una
tale conoscenza
della dottrina cristiana e
una cos
grande
erudizioneche
poche
cose
gli sfuggivano della
filoso-
fia
divina,
quasi
nessuna
di
quella umana,
che
egli
non avesse
acqui-
statciiprofondit.
La
sua
scienza non si limit alle
opere
greche,
ma
si estese
anche
a
quelle
latine ed ebraiche. La sua
eloquenza
era cos
piacevole,pura,
soave,
che si sarebbe
potuto
dire che
miele, non
paro-
le,
fluisse dalle sue
labbra. Non c'erano
questioni
difficili
a
esporre
che
egli
non rendesse
limpide
con
la forza del suo
ragionamento,
n
cose
che sembravano ardue che
egli
non rendesse facilissime
(...).
Nessun mortale ha scritto
pi
di
lui,
tanto che
non
possibile,
io
penso,
non solo
leggere
tutte le sue
opere,
ma
neppure
trovarle al
completo
(...).
Innumerevoli sono i
dottori,
i
vescovi, i confessori,
i
martiri usciti dalla sua scuola.

veramente
impossibile
commisurare
l'ammirazione,
la
gloria,
il favore che
egli acquisto presso
tutti. Chi,
per poco
religioso
che
fosse, non
corso da lui fin dalle
pi remote
piaghe
della terra? Dalla storia
sappiamo
che fu riverito non solo dai
privati,
ma
dallo stesso
imperatore
25
25) VINCENZO DI LERINS,
Il commonitorio c. i7.
.,,._if
0
x r
(i QVhW-d.
t- z flwann
j ,
_ ; ;. i,
.-
Clemente
e
Origene
47
, i
La statura del
genio
di
Origene
risulta tanto
pi grande
e straordina-
ria se sitiene conto del fatto che
egli
scrisse nella
prima
met
deLsec. III,
e
che tra
gli
scrittori cristiani eminenti era stato
preceduto
soltanto da
Ireneo,
Clemente Alessandrino
e Tertulliano.
Ora, nessuno di
questi
valenti
pensatori
era ancora riuscito a dare al cristianesimo un solido
impianto SpeCulatVO
e una
rigorosa
struttura sistematica. A
questa opera
attese con successo
Origene.
La sua
preoccupazione principale (preoccu-
pazione
che
era
gi
stata di
Clemente)
fu
quella
di dotare il
messaggio
cristiano di una base
speculativa pi
consistente,
assimilandoelementi
della
cultura del
tempo
ed
esprimendone
i contenuti secondo le
categorie
filosoficheallora
pi
in
voga.
Assimilazione
Culturale,
approfondimento
teologico
alla luce delle
esigenze
razionali:
questo
fu lo sforzo
speculati-
vo di
Origene.
Non
mancano nelle sue idee sfasature
ed
errori, ma
anche
qui
occorre tener conto che
egli
scrive un secolo
prima
di
Nicea
e due
secoli
prima
di
Calcedonia,
vale
a
dire in
un'epoca
in cui molte dottrine
antropologiche, cristologiche
e trinitarie non avevano
ancoragricevuto
una formulazione autorevole da
parte
del
magistero
ecclesiastico ed
erano
pertanto oggetto
di liberadiscussione.
Oggi gli
storici sono
sempre
pi
concordi nel riconoscere che
l'apporto
di Ori
gene
al cristianesimo
stato,
oltre che
decisivo,
anche altamente
positivo.
ILSISTEMA DEI PRINCPI
All'opera
in cui
presenta
la
sua visione
globale
della
realt,
coniugan-
. a
i u
mwzihwa
. . . . . .
do in modo talora ardito le verita del cristianesimo
con
quelle
della filo-
sofia
platonica, Origene
d il titolo
eloquente
I
Principi
(Peri arkn).
Egli
Vi tratta di tutti
gli
elementi costitutivi fondamentali delle
cose facendo
una
specie
di
grande
carrellata
e soffermandosi
pi
o meno a
lungo
su
ogni singolo principio
a seconda della
sua
importanza oppure
della
complessit
della materia. Si tratta fondamentalmentedi
una trattazione
cosmologica,
che
per
obbedisce a un unico
principio
metafisico,
quello
della libert: tutto l'ordine
cosmologico
Viene in effetti deciso dalla
libert: dall'uso della libert
dipende
la
disposizione
delle creature nel
cosmo.
E
qui
sta la
grande
diversit tra il "sistema'di
Origeniwleljre-
cedenti sistematizzazionidel dato rivelato
gi presenti
nei
primi
simboli
e
nella Didachc. Mentre in
questi
la sistematizzazioneobbedivaall'ordi-
ne storico dell'economia della salvezza ed era
pertanto collegata
a un
principio teologico,
in
Origene
la stessa economia della salvezza
Viene
subordinata
a un
principio superiore,
non
teologico bensinetafisico,
il
principio
della libert. Nei
Principi Origene
realizza il
compito
della teo-
logia
che
quello
di rendere
ragione
della
propria
speranza
e di raffor-
48 Parte
prima
zare la fede col
ragionamento,26
ma non lo fa in modo frammentario,
chiarendo
questo
o
quel particolare
mistero, ma
globalmente,
inserendo
in un'unica
grande
struttura
razionale tutta leconomia della salvezza,
tutti i suoi
attori,
tutte le sue Vicende,
anticipando
di molti secoli
quanto
tenteranno di fare
Hegel
e
Schelling
nel secolo XIX
e
Tillich
e
Teilhardde
Chardin nel secolo XX. Fu
questo
tentativo di razionalizzazione
globale
della rivelazione a suscitare le
maggiori
diffidenze,
le critiche
pi aspre,
e le scomuniche solenni nei confronti di
Origene. Egli
sar condannato
in nome
del cristianesimo biblico
per
i suoi cedimenti alla filosofia e
al1ellenismo in
generale.
Il Concilio
costantinopolitano
del
553
lo con-
clanner
per
avere restauratoi miti ellenici (tas
ellenikas
mythopoias).
L'obiettivo
specifico dell'opera

esplicitato
dallo stesso
Origene
nei
termini
seguenti:
Ordinare in un tutto
organico lesplicazione
razionale
di tutti
questi argomenti (insegnati
dalla
Chiesa),
s da mettere in evi-
denza le verit sui
singoli punti
con
dimostrazioni chiare e
inoppugna-
bili e ordinare,
in tal
modo,
un'opera organica
con
argomenti
ed enun-
ciazioni,
sia
quelle
che avr trovato nelle Sacre Scritture sia
quelle
che
avr
potuto
di l dedurre
grazie
a una
ricerca condotta con esattezza e
rigore logico)?
Come risulta da
questo
brano,
l'intento di
Origene nei
Principi

duplice:
sistematico (trattare
di tutti
gli argomenti
conordin-e)
e
raziocinativo 0
filosofico
(proporre ogni
verit con
argomentazioni
valide e con
rigore logico).
Nel
quadro
delle verit cristiane
Origene distingue
due
gruppi: quel-
lo delle verit
gi
chiaramente definite dalla Chiesa
(su Dio,
Cristo,
lo
Spirito
Santo, lanima,
la risurrezione dei morti
ecc.) e
quello
delle verit
che sono tuttora
oggetto
di discussione. I1 ricorso alla filosofia si
pu
operare
in entrambi i
casi, ma,
ovviamente,

pi urgente
e fecondo
nel
secondo che nel
primo.
L'opera
si
compone
di
quattro
libri che trattano
rispettivamente:
I)
il
mondo trascendente (Dio, Padre,
Figlio, Spirito
Santo,
Angeli,
anime
ecc); II)
il mondo storico
(creazione
del mondo
e
dei
progenitori,
econo-
mia dell'Antico Testamento,
incarnazionedel
Salvatore;
risurrezione e
castigo);
III)
il mondo umano (il
libero arbitrio,
la
sapienza, Yimago
Dei
ecc); IV)
il mondo scritturistico
(interpretazione
della
Scrittura,
simboli-
smo ecc.).
25)
De
Princ, IV, 1, I.
27) lbiii,
Prefazione.
pi.
_,yvcmra
Jsazi VJCIU dg, uW
1351/
ma>?*:"'-'-'
l
C
fld".n.fl',
LZV-L
94a f? r3.""-5"""'9 ?"
1" N
g
: a r?
tu!
F-flfl

g
Clemente e
Origene
49
SAPIENZA UMANA E DIVINA: IMPORTANZA DELLA FILOSOFIA
lJn
capitolo
dei
{Principi
(III, 3, 14-3)
ha
per
titolo Sulla
triplice
sa-
pienza"
e
spiega
1 Cor
2,
6-7.
Letre sapienze
sono:
la
"sapienza
del
mondo",
la
sapienza
dei
principi
di
questo mondo",
la
sapienza
di
Dio. Nettamente distinte
quanto
ai loro
oggetti, queste
tre forme di
sape-
re sono
disposte
secondo una
loro naturale
gerarchia,
la
quale assegna
il
grado
minimo alla
sapienza
del mondo e
il
grado
massimo
alla
"sa-
pienza
di Dio.
i
a
Per
sapienza
di. Dio
Origene
intende la
teologia,
sia
quella
naturale
che si
pu acquistare
attraverso le
creature,
sia
quella
rivelata che si
ottiene mediante le Scritture.
Quanto
alla
sapienza
dell'unico Dio,
noi
sappiamo
che
essa
ha
operato
meno
fra
gli
antichi e si rivelata
pi
ampiamente
e
chiaramente
per
mezzo
di
Cristo>>,2*5gi_ tratta,
di
una cono-
gscenza
segnata
da fortissimi limiti;
infatti
neppure
gli
eserciti
degli
angelibeati
n i beati troni n ledominazioni n i
principati
n le
pote-
st
possono
conoscere
pienamente
il
principio
e
la fine di tutte le cose.29
Per
quanto
uno
vada avanti nella ricerca e
progredisca
con
studio
intenso,
anche aiutato e
illuminatodalla
grazia
di
Dio, non
potr
mai ar-
rivare a
conseguire perfettamente
il fine della
sua
ricerca.
_Nessuna
mente
che
sia stata creata ha la
possibilit
di conoscere totalmente; ma
quando
ha
conseguito qualcosa
di ci che
ricerca,
vede che ci sono
altre
cose
che devono essere ricercate; e se
consegue
anche
queste,
si accor-
ger
che
ce ne sono ancora
molte di
pi,
che debbono essere
ricercatem-
La
sapienza
del mondo la
pi
faciledelle tre
sapienze;
essa corri-
sponde
alle diverse arti e scienze con
cui si studia
questo
mondo: con
cui
concepiamo
e
comprendiamo
ci che di
questo
mondo>>;31 essa
non
parla
di
Dio, non e tuttavia
incompatibile
con una
visione
religiosa
delle cose.
La
sapienza
dei
principi
di
questo mondo,
cio
degli angeli
o
dei
demoni che
governano
le
nazioni,
secondo
Origene, corrisponde
alle
scienze
proprie
di
ogni
nazione, a ci che si definisce la filosofiamiste-
riosa e
occulta
degli egiziani, l'astrologia
dei
caldei,
la
sapienza degli
indiani che
promettono
la conoscenza
delle realt
superiori
e le
variatene
molteplici opinioni
dei
greci
sulla divinit.32
28) Ibiafi,IH, 3,
1.
29) lbid, IV, 2,
14.
30) lbid.
31) lbid., III, 3,
2.
32)
Ibid.
50 Parte
prinza
La
filosofia,
secondo l'uso che si faceva di
questo
termine ai
tempi
di
Origene, pu
abbracciare tutti e tre i rami della
sapienza. Riguardo
al
delicato
problema
dei
rapporti
tra filosofi
e CristianesimoOri
gene
condi-
vide sostanzialmente la tesi di Clemente Alessandrino. Al
pari
del suo
maestro
egli
ritiene che tra filosofia
e cristianesimo non esista uno stato
di inimicizabens cli solidariet
e di alleanza. ln
effetti, a suo
parere,
il
ruolo della filosofia stato favorevole al cristianesimo sia
prima
sia
dopo
la venuta di Cristo. Prima di Cristo essa
ha
preparato
i
greci
a in-
tendere
e
ad
accogliere
la Parola
(il
Logos)
della
Rivelazione;
dopo
Cri-
sto essa fornisce al credente lo strumento
adeguato
per approfondire
e
rigorizzare"
le verit rivelate dalla Parola di
Dio, mediante dimostra-
zioni chiare
e
inoppugnabili.Quale uso
il credente debba fare della
filosofia
Origene
lo
spiega
chiaramente in una lettera al
suo
discepolo
Gregorio Taumaturgo,
nella
quale
dice tra l'altro: Le tue
disposizioni
naturali
possono
fare di te un
compiuto giurista
romano o un
filosofo
greco appartenente
a una della scuole
pi
stimate.
Io,
per,
Vorrei che tu
utilizzassi tutte le tue risorse naturali avendo come obiettivola dottrina
cristiana.
Quanto
allo strumento da
impiegare,
avrei desiderato che tu
prendessi
dalla filosofiadei
greci
tutto ci che
pu
servire come inse-
gnamento
enciclico
o
di
propedeutica
per
introdurre al cristianesimo
E Cos tutto Ci che dicono i filosofi
rispetto
alla
geometria,
alla
musica,
alla
grammatica,
alla retorica o allastronomia,
quando
le chia-
mano scienze ausiliariedella
filosofia,noi
lapplicheremo
alla stessa filo-
sofia
rispetto
al cristianesimo.
Origene, per,
ammaestrato dalla storia della Chiesa dei
primi
due
secoli,
ben
consapevole
che la filosofia unarma
a
doppio taglio;
infatti,
molti
approfittano
di
questa
conoscenza
che hanno dellelleni-
smo
per generare
dottrine eretiche
e fabbricare,
per
cos
dire,
Vitelli
d'oro
a
Bethel>>fi3Ma
questo pericolo
non lo
spaventa
e
per quanto
lo
riguarda
decide di
prendere
dalla filosofia dei
greci
tutto ci che
pu
servire come
propedeutica per
introdurre al
cristianesimo>>,34
allo
scopo
di rafforzare la fede
con il
ragionamento,35
un
ragionamento logico
conseguente, piuttosto
che definito
dogmaticamentemfi
che
parta
dalle
"nozioni comuni elaborate dalla filosofia
greca.
Come
Clemente,
anche
Origene
del
parere
che i barbari
(cio
i
cristiani) sono
capaci
di
sco-
prire
le
dottrine; tuttavia ammette che
per
giudicare,
fondare
e
adatta-
re alla
pratica
della virt
le-scoperte
dei
barbari,
i
greci
sono
pi
abili.37
33)
lbid.
s4)
ma.
35) Hid, IV, l,
1.
35') lbid, l, 7,
l.
37) Contro
Celso, l,
2.
Clementee
Origene
51
Da
questa
osservazione
Origene
conclude che
chiunque
arriva all'inse-
gnamento
cristiano dalle dottrine e dalle
discipline
dei
greci
in
grado
di
giudicare
della
sua verit>>38 stabilendoin tal modo una certa affinit
almeno r0
edeutica tra verit ellenica e verit cristiana. Certo Ori
ene,
P P
E
con
questo,
non
intende in nessun modo scambiarei ruoli
specifici
del
cristianesimo e
della filosofia: il
primo posto per quanto
concerne
la
verit
spetta sempre
al cristianesimo: La
parola
divina scrive
Origene
-
ha la sua dimostrazione
propria, pi
divina che non
quella greca
basata
sulla dialettica. E
questa
dimostrazione divina
l'Apostolo
la chiama
"dimostrazionemediante lo
Spirito
e
la
potenza
(1
Cor
2, 4).39
Ma ci
non
toglie
che della stessa verit - accolta con certezza
per
fede - si
possa
acquisire
anche urfevidenza razionale,
ricorrendoal
procedimento
filoso-
fico. Frutto
dell'applicazione
di
questo procedimento
alle verit annun-
ciate da Cristo su Dio,
sull'uomo e sul mondo la filosofiacristiana.
UNA METAFlSiCACRISTIANA DELLA
LIBERT
Padre della
esegesi
biblicae creatore della
teologia
sistematica,
Orige-
ne era
anche
un eccellente metafisico.
Egli
sentiva il
bisogno
di creare
una
grande impalcatura
metafisica in
grado
di contenere e
sorreggere
tutte le Verit che la rivelazione biblica e
la
sapienza
filosoficaavevano
messo a
disposizionedell'intelligenza
umana. Da una
parte
C'era il
gran-
de modello della metafisica
platonica,
che
a
sostegno
del mondo sensibi-
le
presentava
un vasto mondo
intelligibile;
dall'altra c'era il
quadro
ric-
chissimo dei misteri
cristiani,
che
per
erano
disposti
secondo
una
sequenza
storica senza nessi
speculativi. Origene
intravede la
possibilit
di fondere in una
grande
sintesi la metafisica
platonica
e i
dogmi
cristiani
dando cos vita alla
nuova
impalcatura
della metafisica cristiana.
I
germi
di una metafisica cristiana c'erano
gi
in Clemente ma si trat-
tava ancora soltanto di abbozzi.
Origene passa
dalle felici intuizioni del
maestro al
sistema,
grazie
alla
scoperta
di
un
principio capace
di unifi-
care tutta la realt: il
principio
della libert. Dalla munifica libert di Dio
traggono origine
tutte le
creature,
che all'inizio sono tutte
spirituali
e
tutte dotate di libert
e
che in
seguito
si
dispongono
secondo un
ordine
gerarchico
in base all'uso che fanno della libert. Cos
Origene
Costrui-
sce una metafisica della libert che indubbiamenteuna
metafisica cri-
stiana,
perch,
come
sappiamo,
la libert una
delle
grandissime acqui-
sizioni del cristianesimo.
38)
Ibid.
39) Ibid.
4) Cf. H.
CROUZEL,
Origne
et la
philosophie,Parigi
1962.
52 Parte
prinza
Cos mentre la metafisica di Clemente
era una metafisica
gnostica
che restava ancora all'interno della
prospettiva
intellettualistica della
metafisica
classica,
Origene
ne
dischiude
una diversa
e nuova
interpre-
tazione,
che
pi
tardi sar
ripresa
e
approfondita
da
Agostino,
Bona-
Ventura,
Scoto: cio
quella
della metafisica
volontaristica,
che si basa sul
primato
della Volont e della libert
rispetto
allintelletto
e
alla contem-
plazione.
Come tutte le metafisiche di
stampo platonico,
anche la metafisica
cristiana di
Origene procede
dallalto.
Cos,
nei
Principi
l'ordine della
trattazione il
seguente:
la
Trinit,
la
creazione,
la
degradazione
e cadu-
ta,
le nature razionali,
gli
esseri
incorporei, gli angeli,
il
mondo,
l'incar-
nazione del
Salvatore, Yanima,
il libero
arbitrio,
i movimenti delle
crea-
ture razionalibuone e
cattive,
la fine.
Dominata dal
principio
della
libert,
la struttura dell'universo
orige-
niano altamente dinamica
a
ogni
livello, e l'instabilitnel bene che
caratterizzale creature al momento della loro creazione
permane
immu-
tata:
ogni creatura,
sia nel
premio (angeli)
sia nella
punizione pi
(de-
moni) o meno
grave
(uomini)
preserva
la
prerogativa
del libero
arbitrio,
che
permette
a chi ha
peccato
di
purificarsi
e di risalire all'antica condi-
zione, ma
fa anche si che la creatura che si trova attualmente nel
posses-
so
del bene lo
possa perdere
per
sua
colpa
e
precipitare
nel
peccato,
.
allontanandosi da Dio in maniera
pi
o meno rilevante. Abbiamocos
passaggi
dall'una allaltra
categoria
di esseri: i demoni
possono
diventa-
re uomini
e
poi angeli; gli
uomini
possono
progredire
al
rango angelico
o
regredire
a
quello
demoniaco: mentre
gli angeli possono degradarsi
fino
a
diventare uomini e
diavoli. Come si vede, nell'universo metafisico
origeniano
la libert
regna
veramente sovrana.
DIO 1: LA TRINIT
Come si
detto,
il
primo argomento
di cui
Origenesi occupanei
Principi
il mistero
trinitario,
che Viene svolto studiando
distintamente
il
Padre,
il
Figlio
e
lo
Spirito
Santo.
Nella trattazione di
questo
mistero
Origene
non
dipende
n
poteva
dipendere
da Plotino -
come
frequentemente
si afferma
, perch
Plotino
era molto
pi giovane
di
lui, e di lui
Origene ignorava
sia le
opere
che il
pensiero.
Del
resto, se avesse conosciuto la dottrina
plotiniana
delletre
ipostasi primarie
ed eterne
(lUno,
il Nous e la
Psych)
avrebbe certa-
mente dato
una
formulazione
migliore
del mistero
trinitario,
special-
mente
per quanto
attiene la terza
persona,
lo
Spirito
Santo.
Inoltre
sol-
tanto trattando del
Padre,
che
per Origene
e
sinonimo
d_i_[_)io_(h0 tlz/es),
egli attinge
abbondantementealla filosofia:mentre
per parlare
del
Figlio
Clementee
Origcne
53
e dello
Spirito
Santo,
la sua fonte
principale, quasi
esclusiva,
la Sacra
Scrittura.
La
prima preoccupazione
di
Origene
trattando di Dio
quella
di
affermare, soprattuttoueontjroglifitoici,
il carattere assolutamente
spiri-
tuale
e
quindi incorporeo
della
sua
naturaScrive
Origene:
Non si deve
credere che Dio sia
corpo
o sia racchiusoin un
corpo,
bens che
egli
di
natura intellettuale
semplice,
cui assolutamentenulla si
pu aggiungere,
perch
non si
pensi
che
Egli
abbia in s
qualcosa
di
pi
o di meno: ma
Egli
in senso assoluto monade
e,
per
cos
dire,
enade
intelligenza
e
fonte da cui deriva
ogni intelligenza
e tutta la sostanza intellettuale
(I, 1, 6).
Come
Filone, a
sostegno
della
ineorporeit
di Dio
Origene
adduce
l'argomento
della immaterialitdella nostra
intelligenza: L'intelligenza
per
muoversi ed
agire
non
ha
bisogno
di
spazio
materiale n di dimen-
sione sensibilen di
figura corporea
o di
colore,
n assolutamente di
alcuna di
quelle
che
sono
le
propriet
del
corpo
e
della materia. Perci
quella
natura
semplice,
che tutta
intelligenza, per
muoversi ed
agire
non
pu
trovare ritardo e
indugio:
altrimenti sembrerebbeche
per
tale
aggiunta
sia in
qualche
modo limitata e
impedita
la
semplicit
della sua
natura divina:
sarebbe
composto
e
molteplice
ci che
principio
di tutte
le
cose: e
sarebbemolteplicit
e non unit ci che,
privo
di
ogni
mesco-
lanza
corporea,
deve
consistere,
per
COS dire,
nella sola forma della divi-
nit
(I, 1, 6).
Il
linguaggio
di
questi passi

quello proprio
della metafisica
platoni-
ca e
medio-platonica.
Dio monade
o enade,
realt
semplicissima
e unica,
appartenente
al mondo
intelligibile
(kosmos noets) e non a
quello
sensi-
bile:la sua natura e tutta
intelligenza,
Assolutamente trascendente il mondo della
materia,
Dio
supera
infi-
nitamente anche la
Capacit
di
comprensione
della nostra
intelligenza:
La
sua realt
incomprensibile
e
imperscrutabile. Qualunque
cosa
infatti
potremo pensare
e
comprendere
di
Dio,
dobbiamo credere che
Egli
sia di
gran lunga superiore
a ci che di Lui
pensiamo
(...). Fintanto
che la nostra
intelligenza
chiusa nelle
angustie
della carne e
del
sangue
ed resa
pi
tarda ed ottusa dal contatto con
questa
materia,
anche
se al
confronto della natura
corporea
di
gran lunga
s
periore,
tuttavia
quando
tende alle realt
incorporee
e Cerca
di
compr
nderle,
ha
a stento
il valore di
una
scintilla
o
di
una
lucerna. Ma fra le realt
intellettuali,
cio
incorporee,
che cosa tanto
superiore
a tutti, tanto ineffabilmentee
inestimabilmenteeccellente
quanto
Dio? Perci la sua natura non
pu
essere
compresa
dalla
Capacit
della mente
umana,
anche
se la
pi
pura
e
limpida
(l, 1, 5).
54 Parte
prima
lneornprensibile
nella sua natura e indefinibilenella sua
essenza, Dio,
il
Padre/non
rimane tuttavia inaccessibile
all'intelligenza umana,
per-
ch,
pur
non
potendo
con le sue forze
concepire
Dio
quale
in
se stesso,
tuttavia dalla bellezza delle sue
opere
e
dalla
magnificenza
delle
sue
creature, essa lo riconosce
padre
dell'universo
(I, 1, 6).
Origine
di
ogni
essere e
di
ogni
vita,
il Padre anche
origo
orrmium
divinitatis. In lui l'unit
positiva
di Dio. Pertanto contro
lo gnostifici-
4
smo di Marcione
Origene
riafferma l'unit armoniosa dell'economia tri-
nitaria,
quale disegno
misericordioso
e
provvidenziale
di Dio
per
l'uo-
mo. ll Padre Purch
(origine)
e
da lui
scaturiscono,
in modo
derivato,
sia il
Figlio
che lo
Spirito.
Il
Figlio
non e creato
e non "emanato" ma
"generato",
di una
generazionespirituale,
esente da
ogni corporeit,
e
ab
aeterno. Il
Figlio

perfettamente
consostanziale al
Padre,
Figlio per
natura e non
per
adozione,
pertanto egli
homoousios
(della stessa
sostanza del
Padre).
Tuttaviail
Figlio
ministro del
Padre, a lui
subordi-
nato. Solo il Padre e
uno,
mentre il
Figlio,
il
Logos,
uno e molti,
espri-
me
molteplici
attivit, come
insegna
la Scrittura.
Questa
subordinazione
anche in Dio stesso.
Infatti,tutti i
poteri
e tutte le
perfezioni
sono anzi-
tutto del Padre e lo
sono
in
grado sommo, e
poi
del
Figlio:
anche nel
conoscere
il Padre
maggiore
del
Figlio,
s che
egli
conosciuto da se
stesso in maniera
pi
pura
e
perfetta
di
quanto
sia CDHOSCUD dal
FlgllO 4,
Pi incerto
l'insegnamento
di
Origene
sulla terza
persona
della
Trinit:
del resto anche la dottrina ufficiale
non abbondava di afferma-
zioni sullo
Spirito
Santo che
permettessero
un
pi
sicuro orientamento.
Da
qui
il
bisogno
di una chiarificazioneche
Origene auspicava,
come
asserito nella Prefazione" ai suoi
Principi:
Non chiaramente
precisa-
to se lo
Spirito
Santo sia
generato
o
ingenerato;
se
anche lui debba
essere
considerato
figlio
di Dio
oppure
no:
tali
questioni
debbono essere
approfondite, per quanto

possibile
sulla base della Sacra Scrittura.
Va
comunque
riconosciuto ad
Origene
il merito di
avere
affermpata la
divinit dello
Spirito
Santo e di
avere
contemplato
nella Triadedivina lo
Spirito
come
persona
non creata: Non c' niente che
non sia stato fatto
tranne la natura del
Padre,
del
Figlio
e dello
Spirito
Santo
(IV, 4, 8).
Secondo
Origene,
le tre Persone divine oltre che nella
loro specifica
natura si
distinguono
anche nel loro
operare.
Infatti ilPadre
principio
e causa dell'essere,
il
Figlio
del conoscere e lo
Spirito
Santo della
santit."
Ecco un testo molto
significativo
in merito: Sembra
opportuno
ricercare
il motivo
per
cui chi
generato
da Dio (1
Pt
1, 3)
alla salvezza abbia
bisogno
del
Padre,
del
Figlio
e dello
Spirito
Santo, non
potendo
avere
la
salvezza se la Trinit
non
completa,
n
possibile
diventare
partecipi
del Padre
e
del
Figlio
senza lo
Spirito
Santo. Esaminando
queste que-
Clemente e
Origene
55
stioni,
sar necessario
esporre
l'attivit
specifica
dello
Spirito
Santo e
l'attivit
specifica
del Padre e del
Figlio.
Dio
padre,
che tutto abbraccia,
giunge
a ciascuno
degli
esseri facendolo
partecipare
del suo essere e
facendoloessere ci che : il
Figlio
inferiore
rispetto
al Padre
giungen-
do soltanto alle creature razionali,
infatti secondo
dopo
il
Padre; anco-
ra
inferiore lo
Spirito
Santo che
giunge
solo ai santi. Perci la
potenza
del Padre
maggiore
di
quella
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo;
quella
del
Figlio

maggiore rispetto
allo
Spirito
Santo;
quella
dello
Spirito
Santo a
sua volta
maggiore rispetto agli
altri esseri santi
(I, 3, 5).
Questo
passo
attesta
l'ambiguit
del
pensiero originario
nella
que-
stione trinitaria: da una
parte
si vede la
sua
volont di affermare la divi-
nit delle tre divine
persone,
dall'altra evidente la tendenza verso un
marcato subordinazionismo,
assegnando
l'attivit
ontologica pi impor-
tante al Padre.
In
questo
testo si
pu cogliere
anche
una certa
analogia
tra le attribu-
zioni
ipostatiche
di
Origene
e
quelle
di
Plotino, ma evidente anche la
differenza. Infatti in Plotino
principio dell'Intelligenza
lUno; mentre
Ylntelligenza

principio
dell'Essere, e lAnima
principio
della Vita. Ma
come abbiamo
gi
osservato, Origene ignorava
il
pensiero
di
Plotino,
mentre molto
probabile
che Plotino conoscesse
quello
di
Origene.
LA CREAZIONE
Origenc
fa
suo
il
principio
chiave della metafisica
cristiana,
il teore-
ma
della creazione. Con Clemente
egli
afferma che tutto ci che
non
Dio stato tratto dal nulla. Lui l'unico
principio
di tutte le cose.
Anche
la materia e creata
e, perci,
non
pu
essere coeterna a Dio: Tutte le
cose sono state create da Dio e
nulla c' che da lui non
abbia avuto l'es-
sere; perci
Vanno
rifiutate
e
respinte
le false affermazioni di taluni sulla
materia coeterna a Dio o
sulle anime
ingenerate
cui Dio avrebbe dato
non tanto l'esistenza
quanto
l'ordine e
la
condizione
di vita
(l, 3, 3).
Mentre
Origene
non nutre dubbi circa il fatto della
creazione,
egli
avverte un
grave problema
per quanto
concerne
il
tempo:
la creazione
ha avuto
luogo
sin
dalleternit, come
insegnavano
i filosofi
oppurefl
stata realizzatanel
tempo,
come
afferma la Scrittura?
Origene premette
che
non c mai stato un momento in cui Dio sia
rimasto
TOPGTOSO:
Dio,
buono e
padre benigno
di
tutti,

potenza
che insieme benefica
e crea. Ed assurdo ed
empio pensare
che anche
per
un solo istante
queste
facolt siano state inerti,
poich
non lecito
supporre
anche
solo di
sfuggita
che le facolt alle
quali principalmente
dobbiamoun
degno
concetto di
Dio,
siano state un momento immobili,senza
ope-
56 Parte
prima
rare in maniera
degna
di s. Infatti
non dobbiamo
pensare
che le
facoltche
sono in
Dio,
anzi che
sono Dio,
siano state
impedite
dall'e-
sterno, ma d'altra
parte
non dobbiamo credere
che, non essendoci
alcun
ostacolo, esse si siano infastiditee abbianotrascurato di
operare
ci che fosse
degno
di loro. Perci non
possiamo supporre neppure
un momento in cui
quella
facolt beneficanon abbia
operato
il bene.
Ne risulta che
sono
sempre
esistiti
gli oggetti
cli tale bene,
cio atti di
creazione e creature, e
che la facolt di Dio beneficandosecondo l'or-
dine ed il merito abbia
dispensato
a
queste
benefici in virt della
sua
provvidenza.
Di
qui
ricaviamo che
non c' stato momento in cui Dio
non sia stato beneficoe
provvide
(I, 4, 3).
Ma se Dio non mai stato
inoperoso,
ci
significa
che il mondo
eterno?
Origene
trova una
risposta
a
questo
difficile
quesito, distinguen-
do con Platone tra mondo delle idee
e
mondo reale. Il
primo,
che Contie-
ne
le idee di tutto ci che stato
creato,

sempre
esistito nel
Logos,
la
divina
Sapienza:
invece il secondo ha avuto inizionel
tempo.
Orbene,
in
questa Sapienza,
che
era
sempre
col
Padre, era
sempre
contenuta, preordinata
sotto forma di
idee,
la
creazione,
s che
non
c'
stato momento in cui l'idea di ci che sarebbestato creato non era nella
sapienza
(...).
E se tutto stato fatto nella
Sapienza, poich
la
Sapienza

sempre
stata,
precostituiti
sotto forma di idee
sempre
esistevano
nella
Sapienza gli
esseri che successivamente sarebbero stati creati
anche secondo la sostanza (...).
Pertanto se tutto ci che sotto il sole
esistito
gi
nei secoli che
sono stati
prima
di
noi, poich
non
c' nulla
di
nuovo sotto il
sole, senza
dubbio
sono
sempre
esistite tutte le
cose,
i
generi
e le
specie,
e si
potrebbe
dire anche ci che numericamente
uno.
Comunque,
in
ogni
modo risulta chiaro che Dio non
ha comincia-
to
a creare in un
dato momento. mentre
prima
non lo faceva
(l, 4, 4-5).
Origene._giudica questa
sua
soluzione
adeguata
e soddisfacente: Mi
sembra che forse in
questo
modo
noi,
nei limiti della nostra
pochezza,
possiamo pensare
Dio in maniera ortodossa,
poich
non
diciamole crea-
ture
ingenerate
e coeterne a Dio, e d'altra
parte neppure
che
Dio, non
avendo fatto
prima
niente di
buono,
abbia cominciato ad
operare
in
seguito
a un
cambiamento
(I, 4, 5).
Ma non sono stati dello stesso avviso molti studiosi di
Origene,
che
lo hanno accusato di considerare il mondo coeterno a Dio. E
questa
con-
cezione
gli
comunemente attribuita anche da studiosi moderni.
Eppure,
come
benrilevano
Crouzel, Orbe,
Simonetti e altri,
dai
passi
che
abbiamoriferito risulta che l'unicomondo di cui
Origene
ha
ammesso
la
coeternit
rispetto
al Padre il mondo delle idee collocatonel
Figlio.
Ci che si
pu rimproverare
ad
Origene
di
usare
il termine "crea-
zione con una certa
leggerezza.
In effetti non si
pu
dire che le idee
Clemente e
Origene
57
archetipiche
che abitanonel
Logos
siano state create: la
crepitio ex
nihilo
si riferisce al mondo reale
e non a
quello
ideale.
Dal
punto
di vista
metafisicoQrgene
realizza invece una
grande
conquista togliendo
le Idee
dalllperuranjo
e inserendole nella Mente
divina,
il
Logos.
Con
questa operazione egli
riesce ad eliminare
quel
doppione
del mondo
sensibile,
che
era il
principale rimprovero
che Ari-
stotele muoveva a Platone. Su
questa
via si era
gi
incamminato
Filone,
il
quale
tuttavia
concepiva
la Idee sia
come
pensieri
della Mente divina
sia
come realt sussistenti create dalla
potenza
di Dio.
Questa
ambiguit

completamente
rimossa da
Origene.
LE
CREATURE RAZIONAL
Singolarissima
e assai discussa la dottrina di
Origene
sulla condi-
zione delle creature razionali. Si badi bene che si
parla
di creature razio-
nali
e non di
creature spirituali, perch
mentre assolutamente fuori
discussione che
per Origene
Dio
incorporeo,
e
quindi spirituale,
pare
invece che
egli ritenga
necessario
per
tutte le
creature,
compresi gli
angeli,
il
possesso
di
un
corpo.
Abbiamo
gi presentato
la metafisica di
Origene
come una metafisica
dellaglibert.
La libert anzitutto
perfezione
essenziale di Dio:
Egli

libero
e crea liberamente. Ma la
libert, secondo
Origene,
anche dote
essenziale
e non eliminabiledi tutte le creature
razionali, e sulla libert
si
regge
tutta la struttura dell'universo creato. Le
creature razionali sono
suddivise da
Origene
in tre ordini: creature
angeliche,
uomini e demoni.
L'appartenenza
a un ordine
o a un altro non
dipende
dalla volont di
Dio,
bens dalla libera scelta della
creatura. AppartengonoealPordine
angelico
le creature che aderiscono fermamenteal
Bene;
all'ordine
umano
quelle
che aderiscono al Bene con
esitazioneed-incostanza;
infi-
ne
appartengono
all'ordine demoniaco
quelle
che aderiscono
con tena-
cia al male.
l
i
Secondo
Origene l'appartenenza
a un ordine
o a un altro
non mai
definitiva,
perch
il liberoarbitriorimane
sempre prerogativa
essenziale
della creatura
razionale, e con
questa
facolt essa
sempre
in
grado
di
cambiare la
propria
collocazione nell'universo:
l'angelo pu
diventare
demonio
e viceversa,
il demonio
pu
diventare
angelo.
Ecco il testo di
esemplare
chiarezza in cui
Origene
ha
proposto que-
sta ardita e assai controversa teoria:
Questi tre nomi
(creature celesti, terrestri
e
infernaliiindicano
il
complesso
di tutti
gli
esseri
creati,
cio tutti coloro che avendo avuto
unica e
uguale origine,
variamente
spinti
ognuno
dai suoi
impulsi,
sono stati distribuiti in diversi ordini a seconda dei loro
meriti,
poich
58 Parte
prinza
in tutti costoro il bene non era
presente
in maniera sostanziale, come
invece in Dio,
in Cristo e nello
Spirito
Santo.
\
"
Infatti nella sola Trinit,
che il Creatore di tutte le
cose,
il bene esiste
in modo sostanziale:
gli
altri esseri lo
posseggono
in forma accidentale
e tale che
pu
venir
meno,
e si trovano nella beatitudinesolo allorch
partecipano
della santit,
della
sapienza
e della stessa divinit. Se
per
trascurano
questa partecipazione, per
la
propria
inerzia,
chi
prima
chi
dopo,
chi
pi
chi
meno,
diventano causa della
propria
caduta. Poich,
come
ho
gi
detto, grandissima
la variet di
queste
cadute,
per
cui
uno
decade dalla
propria
condizione,
in
rapporto
ai movimenti della
mente e
della volont,
in
quanto
uno
pi leggermente
uno
pi grave-
mente scende in basso,
il
giusto giudizio
della Provvidenza fa s che
ad
ognuno
tocchi ci che merita
per
il
suo
peccato
in
rapporto
alla
diversit dei movimenti e
delle scelte. Fra coloro che sono
rimasti
nella condizioneiniziale
(...)
alcuni sono
assegnati
all'ordine
degli
angeli,
altri delle
potenze,
altri dei
principati,
altri delle
potest
(...).
Coloro
poi
che
sono
decaduti dalla
primitiva
beatitudine, ma non
in
maniera irrimediabile,sono
assoggettati, per
essere
amministrati e
retti,
agli
ordini beati di cui
sopra
abbiamo
parlato, perch
usando del
loro aiuto, migliorati
da
precetti
e
da
insegnamenti
salutari,
possano
essere
restituiti alla
primitiva
condizionedi beatitudine. Per
quanto
posso supporre,
credo che di costoro formato l'ordine
degli
uomini
(..,).
Anche coloro che
agiscono
sotto il comando del diavolo (...)
negli
ultimi
tempi
e
per
mezzo
di
pene
pi pesanti
e dolorose, lunghe
e
sopportate, per
cos
dire,
per
molti secoli, tutti rinnovati
dagli
inse-
gnamenti
e da severe
correzioni saranno
reintegrati prima
fra
gli
angeli poi
fra le
gerarchie superiori;
e cos assunti
gradatamente
sem-
pre pi
in alto arriveranno fino alle realt invisibilied
eterne, dopo
aver
percorso
uno
per
uno
gli
uffici delle
gerarchie
celesti al fine di
essere
istruiti. Di
qui,
come
penso,
si deduce che
ogni
creatura razionale
pu passare
da un
ordine all'altro e
giungere,
uno
per
uno,
da tutti a
tutti,
poich
ciascuno in
forza
del liberoarbitrio
progredisce
e
regredisce
variamentein relazioneai
propri
movimenti ed
impulsi
(I, 6, 2-3).
In tale incessante cambiamentosi inserisce l'azione salvifica del Lo-
gos,
iniziata
gi dopo
il
peccato,
al fine di
recuperare
tutte le creature
razionali decadute nel male e di
riportarle
alla condizioneiniziale,
che
costituir la condizionefinale. In
quest'opera
di salvezza sono coinvolti
anche
gli angeli
buoni,
i
quali
offrono il loro servizio
per
riabilitare
l'uo-
mo verso la scelta del bene e
il
progresso
continuo in esso.
Ogni angelo
ha
una
mansione diversa
dagli
altri in forza dei
propri
meriti,
dello zelo
e
delle virt manifestate
prima
della
organizzazione
del mondo. Scrive
Origene:
Nell'0rdine
degli arcangeli,
stato attribuito a ciascuno
que-
sto o
quel genere
d'ufficio: altri hanno meritato d'essere iscritti nell'ordi-
ne
degli angeli
e di
agire
sotto l'autorit di
questo
o
quell'arcangelo,
di
Clementee
Origenc
59
questo
0
quel capo
0
principe
del suo ordine (I, 8, 1).
Agli angeli
e stato
concesso
di ordinare e
governare
l'universo,
alle
potenze
di esercitare il
loro influsso su
coloro che hanno
bisogno
di avere
potenza
nei loro
comandi,
ai troni di
giudicare
e
di
dirigere
coloro che ne
hanno
bisogno,
alle dominazioni di
governare
i serv. Ai meriti di
ogni angelo
corri-
sponde
il
giudizio equo
e
giusto
di
Dio,
il
quale
affida a ciascuno la
mansione
corrispondente
alle sue
virt e ai suoi talenti, senza
cadere in
parzialit.
Tutto ordinato dalla
superiore sapienza
divina,
per
cui nulla
avvienea caso o
disordinatamente.
L'Uomo
Secondo
Origene,
dote fondamentale,
primaria
dell'uomo, come
del
resto di
qualsiasi
altra creatura
razionale il liberoarbitrio. In effetti,
in
quanto
essere razionale,
l'uomo oltre la
capacit rappresentativa pos-
siede anche la
ragione,
che
giudica
le
rappresentazioni respingendone
alcune e
accettandone altre. D'altra
parte,
poich
nella natura della
ragione
c' la
capacit
di
giudicare
il bene e
il
male,
noi in base ad essa
giudichiamo
il bene e
il
male,
scegliamo
il bene ed evitiamo il
male, e
siamo
degni
di lode se ci diamo alla
pratica
del
bene,
degni
di biasimo
se
facciamo
l'opposto
(III, 1, 3).
L'uomo a Causa
del cattivo uso
del libe-
ro
arbitrio da
parte
dell'anima,
proprio
da
quel
momento costituito
"naturalmente" oltre che di anima anche di
corpo
(cf.
IV
4, 8).
Sulla natura dei
rapporti
tra anima e
corpo
il
pensiero
di
Origene
non
risulta abbastanza chiaro: da una
parte egli
sembra
concepire
la
corpo-
reit come un
fenomeno accidentalee
provvisorio,
dovuto all'abuso del
libero arbitrio; dall'altra, invece,
sembra considerarla un
elemento con-
sostanziale all'anima razionale,
quale sigillo
della sua finitczza},
In
que-
sta seconda
ipotesi
la materia e
la
corporeit
non
sarebbero
pi concepi-
te come
principi
fisici ma metafisici,
connessi con
la mutabilite
l'im-
perfezione
della creatura
razionale.
L
materia diviene allora un concet-
to limite: cio
l'espressione
della mutabilite dellimperfezione
dell'a-
nima. E alla luce di
questo
concetto si
comprende
come
Origene possa
affermare che solo la
Trinit,
in
quanto perfetta
e immutabile,

incorpo-
rea. Questo viene,
per,
a
complicare
un
po
le
cose
per quanto
concerne
la
spiritualit
dell'anima,
che
Origene
afferma e
dimostra con
notevole
sicurezza. A coloro che
sostengono
che l'anima
corporea
infatti
replica:
Vorrei che mi
rispondessero
come
mai essa
sia in
grado
di
accogliere
spiegazioni
e
dimostrazioni di
argomenti
cos
importanti,
difficili e
sottili. Donde a
lei la
capacit
della memoria,
donde la
capacit
di
contemplare
le realt invisibili,
donde deriva al
corpo
la
comprensio-
ne
di realt certamente
incorporee?
In che modo una natura
corporea
60 Parte
prima
pu applicarsi
allo studio delle scienze e cercare la
spiegazione
razio-
nale delle cose? Donde deriva la
conoscenza e
intelligenza
anche
delle verit divine che manifestamente
sono
incorporee?
A
meno che
uno creda
che, come la
figura
del
corpo
e la forma delle orecchie
o
degli
occhi conferisce
una certa attitudine
a udire
e vedere, e come le
singole membra,
che
sono state modellate da
Dio, ricevono dalla loro
forma una certa
propensione
a ci che
per
natura la loro
funzione,
analogamente
si debba
pensare
che la forma dell'anima
e della intelli-
genza
sia stata modellata esattamente
perch
essa
possa
conoscere e
intendere le varie cose e sia mossa da
impulsi
vitali. Ma in riferimen-
to al fatto che
l'intelligenza
esiste e si
muove intellettualmente non
riesco a
comprendere quale
colore uno le
possa
attribuire
(I, 1, 7).
Notevole anche
l'argomento
con cui
Origene
dimostra Hmmortafit
dell'anima:
anch'egli
si richiama
all'agire spirituale dell'anima,
in
parti-
colare la
conoscenza di Dio. Secondo
Origene
sarebbe stato
empio
sup-
porre chelintelligenza,
che
capace
di
accogliere Dio,
possa
essere
soggetta
alla
morte secondo la
sostanza,
quasi
che il fatto di
comprende-
re Dio non sia sufficiente ad assicurarle l'eternit.
Infatti, anche
se l'in-
telligenza
per
trascuratezza
perde
la
capacit
di
accogliere
Dio in s in
maniera
pura
e
integra,
conserva
per
in s la
possibilit
di
ricuperare
una
migliore conoscenza,
allorch l'uomo
interiore,
che detto anche
razionale, Viene
reintegrato nell'immagine
e nella
somiglianza
di Dio
che lo ha
creato (IV, 4, 9).
Oltre che di anima e di
corpo spesso Origene presenta
l'uomo
come
dotato anche di
spirito (pneuma):
L'uomo
composto
di
corpo,
anima e
spirito (IV, 2, 4). Lo
spirito
la
sua
parte migliore,
ci
per
cui l'uomo
trascende se stesso e diviene
partecipe
della vita divina:
Questo
spirito

precisa Origene
-
non lo
Spirito
Santo, ma
parte
del
composto umano
come
insegna
lo stesso
Apostolo.41

quindi,
senza dubbio,
spirito
del-
l'uomo. Ma
appartiene
all'uomo
pi
come
capacit passiva
che attiva:
esso
funge
da
soggetto
dell'azione dello
Spirito
Santo. La natura
uma-
na
debole, e
ha
bisogno
dell'aiuto divino
per
divenire
pi
forte.
Leg-
giamo
che "la
carne debole". Con
quale
mezzo
pu dunque
essere for-
tificata? Certamente con l'aiuto dello
spirito:
"Lo
spirito
infatti
pronto,
ma la
carne e debole
(Mt 26, 41).
Chi vuole diventare
pi
forte non
deve fortificarsi che nello
spirito.
Molti si fortificano nella
carne,
rinvi-
goriscono
il
corpo;
ma l'atleta di Dio si deve fortificare nello
spirito,
e
quando
si sar cos
rinvigorito, Calpester
la
sapienza
della
carne
e,
divenuto
spirituale,
assoggetter
il
corpo
alla
potest
dellanima.4l
41) Heraclr, VII, 20.
42) Commento a Luca, Serm.
11, 3.
Clementee
Origerte
61
Lo
spirito
la
parte migliore
dell'uomo: ci
per
cui
egli
trascende se
stesso. Ma in che
cosa
consiste
pi precisamente
la trascendenza dello
spirito?
E.
I. Dupuis,
che ha dedicato uno
studio
particolareggiato
alla
concezione
origeniana
dello
spirito
dell'uomo,
dichiara: <<esso il
punto
di contatto tra l'uomo e
il Pneuma divino che labita.43 Il
pneuma
umano
un
pneuma
creato che ci
appartiene
in
proprio;
ma
in
quanto
termine immediatodella nostra
partecipazione
allo
Spirito,
esso
postula,
distinto e trascendente,
la
presenza
santificatrice dello
Spirito
divino.44
Lo
spirito
vivifica
per
una
vita
qualificata:
la vita divina;
rende cio
par-
tecipi
della vita del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo. La
triplice
partecipazione
alla vita divina avviene come
segue:
Mentre
per
prima
cosa
gli
esseri hanno l'essere dal
Padre,
per
seconda cosa
l'essere razio-
nali dalla
Ragione (logos)
divina,
per
terza l'essere santi dallo
Spirito
Santo,
d'altra
parte
diventano
capaci
di
accogliere
Cristo in
quanto giu-
stizia di Dio
quelli
che
gi prima
saranno stati santificati dallo
Spirito
Santo, e l'azione di Dio che comunica a tutti l'essere,
risulta
pi splendi-
da e
pi
radi0sa_45
Un ruolo
importante nellantropologia origeniana
assume il concetto
di
imago
DeifiCommentandoil versetto biblico: Dio disse: facciamo
l'uomo a nostra
immagine
e
somiglianza
(Gen 1, 26)
Origene distingue
due livelli di iconicit:
quello originario
(della creazione) e
quello
con-
clusivo
(della beatificazione).
Il
primo

quello
della
semplice immagine
ed esclusivamente dono di
Dio;
il
secondo,
che
quello
della somi-
glianza,
oltre che dono di Dio anche
conseguenza
dellbperosit
umana: cos,
essendogli
stata concessa
all'iniziola
possibilit
della
per-
fezione
per
mezzo
della
dignit dell'immagine,
l'uomo
pu
alla fine rea-
lizzarela
perfetta somiglianzaper
mezzo
delle
0pere.4=
Il
peccato
non
distrugge Fimago
Dei ma
la
guasta profondamente,
tanto da trasformarlada
immagine
di Dio in
immagine
dell'uomo terrestre:
Ci sono due
immagini
dell'uomo:
una, quella
che l'uomo ha ricevuto
da Dio al
tempo
della
creazione, come
dice la Genesi: a
immagine
e so-
miglianza
di Dio"
(Gen 1, 27);
l'altra
l'immagine
dell'uomo "terrestre",
che
egli
ha ricevuto
pi
tardi a causa
della sua
disobbedienzae
del suo
peccato, quando
fu cacciato dal
paradiso,
sedotto dalle
lusinghe
del
"principe
di
questo
mondo"
(Gv 12, 31).
Come una moneta o un denaro,
porta l'effigie dell'imperatore
da
mondo,
cos chi
compie
le
opere
del
43)
E.
I. DUPUIS,
LEsprit
de l'homme. Efude sur
Fanfhrapologie religieuse d'Origrze,
Bruges
1967,
p.
9.
44) lbid.,
p.
109.
45)
Principi,
I, 3,
8.
46) Haiti, III, 6,
1.
62 Parte
prima
principe
delle tenebre
porta l'immagine
di colui di cui ha
compiuto
le
opere.
E Ges ordina di restituire
questa immagine
e di"
strapparla
dal
loro
volto,
per riprendere quella
secondo la
quale all'origine
noi fummo
creati a
somiglianza
di Dio.47 Come si
vede, sia
Yimago
che la similitudo
sono intese da
Origene
non come
qualit
statiche
ma fortemente
dina-
miche, che
possono
crescere o diminuire sia
per opera
dell'uomo sia
per
grazia
di Dio.48 I
segni dell'immagine
divina si riconoscono
non
nella
figura
del
corpo
che corruttibilema nella
prudenza, giustizia,
modera-
zione, virt,
sapienza, disciplina dell'anima,
di tutto
quel complesso
di
virt,
che in Dio sono
presenti
in maniera sostanziale e
che
possono
tro-
varsi nell'uomo
grazie
alla
sua
operosit
e alla imitazionedi Dio.49
Per accostarsi
sempre pi
al modello
divino,
migliorando
un
po
alla
volta la
propria
similitudo,
l'uomo
deve
cercare di
riprodurre
in
se stes-
so,
nella
propria
condotta,
lelfatizkiedi
quella
che
l'immagineperfetta
di
Dio,
il
Cristo,
il
Logos
incarnato. Alla maniera di coloro che
dipingo-
no
immagini e,
una volta scelto ad es. il volto di
un
re, rivolgono
la loro
abilitartistica a un modello
unico,
cos ciascuno di
noi, trasformandola
sua anima a
immagine
di
Cristo,
compone
di lui
un'immaginepi
o me-
no
grande,
talvolta trascurata e
sporca,
talaltra chiara
e luminosa
e
ri-
spondente all'originale. Quando
dunque
avr fatto
grande l'immagine
dell'immagine,
cio la mia
anima, e l'avr
magnificata
con le
opere,
con
il
pensiero,
con
la
parola,
allora
l'immagine
di Dio diviene
pi grande,
e
lo stesso
Signore,
di cui l'anima
l'immagine,

magnificato
nella nostra
anima.50
IL
METODO ALLEGORICO
Oltre che
grandissimo metafisico,
Origene
stato anche
un
geniale
teologo
e un brillante
esegeta.
E la
sua
esegesi
della Scrittura
gioca un
ruolo fondamentaleanche nella
sua metafisica
e nella
sua
teologia.
Per
quanto
concerne
l'interpretazione
della Sacra Scrittura
Origene

stato
per
il cristianesimo
quello
che
era
gi
stato Filone
per
l'ebraismo.
In
questo campo
il
giudeo
di Alessandria fu il maestro sia di Clemente
che di
Origene.
Entrambi
apprendono
da Filoneil metodo
dell'interpre-
tazione
allegorca
o simbolica della
Scrittura, ma
rispetto
a Filone ne
allargano
immensamente il
campo,
perch
tutto l'Antico Testamento
diventa
allegoria
del Nuovo e Cristo diviene il centro di tutte le trame
47)
Conzmento a Luca, Serm.
39, 5.
4*) Cf. H.
CROUZEL,
Thologie
de
l'image
de Dieu chez
Origize,
Paris 1956.
4")
Principi,
IV, 4, 10.
5) Commento a Luca,
Serm.
8,
2.
Clementee
Origene
63
simboliche. Ma mentre Clemente si era accontentatodi fare delle
sempli-
ci
applicazioni
del metodo
allegorico, Origene
nei
Principi
stende il
primo
trattato di
esegesi
biblica,
fissando
criteri
precisi
sia
per l'interpre-
tazione letterale sia
per
la simbolica. E
questo
il tema del IV Libro dell'0-
pera.
Origene,
come si
sa,
uno
dei massimi assertori e uno dei
pi geniali
interpreti
del
significato allegorico
della Scrittura. Per lui il simbolismo
biblico una delle Verit fondamentali del Cristianesimo. Gi nella
Prefazione dei
Principi leggiamo:

tramandato
(dalla
predicazione
apostolica)
che le Scritture
sono state
composte per opera
dello
Spirito
di
Dio e
contengono
non
solo
quel significato
che
manifesto, ma anche
un
altro che
sfugge
ai
pi.
Infatti ci che scritto
figura
dei misteri ed
immagine
di realt divine. Su
questo punto
una sola la convinzione di
tutta la Chiesa: che tutta la
legge

spirituale
(Rm 7, 14); ma
quello
che la
legge
vuole
spiritualmente significare
non e noto a
tutti,
ma
soltanto a
coloro cui nella
parola
di
sapienza
e scienza
(1 Cor, 12, 8)
stata donata la
grazia
dello
Spirito
santo.52 Non si deve
pensare
che i fatti storici siano
figure
di fatti storici e le realt
corporee
di realt
corporee,
ma
le realt
corporee
sono
figure
di realt
spirituali
e
i fatti storici
degli intelligibilm"?
Ma anche la
conoscenza
di Dio attraverso il simbolismobiblico
non
cosa facile: la si
acquista
solo a
prezzo
di studio
assiduo,
di
intelligenza
acuta e
di fede
profonda.
E anche
con
queste disposizioni
si otterr sem-
pre
una conoscenza limitata.
.
Io far
un buco nella
pietra,
la
quale pietra

Cristo,
affinch attra-
verso a
questa
stretta fessura tu
possa
vedere le mie
spalle,
ossia
affinch tu
possa contemplare
alla fine dei
tempi, per
mezzo dell'in-
carnazione, ma non
potrai
mai veder la mia faccia.54
Per coloro che attendono alla
sapienza
e alla
conoscenza non c' tra-
guardo.
Infatti che limite si
pu
assegnare
alla
conoscenza di Dio? Pi
ci si avvicinae
pi
si
scoprono
abissi;
pi
la si scruta e
pi
ci si accor-
ge
che ineffabille
e
incomprensibile,
La
Sapienza
di
Dio,

impossi-
bile
comprenderla
e
giudicarla (...). Quando
si
progrediti
un
po
nella
conoscenza, quando
si
acquista
un
po d'esperienza,
si sa che,
dal momento in cui si
giunti
a una certa
contemplazione
e scienza
dei misteri
spirituali,
l'anima vi dimora come in una tenda,
Ma ci
che s' trovato
spalanca
nuove
prospettive
e introduce alla
compren-
51) Sul
pensiero esegetico
di
Origene
si veda H. DE
LUBAC,
Storia e
spirito.
La com-
prensione
della Scrittura secondo
Origene,
Roma 1971.
52) De
principiis,
l, Pref. 8.
53) Com. in
Inlumnenz 10,
18.
54) Hom. in Ps.
36, 4,
l.
64 Parte
prima
sione di altre verit: occorre
allora levare le
tende,
portarsi pi
in alto
e stabilirvi la dimora
dell'intelligenza,
fissata in
questo luogo
dalla
solidit dei
significati
che vi trova. Di
nuovo, questi significati
la con-
ducono ad altri
significati spirituali,
che derivano dai
primi
come
conseguenza
certa e cos,
andando
sempre
avanti,
l'anima
pare passa-
re di tenda in tenda. Non c' istante in cui
l'anima,
che ha acceso
la
fiaccola della
conoscenza,
possa
oziare e
riposare;
essa e continua-
mente
sospinta
dal beneal
meglio
e da
questo
a
qualcosa
di ancor
pi
perfettom"
Le arole di Cristo sono sem re com iute, ma allo stesso tem o
P
. . . .
P.
. . .
sono
anche
in via
dl
compimento; ogni giorno
esse S1
compiono,
eppure
il loro
compimento
non mai terminato.56
Ci fa
parte
della natura stessa dell'uomo,
la
quale
essenzialmente
quella
di un cercatore:
egli
si rinnova
ogni giorno.57
Il
progresso
non sarresta
neppure
in Cielo,
perch
la conoscenza
dei
segreti
si rinnova
continuamente, come
pure
la rivelazione
degli
arcani
da
parte
della
Sapienza
divina, non soltanto
agli
uomini, ma altres
agli
angeli
e
alle virt celesti.58
Alla fine del De
principiis,
commentando il testo di Isaia sui Serafini,
Origene spiega
che essi velano la facciae i
piedi
di
Dio, perch
il
princi-
pio
delle
cose e
di
Dio,
cio
gli
archai, e
la fine delle cose
e
di
Dio,
ossia i
tele, sono velati.
Perci,
prosegue
Origene,
riteniamo che
questi
beati
spiriti
e
potenze
sono
vicini ai
princpi
delle cose e
li
conoscono
pi
di
quanto
non
li
conoscano
le altre creature: tuttavia,
per quanto
esteso
possa
essere
ci che
queste potenze
hanno conosciuto
per
rivelazione
del
Figlio
di Dio e
dello
Spirito
Santo,
per quanto
numerose
possano
essere
le
cognizioni
che hanno
potuto
ottenere,
molto
pi
numerose
di
quelle
che hanno le creature inferiori,
e
per
loro
impossibilecomprende-
re tutto, perch
sta scritto: la
maggior parte
delle
opere
di Dio restano
nascoste (Eccli. 16, 21).59
La
questione pi spinosa per
Yesegeta
veniva dal
linguaggiopesante-
mente
antropomorfico
che la Sacra Scrittura usa
spesso per parlare
di
Dio.
Quale
senso
dare a
questo linguaggio?
Questa questione
era stata
sottovalutatadai
predecessori
di
Origene,
Filonee Clemente, ma ai suoi
tempi
essa si
imponeva
con
singolare gravit
e
urgenza
in
conseguenza
delle difficolt sollevate da Celso contro il
linguaggio antropomorfico
55)
Hom. in num. 17,
4.
55)
In Mattheitnzcom. scr. 54 in G. C. S.
II,
pp.
123-124.
'57) In Ezech. Hom. 13,
2.
53) Cant. com.
2 in G. C. S.
Vlll,
p.
186.
59) De
principiis,
1V, 3,
14..
Clementee
Origene
65
delle Scritture.
Questi
aveva
affermato che Dio inconoscibilee ineffabi-
le e aveva trovato scandaloso il
linguaggio antropomorfico
della Bibbia.
Tale
linguaggio,
a
suo
avviso, non
fa conoscere nulla di
Dio,
anzi lo
rende
maggiormenteincomprensbilefi"
Prendendole difese del
linguaggio
della Sacra
Scrittura,
Orgene
con-
cede a Cclso che le
espressioni antropomorfiche
non
possono
e non
devono essere intese letteralmente e
condannagli
eretici,
i
quali
calun-
niano Dio
attribuendogli
letteralmente le
passioni
di cui
parla
la Scrittu-
ra. Non si deve credere che ci che chiamiamo collera nel
caso
di
Dio sia una
passione.
Come infatti sarebbe
possibile
che ci siano
passio-
ni in colui che assolutamente senza
passioni?
Dio non
patisce;
im-
mutabilem
Quando
la Scrittura dice che Dio si lamenta o
gode,
odia
0
esulta,
si deve
capire
che
questo

espresso
in modo
figurato
o
antropo-
morfico. La natura divina non
viene mai toccata dalla
passione
o
dal
mutamento; essa si trova
perpctuamente
in stato di beatitudine>>f=3
Per
Origene respinge
la tesi di Celso secondo cui il
linguaggio
an-
tropomorfico
sarebbe
privo
di
qualsiasi significato
e non
potrebbeespri-
mere
nulla della realt di Dio. Contro
questa
tesi
egli
afferma che anche
il
linguaggio antropomorfico
ha
un suo
valore
e
significato.
Per
provarlo
adduce il
seguente argomento:
Chi in
grado
di
esprimere
a
parole
la
differenza tra la dolcezza di
un
dattero e
quella
di un
fico? E chi
pu
distinguere
a
parole
le
qualit proprie
di ciascun essere?....64
Ciononostante nessuno
di noi osa
squalificare
il nostro
linguaggio.
Altrettanto si deve dire anche del
linguaggio antropomorfico
che
adope-
riamo
per
parlare
di Dio: Se si
concepisce
la
possibilit
di
suggerire
con
parole qualcosa
che
riguarda
Dio come un modo di
guidare
ludit0re e
di
fornirgli qualche pensiero
su
di Lui secondo le
capacit
dalla natura
umana,
allora non avr nulla di strano il dire che Dio
pu
essere
deno-
minatomediante le nostre
parole>>fi5
Ma come si fa
a
stabilireesattamente il
significato
del
linguaggio
antropomorfico
allorch ha
per
referente Dio?
Origene propone
il
seguente
criterio: Tutto ci che si dice di Dio secondo il
corpo,
dita,
mano, braccia, occhi, bocca,
piedi,
non
indica membra umane come le
nostre, ma
designa
col nome delle membra
corporee
le sue
facoltmfi)
6D) Cf. C. Celsum, VI,
65.
'51)
Cf. De
principiis,
IV, 2,
1.
62)
Frag.
in
Iohmmcm
in G. C. S.
IV,
p.
526.
53) Hom. in
nunL, 23,
2.
64) C. Celsum, VI,
65
65) Ibid.
66) Cf. De
principiis,
ll, 8,
5.
66 Parte
prima
Ma
come individuare esattamente le facolt o
potenze
di Dio
designate
dalle
espressioni antropomorfiche?
Ci si
ottiene,
secondo
Origene,
ri-
correndo
allanalogia.
'
Per
esempio,
Dio chiamato luce
perch
ha
verso
le
intelligenze
un
ruolo
analogo
a
quello
della luce
Verso
gli
occhi; chiamato fuoco
per-
ch
consuma
i nostri
peccati
come
il fuoco la
legna;
detto
Spirito per-
ch
conserva
la
vera vita
come
l'alito
conserva la Vita del
corpo,
il
Figlio
detto anima di Dio
perch
come l'anima diffusa in tutto il
cor-
po
muove e
fa
tutto,
cos il
Figlio
uni
genito
di
Dio,
che sua
parola
e sa-
pienza,
si estende a tutte le facoltdi
Dio,
unito con lui>>f>3
Questa,
in
sostanza,
la dottrina di
Origene
circa la natura e il valore
del
linguaggio teologico.
Essa
compie
sensibili
progressi rispetto
a
quel-
la dei suoi
predecessori
su due
punti:
sul fondamento
ontologico
e sulle
espressioni antropomorfiche. Quanto
al fondamento
ontologico Origene
lo
pone
nel simbolismo: il carattere simbolico delle
cose e
delle
parole
a
rendere il nostro
linguaggio
atto a
esprimere,
certo in maniera limitata
e
imperfetta
e tuttavia
vera,
la realt di Dio.
Quanto
alle
espressioni
antropomorfiche
esse non sono
prive
di
significato,
ma indicano alcuni
attributi di Dio
e
precisamente gli
attributi dinamici
(o come li chiama
Origene,
le facolt
o
potenze).
In
conclusione, come Filonee Clemente, cos
pure Origene
si muove
lungo
la linea
platonica,
ossia
lungo
la linea
dellapofatismo. Ancheper
Origene
Dio,
qual
in
se stesso,
nella sua vera natura,
essenzialmente
inconoscibile.Ma
come
i suoi due
predecessori anch'egli
cerca
di salva-
guardare
l'elemento biblicodella conoscibilited effabilitdi Dio.
Questo
per
lo riferisce alle
potenze,
alle
facolt,
agli
attributi dinamici
di Dio. Cos
egli
viene a sostenere un
catafatismolimitato alle
propriet
dinamiche di Dio e
ai suoi
rapporti
col mondo
e con luomo,
che il
catafatismo
gi
ammesso da Filone
e
da Clemente.
Con
questa
distinzione
capitale
fra
apofatismo
circa la natura divina
e catafatismo circa
gli
attributi dinamici di Dio i tre
grandi pensatori
religiosi
di Alessandria hanno offerto
una soluzioneal
problema
del lin-
guaggio teologico
che trover
largo seguito
durante tutto il
periodo
patristico
e oltre.
57) Cf. Comm. in
Iohanrtenz, 13,
23.
53) De
principiis,
II, 8,
5.
Clemente
e Ori
gene
67
ORIGENE E UORIGENISMO
Origene
fu indubbiamenteil
pi grande genio speculativo
della
Chiesa
greca
ed uno dei
pi grandi pensatori
di tutti i
tempi.
Tuttavia
egli
fu anche
una
figura
discussa e controversa.
Per Valutare
giustamente
ii
pensiero teologico
di
Origene
occorre te-
ner conto sia delle
sue intenzioni sia
dell'epoca
in cui
egli
scrisse le
sue
opere.
Le sue intenzioni erano
squisitamente speculative, "gnostiche,
tese alla ricerca della
conoscenza
profonda
ed esatta dei divini miste-
ri.69 Per fare
questo spesso egli
si incamminain territori
sconosciuti, an-
cora
inesplorati,
formulando
ipotesi
che
non avevano
la
pretesa
di
pro-
porre
soluzioni definitive. Inoltre
Origene
non
poteva
ancora contare su
quella grande
auctoritas,
preziosissima
per
il
teologo,
che il
Magistero
ecclesiastico. Solo con
i
grandi
Concili ecumenici del IV e V
secolo,
questi
provveder
a
completare
la
Regala fidei,
fissando
argini
invalicabilianche
per
la ricerca
teologica.
Per
questo
motivo,
bench Certe tesi di
Origene,
come
quella delrapocatastasi,
risultino
palesemente
eterodosse, tuttavia
non
possono
essere
qualificate
come
pienamente
eretiche.
La scuola di
teologia
che
Origene
aveva creato
prima
ad Alessandria -
il famoso Didaskalezbn -
e successivamente a Cesarea in
Palestina, scom-
parve
con la morte del suo fondatore. Ma
non
scomparve
il
pensiero
del
sommo maestro che, come si
detto,
lascio tracce indelebili
soprattutto
nella
teologia
orientale. Ben
presto, pero,
intorno alla sua
opera
e al suo
pensiero
si accese
un'aspra polemica
che si concluder soltanto nel
VI
secolo, ai
tempi
di
Giustiniano, con la condanna formale
e solenne
dellorigenismo.
La controversia
origeniana" esplose quasi all'improvviso
alla fine
del IV secolo
dopo
che
per
oltre cent'anni tutti i
grandi
Padri
greci
e lati-
ni da
Gregorio Taumaturgo
a Basilio,
da
Gregorio
di Nazanzo a Gre-
gorio
di
Nissa,
da Atanasio a
Ddimo il
Cieco,
da Ilario di Poitiers ad
Ambrogio
di Milano
avevano avuto
parole
di
grande elogio per
le dot-
trine di
Origene.
La controversia sullortod0ssia del
teologo
alessandri-
no
fu iniziatanel 394 dal
Vescovo
Epifanio
di
Salamina, con la iscrizione
del
nome di
Origene
nel
suo
catalogo degli
eretici. Da
quel
momento
egli
si sent necessariamente
impegnato
a lottare contro l'influenza
degli
scritti
origeniani soprattutto negli
ambienti monastici della Palestina.
Epifanio conquist
alla
sua causa
anche Girolamo che in un
primo
tempo
era stato
un convinto ammiratore di
Origene.
Nel
contempo
dalla
parte
di
Origene
si era schierato
Rufino, amico di Girolamo
e curatore
59)
Principi,
IV, 2,
7.
68 Parte
prima
della traduzionelatina dei
Principi.
A
quel punto
tra i due si scaten una
delle
polemiche pi aspre
e meno edificanti della storia della Chiesa.
Agostino espresse
forse
l'opinione
di
molti,
quando
defin la
polemica
di
queste
due
personalit
un
tempo
amiche
magnum
et triste miraculunt e
si domand avvilitose non dovesse temere di diventare
egli
stesso
nemico di un suo amico
poich
ci che noi ora
deploriamo

potuto
ac-
cadere tra Girolamo e Rufino.70
Ad
ogni
modo Girolamo con
la sua forte
personalit
riusc a
guada-
gnare
al
partito antiorigenista
sia il
patriarca
di
Alessandria, Teofilo, sia
il vescovo
di
Roma,
papa
Atanasio. In
un
sinodo all'inizio del 400
Teofilofece condannare
lorigenismo
e
intraprese
di
conseguenza
una
propaganda antiorigeniana
di vaste
proporzioni.
In
una
serie di lettere
pasquali
che Girolamo tradusse in latino e
fece
diffondere,
egli
metteva
in
guardia
i cristiani
dell'Egitto
dalle
bestemmie,
dalla
follia,
dal-
1errore delittuoso di
Origene, quesfidra
di tutte le eresie.
Papa
Atana-
sio fece altrettanto: come ci informa Girolamo"
egli
condann alcune
dottrine blasfemea lui
presentate,
e altre ancora
da lui messe
per
iscrit-
to,
insieme con
il loro autore e comunic
questa
condanna anche a
Simpliciano,
vescovo
di Milano. Infine un decreto
imperiale
viet la let-
tura
degli
scritti di
Origene.
Girolamo aveva cos
raggiunto
il
suo
obiet-
tivo e aveva
fatto trionfare le
sue
idee. Una condanna formale di
Orige-
ne come
eretico venne soltanto l50 anni
pi
tardi, sotto
l'imperatore
teologo
Giustiniano, con
il V Concilioecumenico tenuto a Costantino-
poli
(553).
In codesto Concilio furono
pronunciati quindici
anatemati-
smi,
i
quali per
non
riguardavano
direttamente
Origene
bens
gli orige-
nisti del
tempo.
Infatti
Origene
non
vi
figura
che come uno dei loro
ispi-
ratori,
insieme a
Pitagora,
Platone e
Plotino. Guillaumontha mostrato
che
gli
anatematismi
riportano passi ripresi
dalle
opere
di
Evagrio
e non
da
quelle
di
Origene.
Di fatto
per
la condanna
dellorigenismo
fu intesa
anche come
condanna del suo fondatore,
il che determin da
parte
dei
posteri
la concezionedi
Origene
come
eretico.
A
proposito
di
questa
condanna il Crouzel osserva
che
essa
fu
pro-
nunciata da accusatori che
erano totalmente
privi
di
senso storico e
del-
l'idea dello
sviluppo
del
dogma.
Non si
pu giudicare
veramente un autore che mettendosi con
il
pensiero,
nella misura del
possibile,
nelle
prospettive
della sua
epoca.
Orbene tra la
piccola
Chiesa
perseguitata
del
tempo
di
Origene
e la
Chiesa dominatrice
postcostantiniana
la distanza
grande.
La reazio-
ne allarianesimoe alle eresie
conseguenti,
i
primi
concili
ecumenici,
70) AGOSTINO,
Epist.
73, 6, 10.
71) Cf. GIROLAMO,
Epist.
88.
Clemente e
Origene
69
hanno fissato il
dogma
e
il vocabolario
teologico
su
punti
che, al
tempo
di
Origene, potevano
ancora essere
oggetto
di ricerca. L0 si
interrogato
in funzione delle
eresie, non della sua
epoca,
ma
di
quelle
seguenti
e si trovata la
sua
risposta,
non nella
globalit
della sua
pro-
duzione letteraria -
poich
allora non si faceva
un
lavoro del
genere
-
ma in
passi
isolati. Orbenenon si
pu pretendere
in un autore anterio-
re a uneresia di avere la stessa sensibilit
su
quel punto
di
un
teologo
posteriore
ad
essa. Possono
sfuggire
al
primo espressioni goffe,
anc e
se,
studiato nella totalit
dellopera, appaia
ortodosso,
ed
proprio
nella
maggior parte
delle occasioni il
caso di Ori
gene.
Inoltre non sono
state distinte le sue
opinioni
da
quelle
dei cosiddetti
origenisti
e sono
state attribuite al maestro
quelle
dei secondi. Se leresia la rottura
delle antitesi che caratterizzano
lortod0ssia,
i
discepoli
non
hanno
rispettato lequilibrio
e le sfumature che attraversano il
pensiero orige-
niano
e,
ci
facendo,
essi non
potevano
che renderlo eretico. C' da
aggiungere
che certe
incomprensioni
della sua
opera provengono
sol-
tanto dal vocabolario e
che il fatto che
Origene
non si
preoccupi
di
definire" le sue
posizioni
non
ha
migliorato
il
problema>>.72
Nel
giudicare Origene
si sarebbe dovuto tener conto anche dello
spi-
rito volutamente ecclesiale di tutta la
sua
opera.
Nonostante tutta l'indi-
pendenza
e la immunit da
preconcetti
della
sua ricerca,
Origene
volle
esclusivamente servire la Chiesa
e
fu
sempre pronto
a sottomettersi al
suo
giudizio:
Se io
egli
scrisse una volta
rivolgendosi
alla Chiesa - che
porto
il
nome
di
presbitero
e
che ho da annunciarela
parola
di
Dio, tra-
dissi mai la dottrina della Chiesa
e
la
regola
del
Vangelo,
cosicch
a te,
Chiesa, fossi di
scandalo,
possa
l'intera Chiesa
con unanime
decisione,
mozzare e
gettar
via
me,
sua
destra.73 Tali sentimenti avrebberodovuto
impedire
che, in
tempi posteriori,
con la condannadi
singoli
errori e sin-
gole opinioni sbagliate
si annoverasse
Origene
tra
gli
eretici
e
si
proscri-
vesse anche l'intera sua
opera.
Ad
ogni
buon conto la tardiva condanna del V Concilio ecumenico
non
pot
cancellare
l'apporto
enorme
che
Origene
aveva dato
per
secoli
allo
sviluppo
delle scienze
teologiche
n
privare
la Chiesa orientale di
quellatmosfera
di elevata
spiritualit
che
Origene
vi
aveva
impresso
in
modo indelebile.La sua
opera
vasta e multiforme
aveva
segnato
una
svolta
importante
nella storia del
dogma
e della
teologia
e aveva fissato,
per
la
speculazionesuccessiva,
orientamenti
e linee di
sviluppo
decisive.
72) H.
CROUZEL,
Storia della
teologia I,
Casale Monferrato
1993,
pp.
179-223;
215.
73) In 10s. hom.
7,
6.
70 Parte
prima
I
DISCEPOLI DI ORIGENE:
GREGORIO IL TAUMATURGOE PANFILODI CESAREA
Abbiamo
gi
avuto modo di ricordare che
come istituzioni scolasti-
che i centri di studio fondati da
Origene
ad Alessandria e a Cesarea si
estinsero con
la morte del maestro. Si and invece affermando la scuola
di Alessandria come
indirizzo
teologico
basato sulla
interpretazione
alle
gotica
della Scrittura e
sull'approfondimento
filosoficodella Parola di
Dio,
che
erano
i tratti
pi
salienti della
teologia
di
Origene.
Questa scuo-
la rester viva e vitale
per
molti secoli e diventer l'indirizzodominante
della
teologia greca.
Tra i
primi rappresentanti
della scuola alessandrina
vanno
segnalati
Gregorio
il
Taumaturgo
e
Panfilodi
Cesarea,
entrambi
discepoli
di Ori-
gene.
Gregorio
il
Taumaturgo
Convertito alla
religione
cristiana assieme al fratello
Atenodoro,
Gre-
gorio
fu
discepolo
di
Origene
durante il suo
soggiorno
a Cesarea. Venne
poi
consacratovescovo del Ponto (240 circa).
Partecip
insieme al fratel-
lo al Concilio di Antiochia contro Paolo di Samosata. Grazie alla sua
predicazione
e ai numerosi miracoli - che
gli
valsero il titolo di "tauma-
turgo"
- il Ponto si convert
rapidamente
al cristianesimo. I Padri
cappa-
doci del IV secolo lo consideravano come
il fondatore della Chiesa di
Cappadocia.
La sua
opera maggiore
si intitola
Expositiojiiei,
ed
importante
S0-
prattutto
come
chiara attestazione di fede nella unit e
consostanzialit
della Trinit. Vi si
legge
tra l'altro: Trinit
perfetta
in
gloria,
eternit,
sovranit n divisa n
spartita;
non
vi nulla
pertanto
di creato 0
di in-
feriore nella Trinit n di
aggiunto, quasi
che
prima
non fosse e
poi
sia
sopravvenuto;
n mai
dunque
manc il
Figlio
al Padre n al
Figlio
lo
Spirito,
ma invariabilmentee immutabilmente
sempre
la stessa Tri-
nit. Una formula
esemplare,
come
si
vede,
che
precorre
chiaramenteil
Simbolo atanasiano.
Panfilo
di Cesarea
Provenienteda
una
nobile
famiglia
di Beritus (Beirut),
Panfilo
ricopr
varie cariche
pubbliche, poi
si trasfer
a Cesarea
per
dare nuovo
slancio
alla scuola fondata da
Origene
e
qui
fu ordinato sacerdote dal vescovo
Agapio.
Restauro e
svilupp
la biblioteca
annessa
alla scuola e
orga-
nizz un
laboratorio di
copisti.
Nella scuola cerc di restare fedele alle
Clemente
e Origene
71
intenzioni di
Origene
continuando con
Vinsegnarnento
e la ricerca scien-
tifica la tradizione del maestro. Il suo
interesse
principale
fu volto al
testo della Bibbiae alla raccolta
degli
scritti di
Orgene.
Durante la
persecuzione
di Diocleziano Panfilofu martirizzato
dopo
una
lunga prigionia
(t 310).
In
carcere
scrisse
unflpologia
di
Origene
in
sei
libri,
dei
quali
soltanto il
primo
stato conservato in una traduzione
latina di Rufino. Citando numerosi testi di
Origene,
alcuni dei
quali
sco-
nosciuti,
Panfilo confuta le accuse
riguardanti
il
pensiero
di
Origenc
sulla
Trinit, llncarnazone,
la storicit della
Scrittura,
la
risurrezione,
le
pene
infernali,
l'anima e la
metempsicosi.
Panfilosottolinea inoltre il
ca-
rattere
ipotetico
e
antitetico delle
speculazioni
di
Origene:
esse
cio non
sono
da intendere come
affermazioni
dogmatiche
ma come
tesi
spesso
contrapposte
dialetticamentel'una all'altra.
72 Parte
prima
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Roma,
Cartagine,
Antiochia, Lione si in
gaggia-
va
unaspra
lotta contro la
filosofia,
poich
si
scorgeva
in essa la matrice
principale
di tutte le eresie. E in
realt,
nel secondo
secolo,
le eresie an-
davano
pullulando ovunque
e
diventavano un
gravissimo pericolo per
la Chiesa. Si
moltiplicavano
le eresie trinitarie
(modalismo,
monarchi-
smo,
adozionismo
ecc.), ma leresia
pi pericolosa
e
pi
eversiva
per
il
cristianesimo era
lo
gnosticismo.
In
questo
sistema
filosofico-religioso
si
mescolavano
con estrema libert dottrine
cristiane,
teorie filosofiche
e
religioni
orientali. A suscitare il
sospetto
che la filosofia non
fosse di
nessuna utilit
per
la
fede, e
che anzi costituisse
per
essa una
gravissima
insidia,
fu
proprio
lo
gnosticismo.
E cos molti scrittori cristiani che, nel
II e III
secolo,
scendono in
campo
contro lo
gnosticismo,
sono
aperta-
mente ostili alla filosofia in
generale
e
alla metafisica in
particolare
e
questo
anche
quando
ricorrono al
linguaggio
filosoficodi Platone o
de-
gli
Stoici.
Ma che cos'era
precisamente
lo
gnosticismo?
L0
gnosticismo
Dire,
in breve
e con una certa chiarezza,
che
cosa sia stato
quello
che
viene
designato
come
gnosticismo,
assai arduo. E ci non soltanto
per
la
quantit
e difficolt di
questioni particolari
che lo studioso deve
affrontare, ma
per
la
complessit
stessa del
fenomeno, e
la serie di
pro-
blemi
generali,
tuto
collegati,
che
esso
presentaml
Come descrizione
generale
dello
gnosticismopu
valere la
seguente:
un sincretismo
religioso
della tarda antichit
che,
sulla base di
un
dua-
lismo
religioso
di
origine
orientale,
univa a concezioni
proprie
del tardo
giudaismo
alcuni
elementi,
seppure
svisati,
della rivelazione cristiana.
1)
A
. PINCHERLE,
Introduzioneal cristianesimoantico,
Roma
1988,
p.
77.
76 Parte
prinza
Esso faceva della salvezza una
questione
di
conoscenza
(gnosis):
cono-
scenza di
Dio,
dell'origine
delle
cose,
del
male,
della serie delle creature
(coni)
che si
dispongono
tra Dio e l'uomo,
del liberatore dell'umanit
che l'ultimo
eone, Cristo,
nonch della
propria
condizionedi
imprigio-
namento nella
materia,
realt essenzialmente
cattiva,
contrapposta
a
Dio. Soltanto mediante la conoscenza e l'adesione
a
questa
teoria esoteri-
ca (=
riservata
agli
iniziati) si
acquista
la salvezza.
L'origine
dello
gnosticismo
avvolta in
una fitta nebbiache
neppure
l'importante scoperta
di
una biblioteca
appartenente
a una comunit
gnostica
(13
manoscritti di
papiro
contenenti oltre 40
opere
finora scono-
sciute)
effettuata
a
Nag
Hammadi nell'Alto
Egitto
nel 1945-1946 e riusci-
ta a
dissipare.
Secondo alcuni studiosi il fenomeno
gnostico
avrebbe
avuto una
diffusione
maggiore
del cristianesimo e si sarebbe
sviluppato
in Oriente
gi prima
di Cristo. Ma
questa
tesi non
pare reggere
all'esame
critico,
il
quale
mostra che di fatto non esiste traccia di vero e
proprio
gnosticismo prima
del
cristianesimo,
che tutti
gli gnostici
di cui noi
abbiamo notizia
sono cristiani e
che
pertanto
la
gnosi
un fenomeno
specificamente
cristiano. Secondo A. D. Nock nell'ambientein cui si
svilupp
il cristianesimo
primitivo potevano
esistere elementi suscetti-
bilidi entrare nella costruzione di diversi edifici
gnostici
ma non
esiste-
va nessun sistema
gnostico; poteva
esserci una
propensione
a creare dei
miti, ma non vi si discerne alcun mito
specifico;
c'era una condizione
spirituale gnostica"
ma non si
era ancora cristallizzata in
nessuna for-
mulazione
e nessuna comunit si era affermata
come
seguace
di
una
for-
mulazionedel
genere?
Non soltanto le
origini
ma
anche
gli insegnamenti degli gnostici
ri-
sultano
piuttosto
incerti,
dato che
non conosciamo
quasi
del tutto le loro
opere.
Tutto ci che noi
sappiamo
del loro
pensiero
ci
giunto
attraverso
i loro avversari di
parte
cattolica, Ireneo in modo
particolare.
Si tratta
indubbiamentedi
punti importanti
e
probabilmente
conformi al loro
pensiero,
ma non
possono rappresentare
un resoconto
completo
dei loro
sistemi.
l
capisaldi
dello
gnosticismo
sono
quattro:
1)

una teoria della sal-
vezza: il
suo obiettivo svelare all'uomo il cammino che lo liberi dal
regno
del male
e
del
peccato
e lo introduca nel
regno
di
Dio; 2)
la salvez-
za si fonda sostanzialmente sulla conoscenza
(gnosi),
la
quale
frutto di
una
speciale
rivelazione
(esoterismo); 3) essa
implica
una visuale total-
mente
ncgativa
nei confronti di
questo
mondo
e
della vita
presente
(dualismo); 4)
opera
inoltre una
separazione
tra l'Antico e il Nuovo Te-
stamento, respingendo
il
primo
e
accogliendo
il secondo.
2)
A. D.
NOCK, Christianisnte et Hellnisme, Paris
1973,
p.
19.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano
77
Attraverso
questa
caratterizzazione
generale
dello
gnosticismo
si
pu
agevolmente
individuare
una serie di filoni culturali che
sono confluiti
nella Vasta sintesi sincretistica
operata dagli
scrittori
gnostici.
Gli ele-
menti
pi importanti
sono
i
seguenti.
C' innanzitutto il filoneorientale
dell'astrologia
iraniana
e
del duali-
smo zoroastriano. Il
pronunziato
dualismo che sancisce l'assoluta
oppo-
sizione tra luce e tenebre, tra il bene e
il male va ricercato nel mondo
religioso
di
Zoroastro, mentre le
speculazioni gnosti
che sulle costellazio-
ni,
sulla stella
polare quale principio
del
regno
della
luce,
sulle sfere dei
sette
pianeti maligni
o arconti
provengono
dalle concezioni
astrologiche
del mondo assiro-babiloncse.Viene
poi
il filone
dellapocalittica giudai-
co-cristiana, con le sue drammatiche
visioni,
che ha
popolato
il
cielo,
la
terra e la storia di innumerevoli esseri benefici
(angeli)
e malefici
(demo-
ni) e di moltissimi intermediari. Non da escludersi che il settarismo
del tardo
giudaismo
abbiaesercitato una funzione mediatricetra le
cor-
renti iraniche ed ellenistiche da
una
parte
e il movimento
gnostico
dal-
l'altra; poich

provato
che vi erano eretici
giudei
che
indulgevano
a
correnti di
pensiero
dualistiche.3 C' inoltre Yelementodella concezio-
ne
soteriologico-religiosa
della filosofia. Gi si
spiegato
nel
precedente
capitolo
come la filosofia nel tardo ellenismo fosse intesa come via di
salvezza: la filosofia
procurando
la
conoscenza della
verit,
forniva
an-
che
una sicura
guida
morale e
quindi
assicurava
l'acquisto
della virt e
il
raggiungimento
della felicit. Gli
gnostici
si
qualificano
tutti
come
filosofi
e cos non a torto Ireneo e Tertulliano dichiarano che tutte le
ere-
sie
procedono
dalla filosofia.
Un altro
punto
caratterizzante il sincretismo
religioso, particolar-
mente vivo e attivo durante i
primi
secoli del cristianesimo. Il sincreti-
smo
religioso appariva congeniale
in un momento in cui
l'esigenza
di
una
religione
individualedi
redenzione,
ossia di salvezza
era forte-
mente sentita. Al decadimentodelle citt-stato
(polis)
si era
accompagna-
to
quello
dei culti cittadini
e
degli
dei
olimpici.
La formazionedel
gran-
de
Stato,
limpero,
con
popolazioni
numerose e assai
eterogenee
-
so-
prattutto
nelle
grandi
citt e nei centri di incontro di
carovane e
di traffi-
ci e
sviluppatesi
da
originarie
colonie militari - favoriva il formarsi di
un sincretismo culturale e
religioso
che assorbiva elementi di svariata
origine;
e
poi
scambi o scontri di
uomini,
prodotti
e idee che risalivano a
tempi
antichissiminfi Sul terreno del
grande
sincretismo
religioso gi
in
atto lo
gnosticismopot giocare
abilmentetutte le
sue carte. C' infineil
3) H.
IEDlN (ed),
0p.
C,
p.
242.
4) A.
PINCHERLE,
0p.
cit,
p.
81.
78 Parte
prinza
filonecristiano che
funge
da catalizzatoredi tutti i
precedenti
filoni:Cri-
sto divieneil rivelatore e
il
redentore,
colui che
procura
la
gnosi salvifica.
La sfida che lo
gnosticismoportava
alla Chiesa
era
assai
grave
e
peri-
colosa. Esso minacciava di
fagocitare
il cristianesimo dentro un
movi-
mento
interreligioso
di
pi ampio respiro
e di
appropriarsi
della Chiesa
e
delle sue strutture dottrinali,
liturgiche
e missionarie
per
metterle a
servizio della
propria causa;
mentre allo stesso
tempo
snaturava la so-
stanza stessa della
Chiesa,
trasformandolada comunit cattolica
aperta
a tutti
(semplici
e dotti,
analfabetie intellettuali,
poveri
e ricchi,
barbari
e civili) in una setta eltaria
per
classi colte. Il
pericolo
fu avvertito
pron-
tamente e
la
risposta
fu sollecita.
Alla sfida dello
gnosticismo
la Chiesa
rispose
con tutte le armi di cui
disponeva:
anzitutto con
le armi della
propria
autorit,
definendo il
ca-
none delle Scritture e
la
Regalafidei e, quindi,
con le armi della
teologia,
invitando i suoi
pensatori pi preparati
e
pi intelligenti
a
sottoporre
a
una critica serrata e convincentele tesi e le dottrine dello
gnosticismo.
Ma
prima
di esaminare le
risposte
alla
gnosi
della Chiesa e
degli
scrittori ortodossi,
vediamo brevementeche
cosa
insegnavano
Valentino
e Marcione,
che furono i
pi
validi
esponenti
dello
gnosticismo.
Valentino
Secondo
Ireneo,
Valentinofu il
primo
della setta denominata
gnosti-
ca che,
adattando i
principi
di essa
al carattere
particolare
della sua
scuola,
elabor il sistema
gnosticow
In effetti con
Valentinolo
gnostici-
SITLO trov
palesemente
il
suo
maggiore ingegno e, predicato
da lui con
grande
slancio
religioso
e
poetico,
esso
divenne
un serissimo
pericolo
per
il
genuino
cristianesimom
Valentino,
egiziano
di
origine,
venne a Roma verso
il 140. A
un
certo
momento abbandonl'ortodossia
e
fond una
scuola dove diffuse le sue
dottrine. Sotto
papa
Aniceto lasci Roma
per
recarsi in
Oriente,
forse a
Cipro.
Ritornato a Roma,
vi mor
poco
dopo
il 160.
Valentino scrisse
inni,
omelie e varie lettere, ma
nulla ci
pervenuto
della sua vasta
produzione
letteraria, se si eccettua un inno conservatoci
da
Ippolito.
Alcuni scritti della biblioteca
gnostica
di
Nag
Hammadi
(E0. Veritatis,
Ev.
Philippi,
Tract.
Tripartitus
ecc.)
rispecchiano
dottrine
ricollegabili
al suo sistema ma
difficilmente
possono
farsi risalire a
Va-
lentino stesso.
5) IRENEO,
Adv.
Haer, l, 11, 1.
5)
H.
JEDIN (ed),
op.
cit,
p.
245.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 79
Il sistema di Valentino
pi complesso
e
pi
dialetticodi
quello degli
altri
gnostici.
Esso si basa su una diade 0
coppia (sigiz-e) originaria:
lEsse.re
primo
e
perfetto,
invisibile, eterno, increato, non nominabile
(il suo unico nome Abisso),accanto al
quale sta,
in
figura
femminile,
il
Silenzio
(Sig,
nome
femminilein
greco)
o Nozione. Da
questa prima
coppia
discendono immediatamente altre tre
coppie,
cos da formare
con esse
la
Ogdoade
(otto
coppie):
l'Intelletto
e
la
Verit,
il Verbo e la Vita,
l'Uomo
e
la Chiesa. Dalla
Ogdoade procede
una serie interminabiledi
altre
diadi,
le
quali
tutte insieme formano il Pleroma. L'ultima creatura
del
Pleroma,
Sophia, concep
il desiderio smodato di Vedere il
Padre, e
questa passione

all'origine
del
cosmo, perch
Sofia decadde
e
il Padre
dovette
frenarla,
mandando
Horos,
il
"limite"; ma
dalla
sua
ignoranza,
disperazione
c
angoscia nacquero gli angeli,
i
quali
crearono l'uomo e
gli
insufflarono l'elemento
psichico
che lo
lega
alla materia.
Ma, a loro
insaputa,
l'uomo ha ricevuto anche
un
elemento
"pneumatico".
Qualora
questo
sia destato ed educato dalla Vera
gnosi
che il Salvatore ha
portato
sulla
terra,
l'elemento
spirituale
dell'uomo alla fine del mondo sar sal-
vato e
potr
tornare a riunirsi con
la luce. Per rendere
possibile
al
mondo inferiore di ascendere alla
luce,
Ges si fatto uomo e su di lui
lo
Spirito
disceso nel momento del battesimo. Il cammino verso
la luce
conduce l'anima attraverso il
regno
delle
potenze
ostili,
che essa riesce a
vincere con l'aiuto dei riti e
delle
preghiere
della Chiesa. Valentino am-
metteva che certe Verit
(la
legge scolpita
nei cuori) si trovano anche nei
libri dei filosofi.
Marcione
Sebbeneil sistema di Marcione abbiaben
poco
in comune con i siste-
mi
tipici
dello
gnosticismo,
Ireneo lo include nel numero
degli gnostici
e
1o
presenta
come un lontano discendente di Simon
Mago.
Al
pari
di
lui,
abusando del nome
di
Ges,
Marcione ha diffuso
perversamente, per
mezzo
di
un nome buono,
la sua dottrina
e,
offrendo,
per
mezzo della
dolcezza
e
del lustro del
nome,
l'amaro
e
perverso
Veleno del
serpente,
che il
principe dellapostasia.7
Marcione,
figlio
di un Vescovo di
Sinope,
sul Mar
Nero, venne a
Roma -
probabilmenteperch gi
in contrasto
per ragioni teologiche
con
la sua Chiesa sotto il
pontificato
di
Igino
(134-140),
dove entr a
far
parte
della comunit cristiana del
luogo,
che
egli
aiut con
generosi
sus-
sidi finanziari. Ma neanche
a Roma le
singolari opinioni
di Marcione
7) IKENEO,
0p.
cit., I, 27,
4.
80 Parte
prima
trovarono una
favorevole
accoglienzae,
nell'autunnodel 144
egli
si se-
par
definitivamente dalla Chiesa cristiana. Subito
dopo
comincio a far
propaganda
delle sue
idee
e a
procacciarsi seguaci
che strinse in una so-
lida
organizzazione. Dappertutto,
accanto alle comunit
cristiane, sorse-
ro
gruppi
marcioniti a
capo
dei
quali
erano
posti
dei
vescovi,
che
a loro
volta erano coadiuvati da
presbiteri.
Uefficiente
organizzazione
diffe-
renziava sostanzialmente le comunit di Marcione
dagli
altri
gruppi
gnostici,
conferendo loro un
particolare
dinamismoche le fece divenire
un serio
pericolo per
la Chiesa.
La dottrina
pi
nota di Marcione
quella
che
pone
una netta
separa-
zione tra il
Dio-Demiurgo
dell'Antico
Testamento,
tutore infallibiledella
giustizia
e il Dio-Padre del Nuovo
Testamento, mosso esclusivamente
dalla bont e dall'amore. Ecco una
breve sintesi del suo
pensiero
come
ci
viene
proposta
da Ireneo nel suo Adversus Haereses:
[Marcione]
bestemmiandosenza
pudore
il Dio che fu annunciatodal-
la
Legge
e dai
Profeti,
dice che autoredei
mali,
che desidera le
guerre,
anche incostante nelle
sue
decisioni e in contraddizionecon se stesso.
Dice
poi
che
Ges,
inviato dal
Padre,
che al di
sopra
del Dio creatore
del
mondo, venne in Giudea al
tempo
del
governatore
Ponzio Pilato,
che era
procuratore
di Tiberio
Cesare,
si manifest in forma umana a
quelli
che
erano
in
Giudea,
abol i Profeti
e
la
Legge
e tutte le
opere
del
Dio che ha creato il
mondo,
che
egli
chiama Kosmokrator
Inoltre,
muti-
lando il
Vangelo
di Luca e
togliendo
tutto ci che stato scritto sulla
generazione
del
Signore
e molte
parti dell'insegnamento
che si ricava
dai discorsi del
Signore
-
quelle
in cui scritto con la massima chiarez-
za
che il
Signore
riconosce come suo
Padre il creatore di
questo
mondo
ha
persuaso
i suoi
discepoli
che lui
pi
veritiero
degli apostoli
che
hanno trasmessoil
Vangelo. Egli per
non trasmetteloro il
Vangelo,
ma
una
piccola parte
del
Vangelo.
Similmenteha mutilatoanche le lettere
dellapostolo
Paolo,
togliendo
tutti i
passi
in cui
l'apostolo parla
chia-
rissimamente del Dio che ha creato il
mondo,
dicendo che
questi
il
Padre del
Signore
nostro Ges
Cristo, e tutto ci che
l'apostolo
ha inse-
gnato
citando i
passi profetici
che
preannunciano
la venuta del
Signore.
Si salveranno solo le anime che avranno
appreso
la sua dottrina, essen-
do
impossibile
che il
corpo, preso
dalla
terra,
partecipi
alla salvezza.
Alla bestemmia
riguardante
Dio ha
aggiunto
anche
questo,
facendosi
portavoce
del diavolo e dicendo tutte cose contrarie alla verit.3
Come risulta anche dalla testimonianza di
Ireneo, a
sostegno
della
propria
dottrina Marcione invocava
soprattutto
l'autorit di S. Paolo,
specialmente
la sua affermazioneche la
Legge
mosaica era stata
abroga-
ta da
Cristo,
promulgando
la
nuova
Legge
cristiana dell'amore e
del
S) Ibid, I, 27,
2-3.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 81
perdono.
Ne aveva dedotto che le due
leggi,
cos contrastanti tra loro,
non
potevano
essere entrambe
opera
dello stesso autore.
Quel
contrasto
tra cristianesimo e "mondo",
fra l'Antico Testamento e
il Nuovo - che
Marcone metteva in evidenza
indicando,
in uno scritto
apposito,
le
Antitesi tra l'uno e
l'altro - veniva cos
esasperato
in
un
dualismo che al
"Dio
giusto"
delle Scritture del
giudaismo,
al Dio creatore del mondo
sottoposto
al male
e
alla
corruzione,
opponeva
il "Dio
buono",
miseri-
cordioso e redentore del cristianesimo.
Grazie allabile
propaganda
e
a1l'efficiente
organizzazione
Marcione
guadagn
al
suo
movimento moltissimi
adepti,
diventando una
seria
minaccia
per
la Chiesa
cristiana,
la
quale
avvert ben
presto
il
bisogno
di riesaminare
sempre pi
a
fondo il
proprio atteggiamento rispetto
alla Sacra Scrittura e
alla norma della
fede,
per
rivedere le
proprie
forme
di
organizzazione
e
per
dispiegare
tutte le
proprie
interne
energie per
far fronte
a
tale minaccia)?Di fronte alle fantastiche
e
arbitrariedottrine
teologiche degli gnostici,
alla loro discriminazione tra Antico e Nuovo
Testamento e
all'uso
indisciplinato,
selettivo e fazioso della Scrittura le
cose
pi urgenti
da fare
per
la Chiesa
erano
due: definire esattamente il
Canone delle Scritture
ispirate;
formulare le dottrine essenziali del Cre-
do cristiano.
Di
questi importanti
interventi del
Magistero
ecclesiastico in
questo
volume noi non ci
occuperemo
perch
non
hanno alcun interesse
per
la
storia della metafisica. Studieremo invece le
prese
di
posizione
e le ela-
borazioni dottrinali di alcuni scrittori cristiani del Il
e
III
secolo,
in
parti-
colare
Ireneo,
Tertulliano e
Ippolito, perch
smascherando
gli
errori
degli gnostici
oltre che alla difesa dell'ortodossia essi contribuirono alla
salvaguardia
del
grande patrimonio
della metafisica cristiana,
mante-
nendoinalterate le sue
dottrine
pi
caratteristiche: l'unicit del
principio
primo,
il
creazionismo,
Yintrinseca bont della
materia,
il
personalismo,
l'appartenenza
essenziale dell'uomo al mondo dello
spirito,
il valore
assoluto
dell'uomo,
la libert
umana,
l'immortalit dell'anima,
la
prov-
videnza divina.
Ireneo
Ireneo
nacque
con
ogni probabilit
a Smirne o dintorni verso
il 135-
140. Ricevette un'ottima formazione
religiosa,
filosofica
e
teologica
da
Policarpo,
come rammenta
egli
stesso nellbdversus haereses: Noi l'ab-
biamovisto
(Policarpo)
nella nostra
prima
et;
egli
ebbe vita
longeva
ed
9) H.
IEDIN (ed.),
0p.
cit,
p.
25D.
82 Parte
prima
era molto vecchio
quando
lasci
questa
vita con un
gloriosissimo
e nobi-
lissimo martiri0.I0 Altri suoi
maestri,
secondo
Eusebio,
furono
Papia
e
Melitone.
Non si sa
quando
e
perch
Ireneo lasci l'Oriente
per
trasferirsi a
Lione,
dove
venne
prima
ordinato
prete
e successivamente nominato
vescovo di
quella
citt, dove svolse
una intensissima attivit
pastorale.
Gregorio
di Tours nella sua Historia Francorum
(I, 27)
scrive che Ireneo
succedette al martire Potino
nellepiscopato
e in breve
spazio
di
tempo,
con la sua
predicazione,
rese cristiana tutta la citt di Lione, Con non
minor
impegno
si
oppose
con 1a
predicazione
e con
gli
scritti allo
gnosti-
cismo nelle sue varie
forme,
in
particolare
a
quella
di Valentino che si
andava diffondendonella Gallia del Sud.
Eusebio ci
presenta
Ireneo come un autentico
operatore
di
pace
(che
il
significato etimologico
di
Ireneo),
descrivendo la controversia
per
la
celebrazionedella
Pasqua
sorta tra i vescovi dell'Asia
e
papa
Vittore
(nel
190-191)
che li minaccidi scomunica. In tale circostanza
lreneo, a nome
delle Chiese della
Gallia,
scrisse al
pontefice
una
lunga
lettera dove <<ri-
spettosamente
lo
esortava, con
grande
corredo di
considerazioni, a non
scomunicare intere Chiese di
Dio,
perch
fedeli
a un'antica consuetudi-
ne.11 lI
suo intervento,
che invitava
allindulgenza
e alla
mitezza,
rista-
bilil'armoniatra i vari contendenti.
La vita di Ireneo si concluse verso il
202-203,
forse
con il
martirio,
secondo
quanto
ci hanno tramandatoGirolamo
e
Gregorio
di Tours.
OPERE
Secondo Eusebio e Girolamo Ireneo scrisse numerose
opere.
Di
fatto
per,
oltre
a tre lettere
(a Florino, a Blasto e a
papa
Vittore sulla
data della
Pasqua)
soltanto due
sono
giunte
sino a noi:
1. Denzonstroto
apostolicaepraedicationis,
cio:
Esposizione
della
predica-
zione
agaostolica.

un'eccellente sintesi della fede cattolica in 10D brevi
capitoli.
2. Adoersus
haereses,
libri
quinque
(Contro
le
eresie,
in
cinque
libri), nota
anche sotto il titolo: De detectione et eversione
falso cognomrataeagnitionis
(Smaschemmentoe
confutaziorze
della
falsa gnosi),
un titolo decisamente
pi
eloquente
dei
primo.
Ambeduele
opere
furono scritte in
greco,
ma a noi
sono
giunte
soltanto nella versione
latina, certamente anteriore a S.
Ago-
stino e
che forse
era
gi
conosciuta da Tertulliano.
W) IRENEO,
op.
cit., III, 3,
4.
11) EUSEBIO, Hist.
EccL, V, 24, 1.
12) Ibid.
13) GIROLAMO,
Vir. i'll. 35.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 83
U/ldversus haereses
un'opera
monumentaleche
impressiona
sia
per
la
massa
di notizie raccolte intorno alle numerosissime sette
gnostiche,
sia
per
l'ottima conoscenza di tutta la
Scrittura,
cio dell'Antico e del Nuovo
Testamento.
Lopera
si articola in due
parti:
la
prima
(che
abbraccia i
primi
due
libri)
espone
il
pensiero degli gnostici
e
lo
sottopone
a severa
critica;
la seconda
(che
comprende gli
ultimi tre
libri)
presenta
la
posizio-
ne della fede cattolica
su Dio,
Padre
e Creatore, e su Cristo Salvatore.
CRITICA DELLO GNOSTICISMO
Ireneo vive nel momento storico della massima
espansione
dello
gno-
sticismo, un sistema di
pensiero filosofico-religioso,
che facevadella sal-
vezza una
questione
essenzialmente
intellettuale,
noetica
(gnosi
=
cono-
scenza): la salvezza si trova esclusivamente nel
sapere; perfetta
cono-
scenza anche
piena
redenzione. Alcune tendenze vi
aggiungono
anche
riti e misteri
(battesimi,
unzioni
ecc.) come
mezzi di salvezza. La
conce-
zione
gnostica porta
alla formazionedi due
grandi
cicli di miti: uno co-
smologico,
a cui
appartiene
chiaramente la caduta dell'uomo e il suo
stato di
perdizione;
l'altro
soteriologico,
che
comprende
la via della sal-
vezza.
I massimi
esponenti
dello
gnosticismo
ai
tempi
di Ireneo erano
Basilidee Valentinoin
Egitto
e Marcione a Roma.
Ireneo avverte lestrema
gravit
del
pericolo
che
corre la fede cristia-
na
nell'operazione
di inculturazione del cristianesimo
operata
dallo
gnosticismo:
il
pericolo
della sua trasformazionein
una filosofia
(la
qua-
le in
quell'epoca
era
sempre presentata
- dai
pitagorici,
dai
platonici,
dagli
stoici
come
via di
salvezza) e Io dichiara
espressamente
nel Pro-
logo
dellvldversus haereses:
Alcuni,
ripudiando
la
verit, stanno introducendo dottrine fallaci
e,
come dice
l'Apostolo
(1 Tm
1, 4),
"genealogie
interminabili,
che
sono
pi
atte a sollevare
questioni,
che a contribuire
a
quelYedificazione
di
Dio che e basata sulla Fede
(pistis)", e
grazie
alla loro forza di
persua-
sione
ingegnosamente
combinatasviano la mente dei meno
esperti
e
li
fanno
prigionieri
falsificandoi detti del
Signore e,
diventando cos cat-
tivi
interpreti
di ci che stato bene
detto; rovinano molti allontanan-
doli, con il
pretesto
di
una conoscenza
(gnosi),
da colui che ha formato
e ordinato
questo
universo, come se
potessero
mostrare
qualche
cosa
di
pi
alto e
pi grande
del Dio che ha fatto il cielo
e
la terra e tutto ci
che in
essi;
in maniera
persuasiva, grazie
all'arte della
parola,
indu-
cono i
semplici
a un
atteggiamento
di
ricerca, ma
li rovinanoin manie-
ra assurda
perch
rendonoil loro
pensiero
blasfemoe assurdo nei con-
fronti del
Demiurgo,
non
potendo
essi
distinguere
il
vero
dal falso.14
14) Adv.
haen, I,
prol.
l.
84 Parte
prima
Per denunciare e
smascherare
questi gravissimi
errori Ireneo scrive il
suo Adversus haereses. Nei
cinque
libri in cui si articola
quest'opera
Ire-
neo, attingendo
alla sua vasta e solida cultura
storica,
biblicae
teologica,
mostra l'estrema
fragilit
del sistema
religioso
architettato
dagli gnosti-
ci,
evidenziando la falsit dei loro
procedimenti,
dei criteri di verit e
dei contenuti dottrinali,
relativi a Dio,
al
mondo, a Cristo e all'uomo.
Due sono
gli argomenti principali
addotti da Ireneo contro lo
gnosti-
cismo: il
primo riguarda
il
rapporto salvezza-gnosi,
l secondo concerne
la
regola
della Verit.
Per
quanto
attiene il
rapporto salvezza-gnosi
Ireneo fa Vedere che
riporre
la salvezza esclusivamente nella
perfetta conoscenza,
come
fanno
gli gnostici, significa
renderla
impossibile
non solo nella vita
pre-
sente ma
anche in
quella
futura, perch
mai sar consentito all'uomo di
raggiungere
una
perfetta
conoscenza
di
Dio,
ossia una conoscenza
tale
che faccia
scomparire
la fede. Richiamandosi
a S. Paolo il
quale
dice che
anche nella Vita futura
permangono
la
fede,
la
speranza
e la
carit,
Ire
neo
fa notare
agli gnostici
che,
distrutta nell'altra vita
ogni
cosa
imper-
fetta,
rimangono quelle perfette:
fede,
speranza
e caritfl Pertanto
gnosi
e fede
procedono
unite, come
speranza
e carit. D'altronde la
gnosi
senza la carit vana. Solo la carit conferisce
e
suggella
la
perfezione."
La
gnosi
stessa nel
suo
grado supremo
di intuizione ordinata alla
carit;
infatti la carit ha
maggior
valore della
gnosi.18
Invece di eri-
gersi
a vetta e corona della
regola
cristiana con autonomia sulla fede-
speranza-carit,
come
vogliono
i
seguaci
della
setta,
la
gnosi
deve
accompagnarsi
alla
pistis
(fede) e restare sottomessa alla
carit,
regina
del cristiano nel mondo
presente
e
in
quello
futuro. Assicurato il
prima-
to dclla
carit,
Ireneo
distingue
due forme di conoscenza di Dio: una
secundum
magnitudinem,
cio secondo la sua
effettiva
grandezza,
e
un'al-
tra secundum
dilectionem,
cio fondata sull'amore di Dio. Ora la
prima,
che
quella inseguita dagli gnostici,
irrealizzabile:secondo la
gran-
dezza non c' modo di conoscere Dio,

impossibile
misurare di chi il
Padre. Ma secondo l'amore - che conduce a Dio mediante il
suo
Logos

quando gli
siamo docili
impariamo sempre
(prima
e
dopo
Cristo)
che
esiste un Dio cos
grande
ed lui che da solo ha stabilito
e
scelto e ador-
nato e contiene tutte le c0se.19 Dio,
perci,
rimane inconoscibilenella
'15) Cl.
C0713,
9-13.
15) Cf. Adi). Haen, II, 28,
3.
17) CE.
lbidq IV, 12,
2.
13) lbiLL, IV, 33,
8.
19) lbid, IV, 20,
1.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 85
sua
grandezza,
ossia nella sua essenza (come
diranno in
seguito
il Nis-
seno e S.
Agostino),
ma
pu
essere conosciuto nel suo
amore,
ossia nelle
sue
opere:
la creazione del mondo
e
la salvezza dell'uomo. Il Dio tra-
scendente crea e
guida
il mondo
per
amore e si fa conoscere all'uomo
attraverso il
suo
Figlio sempre per
amore. Per
capire
Dio occorre
perci
cambiareil concetto di
conoscenza:
capire
che la conoscenza
di Dio non
una
propriet
dell'uomo, ma una
capacit
donata da Dio stesso a
chi
lo conosce e
lo
segue.
In tal modo essa non una
propriet
di alcuni
pri-
vilegiati,
come affermano
gli gnostici,
ma una
possibilitper
tutti:
per
coloro che
accolgono
lo
Spirito
di Dio nel
proprio
cuore.
Il secondo
argomento
contro
gli gnostici
tratto dalla
"regola
della
Verit".
Agli gnostici,
i
quali pretendono
di crearsi una
propria
verit re-
clamando
un'interpretazione
esoterica delle
Scritture,
Ireneo
replica
che
la
"regola
della
Verit,
ossia ci che in
seguito
sar chiamato "simbolo
della
fede, non
pu
essere
affatto
una
questione privata.
Non esiste
altra
regula
oeritatis che
quella
che la Chiesa ha ricevuto
dagli Apostoli.
Questo
annuncio
(kerygma)
che ha ricevuto la
Chiesa,
bench dissemi-
nata in tutto il
mondo, come
gente
di un'unica casa con cura
custodisce
e come avesse
un'anima sola e un sol cuore
similmente crede e come
dotata di un'unica bocca armoniosamenteannuncia e
insegna
e trasmet-
te. Se anche in effetti sono diverse le
lingue
del
mondo,
unico e lo stesso
il contenuto della tradizione
(parad0sis).-0
Quali
siano
gli
articoli fondamentali della
regala
veritatis Ireneo lo
espone ampiamente
e
dettagliatamente
nella Demonstratio
apostolicae
praedicationis;
ma in breve sintesi che una
chiara
anticipazione
del
Simbolo
apostolico
lo dice anche nelP/ldversus
Iiaereses,
nell'ultimo
capitolo
del Primo Libro,
che vale la
pena riprendere integralmente:
Noi teniamo salda la
regola
della Verit: che c' un solo Dio
onnipo-
tente,
che
per
mezzo del suo Verbo ha
fondato,
ordinato e creato dal
nulla tutte le
cose,
come
dice la Scrittura
(...).
Ora dicendo tutte le
cose" non se ne
esclude
nessuna,
ma
per
mezzo
di lui il Padre ha fatto
tutte le cose:
quelle
visibilicome
quelle
invisibili,
quelle
che si
perce-
piscono
con
i sensi come
quelle
che si conoscono con l'intelletto,
le
temporali
in base a
qualche
economia come le eterne. Non le ha
crea-
te
per
mezzo
di
angeli
n di alcune
potenze
staccatesi dal suo
Pensiero, perch
il Dio di tutte le cose non
ha
bisogno
di
nulla, ma
per
mezzo del Verbo e del suo
Spirito crea, dispone, governa
e
d a
tutte le cose l'esistenza.
Egli
colui che ha creato il
mondo,
che
com-
prende
tutte le
cose; egli
colui che ha
plasmato
l'uomo,
e il Dio di
Abramo,
il Dio di
Isacco,
il Dio di
Giacobbe,
al di
sopra
del
quale
non
2) Ibid, I, 10,
2.
86 Parte
prima
ve n'
un altro,
n il
Principio
n la Potenza n il
Pleroma;
egli
il
Padre del
Signore
nostro Ges Cristo. Tenendo salda
questa regola,
anche
se
presentano insegnamenti
molto numerosi e diversi, facile
per
noi dimostrare che si
sono allontanati dalla Verit.
Infatti,
quasi
tutte le eresie che esistono dicono bens che Dio uno solo, ma con la
loro errata concezione ne cambianola
natura,
mostrandosi cos
ingrati
nei confronti di colui che li ha
creati, come lo sono le nazioni
con
la
loro idolatria. Essi
disprezzano l'opera plasmata
da Dio (l'uomo) e
compromettono
la
propria
salvezza,
essendo severissimi accusatori di
se stessi e falsi testimoni. Essi risusciteranno bens nella
carne,
sebbene
non lo
vogliano,
per
conoscere la
potenza
di colui che li risuscter dai
morti ma non saranno annoverati con i
giusti per
la loro incredulit.
L'UNITDI DIO
Nella sua
polemica
contro
gli
eretici Ireneo si sofferma
soprattutto
su
due errori
tipici
dello
gnosticismo:
uno
riguarda
l'unit di Dio e l'altro la
bont della materia
e,
nel
caso dell'uomo,
del
corpo.
Cl
gnostici contrapponevano
il Dio del Nuovo
Testamento,
che
sarebbe il Dio
dell'amore,
al Dio dell'Antico
Testamento,
che sarebbe il
Dio della
giustizia
e della vendetta. Ireneo fa vedere invece che
nono-
stante la diversit dei due
Testamenti,
Dio rimane uno solo, sovrano
del-
l'universo
e creatore del nostro mondo e dell'uomo, autore sia dell'Anti-
co sia del Nuovo Testamento. L'unit di Dio attestata dal carattere uni-
tario della econ0mia"
divina,
del
piano
di salvezza.
Ispirandosi
all'e-
semplarismo platonico,
Ireneo
presenta
Dio
come un artista che
prima
progetta
e
poi
realizza l'intero
piano
della
salvezza, e lo fa secondo le
esigenze dell'esemplarismo,
restando
quindi
fedele,
nell'esecuzione del-
la
copia, all'immagineoriginaria.
L'Artista divino
non
ha
bisogno
come
un
operaio poco capace
o come un
ragazzo
che incomincia a
imparare
un mestiere di
un
modello estraneo da
copiare.
Dio
prende
il modello
originario
da
se stesso: suo
Figlio,
la
sua Parola,
il
Logos.
In lui il Padre
esprime
in maniera
perfetta
e allo stesso
tempo progetta
tutto ci che
vuol creare.
Neppure
il
peccato
dell'uomo riuscir a far fallire
l'opera
di
Dio,
perch
Dio
pu
e
vuole sollevare ci che caduto
e, salvando, tra-
sformare i
tempi
dell'esilionella
pienezza
dei
tempi.
L'arte di Dio non
conosce nessun rallentamento. E cos
potente
da suscitare
figli
di
Adamoaddirittura dalle
pietre (...).
La luce
non viene
meno
per colpa
di
coloro che si
sono
abbaglianti
e
che
non
hanno voluto ritenere in
se stessi
la sua arte.21 Poich
per pura grazia
il "s" di Dio
supera ogni
reale
e
21) Adv.
haen, v, 1, 3.
l
renco, Ippolito,
Tertulliano 87
possibile
"no" dell'umanit,
Adamo non si svincoler mai dalle mani
di Dio.22
Questa
legge
vale finch dura la storia.
Nella sua
opera
Dio vuole
perseguire
fino alla fine la meta che si
proposto
col suo
piano
eterno di "salvezza": la manifestazione
reciproca
di Dio e
dell'uomo. Dio non
vuole affatto la
glorificazione
di se stesso a
scapito
dell'uomo, ma
per
il
suo bene,
per
la sua salvezza. Ne tuttavia la
salvezza dell'uomo
pu
avvenire ai danni di
Dio,
cio sottraendosi a Lui,
ma
nell'unionecon
Lui:
poich
la
gloria
di Dio l'uomo vivente e
la vita
dell'uomo la visione di Dio.23
Dopo
che il
primo
incontro dell'uomo
con Dio,
nel
paradiso
terrestre,

apparentemente
fallito,
per
qualche
tempo
il
dialogo
viene
interrotto, ma non a
lungo. Dopo
il diluvio,
Dio
rinnova la sua
alleanza con l'umanit,
prima stringendo
un
patto specia-
le con Israele,
successivamente inviandonel mondo il suo
Figliounigeni-
to e
dando Vita alla Chiesa col concorso
dello
Spirito
Santo.
Agli argomenti
con cui
gli gnostici
rimarcavano la diversit dei due
Testamenti Ireneo
risponde
ammettendo che c'e una
diversit
profonda
soprattutto
sul
piano
morale, e
perci
non si deve
prendere
tutto ci che
dice l'Antico Testamento come norma
indiscussa di condotta. Tante
cose,
come
le debolezze o
i
peccati
di alcuni
grandi personaggi,
sono
state raccontate
per insegnarci
l'umilt:
per
farci riflettere
pensando
che,
se
hanno
sbagliato
uomini cos
grandi,
anche noi
possiamo sbagliare.
E
per questo
dobbiamoessere
indulgenti
con i nostri
padri
che
sbagliare-
no e
vigilanti per
non
sbagliare
noi a nostra volta. Inoltre il diverso
modo di
agire dipende
non
gi
da colui che
agisce,
ma dalla diversa
capacit
dell'uomo
nell'accogliere
i doni di Dio. Come la madre d ai
propri figli
un
cibo diverso, a seconda
dell'et, scegliendo
il cibo
pi
adatto e
pi
utile,
cos Dio nel corso
dei secoli si rivelato all'uomo
secondo le
capacit
che
questi
aveva
di
accoglierlo:
con
segni, parole
e
precetti
diversi. E i cristiani
oggi
non devono rifiutare tutto
questo,
ma
interpretarlo
alla luce della rivelazione
portata
da
Cristo,
secondo l'inse-
gnamento
dei
presbiteri. Negli
eventi e
nelle istituzioni antiche si devo-
no
vedere
figure
delle realt cristiane e
nelle
profezie
il
preannuncio
di
queste
stesse realt. Cos il
disagio
di fronte all'Antico Testamento si
supera
se
lo si
legge pensando
alla
graduale
educazione e
preparazione
dell'uomo ad
accogliere
la
piena
rivelazione di Dio in Cristo e
alla luce
del mistero di Cristo e
della Chiesa.
22)
lbid.
23) 1514., II, 24,
7.
88 Parte
prinza
L'UOMO
Il secondo
errore
che Ireneo
non si stanca di denunciare
negli gnostici
riguarda
il loro concetto della natura umana. Come i manichei anche
gli
gnostici
avevano un concetto dualistico non solo di Dio
(contrapponen
do il Dio del Nuovo Testamentoa
quello
dell'Antico) ma anche dell'uo-
mo. Essi non soltanto affermavanoche l'uomo costituito di due sostan-
ze,
anima
e
corpo,
ma
consideravano il
corpo
umano come
incapace
di
accogliere
la
salvezza, e
quindi
destinato alla
distruzione,
perch
il
corpo proviene
dal mondo
terrestre,
che
opacit
e
pesantezza,
e come
tale non
pu
essere elevato alla sfera del
divino,
che
spirito, pienamen-
te liberodalla
pesantezza
della materia.
In
primo luogo
Ireneo
replica agli gnostici
che anche la
carne
ha
un
Valore
positivo
e
questo per
tre motivi:
perch
l'ha creata Dio
con le
sue
mani
(il
Figlio
e
lo
Spirito); perch se l'
appropriata
Cristo facendosi uo-
mo; perch
destinata
a essere
glorificata
mediante la risurrezione. In se-
condo
luogo,
Contro
gli gnostici
i
quali
sostenevano che la carne non
ha
alcun rilievo
perch
il valore dell'uomo
dipende
dallelemento
spirituale,
cio
dall'anima, Ireneo fa vedere che l'anima
non
l'uomo, ma una
parte
dell'uomo
come
la
carne,
e
che
questa
ne elemento
essenziale,
n
pi
n
meno dell'anima;
cosi l'uomo
perfetto
non l'anima
come sostenevano
gli gnostici seguendo
Platone, ma la
carne vivificata dall'anima che
porta
in s lo
Spirito
di Dio. Pertanto il
corpo
non un elemento accesso-
rio, con cui l'anima si trova occasionalmente
a contatto e di cui farebbe
volentieri a
meno,
ma una
componente
essenziale
dell'uomo, creata ori-
ginariamente
da
Dio,
per
mezzo della
quale
si
esprime
l'amore a Cristo.
Ireneo
pensa
alla vita morale dei
cristiani,
che si
esprime
nella
carne,
come la castit e l'elemosinae in modo
particolare
al martirio.
nella totalit del
suo
essere,
anima e
corpo,
che l'uomo
immagine
di Dio. La creazione dell'uomo non , come
vogliono gli gnostici, opera
degli angeli
o di altri esseri
inferiori,
bens della
Trinit,
perch
soltanto
Dio
pu
fare
un'immagine
di Dio. Al Faciamus hominem ad
imagi-
nem...4 Ireneo d un
significato
Trinitario: il Padre si
rivolge
al
Figlio
e
allo
Spirito.
Queste
due Persone sono le "Mani di Dio" con cui si realiz-
za la creazione25Il modello assunto da Dio
(Trinit)
per
la creazione del-
l'uomo il
Logos,
ma non
il
Logos preesistente
eternamente in
Dio,
bens il Verbo incarnato:
Questo
si mostr
vero
allorquando
il Verbo di
Dio si fece
uomo,
rendendo
se stesso simile all'uomo e l'uomo simile a
s,
affinch attraverso la
somiglianza
con
il
Figlio,
l'uomo
divenga pre-
24) Gen
1,
26.
25)
Cf. Ad).
114187., Il, 47, 2; III, 38, 2, lV, 62,
2.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 89
zioso di fronte al Padre.
Infatti,
nei
tempi passati
si diceva bens che
l'uomo stato fatto
a
immagine
di
Dio, ma non
appariva
tale,
perch
era
ancora invisibileil
Verbo, a
immagine
del
quale
l'uomo era stato fatto:
e
appunto per questo
facilmente
perse
la
somiglianza.
Ma
quando
il
Verbo di Dio si fece
carne,
confermo l'una e l'altra cosa: mostr vera-
mente
limmagine,
divenendo
egli
stesso ci che
era la
sua
immagine,
e
ristabil saldamente la
somiglianza,
rendendo l'uomo simile al Padre
invisibileattraverso il Verbo che si vedem
Come dice chiaramente
questo
testo,

l'UomoDio,
il Verbo
incarnato,
quale
esisteva da tutta l'eternit nei
disegni
divini,
che ha svolto la fun-
zione di modello dell'uomo. Si
pu arguire
che
l'immagine
del Verbo
nell'uomo non
comprende
soltanto la dimensione
spirituale
ma tutta la
realt umana e
quindi
anche la dimensione
somatica;
Ireneo
pone
in ef-
fetti fortemente l'accentosulla
corporeit
e
l'immagine
viene
spesso
mes-
sa in
rapporto
con
la
carne e col
plasma: imaginemquidem
habens in
pla-
smata>>27
Ireneo
opera
una distinzione,
che sar
poi
costantemente
seguita
dai
Padri e
dagli
Scolastici,
tra
imago
e
similitudo.
Uimago
si ritrova nella
natura
umana,
anima e
corpo,
e non Verr mai
meno
neppure
dopo
il
peccato
di Adamo. Mentre la sinzilitudo un dono
soprannaturale
con-
cesso
ad
Adamo,
perduto
col
peccato
e restituitoci da Ges Cristo con la
grazia.
La similitudo consiste essenzialmente nella
presenza
dello
Spirito
Santo: sirnilitudinemvero assumens
per Spiritumm?
L'infusione dello
Spirito
Santo
provoca
nell'uomo un autentico e
profondo
cambiamento
di
essere:
gli
restituisce l'essenza
originaria.
La
carne,
ossia l'uomo natu-
rale,
corpo
e anima,
pur
restando ci che
,
si
ignora
e assume
il modo
di
essere dello
Spirito.
Ci non avviene di
colpo:
la similitudo il risul-
tato di
un
lungo processo
che
neppure consegue
il
suo
compimento
nella Vita
presente.
La
rassomiglianza piena
con Dio avr
luogo
con la
risurrezione,
che
spalanca
la
porta
alla visione di
Dio,
alla comunione
con lui,
alla
gloria,
alla immortalit: tutti
privilegi
dell'uomo
spirituale
o
perfetto.
La
sinzilitudo,
realizzandoil
progetto
inteso da Dio con
la
crea-
zione
dell'uomo,
compromesso
dalla
caduta, come una creazione con-
tinua messa
in atto dalle "Mani di Dio"
(il
Verbo incarnato e lo
Spirito
Santo),
poich
il dono dello
Spirito,
che il costitutivo essenziale della
similtudo,
procede
dal Padre
e
dal
Figlio.
26) 11nd,, v, 16,
2.
27) 11nd,, V, 6,
1.
28)
Ibid.
29)
Cf.
ibid., V, 9,
2.
90 Parte
prima
Un'altra dottrina
gnostica
contro cui Ireneo non si stanca di combat-
tere la divisione
degli
uomini in due classi:
quella
dei
perfetti
e
quella
dei
semplici.
I
primi
sarebbero esenti da
ogni colpa
e
da
ogni peccato,
mentre i secondi sarebbero
soggetti
al male e
al
peccato.
Tutto
questo
accadrebbe
per
decreto divino.
Contro
questa
discriminazioneIreneo
pone
l'accento sulla libert,
come
prerogativa
Comune e
propria
di tutti
gli
uomini, e come
ragione
ultima della bont e della malizia delle
proprie
azioni e
quindi
anche
della
propria
condizionemorale
e
spirituale.
Non era
ovviamente anco-
ra
la soluzione
adeguata
al
problema,
ma era indubbiamenteuna
rispo-
sta valida contro lo
gnosticismo.
Ippolito, discepolo
di Ireneo
Ippolito, teologo
e scrittore ecclesiasticodel III
secolo,
fu
degno
disce-
polo
del suo
grande
maestro Ireneo. Poche
sono
le notizie sicure sulla
sua vita e la sua
persona.
Greco di nazionalit
e
di
lingua,
fu a Roma
avversario deciso di
papa
Callisto e riusc contro
quest'ultimo
a
farsi
eleggere
vescovo (non
si sa
di
quale
diocesi)
dai suoi
partigiani.
Fatto
deportare
in
Sardegna dall'imperatore
Massimino
(anno 235),
assieme al
papa
Ponziano, con cui si era riconciliato,
vi mor martire.
Fino alla met del secolo scorso
di
Ippolito
erano noti solo
pochi
testi,
di cui la
maggior parte
non erano
che
frammenti;
in
seguito per
un
inventario
pi
accurato dei manoscritti
greci
e
orientali ha fatto
scoprire
un numero rilevantedi
sue
opere.
Esistono inoltre diversi scritti che
non
portano
il
suo
nome,
ma
che
gli
sono
stati attribuiti
dagli
storici moder-
ni,
tra i
quali
il
pi
conosciuto lElenc0 contro tutte le eresie
(Pizilosophu-
mena).
Gli scritti di
Ippolito
si
possono
suddividere in due
gruppi: quelli
di
genere
esegetico
e
quelli
di
genere polemico.
Al
primo gruppo appar-
tengono:
Commento a Daniele,
Commento al
Cantico,
Davide e Golia,
Benedi-
zione di
Giacobbe,
Benedizione di
Mos, Sullflntcrsto,
Sulla Genesi
(fram-
menti),
Sali
Apocalisse
(frammenti).
Al secondo
gruppo appartengono:
Contra Noetam e Elenchos o
Philosophumena.
Durante
gli
ultimi decenni il Nautin e
qualche
altro studioso hanno
messo
in dubbioche i due
gruppi
di
opere
- cos
profondamente
diversi
per
stile e contenuti

possano appartenere
allo stesso autore e
hanno
cominciato a
parlare
di due
Ippoliti:
un
Ippolito esegeta,
che
lIppolito
di cui abbiamole notiziestoriche riferite
sopra,
e un
Ippolito eresiologo,
contemporaneo
al
precedente, discepolo
lui stesso
di
Ireneo, ma
di cui si
ignora
l'esatta
provenienza
e
ogni
altro dato
biografico.
Ma
questa
duplicazione
non
pare giustificata
(a
Bardy,
Richard
ecc.),
perch
la
diversit dei temi
trattati,
degli
stessi destinatari
e
probabilmente
della
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano
91
data di
composizione
sono motivi
pi
che sufficienti
a
giustificare
le
notevoli differenze che si incontranonei due
gruppi
di
opere.
Ad
ogni
modo
Yapporto
di
Ippolito
alla
teologia
considerevole sia
nel
campo esegetico
sia in
quello pi propriamente teologico,
e in en-
trambi i casi l'influssodel
suo maestroIreneo evidente.
In
campo esegetico Ippolito
fu il creatore di un
genere
letterario auto-
nomo con
le
sue
opere
dedicate
espressamente
alla
interpretazione,
se
non ancora di
un intero libro della Sacra
Scrittura,
di
passi
anche
ampi,
senza
finalit
polemiche
o catechetiche. Si tratta di
opere
in cui il testo in
questione
viene
riportato passo per passo, ognuno seguito
dalla
spiega-
zione,
di
norma
piuttosto stringata,
in cui
comunque
non mancano
spun-
ti dottrinali in funzione antieretica e talvolta
aperture
di carattere morale
e
parenetico.
Come Ireneo anche
Ippolito
nella sua
esegesi
fa
ampio
ricor-
so
alla
tipologia,
ma
questa
ricerca non di rado
pregiudica
la seriet del-
Yesegesi stessa,
date le evidenti forzature
cristologiche
della
tipologiafio
Gli influssi di Ireneo su
Ippolito
sono ancora
pi
evidenti
negli
scritti
polemici. Qui
Ippolito riprende
il
pensiero
del
suo maestrosu
alcuni
ar-
gomenti
fondamentali: la condanna della
filosofia,
il valore della tradi-
zione,
la dottrina
trinitaria,
specialmente
con riferimento al
Logos,
in
opposizione
al modalismo
e
alladozionismo.
Anche
Ippolito
come Ireneo vede nella filosofia il
germe
di tutte le
eresie. Secondo
Ippolito
la verit non si
attinge
dai filosofi
ma dalla
scienza di Dio e
questa
non si
impara
se non
dagli
oracoli di Dio ossia
dalla Sacra Scrittura. Come
infatti,
qualora
uno volesse coltivare la sa-
pienza
di
questo
secolo, non
potrebbe
farlo
se non
attingendo
alle dottri-
ne dei
filosofi, cos
pure
noi,
Volendo coltivare la
piet
verso Dio, non
possiamo
farlo altrimenti che sulla base dei detti di Dio.
Quanto
perci
annunciano le divine
Scritture, intendiamolo, e
quanto insegnano, ap-
prendiamolo:
e cos come
il Padre vuole
essere creduto, crediamo; e co-
me vuole che il
Figlio
sia
glorificato, glorifichiamolo.
E tutto ci inten-
diamolo
non a nostro
arbitrio, non a nostro
piacimento,
n usando vio-
lenza alle cose
che Dio da s liberamenteha
cedute, ma
in
quel preciso
modo che
Egli
ha voluto mostrare tramite le stesse sacre Scritture>>fi1
Le Scritture sono
quindi
l'unica fonte di verit
a
cui il cristiano e
il
teologo
devono
attingere,
ma non
possono
farlo
arbitrariamente,
ossia
prescindendo
dalla tradizione. E
questa
da
Ippolito
viene fatta consiste-
re ancor
prima
di
ogni
eventuale
espressione
dottrinale,
nella
legittima
successione
(diadoch)
apostolica,
la
quale
fa s che la
grazia
dello
Spirito
3)
Cf. M.
SIMONETTI,
Profilo
storico
dellfizsegesi patristica,
Roma
1981,
pp.
30-35.
3)
Contra
Noetum,
9.
92 Parte
prinza
(che
lo
Spirito
di
verit)
che
per
primi gli Apostoli
hanno
ricevuto,
giunga
fino ai
presenti
successori
(diadokoi)
dei
quali,
noi,
partecipi
della
stessa
grazia,
dello stesso sacerdozio,
dello stesso
magistero
e
computati
a
custodi della Chiesa, non
chiudiamo
occhio,
n tacciamo la retta dot-
trina,
che
piuttosto
non
desistiamo un
solo
istante,
impegnandoci
con
tutta l'anima e
il
corpo,
da rendere
giustamente quel
che
giusto
a Dio,
che ci
benefica,
nella
prova,
non
prendendoci
altra rivalsa che
quella
di
essere
inflessibiliin ci che ci stato affidatoml
Per il mistero trinitario
Ippolito
usa
formule
che,
pur
prestandosi
ancora
ad
ambigueinterpretazioni,
sono
tuttavia chiare
e
categoriche
sia
sull'esistenza delle tre
persone
sia sulla loro distinzione. Scrive
Ippolito
nel Contra Noetun: (11-12):
In altra maniera non
pu
essere riconosciuto
un unico Dio, se non credendo realmente nel Padre e
nel
Figlio
e
nello
Spirito
Santo. I
giudei
infatti
glorificarono
il
Padre, ma non
gli
resero
grazie, poich
non
riconobberoil
Figlio.
I
discepoli
riconobberoil
Figlio,
ma non
nello
Spirito
Santo,
perch questo
lo
negarono.
Riconoscendo
dunque
il
Logos paterno
come economia e volont del
Padre,
che cio il
Padre non altrimenti vuol essere
glorificato
che mediante il
Figlio
che
cos, risorto,
trasmise ci ai
discepoli
dicendo: Andate
e ammaestrate
tutte le
genti,
battezzandole nel nome
del Padre e
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo" (Mi 28, 19),
mostrando che
chiunque
omette uno
di
questi
non
glorifica
Dio
perfettamente.
Attraverso
questa
Triadeinfatti il Padre

glorficato.
In effetti,
il Padre
volle;
il
Figlio
fece;
lo
Spirito
Santo mani-
fest. Tutte le Scritture ne danno annunzio...
i
L'origine
del
Figlio
dal Padre
espressa
in termini di
generazione:
sulla base della
propria
immanente
conoscenza, Egli
(il Padre)
genera
da s il
Logos,
non ancora il
Logos
come voce,
ma come
pensiero
interio-
re (endiathetos
logisms)
di tutto. Questo
solo
egli generava
da "ci che
,
poich
ci che era lo stesso Padre,
da cui
procede
ci che fu
genera-
to.33 Il
Logos

generato
dal Padre
come
pensiero
interiore,
in vista
della
creazione,
dove il
Logos opera
come Voce
primogenita (prototokos
phon)
causa
prima
di tutto ci che diviene".3tOltre che la funzione di
creatore del cosmo
Ippolito
assegna
al
Logos
la funzione di
reggitore
del
cosmo: Tutto
regge
il
Logos
di
Dio,
il
Figlio primogenito
del
Padre,
la
Voce
apportatrice
di luce
prima
ancora
della stella del mattino>>fi5
Ippolito
ha idee molto chiare
e usa
espressioni
felici anche a
proposi-
to della realt teandrica del
Cristo,
il
Logos
incarnato.
33)
Philosoplzumena,pro].
33) Philos,
10.
34) Ibid.
35)
Ibid.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 93
Questo
Logos
- scrive
Ippolito
nei
tempi
recenti,
il Padre
inviava,
non a
parlare per
mezzo di un
profeta,
n solo volendooffrire materia
di
congetture
con un
qualche
oscuro annuncio, ma
disponendo
che
egli apparisse proprio
di
persona
Questi
sappiamo
che ha
preso
un
corpo
dalla
Vergine
e
si addossato il vecchio
uomo
per
una
nuova
plasmazione,
che e
passato
attraverso tutte le fasi della
vita,
per
divenire
egli
stesso
legge
a
ogni
fase
e,
con
la
sua
presenza,
mo-
strare come termine finale a tutti
gli
uomini,
la
propria
umanit
(...).
Perch,
poi,
non fosse ritenuto diverso da
noi,
si sottomise anche alla
stanchezza
e volle
aver
fame
e non ricus di
avere sete e si
prese
il
riposo
del sonno e non rifiut la
passione
e accett la
morte,
poi
manifest la
risurrezione,
offrendo come
primizia
in tutte
queste
cose
la
sua
propria
umanit,
perch
tu non abbia a
disperare
nella soffe-
renza ma riconoscendoti
uomo,
possa sperare quello
che hai ricono-
sciuto a Lui. Smettete
perci
di far
guerra
a voi
stessi, o uomini, e
non abbiate
paura
di arrendervi! Cristo infatti
quel
Dio
sopra
tutte
le cose (cf.
Rm
9, 5),
che ha
prestabilito
di cancellare il
peccato degli
uomini facendo
nuovo
il vecchio uomo.36
indubbio da
questo
testo che
per Ippolito,
Ges
Cristo,
oltre che
vero
uomo,
anche
Vero Dio,
della stessa sostanza del
Padre,
perch
della stessa sostanza del Padre il
Logos
che in Cristo ha
preso
la nostra
stessa carne.
Come tutti i Padri dei
primi
tre secoli anche in
Ippolito
manca una
sufficiente
pneumatologia
e lo
Spirito
Santo non ancora considerato
chiaramente
persona" (hypostasis).
Tertulliano
Quinto
Settimio Florente Tertulliano fu
una delle
grandi personalit
del cristianesimo antico e "il
padre
della
teologia
latina". Si soliti dare
questo
titolo ad
Agostino,
che fu indubbiamente
l'esponente principale
della riflessione
teologica
latina. Ma se si tiene conto che Tertulliano
pre-
corre
Agostino
di ben due secoli tale titolo
gli compete
di diritto. La
sua
eccezionale
conoscenza sia del latino che del
greco
e
la
sua
grande
fami-
liarit
con
la letteratura filosofica
greca gli
consentirono di costruire
una
teologia
latina,
praticamente
inesistente
prima
di
lui,
di metterla allo
stesso livello
con
quella
greca,
e nello stesso
tempo
di
imprimerlequelle
caratteristiche che la
distingueranno
nettamente dalla stessa
teologia
greca.
E
non si trattava
semplicemente
di diversit
linguistiche
ma an-
che concettuali.
se)
ma.
94 Parte
prima
Ci che differenzia le due
teologie,
oltre la
lingua,
il
rapporto
con
la
filosofia.
Infatti, mentre la
teologia greca
in
campo
filosoficoha
come
principale
alleato Platone
e
il
platonismo,
la
teologia
latina
(fino a
Ago-
stino) assume come alleato
primario
Zenone e lo
stoicismo,
che in
quel-
l'epoca
era l'indirizzofilosofico
seguito
dai
grandi
scrittori latini: Sene-
ca, Svetonio,
Marco Aurelio. Ne
consegue
un interesse
pi spiccato
della
teologia
latina
per
i
problemi
morali,
pratici
e istituzionali.
VITA E OPERE
Tertulliano
nacque
a
Cartagine
intorno al 160 da
genitori pagani
e
lui
stesso da
giovane
fu
un
pagano
convinto:
prendeva parte
alle forme
pi
deteriori del
paganesimo, frequentando
i misteri di Mitra
e allo stesso
tempo
avversava e derideva il cristianesimo. Ricevette un'educazioneclas-
sica
completa, comprendente
anche un'ottima conoscenza del
greco.
Da-
tosi allo studio della
giurisprudenza
ne divennein
seguito
assai
esperto.
Si convert al cristianesimo Verso
l'anno 195 e
port
nella difesa della
nuova fede tutto Yardore del suo cuore e Yacutezza del
suo
possente
ingegno.
Fortemente
rigorista
con se stesso si lascio trascinare dentro la
spirale
delleresia
montanista,
che abbracci
apertamente
nel 213.
Dopo
la sua
aperta
rottura con la Chiesa
istituzionale,
intraprese unaperta
polemica
contro i vescovi e i cattolici. Infine si
separ
anche dal monta-
nismo e costitu una
propria
setta. Tertullianovisse assai a
lungo,
ma so-
no
ignoti
sia la data sia il
luogo
della sua morte,
che sembra avvenuta
intorno
al 240.
La
produzione
letteraria di Tertulliano
imponente
e si
occupa,
si
pu
dire,
di tutte le tematiche
religiose, daltapologetica
alla
polemica
antieretica,
fino alle tematiche strettamente
teologiche.
i suoi scritti si
dividono in tre
gruppi:
a)
Scritti del
periodo
cattolico
(197-208):
Apologeticunz,
Ad
nationes,
De testimonio
animae,
De
spectaculis,
De
praescriptione
haereticorum,
De
horatione,
De
baptismo,
De
patientia,
De
poenitentia,
Ad
uxorem,
Adversunz
Hermogenem,
Adversus
Iudeos.
b)
Scritti del
periodo
di transizione: Adversus
Marcionem,
De
pallio,
AdJEYSIJS
Valentinianos,
De
anima,
De carne Christi,
De resurrectione
carnis,
De
idolatria,
Ad
Scapulam.
c)
Scritti del
periodo
montanista: Adversus
Praxeam,
De
fu
ga
in
persecu-
tione,
De
monogamia,
De
jejunio,
De
pudicitia.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano
95
APOLOGIA DEL CRISTIANESIMO
Tertulliano viene ricordato anzitutto come
apologista
del cristianesi-
mo. Nel suo
Apologeticum egli
demolisce tutte le
accuse che venivano
mosse ai
cristiani,
dimostra
l'illegalit
dei
processi
a cui venivano sotto-
posti
e delle condanne che
venivano loro
inflitte,
ed elenca
una serie di
titoli che rendono il cristianesimo
superiore
a
ogni
altra
religione:
le
virt dei
cristiani,
il loro
eroismo,
il loro martirio fonte di
nuove conver-
sioni.
Lflpologeticum
servir da modello
a tutti i futuri
apologisti
del cri-
stianesimo da
Agostino,
fino a Pascal
e a De Maistre.
La
maggior parte degli argomenti dellflpologeticum
si riscontrano
gi
negli apologisti precedenti
(Quadrato, Giustino, Taziano,
Atenagora)
ma
Tertullianoli
riprende
con tono
personalissimo
e con
un'aspra aggressi-
vit che
non
risparmia
neppure
i filosofi
tradizionalmente
pi
venerati.
Con
compiaciuta
ironia
mette
spietatamente
in luce l'inconsistenza della
religione
pagana,
con sottile dialettica rilevale
incongruenze
dei nemici
dei cristiani sia sul
piano giuridico
sia su
quello morale, con entusiasmo
e
passione
descrive
ora la
superiorit
dei cristiani sui loro avversari
sotto
ogni aspetto,
ora
l'ingiustizia
di cui
sono fatti
oggetto,
ora la libert
cui hanno diritto nel
professare
la loro
fede, rifiutando
all'imperatoregli
onori divini che
non
gli spettano.
I due
argomenti
a cui
Tertulliano,
da buon
giurista,
insiste
giusta-
mente sono
quelli
della
illegalit
dei
processi
e delle condanne e
quello
della
prescrizione(praescriptio).
Tertulliano ricorda ai
giudici
romani che
assolutamente
illegale
condannare
una
persona
soltanto
a causa del
nome
che
porta:
ci che conta sono
i fatti
e non
i nomi. Un
uomo deve
essere condannato
per
le azioni
compiute,
se sono cattive, e non soltanto
perch
porta
il
nome di
cristiano,
di
ebreo,
di assiro ecc.
Dell'argomento
della
illegalit
dei
processi
e delle condanne Tertullia-
no si avvale contro i
magistrati
e contro le autorit
romane. Invece contro
i
filosofi, che
manovrano
l'opinione pubblica
e muovono ai cristiani le
accuse
pi
subdole
e
pesanti,
Tertulliano si
serve
dell'argomento
della
prescrizione:
Noi
senza
indugio poniamo
una
prescrizione
contro i nostri
falsari.
l'argomento
che sfrutter
soprattutto
contro
gli eretici, ma se
ne serve anche contro i
filosofi; solo che mentre contro
gli
eretici
l'appello
alla
prescrizione
per
rivendicare la
propriet piena
e
previa
della verit
rivelata trae valore
dallapostolicit,
e
quindi
dalla
trasmissione autore-
vole e
garantita
della verit
evangelica,
nel caso dei filosofila
cosa diven-
ta molto
pi complessa:
occorreva sostenere che in
un modo o nell'altro i
greci
avevano
appreso
le
grandi
verit filosofiche
dagli
ebrei, e
pi preci-
samente che Platone aveva derivato i suoi
insegnamenti
da Mos.
Questa
era
gi
la tesi di Clemente Alessandrino
e Tertulliano la fa
sua: la Scrit-
tura fu il tesoro
per ogni sapienza
venuta
dopo.
96 Parte
prima
CRITICA DELLE ERFSIE
Come
sappiamo,
numerose
opere
di Tertulliano sono
dirette contro
gli
eretici: Marcione,
Valentinoe Prassea in modo
particolare,
e contro
le
loro
rispettive
eresie: il dualismo manicheo
(Marcione),
lo
gnosticismo
(Valentino),e
il monarchismo (Prassea).
In
questo
lavoro,
anzich
impe-
gnarsi
sul terreno
esegetico per
demolire una a una
le
interpretazioni
er-
rate che venivano date dell'Antico e
del Nuovo Testamento, cosa
che
sa-
rebbe andata assai
per
le
lunghe
dando
luogo
a
interminabilidiscussio-
ni,
Tertulliano
preferisce
affrontare la
questione
alla radice facendo in-
tervenire il
principio
della
praescriptio.
Questo
uno strumento
giuridi-
co,
molto usato nei tribunali romani, con
cui si solleva una eccezione
pregiudiziale
alla causa stessa,
eccezione tale
per
cui si
impedisce
alla
controparte
di muovere
le sue accuse e
di rivendicarele
proprie pretese.
Applicare agli
eretici
questa figura giuridica significa
all'inizioche
qua-
lunque
affermazione essi
presumano
avallare con le Scritture non
ha
valore,
perch
essi non
posseggono
alcun titolo di diritto sulle Scritture,
in
quanto queste
sono state
consegnate
da Ges Cristo
agli apostoli
e
ai
loro successori: da
qui dunque
che muoviamo la
prescrizione:
se
il
Signore
Ges Cristo invio
gli Apostoli
a
predicare,
nessun
altro
predica-
tore deve essere accolto,
al di fuori di
quelli
che
Egli
stesso ha istituiti.37
Ecco come nel De
praescriptione
TLIEYECOTLITTZ viene formulato
questo
criterio di verifica della verit e
di accertamento
dell'ortodossia nella
Chiesa:
Pu darsi che ci siano eresie le
quali
osino rifarsi all'et
apostolica,
s
da
parer
insegnate dagli apostoli per
essere nate sotto di loro. Si
pu
replicare
ad esse: mettano fuori
dunque
le carte di nascita delle loro
chiese;
sciorinino i
cataloghi
dei loro vescovi mostranti sin dal
princi-
pio
la loro successione,
s da far vedere che
quegli
che fu il
primo
vescovo
ricevette Yinvestitura e
fu receduto da uno
degli apostoli
o
almeno da un uomo
apostolico,
c e con
gli apostoli
avesse
avuto
costanti
rapporti.
Questo
il modo col
quale
le chiese
apostoliche
esi-
biscono i
propri
titoli: cos la Chiesa di Smirne mostra
che
Policarpo
fu collocato su
quella
sede da Giovanni;
cos
quella
di Roma fa vedere
che Clemente vi fu ordinato da
Pietro; e cos
pure
le altre esibisconoi
Vescovi che,
costituiti
nellepiscopato dagli apostoli,
sono
per
loro i
veicoli della semente
apostolica.
Pu essere
che
gli
eretici architettino
una
tradizionesimile: che cosa non
si fanno lecito
dopo
avere
bestem-
miato Dio? Ma anche se
costruissero una
tradizionesimile, non
fareb-
bero un
passo
innanzi,
ch baster
sempre
mettere a
fronte alla dottri-
37)
Apolugeticum,
c. 21.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 97
na loro
quella degli apostoli,
per
mostrare come la loro sia diversa e
contraria, e
quindi
non
derivi da un
apostolo
e
neppure
da un uomo
apostolico.
Difatti come
gli apostoli
non
insegnarono
dottrine diverse
tra loro,
cos
gli
uomini
apostolici
non
divulgarono
dottrine contrarie
agli apostoli,
a meno
di ammettere che essi unacosa avessero
appresa
e un'altra
predicatam-S
Tertulliano un
critico
severo,
aspro,
sarcastico,
talvolta
violento,
della cultura
pagana
e, quindi,
anche della filosofia. Nella filosofia
egli
vede la
sorgente
e la causa di tutte le eresie:
Le
eresie,
in
sostanza,
vengono
fornite dalla filosofia. da
qui
che
derivano
gli
eoni,
le non
meglio
definite forme" e
la "triade
umana (=
uomini
ilici, psichici, pneumatici) presso
Valentino,
che
era un
platonico.
E da
qui
che deriva il Dio buono" di Marcione:
veniva
dagli
stoici. E che si dica che l'anima
perisce
deriva
dagli epi-
curei, come che si
neghi
la risurrezione della carne
viene
dall'opinio-
ne comune di tutti i filosofi. Laddove si identifica la materia con Dio,
siamo in
presenza
della dottrina di Zenone. E
quando
si
parla
del
fuoco
come
Dio,
Eraclito che interviene (...).
Disgraziato
di un
Aristotele! E stato lui a
insegnare
loro la
dialettica, arte di costruire e
demolire,
mutevole nelle
opinioni,
forzata nelle
congetture,
ottusa
nelle
argomentazioni, provocatrice
nelle
contese,
molesta
persino
a se
stessa,
che tutto ritratta
per
tema di non averlo trattato del tutto (...).
Orbene,
che c'entra Atene con
Gerusalemme e
l'Accademia con
la
Chiesa? E che
rapporto
ci
pu
essere tra
gli
eretici e i cristiani? La no-
stra scuola
quella
del Portico di
Salomone",
il
quale
ci ha
insegnato
che il
Signore
va cercato in
semplicit
di cuore
(Sap
1, 1). Stiano
attenti coloro che han
messo
in circolazione
un cristianesimo stoico o
platonico
o dialettico! Noi non abbiamo
pi bisogno
di curiosare
dopo
Ges
Cristo, n di ricerche
dopo
il
Vangelo.
E dal momento che
crediamo, non desideriamo altro che credere.
Questo
infatti,
il
primo
articolo del nostro credo: che non c' nient'altroda credere.39
Eppure questa aspra
denuncia della filosofia
pagana
e
questa energi-
ca
affermazionedella
completa
autonomiadella fede non ci autorizzano
a concludere come
spesso
si fa,
che la
polemica
di Tertulliano tocchi la
filosofiain
quanto
tale e non
piuttosto
una sua
degenerazione(corruptio)
e
che la sua critica della filosofia
pagana
equivalga
al rifiutodi
ogni
filo-
sofia.
Questa
presentazione
di un Tertulliano
fideista,
che si
appella
al
credo
quia
absurdum come unico
argomento
a
sostegno
della
sua
fede
non
corrisponde
a verit. In effetti,
chi fa
teologia
e ancor
pi
chi fa dell
apolo-
33)
De
praescriptivne,
c. 32.
39) lbd., C. 7.
98 Parte
prima
getica
come fa Tertulliano deve ricorrere necessariamente alla
ragione,
allargomentazione,
alla
speculazione
e tutto
questo comporta
necessa-
riamente un armamentariofilosofico,
principi
filosofici,Verit e dottrine
filosofiche. Chi critica una determinata filosofia
se vuol essere ascoltato
dal
suo interlocutore - deve farlo con
argomenti
filosofici
e
quindi
a
par
tire da un'altra filosofia
pi
o meno
esplicitamente
elaborata.
Questo
vale anche
per
Tertulliano.
Egli
critica la filosofia culta dei
pagani
a
partire
dalla filosofiadel senso comune (conscientia cammunis),
la
quale
a
sua volta affonda le sue radici nella rivelazione
originaria
della verit
per opera
del
Logos.
Pertanto non ci si
pu
aggrappare
al famoso "credo
quia
absurdzun" di Tertulliano
per
sostenere che
egli
rifiuta totalmente e
irrevocabilmentela filosofia
e
qualsiasi
uso
della
ragione nellintelligen-
za
della
fede,
per
rinchiudersi
e trincerarsi interamente dentro il sicuro
recinto della fede. Se si
guarder
al
senso della
polemica
tertullianea,
si
vedr
sempre
che il
significato
nella condanna di
un determinato mo-
do di analizzare e risolvere le cose.
evidente del resto che i
giudizi
complessivi
su Tertulliano
sono stati influenzati dal Tertum est
quia
im-
possibile,
mal riferito
come un
cred0
qma
absurdxm",
che
non
fu mai
scritto. Ma
bisogna
vedere il modo in cui Tertullianoha
compiuto
le sue
analisi,
al di fuori di
quel
celebre
passo;
in che modo ha
risposto
alle
analisi
altrui;
in che modo cio ha
superato
la
posizione
immediata e
irrazionale del credere o in che modo non abbia
potuto
tener fede alla
assunzione immediata del criterio del credere
(l. VECCHIOTTI).
Di fatto
Tertulliano
attinge
spesso
e volentieri alla filosofia stoica nel formulare
le verit della fede cristiana e
fa costantemente
appello
alla filosofiadel
senso comune
quando
attacca la filosofia
pagana:
le critiche di
questa
filosofianon sono svolte a
partire
dalla fede cristiana bens a
partire
da
quel patrimonio
comune e
fondamentale che la filosofia del senso
comune.
Contro le teorie bizzarre
e
contraddittoriedei filosofi
pagani
su
Dio,
sulla
provvidenza,
sullanima,
sulla
risurrezione,
sullaldilTertul-
liano si richiama
a un'altra
filosofia,
che la filosofia innata della con-
scientia
communis, e del testinzonium
animae,
ossia
quella
filosofia che
rende l'anima naturalmente cristiana". In un notissimo
capitolo
dellflpologeticzntz parlando
della esistenza di Dio
Tertulliano,
appellan-
dosi alla testimonianza della coscienza (ex
aizimae
testimonio),
dichiara
che l'anima
pur
nel carcere del
corpo
rinchiusa,
pur
da
insegnamenti
pravi
circondata,
pur
da
passioni
e
concupiscenze svigorita, pur
a false
divinit
asservita, tuttavia,
quando
ritorna a s, come
dopo
lubrachez
za o un sonno o
qualche
malattia, e
il
possesso riprende
della
sua
condi-
zione
sana,
fa il
nome di
Dio, con
questa
sola
parola
("mio Dio),
poich

propria
del vero Dio: e Dio buono e
grande",
e
quello
che a Dio
pia-
cer, sono le
parole
di tutti. Anche
quale giudice
lo attesta: Dio
vede",
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 99
e a Dio mi affido e Dio me lo render". O testimonianza della
coscienza naturalmente cristiana (O
testimoniunt animate naturaliter Chri-
stianae)!.40
Si delinea a
questo punto
un modo di
impostare
i
rapporti
tra fede
e
ragione,
tra filosofia
e cristianesimo,
che molto lontano da
quello
che
sar formulato nella storia della filosofia cristiana:
per
Tertulliano, con-
trariamentea
quel
che si suol
dire,
tra
queste
due forme del
sapere
e
del-
la cultura non c' mai stata n ci
pu
essere,
in linea di
principio,
una
netta antitesi, perch,
nella sua forma
originaria
di filosofiadel senso co-
mune,
tra fede e
ragione,
tra filosofia
e cristianesimo esiste
piuttosto
una
innata,
connaturale
convergenza
e sintonia.
ESISTENZA s NATURADI DIO
La
polemica
con
i filosofi
e con
gli
eretici offre
spesso
l'occasione a
Tertulliano di intervenire sulla
questione
dell'esistenza e della natura di
Dio,
argomento
di
capitale importanza
sul
quale gli
errori ormai non si
contavano
pi.
Gi
nellAp0l0geticun1
troviamo la dimostrazione dell'u-
nico
Dio,
Padre e Creatore,
fatta sia a
partire
dal
cosmo
che dalla testi-
monianza dell'anima
(c. 17).
Di
questa duplice prova, gi
classica nella
letteratura
cristiana,
documentata
pi
o meno
ampiamente
da tutta l'a-
pologetica,
Tertulliano
predilige
indubbiamentela
seconda,
che
svilup-
pa
anche in
un'opera
a
parte,
il De testimonio aninae.
L'esistenza di Dio risulta
pertanto
indubbia e
incontrovertibile.Al-
trettanto si deve dire anche di alcuni
aspetti
(attributi)
della sua natura,
quali
l'unit, l'infinita,
Yonnipotenza,
la
bont, l'eternit, Yimmaterialit,
Yinvisibilitecc. Contro
Ermogene,
Tertullianoinsiste molto sull'attribu-
to della
immaterialit,
criticando la
tesi,
difesa da
Ermogene,
della coe-
ternit della materia
rispetto
a Dio. Tertulliano lo
accusa
di
aver
abban-
donato la Chiesa
per
la
filosofia, e
ben
a
ragione, perch
la concezione
della materia
increata,
sostrato informe e caotico destinato a essere
pla-
smato e
ordinato da
Dio,
corrente nella filosofia
greca
di
ogni
scuola,
mentre del tutto estranea al
pensiero
cristiano e in
generale
anche alle
varie eresie che di
qui pullulavano.
Tertullianoconfuta
Ermogene
dimo-
strando che l'idea stessa di Dio
onnipotente
esclude l'esistenza di un
principio
a lui coeterno e irriducibile,
tale da limitare il
suo
potere.
E se
proprio
si vuole cercare
qualche
materia della
creazione,
allora la si
deve rintracciare nella eterna
sapienza
di
Dio,
che da
sempre
era con
Lui: Se a Dio era necessaria una materia
per
la costruzione del
mondo,
4D)
Apologeticum,
c. 17.
100 Parte
prinza
come
pensa Ermogene,
Orbene,
Dio ce
l'ha
una materia,
di
gran lunga
molto
pi
nobile
e
pi
idonea,
da Valutare
non
presso
i
filosofi, ma
da
capire presso
i
profeti,
cio la
sua
Sapienza (Sophia);
ed anche la
sola,
che ha conosciuto il Pensiero
(Sensus)
di Dio
(...). Chi,
dunque,
non con-
sidererebbe
piuttosto questa
come
sorgente
e
origine
di tutte le
cose,
la
vera materia delle
materie, non a lui
suddita, non diversa di
condizione,
non ribelledi
propensione,
non informe
nell'aspetto,
bens immanente e
propria
e
adatta
e formosa,
quale
a Dio conveniva di servirsi Lui che si
serve di ci che
suo,
senza
bisogno
di ci che di altri?.4'
Tertulliano risulta
quindi categorico
nell'affermare una conoscenza
naturale dell'esistenza di Dio e di una serie di attributi che caratterizza-
no
la
sua natura. Tuttavia altrettanto
categorico
nei dichiarare che
a
causa
della
sua
assoluta trascendenza
rispetto
a tutte le
creature,
Dio
per
quanto
concerne la sua natura rimane del tutto inaccessibile,
inconosci-
bilee ineffabile.A
questo riguardo egli riprende
le tesi tradizionali di
Filone e
di Clemente Alessandrino concernenti la
teologia negativa:
Dio
invisibile,
sebbene si
veda;
inafferrabile
(incompreherzsibilis),
seb-
bene si lasci dalle facolt umane
Comprendere;
per questo
vero ed
cos
grande.
Il resto che comunemente si
pu
vedere, afferrare, com-
prendere,
minore
degli
occhi da cui
abbracciato,
della mano con cui
viene a contatto,
dei sensi da cui viene
scoperto.
Invece ci che incom-
mensurabile,
solo a se stesso noto.
Questo
e ci che Dio fa
comprende-
re,
che
egli
non
risulta
comprensibile
(Hoc
est
quod
Deum aestimari
facit,
dum aestimari non
capit);
cos limmensit della sua
grandezza agli
uomi-
ni lo
presenta
noto e
ignoto.42
LA TRINIT
Per
quanto
attiene il
dogma
della Trinit i meriti di Tertulliano sono
indubbiamente
grandissimi,
anche se non si
pu pretendere
da lui una
definizioneesaustiva e
impeccabile
di
questo
sublime mistero. Ma
gi
moltissimo
quello
che
egli
riuscito a fare introducendo
espressioni
lin-
guistiche
come substantia, natura,
persona
che consentiranno
pi
tardi ad
Agostino
di
raggiungere
una
formulazionedefinitiva del mistero trinita-
rio. La sua dottrina sulla Trinit
segna
inoltre una
tappa importante
nel
passaggio
da
una
considerazione
preminentementecosmologica
della
Trinit, verso una considerazione
psicologica"
(che
sar
quella
di
Ago-
stino),
attraverso la teoria delle missioni del Verbo e dello
Spirito.
41) Adversus
Hermogenem,
c. 18.
43)
Apologeticum,
c.
17.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 101
Elaborando una
triadologia
in chiave strettamente economica"
e
per
economia si intende la manifestazionenella storia delle
proces
sioni divine mediante la
pluralit gerarchizzata
delle attivit
signorili
e
salvifiche
(]. MOINGT)
dove la chiarificazionedel mistero trinitario
non si ottiene
prendendo
in considerazione la Trinit
immanente,
bens
la Trinit
operante
nel corso
della storia della
salvezza,
Tertulliano ci d
necessariamenteuna teoria subordinazionisticadel
Figlio
e
dello
Spirito,
dei
quali
dice
esplicitamente
che
sono "inferiori al
Padre,
in
quanto
non sono n a lui coeterni n
eguali.
Contro i monarchiani
e i modalisti
che
negano
la Trinitdei
soggetti
divini Tertulliano fa
appello
alla storia
della salvezza cos come si trova documentatanelle Scritture. Ora
queste
mostrano chiaramente che nella economia Dio non rimane rinchiuso in
se stesso nella sua inaccessibileunit ma si
espande
e assume
la
duplice
soggettivit
del
Figlio,
nella
creazione, e dello
Spirito
Santo,
nella Pente-
coste e nella Chiesa. Ci da cui Tertulliano
non riesce ancora a liberarsi
il difetto
comune a tutte le
cristologia
dei
primi
tre secoli del cristianesi-
mo (lo si ritrova in
Giustino, Taziano,
Atenagora,
Clemente Alessandri-
no, Origene
ecc.):
il subordinazionismo.Il
Logos,
il
Figlio, per quanto
di-
chiarato
eguale (par)
e consostanziale
(essendo
della medesima substan-
t-ia)
al Padre tuttavia rimane decisamente inferioreal Padre. La
posterio-
rit
poi
del
Figlio
cos assoluta da
assumere
persino
una connotazione
temporale.
Pare infatti che la
processione
del
Figlio
non
abbia
luogo
nel-
leternit
ma abbiainiziocon la creazione. Infatti mentre
prima
si d sol-
tanto un
logos
endiathetiks la
ratio,
il
sensus,
la
sophia
indistinti in seno
alla divinit -
dopo
la creazione o
pi
esattamente nel momento stesso
della creazione si ha la
generazione
del
logos prophoriks:
in
quel
momen-
to la
ratio,
il
sensus,
la
sophia divengono
sermo
(parola proferita).
Solo in
rapporto
alla creazione la ratio-senno riceve il
nome
di
Figlio e,
correlati-
vamente,
Dio il
nome di Padre.
'
Qualche
studioso
(p.
es. B. de
Margerie)
pensa
di
potere
assolvere Ter-
tulliano dall'accusa di subordinazionismo
riportando
la creazione sul
piano
dell'eternit e
ipotizzando
-
come
ha fatto lo stesso S. Tommaso -
una creazione ab aeterno. Cos,
inserendo la creazione stessa nel
piano
dell'eternit,
ovvio che la
processione
del
Figlio
ha
luogo
a sua volta
nelleternit. Ma
questa ipotesi, dopo quello
che Tertullianoha detto
con-
tro l'eternit della
materia,
pare
del tutto infondata. Pertanto il subordi-
nazionismoresta sia
riguardo
al
Figlio e,
a
fortiori, riguardo
allo
Spirito
Santo. Per
superare
il subordnazonsmooccorrer
passare
da
una
rifles-
sione economica a una riflessionemetafisica sul mistero trinitario. Ma a
questo un'intelligenza
molto attenta al concreto com'era
quella
di
Tertulliano
(che
oltre ad
avere una
preparazionegiuridica
anzich filoso-
fica
e
che in filosofia
era contrario alle astrattezze di Platone e Aristotele,
per
sottoscrivere le concretezze
degli
stoici) non era affatto
preparata.
102 Parte
prima
ANTROPOLOGIAFILOSOFICA E TEOLOGICA
Il
pensiero
di Tertulliano ha
un
denso
spessore antropologico
che
prende
in considerazione tutti
gli aspetti
fondamentali dell'uomo: filo-
sofico,
teologico
ed etico.
In sede filosoficaTertulliano molto vicino alla
posizioni degli
stoici.
Nel De anima
egli
si schiera
a
favore del materialismostoico che conside-
rava l'anima
come
corpo
sottilissimo, contro lo
spiritualismc) platonico.
Alla luce di
questa
concezione materialistica il
problema
dei
rapporti
spirito-anima
viene risolto
semplicisticamente
identificando l'uno con
l'altra. Successivamente Tertulliano
prende posizione
sul
problema
del-
l'origine
dell'anima,
rifiuta le dottrine
platoniche
della
preesistenza
del-
l'anima e della
metempsicosi
e considera l'anima creata insieme coi
corpo
e trasmessa insieme con esso
dai
genitori
ai
figli
per
mezzo
di
un
seme distinto da
quello
del
corpo
(traducianesimo). Quanto
alla sorte del-
l'anima
dopo
la morte Tertulliano sostiene che,
dopo
la
morte,
in attesa
della risurrezione del
corpo,
le anime sono inviate
ne1lAde, a
eccezione
delle anime dei
martiri,
che
salgono
immediatamentein
paradiso.
In sede
teologica, seguendo l'esempio
di Ireneo e
di
Clemente,
Tertul-
liano studia il
rapporto
dell'uomo con Dio e con Cristo
soprattutto
sotto
il
profilo
della sua
somiglianza
con Dio
(imago
Dei).
Fedele alla sua
pro-
spettiva
stoica Tertulliano situa Ficonicit
pi
nel
corpo
che nell'anima.
Cos mentre
per
Ireneo e
per
Clemente il
prototipo,
il
paradigma supre-
mo dell'icona di Dio e il
Logos, per
Tertulliano il modello
principale
il
corpo
di Cristo.
Conseguentemente,
secondo
Tertulliano,
ogni
forma del
corpo
umano modellata sin dall'inizioin vista di colui che
un
tempo
doveva diventare uomo
per
la salvezza di tutti
gli
uomini: Ci che tro-
vava
espressione
nella
creta,
lo era
pensando
a Cristo che doveva farsi
uomo: creta e
carne, parola
di Dio e a un
tempo polvere
della terra.43
La restaurazionedella
inzago
Dei che, secondo
Tertulliano,
col
peccato
fu
solo oscurata e non tolta,
si riferisce direttamente al
corpo.
Col battesi-
mo
vengono
tolte le
pellicciae
funicae dell'uomo vecchio e sostituite con
quelle
dell'uomo
nuovo,
Ges Cristo.
Tertullianoera
particolarmente
sensibileai
problemi
di ordine morale
e
disciplinare: perci
dedic a
questa
materia una nutrita serie di brevi
monografie,
tutte
improntate
a un
atteggiamento rigorista
e
intransigen-
te. In molti
scritti,
gi
a
partire dallZ/lpologeticum, egli contrappone
la
vita edificante di Chi abbraccia il cristianesimo alla vita licenziosa e
immorale di chi
professa
il
paganesimo,
e condanna
ogni
manifestazio-
ne
tipica
di vita
pagana
e
di
ogni
tentativo di
apertura
in
questo
senso.
43) De resurrectinne carrzis, c. 26.
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano 103
Nel De
idolatria,
passando
in
rassegna
le varie arti e
mestieri che
sono
incompatibili
con
la Vita
cristiana, perch legate pi
o meno
intimamen-
te con
la
religione pagana,
conclude che il cristiano non
pu svolgere
nessuna delle
professioni
che lo stato
pagano
gli propone:
la
contrap-
posizione
fra lo Stato e la
Chiesa,
fra il servizio di Dio e
il servizio di
Cesare
qui
fortissima
(M. SIMONETTI).
Mentre da cattolico Tertulliano
non vietava alle Vedove di
risposarsi, pur consigliando
loro di
non
farlo
(cf.
Ad
uxorern), successivamente,
passato
al
montanismo,
tratta le
secon-
de nozze
alla
stregua
delladulterio (cf.
De
monogamia).
L'ideale della Vita cristiana
per
Tertulliano
rappresentato
dal marti-
rio. Il martire colui che
segue
pi
da vicino il sommo modello,
Ges
Cristo,
martire
per
eccellenza. Uno dei
primi
scritti di Tertulliano
pro-
prio
dedicato ai martiri
(Ad Martires).
Egli
Vede nel martirio il
perfetto
coronamentodella vita
cristiana, e
il
pegno
sicuro del
premio
eterno. For-
se
il
rigorismo
etico di Tertulliano si
spiega,
oltre che col suo naturale
temperamento,
anche
per
un senso non solo di ammirazionema
anche di
onest Verso
i
martiri,
che sono
i cristiani
pi
autentici.
Conclusione
Con
Ireneo,
Ippolito
e
Tertulliano la
teologia
ha affilatole sue armi,
non
per operare
un
approfondimento
della fede cristiana bens
per
difenderla
dagli
assalti dei
pagani
e
degli
eretici. Per
conseguire questo
obiettivonon C'era nessun
bisogno
della metafisica, mentre bastavano la
dialettica e una
buona conoscenza
della Scrittura e
della Tradizione.
Non c'
quindi
da
meravigliarsi
se con
questi
valentissimi scrittori cri-
stiani del II e III secolo che vedevano nella metafisica un
potentissimo
alleato dello
gnosticismo, essa,
non
solo non
ha fatto
registrare
nessun
progresso,
ma anzi si trovata
praticamente
bandita dal cristianesimo.
Quanto
alla
patristica
latina,
per
vedere il
sorgere
della metafisica cri-
stiana occorrer attendere ancora un
paio
di
secoli,
allorch Vittorino e
Agostino riapriranno
il
dialogo
tra cristianesimo e filosofia, e
pi speci-
ficamente
con
la filosofia
platonica
e
neoplatonica.
E
con
Agostino
la
metafisica
Cristiano-platonica raggiunger
immediatamente altissime
Vette.
104 Parte
prima
Suggerimenti bibliografici
IRENEO
Edizioni:
Patrologia
Graeca
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W. W.
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106
I PADRI CAPPADOCI
E ILRILANCIODELLA FILOSOFIACRISTIANA
Come
sappiamo,
la metafisica cristiana e una creazione della Scuola
di Alessandria,
ossia di Clemente e
di
Origcne.
Sennonch
questa
scuola
ebbe vita breve e
si
estinse,
praticamente,
con
la morte dei loro fondato-
ri. La loro
scomparsa segn
una
battuta d'arresto anche
per
la metafisica
cristiana.
Intanto nel IV secolo nuove
scuole
teologiche
e
catechetiche sorsero a
Gerusalemme,
Antiochia, Cesarea, Costantinopoli,
dalle
quali
usc una
folta schiera di
teologi
che diedero
grandissimo splendore
alla
patristica
greca.
Il loro
impegno principale
fu
quello
di combattere le nuove
eresie
cristologche
e trinitarie: l'arianesimo,
il nestorianesimo,
il monofisismo
ecc.
Nella lotta contro
queste
eresie si distinsero Atanasio, Eusebio,
Didi-
m0
il
Cieco,
Cirillod'Alessandria,
Epifanio,
Giovanni Crisostomo,
Ciril-
lo di Gerusalemme e
altri ancora.
Con i loro scritti e con
la loro
predica-
zione essi contribuirono in maniera decisiva al
progresso
di alcune aree
della
teologia,
in
particolare
della
cristologia,
della
mariologia
e
della
teologia
trinitaria: ma il loro
apporto
allo
sviluppo
della metafisica cri-
stiana fu
quasi
nulloJ
Un nuovo
impulso
allo studio della filosofiae
della metafisica venne
invece dai Padri della
Cappadocia,
Basilio,
Gregorio
Nisseno,
Gregorio
Nazianzeno e Nemesio. Essi ebbero tutti un'ottima formazione umani-
stica che
comprendeva
anche lo studio della filosofia. Si familiarizzare-
no con
le
opere
di
Platone,
Filonee
Plotino e
impararono
ad
apprezzare
il loro
pensiero.
Cos
intrapresero
un nuovo
dialogo
tra
filosofia e cri-
stianesimo,
che si rivel molto
proficuo
anche
per
la metafisica cristiana.
L'incontro con
il
neo
latonismo
P
Qui
occorre
ricordare che nel IV
secolo, con
la diffusione del cristia-
nesimo,
delle
grandi
scuole filosofiche
greche
l'unica che
era
riuscita a
sopravvivere
era
la scuola
neoplatonica,
fondata da Plotino
(T 270)
nella
1)
Sul
pensiero
di
questi
Padri cf. B.
MONDIN,
Storia della
teologia
I,
Bologna
1996.
I Padri
Cappadoci
e il rilanciodella
filosofia
cristiana
107
seconda met del secolo lll d. C.2
Plotino,
nelle
sue Enneadi,
pare
disinte-
ressarsi
completamente
della
nuova
religione,
che certo non
poteva
ignorare, perch
aveva
compiuto
i suoi studi filosofici ad
Alessandria,
dove
avevano
insegnato
da
poco
Clemente e
Origene.
Tuttavia i
grandi
progressi
che
egli
fa
compiere
alla metafisica
platonica
avvengono
attra-
verso l'assimilazionedi alcune verit fondamentali del cristianesimo: la
eliminazione del dualismo
ontologico,
l'affermazione dellunicit della
Causa
prima
(lUno), una
chiara determinazione della
gerarchia degli
esseri,
che derivano tutta la loro realt dal
Principio primofi
Grazie al
grande
avvicinamentodella metafisica
ncoplatonica
al cri-
stianesimo,
per
i cristiani che coltivavano la filosofia-
come i Padri della
Cappadocia
- divenne assai
agevole
instaurareun contatto
positivo
con
la filosofia"ad extra
(come
veniva chiamata allora la filosofia
pagana).
Nella sua
opera magistrale
sulla letteratura
greca
dai
presocratici
al
IV secolo d.
C.,4
A. M.
Malingrey
dedica due
capitoli
alla
Thilosophia
darzs Foeuvre de
G-reejgoire
de
Nazianze,
de Basile et de
Gregoire
de
Nyssc".
Bench condotto in chiave
prevalentementefilologica,
il
suo studio foca-
lizza
egregiamente
a
quale profondit
sia
pervenuta
Yinculturazione
"filosofica"del cristianesimo e della
teologia
nel IV secolo
per opera
dei
Padri
cappadoci.
Il
linguaggio
della filosofia
(phlosopha)

ripreso
dai tre Dottori della
Cappadocia
in tutte le sue
molteplici
valenze, sia
speculative
sia
prati-
che, sia morali sia ascetiche. Cos tutto il cristianesimo in tutte le sue
espressioni
diviene "filosofia: filosofiala dottrina
cristiana,
filosofia
la
morale, filosofiala vita
cristiana,
la vita
ascetica,
la vita
contemplati-
va ed filosofia
per
eccellenza la vita monastica. Di volta in volta
seguendo l'esempio
di Clemente Alessandrinoe di
Origene
i
Cappadoci
contrappongono
la filosofia
cristiana,
ossia la filosofiadi
Cristo,
la "n0-
stra filosofia,
alla filosofia
pagana,
la filosofia"ad extra
(exo),
mostran-
do che
vera,
autenticafilosofia soltanto
quella insegnata
da Ges Cri-
sto, ma evitando
quelratteggiamento di
totale rifiuto della filosofia
pa-
gana
che
era stato assunto da
Ireneo,
da
Taziano, e da Tertulliano. Il loro
criterio :
assumere ci che utile,
fuggire
con discernimento ci che
nocivo>>.5 Da Clemente i tre
Cappadoci
hanno conservato la
capacita
di
accoglierel'apertura
verso tutto ci che
pu
contribuire allo
sviluppo
2) Sul
pensiero
di Plotino e dei suoi
discepoli
si veda B.
MONDIN, Storia della Meta-
fisica
l,
Bologna 1998,
pp.
513-611.
3) Cf. W.
I. MALLEY,
Hellenismand
Christianity,
Roma
1978,
pp.
258 ss.
4)
A. M.
MALINCREY,
Phil0s0phia".
Etude d'un
gruupe
de muts dans la Iitterarure
grec-
que
des
Prsocratiqites
mi 1V" sicle
aprs j. C.,
Paris 1961.
5)
GREGORlO D1
NAZIANZO,
Ad
Seleucum,
35ss.
108 Parte
prirria
dei doni della
intelligenza.
Per
questo
motivo
quando
le
parole
del
gruppo philostiphiadesignano
la cultura in
generale presso
di loro assu-
mono una connotazione
positiva.
Da
parte
sua
Origene
li invitava ad es-
sere
prudenti,
a considerare tutte le scienze umane
alla luce della rivela-
zione, a
confrontarle
con i dati della fede.
Cos,
nei confronti delle
parole
del
gruppo
philosophia
essi
operavano
una sintesi di due tendenze che
potevano
diventare
antagoniste
e
che invece ora risultano
complementa-
ri. Bench
non
apportino
nessuna vera novit,
mediante l'uso di
queste
parole
in un senso culturale,
essi contribuiscono alla elaborazione di un
vocabolario che sar
quello
dellumanesimocristiano>>f=
Lumanesimo cristiano dei
Cappadoci
si rivela
soprattutto
nella loro
concezione sostanzialmente
positiva
della natura umana:
quella
icona
divina che il Creatore ha voluto dotare dei due
grandi poteri
della
ragio-
ne e della libert.
Sviluppando
la dottrina della
imago
Dei,
che
grazie
a
Filoneera
gi
diventata
patrimonio
comune
della
teologia
cristiana
(spe-
cialmente
per
merito di
Clemente,
Origene
e Atanasio),
i
Cappadoci
insegnano
che mediante il
logos
(la
ragione)
tutti
gli
uomini sono
orien-
tati verso Dio e
possono
conoscerlo. Trattando
dellmago
Dei ecco
quan-
to scrive
Gregorio
di Nazianzo: Ci sono
quattro
titoli di nobilt:
quello
del
sangue,
e
quello
che si ottiene mediante il decreto di
un
principe
ai
quali
non conviene
attaccarsi; ma c' anche
quello
della nostra natura
poich
siamo stati creati ad
immagine
di
Dio, e
quello
che si manifesta
mediante il vizio o
la
virt, a
cui noi
partecipiamo pi
o
meno,
a secon-
da, a mio
avviso,
che noi
proteggiamo
o conserviamo
licmag0.7
I due
soli titoli di nobilt
a cui conviene dar valore si fondano entrambi sulla
nozione di
intrigo:
il
primo

legato
alla natura
stessa,
il secondo all'eser-
cizio della libert
(di
compiere
il bene
oppure
il
male) e del
logos.
[l lo-
gos
offre un terreno Comune su cui tutti
gli
uomini
possono
incontrarsi.
Essendo stati creati ad
imaginem
Dei essi condividono una
sapienza
comune,
alla
quale
i
Cappadoci
danno il
nome
di
filosofia:

questa
una
saggezza
comune,
una
forma di
sapere
che
opera specialmente
nel
campo
della morale.
Impregnati
d'una cultura che condividono con
i
loro
contemporanei
stoici e
platonici,
i
Cappadoci, spinti
anche dal loro
desiderio di
apostolato,
affermano che le
esigenze
morali sono comuni a
tutti
gli
uomini, e
che nella misura in cui essi si
attengono
a
tali
esigen-
ze,
proteggono l'image
Dei e
possono
stabiliretra loro un vero
dialogo.
6)
A. M.
MALINGREY,
0p.
cit,
p.
222.
7)
GREGORIO Dl
NAZIANZO,
In
scipsum
10;
PG
35,
1241 B.
l Padri
Cappadoci
e il rilanciodella
filosofia
cristiana
109
Sempre
in linea con la valenza
prevalentemente
etica che
avevano as-
sunto la filosofia
e il
suo lessico
nell'epoca
ellenistica i
Cappadoci
si
av-
valgono
di numerosi termini
desunti,
appunto,
dall'ambitofilosofico
per designare
la vita del
cristiano,
la via e i metodi che conducono alla
perfezione,
nonch la vita monasticafi Essi assimilano la santificazione
del cristiano al
progresso
morale del
filosofo,
designandoli con
gli
stessi
termini...
Questo uso delle
parole
del
gruppo philosophia
contribuisce
a
presentare
il cristianesimo attraverso le
categorie
della morale ellenica.
E il
prezzo pagato
per
il
contatto col
proprio tempo.
Gli inconvenienti
che
potevano
derivarne
erano considerevolmente attenuati dalla
pre-
senza nella morale ellenica stessa di valori
comuni a tutti
gli uomini, e
quindi
eterni>>.
D'altro canto i
Cappadoci,
pur
avvalendosi dello stesso
linguaggio
"filosofico"
non cessano di rimarcare la
enorme
superiorit
della "nostra
filosofia
(h em
philosophia)rispetto
alla filosofia
pagana, quella
cosid-
detta ad extra
(exo). La "vera filosofia
(ha aleths
philosohia)
solo
quella
di Cristo
(he
kat Kristn
philosophia).
Cos l'ellenizzazionedel cristianesi-
mo viene sistematicamente ridimensionata da
una
profonda
cristianiz-
zazione della
filosofia,
che fa ritorno al
suo unico
legittimo proprietario:
Ges Cristo.
Basilio
VITA
Basilio,
detto il
Grande,
nacque
verso il 330 a Cesarea di
Cappado-
cia,
in
una
famiglia
cristiana
esemplare. Dopo
l'eccellente
educazione ri-
cevuta dai
genitori, frequent
insieme
a
Gregorio
Nazianzeno le scuole
di
Costantinopoli
e
di Atene. Diventato
vescovo di Cesarea
(370) attese
con tutte le
sue forze alla
salvaguardia
della ortodossia nei suoi
fedeli,
difendendola dalle insidie dellarianesimo. Per i cristiani di Cesarea
scrisse le sue memorabiliOmelie. Prima di
essere nominato
vescovo ave-
va trascorso molti anni in solitudine
come
monaco,
durante i
quali
ave-
va scritto le Grandi
regole
della vita
cenobitica,
che ebbero
grandissima
diffusione
e
gli procurarono
il titolo di
"legislatore
del monachesimo
orientale". Mor nel
379,
alla
vigilia
del trionfo
dell'ortodossia
(nel Con-
3) Cos il termine
philosophia
utilizzatoda
Gregorio
di Nazianzo e
Gregorio
di
Nissa
per
tradurre le varie
tappe
della
conoscenza
religiosa.
Sono loro che fanno
veramente entrare in uso
questa parola,
in tutta la
pienezza
di
significato
che
pu
avere in
questo
senso (A.
M.
MALINGREY,
0p.
cit,
p.
250).
9) lbid,
pp.
234-235.
110 Parte
prima
cilio di
Costantinopoli),
che fu anche il suo
trionfo. Il titolo di Crande
che
gli
fu
assegnato,
sintetizza la
posizione
e
il
prestigio
eccezionali e
il
riconoscimento dei suoi meriti in
quel
momento storico difficilee trava-
gliato per
la Chiesa.
OPERE TEOLOGICHE E PENSIERO FILOSOFICO
Le
principali opere
di
argomento
dottrinale di Basilio sono:
Contro
Eunomio
(in
tre libri) e
Sullo
Spirito
Santo: il
primo
ebbe un
ruolo deter-
minante
sugli sviluppi
della
cristologia,
il secondo
sugli sviluppi
della
pueumatologia.
Il Contro EHHOHZU una
dettagliata
confutazione
dellfifllpologia
di Eu-
nomio,
riportata
integralmente
e
discussa
passo per passo.
Basilio ne
impugna
il concetto fondamentaleche considerava
Yaghennesia
(l'essere
ingenerato) qualit
distintiva e caratterizzante della divinit, a
scapito
della divinit
piena
e
perfetta
del
Figlio. Egli
dimostra come
lflzghennesia
sia solo uno
degli aspetti
della divinit e
per
nulla
pi qualificante
e ca-
ratterizzante
rispetto
ad altri. In tal modo Basilio
pu
ribadire la realt
della
generazione
del
Logos,
la
sua
consostanzialit
rispetto
al Padre
e
la
sua
piena
divinit, e
insieme la
dignit
divina dello
Spirito
Santo.
Il libro Sullo
Spirito
Santo
riprende
la
polemica
contro coloro che ne-
gavano
la divinit della terza Persona della Trinite ne
dimostra la divi-
nit fondandosi
soprattutto
sulla
Isotimia,
cio sul fatto che lo
Spirito
Santo era
oggetto
di
eguale
onore e venerazione
rispetto
alle altre due
persone,
e
proprio per questo
motivo doveva essere
partecipe
della stes-
sa
dignit
divina.
Oltre a
queste
due
opere
squisitamente teologiche
ci sono altri due
scritti di Basilio che hanno
particolare
rilevanza
per
la filosofiae
per
la
metafisica cristiana: lEsortazi0ne ai
giovani
sul nzodo di trarre
profitto
dalla
letteratura
pagana
e
le nove
Omelie szdFEsanterone.
Nell'Es0rtazi0ne Basilio d
prova
della sua
sensibilituntanistica for-
mulando un
giudizio positivo
sulla letteratura
pagana.
il
giudizio
di
una
persona
colta,
che non sa
rinunciare all'inestimabile
patrimonio
che
il
popolo greco
aveva accumulatoin tanti secoli di
splendore: pur
infe-
riori in
ogni
senso
alla Sacra Scrittura,
le
opere
letterarie
pagane,
se
lette
con discernimento e con
opportuna
scelta,
offrono al
giovane esempi
e
modelli di virt e
perci
si raccomandail loro
studio,
in modo
particola-
re
d
Omero, Esiodo,
Euripide,
ma
soprattutto
di
Platone,
che
pi d'ogni
altro si accostato alla vera filosofia".
Questo
breve scritto ebbe
gran-
dissima diffusione e
influenzae
giov
indubbiamentealla
ripresa
della
filosofiacristiana.
I Padri
Cappadacz"
e
il rilanciodella
filosofia
cristiana 111
Le
nove Omelie sullfsanzerone illustranoil racconto della Genesi sulla
creazione del mondo. Basilio afferma
esplicitamente
di
conoscere le
interpretazioni
fortemente
allegorizzanti
che si davano del testo
sacro,
ma dichiara di
preferire
una
interpretazione
di
tipo
letterale secondo la
quale
le varie realt
naturali, come l'erba, le
piante
e
gli
animali
sono
considerate
appunto
come tali, cio
come erba,
piante
e animali e
non,
invece, come simboli di altre realt. Inoltre
egli
sfrutta il testo sacro
per
fornire, come aveva fatto
Filone,
spiegazioni
scientifiche
e filosofiche
atte a
comprovare
la
ragionevolezza
del racconto biblico. Afferma
con
vigore
il teorema della creatio
ex nilzilo: tutto stato creato da
Dio, mate-
ria
inclusa, e la creazione ha avuto
luogo
nel
tempo.
Dio
per
non
ha
Creato una materia
comune a tutti
gli
esseri,
bens
ogni
classe di
cose
ha
ricevuta una materia
corrispondente
alla
propria
natura. E secondo
Basilio
non esiste nelle cose
neppure
una sostanza distinta dalle sue
pro-
priet, poich
se si
toglie
a un essere materiale
l'odore,
il
peso,
la
forma,
la
figura
e
il colore
non rimane
pi
nulla,
neppure
la materia. Uesalta-
zione della bellezzadel mondo e chiaramentein funzione antimanichea.
L'esposizione
si
chiude,
poi,
con la creazione
dell'uomo,
la cui
interpre-
tazione
,
per,
appena
abbozzata.
Ma
pi
che alle sue dottrine filosofiche
e
teologiche
il
nome
di Basilio

legato
ai suoi
insegnamenti
ascetici e
spirituali:
essi fanno di Basilio
uno dei
grandi
maestri della
spiritualit
e dellascesi
cristiana,
in
quanto
egli
ne
ha
esaminato accuratamentela
natura,
i mezzi
e
il fine. Rifacen-
dosi al
Vangelo
e a S.
Paolo,
Basilio
insegna
che il fine
principale,
anzi
unico della vita
umana
e,
a
fortiorz,
della vita cristiana Dio. Dio il be-
ne unico e sommo
perch perennemente
beato, verso
il
quale
tutto
orientato
e tutto
gravita.
L'uomo si accosta a Dio attraverso la
duplice
ascesa:
negativa
e
positiva.
La
prima
consiste essenzialmente nel distac-
co dal
peccato,
dalle
passioni, dalleftimero,
dalla
carne,
dallattacca
mento alle
cose terrene. La seconda si incentra nell'esercizio della virt e
nell'imitazione di Cristo. La conformazionea Cristo rende
partecipi
della vita trinitaria e
quindi
dei doni del
Padre,
delle virt del
Figlio,
nella carit vivificantedello
Spirito.
Gregorio
di Nissa
VITA
Gregorio
nacque
a Cesarea di
Cappadocia
nel 335. Fratello minore di
Basilioricevette come lui la
prima
educazione in
famiglia,
una educazio-
ne essenzialmente cristiana basata sulla Scrittura. A
questa
tennero die-
tro studi
regolari,
secondo il curriculum consueto delle scuole
pagane.
112 Parte
prirrza
Studi retorica, ma
la
sua
materia
preferita
era
la filosofia. Conobbe
bene Platone, Aristotele,
gli
Stoici e
i
Neoplatonici,
il che
gli
consentir
di
sviluppare
un
pensiero teologico
di
grande profondit
e
rigore.
Per
qualche
anno si dedica
allinsegnamento
e
prende moglie.
Sennonch i
nobili
esempi
della madre Emmeliae
della sorella Macrinache vivevano
un'esistenza ascetica non
potevano
lasciarloindifferentenei confronti di
quello
che sembrava un
ideale comune
della sua
famiglia.
La decisione
del fratello Basilio di abbandonareil
mondo,
le visite dei
parenti,
il fer-
vore
mistico di
quella
cerchia lo indussero ad abbandonareil secolo e a
ritirarsi a vita monastica. Ma
dopo qualche
anno
di vita eremitica, su
richiesta di
Basilio,
che era
diventato
metropolita
di
Cesarea,
accett la
nomina a vescovo
di Nissa
(da
cui il nome
di
Nisseno).
Gregorio
non era
preparato per
l'amministrazione e
questo gli procuro
non
poche
diffi-
colt. Gli ariani, ancora
ben
organizzati
in
quella regione
della
Cappa-
docia non
tardarono a
causargli
i fastidi
pi gravi; giunsero persino
a
convincere Demostene,
il vicario del
Ponto,
che
Gregorio dilapidava
i
beni della sua Chiesa;
per questo
un sinodo riunito nel 376 lo
depose
e
lo condann all'esilio.
Egli
non
pot
riavere la sua
sede che due anni
pi
tardi
(378), dopo
la morte di Valente.
Agli
inizi del 380
pot
assistere al
momento del
trapasso
della sorella Macrina,
ad
Annesi,
nel monastero
che ella aveva fondato, e in
quella
occasione
compose
il
dialogo
L'anima
e
la risurrezione,
che una
trasposizione
cristiana del Pedone di Platone.
Partecip
attivamente al Concilio di
Costantinopoli
del
381,
contri-
buendo alla elaborazione del Simbolo
niceno-costantinopolitano.
La sua
vasta e
profonda
conoscenza
della filosofiae la sua
capacit
di
penetrare
nel nocciolo delle
questioni
teologiche
lo fecero
soprannominare
dai
Padri conciliarila col0nna dell'ortodossia". Pare che sia stato incaricato
dal Conciliodi una
missione in Arabiae Palestina,
per riportare
la
pace
tra
quelle
Chiese.
Partecip
nel 382 a un nuovo
Concilio convocato
da
Teodosio a
Costantinopoli.
Ritorn ancora
altre due volte alla corte
imperiale,
e in
particolare
nel
385,
alla morte
dell'imperatrice
Pulcheria
e
di sua
figlia
Flacilladi cui successivamente
pronunci
Forazione fune-
bre. Gli ultimi anni di
Gregorio
non
furono molto
tranquilli,perch egli
fu
oggetto
di
accuse e
di attacchi da
parte degli
ariani e
degli apollinari-
sti. L'ultima volta che
Gregorio prese parte
a un
sinodo di
Costantinopo-
li fu nel 394:
dopo
di allora non si hanno
pi
notizie di lui. Si ritiene che
l'anno della sua morte sia il 395.
I Padri
Cappadoci
e
il rilanciodella
filosofia
cristiana
113
OPERE
La
produzione
letteraria di
Gregorio

ragguardevole
e interessa
so-
prattutto
tre
campi: teologia, esegesi
e ascetica. I suoi scritti si
possono
dividere in
quattro gruppi:
a)
teologici,
tra cui
primeggiano
le due
gran-
di
opere
polemiche
Contra Eunomium e
Adversus
Apollinarem, e,
in
pi,
diversi
opuscoli
su
questioni particolari;
b)
esegetici:
la Vita di
Mos,
15 omelie Sul Cantico dei
Cantici,
8 omelie
SulFEcclesiaste,
Titoli dei Salmi
(In Psalmorum
irzscriptione);
c)
ascetici: il De
virginitate,
e la Vita di S. Ma-
crina; d) oratori: un discreto
numero
di omelie sulle feste e
i misteri del-
l'anno
liturgico,
orazioni
funebri,
panegirici
di
santi, e
i discorsi catechisti-
ci
(che una vera summa
teologica).
Alla fine
vanno ricordate anche
26
lettere,
che tuttavia costituiscono la
parte
meno interessante della
produzione
del Nisseno.
Il.
PENSIERO IN GENERALE
Gregorio
Nisseno fu indubbiamentela mente
speculativa pi
alta
e
pi profonda
del
suo secolo,
che
pure
ricco di
grandi figure. Egli
ha
saputo
mettere a servizio della
teologia
un'assoluta
padronanza
del lin-
guaggio
e
delle dottrine della
filosofia,
in
particolare
della filosofia
pla-
tonica, contribuendo in tal modo alla elaborazione
pi
avanzata dei
misteri del Cristianesimo che sia riuscita a
perfezionare
la
patristica
orientale. Sia nel
pensiero
che
ne1lespressione Gregorio
si muove nella
scia di Filone di Alessandria e del
neoplatonico
Plotino. Il fascino dell'i-
deale
neoplatonico
di
una Visione immediatadi Dio lo ha ammaliato. Fu
un
precursore
di
Dionigi l'Areopagita,
il
quale peraltro
con
il
suo influs-
so sulla mistica
posteriore
ne
ha oscurato il
nome e
ha contribuito a farlo
cadere nell'oblio
(O. BARDENHEWER).
Gregorio
fu
soprattutto pensato-
re, filosofo, in cui
profondit
di dottrina
e acutezza di
pensiero
non di
rado si
accompagnano
a reale
capacit
di sintesi. Conobbe a fondo
Filone
e Plotino e ne fu
influenzato,
soprattutto
da
Plotino;
in
Campo
Cri-
stiano fu
soprattutto Origene
che esercit su
di lui decisivo
influsso,
mentre i
progressi
che nel
frattempo
la
teologia
aveva
compiuto, soprat-
tutto in
campo
trinitario,
gli permisero
di evitare le dottrine del maestro
che oramai si
presentavano
come errori. Da lui
pi
che
questo
o
quel
singolo spunto
ercdit
soprattutto
l'ansia di
spingere
il
pensiero
molto
al di l del limite che Basilio
aveva avvertito nellattenersi ai libri
sacri,
lo slancio mistico ad abbracciaretutta la storia del cosmo
in
un'ampia
sintesi che vede
nellapocatastasi
il ritorno all'unit
primitiva
nel trionfo
del bene
(M. SIMONETPI).
1 14 Parte
prinra
TRASCFNDENZAE INEFFABILITDI Dio
La
posizione
dottrinale di
Gregorio
sulla realt di Dio e sulla sua as-
soluta trascendenza
rispetto all'intelligenza
umana
fu occasionata dalle
teorie dell'eretico Eunomio.
Questi aveva
insegnato
che l'uomo
pu
co-
noscere
perfettamente
l'essenza stessa di Dio attraverso l'attributo della
aghennesia
(innascibilit),
che
propriet
esclusiva di Dio. Da ci Eu-
nomio aveva tratto la conclusione che il
Figlio,
essendo
generato,
non
pu
essere
egli
stesso Dio, ma la sua
prima
creatura. Come si vede,
i
presupposti
filosofici da cui muoveva
Eunomio
comportavano
conse-
guenze
gravissime
in ordine alla formulazione del mistero trinitario ed
esigevano
un'accurata e
adeguata
verifica.
quanto
fece
Gregorio
nei
Dodici libri contro Eunomio.
Alla tesi eunomiana della
perfetta
conoscibilitdi Dio mediante l'at-
tributo dellinnascibilit,
Gregorio contrappone
la tesi della assoluta
inconoscibilite
ineffabilitdi Dio.
Questa
tesi aveva
gi
avuto dei con-
vinti assertori nei Padri alessandrini Clemente e
Origene
e
prima
di loro
in Filone e nei
neoplatonici.
Merito di
Gregorio
di averla
riproposta
con nuovi e
pi
solidi
argomenti.
A fondamento della inconoscibilite
ineffabilitdi Dio
Filone,
Clemente e
Origene
avevano
posto
la trascen-
denza;
Plotino la
semplicit
dellUno.
Gregorio
non trascura
queste
ragioni,
ma
le convalida chiamando in
Causa
l'infinita:
di Dio e
la infinita
differenza
qualitativa
che
separa
Dio dalle sue creature. Dio,
secondo
Gregorio,
risulta nconoscibilee ineffabilenon tanto
perch
noi
apparte-
niamo al mondo sensibilee Lui a
quello intelligibile,
come avevano
di
solito
argomentato
i Padri alessandrini e
i
neoplatonici, quanto perch
noi a
pparteniamo
al mondo creato e
finito e Dio invece al mondo increa-
to e infinito. Essendo
creata,
la
ragione
umana non
pu escogitare
nes-
suna misura che sia confacente alla natura del1'increato. Infatti la
sostanza creata e
limitata;
la sostanza increata al contrario senza
limi-
tazioni.
Quella
determinata da una misura,
dalla misura che
piaciuta
alla
sapienza
del
Creatore;
invece la misura di
questa
l'infinita
(apri-
ria).l" D'altronde, osserva
Gregorio,
com'
possibile
misurare ci che
non
ha n
grandezza
n estensione? Che misura si
pu
trovare
per
chi
senza
grandezza
e
quale
estensione
per
chi
privo
di dimensioneh.
Stabilitoche Dio
infinito,
Gregorio
non
ha difficolt
a mostrare che ci
comporta
l'esclusione del fatto che l'uomo
possa
conoscere Dio con
i
propri
concetti ed
esprimerlo
con
le
proprie parole:
Dio
supera,
trascen-
de infinitamente
ogni potere
del
pensiero
e del
linguaggio
umano.
Contro
l) Contra Eunomiuni, Il,
70.
l) Ibrida HL
1.
I Padri
Cappadoci
e il rilanciodella
filosofia
cristiana 115
Eunomio
egli
scrive: A chi vuole dare
un
senso,
una
descrizione
con-
cettuale, una
esposizione
della natura divina, non
possiamo
non
replica-
re
che di tale scienza non
possiamo
nulla
comprendere.
L'unica cosa
che
sappiamo
che
impossibile
che ci che infinito
per
natura
possa
essere
espresso
mediante
pensieri
traducibiliin
parole
(...). Mentre infat-
ti tramite
Yesposizione
dei nomi e delle
parole
si
pu
affermare la
sostanza,
l'infinito
non
pu
essere circoscritto. In effetti
con
quale
idea si
potrebbe
afferrare linafferrabi1e?>>.12Non
possibile
afferrare la
sua
incomparabilegrandezza
con
procedimenti sillogistici>>.13Dopo
tutte
queste
considerazioni
Gregorio
trae la
seguente
conclusione che
pu
valere come motto della
teologia apofcztica: Quando
si tratta della natura
di Dio
l'atteggiamento
da tenersi
quello
di tacere.'4
Sulla scia di Filonee
di
Clemente,
i
quali pur proclamando
Vincono-
scibilite Yineffabilitdella natura divina tuttavia ammettevano una
certa conoscenza dei suoi
attributi,
Gregorio
afferma che Dio conosci-
bile
e
pertanto
ineffabilesotto
l'aspetto
dinamico,
ossia
quello operativo:
Colui che
supera qualsiasi
nome
- scrive il Nisseno
acquista
molti
nomi,
in
quanto
denominato secondo la
molteplicit
delle
operem
Ogni
opera
giustifica unappellazione;
cos Dio Viene Chiamato
luce,
perch
rischiara la nostra
ignoranza.
Mediante il nostro
linguaggio
possiamo esprimere
la
sua
potenza,
ossia che
non
soggetto
al
male,
che
non
dipende
da
nessuna
causa,
che
impossibile
abbracciarlo
con
un'idea,
che al di l di
ogni potenzaw
Dai testi citati risulta che anche
per
l'aspetto
dinamicodi Dio e
i suoi
Vari attributi
operativi Gregorio
resta ancora
nel solco della
teologia
apofatica.
LA DOTTRINASULLA TRINIT
Insieme con Basilio e
Gregorio
Nazianzeno,
il Nisseno diede
un
ap-
porto
decisivo alla elaborazione conclusiva della
teologia
della
Trinit,
affermando
esplicitamente
la consostanzialit dello
Spirito
Santo
rispet-
to alle altre Persone divine
e
proclamandone
la divinit. A
sostegno
della divinit dello
Spirito
Santo
egli
adduce
l'argomento seguente:
il
perfezionamento
dell'anima cristiana che culmina
con la sua divinizza
zione
opera
dello
Spirito
Santo,
il
quale
non
potrebbe produrre
tale
12)
Ibid.
13)
Ibid.
14)
Orario VII in Eccles.
15) Contra
Eunorrziunz, III,
8.
16) Ibid.
116 Parte
prima
effetto se non fosse
egli
stesso Dio. L0
Spirito

quindi
consostanziale al
Padre e al
Figlio:
della stessa natura (contro
Macedonio
e Eunomio).
Quello
che la Scrittura
gli
attribuisce come azione
esige
che
egli
sia
Dio,
e in
quanto
tale, riceva 10 stesso onore
del Padre
e
del
Figlio.
La
dignit
divina dello
Spirito
e la sua consostanzialit col Padre sono
per?)
conce-
pite
in modo tale da
salvaguardare pienamente
la m0narchia" del Pa-
dre.
Gregorio
illustra
questo
concetto
proponendo
dei
paragoni signifi-
cativi:
quello
di una
lampada
che comunica la
propria
luce
a
un'altra e
tramite
questa
a una terza: cos il Padre
risplende
eternamente nello
Spirito
Santo attraverso il
Figloflfi
oppure
si
serve come
paragone
della
relazione che sussiste fra la fonte di
una
potenza,
la
potenza
stessa e lo
spirito
di
questa potenza.
Il Verbo
appare
cos come
intermediariotra il
Padre e lo
Spirito
Santo: lo
Spirito procede
(esce)
dal Padre e riceve dal
Figlio, per
cui
Spirito
di Dio e
Spirito
di Cristo?" Ci
implica
una
di-
pendenza
nell'essere dello
Spirito
dal
Figlio.
Ma di che
dipendenza
si
tratta? Alla fine del libro I del Contra Eunomium
Gregorio
afferma che il
Figlio

sempre
con
il Padre
e
la stessa cosa si deve dire dello
Spirito
Santo, con
solo una
differenza nell'ordine
(taxis),
perch
come
il
Figlio
unito al Padre
e riceve da lui
(ex autori) l'essere, senza essere
per
(tem-
poralmente) posteriore quanto
alla
sua
ipostasi,
cos lo
Spirito
Santo
riguardo aIYUnigenito: perch quanto allipostasi,
il
Figlio

concepito
prima
dello
Spirito
unicamente
rispetto
alla causa (che
il
Padre).21
Questo
testo
gi
lascia intendere che la
dipendenza
dello
Spirito
dal Fi-
glio
non
appartiene
all'ordine della causalit
efficiente,
essendo
questa
riservata al Padre. Un'ulteriore
precisazione
ci viene dal testo
seguente:
Se Veniamo accusati di mescolare e
confondere le
ipostasi, per
il fatto
che
non
poniamo
differenza
quanto
alla natura
(physis),
noi
rispondia-
mo:
confessando
una natura divina senza
differenza n
variazione,
noi
non
neghiamo
una
differenza che
riguarda
la situazione di
causa e
di
causato (kat
ton aition kai
aitiaton).
solo cos che noi veniamo a
capire
come uno si differenzia dall'altro:
una cosa essere
causa,
altra cosa
essere causato. E in ci che causato noi vediamo una nuova distinzio-
ne tra ci che viene immediatamente
(prosechos)
dal
primo
e ci che
viene
per
la mediazione di ci che viene immediatamente dal
primo.
17)
Cf. Advcrsus Maccdonianos.
15) Cf. ibitL,
13.
19) Cf. ibiri,
2.
2D) Cf. ibid.,
1D.
21) Contra Eimomium, l,
3D.
l Padri
Cappadoci
e il rilanciodella
filosofia
cristiana 117
Sicch la
propriet
di essere
Unigenito
rimane senza
ambiguit pro-
priet
del
Figlio,
e non c' dubbioche 10
Spirito
dal
Padre,
in
quanto
la
posizione
mediana del
Figlio
conserva allo stesso la
propriet
di essere
Unigenito
e lo
Spirito
non e
privato
della sua relazione naturale al Pa-
dre.22 Come lascia intendere chiaramente
questo
testo,
secondo
Grego-
rio esiste certamente una
dipendenza
dello
Spirito
dal
Figlio,
oltre che
dal
Padre, ma si tratta di
una
dipendenza
che
non
appartiene
all'ordine
della causalitefficiente
principale
(che riservata al
Padre)
bens all'or-
dine della causalitefficiente
"mediata",
ossia strumentale e secondaria.
Questo
spiega perfettamente perch Gregorio
Nisseno e
gli
altri Padri
greci
non avrebbero
potuto
sottoscrivere la formula del
Filioque
in
quan-
to essa
suppone
che Padre
e
Figlio
si trovino sullo stesso
piano rispetto
alla causalit efficiente. Secondo
Gregorio
lo
Spirito
non
procede
dal
Padre
e dal
(ek)
Figlio,
bens dal Padre
per
mezzo (di)
del
Figlio.
L'UOMO, ICONA DI D10
Capolavoro
di
Dio,
l'uomo Viene realizzato
come
opera
conclusiva
della creazione. Assai belle sono le
pagine
del De
Opificio
hDTTIHS
(La
creazione
dell'uomo)
in cui
Gregorio
elenca le motivazioni che
giustifi-
cano lordine
seguito
da Dio nella
creazione,
facendo
comparire per
ulti-
mo l'uomo come coronamentodella sua azione creativa. Infatti non era
giusto
che il
capo
facesse la sua
apparizioneprima
dei suoi sudditi;
sol-
tanto
dopo
1a
preparazione
del suo
regno,
allorch il creatore dell'uni-
verso
aveva,
per
cos
dire,
allestito il trono di colui che doveva
regnare,
doveva
logicamente
essere rivelato il re. Ecco
qui
la
terra,
le isole,
il
ma-
re
e,
al di
sopra
di
questi,
a
guisa
di un tetto la volta del cielo. Ricchezze
di
ogni genere
erano state
riposte
in
questi palazzi: per
"ricchezze" in-
tendo riferirmi
a tutta la
creazione, a tutto ci che la terra
produce
e
fa
germogliare,
a tutto il mondo
sensibile,
vivente e animato,
cos come
anche
a tutti
quei
beni che Dio
pone
in abbondanza nel seno della terra
come
in cantine reali. Unicamente allora Dio fa
apparire
l'uomo in
que-
sto mondo,
affinch
egli
sia delle
meraviglie
dell'universo il
contempla-
tore e
la
guida.
Il
Signore
infatti vuole che il loro
godimento
doni all'uo-
mo
l'intelligenza
di colui che
gliele
ha
fornite,
in maniera che 1a
grandio-
sa bellezza di ci che
egli
vede lo
ponga
sulle tracce della
potenza
inef-
fabile
e
inesprimibile
del Creatore. Ecco
perch
l'uomo condotto
per
ultimo nella Creazonemzl
Seguendo l'esempio
di
Filone,
Gregorio
consi-
22) Quod
non sint tres dii, PC
45,
133.
23)
De
Opificio
horninis,
l.
118 Parte
prima
dera i due racconti della Creazione dell'uomo che si trovano nella Genesi
(1, 26-27; 2,
7
ss.) come narrazioni di due interventi creativi distinti da
parte
di Dio: il
primo
si riferisce alla creazione dell'uomo
ideale,
il
secondo alla creazione dell'uomo storico. In tutti e due i
casi,
Dio
impri-
me sull'uomo il
sigillo
della
propria immagine
(icona) dotandolo di libero
arbitrio e di sovranit
rispetto
a tutte le altre creature.
Gregorio
non
fa
della libert
un
principio cosmologico
universale
come
Origene, perch
non condivide la tesi di
una creazione simultanea di tutti
gli spiriti
e di
tutte le anime che all'inizio sarebbero stati tutti alla
pari
e
che
poi
si
sarebbero diversificati a causa dell'uso
(buono o cattivo)
del liberoarbi-
trio. La
diversificazione,
secondo
Gregorio,
sia nel mondo
degli spiriti
come in
quello
dei
corpi

opera
di Dio stesso. Tuttavia,
per quanto
con-
cerne l'uomo anche il Nisseno vede nel libero arbitrio il titolo massimo
di
perfezione
e di nobilt, e
pertanto quello
che lo rende
maggiormente
simile a Dio. Grazie al libero arbitriol'uomo
padrone
di se stesso e
di
tutto l'universo che lo circonda. E
questa duplice signoria compete
sia
all'uomo ideale sia all'uomo storico. Nell'uomo storico Yiconicit
segue
due direzioni:
quella
di Dio
(imagr)
Dei) e
quella
della natura
(intrigo
natu-
rae);
in direzione di
Dio,
mediante l'anima e le sue facolt;
in direzione
della natura mediante il
corpo
e la sessualit. L'uomo si trova in
mezzo
a
due realt estremamente lontane tra loro: tra la natura divina che
non
possiede
la
corporeit
e la natura animale
priva
di
ragione
(...).
Dalla
natura divina che esente dalla distinzione dei
sessi,
l'uomo deriva il
potere
della
ragione
e
dell'intelligenza;
invece dalla natura animale
priva
di
ragione, egli
trae la struttura del
Corpo
e la distinzione dei
sessi>>.24 La vita
umana si
svolge
in una
lotta continua fra
queste
due
opposte
tendenze. Ed nel
potere
dell'uomo,
del suo libero
arbitrio,
far
risplendereVinzagr)
Dei
oppure
offuscarla
e
corromperla.
CADUTAE RESTAURAZIONE
Nonostante i
grandi privilegi
con cui Dio aveva
gratificato
i
progeni-
tori,
affinch
potessero
realizzare al massimo l'icona
divina, essi abusa-
rono della loro libert
e cos alterarono
profondamente
i tratti della
intrigo
Dei che il Creatore
aveva
impresso
sui loro volti.
Mentre la natura increata
(Dio) non suscettibiledi nessun movi-
mento che dia
luogo
a conversione e a mutamento o alterazione, tutto
quanto
esiste
per
essere stato
creato,
invece subisce un intrinseco
mutamento;
il
principio
stesso della
creazione, d'altronde, cominci
24) Ibid,,
9-10.
I Padri
Cappadoci
e
il rilanciodella
filosofia
cristiana 119
da un cambiamento: ci che non era
infatti fu tradotto dalla virt
divina in ci che e. Era
poi
stata Creata nell'uomo la suddetta facolt
di
scegliere,
secondo la libera inclinazionedel suo arbitrio,
ci che le
sembrava
opportuno.
Pertanto, come
colui il
quale,
chiusi
gli
occhi
davanti al
sole, non
vede che le tenebre;
cos anche
luomo,
avendo
rifiutato di
contemplare
il bene
concep
ci che
gli
era contrario: l'in-
vidia
(...).
Anche luomo
perci,
distoltosi dalla naturale
disposizione
al bene e
inclinandoverso
il
male,
spontaneamente,
come trascinato
da
un
peso,
venne
sospinto
verso
il limite estremo della corruzione.
Persino
quel
raziocinio che luomo aveva ricevuto dal Creatore
per
aiutarlo a ricercare il
bene, perseguendo
adesso
quelle
cose
che
sono
ispirate
dal
peccato,
circuisce l'uomo con Yastuzia e
l'inganno, per-
suadendolo a
infliggersi
la morte e a essere
omicida di se stesso>>fl5
Ma anche
dopo
che luomo,
per
sua
colpa,
si e allontanatoda Dio
que-
sti non lo ha abbandonato: Abbiamo
imparato
tutto il contrario: Dio
cre il
primo
uomo immortale, ma
dopo
che ebbe
luogo
la disobbedienza
e il
peccato, per punizione
della sua
colpa
lo
privo
dell'immortalit. Ma
poi
la fonte di
ogni
benetrabocco
per
amore
degli
uomini: si
pieg
sull'o-
pera
delle sue mani,
Yadorndi
sapienza
e conoscenza,
avendo delibera-
to di rinnovarci e restituirci al nostro stato di
una
volta.
Questa
la
verit,
questo
ben
degno
della Vera idea di Dio. Ce ne attesta infatti non
solo la
bont, ma
anche la
potenza.
Essere insensibilee duro verso
chi ci

soggetto,
che e affidato alle nostre
cure,
non certo
degno
di uomo
buono e
benigno.
Cos il
pastore
desidera che il
proprio gregge
sia in otti-
mo stato....26 E cos
prima
Dio mand in aiuto all'umanitVari
messag-
geri,
in
particolare
i
profeti,
e
infineil suo unico
Figlio,
Ges Cristo.
Que-
sti con
la
sua vita, con i suoi
esempi
e con
i suoi
insegnamenti,
ha
mo-
strato all'umanit come
deve vivere
per
attuare l
imag0
Dei e le ha anche
fornito con
i sacramenti i mezzi
per
farlo. In tutto
questo Gregorio scorge
la
prova
dell'amore sconfinatoche Dio ha
per
l'uomo.
Noi infatti riconosciamo la sua
opera
proprio per
il tramite di
quei
benefici di cui veniamo
gratificati:
osservando ci che accade,
appunto,
che noi individuiamo la natura di chi
compie l'opera.
Se,
adunque,
Findizioe
la manifestazione
tipica
della natura divina sono
manifestati dalla benevolenzadi Dio nei confronti
degli
uomini, ecco
che tu hai la
risposta
che
chiedevi,
il motivo cio in base al
quale
Dio
venuto tra
gli
uomini. La nostra natura infatti afflitta com'era da
una malattia, aveva
bisogno
di un
medico. Chi aveva
perduto
la vita
aveva
bisogno
di chi la vita
gli
restituisse. Occorreva a
chi
aveva
25)
Grande catechesi,
6.
25) Omelie
perla
risurrezione di
Cristo,
3.
120 Parte
prinza
smesso di
compiere
il
bene,
qualcuno
il
quale
sulla via del bene lo
riconducesse. Invocava la luce chi
era
prigioniero
delle tenebre. Il
detenuto
aveva
bisogno
di chi lo
liberasse, Tincatenato di chi lo scio-
gliesse,
lo schiavo di chi lo affrancasse.
Ora, sono forse
questi
dei
motivi futili
e
inadeguati perch
Dio se ne sentisse stimolato a discen-
dere in
mezzo all'umanit, afflitta in
questo
modo dallinfelicit e
dalla miseria?.7
Cristiano colui che si sforza di
conseguire
la massima realizzazione
della icona divina mediante l'imitazione di Ges Cristo. In effetti il cri-
stianesimo altro non che l'imitazione della natura divina.
L'anima,
creata secondo
Yimago
Dei,
mediante la
grazia
di Cristo e i doni dello
Spirito,
tende a
ricongiungersi
a Dio e a trasformarsi in
Lui,
in un
pro-
gresso
e in un'ascesa senza fine
e
questo
non in forma
individualistica,
bens
comunionale,
perch
la
grazia
santificante che l'anima
riceve, non
la riceve solo
per
s ma anche
per
collaborare alla santificazione delle
altre anime. Il ruolo del
contemplativo

soprattutto
un ruolo di media-
zione fra il
Logos
(il
Figlio
di
Dio) e l'uomo; e
questo
ruolo
non
inteso,
come
da Clemente
e
Origene,
in modo
indipendente
dalla
gerarchia,
ma
come funzionedi
essa.
CONCLUSIONE
Gregorio
Nisseno fu indubbiamente
un
grande speculativo,
e
in
me-
tafisica
egli
fu uno dei
pi
validi
rappresentanti
del
platonismo
cristia-
no. Se da
un
lato si deve considerare il Nisseno anzitutto
come un
teolo-
go,
d'altra
parte
si deve
per
ricordare che
egli
era convinto di fare della
filosofia,
anzi di offrire ai credenti
e ai non credenti l'unica
vera
filosofia,
perch
la vera" filosofia
non
quella
di
Socrate, Platone, Aristotele,
Zenone o Plotino,
bens
quella
di Cristo.
Gregorio

un Valente ed
eloquente
assertore della bellezza
e
della
bont della filosofia cristiana. Ma
come
la Verit cristiana viene da lui
riletta in chiave
platonica
e
neoplatonica,
cos a sua volta la metafisica
platonica
e
quella neoplatonjca
vengono
arricchite dal
potenziale
filosofi-
co e metafisico del cristianesimo. C'
dunque
una
reciproca
fecondazione
tra
platonismo
e cristianesimo
per
cui la metafisica di
Gregorio
Nisseno
viene ad
acquistare
un timbromarcatamente
personalistico
e
agapico.
Mentre nella metafisica di Plotino l'asse
portante
la
contemplazio-
ne,
la
epopteia,
nella metafisica del Nisseno l'asse
portante

l'amore,
l'a-
gape:
l'amore
presiede
sia all'exitas delle creature da Dio sia al loro redi-
27) Grande catechesi, 15.
23) Cf. De
professione
Christiana.
l Padri
Cappadoci
e
il rilanciodella
filosofia
cristiana 121
tus a Dio. Ma affiancata all'amore cammina la
libert,
la
quale pu
entra-
re in conflitto con l'amore.
E,
in
effetti,
nella storia dell'umanit tutte lo
trame sono tessute dall'amore c dalla libert. Per alla
fine,
quando
si
concluder
l'opera
salvifica del Mediatore e Salvatore,
Ges
Cristo,
l'a-
more
sconfinato di Dio avr il
sopravvento
sulla debolezza della libert
umana.
Gregorio
di Nazianzo
VITA E OPERE
Gregorio nacque
ad
Arianzo,
presso
Nazianzo
(Cappadocia)
verso
il
328.
Condiscepolo
di Basilio nella scuola di Cesarea e
poi
di Atene col-
tiv con
ardore lo studio delle lettere e
della filosofia.
Dopo
un
periodo
di vita monastica fu indotto dall'amico Basilio ad accettare il
governo
della diocesi di
Sasima, a cui
per
rinunci
quasi
subito
per
ritirarsi nuo-
vamente a
far vita eremitica. Successivamente cedendo alle
pressioni
dei
cattolici di
Costantinopoli
accett il
governo
di
quella
diocesi,
completa-
mente devastata
dagli
ariani,
favoriti
dall'imperatore
Valente. Durante il
concilio ecumenico del
381,
celebrato in
quella
stessa citt,
rinunci alla
sede
patriarcale
a causa dei dissensi interni e si ritir nel suo
borgo
natale
di Arianzo dove trascorse
gli
ultimi anni in
completo
ritiro,
dedicandosi
allo studio
e
alla meditazione.
Qui
mor e fu
sepolto
nel 389 o 390.
I suoi scritti si dividono in tre
gruppi:
omelie,
lettere e
poesie.
Le Omelie
(Orationes)
rimaste sono 27, ma la
produzione
oratoria del Na-
zianzeno doveva essere
molto
pi
vasta. l suoi discorsi si caratterizzano
per
l'ampiezza
(molti sono
dei veri e
propri
trattati),
eleganza
e
profon-
dit. Le Orationes del Nazianzeno sono tra i
gioielli pi
belli della
patri-
stica, e tra ilVI e X secolo molte
generazioni
di studenti di retorica ebbe-
ro tra i loro testi lc
pagine
di
Gregorio.
Notissimi i suoi Discorsi
teologici
tenuti a
Costantinopoli
nel 380. Vasto anche il
suo
epistolario,
che
comprende
249
lettere, ma un certo numero di esse non sono
autentiche.
Importantissimi
infine
sono
i suoi scritti
poetici,
che sono
divisi in Car-
mina
dogmatica,
nzomlia,
historica e
in
Epigramma.
PENSIERO
Per la
profondit
del suo
pensiero Gregorio
di Nazianzo stato so-
prannominato
"il
Teologo".
Ma
come risulta anche dai
generi
letterari
da lui
adoperati, egli
non uno studioso sistematico dei misteri della
fede,
bens
un cantore dei misteri di Dio.
122 Parte
prima
In varie
occasioni,
specialmente
nelle Orationes 27
e 32,
il Nazianzeno
si
occupa
delle funzioni della
teologia
e delle virt del
teologo,
sottoli-
neando
per
un verso
l'importanza
di
questa
attivit
e
per
un altro la
grave responsabilit
del
teologo.
La
teologia

opera
della
ragione
che
per
si
pone
totalmente a servi-
zio della fede: il
logos umano a servizio del
Logos divino;
oggetto
della
teologia
Dio stesso e tutte le divinerealt: la
Trinit,
il Verbo
incarnato,
gli angeli.

un
oggetto
oltremodo elevato e difficile,
di fronte al
quale
qualsiasi
discorso umano resta
sempre incompleto.
Perci
quello
del
teologo
non
un
lavoro
comune
che
possono
fare
tutti, ma e
proprio
soltanto di alcuni
specialisti:
Non crediate che il
parlare
di Dio come
vuole la nostra
religione
sia
una cosa
che
compete
a
chiunque
(...). Non
lo
possono
fare tutti
perch
un
compito
che
spetta
a
quelli
che si sono
esercitati e
hanno trascorso tutta la loro vita nella
contemplazione
e
soprattutto
hanno
purificato
l'anima
e
il
corpo
o almeno lo stanno
puri-
ficando.2
Dopo
avere ricordato che il
grande
mistero della fede cri-
stiana non deve diventare
oggetto
di abili
artifici, ma dev'essere
ogget-
to di seria e continua meditazione in un
clima di
preghiera, Gregorio
cos
prosegue:
Io
non
dico che
non ci si debba ricordare
sempre
di Dio
(...).
Ricordarsi di Dio
pi importante
di
respirare.
Anzi dev'essere l'u-
nica
occupazione.
Anch'io
approvo
il
passo
della Bibbia in cui si racco-
manda di
pensare
a Dio
giorno
e notte, e di
parlare
di lui la
sera e
la
mattina e a
mezzogiorno,
e
di lodare il
Signore
in
ogni
circostanza. Anzi
citando
un
passo
di Mos direi che si deve ricordare
quando
ci si corica
e
quando
ci si alza dal
letto, o si in
viaggio
o si
impegnati
in
qualche
altra
occupazione,
e tramite il ricordo di Dio ci si deve modellare in
modo da ricevere la
purificazione.
Per cui io non
proibisco
di
pensare
a
Dio, ma di discutere su Dio. E anche il discutere non lo
proibisco
come
L1nempiet,
ma
proibisco
di farlo
quando
non
opportuno>>fi
Ci che
Gregorio sconsiglia
al
teologo
non la libera ricerca bens la
diffusione incontrollata delle
proprie
idee,
diffusione che
pu
creare
scandalo
e
confusione tra i fedeli. Perci alcuni dovrebbero
essere
col-
locati l dove non
possono danneggiare
n se stessi n
gli
altri;
mentre si
potrebbe
concedere
piena
libert di discutere
a
quanti
sanno tenere la
giusta
misura nel
parlare
e sono Veramente
prudenti
e
saggi.
La
gente
comune
dovrebbe
essere tenuta lontana da
questa
via,
voglio
dire dall'a-
more
per
le
chiacchiere,
la malattia che adesso
imperversa.
La
gente
comune
deve
volgersi
a
qualche
altra
specie
di virt che sia meno
peri-
29) Disc, 27,
3.
30) lbid, 27,
4.
I Padri
Cappadoci
e
il rilantio
dellafllosofia
cristiana 123
colosa,
dove la
pochezza
di
ingegno
reca minor dannom"
Queste racco-
mandazioni
sono
sempre
d'attualit, e in modo
speciale
nella
grande
ba-
bele
teologica
che stiamo vivendoin
questi
ultimi decenni del secolo XX.
La riflessione
teologica
di
Gregorio
di Nazianzo si
particolarmente
concentrata sul mistero trinitario e
quello cristologia), per
difenderli
dalle eresie
degli
ariani
e
degli
eunomiani.
Utilizzandoalcune
espressioni tipiche
della metafisica
neoplatonica,
quali hypostasis
e
ekporeusis, Gregorio
ha introdotto formule
pi adegua-
te
per parlare
della Trinit.
Egli
riconosce in Dio tre
ipostasi
o
persone;
consostanziali tra di
loro, tutte
eguali,
dotate della stessa
volont,
della
stessa conoscenza e della stessa azione. Il Padre si
distingue
dalle altre
Persone
perch
senza
origine,
il
Figlioperch
ha
origine per generazio-
ne
(ghennesia)
e lo
Spirito
Santo
perch
ha
origine per processione (ekpo-
reusis).
Ecco un testo in cui la
ragione
della distinzione tra le tre divine
persone

espressa
in modo
esemplare.
Il Padre e Padre senza
origine, perch
in lui non esiste
generazione
(aghennesia).
ll
Figlio

Figlio
e non senza
origine, perch
Viene dal
Padre
(ghczznesia).
Ma se tu intendi
origine
in
senso
temporale,
anch'e-
gli
senza
principio, perch
l'autore del
tempo
e non
il suddito del
tempo.
Lo
Spirito
Santo Veramente lo
Spirito
(cio
senz'altro il sof-
fio)
che
esce dal
Padre, tuttavia non
per generazione
o filiazione,
bens
per processione (ekporeusis),
se il caso di inventare
parole per
chiarire il
pensiero.
La
propriet
del Padre di
essere
non-generato
non
scompare per
il fatto che
genera,
n
quella
del
Figlio
di
essere
genera-
to
per
il fatto che viene dal
nongenerato,
e
neppure
lo
Spirito
viene
trasferito nel Padre e nel
Figlio per
il fatto che
procede,
o
perch

Dio,
anche
se cos non sembra
agli
occhi
degli
atei.32
Nellaffermazionedella consostanzialit del
Figlio
e dello
Spirito
San-
to con il
Padre,
il Nazianzeno insiste tuttavia sulla
superiorit
del
Padre,
il
quale
senza
principio"
(anarchos):
Il
nome di colui che senza
principio
Padre; il nome del
Principio

Figlio;
il
nome
di colui che e
col
Principio

Spirito
Santo.33 La
natura,
che
una nei
tre,

Dio; ma
ci che fa la loro unit il
Padre,
dal
quale dipendono gli
altri, non
per-
ch siano confusi
o mescolati,
bens
perch
essi sono uniti.34
Per illustrarei
rapporti
tra le
persone
divine il Nazianzeno ricorre a
varie
immagini:
la
sorgente,
il
ruscello,
il
sole,
il
raggio,
la luce
ecc., ma
avverte che
qualsiasi immagine

inadeguata
a chiarire il mistero.
Egli
31) Ibia, 27,
32.
32) Ibid.,39,12.
33) Ibid.,42,
15.
34) Ibid.
124 Parte
prima
sottolinea la nostra
incapacit
di
penetrare
e
precisare
fino in
fondo
la
natura della
generazione,
della
processione
e le loro differenze. E suffi-
ciente
affermare, come misteriosamente
diverse,
la
generazione
e la
pro-
cessione a
partire
da colui che solo
aghennetos,
il Padre.
In
cristologia Gregorio
Nazianzeno afferma nettamente l'unit della
persona
in Cristo nella dualit delle
nature;
insiste inoltre sulla
integrit
della natura umana
del
Cristo, sostenendo, contro
gli apollinaristi,
l'esi-
stenza di un'anima razionale,
il nous.
Uoperare
del Cristo
teandrco,
ossia umano e divino, ma alcune azioni
procedono
dalla divinit e
altre
dalla umanit. Ecco il criterio che
egli propone per distinguere
le une
dalle altre:
Per riassumere in
breve,
applica
alla natura divina tutti
gli aspetti
pi
elevati,
applica
alla natura umana
che
superiore
alle
passioni
e al
corpo gli aspetti
nobili;
gli aspetti pi
meschini invece
applicali
al
com-
posto,
a
quell'essere
che
per
causa tua si umiliato e incarnato
e,
per
non dire niente di
peggio,
si fatto
uomo,
e
poi
stato sublimato,
affin-
ch tu eliminassi
ogni aspetto
carnale e
umile dalle tue convinzioni e
imparassi
a nutrire
pensieri pi
nobili,a levarti in cielo insieme con
la
divinit, a non
fermarti a
quello
che
vedi, ma a
farti
portare
in alto dalle
realt intellettualmente viste e ad
apprendere qual
l'essenza della
natura
umana, qual
l'essenza deli'economia.35
Occasionalmenteil Nazianzeno
parla
anche delle creature
spirituali
e
le divide in
angeli, arcangeli, potest, principati,
dominazioni,
ascensio-
ni,
splendori.
Sono
potenze
intellettuali
o intelletti, sostanze
pure
e
incorrotte,
immobilio difficilmenteinclini a
peggiorare,
che
sempre
menano dei cori intorno alla
prima
Causa.%A
queste potenze
intellet-
tuali il Nazianzeno
assegna
le
seguenti
attivit:
Esse sono confermate e
modellate dalla Bellezza al
punto
che sono
anch'esse luci e
possono
illuminareanche altre
luci,
grazie
al fluire e
al distribuirsi della luce che
proviene
da
quella originaria; eseguono
la volont divina,
potenti per
forza naturale o
acquisita; percorrono
tutto l'universo, sono
presenti
a tutti in
ogni luogo
con
la massima
prontezza, grazie
al loro zelo
servizievolee alla loro natura
leggera.
Si
sono attribuite chi l'una chi l'altra
parte
della terra o sono state asse-
gnate
a
reggere
chi l'una chi l'altra
parte
dell'universo,
nel modo che
conosce
colui che ha stabilitoe
disposto
tutto ci. Esse conducono
tutte le cose all'unit, e ci al solo cenno
di Colui che ha creato l'uni-
verso;
cantano la
magnificenza
divina,
contemplatrici
eterne della
35) lbid, 29,
18.
36) Ibid, 28,
30.
I [Jadri
Cappadoci
e il rilanciodella
filosofia
cristiana
125
eterna
gloria,
non
perch
debba ricevere
gloria
Dio (non vi niente
infatti che
possa
essere
aggiunto
alla sua
pienezza, perch
lui che
dona
agli
altri le cose buone), ma
perch
non cessino di riceverebene-
fici le sostanze che
sono le
prime dopo
Dio>>.?7
Come si
vede,
in
questa
descrizionedel mondo
angelico
il
linguaggio

prevalentementequello platonico
e
neoplatonico.
E
questa
una ulterio-
re conferma
che, nelle linee
fondamentali,
anche
quella
di
Gregorio
di
Nazianzo una
metafisica
platonico-cristiana.
Nemesio
Nemesio uno scrittore cristiano della
Cappadocia
del V
sec. e
quin-
di di
poco posteriore
a Basilio
e
ai due
Gregori;
ma
la
sua fama fu tal-
mente oscurata da
quella
dei suoi tre illustri conterranei che
persino
il
suo nome venne
confuso
con
quello
di
Gregorio
Nisseno
(Nemesius
=
Nyssenus).
Ma la
storiografia pi
recente ha
messo in luce
l'importanza
dei suoi scritti in
campo
filosofico
e
il
suo notevole
apporto
allo
svilup-
po
del
platonismo
cristiano in Oriente.
Come si
detto,
per
molto
tempo
il
suo nome venne confuso
con
quello
di
Gregorio
Nisseno e la sua stessa
opera principale,
il De natura
hominis,
fu attribuita al
vescovo di Nissa.
, invece
certo,
che il Nemesio
posteriore
al Nisseno e fu
vescovo di
Emesa,
in
Fenicia,
nei
primi
decenni del V secolo. Anche
a causa dell'er-
rata
attribuzione,
il
suo De natura homins fu
una
delle
prime opere
tra-
dotte dal
greco
in latino durante il medio
evo. La
prima
traduzione fu
compiuta
infatti da
Burgundio
di Pisa nel 1165 e
questa, appunto,
venne
letta ed utilizzatada tutti i
grandi scolastici,
Pietro
Lombardo, Alberto
Magno, Ruggero Bacone,
Tommaso
d'Aquino,
come
pure dagli
umanisti
del XV
e XVI secolo.
L'obiettivoche Nemesio si
propone
nel De natura hvminis
quello
di
fare chiarezza
su alcuni
punti
fondamentali
dell'antropologia,
nei
quali
c'era disaccordo
non
soltanto tra i filosofi
pagani
ma tra
gli
stessi scritto-
ri
cristiani; anzitutto sulla natura dell'anima:
materiale, come afferma-
va Tertulliano
o immateriale, come
inscgnavano
Clemente
e
Origene?
Poi la
questione dell'origine
dell'anima: creata o increata;
creata
pri-
ma di
entrare nel
corpo,
o viene creata
dopo
la formazione sul
corpo?
Anche
qui gli
autori cristiani
non erano d'accordo.
Origene
diceva che
era creata
prima;
Tertulliano
dopo.
Le anime
sono state create tutte in-
37) Ibid, 28,
31.
126 Parte
prima
sieme, come sosteneva
il
Nisseno,
oppure
separatamente,
al momento
della formazione del
corpo?
Inoltre,
l'anima una sostanza totalmente
distinta dal
corpo
come
insegnava
Platone,
oppure
forma del
corpo
come
insegnava
Aristotele? E
poi,
e mortale
oppure
immortale;
soprav-
vive
dopo
la morte
oppure
muore col
corpo?
Cera
poi
la
questione
della
libert: la volont umana
agisce
liberamente,
oppure
necessariamente, e
se
agisce
liberamente come
si concilia la libert umana con
la
provvi-
denza
divina?
A tutti
questi
ardui
quesiti
Nemesio,
da
pensatore
cristiano,
intende
dare delle
risposte
che siano a un
tempo pienamente
convincenti sul
piano
razionalee conformi
agli insegnamenti
della S. Scrittura. Pertanto
in sede filosofica
egli
si
preoccupa
di confutare
quelle
tesi che sono con-
trarie alla fede e mostrare che invece
quelle
che
sono
conformi alla fede
sono razionalmentele
pi
Valide.
Nemesio assume come
falsariga
la visione cristiana dell'uomo,
che
comprende
le dottrine della creazione da
parte
di
Dio,
del
primato
del-
l'anima sul
corpo,
della
capacit
di conoscere
il bene e il male e di sce-
gliere
liberamente,
della immortalit dell'anima. Servendosi di
questa
falsariga egli prende
in
esame
ci che i filosofi
greci
e
talvolta anche
qualche
scrittore cristiano
(Origene, Apollinare,
Eunomio)
hanno inse-
gnato
sull'uomo.

un esame a
largo raggio,
che include Eraclito,
Pitagora, gli
Stoici,
gli Epicurei,
i
Platonici,
i
Peripatetici,
i
Neoplatonici,
soffermandosi in modo
particolare
sulle dottrine di Platone e di
Aristotele. Su
ogni questione
viene
proposta
una soluzione che di solito
ccillima con
quella
di Platone. Scrivendo da cristiano
spesso
egli
si m0-
stra critico nei confronti della filosofiae
della scienza
greche, per
il suo
riferimentoad esse costante e ne mutua nozioni e
argomentazioni per
integrarle
nella
propria
riflessione
Nemesio
possiede
una
ricca informazioneconcernente la filosofia
antica.
Nellesposizione
che ci offre non
procede
come un
semplice
dos-
sografo,
ma
adotta un
atteggiamento
critico di fronte alle
opinioni
re-
censite. Numerosi studi sono
stati consacrati al
problema
delle fonti di
Nemesio. Secondo H. Dorrie il secondo
capitolo
del De natura homins si
basa su un
documento del
medioplatonismo,
uno
scritto in cui si re-
spinge qualsiasi possibilit
di conciliarePlatone con
Aristotele. Invece,
secondo lo stesso studioso,
il
capitolo
terzo
riprende
i
Synmzikta
Zetcmata
di Porfirio.
La trattazione si
apre
definendo la
posizione
delfuomo nel cosmo:
l'uo-
mo
occupa
una
posizione
mediana,
poich partecipa
al mondo immate-
riale
con
l'anima e
al mondo materiale col
corpo.
Facendo sua
la
posi-
33) Cf. H. DOERRIE,
Porphyrios Syrrzmikm
Zctcnzata,
Mnchen 1959,
p.
127.
I Padri
Cappadoci
e
il rilanciodella
filosofia
cristiana 127
zione di
Origene
e
dei
Neoplatonici,
Nemesio afferma che in
origine
l'uomo non n mortale n
immortale;
ci
dipende
dal suo liberoarbi-
trio. Se l'uomo si lascia trascinare dalle
passioni corporali, egli
Viene tra-
volto dal
processo
delle
generazioni
e delle corruzioni e diverr
mortale;
se invece coltiva i beni
dell'anima,
allora diverr
degno
dell'immorta-
lit.
Cos,
grazie
al
suo
comportamento
morale,
l'anima in
grado
di fis-
sare il suo statuto
ontologico
nell'insiemedel reale
(c. 1).
Nemesio osser-
va
che l'uomo non
pu
essere stato creato mortale,
altrimenti Dio non
avrebbe
potuto punirlo
con
la morte. Per contro se l'avesse creato
immortale non lo avrebbe
reso cos
indigente
da
costringerlo
a nutrirsi
per
conservarsi in vita. La soluzione
migliore
della
questione

quella
di
ammettere che l'uomo stato creato mortale di
fatto, ma
immortale in
potenza:
in
questo
caso
il
peccato
l'avrebbe fissato nella sua situazione
primitiva, impedendo
all'uomol'ascesa al livello
superiore.
Ampia
la trattazione sulla natura dellhninza e sulla sua
origine.
Sulla
base di
una
rassegna piuttosto parsimoniosa
di ci che
insegna
la
Scrittura Nemesio sostiene che l'anima di natura immateriale. Ma
que-
sta tesi a suo avviso valida anche in sede filosofica.
Egli prende
in
esame una
lunga
serie di dottrine concernenti l'anima
presentate
dai
filosofi
greci:
anzitutto le
posizioni
dei materialisti e di tutti coloro che
pretendono
che l'anima sia di natura
corporea:

l'insegnamento degli
Stoici,
ai
quali
l'autore
aggiunge
Democrito,
Epicuro,
Crizia,
Eraclito.
Ricorda
poi
i
pensatori
che
negano
il carattere sostanziale
dell'anima, tra
i
quali
include
Simmia,
Dicearco e Gallieno. Viene
poi l'insegnamento
di
Aristotele,
che Nemesio
interpreta
in
senso materialistico e
che critica
aspramente.
La dottrina di
Pitagora
trattata insieme
a
quella
di
Senocrate,
poich
entrambi definivano l'anima
come un numero
capace
di movimento intrinseco. Prende
poi
in esame
l'insegnamento
di due
autori
cristiani,
Apollinare
e Eunomio, e conclude
con la teoria dei
manichei. Verso la fine del
capitolo
(il secondo) Nemesio menziona
gli
argomenti
di Platone sullmmortalit dell'anima
ma li
giudica troppo
complessi
e di difficile
comprensione,
e afferma che
possono
essere
capi-
ti soltanto da coloro che hanno
una solida formazionefilosofica. Ma non
V' dubbio che la soluzione
platonica

quella
corretta ed in
piena
sin-
tonia con
gli insegnamenti
della Sacra Scrittura.
Con Platone
e contro
Aristotele, Nemesio sostiene che l'anima una
sostanza
immateriale,
che
non
ha
nessun vincolo necessario col
corpo.
Pertanto
non
pu
essere forma
e
perfezione
del
corpo,
ma una
sostanza
incorporea
che
perfezione
di
se stessa. Platone
insegna
che
l'uomo
non anima e
corpo,
bens un'anima che fa
uso
del
corpo,-
in
questo
senso
pu
affermare che Platone ha
compreso
la natura umana
assai
meglio
di Aristotele. Se noi
pensiamo
che "siamo la nostra anima
128 Parte
prima
ci
preoccuperemo
dei beni dell'anima,
che sono
la virt e la beatitudine,
anzich dei beni del
corpo.
Nemesio scarta tuttavia l'idea di una
sempli-
ce
giustapposizione (parathesis)
o di un
semplice
contatto
spaziale
tra
anima e
corpo, per parlare
invece di un'unione senza
confusionee senza
che
un
elemento si trasformi
nell'altro, senza alterazione dei
componen-
ti,
che formano un
solo essere
grazie
a
un'inclinazionee una
specie
d'a-
more
reciproco;
ma
l'anima
superiore
al
corpo
e se lo associa nel
pro-
prio agire.
A
sostegno
di
questa
tesi l'autoreinvoca l'autoritdi Ammo-
nio Sacca e
di Porfirio. Infine assume come
argomento
a
sostegno
della
sua tesi anche ci che accade nella Incarnazionedel
Verbo,
dove l'unio-
ne con la natura umana avviene senza confusione e senza alterazione
delle due nature (c. 3).
Le
opinioni
relative
all'origine
dell'anima sono
pure oggetto
di attento
esame
da
parte
di Nemesio.
Egli respinge
la tesi di Eunomio che fa
cominciare l'esistenza dell'anima con
quella
del
corpo;
e
respinge pure
il
traducianesimo di
Apollinare.
L'anima non
pu
che
preesistere
al
corpo,
poich
la creazione delle creature
spirituali
stata
portata
a
compimento
sin dall'inizio. TuttaviaNemesio scarta il mito
platonico
di
una
vita an-
teriore
degli spiriti,
come
pure
la concezione
origenista
della discesa
delle anime nei
corpi:
l'unione dell'anima col
corpo
non
la
conseguen-
za della
caduta;
questa riguarda
soltanto la immortalit dell'uomo. Infi-
ne Nemeso critica la teoria della
metempsicosi
(cc. 2-3).
L'anima dotata di tre facolt: la fantasia
(phantasia),
la memoria e
l'intelletto. Nemesio conosce
la dottrina aristotelica sull'intelletto e
le
varie
interpretazioni
che ne erano state date,
in
particolare quelle
di
Alessandro di
Afrodisia,
Plotino e
Plutarco. Nemesio
propone
una sua
soluzioneche
non
coincide con nessuna di
quelle precedenti:
a suo
avvi-
so l'intelletto
possibileappartiene
a tutti
gli
uomini, poich
fa
parte
del-
l'equipaggiamento
naturaledell'essere
umano,
mentre l'intelletto
agente
un
privilegio
di una
piccola
lite: soltanto coloro che si consacrano
alla
filosofialo
posseggono.
Affermandoche l'intelletto
agente
un
privile-
gio
di coloro che si consacrano
alla
contemplazione
(come
i
filosofi)
pro-
babilmenteNemesio voleva esortare
gli
uomini a distaccarsi dal mondo
e a dedicarsi ai valori assoluti.
L'anima dotata,
oltre che della facoltconoscitiva razionale,
anche di
una
parte
o
potere (partem
et virtutem) irrazionale,
che a sua volta si sud-
divide in due
parti.
Una che obbedisce alla
ragione
e un'altra che
non

controllata dalla
ragione.
La
parte
controllabiledella
ragione
viene
distinta in
appetito concupiscibile
e
irascibile.Sotto
questi
due
aspetti
l'a-
nima la sede delle
passioni,
che sono
modificazioni causate
nellappeti
to dalla
presenza
di
qualche
bene
o
di
qualche
male
(cc. 17-18).
I Padri
Cappadoci
e il rilanciodella
filosofia
cristiana 129
Assai
ampia
(cc. 28-42)
anche la trattazione che Nemesio riserva al
libero arbitrio.
Qui
le sue fonti
principali
sono
Aristotele
(Etica
niconza-
chea) e
Origene
(I
Principi).
Contro tutti i
negatori
del libero arbitrio
(i deterministi,
i
manichei,
i fatalisti
ecc.)
Nemesio dimostra che l'uomo dotato di libero
arbitrio,
adducendo sia
l'argomento
della
esperienza personale
(c. 38),
sia
quello
del
possesso
da
parte
de1luomo di
una
facoltraziocinativache
gli
con-
sente di
prendere
in
esame e
di valutare le varie
opportunit,
una
facolt
che sarebbe del tutto inutile
se, appunto,
l'uomo non fosse in
grado
di
scegliere.
Ecco il
momento centrale
delrargomentazione
di Nemesio:
Che all'essere razionalesi
accompagni
il liberoarbitrio
gi
dovrebbe
essere evidente
a
quanti
non distrattamente hanno
seguito
ci che
sopra
stato detto, cio,
che c'
qualcosa
che
dipende
da noi. Ma ora
poich
lo richiede la
logica
del
discorso, non sar fuori
luogo
farne di
nuovo menzione.
Allessere razionale
appartengono
sia la facolt teoretica
(to
theore-
tikrz)
che
quella pratica
(i0
praktikn).
La facoltteoretica
quella
che
riflette
su come sono
gli
esseri;
quella pratica
la facolt deliberativa
(i0 bouleutikn),
quella
che definisce la retta norma
delle
cose da farsi-
e chiamano la facolt teoretica intelletto e
quella pratica ragione,
e
attribuiscono alla facolt teoretica la
sapienza (sophian),
a
quella prati-
ca la
prudenza (phronesin). Orbene,
chiunque
delibera lo fa a
partire
dalla
consapevolezza
che
dipende
da lui la scelta delle
cose
da
farsi,
proprio
in ordine
a
scegliere
effettivamente ci che risulta
dal giudi-
zio della deliberazionead
agire,
in base a
questa
scelta.
E,
quindi,
assolutamentenecessario che colui a cui
compete
la deliberazionesia
anche
padrone
delle
azioni; se non
fosse
padrone
delle
azioni, infatti,
inutilmente
procederebbe
alla deliberazione.Ma se
cos,
di necessit
consegue l'appartenenza
del libero arbitrio all'essere
razionale,
giac-
ch
o non vero che sia razionale
o,
se
razionale,

padrone
delle
azioni; ma,
se
padrone
delle
azioni, senza dubbio dotato di libero
arbitrio
(c. 40).
L'affermazionedel libero arbitrio
non
pu
non
chiamare in
causa la
Provvidenza.
Infatti, come conciliare
una Provvidenza che
non solo
preve-
de tutto ma anche
provvede
a tutto, e allo stesso
tempo
affermare che
delle
proprie
azioni
responsabile
l'uomo?
Questo
problema
era
gi
stato dibattuto dai
Neoplatonici,
ma loro
soluzione,
che riduceva la
Provvidenzaalla
previdenza,
era chiaramente insoddisfacente.
Nemesio
distingue
tra scelte e risultati della
scelta, e afferma che
mentrexla
scelta
nostra, non
sempre dipendono
da noi i risultati della
scelta. E sui risultati della scelta che interviene la
Provvidenza,
la
quale

superiore
alla necessit e alla fatalit: Non enim sub necessitate est Deus
130 Parte
prirrza
neque
IIOMHHCI eius servire neccssitati
fas
est dicere; etenim necessitatis Con-
ditor est (c. 37).
La Provvidenzanon
si
occupa
soltanto dell'universo nel
suo
insieme ma
anche
degli
individui
(c. 42); ma non
responsabile
del
male,
perch

perfetta.
L'autoreritiene che l'unico vero
male risiede nell'azioneCattiva e
che
la virt la condizioneessenziale della felicit.
Il De natura hominis di Nemesio il
primo
trattato di
antropologia
filosoficadi
un autore cristiano.
un trattato
completo
in cui si affronta-
no tutte le
questioni
metafisiche,
psicologiche
e
gnoseologiche
relative
all'uomo.
Il trattato nemesiano costruito secondo
l'esigenza
di
una
filosofia e
di una
metafisica
cristiane,
che
quella
di
coniugare
il
potenziale
filoso-
fico del cristianesimo con le
grandi conquiste
della metafisica e della
filosofia dei
greci.
Da
questo punto
di vista il trattato di Nemesio un
incontro interessante della filosofia
e
del
cristianesimo, uno
sforzo ten-
dente ad
incorporare
un
pensiero
non
cristiano nella sintesi
cristiana, o
pi precisamente
un tentativo mirato a
ripensare, riesprimere
ed even-
tualmente
completare
la dottrina cristiana con
l'aiuto di
categorie
mu-
tuate dalla cultura
greca.
In
questo
modo l'autorevoleva rendere intel-
ligibile
il cristianesimo ai credenti colti ed accettabileai non credenti.
La Cultura
greca rappresentava
una sfida
per
i cristiani: come
meglio
rispondere
che conciliandole vedute
pi penetranti
della filosofia
greca
con
Pinsegnamento
cristiano? Il cristianesimo si
presenta
cos come
il
pleroma
e
il
compimento
del
pensiero greco:
non c'
(ipposizitine
tra la
filosofia
precristiana
e
il
messaggio evangelico, poich questo
il
compi-
mento di
una
verit incoativa>>.3*
Il De natura hominis,
nell'et
patristica,

lesempio pi cospicuo
di
come si
possa operare
una sintesi
organica
tra il
potenziale
filosoficodel
cristianesimo e la metafisica
ellenica,
optando
per
la versione
platonica
(neoplatonica, perla precisione)
anzich
per quella
aristotelica.
Per
quale
motivo
l'opzione
di Nemesio andata al
neoplatonismo?
Le
ragioni
sono due: anzitutto il
neoplatonismo
era
la filosofiadominan-
te nel V
secolo;
in secondo
luogo,
era
la filosofia che
presentava pi
punti
di contatto e
importanti convergenze
con
il cristianesimo.
Questo
era stato
percepito
anche da Clemente e
Origene,
i fondatori della meta-
fisica
cristiana,
che
avevano scelto infatti Platone come loro
principale
interlocutore.
39)
G.
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I Padri
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cristiana
131
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ILPLATONISMOCRISTIANO
DI MARIO
VITTORINO,
S. AGOSTINO E BOEZIO
Il contesto storico
La metafisica cristiana nel mondo latino muove
i
primi passi
nel
IV secolo
e, quindi,
con due secoli di ritardo
rispetto
al mondo
greco.
Tale ritardo viene
per
ben
presto
colmato dai
guadagni speculativi
dei
filosofi cristiani che mettono la metafisica latina in
grado
di
raggiungere
e
sorpassare
rapidamente
i
traguardi raggiunti
dalla metafisica cristiana
nel mondo
greco.
Artefici di
questa
straordinaria
impresa
furono Mario
Vittorino,
S.
Agostino
e Boezio.
Il ritardo dello
sviluppo
della metafisica cristiana tra
gli
scrittori di
lingua
latina dovuto a
ragioni
storiche
e culturali ben
precise:
1) L'assenza in Occidente di "scuole
teologiche",
ossia di
importanti
centri
culturali,
presenti
invece in
Oriente,
Alessandria
0 Antiochia,
che
curassero la formazione di
pensatori
cristiani
e di
teologi;
2)
L'assenza
dello stimolo delle eresie
cristologiche
e trinitarie che, come
noto,
si
diffusero all'inizioesclusivamente in Oriente:
Ario,
Apollinare,
Eutiche,
Nestorio sono tutti ecclesiastici della Chiesa
greca;
3)
La minore diffu-
sione del cristianesimo in Occidente
rispetto
aIYOriente,
per
cui i latini
non sono ancora in
grado
di
impostare
in molti
campi
una
problematica
originale
e continuano ad
essere tributari delle correnti di
pensiero
che
Vengono
dall'Oriente
(...).
Si
aggiunga
che il cristianesimo
africano,
il
pi
vitale sotto
l'aspetto
letterario,
fin
dagli
inizi del IV secolo dilace
rato dallo scisma
donatista,
che
ne divide le
energie
e nei
primi tempi
si
limita
soprattutto
a contrasti di
persone:
solo in un secondo
tempo
la
controversia avr
ripercussioni apprezzabili
in
campo
teoretico,
alimen-
tando cos una certa riflessione
teologicam
e metafisica.
Duplice
il concetto che
gli
autori cristiani hanno della
metafisica, e
questo
vale sia
per
i
greci
sia
per
i latini. Anzitutto la metafisica vista
come una scienza
autonoma,
che
va alla ricerca della
causa
prima
e dei
principi primi;
in secondo
luogo
vista
come strumento utilealla teolo-
gia,
per migliorare
la formulazionedei
dogmi
cristiani.
l)
M.
SIMONETTI,
La letteratura cristiana antica
greca
e latina, Firenze
1969,
p.
253.
134 Parte
prima
I
teologi
cristiani,
per quanto
attiene il loro
rapporto
con la
metafisica,
si
possono
dividere in tre
gruppi:
1) ci sono
quelli
come Ireneo, Taziano,
Tertulliano, Girolamo,
Ilariodi Poitiers che
guardano
ad essa con
sospet-
to e
talvolta
con
aperta
avversione ed
energico
rifiuto; 2) ci sono
quelli
che
non
la coltivano
per
se stessa ma
le concedono
ampio spazio
nel loro
lavoro
teologico:
il
caso
di
Origene,
Basilio,
Gregorio
Nisseno,
Gregorio
Nazianzeno,
Mario
Vittorino,
Dionigi l'Areopagita,
S.
Anselmo,
S. Bo-
naventura e moltissimi
altri; 3)
infine ci sono
quelli
i
quali
oltre a utiliz-
zarla nel loro lavoro
teologico,
la coltivano anche direttamente
e con essa
costruiscono i sistemi della metafisica cristiana.
quanto
hanno fatto
Agostino,
Tommaso, Scoto, Cusano, tanto
per
ricordare i
pi
famosi.
Per la storia della metafisica cristiana e necessario ricordare
soprat-
tutto coloro che l'hanno coltivata
direttamente, ma meritano di essere
presi
in considerazione anche coloro che hanno fatto della metafisica
soltanto all'interno delle loro riflessioni di ordine
spirituale
e
dei loro
scritti
teologici.
Questo
il caso
di Mario
Vittorino,
il
primo grande
me-
tafisico della
teologia
latina.
Mario Vittorino
VITA E OPERE
Mario Vittorino
nacque
all'inizio del IV secolo. Le notizie certe che
possediamo
di lui sono
quelle
che ci ha tramandatoS. Girolamo: Vittori-
no,
africano
d'origine, insegn
retorica a Roma sotto
l'imperatore
Co-
stanzo (337-381).
In et assai avanzata abbraccila fede cristiana e scrisse
contro Ario,
alla maniera dei
dialettici,
libri molto
oscuri,
che
sono
capiti
soltanto dai dotti. Scrisse anche alcuni commentari
dell'Apostolo
(Paolo).2
La sua conversione al cristianesimo ebbe
luogo
intorno al 355.
Nel 362 dovette abbandonare
l'insegnamento
a causa
delleditto di Giu-
liano
lAp0stata,
che vietava
l'insegnamento
della
eloquenza
e della lette-
ratura ai maestri cristiani. La sua conversione svolse un
ruolo decisivo
anche in
quella
di S.
Agostino; leggiamo
nelle
Confessioni:
Quando
Simpliciano,
uomo
tutto
tuo,
mi fece la narrazione della conversione di
Vittorino,
arsi dal desiderio di imitarlo: era
questo
lo
scopo
del suo rac-
conto.3
3) GIROLAMO,
Vir. iH. 101.
3) AGOSTINO,
Confessioni
8, 5,
l.
Il
platonismo
Cristiano: Mario Vittorino
135
Come
professore
di
eloquenza
Vittorino scrisse
numerose
opere, pre-
valentemente di carattere
scolastico, in
gran parte perdute.
Tra le
opere
dargomento religioso
scritte
dopo
la conversione ricordiamo i trattati
relativi alla controversia trinitaria: De
generatione
divini
Verbi;
Adversus
Arium
(quattro libri); De homonosio
recipiendo;
tre inni sulla Trinitin
prosa;
i commenti ai
Calati,
Efesini
e
Pilippesi.
SPECULAZIONE
METAFISCASUI MISTERI DI DIo E DELLA TRINIT
Profondo conoscitore del
pensiero
di Plotino
e
di
Porfirio, Mario Vit-
torino il
primo
scrittore cristiano latino che
se ne serve
ampiamente
nella elaborazione della
sua dottrina
su Dio e sulla Trinit. Come ha
mostrato P. I-ladot4 la metafisica di Mario Vittorino coincide sostanzial-
mente con
quella
del
neoplatonico
Porfirio
ancor
pi
che
con
quella
di
Plotino. Ci risulta
soprattutto
nella
sua trattazione della trascendenza
di Dio e nella
sua formulazionedelle tre
ipostasi
della Trinit.
La trascendenza di Dio
Il Vittorino
riprende
da Porfirio la dottrina dell'assoluta trascendenza
di Dio: essa
riguarda
anzitutto il
piano
dell'essere: Dio si trova al di l
dell'esistenza
(hyparxis)
e di tutti
gli
enti
(m onta), e al di
sopra
della stes-
sa dicotomia tra essere e
non-essere,
e
pertanto
oltre l'essere
e oltre il
nulla. OvviamenteDio trascende la sfera del
pensiero:
anche
qui egli
si
trova al di
sopra
della
dicotomia
del
pensabile
e
del
non
pensabile.
Perci
non ci
possono
essere n
immagini
n concetti di Dio. Dio si trova
al di fuori
e al di
sopra
di tutte le
categorie ontologiche, logiche e se-
mantiche.
Egli
assolutamenteinconoscibile
e
ineffabile.Ecco un brano
esemplare
della lettera del Vittorino Ad
Candidum,
di
sapore palesemen-
te
porfiriano,
in cui
esprime
queste
sue idee sulla trascendenza di Dio.
Cos' allora
Dio, se non nessuno di
questi:
n i
veramente
enti,
n i
semplici enti,
ne i
non-veramente
non-enti,
n i
semplicemente non-
enti? Dio infatti li
produce,
in
quanto
causa di tutti
questi.
D'altra
parte

sacrilegopensare
che Dio faccia
parte
dei veramente non-enti.
Allora necessario
pensare
che
per superiorit
ed eminenza
su tutti
gli
enti, Dio al di
sopra
di
ogni
esistenza
(per praelationem
et eminentiam ton
onton Deum dicemus
supra
onmem
existentiam)
di
ogni vita,
di
ogni
conoscenza,
al di
sopra
di
ogni
ente e dei
veramente-enti, dato che
inintelligibile,infinito, invisibile,
inconcepibile,non-sostanziale, inco-
noscibile,e
poich
al di
sopra
di
ogni cosa,
non nessuno
degli enti,
4) P.
HADOT,
Porfirio
e Vittorino, tr.
it., Milano 1993.
136 Parte
prima
e
poich
al di
sopra
degli
enti non riceve nulla
dagli
enti. Dio
quin-
di non-ente (M
n
ergo
Deus est).
Che cos'
dunque questo
non-ente al
di
sopra
dellrnte? Esso tale che non conosciuto ne come
ente n come
non-ente, ma come
conoscibilenella
non-conoscenza, giacch
allo stesso
tempo
ente e non-ente, poich per
sua stessa
potenza
ha
portato
l'ente
a manifestarsi e
l'ha
generato.
Del resto secondo
ragione (logos)
che
sia c0s,5
Sospinto
oltre tutte le modalit dell'essere,
del conoscere e
del lin-
guaggio
Dio diviene
logicamente
inconoscibile, indefinibile,
ineffabile.
Dio si cela dentro la luminosissimaluce da cui
procede ogni
essere, ogni
conoscere e
ogni parlare.
Raramente la
teologia negativa
riuscita a tro-
vare
formule
pi
forti e
pi eloquenti per
esaltare
l'infinitadifierenza qua-
litativa di Dio.
Vittorino afferma la trascendenza di Dio
rispetto
a tutti
gli
enti ma
non
rispetto
all'essere.
Seguendo
Porfirio,
egli pone
una netta distinzio-
ne tra l'essere e
gli
enti,
ed identifica l'essere con
Dio. Ecco un testo
delY/ldversus Ariumin cui la distinzioneviene
proposta
in termini molto
chiari.
Prima dell'ente e
prima
del
logos
c' la forza e
potenza
dellesistere
(potentia
existendi),
che si
designa
col termine essere (esse),
che corri-
sponde
al
greco
io einai.
Questo
stesso essere
si deve
prendere
in due
modi: l'uno in senso
universale e
originariamente originario,
da cui
proviene
l'essere
degli
altri; e
l'altro come
l'essere
degli
altri,
che
veni-
gono
dopo:
i
generi,
le
specie
e tutte le realt di
questo tipo.
In verita
l'essere
primo

impartecipato
(Uerum esse
primum imparticipafunz
est),
tanto che
non
lo si
pu
denominate n uno
n solo, ma
per
eminenza
prima
dell'uno e
prima
del solo,
al di l della
semplicit
(Hlfm sinzpli-
citatem),
preesistenza piuttosto
che esistenza
(praeexistentiumpotius
quam
existentiam),
universale di tutti
gli
universali, infinito,
indetermi-
nato, ma
per
tutti
gli
altri, non
per
s, e
quindi
senza forma;
inteso
in un certo concetto,
cio
percepito,
conosciuto e
creduto con un
pensiero
anteriore al
pensiero (praeintelligentiaquam
intelligentia accipi-
tur),
piuttosto
che col
pensiero
stesso. Questo
ci che abbiamochia-
mato vivere o vive, quellnfinito, quel
Vivere al di
sopra
di tutti
gli
universali,
lo stesso essere
(ipsum
esse),
lo stesso vivere, non
l'essere di
qualcosa
o
il vivere di
qualcosa.
Quindi
non
cntem
5)
MARIOVITIORINO,
Ad Candidum 13,
1.
5) ID.,
Adversus AriumIV, 19,
4.
Il
platonismo
cristiano: Mario Wttorino 137
Come
spiega
beneil
Vittorino,
1a distinzionetra essere ed ente
opera
a
due livelli:
ontologico
e
logico.
Nel
primo
caso l'essere la forza
(poten-
tia)
da cui
provengono
tutti i
singoli
enti. Nel secondo caso
e il
genere
pi
universale di tutti i
generi,
e la cui
genericit

maggiore
della stessa
genericit
dell'ente. Infatti l'ente e il
genere
di tutti
gli
enti e
il
genere
supremo
consiste nell'essere? L'essere si identifica con Dio non in
quan-
to
genere
bens come
principio impartecipato
dell'esistenza
degli
enti.
L'essere che
primo ontologicamente corrisponde
all'asse
ipswn
Subsi-
stens di S.
Tommaso;
mentre l'essere
primo logicamente
l'asse commune.
Con la distinzione tra essere
ed ente Mario Vittorino riesce a tradurre
in termini metafisici l'assoluta trascendenza di
Dio,
che una
delle
grandi conquiste
dell'ebraismo
e
del cristianesimo. Si tratta di una
distinzione di
capitale importanza,
che sar ulteriormente
perfezionata
da
Boezio,
Avicennae
Guglielmo dAuvergne,
e diventer l'asse
portan-
te della metafisica di S. Tommaso
d'Aquino.
La
prima
trascrizione
metafisica
del mistero trinitario
Una
prima
elaborazione del mistero trinitario in termini metafisici
era
gi
stata
compiuta
dai Padri
Cappadoci
con la distinzionetra natura
e
ipostasi (persona):
nella Trinit la natura
unica,
mentre le
ipostasi
(persone)
sono tre. Ma alle tre
ipostasi
si davano ancora
i nomi biblici di
Padre,
Figlio
e
Spirito
Santo, e si
spiegava
che la loro distinzioneera do-
vuta alla innascibillt
(aghennesia)
del
Padre,
alla
generazione
del
Figlio
e alla
processione
dello
Spirito.
Per la distinzione
personale
non si erano
ancora trovate
espressioni
metafisiche
adeguate.
Questa
difficile
e
importante operazione
di trascrivere in termini
metafisici ci che
distingue
le tre Persone divine Viene tentata
per
la
prima
volta da Mario
Vittorino,
ricorrendo alla distinzione
porfiriana
delle tre
ipostasi primarie,
cio le
ipostasi
eterne dell'Essere,
della Vita e
del Conoscere? Ecco un testo in cui il Vittorino riassume in modo eccel-
lente YESSere-Vivere-Pensaredell'unico Dio:
Essendo
cosi,
dato che Dio
possiede
il
pensare
e il
pensiero,
il
pen-
siero identico alla vita e all'essere (idem
intelligentia quod
vita et
quod
est
esse).
Ma
poich
c'
pi
forza attiva nel
pensare piuttosto
che nel-
l'essere e nel
vivere, e
poich questo
essere
pensare
che
e, e
questo
Vivere
pensare
che
Vive,

necessario, se Dio
pensare
o
pensiero,
7) 11nd,, I, 48,
4.
5) Questa
distinzione fu
recepita
e consacrata solennementedal ConcilioCostanti-
nopolitano
I (381).
9) Si tratta di una revisione della dottrina di Plotino che
poneva
come
ipostasi pri-
marielUno, il Nous e la
Psych.
138 Parte
prima,
che, se Dio
pensa, pensa
se stesso. E del
resto, se
pensa
se stesso, non
si
pensa
come
qualcosa
d'altro, ma avviene che il
pensiero pensa
se
stesso. Se
cos,
si fa
essere, giunge
all'esistenza, costituisce il
suo
proprio essere,
e allo stesso modo, con l'atto di
pensiero,
costituisce il
suo vivere. Dato che tutti
e tre sono nati da
se medesimi
o
meglio
sono esistenti di
per
s,
Dio
ingenerato
esiste a
partire
da
ingenerati
("in
geni
tus Deus est exisfens ex ingenifis).
E
poich questi sono uno,
Dio

uno,
e uno e
semplice.
E
questo
un
pensiero
interiore,
che
pensa
se
medesimo senza alcun movimento,
giacch
esiste
pensando
e
pensa
esistendo
(cum
intelligit
existit, et cum existit
intelligit),
e
questo

Dio,
da tutta l'eternit e
per
tutta leternit.10
L'unico Dio
,
allo stesso
tempo,
Essere, Vita,
Pensiero. In Lui l'uni-
cit e la triadicit costituiscono una cosa sola.
Infatti,
Dio l'unit delle
tre
potenze
di
Essere,
Vita e Pensiero
(Est
Deus tres
potentias
habere, esse,
vivere,
intelligerelll
Ciascuna di
queste potenze
in
ciascuna
delle altre
due,
conformementeal fatto che l'unit insita nella triadicit in
quanto
ne costituisce il fondamento
e la triadicit insita nell'unit in
quanto
ne costituisce
Vesplicitazione
e il
compimento
che fa ritornarein se stes-
so il
principio imprincipiato. Triplexigihzr
in
singulis singularitas
et una-
litas in Trinitate.12
Essere,
Vita
e Pensiero sono anche l'uno nell'altro
riguardo
alla loro essenza 0
al loro
agire.
Cos lEssere fondamento e
origine
tanto di s che della Vita e del Conoscere
pensante;
la Vita invece
soltanto se
stessa, poich
essa si radica nelYEssere
e
pensa
a
partire
da
esso e verso di
esso;
il
Pensare, infine,
vive in
quanto pensare
e conosco-
re dall'Essere
primigeno.
Se si afferma che l'essere di Dio
pensante
e
vivente,
la sua vita
pensante
ed esistente e
il
suo
pensiero
esistente o
vivente,
allora la triade Essere-Vita-Pensiero" va
pensata
come un com-
piersi
vivente.
_
La forma assunta dal
compimento
di
questa triplice
unit, o
triadicit
in s
quella
del circolo o della
sfera.
Il movimento della Vita e
del
Conoscere
esce dall'Essere in
quanto
loro
punto d'origine
e
ad
esso
fa
ritorno, senza smarrirsi e senza
che entrambi si dividano l'uno dall'altro
o
dall'origine (cyclica
causa
inseparabiliter
c0nversa).13
ljuscire dal Prin-
cipio
infatti a un
tempo quiete
e movimento: esce e insieme non esce
(exiens et non exiens, et
scmper
et in mansione et in motu simul).14 Questo
l) MARIO
VITTORINO,
Adversus Ariurrz
IV, 27,
1.
11) lbid,2],
26.
12) Ibid, IV, 21, 30.
13) Cf.
ibid., I, 60,
5.
H) 119111., 24.
Il
platonismo
cristiano: Mario Wttorfno 139
moto
perpetuo pu
ben
concepirsi
come un
circolo
0 una sfera,
poich
in
esso inizio, mezzo e
fine
sono
identici a ci che nel circolo sono
il cen-
tro,
il
raggio
che
congiunge
e
il
perimetro.
ln
Essere,
Vita
e Pensiero cia-
scun elemento tre: essi si
avvolgono
su se stessi e
partecipano
l'uno
all'altro, ancor
pi:
essi esistono tutti insieme
contemporaneamente,
senza alcun intervallo.15
Vittorino chiama il Padre
Essere,
il
Figlio
Vita e
lo
Spirito
Santo Pen-
siero. ll
Padre,
ingenerato,
si
esprime
nella Vita
generando
il
Figlio,
e
ritorna
poi
su se stesso, pensando
se stesso nello
Spirito.
C'
perfetta
cir-
colarit e coincidenza nelle tre Persone
divine,
in
quanto
l'essere di Dio
non
pu
essere
privo
di
vita,
n la vita
pu
essere
priva
di
pensiero:
Egli
si sa
essere, giunge
all'esistenza,
costituisce
il suo essere
proprio,
e
allo stesso modo, con
l'atto di
pensiero
costituisce il
suo vivere.16
S. Girolamo
osservava, non a torto,
che il
linguaggio
e
i
ragionamenti
di Vittorino risultavano molto oscuri e
incomprensibili
alla
gente
comu-
ne. Ma
questo

quasi sempre
il destino della metafisica. Erano oscuri
Eraclito, Parmenide, Zenone, Platone, Aristotele,
Plotino. C'
sempre
qualcosa
di
non
immediatamente
comprensibile
nella metafisica: e ci
accade a
fortiori
in una metafisica che
cerca di
esprimere
i massimi mi-
steri del cristianesimo.
Nella sua trascrizione metafisica del mistero trinitario Vittorino af-
fronta con la
maggior
chiarezza lidentit della
sostanza, ma
molto meno
riesce a mantenere la distinzione delle
persone, giungendo
a
posizioni
prossime
al modalismo. D'altro
canto,
la
sua
speculazione
filosofica
non
stata in
grado
di dare uno
spazio adeguato
n al mistero dellecono-
mia" n
all'organismo
sacramentale. Ma
questo
il
prezzo
che deve
pagare qualsiasi
traduzione dei misteri cristiani in chiave metafisica.
Il
grande
merito di Mario Vittorino di
essere stato il
primo
cristiano
latino
a essersi
impegnato
in una ricerca metafisica cos
profonda. Egli
mutua
coraggiosamente
termini e dottrine da Plotino e da Porfirio
e,
a
loro
imitazione, crea nuovi termini
latini,
che entreranno a
far
parte
del
lessico della tradizionefilosofica
e
teologica
latina. Uinflussodi Porfirio

gi
evidente nel De Trinitate di
Agostino,
che fa
sua
la distinzione fra
esse, vivere,
intelligere,
ma modificandonel'ordine che in
Agostino
diven-
ta:
esse, intelligerc,
vivere;
in
questo
modo sono
pi
chiaramente delineate
le attribuzioni alle tre Persone divine: l'asse al
Padre,
lfintelligere
al
Figlio
e
il vivere allo
Spirito
Santo.
15) 11nd,
18-20.
16)
una,
1V, 27,
1.
140
AGOSTINODI IPPONA
Vita
Aurelio
Agostino nacque
nel 354 a
Tagaste,
cittadina africana del
ver
sante mediterraneo della Numidia
(oggi
Souk-Ahras)
da Patrizioe Moni-
ca. Mentre il
padre
aveva un'anima molto
rozza e
per
godersi maggior-
mente la vita rimander il battesimo fino al
punto
di
morte,
la madre era
una cristiana molto
pia
e timorata di
Dio,
assai sollecita dell'educazione
morale e
spirituale
dei
propri figli.
Dalla madre
Agostino
ricevette un'e-
ducazione cristiana. In forza di
quesFcducazione Agostino
rest
sempre
non solo un credente in
Dio,
nella
provvidenza
e nella vita
futura, ma
anche in Ges
Cristo,
il cui nome aveva bevuto,
comegli
dice, con il
latte materno.1 Tornato alla fede della Chiesa cattolica
dopo
aver abban-
donato il
manichcismo,
egli
dir di essere tornato alla
religione
che mi
era stata stillatada bambino
e
fatta entrare nelle midollas}
Nonostante le modeste condizioni
familiari,
Agostino pot
effettuare,
anche
grazie
al
generoso
e sostanzioso aiuto di
Romaniano, suo Concit-
tadino
e
grande
amico sin dallinfanzia,3
il tirocinio
completo degli
studi,
fino al
conseguimento
del titolo di maestrodi retorica.
Completati
i
primi
studi a
Tagaste, prosegu gli
studi di
grammatica
a Madaura e
finalmente concluse
gli
studi di retorica a
Cartagine,
massimo centro
politico
e culturale dell'Africa
occidentale,
che offriva alla
giovent
grandi possibilit
di
successo ma
anche molte tentazioni. A
Cartagine,
lontano dalla
vigilante premura
della
madre,
oltre che di sbandamenti
morali
Agostino
fu vittima di ben
pi gravi
aberrazioni attinenti l'ordi-
ne
spirituale
e
religioso:
abbandonla Chiesa cattolica
e diede la
propria
adesione alla setta dei manichei. Pi che da motivi
propriamentereligio-
si la
sua affiliazioneal manicheismo fu dettata da
ragioni
filosofiche:
avvenne infatti
poco dopo
la lettura dell'Ortensi0 di Cicerone che l'ave-
va
introdotto alla filosofia. Gli
pareva
di trovare nel manicheisrno
una
cosmologia pi
soddisfacente di
quella
cristiana,
capace
di dare
una
spiegazione
razionale al
problema
del male: un
problema
che
aveva CO-
1)
Confessioni
3, 4,
8.
2) Contra Academicos
2, 2,
5.
3)
Con).
6, 14, 1.
Agostino
di
Ippomz
141
minciato ad
angustiare
il suo
spirito
sin dall'infanziae
che
era diventato
ancora
pi angoscioso dopo l'improvvisa
scomparsa
di
un carissimo
amico al
quale
si era stretto con tenerissimo affettori La lettura delle
Sacre Scritture 1aveVa deluso: I1 mio
orgoglio rifuggiva
da
quella
ma-
niera di
esprimersi
e il mio acumc non
penctrava
nel suo intimo. Essa
era
tale da
crescere
insieme ai
piccoli
ma io,
gonfio
di
superbia,
mi vole-
vo credere
grande, sdegnando
essere ancora bambino.5
Dopo qualche
anno
di
insegnamento
a
Cartagine,
con
l'appoggio
dei
manichei riusc ad
aprire
una
cattedra a Roma e successivamente, sem-
pre
con l'aiuto
degli
amici
manichei,
riusc a vincere il concorso
per
la
cattedra di retorica di
Milano,
citt sede
dell'imperatore.
Quando
il
prefetto
di Roma - racconta
Agostino
- ricevette da Milano la richiesta
per quella
citt di
un maestro di
retorica, con l'offerta anche del
Viaggio
sulle Vetture dello
Stato,
io stesso
brigai
per
tramite dei medesimi mani-
chei
perch dopo
avermi
sottoposto
alla
prova
di
declamazione,
il
pre-
fetto del
tempo,
Simmaco,
mi invitasse a Milanom S.
Agostino super
brillantementela
prova
e ottenne il
posto
tanto ambito. All'inizio del-
l'autunnodel 384 lascio Roma
per
Milano. Si era
agli
inizi dell'anno sco-
lastico e
Agostino
si mise subito al
lavoro,
tenendo le sue lezioni di reto-
rica davanti
a un
folto
gruppo
di
studenti,
imponendosi
alla loro atten-
zione assai
pi
con
lo stilebrillantedel
suo
insegnamento
e
l'originalit
dcllc materie che
impartiva
che
con il
rigore
della
disciplina.
Gli anni
del
soggiorno
milanese
(384-387) sono
quelli
che
registrano
la
grande
metamorfosi intellettuale
e
spirituale
di
Agostino.
Da Roma era
partito
con l'aiuto
degli
amici
manichei, ma nel suo cuore
Agostino
era
gi
usci-
to dal
manicheismo,
che l'aveva
profondamente
deluso. Infatti i mani-
chei credevano di conoscere la
verit, ma,
in
realt, avevano riversato
nella sua mente assetata di Verit una
quantit
di
menzogne,
di scioc-
chezze,
di assurdit.
Quando ne
ebbe chiara
percezione
e lasci il mani-
chcismo,
Agostino piombo improvvisamente
in
una
fitta nebbiaintellet-
tuale che
gli impediva
di
scoprire qualsiasi
verit. In
quel
momento
gli
parve
fondata la
posizionedegli
accademici,
assertor di
uno scetticismo
universale. Divenuto
perci,
come
gli
accademici,
dubbiosoe incerto di
tutto,
decisi di abbandonare i
manichci,
pensando
di non
poter
restare
pi
in
quella
setta durante
quel primo periodo
di
dubbio, tanto
pi
che
ormai ad
essa
preferivo gi
alcuni
filosofi,ma a costoro non volevo asso-
lutamente affidare la
cura della mia anima
languente, poich
erano
senza il nome salutare di Cristo?
4) Cf.
ibid, 4, 4,
1 ss.
5) Ibid., 3, 5,1.
b) 1bid., 5, 13,
1.
7) lbid, 7, 14,
3.
142 Parte
prima
Dallo scetticismo usc con laiuto del
platonismo,
a cui l'aveva intro-
dotto la lettura delle Enneadi di Plotino. Il
platonismospiano
ad
Agosti-
no la via alla ricerca della verit
(non
nelle cose esterne ma in se stesso)
e la soluzione di
quel problema
del male che lo andava
angustiando
da
tanto
tempo.
Nel
frattempo
l'incontro del vescovo
Ambrogio
lo avvicin
al cristianesimo. Nel 386
comp
il
grande
passo
della conversione: il bat-
tesimo ebbe
luogo
nella notte del sabato santo dell'anno successivo. As-
sieme a lui ricevettero il sacramentodella salvezza il
figlioquindicenne
Adeodato e l'amico
Alipio.
Alla cerimonia era
presente
la madre Moni-
ca,
ricolma di
gioia per
avere
generato
il
figlio
una seconda
volta, e
que-
sta volta non
pi semplicemente
alla vita
terrena, ma a
quella
eterna.
Convertendosi
Agostino prese
la drastica decisione di abbandonare
interamente il mondo
con tutte le sue Seduzioni
per
Condurre
una vita
interamente dedicata al
Signore
nella solitudine
e
nella
preghiera.
Per
realizzare
questo proposito
lasci Milano
per
rientrare in
patria.
Duran-
te il
viaggio
la madre si ammal
e
spir
tra le sue bracciaad
Ostia,
pochi
giorni prima
di
salpare
per
l'Africa
(387).
Il rientro in
patria
ebbe
luogo
l'anno successivo. In
questo tempo Agostino porta
a termine la
sua ma-
gnifica
serie di
dialoghi
filosofici: De
ordine,
De vita
beata,
De
quantitate
animac,
De libero
arbitrio,
Contra
academicos,
De immortalitate animae.
A
Tagaste,
dove si era stabilitodefinitivamente
con un
gruppo
di
amici,
Agostino
mise in atto un
programma
di vita
cenobitica,
che
com-
prendeva
meditazione della Parola di
Dio,
digiuni, preghiere
e
opere
buone. Era linizio di
quell'ordine religioso
che
prender
il suo nome.
Nel 391
Agostino
scende
a
Ippona per
fondarvi
un monastero: una
do-
menica, mentre assisteva alla
messa celebrata dal vescovo Valerio,
la
gente
lo riconobbe
e chiese
con insistenza al suo Vescovo
di ordinarlo
prete.
Le rimostranze di
Agostino
e
le
sue lacrime
non valsero a nulla e
cos infinesi
comp,
comessi
volevano,
il loro desiderio. Ormai la vita
di
Agostino
e
segnata:
sar
spesa
interamente a servizio della
Chiesa,
prima
come sacerdote e
dal 396 come vescovo di
Ippona.
Entrato a far
parte
della
gerarchia
ecclesiasticadella Chiesa
africana,
si batte
con tutte
le sue forze e con
grandissimo
zelo, con
gli
scritti
e
la
predicazione,
per
la difesa
dell'ortodossia,
ottenendo
prima
la condanna del donatismo
(Concilio
di
Cartagine,
4ll) e
pi
tardi del
pelaganesimo
(Concilio
di
Milevi,416).
Contemporaneamente
componeva,
oltre
a varie decine di
opere polemiche
contro i donatisti
e
i
pelagiani,
le
sue tre
opere
immor-
tali: Le
confessioni
(397-401); La Trinit
(399-419),
La citt di Dio
(413-426).
Nel 426 scelse
egli
stesso il suo successore alla cattedra di
lppona,
Eraclio,
affidandogli
l'amministrazionedella diocesi. Nel 427
partecip
per
l'ultima volta a un Concilio
plenario
dei vescovi
africani,
i
quali, per
riguardo
alla
sua
precaria
salute
e
per rispetto
alla
sua
persona,
avevano
Agostino
di
Ippona
143
scelto
Ippona
come
sede
dell'importante
riunione. Nel 428 scrisse le Ri-
trattazioni, una
rassegna
completa
della sua
produzione
letteraria, recen-
sita criticamente. Nel 430 i Vandali che da un anno avevano
invaso
l'Africacinsero d'assedio anche
Ippona.
Nonostante le vivaci insistenze
di una
parte
del clero che aveva
pregato
il
suo vescovo
di mettersi in
salvo fuori
citt,
Agostino, pastore
esemplare
che
non
voleva abbando-
nare
il
suo
gregge
nel momento
pi
duro della
prova,
volle rimanere al
suo
posto
sino alla fine. Il 28
agosto
dell'anno 430 rese
la sua
anima a
quel
Dio che aveva
tanto
amato,
per
il
quale
aveva
tanto combattuto e
sofferto,
spendendo per
lui tutte le sue
migliori energie.
Aveva76 anni.
Opere
Dalla
rassegna
dei suoi scritti,
che
Agostino
ha curato
personalmente
nelle
Retractationes,
risulta che essi assommanoa circa un
centinaio. Sono
scritti che
riguardano prevalentemente
la
teologia,
ma vi sono
anche
alcune
significative opere
filosofiche. Gli scritti
teologici
si suddividono
in tre
gruppi principali,
secondo la loro natura:
polemica,
catechetica e
dogmatica.
Il
corpus
della
produzione
letteraria di
Agostino comprende
inoltre due
opere
autobiografiche:Confessiones
e Retractationes,
lepistola-
rio e 1 sermoni.
Una classificazione
approssimativa
dei suo
scritti
pu
essere
la
se-
guente:
1)
Opere
filosofiche: sono
quelle gi
ricordate
(ossia
Contra Academicos,
De vita
beata,
De ordine,
Soliloquia,
De immortalitate animae),
pi
il De musi-
ca,
in cui
Agostino
cerca
di dimostrare come
anche in
quest'arte
l'anima
si eleva a Dio;
De libero arbitrio,
in cui esamina il
problema
dei
rapporti
tra libert e male; De
magistro,
in cui
prova
il ruolo secondario del mae-
stro nell'atto
dell'insegnamento,
dato che la verit non
viene dall'ester-
no ma dall'interno.
2)
Opere polemiche: queste
sono
dirette contro i Manichei,
i Donatisti
e
i
Pelagiani:
a)
contro i Manichei: De moribas Manicheorum;
De Genesi contra Mani-
cheos,
in cui tratta
dell'origine
del mondo e
del
male;
Contra Faustum;
b) contro i Donatisti: De
baptismo
contra Donatistas;
De unico
baptisma
contra Petilianam;
Liber ad Donatistas
post
collationem,
scritto in occasione
della celebre
disputa
tenuta a
Cartagine
nel
411;
c) contro i
Pelagiani:
De natura et
grafia,
in cui confuta
l'opera
De na-
tura di
Pelagio,
il
quale
vi
negava
il
peccato originale
e 1a necessit della
grazia
santificante;
De
grafia
Christi et de
peccato originali;
De anima et eias
origine,
in cui
per
togliere ogni
forza
all'argomento
dei
Pelagani,
che
144 Parte
prima
cio l'anima essendo creata direttamente da Dio
non
pu
nascere col
peccato originale,
S.
Agostino appoggia
la teoria del
traducianesimo;
De
gratta
et de libero
arbitrio, in cui affronta il
gravissimo problema
della
coesistenza del liberoarbitrio
con la
grazia
divina.
3)
Opere esegetiche: Quaestionunz
evangeliorunz
libri
duo; De Genesi
ad
litteram; TractatusCXXIV in
evangeliumIolzarzrzis; Erzarrationes in lsalmos.
4)
Opere pastorali:
De
mendacio;
De catechizandis
rudibus; De sanata vir-
ginitate.
5)
Trattati
teologici:
De dottrina
christiana; De Trinitate
(quest'opera
comprende quindici
libri: nei
primi
sette si
cerca di
porre
in luce la dot-
trina secondo le Sacre Scritture e difenderne
gli argomenti
dalle obiezio-
ni
degli
eretici;
negli
altri otto si
cerca di illustrare il mistero trinitario
con tutta una serie di
argomenti analogici
tratti in
parte
dalla
natura,
in
parte
dall'uomo); De civitate Dei: la celebre
opera
in cui
Agostino
svi-
luppa
la
sua visione cristiana della storia.
6) Sermoni
e lettere:
lepistolariocomprende
oltre duecento
lettere, di
contenuto assai
vario,
per
lo
pi espressamente
didattico.
Quanto
ai Ser-
nzones se ne contano circa
cinquecento, per Agostino
ne
compose
certa-
mente di
pi.
Il loro
argomento

prevalentementepolemico, dogmatico
e
pastorale.
7)
Scritti
autobiografici:
sono le
Confessiones
e le Retractationcs.
Que-
st'ultima
opera comprende
due
libri, scritti al termine della
sua vita,
in
cui
presenta,
come
gi
detto, una
rassegna
di tutti i suoi scritti
(per
la
precisione
94
opere),
al fine di rimuovere le difficolt che Vi si
potevano
incontrare,
sia
con
spiegazioni,
sia con correzioni.
Il
genio
di
Agostino
Agostino
il massimo
esponente
della
teologia
e
della filosofia cri-
stiana della Chiesa latina del
primo
millennio. Non c' area della filoso-
fia
e della
teologia
in cui il
suo
pensiero
non abbia lasciato
un
segno
profondo,
non soltanto attraverso tutta l'et medievale
ma
anche
quella
moderna. Per il
suo influsso
spazia
ben oltre i confini della
teologia
e
della filosofia:
esso si estende a tutto il mondo della cultura: la cultura
cristiana del medioevo
e
alcuni tratti della societ moderna
sono stati
forgiati
da
Agostino.
Sulla eccezionale
grandezza
dei meriti di
Agostino
sono tutti d'accor-
do.
Storici, filosofi,uomini
politici
e uomini di
Chiesa,
pensatori
cristia-
ni e laici
sono unanimi nel riconoscere in
Agostino
uno dei
pi grandi
geni speculativi
di tutti i
tempi,
il massimo
teologo
del
periodo patristi-
co,
il teorico della
respublica
christiana
medievale, una delle fonti
pi
sti-
molanti
e
pi
feconde della cultura moderna. Tra i filosofi interessante
Agostino
di
Ippona
145
sentire due voci cos diverse tra loro
come
quelle
del cattolico
e tomista
Chenu
e del
protestante
ed esistenzialista
Jaspers.
Scrive M. D. Chenu:
Per tutti
Agostino
non un maestro
qualsiasi
ma il maestrodella cultu-
ra cristiana.
Egli
ne
ha fornito i
quadri
e
i
metodi,
il materiale e le ambi-
zioni e ne
segnala
in
anticipo
le lacune. La civilt latina medievale
e
gran parte
della cristianit nata da
Agostino,
dal retore convertito Che
ignorava
le
scienze,
dal
grammatico
che fa
delfesegesi allegorica,
dal
dialettico
che, non senza
sottigliezza,
trova nei suoi esercizi una risorsa
ammirevole
per
la formazione dello
spirito.
Infine
e
soprattutto egli
fissa al Vertice di
questa
cultura la
posizione
della
teologia, sapienza
che si serve delle sette arti
e della stessa filosofia
come ancelle, ma
che
a
sua volta Costituisce all'interno della fede
e sotto la sua luce, una scien-
za,
un intellectus
fdei,
munito di tutte le risorse della
ragione
e
aperto
a
tutte le curiosit
dell'intelligenza?
Contro coloro che
pretendono
di ri-
dimensionarei meriti filosofici di
Agostino
a causa
del carattere
preva-
lentemente
teologico
della
sua
opera, Jaspers
osserva
che
Agostino
ha
saputo
trarre dall'albero della
sua
fede cristiana frutti di
squisitissima
razionalit, creando in tal modo il massimo modello
per
i filosofi cristia-
ni di tutti i
tempi,
un
modello che
pu
reggere
benissimo il confronto
con
qualsiasi
altro sistema filosofico. <<Le forme di
pensiero degli
antichi
filosofi
vengono
assimilate da
Agostino
nel
pensiero
credente di fronte
alla rivelazione. Al
volgere
di
urfepoca
in cui 1a filosofia
perdeva
la
sua
forza
originaria
di
pensiero
finendo in
mere
ripetizioni
sempre
identi-
che,
Agostino,
facendodella fede cristiana il fondamento del
suo
filoso-
fare, colse in
essa le
possibilitoriginali
che allora si offrivano. Risve-
gliato gi
alla vitalit di
pensiero
della filosofia
pagana, seppe
condurre
l'autonomiadel
pensiero
cristiano al
suo livello
pi
alto. Nessun filosofo
pagano
del suo
tempo
e dei secoli
seguenti pu
essere minimamenteav-
vicinato ad
Agostino.
Il
pensiero
latino-cristianoche ha
preceduto Ago-
stino
(Tertulliano, Lattanzio) non aveva ancora
raggiunto
l'estensione
e
la
profondit
di
un
mondo filosoficotutto
proprio.
Ci che
venne
dopo
Agostino
si nutri del suo
pensiero. Agostino
cre la filosofia cristiana
nella
sua forma latina
insuperabile?
Nel terreno
pi
ristretto della
metafisica,
che costituisce
l'oggetto
della
nostra
ricerca,
Agostino
il creatore della sintesi
pi geniale
che sia mai
stata realizzata tra
platonismo
e cristianesimo, una sintesi destinata ad
esercitare un influssoenorme e costante non solo durante
l'epoca
medioe-
vale ma
anche in
quella
moderna. In effetti
Pagostinismo
stato Yindiriz-
zo metafisico
pi
forte e
pi seguito
nel mondo occidentale fino
a
Hegel.
3)
M D. CHsNu, Intmduction Vtude de St. Thomas
dAquin,
Paris
1950,
p.
50.
9)
K.
IASPEKS,
I
grandifilosnfi,
Milano1973,
pp.
477-478.
146 Parte
prima
Uinquietudine
metafisica
e
religiosa
Tutta la vita di
Agostino

segnata
da
una
profonda inquietudine
me-
tafsica che allo stesso
tempo
unacuta
inquietudine religiosa: inquie-
tum est cor nostrum donec
requiescat
in temi" Da tale
inquietudine
nasce
il
suo
disgusto per l'apparente
e leffimero,
la sua insofferenza
per
il finto
e insieme la sua
capacit
di inserire
l'apparente
e l'effimero entro l'alone
dell'infinito
e
dellEterno
e
di intuirvi
suggestioni analogiche.
Nei
Soliloqui
(I, 2, 7)
al
quesito
della
Ragione:
Che
cosa vuoi conosce-
re?,
Agostino risponde: Voglio
conoscere
l'anima e Dio. Nient'al-
tro?,
insiste la
Ragione,
e
Agostino
con decisione:
No,
nient'altro.
Dio e l'anima sono le due realt intorno a cui la metafisica ellenica si
era continuamente
cimentata, raggiungendo
esiti
importanti
ma insicuri
e non
conclusivi. Su
queste
stesse realt si concentra
l'intelligenza
viva-
ce e
inquieta
di
Agostino.
La sua
inquietudine
metafisica
sempre
ac-
compagnata
da
una
forte sollecitazione
religiosa.
La sua
ansia schiet-
tamente cristiana: lansia della
salvezza; e la salvezza consiste nel
pos-
sedere e nell'amarelUno ineffabile,come
verit e come
bene. Il suo iti-
nerario
spirituale
si e conchiuso sotto il
segno
del
cristianesimo;
la con-
quista
della verit ha coinciso con
l'accettazionedel
messaggio
cristiano.
Perci la filosofia stata
per
lui il
ripensamento
razionale della sua
'
esperienza religiosa:
nel riflettere sul
processo
interiore della sua anima,
egli
ne rintracciavala
spirituale
unit nell'incessante
aspirazione
a Dio,
al Bene assoluto e incondizionatoe nei desideri,
nei
sentimenti,
nei
pen-
sieri
riconosceva,
l'unit autentica della
persona
in
quanto
li vedeva
polarizzati
tutti verso Dio.11
Fede e
ragione:
lo
spazio
della metafisica
Cos
Agostino
ha
sempre
avvertito lansia della
verit, ma
per
sco-
prirla
ha
percorso
tre strade molto differenti,
che all'incirca
corrispondo-
no
anche
a tre
periodi
distinti della sua
vita: il
periodo romano, quello
milanesee
quello
africano.
In un
primo tempo egli
si affida esclusivamente alle risorse della
ragione,
escludendo totalmente la
fede,
le Scritture Sacre e
l'autoritdel-
la Chiesa. il
periodo
della sua affiliazioneal manicheismoe
della sua
adesione al razionalismo dei manichei, nemici dichiarati di
qualsiasi
1)
Cvnf.
1,
1.
11) G. FAGGIN,
Agostino,
in AA. Vv.,
Momenti di storia della
filosofia,
vol. I,
Milano
1962,
p.
173.
Agostino
di
Ippona
147
autorit, e dell'autorit delle Scritture e della Chiesa in modo
particola-
re. Ci accadedurante il
suo
insegnamento
a Roma.
Poi, a Milano,
dopo
l'incontro
con il vescovo
Ambrogio, egli scopre
l'utilit della fede
(de
utilitate
credendi):
vede che
con
i soli
parametri
della
ragione
non si
pu
vivere: Presi a considerare
quante
cose io cre-
devo
senza vederle
e senza essere
presente
allorch accadevano:
come
gli
innumerevoli avvenimenti
storici,
tanti
luoghi
e citt che io
non
avevo visto,
le affermazioni di
amici,
di
medici,
di molte altre
persone
Che, a non crederle,
pi
nulla sarebbe
possibile
nella vita.'1 Cos si con-
verte al cristianesimo: Preferivo ormai la fede
cattolica,
perch
notavo
come essa con minor
pretesa
e senza
inganni
invitava a credere delle
Verit che
non venivano
dimostrate,
fossero
esse dimostrabili
o
lo fosse-
ro solo
per
alcuni
o non lo
fossero; mentre tra i manichei
con temeraria
presunzione
di scienza si desiderava l'altrui credulit
e si ordinava di
credere
poi
una
quantit
di favole assurde che
non
potevano
assoluta-
mente essere dimostrate.13
Nei
primi
anni
dopo
la conversione
Agostino
cerca
di
coniugare
le
verit rivelate
con le
esigenze
della
ragione.
il momento della filosofia
e della metafisica
cristiana,
che
egli
coltiva
ex
professa
scrivendo i trattati
di
gnoseologia
(Contra Academicos),
di etica
(De vita
beata),
di metafisica
(De ordine, De vera
religione),
di
antropologia (Soliloquiu,
De libero
arbitrio,
De immoartalitate
animale) e
di
pedagogia
(De
magistro). Queste sono tutte
opere
di filosofia
e di
metafisica, non di
teologia.
Ci che vi viene
argo-
mentato indubbiamenteconforme alla fede
e tuttavia
non e dettato
dalla
fede,
bens frutto della dialetticarazionale.
Sennonch, come
sappiamo,
poco dopo
il
suo rientro in Africa
Ago-
stino viene chiamato
a servire la Chiesa
prima
in
qualit
di
semplice
sa-
cerdote
e
poi
di
vescovo. In
questa
terza fase della sua vita,
il
suo
impe-
gno maggiore
debellarele eresie
(manicheismo, donatismo,
pelagiane-
simo) e istruire il
popolo
cristiano. Cos le
sue
opere
assumono un carat-
tere eminentemente
e
squisitamente teologico.
E la
sua
una
teologia
che si fonda da
un lato
su un'intensa e
profonda
meditazioneinteriore e
dall'altro
su di
una
rigorosa
struttura razionale. Come credente colto
e
come vescovo
egli
si sente chiamato
non
semplicemente
a credere, ma
anche
a
capire,
a
spiegare
e a difendere la
propria
fede: Noi desideria-
mo avere conoscenza e scienza di
quanto
accettiamo
per
fede
(n05
id
quod
credimus, mosse et
intelligere cupimics).14
I2)
Conf. 6,
5.
13) Ibid.
14) De liberoarbitrio
2, 2,
6.
148 Parte
prima
Indubbiamenteoccorre anzitutto credere, e
per
le
gente semplice
la fe-
de
sufficiente, ma non
per
le
persone
colte e
per
i ministri della Chiesa:
Anche nostro
Signore
con le
parole
e le azioni ha esortato coloro che
ha chiamato alla salvezza ad avere
prima
la fede. Ma in
seguito, par-
lando del dono che doveva dare ai
credenti, non disse:
Questa
la
vita
eterna,
che credano, ma: Qucsta
la vita
eterna,
che conoscano te
solo vero Dio e colui che hai
mandato,
Ges Cristo". Poi a coloro che
gi
credono dice: Cercate e
scoprirete,
E non si
pu
considerare
scoperto
ci che, non
essendo
oggetto
di
scienza,
si accetta
per
fede, e nessuno
diviene idoneo a
scoprire
Dio se
prima
non accetta
per
fede ci di cui
in
seguito
avr scienza. Quindi
ossequenti
al
precetto
del
Signore
cer-
chiamo con
insistenza
(quaeranzus
instanter). Ci che cerchiamo
perch
ce ne esorta,
lo
scopriremo perch
ce
lo mostra nei limiti in cui
possi-
bilein
questa
vita
l'oggetto
trascendente da individui come noi.15
L'opera legittima
della
ragione
si inizia
dunque
con un atto di umile
accettazione della luce rivelata, cio con un atto di fede. Da allora sol-
tanto comincia a
comprendere
la verit e se stessa.
Dopo
la svolta teo-
logicam Agostino
non coltiva
pi
la metafisica
per
se stessa ma
solo
come
prezioso
e
insostituibilestrumento nel lavoro di
approfondimento
e di inculturazione dei
grandi
misteri del
cristianesimo,
specialmente
del mistero trinitario. Anche i
preziosi
elementi metafisici che
egli
attin-
ge
da Plotino diventano
un mero "avviamento"
all'intelligenza
della
Rivelazione: sono Veri solo se Concretamente attuati nel Verbo di
Cristo,
fuori del
quale rimangono incompleti
e
infecondi. L'unica fonte di sal-
vezza Cristo che a un
tempo
anche verit e
vita. Tutto
questo per
Agostino
non
significa soppressione
della filosofiama la sua assunzione
dentro un orizzonte
pi
vasto,
all'interno del
quale
essa
acquista
una
forza veritativa e un valore salvifico che altrimenti non
pu possedere
affatto. Mondata
e
santificata
dall'acqua
del battesimo la
ragione specu-
lativa messa
in condizionedi
svolgere
ancora
meglio
il suo
compito,
che
quello
di riconoscere e
di abbracciarela verit.
La filosofia
Quando
si trova a
dover definire la
filosofia,
Agostino propone rego-
larmente la classica definizione di
Pitagora
e
Platone: studium nel amor
sapientiarbx"
Questa non vuol essere
semplicemente
una
definizioneno-
15)
lbid.
16) Cf. G. B. MONDIN,
Il
pensiero
di
Agostino,
Roma 1988,
pp.
84 ss.
17)
Contra Acad.
1, 3,
7.
Agostino
di
Ippona
149
minale, ma reale: infatti
una ricerca, uno studio della verit in vista del
possesso
della
sapienza.
La filosofia
non
quindi semplicemente
uno
studio
speculativo
delle
cause
ultime
e delle realt
fondamentali, ma
una ricerca esistenziale che ha di mira Yautorealizzazione
e,
con
questa,
la vita beata.
Talvolta
Agostino
menziona anche le definizioni della filosofiain uso
presso gli
Stoici,
sia
quella
che la intende
come una
guida
sicura
verso la
pratica
della
virt,
sia
quella
che la
concepisce
come uno
studio delle
cose divine
e umane e delle loro cause.19 Anche
quando
si serve di
que-
ste
definizioni,
lobiettivoche
Agostino
le
assegna
rimane
sempre quello
eudaimonistico,
la vita beata. Per
questo
motivo il
suo studio ristretto
a
quelle
cose umane e divine che
riguardano
la felicit
(quae
ad vitam bea-
tam
pertinent)?"
Alla filosofiasi
possono assegnare
svariate
finalit, ma se
il
suo obiet-
tivo
principale
la
conoscenza della verit secondo tutto l'orizzonte del
vero,
allora le
sue funzioni
principali
sono due:
una funzione
critica,
per
distruggere
e rimuovere tutti
gli
ostacoli che sbarrano la via alla
verit, e
una funzione costruttiva di
scoperta
e delucidazione sistematica della
verit. In
effetti,
anche
quando
non sono teorizzate
esplicitamente,
que-
ste due funzioni
sono svolte da tutti i
grandi
filosofi,da Parmenide
come
da
Platone,
da Aristotele
come da
Plotino,
da Cartesio
come
da
Kant,
da
Fichte
come da
Hegel,
da
Bergson
come da
l-leidegger. Neppure Ago-
stino teorizza
questa
distinzione
ma
l'ha ben
presente
e la mette in atto
sin dalle
prime
opere,
attenendosi alla
logica
delle
cose:
dando cio la
precedenza
alla funzione critica
rispetto
a
quella
costruttiva. Cos la
sua
produzione
letterariainizia
con
il Contra
Acadenticos,
che una critica
ser-
rata dello scetticismo
e
di tutti
gli argomenti degli
scettici contro la
possi-
bilitdi
apprendere
la verit. La
duplice
funzione, critica e costruttiva,
della filosofiaviene
implicitamente
riconosciuta da
Agostino
nel
prologo
al Contra
Amdemicos,
nella esortazione alla filosofiaindirizzataall'amico
Romaniano,
l dove scrive: La filosofiami ha del tutto liberatoda
quella
superstizione
(del manicheismo)
alla
quale
sconsideratamente m'ero
dato assieme a te. Essa mi
insegna,
e secondo verit
mnsegna,
che
non
si deve
avere
considerazione, ma soltanto
disprezzare
ci che si
percepi-
sce con
gli
occhi
mortali,
ci che
oggetto
del
senso. Ed essa
promette
di
mostrare con evidenza
Dio, sommamentevero e
meffabile,e
gi
si
degna
di farlo
apparire quasi
attraverso nubi che lasciano
trasparire
la luce.21
15) Recta via vitae
sapicntia
nominaiur
(Contra Acad.
1, 8, I3).
'19)
Sapientia
est rerum humanarunz
divinarumqzle
scierztia
(lirici, 1, 6, 16).
2) De vita beata
1, 1;
cf. Contra Acad.
1, 2,
5.
31) Contra Acad.
1, 1, 3.
150 Parte
prima
L'opzioneplatonica
Ai
tempi
di
Agostino,
delle
grandi
scuole filosofiche
greche
lunica
che
godeva
ancora
di una
considerevole vitalit era
la scuola
neoplato-
nica. Essa si era
guadagnata
un
grande prestigio
con le
opere
di
Plotino,
Porfirio
e
Giamblico. La scuola
neoplatonica
era
anche l'unica che
con
la
nobilt dei suoi
insegnamenti
metafisici ed etici
rappresentava
un'au-
tentica sfida
per
il
cristianesimo, e
in
effetti,
specialmente
tra le Classi
colte, essa
raccoglieva
un
grande
successo.
Cos non c' da
meravigliarsi
se
Agostino, quando
decise di dedicarsi
seriamente alla filosofia diede le sue
preferenze
al
neoplatonismo
e si
tratt di una
scelta definitiva,
cui manterr fede
per
tutto il resto della
sua vita,
anche
dopo
la conversione al cristianesimo.
Negli
ultimi scritti
continuer ancora
ad affermaredi
appartenere
alla setta del
platonici".
Nelle
Confessioni Agostino
ci informache
per
il suo orientamentofilo-
sofico fu decisiva la lettura delle Enneadi di Plotino. Ecco
per
intero
que-
sto testo fondamentale,
dove
egli
ci d anche le motivazioni della sua
opzioneper
il
platonismo:
Volendomi
dapprima
mostrare come tu resisti ai
superbi
e concedi
invece la
grazia agli
umili
(...)
mi facesti
capitare
tra
mano,
per
mezzo
di un uomo tutto
gonfio
di
una mostruosa
superbia,
alcune
opere
di
filosofi
platonici
tradotte dal
greco
in
latino,
dove
lessi, non con
que-
ste stesse
parole,
ma sostanzialmente la stessa cosa
provata
con
varie
e
molteplici ragioni,
che in
principio
era il Verbo e il Verbo era
presso
Dio e
il Verbo era Dio.
Egli
era
in
principio presso
Dio e tutte le cose
furono fatte da lui
e senza
di lui nulla fu fatto. Ci che stato fatto
vita in lui e la vita era la luce
degli
uomini. La luce
splendeva
nelle
tenebre e le tenebre non
laccolsero.
Vi
era
pure
detto che l'anima dell'uomo sebbene renda testimonianza
della
luce, non e essa tuttavia la
luce, ma il Verbo di
Dio,
Dio stesso
la luce che illumina
ogni
uomo
che viene in
questo
mondo e
il mondo
fu
per
lui fatto ed il mondo non
lo conobbe. Non vi lessi
per
che
egli
venne nella sua
propria
casa ed i suoi non
lo
ricevettero;
ed a tutti
quelli
che lo ricevettero diede il
potere
di divenire
figli
di
Dio,
creden-
do nel nome suo.
Vi lessi tuttavia che il Verbo di Dio non
dalla carne e
dal
sangue,
non
per
volont d'uomo,
n
per
volont di
carne,
ma da
Dio
nacque.
Non vi trovai
per
scritto che il Verbo si fece carne e
abit tra noi.
Rilevai che in
quei
libri Veniva variamente affermato ed
espresso
in
molti modi che il
Figlio
sussistendo nella forma del Padre non ritenne
fosse una
rapina
l'essere
uguale
a Dio, poich
lo
per
natura
egli
stesso. Ma non
contengono quei
libri che
egli
annichil
se stesso
pren-
dendo forma di
servo,
facendosi simile
agli
uomini e
per
condizione
riconosciuto
quale uomo,
umilise stesso
rendendosi ubbidientefino
Agostino
di
Ippona
151
alla morte e alla morte di
croce;
per questo
Dio lo
esalt, risuscitando-
10 dai morti e
gli
don un nome
che
sopra ogni altro nome,
affinch
nel
nome di Ges si
pieghi ogni ginocchio
in
cielo, in terra e nell'in-
ferno ed
ogni lingua
confessi che il
Signore
Ges nella
gloria
di Dio
Padre.22
Nel
platonismo
c'erano molti
insegnamenti
che coincidevano
con
quelli
del cristianesimo.
Sorprendeva Agostino
soprattutto
la
grande
convergenza
tra la dottrina
platonica
e la dottrina cristiana del Verbo.
Sia i
platonici
sia i cristiani affermavano che c'era
un Verbo
(il Nous
o
Lugos) divino,
uguale
a Dio, creatore e
reggitore
del mondo. Ma i
pla-
tonici ricusavano
categoricamente
la dottrina cristiana della incarnazio-
ne
del
Verbo, e
questa
fu la
ragione
che
imped
ad
Agostino
di dare la
sua
piena
adesione al
platonismo.
Nel De vera
religione
esamina
accuratamente le
profonde consonanze
che ci
sono tra
platonismo e cristianesimo:
esse sono talmente
grandi
e
numerose che lo
portano
a concludere che
se Platone esistesse
oggi
non
esiterebbe
un solo istante
a farsi cristiano. Mettendo continuamente a
confronto i
neoplatonici
e il Nuovo
Testamento, ma
pi specificamente
S.
Paolo,
Agostino pu
a
buon diritto
sostenere che i
platonici sono in-
trinsecamente cristiani
e che i cristiani sono i veri eredi e
seguaci
di Pla-
tone.23
Nellottica di
Agostino
ci che divide il cristianesimo dal
platonismo
non tanto la metafisica
quanto
la
soteriologia. L'impianto
metafisico
del
cristianesimo coincide
sostanzialmente
con
quello platonico (neopla-
tonico); ma mentre i
platonici pretendevano
di salvarsi con la filosofia
(con
il distacco dalle
cose di
questo
mondo, con la
speculazione
e con la
contemplazione)
e rifiutavano,
quindi, qualsiasi
aiuto
superiore, qual-
siasi intermediario
e salvatore,
il cristianesimo considera la
ragione
del
tutto
impotente
a
procurare
la salvezza: il salvatore
Cristo,
il
Figlio
di
Dio fatto
uomo. Nessuna
filosofia, nessuna metafisica
pu
salvare l'uo-
mo. Pertanto la metafisica
platonica pu
essere un ottimo strumento
per
la
comprensione
delle
cose e anche
una buona ancella della
teologia,
ma
rimane
sempre
una
fragile
navicella che
non
potr
mai condurre al
porto
sicuro della verit e
della
pace.
Che
Agostino
abbia fatto costante
professione
di
platonismo
e
che
abbia anche elaborato
una metafisica
platonico-cristiana
fuori di di-
scussione. C' invece disaccordo tra
gli
studiosi
riguardo
alla fonte da
\
cui
l'Ipponate
ha ricavato il
suo
platonismo.
E assodato che
non stato
22)
Conf. 7,
9.
23) Cf. De vera
religione
3-6.
152 Parte
prima
Platone,
di cui
Agostino
ha letto
pochissimo,
ma
qualcuno
dei
neoplato
nici. Ma
precisamente
di chi si tratta?
Secondo P.
l-Ienry24
la fonte
platonica
di
Agostino
esclusivamente
Plotno;
W. TheiIerZS sostiene la tesi
opposta
e
afferma che
Agostino
attinge
le sue
informazioni da Porfirio. In effetti
Agostino
cita sia
Plotino sia Porfirio, e
pare
perci
corretta la tesi di P. Courcellefi
il
quale
sostiene che
Agostino
ha ricavato i concetti e la struttura
neoplatonica
della sua
metafisica da entrambi.
Il metodo dell'interiorit
Agostino
debitore ai
neoplatonici,
oltre che
dell'impianto generale
della sua metafisica,
anche del metodo,
che
quello
della interiorit.
Nelle loro
indagini
i due
grandi padri
della metafisica,
Platone e
Ari-
stotele,
si erano
avvalsi di due metodi molto differenti: Platone aveva
usato la
dialettica,
Aristotele la
logica.
Entrambi aveva
fatto uso
di
questi
metodi
per passare
dal mondo sensibile,materiale,
al mondo
intelligibi-
le,
immateriale. Cos avevano
costruito due
metafisiche
della esteriorit.
Plotino,
da buon
platonico,
si avvale
pi
della dialettica che della
logica,
ma
modifica il
punto
di
partenza
della
indagine
metafisica,
che
non
pi
il mondo esteriore bens
quello
interiore. La sua
ricerca
parte
dall'anima: si
interroga
sulle sue attivit,
sulla sua natura e sulla sua
ori-
gine
e
scopre
che
principio
dellanima Dio: Noi
possediamo
Dio come
un
principio
che sta al di
sopra
della natura
intelligibile
e
dell'essere
reale, e noi,
dopo
di
Lui,
siamo terzi.27
Agostino
fa suo
il metodo
plotiniano
e nel De vera
religione
si
impone
la
seguente
norma:
Non uscire fuori di
te,
rientra in te stesso,
la verit
abita nel
profondo
dell'anima (Noli
foras
ire,
in te
ipsum
radi,
in interiore
homine habitat veritas)>>.28
Adottandoil metodo della interiorit
Agostino
non si interessa
pi
del mondo materiale n si
rivolge
ad altri ma a se
stesso:
indaga
su se stesso, interroga
se stesso e trova la
risposta
dentro
di s. Cos come Plotino,
anche
Agostino
costruisce una
metafisica
della in-
teriorit.
24)
P.
HENRY,
Plotin en Occident,
Lowen 1934.
Z5)
W. THEILER, Porphyrios
und
Augustinus,
Halle 1933.
3) P. COURCELLE,
Les lettres
grccqtics
en Occident,
Paris 1948.
27) PLOTINO,
Ermeadi 1, 1,
8.
28) De vera rel.
39,
72. Nelle
Confessioni
(7, 7)
leggiamo:
La luce era
dentro ma io
fuori. Non stava in un
luogo,
io invece
guardavo
alle cose
che sono
circoscritte
localmente e non trovavo un
posto per
riposare.
Agostino
di
Ippona
153
Uinteriorit non
porta Agostino
lontano da
Dio, come
hanno invece
fatto molte analisi esistenziali dei filosofi del nostro secolo, ma
gli
offre la
possibilit
di
coglierlo meglio
e
pi
direttamente di
quanto possa per-
mettere
un'indagine
rivolta ai fatti esterni. In realt
lintrospezione
ago-
stiniana non una
semplice
analisi
esistenziale, non
ha finalit esclusiva-
mente descrittive o
fenomenologiche,
anche
se sotto
questo aspetto
il
genio
di
Tagaste consegue
esiti assolutamenteinusitati e mai
pi supera-
ti;
il
suo intento decisamente
trascendentale,
metafisico: il
suo noverim
me ordinato al noverim te. Cosicch la fondazione
agostiniana
dell'ani-
ma fondazionedi
Dio,
la
sua fondazionedi Dio fondazione dell'ani-
ma.
Egli
vede Dio nel fondo dell'anima
e l'anima in
rapporto
a Dio? Il
superamento,
il trascendimento dell'Io avviene
proprio
a
partire
dallIo
stesso.
Questi se riflette, se
guarda
attentamente dentro
se stesso,
scopre
di
avere
in s molto di
pi
di
quanto
in effetti
gli possa appartenere
in
forza della
sua natura finita,
fragile,
mutevole: ha in s
verit, bont,
bel-
lezza,
libert.
Queste
perfezioni
sono certamente in lui
e tuttavia non
sono
sue,
non
gli appartengono pienamente
e definitivamente; esse sono
di colui che
Verit, bont, bellezza,
libert
per
essenza: Dio. Per
questo
motivo, conoscere effettivamente
se stessi e conoscere Dio
per Agostino
sono la stessa cosa: L'individuo il
quale
conosce solo le cose materiali
non solo non con Dio, ma neanche
con
la
propria
interiorit
(...).
Per
contro il filosofo con Dio
perch
ha coscienza di
se stesso.3U Pertanto in
Agostino
interiorit e
metafisica
non sono
due
procedimenti,
due metodi
distinti,
bens due momenti di
un unico
procedimento,
di
un unico meto-
do: la
vera interiorit si d soltanto
quando
si estende e si
integra
nella
metafisica. Uinteriorit senza metafisica una interiorit
monca,
incom-
pleta, superficiale.
L'anima che
esplora
attentamente se stessa,
col
suo
sguardo acuto,
che
penetra
nelle condizioni del
suo
essere,
del
suo cono-
scere,
del
suo
amare,
del suo desiderare, e
scopre
la loro
indigenza
e
la
loro istanza di
realt,
di verit e di
bene, non
pu
non intravedere la
sor-
gente
del
suo
essere,
della
sua verit,
del suo bene,
Dio.
Questo,
insiste
Agostino,
non un artificio sofistico
o un
divertimento
letterario,
bens
un'analisi attenta e obiettiva dei fatti. Si tratta della nostra vita,
del
nostro essere morale,
del nostro
spirito
che tende a
superare
tutti
gli
osta-
coli del mondo delle
apparenze,
a trionfare del
piacere
ritornando,
per
cos
dire,
nel
luogo
della sua
origine
mediante il
possesso
della verit e a
regnare,
nella
raggiunta
sicurezza,
in cielo.31
29)
K.
JASPERS,
0p.
air,
p.
415.
30)
Quisquis
ea sola novit
quae corporis
sensus
attingit,
non solum cum Dea esse non mihi
videtur, nec securrt
quidem
(...).
Sapiens PTOTSHS
rum Dea
est, 1mm et
seipsunz intelligit
sapiens
(De
ordine
2, 2, 5).
31) Contra Acad.
2, 9,
22.
154 Parte
prinza
Una delle
pi
celebri attuazioni del
processo
interioristico-metafisico

quella
che
Agostino opera
a
partire
da
se stesso come
soggetto
della
verit.
Agostino
muove
dalla constatazione che la verit in
qualche
misura si trova in noi e
poi
si
interroga
sullo statuto
ontologico
che
coin-
pete
alla
verit,
ed esclude che
ontologicamente
la verit
occupi
un livel-
lo inferiorea
quello
della nostra
mente;
infatti se fosse inferiore alla no-
stra
mente, non
esprimeremmogiudizi
mediante
essa,
ma su di essa?
Neppure
il suo livello
ontologico

pari
a
quello
della nostra
mente,
poich
se l'ideale verit fosse
eguale
alla nostra
mente,
anche
essa sarebbe
nel divenire. La nostra mente ora
la intuisce di
pi
ora
di meno.
Palesa cos di essere nel divenire. Al contrario l'ideale
verit,
perma-
nendo in
s, non aumenta
quando
ci si manifesta di
pi,
non
diminui-
sce
quando
ci si manifesta di
meno,
ma
integra
e immateriale,
allieta
di luce
quelli
che ad essa si
volgono; punisce
con cecit
quelli
che si
volgono
in
opposta
direzione. E che
dire,
dal momento che mediante
essa
giudichiamo
della nostra
mente,
mentre non
possiamo
affatto
giudicare
di essa? Si dice infatti: intendedi meno
di
quanto
deve,
oppure
intende tanto
quanto
deve. La mente deve
appunto
tanto
pi
intendere
quanto pi
si avvicina allimmutabieverit. Pertanto
se essa non inferioren
eguale
alla
mente,
rimane che sia eminente-
mente
superiore.
Avevo
promesso,
se ricordi, o Evodio,
che v' un
essere
pi
alto dell'atto
puro
del nostro
pensiero.
Eccoti accontentato:
la stessa Verit.
Abbracciala,se ne sei
capace,
e
godine
e
prendine
dilettonel
Signore
e ti accorder le richieste del tuo cuore?
Al metodo
interioristico-trascendentale,
gi praticato regolarmente
negli
scritti
giovanili,Agostino
non
ha
pi
rinunciato,
neppure
dopo
la
grande
svolta
teologica.
Nelle
opere
della maturit se ne
serve,
dentro
l'orizzonte
teologico,
per
ottenere una
comprensione pi approfondita
dei
grandi
misteri della fede cristiana: del mistero di Cristo come
del
mistero del
peccato,
del mistero della Trinitcome
di
quello
della
grazia.
Nel Commento al
vangelo
di
Giovanni,
il Dottore di
lppona
scrive: Rico-
nOSC in te stesso
qualcosa
che sta dentro di te.
Togliti
non
solo la veste
ma
anche la
carne;
entra dentro te
stesso;
penetra
nel tuo vestibolo
segreto,
la tua mente. Se stai lontano da te
stesso, come
puoi
avvicinarti
a Dio? Giacch
non
nel
corpo
ma
nella mente l'uomo stato fatto a im-
magine
di Dio. Nella
sua
immagine
cerchiamo di
scoprire
Dio.34 Simil-
32) De lib. arb.
2, 12, 34.
33) Ibia, 2, 12, 34
2, 12,
35. Cf. anche De vera rel. 39,
72.
34) In Ioan.
Evang.
23,
10.
Agostino
di
lppona
155
mente nel commento
ai Salmi: Fratelli considerate attentamente ci che
si trova nell'anima dell'uomo. Da se stessa non
possiede
n luce n
potenza; per
proprio
Conto non n
saggia
n forte,
n luce a se stessa,
n virtuosa
per
se stessa. C' una
sorgente
e
un'origine
della virt,
c'
una
radice della
sapienza,
c', se lecito chiamarla
cos, una
ragione
della verit immutabile,
allontanandosi dalla
quale
l'anima
piomba
nelle
tenebre,
mentre accostandosi ad essa
si
riempie
di luce,35 La stessa
metodologia
viene ribadita nelle Ritrattazoni: Per
quel
che
riguarda
la
natura dell'uomo, nessuna cosa
migliore
della mente o
della sua
ragio-
ne.
Ma chi vuolevivere felicementenon
deve vivere secondo
questa, per-
ch in
questo
modo vive secondo l'uomo,
mentre
per poter raggiungere
la felicit si deve vivere secondo Dio.
Quindi
la mente
per
raggiungere
la
sua
felicit non
deve tendere a se stessa ma
sottomettersi a
Do.36
Il metodo interioristico-trascendentale,
saldando insieme lo studio
dell'uomo con lo studio di
Dio,
conferisce una
solida unit a tutta la
spe-
culazione filosofica
agostniana,
che a un
tempo gnoseologica
e
metafi-
sica,
antropologica
e
teologica, speculativa
e
pratica.
Ci non
impedisce
al Dottore di
Ippona
di avvalersi di alcune divisioni della filosofiaallora
molto
note,
che vantavano la
paternit
di Platone e
di Aristotele.
Agostino
stesso attribuisce a
Platone la divisione della filosofia in tre
parti: una,
morale,
che
riguarda
il modo di
agire;
un'altra naturale,
che
si riferisce alla
speculazione;
la terza
logica,
che d le
regole per
distin-
guere
il vero
dal falso. E
quantunque
la
logica
sia necessaria alle altre
due,
cio all'azionee
alla
speculazione,
tuttavia la
speculazione
rivendi-
ca a s lo studio della verit.37 Altre volte
Agostino
ricorda
l'importante
divisione aristotelica tra filosofia
speculativa
e
filosofia
pratica.
Infatti
lo studio della
sapienza riguarda
sia l'azione sia la
contemplazione;
quindi
si
pu
dire che una
parte
di essa attiva e
l'altra
speculativa:
la
prima riguarda
il modo di
vita,
cio la
regola
dei costumi,
la
seconda,
la
ricerca della causa
della natura e
la
purissima
verit.33
Ma
pi
ancora
che le note divisioni di Platone e Aristotele,
per
Ago-
stino ha
importanza
una nuova
divisione che
egli
stesso introduce
per
primo
e
che eserciter un
grande
influssosu tutti i
pensatori
medievali,
la divisione in scienze dell'utile e scienze del dilettevole. Secondo
Agostino
dilettevole ci che essenzialmente
oggetto
di
godimento
(frui),
ci che
procura piena
felicit, e merita
pertanto
di essere
ricercato
35)
In Ps.
58;
Sermo 1,
18.
36)
Retractationcs1, 1, 2.
37)
De civitate Dei
8, 4;
cf.
ibid, 11,
25 dove la
logica
viene chiamata "filosofiarazio
nale".
33) lbfd, 8,
4.
156 Parte
prima
per
se
stesso,
mentre utile ci che
serve
per raggiungere
la
felicit, e va
quindi cercato, coltivato, usato (uti) non
per
se stesso ma in vista della
felicit: Diciamo che
godiamo una cosa
quando
ci diletta
per
se stessa
senza riferirlaad
altro;
diciamo invece che
ne usiamo
quando
la cerchia-
mo in Vista di
un altro fine. Si deve
quindi piuttosto
usare che
godere
delle
cose
temporali,
onde meritare di
godere quelle
eterne>>fi9
Agostino
introduce
questa
distinzione
per
la
prima
volta nel De doc-
trina christiana
(1, 4, 4), vale
a dire
quando
aveva
gi
attuato la "svolta
teologica, quella
svolta che lo
aveva indotto a rivedere
profondamente
il suo
giudizio
sul Valore
e sul ruolo della filosofia. Ormai convinto che
la filosofia assolutamente
incapace
di condurre alla vita
beata;
questa
si
acquista
soltanto
con
la fede che un dono di Dio.
Questo
spiega perch
Agostino
pone
la
filosofia, tutta in
blocco, dentro l'ordine dell'utile.
Seguendo questo linguaggio,
io ho chiamato "uso"
quelle
cose
che si
debbono considerare
nell'uomo, cio la
natura,
la
dottrina, l'uso. Da
queste
tre cose venne ricavata dai
filosofi, come
gi
ho
detto,
la
triplice
scienza destinata
a
procurare
una vita
felice, e cio: la filosofianaturale
per
conoscere la
natura,
la razionale
per
avere la dottrina
e la morale
per
regolare
luso.40
La sfera del
frui
(del dilettevole)
appartiene
alla
teologia, pi
esatta-
mente a
quella
sezione della
teologia
che tratta di Dio e
della
Trinit,
perch sono le sole realt che meritano di
essere cercate
per
se stesse e
che
sono la fonte autentica e
piena
di vita beata
per
chi le
contempla
e
ama: Res
igitur quibus fiuendum est,
Pater et Filius et
Spiritus
sarzctzzs,
eademque
Trinitas, una
quaedam
summa
res,
communis omnibus
fluentibus
ea;41
delle
altre, invece,
bisogna usare,
affinch
possiamo giungere
al
perfetto godimento
di
quelle
(caeteris autem zitendum
est,
ut ad illarum
per-
fructionempervenire p0ssimus)>>.42
Abbiamoosservato
pi
sopra
che la "svolta
teologica"
non
ha
pi
consentito ad
Agostino
di elaborare
un vero sistema filosoficoautonomo
e
completo,
sullo
stampo
dei
grandi
sistemi costruiti da
Platone, Aristo-
tele,
Plotino
nell'antichit,
oppure
come saranno
quello
di
Cartesio,
Spi-
noza, Leibniz,
Kant
o
Hegel nell'epoca
moderna. Per
questo
motivo,
propriamente parlando, Agostino
non
ha
un sistema filosoficon
prima
n
dopo
la "svolta
teologica".
Non lo ha
prima, perch gli
era mancatoil
tempo per
costruirselo. Nel Contra academicos
egli
stesso confessa:
qual-
39) Ibfd, Il,
25.
40)
Ibid.
41)
De doctrina christiana
1, 5,
5.
42) Ibid, l, 22, 2G.
Agostino
di
Ippona
157
sivoglia
sia il contenuto dell'umana
filosofia, sono
consapevole
di
non
averla
ancora
raggiunta.43
Non lo ha
dopo
la "svolta
teologica perch
da
quel
momento
un sistema filosoficoautonomo diventa
impossibile:
infatti, dal
punto
di vista del
credente,
qualsiasi
sistema filosoficoche
abbia
pretese
totalizzanti diventa
inammissibile;
si tratta di
un autentico
atto di
superbia
e
di
arroganza
che
Agostino
non vuole n
pu pi
com-
mettere.
Tutto
questo per per Agostino
non
significa affatto, come abbiamo
gi
detto
e
ripetuto,
una esclusione della filosofia
e
neppure
una ridu-
zione del
suo
compito.
Anche
se non lavora
pi per
realizzareuna con-
quista
autonoma della
verit,
la filosofia deve continuare a fare tutto il
suo lavoro
per
avvicinarsi,
nei limiti consentiti allumana
ragione,
alla
conoscenza della
verit; e in
pi
essa chiamata
a
prestare
un
prezioso
servizio alla
teologia,
per
aiutarla ad
acquistare
una
intelligenza
(com-
prensione) pi approfondita
della verit in cui Crede.
Per
quanto
concerne
i meriti filosofici di
Agostino,
essi diventano
an-
cora
pi grandi dopo
la svolta
teologica",
allorch
negli
anni della
piena
maturit si dedica
con
grande passione
ad
approfondire
il senso dei
mas-
simi misteri del cristianesimo:
Dio-Trinit, Cristo,
la
Chiesa,
la
grazia.
Sovente il
genio
acutissirno del Dottore di
Ippona
riesce a conferire alle
stesse verit rivelate
una valenza razionale cos
grande
da autorizzareil
loro trasferimento dal
Campo
della fede al
campo
della
ragione.
Ci ha
reso
possibile
nel
Corso dei secoli una
estrapolazione
dal lavoro
teologico
di
Agostino
di
quella
visuale
globale
della realt che ha
preso
il
nome di
agostinismo,
Si tratta di
una
interpretazione generale
delle
cose
in cui
primeggia
il valore assoluto di
Dio,
della
sua verit,
della sua bont,
della
sua bellezza,
del
suo
essere,
della
sua libert,
del suo amore. Dio
rende
partecipi
del
proprio
valore l'uomo
e
le altre creature
intelligenti,
i
quali
realizzano
se stessi nella misura in cui si
mantengono
uniti
e
subor-
dinati al valore
supremo. Lagostinismo
il sistema della trascendenza di
Dio che si salda
meravigliosamente
con Yinteriorit dell'uomo.
Metafisica della
partecipazione
Mentre dal
punto
di vista
metodologico,
ossia
rispetto
al10rdo
cogno-
scendi,
la metafisica di
Agostino

una metafisica della
interiorit,
dal
punto
di vista
ontologico,
ossia
per quanto
concerne Tordo
essendi, una
metafisica della
partecipazione.
Anche in
questo
evidente la sua
opzione
platonica.
43) Contra Acad.
3, 20,
43.
44) Cf. K.
IASPERS,
op.
cit.,
pp.
473 ss.
158 Parte
prima
Sant'Agostino,
richiamandosi ai
platonici,
trova la
giustificazione
della
realt
finita
e
contingente
nel
principio
della
partecipazione (integrato
dalle
dottrine
deYanalOga
- intesa come
somiglianzaontologica
-
e
della
gra-
dazione
degli
esseri).
Il
principio
di
partecipazione
si trova enunciato
pi
volte nelle
opere
di
Agostino
e
pu
essere enunciato cos: tutto ci che esiste
per
partecipazio-
ne ha la sua
ragion
d'esser in ci che esiste o essere
per
essenza. Avvalendosi
di
questo principio
riesce assai
agevole
ad
Agostino per
una
parte
con-
statare che noi
stessi,
insieme a tutto
quanto
ci circonda,
siamo una
realt
partecipata,
e
per
un
altro verso
presentare
Dio,
che l'unico essere
per
essenza,
come
unica
giustificazione
di tale realt.
Sant'Agostino
non si
stanca di mostrare che da
qualsiasi punto
di vista si considerino le cose (dal
punto
di Vista della vita della
bont,
della verit,
della bellezza,
dell'esse-
re ecc.) si tratta
sempre
di realt
partecipate.
Le bellezze che noi incon-
triamo non sono
mai la bellezza ma soltanto
partecipazioni
della bellezza;
la
verit,
la
vita,
la
bont,
l'essere ecc. non sono
la verit in
s,
la vita in
s,
l'essere in
s,
la bont in s ecc. ma
partecipazioni
della
verit,
della
vita ecc. E cos
bisogna
uscire da esse e
risalire fino alla Bellezza assoluta,
alla Verit assoluta ecc.: occorre
risalire fino a Dio che tutte
queste per-
fezioni
per
essenza.
Il
principio
dell'unit di
ogni
essere non
se non
quel
solo Uno da cui deriva tutto
quello
che
uno,
sia che 1o realizzi
completamente
sia che non lo realizzi.45 Altrettanto vale
per
le altre
per-
fezioni
partecipate
dalle
creature, bont, essere, verit,
somiglianza
ecc.
La verit
quella
che
pot
realizzare
pienamente
l'unit ed essere tutto
quello
che IUno . Essa
quella
che lo rivela nella sua
essenza,
per
cui
viene chiamata a buon diritto suo Verbo e sua
Luce. Tutte le altre cose
si
possono
dire simili all'unico Uno in
quanto
sono,
e
in tanto sono
anche
vere;
ma
il Verbo ne la
somiglianza perfetta,
e
perci
la Verit. Come
per
la Verit sono vere tutte le cose
che
sono
vere,
cosi
per
la
somiglianza
sono
simili tutte le cose
che
sono
simili. Perci le cose vere sono vere
in
quanto
sono,
e in tanto sono
in
quanto
sono simili a|l'Uno che
principio
di tutto: forma di tutte le cose
che sono la
suprema
somiglianza
al
Principio;
ed anche la verit, perch
senza
alcuna
dissomiglianza>>x4
In un
altro
capitolo
del De vera
religione Agostino
ci
presenta
una
rapidissima
ma ottima sintesi della sua
ontologia partecipativa:
Ma mi domandi:
perch
le cose
vengono
meno? Perch sono mute-
voli. E
perch
sono
mutevoli? Perch non
hanno la
pienezza
dell'esse-
re.
E
perch
non
hanno la
pienezza
dell'essere? Perch sono
inferiori
a colui che le ha create. Chi le ha create? L'essere
supremo.
Chi co-
45) De vera
rel.
33,
64.
46) lbid, 36,
66.
Agostino
di
Ippona
159
stui?
Dio, l'immutabile
Trinit,
che le ha create
per
mezzo della Sa-
pienza eterna, e le tiene in vita
con somma bont. Perch le ha fatte?
Perch fossero.
L'essere, infatti,
per quanto piccolo

bene,
giacch
il
sommo bene il
sommo essere (surmnwzi bunum est sunmze esse).
Donde le ha fatte? Val nulla. Tutto ci che
,
bisogna
che abbia
una
sua
pur
minima
essenza; perci
anche
se
un bene
piccolissimo,
tut-
tavia un bene,
ed da Dio.
Infatti,
dal
momento che la
somma
essenza il sommo bene,
la minima
essenza il minimo bene. Ma
ogni
bene o Dio o da Dio:
perci
da Dio deriva anche la minima
essenza. Tutto
quello
che si dice dell'essenza
(specie),
si
pu
dire
anche della forma:
non a caso infatti, si loda l'essere che ha l'essenza
in
sommo
grado, quanto
l'essere che ha la forma in
sommo
grado.
Ci da cui Dio ha creato
tutto, non ha alcuna
essenza,
ne
forma,
per-
ch
non niente altro che il nulla. Infatti ci che viene detto
informe,
in confronto alle
cose
perfette,
se ha
una
qualche forma,
per quanto
sia
piccolo
e
appena
abbozzato, non ancora il
nulla, e
perci
anche
questo
in
quanto
, non
se non da Dio
(c. 18, 35).
Anche nell'uso del
principio
di
partecipazione Agostino
fa valere il
potenziale
cristiano della
sua metafisica. Nell'uso del metodo dell'inte-
riorit
quell'insieme
di
possibilit
era emerso nel carattere
fortemente
personalistico
e teocentrico della interiorit
agostinianaOra,
nell'uso del
principio
di
partecipazione Fimplicita
valenza cristiana si manifesta nel-
l'immissionedel teorema della creazione.
Mentre in Platone la
partecipazione
fondata sulla
somiglianza
tra le
copie
e il
modello, e in Plotino e fondata sulla emanazione: i canali
par-
tecipano dell'acqua
della
sorgente,
la
partecipazione,
in
Agostino,
si
adegua
alle
esigenze
della metafisica cristiana e diviene
una
partecipazio-
ne
per
creazione. Con il concetto di
creazione
(creatio ex nihilo)
Agostino
respinge
sia il
panteismo
manicheo sia Femanatismo
neoplatonico,
e
afferma che Dio ha
prodotto
le
cose non dalla
sua
sostanza,
n da
qual-
che
cosa
precedente
bens dal nulla. Se Dio
avesse creato dalla
sua so-
stanza si avrebbe la
generazione,
se da
qualche
cosa
gi
esistente, non
sarebbe
pi
che
un
artigiano.
Dio ha
creato tutto insieme e dal
nulla,
sia
la materia sia la forma delle
cose.
Concludendo
queste
considerazioni
preliminari
sul
platonismo
di
Agostino
si
pu
dire che il Dottore di
Ippona
ha
un concetto molto ele-
Vato della metafisica
platonica
ma
che allo stesso
tempo
la
sottopone
a
revisioni
e
integrazioni importanti,
mettendo
a buon frutto la metafisica
Virtuale del
cristianesimo. Cos
quella
di
Agostino
non
semplicemente
una riedizionedella metafisica
platonica,
-
con una riduzione delle
sue
pretese soteriologiche ,
ma e
una metafisica
profondamente
rinnovata
in tutte le
sue
parti, teologia,
cosmologia, antropologia,
mediante l'as-
sunzione e l'assimilazionedei tratti
specifici
del cristianesimo: creazio-
nismo,
personalismo,
agapicit,
libert.
160 Parte
prima
Il
problema
di Dio
e
il mistero della Trinit
Il
problema
di
Dio,
capitale
nella metafisica,

sempre
stato al centro
delle riflessioni di S.
Agostino.
Dio affannava
quel grande spirito
sin
dai suoi diciannoveanni,
quando leggeva
l'Ortensi0. Di l
era
cominciata
la
preoccupazione
della
sapienza;
di l era
cominciato il suo
addentrarsi
nel
pensiero
di Dio>>.47
Nei
Soliloqui
(I, 2, 7)
Agostino
dichiara che i
problemi
che
maggior-
mente
angustiano
il
suo
spirito
sono
due: l'anima e
Dio. E
riguardo
alla
loro
importanza
nel De ordine (II, 18, 47)
scrive:
Duplice
il
problema
della filosofia,
l'uno
riguarda
l'anima,
l'altro Dio. Il
primo
ci induce a
conoscere
noi
stessi,
l'altro i1
principio
del nostro essere.
L'uno
per
noi
pi
dilettevole,
l'altro
pi prezioso.
Quello
dell'anima ci rende
degni
della
felicit,
quello
di Dio ci fa felici. Il
primo spetta
a coloro che ancora
apprendono,
il secondo a coloro che hanno
appreso.
Questo
il
procedi-
mento razionale del filosofare. Con esso
l'uomo si rende idoneo a com-
prendere
il
principio
razionale dell'universo,
cio a
distinguere
due
mondi e
lo stesso creatore dell'universo.
Questo
testo
stupendo
merita un
breve
commento, perch Agostino
vi
spiega
in modo
egregio
ci che fa la metafisica,
la
quale
consiste in un
procedimento
razionale dei filosofare (ordo
studiorum
sapientiae).
La metafisica fa tre cose: 1) cerca
di
comprendere
il
principio
razionale
dell'universo (ad intelligendum
ordinem rerum); 2) a tal fine
distingue
due
mondi: il mondo sensibile(materiale) e
il mondo
intelligibile
(immate-
riale); 3)
giunge
in tal modo a
scoprire
lo stesso creatore
dell'universo
(ipsum parentem
universitatis). Quelle
indicate da
Agostino
sono esatta-
mente le tre
grandi tappe
della metafisica.
Di Dio
Agostino
si
occupa
sia in veste di filosofosia in veste di teolo-
go,
sia, quindi,
alla luce della evidenza razionalesia alla luce della fede
soprannaturale.
E
per
lo studioso non
cosa
agevole distinguere
i due
aspetti, quanto
meno
per
chi non
cade nell'errore di
presentare
come
dottrina filosoficasu
Dio
quella
del
giovane Agostino
e come
dottrina
teologica quella dell'Agostino
maturo. Noi
sappiamo
che nel1tinerari0
intellettuale
dellIpponate
c' stata una
svo1ta
teologica
che ha ridi-
mensionato
notevolmente le
pretese
della
ragione
e della filosofia, so-
prattutto
le
sue
pretese
di sondare a
fondo il mistero di Dio. Per
lAgo-
stino maturo l'unica via sicura
per giungere
alla verit Cristo,
che la
Verit che si fatta carne
per
noi. Perci anche lunico vero
volto di Dio
47)
A. MAsNovo,
S.
Agostino
e S. Tommaso. Concordanze e
Sviluppi,
Milano 1942,
p.
118.
Agostino
di
lppona
161

quello
che ci rivela Ges
Cristo,
il
Figlio
di Dio. Ma ci non esclude la
legittimit della
ricerca filosofica
su Dio. Si tratta
per
contro di
una ricer-
ca
urgente,
di
un
discorso necessario
per
mettere a nudo le assurdit di
certe
teologie mitologiche,
filosofiche e
politiche,48
di certe concezioni
materialistiche,
politeistiche, superstiziose, magiche
della
divinit, e an-
che
per costringere
la
ragione
a riconoscere la realt di
Dio,
la
sua esi-
stenza,
i suoi attributi
essenziali, ancor
prima
che tali verit
possano
essere conosciute con l'aiuto della divina rivelazione.
Trattandodel
problema
di Dio
Agostino
manifesta la
sua
grande
sim-
patia
per
i
platonici
che, a suo
giudizio,
sono
i filosofi che
sono riusciti a
proporne
la chiarifizione
pi
soddisfacente al di fuori del cristianesimo.
Scrive
Agostino
nel De civitate Dei:
Questo
quindi
il motivo
per
cui riteniamo i
platonici superiori agli
altri, e cio
perch,
mentre
gli
altri filosofi hanno
sprecato ingegno
e
faticanella ricerca dei
principi
delle cose e
della
norma
del
conoscere e
del
vivere, costoro con la conoscenza di Dio trovarono l'essere in cui
la causa
dell'origine
dell'universo,
la luce
per
conoscere con certezza
la verit e la
sorgente
in cui dissetarsi con la felicit. Siano
dunque
i
platonici
oppure
altri filosofi che affermino
questa
dottrina,
l'afferma-
no insieme a noi. Ma abbiamo
preferito
trattare
l'argomento
con
i
pla-
tonici
perch
i loro scritti sono
pi
conosciuti. Infatti i
greci,
la cui lin-
gua
e la
pi
diffusa tra i vari
popoli,
hanno esaltato i loro scritti con
grandi
lodi
e
i
latini,
spinti
dal loro
pregio
e fama,
li hanno letti con
entusiasmo e traducendoli nella nostra
lingua
li hanno resi
pi
noti e
lllUSTm
CONDIZIONI PSICOLOGICHE PER CONOSCERE DIO
I
segni
della esistenza di
Dio,
sia in noi sia fuori di
noi, sono talmente
grandi
e
imponenti
che sembra del tutto inutile e
superfluo
costruire
delle
argomentazioni
per
dimostrarla. Infatti ci che evidente
non si
dimostra, ma si mostra. Nei suoi Stromati Clemente Alessandrinoscrive:
Del Padre e Creatore dell'universo tutti
gli
esseri
attingono
una nozio-
ne
da
tutto,
nozione innata e senza
insegnamento
(...).
E
nessuna
stirpe
non solo di
agricoltori
o
di
pastori,
ma nemmeno di societ civili
pu
vivere senza la fede
per prenozione
dell'Essere
superiore.
Perci
ogni
popolo,
che si estende nelle
regioni
dell'Oriente
e dell'occidente, o set-
tentrionale
o meridionale,
tutti hanno
una medesima
prenozione
di
Colui che ha stabilitoil suo
impero
su tutte le cose.50 Basta che l'uomo
45)
Cf. De Civ. Dei
6, 5,
1.
49) Ibid, 8, 10,
2.
50) CLEMENTE
ALESSANDRINU, Stromati
5, 14, 133.
162 Parte
prima
contempli
il mondo
per acquistare cognizione
dell'esistenza di Dio. In
generale

prosegue
Clemente -
Pitagora,
Socrate,
Platone dicono d'aver
ascoltato la
voce
di
Dio,
contemplanclo
la fabbrica dell'universo
prodot-
to e
preservato
incessantemente da Dio>>.5'
Agostino
condivide in
pieno
il
pensiero
dellfllessandrino.
Leggiamo
insieme il memorabiletesto delle
Confessioni
in cui
l'Ipponate raccoglie
dalle creature l'invito a considerare la realt del loro
meraviglioso
artefi-
ce,
Dio:
E cielo e terra e
ogni
cosa che in essi si trova mi dicono da
ogni
dove
di amarti e non cessano
di dirlo a tutti,
affinch siano senza scuse (...).
Ma che
amo,
amandoTe?
Non una bellezza
corporea;
non una cosa
splendida
che
pur passa;
non una luce candida amica a
questi
occhi; non dolci melodie di
qual-
siasi
canto;
non
profumo
soave
di
fiori,
di
unguenti,
di
aromi; non
manna e miele; non membra
piacevoli
per
gli amplessi
della carne.
Non amo
queste
cose
quando
amo il mio Dio e tuttavia amo una luce,
un
profumo,
un cibo, un
amplesso
amando il mio
Dio; luce, voce,
profumo,
Cibo,
amplesso
dell'uomo interiore che in
me,
dove
risplende
intimamente una luce che
nessun
luogo comprende,
dove
risuona una voce
che il
tempo
non
rapisce,
dove si
spande
un
profu-
mo
che il vento non
disperde,
dove
gusto
un
sapore
che la voracit
non diminuisce e dove mi
stringe
un
amplesso
che la saziet non
scioglie; questo
io
amo,
amando il mio Dio. Cosa ci?
Ho
interrogato
la terra ed essa mi ha
risposto:
"Non sono io". Ho in-
terrogato
tutte le cose che in essa sono e mi diedero la stessa
risposta.
Ho
interrogato
il
mare, gli
abissi e
gli
animali e mi
risposero:
Non
siamo noi il tuo Dio; Cerca
pi sopra".
Ho
interrogato
i venti e tutta
l'atmosfera con
i suoi abitanti e
mi hanno
risposto:
Anassimene si
sbaglia;
non siamo noi il tuo Dio. Ho
interrogato
il
cielo,
il
sole,
la
luna,
le stelle e mi
risposero:
Neanche noi siamo il Dio che tu cer-
chi". Dissi allora a tutte le Cose
che stanno attorno alle
porte
della mia
carne:
M avete detto che voi non siete
Dio;
ditemi almeno
qualche
cosa
di Lui!". A
gran
voce
gridarono: "Egli
ci ha creato".
Da
parte
mia la domanda e l'attenzione;
da
parte
delle cose
la
rispo-
sta e la bellezza
(Interrogatio men,
intentio
men;
et
responsio eorzmz,
spe-
cies e0rum).52
Ma se
di
per
s la realt di
Dio,
attestata in mille modi dalle
cose,

cos
ovvia, perch
mai tanta
gente
rifiutadi riconoscerla?
51) Ibid.,5, 14,
19.
52)
Conf.
10, 6,
1-3.
Agostino
di
Ippomz
163
i
La
risposta
di
Agostino
a
questo interrogativo
la stessa di Filonee
Clemente: anche la realt del sole
ovvia, ma se si
pone
davanti ad
esso
una
fitta coltre di nubi
oppure
l'occhio soffre di
qualche
grave
malattia,
allora lastro
pi
lucente del nostro universo diviene invisibile.Altret-
tanto accade
per
la conoscenza di Dio. Per riconoscerlo occorre rimuove-
re dal cielo della coscienza tutto ci che
pu impedirle
di
raccogliere
la
voce di Dio che ci
interpella
attraverso le cose create. Esse non mutano
il loro
linguaggio,
cio la loro
bellezza, se
qualcuno semplicemente
le
guarda
e altri invece le
interroga,
cos da
apparire
a
questi
in
un modo e
a
quelli
in
un altro;
ma,
pur
apparendo
sempre
uguali
all'uno
e all'altro,
per
il
primo
sono mute,
mentre
parlano
al secondo.53
I difetti
maggiori
da cui occorre liberarelo
spirito
a
giudizio
di
Ago-
stino sono
le
passioni (superbia,
avarizia, invidia,
lussuria
ecc.) e
i
pre-
giudizi
filosofici
(materialismo, scetticismo,
antropomorfismo
ecc}.
Le
passioni
si curano con i buoni
costumi,
i
pregiudizi
con lo studio. Si
deve
purificare
lo
spirito (purgandus
est
animus)
per
metterlo in condizio-
ne
di
captare quella
luce e di aclerirvi
una
volta intravsta. Tale
purifica-
zione una
specie
di marcia o
di traversata
(navigationem)
alla volta del-
la
patria.
Ma non
percorrendo
dei
luoghi
che
raggiungiamo
Colui che

presente ovunque,
bens con
i buoni costumi e con lassidua ricerca?
(
con
lo
sguardo
dell'anima che si vede Dio. Lo
sguardo
dell'anima il
pensiero
(ratio).
Ma
non
segue
che ciascuno che
guarda
veda. Ci accade
soltanto allo
sguardo puro
e
perfetto (aspectus
rectus
atque perfectus),
al
quale
cio
segue
visione. Tale
pensiero puro
e
perfetto
dicesi virt_55
L'acquisizione
delle condizioni
psicologiche
e morali atte ad assicura-
re alla mente le condizioni necessarie
per
riconoscere la
presenza
di Dio
cosa assai
ardua,
che ben
pochi
riescono a realizzare. Per la
sua attua-
zione si
esige,
normalmente,
il soccorso e l'aiuto delle tre virt
teologal
(fede,
speranza,
carit).
Solo
grazie
al loro intervento la mente si
apre
alla luce di Dio e
laccoglie:perch
anche lo
sguardo
non
pu
drizzare
gli
occhi,
sebbene
gi
sani,
alla
luce, se non
vi
sono
le tre
virt,
cio la
fede con cui crede che
l'oggetto,
al
quale
si deve
rivolgere
lo
sguardo,

tale che visto
beatifica;
la
speranza
con cui ha fiducia di vedere se
guar-
der
bene;
la carit con cui desidera di vedere
e
godere.
Allora allo
sguardo
segue
la stessa visione di
Dio,
che fine della visione non
per-
ch
questa
cessi, ma
perch
non
ha altro fine a cui
dirigersi>>fi6
53)
Ibid.
54) De rioctr. christ.
1, 10,
10.
55)
Soliloquia
1, 6,
13.
5) IbicL;
cf. De Trinitate
8, 4, 6.
164 Parte
prima
ESISTENZA E NATURA
Le vie che
possono
condurre la
ragione
a Dio
sono
molteplici. Quelle
che
Agostino percorre
pi frequentemente
sono tre: la via
dell'ordine,
la
via della
partecipazione,
la via della verit.
Della via
dell'ordine,
gi proposta
da
Platone,
Aristotele e Filone,
Ago-
stino
presenta
diverse formulazioni,
prendendo
lo
spunto
ora
dal mera-
viglioso spettacolo
che offre la terra con
i suoi
mari, monti,
campagne,
foreste
ecc.,
ora
dall'armonia delle forme
e delle strutture dei
corpi
viventi e non viventi, ora dalla successione
regolare degli
eventi natura-
li, ora delle
leggi
della
logica,
della
matematica,
della musica.
Qui
ci
piace
riferire anzitutto la formulazione del De libero arbitrio che ci sem-
bra la
pi completa
e
rigorosa.
Osserva il
cielo,
la
terra,
il
mare e tutte le cose che in essi
splendono
nella sfera
superiore
o nella inferiore si muovono camminando,
vola-
no
oppure
nuotano. Hanno una
forma
perch partecipano
ai numeri
(formas habent,
quia
numerosi habent).
Toglili
loro, non saranno
pi.
Da
chi hanno l'essere
dunque
se non
da chi ha il
numero, poich
in tanto
hanno l'essere in
quanto
sono
partecipanti
del numero? Anche
gli
uomini artefici di
opere corporee
nella loro arte
adoperano
il numero
per rapportarvi
le
proprie opere
e nel costruire muovono mani e stru-
menti fino a
quando l'opera,
che riceve la forma dal di
fuori,
rappor-
tata alla interiore luce dei
numeri, riceve,
per quanto

possibile,
la
compiutezza
e
piace,
mediante il
senso,
al critico che intuisce i nume-
ri reali
(...).
Trascendi
dunque
anche la coscienza dell'artista
per
Vede-
re
il
numero
supertemporale.
Allora la
sapienza splender per
te
dalla sede interiore e dallo stesso santuario della verit. E
se
abbaglia
il tuo
sguardo
ancora debole, torna a
volgere
l'occhio
su
quella
via,
dove si mostrava affabilmente. Ricordati
per
che hai rimandato la
visione.
Quando
sarai
pi
forte e
sano,
devi ritentare.
Guai a coloro che abbandonanote come
guida
e si arrestano nelle tue
orme,
che amano i tuoi cenni invece di te e
dimenticano
l'oggetto,
cui
accenni, 0
sapienza,
soavissima luce di una
intelligenza purificata.
Non desisti infatti di accennarci che
cosa
sei e
quanto
sei
grande,
e
i
tuoi cenni sono in
genere
la bellezza
(decus)
delle creature. Anche l'ar-
tista accenna
in
qualche
modo a
chi
osserva
la sua
opera
alla stessa
bellezza
dell'opera
affinch non si arresti ad.
essa,
ma in tale maniera
osservi
l'immagine
da
riportarsi
col sentimento a
chi l'ha costruita.
57) Sulle
prove
agostiniane
dell'esistenza di Dio si veda C.
BOYR,
Lde de vrite
dans la
philosaphie
de seint
Augustin,
Paris
1940,
p.
61; ID.,
L'esistenza di Dio secondo
sant'Agostino,
in "Rivista di filosofia neoscolastica" (1954), 321-331;
E. GILSON,
Introducton Ftude de saint
Augustin,
Paris 1949,
pp.
11
55.;
M. F.
SCIACCA,
"L'esistenza di
Dio",
in
Filosofia
e
metafisica,
Brescia 1950,
pp.
124-138.
Agostino
di
Ippona
165
Coloro invece che di te amano le
cose che
fai, sono simili alle
persone
che, nelludire
un oratore colto, sono
troppo presi
dalla dolcezza del
timbro della Voce e dall'ordine delle
parole,
e cos trascurano la rile-
vanza del
pensiero,
di cui le
parole preferite
sono
segni.
Guai a coloro
che si
distolgono
dalla tua luce e si abbandonano dolcementealle
pro-
prie
tenebre.
come se voltandoti il dorso si
volgano
alla terrenit del
l'ombra,
che
proiettano
ma hanno
pur sempre
dallirrompere
intorno
della tua luce
quella
soddisfazione che li diletta anche in
quello
stato.
Ma
l'ombra,
finch si
ama,
rende l'occhio
dell'intelligenza
(oculum
animi)
pi
debole
e
pi
disadatto a sostenere lo
sguardo.
E
per questo
l'uomo si adatta
gradualmente
alle tenebre fintanto che
sceglie quella
condizioneche
gli
rende
pi
tollerabilel'essere
pi
debole. Ne conse-
gue
che
non
pi capace
di Vedere il mondo ideale.58
Molto
pi stringata
ma non meno efficacee la formulazioneche
Ago-
stino esibiscenel suo Commento al
Vangelo
di Giovanni. Eccola:
Interroga
il
mondo,
l'ornamento del
cielo,
lo
splendore
e la
disposizione degli
astri,
il sole che ha la luce necessaria
per
il
giorno,
la luna che
procura
sollievo di
notte;
interroga
la terra ferace di erbe e di
piante, piena
di
animali
e
cosparsa
di
uomini;
interroga
il
mare
ripieno
di
ogni qualit
e
quantit
di
pesci; interroga
l'aria attraversata da
ogni specie
di
uccelli;
interroga ogni
cosa e
vedi
se ciascuna a suo modo
non
ti
risponda:
ci ha
fatto Dio.
Questo
lo hanno studiato anche illustri filosofi
e dell'arte
hanno riconosciutolartefice.59
La via della
partecipazione
risale storicamente a Platone, il
quale
se ne
era servito
per
ascendere dal mondo visibiledelle
cose materiali al
mondo invisibiledelle Idee
archetipiche.
Ad
Agostino spetta
il merito di
avere dato
a
questa
via una
chiara formulazione
"teologica".
La stessa via dell'ordine
come viene formulata nel De libero arbitrio fa
anche
esplicito
riferimento alla via della
partecipazione
(le cose in
tanto hanno l'essere in
quanto partecipano
al
numero).
Ma le formula-
zioni
pi
interessanti si trovano nel De Trinitate dove
Agostino
traccia
Vari itinerari di
ascesa a Dio basandosi sulla
legge
della
partecipazione.
Questa
esige
che tutto ci che ha diritto di assolutezza
(in
quanto
incar-
na un valore
assoluto) ma si trova di fatto attuato in modo
limitato,
par-
tecipato
(ha cio soltanto
una
parte)
deriva necessariamente la
sua esi-
stenza da ci che
possiede
tale valore
pienamente e, quindi,
esiste nella
\
identit
con esso. E il
caso della
verit,
della
bont,
della bellezza
ecc.
58) De 11.19. arb.
2, 16, 42-43.
59) Sermo 141 de verbis
Evang. 1011.,
2.
166 Parte
prima
Ecco come
Agostino propone
l'ascesa dell'anima a Dio in
quanto
Bene
assoluto
seguendo
la via della
partecipazione
al bene di tutto il vasto
universo che ci circonda:
...
Buona la terra con le alte
montagne,
le moderate
colline,
le
piane
campagne;
buono il
podere
ameno e fertile,
buona la casa
ampia
e
luminosa,
dalle stanze
disposte
con
proporzioni
armoniose;
buoni i
corpi
animali dotati di
vita;
buona l'aria
temperata
e salubre;
buono il
cibo
saporito
e
sano;
buona la salute senza
sofferenze e senza fatiche;
buono il viso dell'uomo, armonioso,
illuminatoda un soave sorriso e
vivi
colori;
buona l'anima dell'amico
per
la dolcezza di condividere
gli
stessi sentimenti e
la fedelt dellamcizia;
buono l'uomo
giusto
e
buone le ricchezze che ci aiutano a trarci di
impaccio;
buono il cielo
con
il
sole,
la luna e le
stelle;
buoni
gli Angeli per
la loro santa obbe-
dienza;
buona la
parola
che istruisce in modo
piacevole
e
impressiona
in modo conveniente chi
ascolta;
buono il
poema
armonioso
per
il
suo ritmo e maestoso
per
le sue sentenze.
Che altro
aggiungere?
Perch
proseguire
ancora
nella enumerazione?
Questo

buono,
quel-
lo buono.
Sopprimi
il
questo
e
il
quello
e
contempla
il bene stesso
(vide
ipsum
bonum) se
puoi;
allora vedrai
Dio,
che
non
riceve la sua
bont da altro
bene, ma il benedi
ogni
bene(non
alia bono
bonum,
sed
Bonum omnis bonis) (...).
Non ci sarebbero
dunque
beni mutevoli, se
non ci fosse un beneimmutabile.Ecco
perch quando
senti
parlare
di
questo
o
quel
bene,
che visti da un
altro
punto
di Vista
possono
anche
non essere
chiamati
beni, se
potrai
fare astrazione dai beni che sono
tali
perch partecipano
al Bene
(quae participatione
bom" bona sunt),
per
vedere il Bene stesso di cui
partecipano
- di
questo
bene difatti si ha
intelligenza
nel momento stesso in cui si sente dire
questo
o
quel
bene -
se
dunque giungerai,
facendo astrazione da
questi
beni, a
vedere il benein se stesso,
vedrai Dio.6
La via
pi
cara
ad
Agostino,
ed e anche
quella
che si adatta
meglio
alla sua
impostazione
interioristica della ricerca filosofica,
la
terza,
la
via della verit.
la via
pi
cara
perch
per
Agostino
non
si d altro teso-
ro
pi prezioso,
altro valore
pi grande,
altro bene
pi
dilettevoledella
verit: la
felicit,
la vita
beata,
consiste nel
godimento
del
possesso
della
verit. E in
quanto
via della
interiorit, essa
assicura
pi
direttamente
delle altre l'incontro con
la
verit,
il
quale
diviene anche incontro e
pos-
sesso di
Dio,
essendo Dio e
la Verit la stessa cosa.
Agostino espone
ampiamente questo argomento
nel De libero arbitrio
(2, 3, 7-15) e lo
riprende
molte volte nei suoi
scritti, sviluppandone
or
l'uno or
l'altro
elemento, o
riproponendone
con
diversit di sfumature
5) De Trin.
8, 3,
4-5.
Agostino
di
lppona
167
la trama.
Questa,
che nel suo fondo
sempre
la
stessa, comprende
quattro passaggi:
1)
la considerazionedelle cose sensibili
(interroga mun-
dum)
che hanno nella loro stessa natura i
segni
evidenti della
contingen-
za; 2)
il ritorno all'uomo interiore
(in
teipsum
redi), dove abita la
verit; 3)
il riconoscimento della
impossibilit
che la verit
tragga origine
dalla
mente umana in
quanto
anche
questa
alla
pari
delle
cose esterne con-
tingente
e mutevole; 4)
il
superamento
del
proprio
Io e lavvista1nento
della
sorgente
stessa di
quella
verit che in noi e dalla
quale
si
accen-
de il lume della nostra
ragione
(unde
ipsutn
lumen rationis
accenditurlfi
Il momento cruciale
clell'argomentazione
dato dalla osservazione
che la verit immutabile
appartiene
a un
livello
ontologico superiore
a
quello
della nostra mente. Ecco
come
Agostino
stesso mette a
fuoco
que-
sta considerazione:
Se
questa
verit fosse
eguale
alla nostra
mente,
anch'essa sarebbe nel
divenire. Infatti la nostra mente ora la intuisce di
pi
ora di
meno.
Palesa cos di essere nel divenire. A] contrario la
verit,
permanendo
in
s, non aumenta
quando
ci si manifesta di
pi,
non diminuisce
quando
ci si manifesta di
meno, ma
integra
e immateriale
(integra
et
incorrupta),
allieta di luce
quelli
che ad essa si
volgono, punisce
con la
cecit
quelli
che si
volgono
in
opposta
direzione. E che
dire,
dal
momento che mediante essa
giudichiamo
della nostra stessa mente
mentre non
possiamo
affatto
giudicare
di essa? Si dice infatti:
"Comprende
di
meno di
quanto
deve, ovvero:
"Comprende
tanto
quanto
deve. La mente deve
appunto
tanto
pi pensare quanto pi
si
avvicinaalla immutabileverit
(inconzmutabiliveritati). Pertanto se essa
non inferioren
eguale,
rimaneche sia eminentemente
superiore>>fi3
Ma ci
possibile
soltanto
se si riconosce l'esistenza di
Dio,
sia che si
consideri la verit inferiore
a Lui 0
identica
a Lui,
perch
se c'
qualco-
sa
di
pi
elevato della
verit,
allora
quella
cosa
che
Dio, ma se invece
non c' nulla di
pi
nobile,
allora la verit stessa a essere Dio. In
ogni
caso non
puoi
negare
che Dio esiste e
questa
la
questione
che
avevamo
inteso di discutere>>fi4
Come risulta dalle varie formulazioni
proposte
da
Agostino
la
prova
dell'esistenza di Dio basata sulla verit
pu
essere ancorata a
qualsiasi
verit indubitabileconosciuta dalla nostra
mente,
anche
a
quella sempli-
cissima della nostra esistenza.
Questa certezza assoluta fa dire ad
Ago-
61) Cf. De
vera rel.
29,
52 -
39, 73;
Conf.
7, 10, 10; 10, 6, 8-16; Enarratio in
p5.
41, 7-8;
De civ. Dei
8, 6; De Trin.
8, 2, 3;
De dia.
qq.
83. 54.
62) De
vara rel.
39,
72.
m) De lib. ma.
2, 12,
34.
64) Ibici,2, 13,
39.
168 Parte
prima
stino: Avrei
pi
facilmentedubitato della mia vita che della esistenza
della Verit,
che si vede
comprendendola
attraverso le cose
che sono
state fatte>>fi5
La
singolarit
e
anche la forza di tutte le vie di
Agostinoper
salire fino
a Dio che sono
pi suggestive
che dimostrative,
pi
ostensive che
argo-
mentative. Sono
pi
cammini dentro lo
spirito
che concatenazioni
logi-
che tra
proposizioni.
Le Vie
agostiniane
si collocano
pi
a
livello di eser-
citazione interiore,
di ascesi
spirituale
che di
procedimenti logici
e
intel-
lettuali. E nel
viaggio
(anzbulatio, navigano)
ci che conta
maggiormente

la attenzione (intentio),
Pacutezza dello
sguardo
(acies aspectus),
la dire-
zione
giusta,
la
costanza,
il desiderio del
traguardo,
l'amore
dell'oggetto.
Chi
avanza
deciso senza soste e senza
tentennamenti e
percorre per
inte-
ro
il cammino (il tunnel,
la scala ecc.) dellinteriorit, a un certo
punto,
quasi all'improvviso
si trova di fronte alla
stupenda sorgente purissima
della
Verit, dell'ordine,
della Bont, dell'Essere, dell'Amore,
della Bel-
lezza,
della Giustizia.
il
traguardo
finale dell'ascesa
spirituale
tracciata
da
Agostino
nel De
quantitate
animare,
traguardo
che viene cos descritto:
Il settimo e ultimo
grado
consiste nella
contemplazione
o
visione
della verit. Non un
grado,
ma uno stato definitivo che si
raggiunge
attraverso i vari
gradi.
E
quale
sia la
gioia, quale
il
godimento
nel
possesso
del sommo e vero
bene e di
quale imperitura
serenit sia il
palpito,
io non
saprei
dire. Lhan
detto,
nei limiti in cui
giudicarono
di
poterlo
dire,
anime
grandi
e
incomparabili.
E noi riteniamo che
hanno veduto e
vedono tuttora
quell'oggetto.
E ora oso dirti
quanto
segue.
Se noi siamo
perseveranti
nel tenere il cammino (cursum)
che
Dio ci ordina e
che noi abbiamo
intrapreso, giungeremo
con
l'aiuto
della divina
provvidenza
alla
ragione suprema
o sommo
fattore o
sommo
principio
dell'universo
o,
se si vuole, un
altro nome con
cui
un essere tanto
grande
si
possa pi
convenientemente
designare.
Quando ne
abbiamo
puro
pensiero,
vedremo veramente come sotto il
sole tutte le cose
siano illusioni
degli
illusi.66
Nonostante che il cammino sia
lungo
e difficile,
Agostino
sicuro che
alla fine esso
porta
a un incontro con
Dio che non
errato chiamare im-
mediato,
diretto. Chi
percorre per
intero il tunnel dellinterorit in cerca
della Verit,
alluscita si trova
davanti allincantevole
spettacolo
della
realt di Dio: Nessuna creatura si trova in mezzo
tra la mente con
cui
noi conosciamo Lui,
il
Padre, e
la Verit,
ossia la luce interiore con cui
noi Lo
percepiamo>>fi7
55)
Conf.
7, 10,
16.
G6)
De
quantitate
animae33,
76.
57)
De vera
rel. 53,
113.
Agostino
di
Ippona
169
Ma se
Agostino
si
pu
dichiarare assolutamente
tranquillo
e sicuro
per quanto
concerne l'esistenza di Dio
non
pu
certamente dire altrettan-
to
riguardo
alla sua natura. In effetti le vie conducono sino a Dio ma non
dischiudono il mistero del suo essere. Il
problema
della
natura,
dell'esse-
re
proprio
di Dio ha tormentato
Agostino
durante tutta la
sua
lunga
e
travagliata
esistenza. Prima di convertirsi al cristianesimo aveva dovuto
combattere duramente
per
uscire dalla concezione materialistica che i
manichei
avevano
di Dio.
Raggiunse
un concetto
spirituale grazie
all'in-
contro con la filosofia
neoplatonica,
la
quale
lo aiut a
comprendere
che
Dio
sommo, unico, incorruttibile,
inviolabile
e immutabile,esottimo,
potentissimo, onnipotentissimo,
misericordiosissimo
e
giustissimo,
lon-
tanissimo e
presentissimo,
bellissimo
e fortissimo,
stabile
e inafferrabile,
immutabilee allo stesso
tempo
causa
d'ogni
mutazionemb In
seguito
il
suo concetto di Dio divenne
pi
chiaro
e
definito: <<Io Ti affermavo incon-
taminabile,
inalterabilee totalmente
immutabile;ero
anche fermamente
convinto che Tu sei il nostro
Signore,
vero Dio, creatore non solo dell'ani-
ma,
ma anche del
corpo
e non solo delle anime e dei
corpi,
ma
di tutto e
di tutti.70 Nuove dimensioni
guadagn pi
tardi la
sua
cognizione
di
Dio,
dopo
la conversione al
cristianesimo,
quando
Venne a
sapere
dalla
rivelazioneche Dio uno
nella natura ma trino nelle
persone.
Di
questo
altissimo mistero
escogit
la formulazione razionale
pi precisa,
ricor-
rendo, come si vedr
pi
avanti alle
pi
svariate similitudini.
Nella
sua
opera speculativa pi
matura,
il De
Trinitate,
il Dottore di
Ip-
pona presenta
una
lista riassuntiva
degli
attributi. chela
ragion pura
(ratio
naturalia) in
grado
di
scoprire
nella sostanza divina. La lista
comprende
dodici
attributi,
che
Agostino
suddivide in tre
gruppi;
il
primo
gruppo
e
composto
da
eternit, immortalit,
incorruttibilite immutabilit;
il
secondo da
vita,
sapienza, potenza
e bellezza;
il terzo da
giustizia,
bont,
felicit
e
spirito.
In
ogni gruppo
c'
un
capofila:
l'eternit nel
primo,
la
sapienza
nel
secondo,
la felicit
(beatitudine)
nel terzo. Si tratta
peraltro
di una divisione
pi
concettuale che
reale,
che
non
compromette
in nes-
sun modo l'assoluta unit
e
semplicit
di
Dio,
perch ogni
attributo si
identifica
con la
sua sostanza
e,
allo stesso
tempo, ogni
attributo coincide
realmente con
ogni
altro attributo. Sia
lungi
da noi il
pensare
che
quan-
do si dice che Dio
spirito, questa
affermazione
riguardi
la sostanza. Lo
stesso si dica di tutte le altre affermazioni che abbiamoricordato?!
68)
Conf.
7,1.
69) Ibid., 1,4.
70) Ibid., 7,3.
71) De Trin.
15, 5,
s.
170 Parte
prima
Ecco,
nelle
parole
di
Agostino,
la deduzione" dei dodici attributi es-
senziali di Dio:
...
Riduciamo
queste
numerosissime
perfezioni
(di Dio) ad alcune sol-
tanto. La vita che si afferma esistere in Dio la
sua stessa essenza e la
sua
natura. Cosicch Dio non
vive di. altra vita che ci che
Egli

per
se
stesso.
Questa
vita
non
dello stesso livello di
quella
dell'albero,
che
privo
di
intelligenza
e di
sensibilit,
n di
quella degli
animali;
infatti
la vita animale dotata di sensibilitche si diversifica in
cinque
sensi,
ma del tutto
priva
di
intelligenza.
Invece
quella
vita che
Dio, sente
e
comprende
tutto, ma Dio sente
spiritualmente
e non
corporalmente,
perch
Dio
spirito
(sentit mente, non
corpore, quia spiritus
est Deus) (...).
N la sua creatura tale che
possa
a un dato momento cessare
di esi-
stere 0
cominciare a esistere: infatti immortale. Non invano infatti
stato detto che il solo a
possedere
l'immortalit,
perch
veramente
immortalit Vimmortalit di Colui la cui natura
priva
di
qualsiasi
mutazione. Vera
pure
l'eternit
per
la
quale
Dio
immutabile,senza
inizio e senza
fine e
perci
stesso incorruttibile.Si
esprime dunque
una sola e
medesima
cosa,
sia che si dica che Dio
eterno,
sia che si
dica che immortale,
che incorruttibile,
che immutabile;
similmen-
te
quando
si dice che
vivente, e
intelligente o,
che lo
stesso, sapien-
te,
si dice la medesima cosa. Dio infatti non
ha ricevuto una
sapienza
che lo abbia
reso
sapiente,
ma
egli
stesso la
sapienza.
E
questa
vita
la stessa cosa
che la forza o
la
potenza,
la stessa cosa
che la bellezza,
per
cui detto
potente
e bello. Che c' infatti di
pi potente
e di
pi
bello della
sapienza
che si estende con
potenza
da un'estremit all'al-
tra del mondo e tutto amministra con
dolcezza"
(Sap
8, 1)?
La bont e
la
giustizia
differiscono forse tra loro nella natura di
Dio,
allo stesso
modo che nelle sue
opere,
come se
vi fossero due
qualit
distinte in
Dio: una la
bont,
l'altra la
giustizia?
Certamente no: la sua
giustizia

la
sua stessa bont, e la sua bont la sua
beatitudinestessa. E Dio
detto
incorporeo,
immateriale
perch
si creda e si
comprenda
che
egli

spirito,
non
c0rpo.7
Nell'elenco stilato da
Agostino
i
primi quattro
attributi
(eternit,
im-
mortalit, incorruttibilit,immutabilit)
sottolineano la sua
trascenden-
za,
la
sua sacralit,
la sua
distinzione o
separazione,
la
sua
assoluta dif-
ferenza
qualitativa rispetto
alle
creature,"
mentre
gli
altri attributi lo
identificano come
principio primo,
fonte
originaria, espressione
massi-
ma e
completa
di tutto
quanto
di
buono,
di
positivo,
di
valido,
di
perfet-
to
posseggono
le creature:
Egli
il
principio
dell'essere,
la Verit del
sapere,
la felicit del vivere.74
72) lbid, 15, 5,
7.
73) Quod
cuncta
praccellit
(De civ. Dei 8, 4).
74)
De civ. Dei
8,
9.
Agostino
di
Ippona
171
Secondo
Agostino
l'attributo che
maggiormente
caratterizza Dio o
meglio
10
distingue
da
ogni
altra realt la immutabilit
(incommutabili-
tas) o eternit. Tutte le
cose
che
vengono
dopo
Dio sono corrose
dal tarlo
della caducit
e sono
circondate dall'abissodel nulla:
sono tutte
fragilis-
sime,
provvisorie,
instabili,mutevoli,
transitorie
(del nunc transiens:
momenti che
passano),
futili,
in
se stesse
insignificanti; pi
morte che
vive e moribonde
gi
dal momento in cui comincianoa esistere. Per
con-
tro Dio
e
soltanto Lui si trova al di
sopra
di
questo
immenso
oceano
di
cose
fugaci,
sovranamente
immobile,
stabile
(stans), eterno,
simile
a una
possente piramide
attorno a cui si ammucchano
e
scompaiono
le dune
di sabbia del deserto.
Nessun altro filosofoha
un senso cos
vivo,
cos acuto della immuta-
bilitdi Dio come
Agostino,
il
quale
la celebra
e
la
proclama
incessante-
mente in tutti i suoi scritti.
Qui
ci limiteremo
a un
paio
di citazioni tratte
dal De Trinitate.
Nulla di mutevole vedo in
Dio,
n
per
movimento
spaziale
e
tempo-
rale
come ne subiscono i
corpi,
ne
per
movimenti
puramente tempo-
rali
e
che hanno
un
qualcosa
di
spaziale,
come
nel
caso del
pensiero
dei nostri
spiriti,
n
per
movimenti
puramente temporali
senza
nep-
pure qualche immagine spaziale,
come nel
caso
di alcuni
ragiona-
menti dei nostri
spiriti.
Infatti l'essenza di
Dio,
ragione
del
suo
essere,
non
ha assolutamente nulla di mutevole sia nella eternit sia nella
verit o nella volont:
perch
in Dio eterna e la
verit,
eterna la
carit,
vera
la
carit, vera l'eternit; amata l'eternit, amata la verit.75
...
Ci che
non troviamo in ci che vi di
migliore
in
noi, non
dob-
biamocercarlo in Colui che molto
migliore
di ci che vi di
miglio-
re di noi.
Concepiamo dunque
Dio, se
possiamo, per quanto
lo
pos-
siamo,
buono
senza
qualit, grande
senza
quantit,
creatore senza
necessit,
al
primo posto
senza collocazione
(sine
situ
praesidenteml,
contenente tutte le
cose ma senza esteriorit, tutto
presente, dapper-
tutto e senza
luogo, sempiterno
senza
tempo,
autore delle
cose mute-
voli
pur
restando assolutamenteimmutabileed estraneo ad
ogni
pas-
sivit.
Chiunque concepisce
Dio a
questo
modo,
sebbene
non
possa
ancora
scoprire perfettamente
ci che
,
evita almeno
con
pia diligen-
za,
per quanto pu,
di
attribuirgli
ci che
non . Dio
,
tuttavia
senza
dubbio, sostanza, o se il termine
pi proprio, essenza,
che i
greci
chiamano ousia
(...).
Ma tutte le altre
essenze o sostanze che conoscia-
mo,
comportano degli
accidenti,
da cui derivano ad
esse trasforma-
zioni
grandi
o
piccole.
Dio
per
estraneo a tutto
questo
e
perci
vi
una sola sostanza immutabile
o
essenza,
che
Dio,
alla
quale
convie-
75) De Trin.
4, 1,
1.
172 Parte
prima
ne nel senso
pi
forte e
pi
esatto (maximc et verissime
conapetit),
que-
sto essere
dalla
quale
l'essenza deriva il
suo nome.
Perch ci che
muta non conserva l'essere, e ci che
pu mutare,
anche
se di fatto
non muta,
pu
non essere ci che
era. Perci solo ci che non soltanto
non muta, ma
soprattutto
non
pu
assolutamente
mutare,
merita
senza riserva e alla lettera il nome di essere (zverissimedicatur esse).7"*
In
questi
testi due
sono
le
cose
pi importanti
da rilevare:
a)
il criterio
da
seguire
nel determinare
gli
attributi di Dio: non
assegnargli
nulla di
quanto

imperfetto
in noi o
fuori di
noi, ma soltanto ci che
perfetto,
cio
migliore
in senso assoluto; b)
la
equiparazione
dei concetti di im-
mutabilit
(immutabilitas)
ed
essere (esse),
partendo
dallimmutabilit
piuttosto
che
dall'essere, come se
Yimmutabilit
godesse
di
qualche
priorit rispetto
all'essere. Il che attesta che
Agostino
non
ha
ancora
rag-
giunto quella
concezione di
essere inteso come actus, perfezione
fonda-
mentale,
primaria
e assoluta,
attualit di
ogni atto,
che
svilupper pi
tardi Tommaso
d'Aquino.
Quanto
agli
altri attributi
su cui
Agostino
si sofferma volentieri
quan-
do vuole descrivere la natura di Dio:
semplicit,
bont,
sapienza,
carit,
potenza,
infinit,
felicit
ecc.,
merita
speciale segnalazione
l'attributo
della bellezza. Anche di
questa
(come
della
immutabilit)
Agostino

cantore straordinario,
superbo:
la celebra in tutti i
toni, sostenuto da
una
finissima sensibilitestetica e da una intensa
genialit
letteraria. Sono
autentiche
pagine
liriche
quelle
che
Agostino
dedica alla bellezzadi Dio.
Ecco un
esempio
tratto dal Corrzmento al
Vangelo
di Giovanni:
...
Mediante l'amore noi diventiamo belli. Che fa
un uomo
storpio
con un
volto
sfigurato
se ama una bella donna? Che fa
una
donna
brutta,
storpia,
nera se ama un uomo
bello? Pu diventare forse bella
in virt dell'amore? E
quello pu
diventare attraente in virt dell'a-
more?
Aspettcr
di diventare bello?Ma
aspettando
diventa ancora
pi
vecchio
e
brutto di
prima.
Non c' via
d'uscita, non
puoi dargli
nessun
buon
consiglio.
Ma la nostra anima, fratello, deforme
per
via della
sua
trasgressione:
amando Dio diventa bella. Che
amore
questo
che
abbelliscel'amante. Ma Dio
sempre
bello,
mai deforme, mai mutevo-
le.
Egli,
il
bello,
ci ha amati
per primo,
e in che condizioni ci ha amato?
Nella condizionedi esseri brutti
e
deformi. Ma non
per
lasciarci brutti,
bens
per
mutarci e renderci,
da
brutti,
belli
(qui
et
foedos
dilexit, ut
pul-
chros
faceret).
Ma come
diventiamo belli? Riamando colui che eterna-
mente bello.
Quanto pi
cresce
in te l'amore, tanto
pi
cresce
la bellez-
za
perch
l'amore stesso la bellezzadellanima.77
75) HIIL, 5, l,
2-3.
77)
In
10h.
tr. 9,
9.
Agostino
di
Ippona
173
La
ragione
che muovendo da
questo
mondo
oppure
da
se stessa
rag-
giunge
Dio,
scopre,
oltre
agli
attributi
essenziali,
quelli
cio che si fonda-
no direttamente sulla sua
sostanza,
anche i suoi attributi relativi:
quelli
che
gli competono
in forza delle
operazioni
ad extra con cui chiama
all'essere
e conserva nell'essere le sue creature. Tali
sono i titoli di
crea-
tore,
padre, provvidente, giudice,
rimuneratoreecc. Sul
significato
e sul
valore di
questi
titoli la filosofiacristiana aveva
fatto
piena
luce sin dai
tempi
di Clemente Alessandrinoe
Origene.
Il merito di
Agostino
in
que-
sta materia di
avere consolidato le
posizioni
tradizionali difendendole
dagli
attacchi dei manichei
e dei
neoplatonici.
Secondo
Plpponate
non
pu
esservi dubbio che il titolo di Creatore
compete
soltanto a Dio: Lui
il
principio supremo
e unico di
qualsiasi
realt.
Quindi
fa
vedere, contro
i
manchei,
che al di fuori di Dio non esiste alcun altro
principio primo,
e,
contro i
platonici,
che
non si
pu
dare nessun'altra fonte intermedia
dell'essere. Per
provare
il
suo assunto
Agostino distingue
tra
generare,
fabbricare, creare: solo chi
crea
produce
una cosa dal nulla
(ex rzihilo),
invece chi
genera
o
chi fabbricasfrutta
un materiale
precedente.
Ci che
uno fa,
lo fa
o
dalla
sua sostanza o
da
un
qualcosa
fuori di s
o dal nulla. L'uomo che
non
onnipotente,
dalla
sua sostanza
genera
il
figlio, e,
come artefice,
dal
legno
fa
l'arca, ma non
il
legno;
ha
potuto
fare il
Vaso,
ma non
l'argento.
Nessun uomo
pu
fare
qualcosa
dal
nulla, cio fare che
sia,
ci che
non e assolutamente. Dio
invece, perch
onnipotente,
dalla sua sostanza ha
generato
il
Figlio,
dal nulla ha
crea-
to il
mondo, e dalla terra ha
plasmato
l'uomo. C' una
grande
diffe-
renza tra ci che Dio ha
generato
dalla sua sostanza, e ci che ha fatto
non dalla
sua sostanza, ma dal
nulla; cio ha fatto che ricevesse l'esse-
re e
fosse
posto
tra le cose
che
sono ci che assolutamentenon era.78
Creatore solamente colui che
produce
le
cose come causa
prima.
E
nessuno lo
pu
all'infuori di colui
presso
il
quale
sono
originaria-
mente le
misure,
i
numeri,
i
pesi
di tutte le cose
che esistono: e
questi
soltanto Dio
creatore,
dalla cui ineffabilesovranit
dipende
che
quanto gli angeli
cattivi
potrebbero
fare, se fosse loro
permesso,
non
lo
possono
invece fare
perch egli
non lo
permette
loro.79
Per
Agostino,
avendo stabilitoche Dio il
principio primo
e univer-
sale di
ogni
cosa e
che l'essere
spetta
di diritto a Lui
soltanto,
avendo
fatto la diretta
e
personale esperienza
della
paterna
sollecitudinedi
Dio,
diventa
cosa
agevole arguire
che
a Dio
compete
anche il titolo
(che
gi
gli
Stoici
avevano
assegnato
al
Logos)
di
reggitore provvidente,
il
quale
assiste con
premura
le
sue
creature,
concedendo a ciascuna
quanto
le
75) Contra PelicemMan.
2,
18.
79) De Trin.
3, 9,
18.
174 Parte
prima
necessita
per
il
pieno sviluppo
delle
proprie potenzialit
(i
germi
senzinali
inscritti nella sua essenza). Ecco come
l'elegante
scrittore di
Ippona,
col
suo
linguaggio
fiorito,
illustra
questo
attributo di Dio:
Dio,
immutabilecreatore e moderatore delle cose mutevoli,
molto
pi
dell'uomo sa ci che
opportuno per
ciascuna
et,
ci che a un
dato momento deve
fare,
aggiungere, portar
Via, detrarre, accrescere
o diminuire fino a
che la bellezza dell'universo,
particelle
del
quale
sono
le cose
adatte a ciascun
tempo,
non si
svolga
e non si
compia
come
il concerto di
un
ineffabileartista, e coloro che adorano Dio
come si deve anche nel
tempo
in cui occorre credere, non
passino
alleterna
contemplazione
della Bellezza ass0luta>>f
La volont di Dio che ha i venti
per
i suoi
messaggeri,
i
lampi
di
fuoco
per
i suoi ministri"
(Hcbr. 1, 7)
presiede
sul suo trono alto, santo,
segreto,
nella sua
casa,
nel suo
tempio,
tra
gli spiriti
che unisce tra loro
una
suprema pace
e amicizia, e fonde in un
solo cuore
l'ardore della
carit. Di l si diffonde
dappertutto,
movendo con
ordine
perfettissi-
mo
prima
le creature
spirituali, poi quelle
materiali. D tutte le cose si
serve
secondo le sue
irrevocabili decisioni;
delle immateriali e
delle
materiali,
degli spiriti ragionevoli
e
irragionevoli,
di coloro che
per
sua
grazia
sono
buoni e
di coloro che
per
la loro
propria
volont sono cat-
tivi. Ma come
i
corpi pi pesanti
e
pi
deboli sono
governati
secondo
un
ordine determinato da
corpi pi
sottili e
pi potenti,
cos tutti i
corpi
sono
governati
secondo un essere
vivente e
il vivente
privo
di
ragione
da un vivente
ragionevole,
il vivente
ragionevole
che si fatto
disertore e
peccatore
da un
vivente
ragionevole, pio
e
giusto,
e
questo
da Dio
stesso;
cos tutta la creazione
governata
dal suo creatore,
dal
quale, per
mezzo
del
quale
e
nel
quale
stata creata e ordinata. Di con-
seguenza
la volont di Dio la causa
prima
e
suprema
di tutte le
forme e
i movimenti sensibili.Niente infatti di visibilee sensibileacca-
de senza
che dal
profondo
del suo
palazzo
invisibilee
intelligible
il
supremo
Sovrano (de
interiore invisibili
atquc intelligibili
aula summi
Imperatoris)
l'abbia comandato o l'abbia
permesso
in conformit alla
ineffabile
ripartizione
dei
premi
e delle
pene,
delle
grazie
e
delle
ricompense
in
questo
vastissimoe
immenso Stato che la creazione>>.81
Trascendenzae
ineffabilitdi Dio
Da
quanto
abbiamo
esposto
sin
qui
risulta che
Agostino
ha
un con-
cetto altissimo di
Dio, un
concetto chiaro, luminoso, maestoso,
carico di
quel
fascino
abbagliante
che
possiede
la realt di Dio
per
chi la incontra,
ma
che lo
sguardo
di nessuna
mente umana
in
grado
disostenere a
8)
Epist.
138, l,
5.
31) De Trin.
3, 4,
9.
Agostino
di
Ippona
175
lungo.
Qui
per
nasce un
problema, perch
il discorso su Dio
possibi-
le,
anche nel
migliore
dei casi
(cio
quando
stato concesso
di incontrar-
lo e
di
vederlo),
soltanto
dopo
che si lasciata la vetta (il settimo
grado
del De
quantitate
animata) e si tornati tra i mortali. Ma se
questa
la si-
tuazione comune
di chi
parla
di
Dio,
che
cosa rimane effettivamente di
quella
sublime realt nei nostri concetti
e nelle nostre
parole?
Questo
problema
era
gi
stato affrontato da
Filone, Plotino,
Clemente
e
Origene,
i
quali
l'avevanorisolto affermandol'assoluta trascendenza di
Dio a tutti i
livelli,
ontologico, gnoseologico
e semanticofiNella sostanza
questa
tesi viene condivisa anche da
Agostino,
il
quale, peraltro,
si
preoc-
cupa pi
dei suoi
predecessori,
di
salvaguardare quel
minimo di conte-
nuto
positivo
senza
il
quale
la creatura
precipita
nel nulla, mentre la
nostra mente cade
nell'ignoranza
e le nostre
parole
nellassurdo.
Agostino
afferma
perentoriamente
la trascendenza di Dio a livello
ontologico
con
gli
attributi della
immutabilit, infinit,
incorruttibilit.

quanto
abbiamo
gi
visto
podanzi.
Altrettanto
categorica
la
sua
affermazionedella trascendenza a livello
gnoseologico
e
linguistico
(se-
mantico).
Ecco
qualche
testo emblematico: Se si
comprende
ci che si
vuol dire di
Dio, non
Dio; non lui che si vuol
comprendere
ma
qual-
che altra
cosa al
posto
di
lui; e se si crede di aver afferrato lui
stesso,
si
zimbellodella fantasia.
Egli
non ci che si
pu comprendere:
ci che
non si
comprende.
E come
parlare
di ci che
non si
potrebbe compren-
dere?.83
Quando
parliamo
di Dio
non c' da
meravigliarsi
se non si
comprende.
Tale
ignoranza

pi pia
che
una scienza temeraria.
Attinge-
re un
pochino
Dio
procura
una
grandissima
soddisfazione; ma com-
prenderlo
e assolutamente
impossibile>>fi4
Ci
chEgli
in se stesso
impossibilepensare,
anzi lo
ignoriamo; perci qualsiasi
concetto ci for-
miamo di Lui dobbiamo
respingerlo
e
allontanarlo
(...).
C'
pertanto
in
noi una
specie, per
cos
dire,
di dotta
ignoranza, acquisita
con l'aiuto
dello
Spirito
Santo,
il
quale
viene incontro alla nostra debolezza>>fi5
L'intera
parabola
della conoscenza
che l'uomo
pu
avere
di
Dio,
la
quale
inizia con
Vappassionata
ricerca della
sua realt, tocca il vertice
del
subitaneo,
folgorante
incontro con Lui e
poi
declina nuovamente
verso le oscure lande della
ignoranza,
tracciatacon esattezza nell'otta-
vo
Libro del De Trinitate.
S?) Per le
posizioni
di
Filone, Platino,
Clemente e
Origene
rinvio il lettore al mio
volume
ll
problema
del
linguaggio teologica
dalla
origini
a
oggi,
Queriniana,
Brescia
1975,
2 ed.
33) Sermo 52,
16.
34)
Sermo
117,
3.
35) Epist. 130,
ad
Probam,
PL
33,
505.
176 Parte
prima
Comprendi dunque
se
puoi,
0
anima tanto
appesantita
da un
corpo
soggetto
a corruzione e
aggravata
da
pensieri
terrestri
molteplici
e vari;
comprendi,
se lo
puoi,
che Dio e Verit.
scritto infatti che Dio
luce,
non
la luce che vedono i nostri occhi, ma
quella
che vede il
cuore,
quan-
do sente dire: la Verit. Non cercare
di
sapere
cos' la
Verit,
perch
immediatamentesi
interporranno
la
caligine
delle
immagini corporee
e
le nubi dei fantasmi e turberanno la
limpida
chiarezza,
che al
primo
istante ha brillatoal tuo
sguardo quando
ti ho detto: Verit. Resta se
puoi
nella chiarezza iniziale di
questo rapido fulgore
che ti
abbaglia,
quando
si dice: Verit. Ma non
puoi,
tu ricadi in
queste
cose
abituali e
terrene. Qual

dunque
il
peso
che ti fa
ricadere, se non
quello
delle
impurit
che ti hanno fatto contrarre
il
glutine
della
cupidigia
e
gli
erro-
ri del tuo
peregrinare?.86
Com'
agevole
constatare,
nel suo insieme
l'insegnamento
di
Agosti-
no sulla conoscenza
di Dio estremamente dialettico. Per
quanto
con-
cerne
Pesistenza
egli
ne
afferma
con
assoluta sicurezza la conoscibilit;
invece
per quanto
si riferisce alla natura di Dio
egli
riconosce alla mente
umana
la
capacit
di
percepirne
alcuni
attributi, ma
mai di
pensare
e di
comprendere
la
sua
intima essenza.
Alla trascendenza
gnoseologica
di Dio si
accompagna
necessaria-
mente la trascendenza semantica:
poich
Dio
supera ogni
ente e
ogni
concetto
egli oltrepassa
anche
ogni parola
e
ogni linguaggio positivo
(catafatico).
Questa era
gi
dottrina della Bibbia. Poi era stata fortemente accen-
tuata dai
neoplatonici,
che avevano
dato
grande
rilievoalla
teologia apo-
fatica.
Essa viene
ripresa
da S.
Agostino
e
diviene
uno
dei tratti caratteri-
stici della sua
teologia
filosofica.
Dio, osserva
Agostino,
resta ineffabileanche
dopo
che l'uomo ha
sco-
perto
la
sua
esistenza: <<Prima di
avere
conosciuto Dio ritenevi di
essere
in
grado
di
esprimerle;
ma ora
che hai incominciato a
conoscerlo ti
accorgi
che
non
sei
capace
di
esprimerlo.
Ma avendo
scoperto
che non
puoi esprimere
ci che
conosci,
dovrai restare in silenzio, senza lodare
Dio?
Eppure
a Lui si deve
onore e
gloria
(...).
In che
modo, domanderai,
dovr lodarlo? Mi
impossibile
dire
quel poco
che
conosco
enigmatica-
mente e
indirettamente
(...).
Tutte le altre cose
possono
essere
espresse
in
qualche
modo;
solo Dio ineffabile,
Lui il
quale pronunci
una
parola
e
tutte le cose
furono fatte. Lui disse
una
parola
e noi siamo stati
creati;
ma noi siamo
incapaci
di
parlare
di Lui..87
85) De Trin.
8, 2,
3.
87) Enarr. in Ps. 99, 6.
Agostino
di
Ipporza
177
Ma
questa
antinomia tra effabilt
e ineffabilitdi Dio
non conduce
a
un vicolo cieco che rende inutile
qualsiasi
sforzo di discorrere
su di Lui?
Agostino

consapevole
di
questa
difficolt,
apparentemente
insolubile,
nascosta sotto la dottrina della ineffabilit.Per ritiene di
poterla
supera-
re. Nella Dottrina cristiana
egli
laffronta
esplicitamente
e la risolve nel
modo
seguente. Dopo
avere riferito
l'insegnamento
tradizionale
su Dio,
Agostino
confessa che
quanto
ha detto molto al di sotto di
quanto
avrebbe voluto
dire,
perch
Dio e
inesprimibile(ineffabile)>>.88Ma,
si
domanda allora
lIpponate:
come mai ho
potuto
dire
quanto
ho
detto, se
Dio effettivamente
inesprimibileh.
Ed
ecco
la
risposta:
per
il fatto stes-
so
che dicendo che Dio
inesprimibile
si dice
qualcosa
di
Lui,
si dovrebbe
arguire
che
neppure
lui ineffabile.In effetti
qui
ci troviamo in
un
conflit-
to di
parole (pugna verboruzn),
perch se dobbiamochiamare ineffabileci
che
non
pu
essere detto, non
pi
ineffabileci di cui si
pu
almenodire
che ineffabile.Da
un simile conflitto
per

pi
facileuscire col silenzio
che
con le
parole.
E tuttavia
Dio,
malgrado
la nostra
incapacit
di dire
qualche
cosa che sia
degno
di
lui,
ha accolto
l'omaggio
della
Voce umana
e
ha voluto che lodandoloci
potessimo
valere delle nostre
parole.89
Come si evince da
questo passo,
secondo
Agostino
il
linguaggio
reli-
gioso, per quanto
estremamente
povero, quasi impotente
in sede
seman-
tica,
risulta efficacissimoin sede
dossologica:

uno strumento essenzia-
le
per
dare lode
a Dio
(dossologia).
E in realt ben
pochi
autori
possono
rivaleggiare
con lui nell'uso
dossologico
del
linguaggio:
in
questo
le
Confessioni
sono un testo
impareggiabile.
Tuttavia
non si
pu
rinunciare
Completamente
al riconoscimentodi
un
certo valore semantico
e
cognitivo
del
linguaggio religioso,
altrimenti
diventerebbenecessario rinchiudersi in
quel
mutjsmo invocato da
una
certa
teologia
del silenzio di
Dio,
che conduce inevitabilmenteal-
Yateismo.
Trascrizionemetafisica del mistero trinitario
Che
cosa si
possa
realizzare in
teologia
con la metafisica lo ha
mo-
strato in modo
egregio Sant'Agostino
trattando della
Trinit,
il
pi
ele-
vato e ineffabiledi tutti i misteri cristiani.
La definizione corretta del mistero trinitario fu il risultato di alcuni
secoli di accesi
dibattiti,
infuocate
dispute,
animate
discussioni,
ap-
profondite
riflessioni
a cui
parteciparono
molti Padri della Chiesa
greca
55) Doct. christ.
1, 6.
59) Ibid.
178 Parte
prima
(in
particolare Origene,
Atanasio, Basilio,
Gregorio
Taumaturgo)
e
della
Chiesa latina (Tertulliano,Ilario,
Agostino).
Tertullianofu il
primo
ad introdurre alcuni termini chiave
per
la defi-
nizione del mistero trinitario, gettando
cos le basi della
terminologia
latina. Per definire i
rapporti
esistenti tra il Padre,
il
Figlio
e
lo
Spirito
Santo
egli
adotta la formula una sostanza e tre
persone.
Per
quanto
ne
sappiamo egli
anche il
primo
ad
operare
il termine trinitas. Tertulliano
dichiara inoltre che i Tre della Trinit
possono
essere
contati: numerum
sine divisione
patiuntur>>fl
in modo
per
che la distinzione e la
disposi-
zione non
costituiscono una
separazione:
essi sono una cosa
sola
(imam), ma non un
solo individuo(unus).
Un notevole
passo
avanti Verso una
trascrizione
completa
del mistero
della Trinit nel
linguaggio
metafisico fu
compiuto
da Mario Vittorino.
Questi,
come
abbiamo visto,
applica
alle tre Persone divine i concetti
con
cui Porfirio aveva
definito le
ipostasi primarie
dellUno: Essere,
Vita, Pensiero,
chiamandoil Padre Essere,
il
Figlio
Vita e lo
Spirito
Santo
Pensiero. Ma, come
abbiamoosservato,
questa
formulazionedel mistero
trinitario sembravaincorrere nelleresia del modalismo.
Agostino riprende
la
questione
ex novo e ci si butta dentro con tutte le
forze del suo
possente ingegno. Egli compone
il suo
magistrale
De Trinitate,
che non soltanto il
pi importante
di tutti i trattati sulla
Trinit, ma forse anche, a nostro avviso,
la
pi geniale opera
teologica
di
tutti i
tempi.
ll trattato stato scritto a
pi riprese
assumendo
amplificazioni
che
nel
piano
iniziale non erano
previste.
Ci
spiega
le
ripetizioni
che si
incontrano
negli
ultimi libri. La
ripartizione dell'opera
e
la storia della
composizione
ce
le fa conoscere
lo stesso
Agostino,
nel secondo libro
delle Ritrattazioni:
I
quindici
libri intitolati La Trinit li scrissi durante molti anni. Ma
non avevo ancora
terminato il
dodicesimo, quando

per
averli tratte-
nuti
pi
di
quello
che
potevano sopportare
coloro che li desideravano
- mi furono sottratti non ancora
corretti
quanto
avrei desiderato che
lo fossero
per pubblicarli.
E
perci quando scoprii
che altri
esemplari
erano
restati
presso
di
noi,
proposi
di non
pubblicarli
com'erano, ma
di unirli a un altro lavoro in cui
poter
raccontare
quello
che di essi era
accaduto.
Pregato per
dai fratelli ai
quali
non
seppi
resistere,
li
cor-
ressi
quanto
credetti necessario,
li
completai
e
li
pubblicai, aggiun-
gendo
all'iniziola lettera indirizzataad Aurelio vescovo
di
Cartagine,
nella
quale,
come
in
prologo, esposi quello
che era accaduto, quello
che avevo
pensato
di farne, e
quello
invece che avevo
fatto
spinto
dalla carit dei fratelli.91
90) TERTULUANU,
Adversus Praxeam 2,
4.
91) RetmCLZ,
15.
Agostino
di
Ippona
179
Da buon
teologo,
nei
primi quattro
libri,
Agostino
espone
il mistero
della Trinitdal
punto
di vista
biblico,esaminando
e
spiegando
tutto ci
che della Trinitviene detto nella Sacra Scrittura.
Poi, nei tre libri
succes-
sivi,
affronta il mistero della Trinitdal
punto
di vista
teologico,
cercan-
do di trovare una
formula
capace
di dire a un
tempo
sia l'identit
so-
stanziale delle Persone sia la loro distinzione
personale.
Non V' alcun dubbioche l'unit di Dio
riguarda
anzitutto la sostanza
o natura,
la
quale
e identica intutte
e tre le Persone. Ma l'unit
riguarda
anche le
qualit
e
le attivit:
non ci
sono attivit
e
qualit
che
competono
esclusivamente al Padre ed altre che
competono
soltanto al
Figlio
e altre
ancora allo
Spirito
Santo. Cos non si
pu
assegnare
esclusivamente al
Figlio
la
sapienza
e allo
Spirito
Santo la
vita, come
suggeriva
(in modo
invertito) Mario Vittorino. Ecco un
paio
di testi in cui
Agostino
si
espri-
me
meglio
a
questo riguardo:
Dio
senza dubbio sostanza
o, se il termine
pi proprio, essenza,
che i
greci
chiamano ousia. Come infatti dal verbo
sapere
si fatto
derivare
sapientia,
da
scire, scientia,
dal verbo
esse si fatto derivare
essentia. E chi
dunque pi
di Colui che ha dichiarato al suo servo
Mos: I0 sono colui che sono (Ex. 1, 14).
D ai
figli
di Israele: Cohu che
,
mi ha nmndato a voi? Ma tutte le altre
essenze o sostanze che conoscia-
mo, comportano degli
accidenti,
cla cui derivano ad
esse trasforma-
zioni
grandi
o
piccole.
Dio
per
estraneo a tutto
questo
e
perci
vi
una sola sostanza immutabileo
essenza,
che
Dio,
alla
quale
convie-
ne nel senso
pi
forte e
pi esatto,
questo
essere dal
quale
l'essenza
deriva il
suo nome>>.92
In
quello
che si riferisce
a se stesso e non ad
altri, Dio ci che ha.
Cos si dice
vivo,
perch Egli
ha la
vita,
anzi la vita stessa. Una natu-
ra infatti si dice
semplice quando
non
ha nulla che
possa perdere
o
acquistare,
nulla che sia altra
cosa da ci che
essa , come avviene
per
il
vaso che contiene
liquore;
il
corpo
che ha
un colore; l'aria, la luce o
il
calore;
l'anima che ha la
sapienza.
Nessuno di
questi
essere e ci
che ha
(...).
Si dicono
dunque semplici
secondo
questo principio,
le
cose che
sono
principalmente
e veramente divine, nelle
quali
non Vi
distinzione tra sostanza e
qualit
e che
sono divine,
sapienti
o beate,
non
per partecipazione
altrui. Dio e detto nella Sacra Scrittura
Spirito
nzolteyilice
di
Sapienza, perch
ha in s molti
doni, ma
Egli
ci che ha
e
quantunque molteplice
nei
cloni,
uno nellessenza. Non vi
sono
infatti molte
sapienze,
ma una sola nella
quale
ci
sono immensi e infi-
niti tesori di
cose
intelligibili,
che racchiudono
tutte le
ragioni
invisi-
bili
e immutabilidelle
cose
anche visibili
e mutabili,create
per
mezzo
della
Sapienzaw
92) De Trin.
5, 2, 3.
93) De civ. Dei
11,
10.
180 Parte
prima
In
questi
brani abbiamo sottolineato
la bellissimaformula: Dio ci
che ha. Dio in effetti l'unico essere
che si identifica con tutto ci che
possiede:
Dio ha la vita ed la
vita;
Dio ha la verit ed la
verit,
Dio ha
la bont ed la bont;
Dio ha l'essere ed l'essere;
Dio ha lo
spirito
ed
lo
spirito
ecc.
Ci non
vero
di nessuna creatura. L'uomo ha la vita ma
non
la
vita;
ha l'essere ma non e l'essere;
ha la Verit ma non e la veri-
t...
In
questa
formula e
gi implicito
tutto
quello
che
per
capitoli
e
capi-
toli, con
grande
acutezza
Agostino
mette in chiara evidenza: l'identit
delle
perfezioni
assolute (bont, sapienza,
verit,
potenza
ecc.) con
l'es-
senza
divina. Per
es.,
la
sapienza, per quanto apparentemente legata
alla
seconda Persona della
Trinit, non
pu
essere una
propriet
assoluta di
tale
persona,
altrimenti il Padre non
sarebbe
primigeniamente sapiente,
ma
lo diverrebbesoltanto
grazie
al
Figlio.
N d'altronde la
sapienza pu
essere
propriet
assoluta del Padre
perch
in tal caso
il
Figlio
sarebbe
una
qualit
del Padre. Ne
consegue
che la
sapienza
non
una
qualit
personale
e
relativa di
questa
o
quella
Persona divina, ma una
qualit
essenziale, assoluta,
che si identificacon
l'essenza stessa.
Nella Trinit l'essenza
supremamente
semplice
e in
essa, dunque,
essere
ed essere
sapiente
si identificano. Ma se
l essere
ed essere
sapiente
sono
la stessa
cosa,
non
la
sapienza ch'egli
ha
generato
che
fa il Padre
sapiente,
altrimenti non
lui avrebbe
generato
essa,
ma essa
lui. Che altro infatti diciamo,
quando
diciamo:
per
lui essere
essere
sapiente,
se non:
sapiente per
ci
per
cui ? Di
conseguenza
la causa
che fa si che
egli
sia
sapiente
la stessa causa
che fa s che
egli
sia.
Pertanto se la
sapienza
che il Padre ha
generato,
essa
e anche la
causa
che fa s che
egli
sia. E
questo
non

possibile
se non in
quanto
lo
genera
e
lo crea.
Ma nessuno
chiamer mai la
sapienza
n
genera-
trice n creatrice del Padre. Che vi infatti di
pi
insensato?
Dunque
il Padre stesso la
sapienza
e si chiama il
Figlio sapienza
del Padre
come
lo si chiama luce del Padre. Cio allo stesso
modo che si chiama
il
Figlio
"luce da
luce", e l'uno e
l'altro sono una
sola
luce,
cos si ha
da intendere
"sapienza
da
sapienza
e l'uno e
l'altro sono una
sola
sapienza.
Perci sono
pure
una
sola
essenza, perch qui
essere
la
stessa cosa
che
essere
sapiente.
Infatti ci che
essere
sapiente
in
rap-
porto
alla
sapienza,
e
il
potere
alla
potenza,
l'essere
grande
alla
gran
dezza,
l'essere stesso lo alla essenza.
E
poich
in
quella semplicit
essere
sapiente
non cosa
diversa dall'essere,
ivi la
sapienza
e la stes-
sa cosa
che l'essenza.94
94) De Trin. 7, l,
2.
Agostino
di
Ippona
181
Dimostrando la
perfetta
identit delle Persone a livello di
essenza e
di
perfezioni assolute,
Agostino
aveva
praticamente
concluso che la
ragione
della distinzione tra le Persone si doveva
cercare altrove. Dove?
Non in
qualche qualit
accidentale
e
neppure
nella
moltiplicazione
numerica,
che
sono le
ragioni pi frequenti
della distinzione tra
gli
indi-
Vidui di una stessa
specie, perch
nella Trinit non ci
sono
qualit
acci-
dentali
(tutto
essenziale)
n estensione
(che
il fondamento della mol-
tiplicazionenumerica). Lunico
principio
di distinzione tra le
persone,
che
ne
salvaguardava
allo stesso
tempo
Yassoluta identit
a
livello di
essenza e di
perfezioni assolute,
si
poteva
rinvenire nella
categoria
della
relazione. Era una soluzione
gi
intravista da alcuni scrittori orientali
(Basilio e
Anfiloco di
Iconio).
Agostino
la fece
sua e la
perfezione
ulte-
riormente,
facendo
compiere
alla
teologia
della Trinit
un
passo
decisi-
vo. L'identit del. Padre data dalla relazione della
Paternit,
quella
del
Figlio
dalla relazione della
Filiazione,
quella
dello
Spirito
Santo dalla
donazione
passiva. Agostino
osserva che
queste
relazioni,
essendo nel-
lordine della
opposizione
e non in
quello
delle
perfezioni
assolute
(ad se), dicono solo distinzione
e non diversit di
perfezione
tra una
Persona
e l'altra.
Queste
relazioni
sono reali, e
quindi comportano
una
distinzionereale tra i termini correlativi - il Padre
non il
Figlio,
il
Figlio
non il Padre
ecc.
-
sono immutabili,sono sussistenti,
ed essendo le
relazioni
simultanee,
le Persone divine
sono
egualmente
eterne. Il
Figlio
mai ha cominciato ad
essere
Figlio,
ma lo
sempre
stato, come il Padre
non
ha mai cominciato ad
essere Padre, ma lo
sempre
stato, e lo stesso
vale anche
per
lo
Spirito
Santo.
Dunque
in Dio nulla ha
significatoaccidentale,
perch
in lui non vi
accidente, e tuttavia
non tutto ci che di Lui si
predica,
si
predica
secondo la sostanza
(...).
Infatti si
parla
a volte di Dio secondo la rela-
zione
(dicitur enim ad
aliquid);
cos il Padre dice relazione al
Figlio
e
il
Figlio
al
Padre, e
questa
relazione
non
accidente,
perch
l'uno e
sempre
Padre,
l'altro
sempre Figlio (...).
E
poich
il Padre
non chia-
mato Padre
se non
perch
ha
un
Figlio,
e
il
Figlio
non chiamato
Figlio
se non
perch
ha
un Padre,
queste
non sono denominazioni che
riguardano
la sostanza. N l'uno n l'altro si riferisce
a se stesso e
queste
sono denominazioni che
riguardano
la relazione e non sono di
ordine
accidentale,
perch
ci che si chiama Padre
e ci che si chiama
Figlio
eterno e immutabile. Ecco
perch
sebbene non sia la stessa
cosa essere Padre ed Essere
Figlio,
tuttavia la sostanza non
diversa,
perch questi appellativi
non
appartengono
all'ordine della
sostanza,
ma
della relazione
(non secundum substantam dicuntur sed secundum
relativum);
relazione che
non un accidente
perch
non mutevole.95
95) lbicL, 5, 5,
6.
182 Parte
prima
Situando la
ragione
della distinzione tra le tre Persone divine nelle
relazioni sussistenti (sussistenza
della
Paternit,
della Filiazionee
della
donazione
passiva) Agostino
intendeva
sfuggire
a un
bruciante dilem-
ma (callidissimznn machinanzentum)
posto
dai critici ariani. Basandosi
sullo schema aristotelico delle
categorie,
essi sostenevano che le distin-
zioni allinterno della divinit,
qualora
vi siano devono essere
classifica-
te o nella
categoria
della sostanza o
in
quella
dellaccidente.
Quest'ulti-
mo era
fuori
questione, perch
Dio non
ha
accidenti;
la
prima portava
alla conclusioneche i Tre sono sostanze
indipendenti. Agostino respinge
entrambe
queste
alternative,
affermando che il concetto di relazione (ad
aliquid
relatio)
sussiste. I
Tre, egli
continua ad
affermare, sono relazioni,
altrettanto reali ed
eterne,
del
generare,
dell'essere
generato
e
del
proce-
dere
(o
dell'essere donato)
all'interno della Divinit che le fa
sorgere.
Pa-
dre,
Figlio
e
Spirito
Santo sono relazioni nel senso
che ciascuno di loro e
in relazione con uno o
ambedue
gli
altri.6
Risolto il
problema
del fondamento della distinzione
personale
nelle
relazioni sussistenti
qualcuno
avrebbe
potuto pensare
che la discussione
del mistero trinitario fosse ormai conclusa. Non
per Agostino. Egli
era
riuscito a trovare una
soluzione
pienamente
soddisfacentedella
questio-
ne
pi importante
e
pi
difficile: che le
persone
sono
perfettamente
eguali
nell'essenza e nelle
perfezioni
assolute, mentre sono
distinte nelle
relazioni sussistenti. Ma come si
distingue
la
processione
dello
Spirito
Santo da
quella
del
Figlio?
E che cosa
significa precisamente
essere
per-
sona
per
il
Padre,
il
Figlio
e lo
Spirito
Santo, se si dice allo stesso
tempo
(come
fa
Agostino)
che anche Dio
persona?
Su
questi punti
ai
tempi
di
Agostino
esistevano ancora molte incertezze.
Nel De
fide
et
syirzbolo,
uno
dei suoi
primi
scritti
teologici, Agostino
aveva
fatto la
seguente
annotazione: Uomini dotti e
spirituali
hanno
discusso in molti libri intorno al Padre e
al
Figlio...
Ma intorno allo
Spirito
Santo i dotti e
grandi
commentatori della Scrittura divina non
hanno
ancora
disputato
con tanta abbondanza e
diligenza
da farci
capi-
re
facilmenteci che
gli

proprio
nella Trinit.97 Come
sappiamo,
approfondire
e
risolvere la
questione
della
specificit
della Terza Perso-
na della Trinit divenne uno
degli
obiettivi
principali
del De Trinitate.
Restando fedele alla sua
impostazione
che
assume come
punto
di
par-
tenza della elaborazione del mistero trinitario l'essenza divina,
anzich
il Padre
(come aveva
fatto la
patristica
orientale),
Agostino
arriva a una
formulazione della
processione
dello
Spirito
Santo che si discosta al-
95) J.
N. D. KFLLY,
Il
pensiero
cristiano delle
origini, Bologna
1972,
pp.
335-336.
97)
Defidc
et
symbolo 9,
18.
Agostino
di
Ippona
183
quanto
da
quella
della
teologia
orientale. Mentre
questultima
aveva
concepito
la
processione
dello
Spirito
Santo
come
originata
dal Padre e
mediata dal
Figlio
(ex Prztre
per
Filium)
il Dottore della
grazia
ritiene
che il
rapporto
del Padre
e
quello
del
Figlio
con lo
Spirito
Santo nella
processione
della Terza Persona siano il medesimo
e lo
esprime
con
la
formula
ex Patre
filioque.
Il Padre e il
Figlio
sono insieme l'unico
princi-
pio
dello
Spirito
Santo.
'
Infatti, se ci che dato ha
come
principio
colui che lo
d,
perch
questi
non ha ricevuto da altri ci che
procede
da
lui,
bisogna
ammet-
tere che il Padre
e
il
Figlio
sono un solo
principio
dello
Spirito Santo,
non due
principi;
come
il Padre
e il
Figlio
sono un solo Dio e nei
riguardi
della creazione un solo Creatore e un solo
Signore,
cos
riguardo
allo
Spirito
Santo sono un solo
principio,
e in
rapporto
alle
creature il
Padre,
il
Figlio
e lo
Spirito
Santo
sono un solo
principio,
come sono un solo Creatore e un solo
Signore>>f18
Non esiste
pertanto
nessuna confusionetra la
processione
del
Figlio
e
la
processione
dello
Spirito
Santo. Nel
primo
caso si tratta infatti di
ge-
nerazione
(dal Padre),
nel secondo di donazione
(del
Padre
e
del
Figlio).
Qui
si trova un
po
di luce sulla
questione
che suole
preoccupare
molti:
perch
anche lo
Spirito
Santo
non
Figlio,
dato che anch'esso
esce dal Padre
come si
legge
nel
Vangelo?
Certo
egli
esce
dal Padre
ma come dono, non come nato e
perci
non si chiama
figlioperch
n
nato come
lUnigenito,
n stato fatto, come noi,
per
nascere
in
virt della
grazia
come
figli
adottivi. Ci che nato dal Padre dice
relazione esclusiva al Padre allorch si dice
Figlio,
e in effetti
Figlio
del Padre
e non anche nostro. Ma ci che stato dato,
dice relazionea
colui che ha dato e a coloro ai
quali
lha dato. Per
questo
lo
Spirito
Santo detto non soltanto
Spirito
del Padre e del
Figlio,
che lo hanno
dato, ma
anche
perch
lo abbiamoricevuto?
Non altrettanto felice risulta la soluzioneche
Agostino propone per
il
problema
del
significato
del termine
"persona" quando
lo si
usa
per
parlare
del
Padre,
del
Figlio,
dello
Spirito
Santo. Che
cosa si vuol dire
esattamente? Forse che
sono tre individui sussistenti ciascuno nella rela-
zione che
gli

propria? Questo
il
significato
che hanno dato al termine
persona gli
scolastici
a
partire
da Boezio
parlando
della Trinit. Ma
que-
sto non risulta
ancora chiaro in
Agostino. Egli
usa
persona
come
equi-
Valente del
greco hypostasis:
I
greci
hanno detto:
una
essenza,
tre so-
98) De
Trin.5, 14,15.
99)
Ibid.
184 Parte
prima
stanze;
i latini: una essenza o sostanza,
tre Personewvu Ma
quelli,
come
dicono tre sostanze
- tre
ipostasi
- cos
potrebbero
dire tre
persone,
tria
pTOS0pa>>J1
Sennonch a
parere
di
Agostino questi
termini -
persona,
ipostasi, prosopon
-
non vanno
intesi in
senso
proprio
bens di comodo,
sono
nati cio dalla necessit di dire in
qualche
modo ci che il
pensiero
intuisce, ma
la
lingua
non sa
esprimere.
Che ci resta
dunque?
Ci resta forse da riconoscere che
queste espres-
sioni sono state
originate dalfindigenza
del
linguaggio, quando
erano necessarie delle
lunghe dispute
contro le insidie e
gli
errori
degli
eretici? Infatti,
quando
la
povert
umana tentava di
esprimere
con
parole
adattate ai sensi
degli
uomini,
ci che nel
segreto
dello
Spirito sa,
sia
per
la fede
religiosa
sia
per
qualsiasi
altra
conoscenza,
essa
ha temuto di
parlare
di tre
essenze, perch
non
si
sospettasse
una
qualche
diversit in
quella suprema
eguaglianza.
D'altra
parte
non
poteva negare
l'esistenza di tre realt
perch, per
averla
negata,
Sabellio cadde nelleresia. E dalla Scrittura risulta con
assoluta certezza ci che si deve credere con fedelt, e
l'occhio dello
spirito percepisce
con
piena
chiarezza: che esiste il
Padre,
esiste il
Figlio,
esiste lo
Spirito
Santo, ma
che il
Figlio
non lo stesso che il
Padre
o
il
Figlio.
La
povert
umana si chiesta come
designare queste
tre realt e le ha chiamate sostanze o Persone, con
i
quali
termini volle
escludere tanto la diversit di essenza
quanto
l'unicit delle Persone,
in modo da
suggerire
non
solo l'idea di unit con
l'espressione
"una
essenza, ma
anche l'idea di Trinit con
l'espressione
"tre sostanze o
Persone".192
Illustrazione
psicologica
del mistero trinitario.
Il terzo obiettivo che
Agostino
si
propone
di
conseguire
nel De
Trinitate,
dopo l'approfondimento teologico,

quello
di illustrare con
immagini appropriate
il mistero trinitario.
Gi nei
Soliluqui egli
aveva
ritenuto che la Via
migliore per
raggiunge-
re la conoscenza
di Dio fosse
quella
di studiare l'anima,
che
l'immagi-
ne
che a Lui
maggiormente
si avvicina. La stessa strada
per
la
conoscen-
za della Trinitveniva raccomandatanelle
Confessioni:
Vorrei invitare
gli
uomini a
riflettere su tre cose
presenti
in se stessi,
bendiverse dalla
Trinit, ma
che indicoloro come esercizio, come
pro-
va e constatazione che
possono
fare,
di
quanto
ne siano lontani. Al-
ludo alla esistenza,
alla conoscenza e alla volont umana. lo esisto, so
100)Ibid., 7, 4,
7.
wlflbid,6,11.
102)Ibz'd., 4,
9.
Agostino
di
Ippona
185
e
voglio:
esisto
sapendo
e Volendo, so di esistere
e
di
volere,
voglio
esi-
stere e
sapere.
Come sia inscindibilela vita in
queste
tre facolt
e siano
un'unica
vita, un'unica
intelligenza
e un'unica
assenza, come infine
non sia
possibilesepararle,
pur
essendo
distinte,
lo veda chi
pu.
Ciascuno davanti
a se
stesso; guardi
in
se stesso,
veda e mi
risponda.
Ma
quand'anche
avr
scoperto
su ci
qualcosa
e
sapr esprimerle,
non si illuda di aver
scoperto
finalmente lEssere che
sovrasta immu-
tabileil
mondo, immutabilmente
esiste, immutabilrnentesa e immuta-
bilmentevuole. L'esistenza anche in Dio di
queste
tre facolt costitui-
sce la
sua trinit, o
questa triplice
facolt si trova in
ognuna
delle tre
persone,
s da
essere tre in
ognuna?
O entrambi i casi si verificano in
modi mirabili entro una
semplicit molteplice,
essendo la Trinitin s
per
se fine infinito s da essere una cosa sola
e come tale conoscersi e
bastarsi immutabilmentenella
grande
abbondanza della
sua unit?
Chi
potrebbe
avere facilmente
questo
concetto? Chi
esprimerle
in
qualche
modo e
pronunciarsi
in
qualsiasi
modo temerariamente?.103
Il
procedimento
di andare alla
scoperta
delle realt trascendenti
me-
diante lo studio di
qualche copia
sensibile
era stato introdotto da Plato-
ne
per
la
conoscenza delle Idee. Pi tardi
era stato
ripreso
da Filone
per
lo studio del
Logos
e da Plotno
per
la
conoscenza dell'Uno.
Agostino
lo
applica
in
grande
stile alla Trinit
per
cercare di
conseguire
oltre che
un
approfondimento
concettuale anche
unaspecie
di
rappresentazione
sen-
sibiledi
questo
mistero
stupendo
e
incomparabile.
Negli
ultimi libri del
De Trinitate
egli compie
uno sforzo immane
per
rinvenire nell'uomo
una
immagine
atta ad
esprimere
chiaramente
a un
tempo
sia l'unit della
divina sostanza sia la Trinit delle Persone.
una ricerca che
Agostino
giustifica
cos:
(Nei
precedenti libri),
per quanto
lo abbiamo
potuto,
abbiamotentato con le nostre analisi dinnalzarel'attenzionedello
spiri-
to fino
all'intelligenza
di
quella
suprema
immutabilenatura
(...). Ma
poi-
ch
quella
luce ineffabile
abbagliava
il nostro
sguardo
e
poich
avverti-
vamo che la debolezza del nostro
spirito
non
poteva
ancora
raggiunger-
la ci siamo rivolti al nostro
spirito,
secondo il
quale
l'uomo stato fatto
ad
immagine
di
Dio, trovandovi
un
oggetto
di studio
pi
a noi familia-
re,
per riposare
la nostra attenzione affaticata
e cos ci siamo soffermati
dal libro IX al libro XII sulla creatura che siamo noi
per poter,
attraverso
le
cose create,
vedere
con
l'intelligenza
le
perfezioni
invisibilidi Di0.104
Cos
per
ben
quattro
libri il Dottore di
Ippona
effettua
una
esplora-
zione meticolosa di tutto ci che
gli
offre la
complessa
realt
umana sia
nella dimensione
somatica dell'uomo esteriore sia nella dimensione
psi-
mCOnf 13, Il,
12.
14)Dc Trin.
15, 6, 10.
186 Parte
prinza
chica dell'uomo interiore,
annotando e
vagliando
accuratamentetutte le
immagini
della Trinit che vi incontra. Nell'uomo esteriore,
essendo
intriso di
corporeit,
non
pu
esservi alcuna
immagine
della Trinit ma
soltanto delle tracce. A suo
modo
ogni
senso
porta impresso
un
vestigio
trinitario.
Agostino
si sofferma in
particolare sull'immaginepresente
nel
fenomeno della visione, e
la descrive cosi:
Quando
vediamo un
corpo,
dobbiamo considerare e
distinguere,
cosa
del resto assai facile, tre elementi. Anzitutto la cosa stessa che
vediamo,
sia una
pietra,
sia una
fiamma o
qualsiasi
altro
oggetto
che
vi si
pu
vedere con
gli
occhi,
realt che certamente
potevano gi
esi-
stere anche
prima
che noi le vedessimo. In secondo
luogo
la visione,
che
non
esisteva
prima
che la
presenza
dell'oggetto provocasse
la
sensazione. ln terzo
luogo
ci che tiene lo
sguardo
centrato
sull'og-
getto percepito, per
il
tempo
in cui lo
percepiamo,
cio l'attenzione
dell'anima. Tra
questi
tre elementi
dunque
non
solo esiste una mani-
festa distinzione, ma essi sono
di natura differente (...).
Dunque questi
tre elementi: il
corpo
che veduto,
la Visione
stessa,
l'attenzione che
unisce l'una all'altra, sono
manifestamente distinti, non soltanto
per
le loro
propriet rispettive,
ma
anche
per
la differenza di natura>>J5
Per trovare
qualche
cosa
che meriti
propriamente
il
nome
di
"immagi-
ne
della Trinit occorre
studiare l'uomo interiore,
le sue
facolt: memo-
ria,
intelletto e volont che
gi
di
per
se stesse costituiscono un
chiaro
rispecchiamento
della Trinit. Concentrando la sua
attenzione sull'uomo
interiore
Agostino
vi
coglie
una
triplice immagine:
1)
la
mente,
la sua
conoscenza e
il
suo amore
di
s;106 2)
la memoria,
la
comprensione
e
la
volontfl? 3)
la mente come
quella
che
ricorda, conosce
ed ama Dio.
Delle tre la
pi
eccellente la
terza,
in
quanto
mette l'uomo interiore a
contatto
diretto con
1a Trinit: Infatti
questa
trinit dello
spirito
non

immagine
di Dio
perch
lo
spirito
ricorda se stesso,
si
comprende
e
si
ama,
ma
perch pu
anche ricordare, comprendere
ed amare
Colui dal
quale
stato creato. Quando
fa
questo
diviene
sapiente.
Se non
lo fa,
anche
quando
si ricorda di
s,
si
comprende
e
si
ama,
e insensato.108
Dopo
avere
fatto vedere come
in uno
specchio, per quanto

possibi-
le,
il Dio Trinit,
nella nostra memoria
intelligenza
e volont>>fl09Agosti-
no
torna sui suoi
passi per
verificare che cosa e riuscito a
conseguire
effettivamente: se cio
qualcuna
delle
immagini
rinvenute
corrisponda
e
mana, 11,2,
2.
106) Cf. ibid, 9, 2,
2 ss.
17)Cf. anzi, 10, 11,17.
W8)Ibid., 14, 12,
15.
109)lbid., 15, 20,
39.
Agostino
di
Ippona
187
pertanto
illustri
adeguatamente
il mistero trinitario. E deve constatare
che
gli
esiti
sono, probabilmente,
inferiori
all'attesa,'
perch
tra
immagi-
ne e realt sussiste un
grandissimo
divario: le facoltnell'uomo non sus-
sistono, non sono
persone,
come sono invece i tre membri della Trinit.
Per mezzo
di
questo
tre
potenze,
sono io che
ricordo,
io che com-
prendo,
io che
amo,
io che
non sono n memoria n
intelligenza
n
amore,
ma che li
possiedo.
Tutto ci
pu dunque
essere detto da
una
sola
persona,
che
possiede queste
tre
potenze,
ma
che
non
queste
tre
potenze.
Invece in
quella
natura
supremamente semplice,
che
Dio,
sebbenevi sia un solo
Dio,
vi
sono
tuttavia tre Persone: il
Padre,
il Fi-
glio
10
Spirito
Santo.
Una cosa
dunque
la Trinit nella sua realt
stessa,
altra
cosa
l'imma-
gine
della Trinit in una realt diversa. In
questa suprema
Trinit,
incomparabilmentesuperiore
a tutte le
cose,
tanto accentuata l'inse-
parabilit
che, mentre una
trinit di
persone
umane non si
pu
chia-
mare un solo
uomo,
essa detta ed un solo Dio e
quella
Trinitnon
in
un
solo
Dio, ma un solo Dio. Ed
ancora
per quanto riguarda quel-
la Trinit le cose non stanno come nella sua
immagine,
l'uomo,
che
sebbene
possegga quelle
tre
potenze,
una sola
persona,
ma
vi
sono
tre Persone: il Padre del
Figlio,
il
Figlio
del
Padre,
lo
Spirito
Santo del
Padre e del
Figlio.
Sebbeneinfatti la memoria dell'uomo
(...)
presenti
a
suo modo,
in
questa immagine
della
Trinit, una
somiglianza,
incom-
parabilmenteindegna certo, ma tuttavia non
del tutto dissimile,
del
Padre; e cos
pure,
sebbene
l'intelligenza
dell'uomo che informata
dalla memoria
per
mezzo dell'attenzione del
pensiero, quando
si dice
ci che si sa e si
produce quel
verbo del cuore
che
non
appartiene
ad
alcuna
lingua, presenti, malgrado
la sua accentuata differenza, una
certa
somiglianza
del
Figlio;
e sebbenel'amore dell'uomo che
procede
dalla
conoscenza e unisce la memoria e
l'intelligenza
- essendo comu-
ne
alla
potenza
che in
qualche
modo
svolge
la funzione di
padre
e a
quella
che
svolge
la funzionedi
figlio,
motivo
per
cui se ne deduce che
non n
padre
n
figlio

presenti
in
questa immagine
una certa somi-
glianza,
bench molto
imperfetta,
dello
Spirito
Santo, tuttavia, mentre
in
questa immagine
della Trinit
queste
tre
potenze
non sono un solo
uomo,
ma
appartengono
a un
solo
uomo,
in
questa suprema
Trinit,
di
cui l'uomo
immagine, queste
tre realt non
appartengono
a un solo
Dio ed
esse sono tre
Persone, non una
sola. Ecco una cosa di certo
meravigliosamente
ineffabileed ineffabilrnente
meravigliosa:
sebbene
in
questa immagine
della Trinit vi sia una
sola
persona,
invece nella
suprema
Trinitvi
sono tre Persone,
n
pi inseparabilequella
Trinit
di tre Persone,
che
questa
di una sola>>fl10
HbirL,23,
43.
188 Parte
prima
Tra
l'immagine antropica
e il modello divino della Trinit si danno
pertanto
tre differenze sostanziali:
1)
la natura razionale esibisce delle
strutture trinitarie,
queste per
non sono affatto identiche al suo
essere,
in
quello
stesso modo in cui la Trinit divina costituisce l'essenza della
Divinit; 2) mentre la
memoria,
l'intelligenza
e la volont
operano sepa-
ratamente,
le tre
persone
sono coinerenti l'una all'altra
e
la loro azione
unica e indivisibile;3)
mentre nella Divinit i tre membri della Trinit
sono
persone,
le
potenze
dell'anima sono
funzioni di un'unica
persona,
l'uomo e tuttavia le tre Persone sono
pi inseparabilmente
unite tra loro
di
quanto
non sia la trinit della mente.
Fatte
queste precisazioni,
che sottolineano la distanza infinita che
separa
le
immagini
trinitarie dal
modello,
lecito chiedersi
quale
sia il
loro valore effettivo. Possono davvero servire come illustrazioni del
massimo mistero del cristianesimo come si
proponeva
e
sperava Agosti-
no
componendo
il De Trinitate?
Sul valore delle
immagini psicologiche
lo stesso
Agostino
fa delle
considerazioni
alquanto
contrastanti. Gi nelle
Confessioni
dove racco-
mandava al lettore il metodo
dellintrospezione
per scoprire
in se stesso
qualche
traccia della
Trinit,
l'aveva tuttavia ammonito a non
farsi
eccessive illusioni: Ciascuno davanti
a se stesso,
guardi
in
se stesso,
veda
e mi
risponda.
Ma
quand'anche
avr
scoperto
su ci
qualcosa
e
sapr esprimerlo,
non si illudadi
avere
scoperto
finalmentel'Essere che
sovrasta immutabileil
mondo,
che immutabilmente
esiste,
immutabil-
mente sa e
immutabilmenteVuolew
Nel De Trinitate
Agostino precisa ripetutamente
che le strutture trini-
tarie dell'anima da sole
non
fanno
conoscere la Trinit: Coloro che in
questa
Vita intravedono la Trinit attraverso
questo specchio
e
in
questo
enigma,
non sono coloro che
percepiscono
nel loro
spirito queste
tre
potenze
(memoria,
intelligenza,
volont)
che abbiamo indicato nella
nostra
analisi, ma
coloro che vedono il loro
spirito
come
immagine,
in
modo da
poter
riferire ci che
vedono,
in
qualunque
maniera
sia, a colui
di cui il loro
spirito

immagine
e in modo da
poter
vedere,
per conget-
ture
per
nzczzo
dellnintagine
che vedono
contemplandola,
Dio,
perch
non
possono
ancora vederlo
faccia afacciamll
Agostino
riconosce,
quindi,
che sul
piano teologico
le
immagini psi-
cologiche
della Trinitnon
provano
n
spiegano
nulla. Infatti n
parten-
do da Dio n
partendo
dalle creature si
pu
conoscere
la Trinit.
Questa
verit
oggetto
di
fede, e la
ragione
non riuscir mai a
scoprirla
e ancor
meno a
comprenderla
con le sue forze.
1)C0nfi13, 11,
12.
1l3)De
Trin.
15, 23, 34.
Agostino
di
Ippona
189
Di fatto le
sue acutissimeanalisi
pi
che
a una
migliore conoscenza di
Dio
approdano
a una
pi profonda conoscenza dell'uomo. La
ricerca, e
poi
la successiva
scoperta,
di
un'immagine
della Trinit nell'uomo offr
ad
Agostino
l'occasione di realizzare
una eccezionale e fortunata
osser-
vazione delle
zone
pi profonde
e oscure della
psiche umana che
gli per-
mise di intravedere in
essa e di
portare
alla luce intrecci
complessi,
col-
legamenti reconditi, tensioni
profonde, implicazioni
teologiche
e onto-
logiche
che
nessun
pensatore
pagano
o cristiano
aveva visto
prima
di lui.
Angeli
e demoni
Il tema
degli angeli
e dei
demoni, a
prima vista, dovrebbe
essere
riservato alla
teologia, perch
prove "tangibili"
della loro esistenza sem-
bra
proprio
che
non ce ne siano, e, probabilmente
per questo
motivo,
in
nessuno dei tradizionali trattati di metafisica si
parla degli angeli
e dei
demoni.
Ma
se anzich alla metafisica moderna ci
rivolgiamo
alla metafisica
classica vediamo che le
cose stanno diversamente. Infatti
non soltanto
tutte le
religioni
hanno
sempre
riservato una buona
parte
delle loro
riflessioni all'analisi
e allo studio
degli spiriti
buoni
e
degli spiriti
mali-
gni,
ma altrettanto hanno fatto Platone
e
soprattutto
i
neoplatonici,
i
quali
tra Dio
(lUno) e l'uomo hanno inserito
una
lunga
serie di esseri
immateriali
intermedi, dotati di
capacit
diverse
e
superiori
a
quelle
del-
l'uomo
e
perci
in
grado
di intervenire
positivamente
e
negativamente
sulle vicende
umanee
sulle altre
creature inferiori di
questo
mondo.
Origene,
che scrive nel clima culturale del
neoplatonismo,
nel
suo
universo metafisico
assegna
un ruolo fondamentale
agli angeli
e ai
demoni. Su
posizioni analoghe
a
quelle
di
Origene, ma con forti critiche
al demonismodei
neoplatonici,
si attesta anche
Agostino.
Il Dottore di
Ippona,
com'
noto,
organizza
tutto l'universo creato in-
torno a due citt: la civitas Dei
o civitas coeestis
e la civitas diaboli
o civitas
terrigena.
Fanno
parte
della citt di Dio coloro che
scelgono
come Valore
principale Dio, mentre fanno
parte
della citt dell'uomo coloro che scel-
gono
come valore
principale
le creature. L'amore di Dio
e l'amore di s
stanno
all'origine
delle due citt: I due amori
generano
le due citt: l'a-
more di s
portato
sino al
disprezzo
di Dio
gener
la citt
terrena;
l'amo-
re
di Dio
portato
fino al
disprezzo
di s
gener
la citt celeste.113
ln entrambele citt il
primo
posto spetta
sempre agli
esseri
spirituali:
agli angeli
nella citt
celeste,
ai demoni nella citt
terrena.
3)Deciti. Dei
14,
28.
190 Parte
prima
La citt celeste oltre
agli angeli comprende
anche tutti
gli
uomini che
hanno vissuto in
grazia
di
Dio,
ossia i
santi;
la citt terrena oltre ai de-
moni include tutti i
peccatori.
Alla citt di Dio
appartiene
sia la Chiesa
trionfante sia la Chiesa militante. Gli
angeli
esultano con
la
prima
e
combattono insieme con
la seconda. La citt di Dio - scrive
Agostino
-
Va
considerata nella sua
completezza
non
solo in
quella parte
che du-
rante il
pellegrinaggio
terreno loda dall'alba al tramonto il nome
del Si-
gnore
e,
uscita dal suo
vecchio stato di schiavit, canta il suo
canto nuo-
vo;
Va
considerata
anche in
quella parte
che resta unita
per sempre,
in
cielo col suo
Dio creatore (...).
Essa vive tra
gli angeli
santi in eterna
bea-
titudine
e,
com'
giusto,
Viene in aiuto all'altra
parte pellegrina
sulla
terra.
Queste
due
parti
(Chiesa
trionfantee
Chiesa militante)
diverranno
un
giorno
una cosa
sola nel
godimento
dell'eternit e ora sono una cosa
sola nel vincolo della carit>>J14
Gli
angeli
sono
creati dal nulla, poich
tutto
opera
esclusiva di
Dio.115 La loro creazioneha
luogo prima
di
quella
di tutte le altre creatu-
re,
ossia
prima
del sole e
delle stelle,
della terra e
delle
acque,
degli
ani-
mali e dell'uomo. Grazie alla loro natura
spirituale
essi
superano
l'uomo
in conoscenza e
libert. La conoscenza angelica,
secondo
Agostino,
di
tre
specie,
conformemente
alla luce che
risplende
nelle tre
parti
del
gior-
no:
la luce meridiana,
la luce della sera e
la luce del mattino. Nella luce
meridianaessi conoscono
le cose
nel Verbo di Dio
prima
della creazione;
nella luce
vespertina raggiungono
la conoscenza
delle cose
nel Verbo
dopo
la loro creazione;
attraversola luce mattutina conoscono
le cose
in
se stesse e
nel loro
rapporto
col Verbofll Essendo
posti
al di
sopra
di
tutte le creature
corporee, gli angeli
conoscono
le cose create mediante la
luce divina e le riferiscono totalmente alla lode del Verbo,
trasformando
la creazione materiale in momento o mezzo
per
la
glorificazione
del
Verbo.117 In tal modo
gli angeli
buoni,
permanendo
nella luce di Dio, ne
assaporano
tutta la felicit e
la beatitudinesenza
fine!
Oltre che di conoscenza intuitiva, l'angelo
dotato anche di libero
arbitrio,
di modo che, se vuole,
pu
allontanarsi da
Dio,
cio dalla sua
beatitudine,
per
seguire
la
pi grande
miseria.119
Secondo
Agostino,
Dio,
pur
sapendo
che alcuni
angeli, per propria
scelta,
avrebberoabban-
lbiL,4.
"5)Cf. Ibid, 12,
25.
QCf. De Genesi ad litteram:
4, 23-32,-
De tl. Dei 11,
7.
117)Cf. una, 4,
23 ss.
115)Cf.
De civ. Dei 12,
6.
"9)Ibid., 22,
1.
Agostino
di
Ippmza
191
donato il
vero bene, non li
privo
di
questo potere, giudicandopi degno
e consono alla
sua
onnipotenza
e bont trarre il bene dal
male,
piuttosto
che
non
permettere
in alcun modo il maleflzv In
ragione
della libert
deriva
perci agli angeli
la
possibilit
della caduta. Essi infatti
sono stati
creati
buoni, ma sono diventati cattivi in forza della cattiva
volont,
per-
ch
non hanno
accolto in
pienezza
la
grazia
dell'amore
divino, come
invece hanno fatto
gli angeli
che hanno
perseverato
nell'amore di Diofl
Agostino
assegna agli angeli
due funzioni
fondamentali:
una si riferi-
sce a Dio ed la funzione
dossologica;
l'altra si riferisce
agli
uomini e
alla Chiesa ed la funzione
soteriologica.
Gli
angeli intervengono lungo
tutto il
corso della storia della salvezza: in
particolare
nella
consegna
dellalegge
mosaica, ne1lincarnazionedi Cristo
e nella vita della Chie-
sa. E
per
mezzo
degli angeli
che stata
promulgata
la
Legge
a
quel
popolo (Israele), ma del
Signore
nostro Ges Cristo che
essa
preparava
e
preannunciava
la
venuta, e lui
come Verbo di Dio era in maniera in-
comparabile
ed
inesprimibilenegli angeli
che
promulgavano
la
Legge
(...).
Per
mezzo
degli angeli
era
dunque
il
Signore
che
parlava allora;
per
mezzo
degli angeli, dunque,
il
Figlio
di
Dio,
il Mediatore di Dio e
degli
uomini,
che sarebbe
nato dalla
stirpe
di
Abramo,
preparava
la
sua venu-
ta
per
trovare
accoglienza
presso
uomini che si riconoscessero
colpevoli
perch
la
Legge,
da essi non
attuata, ne aveva fatto dei
trasgressori.122
Gli
angeli amano misericorditer
gli
uomini affinch
questi possano
partecipare
alla loro immortalit
e beatitudinefl?In
questa
ottica si
pos-
sono
comprendere
le
apparizioni degli angeli
in forma
corporea,
come
risulta dalla
storia sacra.124
Agostino
afferma
uno stretto
legame
tra
gli
angeli
e le creature
umane,
descrivendo il loro
servizio e la loro collabo-
razione salvifica in
mezzo
agli uomini,
in conformit alla volont
e al
disegno
redentore di Dio. Essi
pertanto
hanno
un
significato
all'interno
della
prospettiva
storica e
soteriologica.
Il
pensiero
di
Agostino
in tal
modo si
ricollega
alla concezione biblica
e insieme offre alcune intuiziov
ni
teologiche
che
saranno
riprese
dalla
speculazione
medievale.125
Cos,
per
es.,
di
Agostino
l'idea che
gli
uomini redenti
sono destinati ad
occupare
il
posto degli angeli ribelli,
tesi
questa
che incontrer il favore
di molti scolasticilI
demoni,
che formano la civitas
diaboli,
in
origine
ZC. Ibid.
uCf. Ibii,12, 9.
122)DeTrin.
3, 11,
26.
'23)Cf. De Citi. Dei
10, 7.
124)Cf. IbicL, 10, 8.
125)R. LAVATOKl,Gli
angeli,
Torino
1991,
p.
102.
15)Cf. Enchiridionad Laurentimir
29,
9.
192 Parte
prima
erano
anch'essi
puri spiriti
come
gli angeli,
ma
dopo
la caduta assumo-
no un
corpo:
habent
corpusmm
certamente non
nato da donna, un
corpo
cio non
uguale
allumano, ma
pur sempre corpo.
Possiedono un
corpo
di
aria, sono
perci
"animali aerei", con una
natura
propriamente
aerea
e
per questo
non si
corrompono
con
la morte. Ne
segue
che i
demoni,
avendo un
corpo,
soffrono
quando
sono
tormentatiJR Il fatto che i de-
moni vivano nell'aria e
abbiano un
corpo
aereo non
significa
che siano
superiori
alluomo in
dignit;
come
infatti
gli
animali volatili,
che stanno
in alto, non sono
di natura
pi
nobiledi
quella
umana,
cos i demoni
non
devono essere
considerati
migliori degli
uomini, poich
la loro
disperazione
non
pu
essere
neanche
paragonata
alla
speranza
che
alberga
nell'uomo di Di0.129 Essi si trovano nel
grado
infimo,
dove sono
stati
precipitati
col loro
capo:
Quae
tibi videtur
gloriatio,
damnatio 2515x130
Contro
l'opinione
di
Origene, Agostino
non ammette
per
i demoni la
possibilit
di
pentirsi
e
di essere
ristabilitinel loro stato
primitivo. Egli
dice che il fuoco eterno non avr fine, come
la vita
eterna;
il diavolonon
sar riconciliatoe non
c'
per
lui remissione dei
peccatifil
I demoni
possiedono
la scienza senza carit; ma
la scienza
priva
della
carit non
giova
a nulla,
anzi diventa un
atteggiamento
di
superbia,
similea un otre
ricolmo daria.132 Per
questa ragione
i demoni sono
pieni
di una
tale
superbia
che hanno
preteso per
se stessi
gli
onori da attri-
buirsi solo al vero
Dio.133 Essi non
vedono
Dio,
il
quale parla
a
loro
per
mezzo
di un
intermediario
angelico.
Non hanno conosciuto neanche la
divinit di
Cristo;
hanno visto soltanto il
suo
corpo
umano
quando
lo
hanno tentatoJ34
l demoni non
hanno
neppure
il
potere
di
leggere
i
pen-
sieri umani
ma,
attraverso
segni
esteriori e sensibili,
essi
possono
intra-
vedere le intenzioni interiori.135
Agiscono soprattutto
durante le
pratiche
magiche,
in eventi straordinari e
nei riti
sacrileghifi
Si servono
anche
delle
ragioni
seminali che essi
segretamente spargono
con
il favore di
adatte combinazionidi elementi,
provocando
cos le condizioni favore-
voli e allo sbocciare e
allo
svilupparsi rapido degli
esseri.'37
Ilflsenn.12, 9, 9.
123)Cf.
De Civ. Dei
21,
3.
129)Cf. ibid., 8,
15.
13)Enarr.
in P5. 103, 7,
9.
131)Cf. In Gal.
exp.
24.
32)Ct.
De civ. Dei 9,
20.
133)Ct. ibiri,9,
21.
134)Ct.
ibid.
l35)Cf.
Retmct. 2,
20.
136)Cf.
De Trin. 4,
10.
137)Ibid., 3,
8.
Agostino
di
Ippona
193
Tuttavia i demoni non si devono considerare creatori,
perch
il
vero
creatore
Dio, come noi non
chiamiamo i nostri
genitori
creatori di
uomini n
gli agricoltori
creatori di
messi,
sebbene sia con
il
concorso
esterno della loro attivit che la
potenza
di Dio interiormente
opera
la
creazione di
queste
cose>>J38 Essi
agiscono sempre
al di sotto della volon-
t
divina,
che concede loro tale
potere
secondo il
suo
superiore giudizio.
Il
potere
di
Satana,
oltre che dalla
superiore
volont di
Dio,
limitato
dalla
personale responsabilit
dell'uomo,
il
quale pu
liberamenteaccet-
tare o
respingere
le insidie diaboliche. Il
peccato,
in ultima analisi,
di-
pende
dalla libera adesione dell'uomo e non
pu
essere
imputato
a Sa-
tana.
Questo pensiero
Viene
ripetutamente espresso
e sottolineato nei
Sermones, ove
Agostino
si
rivolge
alla
gente
semplice
del
popolo.
Per
esempio
nel Sermo
20,
2
egli
esorta
gli
ascoltatori a riconoscere la
respon-
sabilit
personale
delle
proprie
azioni,
poich
la
colpa
risale ad
ogni
individuo che confessa:
Eg0 feci,
sono stato io. Nessuno
pu
addos-
sare
la
colpa
alla forza misteriosa del
caso o
della fortuna
oppure
al dia-
volo:
questi pu suggerire,
anche
spaventare
o
addirittura causare
gravi
fastidi,
solo se ne
ha il
permesso
da Dio e se l'uomo si
oppone
con
la sua
volont alla
grazia
di Dio. Perci il cristiano non
deve avere
alcun timo-
re nei confronti del
diavolo,
soprattutto
in considerazione
dell'opera
redentrice di
Cristo,
da cui Satana stato sconfittofi?
Il
problema
del mondo:
origine,
durata, dinamismo,
finalismo
Nella
prospettiva
filosoficadi
Agostino
il
problema cosmologico,
in-
teso come
problema
del
mondo,
un
problema
secondario,
di scarsa
rilevanza; tutto il suo interesse
speculativo
si trova
infatti bloccato sin
dall'iniziointorno a due
poli,
Dio e
l'anima: tutto il resto non conta. Cos
il
mondo, con
i suoi
molteplici aspetti problematici,
trova
posto
soltanto
dentro l'orbita di uno
dei due
grandi poli:
il
polo
trascendente, divino,
onnipotente,
eterno di Dio e il
polo
immanente,
potente
ma fallibile,
temporale
e limitato dell'uomo. In ultima
analisi, Dio e l'uomo sono
anche i soli attori sui
quali Agostino
scarica la
responsabilit
di tutto
quanto riguarda
il mondo: la
sua
origine,
durata
(il
tempo),
dinamismo
(le
rationes seminales) e
il finalismo
(ordine e disordine,
male e
perfezio-
ne).
E
grazie
al concetto elevatissimo che
egli
ha sia dell'uomo sia di
Dio,
pu prospettare
soluzioni nuove e
originali
per ognuno
di
questi
aspetti
del
problema cosmologico.
La soluzionedel
problema dell'origi-
ne,
della
conservazione,
del dinamismoe
dell'ordine la chiede a Dio men-
tre la soluzionedel
problema
del
tempo
e del male la chiede all'uomo.
138)
lbid.
139)Cf. Scrm. 15/A.
194
Parte
prima
LA CREAZIONE DEI. MONDO
Come abbiamo avuto modo di vedere nel recedente ca itolo,
il Dio
o u u n g
p
r 1
p
n
dl A ostmo non un rmci 10 fondante della realt
insieme con tanti
.3
. . . . .
P. .1.
. . .
altri
principi,
ma e
11
principio primo
assoluto e unico ed inoltre un
principio
trascendente,
che ha il
potere
di
produrre
dal nulla
e
di chia-
mare
quindi
allessere ci che
prima
non esisteva
affatto,
neppure
nella
condizionedi
potenza passiva.
Grazie alla
sua
potenza
creatrice Dio d
origine
al mondo e a tutto ci che in esso si trova: cielo
e terra, monti,
mari, fiumi,
laghi,
foreste,
animali
ecc. Tutto
opera
delle
sue
mani.
Alla dottrina della creatio ex nihilo del mondo
Agostino approd
poco
prima
della
conversione,
dopo
che
aveva
compreso
Yinsostenibilitdel-
la derivazionedel mondo materialeda
un
principio primo
cattivo, come
sostenevano i
manichei,
oppure
della emanazione dell'universo dal-
lUno, come
insegnavano
i
neoplatonici.
Ma
per
conferire solidit filoso-
fica, Cio
razionale,
alla tesi della creazione doveva metterla al
riparo
dalle obiezioni che le muovevanosia i manichei sia i
neoplatonici.
Una delle obiezioni
pi frequenti riguardava
il
tempo
della creazio-
ne. Alcuni obiettano: se Dio ha fatto il cielo e la terra nel momento ini-
ziale del
tempo
(in
principio aliquo tempors),
che
cosa
faceva
prima
di
produrre
il cielo e
la terra? E
perch all'improvviso
si deciso di fare ci
che
prima
non aveva mai
compiuto
per
tantissimo
tempo (per tempora
aeterna).
La
replica
di
Agostino

pronta
e
precisa:
A costoro
rispon-
diamo che
prima
del
principio
del
tempo
non esisteva nessun
tempo.
Dio infatti ha creato anche i
tempi;
e
pertanto prima
che facesse i
tempi,
non esistevano
tempi.
Pertanto non si
pu
affermare che ci sia stato un
tempo
in cui Dio
non
si
era ancora messo a creare.
E
come ci sarebbe
stato un
tempo
che Dio non
avrebbe
prodotto,
allorch lui il fabbrica-
tore di tutti i
tempi?
E
poich
il
tempo
cominci
a esistere insieme al
cielo
e alla
terra, non si
pu
rinvenire alcun
tempo
in cui Dio non avesse
ancora
prodotto
il cielo e la terramHO
Sostanzialmente
quella
relativa al momento della creazione
, come
rilevaacutamente
Agostino,
una
questione
fasulla,
basata sulla
pretesa
che
possa
esserci il
tempo prima
della creazione stessa. Cosa del tutto
assurda
e inammissibile,
essendo il
tempo
una
componente
e una
pro-
priet
della creazione.
Ma, nonostante la sua intrinseca
fragilit, l'argo-
mento doveva suscitare una notevole
impressione
sulle
intelligenze
cul-
turalmente
meno
preparate.
Per
questo
motivo
Agostino
lo affronta
e
lo
critica in molti altri scritti oltre che nel De
genesi
contra Manicheos da cui
abbiamo
ripreso
la
precedente
citazione.
14)De
genesi
contra Manicheos
l,
3.
Agostino
di
Ippona
195
Alla discussione di
questo argomento
Agostino
dedica vari
capitoli
del Libro XI delle
Confessioni. Riproduce
anzitutto i termini della diffi-
colt: Che cosa facevaDio
prima
di fare il cielo e la terra? Se era
in ozio
e nulla
produceva, perch
non
resto
sempre
cos anche in
seguito,
come
prima
si era astenuto dal fare alcunch? Se
poi
sorse
in Dio un
nuovo
moto, una volont nuova
di far esistere una creatura che
prima
non
aveva creata, come
pu concepirsi
una Vera eternit l dove
sorge
una
volont che
prima
non c'era?.141
Nella sua
lunga
e
meditata
replica Agostino
fa le
seguenti
considera-
zioni:
1)
La difficoltmerita una
risposta
seria e non
semplicemente
una
battuta ironica: Non
rispondo
come
quel
tale che, a
quanto
si
racconta,
eludendo scherzosamente la difficolt della
questione,
disse: "Dio
pre-
parava
l'inferno a coloro che
vogliono indagare
le cose
troppo
profon-
de". Infatti,
altro
capire,
altro scherzare>>fl42 2)
Nella discussione di un
argomento
cos difficilecome
questo
occorre
guardarsi
dalle
rappresen-
tazioni fallaci della fantasia. Infatti se
qualcuno
con
fantasia volubile,
gironzolando
sulle
immagini
dei
tempi passati,
si
meraviglia
che
tu,
Dio
onnipotente
e creatore di tutto e
possessore
di
ogni cosa,
artefice del
cielo e
della
terra,
sia stato inattivo
per
innumerevoli secoli
prima
di
creare
un'opera
cos
grande,
stia ben
attento, poich
la
sua
meraviglia
si
fonda su cose
false
;143 3)
Tempo
ed eternit sono
realt
incomparabil
e
incommensurabili.L'eternit non
semplicemente
un
tempo pi lungo,
senza
inizio e senza fine,
bens un
permanere
immobile
extra-tempus,
al
di
sopra
e
al di fuori del
tempo.
L'eternit trascende assolutamente il
tempo
in
ogni
sua fase, non solo il
passato
ma
anche il
presente
e
il futu-
ro. Noi abbiamo un concetto
del
tempo
e non dell'eternit. Chi
potr
fermare e
fissare l'attimo nell'immobilit,perch quellistante rapisca
lo
splendore
dell'eternit
sempre
ferma e
immobilee
paragonarla
col
tempo
che mai si arresta e
comprenderne Yincomparabilit?
E
possano
vedere che il
tempo
non
diventa
un
lungo tempo
se non
per
una serie di
istanti che
passano
e
che
non
possono
avere una
durata simultanea; che,
nell'eternit, invece,
nulla
passa,
ma tutto
presente,
mentre il
tempo
non
pu
essere tutto
presente,
che
ogni passato
e incalzatoda
un
futuro
e
ogni
futuro
consegue
a un
passato,
l'uno e
l'altro si
producono
e scor-
rono
da
un
presente
che
sempre
;"4 4)
Stando cos le
cose,
l'obiezione

priva
di
qualsiasi
fondamento, perch
Dio
sempre
attuale,
sempre
presente;
ma senza essere vincolato a nessun
presente
e a nessun'altra
l41)C0nf.
11,10.
142)Hn'd., 12.
143)Ibid.,
13.
44)lbizi.,
10.
196 Parte
prinza
fase del
tempo.
Dal
punto
di vista di
Dio,
che fuori del
tempo
ed
eterno,
si
potrebbe
anche dire che l'universo eterno 0 coeterno. Ma
considerato in se stesso il mondo non
pu
essere eterno, perch
neces-
sariamenteavvolto nel
tempo,
vincolatoal
tempo
e
soggetto
a una dura-
ta limitata. Il
tempo
a s
stante, prima
del mondo non
pu
esserci.
E se il
tempo
non anteriore al cielo e alla
terra, perch
si domanda
che
cosa tu allora facevi? Non esisteva
l'allora, se non esisteva il
tempo.
N tu
precedi
i
tempi
col
tempo,
diversamente non
precedere-
sti tutti i
tempi.
Tu
per precedi ogni passato
con la
grandezza
della
onnipotente
eternit e trascendi
ogni
futuro
perch
il
futuro, una
volta
arrivato,
diventer
passato;
tu invece sei
sempre
il medesimo e
i
tuoi anni
non verranno mai meno. I tuoi anni non vanno n
vengono;
questi
nostri, invece, vanno e
vengono perch
possano
venire tutti.
I tuoi anni stanno tutti fermi in
un
punto, perch stabili; n
quelli
che
vanno sono incalzati da
quelli
che
vengono, poich
non
passano.
Questi
nostri invece
saranno tutti,
quando
tutti non saranno
pi.
I tuoi anni
sono un sol
giorno,
e il tuo
giorno
non
Vogni giorno
bens
l'oggi, poich
il tuo
oggi
non cede al domani e non succede a
ieri. Il tuo
oggi
l'eternit
(...).
Tu hai fatto tutti i
tempi
e tu sei
prima
di tutti i
tempi,
n ci fu alcun
tempo
senza
tempo>>.l45
Per avvalorare il loro
argomento
contro la creazione nel
tempo
i
ma-
nichei si
appellavano
al versetto biblico: In
principio
Dio cre il cielo
e la
terra. Ma
Agostino
non contesta
l'interpretazione. Egli
osserva che l'e-
spressione
in
principio
non va intesa in
senso
"cronologico"
bens ar-
cheologico":
essa si riferisce alla base
"archetipica"
di cui Dio si servito
per produrre
il
mondo,
base
(principio)
che
egli
identifica con Verbo,
il
Logos,
colui che
gi
Filone aveva considerato
come
modello
supremo
d'ogni
realt
e
ricettacolodelle idee
(essenze ideali)
di tutte le
cose.
In uesto

rinci
i0, o Dio, tu creasti il cielo e
la
terra,
nel tuo
q P
.
P
. . . . . . .
Verbo,
nel tuo
Figlio,
nella
Virtu,
Sapienza
e Verita
tua,
mirabilmente
parlando
e mirabilmente
operando.46
In Lui non si termina ci che stato detto
prima,
per
dire altre cose e
per poter
dire
tutto;
ma tutte simultaneamente sono dette eternamen-
te. Altrimenti si avrebbeil
tempo
e
il
mutamento; non la vera eternit
n la
vera immortalit
(...). Nulla
perci
nel tuo Verbo
passa,
nulla
sopravviene, poich
veramente immortale ed eterno. Perci col tuo
Verbo, a te
coetemo,
tu dici in un
punto,
simultaneamente ed eterna-
mente tutte le cose
che
dici;
ed fatto tutto
quello
che dici che sia
fatto; ne lo fai altrimenti che dicendolo>>l47
145)Ibid., 13.
140mila, 9.
140117111, 7.
Agostino
di
Ippona
197
ln
conclusione,
Dio nel creare il mondo
non
ha
bisogno
di
nessuna
causa materiale
(di nessuna materia), mentre si avvale di
una causa
esemplare (un modello). Questa
per
non una realt esternaba
Lui co-
me le Idee
rispetto
al
Demiurgo
di Platone 0 il
Logos rispetto
al Dio di
Filone, ma la stessa sostanza divina in
quanto ipostatizzata
nella se-
conda Persona della
Trinit,
il Verbo. Nulla avevi tra mano con cui fare
il cielo e la
terra; dove, infatti, avresti
potuto prendere
cosa da te non
fatta
per
fare alcunch? Che
cosa esiste se non
perch
tu esisti? Tu
parla-
sti
e
furono fatte le
cose ed nel tuo Verbo che le hai fatte.148
LA
NATURADEL TEMPO
Risolta la
questione
della creazione del mondo nel
tempo
e
quella
dei
rapporti
tra
tempo
ed eternit
Agostino
affronta la
non meno
spinosa
questione
della natura del
tempo.
Che
cosa il
tempo
in se stesso? Ecco
come
Agostino
introduce la
sua
finissima discussione di
questo proble-
ma: Che cos' il
tempo?
Chi
potr spiegare
ci con brevit
e facilmen-
te? Chi
potr
afferrare col
pensiero
la nozione tanto da dirne una
parola
esatta?
Eppure
nei nostri discorsi
quale
idea ricorre
pi
nota e familiare
di
quella
del
tempo?
E
quando
ne
parliamo,
la
comprendiamo
bene, cos
quando
ne sentiamo
parlare
da altri. Cosa
dunque
il
tempo?
Se
nessu-
no me
lo
domanda, lo
so;
se
voglio spiegarlo
a
chi
me
lo
domanda, non
lo so. Tuttavia
con sicurezza affermo di
sapere
che, se nulla
passasse,
non ci sarebbe il
passato,
se nulla
avvenisse, non ci sarebbe il
futuro; se
nulla
fosse, non ci sarebbeil
presente>>fi49
Il
tempo

qualche
cosa
che
accompagna
l'universo
creato, ma in che
modo? Il
tempo,
che consideriamo suddiviso in
presente, passato
e
futu-
ro
che consistenza
ontologica possiede?
Esiste in
se stesso,
sia
pure
come
immagine dell'eternit, come voleva
Platone, o invece
piuttosto
un'in-
venzione della mente
per
misurare il divenire delle
cose come
pensava
Aristotele?
Constatato che in
se stessi non esistono n il
passato
n il futuro
e
che
la realt del
presente
talmente
precaria
da
non avere
alcuna
durata,
Agostino
tende
a fare della
temporalit
un dato strettamente
legato
all'uomo,
alla
sua
capacit
di ricordare il
passato,
di
prevedere
il futuro
e
di
cogliere
il
presente.
nel nostro
spirito
che si trovano in
qualche
modo
questi
tre
tempi,
mentre altrove
non
li vedo: il
presente
del
passa-
to,
vale a dire la
memoria,
il
presente
del
presente,
cio
l'intuito, e il
pre-
48)lbid.,5.
149)Ihid.,
14.
198 Parte
prima
sente del
futuro,
cio lattesa>>.15U Il
tempo
e
pertanto
nell'anima che il
luogo
della sua misurazione: Gli in
te, o
anima
mia,
che io misuro il
tempo
(m).
L'impressione
che le cose
fanno in te nel
passare
e in te rima-
ne
quando
sono
passate

questa
che io misuro
presente,
non
le cose
che
sono
passate,
in modo da
riprodurvela.

questa
che io
misuro,
quando
misuro il
tempomm
Nella soluzione
agostiniana
del
problema
del
tempo, riemerge quel
primato
della memoria che abbiamo
gi
incontrato nella trattazione del
problema
della conoscenza.
L si visto che alle due facolt
spirituali
che si soliti
assegnare
all'uomo,
l'intelletto e
la
volont,
Agostino
ne
affianca una terza,
la
memoria,
alla
quale
riconosce una
priorit
di valore
non
solo nell'ordine
noetico, ma
anche in
quello
affettivo
rispetto
alle
altre due. Tale
priorit
motivata dal fatto che la lux
quaedanz HCOTPOYEQ
che
proietta
sul fondo dello
spirito
le idee
primarie
(innatae) e le verit
eterne,
le
deposita
nella memoria,
dove
operano
oltre che come certezze
anche
come
stimoli o
pulsioni primordiali
che
presiedono
all'attivit
della volont e del liberumarbitrium.
Oltre che sul fronte delle verit eterne la memoria
opera
anche
(e,
secondo il modo comune
di
vedere,
prevalentemente)
sul fronte delle
Verit
temporali:
essa fa tesoro non
solo di ci che cade su
di essa attra-
verso
la illuminazione, ma
anche di
quanto
l'uomo
esperisce,
subisce,
apprende, sviluppa, capta
e
acquisisce
col trascorrere del
tempo.
Il
tempo
e
i frutti del
tempo, prodotti
dallintelletto e dalla volont non
vanno
dispersi
e
questo proprio grazie
alla memoria. La dimensionesto-
rica dell'uomo si consolida,
si dilata, si
sviluppa, proprio grazie
a
questa
facolt. Ma la
memoria,
secondo la concezione di
Agostino,
fa
qualche
cosa
di
pi
ancora: riscatta l'uomo dal
tempo,
cos come
il liberoarbitrio
lo riscatta dalla necessit. La memoria
rappresenta
la
capacit
che l'uo-
mo
ha di elevarsi al di
sopra
del flusso
temporale pur
restando all'inter-
no dello
sviluppo temporale
stesso: essa
prova
con
altrettanta sicurezza
non solo che l'uomo nel
tempo,
ma
anche che il
tempo
nell'uomo.
Grazie alla memoria,
l'uomo
pu scegliere,
se vuole,
di rovesciare una
corrente della storia
presente
in favore di
qualche
corrente
precedente;
pu,
se
lo
desidera, cercare
asilo dai tumulti del
presente
in un
periodo
passato
della
storia, o usare
il ricordo di una
passata
innocenza
per
proiettarlo
in
un
futuro caratterizzato cos da una
maggiore
Virt. In
breve,
la memoria
per
l'uomo il fulcro della libertnella storia.152
15)Ibid,,20.
151)1bid.,
27.
152)
R.
NIEBUHR,
Fede e storia, tr. t.,
Bologna
1966,
p.
29.
Agostino
di
Ippona
199
Dalla memoria l'uomo
deriva,
oltre che la
sua
sovranit sul
tempo,
anche
parte
del
proprio
destino. Infatti ci che il
tempo deposita
della
memoria
non si riduce
a un
semplice
ricordo, ma diventa
una sedimenta-
zione di
esperienze
che decidono dello
sviluppo
della
propria persona-
lit. Infatti il
passato

presente
non solo nella nostra memoria che ricor-
da i suoi eventi
passati,
ma anche nella
consequenzialit degli
eventi che
il
passato
conclude
e
depone
sulla
soglia
del
presente.
Cos il
complesso
degli
eventi che costituiscono la storia
rappresenta
una
stupefacente
con-
fusione di destino
e
di libert che
non si conforma n
agli
schemi di
una
coerenza
logica,
n a
quelli
di una coerenza naturale:
questi
eventi sono
compresi
come una unit della
memoria, ma non della
logica.153
Pertanto
rispetto
allo
sviluppo
della
persona
la memoria a un
tempo principio
di libert e di destino: la rende
sovrana del
passato gra-
zie al
ricordo, ma
anche suddita delle abitudini
(buone o cattive)
acqui-
site attraverso il
tempo
mediante la
ripetizione degli
stessi atti. Resa
grande
nella misura in cui col
tempo
la
persona
realizza
se stessa, ma
resa
anche
piccola
man mano
che
prende
coscienza della
fuggevolezza,
della transitoriet del
proprio tempo
e si rende conto di
essere un viven-
te mortale.154
La
memoria,
misura del
tempo,
d ad
Agostino
anche il senso della
pochezza
di
tempo
di cui l'uomo
dispone
e
di
conseguenza
della
pro-
pria
mortalit. La morte non
per
l'uomo solo
morire, un evento estra-
neo alla vita nel
suo durare; ma insieme e
soprattutto
ntortalit:
un
incessante,
interno finire del
proprio essere, un continuo morire e non-
essere
pi
ci che si era. Incessante corsa alla
morte,
l'essere
tempora-
le dell'uomo intrinsecamente corroso esso stesso dalla morte come
mortalit: non solo
un cursus ad ntortcnz
(De
civ. Dei
13, 10), ma
anche
un "cursus nzortalitatis"
(In
psalmuvn
109, 20). Se la morte come
evento sta alla
fine,
la morte come mortalit sta dentro la vta.55
Al carattere
temporale,
storico,
mortale dell'essere
umano
la
geniale
penna
di
Agostino
ha dedicato
pagine
davvero "immortali"
;
ad
esempio
quelle
del
capitolo
decimo del XIII Libro del De civitate
Dei,
che hanno
per
titolo "La vita dei mortali deve chiamarsi
piuttosto
morte che vita.
Esse meritano d'essere riferite
integralmente:
Dal momento in cui ciascuno ha cominciato a esistere in
questo
corpo
mortale, non avviene nulla in lui che
non
prepari
la venuta
della morte. Infatti,
l'instabilitdel nostro
essere,
in tutto il
tempo
della vita (se vita si
pu
dire), non fa altro che
spingere
alla morte.
153)lbid.,
pp.
30-31.
54)Cf. De ordine
2, 11, 31;
De Trin.
7, 4,
7.
l55)A. DI GIOVANNI,
Mortalit ed essere in S.
Agostino,
Palermo
1975,
pp.
50-51.
200 Parte
prinza
Non vi nessuno che,
dopo
un anno non sia
pi
vicino alla morte del-
l'anno
precedente,
domani
pi
di
oggi, oggi pi
di
ieri,
Yistante
dopo
pi
dell'istante
prima,
il momento
presente pi
di
quello
che
passato.
Ogni tempo
che si
vive,
viene sottratto da
quello
che si deve
vivere, e
ogni giorno
diminuisce
quello
che
resta;
onde il
tempo
di
questa
vita
non altro che
una corsa verso
la
morte, corsa
nella
quale
non
e
possi-
bilearrestarsi n
rallentare, ma tutti sono
trasportati
da uno stesso
movimento ed
eguale
l'intensit del moto. E chi visse una
vita
pi
breve non
ebbe i
giorni pi
veloci di colui che la visse
pi lunga;
ma la
medesima sottrazione di momenti
uguali,
tolti all'uno e all'altro,
dimo-
stra che il termine era
pi
vicino
per
l'uno e
pi
distante
per
l'altro,
poich
entrambi correvano con
eguale
velocit.
Altro, infatti,
percor-
rere una via
pi lunga
e altro camminare
pi
lentamente. Chi
dunque
ha
un
maggior spazio
di
tempo prima
della morte non
cammina
pi
lentamente, ma
percorre
una
via
pi lunga.
Ora, se ciascuno comincia
a morire,
cio a essere nella morte (esse in morte),
fin da
quando
comin-
cia a
operare
in lui la
rnorte,
ossia la sottrazione della vita
(poich
quando questa
sar
completamente
sottratta non
si sar nella morte
ma
dopo
la
morte"),
ognuno
nella morte" fin da
quando
comincia
ad
essere
in
questo corpo.
Che si fa nei
giorni,
nelle
ore,
nei
singoli
momenti,
finch essi non finiscano e
si
compia
la morte che si stava
formando, e incominci il
tempo
del
dopo
morte",
il
quale,
mentre
veniva sottratta la
vita, era
gi
nella morte? L'uomo
perci
se non
pu
essere nello stesso
tempo
vivente e morente, non mai nella
vita,
fin-
ch si trova in
questo corpo
pi
morente che vivente. O
piuttosto,

forse
contemporaneamente
nella vita e nella morte: nella
vita,
in cui
vive,
finch
non
gli
sia tutta tolta, e
nella morte
per
la
quale
muore
quando gli
vien tolta la vita? Se infatti non in
vita,
che cos' ci che
gli
vien tolto finch in lui non sia
completa
la distruzione? E se non
neppure
nella
morte,
che cos' la distruzione stessa della vita? Infatti
quando
vien tolta tutta la vita al
corpo,
si dice che
dopo
morte
(post
nzortcm),
perch

sopraggiunta
la morte mentre la vita si sottraeva.
Poich
se,
finita la
vita,
l'uomo non ne1la
morte, ma
dopo
morte,
quando
sar nella
morte, se non
quando
viene tolta la vita?.156
La dimensione
temporale
e storica dell'essere umano e
il
senso
della
morte cui inesorabilmente
soggetto
sono
analizzati
ancora
pi
a fondo
da
Agostino
nel Commento ai Salmi. L
egli
mette a diretto confronto la
transitoriet del
tempo
cui siamo
soggetti
e a cui vorremmo sottrarci,
con
la
permanenza,
la
stabilit,Yimmobilit,
la
perennit
del
vero
Essere
a cui tendiamo
e
che
vorremmo
raggiungere.
(Nella
nostra vita)
tutto
rapito
in istanti
fuggenti,
scorre
il torrente delle cose (...). Questi giorni
dunque
non sono. Se ne vanno
quasi prima
di venire.
Venuti, non
posso-
no stare: si
congiungono,
si
susseguono
e non si arrestano. Nulla del
155) De civ, Dei
13,
10.
4
Agostino
di
Ippona
201
passato
ritorna. il futuro si
aspetta
che
passi:
finch
non
venga
non lo si
ha, venuto non lo si tiene. "Il numero dei miei
giorni qual
"
dunque?
Non
questo
che
non
e,
ci che mi turba
con
pi
difficolt
e
pericolo,
e
non : infatti
non
possiamo
dire che ci che
non sta,
n che
non e ci
che viene
e
passa.
L'
semplice
io
cerco,
l'
vero,
l
autentico,
l
(...)
dove non ci sar
morte,
n venir
meno,
n
giorno
che
passa,
ma
quello
che
resta,
che n lo ieri
preceda
n il domani
sospinga,57
Queste
finissime considerazioni del
sommo dottore africano sulla
intrinseca caducit dell'essere
umano, preda
della morte
lungo
il
suo
intero
percorso,
non vanno
prese
come alternative
a
quelle
altre conside-
razioni altrettanto acute e
profonde
che
egli svolge
intorno alla immor-
talit dell'uomo
interiore,
bens
come
complementari e
integrative
di
queste.
Mentre in
effetti, nella filosofia
agostiniana,
la vita dell'uomo
esteriore inesorabilmente
segnata
dalla
mortalit,
la Vita dell'uomo
interiore consacrataalla
immortalit, sin dal
suo inizio, anche
se viene
conseguita
effettivamente soltanto
dopo
la
morte dell'uomo esteriore.
Il.
DIVENRE DEL COSMO
Il
divenire del
cosmo
un
problema
che si
presta
(come in effetti
stato nella storia del
pensiero)
a molte soluzioni. Tutto
dipende
dalla
visione
generale
delle
cose da cui si
parte.
In
una visuale
materialistica,
in cui il mondo stesso
lassoluto, il suo divenire
non
pu
essere
regola-
to che da
leggi immanenti, meccanicistiche, necessarie. Invece in
una
visuale la
quale,
oltre alla realt del mondo
spazi0temporale,
contem-
pla
pure
la
presenza
di
un mondo
spirituale
e divino
e riconosce la
subordinazionedel
primo
al
secondo,
il divenire del
cosmo trova la
sua
principale ragion
d'essere in Dio. Sennonch anche l'intervento di Dio
nel divenire del
cosmo
pu
essere inteso in svariati modi. Dalla storia
della filosofia
sappiamo
che
Platone, Filonee i
Neoplatonici
l'avevano
concepito
non come un intervento diretto
e incessante dell'Essere
supre-
m0 (il
Demiurgo, Dio, l'Uno)
bens
come un intervento
mediato, attra-
verso le
Potenze,
il
Logos,
i demoni
ecc.
Agostino seguendo l'esempio
dei filosofi cristiani che l'avevano
pre-
ceduto, mette da
parte
tutta
questa
schiera di
mediatori, concedendo
peraltro ampio spazio
di intervento ai demonil-fi e affida il divenire del
157)Enarr. in Ps.
38,
7.
155) La
demonologia
e un
argomento
che nella
cosmologiaagostiniana
occupa
un
posto
di
grande
rilievo. Si vedano a
questo proposito
i libri VIII-XI del De cioitate Dei.
Agostino
crede nei demoni
e nel loro
potere sugli uomini,
anche se trova
esagerato
_
il ruolo che viene loro
assegnato
da
Varrone, Porfirio e
Apuleio.
Cf. K.
IASPERS,
0p.
cit,
pp.
430 ss.
202 Parte
prima
mondo a una
specie
di codice
genetico",
a cui d il nome
di rationes
seminales,
impresse
nelle cose
direttamente da Dio. Sono
questi princpi
fondamentali,
voluti e creati da
Dio,
che
provvedono
ai movimenti
degli
astri,
al succedersi delle
stagioni,
allo
sviluppo
delle
piante
e
degli
ani-
mali,
alla
generazione
dei
figli,
ecc.
Ecco come
Ylpponate
formula
que-
sta celebre tesi del De Trinitate.
Senza dubbio tutte le cose
che noi vediamo sono
gi
state create ori-
ginariamente
e
fondamentalmente in una
specie
di trama
degli
ele-
menti, ma soltanto
quando
ci sono
le occasioni favorevoli
vengono
fuori. Infatti, come le madri sono
gravide
della loro
prole,
cosi il
mondo stesso
gravido
dei
principi
delle
cose
che
nascono, princpi
che non
vengono
creati nel mondo se non
da
quella suprema
Essenza,
nella
quale
nulla
nasce,
nulla muore.
Invece
applicare
esternamente le
cause
contingenti,
che sebbene non naturali,
tuttavia si
applicano
in
armonia con
la
natura,
per
trarne fuori in
qualche
modo dal
profondo
seno della natura
gli
esseri che esso
tiene nascosti e
in
qualche
modo
crearli esteriormente con
il
dispiegamento
delle loro misure,
numeri e
pesi
che essi hanno ricevuto
segretamente
da colui che ha "ordinato
ogni
cosa con misura ordine e
peso" (Sap
ll, 21),

possibile
non
solo
agli angeli
cattivi ma
anche
agli
uomini cattivi)?
L'ambitodi azione delle cause seconde,
ossia l'intervento delle crea-
ture nel divenire delle
cose,
pur
cos ricco e
vario:
l'acqua,
l'aria e la luce
che fanno crescere
le
piante
e
mantengono
in vita
gli
animali e
gli
uomi-
ni;
le
piante
che
producono
rami, foglie
e frutti,
gli
animali che corrono
per
i
prati
e
per
i boschi,
brucano l'erba o
divorano altri animali
pi pic-
coli,
si
moltiplicano
ecc.,
secondo
Agostino
si riduce a ben
poca
cosa.
Il
loro
apporto
talmente condizionatoe sostanziati) dalle rationes semina-
les da contribuire minimamentealla
produzione
dei loro effetti. La causa
agente principale
e
primaria
rimane
sempre
Dio: creationem rerum
visibi-
lium Deus interius
operaturflbv
Le rationes semitmles assicurano al mondo
quellbrdine
complesso
e
meraviglioso
che in esso
si manifesta come sua
immediatacaratteristica.
Il termine ordo
per Agostino significa
la
disposizione
razionale o
intelligente
che si ritrova nelle cose
di
questo
mondo sia fisico
(il mor-
morio delle
acque)
sia animale
(la cura materna
della chioccia).
Nel dia-
159)De
Trin.
3, 9,
16.
16)La
dottrina delle rationes seminales stata
oggetto
di numerosi studi e discussio-
ni,
anche in
tempi
recenti. Vedi in
particolare
CH. Borea,
Essais anciens et nou-
veaux sur la doctrine de saint
Augustin,
Milano
1970,
pp.
35-69;
A. MITTFRER,
Die
Entuvickluvrgslehre Augustins
in:
Vergleich
mit dem Weltbilddes hl. Thomas und
dem der
Gegenzuart,
Wien-Freiburg
1956.
Agostino
di
Ippona
203
logo
De ordine il Dottore di
Ippona
si
propone
di rinvenire la
ragione
sufficiente
e la
giustificazione
ideale dell'ordine che
regna
in
questo
mondo. Esaminata
e scartata
l'ipotesi
che l'ordine sia frutto del
caso,
Agostino
dimostra che
l'unica
giustificazioneadeguata
la
pu
fornire
un
ordinatore
supremo,
Dio. E
quanto
abbiamoVisto
pi
sopra
esaminando
il
problema
di Dio.
Sennonch nel mondo da noi conosciuto oltre che
un
ordine
naturale,
tutto
regolato
dalle rationes
senrinales, esiste anche
un universo culturale
e storico,
dove
spesso
fa la
sua
comparsa
il
disordine, l'insuccesso, il
vizio,
il male. In che
cosa consiste effettivamente il
disordine,
il male
e
quale
la
sua radice,
causa, ragione
ultima?
Questo

uno di
quei problemi
scottanti
e ineludibiliche stuzzicano e
pungolano
la
ragione umana,
e con cui si
sono cimentati
praticamente
tutti i
grandi
letterati,
drammaturghi, poeti, romanzieri,
filosofi
e
teologi
dell'antichit fino ai
giorni
nostri. L'intervento di
Agostino
nella discus-
sione di
questo problema
come di molti altri stato decisivo ed ebbe
un
peso
determinante
sugli sviluppi
della civiltcristiana medievale.
L'ORDINE
METAFISICOE IL PROBLEMA DEL MALE
Agostino
aveva fatto
esperienza
del male sia fisico sia morale fin da
piccolo.
Una malattia l'aveva
portato
sull'orlo della tomba
quando
aveva ancora
pochi mesi;
malattie
d'ogni
genere
lo
accompagnarono
quasi
ininterrottamente anche da adulto. La morte
colp impietosa
nel
fiore della
giovent
l'amico che
gli
era
pi
caro e
gli strapp
Famatissi-
mo
figlio
Adeodato
ancora in tenera et. Del male morale aveva fatto
una
prima esperienza
col
giovanile
furto delle
pere,
reso famoso dal
rac-
conto nelle
Confessioni, compiuto
per pura
malizia;
in
seguito
ne aveva
assaporato
la terribile
potenza
cedendo alle irresistibili insidie della
carne e alla insaziabilebrama
degli
onori.
Tentandodi
giungere
a una
spiegazione
del
problema
del male
Ago-
stino accolse in un
primo
tempo
la soluzione
pi semplice,
che
era
quel-
la dei
manichei,
i
quali
ponevano all'origine
di tutto ci che buono
un
principio supremamente
buono,
il
Bene, e
all'origine
di tutto ci che
cattivo un
principio supremamente maligno,
il Male.
Successivamente,
uscito dalla setta dei
manichei,
per qualche
tempo
fece
sua la
posizione
dei
neoplatonici
che
collegavano
il male essenzialmente
con la materia.
Poi, con la
conversione,
il
quadro gli
si chiari del tutto e definitivamente,
disponendo
in modo diverso
gli
elementi
con cui i manichei
e i
neopla-
tonici
avevano tentato di
spiegare
l'ordine metafisico dell'universo. Dai
manichei
riprese
la concezione del
doppio principio
dell'ordine univer-
sale, uno
per
il bene
e uno
per
il
male, e diversamente dai manichei
non
204 Parte
prima
ne
fece due
principi supremi
ma
subalternati.
Principio supremo
e uno
solo ed il
principio
del
Bene,
ossia
Dio,
il
principio
subalternato da cui
procede
anche il male la creatura
intelligente
e libera
(gli angeli
e lu0
mo).
Dai
neoplatonici riprese
la nozione della natura
propria
del male: il
quale
non
ha
una
consistenza
propria,
autonoma, non una sostanza,
ma una
privatio
beni,
la mancanza
di
qualche
cosa
che deve
esserci, un
vizio. Ecco due testi tra i
pi
celebri in cui
Agostino
formula chiaramente
il suo Concetto di male. I1
primo
tratto dalle
Confessioni,
il secondo dal
De civitate Dei.
Mi fu chiaro allora che le cose
buone
possono
corrompersi;
non lo
potrebbero
se
fossero buone in sommo
grado
o altro non
fossero che
buone,
perch
se
fossero buone in sommo
grado
sarebbero incorrutti-
bilie se non esistessero,
nulla ci sarebbe da
corrompere.
Infatti la cor-
ruzione difetto, e non
sarebbe difetto se il bene non diminuisse.
Dunque:
o la corruzione non difetto,
il che
impossibile,oppure,
ed
molto
certo, ogni
cosa
che si
corrompe
viene
privata
di bene (omnia
quae
corrumpurxtur p-rivantur
bono).
Se si sono
private
di tutto
il bene
pi
non
potranno
esistere. Se invece esistono ma senza
possibilit
di
corruzione, saranno
migliori poich
rimarranno incorruttibili.
Quale
asserzione
pi
mostruosa che Paffermare che
quelle
cose
che sono
state totalmente
private
di bene non
potranno pi
esistere ma
finch
esistono sono
buone.
Quindi
ogni
cosa
che esiste buona
(quaecumque
sunl,
bona
szmt).
Il male
dunque
di cui cercavo
l'origine
non una
sostanza (nzalunz non est substantia),
perch qualora
fosse una sostanza
sarebbe un bene e sarebbe o una sostanza incorruttibilee
quindi
un
gran
bene, o una sostanza corruttibilee
perci
un bene,
altrimenti
non
potrebbe corrompersi.
Vidi
perci
chiaramente che tu
hai fatto
buone tutte le cose e non c'e nessuna sostanza che tu non
abbia fatta.
E
poich
non
hai fatto tu le
cose
eguali,
esistono tutte in
quanto
sono
singolarmente
buone e nel
complesso
sono buonissime, poich tu,
o Dio,
hai fatto
pi
che buona
ogni
cosa.161
Il
male,
dunque,
non nuoce a Dio, ma alle nature mutevoli e corrut-
tibili,
le
quali,
come
testimoniano i vizi
stessi, sono
buone. Se non
fos-
sero buone,
i vizi non
potrebbero
far loro del male. E che altro fanno
nuocendo, se non
togliere l'integrit,
la
bellezza,
la
salute,
la virt e
quanto
di bene
pu
essere tolto o
diminuito alla natura? Se non
vi
fosse il bene non
vi sarebbe
neppure
il
difetto,
perch,
non
togliendo
nulla alla
creatura, non le nuocerebbe. Il vizioinfatti non
pu
esistere
senza nuocere.
Ne
segue perci
che il vizio non
pu
nuocere
al bene
immutabile,ma
pu
nuocere a un bene
mutabile, non
potendo
esiste-
re senza nuocere.
La
qual
cosa
si
pu esprimere
anche cos: il vizio
lConf.
7,
12.
Agostino
di
Ippona
205
non
pu
trovarsi nel
sommo Bene, ma non si trova che nel bene. I soli
beni
dunque
possono
esistere in
qualche luogo;
il male in
nessuno,
perch
le nature Viziate dalla cattiva volont
sono cattive in
quanto
sono viziate, ma in
quanto
sono nature sono buone.'62
Disponendo
di
questi
tre saldi
postulati
teoretici: unicit e bont del
principio
supremo,
Dio;
fallibilit
e libert del
principio
subalternato
(angeli, uomo); e la nozione di male inteso
come
privazione,
come vizio,
come difetto
Agostino pu prospettare
una soluzione
dell'origine,
ossia
della
causa del
male,
che risulta tra le
pi appaganti per
la nostra intelli-
genza,
anche
se non riesce a
dissipare
tutte le ombre che si addensano
su
questo complesso
e drammatico
problema.
Ridotta ai minimi termini
la soluzionedi
Agostino
la
seguente.
L'ordine
universale,
avendo
come
principio primo
il
Bene, non
pu
non essere buono.
Quanto
vi si infiltradi
non buono e
prodotto
dall'uo-
mo (o
da
qualche
altra creatura
intelligente:
i
demoni),
il
quale,
come
realt
subalterna, non
pu
mai intaccare seriamente l'ordine
generale,
anzi, tutto
sommato,
lo rende
ancor
pi sorprendente
e
meraviglioso,
perch
il male che vi
introduce, con le
sue ombre e
i suoi
contrasti, con-
tribuisce a fare risaltare
meglio
le linee del bene e dell'ordine.
Infatti,
Dio,
pur
non causandoil male lui
stesso,
nella
sua onniscienza e
poten-
za,
lo fa rientrare nell'ordine
generale
delle cose. Nulla
pu
avvenire
fuori dell'ordinamento divino. Il
male,
quanto all'origine,
l'ha avuta
fuori dell'ordinamento
divino, ma
la
giustizia
divina
non
ha lasciato che
rimanesse fuori dell'ordinamento
e
l'ha ricondotto
e costretto a rientrare
nella
legge
che
gli

competente>>.163
Alla fine del De
quantitate
animpae,
Agostino
abbozza
a
grandi
e
chiare
linee la sua concezione del
cosmo,
in cui l'ordine trionfa anche sul male.
Dio ha
giudicato
che
sovrana
espressione
di armonia che
ogni
essere esistente sia com'
e sia
disposto
in differenti ordini naturali.
Non si ha
pertanto
da
nessuna
parte
la dissonanza che turba chi
riflettesull'universo. Inoltre
ogni pena
e
ogni premio
dell'anima
con-
feriscono
sempre
qualche
cosa in
egual
misura alla
giusta
armonia e
all'ordine di tutta la realt. Allanima stato dato il liberoarbitrio. Vi
sono alcuni che
con
futili
argomentazioni
tentano di demolirlo. Sono
ciechi al
punto
da non
capire
che
non
potrebbero
neanche sostenere
tale tesi inconsistente
e
sacrilega
senza una volont autonoma. Tut-
tavia il liberoarbitrio
non stato dato all'anima
perch, sconvolgen-
do con esso
qualche aspetto
della
realt,
turbi una
parte
della divina
legge
e dell'ordine. E stato dato
appunto
dal dominatore
sommamen-
162)Deciv. Dei
12,
3.
153)De ordine
2, 7,
23.
206 Parte
prima
te
sapiente
e
invitto di tutto il creato. Ma di
pochi
intuire tale
verit,
come va
intuita,
e non
si diviene
capaci
di tanto se non con
la vera
religione.
E vera
religione quella
con cui l'anima,
mediante la riconci-
liazionesi
lega
di nuovo a Dio,
dal
quale
s'era disciolta,
per
cos dire,
col
peccato>>.164
Sennonch, a
questo punto,
nasce una nuova difficolt,
quella
del-
l'opportunit
da
parte
di
Dio, creatore dell'universo,
di includere tra le
sue creature
ancheun
essere
capace
di ribellarsi a Lui e
di
produrre
tanti
guasti
e
calamit. E il
problema
che
Agostino
affronta e discute attenta-
mente nel De liberoarbitrio.
Innanzitutto ammette come un
fatto certo
che la
libert,
pur
avendo il
potere
di fare il
male,
in se stessa un
bene.
Anzi,
un
bene
grandissi-
mo,
di
gran
lunga superiore
a
qualsiasi
altro bene
appartenente
alla
nostra
corporeit, poich
la condizionedella moralit. Se
l'agire
uma-
no non
fosse libero, non
potrebbe
essere
n
approvato
n
disapprovato;
sarebbe
quello
che e
basta. Solo se c' libert si
pu parlare
di Virt e
di vizio,
di merito e
di
demerito,
di
premio
e
di
castigo.
Diremo allora
che il male necessario e
rientra nell'ordine divino?
Rispondo:
non
il
peccato
o
i
peccatori
sono necessari alla
perfezione,
ma le anime in
quanto
sono anime, e,
in
quanto
sono tali, se
voglionopeccano,
e se
pec-
cano
diventano infelici.165E a
Chi volesse ancora insistere e
domandasse
con
impertinenza:
ma non sarebbe stato
meglio
un
universo in cui non
ci fosse il male
e
perch
Dio non
l'ha creato?
Agostino replica
che
queste
domande
presuppongono
che noi conosciamo l'universo
meglio
di Dio
e
pretendiamo
di
fargli
da maestri. E
questo
certamente un
po troppo!
Il
problemaantropologico
Non solo in sede scientifica ma anche, e a
fortiori,
in sede filosofica
l'uomo
sempre
stato il
luogo
in cui si sono
originati
e
intrecciati nume-
rosi
problemi: quello gnoseologico, psicologico, politico,
morale,
religio-
so,
culturale, sociale,
assiologco,
metafisico. Su tutti
questi Agostino
ha
avanzato soluzioni
personali
che hanno esercitato un
profondo
influsso
non solo sul medioevo, ma
anche
sullepoca
moderna. Di tutti
questi
problemi,
nel
presente
studio,
ci interessa soltanto
quello
metafisico, va-
le
a
dire il
problema
della natura dell'essere
umano,
la sua
costituzione
ontologica,
la sua
origine
e
il suo
ultimo destinofl Essenzialmente il
problema
dellanima e
dei suoi
rapporti
col
corpo.
Anche
su
questo punto
T54)
De
quanl.
animre 36, 80.
'5)De1ib.arb. 3,
13.
166)Cf.
De Trin.
15, l,
l.
Agostino
di
Ippona
207
Agostino segue
sostanzialmente il modello
platonico,
ma
apportandovi
importanti
modifiche,
che
gli vengono suggerite
dal cristianesimofl?
Molti e
ardui sono i
problemi
che investonol'anima e
che la metafisica
classica aveva
gi
affrontato e in molti casi anche risolto
prima
di
Agostino.
Questi
nel De
quantitate
animae
segnala
come
prioritari
i se-
guenti: l'origine
dell'anima,
le sue
propriet,
la
sua
grandezza,
la
ragio-
ne
della
sua unione C01
corpo,
la
sua
condizionenell'unione col
corpo
e
dopo
la
separazionemlfifi
Si tratta di sei
questioni
di
capitale importanza
su cui
Agostino
ha riflettutoa
lungo,
scrivendo numerose
opere,
modifi-
cando talvolta le
proprie posizioni,
cercando soluzioni che fossero
a un
tempo
razionalmente
pi
robuste
e
pienamente
Conformi
agli insegna-
menti del cristianesimo.
Cos,
schematicamente si
pu
dire che
prima
della "svolta
teologica"
la
sua
antropologia
molto
pi platonica
che cri-
stiana, mentre
dopo
la conversione alla
teologia
la situazione si rovescia:
essa diviene
rigorosamente
cristiana assumendo dal
platonismo
soltanto
una certa
impostazione
dei
problemi
e un certo
tipo
di
linguaggio.
LA
NATURA
DELL'ANIMA
Sebbene nell'elenco del De
quantitate
animare
figuri
al
primo posto
il
problema dell'origine
dell'anima
(Linde sit),
tuttavia
pi
a monte si deve
porre
la
questione
della sua definizione. Che cos' l'anima? Una sostan-
za
oppure
un
accidente? Una
parte
di
un tutto
oppure
un
tutto? Un tut-
to
composto
di
parti oppure
una
realt
semplice? Agostino
sa bene che
questo

l'interrogativo
numero uno e
per questo,
in
ossequio
alla
iogi-
ca,
apro
il De
quantitate
animaechiarendo che cos' l'anima.
L'anima,
afferma
perentoriamente Agostino,
dotata di una natura
sua
propria,
cio di un'essenza che
non
scomponibile
in
parti,
di cui
ciascuna sia in
grado
di sussistere
per
conto
proprio.
Essa
concepita
come
qualche
cosa
di
semplice
dotata di
una
propria
sussistenza>>fl69
E cos a
chi
gli
Chiede
una
definizione dell'anima
(animus),
Agostino
offre la
seguente:
Se vuoi la definizionedell'anima e mi chiedi che
cosa
essa sia,
risponder
senza difficolt.
mia teoria che l'anima e una so-
stanza dotata di
pensiero
e ordinata a
governare
il
corpo.170
167)Su1
pensiero antropologico
di
Agostino
si veda P. MARCOS DEL Rio,
El
compuesto
humano
scgun
S.
Agustin,
Escorial
1931; G.
MANCINI,
La
psicologia
di S.
Agostino
e i
suoi elenzenti
neoplatonici, Napoli
1938;
R.
SCHNEIDER,
Seele und
Sein,
Ontologie
bei
Aztgustin
und
Aristoteles,
Stuttgart
1957.
1"8)Quaer0
igitur
zmde sit anima,
qualis
sit,
quanta
sit, cur
corporifuerit
data, et cum ad
corpus
venerit
qualis efiiciatur, qualis
cum abscesserit (De
aguunt.
animae1, 1).
169)De
quant.
animae1,
2.
17)lbid.,13,
22.
208 Parte
prinza
In
quanto
sussistente,
l'anima distinta da Dio.
Agostino
critica la
dottrina secondo cui l'anima della medesima sostanza di
Dio, non solo
in
quanto
blasferna -
significa
infatti
concepire
Dio come mutevole,
imperfetto, peccatore -,
ma
anche
perch
essa Viene a
negare
la
persona-
lit dell'anima: tutte le anime sarebbero un'identica animaJ" In
quanto
dotata di
pensiero
essa
coglie
immediatamente la
propria
essenza e si
riconosce distinta da
qualsivoglia
altra cosa conosciutamm Ciascuno di
noi
sa,
per esperienza
interiore, che,
astraendodal
tutto,
resta alcunch di
conosciuto
per
se,
ed
questo
l'essenza dell'anima.
quanto Agostino
evidenzia
egregiamente
attraverso la sua finissima analisi dell'autoco-
scienza.
Quando
si dice all'anima: conosci tc
stessa, se lo si intende
bene,
si
comprende
che
essa
gi
si conosce
qual
,
per
la sola
ragione
che

presente
a se stessa: niente
aggiunge
la mente a ci che
conosce
di se
stessa
quando
si
dispone
a con0scersi.173 Non sarebbe
presente
a se stes-
sa se non
sapesse
di
esserlo, ma
questo sapere
e
gi sapersi
come una
essenza
che
,
vive e sa
di
essere e
di
vivere, e ama
il
proprio essere,
vive-
re e conoscere.

dunque
rivclativo dell'essenza dell'anima l'atto stesso
con cui la mente si
conosce,
atto assolutamente
suo, indipendente
da
qualsiasi apporto
esterno. Essa effettivamente sostanza dotata di
pen-
siero,
anche se ordinata a
possedere
e
governare
un
corpo.
ORIGINE DELL'ANIMA
Nella definizione della natura dell'anima
gi implicita
la
risposta
alla
questione
relativa alla
sua
origine:
essendo una sostanza distinta da
Dio,
in
definitiva, essa non
pu
avere
origine
che
per
creazione: Dio
stesso ha
prodotto questa
sua natura
propria
in
s, come
pure
quelle
del
fuoco, dell'aria,
dell'acqua
e della terra.174
Che l'anima abbia
origine
da Dio
per Agostino
un
punto
fermo:
Credo che Dio stesso come la casa
paterna,
la
patria
dell'anima
per-
ch da lui stata creata.175 Iddio cre l'uomo a sua
immagine
e
gli
diede un'anima tale
che,
per ragione
e
intelligenza,
fosse
superiore
a
quella
di tutti
gli
animali
terrestri,
acquatici
e volatili,
i
quali
non
hanno
la
ragione.176
L'intervento diretto c immediato di Dio necessario sicu-
ramente
per
la creazione dell'anima come natura, come
specie
e
per
171)Cf. De un. et eius
orig.
1, 9,
32.
172)De Trin.
10, 9,
I2.
173)H9id., 10,
13.
174)De
quanf.
animae
1,
2.
l75)lbid.
176)De civ. Dei 12,
23.
Agostino
di
Ippona
209
quella
dell'anima del
primo uomo,
ma vale anche
per gli
altri
uomini,
per
tutti i
singoli
discendenti di Adamo? Le loro anime sono
pure
create
immediatamente,
direttamente da Dio? Ai
tempi
di
Agostino
su tale
questione
circolavano
quattro
soluzioni:
preesistenza, origine per
di-
scendenza
(traducianesimo),
origine per
caduta,
creazione individuale.
Agostino
non riusc mai a
pronunciarsi
risolutamentea favore di
una
di
queste
tesi: Di
queste quattro
teorie
sullanima, e cio se le anime han-
no
origine
per
discendenza, se sono create nei
singoli
individui che
na-
scono,
se
gi preesistenti
altrove sono da Dio mandate nei
corpi degli
in-
dividui che
nascono,
ovvero se vi
cadono,
per proprio impulso,
non si
deve affermare
nessuna
pregiudizialmentew
D'altronde
gli pareva
una
questione
tutto sommato secondaria, su cui e consentito errare
senza incorrere in
conseguenze
rovinose; cosa
che accade invece
quando
si erra intorno a Dio. Infatti
non ci si
espone
a nessun
pericolo
se
pen-
seremo della creatura
qualche
cosa di diverso da
quello
che
,
purch
non lo riteniamo come conoscenza certa. Tanto vero
che
per
essere feli-
ci non ci si comanda di tendere alla creatura ma allo stesso Creatore.
E se su
di Lui ci facciamo un'idea differente da
quel
che conviene e
diversa da
quel
che in effetti
,
ci lasciamo
ingannare
da
un errore rovi-
noso. Non si
pu giungere
alla felicit
(beatam vitam) se ci muoviamo
verso
qualche
cosa
che
o non esiste o se esiste, non rende felicil>>J7fi
Nella
maturit,
tornando a riflettere
su
questo problema Agostino
scopr
che la tesi della
preesistenza
delle anime
e, implicitamente,
anche
quella
della loro caduta
e l'unione con il
corpo
non
possedevano
nessu-
na solidit e le abbandonofl?Non riusc invece mai a vincere la
sua
per-
plessit
nei confronti delle altre due soluzioni: creazione diretta indivi-
duale e traducianesmo. Ancora nelle
Ritrattazioni, uno
degli
ultimi Scrit-
ti,
confessa: Per
quello
che
riguarda l'origine
dell'anima
sapevo
che
era
stata fatta
per
essere unita al
corpo,
ma non
sapevo
allora
(al
tempo
del-
la
composizione
del Contra
Academicos), come non so adesso, se essa
discenda dal
primo
uomo
oppure
se continuamente
venga
creata
singo-
larmente
per
ciascun individuowfloln linea di
principio
trovava
pi
plausibile
l'ultima soluzione
(creazioneindividuale),ma
neppure questa
lo Convinceva
pienamente,
in
quanto gli
risultava difficilmenteconcilia-
bilecon la dottrina della trasmissione del
peccato originale:
come
pu
uscire
qualche
cosa di contaminato dalle mani di Dio? Tale difficolt
verrebbeeliminata ricorrendo
all'ipotesi
che le anime
passino
dai
padri
177)De lib. arb.
3, 21,
59.
mmbid,
179)Cf. De CU. Dei
10,
31.
lgfRetract. 1, 1;
cf. anche
2,
56.
210 Parte
prima
nei
figli
mediante
generazionespirituale per
il tramite di un seme incor-
poreo
(traducanesimo spirituale).
Ma nemmeno
questa
soluzione
persua-
de
Agostino, giacch, per quanto
si sforzi, non riesce a
comprendere
in
che modo l'anima
possa
essere formata da
quella paterna,
cos come una
fiamma si accende da un'altra fiamma, senza
che colui che comunica la
luce
perda
niente della sua.
Al momento dell'atto
generativo,
Vi una
via
segreta
e
invisibile
per
la
quale
il
germe
incorporeo
di un'anima
passi
dal
padre
nella madre?
E,
ci che
pi
incredibile,
questo germe
incorporeo
dell'anima sarebbe nascosto nel
germe
del
corpo?>>.1 Ago-
stino
pensa
che
per
tale
questione,
come
per
altre assai
complesse
e
diffi-
cili,
l'uomo non deve
vergognarsi
di confessare la
propria ignoranza.
PROPRIETDELL'ANIMA
Defnita l'anima come natura dotata di
pensiero,
non
si
possono
non
assegnare
ad
essa
alcune
propriet
che
sono fondate direttamente
sulla sua essenza, quali
la
semplicit,
la
spiritualit,
la incorruttibilit
(immortalit),
la
libert,
la familiaritcol mondo dello
spirito e,
di con-
seguenza,
la sua
somiglianza
con
Dio
(imago
Dei).
Della libert dello
spi-
rito umano si
gi
detto;
della immortalit e
dellmagu
Dei si
parler
pi
avanti.
Qui
ci soffermeremo a
illustrareil
pensiero
di
Agostino
sulla
semplicit
e
sulla
spiritualit
dell'anima che
egli
stesso
pone
al
primo
posto
nell'elencodelle sue
caratteristicheessenziali.
Trattandodella
semplicit
e
della
spiritualit, Agostino
non si limita
a
estrapolarle
(con un
procedimento
deduttivo)
dalla natura dell'anima,
ma cerca
di
provarle rigorosamente
attraverso
procedimenti
talora
per-
sino eccessivamente sottili (come
nel De
quantitate
animare,
per
dimostra-
re
la
semplicit) prendendo
in esame
varie attivit
dell'anima,
soprattut-
to Yautocoscienza.
L'anima
semplice,
in
quanto

inestesa,
ed inestesa
perch
non
lunga, larga,
solida o
soggetta
ad altre
propriet
che di solito si esamina-
no nelle dimensioni dei
corpiw?
Ma fino
a
questo punto
l'anima del-
l'uomo non si
distingue
affatto dall'anima dei bruti
perch
anch'essa
inestesa e
quindi semplice.
Ci che ha di
singolare
l'anima umana
di
essere,
oltre che inestesa anche
spirituale,
e
questa qualit
le
appartiene
in
quanto
dotata di
pensiero,
ci che i bruti non
hanno.
mEpist. 190, 4,
14. Vedi inoltre: De anima et eius
orig.
4, 2;
De Ceri. ad litt.
10, 21;
Opus imp,
c. [all'anima 2,
168.
132)De
quant.
unimae
3,
4.
Agostino
di
Ipporza
211
Espressioni
del
pensiero
che attestano la natura
spirituale
dell'anima
sono: la
percezione
delle Verit-eterne
(le
idee di
verit,
giustizia,
bellez-
za, bont,
perfezione
ecc.),
l'apprensione
dei
princpi primi,
l'autoce-
scienza che l'anima realizza mediante la ratio
superior.
Sono tutte cono-
scenze
che l'anima realizza senza
il
concorso dei
sensi, senza alcun
rap-
porto
col
corpo,
col mondo della materia.
un
agire
assolutamente
spi-
rituale in direzione di un mondo essenzialmente
immateriale,
immuta-
bile,eterno.
L'argomento
su cui
Agostino
fa
maggiormente
leva
per
dimostrare la
spiritualit
dell'anima
quello
dellautoc0scienza. Gi nel
giovanile
De
quantitate
animata aveva intravisto nell'autocoscienzaun documento
importante
a favore della
spiritualit,
ma non l'aveva sfruttato
perch
lo
riteneva di difficile
comprensione.
Allora scriveva:
A
pochi
concesso
vedere lo
spirito
con lo
spirito (paucis
Iicet
ipsa
anima arzimum
cernere), cio che lo
spirito
veda
se stesso. Si vede
mediante
l'intelligenza.
Ad
essa
soltanto lecito Vedere che nella
realt non
vi essere
pi
attivo e
pi perfetto
di
quegli
esseri che si
concepiscono, per
cos
dire, senza
rigonfiamenti.Rigonfiamento
si
pu
appunto
non
illogicamente
considerare la
grandezza corporea.
Se
questa
fosse da tenersi in
considerazione,
gli
elefanti avrebberocer-
tamente
maggiore intelligenza
di noi
(...).
Ognuno
sa che l'occhio del-
l'aquila
e molto
pi piccolo
del nostro. Si osservato tuttavia che
essa,
pur
volando cos alto che da noi
pu
difficilmenteesser vista,
sebbene
in
piena
luce,
scopre
con
l'occhio
un
leprotto
nascosto sotto un
cespu-
glio
o un
pesce nell'acqua. Quindi
anche nei
sensi,
cui dato
percepire
soltanto
oggetti
sensibili,
la
grandezza
del
corpo
non vale nulla
agli
effetti, cio al
potere
del sentire stesso. Non si deve temere
dunque
che
lo
spirito umano,
il cui
sguardo pi
eccellente
e
quasi
unico la
ragio-
ne
(pene
solus
aspectzcs
est
ipsa
ratio), con cui
prova
di
scoprire persino
se stessa,
un nulla, se la
ragionepu
dimostrare che lo
spirito,
cio se
stessa,
immune da
quantit,
con cui si
occupa
lo
spazio.
Nel
concepi-
re lo
spirito
si deve certamente
pensare
qualche Cosa di
grande,
ma
senza massa (sine
alla
mole).

pi
facilea Coloro che
con una buona
cultura iniziano ad
applicarsi
a
questi problemi,
non
per vanagloria,
ma infiammati d'amore divino
per
la
verit, ovvero anche a coloro che
gi
vi si
applicano,
sebbene abbiano iniziato
l'indagine
con cultura
meno solida. In tal
caso devono con costanza offrirsi docili ai buoni e
distaccarsi dalla
sensibilit,
quanto

possibile
in
questa
vita.183
m-lbidv 14,
24.
212 Parte
prima
Pi
tardi,
nella
maturit,
la
sua
analisi dell'anima divenne
sempre
pi
lucida e
pi profonda; largomentazione
della sua
spiritualit
cen-
trata sull'autocoscienzadivenne
uno
dei
punti pi suggestivi
di tutta la
sua
imponente
e
possente speculazione
filosofica. Nel De Trinitate il te-
ma viene
eseguito
secondo numerose variazioni, come nelle
fughe
di
Bach.
Qui
noi lo
riprendiamo
nella
sua struttura essenziale,
che la
seguente:
l'anima
conosce se stessa; ora
-
osserva
Agostino
- conoscendo
se stessa essa conosce
di
non essere
corpo,
perch
non
pu
conoscersi
senza conoscersi
conoscente, come non
pu amare, volere,
ricordare
senza
sapere
di
amare,
volere, ricordare; ma
la virt di
conoscere,
amare, volere, ricordare, non niente di
corporeo,
e se lo
fosse, l'anima,
conoscendo se
stessa, non
potrebbe
non
saperlo.
Ora una cosa non si
pu
con
ragione
dire
conosciuta,
quando
non se ne conosce la sostanza.
L'anima,
dunque, quando
si
conosce,
conosce la sua sostanza, e
quando
certa di
s,
certa della
sua sostanza. Ora certa di
s, come
lo
prova-
no le cose dette
sopra.
E non
per
niente certa di
essere aria, o fuoco, o
qualsiasi
altro
corpo,
0
qualche
cosa
di
un
corpo. Dunque
non niente
di
questi.154
La coscienza che l'anima ha di
se stessa - insiste
Agostino
-
non un
epifenomeno,
un
accidente della
materia,
bens
una
propriet
essenziale di
una sostanza
spirituale.
I filosofi
(stoici
ed
cpicurci)
che
ritengono
che la mente o un
corpo
o la coesione e
l'equilibrio
di un
corpo vogliono
che tutti
questi
atti della mente siano
degli
accidenti la
cui sostanza sarebbe
l'aria, o
qualche
altro
corpo
che essi identificano
con lo
spirito; l'intelligenza
si troverebbe
dunque
nel
corpo
come un
attributo
(sicut
qualitas
eius);
il
corpo
sarebbe il
soggetto, questa
un acci-
dente del
soggetto.135 Agostino replica
ad essi che
questo
non affatto
vero: tutti costoro non avvertono che lo
spirito
si conosce
anche
quan-
do si
cerca,
come abbiamo
gi
mostrato. Ora del tutto
illogico
afferma-
re
che si conosce una cosa di cui si
ignora
la sostanza. Perci mentre lo
spirito
si
conosce,
conosce
la
sua sostanza
e,
se si conosce con certezza,
conosce con certezza la
sua sostanza (...).
Esso conosce
queste
cose
in
s,
non se
le
rappresenta per
mezzo
dell'immaginazione
come se esso
le at-
tingesse
al di fuori di
s, con i
sensi,
alla maniera in cui
attinge
tutti
gli
oggetti corporei.
Se
esso non
si assimila falsamente
a nessuno
di
questi
corpi
che si
rappresenta,
al
punto
di credersi
qualcuna
di
queste cose,
ci che di s
gli
resta,
questo
solo
esso ,
cio
spirito.186
WDE Trim.
10, 10,
16.
185)Ihid., 15.
IBHJCL, I6.
Agostino
di
Ippona
213
NOBILTDELL'ANIMA
Al tema della
grandezza"
dell'anima
Agostino
ha dedicato
l'opera
omonima,
De
quantitate
animae. L
precisa
sin dalle
prime
battute che la
grandezza
di cui intende trattare non
quella
materiale,
la
grandezza
fi-
sica nell'ordine
dell'estensione,
bens
quella
interiore,
cio la
grandezza
nell'ordine del
valore,
vale a dire la
sua nobilt,
la sua
dignit,
il
suo
po-
tere:
quantum
oaleat nosse UiS>>37 Esamineremo la
grandezza
dell'ani-
ma nel
senso in cui abitualmente si chiede
quanto grande
fu Ercole
per
grandezza
di
imprese
e non
per sviluppo
di membra
(...).
Dunque quando
si ode
o
si dice che 10
spirito
(animum)

grande
o immenso, non
si deve
intendere
grandezza
dell'estensione
occupata,
ma
grandezza
di
potere>>j33
L0 studio della
grandezza
dell'anima,
che e
poi
studio della
grandez-
za delluomo,
da
Agostino
non inteso nel
senso umanistico rinasci-
mentale e ancor meno nel senso laico
moderno, cio volto
a esaltare
(in
un
antropocentrismo pi
o meno
esagerato)
la
dignit
dell'uomo
come
microcosmo,
chiuso in se stesso. Ma chiaramente realizzatonella
pro-
spettiva
del noverim
me,
Iioverirr:
te,
dove la conoscenza dell'Io stretta-
mente
legata
alla
conoscenza di Dio e ad essa subordinata.
Agostino
lo
attesta
apertamente
nei
Soliloqiti
dove
presenta
la
conoscenza dell'anima
come
prolegomeno
alla
conoscenza di Dio. Ecco le testuali
parole
di
Agostino:
Il
pensiero
che in
colloquio
con te (ratio
quae
tecum
loquitur)
garan-
tisce che manifester Dio alla tua mente come
il sole si manifesta alla
vista. Difatti le facolt interiori
sono,
per
cos
dire,
gli
occhi
propri
della mente e i
princpi
assolutamente certi delle
discipline
sono in
analogia
con
oggetti
come la terra e tutte le cose terrestri che,
per
apparire
alla
vista,
devono
essere illuminatedal sole. E Dio
quegli
che illumina.Ed
io,
pensiero (ego
autem
ratio), sono nelle menti come
lo
sguardo negli
occhi. Non lo stesso avere
gli
occhi
e
guardare,
ed
egualmente
non lo stesso
guardare
e vedere. Pertanto l'anima ha
bisogno
di tre
disposizioni:
che abbia
gli
occhi di cui
possa
bene
usare,
che
guardi,
che
Vegga
(oculos habeat,
aspiciat,
videat).
Occhio del-
l'anima la mente immune da
ogni
macchia del
corpo,
cio
gi sepa-
rata e
purificata
dal
pensieri
delle cose caduche
(...).
Lo
sguardo
del-
l'anima il
pensiero (aspectus animate,
ratio
est).
Ma non
segue
che
ognuno
che
guarda,
vegga. Dunque
lo
sguardo
puro
e
consumante,
al
quale
cio
segue
visione,
si dice virt che
appunto puro
e consu-
mante
pensiero
(airtus
nel recta nel
pei/festa ratio).
Ma anche lo
sguardo
non
pu
drizzare
gli
occhi, sebbene
gi
sani,
alla
luce, se non vi
sono
137) De
quant.
anmac
3,
4.
188)Ibid1' 17, 30.
214 Parte
prinza
le tre virt,
cio la fede con cui crede
l'oggetto,
al
quale
si deve rivol-
gere
lo
sguardo,
e tale che visto beatifica;
la
speranza
con
cui ha fidu-
cia di vedere se
guarder
bene;
la carit con cui desidera di vedere e
godere.
E ormai allo
sguardo segue
la stessa visione di
Dio,
che fine
della visione non
perch questa
cessi, ma
perch
non
ha altro fine a
cui
dirigersi.
Il
pensiero
che
raggiunge
il suo fine:
questa
veramente
consumata virt,
alla
quale segue
felicit
(Iiaec
est vere
perfetti
virtus,
ratio
pervenians
ad
finenz sumn,
quam
beata vita
COHSBqHHT).
E visione in
s
puro pensiero
che nell'anima e
che si
compone
di
soggetto
conoscente e
oggetto
conosciuto allo stesso modo che il vedere
degli
occhi risulta dallo stesso senso e
dal
sensibile,
dei
quali
se uno
e sot-
tratto,
nulla
pu apparire.189
Il De
quantitate
animae
pu
essere letto come un commento, una
specie
di enarratio dello
stupendo
brano dei
Soliloqui appena
citato.
Compiendo
multi et
Iongi
circuitusflfl!
Agostino
evidenzia la
grandezza,
la
dignit,
la
nobilt,
il
valore,
il
potere
dell'anima
passando
in
rassegna
le sue attivit,
e
disponendole
secondo
un
preciso
ordine
gerarchico,
il
quale
abbraccia
sette
gradi
o livelli.
Egli
stesso
precisa
che l'anima
pu svolgere
tutte le
sette attivit simultaneamente
(fieri potest
ut haec onmia simul
agaflfl
ma
pu
anche darsi il caso
che
quando
ha
raggiunto
il
grado supremo,
cio
l'ultimo
scalino, non abbia
pi bisogno
di
percorrere
gli
altri.
Le sette attivit che,
secondo
Agostino,
attestano chiaramenteil
pote-
re,
il
valore,
l'eccellenza e
pertanto
la
grandezza
dell'anima sono: ani-
mazionedel
corpo,
sensazione (conoscenza sensitiva),
cultura materiale,
cultura morale,
autocoscienza
piena (denique
in
seipsa
laetissimc tener),
brama di conoscere
lEssere sommamente
intelligibile,
Dio
(appetitio
intelligendi
ca
quae
vere
summeque
sunt),
visione di Dio. Per denominare
questi
sette
gradi Agostino
stesso
propone
la
seguente terminologia:
NelPascesa dal basso verso l'alto,
il
primo
atto,
a
scopo
pedagogico
(docendi causa),
sia chiamato
animazione;
il
secondo, sensazione;
il
terzo,
arte;
il
quarto,
virt;
il
quinto,
serenit;
il
sesto,
entrata
(ingrassato);
il setti-
mo, contemplazionemwl
Riguardo
al settimo
grado Agostino
fa tre
importanti
osservazioni: a)
che non si tratta tanto di
un
grado quanto
del
traguardo
finale,
dove ci
si arresta
definitivamente: Non un
grado
ma uno stato definitivo che
si
raggiunge
attraverso i vari
gradi;193
b)
che
raggiungibile
dall'uomo
anche
se
per conseguirlo egli
non
deve contare soltanto sulle sue
forze:
139)S0l. 1, 6,
12-13.
19)Cf. De
quam.
flilf.7,
12.
19Cf. Ibiafi, 35,
79.
193)Ibid.
193151151, 33, 76.
Agostino
di
lppona
215
Ed
ora oso dirti
quanto segue.
Se noi siamo
perseveranti
nel tenere il
cammino che Dio ci ordina
e
che noi abbiamo
intrapreso giungeremo,
con
l'aiuto della divina
provvidenza,
alla
Ragione suprema
0 sommo Fattore 0
sommo
Principio
dell'universo
o,
se
si
vuole,
altro
nome con cui un essere
tanto
grande
si
possa pi
convenientemente
designare;194 c)
che
procura
una
gioia
immensa e indieibilea colui che lo
raggiunge:
Vi tanto
godi-
mento nella
contemplazione
della
Verit,
nei limiti in cui
possibile
Con-
templarla,
tanta
purit,
tanta
perfezione,
tanta certezza
dell'oggetto,
da
far
pensare
che
non si aveva mai avuta scienza di
qualche cosa, quando
sembrava di
averne. E affinch l'anima sia meno ostacolata nell'aderire
tutta al tutto della
verit,
la
morte,
che
prima
si
temeva,
desiderata
come
definitiva
ricompensa,
in
quanto fuga
totale e liberazionedel
corp0.195
Agostino
non stato certamente il
primo
a
presentare
le varie attivit
dell'anima
come attivit
gerarchicamente
ordinate allascesi
e all'unione
con Dio. Lo avevano fatto in termini e con
impostazioni
assai simili ai
suoi l'ebreo Filonee il
pagano
Plotino.196 Ma la dottrina ascetica e misti-
ca
di
Agostino presenta aspetti
di assoluta
originalit rispetto
alle dottri-
ne
di
questi
suoi illustri
precursori.
In effetti il
traguardo
finale dell'ani-
ma
per
un filosofocristiano
qual

gi Agostino
al momento della stesu-
ra
del De
quantitate
animae
non un essere
supremo
assolutamente
imperscrutabile
e inaccessibile,come
il Dio di Filonee l'Uno di
Plotino,
bens il Creatore di tutte le cose
che
sono,
da cui
tutto,
per
cui
tutto,
in
cui
tutto,
cio Ymmutabile
Principio,
Fimmutabile
Sapienza,
l'immuta
bile
Carit, un solo Dio
perfettissimo,
che e
sempre
stato e
sempre
sar.197 Diversamente da Filone
e
da
Plotino,
per
i
quali
l'ascesa e l'u-
nione con la Realt ultima
comportava
1a eliminazione
e
la
soppressione
delle altre
attivit,
per Agostino
l'anima,
anche
dopo
l'unione, conserva
inalterate anzi rafforzate
e
perfezionate
tutte le altre
attivit,
inclusa
quella
dell'animazione del
corpo.
Infine,
i
gradi superiori
dell'ascesa
a
Dio non sono
opera
della
filosofia,
bens
della
religione,
la
quale per
Agostino
si identifica col cristianesimo: E
vera
religione quella
con cui
l'anima,
mediante la riconciliazionesi
lega
di
nuovo a Dio,
dal
quale
si
era disciolta,
per
cos dire col
peccato.
E
essa
dunque
che nel terzo
grado
imbriglia
l'anima
e comincia a
guidarla,
la
purifica
nel
quarto,
la rimio-
Va nel
quinto,
la introduce nel
sesto,
la nutrisce nel settimo>>.198
194)Ibid.
195)Ibid.
19fi)Fil0ne
parla
di
ascesi,
purificazione,
ritorno al divino mediante il
Logos, con-
templazione, rapimento,
estasi,
ebbrezza del
divino;
Plotino
parla
di
purificazio-
ne, ritorno, conversione, visione, intuizione,
contemplazione, contatto, unione,
estasi.
197) De
quant.
animale
34,
77.
198) Ibid., 34,
78.
216 Parte
prinza
RAPPORTI DELL'ANIMA
COL CORPO
La
preoccupazione primaria
di
Agostino
nello studio dell'uomo
decisamente indirizzataall'anima e cos,
quando
dichiara di voler cono-
scere soltanto due
cose,
l'anima
e Dio,
d
l'impressione
di voler identifi-
care l'uomo con
l'anima come avevano
fatto i
platonici.
Ma
un'impres-
sione errata. La sua
preoccupazione legittima
di
studiare, conoscere,
col-
tivare l'anima,
perch
la
superiorit
dell'uomo
stigli
animali sta nell'ani-
ma e non
nel
corpo,
e
porche
il destino ultimo dell'uomo anzitutto e
soprattutto legato
all'anima, non
gli impedisce peraltro
di affermare che
il
corpo appartiene
all'uomo essenzialmente, naturalmente, e che,
per-
tanto, non ci
pu
essere
felicit
per
l'uomo se non si d
compimento
anche alle
esigenze
del
corpo
oltre che alle
aspirazioni
dell'anima?
Il testo in cui
Agostino esprime meglio
il suo
pensiero
sulla
questione
dei
rapporti
tra anima e
corpo
si trova nel De moribus ecclesiale catholicae
(1, 4),
dove scrive
quanto segue:
Come definiremo l'uomo? Diremo che
esso anima e
corpo,
come
diciamo un carro a due cavalli o un centauro? Lo chiameremo soltan-
to un
corpo
che al servizio di un'anima
padrona
di se stessa, come
quando parliamo
di
una lanterna, non
indichiamo insieme il fuoco e
il
vaso
che lo
contiene,
sebbene sia a causa del fuoco che chiamiamo
quel
vaso una
lanterna? Lo chiameremo soltanto
un'anima, ma sottin-
tendendo il
corpo
che
essa
regge,
come
quando parliamo
d'un cava-
liere, non
parliamo
insieme del cavallo e dell'uomo, ma
dell'uomo
solo,
che in tanto chiamiamo cos in
quanto dirige
un cavallo?
Sarebbe forse difficilee in
ogni
caso
lungo
il discutere tale
questione
e,
d'altra
parte,
sarebbe
superfluo.
Sia infatti che si definisca l'uomo
un'anima e un
corpo,
sia che si riservi all'anima sola il nome
di
uomo,
il bene
principale
dell'uomo non il bene
principale
del
corpo;
ma ci che il bene
principale
dell'anima e del
corpo
insieme, o
il
bene
principale
dell'anima
sola,
anche il bene
principale
dell'uomo.
Di
conseguenza
l'uomo,
per quello
che un uomo
pu giudicare,

un'anima
ragionevole
che si serve
di un
corpo
mortale
e terrestre>>20O
Un altro brano assai
eloquente,
di cui occorre tener conto
per
valuta-
re
la
posizione
di
Agostino
su
questo
difficile
problema,
lo troviamo nel
De Trinitate
(11, 1, 1),
dove si
esprime
cos: A motivo della nostra condi-
zione di esseri mortali e carnali noi trattiamo le
cose
visibiliin maniera
'
pi
facile
e,
in
qualche
modo,
pi
familiareche
non le realt
intelligibili,
l)N0nsono
pure
anime ma risotti,
quelli
che
vengono
chiamati a
riempire
il vuoto
lasciato
dagli angeli
caduti a
contemplare
l'eterno
artefice,
che ha formato
ogni
cosa
in
misura, numero e
peso
(Erzchir. c. 29).
2")
De nioribzis ecclesiae catholicae1,
4.
Agostino
di
Ippona
217
sebbene
quelle
siano
esterne,
queste
interne,
quelle
sensibili al
corpo,
queste intelligibili
allo
spirito,
e benchnoi stessi non siamo anime
sen-
sibili,cio
corporee,
ma
intelligibili,perch
siamo
vita; tuttavia, come ho
detto,
la nostra familiarit
con i
corpi,
si
proietta
talmente all'esterno
che, una volta che sia tolta dall'incertezza del mondo
corporeo, per
fis-
sarsi, con una conoscenza molto
pi
certa e stabilenello
spirito, fugge
di
nuovo verso i
corpi
e cerca la
sua
quiete
l donde ha tratto
origine
la
sua
debolezza.
Gi da
questi
testi si evince che il
pensiero
di
Agostino
sui
rapporti
tra
anima e
corpo
non coincide n col
pensiero
di Aristotele n con
quello
di
Platone. Il
suo uomo non sinolo di materia e forma
come
per
Aristotele;
l'anima da
Agostino
non mai descritta
come
forma sostanziale del
corpo.
L'uomo non
neppure
una
semplice giustapposzione
di due
sostanze
complete,
ciascuna in
grado
di
agire
in
perfetta autonomia,
per
conto
proprio,
come
per
Platone. Tra anima
e
corpo Agostino
pone
un'u-
nione
profonda, naturale, Vitale, tutto sommato
"sostanziale", come
sug-
gerisce
talvolta lo stesso
Agostino.
I testi
pi espliciti
a
questo proposito
sono i
seguenti:
L'uomo una sostanza razionale
composta
di anima
e
di
corpo.2"1
Il
corpo
di natura diversa dallo
spirito; per
non estra-
neo alla natura
dell'uomo;
giacch
lo
spirito
non
ha nulla di
corporeo,
ma 1uomo
composto
di
uno
spirito
e di
un
corpomfl
L'unione attuale
degli spiriti
ai
corpi
che costituisce la natura animale una
grande
mera-
viglia, incomprensibileall'uomo; e tuttavia l'uomo stesso>>.2U3
L'unit sostanziale dell'anima
e
del
corpo

quindi per Agostino
verit
indiscutibile,tanto che
egli
la
suppone
come termine di riferimen-
to da tutti
ammesso nelle
sue
disquisizioni teologiche, come
quando
dice
per
es.: Se il
corpo
e l'anima fanno
un solo
uomo,
benchil
corpo
e
l'anima
non siano una stessa
cosa,
come a
pi
forte
ragione
il Padre e
il
Figlio
non farebbero
un solo
Dio,
allorch il Padre
e
il
Figlio
sono una
stessa cosa?>>.2"4
Pertanto se c'
un dualismo
antropologico
in
Agostino
-
e c' indub-
biamente -
non di ordine
ontologico
bens morale. Per
Agostino
la
linea di demarcazione che
separa
l'uomo in
due, non tanto
quella
che
divide l'uomo interiore dall'uomo
esteriore,
l'anima dal
corpo,
come
per
Platone,
quanto quella
che
taglia
trasversalmente l'uomo interiore stes-
so.
Agostino
afferma certamente la distinzione tra il sensibilee l'intelli-
gibile,
tra il
corpo
e l'anima, e tuttavia nell'uomo la frattura
pi profon-
3D1)H0mo est substantia rationalis constans anima et
corpore
(De- cura
pro
mort.
ger.
3, 5).
292)Decontinentiu
12, 26.
203m: civ. Dei
21,
10.
204)Epist. 238, 2, 12.
218 Parte
prima
da non
quella
che
passa
ai confini tra la materia e lo
spirito,
bens
quel-
la che attraversa Io
spirito
stesso: la linea di demarcazione che divide
lo
spirito
in ratio
inferior
e
ratio
superior,
in liberumarbitriumet libertas,
in
cupiditas
e caritas.
Questa
divisione interiore molto
pi grave
e
gravida
di
conseguenze
della divisione esteriore. Da tale
divisione, infatti,
deri-
vano la loro
origine
le due Civitates,
celeste e terrestre. Il
corpo,
bench
fatto di
terra, non
relegato
alla citt terrestrefll?
Poich
appartiene
all'uomo essenzialmente,
fa arte esso stesso di uella citt cui a artie-
u u a v
p
4 n
q
u n
ne
l'anima.
Quindi, se l'anima,
lo
spirito,
avra la
grazia
di essere conse-
gnata
definitivamente alla Civitas Dei anche il
corpo
ricever lo stesso
privilegio.
In effetti,
col
corpo
risorto che i beati entrano in Cielofinfi
UIMMORTALITDELL'ANIMA
L'uomo,
bench finito e mutevole,
essenzialmente
spirituale
e
per-
tanto incorruttible
per quanto
concerne
la sua
parte pi
nobile, l'anima,
mentre rimane intrinsecamente corruttibile
per
la
sua
componente
meno
nobile,
il
corpo.
In secondo
luogo,
l'uomo viene in
questo
mondo
pi
come un
progetto
che
come una
realt
pienamente
attuata,
investito della
singolare responsabilit
di definire il
proprio progetto
di umanizzazione
e
di realizzarlo. A tal fine munito da Dio del
potere
di conoscersi e
di
scegliersi.
Con la ratio
superior
e con
la libertas
egli
trova la strada
giusta
per
diventare
pienamente
se stesso e
per
conseguire
la vita beata. Ma l'iti-
nerario da
percorrere
(che
Agostino
ha tracciatochiaramentenel De
quan-
titatc
animae)
per
conseguire
il
traguardo
finale arduo,
lungo, impegnati-
vo
ed tutto in ascesa:
si tratta di scalare una
montagna
a sette balze sem-
pre pi
scoscese e
rischiose man mano
che si avvicinano alla vetta. Col
suo libero arbitrio l'uomo corre
continuamente
il
pericolo
di lasciarsi
sedurre dalle
lusinghe
della ratio
inferior
e
di
precipitare
verso
il basso.
Comunque, indipendentemente
dall'esito finaledella
scalata,
Agosti-
no certo che l'esistenza della
persona
non resta chiusa dentro i confini
della vita
terrena, ma si
prolunga
verso l'eternit,
perch
l'anima umana
immortale.
2U5)L'uomo tutto intero,
l'uomo
composto
di anima e di
corpo,
sar immortale e
dunque
veramentebeato (De
Trin. 13, 9, 12).
2998.
Agostino, superando
il dualismo dei
greci
da un lato sollev il
senso,
con
Yattribuirloall'anima,
da un altro fece del
corpo,
in
quanto
corrompibile
e cadu-
co
solo
per opera
del
peccato
minimizzante e nientificante, un
qualche
cosa
di
coscienziale,
potenziale
e redimibile
(T. MORETTl-COSTANZI,
S.
Agostino filosofo,
in
Appendice
a La fcrrcstrit edenica del cristianesimo e la contmniizazione
spirituali-
stica, Patron, Bologna
1955,
p.
52;
vedi anche H. U. v. BALTHASAR, Gloria,
Il. Stili
ecclesiastici,Iaca Book,
Milano 1978,
pp.
109 ss).
Agostino
di
Ippona
219
Di
per
s l'affermazionedell'immortalit dell'anima
consegue
neces-
sariamente
e
in modo
ineccepibile
dalla
posizione
della
sua
spiritualit,
perch
10
spirito
indistruttibile.
Per, trattandosi di
una verit di
Capi-
tale
importanza,
che decide di tutta la condotta dell'uomo in
questo
mondo,
Agostino
si
adopera
in tutti i modi
per
corroborarla
e
sostenerla
con
argomenti
irrefutabili,
perch
non sia consentito a nessuno di met-
terla in dubbio
0
di
negarla.
Oltre che nel De immorfalitate
animare,
il
quale,
come
suggerisce
il
titolo,
ha
come
argomento precipuo
la
soprav-
vivenza dell'anima
dopo
la morte del
corpo, Agostino
affronta
questo
problema
in molte altre
opere,
in
particolare
nei
Soliloqui
2, 13,
23 e 2, 19, 33;
nel De liberoarbitrio
2, 9,
27 e 2, 12, 33-34;
nel De Trinitate
13, 9,
12 e 14, 4, 6;
nel De civitate Dei
10,
31
.
Nel De Trinitale
(13, 9, 12)
Agostino
osserva
che tra coloro che si
sono sforzati di trovare una soluzione
(alla
questione
della vita
futura)
con l'aiuto di
argomentazioni umane,
solo assai
pochi,
dotati di
potente
ingegno,
in
possesso
di molto
tempo
da dare alle cose dello
spirito,
scal-
triti nei
ragionamenti pi
sottili,
poterono giungere
a
scoprire
l'immor-
talit dell'anima.207Nella stessa
opera
esibisce la
seguente
definizione
dell'immortalit; L'anima si dice immortale
perch, qualunque
sia la
sua vita,
fosse
pure
la
pi
miserabile, non cessa mai di
vivere; cos,
ben-
ch la
ragione
o
l'intelligenza
sia talvolta in essa
assopita,
talvolta
appaia grande,
talvolta
piccola,
tuttavia
giammai
lanima
umana cessa
di
essere razionaleo
intelligente>>208
Tre sono
gli argomenti
che
Agostino
avanza a
sostegno
della tesi del-
l'immortalit:
1)
l'autonomiadell'anima dal
corpo
sia
nellagire
sia nel-
l'essere; 2)
il desiderio naturale che tutti abbiamodella
immortalit; 3)
il
vincolo indissolubileche unisce lanima
con
qualche
cosa di assoluta-
mente incorruttibile:la verit.
Il
primo argomento
viene
proposto
nel De immortalitate animae
ma
con
procedimenti
talmente
astrusi,
che lo stesso
Agostino,
quando
prov
a
rileggerli
incontr
grosse
difficolt
a intenderli: E cos oscuro
che io stesso
quando
lo
leggo
mi affatico
e difficilmentelo
compren-
do.209 Le linee essenziali
dellargomentazione
sono
comunque
molto
chiare.
Agostino
dimostra
l'indipendenza
dell'anima dal
corpo
nell'or-
dine
dell'agire,
richiamandol'attenzione
su uno dei suoi atti
pi
elevati,
quello
con cui
conosce
i
princpi
e le
leggi
universali. Se sussiste nell'a-
nima
qualcosa
di
immutabile,
che
implica
la
vita, una vita
permanente
sussiste in essa (...).
Chi oserebbe sostenere infatti
(per
limitarmi
a
questi
37)De Trin.
13, 9,
12.
Zosflbid, 14, 4,
6.
2U9)Retract. 1,
5.
220 Parte
prima
esempi),
che il
rapporto
dei numeri non immutabile?
0
che
ogni
arte
non
si basa sul loro
rapporto?
o
che l'arte non esiste nell'artista,
anche
quando questi
non
la
esercita; 0
che
non esiste nel suo
pensiero;
o
che
pu
esistere l dove non vi
vita; 0
che ci che immutabile
possa
cessa-
re un
giorno
di
esistere; 0
che l'arte e la
ragione
siano cose distinte....2
L'argomento eudemonologico
(cio
desunto dalla tendenza universa-
le alla
felicit)
nel De Trinitateassume
la forma
seguente:
Tutti
gli
uomtl
ni
vogliono esserefelici
(m).
Ma solo Vivendo
possono
essere
felici:
dunque
non
vogliono
che
perisca
la loro Vita.
Dunque vogliono
essere
immortali
tutti coloro che sono o
vogliono
essere veramente beati. Ma non vive
beatamentecolui che
non
ha ci che
vuole; non vi sar
dunque
in alcun
modo vita veramentebeata che
non
sia eternam"
L'argomento principe
di
Agostino per provare
l'immortalit dell'ani-
ma
quello
che si fonda sul
rapporto
dell'anima con la verit.
Non vi alcun dubbio -
osserva
Agostino
- che la verit
presente
all'animae
che tale
presenza
determina un'unione tra la mente che la
contempla
e
la verit che
contemplata.
Ma tale unione non
pu
avvenire che in tre modi: o la verit
nell'anima; o
l'anima nella
verit; o l'anima e
la verit sono tutt'e due sostanze. Nel
primo caso,
la verit aderisce
all'anima, e
l'anima avr allora la stessa immortalit
della verit a cui
aderisce;
nel
secondo,
l'anima aderisce alla
verit,
ed
essendo la verit immutabile, non lo sar meno l'anima,
collocata in
tal
caso
nella verit come
in un
soggetto.
Nel terzo
caso,
l'unica
ipote-
si contraria allimmortalit
potrebbe
essere
di
pensare
che,
essendo
l'anima e la Verit tutt'e due
sostanze,
possa
cessare
la loro unione.
Ma una tale
ipotesi
si dimostra assolutamente insussistente dal
momento che nulla
separer
l'anima dalla verit: non un
corpo,
che
non
pu
nulla contro lo
spirito,
essendo ad esso inferiore; non l'anima
stessa,
a cui connaturale il desiderio di essere
sempre,
e
che
quindi
non
potrebbe separarsi
da ci che solo
capace
di mantenerla nell'e-
sistenza; non Dio,
che ha dato all'anima la sua natura e
l'ha unita a s
e conserva
ogni
cosa
secondo la natura di ciascunaml
Ma
pi
che da
questi argomenti,
il convincimento di
Agostino
nella
immortalit dell'anima deriva dalla
sua
visuale
antropologica
e dal suo
metodo di ricerca della verit: il metodo della interiorit. Per chi vede
l'uomo
come
lo vede
Agostino,
il
quale
non
esita a
proclamare
che tra
tutte le creature l'uomo
occupa
il
primo posto:
Inferiorea lui e l'anima
del
bruto,
eguale
la sostanza
angelica, pi perfetto
nessuno.
E
se even-
210) De immartalitateanimare
4,
5.
31)De Trin.13,8,11.
31Z)De
immort. anirrzae 6,
10-11.
Agostino
di
Ippona
221
tualmente
qualcuno

pi perfetto,
il fatto dovuto al
peccato,
non alla
natura,213 e che,
applicando
il metodo
delrinteriorita, fa
esperienza
della
propria
memoria
ontologica,
che memoria
dell'eterno, dell'asso-
luto, dellmmutabile,l'immortalit dellanima una certezza che tra-
scende la forza di
qualsiasi
argomento
e rende
persino superflua qual-
siasi
prova.
Mendicare il
soccorso della
speculazione
astratta
per
chi
considera l'anima
con la luce incandescente della ratio
superior

come
ricorrere ai fanali in
pieno giorno, quando splende
il
sole,
per
vedere
meglio
la strada!
Sotto la luce radiosa della ratio
superior
l'uomo di
Agostino coglie
la
natura
squisitamente spirituale
del
proprio
Io e vede
rispecchiarsi
in
esso
l'immagine
di colui che lo
Spirito assoluto, sussistente ed
eterno,
Dio.
In
questo
ritrova anche il documento
pi
sicuro della
propria perennit.
Essendo stata
fatta
a
immagine
di
Dio,
nel
senso
che
pu
far
uso della
ragione
e della
intelligenza
per comprendere
e vedere
Dio,
evidente che
dal momento in cui ha cominciato a esistere
una cos
grande
e meravi-
gliosa natura,
sia che
questa immagine
sia talmente
logorata
da
non esi-
stere
quasi pi,
sia che sia ottenebrata
e
sfigurata,
sia che sia chiara
e
bella, non cessa mai di
essere.214 Su di
essa e
impresso
il
sigillo
della
eternit.
Dio, che
immortale,
ha
prodotto
un essere immortale
a sua
somiglianza (ipse
immortalis immortale
quiddam fecit
ad similitudinem
suam).25
L'esame del
problema
della immortalit rivela
ancora una volta che i
due
poli
della ricerca
agostiniana
(Io e Dio),
disgiunti
e lontani
all'inizio,
man mano che
l'indagine
avanza tendono ad avvicinarsi e alla fine ten-
dono
a confluire in un'unica
realt, come reclamava
l'inquietudine
ini-
ziale:
Inquietum
est cor nostrum donec
requiescat
in te.216
LE ATTIVITSPIRITUAL] DELL'ANIMA E IL suo RITORNO A DIO
Nel
corso del
presente capitolo gi qualche
cosa si detto delle atti-
vit dell'anima. Abbiamovisto che
Agostino argomenta
la natura
spiri-
tuale, immaterialedell'anima
e la sua
appartenenza
al mondo dello
spi-
rito
attraverso l'esame delle
sue attivit. Ci sono attivit del
pensiero
con cui l'uomo
pu
mantenere
un
rapporto
costante con
il mondo
supe-
riore,
il mondo della ratio
superivr
e che lo rendono desideroso di fare ad
esso ritorno
dopo
la difficile
e
pericolosa
escursione nel mondo sensibile.
213) De
quant.
animae
34,
78.
314) De Trin.
14, 4,
6.
215) De
quant.
animae
2,
3.
25)C0nf.1,1,1.
222 Parte
prima
Secondo
Agostino
le facolt
spirituali
di cui l'uomo dotato non s0
no due,
l'intelletto e la volont, come
insegnavano
Platoneed Aristotele,
ma tre. Allintelletto e
alla volont
egli
affianca la memoria. E nella sua
psicologia
la memoria
gioca
un
ruolo
importantissimo.
Infatti nel sotto-
suolo
della
memoria che la mens (intelletto)
scava
per
scoprire
la
propria
identit,
per
raggiungere l'origine
del
proprio essere,
per
attingere
la
verit. La memoria anche il cordone
ombelicaleche
lega
l'anima a Dio.
Nelle
Confessioni,
che sono
la commovente
"memoria della sua
vita
e
gi
di
per
s un magnificoelogio
di
questa
facolt,
Agostino
le dedica
alcuni
capitoli per
definirne le funzioni e
per
esaltarne il
potere
trascen-
dentale. A
proposito
del
potere
della memoria
egli
scrive: Grande la
forza della memoria,
e un non so
che di
inesplicabile,
o
Dio mio, una
cosa
molteplice, profonda
e
infinita! (...).
Nei
campi, negli
atri,
nelle
tante caverne
della mia memoria
giacciono
innumerevoli cose
d'ogni ge-
nere o
per
mezzo
delle loro
immagini,
come
nel caso
di tutti i
corpi,
o
per
mezzo
della loro
presenza,
se
si tratta
delle scienze, o
per
non so
quali
nozioni e
impressioni,
come
nel caso
delle affezioni dell'anima,
che la memoria conserva
anche
quando
la coscienza non
le
avverte,
tro-
vandosi nella memoria tutto ci che nell'anima. Attraverso
questa
immensit io
trascorro, volo,
penetro qua
e l,
quanto posso,
senza fine;
tanto
grande
la forza della memoria;
tanta
potenza
nella vita dell'uo-
mo
che vive una
vita mortale>>.217
Con altrettanta
eloquenza Agostino spiega
le funzioni della memoria,
mostrando in che modo noi tutti
possediamo
l'idea di felicit. Come
avviene,
si chiede
Agostino,
che tutti
gli
uomini hanno
questa
idea? Da
dove
Yattingono?
Ecco la sua
risposta:
necessario
perci
che io dica in
qual
modo la debbono cercare.
Forse con
il ricordo, come se
fosse una cosa dimenticata, ma
ricordan-
do, tuttavia,
di essersene scordato;
oppure
col desiderio di conoscerla,
come se
fosse una cosa
ignorata
o
perch
mai
apparsa
o
perch
l'ho
dimenticata cos totalmente da non
ricordarmi
neppure
di averla
dimenticata?Non forse
quella
la felicit che tutti
vogliono
e non
vi
alcuno che non
la brami? Dove l'hanno conosciuta
per
desiderarla
cos? Dove l'hanno vista
per
amarla in tal maniera? (...).
Cerco ora se
la felicit si trova nella memoria. Noi non
lameremmo se non
la
conoscessimo. Sentiamo
questa parola
e subito ammettiamo
di desi-
derare tutti la felicit. Non infatti il solo suono
che ci fa
piacere, poi-
ch
quando
un
Greco sente nominare la felicit in latino non ne
ha la
gioia, poich
non ne
capisce
il
significato.
Noi invece ne
proviamo
piacere,
come ne
proverebbe
colui che l'avesse sentita in
greco,
poich
317)
Conf.
10,
17.
Agostino
di
Ippona
223
la
cosa a cui
aspirano
Greci, Latini
e
gli
uomini di tutti
gli
altri lin-
guaggi,
non in realt n
greca
n latina.
Essa,
quindi,
a tutti
nota, e
se tutti si
potessero interrogare
se
Vogliono essere felici, senza alcuna
esitazione e a una sola
voce
risponderebbero
di s. Ci
non accadreb-
be
se non fosse
conservata nella loro memoriamm
Per
Agostino
lo studio della memoria
rappresenta
uno dei momenti
chiave del noverim
me,
e condizione fondamentale del novcrim te. Per
scoprire
che
cosa sono la
felicit,
la
verit,
la
bont,
la
sapienza
ecc. la
coscienza
non deve uscire da
se
stessa, ma deve entrare in
se stessa e
inabissarsi dentro l'oceano della memoria. In
questa
infatti
sono
impres-
si i valori
fondamentali, i
principi primi,
i criteri
supremi
di
giudizio,
che
presiedono
a
ogni pensiero
e a
ogni
azione. Per
spiegare l'origine
di
queste
verit
Agostino
ricorre alla dottrina della illuminazione
(che
prende
il
posto
della dottrina
platonica
della
reminiscenza). Ma su
quale
facolt cade l'illuminazione?
Agostino
chiarisce che la
zona della
mente
su cui cade la luce della
illuminazione
non la ratio o la
cogitatio
o l'intel-
ligentia, perch
queste
sono
gi
munite di luce
propria,
ma e la
memoria,
la
quale
opera grazie
a una luce
superiore,
la luce divina.
Attraverso un'analisi
accurata ed attentissima della
memoria,
Ago-
stino esalta la
profonda
unit dell'Io
e la
sua
perspicua spiritualit.
Uni-
ficando
ogni
attivit dello
spirito
nel sottofondo della
memoria,
Agostino
scongiura ogni
sorta di dualismo: tra il conscio e
l'inconscio, tra l'intellet-
to e la
volont, tra l'io ideale
e l'io reale ecc. Sul fondo ultimo della
co-
scienza si intrecciano e si unificanoin
un
rapporto
di essenziale
recipro-
cit la
memoria,
l'intelligenza,
la
Volont,
le tre
grandi potenze
dell'ani-
ma
che
costituiscono
l'immaginepi perfetta
della Trinitnell'uomo.
Dunque,
come immanente
l'intelligenza,
anche la dilezione
immanente a
quella
memoria che
ne il
principio
(inest dilectio illae
memoriae
principali)
in cui si trova
presente
e nascosto ci che
possia-
mo
raggiungere
con l'atto del
pensiero; perch prendiamo
coscienza
che anche
queste
due
potenze
sono nella memoria
quando
con l'atto
del
pensiero prendiamo
coscienza che
com rendiamo
qualche
cosa
ed amiamo
qualcosa:
esse esistevano
gi
anche
quando
non vi
pensa-
vamo. E com' immanente la
memoria, cos immanente la dilezione
a
questa intelligenza
che
prende
forma nell'atto del
pensiero;
questo
verbo
vero lo diciamo
interiormente, senza ricorrere ad alcuna
lingua,
quando
diciamo ci che
sappiamo; perch senza il ricordo lo
sguardo
del
nostro
pensiero
non ritornerebbe
su una
conoscenza,
e senza l'a-
more non si
prenderebbecura di ritornarvi. Cos 1a dilezioneche uni-
218)Ibid., 20.
219)Cf. De Trin.
15, 21, 40.
224 Parte
prima
sce in una
specie
di relazione di
paternit
e di filiazione,
la visione
presente
nella memoria e
la visione del
pensiero
che
prende
forma da
essa,
se non
possiede
la conoscenza
di ci che deve desiderare, cono-
scenza
che non
pu
esistere senza
la memoria e l'intelligenza,
non
saprebbe
ci che e
giusto
amaremf
Quanto
alle altre due facolt,
la ratio e
la UOLLTIHS,
Agostino prima
della conversione
giudicava pi importante
la
prima.
Ma
dopo
la con-
versione
cambia decisamente
parere:
scopre
che il destino ultimo del-
l'uomo non
si
gioca
sul
piano
della conoscenza
bens su
quello
della
volont. A
questo
riguardo
scrive vari
saggi
sulla libert (De
libero arbi-
trio,
De
gratin
et libero arbitrio).
Dopo
essersi
angustiato per
tanti anni
intorno alla causa
del male,
giunge
alla conclusioneche l'unica causa
il
liberoarbitrio: Malum
facimzis
ex
liberovoluntatis arbitrommE una
volta
che il male
penetrato
nel cuore
dell'uomo
questi
non

pi
in
grado
di
liberarsene.
Infatti se all'anima non
viene concessa
la forza della
grazia
il libero arbitrio non serve se non
per
peccareml
Su
questo punto
il
dissenso di
Agostino
con
i
neoplatonici
totale.
Abbiamo
gi
rilevato
parlando dell'opzione platonica
di S.
Agostino
che
egli accoglie
in linea di massima la
impostazione
metafisica dei neo-
platonici
ma
rifiuta la loro
soteriologia.
A
parere
di
Agostino
la via
plo-
tiniana dellascesa e
della
contemplazione
una
via velleitaria. L'uomo,
dopo
il
peccato,
un
povero
naufrago
che con
le sue
forze non
pu pi
raggiungere
la terra ferma. La sua
salvezza viene esclusivamente
da Ge-
s Cristo. Sulla via di salvezza tracciatada Cristo
Agostino
ha scritto al-
cune
pagine stupende negli
ultimi
capitoli
del decimo libro del De Civita-
te Dei. Ecco la conclusione:
Questa
via
purifica
tutto l'uomo e sebbene mortale lo
dispone
all'immortalit secondo la
prospettiva
di tutte le sue componenti.
Infatti
perch
non si cercasse una
purificazione
a
quella componente
che Porfirio chiama intellettuale,
un'altra a
quella
che chiama
spiri-
tuale e un'altra al
corpo
stesso,
il Purificatoree Salvatore,
che som-
mamente veritieroe
potente,
ha assunto tutto l'uomo. Fuori di
questa
via che mai mancata
al
genere
umano,
n
prima quando questi
fatti
si attendevano come futuri,
n
poi quando
si rivelarono come
passati,
nessuno
fu liberato, nessuno

liberato,nessuno
sar liberat0.223
220)Ibid., 21,
41.
mlDe
lib. arb.
2, 16,
35.
222)De
spiriti:
et littera 3,
5.
2B)De
cv. Dei 1D, 32,
2.
Agostino
di
Ippona
225
Conclusione
La metafisica dei
neoplatonici
era costruita secondo il
paradigma
del-
lflaxitus e
del reditus.
Agostino
fa suo
questo paradigma,
ma
vi
apporta
delle
importantissime
Correzioni in ambeduei movimenti.
Uexitus non
avviene mediante la
fuga,
il
proodos,
delle creature
da11Uno, come
insegnavano
i
neoplatonici,
ma
avvienemediante l'azio-
ne
creatrice di Dio: le Creature sono
programmate
da
Dio, sono
volute
da
Dio, dipendono
totalmente da Lui sia ne] loro
agire
sia nel loro
perse-
Verare
nell'essere.
Quanto
al
reditzis,
per
realizzarlo non
basta
l'impegno
dell'uomo,
il
suo
distacco dal
mondo,
1ascesi e
la
contemplazione,
come
pretendeva-
no i
neoplatonici.
Come non esce
da Dio
per
propria
volont,
cos 1uo-
m0,
caduto nella miseria
per
sua
colpa,
non
pi
in
grado
di fare ritor-
no a Dio con
le sue
sole forze. Dio la causa
principale
sia dellexitus sia
del reditus. Tutto il movimento dell'universo avviene sotto la
spinta
del-
l'infinitoamore
di Dio
per
le sue Creature.
Le revisioni
apportate
da
Agostino
alla metafisica
platonica
la tra-
sformano
profondamente.
Cos, con
il Dottore di
Ippona prende
definiti-
vamente forma un nuovo
genere
d metafisica: la metafisica
platonico-
cristiana.
226
BOEZIO
L'importanza
di Boezio
Nei manuali di storia della filosofia Boezio viene
presentato
come
una
figura minore,
quando
non viene addirittura
omesso. Ma siffatta
trascuratezza non ammissibilen in
una storia della filosofia medioe-
vale n in
una storia della
metafisica,
perch
in entrambe
egli occupa
un
posto
di
primaria importanza.
Nella storia della filosofia medioevale
non si
pu ignorare
Boezio
perch
stato uno dei suoi
padri
fondatori;
n si
pu
ometterlo nella storia della
metafisica,
perch

uno dei
princi-
pali esponenti
del
platonismo
cristiano nel mondo latino.
L'obiettivodi Boezio era di dare
a Roma,
che
gi
deteneva
una storica
superiorit politica,
anche il
primato
della
cultura,
rendendo latina la fi-
losofia; avvicinandosi ai
neoplatonici
e
specialmente
a Porfirio,
egli
vuole
armonizzare,
dopo
averli tradotti in
latino, Platone c Aristotele, mo-
strandone il sostanziale accordo. E tale obiettivo fu in
larga
misura
rag-
giunto
come risulta da
un lettera che Cassiodoro indirizzoall'amico Boe-
zio: Nelle tue versioni
gli
italiani
possono
ora
leggere
la musica di Pi-
tagora,
l'astronomia di
Tolomeo,
Yaritmetica di
Nicomaco,
la
geometria
di
Euclide;
possono
discutere in latino la
teologia
di Platone
e la
logica
di
Aristotele; con lo tue traduzioni hai restituito Archimede ai Siciliani.
Per
quanto
attiene la
metafisica,
l'apporto
di Boezio al suo
sviluppo
nel mondo latino stato
duplice.
C' anzitutto
un
apporto
indiretto.
Egli
ha
messo a
disposizione
dei latini tutte le
principali
fonti della metafisi-
ca classica:
Platone, Aristotele, Porfirio;
li ha inoltre introdotti
a
quello
strumento insostituibile
per
fare
metafisica,
che la
logica;
ha rivendica-
to alla filosofia
piena
autonomianei confronti della
teologia
e in alcune
sue
opere
(nel
De hebdomadibus
e nel De consolatione
philosophiae)
ha for-
nito un
esempio
luminoso di
come
la
ragione possa operare
in
piena
autonomia dalla fede. Ma
ancora
pi significativo
stato il
suo
apporto
diretto allo
sviluppo
della
metafisica, mediante la elaborazione di
una
propria
metafisica di
stampo ontologico,
ossia incentrata
sull'essere,
che
mentre
per
un verso
si richiamaad
Aristotele,
per
un altro
prepara
il ter-
reno a S. Tommaso
d'Aquino.
Boezio
227
Vita
e
opere
Nato a Roma da
famiglia
senatorialeintorno al 470 d. C. Marco Ani-
cio Severino Boezio
segu
il corso normale di studi di un
giovane
aristo-
cratico del suoi
tempi,
destinato ad alte funzioni
politiche
e amministra-
tive, ma,
in
particolare,
studi filosofia nelle scuole di Roma e di
Alessandria. Verso l'anno 495
spos
Rusticiana, una
delle
figlie
di Sim-
maco,
potente patrizio romano,
che
aveva avuto cura della sua educa-
zione
dopo
la morte del
padre.
In occasione di
una
breve Visita di Teodorico-
re
dei
visigoti
-
a Roma
nell'anno
500,
ebbe modo di attrarre le attenzioni del sovrano sulla
pro-
pria persona
e
di farsi
apprezzare
come studioso di scienze e
di filosofia.
Nel 51D
venne
proclamato
console unico della
citt,
carica che
copr per
un
anno,
come voleva la
consuetudine; ma in
seguito
svolse altri
impor-
tanti incarichi, come
quello
di
presidente
del senato. Intanto lavorava
gi
intensamente alla traduzione di alcune
opere
di
Platone, Aristotele,
Porfirio,
Tolomeo e ai commenti delle
medesime;
inoltre scendeva in
campo per
combattere le eresie di Ario e
di
Eutiche,
che stavano facendo
molti
proseliti
anche in Italia.
Nel 513 Teodorico lo nomin
magister palatii.
In tale
qualit
Boezio
dovette vivere alla corte del
re barbaro
per
oltre un decennio,
svolgendo
mansioni delicate come
quelle
di
sorvegliare
le
guardie
della corte e la
polizia
amministrativa. Fu
consigliere
molto
apprezzato
e ascoltato del
re,
fino a
quando
fu travolto dal
sospetto
di
aver
partecipato
a una con-
giura
tramata dal senatore Altino,
amico di Boezio. Cos nel
524, accusa-
to di
tradimento, Boezio fu rinchiuso nel
carcere
di
Pavia,
dove in
poco
tempo
scrisse il
suo
capolavoro,
De consolatione
philosophiae.
Condannato
a
morte,
la sentenza fu
eseguita, probabilmente,
nel 526.
Come stato osservato da vari
storici,
le
ragioni
della
pena capitale
inflitta
a Boezio
non
furono soltanto di ordine
politico
ma
anche
religio-
so. Teodoricoinfatti era di fede ariana e aveva adottato varie misure
per
fare dellarianesimola
religione
del suo stato. Invece Boezio era cattolico
e un cattolico
esemplare,
dotto
e
zelante. indubbiamente
questo
non
poteva
far
piacere
al suo
sovrano,
che
approfitto
dell'accusa di lesa mae-
st
per
liberarsi di
un
primo
ministro molto scomodo.
Proprio
in
quan-
to cattolico, Boezio fu
colpito
dallira del
sovrano,
desideroso di
castiga-
re in maniera
esemplare
e
di atterrire i cattolici
latini, e
per
riflesso
l'Impero
loro
principale protettore.
Da
questi
dati di
fatto,
generali
ed
individuali, scatur la tenace
convinzione,
diffusa fin dai
primi tempi
dopo
la
sua morte,
del martirio di Boezio: non
dunque leggenda,
come a
qualche
storico moderno
parso,
ma credenza saldamente fondata nella
realt storica. La testimonianza che Boezio diede con la sua morte coe-
228 Parte
prima
rente con tutta la sua vita;
nell'impegno
civilecome in
quello
culturale,
a Roma come alla corte di
Teodorico,
egli
cerc di fondere la tradizione
romana con la fede cristiana in
una sintesi insieme teorica e
pratica,
e
di
tener ferma una
duplice
lealt,
religiosa
e civile, con immutata dedizio-
ne.
Che
gli
uomini e le circostanze storiche abbianotroncato
prematura-
mente la
piena
realizzazionedei suoi
propositi
non ne sancisce lirri1e-
vanza,
ma anzi ne esalta il
messaggio
non
peritur0.1
La
produzione
letteraria di Boezio
imponente
se si tiene conto in
particolare
della brevit della
sua vita e
delle condizioni
spesso
assai
difficiliin cui dovette lavorare. Le sue
opere
si
possono
dividere in
quat-
tro
gruppi:
traduzioni, commenti,
trattati di
teologia
e
il De consolatiorze
philosophiae
che la sua
opera maggiore.
Tra le
traduzioni,
importantissima
la traduzione
completa
dell'Or-
ganon
aristotelico,
vale
a
dire il De
interprelatione, gli
Analitici
primi
e se-
condi,
i
Topici, gli
Elenchi
sofistici
e
le
Categorie.
I commentari di
maggiore importanza
sono tre: alle
Categorie
e al
De
interpretatione
di Aristotele
e
alllsagoge
di Porfirio. Nei commentari
di Aristotele Boezio cerca di dimostrare che
questi
sostanzialmente
d'accordo
con
Platone.
Cinque
sono
i brevi
saggi teologici
di Boezio: De
Trinitate;
Utrum
Pater et Filius et
Spiritus
Sanctus de divinitate substantialiter
praedicentur;
De
hebdomadibus;
De
fide
Catholica;
Contra Eutichen et Nestorium. Di
questi
cinque
i
pi importanti
sono
il De Trinitale
e
il De hebdomadibzis,
per
i
quali
Tommaso
d'Aquino
ha scritto due memorabilicommenti.
Boezio era una mente
enciclopedica
che
poteva spaziare agevolmente
attraverso tutti i
campi
del
sapere,
ma la sua materia
prediletta
era
la
logica,
come risulta oltre che dalle sue traduzioni di Aristotele e
di
Porfirio e
dai suoi commenti alle loro
opere,
anche da alcuni suoi scritti
personali
su
argomenti logici.
Ricordiamo in
particolare:
De divisione,
De
syllogismocategorico,
Introductio ad
syllogismoscategoricos,
De
syllogismo
hypotethico.
Grazie a tutti
questi
suoi contributi Boezio
pu
essere a
buon
diritto considerato il trasmettitore della
logica
all'Occidente e
il
padre
del "metodo scolastico".
Il
progetto
di
un
platonismo
aristotelico
e
cristiano
Abbiamovisto che
seguendo l'esempio
di Porfirio
e di Proclo Boezio
intendeva conciliarePlatone
con
Aristotele. Di fatto
per
nei
neoplatoni-
ci Passimilazionedi Aristotele era molto
limitata;
praticamente
era
l) L.
ORBETELLO,
Introduzione a BOEZIO,
La consolazionedella
filosofia.
Gli
opuscoli
leo-
Iogici,
Rusconi,
Milano
1979,
p.
88.
Boezio 229
ridotta alla sola
logica;
per
il
resto,
in
gnoseologia,
in metafisica e in
etica i
neoplatonici
restavano fedeli a Platone.
In Boezio c' invece un
considerevole
spostamento
di interesse verso
Aristotele,
che nel
suo
pensiero acquista pertanto proporzioni
molto
pi
cospicue
e vistose. Boezio introduce
l'impostazione
filosofica
e
i
con-
tenuti teoretici del
pensiero
di Aristotele
non soltanto nella
logica,
ma
anche in
gnoseologia
(con
la dottrina
dell'estrazione) e
soprattutto
in
metafisica, con
il
passaggio
dalla
henologia
dei
neoplatonici
alla
ontologia
di Aristotele. Nonostante
ci,
per,
si deve notare che in metafisica
Boezio resta
neoplatonico
sia
per quanto riguarda l'impianto generale
che
quello
dellflexitus
e
del
reditus,
sia
per
l'impiego
del
procedimento
dimostrativo,
che
quello
assiomatico
proprio
dei
neoplatonici,
anzich
di
quello
risolutivo
(induttivo)
richiesto da Aristotele.
Secondo H. Chadwick Boezio deriva il
suo
neoplatonismosoprattut-
to da Proclo.
Quello
che Boezio
predilige
in Proclo - scrive il Chadwick - sembra
essere l'adattamentodella
logica
aristotelica in unintelaiaturaconcet-
tuale
platonica.
I commenti al Timeo e
al Parmenide contenevanomolte
osservazioni che Boezio riteneva
vere,
e
perci
essenziali al
suo
sche-
ma di
pensiero.
La
logica neoplatonica, specialmente
nella discussio-
ne sulle
categorie, sullhguaglianza,
sull'identit, sulla
differenza,
viene rivolta a servire la causa cristiana sull'essere di Dio. Inoltre la
parabola
cristiana di
creazione, caduta,
redenzione
e restaurazione
finale
,
in via di
principio,
suscettibiledi essere conciliata con un
tema caro a Proclo,
quello dewemergere
dall'Uno di ci
che,
essendo
diventato altro dalla
sua fonte, ritorna
poi
l donde venuto.
Questo
ciclo dell'essere
originario
-
emergenza
dall'alterit e
poi
ritorno all'i-
dentit
soggiace
in forma latente alla struttura della Consolazione
stessa. Perci non affatto un caso
che nella Consolazione Boezio
possa
affermare una dottrina della redenzione esclusivamente
neo-
platonica,
che tuttavia
pu yenire
letta in
senso cristiano, con una for-
zatura minima del testo. E
improbabile
che Boezio sia
giunto per
caso,
o
senza un'attenta
riflessione, a
questo
risultato!
Certamente in Boezio non c'e soltanto
platonismo
e aristotelismo, ma
anche molto cristianesimo.
Egli
fa buon
uso del
potenziale
razionaledel
cristianesimo
specialmente
in
metafisica, inserendo nella sua cosmovi-
sione le dottrine cristiane della
creazione,
della
provvidenza
e della
libert. Boezio riconosce
meglio
di
Agostino
la valenza razionale delle
verit annunciate dalla rivelazione
cristiana;
cos le
pu
trattare ed
argo-
mentare come verit razionali a
pieno
titolo, senza tuttavia
ignorare
la
loro
provenienza soprannaturale.
La
giustapposizione
di
logica neopla-
2) H.
CHADwicK, Boezio,
Bologna
1986,
p.
281.
230 Parte
prinra
tonica c
teologia
cristiana
operata
da Boezio si fonda
su una visione
della verit derivante da due fonti. La rivelazionee la
ragione
sono con-
siderate modi
paralleli
per
discernere la
realt, e sotto
questo aspetto
Boezio si distacca in una certa misura da
Agostino, per
il
quale
Cristo
la
ragione suprema
di tutte le
cose,
e tutta la
conoscenza illuminazione
proveniente
da Dio.3
In Boezio le tre matrici
fondamentali,
il
platonismo,
Faristotelismoc
il
cristianesimo, non si trovano combinatein modo
puramente
eclettico,
ma sono
ripensate
in modo
personale,
cos da costituire una nuova
sin-
tesi metafisica che
per
si trova ancora in corso
di elaborazione
e non
raggiunge
la sua
completa
sistematizzazione.
Sul
piano speculativo,
Boezio non n un
ripetitore inintelligente
n
un
epigono
intristito di
gloriosi
antenati. Non vi dubbio che
egli
riprende
i temi canonici della tradizione
greco-latina quale
era
nata
con
i Presocratici ed era stata
poi sviluppata
dalle varie scuole filoso-
fiche
deIYantiChit; ed altrettanto vero che
essa,
se
pure
aveva avuto
momenti di
stasi, non si era mai
ripiegata
su di s in una
ripetizione
puramente
meccanica di motivi abusati. La virtualit e
fecondit inte-
riore dei suoi
principi
lo
impediva
(...).
Boezio erede
consapevole
di
una tradizionein continua
autointerpretazione
e assimilazionevitale,
cui contribuisce attivamente
per
sua
parte. Egli
non
certo
privo
cli
sensibilit
storica, e non enuclea frammenti teoretici di
questo
o
quel-
lautore dal loro vivente contesto
speculativo,
mescolando
poi
insie-
me
punti
di vista
eterogenei,
che insieme non
possono
stare; ma Crea
un nuovo
organico
contesto,
in cui li innesta e li inserisce. I nuclei
fondamentali del
pensiero
classico
greco-latino
assumono cos in lui
significati
nuovi e
originali.4
Il De hebdomadibus: labb0zzodi
una nuova
metafisica
Il terzo dei
cinque
trattati
teologici
di Boezio ci stato tramandato
sotto diversi titoli. Oltre al
pi frequente
che De hebdomadibus
(Ebdomadi),
abbiamoi
seguenti
titoli:
Quomodo
substantiaein eo
quod
sunt,
bonae
simt, cum non sint substaiztialia bona
(In
che modo le sostanze siano
buone in
quel
che
sono,
pur
non
essendo beni
sostanziali);
Liber
un onme
quod
est bonum est
(Libro
che
riguarda
la
questione
se tutto ci che sia
buono);
Liberde bonorum lzebdomade
(Libro
sulla ebdomade dei
beni).
Se il termine latino Webdumas" ha
come
significato
usuale nel latino
classico
quello
di (settimo
giorno,
"il
numero sette o "settimana,
sul
significato
di ebdomade come inteso e utilizzatoda Boezio esistono
3) Ibid,
p.
280.
4)
L.
ORBETELLO,
0p.
ciL,
pp.
13-14.
Boezio 231
molte
interpretazioni pi
o meno
stravaganti.
Il commento risalente al
nono
secolo e
attribuito a
Remigio
di Auxerre facevaderivare Ebd0n1as"
da
una
parola greca
fittizia, ebdo,
che avrebbe avuto
il
significato
di
"farsi
un'opinione". Thierry
di Chartres
adopera
il termine come se
avesse
il
senso
di concetti mentali. Tommaso
d'Aquino
fa derivare
ebdomade da edere che
significa pubblicare.
Gli studiosi moderni hanno
sostituito
queste ipotesi
medioevali con
proposte
altrettanto
improbabi-
li,
per
esempio quella per
cui Boezio avrebbe
stilato, una
volta alla setti-
mana (da
cui
l'impiego
di "HECOIZHS" = settimana),un
diario di rifles-
sioni filosofiche;
oppure
avrebbetenuto
degli
incontri settimanali di let-
ture
platoniche
con un
Circolo di amici di cui faceva
parte
il diacono
Giovanni,
per
il
quale
il De hebdomadibrts fu
compilato.
Pi accettabilela
proposta
di Chadwickche
collega
il titolo al numero
degli
assiomi
espo-
sti nel
trattato,
che nelle edizioni a
stampa
assommano a
nove,
mentre
in realt sarebberosette (ebdorrts).5
Il brevissimo trattato (di una
decina di
pagine appena)
esordisce con
un
avvertimento
preliminare
sulla natura dello scritto: esso non fatto
per
il
largo pubblico
ma
per
pochi specialisti
che hanno familiaritcon
le
questioni
ardue
e
sottili della metafisica: Perci non essere
contraria-
to dalla brevit
e
dall'oscurita che, come
custodi fidate del
mistero,
han
questo
di
vantaggioso,
che
dialogano
soltanto con
coloro che ne sono
degni.
Infatti ci sono
cognizioni
in tal modo comuni da essere
proprie
di tutti
gli
uomini, mentre altre
cognizioni
sono
proprie
soltanto dei
dotti,
per quanto
derivino da tali comuni concezioni de1lani1no.
Posta
questa
clausola
ermeneutica,
sulla scorta
degli
Elementi di teolo-
gia
di
Proclo, ma
in forma molto
pi
concisa,
Boezio
espone
gli
elementi
essenziali della sua
metafisica.
Qui
li trascriviamo letteralmente nella
versione
italiana, mentre in nota il lettore li
pu
trovare
nell'originale
latino:
5) Cf. H. CHADWICK,
0p.
sit.,
pp.
261-262. Cf. anche S. TOMMASO DAoumo,
Commento ai libri di Boezio De Trinitate e De Ebdonladibtts, ESD,
Bologna
1997,
pp.
237-289.
6) 2. Divcrsum est esse et id
quod
est; Ipsum
enim nondum
est;
at vero id
quod
est,
accepta
essendi forma, est
atque
consistit. 3.
Quod est
partecipare aliquo
potest,
sed
ipsum
esse
nullo modo
participat.
Fit cnim
participatio
cum
aliquid
iam est. Est autem
aliquid
cum esse
susceperit.
4. Id
quod
est habere
aliquid,
praetcrquam quod ipsum esse, potest; ipsum
vero esse
nihil aliud
praeter
se
habet admixtum. 5. Diversum est tamen esse
aliquid
in eo
quod
est et esse ali-
quid.
Illic enim accidens, hic substantia
significatur.
6. Omne
quod
est
partici-
pat,
eo
quod est, esse,
ut sii;
alio Vero
participat
ut
aliquid
sit. Ac
per
hoc id
quod
est
participat
eo
quod
est
esse,
ut sit; est vero ut
participare
alio
quolibet
possit.
7. Omne
simplex
esse suum et id
quod
est unum
habet. 8. Omni
compo-
sito,
aliud est
esse,
aliud
ipsum
est. 9. Omnis diversitas
discors;
similitudovero
appetenda
est (PL, 64, 1311).
232 Parte
prima
2. L'essere
(esse) e ci che
(id
quod
est) sono diversi: l'essere stesso
infatti, non e
ancora;
ma ci che
e,
ricevuta la forma dell'essere
(forma
essendi),
e sussiste.
3. Ci che
pu partecipare
a
qualche cosa; ma l'essere in s non
par-
tecipa
in alcun modo
a
nulla. La
partecipazione
si ha infatti
quando qual-
che
cosa
gi
; ma
qualche
cosa
quando
abbiaaccoltoin s l'essere.
4. Ci che
pu possedere qualche
cosa al di fuori di
quel
che
esso ;
ma l'essere in s non
ha altro
a s unito tranne se stesso.
5.
diverso l'essere soltanto
qualche
cosa ed
essere
qualche
cosa in
ci che
;
l si intende
laccidente,
qui
la sostanza
6. Tutto ci che
partecipa
di ci che
essere,
per
essere, partecipa
ad
altro
per
essere
qualche cosa.
E
perci quel
che
partecipa
di ci che
essere,
per essere;
ed
per partecipare
ad
altro,
qualche
cosa.
7.
Ogni
realt
semplice possiede
come unit il
proprio
essere e ci che e.
8. In
ogni
realt
composita
altro
l'essere,
altro l"" in
se stesso.
9.
Ogni
diversit
discorde, mentre la
somiglianza
dev'essere ricerca-
ta; e
quel
che desidera
qualche cosa,
si dimostra
essere tale,
quale

quel-
lo che desidera.
Al
quesito
del diacono Giovanni sulla
ragione
della bont delle
sostanze
particolari
che
non sono la Bont
stessa, Boezio
non
risponde
immediatamente
e direttamente
come avrebberofatto i
Neoplatonici
che
consideravano il
Bene,
identico
all'Uno, come
supremo principio
di
tutte le
cose,
ma
prende
una via
pi lunga,
risalendo
pi
a monte,
per-
ch
per
Boezio il
principo
supremo
non il Bene
ma l'essere.
Perci,
egli
esamina anzitutto la
ragione
dell'essere
degli
enti
(sostanze
partico-
lari
concrete) in
rapporto
all'essere in
se stesso. E Cos il
suo De hebdoma-
dibus si
presenta
come un condensato della
metafisica
dell'essere.
Il breve trattato boeziano ha
giustamente
attratto l'attenzione
degli
storici. La sua
grande originalit
e
importanza riguarda l'oggetto
della
metafisica.
Infatti, mentre tutte le metafisiche
neoplatoniche
erano cen-
trate sull'Uno ed
erano
pertanto
metafisiche
henologiche,
la metafisica di
Boezio invece e centrata
sull'essere,
ed
pertanto
una metafisica ontolo-
gica.
OvviamenteBoezio
non il creatore di
questo paradigma
metafisi-
co. Prima di lui esistevano
gi
le metafisiche dell'essere di Parmenide e
di
Aristotele, e
dopo
Boezio ci sar la metafisica dell'essere di S. Tomma-
so. Cos,
naturalmente
gli
studiosi,
per
definire la metafisica
boeziana,
l'hanno
messa a confronto sia
con
l'ontologia
aristotelica sia con
quella
tomistica.
La tendenza
generale
di ridurre Boezio ad Aristotele intendendo la
distinzione tra
esse e
id
quod
est come
distinzione tra sostanza universale
e sostanza concreta
individuale,
oppure
tra l'essere
puro
da
ogni
deter-
Boezio
233
minazionee l'essere determinato da una forma
particolare.
Ma non
pare
che
questa interpretazione
sia corretta. Infatti Boezio
parla,
oltre che di
una distinzione tra esse e id
quod est,
anche di
una
composizione
tra
que-
sti due
principi supremi
della realt -
e le realt concrete sono il risultato
di tale
composizione
-
e considera l'asse come forma,
forma
essendi,
quindi
come
qualcosa
di
supremamente
attuale,
anche
se nellente non
gode
di
una
propria
sussistenza. Inoltre lesse boeziano
non si esaurisce come l'es-
se aristotelconelle dieci
categorie,
ma le sovrasta tutte.
Allora, se Boezio non
pu
essere ridotto ad
Aristotele,

pi giusto
avvicinarlo
a S. Tommaso e vedere in lui
un
precursore
di
quello.
In
effetti il Dottore
Angelico
nel suo fine commento al De hebdomadibus
assegna
allesse boeziano il
senso forte di actus essendi
e
considera la
distinzionetra esse e id
quod
est come
equivalente
alla distinzionetra atto
d'essere ed
essenza. Questa
pare l'interpretazione pi
corretta. Tuttavia
si deve
precisare
ulteriormente che la
posizione
di Boezio non coincide
n con
quella
di Aristotele n con
quella
di S.
Tommaso, e
che
invece,
pi propriamente,
sulla Via che conduce da Aristotele
a
S. Tommaso.
Egli
ha
gi
isolato l'essere dalla sostanza e lo ha elevato al di
sopra
di
questa, ponendolo
al vertice
supremo
della
realt, e in
questo oltrepassa
nettamente
Aristotele;
in tutto ci,
per,
Boezio non
ha
ancora
colto
nell'esse
quella
pregnanza
e
quella
radicalit
ontologica
che
ne
fa l'actua-
litas omnium actuum
e
la
pei-fectio
omnium
perfectionum
e
pertanto,
sotto
questo aspetto,
non
ancora arrivato alla
posizione
della metafisica
tomista dell'essere.
Oltre che sulla
capitale
distinzionetra esse e id
quod est, con l'assoluto
primato
dellflesse,
l'edificio metafisico di Boezio si
regge
anche sulla
nozione di
partecipazione.
Secondo l'autore del De hebdomadibus
nessuno
degli
enti
composti
di
esse e id
qiiod est,
che
pure
sono realissimi, si iden-
tifica con Pesse. Gli enti
composti
non sono l'esse
ipsam,
ma
partecipazioni"
dell'essere, e soltanto
grazie
alla
partecipazione
all'essere esistono:
id
quod
est
participat
eo
quod
est
esse,
ut sit.
Il discorso di Boezio si
svolge
su
di
un
duplice
livello:
logico
e onto-
logico.
Cos la
partecipazione
di cui
parla
Boezio
pu
essere intesa sia in
senso
logico-predicamentale
sia in
senso
ontologico-trascendente]e.
Nel
primo
caso si tratta della
partecipazione
dei
generi
e delle
specie
al con-
cetto di
essere;
nel secondo
caso si tratta della
partecipazione degli
enti
finiti all'Essere assoluto.
Terminato il
preambolo ontologico,
Boezio
pu
dare finalmente l'at-
tesa
risposta
al
quesito
del diacono Giovanni sui
rapporti
tra le
cose
che
sono buone in
quel
che
sono
pur
non essendo il bene sostanziale.
Si tratta di
un
rapporto
di
partecipazione
e non
di identit sostanziale.
234 Parte
prima
Buono sostanzialmente soltanto il
principio primo,
Dio. Le altre cose
sono buone
perch traggono origine
dal sommo
bene
e, perci, parteci-
pano
della sua
bont. Ecco
quanto
scrive Boezio a
questo riguardo:
...
Se le cose non fossero altro che buone
e non
pesanti
n colorate
n estese nello
spazio -,
e non
vi fosse in esse alcuna
qualit
se non
soltanto l'essere buone, non
parrebbero
essere
cose,
ma.
il
principio
delle
cose;
e
dunque
non
parrebbero,
ma
parrebbe.
Vi infatti
una
sola realt di tal
genere,
che sia soltanto bene e null'altro. Ma
poich
queste
cose non sono
semplici,
non
avrebbero
potuto neppure
essere,
se l'unico bene non avesse voluto che fossero. Per
questo
sono
dette
buone,
perch
il loro essere scaturito dalla volont del bene. Infatti il
prinzo
bene,
poich
,
buono in ci che
; ma il benesecondo anch'esso
buono,
poich
scaturito da
quello,
il cui stesso essere buono. Ma lo
stesso essere cli
ogni
realt scaturito dal
primo
bene e
da
quel
bene
che tale che
giustamente
si dice essere bene in Ci che .
Dunque
il
loro stesso essere buono;
ed in effetti
non
sarebberobuone in ci che
sono,
se non fossero scaturite dal
primo
bene?
Per Boezio la metafisica dell'essere non
semplicemente
un'ottima
chiave di lettura
per capire
i
rapporti
tra cose
buone
e Bont assoluta,
ma la trama metafisica fondamentaleche
sorregge
tutte le realt e tutti
i loro
aspetti.
Cos il
rapporto
tra cose buone e Bont identico al
rap-
porto
tra enti ed
Essere, perch
il bene una
propriet
trascendentale
dell'essere: lo stesso
primo
bene,
poich
,
buono in ci che . Senza
l'essere anche le
pi
nobili delle
propriet
trascendentali come
la bont e
la verit
precipitano
nel nulla. La metafisica di Boezio davvero una
ontologia
non una
henologia
o
unagatologa"
o
unmalethelogia!
Coniugando
assieme la metafisica dell'essere con la metafisica della
partecipazione
Boezio crea un
modello inedito di
metafisica,
in cui si
realizza una
straordinaria sintesi e non una
semplice
concordanza tra
Aristotele e
Platone.
La metafisica di
Boezio, come
risulter
meglio
dal De consolatione
phi-
losopiziae,
non soltanto aristotelica e
platonica
ma
anche cristiana.
Questo per appare gi
chiaro nel De hebdomadibus dove la
partecipazio-
ne non descritta come una
partecipazione per pura
somiglianza,
come
avviene in
Platone, o
per
derivazione, come
succede nei
neoplatonici,
bens
per
creazione: le cose sono
buone
perch
sono scaturite dalla
volont del Bene. Il
Bene, Dio,
comunica alle cose la
propria perfezio-
ne,
non
togliendola
da s ma
traendoladal
nulla,
chiamando all'essere
realt che imitano il suo stesso Essere.
7) BOEZIO,
La consolazionedella
filosofia.
Gli
opuscoli teologici,
a cura
di L. ORBETELLO,
Milano
1979,
p.
388.
Boezio 235
Il De consolatione
philosophiae:
una metafisica
del bene
e
del
male,
della
provvidenza
e
della libert
Con
l'opuscolo
De consolatione
philosopltiae
Boezio
passa
dalla metafi-
sica
generale
alla
teodicea,
cio la
parte
della
teologia
che si
occupa
dei
rapporti
tra il male
e la
giustizia
divina, e si cimenta con due
problemi
che da
sempre
hanno
angustiato
la mente umana: i
problemi
del male e
della
provvidenza
divina.
Nella classicit
greca
di
questi problemi
si era interessata
pi
la
trage-
dia che la filosofia. Soltanto nel tardo ellenismo
erano stati
presi
in con-
siderazione anche dai
filosofi,
specialmente
dai
neoplatonici.
Plotino li
aveva discussi
ampiamente
e vivacemente in Vari trattati delle sue
Enneadi.
Egli
aveva difeso la
provvidenza
divina
concependola per pi
come
preveggenza
che
come volontaria assistenza alle
creature,
mentre
il male
era stato da lui
imputato principalmente
alla materia.
La metafisica cristiana introduce nel dibattito
un nuovo concetto
(personale)
di Dio e
un
nuovo concetto del
male,
che viene definito
come
privazione
del bene
(privatio troni).
Ma il fattore determinante
per
la soluzionedel
problema
del male diviene la libert. Cos la discussione
non
pi
centrata sul binomio
male-provvidenza,
bens sul trinomio
male-provvidenza-libert.

precisamente
su
questo
trinomio che
imposta
la discussione San-
t'Agostino
nel De liberoarbitrio
e
nel De civitate Dei. Altrettanto fa Boezio
nel De consolatione
philosophiae.
Per,
diversamente da
Agostino
che
aveva
fornito
una
chiarificazionerazionaledi verit
gi
accolte
per
fede,
Boezio affronta
questi
delicati
problemi
sul terreno della
pura ragione,
cos come avevano fatto i
neoplatonici. Questo
procedimento,
come si
vedr,
dar
luogo
a
grandi perplessit
e ad
interpretazioni
assai contra-
stanti del suo
pensiero.
Ad
ogni
modo,
l'approccio
del De Consolatione
rigorosamente
filosofico
(non
teologico,
biblico o
pastorale).
alla filosofia infatti che Boezio si
rivolge per
avere la
risposta
ai suoi
angosciosi interrogativi.
La filosofiaviene
rappresentata
nella
figura
di
una maestosa
signora
dagli
occhi
sfolgoranti
e
penetranti
oltre la
comune
capacit umana,
dal vivo colore e dallinesausto
vigore.
Per
prima cosa,
per portare
aiuto alla mente ammalata di Boezio la filosofia scaccia le muse
- le
donnacce del teatro

perch
esse non solo non lenirebberoi suoi
dolori con
qualche rimedio, ma anzi li fomenterebbero
con dolci
veleni;
poi risveglia
Boezio dal
sonno e dallobnubilamentodella
ragione.
Allora, scossa via la
notte,
mi lasciarono le
tenebre, e
gli
occhi riac-
quistarono
il
pristino vigore
e...
dissoltesi le nebbiedella
tristezza,
rividi
il
cielo, e ritornai in me
per
riconoscere il volto di colei che intendeva
236 Parte
prima
curarmi. Non
appena
ebbi rivolto a lei
gli
occhi
e 1ebbi
fissata, ecco
vedo la mia
nutrice,
nella cui dimora m'ero
aggirato
fin dall'adolescen-
za,
la fil0sofia.8
Ora col valido
sostegno
della Filosofia- che
sapienza
e amore
disin-
teressato della
verit, e che
non vuol lasciar
privo
di
compagnia
il cam-
mino dellinnocente Boezio
pu
affrontare serenamente
l'angoscia-so
problema:
Dov' Dio
quando
lfinnocente
soffre,
perseguitato
dalla
disavventura
e
dalla cattiveria
umana,
mentre allo stesso
tempo
ai
per-
versi,
ai
malvagi,
ai cattivi sembra che tutto vada
per
il
verso
giusto?
In
altre
parole:
Se vi
Dio,
da dove
Vengono
le cose
malvagie?
E da dove
le
cose buone, se
Egli
non ?.9
E dando al
problema
un
taglio squisitamente personale
Boezio
sog-
giunge, rivolgendosi
alla Filosofia:
Ricordi, come credo -
poich
tu mi eri
sempre
vicina e mi
dirigevi
in
quel
che dicevo
e in
quel
che facevo
-,
ricordi, dico,
quando
a Verona il
re,
bramoso della rovina
universale, cer-
cava
di trasferire
a tutto
quanto
l'ordine senatorio l'accusa di lesa maest
portata
contro Albino, con
quanta
noncuranza del mio
pericolo personale
abbiadifeso l'innocenza dell'intero Senato. Sai che
queste
mie affermazio-
ni sono
vere,
e che
non
ho mai menatovanto in alcunamia lode;
il riserbo
della coscienza in
pace
con se stessa diminuisce infatti in
qualche
modo
ogni
volta che ostentando
quel
che s'
fatto, se ne riceve in
compenso
la
fama. Ma tu vedi
come sia andata
a
finire la nostra
innocenza;
invece dei
premi
della
vera virt riceviamoil
castigo
di
un falso de1itto.10
Per risolvere il
complesso
e
difficile
problema bisognaprocedere
con
ordine. Per chiamare in
causa Dio occorre anzitutto mettere al sicuro la
verit che Dio esiste e
che la
sua natura dotata di certi attributi incluso
quello
della
provvidenza.
Cos
dopo
avere
chiarito in che
cosa consiste effettivamente la felicit
per
l'uomo,
il
suo sommo benee avere mostrato che
questo
non
si trova
n alle ricchezze n
negli
onori n nei
piaceri,
ma soltanto nel
raggiungi-
mento di colui che davvero il bene
sommo, Dio,
Boezio si
accinge
a di-
mostrare l'esistenza di Dio e a
chiarire
qual
il
suo
rapporto
col mondo.
L'esistenza di Dio
Come
prova
dell'esistenza di Dio Boezio adduce
l'argomento
dei
gradi
di
perfezione, argomento gi
utilizzatoda S.
Agostino
e
che coincide
con la
quarta
via di S. Tommaso: Tutto ci che vien detto
imperfetto,
5) lbid.,
p.
135.
9) Ibia,
p.
146.
10) BOEZIO,
De consolatione
philosaphiae
1, 4,
95-100.
Boezio 237
evidentemente tale
per
diminuzione del
perfetto.
Ne
consegue
che, se
in
qualsiasi genere
di
cose sembri esservi alcunch di
imperfetto,
debba
ivi trovarsi necessariamenteanche
qualche
cosa
di
perfetto.11
Come si
vede,
l'argomento
boeziano consta di
un
fatto: il fenomeno
dei
"gradi
di
perfezione",
e
di
un
principio:
i
gradi
non
solo
sono
pensa-
bili,ma esistono
grazie
a un
grado
massimo. I due asserti
giustificano
la
conclusione: esiste un Essere
primo
e massimo,
che
possiede
in
se stesso
per
essenza
quel
che nei vari
gradi
si trova misurato e distribuito
secon-
do
un certo ordine.
Un altro
argomento
a
favore dell'esistenza di Dio Boezio lo trae dal
fenomeno dell'unit del
mondo,
di
un
mondo che risulta tuttavia molte-
plice, composto
e
diviso in innumerevoli
parti: Questo
mondo
non
avrebbe
potuto
trarre in alcun modo una
forma unitaria da
parti
cos
diverse e contrarie, se Colui che ha unito insieme realt cos diverse non
fosse stato uno. La stessa diversit delle varie nature tra di esse discordi,
non
appena
unificatasi si sarebbe dissociata
e
scompaginata,
se non Vi
fosse Uno che mantenesse unito ci che
aveva
congiunto.
L'ordine della
natura non
sarebbe cos stabile, n si
esplicherebbe
in cos armoniosi
movimenti secondo i
luoghi,
i
tempi, gli
effetti,
gli spazi,
le
qualit
se
non
fosse Uno colui che
regola questa molteplice
variet di
mutazioni,
rimanendo
Egli
stesso immutabile.
Questo essere, qualunque
esso sia,
per opera
del
quale
lo realt create durano e
divengono,
con nome da
tutti
usato,
lo chiamo Dio>>.2
I
gradi
di
perfezione
e l'ordine delle cose
esigono dunque
l'esistenza
di Dio: la
esigono perch
sono fenomeni che denotano
una
contingenza
radicale,
quella contingenza
che tiene in
sospeso
il mondo
e tutto
quan-
to si trova in esso tra le fauci del nulla
e le bracciadi
Dio, e attesta che il
mondo
non cade nell'abissodel non-essere
perch
tenuto stretto dalle
mani
paterne
di Dio. Pertanto dire che Dio esiste e
dire che Dio
padre

praticamente
la stessa cosa:
la verit della
provvidenza

quindi
stret-
tamente
congiunta
alla verit della esistenza di Dio
e, indirettamente,
alla verit della creazione. Infatti Dio esiste
perch
il mondo ha
bisogno
di un creatore e
di
un
padre provvidente.
La
provvidenza,
il male
e
la libert
Sennonch la certezza che Dio
esiste,
che creatore e
padre
dell'uni-
verso,
che sommamente
provvidente
rende
ancora
pi spinoso
il
pro-
blema del
male,
soprattutto quando questo colpisce
i
giusti, gli
innocenti.
1") bicL, 3, 10,
8-12.
l?) bid., 12,
10-20.
238 Parte
prinza
Infatti in un
mondo retto dal Fato 0 in
preda
al
caos,

perfettamente
comprensibile
che ci sia oltre che disordine anche
ogni genere
di mali e
di
ingiustizie.
Ma che
questo
accada in
un
mondo che ha al comando e
al timone
Dio,
per
cui la sua struttura si conserva stabilmenteordina-
ta,13
un
grosso
scandalo
per
la nostra
ragione.
Com'
possibile
che il
male si insinui e insozzi un mondo che costantemente sotto la
guida
premurosa
e
paterna
di Dio? Da che
cosa
dipende?
In che
cosa consiste
effettivamenteil male
e
qual
la
sua
causa?
A
questo punto
Boezio
riprende
la
problematica
che tanto aveva
angustiato Agostino
e
la risolve sostanzialmente allo stesso modo.
Le verit a cui si
appella
Boezio,
al
pari
di
Agostino, per
risolvere la sca-
brosa
questione
sono
cinque,
e vanno
prese
tutte insieme,
congiunta-
mente,
anche
se a
prima
vista sembrano verit conflittuali:
- la verit che il male non una sostanza bens una
privazione;
- la verit che il male trae
origine
non
da Dio ma
dalle stesse
creature,
o a causa della loro finitezza
(male fisico) o a causa del loro cattivo uso
della libert
(male morale);
- la verit che l'uomo
libero;
- la verit che Dio
sempre
la causa
prima
di tutto ci che e accade,
cio di tutto ci che viene alla luce dell'essere e
che nella luce dell'essere
persevera;
- la verit che l'azione della
provvidenza
di Dio non viene
sospesa
quando
l'uomo
agisce
liberamente.
Di
queste cinque
verit
quelle
che sembrano
maggiormente
in con-
traddizione tra loro sono la terza (libert) e la
quinta (provvidenza).
Come
possibile
affermare che la
provvidenza
conosce tutto e tutto
dispone
e
pretendere
allo stesso
tempo
che
essa lasci intatto lo
spazio
della libertumana?
A
questo punto
Boezio introduce due distinzioni di essenziale
impor-
tanza: la distinzione tra
prevedere
e
predeterminate
e
quella
tra la con-
dizione
temporale
e
la condizioneeterna. E
con
queste
distinzioni il
pro-
blema
praticamente
risolto. Infatti Dio
prevede
ma non
predetermina
il male
e
le azioni libere
dell'uomo, e
pu prevedere
senza
predetermi-
nare
perch egli
conosce e
opera
sul
piano
dell'eternit e non su
quello
della successione
temporale.
Ecco come lo stesso Boezio
giustifica
e
spiega
l'affermazioneche Dio
possa prevedere
senza
predeterminate:
Di ci
potrai
facilmenteconvincerti in base a
queste
considerazioni.
Vediamo infatti molte
cose mentre
avvengono
perch
ci cadono sotto
gli
occhi, come i
gesti
che si vedono fare
dagli aurighi
nel
guidare
e
nel far voltare le
quadrighe,
e altre cose del
genere.
Orbene,
vi forse
13) Ibiti,
35.
Boezio 239
una
qualche
necessit che
costringa
alcuna di
quelle
cose a verificarsi
in
quel
dato modo?
Nessuna; anzi, se tutte le cose si muovessero
sotto costrizione,
il valore dell'attivit
umana sarebbe ridotto a. nulla.
Dunque
ci
che, mentre accade,
esente dalla necessit di
esistere,
anche
prima
che accada in condizionedi accadere senza necessit.
Vi sono
pertanto
cose che
accadranno,
la cui attuazione libera da
ogni
necessit.
Nessuno, credo,
vorr infatti dire
che,
prima
di
avve-
nire,
quello
che avviene non sarebbe stato nella condizionedi ci che
sarebbe
avvenuto; dunque,
anche
se conosciuto in
precedenza,
libe-
ro nella sua attuazione. In realt come la scienza delle cose
presenti
non
comporta
nessuna necessit a
quanto
sta avvenendo, cos la
pre-
scienza delle cose future non ne
comporta
alcuna a
quelle
che si veri-
ficheranno in futuro.14
Cos,
il dilemma
logico
tra
provvidenza
divina
e libert
umana
risolto. Dio non
prevede
il futuro
come noi facciamo,
perch
dinanzi
a
Lui non sussistono ne il
passato
n il
presente
n il
futuro, ma tutta la
successione sia
pure
infinita del
tempo

presente
alla
sua eternit, e vie-
ne da Lui conosciuta con un atto dntuizione
omogeneo
alla sua sem-
plice
natura.
D'altronde sul
piano ontologico, precisa
Boezio,
nulla
pu sfuggire
all'intervento di
Dio,
pena
la sommersione nel nulla. Tutto
quanto
una
cosa e tutto
quanto
essa
possiede

posto
dalla volont creatrice di Dio.
Egli
la
causa
che ha donato
l'essere,
dice
un verso del De
consolatione,
e
perci
conosce la realt
negli
abissi
pi profondi,
come il
compositore
conosce
in maniera
singolare
e unica la
propria composizione, poich
l'ha
prodotta
la
sua mente. Cos
Dio,
padre
di tutte le
cose,
tutte le fa
essere e tutte le
conosce,
ben diversamente da
come le
conosce l'intelli-
genza
umana
che
ne resta
sempre
all'esterno, senza riuscire mai a
pene-
trare la loro intima
ragion
d'essere. Nulla di
quanto
vi di
pi segreto
e
profondo
nell'uomo sconosciuto a Dio,
che scruta i cuori. Boezio lo
14) Ibid.
5, 4, 39-56. Pi avanti
Vargomentazione
viene
completata
nel modo
seguen-
te: Poich Dio si trova
sempre
in uno stato di eterna
presenza,
anche la
sua
scienza, travalicando
ogni
mutamento
temporale,
rimane nella
semplicit
della
propria presenza,
e abbracciandotutti
gli spazi
infiniti del
presente
e del futuro
li
contempla
nel
proprio semplice
atto di
conoscenza come avvenissero
proprio
in
quel
momento. Sicch
se vuoi valutar bene la
previdenza,
con cui
egli
distin-
gue
tutte le
cose,
riterrei
pi giustamente
che sia non
prescienza per
cos dire del
futuro, ma scienza di una
presenza
che non viene mai
meno; ragion per
cui
Viene
meglio
detta
provvidenza
che
previdenza, perch posta
ben
lungi dagli
esseri
pi
bassi, vede dinanzi a s tutte le
cose come dalla vetta
pi
eccelsa delle
cose (Ibid., 6, 53-64).
240 Parte
prima
conferma: La nostra vita si
svolge
alla
presenza
di un Giudice che tutto
vede. Di
qui
la
grandissima dignit
dell'uomo
e
allo stesso
tempo
la
sua enorme
responsabilit.
La
dignit
viene dalla sua
origine,
la
respon-
sabilitdalla meta che
gli

promessa,
Dio
stesso,
la Causa
prima
che
gli
ha dato l'essere. Di fronte a Dio,
principio primo
e termine ultimo della
esistenza
umana,
la
parola
del filosofo si trasforma istintivamente in
preghiera
e
proprio
con un insistente richiamo alla
preghiera
Boezio
conclude il suo
capolavoro:
Allontanatevi
dunque
dai
vizi,
praticate
la
virt,
innalzatel'animo
a
giuste speranze,
indirizzateal cielo umili
pre-
ghiere.
Vi
incombe, se non volete
fingere
di non
saperlo,
una
grande
necessit di essere retti, poich
le vostre azioni si
compiono
dinanzi
agli
occhi di
un
giudice
che vede
ogni
cosa>>fl5
Uno dei
punti pi
dibattuti tra
gli
studiosi di Boezio
riguarda
la
qua-
lifica da dare al
suo
pensiero.
C' chi ha voluto vedere nella sua
esclusione della fede nella discus-
sione del
problema
del
male, una
forma di
pensiero
laico,
perfettamente
in linea con
i
procedimenti
della filosofia
greca.
Ora non c' dubbio che Boezio il
quale
conosceva
assai
meglio
dei
Padri della Chiesa la diversit sostanziale che sussiste tra la filosofia
e
la
teologia,
nella Consolazione ha inteso darci
un'opera squisitamente
filo-
sofica,
che
attinge
cio soltanto alle forze della
ragione per
risolvere il
problema
del male. Ma di
quale
filosofiasi tratta? Ci troviamo davanti a
una
filosofia
greca oppure
ad
una
filosofiacristiana?
A mio avviso si tratta di
un'opera esemplare
di filosofia cristiana:
cio di
un'opera
che
non
avrebbero mai
potuto
scrivere n Platone n
Aristotele,
n Porfirio n Proclo. Vediamo
perch.
Per filosofiacristiana si intende -
come
ha
precisato
Gilson
un
pro-
cedimento filosoficoche desume il metodo
(che
pu
essere
la logica
o
la
dialettica) e
il criterio di verit (che

l'evidenza)
dalla
filosofia, e
che tra
i suoi contenuti
comprende
anche verit
(quali
la
creazione,
la
provvi-
denza,
la
persona,
la
libert,
la
storia)
che in
origine appartengono
al
patrimonio
biblico,
cio rivelato, ma
che
sono suscettibilidi
una
perfetta
razionalizzazione.
Questo
esattamente il caso della Consolazione. Infatti,
pur
adottando
la
metodologia
e il criterio di verit della
filosofia, Boezio nell'esame del
suo
problema
non
ignora
affatto
quelle
verit,
imprescindibiliper
la
comprensione
e
la
giustificazione
del
mondo,
che
sono
giunte
a noi
attraverso il cristianesimo: la trascendenza e immanenza di
Dio,
la crea-
zione,
la
provvidenza,
i Concetti di
persona,
di libert
e
di storia. Anzi,
15) Ibid, 6, 155.
Boezio
241
queste
verit
sono talmente vive nella coscienza di
Boezio,
da costituire i
temi dominanti della
sua
opera,
la
quale
risulta
pertanto
formalmente
filosofica,
nella
sua interezza, e nello stesso
tempo
materialmentecristia-
na. In
effetti,
nessun
pensatore
dell'antichit
pagana
ebbe una concezione cos
netta della
Divinit, come trascendente e creatrice, e in accordo
con
essa
svilupp
la
propria
riflessionesull'uomo e la condizioneumana:
sulla natura della
felicit,
il
bene,
il
male,
i
premi
e
i
castighi
che
sono
loro
relativi,
la
provvidenza
divina,
la libert
umana,
la
responsabilit
che
ne
segue,
i
rapporti
che devono intercorrere tra l'uomo e Dio. La
sua coerenza
coerenza cristiana;
il
suo fondamento di convinzioni e di
certezze deriva da un'autorit
pi
alta di
quella
della
ragione, per sua
natura vincolata allbscillazione
perpetua
tra la verit
e l'errore. E
indubitabile,
nelle
pagine
di
Boezio,
la
presenza
della tradizione di
pensiero
cristiana. Essa
non conclamatan
professata esplicitamen-
te nel De
consolatione,
vero;
ma ci secondario
rispetto
alle eviden-
ze di fatto che
esso contiene. Il silenzio formale
nasce
da
un
presup-
posto metodologico
che viene a Boezio dai suoi
studi,
ligi
al
rigore
scientificoe
quindi
alla distinzionetra le diverse
competenzewfi
Il De Trinitate:
ontologia
trinitaria
Anche
questo
un trattato di modeste
proporzioni,
che tuttavia ha
avuto la sua
importanza
nello
sviluppo
della
teologia
trinitaria.
Come abbiamo
visto,
gi Agostino
aveva
operato
un'eccellente tra-
duzione del mistero trinitario nel
linguaggio
della metafisica dimostran-
do che delle dieci
categorie
aristoteliche l'unica utilizzabile
per
chiarire
la distinzione tra le
persone
divine e la relazione.
Questa
tesi viene ri-
presa
da
Boezio,
apportandovi
ulteriori
precisazioni.
Anche Boezio intende avvalersi del
linguaggio
della metafisica
per
trovare
un'adeguata
formulazione del mistero trinitario. Per
questo
rendo conciso il mio stile, e nascondo sotto il velo di nuovi sensi delle
parole
i concetti tratti dalle
pi profonde
dottrine filosofichemLa
que-
stione che Boezio affronta
non
riguarda
la
ragione
per
cui nell'unicoDio
ci sono tre Persone,
bens la
ragione
per
cui essendoci in Dio tre Persone
non abbiamotre dei
ma un solo Dio: In
qual
modo la Trinitsia un solo
Dio e non tre Dei
(Quomodo
Trinitas unus Deus
ac non tres
Dii).
16)
L.
ORBETELLO,
op.
cit,
pp.
66-67.
17) BOEZIO, La consolazionedella
filosofia...
cit.,
p.
358.
242 Parte
prima
Seguendo l'esempio
di
Agostino,
Boezio
sottopone
ad
una
rapida
verifica l'ambito semantico delle dieci
categorie
e
dimostra che di
esse
sono
applicabili
a Dio soltanto la
sostanza,
la
qualit,
l'azione e la rela-
zione. Per anche
per queste categorie
necessario un
arricchimentodi
significato
e cos non
si deve
parlare
soltanto di substantia
ma
di ultra-
substartta, non
soltanto di bonitas ma di tiltra-bonitas, non soltanto di
justitia
ma di
itltra-justitia.
Cos anche la
categoria
della "relazione" subi-
sce,
se
applicata
a Dio, un incremento di
significato,
mai
reperibile
altro-
ve
nella
imperfezione
delle realt
create, e
questo
consente al
teologo
di
predicare
il
rapporto
tra
Padre,
Figlio
e
Spirito
Santo come una relazio-
ne,
appunto,
come aveva
chiarito
Agostino,
ma come una relazione tale
che,
infrangendo
una fondamentale norma aristotelica,
dovr
potersi
realizzare non tra
pi
sostanze,
bens all'interno dell'unica sostanza
divina,
in
un
modo che resta misterioso
per
la
logica
umana.
Perci an-
che la
perfetta predicazione
della relazione trinitaria non
implica
in Dio
alcuna
molteplicit
o variabilit,ma
soltanto un diverso e non
meglio
determinabile
disporsi
della sostanza divina in
rapporto
a se stessa,
nella
perfetta fldlffflffifltifl
delle tre Persone. Ecco la conclusione di
Boezio: La
molteplicit
numerica della Trinit si ha in
quanto
una
predicazione
relazionale, ma l'unit
preservata
in
quanto
non Vi dif-
ferenza di sostanza o
di
operazione
o in
generale
di
predicazione
secon-
do se stessa. Cos la sostanza mantiene
l'Unit,
la relazione costituisce la
molteplicit
della
Trinit, e
perci
si
applicano singolarmente
e
separata-
mente soltanto i termini che
riguardano
la relazione. Infatti il Padre non
lo stesso che il
Figlio,
e lo
Spirito
Santo non n l'uno n l'altro. E tut-
tavia il
Padre,
il
Figlio
e
lo
Spirito
Santo sono
lo stesso Dio,
egualmente
giusto, egualmente
buono,
egualmente grande
ed
ogni
altra cosa
che
pu essergli
attribuita intrinsecamentew
Agostino
e
Boezio
Tra
gli
scrittori cristiani dell'antichit
Agostino
indubbiamente
quello
che ha esercitato il
maggior
influsso su
Boezio. Nel De Trinitatc
egli
dichiara di essersi servito
degli
scritti del beato
Agostino
nel com-
porre quest'opera.
In
effetti,
sia
l'impostazionegenerale
della trattazione
e
la scelta dei
problemi
da
analizzare,
sia le soluzioni che
ne
vengono
proposte
nel De corzsolationecoincidonocon
quelle
elaborate dal
maggior
padre
della Chiesa latina.
I8) Ibici,
pp.
376-377.
19) Cf. H. CHADWICK,
api
cit.,
pp.
312 ss.
Boezio 243
Ma, come abbiamo
gi
osservato,
Boezio si discosta da
Agostino
nel
modo di
concepire
i
rapporti
tra fede e
ragione. Agostino, dopo
la con-
versione,
pone
la
ragione
al
completo
servizio della fede. La verit un
dono della fede e non una
conquista
della
ragione.
Unico
compito
della
ragione

quello
di
intelligere"
la verit
gi posseduta
per
fede.
Boezio,
invece,
riconosce una
maggior
autonomia alla
ragione,
anche
se
questa
nella soluzione dei
problemi
non
pu ignorare gli
asserti della fede.
Questa
per
Boezio una
guida importante
a cui
rivolgersi
nei momenti di
difficolt
per
non cadere in errore. Invece
per Agostino
la fede la sola
signora,
l'unica
legittima
e sicura detentrice del tesoro della Verit. Fede e
ragione,
per
Boezio, sono vie
parallele
che si incontrano soltanto in certi
punti, quando
la
logica pu
contribuire
a
eliminare la confusione dovuta
all'uso
comune o
popolare.
La visione che Boezio ha dell'universo di
un
grande
tutto unico la cui
disgregazione
evitata dalla bont
e
dal
potere
della
provvidenza;
ci si
potrebbe aspettare
che
egli sostenga
una
posizio-
ne ottimistica di concordia tra fede e
ragione.
In realt
un ottimismo di
questa
sorta molto
pi presente
in
Agostino
che in BOEZOmZ
Anche
per quanto
concerne
il
rapporto
con la filosofia
greca
si
regi-
strano alcune differenze notevoli tra Boezio e
Agostino.
Nella elaborazione di
una metafisica cristiana
e
nella formulazione
dei misteri della Trinit
e dell'Incarnazione
Agostino
e Boezio
attingono
principalmente
ai
neoplatonici.
Ma
Boezio,
oltre che di Plotino
e
di
Porfirio si
serve
anche di
Proclo,
che
Agostino
non
poteva
ancora cono-
scere. Inoltre,
diversamente da
Agostino
che
non si stanca mai di dichia-
rare
di
appartenere
alla "setta dei
platonici,
Boezio mostra
grandissimo
interesse anche
per
Aristotele. Dello
Stagirita
non soltanto traduce tutto
lOrgan0n
e ne commenta e
approfondisce
alcune
parti,
ma
fa
sue
anche
le tesi fondamentali della
ontologia.
Cos, mentre la metafisica cristiana
di
Agostino
esclusivamente
platonica, quella
di Boezio e
platonico-ari-
stotelica.
Conclusione
_
Si
gi
detto del ruolo insostituibileche ebbe Boezio nella formazio-
ne della cultura medioevale:
per questo
motivo
egli
stato
presentato
come l'ultimo dei romani e
il
primo degli
scolastici. Boezio infatti l'ul-
timo
rappresentante
della filosofiaclassica
e cristiana nel mondo latino.
20) 11nd,
p.
314.
244 Parte
prima
Dopo
di
lui,
nelloccidente caduto sotto il dominio dei
barbari,
le stesse
radici non solo della filosofiama della cultura in
genere
vennero
distrut-
te. Con Carlo
Magno
ci sar una
brevissima
rinascita, ma nei secoli IX e X
l'Occidente sar di
nuovo
in bala dei barbari
provenienti
dallest,
gli
Ungari,
e dal
nord,
i
Vichinghi.
La rinascita della cultura Vedr i suoi
albori solamente nel secolo
XI, e sar una rinascita che avverr nel nome
di
Boezio, tanto che
a
questo
secolo viene dato il nome di et boeziana.
Infatti,
sia nelle scuole delle abbazie sia in
quelle
delle
cattedrali,
docenti
e
allievi
trovarono
negli
studi boeziani sulle arti liberali
e
sulla dialetticauna
forza ed una risorsa di cui avevano davvero
bisogno.
Senza di lui il
loro
programma
di istruzione non
avrebbe fatto molti
progressi.
Dal
nono
secolo in
poi
si scrissero commenti
per spiegare quanto
di
Oscu-
ro vi era nei trattati
teologici
e nella Consolatio. Dai trattati dialettici e
matematici i lettori di Boezio
appresero
la
precisione
e l'ordine:
Boezio
insegno
ai
pensatori
medioevali ad esaminare i
primi principi,
ad
essere
attenti all'uso delle
parole,
a tentare di ricondurre
un'argo-
mentazione
agli
assiomi e
alle
premesse
che
ne costituiscono il fonda-
mento. I
principi
di formulazione assiomatcanel terzo
degli opuscola
sacra (il
De
hebdoniadibus)
costituirono la base su cui nel dodicesimo
secolo Alano di Lilla avrebbe
intrapreso
la costruzione di tutta la teo-
logia
come deduzione da una sola verit autoevidente. Sebbene
stroncato nel fiore
degli
anni,
cos da non
poter
realizzarela sua
gran-
de
aspirazione
di tradurre tutta
l'opera
di Aristotele
e
di
Platone,
egli
colse tuttavia in notevole misura il suo
principale
obiettivo,
quello
di
ricuperare
le
parti pi importanti
della cultura filosofica
greca per
trasmetterlealle
generazioni
futurem
Qui
sta il merito
principale
di Boezio: nell'aver trasmesso un intero
mondo culturale ai suoi successori medioevali.
31) Ibid.,
p.
315.
Boezio 245
Suggerimenti bibliografici
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fu curata da GIOVANNI
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a Basilea nel 1506. Nella stessa
Basilea, tra il 1528
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DA ROTTFRDAM
pubblic l'Opera
omnia di
Agostino.
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(MAUR),
Parigi
1679-1700,
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11;
ripubblicata
a
Napoli
nel 1854 in 12 volumi
e
la
Patrologia
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del
MIGNE,
nei volumi 32-47
(Parigi 1841).

integrale
la
pubblicazione
delle
opere
di
Agostino
nelle
quattro pi prestigiose
edizioni critiche:
dell'Accademia di
Vienna,
Corpus Scripta-ram
Ecclesiasticorum
Latinorum,
(CSEL),
del
Corpus
Christianoram
(CC)
di
Turnhout, in
Belgio,
della
Nuova Biblioteca
Agostiniana
(NBA),
Editrice Citt
Nuova,
Roma e
della
BibliotheqneAugustinienne,
Dcsclc de
Brouwer,
ed. Cic.
Parigi.
Studi: La
bibliografia
su
Agostino
sterminata. Ci limitiamo a indica-
re
le
opere
fondamentali, e
quelle pi significative
dal
punto
di vista
filosofico
e
teologico.
G.
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LA METAFISICACRISTIANA NEL MONDO BIZANTINO:
DIONIGI
UAREOPAGITA,
MASSIMO IL
CONFESSOR,
GIOVANNI
DAMASCENO,
MICHELE PSELLO
Mentre nel mondo
latino,
caduto
l'impero
romano d'Occidente,
si ar-
riva a un
rapido
declino e a una
progressiva scomparsa
delle
lettere,
del-
le scienze e delle
arti,
nonch della filosofiae della
teologia,
il mondo bi-
zantino
con
i
grandi imperatori
del VI
secolo,
Giustino e Giustiniano,
continua a
progredire
e a
prosperare
e d alla luce
opere insigni
in tutti i
campi:
nella
politica
e
nel
diritto,
nella letteratura
e nell'arte,
nella filoso-
fia
e nella
teologia.
Giustiniano con un
editto del 529 chiuse tutte le scuole filosofiche
pa-
gane.
Questa
drastica decisione non
signific
tuttavia la fine della filoso-
fia
greca;
essa continu a essere coltivata dai cristiani che la ritenevano
un strumento
indispensabile
per
il lavoro del
teologo.
Tra le filosofie
predominava largamente
il
neoplatonismo
di Plotino
e
di Proclo. Dalle Enneadi di Plotino
e
dalla
Teologiaplatonica
di Proclo rica-
Vavano concetti e teorie
gli
scrittori cristiani
dell'epoca
bizantina.
Poi, a
partire
dal secolo
VII,
anche Aristotele incominci a essere studiato e
commentato con
maggior
attenzione, e
anche la sua
metafisica
venne
utilizzatadai
teologi.
Le
figure pi significative
di
questo lungo periodo
che si estende fino
al secolo XI sono
quelle
di
Dionigi lAreopagita,
Massimo il
Confessore,
Giovanni Damascenoe Michele Psello.
Dionigi lAreopagita
Dionigi lAreopagita, oggi pi
comunementedenominatoPseudo-Dio-
nigi,
una
figura singolare
nella storia della metafisica e della
teologia,
importante
per
la
peculiarit
del
suo
pensiero
e
per
il
grandissimo
in-
flussoesercitato sulla
speculazione
filosofica
e
teologica degli
scolastici.
248 Parte
prima
VITA E OPERE
Della sua vita non ci
giunta
nessuna
informazionestorica sicura.
Dai suoi scritti si
pu per
desumere che
era un cristiano di
origine
si-
riaca che
soggiorno
a
lungo
ad
Atene,
dove
segu
con entusiasmoi corsi
di Proclo e
di Damasco rimanendone
profondamente
influenzato. Un
indizio del suo
legame
affettivo ad Atene e
rappresentato
anche dal fat-
to che
egli,
tra tanti
personaggi, sceglie
come
pseudonimo proprio
il no-
me dellateniese
Dionigi lAreopagita (discepolo
di S.
Paolo) e si
qualifi-
ca,
nei titoli dei suoi
scritti, come vescovo di Atene. Ma
con
ogni probabi-
lit
non ebbe mai
questo
onore,
che
gli
avrebbe
reso
impossibile
l'anoni-
mato. Si d invece
per
certo che abbiacondotto
una
vita
ritirata,
fatta di
preghiera
e
di
studio,
in
qualche
cenobiodella Siria o
della Palestina.
Per tutto il Medioevo l'autoredel
Corpus areopagiticimz
fu considerato
come Yeffettivo
discepolo
di S.
Paolo, e cos si
assegn
alle sue
opere
un
credito del tutto
singolare
e un'autorit
maggiore
di
quella
che si dava
ai
grandi
Padri della
Chiesa,
compreso
lo stesso
Agostino.
La
leggenda
di
Dionigi lAreopagita
fu dimostrata inattendibilein modo decisivo
soltanto durante il Rinascimentoa
opera
di Lorenzo Valla.
Il
Corpus areopagiticam
si
compone
di
quattro
scritti:
1)
I nomi divini:
una
spiegazione
dei nomi e
degli
attributi che la Sacra Scrittura
assegna
a Dio;
un
saggio
sul valore della nostra conoscenza e
sulle
possibilit
e
limiti del
linguaggio teologico;
2)
La mistica
teologia: riprende
molto sin-
teticamente il tema
dell'opera precedente,
sottolineando ulteriormente
la trascendenza di
Dio; 3)
La
gerarchia
celeste: il
primo
e
pi
classico
trattato di
angelologia.
Si
apre
con lo studio dell'essenza e delle
pro-
priet degli angeli
e
poi
viene determinata la loro
gerarchia,
sud-
dividendoli in tre cori,
ciascuno
composto
di tre
gradi;
4)
La
gerarchia
ec-
clesiastica: un
breve trattato di
ecclesiologia,
in cui si
prendono
in con-
siderazione: tre sacramenti
(battesimo, eucaristia, cresima); tre stati
sacerdotali
(vescovo,
presbitero,
diacono); tre stati subordinati
(monaci,
cristiani
comuni, catecumeni).
In
un'appendice
si
parla
della
sepoltura
e
del battesimo dei bambini.
NEOPLATONISMOCRISTIANO
L'impianto
della costruzione
teologica
di
Dionigi
manifestamente
neoplatonico,
mentre i contenuti sono
essenzialmente
quelli
del cristia-
nesimo.
Dionigi
il
primo
autore cristiano,
il
primo
Padre della Chiesa,
che
attinge
a
piene
mani al
neoplatonsmo
di Proclo e se ne serve
per
dare
una struttura
globale
alle verit del
cristianesimo, producendo quel
singolare esemplare
di
neoplatonismo
cristiano che il
suo
sistema di
Diomgi,
Massirrzo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno,
Michele Psello
249
pensiero.
Da Proclo
egli
mutua il
principio
della
triade,
il
quale prescrive
che
ogni
essere sia costituito di tre
momenti,
che si chiamano
permanen-
za (mon),
uscita
(proodos)
e ritorno
(epistroph).
In forza del
primo
momento un ente
partecipa
del
principio superiore e,
in
quanto parteci-
pa, permane
in
esso;
in forza del
secondo,
differisce dal
principio supe-
riore e ne
esce; grazie
al
terzo,
desidera di
acquistare
una
maggiore
per-
fezione
e
perci aspira
a tornare al
principio
da cui uscito. Per
quanto
attiene la forma cristiana del
pensiero
dello
Pseudo-Dionigi gli
studi di
V.
Lossky,
E.
von lvanka e W. Voelker hanno evidenziatola
dipendenza
dell'autoredel
Corpus
dai Padri alessandrini
e
cappadoci.
D10: PRIMATO DEL BENE sULUEssERE
Due
sono i
grandi
terni
su cui si concentra la
speculazione
dello
Pseudo-Dionigi:
Dio e l'universo. E
sono due temi non
disgiunti
ma
sal-
damente
legati,
come sono
congiunti
e
legati
lUno
e l'universo in Ploti-
no. Dio visto da
Dionigi
come
il
grande
e
potentissimo
sole che irradia
la
sua luce
generosa
ed efficace
sull'universo, mentre
questo
e inteso co-
me
il vastissimo
specchio
che riflettela luce di Dio e manifesta i suoi at-
tributi. Nella
possente
cosmovisione dionisiana tutto saldamente
unito, perch
tutto
collegato
attraverso il
triplice
anell.o della
gerarchia:
tutto
procede
da
Dio, tutto ritorna a Dio e tutto rimanein Dio.
Nella trattazione del. mistero di Dio lo
Pseud0Dionigi
si richiama
ampiamente
alla metafisica
henologica
dei
neoplatonici:
molte formule
porfiriane
e
procliane
sono
riprese quasi
alla lettera.
Strettamente
neoplatonico
il
suo concetto di
Dio,
il
quale
viene
identificato col Bene e con lUno. La Bont la stessa esistenza divina e
sta al di
sopra
di tutti
gli
esseri>>.1 Mentre essa stessa non
ha
forma,
conferisce tutte le
forme, e in lei solo l'essere
privo
di sostanza il
su-
peramento
di
ogni sostanza,
la
non vita sovrabbondanza di
vita,
la
non
intelligenza
sovrabbondanza di
intelligenza
e tutte le
cose esisten-
ti nel Bene
possono
dare in maniera eccellente le loro forme
agli
esseri
che
non
lhanno.2
Come Plotino
lAreopagita
fa coincidere il Bene con la Bellezza. Ecco
un celebre testo in cui si afferma
questa
identit:
Questo
Bene celebrato dai sacri autori come Bello e Bellezza, come
Amore
e Amato, senza dire tutti
gli
altri nomi divini che ben si addi-
cono
alla Bellezza che rende belli ed del tutto
graziosa.
Il Bello
e
la
Bellezza del resto non si
possono separare
nella
causa
che
comprende
1)
De divinis nominibus
4,
3.
2) Ibid.
250 Parte
prima
in uno tutti
gli
esseri
(...).
Il Bello sovraessenziale chiamato Bellezza
a causa della bellezzache da
parte
sua
viene
elargita
a tutti
gli
esseri
secondo la misura di
ciascuno, essa che, come causa dell'armonia e
dello
splendore
di tutte le
cose, getta
a tutti, a
guisa
di
luce,
le effusio-
ni che rendono belli del suo
raggio sorgivo,
chiama a s tutte le cose

donde
appunto
si dice anche Bellezza e
raccoglie
in se stessa tutto in
tuttom"
La
designazione
di Dio come Bont e come Bellezza non e casuale e
neppure
un
semplice omaggio
alla tradizione
platonica
e
neoplatonica,
ma nello
Pseudo-Dionigi risponde
a
ragioni speculative
ben
precise:
il
suo obiettivo, infatti,non
semplicementequello
di definire la natura di
Dio e tanto meno
di tracciareunicamente una
mappa
dell'universo crea-
to, ma
soprattutto quello
di
comprendere
e
spiegare
l'intreccio mirabile
che unisce Dio al mondo e
il mondo a Dio. Per
questo
assume come
attributi fondamentali di Dio la Bont e
la
Bellezza,
perch
sono
gli
attri-
buti che
meglio
fanno da
ponte
tra lui e
le
sue creature.
Dio
per Dionigi
la causa
prima
e universale di tutte le cose.
Ma
qua-
li
sono
le
ragioni profonde
della sua azione? Sono
precisamente
la Bont
e
la Bellezza. Dio crea
l'universo e lo ricolma
d'ogni meravigliaperch

Bont e
perch
Bellezza. [n
quanto
Bont
egli

portato
a effondere i
tesori del
proprio
bene, a
comunicarli ad altri
esseri;
in
quanto
Bellezza
vuole suscitare
spettatori
che lo
contemplino,
lo
Iodino,
lo
godano
e
lo
amino. Per essere causa
piena
di una
realt occorre essere
di
essa
il
prin-
cipio
efficiente,
formale e
finale. Grazie alla Bont e alla Bellezza Dio
svolge
tutte
queste
funzioni: Da
questo
Bello tutti
gli
esseri hanno otte-
nuto di essere belli,
ciascuno a
modo
proprio,
e a causa
del Bello esisto-
no
gli
accordi,
le amicizie e
le comunicazioni di tutte le cose e nel Bello
tutte le cose sono unite. ll Bello
principio
di tutte le cose
in
quanto
causa efficiente,
che
muove
tutte le cose e le tiene insieme con
l'amore
verso
la
propria
bellezza;
ed il Bello il fine di tutte le cose ed
degno
di essere amato in
quanto
causa finale (infatti, tutte le cose nascono a
causa
del
Bello) e causa
esemplare, perch
tutte le cose
si definiscono in
riferimentoa Lui. Infatti avviene
per
il Bello ci che avviene
per
il Buo-
no;
tutte le cose
in
ogni
maniera tendono al Bene e
al Buono (...). Questo
unico Buono e
Bello in maniera unica la causa
di tutte le cose
belle e
buone,
che
sono
molte.4
Seguendo
Porfirio e Proclo,
dalla
suprema
realt,
il
Bene-Bello,
lo
Pseudo-Dionigi
fa scaturire la triade fondamentale: l'Essere,
la Vita e
l'Intelligenza,
e a
giustificazione
di
questa precisa gerarchia egli
adduce
3) lbid, 4,
7.
4)
lbid.
Dionigi,
Massirrzo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno,
Michele PseIl
251
le stesse
ragioni
indicate dai due filosofi
neoplatonici:
il
primato
ontolo-
gico
di cui
gode
l'Essere
rispetto
alla Vita
e alla
Intelligenza;
infatti
senza Essere non c' n Vita n
Intelligenza.
Ecco le
parole
testuali del-
lAreopagita
a
questo proposito:
LEssere
preposto
a tutti
gli
altri suoi doni:
ne viene di
conseguen-
za che l'Essere in se stesso viene
prima
della Vita-in-s o della
Sapienza-in-s
0 della divina
Somiglianza-in-s,
e tutte le altre
cose,
che
partecipano
di
qualche qualit, prima
che di
queste qualit parte-
cipano
dell'Essere; inoltre,
anche tutte le
cose
in s e
per
s di cui
gli
esseri
partecipano, partecipano
dell'Essere in s e
per
s. E non esiste
nessuna cosa di cui lEssere in
se stesso non sia sostanza e
durata.
Dunque,
convenientemente Dio e celebrato come
preesistente
a tutti
gli
altri in relazione al dono che li
precede
tutti. E
infatti,
colui che
possiede
fin da
prima
e in misura
superiore
il
preesistere
e l'essere
superiore,
ha fatto
preesistere
tutto l'Essere,
voglio
dire lEssere in s
e
per
s, e mediante
questo
Essere ha formato
qualsivoglia
modo di
essere. Cos tutti i
principi degli
esseri,
in
quanto partecipano
del-
l'Essere, sono e sono
principi,
ma
prima
di tutto sono e
poi
sono
prin-
cipi.
E
se tu vuoi dire che la Vita-in-s il
principio
di coloro che
Vivono in
quanto
vivono e
la
Somiglianza-in-s
il
principio
delle
cose in
quanto
simili, e l'Unionein-s il
principio
delle cose unite in
quanto
unite, e l'Ordine-in-s il
principio
delle
cose ordinate in
quan-
to ordinate e
di altre
qualunque
siano in
quanto partecipano
o a
que-
sto o a
quello
o ad ambedue o a molti; tu
proverai
che le
Partecipazioni-in-s partecipano
di
per
se stesse anzitutto dell'Essere
e in
primo luogo
sussistono
per
l'Essere,
poi
sono
principi
di
questa
o
di
quella
cosa e con il
partecipare
all'Essere esistono e
partecipanom
Per
quanto riguarda
la triade fondamentale:
Essere, Vita,
Intelligenza
(la
triade
porfiriana
e
procliana)
ci sono due
importanti precisazioni
da
fare.
In
primo luogo
essa non viene utilizzata
dallAreopagitaper operare
una trascrizione del mistero cristiano della Trinit nel
linguaggio
della
metafisica
neoplatonica,
come faceva il
suo
contemporaneo
Mario
Vittorino. Lo
Pseudo-Dionigi
non identifica lEssere col
Padre,
la Vita col
Figlio
e
Ylntelligenza (Sapienza)
con lo
Spirito
Santo. Come risulta dai
brani
citati,
egli
non considera
lEssere,
la
Vita, e
Hntelligenza
come tre
ipostasi
distinte, come invece
pensavano
i
neoplatonici
e lo stesso Mario
Vittorino,
bens
come tre
qualit primarie
e come
principi supremi
di
tutto l'universo sia
intelligibile
che sensibile.
5) lbia, 5,
5.
252 Parte
prima
In secondo
luogo,
sono
qualit
che sebbene in Dio costituiscano la
stessa identica realt,
prendono
tuttavia nomi distinti
perch
danno
luogo
a
partecipazioni
differenti della infinita
perfezione
di Dio nelle
cose create. Ecco un testo
esemplare dellAreopagita
su
questo punto:
Non sono cose
diverse il Bene e lEssere,
la Vita e
la
Sapienza,
n Vi sono
molti
principi
e
divinit
superiori
ed inferiori che
producono queste
o
quelle cose,
ma tutti i buoni effetti
vengono
da
un
solo
Dio, come tutti i
nomi di Dio da noi celebrati; e il
primo
(Bene)
la manifestazione della
provvidenza perfetta
di un
solo Dio e
gli
altri
(Essere, Vita, Sapienza)
fanno
conoscere
le manifestazioni delle cose
universali e
particolari
.6
Nelle
opere
dionisiane vi sono
solo alcune brevi considerazioni sul
mistero della
Trinit,
per
illustrareil
quale Dionigi
ricorre ad
immagini
bennote alla
patristica greca
e latina. L'Unit sovraessenzialedel
primo
Principiocomprende
in
s,
in una
mani.era che
sfugge
alla
comprensione
umana,
le tre
persone
della
Trinit,
le
quali rappresentano
la
separazio-
ne (diakrisis)
in seno
all'unit (herzosis).
Pur rimanendo nettamente
distinte e non
ammettendo nessuna
reciprocit
o
confusione tra i loro
ruoli,
le tre
persone,
il
Padre,
il
Figlio
e lo
Spirito,
si trovano tuttavia
l'una nell'altra in modo da formare un'unit
superiore,
cos come
le luci
di
pi lampade
si fondono in un'unica luce.7
Per rendere meno oscuro il mistero della condivisione totale della
realt divina da
parte
delle tre Persone della Trinit lo
Pseudo-Dionigi
ricorre alle classiche
immagini
del centro di un
cerchio
e
del
sigillo:
E
comune ed unito e uno a tutta la Divinit il comunicarsi nella sua tota-
lit a ciascuno di
quelli
che vi
prendono parte.
Come il centro di un cir-
colo in comune a tutte le linee che
vengono
tracciatenella circonferen-
za,
e come
le molte
impronte
di
un
sigillopartecipano
del
primo sigillo
ed esso tutto e
lo stesso in ciascuna delle
impronte
e in nessuna
par-
zialmente. Ma
limpartecipabilit
della
Divinit, causa
di
tutto, oltrepas-
sa
questi esempi per
il fatto che
non

tangibile
e non
ha
nessun
rappor-
to che
comporti
mescolanza con
quelli
che vi
partecipanomfl
LA RIPARTIZIONE GERARCHICA DEL MONDO DELLE CREATURE
Come molti filosofi
e
teologi
cristiani che l'avevano
preceduto
anche
lo
Pesudo-Dionigi distingue
nella creazione tre
grandi
ordini:
quello spi-
rituale
(angelico), quello
umano e
quello
materiale. Ma
seguendo
l'e-
sempio
di Proclo ottiene una
divisione molto
pi complessa
ed articola-
ta delle
creature,
avvalendosi del
principio
della
gerarchia.
6) lbid,
2.
7) lbid, 2,
4.
5) lbid,5.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Danzasceno, Michele Psello
253
Per
gerarchia
lo
Pseudo-Dionigi
intende la
disposizionedegli
esseri in
diversi
gradi
di
perfezione
secondo la
maggiore
0 minore vicinanza a
Dio. Essa
comprende
sempre
tre attivit
(purificazione, illuminazione,
unione)
che
gli
ordini
superiori
esercitano nei confronti
degli
ordini in-
feriori.
L'origine
di
una simile
gerarchia,
l'essenza della
bont, la Trinit
unica
causa del creato dalla
quale
per
sua bont deriva a tutte le
cose
l'essere
e il benessere. Ora
questa
felice
gerarchia
che trascende
ogni
cosa e che realmente trina
nell'unit,
incomprensibile
alle nostre
forze, ma che sola
conosce se
stessa,
ha
concepito
il
disegno
di salvare
razionalmente noi e le sostanze
superiori
a noi. Ma
questa
salvezza
non
pu
avvenire in nessun altro modo
se non mediante la deificazio-
ne di coloro che
sono salvati, e la deificazione assimilazione
e unione
con Dio,
per quanto

possibile. Questo
poi
il fine comune di
ogni
gerarchia,
l'amore continuo di Dio e delle
cose divine che si
esplica
santamente sotto
l'ispirazione
divina
e unitivamente
e, prima
di
que-
sto,
l'allontanamento
perfetto
e irrevocabiledalle cose contrarie,
la
conoscenza delle
cose nel loro
giusto valore,
la visione
e
la coscienza
della santa
verit,
la
partecipazione
divina alla
perfezione unificante,
il banchetto della
contemplazione
della stessa
unit, come
possibile,
banchetto che nutre
spiritualmente
e deifica
chiunque
vi si elevi.9
Nella
gerarchia
cos come viene definita da
Dionigi
rientrano sol-
tanto le creature
(a
loro soltanto si addice infatti la
purificazione,
la illu-
minazione
e l'unione). Dio
non fa
parte
della
gerarchia:
la
sua "colloca-
zione sta fuori: al di
sopra
di
qualsiasi gerarchia.
La
posizione
di Dio

quella
della Tearchia.
Questa
la stessa Trinitdivina considerata
come
principio
di
deificazione,
che rimane al di
sopra
di
ogni
essere deificato:
si trova al di
sopra
delle
intelligenze
e delle sostanzewv
Gli esseri che
vengono dopo
Dio e che da lui
sono stati creati
sono
raggruppati
da
Dionigi
in due
grandi gerarchie:
celeste ed ecclesiastica.
La
prima comprende
le
intelligenze
pure,
ossia
gli angeli;
la seconda
gli
uomini che
sono stati riconciliati
con Dio, cio i membri della Chiesa. La
struttura essenziale delle due
gerarchie
la stessa ed
sempre
formata
da tre elementi:
ordine, scienza,
operazione.
Anche il fine lo stesso: la
divinizzazione. Lartefice
principale, per,
della
divinizzazione la
Tearchia,
pi precisamente
lo
Spirito
Santo: Tutta
l'operazione
sacra e
imitativa di Dio viene riferita
a Dio
come causa e
alle
prime intelligenze
deiformi in
quanto prime operatrici
e maestre delle
cose divine. Dun-
que,
la
prima disposizione
dei santi
angeli possiede pi
di tutti la
pro-
9) De ecclesiasticaltierarihia
1, 3.
l) De div. 110m. 1. 3.
254 Parte
prima
priet
di infiammaree
di
trasmettere, effondendola,
la
sapienza
tearchi-
ca,
e
la
possibilit
di
capire
la scienza altissima delle illuminazionidivi-
ne e
quella propriet
che dei
Troni, e
che
significa
l'attitudine
aperta
alla recezione del Divino>>.11
In
ossequio
alla dottrina
neoplatonica
la
quale esige
che tutte le fasi
della realt si
presentino
in forma
di triade
(e
anche al concetto cristiano
di Dio
per
cui e costituito di una
triade di
persone,
la Tearchia, e tutte le
altre realt che
procedono
da Lui
partecipano
e imitano
questa
sua
qua-
lit)
nell'impianto generale
delle Gerarchie,
lo
Pseudo-Dionigi
inserisce
una
terza
grande
Gerarchia,
dopo quella angelica
ed ecclesiastica,
la
gerarchia legale; questo gli
consente oltretutto
unappropriata
collocazio-
ne
per
quel
mondo sacro
che viene
dopo quello angelico
e
anticipa quel-
lo cristiano,
il mondo dell'Antico Testamento che
precisamente
il
mondo
legale:
dell'ordine,
della scienza e
delle attivit
legali.
Questa
ge-
rarchia,
anche se
in sede storica viene
prima
della
gerarchia
ecclesiasti-
ca,
in sede
ontologica
e
assiologica
viene
dopo.
La
gerarchia legale,
fino all'avvento di
Cristo, era
l'unica
gerarchia
umana e
svolgeva
il ruolo che
proprio
della
gerarchia
in
quanto
tale -
di far
progredire
i suoi membri sulla strada della divinizzazione.Come
ogni gerarchia,
anche la
gerarchia legale comprende
tre elementi: un
sacramento, degli
iniziatori al divino e
degli
iniziati.
Dopo quella gerar-
chia celeste e sovramondana, Dio,
facendo venire
benignamente
fino a
noi i suoi doni
pi
santi,
ha dato a noi fanciulli,come
dice la
Scrittura,
la
gerarchia legale,
con
immagini
oscure
della verit e
rappresentazioni
molto lontane dai modelli e con
enigmi
difficilida
penetrare
e con
figure
che
contengono
in s una
contemplazione
occulta difficilea
comprender-
si,
facendo
risplendere
senza
danno una
luce smisurata davanti
agli
occhi deboli. In
questa
gerarchia legale,
l'iniziazioneera
la
guida
al culto
spirituale;
iniziatori erano
quelli
santamente istruiti da Mos che il
primo
maestro e
la
guida
dei
pontefici
della
Legge.
Descrivendo la sacra
gerarchia legale,
in riferimento a
quel
santo tabernacolo,
egli
chiamava
tutte le
cose, compiute
santamente secondo la
Legge, immagine
della
forma mostrata a
lui sul Sinai. Iniziati
poi
erano
coloro che venivano ele-
vati
per
gradi
dai simboli della
Legge
verso
la dottrina
pi perfettaml
La
gerarchia
ecclesiastica
completa
la
gerarchia legale
e
prepara
alla
gerarchia angelica:
La Sacra Scrittura chiama la nostra
gerarchia
inizia-
zione
pi perfetta,
definendola
pienezza
e sacro
complemento
della
prima (legale).13
11) De codesti hiertrchia 13, 3.
12) lbid, 5,
2.
13) lbid.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Danzascenu,
Michele Psello
255
Con la formula della
gerarchia
lo
Pseudo-Dionigi
riesce a trovare un
ordine
rigoroso
tanto
rigoroso
che
non
pu
non
apparire
forzato -
an-
che alle varie strutture della
Chiesa, che
egli
riduce
a tre:
attiva,
passiva
e strumentale, ciascuna delle
quali comprende
tre elementi. La
gerarchia
attiva costituita dai
Vescovi,
dai sacerdoti
e dai
diaconi;
quella passiva,
dai
monaci,
dal
popolo
e dai
catecumeni;
quella
sacramentale
o stru-
mentale
comprende
il
battesimo, Teucaristia
e lunzione
(cresima).
Dentro
questa
solenne
impalcatura Dionigi
riesce a trovare un
posto
preciso
per
tutte le Verit
principali
della fede cristiana e
per
tutti i
punti
fondamentali
dellecclesiologia. ljimpalcatura
ha carattere essenzial-
mente
ontologico
ma ci non
impedisce
allo
Pseudo-Dionigi
di salva-
guardare
anche il carattere
profondamente
dinamicodella realt creata e
in
particolare
della realt
ecclesiale;
perch
anche
se
vero
che
Yimpal-
catura
rigida
e in un certo
senso immobile,come la scala di
un edificio,
non sono invece affatto immobilile
persone
che si trovano sui vari
gra-
dini
dellmpalcaturagerarchica.
Come unico il loro
punto
di
partenza,
unico anche il
punto
di
arrivo,
Dio: la scala
gerarchica
assolve la fun-
zione di ristabilirela loro unione con Dio.
SIMBOLISMO,
ANALOGIA,
ANACOGIA
Nel
platonismo
floniano
e nel
neoplatonismo
una delle
problemati-
che dominanti
riguarda
il valore della nostra conoscenza di Dio
(lUno,
il
Bene) e del
linguaggio
che noi
adoperiamo
per parlare
di Lui.
Uapofatismo:
ossia Yinconoscibilt
e Yineffabilitdi Dio la soluzione
proposta
da
Filone, Plotino, Porfirio
e Proclo al
problema.
Di Dio l'uomo
ottiene soltanto concetti
negativi, perch
la sua natura
oltrepassa
tutto
ci che
concettualizzabile,
essendo
infinita; e anche il nostro
linguag-
gio
che si riferisce
a Dio ha
un valore soltanto
negativo, perch nessuna
parola pu
dire ci che Dio in
se stesso.
Nella
Teologia
Platonica Proclo
aveva chiarito
ulteriormente le
possibi-
lit del
linguaggio teologico
dando rilievooltre che alla via
negativa
anche alla via
eminenziale,
che ricorre al suffisso
hyper
per parlare
del
Bene
(Uno), dicendo
per esempio
che lUno
super-sapiente,
super-
essere, super-sostanziale ecc. La via eminenziale
non elimina
Yapofati-
smo, ma evita di cadere nellateismosemanticoe
gnoseologico.
Il
problema
del valore della nostra
conoscenza di Dio e del
linguag-
gio teologico

presente
in tutto il
corpus areopizgiticum,
e costituisce l'ar-
gomento principale
del De ciivinis
numinibus, come si evince dal titolo
stesso. Nella sostanza la soluzione
dellAreopagita
coincide
con
quella
di
Proclo, mentre la discussione
non viene svolta in astratto e in termini
generali,
bens
con
precisi
riferimenti al
linguaggio degli
autori della Sa-
256 Parte
prima
cra
Scrittura. Ci su cui si
interroga
lo
Pseudo-Dionigi
il
significato
dei
nomi che la Scrittura d
a Dio e dei simboli che
essa usa
per
illustrareil
suo essere
infinitoe
trascendente.
[l ricco
linguaggio
simbolico
adoperato
dalla Scrittura,
secondo
lAreopagita

perfettamente legittimo,
sia
perch
il
linguaggio
scelto
da Dio stesso sia
perch
un
linguaggio pienamente rispondente
alla
nostra natura.
Dio stesso che ha voluto
parlare agli
uomini mediante simboli,
fi-
gure,
immagini, analogie:
I
primi
maestri della nostra
gerarchia
(ossia gli apostoli) riempiti
essi
stessi del sacro
dono della Tearchia
soprasostanziale
e
inviati dalla
bont divina a comunicare
questo
dono
agli
altri,
desiderando essi
stessi ardentemente,
in
quanto
resi divini,
di innalzare e divinizzare
quelli
che stavano con loro,
hanno tramandato sotto
immagini
sensi-
bilile cose
sovracelesti e sotto una
forma varia e
molteplice
ci che
chiuso in
s,
sotto tratti umani le cose divine,
sotto forma materialele
cose immateriali e sotto cose
naturali
quelle
sovrasostanziali,
sia nelle
iniziazioni scritte come
in
quelle
non scritte,
seguendo perfettamente
le
leggi sacre;
e ci non
soltanto a causa
dei
profani
ai
quali
non
concesso
neanche di toccare i simboli, ma
anche
perch,
come
ho
detto,
la nostra
gerarchia
in un certo senso simbolica, come
si convie-
ne a noi, e
ha
bisogno
delle cose
sensibili
per
elevarci
pi
divinamen-
te da
queste
verso
le cose
intelligibilim
Come
gi
detto nelle
righe
conclusive del testo citato,
la via simbolica

quella
che
meglio,
anzi unicamente,
si addice alla nostra condizione
che
non
quella
dei
puri spiriti
che hanno
una conoscenza
intuitiva e
diretta di
qualsiasi
realt, ma
di
spiriti
incarnati,
che
raggiungono
la
conoscenza
del mondo sovrasensibilee
immateriale soltanto
partendo
dal mondo sensibilee
materiale. Gli
angeli
in
quanto
esseri intellettuali
comprendono
Dio e
la
potenza
divina,
per quanto
loro
concesso,
men-
tre noi siamo elevati,
per quanto

possibile,
alle
contemplazioni
divine
dalle
figure
sensibili.15L'amore di Dio verso l'uomo racchiudel'intelli-
gibile
nel sensibile,
ci che sta al di l dell'essere nell'essere,
d forma
allfinformabilee
tramite una
variet di simboli
parziali moltiplica
e
raffi-
gura
la
meravigliosa Semplicit
di cui non
si
pu
dare nessuna
rappre-
sentazionemlfi
14)
De eccl. hicr.
l,
5.
15) lliti,1,
2.
l) De dir). nvm. 1,
4.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno,
Michele Psello
257
Ovviamenteil
linguaggio
simboliconon
pu
essere
presti
alla lettera.
I simboli devono valere
come allusioni,
suggestioni
e non come descri-
zioni della realt divina.
L'Areopagita
chiarisce efficacemente
questo
punto
mediante la
seguente
illustrazione:
Come, se discorrendo sulla natura dell'anima,
la si
rappresentasse
alla maniera di un
corpo,
e
si
prestasscro
altinvisibilele membra di
un
corpo,
diversamente
comprenderemmo
le
parti
riferite a lei, cio
in maniera conforme allndivisibilit
propria
dell'anima, e diremmo
che la testa
l'intelligenza,
il collo
l'opinione,
come situato a met tra
la
ragione
e Yirrazionale,
il
petto
la
collera,
il Ventre la
concupiscenza,
le
gambe
e i
piedi
la
natura, applicando
in tal modo simbolicamente
alle
potenze psichiche
nomi ricavati dalle
parti
del
corpo.
A
maggior
ragione, quando
si tratta dell'assoluta trascendenza di Dio occorre
purificare
la variet delle forme e delle
immagini
avvalendosi di
ese-
gesi
sante e mistiche,
confacenti alla natura del loro
oggetto
divino.
E se tu vuoi attribuire a Dio,
che
non si
pu
n toccare n
rappresen-
tare,
le trc dimensioni del
corpo, bisogner
dire che la
grandezza
divina lo stesso
procedere grandissimo
di Dio verso tutte le
cose,
la
lunghezza
la
potenza
che si stende
sopra
tutte le
cose,
la
profondit
il
segreto
e Yinconoscibileche rimarranno
incomprensibili
a tutti.17
Il materiale simbolico
sempre
molto
ambiguo
e si
presta
a
facili
fraintendimenti ed errori di
comprensione.
Pertanto tutti i simboli anche
i
pi
nobili e raffinati
esigono
da
parte dell'intelligenza
uno sforzo di
discernimento che li liberi dalla seduzione naturale delle
figure
per
fare
emergere
il
vero senso
spirituale. L'Areopagita
osserva
che i simboli for-
temente dissimili
sono meno
pericolosi
di
quelli apparentemente
simili
poich
non v' assolutamente nulla di
propriamente
simile alla divina
Tearchia:
lo
penso
che
nessuno
degli
uomini veramente
intelligenti potrebbe
negare
che le similitudini
pi
lontane innalzino
maggiormente
la
nostra
intelligenza.
Infatti,
di fronte a sacre
raffigurazioni pi
elevate

possibile
che alcuni si facciano
una falsa idea credendo che esistano
sostanze celesti auriformi
e uomini fatti di
luce,
sfolgoranti, splendi-
damente rivestiti di uno
splendido
abito ed emananti innocue fiam-
me o sotto tutte le altre belle forme dello stesso
tipo
che la Sacra
Scrittura ha
immaginatoper rappresentare
le
intelligenze
celesti. E af-
finch
non dovessero incorrere in un simile
pericolo gli uomini,
i
quali
non
concepiscono
nulla di
pi
alto dei beni
sensibili,
la
sapienza
dei santi sacri
autori,
che conduce
verso l'alto,
discende santamente
anche
verso
dissomigiianze oscure,
non
per permettere
alla nostra
17) lbid, 9,
5.
258 Parte
prima
parte
materiale di soffermarsi e
di
indugiare
nelle
immagini turpi,
ma
per
innalzarela
parte
dell'anima che tende verso l'alto e sollevarlame
diante la bruttezza stessa delle
immagini,
di modo che non
sembri n
giusto
n
vero, persino agli
esseri molto
materiali,
che
gli spettacoli
sovracelestie divini
possano
essere simili a
figure
cos
grossolanem
La funzione dei simboli non e teoretica ma
armgogica:
essi servono a
elevare
(anagogh)
l'anima a Dio, e non a
farlo conoscere.
E i simboli dis-
simili dalla realt trascendente alla
quale
alludono hanno
una
virt ana-
gogica maggiore
dei simboli simili.
L'espressione anagogh
e i suoi derivati
arzagogs
e
anagoghiks
ricorro-
no
spesso
nel
Corpus areopagitico,
in modo
particolare
nelle due Ge-
rarchie. Tutto
l'immaginario
sacro
delle Scritture ha funzione
anagogica.
Uscito dalle mani di
Dio,
dalla sua Bont e Bellezza,
l'uomo destinato
a fare a Lui ritorno. E il cammino del
ritorno, Yanagogia,
tracciato sia
dai sacramenti sia dal simbolismoletterario e dal
linguaggio
discorsivo.
Per
parlare
di Dio
gli
autori sacri si servono
anche del
linguaggio
con-
cettuale e astratto e
questo
viene usato in due modi:
positivo
e
negativo.
Dei due il
pi
veritiero il secondo. Ecco un
bel testo in cui lo Pseudo-
Dionigi
sintetizza
questa
tesi fondamentale
dellfiipofatismo:
Le tradizioni occulte della rivelazione scritturale celebrano la vene-
randa beatitudinedella Tearchia sovrasostanziale come
Ragione,
Intelligenza,
Sostanza, e ci
palesano
la razionalit
quale
si addice a
Dio e
alla sua
sapienza,
che realmente esistenza e causa Vera
dell'e-
sistenza
degli
esseri, e
la
rappresentano
come
Luce e
la chiamano
Vita. Pur essendo
queste rappresentazioni
sacre cos venerabilie
pur
sembrando essere
poste
in un certo
qual
modo al di
sopra
delle forme
materiali,
tuttavia anche cos sono
lontane dal
significare
un'idea
tearchica conforme a verit. Infatti Dio sta
sopra
tutte le sostanze e
tutta la
vita, poich
nessuna
luce lo
pu esprimere,
dal momento che
qualsiasi ragione
e
qualsiasi intelligenza

incomparabilmente
lonta-
na
dalfassimilarsi
allmmagine
autentica. Talvolta,
poi,
Dio cele-
brato dalle medesime Scritture in modo sovramondanocon
rivelazio-
ni che
non
hanno alcuna
somiglianza
con Lui,
quando
vienechiamato
Invisibile,Infinito,
lncomprcnsibile
e con altre
espressioni
con
le
quali
non si indica ci che
egli
, ma ci che non . Secondo
me, questo
modo
pi
conveniente a Lui, poich,
come
la tradizione
segreta
e
sacra
ha
spiegato,
noi con
verit affermiamo che Dio non esiste alla
stessa maniera di altri
esseri, ma
che noi non conosciamo la sua
infi-
18) De coel. hier. 2,
3.
19)
Cf. ibid, 1,2.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Darnasceno,
Michele Psello
259
nit
soprasostanziale, inintelligibile
ed
arcana. Se
dunque
le
negazioni
sono vere nei
riguardi
delle cose divine, mentre le
affermazioni
non si
adattano al nzistero delle cose arcane
segue
che il metodo di descrivere
per
mezzo
di
cose dissimili sia
quello pi
Convenientealle cose invisibili.20
I due modi
(o vie),
positivo
e
negativo,
di
parlare
di Dio
non
devono
essere dissociati ma abbinati:solo
presi
insieme essi danno la
giusta
mi-
sura
di ci che si intende dire
quando
si afferma che il
linguaggio
teolo-
gico
(come
pure
il
linguaggio
metafisico in
generale) possiede
un
signi-
ficato
analogico,
e
quindi
n univoco n
equivoco.
Analogiall significa
una modesta
somiglianza
l dove domina
una
forte
dissomiglianza.
E
questo
esattamente il
caso
delle creature
rispet-
to a Dio. La via
positiva esprime
la
somiglianza, quella negativa
la dis-
somiglianza.
Seguendo Pesempio
di
ProcIo,
lo
Pseudo-Dionigi integra
la via
nega-
tiva
con la via emnenziale.
Questa
corregge
la via
negativa
in
senso
posi-
tivo, ma
toglie
alla via
positiva
l'illusionedi
poter
ottenere un'idea
pro-
pria
ed
adeguata
di Dio. Cos
Vengono ripresi
i concetti
positivi
e tra-
sformati in concetti trascendentali: la bont diviene
super-bont,
la
sa-
pienza super-sapienza,
la
potenza super-potenza,
la sostanza
super-so-
stanza,
l'essere
super-essere
ecc.
Con la via ernincnziale
l'Are0pagita
non intende soltanto effettuare
un'ulteriore
purificazione
del
linguaggio teologico,
ma vuole realizzare
un
effettivo accostamento ad
un'espressione pi adeguata
della realt
divina. Mentre in sede conoscitiva la natura divina
non
attingibile
da
nessun
concetto,
in sede
linguistica
essa
pu
essere
suggerita,
caricando
il
linguaggio
di
superlativi.
Il
super (hypr)
ha
esattamente
questa
fun-
zione: come una freccia
posta
sulle nostre
parole
per
orientarle verso
Dio, e assicurare loro il
conseguimento
della funzione
anagogica
oltre
che
analogica.
Con
un uso abbondantissimo di
hypr Dionigi
riuscito a
2) lbia, 2,
3.
2) Il termine
analogia

adoperato
da
Dionigi
in due sensi:
ontologico
e
logico.
Nel senso
ontologico
viene usato non
per designare,
come fanno
spesso
altri
autori,
le
immagini
e le
somiglianze
con Dio e la Trinit che si
possono
rintrac-
ciare nelle
creature,
bens i modelli
ideali,
i
paradigmi
delle cose esistenti nella
mente divina:
cosa
propria, infatti,
della
causa di tutte le cose e della bont
che sta
sopra ogni
cosa
il chiamare
gli
esseri alla sua comunione secondo che
ciascuno di essi ne
capace
in relazione alla
sua
particolare
nzisura
(analogiasb
(De
corri. hier.
4, 1). Invece in.
senso
logico, significa
che
un termine
non viene
usato in modo univoco. Cf. l'ottimo articolo di M. V.
LOSSKY, "La notion des
analogies
chez
Denys
le
pseudo-Aropagite"
in Arch. hist. doct. et litt. da
Mfl/Efl
Age
5
(1930),
pp.
279-309.

260 Parte
prima
costruire un
fantasticoe
affascinantesistema di
segni linguistici
tutti con-
vergenti
verso un unico
punto:
la realt
divina, infinita,
semplicissima,
perfettissima.
Il
linguaggio
eminenziale,
secondo
l'Areopagita,
aiuta la mente a te-
nere lo
sguardo
inchiodato su Dio,
fino a
quando
non
l'avr
raggiunto
e
non si sar riunita a Lui. Ecco alcuni famosi testi dionisiani su
questo
punto:
Noi usiamo
gli
elementi,
le sillabe,
i
vocaboli,
gli
scritti,
i discorsi a
causa
dei
sensi; ma
quando
l'anima nostra si muove secondo le sue
energie spirituali
verso le cose
spirituali,
i sensi diventano
superflui
assieme alle cose sensibili;
cos
pure
le facolt
spirituali
diventano
superflue, quando
lani1na divenuta simile
a Dio mediante un'unione
sconosciuta,
si introduce nei
raggi
dellinaccessibilelume con
sguardi
privi
di vista_22
Quanto pi
noi ci eleviamoverso l'alto,
tanto
pi
le
parole
si
contrag-
gono
alla vista delle
cose
intelligibili.
Cos
ora, penetrando
nella
caligi-
ne
che sta
sopra
all'intelligenza,
troveremo non
la brevit delle
parole,
bens la mancanza
assoluta di
parole
e
di
pensieri.
L il discorso
discendendo dalla sommit verso l'intimo,
secondo la misura della
sua discesa, si
alargava
verso un'estensione
proporzionata,
ma ora
esso,
salendo dalle cose
inferiori verso ci che sta al di
sopra
di
tutto,
man mano
che si innalzasi abbrevia e
finita tutta l'ascesa si fa
comple-
tamente muto e si unir totalmente a colui che
inesprimibilemli
Soltanto
questa
unione ci sveler i misteri
divini, ma non
secondo
modalit
umane,
bens uscendo
completamente
da noi stessi e
appar-
tenendo interamente a Dio.24
Come
gi
stato
osservato,
la
principale
funzione del
linguaggio
di-
scorsivo come
di
quello
simbolico,
per
lo
Pseudo-Dionigi
non
quella
speculativa
(data
linconoscibilitdi Dio)
bens
lanagogica.
In
questo
senso esso strumento efficace
per
quellascesa
a Dio secondo la cono-
scenza e
il
linguaggio
che
corrisponde
allascesa dell'anima a livello mo-
rale e
spirituale.
Tutte le forme di
linguaggio
hanno
senso
soltanto
per
quel
sursum
che
impongono
alla nostra
intelligenza
e in
quanto
la so-
spingono
verso
Dio.25
12)
De dir). nom. 4,
11.
23)
De
mystica theolvga
c. 3.
24) De div. nom. 7,
1.
25) Cf. R.
ROQUES,
L/univers
dionysien,
Paris 1954,
pp.
204 ss.
Dionigi,
Massimo il
Confessore,
Giovanni
Damasceno, Michele Psello
261
La
grande originalit
di
Dionigi
in tale
questione
relativa alla natura
e al valore del
linguaggio teologico riguarda soprattutto
l'uso "trascen-
dente, eminenziale" che si
pu
fare del
linguaggio umano
quando
si
parla
di Dio. Nessun altro autore l'ha mai teorizzaton
praticato
con
ge-
nialit
pari
alla
sua.
Quando,
per opera
di Scoto
Eriugena
che li tradusse in latino
e
li
comment,
gli
scritti di
Dionigi giunsero
a conoscenza
degli
occidentali,
riscossero
un interesse
enorme e costituirono una fonte
primaria
di stu-
dio, meditazione, commento e
ispirazione.
Lo stesso Tommaso
d'Aqui-
no,
come
ha dimostrato Ceslao
Pera,
stato fortemente influenzatoda
Dionigi
non solo
per quanto riguarda
la determinazione
e la risoluzione
di alcuni
specifici problemi
dottrinali, (come
nella dottrina sulla
cono-
scenza di
Dio), ma
anche nella
impostazione generale
del suo
pensiero:
in effetti
l'impianto
della Summa
theologiae
ricalca alla lettera
l'impianto
dellexitus
e
del reditus del
neoplatonico
cristiano
Dionigi.
Dionigi
si
guadagn
un
prestigio
altissimo sia in Oriente sia in Occi-
dente non solo
grazie
al suo
pseudonimo.
Giovanni Damasceno lo chia-
mer:
sanctssimus, sacratissirrtus et
theologicissimusmfi
Come ha dimo-
strato H. U. v. Balthasar la
grandezza
dello
Pseudo-Dionigi, questo
genio
cos
solitario, rimane intatta anche ai
giorni
nostri. Lo Pseudo-
Dionigi
e il
genio
del
linguaggio religioso:
un
linguaggio
che
nessuno,
prima
di
Dionigi,
e nessuno
dopo
di lui ha
pi parlato,
un
linguaggio
derivante
non da
una manieristica ed eccentrica
caparbiet,
ma da una
intima decisione
per
la divinit di Dio e
per
la totalit delle
sue
manife-
stazioni salvifichem?
Massimo il Confessore
Massimo il Confessore una delle
figure pi originali
del
platonismo
cristiano. La visione del mondo che ci ha lasciato Massimo il Confessore
e, sotto Vari
aspetti,
il
completamento
e la
piena
maturit del
pensiero
greco
mistico,
teologico
e filosofico. Esso
appartiene
a
questo
momento
felice
e
fuggevole
che unisce
per
l'ultima
volta,
prima
della
sua dissolu-
zione ormai
prossima,
le ricchezze
acquisite
e
sviluppate
attraverso
gli
sforzi di un'intera cultura:
una rosa
pienamente
sbocciata che
non-aspet-
ta che il
prossimo colpo
di Vento
per
essere
dispersa,
una serenit
senza
nuvole d'un
giorno
d'autunnodi cui le
leggere
brume
gi
annunciano il
declino,28
35)
Defidc
orthodnxa
17, n. 18.
27) H. U. v.
BALrHAsAR,
0p.
cit,
p.
135.
23) ID.,
Liturgie cosmique.
Maxime le
Confesseur,
Paris
1957,
p.
11.
262 Parte
prinza
A
lungo ignorato
e
spesso
sottovalutato, finalmente,
durante
gli
ulti-
mi decenni,
soprattutto per
merito di H. U. von Balthasar,
Massimo il
Confessare tornato a suscitare l'interesse e l'attenzione dei
teologi
e
degli
studiosi;
si riconosciuto cos in lui un
insigne teologo
e uno
dei
massimi
esponenti
del
platonismo
cristiano.
VITA
Massimo il confessore
nacque
a Costantinopoli
attorno al
580;
dopo
aver
ricevuto un'ottima formazione
letteraria e filosofica,
compie
in
breve
tempo
una
brillantecarriera
politica
fino a
raggiungere
Yaltissima
carica di
segretario dell'Imperatore.
Nel 630 abbandona l'alto ufficio sta-
tale
e
si fa monaco
entrando in un
monastero di
Crisopoli
(l'attuale
Scutari).
Pi tardi lo troviamo a
Cartagine
(645),
impegnato
a
combatte-
re
le eresie che
affliggono
la Chiesa in
quella regione,
in
particolare
l'ere-
sia
cristologica
del monotelismo,
la
quale insegnava
che
pur
ammesso
che in Cristo ci siano due nature,
tuttavia
Egli
dotato di una
sola
volont,
quella
divina. Per ottenere la condanna di
questa
eresia Massi-
mo si
impegna
in molti sinodi africani e
nel 649
prende parte
al Concilio
Lateranense,
che si conclude con la condanna sia del monotelismo sia
dei vescovi e
patriarchi
che l'avevano sostenuto. Questa
condanna sca-
ten le ire
dell'imperatore
Costante II,
che cerc con tutti i mezzi di far
mutare
opinione
a Massimo. Risultati vani tutti i tentativi, l'imperatore
fece mozzare
la
lingua
a lui e ai suoi
compagni.
Questa amputazione
e
molte altre atrocit resero
assai
penosa
l'ultima fase della vita di Massi-
m0,
il
quale
mor il 13
agosto
662.
OPERE
Numerose sono
le
opere
di Massimo il Confessore;
di
queste
ben
undici sono
contro il monofisismo e
ventitre contro il monotelismo;
vi
sono
poi
alcuni commenti a
Dionigi Areopagita
e a
Gregorio
Nazianze-
no.
Le
opere
pi importanti
sono:
Liber asceticus (Libro
ascetico);
500 ca-
pita theologica(Cinquecento
sentenze
teologiche); Capita gnostica
(Senten-
ze
gnostiche); Ambigua
(Teorieambigue).
29) P. Viller,
che fu tra
gli
iniziatori dello studio di Massimo il Confessore, aveva
espresso
un giudizio poco
favorevole
riguardo
all'originalit
e
grandezza
di
questo
autore. Cf. P. VILLER,
Aux sources
de la
spiritualit
de S. Maxime,
in "Revue
dasctique
et de
mystique"
41 (1930),
p.
259.
Dionigi,
Massimo il
Confessore,
Giovanni
Damasceno,
MichelePsello 263
Dalla vita
e
dagli
stessi titoli delle
opere
si ha
l'impressione
che Mas-
simo il Confessore sia stato
soprattutto
un
polemista
e che la
sua
preoc-
cupazione principale
fosse volta alla
cristologia;
ma
gli
storici hanno
chiarito che
egli
fu
soprattutto
uno
speculativo
e un
grandissimo
espo-
nente della filosofia cristiana di indirizzo
neoplatonico.
L'istanza
pro-
pria
del
suo
pensiero
risiede nell'idea dell'unificazionedi tutti i modi di
essere e
di tutte le
essenze create nel
Logos
fatto
carne (E. V. IVANKA).
In
effetti su
questo impianto
unitario,
articolato in
poche
fondamentali
divisioni,
che Massimo il Confessare evolve tutto il
suo
pensiero,
se-
guendo l'impostazioneneoplatonica
dell'exitus
e del reditus.
LA
COSMOVISIONE
In
un
capitolo degli Ambigua
Massimo il Confessore
presenta
la
se-
guente
sintesi della
sua cosmovisione:
Cinque
sono
le distinzioni fon-
damentali,
in cui
gli
antichi hanno diviso il mondo: la
prima

quella
che
distingue
la natura increata
(Dio)
da tutto l'universo creato
(ab
incondita
natura conditam universam
naturam).
La seconda
separa
il mondo creato
in
intelligibile
e sensibile.La terza suddivide il mondo sensibilein terra
e cielo. La
quarta distingue
nella terra il
paradiso
dalla
zona attualmente
occupata
dall'uomo. La
quinta
e ultima, infine,
distingue
l'uomo in
ma-
schio e femmina.
L'uomo,
ultimo arrivato tra le
creature,

posto
come
vincolo naturale di unione tra di
loro,
dato che i contrari che si
registra-
no
nell'universo
sono
presenti
in lui
e sono ricondotti all'unit nel
suo
essere. Cos,
grazie
all'uomo si realizza
quella
riunione di tutto a Dio,
che la
sorgente
di
ogni
cosa e in cui non si d nessunissima divisio-
ne.30 Per realizzarela riunione di tutte le
cose in Dio necessario anzi-
tutto che l'uomo faccia
scomparire
la divisione che tocca la
sua
corpo-
reit,
cio la divisione sessuale in maschio
e femmina,
perch questa
divisione
non
originaria,
non facendo
parte
del
progetto
di umanit
che Dio
aveva
concepito
inizialmente, ma entrata nel
piano
divino in
un secondo
tempo, per
mettere l'uomo in condizionedi
ricuperare
con
la fatica
e
col dolore
queltunione
con Dio che
era stata infranta dal
pec-
cato. Eliminata la divisione
sessuale, cessa anche la distinzione tra
mon-
do terrestre e
paradiso,
in
quanto scompare ogni
distinzione tra bene
e
male, e non c'
pi
nulla nell'uomo che sia
esposto
alla tentazione del
peccato.
Successivamente si
compie
anche la riunione tra la terra e il
cielo, nella misura in cui l'uomo
con
la
sua condotta riesce
a rassomi-
gliareagli angeli.
In tal modo
egli
fa
scomparire
le barriere che dividono
3)
Amhigua,
PG
91, 1303 D-1306 A.
264 Parte
pri
ma
le
cose
pesanti
da
quelle leggere
e
rimuove tutti
gli
ostacoli che lo
tengo-
no
lontano da
Dio,
mettendosi in condizionedi
compiere
l'ultimo
passo,
quello
della
completa
riunificazionedi tutte le
cose in Dio:
Ricongiun-
gendo
anche la natura creata con
quella
increata
per
mezzo
della carit.
Allora Dio trasfonde nuovamente tutto se stesso in
tutti, e
ogni
cosa
diventa
Dio,
esclusa tuttavia
ogni
identificazionenellessenza.31
La struttura
cosmologica
e lo stesso
linguaggio
a cui ricorre Massimo
il Confessore rivelano
quanto
sia
profondo
l'influssodel
neoplatonismo
sul
suo
pensiero.
Anzi, a
prima
vista si tentati di dire che
qui
ci trovia-
mo
di fronte
a un
platonismopuro
e
semplice
senza
acquisizionisignifi-
cative dal cristianesimo. Ma
questo
dubbio svanisce se
dall'impianto
generale
(cos
vistosamente
neoplatonico)
si
passa
ai
punti
fondamentali
della fede
cristiana,
che
sono
quelli
che
riguardano
Dio,
l'uomo e
Ges
Cristo. Allora,
ogni
traccia di
panteismo scompare:
la
teologia
di Mas-
simo resta fermamente ancorata al
senso cristiano della distinzione tra
Dio e
il mondo
(H.
U.
v. BALTHASAR).
LA DOTTRINAsu D10
La dottrina di Massimo il Confessore
su
Dio
presenta
una
sostanziale
consonanza con
quella
del suo maestro,
lo
Pseudo-Dionigi.
Anche
per
lui, come
per
l'Are0pagita,
Dio talmente immanente nel mondo da
diventare
quasi "trasparente" agli
occhi della
intelligenza umana;
tutta-
via,
allo stesso
tempo,
Dio si trova cos celato nelle tenebre della sua
assoluta
alterit,
da rendere
impossibilequalsiasi
concettualizzazione
della
sua essenza.
Chi considera la natura dell'universo nella sua
bel-
lezza e
filtra le
proprie percezioni
con
l'intelletto anzich lasciarsi
sopraffare
dai sensi (...),
dall'ordine
meraviglioso
che
gli
si
presenta,
rie-
sce a
risalire al suo creatore,
conservatore e
capo,
e
in tal modo arriva a
conoscere
Dio - certo non la sua essenza e
il
suo essere come sono
in se
stessi,
perch questo

impossibile
-
ma
semplicemente
che
egli
.32 La
sua essenza assolutamenteinaccessibilesia alla creatura visibilecome
a
quella
invisibile,
perch
la distanza tra la natura creata e la natura
increata infinita>>.33 Tuttavia
pur
restando in se stesso senza
cambia-
mento e alterazione, senza
crescita e senza diminuzione,
per
l'eccesso
della sua
bont
egli
si rende di volta in volta umilecon
gli
umili,
grande
con
i
grandi e, invero,
Dio
per
coloro che
egli
divinizza>>fi4
come un
31) Ibid.,
1306 c 1307 B.
32) 112111., 1216 A - 1217 B.
33) una, 1077 A.
34) Iba,
1256 B.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno,
Michele Pscllo
265
soffio
impercettibile
che
passa
attraverso il
cosmo,
ma nonostante
que-
sta manifestazione
palese
della
divinit,
chi sar mai in
grado
di
pensa-
re e
di enunciareVeramentein
qual
modo Dio immanente alla
totalit,
tutt'intero nell'insieme
come in
ogni singola parte,
senza divisioni n
parti,
senza essere
diviso secondo la variet infinitadelle diverse cose
in
cui
immanente, senza essere contratto dalla esistenza
particolare
delle
singole
unit, e senza contrarre nella unica totalit unificante del tutto le
divergenze degli
esseri, ma restando in Verit tutto in
tutti, senza uscire
dalla
propria semplicit
indivisibile?.35
LA DOTTRINAANTROPOLOGICA
Come si
visto,
nel suo universo
stupendamente
intrecciato e ordina-
to che uscendo da Dio discende fino all'ultima delle
creature,
Massimo
assegna
un ruolo centrale
all'uomo,
che viene
presentato per
un verso
come
copula
mundi
e
per
un altro come
grande
artefice del
cosmo.
Nel
suo studio
sull'uomo, ancor
pi
che
altrove,
Massimo si avvale dello
schema
neoplatonico
delle triadi. La triade fondamentale
quella
della
genesi (ghenesis),
del cambiamento
(kinesis) e
della
quiete
(stasis).
Per
per raggiungere
la
perfetta
realizzazionedi
se stesso (stasis)
l'uomo ha
bisogno
di
un
lungo processo
di trasformazioni e
purificazioni.
La
se
conda triade che d
una misura ancora
pi precisa
del valore dell'uomo
e
del
senso
della
sua esistenza
espressa
dai termini: essere (einai),
benessere
(eu einai),
eternit
(aei einai).
L'uomo una creatura che nel
momento della
genesi
non
ha
ancora attinto il benessere
e
gode
del sin-
golare privilegio
che il
conseguimento
del benessere
e, pertanto,
anche
dell'eternit, affidato al
suo libero
arbitrio,
sebbene l'eternit manten-
ga
essenzialmente
sempre
il carattere di dono da
parte
di Dio. Ci sono
tre modi universali:
l'essere,
il
benessere,
l'eternit. I due modi estremi
non
dipendono
che da Dio che
ne l'unica
causa,
mentre il modo inter-
medio
dipende
dal nostro libero arbitrio e dal nostro dinamismo>x36Da
questa
situazione intermedia
(meson) e transitoria
dipende, dunque,
in
maniera decisiva il nostro vero
essere,
che si realizza nella collaborazio-
ne
spirituale
a un movimento naturale
gi soggiacente
e nella
presa
di
coscienza dell'orientamentodi tale movimento.
Per chiarire Yattuarsi del "benessere" nell'uomo Massimo ricorre ad
"altre triadi. Alla triade: facolt
(dynamis),
attuazione
(energheia)
e
riposo
(argha);
e a
quella:
natura (ousa),
esercizio
(skcsis)
del libero
arbitrio,
r)
Ibid.,
1257 B.
se) IbzcL,
1400 c.
266 Parte
printa
grazia
(karis).
Massimo sottolinea
l'apporto
del liberoarbitrioe
fa Vedere
in che misura il benessere
opera
dell'uomo, e in che misura invece
opera
di Dio. La scelta del bene
opera
dell'uomo, ma
il
conseguimento
effettivo del benessere
opera
della
grazia
di Dio.
L'essere,
che in
quanto
tale non
possiede
che la
potenza
della realizzazionedi se stesso,
assolutamente
incapace
di
attingere
la
piena
attuazione di
se stesso
senza
l'opera
della libert. D'altronde
qualsiasi
essere
che
possiede
la
facolt naturale come
appetito
del benessere non
pu possedere questa
facolt che
nell'ampiezza
che si addice alla
sua natura. Invece l'eternit
(aei einai) non e mai immanenten come
potenza
naturalen come
risul-
tato del libero arbitrio. Infatti,
in che modo
l'eternit, senza inizio e
senza fine,
potrebbe appartenere
alle cose
che
per
loro natura hanno
un'origine
e
che il mutamento conduce verso
la fine?.37L'eternit
sempre
un dono, una
grazia
(charis).
Come i
neoplatonici
e lo Pseudo-
Dionigi,
Massimo il Confessore situa il
traguardo
finale della vita uma-
na
nella
contemplazione
di
Dio, e
si tratta ovviamente di
un
traguardo
che l'uomo
pu raggiungere
soltanto con
l'aiuto della
grazia.
LA CRISTOLOGIA
Il
traguardo
dell'eternit e
della
contemplazione
di
Dio,
di
per
s
inattingibile
dall'uomo con
le sue sole forze,
gli
diviene accessibile
per
opera
di Cristo. Il
punto
centrale del
pensiero
di Massimo il Confessore
Cristo,
di cui ha
profondamente
meditato i misteri
per
difenderel'inte-
grit
della natura umana.
L'apporto
di Massimo in
campo
cristologico
e stato decisivo,
soprat-
tutto
per quanto
concerne
la volont umana
di Cristo. Contro
quella
forma moderata di eutichianismo
(monofisismo)
che
era
il
monotelismo,
il
quale pur
riconoscendo al Cristo due nature tuttavia
gli
concedeva
una sola
volont,
quella
divina,
Massimo afferma che
questa
teoria non
salvaguarda
in nessun modo
l'integrit
della natura umana
di
Cristo,
il
quale
dell'uomo ha assunto
tutto,
tranne
il
peccato.
Essendo in
possesso
di due nature il Cristo
era
necessariamentedotato anche di due
volont,
sia di
quella
divina che di
quella
umana.
Nella volont umana Massimo
distingue
due
forme, una
naturale
(thelenza
physikon)
e una razionale
(thelenza
gnomikon)
o libera
(proairetikon);
la
prima

sempre
orientata,
naturalmente,
al bene: un
volere
spontaneo;
la seconda
esige
delibera-
zione e ha come
punto
di
partenza l'ignoranza.
Di
questi
due
tipi
di
volont Massimo attribuisce al Cristo soltanto la
prima, perch
Cristo
37) Ibiri,
1392 B.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno,
Michele Paella
267
non era
soggetto
a nessuna
ignoranza.
Per
questo
motivo durante tutta
la sua vita
Egli pot
costantemente uniformare la sua Volont a
quella
del
Padre, e
operare,
cos,
la riunione
degli
uomini e di tutto il
cosmo
con Lui. Cristo la causa meritoria ed
esemplare
della nostra salute
e
l'i-
deale della nostra deificazione,
per
cui l'imitazione di Cristo diviene la
via maestra della vita cristiana. Cristo ha rivelato
Dio,
che
semplice
e
infinito, unit nella Trinit. L'uomo
aspira per
natura" a Dio, ma la
sua unione
"soprannaturale"
con
Cristo nel battesimo
a
renderlo
capace
di realizzare liberamente
questa aspirazione
"naturale" combattendo il
peccato
e attuando le virt in uno
sviluppo
non
soltanto
morale, ma
ontologico
della
sua
persona.
Il
pensiero
di Massimo si rivela estremamente
penetrante
nella trat-
tazione dei
pi
acuti
problemi;
bizantino
per
la sottile e ardita
specula-
zione e insieme romano
per
il costante riferimentoalla realt
e
il
profon-
do senso dell'unit della Chiesa
(A. CERESA-GASTALDO).
Giovanni Damasceno
VITA E OPERE
Discendente da una nobilee ricca
famiglia
arabo-cristiana
(suo
padre
era ministro del tesoro
presso
la corte del
Califfo)
ebbeun'eccellente edu-
cazione letteraria
e filosofica;
succedette
perfino
per
qualche tempo
al
padre
nella sua carica. Lasci tuttavia il mondo abbastanza
presto, per
ritirarsi in
Palestina,
nella "lauradi San Saba". La sua
formazioneintellet-
tuale
precedente
l'aveva altamente
preparato
allo studio della
teologia;
egli
ne
approfond
la
conoscenza in modo
eccezionale, come si
pu argue
re dalle sue
opere,
in
particolare
dalla Fonte della
conoscenza (il
titolo
pi
corrente De
fide
ortodoxa = La
fede
ortodossa
corrisponde
soltanto alla terza
parte).

certamente
l'opera
che
permette
di
conoscere
meglio
la tradizio-
ne
teologica greca
nel suo
complesso.
Probabilmentenell'anno
725, venne
consacrato
prete
da Giovanni
V,
patriarca
di Gerusalemme.
Dopo
la con-
sacrazionesi dedic
soprattutto all'insegnamento
della Sacra Scrittura
e
della
teologia
e si
adoper
sia
con
la
parola
sia con
gli
scritti
(Discorsi
apo-
logetici
contro coloro che
rigettano
le
sacre
immagini)
per
la difesa del Culto
delle
sacre
immagini,opponendosi coraggiosamente
alla
iconoclastia,
che
proprio
in
quegli
anni era stata scatenata
dall'imperatore
Leone III. La
sua morte avvenne
prima
del
754, anno in cui si tenne il Concilio di
Hieria,
riunito
dall'imperatore
iconoclasta Costantino V
Copronimo,
suc-
cessore di Leone III. Nel
1890,
Leone XIII
proclam
Giovanni Damasceno
Dottore della Chiesa
e ne estese la festa
a tutta la Chiesa latina.
268 Parte
prima
PENSIERO
Giovanni Damasceno stato chiamato il S. Tommaso dell'Oriente"
per
la sua sintesi
teologica
nella
quale vengono adoperati
non
pochi
ele-
menti filosofici da lui
appresi
in
parte dagli
arabi e
in
parte
dai Padri
greci.
C' in lui
un
influsso aristotelico nella concezione della
logica
e
della
metafisica, e c' anche
un influsso
platonico
e
neoplatonico,
evi-
dente
soprattutto
nella sua dottrina sulla inconoscibilitdi Dio.
Tutto il
pensiero teologico
e
filosoficodel Damasceno
praticamente
racchiusonella sua
opera maggiore,
la Fonte della conoscenza. Essa divisa
in tre
parti
che trattano
rispettivamente
della filosofia
(Capitoli filosofici),
delle eresie
(Libro
delle
eresie) e
della dottrina cristiana
(La
fede
ortodossa).
La terza
parte,
il De Pide
orthodoxa,
copre
tutta l'area della
teologia
e
merita
giustamente l'appellativo
di somma
teologica.
Questa
parte
a sua
volta suddivisa in
quattro
libri,
i
quali
trattano
rispettivamente:
il
prima,
l'esistenza di
Dio,
la
sua ineffabilit,l'unit,
la
Trinit,
le
processioni
del
Figlio
e dello
Spirito
Santo,
la natura divina;
il
secondo,
la creazione e
l'ordine del
mondo,
la creazione e la natura dell'uomo,
la
provvidenza,
la
prescienza
e
la
predestinazione;
il terzo e
quarto
la
cristologia,
l'incar-
nazione,
il
rapporto
tra le due nature in
Cristo,
la
sua
opera
redentrice,
gli
effetti della
redenzione,
il culto delle
immagini.
A noi nel
presente
lavoro interessano esclusivamente i
primi
due libri in
quanto
trattano in
parte
temi che si riferiscono direttamente alla metafisica.
ESISTENZA E NATURADl DIO
Secondo il Damascenol'esistenza di Dio una verit
ovvia,
anche se
Dio in
se stesso
inejfabilfs
et
incompreherzsibilis
(I, 1):
Omnibus enim
cognitio
existendi Deum ab
ipso
naturaliter TSETII est (da Dio stesso stata
infusa in
ogni
uomo
la
conoscenza
naturale della
sua esistenza) (Ibid).
E tuttavia ci sono
quelli
che si ostinano a
negare
la sua esistenza
(gli
atei).
A loro il Damasceno si
rivolge
adducendo tre
prove
dell'esi-
stenza di Dio:
1)
la
prova
del divenire: tutto
quanto
cade sotto i nostri
sensi e
gli
stessi
spiriti angelici
sono
soggetti
alla mutazione
(divenire).
Ora ci che
soggetto
a mutazione necessariamente creato: Creabilia
vero entia omnino ab
aliquo
condita sunt.
Oportef
autem conditorem increabi-
lem esse (tutti
gli
enti creabili sono
stati necessariamente
prodotti
da
qualcuno,
e
pertanto
necessario che esista un autore increato) (I, 3);
2)
la
prova
della conservazione e dell'unit
dell'universo,
che
sono un
chiaro
indiziodell'esistenza di
Dio,
qui
hanc universitatem consistere
facit
et con-
tinet et
conservat,
et
semper
ei
providei
(che
tiene in
essere
questa
universa-
lit,
la mantiene e la conserva e
sempre provvede
ad
essa) (lbid);
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno,
Michele Psello
269
3)
la
prova
dell'ordine: Chi ha fissato nello
spazio,
ciascuno al
proprio
posto,
nel cielo e sulla
terra, gli
esseri dell'aria
e
quelli dell'acqua,
e an-
cor
prima questo
stesso cielo e
questa
stessa
terra, e
l'aria
e la natura del
fuoco e
dell'acqua?
Chi ha mescolato e diviso le cose?
(lbial).
L'unica ri-
sposta logica
a
queste
domande : Dio.
Confermata l'esistenza di Dio con
questi
tre
argomenti, gi
familiari
alla tradizione
patristica
(sono
noti a Clemente
Alessandrino,
Gregorio
Nisseno e
Agostino
ecc.),
il Damascenoribadisce la sua assoluta trascen-
denza,
che lo rende inaccessibileai nostri concetti e
inesprimibile
alle
nostre
parole:
Che
cosa
egli
sia secondo la sua sostanza e la sua natura
resta assolutamente
incomprensibile
e
ignoto (quid
vero est securzdum sub-
stantianz et
naturam,
incomprehensibile
est hoc omnino et
ignotum)
(I, 4).
E
cos,
seguendo l'esempio
dello
Pseudo-Dionigi
e avvalendosi dello
stesso suo
linguaggio,
il Damasceno
parla
di Dio
soprattutto
in termini
negativi, quali incorporeit,
immutabilit
(inalterabile),incorruttibilit,
in-
finit
ecc.
E fissa il
seguente principio,
che il
principio
classico della teo-
logia negativa:
tutto ci che si dice di Dio affermativamente
non ri-
guarda
la
sua natura, ma ci che la circonda
(il suo
agire).
Dicendo che
Dio
buono,
giusto
e
saggio,
non dici ci che la natura di Dio ma ci
che la circonda
(non naturam dicis
Dei,
sed ea
quae
sunt circa
naturam)
(L 4)
LA
CREAZlONE,
GLI ANGELI E L'UOMO
Il concetto di creazione Viene cos chiarito in un brevissimo
capitolo
del libro secondo: Il Dio
buono, e
pi
che
buono, non si accontentato
della
contemplazione
di
se stesso, ma nella sovrabbondanza della
sua
bont
gli

piaciuto
che altri
partecipassero
alla
sua azione benefica
e
al-
la sua bont
e
ha tratto dal
non essere all'essere
(ex non ente ad
esse
de-
ducit) e
ha creato tutte le
cose visibilied invisibili.Ha creato mediante il
pensiero
(creat
excogitans),
e
l'opera prodotta
dal
pensiero

completa
grazie
al Verbo e
perfetta grazie
allo
Spirito
(c. 2).
Nella
sua sobriet la formula del Damasceno dice tutto
quanto
ne-
cessario al concetto di creazione. Precisa il
genere singolarissimo
di
que-
sta
azione,
che fa balzare fuori le
cose dal nulla
(ex non ente)
conferendo
loro l'essere
(esse).
Indica il motivo della creazione: la sovrabbondanza
della bont divina. Ed
opera
di tutta la Trinitdel Padre che
prende
l'i-
niziativa,
del
Figlio
che la
realizza, e dello
Spirito
Santo che la
perfeziona.
Chiarito il concetto di creazione il Damasceno tratta delle creature
secondo il
seguente
ordine:
gli angeli,
il diavolo e i
demoni,
il
cielo,
la
luce,
il
fuoco,
il
sole,
la
luna,
le
stelle, l'aria,
l'acqua,
la
terra,
il
paradiso,
l'uomo.
270 Parte
prima
Nel
capitolo
riservato
agli angeli,
il Damasceno riconosce loro le se-
guenti propriet:
L'angelo
una sostanza intellettuale
sempre
in azione (substantia
irztcllectualis
semper
nzobilis),
dotata di liberoarbitrio,
incorporea,
mini-
stra di
Dio,
dotata di immortalit
per grazia
e non
per
natura;
solo
Dio conosce il
genere
e
il limite della sua sostanza. E
incorporeo
e
immateriale se visto in
rapporto
a noi; mentre se Viene Visto in
rap-
porto
a Dio,
che resta
incomparabilerispetto
ad
ogni cosa,
risulta
spesso
e materiale
(grossum
et materiale invenitur),
solo Dio infatti
essenzialmenteimmaterialee
incorporeo.
Pertanto una natura razionale,
intellettuale e
dotata di liberoarbitrio
(arbitrio libera),
suscettibiledi cambiamenti (vertibilis)
sia mediante la
mente sia mediante la
volont,
perch qualsiasi
essere creato mute-
vole;
solo lincreato immutabile.
Qualsiasi essere
ragionevole
libero.
Perci,
in
quanto
razionale ed
intellettuale,
anche libero e
grazie
a
questa
facolt,

spinto
a
permanere oppure
a
progredire
nel bene e
nel male
(11, 3).
Creati dal Verbo e
santificati dallo
Spirito
Santo,
gli angeli partecipa-
no alla
grazia
divina secondo il loro
grado
di
dignit
(secandam
propor-
tionem
divinitatis) e
secondo lo stesso
grado
ricevono la divina illumina-
zione.
Il Damasceno
precisa
che la santit non trae
origine
dalla natura (sub-
stantia)
degli angeli
ma un dono dello
Spirito
Santo e
che
perci
essi
sono
immutabili
non
per
natura ma
per grazia
(immobilesnon natura scd
gratia) .
Vedono Dio secondo le loro
possibilit
e
in cielo fanno
una
sola
cosa: lodano Dio con
i loro inni
e servono
alla divinavolont.
Sono dotati di
potenza
(fortes
sunt) e
solleciti a
compiere
la volont
di Dio e si trovano immediatamente sul
posto,
al minimo cenno
di
Dio
per vegliare
sulle cose
della terra. Presiedono alle
nazioni,
al loro
territorio, come viene loro ordinato da Dio. Hanno cura di noi e ven-
gono
in nostro aiuto. Fanno tutto secondo la divina volont e
secondo
il comando di
Dio, vigilando
su
di noi enti
(super
n05 entes), senza ces-
sare
di esistere
presso
Dio
(circa
Deum existentes).
Come si
vede,
quella
del Damasceno una
chiarissima sintesi di
angelologia,
da cui
attinger poi
anche Tommaso
d'Aquino.
L'uomo
presentato,
come vuole tutta la tradizione
patristica, soprat-
tutto come
icona di Dio: Dio ha creato l'uomo di natura visibile
(il cor-
po)
ed invisibile
(Panima) a sua
immagine
e
somiglianza,
modellando il
corpo
dalla terra e
donandogli
un'anima razionale ed
intelligente
me
diante il
proprio
soffio;
da ci il nome di icona divina,
che noi diamo al-
l'uomo,
si riferisce a1l'intelletto e al libero arbitrio
per quanto
concerne
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno, Michele Psello 271
l'immagine,
mentre si riferisce alla virt
per quanto
attiene la rassomi-
glianza
(II, 12).
Dimago
Dei stata contaminata e macchiatadal
peccato
originale
ma non distrutta,
perch
l'uomo
conserva il liberoarbitrio
an-
che
dopo
il
peccato
(II, 24).
Alla
rassomiglianza
con Dio l'uomo
giunge
solo mediante la
pratica
della
virt, e
questo, dopo
il
peccato,

possibile
soltanto
con
il
concorso della
grazia,
che infonde nell'anima le tre virt
teologali:
la
fede,
la
speranza
e la carit.
Tutti i temi fondamentali della
cristologia
(incarnazione,
rapporto
tra
le due
nature,
unicit della
persona, propriet
delle due
nature, integrit
delle facoltdel
conoscere e
del volere nella natura
umana,
le
operazioni
ecc.) sono svolti con
profondit,
chiarezza
e
rigore,
secondo i
dogmi
sta-
bilitidai
grandi
concili ecumenici
e denunciando
gli
errori di
Ario,
di
Eutiche,
di Nestorio
ecc.,
e ricorrendo
spesso
al
linguaggio
aristotelico
anzich
a
quello platonico
come invece
aveva fatto tutta la
precedente
tradizione
patristica.
Nei Discorsi
apologetici
Contro coloro che
rigettam)
le
sacre
inzmagirzi
il
Damasceno difende
appassionatamente
il culto delle
immagini.
A
que-
sto
argomento egli
dedica anche
un breve
capitolo
(IV, 16)
del De
fide
orthodoxa,
dove combatte
Piconoclastia,
distinguendo
tra ladorazione
dovuta a Dio e la venerazione verso i santi
e le
reliquie.
Come abbiamo
chiarito, la venerazione
per
la
grandezza
dei servitori mostra i nostri
buoni
pensieri
verso
il
comune Maestro, e
la venerazione della icona
ridonda sul
suo modello
(IV, 16).
La Fonte della
conoscenza serv
come manuale di
teologia
in
Oriente,
durante tutto il medioevo bizantino
e,
tradotta in
latino, a causa del fre-
quente impiego
in
essa di termini mutuati dal lessico aristotelico e del
suo tentativo di articolazionesistematica della riflessione
teologica
faci-
lit il successivo
compito
dei
grandi
Scolastici.
Tuttavia, mentre in Occi-
dente il Damasceno veniva letto nella
prospettiva
di
una
teologia
con-
cettuale,
in Oriente la
sua
opera segnava
il
passaggio
dalla ricerca intel-
lettuale alla
esperienza
ecclesiale e alla
spiritualit
esicastica:
essa
si in-
serisce fra l'adorazionedel Dio sconosciuto della
speculazione teologica
e la celebrazione del Dio comunicabilemediante la bellezza dellinno
e
della icona
e una
spiritualit
di
trasfigurazione.
Nella
sua Omelia sulla
Trasfigurazione,
che
esprime
la
spiritualit
del
medioevo
bizantino,
il Damascenosottolinea che l'uomo chiamato alla
deificazione
integrale
mediante la
partecipazione
a Cristo
trasfigurato.
Tale
trasfigurazione
offerta
a tutti
nell'esperienza liturgica,
di cui l'ico-
na
parte integrante; perci
il Damasceno scrisse tre trattati
per
difen-
dere le
immagini
sacre.
272 Parte
prirrza
Per mezzo
del canto
liturgico
il Damasceno rese
accessibileanche al
popolo
la
teologia
dei Padri
greci.
Grazie ai monaci le sue
composizioni
vennero conosciute a
Costantinopoli
e si trasformaronocos in elemento
costitutivo della
liturgia
bizantina. Il Damasceno era
anche dotato di
una
grande
sensibilitmariana. La
Vergine
Maria,
per
lui,
davvero
Madre di
Dio;
allo stesso
tempo egli espone
chiaramente la dottrina del-
Pimmacolataconcezione,
della
perpetua verginit
e
deltassunzione al
cielo di Mariafifi
Con Giovanni Damasceno si conclude
degnamente
la
prima
fase
della
teologia
bizantina,
quella
che rientra nell'arco della Patristica.
Sistematizzandoin modo
esemplare
tutto
quello
che la
grande
Patristica
aveva
prodotto
sia nell'et d'oro che in
quella
successiva il Damasceno
diviene
legittimamente
il
padre dell'epoca
successiva che
,
sia
per
l'Oriente sia
per
l'Occidente,
l'epoca
della Scolastica.
Michele Psello
Un
importante
anello
per
la storia della
metafisica,
in
quanto collega
il
neoplatonismo
classico e Cristiano col
platonismo
del Rinascimento,

rappresentato
da Michele Psello.
Questi
era un
letterato e
filosofo del
secolo XI che ha contribuito in modo decisivo a mantenere viva la tradi-
zione del
platonismo
cristiano nel mondo bizantinoche si stava avvian-
do al Suo
definitivo tramonto.
VITA E OPERE
Michele Psello
nacque
a
Nicomedia
(o Costantinopoli,
secondo alcu-
ni)
nel 1018. Fu allievodi
Mavropos,
vescovo
di Eucaita. Prima di dedi-
carmi allo studio della filosofia- confessa lo stesso Psello fui
appassio-
nato della retorica.
Dopo
una
parentesi
di vita monastica,
durante la
quale
mut in Michele il nome di battesimo Costantino,
visse alla corte
imperiale
e
insegn
neIYACCademia
costantinopolitana
con
grande
suc-
cesso, raggiungendo
il titolo
dignitario
di
hypatos.
Mor nel 1078.
Scrisse numerose
opere, per
la
maggior parte
di carattere
enciclopedi-
co. Una
parte
di esse
stata
pubblicata
nella
Patrologia greca
del
Migne,
mentre altre sono state edite da K. N. Sathasnella sua
Mesaianik Bibliotheke.
Oltre a
commenti ad Aristotele
(Categorie,
De
interpretatione),
a
Platone
(Timeo) e a Porfirio,
scrisse una
Introduzione alla
filosofia,
e
Opinioni
dei
filosofi
intorno all'anima. Psello coltiv con
la stessa
passione
la retorica e
33) Cf. Omelie sulla Nativit e la Dorrriizione.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni Darrzascerto,
Michele Psello 273
la filosofia. Io combino- dichiara
egli
stesso - la filosofia
con
la retorica
e cerco
di sintonizzarmi con
entrambe. In altre
parole egli
cerca
l'armo-
nia della forma
e
del contenuto. La cura
del bello stilefu costante
in
lui;
cos come lo era stata in un
altro famoso
retore, Agostino
di
Ippona.
I PROGRAMMI DELL'ACCADEMIADI COSTANTINOPOLI
Retore e
filosofoPsello
organizz
i
programmi
dell'Accademia di Co-
stantinopoli
in modo da soddisfare
pienamente
le
esigenze
sia della re-
torica sia della filosofia. I
programmi corrispondevano
a
quelli
tradizio-
nali del trivio
(grammatica,
retorica, dialettica) e
del
quadrivio
(aritmeti-
ca, geometria,
astronomia, musica).
Alla conclusione di
quest'ultimo
si
passava
quindi
alla
filosofia,
che
era
considerata
parte integrante
del
quadrivio
e
il
suo culmine,
in
quanto
si vedeva in essa
il
compimento
di
tutte le scienze.
L'obiettivodel corso
di filosofiaera
quello
di
fornire,
mediante la lo-
gica
e
la fisica
aristotelica,
i fondamenti del
pensiero
filosoficoe
di servi-
re
allo stesso
tempo
da
punto
di
partenza per
lo studio dei
problemi
speculativi.
La
filosofia
non era
che lo stadio
preparatorio
alla
metafisica,
e
quasi
tutto il materiale
per
quest'ultima
veniva
preso
non
da
Aristotele,
bens da
Plotino,
Proclo
e
Platone. Le dottrine filosofiche
e
metafisiche
venivano alla fine
integrate
nella filosofia
prima,
vale a dire nella teolo-
gia.
Secondo
Psello,
fine ultimo di
qualsiasi
attivit
spirituale
dell'uomo
doveva
essere
la
filosofia prima,
ossia la metafisica. L'esercizio della ra-
gione
ha
senso
soltanto nella misura in cui si
pone
al servizio della filo-
sofia
prima.
Per accedervi,
per
iniziarmi alla scienza
pura,
mi
sono
de-
dicato anzitutto allo studio delle matematiche,
alla
contemplazione
delle
realt
incorporee.
Le scienze matematiche
occupano
la
posizione
media-
na tra i
corpi
della
natura,
da
una
parte,
e
l'intelligenza
e
le stesse so-
stanze con
le
quali l'intelligenza
marcia a
pari passo,
dall'altra. Ho fatto
questo per capire
ci che sta
sopra
alle scienze matematiche e
al di l
dell'intelligenza
e
della sostanza.39
Anche
se usa
il termine aristotelico di
filosofia prima
il concetto che
Psello ha della metafisica,
che ha
come
obiettivo lo studio di ci che si
trova al di l
dellntelligenza
e della
sostanza, non affatto aristotelico
bens
platonico
e
neoplatonico.
Psello divide la filosofia in due
parti.
La
prima

impassibile
ed
opera
della
pura
intelligenza;
la seconda
passibile,
e
riguarda
l'uomo
nella sua unione di anima e
corpo:
Ho
sempre
elogiato
la
prima parte,
3) K. N.
SATHAS,
Messaionik BibliothekeIV,
'l2l.
274 Parte
prima
ma non
l'ho
amata;
ammiro meno
la
seconda,
per

quella
che desidero
di
pi>>.40
La
prima parte corrisponde
alla filosofia
teoretica,
la seconda
alla filosofia
pratica,
e abbracciala morale
e la
politica. Quest'ultima se-
condo Psello si addice
maggiormente
alle condizioni attuali dell'uomo il
quale
deve vivere in
questo
mondo insieme ai
propri
simili. Con Platone
e
i
neoplatonici,
Psello ammette la
possibilit
della vita
contemplativa,
ma ritiene allo stesso
tempo
che nella vita in
questo
mondo la
parte
passiva
dell'anima che deve
avere
la nostra
preferenza, poich
in unione
col
corpo
essa forma l'uomo socievole
e
politico.
L'essenziale distin-
guere saggiamente
le forme della vita dell'anima
per
non
indagare
razionalmente
su cose
che
non rientrano nella filosofia.
UOPZIONE PLATONICA
Bench ai
tempi
di Psello la
conoscenza
delle
opere
e
del
pensiero
di
Aristotele fosse notevolmente aumentata
e
migliorata,
le
preferenze
di
questi
in
campo
filosofico
vanno chiaramente
e
apertamente all'impo-
stazione filosofica di Platone. Secondo Psello Platone il
pi grande
genio
che il mondo abbia mai avuto e la
sua
filosofia
non conosce rivali
di sorta. Platone il maestrodella
filosofia,
l'unico
uomo
che riuscito a
raggiungere gli
estremi Confini del
pensiero:
e in
questo
senso si
pu
an-
che Considerare
degno
precursore
del Cristianesimo.
questa,
in ultima
analisi,
la
ragione per
cui Psello sente tanta
simpatia
per
Platone:
infatti,
le teorie di Platone sulla
giustizia
e
sulla immortalit dell'anima hanno
fornito la base razionale ai
dogmi
cristiani
su
questi argomenti.
Sol-
tanto Platone ha
scoperto
che
non tutto frutto del
ragionamento
e della
dimostrazione
e soltanto
lui,
essendosi elevato al
piano dell'intelligenza
e avendo intravisto ci che si trova oltre
l'intelligenza,
finalmente
giunto
alla
scoperta
dellUno.42
chiaro
dunque
che le
ragioni
della
sua
preferenza
per
Platone mani-
festano nello Psello l'identit dei suoi interessi filosofici
e
teologici.
In
quanto teologo egli
vedeva in Platone il
vero
teologo,
colui che ha
dato
una sistemazionealle nostre conoscenze sul mondo
intelligibile,
e in
quanto
interessato alle scienze matematichePsello vedeva in esse come
un
mezzo,
una
scala
verso la filosofia
prima, proprio
come aveva fatto
Platone.
40) una, v, 256.
41) Cf.
Hard, 444.
42) Cf.
lbid, 445.
Dionigi,
Massimo il
Confessare,
Giovanni Damasceno,
Michele Psello 275
Tutte le scuole filosofiche,
in modo
particolare quelle
dei
neoplatoni-
ci, non
hanno fatto altro che
completare
la dottrina di Platone.
Seguendo l'esempio
dei
neoplatonici
anche Psello cerca
di armoniz-
zare
Aristotele con Platone,
riservando ad Aristotele la
logica
e la fisica e
a
Platone la metafisica.
Ma anche il suo
studio di Platone e dei
neoplatonici
risulta strumen-
tale: I-Io studiato
questa
filosofia dichiara Psello - in
quanto
mi
giova
a
completare
la scienza divina
(teologia). Egli
adotta lo schema
genera-
le del sistema di Plotino:
1Uno, l'intelligenza,
l'anima,
la
natura,
la
materia,
lo fa
per
da
cristiano, perch
vi trova
l'espressione
filosofica
pi
chiara e netta della verit cristiana.
LA METAFISICA
Psello
sceglie
[Jlatone
precisamente
a motivo della sua
metafisica.
Ora,
caratteristica essenziale
dell'impianto
metafisico
platonico
la
netta distinzione tra il sensibilee
Tintelligibile,
ed
proprio questo
ele-
mento che Psello fa suo
in modo
particolare.
La sua
opzione per
Platone non
riguarda
soltanto i contenuti ma
anche il
metodo,
che
non e
quello
aristotelico della dimostrazione
logica
rigorosa,
bens
quello
della intuizione e
della
postulazione, perci
il
mondo
intelligibile
allo stesso
tempo
intuito e
postulato.
Nelle Nozioni
comuni,
in cui affronta i
principali problemi
della meta-
fisica,
Psello comincia con
l'analisi delle
questioni
relative a Dio,
all'in-
telligenza
e all'anima,
vale a
dire del mondo
intelligibile,
e
passa poi
al
mondo sensibile
per
studiare la
fisica,
la
fisiologia,
l'astronomia,
la me-
teorologia,
la
medicina
e
l'agricoltura.
Psello
parte
dal
principio generale
che
ogni
ente retto da
leggi
conformi alla
propria
natura e
che
ogni
essere e
ogni
fenomeno hanno
una causa. Causa di tutti
gli
esseri e
di tutti i fenomeni e il
Demiurgo
(Dio); ma
considerare Dio come causa
suprema
e
ultima non
significa
sopprimere,
come
fanno certi
platonici,
la causalit
degli
esseri inferiori
a Dio. Anche la natura dotata di
una
propria
causalit: essa come
una mano
della causa
prima,
la
quale per
il suo tramite,
restando
essa
stessa immobile,
regge
le cose
di
quaggi. Spetta
al filosofo
scoprire
le
cause
seconde
e
il loro modo di
operare.
Ma
precisa
Psello - bench
ogni
cosa abbia la sua
causa,
ci non
vuol dire che
non ci siano cause
inaccessibilial
ragionamento
e
alla
dimostrazione, come
sostengono gli
Stoici ed Eunomiowfi
Anzi,
la
maggior parte
delle cause
sfugge
alla no-
43) lbid.
276 Parte
prima
stra
ragione:
tutto ci che ineffabilenella
natura, e
i fatti che
superano
la
natura,
ha
cause a noi sconosciute>>.44 L'uomo
per,
secondo
Psello,
non dotato soltanto di
ragione
ma
anche di
intelligenza,
mediante la
quale
in
grado
di
conoscere le cose immediatamente, senza ricorrere ai
ragionamenti
e alle dimostrazioni:
l'intelligenza
la
perfezione
suprema
dell'anima.
Seguendo
una tradizioneormai consolidata nella metafisica cristiana
Psello
insegna
che Dio
possiede
dall'eternit,
prima
della
creazione,
le
nozioni di tutte le sue creature. Ci che Platone chiama
"idea",
secondo
Psello, non la
prima
nozione delle cose
che Dio crea: le nozioni si trova-
no in Dio
e non
godono
di
una sussistenza
propria
come
insegnava
Pla-
tone. In Dio
intelligenza
e idee sono la stessa
cosa;
altrettanto vale
per
l'essere e le
idee,
ancorch sembri che l'essere
preceda
le idee. L'intelli-
genza
divina l'essere delle idee: essa le contiene in
se stessa.

necessa-
rio che
l'archetipo
si trovi
nellntelligenza
e
che
questa
si identifichi col
mondo
intelligibile,
che il modello
esemplare
del mondo sensibilexfi
Riguardo
all'animaPsello afferma che e una sostanza nel senso stret-
to del termine e non soltanto
come
forma del
corpo,
come
insegnava
Aristotele. Essa
gode pertanto
di virt
proprie
e di
propriet
naturali,
per
cui un'anima naturalmente
allegra
mentre un'altra naturalmente
triste. <<La
maggior parte
dei filosofi
greci,
dice
Psello,
hanno distinto le
anime
per
svariate
cause o
per
la diversit delle sostanze. lo invece non
riconosco che
una sola natura
per
tutte le
anime, mentre le
distinguo per
le loro
proprietwfi
Per
questo
motivo
egli
non
giudica
le
passioni
rife-
rendolea cause esterne, ma all'animadel
soggetto
che le sente.
Psello tratta anche di altri terni assai cari ai
neoplatonici:
del
male,
della libert
e
della Provvidenza. Il male un termine relativo,
ed esiste
in noi
perch
non riusciamo a tenere il nostro volere
sempre
indirizzato
al bene.
Egli
condannala tesi di coloro che
negano
l'esistenza del male
e
quella
di coloro che fanno risalire il male a Dio stesso. Certamente tutto
sottost alla divina Provvidenza che tutto ordina,
prevede
e
governa,
ma
il male deve la
sua
origine
al libero arbitrio. Come si vede,
nella
sostanza
l'insegnamento
di Psello coincide con
quello
di S.
Agostino.
44) Ibid., IV,
121.
45)
Cf.
PsELLo,
PG 122, 725.
46)
K. N.
SATHAS,
op.
ciifl, IV,
123.
Dionigz,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno, Michele Psello
277
Enorme fu la fama di cui
godette
Psello tra i suoi
contemporanei.
Tra
coloro che
seguivano
le
sue lezioni all'Accademia c'era chi veniva dal-
l'Egitto,
dalla Babilonia
e dalla
Persia, e
anche
dell'Occidente latino. La
vastit
enciclopedica
delle
sue conoscenze era
paragonabile
a
quella
di
Alberto
Magno
e di
Ruggero
Bacone. Enorme fu la
sua
erudizione,
uni-
versale la
sua curiosit,
grandissima
la
sua fiducia nella scienza
e nella
ragione, importanti
le
sue innovazioni nell'arte dello scrivere. Per
questi
molteplici
motivi si
pu
dire che Psello fu una delle
personalit pi
rap-
presentative
della cultura bizantina.
Come lo
Pseudo-Dionigi,
Psello
trov il modo dintrodurre nel
pensiero
cristiano
una
parte
feconda del
pensiero
greco:
assimilandoil
pensiero
greco, gli
diede
un senso nuovo e
cre una sintesi
nuova tra
platonismoe cristianesimo.
278 Parte
prima
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LA METAFISICACRISTIANA
NELLEPOCA DEGLI SCOLASTICI
LA METAFISICACRISTIANA NELLALTOMEDIOEVO:
SCOTOERIUGEN
A,
ANSELMO
DAOSTA,
GILBERTOPORRETANO
Mentre in
Oriente,
per opera
dello
Pseudo-Dionigi,
Massimo il Con-
fessore, Giovanni
Damasceno,
Michele
Psello,
il
neoplatonismo
cristiano
conseguiva
risultati di
grandissimo
valore,
in Occidente con le invasioni
barbariche
e
la caduta
dell'Impero
si era
verificatoil crollo di una civilt
e la fine di
qualsiasi
attivit culturale:
filosofica,
letteraria
e
teologica.
In-
fatti la fine
dell'Impero segn
ben
presto
anche la fine delle
sue istituzio-
ni
civili,
pedagogiche
e
culturali:
non cerano
pi
n scuole
pubbliche,
n
accademie, n biblioteche, e
l'istruzione divenne
Yappannaggio
di
pochissimi privilegiati. Uingente patrimonio
culturale costruito dai
ro-
mani
con secoli di laboriosa fatica non and tuttavia
disperso;
lo salva-
rono dalla distruzione i monaci di S. Benedetto che fecero della trascri-
zione
degli
antichi testi una
parte
essenziale del loro lavoro.
Una
prima ripresa
culturale ebbe
luogo
ai
tempi
di Carlo
Magno
(si
parla appunto
di rinascenza
carolingia},
come
conseguenza
della stabilit
politica
assicurata dal Sacro Romano
Impero.
Grazie ad essa si
registr
una certa
prosperit
economica e si
poterono
instaurare nuovi contatti
culturali
e
politici
con l'Oriente. In siffatta
congiuntura
il ricchissimo
pa-
trimonio culturale
filosoficoteologico-mistico
della
patristica greca
di-
venne accessibileanche ai monaci latini.
Ma
con la fine
dell'impero carolingio
l'Occidente
precipit
nuova-
mente nel
caos; l'Europa
divenne di nuovo teatro di
una
lunga
serie di
invasioni
barbariche,
che terrorizzavano
gli
abitanti e
saccheggiavano
ogni
cosa. Per
un
altro
paio
di secoli
l'Europa
si trov stretta nella
morsa
degli Ungari
(ad Est),
dei
Vichnghi
(a Nord) e
degli
Arabi
(dal Sud).
Ogni
ulteriore
ripresa
culturale fu resa
impossibile.
Soltanto
quando,
nel
sec. XI, con la dinastia
degli
Ottoni
l'Europa
venne finalmente
pacifica-
ta,
si
pot
assistere alla definitiva rinascita
degli
studi e a una nuova
significativa
fioritura della filosofia
e della
teologia.
I secoli IX-XII
sono
quelli
della
prato-scolastica.
Rarissime sono le
figu-
re veramente eminenti di
questo periodo
oscuro
della storia della filoso-
fia in
generale
e
della metafisica in
particolare.
Ci sono
comunque
tre
284 Parte seconda
studiosi che hanno lasciato
un'impronta profonda
non solo nella storia
della
teologia,
ma
anche nella storia della metafisica
cristiana;
si tratta di
Scoto
Eriugena nell'epoca carolingia,
di Anselmo d'Aosta e di Gilberto
Porretano
nell'epoca
feudale.
Giovani Scoto
Eriugena
Durante l'et
carolingia
Giovanni Scoto
Eriugena
fu l
principale
arte-
fice dellassimilazionedel
pensiero patristico greco
da
parte
dei monaci
latini,
un'operazione
che ebbe
conseguenze
decisive
per
la rinascita del-
la filosofiacristiana nel mondo latino.
Con una straordinaria conoscenza della Sacra Scrittura e una
perso-
nale rilettura dei
Padri,
specialmente
di
quelli greci,
Scoto
Eriugena
cerc un nuovo coordinamento tra fede e
ragione,
deducendo dal
plato-
nismo di Plotino e
di Proclo ci che vi
era di
implicito
a tal
riguardo;
propose
una visione
complessa
dell'universo in cui si intrecciano teorie
filosofiche
e verit cristiane. Assertore convinto di
una
perfetta
corri-
spondenza
tra verit di fede e verit di
ragione, comp
un
vigoroso
ten-
tativo di armonizzarela filosofia
neoplatonica
con la
teologia
ortodossa
cristiana. Nel
suo insieme,
per
vastit e ricchezza,
la sua
opera
rimase
una vetta isolata fino alla Grande
Scolastica; e
dopo
di
essa continu ad
influenzareil versante
platonico-agostiniano
del
pensiero
filosoficodu-
rante ilmedioevo
e oltre.
VITA E OPERE
Giovanni Scoto
Eriugena
nacque
in Irlandanei
primi
anni del secolo
IX,
e nella sua
patria
ricevette la
prima
formazione
intellettuale,
la
quale
comprese
tra l'altro lo
studio,
oltre che del
latino,
anche del
greco,
una
lingua questa
che
agli
inizi del secolo IX era conosciuta in Irlanda, ma
in forma
elementare,
almeno nella
generalit
delle scuole! Ancora in
giovane
et si fece
monaco,
e in breve
tempo
si rese
famoso tra i suoi
colleghi
francesi e irlandesi. In
conseguenza
delle invasioni danesi che
distrussero
gran parte
dell'Irlanda,
Scoto
Eriugena
si
rifugio
in Gallia,
dove trov una calorosa
accoglienzapresso
la corte di Carlo il Calvo.
Dai vescovi francesi ricevette l'incarico di confutare le tesi di Gottschalco
che,
anticipando
di
qualche
secolo le
posizioni
di
Calvino, sosteneva la
predestinazione
sia alla
dannazione,
sia alla salvezza eterna.
nellopu-
scolo De
praedestinatione,
Scoto
Eriugena
affront le tesi di
Gottschalco,
1)
M. DAL
PRA,
Scoto
Eriugena,
Milano
1952,
p.
13.
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
A0sta,
GilbertoPorrettano
285
neg
recisamente
qualsiasi
forma di
predestinazione, ma sottolineo tal-
mente
l'apporto
umano alla salvezza da sfiorare molto da Vicino Yeresia
di
Pelagio, e
per questo
fu
oggetto
delle
censure dei vescovi di Laon e di
Reims, e subito
dopo
delle condannedei Concilidi Valenza
e
di
Langres.
Queste disavventure
con l'autorit ecclesiastica indussero
ancor
pi
l'Eriugena
a concentrarsi sui suoi studi
preferiti
e ad attendere alle tra-
duzioni delle
opere
fondamentali del
neoplatonismo
cristiano: il
Corpus
areopagiticum,
il De hominis
Opificio
di
Gregorio
Nisseno
e
gli Ambigua
di
Massimo il Confessare. Successivamente
port
a termine il
suo
capola-
voro,
il De divisione
naturae: un
lungo dialogo
fra
maestro e
discepolo
(in
cinque libri),
in cui
presentata
tutta la
problematica cristiana,
af-
frontata
e
sviluppata
sulla
piattaforma
del
neoplatonismo
e
ripresa
siste-
maticamente
dallEriugena
con
approfondimenti particolari.
Non si ha
nessun indizio certo di
qualche
attivit da
parte
del
geniale
monaco ir-
landese
dopo
1'870, n si
conosce con
precisione
l'anno della
sua morte.
FEDE E RAGIONE: IL RAZIONALISMOTEOLOGICODI Scoro ERIUGENA
In
qualsiasi
filosofiail
primo problema
da risolvere
quello
della
co-
noscenza, soprattutto
il
problema
del
suo valore. Anche la storia della
filosofia
ne
d
ampia
conferma. Il
problema
epistemologico

quello
che
affrontano
per primo Socrate, Platone, Aristotele,
Agostino, Cartesio,
Spinoza, Hume,
Berkeley,
Kant, ecc.
Nella filosofiacristianaiil
problema
che
va affrontato
per primo

pur
sempre
il
problema
epistemologico,
ma
gli
si deve dare
un
taglio
del
tutto
particolare, perch
non si tratta
semplicemente
n del
problema
del valore della
fede, n del valore della
ragione,
bens del
problema
dei
rapporti
tra
queste
due dimensioni
gnoseologiche,
la fede
e la
ragione.
Cos si
comprende perch
tutti i filosofi
cristiani,
soprattutto
i
primi,
abbianoaffrontato
con tanto
impegno
il
problema
dei
rapporti
tra filoso-
fia
e cristianesimo:
poich
si trattava in effetti dei
rapporti
tra fede
e
ragione.
Dando
a
questo problema epistemologico
una soluzione
positi-
va,
essi hanno
posto
le
premesse per
la elaborazione di
una filosofiacri-
stiana:
perch
questa
non altro che
un felice connubio tra
un
particola-
re
procedimento razionale,
quello
della
filosofia, e alcune verit che
sono state annunciate al mondo dal cristianesimo.
Su
questo problema
ritorna con
prepotenza
Scoto
Eriugena
e in linea
di massima lo risolve al modo dei suoi maestri:
Clemente,
Origene,
Cre-
gorio Nisseno,
cio affermando
un accordo sostanziale tra fede
e
ragione;
ma
pi
di
loro,
egli
accentuailvalore della
ragione
nello studio della Parola
di Dio e nella verificadelle verit di fede. Per
questo
motivo non arbitraria-
mente si d alla
sua
posizione
la
qualifica
di
"razionalismo
teologico".
286 Parte seconda
Anche
per
Scoto, come
per
qualsiasi
altro filosofocristiano,
la Rivela-
zione costituisce il
principio genuino
della
verit, e la Sacra Scrittura il
criterio basilare,
supremamente
stabiledella verit. Perci si deve se-
guire
in tutto l'autoritdella Sacra Scrittura, perch
nelle sue
sedi
segre-
te contenuta
la verit! Una
qualunque
ricerca che
non
prendesse
le
mosse
dalla Scrittura, o
che
comunque
non
potesse
essere
suffragata
dalla rivelazione,
risulterebbearbitraria. Ci che
non
possiamo provare
con
l'autorit della Scrittura,
n con
quella
dei
Padri, non
dobbiamoac-
cogliere
come una
dottrina sicura
riguardo
alla
natura;
ci sarebbeinfat-
ti cosa
temeraria.3 Sennonch nella Scrittura la verit si trova
velati
quibusdanz
suis secretis sedibus: si tratta cio di una
sede
"segreta"
della
verit, e
appunto perci questa
non
pu
essere
individuata senza
ricer-
ca,
senza analisi, senza
approfondimento
o
verifica. Per
raggiungere
la
sede
segreta
della verit occorre
andare oltre il senso
letterale. Scoto
insiste con
frequenza
sulla necessit di non
prendere
alla lettera
quanto
viene detto nel testo sacro,
e
dichiara che
molteplici
anzi infiniti sono
i
sensi che esso
pu
contenere. Per
questo
nessuna
delle
interpretazioni
addotte
pu
considerarsi come
conclusiva e
assoluta: nullius
expositoris
sensus sensum
alterius
aufertw
La verit, insomma,
data in modo che
debba e
possa
essere cercata;
ed
compito
della ratio effettuare
questa
ricerca,
anche
se essa non
potr
mai
pretendere
di catturare
pienamente
la verit che sta celata nelle sue
sedi
segrete.
Pi che
un
possesso,
la
verit resta costantemente un
traguardo
da
raggiungere.
Per ratio che
indaga
le verit
segrete
Scoto intende la filosofiail cui
compito
e rifletteresullunica causa
di tutte le
cose,
Dio; essa
si occu-
pa
della
speculazione
sulla divina
natura,
divinae essentiae
investiga-
tio. La verit della filosofiadeve necessariamente
coincidere con
quella
della Rivelazione e
della
teologia.
Infatti,
filosofia e
teologia
hanno in
comune
la stessa
origine
divina; sono
entrambe
espressione
della mede-
sima eterna
Sapienza,
e
quindi
non
pu
mai esservi tra loro contraddi-
zione o
opposizione, perch

impossibile
che due doni divini siano con-
traddittori o
contrapposti.
Anche la riflessionefilosofica
per
lEriugena
una
forma di
esposizione
delle verit affermate dalla
fede,
cosi
come,
d'altra
parte,
la verit rivelata contiene in se stessa tutte le
possibili
veri-
t di
ragione.
3) De divisione naturae 1,
64.
3) lbiti,4,
7.
4) lbirL, 3,
24.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta, GilbertoPorrettano
287
Sennonch la tesi secondo cui la verit rivelata abita insedi
segrete
spalanca
alla ratio la
porta
a infinite
possibilit, e,
nel caso
specifico
di
Scoto
Eriugena,
a rivendicazioni
sconfinate, tanto da sottrarsi al control-
lo di
qualsiasi
autorit "umana: dei
Padri,
dei
Concili,
dei
Vescovi, ecc.
Ogni
Volta vi sia un contrasto tra la
"giusta ragione
e
l'autoritdei Pa-
dri o dei
Concili,
Ylriugena
ritiene che si debba
scegliere
la verit della
ragione. Ogni
autorit valida e
inoppugnabile
solo
se si fonda
su di
un
ragionamento
evidente
e
rispondente
ai
requisiti
della verit
logica.
N credere alla Rivelazione
o all'autoritdivina
significa
accettare cieca-
mente i suoi
interpreti,
sia
pure
accreditati
e
ortodossi;
la loro autorit
deve
essere
sempre
confrontata
con l'autorit
pi
alta della
ragione
cui
spetta
in ultima analisi il
giudizio
definitivo.
Come facile
vedere,
per
la
posizione dellEriugena
sui
rapporti
tra
fede
e
ragione,
la denominazionedi razionalismo
teologico"

perfetta-
mente
appropriata.
LA
NATURAE LE SUE DIVISIONI
Divisione della natura
(De divisione
naturae)
il titolo
dell'opera princi-
pale deIYErugena.
Ci che in
quest'opera egli
vuole
proporre
una
spe-
cie di
summa,
una trattazione
enciclopedica
che
abbracci tutte le realt
che
compongono
l'universo,
disponendole
secondo
un ordine ben
preci-
so. A tal fine
egli
ha
bisogno
di concetti
generali
che si
possano applicare
a tutte le
Cose. Tali
sono a suo
giudizio,
i concetti di natura e di creazione.
ll termine latino natura
corrisponde
al termine
greco
ousia: natura
dunque
il
nome
generale
di tutte le
cose che
sono e che
n.on sono. ll ter-
mine
creazione, come
spiegher
Scoto
pi
avanti,
significa
la
produzio-
ne di
qualche cosa dal nulla.
Assumendo i concetti di natura e di creazione come fondamento
della divisione Scoto divide la natura in
quattro grandi tipi:
1. natura
creante e non creata (Dio); 2. natura creata e creante
(le Idee);
3. natura
creata
e non creante
(angeli, uomini, cose);
4. natura non creata e non
creante
(che
di
nuovo Dio visto come fine
ultimo).
Ecco come lo stesso
Eriugena
riassume
questa
sua schematizzazione
dell'universo, evidenziando la
corrispondenza
che esiste da
una
parte
tra la natura della
prima
e della
quarta Categoria, e, dall'altra, tra la
natura della seconda
e della terza:
Raccogliamodunque
in
unit,
procedendo analiticamente,
quelle
delle uattro forme
redette,
che coincidono fra loro. La rima e la
i P
_ . . . .
P
. . .
quarta
sono una sola
realta,
poich
si
applicano
solo a D10: Dio infatti
il rinci io di tutte le
cose create,
ed il fine
a cui tutte tendono er
.
P
P
. . . . . . .
l
riposare
in Lui eternamente e immutabilmente.S1 dice infatti che la
288 Parte seconda
causa
di
ogni
cosa crea, perch
da
lei, con
mirabilee
divina
moltiplica-
zione, procede
l'insieme delle cose
che da lei e
dopo
di lei sono state
create,
in
generi, specie,
numeri, differenze, e tutto ci che si considera
esistente in natura. Ma
poich
tutto ci che
procede
da lei ritorner
alla medesima
causa, quando perverr
al
fine,
per questo
la causa
prima
si dice fine di
ogni
cosa,
e in
quanto
tale non crea
n creata.
Infatti,
quando
tutto sar tornato in
lei,
nulla
proceder pi
da lei
per
generazione,
luogo
e
tempo,
in
generi
e
specie, poich
tutto sar
quie-
to,
immutabileed indivisibilmenteuno (...).
Vedi
dunque
che la
prima
e
la
quarta
forma della natura si riducono a una
realt sola?
(...).
E allora? Dobbiamo ridurre a una
sola realt anche la seconda e la
terza forma? Non ti
sfugge,
infatti,
credo che come
la
prima
e
la
quar-
ta si considerano nel Creatore,
cos la seconda e la terza si considera-
no nella creatura.
La seconda, infatti, come
abbiamo detto,
creata e
crea,
e
per
essa
si intendono le cause
primordiali
delle cose create;
la
terza forma creata e non
crea,
e
si trova
negli
effetti delle cause
pri-
mordiali. La seconda e la
terza, dunque,
sono contenute in un
mede-
simo
genere,
quello
della natura creata, e
in
esso sono una
realt sola;
le forme, infatti,
considerate nel loro
genere,
sono un'unica
realt.
Vedi
dunque
che due delle
quattro
forme
predette,
la
prima
e
la
quar-
ta, sono
ridotte al Creatore, e le altre
due,
la seconda e
la
terza, sono
ridotte alle creature?
Divisa la natura in
questi quattro tipi
fondamentali,
Scoto
procede
a
un
accurato esame
di
ognuno
di
essi,
iniziando
logicamente
con
lo stu-
dio di Dio.
DIO: ESISTENZA, NATURA,
CONOSCIBILIT
Riguardo
a Dio
lEriugena
non si
preoccupa
di dimostrarne l'esisten-
za
anche se
talvolta accenna
all'argomento
come
quando
scrive:
I
teologi
con
lo
sguardo
di una mente retta hanno concluso che essa
(la
divina natura) esiste,
dall'esistenza delle
cose;
che
sapiente,
dalla
distribuzione delle cose
in
essenze,
in
generi,
in
specie,
differenze e
numeri;
che
vivente,
dal moto di
ogni
cosa
stabilee
dalla stabilitdi
ogni
cosa
mobile.E
per questa
via
scoprirono pure
che la causa
uni-
versale sussiste in tre
persone.
Infatti come dicemmo,
dall'essenza
delle cose si conosce
che Dio esiste;
dal loro mirabileordine si cono-
sce
che e
sapiente;
dal loro moto si conosce
che vita. La causa
uni-
versale e natura creatrice esiste, dunque,
ed
sapiente,
e vive. E i
ricercatori della verit ci hanno
insegnato
che
per
essenza
si intende il
Padre,
per sapienza
il
Figlio, per
vita lo
Spirito
Santomfi
5) Ibid, 2,
2.
6) Ibid, 1,
12.
Scoto
Eriugcna,
Anselmo d'Aosta,
Gilbertol0rrettan0 289
In
questo
testo
lEriugena
non
argomenta
soltanto l'esistenza di Dio
ma
anche l'esistenza della Trinit. Il tenore
neoplatonico
del testo
pale-
se,
allorch
Scoto,
descrivendo la
Trinit,
identifica il Padre con l'essen-
za,
il
Figlio
con la
sapienza
e 1o
Spirito
Santo con la vita.
Tra le
propriet
della natura divina
l'Eriugena
sottolinea
quella
di
es-
sere
imprincipiata,
anarkos, perch
la
prima
causa
di tutte le cose
che
sono
fatte da lui
e
per
lui, e
perci
fine di tutte le cose
che derivano da
lui? In Dio non si
distinguono
l'essere e
il
volere,
n si
distinguono
l'es-
sere e
il bene.
Ma, con
lo
Pseudo-Dionigi
e
gli
altri
neoplatonici,
Scoto
Eriugenaassegna
una
priorit ontologica
al bene
rispetto
all'essere. Bont
'
ed
essere
appartengono
a Dio
integralmente
mentre
ogni
altra cosa
fuori
di lui le
possiede per partecipazione:
infatti,come non
vi nessun
bene
naturale fuori di
Dio, ma tutto ci che vi s dice buono buono
per parte-
cipazione
dellunico sommo bene,
cos ci che si dice esistere non esiste
in
se stesso, ma
per partecipazione
della natura
che veramenteesiste.5
Sulla scorta dello Pseudo
Dionigi,
nella conoscenza
di Dio Scoto di-
stingue
tre vie:
quella positiva, quella negativa
e
quella
eminenziale,
in-
dicandola
maggior
forza
soprattutto
della
seconda, senza tuttavia misco-
noscere
l'importanza
e la necessit della
prima.
La via
positiva,
che risale
a Dio come causa delle
perfezioni
create,
certamente una via buona e
necessaria
per
ascendere a Dio;
migliore per
la via
negativa
che,
distin-
guendo
Dio da
ogni
realt
creata,
e
quindi negando
che
Egli
sia cos
come sono le cose
che cadono sotto la nostra
esperienza,
ci d una idea
pi profonda
della
sua
trascendenza. Un'idea che
non-idea, una cono-
scenza
che insieme non-conoscenza. Ma la via
negativa per
non
spro-
fondare in
un
apofatismo
eccessivo ha
bisogno
del correttivo della via
eminenziale, o della
Teologiasuperlativa".
Quest'ultima
afferma che Dio
non incluso in nessuna
categoria particolare perch
trascende tutte le
categorie.
Cos
per
es.,
verit
piena riguardo
a Dio non n che sostan-
za n che
non lo
,
bens che sovrasostanziale.

pero
evidente che
neppure
con
questa
via si
giunge
a
scoprire
ci che Dio in se stesso.
Cos,
dicendo che Dio
oltrepassa ogni essere,
est
qui plus quam
esse est,
non diciamo
quale
sia la sua essenza. Ci che Dio non
lo
sappiamo,
perch oltrepassa
tutte le
categorie,
ed
superiore
ad
ogni
affermazionee
negazione?
7) Ibid.,11.
8)
Ibid.
9) Cf.ibid.,1115.
290 Parte seconda
LE IDEE DIVINE
La seconda divisione della natura
riguarda
le
Idee,
i modelli
eterni,
i
prototipi,
di cui Dio s serve
per
Creare il mondo. Ecco come Scoto
Eriugena
introduce
l'argomento,
indicandoi vari termini usati dai
greci
per
affrontare tale
questione:
Si mostra ora la seconda forma della
natura universale, che
come
abbiamo
detto,
creata e crea e
per
la
quale
si intendono, mi
pare,
le cause
primordiali
delle cose. Le cause
primor-
diali
poi
sono
chiamate dai
greci prototypa,
ossia modelli
primordiali,
o
anche
proorismata,
ossia
predestinazion
0
definizioni: le chiamano an-
che theia
thelenrata, cio divine
volont, e si
sogliono
chiamare anche
ideali, o sia
specie
o forme nelle
quali
furono fondate le immutabili
ragio-
ni di tutte le cose che sarebberostate Createw
La necessit che ci fossero
cause ideali
per
il mondo sensibileera
stata la
geniale
intuizionedi Platone. Ma
questi
aveva dissociato le Idee
da
Dio,
collocandole in
un
proprio
mondo,
Ylperuranio.
La
questione
dei
rapporti
tra Idee e Dio
percorre poi
tutto il
platonismo,
e
gi
da
Filone Alessandrino viene risolta
collegando
le Idee alla Mente
divina,
il
Logos,
e
Caratterizzandole
come creature del
Logos.
Sostanzialmente
questa
anche la tesi dell'autoredel De divisione naturae. Nel libro secon-
do di
quest'opera leggiamo:
Mentre sussistono immutabilmentein
Dio,
le Idee sono le cause
pri-
mordiali delle altre realt che
vengono dopo
di loro fino
agli
estremi
termini della natura creata e
moltiplicata
all'infinito. Dico ali
infinito
non
per
il Creatore ma
per
la
creatura;
il fine infatti della
moltiplica-
zione delle creature noto solo al
creatore,
perch
lui e non altro.
Le cause
primordiali
sono
dunque quelle
che i
sapienti
divini chiama-
no
principi
di tutte le cose: la bont
per
se stessa,
l'essenza
per
se stes-
sa,
la vita
per
se stessa,
l'intelletto
per
se stesso,
la
ragione per
se stes-
sa,
la
giustizia per
se
stessa,
la
grandezza per
se stessa, Yonnipotenza
per
se stessa,
l'eternit
per
se stessa,
la
pace per
se stessa e tutte le
ragioni
che il Padre fece insieme nel
Figlio
e secondo le
quali
intes-
suto l'ordine di tutte le
cose,
dalla cima al
fondo,
cio dalla creatura
intellettuale, che,
dopo Dio,
a Dio
pi
Vicina,
fino all'estremo ordine
di tutte le
cose,
in cui sono contenuti i
corpim"
Le Idee che Dio
genera
in
se stesso come
prototipi
delle creature non
sono
realt distinte da
Lui, non
hanno un'esistenza
propria. Quelle
sono
soltanto distinzioni che l'uomo
proietta
su Dio, a causa della reale
distinzione che
queste perfezioni
ricevono nelle creature. In
se stesse
m) Ibirt, 2,
2.
H) Ibid., 36.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano 291
infatti,
le cause
primordiali
sono una cosa sola e
semplici
e non definite
da un ordine conosciuto o
separate
l'una dall'altra: si
distinguono
infatti
solo nei loro effetti
(...).
Le cause
primordiali, quando
si
concepiscono
sussistenti nel
principio d'ogni cosa,
cio nel Verbo
unigenito
di
Dio,
sono un'unica ed indivisibilerealt.
Quando
invece
procedono
nei loro
effetti
moltiplicati
all'infinito, assumono una
pluralit
di
numero e
di
or-
dineml
Fra
queste
cause
primordiali
Scoto,
seguendo
anche
qui lflreopagita,
riconosce una
gerarchia:
la
prima
l'idea del
bene,
poi
viene l'idea del-
l'essere
(essentia),
poi quella
di verit e cos via. Prima l'idea del
bene,
perch
la bont di Dio in certo modo la
ragion
d'essere della creazione:
Dio d l'essere alle creature
perch
bont e come tale donatore di
realt
e
di
perfezione.
Si tratta
per
di
una
gerarchia posta
dal nostro
intelletto,
poich
non c' una
distinzionereale tra le idee eterne e Dio.
CREAZIONE E PARTECIPAZIONE
Trattando della terza divisione,
che
riguarda
la natura creata e non
creante e abbracciail
complesso
delle
cose
che
nasconoe
periscono,
Eriu
gena
fa alcune
importanti
considerazioni intorno ai concetti fondamenta-
li di
partecipazione
e di creazione.
Riguardo
alla
partecipazione
scrive:
Tutto ci che
,
o
partecipante
o
partecipato
o
partecipazione.

soltanto
partecipato
ci che
non
partecipa
di nulla che sia
superiore
a
s;
il
chasi
avvera
solo
per
il
sommo ed universale
principio,
che
Dio E soltanto
partecipato
Ci che
partecipa
di una realt natural-
mente
superiore
a s, e non
partecipato
da
nessun inferiore,
perch
sotto di lui non si trova nessun ordine
naturale, e tali sono i
corpi, per
la cui
partecipazione
nulla sussiste
(...).
Le altre cose che sono
in
mezzo
per
un naturale
discendere,
gradatamente
ordinato dalla divi-
na
sapienza,
dall'unico
principio
fino all'estremo limite della natura
in cui sono contenuti i
corpi,
sono
partecipanti
e
partecipate
(...).
La
partecipazione
non
dunque
una
qualsiasi
assunzione di
parte,
ma
la distribuzionedei doni divini dal sommo all'estremit,
mediante
gli
ordini
superiori agli
inferiori.13
In
questo
testo la distinzione tra
partecipante
e
partecipato
risulta
chiarissima; non si
pu,
invece,
dire altrettanto del concetto di
parteci-
pazione.
Essa non va certamente intesa come una
spartizione
dell'essen-
za e
della bont di
Dio,
bens come distribuzionedelle
grazie
e
delle na-
12) lbicl, 3,
1.
13) Ibid,
3.
292 Parte seconda
ture che entrano nella costituzione dell'universo. Ma se non si
spiega
co-
me avviene
questa
distribuzione,
il concetto di
partecipazione
resta an-
cora molto
generico
e indeterminato, e
pu
essere
inteso sia in senso
panteistico
sia in
senso teistico e creazionistico. Non c' dubbio tuttavia
che
Ylriugena
lo intende in
senso creazionistico. Infatti nel De divisione
naturae subito
dopo
aver
parlato
della
partecipazione
passa
a trattare
della creazione.
Sennonch, come si
vedr,
le incertezze sulla corretta in-
terpretazione
dei
rapporti
tra Dio e le
creature,
permangono
anche
dopo
l'esame della concezione
eriugeniana
della creazione.
La creazione viene definita correttamente come
produzione
delle
cose dal nulla
(ex nihilo);
per
virt della bont di
Dio,
ci che
non era
ricevette l'essere: stato fatto,
poich
non
era, prima
di venire all'esse-
re.
Riguardo
al nulla Scoto fa la
seguente importante
chiarificazione:
Con la
parola
nulla
non si intende una materia o una causa esistente,
una
processione
o causa occasionale,
alla
quale seguirebbe
la
creazione;
non si intende
una realt coessenziale e coeterna a Dio,
n esistente
per
s,
fuori di
Dio,
n
dipendente
da
altro,
dalla
quale
Dio avrebbe
preso
la
materia
per
fabbricare il mondo. Nulla il nome della
privazioned'ogni
essenza,
o
meglio,
della
assenza di
ogni
realtml
Perci la creazione non una
trasformazionedi
una materia
preesi-
stente Come
insegnava
Platone, ma un
principiare
assoluto. Anche la
materia stata
prodotta
dal nulla: Colui che fece il mondo dalla mate-
ria
informe,
fece anche la materiainforme dal nulla>>.15
Per chiarire il concetto di
creazione,
Eriugena, seguendo
lo Pseudo-
Dionigi
ricorre
spesso
alle
immagini
della
luce,
della
illuminazione,
del
sole e della radiazione. Cos afferma che tutte le cose create sono
lumi
tratti dalla luce divina: omnia
quae
sunt lumina
sun, e la loro essenza con-
siste nel riflettere ciascuna a suo modo la luce divina
e, conseguente-
mente,
l'essenza stessa di Dio. Cos Dio divienel'essenza di tutte le cose:
est omnium essentiaflfi
Immagini
e
espressioni
come
queste
si
prestano
facilmentea un'inter-
pretazione panteistica,
ed cos che
verranno
interpretate
dal filosofo
parigino
Amalrico di Bene all'iniziodel secolo
XIII,
provocando
la con-
danna del De divisione naturae
(1215).
14) raid,
5.
15) Ibid.
16) Cf. Ibid.
3,
9.
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
A0sta,
GilbertoPorrettano 293
LE
CREATUREANGELICHE E L'UOMO
Definita l'azione
con cui Dio comunica l'essere alle
creature,
Scoto
passa
allo studio di
queste,
trattando
prima degli angeli
e
poi
dell'uomo.
Dalle sostanze
immateriali, come le
gerarchie angeliche,
all'uomo che
partecipa
a un
tempo
sia all'ordine
spirituale
sia all'ordine
materiale, e
alle
cose
puramente
materiali
e sensibili,
si
svolge
un continuo
processo
di
epifania
(rivelazione) della
Trinit,
secondo
un ordine
gerarchico
ben
preciso.
Gli
angeli,
che
occupano
il
primo
rango
nell'ordine delle
creature,
sono
intelligenze perfette
in cui la Trinit si
rispecchia
secondo la
pi
alta
espressione,
ma sono
anch'essi distinti dalle Idee divine
perch
pos-
siedono
un
corpo spirituale,
senza dimensioni e forme sensibili.
Agli
angeli spetta
il
privilegio
di
conoscere direttamente la realt
divina, nei
principi primordiali
di tutte le
cose. Ma anche
questa
conoscenza viene
partecipata agli angeli
in linea
gerarchica,
a seconda della loro
maggiore
o minore
perfezione,
fino all'ultimo
grado
della
gerarchia angelica
che, a
sua volta,
la trasmette ai
gradi supremi
della
gerarchia ecclesiastica,
destinata
a diffonderlatra i
gradi
inferiori
e
questi,
a loro
volta, ai fedeli.
Del tutto
singolare
il
posto
che
occupa
l'uomo nell'universo.
Egli,
in
quanto corpo,
si unisce
agli
esseri
sensibili;
in
quanto
anima, a
quelli
in-
telligibili.
Contiene
quindi
in s tutto il creato ed una
specie
di
ojficina
mundi.
Tutte le definizioni dell'uomo che
sono state
proposte
dai filosofi
(animalerazionale,
logos spermatiks ecc.),
secondo Scoto
sono
inadegua-
te. Solo la
mente divina
possiede
una vera e totale notizia della natura
umana, perch
questa
da
quella
formata
e ad
essa tende: sola
itaque
divina
mens notitianz humanae
mentis,
peritiaedisciplinalisqite
a se
formatore
et
ad
se,
veram
passidea
in
seipsa (perci
solo la mente divina
possiede
in se
stessa la
vera conoscenza della mente
umana,
dell'abilit
e della
sua
scienza in
quanto
formata da
essa e
per
essa).17
La nozione dell'uomo che nella mente divina
semplice, poich
in
Dio tutto
semplice,
e non
pu
nemmeno essere definita in
questo
o
quel
modo,
superando
infatti
essa
ogni
definizioneed
ogni
connessione
di
parti.
In
effetti, come di
Dio,
cos di tutto ci che in lui
possiamo
so-
lo dire che
, ma non
che
cosa . La
ragione, insomma,
si
comporta
con
l'uomo
come la
teologia
si
comporta
con Dio:
nega
dell'uomo
quid
esse e
afferma solummodo
esse.
17) lbia, 4,
7.
294 Parte seconda
Sulle
questioni
della
corporeit
e
della sessualit
umana, Ylriugena
fa
sue
le soluzioni di Massimo il Confessore.
Quanto
alla
corporeit
distingue
una
corporeit
incorruttibileche
quella
di cui l'uomo era
dotato
prima
del
peccato,
e
che
gli
sar restituita
dopo
la resurrezione
della
carne,
e una
corporeit passibile
e
corruttibileche
quella
a cui e
stato condannato
dopo
la caduta.
Quanto
alla sessualit, essa non
ap-
partiene
all'uomo ideale
e non
fu
prevista per
l'uomo che
come
soluzio-
ne
al
problema
della
moltiplicazione
della
specie
umana
dopo
il
pecca-
to. Per cui se
l'uomo non avesse
peccato,
non
sarebbe nato
dallaccop-
piamento
dei sessi n dal
seme,
ma si sarebbe
moltiplicato
a
somiglianza
dell'essenza
angelica
che
pure
essendo
una,
simul et semel,

moltiplicata
in
una
miriade infinita.
L'uomo
imago
Dei, e
l'impronta
dellconicit divina non sta scritta
n nella sessualit e
neppure
nella
corporeit
attuale, ma solo nell'anima
e
nella
corporeit originaria,
incorruttibileed eterna. Icona di
Dio,
l'ani-
ma
portata
a Lui
per
mezzo
di tre movimenti,
di cui il
primo
sensibi-
le e si
volge
al mondo dei
corpi;
il secondo
quello
secondo
ragione
e
tende a Dio insieme all'anima;
il terzo il movimento secondo l'anima
che si
volge
a Dio nella sua
infinita trascendenza.
Qui
l'uomo
supera
i
limiti della sua natura,
in forza di una
grazia
che
gli
viene da Dio.
Pertanto l'inizio del ritorno dell'uomo a
Dio ha
luogo
nel
corpo,
e si
attua
quando
il
corpo
si
scioglie
nei
quattro
elementi di cui
composto.
Poi, con
la
risurrezione,
ognuno
riprende
il
suo
corpo
e
questo
tramu-
tato in
spirito.
In
seguito
tutta la natura dell'uomo ritorna alle
cause
pri-
mordiali. Infinela natura tutta
quanta
insieme con le sue
cause,
in mera-
viglioso
corteo,
si muove verso Dio, come
l'aria si muove verso
la
luce, e
allora Dio diviene tutto in tutti. Con
questo Eriugena,
come S. Paolo
prima
di
lui, non
intende affermare che le creature
scompaiono per
esse-
re
riassorbite in Dio: il
punto
terminale del ritorno non
la distruzione
di tutto il
finito,
bens il suo
passaggio
a una
condizione
migliore;
come
il ferro messo al fuoco,
sembra diventare
fuoco,
mentre resta
sempre
metallo,
cos l'uomo riassorbitoin
Dio, non cessa
di
esistere, ma eleva-
to a un
destino
superiore.
Il
punctum
dolens della cosmovisione
de1lEriugena,
come
del resto di
tutte le cosmovisioni dei
neoplatonici
cristiani,
il
problema
del male.
Per
lui, come
per
Massimo il Confessore,
per
lo
Pseudo-Diongi,
e
prece-
dentemente
per Origene,
il male sembra avere
pi
carattere
ontologico
che
etico, e
la sua
funzione
quella
di
spiegare
i movimenti di sstole e
di diastoledell'universo. In tale
prospettiva
il male non
pu
avere carat-
tere assoluto, ma
provvisorio,
in
quanto
a
ogni
momento della diastole
corrisponde
necessariamentedall'altra
parte
un momento della sistole, e
a
ogni gradino
dell'allontanamento da Dio fa riscontro un
gradino
del
ritorno.
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
Aosta,
GilbertoPorrettano 295
In
questo
universo in cui la stessa materia fisica si riduce ai
propri
elementi
intelligibili,
non c' naturalmente
posto per
un male irridu-
cibile
o
per
la dannazione
eterna, n, tanto
meno,
per
la concezione
tradizionaledelle
pene
oltramondane.
Certo,
il filosofoirlandese
non
vuole
con
questo negare
la distinzione
teologica
tra i
reprobi
e
gli
eletti, n
impugnare
in tal modo
uno dei
pi
saldi fondamenti del
dogma
cristiano. Ma basta
leggere
alcune
pagine significative
del De
divisione 0 del
commento al De coelesti
hierarchia,
per
intendere
come
elezione
e condanna, beatitudine
e sofferenza eterna siano identificate
dalYEriugena
con la
vera conoscenza o con l'assoluta
ignoranza
della
verit
divina, senza
che vi sia
pi
alcuna allusione alle sofferenze
e
godimenti
sensibili. La
vera beatitudinedella vita eterna
dunque
la
visione
limpida
e
perfetta
della
divinit,
l'intima comunione col suo
essere. La natura riscattata e salvata dal sacrificiodi Cristo e dall'a-
scesa dell'anima
non reca
pi
alcun
segno
del
male, n
potrebbe
mai
ammettere neWeternit dell'infernole vittorie del male
e
di
Satana,
la
loro eterna ribellioneallinvincibilerichiamodcIlUno.18
GIUDIZI SUL PENSIERO DI SCOTO ERIUGENA
La metafisica di Scoto
Eriugena
di
stampo
strettamente
henologico:
lUno
(z Bene)
gode
di un'assoluta
priorit rispetto
all'essere. L'essere
la
prima
manifestazione dell'Un0. Nella
sua metafisica la creazione
concepita
come una manifestazionedell'unit
attraverso la
pluralit.
Co-
s
rispetto
a Dio si
pu
dire che la creazione si trova nella stessa relazio-
ne che hanno i numeri con l'assoluta Unit.
Le
accuse
pi frequenti
che si
muovono al
pensiero
di Scoto
Eriugena
sono
quelle
di razionalismo
e
di
panteismo.
In verit i suoi scritti
prestano
il fianco ad entrambele
accuse e la
storiografia
non
ha cessato di ascri-
vergliele
fino
agli
inizi del XXsecolo.
Probabilmentenel
giudicare
il
pensiero deIYErugena
molti storici si
sono fatti
eccessivamente influenzaredalla sentenza di condanna che fu
emanata contro il suo
pensiero quattro
secoli
dopo
la
sua morte. La
con-
danna
riguardava
il De divisione
nvaiurae
e fu
emessa
prima
da un
Concilio
provinciale
a Sens
(1215) e
poi
(1225) convalidatada
papa
Ono-
rio III. Nella lettera in cui si
approva
la condanna del libro di Scoto il
papa,
tra l'altro, scriveva:
Da
poco,
come ci ha indicato il nostro venerabilefratello
vescovo di
Parigi,
si trovato un libro intitolato De divisione
naturae,
tutto bruli-
cante di vermi di eretica
pravit,
per
cui fu
con
giusto giudizioripro-
vato dal nostro venerabilefratello arcivescovo di Sens e dai suoi suf-
13) C.
VASOLI,
Lafilosofiznzedioevale, Milano
1961,
p.
69.
296 Parte seconda
fraganei
raccolti nel sinodo
provinciale
(...).
A tutti e a ciascuno di V0i
nella virt dello
Spirito
Santo con
vigoroso precetto
comandiamoche
cerchiate con
sollecitudine
questo
libro e
dovunque
accadr che si
trovi esso o
parte
di
esso,
10 mandiate a noi, se ci
potr
essere
fatto
con sicurezza, senza
indugio, perch
se nc
faccia solenne
rogo;
altri-
menti vo stessi 10 brucerete
pubblicamente, ingiungendo espressa-
mente ciascuno di voi ai vostri sudditi che
chiunque
di essi abbia 0
possa
avere
nella totalit o
in
parte esemplari
di detto libro, non
tardi-
no a
consegnarvelim
Influenzati forse da
questa pesantissima
condanna i
primi
storici di
Scoto
Eriugena, particolarmente
Haureau e Tcnneman,
credettero di
poter
fare di lui il
primo
libero
pensatore
che si ribell al
dogmatismo
della Chiesa cattolica e
all'autoritarismo
tipici
dell'et
medioevale.
A
questa interpretazione
rimasero
legati
alcuni
grandi
storici della filo-
sofia medioevalecome De Wulf,
Brhier e De
Ruggero.
Giudizi nettamente
pi
favorevoli
all'Eriugena
hanno
espresso,
inve-
ce
in
tempi pi
recenti Dal
Pra,
Vasoli e
Vanni
Rovighi.
Secondo Dal Pra non
si
pu parlare
in Scoto
Eriugena
di razionali-
smo
in senso laicistico, ma,
d'altra
parte
non
v' dubbio che tutto
il
mondo
religioso
della tradizione,
ivi
compresa
la rivelazione,
viene
interpretato
da Scoto come
mediabiledalla ricerca e
quindi
come suscet-
tibiledi
approfondimentoml"
Secondo Vasoli,
Eriugena

soprattutto
un
filosofo di formazione e
mentalit
neoplatonica, preoccupato
profondamente
di dare al
proprio
pensiero
un
esito
teologale
ed ortodosso,
sempre
minacciato
per
dal
carattere schiettamente
platonico
delle sue
dottrine fondamentaliml
Secondo la Vanni
Rovighi
in Scoto si
pu parlare
di razi0nalismo
solo nel senso
di un
grande
ottimismo di Scoto nelle
capacit
della
ragione:
Scoto ritiene che la
ragione possa
arrivare a
spiegare
tutto
quel
che la Rivelazione
insegna.
Ma in
questo
senso
il "razionalismo" non ,
a
quest'epoca,
una
singolarit
di Scoto
Eriugena:
assai diffuso e
lo tro-
veremo
anche nel
primo
S. Anselmo.22
Di fatto
un certo razionalismo inevitabilenel lavoro di Scoto
perch
la sua
sintesi
speculativa
non una
sintesi
teologica
bens filosofica. La
sua una
metafisica
cristiana non una
teologia
cristiana.
1) I.
HEFELE-LECLERCQ,
Histoire dcs conciles
daprs
documents
originaux,
V,
p.
1443.
39)
M. DAL PRA,
0p.
cit,
p.
104.
11)
C. VASOLI,
op.
cit.,
p.
68.
22) S. VANNI ROVIGHI,
"Scoto
Eriugena",
in Grande
enciclopediafilosofica
IV, c. 647.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
dAosta,
GilbertoPorrettano 297
Anselmo d'Aosta
Per chi
percorre
il cammino della storia della
metafisica, e dalle vette
altissime toccate da
Origene, Gregorio
Nisseno e
Gregorio
Nazianzeno,
Giovanni Crisostomo e Basilio, Tertulliano, e
Agostino
si inoltra
negli
ultimi secoli dell'et Patristica e dei
primi
secoli del
periodo
scolastico
costituisce unenorme e
piacevolissima
sorpresa
trovarsi
improvvisa-
mente dinanzi a una nuova altissima
vetta,
che si innalza al di
sopra
del
vasto deserto che la
circonda. Questo gigante
che si
erge
al di
sopra
di
tutti
gli
altri Anselmo
dAopst_a.p<iMentre
un
gran
numero
di uomini
dotati si
occuparono,
in
parte." d'accordo,
in
parte
in disaccordo fra
loro,
di determinati
problemi
attuali, un unico
personaggio,
lontano dalle
dispute contingenti
del
momento,
fece un essenziale
passo
in avanti
portando
il
problema filosofico-teologico
su un
piano speculativo
con
la
disinvolta facilitdelle nature
geniali
23
Filosofo e
teologo
di
grandissimo
valore Anselmo d'Aosta ha
saputo
creare
praticamente
dal nulla la scienza
teologica, assegnandole
uno sta-
tuto
epistemologico
suo
proprio
e
procurandole
strumenti
adeguati per
compiere
il
suo lavoro: il
ragionamento,
la dimostrazione
razionale,
le
rationes necessariae. La
fides
trova finalmentenella ratio
speculativa
la
sua
fedele
ancella,
che le consente di vedere sotto una luce
nuova,
il lumen
rationis,
ci che da lei
gi
stato accolto mediante il lumen
superrzaturale
revelationis. I misteri ora non sono
pi semplicemente
letti e commentati
nei testi della sacra
pagina,
ma sono studiati e
compresi
in
se stessi. Cos
la
teologia, grazie
ad
Anselmo, trova un
posto
e un
compito
distinti da
quelli
della
esegesi
biblicae della filosofia. Si
pu
affermare che la disso-
ciazione cosciente tra filosofia
e
teologia

opera
di Anselmo d'Aosta
che
ne cerca
il
principio
nella distinzione tra
intelligere
e credere. Da
quel
momento in
poi
ciascuna delle due scienze avr
propri
metodi costrutti-
vi e
propri principi:
la filosofia Scolastica una
spiegazione
razionale
dell'ordine
universale, mentre la
teologia
tende a essere
sempre
pi
un'elaborazionesistematica della rivelazionecontenuta nella Sacra Scrit-
tura e nella Tradizione
apostolica?!
VITA
Nato ad Aosta nel
1033,
dopo
la morte della
madre,
molto
pia
e com-
prensiva,
a causa di
gravi
e
persistenti
contrasti col
padre,
duro
e
severo,
Anselmo, ormai
maggiorenne, fugge
da
casa. Per tre anni
percorre
la
IEDIN (ed.),
Storia della Chiesa
lV, cit,
p.
606.
23)
.
) M. DE
WULP,
Storia della
filosofia
medievale,
Firenze
1944,
Vol.
l,
p.
254.
24
298 Parte seconda
Francia settentrionale,
la
Borgogna
e
la Normandia. Finalmente a Bec,
nella
quiete
e nel silenziodellabbaziadove la fama del
teologo
Lanfran-
co,
suo connazionale,
l'ha
attirato, risente la
passione
dello studio e
pre-
sta ascolto alla
voce
di Dio che 10 chiama ad abbracciarela vita
religiosa.
Risponde prontamente
e,
a 27
anni,
indossa
Yabitogmonastico.
La sua Vi-
ta cos
esemplare
che
dopo appena
tre anni,
quando
Lanfrancodiviene
abate di S. Stefano
a Caen,
scelto
per
sostituirlo nella carica di
priore
dell'abbazia e di direttore della scuola. Tale incarico
comporta l'insegna-
mento e
quindi
Anselmo
compone
un testo scolastico,
il
Monologion
(1076),
i cui terni
vengono poi ripresi
nel
Proslogion
(1078).
Nel 1078
viene eletto abate. Dal 1080 al 1085
redige
un testo di dialettica
pura,
il
De
grammatica seguito
da tre studi sulla sacra Scrittura: il De
veritate,
il De libertatearbitrii e il De Casu
diabolz". Nel 1093 viene chiamato alla sede
episcopale
di
Canterbury,
dov'era
appena
deceduto Lanfranco. Inizia
cos la
sua
vita tribolata e movimentata di vescovo. Il suo zelo
per
la
Chiesa,
la
sua
libert
e autonomia dalle
ingerenze
del
potere
civile,
lo
porta
a contrastare la
politica
ecclesiastica invadente e
usurpatrice
dei
sovrani
d'Inghilterra.
Il
re, Guglielmo
il
Rosso,
prendendo
a
pretesto
il
rifiuto di Anselmo di accettare linvestitura e la insufficienza della
somma riscossa da Anselmo
per
aiutare la
spedizione
militare in Nor-
mandia, Cerca
di
destituirlo,
circuendo
gli
altri
vescovi,
la nobilt
inglese
e
lo stesso
pontefice romano,
ma non
vi riesce. Anselmo si
appella
a
Ro-
ma,
dove viene accolto
con
molto
riguardo
e onore
da Urbano
II,
che
ap-
prova
la sua condotta e tenta di indurre il
re a
riparare
alle
ingiustizie
commesse.
Dopo
dieci
giorni
di
soggiorno
romano Anselmo si reca
in
Calabria a
godersi
la
pace
del monastero di S.
Salvatore,
dove abate un
suo scolato. L termina il Cur Deus homo
(1098).
Su invito del
papa,
nel-
lottobre del
1098,
partecipa
attivamente,
nella veste di
teologo,
al Con-
cilio di
Bari,
dove
appare
come il
grande esponente
della
parte
cattolica
e
polemizza
con ardore,
prudenza
ed erudizione contro
agli
aderenti
allo scisma di Michele Cerulario. Da
quella esperienza
scaturisce
l'opu-
scolo De
processione SPTZJS
Sancti
(circa
il
Filioque).
Finalmente nel 1106
pu
tornare in
Inghilterra,
dove muore tre anni
dopo
(1109).
OPERE
Anselmo il massimo
teologo
del suo
secolo: colui che
segna
la
ripre-
sa
degli
studi
teologici dopo cinque
secoli di
prolungato
silenzio. A
pa-
ragone
di
Origene, Agostino
e Tommaso,
Anselmo non
ha scritto
molto,
ma
quasi
tutte le sue
opere
ebbero
grande
fama ed esercitarono un vasto
e
profondo
influsso sui
posteri.
Nell'elenco dei suoi
scritti,
oltre
quelli
gi
menzionati,
figurano: Epistula
de incarnatione
Verbi, nota anche sotto
Scoto
E-riugena,
Anselmo d
Aosta,
Gilberto[Jorrettano
299
il titolo De
mysterio Trinitatis;
De
conceptu virginali; Episiula
de
sacrificio
azymi; Epistula
de sacramentis
ecclesiae;
De concordia
praescientiae
et
praede-
stinationis et
gratiae
Dei
cum libero
arbitrio; Orationes sive meditationes
e il
ricco
Epistolario.
Ma a noi,
in
questa
sede,
Anselmo
non interessa
per
i suoi meriti teo-
logici,
che
sono indubbiamente
grandissimi,
bens
per
il
suo
apporto
al-
la storia della
metafisica,
fondamentale
soprattutto
per
la
sua
originalis-
sima dimostrazionedella esistenza di Dio. La sua
prova
basata sulla de-
finizionedi Dio
quale
essere di cui
non si
pu pensare
il
maggiore
(id
quo
maius
cogitare nequit)
ha lasciato
una
impronta
indelebilenella
storia della metafisica.
VERIT,
FEDE,
RAGIONE
Per intendere
gli
scritti di Anselmo
occorre contestualizzarli. Sono
opere
di
un monaco: non di un monaco dei
primi
secoli della
Chiesa,
che
fuggiva
da
un mondo culturalmente
e
politicamente
avverso alla
fede
cristiana,
bens di
uno del secolo
XI,
vale
a dire di
un'epoca
in cui il
mondo latino
era ormai
profondamente
cristianizzatosia culturalmente
sia
politicamente.
Tutto il mondo che lo circonda vive di fede
(...).
La cultura del secolo Xl tutta cristiana. Ci
sono
i
dialettici,
vero;
ma
gente
che fa delle
pure
esercitazioni
scolastiche, non
gente
che abbia
un
proprio pensiero,
e
poi

gente
che, sia
pure
a suo modo,
pretende
di
muoversi nell'ambitodel
dogma
cattolico.25
Profondamente
agostiniano,
come tutti i monaci del suo
tempo,
Anselmo attratto dal fascino della verit: la veritatis claritas. Nel
primo
capitolo
del
Proslogion
Anselmo dichiara: Desidero
comprendere
in
qualche
modo la tua
(di Dio) verit,
che il mio cuore
gi
crede e ama.
E alla fine del
capitolo
XIV:
Quanto

ampia quella
Verit nella
quale
si
trova tutto ci che vero e
fuori della
quale
non Vi che il nulla
e
il
falso!
Quanto

smisurata, essa che,
in un solo
sguardo,
vede tutto ci
che stato creato e da
chi,
per
chi
e in che modo stato creato dal nulla!
Che
purezza,
che
semplicit,
che
Certezza e
splendore
Vi
sono
qui!
Cer-
tamente
pi
di
quanto possa
venire
compreso
da
una creatura.
Alla verit il
monacoAnselmo cerca di
giungere
con tutti i mezzi di
cui l'uomo
dispone:
la
fede,
la
ragione,
la
preghiera.
Anzitutto la conoscenza della zierit assiduamente invocata. Ecco a
questo riguardo
due bellissime invocazioni del
Proslogion:
O luce
somma ed
inaccessibile,o Verit totale
e beata,
quanto
sei lontana da
me,
25) S. VANNI
ROVlGl-l,
S. Anselmo
e
la
filosofia
del secolo
Xl,
Milano
1949,
pp.
41-42.
300 Parte seconda
che ti sono cos vicino!
Quanto
sei remota
dal mio
sguardo,
mentre io
sono cos
presente
al tuo. Tu sei
dovunque
tutta
presente,
ma io non
ti
vedo. In te mi muovo ed in te
sono,
ma non
posso
accedere a te. Tu sei
dentro di me e
intorno a
me,
ma io non ti sento (infra me et circa me
es,
et non te sentio) (c. 16).
Sollevami da me verso di te. Purifica, risana,
rendi
acuto,
illumina
l'occhio della mia
mente,
affinch ti veda. L'anima mia
raccolga
le sue
forze e con tutta la sua
intelligenza
(toto intellectu), o
Signore,
di nuovo
tenda
verso
di Te
(c. 18).
La verit accolta
gioiosamente
con
fede
come
dono della divinabon-
t. Il credo che
gi
d la certezza della
verit,
in Anselmo il
presuppo-
sto di
ogni
ricerca ulteriore
operata
dalla
ragione.
La
ragione
non viene
prima
della fede ma
dopo: prima
c' il credo
poi Yintelligo.
Le affermazio-
ni anselmiane sul
primato
della fede sono assai
frequenti.
Le troviamo
gi
nel
Proslogion:
Non
tento, Signore,
di
penetrare
la tua
profondit,
perch
in
nessun
modo
paragone
ad essa
il mio
intelletto, ma
desidero
comprendere
in
qualche
modo la tua verit che il mio cuore
crede ed
ama.
Infatti non cerco
di
comprendere
per
credere, ma credo
per
com-
prendere (neque
enim
quaero
intelligere
ut credam,
sed credo ui
intelligam).
Giacch credo anche
questo:
che
se non credere, non
comprender
(c. 1).
Ma i testi
pi ampi
ed
espliciti
sono
quelli
delle introduzioni al
De incarnatione Verbi e al Cur Deus homo. L'errore di
Roscellino,
contro il
quale
diretto il De incarnatione Verbi, nasce
- dice S. Anselmo - dal fatto
che
egli pretende
di volere arrivare a tutto con
la
ragione:
Nessun cri-
stiano deve
disputare per
vedere come non sia vero ci che la Chiesa cat-
tolica crede col cuore e
confessa con
le
parole; ma,
sempre
tenendo ferma
quella
fede,
amandola e
vivendo in modo conforme ad
essa,
deve
cerca-
re, pi
umilmente che
pu,
di
spiegare
come essa
sia vera. Se riesce a
capire ringraz
il
Signore;
se non
riesce non immittat Cornua
ad ventilandunz
ma
pieghi
il
capo
a venerare.
Bisogna dunque purificareprima
il cuore
con
la
fede,
bisogna
nutrirsi della verit rivelata
per poter intelligere.
Ma
non da biasimarechi,
fermo nella
fede,
vuole
indagare
le
ragioni
della
fede;
anzi la stessa Scrittura ci invita a cercare
di
capire
il dato di fede
quando
ci dice: N{si
credideritis, non
intelligetimnl
Questa intelligenza
del
dato di fede
qualche
cosa
di intermedio tra la
pura
fede
e
la visione
beatifca. Nel corso
del Cur Deus homo,
poi, questo
concetto della neces-
sit di
porre
la fede
a
fondamentodella ricerca torna
frequentemente.
E
poich
la fede
procura
certezze ma non concede nessuna
visione
della
verit,
anzich
placare
la fame di verit che tormenta la
mente,
la
fede lacuisceulteriormente. Di
qui Tappassionatapreghiera
di Anselmo:
25) Is
7,
9.
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
A0sta, GilbertoPorrettano 30]
Ti
supplico Signore:
affamato ho cominciato a cercarti,
che io non cessi
digiuno
di te. Mi
sono avvicinato
famelico,
fa che
non
mi allontani senza
avere
mangiato.
Sono venuto
povero
davanti al ricco, misero davanti al
misericordioso: che
non ritorni a
mani vuote e
disprezzato?
Cos la verit rivelata e creduta diventa
l'oggetto dellappassionata
esplorazione
della
ragione. Comprendere
la verit
compito proprio
e
specifico
della
ragione.
Questa
la facolt di cui Dio ha dotato l'uomo
perch
possa
accedere alla verit. Che tale sia il
suo
compito
Anselmo lo
ripete pi
volte nei suoi scritti. Cos nel
Monologiunz
dice
che, su
esplicita
richiesta dei suoi
monaci,
si
propone
di
non dimostrare assolutamente
nulla
con l'autorit della
Scrittura, ma che,
qualunque
cosa si asserisca
al termine di
ogni singola
ricerca,
sia dimostrata
essere
tale dalla
neces-
sit della
ragione
che
costringe
all'assenso
e
dalla chiara manifestazione
della
verit, e ci con stile
piano, argomenti
alla
portata
di tutti
e con
semplice
cliscussione.28 Pi
tardi,
neIYI-pistula
de {ncamatione
Verbi,
par-
lando del
Monologion
e
del
Proslogion
dice che furono scritti
per poter
dimostrare con
argomenti
necessari, senza ricorrere allautoritdelle
Scritture,
ci che teniamo
per
fede sulla natura di Dio e le divine Perso-
ne,
all'infuori della Incarnazione.
Da
quanto
siamo andati
esponendo
risulta che Anselmo ha idee mol-
to chiare sia sulla distinzione tra fede
e
ragione
sia sul loro
rapporto:
sono due beni
(lumina) con cui la mente umana
pu cogliere
la verit. Il
primo
lumen un dono
puramente gratuito
di
Dio,
il secondo una dote
naturale dell'uomo. Anselmo
sa
che il
possesso
della verit mediante la
fede
sicuro,
molto
pi
sicuro di
quello
della
ragione;
e tuttavia
sa
anche che il
possesso
della verit mediante la
ragione

pi
chiaro, e
per
questo,
come
egli
stesso dice,
a mezza via tra la fede e la visione beati-
fica. Da intellettuale
cristiano,
seguendo Agostino,
Anselmo si dedica a
rendere
intelligibile
alla
ragione
e mediante la
ragione,
ci che
questa
ha
gi
accolto
per
fede.
Come
Agostino,
il
quale
non
ha scritto soltanto
opere teologiche
ma
anche
dialoghi
e
soliloqui
filosofici,
anche Anselmo ha
una
produzione
specificamente
filosofica:il
Monologion,
che un
dialogo,
e il
Proslogion,
che e un
soliloquio.
Con buona
pace
di K. Barth
e
di tanti suoi
ripetitori,
questi
due scritti sono
di natura filosofica: non solo il
Monologion,
ma
anche il
PTDSOgOH.
Il secondo infatti una
ripresa,
una continuazione, e
una
pi rigorosa
elaborazionedel
primo.
Sia il
Monologion
sia il
Proslogion
sono
espressioni cospicue
della metafisica cristiana.
27) Prosl. 1.
23)
Prologus.
302 Parte seconda
Per
quanto
concerne la rivendicazionedel carattere
teologico
delle
opere
di
Anselmo,
del
Proslogion
in
particolare,
fatta da
Barth, ci sono
alcuni
punti
che
bisogna
tenere
presenti:
1. Ai
tempi
di Anselmo i confini tra filosofiae
teologia
non erano an-
cora stati tracciati con
quella
chiarezza
con cui li definir S.
Tommaso, e
cos,
in
generale, quando
si faceva filosofiala si faceva all'interno della
teologia.
2. Tuttaviaanche ai
tempi
di
Anselmo, come
gi
ai
tempi
dei
Padri,
si
distingueva
ci che la
ragione pu raggiungere
col
proprio
lume da ci
che
pu
conoscere col lume della
rivelazione.
3. Tutti davano molta
importanza
alla ricerca
e alle
acquisizioni
della
verit mediante la
ragione:
i
pensatori
cristiani avevano costruito
impo-
nenti sistemi di metafisica cristiana sia in ambiti
puramente
naturali ed
estranei alla
rivelazione, sia all'interno della
teologia.
4. Ci che
non solo Barth
ma tutti i
protestanti
e molti storici di fede
laica
negano
la
possibilit
di
una
filosofiacristiana e
di
una
metafisica
cristiana. Ci
spiega perch
Barth contesti il carattere filosofico del
Monologion
e
del
Proslogion.
Ma
questa
una
negazionegratuita
che
con-
traddice, come s'
visto,
le intenzioni dello stesso Anselmo.
Ci che si
pu
concedere a
Barth che
qui
ci troviamo di fronte a due
brevissimi trattati di
teologia fondamentale.
Ma la
teologia
fondamentale
coincide
appunto
sostanzialmente
con
la
teologiufilosofica.
La struttura e
i temi del
Monologion
e del
Proslogion
sono
praticamen-
te
gli
stessi. Entrambi sono divisi in tre
parti:
la
prima riguarda
l'esisten-
za di
Dio,
la seconda la natura divina e
i suoi
attributi,e la terza il miste-
ro della Trinit. Ma l'estensione del
Monologion supera
di molto
quella
del
Proslogion,
e
questo
dovuto al fatto che mentre nel
Proslogion
alla
Trinit si dedica
un solo
capitolo
(23),
nel
Monologion
a
questo
mistero si
dedica
quasi
met
dell'opera
(cc. 29-65).
L'inserimento del mistero della
Trinitin un trattato che vuole essere esclusivamentefilosoficonon deve
sorprendere,
visto che della Trinit
parlavano
anche i
Neoplatonici
e
che
gi
alcuni Padri della Chiesa si erano serviti
degli argomenti
e
del lin-
guaggio
di
questi
filosofi
per esporre
il mistero trinitario.
Nei Contenuti e
nella dottrina il
Proslogion riprende quindi
il Monolo-
gion.
Ci che lo
distingue
una
pi
accesa ansia del
comprendere,
del
capire pi
che del
dimostrare, e la forte immedesimazione
personale
nella materia studiata. L'obiettivodi Anselmo nel secondo trattato non
pi quello
di
provare
Dio bens di trovarlo. Il motto che
guida
Anselmo in
quest'opera

lflagostiniano: fecisti
n05 Domine ad
te,
et
inquietum
est cor
nostrana donec
requiescat
in te (ci
hai fatti
per
Te,
Signore,
e il nostro cuore

inquieto
finch
non
riposa
in
Te).
E non un caso
che siano innume-
Santo
Eriugena,
Anselmo d
Aosta,
GilbertoPorrettano 303
revoli i brani che
riecheggiano
direttamente le
Confessioni.
Mentre nel
Monologion
il
linguaggio
deve
esporre
la necessit razionaledei contenu-
ti nel modo
pi
chiaro e conciso: breviter et
patenter,
come si dice nel
Prologo,
nel
Proslogion
il
linguaggio
si
propone
di
esprimere
l'inesauri-
bilitdei
significati e, quindi,
la
insuperabileincompiutezza
della con-
templazione.
Perci
qui
non tanto l'estensione,
quanto
la
qualit
del lin-
guaggio
diventa
una
questione particolarmente
rilevante. In
particolare
questo
fatto
spiega
un
apparente paradosso:
il contrasto tra l'assoluta
Certezza dell'umano
argumentum
e
la continua confessione dei
limiti,
entro i
quali
si muove il
pensiero.
Questa
in realt la cifra
pi
autentica
dell'opera:
una
fiducia
pi completa
nell'assolutezza
degli argomenti,
accompagnata
dalla convinzioneche la Verit inesauribile?
UESISTENZA DI DIO
Come abbiamo
gi OSSEIVBD,
l'esistenza di Dio
oggetto
di trattazio-
ne
sia del
Monologiorz
sia del
Proslogioi.
Nel
Monologion
Anselmo esibi-
sce alcuni
argomenti
tradizionali,
gi presenti
in
Agostino
e
in
parte
anche in Platone
e Aristotele,
nel
Proslogion
invece
sviluppa
un
argo-
mento del tutto
nuovo,
che, a suo
giudizio
ha
una
forza
probativa
molto
pi persuasiva
di tutti i
precedenti argomenti.
Le
prove
del
Monologion
Nel
Monologion
Anselmo
presenta
tre
vie,
costruite
rispettivamente
sulla
bont,
sulla
grandezza (perfezione)
e
sull'essere. In tutte e tre le vie
si
parte
dalla constatazionedi
una
presenza
limitata,
parziale
e
graduale
di
questi
tre
aspetti
della realt: nelle
cose c'
pi
o meno bont,
pi
o
meno
grandezza (perfezione,
valore) e c'
pi
o meno essere. Ma i
gradi
di
perfezione esigono sempre
un massimo. Pertanto i
gradi
di
bont,
di
grandezza
e di essere
comportano
l'esistenza di un sommo bene,
di
un
sommo
grande
e
di
un sommo essere.
Anselmo d
per
scontata,
nelle
sue
prove,
la verit del fatto che esi-
stono realmente
gradi
di
bont,
grandezza, essere,
e ritiene
innegabile
il
principio
che i
gradi esigono
un massimo,
altrimenti si deve
regredire
all'infinito: il che conduce allassurdo. Poich
dunque
non si
pu nega-
re
che alcune nature sono
migliori
di
altre,
la
ragione
ci
persuade
che
una
supera
le
altre,
s da
non averne
alcuna
superiore
a s. Se infatti
una
tale distinzione di
gradi
fosse
infinita, e non ci fosse nessun
grado supe-
riore del
quale
non si
potesse assegnarne
uno
pi
alto,
la
ragione
sareb-
29) I.
SCIUTO, Introduzionea ANSELMO,
Proslogion,
Milano
1996,
p.
1.
304 Parte seconda
be condotta ad ammettere che la moltitudine di
quelle
nature non aves-
se
fine. E
bisogna
essere stolti
per
non
giudicare
assurda
questa
conclu-
sione
(c. 4).
Applicata
all'essere
Yargomentazione
anselmiana
assume la forma se-
guente:
Tutto ci che
, 0 esiste in virt di
qualche
cosa o in virt di nulla.
Ma nulla esiste in virt di nulla. Non si
pu
infatti
neppure pensare
che
qualche
cosa esista se non in virt di
qualche
cosa.
Dunque
tutto
ci che
,
esiste in virt di
qualche
cosa (...).
Ma tutto ci che esiste in
virt di altro inferiore
a ci
per
cui esistono tutte le altre
cose e che,
solo,
esiste
per
s. Perci
quello
che esiste
per
se il
pi grande
di
tutti (solum
maxime et summe omnium est). Ma ci che
massimo, e in
virt del
quale
esiste tutto ci che buono e
grande e,
in
genere,
tutto
ci che
qualcosa,
deve essere sommamente buono
e sommamente
grande
e
al di
sopra
di tutto ci che esiste. Perci vi
qualcosa
che, si
dica essenza o sostanza o natura,
il
pi
buono,
il
pi grande
e
supe-
riore a tutte le cose
che
sono (c. 3).
Le
prove
anselmiane basate sui
gradi
di
bont,
grandezza
ed
essere
hanno
una
grande
affinit con la
quarta
Via" di S.
Tommaso,
quella
basata sui
gradi
di
perfezione.
Ma, come
ha osservato Vanni
Rovighi,
nell'analisi anselmiana
non
risulta sufficientemente chiarito il
rapporto
delle
bont,
delle
grandezze
e delle entit limitate con
il
principio
primo,
il massimo
grado
di
ogni
ordine.
Non si
capisce
intatti se
per
Anselmo il
rapporto appartenga
all'ordi-
ne
della causalit efficiente
(come
in S.
Tommaso)
oppure
all'ordine
della causalit formale (com' in
Platone).
Anche S. Tommaso osserva
che c' una
gerarchia
di valori nelle
cose e
che il
pi
e
il
meno si dicono
di
cose
diverse in
quanto queste
si avvicinano
a un massimo, ma non
dice
che tutte le
cose
hanno
una
medesima
perfezione.
Le
perfezioni
sono
molteplici,
come le cose alle
quali
ineriscono, ma il
pi
e
il
meno
di
perfe-
zione,
lesser le
cose
defettibilidalla loro
perfezione,
attesta la
contingen-
za
della
perfezione
stessa -
come
il cominciare e
il venir meno
delle
cose
attesta la
contingenza
del loro
essere

e
quindi
rimanda
a una
Perfezione
e a un Essere necessari e
trascendenti>>fi
La
prova
del
Proslogion
Nella storia della metafisica il
nome
di Anselmo
legato soprattutto
alla
prova
dell'esistenza di Dio che
egli espone
nel
Proslogion.
Come sia
giunto
alla
scoperta
di
questa
dimostrazionelo racconta lo stesso Ansel-
mo nel Proemio di
quest'opera.
3) S. VANNI
ROVIGHI,
S. Aviselnzo e
lafilosofia...cit.,
p.
75.
Scoto
Eriugena,
Anselmo dA0sta,
GilbertoPorrettano 305
Riesaminando il
Monologon
e
constatando che
quellopuscolo
era
costruito con
la concatenazionedi molti
argomenti,
Anselmo si era
chie-
sto se
per
caso
fosse
possibile
trovare un
argomento
unico
(unum
argu-
mentunz),
tale che
per
essere
dimostrato non avesse
bisogno
di
altro, ma
solo di se stesso; e
che fosse da solo sufficiente a
stabilireche Dio esiste
veramente,
che il sommo
bene di
nessun
altro
bisognoso
e
di cui tutte
le cose
hanno
bisognoper
essere e
per
ben-essere, e tutto ci che credia-
mo
della divinasostanza.
Dopo lunga, paziente
e
laboriosa ricerca
all'improvviso gli
baleno
alla mente un
argomento
che
egli giudic
subito fortissimo,
inoppugna-
bile,
davanti al
quale
anche late0 avrebbe dovuto inchinarsi.
il famo-
sissimo
argomento,
detto anche
argomento
anselmiano
e, dopo
Kant,
argo-
mento
ontologico.
Ecco
integralmente
il testo di
questa
celebre
argomentazione:
Noi tutti siamo
persuasi
che Tusia
qualcosa
di cui non si
pu pensa-
re
nulla di
pi grande (aliquid quo
nihil maius
cogitari nequit).
O forse
non vi una
tale natura
perch
disse
linsipiente
in cuor suo: Dio non
esiste? Ma certamente
quel
medesimo
insipiente, quando
ascolta ci
che dico,
cio
qualcosa
di cui non si
pu pensare
nulla di
pi grande
comprende
ci che ode, e ci che
comprende
nel suo intelletto,
anche
se non
intende che
quella
cosa
esista. Altro infatti che una cosa sia
nellintelletto, e
altro intendere che
quella
cosa esista. Quando
il
pit-
tore,
infatti,
prima pensa
a ci che sta
per
fare,
ha certamente nellin-
telletto ci che
ancora non
ha
fatto, ma non
intende ancora
che
questo
esista.
Quando
invece lo ha
gi dipinto,
non
solo ha nellintelletto ci
che ha
gi
fatto, ma
intende anche che
esso
esista. Anche
Tinsipiente
dunque
deve convenire che,
almeno nellintelletto,
vi sia
qualcosa
di
cui non
si
pu pensare
nulla di
pi grande, perch quando
sente
que-
sta
espressione
la intende, e tutto ci che si intende nellintelletto.
Ma, certamente,
ci di cui non
si
pu pensare
qualcosa
di
pi grande
non
pu
essere solo nellintelletto. Se infatti esiste solo nellintelletto,
lo si
pu pensare
esistente anche nella
realt,
il che
maggiore.
Se
dunque
ci di cui non si
pu pensare
il
maggiore
nel solo intelletto,
quello
stesso di cui non
si
pu pensare
il
maggiore
ci di cui si
pu
pensare
il
maggiore.
Ma evidentemente
questo
non
pu
essere.
Dunque
ci di cui non si
pu pensare
il
maggiore
esiste, senza
dub-
bio,
sia nellintelletto sia nella realt.
Tuttoci e talmente
vero,
che non
si
pu neppure pensare
che Dio non
esista. Infatti si
pu pensare
che vi sia
qualcosa
di cui non
si
pu pen-
sare
che non esista; e
questo

maggiore
di ci che si
pu pensare non
esistente.
Quindi, se ci di cui non si
pu pensare
il
maggiore pu
esse-
re
pensato
non esistente,
quello
stesso di cui non
si
pu pensare
il
mag-
giore
non ci di cui non si
pu pensare
il
maggiore,
ma
questo
con-
traddittorio.
Dunque
ci di cui non
si
pu pensare
il
maggiore
esiste
cos veramente che
non
si
pu neppure pensare
non esistente (cc. 2-3).
306 Parte seconda
La validit di
questo argomento
venne immediatamente
contestata
dal
monaco Gaunilone.Da allora la
polemica
intorno alla
prova
ansel-
miana
non ha
pi
conosciuto interruzione. Nella formulazione
origina-
ria di Anselmo
oppure
nelle
nuove formulazioni di
Cartesio,
Spinoza
e
Leibniz, molti filosofi l'hanno
giudicata
valida. Mentre contro di
essa si
sono
pronunciati
Tommaso
d'Aquino
e Kant.
L'obiezionefondamentale rimane
sempre quella
sollevata da Gauni-
lone:
o
id
quo
maius
cogitari nequit
una
pura
definizione
nominale, e
allora
non si
pu
trarre nessuna conclusione circa l'esistenza del defini-
to,
oppure

una definizione
reale, e
allora l'esistenza di Dio
gi
inclu-
sa nella definizione
stessa. Infatti
se l'id
quo
maius
cogitari HCQH
si
pensa
subito
come un
oggetto
reale,
allora
non c'
nessun
passaggio,
nessuna
argomentazione
dell'idea dalla realt
perch
la realt dell'id
quo
maius
cogitari nequit
colta
subito,
ne|l'idea stessa. E allora
non ci sarebbe
nes-
suna discussione sull'esistenza di Dio. Gaunilone
pensa
che
l'oggettivit
di
un'idea,
anche la
pura possibilit,
non si
pu giustificare
se non
indi-
cando la realt da cui si tratta
quella
idea, e che ci manca
quella
espe-
rienza della realt di Dio
che, sola,
potrebbe giustificare l'oggettivit
dell'idea di Lui:
Neque
enim aut rem
ipsam (quae
Deus
est) novi aut ex
alia
possum
conicere simili
(Infatti non conosco n la
cosa stessa
(che Dio)
n
posso concepirla
da un'altra
simile). Posso
avere l'idea di
un uomo
che
non ho mai
visto,
perch
lo
penso
come uomo ed ho visto altri
uo-
mini; ma non
posso
avere l'idea di Dio
prima
di
sapere
che Dio esiste.
E
proprio perch
non
ho l'idea di
Dio,
posso
anche
pensarlo
non esisten-
te; se, inizialmente, avessi
un vero concetto di
Dio, vedrei, come Vuole
S.
Anselmo,
che Dio
non
pu
non esistere:
ma non ho inizialmente
un
tale concetto di Dio.
Nella
sua
"Risposta"
Anselmo esamina
accuratamentele osservazio-
ni di
Gaunilone, ma ribadisce la
sua tesi secondo cui
se
la definizione
id
quo
maius
cogitari ncquit
intesa correttamente essa non si riferisce
soltanto
a una esistenza concettuale
ma anche
a una esistenza reale.
E concluderiaffermandoil valore dellmnum
argumentunz:
Ritengo
di
aver mostrato
che,
nel
precedente opuscolo,
ho
provato,
e con
udargomentazione
non debole, ma sufficientementenecessaria
che ci di cui non si
pu
pensare
il
maggiore
esiste nella stessa
realt,
e
che
Pargomentazionenon indebolita da alcuna salda obiezione.
Il
significato
di
questo
enunciato infatti contiene in s tanta forza
che,
per
il fatto stesso che ci che viene detto si
comprende
o si
pensa,
necessariamente si
prova
che
esso esiste nella realt
vera e che
esso
stesso tutto ci che della divina sostanza si deve credere. Della divi-
na sostanza infatti noi crediamo tutto ci che si
pu
pensare
in modo
assoluto che l'essere
meglio
del
non essere. Per
esempio

meglio
Scoto E
riugena,
Anselmo
d'Aosta, GilbertoPorrettano
307
essere eterno che
non eterno,
buono
piuttosto
che
non buono, anzi
meglio
essere la bont stessa che
non esserlo. Ma nulla di tutto
questo
pu
non essere ci di cui non si
pu pensare qualcosa
di
maggiore.
E
dunque
necessario che tutto ci che si deve credere della divina
essenza sia
qu0
maius
cogifari
non
p0test".
La
grande
novit
dellfizrggonzento
anselmiano
non sta nellenunciatodi
partenza:
id
quo
maius
c0gitarz' nequit.
Questa
espressione
in forme molto
simili, se non
proprio
identiche, si trova
gi
in
Agostino
e in
Boezio, e
queste
sono formule che Anselmo
non
poteva
certo
ignorare. Agostino
dice che il
pensiero, quando
Cerca di
cogliere
la natura
divina,
pensa
qualcosa
di cui
non Vi sia nulla di
migliore
e di
pi
sublime
(aliquid,
quo
nihil sit melius
atque
sublimius).3l Altrove lo stesso
Agostino
dice che
se
vogliamo
pensare
o credere
a Dio in modo
non
empio,
dobbiamo
com-
prendere
o credere che Dio il
sommo bene, di cui
non si
pu
dare n
pensare
nulla di
meglio
(summum bonum
omnino, et
quo
esse aut
cogitari
melius nihil
p0ssit).32
Anche Boezio afferma che Dio ci di cui nulla
migliore (id
quo
HZEHHS nihil
est) e che
non si
pu
pensare
nulla
miglio-
re di Dio
(nihil
deo melius
excotgitari queat).33
La
importante
novit dellfimutn
argumentitm
consiste invece nell'as-
sumere lenunciato id
quo
maius
cogitari nequit
come base di
una dimo-
strazionedell'esistenza di Dio
e nel far leva esclusivamentesul
significa-
to di tale enunciato: nel mostrare che tale enunciato vero soltanto
se
chi cos
definito, Dio,
realmente esistente.
Questo
esattamente il
punto
chiave di tutto
Pargomentare anselmiano, come si
legge
anche
nella
replica
conclusiva
a Caunilone: Il
significato
di
questo
enunciato
contienein s tanta forza
che,
per
il fatto stesso che ci che viene detto si
comprende
o si
pensa,
necessariamente si
prova
che
esso esiste nella
realt
vera e
che
esso stesso tutto ci che della divina sostanza si deve
credere.
Perci
pi
che
nell'argomentare
in
quanto
tale il
peso dell'argomen-
tazione risiede nel
capire
il
significato
dellenunciatoiniziale. E in effetti
ci che Anselmo fa nella
sua dimostrazione soltanto
questo:
mostrare
che
quellenunciato
non si
pu
riferire soltanto
a una esistenza mentale
ma reale. Chi
capisce
veramente il
senso dell'z'd
quo
maius
cogitari nequit
non
pu pi
sostenere che Dio non esiste. Chi
capisce
che il
non
poter
essere
pensato
non esistente
ontologicamente superiore
(maius est)
al
31) AGOSTINO, De ductrina christiana
1,
7.
32) ID.,
De moribus Manicheorunz
2, 11,
14.
33) BOEZIO,
De consulaione
philosoplziae3,
pr.
lO.
308 Parte seconda
poter
essere
pensato
non esistente,
deve
per
forza riconoscere che Dio
esiste. Pertanto
l'argomento
anselmiano non una
deduzione dell'esi-
stenza di Dio dalla definizione della sua
essenza,
bens una
riflessione
sul
significato
dellenunciato: Dio colui di cui non
si
pu pensare
il
maggiore.
NATURAE ATTRIBUTID] D10
Dopo
avere
dimostrato che Dio
esiste,
nel
Monologion
e
nel
Proslogion,
Anselmo
passa
a trattare anche della natura e
degli
attributi di Dio.
In
questi
scritti il suo
procedimento

tipicamente neoplatonico.
I neo-
platonici,
come
sappiamo,
costruivano tutto il loro edificio metafisico su
una
prima
verit,
1'Uno. LUn0 il loro
postulato
di base da cui tutto il
resto viene
logicamente
e
rigorosamente
dedotto. Dellesistenza del-
1'Uno non si danno
prove
ma
soltanto conferme.
Cos Anselmo
pone
Dio nella sua assoluta autoevidenza: unaut0evi-
denza che
pu
essere
confermata anche dalla
ragione
esaminando
l'id
quo
maius
cogitari nequit.
RiconosciutoDio nella
sua
assoluta autoevi-
denza -
come ci di cui non
si
pu pensare
nulla di
pi grande
- An-
selmo, come
i
neoplatonici,procede
alla deduzione di tutto il resto della
sua costruzione metafisica,
intorno a Dio,
alla Trinite all'animaumana.
Per stabilire
quali
sono
gli
attributi che si devono riconoscere alla
natura divina,
sia nel
Monologion
sia nel
Proslogion,
Anselmo ricorre al
criterio che dice:
quidquid
est melius esse
quam
non esse
(qualsiasi
cosa

meglio
che sia
piuttosto
che
non sia).
Dopo
avere eliminato
gli
attributi
relativi che
non
appartengono
necessariamente alla natura divina,
An-
selmo trae la
seguente
conclusione:
Siccome
empio pensare
che la sostanza della natura
suprema
sia
qualcosa
la cui
negazione
sia in
qualche
modo
migliore,
cos neces-
sario che le si attribuiscano tutti
quei predicat
la cui affermazione
del tutto
migliore
della
negazione.
Essa la sola
infatti,
di cui assolu-
tamente nulla
migliore,
ed
migliore
di tutte le cose
che
non sono
ci che
essa . Non
dunque
un
corpo,
o
qualcosa
che i sensi
corporei
percepiscono, perch
di tutti
questi
vi
qualcosa
di
migliore,
che essi
non sono. Infatti,
la mente razionale,
della
quale
con nessun senso
corporeo
si
percepisce
l'essenza,
la
qualit
e la
grandezza, quanto
minore
sarebbe, se fosse una cosa
che
soggiace
ai sensi
corporei,
tanto

maggiore
di tutte le cose
che vi
soggiacciono. Bisogna
tacere del
tutto infatti che la
somma essenza
sia una
di
quelle
cose cui
superio-
re ci che esse non
sono;
invece si deve dire
assolutamente, come
insegna
la
ragione,
che essa tutte le cose
rispetto
alle
quali
inferio-
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano
309
re ci che
esse non sono. Perci necessario che sia
vivente,
sapiente,
potente
e
onnipotente, Vera, giusta,
beata ed eterna e tutto ci
che,
similmente assolutamente
migliore
della
propria negazione (quid-
quid
absolute melius est
quam
non
ipsurr1).34
Fissato cos il criterio
generale,
in entrambi i trattati Anselmo
passa
in
rassegna
alcuni
attributi,
mostrando di volta in volta che
meglio
l'in-
corporeit
della
corporeit,
la vita della
non vita,
la bont della non
bont,
Yimmensit della
limitatezza,
l'unit della divisione
ecc.
Egli pro-
cede
sempre per
antitesi,
in modo che il risultato sia ottenuto come
supe-
ramento dell'iniziale
opposizione.
Cos,
in successione si dice che la
natura divina
sensibile,
bench
non sia
corporea;
che
onnipotente,
bench
non
possa
fare molte
cose,
come
per esempio
mentire o contrad-
dirsi;
che
misericordiosa,
bench
non
soggetta
a
passioni;
che
perdona,
ma
giusta;
che 1a sola natura illimitata ed
eterna,
bench anche altre
nature
spirituali possano godere
di
queste propriet.
Passati in
rassegna
i
principali
attributi di
Dio,
Anselmo trae la conclusioneche Dio la
pie-
nezza dell'essere:
Tu solo
dunque,
o
Signore,
sei ci che sei
(es
quod
es) e tu solo sei
colui che sei
(tu es
qui
es). Infatti ci che e altro nel tutto e altro nele
parti,
e nel
quale qualcosa

mutevole, non
completamente
ci che
. E ci che iniziatodal
non essere e
pu
essere
pensato
non esisten-
te, e se un altro non lo sostiene ritorna nel
non
essere,
che ha
un
pas-
sato non
pi
esistente e un futuro che
non
ancora, questo
non esiste
in
senso
proprio
e assoluto. Tu invece sei ci che
sci,
perch qualsiasi
cosa tu sia in
qualche
momento o in
qualche modo,
lo sei tutto e sem-
pre.
E tu sei colui che sei
propriamente
e
semplicemente, perch
non
hai
un essere
passato
o futuro, ma un essere soltanto
presente,
n
puoi
essere
pensato
talvolta non esistente. E tu sei
vita, luce,
sapien-
za, beatitudine, eternit e molti altri beni di
questo genere,
e tuttavia
non sei che
un unico e sommo bene, tu che sei totalmente autosuffi-
ciente,
di nulla
bisognoso,
di cui tutte le
cose hanno
bisogno
per
esi-
stere e
per
esistere bene.35
LA
TRASCENDENZADIVINA
Dimostrata l'esistenza di Dio e illustrata la
sua sublime natura An-
selmo ritorna sui
propri passi
per
controllare ci che stato fatto e ve-
rificare i risultati
conseguiti.
E subito si avvede dellabissale distanza
che
separa
la realt di Dio dai nostri concetti
e dalle nostre
parole:
34) Monol. c. 15.
35) Prosl. c. 22.
310 Parte seconda
Egli sfugge
sia ai concetti della nostra mente sia alla
capacit espressiva
del nostro
linguaggio.
Dio rimane assolutamenteinconoscibilee ineffabi-
le. La certezza che Dio sommamente
sapiente, intelligente, potente,
misericordioso,
giusto,
santo,
che
immateriale, infinito, eterno ecc. non
ci deve dare l'illusioneche noi
sappiamo
tutto di Dio. Tuttaltro: noi
sap-
piamo pochissimo, quasi
nulla.
Sappiamo
che Dio
maggiore
di
quanto
si
possa pensare:
es
quiddam
maius
quam cogitari possit.
Sulla inconoscibi-
lit di Dio Anselmo
non meno
categorico
di
Plotino,
Agostino
e
Dionigi
l'Areopagita. Leggiamo
insieme alcuni brani del
Proslogion
che
sono tra i
pi
belli che siano mai stati scritti sullnconoscibilitdell'essenza di Dio:
La mia anima si
pretende
per
vedere di
pi,
ma
oltre ci che ha visto
non Vede nient'altro se non tenebre;
anzi non vede
tenebre,
che in te
non esistono, ma vede che
non
pu
Vedere di
pi
a causa delle
pro-
prie
tenebre. Perch
questo, Signore, perch questo?
L'occhio della
mia anima ottenebrato dalla sua debolezza o
abbagliato
dal tuo
splendore?
Ma certamente sia ottenebrato in
s,
sia
abbagliata
da te.
E certamente oscurato dalla sua limitatezza e
sopraffatto
dalla tua
immensit. Veramente si contrae nella sua
angustia
e viene Vinto dal-
la tua
grandezza.
Quanto grande,
infatti,

quella
luce
per
la
quale
brilla
ogni
Verit che
risplende
alla mente razionale!
Quanto ampia

quella
verit nella
quale
si trova tutto ci che e vero e fuori della
quale
non vi che il
nulla
e
il falso!
Quanto

srnisurata, essa che,
in un solo
sguardo,
Vede
tutto ci che stato creato e
da
chi,
per
chi
e
in
quale
modo stato
creato dal nulla! Che
purezza,
che
semplicit,
che certezza e
splendo-
re vi sono
qui!
Certamente,
pi
di
quanto possa
venire
compreso
da
una creatura.
Dunque, Signore,
non solo sei ci di cui non si
pu pensare
il
maggio-
re,
ma sei anche
qualcosa
di
maggiore
di
quanto
si
possa pensare.
Poich, infatti,
si
pu pensare
che vi sia
qualcosa
di
questo genere,
se
tu non sei
questa
realt stessa e
possibilepensare qualcosa maggiore
di te. Ma
questo
non
possibile.
Veramente
questa,
o
Signore,
la luce inaccessibilenella
quale
tu
abiti. Veramenteinfatti non vi realt che
possa penetrare questa
luce
per
vederti
pienamente
in essa. Per
questo
veramente io non la
vedo,
perch
e
troppo
forte
per
me;
e tuttavia tutto ci che
Vedo,
io lo vedo
per
quella
luce, come
il debole occhio vede ci che vede
per quella
luce del
sole,
che
non
pu guardare
nel sole stesso (...).
O luce somma ed
inaccessibile,o verit totale
e beata,
quanto
sei lon-
tana da me
che ti sono cos vicino!
Quanto
sei remota dal mio
sguar-
do, mentre io sono cos
presente
al tuo. Tusei
dovunque
tutta
presen-
te, ma io non ti vedo. ln te mi muovo e
in te
sono,
ma non
posso
acce-
dere a te. Tu sei dentro di me e intorno a
me,
ma io non ti sento.
Ancora ti nascondi alla mia
anima, o
Signore,
nella tua luce e
nella
tua beatitudine, mentre essa versa ancora
nelle sue tenebre e nella sua
miseria. Infatti si
guarda
intorno e non Vede la tua bellezza. Si mette
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
A0sta,
GilbertoPorrettano 311
in ascolto
e non ode la tua armonia. Annusa e non
percepisce
il tuo
profumo.
Gusta e non riconosce il tuo
sapore.
Tocca e non sente la tua
soavit. Tu infatti hai tutte
queste qualit
in
te, o
Signore,
ma in un
tuo modo ineffabile
(tuo
inefizbilimodo), tu che le hai date alle cose
create secondo il loro modo sensibile
(sensibilimodo); ma i sensi della
mia anima si sono
irrigiditi,
sono diventati
insensibili,sono stati
ostruiti dall'anticamalattia del
peccato.3b
Dal testo citato risulta che le
ragioni
che Anselmo fornisce della inco-
noscibilitdella natura divina
sono tre, e sono
praticamente
le stesse
ragioni gi
indicatedal
padre
della filosofia
religiosa,
FiloneAlessandri-
no: 1) l'immensa,
infinita
grandezza
di Dio e 10
splendore abbagliante
della
sua luce; 2)
la
limitatezza,
Yangustia
del nostro essere e la debolez-
za dello
sguardo
della nostra
intelligenza;
3) l'allontanamentoda Dio e
dalla sua luce causato dal
peccato.
4
Molto
importante
la
distinzione,
che in
seguito
verr
ripresa
e
pre-
cisata da S.
Tommaso,
tra le
perfezioni
che attribuiamo
a Dio e il loro
modo di
essere. Le
perfezioni semplici
(che
assolutamente
meglio pos-
sedere che
non
possedere) appartengono
certamente a Dio, ma
gli
appartengono
secondo una modalit
inefiabile,
dato che l'unica modalit
che noi conosciamo
quella
finita che ha
luogo
nelle cose sensibili.
Nella
spiegazione
del
significato
dei nomi divini Anselmo si
ispira
direttamente allo Pseudo
Dionigi.
Con
l'Areopagita egli distingue
una
teologia positiva
e una
negativa.
La
teologia positiva
autorizza
l'applica-
zione a Dio di nomi che
designano perfezioni semplici perch queste
esistono
primariamente
e
principalmente
in Dio. Ma
poich
la natura
divina risulta inaccessibilealla nostra
intelligenza,
alla
teologia positiva
necessario affiancare immediatamente
quella negativa
la
quale pone
laccett0sulla
inesprimibilit
della divina
essenza. Ecco
quanto
Anselmo
scrive nel
Monologion
a
questo riguardo:
La
somma essenza talmente al di
sopra
e al di fuori di
ogni
altra
natura
(supra
et extra omncmaliam
naturam)
che
quando
si dice di
essa
qualcosa
con
parole
che
sono comuni ad altre
nature,
il loro senso
non affatto comune (sensus
nullatenus
communfs) (...). Infatti, tutti
quei
nomi che si
possono
dire di
quella
natura non me
la mostrano
tanto
per
ci che le
proprio, quanto
Yaccennanomediante
qualche
similitudine. ln realt
quando penso
i
significati
di
queste parole
con
la mente
concepisce
ci che vedo nelle
cose create
pi
facilmentedi
quanto
so
che trascende
ogni
umano intelletto. Nella mia mente infat-
ti
quei
nomi
costituiscono, con
il loro
significato, qualcosa
di molto
meno,
anzi di benaltro da C Verso la cui
Comprensione
la mia stessa
35) Prosl. cc. 14-17.
3] 2 Parte seconda
mente si sforza,
mediante
questo
tenue
significato
di
progredire.
N il
nome
di
"sapienza
infatti,
mi sufficiente a mostrare ci
per
cui
tutte le cose sono state create dal nulla e
dal nulla
conservate,
n il
nome
di "essenza mi valido
per
esprimere
ci che,
per
la sua sin-
golare
altezza,
molto al di
sopra
di tutte le cose
e,
per
la sua natura-
le
propriet,
ben al di fuori di tutte le cose. Cos
dunque,
la somma
natura ineffabile, perch
non
pu
assolutamente venire
designata
mediante le
parole (inefiabilisest, qua per
zmrlm sicutz" est nullaenus
zialet intimari); ma non falso ci che di
essa,
con
Yinsegnamento
della
ragione, pu
essere
apprezzato
mediante
altro, come
in
enigma?
N la
teologia positiva
n la
negativa colgono
il
senso
autentico dei
nomi divini. Ci invece
conseguito
soltanto dalla
teologia
simbolica
che
interpreta
i nomi divini come cifre, simboli,
enigmi
e non come
nomi che descrivono la divina essenza.
I nomi divini infatti non
inten-
dono descrivere la natura di
Dio, ma
semplicemente
tentano di alludere
a una realt,
quella
divina,
assolutamente
inesprimibile.
Che
questa
sia la
giusta interpretazione
del senso
dei nomi che noi
diamo a Dio Anselmo lo conferma
passando
in
rassegna
le dieci
catego-
rie.
Quando
si usano
le
categorie
aristoteliche
per
attribuirle a Dio,
il
senso
di ci che viene
predicato
cambia
radicalmente,
rispetto
alla nor-
male
predicazione
che ha
per soggetto
l'ente finito. Infatti la sostanza
divina,
essendo immutabile,non e
soggetta
al cambiamentoaccidentale.
Inoltre a differenza di tutte le altre
sostanze, essa coincide con
i suoi
attributi:
dire,
per esempio,
che Dio
giusto significa
dire che Dio la
giustizia.
Sarebbe
quindi pi
corretto dire che la divina essenza
e
fuori
o
sopra ogni
sostanzafl Tuttavia,
soggiunge
Anselmo,
poich
essa non
soltanto esiste certissimamente, ma esiste anche
come
superiore
a tutte
le
cose,
e
dato che lessenza di una cosa
qualsiasi
e detta solitamente so-
stanza,
certamente non
proibito
chiamarla
sostanza,
se
qualcosa
di
degno pu
essere
detto.3
LA CREAZIONE
Nel
Monologion dopo
aver
dimostrato l'esistenza di Dio Anselmo
dedica alcuni
importanti capitoli
al
problema
della creazione. La sua
indagine
verte
soprattutto
sul
significato
del termine nulla che in
epoca
carolingia
era stato
oggetto
di notevoli discussioni e
di numerose
anali-
si,
delle
quali
assai interessante la testimonianza scritta
rappresentata
37)
Monol. c. 65.
33) Cf.
ibid, c.
26.
39) Ibid. C.
27.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano 313
dal noto
opuscolo
De nihilo et tenebrs di
Fredegiso
di
Tours,
nel
quale
si
pone
la tesi
per
cui il nulla vienesostanzializzato.
Anselmo osserva
che la sostanzializzazionedel nulla assurda er-
P
ch in tal caso il nulla non sarebbe
pi
nulla
ma
qualche
cosa. Creare dal
nulla,
spiega
molto bene
Anselmo,
significa
che le
Cose
prima
erano
nulla, e ora sono
qualche
cosa
(quae prius
nihil
enmt, nunc sunt
aliquid).4"
La divina
essenza,
non ha fatto assolutamentenulla in virt di
altro,
in-
teso sia come strumento sia come aiuto, ma tutto in virt di
se stessa.
Pertanto,
la somma essenza
ha
prodotto
da
sola,
per
se stessa e
dal
nulla, una massa tanto
grande
di
cose,
una tanto numerosa moltitudine
Cos bellamente
formata, cos ordinatamente
variata,
cos conveniente-
mente diversa.41
Per
essere create le cose dovevano, ovviamente, essere
pensate.
Pertan-
to tutte le
cose, prima
della
creazione,
si trovano
gi
nella mente divina:
Nella
ragione
della
somma natura (in
ratione summae naturale)
vi erano
l'essenza,
la
qualit,
la modalit delle
cose,
che
poi
sarebberostate.42
Parlando dellnconoscibilit
e dell'ineffabilitdi Dio abbiamo visto
che Anselmo fonda tali divini attributi sulla trascendenza di
Dio,
che
essenzialmente
una trascendenza
ontologica.
Nel discorso sulla creazio-
ne
per esprimere
l'infinita differenza
qualitativa
che
separa
Dio dalla
creature si avvale delle formule:
essere
per
s>> (Dio) e essere
per
altro
(creatura).
Che Dio
non
possa
essere
per
aliud Anselmo lo dimo-
stra facendo vedere che delle modalit dell'essere
per
aliud
agente,
materia, strumento -
nessuna
applicabile
alla natura divina. Infatti ci
che secondo
uno
di
questi
tre modi
posteriore
e
in
qualche
modo
minore di ci
per
cui ha l'essere. E la
somma natura in nessun modo
per
altro,
ne
posteriore
o minore a se stessa o a
qualche
altra cosa.
Quindi
la somma natura non
ha
potuto
essere fatta n da s n da
altro;
n essa stessa o
qualcosa
d'altro le hanno fatto da
materia,
da cui
prove-
nire, e
neppure
essa o altra
cosa,
in
qualche modo,
l'hanno aiutata ad
essere ci che
non era.43
Ma in che
cosa consiste
precisamente
la
perseit
della natura divina?
Essa
riguarda
essenzialmente l'essere. Dio un ente, un essere, una essen-
za
(questo
termine in Anselmo non indica la
"quiddit"
di una cosa ma
il
suo esistere).
Tutte e tre
queste espressioni 0nt01ogiche"
possono
essere usate
per designare
la
perseit
di Dio. Per
spiegare
come
questo
sia
possibile
Anselmo ricorre
all'immagine
della luce:
luce,
splendere,
40) Ibid., c. s.
41) IbicL, c. 7.
42) Ibid, c. 9.
43) Ibid., c. 6.
314 Parte seconda
lucente
(lux, lucere, lucens)
dicono la stessa realt,
luce nella modalit del
sostantivo,
splendere
nella modalit dell'azione
indeterminata,
lucente
nella modalit dell'azione in atto. Ecco il bel testo anselmiano: In
qual
modo, allora, da intendere il suo essere da s e
per
s, se n ha fatto
se
stessa,
n venuta fuori da s
quale
materia,
ne ha in alcun modo aiuta-
to se stessa,
ad essere ci che
non era? Forse da intendere in
quel
modo
in cui si dice che la luce
splende
o lucente
per
se stessa e
da
se stessa.
Allo stesso modo
infatti,
in cui si
rapportano reciprocamente
la
luce,
lo
splendere
e ci che
splende,
cos
reciprocamente
stanno tra loro l'essen-
za,
l'essere e l'ente
(essentia
et esse et erzs),
cio l'esistente o
sussistente.
Quindi
la somma
essenza,
il sommamente essere e il sommamente ente
(summa
essentia et summe esse et summe e715),
cio il sommamenteesistente
e sommamente sussistente, converranno tra loro non
dissimilmente da
come
convengono
tra loro la
luce,
lo
splendore
e ci che
splende.44
Facendo consistere la
perseit
della natura divina nell'essere Ansel-
m0
compie
un
importante passo
avanti verso
la metafisica dell'essere.
Diversamente dallo
Pseudo-Dionigi
e
dai
neoplatonici
che facevano
consistere la
perseit
del
primo principio
nell'Unit
oppure
nella Bont
e
derivano l'essere dallUno o dal
Bene,
Anselmo identifica la
perseit
con l'essere. Dio
primo
anzitutto e
soprattutto
in ordine all'essere:
egli
l'unica realt che essere e sostanza
per
essenza.
Ogni
altra realt
distinta da Dio
perch
riceve l'essere da lui
grazie
a
quellatto singolaris-
simo che la creano ex rzihilo.
LA TRINIT
Nel
Monologion
Anselmo riserva
un'ampia
trattazione al mistero
della Trinit
(cc. 37-63).
E la cosa non
pu
non
sorprendere, sapendo,
da
una
parte,
che il
Monologion
vuole esaminare tutti i temi relativi a Dio
con un
procedimento rigorosamente
razionale
e,
dall'altra,
che
se c' un
mistero assolutamente inaccessibilea
qualsiasi spiegazione
razionale,
questo
il mistero della Trinit.
L'inclusionedella Trinitin un trattato di
teologia
filosoficasi
spiega
mediante la tessitura
tipicamente neoplatonica
che Anselmo d alla
sua
trattazione.
Ora,
tutti benricordiamo che i
neoplatonici
Plotino,
Porfirio
e
Proclo
parlano
di tre
ipostasi
eterne del
primo principio:
l'Uno,
Ylntelligenza
e l'Anima, e
che
gi
Mario Vittorino aveva trovato
questo
linguaggio
conveniente
per parlare
della Trinitcristiana.
44) lbid.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano
315
Nella riflessionesulla TrinitAnselmo fa
sua la formula canonizzata
dai Concili ecumenic: Dio una sola sostanza
(essenza, natura)
in tre
persone,
il
Padre,
il
Figlio
e
lo
Spirito Santo; e
segue Agostino
nella tra-
duzione delle tre
persone
divine in termini
psicologici,
identificando il
Padre con la
memoria,
il
Figlio
con
l'intelligenza
e lo
Spirito
Santo
con
la
volont.
Anselmo ritiene che il termine
spirito (spiritus)
oltre che
comune a
tutte le
persone,
sia anche
proprio
della Terza
Persona,
perch
la
sua
processione
ha
luogo
non
per generazione
bens
per spirazione.
Il Padre
e
il
Figlio
non fanno n
generano,
ma in certo modo
Spirano,
e
oggetto
della
spirazione
il loro
reciproco
amore. L'Amore stimato
Spirito
di
entrambi,
perch procede
mirabilmentedall'uno
e dall'altro,
spiranti
secondo
un
loro ineffabilemodo. Essendo anche la comunionedel Padre
e del
Figlio,
non senza
ragione
sembra
poter assumere,
come
proprio,
un nome che comune al Padre
e
al
Figlio,
se
lo
esige
la mancanza di
un
nome
proprio.
Se
questo
avviene,
che cio l'Amore sia
designato
col ter-
mine
Spirito",
che
significa ugualmente
la sostanza del Padre e del Fi-
glio,
come nome
proprio,
a ci varr non
poco
sottolineare che l'Amore
identico al Padre
e al
Figlio,
benchabbia da loro il
suo esserew
In
questa
lettura del mistero trinitario in chiave
agapica
Anselmo
trova una
valido
argomento
a
sostegno
del
Filioque.
Infatti la
spirazione
azione
comune
del Padre
e
del
Figlio,
e non solamente del Padre attra-
verso il
Figlio:
dal loro
reciproco
amore
che
procede
lo
Spirito.
Nella
spiegazione
anselmiana del mistero trinitario
Panalogia psico-
logica
si intreccia con
lanalogiaagapica.
Nella Trinittutto
procede
dal-
l'amore, e l'amore
non
precede
ma
accompagna
la conoscenza. LAnz0r,
che una cosa sola con la sostanza divina,
appartiene
a titolo diverso a
tutt'e tre le
persone
divine:
appartiene
al Padre che
ama il
Figlio, appar-
tiene al
Figlio
che
ama
il
Padre, e
appartiene
allo
Spirito
Santo che il
frutto del loro
reciproco
amore. Nella Trinit c' una sostanza
agapica
e
una effusione
agapica
che
perfettamente eguale
in
ogni singola perso-
na. Questo concetto viene cos sintetizzato nel breve
capitolo
del
Proslogion
che Anselmo dedica alla Trinit:
Questo stesso bene
(la
Tri-
nit) l'amore unico e comune a te e
al
Figlio tuo,
cio lo
Spirito
Santo
che
procede
da entrambi. Tale
amore, infatti,non
ineguale
a te o al tuo Fi-
glio, perch
tanto tu ami te stesso e lui,
ed
egli
ama te e se stesso,
quanto
tu sei ed
egli ;
n altro da te e da
lui,
ci che
non
ineguale
a te e a
lui;
n dalla somma
semplicit pu procedere
altro, se non lo stesso
essere da cui
procede.
D'altra
parte,
ci che ciascuno
singolarmente
lo
45) 111211., c. 5.
316 Parte seconda
tutta la Trinit insieme:
Padre,
Figlio
e
Spirito
Santo,
poich
ciascuno
singolarmente
non altro che l'unit sommamente
semplice
e la
sempli-
cit sommamente
una,
la
quale
non
pu
essere
moltiplicata
n essere
due cose
diVerse.46
L'ANIMA
Come tutti i metafisici anche Anselmo
presta grande
attenzione al
problema
dell'anima.
Egli
se ne
occupa
nei
capitoli
conclusivi del
Monologion
e
del
Proslogion.
Anzitutto
egli
esalta la
grandezza
dell'anima: essa con le sue
facolt:
memoria,
intelletto e amore una vera
immagine
di
quella
essenza che,
per
la
memoria,
l'intelligenza
e
l'amore di
s,
consiste in una
ineffabile
Trinit.47Inoltre la mente razionale
(mens rationalis)
la sola tra tutte le
creature,
capace
di elevarsi alla ricerca della somma
essenza,
cos
anche la sola
per
la
quale
essa stessa
possa progredire
massimamente
verso la sua
scopertam
Passando
poi
a caratterizzare la natura
dell'anima,
seguendo
il se-
condo
Agostino,
Anselmo
privilegia
la dimensione volontaristica ed
agapica rispetto
a
quella
conoscitiva. Come nella Trinitcos nell'anima
volont
e amore sono
pi importanti
della conoscenza. La conoscenza

necessaria, ma contano di
pi
la volont e l'amore. Nulla
pi
chiaro
del fatto che la creatura razionale stata fatta
per
amare
la
somma es-
senza al di
sopra
di tutti i
beni,
in
quanto
essa il sommo bene; anzi,
per
non amare nulla se non
la
somma essenza o
per
la
somma essenza,
per-
ch
essa buona
per
s e nient'altro buono se non
per
essa. Ma non
pu
amarla senza ricordarsi di lei e se non
impegnata
ad intenderla.

chiaro
dunque
che la creatura razionale deve
impegnare
tutto il
suo
potere
e
volere a rammentare,
intendere ed
amare
il
sommo bene, verso
il
quale
sa di avere orientato il
suo essere stesso,49
Anche il
problema
metafisico
pi importante
dell'anima,
quello
della
sua immortalit,
vienerisolto da Anselmo in chiave volontaristica.
Mentre Platoneaveva costruito le sue
prove
dell'immortalit dell'ani-
ma sui
rapporti
dell'anima con
le Idee
(remniscenza, familiarit) e
Agostino
aveva
elaborato la
sua
argomentazione
studiando i
rapporti
tra l'anima e la
verit,
Anselmo fonda i suoi
argomenti
sulle concezioni
di
amore e
di retribuzione.
46) Prosl. c. 23.
47)
Monol. c. 67.
43) bid, C. 66.
49) lbid,C.
68.
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
Qlosta,
GilbertoPorrettano 317
Argomento
dell'amore: L'anima stata fatta
per
amare senza fine la
somma essenza. Ma
questo
non lo
pu
fare
se non Vive
sempre.

dunque
fatta
per
Vivere
sempre,
se vuole fare
sempre
ci
per
cui stata fatta.50
Argomento
della retribuzione: essendo
giustissima
e
potentissima
la
somma natura deve
ricompensare
o
punire
chi
persevera
o non
perseve-
ra nell'amore, altrimenti
non
dstinguerebbe
tra chi
ama e
chi
non
ama,
il che sarebbe assurdo. Ma deve
premiare
0
punire,
con
la felicit
o l'in-
felicit,
per
l'eternit; altrimenti se
punisse
il
colpevole
facendoloritor-
nare al
nulla, non
distinguerebbe
tra la dimensionedel non
essere,
in cui
non si
pu
dare n
colpa
n
pena,
e
quella
dell'essere,
nella
quale
il col-
pevole
ha
compiuto
il massimo
male,
potendo
fare il massimo bene.
Nulla
dunque pu
essere
pi conseguente
e nulla si deve credere
con
maggiore
certezza del fatto che l'anima dell'uomo sia fatta in modo
che,
se
disprezza
di
amare la
somma
essenza,
soffrir uneterna infelicit.
Allora, come l'anima che
ama
godr
un
premio eterno,
cos
quella
che
disprezza
si addolorer in una
pena
eterna. E
come
quella
sentir
una
immutabile
pienezza,
cos
questa
sentir una inconsolable
indigenza.51
Il deve di cui
parla
Anselmo trattando della retribuzione
non va inte-
so come un
obbligo,
bens
come una necessit
conseguente
all'essere
stesso della
somma natura.

soltanto
nell'agire
morale della creatura
razionale che
esso
diventa invece
un'obbligazione.
Anche
se rimane
immutato il
senso
di fondo: il dovere si
esprime, per
s, come confor-
mit all'essere. Per
questo,
anche
qui,
ritorna il tema della
incomprensi-
bilit: stabilirechi meriti o non meriti l'eterna
felicit, infatti,
per
la
ragione
difficilissimo
0
impossibile>>fi2
La
ragione capisce
solo che
deve tendere
con tutto il
proprio
essere verso
il Sommo Bene.
VERITE SISTEMA
Dopo
il
Monologion
e il
Prosloglon,
Anselmo scrisse altre
opere per
ampliare
la ricerca delle rationes necessariaedella
verit,
sempre
in difesa
di
un
sapere
che sia fondato sulla ricostruzione dell'ordine
imposto
al
creato dalla
suprema
ed inconoscibilerazionalit divina
e
che
garanti-
sca,
ad
immagine
della
perfezione
di
essa,
l'armonia che deve
regnare
tra l'ordine delle
cose, quello
dei
pensieri
e
quello
delle
parole.
Di
questa
sua concezione della
verit,
intesa
come rectitudo, Anselmo
ci ha lasciato una breve
ma densa trattazionenel suo
opuscolo
intitolato
De veritate.
Qui,
in modo diretto ed
esplicito,
Anselmo afferma l'assoluta
50) Ibia, c. 69.
51) Ibid, c. 21.
52) Ibid, c. 74.
318 Parte seconda
unit del vero:
la verit divina in
s,
quella
rivelata nella Scrittura e
quella
scoperta dall'indagine
umana sono
nel Verbo divino una
sola e unica
realt. Tutte le verit
particolari
delle
cose,
delle
parole,
dei concetti,
pos-
sono essere
riconosciute come
verit in
quanto
trovano la loro rectitudo
nel
corrispondere
a
qualcosa
di eternamente
prestabilito
dalla Mente
divina e
nella Mente divina.
Quando
nel
pensiero
umano
emerge
con
Chiarezza ineludibileuna
di tali
corrispondenze,
si ha
quella
che Anselmo
chiama
una
ratio necessaria. Come
spiega
A. M.
Iacquin
in un suo
prege-
vole
studio,
ratio necessaria non
significa argomento rigorosamente
dimo-
strativo, ma
argomento
fondato sulla verit e
capace
di
generare
certezza;
e
quando
si dice che tale
argomento prescinde
dalla Scrittura si vuol dire
solo che la Scrittura non entra
nellargomentazione
come
prova
d'auto-
rit, ma non si esclude che
essa
offra la materia sulla
quale
la
ragione
lavora e
che
essa
guidi
1o
spirito
nella ricerca. La necessit della ratio sta
nel suo fondamentoche la mente divina. La ratio necessaria un
appari-
re
nellntelligenza
creata della
causa (ossia
della
ratio)
superiore
dell'es-
sere
di ciascuna
cosa,
ed necessaria in
quanto
divina.
Nel riconoscimento di tali rationes necessariae si risolve
dunque per
Anselmo
ogni indagine
del
vero,
senza
distinzione
possibile
tra verit
teologica
e
filosofica. La stessa ricerca della verit sullesistenza di Dio e
sulla determinazione dei suoi attributi,
nelle sue
prime
due
opere,
e in
sostanza una
ricerca delle
ragioni
necessarie del divino
stesso, un tenta-
tivo di far
corrispondere
il nostro
pensiero
su Dio a ci che Dio nel suo
Pensiero e
nella Rivelazione in cui si manifesta. Ma dall'unit del vero
risulta che solo a causa
dei limiti
dellintelligenza
umana ci e necessario
procedere per
successive diversificazioni dei
problemi,
e
che solamente
dopo
aver
provato
l'esistenza di
Dio,

possibileinterrogarci
sulla sua
natura e sui suoi attributi,
sulla creazione e sull'uomo,
sulla caduta e
sul
perdono
del
peccato,
sulllncarnazionee sulla Redenzione. In
Dio,
inve-
ce,
una
sola la verit delle
molteplici
rationes che l'uomo
pu indagare
soltanto con
ricerche successive e
distinte.
Daltra
parte
-
osserva
giustamente
D'Onofrio
questa
stessa certez-
za dell'unit del vero

garantita
dallintrinseco
collegamento
che
deve essere stabilitotra tutte le verit
raggiunte dall'intelligenza
e
dichiarate dalla fede. Per
questo
la
sapienza teologica
anselmiana
assume
indubbiamenteil carattere
di una conoscenza
sistematica del
vero:
dove
ogni problema
ed
ogni
soluzionesono un
riflessodell'uni-
ca verit,
nella
quale
tutto ci che vero
eternamente e
necessaria-
mente vero. Questo
carattere di sistematicit risulta evidente
quando
53)
Cf. A. M.
IACQUIN,
Les "rationes nccessariae de S. Anselme,
in
"Mlanges
Mandonnet Il,
Paris 1930,
pp.
67-78.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano
319
le
opere
di Anselmo
Vengono
considerate nella loro
successione, non
solo
cronologica
ma
anche
tematica,
le une accanto alle altre. La conti-
guit
dei
problemi.
affrontati
e
di volta in volta chiariti
con soluzioni
rigorosamente
armoniche
e
sorprendentemente
vicine rivelatrce
insieme
dellampiezza
analitica e della sistematicit di
questo gran-
dioso sforzo l'ultimo da
parte
del
platonismo teologico
dell'Alto
Medioevo - di dare forma
a una
compiuta
visione
enciclopedica
della
verit
cristiana,
ordinata ed armonica in tutte le
sue
parti,
vero rifles-
so
nellfintelligenza
creata dell'unit del Pensiero divino,54
MALE
E LIBERT
Il
problema
del male
problema
ineludibileda
parte
di
qualsiasi
teo-
logia
filosofica
e di
ogni
metafisica creazionistica. Come
sappiamo,
que-
sto difficilissimo
problema
aveva
angustiato
per
molti anni la mente di
Agostino, prima
della conversione.
Egli
trov finalmente
una soluzione
soddisfacente definendo il male
come
privatio
boni
e attribuendo
ogni
responsabilit
del male al cattivo uso della libert da
parte
delle creature
intelligenti, angeli
e uomini.
Anche
su
questo problema
Anselmo fa
sue le
grandi
lezioni del Dot-
tore di
Ippona,
dedicando all'analisi dello stesso
argomento
vari
trattati,
in
particolare
il De
casa diaboli, De libero arbitrio
e De concordia
praescieiz-
tiaeet
praedestinationis.
Anselmo esclude
categoricamente
che Dio
possa
essere la
causa del
male.
Egli
non mai
responsabile
in
senso
positivo
del male al contrario
di
quanto
si
potrerebbe
ricavare da talune
espressioni bibliche, come
quando
scritto che Dio induce alla tentazione
o che indur il
cuore
del Faraone. La verit di tali affermazioni
va risolta invertendone la
portata semantica,
alla luce della dottrina
agostiniana
dell'ordine univer-
sale: Dio
causa del bene
e dell'armonia
vigente nell'universo; ci che
noi chiamiamo
male, come la caduta del diavolo
o il
peccato
di
Adamo,
si
produce quando
le creature
scelgono
di
non mantenere lo stato di
naturale
perfezione
in cui
rispettivamente
sono state create. Dio
causa
del male soltanto in
quanto
fa s che abbiano realt le
conseguenze
del
peccato.55
54) G.
D'ONOFRIO, "Anselmo
tYAosta", in Storia della
teologia
nel
Medioevo, I,
p.
523.
55) Cf. De casa diaboli, c. 16.
320 Parte seconda
Considerato in se stesso
il male consiste nella non-rectitudo di
qualche
cosa:
il suo essere
in modo diverso da come Dio vuole che sia. Male
allora
qualcosa
che
non nel modo in cui avrebbe dovuto
essere,
e
di
cui
dunque
non solo Dio non
responsabile,
ma
che
proprio
nella
misura in cui sussiste come
qualcosa
di contrario alla Volont divina.
Il
problema
del male viene
quindi
a
collegarsi
direttamente con
quello
della libert e del
peccato.
Il male
per
Anselmo, come
per Agostino,
con
siste essenzialmente nel
peccato,
il
quale
a sua
volta deriva dalla libert
della creatura di
scegliere
di non
adeguarsi
alla
positiva
volont ordina-
trice di Dio.
Per
quanto
attiene la libert Anselmo esclude che la si
possa
definire
come
capacita
di
scegliere
tra il bene e
il male.
Questa
definizionea suo
giudizio
errata
perch
non definisce la libert in se stessa ma in una
determinata condizione storica,
cio
quella
dell'uomo
dopo
il
peccato.
La definizione corretta
potestas
servandi
justitiam,
ossia la
capacit
di
agire
rettamente e
di
operare
il bene.
Questa capacit

perfetta
in Dio, e
imperfetta
nelle creature
(gli
an-
geli
e l'uomo).
La tesi di Anselmo che la volont
per
sua natura
orientata al bene: ha
come
ogni
cosa una sua rectitudo, un suo
orienta-
mento; ora,
tutto ci che
pu distogliere, piegare
in senso
contrario
(flec-
tere)
quell'orientamento,
distorcere
quello
che e il retto cammino della
volont,

perci
stesso una debolezza, una
minore libert. E il
peccato

proprio questa
deviazionedalla rettitudine;
quindi
una volont che
pu
peccare
meno forte, e
perci
meno libera,
di una
volont che
pu
non
peccare.
Pertanto il
potere
di
peccare
non un vero
potere,
una forza,
quindi
non
un elemento costitutivo della libert: Perci il
potere
di
peccare,
che
aggiunto
alla Volont ne
diminuisce la libert e se
tolto la
aumenta, non n la
libert,
n una
parte
di essa
(potestas ergo
peccandi,
quae
addita voluntati minuit eius libertatem et si denzatur
auget,
nec
libertas
est nec
pars
libertatisbfifi
Ne risulta
dunque
che la libert non
gi
il
potere
di fare il bene o
il
male, ma
il
potere
di fare il
bene, e
poich
il
bene morale consiste
nellagire
con rettitudine,
la libert definita:
la
capacit
di conservare
la rettitudine della volont
per
se stessa
(pote-
stas servandi rectitudinemvoluntatis
propter ipsam
rectitudinem).57
Nel trattato De concordia
praescicntiae
et
praedestinationis
Anselmo
affronta il tradizionale
problema
del come
la libertumana
si concili con
la
prescienza,
la
predestinazione
e
la
grazia
divina.
L'opera
divisa in
tre trattati dedicati,
appunto,
il
primo
alla
compatibilit
di libert e
pre-
scienza,
il secondo a
quella
di libert e
Predestinazione,
il terzo a
quella
56) De lib. arb. c.
1.
57) Ibid, C.
3.
Scoto
Eriugena,
Artselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano
321
di libert e
grazia.
Sembra che la
prescienza
di Dio e
il liberoarbitriosi
oppongano,
poich
ci che Dio
preconosce
necessariamente
sar, e ci
che
compiuto per
libero arbitrio non
compiuto
necessariamentexfifi
La soluzionedella difficolt subito enunciata da S. Anselmo,
il
quale
la
spiega
nel
seguito
della discussione. La soluzione
questa:
se
vi
un
atto libero, esso
preconosciuto
da Dio come libero, e
quindi
si avvera
come libero: Ma se
qualcosa
accadr non necessariamenteDio che
pre-
conosce
il futuro lo
preconosce
come
tale.
Ora,
ci che Dio
preconosce
accadr necessariamente cos come
preconosciuto. Dunque
necessa-
rio che
qualcosa
accada senza necessit (Sed
si
atiquid
est
futurum
sine
necessitate,
hoc
ipsum praescit
Deus,
qui praescit
onznia
futura. Quod
autem
praescit
Deus,
necessitate
futurum
est sicut
praescitur.
Necesse est
igitur
ali-
quid
esse
futurum
stne
necessitate).59
La difficolt nasce da due motivi:
dall'immaginare
la
prescienza
divina
come
precedente
nel
tempo
l'atto
umano e dal confondere la necessit
logica
con la necessit
ontologica.
I due motivi erano
gi
stati individuati nella Consolatio
(V,
prosa
6)
da
Boezio,
il
quale
aveva osservato che
Dio,
che
eterno,
Vede
ogni
cosa
da
presente
a
presente,
e
che
quindi
non si
pu parlare
di
un
prima
della
conoscenza divina, che condizionerebbe
un
dopo
dell'atto
umano,
e
aveva
pure
distinto due
tipi
di necessit. Anselmo
sviluppa appunto
le
implicazioni
di
questa
distinzione boeziana. Cosa vuol
dire,
si chiede
Anselmo,
che
se Dio
preconosce qualcosa,
necessariamente
questo
sar?
Vuol dire: se sar,
necessariamente sar. Ma si tratta di necessit
ipoteti-
ca,
di necessit che
segue
la realt della
cosa,
non
di
una necessit che fa
essere
la
cosa o
che la
costringe
a essere. Per
es.,
l'affermazionedomani
ci sar una sedizione
esprime
una
necessit
logica
-
se la sedizione ci
sar,
necessariamente sar - mentre l'affermazione domani
sorger
il
sole
esprime
una
duplice
necessit,
quella logica
e
quella ontologicafio
Cos
quando
diciamo che ci che Dio
preconosce
come
futuro necessa-
riamente
sar, non
vogliamo
dire che la
cosa
futura sar necessariamen-
te ma
Vogliamo
dire solo che ci che futuro necessariamente futuro.
La natura di ci che sar (il suo carattere di necessitato o libero) non
affatto
espressa
dalla
proposizione
ci che futuro necessariamente
futuro. Tale natura
dipende
dalla volont creatrice di
Dio,
il
quale
vuole che la volont umana sia liberae
che da lei
dipendano
le
sue azio-
ni.

dunque
necessario (di
necessit
ipotetica)
che la volont sia libera.
Certo,
quando
la volont
vuole, non
pu
non volere, ossia necessario
che
voglia,
ma
di
quella
necessit
ipotetica
di cui si detto.
58) De concordia 1,
1.
s9)
ma.
60) Cf.
ibid., I, 3.
61) Cf. ibid.
322 Parte seconda
Con lo stesso
ragionamento
Anselmo risolve anche il
problema
della
predestinazione:
il
predestinare
di Dio non
fa violenza alla libert uma-
na,
ma avviene tenendo conto di
questa prerogativa
essenziale dell'uo-
mo: sicut
praescit,
ita
quoque
praedestinahbl
Dio
predestina
le
cose a essere
necessarie se sono necessarie,
liberese libere.
Tutti
questi
ardui
problemi
del male, della
libert,
della
predestinazio-
ne sono
risolti da Anselmo alla luce
dellbnnipotenza
di
Dio,
unonnipo
tenza che si sottrae a
qualsiasi
criterio umano di
giudizio, per
subordi
nars esclusivamente
allmperscrutabile
discernimento della
sua
infinita
bont.
Lonnipotenza
divina
sempre supremamente
libera ma
sempre
in accordo
con
la divina
bont,
perch questa
costituisce la sua essenza.
Solo
impropriamente
si
parla dunque
in Dio di necessit o
di
impossibi-
lit:
ogni
necessit ed
ogni impossibilitsoggiace
alla sua volont, ma
la
sua
volont non

soggetta
a nessuna necessit 0
impossibilit:
nulla
dunque
necessario o
impossibile,
se non ci che
Egli
vuole che sia tale>>f>3
In
queste
ultime affermazioni c' un forte tinta di
volontarismo, ma
un volontarismoche
non
ha nulla a
che vedere col volontarismo
capric-
cioso che troveremo in
seguito
in Occam. Il volontarismodi Anselmo
un 001071 turismo
agapico.
CONCLUSIONE
L'edificiometafisico che costruisce Anselmo chiaramente di
stampo
neoplatonico,
anche
se non rimane
appesantito
da
quella lunga
serie di
triadi divine che caratterizzavanole
speculazioni
di Porfirio e
di Proclo
o
di triadi
angelicbe
che si trovavano nel sistema filosofico di
Dionigi
l'Areopagita.
Il
pensiero
di S. Anselmo si articola invece solamente
secondo due momenti essenziali: il Dio Uno e Trinoe l'anima umana.
La metafisica anselmiana
neoplatonica
nella
sua
duplice
struttura
del descensus e dellascensus,
dellexitus e del
reditus;

neoplatonica
nella
sottolineaturadellid
quo
ntaius
Cogitarz nequit,
della inconoscibilite
inef-
fabilitdi
Dio,
della sua assoluta trascendenza
ontologica,
della
sua
per-
seit;

neoplatonica
e
agostiniana
nella
impostazione
interioristica della
ricerca filosofica
e
teologica.
Come Plotino e come
Agostino,
anche
Anselmo si avvale della dialettica della interiorit: scava
nel
profondo
del
proprio essere,
della
propria
memoria e del
proprio
amore e vi trova
Dio,
anzi vi trova la Trinit che a un
tempo
somma
essenza,
somma
verit e sommo amore.
62) Cf.
bid, 2,
3.
63) Cur Deus homo c. 17.
Scoto
Eriugena,
Anselmo d
A0sta, GilbertoPorrettano
323
Nel
neoplatonismo
di Anselmo ci
sono, per,
tutti i tratti
specifici
della metafisica cristiana. La
sua infatti una metafisica
teocentrica,
per-
sonalistica, creazionistica e
agapica:
e
proprio lfizgapicit ne costituisce il
tratto
pi originale.
In Anselmo tutto
Vegressus procede
dallAmore
e cos
pure
tutto il
regressus

sostenuto dall'amore
e si
compie
nell'Amore.
GilbertoPorretano
Nel
campo
della
speculazione
metafisica GilbertoPorretano la
figu-
ra
pi importante
del secolo XII. Di lui scrive autorevolmenteE. Gilson:
Gilberto
con Abelardo,
il
pi possente spirito speculativo
del secolo
XII, e se Abelardolo
supera
sul terreno della
logica,
Gilberto
supera
di
gran lunga
Abelardo
come metafisico. Si deve
deplorare
l'oscurit del
suo stile,
che
spesso
va di
pari
passo
con
quella
del
pensiero,
ma ci che
dice merita una riflessione,
poich
i
problemi
che
pone
sono
sempre
importanti>>fi4
Gilberto
occupa
un
posto importante
nella storia della metafisica
non
per
aver costruito un
proprio
sistema
ma
per
aver messo a
punto
alcuni
strumenti che
contribuiranno sostanzialmente allo
sviluppo
della meta-
fisica dell'essere nel secolo XIII:
gli
strumenti
riguardano principalmen-
te il metodo assiomatico
e
il
linguaggio ontologico.
La fonte
principale
del
pensiero
di Gilberto
Boezio,
del
quale
stato
uno dei
pi
valenti commentatori. Ed e
proprio
attraverso i commenti
agli opuscoli teologici
di Boezio che
egli
ha
sviluppato
la riflessione
sulla metafisica
dell'essere, ancorch si tratti di
una metafisica dell'esse-
re di
stampo
marcatamente
platonico
e
neoplatonico
e non aristotelico.
Gilson sottolinea il carattere
platonico
dei concetti fondamentali della
metafisica di Gilberto: i concetti boeziani di
esse e
quod est,
ai
quali
Gilbertod
un
particolare
rilievo
corrispondevano
di fatto
a ci che di
pi platonico
vi
era nella concezione aristotelica dell'essere.65
Cos,
sempre
secondo
Gilson,
la dottrina di Gilbertoha favorito la diffusione
di
quella
forma di
platonismo
che si
pu
chiamare realismo delle
essen-
ze e che la filosofia di Avicenna doveva di l
a
poco
rafforzare cos
potentementemfif
64)
E.
GILSON,
La
philosophic
au
moyen rge,
Paris
1944,
p.
262.
a5) Ihid.
66) llzici,
p.
268.
324 Parte seconda
VITA E OPERE
Gilberto Porreta 0
della Porreta
nacque
a Poitiers
(da
cui il nome
anche di Gilbertodi Poitiers) verso
il
1075;
studi a Chartres,
dove ebbe
come maestro Bernardo,
poi
a
Parigi
e a
Laon. Fu maestro e
poi
cancel-
liere della scuola di Chartres dal 1124 al 1137.
Insegno teologia
e
dialetti-
ca a
Parigi
e
nel 1142 divenne vescovo
di Poitiers. Assieme ad Abelardo
e a Pietro Lombardo fu
oggetto
della accusa mossa
da Gualtiero di S.
Vittore contro la nuova
teologia
e
Gerhoh di
Reichersberg
nel suo
Liber
de novitatibus lo denuncer assieme ad Abelardocome cattivo
esempio
per
le scuole di Francia e di altri
paesi.
Nel 1147 fu accusato di eterodos-
sia da due dei suoi arcidiaconi
per
la sua dottrina trinitaria. Condotto
davanti a una
commissione del Concilio di Reims (1148),
sottoscrsse
senz'altro i
quattro capitoli composti
da S. Bernardo e da Goffredo di
Auxerree
in tal modo evit la condanna. Mor nel 1154.
La
produzione
letteraria di Gilberto non di
gran
mole ma
assai
sostanziosa. Essa
comprende
i commenti ai
cinque opuscoli teologici
di
Boezio: De
Trinitate,
De
praedicatione
trium
personarum,
De hebdonzadibus,
De duabus naturis et una
persona
Christi,
Contra Eutichen et Nestorium;
il
trattato Liber de sex
principiis;
i commenti inediti ai Salmi e alle Lettere di
S. Paolo
68
e
il commento
pure
inedito al Simbolo
apostolico.
LA RIPARTIZIONE DELLE SCIENZE
Gilberto un
rappresentante
della scuola di Chartres e un
ammirato-
re
entusiasta del metodo scientifico
seguito
con successo
da Bernardo di
Silvestre e
da
Guglielmo
di Conches. Le arti liberali cui venne
iniziato
furono
per
lui
dapprima
una
buona
preparazione
allo studio della teolo-
gia
e
poi
uno
strumento universale
per
avvicinarsi a
ogni problema,
sia
profano
sia sacro.
Ma sin dall'iniziodel suo
insegnamentopose
al servi-
zio della
teologia
l'intero
apparato
della scienza
profana.
Abbandonoil
tradizionalemetodo
esegetico dell'allegorzzazioneper
introdurre il
nuovo
metodo
teologico dellargomentazione,
assumendo come
guida
Boezio che
egli
comment con
straordinarioacume. Con
gli
strumenti di
cui
dispose
Gilberto amb a
trasformare la
teologia
in
una
scienza
pro-
priamente
detta, a
dotarla di uno statuto
scientifico il cui
rigore
non
67) F. Pelster sembra avere mostrato in maniera decisiva che il vero nome

Gilbertus Porreta e non
Gilbertus de la Porre;
cf. Gilbert de la Porre,
Gilbertus
Pnrretanus oder GilbertusPorreta,
in Scholastik(1949),
pp.
401-403.
53)
Cf. A. M. LANDGRAF,
Introduction l'histoire de la littraturc
thologique
de la schola-
stique
naissante,
Paris 1973,
pp.
107-110.
Scutu
Eriugana,
Anselmo d
Aosta,
GilbertoPorrettano 325
avesse nulla da invidiare
a
quello
delle altre
discipline,
e
nello stesso
tempo
ne volle assicurare la trascendenza. Grande studioso di
problemi
di
logica
e
di
epistemologia
Gilberto ha dato
un
apporto
decisivo alla
impostazione
e soluzionedi alcune
questioni
di
teologia
fondamentale
e
ha fissato il
significato
di alcuni termini-chiave della metafisica
e della
teologia
scolastica.
Nel commento al De Trinitatedi
Boezio,
Gilbertosi
occupa
della divi-
sione delle scienze e la fonda sulla diversit
degli oggetti
considerati.
Le scienze -
scrive Gilberto-
sono
di molti
generi.
Alcune
sono teori-
che, ossia
speculative,
come sono
quelle
per
le
quali
consideriamo
se
esistano e cosa siano e
quali
e
perch
siano le
singole
cose create;
altre
sono
pratiche,
cio
attive, come sono
quelle
per
le
quali, dopo
la con-
siderazione,
sappiamo operare,
come fanno i
medici,
i
maghi
e altri
ancora. Lasciando da
parte
le scienze
pratiche,
le scienze
speculative
prendono nome
dagli oggetti considerati, e si chiamano alcune fisiche
ossia
naturali, altre etiche ossia
morali,
altre
logiche
ossia razionali.
Lasciando
ancora da
parte
le scienze morali
e razionali,
quelle
che
con un nome solo si chiamano
naturali, o anche
per
lo
pi speculati-
ve,
sono di tre
tipi:
una detta naturale in
senso ristretto,
l'altra nzate-
matica e la terza
teologica>>fi9
La fisica studia le realt
non-separate
e concrete cio
sensibili;
la
matematica considera le forme
non-separabili
delle
cose che si
genera-
no,
diversamente da
come
sono,
cio
astrattamente;
la
teologia (natura-
le) trascendendotutte le
cose
generabili,
fissa lo
sguardo
nel loro
princi-
pio, qual
esso sia,
ossia o neIYArteI-ice in virt del
quale sono, come da
loro
autore; o nellidea dalla
quale
sono state ritratte
come da modello>>.7U
Come si
vede,
la classica divisione aristotelica basata sui tre
gradi
di
astrazione: la fisica
prescinde
dalla materia individuale
ma non dalla
ma-
teria
sensibile;
la matematica
prescinde
dalla materia sensibile
ma non da
quella intelligibile;
la
teologia
naturaleastraeda
qualsiasi
forma di mate-
ria,
ossia da tutte le
cose
generabili.
La distinzionetra
procedimento teologico
(metafisico) e
procedimento
naturale
(scientifico) viene
ripresa
dal Porretano
poco pi
avanti nello
stesso commento al De Trinitatedi Boezio.
Chi
segue
il
procedimento teologico

spiega
Gilberto- vede le
cose
soltanto in
rapporto
a Dio e non le studia
per
se stesse. Per il
teologo"
59) In Boetii De Trinitttte
Commentaria, PL
64, 1265.
70) IIL, 1265-1268.
326 Parte seconda
l'asse,
ci in virt di cui esiste tutto ci che
esiste,
l'essere divino
(divina
essentia),
la
prima
causa
dell'essere delle
cose;
esso d a tutte le cose
di
poter
essere
chiamate
enti, e non riceve l'essere da nessun
altro. E
per-
ci
quando
si dice che
un uomo o un
corpo
,
quell'essere
si
pu
attri-
buire a
queste
realt solo
perch
Dio d loro l'essere. Il che vuol dire che
l'essere non
spetta
loro in Virt di un
principio
intrinseco alla loro natu-
ra,
non
spetta
loro
perch
siano,
rispettivamente,
un uomo o un
corpo,
ma
perch
viene loro da
fuori,
quadam
extrinseca denominatione. Nella
considerazione
teologica dunque ogni
cosa

per
l'essere divino: Che
ogni
ente sussistente sia determinato
(aliquid), dipende
dalla sua
propria
forma,
inerente alla
materia; ma
che
un ente sia
non dico determinato,
secondo una
considerazione naturale o
anche matematica ma
assoluta-
mente,
sia
-, dipende
da una
forma che
non
nella materia. Poich la
sostanza divina Veramenteforma senza
materia?!
Invece chi si accosta alle cose
secondo il
procedimento
naturale
(scien-
tifico)
le studia in se stesse, ne
indaga
le
propriet,
la
natura,
la
forma,
ci che le costituisce intrinsecamente nel loro essere
generico, specifico
e
individuale. Per i filosofi naturales il
principio per
cui una cosa ,

immanente alla cosa stessa,
la sua subsistentia, essenza sostanziale,
la
forma
chela fa essere e
la fa essere
quello
che :
uomo,
cavallo o
qualsiasi
ente determinato. Infatti anche nella considerazione"naturale"
ogni
es-
sere
dei sussistenti viene dalla forma;
ossia:
quando
di
qualsiasi
sussi-
stente si dice:
,
si dice
per
la
partecipazione
che ha in s. Come si
pu
vedere da
questi esempi:
si dice che
una
statua statua non
per
virt del
bronzo che sua materia, ma
per
quella
forma
per
la
quale,
in virt del-
l'arte,
stata
impressa
in
quel
bronzo
Peffigie
di u-n animae....72
Diversamente dalla
maggior parte
dei suoi
contemporanei
che ade-
guavano
lo studio delle cose
alle
esigenze
della loro vita monastica e
al
contemptus
mundi e
perci
studiavano le cose
"teologicarnente"
e
si acco-
stavano al mondo
per scoprirvi
i
vestigi
e
le
immagini
della Trinit,
Gilberto,
affascinato dal metodo scientifico
giudica importante
anche lo
studio delle cose
per
se stesse.
Lungi
dallaccentuare il
platonismo
di
Boezio,
Gilbertod
peso
alla ricerca naturalisticache si fa sentire intorno
a lui,
specialmente
nella scuola di Chartres:
ogni
cosa
perch
Dio la fa
essere,
certo, ma, proprio per
dare
gloria
a Dio,
ogni
cosa Va
studiata
per
quello
che .
71) lbid,
1269.
72) lbid,
1268-1269.
Sroto
Eriuggemi,
Anselmo d
A0sta,
GilbertoPorrettano
327
IL METODO ASSIOMATICO
Di tutti
gli opuscoli teologici
boeziani il
pi
ricco di
insegnamenti per
quanto
concerne la metafisica indubbiamenteil De hebdomadibus.
Questo trattatello oltre alcune tesi
capitali
di
ontologia
esibisce l'esem-
pio
di
un nuovo metodo
filosofico,
che
era destinato ad
avere numerosi
discepoli
tra i filosofi e
i
teologi
non soltanto
dell'epoca
medioevale
ma
anche di
quella
moderna.
Questo
metodo che Boezio mutua
dagli
Elementi di Euclide
parte
dal-
l'enunciazionedi
principi primi
universalmente
noti,
colti
come tali dal-
1'intuizionenoetica
superiore:
le
commuizes
conreptiones
animi
acquisite
in
base
a una
contemplazione
immediata dalla facolt
superiore
della
mente umana (animus). Queste
formule dette axiomata
(assiomi)
grazie
alla loro
dignit (dignitates) e
chiamate in
greco
anche theoremata
(specu-
lationes)
per
la loro diretta
contemplabilit,
sono autoevidenti
e indimo-
strabili,riconoscibili
come vere da
chiunque
non
appena vengono
enun-
ciate. Nel
suo De hebdomadibus
Boezio,
pur rispettando rigorosamente
la
struttura formale del
mos
geometricum,
ossia fondando di volta in volta
la validit dei
passaggi argomentativi
sulla base di
premesse
assiomati
che, non indica tuttavia
esplicitamente
tali continue conferme dei
per-
corsi
seguiti,
lasciando al lettore il
compito
di riconoscere tra le
righe
la
presenza
costante delle determinazioni di
partenza,
che
generano
e
sostengono
il discorso.
Gilberto il
primo
dei commentatori medioevali del De hebdomadibus
a
Cogliere
il vero carattere del metodo assiomatico in
quanto procedi-
mento mentale del tutto diverso da
quello sillogistico.
Infatti le
commu-
nes
conceptiones
non sono le
premesse
di
una dimostrazione
ma Vere e
proprie
forme mentali
assolute,
dotate di
una
grande genericit signifi-
cativa, ciascuna delle
quali ritaglia
una determinata
area di verit al cui
interno
vengono
ad ordinarsi schematicamentei
particolari
contenuti di
pensiero corrispondenti.
Esse coincidono
dunque
con i
topoi
elencati da
Cicerone, ossia
con
i loci
pi generali
del
pensiero:
sono
l'espressione
di
regulae
assolutamente formali della
conoscenza,
che hanno valenza uni-
versale e
dunque
estendibili
a tutto ci che
pu
rientrare sotto le condi-
zioni
logiche
in
esse formulate.
Questo
vuol dire che
non sono idee,
immagini
concettuali
con un
preciso
contenuto
rappresentativo
che
potrebbe
essere
trasposto
in
una serie di
proposizioni
e
quindi
di
conca-
tenazioni deduttive.
Piuttosto,
ciascuna di
queste conceptiones
documen-
ta in modo
preciso
e
inequivocabile
almeno
una fra
quelle
condizioni
pi generali
del
pensiero
e della
scienza,
che devono
essere
rispettate
da
qualsiasi
formulazione di verit. Tutto ci che
pensabile,
se
pensabi-
le,
deve esserlo secondo le condizioni
imposte
da tali
regole.
Cos,
per
328 Parte seconda
esempio,
il secondo dei nove
assiomi del De Iiebdomadibus
- diversum est
esse et id
quod
est - accolto da Gilberto come il
principio
formale sul
quale
costruire la
propria
concezione
ontologica
fondata sulla distinzio-
ne tra esse e id
quod
est. Essa infatti ha Valore
proprio
in
quanto

genera-
le. Non relativa solo ad alcuni
esseri, ma a
qualsiasi
manifestazione
dell'essere, e la nostra conoscenza
di tutto ci che
(compresa perci
anche
quella
dell'essere di Dio) ad essa necessariamentesubordinata.
Uassiomatismodi Boezio si risolve insomma
per
Gilbertonell'indivi-
duazione di
un
patrimonio
di necessit formali di
pensiero,
che assisto-
no
il
sapiente
nella verifica delle verit intuitive
pi
elevate. Perci, a
questo punto,
evidente che la forza assiomaticadelle communes
concep-
tiones sar
operante
in modo diretto
soprattutto
nell'elaborazione del
discorso metafisico e
teologico.
ESSERE ED
ENTI,
ESSENTIA E SUBSISTENTIA
Per
parlare
di Dio e
delle
creature,
dell'Essere e
degli
enti Gilbertosi
avvale di termini che hanno delle connotazioni ben
precise
e
che
se non
corrispondono propriamente
n a
quelle
che
erano state riconosciute da
Boezio n a
quelle
che
saranno
in
seguito
individuate da S. Tommaso,
tuttavia tendenzialmentesi discostano da
quelle
boeziane
per
accostarsi
a
quelle
tomasiane.
Anzitutto,
in Gilberto,
il termine essentia sinonimo di
essere (esse) e
non
della
quidditas
come sar
generalmente
in S. Tommaso. Gilberto
riserva il termine essentia a Dio,
che l'unica realt che
possiede
l'essere
per
s e a
pieno
titolo. Dio infatti
puro
essere,
l'essere stesso: il che
Vuol dire che
quando
si
predica
di Dio
l'essere, e si dice Dio
, non
si
intende dire che
egli partecipi
dell'essere, e
prenda
a
prestito questo pre-
dicato, ma si intende
esprimere
col termine essentia la stessa natura di
Dio. E
poich
l'essere,
egli pu
comunicarloa tutte le altre cose
per
una
partecipazione
estrinseca. Ecco uno dei testi
pi
chiari
su
questo punto:
LEssere (essentia),
che
principio, precede
tutte le cose create, poi-
ch d a tutte
queste
di
poter
essere
chiamate enti, e non riceve l'esse-
re
da nessun altro; e
perci
veramente forma e non
immagine.
E
quando parlando
di
Lui, uno
dice: l'Essere - si deve intendere:
lEssere
quella
realt che lEssere,
cio che
non mutua da altri
que-
sto
predicato
, e dalla
quale
deriva
l'essere;
ossia
quella
che comu-
nica a tutti
gli
altri,
per
una
partecipazione
estrinseca,
il
predicato
.
73)
Cf. G. D'ONoFR1o,
0p.
cit,
pp.
352-353.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano 329
Infatti
questo predicato
non si dice di una
qualunque propriet
della sua
essenza,
ma si trasferisce da Colui che
propriamente,
non
per
l'essere altrui ma
per
il
suo,
a ci che determinato da una
forma
creata da
lui, e alla stessa forma creata (ossia
la
subsisterltia) e
final-
mente a tutti i caratteri
(accidentali),
che
con verit si
predicano
di
questi (poich
da lui derivano come
da
principio).74
Altrove,
commentandoil famoso assioma boeziano diversum est
esse,
et id
quod
est,
Gilbertoribadisce che Fesse il
Principio
dell'essere, men-
tre il
quod
est tutto ci che deriva dal
Principio,
e
che l'esse
Dio, men-
tre viene detto delle creature
per
una
denominazione
estrinseca,
cio
dall'essere del loro
Principio.75

questo
carattere
simplex
et solitarium dell'essere
divino,
quello
che
spiega
l'assoluta trascendenza
divina,
il fatto che Dio sia oltre
ogni
con-
cetto,
fuori di tutte le
categorie,
inclusa la
categoria
della sostanza.
Quando
dunque
diciamo che Dio sostanza o
gli
attribuiamo
una
qua-
lit
come
la
giustizia,
0 una
quantit
come
la
grandezza, questi
nomi
mutano
significato
e Vanno
presi analogicamente, aliqua
rationis
propor-
tioneifi Cos
quando
si dice che Dio sostanza non
significa
affermare
che
egli
sia subsistens o subsisteiztia,
poich
non sottost
agli
accidenti,
n
inerisce a un
subsistens
per
determinarlo,
per
farlo essere tale o tal altro:
Dio sostanza
perch
sussiste
per
forza
propria. Meglio quindi
chiamar-
lo essentia che sostanza. A
maggior ragione
non si
applicano propria-
mente a Dio le altre
categorie.
Quando
diciamo
per
es.
che Dio
giusto,
sembra che
gli
attribuiamo una
qualit
e
quando
diciamo che
grande
gli
attribuiamo
una
quantit,
ma in Dio la
giustizia
e
la
grandezza
si
identificano con
la
sua essenza.
Infatti nelle creature nessuna
categoria
dice tutta la realt di cui si
parla:
anche
quando
si
esprime
la sostanza di
una creatura, e si dice
per esempio
che
uomo,
non si
esprime
tutta la
realt di
quell'uomo, perch
in lui oltre alla sostanza ci sono
gli
acciden-
ti; e
perci quando
si detto che uomo non si detto
ancora se
giu-
sto o
no,
se
grande
o
piccolo,
ecc. Ma
quando
si dice che Dio
Dio,
si
gi
detto tutto di
lui; e
perci quelle
che noi
esprimiamo
come se fossero
sue
qualit
sono
gi comprese
quando
abbiamoindicato la
sua
essenza,
dicendo che Dio.77 L'essere divino
(essentia)
differisce da
ogni
altro
essere
perch

semplice, perch
non forma in una materia: Dio Pu-
rissima
forma
dell'essere. Scrive Gilberto: Molte sono le realt che si chia-
74) In De Trinitate, PL
64,
1268.
75) In De hebdonzadibus,
PL
64,
1317-1318.
75) Cf. In De
Trinitate,
PL
64,
1283.
77) Cf.
ibid,
1284.
330 Parte seconda
mano
forme:
per esempio
le
figure
dei
corpi
e
altre determinazioni che
hanno l'essere nei sussistenti
per
creazione o concreazione, e
per
le
quali
ci a cui sono
presenti
o un individuo o si dimostra essere una deter-
minata
natura;
ma tutte
queste
forme hanno i loro
principi
dai
quali
sono state tratte in
un
determinato
modo, o si riferiscono
a
quei principi,
e
perci,
essendo mutuate da
altro, si chiamano forme
piuttosto per
una
comune accezioneche
per
verit delle cose. LEssere invece che e
princi-
pio, precede
tutte le cose create, poich
d
a tutte
queste
di
poter
essere
chiamate
enti, e non riceve l'essere da nessun altro; e
perci
veramente
forma
e non
immaginews
Mentre
per
Gilbertoesse e (355871tia sono
nomi
propri,
distintivi di
Dio,
subsistens e subsistentia sono nomi
propri,
distintivi delle
creature,
cio di
ogni
realt finita. Il termine subsistentia ricorreva
gi
in
Boezio, ma
Gilbertone
fa
un'applicazionespeciale.
La subsistentia l'essere del
subsistens;

principio
di determinazione
(esse
aliquid),
ci
per
cui il subsistens
quello
che e79 Subsistens
questo
corpo,
subsistentia la
corporeit,
che ci
per
cui il
corpo

qualcosa
di
determinato
(quo aliquid
est) e
precisamente corpo.
Subsistens
quest'uo-
mo,
subsistentia la sua umanit. L'uno e
l'altra
(subsistens e subsistenta)
possono
dirsi sostanze. Substantia
quindi
il termine
generico applicabi-
le sia allesistente concreto sia a ci
per
cui il concreto
quello
che .
Subsistenta
designa semplicemente
la
propriet
di ci che
per
essere
ci che non
ha
bisogno
di accidenti. Cos
per
es.
i
generi
e le
specie
(ani-
malit, umanit) sono delle sussistenze
perch presi
in se stessi non
hanno
bisogno
di
accidenti, ma
poich
non
fungono
da
soggetto
di nes-
suna cosa non sono dei sussistenti.
Ora,
nell'essere di
ogni
creatura si
deve
distinguere
ci che la colloca in
una
determinata
specie
o
genere
(per
es. uomo o cavallo), e
questa
la
subsistentia, e certe
propriet
acci-
dentali che la fanno essere
in un determinato modo
(esse aliquid)
e
che si
uniscono alla subsistentia facendodi essa una sostanza.
Tuttavia, osserva
il
Porretano, mentre la subsistcntia
implica
necessariamente l'esclusione
di altre
qualit
o accidenti,
la substantia a sua
volta
non
esige
nessun acci-
dente;
per
cui si
possono
dare anche sostanze
pure: questo
il caso
di
Dio e
degli angeli.
Gli universali
(generi
e
specie)
non sono sostanze,
bens sussistenze.
Mentre l'essere di Dio
semplicissimo,

pura
forma, tutto ci che
non Dio
composto,
sia i sussistenti sia le sussistenze. Infatti non
solo
il sussistente costituito tale da
una natura che
non si identifica con
73) IbicL,
1268.
79)
In De
Trinitatc,
PL
64,
1269.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta, Gilberto[Jorrettano
331
esso,
ma la stessa natura che 10 costituisce non
semplice:
non est sim-
plex
et solitariumilludunde
quodlibet
eorum esse
aliqud
dicitur, non sem-
plice
l'essenza sostanziale del sussistente. E
questa composizione
ine-
rente alla forma del
sussistente,
alla
sua subsistentia,
spiega
anche
perch
certi enti che si dicono
semplici,
e in un certo senso sono tali, come
per
esempio
l'anima
umana,
abbiano
pure
la loro
composizione
e differisca-
no
quindi
da Dio che
pura
forma. Ci sono infatti due
tipi
di
composi-
zione:
quella
per
cui
un sussistente risulta dall'unione di diversi sussi-
stenti, come
per
es. l'uomo che
composto
di anima
e di
corpo,
e
quella
per
cui
una sussistenza consta di varie sussistenze.
L'umanit,
per
es.,
per
cui l'uomo
uomo,

composta
di diverse sussistenze:
composta
dei
generi corporeit
e animalit
e dalla differenza
razionalit,
nonch
dagli
accidenti,come la
risibilit,
che
conseguono
le sussistenze suddette.
Dove c'
composizione
di sussistenti c' anche
composizione
di sussi-
stenze,
poich
ognuno
dei sussistenti
componenti
ha la
sua sussistenza
per
cui
quello
che
; ma non detto che dove c' il secondo
tipo
di
com-
posizione
ci sia anche il
primo.
L'anima
umana,
ad
esempio,
non consta
di
parti sussistenti, ma la sua natura consta di diverse sussistenza?
Nellassegnare
alla subsistentia dei
generi
e delle
specie,
nonch ad
ogni qualit
delle
cose
presa
nella
sua forma
astratta, una
propria
consi-
stenza
onttlogica traspare
chiaramente la tendenza
platonica,
ultrareali-
stica ed essenzialistica del
pensiero
del Porretano.
Inoltre,
nel
suo tenta-
tivo di risolvere i sussistenti nelle sussistenze
e, quindi,
di ridurre
gli
enti reali nelle
essenze
intelligibili,
c'
una tendenza
a
quel
"formali-
sm0 a cui Duns Scoto dar
espressione piena
e sistematica.
CREAZIONE E PARTECIPAZIONE
Commentando
Boezio,
Gilberto
non si limita
a fissare i connotati
ontologici
fondamentali che caratterizzano
l'Essere,
da
una
parte,
e
gli
enti, dall'altra, ma talvolta
parla
anche dei
rapporti
che intercorrono tra
l'Essere
e
gli
enti.
Il
rapporto
dell'Essere
con
gli
enti e
espresso
col termine creazione.
Creatio l'atto
con cui Dio
imprime
una sussistenza nella materia e d
luogo
a un sussistente.
60) Ibid., 1270.
81) Cf. S. VANNl
RovicHi, Studi di
filosofia medioevale, l. Da S.
Agostino
al XII
secolo,
Milano
1978,
pp.
216-217.
332 Parte seconda
Della nzateria Gilbertoelenca varie definizioni,
di cui la
principale
la
prima,
che
egli collega
direttamente con
Platone:
L'origine
o
l'inizio
delle
cose,
che Platone chiama necessit e
frode e
ricettacoloe
matrice e
grembo
e
madre e seno e
luogo
di
ogni generazione,
e
i suoi
discepoli
hylen,
cio silva,
Platone la chiama nmteria
prima, poich
in essa
si forma
tutto ci che in essa ricevuto,
mentre essa non contrae nessuna
forma.82 Gilbertonon
solo condivide la definizione
platonica
della ma-
teria, ma
seguendo pedissequamente
il Timeo sembra che condivida la
teoria della eternit della materia.
Questa
anche
l'opinione
della Vanni
Rovighi
che nel suo
pregevole
studio su
"La filosofiadi GilbertoPorre-
tano" scrive: Gilberto non
affronta il
problema,
anzi il modo con
cui
egli parla
della materia indurrebbea
pensare
che
egli
la ritenesse eterna
ed
originaria:
la mette
sempre
infatti accanto a Dio,
per
dir cos: sem-
plice,
come Dio;

oggetto
di
sapere
teologico,
come Dio;

principio
come Dio. Certo le sue
espressioni
su
questo punto
lasciano
perplessi,
e
pu stupire
il fatto che i suoi avversari non
glielerimproverasseromsi
Per
parlare
dei
rapporti
tra
gli
enti e lEssere Gilbertosi avvale della
classica
categoria platonica
della
partecipazione.
E
come
tutti i
platonici
e
i
neoplatonici
anche Gilberto
concepisce
la
partecipazione
in senso
for-
male e non
secondo il modulo della causalitefficiente. E cos la
parteci-
pazione degli
enti all'Essere
diviene, come
dichiara lo stesso Gilberto,
una
partecipazione
estrinseca: una
partecipazione
non
secondo la
forma,
bens secondo l'imitazionee
l'immagine.
LA CONDANNADl GILBERTOE
INFLUSSO DEL SUO PENSIERO
L'applicazione
del nuovo
linguaggio
della metafisica,
in
particolare
delle
espressioni
substantia e
subsistentia al mistero della Trinit suscit
viva
perplessit
tra i
teologi contemporanei
di Gilberto. Infatti distin-
guendo
divinitas (= subsistentia) e Deus (= stibstantia),
Aeternitas (=
Subsi-
stentia) e Pater
(= substanta) come si
distingue
l'umanit da Socrate,
egli
sembrava
compromettere
l'unit di Dio e
cadere nel triteismo. Questo
era
l'errore che
gli
veniva
imputato
nel Conciliodi Reims
(1148).
Su richiesta
dellepiscopato
e di S. Bernardo,
il
papa
Eugenio
III
impose
a
Gilberto di sottoscrivere
quattro proposizioni
relative ai se-
guenti punti:
distinzione tra Dio e
la
divinit; non
convertibilitdelle
proposizioni
Deus est diziinitas e
divinitas est Deus;
le tre
persone
sono un
unico
Dio;
distinzionetra le
persone
divine e
le
propriet personali.
83)
In DL Trinitate,
PL
64,
1265.
83) S. VANNI ROVIGHI,
Studi
difilosofia
medievale, I, cit.,
p.
210.
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta,
GilbertoPorrettano 333
Gilberto dichiar che nelle formule che
gli
venivano
proposte
non
c'era nulla di contrario alla sua fede e alla
sua
dottrina
e le accett
senza reticenza. Cos venne assolto
dallmputazione
di
eresia, ma i suoi
scritti furono
proibiti
dall'autoritecclesiasticasub conditionee ad
tenzpus,
finch fossero
adeguatamente
corretti ed emendati. L'offerta da
parte
di
Gilberto di
curare
egli
stesso la correzione del
proprio
lavoro, Sotto il
controllo del
Papa,
venne accolta. Di fatto
poi egli
si limit ad
aggiunge-
re alla redazione
un nuovo
prologo
e
un'esposizioneesplicativa.
Secondo autorevoli
studiosi, come M. E. Williams
e N. M
Haering,
in
Gilberto
non c difetto di
ortodossia, ma soltanto
imperfezione
di dot-
trina
e oscurit di
linguaggio.
Nonostante la condanna Gilberto ebbe
un notevole
seguito
e
la
sua
scuola fu
una
delle
pi importanti
e
influentidel secolo XII.
334 Parte seconda
Suggerimenti bibliografici
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Edizioni: PL 122.
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Teachingof
Gilbert Por-
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Trinityasfound
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goriana", LVI,
Roma 1951.
336
LA METAFISICAISLAMICA DEL MEDIOEVO
Sebbene il
presente
volume sia riservato alla storia della metafisica
cristiana, a
questo punto
dobbiamofare una breve
digressione, per
inse-
rire un
capitolo
sul
pensiero
filosoficoislamicoed ebraico del
medioevo,
perch
tale
pensiero
costituisce un momento essenziale nello
svolgersi
storico del
pensiero
metafisico. Infatti nel medioevo i
primi
studiosi che
riconobbero
l'importanza
del
pensiero
di Aristotele e
iniziarono a tra-
durre le sue
opere
in arabo e
in ebraico furono musulmani ed ebrei. Pi
tardi,
nei secoli XII e XIII, con la mediazionedi
questi
filosofi ebbe
luogo
Pintroduzione della teoria e delle
opere
di Aristotele nel mondo
latino,
che determin un rinnovamentobenefico
e
fecondo
per
molti ambiti del
sapere:
scienza naturale, filosofia,
teologia,
morale,
politica.
Ma fu
soprattutto
la metafisica che trasse i
pi
consistenti
vantaggi
da
quella
innovazione culturale. La
conoscenza
delle
opere
di Aristotele diede
nuovo
impulso
alla
speculazione
metafisica
degli
scolastici,
i
quali
senza
abbandonare Platone costruirono nuovi sistemi metafisici
attingendo
soprattutto
ad Aristotele.
Origini
della filosofiaislamica
Dopo
la morte di
Maometto,
il Profeta
(632
d.
C.), autore del Corano
e fondatore delllslam,
i suoi
seguaci, gli
arabi, con estrema
rapidit,
in
meno di un secolo
conquistarono
con
la forza delle armi a
Nord del-
lArabiatutto il Medio Oriente fino alla Turchia,
ad Est si
spinsero
fino
all'India, e
ad Ovest si
impadronirono
di tutta l'AfricaSettentrionale e
della
Spagna.
Fondarono cos un
impero
di dimensioni ancora
maggiori
di
quello
di Alessandro
Magno
e di Cesare
Augusto.
Le loro
conquiste
militari ebbero
logicamente
-
con
l'andar del
tempo

ripercussioni
profonde
sui vinti
e
sui vincitori anche sul
piano
culturale
I vittoriosi
seguaci
del Profeta entrarono in
possesso
della
grande
maggioranza
delle
opere
della cultura
pagana
e cristiana,
attingendo
direttamente alle fonti del
pensiero greco, sparso
in tutte le biblioteche
dell'immenso
impero conquistato.
A due secoli
dalllgira
(cio
nel
seco-
lo VIII d.
C.)
alcuni studiosi del Corano cominciaronoad
applicare
all'e-
sposizione
del testo sacro
il metodo filosofico,
cio del
puro
ragiona-
La
metafisica
islarrzica del Medioevo
337
mento. Sorse allora
quella
forma di
sapere
che i musulmani chiamano
Kalam,
cio conoscenza della Parola
(in
origine
in arabo kalam
significava
appunto parola),e
che
corrisponde praticamentea
teologia.
Al-Farabi
uno dei
primi grandi
filosofi
musulmani,
specialista
nella
divisione
e classificazionedelle scienze - d della Kalmn la
seguente
defi-
nizione:
Qualsiasi
religione
abbraccia dei
dogmi
e delle azioni
pratiche:
dogmi
che
riguardano
Dio,
i suoi
attributi,
il
mondo; azioni come
quelle
che
servono a
glorificarlo
e
quelle
che
regolano
i
rapporti
tra
gli
uomini
(...).
La kalam la scienza che consente di far trionfarei
dogmi
e le azioni
determinate dal
Legislatore
della
religione
e
di
respingere
tutte le
opi-
nioni che le contraddicono.
Questa
scienza
comprende quindi
due
parti:
una
riguarda
i
dogmi
e l'altra le azioni
prescritte
dal
Legislatore.
Il
giuri-
sta
(faqib) accoglie
senza discussione
gli
uni e le altre e
li
pone
alla base
per
trarre le sue
conseguenze.
Invece il
teologo
(nzutakallin)
fa trionfare
(col suo
ragionamento)
i
principi
che il
giurista
assume come base,
senza trarre nuove
conseguenze.
Se accade che la stessa
persona
in
grado
di assolvere
contemporaneamente
entrambe le
funzioni,
allora
essa sia
giurista
sia
teologo:
far trionfare i
principi
in
quanto teologo,
mentre tirer delle
conseguenze
pratiche
in
quanto giuristaml
Al
primo gruppo
di
teologi
musulmani si d il
nome
di mutaziliti. Essi
vissero a
Bagdad
e a Bassora durante la
prima
met del secolo VIII. Delle
loro
opere
non rimasto
praticamente
nulla. La
ragione
di
questa perdita
pare
abbastanza ovvia: esse
furono tutte distrutte
dopo
che Al-Ashari
ne
smascher la
profonda
eterodossia. L'errore di fondo dei Mutaziliti era
quello
di fare un uso eccessivo della
ragione
e
della filosofianell'inter-
pretazione
del Corano. Ci li
aveva indotti a
negare gli
attributi di
Allah,
la
predestinazione
e
la
preesistenza
(non creazione)
del Corano.
Sorte
migliore
della
teologia
ebbe
per
qualche tempo
la filosofia
gra-
zie all'autonomiache
questa disciplinapoteva godere,
in
quanto
si basa-
va su un
pensiero puramente
razionalee si richiamava
a fonti totalmen-
te estranee al Corano.
Le
origini
della filosofiaislamica risultano
alquanto
oscure. Essa ini-
zia
con
la traduzione di testi filosofici classici - di
Platone, Aristotele e
dei
neoplatonici
-
prima
dal
greco
in
siriaco,
poi
dal siriaco in arabo o
dal
greco
in arabo. Gi nel secolo IX
sorgono
confraterniteche si dedica-
no allo studio della filosofia.Tra le associazioni filosofichesi rese Celebre
quella
dei "Fratelli della
purit" (purit
si riferisce esclusivamente alla
l) Citazione da L. CARDET-M. M.
ANAWAT, lntraduction la
thuhrge mzisulvnane,
Vrin,
Paris
1948,
p.
104. Cf.
AL-FARABI,
Opera omnia, rist.
Minerva,
Francoforte
1969.
338 Parte seconda
purificazione
dell'intelletto dalle
opinioni
del
volgo),
ai
quali
dovuta
la monumentale
Enciclopedia
che risale al secolo
X,
il cui testo arabo e
la
traduzione tedesca sono state messe a
disposizione degli
studiosi nella
seconda met del secolo scorso da F.
Dieterici,
in undici
volumi;
lEnci-
clopedia
divisa in due
parti,
di cui una tratta del macrocos1no e l'altra
del microcosmo". Tale
opera
monumentale di fatto
una elaborazione
delle
opere
pseud
o-aristoteliche che
contengono
elementi teoretici e
dot-
trinali
neoplatonici (pi specificamente procliani):
il De Causis e
la Theo-
logia
Platonica.
Il fondamento metafisico del reale
qui
un
processo
di emanazione
nel
quale
si riscontrano nove
stadi:
1) il
Principio;
2) l'intelletto; 3)
l'ani-
ma;
4)
la Materia
ideale; 5)
la materia
corporea;
6)
la sfera dei
pianeti;
7)
la forza della natura sublunare; 8)
gli
elementi; 9)
i
prodotti.
L'uomo
consegue
la beatitudinee
quindi
anche la vera libert soltan-
to mediante la
conoscenza
della verit. I
regimi
della vita umana nel
loro
aspetto politico-sociale
sono i
seguenti:
1)
Regime profetico;
2)
Regime regio,
3)
Regime
della comunit o
degli
emiri; 4)
Regime
di
specie
o
famiglia;
5)
Regime
di se stesso o del Solitario.
I filosofi che
personalmente
si affermano come cultori ed
espositori
della filosofia aristotelica
sono
detti
"falasifah",
traslitterazione araba
del termine
greco.
Di fatto
questi
filosofi,
pur
concedendo nei loro scritti
ampio spazio
al
linguaggio
aristotelico,
hanno della realt una visione
chiaramente
neoplatonica.
Al-Kindi
Il contributo di Al-Kindi al movimento filosofico
e
teologico
che si
andava
sviluppando
nell'Islam nel secolo IX e i suoi sforzi
per
contro-
battere lavversione naturale dei suoi
correligionari
alla recezione o
al-
Passimlazionedi metodi
e
di concetti
stranieri,
gli
riservano un
posto
totalmente a
parte
nella storia del
pensiero
filosoficoislamico?
VITA E OPERE
Pochissime sono le notiziedi cui
disponiamo
intorno alla vita di Abu
Yusuf
Yaqub
b.
Ishaq
al-Kindi.
Figlio
del
governatore
di Kufa
egli
nac-
que probabilmente
in
quella
citt verso
la fine dell'VIII secolo. Studi
grammatica,
filosofiae
teologia
a Bassora, e
poi
si stabila
Bagdad, capi-
tale
dell'impero
e centro della vita culturale islamica nel secolo IX.
2)
M. FAKHRY, Histoire de la
philosnplzieislamiquc,
Paris
1989,
p.
89.
La
metafisica
islamica del Medioevo
339
Godette dei favori di vari
califfi,
che mostravano interesse
per gli
studi
filosofici. Ma durante il
regno
di Al-Mutawakki
(847-861), violentemen-
te contrario alla filosofia
e alla
teologia,
le fortune di Al-Kindi subirono
un radicalerovescio. La
sua morte ebbe
luogo
nell873.
La
produzione
letteraria di AlKindi vastissima:
gli vengono
attri-
buite 242
opere
che
spaziano
attraverso tutti i
campi
del
sapere: logica,
metafisica, aritmetica, musica, astronomia,
geometria, medicina, astrolo-
gia, teologia, psicologia, politica, metereologia,
alchimia. Ma la
maggior
parte
dei suoi scritti andata
perduta.
Un
gruppo
di
opere sopravvive
nella versione latina: De
quinqlte
essentiis,
De intellectu et
intcllecto,
De
somno et
visione,
De theorica artiunz
magicarum,
Liber introductionis in
artem
logicae
demonstrationis.
IL
PLATONISMOARISTOTELIZZANTEDI AL-KINDI
Carattere
comune della metafisica islamica il
platonismo
di
fondo,
con una buona dose di aristotelismo in
superficie,
nel
senso
che una
metafisica che
segue
il
paradigma henologico
dei
neoplatonic, incorpo-
randovi tuttavia molte
strutture
ontologiche
aristoteliche.
Questo
indi-
rizzo
platonico-arstotelizzante
e
gi
chiaro nella metafisica di Al-Kindi.
Al-Kindi
corresse la
prima
traduzione araba
dell'opera
conosciuta
con il titolo di
Teologia
di Aristotele. In realt il libro
non
come asserisce
il titolo
un'esposizione
del
pensiero
di
Aristotele,
bens
unepitome
delle
Enneadi
IV,
V e VI di Plotino. Ci di
grande importanza
per compren-
dere la
posizione
di Al-Kindi
e dei suoi successori
peripatetici
nella
filosofia islamica.
Egli
infatti attribuisce
a Aristotele concezioni chiara-
mente
neoplatoniche, o almeno
non trova alcuna
incongruit
nell'am-
metteme la
compatibilit
con la teoria del medesimo.
Il De theoricaartium
magicarum
rivela, forse,
meglio d'ogni
altro scritto
l'influenzadel
pensiero neoplatonico
su Al-Kindi. In
questo
trattato
egli
sostiene
che, se a
qualcuno
fosse dato di
comprendere
nella sua interez-
za la condizione
presente
dell'armonia
celeste,
questi
conoscerebbe il
mondo
degli
elementi
con tutti i suoi contenuti in
ogni luogo
e in
ogni
tempo,
nella misura in cui ci che causato si trova nella sua causa. Se,
invero,
egli
conoscesse una
qualsiasi
cosa di
questo
mondo in maniera
completa
nella
sua condizione
presente,
allora la condizione
presente
dell'armonia celeste non
potrebbe restargli nascosta, poich egli
com-
prenderebbe
la
causa
per
mezzo del
suo effetto: infatti tutte le
cose che
agiscono
nel mondo
degli elementi,
per quanto piccole,
sono effetti del-
l'armonia che
governa
i
cieli; e le
cose,
tutte
quelle
che
sono e tutte
quel-
le che
saranno,
sono
previste
all'interno di
quellarmonia.
Di
conseguen-
za uno che
avesse
perfetta conoscenza dell'armonia celeste conoscereb-
be in maniera
completa
il
passato
e
il futuro.
340 Parte seconda
Questa
teoria
pu
risultare
pi
chiara
se
si tiene
presente
la dottrina
secondo cui tutto ci che esiste nel mondo fisico emette
raggi
in
ogni
direzione,
in modo tale che
ogni
cosa contiene i
raggi provenienti
da
ogni
altra
cosa.
Pertanto la conoscenza
completa
di una
qualsiasi
cosa
di
questo
mondo
comprende
in s come in uno
specchio
la condizione
complessiva
dell'armonia celeste.
Ogni
cosa
inoltre
soggetta
a neces-
sit. Al-Kindi
giudicava, poi,
che l'armonia dei cieli fosse la Causa vera
di ciascuna
cosa,
bench
nell'opinione popolare
si
supponesse
che
una
cosa
agisse
sull'altra
per
mezzo
dei suoi
raggi.
Una tale dottrina rivela
senz'altro una certa fiducia nei
poteri
della
magia
naturale.
LA METAFISICAE I SUOI COMPITI
Al-Kindi conosceva certamente la metafisica di Aristotele
e
da lui
mutua tutte le tesi che
riguardano questa disciplina. Nellimp0rtante
trattato intitolato
Filosofia
Prinra Al-Kindi definisce la filosofia come
conoscenza
delle Cose
nella loro
realt,
secondo la
capacit
dell'uomo,
e la filosofia
prima
o metafisica come conoscenza
della Realt Prima,
Causa
d'ogni
realt.
Seguendo Pesempio
di
Aristotele,
Al-Kjndi sottolinea il carattere cu-
mulativo della
filosofia,
il debito del filosofo verso i suoi
predecessori
e
il
suo
dovere di ricevere con
riconoscenza la
verit,
da
qualsiasi
fonte
essa
provenga:
Noi dobbiamo
ringraziare
moltissimo tutti coloro che ci
hanno comunicato
anche
una
piccola particella
di
verit, e a
pi
forte
ragione
coloro che
ce ne
hanno
insegnato
di
pi, perch
ci hanno resi
partecipi
dei frutti delle loro riflessioni e
hanno
semplificato
le
questioni
complesse
che
riguardano
la natura della realt. Se non ci avessero
for-
nito
queste premesse
che
spalancano
la
porta
della
verit,
noi saremmo
stati
incapaci,
nonostante
prolungate
ed assiduo ricerche,
di trovare i
principi primi
da cui sono derivate le conclusioni delle nostre
ricerche
su
questioni oscure,
e
che
sono
stati trasmessi di
generazione
in
genera-
zione fino ai
giorni
nostri!
Lo studio della metafisica,
spiega
Al-Kindi sulla scia di
Aristotele,
riguarda
le
quattro
cause: materiale, formale,
efficiente e
finale. Pi la
nostra conoscenza
delle cause
di
un
oggetto

completa, pi
ci accostia-
mo
alla verit. Noi dobbiamo
accogliere
la verit da
qualsiasi
fonte essa
provenga,
perch
nulla dev'essere
pi
caro al ricercatore della
verit,
che la stessa verit. E votati allo studio della verit,
dobbiamo iniziare
con un accurato esame
delle
opinioni
dei nostri
predecessori, integran
3)
Citazionein M.
FAKHRY,
0p.
cit,
p.
93.
La
metafisica
islamica del Medioevo
341
dole l dove necessario secondo i criteri della nostra
lingua
e della
nostra
epoca.
Chi
respinge
la ricerca della verit deve biasimare
se stes-
so, perch
la
conoscenza della verit
comporta
la
conoscenza del
divino,
dellunicit di
Dio,
di ci che virtuoso e utile, come
pure
dei mezzi
per
accostarvisi e
per fuggire
il contrario.
AlKindi
ripartisce
la filosofiain due rami
principali:
la fisica che stu-
dia le realt
materiali, e la metafisica che studia le realt immateriali.
Questa
divisione aristotelica viene
pero allargata
al fine di farla corri-
spondere
alla distinzione tra le cose divine
e le cose "create. Cos le
due
principali
divisioni della filosofia
sono chiamate scienza
degli
oggetti
divini
e scienza
degli oggetti
creati.
ESISTENZA Dl DIO E CREAZIONE DEL MONDO
Dopo queste
Osservazioni introduttive sulla natura della metafisica
o
filosofia
prima
Al-Kindi
passa
ad esaminare alcuni temi fondamentali di
questa
"scienza
divina", iniziando dal
Principio primo
di tutte le
cose,
che
egli
chiama talvolta l'Eterno
e talvolta lUno. E
quesfUno
lo defini-
sce come colui che
non
pu
essere
concepito
come non esistente o come
avente
una causa diversa da
se stesso.
quindi
lEssere necessario e
incausato
e come tale
non
ha n
genere
n
specie, poich ogni specie
si
compone
di
genere
e differenza
specifica,
e inoltre
implica
la
composi-
zione di
un
soggetto
(il
genere) e
di
un
predicato (la
forma
specifica).
AlKindi
usa vari
argomenti
per provare
l'esistenza di
Dio,
argomen-
ti
gi impiegati
dalla metafisica
religiosa
sin dai
tempi
di Filone Ales-
sandrino,
in
particolare l'argomento
dell'ordine del
cosmo e
l'argomen-
to
dellanalogia
tra il microcosmo
(l'uomo) e il
macrocosmo(l'universo).
Partendo dall'ordine
e dallarmonia che si
pu
riscontrare nel mondo
sensibileAl-Kindi stabiliscel'esistenza di
un artefice divino di tale ordi-
namento: data
una
qualsiasi organizzazione
esiste il
corrispondente
organizzatore.
Il secondo
argomento
basato
sull'analogia
tra la struttu-
ra dell'essere
umano e la struttura dell'universo. Poich l'uomo un
microcosmo,
cio
un
duplicato
in scala minore
dell'universo,
egli pu
cogliere
in
se stesso delle tracce che
rimandano alla natura considerata
nella
sua totalit, e
poich
l'uomo oltrech di
corpo
dotato anche di
spirito,
occorre concludere che l'universo
non sia da
meno e che
quindi
esista
uno
Spirito
che
presieda
al
governo
di tutto il
cosmo.
L'attributo
principale
di Dio l'unicit.
Questo
dogma
fondamentale
della fede islamica viene
argomentato
da Al-Kindi anche filosoficamen-
te. Le cose infatti derivano la loro unit da
Dio,
principio d'ogni unit, e
di
conseguenza
la loro unit secondaria
e,
per
cos
dire, si tratta di
un'unit derivata
e
di un'unit in
senso
figurato.
342 Parte seconda
Un altro attributo essenziale di Dio la
perseit:
il
suo essere
incau-
sato. Essendo incausato non
pu
essere
che eterno. ln
quanto
causa
di
tutte le cose
lEssere Primo dev'essere
superiore
a tutto
il resto e non
presentare
alcuna
analogia
con le creature.
Egli

semplice,
non
avendo
n materia n forma, e non

soggetto
a mutamenti,
essendo esente
da
tutte le
quattro
forme di mutamento
elencate da Aristotele:
quantitativo,
qualitativo, spaziale
e sostanziale.
Da Dio Al-Kindi fa scaturire tutte le cose. La loro
origine
ha
luogo
mediante la creatio ex
nihilo. Probabilmente
egli
ha ricavato
questa
dottri-
na
dal
neoplatonico
cristiano Giovanni
Filopono
che
aveva
sostituito la
tesi tradizionale,
ellenca ed ellenistica,
di
un universo
eterno,
tesi avan-
zata da Aristotele e Proclo, con
la tesi della creatio ex
izihilo. La creazione
un
processo
che consiste nel far venire all'essere le cose a
partire
dal
nulla, e
questa
una
prerogativa
di Dio. Non solo
l'origine
delle cose
ma
anche tutto
quanto
accade in
questo
mondo ha
come causa
prin-
cipale
Dio. Dio
, quindi,
l'unico
Agente
Reale ossia la sola causa
nel
mondo. Al-Kindi,
che condivideva
questo
detto con
i
teologi
musulma-
ni, restava tuttavia sufficientemente
impregnato
dello
spirito greco per
riconoscere la necessit di enunziare ci che si
pu
chiamare la
grande
catena causale
degli
esseri, e
pi
nello
spirito
aristotelica che in
quello
del
neoplatonismo,
che
pi
tardi doveva diventare molto di moda.4
Nonostante la sua
preoccupazione
di difendere la sovranit di Dio
quale
causa
finale della
creazione,
Al-Kndi non
i
gnorava
il ruolo
degli agenti
secondi nei
processi
della natura. In un trattato intitolato
La causa
prossima efficiente
della
generazione
e
della corruzione
egli
esamina
la funzione di un
agente
intermedio o subalterno,
affinch la
disposi-
zione universale delle cose
per
mano
di
Dio, attraverso
i decreti della
sua
saggezza, possa
essere messa
chiaramentein evidenza.
Le
prime
creature
di Dio sono
i
Corpi
celesti: si tratta di entit
supe-
riori dotate di vita e
di
intelligenza.
In
quanto
cause
prossime
della
gene-
razione e
della corruzione i
Corpi
celesti
godono
di un'assoluta
premi-
nenza
rispetto
a tutte le realt terrestri: la loro vita non cessa mai, e
la
loro conoscenza
superiore
alla conoscenza
razionale di cui dotato
l'uomo.
Nel mondo sensibilela creatura
pi
nobile l'uomo,
che AlKindi
pre-
senta
frequentemente
come un "microcosmo,
dottrina
questa
che
egli
ritiene
compatibile
con
gli insegnamenti
di Maometto. Nella misura in
cui l'anima e una sostanza
incorporea appartiene
alle Sfere incorruttibili.
4) M. FAKHRY,
op.
cit,
pp.
101-102.
La
metafisica
islamica del Medioevo
343
Il
suo
argomento
a favore
dellncorporeit
dell'anima si basa sulla
con-
cezione
pitagorico-platonica
dell'unione accidentale
e
temporanea
del-
l'anima
e
del
corpo.
L'anima
principio
della
vita; essa anima il
corpo
organico
per
un
periodo determinato,
poi
lo abbandona
senza alcun
pre-
giudizio
per
il
proprio
essere. AlKindi ritiene che esista
una
moltepli-
cit di anime individuali
che, come
egli
dice,
sopravvivono
alla morte
del
Corpo.
Di
grande importanza
per
i successivi
sviluppi
che ebbe la
questione
sullintelletto tra
gli interpreti
arabi
e cristiani di Aristotele il trattato
De intellectu di Al-Kindi.
Egli
divide l'intelletto in
quattro specie:
l'intel-
letto che
sempre
in atto
(che fornisce intuitivamente la
conoscenza dei
principi primi),
l'intelletto che in
potenza
nell'anima, lintelletto che
passa
dalla
potenza
all'atto,
ed infine l'intelletto dimostrativo.
Questa
dottrina
esplicitamente
attribuita ad Aristotele e allo stesso Platone,
ma
quasi superfluo
dire che
non si trova nei loro scritti:
infatti, Ari-
stotele si limita
a
distinguere
l'intelletto attivo da
quello passivo.
La
pi
elaborata classificazionedi
Al-Kindi,tuttavia,
sembra essere il
prototipo
di simili distinzioni che
saranno
operate
da Al-Farabie da Avicenna.
La tendenza
a conciliarePlatone
e Aristotele e caratteristica della
prima
filosofiaislamica. Al-Kindi scrisse un breve trattato volto a con-
ciliare" la definizione aristotelica dell'anima
e
quella platonica
e
A1-
Farabi,
di cui tratteremo in
seguito pi diffusamente,
compose
una
pi
estesa Armonia tra Platone e Aristotele:
opere
di
questo genere
sembrano
in effetti
essere dei tentativi volti a mettere d'accordo Aristotele e il
neo-
platonismo.
Come abbiamo
gi
osservato il risultato che si ottiene
con
questi procedimenti
la costruzione di
una metafisica
platonico-aristo-
telizzante:
platonica
nella
sostanza,
aristotelica nel
linguaggio
e
in molte
strutture
ontologi
che.
Al-Farabi
VITA E OPERE
La
gloria
di Al-Kindi
venne ben
presto
oscurata da
quella
di Abu
Nasr Mohamed ben Mohamed ben
Uzlag
al
Farabi,
presso
i latini Al-
Farabi,
detto cos dal distretto di Farba nel Turkestan
ove
nacque
verso
l'anno 870 d. C.
Di lui
non si hanno notiziemolto
pi ampie
che
su Al-Kindi,sebbene
ci sia
pervenuto
un numero
maggiore
di
sue
opere
e la
sua influenzasia
stata molto
pi
vasta. Si
sa
che dai suoi
contemporanei
era chiamato
ilsecondo
maestro,
poich
Aristotele era ovviamenteil
primo.
344 Parte seconda
Al-Farabi ricevette la
prima
formazione a Damasco,
dove di
giorno
faceva il
giardiniere,
mentre di notte si dedicava alla lettura di
opere
filosofiche. Successivamente si trasfer
a
Bagdad,
dove
godette
del
pa-
trocinio della
famiglia
del califfo e incontr i
maggiori
intellettuali del
suo
tempo. Dopo
un
viaggio
in
Egitto
si sistemo ad
Aleppo,
al Nord
della Siria,
dove si
spense
nell'anno95D,
all'et di ottant'anni.
Di notevole
proporzioni
la
produzione
letteraria di Al-Farabi:essa va
dalla
logica
alla
metafisica,
dalla
politica
alla
morale,
dalla fisica alla
medicina. Di lui stato scritto che fu il
pi grande
dei
Falasifa
nell'e-
sposizione
della
logica
e delle sue
branche. Commento accuratamente
tutto
l'Organon
aristotelico, e un
discreto numero
dei suoi commenti
giunto
sino a noi. Secondo l'uso del
tempo
i suoi commenti assumono
tre forme:
quella dellEpitome
(o commento breve),
del Commento
medio
e
del Commento
grande
o
lungo.
Oltre
allOrganon,
di Aristotele
comment molte altre
opere,
tra le
quali
la
Retorica,
la
Metafisica
e
il
De anima. Scrisse anche
un'opera
intitolataLa
filosofia
di Aristotele.
Per
quanto
attiene la metafisica le
opere
pi importanti
che ci sono
pervenute
sono:
Opuscolo
sulle
scienze,
Trattato sullintelletto e
Idee
degli
abitanti della citt virtuosa.
Le tendenze
neoplatoniche implicite
nella filosofia di Al-Kindi,
acquistano
tutta la loro
importanza nell'opera
di Al-Farabi,
il
primo
filo-
sofo musulmano che costruisce un sistema metafisico di vaste
propor-
zioni,
elaborato secondo il
paradigma henologico
e
secondo il metodo
dall'alto. Il
pensiero
di Al-Farabi non manca
di
originalit.
La sua
fu
una
riesposizione
estremamente
suggestiva
del
pensiero speculativo
della sua
epoca,
con tutte le diverse influenzeche andavano
foggiando-
lo
(...).
Poich il
suo
linguaggio comprende
termini
collegati
con
l'opera
dei
teologi,
dei mistici e con
Yeresia ismailita,
possiamo presumere
che
egli
avesse
familiaritcon
la loro letteratura.5
LA DIVISIONE DELLE SCIENZE
Una delle
opere
di Al-Farabi
pi
lette dai filosofi cristiani del medioe-
vo
1OpuscuIun1
de scientiisfi
L'opera

importante per
capire
la conce-
zione che aveva
Al-Farabi della filosofiain
rapporto
con
le altre scienze
e con
la
teologia.
In
questo
breve trattato Al-Farabi
passa
in
rassegna
tutta la
gamma
delle scienze note al suo
tempo
e
le classifica sotto otto
rubriche:
linguistica, logica,
matematiche, fisica, metafisica,
politica, giu-
risprudenza
e
teologia.
5) D. M. AFNAN, Azriceima,
Bologna
1969,
p.
30.
6) Questo opuscolo
stato
ristampato
recentemente da
Minerva,
Frankfurt 1969.
Le nostre citazioni sono tratte da
questa
edizione.
La
metafisica
islamica del Medioevo
345
Le scienze
linguistiche
sono divise in due
categorie: quelle
che tratta-
no delluso della
lingua per
tutte le nazioni e
quelle
che trattano delle
regole proprie
di una
lingua particolare.
La
logica
differisce dalla
lingui-
stica,
particolarmente
dalla
grammatica,
in
quanto
tratta dei concetti e
delle
regole
che li
governano
nonch dei mezzi
per prevenire
l'errore.
Le scienze matematiche
comprendono
Paritmetica,
la
geometria,
la
prospettiva,
l'astronomia,
la
musica,
la dinamica
e la meccanica. In
ognuna
di
queste
scienze c
una
parte
teorica e una
parte pratica.
La fisica
e la metafisica
occupano
un
posto
di
prim'ordine
nellesame
che Al-Farabifa delle scienze. La fisica definita
come ricerca dei
corpi
naturali e
degli
accidenti inerenti ai
corpi.
Essa tratta delle cause mate-
riale, formale,
efficiente
e
finale delle
cose,
e si divide in otto
parti
fon-
damentali che
corrispondono:
alla fisica in
generale,
allastronomia,
alla
meteorologia,
alla
biologia,
alla
mineralogia,
alla
botanica,
alla
psicolo-
gia
e alla storia
degli
animali.
La
metafisica,
detta scienza
divina,
viene divisa in tre
parti principali.
La
prima
tratta
degli
enti
(essenze) e
di ci che li
riguarda
in
quanto
enti:
prirrza inquirit
de essentiis et de rebus
quae
accidunt cis secundo
quod
sunt cssenta? Essa
corrisponde
alla
usiologia"
della metafisica aristo-
telica. La seconda
parte
si
occupa
dei
principi primi
delle scienze della
dimostrazione, e confuta
gli
errori in cui
sono incorsi
gli
antichi
per
. quanto
concerne i suddetti
principi:
destruit errores
qui
accidunt
antiqus
in
prirzcipiis
harurn scientiarunbmfl Essa
corrisponde
alla
parte aporetica
della metafisica di Aristotele. La terza
parte
si
occupa
delle sostanze
immateriali,
della loro
natura,
del loro
numero,
dei
gradi
della loro
eccellenza
e culmina nello studio di <<un essere
perfetto,
di cui non si
pu concepire
nulla di
pi perfetto (ad extremum
perfcctum,
quo perfectius
nihil
esse
p0tcst).9
Nulla
pu
essere simile a
questo
essere n
eguale;
n
c' alcunch che
possa
essere
precedente
ad
esso. Questa
parte
della
metafisica dimostra che l'essere
perfetto
unico e
conferisce l'unit a
tutto ci fuori di lui e
che il
primo
vero e conferisce la verit ad
ogni
altra
cosa ci che fuori di
lui;
che la causa finale di tutte le
cose,
e
che tutte le cose derivano il loro essere da lui.
Questa
terza
parte

quella
che Aristotele chiama
teologia.
Con l'esame della
metafisica,
la lista delle scienze
greche

completa,
ad eccezione della
politica. Questa
per
Al-Farabi
e
per
l'antica tradizio-
ne
peripatetica comprende
sia la
politica
in senso
proprio
sia
l'etica, e
Viene divisa in due
parti:
la
prima
tratta delle Virt e dei loro
rapporti
7) AL-FARABI,
Opusculum
de
scientiis,
p.
35,
5) IbicL,
p.
35.
9) Ibia,
p.
36.
346 Parte seconda
con la
felicit, mentre la seconda si
occupa
dei
regimi politici pi conge-
niali alla
pratica
delle virt. Due scienze
supplementari,
la
giurispru-
denza e la
teologia
scolastica,
concludono la classificazionedelle scien-
ze.
Entrambe
vengono
descritte assai concisamente. La
giurisprudenza

necessaria
per
determinare le
pratiche religiose
su cui la
legislazione
coranica non si
pronunciata
chiaramente. La
teologia
viene descritta
come
l'arte di difendere i
dogmi
della fede e di confutare coloro che ne
contestano la verit.
IL
SISTEMA METAl-lSlCO
Al-Farabi ci ha dato
un'esposizione completa
e
dettagliata
del suo
sistema metafisico nel libro Idee
degli
abitanti della citt virtuosa.
L'opera
divisa in
una
parte speculativa, quella
che
riguarda
la
metafisica, e in
una
parte pratica, quella
sulla la
politica
e
la morale. A noi
qui
interessa
soltanto la
prima.
L'edificiometafisico che ci
presenta
Al-Farabi di
stampo
nettamente
neoplatonico,
molto affine al
paradigmahenologico
e
triadicodi Proclo.
Ai vertice della enorme
costruzione
piramidale
si trova l'Uno o
Primo. Di Lui Al-Farabici offre la
seguente
descrizione:
Il Primo Esistente il fondamento dell'esistenza di tutto ci che esi-
ste. Esso esente da
ogni privazione
mentre in tutto ci che fuori di
Lui
ogni privazione pu
aver
luogo,
una o
pi.
Perci il Primo ne e
libero sotto
ogni rapporto.
Cos la sua esistenza Plccellente e
il
Primo,
n
qualsiasi
altra esistenza
pu
essere
pi
eccellente o
anterio-
re alla sua esistenza. Nelleccellenza dell'esistenza
Egli
sta in altissi-
rno
luogo,
e nella
perfezione
dell'esistenza
occupa
il
grado pi
eleva-
to. Perci e
impossibile
che alla
sua esistenza e alla sua sostanza si
rnescoli
alcun Non-essere.
E anche
impossibile
che
Egli
(il Primo)
abbia una esistenza soltanto
potenziale
e non
neppure possibile
in alcuna maniera che
Egli
non
esista. Perci nella sostanza e nell'essenza lEsistente che dura ab
aeterno senza
che
per
essere eterno abbia
bisogno
di
qualche
altro che
sostenga
la sua sussistenza: nella sua sostanza vi
gi
la sufficienza
per
la sussistenza e
la durata della sua esistenza. E assolutamente
impossibile
che vi sia unesistenza come
la
sua o
che un'altra esistenza
abbiaun
grado
come la sua esistenza.
Egli
l'esistente che
non
pu
in
alcun modo avere una causa
mediante la uale o dalla
quale
o
per
la
quale
la sua esistenza sia. Poich
egli
non a materia (...).
Egli
non
ha
neppure
forma
(...).
E
neppure
la sua esistenza ha un fine o uno
scopo.
Egli

separato
nella
sua sostanza da tutto ci che fuori di lui.11
1)
La traduzione in
lingua
tedesca stata curata da
Dieterici,
Leiden 1900.
11)
Ed.
Dietetici,
pp.
6 s5.
La
metafisica
islamica del Medioevo
347
Dal Primo
procede ogni
altra realt. Si tratta di
una
processione
che ha
luogo,
come nei
neoplatonici,
per
emanazione e non
per
creazi.one.
Uemanazioneavvienesecondo la dialetticadella
"manenza,
dellautoco-
scienza
e della
separazione.
Cos dal Primo discese l'esistenza del
Secondo.
Questo
Secondo
ugualmente
una sostanza assolutamente
incorporea
che
non si trova in una materia.
Questa
ha intellezione della
propria
essenza e
ha intellezione del Primo. E
pertanto
ci che
esso in-
tende della
propria
essenza non altro che la
sua essenza. Con ci che
egli
ha
intelligenza
del
Primo,
procede
da lui necessariamenteanche
una terza
Esistenza e in
quanto
(il Secondo) si sostanzializzain lui stesso
per
la
per-
sona
che
gli

propria,
ha da lui di necessit esistenza il Primo Cielow
Seguendo
la tradizione
neoplatonica,
nella serie delle emanazioni Al-
Farabi
distingue
due
piani:
il
piano
immateriale delle
Intelligenze,
e
il
piano
materiale che abbracciai
quattro
elementi,
le
piante, gli
animali e
l'uomo.
Le
intelligenze
sono sostanze assolutamente
incorporee
e non risie-
dono affatto nella materia. Da ciascuna di
esse, quando
costituita
sostanzialmente nella
propria
essenza
per
irradiazione risulta
una
sfera. Le sfere sono nove:
la sfera
pi
esterna o
prima
sfera,
la sfera delle
stelle
fisse,
le sfere di
Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio,
della Luna. Il
processo
di emanazione termina con Flntelletto
Agente,
che la
causa
dell'esistenza delle anime terrestri da un lato e delle for-
me
delle
Cose materiali dall'altro.
Nellbntologia
Al-Farabi introduce due distinzioni che
a
partire
da
Avicenna
giocheranno
un ruolo
importante
nella storia della metafisica:
la distinzione tra essere necessario ed essere
possibile,
e
la distinzione
reale tra l'essenza
e l'esistenza. Mentre l'essere necessario esiste necessa-
riamente e non
potr
mai
non esistere,
l'essere
possibilepu
esistere e
non esistere.
Negli
enti creati l'essenza realmente distinta dalla esisten-
za,
mentre in Dio
sono
la stessa cosa. Di
nessuna
di
queste
due
tesi,
comunque,
dovrebbeessere eccessivamente accentuata
l'importanza
nel
sistema di
Al-Farabi,come invece si fatto
talvolta,
poich
non costitui-
scono un elemento fondamentalenelle sue
speculazioni,
e soltanto
quan-
do
giungiamo
ad Avicennadiventano strutture essenziali della metafisi-
ca e
svolgono
la funzionedi distinzione
ontologica
di
capitale
valore.
12) fbicL,
p.29.
13) Cf. S. N.
AFNAN,
op.
cit,
p.
34.
348 Parte seconda
UINTELLETTOUMANO E UIMMORTALITDELL'ANIMA
All'intelletto,
in tutte le sue
molteplici
accezioni ed attuazioni AlFa-
rabi ha dedicato un trattatello,
Opusculum
de intellectu et intelletto,
che
godette
di
grande
fama anche
presso gli
scolastici latini.
L'opuscolo
esordisce con un
elenco dei
principali significati
con cui
usato il termine "intelletto": Nomen intellectzts dicitur multis m0dis.15 Al-
Farabi elenca sei
significati principali:
1)
vi l'intelletto cui si riferisce
l'uomo della strada
quando
dice che
qualcuno

intelligente;
2)
vi l'in-
telletto di cui
parlano
i
teologi;
3)
vi l'intelletto di cui discute Aristotele
negli Analytica
Priora; 4)
vi l'intelletto
(dei
primi principi)
di cui
Aristotele tratta nel VI libro
dell'Etica; 5)
Viene
poi
l'intelletto che Aristo-
tele analizza nel De
anima; 6) e
c' l'intelletto
(divino)
che
egli
menziona
nella
sua
Metafisica.
Non si deve ritenere che
questa
lista sia intesa da Al-
Farabi come una
classificazione
rigorosa,
ma
piuttosto
una
illustrazione
dei diversi
significati
che si
possono assegnare
alla
parola
intelletto,
ed
egli spiega
ciascuno di
questi
in modo abbastanza
particolareggiato.
Riguardo
al
quinto significato
del
termine,
che
quello
che si incon-
tra nel De
anima,
seguendo
Al-Kindi,
egli
afferma che Aristotele intende
questo
termine in
quattro
sensi diversi: Aristoteles in libro de
Anima,
pro-
ponit
eum
quatuor
modis. Unus enim est intellectus in
potentia.
Alias intellett-
tus in
effectu.
Alius intellectus
adeptus.
Alias est
intelligentia agens
(Aristotele
nel libro Sull'Anima
propone,
infatti,
quel
termine in
quattro
significati.
Uno,
dunque,
l'intelletto in
potenza.
Un altro l'intelletto in
atto. Un altro l'intelletto
acquisito.
Un altro
l'intelligenza agente).16
Secondo Al-Farabi
l'intelletto, nell'uomo, non
si identifica
con
l'ani-
ma,
che un'entit interamente
separata
dal
corpo,
e
che nondimeno, in
contrasto con
la tesi
platonica,
non
pu
esistere
prima
di
esso,
n
pu
trasmigrare
mediante la
metempsicosi,
concezione da cui
rifugge
la
mentalit islamica. In accordo con le tesi aristoteliche,
egli insegna
che
l'anima ha
parti
e facolt attraverso le
quali agisce
e
che
queste parti
e
facolt formano un'anima
singola.
l'anima umana
che dotata della
facolt
raziocinante, e ad essa vanno attribuiti
gli
atti che si
compiono
mediante il nostro
cervello. Pertanto l'intelletto una
delle facolt del-
l'animarazionale.
14)
Anche
questo opuscolo
stato
ristampato
da
Minerva,
Frankfurt 1969. Le nostre
citazioni sono
tratte da
questa
edizione.
15) AL-FARABI,
De intellectu et intellecto,
p.
45.
16) Ibid,
pp.
47-48.
La
nzetafisicu
islarrzica del Medioevo
349
L'uomo ha all'inizio
un intelletto meramente
potenziale
che
gra-
dualmente
perfezionato
fino
a che
non
giunge
a contatto con lIntelli-
genza Agente
che, come si e
visto,
l'ultimo
essere
puramente spirituale
nella
gerarchia
delle
Intelligenze
che
emanano da Dio.
Ulntelligenza
Agente
astrae
per
noi le forme dalle
cose sensibili
e, quando
essa diven-
ta
per
noi
oggetto
del
pensiero,
il nostro intelletto
raggiunge
lo stadio
dell'intelletto
acquisito.
Che
cosa tutto ci
implichi
a
proposito
dell'immortalit dell'anima
umana non facile
a vedersi. Secondo
Averro,
Al-Farabi
negava
com-
pletamente
l'immortalit
personale;
Ibn Tofal lamenta il fatto che Al-
Farabiin
un'opera
sulla morale asserisse che le anime dei
malvagi
fosse-
ro
sottoposte
ad eterni
tormenti, e
che in altri scritti sostenesse
invece,
che tali anime avrebberocessato di esistere
e
che solo le anime
perfette
sarebbero state immortali. Anche tra
gli
studiosi del nostro
tempo
non
esiste accordo
su
questo punto.
R. Walzer sostiene che Al-Farabi
era
capace
di
proporre
una dottrina ortodossa
a uso e consumo del
popolo
e
di nascondere alle masse le
sue
autentiche convinzioni. A
parere
di F.
Rahman, Al-Farabi
insegna
che solo le anime
degli
individui intellet-
tualmente colti
sopravvivono
alla morte del
corpo,
e
questa sopravvi-
venza
individuale,
ossia
non c' assorbimento
degli
individui
nellntelligenzaAgente.
Ci che rimane
comunque
certo
che,
per
Al-Farabi,
lo
scopo princi-
pale
dell'uomo
quello
di diventare simile a
Dio, e la via
migliore
per
conseguire questo
obiettivo la
speculazione
e la
contemplazione.
Avicenna
VITA E OPERE
Avicenna
(Ibn Sina)
nacque
a Bukhara, nellAsia
centrale, nel 980.
Suo
padre
era un alto funzionariodel
governo
musulmano della dina-
stia dei Sumanidi. Fu un
ragazzo
straordinariamente
precoce
e
acquist
una cultura
enciclopedica,
che
spaziava
dalla
grammatica
alla
geome-
tria,
dalla fisica alla
medicina,
dalla
logica
alla
metafisica,
dalla
giuri-
sprudenza
alla
teologia.
A 17 anni la
sua fama di medico
era
gi
cos
grande
che il
principe
Ibn
Mansur, essendo caduto
ammalato,
volle
essere curato da lui e Avicennariusc a
guarirlo.

da notare
che,
duran-
te il
Medioevo, in
Europa
Avicenna
godeva pi
fama
come medico che
Cf. R.
WALZER, lslamic
Culture,
14
(1940),
pp.
347 ss.
Cf. F.
RAHMANN,
Prophecy
in
Islam, London
1958,
p.
23.
350 Parte seconda
come
filosofo: Dante 10 colloca nel Limbo insieme ai
grandi
medici del-
l'antichit. Grazie a
questa
sua abilit,
egli
fu ricercato da tutte le
corti,
ebbe onori e titoli di
ogni
sorta,
fra cui
quello
di vicer. Nonostante tutti
questi
svariati interessi,
Avicennacontinu
sempre
a
occuparsi
di filoso-
fia. Lesse con
assiduit la
Metafisica
di Aristotele, senza comprenderne
il
significato
(come racconta
egli
stesso)
fino alla
quarantesima
volta,
allor-
ch finalmente
gli
caddero le
squame
dagli
occhi
e
pot coglierne
il
senso
profondo.
Negli
ultimi anni della sua
vita Avicennaattendeva a una
filosofia
orientale o
"filosofiadella illuminazione,
di tendenza misticizzante
di cui abbiamo la
prima parte:
La
logica degli
Orientali. Mor nel 1037
durante la
campagna
militare al
seguito
del suo
principe.
Fece una
morte molto edificante,
da
pio
musulmano, nonostante che in vita aves-
se
SPESSO
dato cattivo
esempio
bevendoalcolici e
mangiando
carni
proi-
bite
e avesse
suscitato le critiche e
l'opposizione
dei
teologi
musulmani
a causa
delle sue teorie filosofiche.
Della
sua
vastissima
produzione
letteraria,
oltre al
gi
citato La
logica
degli
Orientali,
ricordiamo le due
opere
maggiori:
il Canone
(una
enciclo-
pedia
medica in
cinque
libri) e
il Kitab
al-Sazfa
(conosciuto
dai medievali
sotto il titolo Liber
Sujficientiue), un'opera
che
comprende
trattati sulla
logica,
la
fisica,
la
matematica,
la
psicologia
e
la metafisica.
LA METAFISICA: OGGETTO,
PROPRIET,
DIVISIONE
Alla metafisica oltre
allimponente
trattato contenuto nel Kitab
al-Saifa
(Libro
della
salute),20
Avicennaha dedicato altri scritti: Kitab
al-Najat
(Libro
della salvezza)21
che un
ampio compendio dell'opera precedente
e
Kitab
al-Isarat
(Libro
delle direttive).
La
prima opera
fu tradotta in latinoverso
la
fine del secolo XII da Domenico Gundisalvi (Gundissalinus),
che le
diede il titolo Liber
Sufiicientiae,
e
che ebbe una Vastissima circolazione
tra
gli
scolastici cristiani. Lo stesso S. Tommaso ne fece
largo
uso e Duns
Scoto ricavo da essa alcuni
principi
fondamentali della sua
metafisica.
La nostra breve
esposizione
del
pensiero
metafisico di Avicenna si
basa sul
Szfa
e
sul
Najat.
19) Cf. DANTE, Inferno,
IV,
143.
2) Di
quest'opera
M. Horten nel secolo scorso
ha curato un'eccellente traduzionein
tedesco, ora
disponibile
in
ristampa:
M. HORTEN,
Die
Metaphysik
Aziicennas
Minerva,
Francoforte 1960.
31) Quest'opera
stata tradotta in latino da N. Carame e
pubblicata
Col titolo
Metaphysices Compendiwn,
Roma 1926.
La
metafisica
islamica del Medioevo
351
Il
Szfa
diviso in dieci
trattati,
di cui i
primi
nove sono dedicati alla
metafisica mentre il decimo riservato alla filosofia
pratica (etica e so-
ciologia).
Il
Najat
diviso in due
libri,
di cui il secondo assai breve e si
occupa
del futuro delle
anime,
del culto
e
della
profezia.
Invece il
primo,
molto
pi ampio,
espone
tutti i temi della
metafisica,
ed diviso in
quattro
parti, per
un totale di ben17 trattati.
In entrambele
opere
nella
parte
relativa alla
ontologia
l'ordine della
trattazione ricalca molto dal Vicino la
Metafisica
di Aristotele: definizio-
ne
dell'oggetto
della
metafisica, enucleazione del concetto di
essere,
definizione delle
quattro
cause e delle dieci
categorie,
studio della
sostanza e
degli accidenti, esame dei concetti di materia
e forma, atto e
potenza,
necessario e
possibile.
invece
quando
passa
a trattare del
prin-
cipio primo
delle cose e
della loro
origine,
Avicennaabbandona la
pro-
spettiva ontologica
di Aristotele
e, seguendo l'esempio
di
Al-Farabi,
fa
suo
il
paradigmahenologico
dei
neoplatonici.
Il
primo
argomento
che affronta sia nel
Sifii
sia nel
Najat

l'importan-
za e la necessit della metafisica. Avicennaricorda che le scienze si divi-
dono in due
grandi parti: speculative
e
pratiche. Compito
di
quelle pra-
tiche dare esecuzione a
quanto
Viene
scoperto
dalle
speculative
che
sono tre:
fisica, matematicae metafisica. La metafisica e necessaria
per-
ch tutte le altre scienze si
occupano
soltanto di alcuni
aspetti
della
realt
o di alcuni determinati
esseri; nessuna si
occupa
dell'essere in
quanto
tale: istarum
quiderrz
nullius
proprium
est scrutari Entis absoluti
dispositiones,
quae ipsunz
comitantur
eiusque principiam?
Avicennaricorda
poi
che alcuni
filosofi,definendola metafisica
come
studio delle
cause ultime,
le
assegnano
come
oggetto
la ricerca di Dio.
Ma Avicennadimostra che
l'oggetto formale
della metafisica
non
pu
essere Dio,
perch
di Lui necessario
provare
l'esistenza, mentre
nessu-
na scienza tenuta a dimostrare l'esistenza del
proprio oggetto.
E in-
fatti
impossibile
che la dimostrazione dell'esistenza
dell'oggetto
e la cle-
finizionedella
sua natura tocchi
a
quella scienza,
alla
quale
tale
oggetto
appartiene quale oggetto
formale?
Pertanto,
insiste
Avicenna,
oggetto
formale della metafisica l'essere in
quanto
tale e i
problemi
che
riguardano
le
cose alle
quali
l'esistenza
appartiene
necessariamente sen-
za alcuna restrizione>>fl4
22)
Melaph.
comp.
l,
p.
2, t. 1
(CARAME,
p.
l).
23)
Szfa
1,
1
(HORTEN,
pp.
7-9).
24) una, 2
([11,
p.
20).
352 Parte seconda
Ma che cosa
si intende
per
essere?
ll concetto di
essere,
secondo Avicenna,
talmente
primigeno
che di
esso
impossibile
fornire definizioni o
descrizioni. L'essere
(come l'uno)
non
pu
venire definito
perch
non
esiste nessun concetto
pi generale
di
quello
di essere
nei termini del
quale quest'ultimo possa
venire defi-
nito; esso
inoltre non
pu
venire descritto
perch
nulla conosciuto
meglio
dell'essere. Le
descrizioni,
secondo Avicenna,
affermano su
di
una cosa
delle
propriet
affinch noi
possiamo
avere
qualche
conoscen-
za di
essa, quando
non
conosciamo la sua
essenza;
ma
poich
non
c'
nulla di
pi primigenio
dell'essere sul
piano
della
conoscenza,
una
descrizione che conduca a una conoscenza
dell'essere non
pu
essere
trovata. Il concetto di essere
sorge
nella mente
immediatamente...
subito
impresso
nell'anima, e non si
acquista
mediante nozioni
pi
note...
perci
non
pu
essere
dilucidatomediante
qualche
cosa
di
supe-
riore ad esso senza
cadere in un
circolo vizioso.25
Che l'essere sia la nozione
primaria
dimostrato da Avicennain
varie maniere. Una di
queste,
bench
non
del tutto
originale,
elaborata
da Avicennain una
personale
versione ed di notevole
importanza per
la sua
psicologia
oltre che
per
la sua
metafisica. Si tratta
dell'argomento
dell"'uomo volante": si
supponga
che
un uomo
inizi
daccapo
la
propria
esistenza con
la
pienezza
dei suoi
poteri
intellettivi,
per sospeso
nello
spazio
in modo tale che
egli
non
possa
percepire
nessuna
parte
del
pro-
prio corpo
n
possa
ricevere stimoli da alcuno dei suoi sensi:
posto
tutto
ci
quest'uomo
sarebbe ancora a conoscenza
del fatto che
egli
esisteflfv
Ci mostra non
soltanto come la conoscenza
che l'uomo ha di se stesso
non
dipende
da una
precedente
conoscenza
delle
proprie
azioni o dalle
esperienze
sensibili,ma
fa vedere anche come
il concetto di essere
sia
effettivamente il concetto
primario.
Ora,
in
quanto
concetto
primario
e
trans-generico,
l'essere (come l'uno, come la "cosa" ecc.)
dev'essere
conosciuto senza
definizione. Possiamo, ovviamente,
dire
qualche
cosa
riguardo
all'essere e ai concetti di
uno, cosa, essenza, possibilit,
neces-
sit (i concetti trascendentali)
che sono associati all'essere, ma
di
questi
concetti non
possiamo
dare n una
definizionen alcuna descrizione.
Laccurata analisi del concetto di
essere,
della sua
assoluta
priorit
gnoseologica rispetto
a
qualsiasi
altra idea costituisce uno
dei
principali
contributi di Avicennaalla metafisica. Gi Aristotele aveva
affermato
che l'essere in
quanto
essere

l'oggetto
della metafisica, ma non aveva
approfondito
la
questione dell'acquisizionecognitiva
del concetto di
essere.
Su
questo punto
Avicennaha dato un
apporto
fondamentale.
25) Ibizi,
5 (ID.,
pp.
44-45).
2) Cf. Isarat,
ed. A. M. GOICHON,
Le livre des directives,
Paris 1951,
pp.
303 ss.
La
metafisica
islamica del Medioevo 353
Ma ci che
egli
lascia ancora
irrisolta la
questione
della natura
dell'es-
sere stesso; la
perfezione pi comune,
come
dir
Scoto, 0
la
perfezione
suprema
come
dir S. Tommaso? Avicennasembra
pi
incline alla ver-
sione scotista che a
quella
tomista.
Definito
l'oggetto proprio
della metafisica Avicenna
passa
ad illustra-
re
le
propriet
di
questa
nobile
disciplina.
Essa la
regina
delle scienza,
in
quanto
fonda i
principi
su
cui si basano tutte le
altre;
la
filosofiaprima,
in
quanto
tratta della realt
prima,
della causa
prima;
la
sapienza
per
eccellenza,
in
quanto
studia il
pi perfetto
di tutti
gli oggetti,
Dio e
le cause
che
Vengono
dopo
di
lui, e
proprio per questo
motivo anche
scienza divina? La metafisica sommamente utile,
anzi necessaria.
Infatti utile tutto ci che
giova
al
conseguimento
della felicit e a ci
contribuisce indubbiamentela conoscenza
della Causa Prima,
che e la
fonte della felicit. Ma la metafisica utile anche in
quanto giustifica
i
principi
delle altre scienze, e
questo
non
un
ruolo ancillarebens l'aiu-
to di una
guida
sicurafli
Assumendo come
fondamento della divisione Pimmaterialit
degli
oggetti
studiati,
Avicennadivide la metafisica in
quattro parti:
la
prima
studia
gli oggetti
assolutamente
immateriali
(Dio e
gli angeli);
la
secon-
da,
gli oggetti
che sono
di
per
s immateriali ma
che si trovano in
rap-
porto
con
gli oggetti
materiali in
quanto
loro cause (le
sfere celesti);
la
terza, gli oggetti
che si
possono
realizzaresia nella sfera immaterialeche
in
quella
materiale
(sostanza e accidenti);
la
quarta, gli oggetti
che esi-
stono soltanto nella materia, ma
che
possono
essere
considerati
anche in
astratto dalla materia (moto e
quiete)
LE CATEGORIE E LE STRUTTURE
DELIJEssERE
Avicennadedica alcuni trattati del
Sifa
(II-V)
allo studio delle
catego-
rie e delle strutture dell'essere.
La
prima
divisione che
egli prende
in
esame

quella
tra sostanza e
accidente. Come Aristotele,
Avicennasostiene che
ogni
essenza
che non
inerisce in
un
soggetto
sostanza e
ogni
essenza
che inerente a un
sog-
getto
accidente. La sostanza
pu
essere
materiale o
immateriale. La
sostanza immateriale ovviamente
preminente rispetto
ad
ogni
altra
sostanza. La sostanza materiale
composta
di materia e forma. Nella
scala dell'essere la forma
superiore
alla materia in
quanto

pi
reale.
27) Cf.
Sifa
I,
2
(HORTEN,
pp.
2325).
23) Cf. ibid, (ID,
pp.
28-35).
29)
Cf.
ibid., (ID.,
pp.
25-28).
354 Parte seconda
La materia
corporea
non
pu spogliarsi
della "forma materiale e rima-
nere
pertanto separata,
dal momento che la sua stessa esistenza
quella
di ci che suscettibiledi
ricevere,
proprio
come
quella
dellaccidente
l'esistenza di ci che suscettibiledi
essere ricevuto. La forma
quanto
conferisce unit a una
porzione
di materia e
dipende
dalla
disposizione.
Data la distanza
ontologica
che
separa
la forma dalla materia Avicen-
na sostiene che
nessuna delle due
pu
essere causa dell'altra. La materia
non
pu
essere causa
della
forma,
poich
soltanto in
potenza
a riceve-
re la forma
e ci che in
potenza
non
pu
divenire la causa di
quanto

in atto. Inoltre se la materia fosse
causa della forma dovrebbe essere
anteriore ad
essa essenzialmente, e noi
sappiamo
che nella
gerarchia
dell'essere la materia
non
gode
di tale
priorit:
onde
non vi
possibilit
alcuna che
essa ne sia la
causa. A
questo punto
Avicenna
distingue
tra
forma
separata
e
forma materiale
particolare.
L'assunzionedi
una forma
particolare
da
parte
della
materia,
avviene
per opera
di
una forma
sepa-
rata,
lIntelletto
agente:
la decima
intelligenza
che
svolge
tra l'altro
anche la funzione di Datore delle
Forme, noto
agli
Scolastici sotto il
nome di
Datorformarum.
Viene
poi l'importante
distinzione aristotelica tra atto e
potenza.
Sono
questi
i due concetti che Aristotele introdusse
per spiegare
il feno-
meno del
divenire,
il
quale
sarebbe
impossibile
se tutto fosse
sempre
in
atto
oppure sempre
in
potenza.
Infatti il divenire un
passaggio
dalla
potenza
a1latto:
e si d divenire finch la
potenzialit
di
una cosa non
interamente attualizzata.
L'atto,
insegna
Avicenna
con Aristotele,
ha
priorit
sulla
potenza.
Dio in atto e cos
pure
la
forma;
la materia inve-
ce in
potenza.
ESSENZA-ESISTENZA, NECESSARIO-POSSIBILE
A
questo punto
della
sua
indagine
metafisica Avicenna introduce
due distinzioni che
svolgono
un ruolo fondamentale nel
suo sistema, e
che
rappresentano
anche
un
apporto
molto
importante
per
i futuri svi-
luppi
della storia della
metafisica,
specialmente
in S. Tommaso
e
Duns
Scoto. Si tratta
rispettivamente
delle distinzioni tra essenza ed
esistenza,
e tra necessario e
possibile.
Essenza ed esistenza
I concetti di
essenza ed esistenza
erano
gi
noti a Platone,
Aristotele
e
ai
Neoplatonici,
ma nessuno di loro li
aveva utilizzati
come strutture
portanti
della metafisica.
Al-Farabi,come si
visto,
il
primo
filosofo
che d risalto
a
questa
distinzione, ma senza trarre tutte le
importanti
implicazioni
metafisiche che
essa contiene. Il merito di
avere fatto della
La
metafisica
islamica del Medioevo
355
distinzione tra essenza ed esistenza uno dei fondamenti della metafisica
dell'essere
spetta
ad Avicenna.
Egli
ne tratta a
lungo
in tutte le sue
opere
filosofiche, ma in modo
particolare
nel
Sifiz.
Ecco alcuni
passi importanti.
Essere e cosa (res, essentia) sono concettualmente
presenti
nell'anima
e
formano due concetti distinti
(...).
Ogni
cosa
possiede
un'essenza
reale,
grazie
alla
quale
essa ci che . Cos il
triangolo
ha
una reale
essenza: l'asse
triangulunz; parimenti,
il colore bianco: l'asse album.
Spesso
noi
designiamo questo
come un essere
particolare,
senza tut-
tavia includervi l'idea di
esistenza;
poich l'espressione
"esistenza"
abbraccia molte altre
idee,
per esempio,
l'essenza
concreta,
che costi-
tuisce il contenuto della cosa.30
C' differenza tra l'idea di
ras e
di
esistenza,
poich
una cosa
pu
semplicementeessere,
mentre l'esistenza . La loro relazione
analoga
a
quella
che c' tra una cosa e i suoi accidenti.
Questa
differenza l'ab-
biamo
gi
incontrata nella
logica;
ma diamoci ancora uno
sguardo,
prendendo
come
esempio
l'uomo.
Ora,
l'uomo
rappresenta
un'essen-
za reale,
che costituisce la sua definizione
e
1a
sua
quiddit,
senza tut-
tavia indicare la condizionedella
sua esistenza, individuale
oppure
universale,
nell'individuoconcreto
oppure
nell'anima
pensante,
ossia
se esista nella forma di
semplice possibilista
oppure
di effettiva
realt.31
Tutte le
cose,
all'infuori dell'essere vero e necessario hanno
essenze
che si trovano nella condizionedi meri entia
possibilia.
Un'esistenza
reale
giunge
loro soltanto dall'esterno. Nell'essere
primo
non c'
nulla che
possa essergli aggiunto.
Le altre cose sono essenze
che rice-
vono l'esistenza da Lui mediante l'emanazione>>.32
Da
questi
testi risulta chiara l'intenzione di Avicennadi
porre
una
netta distinzionetra essenza
ed esistenza: si tratta di due dimensioni di-
stinte dell'essere. L'essenza
riguarda
ci che
una cosa ,
l'esistenza ri-
guarda
il
suo modo di essere. Ma
per
esistenza Avicenna
non
intende
l'atto
d'essere, come lo
concepir
invece S.
Tommaso,
bens
appunto
il
modo d
essere,
che
pu
essere
duplice,
cio necessario
o
possibile.
Avicenna
osserva
che alcune caratteristiche
appartengono
alla natura
di una cosa in
quanto
costitutive della
sua
natura,
mentre altre vi
appar
tengono
come
propriet
che
sono connesse
logicamente
a tale natura.
30) lbid., l, C. 5 (ID.,
p.
48).
31) lbid., Vl, 3
(ID.,
p.
392).
32) lbid., VIII,
4
(ID.,
p.
503).
356 Parte seconda
Ma dalla definizionedella natura di
una cosa non si
pu scoprire
se essa
esista
oppure
no,
ossia se sia concretamente realizzata. Una natura 0
essenza
semplicemente
ci che
essa , e noi non
possiamo sapere qua-
lora conosciamo solamente
questo
"che cosa" se essa sia concretamente
realizzata
oppure
no. Quindi, poich
il fatto che esista
qualcosa
di un
certo
tipo
differente dal
conoscere
che
cosa sia la sua natura,
Avicenna
sostiene che l'esistenza estrinseca nei confronti dell'essenza. Ci a sua
volta
per
Avicenna,
implica
che le
cose
la cui essenza e la cui esistenza
sono in tal modo distinte richiedono
una causa
che dia l'esistenza
a una
tale
essenza,
chela
porti
cio all'essere concreta.
Dire che l'esistenza esterna nei confronti dell'essenza sembra
equi-
valente a trattare l'esistenza
a
guisa
di accidente. Ma
non del tutto
certo che
questa
sia l'intenzionedi Avicenna. Inoltre che
cosa
egli
inten-
da
per
esistenza resta in
qualche
modo
oscuro.

vero
nondimeno che
Avicenna
ripetutamente
afferma nelle sue
opere
filosoficheche l'esisten-
za un
attributo accidentaledella
essenza.
Necessario e
possibile
La seconda
importante
distinzione che Avicennaintroduce nellonto-
logia

quella
tra essere necessario ed essere
possibile.
I concetti di necessario e
possibile
erano
ben noti ad
Aristotele,
che li
aveva
definiti
con
precisione
nella
Metafisica,
ma in Aristotele non erano
diventati strutture
polari
come invece materiae forma, atto e
potenza.
Necessit e
possibilit
sono
concepite
da Avicennacome due
supre-
me modalit dell'essere: l'essere si suddivide in essere necessario ed
es-
sere
possibile;
non esistono altre
modalit, tranne
quella
del
non essere.
Ecco le chiare definizioni di
questi
due concetti che Avicenna
propo-
ne nel
Najat:
L'essere necessario
quell'ente
che
se viene considerato
come non
esistente
implica
contraddizione. Mentre l'essere
possibile

quello
che sia che si
supponga
che esista sia che non esista non
per que-
sto
sorge
contraddizione.L'essere necessario
quello
che esiste necessa-
riamente. L'essere
possibile,
invece,

quello
che non
comporta
assoluta-
mente alcuna
necessit,
cio n
quanto
alla sua esistenza,
n
quanto
alla
sua non esistenza>>.33
L'essere
necessario,
vale a dire "ci che necessita
l'esistenza",

quel-
l'essere la
supposizione
della cui non-esistenza
implica
contraddizione,
laddove nel caso
di
un essere
possibile
nessuna contraddizionerisulta
sia che
supponiamo
che esso esista,
sia che
supponiamo
che
non esista.
33)
Metaph. comp.
l,
p.
2, t. L, c. 1
(CARAME,
pp.
60-61).
La
metafisica
islamica del Medioevo 357
Molto
pi ampia
la trattazione che Avicennariserva a
queste
due
modalit dell'essere nel
Szfa,
dove
egli
esamina accuratamente le loro
specifiche
caratteristiche.
Le caratteristiche dell'essere necessario
sono cos riassunte: L'essere
necessario
per
s:
1) non
ha
nessuna
causa; 2)
e necessario sotto tutti i
punti
di
vista; 3) non c' altro essere che sia
pari
ad
esso
nella
sua esi-
stenza,
di modo che ciascuno di essi sarebbe
eguale
all'altro
rispetto
alla
necessit
dell'esistenza, e in tal modo verrebbero
a condizionarsi reci-
procamente;
4)
l'esistenza dell'essere necessario non
pu
essere il risul-
tato della
somma di
una moltitudine di
esseri; 5)
l'essenza dell'essere
necessario
non
pu
affatto
essere di natura universale. Da tutte
queste
tesi risulta che l'essere necessario
non
pu
avere carattere relativo,
n
mutevole,
n
molteplice,
n universale.34
Per contro le caratteristiche dell'essere
possibile
sono le
seguenti:
L'essere
possibile
richiede un'altra realt
per
essere immesso nell'esi-
stenza.
Ogni
essere
possibile" rispetto
alla
sua esistenza resta
sempre
soltanto
un
possibile.
E tuttavia talora
pu
accadereche
grazie
a un altro
la sua esistenza
divenga
necessaria.
Questa,
la necessit dell'esistenza ab
all'0,

una
qualit
accidentale che
gli pu
essere data in modo
perma-
nente
oppure per
un
tempo
determinato. Nel secondo
caso si tratta di
un essere materiale>>fi5
Come risulta anche dai testi
citati, nell'ambitodell'essere necessario
Avicenna
distingue
l'essere necessario
per
s
e l'essere necessario
per
causam. Il necessario
per
causam il
possibile.Questo
divienenecessario
dal momento in cui
portato
all'esistenza
a causa
di
un ente che
asso-
lutamente necessario. Da tutto ci sembra
seguire
che tutto
quanto
esi-
ste ed causato
possibile
in se stesso, ma necessario in virt della sua
causa e cos,
almeno
sembrerebbe, nell'universo di Avicennanon
pre-
sente nessuna reale
contingenza.
LE
QUATTRO
CAUSE
Avicennadedica il VI Trattato del
Sifa
allo studio delle
quattro
causefiIl
capitolo
sulle
cause un altro
passo
preliminare
ma
indispen-
sabilealla costruzione dell'edificio metafisico.
Questo
oltre che
degli
strumenti concettuali
specifici
della
ontologia,
come
il
concetto dell'es-
sere,
la divisione dell'essere in sostanza e accidenti, essenza ed esisten-
za,
necessario
e
possibileecc.,
necessita anche di
una
metodologia
(me-
34)
Szfa
I, 6 (HORTEN,
pp.
61-62).
35) Ibid,
7
(ID.,
pp.
76-77).
35)
La sintetica
esposizione
si trova nel
Metaphysices Conzpendium (IV Trattato della
Prima Parte del Libro
Primo).
358 Parte seconda
taforicamente
immaginabile
come una scala
oppure
una nave)
che renda
possibilesuperare
i limiti,
i confini della
pura
sensibilit
empirica
di
questo
mondo,
per raggiungere
il mondo che sta al di l
(intelligibile,
immateriale, eterno).
ll mezzo
adeguato
individuato nella teoria delle
cause,
in
special
modo della Causa
efficientee della causa
finale.
Avicennafa sua la dottrina aristotelica delle
quattro
cause: materiale,
formale, efficiente,
finale. La causa
si
predica dell'agente...
e
la
causa
si
predica
della materia... e
la causa
si
predica
della forma... e
la causa
si
predica
del fine... e
ciascuna di esse
pu
essere 0
prossima
o remota...
essa 0
in
potenza
o
in atto.
universale 0
individuale...
per
essenza o
per
accidente_37
Avicennatende a
suddividere ancora
in due ciascuna delle cause
che
formano la
coppia
causa
materiale-causaformale. Divide la causa
mate-
riale in materia del
composto
e
materia del
sostrato;
la causa
formale
poi
da lui divisa in forma del
composto
e
forma della materia
prima.
Questo
ha indotto taluni a ritenere che
per
lui si dessero sei
cause;
in
realt
egli
afferma nel
Srfa
che le cause sono
quattro.
Come
per
Aristotele,
per
produrre
un
effetto si richiedono tutte le
quattro
cause,
e
l'effetto
segue
necessariamente dalle cause. Questo
at-
teggiamento
deterministico , come
abbiamo
osservato, uno
dei tratti es-
senziali del sistema di Avicenna.
La
causa finale, insiste Avicenna,
anche se
cronologicamente
viene
per
ultima, assiologicamente
la
pi importante
e Viene
per
prima, poi-
ch
l'agente principale
e
il motore
principale
in
ogni
cosa
e il fine: il
medico
agisce per
il risanamentodella salutami!
Tesi fondamentale di Avicenna e
di
capitale importanza per ogni
metafisica di
stampo
trascendentistico,
e che in nessun
genere
di cause

possibile
un
regresso
all'infinito,
perch
in tal modo non
si darebbe
conto della
origine
di una cosa. Per
quanto riguarda
la causa
efficiente
egli
non
esclude che
a livello orizzontaleci
possa
essere una successione
infinita di
agenti (per esempio
nella catena di
padri
e
figli),
ma
afferma
che ci
impossibile
livello verticale.
Qui
dev'esserci una causa
prima,
perch
dalla sua
efficienza
dipendono
tutte le altre cause. Quindi
sul
piano
del divenire la
sequenza
delle cause
pu
essere infinita, ma non
sul
piano
dell'essere: l'essere da cui
procedono
tutte le cose
l'essere
necessario, causa
prima
e causa
suprema.
37)
Metaph. comp.
I,
p.
1, t. 4 (CARAME,
pp.
34-35).
33) Sifa VI,
5 (HORTEN,
p.
430).
39)
Cf. ibid., v1,
1
(ID.,
p.
368).
La
metafisica
islamica del Medioevo
359
Nelle
cause
efficienti
Avicenna
distingue,
come far S.
Tommaso, tra
cause univoche
e cause
equivoche.
Le
cause univoche
sono
quelle
che
producono
effetti che
possiedono
la stessa natura della causa
(p. es.
il fi-
glio rispetto
al
padre).
Le
cause
equivoche sono
quelle
i cui effetti
sono
"essenzialmente" diversi dalla
causa
(per
es. la statua di
marmo
rispetto
allo
scultore). Dio
appartiene
all'ordine delle
cause
equivoche:
da
qui
l'infinitadifferenza
qualitativa
che
separa
Dio dalle creature.
UESISTENZADI
DIO,
UESSERE
NECESSARIO PER S
A
questo punto
Avicenna
dispone
ormai
dell'impianto
concettuale e
speculativo necessario,
per
tentare la
grande
scalata metafisica
e
per
dare
il Via alla seconda
navigazione.
L'attrezzatura che Avicennaha
predisposta
per questa
difficile
operazione proviene quasi
interamente da Aristotele.
Sennonch
per compiere
la
grande impresa
Avicennacambia
completa-
mente
registro:
dal
registro ontologico
di
Aristotele,
egli passa
al
registro
henologico
dei
neoplatonici.
E in
effetti, tutto il suo discorso
su Dio,
sulla
creazione, sull'ordine delle creature calca
pedissequamente
le
orme di
Plotino
e di Proclo. In
questo
modo Avicenna realizza la sintesi
pi
geniale
fino
a
quel tempo
realizzatadel
platonismoe dell'arist0telismo.
L'argomento principe
con cui Avicenna
Cerca di
provare
l'esistenza di
un Essere necessario tratto dall'esistenza
degli
esseri
possibili.
Ecco
come
egli
formula
l'argomento
nel
Najat:
Tuttoci che
(onzne esse)
un essere necessario
oppure possibile.
Se
assolutamente
necessario, allora abbiamo
gi provato
ci che si
voleva, ossia che esiste un essere assolutamente
necessario. Se invece
supponiamo
che si tratti di
un essere
possibile,
allora
possiamo
dimo-
strare che l'esistenza di
qualsiasi
cosa
che in se stessa
possibile
alla
fine deriva la
sua esistenza da un essere necessario.
Infatti,non ci
pu
essere una
sequenza
infinita di
cause
possibili responsabile
di tutto
l'ordine dei
possibili(...). Perci,
poich ogni
essere
possibile
richiede
una
causa,
dobbiamoalla fine
assumere un essere necessario,
il
quale
causi tutti
gli
esseri che in
se stessi
sono meramente
possibili.Questa
causa dans
esse estrinseca alla totalit dei
possibili
ed un essere
necessario
per
s
(necesse esse
per
se). Cos tutti i
possibilisono ridotti
ultimamente alla
causa che l'essere necessario. Pertanto
per quanto
attienei
possibili
non
pu
esserci
una causa
possibile
in
infinitumwt
40) Cf.
ibid, 6
(Io.,
p.
392).
41)
Metaph.
comp.
I,
p.
2, t.
2, c. 1
(CARAME,
pp.
91-93).
360 Parte seconda
Oltre a
questa
celebre
prova specificamente
avicenniana,
basata sulla
contingenza ontologica
del
possibile,
di
una
realt cio che in se stessa
pu
essere e non essere,
e
pertanto
non
ha
nessun
diritto all'esistenza,
nel
Najat
il nostro filosofoadduce altri due
argomenti
meno
originali
ma
pur sempre
importanti
nell'incedere metafisico: uno
si basa sulla causa-
lit efficiente e
l'altro sulla causalitfinale.
L'argomento
della causalit
efiiciente
fa vedere che
ogni
effetto
esige
una
causa e
che tutte le cause
che incontriamo in
questo
mondo sono cause
finite. Pertanto
per queste
cause
necessario ammettere altre cause. Ora,
nell'ordine delle cause
il
regresso
ad
infinitum

impossibile.Dunque,

necessario concludere che la causa di tutte le cause una causa
assoluta-
mente
primafl
L'argomento
della causalit
finale
muove
dalla constatazioneche in
que-
sto mondo esistono dei
fini; ora,
si
pu
osservare
che la catena dei fini
non
pu
essere
infinita. Pertanto esiste un
fine ultimo. Tale fine a cui
tutte le cose
aspirano
e
che la causa
della loro
perfezione
(causa
perfett-
tionis)
Dio.43
GLI ATTRIBUTIDI DIO E IL SIGNIFICATODEI NOMI DIVINI
Nel
Sifa,
dimostrata l'esistenza dell'Essere
necessario,
Avicerma
pro-
cede a un accuratoesame
degli
attributi che caratterizzanola sua natura
e
del
significato
dei nomi divini.
C' anzitutto una
lunga
serie di attributi
negativi:
unicit (il
Primo
assolutamente unico),
individualit (non
rientra in nessun
genere
e
in
nessuna
specie),
identit (senza distinzioni),
semplicit
(senza composi-
zioni),
eternit (senza
sequenze
temporali),
infinit
(senza limiti),
auto-
nomia (senza
condizioni e
privazioni).
Riassumendoi risultati di
questa
analisi
degli
attributi
negativi
Avicennascrive:

stato
quindi
dimostra-
to che lEssere
primo
non
ha
genere
n essenza
(specie),
n
qualit,
n
quantit,
n ubi
(luogo),
n
quando
(tempo),
n
qualcosa
di similea lui o
identico o
contrario.
Egli
molto al di
sopra
(rispetto
a
queste
qualit).
Perci di lui non
si
pu
dare nessuna
definizione: la sua essenza
indi-
mostrabile.Mentre
egli
costituisce la dimostrazione di
ogni
altra realt.
Della sua esistenza
possediamo
chiari indizi
(demonstratio
per
effectum)
ma non
pu
essere
dedotta da
principi superiori.
Se hai scrutato a
fondo
la sua essenza
ti sei reso conto che accanto all'idea dellindividualit ci
42) Cf.
Sifa
VIII,
1 (HORTEN,
p.
475):
per
alcune citazioni si ritenuto
opportuno
rifarsi anche al
Sifa
che un
ampio compendio
del
Najat
(N.d.R.).
43) Cf. ibid, 3 (ID.,
pp.
493-494).
La
nzctafisica
islamica del Medioevo 361
sono soltanto
negazioni
di attributi che
impediscono
di stabilireuna
somiglianza
tra Dio e le creatura.
Vengono poi gli
attributi
positivi,
che Avicennacerca
di determinare
ricorrendo al criterio delle
perfezioni
assolute,
gi
usato da AlFarabi.
Infatti,
lEssere necessario
possiede
un'esistenza
perfettissima.
Alla sfera delle
perfezioni
assolute
appartiene
anzitutto la
conoscenza.
Questa
una
propriet degli
esseri immateriali
poich
immaterialit e
conoseibilitsono la stessa cosa. Ecco un
bel
passo
del
Najat
in cui
Avicennaformula
questa
tesi: Tutto ci che
per
s
privo
di materia e
degli
accidenti della materia di
per
s
intelligibile.
Ora,
il
primo,
che
essere
per
s
necessario,

per
se libero dalla materia e dalle sue
appen-
dici
e
dagli
accidenti. Perci lessere
necessario,
in
quanto
un'entit
priva
di
materia,

intelligenza;
e
nella misura in cui in esso si considera
che la
sua entit
trasparente
a se stessa,

intelligibile
alla
sua essenza;
e
secondo che si considera che la sua essenza una certa entit immate-
riale, conosce se stessa. Infatti,
conosciuto ci la cui
quiddit

traspa-
rente
per
una cosa.45
Dio,
suprema intelligenza
ed intelletto
purissimo, contempla
se stes-
so e
contemplando
se stesso conosce
anche tutte le
cose
che
procedono
da
Lui,
per
non conosce
i
singoli perch
la loro esistenza non necessa-
ria, ma
soltanto
gli
universalifl
Altra
perfezione
assoluta che
compete
a Dio la bont.
Questa
defini-
ta con
Aristotele
come
ci cui
ogni
cosa
aspira.
Ora,
ci verso
cui
ogni
cosa tende la
pienezza
dell'essere. Ma tale
pienezza,
come stato di-
mostrato, appartiene
allEssere necessario:
quindi Egli
sommabont.
Viene
poi
la (rarit: ]Essere necessario
sempre
la Verit
per
essenza
e l'ente
possibile
Vero in Virt di
qualcosa
di altro da s. Ci che
necessario
per
essenza
pura
verit,
perch
la realt di
ogni
altra cosa
la
particolarit
della sua esistenza.48
Un attributo di
Dio,
molto caro a tutti i
platonici
ed anche ad Avicen-
na
quello
della
bellezza, a cui
egli
associa immediatamente, come
fa
Platone,
quello
dell'amore. Ecco il. bel testo del
Najat
in cui
egli
illustra
questi
attributi: Non
possibile
che vi sia una
bellezza
o una
chiarezza
superiore
o
pi
eccellente di.
quanto
la
quiddit
sia
puramente
intellet-
tuale,
puramente
bont e assolutamente
priva
di
ogni imperfezione
e
una sotto
ogni aspetto.
Ora,
l'essere necessario ha
una
bellezza
pura
e
44) 11nd,, 5
(ID.,
p.
514).
45)
Metaph. comp.
I,
p.
2, t. 3, c. 1 (CAKAME,
p.
112).
46)
Cf.
Szfa VIII,
6 (HORTEN,
p.
532).
47) Cf.
ibicL, (ID.,
pp.
515-516).
48) Ibid., (ID.,
pp.
516-517).
362 Parte seconda
una
chiarezza
pura
ed
principio
di
qualsivoglia proporzione giusta.
In-
fatti
ogni giusta proporzione
che consiste nel coordinamento del molte-
plice
o nella
complessit
di
un
organismo,
costituisce l'unit nella molte-
licit, e
la bellezzadi ualun ue cosa e la chiarezza
sono ci che la
cosa
P l q
deve essere. Quanto

grande,
allora,
la bellezzadi colui che cos come
necessariamente .
Dunque, ogni
bellezza e tutto ci che conviene ed
riconosciutocome
bene oltremodo
piacevole.49
Dio amore e il suo amore non abbracciasoltanto se stesso ma
anche
tutte le cose
che
procedono
da lui.
Per, osserva Aviccnna,
l'ordine del-
l'universo
oggetto
dell'amore di Dio
per
accidens.
Egli
non attratto
dalle
cose, amandole,
perch questo comporterebbe passivit rispetto
all'oggetto
amato. Ma dal
suo amore e
dalla
sua volont le
cose
deriva-
no l loro essere.
Perfezione assoluta anche la vita: essa
appartiene primariamente
e
principalmente
all'Essere necessario.
In Dio tutti
questi
attributi non
designano
facolt
o
propriet
distinte
come
in noi: in lui
sono
la
stessa,
identica
cosa.
Cos in Dio il
conoscere
non diverso dal
Volere,
n il volere diverso dal
potere,
n la verit
diversa dalla vita. Tra tutti
questi
attributi c' soltanto una
distinzione
concettuale,
legata
al modo
prospettico
del nostro conoscere
che
non
pu
afferrare con un unico
sguardo
alcuna
realt, tanto meno la realt di
Diofil
Come in tutti i
neoplatonici
anche in Avicennac' una
teologia apofa-
tica
(negativa)
ed una
teologia
catafatica
(positiva),
con una
chiara
supremazia
della
prima.
Cos
quando
Avicenna
passa
a chiarire il
signi-
ficato dei nomi
divini,
egli
dice che lecito attribuire nomi come vita,
bont, conoscenza,
verit ecc. a Dio
perch
si tratta di
perfezioni
assolu-
te di cui sono
dotate anche le creature e che,
perci,
non
possono
manca-
re
a|l'Essere necessario. Per allo stesso
tempo
dobbiamo
correggerle
in
senso
negativo,
in
quanto
il loro modo di realizzarsi in Dio ci assoluta-
mente
ignoto.
Ecco
quanto
scrive Avicennaa
questo proposito:
Dicia-
mo
per
esempio
che Dio dotato di
volont, con
questo
indichiamosol-
tanto che l'Essere necessario... il
principio primo
dell'ordine dell'intero
universo del bene. Cos
questa
idea
composta
di una relazione e
di
una
negazione.
Si afferma di lui che
elargitore
disinteressato dell'esse-
re:
anche
qui
abbiamo
una
determinata relazione con una
negazione,
la
quale
consiste nell'escludere che
egli persegua
qualche oggetto
come
4)
Metaph. comp.
I,
p.
2, t. 3, c. 2
(CARAME,
pp.
115-116).
5)
Cf.
Szfa VIII,
7 (HoRTEN,
p.
530).
5) Cf.
ibid, (ID,
p.
535).
s2) Cf. ibid, (ID.,
p.
53s).
La
metafisica
islamica del Medioevo
363
fine. Si afferma che
(vero)
Bene: con
questo
si Vuoleindicaresoltanto la
circostanza che
questo
Essere libero da
qualsiasi
mescolanza che
com-
porti potenzialit o carenza d'essere. Ma
questa
una
negazione.
Oppure
si vuole indicarela circostanza che l'Essere necessario la
causa
prima
di
ogni perfezione
ed
ordine, e
anche
qui
si tratta di
una relazio-
ne.53
Questo
modo di intendere i nomi divini
0 come relazioni o come
negazioni, privandoli
di
un
significato proprio
e diretto, conforme alla
dottrina avicennianadella trascendenza divina
e
della inconoscibilitdi
Dio: dottrine anche
queste tipicamenteneoplatoniche.
ORIGINE E ORDINE DELUUNIVERSO
Nel IX trattato del
Sifa
Avicennaaffronta larduo
problema dell'origi-
ne e dell'ordine del
cosmo. Qui
egli
cerca di
comporre
la
spiegazione
biblica
e coranica della creatio
ex nihilo con la
spiegazione neoplatonica
della emanazione.
Egli giustifica
l'uso del termine creazione affermando che le
cose
hanno
origine
dal nulla
e non da
qualche cosa di
preesistente:
unica
causa di tutti
gli
enti lEssere necessario. Ma
poi
afferma
con Aristotele
e
i
neoplatonici
l'eternit del mondo e
concepisce
la
sua
origine
come
una necessaria fuoriuscita dallUno. Le
cose
promanano
dallUno
non
per
un suo
disegno
e
per
una liberascelta della
sua Volont, ma
perch
nella sua natura non esiste
nessun
impedimento
n
opposizione
della
sua volont alla fuoriuscita delle creature dal
suo essere. La sua stessa
essenza sa che la
perfezione e la
grandezza
del
suo essere e tale che il
bene
straripa
fuori di lui.
Questo
un necessario destino della sua mae-
st,
la
quale
costituisce
l'oggetto
per
se del
suo amore?!
Dio certamente cosciente di
se stesso,
della
sua bont
e
quindi
di
tutto il flusso
degli
enti che derivano da
Lui; ma il costituirsi
degli
enti
nella loro individualit
e nell'ordine
gerarchico
secondo il
grado
di
per-
fezione da essi
posseduto,
non
dipende
tanto da Dio
quanto
dall'autoco
scienza
degli
enti stessi.
Della dottrina della creazione in Avicenna
non rimasto
pi
nulla:
essa viene
completamente
sostituita dalla dottrina
dell'emanazione, e
Yemanatismo
avicenniano di
stampo
strettamente
plotiniano.
Inoltre
plotiniana
anche la concezionedella struttura del
cosmo.
53) rara.
(ID.,
p.
53s).
54) una, 1x,
e
(ID,
pp.
595-596).
364 Parte seconda
Come
Plotino,
Avicenna suddivide l'universo in due
grandi
ordini:
uno
superiore
costituito da realt immateriali e
intelligibili
e
l'altro infe-
riore fatto di realt materiali e sensibili.Sul confinetra
questi
due mondi
si trova l'uomo,
che
con l'anima
appartiene
all'ordine
superiore
e
col
corpo
a
quello
inferiore.
Secondo
Yimpostazione plotiniana,
anche
per
Avicennala
prima
creatura il
Nous,
la
prima Intelligenza. Seguendo
il
principio
ex uno non-
nisi ctmum
per
cui una
singola
causa
semplice
non
pu
avere
che
un
unico effetto,
Avicennasostiene che dallEssere
primo
non
pu procede-
re
che
un unico essere.
La
pluralit

dunque
il risultato di una
differen-
ziazioneche si manifesta nel
primo degli
esseri emanati. Poich intera-
mente liberodalla
corporeit,
esso sar un Intelletto
(ossia una
Intelligen-
za).
Anche Dio
intelligenza,
ma in Lui il
conoscente,
il conosciuto e il
conoscere sono una cosa
sola. Per
contro,
nella
prima intelligenza
ema-
nata
presente
una
molteplicit
intrinseca. Infatti,
per
il fatto stesso che
questa Intelligenza pensa
alla sua
Sorgente,
si
autopone
come
Intelligen-
za distinta da essa.
Pensando se stessa come
necessaria
(in
virt del fatto
che essa
necessariamente emanata dallEssere assolutamenteNecessa-
rio), emana
l'anima
(forma)
della sfera celeste
pi esterna,
e
pensando
se
stessa come
possibile(poich
tutto eccetto Dio
,
in se stesso,
soltanto
possibile)
emana
il
corpo
della sfera celeste
pi
esterna.55
Dalla
prima Intelligenza
Avicennafa derivare altre nove
Intelligenze
tutte strutturate allo stesso modo,
in forma
triadica, e
quindi
dotate,
oltre che di
intelligenza,
anche di anima e
di
corpo
(materia).
Cosi la
se-
conda
Intelligenza
e allo stesso
tempo
anima e
corpo
della seconda sfera
(la
sfera delle stelle
fisse). Analogamente vengono prodotte
le Intel-
ligenze,
le anime e
le sfere dei
cinque pianeti,
del Sole e
della Luna. Dal-
lIntel1igenza
che ha
generato
la sfera della Luna deriva un'ultima In-
telligenza
che
troppo
lontana dalla
Sorgente
dell'esistenza
per genera-
re unaltra
Intelligenza.
Ciascuno stadio di
questa gerarchia
e,
per
cos
dire,
causalmente
pi
debole di
quello precedente,
cosicch all'ultima
Intelligenza
manca
il
potere
di
produrre
un'altra
Intelligenza.
Tuttavia
alla decima
Intelligenza,
l'Inte1letto
agente,
Avicenna
assegna
un
dupli-
ce
importantissimo compito: imprimere
le forme nella materia e le idee
nell'anima razionalefifi
Ma
perch
il
processo
non si
sviluppa
indefinitamente,
creando sem-
pre
nuove e ulteriori
intelligenze
e
sfere? Ci avviene
perch
il mondo
finito, e la serie delle emanazioni si ferma l dove il mondo non
richiede
pi
delle
intelligenze,
e
dove l'ultima
presiede
alla
generazione
e alla
55) Cf. ibid.
(ID.,
pp.
597-598).
56) Cf. ibid.
(ID,
pp.
602-604).
La
metafisica
islamica del Medioevo
365
corruzione
degli
elementi.
Sebbene, secondo il
pensiero
del
primo
mae-
stro
(cio Aristotele)
le sfere fossero
cinquanta
e
pi
e l'ultima di
esse
fosse l'intelletto
agente, per
Avicenna,
che in astronomia
preferisce
Pitagora
ad
Aristotele, sussistono solo dieci
Intelligenze
oltre alla Causa
prima.
Nella
prospettiva
metafisica di Avicennala
ragione degli
intermediari
tra Dio e il mondo
(le
dieci
Intelligenze)

alquanto
diversa da
quella
di
Platone
e
dei
neoplatonici.
Per costoro
gli
intermediari
svolgono princi-
palmente
una funzione
ontologica:
essi rendono
possibile
la
partecipa-
zione al mondo ideale. Invece
per
Avicennala loro funzione
soprattutto
dinamica: essi
causano e
regolano
il movimento
(divenire) dell'universo.
Secondo Avicenna Dio
causa dell'essere
ma non del divenire.
In
quanto
Essere
necessario,
che
permane sempre eguale
a se stesso,
Egli
non
pu
direttamente dar vita al movimento. Il
primo
motore il
Nous,
la
prima Intelligenza:
Il
principio psichico
la
causa
prossima
del movi-
mento.
Questo
principio psichico
cambia continuamente nelle
sue
rap-
presentazioni
e nelle
sue
decisioni volontarie.
Questo
principio psichico

l'attuazione
(entelecheia) e la forma essenziale della sfera celeste?
LA
PROVVIDENZAE IL MALE
Al
capitale problema
della
provvidenza
e del
male,
gi
preso
in seria
considerazione dai
neoplatonici
e dai filosofi
cristiani,
Avicennariserva
due trattazion nel
Szfa rispettivamente
nel
capitolo quinto
del VI tratta-
to e nel
capitolo
ottavo del IX.
Con Plotino
e con
Agostino
Avicenna sostiene che
causa del male
non
pu
essere lEssere
necessario,
che il
sommo bene. Il male
non
neppure prodotto
dal
caso. La sua tesi afferma che la radice ultima del
male la materia. Ma andiamo
con ordine,
seguendo
le considerazioni
del
nostro
autore,
il
quale
inizia la
sua trattazione definendo il
concetto
di
Provvidenza,
che il
seguente:
Ora che siamo arrivati a
questo punto dell'esposizione,
naturale
che noi
parliamo
della Provvidenza di Dio. Da
quanto
fu fin
qui
dimostrato, risulta indubbiamentechiaro che le
cose del mondo cele-
ste non certo
per cagione
di noi
possono espletare
le loro
operazioni
o,
detto in
breve,
che
gli spiriti
di
quel
mondo abbiano
cura di
ogni
cosa (di
questo
mondo) o siano
spinti
da
un motivo
imponente
loro
una scelta determinata. Le
operazioni meravigliose
che
avvengono
nell'universo, le
parti
del
cielo,
le
piante, gli animali, tu non le
puoi
57) lbial, 4 (ID.,
p.
566).
366 Parte seconda
negare
in alcuna maniera. Tutto ci non
pu
accadere a
caso,
ma
richiede una
Guida del mondo. Devi
perci sapere
che la Provvi-
denza di Dio consiste in ci che il Primo Essere con
la sua
propria
essenza conosce
l esisten te secondo l'intero ordine del bene su cui esso
fondato, e
che Dio
per
se stesso la causa
del benee
della
perfezio-
ne
in
quanto
ci
possibile. Egli
inoltre ha
compiacimento
nel bene
conosciuto,
nella maniera dimostrata, e
pensa
perci
l'ordine del bene
nella maniera
pi perfetta
e
completa
che
possibile.
Perci
sgorga
da lui ci che
pensa,
in un
ordine determinato e
secondo la forma del
bene nella maniera
pi perfetta
che
egli pensa
ed in
una
emanazione
che nella
pi perfetta
maniera induce l'ordine,
in
quanto
ci
possi-
bile.
Questo
ci che si intende
quando
si
parla
della Provvidenza divinrhx
La Provvidenza di Dio che si esercita attraverso le creature
superiori
non
pertanto
una cura
particolare
ma solo un
modello di ordine che si
riversa nell'universo (che non
altro che lo stesso mondo
pensato
da
Dio),
il
quale
confermandosi a
questo
modello
appunto
ordinato. Il
concetto che Avicennaha della
provvidenza

legato
alla sua
concezione
deterministica
dell'agire
divino: Dio non
opera
scelte;
e sintomaticoche
parlando
della Provvidenza Avicennafaccia riferimentoesclusivamente
al
pensiero
divino, ignorando
totalmente la volont di Dio. Cos la
prov-
videnza di Avicenna e un
puro
conoscere ma non un
prendersi
cura:
Egli
conosce
l'ordine delle
cose,
che non
pu
essere
che
buono, poich

frutto della sua
bont.
Ma allora come si
spiega
il male?
Avicennaricorda che si danno varie accezioni del male: male come
mancanza,
come dolore, come
ostacolo ecc.
Essenzialmente il male
sempre
una
privazione,
mai una sostanza:
oggetti
che
sono
cattivi
secondo l'intera loro natura o
nei
quali
cattiva la
parte maggiore
della
loro natura o
anche
quelli
in cui il male ed il bene si bilanciano,non si
danno.59
La causa
del male
pu
stare sia dalla
parte dell'agente (per
es. un cat-
tivo
chirurgo);
sia dalla
parte
della materia, e la cattiva
disposizione
della materia costituisce la causa
principale
del male. Il
male,
secondo
Avicenna,
pu riguardare
soltanto i
singoli
individui, mentre
gli
ele-
menti
primi,
i
generi,
le
specie
non sono
soggetti
a corruzione. Per es.
muoiono i
singoli
cavalli, ma
la
specie
del cavallo non muore
mai.
55) Ibid, 8 (ID.,
pp.
617-618);
il corsivo nostro.
59) una,
(lo, pp.
620-621).
w)
Cf. ibid. (m,
pp.
627-628).
m)
Cf. ibid. (ID.,
pp.
622-623).
La
nzetafisica
islamica del Medioevo
367
Allobiezioneche
allOrdinatore del
cosmo sarebbe stato
possibile
produrre
il
puro
bene
senza alcun
male, Avicenna
replica
che ci non
pu
accadere nel mondo
sublunare, dove il bene
non
pu
escludere il
male, e
la
presenza
del male
non
pu
costituire
una
ragione
per impedi-
re allordinatore del mondo di
produrre quel grandissimo
bene che
questo
mondo. Ecco le testuali
parole
di Avicenna:
Perch la cattiva natura non viene assolutamente
impedita
nelle
cose
in modo che tutta la natura risulti buona? A ci si
pu rispondere:
in
questo
caso la natura della
cosa non
potrebbe
essere
questa
determi-
nata realt
(come ad es. il
fuoco)
poich,
come abbiamo stabilitoin
precedenza,
l'esistenza della
cosa nella natura costituita in tal modo
che
essa
ha
come
conseguenza
un male determinato. Se
perci questa
natura viene cambiata in modo che
non ci sia
come effetto
questo
determinato
male, allora l'esistenza di
questa
natura non
pi
costi-
tuita
come dovrebbe
essere. Essa in tal
caso si trasformerebbenella
forma di esistenza di altre cose
che esistono realmente
come distinte
dall'Essere
assoluto,
le
quali
(i
corpi
celesti) esistono in atto e sono
cosiffatti che ad esse il male
non necessario e
originariamente
con-
nesso. Un
esempio
di ci il fuoco: il bruciare fa
parte
della
perfezio-
ne della
sua natura ed
quindi
un bene, mentre un male
per
i
corpi
che
vengono
bruciati
(...).
Egualmente

impossibile
che tutte
queste
nature siano fatte in tal maniera che ad
esse, quando
sono in
atto, non
segua
un
qualche
cattivo effetto. N si deve
sopprimere
il bene a
causa del male che vi e mescolato. Se si dovesse escludere
questo
bene
dall'universo, affinch
non abbia
luogo questo
male
particolare,
si otterrebbe un male
maggiore
di
quello
che di fatto esiste. Cos l'esi-
stenza di
questo
male
particolare
il minore dei due malim
La
giustificazione
avicennianadel male coincide sostanzialmente
con
quella
di
Agostino
e Leibniz. E
una
giustificazione
che
pu
valere
per
il
male metafisico
ma che
non soddisfa affatto
per
il male morale.
L'ANIMA
UMANA,
UINTELLETTOAGENTEE IL DESTINO DELL'UOMO
DOPO LA MORTE
Come
per
Platone, Aristotele
e
i
neoplatonici
anche
per
Avicennal'uo-
mo
un essere "metafisico":
grazie
all'anima
egli appartiene
al mondo
della
trascendenza,
al mondo dello
spirito;
mentre col
corpo appartiene
al mondo
sensibile,materiale.
52) Ibid.
(ID., X,
pp.
624-627).
368 Parte seconda
Avicenna
prova
che l'anima una sostanza
ricorrendo
all'argomento
dellautocoscienza,
la
quale
fornisce all'uomo non
solo una conoscenza
diretta della sua
propria
esistenza ma lo rende
pure
certo che la sua
anima una
sostanza
capace
di esistere
indipendentemente
dal
corpo.
Da
questo
carattere
sostanziale dell'anima Avicenna deduce anche la
sua
immortalit. Come
Aristotele
egli distingue
nell'uomo tre anime:
vegetativa,
sensitiva e
razionale. L'anima razionale
presenta, per
cos
dire,
due facce: la facolt
pratica
e
la facolt teoretica. La
prima guarda
in
basso,
in direzione del
corpo
e
del mondo esterno
fisico e
ha come
funzione
quella
di
governare
e
di
dirigere
il
corpo.
L'altra,
la facoltteo-
retica,
ha la funzione di
guardare
in alto, verso
il mondo celeste da cui
proviene
la conoscenza e,
da ultimo,
la beatitudine. La facolt teoretica
inoltre la funzione
principale
dell'intelletto.
Passando in
rassegna
i numerosi
significati
(otto)
che i filosofi hanno
dato al termine intelletto",
Avicenna
distingue
nell'uomo
quattro
intel-
letti: 1)
l'intelletto materiale,
facoltdell'anima
preparata
a ricevere le
quid-
dita delle cose
astratte dalla
materia; 2)
l'intelletto in abito,
che l'intelletto
materiale
perfezionato
in modo da divenire una
potenza
vicina all'atto; 3)
l'intelletto in
atto,
che il
perfezionamento
dell'anima in una
forma
qual-
siasi,
ossia una
forma
intelligibile
al
punto
di intendere l'anima stessa e
racchiuderemediante l'atto la stessa
allorch lo
vuole; 4)
l'intelletto
acqui-
sito,
che una
quiddit
astratta dalla materia,
la
quale
fortemente
impressa
nell'animacome
unattuazione
proveniente
dal di fuoriffi
L'ntel1etto
umano, pi precisamente
l'intelletto materiale,
si trova in
stretto
rapporto
con
la decima
Intelligenza,
lInte1letto
Agente.
Di
questo
Avicennad la
seguente
definizione: Esso
,
in
quanto
intelletto, una
forma sostanziale la cui essenza
di essere una
quiddit pura
da
ogni
mescolanza con
la materia e
ci
per
se stesso e non
per
astrazione
che
altri ne
faccia fuori della materia e
delle connessioni della materia,
al
modo che viene ottenuta la
quiddit
di
ogni
ente. In
quanto
Intelletto
Agente
esso
una
sostanza avente l'attributodi cui abbiamo
parlato
ed
a cui
appartiene
il
compito
di far
passare,
illuminandolo,
l'intelletto ma-
teriale dalla
potenza
allatto.64
Come si vede Avicenna
assegna
all'Intellett0
Agente
una
funzione
analoga
a
quella
che
Agostino
attribuiva al Verbo divino: la funzione di
illuminarel'intelletto umano consentendogli
in
questo
modo di cono-
scere
la Verit.
53)
Cf.
Epistola
delle
definizioni,
tr. francese di A. M. Goichon, in lntrodzzctitm
Avicenna
Paris 1933.
64)
lbid.
La
metafisica
islamica del Medioevo 369
Avicenna
riprende
la divisione dell'intelletto in materiale 0
passivo
e
in
agente
0 attivo da
Aristotele, ma
poi
travisa totalmente la dottrina ari-
stotelica
interpretandola
in
senso
platonico.
Molto
importante
il ruolo che Avicenna
assegna
alla
immaginazione:
essa
fa da
ponte
tra l'intelletto materiale e lIntelletto
agente.
Questa
fa-
colt fornisce alla coscienza
immagini degli oggetti
che
conservano tutte
le loro determinazioni sensibili
particolari.
Queste immagini prepara-
no l'anima a ricevere le forme che
vengono
irradiate nellntelletto
materiale dall'Intel1etto
Agente.
In tal modo l'Intelletto
Agente
non
sol-
tanto comunica le forme alle cose
del mondo materiale
(dator formarum),
ma anche la
sorgente
delle forme cos come noi le conosciamo. Perci
quando
cessiamo di
pensare
attualmente a una
data forma
(per
es.
la
forma di
un cavallo)
l'intelletto umano cessa
di
avere
in se stesso tale
forma. Per
pensare
nuovamente a tale forma la coscienza dev'essere
nuovamente
preparata
dalle
immagini
delle
cose,
affinch
possa
essere
irradiata nel modo
appropriato
da
parte
dell'intelletto
Agente.
La forma
che viene cos
ricevuta,
considerata in
se stessa come un'essenza. Dal
punto
di vista del concetto che si trova nella mente
questa
essenza

una,
in
quanto
realizzatanel mondo fisico
(in
molti
soggetti)
essa mol-
teplice.
Ma considerata come un'essenza essa non n una n
molti,
bens
semplicemente
l'essenza o natura comune.
La famosa
espressio-
ne di Avicenna:
equinitas
est
equinitas
tantum (la
cavallinit
semplice-
mente la
cavallinit)
significa
che
un'essenza,
considerata in se stessa
(cio
nel suo contenuto) non
n una n
molte, ma soltanto ci che il
suo contenuto
logico
rivela.
Questa
teoria secondo cui una natura comu-
ne
considerata in se stessa non
n una n molte
parte
costitutiva
della soluzione data al
problema degli
universali da molti scolastici cri-
stiani del XIII secolo.
Nell'ultimo
capitolo
del Nono trattato dei
Sifa
Avicennaaffronta il
problema
dellflildil.
Egli

dell'opinione
che delle condizioni del
corpo
dopo
la morte ci
pu
informaresoltanto la
religione;
invece
riguardo
alle
condizioni dell'anima
pu
fornire solidi
argomenti
anche la filosofia.
Tutte le anime sono immortali ma
dopo
la morte non
godono
della
stessa sorte: le anime dei
malvagi
saranno
punite
con
lacerazioni
psichi-
che
profonde,
delusioni,
passioni
e
brame insoddisfatte ecc. Invece le
anime dei
giusti
saranno
premiate
con
il dono della
perfetta
felicit.
Questa
beatitudine
riposta
da Avicenna
nell'appagamentopieno
della
facolt
pi
nobiledi cui dotato
l'uomo,
Vale
a
dire l'intelletto.
Ora,
ci
che
appaga pienamente
l'intelletto la
contemplazione
del mondo intel-
ligibile.
La
perfezione propria
dell'anima scrive Avicenna consiste
nel divenire identica al mondo
intelligibile,
in tal modo che la forma del-
370 Parte seconda
l'universo,
il
suo ordine razionalee il ben che
ne deriva si trovino iscritti
in essa)??? Questo
mondo
presieduto
dal
Principio
Primo di tutte le
co-
se, dopo
di Lui
vengono
le sostanze immateriali,
le sostanze
spirituali
che si trovano in
rapporto
con
i
corpi,
e
infine i
Corpi
celesti.
Quando
l'anima
raggiunge questa perfezione,
essa divienein effetti
una
riprodu-
zione del mondo
intelligibile,
si unisce al bene
supremo
e alla bellezza
assoluta,
nella
quale
risiede la beatitudine
perfetta.
Tale beatitudine si
pu conseguire
soltanto
quando
l'anima si liberata
completamente
dalla cattivit del
corpo
ed
quanto
il
giusto gi
realizza in
questa
vita
mediante la
pratica
della virt e la ricerca della verit.
Il
punto
in cui l'anima
supera
la linea di demarcazione tra la condizio-
ne terrestre dei
malvagi
e la condizione celeste dei
beati,
secondo Avi-
cenna,
non
pu
essere indicato
con esattezza. Sembra, tuttavia,
che tale
punto
coincida
con la
perfetta
conoscenza del mondo
intelligibile,
del
suo ordine,
della
sua bellezza,
della
sua sottomissione al
Signore supre-
mo. Tanto
pi grande
il
grado
di conoscenza del mondo
intelligibile
che un'anima
raggiunge
in
questa
Vita, tanto
pi
essa
pronta per
la bea-
titudine dellaldil.
Ma,
persino
nel momento della
morte,
questo
distac-
co dal
corpo
e dalle sue cure risulta assai difficile
per
l'anima, se non
pro-
prio impossibile.
Gravata dal desiderio ardente del
corpo
e
dei suoi
pia-
ceri,
Yanima continuer anche
dopo
la morte a
partecipare
a una condi-
zione di
corporeit analoga
a
quella
a cui sottomessa durante la
vita,
ma essa verr
punita
con ulteriori
pene
a causa
di
queste
futili brame.
E tuttavia n la
prova
n le sofferenze che
Yaccompagnano
saranno eter-
ne, perch
sono
collegate
al
rapporto
accidentale che l'anima ha col
corpo.
Quando
questo rapporto
verr
meno,
l'anima sar
completamente
purificata
da
qualsiasi
associazione con
la materia e
conseguir quello
stato di felicit che conformealla
sua essenza
spiritualefifv
IMPORTANZA ED EREDIT DI AVICENNA
Nella storia della metafisica Avicenna una delle
figure
di
maggior
rilievo: la
pi grande
che abbia
prodotto
la cultura islamica nel momen-
to in cui essa toccava il
suo
apogeo.
il
Sifa
di Avicenna il
pi
sistematico,
organico
e
completo
trattato di
metafisica scritto nel
Medioevo,
ed il
pi importante
e
pi
influente
dopo quello
di Aristotele.
un trattato
esemplare
che fissa ed
esplora
tutto il
quadro
tematico che
appartiene
alla
metafisica, con
tutti i suoi
55)
Sifa
IX,
10 (HORTEN,
p.
637).
66)
Cf.
ibid, (11).,
pp.
544 ss).
La
metafisica
islamica del Medioevo
371
problemi: essere, cause, principi,
Dio
(esistenza, natura, attributi), crea-
zione e ordine
dell'universo,
mondo
intelligibile
e mondo
sensibile,ma-
le e
provvidenza, spiritualit
e immortalit dell'anima.
un'opera
che
abbraccial'intera
parabola,
ascendente
ediscendente,
della metafisica.
La metafisica di Avicenna la sintesi
pi
ardita tra aristotelismoe
pla-
tonismo: se
largamente
aristotelica nel
linguaggio
e
anche in numerose
tematiche, invece sostanzialmente
platonica
nella visione
generale
della
realt.
Per,
in molti
casi,
pi
che urfautenticafusione tra le due metafi-
siche classiche Avicenna
opera semplicemente
una
giustapposizione,
analoga
a
quella gi operata
dai
neoplatonici,
tra
iogica
aristotelica e
metafisica
platonica.
TuttaviaAvicenna
sposta pi
avanti
e
pi
in alto la
linea di accostamento delle due
filosofie,
in
quanto
mette insieme le
strutture
ontologiche
(strutture
dell'essere: materia e forma, sostanza e
accidenti, atto e
potenza
ecc.) con la costruzione metafisica. Le strutture
dell'essere
sono
quelle
di Aristotelementre
limpianto
metafisico
quello
Platonico
(pi precisamente neoplatonico).
La metafisica di Avicenna
unabile
saldatura,
bench
artificiosa,
tra
ontologia
e
henologia.
Avicenna
riprende
il
paradigma
essenzialistico di Platone modifican-
dolo sensibilmente
grazie
alla dottrina dei
possibili,poich
per
Avicen-
na le essenze sono reali a met e non
completamente
come in Platone:
so-
no reali soltanto come
possibili.
I
possibili
sono
comunque
dotati di una
loro consistenza
ontologica:
non sono
semplicemente
delle idee
astratte,
ma sono invece delle effettive
possibilit.
Senza la
potenzialit
dei
possi-
bilinon ci sarebbenessun'altra realt al di fuori deIVEssere necessario.
Grande
e
originale
in se stessa la metafisica di Avicenna
occupa
un
posto importante
nella storia della
metafisica,
avendo contribuito al
rilanciodi
questa gloriosa disciplina
nel mondo cristiano latino durante
l'epoca
d'oro della Scolastica cristiana. Le
Sufiicientiae,
titolo dato al
Szflz
dal traduttore latino di
quest'opera
furono lette attentamente da tutti i
grandi rrzagistri
del secolo XIII.
Dopo
Aristotele,
Avicennafu il filosofo
con cui Tommaso
d'Aquino
e Duns Scoto stabilironoil
dialogo pi
nutrito e
pi
fecondo.
LAngelic0
10 cita molto
spesso specialmente
nelle
opere pi giovanili
e
pur
criticando
numerose sue dottrine
(eternit
della
materia,
unicit dell'intelletto
agente, negazione
della
conoscenza
dei
particolari
da
parte
di
Dio,
riduzione dell'esistenza a un
accidente
ecc.)
egli
certamente beneficiodel suo influsso. Coloro che si sono
impe-
gnati
a
scoprire
tracce di Avicennain S. Tommaso hanno trovato una
quantit.
crescente di materiale ricco di
interesse,
che
converge
tutto a
67)
La sezione sulla metafisica del
Szfl
fu tradotta nella sua interezza da Gundissalvi
sotto il titolo di
Metaphysica
Azzicermae...de
prima philoscphia.
372 Parte seconda
mostrare come
l'impulso
derivatone alla mente
speculativa dell'Ange-
lico Dottore si
possa
considerare l'incontro
pi importante
e
prolungato
tra il mondo cristiano e la filosofiaislamica in
Europa.
Difficilmenteci si
sarebbe dovuto attendere che
san Tommaso
accogliesseproprio
tutti
gli
insegnamenti
di
Avicenna, ma non vi dubbio che il
dialogo
tra i due
pensatori
riusc stimolante in misura somma
per
il filosofoitaliano e as-
sai
vantaggioso
nella Costruzione della sua sintesi cristiana>>fi3
Ancora
pi
marcato fu l'influssodi Avicennasu Duns
Scoto,
il massi-
mo
esponente
della Scolastica francescana.
Egli
condivide alcuni
punti
chiave della metafisica del filosofoarabo
(concetto
di
essere,
la distinzio-
ne tra necessario e
possibile)
e come lui
opera
una
poderosa
sintesi tra
ontologia
e
henologia.
Sebbene non si sia
sviluppato
nulla che si
possa qualificare
come
scuola
avicenniana,
Avicennafu
per
vari secoli
un
fattore stimolante e
permanente per
il
progresso
della
speculazione
metafisica. Il
suo
influs-
so
sugli
scolastici cristiani
precedette quello
di Averroe continu molto
tempo dopo,
e
risult
una
forza di
gran
lunga pi
vitale.
Al-Ghazali
Al-Ghazali il massimo
teologo
musulmano;
nell'Islam
egli occupa
un
posto pari
a
quello
di S. Tommaso nel cattolicesimo. Ma mentre
S. Tommaso fu
un
grande
amico dei
filosofi,
di Aristotele in
particolare,
e divenne
egli
stesso autore di un
imponente
sistema
metafisico,
Al-
Ghazali avverso i filosofi
con tutte le
sue
forze
e
combatt
energicamen-
te la metafisica. Perci
egli occupa
s un
posto
nella storia della metafisi-
ca,
ma
fra coloro che la criticarono. Tuttaviail
suo nome va menzionato,
perch
Al-Ghazali
con la sua critica dei fondamenti della metafisica e
con
la
sua
opposizione
contro i
falasifa
ha condizionatoin modo decisivo
i successivi
sviluppi
della metafisica
e
della stessa filosofia nel mondo
islamico. Il
suo
Tahrfut al-falasfa
(Incoerenze
dei
filosofi)
segn pratica-
mente la fine della filosofianella
parte
orientaledel mondo islamico.
VITA E OPERE
Abu Hamid Muhammed Al-Ghazali
nacque
a Tus,
nella
parte
nord-
orientale dell'Iran verso il
1059,
quindi quasi
un secolo
prima
di Aver-
ro,
il
quale
nella sua difesa della filosofia terr conto
Soprattutto
delle
critiche di Al-Ghazali. Il suo contrasto con colui che
era
gi
universal-
3) S. M.
AFNAN,
0p.
cit,
p.
365.
La
ntetafisica
islamica del Medioevo 373
mente riconosciuto come
il
pi
autorevole
esponente
della ortodossia
avr
un
peso
determinante sulla condanna del suo
pensiero,
e mentre
Averro non avr nessun influsso
sugli
ulteriori
sviluppi
del
pensiero
musulmano,
Al-Ghazali vi ha invece lasciato
un'impronta
duratura.
Al-Ghazali,
dopo
avere
studiato
per
qualche tempo
nella citt
natale,
si trasfer a
Gurgin
(nei
pressi
del Mar
Caspio)
e
ivi
approfond
la sua
formazionesotto la
guida
di vari
professori.
Pi tardi continu
gli
studi a
Nishapur,
uno dei massimi centriculturali di
quel periodo.
Nel 1085
lasci
Nishapur
per
recarsi alla corte di Nizan
al-Mulk,
ministro del
califfo
e
grande
mecenate delle lettere e delle
arti,
che lo accolse con
grande simpatia
e
che
qualche
anno
pi
tardi lo invi a
insegnare
a
Baghdad,
in una
delle scuole
pi
rinomate del
tempo.
Questi sono
gli
an-
ni in cui Al-Ghazali inizila
sua attivit
letteraria,
componendoopere
di
filosofiae di diritto.
Nel
1099,
cio all'et di
quarant'anni, dopo
una
penosissima
crisi
spi-
rituale,
durata vari
mesi,
che lo
port
a distaccarsi
completamente
dalla
filosofia
e
anche dalla
teologia
di
tipo
razionalistico,
A-Chazali decise
di abbandonarela sua
invidiabile
posizione
di docente universitario e
di
ritirarsi a vita
privata,
lontano da
Baghdad,
per
dedicarsi
a
meditazioni
e a
pratiche religiose
di carattere sufico. Attorno a lui si form
un
picco-
lo
gruppo
di
discepoli
con i
quali egli
conduceva una vita di
preghiera,
di meditazione e di studio. ll
lungo
ritiro",
durato dieci
anni,
gli
con-
sent di
progettare
e
di
comporre
la
sua
opera maggiore,
la
Ilhya.
Dietro
le insistenze
degli
amici,
pochi
anni
prima
della morte
riprese l'insegna-
mento della
teologia
a
Baghdad.
Mor 18 dicembre1111.
Innumerevoli
sono
le
opere
che
vengono
attribuite ad
Al-Ghazali, ma
molte
sono certamente
spurie.
Le
pi importanti
sono
quattro,
di cui
due furono scritte
prima
della conversione
e
due
dopo.
Al
periodo
precedente
la conversione
appartengono: Maqasid alfalaszlfa
(Gli
obiettivi
dei
filosofi), una
esposizione
metodica delle
principali
dottrine dei filo-
sofi
musulmani, in
particolare
di Avicenna
(tanto
che d
proprio
l'im-
pressione
di
essere una sintesi molto ordinata del
pensiero
di
quest'ulti-
mo);
Tahrfut
al
falasifa
(Incoerenze
dei
filosofi), una critica oculata ma
anche molto
severa
degli
errori dei filosofi
e
della stessa filosofia.
Al
periodo
che
segue
la
conversione,
oltre la
gi
citata
Ilhya
ulum
addin
(Rinnovamento
delle scienze
religiose),
opera
monumentale,
un'au-
tentica summa di
tutte le
questioni teologiche, appartiene
la
sua au-
tobiografia,Al-Murzqidh
min addadal
(Liberazionedallerrore).
374 Parte seconda
CRITICA DELLA FILOSOFIA
Ottimo conoscitore sia della filosofia
greca
che di
quella
musulmana,
e
per
un certo
periodo
filosofo lui
stesso, quando
decise di iniziare una
nuova forma di
teologia
meno
razionalistica di
quella
in corso ai suoi
tempi
e
- sulla linea di Al-Ashari
pi rispondente
alle
esigenze
della
piet,
che contribuisce
quindi
ad avvicinare il credente oltre che con
la
mente anche col
cuore
ad
Allah,
Al-Ghazali
prese
le distanze dalla filo-
sofia e
soprattutto
smascher
gli
errori dei
filosofi,
sia di
quelli
antichi
sia dei suoi
contemporanei,
e in
particolare gli
errori di Avicenna.
Con la chiarezza che
gli
consueta
egli
tratta
separatamente
dei vari
gruppi
dei filosofi
e delle varie
parti
della filosofia.
Distingue
i filosofi in
tre
gruppi principali:
materialisti,
naturalisti e teisti. Ai
primi
e
ai secondi
muove l'accusa di
ateismo; anzi,
i
primi,
i
materialisti,
li considera
gli
atei
per
eccellenza. Tra i teisti il
pi importante

Aristotele,
al
quale
riconosce il merito di
avere confutato Platone e Socrate e i teisti che lo
avevano
preceduto,
attaccandoli
senza merc,
fino a
che si
separi)
da loro
tutti;
Sennonch lasci anche
sopravvivere
della loro abiettamiscredenza
ed eretica
innovazione,
resti dai
quali
non era riuscito a liberarsi39
Non meno severo il
giudizio
che Al-Chazali
pronuncia
nei confron-
ti dei filosofi musulmani. E necessario
giudicare
infedeli
quei
filosofi
(greci)
e cos
pure quanti
li
seguono
dei sedicenti filosofi musulmani
come
Ibn Sina (Avicenna),Al-Farabi e altri. Pero nessuno dei cultori
musulmani di filosofia si tanto curato di trasmettere la scienza di
Aristotele come
i suddetti.
Quello
che
gli
altri hanno trasmesso tanto
poco
scevro
di incertezza e
confusione che chi
legge
ne
ha la mente tur-
bata al
punto
da
non
capire.
E una cosa
che
non si
capisce,
come
la si
pu
confutare o accettare? Tutto
quanto
nella trasmissionedi Ibn Sina e
Al-Farabi
,
secondo
noi,
autenticafilosofiadi Aristotele si
pu
somma-
riamente dividere in tre
parti:
una da
giudicare
miscredenza,
la
secon-
da da
giudicareeresia,
la terza non
deve
essere
rigettata
del tutto.70
Nel
suo
Tahfut al-falasifa
Al-Chazali denuncia in Avicennaventi erro-
ri,
per
tre dei
quali
si deve
giudicarlo
infedele,
per
diciassette eretico.
I tre errori
sono:
la
negazione
della risurrezione del
corpo;
la
negazione
che Dio ha
conoscenza diretta dei
particolari;
laffermazioneche l'uni-
verso
preesistente
ab aeterno. Nessuno dei musulmani mai arrivato
ad
impostare questioni
siffatte.71
59) AL-GHAZALI, Scritti
scelti, tr. it., UTET,
Torino
1970,
p.
92.
m)
Ibid.
71) Ibid.
La
metafisica
islanzica del Medioevo 375
Le altre diciassette
tesi,
bench
erronee,
non
possono
essere classifica-
te che
come innovazioni blasfeme. Esse rendono coloro che le
sostengo-
no simili ai
partigiani
delle stte musulmane eterodosse. Le tesi di
que-
sta seconda serie
possono
essere
raggruppate
nel modo
seguente:
1. La
perennit
del mondo
(seconda
questione).
2.
L'incapacit
dei filosofi di dimostrare l'esistenza dell'Autore del
mondo
(questione quarta)
e la loro
ambiguit
nell'affermare che Dio
l'autoredel mondo
(questione
terza).
3. La loro
incapacit
di
provare
l'unicit di Dio e la loro
negazione
degli
attributi divini.
4. L'affermazionedella causalitnaturale
(questione
diciassettesima)
5. La loro
incapacit
di
provare
che l'anima e una sostanza
spirituale.
Riguardo all'origine
del mondo AI-Ghazali afferma che Dio ha deciso
sin clalfeternit che il mondo abbia
origine
nel
tempo.
Anche il
tempo

stato creato insieme col mondo. Perci
prima
del mondo non c' alcun
tempo;
soltanto la fantasia
pu immaginare
un
tempo
fittizio. Al-Ghazali
critica
poi
la teoria
dell'emanazione,
secondo cui da Dio deriva necessa-
riamente la
prima intelligenza,
cos come la luce
proviene
necessariamen-
te dal sole. Ma
questa
non vera
produzione:
deve
procedere
da
un
agen-
te
libero,
che
conosce e Vuole il
proprio prodotto.
D'altronde come
sipu
dire che
questo prodotto
dell'emanazione una "innovazione"
(innova-
tio)?
Infatti la Vera "innovazione" il
passaggio
dal non-essere all'essere.
Quanto
al
principio neoplatonico,
secondo cui dall'Un0 non
pu
procedere
che l'uno
(ex uno
nonnisi
unum), esso si ritorce contro i suoi
difensori,
perch
non c' nulla nell'unit che
giustifichi
il
prodursi
di
una
molteplicit,
e cos non
si
spiega
la
molteplicit
che C' nell'univer-
so. Inoltre l'emanazione
triadica,
intelligenza
della
sfera,
della
sua
anima e del suo
corpo,

semplicemente
affermata ma affatto dimostra-
ta. Infine chiamare Dio
"Agente" rispetto
a un
mondo che
Egli
stesso
non
ha
prodotto,
come fanno i
filosofi,non
ha alcun senso.
E
proprio
i filosofi
non sono in
grado
di
provare
l'esistenza di Dio.
Essi costruiscono la loro
argomentazione
sulla
impossibilit
di
un
regres-
sus ad
infinitunz
nella serie delle cause e
che
quindi
deve fermarsi dinanzi
a una causa
prima
e incausata.
Ma,
secondo
Al-Ghazali,
questo argomen-
to
doppiamente
falso. Infatti i
corpi,
dal
punto
di vista dei
filosofi,sono
eterni e
pertanto
non
hanno
bisogno
di
cause.
Inoltre secondo i loro
prin-
cipi,
il
regressus
ad
infinitum
non
un'assurdit,
poich
ammettono la
possibilit
di una serie infinitadi effetti e di
un numero infinitodi anime.
Al-Ghazali contesta
poi
la teoria avicenniana
sugli
attributi divini.
Secondo tale teoria
gli
attributi non sono l'essenza ma
hanno
con essa
un
rapporto
accidentale.
Questo, Osserva Al-Ghazali,
pu
accadere nelle
creature, ma non in
Dio,
dove
ogni
attributo si identifica
con
la
sua es-
376 Parte seconda
senza.
Altrettanto insostenibile la
spiegazione
avicenniana della cono-
scenza
che Dio ha delle sue creature, una conoscenza
legata
al fatto che
Dio la loro causa.
Ma
questo, per
Al-Ghazali un
puro gioco
di
parole.
Infatti ci sono
due
tipi
di azione: l'azione
naturale, necessaria,
che
non
comporta
nessuna conoscenza,
e
l'azione volontaria che invece
esige
una
previa
conoscenza. Ora i filosofi affermano che Dio crea necessaria-
mente il mondo. Nella
Questione
dodicesima Al-Ghazali fa vedere che i
filosofinon
riescono
neppure
a
provare
che Dio conosce se stesso.
Un altro
punto
decisivo su
cui Al-Chazali attacca i filosofi
riguarda
il
principio
di causalit,
cardine
principale
di tutta la metafisica.
Riguardo
a
questo principio, anticipando
Hume di
qualche
secolo,
Al-Ghazali
gli
nega qualsiasi
valore
oggettivo,
affermando che
esso il
semplice pro-
dotto
psicologico
di associazioni di fenomeni che si
susseguono
regolar-
mente. A forza di constatare una successione
regolare
si conclude inde-
bitamenteche tra loro c' un nesso necessario.
GLI ATTRIBUTlDI DIO
Demoliti
gli
errori dei
filosofi,
che suscitavano
grandi
dubbi nei dotti
e
grave
scandalo nei
semplici
credenti, e una
volta confermato nella
fede,
Ghazali
con tutte le
sue
forze si
propose
di fare
acquisire
anche
agli
altri la
certezza,
sempre
nei limiti del sunnismo e
precisamente
secondo
l'interpretazione
asharita
(cio
di
al-Ashari) (rnu)v
Dove si distin-
se
dai
teologi
che si contentavano di una
fredda
esposizione
dei
dogmi
e
dei
precetti religiosi,
fu nell'uso del tauil o
interpretazione, per
svelare
negli
uni e
negli
altri un
significatopi profondo
e dare
impulso
al sen-
timento
religioso.
Non c'
opposizione, egli
sostenne,
fra senso
apparen-
te e senso nascosto, perch questo
il
complemento
di
quello,
ne la
perfezione.
Gli fu
rimproverato
di far eccessivo uso del
tcflwil,ma si dife-
se
affermando che lo manteneva dentro la cornice del
dogma.
Certo,
diceva,
prima
di servirsene occorre
fare
uno
studio meticoloso del senso
apparente,
e non
solo delle
espressioni
coraniche, ma
di tutto ci che
riguarda
il credo
sunnita;
da
quel
senso occorre muovere
per
giungere
a
quello
intimo. Col senso nascosto si alimentala vita interiore
dell'anima,
la
quale
finisce col divenire "l'anima
tranquilla",
al
riparo
dal dubbio e
dal turbamento intellettuale.72
Seguendo l'esempio
di Al-Ashari e
degli
altri
teologi
sunniti,
Al-
Ghazali
raggruppa
la Vastissima materia della
teologia
intorno ai due
dogmi
fondamentali della fede islamica: l'unit di Dio
("Allah
Allah")
e
il
messaggero
di Allah
("Maometto
il
suo
profeta).
72) L. VFCCIA VAGLIERI,
Introduzionead AL-GHAZALI,
Scritti scelti, cit.,
p.
19.
La
metafisica
islzmzica del Medioevo 377
L'attenzione e
la devozione di Al-Ghazali, ovviamente, sono concen-
trate su Dio del
quale
non cessa
di illustrare
gli
innumerevoli e
singolaris-
simi
attributi, a
partire
da
quello
della unicit. Dio unico
perch
Dio
incausato,
cio senza
principio:
anzi,
Egli
il
principio
di
ogni cosa;

prima
di
ogni
cosa morta o
viva. E la
prova
che
se
Egli
fosse stato cosa
nuova e non
eterna,
avrebbe avuto
bisognoanchEgli
di un
produttore,
e
questi
a sua
volta avrebbeavuto
bisogno
di
un
produttore,
e ci avrebbe
formato una catena ad
infinitunz.
Ci che forma una tale catena non
per-
vienea un risultato definitivo
oppure giunge
a un
produttore
eterno che
il Primo. E
questi,
da noi chiamatoArtefice del
mondo, suo iniziatore, suo
creatore, suo
produttore
e suo inventore,

l'oggetto
della nostra ricerca.73
Principioprimo
e
fine ultimo di
ogni cosa,
Dio uno nella sua stessa
essenza senza socio,
Singolo
senza simile,
Signore
senza
oppositore,
Solo
senza rivale,
Ch
Egli

Uno,
Eterno senza
primo, Perpetuo
senza
un
principio,
Perenne senza un ultimo,
Sempiterno
senza fine,
Sussi-
stente senza creazione,
Continuo senza interruzione.74
Dallattribut0fondamentaledellunicit Al-Ghazali deriva in
sequen-
za
logica
tutti
gli
altri attributi:
semplicit
(non
composto
di materia e
forma,
di sostanza e accidenti,
di atto e
potenza,
eco),
incorporeit
(Egli
non
corpo
avente forma,
n sostanza avente limiti...),
immuta-
bilit(
troppo puro per poter
subire cambiamento
o trasferimento;
non
hanno
posto
in lui cose nuove e non L0
affliggono
ostacoli,..).
Dio
creatore unico di tutto ci c-he esiste: isolato nel
creare e
n-ellinven-
tare,
il solo a
portare
in esistenza e a
produrre;
ha creato le creature e le
loro azioni e
ha
predeterminato
la
provvidenza
a loro favore e il termine
delle loro
vite; e nulla di
quel
che
oggetto
di
potenza
esce
dal
suo
pugno,
n
sfuggono
alla
sua
potenza
le vicende delle
cose;
sono inealco-
labili le cose
oggetto
della sua
potenza
e sono
infinite le cose
da Lui
conosciute.75 Dio onnisciente e
onnipotente:
la
sua scienza e
la
sua
Volont non
hanno limiti:
Egli,
|Eccelso,
Colui che
parla,
comanda,
vieta,
promette,
minacciacon
Parola
perpetua,
eterna,
sussistente di
per
s,
che
non
somiglia
alla
parola
delle
creature,
che non suono nascente
da emissione di aria o batter di
corpi,
n lettera che si formi
per
chiusura
di labbra o movimento di
lingua.
Il
Corano,
il
Pentateuco,
il
Vangelo,
i
Salmi sono
i suoi libri rivelati ai suoi
apostoli
- sia
pace
su
di loro!.76
73) AL-GIAZAIJ,
0p.
cit.,
pp.
164465.
74)
lbiti,
pp.
150-151.
75) una,
p.
154.
75)
lbid.
378 Parte seconda
Come
gi
risulta dal brano
precedente,
Dio,
Parola eterna e
sussisten-
te si manifestato
agli
uomini attraverso i suoi
messaggeri,
e
in maniera
completa
e
definitiva
per
mezzo
del
Profeta, Maometto,
il
quale
ha
rac-
colto la Parola di Dio nel Corano.
Al-Ghazali ebbe una
fede indiscussa nel Profeta. Per
questo insegn
che si deve credere a tutte le cose
che
egli
ha detto circa
questo
mondo e
lAldil,
quali
Yesistenza dei due
angeli
Munkar e Nakir
(i
primi giudici
del
defunto),
la bilancia
(con
cui si
pesano
le azioni
degli
uomini
dopo
la
risurrezione),
il
ponte
(su
cui
passeranno
i defunti
per
accedere al Para-
diso 0 cadere
nellInferno).
Tutte
queste
cose
relative all'Aldildevono
essere
oggetto
di fede assoluta: Al-Ghazali ad esse non
applica
il tauil
che con
molta
parsimonia.
Nel mondo della
fede,
alla
pari
dei filosofi
musulmani, e
anche di
Clemente Alessandrino e altri autori
cristiani,
Al-Ghazali
distingue
due
livelli,
il livello dei
semplici
e
quello degli
illuminati".Ma alla fede
illuminata"secondo Al-Ghazali non
si arriva n con la filosofia
(Avi-
cenna)
n con la
gnosi
(Clemente)
n con
la kalam
(mutaziliti),
bens con
le
pratiche
sufiche, in
particolare
la
meditazione,
la
preghiera,
la lotta
spirituale,
la resistenza alle
passioni,
la
piena
dedizione alla volont di
Dio. Sciolto
con
tali mezzi il "nodo che nel suo
cuore,
il fedele
acqui-
sta la dilatazionedel
petto
ed entra nella luce di Allah. Allora la sua
fede diviene
illuminata,
perfetta.
Dellmportanza
del
pensiero
di Al-Ghazali
e sul ruolo decisivo che
ha svolto
negli sviluppi
successivi dell'islamismo si detto all'inizio.
l suoi effetti furono certamente benefici
per
Yortodossia: la fede conso-
lidata e
arricchita conobbe
una nuova fioritura; se non si
pu
dire che
sia stato
proprio
Ghazali
a
stimolare lo
sviluppo
delle confraternite o
Corporazioni
sufiche si deve tuttavia riconoscere che della situazione da
lui creata esse
profittarono:
forti della
maggiore popolarit
del sufismo
per
la vinta riluttanza dei
teologi,
esse si
moltiplicarono,
si diffusero in
tutto il mondo musulmano e
portarono
la voce
dell'Islam nelle
regioni
pi
remote. Lo stato di
equilibrio promosso
da Ghazali
persistette
fin
quasi all'epoca
nostra, quando
il riavvicinamentotra Occidente e Orien-
te
produsse
nuovi orientamenti.77
Ma
gli
effetti
dell'opera
di Ghazali furono certamente
negativi per
la
filosofia islamica: i suoi violenti attacchi contro tutti i
filosofi,
greci
e
musulmani, con
le accuse o
di
empiet
o
di
eresia,
fu
per
la filosofia
stessa un
colpo
mortale, e
segn praticamente
la fine di
quella
filosofia
77)
L. VECCIA VAGLIERI,
0p.
cit,
pp.
27-28.
La
metafisica
islamica del Medioevo
379
islamica che
aveva avuto
rappresentanti
validi
e
gloriosi
come Avicenna
e Averro. La fine della filosofia fu
una
grave perdita
per
la cultura
musulmana in
generale
e
per
Pumanesimo
islamico,
che si avviarono a
un lento
ma inevitabiletramonto.
Ibn-Bajja (Avempace)
Mentre le dure critiche
portate
da Al-Ghazali ai filosofi
e alla metafi-
sica
segnavano
l'inizio di
un
inarrestabiledeclino della
speculazione
filosoficanell'Oriente
islamico,
nella
Spagna,
che
gi
dal VII secolo
era
stata
soggiogata dagli
arabi,
si assiste a una straordinaria
ripresa degli
studi filosofici
e all'affermazionedella filosofia
peripatetica,
di
tipo
neo-
platonizzante, prima
sotto il
regime degli
Almoravidi,
poi
sotto
quello
degli
Almoadi, con
pensatori protetti
da
quegli
illuminati sovrani ai
quali
era
gradito
il libero
pensiero
dei dotti. Notiamo
per
inciso che il
libero
pensiero
non era assolutamente considerato un diritto di tutto il
popolo;
la comunit dei dotti
era infatti ben distinta in ci dal
volgo,
al
quale,
del resto secondo lo stesso
Averro, non sembra
appartenere
in
alcun modo il diritto alla libertdel
pensiero.
Il
primo
di
questi pensatori
il celebre Abu Bekr
Mohamed,
detto
pi
comunemente
lbn-Bajja,
e
dai latini
Avempace.
Nato a
Saragozza, pi
tardi si trasfer a Granada. Mor avvelenato
a Fes nel 1138. La sua
pre-
matura
scomparsa gli imped
di
portare
a termine le tante
opere
che
aveva
gi
iniziato a
comporre.
I trattati che ci sono
pervenuti,
raccolti
sotto il
significativo
titolo di
Opera melaphyslcn,
sono tutti di modeste
proporzioni.
Uevidente
ampiezza
del
suo
sapere giustifica
la stima di
cui
godette presso
i
posteri, malgrado
i suoi numerosi critici e detrattori.
La sua introduzione di
una
discussione
filosoficaseria
segna
un
punto
decisivo nella storia della cultura islamica nella
penisola
iberica.
Egli
prepara
il terreno
all'interpretazione
islamica
pi
sistematica della dot-
trina aristotelica
e alla difesa
pi vigorosa
di
questa
dottrina
per opera
del
pi grande
aristotelica
dell'Islam, lbn-Rushd di Cordova.78
Come risulta dalle sue
opere principali:
Il
regime
del solitario
e
il Trat-
tato sull'unione dell'intelletto
con l'uomo, interesse
precipuo
della
specula-
zione di
Ibn-Bajja
il
raggiungimento
del fine ultimo da
parte
dell'uo-
mo,
che
egli
fa consistere nella conoscenza e nell'amore di Dio. Mentre
tutti
gli
altri filosofi islamici
avevano mostrato che il filosofocondivide
responsabilitpolitiche
con
gli
altri membri della comunit in cui si
trova,
Ibn-Bajja

l'unico, o
quasi,
a sostenere che la ricerca della felicit
78)
M.
FAKHRY,
0p.
cit,
p.
286.
380 Parte seconda
dev'essere il risultato
degli
sforzi individuali
compiuti
dal filosofo.
L'imperfezione
delle comunit esistenti
costringe
il filosofoa
perseguire
la felicit da
se stesso
oppure
insieme a
pochi
altri che condividono le
sue idee e
le
sue
finalit.
Il
regime
solitario una
specie
di itinerariummentis in Deum che illustra
le
tappe
che il
saggio
deve
percorrere per raggiungere
il
traguardo
della
felicit che
consiste, come s' detto,
nella
contemplazione
e nell'amore
di Dio.
La caratteristica
principale
dell'uomo la
ragione. Questa gli
consen-
te di far
parte
delle "forme" intellettuali e
Spirituali
che costituiscono il
piano pi
elevato della
grande gerarchia degli
esseri. Sulla scia di Avi-
cenna,
nel
piano
intellettuale
Ibn-Bajja distingue quattro gradi:
1)
le In-
telligenze
che muovono
i
corpi
celesti; 2)
l'intelletto
agente
e
acquisito;
3)
le forme
intelligibili
astratte dalla
materia; 4)
le idee
e nozioni del
senso comune (sensus communis),
la fantasia e
la memoria.
La vocazione vera dell'uomo essenzialmente
spirituale
e
intellettua-
le; tutte le altre attivit hanno valore nella misura in cui contribuiscono
alla realizzazionedi
questa
nobilevocazione. Per mezzo della sensazio-
ne,
della memoria e delle altre facoltl'uomo condotto alle forme
supe-
riori.
Per, mentre le forme astratte dalla materia esistono nella mente
umana
in
una
condizioneche differente da
quella
in cui esistono
quan-
do sono combinatecon la
materia,
le forme che
non sono mai esistite
nella materia e
che esistono
indipendentemente
da essa sono
forme che
la mente conosce
soltanto
grazie
all'azionedell'lntelletto
agente,
che in
se stesso una forma essenzialmenteimmaterialee
spirituale.
Mediante il contatto con
lIntelletto
agente
il Solitario"
raggiunge
quello
stato di
immaterialit,
caratteristico di tutte le forme
spirituali.
Solo
questmuomo spirituale"
veramente beato;
l"uomo
corporeo"

troppo
assorbito dai
piaceri
del
corpo per
desiderare altre cose
pi
alte.
Nel momento in cui l'uomo
spirituale raggiunge
l'ideale filosoficodella
saggezza
ed reso
partecipe
dei valori
supremi, speculativi
ed
etici, egli
divieneveramente divino e
raggiunge
il
rango
delle sostanze
intelligibi-
li. Tale
, come avevano
gi insegnato
Al-Farabi e Avicennae
prima
di
loro i
neoplatonici,
il fine ultimo dell'uomo
e
il
segno
del
congiungimen-
to con
l'Intelletto
agente.
Ma il Solitario - ammette
Ibn-Bajja
da solo e con
i
propri
mezzi, non
in
grado
di
conseguire questa
altissima meta. Ci
possibile
mediante
l'infusionedi
una
luce che Dio fa scendere sui suoi eletti e
che Al-Gha-
zali,
in
un contesto
sufi,
aveva descritto come
la chiave di tutte le forme
della conoscenza. Cos,
abbandonando il
corpo,
scrive
Ibn-Bajja,
colui che
gode
di
questo
divino favore diventer una luce (celeste)
che
d
gloria
a Dio e cantando la
sua
lode
raggiunger
il
rango
dei
profeti,
La
metafisica
islamica del Medioevo
381
dei
santi,
dei martiri
e dei beati.
Per, nonostante
questa apertura
verso
il
soprannaturale,
Ibn-Bajja
rimane fermo nella
convinzione che
questo
favore divino riservato ai filosofi
e,
in
questo modo,
egli
limita arbitra-
riamente la
portata
di
questa
illuminazione
fissando,
per
cos
dire,
le
condizioni che
obbligano
Dio
a fare
questo
dono soltanto
a un
piccolo
numero di
privilegiati.
Ibn Tofail
(Abubacer)
La seconda
personalit
di
spicco
nella storia della metafisica islamica
in
Spagna
Abu Bakr Ibn Tofail
(0 Tufail),conosciuto nel mondo latino
come Abubacer. Della
sua vita si
conosce ben
poco:
si
suppone
che sia
nato nel
primo
decennio del secolo XII. Ha
certamente studiato medici-
na e filosofia
a
Siviglia
e a Cordoba. Godette dei favori del califfo Abu
Yakub
Yusuf,
grande mecenate dei filosofi
e
degli scienziati,
che lo volle
come medico di corte. Anche
dopo
la morte del
suo
protettore
(1184)
Ibn
Tofail continu
a conservare la
sua
posizione
di
privilegio
a corte fino
alla
sua
morte,
nellanno 1185.
Ibn Tofail
scrisse
numerose
opere
ma l'unica che
giunta
a noi si inti-
tola
Havy
ibn Yakzan
(Il vivente
figlio
del
vigilante).
Si tratta di
un "roman-
zo filosoficoche
presenta
considerevoli affinit
con il Robinson Crusoe
di De Foe
e con l'Emiliadi
Rousseau.
Raccontandola vita di
questo per-
sonaggio
l'autore
sviluppa
una "metafisica di
stampo neoplatonico,
affine
a
quella
di Al-Farabi
e di Avicenna. Una tesi a cui Ibn Tofail d
rilievo che
tra filosofia
e
religione
non esiste
nessun
contrasto,
bens
un sostanziale accordo.
La
scena del
romanzo si situa su un'isola desertica dell'Oceano In-
diano
e il
protagonista

Havy,
un bambinoche
venuto alla luce
spon
taneamente in
quellisola.
Una
cerva lo allatta
per qualche anno. A sette
anni
impara
a rivestirsi
con
foglie
dalberi
o con
pelli
d'animali. Fi-
nalmente la
cerva muore e
questo
triste evento
porta Havy
a meditare
sul mistero della morte:
egli capisce
che la morte
semplicemente
la dis-
soluzione dell'unione dell'anima
con il
corpo.
La seconda
grande
sco-
perta
che il
ragazzino
fa da solo
quella
del fuoco. Pi tardi inventa
alcuni attrezzi che
gli
servono
per
la caccia
e la
pesca
e
impara
a classifi-
care
piante
ed animali. Sulla base di
queste
osservazioni
empiriche
giunge
finalmentealla
scoperta
di
un mondo
superiore, spirituale;
pren
de coscienza del mondo incorruttibile
degli
astri
e della
necessit di
un
Creatore. La
contemplazione
della bellezza
e dell'ordine
dell'universo,
che
sono tratti evidenti della
creazione,
lo
persuadono
che la Causa
suprema
dev'essere
perfetta, libera,
onnisciente, benefica
e bella; in
breve
essa deve
possedere
tutte le
perfezioni
che noi osserviamo nel
382 Parte seconda
mondo ed essere esente da
ogni imperfezione.
A
quel punto
Havy
ha
raggiunto
l'et di
trentacnque
anni.
Quando
comincia a
esaminare in che modo aveva
raggiunto
la cono-
scenza
dellEssere
supremo,
assolutamente immateriale,
Havy
nota che
non
l'ha
conseguita
mediante un
organo corporeo
ma con l'anima, una
realt totalmente distinta dal
corpo
e
che costituisce la vera essenza
del
nostro essere. Questa scoperta gli
fa
comprendere
la nobiltdell'anima,
la sua
superiorit
nei confronti
dell'universo materiale, e
la sua
esenzio-
ne
dalle condizioni della
generazione
e della corruzione alle
quali
deve
sottostare
il
corpo.
Cos
comprende
che la felicit dell'anima
dipende
dal riconoscimento
della sua
parentela
con
l'Essere Necessario e
dalla
sua
dedizione a
conoscerlo e
amarlo. Ma allo stesso
tempo
si rende
conto
che a causa
del
proprio corpo
egli

legato
al mondo materiale e
che
per
questa ragione
ha delle
responsabilit
anche nei confronti
di
questo
mondo: deve, cio, avere cura
del
corpo
e
di tutti i suoi
bisogni
essenziali,
anche se
soltanto nella misura in cui tutto ci consente
all'a-
nima di
raggiungere
il suo
fine ultimo,
la
contemplazione
di Dio e
l'u-
nione con
Lui. Per
conseguire questo
obiettivo il cercatore della verit
deve studiare la natura divina,
nei suoi
aspetti positivi
e
negativi.
Gli
attributi
positivi
si riducono alla sua
unicit assoluta ed esclusiva, men-
tre
gli
attributi
negativi
sono
riducibilialla sua
trascendenza e
alla sua
incorporeit.
La
presenza
del
corporeo
nell'essere stesso dell'uomo costituisce un
ostacolo alla conoscenza
pura
e vera
dell'Essere
trascendente.
Soltanto
dopo
che l'io finito e tutto
il mondo
degli
esseri materiali stato com-
pletamente superato
e
che
per
il cercatore
della verit non
rimasta che
la realt di
Dio, gli
viene concesso
il dono di vedere ci che nessun
occhio ha visto, nessun
orecchio ha udito e
che non
pu
arrivare a nes-
suna
persona.
Questa
fase finale una
specie
di ubriacatura
che ha
portato
qualcuno
ad identificarsi con
l'oggetto
della
propria
contempla-
zione: Dio.
Havy,
ci assicura Ibn Tofail,
stato
per
salvato da
questa
tentazione
dalla
grazia
di Dio.
Nel momento in cui
Havy
si
immerge
nella
contemplazione
di Dio,
egli coglie
anche le realt che
procedono
da Lui: il Cielo
supremo,
il
Firmamento, gli
astri,
le anime dei vari
pianeti. Havy
diviene
capace
di
captare
un archetipo
immaterialedella
propria
anima,
in cui vede rifles-
se
anche le miriadi di anime che in
passato
si sono unite ai
corpi.
Alcune
di
queste
anime, come
la
sua,
brillanodi
particolare splendore,
mentre
altre
assomigliano
a dei riflessi deformi in uno specchio pulito.
Come si
vede,
ci che
Havy
ha
contemplato
non
altro che il mondo metafisico
del
neoplatonsmo.
La
metafisica
islanzica del Medioevo
383
Averro
Averro
,
dopo Avicenna, il filosofo
musulmano le cui
opere
ebbero
maggiore
influenzasul cristianesimo medioevale.
Egli
il Commenta
tore
per antonomasia,
colui che il
gran
commento feo
(DANTE). Nella
storia della metafisica il
suo nome
strettamente
legato
ai suoi
commen-
ti ad
Aristotele,
specialmente
ai commenti alla
Metafisica
e
al De anima.
Grazie
a
queste opere egli
divenne il
capostipite
di
una delle correnti
esegetiche
pi
influenti di tutti i
tempi.
VITA
E OPERE
Averro
(Mohammcd Hafid ibn
Rushd)
nacque
a Cordoba in
Spagna
nel 1126 da
una
famiglia
di
qad (giudici).
Suo
padre
era un celebre
giurista,
che
ricopr
anche la carica di
giudice
supremo.
Il
giovane
Averro ricevette
una formazione
completa: grammatica, matematica,
astronomia, diritto, medicina, filosofia
e
teologia.
In medicina
acquist
una certa
notoriet, tanto da
essere nominato medico di corte. Nel 1182
fu
nominatoqad
di Cordoba. Ma. sin da
quando
aveva
vent'anni,
dedi-
cava la
maggior parte
del
suo
tempo
a studiare
e a commentare
Aristotele, del
quale
divenneil
commentatore
per
eccellenza. Pur restan-
do
sempre
fedele all'osservanza del
Corano, con le
sue teorie filosofiche
Averrosi attir i
sospetti
e le critiche dei
teologi musulmani,
i
quali
riu-
scirono
a
fargli perdere
il favore del
sovrano e a farlo
imprigionare.
Poco
prima
della morte
(Marrakesh 1198) Averro
venne riabilitato.
Averro noto
soprattutto
per
tre commenti
(grande,
medio
e
picco-
lo) alla
Metafisica
di
Aristotele, scritti in
lingua
araba
ma
prontamente
tradotti in latino
e utilizzati
moltissimo
dagli
Scolastici. Altra
opera
assai nota la Destructio destructionzzm
(Tahafut
al
Tahefut),
una
replica
vigorosa
alle critiche che il
grande
teologo
musulmano Al-Ghazali
aveva mosso alla filosofia
(falsafa) e ai filosofi in
generale.
Importanti
anche,
per
la retta
comprensione
del
pensiero
di
Averro, i suoi tre trat-
tati sui
rapporti
tra filosofia
e
religione.
Dal XIX secolo in avanti in Occidente
prese piede
una tradizioneche
vedeva in
Averroil
grande
empio,
che
aveva bestemmiato
contro
qual-
siasi
religione (islamismo,
giudaismo e
cristianesimo) e demolito le ulti-
me basi della fede. Fu Renan
a iniziare
per primo
la revisione di
questo
giudizio.
Lo
studioso francese
present
un Averro
egualmente
lontano
dal
settarismo
antireligioso
cos
come dal
settarismo
teologico. Per,
secondo
Renan,
le
espressioni non rare di deferenza
verso la
religione
manifestate da
Averro
andrebbero
interpretate come
gesti politici,
per
384 Parte seconda
sfuggire
alle ire dei
teologi.
La tesi di Renan viene contestata
dagli
stu-
diosi
pi
recenti,
i
quali
arrivano a sostenere
che la dottrina
teologica
di Averro,
per
conciliare
la
ragione
e
la fede,
coincide
perfettamente
con
quella
del Dottore
Angelico
(AsN
Y PALAcios).
RAGIONE E FEDE
Il
pensiero
di Averro
piuttosto
complessi), perch lungi
dal cercare
di armonizzare
la
religione
islamica con
la filosofia, come
invece tenta-
vano
di fare i
pensatori
cristiani
rispetto
alla loro
religione, egli
mantie-
ne una
separazione
netta tra fede
religiosa
e
dottrina
filosofica. Da una
parte
egli
elabora una
interpretazione
molto
rigorosa
di Aristotele,
la
quale
esclude che lo
Stagirita
abbia
insegnato
la creazione del mondo,
la
Provvidenzadi Dio e
l'immortalit dell'anima
individuale: dottrine
que-
ste che
per
Averro,
in sede filosofica,
hanno valore assoluto; dall'altra,
abbiamoi suoi
insegnamenti espliciti
sui
rapporti
tra fede e
ragione,
che
sembrano coincidere con
quelli
di Tommaso
d'Aquino,
come
dichiara
Asn
y
Palacios.
A
proposito
di
questi
rapporti
Averro scrive
quanto
segue:
Le
speculazioni
dimostrative della filosofianon
possono
arriva-
re a
contraddire
il contenuto della
Legge,
perch
la verit mm
pu
mettersi
in
conflitto
con la verit, ma
al contrario in accordo con essa e
le rende
testimonianza. Che
questa
sia la situazione
effettiva risulta dal fatto che,
quando
una speculazione
dimostrativa
porta
alla conoscenza
di
qualco-
sa
di reale,
le sole alternative
possibili
sono
le
seguenti:
o
la
Legge
non
dice nulla al
riguardo oppure
dice
qualcosa.
Se non
dice nulla, non
ci
pu
essere nessuna
contraddizione.
Se dice
qualcosa,
allora
l'espressio-
ne
esterna o
concorda con ci che detto dalla
speculazione
dimostrati-
va
oppure
la contraddice. Se concorda non
c' nulla da
aggiungere.
Se la
contraddice allora divienenecessaria una interpretazione.
Questa
ha
per
scopo
di ricavare
il
significato
profondo
di ci che la
parola
della
Legge
esprime
in modo
figurato.79
Questo
testo illustra chiaramente
la volont di Averro di conciliare
1a sua
fede di devoto musulmano con
la filosofiaaristotelica.
Egli pensa
di riuscirci ricorrendoal metodo
allegorico.
Non crediamo
per
che
que-
sto metodo abbia il
magico potere,
che Averro
gli
ascrive,
di risolvere
tutte
le contraddizionie
di
superare
tutti i contrasti.
Da
quanto
siamo andati dicendo, una cosa
per
certa:
Averro non
affatto il fondatore
della teoria della
doppia
verit" (una
verit
per
la
filosofia e una
verit
per
la
teologia)
che
spesso
gli
si attribuisce.
Egli
non
insegna
che
possono
esistere due verit contraddittorie, ma
due
79) AVERRO, Piziiosophie
und
Theologie,
Miinchen 1875,
p.
7
(il
corsivo e nostro).
La
metafisica
islamica del Medioevo 385
modi diversi di
esprimere
la stessa verit. La teoria della
doppia
verit
stata inventata dai
discepoli
di Averro
che, su
questo punto,
hanno tra-
dito
palesemente
il
pensiero
del maestro.
IMPORTANZAE NECESSIT DELLA FILOSOFIA
Accertato che tra fede
e
ragione,
tra il Corano e la filosofia
non si
pu
dare
contraddizione,
perch
sono due
espressioni
di
una unica
verit,
non ancora stata
provata
l'utilite tanto meno
la necessit della filoso-
fia. Per chi
conosce
gi
la Verit mediante la fede in Maometto a
che
serve ancora la filosofia?
Il
problema
era stato avvertito acutamente anche dai cristiani dei
primi
secoli;
infatti
sappiamo
che in
un
primo tempo
la filosofia
era sta-
ta considerata
con molta
diffidenza,
anzi alcuni
(Tertulliano, Taziano
ecc.) avevano anche condannatola filosofia
o come
superflua
o come
pe-
ricolosa. I
primi
a
schierarsi
a suo
favore furono
Giustino,
Clemente
e
Origene,
i
quali
mostrarono che
se essa non necessaria
per
la
salvezza,
tuttavia ha
un
ruolo
importante
da
svolgere
a favore della fede: che
quello
di difenderla
dagli
attacchi
degli
eretici,
di
approfondire
e
vaglia-
re
gli insegnamenti
della Sacra Scrittura e di trovare le
espressioni pi
appropriate
per
renderla
intelligbile
in determinati ambientio
per
certe
popolazioni.
Averro
riprende questa
tesi dei filosofi Cristiani
e
la
ripropone pi
0
meno con
gli
stessi
argomenti
nell'ambientemusulmano
e lo fa
non da
filosofo
ma da
credente,
quindi praticamente
nell'ambitodella
fides quae-
rens intellectum. In effetti
ecco la sua
precisa
formulazionedel
problema:
verificare dal
punto
di Vista della
Legge
se lo studio della filosofia
e
della
logica

proibito
o condannato,
oppure
se viene invece raccoman-
dato o
imp0sto.81
Il
primo argomento
che Averro adduce a favore dello studio della
filosofialo ricava dal Corano. A suo
parere
il libro del Profeta contiene
una raccomandazione
implicita
dello studio di
questa disciplina quando
elogia
la
conoscenza delle
opere
di
Allah,
in
particolare
la
conoscenza
del cielo e della terra: Dato che la
Legge prescrive
lo studio
degli
esseri
(del
cielo
e della
terra) con
l'intelligenza
e
di riflettere
su di essi ed
essendo la riflessionenient'altro che ricavare
l'ignoto
dal
noto, e in ci
consiste il
ragionamento,
ne
consegue
che ci viene
imposto
dalla
Legge
di effettuare lo studio
degli
esseri mediante il
ragionamento.

inoltre
3")
Cf. G. F.
HOURANT, Introduzione a: AVERROES,
On the
Harmony of Religion
ami
Philosnphy,
Londra
1967,
pp.
22-23.
81) AVERROFS,
On the
harmony... citi, c. 1.
386 Parte seconda
evidente che
questo genere
di studio a cui la
Legge
ci
invita,
lo studio
pi perfetto perch
viene
compiuto
con la
miglior specie
di
ragionamen-
to,
che consiste nella dimostrazione>>fi3
Stabilitoche il Corano
prescrive
uno
studio accurato delle
opere
di
Allah,
Averro non
ha difficolt a mostrare che
per
tale studio necessa-
rio ricorrere alla filosofia.
Bisogna
infatti essere
gi
in
grado
di
distinguere
tra le varie forme di
argomentazione
e
le condizioni della Validit di
un'argomentazione,
e
sapere pertanto distinguere
tra
ragionamento
dimostrativo,
dialetticoe retorico. Ma ci non
possibile
se
prima
non si
studiato che cosa il
ragionamento
in se stesso,
le sue suddivisioni e
quali
di
esse sono valide e
quali
no (...).
Perci chi crede nella
Legge
e
obbedisce al suo
ordine di studiare le
cose, prima
di
accingersi
a tale stu-
dio deve
impadronirsi
di
questi
strumenti
logici
che
per
lui hanno la stes-
sa
importanza degli
strumenti materiali
per
chi deve
compiere
lavori
manuali>>fi3
N vale l'obiezionedei tradizionalisti che
respingono
lo studio della
filosofia
appellandosi
al fatto che
esso non veniva
praticato
dalle
prime
generazioni
dei credenti e
per questo
lo taccianodi
eresia; perch
allora,
argomenta
acutamenteAverro,
bisognerebbe
condannareanche il dirit-
to, perch
neppure
esso esisteva ai
tempi
di Maometto e dei suoi
primi
discepoli. Eppure
non c' nessuno tra i
teologi
che
accusa
di eresia il
diritto, e
perci
nessuno
pu
condannarela filosofia.
E
neppure regge l'argomento
di coloro che
vogliono
bandire la filoso-
fia
perch
stata
scoperta
dai
greci,
cio da
gente
che non
ha la vera
reli-
gione, perch
allora si dovrebbe
colpire
con
la stessa censura
anche la
matematica,
la
geometria,
l'astronomia
ecc.
Pertanto un
grave
errore
proibire
1o studio della filosofia antica. Il danno che
ne
pu
derivare
puramente
accidentale, come
il danno che si
pu
subire
prendendo
una
medicina
oppure
una bevanda.84
DIFESA DELLA FILOSOFIA DAGLI ATTACCHIDEI TEOLOGI (AL-GHAZALI)
Stabilital'esistenza di
una certa armonia tra fede e
ragione
e dimo-
strata la
legittimit
della ricerca filosoficain base alla stessa rivelazione
coranica, Averro
pu
affrontare
con successo
i durissimi attacchi che
aveva mosso ai filosofi e alla filosofiail
grande teologo
musulmano Al-
Ghazali nel
suo
famoso
Tahrfut al-falasfia
(Incoerenze
dei
filosofi).
La re-
plica
di Averro si trova in
Tahcfut al-Tahfut
(Destructio
destructionum
s2)
lbid.
m) Ibid.
84) Ibid.
La
metafisica
islanzica del Medioevo
387
philosophiaeAlgazelis).s5
Quest'opera, poco
conosciuta dai
medioevali,
venne tradotta in latino
piuttosto
tardivamente
(nel secolo
XV). Tuttavia
essa
giudicata dagli
studiosi
come un eccellente
compendio
del
pen-
siero filosofico
islamico,
in
quanto
vi
vengono
discussi tutti i
problemi
pi importanti
che
sono stati dibattuti
negli
ambienti filosofici
e
teologi-
ci dell'Islam.

un'opera
di difficilelettura
a motivo del suo carattere
polemico
ed
esegetico
nel medesimo
tempo.
Infatti Averro
procede
citando
e riassu-
mendo
ampiamente
i testi del
suo avversario
per passare poi
a una criti-
ca minuziosa
e
puntigliosa degli
stessi.
Nel
Prologos
alla Destrucfio Averro chiarisce
egregiamente
i motivi
che lo hanno indotto
a
comporre questo saggio.
Ecco le sue testuali
pa-
role:
...

giunto
nelle nostre mani
un libro attribuito ad
Algazeli,
intitolato
Destructio
philosophorzrm,
e che
quest'opera
sia stata scritta da
Algazeli
non c' alcun dubbio. Infatti all'inizio
e alla fine di un'altra
sua
opera
aveva
espresso
l'intenzione di
compilarequesto
libro volto ad illustra-
re
il
pensiero
dei filosofi. E
vogliamo
subito
osservare che il libro del
quale
intendiamo
occuparci
infarcto di innumerevoli errori ed ha
contribuito
a suscitare nelle menti di tantissimi dotti infiniti
dubbi,
poich
il suddetto
Algazeli
considerato filosofo
sommo (summus
phi-
losophus),
tra i
maggiori
di tutti i
tempi.
Ed
cosa nota che la fama di
molti
predecessori

spesso
causa di
errore in molti successori.
Diciamo inoltre che il suddetto libro ha suscitato l'ammirazione di
molti nobili
e sottili
pensatori moderni, e
proprio per
il motivo che
Algazeli
summus
philosophus
noms e
ha scritto molti esimi volumi di
filosofia, in cui ha
esposto
con chiarezza
e
ampiezza
le
opinioni
dei
dotti. In
seguito
stato sollecitatoa
comporre
il
presente saggio,
in cui
si
ripromette
di scardinare le basi della
sapienza
(la metafisica), e di
abbattere le torri e
gli accampamenti
della verit. E cos a causa di
questo
libro la filosofia divenuta in
seguito oggetto
di abominazione.
Ma
per tranquillizzare
i nobili
ingegni
dichiariamosubito: o
quest'uo-
mo soffriva di
qualche
grave
morbo mentale
(ex
aliquo
morbo
perturba-
tllsfilffintellectus)
oppure
temeva d'essere
sospettato
deresia da
parte
dei canonisti del
suo
tempo.
E
come si
sa,
i canonisti
(legales)
sono
sempre
nemici dei
filosofi, e lui non voleva
esporsi
alla loro inimici-
zia.
Affermiamo, inoltre che il suddetto libro contiene
pi
veleno che
cibo. Noi
per
contro,
disposti per
amore della
filosofia, madre nostra
carissima, a
sopportare
la rabbiadei suoi
persecutori,
abbiamoesami-
nato con la massima
diligenza
le
parole
di
questo
libro
e ci abbiamo
85)
La versione latina di Calo
Calonymos
stata riedita dalla
Marquette University
Press
(Milwaukee)nel
1961, a cura di B. H. Zedler.
85)
Cf.
AVERROES, Destructio destructonzzrvi
philosophaeAlgazelis,
a cura di B. H.
Zedler,
pp.
16-17.
388 Parte seconda
sudato
sopra per
mettere in evidenza i vizi e i sofismi di cui
ripieno
e
abbiamocercato di controbatterli in modo
efficace,
anche se
talvolta
risulta cosa
ardua
per
la difficolt
degli argomenti
e l'oscurit dei
sofismi.
Nella Destructio Averro
segue
lo stesso ordine del
Tahcfut al-falasfia
di Al-Ghazali e smonta una
per
una
le venti tesi con cui Peminente teo-
logo
musulmano aveva
cercato di demolire la metafisica (16 tesi) e
la
fisica
(4 tesi)
aristotelica. Gli
argomenti pi importanti
sono
i
seguenti:
l'eternit del
mondo,
la
creazione, l'emanazione,
gli
attributi
divini,
la
conoscenza
che Dio ha di se stesso e
dei
particolari,
la
causalit, l'anima,
la risurrezione del
corpo,
le relazioni tra filosofiae
religione.
Al-Ghazali aveva cercato di minare i fondamenti della metafisica
negando ogni
valore al
principio
di causalit.
Gi Aristotele tra i
compiti
della metafisica aveva incluso
quello
di
difendere i
principi gnoseologici
e
ontologici
su cui essa
si
regge
e con
grande
abilitaveva
difeso il
principio
di non contraddizione,
il
pi
noto e
il
pi
necessario di tutti i
principi.
Averro fa altrettanto con
il
principio
di
causalit,
respingendo gli
attacchi di Al-Ghazali contro
que-
sto
principio.
Ecco alcuni
passaggi
della sua
difesa:
Il
negare
l'esistenza delle cause
efficienti che ci
appariscono
nei sen-
sibili un discorso sofistico; e
il
teologo
su
questo punto
o
nega
con
la
lingua
ci che ha nel cuore o
segue
una
involuzione sofistica in cui
incorre senza la
quale
non
sarebbe
possibile
non
confessare che non
vi un'azionesenza
un'agente
(...).
Dio stesso ha scienza
degli
enti
perch questi
hanno una causa,
e
que-
sto necessario anche
perch
si abbia scienza di
lui;
ed
perci
neces-
sario che l'ente si trovi
adeguato
alla scienza di lui. E
quanto
alla scien-
za
ispirata,
come
quando capita
al
profeta per
un
segnale
di Dio: la
causa non
se non
che la natura dell'ente subisce la
impressione
della
scienza eterna, ma la scienza che esso
possiede
non
dipende
da ci che
non
pu
naturalmente
conseguire,
ma la scienza del Creatore la
causa
da cui
proviene
tale natura nellente che ne
dipende.
E la nostra
ignoranza
sui
possibili
ha
luogo
solo
perch
noi
ignoriamo
tale natura che attribuisce ad essi l'esistenza o la
privazione.
Poich
se
negli
enti
gli opposti
fossero
uguali per
se stessi e
per
le cause
agenti, seguirebbe
di necessit che in essi dovrebbe trovarsi la non-
esistenza e
la non
-
privazione oppure
l'esistenza e
la
privazione
insieme;
ed ecco
che si rende necessario che uno
dei
due
opposti
sia
preponderante
verso
l'esistenza di tale natura. E
questa
che rende
necessario che uno
dei due
opposti consegua
l'esistenza. E la scienza
che vi
collegata
o scienza che lo
precede,
o scienza che lo
segue.
La scienza che lo
precede
la scienza (divina)
che lo ha causato.87
57)
Destructio destructionum, disp.
XVII.
La
metafisica
islamica del Medioevo
389
Un
punto
su cui Al-Ghazali
aveva attaccatoduramente i filosofi
era il
loro
insegnamento
sulla natura e
gli
attributi di Dio.
Egli
criticava la
distinzione
posta
da Avicennatra natura e attributi divini
e la riduzione
degli
attributi ad accidenti. Nella sua confutazione Averro
accusa Al-
Ghazali di
non
capire
la natura dell'attribuzionedi
una
qualit
allorch
viene
applicata
a Dio
e
alle creature. I filosofi
non
negano gli
attributi
divini: la
scienza,
la
volont,
la
vita,
la
potenza,
la
parola,
la Visione. Ci
che essi escludono che
questa applicazione
sia fatta in modo
univoco,
e che esista una
proporzione
diretta tra Dio e le creature. Cos la scienza
appartiene
eternamente a Dio ma noi
ignoriamo
in che modo essa si
relazioni alle creature. Tra i modi di
conoscere divini
e umani
non v'
proporzione, perch
mentre la
conoscenza di Dio la
causa
dell'oggetto
conosciuto,
la
conoscenza umana ne l'effetto.
Ma nella
Destructio,
pur prendendo generalmente
le difese dei filoso-
fi, Averro
non
risparmia
severe critiche ad Al-Farabi
e
ad Avicenna. In
particolare egli
denuncia il loro tentativo di conciliareAristotele
con
Platone,
ignorando
le distanze
prese
da Aristotele nei confronti del
suo
maestro,
specialmente riguardo
alla teoria delle Idee.
Inoltre, tutta la
dottrina emanazionisticache costituisce la
pietra angolare
della loro
cosmologia
e della loro metafisica
completamente
antiaristotelica.
Attribuendolaad Aristotele i due filosofi musulmani hanno totalmente
snaturato il suo
pensiero. Questa
dottrina che
cerca di
spiegare
la
plura-
lit a
partire
dalla unit
con l'inserimento di
una
lunga
sequenza
di
intermediari
non solo non aristotelica
ma anche
piena
di errori
logici
e di sofismi. Del tutto
gratuita

poi
l'idea che dalla Causa
suprema
non
possa
uscire che
un unico effetto.
UESEGESI
AVERROISTICADI ARISTOTELE
L'apporto
di Averro alla metafisica
pi
che nei suoi scritti
"teologi-
ci"
va ricercato nei suoi commenti ad Aristotele.
Averro
aveva una stima immensa
per
lo
Stagirita.
Dire Aristotele
e
dire filosofia
per
Averro era la stessa cosa. Aristotele il modello che
la natura ci ha fornito
per
svelare la massima
perfezione
che l'uomo
pu
raggiungere
in
questo
mondo;
egli
il filosofo celebrato dai
greci,
che
per
la
logica,
la fisica
e la metafisica ha fatto di
pi
di
qualsiasi
altro
pensatore
che l'ha
preceduto
o
che venuto
dopo
di lui. Sia in sede scien-
33)
Cf.
ibid.,
Disp.
VIII.
59) Cf. Commcntarium
magnum
in Aristotelis De anima, III, c. 14.
390 Parte seconda
tifica sia in sede metafisica Aristotele ha
gi
detto tutto
quanto
la
ragio-
ne umana
poteva
dire. Perci chi vuole
scoprire
razionalmentela verit
delle cose non deve far altro che
leggere
e
interpretare
Aristotele.
Averro inizi a commentare
Aristotele dietro richiesta del califfo
Abu Yakub Yusuf, suo
grande
mecenate e
protettore,
e attese a
questa
colossale fatica
per
un
trentennio. Di Aristotele comment l'intero
corpus,
tranne la Politica. Delle
opere
principali:
Fisica, Metafisica,
De coelo
et munda e
De Anima
compose
tre
generi
di
commenti, a cui sono
stati
dati i nomi di
grande,
medio e
piccolo
(o compendio).
Nel commento
grande
tutte le
singole
frasi del testo di Aristotele sono
spiegate
e sono
inoltre
accompagnate
da note e
aggiunte
di
Averro,
contraddistinte col
titolo Commentarium. Queste
aggiunte
hanno talvolta l'estensione di un
vero e
proprio
trattato
(per
es.
il Comm. 5 nel III De anima).
Il commento
medio una
trasposizione
delle antiche versioni arabecli Aristotele in
un
linguaggio pi
moderno e
nello stesso
tempo
un
riassunto esatto del
testo aristotelico con
sviluppi personali.
Il commento
piccolo
0
compendio
0
parafrasi

un'esposizionelogica
e coerente del contenuto dei libri aristo-
telici in
linguaggio piano
e facile, ma senza
seguire
fedelmente l'ordine
degli argomenti nell'originale.
Questi
due
tipi
di rifacimentodel testo
riguardano
tutte le
opere
fondamentali di
Aristotele,
per
in alcuni casi
abbiamosoltanto i commenti medi e
in altri solo i
compendi.

noto che su
alcuni
punti importanti
il testo aristotelico suscettibile
di svariate e
contrastanti
interpretazioni.
Il cristiano
Filopono, grande
commentatoredi Aristotele del VI secolo, aveva cercato di armonizzarei
suoi
insegnamenti
con le dottrine della
religione
cristiana. Averro
per-
corre una via diversa.
Egli
non si
preoccupa
minimamente di far coinci-
dere le tesi aristoteliche con
la fede islamica, ma
vuole
semplicemente
capire
e
spiegare quello
che Aristoteleha veramente detto. In
questo egli
segue
l'esempio
dei
grandi
commentatori arabi che l'avevano
precedu-
to,
Al-Farabi
e Avicenna, e,
in linea di
massima,
fa
sue
le loro tesi sulla
inconoscibilitdi
Dio,
l'origine
del mondo
per
emanazione,
l'eternit
del mondo,
l'unicitdell'intelletto
Agente.
Riguardo
a Dio Averro sostiene che la
ragione
indubbiamentein
grado
di dimostrare la sua esistenza. Il
suo
argomento preferito
e
quello
dell'ordine:
necessario che nelle
parti
dell'universo esista una
forza
spirituale
unica,
che unisca tutte le forze
spirituali
e
materiali e
penetri
unitamente
ovunque
in tutto l'universo. Se cos non fosse non
vi sarebbe
ne ordine ne coerenza
nell'universo e
solo in
questo
modo si
pu
conce-
pire
che Dio il creatore che sostiene e
mantienel'universo. Riconosce-
re Dio,
quale principio primo,
necessario
per
scongiurare
un
regressus
ad
infinitum
nella serie dei fenomeni.
La
metafisica
islamica del Medioevo
391
Per,

illegittimo
andare oltre all'affermazionedella
pura
esistenza
del
Principioprimo
e
degli
intelletti
separati
nel mondo sovrasensbilee
descrivere la loro attivit e la loro natura: l'intelletto
umano
incapace
di
comprendere
il modo d'attivit delle sfere celesti bench
sappia
che
tale attivit
esiste, e coloro che si azzardano a fare
comparazione
fra la
realt divina e
quella
sublunare e credono che
l'agente
divino
agisca
nel
modo
come
agiscono gli agenti
sublunari, commettono un'enorme im-
prudenza,
un
grave sbaglio
e un serio errore.
Quanto
sia diversa la realt divina
rispetto
a
qualsiasi
altra realt
Averro lo mostra
parlando
della
conoscenza
di Dio. La
conoscenza di
Dio
non
dipende,
come
la
nostra,
dalle cose
che
sono
fuori della
mente,
ma,
al
contrario, essa la
causa e
la
ragione
della loro esistenza. Essa
non ne universale n
particolare
ma abbraccia
ogni
cosa. Essa cono-
scenza
concreta,
rassomigliandopi
alla
percezione
dell'individuo che
non a
quella
delfuniversale,
anche
se in realt
non n l'una n l'altra.
In
essa l'unit
e l'identit del
soggetto
e
dell'oggetto
della
conoscenza
sono
perfette, perch
essa non si trova in
una relazione
con la materia
(come
nel
caso della conoscenza umana). La
molteplicit
che
pur
si
trova in essa non la
molteplicit tipica
della conoscenza raziocinativa
che dovuta alla classificazione
degli
esseri in
specie
e
generi,
ma la
molteplicit propria
dell'unit
organica
delle
essenze
degli
esseri,
in cia-
scuno
dei
quali
la
sapienza
divina manifestata. Le essenze
degli
esseri
sono connesse fra di loro secondo
un ordine
e una certa
coerenza,
dei
quali
l'intelletto
umano
ha soltanto
una conoscenza
inadeguata. Dio,
conoscendo
se stesso
produce
le essenze delle cose nel loro ordine e
nella loro
coerenza; esse,
a loro
volta, sono la
cagione
dell'esistenza delle
cose. Come
per
Avicennaanche
per
Averro la creazione sostanzial-
mente un
processo
conoscitivo e non una libera scelta della divina
volont. L'universo nella
sua realt noumenica
perci
"creazione con-
tinua della forza divina immanentein
esso.
Averro cos
giunto
a una concezione
panteistica
del mondo
(simile
a
quella
che sar di
Spinoza)
e ne
pienamente consapevole:
Dato che
la
vera conoscenza consiste
nelladeguatezza
alla
realt, se
la
conoscenza
di Dio
superiore
alla nostra e
la
sua conoscenza connessa con le
cose
in
una maniera
superiore
alla connessione della nostra conoscenza con le
cose,
ne
consegue
che vi sono due modi
d'esistenza, uno
superiore
e
l'al-
tro inferiore, e
che il
superiore
causa dellinferiore.
Questo
il
significa-
to del detto
degli
antichi che Dio la totalit
degli
esseri esistenti.
Con
Aristotele,
Averroafferma che il mondo eterno. Il
prodotto
della
realt
divina, infatti,
congruente
con essa ed come essa senza inizioe
senza fine. Linfinita attivit divina richiede che la realt che
ne deriva
sia anch'essa infinita, Solo
quando
la realt
appresa
dalla mente
392 Parte seconda
umana
per
il tramite della
categoria soggettiva
del
tempo
essa conce-
pita
come avente inizio e
fine
perch
l'anima non
pu concepire
l'infi-
nito. Su
questo punto
anche Tommaso
d'Aquino
sar in
pieno
accordo
con Averro.
Riguardo
all'uomo,
giustamente
celebre la dottrina di Averrointor-
no alla conoscenza
intellettiva dell'anima
umana,
una
dottrina vivamen-
te criticata da Alberto
Magno
e
Tommaso
d'Aquino.
Come noto
Aristotele nella conoscenza
degli
universali aveva distinto due intelletti,
uno
passivo
e uno
attivo o
agente.
Il
primo
senz'altro individuale, men-
tre il
pensiero
di Aristotele intorno al secondo di dubbia
interpretazio-
ne. Quasi
tutti i commentatori di Aristotele (Alessandro
di Afrodisia,
Temistio, Avicenna) avevano
insegnato
che l'intelletto non
ha carattere
individuale: esso e unico
per
tutti
gli
uomini,

un'intelligenza separata.
Questa
anche la tesi di Averro. Con Avicenna
egli distingue
tre intel-
letti: un
intelletto materiale
(o
passivo),
che la facolt dell'anima
prepa-
rata a ricevere le
quiddit
delle cose astratte dalla
materia; un
intelletto
agente completamentepuro
dalla materia e un
intelletto
acquisito
o
adepto,
che si forma nell'anima sotto l'azionedell'intelletto
agente.
Nel suo com-
mento al De anima di Aristotele sulla
questione
dell'eternit dell'intelletto
Averrosi
esprime
cosi: Si deve ritenere che nell'animavi sono tre
parti
di
intelletto,
di cui la
prima
l'intelletto ricevente (materiale),
la seconda
l'intelletto
agente
e
la terza l'intelletto
adepto.
E di
queste
tre,
due sono
eterne,
cio
l'agente
e
il
ricevente,
la terza in
parte generabile
e
corrutti-
bile, in
parte
eterna (...). Quando
l'intelletto materiale ha
conseguito
la
perfezione congiungendosi
con
l'intelletto
agente
ecco
che noi siamo cos
congiunti
con
l'intelletto
agente.
E
questa
attitudinesi dice abito o
acqui-
sizione o intelletto
adepto.
La formazionedell'intelletto
acquisito
avvie-
ne col concorso
dell'immaginazione
e
questa
facolt
personale
e
indivi-
duale, ma facolt corruttibilee
quindi
si deve concludere,
secondo
Averro,
che l'anima individuale corruttibile.
Averro,
specialmente
come
commentatore di Aristotele
godette
di
enorme
prestigio,
ed esercit un
grandissimo
influssodurante il
periodo
aureo
della Scolastica e durante il Rinascimento. Da lui
prese
il
nome
il
movimento filosoficodellaverroismo latino,
che avr come
massimo
esponente Sigieri
di Brabante.
Grazie ad Averro e ad Avicenna,
Aristotele fece ritorno in Occiden-
te. E la
scoperta
del suo
pensiero
metafisico
segn
un
passo
decisivo
per
lo
sviluppo
della
teologia
scolasticadurante il secolo Xlll.
La
metafisica
islamica del Medioevo
393
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LA METAFISICAEBRAICA NEL MEDIOEVO
Origini
e caratteristichedella Scolasticaebraica
La Scolastica ebraica -
come
del resto la Scolastica musulmana e cri-
stiana deve le
sue
origini
al desiderio
e
bisogno,
sentiti dai leader del
pensiero
ebraico,
di riconciliaredue fonti della verit
apparentemente
indipendenti.
Nel
medioevo, tra
gli
ebrei
come tra i cristiani e i musul-
mani,
le due fonti di
conoscenza o verit che
erano
chiaramente
presenti
nelle
intelligenze
delle
persone
colte,
ciascuna
pretendendo
un
proprio
riconoscimento, erano
le dottrine
religiose incorporate
nei libri
sacri,
da
una
parte,
e
le asserzioni e
le
argomentazioni
filosofiche
o scientifiche,
risultato di
una ricerca razionale
indipendente,
dall'altra. Rivelazione
e
ragione, religione
e filosofia,
fede
e
conoscenza,
autorit
e ricerca indi-
pendente
sono
le varie
espressioni
di
quel
dualismo,
che i filosofi
e i teo-
logi
del medioevo
cercarono
di condurre al monismoo
allunit.
La
ragione,
la filosofia
per
i
pensatori
ebrei del medioevo -
come
per
quelli
musulmani
e cristiani -
era
rappresentata
da
Platone,
da Aristotele
e
dai
neoplatonici.
Mentre la fede
era
rappresentata
dall'Antico Testa-
mento e
dal Talmud
(la
tradizioneche inizialmente
era soltanto orale
e
pi
tardi fu raccolta
per
iscritto).
Ma cerano anche altre due motivazioni - oltre
quella
di stabilire
un
rapporto
armonico tra filosofia
e
rivelazione- che
suggerivano
il ricorso
alla filosofia. Per
prima,
la necessit di
integrare
il discorso della Bibbia
l dove
esso risultava
poco
chiaro
oppure incompleto.
Per
seconda,
l'esi-
genza
di elaborare
un
quadro
sistematico di tutte le verit contenute
nella Bibbia
e nel Talmud.
Per la soluzione del
problema
dei
rapporti
tra rivelazione
(Parola
di
Dio) e
ragione
(filosofia)
gli
ebrei nel Medioevo
potevano
contare non
solo
sull'insegnamento
dei filosofi cristiani del
periodo patristico
e
dei
musulmani, ma
anche
su
quelli
del loro
correligionario,
Filone
dAlessandria,
il
quale gi agli
inizi della nostra
era,
al
problema
dei
rapporti
tra Scrittura
e
filosofia
aveva dato
una
soluzione
positiva
e
aveva fatto
largo
uso
della filosofia nella
sua
interpretazione allegorica
l) I.
HUSIK,
A
History ofMediaevalIewish Philvsophy,Philadelphia1946,
p.
XIII.
396 Parte seconda
della Scrittura. Generalmente sulla strada
gi
tracciata da Filone
-
cio
della conciliazionetra filosofia
e
rivelazione
che si incamminanoi filo-
sofi ebrei del Medioevo. Ma la loro filosofia
religiosa
si distacca netta-
mente da
quella
del loro illustre
predecessore, perch
mentre Filone,
per
la sua
sintesi tra ellenismo e
giudaismo,
si era
servito
soprattutto
di
Platone
e
degli
stoici,
gli
ebrei medievali sfruttano
soprattutto
i
neoplato
nici e Aristotele,
dei
quali
mostrano di
possedere
una Vasta
conoscenza,
anche se si tratta di
una conoscenza
che
generalmente
non
hanno attinto
direttamente dalle fonti
greche,
ma
dalla mediazionedei filosofi arabi?
Gli scolastici ebrei costituiscono un
gruppo
abbastanza nutrito e
qua-
lificatodi
pensatori.
Noi
qui per
ci limiteremo a
esporre
soltanto le dot-
trine di Ibn Gabirol e
di
Maimonide,
i
quali
oltre che
essere
obiettiva-
mente i
pi insigni
e
originali,
sono
anche
quelli
che hanno esercitato un
pi
notevole influsso sulla Scolastica cristiana,
sia in
campo
filosofico
(metafisico)
che
teologico.
Ibn Gabirol
VITA E OPERE
Salomon Ibn Gabirol
nacque
a
Malaga
verso
il 1022 e
mor a
Valenza
nel 1058. Della
sua
vita si conosce
pochissimo.
Rimasto orfano di
padre
e
di madre
quand'era
ancora
molto
piccolo,
condusse una
esistenza
disagiata,
e
in
pi
minata nella salute. In
compenso
possedeva
doni in-
tellettuali straordinari ed eccelleva sia come
poeta
sia come
filosofo.
Sennonch fu
proprio
la
pubblicazione
di alcuni
scritti,
in
particolare
il
Fans
vitae,
che
gli procur
molti
problemi
da
parte
della
gente
della sua
stessa fede
ebraica,
che lo accus di
superstizione, magia
e ateismo.
Fu cacciato da
Saragozza,
ma trovo
rifugio
presso
il visir di
Granada,
grande
mecenate
degli
artisti e
dei
letterati, e cos
pot tranquillamente
continuare a
occuparsi
di filosofia
e a scrivere
poemi
fino alla morte.
Due sono
le
sue
opere
principali:
il
poema
Keter Malkut
(La corona
del
re) e
il trattato filosoficoForzs vitae. Si tratta di due
opere
dal conte-
nuto e
dallo stile totalmente diversi, tanto che
per
molto
tempo
si
pens
che
appartenessert)
a
due autori distinti: il
poema
allebreo Ibn Gabirol e
il trattato filosofico
a un
musulmano chiamato ora
Avencebrol ora
Avi-
cebron. La sua
opera
filosofica fu totalmente
ignorata
dai suoi correli-
gionari
e
fu tenuto in
grande
onore
solo come
poeta.
Viceversa tra i cri-
stiani e
i musulmani
egli
fu conosciuto
praticamente
solo come
filosofo
2) Cf.
ibid,
p.
XXXIX.
La
metafisica
ebraica nel medioevo 397
e,
data l'affinit del Fans vitae con
opere
neoplatoniche
di scrittori cristia-
ni,
molti autori medievali ritennero che Ibn Gabirol avesse
abbandonato
il
giudaismo
e
abbracciatoil cristianesimo.
LA TEORIA DELUILEMORFISMOUNIVERSALE
L'impianto
filosofico che Ibn Gabirol ci ha lasciato nel
dialogo
Fans
vitae
palesemente
di
stampo neoplatonico
ma con
l'inserimento di
qualche importante componente
aristotelica,
in
particolare
la dottrina
dell'ilemorfismo
(materia e forma),
che Ibn Gabirol estende a tutto l'uni-
verso (eccetto Dio),
in
quanto
a suo
parere,
sono dotati di materia (incor-
porea)
non
soltanto
gli
esseri del mondo fisico
ma
anche
quelli
del
mondo
spirituale,
il mondo della
Intelligenza.
La
materia,
secondo Ibn Gabirol,
la sostanza
prima,
che sostiene i
nove
accidenti fondamentali,
ed la
prima
creatura di Dio. Fondamen-
talmente la stessa in tutte le
creature, essa
presenta
tuttavia
gradi
di
per-
fezione molto vari e
secondo una
gerarchia
ben
precisa,
che va da un
massimo di
imperfezione
nei
corpi pi pesanti
a un
massimo di
perfe-
zione nelle
intelligenze pi leggere.
Alla materia universale Ibn Gabirol
affianca un'anima universale
(o
forma
universale)
che l'anima di tutto il
cosmo creato. Ecco come
egli giustificaquesta
tesi:
Fa attenzione all'anima
vegetativa
e
scoprirai
che
essa
agisce
sulla
natura e
la domina e troverai che la natura
inglobata
in essa e
subi-
sce
la
sua azione. Osserva,
inoltre
l'intelligenza
e
l'anima razionalee
troverai che
ognuna
di esse
racchiude le sostanze che stanno sotto di
loro,
le
conosce,
le
compenetra
e
le domina:
soprattutto
la sostanza
dell'intelligenza
a motivo della sua
sottigliezza
e
della sua
perfezio-
ne. Attraverso
queste
sostanze
particolari puoi giudicare
delle sostan-
ze
universali che si
contengono
a vicenda le une
le altre e
che tutte
contengono
la sostanza
composta
(...).
L'anima universale sostiene
tutto il mondo
corporeo,
si
rappresenta
e conosce tutto ci che c' in
esso,
come
le nostre anime
singole sostengono
i nostri
corpi,
sosten-
gono
e
vedono tutto ci che Vi in
essi; ma in
grado
ancor
pi
elevato
fa ci
l'intelligenza
universale, a causa
della
sua
perfezione,
della sua
espansione
e
della nobilt della
sua sostanza. Cos ti diviene chiaro
come
il
primo
Autore, sommo e santissimo, conosce tutte le cose e
come tutte le
cose esistono nella sua conoscenza.
Devi inoltre
sapere
che
come
l'essenza della sostanza
corporea
e
la sua
forma
corrispon-
dono all'essenza dell'anima
spirituale
e
alla
sua forma,
analogamente
la
comprensione
della sostanza
spirituale, significa
che la sostanza
corporea
esiste ed contenuta
in
essa,
allo stesso modo che tutti i
corpi
terrestri esistono nel
corpo
celeste e sono contenuti in esso?
3)
IBN GABIROL,
Fans vitae
III,
57.
398 Parte seconda
Nella concezione di Ibn Gabirol la materia
svolge
un ruolo assai di-
verso
da
quello
che ha nella filosofiadi Plotino
e
dei
neoplatonici:
il
suo
posto
non
pi quello
di
polo
estremo dell'emanazione
da1lUno,
il
polo
cio della massima
degradazione
e
imperfezione,
ma
piuttosto quello
che
gi gli
assegnava
Aristotele: di
pura potenza, principio
della finitez-
za e della limitazione
dell'atto, si tratti di
forme,
di anime o di
intelligen-
ze. Perci la materia
non va
confusa
con
la
corporeit,
la
quale

piutto-
sto la forma
pi imperfetta
che
assume
la materia.
A favore della teoria di
una struttura
gerarchica
dell'universo
punto
qualificante
del
ncoplatonismo
-
con tutta
una serie di intermediari tra
Dio e
la materia
prima, gerarchia
che nella
parte pi
alta della scala
pre-
vede l'esistenza di vari
piani
di
Intelligenza,
Ibn Gabirol adduce molte
argomentazioni,
di cui le
pi suggestive
sono le
seguenti:
1) Il
primo
Autore Veramente
uno,
che
non
ha in s
nessuna molte-
plicit;
mentre la sostanza che sostiene le
nove
categorie degli
accidenti
si trova nella
pi grande molteplicit,
tanto che
dopo
di
essa non c'
spazio
per
una ulteriore
molteplicit.
Ora la
molteplicit
si risolve
sem-
pre
nell'unit. Occorre
perci
che ci siano
degli
intermediari tra il
vero
uno e la
pluralit composta.4
2)
Il
primo
Autore l'iniziodi
ogni
cosa. Ora l'iniziodi tutte le
cose

separato
dalla loro fine. La sostanza che sostiene le
nove
categorie
(cio la
materia)
la fine. Perci il
primo
Autore
separato
dalla sostan-
za
che sostiene le
nove
categorie.
Posta
questa
conclusione come
pre-
messa dico: l'Autore
primo

separato
dalla sostanza che sostiene le
nove
categorie.
Ora tutte le
cose
separate
hanno
degli
intermediari.
Perci ci sono
degli
intermediari tra l'Autore
primo
e
la sostanza che
sostiene le
nove
categoriew
3)
Pi la sostanza discende e
pi
diviene
molteplice;
viceversa
pi
si
innalza
e
pi
diventa unita. Ora tutto ci che riceve la
molteplicit
discendendo
e
l'unit elevandosi deve necessariamente
raggiungere
la
vera unione. Occorre
pertanto
che la sostanza
molteplice raggiunga
la
sostanza veramente unita
passando
attraverso sostanze intermediefi
Dio E 1 SUOI ATTRIBUTI:LA VOLONT
Il
principio
delllemorfismouniversale
per
Ibn Gabirol
non
un
pen-
siero
peregrino,
un bellbrnamentodel
suo
singolare
edificio
metafisico,
ma
il
pilastro
centrale
e
portante
che
regge
l'intero sistema. Lo sostiene
4) lbid., III,
2.
5) Ibid.
6) lbid.
La
metafisica
ebraica nel medioevo 399
sia sotto il
profilo
strutturale,
in
quanto
tutti
gli
elementi
(tranne l'Uno)
vi
appaiono
costituiti di materia e
di
forma, sia sotto il
profilo
metodolo-
gico
(dell'ordine concettuale) perch
sul
principio
delllemorfismoIbn
Gabirol edifica la via che lo
porta
oltre 1i1emorfismo
stesso,
allEssere
necessario,
Dio.
In effetti -
osserva
l'autore del Fans vitae - sia la materia sia la forma
(comprese
la materia e la forma
universali) sono
segnate
dalla finitezza -
oggi
noi diremmo dalla
contingenza

e
perci
devono la loro
origine
a
un Essere che
non n materia n forma:
lUno,
Dio. Che
poi,
in
effetti,
materia e
forma siano finite e non
possano
essere
infinite Ibn Gabiro] lo
arguisce
dal fatto che ciascuna di
esse Viene
meno,
ed
distrutta,
quan-
do
non sono unite;
mentre la forma si divide
e
moltiplica
a causa della
materia, e non
potrebbe
dividersi se la materianon fosse
a sua volta fini-
ta in se stessa?
A Dio Ibn Gabirol
assegna
tutta una serie di
attributi,
che
per quanto
concerne
la storia delle idee si
possono
distinguere
in
quattro gruppi:
biblico,
neoplatonico,
avicenniano e
personale.
A1
primo gruppo
(bibli-
co)
appartengono soprattutto gli
attributi della trascendenza
e
della
crea-
zione.
Qualcuno
potrebbe
obiettareche il
primo
sarebbe
pi logico
colle-
garlo
col filone
neoplatonico,
essendo Plotino il massimo assertore della
trascendenza de1lUno. In effetti
per
con
la
sua teoria della emanazione
a
livello
ontologico egli compromette irreparabilmentequella
trascen-
denza
gnoseologica
e semantica su cui
pone
fortemente l'accento. lbn
Gabirol afferma invece l'infinita differenza
qualitativa, ontologica,
che
distacca nettamente sul
piano appunto
dell'essere Dio
e le sue creature.
E
pu
far
questo perch,
anche
se
qualche
volta ricorre a
tipiche
imma-
gini neoplatoniche
per
illustrareil concetto di creazione
(come
l'immagi-
ne del
fiume, della
sorgente,
dello
specchio ecc.),
nella sostanza
egli
si
mantiene fedele al concetto biblicodi
creazione,
che
produzione
dal
nulla di tutta la realt di
una
cosa,
sia della materia sia della sua forma.
E
su
questo punto
bn Gabirol molto chiaro: sia la materia sia la forma
universali
sono entrambe
prodotte
da Dio e non sono
prodotte separata-
mente
perch
non si
pu
dare materia
sussistente, senza
forma
alcuna,
ma sono concreatefi Entrambe
sono
frutto esclusivo della Volont di Dio.
E a
questo proposito
Ibn Gabirol non trova
immaginemigliore
per
illu-
strare l'atto creativo di Dio che
quella
biblicadella
parola:
Dio cre
pro-
nunciando il
suo
fiat.
La creazione si
pu
paragonare
alla
parola
che
pronuncia
l'uomo,
perch quando
l'uomo
pronuncia
una
parola,
la
sua
7) ibid, V, 28;
cf.
IV,
20.
5) Cf.
finii, V,
42.
400 Parte seconda
forma e il suo senso si
imprimono
nelludito
e
ne1l'intel1etto dell'udito-
re.
in
questo
senso
che si dice
per approssimazione
che il Creatore su-
blime e santo ha
pronunciato
una
parola;
il
suo senso
si
impresso
nel-
lessenza della materia e la materia l'ha
raccolto,
vale a dire che la forma
creata
impressa
nella materia ed
siglata
da essa?
Dal filone
neoplatonico
Ibn Gabirol
riprende
invece di certo l'attribu-
to dellUno
(che
pur
potrebbe
essere un
attributo
biblico).
E
questo
lo si
pu arguire
da due cose: dalla
contrapposizione,
cos
tipicamente
neo-
platonca
e su cui Ibn Gabirol insiste
spessissimo,
tra l'unit e la
plura-
lit o
molteplicit;
e
dal
posto
che
gli
viene accordato: il
primo
tra tutti
gli
attributi di Dio.
Da Avicennamolto
probabilmente
Ibn Gabirol mutua due
espressio-
ni
per
designare
altrettanti attributi di Dio:
necessario",
"vero essere".
Avicenna, come
sappiamo, distingueva
tre modi di essere: necessario,
possibile
e
impossibile
e
identificavail necessario in se stesso con lUno,
il
possibile
con
gli
effetti
prodotti
dal
necessario, e
l'impossibile
con ci
che
implica
contraddizionenel suo stesso concetto. Ibn Gabirol fa altret-
tanto e dice: ilnecessario
lUno,
l'Autore eccelso e
grande;
il
possibile
tutto
quanto
subisce la sua azione;
l'impossibile
la
privazione
dell'es-
sere e
la
sua assenzaml Il necessario ci che
sempre
e non muta
mai; mentre il
possibile
il suo contrario, e
per
il fatto che
passivo,

anche
molteplice
e
cangiante, perch
tale la natura del
possibile.

per
questo
motivo che si chiama
giustamente
la materia
prima possibilitmll
Avicennaaveva
anche identificato lUno con l'essere
stesso, e aveva
fatto di lui l'unico essere
per
essenza,
da cui
traggono origine
tutti
gli
altri enti.
Analogamente
Ibn Gabirol scrive: Dio l'essere
vero,
ne-
cessario che
ogni
ente
tragga origine
da lui. Per
questo
motivo
quanto
pi
un ente
prossimo
alla
sorgente
dell'essere,
pi
la
sua
luce forte e
pi
esso stabilenellessere.12
Nel
qualificare
Dio e i suoi
rapporti
Ibn Gabirol introduce
un
attribu-
to nuovo e
lo fa certamente a
ragion
veduta
perch
vi torna
sopra
con
grande
insistenza,
soprattutto
nellultimo libro del Fans Vitae: l'attribu-
to della
volont, un
attributo
praticamente
assente in tutta la letteratura
filosofica
neoplatonica
(che
spiegava
la
origine
delle cose come un
flus-
so necessario dalla. bont dell'Uno) che,
seppur presente,
tuttavia non
era
dominante nella letteratura biblicae rabbinicache metteva al
primo
9) Ibid.,43.
w) lbid,
24.
11)
lbid.
12) 11nd,,
42.
La
metafisica
ebraica nel medioevo 401
posto
l'attributo della
Sapienza
0 del
Logos
e vedeva nella Creazione la
sua
opera propria
e
principale. Proprio perch
Ibn Gabirol
reputa
la
volont
come massimo attributo di Dio
ne
parla
con
grande
cautela e
rispetto: poich
il discorso sulla volont
lungo,
e la conoscenza della
volont e
l'apice
della
saggezzamfl
La
volont,
massimo attributo di
Dio,
si identifica
con la sua natura, e
nell'ordine
degli
attributi
occupa
il
primo posto,
in
quanto precede
la
stessa unit: La
prova
ne e che la volonta la forza dell'unit.14 Per
quanto
sia
impossibile
dire che cos' in
se stessa la volont di
Dio,
Ibn
Gabirol la
paragona
a una
forza: la forza divina che
Crea la materia e la
forma
e le unisce tra loro, e
pervade
da
capo
a fondo
ogni
realt
come
l'anima diffusa
ovunque
nel
Corpo;
muove tutte le cose e le ordina.15
La
conoscenza di
Dio,
del suo Volere, e
la conformit ad
esso,
per
lbn
Gabirol
rappresentano
massimi obiettivi della vita umana. Per
conse-
guirli bisogna
anzitutto allontanarsi dalle cose sensibili,
penetrare
mediante lo
spirito
le realt
intelligibili
e attaccarsi interamente a
Colui
che dona
ogni
bene.
Quando
farai
questo, egli rivolger
il suo
sguardo
su
di te e sar
generoso
verso di
te, come si conviene. Amenml
Assegnando
alla volont il
primo posto
tra
gli
attributi divini
e
affi-
dando ad essa
l'origine
e il
governo
delle
cose,
Ibn Gabirol si distacca
dalla linea intellettualistiea del
neoplatonismo
pagano
e musulmano
e
d il via a un
indirizzo
quello
Volontaristico che trover numerosi
seguaci soprattutto
nella Scolasticafrancescana.
Maimonide
VITA
E OPERE
Mos ben
Maimon, comunemente conosciuto sotto il
nome di
Maimonide,
nacque
a Cordoba nell'anno 1135. Discendeva da una fami-
glia
di celebri
talmudisti,
profondi
conoscitori delle tradizioni ebraiche.
Dal
padre
fu iniziato
agli
studi della
Bibbia,
del
Talmud,
della
gramma-
tica,
della
matematica, e
pi
tardi dell'astronomia
e
della filosofia. Lesso
con avidit le
opere
di
Aristotele,
Alessandro
dAfrodisia, Temistio,
A1-
Farabi,Avicenna,
Al-Ghazali.
Quando
Cordoba fu
occupata dagli
Almo-
nadi,
musulmani di stretta osservanza e intolleranti nei confronti delle
I3) Ibid., 40.
14) Ibid.,
37.
15) 122111.,
38.
m)
Ibid.
402 Parte seconda
altre
religioni,
il
padre
di Maimonide decise di
emigrare
con tutta la fa-
miglia
in Marocco e si stabil
a
Fez. Morto il
padre,
Maimonide si trasfer
in Palestina e successivamente in
Egitto,
dove cominci a
praticare
la
medicina e in
questo campo
fece tali
progressi
da
guadagnarsi
una
straordinaria
reputazione.
Tanto che a un certo
punto
il
potente
Saladi-
no, signore
di
Gerusalemme,
lo volle alla
sua Corte
quale
medico
perso-
nale
(1171).
Allo stesso
tempo
fu nominato rabbinodel
Cairo,
presidente
del
collegio
dei rabbini e
capo
(Reis)
di tutte le comunit ebree
dell'Egit-
to. Oltre a tutte
queste
attivit
pubbliche,
Maimonide si dedicava
appas-
sionatamente ai suoi studi
preferiti:
filosofia,
esegesi, teologia.
Scrisse
vari libri di
esegesi,
tra cui un
monumentale Commento al Talmud. Nel
1190
port
a termine la
sua
opera
principale,
il Moreh Nebukin
(Guida
dei
perplessi),
che l'autorescrisse in arabo ma
poi
fece sollecitamentetradur-
re in ebraico. Mor il30 novembre 1204.
La Guida dei
perplessi
si articola in tre
parti.
Nella
prima
l'autoretratta
di
Dio,
dei suoi
nomi,
dei suoi
attributi,
della
sua essenza:
secondo le
Scritture,
la Kalam
(la
teologia
musulmana) e
i filosofi
(Aristotele e
Avi-
cenna,
in
particolare).
Nella
seconda,
dopo
un
lungo prologo
sull'esi-
stenza di Dio e le
prove
addotte dai filosofi
a suo favore,
Maimonide
affronta il
problema
della creazione del mondo ex
nihilo secondo
l'opi-
nione dei filosofi
(Aristotele) e
secondo
l'insegnamento
della
Scrittura, e
poi
il
problema
della rivelazione e della
profezia.
La terza
parte
dedi-
cata allo studio
dell'uomo,
della sua natura (anima e
corpo),
facolt,
virt, doveri; e
in
rapporto
all'uomo si
prendono
in esame le
questioni
della
provvidenza,
della
Legge,
dei
miracoli,
dei
premi
e dei
castighi.
Nella Prefazione
a
quest'opera
lo stesso Maimonide
spiega gli
obietti-
vi che si
proposto
nel
comporla.
Fondamentalmente lo stesso obietti-
vo
che ha
ispirato
da
sempre
i filosofi cristiani e musulmani: trovare un
accordo tra fede e
ragione,
tra rivelazionee filosofia,
per
liberareda
ogni
dubbio
e
perplessit quei
credenti che
proprio
a Causa della filosofia
stentano ad
accogliere
certi
insegnamenti
della Bibbia: Nella
presente
opera
mi
rivolgo
a coloro che hanno studiato filosofiae vi hanno
guada-
gnato
una certa
competenza
e mentre aderiscono fermamente alle
pro-
posizioni
della
fede, sono
per perplessi
e
confusi a causa
delle
espres-
sioni
ambigue
e
figurate
usate dalla sacra scrittura.
Maimonide sicuro che sui
problemi
di fondo non
pu
esistere con-
trasto tra filosofia e rivelazione,
perch
unica la loro
prima sorgente,
Dio.
Neppure
su
quei punti
in cui la
posizione
dei filosofi chiaramente
contraria a
quella
della Scrittura
(per
es. sulla creazione del
mondo),
si
tratta di un contrasto insanabile,come se si trattasse di due
contrappo-
ste
verit; perch
la verit e una sola, e in
questo
caso chiaramente
quella
annunciata dalla
Scrittura, mentre
quella
di Aristotele e dei filo-
La
metafisica
ebraica nel medioevo
403
sofi solo una
posizione opinabile,
non corroborata da
argomenti apo-
dittici e risolutivi. In molti altri
casi,
la verit sta dalla
parte
dei filosofi
e
allora al testo biblico, ricco di
antropomorfismi,
si deve dare
una inter-
pretazione allegorica.
Come si
vede,
in
questa
materia Maimonide
riprende gli insegnamenti
di Filone
e,
in
parte, quelli
di Averro."
DIO: ESISTENZA
Alla
questione
dell'esistenza di Dio Maimonide dedica l'introduzio-
ne e
il
Capitolo
Primo della Seconda Parte della Guida. Nella Introduzio-
ne elenca ventisei
proposizioni
che
sono state utilizzatedai filosofi nella
prova
dell'esistenza di Dio o
negli argomenti
con cui dimostrano che
Dio immateriale
e unico. Secondo Maimonide Aristotele e i
peripate-
tici hanno fornito
prove
certe di tutte
queste proposizioni,
eccetto l'ulti-
ma,
che
quella
che afferma l'eternit del mondo.18
Molte delle
proposizioni
elencate, come
pure
le
prove
dell'esistenza
di Dio formulate da Maimonide troveranno
ampia
circolazione nella
Scolastica
cristiana,
soprattutto
in S. Tommaso. Per es. la
proposizione
quinta:
il movimento
(ntotus)
implica
cambiamento
e
passaggio
dalla
potenza
all'atto;
la
proposizione
diciannove:
una cosa
che deve la
sua
esistenza a certe cause contiene in se stessa solamente la
possibilit
del-
l'esistenza;
perch
soltanto se esistono
queste cause,
anche la cosa in
questione
esiste. Non esiste se non esistono affatto le sue Cause o
hanno
cessato di
esistere;
la
proposizione
venti:
una cosa
che ha in
se stessa
la necessit del
proprio
esistere non
pu
avere nessuna causa della
sua
esistenza;
la
proposizione
ventitr: ci che esiste
potenzialmente
e la
cui essenza
implica
una certa condizione di
possibilit, prima
o
dopo
viene a trovarsi senza l'esistenza
attuale;
la
proposizione
terza: l'esi-
stenza di
un numero infinito di
cause ed effetti
impossibile...
la serie
delle
cause non
pu regredire
ad
infinitumm?
Richiamandosi a una o
pi
di
queste proposizioni
che, come si
visto,
Maimonide d
per
certe,
egli sviluppaquattro prove
della esisten-
za
di Dio. La
prima

l'argomento
che abbiamo
gi
incontrato in Ibn
Gabirol: tutte le
cose dell'universo
(cose materiali
e
intelligenze spiritua-
li) sono
composte
di materia e forma, e
perci
non
possono
essersi data
l'esistenza, ma
l'hanno ricevuta da
una causa
prima,
Dio,
realt
sempli-
17) Cf.
MAIMONIDE, Guida dei
perplessi,
Introduzione Generale. Per i vari
tipi
di
incongruenze
(Maimonide ne enumera sette)
si vecla la sezione conclusiva della
Introduzione.
13) Ibid., II,
Introduzione.
19) Ibid.
404 Parte seconda
cissima, senza materia e senza
forma. La seconda la celebre
prova
di
Aristotelebasata sul
movimento,
della
quale
Maimonide d un resocon-
to molto esteso. La terza la
prova
tratta dalla
contingenza degli
esi-
stenti. Essa verr
ripresa quasi
alla lettera da S. Tommaso nella Terza
Via". La
quarta,
infine,
e desunta dal fenomeno del
passaggio
dalla
po-
tenza all'atto: Noi costatiamo che le cose
passano
dalla
potenza
all'atto.
Ma laddove c'
passaggio
dalla
potenza
all'atto deve intervenire un
agente
esterno... Ma nella serie
degli agenti
non si
pu
retrocedere all'in-
finito. Dobbiamo cos risalire a una causa del
passaggio
dallo stato di
potenzialit
a
quello
di attualit,
che stabilee non
comporta
nessuna
potenzialit.
Nellessere di tale causa
nulla esiste
potenzialmente,
ma
tutto e
pura
attualit.
Questo essere
che esiste attualmente in forza della
sua stessa essenza Dio>>.20
DIO: ATTRIBUTIE SIGNIFICATO DEI NOMI DIVINI
La
prima parte
della Guida dei
perplessi
riservata
quasi
tutta alla
questione
del
significato
dei nomi
(attributi),
spesse
volte
grossolana-
mente
antropomorfici,
che la Scrittura d a Dio. Maimonide ancor
prima
di entrare nell'analisi dei
singoli
nomi,
fissa i
princpi
fondamentali
della semantica
teologica,
che
sono
i
seguenti.
Tutti i nomi che la Scrittura d a Dio
(tranne
il
nome
proprio
di
Jahv)
sono
omonimi. La
ragione
di
questo
che non essendoci tra Dio e l'uomo
(e tutte le altre
creature)
alcuna
somiglianza,
i nomi che si
applicano
a
Dio e
alle creature non
possono
avere
lo stesso
significato,
cio sono
omonimi.
chiaro
per
chi
capisce
che
cosa
significa sonzigliarzza
che se si
applica
allo stesso
tempo
a Dio e
alla creatura
la
parola
esistente,
ci acca-
de
per pura
omonimia;
altrettanto vale
per
le
parole
scienza,
potenza,
ziolont, vita: se sono
attribuite a Dio e a tutto ci che
possiede
scienza,
potenza,
Volont, vita,
ci accade
per pura
omonimia, perch
non
si d
nessuna
somiglianza
di senso tra i due attributi (...).
In tal modo risulta
dimostrato in modo definitivo che tra
gli
attributi che
assegnjamo
a Dio e
a
noi
stessi, non esiste assolutamente nessuna comunanza
di
significato:
la comunanza si d soltanto a
livello di nome e non
altrimentim
Come si
vede,
diversamente dallo
Pseudo-Donigi
e
da
quanto
far in
seguito
Tommaso
d'Aquino,
i
quali
non
ignorano
affatto l'infinita diffe-
renza
qualitativa
che
separa
l'uomo da Dio nella loro analisi del
signifi-
cato dei nomi
divini, ma
la mettono in
gioco
soltanto in un
secondo mo-
mento
(quello
della via
negativa), dopo
che all'inizioaffermano la somi-
2) Ibiti,c. 1.
21) Ibid, I, c. 56.
La
metafisica
ebraica nel medioevo 405
glianza
tra Dio e
le creature (via
positiva),
Maimonide tralascia senz'altro
la via
positiva,
escludendo
qualsiasi somiglianza
tra Dio e
le creature e
imbocca immediatamente la via dellinfinita differenza
qualitativa,
e
quindi
la via
negativa.
Cos, con
molta
coerenza, egli
deriva il secondo
principio
della
sua semantica
teologica,
il
quale
afferma che
non soltan-
to i nomi
negativi
(come infinito, immateriale,
incorporeo,
immobile
ecc.) vanno intesi in maniera
negativa,
ma anche tutti i nomi
positivi,
come bont, vita, scienza,
potenza
ecc.: essi
significano
che Dio non
carente di
bont,
di
vita,
di
scienza,
di
potenza
ecc. Vivente
significa
che
Dio non
privo
di vita
(...), eterno vuol dire che Dio non
ha
una causa
del
suo esistere. Noi
comprendiamo
infatti che l'esistenza di
questo
essere,
che si identifica con la sua
essenza,
non solo
gli
basta
per
il
suo
esistere, ma anche la fonte di molte altre
esistenze, e
questo
non come
il calore
emana dal
fuoco, o come la luce dal
sole, ma
grazie
a un'azione
divina che conferisce loro durata e armonia mediante il
suo
governo.
Ed
per questa ragione
che noi attribuiamo a Dio la
potenza,
la
scienza,
la
volont,
intendendo dire
con
questi
attributi che
Egli
non e n
impo-
tente,
n
ignorante,
n
stolto,
n
negligente.
E
se diciamo che
egli
non
impotente,
ci
significa
che la
sua esistenza basta
a
far esistere le
cose
diverse da
lui;
non-ignorante significa
che
egli percepisce,
ossia che vi-
ve, perch
tutto ci che in
grado
di
percepire possiede
la
vita;
per
non-
stolto
o
non-negligente vogliamo
dire che
grazie
alla
sua attenzione
tutte le cose
seguono
un ordine e
regime,
che
non sono trascurate n
lasciate in balia del
caso,
ma si
comportano
come tutto ci che
guidato
con intenzionalit
e volont.
infine, ci rendiamo conto che Dio
non
ha
simili;
per questo
diciamo che unicwn
Lunico
nome
proprio
ed esclusivo di Dio - di cui
peraltro
all'uomo
sfugge completamente
il
significato
-
quello
che ha rivelato
egli
stesso a
Mos: il
nome
di
Iahv.
Si tratta di un nome assolutamente
originale
e
non derivato, come tutti
gli
altri nomi che diamo
a Dio,
da usi
preceden-
ti. Il
nome di
"]ahv
- scrive Maimonide -
non
possiede unetimologia
conosciuta
e non si
applica
a nessun altro essere. Non vi dubbio che
questo
nome
glorioso
indica una certa
qualit rispetto
alla
quale
non vi
nulla di
comune tra Dio e
gli
esseri che
sono fuori di
Lui;
forse indica
nella
lingua
ebraica
e secondo il modo di
pronunciarlo
- l'idea di esistenza
necessaria. In
conclusione,
ci che fa s che
questo
nome sia tanto
impor-
tante che ci si deve
persino guardare
dal
pronunciarlo,
che
esso
designa
l'essenza stessa di Dio e nessuna creatura
pu partecipare
a ci che
esso
significa>>23
22) Ibid, c. 58.
23) 15m, c. 93.
406 Parte seconda
Singolare
la dottrina di Maimonide sui
rapporti
di Dio col mondo:
un tentativo di mettere insieme la dottrina biblicadella creazione e
della
provvidenza
con
la dottrina
neoplatonica degli
intermediari. Maimoni-
de
assegna
a
Dio la creazione e
la
provvidenza per
le
realt spirituali,
le
dieci
intelligenze
e l'anima
umana,
e attribuisce
l'origine
e
la conserva-
zione delle altre realt
(materiali)
agli
intermediari
(le
lntelligenzel!
L'uomo 1-; L'UNIVERSO
Sulla struttura dell'universo Maimonide
segue
molto da vicino le teo-
rie di Avicenna.
sull'esempio
del
grande
filosofoarabo
egli
divide l'uni-
verso in due
grandi
ordini: uno
superiore
che
comprende
dieci lntelli-
genze pure, prive
di
qualsiasi
materia, nove delle
quali presiedono
al
moto delle sfere
celesti, mentre la decima l'lntelletto
agente
che eserci-
ta la diretta influenza sull'anima umana (mediante
l'intelletto
possibile);
e uno inferiore che
comprende,
oltre alle sfere
Celesti,
la
luna,
il mondo
sublunaree
i
quattro
elementi.
L'uomo,
grazie
alla
sua
composizione psicofisica

posto
al confine
tra i due mondi ed
pertanto
il
punto
focale della realt cosmica: l'esse-
re
in cui si
uniscono,
sia
pure
in forma
transitoria,
i due
aspetti pi
di-
versi dell' universo.
Ogni
uomo dotato di
un
intelletto
possibilepersonale
(mentre
lIntelletto
agente
unico
per
tutti).
Le conoscenze
che i
singoli
accumu-
lano nella loro vita costituiscono una sorta Cli
patrimonio
razionale,
di-
verso
per ogni
individuo,
ed
questo
"intelletto
acquisito"
che, a
parere
di
Maimonide,
d all'uomo la
possibilit
di
sopravvivere dopo
la
morte,
riunendosi all'Intelletto
agente
e
per
il tramite dellIntelletto
agente
a
Dio stesso.
Per
conseguire questo
sublime
traguardo
occorre
vivere una
vita
morigerata:
L'uomo deve controllare i
propri
desideri
e
limitarli
per
quanto
e
possibile,
conservando soltanto
quelli
che sono
indispensabili
per sopravvivere.
Il
suo
pensiero
deve essere costantemente teso verso
l'obiettivo
proprio
dell'uomo in
quanto
uomo,
cio la formazione delle
idee e null'altro. E tra tutte le idee
quella pi
bella e
pi
sublime che
l'uomo
pu
formarsi l'idea di
Dio,
degli angeli
e
del resto del creato.
Coloro che la
posseggono
sono
sempre
con Dio.25 La
perfezione
del-
14)
Cf.
ibid., II, cc. 25 ss.
25) Ibid<, lll, C.
8.
La
metafisica
ebraica nel medioevo 407
l'uomo
,
pertanto,
di ordine
contemplativo
e
spirituale.
La
legge
mora-
le,
fattore di ordine
sociale,
liberaluomo dalle sue
passioni
e
gli permet-
te di realizzarela
sua
vocazione
spirituale.
La Torah consente ai credenti
di
partecipare,
attraverso la
fede,
alleredit
spirituale
di Mos. Secondo
Maimonide tredici articoli di fede riassumono i
dogmi
della Torah cui i
figli
di Israele devono aderire
per
accedere alla
perfezione spirituale
e
alla salvezza. Maimonide crede che anche il cristianesimo e l'Islam con-
tribuiscano allavvento del
regno
di
Dio;
l'intera umanit realizzer al-
lora la
pienezza
della
propria
vocazione divina.
LA SCUOLA DI MAIMONIDE
In
seno
al
giudaismo
tradizionale
l'opera
di Maimonide suscit acce-
se controversie. Mentre i rabbini di
Montpellier,
incitati da Salomon ben
Abraham
e
dai suoi
discepoli,
bruciarono sulla
pubblica piazza
la Guida
dei
perplessi,
in
Spagna Juda
al-Fakbar attaccava
l'opera
con
argomenti
propriamente
filosofici.
Ma,
nonostante
queste
reazioni
negative, l'opera
di Maimonide ottenne una
grande
diffusione
e
contribu notevolmente
allo
sviluppo
della
speculazione
razionaletra
gli
ebrei,
sia in Oriente che
in
Occidente,
specialmente
in
Spagna,
Provenza e
Italia. La Guida dei
per-
plessi
ebbe i suoi commentatori e
prosecutori,
fra cui
bisogna
citare
Ioseph
ben
Iuda
Ibn
Aknin, un
contemporaneo pi giovane
del maestro
e
che nelle sue
opere,
Commentari sui
pirk
avot e Le massime dell'anima,
riecheggia
le
principali
dottrine della
Guida,
pur
formulando una nuova
dottrina sui
rapporti
tra scienza e rivelazione. Nella seconda met del
secolo
XIII,
Hillel ben Shamuel riconsidera e
sviluppa
nella sua
opera
principale,
La retribuzione
dellfiinima,
le
grandi
tesi di
Maimonide,
insi-
stendo sullmmortalit dell'anima e sulla teoria
degli
intelletti
(passivo,
agente
e
acquisito).
Fu invece un severo
critico di Maimonide
Hasdaj
Crescas,
il massimo filosofoebreo del secolo XIV. Nella sua
opera princi-
pale,
La luce del
Signore, egli polemizza
contro laverroismo,
Yaristoteli-
srno e
specialmente
contro Maimonide,
del
quale
denuncia l'eccessivo
razionalismo,
difendendoil
primato
della volont e dellamore,
nonch
il metodo della cabbala.
LA CABBALA
Nei secoli XIII e XIV,
nel mondo
giudaico,
come
reazione al razionali-
smo
di
Maimonide, ottenne
grande sviluppo
la
cabbala, una
forma di
conoscenza mistica ed esoterica.
408 Parte seconda
Cabbala, 0 Kabbala,
in ebraico
significa
tradizione.
un sistema di inter-
pretazione
mistica della Bibbia comunicata da Dio ai suoi
eletti, Adamo,
Abramo, Mos e trasmessa ai rabbini.
L'interpretazione
cabbalistica fa
ricorso al valore simbolico dei numeri
e
ad altre
regole
da
iniziati,
che
Consentono di trovare nella Sacra Scrittura dottrine
occulte,
di intonazio-
ne
prevalentementegnostica.
Il
presupposto
della cabbala che la Bibbia
nasconde nelle sue lettere la chiave della natura
spirituale
del mondo
e
di Dio. I temi fondamentali della cabbala sono:
il mistero della vita inte-
riore di
Dio,
la creazione del
mondo,
Yangelologia,
l'elezione di
Israele,
la redenzione del
mondo,
l'avvento
messianico,
lascesi
spirituale,
l'u-
nione con Dio ecc. La cabbala
ripete
i terni classici del
pensiero giudaico
medievale, ma tali dottrine
vengono presentate
in
una luce nuova e
ri-
vestono un carattere di
ineguagliabileoriginalit.
La
compilazione
delle scritture cabalistiche dovuta allebreo
spa-
gnolo
Mos di Leon
(t 1350),
il
quale
si serv di libri risalenti al l
e
al II
secolofi
36) Sulla "cabbala cf. C.
SCHOLEM,
La kabbale et sa
symbolique,
Paris
1966;
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phiiosoplzie
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La
metafisica
ebraica nel medioevo 409
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410
IL SECOLO D'ORO DELLA METAFISICACRISTIANA
Ogni grande
civilt ha il
suo secolo d'oro. Per la civilt
greca
il secolo
d'oro fu
quello
di
Pericle,
per
la civilt romana
quello d'Augusto, per
la
civilt
spagnola quello
di Carlo
V,
per
la civilt francese
quello
di
Luigi
XIV.
E, cos,
per
la civilt medievale il secolo d'oro fu il secolo XIII:
il secolo di Federico II
e
di Tommaso
d'Aquino.
Il secolo d'oro
sempre quello
in cui una cultura
raggiunge
il culmine
in tutte le sue
espressioni
creative;
e il momento in cui il
genio,
diventato
maturo,
manifesta
prepotentemente
tutta la
sua
prodigiosa
fecondit in
tutti i
campi
del
sapere
e del fare:
nell'arte,
nella
letteratura,
nella
scienza,
nella
filosofia,
nella
politica,
nella
religione,
nella
teologia.
Un tale
perio-
do
sempre
stato un momento favorevole
per
la
metafisica,
poich
in
esso un
popolo
tocca le vette
pi
alte del
pensiero.
Cos avvenne nella
Grecia del IV
secolo,
nella
Spagna
del XVI
secolo,
nella Francia del XVII
secolo; e cos fu anche
per
la cristianit medioevale del secolo
XIII,
du-
rante il
quale
vissero e furono attivi Alberto
Magno,
Bonaventura,
Tom-
maso
d'Aquino, Sigieri
di
Brabante,
Duns Scoto e altri ancora.
Ma
quali
sono
stati i fattori culturali che hanno favorito la
ripresa
e lo
sviluppo
di un
sapere,
la
metafisica,
che era stato
per
tanti secoli trascu-
rato dai latini? I fattori determinanti sono stati
quattro:
- la creazione delle
universit;

l'ingresso
del
pensiero
di Aristotelenel mondo
latino;
- la nascita dei
grandi
Ordini
religiosi
dei
Mendicanti;
lo
sviluppo
della
teologia.
La fondazionedelle universit
Per la storia della metafisica la fondazionedelle universit nei
primi
decenni del secolo XIII stato un momento
importante,
anzi decisivo; e
ci
per
svariate
ragioni,
ma
principalmenteper
il fatto che nelle univer-
sit
acquista grande prestigio
la Facolt delle Arti (Lettere),
la
quale
nei
suoi
programmi accoglie
in
larga
misura i libri di
Aristotele,
compresa
la
Metafisica.
Il secolo d'0r0 della
metafisica
cristiana 411
ORIGINE DELLE UNIVERSIT
L'origine
dell'universit
legata
alle scuole delle
cattedrali, e
pi pre-
cisamente alla scuola della cattedrale
parigina
di Notre Dame. Durante
il secolo XII
questa
scuola si
svilupp
considerevolmente; con l'arrivo di
Abelardola
parte
della scuola che
rappresentava
le Artes si trasfer sulla
riva sinistra della
Senna, mentre la
Theolrgia
restava nel Chiostro di
Notre Dame.
Per, nonostante
questa separazione,
tutta la scuola rima-
neva sotto la
giurisdizione
del vescovo di
Parigi
e
del cancelliere della
cattedrale. Ma col costituirsi delle
corporazioni
della universitas dei
docenti da
una
parte
e della universitas
degli
studenti
dall'altra,
si mise
in moto un meccanismo che
port
alla definitiva
separazione
della uni-
Uersitas dalla schola sia claustraleche
episcopale.
Ci avvenne
mediante
l'acquisizione
di
speciali privilegi
da
parte
dei docenti
e dei
discenti,
concessi loro sia dal
papa
che dal
re
di Francia. I maestri e
gli
scolari di
Parigi
trovarono un alleato
potente
in
papa
Innocenzo
Il,
il
quale
voleva
dotare la cristianit di
grandi
centri di studio e di ricerca
religiosa legati
direttamente al
papato,
in anni in cui si accendevano
ovunque
focolai di
eresia. Il decennio 1200-1210 fu decisivo
per
la formazionedella univer-
sit
parigina.
in
questi
anni
nasce una Vera
organizzazionecorporativa
dei maestri e
degli
scolari
parigini e,
di
conseguenza,
il loro conflittocol
Vescovo e
il cancelliere entra in
una
fase
acuta;
il contrasto durer
pi
di
venticinque
anni
per
concludersi
con
la vittoria
pressoch
totale di
quel-
la che ormai si
pu
chiamare l'universit di
Parigi. Negli
ultimi anni del
secolo XII e nei
primi
del
seguente
le decisioni di
papi
e re furono indi-
rizzate alla
concessione,
in favore
degli
studenti,
di tutti i
privilegi
goduti
dai chierici: Una
prima
bolla di Celestino lII
(1194) non era
ancora formale in
questo senso,
ma
la Carta accordata nel 1200 da
Filippo Augusto
ai maestri e
agli
studenti di
Parigi,
in
seguito
a scontri
sanguinosi
con la
polizia
del
re,
riconosceva loro
esplicitamente
il
privi-
legio
del
tribunale,
che
per qualsiasi
reato li
assoggettava
alla
giustizia
ecclesiastica. Tale decisione fu confermata
e
completata negli
anni
seguenti
da
un certo numero di bolle
pontificie (particolarmente
la
Parens scierztiarunz del
1231)
che al
privilegio
del tribunale
aggiunsero
quello
del
canone (con
la
pena
della scomunica
maggiore per
chi
usasse
violenza fisica
a un chierico) e
significarono
cos
con
ogni
evidenza che
agli
occhi del
papato gli
studenti
dipendevano
solo dallautorit eccle-
siastica.1 Tra il 1215 e
il 1231 il
Vescovo di
Parigi
e il cancelliere di Notre
l) I. VERGER, Le universit nel
Medioevo,
Bologna
1991,
p.
50.
412 Parte seconda
Dame tentarono l'ultimo assalto
a
un'organizzazione
universitaria or-
mai bene
organizzata,
la cui resistenza vittoriosa sfoci nella
gi
men-
zionata bolla Parens scientiarumdi
Gregorio
IX, vera
Magna
Charta del-
l'universit
(DENIFLE)
completata poi
fin
verso
il 1250 da
qualche
altro
privilegio.
Tra i
privilegi
concessi alle
corporazioni
dei maestri e
degli
studenti c'era anche
quello
di
un
proprio sigillo,
il simbolo della
propria
autonomia
per
autenticare
gli
atti. L'universit di
Parigi
ottenne il
suo
sigillo
nel 1246.
Come osserva
Iacques Verger,
sulla
organizzazione
universitaria
grava
sin dalle
origini
un certo numero
di
contraddizioni,
forse
legate
alle necessit
pratiche
della
lotta, ma
che
pesarono
su tutto il destino
successivo:
corporazione
urbana,
l'universit restava una istituzione
della Chiesa;
corporazione
locale,
ambivaa
un'influenzainternazionale
sotto
l'egida
della Santa Sede?
Lo
sviluppo
dell'universit di
Parigi
e i suoi
programmi
di
insegna-
mento
(con
svariati divieti relativi
agli
scritti filosofici di
Aristotele)
furono
seguiti
con
speciale
attenzione dai
pontefici romani, perch
era
l'unica universit a cui era consentito di concedere la licentia ducendi in
teologia.
Contemporaneamente
a
Parigi
sorse l'universit di
Bologna.
Questa
trasse
origine per
iniziativa
degli
studenti, i
quali
erano
raggruppati
in
due
grandi corporazioni
(societates, universitutes):
quelle
dei
Citramontani
(gli
italiani
non
bolognesi)
e
degli
Ultramontani
(i non
ita-
liani), e si caratterizzcome centro
specializzato
nello studio del diritto
canonico. Anche
gli
studenti di
Bologna
-
come i maestri di
Parigi
-
ebbero
l'appoggio
efficacedel
papato,
animato dalla volont di favorire
lo
sviluppo
dell'universit mantenendolasotto il controllo della Chiesa.
Nel 1219 Onorio III attribu all'arcidiaconodi
Bologna
il
monopolio
del
conferimento dei
gradi
accademici e
contemporaneamente
condann il
giuramento
di residenza che il comune cercava
di
strappare
ai rettori.
Altre
importanti
universit videro la luce nella
prima
met del secolo
XIII: Oxford
(1214),
Padova
(1222),
Napoli
(1224). Quest'ultima venne
eretta
dall'imperatore
Federico II con motivazioni
singolari:
si trattava
di
danneggiare
l'universit di
Bologna,
citt
ribelle, e
anche di fornire
all'imperatore,
sotto il
suo
controllo
diretto,
il
personale
amministrativo
necessario
per governare
l'Italia in modo moderno. Di fatto
gli
inizi
furono molto difficilie l'universit di
Napoli prese
a funzionare
regolar-
mente solo con
l'avventodella dinastia
angioina.
2) 122141.,
p.
55.
Il secolo d'oro della
metafisica
cristiana
413
STRUTTURA
DELLA ISTITUZIONE UNIVERSITARIA
E METODI DI INSEGNAMENTO
Uuniversitas una
corporazione
internazionale
(di
studenti
e
di do-
centi)
per
la
promozione
dello studio: si chiama infatti sia universitas stu-
dii sia universitas
magistrorum
et scholariunz. A
Parigi
l'universit
era
composta
dai maestri e
dagli
studenti, ma l'iniziativa
era
per
intero
dei
primi,
mentre i secondi
erano in
posizione
subalterna. A
Bologna
invece
l'universit, o
piuttosto
le due universit
degli
Ultramontani
e dei Cifra-
montani, erano costituite
dagli
studenti
c
i maestri
ne restavano fuori.
Perci non solo
gli
studenti assicuravano da s il funzionamentodell'u-
niversit, ma si
occupavano
anche del reclutamento dei
docenti, eserci-
tando
un controllo costante sul valore
e
la
regolarit
del loro
insegna-
mento e anche della loro vita
privata!
All'interno della realt di base
della universit nel Duecento
compaiono
le suddivisioni delle
facolt
e
delle nationes. Le
prime riguardano
la suddivisione delle
discipline
inse-
gnate.
C'erano
quattro
facolt, ordinate
gerarchicamente
nei diversi
rami del
sapere:
la facolt delle
artes,
dove si
insegnavano
le arti liberali
del Trivio
e
del
Quadrivio, e si forniva
una
preparazione
alle tre facolt
superiori
di
teologia,
diritto
(canonico e civile) e medicina. Di fatto in
molte universit del Duecento c'erano solo due
o tre
facolt;
in
partico-
lare fino alla fine del
Trecento,
i
papi
si
opposero
alla
moltiplicazione
delle facoltdi
teologia,
per
riservare
una sorta di
monopolio
a
quella
di
Parigi, lampada splendente
nella
casa del
Signore.
Cos,
dopo
il tenta-
tivo fallito del
1229,
Tolosa ebbe la facolt di
teologia
solo nel
1362,
Bologna
nel 1364 e
Montpellier
nel 1421.
Le nationes erano invece associazioni che
raggruppavano gli
studenti
che
avevano la stessa
nazionalit, e
provvedevano
alla loro
accoglienza
e alla loro sistemazione. A
Parigi
le nationes
erano
quattro:
francese, nor-
manna, piccarda
e
inglese.
Il
governo
dell'universit
era
gestito
dal
rettore,
mentre
gli
esattori
delle nazioni
ne amministravano le
magre
finanze. Il
governo
dell'uni-
versit si riduceva ai due
compiti
essenziali della difesa dei
privilegi
universitari e
dell'organizzazione
del
lavoro, cio
dell'insegnamento!
I corsi si tenevano in aule affittate dai
maestri, mentre le
assemblee, le
dispute solenni,
gli
esami e le cerimonie
erano svolti nelle chiese
o nei
conventi.
s) lbid,
p.
66.
4) lbid,
p.
68.
414 Parte seconda
I
programmi
e
i metodi di
insegnamento
dell'universit restano
prati-
camente immutati,
nella
sostanza, rispetto
a
quanto
gi
si faceva nelle
scholae delle cattedrali e nei monasteri. Alla base
dell'insegnamento
c'
un testo
che il maestro
insegna
a
leggere
e a
capire.
Per una
migliore
comprensione
del testo
egli
si avvale di commenti accreditati,
integran-
doli
opportunamente
con
proprie glosse
o
magari
con una
propria
summa.
Lo studio della
teologia
a
Parigi
si basava sui due testi fonda-
mentali della Bibbiae
delle Sentenze di Pier
Lombardo; ma a
questi
testi
tutti i
magistri pi qualificati
(Rolando
da
Cremona,
Alessandro di
Hales,
Alberto
Magno,
Tommaso
d'Aquino
ecc.)
aggiungevano
la
pro-
pria
summa.
Nelle facoltdelle
Artes,
per
molto
tempo
la
disciplina
fon-
damentale rimase la
dialettica,
studiata
sullflrganon
e
sui commenti di
Boezio o
di altri autori. Ma con
l'avvento di Aristotele e
dei filosofi
arabi,
l'attenzione dei maestri delle Arti liberali si
spost sempre pi
verso
la fisica e la metafisica.
In
ogni
facolt
l'insegnamento
si
svolgeva
in due forme fondamenta-
li: la lectio (lezione) e
la
disputatio (disputa).
La
prima
mirava a
far cono-
scere
allo studente
gli
autori"
grazie
ai
quali
avrebbero
padroneggiato
l'insieme della
disciplina
studiata;
la seconda dava al
professore
il
mezzo
di
approfondire
alcune
questioni
in modo
pi
libero di
quanto
non
fosse consentito in sede di commento a un testo e offriva allo stu-
dente Yoccasione di mettere in
pratica
i
principi
della dialettica,
di far
prova
della vivacitdel suo
ingegno
e
della correttezza del
ragionamen-
to.5 La lectio era tenuta al mattino: nella
prima parte
della mattinatadal
magister,
nella seconda dal
suo assistente,
il
baccelliere,
che riassumevae
spiegava quanto
era
gi
stato svolto dal maestro.
La
disputano
sui
punti
pi importanti
e
pi
difficili
(le quaestiones)
aveva
luogo
nel
pomeriggio.
Alla
disputa potevano
assistere oltre
agli
studenti e ai baccellieri della
classe del maestro anche
persone
estranee. Il
giorno dopo
il
magister
for-
niva la determinatio,
ossia la soluzione
personale
della
"questione
dispu-
tata. I
professori pi
bravi lasciavano la
maggior parte
dei corsi ai bac-
cellieri
per
dedicarsi
soprattutto
alle
dispute.
Nei suoi due
soggiorni
parigini
S. Tommaso
organizz
almeno 518
dispute,
cio circa due alla
settimana,
dando
luogo
a
quella
serie di scritti che
portano
il nome
di
Quacstiotiesdisputatae.
Un esercizio didattico del tutto
singolare
si teneva una o
due volte al-
l'anno - durante le vacanze
di
Pasqua
o
di Pentecoste
-;
era
quello
del
quodlibet:
una
disputa pubblica,
davanti all'intero
corpo
docente e
di-
5) lbid,
p.
76.
Il secolo d0r0 della
metafisica
cristiana
415
scente
dell'universit,
che
poteva riguardare qualsiasi
tema
(quod tibet) e
che
perci
supponeva
nel
magister
una
competenza vastissima,
enciclope-
dica, un esercizio
quindi
che
pochi
maestri
erano
in
grado
di affrontare.
Nella
sua
duplice
docenza
parigina
S. Tommaso
ne sostenne ben dodici.
Gi al
momento della nascita delle
universit,
la facolt delle Arti
(Lettere) si
presenta
con una fisionomia diversa da
quella
delle scholne
artium del secolo
XII,
soprattutto
nella misura in cui
essa rivendica
per
i
maestri che vi
operano
un'autonomia
completa dagli
altri settori di stu-
dio, sia dal
punto
di vista del metodo sia in ci che
concerne i contenuti.
Con l'avvento delle
nuove strutture e del
nuovo clima di libert
e di
sco-
perta
che anima il mondo
accademico,
gli
artistae
ritengono oggetto
della
propria competenza
non soltanto i
principi
della
logica,
che
consentono
la
regolamentazione
formale delle diverse
discipline,
ma in
pratica
l'inte-
ra
philosophia,
intesa
come il sistema del
sapere
di
tutte le
cose
comprese
nell'orizzontenaturale ed
esplorate
dalla ratio
physica.
Grazie
soprattutto
all'avvento
dellaristotelisino, il
programma
di studi delle Arti finisce
con Yidentificarsi
con la
philosoplzica
doctrina
naturalium, i cui
maestri,
esperti
di
philosophicaerationes, si
impongono
come
i naturaliumsectatores.
In
queste
condizioni, e in evidente
contrasto con la considerazione
che ha di s e della
propria
funzione,
anche la facolt di
teologia
non
pu
che
dipendere
direttamente dalle
Arti, se vuole fare
uso di tale
phi-
ltisophia
o se solo vuole
esprimere
un
giudizio
su di
essa. Lo stesso ordi-
ne
degli
studi,
d'altra
parte, impone
tale subordinazione:
gli
studenti
iscritti
a
teologia
si
sono
gi
"affezionati"alla scientin Aristotelis
e non in-
tendono rinunciarvi
o sconfessarla. Da studenti
e
poi
da maestri di teo-
logia
essi continuano
perci
a
fare filosofia tam in substantiu
quam
in
modo
(RUGGERO
BACONE). Come vedremo
pi
avanti,
da
questa profon-
da
penetrazione
della filosofiaaristotelica nel territorio della
teologia,
la
metafisica trasse enorme
profitto.
L'ingresso
di Aristotele
e
dei filosofiarabi nel mondo latino
Il secondo fattore che ha contribuito in modo decisivo alla rinascita
e
allo
sviluppo
della metafisica nel mondo latino fu il ritorno di Aristote-
le in Occidente.
Fino alla fine del XII secolo di Aristotele
gli
scolastici
conoscevano e
utilizzavanosoltanto la
logica:
sia la
logica
tretzzs
(Categorie, Interpretazio-
ne,
Arzalitici
primi),
sia la
logica
nova (Arialitici secondi,
Topici,
Elenchi
sofi-
stici).
Tutto il
resto del
grandioso
corpus
aristotelicum
era loro
pratica-
mente
ignoto.
416 Parte seconda
Per
quali
intricati
passaggi
i latini siano riusciti nel
giro
di
pochi
de-
cenni a
giungere
alla conoscenza
di tutte le
opere
filosofichee
scientifi-
che dello
Stagrita
stato chiarito da alcuni eminenti medioevalisti,
in
par-
ticolareda M. De Wulf,
M. Grabmann,
P. Glorieuxe
F. van Steenberghenfi
I
primi passi
furono
compiuti
con
le traduzioni dal
greco
in latino,
passando
attraverso l'arabo. Ci avvenne
in
Spagna
e in Sicilia,
dove i
musulmani
disponevano
delle traduzioni arabe delle
opere
aristoteliche.
Cos, con
l'aiuto di
qualche
studioso
che conosceva
perfettamente
l'ara-
bo,
oltre che il latino: Enrico
Aristippo,
Domenico Gundissalino,
Miche-
le Scoto,
Gerardo da
Cremona,
volsero dalla
lingua
araba nella
lingua
latina le
seguenti opere
di Aristotele: De anima e De
qeneratione
(Enrico
Aristippo);
De nzurzdo ed Ethica (Domenico
Gundissalino),
De coelo e
Physica
(Michele Scoto);
Metaphysica
e
MBETCOIOgCtI
(Gerardo
da Cremo-
na).
Tutte
queste
traduzioni furono effettuate
negli
ultimi decenni del
XII secolo. Nello stesso arco
di
tempo
furono tradotte anche alcune
opere
di Al-Farabi,
Avicennae Averro, e
le S
uficientiae
di
Avicenna, ec-
cellente sintesi della
Metafisica;
i vari commenti alla
Metafisica
od
opera
di Al-Farabi e
di Averro contribuirono
in modo decisivo a
far
prendere
via via una
pi
viva coscienza
del valore e
dell'importanza
del
pensiero
di Aristotele,
incommensurabilmente
pi
ricco di
quanto
si
potesse
desumere solamente
dagli
scritti
logici deIYOrganOn.
Ma la recezione di Aristotele da
parte
dell'universit di
Parigi,
che
come
sappiamo
in
quel tempo
era
il massimo centro della cultura cri-
stiana,
fu lenta e
difficoltosa.
L'opposizione proveniva
dalla facolt di
teologia,
che
aveva
prontamente
denunciato il cattivo uso
che due illu-
stri maestri,
Amalrico di Bene e Davide di Dinant avevano
fatto di
Aristotele nei loro scritti
teologici.
Si conosce
poco
del loro
pensiero per-
ch tutte le loro
opere
andarono
perdute.
Amalrico di Bene mor a
Parigi
nel
1206,
dopo
avervi
insegnato prima
logica
e
successivamente
teologia.
Accusato
di eresia nel 1204,
si
appello
a Innocenzo III che conferm la condanna, e
per questo
Amalrico fu
costretto ad abiurarele
proprie
tesi. Dalle testimonianze
degli
avversari e
dai
procedimenti
dei
processi
a suo
carico sembra che Amalrico, attra-
verso una
cattiva
interpretazione
del concetto
aristotelico di materia e
del
concetto
platonico
di
partecipazione,
sviluppando
dei motivi
neoplatoni-
ci di Giovanni Scoto
Eriugena,
accentuasse
la
presenza
di Dio nel
mondo,
6)
Cf. M. DE WULF,
Storia della
filosofia
medioevale,
Firenze 1944;
M. GRABMANN,
Forschungen
ber die lafeinischen Arstoteles-Uebersetzungcn
des XIII
Iahrunderts,
Freiburg
i. B.
1916;
P. GLORIEUX, Repertoire
des nzatres en
thologie
au
XIII sicle,
Paris 1933;
F. VAN STEENBERGHEN,
Aristotle in the West. The
Origins of
Latin
Aristoteliaitisnr,
Louvain 1955.
Il secolo d'oro della
metafisica
cristiana 417
considerandolo come
l'essere di tutte le creature.
Di
qui
certe tesi che
gli
vengono
attribuite, come
Dio
pietra
nella
pietra?
L'autore del Contra
Anzauricianos accusa
Amalrico e i suoi
seguaci
di
porsi
in una
prospettiva
teorica
pi
filosoficache
teologica
e
spiega
che
il vero
teologo
dovrebbe
preoccuparsi
essenzialmente
delle testimonian-
ze
della Scrittura e
della Tradizioneecclesiastica a
sostegno
della verit
della fede;
per
contro
filosofo colui che si affida alla
ragione
umana,
non
tenendo conto
che la fede
perde
il suo merito, quando
sia fondata
sugli "esperimenti"
della mtiofi
David di Dinunf (ancora
vivo nel 1260)
l'autoredi
un'opera
intitolata
Quatemuli
di cui
possediamo
pochissimi
frammenti raccolti da G.
Thry.
Il suo
pensiero
sembra essere un
insieme di aristotelsmoe
di
platonismo
e
sfocia nelle stesse tesi
panteistiche
del suo
contemporaneo
e
probabil-
mente
collega
di
insegnamento,
Amalrico di Bene. L'essere,
secondo
David di
Dinant, comprende
tre realt
primarie:
la materia,
da cui risulta-
no
i
corpi,
la mente da cui derivano le anime, e
Dio da cui
provengono
le
sostanze eterne e
separate.
La materia
prima
costituisce l'elemento
iden-
tico in cui
convengono
e
in cui si identificanoi
corpi,
le anime,
Dio. Dio
identico alla materia
prima perch
senza forma,
altrimenti sarebbeuna
qualsiasi
sostanza determinata,
soggetta
alle
categorie.
Al di
sopra
della
materia
prima
nulla
concepibile.
l tre indivisibili
quindi
si identificano
tra di loro: Dio identico alla materia
prima}!
Preoccupati per
i rischi che correva
la
teologia aprendosi
indiscrimi-
natamente ad Aristotele,
i maestri
parigini
della facoltdi
teologia
solle-
ctarono i vescovi della loro
provincia
a
intervenire con
fermezza.
Il che avvenne
prontamente.
Nel 1210 i vescovi della
provincia
ecclesia-
stica di Sens (a cui allora
apparteneva
anche
Parigi)
si riunirono sotto
la
presidenza
dell'arcivescovo
Pietro di Corbeil. I decreti elaborati dal
sinodo formulario
dapprima
la condanna di Amalrico di Bene e
di
David de Dinant;
ordinano
poi
che i
Quatemuli
del Dinant siano conse-
gnati
al vescovo
di
Parigi per
essere
dati alle fiamme; e
infine
pronun-
ciano il
seguente
divieto: Non
vengano
letti a
Parigi
n i libri di Ari-
7)
M. DAL FRA,
Amalrico di Bene,
Milano 1951,
pp.
33 ss.
8)
Ma
poich
mi sembra di
parlare pi
a
dei filosofi che a dei
teologi
infatti se
fossero veri
teologi
concorderebbero
pi
con l'autoritdei santi che con la
ragio-
ne umana, sapendo
che la fede
supportata
dalla
prova
della
ragione
umana non
ha merito allora
questo
stesso
possiamo provare
in forza della facoltnaturale
(Contra
Amauricianos,
ed. C. Baeumker,
Mnster 1926,
in
Bcitrge
zur Geschichte
der
Philosophic
dcs Mittelalters, 5-6,
p.
32).

9) Cf. L. GARDET-M. M. ANAWATI,
Introduction la
rhologie
musulmaize,
Paris 1948,
pp.
266 ss.
418 Parte seconda
stotele sulla filosofia
naturale n i
commenti,
pubblicamente 0
privata-
mente, e ci
proibiamo
sotto la
pena
della scomunica
(Nec libri Aristotelis
de naturali
philosophianec commenta
legantur
Parisius
publice
ve!
secreto,
et
hoc sub
poema
excommunicatlonis
inhibemus).
Il divieto
suona chiarissimo:
esso
riguarda
i libri
riaturales, vale
a dire tutte le
opere
di Aristotele della
Logica
e
dell'Etica; e
riguarda
il loro
uso come testi di
insegnamento
(
questo
il
senso di
legantur,
in
quanto
si riferisce
precisamente
alla lec-
tio) e non come testi di
consultazione
personale privata. Quanto
ai
corn-
menta,
si tratta dei commenti e delle sintesi del
pensiero
di Aristotele
scritti da Al-Farabi
e
Avicenna,
perch
nel 1210 le traduzioni di Averro
non erano ancora state fatte.
Cinque
anni
pi
tardi
(1215)
il
delegato pontificio
Roberto di
Courgon
fece
pubblicare
i nuovi statuti dell'universit
parigina,
dove il divieto
dell'uso dei testi
aristotelici veniva ribadito nei termini
seguenti:
Non
siano letti i libri di Aristotele sulla metafisica
e sulla filosofianaturale n
le
summe dei
medesimi, 0
dell'insegnamento
del
maestro Davide di
Dinant
o dell'eretico Amalrico o di Mauriziodi
Spagna
(Non
legantur
libri
Aristotelis de
metapbysica
et naturali
philosoplzianec summae da
eisdem,
aut de doctrina
nzagistri
David de Dinant aut Anzalrici
ltaeretici, aut Mauricii
hispani).
Anche il
senso di
questo
decreto molto chiaro. Tra i libri natu-
rales ora
figura esplicitamente
anche la
Metafisica;
le Summae del 1215
corrispondono
ai Commenta del
1210,
i due termini
convengono
molto
bene
per designare
le
parafrasi
di Avicenna.
"Mauriziodi
Spagna
(Maurici
hispani)
resta invece
un
personaggio
affatto sconosciuto.
Questi divieti
non
potevano
certo essere accolti
con favore dalla facolt
delle
Arti,
la
quale
inizi
un'aspra
e
prolungatapolemica
con la facolt di
Teologia, polemica
che conoscer
una
pausa
tra
gli
anni
1240-1260,
per
riprendere poi
con rinnovato
vigore
e
raggiungere
1acmenel 1277.10
Per
qualche
tempo
il decreto fu
osservato e nessun
professore
dell'u-
niversit di
Parigi
os
leggere
o commentare in
pubblico
la
Pbysica
o la
Metaphysica
di Aristotele. Ma
non tardarono
a farsi
sentire rimostranze
pi
o meno vivaci. Il marted
grasso
del 1229
venne turbato da
un con-
flitto tra l'universit
e le forze dell'ordine: l'urto si
inaspr
a tal
punto
che si
giunse
a una
sospensione generale
dei corsi
e all'esodo
degli
stu-
denti
verso le citt di
provincia
o i
paesi
stranieri. Lo
sciopero
studente-
sco dur
per pi
di due
anni,
preoccupando
vivamente il
papa. Grego-
rio IX decise di
intervenire direttamente
emanando1a bolla Parens scien-
tiarum
(13
aprile 1231),
che
divenne la
magna
charta dell'universit di Pa-
rigi. Quanto
alle
opere
di Aristotele la bolla ribadiva
per
i
precedenti
m) Cf. F. VAN
STEENBFRGHEN,
0p.
ciL,
pp.
78 ss.
Il secolo doro dalla
metafisica
cristiana 419
divieti,
fino a
quando
non
fossero state
adeguatamente
corrette ed
emendate: A
Parigi
non
vengono
utilizzati
quei
libri sulla
natura,
che
nel Concilio
provinciale
furono
proibiti per
una
giusta causa,
finch
non
saranno stati esaminati e liberati da
ogni sospetto
di
errore (...
libris illis
naturalibus,
qui
in Concilio
provinciali
ex certa causa
prohibitifuere,
Parisius
non. utantur,
quousque examinatifiierint
et ab omni errorunz
suspitionc purga-
ti).
A tal fine il
papa
nomin una commissione di cui faceva
parte
lo
stesso vescovo
di
Parigi,
il
grande teologo Guglielmod'Auvergne.
Ma la
commissionenon si mise mai al lavoro.
Cos,
fino al 1250
l'insegnamento
di Aristotele
a
Parigi
rest ancora
limitato almeno ufficialmente alla
Logica
e
aIPEthiCa. Una sorte
migliore
tocc ai Libri naturales nella universit di
Oxford,
dove la
Physica
e
la
Metaphysica
circolavano liberamentee venivano
pubblica-
mente commentati sin dalla seconda decade del sec. XIII.
Comunque
an-
che a
Parigi quando
ci si avvide che Femenclazionedei libri incriminati
non
risultava fattibile
e non
sarebbe mai
giunta
in
porto,
alcuni docenti
cominciarono a
ignorare
il divieto. In
genere
coloro che
potevano
farlo
impunemente
erano
i membri dei nuovi Ordini
Mendicanti,
Francescani
e Domenicani,
sui
quali
la
vigilanza
e
il
peso
dell'autorit ecclesiastica
era minore. Nella Summa
theologica
di Alessandro di
Hales,
il
primo
francescano a
occupare
una cattedra di
teologia
nell'universit di
Parigi
(dal 1238 al
1242), si trovano
frequenti
citazioni di
Aristotele,
anche
se
Hales del
parere
che si deve credere
pi
ad
Agostino
e
ad Anselmo che
ad Aristotele:
plus
credendum est
Augustino
acAnselmo
quam
Arist0teli>>J2
Che fino al 1240 i libri di Aristotele
non
circolassero ancora
facilmen-
te e
ampiamente
nell'universit di
Parigi
ci risulta anche da una
specie
di
"guida
del
candidato",
redatta da
un maestro della facolt delle Arti
tra il 1230 e il
1240,
per
facilitare
agli
studenti la
preparazione agli
esami. Vi si descrive
ogni
libro
impiegato nell'insegnamento
e si indica
no le
questioni pi frequentemente poste
sul loro contenuto.
L'enorme interesse di
questo
documento
emerge
dalla descrizione
Che
ne
ha dato Grabmann. ljanonimo autore inizia la
sua
esposizione
con
alcune considerazioni di carattere
generale
sulla filosofia.
Ispirando-
si a Boezio descrive la natura e
la struttura della
filosofia;
combina la
vecchia divisione
tripartita
(rationalis, naturalis, moralis) con la divisione
aristotelica in
speculativa
e
pratica.
Il Liber de causis
figura
come terza
parte
della
Metafisica
di
Aristotele, mentre la
teologia
diviene
una scien-
za
pratica,
una
specie
di morale
soprannaturale
o di
sapienza
di vita.
I1)
Ci.
Ibzat,
pp.
84-88.
l?) Ibzd,
p.
118.
420 Parte seconda
Questa era in effetti l'idea di
teologia
che circolava durante la
prima
met del secolo XIII
e
corrispondeva
alla concezione
agostiniana
della
scienza
teologica.
Il dato
pi frequente per quanto
concerne l'effettivo
insegnamento
che si teneva a
Parigi
e il
posto
che vi
occupavano
nei decenni 1220-1240
le varie materie nella facolt delle
Arti,
fornito dallo
spazio
che l'ano-
nimo autore del vademecum riserva
a ciascuna di
esse. Cos la
Metafisica
occupa appena
mezza colonna;
la Fisica
poco pi
di
una colonna, mentre
all'Etica di Aristotele sono riservate ben
cinque
colonne. La Grammatica
riempie
23 colonnee la
Logica
60.
La differenza di Considerazione risulta
ancora
pi
accentuata se si
considera il contenuto dello scritto. Della Fisica e
della
Metafisica
l'autore
indicasolamente la finalitdei trattati
e
aggiunge qualche
annotazionedi
carattere
generale; per
lEtica,
la Grammaticae la
Logica
la
ripartizione
dei
testi
(divisio textus)

accompagnata
da un numero
pi
o meno considere-
vole di
questioni
che
riguardano l'opera
presa
in
esame:
ogni questione
riceve anche
una breve
risposta.
Da
questi
fatti
emerge
una chiara
con-
clusione: in
questo periodo
la
Metaphysica
e i Libri naturales di Aristotele
non erano
esposti
nella facoltdelle Arti di
Parigi.
La loro esistenza veni-
va
ricordata
e
forse
se ne
forniva anche
qualche
breve
analisi, ma non
erano usati come testi scolastici. Il che
spiega
l'assenza totale di
commen-
ti
parigini
a tali
opere prima
del 1240.13
AdAristotele l'universit di
Parigi spalanca
ufficialmentele
porte
nel
1252,
quando
sono ormai trascorsi i tre settenni fissati nel 1232
per
l'e-
nrendatio
degli
scritti aristotelici. Si comincia con il De anima adottato
come testo dalla nazione
inglese
nel 1252. Fra il 1252 e il 1255 si verifica
una vera irruzione delle
opere
aristoteliche nel
campo
universitario
degli
"artisti" e dei filosofi
parigini
di tutte le
nazioni;
tanto che nel 1255
si sente il
bisogno
di fissare il calendariodella lettura
pubblica
dei testi
dell'intero
corpus
aristotelico. Di comune accordo il senato accademico
vara un
programma
di studio che
riguarda
le
opere
di Aristotele. Il
calendariostabilisceche nell'arco di
un anno accademiconella facoltdi
lettere si
leggano
e si commentino
praticamente
tutti
gli
scritti di
Aristotele:
Logica
vetus,
Physica, Metaphysica,
De
animalibus,
De coelo et
mando,
Meteorologica,
De
anima,
De
generatione,
De sensa et
sensato,
De
somno,
De
plantis,
De memoria et reminiscentia,
nonch il De caasis
(ancora
ritenuto
opera
di
Arist0tele).14
13) Ibia,
p.
93.
14) Cf. A.
MASNOVO,
Da
Guglielmo dvfiuvergne
a S. Tommaso
d'Aquino,
Milano
1944,
V. I,
pp.
32-33.
Il secolo d'oro della
metafisica
cristiana 421
Mai
prima
d'allora,
n ad Atene n a Roma,
n ad Alessandria n a
Badgad,
n a Damasco n a Cordoba Aristotele
aveva riscosso un cos
grande
successo. In
quegli
anni
egli
divenne veramente il
sapiente
per
eccellenza nei
campi principali
del
sapere
umano:
la
logica,
la fisica
(scienza) e
la metafisica. Sotto l'influsso del
suo
pensiero
la civilt cri-
stiana nel suo
complesso
ricevette un nuovo
impulso
e si avvi verso
traguardi
sempre pi
avanzati;
inoltre dal ritorno di Aristotele in Occi-
dente trassero
grande profitto
non solo le scienze naturali ma anche la
teologia
e la metafisica.
Le recezioni di Aristotelenel XIII secolo
Se vero
che tutta la filosofia del secolo XIII risente dellnflussodi
Aristotele,
si deve
peraltro
chiarire che i
magistri parigini
non
recepisco-
no Aristoteletutti nello stesso modo
e
che
questi
viene conosciuto c inse-
gnato
attraverso
interpretazioni
tra loro assai
differenti,
per
cui si
pu
dire che
non
sempre
si tratta dello stesso Aristotele. Infatti in
questo
secolo incontriamo in successione tre
principali
recezioni del
pensiero
aristotelico che
sono
collegate rispettivamente
ai nomi di
Avicenna,
Averro,
Tommaso
dAquino.
Abbiamoanzitutto la recezione avicenniana. Nella
prima
met del
secolo XIII Aristotele viene letto nella
prospettiva
di Avicenna.
Questi, come
sappiamo,
nel
Sifiz
e nel
Najat
aveva realizzato una ec-
cellente
parafrasi neoplatonizzante
della metafisica aristotelica. Sin dai
primi
decenni del secolo XIII tutti i maestri
parigini
conoscono
gli
scritti
di
Avicenna,
li
leggono
assiduamente,
li citano
frequentemente,
senza
fare distinzione tra ci che
appartiene
effettivamente ad Aristotele
e ci
che invece
opera
di Avicenna.
Comunque
Patmosfera che si
respira
nei
primi
del 1200
impregnata
di Avicenna.
Tutti,
pro
o contro ne
respirano. Uorganismo
forte
irrobustisce,
l'organismo
debole ne muo-
re.15 Mostrano favore
per
Avicenna
Guglielmo dAuvergne,
Alberto
Magno,
Tommaso
d'Aquino;
mentre
gli
sono
per
lo
pi
contrari Ales
Sandro di
Hales,
Ruggero
Bacone,
Bonaventura.
Di fatto Avicennanon
pu
essere considerato un autentico"aristoteli-
co
proprio perch egli
ha inserito le
grandi categorie
metafisiche aristo-
teliche entro il
quadro complessivo
di
una
cosmogonia
e di una
teologia
di evidente matrice
neoplatonica. Agli
occhi dei
primi
latini venuti a con-
15) Ibid,
vol.
II,
p,
131.
Questa
eccellente
opera
del Masnovo lo studio
pi comple-
to e
pi profondo
della
stagione
avicennianadella metafisicacristiana del secolo
XIII.
422 Parte seconda
tatto con la filosofia
grecoaraba
tuttavia, e
precisamente
per questo, egli
appare
come
il
sapiente
che ha
saputo
almeno virtualmente accordare il
maestro dei
physici,
Aristotele, con
la Visione
religiosa
del mondo.
Agli
inizi della
nuova
gestazione
intellettuale del mondo universitario il suo
pensiero
sembra
dunque
offrire lo sfondo
pi
adatto
per operare
una
conciliazionetra la concezione
teologica
del mondo dello
pseudo-
Dionigi, l'antropologia
cristiana di
Agostino
e il sistema scientifico della
natura di Aristotele. I
pi originali
risultati di tale
confronto, e
pi
in
par-
ticolare la sintesi che i maestri latini hanno
creduto,
lungo questa
via,
di
poter
realizzaretra
Agostino
e Avicenna,
hanno
suggerito agli
storici del
pensiero
la
possibilit
di
contrassegnare,
a
seconda della
maggiore
o
minore incidenza dell'uno
0 dell'altro, ora come
agostinismo
avicennizzan-
te (GILSON) ora come avicennismolatino
(DE VAUX)
l'orientamento
specula-
tivo che avrebbecaratterizzatoanzitutto alcuni autori del secolo XII e
poi
contagiato
molti
teologi
del
primo
Duecento,
preoccupati prima
della
pericolosa
influenza clelYAristotelenaturalista e successivamente dell'a-
ristotelismoaverroistco.
La seconda recezione di Aristotele
quella
averroistica. A
partire
dal
1230 i commenti letterali di Averro
soppiantano
le
grandi epitomi
di
Avicenna
e
Al-Farabi. Aristotele viene
completamente de-platonizzato
e
ricondottoal
suo autenticoe
genuino insegnamento.
Fra
gli
anni Trenta e
Cinquanta
del secolo XIII Averro viene accolto dalla facolt delle Arti
come autentico
interprete
di Aristotele:
prima
del 1246-1247 solamente
Ruggero
Bacone afferma
pi
volte che Averro e non Aristotele ha fatto
dell'intelletto
agente
una facolt distinta dall'anima. In
generale, gli
Artistae
ritengono
che lautenticoAristotele
non
quello
di Avicennama
quello
di
Averro, senza con ci essere turbati dal fatto che
con
lesegesi
averroistica si viene ad
aggravare
il disaccordo tra le
posizioni
di Aristo-
tele e
i
dogmi
della fede cristiana su
questioni
di
capitale importanza
co-
me
lorigine
del
mondo,
la divina
provvidenza,
l'intelletto
agente,
l'im-
mortalit dell'anima. Essi
pensano
che si
possa
tracciare un solco netto
tra verit di fede e verit di
ragione,
e insistono sul fatto che secondo
Aristotele l'eternit del
mondo,
Yinalterabiie
regolarit
della natura e l'u-
nit dell'intelletto
agente potrebbero
essere
dimostrati in manieraconclu-
siva
per
mezzo della
ragione
umana.
In
questo
modo essi
gettano
le basi
di
quella
che
pi
tardi sar chiamatala teoria della
doppia
verit.
La terza recezione di Aristotele
quella
tomistica. Essa
nasce
dal con-
trasto tra Avicennae Averro e
dalla inammissibilitdella teoria della
doppia
verit. Tommaso
d'Aquino
era un
grandissimo
ammiratore di
Avicennama
soprattutto
di Aristotele
e non
credeva che
su
punti
fonda-
mentali della metafisica
questi
due acutissimi
ingegni
fossero cos lonta-
ni dalla verit come lasciava intendere Averro nei suoi commenti ad
Il secolo d'oro della
nzetafisica
cristiana
423
Aristotele. Cos
1Aquinate
decide di
compiere un'opera
di
personale
verifica
e
Compie
la straordinaria
impresa
di commentare "letteralmen-
te tutto il
corpus
aristotelico. Ne viene fuori
un "terzo
Aristotele,
diverso sia da
quello platonizzante
di Avicennache da
quello "paganeg-
giante
di Averro: un Aristotele talvolta
ambiguo
-
e
che andava
quindi
chiarito -
ma molto
pi
vicino al cristianesimo di
quello
di Averro.
Anche
l'opera
di
purificazione
e
di chiarimento
compiuta
da S. Tom-
maso non consentiva di aderire in tutto e
per
tutto
allaristote1ismo,
assolutizzandolo
come se fosse realmente la
regala infallibilis
omnis veri-
tatis, come
pretendevanogli
averroisti. Nonostante ci sul
piano
filosofi-
co e metafisico, Aristotele
a
giudizio
di S. Tommaso - risultava
pi
attendibiledi Platone ed
era indubbiamente
una
guida
sicura nella ricer-
ca della verit.
Dialogando
con
questo
nuovo
Aristotele,
il Dottore
Angelico
costruisce un sistema metafisico che
assume come
fondamento
un concetto di
essere differente da
quello posto
alla base dei
precedenti
sistemi
metafisici, e
che viene cio inteso
non
semplicemente
come actus,
bens
come actus omnium actuum: come atto di tutti
gli
atti.
I nuovi Ordini
religiosi
di San Domenico
e
San Francesco
Il terzo fattore che contribu alla rinascita della metafisica fu la fonda-
zione nel secolo XIII
degli
Ordini
religiosi
dei Mendicanti. Fu
questo
un
evento di
capitale importanza
non soltanto
per
la Chiesa
ma
anche
per
la
respublica
christiana e
per
la
sua
cultura. Fino a
quel
momento l'ordine
religioso
cui
spettava
il merito di
aver tenuto viva la fiaccoladella cultu-
ra cristiana
e
di
quella
greco-romana
in
generale
era stato l'Ordine bene-
dettino, con la
sua enorme diffusione
e le sue
molteplici
ramificazioni.
L'Ordine benedettino
era un ordine
monastico, e
quindi
orientato
pi
alla
contemplazione
che alla
predicazione
e all'azione, e durante la
sua
storia aveva coltivato
gli
studi, tanto da diventare il solo tramite
per
la
trasmissione della cultura antica nel mondo latino. Ma anche in
questa
attivit i monaci
praticavano
una
specie
di
clausura", ritenendo che la
cultura fosse riservata esclusivamenteai monaci e non ai chierici
e ai laici.
I nuovi Ordini di S. Domenico e S. Francesco istituiscono un nuovo
rapporto
col mondo del
sapere,
avendo
come
scopo precipuo
la cristia-
nizzazioneuniversale nel
nuovo contesto intellettuale
e
sociale
rappre-
sentato dalla diffusione dei centri universitari. Francesco
e Domenico
sono entrambi mossi
dall'esigenza
di contribuire al rinnovamentodella
vita
evangelica
ed ecclesiale attraverso una "nuova
predicazione.16
15) Cf.
I. LONGRE, La
prdication mdivale, Paris
1983,
pp.
93-124 e relativa
Bibliografia, pp.
253-260.
424 Parte seconda
Quella domenicana,
fin dalle
origini,
fu rivolta ai ceti intellettuali e
fu
intesa a
combattere e a
debellare i movimenti ereticali
contemporanei;
quella
francescana invece fu
sempre
di carattere
tipicamente
morale e
si
sostanzi
soprattutto
nella testimonianza della
fraternitas evangelica,
all'interno del
complesso
e
dinamicotessuto sociale dei nuovi ceti sociali.
Per
svolgere degnamente
la missione di annunciare il
Vangelo
sia alle
classi
pi
umili come a
quelle pi
elevate,
i frati avevano
bisogno
di
un'adeguata preparazione
intellettuale: dovevano cio
possedere
una
conoscenza approfondita
della S.
Scrittura,
della
teologia
e
dela morale.
Cos entrambi
gli
Ordini Mendicanti
procedettero
alla fondazione di
propri
centri di studio studia
generalia
situandoli nelle citt che fossero
sedi universitarie come
Parigi,
Padova, Bologna, Napoli,
Oxford
ecc.,
e
generalmente
nei
pressi
delle stesse universit. Ci consentiva ai loro
frati di
frequentare
le facolt delle
Arti,
di
teologia,
di diritto
e
di
conse-
guirvi
i titoli accademici che li abilitavano
all'insegnamento
(licentia
docendi).
Prima del 1220 i Domenicani furono inviati direttamente dal
loro fondatore a
studiare
teologia
a
Parigi
e a
erigervi
un
loro studium: il
famoso convento
di Saint
Iacques,
che
gi
nel 1224
poteva
contare ben
120 frati studenti
provenienti
da tutte le
province
dell'Ordine. I
Francescani tentarono
l'ingresso
a
Parigi
a
partire
dal
1220, ma si scon-
trarono con
la forte avversione della
corporazione
universitaria.
Nonostante i tanti
pregiudizi
che li circondavano a motivo del loro
evangelismo",
riuscirono
egualmente
nell'intento,
grazie
alle reiterate
raccomandazioni
pontificie
e
all'appoggio
del maestro
Filippo
il
Cancelliere. Non
pi
tardi del
1236,
in
seguito all'ingresso
nell'Ordine
del maestro secolare Alessandro di
Hales,
anche lo studium dei
Francescani fu
integrato
nel
Corpo
della facoltdi
Teologia.
Dopo pochi
decenni, a contatto con
le
universit,
Francescani e
Domenicani divennero
protagonisti
decisivi nella nuova
vita intellettua-
le della
respublica
christiana.
Quasi
tutti i maestri
pi
celebri del secolo
XIII
appartennero
agli
Ordini di S. Francesco e 5. Domenico, e
furono
proprio questi
che
crearono
nuovi sistemi di
pensiero, produssero
nuove
somme
teologiche"
e
innalzarononuovi edifici metafisici.
Anche la vocazione missionaria dei nuovi ordini
religiosi
si
pu
con-
siderare come
un'altra
ragione importante
del
profondo
rinnovamento
della formazioneculturale del
tempo:
essa
infatti
esigeva
una conoscen-
za seria e
profonda
delle
popolazioni
alle
quali
si
portava
l'annuncio
evangelico.
E
poich
i destinatari
dell'evangelizzazione
erano
soprattut-
to
gli
arabi,
ci che si richiedeva
era
un'adeguata
conoscenza
della reli-
gione,
della cultura,
della filosofiae
della
teologia
islamica: anche
que-
sto contribu ad
allargare gli
orizzonti della metafisica cristiana.
Il secolo d'0r0 della
metafisica
cristiana 425
L0
sviluppo
della
teologia
Gi nel secolo XII la
teologia
aveva fatto
registrare
una straordinaria
fioritura
speculativa.
Con Pier
Lombardo,
Ugo
e
Riccardo di S.
Vittore,
Gilberto
Porretano, Abelardoe Alano di Lilladalla
semplice
lettura
(lec-
tio)
della Sacra
pagina
si era
passati
alla discussione
(aaaestio)
dei
punti
pi importanti
e
pi
difficilidella Bibbiae della fede
cristiana, e si erano
gi
raccolte e ordinate le
qaaestiones
in Summae. Ma lo statuto
epistemo-
logico
della
teologia
era rimasto ancora incerto
e confuso; ci si chiedeva
infatti
se fosse anch'essa unars
oppure
una scientia. Il
suo strumento
pri-
vilegiato
era ancora la
dialettica,
la
quale
serviva non tanto
all'approfon-
dimento della
conoscenza e della chiarificazionerazionale dei misteri
quanto
alla determinano delle sentenze dei Padri.
Nel secolo
XIII,
soprattutto per
merito di Alberto
Magno
e Tommaso
d'Aquino,
la struttura
gnoseologica
della
teologia
viene finalmentechia-
rita: anche la
teologia

scienza,
in
quanto
si avvale di
una
metodologia
precisa
e
rigorosa
come tutte le altre scienze
e si basa
su
principi
(i miste-
ri)
che definiscono l'area della
sua ricerca; e come
ogni
altra scienza
anche la
teologia
si avvale della
logica.
Tutto ci era stato in effetti ben
compreso
anche dai
teologi
del secolo XII:
Abelardo,
Gilberto
Porretano,
Alano di Lilla. Ma la
logica pu garantire
soltanto la
correttezza
degli
argomenti
e non in
grado
di
apportare
invece nuove conoscenze e
l'ap-
profondimento
dei contenuti e
dei concetti. Per
poter
ottenere
questo
guadagno speculativo
la
teologia
aveva
bisogno
di
un
altro strumento
conoscitivo,
cio della metafisica.
Pertanto, attraverso una
pi
chiara
definizionedello statuto
epistemologico
della
teologia,
si crea
anche
uno
spazio
nuovo
per
la
metafisica,
poich
essa ricava dalla
sua utilizzazione
da
parte
della
teologia
enormi
vantaggi
e orizzonti vastissimi.
L'esigenza
della
teologia
di assicurare alla fede
pi
solide basi razio-
nali indusse i
teologi
del secolo XIII
a vestire
sempre pi
i
panni
del filo-
sofo
e del metafisico. Cos tutti i
grandi teologi
del secolo d'oro della
teologia
divennero anche
grandi
metafisici. Da
Aristotele, Platone,
Agostino, Boezio, Avicenna, Avicebronessi trassero
ispirazioni
e ric-
chezze di
pensiero.
Anche
Agostino
tra i dottori cristiani ascende alla
dignit
di
filosofo, e Aristotele fa sentire il
suo
peso
in
ogni specie
di
trattazione.
Come ha osservato
Gilson,
le metafisiche elaborate dai
teologi
del
se-
colo XIII hanno
una cosa in comune: sono tutte
metafisiche
dell'essere. In
effetti,
la
prima
vera struttura unificante cui
approdarono
i
magistri
del
17) Cf. M. D.
CHENU, La
tlzcolngieaa doazfnre
siede, Paris 1957.
426 Parte seconda
secolo XIII fu la dottrina dell'essere. Basandosi su
minimali
spunti
teore-
tic
suggeriti
dalle intentiones
degli
auctores del
passato,
essi affinaronoil
discorso sull'essere,
relativo a
tutti
gli
enti, con termini di massima
astrazione concettuale, concentrarono in
un
unico
procedimento specu-
lativo le considerazioni che la mente umana
pu compiere
intorno a Dio
e
alle creature
e,
di
conseguenza,
spiegarono
i
rapporti
che sono conve-
nienti all'essere divino e
agli
esseri creaturali. In
questo
modo essi
pose-
ro
le basi delfinscindibilenesso tra
ontologia
metafisica
e
teologia
fon-
damentale: cio il denominatore comune
della modalit filosoficadella
teologia
di tutto il secolo Xlll.
La civilt cristiana necessariamente una
civilt
teologica,
ma essa

allo stesso
tempo
anche
una
civilt
metafisica.

quindi
del tutto naturale
che il secolo
XIII,
oltre che il secolo d'oro della
teologia,
sia stato anche il
secolo d'oro della metafisica. In effetti la
grande
Scolastica ha scritto
pagine
memorabilinon
soltanto nella storia della
teologia
ma
anche
nella storia della metafisica.
Anzi,
si
pu
affermare che la
grandezza
della
speculazione teologica
dei maestri del secolo XIII strettamente
legata
alla
profondit
delle loro
speculazioni
metafisiche.
I
principali
indirizzidella metafisicacristiananel XIII secolo
Classificarele
molteplici
correnti di
pensiero
che attraversano
il seco-
lo XIII non cosa
agevole.
Gli storici che assumono come base della
classificazionel'utilizzazionedella metafisica di Aristotele sono
inclini
ad individuaretre indirizzi
principali,
1.
Quello
di coloro che utilizzanoAristotele con
grande parsimonia,
conservando una
visione sostanzialmente
platonico-agostiniana.
Esso
viene chiamato
agostinismo-aristcitelizzante
ed
rappresentato principal-
mente dalla Scuola Francescana.
2. Viene
poi
l'indirizzo
capeggiato
da Alberto
Magno
e Tommaso
d'Aquino,
i
quali
assumono
la metafisica di Aristotele in toto e
allo stes-
so
tempo
cercano
di armonizzareAristotele col cristianesimo
apportan-
do al
pensiero
dello
Stagrita
alcune modifiche e
integrazioni.
A
questo
indirizzosi d il
nome
di aristotelismomoderato.
3. C' infine l'indirizzo
degli
averroisti latini,
guidati
da
Sigieri
di
Brabante. Essi fanno
professione
di aristotelismo
puro,
cos come era
stato
esposto
da Averro. A
questo
indirizzosi d il nome di aristoteli-
smo
radicale.
Questa
classificazione
per
non esaurisce il
quadro
della utilizzazio-
ne
della metafisica aristotelica da
parte
dei maestri latini del secolo XIII.
Il secolo d'oro della
metafisica
cristiana 427
C' una fase
preliminare,
cui -
come abbiamoricordato - si d il
nome di
aristotelisnzo avicenrxizzante: la fase del
primo
trentennio del secolo in
cui Averro
ancora sconosciuto, mentre Avicenna molto
apprezzato
e
seguito.
Abbiamo
pertanto quattro
indirizzi
principali
e
cronologica-
mente si
dispongono
nel modo
seguente:

aristotelismo avicenizzante di
Guglielmo d'Auvergne
e di
Filippo
il Cancelliere
(1200-1240);

agostinismo
aristotelizzantedella Scuola Francescana
(1240-1300);
- aristotelismomoderato della Scuola Domenicana
(1240-1300);

aristotelismoradicaledi
Sigieri
di Brabante
(1260-1275).
428 Parte seconda
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DELLA RINASCITADELLA METAFISICACRISTIANA:
GUGLIELMODAUVERGNE
La rinascita della metafisica cristiana nel secolo XIII stata determi-
nata, come abbiamo
Visto,
dal ritorno di Aristotele in Occidente. Il
pri-
mo incontro dei latini
con Aristotele stato mediato da
Avicenna,
le cui
geniali epitomi
della metafisica aristotelica - il
Sifa
e il
Najat
-
erano state
usate nei
primi
decenni del Duecento come introduzioni al difficile
pen-
siero dello
Stagirita.
di
questo
Aristotele avicennizzatoche si servono i
nzagistri parigini quando
cominciano a elaborare
una
teologia
che
non
pi semplicemente
dialettica, come
quella
abelardiana, ma autentica-
mente
speculativa.
Per
compiere questo approfondimento speculativo
essi ricorrono volentieri a concetti,
formule e dottrine di Avicenna.
Il
principale esponente
di
questa
metafisica cristiana aristotelico-avicen-
nizante
Guglielmo d'Auvergne. Figure
minori dello stesso indirizzo
sono MaestroAdamo
e
Filippo
il
Cancelliere,
suoi
contemporanei.
MaestroAdamo
Adamo di Puteorumvlla o
PulchraeMulieris fu maestro delle Arti a
Parigi
nei
primi
decenni del secolo XIII.
l'autore
dellopera
Memoriale
rerum
difiicilium
che
porta pure
il titolo Liber de
intelligentiis,
scritta tra il
1210 e
il
123D,
edita sotto il nome di
Witelo,
al
quale
Baeunker Vattribui-
va.

un'opera profondamente
venata di aristotelismo
e
di
neoplatoni-
smo avicenniano e
che contiene molti
spunti
di
quella
metafisica della
luce,
che avr come
maggiore esponente
Roberto Grossatesta.
All'inizio del trattato l'autore esordisce dicendo che si tratta di
una
summa la cui finalit di
colligere
le cose difficiliallo
scopo
di
agevolare
la memorizzazione
(Aut et ea nzenzoriae
faciliuspossimus
Commendare):
ci
spiega
il
suo secondo
titolo, Memoriale
rerum
difficilium.
Lo
pera
ha la
forma di
un insieme dottrinario
compatto,
ordinato secondo un
procedi-
mento deduttivo
rigoroso,
secondo lo stiledel De causis.
430 Parte seconda
Il reale visto come
il fluire di
un unico
processus:
il
punto
di
parten-
za
Dio,
il
punto
d'arrivo le
intelligenze gerarchicamente
ordinate.
Dio,
presentato
come unit immanente e
principio
fontale di tutta la molte-
plicit degli
effetti,
perci
causa
prima
sia della conoscenza
che del
movimento di tutte le
intelligenze.
ll concetto metafisico dell'essere di
Dio non
corrisponde
a
quello
dell'essere
come nozione in
generale (esse:
commune)
bens a
quello
di
essere
infinito. Tutti
gli
altri esseri ne sono
partecipazioni progressive,
in senso discendente.
Per
spiegare
il
processus
di
partecipazione degli
esseri
particolari
all'essere divino Mastro Adamo ricorre
allfinzmagine
della
luce,
molto
familiareai
neoplatonici
e bennota anche alla S. Scrittura. L'essere viene
identificato
con
la
luce, e
in tal modo
ogni
sostanza che influisce su
unaltra sostanza o luce
per
essenza o
qualcosa
avente in s la natura
della luce. Dio
stesso,
la sostanza
prima,
la luce. Da ci
deriva,
spiega
Adamo,
che tutti
gli
altri
esseri,
in
quanto
creati,
partecipano
della natu-
ra della luce. La
luce,
in
ogni
vivente,
e sia
principio
di vita e di
moto,
che in ciascuno
opera
diversamente in
ragione
del
rispettivo grado
di
perfezione
in
rapporto
alla
materia,
sia
principio
di conoscenza: anzi la
luce e la stessa facoltconoscitiva: lux est
ipsa
virtus
cognoscitivam
Con
questa
metafisica della luce l'autoreintende
spiegare
il
rapporto
di
par-
tecipazione
tra
gli
esseri creati e Dio,
evitando
ogni
rischio di emanati-
smo.
A
questo scopo egli
si sforza di ridurre al minimo il ricorso all'ile-
morfismo: solo le sostanze
corporee
sono
composte
di materia e forma,
mentre
negli
esseri
spirituali vige semplicemente
una
distinzione tra
atto e
potenza.
Inoltre anche
per
l'attivit conoscitiva vale il
principio
metafisico aristotelico secondo il
quale
l'atto ha la
priorit
sulla
potenza.
Come in ambito metafisico Adamo ha
coniugato
il
nuovo
peripateti-
smo con le dottrine
neoplatoniche
del Liber de
causis,
cos in
psicologia
e
gnoseologia gli spunti
aristotelici ricorrenti non attenuano il
neoplatoni-
smo
di base. Pertanto Contro Aristotele
egli
sostiene che l'anima
non atto
del
corpo,
ma sostanza
semplice, indipendente,
motrice: se unita al
corpo,
si unisce ad
esso come motore, e non come atto (si
Corpori
uniatur,
unitur ei sicut
motor,
et non sicut
actus).
La luce non solo attraversa il
corpo
e lo orienta nello
svolgimento
delle sue funzioni, ma muove
anche
l'anima,
che
intelligentia:
per questo
non necessaria a suo
parere
alcuna
distinzionetra intelletto
possibile
ed intelletto
agente.
1)
Liber de
intelligentiis,
IV-XIl.
Guglielmo dflutrergne
431
GuglielmodAuvergne
Guglielmo dAuvergne (Alvernia)
nacque
ad AurillacVerso il 1180 e
mor a
Parigi
nel 1249. Per molti anni fu maestrodi
teologia
dell'univer-
sit
parigina,
ma
quando
fu nominato vescovo di
Parigi
(1229)
dovette
lasciare
l'insegnamento.
L'attivit
pastorale
non
gli imped
di
portare
a
termine la sua
opera principale,
il
Magisteriurrt
divinale,
che consta di set-
te
parti:
De Trinitate
sea de
prima principio,
De universo
creaturarum,
De
anima, Cur Deas
homo,
De
fide
et
legibus,
De
sacramentis, De virtutibus et
moribas. Oltre a
questa specie
di
grande
summa
Guglielmo dAuvergne
compose
molti altri scritti di vario
genere.
Tra
gli
scritti filosofici ricor-
diamo il De immortalitate
animae; tra
quelli dogmatici,
il De
gratin
et libero
arbitrio
e il De errore
Pelagii;
tra
quelli esegetici:
In
Proverbia, In Ecclesiasten,
In. Canticam
canticorum; tra
quelli
ascetici,
il De
beatitadinibus,
il De laadi-
bus
patientiae
e
il De dono scientiae.
Com'era costume nel secolo XIII la
produzione
di
Guglielmo
d'Au-
vergne
ha carattere
spiccatamente teologico,
cio una riflessionesulla
sacra
pagina;
e tuttavia essa si distacca nettamente da
quella
dei suoi
pre-
decessori
per
una densa e robusta
componente
filosofica, ricca di
spunti
originali,
che lasciano chiaramente intravedere i
germi
di
quella
metafi-
sica
dell'essere,
che
acquister
forma
completa pochi
anni
dopo
la morte
di
Guglielmo
per opera
di Tommaso
d'Aquino.
Guglielmo dAuvergne
una
figura
di
spicco
nel vasto ambito della
metafisica cristiana del XIII
secolo,
ponendosi
come
il
rappresentante
pi
illustredella corrente aristotelico-avicenniana.
Guglielmopossiede
la stoffa del metafisico di razza: uno
speculato-
re attento e
profondo,
che
appunta
il
suo
sguardo
oltre il mondo sensibi-
le
verso il mondo della
trascendenza,

un
argomentatore
fine
e
rigoro-
so,
un dialettico vivace che
non
risparmia
invettive e insulti ai suoi av-
Versari,
accusandoli
non di rado di stoltezza
e
ignoranza.
Il
vescovo di
Parigi,
nella difficile
epoca
dei divieti aristotelici ebbe
un ruolo
importante
nella diffusione nel mondo latino del
pensiero
di
Aristotele
e dei suoi
interpreti
arabi ed
ebrei,
specialmente
Avicenna e
Ibn Gabirol
(Avicebron),
anche
se
personalmente prediligeva
Sant'Agostino.
Il
suo criterio di fronte alle
nuove dottrine
era:
Bench
in molte cose si debba contestare Aristotele
come in realt conveniente
e
giusto,
e ci in tutti i discorsi nei
quali
fa affermazioni contrarie alla
verit;
cos
bisogna
accettarlo e difenderlo in tutte
quelle
affermazioni
nelle
quali
sembra che abbia
pensato
rettamente
(Quamquam
autem in
multis contradicendum sit Aristoteli sicut revera
digrzum etjastam est,
et hoc
432 Parte seconda
in (minibus sermonibus
quibus
contradicit veritati;
sic
suscipiendum
et susti-
nendunz in eis onmibus in
quibus
recte sensisse invenitur).l
Fedele a
questo
criterio
Guglielmo respinge
la teoria aristotelica e
avicennianadella eter-
nit del mondo,
la tesi avicenniana della creazione
per opera
di enti
intermedi (le intelligenze),
la dottrina di Ibn Gabirol dellilemorfismo
universale,
la teoria dei filosofi arabi ed ebrei intorno a un
intelletto
agente separato,
esistente fuori
degli
individui. Mentre
per spiegare
la
Conoscenza
delle Verit eterne
egli professa
la teoria
agostiniana
della il-
luminazione.
Come si detto
Guglielmo dAuvergne getta
le basi di
una nuova
metafisica,
che non
appartiene pi
al
paradigma henologico
dei
neopla-
tonici e
di
Avicenna,ma al
paradigmaontologico
di Aristotele.
I
punti
chiave della metafisica dell'essere del
teologo
di
Auvergne
sono
quattro:
l)
l'essere considerato come
perfezione
massima, come
attributo
primario
di Dio e
pertanto
come
costitutivo metafisico della
sua essenza;
2)
la distinzione reale tra essenza
ed essere
nelle
creature;
3)
la
partecipazione degli
enti nell'essere sussistente; 4)
Panalogia
della
predicazione
dell'essere. Mentre tutta la filosofia cristiana dei
padri
e
dei
primi
scolastici aveva
posto
alla base della riflessionesu
Dio l'attri-
buto della bont e aveva
concepito
la creazione come una
irradiazioneo
una
partecipazione
della bont divina alle varie realt finite,
Guglielmo
dAuvergne,
sotto l'influssodi
Avicenna,
getta
le basi di un nuovo
tipo
di filosofia
cristiana,
assumendo come
attributo
primario
di Dio l'essere
anzich la bont. Per lui Dio anzitutto e
soprattutto
Ens
per
essen-
tiam
oppure
"Ens
per
se necesse esse;
cio Ente in cui essenza
ed
esse-
re si identificano cos caratteristicamente da essere
rappresentato
nel-
l'Es0d0 ai
figli
di Israele
per
il
"Qui
est".
Spiega GuglielmodAuvergne:
Ma l'Ente manifesta a
tal
punto
la sua essenza
che volle
per
se stesso
farsi conoscere ai
figli
di Israele: affinch conosciuto esso
solo fossero co-
nosciute anche tutte
quelle
cose
che si
possono
dire della sua essenza
.3
Mentre in Dio essenza
ed essere
si identificano,
in
quanto
l'essere
costituisce la
sua essenza stessa,
nelle creature c' netta distinzione: in
nessuna
il suo
quid
est si identifica con
l'asse. Ora l'essere non
compre-
so
nella essenza
di alcunch
(qualsiasi
cosa
ci saremo
immaginati
o un
uomo o un asino o altro)
in modo che in essa
lo conosciamo,
eccettuato
2)
De anima 2,
12.
3) Il
Masnovo,
che colui che ha
meglio
studiato la "filosofiadell'essere" di
Guglielmo dAuvergne,
ha acutamente rilevatoche l'identit reale tra essenza
ed essere
per
il
d'Auvergne
costituisce l'attributo fondamentaledi Dio, come a
dire l'essenza stessa di
Dio,
quasi
il fondo su
cui
galleggia
il resto della ricchezza
divina
(A. MAsNovo,
Da
Guglielmodfluvergne...
cit.,
p.
163).
Guglielmo dflfluvergne
433
solo
quello
di cui esso si dice essenzialmente
(cio Dio).
La
sua essenza
infatti
non si
pu
conoscere se non
per
mezzo dello stesso
essere, giac-
ch l'una
e
l'altro
sono assolutamentela medesima realtwl
Come stato
giustamente
rilevato
dagli
storici della filosofiamedie-
vale,
le
epressioni
Wzsse e
id
quod
est",
che
erano state introdotte da
Boezio non
per
distinguere
l'essere
daltessenza,
bens la sostanza secon-
da
o l'essenza universale
(l'asse)
dalla sostanza
prima,
concreta e indivi-
duale
(id
quod
est),
acquistano
nel
dAuvergne
una
valenza semantica
del tutto
nuova, appunto quella
della distinzionereale tra essenza o de-
finizionedi
una cosa (id
quod
est)
ed
essere (la sua realt
effettiva). Que-
sta distinzione
era stata una
delle
grandi conquiste
della metafisica avi-
cenniana,
dove Veniva utilizzata
per distinguere
il nccesse esse
per
se
(Dio)
dai
necesse esse
per
causam (i
possibili,
vale
a
dire tutte le creature).
Guglielmo riprende
da Avicenna la distinzione reale e talvolta anche il
linguaggio
per
formularla, ma
pi spesso per esprimere questa
distin-
zione la travasa nel
linguaggio
boeziano deltesse
e
del id
quod
estfi
Il terzo
punto
chiave della filosofia dell'essere di
Guglielmo
la dot-
trina della
partecipazione.
Con
questa
dottrina
egli
chiarisce ulterior-
mente i
rapporti
tra Dio e
le creature: mentre con
la dottrina della distin-
zione reale
aveva messo
al sicuro la distanza infinitache
separa
Dio dalle
sue creature, con la dottrina della
partecipazione precisa
la solidariet di
Dio con le creature e la
dipendenza
di
queste
da
Quello.
Che
cosa si
intenda
per partecipazione Guglielmo
lo
spiega
trattando dell'esistenza
di Dio
(servendosi
anche in
questo
caso
delle famose formule boeziane:
praedicatio per
essentiam e
praedicatioper partecipationem), quando
scrive:
Infatti,tutto ci che si dice di
qualsiasi cosa,
o essenziale alla stessa 0
accidentale: cio o l'essenza o di
quellessenza
che
parte
di un'essen-
za;
oppure
al di fuori dell'essenza e
questo
ci che chiamiamo acci-
dentale,
che si dice anche che
posedutt)
per partecipazione
(...).
Dunque
l'ente si dice di
ogni
cosa o
sostanzialmente
o
per partecipazione.
Ma di
uno si dice
sostanzialmente,
di
un altro
per partecipazione.
4) Citazione in ibid,
p.
83. Per la
portata
esatta della dottrina del
d'Auvergne
intor-
no alla distinzionereale,
cf.
ibid.,
pp.
170-172.
5)
Un testo in cui il
linguaggio
boeziano si intreccia con
quello
avicenniano il
seguente:
Poich l'ente
potenziale
non ente
per
essenza,
allora esso stesso e il
suo
essere,
che non
per
essenza,
sono realmente
due, e l'uno
sopravviexe
allaltro, n cade nella sua definizionen nella sua essenza. Perci l'ente com-
posto
secondo
questa
modalit ed risolvibilenella sua
possibilit
o
quiddit
e
nel
suo essere.
Dal che chiaro che
esso causato da ci che educe la
sua
possi-
bilitneltessere di fatto e da ci che
congiunge
lo stesso essere con la sua
possi-
bilit:infatti ci che in
potenza
non viene ad essere di fatto
per
la sola
potenza
ma
per partecipazione
(De Tririitatel, l).
434 Parte seconda
Chiariti i termini che
gli
servivano
per impostare l'argomento,
il
d'AuVergne
cos
prosegue
il suo
ragionamento:
Poich l'essere
non
si
u dire di tutte le cose er arteci
azione, occorre
che ci sia ualcuno
l
. . .
P P
. .
9
del
quale
s1
predichi
per
essenza,
affinch
venga
determinato 1l
senso e
la
sua definizionemfv
Il uarto ilastro su cui dAuver ne
innalza il
nuovo edificio della
l P 8
filosofiadell'essere la dottrina
dellanalogia,
dottrina che
egli riprende
da Aristotele il
quale
nella sua
Metafisica
aveva
affermato a
pi riprese
che l'essere non
appartiene agli
enti allo stesso modo
ma
in modo analo-
go
e
che
quindi
la
predicazione
dell'essere non univoca bens
analogi-
ca.
Guglielmo
osserva
che sebbeneunico sia l'essere che sta alla base di
tutte le
partecipazioni,
ci non autorizzaa concludere che l'essere viene
predicato
allo stesso modo
e univocamente: Non ti
spaventi
l'identit
del
partecipato,
come se
per questo
tu fossi costretto a considerare tutte
le cose
egualmente
e
univocamente:
poich
la salute viene detta dell'uo-
mo e
dell'urina e del
cibo, non
per
univocamente e
ugualmente.
In
questo
stesso modo si ha nel
primo
essere: infatti,
anche
se e
partecipato
da tutti non lo
, tuttavia,
ugualmente
n nello stesso modo.
Dunque,
quel primo
essere
e l'essere
per
cui tutte le
cose
sono,
ma non ci che
sono;
infatti,
quel primo
non nessuna
di
quelle
cose
che
sono
per
sua
partecipazione,
ma una
sola
essenza,
pura,
solitaria, non comunicante
con
alcunch
e non mescolata? L'ente divino entifica,
per
cos dire,
l'ente creato: cos
per
che il concetto di essere
si
applica
a entrambi non
gi
univocamente ma
analogicamente.
Con l'introduzione
delfanalogia per
definire i
rapporti
tra Dio e
le
creature,
il
d'Auvergne getta
un
ponte
tra l'infinita differenza
qualitati-
va
che
separa
Dio dalle creature
(espressa
dalla distinzionereale tra l'es-
se e l'id
quod
est nelle
creature) e
la comunanza
di realt
(richiesta
dalla
partecipazione).
In effetti
Yanalogia
attesta un minimo di
somiglianza
tra esseri
profondamente
dissimili in
quanto
non
appartengono
n alla
stessa
specie
e
neppure
allo stesso
genere
(come
risulta anche
troppo
chiaramente
dall'esempio
della
predicazione
del termine sano
che
d'Auvergneriprende
da
Aristotele).
Dentro la robusta
impalcatura
dei
quattro principi
suddetti: l'essere
come
perfezione
massima,
la distinzione reale
negli
enti tra essenza
ed
essere,
la
partecipazione
e
Panalogia, Guglielmo
innalza il
suo
solido
edificio metafisico.
un
edificio costruito secondo lo stile
neoplatonico
e
quindi
dall'alto verso il
basso,
partendo
da Dio e discendendo verso le
5) Citazione in A. MASNOVO,
Da
Guglielmo
d
Havergne...
ciL,
p.
81.
7) lhid,
pp.
191-192.
Guglielmo
d
Auvergne
435
creature; ma non costruito
aprioristicamente
e matematicamente
come
quello esposto
nel De causis di
Proclo,
nel De hebdomadibus di Boezio 0 nel
De
intelligentiis
di Maestro
Adamo,
perch
le
singole parti
del sistema
ru
metafisico,
inclusa la
componente
fondamentale,
cio Dio
(quasi
un ar-
chitrave"), sono introdotte mediante delle dimostrazioni a
posteriori.
Tutti i temi
pi importanti
della metafisica
sono
discussi da
Gugliel-
mo nel De
Trinitate,
detto anche De
primo principio. L'opera
risulta Com-
posta
di 47
capitoli:
i
primi
tredici considerano Dio in
generale,
i suoi
attributi
e
operazioni,
mentre i
capitoli
successivi
parlano
del mistero
della Trinit.
Nel
prologo
del De Trinitatel'autore ci dice
quale
procedimento
egli
intenda
seguire
nella trattazione del suo
soggetto:
E bene che
sappia
che in
questo magistero
sacro e divinale
(in
isto
sacro et divinali
magiste-
rio) esistono tre modi di conoscere
gli argomenti
che vi
Vengono
trattati.
Il
primo
modo
quello
della
profezia.
Il secondo
quello
della virt
(della fede).
Ricorrendo a
questi
due modi la scienza divina
non viene
trasmessa
come arte o
disciplina
ma come
legge...
Il terzo modo
quello
che si
acquisisce
mediante la dimostrazione
e
l'indagine (per
viam
proba-
tionis et
inquisitionis).
A
questo
modo
non ricorre l'autorit
divina,
per-
che
con esso si
possono fronteggiare
esclusivamente
gli
errori dei dotti.
Quanto
al
volgo
la via della dimostrazione
non
gli
si addice.
Ma
se
il terzo modo
non adatto
per
il
volgo,
si conf
per
ai filosofi:
Tertius
vero modus est
philosophantium,
et ex toto cum
ipsis agendum
susce-
pimus.
Dunque Guglielmo
si atterra al
procedimento
razionale
proprio
dei
filosofi
e,
come dice
poco dopo:
assumendo l'abito dei
filosofi,
cerche-
remo di soddisfare ai loro criteri. Il
suo
principale
obiettivo salva-
guardare
la saluberrimaveritas dalle mani
degli empi
che la contraddico-
no: anzi fare
deporre questa
verit dalle mani stesse di cos fatta
gente.
Fino dalle
prime
mosse ci si
promette
di mantenere il contatto con
la
realt.
Guglielmo d'Auvergne
vuole trattare con
gente
tutt'altro che
campata
in aria: anzi
con
gente proprio
in
carne ed
ossa,
la
quale profes-
sa dottrine
avverse al
pensiero
cattolico,
avvalendosi di
procedimenti
dai
quali

possibile
per
altro cavar
partito
contro di essa. Naturalmente
il nostro autore sta
sempre
volto a
guardare
le
Cose del
suo
tempo, pur
non dimenticandoil
passato
e
profittandone
all'occorrenza. C' in lui il
temperamento
del filosofo che
non vuol
giurare
sulla
parola
del
mae-
stro,
quando pure
si
elegge
un maestromfi
s) Ibid,
p.
40.
436 Parte seconda
Nel
primo capitolo
del De Trinitate
Guglielmo
affronta il
problema
dell'esistenza di
Dio,
argomento primario
e
fondamentaledi
ogni
meta-
fisica,
essendo Dio la massima di tutte le realt. Per
provare
la sua esi-
stenza
egli
non ricorre alla dimostrazionearistotelica basata sul diveni-
re,
che avendo carattere
empirico probabilmenteGuglielmo
ritiene
trop-
po
incerta e discutibile,ma
propone
due
argomenti
fondati sul
principio
di
partecipazione:
la
partecipazione
dei beni nel Bene e la
partecipazio-
ne
degli
enti nellEssere. strutturalmente le due
argomentazioni
si
equi-
valgono.
Il
punto
di
partenza
la distinzionetra
predicazione
essenziale
e
predicazione partecipativa
0 accidentale:
Infatti,tutto ci che si dice
di
qualunque
cosa 0 essenziale alla stessa cosa 0 accidentale: cio o
l'essenza o dell'essenza che
parte
dell'essenza;
oppure
al di fuori
dell'essenza, e
questo
ci che chiamiamo
accidentale, e ci che diciamo
che
posseduto
e
predicato
secondo
partecipazione.
Si
pu
fare
l'applicazione
di ci indifferentemente alle
predicazioni
di
"bene",
di ente" e di
qualsiasi
altra nozione trascendentale. Mentre
alcuni ne
ha fatto
applicazione
alla nozione di "bene
parlando
di bene
o
per
sostanza o
per
partecipazione
(bonum aut substantia aut
patrticpatio-
ne),
Boezio -
osserva
il
d'Auvergne

ne
ha fatto
applicazione
anche alla
nozione di "ente" nel De hebdomadibus,
l dove dice che tutto Ci che
semplice
ha uniti il
proprio
essere e ci che . Secondo il nostro autore,
la dottrina
per
cui omne
simplex
esse suum
et id
quod
est unum
habet e
invece,
ben
inteso, non
il
composto, equivale
alla divisione in ente
per
essenza e in ente
partecipato.
Guglielmo d'Auvergne,
come Boezio,
vuole
occuparsi
delle
predica-
zioni di ente
per
essenza e
per
partecipazione.
Quali
rapporti
intercorro-
no
fra loro?
Anzitutto,
dice l'autore del De
prinzo principio,
le due
predi-
cazioni dell'ente non
possono
farsi di
una
medesima
cosa:
dunque,
l'ente si
predica
di
ogni
cosa o
sostanzialmente o
per partecipazione.
Si dice
poi
di
una cosa sostanzialmente,
di un'altra
per partecipazione
(ens
igitur
de
unoquoque
aut substarztia aut
participatione
dicitur. Dicitur
autem de
quodzmz
sitbstantialiter,
de
quodam participatione
dicetur).
Sta be-
ne.
Ma
potrebbe ogni
cosa essere e venire denominata ente
per parteci-
pazione?
Il
d'Auvergne risponde
di no: E
poich
non
si
pu predicare
di
ogni
cosa
per partecipazione, bisogna
che di
qualcosa
si dica
per
essenza. Per
quali ragioni?
Eccole. Potrebbero forse tutti i
beni essere
beni
per partecipazione?
No.
E,
quindi,
nemmeno tutti
gli
enti
possono
essere
enti
per
partecipazione.
Infatti
impossibile
che tutti i beni siano
beni
per partecipazione, perch
in tal caso ci sarebbe
un
beneche dareb-
be ad altri ci che
ancora non
possiede.
Subito
passando
dal bonum
allens il
DAuvergne soggiunge:
In
questo
modo si mostrer che l'ente
non si
pu predicare
di
ogni
cosa
per partecipazione.
Perci necessario
Guglielmo dfluvergne
437
che di
qualcosa
si
predichi
per
essenza
affinch sia definita l'essenza
e la
comprensione
di
esso.
A
questo punto Guglielmo d'Auvergne
paragona
tra loro i tre modi di
dire: secundum essentiam et secundum
participationein, per
se et
per
ac-
cidens,
simpliciter
et secundum
quid.
Da ci afferma che sufficiente
constatare (ma constatare davvero
per)
uno dei tre modi ossia uno
dei
tre binomi in
questione
nella realt in
aliquo

e subito di l si sar auto-
rizzati ad affermare che
esiste,
l 0 altrove,
il
primo
membro del
binomio,
non
potendo
il secondo stare senza
il
primo, giacch
i
primi
membri
sono come le radici e le fondamenta
degli
altri che
gi
ti ho indicati
come
secondari.
Alcuni studiosi hanno voluto vedere in
questa prova
dell'esistenza di
Dio del
vescovo
di
Parigi
una variante
dell'argomento ontologico
di
Anselmo d'Aosta. Ma come osserva
giustamente
il
Masnovo,
la dimo-
strazione del De
prima principio
non
ha nulla
a
che vedere
con
il
procedi-
mento
aprioristico
del
Proslogion.
Chi abbracci di
un
sol
colpo
d'occhio i
momenti del
procedere argomentativo
del
d'Auvergne,
trover che in
esso,
ben diversamente che nel
Proslogion,
si
prende
come
punto
di
par-
tenza un fatto:
quella
data
cosa:
aliquid,
l'ente. Al fatto si
applica
un
prin-
Cipio
dichiarato astrazionfatta da
ogni
attuale
realt, e
per
valevole
per
tutta la realt attuale e
possibile:
l'ente
per partecipazione suppone
l'ente
per
essenza. Di
qui
la conclusione:
Dunque
esiste l'ente
per
essenza,
Dio.
Che
questo
Dio trascenda l'universo
o vi sia immanente
non ancora
detto: n
Guglielmo dAuvergne
ha la
pretesa
di averlo detto a
questo
punto.
Nulla che richiami il
procedimento
del
Proslogion)!
Nel secondo
capitolo Guglielmo d'Auvergne riprende
e
sviluppa
ulteriormente
l'argomento
basato sulla distinzione tra esse
per
essentianz
e esse
per partecipationem,
facendo leva sulla distinzione avicenniana tra
essenza ed
essere
negli
enti finiti o
possibili.
Scrive il
D'Auvergne:
Nella definizionedi
nessuna cosa
si include l'essere:
qualsiasi
cosa noi
ci
raffiguriamo,
un
uomo,
un asino o
qualche
altra
realt,
l'essere
non
viene incluso nel loro concetto (in
ratione
eius),
eccezion fatta
per
colui
del
quale
l'essere detto essenzialmente
(essentialiter dicitur).
Infatti la
sua essenza
pu
essere intesa soltanto mediante lo stesso essere
(per
ipsum
esse), dato che in lui
essenza ed essere sono la stessa cosa.
Ma l'universo non
potrebbe
essere costituito esclusivamente di enti
Contingenti,
che
posseggono
l'essere
accidentalmente,
ossia
per parteci-
pazione?
Niente
affatto,
ribadisce il
dfiuvergne, preoccupato
di affer-
mare la realt del concetto fondamentaledi "Ente necessario o
per
essen-
9) Ibid.,
p.
53.
438 Parte seconda
za",
in cui essenza ed essere sono la stessa cosa. Pertanto scrive: Se
per
per ogni
cosa
l'essere distinto dalla
cosa stessa,
allora necessario che
si
proceda
circolarmente;
oppure
in linea retta e sar all'infinito.
Qui
il
dAuVergne
inizia una
lunga argomentazione per
eliminare i
due
processi,
lineare e circolare, con
i
quali
si vorrebbe
assegnare
la
ragione
sufficiente delle
cose
in
una
totalit di
Contingenti
e cos evitare
di introdurre l'ente necessario o
per
essenza,
cio Dio. Va eliminato il
processo
circolare,
dice il nostro
autore, perch
altrimenti una cosa sar
causa
di
se stessa e
preceder
e
seguir
se stessa. Va eliminato anche il
processo
lineare
all'infinito,
perch
in
questo
caso non si darebbe
ragione
dell'origine prima
e
completa
di un ente
contingente:
mai l'essere dello
stesso A
spiegato
o chiarito
e con A
ogni
altra cosa resta
inintelligbile.
Quindi, se si vuole tenere salva
Yintelligibilit
dell'ente, non
possibie
porre
alcuna
cosa senza
anche
porre
Yens secundum
essentiam,
che Dio.
In
questa
riformulazionedella dimostrazionedell'esistenza di
Dio,
il
carattere a
posteriori dell'argomento
risulta ancora
pi
evidente. Il d'Au-
vergne,
constatato il fatto della
contingenza
della esistenza
degli
enti
che
non
posseggono
l'essere
per
essenza e
supposto
il
principio
di
ra-
gion
sufficiente
grazie
al
quale
soltanto
l'ente,
ossia il reale
intelligibi-
le,
si
rivolge
contro l'inutile
e
assurdo circolo vizioso e
particolarmente
contro la retrocessione all'infinito,
per
poi
concludere alla necessit di
un ens
secundum essentiarrz.
Questo
argomento
basato sulla distinzione
reale tra essenza e actus essendi
negli
enti sar utilizzatovarie volte
anche da S. Tommaso
per
dimostrare l'esistenza di
Dio, e
questa
un'ul-
teriore conferma che si tratta di
un
argomento
a
posteriori, poich
lAngelico
fu uno
dei critici
pi
decisi
dell'argomento
anselmiano.
Stabilita l'esistenza di
Dio,
nel terzo
capitolo
del De
prima principio,
Guglielmo dAuvergne
comincia ad illustrarne
gli
attributi:
Iam incipit
elucere ens essentiale
(cio
l'ente in cui si identificano
essenza ed
essere)
esse. necesse
aeternum et
incorruttibile, non causatum...
ideoque irzgenitunz
et
simplex
in ultimo
sintplicitatis,
hoc est
per
omnem modum. Si
capisce
senza
difficoltche l'ente essenziale o necessario sia anche
eterno,
incorruttibi-
le, non causato,
ingenito:
ma
perch
anche
semplice
in ultimo
simplicita-
tis,
ossia
semplice
al massimo
grado?
Il
d'Auvergne spiega:
Se infatti
fosse in
qualche
modo
composto
e
quindi scomponibile,
sarebbe neces-
sariamente anche causato:
ogni composto
in realt causato dalle
parti
che lo
compongono
e
da colui che lo
compone,
che colui che unisce e
ordina le
parti
nel
composto.
Insomma,
l'ente che voi dite
per
essenza, insegna
il nostro
magister,
non sarebbe
pi
tale, e
quindi
incausato,
qualora
lo affermaste
compo-
sto:
perch ogni composto
causato sia dalle sue
parti
sia da
un
agente
esterno che lo
compone
GuglielmodAuvergne
439
Dalla
somma
semplicit
dellens secundum essentiam il
dAuvergne
deriva l'assoluta trascendenza di Dio nei confronti del
mondo,
dove
tutto
Composto
e
molteplice.
La natura divina dellmente
per
essenza"
anche
unica,
individua
e
immoltiplicabile,
tale cio da
non
potersi
ri-
petere
0 individuarein dei
particolari.
Sullattributo della unicit di Dio il
d'Auvergne
si sofferma a
lungo
nel
complesso capitolo quarto, sviluppando
alcune
importanti
conside-
razioni intorno al
nome
proprio
d Dio e alla
sua
indefinibilit.Il
nome
"Ente
compete
a Dio e
per
essenza e come
singolarmente proprio.
il
nome
che Dio stesso si d:
Qui est,
quando
Mos
gli
chiede di
svelargli
il
suo nome. Qui
est o Ens
non solo un nome che
compete
a Dio, ma
come la fonte donde
ogni
attributo divino deriva. Siamo cos avvertiti
che il concetto di Ente
per
essenza cio necessario" o
di Ente in cui l'es-
sere si identifica
con l'essenza
0 di Ente
semplicissimo
(che
poi
fa tutt'u-
no con
i diversi momenti dello
sviluppospeculativo)
non solo
pratica-
mente centrale anzi fondamentalenella
teologia
naturale del De Trinita-
te, ma
pure
teoricamente,
in
quanto Guglielmo dAuvergne
ha la
piena
consapevolezza
del
proprio procedimentmfl
Con i
neoplatonici,
S.
Agostino, Dionigi lAreopagita
e Avicenna,
Guglielmo dAuvergne
include tra
gli
attributi di Dio anche la ineffabi-
lit. Bench Dio abbia un nome
proprio
e anche molti
attributi,
di fatto
egli sfugge
ad
ogni
definizione
e a
qualsiasi
concettualizzazione.I1
con-
cetto stesso di Ens ci consente di
raggiungere
Dio ma non di definirlo:
Perci
Egli
(Dio)
per
s
impresso
nel nostro intelletto in
quanto ENTE;
ma in
quanto
Dio e
Signore
non fra le
prime apprensioni,
e
questo
il
modo
per
cui
sbaglianoriguardo
ad
esso
i
privi
di intelletto.
Nei
capitoli
successivi del De
Trinitate,
dopo
avere trattato dellesi-
stenza di Dio
e della sua natura,
Guglielmo
studia le
sue
operazioni,
a
partire
dalla creazione. In
quanto
Essere
per
essenza Dio la
prima
e
unica fonte
dell'essere;
pertanto
tutta la realt deriva da lui.
Quindi non
si
pu
ammettere alcun dualismo nel
campo originario
dell'essere. Il
dAuvergne rimprovera legittimamente
ai fautori del dualismo
una
incomprensibile
cecit intellettuale. Ormai risulta chiaro
per quanta
cecit coloro che
sono nell'errore
e i deboli di
mente ammettono due
principi.
Abbiamoormai infatti mostrato che il
suo essere (di Dio)

sotto
ogni aspetto
solitario e
che
nessun altro ad
esso
pari
o coevom"
Di
questi
erronei et imbecilles, come
li definisce
d'Auvergne parecchi
erano
contemporanei
e connazionalidel vescovo di
Parigi,
in
particolare
i catari e
gli albigesi.
w) Ibid,
p.
147.

11) De Trinitate
I, c. 5.
44D Parte seconda
Per
spiegare l'origine
della realt il
linguaggio migliore,
secondo Gu-
glielmo d'Auvergne,

quello
fornito dalla dottrina della creazione,
mentre trova
ambiguo
il
linguaggio
dellflamanatismo.Come si
pu par-
lare di
emanazione,
mentre le cose derivano da Dio in modo che
Dio,
ente necessario, non entra
per
nulla nella loro essenza
contingente?
La creazione non
un'azione
necessaria, come
insegnava
Avicenna,
ma libera;
perch
Dio non e dotato soltanto di
intelligenza
ma
anche di
volont e
questa

supremamente
libera.
Proprio perch
un'azione
libera,
la creazione non
ha avuto
luogo
ab
aeterrxo, come
asserivano Al-
Farabi, Avicennae Averro,
filosofi verso
i
quali
il
dAuvergne
nutriva
grande
ammirazione, ma contro i
quali
non esitava a
prendere posizione
quando
le loro dottrine
gli
sembravano errate.
Guglielmo dAuvergne
non uomo da lasciarsi
aggirare
o
intimidire. I
signori peripatetici
o
ari-
stotelici che stanno
per
l'eternit del mondo
egli
non esiter un
solo
istante a metterli benein vista e a
combatterli con tutte le sue
forzewz
Certo la
potenza
di Dio infinita
e
poteva
creare il mondo sin dall'e-
ternit, ma
di fatto il mondo sublunare lo ha
prodotto
nel
tempo,
non
per
1a sua
impotenza,
ma
per
la natura stessa di
questo
mondo che
essendo materiale anche
soggetto
al
tempo.
Trattando della creazione il
DAuvergne pone
fortemente l'accento
sulla voluntas liberrinraac
potentissima
creatoris. Coloro che
negano
a Dio
libert
e
volont fanno del loro Dio una
pura
forza naturale
priva
di co-
noscenza: a tale concezione di
un
Dio irrazionale
non
pu
consentire -
esclama il nostro autore - che
un essere
irrazionale:
Quarti
irrationale
autem sii
primam potentam ponere
irrationalem nonnisi
qui
irrationabilisest
ignorat.
Perci nella liberrima
ac
potentissima
voluntas creatoris non
c' nulla che
lo abbia costretto a creare
questo
mondo, come
insegnava
Avicenna, e
neppure
a creare un
mondo
perfetto
come
sosteneva Abelardomolti
secoli
prima
di Leibniz. Molti hanno creduto che l'universo sia uscito
dal Creatore come
lo
splendore
dal sole
o
il calore dal fuoco: cos dalla
sua bont uscita la bont dell'universo e
dalla
sua
vita la vita che c'
nell'universo, e
analogamente
delle altre
cose,
e cos sono stati indotti a
pensare
che il Creatore non
avrebbe
potuto
fare
diversamente, esatta-
mente come
accade nei
predetti esempi
del sole
e
del fuoco>>fl3
Guglielmo d'Auvergne
non cessa di insistere sul fatto che l'artista
divino, mentre
opera
al di fuori di s resta nella
pienezza
della sua
libert. La creazione va
pensata
si come arte, non
per
come un'arte che
13) A.
MASNOVO,
Da
Guglielmo dfiflluvergire...
cit.,
vol. Il,
p.
134.
13) De zmizwrsti I,
p.
1, c.
2].
Guglielmoduvergne
441
quasi travolga
l'artista nel
suo
fatale
agire,
sebbene come un'arte
che,
pur
essendo
vita,
rispetta
ed afferma la
somma libert divina:
Quindi
non solamente arte o
sapienza
ma
anche virt e vita, ed frutto ab-
bondantissimoin
ogni
cosa
che
Yaccoglie:
e tuttavia tale
per
la somma
perfezione
della
libert, come dissi
prima: per
cui
egli
arte vitale
e
vir-
tuosa al massimo
grado. Appunto per questo
le
cose,
bench volute in
un verbo
eterno,
accadononel
tempo
secondo la successione liberamen-
te determinata nel Verbo da Dio.
Conferire l'essere alle creature azione
propria
ed esclusiva di
Dio, e
con l'essere Dio conferisce alle creature anche tutte le altre
perfezioni.
In
questo
senso Dio non
ha
bisogno
di alcun intermediario: n del Nous
dei
neoplatonici
n delle
intelligenze
di Avicenna:
perfettamente
vero
che il Creatore causa
egualmente
tutte le
cose
per quanto
lo
concer-
ne e in modo
semplice
e diretto,
perch
l'intermediario
(medium) o
gli
intermediari
non
aggiungono
nulla n diminuiscono la causalit. Gi ti
ho
spiegato
nel
primo
trattato
(De Trinitate)
che soltanto il Creatore
degno
di
portare
il
nome di
causa
propriamente
e
veramente;
invece le
altre cose che
servono come
intermediari del
causarenon sono
che
mes-
saggeri
che annunciano
quanto
e stato loro trasmesso dal Creatore
(...).
Pertanto tutte
queste cose,
che noi chiamiamo
cause, riempite
dallinon-
dazione della fonte
prima
e universale, trasmettono alle altre
cose ci
che sovrabbonda.14
Esaltando
l'onnipotente
Volont di
Dio,
la
sua sconfinata libert e
riservando
a Lui solo la
causalit,
Guglielmo d'Auvergne
abbandona le
dottrine di Aristotele
e Avicerma
e si schiera
apertamente
con
Agostino,
il
quale
rimane una
guida
insostituibile
per
tutti coloro
che, come il
nostro,
intendono elaborare
una metafisica cristiana.
La
pi importante
novit dell'edificiometafisico costruito da
Gugliel-
mo
d'Auvergne
il ruolo che vi si
assegna
all'essere,
che diviene il
car-
dine dell'intero edificio.
Cos,
dopo
la
lunga
serie di metafisiche henolo-
giche
elaborate dai
neoplatonci pagani,
cristiani
e arabi abbiamofinal-
mente una
metafisica
ontologica.
In
Guglielmo d'Auvergne
l'essere
non
gode pi
soltanto di un
primato gnoseologico
come
in Avicenna
(ens est
prima
animate
inzpressio)
ma di
un
primato
metafisico. D'altra
parte
l'esse-
re
regge
l'intero edificio metafisico
non
perch
il concetto
pi
univer-
sale, ma
perch
la
pienezza
della realt
e,
in ultima
analisi,
si identifica
con Dio stesso: l'essere
per
essenza.
La
ragione principale
dell'affermazionedell'essere
come
il costitutivo
metafisico di Dio stesso il
d'Auvergne
non
la
accoglie
n da Aristotele
n da
Avicenna, ma anzitutto dall'Es0d0 che
aveva definito Dio
come
14) Ibid, I,
p.
1, c. 26.
442 Parte seconda
Qui
est e
poi
da Boezio che
aveva
affermato l'identit dell'asse e del
quod
est in Dio.
Nella sua
metafisica dell'essere il
d'Auvergne
si
qualifica
come
il
pre-
cursore
pi
diretto e
pi importante
di S. Tommaso. Con ci non si vuol
dire che il
d'Auvergno
sia stato un tomista ante litteram;
troppo
numero-
se sono
infatti le
divergenze
tra i
due,
soprattutto
in
antropologia
e
in
teologia
fondamentale. In
antropologia
il
d'Auvergne
rimane sostanzial-
mente all'interno di una
prospettiva agostiniana,
mentre Tommaso
segue l'impostazione
aristotelica;
in
teologia
fondamentale
Guglielmo
dAuvergne
afferma il
primato
della volont in
Dio,
mentre
lAquinate
sostiene il
primato
della conoscenza.
Ad
ogni
modo, una cosa certa: uno dei
pi importanti ispiratori
della metafisica dell'essere di Tommasofu il
d'Auvergne,
del
quale
il
gio-
vane
frate domenicano non
poteva
non conoscere
gli
scritti, perch
Gu-
glielmo reggeva
la diocesi di
Parigi, quando
Tommaso
giunse
in
quella
citt
per
iniziarei suoi studi
teologici
sotto la
guida
di Alberto
Magno.
Filippo
ilCancelliere
Nato a
Parigi
nel 1170
ca., Filippo
fu maestro di
teologia
in
quella
universit verso
il
1206, e cancelliere dal 1218 al 1236. Tra il 1230 e
il
1236
compose
il suo scritto
principale,
la Summa de
bono,
che ritenuto il
primo
trattato sistematico sui concetti trascendentali.
Prima di lui dei trascendentali aveva
parlato ampiamente
Avicenna.
Questi aveva
considerato come concetti
supremi
della mente la
res, l'ens,
Yunum,
il
verum,
il
bonum,
il
possibile,
il
necessarium, ma non aveva elabo-
rato nessuna
dottrina
organica
di
questi
concetti
collegandoli
allens, e
non aveva visto in essi
gli aspetti primi
dell'essere.
Gi in
precedenza Guglielmo
d'Auxerre si era avvicinato alla dottri-
na dei trascendentali identificando il
verum e
il bonum. Nella Summa
Aurea
leggiamo:
Il Vero e il bene sono
identici. Mentre
per
il
Vero co
stituisce il fine dell'intelletto e della
speculazione,
il bene tale in
quan-
to fine del desiderio e dell'azione. Infatti
proprio
Aristotele nel libro
De anima ha detto che vero e
bene sono identici, mentre
per
il vero
senza atto,
il bene connesso con latto".15Non
pare, per,
che
Cugliel
mo
d'Auxerre
concepisca
il
verum come
perfezione
trascendentaleonto-
logica.
15) GUGLIELMODAUXEKRE,
Summa aurea III, t. 10,
cap.
4,
q.
3.
Guglielmodbauvergne
443
La
prima
trattazione sistematica dei trascendentali si
trova,
invece
nel
Prologo
della Summa de bono di
Filippo
il Cancelliere. In
quest'opera
l'autore intendeva combattere il
pessimismo degli albigesi
e
fare chia-
rezza sul
problema
del bene. Prendendo a
prestito l'espressione
di Avi-
cenna, egli
elenca le tre condizioni trascendentali che
accompagnano
l'ente: tres Conditiones concomitantcs
esse,
che
sono Funum,
il
verum e il
bonum. Alla
pari
dell'ente,
si tratta di concetti comunissimi: communissi-
ma autemhaec sunt:
ens, unum, vcrum,
borzum. Infatti
per
la mente umana
non si danno nozioni
pi
universali di
queste.
Filippospiega l'appartenenza
essenziale dei tre trascendentali all'es-
sere facendo riferimento alle tre cause
che
agiscono
in un medesimo
ente,
vale a dire la
causa efficiente,
formale
e
finale
(esclude
la causa
materiale).
Poich ciascuna essenza caratterizzata dalle tre rationes di
queste cause,
il
suo essere
accompagnato
da tre
condizioni,
posto
che
esso derivi dall'Essere Primo.
Ogni
ente riceve la
propria
unit dalla
Causa
Prima,
la verit da Dio in
quanto
causa
esemplare
e
la
sua bont
da Dio in
quanto
causa finale.
Le tre
propriet
trascendentali sono identiche
all'ente,
sebbene diffe-
riscano nel contenuto concettuale. La bont ad
esempio aggiunge
all'en-
te la nozione che
esso non
separato
dal
suo fine.
La Seconda
Questione
del trattato studia i
rapporti
tra bont e Verit.
Filippo
cita
l'opera
anonima Liber de vero et bono
(che
egli
attribuisce ad
Agostino):
la bont
e
la verit sono convertibilinel
soggetto
di cui esse
sono
predicate.
Ciononostante i due termini
differiscono,
dal momento
che
vero
opposto
a falso e buono a cattivo.
Egli
intravede
un
accordo
tra i due
principi
la verit manifesta l'ente
e ilbenecomunica se stes-
so. Come
Guglielmo
dAuxerre,
al
quale
sembra
appoggiarsi, egli
po-
stula la
priorit
del
vero
rispetto
al bene:
verum naturaliter
prius
est
quam
bonum. Nonostante
Filippo
abbia mutuato molto da
Avicenna,
egli
trasforma la teoria di
quest'ultimo ponendo
i concetti trascendentali
all'interno dell'ente stesso.
La teoria dei trascendentali
segna
un
passo importante
nello
svilup-
po
della metafisica cristiana. Infatti
una volta che l'essere
(esse) non
soltanto il concetto
pi
comune ma
la
perfezione pi
elevata, a tal
punto
da identificarsi
con
l'essenza di
Dio,
allora i trascendentali diventano i
primi
e
pi importanti
attributi della natura divina: la natura divina
che
una, vera,
buona
e tutto ci in
sommo
grado.
I trascendentali inol-
tre non solo chiariscono in un certo
qual
modo la struttura della natura
divina, ma illustranoanche i suoi
rapporti
con le creature. Cos dall'Un0
procede
il
molteplice,
che tuttavia nella sua
molteplicit
conserva sem-
pre
una sostanziale
unit;
dal Vero
procede lntelligibilit
e la verit
delle
creature;
dal Bene deriva la stessa
ragione per
cui le creature sono
tratte dal nulla
e
poste
in essere.
444 Parte seconda
Completate
le "Conversioni" dei trascendentali tra di
loro,
Filippo
trae le conclusioni
teologiche.
Fonte di tutto il reale il Sommo Bene:
se non esistesse,
gli
esseri trarrebberola loro bont
gli
uni
dagli
altri,
in
un
processo
infinito di causalit
reciproca
che
distruggerebbe
la nozione
stessa di bene trascendentale
(ergo
destruitur
bonum).
Chiamare Dio
Sommo Bene
non
significa aggiungere qualcosa
a ci che
Egli
e
(Ego
sum
qui
sum). E, invece,
la nozione di
primo
bene a
postulare
la sua
assoluta
semplicit
ontica di esclusivo atto senza
potenza, quella
stessa
semplicit
che
all'origine
della Considerazione
ontologica
della indivi-
sione della
potenza
e dell'atto. Poich diciamo che Dio il Sommo bene
per
essenza,
dobbiamo anche dire che ha creato liberamentee
che la
bont la
disposizione
della volont che rende
produttrice
la causalit
efficiente. D'altra
parte, poich
il bene Dio
stesso, esso non
pu
essere
comune a Dio e allesse creaturae: occorrer dire, invece,
che in s e
per
s
conviene solo
a Dio, mentre si
predica
delle creature in
quanto vengono
da Lui e a Lui ritornano,
secondo l'ordine del fine che
per
ciascuna Lui
ha stabilito.Ecco il testo del Cancelliere: In senso
proprio (questi
termi-
ni)
convengono
a Dio;
alla creatura
convengono
invece in
quanto
da Lui
proviene
e a Lui diretta
(ab
ipso
et ad
ipsum)
e
questa
una comunanza
tra Dio e
la creatura secondo il
rapporto
del
prima
e del
poi
(est commu-
nuntia secundun
prius
et
posterius).
Il "bene" infatti si dice di Dio
perch
fine della
creatura, e altres si dice della
creatura, perch
essa ordinata
al
fine; come
l'ente
(ens),
primariamente
(secundum
prius)
si dice della
sostanza che
per
se stessa
ente,
e
secondariamente(secundirm
posterius)
si dice anche dellaccidente che e tale in forza della sostanza
che
cos,
indirettamente,
si conosce
in esso.16
Questo
testo contiene una
chiara formulazione della dottrina della
nalogia,
dottrina
capitale per
intendere correttamente
il senso
del lin-
guaggio teologico
e
anche del
linguaggio
metafisico in
generale.
L'ana-
logia
viene intesa dal Cancelliere come
predicazione
secundum
prius
et
poster-ius,
che il
tipo
di
analogia
che
meglio
consente di
salvaguardare
la trascendenza divina nei confronti delle
creatura; e non
la considera
dunque
come
predicazione
secondo il criterio della
proporzionalit,
dove la subordinazione delle creature a Dio resta
inespressa.
Anche
su
questo punto
l'autoredella Summa de bono si
pu
ritenere un
anticipato-
re
d S. Tommaso
d'Aquino.
Linf1usso di
Filippo
il Cancelliere si fa sentire nelle Somme di
Alessandro di
Hales,
di Giovanni de la Rochelle
e,
in
genere,
su tutto il
periodo
immediatamenteanteriore alla Scolasticadella et aurea.
1)
Summa de
bono,
q.
5.
Guglielmo
d
Auvergne
445
Suggerimenti bibliografici
GUGLIELMOUAUVERGNE
Opere: Magisterium
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Norimberga 1496,
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1930-1946; I. ROHLS, Wilhelm
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Arisfotelismus, Mnchcn
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FILIPPOIL CANCELLIERE
Opere:
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Wicki,
2
vo11., Berna 1985.
Studi: E.
BETTONI,
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H.
POUILLON, Le
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trarzscendentales.
La "Summa de Bono da Chancellier
Philippe,
in "Revue
noscholastique
de
philosophie"
42
(1939),
pp.
40-77.
446
ALBERTOMAGNO,
COMMENTATOREDI ARISTOTELE
Alberto
Magno
uno
dei
principali
artefici del rinnovamento
della
cultura
teologica,
filosoficae
scientifica che ebbe
luogo
in Occidente du-
rante il secolo XIII.
Accogliendo
i nuovi
apporti
dovuti al
pensiero
di
Aristotele e a
quello degli
Arabi
egli
ha creato una nuova
sintesi tra ari-
stotelismo,
platonismo
e
cristianesimo.
Vita
Alberto fu conosciuto comunemente dai suoi
contemporanei
europei
come
fra Alberto il tedesco
(frater
Albertus Teutonicus) o
Alberto di
Colonia
(frater
Albertus de Colonia).
Ma tra i suoi concittadini e
confratelli
della
provincia
di Germania era
conosciuto
pi propriamente
come
fra
Alberto di
Lauingen, perch egli
era
nativo di
quella
cittadina della
Svevia. La sua era una
famiglia
di
militari,
di nobiltminore,
al servizio
dei corti di Bollstdtfl
Incerta la data di
nascita,
che alcuni (Pelster, Scheeben)
collocano nel
1193,
mentre altri
(Mandonnet,
Lottin, Puccetti,
Glorieux e
Van Steen
berghen) posticipano
fino al 1206. Secondo
Weisheipl
si
pu
affermare
con certezza che Alberto
nacque
intorno al 1200 o
poco prima.
Ebbe un
fratello minore, Enrico,
che entr nell'ordineDomenicano, e due sorelle,
che abbracciaronoanch'esse la vita
religiosa.
Per
quel
che
riguarda
la sua
educazionee
la sua
istruzione
possiamo pensare
con
verosimiglianza
che
abbiaavuto dei
precettori
in casa e
che sia
poi passato
a
frequentare qual-
che scuola claustrale.
Nel
1220,
mentre il
padre
si trova in Lombardia
impegnato
con
l'eser-
cito di Federico II,
Alberto viene in Italia
accompagnato
da uno zio e
compie
i suoi
primi
studi universitari di diritto e
di scienze naturali
forse a
Bologna
e sicuramente a Padova,
nella universit che si era
costi-
tuita
proprio
in
quell'anno,
distaccandosi da
Bologna.
A Padova
egli
non
1)
Nella ricostruzione della vita di Alberto
Magno
abbiamotenuto
presente soprat-
tutto la
biografia
di A. PUCCETTI,
S. Alberto
Magno,
2 voll.,
Siena 1937, e].
S. W121-
SHEIPL,
La ziita e le
opere
di S. Alberto
Magno,
in Alberto
Magno
e
le scienze, a cura
di
].
S.
Weisheipl,
ESD, Bologna
1994,
pp.
17-58.
Alberto
Magno
447
consegu
nessun titolo accademico. Oltre alla filosofiastudi medicina
e
fece ia
prima
conoscenza con le
opere
etiche
e fisiche di Aristotele. Le
scienze naturali divennero ben
presto
il
campo
del
sapere
in cui
poteva
vantare una
profonda conoscenza e una
competenza superiore
a
quella
di tutti i suoi
colleghi
e cos si
guadagn
subito il
soprannome
di
filosofo,
che allora
equivaleva
a
quello
di scienziato
o
fisico.
Mentre era studente
a
Padova, Alberto si fece domenicano
e ricevette l'abito da Giordano di
Sassonia intorno alla
Pasqua
del
1223, nonostante molte difficolt
perso-
nali
e familiari,come si
narra nelle Vitae
frutrum.
Subito
dopo
i suoi
superiori
decisero di inviarlo nel convento di Colonia
per compiere
il
noviziato
e
per
attendere
agli
studi
teologici.
Nel 1228 Alberto diventa lector di
teologia, prima
nel
suo convento a
Colonia
e
poi
a
Friburgo
e a Ratisbona, dove nei 1236 scrisse il
suo
pri-
mo trattato
conosciuto,
il De natura
boni,
nel
quale
si
parla
del bene
so-
prattutto
dal
punto
di vista
morale, e non da
quello ontologico.
Nel 1242 viene inviato
a
Parigi per
il
conseguimento
dei
gradi
acca-
dernici: demum nzissus Parisius ad
legendum
Sententas. Il commento di
Alberto, in sette volumi
(nell'edizione
Borgnet),
sui
quattro
libri delle
Sentenze chiaramente
una ordinatio,
cio
una edizione
preparata per
i
rivenditori di libri.
certo che Alberto
complet
il
suo commento defi-
nitivo sul
quarto
libro
a Colonia nel 1249. Nel 1245 diviene
magister
theo-
logiae
e
per
tre anni
ricopre
una delle due cattedre di
teologia
che i
Domenicani
avevano nel convento
parigino
di
Saint-Iacques.
Il frutto
dell'insegnamento
di
questo periodo
la Summa de
creaturis,
suddivisa
in sei
parti:
De
quattuor coeqitavis,
De
sacramentis,
De
incarnaiione,
De
resurrectione, De
homine, De bono. A
Parigi
Alberto ha l'onore di
anno-
verare tra i suoi
giovani
studenti Tommaso
d'Aquino.
Quando nel
1248,
il
Capitolo generale
dei
Domenicani, tenuto a Pari-
gi,
decide di
aprire
un nuovo studium
generale
in
Germania, e
precisa-
mente a Colonia,
l'incaricoviene affidato
a uno studioso
gi
affermato
e
autorevole, come Alberto,
il
quale
lascia cos la
sua cattedra
parigina
e
porta
con s a Colonia anche il
suo alunno
prediletto,
del
quale
aveva
gi
intuito la
genialit:
Tommaso
d'Aquino.
Una volta arrivato a Colo-
nia i suoi confratelli lo
pregarono
di
spiegare
i libri naturales di Aristote-
le. Alberto accolse di buon
grado questa
richiesta
e inizi
quella grande
impresa
che
sono le sue
parafrasi
alle
opere
di Aristotelecon il
commen-
to dei
Physicorum
libri
e del De coelo et munda.
Dal 1254 al 1257
ricopre
con
grande
zelo anche la carica di
provincia-
le della
Germania,
visitando i numerosi conventi dei Domenicani
e delle
Domenicane.
Appunto
in
quegli
anni si stava facendo
particolarmente
aspra
la lotta tra clero secolare
e clero
regolare per
il diritto di
insegna-
448 Parte seconda
mento all'universit di
Parigi:
nel 1255
Guglielmo
di SantAmore,
capo
dei maestri secolari che
osteggiavano l'ingresso degli
Ordini Mendicanti
nell'universit,
scrive il De
periculis
novissimorum
tcmporum.
I
principali
esponenti degli
Ordini Mendicanti chiamati in causa
da
questo opuscolo
erano
Bonaventura da
Bagnoregio,
dei Francescani, e Tommaso
d'Aqui-
no,
i
quali replicarono
all'autore con
due memorabili
opuscoli.
Ma il
maestro
generale
dei Domenicani riteneva necessario un
intervento
della Santa Sede
perch
la
questione
fosse autorevolmentee
definitiva-
mente risolta. A tal fine nel 1256 invia Alberto alla Curia
pontificia,
che
si trovava
allora ad
Anagni, per
sostenere
la causa
degli
Ordini Mendi-
canti. Cos nel settembre Alberto difende dinanzi alla Curia
papale
il di-
ritto dei frati ad
insegnare
nelle universit, e
lo fa con
tale successo
che il
5 ottobre Alessandro IV condanna
l'opera
di
Guglielmo
di SantAmore.
Alberto si trattiene ad
Anagni
ancora
per
qualche tempo
e su
richiesta
dello stesso
pontefice compone
il De unitate intellectus contra
Avermcm
per
confutare
gli
errori del filosofoarabo.
Nel
1257,
rientrato in Germania e
sollevatodalla carica di
provincia-
le,
Alberto
riprende gli
studi
e
l'insegnamento
a Colonia dove rimane
fino al
1260,
lavorando intensamente alle sue
parafrasi
aristoteliche.
di
questo
periodo
la
parafrasi
del De animalibus.
Nel 1260 accetta la nomina a vescovo
di Ratisbona
per
riportare
ordi-
ne
in
quella
diocesi che si trovava in
gravi
difficolt finanziariee
disci-
plinari. Dopo
un
paio
d'anni,
portato
a
termine il suo
compito
rinuncia
alla carica. Dal 1262 al 1263 trascorre un biennio,
prima presso
la Curia
papae
di Viterbo,
dove in
quel periodo
si trovavano
anche Tommaso
d'Aquino
e
Guglielmo
di Moerbeke, e
successivamente ad Orvieto,
componendo
le
parafrasi
all'Etica, agli
Analitici
posteriori
e
alla Politica.
Nel 1263 accetta un nuovo
gravoso
incarico che Urbano IV
gli
affida:
predicare
in Germania la crociata
per
la liberazionedi Gerusalemme.
Alberto si reca
in molte citt tedesche ma
pare
con scarso successo,
e
dopo
un anno
l'incaricoviene
sospeso, per
la morte di Urbano IV. Per al-
cuni anni
riprende l'insegnamento
in vari conventi dell'Ordine,
fino al
1269 anno
in cui si stabiliscenel convento
domenicano di
Heilige
Kreuz
di Colonia dove rimane fino alla morte. Sono incerti sia la sua
partecipa-
zione al Conciliodi Lione (1274)
sia il suo
viaggio
a
Parigi
nel 1277
per
difendere il suo
amatissimo
discepolo
Tommaso dalla condanna del
vescovo
Tempier.
Il 13 novembre 1280 Alberto muore
nella sua cella nel convento
di
Colonia.
Alberto
Magno
449
Opere
Esponendo
la vita di Alberto abbiamo riferito i titoli di alcune sue
opere;
ma
rispetto
alla sua
vastissima
produzione
letteraria essi non ne
rappresentano
che
una
piccola porzione.
Alberto ha scritto moltissimo,
ed essendo una mente
enciclopedica
ha scritto di tutto:
teologia,
filoso-
fia, scienza, esegesi,
mistica.
Anche a un rapido
esame
l'edificio dottri-
nale costruito da Alberto mostra dimensioni colossali. La
prima
edizio-
ne
dell'Opera
omnia, curata da P.
Jammy
(Lione 1651), comprende
21 VO-
lumi in folio;
la seconda,
fatta da1labate
Borgnet
e
cominciata nel 1890
comprende
38 volumi, mentre una nuova
edizione diretta da B.
Geyer
e tuttora in corso
prevede
oltre 40 tomi.
Nellattivit di scrittore di Alberto F. Van
Steenberghen distinguo
quattro periodi:
1)
Primo
periodo teologico
(1236-1248),
al
quale apparten-
gono
gli
scritti fondamentali
gi
citati: De natura boni,
Summa de creaturis
e
il Commento alle Sentenze di Per lombardo. 2)
Periodo mistico e
dionisiano
(1248-1254),
che coincide col secondo ciclo di
insegnamento
di Alberto
Magno
a
Colonia.
costituito dal commento
all'intero
corpus
dionisiano
e
dalla
prima spiegazione
dell'Etica a
Nicomaco che
egli
fece durante il
soggiorno
a
Colonia. 3)
Periodo
filosofico
0
aristotelica (1254-1270)
consa-
crato alla stesura
delle
grandi parafrasi
di Aristotele,
che si estendono a
quasi
tutto il
corpus
aristotelico e
che
comprendono
inoltre scritti di
Boezio (De divisione,
De
syllogismo)
e
il De caasis. In
queste
parafrasi
si
possono
distinguere
tre
parti:
la
philosophia
rationalis
(lOrganon
di Ari-
stotele
e
i trattati di Boezio),
la
philosophia
realis
(i
libri naturales di Aristo-
tele,
le
opere
di astronomia,
la
Metafisica,
il De causis et
processu
universi-
tatis) e
la
philosophia
moralis (Etica e Politica). 4)
Secondo
periodo teologico
(1270-1280):

contrassegnato
dalla stesura della Summa
theologiae,
che
rester
incompiuta
e
che
ignora
la Somma
teologica
di 5. Tommaso!
La
personalit
In
un
secolo ricco di
grandissime personalit
in tutti i
campi
della
cultura
basti ricordare i nomi di Innocenzo III,
Gregorio
IX e
Bonifacio
VIII
per
il
governo
della Chiesa,
di S. Francesco e
S. Domenico
per
il rin-
novamento
della vita
religiosa,
di Federico II
per
la
politica,
di Dante
per
la
poesia,
di Giotto
per
la
pittura,
di Bonaventura e
di Tommaso
per
la
teologia
- la stella di Alberto
Magno splendette
radiosa in modo in-
2)
Cf. F. VAN
STEENBERGHEN,
Le
grandi
sintesi dottrinali dal 1250 al
1275,
in Storia della
Chiesa, a cura di Fliche-Martin,
vol. XIII,
pp.
331-332.
450 Parte seconda
confondibile,suscitando
grande
ammirazione
ovunque.
Fu chiamato
giustamente
DOCO?
Universals,
perch
i suoi meriti di
pensatore
e
di
scrittore si estendono
a tutti i
campi degli
studi sacri e
profani,
dimodo-
che fu detto
che, se fosse
perita
tutta la scienza dei suoi
tempi, egli
sarebbe stato
capace
da solo di risuscitarla dal tesoro della
sua mente.
In tutta la
sua vita S. Alberto fu
monaco, dottore,
apostolo.
N solo
limitava la
sua influenza alle classi
colte, ma scendeva
ancora tra le file
del
popolo
a
spargere
il
seme
evangelico.
Una cos fatta vita si riassume
in
una frase: virt e
sapere
al servizio
dellapostolato, e
di
un
apostolato
integrale, concepito
come termine di
ogni attivit, ma in maniera che
tutta la vita sia
protesa
come una molla
potente
verso il benedei fratelli.
Nel Santo di Colonia evidentissima
questa
convergenza
di tutte le
energie
verso lo
scopo
sublime
dellapostolato;
si direbbe che
egli
tema
di
volteggiare troppo
a
lungo
nei cieli solitari della
speculazione,
e senta
il
bisogno insopprimibile
di
accorrere sui
campi
sterminati della vita
pratica,
dove
gli
uomini
gemono,
si
agitano, furoreggiano, cadono,
nel
quotidiano,
estenuante combattimento!
Bernardo
Guidonis, suo
contemporaneo,
delinea
con
questi
tratti inci-
siv la
sua
figura:
Alberto Teutonico fu massimo nelle scienze fisiche
e
divine. Lascio molti
e vari volumi
a tutto il
mondo; e
quello
che scrisse
nellesporre
la Sacra Scrittura
e
le altre scienze ha
profondit
di
concetto,
altezza di
significato
e
di sentenzenfl Un analista
tedesco,
che scriveva
intorno alla met del secolo
XV,
lo chiama il Varrone
germanico,
o
per
dir
meglio,
molto
pi
dotto di
Varrone,
perch
niente
gli sfugg
ma tutto
conobbe
a
perfezione,
e
fu veracissimo conoscitore della
natura,
dietro
Aristotele. La
dialettica,
la
matematica,
la
fisica,
la
geometria,
la metafisi-
ca, l'etica,
la
teologia e,
se
lecito,
anche le scienze
occulte, sono
esposte
con tanta esattezza e
precisione,
come
egli
non si fosse consacratoche
a
una materia
sola, senza
occuparsi
delle altre: tanto
sono
perfette
nel loro
genere!
Non conobbe
meno le dottrine di
Platone,
di
Epicuro,
di
Pitagora
e
degli
altri
filosofi,
che
quelle
di
Aristotele;
fu il
primo
tra i latini
a ricer-
care
quanto
di
egregio
vi fosse nei
pensatori greci,
latini, arabi,ebrei,
egi-
ziani;
fu tra i latini il
primo
a scrivere commenti su tutti i libri di Ari-
stotele, Euclide,
Pietro Lombardo
e
simili autori.5
Non
meno
lusinghieri
i
giudizi espressi dagli
storici moderni
riguar-
do alla vastit e
all'importanza
del lavoro
filosofico,
scientifico
e
teologi-
co
compiuto
da Alberto
Magno.
Alberto
scrive C. Baeumker - un
pensatore
dotto
e
profondo,
e nello stesso
tempo
uno
spirito
sensibile,
3) A.
PUCCETTI,
0p.
ciL, I,
pp.
208-209.
4) Citazionein
ibid, Il,
p.
41.
5) lbid.,
p.
43.
Alberto
Magno
451
ricco di belle
doti,
che
accoglie
e
sviluppaogni impressione
che lo
colpi-
sce.
Egli
vive in
un
periodo
di
poderosa agitazione
nel mondo della
spe-
culazione filosofica
e
teologica,
la
quale,
a causa di
molteplici
forze
motrici, e
specialmente
di nuove idee
provenienti
dalla scienza ellenica
e dall'Oriente,
si trovava in
grande
fermento. Col suo
Sguardo egli
domi-
na tutto
questo
fenomeno. Con
grande
flessibilitabbraccia molte cose:
speculazione
filosofica c scienza
teologica positiva;
acuta ed esatta
meditazione della natura e
fede
pia;
scolastica
e mistica.6 Alberto Ma
gno
attesta P. Mandonnet -
pens
di
incorporare
nel lavoro scientifico
di cui Aristotele forniva il
principio capitale,
tutto ci che
Fantichit, i
maestri arabi e la
sua
personale esperienza potevano offrirgli quali
ele-
menti utili al
suo
disegno.
Giunse cos alla concezione di
un'opera
che
metteva alla
portata degli
uomini di studio la totalit dei risultati scien-
tifici,
quali
lo
spirito
umano aveva
elaborati fino a lui
(...).
Egli organizz
un
piano generale ispirato
ad Avicennae lo
riemp
sovrabbondantemen-
te
incorporandovi
tanto i materiali di Aristotele e
dei suoi commentato-
ri,
quanto
le
proprie
osservazioni. Fu
questa
facilitdi intendere Aristo-
tele e di avere sottomano tutta la scienza antica a
fare la straordinaria
fortuna
dell'opera
di Alberto
Magno?
Il
gesto
audacedi
questo
mae-
stro di
teologia
dichiara F. Van
Steenberghen
-
era
pieno
di
significato.
Alberto
proclama,
con tutto il suo modo di
agire,
che lo
sviluppo
delle
scienze
profano
necessario e benefico, e
che la stessa
teologia
trover
in
esso
il
proprio
utile. A
questo
tacito
insegnamento egli
unisce le
dichiarazioni
pi esplicite
sulla natura e i metodi
propri
della
teologia,
della filosofia
e
delle scienze
particolari,
costruite secondo i dati dell'os-
servazione e della
sperimentazione.
La
sua curiosit scientifica
non
ha
limiti
e
il
suo
sapere
talmente vario e cos universale che
egli
si trova al
punto
di
partenza
di
quasi
tutte le correnti dottrinali del
suo secolo: to-
mismo,
neoplatonismo,
mistica
tedesca,
movimentoscientifico.8
Il
programma
Uimmensa
opera
letteraria - in
particolare
le
grandi parafrasi
di Ari-
stotele - la
splendida
realizzazionedel
programma
che Alberto aveva
concepito
sin dai
primi
anni della
sua docenza
parigina:
rifare Aristote-
le a uso dei latini.
6) C.
BAEUMKER, Der Anteil des Elsass ari der:
geisrigen Bewegungen
des
Mittelalters,
in
Beitrge
zur Geschichte der
Philosophie
und
Theologie
25
(1928),
pp.
228-229.
7) P.
MANDONNET,
Siger
de Bralmnt et lzivcrmisnze latin mi XIII sicle
l,
Louvain
1911,
pp.
37-38.
8)
F. VAN
STEENBERGHEN,
Le
grandi
sintesi...
ciL,
p.
341.
452 Parte seconda
Ci
gi
noto il
tortuoso,
difficilee
lungo
cammino che aveva restitui-
to Aristotele al mondo latino. La
presenza
di Aristotele nelle
universit,
lungamente
frenata dai divieti
ecclesiastici,verso
il 1250 si afferm defi-
nitivamente, e
nel breve
giro
di un
quinquennio
tutte le
opere
di
Aristotele,
tradotte in
latino,
divennero materia di
insegnamento
obbli-
gatorio
nella facoltdelle Arti di
Parigi.
Nel 1252 la nazione
inglesepro-
mulga
nuovi
statuti,
che
regolano
l'ammissione dei baccellieri all'inse-
gnamento
ed enumerano
le materie di
esame, imponendo
ai candidati
alla licentia docendi di
avere
seguito
non
soltanto i corsi della
logica
anti-
ca e
nuova,
del Liber sex
principiorum,
del Priscianus minor et
magnus,
ma
anche
quello
del Liber de anima di Aristotele. Nel 1255 l'intera facolt
delle Arti a mettere in
programma
tutte le
opere
conosciute di Aristote-
le,
ivi
comprese
tre
pseudoepigrafi
aristoteliche: il De
caasis,
il De
plantis,
e
il De
daifferentia spiritus
et animae. Oltre alla
logica
antica e
nuova,
con
i
commenti classici di
Boezio,
oltre ai libri di
grammatica
e ai sex
principia,
sono ricordate le
seguenti opere:
Ethicas
quantum
ad
quatuor
libros,
Physi-
corunz Aristotelis,
Metaphysicam
et librum de
animalibus,
Librum cocli et
mundi,
Librum
primum
metheorum,
Librum de
anima,
Librum de
causis,
Librum de sensu et
sensato,
Librum de somno et
vigilia,
Llibrum de
plantis,
Librum de memoria et reminiscentia,
Librum de
difierentia spiritus
et animae
(di
Costa ben
Luca),
Librum de morte et vita.
Questo
improvviso dilagare
di Aristotele non
poteva
certo esser
ben
visto dai maestri della facolt di
Teologia,
i
quali appartenevano quasi
tutti aliala conservatrice (dei
chierici secolari e della scuola francesca-
na).
Essi erano contrari
all'impiego
della
psicologia
e
della metafisica
aristotelica nella formulazione del
dogma
cattolico. Nel suo commento
In
epistulas
Beati
Dionysii Areopagitae
scritto tra il 1250 e
il
1255,
Alberto
Magno esprime
tutto il
suo
sdegno
contro
gli
avversari della filosofia:
Ci sono
degli ignoranti
che
vogliono
in tutti i modi combattere l'uso
della
filosofia,
soprattutto
tra le file dei
predicatori,
dove nessuno
l
fronteggia;
come
animali
irragionevoli
bestemmiano contro ci che
ignorano.
Il
giusto atteggiamento
da
assumere,
secondo
Alberto,
anche
da
parte
dei
teologi
e
dei
predicatori
non
poteva
essere
quello
di un
cieco rifiuto bens di
una
prudente
assimilazione.Convinto
dell'impor-
tanza del
sapere
profano,
della
sua intrinseca bont e
della sua
utilit
per
la stessa
teologia,
Alberto si dedic col massimo
impegno
allo stu-
dio di Aristotele e
alla
sua corretta
interpretazione, parafrasando
siste-
maticamente tutte le sue
opere.
C'erano senz'altro anche
degli
errori
negli
scritti di
Aristotele,
perch
nessun
genio umano,
per quanto gran-
de,
onnisciente e infallibile,ma
Alberto era convinto che sarebbestato
pi
facilee
pi opportuno
combattere
gli
errori che bandire Aristotele in
blocco. Perci decise di fare due
cose:
parafrasare
i difficili testi dello
Alberto
Magno
453
Stagirita per
renderli
pi
accessibiliai lettori latini: Il nostro
proposito

quello
di far
comprendere
ai latini tutte le
parti
dette
(fisica,
metafisica
e
matematica); effettuare
un'interpretazione
del
pensiero
aristotelico che
risultasse
compatibile
con
1a fede
cristiana,
pur
senza
costringerlo
den-
tro i limiti della fede. Alberto riconosceva infatti la
legittimit
di
una
ricerca scientifica condotta col solo lume della
ragione,
distinta dalla
conoscenza rivelata,
ed
era inoltre convinto che lo
sviluppo
autonomo
del
sapere profano
era necessario e
che la stessa
teologia poteva
trarne
grande vantaggio.
Ma nella sua
coraggiosa battaglia
a
favore di
Aristotele,
ben
presto
Alberto
Magno
dovette
scontrarsi,
oltre che
con
i
teologi
tradizionalisti,
anche
con i filosofi averroisti e con
quello
che F. Van
Steenberghen
ha
chiamato il
pericolo
dellarabismo. Alberto
Magno
si rende conto di
ci che viene
compiendosi
da un mezzo secolo nella cristianit:
per
la
prima
volta nella storia della
Chiesa, un
compatto
sistema di
discipline
scientifico-filosoficheha forzato l'entrata del mondo cristiano: Yaristote-
lismo,
capolavoro dell'intelligenza
greca,
arricchito
dagli apporti
del
neoplatonismo
greco,
ebraico
e
arabo si
improvvisamente
alzato di
fronte alla
teologia;
una
sapienza pagana
si trova
improvvisamente
di
fronte alla
presenza
della
sapienza
cristiana;
il
sapere
profano
non
pi
rappresentato
dal modesto
e
inoffensivo corteo delle arti
liberali,
bens
dalla
possente
sintesi scientifica del
peripatetismo.
Ora, tra la filosofia
pagana
e la
sapienza
cristiana il conflitto
inevitabile,
giacch
in
parec-
chi
punti,
le due visioni dell'universo
accusano
profonde divergenze)!
Alberto
Magno,
mediante
un'indagine
condotta
personalmente
sulle
opere
di
Aristotele,
riusc a mostrare che le
interpretazioni
di
Averro,
che
aggravavano
il dissidio tra lo
Stagirita
e la Sacra Scrittura erano del
tutto
ingiustificate
e arbitrarie, e
fece Vedere che i
principali
fondamenti
della metafisica
e della
psicologia
aristotelica
potevano
essere
tranquil-
lamente accolti anche dal filosofo cristiano. Per la
posizione
che
egli
occupa
nel risolvere il
problema
dellassimilazionedi
Aristotele, Alberto
sta nel
giusto
mezzo tra i
teologi
conservatori,
nemici dichiarati di Ari-
stotele, e
gli
artisti
disposti
a
seguirlo
fin nei suoi
pi gravi
errori. Con
i
primi egli
afferma che la fede domina la
ragione,
che la scienza sacra
superiore
alla
filosofia,
che Aristotele e i filosofi
pagani
si sono talvolta
grossolanamenteingannati
e
che l'autoritdi S.
Agostino
nel
campo
teo-
logico
deve
essere
rispettata.
Ma con i secondi riconosce che Aristotele
la
grande personificazione
del
sapere profano,
che la filosofia deve ela-
borarsi secondo metodi
propri
e
che
essa
deve
godere
i
vantaggi
dell'au-
tonomia scientificabeneintesa.
9) 11nd,,
p.
339.
454 Parte seconda
Il merito
specifico
di Alberto
quello
di avere
portato personalmente
un
positivo
e
grandioso
contributo
all'opera
di costruzione delle scien-
ze
profane,
tenendosi nel
rispetto
della ortodossia, e
di avere cos lavo-
ratojn
modo decisivo,
allo
sviluppointegrale dell'intelligenza
cristia-
na. E
proprio degli
intelletti
superiori
avere la chiara visione dei biso-
gni
del
proprio tempo
e cos,
di fronte alla nuova situazione creata
dalla massiccia
penetrazione
della scienza
greco-araba,
Alberto
Magno
ha
compreso
che,
per
la
cristianit, era venuta l'ora di
compie-
re la sua
emancipazione
intellettuale e di entrare definitivamente nei
movimento scientifico,
che
bisognava,
di
conseguenza,
accogliere
Aristotele e
assimilarlosecondo le
esigenze proprie
del
pensiero
latino
e
cristiano e
infine che
gli
errori,
le deviazioni e le lacunedella scienza
pagana
sarebbero stati
pi
efficacemente
superati
da uno
sforzo
costruttivo di riflessionee di
critica,
che non da interdizioni o mutila-
zioni
praticate
sui testi.10
Strenuo avvocato di
Aristotele,
Alberto ne
sposa
in
larga
misura l'im-
pianto
metafisico e le dottrine filosofichefondamentali,ma
apportando-
vi
opportuni
e
significativi
ritocchi
un
po ovunque, soprattutto
nella
teologia
naturale
e
nella
psicologia,
ricorrendo ora
ad
Agostino,
ora a
Boezio, ora ad Avicenna, ora a Maimonide;
il che attesta che le sue
dot-
trine filosoficheobbediscono
a una
sostanziale unit di
fondo,
che
per
sembra essere
dovuta in
maggior
misura ai contenuti della sua
fede cri-
stiana che
non a
princpi
di ordine razionale. Per
questo
motivo la sua
costruzione filosoficaconserva un carattere frammentario. Alcuni storici
hanno veduto in lui soltanto un
compilatore
eclettico,
la cui
opera spar-
sa e le cui tendenze
disparate
farebberocontrasto col
vigoroso
e
perso-
nale
pensiero
del suo
migliore discepolo,
Tommaso
d'Aquino.
Secondo
Van
Steenberghen, questo giudizio

esagerato:
Alberto anche lui un
filosofo
e un
ricercatore che si
applicato,
nel corso
della
propria
vita, a
meditare il sistema di
Aristotele, a
raffrontare le tendenze e le dottrine
del
peripatetismo
con
quelle
del
platonismo,
del
neoplatonismo
e
del
cristianesimo e
infine ad arricchire il tesoro
della scienza con
il frutto
delle sue
personali
ricerche. Occorre tuttavia riconoscere che Alberto
non
giunto
a costruire una
sintesi filosofica
paragonabile
a
quella
di
Tommaso
d'Aquino.
Nelle sue
parafrasi
aristoteliche non
sempre
facile
determinare in
quale
misura Alberto
impegni
il
suo
pensiero, giacch
spesso
dichiara di
non
fare sue
le dottrine che
espone.
Nellnsiemedel-
l'opera predomina
l'influenzadi
Aristotele; ma Alberto
accoglie
con
simpatia
le idee
neoplatoniche
di
provenienza greca
e araba,
restando
inoltre tributario delle dottrine tradizionali della
teologia
latina. E tutte
queste
varie fonti non sono
pienamente
unificateml
w)
una,
p.
340.
11) 11nd,,
p.
342.
Alberto
Magno
455
Le
parafrasi
aristoteliche
Le
parafrasi
aristoteliche
sono indubbiamenteil
principale
contributo
apportato
da Alberto
Magno
alla filosofianonch ai vari
campi
del
sape-
re scientifico. Ma non tutti
gli
storici sono d'accordo
sull'importanza
e
sul
significato
di
questa
colossale
impresa.
Dobbiamo
quindi
fare alcune
considerazioni a tale
riguardo. Quale
fosse l'obiettivoche Albertointen-
deva
perseguire compiendo questo
lavoro detto
a
chiare lettere nel
suo
celebre
Prologo
alla Fisica. Scrive Alberto:
E sar nostra
regola
in
quest'opera seguire
l'ordine ed il
pensiero
di
Aristotele, e dire tutto ci che necessario alla
sua
chiarificazioneed
alla
sua dimostrazione, in modo che tuttavia non si facciamai menzio-
ne del
suo testo. Ed oltre
a ci faremo alcune
digressioni,
manifestan-
do i dubbi che
sorgono
e rimediandoa tutto ci
che,
detto
meno
espli-
Citamente
negli
scritti del
filosofo,
in certuni caus confusione. Inoltre
divideremo tutta
quest'opera
coni titoli dei
capitoli,
anche dove il tito-
lo mostra
semplicemente
che la materia del
capitolo
dalla serie dei
libri di Aristotele. In
qualunque luogo, poi,
nel titolo viene indicato
che fatta
una
digressione,
l stato
aggiunto
da noi
per completezza
o stato introdotto
per
dimostrazione.
Ora,
procedendo
in tal modo
abbiamo
portato
a termine i libri con il medesimo
numero e con i titoli
coni
quali
Aristotelefece i suoi. E
aggiungeremo
in alcuni
luoghi
delle
parti
di libri
non finiti
e
in altri
luoghi
libri interrotti o
perduti,
che
Aristotele non fece e che se forse
fece, a noi
non
pervennero.
Per
rispondere
alla richiesta
pressante
dei
propri
confratelli Alberto
si
propone
di
comporre
una vasta
enciclopedia
nella
quale
essi
possano
trovare
un'esposizionecompleta
della scienza della natura e
grazie
alla
quale
possano acquistare quella competenza
necessaria
per comprende-
re
i libri di Aristotele. Il metodo
(modus) consister
nellesplicare
il
pi
chiaramente
possibile
la dottrina di
Aristotele, senza far mai menzione
del
suo testo
(textus
eius nulla
fit
mentio), e
ne11aggiungere
tutte le
digressioni
che sembreranno utili
per
risolvere le
questioni
lasciate in
sospeso
o
per completare
il testo di Aristotele.
Come si
vede, l'obiettivodi Alberto non
semplicemente quello
di
spiegare
e commentare Aristotele,
bens di
approntare
una serie di
ma-
nuali
per
tutti i
campi
del
sapere
scientifico
e filosofico, assumendo le
opere
di Aristotele
come base, ma nello stesso
tempo integrando
il cor-
pus
aristotelico
con altri
libri,
per quelle
materie sulle
quali
o Aristotele
non aveva scritto libri
o non erano stati conservati.
evidente che
un
tale
progetto
supera
infinitamente
quello
d'un commento nel
quale
il
pensiero personale dellesegeta
sarebbe
messo tra
parentesi.

evidente
anche che la scienza della natura costituisce
per
Alberto
un valore
uma-
456 Parte seconda
no
d'importanza
e non
l'oggetto
d'una vana curiosit, senza
utilit
per
il
teologo.
Infine il
punto
di vista
esegetico
cos
poco
rilevantenel
pen-
siero di
Alberto,
da non
fargli
stimare
opportuno
di
riprodurre
il testo di
Aristotelemll
Molti altri
passi
delle
parafrasi esprimono
idee
analoghe
a
quelle
implicite negli
intenti dichiarati nel
Prologo
della Fisica. Cos nel De
ge-
neratione Alberto annuncia che
integrer l'esposizione
di Aristotele con
ci che ha
potuto
trovare
presso
altri autori,
insieme inoltre al frutto
delle
proprie esperienze
e
riflessioni
personali.
Nel De natura locorum,
che studia una
questione speciale
a
complemento
del trattato sulle Me-
teore, egli
dice
espressamente
che
esporr
il
proprio pensiero
e non
quel-
lo di Aristotele in materia. D'altronde il metodo stesso della
parafrasi
consente all'autore,
molto
pi
del commento letterale,
di fare tutte
quel-
le
digressioni
e
quelle interpolazioni personali
ritenute utili
per
una
maggiore comprensione
del testo e
dell'intenzione dell'autore: e
tutti
sanno come
Albertousi abbondantementedi
questo procedimento.
Cade
pertanto
la
pretesa
del Nardi di far coincidere la filosofiae
la
metafisica di Alberto con
quelle
di Aristotele letto in chiave averroistica.
Questa tesi, inoltre, contrasta
apertamente
con
il
proposito
di Alberto di
operare
una
sintesi delle filosofiedi Platone e
di Aristotele:
Sappi
che
l'uomo non
bene istruito nella filosofiase non
dalla conoscenza
delle
due filosofiedi Aristotelee
di Platone>>fl4
Per
quanto riguarda
Aristotele si
pu
affermare con Weisheipl
che
personalmente
Albertofu
un
aristotelica Convinto e
insistette
(1)
sull'auto-
nomia delle scienze naturali nel loro
campo,
(2) sullmpossibilit
di sco-
prire
"le cause
reali" dei fenomeni naturali in
quanto
naturali attraverso la
matematicae (3)
sulla necessit di stabilirei fondamenti dell'etica e della
metafisica nella natura delle cose
del mondo
reale,
cio nell'ambitoche
viene studiato dalla filosofia naturale.
Questo non
significa
che Alberto
fosse
integralista
nell'accettare,
alla
lettera,
tutto
quello
che Aristotele
aveva detto, o
che escludesse
qualsiasi
verit
proveniente
da
qualsiasi
altra fonte
compatibile
con
le sue convinzioni cristiane.
Semplicemente
vuol dire che Alberto fu veramente un
realista e
accolse l'autonomiadella
ragione
umana
nel suo
campo,
perch
niente di
quanto
la
ragione
corret-
tamente conosce
pu
entrare in contraddizionecon
la verit rivelata>>fl5
'12)
F. VAN
STEENBERGHEN,
La
filosofia
di Alberto
Magno,
in
Sapienza
18 (1965),
p.
385.
13) Cf. B.
NARDI,
Studi di
filosofia
nzedieoale,
Roma 1960:
Egli
non ha Voluto affatto
fondare un "aristotelismo cristiano", ma
spiegare semplicemente
Aristotele ai
cristiani che lo
ignoravano
o l'avevanofrainteso
(p.
123).
14)
Metaph.
I, tr. 5, c. 15.
15) J.
A. WEISHEIPL,
0p.
ciL,
p.
38.
Alberto
Magno
457
La datazione delle
parafrasi
aristoteliche costituisce un
problema
molto intricato
e controverso e fonte di
grandi perplessit
tra
gli
studio-
si. Mandonnet ha sostenuto che tutte le
parafrasi
aristoteliche
sono state
scritte tra il 1245 e
il
1256,-
per
contro Pelster afferma che le
parafrasi
di
Alberto furono scritte tra il 1256 e
il 1275. Da
parte
sua
Weisheipl
sostiene
che
esse furono redatte nell'arco di
un ventennio, e
precisamente
tra il
1250 e
il 1270: certamente entro
laprile
del 127] tutte le
parafrasi
erano
state ultimatenfl
Uordine
cronologico
della loro stesura sembra abbastanza sicuro ed
il
seguente: Physicorum
libri,
De coelo et
munda,
De natura Zocorum elemen-
torum,
De
generatione
et
corrutione, Meteore,
De mineralibus et
lapidibus,
De
anisma,
Parva naturalia
(undici
opere
distinte),
De
vegetabilibus,
De ani-
malibus,
Metaphysicorum
libri,
De XV
problematibus.
Il vasto
corpus
delle
parafrasi
aristoteliche,
in
generale,
non fu diretta-
mente
oggetto
di lezione
o
di commenti nelle aule delle
universit,
n
tantomeno fu il frutto di un
insegnamento
svolto in
uno
dei numerosi
studium dell'ordine
a
quell'epoca gi
attivi. Le
parafrasi furono, invece,
scritte o dettate da Alberto
per
i confratelli
come
impegno
extracurricu
lare,
perch
fossero lette
dagli
studenti
per capire meglio
Aristotele
e
acquisire
il massimo
grado
di conoscenza
possibile
della
sapienza
umana (filosofia),
in
quanto
necessario
preambolo
della
teologia.
Alberto fu
un instancabilestudioso
non solo del mondo della
natura,
ma anche di tutto ci che
gli
antichi,
particolarmente
i
peripatetici,
ebbero
a dire nel
campo
filosofico,
che
per
lui
rappresentava
la totalit
della
conoscenza umana naturale. Si
applic
a
tal
punto
allo studio delle
scienze
naturali,
nelle
quali egli comprendeva
oltre alla filosofia della
natura anche la filosofia morale
e
la
metafisica,
che Enrico di Gand
(m. 1293)
lo accus di trascurare le scienze sacre.
Questa accusa non
solo
ingiusta,
ma anche falsa. Infatti abbiamoVisto che
prima
di inizia-
re la
composizione
delle
parafrasi
Alberto si era dedicato
per
un venten-
nio allo studio della scienza sacra
per
eccellenza,
la
teologia, componen-
do tra l'altro il
suo monumentale commento alle
Sentenze,
la Summa de
creaturis e
il commento al
corpus
dionisiano. Alberto
Magno
ha mantenu-
to
rigorosamente
distinte le due
grandi
aree della
conoscenza
umana,
la
conoscenza naturale e la
conoscenza rivelata, ma le ha coltivate intensa-
mente entrambe. Per
professione,
nella
sua veste di
nuzgister
regens,
attese
maggiormente
allo studio della
teologia,
ma
per
sua
propensione
si dedi-
c
specialmente
alla filosofia.
D16)
Ima,
p.
32.
458 Parte seconda
Per conoscere
il
pensiero
filosoficod'A1bert0
occorre, dunque,
esami-
nare sia le
parafrasi
aristoteliche sia le sue
opere
teologiche.
Questo
vale
in modo
particolareper
quel
territorio di confinetra le scienze naturali e
la
teologia
che la metafisica. Per farsi un'idea corretta e
adeguata
della
metafisica albertinanon
ci si
pu
accontentaredei commenti ad Aristo-
tele ma occorre esaminare attentamente
il suo commento alle Sentenze,
la Summa de creaturfs e
i commenti
al
corpus
dionisiano.
Per
quanto
attiene il
campo
delle scienze Alberto non fu un
semplice
ripetitore
di
Aristotele, Tolomeo,
Avicenna e
quanfaltri,
ma
apporto
personali
contributi
all'approfondimento
ed alla ricerca del
sapere
scien-
tifico,
tali da
procurargli
l'ammirazionedei suoi
contemporanei,
nonch
significativi
riconoscimenti da
parte degli
storici della scienza.
In
un'epoca
in cui il
platonismo
continuava a
privilegiare
il metodo
matematicoin tutti i
campi
del
sapere, compreso
quello
delle scienze
naturali,
la
grande
rivoluzione
epistemologica operata
da Alberto fu
quella
di
proporre
un nuovo
metodo scientifico basato
sull'esperienza
sensoriale. Alberto ha
compreso
che la scienza naturale
un'indagine
dei fatti e delle cause
del mutamento dei
corpi
in
quanto sottoposti
a
regolari
mutamenti attraverso
processi
naturali. Tale scienza deve basar-
si
sull'esperienza
sensoriale. Pu e
deve servirsi della matematicacome
strumento di
ricerca, ma non
per
ricavarne i
principi esplicativi
ultimi.
Deve essere
logicamente
sistematizzata
procedendo
dalle
propriet
uni-
versali dei
corpi
mutevoli naturali, ma
deve estendere le
sue
ricerche fin
Verso
le
propriet particolari
di
ogni genere
specifico
di
corpo,
giungen-
do infine a
studiare l'essere umano.
Deve cercare
spiegazioni rigorosa-
mente causali,
quando
e
possibile, procedendo
a ritroso
dagii
elementi
stabili,
composti
e
dalle realt
organiche
viventi,
fino ai
processi
che li
producono regolarmente
in natura. La scienza naturale
scopre
i
propri
limiti,
lasciando
spazio
alla metafisica
per
considerare
aspetti pi ampi
e
pi profondi
della realt. Essa trae validit dalle
sue
applicazioni
tecno-
logiche,
ma ancor
pi
dal contributo che essa
d alla vita dell'intelletto,
e
molto di
pi
in
quanto
conduce alla
comprensione migliore
di come
dobbiamo vivere. Per il
cristiano,
per,
la luce che la scienza naturale
getta
sul mondo richiede il
sostegno
e
anche la correzione della luce
della verit rivelata.|8
17) Cf. A. C. CRoMmn,
Medicea! and
carly
Modern Science,
2
ed,
New York
1959,
vol. l,
passim.
18) B. M.
AsHLnv,
S. Allaerto e la natura della scienza naturale,
in
I.
M. WElSHEIPL (ed.),
Alberto
Magno
c le
scienze, cit.,
p.
114.
Alberto
Magna
459
Classificazionedelle scienze
e
oggetto
della metafisica
La dottrina di Alberto a
proposito
della classificazionedelle scienze
era la stessa
gi
stabilita
per
la Scolastica da Domenico
Gundissalino,
il
quale
a sua volta l'aveva
ripresa
da AI-Farabi
(Opusculum
de
scientiis).
h
In
questo
schema la divisione
platonico-stoica
delle scienze in
logica,
fisica ed etica
era stata ulteriormente rielaborata dividendo la fisica"
o
scienza teorica
(in
opposizione
alla morale
e
alla
tecnica)
in scienza
naturale, matematicae divina
(metafisica e sacra
teologia).
Alberto,
seguendo
Aristotele,
giustifica questa
divisione
tripartita
della scienza teorica in base ai tre livelli di astrazione. La scienza natura-
le astrae dalla materia individuale
ma non
dalla materia
sensibile, trat-
tando di tutti
gli aspetti
dei
corpi,
in
quanto presentano aspetti regolari
e
generalizzabili.
La
matematica,
d'altro
canto,
astrae dalla materia sen-
sibile, ma non da
quella intelligibile,
cio la
quantit,
in
quanto pu
essere idealmente ricostruita dalla
immaginazione.
Infine la metafisica
astrae
completamente
dalle caratteristiche
proprie
della realt fisica, e
considera solo
gli aspetti
dell'essere comuni a tutti
gli
enti,
materiali
o
immateriali, reali,
possibili
o
immaginari,
ma
sempre
con lo
scopo pri-
mario di trattare delle realt ultime.
Per
quanto
attiene il valore scientifico
e la
portata
conoscitiva delle
tre scienze
teoriche", mentre i
platonici giudicavano
la
matematica,
grazie
alla
sua certezza,
superiore
alla scienza
naturale, Alberto,
da
buon
aristotelico, sostiene, come abbiamo
visto,
la tesi
opposta. Egli
guarda
alla matematica
come all'infimadelle scienze
teoriche,
anche
se
per dignit

superiore
alla
logica
il cui valore
puramente
strumentale
rispetto
alle altre scienze. La matematica un'autentica scienza della
realt,
notevole
per
il
suo
grado
di certezza e
di
chiarezza, ma insuffi-
ciente
rispetto
al suo
oggetto
materiale,
che la
pura quantit degli
oggetti
fisici, considerata cio astraendoidealmente dalle condizioniesi-
stenziali di tali
oggetti. Dunque
la matematica non si
pu
considerare
come un contributo teoretico
per
l'attuazione del
sapere
metafisico,
il
quale
invece in
quanto
studio dell'essere
come tale
pi
direttamente
legato
alla
fisica,
la scienza del nostro mondo sensibile.

solo dall'esi-
stenza delle realt visibiliche
possiamo giungere
a conoscere l'esistenza
delle realt
invisibili,come dall'effetto si
conosce la
causa. Alberto
non
nega
il valore e
l'importanza
della matematica
come strumento della
scienza
naturale;
sostiene
per
che
essa
pu
stabiliresolo
un fatto fisico
(quid),
senza
poter
dimostrare la
ragione
fisica
o causa
(propter quid),
in
19) Cf.
Metaph.
I, tr. l, c.
l.
460 Parte seconda
mancanza
della
quale
la
spiegazione
scientifica
incompleta.
Cos la
matematica correlata alla scienza naturale in
quanto
strumento
cli ri-
cerca,
ma non come fonte della conoscenza
dei suoi
principi propri.
Assai
pi
stretto, dunque,
il
rapporto
che unisce la fisica alla meta-
fisica e viceversa. Per Alberto entrambe le
discipline
sono
autentiche
scienze; solo la
metafisica,
per,
merita
l'appellativo
di
sapienza (sapien-
tia),
perch
la scienza naturale si limita allo studio dei
corpi
mutevoli
che
non sono
le realt ultime
(delle
quali
si
occupa
la
metafisica) e
che
non
possono
essere
compresi completamente
se non
in relazione alle
stesse realt
ultime, come
gli
effetti
non
possono
essere
compresi
se non
in relazione alle loro cause.
Tuttavia
questo
stato inferiore della scienza
naturale non
significa
che essa sia subalterna alla metafisica nello stesso
modo in cui la matematica subalterna all'astronomia, perch
la mate-
matica (o
la fisica) non
fa mai uso
dei
principi
metafisici come
tali nelle
sue
dimostrazioni. Alberto dice che la metafisica "fonda la matematica
e
la scienza naturale,
perch
essa stabiliscee
difende la validit dei
prin-
cipi
di tutte le scienze
speciali.
La metafisica difende
quei principi preci-
samente difendendo la validit
dell'esperienza
sensibilee
dell'indagine
intellettuale basata su
tale
esperienza.
La scienza naturale,
poi, precede
la metafisica nell'ordine della conoscenza
poich
la metafisica una
riflessione sulle conoscenze
raccolte dalle scienze
speciali
e
in
primo
luogo
dalla scienza naturale, e
dal momento che la matematica tratta
solo di
oggetti
idealzzati e non direttamente della
esistenza, mentre le
scienze
pratiche
non
hanno
per scopo
la conoscenza
teorica.
Come avviene allora la transizione dalla scienza naturale alla metafi-
sica? ll
passaggio
avviene, come
in Aristotele,
lasciando lo studio di
ambiti
particolari
della realt e
concentrando la ricerca esclusivamente
sull'esse che comune a tutte le cose.
Ecco le
parole
testuali di Alberto:
Dal momento che lo scienziato naturale
suppone
l'esistenza (esse)
dei
corpi
mutevoli e
il matematico
suppone
l'esistenza della
quantit
continua o
discreta - ciascuno
suppone
l'esistenza, non
essendo in
grado
di dimostrarla con
i
propri principi -,
l'esistenza (esse)
deve
essere
provata
tramite i
principi
dell'esistenza come
tale. Perci
que-
sta scienza (la metafisica)
ha il
compito
di fondare sia il
soggetto
che i
principi
di tutte le scienze. E.
questi
non
possono
essere
stabilitio fon-
dati da scienze
particolari
nelle
quali
l'esistenza
(quia
sunt) o esse
lasciato indeterminato o
presupposto.
Questa
scienza chiamata
anche
divina, perch
tutti
questi principi
sono divini,
ottimi e
primi,
fornendo a tutte le altre realt il loro
compimento
nell'esistenza.
2)
Cf. ibid, IV, tr. 3, cc. 5-6.
Alberto
Magno
461
Perch l'esistenza
(esse)
che
questa
scienza considera non contratta
da
questo
0
quel genere
di
esistenza, ma
piuttosto
considerata in
quanto
il
primo
flusso
proveniente
da Dio e la
prima creatura,
prima
della
quale
nient'altro creato?
A
questo punto
Alberto
non esita a citare anche il
platonicoTolomeo,
il
quale
afferma che dal momento che la scienza naturale tratta solamen-
te di realt immerse nel flusso
temporale,
essa

a differenza della meta-
fisica - mescolata
all'opinione
e non
pu
attenersi al carattere consoli-
dato,
permanente
e necessario della scienza.22
Questa
posizione
coe-
rente con il fatto che
Alberto, mentre sottoscrive il
punto
di vista
secon-
do cui tutta la
conoscenza radicata
nell'esperienza sensibile, non
pu
rinunciare
completamente
all'idea che sia necessario
supporre
qualche
forma di illuminazionediretta da
parte
di Dio
per garantire
la certezza
dei
principi pi
elevati del
conoscere
umano,
dando
prova
ancora una
volta della
sua abilitdi conciliareAristotele
con
Sant'Agostino.23
I trascendentali
Dopo Filippo
il
Cancelliere,
Alberto
Magno,
nel suo De
bono, l'auto-
re
che ci d la trattazione
pi
elaborata
e
completa
dei trascendentali. Il
De bono
non un trattato di
ontologia
ma di morale: si
occupa
infatti
delle virt cardinali. Tuttavianel
capitolo introduttivo, studiando il
con-
cetto di bene in tutte le sue accezioni,
Alberto
prende
in
esame
anche il
concetto metafisico di bene
e
chiarisce i
rapporti
che lo
legano agli
altri
concetti trascendentali:
l'ente,
il
vero e l'uno.
,
Alberto
presenta
e
spiega
tre definizioni del bene:
1)
quella
di Aristo-
tele, secondo cui il bene ci che
ogni
ente desidera; 2)
quella
di Avicen-
na che chiama il bene Yindissolubilitdi
potenza
e
atto; 3)
quella
di Al-
Ghazali,
il
quale
descrive ilbene
come l'atto
(actus),
il cui
raggiungimento

accompagnato
dal
piacere.
La definizionearistotelica
(ci
che tutti
gli
esseri
desiderano) Va
interpretata
come
il desiderio naturale
(appetitus
naturalis)
ossia l'inclinazione
Verso il bene di ci che
ancora in
potenza
alla
sua
perfezione. Ora,
questo
desiderio si trova in tutte le cose.
Mettendo
a confronto
l'ente,
che e il
primo
concetto della nostra
mente, e la
bont, Alberto
porta
una serie di
argomenti
a favore della lo-
ro convertibilit. L'ente ci che viene
prima
in
ogni cosa,
mentre la
31) lbid.
l, tr. l, c.
1.
22) lbid.
23) Cf. E.
GlLsON,
History of
Christian
Philosophy
in the Middle
Ages,
New York
1955,
p.
670, nota 9.
462 Parte seconda
bont viene
per
seconda. Essa
pu
essere
risolta nel concetto di ente in
quanto
l'ente diretto verso un fine. Ma se si considera la bont della
Causa
prima
e l'essere nelle cose create,
l'essere
posteriore
alla bont.
Tuttavia
negli
esseri di cui entrambi sono
predicati
i due termini sono
convertibili,
infatti non
c' alcun ente che
non sia anche
bene,
seppure
in
maniera
imperfetta.
L'articolo VII esamina
pi
in
dettaglio
se ci che esiste bene
per
il
semplice
fatto che . Se cos
fosse,
sorgerebbe
una
domanda:
gli
esseri
sono
buoni sostanzialmente
oppure per
partecipazione?
il
quesito
che
aveva
gi
affrontato Boezio nel De hebdomadibizs,e del
quale
aveva
data
una sua
personale
soluzione,
che
per
Alberto non
condivide.
Egli sug-
gerisce
che tutto il bene creato
procede
dal Primo
Bene, poich questo

la causa
efficiente che intende fare una
determinata cosa.
Ci
significa
che l'essere delle cose create non
e mai
separato
da ci che
significato
dal termine bont. Cionondimenoessere" e "essere buono" non sono
la
stessa
cosa, poich
lmessere"
dipende
dalla causa efficiente,
mentre
l essere buono
dipende
dalla causa
finale. La bont non
aggiunge
una
realt
positiva
all'essere,
bens un nuovo
significato:
nel
soggetto
in cui
si
trova,
la bont la stessa cosa dell'essere, ma ne
differisce
quanto
al
contenuto concettuale.
Nel commento al De divinis nominibus dello
Pseudo-Dionigi
Alberto
propone
una
dottrina
analoga per quanto riguarda
i
rapporti
tra vero e
buono: vero indica una
relazione con
l'idea di una
cosa,
in
quanto
esso
il
principio
della
conoscenza;
mentre buono"
aggiunge
una
relazione
al fine della cosa stessa. Alberto afferma che in
questo
modo entrambi i
predicati aggiungono
una certa "natura"
(vale a dire un contenuto
posi-
tivo) all'ente,
essi
dunque
non sono convertibilicon
l'ente
quanto
al loro
contenuto.
Anche altri
predicati
sono
convertibili
gli
uni con
gli
altri
per
quanto
attiene il loro
soggetto
(in
cui si
trovano) e secondo la loro natu-
ra (il
loro contenuto
positivo),
ma non
secondo il loro contenuto concet-
tuale. Tali sono
l'ente e l'uno: l'uno
aggiunge
una certa modalit (l'indi-
visibilit)
all'ente. Tuttavia
poco
oltre,
nello stesso testo,
Alberto afferma
che nulla
pu
essere
aggiunto
all'ente nel senso
di
un contenuto nuovo e
diverso
(quasi
altera natura ab
ipso),
ma
questi
nomi
possono
avere un
diverso modo di
significare
a
seconda che essi determinino l'ente a un
grado pi
o meno
elevato.
Nel commento al De divinis nominibus Alberto si
occupa
anche del
bello, senza
tuttavia
comprenderlo
nella classe dei trascendentali. Per
Alberto la bellezza lo
splendore
della forma sostanziale o
accidentale
24) Cf.
Super Dionysii
De divinis nominibus
q.
5
(Opera
orrmia XXVIII,
p.314).
Alberto
Magno
463
su delle
parti
materiali che
sono
proporzionate
o delimitate. L'essenza
della bellezzasta nellarmoniadi
un certo numero
di
parti.
Alberto attri-
buisce alla bellezza tre caratteristiche essenziali: lo
splendore
della for-
ma,
il
sorgere
dellammirazione
e la buona
disposizione
delle
parti.
Alberto e
consapevole
della novit della
sua trattazione sui trascen-
dentali,
poich
afferma che Aristotele
non dice che verit e bont
sono
propriet
che
accompagnanoogni
essere.
Esistenza
e natura di Dio
Dei
problema
dell'esistenza di Dio e dei suoi attributi Alberto si oc-
cupa
sia nel
suo Commento alle Sentenze sia nella Summa
theolcigiae.
Nella
prima
opera egli
sembra considerare l'esistenza di Dio
come una verit
evidente
e in
qualche
modo nota a tutti: la filosofiaha il
compito
di chia-
rire
e di
distinguere meglio questa
conoscenzafi Invece nella seconda
opera egli
afferma che necessaria una certa
argomentazione
per giun-
gere
alla
conoscenza dell'esistenza di Dio
e
, pertanto,
adduce
una serie
di vie"
(cio
di
prove),
delle
quali
alcune
sono tratte dall'elenco di Pier
Lombardo, mentre altre
sono desunte da Avicenna
e Maimonide. La
pri-
ma Via conduce
a
Dio
quale
causa efficiente del mondo. La
seconda,
per
ablationem, arriva a determinare Dio
come essere
incorporeo
e immutabi-
le. La terza
riprende
la
prima
e
giunge
a Dio
quale
causa dell'universo.
La
quarta
via arriva a Dio affermando la
superiorit dell'intelligibile
sul
sensibile. La
quinta
inferisce l'esistenza di Dio dalle
perfezioni
delle
creature: cos la
grandezza
dell'universo ci fa
conoscere
Tonnipotenza
del
Creatore, mentre la
sua bellezza
e
il
suo ordine ci fanno
conoscere la
sapienza
infinita di Dio.
Queste sono
prove
tradizionali alle
quali
Al-
berto dichiara di volere
aggiungerne
altre due: his v/is
ego
addo duas. E le
due
nuove vie
sono
quella
aristotelica del
moto (dal moto al motore im-
mobile)e
quella
avicennianabasata sulla
composizione
reale tra
esse e id
quod
est. Ecco in breve la formulazionedell'ultima via: tutto ci in cui si
distinguono
l'asse
e
l'id
quod est,
ha l'essere da
una causa diversa da
quella
che
produce
l'id
quod est;
questo
lo riceve da
una causa seconda
che della
sua stessa
natura,
invece l'asse non
pu
riceverlo che dalla
Causa
prima
la
quale

essere
per
essenza ed
pertanto
causa
generale
di tutto ci che
appartiene
all'asse.
Alberto nota che tutte
queste prove
dell'esistenza di Dio non condu-
cono a un essere anonimo
ma,
di volta in
Volta, a un essere
qualificato
da
un determinato attributo:
efficiente,
intelligente, immobile,
perfetto
ecc.
35) Cf. In ISent. d.
3, aa. 1 ss.
464 Parte seconda
Ma si tratta
sempre
di
una conoscenza
estremamente
povera
e
imperfet-
ta,
che
per
parlare
di Dio deve ricorrere al
linguaggio
dei simboli e
del-
lanalogia.
Nel
problema
di
Dio, come altrove,
si nota in Alberto lo sfor-
zo
di
coniugare
le
esigenze
della metafisica aristotelica con
quelle
del
neoplatonismo
dello
Pseudo-Dionigi.
Da un
lato
egli
introduce un
cambiamentonellbrientamentodella conoscenza
naturale e
metafisica
di
Dio,
la cui concettualizzazionee
dimostrazionenon
muover
pi
da
una conoscenza
diretta dell'anima e
della illuminazione
superiore,
bens
dall'esperienza
metafisica della realt circostante. Attraverso Pastrazio-
ne
dell'intelletto
agente
e
in un
processo
ascendente di
analogia,
la
mente umana Cerca una
spiegazione
universale dell'essere,
il
primo
principio
della realt.26 Da un
altro
lato,
nel suo commento al De divinis
nominibus Alberto
pone
fortemente l'accentosul momento
negativo
del-
Yanalogia
che, come
lo
PseudoDionigi, egli
considera il
linguaggio pi
appropriato per
parlare
di Dio. Il metodo
causalit-negazione-eminenza
conduce a un
linguaggio rigoroso
su
Dio-Causa
prima.
La
negazione
stabilisce che
quanto
alle
grandi perfezioni
in cui si condensa la cono-
scenza
possibileper
la nostra
ragione,
Dio rimane inaccessibilee tra-
scendente. La sovraeminente
perfezione
di Dio ci
costringe
ad
adopera-
re
molti nomi
per
descrivere la sua
realt nel
migliore
dei modi; ma
tutto ci che riusciamo a
esprimere
si riferisce all'unica, medesima, sem-
plicissima
essenza e
alle sue
relazioni con
le creature. Per Alberto
anche
il nome
Ego
sum
qui
sum
ha
una
connotazione essenzialmente
negativa.
Ci che
gli
interessa stabilire se
si tratta di un nome
personale oppure
essenziale.
Egli
lo considera un nome essenziale, perch quando
Mos lo
ud,
egli
non lo rifer a una
persona
piuttosto
che a
un'altra.
Passando a
determinare
gli
attributi di
Dio,
Alberto stabilisceche Dio

uno,
vero e buono.

una
perch
di esseri necessari non
pu
essercene
che
uno
solo.

vero, perch,
come
dice
Agostino
nei
Soliloqui:
la verit
ci che . Dio non soltanto verit, ma verit
immutabilee
la causa
di
ogni
altra verit. Infine
Dio,
oltre che uno e vero
anche buono; anzi,
essendo eterno e
immutabile
egli
non
pu
n
guadagnare
n
perdere
alcunch ed
quindi supremamente
buono.
buono in s e
per
s;
ed
inoltre buono nei confronti delle sue creature.
Egli
detto summum
bonum
perch
e la causa
suprema
e
universale di
ogni
bont delle creature.
Considerato
quale
causa
di tutto ci che
esiste,
Dio chiamato creato-
re. Questa parola
indica la divina essenza
stessa intesa come
principio
degli
esseri che,
presi
in se stessi, non sono
la causa
della loro esistenza:
25) P. RIBES MONTANE, Cognascibilidady
demonstracin de Dios
segn
san
Alberto
Ivlagno,
Barcelona 1968,
p.
185.
Alberto
Magno
465
Dio la
causa efficiente di
ogni
cosa mediante il
suo intelletto
agente,
poich egli
l'intelletto
supremo,
al
quale
solo
compete
di
agire
assolu-
tamente e in tutti i modi
possibili.
Altri attributi di Dio su cui Alberto
pone
l'accento
sono
la
semplicit,
Yimmutabilit
e l'eternit.
Mentre
ogni
altro essere
composto quanto
meno
di
essenza ed esi-
stenza
(esse), Dio assolutamente
semplice:
Nella
prima causa,
che
Dio, come
dicono Avicenna
e
Algazel,
sono assolutamente
e sotto
Ogni
aspetto
la medesima cosa l'essere
e ci che e ci
per
cui
(In
prima
causa,
quae
Deus
est,
ut dicunt Azricenna et
Algazel,
omnino et onmimodo
idem est esse et
quod est,
et
quo
est).27
Che
cosa, per,
intenda Alberto
per
esse
- che noi abbiamo
regolarmente
tradotto con esistenza
non risulta
affatto chiaro.
Egli riprende
la distinzione da Avicennae
pare
usare le
espressioni
esse e
id
quod
est come sinonimi. Non c'
nessuna indicazio-
ne che,
persino
alla fine della sua vita,
si sia convertito alla nozione
tomistca di
esse. Per
lui, come
per
molti altri suoi successori fino ai
tempi
nostri,
la distinzionedi
esse e
quod
est rimase
un'espressione
tecni-
ca del fatto che
gli
enti creati
esigono
una causa della loro esistenza.
Donde la
sua citazione del De causis: "La
prima
creatura l'essere
(esse),
nulla fu creato
prima
dell'essere".
Questa
la
ragione per
cui Dio l'u-
nico ente che
non
pu
essere
concepito
come non-esistente.28
L'immutabilitdi Dio
una
conseguenza
necessaria della sua
sempli-
cit. Poich Dio sostanzialmente tutto ci che
, non
pu
cambiaren
nella
sua sostanza n a causa di
qualche
accidente, e
poich
soltanto Dio
la sua sostanza
egli
solo veramente immutabile.
Altimmutabilitsi salda direttamente l'attributo della eternit. L'eter-
nit non un
tempo
senza fine. Noi
parliamo
di durata
eterna, perch
a
noi sembra un'esistenza estesa
indefinitamente;
di fatto
per
l'esistenza
di Dio non
ha
durata;
neppure
un
tempo
eterno
equivale
all'eternit.
L'eternit
semplicemente
il modo di esistere
proprio
di
un esse
sempli-
ce,
puro
e immutabile.
La creazione
e
le creature
Per
parlare dell'origine
delle
cose
da Dio Alberto
adopera
indifferen-
temente le
espressioni creatio, errzanatio,
processio, fluxus.
Ma chiaro che
per
lui i termini
emanatio,
processio
e
fluxus
non
designano
una derivazio-
ne necessaria delle cose dall'Uno, cio da Dio. La creazione infatti
27)
Metaph,
ed.
Borgnet,
V()l.
VI,
p.
134.
25) E.
GILSON,
History ofChristian Philosophy... cit.,
p.
291.
466 Parte seconda
un'opera
della libera Volont di Dio e non una
spontanea
e necessaria
effusione della sua bont.
Nel suo
zelo di mettere d'accordo Aristotele con
Platone e
gli
aristo-
telici con
i
platonici
Alberto
giunge
ad
equiparare
le due formule con
cui
questi
filosofi
spiegavano l'origine
e
il divenire delle cose:
la formula
platonica
del dator
formarum
e
la formula aristotelica della editctio
forma-
rum a materia. Scrive Alberto a
questo proposito:
Il flusso l'emanazionedella forma dalla
prima
fonte,
che fonte
e
origine
di tutte le, forme. Per
questo
Platone chiam tale
origine
dato
re delle forme... Dal che risulta che bench la forma secondo i
Peripatetici
sia edotta dalla
materia,
tuttavia secondo
questa
via non
si dice che fluisce ma
piuttosto
che e causata e
prodotta;
rna
si
pu
dire che fluisca come l'atto dall'atto, e Pabitare
dallabitare,
la salute
dalla
salute, come dice Aristotele nel VII libro della filosofia
prima.
Questo
modo di fluire
gli
antichi
e i
primi Peripatetici
lo chiamarono
processione
,29
Sulla scorta di
una
famosa Glossa della Bibbia Alberto dice che Dio
all'iniziocre
quattro
realt coeve (coaequezaa):
la
materia,
il
tempo,
il cie-
lo
empireo
e
gli angelifiv
Nellordine della
generazione
la materia viene necessariamente
per
prima,
essendo il
soggetto
delle forme di tutti
gli
esseri che
saranno
generati.
In un altro
senso,
come s'
visto,
la
prima
creatura lesse,
poi-
che nell'ordine della
conoscenza
l'asse l'idea che
precede qualsiasi
altra
idea. Ma
poich qui
abbiamo a
che fare con
la
generazione
delle
cose
nella
realt,
la materia
prima
il
principio primo,
o
l'origine
di
qualsiasi
altra
cosa.
La natura
propria
della materia di essere
in
potenza rispetto
alle
forme, e in
quanto
tale rimane
inintelligibileseparatamente
dalla
forma di cui
soggetto.
La sua
prima
forma la forma
sostanziale;
le
forme successive invece sono accidentali}!
Il secondo coevo il
tempo.
Questo
termine indica la durata
pro-
pria
di ciascun
tipo
di
essere.
Infatti
per
ogni tipo
di essere
la misura
della durata si diversifica secondo la natura del suo essere.
Dio un
essere
immutabilee
perci
la
sua
durata
eterna,
vale a dire un nunc
che
non
viene mai meno: e
propriamente
solo Dio eterno. Ma se
il ter-
mine eterno" viene usato in senso meno
rigoroso,
si
possono
chiamare
eterni anche
gli
esseri che
non
vengono
mai meno.
Per il termine esatto
3)
in Liber de Causis,
ed.
Borgnet, p.
411.
3) Cf. Summa de creaturis,
ed.
Borgnet, p.
319.
31) Cf. ibid,
p.
323.
Alberto
Magno
467
per qualificare gli
esseri mutevoli che tuttavia non
hanno n
principio
n fine evo.
Questi
esseri non sono eterni
ma,
per
cos
dire,
"eviter-
ni,
ossia dotati di una vita che dura
per sempre.
In
senso proprio,
il
tempo
la misura della durata che caratterizza
gli
esseri
soggetti
a
gene-
razionee corruzione.
Il terzo coev0" il cielo
empireo:
creato da Dio
pu
cessare
di esistere
a suo
piacimento.
Poich
con le sue
operazioni
ha inizio la serie delle
generazioni
e corruzioni in tutto l'universo,
il cielo
empireo
una causa
universale. Per
questo
motivo alcuni dicono che c' una natura naturans
e una natura
naturata;
la natura naturante Dio e
la
sua
opera
il
cielo;
invece
lopera
della natura naturata sono le cose
generabili
e
corruttibi-
li.32 Il cielo
composto
di materia e
di forma
ma
la natura della sua ma-
teria sconosciuta. Al di
sopra
del cielo astronomico c' il cielo della
Trinit: identico
a Dio di natura immaterialee
corrisponde
allnfinita
potenza
di Dio e contiene e circonda
ogni
essere creato. Il cielo
empireo
il
pi
nobiledi tutti i
corpi;
la sua natura
quella
della luce ed inoltre
la dimora
degli angeli. Dopo
il cielo
empireo
Alberto colloca il cielo cri-
stallino,
il firmamentoe le nove sfere, ciascuna delle
quali
dotata di un
proprio
motore.
Il
quarto
"Coevo" la natura
angelica.
Gli
angeli
sono nature
compo-
ste,
costituite di
quod
est e
di
quo
est. La loro non una
composizione
di
materia e forma, poich
dove c' una
composizione
ilemorfica,
la forma
non
pu
esistere senza la
materia, e
gli angeli
sono invece forme
pure.
Gli
angeli
sono
Intelligenze
sussistenti,
dotate di una conoscenza
innata
delle realt
intelligibili.
Essi non
hanno
bisogno
del conoscere
discorsive
per
Vincere
l'ignoranza, perch
il loro
potere
intellettivo ha carattere
intuitivo. Come
gli
uomini sono
dotati di
libert, ma
le loro scelte
sono
immediatee non incerte e titubanti come
quelle degli
uomini.
Alla creazionedelle
quattro
realt coeve"
segue
la creazionedell'uomo.
L'anima
umana:
origine, spiritualit,
immortalit
Il
problema
dell'anima -
problema
metafisico
per
eccellenza - ai
tempi
di Alberto
era diventato di
urgente
attualit
per
la
posizione
assunta da
Averro,
il
quale

come
sappiamo
-
con
la
sua
dottrina del-
lIntellett0
separato giungeva
a
negare
l'immortalit
personale,
ricono-
scendo soltanto l'immortalit della
specie
umana.
Per
gli
averroisti, as-
sertori della
doppia
verit,
questa
dottrina
non dava
luogo
a nessun
conflitto col
dogma religioso
della immortalit
dell'anima; ma
per
un
32) Ibid,
p.
402.
468 Parte seconda
aristotelico cristiano
quale
era e Voleva essere Alberto
Magno questa
soluzione risultava inaccettabile.Di
qui
la
sua
rilettura di Aristotele in
senso cristiano e
la
sua
battaglia
contro il
monopsichismo
di Averro.
Anche
per questa parte
del
suo
pensiero,
il
grande "peripatetico
a
cui Alberto si
ispira
AViCenna. Lui il filosofo citato
pi frequente-
mente, e
il
suo De anima seu Sextus de naturalibics stata la fonte
princi-
pale
di Alberto: Alberto
dipende
da Avicenna
per
molte dottrine
parti-
colari e
per
il suo metod0.33
Quanto
al
metodo,
Alberto
distingue
due
possibili
modi di affrontare
lo studio dell'anima e lo fa richiamandosi
espressamente
al filosofo
arabo:
AViCennadice nel Sextus de naturalibus che ci sono due modi di defi-
nire un marinaio: in uno
egli
considerato in
se stesso e viene detto
un
lavoratore che
sa
governare
bene una barca;
nell'altro
egli
uno
che
esegue
le sue funzioni mediante
gli
strumenti di cui la barca
dotata, e cio il
pennone,
l'albero,
la vela e i remi. Similmente anche
l'anima ammette due definizioni:
una,
secondo la
quale
essa ci che
compie
le
operazioni
della vita mediante il
corpo
e i suoi
organi;
l'al-
tra, riguarda
l'anima in se stessa,
in
quanto

separabile
dal
corpo?!
Cos,
dice
Alberto,
si
pu
studiare l'anima a
priori,
in se stessa,
oppu-
re a
posteriori,
mentre
compie
le varie
operazioni
nel
corpo
e attraverso
di esso.
Considerata in se stessa, a
priori,
l'anima
umana
nella sua essenza
una sostanza
spirituale separabile
dal
corpo,
e
che differisce
dagli angeli
soltanto
per
il
suo
legame
col
corpo
umano.
Poich in linea di
principio
essa
indipendente
dalla
materia,
potrebbe
essere
concepita
come il
motore del
corpo,
la sua
perfezione
o atto, e non come
1a sua forma. In
questo
modo sarebbeunita al
corpo
solo accidentalmente
per svolgere
le
funzioni inferiori della nutrizione e
della sensazione. Da
questo punto
di vista l'anima
umana non
semplice:
contiene una
parte
inferiore che
svolge
le funzioni
corporee,
e un'altra
parte superiore
che attende alle
funzioni intellettuali.
Nella
sua
indagine
a
posteriori
sullanima,
cio a
partire
dalle
opera-
zioni con cui viene manifestata,
Alberto mette al centro del suo
argo-
mentare la trasformazione della nozione aristotelica di facolt
operata
da Avicenna. Al
tempo
in cui Albertoscrisse la Summa de
homine,
la
sua
prima
Vasta discussione
sullanima,
la teoria
psicologica
latina era
in
gravi
difficolt. Si riteneva che le
potenze
dell'anima avessero un
ruolo
33)
K.
PARK,
L'influenza
di Alberto sulla
psicologia
del Tardo
Medioevo, in].
A. WEISHEIPL
(ed),
0p.
cit.,
p.
537.
34) Summa de homine I, 1, l,
ed.
Borgnet
35,
p.
3.
Alberto
Magno
469
centrale e di
importanza
fondamentale
per
tutte le funzioni vitali dell'a-
nima, ma non c'era alcun
consenso sulla loro natura e sulla loro distin-
zione
e suddivisione,
poich
le Varie
autorit,
greche, latine, arabe, cri-
stiane
avevano
proposto
modelli e analisi del tutto contrastanti fra di
loro. Molti tra
gli
autori latini
precedenti
si erano accontentati di fare dei
resoconti delle diverse classificazioni
senza tentare di conciliarletra di
loro. Alberto invece con la
sua Summa de homine sostituisce al
caos delle
autorit e delle
opinioni
un sistema coerente basato sul
pensiero
di
Avicenna,
integrato
con elementi desunti da scrittori latini
precedenti.
In
primo luogo,
Alberto
pone
ordine nellenumerazionedelle
poten-
ze dell'anima, istituendo un unico sistema derivato dalla
interpretazio-
ne
di Aristotele data da Avicenna. Il risultato
uno
schema
complesso
ma coerente delle
facolt,
che
sono suddivise in:
vegetative,
sensitive,
motorie e intellettuali. Esse sono riconducibili
a tre
tipi
di anima: la
ve-
getativa,
la sensitiva
(o animale) e la intellettiva
(o umana).
Le divisioni
e le suddivisioni di Alberto rimasero
paradigmatiche
nella teoria
psico-
logica
latina fino alla fine del XV secolo
e
in alcuni autori
sono
presenti
benoltre il 1600.
Intorno allintellettoi filosofiarabi avevano creato una enorme confu-
sione,
distinguendo
fino ad otto
tipi
diversi di
intelletto,
mescolando le
attivit intellettive con i vari livelli di
conoscenza. Alberto ritorna alla
semplice
divisione aristotelica tra intelletto
agente
(o attivo) e intelletto
passivo.
Prendendo
posizione
contro
Averro,
Alberto afferma che sia
l'intelletto
agente
sia
quello passivo
(o
possibile)
si trovano nell'anima.
Lintelletto
agente
non n un habitus n
un'intelligenza separata
che
riversa le forme
intelligibili
nell'anima: Uintelletto
agente
unito all'a-
nima
umana,

semplice,
non
possiede
idee
(intelligibili)
ma le
produce
nellintelletto
possibile
astraendoledai fantasmi.35
Nonostante la
sua associazioneal
corpo,
l'anima intellettiva
per
sua
natura
separabile
da
esso e
correlata strettamente alle altre sostanze
spiri-
tuali:
gli angeli
e Dio stesso.
Perci,
riferendosi alle
immagini
sensibili,
nella sua attivit
iniziale,
Fintelletto
pu procedere
oltre
queste, giungen-
do a
contemplare prima
se
stesso, poi
le
intelligenze
celesti
e infine Dio.
Alberto chiama
questo
stato intellettuale assimilativoz Uintelletto
assimilativo
quello
nel
quale
l'uomo,
per quanto

possibile
e consenti-
to,
si eleva mediante
lanalogia
verso l'intelletto
divino,
che la luce
e
la
causa di tutte le realt
(...). Perci, a
partire
dalla luce di
questo
suo intel-
letto
agente, raggiunge
la luce della
intelligenza,
e
da
questa
si
spinge
verso l'intelletto divino.36
35) lbid.,
p.
466.
36) De intellectu et
intelligibilzII, 9;
ed.
Borgnet
IX,
p.
516.
47D Parte seconda
In
questo
modo l'anima ascende alla
virt,
alla
sapienza e,
infine,
alla
contemplazione
di Dio.
Avendo definito l'anima come sostanza
spirituale,
Alberto
pu age-
volmente
provare
la sua immortalit,
opponendosi
risolutamente sia ad
Alessandro di Afrodisia,
per
il
quale
l'anima intellettiva sarebbesoltanto
una
specie
di accordo
degli
elementi materiali del
corpo,
sia ad Averro,
secondo cui l'anima umana
in
quanto
forma del
corpo
sarebbe mortale.
Alcuni
degli argomenti
addotti da Alberto sono
semplicementeprobabi-
li,
mentre altri sono necessari. Tra i
secondi,
quelli
tratti da Avicenna
sono
particolarmentecogenti.
Mentre
per
spiegare
la natura dell'anima,
i suoi
rapporti
col
corpo,
la
sua
spiritualit
ed immortalit,
Alberto si affida
principalmente
alla
guida
del
neoplatonico
arabo Avicenna,
quando
deve
parlare
del desti-
no
dell'anima
dopo
la morte la sua
guida preferita
il
neoplatonico
cri-
stiano
Dionigi PAIeOpagita.
Si deve d'altra
parte
notare che
per
Alberto
entrambi
questi
autori
appartengono
alla scuola dei
peripatetici.
Lasciato
questo
mondo l'anima
raggiunge
la sua vera
patria
che il
cielo della Trinit,
dove
gode perfetta
beatitudineche,
secondo Alberto,
consiste essenzialmente nella
contemplazione
di Dio e
nell'unione con
Lui; e
tale beatitudine un'attivit
propria
dell'intelletto,
pi precisa-
mente dellntelletto assimilativo,
il
quale
in
questo
stato non ottiene
pi
l'assimilazionemediante Yastrazione,
bens mediante una
speciale
illu-
minazione
prodotta
da Dio nellintellett0:
In
patria,
nel
profondo
dellintelletto
splende
la luce di
gloria
che
colma totalmente l'anima,
la irradia di vita eterna (...) e la
volge
in
modo immediato verso Dio,
cos da farle
accogliere
direttamente da
Dio null'altro se non Dio stesso. Unita in
questo
modo con Lui in un
solo
spirito
(1
Cor 6, 17), essa conosce
Dio in Dio. In
grazia
di tale
pre-
senza
sostanziale di Dio nellanima,
per
svolgere
la sua
attivit intel-
lettiva, essa non
ha
bisogno
dellassimilazioneche ordinariamente
viene esercitata dalla forma
intelligibile
astratta (...).
In
patria
la luce
incircoscrivibiledella divinit che Dio stesso unita all'intelletto
agente
e cos si diffonde secondo un
modo sostanziale su tutta
l'ani-
ma e la colma. In
questa
maniera l'anima
riempita
di Dio
stesso,
che
la sua
beatitudine.
Questo

proprio
ci che nella loro maniera oscu-
ra (obscure)
hanno
insegnato
i filosofi,
ossia che se
l'anima
dopo
la
morte entrasse in
congiunzione
con
il Primo Motore,
in
questo
si rea-
lizzerebbela sua vera e
perfetta
finalefioritura.37
37) In IV Sent. d.
49, a. 5 sol. et ad 1-2.
Alberto
Magno
471
Diversamente da
Plotino,
per
il
quale contemplazione
e unione con
lUno
sono una
conquista
dell'anima,
al termine di una
lunga
e faticosa
ascesi,
per
Alberto l'incontro unitivo e
contemplativo
con Dio un
dono, una
grazia analoga
a
quella
che Dio ha
concesso a Mos sul monte
Sinai:
Separato
da
tutti,
Mos entra nella nube della
non-conoscenza.
Di
questa
nube detto
(da
Dionigi), poich
in
essa
Dio,
del
quale
noi
ignoriamo
ci che
,
che mistica, ossia nascosta. In
essa Mos
chiude tutte le sue ricettivit
conoscitive,
ossia tutti i
poteri
naturali
dell'anima che
conoscono
per
modo di
recezione,
i
quali poteri,
una
volta sottrattisi alla
conoscenza del resto del mondo
creato, sono col-
mati dalla sola nubedivina. E cos Mos colloca
se medesimo,
per
l'a-
desione del
suo intelletto
(per
adhaesianenz
intellectus),
in ci che
assolutamente
non
palpabile
e non visibile:
perch
ci che
egli
in
que-
sto momento discerne non n sensibilen
intelligibile
di
una intelli-
gibilit
totalmente
comprensiva.
Mos
dunque,
dico
io,
cos
stabilito,
finisce
per appartenere
interamente a Colui che al di
sopra
di tutte
le
cose,
cio a Dio,
per
la totale conversione di
se medesimo a Lui, e
non esiste
per
nessun altro che
Dio,
n
per
se medesimo n
per
un
altro,
poich
non volto ad altra
cosa se non a Dio. Mos
dunque
unito nella maniera
migliore
secondo il modo eccellente dell'unione
(unitio), a Colui che
completamente ignorato,
cio a Dio,
per
il fatto
stesso di
aver messo da
parte ogni
conoscenza naturale:
egli
infatti
non rivolto verso le cose naturalmenteconosciute
ma esclusivamen-
te verso Dio,
che
non conosciuto secondo alcuna
conoscenza natura-
le.
Cos,
poste
le
sue conoscenze naturali in una condizionedi
riposo,
cio nella misura in cui
egli
non conosce
pi
nulla
per
via di
cono-
scenza naturale,
Mos e
gi posto
in condizionedi
conoscere al di l
del
proprio spirito
(mena), ovvero in maniera
superiore
alla natura del
suo
spirito, grazie
a una luce divina
che, infusa
dallalto, eleva lo
spi-
rito al di
sopra
di se stesso>>fl8
Concludendo,
la mistica
pagana
di Plotino
era una mistica senza
gra-
zia;
la
nuova mistica cristiana di Alberto
una mistica della
grazia.
L'apporto
di Alberto
Magno
alla metafisica
I
giudizi degli
storici sul valore del
pensiero
filosoficodi Alberto
Magno
sono decisamente contrastanti. Alcuni hanno visto in lui soltanto
un
compilatore eclettico,
la cui
opera
farebbe da contrasto al
pensiero
vigoroso
e
personale
del
suo
migliore discepolo,
Tommaso
dAquino.
38)
Super Dionysii Mysticam thenlngiam,
1, ed. Col.
37/2,
p.
462.
472 Parte seconda
Cos,
il
giudizio
di M. De Wulf su
Alberto come
filosofoera
abbastanza
severo:
la sua
filosofia
priva
di Coerenza e
di
spirito
sistematico.
Quando
commenta
Aristotele aristotelico;
quando
Commenta dottrine
neoplatoniche
di
provenienza
araba altrettanto
disposto
a
Condivider-
le.39 E
pi
oltre: Alberto si lascia trascinare dalla sua
erudizione.
il
tipo
del
compilatore
e
dellerudito>>.4fl Inoltre si fa osservare
che nelle sue
parafrasi
difficiledeterminare fino a
che
punto egli impegni
il suo
pen-
siero,
dal momento che dichiara
spesso
di fare
opera
di
esegeta
e
di non
voler assumersi la
responsabilit
delle dottrine che
espone.
Secondo altri studiosi
questo giudizio

ingiusto
e
inaccettabile.Pur
riconoscendo che Alberto non

giunto
alla costruzione di una
sintesi
filosofica
paragonabile
a
quella
di Tommaso
d'Aquino
si sostiene
che
anch'egli possiede
la stoffa dellautentic0filosofoe
del
pensatore
ori
gina-
le. Secondo lautorevole
parere
di F. Van
Steenberghen,
Alberto durante
tutta la sua
vita si
applicato
a scrutare
il sistema di
Aristotele, a
studiar-
ne le tendenze e le dottrine, a
confrontarlecon
quelle
del
platonismo,
del
neoplatonismo
e
del cristianesimo,
infine ad arricchire il tesoro della
scienza col frutto delle
proprie
osservazioni e riflessioni
persona1i.42
Alla
nuova sintesi creata da Alberto si
pu
dare sia il nome di aristotelismo
cristiano>>43 sia
quello
di aristotelismo
neoplatonizzantem
L'opera
di Alberto
Magno
si
pu
accostarea
quella
non meno
impor-
tante
per
la storia della filosofiae
della metafisica di Filone Alessandri-
no.
Entrambi sono
eminenti commentatori: il
primo
di
Aristotele,
il se-
condo della Bibbia. A
prima
vista
appaiono degli
eclettici in
quanto
at-
tingono
a fonti filosoficheassai
disparate,
e tuttavia se
si fa bene atten-
zione si
scopre
che essi dominano e
unificanoil
copioso
materiale a loro
disposizione,
cos da trarne una nuova
sintesi
speculativa:
la sintesi tra
platonismo
e
giudaismo, per
Filone;
la sintesi tra Aristotele,
la filosofia
araba e cristianesimo,
per
Alberto.
L'obiettivo
specifico
di Alberto
quello
di
comporre
in una unica sin-
tesi Platone ed Aristotele.
Ci che ad Alberto consente di
compiere
in modo
originale questa
difficile
operazione
la mediazionedi Avicenna,
che aveva
gi percorso
in modo
pi
brillante
questa
strada, ma,
in misura ancora
maggiore,
il
cristianesimo,
il
quale
ha
per
le creature un
rispetto
che manca
in Plato-
39) M. DE WULF,
Histoirede la
philosophie
mdivale,
vol. II,
Louvain 1936,
p.
136.
4)
lbid.
41) Cf. ibid.,
p.
134.
42) F. VAN STEENBERGHEN,
La
filosofia...
cit.,
p.
382.
43)
I. MANDONNET,
0p.
cit,
pp.
36 ss.
44)
F. VAN STEENBERGHEN,
0p.
cit,
pp.
382,
390.
Alberto
Magno
473
ne
e,
allo stesso
tempo,
ha
un senso
della Trascendenzache assente in
Aristotele.
L'approccio
filosoficodi Alberto
era
quindi quello
di
convo-
gliare
materiali aristotelici
e
anche altri a carattere
peripatetico
di
origi-
ne
greca,
islamica ed ebraica in
un sistema creazionale nel
quale
il
co-
smo Veniva Visto in diretta
dipendenza
per
la sua
specificit
dall'azione
creazionaledi Dio.45
La riconciliazionedella tradizione
platonica
e aristotelica in Alberto
opera
di
una
grande capacit
di
penetrazione
intellettuale e di
una
immensa cultura. Essa
germina
dal
suo vasto
spirito
scientifico e dalla
sua
profonda
formazionecristiana. Il suo
temperamento
scientifico
gli
fa
apprezzare
Aristotele, mentre l'eredit filosoficadel cristianesimo lo
tiene in stretto contatto con Platone.
Per
quanto
attiene la storia della metafisica i
grandi
meriti di Alberto
Magno
sono
soprattutto
due. Il
primo
di
avere riconosciuto e strenua-
mente difeso
l'importanza
di
questa
ricerca anche
per
un credente,
per-
ch la fede cristiana non rende affatto
superflua
la
metafisica,
anzi la
assume riconoscendo in
essa una
preziosissima
ancella. Il secondo di
aver cercato con le
sue accurate
parafrasi
di
agevolare
la lettura e la
comprensione
delle
opere
di colui che ormai erauniversalmentericono-
sciuto come il
Filosofo,
l'autore di
quella Metafisica,
che
nessun cultore
di
questa disciplinapu ignorare.
Alla luce di
quanto
stato detto facile
scorgere
in che
senso
perfet-
tamente
legittimo
si
possa
considerare Alberto
Magno
come il
fondatore
delllristotelisnto cristiano. Prima di
lui, l'assimilazionedellaristotelismo
da
parte
dei
pensatori
cristiani era ancora molto
imperfetta;
come
ha
detto molto
giustamente
il P.
Mandonnet,
Alberto si assunto
per primo
l'onere di rifare Aristotele a uso dei latini.46 Come ha mostrato F. Van
Steenberghen,
Alberto stato il
primo
ad offrire ai suoi
contemporanei
un'esposizionepraticamente completa
del
sapere
umano cos come era
stato elaborato dalla scienza
greco-araba
e
principalmente
dal
Filosofo, e
questa esposizione
molto
pi
di
un'opera desegesi
testuale,
poich
l'autore vi
impegna spesso
il
proprio pensiero
sotto forma di critiche
e
di
apporti personali.47
45)
E.
BOOTH,
Conciliazioni
ontologiche
delle tradizioni
platonica
e aristotelica in
S. Alberto
Magno
e S. Tommaso in AA.
Vv.,
S. Alberto
Magno,
l'uomo e il
pensato-
re, Massimo, Milano,
p.
69.
46)
P.
MANDONNET,
0p.
ciL,
p.
37.
47)
F. VAN
STEENBERGHEN,
La
filosofia...
cit,
p.
391.
474 Parte seconda
La scuola albertina
L'influenzadi Albertofu enorme e
il successo
della sua
opera
clamoro-
so.
Il
granaio
del suo
sapere
non si vuoto facilmente:l'azioneintellettua-
le esercitata da lui sul Medioevo stata
probabilmente
la
pi potente
di
tutte, senza eccettuare S. Tommaso
d'Aquino,
la cui
opera
si estende a un
dominio meno vasto, ma
fu
pi profonda
e
durevole.48 Ancora in vita
Albertoviene citato come
autorit
degna
di stare a fiancodi Avicennao
di
Averro. Nel suo
De anima intellectizia
Sigieri
di Brabante
parla
di Albertoe
di Tommaso come
praecipui
vin" in
philosophiiz.
Ulrico di
Strasburgo,
suo
discepolo
fedelissimo,
lo chiama nostri
temporis stupor
et miraculitnz, e
nel
seC.
XIV si comincia a
designarlo
Col nome
di Albcrtus
Magnus.
Prescindendo dal suo
maggiore discepolo,
Tommaso
d'Aquino,
che
per
la
sua
grandezza
e
originalit
non
pu
dirsi
propriamente
suo
scola-
ro, profonda
e
duratura fu l'influenza
dell'insegnamento
e
dell'opera
di
Alberto
Magno
in Germania sia nello Studiunz
generale
domenicano di
Colonia, e
nell'Ordine di S. Domenico,
sia nella cultura tedesca, tanto
negli
ambienti scientifici
quanto
in
quelli
filosofici e
teologici.
Linflusso
di Alberto
Magno
si fece sentire anche fuori della Germania, special-
mente in Polonia. La rielaborazionedell'universo scientifico aristoteli-
co
fu
ripresa
in forma
pi
o meno
liberadai
discepoli
di Alberto,
soprat-
tutto dal suo
discepolo prediletto,
Ulrico di
Strasburgo.
I
primi
albertisti,
Giovanni di Nova Domo ed Emerico di
Campo,
contribuirono a
far
penetrare
la sua
metafisica
nell'insegnamento
universitario,
fissandone
la
terminologia
e
l'ordine sistematicom" Pi tardi la riforma e Fumane-
simo cercheranno di
espellere
Falbertismoda tutte le accademie, ma
la
sua
presenza
rester ancora
forte e
vivace a Colonia e a Cracovia fino al
secolo XVIII.
48)
P. MANDONNET,
Alberi le
Grand,
in DTC l, c.
670.
4) I. CRAEMER-RUEGENBERG,
Albertus
Magnus,
Mnchen 1980,
p.15).
Alberto
Magno
475
Suggerimenti bibliografici
OPERE
Opera
omnia,
ed. P.
Iammy, Lyon
1651,
21 V011.
Opera
omnia,
ed. A.
Borgnet,
Paris
1890-1899,
38 voll.
Opera
omnia...
coloniense,
ed.
Geyer,
Kln 1951.
Studi (relativi alla
metafisica):
E.
BOOTH,
Conciliazioni
ontologiche
del-
le tradizioni
platonica
e aristotelica in SantA1bert0
e San
Tommaso, in
AA.
Vv.,
SantAlbert0
Magno,
l'uomo
e
il
pensatore,
Massimo, Milano,
pp.
61-81;
A. DE
LIBERA,
Alberi le Grand et la
philosopltie,
Paris
199D;
L. DE
RAEYMAEKER,
Albert le
Grand,
philczsophe.
Le
lignes fondamentales
de
son
systrwze mtaphysique,
in Revue noscol. 35
(1933),
pp.
31-36;
L.
DUCHARME,
"Esse" chez sant Alberi le Grand. Introdactiona la
mtaphysi-
que
de
ses
prerniers crits,
in Rev. Univ. Ottawa 27
(1957),
pp.
209-252;
B.
GEYER,
"De aristotelismo B. Alberti
Magni,
in Atti della settimana
albertina, Roma
1932,
pp.
63-90;
B.
NARDI,
Studi di
filosofia
medievale,
Roma
1960;
F.
RUELLO,
La notion de vrit chez saint Alberi le Grand et saint
Thomas
dAquin
de 1243 a
1254,
Paris
1969;
F. VAN
STEENBERGHEN,
La
filo-
sofia
di Alberto
Magno,
in
Sapienza
4
(1965),
pp.
381-395; ID.,
Albert
le Grand et Faristotlisme, in Rev. int.
philos.
34
(1980),
pp.
566-574;
G.
WIELAND,
untersaclzungen
zara
Seinsbegrijff
im
Metaphysikkommentar
Alberts des
Grossen,
Miinster
1972; J.
A.
WEISHEIPL,
Alberto
Magno
e le
scienze,
Edizioni Studio
Domenicano,
Bologna
1994.
476
TOMMASO
D'AQUINO,
METAFISICODELUESSERE
Tommaso
d'Aquino
iniziala
sua attivit di docente di
teologia
nell'u-
niversit di
Parigi
nel
1252,
Vale a dire
proprio
nel momento in cui il
grande
flusso del
corpus
arstotelico,
lungamente
ostacolato dai divieti
ecclesiastici,
irrompe
finalmente nella facolt delle Arti: nel
giro
di un
quinquennio
tutte le
opere
di Aristotele diventano materia
obbligatoria
di
insegnamento
e
di
esame.
A
quel punto
a nessun
teologo

pi
consentito di lavorare come
prima.
Gli strumenti concettuali messi a
disposizione
da
Agostino,
Proclo,
dallo
Pseudo-Dionigi,
Boezio e
Anselmo non bastano
pi.
Occor-
re
integrarli
con i metodi e le dottrine
insegnati
dal
grande
Filosofo di
Stagira.
Con Alberto
Magno,
Tommaso
d'Aquino
fu tra i
primi
a rendersi
conto dellenorme valore dell'eredit aristotelica e della necessit di
aprire
la
teologia
a
quel preziosissimo patrimonio.
Tommaso divenne
cos non
solo
un convinto avvocato di
Aristotele, ma
anche l'autore di
una nuova felice inculturazione della fede cristiana e
il creatore di una
nuova sintesi tra fede e Cultura. In una civilt
gi
interamente dominata
dai valori del
cristianesimo,
S. Tommaso sa
Valorizzareanche tutto il
patrimonio
culturale che il mondo arabo e
giudaico,
il
quale
aveva
gi
pienamente
assimilatoil
corpus
arstotelico, metteva a sua
disposizione.
Alla scuola di Aristotele Tommaso
porta
a
piena
maturazione la stessa
scienza
teologica,
conferendole
quei
titoli di scientificit che fino a
quel
momento non era ancora riuscita ad
acquisire.
S. Tommaso fu il
princi-
pale
artefice
dell'ingresso
definitvo di Aristotele nella filosofiacristiana
e
nella
teologia.
Ma la sua sintesi
teologica
molto
pi
che un
felice con-
nubio della fede cristiana con
il
linguaggio
filosoficoaristotelico. Infatti
l'intera eredit aristotelica -
come
pure quella neoplatonica
- viene ri
pensata
da S. Tommaso in modo
originale,
alla luce di un nuovo Concet-
to dell'essere,
inteso in modo
forte, intensivo, come atto,
actus essendi.

questo
un modo nuovo
di
pensare
la
realt,
tutta la realt:
quella
di
Dio, dell'uomo,
di
Cristo,
della
grazia,
dei sacramenti
ecc.,
in chiave
strettamente
ontologica
che assicura alla
poderosa
sintesi
teologica
del-
lAngelico
una
singolare
robustezza
e una
profonda
coesione, una stu-
penda
armoniae una
straordinariachiarezza. Davanti alla Summa
Tlzeologiae
Tommaso
d'Aquino
477
di S. Tommaso si rimane estatici e attoniti
come davanti alle maestose
cattedrali che i suoi
contemporanei
andavano innalzando
a
Parigi,
a
Chartres, a Colonia, a
Burgos,
a Milano, a York
e altrove.
Il valore del
pensiero
filosofico
e
teologico
di S. Tommaso e del
suo
grandioso
sistema fu
prontamente
riconosciuto dai membri del
suo or-
dine che sin dalla fine del secolo XIII ravvis nel Dottore
Angelico
il
suo
teologo pi rappresentativo.
Sin da allora la scuola domenicanasi iden-
tifc
con la scuola tomistica.
Questa, tuttavia,
fino al Conciliodi Trentofu
una scuola fra le
altre, ossia
pari
a
quelle degli scotisti,
degli
occamisti e
degli agostiniani.
Solo col Concilio
tridentino,
il
quale
a
sostegno
della
dottrina cattolica invoca
spesso,
oltre all'autorit di
Agostino
anche
quella
di
Tommaso,
il
nome
dellAngelico
cominci a
imporsi
anche
all'esterno dell'Ordine Domenicano.
La
posizione
del Dottore
Angelico
in
seno alla Chiesa cattolica
venne
ulteriormente rafforzata da Leone XIII con Penciclica Aeterni Patris
(1879). Questa
rendeva
obbligatorio l'insegnamento
della dottrina di
S. Tommaso in tutti i Seminari
e nelle Universit cattoliche. Sotto la
spinta
di Leone XIII
sorse
il
neotorrtismo, un movimento culturale di va-
ste
proporzioni
che coinvolse tutto il mondo cattolico. Studiosi di chiara
fama
come Mercier, Mandonnet, Grabmann, Gilson, Masnovo, Maritain,
Fabro, Manser,
De Finance hanno
riscoperto
lautentico
pensiero
del-
IAquinate
e
hanno mostrato allo stesso
tempo
la
grande
solidit del
suo
sistema
filosofico,modello ideale di
ogni filosofia
cristiana.
Mentre la
grandezza
della statura
teologica
di S. Tommaso
non mai
stata messa in dubbio - in molti ambienti il Dottore
Angelico
ritenuto
il
pi grande teologo
di tutti i
tempi
- soltanto
grazie
al neotomismo
finalmente
emersa anche
l'importanza
della sua concezione filosofica.
Le ricerche del secolo XX hanno
messo in luce la
profonda originalit
della metafisica
tomistica,
che
se indubbiamentecostruita secondo il
paradigma ontologico,
come
quella
di
Aristotele, non tuttavia
una
semplice
riedizione della metafisica aristotelica bens
una metafisica
profondamente rinnovata, strutturata su un nuovo concetto di
essere,
concepito
come actualitasomnium actuum.
Studiare la metafisica di S. Tommaso
significa
studiare solo
una
parte
del
suo ricchissimo
pensiero,
ma un
parte
molto
importante
e tra le
pi
affascinanti.
Nel
presente capitolo, dopo
alcune informazioni
preliminari
sulla
vita,
sulle
opere
e sulle fonti del
pensiero
filosofico
e metafisico del-
lAquinate,
cercheremo di ricostruire il
suo sistema metafisico
seguendo
la
logica
di
un
pensiero
che vede tutta al realt alla luce
dell'essere, con-
cepito intensivamente, come actus.
478 Parte seconda
Vita
Tommaso
nacque
a Roccasecca,
in uno dei castelli dei conti di
Aquino
tra il i224 e il 1225.1 La madre,
donna Teodora, era una
nobildonnadi
Napoli
(Theate),
di
origine
normanna,
mentre il
padre
Landolfo era un
personaggio importante
nel
regnum
di Federico II,
al
quale
era
legato
da
lontani vincoli di
parentela.
Landolfo si era
unito a
Teodora in seconde
nozze.
Dal loro matrimonio
nacquero
almeno
quattro
maschi e
cinque
femmine. I maschi si chiamavanoAimone, Rinaldo,
Landolfo e Tomma-
so.
Nei
progetti
dei
genitori,
Tommaso,
in
quanto figlio
cadetto,
avrebbe
dovuto abbracciarela vita ecclesiastica. Al tal fine
dopo
il
quinto
com-
pleanno",
e cio intorno al 1230,
lo condussero all'antica abbazia bene-
dettina di Montecassino e
lo affidarono ai monaci come
oblato
(oblatus),
il che
significa
che veniva offerto a Dio secondo lo stiledi vita benedet-
tino
per
essere
istruito nella
pratica
della
regola
monasticae
nelle mate-
rie di studio fondamentali?
La
permanenza
di Tommaso a
Montecassino venne
interrotta nel
1239 a causa
della
guerra
tra Federico II e
il
papa.
Le
truppe
imperiali
assaltarono Montecassino e
scacciarono tutti i monaci che non fossero
nati nei territori di Federico. Solo otto monaci ebbero il
permesso
di
rimanere: era
perci
impossibileper
l'abbazia mantenere ancora
degli
oblati nel monastero. Uabate
consigli
il
padre
di mandare Tommaso a
Napoli;
il
giovane
assecondo volentieri il desiderio del
padre
e
si trasfer
nella
metropoli
ai
piedi
del Vesuvio,
dove
riprese gli
studi del trivio e
del
quadrivio.
A
Napoli
ebbe
luogo
la sua
prima
diretta iniziazionealla
logica
e
alla
filosofiaaristotelica sotto
la
guida
di due eccellenti maestri,
Martino di
Dacia e
Pietro di Hibernia(Irlanda).
A
Napoli
ha
luogo
anche l'evento
che decide
per sempre
il destino di Tommaso: la sua
decisione di ab-
bracciarelo stato
religioso
nel recente Ordine Mendicante dei Frati Pre-
dicatori.
Quello
stile di vita che si
ispirava
al motto: salus animarum
per
praedicationerr:
et doctrinam
gli pareva
assai
congeniale.
Quando, proba-
bilmente
nell'aprile
del
1244,
Tommaso indosso l'abito
religioso
il
padre
era morto
da
quasi
un anno. La
famiglia
non aveva
assolutamentenulla
contro la scelta dello stato
religioso
del
giovane;
ma ci che non
poteva
tollerare era
il
suo
ingresso
in un
Ordine Mendicante,
nel
quale
era
de-
l) Per tutti i
particolari
delle informazioni
biografiche
che
seguono,
cf. l'eccellente
studio
di].
A. WEISHEIPL,
Tommaso
d'Aquino.
Vita,
pensiero, opere,
Milano1994.
2) Ibid,
p.
14.
Tommaso
dAquin0
479
stinato a un'esistenza
piena
di
stenti,
di insicurezze
e senza
privilegi
di
alcun
tipo.
E COS madre e fratelli ricorsero a
ogni
mezzo
per fargli
cam-
biare
idea;
quando
i suoi
superiori, per
sottrarlo alle
pressioni
e alle
minaccedei suoi
familiari,decisero di inviarloin
Francia,
donna Teodo-
ra indusse due fratelli di Tommaso ad assalire il
convoglio
dei Domeni-
cani e a
rapire
Tommaso. Essi lo ricondussero a Roccasecca dove lo ten-
nero rinchiusoin un loro castello
per
oltre
un anno. Ma Tommaso rima-
se irremovibilenella sua vocazione e
respinse
con un tizzone ardente
una bella
ragazza
che i fratelli
gli
avevano mandato in
camera
per
se-
durlo.
a
questa
vicenda che si riallacciail titolo di Doctor
Angelicus,
os-
sia
"uguale agli angeli, per
la
sua castit.
Nel
1245, ormai
maggiorenne,
Tommaso fu rilasciato
e cos,
finalmen-
te,
pot
recarsi a
Parigi
per
iniziare i suoi studi
teologici
sotto la
guida
del
suo confratello
pi
anziano,
Alberto
Magno,
che allora
era
magister
regens
dello Studium
parigino
dell'Ordine Domenicano.
Quando
tre anni
pi
tardi Alberto lasci
Parigi per
recarsi a Colonia
a
organizzarvi
un
nuovo Studiun: si fece
accompagnare
dal
pi intelligente
e brillantedei
suoi
allievi,Tommaso
d'Aquino.
Questi a Colonia
prosegu gli
studi teo-
logici
fino al
conseguimento
del baccalazireatus biblicus
e allo stesso
tempo,
alla scuola del suo
grande maestro,
prese
contatto non solo col
corpus
aristotelicum
ma anche
con
i commentatori
arabi,
specialmente
con Avicenna
e con
il
corpus dionysiacum
che
proprio
in
quegli
anni A1-
berto stava
parafrasando.
Dopo
l'ordinazione sacerdotale
(1252) Tommaso fu inviato a
Parigi
per acquistare
i
gradi
accademici
superiori:
il baccalaureatussententiarius
e
il
magister
sacrae doctrinae. Per
quattro
anni tenne i corsi
su Pier
Lombardo
e
questo insegnamento
sfocio nella
sua
prima opera
monu-
mentale,
il Contmentum in
quattuor
libros Sententiarum. Nel
1255,
insieme
con Bonaventura,
Tommaso fu coinvolto nella lotta
per l'assegnazione
delle cattedre di
teologia,
che i maestri del clero secolare ritenevano
ingiusto
affidare
a coloro
che, come
i frati
degli
Ordini
Mendicanti,
face-
vano
professione
di
povert.
La
questione
fu
portata
a Roma
e
grazie
allabile
perorazione
di Alberto
Magno,
i Mendicanti ebbero la
meglio.
A difesa del
proprio
diritto alla docenza universitaria
lAngelico
aveva
intanto scritto
l'opuscolo
Contra
impugnantes
Dei cultum et
religioncm.
Dopo
la vittoria dei
Mendicanti,
Tommaso
venne nominato
magister
regens
di
una
delle cattedre di
Teologia
dell'Universit
parigina.
Nel 1259 Tommaso Venne richiamatoin Italia
per svolgere
vari e im-
portanti
incarichi nella
sua
provincia
di
appartenenza, quella
romana
(alla
quale apparteneva
anche il convento di
Napoli),
della
quale egli
era
gi considerato,
grazie
alla
sua laurea
parigina,
la stella
pi fulgida.
480 Parte seconda
Il decennio della vita di Tommaso che va
dal 1259 al 1269
piuttosto
difficileda documentare storicamente (...).
difficile
soprattutto
stabilire
con certezza ci che Tommaso scrisse e
insegn
mentre era
in Italia,
in
quanto
i documenti a
disposizione
offrono la
possibilit
di diverse
ipo-
tesi. Ciononostante
qualche
dato storico si
pu
ricavare dalle
deposizio-
ni dei testimoni
presenti
al
processo
di canonizzazione,
da documenti
dell'epoca
e
anche dai
primi biografi
stessi>>fi
Secondo
Weisheipl,
Tommasotrascorse il
primo
anno e mezzo succes-
sivo al suo
ritorno nella
provincia
romana a S. Domenico di
Napoli,
intento alla
composizione
della sua
Summa contra
gentiles,
di cui a
Parigi
non aveva scritto che
poche pagine.
Pu anche darsi che durante
questo
periodo
trascorso a
Napoli egli
abbia sostituito il maestro del
convento,
ma non
vi sono
prove
che lo confermino. Ci che certo che
egli poteva
disporre
abbastanza liberamentedel suo
tempo
e
questo gli
consent di
portare rapidamente
a termine i
quattro
libri della Summa contra
gentiles.
Durante il
Capitolo provinciale
del 14 settembre 1261,
che si svolse a
Orvieto,
Tommaso fu nominato lector
(docente)
presso
il convento di
quella
citt. Nello stesso anno
saliva alla cattedra di Pietro Urbano IV,
il
quale
scelse come
residenza i nuovi
appartamenti papali
di
Orvieto,
dove visse buona
parte
dei
quattro
anni del suo
pontificato.
Tra il nuovo
papa
e Tommaso
nacque
una
calorosa amicizia;
Tommaso divenne un
assiduo collaboratoredi Urbano IV,
il
quale
a sua volta accordava al
suo
teologo
di fiducia tutto
quanto poteva
essere
utile o necessario al suo
lavoro. A Orvieto Tommaso ebbe anche la fortuna di incontrare il suo
confratello
Guglielmo
di Moerbeke,
eccellente
grecista,
al
quale
l'Angelico
chiese di
apprestare
una nuova
traduzione latina delle
opere
di Aristotele,
sulle
quali egli
avrebbe
poi
steso i suoi famosi commenti.
Allo stesso
Guglielmo
di Moerbekee ad altri confratelli Tommasochiese
di realizzarela traduzione di alcune
importanti opere
dei Padri
greci
che
non erano
mai state tradotte in latino,
arricchendo cos notevolmente le
fonti
patristche
accessibiliai
teologi
latini,
fonti delle
quali
lo stesso
Tommaso far
largo
uso
nella stesura della sua Summa
Theologiae.
Secondo uno
dei
primi biografi
di S. Tommaso,
Tolomeo di
Lucca, su
richiesta di Urbano
egli
(Tommaso)
fece molte cose e scrisse molto. Fu
per
accontentare
Urbano IV infatti che inizia
scrivere il suo
commento
continuo dei
quattro
Vangeli
(Catena aurea) e
compose
il Contra. errores
graecorum.
In entrambi
gli
scritti Tommaso dimostr di avere
imparato
molte cose
dai Padri
greci.
Sebbene si dedicasse con
molta attenzione
allo studio dei testi aristotelici non
sembra invece che
Tommaso,
duran-
s) Ibd,
p.
147.
Tommaso d
Aquino
481
te il suo
soggiorno
alla corte
pontificia
di
Viterbo,
presso
la
quale
si era
recato, avesse l'intenzione di commentarli. Non solo non esistono
com-
menti che si
possono
far risalire a
quel periodo,
ma
egli
non aveva affat-
to
bisogno
di
occuparsene.
ln
quanto
maestro di
teologia, egli
era
pro-
fondamente
impegnato
in
questioni teologiche, soprattutto dopo
avere
concepito
il
disegno
di
comporre
la sua monumentale Summa
Theologiae.
Ancora a Viterbo
egli complet
il
primo
libro,
che contienela dottrina su
Dio e sulla creazione.
In
quegli
anni,
dopo
il ritiro dei divieti
aristotelici, a
Parigi
il
pensiero
di Aristotele
aveva avuto
un'accoglienza
trionfale. Tutte le
sue
opere
erano
diventate materia di
insegnamento obbligatorio
nella facoltdelle
Arti. Insieme ad Aristotele erano arrivati anche i suoi
commentatori,
in
particolare
il commentatore
per
eccellenza,
Averro. Grazie al
grande
metafisico
Sigieri
di
Brabante,
nella facoltdelle Arti la versione averroi-
stca delle dottrine aristoteliche divenne di moda. Ma in
questo
modo
l'operazione
iniziatada Alberto
Magno
di armonizzareAristotele con
la
fede Cristiana risultava
impossibile.
I maestri di
teologia
-
specialmente
i
Francescani e
gli Agostiniani
- che
non avevano mai visto di buon
occhio
Aristotele, ne invocarono nuovamente la
proscrizione.
A
questo
punto,
nel
1269,
lo Studium domenicano di
Parigi
decise di richiamare
S. Tommaso e
di
affidargli,
oltre che la cattedra di
teologia,
anche
e
soprattutto
Vincombenzadi difendere la
causa
di Aristotele. S. Tomma-
so si trov a lottare su due fronti: contro i
teologi
tradizionalisti
(France-
scani e
Agostiniani)
che
accusavano Aristotele di
paganesimo
e contro
gli
averroisti che davano del suo
pensiero un'interpretazioneincompati-
bile
con alcune verit fondamentali del cristianesimo
(negazione
della
provvidenza
di
Dio,
della libert
umana,
dell'immortalit
dell'anima,
della
pluralit degli
intelletti
ecc).
Contro
questi
ultimi
lAngelico
scris-
se
immediatamenteil De unitate intellectus contra averroistas. Ma il lavoro
colossale che Tommaso svolse nel
quadriennio
della sua seconda docen-
za
parigina
fu
un altro: rifece
completamente
i commenti di tutte le
opere
di Aristotele sulla base di traduzioni
pi
affidabili
(quelle
del
Moerbeke),
al fine di liberareil
pensiero
di Aristotele
dall'ip0teca
aver-
roistica e
legittimare
in tal modo l'utilizzazionedel metodo
e delle dot-
trine di Aristotele
nell'approfondimento
della verit rivelata.
Quello
che
l'Angelico
riusc a
fare nel breve
giro
di
quattro
anni ha dellinverosimi
le. Lavorando intensamente dalla mattina alla
sera,
con un
gruppo
di
assistenti e di
segretari, egli port quasi
a termine il commento dell'inte-
ro
corpus
aristotelico. Ecco la lista delle
opere
commentate tra il 1268 e il
1272: De
interpretatione
(Peri Hermeneias),
Analitici
Posteriori, Fisica,
De c0eI0 et
munda,
De
generatione
et
corruptione, Metereologica,
De
anima,
De
sensu et
sensato,
De memoria et reminiscentia,
Metafisica,
Etica,
Politica.
482 Parte seconda
Con i suoi
profondi
commenti Tommaso forn la
sospirata guida
ese-
getica
ad
Aristotele, una
guida
che aiutava i
giovani
maestri delle Arti a
comprendere
la filosofia aristotelica in armonia con il testo autentico
e,
dove
necessario, con
i dettami della fede. Secondo
Weisheipl
Tommaso
si
occup
di Aristotele in
quanto
sentiva la necessit dal
punto
di vista
apostolico
di aiutare i
giovani
maestri delle Arti a
comprendere
la filoso-
fia aristotelica
(...).
Non
poteva
essere
ignorato
il rischio di
giovani
mae-
stri che,
dovendo
insegnare
Aristotele a scuola,
potevano
continuamen-
te essere
indotti
alleresia,
specialmente
da Averro. Perci Tommaso si
sent in dovere di scrivere
per
i
giovani
maestri delle Arti commenti che
fossero fedeli ad Aristotele - anche
quando
il suo
insegnamento
doveva
essere
rigettato
-
e
nello stesso
tempo
scevri da errore dal
punto
di vista
filosofico.4
Tommaso,
sull'esempio
del suo
grande
maestro Alberto
Magno, esplicitando
lintenzione di Aristotele (intentio Aristotelis) e
facendoneanche
l'esegesi
testuale
(littera),
fece nuovamente vedere che
tra Aristotele
e
il cristianesimo non esistevano contrasti insanabilie
che
quindi
era
molto
meglio per
la Chiesa
e
per
la
teologia
cercare
di dialo-
gare
Con Aristotele
piuttosto
che condannarlo in
blocco, come
facevano
Bonaventura e
gli Agostiniani.
Nell'estate del 1272 Tommaso aveva esaurito il
suo
compito
a
Parigi.
Nulla
era stato risolto;
le controversie contro
gli
Ordini
Mendicanti,
l'a-
verroismo latino e
l'opposizione
da
parte degli Agostiniani
erano
desti-
nati a continuare anche
dopo
la sua morte, e a lui non restava altro da
fare. Con la nomina del suo successore alla cattedra di
teologia,
il dome-
nicano Romano da
Roma,
della
famiglia degli
Orsini,
Tommaso
poteva
lasciare
Parigi
e far ritorno a Roma.
In Italia ricevette l'incarico di riordinare
l'insegnamento
della teolo-
gia
nell'universit di
Napoli
e di tenervi
egli
stesso alcuni
corsi, cosa
che
fece
regolarmente
fino al
gennaio
del
1274,
quando per
aveva
gi
smes-
so
definitivamentedi scrivere. Che cosa era
accaduto?
Un
giorno
del dicembredel
1273,
dopo
la celebrazionedella S.
Messa,
Tommaso chiam il
suo fedelissimo
segretario,
fra
Reginaldo
da
Piperno
e
gli
comunic che
aveva deciso di
interrompere ogni
lavoro
perch,
dopo
la visione del Cristo che aveva avuto
quella
mattina durante la
Santa
Messa, tutto
quanto
aveva scritto
gli pareva
un
mucchietto di
paglia:
tota
palea.
Cos rimasero
incomplete
due delle sue
opere pi
importanti:
la Summa
Theologiae
interrotta alla
Questione
90 della Tertia
Pars e
il
CompendiumTheologiae,
sospeso
al
capitolo
10 del Libro Secondo.
4) una,
p.
285.
Tommaso
dAaaino
483
Nel
gennaio
del
1274, su invito di
Gregorio
X,
Tommaso
part
alla
volta di
Lione,
dove il
papa
aveva convocato il Concilio ecumenico.
Ciunto nei
pressi
di Fossanova Tommaso fu colto da un
grave
malore e
venne ricoverato sollecitamente nellabbazia cistercense di
quel paese.
Tutte le cure
per
risultarono
vane e
dopo qualche
settimana
(il
7
marzo)
egli
mor senza
che si fosse
potuta capire
la natura del male che l'aveva
colpito.
Nei suoi
contemporanei
Tommaso lasci
un
ricordo
profondo
per
la
finezza
e acutezza della
sua
intelligenza, per
la
grandezza
e
originalit
del
suo
genio,
per
la soavit e santit della
sua vita. Il
suo
primo
bio-
grafo, Guglielmo
di
Tocco,
sottolinea la straordinaria
originalit
di
S. Tommaso in tutto ci che faceva: Fra Tommaso
proponeva
nelle
sue
lezioni
problemi
nuovi,
scopriva
nuovi
metodi,
impiegava
nuove concatena-
zioni di
prove,
e nelludirlo
spiegare, spiegava
cos una nuova dottrina con
nuovi
argomenti
che
non si
poteva
dubitareche
Dio, attraverso lirradiar-
si di
questa
nuova luce e
la novit di
questa ispirazione, gli
avesse
fatto
dono
dell'insegnamento,
in
parole
e scritti,
di
una nuova dottrina.
Tommaso
d'Aquino
fu
proclamato
santo da Giovanni XXII nel 1323. Ben
presto gli
fu conferito il titolo di Dottore
Angelico
e recentemente
quello
di Dottore Comune.
Opere
Secondo un uso molto diffuso nell'antichit
e nel
Medioevo,
per
cui,
per
dar credito a certi
scritti,
li si attribuivano ad autori
famosi,
anche a
S. Tommaso
sono state ascritte
opere
che,
al
vaglio
della critica moder-
na,
sono
poi
risultate di dubbia autenticit
o
spurie.
Ancora
oggi
il
pro-
blema del
catalogo
delle
opere
autentiche
non stato
completamente
risolto. Il
padre
Mandonnet ha creduto di trovare la soluzione
apodittica
del
problema
nel
catalogo
di Bartolomeo di
Capua:
a suo
giudizio
que-
sto sarebbeun
catalogo
ufficiale e
pertanto
le
opere
ivi contenute sareb-
bero
autentiche, mentre le
opere
non
comprese
sarebbero
apocrifo.
Ma
pi
tardi Pelster
e
Grabmann hanno dimostrato l'infondatezza di
questa
tesi,
facendo Vedere che
non esiste nessun
catalogo
ufficiale
e
dimostrando che alcune
opere
sicuramente autentiche
non sono incluse
nel
catalogo
di Bartolomeo di
Capua.
Ad
ogni
modo si deve dire
che,
tutto
sommato,
si tratta di
una
questione
di
importanza
relativa,
in
quanto
tutte le
opere maggiori
attribuite a S. Tommaso
sono sicuramen-
te frutto del
suo
ingegno
e sono
pertanto
sicuramenteautentiche.
S soliti suddividere
gli
scritti di S. Tommaso in sei
gruppi:
a)
Com-
menti alla Sacra
Scrittura; b)
Commenti ad
Aristotele; c)
Opere
sistema-
tiche; d)
Opuscoli
autentici:
e) Varie; f)
Altri commenti.
484 Parte seconda
A)
COMMENTI ALLA SACRA SCRITTURA
1.
Expos.
in
10b (Tolomeodi
Lucca, 1261-64,- Mandonnet, 1269-72).
.
In Psalmos Davidis lectura
(1271-73).
. Expos.
in Cantica canticorum
(perduto).
. Expns.
in Isaiam
prophetam
(Mandonnet, 1256-59; Destrez, 1269-74).
. Expos.
in
Ieremiam prophetam
(Mandonnet, 1267-68).
. Expos.
in Threnos
Ieremiaeprophetae
(Mandonnet, 1264-69).
.
Catena aurea
super quattuor Evang.
(1261-64
per
S.
Matteo;
dopo
il
1264
per gli
altri).
. Expos.
(Iectura)
in Ev. s. Matthaei
(1256-59).
9.
Expos.
(Iectura) in Ev. s. Ioannis (1269-72).
10.
Expos.
in
s.
Pauli
apost. epist. (per
I Cor. da
c. 11 alla fine:
1259-65;
per
Rom. I Cor. 1-10:
1272-73).
O0
JONW-PUJN
B)
COMMENTI AD ARISTOTELE
In libros Perihermeneias
expos.
(fino
al 1.
II,
lect. 2:
1268-72).
.
In Iibros
posteriorum Analyticorum
expos.
(1268-72).
.
In octo Iibros
Physicorum
expos.
(dopo
il
1268).
4. In Iibros de Caelo et Mando
expos.
(fino
al 1.
III,
lect. 8:
1272).
5. In Iibros De Generationeet
Cormptioneexpos.
(fino
al 1.
I,
lect. 17: 1272-73).
6. In Iibros
Metereologicorum expos.
(fino
al 1.
II,
lect. 10:
1269-72).
7. In libros De Anima Iectura
(lib. l; verso il
127D, Verbeke),
expos.
(ll.
II-III:
1267-72).
8. In Iibros De sensu et sensato
expos.
(1267-72).
9. In Iibrum De memoria et reminiscentia
expos.
(1267-72).
10. In duodecim libros
Metaphysicorum
expos.
(1266-72).
11. In decem libros Ethicorum
expos.
(1260-69).
mm:-
12. In libros Politicorum
expos.
(fino
al 1.
III,
lect. 6:
1269-72).
13. In librum de causis
expos.
(1269-73)
C)
OPERE SISTEMATICHE
1. Comnzentum in
quattuor
lbros Sententiarum
magistri
Petri Lombardi
(1254-56; un secondo commento
posteriore
andato
perduto).
2. Summa contra
gentiles
(1261-64).
3. Summa
Theologiae
(fino alla
pars
III,
q.
90.
Segue
il
SuppIenL, compila-
zione di fra
Reginaldo
da
Piperno
che si servito del Commento to-
mista al 1. IV delle
Sentenze):
pars
1, 1266-68;
para
II:
Ia-IIae, 1269-70,
Ila-Ilae,1271-72;
pars
III,
1272-73.
4.
1.
2.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
Tommaso d
Aquin0
485
Quaestiones disputatae:
De veritate:
Parigi,
artt. 1-84
(1256-1257);
artt. 85-168
(1257-58); artt. 169-253
(1258-1259); De
potentia:
Roma,
artt. 1-55 (1265-67); Viterbo, artt. 56-83
(1267-68); De
spiritualibus
crea-
turis,
Viterbo
(1268); a
Parigi:
De anima
(1269);
De virtutibus in commu-
ni
(1269-72);
De rrzalo
(1269-72); De earitate
(126972); De
spe
(1269-72);
De correctione
fraterna (1269-1272);
De unione Verbi incarnati
(1270-72).
. Quaestiones Quodlibetales (si tenevano durante le vacanzedi Natale
e
di
Pasqua): Quodl.
VII-IX
(1256-59); Quodl.
I-VI e XII. I1
p.
Mandonnet
suggerisce
la
seguente
distribuzione:
Quodl.
VII
(Natale 1256); Quodl.
VIII
(Natale 1258); Quodl.
IX
(Pasqua
1258);
Quodl.
XI
(Pasqua
1259);
Quodl.
I
(ancora
Pasqua
1259); Quodl.
II
(Natale 1269);
Quodl.
III
(Pasqua
1270); Quodl.
IV
(Pasqua 1271); Quodl.
V
(Natale 1271);
Quodl.
VI
(Pasqua
1271). I dubbi avanzati da P. Glorieux sullautenti-
cit del
Quodl.
IX
sono stati
respinti
come infondati da
J. Isaac,
in Arch. dhist. doctr. et Iitt. du
m. r. 22-23
(1947-48),
pp.
187 ss.
D)
OPUSCOLI
AUTENTICI
Sono
una
cinquantina,
tra cui
segnaliamo
i
seguenti:
Contra
errores Graecorumad Urbanum IVPont. Max.
(1261 64).
Compendiunz Theologiae
ad
fratrem Reginaldum
socium suum carissimum
(1272-1273);
incompiuto,
fino al De virtute
spei,
c. 256.
3. De
difierentia
verbi divini et humarzi.
4.
5. De substantiis
separatis
seu
de
angelorum
natura ad
fmtrem Reginaldunz
De natura verbi intellectus.
socium
suum carissimum
(incompiuto; 1272-73).
6. De unitate intellecfus contra averroistas
(1270).
7. Contra
pestzferam
doctrinam retrahentium homines
a
religionis ingressu
(1270).
De
perfectione
vitae
spiritualis (1269-1270).
Contra
impugnantes
Dei cultum et
religione:
(1256-57).
De
regimineprincipum
ad
regerrz Cypri
(fino
al 1.
Il,
cap.
4:
1265-66).
De
regimine judaeorunz
ad ducissanz Brabantiae
(1270).
De aeternitatemundi contra nzurmurantes
(1270).
De
principio
individuationis.
De ente et essentia
(1254-56).
De
principiis
naturae
adfratrem
Silvestrum
(1255).
De
propositionibus
modalibus.
De natura accidentis.
De natura
generis.
486 Parte seconda
E)
VARIE
Sermoni (il numero incerto. Una nuova
raccoltadi 11
prediche
sta-
ta
scoperta
nelle biblioteche di
Spagna
da P. T.
Kppeli,
v.
Arch.
Fr. Praed.,
13 [1943],
pp.
59-94). Preghiere
(il numero
incerto).
Due
Principa
(0 lezioni
magistrali):
uno come
Baccalaureusbiblicus del
1252 sul tema: Hic est liber mandatorumDei e
l'altro come
Magister
regens
del 1256 sul tema:
Rigans
montes de
superioribus
suis
(ed.
F. Salvatore,
Due sermoni ined. di s. T. dA.,
Roma 1912).
F)
ALTRi COMMENTI
1. In Boethii De Trinitate.
2. In Boethiz De Hebdomadibus.
3. In Dionisii De divinis nominibus.
Gli scritti di metafisica
Di tutte
queste opere
a
noi
qui
interessano soltanto
quelle
che
riguar-
dano la metafisica,
che non sono
poche.
In effetti
nell'epoca
medievale
nessun
altro autore
ha scritto tanto di metafisica
quanto
S. Tommaso, e
lo ha fatto utilizzandovari
generi
letterari: il
commento,
il
saggio (opu-
sculum),
la
quaestio disputata,
il
quodlibet
e
il tractatus.
I commenti che
riguardano propriamente
la teoresi metafisica sono:
i
commenti alla
Metafisica
e
al De anima di Aristotele;
al De Trinitate e
De Hebdonzadibus di Boezio;
al De dvinis nominibus dello
Pseudo-Dionigi
e al De causis.
Una buona met
degli Opuscula
discutono terni di metafisica. Fra tut-
ti eccelle il De ente et essentia che
pu
considerarsi il manifesto della me-
tafisica di S. Tommaso. Ma vanno
segnalati
anche il De substantiis
separa-
tis,
il De aeternitate mundi,
il De
principio
individuationis,
il De
principiis
naturale,
il De naturaeaccidentis.
Tra le
Quaestiones disputatae
dibattono tematiche
squisitamente
meta-
fisiche il De veritate,
il De
potentia,
il De
malo,
il De anima e
il De
spirituali-
bus creaturis.
Anche un
discreto numero
dei
Quodlibetala
si interessano a
problemi
metafisici,
in
particolare
il
II,
il
III, l'VIII,
il IX e
il XII.
Un vero e
proprio
trattato
completo
di metafisica S. Tommaso non
lo
ha mai
composto,
ma nelle sue tre
grandiose opere
sistematiche,
il Com-
mento alle
Sentenze,
la Summa contra
gentiles
e
la Summa
Theologiaeegli
ha
avuto
l'opportunit
di
svolgere completamente,
bench occasionalmen-
te e
dispersivamente,
tutti i
problemi
che
riguardano
la metafisica.
Que-
Tommasod
'Aqu
ino
487
ste tre
opere
monumentali
sono essenzialmente
teologiche,
ma nel modo
di fare
teologia dellAngelico l'indagine
razionale
(ossia
la
filosofia)
ha
un
posto
e una funzione essenziale. Secondo lui
un'esposizione
della
dottrina cattolica che
voglia rivolgersi
a tutti
gli
uomini deve
prendere
le mosse da ci che la
ragione
umana
pu scoprire, perch
la
ragione
quella
che
accomunatutti
gli
uomini. L'uomo
per
la
ragione,
secondo
Tommaso: intellectus et ratio est
potissima
hominis
natura;
anche
se la
ragione
non tutto lu0mo
(potissima, non tota).
Anche
per
il
credente,
del
resto, che,
pur partendo
da ci che Dio ha
rivelato,
vuol
cercare
di
averne una certa
intelligenza,
l'esercizio della
ragione

necessario,
per-
ch il dono divino della
grazia
non
distrugge
la
sua natura ma la eleva:
Cum
igitur gratin
non tollat naturam sed
perficiat,
oportet quod
naturalis
ratio subserviat
fidei
sicut naturalis inclinatio voluntatis
obsequitur
charitatim Si
capisce quindi
che il
teologo
Tommaso
d'Aquino
dedicasse
intere trattazioni a
problemi
filosofici
e metafisici anche nello
svolgi-
mento delle
sue
opere teologiche,
l dove la materia
poteva
richiederlo.
L'opera teologica
in cui il discorso metafisico svolto in modo
pi
organico
e unitario la Summa contra
gentiles,
a cui non a caso stato
dato il
nome di Summa
philosophiae.
In
questo
scritto S. Tommaso
opera
una netta distinzione tra i
grandi
misteri
cristiani, Trinit, Incarnazione,
Sacramenti,
che
sono verit del tutto inaccessibilialla
ragione,
e
i temi
relativi
a Dio,
le creature
angeliche
e l'anima
umana,
che
sono verit su
cui la
ragione
umana in
grado
di
acquisire
una certa conoscenza:
Vi
sono
- scrive
l'Angelico

alcune verit che


superano ogni potere
del-
l'umana
ragione,
per
es. che Dio
uno e trino. Altre
sono tali da
poter
essere
raggiunte
dalla
ragione naturale,
per esempio
che Dio
esiste,
che
Dio
uno,
e simili.7
Ora, mentre nella Summa
Theologiae
verit naturali
e verit
soprannaturali
sono
esposte
nell'ambitodel medesimo
trattato
(per es.,
nella Prima
Parte,
dopo
le
questioni
su Dio accessibilialla
ragio-
ne si
passa
subito alla
Trinit),
nella Contra
gcntiles,
i
primi
tre libri
sono
dedicati esclusivamente alle verit che Tommaso ritiene
intelligibili
alla
ragione.
Nel
primo
libro,
per
es.,
in cui si
parla
di
Dio, non si
accenna
alla Trinit
e
le verit
note solo mediante la rivelazione
sono tutte raccol-
te nel
quarto
libro. Non
solo, ma Tommasoafferma anche che all'interno
di
un certo discorso
occorre
partire
dalle verit accessibilialla
ragione
perch,
nellesporre
e
giustificare
la dottrina cristiana discutendo
con
gli
eretici si
pu
assumere come
presupposto
comune tutta la Bibbia
e con
gli
ebrei si
pu
assumere l'Antico
Testamento, ma con i musulmani
e
5)
s. TI.
1-11, 31,
7.
6) s. Th.
I,l,8.
7) C. G.
1,
3.
488 Parte seconda
con
i
pagani
non
si
pu
ammettere come
presupposto
se non
ci che
comune a tutti
gli
uomini,
cio la
ragione:
Perci necessario ricorrere
alla
ragione,
alla
quale
tutti devono assentirewi
L'ordine della trattazione
seguito
da S. Tommaso nella Contra
gentiles
(come
pure
nella Summa
Theologiae)

quello
dall'alto al
basso,
tipico
dei
neoplatonici: prima
Dio,
poi
le creature
angeliche e,
per
ultima,
l'anima
umana.
Anche nel Commento alle Sentenze Tommaso affronta tutti i
grandi pro-
blemi della metafisica, ma
in modo meno ordinato dovendo
seguire
l'or-
dine di Pier Lombardo. La lettura di
quest'opera
estremamente fruttuo-
sa,
non
solo
perch
la
pi
estesa ma
anche
perch
una tra le
pi
profonde
di
quelle
scritte da Tommaso
per
l'acutezzadelle soluzioni alle
pi
intricate
questioni.
Essa, infatti,non diretta a chi inizia
gli
studi teo-
logici
come la Summa
Theologiae,
ma a
chi
gi possiede
il baccalaureatus
biblicus, e
si
presta quindi
a
discussioni e
ad analisi
specifiche
che la
Summa non
affronta. Il Commento alle Sentenze,
bench sia stato scritto da
Tommaso nella sua
giovinezza,
sostanzialmente
un'opera
della matu-
rit del suo
pensiero.
Come abbiamo avuto modo di mostrare
nella
monografia
Saint Thomas
Aquinas Philosophy
in the
Commentary
to the
Sentences? tutte le
posizioni
filosofichee
metafisiche di base di S. Tom-
maso vi sono
gi
chiaramente
espresse,
inclusa
quella
sua
originalissima
concezione dell'essere, come
perfezione
massima e
radice di
ogni
altra
perfezione,
che l'asse
portante
di tutta la sua
metafisica. Per ci che
attiene alla metafisica nelle
opere
posteriori
al Commento alle Sentenze non
si
registrano
mutamenti
significativi,
anche
se
ci sono
accentuazioni
diverse nell'analisi e nella trattazione
degli argomenti
e un
evidente
pro-
gresso
nella conoscenza
delle f0nti.11 Per
questo
motivo nella ricostruzio-
ne del
pensiero
metafisico
dell'Angelico
non trascureremo
mai il suo
insegnamento
contenuto nel commentoai libri di Pier Lombardo.
Le fonti della metafisica di S. Tommaso
Le fonti della metafisica di S. Tommaso sono
moltissime: esse vanno
dai filosofi dell'antichit,
soprattutto
Aristotele ma
anche Platone,
ai
neoplatonici,specialmente
Proclo,
ai filosofi cristiani,
Agostino
e Boezio,
nonch lo
Pseudo-Dionigi,
ai filosofi arabi,
Avicennae Averro,
ai filoso-
fi
ebrei,
Avicebrone Mamonide, e
ai suoi
contemporanei, Guglielmo
d'Auvergne
e
Alberto
Magno.
5)
Ibd. I, c. 2.
9) Nijhoff,
L'Aia 1975.
1) Cf. B. MONDIN,
Saint Thomas
Aquinas Phil0s0phy...,
cit.,
pp.
46 ss.
H) Cf. S. VANNI ROVIGHI,
Introduzionea Tommaso
d'Aquino,
Bari
1973,
pp.
17-18.
Tommaso d
'Aquinc)
489
Ci si
pu
fare un'idea delle fonti
principali
della metafisica
dell'Aqui-
nate dando
uno
sguardo agli
autori che
egli
cita in
quella
summula della
sua
metafisica che il De ente et esserztia. Ecco lo
specchietto degli
autori
menzionati e
il
numero di volte in cui sono
esplicitamente
citati: Aristo-
tele
(14 volte),
Avicenna
(15),
Averro
(10)
Avicebron
(11),
Boezio
(4).
Si tratta certamente di
un elenco
parziale perch
oltre ai suoi
contempo-
ranei omette Platone,
Agostino,
lo
PseudoDionigi
e Proclo,
pensatori
ai
quali egli
deve molto. Ma
significativo
constatare che in testa alla lista
degli
autori
pi
citati
figurano
Aristotele ed
Avicenna,
perch
sono
indubbiamente
questi
due
grandissimi pensatori
coloro che
con le loro
dottrine
sull'ente,
sulle
sue strutture e sui suoi
principi primi
hanno aiu-
tato di
pi
S. Tommasoa costruire un nuovo edificiometafisico.
S. TOMMASO E ARISTOTELE
Il debitodi S. Tommaso verso Aristotele e la stima
per
il
suo
pensiero
sono cos
grandi
che
non solo
egli
si
proclama apertamente
suo
discepolo
ma vuole essere
anche
suo fedelissimo
interprete, perch
convinto
che,
specialmente
in
metafisica, nessuno e
giunto pi
vicino alla verit dello
Stagirita,
e
che
per questo
motivo tra Aristotele
e
il cristianesimo non
pu
esserci
nessun contrasto insanabile.S. Tommaso
scorge
nel
pensiero
di Aristotele la
Vera
filosofia
umana
ed avverte la
cospicua superiorit
di
Aristotele su tutti i filosofi
antichi,
compreso
Platone; non manca di farla
notare
esplicitamente
e
comunque agisce
in
conseguenza
di tale
opinio-
ne.
In tutta la
sua
opera
si nota il
peso
che ha
per
lui
una concezione cos
chiara della filosofiadello
Stagirita:
u_n
rispetto, questo,
che
non
gli
venne
imposto
da
nessuno; anzi,
si deve ricordare che in
un'epoca
in cui l'indi-
rizzo filosofico
e
teologico imperante
era
quello
di
Agostino
lo schierarsi
apertamente
e decisamente
per
Aristotele, come fece S.
Tommaso,
fu
un
grande
atto di
coraggio,
dovuto esclusivamente all'amore
per
la verit.
E fu l'amore
per
1a verit che lo
port
a rifare i commenti all'intero
corpus
aristotelico al fine di
contrapporli
a
quelli
scritti da
Averro,
il
quale
aveva
compiuto unesegesi
dei testi aristotelici che risultava in-
compatibile
su alcuni
punti
fondamentali della metafisica
e dell'antro-
pologia
con
la verit rivelata.
Ora,
per
S.
Tommaso, come in buona
so-
stanza
per
tutta la metafisica
cristiana,
la verit
per
s non
pu
che
esse-
re una sola, e
perci
il
possibile
contrasto tra verit rivelata e verit di
ragione
(filosofica) solo
apparente
e risolvibileda
un
impegno
analiti-
co
pi profondo.
L'obiettivo
primario,
anzi unico
dellesegesi
tomistica
quello
di
sve-
lare la verit del
testo, non la verit cristiana e
neppure
la Verit filosofi-
ca,
bens la verit secondo Pintentio flMCOTS. Nei suoi commenti
l'Aqui-
490 Parte seconda
nate non si
propone
fini
apologetici
a
sostegno
della fede cristianao dello
stesso Aristotele. Contro una Critica malevolaS. Tommaso difende il
suo
diritto
a
rispettare
il carattere dei testi senza
pregiudizi
confessionali:
Non vedo come
possa
riguardare
la dottrina della fede il modo in cui
vengono spiegate
le
parole
del Filosofo
(Nec
video
quid pertineat
ad dottri-
nam
fidei qualiter Philosophi
verba
exponarztur) (Rcsponso
ad
Mag. Ioannem).
Per
scoprire
lfintentio auctoris S. Tommaso ricorre alle
indagini
testuali,
al
confronto dei testi
paralleli.
Cos,
per
stabilire
quale
sia
l'insegnamento
di Aristotele sullanima mette a confrontole affermazioni del III libro del
De anima con
quelle
del
II,
perch
dal confronto
reciproco
delle sue
parole
risulti chiaro
quale
sia stato il suo
pensiero
sull'anima
(ut ex colla-
tione verborum eius ad invicem
appareat quaefiierit
eius sententia de
anima).
Quella
del commento un'arte in cui
gli
autori medioevali ebbero
ben
pochi
rivali. Tutto
l'insegnamento
sia nelle facolt delle Artes come
in
quella
di
teologia
era
condotto attraverso il commento dei testi di
autori considerati classici e
vincolanti
per
tutti. Il commentatore d
importanza
al
proprio
testo e Cerca
di intenderlo
rettamente, non
per
compiacersi
da
puro
erudito nella restaurazione di un sistema ormai
superato,
ma
per
trovarvi un testimone della
verit,
pi
o meno
perspi-
cace, pi
o meno
parziale,
ma
idoneo a
sorreggere
una
ricerca ulteriore e
progressiva
(M.
D.
CHENU).
Dell'arte del commento S. Tommaso si era
mpadronito
sin dai
primi
anni del suo
insegnamentoparigino,
commentando
prima
le Sentenze di
Pier Lombardo e
poi
alcuni libri dell'Antico Testamento. Ma
quest'opera
non
presentava particolari
difficolt,
tanto
pi
che
poteva
contare sul
lavoro di moltissimi altri commentatori che l'avevano
preceduto.
Ben
pi
ardua era invece
l'impresa
di commentareAristotele. Anzitutto
per-
ch
l'originale
non era un testo latino ma
greco, lingua praticamente
sconosciuta a S. Tommaso. In secondo
luogo perch
le traduzioni latine
di Aristotele non erano
sempre
attendibilie
richiedevano
pazienti
verifi-
che,
che S. Tommaso non era
sempre
in
grado
di
eseguire personalmen-
te. Infinc,
perch per
numerose
opere
di Aristotele
non
poteva
avvalersi
dell'apporto
di altri commentatori e
doveva assumersi il rischio di fare
da battistrada. In
generale
si
pu
dire che commentando Aristotele
l'Aquinate
si avvalse di tutte le traduzioni latine
e
di tutti i commenti
tradotti in
lingua
latinache
poteva
trovare nella ricca bibliotecadell'uni-
versit di
Parigi
e nel suo convento dello Studium
generale parigino
all'i-
niziodel 1270. Per la
Metafisica
chiese al confratello
Guglielmo
di
Morbeke,
eccellente
grecista,
di
approntare
una nuova
traduzione. Per il Peri her-
meneias si avvalse
soprattutto
del commento fattorieda Boezio.
Tommaso
d'Aquino
491
Metodo
Il metodo usato da S. Tommaso
per
commentare Aristotele si
adegua
all'obiettivointrinseco al lavoro
esegetico,
che come s' visto
quello
di
scoprire
la intentio
azictoris;
pertanto
non
pu
essere
che il metodo della
esegesi
letterale. Infatti nello studio di un autore
profano
non
pu pi
aver
luogo,
come nello studio della S.
Scrittura,
la distinzione tra senso
storico o
letterale
e senso
allegorico
0
spirituale.
La Scrittura infatti
con-
tiene
pi
sensi
perch

ispirata
dallo
Spirito
Santo, mentre
gli
scritti
profani
avendo
un unico autore non
possono
avere
che
un unico
senso,
cio
quello
inteso dall'autore: Yintentio auctoris. S010
cogliendo
Peffettiva
intentio uuctoris si
possono
eliminare
esegesi
inesatte 0
sbagliate.
Amante
delresegesi
letterale S. Tommaso evita la
parafrasi
dei testi e si
impegna
in
unesegesi
minuziosa,
quasi parola per parola.
Ma
Yesegesi
tomistica di Aristotele si nutre di
una forte
simpatia
e
di
una
grande
ammirazione
per
il
suo autore. Ci
porta
S. Tommaso ad
interpretare
i testi aristotelici con
disposizione
favorevoleevitando
qual-
siasi
contrapposizione
tra verit di fede
e verit di
ragione.
Tommaso
cerca di
interpretare
Aristotele in maniera estensiva anzich
restrittiva,
facendo attenzione
pi
ai
principi
in
se stessi che alle conclusioni. Caso
tipico,
e
ben
noto,
di
questo
modo di
procedere
il
problema
dell'eter-
nit del mondo affermata da
Aristotele, e
che S. Tommaso cerca
di conci-
liare con la dottrina cristiana della creazione
ipotizzando
una creazione
del mondo ab aeterno.
Questa
ipotesi
secondo
YAquinate

perfettamente
razionale,
in
quanto
non si danno limiti
temporali
alla
potenza
divina
e
perci
la
negazione
a
priori
della creazione del mondo nelletemit risulta
pi
dannosa alla fede che
non
la
sua affermazione. Ecco
l'argomentazio-
ne
stringente dellAngelico:
Che il mondo
non sia
sempre
esistito si tie-
ne soltanto
per
fede e non si
pu provare
con
argomenti
convincenti
(...).
Infatti
non si
pu investigare
razionalmente
quale
sia la volont di
Dio,
se non a
proposito
di
quelle
cose
che e assolutamentenecessario che lui
Voglia;
ma tale certamente non
quanto egli
vuole
riguardo
alle creatu-
re. La volont divina
pu
essere invece manifestata all'uomo
per
rivela-
zione,
sulla
quale appunto
si fonda la fede.
Quindi
che il mondo abbia
avuto inizio
cosa
da
credersi, ma non
oggetto
di dimostrazione o di
scienza. E
questa
una cosa
che
bisogna
tener ben
presente, perch
qualcuno, presumendo
di dimostrare ci che soltanto di
fede, non
abbia
a
portare argomenti
che
non
provano,
e
offrire cos materia di
derisione a coloro che non credono,
facendoloro
supporre
che noi si cre-
dano le
cose
di fede
con
argomenti
di
questo generem
12) S. Th.
I, 46,
2.
492 Parte seconda
Come osserva
M. D.
Chenu, una
elaborazione
esegetica
di
questa
specie
non senza
i suoi lati
negativi,
in
quanto porta
talvolta a disso-
ciare i
principi
dalle
conseguenze
che Aristotele ne trae. Si corre
il ri-
schio allora di
presentare
un
aristotelismoche
non osa
spingersi
fino alle
sue
ultime conclusioni.
Agostiniani
e Averroisti non si faranno
scrupolo
di
rimproverare
a san Tommaso di
presentare
un averroismo
quasi
ver-
gognoso
di se stesso.13 D'altronde S. Tommaso non aveva
affatto l'in-
tenzione di tentare una
mediazionetra
agostinismo
e
aristotelismocome
facevanoi maestri francescani
(Alessandro
di Hales e S. Bonaventura).
Il
suo obiettivo era
quello
di
esporre
fedelmente il
pensiero
di Aristotele
raccordandolo
per quanto possibile
con la fede cristiana e non
contrap-
ponendolo
ad essa. In
questo egli
non era
n averroista n
agostinjano,
ma
semplicemente
aristotelco.
Valore dell
Qzsegesi
tomistica
Werner
Iaeger,
il massimo tra
gli
studiosi di Aristotele del XX secolo,
sul valore dei commenti tomistici
agli
scritti aristotelici ha formulato il
seguente giudizio:
I commenti di S. Tommaso ad Aristotelerivelano un
nuovo
sforzo di concentrazione
per
arrivare a
capire
sia lo
spirito
che la
lettera di un autore
nuovo,
che
presenta
serie difficolt allo
specialista
e
ostacoli insormontabilial lettore medio
impreparato...;
non vi nulla di
paragonabile
alla seriet e alla tenaciadel felice tentativo di 5. Tommaso
di
penetrare
il
significato
delle
opere
del
grande
filosofo,
alla cui analisi
ed
interpretazione egli
dedic una
cos
gran parte
della sua vita. Non
troviamo
esempi
di
questo tipo
di
comprensione,
che al
tempo
stesso
particolare
e
generale,
inventiva
eppure
assolutamente
oggettiva, nep-
pure
se consideriamo i secoli del
pi
dotto umanesimom
Lentamente nelle universit medioevali i commenti
dellAquinate
presero
il
posto
di
quelli
di
Averro, e Tommaso si
guadagn
il titolo di
Commentator noster. Lo stesso Alberto
Magno
li teneva in tale considera-
zione da far ritirare dalla circolazione i
propri
commenti
per
farli sosti-
tuire con
quelli
del suo eminente
discepolo.
Nei commenti di Tommaso c' una
straordinaria ricchezza di dottri-
na.
Il
pensiero
di Aristotele non
vi viene soltanto chiarito, ma
anche
rafforzato e
approfondito.
Per avere una
comprova
deltesattezza di
questa
affermazione si
legga l'ampia
analisi che nel commento al IV li-
bro della
Metafisica
S. Tommaso riserva alle
pagine
aristoteliche sul
prin-
cipo
di non contraddizione.
LAngelico
vi
prende
in considerazione i
molteplici argomenti
che si
possono
addurre contro il Valore della Cono-
13) M. D. CHENL, Introduzionealla studio di S.
Tommaso,
Firenze
1953,
p.
183.
14) W.
JAEGER,
Umanesimo e
teologia,
Milano1958,
pp.
35-36.
Tommaso d
Aquin0
493
scenza (con una
rassegna
assai
pi ampia
di
quella
di
Cartesio) e
li
smonta uno
per
uno,
facendovedere che nella vita
pratica
tutti
gli
uomi-
ni riconoscono la validit dei
principi primi,
in
particolare
del
principio
di
non contraddizione.Nel commento al Peri Hermeneias arricchisce la
dottrina aristotelica sulla
Verit,
introducendo la
capitale
distinzionetra
Verit misurante e verit
misurata,
ignota
ad Aristotele.
Tali arricchimenti
e
approfondimenti
del
pensiero
aristotelico sono
assai
importanti
in Vista di
un'adeguata
ricostruzionedel
pensiero
filoso-
fico di S.
Tommaso, ma si commetterebbe un
gravissimo
errore se si
volesse ridurre il tomismo a
quanto
S. Tommasoha scritto nei suoi com-
menti ad Aristotele. In
questi
infatti,
il tomismo non
compare
che in
minima
parte,
ossia
per
la
parte
che viene mutuata da Aristotele.
Ora,
il
tomismo infinitamentedi
pi,
e non tanto
per
il
grosso
debito che Vi si
paga
oltre che ad Aristotele anche ai
neoplatonici,
a S.
Agostino,
a
Boezio,
allo
Pseudo-Dionigi
e
ad
Avicerma, ma
soprattutto per un'ispira-
zione metafisica assolutamente nuova e
originale, ispirazione
che
venne
suggerita
a S. Tommaso dal concetto intensivo di
essere,
che viene
posto
al Vertice di tutta la realt
e a fondamento di tutti
gli
enti. Di
questa
sua
originalit
metafisica S. Tommaso offre
poche
tracce nei commenti aristo-
telici, mentre ne
parla ripetutamente
e
diffusamente nei suoi
opuscoli
filosofici
(nel
De ente et essentia in
particolare),
nei
Quodlibetalia,
nelle
Quuestiones disputatae,
nel Commento alle Sentenze e
nelle due Summae.
S. TOMMASO E AVICENNA
Non certamente un caso
che nel De ente et essentia,
il
migliore
com-
pendio
di metafisica
tomistica,
Avicennasia l'autore
pi
citato da S. Tom-
maso.
Egli
aveva
imparato
a conoscere
le eccellenti
opere
di metafisica del
filosofoarabo sin da
giovane,
alla scuola di Alberto
Magno,
le cui
parafra-
si ad Aristotele
spesso
non
facevanoche
riprodurre quelle
di Avicenna.
Un secolo di ricerche storiche ha definitivamente chiarito
quanto
S. Tommaso nella sua
speculazione
metafisica deve ad Avicenna. Gi
Max Horten
con
le
sue
preziose
note alla traduzione tedesca della
Metafisica
di Aviccnna (1906) aveva
segnalato
i notevoli influssi che il
filosofo arabo aveva esercitato
SulYAquinate.
Gli studi successivi di
A.
Forest,
A.
Masnovo,
Carra de
Vaux,
E.
Gilson,
C. Vansteenkiste"hanno
15) Cf. Lectio
6, nn. 605-609.
16) Cf. Lectio
3, nn. 29-31.
17)
A.
FOREST,
La structttre
mtaphysique
du concret selon saint Thomas
dC/lquin,
Paris
1931, con in
appendice
l'elenco di 250 citazioni tratte da Avicennae
che
com-
paiono
nelle sue
opere;
A.
MASNOVO,
Da
Guglielmo dfluergne
a S. Tommaso
494 Parte seconda
confermato e
precisato
ulteriormente la
dipendenza
di S. Tommaso da
Avicenna.
Ma
qual
il debito effettivo che S. Tommaso
paga
ad Avicenna?

un
debito
grosso
o
piccolo,
Costante o
passeggero,
profondo
0
superfi-
ciale; inoltre,
riguarda qualche punto particolare
o tutto il sistema?
Notiamo anzitutto che S. Tommaso mostra
sempre grande rispetto
per
Avicennae
ha
per
lui
una
grandissima
stima. Lo tratta come un
maestroed felice di costatare su certi
punti
l'accordodella dottrina del
filosofoarabo con la fede cristiana.
Spesso
le sue citazioni terminano con
un Sicut dixit Avicenna come
per
addurre una
conferma autorevolee
decisiva. Nei suoi confronti non
adopera
mai le
espressioni
dure e
severe
che
usa invece
per
Averro: Corruttore
piuttosto
che Commenta-
tore
(depravator potius quam
commentator).
Nel caso in cui non si trovi
d'accordo
con Avicennasi limita ad affermare In hoc non est sustinen-
dum
Avicenntbfl),
oppure:
Avicenna
deceptus fuitm"
Il debito che Tommaso
paga
ad Avicenna costante: va
dall'inizioalla
fine della sua attivit letteraria. Chi ha esaminato le citazioni di Avcenna
secondo l'ordine
cronologico
delle
opere
di S. Tommaso ha notato che le
citazioni sono
pi frequenti
nelle
prime
e
pi
rare nelle ultime. Per
anche
vero
che Avicennacontinua ad
essere
citato anche nella Summa
Theologiae
(14
volte nella Prima
Pars),
nel commento alla
Metafisica
(4 volte) e nei
Quodlibetalia (13 volte),
che
sono tra le
opere pi
mature
dell'Angelico.
E
come
ha osservato Vansteenkiste i riferimenti diventano
molto
pi
numerosi se si tiene conto anche dei
passi
in cui S. Tommaso
pensa
indubbiamenteal filosofoarabo anche
se non
lo cita
espressamente.
Cornelio
Fabro,
studiando le fonti della nozione tomistica di
parteci-
pazione,
dichiara: Ultimo nell'ordine
cronologico, questo
arabo
persia-
no andrebbe
posto primo per l'ampiezza
dell'influssoesercitato sulla
prima
formazione
speculativa
di S. Tommaso_2I
d'Aquino,
3 voli,
Milano
1930-1946;
P. CARRA DE
VAUX,
Notes et tcxtes sur 1 hvicen-
nisrrie tam: mix
confins
des XII-XIII sicles, Paris
1934;
E.
GILsoN,
Pourquoi
S. Thomas a
critiqu
S.
Augustin,
in Archives clhist. doct. et litt. du M. A,
1 (1926),
pp.
6-127;
C. VANSTEENKISTE,
Avicenna-Citaten
bij
S. Thomas,
in
Tijdschrift
voor
Phlosophie
15 (1953),
pp.
457-507. ll Vansteenkisteestende
notevolmente le citazioni tomistiche di Avicenna e ne enumera
complessiva-
mente 450.
13) Et idea
accipienda
est via Azvicennae (In Boethii de Trinitate
q.
4, a. 3);
Dicendum
secundum Avicennam
(In
Il Sena.
13, 1,
1 ad
4); Similiter Avicennaistum errorem
reprobat
(lbid, 17, 2, 2).
19) De ver. 12,
3 ad 9.
2) In Il
Phys.
1, 1,
1.
21) C. FABRo,
La nozione
metafisica
di
partecipazione
secondo S. Tommaso
d'Aquino,
Torino
1950,
p.
113.
Tommaso d
'Aquin0
495
Il debito di S. Tommaso verso Avicenna
quindi grande,
costante e
profondo.
Per
l'Angelico
Avicennanon soltanto un
fidato
interprete
di
Aristotele
ma un
ponte
sicuro tra la vecchia metafisica della sostanza di
Aristotele e la nuova metafisica dell'essere di cui
l'Angelico
il
geniale
creatore. Avicennaaveva
affermato la netta
distinzione,
logica
e ontolo-
gica,
tra essenza (sostanza)
ed esistenza
(esse)
-
non
ignorata
da Aristote-
lc ma da lui considerata di scarso valore
,
e in
questo
modo aveva
posto
le
premesse per
il
grande guadagno speculativo
di S. Tommaso: l'eleva-
zione dell'essere al vertice della
realt,
al di
sopra
di tutte le
sostanze,
di
ogni
atto e di
ogni perfezione.
Il debito di S. Tommaso verso Avicenna
riguarda soprattutto
la meta-
fisica. Basta scorrere le citazioni che
egli
fa del filosofoarabo
per
notare
che
esse si riferiscono
a tutti i
punti
nodali
dell'indagine
metafisica: la
definizionedi
questa disciplina,
il concetto di
essere,
la distinzione tra
essenza ed
esistenza,
la dimostrazione dell'esistenza di
Dio,
i trascen-
dentali,
l'origine
delle
cose
da Dio
(creazione/ emanazione),
la causalit
di Dio e
delle
creature,
l'ordine del
cosmo,
il
principio
di individuazio-
ne,
Pimmaterialitdelle
Intelligenze (angeli)
e dell'anima.
Pertanto si deve concludere che l'influssodi Avicennasu S. Tommaso
non
riguarda qualche punto particolare
della
sua
filosofia ma tutto il
suo sistema teoretico.
E, tuttavia,
questa presenza
costante del
pensiero
di Avicennanon cancella la
grande
differenza di fondo che
separa
il
sistema di S. Tommaso da
quello
del filosofoarabo. Si
tratta,
in
effetti,
di
due metafisiche
ontologiche,
che si trovano su due ordini diversi
anche
se
paralleli.
Come ha dimostrato E. Gilson
ma
oggi
cosa ovvia
per
tutti
gli
studiosi - la metafisica di Avicenna una
metafisica essenziali-
stica, una metafisica dei
possibili,
ossia delle
essenze; e,
in
effetti,
l'ente
da Avicenna
concepito
come un'essenza l'esistenza della
quale

un
corpo
estraneo, un
qualcosa
di accidentale. Per contro la metafisica di
S. Tommaso una metafisica dell'essere: la
pienezza
della realt data
dall'essere
e non
dall'essenza. Senza l'essere l'essenza
nulla, non
ha
nessuna dimensione
ontologica;
s una
possibilit,
non
per
una
possi-
bilitsussistente di
per
s, ma
semplicemente
come idea nella mente di
Dio.
Ogni
traccia dell'ultrarealismo
platonico
viene
completamente
eli-
minata dalla metafisica dell'essere di S.
Tommaso,
che una metafisica
dell'atto
e
del concreto e non una metafisica del
possibile
e dellastratto
come era invece
quella
di Avicenna.
32)
Cf. E.
GILSON,
Being
ami some
lflrilosopizers,
Toronto 1952.
496 Parte seconda
Il sistema metafisico di S. Tommaso
Se ormai certo che S. Tommaso abbia un suo
personale
sistema me-
tafisico, resta il
problema
di determinarne
meglio
la natura.
Gli storici della
filosofia,
da
Hegel
fino a Brhier non
hanno mai rico-
nosciuto alcuna
originalit
filosoficae tanto meno metafisica al
pensiero
di S. Tommaso: ottimo commentatore di Aristotele
egli
non
avrebbe
fatto altro che cristianizzareAristotelel dove era necessario.
Abbiamoricordato che merito dei neotomisti non
solo l'avere ricu-
perato
il
pensiero
filosoficodel Dottore
Angelico
ma
anche l'aver dimo-
strato
l'originalit
della
sua
metafisica. La
grande
novit che ormai tutti
gli
riconoscono il
nuovo concetto di
essere,
il concetto intensivo di
essere,
lesse come actus e non come esse commune.
Che
cosa
comporta questa importante conquista per
la metafisica?
Noi
sappiamo
che l'unica
opera
in cui S. Tommaso ci ha lasciato un
abbozzo della sua
metafisica il De ente et essentia,
nel
quale, per,
il
nuovo concetto di
essere,
che
pur presente, emerge
tanto
poco,
che tutte
le analisi
dell'opuscolo riguardano praticamente
solo l'essenza nella sua
triplice
manifestazione: essenza
identica all'essere in
Dio, essenza
pura
negli angeli,
essenza
composta
di materiae
forma nelle Cose
materiali.
Cosi S.
Tommaso,
che
pure
occasionalmenterinnova tutti i terni della
metafisica
immergendoli
nella sua
propria
concezione dell'essere,
di fatto
non
ha mai elaborato una ricostruzionesistematicadi tutto il
suo
edificio
metafisico.
Questo
ha indotto la
maggior parte degli espositori
della
metafisica di S. Tommaso - da A. Forest (La structure
mtaphysique
du
con-
cret selon saim Thomas
dbquin)
a
L. Elders
(The
Metaphysics of Being of
St. Thomas
Aquinas
in a Historical
Perspective)
-
a
descrivere la metafisica di
S. Tommaso
seguendo
l'ordine della metafisica aristotelica
e
dando
gran-
de
spazio
all'analisi delle strutture
ontologiche
dell'ente: sostanza-acci-
denti, materia-forma,
atto-potenza,
con
l'appendice
della struttura essen-
za-esistenza. Ma
questa dettagliata
e
prolungata
analisi rischia di far
per-
dere di Vista ci che assolutamente nuovo e
decisamente
peculiare,
capace
di dar vita a un sistema
pi
robusto di
quelli precedenti:
l'essere.
I
punti
nodali
dell'indagine
metafisica di S. Tommaso sono
due: l'en-
te e l'essere. Nonostante il
primato ontologico
dell'essere
rispetto
all'en-
te,
l'ordine euristico
esige
che si
parta
dall'ente. Lo studio
iniziale,
che
apre
il discorso metafisico, Va
dunque
centrato sull'ente, ma sull'ente
nel
suo
rapporto
Con l'essere, come aveva
visto
giustamente
Aristotele
quando
definiva la metafisica come
studio dell'ente in
quanto
ente. Ora,
l'essere a cui va relazionatol'ente,
in S. Tommaso non l'essere
comune,
bens l'essere intensivo,
Yactus essendi.
Tommaso
d'Aquino
497
Infatti l'asse commune 10 strato
ontologico pi
elementare,
condiviso
da tutti
gli enti; esso non
pu
condurre l'ente ad
aprirsi
nella sua ric-
chezza
ontologica
e dare il via alla "seconda
navigazione.
L'attenzione
inquirente
va
quindi
rivolta
sempre
all'essere. L'interro-
gativo
incessante : che cos' l'ente
rispetto
all'essere?
O,
secondo la
bella formula
heideggeriana:
Perch vi in
generale,
1essente
(ente) e
non il nulla?
Pertanto,
nella ricostruzione del sistema metafisico di S. Tommaso si
esordisce
con una
rassegna
delle strutture
ontologiche
dell'ente: mate-
ria-forma, sostanza-accidenti,
quantit-qualit,
relazione,
tempo, spazio,
atto e
potenza,
essenza ed esistenza.
Questa
analisi va fatta ma non
pu
assumere le dimensioni che
aveva
in
Aristotele,
che
non un filosofo
dell'essere
ma
della
sostanza, e
per
il
quale
ci che contava
maggior-
mente era
fornire
un
quadro complesso
delle sostanze e
delle loro cause.
Chi ricostruisce la metafisica di S. Tommaso deve concentrare conti-
nuamente |'attenzione sull'essere e deve
cercare di
capire quali
nuove
questioni questa
attenzione
per
l'essere
comporti
in tutto il sistema.
La
mappa
delle strutture dell'ente necessaria
per
avere
un
adeguato
quadro fenomenologico
della realt da cui
prende
il via la "seconda
navigazione" tomistica, ma si tratta
pur sempre
di
un
semplice
allesti-
mento del materiale necessario
per
fare il
viaggio,
mentre la traversata
metafisica deve
ancora iniziare.
Il metafisico dell'essere vuole
sapere
se l'ente da noi
esperito,
con le
molteplici
strutture
ontologiche
che lo
costituiscono,
assorbe
gi
in
s,
esaurendolo, tutto l'essere, o se invece
proprio
la
complessit
di
queste
strutture un
chiaro
indizio, una
spia,
che l'essere sovrasta e
supera
infinitamentel'ente. A
questo punto
la traiettoria dell'ente
verso l'essere
rivela che l'essere
non coincide con nessuno
degli
enti
composti,
siano
essi materiali
oppure
immateriali. Cos l'uscita
dagli
enti verso l'essere
si realizza
sempre lungo
l'orizzontedell'essere e non
per
altra via.
Questa
esattamente la linea
seguita
da S. Tommaso nella
sua metafisi-
ca dell'essere.
S. Tommaso
per
risalire
dagli
enti alla Causa
prima,
percorre
molte
vie,
delle
quali
le
pi
note sono
soprattutto
le
Cinque
Vie.
Ora,
queste
non
possono
affatto venire considerate
come vie dell'essere, ma sono
piuttosto
vie del
moto (divenire),
delle
cause seconde,
della
contingen-
za,
dei
gradi
di
perfezione,
dell'ordine dell'universo. Perci non sono la
via
propria
dell'essere, non sono le vie della metafisica dell'essere.
Ep-
pure
S. Tommaso non
poteva ignorare
un elemento cos
importante
per
una metafisica
dell'essere, e non
l'ha fatto: dal Commento alle Sentenze al
Commento al
Vangelo
di S. Giovanni -
quindi
dall'inizioalla fine della
sua
produzione
letteraria
egli
percorre
ininterrottamente
questa
via:
dagli
498 Parte seconda
enti risale direttamente all'esse
ipsum. Egli apre
cos una
grande
via "on-
tologica",
alternativa a
quella ontologica
di Sant'Anselmo,
che
parta
dal
concreto,
l'ente, e non da una
definizioneastratta di Dio.
Nessuno
degli
studiosi che hanno ricostruito la metafisica di S. Tom-
maso
ha mai dato
importanza
alle varie versioni della sua
prova
onto-
logica"
dell'esistenza di Dio. Cos hanno ricostruito
parti
della sua meta-
fisica ma
mai l'intero edificio.
Qualche
studioso ha
persino negato
che
S. Tommaso abbia un
proprio
sistema filosoficofiMa chi tiene
gli
occhi
aperti
e non
perde
mai di vista il filorosso
dell'essere
scopre
che S. Tom-
maso non solo
dispone
di una nuova
piattaforma
metafisica, l'essere,
ma
anche di tutti
gli
elementi necessari
per comporre
un nuovo
edificio.
Molti
provengono
da
Aristotele, Platone, Proclo, Boezio, Avicenna, ma
sono dottrine a cui
egli
d un
significato
nuovo
rileggendole
alla luce
radiosa dell'essere.
Nelle
pagine
che
seguono presenter
una
rapida
sintesi,
sufficiente-
mente documentata,
del sistema metafisico di S. Tommaso. Essa intende
confutare sia l'accusa di oblio dell'essere mossa
da
Heidegger
a tutta
la metafisica occidentale,
sia la
negazione
dell'esistenza di
un sistema
filosofico
proprio
di S. Tommaso.

vero
invece il contrario: in S. Tom-
maso c' un sistema metafisico,
solido e bene articolato,
che ha
come
base l'essere.
Nella ricostruzione del sistema metafisico di S. Tommaso si
possono
seguire
due metodi: il metodo discendente dei
neoplatonic,
nel
qual
caso
si
procede
dall'alto verso
il
basso,
dallUno alle sue emanazioni
spiritua-
li e
alla
produzione
di
questo
mondo materiale e dell'uomo;
oppure
il
metodo ascendente di
Aristotele,
che dall'analisi delle strutture dell'ente
va
poi
alla ricerca delle
sue cause,
dei
principi primi.
Di fatto S. Tommaso ha
praticato
entrambi i metodi. Nella Sunmta
contra
gentiles,
dove nei
primi
tre libri
espone
il
suo
pensiero
metafisico,
procede
dall'alto Verso
il
basso,
da
Dio,
agli angeli
e
all'uomo. Invece
nel De ente et essentia
segue
il
procedimento
inverso:
prima
esamina le
strutture dell'ente e
dell'essenza nelle realt sensibilie
poi
dalle essenze
composte
risale
a
quella
essenza
semplicissima
che si identifica con
l'es-
sere stesso.
33)
Allinterrogativo:
il tomismo ,
in senso
proprio,
un sistema di filosofia?
A. Forest
risponde negativamente:
Esso non lo , a nostro
parere,
nel senso
in
cui si intende
questo
termine riferendoloalla
maggior parte
dei filosofi moderni.
Non troveremo in alcun modo nel tomismo la ricerca di una
verit
prima,
di un
dato niziale da cui si
possa
far
partire
la serie delle altre
verit
(La structurc
nztaphysique
du Concret selon saint Thomas d
'Aquin,
cit.,
p.
324).
E evi-
dente che il Forest non si reso conto del ruolo di verit
primaria,
basilare,
che
svolge
l'essere nel sistema di S. Tommaso.
Tommaso a
Aquin0
499
Nella ricostruzione dell'intero sistema metafisico di S. Tommaso noi
seguiremo
il metodo del
suo
opuscolo giovanile, perch

quello
che si
addice
meglio
alle
esigenze
di
una metafisica
inqusitiva,
che
procede
dall'esperienza
dell'ente
sensibile,ne avverte le
problematichee cerca di
risolverle risalendo alla
sua ultima
radice, l'essere.
L'oggetto,
le
propriet
e
il metodo della metafisica
Della
metafisica,
del
suo
oggetto, propriet
e metodo S. Tommaso si
occupa soprattutto
in due
opere:
il Commento alla
"Metafisica
"
di Aristotele
e il Commento al De Trinitate"di Boezio.
Per la
sua
eloquente
sinteticit merita di
essere riferito
integralmente
il
Prologo
del Commento alla
Metafisica.
Ecco le
parole dellAngelico:
Come
insegna
il Filosofonella
sua Politica
quando pi
realt
conver-
gono
in
qualche
cosa d'uno,
bisogna
che
una desse faccia da
regola-
trice,
da
dirigente,
e le altre siano
regolate
e dirette. Ci che manife-
sto nell'unionedell'anima
e del
corpo: giacch
l'anima
per
natura sua
comanda,
impera,
e il
corpo
ubbidisce. L0 stesso accade nel
campo
delle stesse
energie
dell'anima: il
potere
irascibile
come il
c0ncupisci-
bile, secondo l'ordine
naturale, sono diretti dalla
ragione.
Ora, tutte le
scienze
e le arti
convergono
in
qualche
cosa d'uno, nel
rendere, cio,
all'uomo la
sua
perfezione:
in che sta la sua felicit. Onde necessario
che
una di coteste scienze sia
direttrice
di tutte le
altre,
per
cui meriti
di
essere
appellata sapienza. E, infatti, ufficio del
sapiente imporre
l'ordine alle cose.
Quale,
poi,
sia cotesta
scienza, e circa
quale
realt
essa versi,
baster considerare
diligentemente
che
cosa si richieda
per
essere idoneo a
reggere gli
altri.
Come, infatti, dice il Filosofonel
pre-
detto
libro,
gli
uomini dotati dintelletto
sono naturalmente
portati
a
reggere
e a comandare:
gli uomini, invece,
che hanno robustezza di
corpo,
ma deficienti
d'intelligenza,
sono naturalmente servi
(portati
al lavoro
servile);
cos
perch una scienza
possa
essere di
sua natura
regolatrice
delle
altre, dev'essere
sommamente
intellettuale, deve
avere, cio,
per
suoi
oggetti
i
pi
alti
intelligibili.
Ora i
supremi
intelli-
gibili
li
possiamo
considerare da
un
triplice punto
di vista: innanzi
tutto dall'ordine stesso del
conoscere intellettuale,
giacch
sono
mag-
giormente intelligibili quelli
dai
quali
risulta
maggiore
certezza nel-
l'intelletto.
Onde, siccome l'intelletto
acquista
la certezza della scien-
za attraverso
l'indagine
delle
cause, ne
segue
che la conoscenza delle
cause sia
massimamenteintellettuale.
Quella
scienza
quindi,
che
con-
sidera le
prime
o
supreme
cause senz'altro
regolatrice
delle altre.
Il secondo
argomento
si desume dalla
comparazione
dell'intelletto
col
senso. Infatti, siccome il senso conoscitivo delle realt
particola-
ri, l'intelletto si differenzia da
esso,
in
quanto
conoscitivo delle
realt universali. Per
conseguenza quella
scienza massimamentein-
500 Parte seconda
tellettuale che
specula
i
princpi
assolutamenteuniversali; quali
sono
l'ente, e tutte le determinazioni
conseguenti
all'ente: l'uno e
il
moto,
la
potenza
e
l'atto. Tali nozioni non
devono rimanere affatto indetermi-
nate, perch
senza
di esse non

possibile
avere una
completa cogni-
zione di tutto
quello
che
appartiene
a
qualunque genere
o
specie
di
scibile.
N, peraltro,
si
pu
trattare di tali nozioni (o
princpi)
in
qual-
siasi scienza
particolare, perch
siccome ciascun
genere
di enti non

scibilese non
in funzionedi essi, ne
segurebbe
che
ogni
scienza
parti-
colare dovrebbetrattare di tali
princpi.
Resta, quindi,
assodato che tali
principi
vanno
trattati in una scienza
superiore
comune,
la
quale,
essendo
per
ci stesso
massimamenteintellettuale,

regolatrice
delle
altre. Il terzo
argomento
lo si ricava dal conoscere
intellettuale. Difatti,
siccome in tanto si ha la forza intellettiva in
quanto
si immune dalla
materia,
quelle
realt sono
massimamente
intelligibili
le
quali
sono
massimamente
separate
dalla materia.
ljintelligibile,
infatti, e
l'intel-
letto devono essere
proporzionati,
e
dello stesso
genere,
giacch
l'in-
telletto e Yintelligibile
in atto sono una
sola cosa (intenzionalmente).
Orbene,
le realt massimamente
separate
dalla materia sono
quelle
le
quali
non
solo
astraggono
dalla materia individua "come le forme
naturali astrattamente considerate,
nella loro universalit,
di cui si
occupa
la scienza della natura", ma
che
astraggono
dalla stessa mate-
ria sensibile(come tale).
E non
soltanto
per
una mera
considerazione
mentale come usa
la matematica, ma astratta,
altres nel loro
essere,
come
Dio e le
intelligenze
sussistenti. Onde la scienza la
quale
consi-
dera tali realt astratte da
ogni
materia,
massimamenteintellettuale,
e
quindi
la scienza
principe
e
signora"
di tutte le altre.
Se non
che tale
triplice
considerazione va attribuita, non a
diverse
scienze, ma a una
sola. Le
predette
sostanze (Dio e
gli angeli)
sono
le
prime
ed universali cause
dellessere. Ora
appartiene
alla medesima
scienza considerare sia le cause
proprie
d'un determinato
genere
di
scibile,
sia il
genere
stesso; a
quel
modo che il filosofonaturale consi-
dera i
princpi
stessi del
corpo
naturale.
Bisogna, quindi,
che alla
medesima scienza
appartenga
considerare le sostanze
separate,
e
l'ente in
comune,
che ne sarebbe
quasi
il
genere
le cui cause
comuni e
universali sono
le
predette
sostanze.
Da
quanto
si e detto
appare
che
quantunque
tale scienza consideri
cotesta
triplice
realt, non
per questo significa
che debba considerare
ciascuna d'esse come suo
soggetto,
ma unicamente l'ente in comune.
Il
soggetto
d'una scienza
quello
del
quale indaghiamo
le cause e le
propriet;
e non
gi
le cause
di un
dato
genere.
La
cognizione,
infatti,
delle cause
di un
dato
genere
di scibile il fine cui
perviene
la consi-
derazione della scienza. E sebbene il
soggetto
di
questa
scienza, cio,
della metafisica,
sia l'ente
comune,
si dice, tuttavia, ugualmente
delle
realt le
quali
sono
separate
dalla materia secondo l'essere e
secondo
il modo di considerarle. S dicono,
peraltro, separate
secondo il loro
essere e
il modo di considerarle, non
soltanto
quelle
realt che
non
possono
mai essere a contatto con
la materia (o
nella materia)
quali
Tommaso
d'Aquino
501
Dio e le sostanze intellettuali
(gli angeli)
ma altres
quelle
che
posso-
no essere senza materia, come l'ente comune. Il che
non si verifiche-
rebbe, se
dipendessero
nel loro essere dalla materia.
Secondo,
dunque,
cotesta trina considerazione dalla
quale dipende
la
perfezione
della
presente
scienza,
questa prende
tre denominazioni.
Si dice scienza divina ossia
teologica,
in
quanto
considera le
predette
sostanze; metafisica,
in
quanto
considera l'ente
e
le
sue
conseguenti
determinazioni,
le
uali,
nel rocesso risolutorio, ven ono do 0 la
, .
.1
.
.1
.. . .
g
fisica, come le considerazioni
1u universali
ven ono do o le meno
. . . . . . . . _ ,
P
universali. S1
dice,
inoltre,
filosofiaprima,
in
quanto
considera le
supre-
me cause della realt. E chiaro,
per
tal
modo,
quale
sia il
soggetto
di
questa
scienza,
quale
sia il
suo
rapporto
con le altre
scienze, e
quale
sia il
suo n0me.24
In
questo
testo S.
Tommaso,
in
primo luogo,
sottolinea
l'importanza
e
la necessit della metafisica. Pi di
qualsiasi
altra attivit conoscitiva es-
sa merita il
nome
di
"sapienza", perch

quella
che
dirige
tutte le altre e
dimostra la Validit dei
principi
che
esse
presuppongono
e non
giu-
stificano.
Poi,
ricordando che Aristotele aveva dato tre definizioni della metafi-
sica: studio delle cause o
principi primi,
dell'ente in
quanto
ente, e delle
sostanze
separate,
S. Tommaso fa vedere che tutte
queste
tre definizioni
sono
legittime
e
che
per questo
motivo essa viene
giustamente
chiamata
scienza
divina, ossia
teologica
in
quanto
considera le sostanze
separate,
metafisica
in
quanto
considera l'ente in
quanto
ente, e
filosofia prima
in
quanto
studia le
supreme
cause della realt.
Viene
poi l'importante puntualizzazione
intorno
all'oggetto (soggetto)
formale della metafisica. Pur studiando tutte le tre suddette
realt,
l'ente
in
quanto
ente,
le
cause
prime
e le sostanze
separate,
soltanto la
prima
costituisce
propriamente l'oggetto
della metafisica. Ci su cui anzitutto e
soprattutto
si concentra l'attenzione del
metafisico, ci che
egli
Vuole
capire
e
spiegare
l'ente. I
principi
e le sostanze
separate Vengono
dopo,
nel momento in cui
egli scopre
che la
spiegazione
dell'ente
esige
il rico-
noscimento,
appunto,
dei
principi primi
e delle sostanze
separate.
Quando
definisce la metafisica S. Tommaso non si allontana mai
dalla formula aristotelica. Sia nel
Prologo
come nel commento al IV libro
della
Metafisica egli
non si stanca mai di
ripetere
che
oggetto proprio
della metafisica
l'aria,
pi precisamente
l'ens
commzme o ens Lmiversale.
24) Traduzionedi G. Cal Ulloa in Grande
enciclopediafilosofica IV,
Milano s. d.,
pp.
987-989.
502 Parte seconda
Ecco un testo molto
significativo
in merito: Vi una scienza - ed
quella
di cui
presentemente parliamo
- la
quale
considera l'ente in
quanto
ente
(speculatur
ens
secundum
quod
ens)
quale
suo
proprio oggetto,
insieme
considerandoci che convieneall'ente
per
s
(quae
insunt enti
per
se),
vale
a dire tutte le modificazioni che necessariamente
conseguono
l'ente in
quanto
ente. Le altre scienze che hanno
per
loro
oggetto gli
enti
particola-
ri, senza
dubbio studiano
l'ente, giacch
tutti
gli oggetti
delle scienze
sono enti,
tuttavia non
considerano l'ente in
quanto
ente, ma in
quanto

tale
ente;
in
quanto
Cio o il
numero,
0
la linea 0 il fuoco o
sirni1i>>.25
La metafisica scientia communis e non
particularis
(come sono tutte le
altre
scienze),
precisamente perch
considera Funiversale ens
secundum
quod
ensifi
Perci errato affermare come fa L. Elders27 e con lui molti altri stu-
diosi di S. Tommaso che
l'oggetto
formale della metafisica l'essere:
infatti anche
per
l'Aquinate l'oggetto
formale rimane
sempre
l'ente.
Soltanto che nella ricerca dei
principi primi egli
osserva
che il
principio
primissimo
dell'ente l'essere: l'ente infatti id
quod
habet
esse
oppure
id
quod participat
esse. Pertanto lesse
non entra direttamente nella definizio-
ne
dell'oggetto
della metafisica bens nella definizionedell'ottica con
cui
S. Tommaso considera l'ente.
ljerzs eommune
che S.
Tommaso, seguendo
Aristotele,
pone
alla base
dell'indagine
metafisica
non un concetto
generico,
astratto,
il
pi
povero
di tutti i
concetti, e
neppure
l'ente in
quanto pensato
che forma
l'oggetto
della
logica,
ma l'ente
concreto, reale,
nella sua
straordinaria
ricchezza,
nelle sue
molteplici strutture,
nelle sue
profonde esigenze.
Nel Commento al "De Trinitate di Boezio S.
Tommaso,
sulla scia di
Aristotele,
divide le scienze
speculative
in tre
grandi
rami: fisica, mate-
matica e metafisica,-
la fisica studia l'ente
corporeo,
la matematicastudia
l'ente misurabile
(il numero) e
la metafisica studia l'ente in
quanto
ente.
Questa
divisione viene
collegata
alle tre modalit dell'astrazione:
1)
astrazione dalla materia sensibileindividuale ma non dalla materia
sensibile
comune;
2)
astrazionedalla materia sensibilema non
dalla ma-
teria
intelligible
(misurabile);3)
astrazione totale da
ogni tipo
di mate-
ria. La
prima
astrazionedetermina
l'oggetto
della
fisica,
la seconda
l'og-
getto
della matematica e
la terza
quello
della metafisica.
Leggiamo
a
questo riguardo
il celebre
passo
del Commento al "De Trinitate":
25) In IV
Metaph.
lect.
1, nn. 529-530.
26) Cf.
ibid, n. 532.
27)
Cf. L. ELDERS,
La
metafisica
dell'essere di S. Tommaso in una
prospettiva
storica.
l: L'essere
comune, Roma, Citt del Vaticano1995,
pp.
21 ss.
Tommaso
d'Aquino
503
Alcuni
degli oggetti
di
speculazione (quaedam speculebiliunz) dipen-
dono dalla materia secondo il loro
essere, perci
non
possono
esistere
se non nella materia. E tra
questi
si
pu procedere
a un'ulteriore di-
stinzione. Alcuni infatti
dipendono
dalla materia secondo l'essere e
secondo il
concetto, e sono
quelli
nella cui definizionesi
pone
la ma-
teria sensibile, senza di cui non
possono
essere
compresi,
cos
come,
ad
esempio,
nella definizionedell'uomo necessario
porre
la
carne e
le ossa: di tali
oggetti
si
occupa
la fisica 0 scienza naturale. Altri inve-
ce, quantunque dipendano
dalla materia secondo
l'essere, non ne
dipendono
invece secondo il
concetto, poich
nella loro definizione
non si
pone
la materia
sensibile,come nei casi della linea e del nume
r0;
e
di tali
oggetti
si
occupa
la matematica. Altri
speculabili
infine
non
dipendono
dalla materia secondo
l'essere,
perch
possono
esiste-
re senza materia,
sia che non esistano mai nella
materia, come
Dio e
l'angelo,
sia che esistano nella materia in alcuni casi e in altri
no,
come
la
sostanza,
la
qualit,
l'ente,
la
potenza,
l'atto,
l'uno e
i molti e
cos
via; e
di tutti
questi speculabili
si
occupa
la
teologia,
cio la scien-
za divina,
perch
il
principale oggetto
di
conoscenza
in
essa
Dio.
E con altro nome essa viene chiamata anche
fisica,
cio "al di l della
fisica"
(trans
physicam), perch
essa
pu
essere
appresa
da noi che
siamo costretti a
pervenire
a ci che
non sensibilea
partire
da ci
che sensibile-
dopo
la
fisica; e viene chiamata anche filosofia
prima,
in
quanto
tutte le altre
scienze,
ricevendoda
essa
i loro
principi,
ven-
gono dopo
di essa>>23
Talvolta S. Tommaso
per
designare l'operazione
con cui l'intelletto
conosce
l'oggetto
della metafisica
adopera
il termine
separazione (sepa-
ratio) e riserva il termine abstractio
per gli oggetti
della matematica e
della fisica:
Nellbperazione
dell'intelletto si ritrova una
triplice
distin-
zione: una secondo
l'operazione
dell'intelletto
componente
e dividente,
che
pu
essere chiamata
separazione (separatio)
in senso
proprio
e
che
compete
alla scienza divina
o metafisica;
un'altra secondo
l'operazione
con cui si formano le
quiddit
delle cose e
che consiste nella astrazione
(abstractio)
della forma dalla materia sensibileed
quella
che
compete
alla
matematica;
la
terza,
secondo la stessa
operazione,
consiste nell'a-
strazione dell'universale dal
particolare,
ed
quella
che
compete
anche
alla
fisica,
ed comune a tutte le
scienze,
dal momento che in
ogni
scienza Viene lasciato da
parte
ci che accidentalee viene
preso
in con-
siderazioneci che
per
s.29
23)
De
Trinitate,
q.
5, a. 1.
29) Ibid., a. 3.
504 Parte seconda
A dire il
vero,
in metafisica l'intelletto
opera
in tutti e
due i modi:
l'ente in
quanto
ente
raggiunto per
via di
astrazione,
invece le sostan-
ze
separate
e
immateriali sono colte
per
via di
separazione
che frutto
del
giudizio.
Lastrazione
scopre l'oggetto
formale della metafisica;
la
separazioneattinge gli oggetti
derivati dalla
indagine
metafisica.
La necessit della metafisica e la nobiltdel suo
oggetto
assicurano a
questa
scienza una serie di caratteristiche che la
distinguono
da tutte le
altre, e cio: 1)
la metafisica
aperta
a tutto lo
scibile,
giacch
i suoi
princi-
pi,
essendo
universalissimi,
influisconosu tutto l'umano
sapere;
2) tratta i
problemi pi
alti e
pi dzfiicili, per
la
semplice ragione
che
sono
massima-
mente astratti dai sensi e
dalla
materia; 3)
perviene
a una
maggiore
certezza,
appunto perch
discende da
principi
assolutamente
certi; 4)
tra
tutte le scienze la
pi
dottrinale,
perch
scruta le
cause
pi profonde
ed
universali della
realt; 5) tra tutte la
pi
intellettuale,
perch
il
campo
del
suo
scibile il
pi
elevato e il
pi puro;
6) ,
per conseguenza,
regola-
triee e
direttrice di tutte le altre in funzione del suo altissimo fine,
il
quale
costituito dalla
prima
causa
che muove tutte le
altre,
da cui
dipende
il
conoscere, l'agire
e
le artifiO Da
quanto
si detto - concludeS. Tommaso
appare
che
l'appellativo
di
sapienza compete
al
sapere
metafisico, a
questa
scienza
teoretica,
cio
speculativa
dei
primi principi
e
delle
prime
cause.31
Qui
possiamo aggiungere
un'ulteriore nota che caratterizzala metafi-
sica di S. Tommaso: e la nota della esistenzialit, su cui hanno
posto giu-
stamente l'accentoGilson
e
Maritain.
Anche i metafisici
greci
ed arabi avevano
assegnato
alla metafisica il
compito
di trovare la
causa o
ragione
ultima del reale
esperito
nel
mondo
sensibile, ma
tale
ragione
veniva
poi
da loro
riposta
nell'ordine
delle
pure
essenze (le
idee di
Platone,
le forme di Aristotele
e
i
possibili
di
Avicenna).
S. Tommaso
sposta
il suo
sguardo
dalle essenze all'essere;
cos
gli
esistenti trovano la loro
spiegazione
nell'essere. Sta
qui
anche la
ragione pi profonda
della differenza della metafisica dalla fisica o
dalla
matematica.
Queste
ultime due sono
discipline
essenzialistiche,
che
spiegano
le strutture delle
cose,
invece la metafisica ha
un
obiettivoesi-
stenziale: Cerca
la
ragione
d'essere
degli
esistenti
(del Dasein, come
dice
I-Ieidegger)
e la
scopre
nell'Esse
ipsum.
Oltre che
dell'oggetto
e delle
propriet
della metafisica S. Tommaso si

occupato
anche del suo
metodo
e
lo ha fatto con
straordinario acume
nella
Questione
VI del suo Commento al De Trinitate"di Boezio}?
3) Cf. In l
Metaph.
lect.
2, nn. 36-50.
31) Ibid. n. 51.
32)
Per una buona visione d'insieme di tale
questione
si veda G. MAZZOTTA,
Forza
c debolezza del
pensiero.
Commentoal De Trinitatedi
Boezio,
Messina 1996,
pp.
66-75.
Tommaso
d'Aquino
505
S. Tommaso osserva anzitutto che le scienze
speculative
(matematica,
fisica
e metafisica)
Oltre che
oggetti
distinti hanno anche metodi
diversi,
e
per
definirli ricorre alla
terminologia
di Boezio: In rzaturalibus
igitur
rationabiliter,
in maihemuticis
disciplinaliter,
in divinis intellectualiter versari
oportebit
(Pertanto
nelle scienze naturali occorre usare
il metodo raziona-
le,
nelle matematicheil metodo
dell'apprendimento,
nelle divine il
me-
todo
intellettuale).33
Resta difficileidentificareche
cosa
abbiavoluto intendere Boezio con
questi
termini. La traduzione
qui proposta
(ratioriabitibercon metodo
razionale",
disciplinaliter
con metodo
dell'apprendimento
e
intellectua-
liter con "metodo intellettuale)
ha
bisogno
di
qualche
chiarificazione
lessicale
per capire
le soluzioni di S. Tommaso.
l termini ratio e intellectus,
che identificano
rispettivamente
i metodi
cui fanno
capo
la filosofia della natura e
la
metafisica, non
designano
due distinte
potenze spirituali,
bens due diversi
procedimenti
della
intelligenza
umana.
Infatti nell'uomo si identificano la ratio e l'intellet-
tus.34 La ratio
procede
discorsivamente,
ragionando,
da una conoscenza
all'altra,
dal noto
allgnoto.
Uintellectus invece
procede
intuitivamente e
non discorsivamente,
cogliendo
immediatamente la verit delle
cose.
La ratio di S. Tommaso
corrisponde
sostanzialmente
allepisteme
di Ari-
stotele; mentre Fintellectus
corrisponde
al
nous.
Il termine
disciplina
che definisce il metodo della matematica- deri-
va dal verbo latino
discere,
equivalente
al
greco
mathein,
donde anche
"matematica.I due verbi tanto in
greco quanto
in latino hanno il mede-
simo
significato
di
imparare,
ricevere la scienza da un altro, come
qui
precisa
lo stesso Tommaso. La comune
radice semantica induce
a tra-
durre
disciplinaliter
con
"apprendimento
sistematico" anche
perch
pro-
cedere
per apprendimento
sistematico
porta
a
quella
conoscenza certa
che solitamente si chiama scienza".
Nell'articolo
primo
della VI
Questione
S. Tommaso
spiega
i tre meto-
di delle
disciplinespeculative:
fisica, matematicae
metafisica.
La fisica
o filosofia della natura
pratica
il metodo razionale: la
ragio-
ne assumendo
come elementi di
partenza
del suo
argomentare
i dati
sensitivi,
che
rispetto
a noi sono
pi
evidenti,
procede
verso
la
compren-
33)
L. Orbetello traduce: Siamo
dunque
necessitati a usare nella filosofianaturale il
metodo
razionale,
nella matematica
quello
dimostrativo,
nella
teologia quello
intellettuale
(BOEZIO, La consolazione della
filosofia.
Gli
opuscoli teologici,
tr. L.
Orbetello,
Milano
1979,
p.
362).
34) Il
ragionamento
sta allinte1lezione come il movimento sta al
riposo
0 come
Pacquisizione
sta al
possesso...
Nell'uomo si identificanola
ragione
e Yintelletto
(S.
Th.
I, 79, 8).
Cf.
l. PEGHAIRE,
lntellectus et ratio selon St. Thomas
dAquin,
Paris-
Ottawa 1936.
506 Parte seconda
sione dell'essenza delle
cose materiali; inoltre,
sempre
discorsivamente,
passa
dalla conoscenza
di una cosa a un'altra,
fino
a
farsi
un
quadro
generale
del mondo fisico. Poich le cose considerate dalla fisica sono
legate
alla materia e
al
movimento,
le sue conclusioni sono meno certe e
meno
stabili di
quelle
della matematica,
ed allo stesso
tempo
la sua
ri-
cerca risulta
pi
difficile.
Trattando della matematica S. Tommaso
pi
che il suo metodo,
che
egli qualifica
come
disciplinaliter,
in
quanto particolarmente
adatto al-
l'apprendimento
e
all'insegnamento,
ci illustrale
sue
qualit,
che la ren-
dono a un
tempo pi
certa,
pi
sicura e
pi
facilesia della filosofiadella
natura sia della scienza divina. Ecco il
ragionamentodell'Angelico:
La matematicae
intermedia
tra la scienza naturale e
quella
divina, e
pi
certa di entrambe. E
pi
certa di
quella
naturale
per
il fatto che la
sua considerazione
prescinde
dal movimento e dalla materia (...).
Il
procedimento
della matematica inoltre
pi
certo di
quello
della
scienza divina,
perch
ci su cui verte la scienza divina
pi
lontano
dai sensi (da cui trae
origine
la nostra conoscenza)
sia
per
quel
che
riguarda
le sostanze
separate,
alla cui conoscenza
ci che ricaviamo
dalle sostanze sensibili contribuisce in modo insufficiente, sia
per
quel
che
riguarda gli aspetti
comuni a tutti
gli
enti,
che
sono
i
pi
uni-
versali e cos anche i
pi
lontani dai
particolari
che cadono sotto i
sensi. Gli stessi enti matematici (come
la
linea,
la
figura,
il numero e
altro del
genere)
cadono invece sotto i sensi e sono
disponibili
alla
immaginazione
e
perci
l'intelletto umano
pu
ricavare dai fantasmi
la loro conoscenza con
maggiore
facilite con
maggiore
certezza di
quelle
che
possibile
ottenere nel conoscere una
intelligenza,
o
anche
la
quiddit
di
una sostanza, Patto,
la
potenza
o
altro del
genere.
E cos
appare
chiaro che la considerazionematematica
(mathematica
conside-
ratio) e
pi
facilee
pi
certa di
quella
naturale e di
quella teologica
e
in misura ancora
maggiore
delle altre scienze
operative;
ed
per que-
sto che si dice che ad essa
soprattutto compete
i}
procede
in modo
conforme alla
disciplina
scientifica
(disciplinaliterprocedere).
A causa
della sublimit
dell'oggetto
della sua
indagine
la metafisica
deve
praticare
un
metodo
pi
elaborato di
quelli impiegati
dalla fisica e
dalla matematica. Il suo un
metodo
complesso:
sia discorsivo (colle-
gato
alla
ratio)
sia intellettivo
(collegato
allfintellectus).
Esso abbracciadue momenti a cui S. Tommaso d il
nome
di resolutio
e
compositio.
Nel momento della resolutio, o momento ascendente,
la ratio
esaminando
gli
effetti,
sale verso
Yintellectus dei
principi.
Nel momento
della
cornpositio,
o momento discendente,
lnfellectus dalla
contempla-
zione dei
principi
muove verso
Tesplicitazionedegli
effetti. Data la
duplicit dell'oggetto
della
metafisica,
le sostanze
separate
e l'ente in
quanto
ente,
vi sono
anche due diverse resolutiones: Il fine ultimo del
Tommaso
d'Aquino
507
processo
risolutivo in
questa
vita si
raggiunge quando
si arriva alle
cau-
se
supreme
e
pi semplici,
che sono le sostanze
separate
(...).
L'ultimo
termine del
processo
risolutivoin
questa
vita 10 studio dell'ente e delle
propriet
dell'ente in
quanto
tale.
'
Nell'articolo secondo della Vl
Questione
S. Tommasofornisce ulteriori
precisazioni
intorno al metodo della metafisica,
mostrando
ancora una
volta che
per
lui
questa
una scienza molto
concreta,
che
non tralascia la
realt
empirica per attingere
direttamente le cause
supreme
dell'univer-
so: essa
procede
dal basso. Al
pari
della fisica
e
della
matematica,
i suoi
primi
dati sono le cose di
questo
mondo,
le
quali vengono
colte anzitutto
dai sensi e dalla fantasia. Senza le
immagini
sensibili l'intelletto
agente
non
compie
nessuna
operazione.
La
conoscenza umana
infatti inizia nei
sensi: la fantasia
raccoglie
le
apprensioni
sensibili
e le offre alla elabora-
zione intellettuale. Chi
neglige
i sensi nelle cose naturali cade in
errore.
Questo
accade all'iniziodel
processo
conoscitivo che sta
appunto nell'ap-
prensione
sensibile. Il
compimento
o
il termine della
conoscenza invece
si ha nel
giudizio.
Pertanto anche il metafisico usa
i sensi e
l'immagina-
zione come
fonte di
conoscenza;
anzi muove
sempre
dal dato offerto dai
sensi e dalla
immaginazione,
ma
lo
sottopone
subito a una
triplicepurifi-
cazione: <<o
per
via di
causalit, come
quando
da un
effetto si conosce la
sua
causa,
che
non
proporzionata
all'effetto ma lo
trascende; o
per
via
di
eccesso o
per
via di
negazione
come
quando
in
queste
realt
separia-
mo tutto ci che
apprendono
i sensi o
l'immaginazione.
L'itinerariodella
resolutio,
essendo strettamente
segnato
dalle risorse
empiriche
di cui
dispone
la conoscenza
umana, pu raggiungere
soltan-
to mete assai limitate
che,
tutto
sommato, non sono
molto lontane da
quelle
che lo stesso Kant
assegner
alla metafisica. Infatti
con la resolutio
si
pu giungere
a una conoscenza
positiva
soltanto della esistenza dei
principi primi,
delle cause
supreme
e
di Dio.
Quasi
nulla di
positivo
si
pu
invece conoscere della loro essenza o natura: delle forme immate-
riali
sappiamo
che
sono,
mentre della loro natura
(che cosa sono)
abbia-
mo una conoscenza
per
via di
negazione, per
via di causalit e
per
via di
eminenza.
La stessa tesi ribadita nell'articolo
quarto:
La scienza
speculativa
consente di
conoscere non l'essenza delle sostanze
separate
ma solo l'e-
sistenza e alcune loro caratteristiche, ad
esempio
che
sono intellettuali,
incorruttibilie simili.
La
quinta replica,
che chiude
l'articolo,
conclude anche il commento
tomasianocon un
significativo
richiamoal "fineultimo" al
quale
l'uomo
"naturalmente inclinato bench
non
possa raggiungerlo
naturalmen-
te "ma solo
per grazia",
in
quanto supera
le
sue
forze naturali. L'inter-
ruzione del commento ci
congeda
cos,
di
fatto,
richiamandoinsieme la
508 Parte seconda
forza e la debolezza della umana
ragione,
ma
pure
additando la sua
destinazione a un
compimento
inatteso che cuore di uomo" mai riu-
scir e
presentire>>fi5
La costante e
chiara distinzione che S. Tommaso
pone
fra lo studio
dell'ente in
quanto
ente e
lo studio delle
cause
prime
e
delle sostanze
separate
sta a
significare
che
per
il Dottore
Angelico ontologia
e
teologia
naturale non sono la stessa
cosa,
ma non sono
neanche due
discipline
distinte,
bens due momenti di un'unica
scienza,
la metafisica. Essa ri-
cerca del
fondamento,
ossia di ci che
spiega
esaurientemente
l'ente,
il
reale, tutto il reale.
Perci, se
si deve fare
un'opzione,
la metafisica va de-
finita come ricerca delle cause ultime. Pi che
ontologia
la metafisica
eziologia,
esattamente come afferma Aristotele nel
primo
libro della Me-
tafisica.
Il cardine della metafisica di S. Tommaso:
il concetto forte di
essere
Nella sua
definizione
dell'oggetto,
delle
propriet
e del metodo della
metafisica S. Tommaso ricalca
sempre
da vicino le
posizioni
di Aristote-
le.
Eppure poi,
di
fatto,
egli
costruisce un edificio nuovo molto diverso
da
quello
dello
Stagirita,
in cui
incorpora
materiali
platonici, procliani,
pseudo-dionisiani,
boeziani, e avicenniani e
che
ridisegna
da
capo
a
fon-
do,
secondo un nuovo
impianto speculativo.
Ora ci domandiamo: da dove viene la novit del sistema teoretico di
S.
Tommaso,
l'idea che rinnova tutto il discorso della
sua
metafisica e le
sue stesse conclusioni?
Abbiamo
gi pi
volte
anticipato
che ci che consente a S. Tommaso
di rielaborare una nuova
metafisica il suo nuovo concetto di
essere,
inteso non
pi
come esse
Commune,
una
perfezione
minima, universale,
comune a tutte le
cose,
ma inteso come actus, e
pertanto
come
perfezio-
ne massima e
radice di
ogni
altra
perfezione
in
qualsiasi
ordine di cose.
Qui
sta la
grande
svolta metafisica di S. Tommaso. Su
questo punto
di
capitale importanza
dobbiamo
insistere, perch
stato
ignorato
da mol-
tissimi
interpreti
di S. Tommasoe
che non stato ben
compreso neppure
dai
pi
recenti studiosi della sua
metafisica. Andiamo
quindi
a
verifica-
re
quanto
sia nuovo e ricco il
linguaggio
di S. Tommaso
quando parla
dell'essere.
35) G. MAZZOTTA,
0p.
cit,
p.
75.
Tommaso d
Aquino
509
L'asse IPSUM
S. Tommaso
sapeva
molto bene che normalmente l'essere viene con-
cepito
come esse commune o esse universale,
che lesse
quo
quaelibet
res
formaliter
est (essere
per
cui
qualsiasi
cosa formalmente).36Questo
il
primo
concetto che noi ci formiamo dell'essere dell'ente e
per questo
motivo
l'indagine
metafisica
pu
assumerlo come
punto
di
partenza
della sua ricerca intorno all'essere dell'ente. Ma ben
presto egli
ebbe la
felice intuizioneche, l'asse
commune, questo
concetto
vago,
indetermina-
to, un
supergenere
che abbraccia tutti
gli
altri
generi
non in
grado
di
riempire
le cose della
perfezione
che
esse
posseggono
Questo
ruolo
pu
essere
svolto soltanto da
un concetto forte dell'es-
sere,
dall'essere inteso
intensivamente,
cio come
attualit di
ogni
atto e
come nucleo
di
ogni perfezione.
Nella
sua ricerca metafisica,
scrutando attentamente l'essere
dell'ente,
S. Tommaso si avvede
(ed

questa
la sua
grandissima, originalissima
intuizione)
dellassolut0 valore che
compete
alla
perfezione
dell'essere,
egli percepisce
con estrema chiarezza ci che era
appena
stato sfiorato
dall'intuito di
Pannenide,
che cio nell'essere sta la radice di
ogni
realt,
l'attualit di
ogni
atto,
il
plesso
di
ogni perfezione.
Ecco come Tommaso
canta la
perfezione
dell'essere che ha
abbagliato
la
sua mente: fra tutte le
cose l'essere la
pi perfetta
(esse
est inter omnia
perfectissimum).37
L'essere stesso
possiede
tutte le
perfezioni
(esse
ipsum
habet omnes
perfec-
ti0nes).38
All'essere non
si
pu aggiungere
nulla che
gli
sia
estraneo,
poi-
ch nulla
gli
estraneo tranne il
non-essere,
il
quale
non
pu
essere
n
forma n materia.39 L'essere
pi
nobiledi tutte le cose
che
accompa-
gnano
l'essere;
perci
in assoluto
pi
nobileanche del
conoscere,
se
pure
fosse
possibileconcepire
il
conoscere senza l'essere. Perci ci che sta
pi
in alto nell'ordine dell'essere sta
pi
in alto anche in
qualsiasi
altro ordi-
ne.40 Ci che in
qualsiasi
effetto
maggiormente perfetto

l'essere;
qualsiasi
natura o
forma
acquista perfezione
per
il fatto che dotata del-
l'atto dell'essere.41 L'essere l'atto dell'ente
(...) come il brillare l'atto
di ci che brilla.42L'essere l'attualit di
ogni
atto e
quindi
la
perfezione
di
ogni perfezi0ne.43
La nobiltdi
ogni
cosa
dipende
dal suo essere,44
36)
De ente et essentia, C. 6.
37) De
poi.
7,
2 ad 9.
33)
De ente et essentia, c. 6.
39)
De
pot.
2,
2 ad 9.
4") In I Scnt.
17, l,
2 ad 3.
4) C. G.
lll, 56.
42) lnlSenL19,2,
2.
43) De
17015.2,
2 ad 9.
44) C. G.
1,36.
510 Parte seconda
L'essere
concepito
in modo
forte, intensivamente, come lo
concepisce
S. Tommaso,
la radice di
tutto,
ci
per
cui
ogni
cosa in atto tutto
quello
che . Di
conseguenza
l'essere non una
perfezione
minima,
n
una
perfezione particolare,
ma
perfezione
massima,

perfezione
asso-
luta.
Questa gli appartiene perch
l'essere l'atto
supremo,
l'atto di
ogni
attuazione,
la forma di tutte le forme: maxime
formale
omnium est
ipsum
esse (ci
che massimamenteformale
rispetto
a
ogni
cosa lessere).45
L'atto
primo
l'essere sussistente
per
conto
proprio.
Perci
ogni
cosa
riceve l'ultimo
completamento (completionem)
mediante la
partecipazio-
ne
all'essere.
Quindi
l'essere il
completamento
di
ogni
forma. Infatti la
forma arriva alla
completezza
solo
quando
ha
l'essere, e
ha l'essere solo
quando
in atto. Sicch
non esiste nessuna forma se non
mediante l'es-
sere (nulla
forma
est nisi
per
esse).
Per
questo
affermo che l'essere sostan-
ziale di
una cosa non un accidente
(come
affermava Avicenna),ma
l'attualit di
ogni
forma esistente (actualitas
cuiuslbet
formae
existentis),
sia che si tratti di
una
forma dotata di materia
oppure
no.46 E cos non
vi dubbio che tra tutte le cose l'essere la
pi perfetta, perch
a tutte
le cose
si trova
rapportata
come atto
(comparatur
enim ad omnia ut actus).
Niente infatti
possiede
attualit se non in
quanto
:
perci
l'essere stesso
l'attualit di tutte le
cose,
anche delle stesse forme.
Quindi esso non sta
in
rapporto
alle altre cose come
il ricevente al
ricevuto, ma
piuttosto
come
il ricevuto al ricevente. Infatti, se di
un
uomo,
di
un
cavallo o
di
qualsiasi
altra cosa
dico che
,
l'essere stesso
rispetto
ad
essa conside-
rato come
principio
formale e come
elemento
ricevuto, non come una
realt cui
compete
l'essere
(illud
cui
competit
esse).47
In conclusione, come
argomenta splendidamente
Tommaso in un
celebre testo del De
potentia
di cui abbiamo
gi
riferito alcuni
frammenti,
tra tutte le cose l'essere la
pi perfetta.
Ci risulta dal fatto che l'at-
to
sempre pi perfetto
della
potenza.
Ora
qualsiasi
forma
particola-
re si trova in atto soltanto se le si
aggiunge
l'essere. Infatti l'umanit o
Pigneit possono
considerarsi come esistenti o nella
potenza
della
materia, 0 nella
capacit dell'agente oppure
nella mente: invece ci
che ha l'essere (cio l'ente)
esistente in atto.
Conseguentemente
ci
che chiamo
essere (quod
dico esse)
e l'attualit
d'ogni
atto e
quindi
la
perfezione
di
qualsiasi perfezione.
N si deve
pensare
che all'essere si
possa aggiungere qualche
cosa
di
pi
formale,
che lo determini come
l'atto determina la
potenza, perch
l'essere di cui stiamo
parlando

essenzialmente (secundum essentiam)
differente dall'essere (comune) a
45)
s. Th.
1, 7,
1.
46) Qu0dl.12,5,1.
47)
s. Th.
1, 4,
1 ad 3.
Tommaso
d'Aquino
511
cui si
possono
fare delle
aggiunte.
Infatti nulla si
pu aggiungere
che
gli
sia
estraneo, perch
all'essere nulla estraneo eccetto il non
essere,
che
per
non n forma n materia.
Quindi
l'essere
non viene deter-
minato da
qualche
cosa come la
potenza
dall'atto, ma viceversa
come
l'atto dalla
potenzamfl
A
questo punto
- anche
se
pu
sembrare
una osservazione
superflua

Vale forse la
pena
notare che la
perfezione
assoluta che
compete
all'essere
inteso intensivamente
non come
in tutti
gli
altri casi una
perfezione
pos-
sibilebens
una
perfezione
attuale. Mentre
ogni
altra
perfezione pu
con-
siderarsi indifferentemente
come esistente 0 come non esistente, come
reale 0 come
possibile,
la
perfezione
dell'essere invece non si
pu
conce-
pire
che
come essente, come reale, come attuale: l'essere
e non
pu
non
essere. La nozione di
ogni
altra
perfezione

logicamente perfetta
anche
se la
perfezione
viene considerata nello stato di
possibilit.
Invece la
nozione dell'essere viene
logicamente
cambiata
e in maniera radicale
se
per
essere non si intende l'attualit di
ogni atto, ma
semplicemente
la
condizionedella
possibilit
di
una
cosa;
allora si
perde
il
concetto intensi-
vo di
essere e si cade nell'esse
commune,
nell'essere
concepito
come
genere
generalissimo
suscettibiledi tutte le
aggiunge
o addizioni
possibili.
L'essere veramente l'attualit di
ogni
forma
o natura,
l'atto
primo
e
ultimo di
ogni
ente.

l'atto ultimo
perch
l'essere attua l'ente che
esso
presuppone logicamente
costituito nella sua concreta
singolarit
(la
quale
abbraccia sia i
principi
sostanziali che
accidentali);
quindi,
nel-
l'ordine
formale, esso Viene
per
ultimo
e col suo
sopravvenire
pone
in
atto tutto
quanto
entra nella costituzione dell'ente
e
che
prima
del
suo
avvento era ancora rinchiuso nel
regno
del non essere. L'essere inoltre
atto
primo, perch
l'ente
acquista
attualit
proprio grazie
all'essere.
L'essere sta
quindi
al fondo della realt dell'ente e la sostiene in tutti i
suoi
momenti,
modalit
e
forme.
L'essere veramente la
perfezione assoluta,
la radice di
ogni
altra
perfezione.
Infatti
spetta
all'essere
non soltanto di costituire
gli
enti nel-
l'ordine
degli
essenti
ma anche di dar loro tutto ci che hanno
come
realt esistenti. L'essere
quindi
ci che c' di
pi perfetto
in
realt,
anzi
il fondamento
e
il
completamento
di tutte le
perfezioni,
le
quali
si rive-
lano cos
come
partecipazioni
all'essere, come sue facciate. Nella linea
ontologica
l'essere anche il
supremo
valore:
l'essere
che conferisce
realt
a
ogni
altro valore. Ueccellenza dell'essere risulta
proprio
da
que-
sto fatto che
mentre nessun'altra
perfezione
e nessun altro valore
sono
45) De
pot.
7, 2 ad 9.
512 Parte seconda
concepibili
come effettivi,
cio reali senza
che
partecipino
all'essere,
l'es-
sere,
invece,
e
concepibile
anche senza
che
partecipi
ad altre
perfezioni:

concepibile
a s stante.
Infinel'essere, come
afferma Tommaso ci che nelle cose
maggior-
mente intimo e
profondi):
nellente l'elemento
pi
intimo
l'essere;
dopo
l'essere
(rispetto
all'intimit)
viene la
forma,
grazie
alla cui media-
zione l'ente
possiede
l'essere;
infine viene la
materia,
che
pur
costituen-
do il fondamento
(fundamentum)
della
cosa,
si trova tuttavia
pi
distante
dall'essere della cosa di
qualsiasi
altro elemento>>.49 Nella trama costitu-
tiva dell'ente,
nel suo
sviluppo
e
nel suo
completamento
tutto
procede
dall'essere: l'ente si forma
grazie
all'essere,
si muove
nell'essere e
fa ri-
torno all'essere.
Questo
e il concetto che Tommaso
ha dell'essere ed
questo
concetto
di essere
che costituisce
per
lui
l'oggetto
della metafisica. Si tratta di un
concetto nuovo
del tutto sconosciuto ai filosofi
greci
e
totalmente disat-
teso dai filosofi moderni.
Al concetto
intensivo di essere
i
greci
non
arrivarono di fatto ma non
potevano neppure
arrivare
perch
a
loro mancava tanto la concezione
dell'essere
quanto
del nulla nel loro
significato
radicale. In effetti,
nella
filosofia
greca
il nulla
sempre
qualche
cosa (la materia,
il
caos,
il vuo-
to), e
l'essere non mai
concepito
come
perfezione suprema
(se
si eccet-
tua Parmende).
Colpiti
dal fenomeno del divenire della realt circostan-
te,
i filosofi
greci
si sono
preoccupati
di trovare una
spiegazione
di
que-
sto divenire, senza
spingersi
oltre. Invece Tommaso,
pi
che dal divenire

impressionato
dall'essere e
vede in esso l'unica vera
spiegazione
del-
l'ente in tutte le sue manifestazioni,
sia di
quelle
mutevoli sia d
quelle
permanenti.
L'atto ultimo l'essere
- sentenzia
lAquinate-,
ed essendo
il divenire un
passaggio
dalla
potenza
all'atto,
necessario che l'essere
sia l'ultimo atto verso cui tende
qualsiasi
divenire, e
poich
il divenire
naturale tende verso
ci che naturalmente si desidera, occorre
che
esso,
l'essere,
sia l'atto ultimo cui
ogni
cosa
anela.50
S. Tommaso,
che conosce
la storia della filosofiain modo abbastanza
approssimativo,
ha tuttavia un'idea
precisa
delle
tappe
del
pensiero
che
hanno condotto
progressivamente
alla
scoperta
dell'essere. Le
tappe
principali
sono tre:
a)
La
prima

quella
dei
presocratici:
Essendo,
per
cosi dire,
piuttosto
grossolani,
essi credevano che non esistessero altro che
corpi
sensibili.
Quelli
che tra essi accettavano
il moto non
lo consideravano che sotto
certi
aspetti
accidentali,come
sarebbe la rarefazionee la condensazione,
49) De nm. accid. c. 1.
50)
Comp.
Theol. l, c. 11, n. 21.
Tommaso
d'Aquino
513
l'associazione e
la dissociazione. E
supponendo
che la sostanza stessa
dei
corpi
fosse
increata,
si limtarono
a stabiliredelle cause
per
codeste
trasformazioni
accidentali,
quali
l'amicizia,
la
lite,
l'intelligenza
o altre
cose
del
genere
(S.
Th.
I, 44, 2).
b) La seconda
tappa

quella conseguita
da Platone
e
Aristotele: Essi
distinsero razionalmentela forma sostanziale dalla materia che riteneva-
no increata; e
capirono
che nei
corpi avvengono
delle trasformazioni di
forme sostanziali. Di
queste
trasformazioni stabilironodelle cause uni-
versali, cio il circolo
obliquo
per
Aristotele
e le Idee
per
Platone
(...).
Tuttaviaentrambi considerarono l'ente sotto un
aspetto particolare
(atri-
que igitur
consideraverunt
ens
particulari quadam
consideratione) o in
quanto
appartenente
a una
determinata
specie
o in
quanto
determinato dai suoi
accidenti.
Quindi
essi
assegnarono
alle cose solamente delle
cause
effi-
cienti
particolari
(Ibid).
C)
La terza
tappa

quella percorsa
dallo stesso S. Tommaso
(il
quale,
per,
si
guarda
bene dallattribuirsi
questo
merito):
la
tappa
che
con-
cerne
la
scoperta
del
principio
unico e universale di tutte le
cose,
l'essere
stesso. Essendo necessario che esista un
principio primo semplicissimo,
il
suo modo di
essere non va
concepito
come
qualcosa
che
partecipi
all'essere, bens come
quello
dell'essere sussistente stesso
(quasi ipsum
esse existens).
E
poich
l'essere sussistente
non
pu
essere
che
uno solo,
ne
consegue
che tutte le altre cose
che
traggono origine
da
esso,
esistano
come
partecipanti
all'essere. Occorre
pertanto
una risoluzione comune
per
tutte le forme di divenire
(accidentale, sostanziale, esistenziale),
dato che tutte
implicano
nel loro concetto due
elementi,
l'essenza
e
l'es-
sere.
E
quindi
oltre al modo di divenire della materia col
sopraggiunge-
re
della
forma, occorre riconoscere in
precedenza
un'altra
origine
delle
cose, grazie
alla
quale
l'essere viene dato a tutto l'universo reale dall'en-
te
primo,
che si identifica
con l'essere.51
La
singolarit
del concetto di
essere era
gi
stata rilevatada S.
Agosti-
no
quando
aveva notato che Dio l'aveva scelto
come suo nome
proprio,
ma nella
speculazione dell'lpponate
non c'
ancora
la
scoperta
della
densit semantica dell'esse
e tanto meno una
filosofiadell'essere.
Questo
passo
l'ha
compiuto lAquinate
scrutando l'ente non soltanto sotto
qual-
che
aspetto particolare
(i suoi
rapporti
con l'essenza, con la
sostanza,
con
gli
accidenti, con
la
materia, con
la forma
ecc.) ma
proprio
in
quanto
ente,
ossia in
quanto partecipe
della
perfezione
dell'essere
(essendo l'en-
te ci che ha
l'essere).
Fu
proprio
in
quel
momento che
egli
colse il valo-
re
singolarissimo
dell'essere: che solo l'essere a fare dell'ente
qualche
51) De sub.
sep.
c. 9, n. 94.
514 Parte seconda
cosa di
reale,
di
attuale;
che solo l'essere a conferire
attualit, nobilt,
perfezione,
dinamismoall'ente. In conclusione,
fu una
pi
attenta e
pi
accurata
indagine
dell'ente in direzione dell'essere a condurre S. Tom-
maso alla
scoperta
del concetto intensivo di
essere e a
metterlo alia base
del suo
edificio metafisico.
LA CONOSCENZA DELUESSERE
Sappiamo
che S. Tommaso
distingue
due concetti di
essere, quello
comune
che il concetto
pi
astratto e
pi generico,
e
quello
intensivo
che il concetto
pi
concreto e
pi
determinato in
quanto
abbracciatut-
te le determinazioni (tutte
le determinazioni in assoluto
quando
si tratta
dell'asse
per
essentiam; tutte le determinazioni di
un ente
particolare,
quando
si tratta di un esse
per
participationem).
Il concetto
comune, generico,
sta alla base di tutta la conoscenza
ed
entra
nellapprensione
di
ogni
altra
idea; ma
per quanto primario
e imme-
diato,
neppure
il concetto di esse
conzmune,
nella
gnoseologia
di S. Tom-
maso, pu
essere
colto
intuitivamente,
perch l'Aquinate
esclude nella
conoscenza umana
qualsiasi
forma di intuizioneintellettiva: tutta la cono-
scenza
intellettiva deve
passare
attraverso i fantasrni" che a loro volta
raccolgono
i dati dei sensi
esterni;
perci
tutto
quanto
l'intelletto
conosce,
anche l'idea elementarissimadi
essere e di
ente,
il risultato del
procedi-
mento astrattivo. Certo nel caso
dell'esse
commune e
dell'ens si tratta di
unastrazione
peculiare
che viene chiamata astrazione
precisiva
in
quanto
non esclude ulteriori determinazioni
ma
soltanto
prescinde
da esse.
Ma al concetto intensivo di
essere
che
pi
ricco,
pi
denso,
pi
ele-
vato di tutti
gli
altri concetti come si arriva? In
quanto
un concetto che
ricavato
dagli
enti ma
che allo stesso
tempo oltrepassa
tutte le limita-
zioni e determinazioni
degli
enti
stessi,
si deve dire che il frutto sia di
un
processo
astrattivo sia di
un
processo
riflessivo, in altre
parole
di
un
processo
altamente
speculativo.
Riflettendo
sugli
enti, su ci che li costi-
tuisce come enti, ma
che
non si lascia mai catturare
dagli
enti, perch
tutte le essenze sono ricettacoli
troppo piccoli
per
abbracciarlointera-
mente,
necessario lasciare in
disparte gli
enti
(le
loro
qualit,
la loro
sostanza,
la loro
forma,
la loro essenza) e
andare oltre
gli
enti stessi:
verso lesse nella
pienezza
e
ricchezza del
suo
infinito dominio. Il
per-
corso
da fare
qui
caratterizzato da un
approfondimento progressivo
d'atto in
atto,
dall'atto accidentaleall'atto
sostanziale, e dall'atto formale
a1l'esse autenticoche Yactus
essendi,
atto ultimo
(C. FABRo).
Si tratta di
quel processo
astrattivo-risolutivo che
corrisponde
al terzo
grado
di
astrazione,
che il
procedimento proprio
della metafisica.
Tommaso d
Aquino
515
Che tale sia il
percorso
che
segue
la nostra
intelligenza quando
va alla
conquista
del concetto intensivo
dell'essere,
S. Tommaso non lo dice mai
esplicitamente, e
questo giustifica
la notevole variet di
opinioni
tra i
tomisti
su
questo argomento.
Tuttavia che tale sia
l'insegnamento
del-
l'Angelico
lo si
pu
evincere da testi come i
seguenti:
Uintelletto
umano
non
acquista
subito alla
prima apprensione
una conoscenza
perfetta
del-
l'oggetto;
ma da
principio
ne
percepisce
un
aspetto,
mettiamo
l'essenza,
che
l'oggetto primario
e
proprio dell'intelligenza,
e in
seguito
conosce le
propriet, gli
accidenti e le relazioni che
ricoprono
la
quiddit.
Si trova
cos costretto a
raffrontare
e a
contrapporre,
a
comporre
e a
scomporre
e
passare
da una
composizione
o divisione
a ulteriori
composizioni
0 divi-
sioni,
cio a
ragionarew Quando
noi cerchiamo di farci un'idea di
Dio,
anzitutto noi escludiamo da lui tutto ci che
corporeo; poi quanto

spi-
rituale
o mentale,
almeno nel
senso in cui
questo
elemento si trova nelle
creature
viventi, come
per
es.,
bont
e
sapienza.
Allora resta nella nostra
mente soltanto la verit che Dio
, e nulla
pi.
Infineeliminiamo anche l'i-
dea dello stesso
essere,
cos come tale idea si trova nelle crearure.53
Pertanto l'essere in
senso intensivo non il risultato di unintuizione
(come
vuole
Maritain) ma
neppure
di
un
giudizio
(come sostiene
Gilson),
bens di
un laborioso
processo speculativo
che
implica
senz'al-
tro sia
giudizi
sia
ragionamenti.
Il
processo
si conclude
con
l'acquisizio-
ne
di
un "concetto"
singolare
per
il
quale pu
essere valida la denomi-
nazionedi concetto
riflessivo
(mentre
quello
dell'essere
comune

un con-
cetto
precisivo).
Molti studiosi di S. Tommaso
sostengono
che l'esse
oggetto
del
giu-
dizio
e a
sostegno
di
questa
tesi
possono
addurre numerosi testi del-
l'Angelic0,
in cui si
ripete regolarmente
che
l'oggetto
della
prima opera-
zione della mente
(l'apprensione)
l'essenza
o
quiddit
della
cosa; men-
tre
l'oggetto
della seconda
(il
giudizio)
l'essere della
cosa (esse rei):
Prima
quidem operatio respicit ipsam
naturam rei (m). Secunda
operatio
respicit ipsum
esse re>>.54
Ma, a nostro
avviso,
necessario
distinguere
tra
l'espressione
dell'es-
sere e
la
sua
apprensione.
Certo,
l'espressione generalmente
avviene nel
giudizio:
il
giudizio
che
rispecchia
l'actus esserzdi
e non la definizione.
Ma l'elaborazionedel concetto intensivo dell'essere non frutto del
giudi-
zio,
quanto
di una
lunga
e
laboriosa riflessione
comparativa
e risolutiva.55
52) S. Th.
l, 85,
5.
53) ISent.
8, 1, 1,
ad 4.
54) In De
Trim, lect.
2,
q.
1, a. 3;
Cf. l
Sent, 38, 1, 3; De
ver., 1, 9;
S. Th.
I, 14, 2,
ad 1.
55)
Cf. B.
MONDIN,
La
conoscenza dell'essere in Fabro e Gilson, in Euntes docete 50
(1997),
pp.
85-115.
516 Parte seconda
I
principi primi
della metafisica
Ogni
scienza si caratterizzaoltre che attraverso il
proprio oggetto
for-
male anche mediante una serie di
principi
o
postulati,
i
quali
le consen-
tono di
procedere
all'analisi di tale
oggetto.
Abbiamovisto che
una
delle
ragioni per
cui la metafisica merita il ti-
tolo di
reggitrice
di tutte le scienze che
essa sola in
grado
di
fondare,
giustificandoli,
i
principi
che le altre scienze
presuppongono
e
che non
dimostrano.
Quali sono
i
principi
che tutte le scienze
presuppongono
e
di cui
necessita anche la
metafisica,
sulla
quale
ricade l'onere di
provarne
la
validit?
Di alcuni
principi,
in
particolare quello
di non contraddizione,
si era
gi occupato
Aristotele nel IV libro della
Metafisica
dove
egli
aveva
dimostrato Yinconfutabilitdi
questo principio
cardine non
solo della
logica
ma
anche della
fisica,
della metafisica e
della morale. Ma ci sono
anche altri
principi,
che lo stesso Aristotele
riconosce,
pur
non
analiz-
zandoli sistematicamente,
che
sono
indispensabili
sia alle scienze della
natura sia alla metafisica. Tali sono
i
principi
di causalit,
di
ragione
suf-
ficiente e di finalit.
Anche in S. Tommaso non si incontra nessuna
trattazionesistematica
sui
principi primi
della metafisica. Ma
ritengo
che nel suo elenco
(se ce
lo avesse fornito)
dovrebberorientrare
quei principi
ai
quali egli
ricorre
pi spesso
nella elaborazione delle sue
argomentazioni
metafisiche, e
cio: identit dell'essere con se stesso: l'essere
l'essere; non
contraddit-
toriet dell'essere: lessere non
pu
essere e non essere
allo stesso
tempo;
efficienza dell'essere: lessere la causa
prima
di tutto ci che
;
analo-
gia:
l'essere
genera
effetti che necessariamente
gli rassomgliano;
finali-
smo o
teleologia:
l'essere e il fine ultimo
d'ogni
azionefi
Per la formulazione di
questi principi
fondamentali della metafisica
dell'essere,
generalmente
Tommaso non
adopera
il
linguaggio
dell'esse-
re,
ma le formule in uso al suo
tempo
tratte dal
linguaggio platonico
oppure
da
quello
aristotelico.
Questa mancanza
di una
formulazione
esplicita
nel
linguaggio
dell'essere si
spiega agevolmente:
essa dovuta
alla carenza
di
una
elaborazione sistematica da
parte
di S. Tommaso di
tutto il Vasto tessuto della sua metafisica dell'essere. Ma l'incertezza del
linguaggio
non deve in nessun
modo offuscare il carattere
squisitamente
ontologico
(cio
di riferimentoall'essere)
che i suddetti
principi
assumo-
no
nel suo
sistema
e,
in
pi,
il ruolo fondamentaleche S. Tommaso asse-
56)
Cf. H.
REITH,
The
Metaphysics of
St. Thomas
Aquinas,
Milwaukee1958,
pp.
141-171.
Tommaso
d'Aquino
517
gna
ad essi. A chi
legge
attentamente le
opere deIYAquinate
non
pu
sfuggire limportanza
che
egli
attribuisce ai
principi
di
identit,
di
non-
contraddizione,
di
causalit,
di
analogia
e di
teleologia
dell'essere. Nel
suo sistema
questi principi svolgono
il ruolo di
quei postulati
di base
che
ogni
scienza
assume
per
dare
rigore
allo studio del
proprio oggetto.
Solo che
per
Tommaso
non si tratta
semplicemente
di
postulati
conven-
zionali -
come
per
i costruttori dei sistemi della fisica
o della matematica
bens di verit
primarie,
di
principi primi,
assoluti dell'essere
stesso;
allbccasionc, S. Tommaso adduce
argomenti
di vario
genere,
onde
accreditarel'assolutoValore di tali
principi.
Cos, a
proposito
del
principio
di
non contraddizione- del
quale
tra l'al-
tro d
una formulazioneche
quadra perfettamente con le
categorie
della
filosofia
dell'essere, dicendo che il
principio
secondo cui
impossibile
est
esse et non esse simul
(per
una cosa
impossibile
essere e non essere
simultaneamente)

dopo
avere
spiegato
che il
principio
naturalmen-
te
primo
nella seconda
operazione dell'intelletto, cio nel
giudizio,57
perch
in
questa operazione

impossibileapprendere
alcunch
senza la
conoscenza di tale
principio,
Tommaso
seguendo l'esempio
di Aristotele
fa vedere che anche
se in
se stesso non risulta dimostrabile
direttamente,
in
quanto
non esistono ulteriori
principi
a cui
agganciarlo,
tuttavia a dife-
sa
di tale
principio
si
possono
addurre vari
argomenti
che
provano
indi
rettamente il suo indiscutibilevalore. In
primo luogo,
mostrando l'assur-
dit della
pretesa
di coloro che reclamano anche
per questo principio
una
dimostrazione diretta. Perch reclamare
una dimostrazione
vera e
pro-
pria
anche
per
il
principio
di
non-contraddizioneche il
primo
di tutti i
principi significa esporsi
a un
regresso
all'infinito. Ma
se si retrocede
all'infinito
non si
perviene
mai alla
dimostrazione,
perch
la conclusione
di
qualsiasi
dimostrazione
acquista
certezza mediante la
sua riduzioneal
primo principio
della dimostrazione. Ma
questo principio
non esiste
qua-
lora la dimostrazione debba far marcia indietro all'infinito. Ma se c'
qualcosa
di indimostrabile
nessuno
pu
pensare
che ci sia alcunch di
pi
indimostrabiledel suddetto
principio.58
In secondo
luogo,
facendo vedere che coloro che
negano
valore al
principio
di
non contraddizione, sostenendo che
una cosa
pu
essere e
non essere
simultaneamente, di fatto tuttavia lo
ritengono
come Valido
e
lo contestano soltanto
a
parole.
Basta soltanto che
pronuncino
una
paro-
la
sensata:
per
es. se
piove
che
dicano
piove; pronunciando
questa
parola
non
potranno
allo stesso
tempo
intendere dire che non
piove".
57) In IV
Metaph.
lect. 6.
55) lbid.
518 Parte seconda
Tuttavia
-
soggiunge
acutamenteS. Tommaso
- ci si
pu
fare solamen-
te nel caso
che colui che mette in dubbiola validit di tale
principio
dica
qualche cosa,
ossia
esprima qualche
cosa a
parole.
Perch
se non
dice
niente ridicolofornire delle
spiegazioni
a
chi rifiuta di far uso
della ra-
gione>>.59
Anche
per
definire il
principio
di
efficienza
0 causalit dell'essere
S. Tommaso si rif alla classica formula di Aristotele:
quidquid
movetur
ab alia movetur (tutto
ci che si muove mosso
da
un altro),60 ma
gli
conferisce una
densit
ontologica
che non
possedeva
nell'uso dello
Stagirta.
Anzitutto
allargando
notevolmenteil suo orizzontedi
applica-
zione: mentre
Aristotele se ne serve
per spiegare
il
moto,
il divenire
delle
cose,
S. Tommaso lo usa
anche
e
soprattutto per
spiegare l'origine
prima,
cio l'essere delle cose.
In secondo
luogo
modificandola
prospet-
tiva: Aristotele
guarda
al
principio
di causalit muovendo dall'effetto,
mentre S. Tommaso lo
guarda
muovendo dalla causa.
Certo il
principio
di causalit viene alla luce soltanto nel momento in cui viene
posto
in
atto un effetto,
per
cui l'effetto
indispensabileperch
si
possa
parlare
del
principio
di
causalit; ma non
vi dubbio che in sede
ontologica
la
causa conta di
pi
dell'effetto: e
in effetti l'efficienza
propriet
della
causa e non
dell'effetto.
Considerando il
principio
di causalit in
rapporto
all'efficienzadella
Causa,
S. Tommaso
pu
caricarlo di una
densit
ontologica
del tutto
nuova e
straordinaria. Infatti
qualcosa per
essere causa
deve
gi posse-
dere la
perfezione
dell'effetto,
cio deve
gi
essere
in atto
quanto
comu-
nica all'effetto. Ora nell'ordine
degli
atti il
primo posto
tocca all'essere:
che l'attualit di tutti
gli
atti. Per
questo
motivo all'essere
che
compe-
te in sommo
grado
anche l'efficienza.E,
di
conseguenza,
quanto pi
un
ente si trova in alto nella
gerarchia
dell'essere,
tanto
pi
in alto si trova
anche nell'ordine delle cause.
59) lbid.
60) Ci. s. Th.
1, 2,
3.
61) L'effetto, dunque,
deve
dipendere
dalla causa.
Ci infatti della
ragione
del-
l'effetto e
della causa: il che
appare
chiaramente nelle cause formali e
materiali.
Infatti,
tolto da
qualsiasi
realt il
principio
formale o
quello
materiale,
questo
cessa
immediatamentedi
essere,
dal momento che tali
principi
entrano a costi-
tuire l'essenza della cosa.

necessario, poi,
ritenere il medesimo
giudizio
sulle
cose efficienti,e formali o
materiali
(De
poi.
5, 1).
62) Cf. C. G. 1, 22, n. 210.
63) Ci. s. Th.
1, 44, 1; Comp.
Theol. c. 68, n. 116.
Tommaso
d'Aquin0
519
Da
quanto
si detto risulta evidente che la concezione tomistica del
principio
di causalit non
ha nulla da
spartire
con la concezione che di
tale
principio
si sono fatte la filosofia
e la scienza moderne. Da
queste
il
principio
di causalit definito come un nesso stabiletra fenomeni che
si succedono
regolarmente,
un nesso
che
pu
essere
anche affatto
sog-
gettivo,
cio frutto della fantasia
(Hume) o
dell'intelletto
(Kant).
Invece, come abbiamo
visto,
S. Tommaso
concepisce
il
principio
di
causalit
come un nesso
ontologico,
il
nesso
che
lega
realmente la
causa
all'effetto e consente alla causa
di comunicare
parte
della
propria perfe-
zione all'effetto
e viceversa all'effetto di ricevere e di assimilarela
realt,
la
perfezione
che
gli
vienecomunicata dalla
causa. Quindi,
per
Tommaso,
il
principio
opera
anzitutto sul
piano oggettivo
dell'essere, e
solo in un
secondo momento viene
ripreso
e riconosciutodal
piano
del conoscere.
Come osserva lo
stesso
S. Tommaso non c'
perfetta
coincidenza tra
l'ordine
genetico
(che
quello ontologico)
e l'ordine euristico
(che

quello logico).
Nell'ordine
genetico
viene necessariamente
prima
la
cau-
sa e successivamente l'effetto. Per es.
prima
il
padre
e
poi
il
figlio; prima
l'elefante
e
poi l'impronta
delle sue
zampe
nella sabbia. Invece nell'ordi-
ne euristico
(della
scoperta)
l'ordine inverso:
prima
si conosce
qualco-
sa e si
scopre
in
essa
il carattere di effetto
e successivamente si
passa
alla
ricerca e alla
scoperta
della causa. Prima si nota
l'impronta
dell'elefante
nella sabbia e
poi
si va
alla ricerca dell'elefante. A
ragione
Hume dice
che
non si
pu arguire
a
priori
l'emissione di un effetto da
parte
di una
causa. Ma la
presenza
di
un
effetto
esige
chiaramente l'esistenza di
una
causa. Perci
ogniqualvolta
ci
accorgiamo
che
una data realt non si
autogiustifica
dobbiamo
cercare
altrove la
ragione
della sua
giustifica-
zione. Il
principio
di
causalit,
in sede
logica,

pertanto
l'invito fatto
alla nostra mente di ricercare la causa di
una cosa
che
non
ha in
se stessa
la
ragione
del
proprio
essere.
Per
parlare
del
principio
di causalit S. Tommaso usa tre
espressioni
assai
eloquenti,
che connotano tre differenti funzioni della
causa e illu-
strano la densit
ontologica propria
della causa efficiente. Le tre
espres-
sioni sono: creazione, comunicazione,
partecipazione.
Creazione
significa
la
produzione
di
una
cosa,
di
un ente,
che
prima
non era in nessun modo,
n in s n nella
potenza
di
un
soggetto
(o materia).
Il termine Vuole
quindi
evidenziarela totale inesistenza del-
l'ente
prima
della
sua
produzione
da
parte
dell'Essere
sussistente; esso
pone
l'accento sul nulla del
punto
di
partenza
di ci che
oggetto
del-
l'azione creatrice. S. Tommaso mette bene in luce
quesfaspetto
di
origi-
ne assoluta,
di salto
ontologico
radicale dalla condizionedel nulla alla
condizionedell'essere che ha
luogo
nella
creazione,
nella
seguente
defi-
nizione: la creazione la
produzione
di
qualche
cosa
in tutta la sua so-
520 Parte seconda
stanza senza
che di
questa
ci sia
presupposto
alcuno sia creato che in-
creato (crepitio est
productio
alicuius rei seczmdum totam substantam suam
nullo
praesupposito, quod
si vel increatunz ve! al?
aliquo
creatum).64
L'effetto
proprio
della creazione l'essere e
questo
non
pu
essere
prodotto
che da chi
gi
10
possiede
in maniera
eminente,
perfetta,
cio
lEssere sussistente
stesso,
che Dio.
Infatti,
quanto pi
universale un
effetto, tanto
pi
elevata la sua causa
propria; perch quanto pi
alta
la
causa,
tanto
maggiori
sono
gli
effetti a cui si estende la sua Virt. Ora
l'essere
pi
universale del
divenire,
essendovi
degli
enti che
sono
immobili,a dctta anche dei
filosofi,come
le
pietre
e simili. Occorre dun-
que
che
sopra
la causa
che solamente
opera
muovendo e trasmutando,
esista
quella
causa
che
primo principio
dell'essere, e
questa
non
pu
essere
che lEssere sussistente
stesso,
Dio.65 Cos risulta
parimenti
dimo-
strato che il
primo
effetto
prodotto
da Dio nelle cose l'essere stesso
(primus efiectus
Dei in rebus est
ipsum
esse)
perch
tutti
gli
altri effetti lo
presuppongono
e su
di
esso
si fondano. Perci necessario che tutto ci
che in
qualche
modo
esiste,
riceva l'essere da Dio. Infattiin tutte le cose
ordinate avvienedi solito che chi e
primo
e
ha
maggior perfezione
in
un
dato
ordine,
sia la
Causa
di tutto ci che
appartiene
a
quellordine.
P.
es.,
il fuoco a cui
compete
di
occupare
il
primo posto
tra tutte le cose calde,

ci che causa
il calore in tutti
gli
altri
corpi
caldi. Infatti
Vimperfetto
ha
sempre
origine
dal
perfetto
come
i semi
degli
animali e delle
piante.
Ma
Dio l'essere
primo
e
perfettissimo;
occorre
perci
che sia la
causa
del-
l'essere in tutte le cose
che lo
posseggonmfi
Comunicazione
significa quel
darsi
spontaneo
e
generoso
dell'essere
agli
enti, un
darsi assolutamente straordinario
perch
dal darsi del
donatore
dipende
l'esistenza stessa e tutta la realt di colui cui viene
fatto il dono: col darsi dell'essere fiorisce l'ente nel deserto del nulla.
L'appartenenza
all'essere della virt della comunicazioneTommaso la
stabiliscecos: Le cose esistenti in natura non
solo hanno
verso
il loro
benel'inclinazione
generale
a
cercarlo
quando
non lo hanno, e a
riposar-
visi
quando
lo
possiedono;
ma
anche
a effonderlo sulle altre
per
quanto
loro
possibile.
Per
questo
vediamo che
ogni agente
nella misura in cui
ha attualit e
perfezione
tende
a
produrre
cose a s
somiglianti.
E
quindi
rientra nella natura della volont
(dell'essere
che somma attualit e
64) S. Th.
I, 65,
3.
65) C. G, II,
16.
56)
Cump.
theol. C.
68.
67) Cf. H. HAYEN, La communication de lktre
dhprs
saint Thomas
dfiqufn,
4
voll.,
Parigi
1957.
Tommaso
d'Aquino
521
somma
perfezione,
in
quanto
attualit di tutti
gli
atti e
perfezione
di
ogni perfezione)
il comunicare
agli
altri,
nella misura del
possibile,
il be-
ne
possedutonbfi Quindi se le cose in
quanto
sono
perfette
comunicano
ad altre la
propria
bont, a
maggior ragione
convieneall'essere di
comu-
nicare
agli
enti
analogicamente,
nella misura del
possibile,
il
proprio
bene. All'essere
compete
la virt della comunicazione
proprio perch
l'essere racchiude in se stesso
qualsiasi perfezione,
inclusa
quella
della
bont, e
questa
in forza della
sua stessa natura diffusiva,
benefica:
bonum est
dzfiasivunr
sai.
Come si
vede,
il termine "comunicazione" illuminail
punto
di
par-
tenza dell'ente
e
fa vedere che
esso risiede tutto
nell'essere,
nella
sua
generosa
dedizione, una dedizioneche
non
ha nulla a
che vedere n con
l'emanazionenecessaria dei
platonici,
ne
con l'alienazionedell'Assoluto
degli
idealisti.
Partecipazione,
come
suggerisce l'etimologia
stessa della
parola, espri-
me un
prendere parte
a
qualche
cosa: est autem
participare quasi partem
capere>>fi9
Quindi,
quando qualche
cosa riceve in maniera
parziale
ci
che
appartiene
ad altri in modo
totale,
si dice che
ne
partecipe.
Per
es.,
si dice che l'uomo
partecipa
all'animalit
perch
non esaurisce la
ragio-
ne de1l'animalit in tutta la
sua estensione;
per
la stessa
ragione
si dice
che Socrate
partecipa
all'umanit;
parimenti
si dice che la sostanza
par-
tecipa
allaccidente, e
la materia alla
forma,
in
quanto
la forma sostan-
ziale o accidentale, che,
considerata in se stessa
comune a molti,
viene
determinata
a
questo
o a
quell'oggetto particolare;
similmente si dice
che l'effetto
partecipa
alla
causa,
soprattutto quando
non ne
adegua
il
potere;
un
esempio
di
questa partecipazione
si ha
quando
si dice che l'a-
ria
partecipa
alla salute del sole>>.7
Applicato all'origine degli
enti il termine
"partecipazione"
indica
quel prendere parte, quel partecipare degli
enti alla
perfezione
dell'esse-
re,
che inizia
con la comunicazionedi
se stesso
agli
enti da
parte
dell'es-
sere. Pertanto, come
la comunicazione
non
comporta
nessuna
alienazio-
ne,
nessun calo di
perfezione nell'essere,
cos la
partecipazione,
contra-
riamente a
quanto potrebbe suggerire l'etimologia,
non
implica
nessun
frazionamento, nessuna
spartizione
della
perfezione
dell'essere tra i sin-
goli
enti. Infatti
l'essere, come si
visto,
assolutamente
semplice
e non
suscettibiledi alcuna
scissione, divisione,
frantumazione.
Quindi, se
parlando dell'origine degli
enti dall'essere si ricorre al termine
parteci-
68) s. Th.
I, 19,
2.
69) In De Hcbdom. lect.
2, n. 24.
7) Ibid.
522 Parte seconda
pazione, questo
non
pu significare
avere una
parte
dell'essere,
poi-
ch nell'essere non
vi sono
parti,
ma
possedere
in modo
"particolare",
limitato", imperfetto" quella perfezione
che nell'essere (l'esse
ipsum)
si
trova in modo totale, illimitato,
perfetto:
<<infatti
quando qualcosa
riceve
in
parte
(particulariter)
ci che a un
altro
appartiene
universalmente si
dice che vi
partecipan."
L'essere in
quanto perfezione
di tutte le
perfezioni
e
attualit di tutti
gli
atti
- di diritto - infinito e
perci
non
si
pu
mai
comportare
come
un
partecipante (poich
i
partecipanti
sono
sempre
finiti e si trovano in
condizionedi
potenzialit
e ricettivit
rispetto
al
partecipato).
L'essere
pu
venire
partecipato
dalle altre
cose,
ma non
pu
esso stesso
parteci-
pare
a nessuna cosa.
Invece ci che
,
ossia l'ente
partecipa
all'essere,
non come
il
pi
comune
partecipa
al meno comune,
ma
partecipa
all'es-
sere come
il concreto
partecipa
all'astrattofl
La misura della
partecipazione
di un ente all'essere -
come
si vedr
meglio pi
avanti viene definita dall'essenza. Questa svolge
la
triplice
funzione d definire"
gli
enti,
di diversificarli e
di
moltiplicarli (plurrfi-
catio).
Le cose

spiega
S. Tommaso

non
si
distinguono
le une
dalle
altre in
ragione
dell'essere
poich questo
comune a tutte. Se
dunque
differiscono realmente tra loro,
bisogna
o
che l'essere stesso sia
specifi-
cato da alcune differenze
aggiunte,
in maniera che cose
diverse abbiano
un essere
specificamente
diverso,
oppure
che le cose
differiscano
perch
lo stesso essere
compete
a
nature
specificamente
diverse. Il
primo
caso
impossibile, perch
all'essere non si
pu
far
aggiunta
in
quel
modo con
cui si
aggiunge
la differenza
specifica
al
genere.
Bisogner
allora
ammettere che le cose
differiscono a
cagione
delle loro diverse nature o
essenze,
per
le
quali
si
acquista
l'essere in modi diversi>>.73 Poich dun-
que
tutte le forme limitano l'essere, nessuna
di esse
si identificacon
l'es-
sere (...).
Ciascuna forma in
quanto
si
distingue
dalle altre un
modo
particolare
di
partecipare
allessere.74
Ci resta ancora
da
spendere qualche parola sugli
altri due
principi
primi
dell'essere,
il
principio
di
analogia
e il
principio
di
teleologia.
Del-
la loro
portata
effettiva dovremo
occuparci pi
avanti;
per
il momento
sar sufficiente farsi un'idea del
significato
e del ruolo che essi
occupano
nel sistema di S. Tommaso.
71)
Ibid.
72) Ibid. Sul senso esatto di
questo
testo vedi C.
FABRO,
Partecipazione
e causalit,
SEI,
Torino 1960,
pp.
209 ss.
73) C. G. l,
26.
74) In De Hebdonz. lect. 2, n. 34.
Tommaso
d'Aquino
523
Strettamente
legato
al
principio
di causalitil
principio
di
analogia
dice
che la
causa
produce
un effetto che in
qualche
misura le
rassomiglia:
omne
agens agit
simile sibi.
L'analogia,
la
somiglianza
cio tra effetto
e
causa,
una
conseguenza
necessaria della causalit
concepita
come co-
municazione e come
partecipazione
della
perfezione
della
causa
all'ef-
fetto.
Applicato all'origine
delle cose
il
principio dellanalogia esprime
una certa tensione nell'essere alla
riproduzione
di
se stesso nella
figura
di
qualche
cosa
che
gli rassomiglia
e non
nella
figura
dellidentico,
per-
ch
un
identico dell'asse
ipsunz
e
indistinguibile
dallfiesse
ipsumfi
Il
prin-
cipio
di
analogia
chiarisce
quindi
a un
tempo
la necessit che
gli
enti
rassomiglino
all'essere, e
l'impossibilit
che
gli
enti si identifichino
con
l'essere: il
rapporto
tra
gli
enti e l'essere esattamente un
rapporto
di
analogia,
cio di
somiglianza.
S. Tommaso lo
spiega magistralmente
parlando
di Dio. Scrive
l'Aquinate:
Siccome
ogni agente
si
prefigge
di
portare
la
sua
somiglianza
(simili-
tudinem)
nell'effetto nella misura in cui
questa pu
riceverla, sar
tanto
pi perfetta questa
sua azione,
quanto pi perfetto

l'agente.
Infatti chiaro che
quanto pi
un
oggetto

caldo, tanto
maggiormen-
te riscalda, e
quanto pi
uno un bravo
artefice, tanto
meglio esegui-
sce nella materia il
disegno
artistico. Ora Dio un
agente perfettissi-
mo. Quindi a lui
compete imprimere perfettissimamente
la sua somi-
glianza
nelle cose create,
per quanto

possibile
a una natura creata.
Ma nelle cose create non
pu conseguire
una
perfetta somiglianza
con Dio mediante una sola
specie
di
creature,
perch
essendo l'effetto
oltrepassato
dalla
causa,
ci che nella
causa si trova in modo
semplice
e unito,
si ritrova nelreffetto in modo
composto
e
molteplice;
a meno
che l'effetto non
raggiunga
la
perfezione specifica
della
causa. Questo
non
pu
dirsi nel nostro
caso, perch
la creatura non
pu
essere
uguale
a Dio.
Bisogno dunque
che nelle cose create vi fosse
moltepli-
cit e Variet affinch vi si riscontrasse una
perfetta somiglianza
con
Dio,
secondo il loro modo.76
Il
principio
di
teleologia presiede all'agire
e
dice che
ogni
azione si com-
pie
in vista di
un
fine
(telos). Questo
principio
come
il
principio
di analo-
gia

implicito
nel
principio
di causalite non fa altro che
esplicitare
una
propriet
della causalit. Ma mentre
lanalogia qualifica
il
nesso tra
causa ed effetto dal
punto
di vista della
somiglianza
(e
dice che l'ente
75)
L'essere
per
s sussistente uno solo.
dunque impossibile
che oltre ad esso vi
sia un
qualche
sussistente che sia soltanto essere
(lpsum
esse
per
se subsistens est
unum tantum.
lrripossibile
est
igitur quod praeter ipsam
sit
aliqaid
subsistens
quod
sit
esse tantum) (De
sub.
sep.
c. 8, n. 87).
75) C. G.
Il,
45.
524 Parte seconda
rassomiglia sempre
all'essere),
la
teleologia
stabilisce che l'essere il
fine ultimo di
ogni agire: Ogni
azione e movimento sono ordinati in
qualche
maniera all'essere
(ad esse
aliquo
modo
ordinari);
sia allo
scopo
che
esso
venga
conservato nella
specie
0 nellndividuo,
oppure
perch
venga acquistato
di nuovo? Infatti l'atto ultimo
l'essere,
ed essendo
il divenire un
passaggio
dalla
potenza
all'atto, necessario che l'essere
sia l'ultimo atto verso cui tende
qualsiasi
divenire; e
poich
il divenire
naturale tende verso
ci che naturalmente si desidera, occorre
che
esso,
l'essere,
sia l'atto ultimo cui
ogni
cosa
anela.75
La
portata
di
questo principio
che nella formulazioneastratta sembra
dire ben
poco,
nella metafisica dell'essere di S1 Tommaso diviene enor-
me.
Perch
una volta accertato
-
come si vedr
pi
avanti - che nella
totalit della sua
perfezione
l'essere si identifica
con Dio,
il cui nome
proprio
esse
ipsum,
allora diventer chiaro che il
finis
ultimus di
ogni
agire
Dio
stesso, e S. Tommaso
potr
scrivere:
<<Dio
principio
e fine
d'ogni
cosa
e,
di
conseguenza,
ha
con
le crea-
ture un
duplice rapporto: quello
secondo cui tutte le cose arrivano
all'essere
per
causa sua,
e
quello
secondo cui tutte le cose si
dirigono
a
lui
come a loro fine ultimo.
Questo
secondo
rapporto (quello
teleo-
logico)
si realizza diversamente nelle creature irrazionali che in
quelle
razionali: nelle
prime
si attua mediante la
rassomiglianza (per
vitmz
assimilationis); nelle seconde mediante la conoscenza della divina
essenza oltre che mediante la
rassomiglianza.
Infatti in tutte le cose
che
procedono
da Dio e insita la inclinazioneverso
il bene da conse-
guirsi
mediante
l'agire.
Ora nel
conseguimento
di
qualsiasi
bene la
creatura si
rassomiglia
a Dio. Ma le creature razionali
possono rag-
giungere
Dio oltre che
con
la
rassomiglianza
anche con l'unione
mediante le
operazioni
del conoscere e dell'amare, e
quindi
sono
maggiormente
in
grado
delle altre creature di essere fe]ici.79
Le strutture
primarie
dell'ente
L'oggetto
formale della metafisica
, come
sappiamo,
l'ente Conside-
rato in
rapporto
alle sue cause e ai
principi primi,
che
gi
Aristotele
riponeva
in una sfera
trascendente,
immateriale.
Ora,
poich proprio
questo
lo
scopo
della filosofia
prima,
lo studio delle numerose struttu-
re
che
sono
proprie
dell'essere materiale
e
di tutta la
lunga
serie di acci-
denti che
Paccompagnano(quantit, qualit, spazio, tempo, luogo,
habi-
77) C. G.
111,2.
73)
Comp.
Theol. l, c. 11, n. 21.
79)
De ver. 20,
4.
Tommaso
d'Aquino
525
tus ecc), su cui amano soffermarsi molti studiosi della metafisica di
S.
Tommaso, non
pu
avere che
un'importanza
assai
modesta,
quanto
meno nella fase ascendente della ricerca. In
questa
fase non ci si
pu
caricare di eccessiva
zavorra,
altrimenti la seconda
navigazione
non
pren-
de mai il via.
Il fine
dell'indagine
metafisica la resolutio: la riconduzione
e
la ridu-
zione dell'essere materiale
(finito, mutevole,
contingente, imperfetto)
a
un
principio superiore,
immateriale. Per
compiere questo importantissi-
mo
passaggio
le sole strutture che contano sono due. La struttura fonda-
mentale
quella
di atto e
potenza, gi
utilizzatada Aristotele.
Questa

sufficiente
per compiere
la
grande navigazione:
la struttura che
serve a
S. Tommaso
per
uscire dal mondo
degli
esseri
materiali,
composti
di
atto e
potenza
e
perci
in
perpetuo
divenire, e
raggiungere
la Causa
prima,
atto
purissimo,
sostanza
immateriale, sommamente
intelligibile.
La seconda
struttura,
caratteristica della metafisica
tomistica,

quella
di
essenza ed
essere. La
composizione
di
essenza
ed
essere
negli
enti con-
duce S. Tommaso alla vetta della
realt,
l'asse
ipsum
subsistens.
Nella nostra breve ricostruzione della metafisica di S. Tommaso
igno-
reremo il suo
pensiero
ricco -
ma scarsamente
originale
- intorno a mate-
ria
e forma, sostanza e accidenti,
quantit
e
qualit, tempo
e
spazio ecc.,
per
soffermarci esclusivamente sulla sua dottrina intorno alle due strut-
ture fondamentali:atto e
potenza,
essenza ed
essere.
ATTOE POTENZA
La dottrina dell'atto e
potenza
fu, come
sappiamo,
la
grande scoperta
di
Aristotele,
che
ne fece
largo
uso
soprattutto per spiegare
i
rapporti
tra
la materia e
la
forma, tra la sostanza e
gli
accidenti, tra la
causa e
l'effet-
to e
per
risolvere molti intricati
problemi
metafisici,
specialmente
il
pro-
blema del divenire. I
punti
chiave della dottrina
aristotelica,
largamente
condivisi anche da S.
Tommaso, sono
i
seguenti:
1)
Anzitutto i concetti di
potenza
e
di
atto;
per potenza
si intende tutto
ci che indeterminato e
che suscettibiledi ulteriori determinazioni:
la
potenza
nel
paziente
stesso il
principio
di
una mutazione
passiva
provocata
da
un altro o
da s in
quanto
altro>>fl0 Invece Patto
qualsiasi
realizzazionedi una
perfezione:
l'atto
rispetto
alla
potenza

quello
che
il
guardare rispetto
al
non
guardare,
pur
avendo la
vista; l'oggetto
cavato dalla materia e benlavorato
rispetto
alla materia stessa.81
30) ARISTOTELE, Metafisica
1046a,
11-12.
si) Ibd., 1048b, 1-2.
526 Parte seconda
2)
In secondo
luogo
le
prerogative
delltto
rispetto
alla
potenza.
L'atto
ha
priorit ontologica
sulla
potenza.
Infatti la
potenza
anche
quando
esi-
ste
prima
dell'atto al
quale
ordinata come
potenza, acquista questo
atto soltanto
grazie
a
qualche
cosa
che
gi
in atto:
sempre
si
passa
da
ci che esiste in
potenza
a ci che esiste in atto a causa
di
qualche
cosa
che esiste in atto. L'atto
gode
inoltre di
priorit teleologca:
la
potenza

ordinata all'atto e non viceversa.
Ogni
cosa
che diviene va verso un
fine, e
il fine
sempre
l'atto: ed
proprio
l'atto a costituire la
ragion
d'essere della
potenzamaz
3)
In terzo
luogo
le
prerogative
della
potenza rispetto
all'atto,
che
sono
fondamentalmente due: ricevere l'atto e
moltiplicarlo.
La
potenza
in
condizione,
anzi la condizionedella
passivit
e
pertanto
non
pu
che
ricevere l'atto. Allo stesso
tempo
essa
provvede
alla
moltiplicazione
(plurificatio) degli
atti. Infatti l'atto non
si
moltiplica
se non ricevuto
nella
potenza
correlativa. Cos ciascun uomo
differisce
quanto
all'insie-
me da tutti
gli
altri, ma
quanto
alla
specie
non differisce;
perch
tali dif-
ferenze non
riguardano
la forma
(atto)
la
quale
un
principio
ultimo e
indivisibilema
la
materia,
ossia la
potenza.
4) Infine,
i
rapporti
tra
potenza
e atto. Potenza e atto sono
principi
cor-
relativi,
perci
si richiamano
sempre
a
Vicenda
e
formano un
unico
tutto. La
potenza
fornisce all'atto
un
soggetto
da
determinare, mentre a
sua
Volta l'atto comunica alla
potenza
la
propria perfezione
e con
la
pro-
pria perfezione
delle caratteristiche ben definite: mediante la forma
(atto)
la materia
(potenza)
diventa una cosa bendeterminatawfl In
quan-
to sono
principi
correlativi l'atto e
la
potenza
non
possono
sussistere cia-
scuno
per
conto
proprio.
D'altra
parte, pur
dovendo coesistere nello
stesso
soggetto,
sono realmente distinti. ljatto e la
potenza pur
esisten-
do nello stesso
soggetto
non sono
la stessa cosa.85
Infatti la
potenza

ci che determinabile,mentre l'atto ci che determina.
La formulazione aristotelica della dottrina dell'atto e della
potenza,
anche se
oltrepassa
i confini della materia e
della forma da cui stata
ricavata,
di fatto,
per,
risente fortemente del contesto ermeneutico in
cui si
sviluppata.
Ci evidente
soprattutto quando
Aristotele
nega
che si
possa
dare un atto
puro
infinito. Essendo
principio
di determina-
zione l'atto,
secondo
Aristotele, non
pu
essere
che finito. Ci
vero,
per,
soltanto se
l'atto viene identificato
con
la forma
(sostanzialeo
acci-
dentale) e
finch
l'indagine
non
oltrepassa
i confini del divenire sostan-
82) 112111., 104919,
24-25.
83) Ibd, 1058b,
8-10.
84) lbid., l041b,
8-9.
85) ARISTOTELE,
Fisica
3,
3.
Tommaso d
Aquin0
527
ziale
e accidentale, come accade in Aristotele. Se invece
l'indagine
si
sospinge
oltre tali confini e comincia a muoversi sul
piano
del divenire
esistenziale, se si
sale, cio, come dice
egregiamente
S.
Tommaso,
al
supremo
modo del
divenire,
che ha
luogo per
mezzo dell'influss0 im-
mediato dell'essere
(in
supremo
modo
fiendi, qui
est
per
essendi
influxum),86
allorch i
principi
che si
rapportano
alla maniera di
potenza
e atto non
sono
pi
la materia e la forma
ma l'essenza e l'essere,
allora la tesi della
finitezza dell'atto
non
regge pi.
E infatti
a
questo
livello,
che
quello
del divenire
esistenziale, si incontra
un atto
(quello dell'essere) che, con-
siderato in se
stesso,
dice solo
perfezione
e
perfezione
infinita,
che
pu
essere delimitata soltanto da
un
principio
diverso dall'essere e
questo
compito
come si visto
spetta
all'essenza.
Questa
rispetto
all'essere si
comporta
diversamente dalle altre
potenze.
Infatti, mentre la
potenza
esaminata da
Aristotele,
la
materia,
viene determinata
dall'atto,
la
potenza
correlativa
all'essere,
cio l'essenza
determina,
pone
confini,
limita
l'atto, ossia l'essere.
Pertanto,
riprendendo
la dottrina aristotelica dell'atto
e della
potenza
al fine di chiarire i
rapporti
tra essenza ed
essere nel1ente,
S. Tommaso vi
apporta
due
importanti
modifiche,
richieste dalla
sua
scoperta
dell'essere
come
perfezione
assoluta: esse
riguardano
le tesi di Aristotele secondo
cui l'atto di sua natura finito
e
svolge
la funzionedi delimitare la
poten-
za. Ad
esse Tommaso
contrappone
le tesi della infinit dell'atto
quando
si tratta dell'essere
e
della funzione della
potenza
di fissare dei limiti
all'atto,
quando
il ruolo della
potenza
viene svolto dall'essenza in ordine
all'essere. Per
questo
motivo
l'Aquinate
non si stanca di
ripetere
che la
composizione
che si stabiliscene]l'ente
per
mezzo dell'essenza
e dell'es-
sere
ha connotati ben diversi da
quelli
della
composizione
di materia e
forma. Ecco come
egli spiega
la diversit della Summa
contra
gentiles:
Non
sono identiche
queste
due
composizioni
sebbene ambedue
risultino di
potenza
e atto. Primo,
perch
la materia non l'essenza
(substantia) stessa della
cosa,
altrimenti
avremmo che tutte le forme
sarebbero accidentali
come ritenevano
gli
antichi
naturalisti;
la mate-
ria invece una
parte
dell'essenza
(substantia). Secondo,
perch
l'esse-
re stesso
(ipsum
esse) non l'atto
proprio
della
materia, ma della
sostanza tutta intera;
infatti l'essere l'atto di ci che
pu
dirsi esi-
stente. Ora Pesistere non si dice della materia da sola ma dell'insieme
(de toto). Perci non
pu
dirsi della materia che
essa sia, ma ci che
veramente esiste la sostanza. Terzo,
perch
neppure
la forma l'es-
sere
(ipsum
esse), ma c' tra di loro
(la
forma
e l'essere) un certo ordi-
ne, poich
la forma si
paragona
all'essere
come la luce al
risplendere,
36) De sub.
sep.
c. 9, n. 98.
528 Parte seconda
e la bianchezza all'essere bianco. E inoltre alla forma l'essere si
rapporta
come atto. Infatti
negli
esseri
composti
di materia e
forma si dice che
la forma sia
principio
dell'essere
perch
il
complemento
della sostan-
za,
il cui atto l'essere
stesso; come
la
qualit
di
trasparire

per
l'aria
principio
di
risplendere, poich
la rende
soggetto appropriato
della
luce. Perci
negli
enti
Composti
di materiae forma,
sia la materia sia la
forma non si
possono
dire n essenza
(ipsunz quod
est)
n essere
(ipsum
esse).
Tuttaviala forma si
pu
dire ci
per
cui la cosa
(quo
est) e
l'essere
(esse ipsum)
ci
per
cui la sostanza si chiama ente. Invece nelle sostan-
ze
intellettuali
(o separate),
che
non sono
composte
di materia e di
forma ma
la stessa forma in esse sostanza sussistente,
la forma e ci
che
esiste;
mentre l'essere sia atto sia ci
per
cui esiste la forma. Per
questo
motivo vi in esse la sola
composizione
di atto e
potenza,
com-
posizione
che risulta dall'essenza (substantia) e dall'essere (esse), e da
alcuni viene detta anche ex
quod
est ed
esse,
oppure
ex
quod
est e
quo
est.
Nelle sostanze
poi
che sono
composte
di materia e forma,
vi sono due
composizioni
di materia e forma;
la
prima
della sostanza stessa che
si
compone
di materia e forma;
la seconda risulta dalla stessa sostanza
gi composta
e dall'essere, e
questa pu
dirsi
emergere
da ci che
(quod
est) e dall'essere,
oppure
da ci che
(quod
est) e
da ci
per
cui
(quo
est) .
Si vede
dunque
chiaramente
come
la
composizione
di atto e
potenza
sia
superiore
alla
composizione
di materia e
forma. Infatti la
materia e
la forma sono
divisioni della sostanza naturale
(fisica),
men-
tre l'attoe
la
potenza
dividonol'ente in
generale
(ens c0mmune).37
In
questa
densa
pagina
della Contra
gentiles
S. Tommaso non
si limita
a
chiarire che la struttura atto/
potenza
ha una
maggiore portata
ontolo-
gica
della struttura materia/forma, ma
dimostra che
essa si
applica
anche alla struttura essenza / essere. Questa
seconda struttura costituisce
a
fianco del concetto intensivo dell'essere il secondo
grande pilastro
su
cui
l'Angelico
innalza il
suo
possente
edificio metafisico.
Dopo
avere
colto nel concetto intensivo la verit dell'essere,
nella distinzione reale
tra essenza
ed essere
egli coglie
la verit dell'ente.
Ma vediamo come S. Tommaso
prova
che all'interno dell'ente,
di
qualsiasi
ente finito,
la struttura
primaria

quella
di essenza
ed essere.
ESSENZA ED ESSERE
Per
capire
la dottrina di S. Tommaso su
questo punto capitale
della
sua
metafisica occorre
anzitutto fare attenzione al
linguaggio
di cui si
serve
regolarmente.
ln
primo luogo egli
non
parla
mai di un
duplice
esse,
di
un esse
essentiae e
di
un esse
existentiae come
far Scoto e come
57) C. G. ll, c. 54. Cf. anche il testo
parallelo
di De sub.
sep.
c.
1.
Tommaso d
Aquin0
529
faranno anche alcuni
interpreti
di S. Tommaso. L'asse
per
il Dottore An-
gelico
uno solo e costituisce un
principio
distinto dall'essenza. Per de-
signare
la realt
globale
di una cosa S. Tommaso
parla
di
ens, res,
sub-
stantia
particularis;
mentre
per qualificare l'aspetto quidditativo
(essen-
ziale)
fa
uso dei termini essentia
oppure
id
quod est, e
per
indicare
l'aspet-
to "esistenziale" usa i termini
esse,
actus essendi,
id
quo
est. Il termine exi-
stentia
non tomistico anche
se valenti tomisti
come Gilson
e Maritain lo
hanno adottato
per parlare
dell'esse di S. Tommaso.
Ente (ens), come termine chiave della metafisica
dell'essere,
dice la
totalit di
una
cosa,
non una sua
parte
(l'essenza,
la
materia,
la forma
eco). Tuttavia, come
suggerisce l'origine
stessa del termine
(ens
proviene
da
esse), ente connota in modo
particolare
il
suo
rapporto
con l'essere:
ente ci che ha l'essere
(quod
habet
esse);9fl
o, pi precisamente
: ci
che
partecipa
all'essere
(quod participet
esse)>>.89
E
poich
l'essere si carat
terizza
sempre
come atto,
l'ente
pu
essere definito anche
come essere
in atto (ens
dicit
aliquid proprie
esse in
actu).90
Come concetto universale il
termine ente" ha la stessa estensione del termine "cosa"
(res), ma la
sua
intenzione
diversa,
poich
res
fa riferimento all'essenza mentre ens
fa
riferimento all'essere: dicitur res secundum
quod
habet
quidditutenz
nel
essentiam
quamdam;
ens vero secundum
quod
habet esse.9
Generalmente S. Tommaso
adopera
il termine essentia
(essenza)
per
indicareci che
appartiene
necessariamentea una
cosa,
e
pertanto
viene
posto
nella
sua definizione: l'essenza
propriamente
ci che viene
espresso
dalla definizione. Ora la definizione
comprende
i
principi spe-
cifici
e non
quelli
individuali. Perci nelle cose
composte
di materia e
forma l'essenza
non
significa
n la sola forma n la sola materia ma il
composto
di materia e
di forma in universale
(ex
materia et
forma
commu-
rzi)
in
quanto
sono
principi
della
specie.92
Sinonimi del termine "essen-
za",
nel
linguaggio
di S. Tommaso sono: natura, quiddit,
ci che "
(quod quid
est), sostanza,
specie.
Che cosa
lAngelico
intenda
per
essere (esse)
stato
gi
chiarito in
pre-
cedenza: lessere lfizctualitas omnium
actuum,
la
perfectio
omnium
perfet-
tionum, atto
supremo, superiore
alla stessa forma
con cui Aristotele l'a-
veva identificato.
33)
lSent.
37, 1, 1, sol.
H9) s. Th.
1,4,
2 ad 3.
9) Ibid., 5,
1 ad 1.
91) II Sent.
37, 1, 1 sol.
92)
S. Th.
l, 29,
2.
530 Parte seconda
Dal confronto dell'ente con l'essere
emerge
la
prima grande dzfierenza
ontologica:
l'ente non
l'essere; nessun ente esaurisce il
pelago
infinito
della
perfezione
dell'essere. A
questo punto
affiora una seconda diffe-
renza
ontologica, gi
colta da
Avicenna, ma da lui
interpretata
in modo
molto diverso da S. Tommaso: la differenza
ontologica
tra essenza e atto
d'essere
negli
enti.
Tommaso,
studiando
pi
a
fondo dei suoi
predecessori
il ruolo che
svolge
l'essenza in seno all'ente,
giunge
alla conclusioneche il suo ruolo
principale

proprio quello
di
porre
dei confini alla
perfezione
dell'essere
nell'ente: i confini alla
perfezione
dell'essere non
Vengono imposti
n
dalla materia n dalla forma ma dalla essenza stessa. Si
prenda per
es. un
banco:
perch
non
ha
un
maggior grado
di
essere e di
perfezione
di
quel-
lo che di fatto
gli appartiene?
La
risposta
di S. Tommaso che il
banco,
proprio
in forza della
sua natura o essenza
di
banco, non
comporta
un
maggior grado
di essere e
di
perfezione; potr
essere
di materiale
pi
pregiato,
lavorato
pi
finemente,
pi largo, pi
alto
eCC.,
ma non
potr
avere
la
perfezione
della
coscienza,
della libert,
della
conoscenza,
del
movimento e tante altre
perfezioni
che la sua essenza
di banco esclude e
che invece l'essere in
quanto
attualit di tutti
gli
atti contiene necessaria-
mente.
Quindi
la limitazione della
perfezione
dell'essere
negli
enti e la
ragione
ultima della differenza
ontologica
tra ente ed essere va ricercata
nell'essenza. Le
essenze, spiega
S. Tommaso, sono come
dei
recipienti
e
contengono
tanto di essere
quanto
ne
comporta
la loro
capacit;
vicever-
sa
Yessere si trova
negli
enti secondo la misura della loro
capacit.
L'es-
sere
che in se stesso infinito
(ipsum
esse
absolute consideratunz
infinitmn
est)
pu
essere
partecipato
da infiniti enti e
in infiniti modi. Se
dunque
l'essere di
qualche
ente finito,
bisogna
che
esso sia limitato da
qualche
altra
cosa,
che sia in una certa
guisa presente
nell'ente come suo
princi-
pio.93
Tale il ruolo dell'essenza. D'altronde le cose non
si
possono
distinguere
le une
dalle altre in
ragione
dell'essere che comune a tutte.
Perci se differiscono realmente tra loro,
bisogna
o
che l'essere stesso sia
specificato
da alcune differenze
aggiunte,
in maniera che cose
diverse
abbiano un essere
specificamente
diverso,
oppure
che le cose
differisca-
no, perch
lo stesso essere
compete
a nature
specificamente
diverse.
Il
primo
caso
impossibile,perch
all'essere non si
pu
fare
aggiunta
in
quel
modo con cui si
aggiunge
la differenza
specifica
al
genere.
Bisogne-
r allora ammettere che le cose
differiscano a
cagione
delle loro diverse
nature,
per
le
quali
si
acquista
l'essere in modi diversiP4
93) C. G. I,
43.
94) lbid, 26.
Tommasod
'Aquino
53]
L'intuizioneche la delimitazionedella
perfezione
dell'essere dovu-
ta all'essenza anzich alla materia 0 alla forma consente a S. Tommasodi
disfarsi della teoria dell'ilemorfismo
universale,
teoria
patrocinata
dal-
l'ebreo Avicebrone
che ai
tempi
di Tommaso contava molti
seguaci
anche tra
gli
scolastici latini. Secondo
questi
studiosi la materia un ele-
mento che
entra nella costituzione di tutte le
creature,
compresi gli
angeli, perch
soltanto la
presenza
della materia le
distingue
da Dio.
S. Tommaso non di
quesfavviso. Egli
ritiene che
per spiegare
la finitu-
dine
degli angeli
come di
qualsiasi
altra realt creata
pu
bastare l'es-
senza. Questa
di
sua natura finita ed la
ragione
intrinseca della deli-
mitazione della
perfezione
infinita dell'essere nell'ente creato. Ecco
quanto
scrive a
questo proposito
lo stesso S. Tommaso nel De substantiis
separatis, opuscolo
in cui critica la tesi ilemorfisticadi Avicebron.
Tutte le cose che
partecipano
all'essere
per opera
dell'Essere
supre-
mo non
partecipano
all'essere secondo il modo universale di
essere
(non
participant
esse secundum modum universalem
essendi)
che
proprio
del
principio primo,
ma
parzialmente (particulariter)
secondo un
modo di
essere
particolare, quello proprio
di
un
genere
o di
una
spe-
cie.
Ogni
cosa infatti si
adegua
a
quel
determinato modo di
essere
che

proprio
della
sua sostanza. Ma il modo di
una sostanza
composta
di
materia e di forma
dipende
dalla forma
per
cui
appartiene
a una
determinata
specie.
Cos una cosa costituita di materia e di forma
diviene
partecipe
dell'essere che le viene conferito da Dio mediante la
forma, secondo una modalit
particolare.
Occorre
per
tener
presente
che in una sostanza costituita di materia e
di forma si d
un
duplice
ordine
(o relazione): uno
quello
della stessa materia alla
forma;
l'al-
tro
quello
del
composto
all'essere
partecipato
(rei
compositae
ad esse
participatirrrz).
L'essere della cosa infatti
non n la materia n la
forma, ma
qualche
cosa che
sopravviene
alla
cosa mediante la forma.
Cos nelle
cose
composte
di materia
e forma,
la materia considerata in
se
stessa,
secondo il modo
proprio
della
sua essenza ha l'essere in
potenza
(habet esse in
potentia)
e ci
dipende
da
una sua
partecipazio-
ne all'essere
primo;
ma considerata in
se stessa
priva
della forma
grazie
alla
quale partecipa
all'attualit dell'essere
(esse
in
actu) secon-
do la modalit che le
propria.
Invece la
cosa
composta
vista nella
sua essenza
gi
in
possesso
della
propria
forma
e
grazie
alla forma
diviene
partecipe
dell'essere che le
compete.
Per,
dato che la materia
riceve l'essere determinato attuale mediante la forma
(recipit esse
determinatum actuale
per
formanz)
e non viceversa,
nulla vieta che ci sia
qualche
forma che riceve l'essere direttamente e in
se stessa, e non
nell'ambitodi
un
soggetto
(non in
aliquo
subiecto):
infatti la
causa non
dipende
dall'effetto, ma
piuttosto
il contrario. E cos una forma sussi-
stente in se stessa diviene
partecipe
dell'essere
direttamente, in
se
stessa e non all'interno di
un
soggetto
(...). Dal che risulta come diffe-
risce la
potenza
che si trova nelle sostanze
spirituali
dalla
potenza
che
532 Parte seconda
si
registra
nella materia. Infatti la
potenza
delle sostanze
spirituali
si
riferisce solamente e
direttamente all'essere;
invece la
potenza
della
materia si riferisce sia alla forma sia all'essere. Se
qualcuno
vuole
usare
per
entrambi i casi (di
potenzialit)
la
parola
materia",
evi-
dente che
egli adopera
il termine "materia" in maniera
equivoca.95
Fin
qui
S. Tommaso ha messo
al sicuro due Verit: a) la verit dell'es-
sere
che di
sua natura
perfezione
assoluta, illimitata; b)
la verit del-
l'ente,
che di fatto
sempre
una
partecipazione
limitata alla
perfezione
dell'essere e
deve alla
sua stessa essenza
la
ragione
della limitazione
della
propria partecipazione
all'essere.
Si tratta indubbiamentedi due verit
importantissime,
fondamentali
ma
che
sono ancora
ben lontane dallesaurire il discorso metafisico sia
sull'essere sia sullente.
Infatti,
da
quanto
stato stabilitorisulta che l'es-
sere
presente ovunque
perch
la
ragion
d'essere di tutto (senza
l'esse-
re
tutto decade nel
nulla), ma l'essere in
prima persona,
come essere sus-
sistente, non si ancora
lasciato intravedere
e tanto meno
contemplare.
Quanto
all'ente si soltanto chiarita la
ragione
della differenza
ontologi-
ca:
la sua distanza infinita dall'essere dovuta alla sua stessa
essenza,
che
sempre
un
ricettacolo
limitato,
dell'infinitooceano
dell'essere.
A
questo punto Yesplicitazione
dei
rapporti
tra l'essenza e l'essere
nell'ambitodell'ente
potrebbe
ritenersi conclusa. Ma non lo
per
S.
Tommaso, perch
ai suoi
tempi
su
questo problema
circolava una so-
luzione,
quella
di
Avicenna,
che il nostro non
poteva
affatto sottoscrive-
re,
essendo
incompatibile
col suo concetto intensivo dell'essere.
Avicenna,
che
per quanto
ci dato
conoscere,
fu il
primo
a
insegnare
la dottrina della distinzione reale tra l'essenza e l'essere,96
per
spiegarla
si avvalse dei concetti di sostanza e accidente, e
poich
l'essere non
una
sostanza concluse che
un
accidente. Per S. Tommaso
questa spie-
gazione
inammissibile.Perch essendo l'essere l'attualit di
ogni
atto
esso non
pu
cadere sotto il dominio di
nessuna
categoria
n di
quella
della sostanza e tanto meno
di
quelle degli
accidenti. L'asse
ipsum
una
supercategoria,
e un
trascendentalee
rispetto
a
ogni genere
di ente svol-
ge
il ruolo di atto. Perci non
pare
che Avicennaabbia detto il
giusto.
Infatti
pur
essendo l'essere della cosa
diverso dalla
sua essenza
(quamvis
esse rei si! aliud ab eius
essentia),
tuttavia non si deve
concepire
come
qualcosa
di
aggiunto
a
mo di
accidente, ma come
qualcosa
che diviene
in certo
qual
modo Costituito mediante i
principi
dell'essenza.97 D'al-
95) De sub.
sep.
c. 8.
95) Cf. AVICENNA,
Metaphysices compendium,
tr. di N. Carame,
Roma 1926 (cf. in
par-
ticolare L.
I,
pars
II, tract. I).
97)
In IV
Metaph.
lect. II, n. 558.
Tommaso d
'Aquino
533
tronde la
completezza
finale di
ogni
cosa data dalla
partecipazione
all'essere.
Quindi
l'essere e il
completamento
di
ogni
forma:
essa infatti

completa quando
ha
l'essere, e
ha l'essere
quando
in
atto;
sicch
non
c' nessuna forma
se non in forza dell'essere
(nulla
forma
est nisi
per
esse).
Per
questo
affermo che l'essere sostanziale
(esse substantiale)
di
una cosa
non un accidente
ma l'attualit di
qualsiasi
forma
esistente, tanto di
quelle
materiali
come
di
quelle
immateriali.98
Della teoria di AvicennaTommaso
conserva
l'aspetto
essenziale,
che

quello
relativo all'affermazionedella distinzione reale tra
essenza
ed
essere in tutti
gli
enti
finiti,
distinzionesufficiente
e
adeguata
a
esprime-
re la differenza
ontologica
tra l'ente
e
l'asse
ipsum.
Ovviamente si tratta
di
una distinzionereale che ha
luogo
a livello metafisico
non
fisico:
esse-
re ed
essenze non sono
separabili
fisicamente; non
possono
esistere a
parte,
ma solo
come
comprincipi
dell'ente. Ma nell'ente sono realmente
distinti: l'essere
non l'essenza
e l'essenza
non l'essere. Infatti
se
l'es-
senza non fosse distinta dall'essere
non
potrebbe
limitarlo, e se l'essere
non
fosse distinto dall'essenza
non
potrebbe
Venire limitato. Essenza ed
essere sono
quindi
realmente
distinti;
l'essenza e il
soggetto
dell'atto
dell'essere,
questo
la
perfezione
che conferisce
realt, esistenza al
suo
soggetto,
l'essenza)
Questo
modo di
concepire
i
rapporti
tra essenza ed
essere nella sto-
ria della filosofia altrettanto
originale quanto
la concezione tomistica
dell'essere,
alla
quale
strettamente
legata.
Nessun filosofo antico o
moderno, all'infuori di S.
Tommaso,
l'ha mai
compreso
o
insegnato.
La
grande
resolutio
degli
enti nell'esse
ipsum
Finora abbiamoesaminato i due
grandi pilastri
su cui si
regge
l'edifi-
cio metafisico di S. Tommaso: l'essere
concepito
intensivamente e la
dijjfe-
renza
ontologica
tra essenza ed
essere
negli
enti. Ora ci resta da vedere
come
egli procede
alla costruzione dell'intero
edificio,
collegando
i due
pilastri:
la differenza
ontologica
e l'essere stesso (esse
ipsum).
Passare
dagli
enti all'essere
per garantire agli
enti stessi
un solido fondamento:
in
questo
consiste la
"navigazione
metafisica" di S. Tommaso. Il
punto
di
partenza
della
sua ricerca metafisica
non
qualche
cosa di astratto:
la
verit,
la
bont,
lo
spirito, l'intelligenza,
ecc. ma
qualcosa
di estrema-
mente
concreto, l'ente; mentre il
suo
punto
d'arrivo
qualche cosa
di
93) Quodl. XII, 5,
l.
99)
La distinzionereale tra essenza e atto d'essere
negli
enti viene enunciate
esplici-
tamente da S. Tommaso in numerosi testi. Si veda in
particolare
I Seni.
19, 2, 2;
De ver. 27, 1 ad
8; In De Hebdom.
II, nn. 33-34; Quodl. Xll, 5,
1.
534 Parte seconda
ancora
pi
concreto,
l'asse
ipsum.
Le vie che S. Tommaso
percorre
sono
tutte vie
squisitamente
on
tologiche,
nel senso
proprio
e corretto di
questo
termine (che non
quello
kantiano),
in
quanto
sono tutte
collegate
al-
l'ente e
all'essere.
Per S.
Tommaso, come
s'
visto,
l'esperienza quotidiana
non ci offre
mai l'essere sussistente ma solamente l'essere inerente
negli
enti. Ma
questa
stessa
esperienza,
anzich convincerloche
non
c'
posto per
l'es-
sere sussistente nell'universo del
reale,
gli
fornisce una
chiara testimo-
nianza della sua esistenza. I documenti
principali gli vengono
esibiti
dalle
seguenti
verit:
l)
la limitazione della
perfezione
dell'essere nel-
l'ente da
parte
dell'essenza; 2)
la
composizione
di essenza
ed essere in
ogni
ente; 3)
il
rapporto
d'atto e
potenza
tra l'essere e
l'essenza di
ogni
ente; 4)
la distinzionereale tra l'essenza e l'essere.
Questi
elementi teore-
tici
esigono
che lo studio dell'essere non
si arresti a
questo punto:
cio
non
basta constatare la
presenza
di due
principi
metafisici nel1'ente (l'es-
senza e l'essere),
n sufficiente chiarire i loro
rapporti,
allorch
proprio
attraverso la delucidazione dei loro
rapporti
ci si avvede che
l'ente, a
causa
della
composizione
di essenza e di
essere,
non in
grado
di dar
conto della
propria origine.
In tale
prospettiva
necessario affrontare
l'interrogativodell'origine
dell'essenza e dell'essere nell'ente.
Una cosa risulta subito chiara a
S. Tommaso: dato che
negli
enti c'
distinzione reale tra essenza
ed
essere,
n l'essere
pu
trarre
origine
dal-
l'essenza,
n l'essenza dall'essere. In effetti,
gli
enti che ci circondano non
sono
mai in
grado
di darsi n l'essenza n
l'essere, ma li ricevono
sempre
da
qualche
altro ente. A
prima
vista anche l'essere viene causatoda
qual-
che altro ente: il
figlio,
sembra,
riceve l'essere dal
padre,
il
padre
dal
nonno e cos via. Ma non
possibile
in
questa
serie retrocedere all'infini-
to, perch
altrimenti non
vi sarebbe una causa
prima
della comunicazio-
ne dell'essere, e
di
conseguenza
non
esisterebbe nessun ente. Ci
signifi-
ca
che
all'origine degli
enti sta tesse
ipsum.
Questa
la sola
spiegazione
plausibile
del fatto che
enti,
quali
sono
tutti
gli
enti finiti,
i
quali
in se
stessi non
possono accampare
nessun
diritto all'essere
(perch questo
non
appartiene
alla loro essenza) e
che
godono
soltanto di una certa
potenzialit
nei confronti dell'essere,
di fatto lo
posseggono
come
atto
loro
proprio,
come
attuazionee
realizzazionedella loro essenza.
Ecco come S. Tommaso descrive
questa
velocissima scesa
all'asse
ipsum
assumendo come
punto
di
partenza
l'una o l'altra delle verit
relative
all'appartenenza
dell'essere all'ente: la verit che l'essere
appar-
tiene all'ente
per partecipazione;
la verit che l'essere non costituisce
l'essenza dell'ente ma realmente distinto da
essa;
e la verit che la
per-
fezione dell'essere si trova realizzata
negli
enti secondo
un
ordine
gerar-
chico. Assumendocome
punti
di
partenza
una
di
queste
verit con
rapi-
dissimi
passaggi
S. Tommaso
raggiunge
la vetta dell'asse
ipsum.
Tommaso
d'Aquino
535
Prendendo come
punto
di
partenza
la
partecipazione egli
realizza l'a-
scesa (la resolutio)
cos: Tutto ci che
qualcosa per partecipazione
rimanda
a un
altro che sia la stessa cosa
per
essenza,
come a suo
princi-
pio supremo.
Per
es.,
tutte le cose
calde
per partecipazione
si riducono al
fuoco il
quale
caldo
per
essenza. Ora,
dato che tutte le cose
che
sono
partecipano
all'essere e sono enti
per partecipazione,
occorre
che in cima
a tutte le cose ci sia
qualcosa
che sia essere in virt della sua stessa essen
za (necesse
est esse
aliquid
in cacumineomnium
rerum, aaod
sit
ipsum
esse
per
suam essentiam),
ossia che la sua essenza sia l'essere stesso.
Questa cosa

Dio,
il
quale
causa efficientissima,
degnissima
e
perfettissima
di tutte le
cose: da Lui tutte le cose
che esistono
partecipano
allessere>>.100
Muovendo dalla verit che l'essere non
appartiene
all'essenza di nes-
sun ente finito,
S. Tommaso
imposta
la "risoluzione" come
segue:
Tutto
ci che convienea
qualche
cosa 0 causato dai
principi
della sua natura,
come la risibilitnell'uomo, o
le
compete
in virt di
qualche principio
estrinseco, come
la luce all'aria
per
influssodel sole. Ora non si
pu
dire
che l'essere di una cosa sia causato dalla sua stessa forma o
essenza,
intendendo come da causa efficiente,
perch
cos una cosa
sarebbecausa
di se stessa o
produrrebbe
se stessa, cosa del tutto
impossibile.

neces-
sario
quindi
che
ogni
cosa
in cui l'essere diverso dalla
sua natura,
abbia l'essere da
un
altro. E
poich
tutto ci che in virt di un altro
esige
come causa
prima
ci che
per
se,
vi deve essere
qualche
cosa
che
sia causa dell'essere in tutte le
altre,
appunto perch
essa soltanto esse-
re
(ipsa
est esse tantum);
diversamente si andrebbeall'infinitonelle
cause,
avendo
ogni
Cosa
che non solo essere una
causa,
come
si visto.101
Assumendo infine
come
punto
di
partenza
la
gradualit
della
perfe-
zione dell'essere
negli
enti,
S. Tommaso
opera
la scalata allesse
ipsum
nel
modo
seguente:
l'essere
presente
in tutte le
cose,
in alcune in modo
pi perfetto,
in altre in modo meno
perfetto; per
non mai
presente
in
modo cos
perfetto
da identificarsi con
la loro
essenza,
altrimenti l'essere
farebbe
parte
della definizionedell'essenza di
ogni
cosa (alias esse esset
de intellectu cuiuslibet
quidditatis),
il che evidentemente
falso, giacch
l'essenza di
qualsiasi
cosa
concepibile
anche
prescindendo
dall'essere.
Pertanto occorre concludere che le cose ricevono l'essere da altri e (retro-
cedendo nella serie delle
cause)
necessita che si arrivi a
qualche
cosa la
cui essenza sia costituita dall'essere stesso
(ipsum
suum esse),
altrimenti
si dovrebbeandare indietroallinfinit0.102
1W)In
evang.
Ivan, Prol., n. 5.
101) De ente et essentia c. 4, n. 27.
fln
II Sent.
1, 1,
1.
536 Parte seconda
L'esse
ipsum,
la realt
suprema
da cui
ogni
altra cosa trae
origine, que-
sto essere sussistente che ha
come
propria
essenza tutta la
pienezza,
tutta
la ricchezza, tutta l'attualit dell'essere,
corrisponde,
come nota lo stesso
S.
Tommaso, a ci che i filosofi
sono soliti chiamare col nome di Dio.
Noi
moderni,
vittime
pi
che mai di innumerevoli
preconcetti
nei
confronti
dell'essere, siamo
alquanto
restii ad
assegnare
a Dio il nome
di
esse
ipsum.
Ma lo
scrupolo
non
ha
ragione
d'essere se
per
esse
ipsum
intendiamo
quello
che ha inteso S.
Tommaso,
ossia
quella perfezione
suprema
che
raccoglie
in s tutte
quelle perfezioni
che siamo soliti attri-
buire a
Dio. Per Tommaso lesse
ipsum,
anzich essere un
titolo
anonimo,
come
pu
sembrare a noi,
un
titolo
personalissimo:
anzi il nome
pro-
prio
di Dio. E
questo per
tre motivi.
Prima di
tutto,
per
il
suo
significato.
Infatti non
esprime gi
una
qualche
forma o modo
particolare
di
essere,
ma lo stesso essere
(ipsunz
esse). Quindi,
siccome l'essere di Dio la
sua stessa
essenza,
e
siccome ci, come abbiamodimostrato, non
convienea nessun altro,

evidente che tra tutti
gli
altri nomi
questo compete
a Dio in modo
massimamente
proprio: ogni
cosa
infatti si denomina dalla
propria
forma o essenza. Secondo,
per
la sua universalit. Tutti
gli
altri nomi
o sono meno vasti e universali
o,
se
combinanocon
esso,
Vi
aggiungo-
no secondo la nostra maniera di
concepire qualche cosa,
che in certo
modo lo
qualifica
e lo
restringe.
Ora il nostro intelletto nella vita
pre-
sente non
pu
conoscere
l'essenza di Dio cos come in se stessa: ma
facendo
qualsiasi
restrizione intorno a
quel
che conosce
di
Dio,
si
allontana dal modo nel
quale
Dio in se stesso. E
perci quanto
meno
i nomi sono ristretti e
quanto pi
sono estesi e assoluti, tanto
pi pro-
priamente
noi li
applicheremo
a
Dio. Perci dice anche il Damasceno
che di tutti i nomi che si dicono di Dio
quello
che
meglio
lo
esprime
Colui che :
poich comprendendo
tutto in
se stesso,
possiede
l'esse-
re medesimo come una
specie
doceano di realt infinito e senza
rive". Con
ogni
altro nome si viene infatti a determinare un
qualche
modo della sostanza della
cosa;
invece
questo
nome non
determina
nessun modo di
essere,
ma conserva
la
sua
indeterminatezza
rispetto
a tutti i modi di
essere; perci esprime
l'oceano infinito di realt".
Terzo, perch
il nome Colui che
(Qui esi)

pi proprio
di Dio dello
stesso nome
di
Dio,
sia
per
la derivazione del termine che
l'essere,
sia
per
l'universalit del
significatomm
La via che ha tracciato S. Tommaso
per raggiungere
il vertice del
reale
(cacumen
lo chiama
egli
stesso), Dio,
una
via
singolarissima, per-
fettamente in linea con
il
suo concetto intensivo dell'essere. Ma
questa
via e stata
generalmente
disattesa dai suoi commentatori che hanno
"S.
Th.
I, 13,
11.
Tommaso
dflquino
537
quasi sempre ignorato
il
suo concetto intensivo dell'essere
e si sono ac-
contentati di analizzarele
meglio
conosciute
"Cinque
Vie" della Somma
Teologica.
Questa
via assolutamente
originale,
anche
se
presenta
alcune affi-
nit
con
l'argomento
aristotelico fondato sul divenire. Infatti sebbene il
punto
di
partenza
sia
per
Tommaso come
per
Aristotele il divenire
e
sebbene tutti
e due i filosofi facciano
appello
ai due
principi:
la
potenza
passa
all'atto in virt
dell'atto,
nella serie delle cause non si
pu
retroce-
dere
all'infinito, tuttavia Tommaso esibisce una
prova
che
profonda-
mente diversa da
quella
di Aristotele. Infatti mentre lo
Stagirita
assume
come
punto
di
partenza
il divenire
sostanziale,
IAquinate
assume come
premessa
il divenire esistenziale.
Dio:
esistenza, natura, attributi,
operazioni
In tutte 1c
metafisiche,
sia in
quelle
che
procedono
"dall'alto
come in
quelle
che
muovono "dal
basso",
il discorso
su Dio di
capitale impor-
tanza.
In
quelle
che
procedono
"dall'alto"
(come in
Platone, Filone, Plotino,
Porfirio, Proclo,
Io
Pseudo-Dionigi, Anselmo, Scoto,
Spinoza, Schelling
ecc.)
il discorso
su Dio
posto
all'inizio della
speculazione
metafisica.
Questa
inizia
con una intuizionedi
Dio,
l'essere di cui non si
pu pen-
sare nulla di
pi grande,
e con un elenco dei suoi attributi e delle sue
operazioni;
successivamente viene studiata la serie delle emanazioni che
da lui
procedono
e
che costituiscono la realt: Dio il Padre dell'univer-
so,
in lui sono racchiuse le
perfezioni
di tutte le
cose,
i
paradigmi
di
ogni
realt;
lui il sole da cui
provengono
tutti i
raggi
di luce che inondano il
cosmo;
in lui riassunto e
anticipato
tutto ci che si manifester nel corso
dei secoli.
Nei sistemi
metafisici, invece,
che
procedono
dal basso"
(come
in
Aristotele, Avicenna, Tommaso,
Sigieri
di
Brabante, Cartesio
ecc.)
il
discorso
su Dio viene
posto
alla fine di tutta
l'indaginespeculativa.
Non

pi
uno
sguardo
intuitivo su Dio
quello
che
ne rivela la
natura, gli
attributi
e le
operazioni,
bens una resolutio
logica
che induce
a
porre
in
Dio tutte le
perfezioni, gli
attributi
e
le
operazioni
che
competono
di
diritto
a colui che l'essere
supremo,
il motore immobile,
il
principio
primo
di tutte le cose. Ma sia che Dio
venga posto
all'iniziodella metafi-
sica sia che lo si incontri alla
fine,
la metafisica necessariamente scien-
za
divina
o
teologia,
come
la chiamavaAristotele.
Nella
sua metafisica
dell'essere,
che una
metafisica "dal
basso",
S. Tommaso
sviluppa
una delle
pi profonde,
articolate
e
complete
trat-
tazioni su Dio che la mente umana sia mai riuscita a
concepire.
Indub-
538 Parte seconda
biamentela sua trattazione meno brillante,
vivace e
appassionante
di
quella
di
Agostino,
ma
nello stesso
tempo
molto
pi rigorosa
e
pi
sistematica. Tuttoil ricchissimo
discorso su Dio,
di
Agostino,
dello Pseu-
do-Dionigi
e
di S. Anselmo viene
ripreso
e
riproposto
da S. Tommaso,
ma con una
"coloritura"
nuova,
la coloritura dell'essere.
Abbiamo
gi
detto, e torniamo ora a
ripetere
che
non
soltanto nella
trattazione dell'ente che la metafisica di S. Tommaso innovatrice ed
originale,
ma
lo ancora
di
pi
nella trattazioned Dio. Tutta la
teologia
filosoficadella tradizioneviene rivisitata e riletta
dall'Angelico
in chiave
"ontologica".
Questo
punto
di
capitale importanza
stato sistematica-
mente disatteso non soltanto dai
grandi
commentatori della Seconda
Scolastica, ma
anche dai
pi
eminenti neotomisti (Gilson, Fabro,
Mari-
tain).
S. Tommaso invece un
grande
e coerente
metafisico.
Egli
ascende a Dio
percorrendo
la via dell'essere;
coglie quindi
Dio
come esse
ipsunz
subsistens e
perci legge
i suoi attributi e
le sue
opera-
zioni alla luce dell'essere. Certamente S. Tommaso fa suo
anche tutto il
prezioso patrimonio
dei metafisici che l'hanno
preceduto;
e
perci
potrebbe
sembrareche
egli ripeta
senzalcun
apporto
teoretico
personale
le loro dottrine; ma non

cos, perch
le stesse dottrine che
accoglie
dalle formulazioni tradizionali
egli
le
ripropone e,
per
cos dire,
le tra-
duce nel
linguaggio
dell'essere,
alla luce della sua
propria
concezione
intensiva dell'essere.
EsIsTENzA DI DIO
In tutte le
esposizioni
della
teologia
filosofica di S. Tommaso si d
sempre
grande
rilievoalle
"Cinque
Vie" le
quali pero rispecchiano
solo
indirettamentee
per
di
pi
in modo limitato il
nuovo
impianto
metafisi-
co
di S.
Tommaso,
in
quanto
sono
argomentazioni
che
egli riprende
da
una
lunga
tradizionemetafisica che fa
capo
a
Platone e
ad Aristotele. Le
nuove
vie che rivelano
perfettamente
il suo
pensiero
metafisico sono
le
vie
"ontologiche"
della
partecipazione
dell'essere,
della distinzione
reale tra essere
ed essenza
negli
enti,
della
gradualit
dell'essere,
di cui
ci siamo
occupati
in
precedenza.
Per
questo
motivo
qui
ci limiteremo a
riassumerebrevemente le
"Cinque
Vie" che
lAquinateespone
all'inizio
della Summa
Theologiae.
Le
Cinque
Vie si trovano nella Prima
Pars,
pi precisamente
nell'arti-
colo terzo della
Quaestio
II,
intitolata De Deo: an Deus sit.
Seguendo
lo schema consolidatodella
Quaestio,
nella
prima parte
del-
l'articolo S. Tommaso elenca
gli argomenti degli
atei contro l'esistenza
di
Dio,
poi
nella seconda
parte propone
gli argomenti
a
favore dell'esi-
stenza di Dio tracciandole
Cinque
Vie".
Tommaso d
Aquino
539
Pur vivendoin un clima di
profonda religiosit
S. Tommasonon
igno-
ra
che
quanto
meno
nell'antichit ci sono stati
degli
atei e
che la
posi-
zione dellateismo ha dalla
sua
qualche argomento
che merita d'essere
preso
in considerazioneflm
Gli
argomenti
dell ateismo
Tutte le obiezioni contro l'esistenza di Dio si
possono
ridurre a tre:
il fenomeno del
male,
la
possibilit
di
spiegare
tutto con la scienza e con
la libert umana: Sembra che Dio non esista
(videtur
quod
Deus non si
t).
Infatti:
1)
Nel nome Dio si intende affermatoun beneinfinito.
Dunque
se
Dio esistesse non dovrebbeesserci
pi
il male. Viceversa nel mondo c'
il male.
Dunque
Dio non esiste.
2)
Ci che
pu
essere
compiuto
da
un
ristretto numero
di
cause,
non si vede
perch
debba
compiersi
da
Cause
pi
numerose. Ora tutti i fenomeni che
avvengono
nel mondo
potrebbe-
ro essere
prodotti
da altre
cause,
nella
supposizione
che Dio non esistes-
se:
poich quelli
naturali si
riportano,
come a loro
principio,
alla
natura,
quelli
volontari alla
ragione
o volont umana. Nessuna
necessit,
quin-
di,
della esistenza di Dio.15
Com' suo stile,
S. Tommaso non
replica
immediatamente alle obie-
zioni, ma
prima
si
preoccupa
di far vedere che, nonostante tutte le diffi-
colt
degli
atei,
ci sono
argomenti
molto solidi
e
decisivi
a
favore dell'e-
sistenza di
Dio;
cos riesce
gi
a
liquidare, quanto
meno indirettamente,
le loro obiezioni.
L'argomentoontologico
Tra
gli
innumerevoli
argomenti
che
gi
la filosofia
greca
e successiva-
mente la filosofiacristiana avevano elaborato
per
dimostrare l'esistenza
di
Dio,
S. Tommaso ricorda il celebre
argomento
con cui S. Anselmo ave-
va
preteso
di
provare
l'esistenza di Dio muovendo dalla sua
essenza,
in-
tesa come ci di cui non si
pu pensare
nulla di
pi grande
(id
quo
maius
cogitari nequit).
S. Tommaso
disapprova l'argomento
anselmiano
e
fa vedere che la via che
pretende
di discendere dall'essenza divina fino
all'esistenza
non
percorribile,
per
il
semplice
motivo che
prima
di
pro-
vare l'esistenza di Dio la nostra mente non
pu
avere
che
una definizio-
ne nominalee non reale di
Dio; e in secondo
luogo perch
anche
suppo-
104) Tra i numerosi studi sulla
teologia
filosoficadi S. Tommaso si veda in
partirola-
re: R.
GARRIGoU-LAGRANGE,
Dieu. Son existence e! sa nature. Solution thomste
des antinomies
agnostiques,
2
voll.,
Paris
1950;
F. VAN
STEENBERGHEN,
Le
problme
de Fexistence de Dieu dans les crits de S. Thomas
dflquin,
Louvain
1980;
L.
ELDERS,
La
metafisica
dell'essere di S. Tommaso
d'Aquino
in una
prospettiva
storica. II: La teolo-
giafilosofica,
Roma, Citt del Vaticano1995.
75)S. Th.
I, 2, 3,
obb. 1-2.
540 Parte seconda
sto che noi avessimo un concetto reale di
Dio,
si tratterebbe
sempre
di
un concetto essenzialmente
negativo, perch
Dio non tanto colui di cui
non
si
pu pensare
nulla di
maggiore, quanto semplicemente
colui che
non si
pu pensare
affatto: Dico
dunque
che
questa proposizione
Dio esiste in se stessa di
per
s
evidente,
perch
il
predicato
si identifica
col
soggetto;
Dio, infatti, come
si vedr in
seguito,
il suo stesso essere:
ma siccome noi
ignoriamo
l'essenza di Dio
(nos non scimus de Deo
quid
est),
per
noi non
evidente, ma necessita d'essere dimostrata
per
mezzo
di
quelle
cose
che
sono a noi
pi
note,
ancorch di
per
s siano meno
evidenti,
cio mediante
gli
effettimw
LE
"CINQUE
VIE" DELLA SuMMA
Perci,
Visto che
non abbiamonessuna intuizionedi
Dio,
n della sua
essenza,
n della sua esistenza,
per provare
la
sua esistenza occorre
pro-
cedere a
posteriori: prendendo
in esame
i fenomeni che ci circondano
(incluso
lo stesso fenomeno
umano) e verificarese
questi
stessi fenome-
ni,
per
essere
spiegati
esaustivamente, non
esigano
l'esistenza di Dio.
Questo
il
procedimento seguito
costantemente da S. Tommaso nelle
sue
opere,
presentando argomenti
nella
maggior parte
dei casi
gi
noti e
familiari,ma talvolta anche adducendo
argomenti
nuovi,
ricavati dalla
sua
filosofiadell'essere.
Nella
Summa,
allargando
fino a
cinque
la lista
degli argomenti
dell'e-
sistenza di
Dio,
che nelle altre
opere
non
supera
mai il
numero
di
quat-
tro,
S. Tommaso fa vedere che l'esistenza di Dio
pu
essere
provata pan
tendo da
cinque
fenomeni noti a tutti: il divenire
(movimento),
le cause
seconde,
la
contingenza,
i
gradi
di
perfezione,
l'ordine dell'universo.
Nessuno di
questi
fenomeni
originario
e incausato;
tutti manifestano
una condizionedi
dipendenza
e carenza
ontologica.
Di
qui
la necessit
di ricercare la loro
causa. E la ricerca che
non vuol essere un
regressus
ad
inflnitum
si conclude
sempre
necessariamentecon la
scoperta
di Dio.
La struttura delle
Cinque
Vie uniformeed di
una
semplicit
esem-
plare.
Essa consta di
quattro
momenti:
1)
Si attira anzitutto l'attenzione
su
di
un determinato fenomeno di
contingenza
(il divenire,
la causalit
subordinata
o strumentale,
la
possibilit,
i
gradi
di
perfezione,
l'ordine).
2)
Si evidenzia il carattere relativo,
dipendente, contingente,
causato da
ogni singolo
fenomeno: ci che
mosso,
mosso da
altri;
le cause secon-
de, strumentali, sono a
loro volta
causate;
il
possibile
riceve l'essere dal
necessario;
i
gradi
ricevono la loro
perfezione
dal
grado
massimo;
l'ordi-
ne
richiede
sempre
intelligenza,
mentre le cose naturali ne sono
prive.
1U)1bid.,
1.
Tommaso d
Aquino
541
3) Si mostra che la realt
effettiva, attuale,
di
un fenomeno
contingente
non si
pu spiegare
facendo intervenire una serie infinita di fenomeni
contingenti. 4)
Si conclude dicendo che l'unica
spiegazioneplausibile
del
contingente
Dio: lui il motore
immobile,
la
causa incausata,
l'essere
necessario,
il sommamente
perfetto, l'intelligenza
ordinatrice
suprema.
Ecco
ora,
in breve le
Cinque
Vie:
- Printa via: dal moto al motore immobile.La
prima
e la
pi
evidente
si desume dal moto
(prima
autemet
manzfestior
via
est,
quae
sumitur ex
parte
motus).

certo infatti
e consta ai
sensi,
che alcune
Cose mutano in
questo
mondo. Ora tutto ci che muta o
diviene mutato da altri
(omne autem
quod movetur,
ab all'0
movetur) (...).
Se
dunque
ci da cui deriva il muta-
mento muta a sua volta, sar necessario che anch'esso sia mutato da un
terzo e
questo
da
un
quarto,
ma in ci non si
pu procedere
all'infinito
(...).
Dunque
necessario arrivare a una
prima ragione
del mutamento
che
non muti affatto:
e
questo
ci che tutti
gli
uomini intendono
per
Dio.17
- Seconda via: dalle
cause seconde alla Causa Prima. Vediamo nelle
cose
che cadono sotto i sensi un ordine di
cause efficienti
(invenimus
enim in istis sensibilibus
esse ordinem
causarum
efiicientium);
tuttavia
non si
vede n e
possibile
che
una cosa sia
causa
efficiente di
se stessa
poich,
se Cos
fosse, una cosa dovrebbe
essere
prima
di
se
stessa,
il che
impos-
sibile.Ma non
possibile
che nelle
cause efficienti si
proceda
all'infinito
Dunque
necessario
porre
una
prima
causa efficiente che tutti chia-
mano Dio>>.18
Terza via:
presa
dal
possibile
e dal necessario (tertia
via est
sumpta
ex
possibili
et
necessario)
ed
questa:
Tra le cose (di
questo
mondo) noi
ne troviamo di
quelle
che
possono
essere e non
essere;
infatti alcune
cose nascono e finiscono,
il che vuole dire che
possono
essere e non esse-
re. Ora,

impossibile
che tutte le cose di tale natura siano
sempre
state,
perch
ci che
pu
non
essere, un
tempo
non esisteva. Se
dunque
tutte
le cose (esistenti in natura sono tali
che)
possono
non esistere,
in un
dato
momento niente ci fu nella realt. Ma
se
questo

vero,
anche
ora non
esisterebbe
niente, perch
ci che
non esiste non comincia a esistere
se
non
per
qualche
cosa
che .
Dunque,
se non c'era ente alcuno,
impossi-
bileche
qualche
cosa cominciasse
a esistere, e cos anche
ora non ci
sarebbe
niente,
il che evidentemente falso.
Dunque
non tutti
gli
enti
sono
contingenti
(non
omnia entra sani
possibilia),
ma nella realt
occorre
che ci sia
qualcosa
di necessario (...).
Dunque bisogna
concludere all'esi-
107) Ibid, 3.
lemma.
542 Parte seconda
stenza di un essere
che sia di
per
se stesso necessario, e non
tragga
da
altri la
propria
necessit, ma sia causa di necessit
agli
altri. E
questo
tutti dicono Dio.109
-
Quarta
via: dai
gradi
di
perfezione
allassolutamente
perfetto (quarta
via sumitur ex
gradibus qui
in rebus
inveniuntur).
Nelle Cose
si riscontrano
gradi
di
perfezione
(cose
pi
0 meno buone,
pi
0 meno
vere, pi
o
meno belle
ecc.).
Ma il
grado maggiore
0 minore si attribuisce alle
diverse cose
secondo che si accostano di
pi
0 di meno
ad alcunch di
sommo e
di assoluto
(...).
Vi
dunque
un
qualche
cosa
che massima-
mente
vero,
massimamentebuono,
massimamente bello, e di conse-
guenza qualcosa
che e il
supremo
ente (maxime ens) (...). E
questo
chia-
miamo Dio.
11
-
Quinta
via: dall'ordine del
cosmo
al
supremo
Ordinatore
(quinta
via
sumitur ex
gubernatione
rerum).
Noi osserviamo che alcune cose
prive
di
conoscenza,
cio i
corpi
fisici
(corporei
naturalia),
tuttavia
operano per
un
fine, come
risulta dal fatto che
esse
operano sempre
0
quasi sempre
allo
stesso modo
per
conseguire
la
perfezione;
donde
appare
che non a
caso,
ma
per
una
predisposizione
(ex intentione)
raggiungono
il loro fine.
Ora,
ci che
privo
di
intelligenza
non
tende al fine se non
perch
diretto
da
un essere
conoscitivo e
intelligente,
dal
quale
tutte le cose naturali
sono ordinate a un
fine:
e
quest
essere
chiamiamo Dio.1
Per aiutare il lettore moderno a
cogliere
il
senso delle
Cinque
Vie"
osserviamo anzitutto che nella
prima
via,
il moto (divenire)
di cui
parla
S. Tommaso non il moto locale bens il moto sostanziale ed entitativo;
nella
seconda,
la serie di
cause
seconde
a cui si riferisce
lAngelico
non
una serie di cause
dipendenti
tra di loro
accidentalmente,
che
pu
essere
pi
o meno
lunga
e
persino
indefinita,
bens una serie di
cause
collegate
necessariamente in vista dell'effetto
(per
es.
la
falce,
il
manico,
la
mano,
il
corpo per
la falciatura del
fieno);
nella
terza,
si
parla
di necessit nel-
l'ordine dell'essere e non in
quello
dell'essenza;
nella
quarta,
S. Tomma-
so si riferisce alle
perfezioni semplici
e non alle
perfezioni
miste;
nella
quinta,
i
corpi
naturali abbracciano non soltanto
gli
esseri materiali
(acqua,
aria) ma
anche
gli
esseri viventi
privi
di
intelligenza
(i fiori,
le
piante)
nelle cui
operazioni
il finalismo
quanto
mai
palese.
La seconda osservazione che le
prove
di S. Tommasonon sono
lega-
te a nessuna
teoria
cosmologica particolare:
i fenomeni che
egli prende
in considerazione
e
i
principi
che
egli
invoca non sono
legati
n a Pla-
tone,
n ad
Aristotele,
n a Tolomeo
ecc.,
ma
appartengono all'esperien-
Wflbid.
11)Ibid.
111)Ibid.
Tommaso d
Aquin0
543
za ordinaria, e i
principi
(di
causalite dellhssurdit del
regressus
ad
infi-
nitum), non sono
legati
a nessuna scienza
e
a nessuna visione
cosmologi-
ca,
ma sono
principi primi
della metafisica.
La terza e ultima osservazione
riguarda pi specificamente
il
princi-
pio
di causalit:
esso non va inteso come mera successione e concatena-
zione necessaria di
eventi, come accade nella filosofia
e nella scienza
moderna
a
partire
da Hume
e Kant;
bens
come comunicazione della
propria perfezione
da
parte
della causa all'effetto: comunicazioned'es-
sere e non mera successione
(e
la comunicazionedella
propria
realt del
melo alla
mela,
della
mucca al vitellino
e non la mera successione del
tuono
rispetto
al
lampo).
Tale
principio
ha valore assoluto come il
prin-
cipio
di non contraddizione
e
funge
da validissimo
supporto
alle
argo-
mentazioni di S. Tommaso.
Alla luce di
queste
osservazioni riteniamo che le
Cinque
Vie"
con-
Servino inalterato il loro valore anche
per
l'uomo della civilt ciberneti-
ca. Concediamo
tuttavia,
che
a codesto uomo
possono
risultare
pi
com-
prensibili
e
pi persuasive
altre vie
(le vie a Dio
sono
d'altronde infini-
te),
soprattutto quelle
che
partono
dall'uomostesso anzich dal
cosmo.
Replica agli argomenti
dellkzteismo
Dopo
avere
provato
l'esistenza di Dio con
argomenti
di indubbio
valore,
lAngelicoprende
in esame
gli argomenti degli
atei.
r
Allargomento
tratto dal
male, a
questo punto
si accontenta di
repli-
care come
segue:
Come dice S.
Agostino:
"Dio,
essendo sommamente
buono, non
permetterebbe
in
nessun modo che nelle
sue
opere
ci fosse
del
male, se non
fosse tanto
potente
e tanto
buono,
da
saper
trarre il
bene anche dal male. Sicch
appartiene
allinfinitabont di Dio il
per-
mettere che vi siano dei mali
per
trarne dei beni
(lbid,
ad
1).
La
replica
di S. Tommaso decisamente
troppo
"secca e
troppo
comoda
per
risultare
pienamente
soddisfacente. Ma si deve tener conto del fatto che
qui egli
ha ridotto la sua critica ai minimi termini
e non ha inteso in
alcun modo
impegnarsi
sulla
questione
della natura e delle cause del
male. Il
problema
lo affronter altrove
con estrema seriet e con
grande
impegno, specialmente
nella
Quaestio disputata
de malo.
Altrettanto brevi
ma
pi persuasive
sono le
risposte dellAquinate
alle altre due obiezioni.A
quella
tratta dalla scienza che
spiega
le
opera-
zioni della natura mediante le
leggi
naturali,
S. Tommaso
replica:
Certo
la natura ha le
sue
operazioni,
ma siccome le
compie per
un fine deter-
minato sotto la direzione di
un
agente superiore,
necessario che siano
attribuite anche
a Dio, come a loro
causa
prima
(Ibid,
ad
2).
Allobie-
zione relativa alla libert
umana,
la
risposta
la
seguente:
Similmente
544 Parte seconda
gli
atti del libero arbitrio devono essere ricondotti a una causa
pi
alta
della
ragione
e
della volont
umana, perch queste
sono mutevoli e
de-
fettibili
e tutto ci che e mutevole e tutto ci che
pu
venir meno
deve
essere ricondotto a una causa
prima
immutabilee di
per
se necessaria,
come
si dimostrato
(Ibid).
Le
prove
dell'esistenza di Dio nelle altre
opere
La trattazionedell'esistenza di Dio nella Summa la
pi completa
e
la
pi approfondita,
ma
anche
quanto
S. Tommaso ha scritto nelle altre
opere
va
sempre
tenuto
presente.
La
questione
dell'esistenza di Dio af-
frontata in tutte le
opere
sistematiche a
partire
dal Commento alle Sentenze
fino al
Compendio
di
Teologia;
ma esaminata anche in alcune
Questioni
disputate, nell'opuscolo
De ente et essentia e
nel Commento al
Vangelo
di S. Giovanni.
Nel Conzmento alle Sentenze S. Tommaso
presenta quattro prove,
che
egli
stesso denomina:
a)
via cansalitatis
(tutto
ci che ha l'essere dal
nulla
dipende
da
un
altro dal
quale
riceve l'essere); b)
via renzotionis
(al
di l
dellimperfetto
deve esserci il
perfetto
che esclude
ogni
mesco-
lanza di
imperfezione);
c)
via enzinentiaein esse (i
gradi
di bont si sta-
bilisconoin
rapporto
all'ottimo); d)
via eminentiaein
Cognitione
(i
gradi
di evidenza
esigono
ci che evidentein
se stesso)."2
Nel De Veritate il
problema
dell'esistenza di Dio toccato un
paio
di
volte. Nella
q.
2, a. 3,
l'esistenza di Dio ricavata dal finalismo. Nella
q.
10, a. 2,
5. Tommasoesclude che l'esistenza di Dio sia una verit ovvia,
per
se nota e
fa vedere che va dimostrata: L'essenza di Dio non ci
nota,
quindi rispetto
a noi
(quoad
nos)
l'esistenza di Dio non ci risulta evidente
(Deum esse non est
per
se notam), ma
ha
bisogno
di dimostrazione.
Nella Summa contra
gentiles,
S. Tommaso
propone quattro
Vie:
del divenire
(motus),
della causalit,
dei
gradi
di
perfezione
e
dell'ordi-
ne. Le ultime tre sono
esposte
in modo
sintetico,
mentre la
prima
viene
presentata
con una
lunga
serie di
passaggi
e con
moltissimi riferimenti
alla fisica aristotelica
e,
a
rendere la
cosa
pi complicata,
in due versioni,
una
diretta e
l'altra indirettam
Nel De
potentia
il
problema
dell'esistenza di Dio non viene sollevato
esplicitamente,
ma incluso
implicitamente
nella
q.
3, a. 5,
che ha
per
titolo: UTHH
possit
esse
aliquid quoal
non sit creatum a Dea (Pu
esserci
qualcosa
che
non stato creato da
Dio?).
La
risposta
di S. Tommaso a
questo interrogativo
assume
l'andatura di una vera e
propria prova
del-
113M Sent. d. 3,
div.
primaepartis
texlus.
13)Cf. C. G., I,
13.
Tommaso
d'Aquino
545
l'esistenza di
Dio,
che coincide in
larga
misura con
la
Quarta
Via della
Summa
Theologiae,
solo che nella formulazione del De
potentia
si ricorre
in maniera
pi esplicita
al
principio
di
partecipazione:
Quando
si in-
contra
qualcosa
che viene
partecipato
da molti
enti, occorre
che essa
sia
attribuita loro da colui che la
possiede perfettissimamente....
Nel
Contpendium Theologiae
dato il carattere sintetico
dell'opera,
S. Tommaso
propone
una
sola
Via,
che
corrisponde
a
quella
del diveni-
re,
che
qui
viene detta,
via visibilealla
ragionewl!
Nel
Prologo
al Commento al
Vangelo
di S. Giovanni,
S. Tommaso affer-
ma
che
gli
antichi filosofi sono
giunti
alla conoscenza
di Dio in
quattro
modi, e
basandosi sul versetto biblico: Io vidi il
Signore
seduto su un
trono alto ed elevato
(I5 6, 1),
li denomina
rispettivamente:
modo del-
l'autorit
(vidi Dominum),
dell'eternit (sedentem),
della
dignit
o
nobilt
(super
solium
excelsum) e
della verit
incomprensibile
(elevatum).
Il modo
dell'autorit di Dio si basa sul finalismoe
corrisponde
chiaramente alla
Quinta
Via della Summa
Theologiae;
il modo dell'eternit basato sulla
mutabilit
(divenire
delle
cose) e
corrisponde
alla Terza
Via;
i due modi
della
dignit
e
della verit si basano entrambi sulla
partecipazione
e
coincidono
praticamente
con
la
Quarta
Via.
Nel De ente et essentia (c. 4)
S. Tommaso
sviluppa
un
importante argo-
mento dell'esistenza di Dio a
partire
dalla distinzionereale tra essenza e
atto d'essere nelle creature.
L'essenza di Dio
Accertata l'esistenza di
Dio,
S. Tommaso
passa
allo studio della sua
essenza e
della sua natura.
L'analisi e
il discorso sull'essenza e
sulla natura di
Dio,
in sede razio-
nale,
ancora
pi
arduo
e
pi impegnativo
di
quello
della sua esistenza.
Se infatti di
quest'ultima
nella
contingenza
radicaledelle cose non man-
cano tracce inconfondibili,
tuttavia esse non sono
tali da consentire un'i-
dentificazionee una
definizione
adeguata
della realt di
Dio,
della sua
essenza,
della sua
persona,
delle sue
propriet
e
attributi. Infatti dal
mondo non
possibile
ricavare concetti
precisi,
chiari e distinti del suo
autore, come
dalle orme
lasciate da
un
elefante non
possibile
farsi
un'idea
adeguata
dell'elefante che le ha
impresse.
Le
perfezioni
infinite
di Dio si manifestano
sempre
alla mente dell'uomo
per speculum
et in
aenigmate,
sia
perch
sono
spezzettate
e
frantumatein tante
piccole
dosi,
sia
perch
la nostra
capacit
di
apprenderle

quella
di
un'intelligenza
114)
Comp.
TheoL, c. 3.
546 Parte seconda
finita, limitata,
condizionatadalla materia e dalla storia. Tuttavia
questo
non elimina la
legittimit
e la necessit di fare
un discorso anche sulla
natura, sugli
attributi e sulle
operazioni
di
Dio,
dal momento che
se ne
conosce l'esistenza.
Alcuni
aspetti
dell'essere di Dio risultano
gi
chiari dalle conclusioni
delle varie Vie:
Yimmutabilit, l'efficienza,
la
necessit,
la
perfezione
e
l'intelligenza.
Ma
sappiamo
che,
oltre che
con le
"Cinque
Vie",
S. Tom-
maso asceso a Dio anche in altri
modi,
in
particolarepercorrendo
la Via
dell'essere. Ora
proprio quest'ultima
che conduce S. Tommaso a
scopri-
re
quell'aspetto
di Dio che
ne costituisce la differenza
specifica rispetto
a
tutte le
creature, e
quindi
a individuare
perfettamente
la
sua essenza. La
differenza
specifica
non consiste nel
possedere l'efficienza,
l'intelligenza,
la
potenza,
la
perfezione,
la
bont,
la verit
ecc. Ci che
distingue
Dio
dalle creature di
non avere l'essere
per partecipazione,
bens
per
essen-
za: l'identificazionein lui dell'essenza con il
suo essere. Ecco
quindi
raggiunto
il concetto
pi adeguato
di
Dio,
la definizione
pi precisa:
Dio
l'esse
ipsum
subsistens.
Questa
espressione,
secondo S.
Tommaso,
si
applica
soltanto
a Dio; e
perci
non affatto
un
titolo
anonimo, come
pu
sembrare a
prima
vista, ma un titolo
personalissimo:
anzi il
nome
proprio
di Dio. E
questo, spiega
S.
Tommaso,
per
tre motivi: Anzitutto
per
il
suo
significato.
Infatti
non
esprime gi
una
qualche
forma
o modo
particolare
di
essere,
ma lo stesso
essere (...). In secondo
luogo,
per
la sua
universalit. Tutti
gli
altri nomi
sono meno vasti e universali
(...).
In terzo
luogo
Colui che il
nome
pi proprio
di
Dio,
sia
per
la derivazione del
termine,
che
l'essere, sia
per
l'universalitdel
significatomlfi
Per
quanto
concerne la determinazione
e
la
conoscenza dell'essenza
di Dio in sede filosoficala verit
pi importante
alla
quale
si
pu
arriva-
re indubbiamente
questa:
il suo
possesso pieno
dell'essere,
proprio
perch
l'essere a costituire la
sua essenza. Questo
privilegiocompete
esclusivamente a Dio. Ci che
l'essere, non incluso
perfettamente
nel concetto di
nessuna
creatura;
infatti in
qualsiasi
creatura l'essere
distinto dalla
sua
essenza;
per questo
motivo non si
pu
dire di
nessuna
creatura che il
suo esistere
qualche
cosa di necessario e di evidente
(per
se notum et secundum
se) in forza dei suoi stessi
principi.
Ma in Dio l'es-
sere inclusonel concetto della sua
essenza, perch
in Dio l'essere
e l'es-
senza si
identificano, come
diconoBoezio e
Dionigi.1"=
115)s. Th.
I, 13,
11.
116)De ver. 10, 12.
Tommasod
'Aquin0
547
Gli attributi di Dio
La
lunga
rassegna degli
attributi di Dio che
l'Angelic0
ci
presenta
in
tutte le
sue
opere
sistematiche ha
come filoconduttore il concetto inten-
sivo dell'essere. Cos tutti
gli
attributi ricevono la loro
giustificazione
definitiva chiamandoin
causa l'essere.
Riassumendo,
il
procedimento
di
S. Tommaso
per
stabilire
gli
attributi di Dio il
seguente: egli prende
una
perfezione,
la confronta
con l'essere; controlla se si basa sull'essere
stesso o se invece ottiene l'essere solo
quando
si incarna in una determi-
nata essenza. Nel
primo
caso
ha
raggiunto
un attributo di
Dio,
nel
secondo no. I
principali
attributi che S. Tommasoottienecon
questo pro-
cedimento
sono
i
seguenti: semplicit,
infinit,
perfezione,
immutabilit,
eternit,
onnipresenza, unicit, verit, bont,
bellezza. Ecco
gli argomen-
ti -
come
sempre
molto lucidi e convincenti -
con cui,
avvalendosi del
concetto intensivo
dell'essere,
egli
ne
giustifical'applicazione
a Dio.
-
Semplicit:
Colui che conferisce l'essere a tutti
gli
altri,
per quanto
concerne l'es-
sere stesso non
pu dipendere
da nessun altro;
infatti chi
per
esistere
dipende
da un altro,
deve ricevere l'essere da
quello,
e non
pu
Certa-
mente essere colui che d l'essere
a tutti
gli
altri. Ma Dio colui che
conferisce l'essere
a tutti;
quindi
il
suo essere non
dipende
da altri.
Ma l'essere
d'ogni composto dipende
dai suoi
componenti: togliendo
i
componenti
viene meno il
composto
sia come cosa sia
come idea
(secundum rem et secundum
intellectum). Quindi
Dio non
composto.
Inoltre, colui che il
principio primo
dell'essere
(primum principium
essendi)
lo
possiede
in modo
eccellentissimo,
perch ogni
cosa
pre-
sente in maniera
pi
eccellente nella causa che nel causato. Ma il
modo
pi
eccellente di
possedere
l'essere
quello
per
cui una cosa
identica all'essere.
Quindi
Dio il Suo
essere (est suum esse), mentre
nessun
composto
il suo
essere, perch
il
suo essere
dipende
dai
componenti
e nessuno dei
componenti
l'essere stesso.
Dunque
Dio
non
composto.
Ci dev'essere
ammesso assolutamenteml?
-
Perfeziona:
InDio si ritrovano le
perfezioni
di tutte le cose. Perci anche detto
universalmente
perfetto (universaliter
perfectus), perch
non
gli
manca
nessuna delle
perfezioni
che si
possono
incontrare in
qualsiasi genere
di
cose,
come dice il Commentatore. E
questo
si
pu arguire
da
quan-
to abbiamo
gi
dimostrato,
che cio Dio l'essere stesso
per
s sussi-
stente
(ipsum esse
per
se subsistens);
di
qui
la necessit che
egli
conten-
ga
tutta la
perfezione
dell'essere
(totam
perfectionem
essendi).
chiaro
117)] SenL, 8, 4,
1.
548 Parte seconda
infatti che se un
corpo
caldo non
ha tutta la
perfezione
del caldo,
ci
avviene
perch
il calore non
partecipato
in tutta la sua
perfezione;
ma se
il calore fosse
per
s sussistente, non
gli potrebbe
mancare
niente di ci che forma la
perfezione
del calore.
Ora,
Dio lo stesso
essere
per
s
sussistente;
quindi
niente
gli pu
mancare della
perfe-
zione dell'essere. Ma le
perfezioni
di tutte le cose
fanno
parte
della
perfezione
dell'essere (omnium
autem
perfectiones pertinent
ad
perfcctio-
nem essendi),
essendo
perfette
le cose a seconda del modo con cui
par-
tecipano
all'essere. Di
qui
ne
segue
che a Dio non
pu
mancare
la
per-
fezione di nessuna cosamif
-
infinit:
infinita si dice una cosa
perch
non finita (limitata). Ora,
in certa
maniera la materia viene limitata dalla forma e a sua
volta la forma
dalla materia. La materia limitata dalla forma in
quanto
la
materia,
prima
di ricevere la forma,
in
potenza
a molte
forme; ma
dal
momento che
ne riceve
una,
da
quella
viene delimitata. La forma
poi
limitata dalla materia,
perch
la
forma,
considerata in se stessa,

comune a molte
cose;
ma dal momento in cui ricevuta nella
materia,
diventa forma soltanto di
una
determinata cosa.
Se non che,
la mate-
ria riceve la sua
perfezione
dalla forma che la
determina, e
perci
l'in-
finito attribuito alla materia racchiude
imperfezione, perch
come
una materia senza
forma. La forma invece non viene
perfezionata
dalla
materia, ma ne riceve
piuttosto
la restrizionedella sua
ampiezza
illimitata;
quindi
l'infinitoche si attribuisce alla forma non
delimitata
dalla materia
importa
essenzialmente
perfezione.
Ora, come
abbiamo
gi
veduto,
l'essere stesso tra tutte le cose

quanto
di
pi
formale si
possa
trovare (maxime
formale
omnium est
ipsum
esse). Quindi,
siccome
l'essere divino non ricevuto in un
soggetto,
ma Dio il
suo
proprio
essere sussistente (suum esse subsistens), come
si
precedentemente
dimostrato,
resta
provato
chiaramente che Dio infinitoe
perfetto.119
-
Onnipresenza:
Essendo Dio l'essere stesso
per
essenza
(ipsum
esse
per
suam essen-
tiam),
bisogna
che l'essere creato sia l'effetto
proprio
di
Lui, come bru-
ciare l'effetto
proprio
del fuoco. E
questo
Dio lo causa
nelle cose non
soltanto
quando
cominciano a esistere, ma fintanto che
perdurano
nell'essere; come la luce causata nell'aria dal sole finch l'aria rima-
ne illuminata. Fino a
che
dunque
una cosa
ha
l'essere, necessario
che Dio le sia
presente
nella
proporzione
in cui essa
possiede
l'essere.
113)S. Th.
I, 4,
2.
119)Ibid., 7,
1.
Tommaso a
Aquino
549
L'essere
poi
ci che nelle
cose vi di
pi
intimo
e
di
pi profonda-
mente radicato
(magis
intimum et
profundius), poich,
come si
gi
detto,
l'essere elemento formale
rispetto
a tutti i
principi
e i
compo-
nenti che si trovano in una data realt. Necessariamente
dunque
Dio e
in tutte le cose e in maniera intima
(Deus est in omnibus
rebus, et inti-
me).12

Immutabilit:
Da
quanto
stato
precedentemente
esposto
si dimostra che Dio
assolutamenteimmutabile
(...). Infatti tutto ci che si
muove
acquista
qualcosa
in forza deI suo movimentoe arriva
a ci cui
prima
non arri-
vava. Ora, Dio,
essendo infinito e racchiudendoin
se stesso in modo
perfetto
e universale la
pienezza
di tutto l'essere
(plenitudinemperfec-
tionis totius
esse), nulla
pu acquistare
n estendersi a
qualcosa
cui
prima
non arrivava;
in
nessun modo
quindi
a lui conviene il movi-
mento. Ecco
perch
anche tra
gli
antichi, alcuni,
quasi
costretti dalla
stessa
verit, affermaronoYimmutabilitdel
primo principioml
Eternit:
La nozione di eternit
nasce dalfimmutabilit,come
quella
di tem-
po
deriva dal
movimento, come risulta da ci che stato detto.
Quin-
di essendo Dio sommamente
immutabile, a lui in modo assoluto
compete
d'essere eterno. E non soltanto
eterno,
ma anche la
sua
stessa
eternit, mentre nessun'altra cosa la
propria durata,
perch
non il
proprio
essere. Dio invece il
suo stesso essere uniforme
(Deus est suum esse
uniforme),
e
perci
com' la
sua essenza cos la
sua eternitmm
- Unit:
L'uno l'ente indiviso
(ens indivisum). Perci
perch
una cosa sia
massimamente una occorre che sia massimamente ente e massima-
mente indivisa.
Ora,
l'una e l'altra condizione si verifica in Dio.
Egli
infatti massimamente
ente,
perch non ente
per
avere un essere
determinato da una
qualche
natura
(o essenza)
alla
quale
sia stato
unito, ma
perch
lo stesso
essere sussistente, illimitatoin tutti i sensi
(est
ipsum
esse subsistens,
omnibus modis
indeterminatum).

poi
massi-
mamente
individuo,
in
quanto
non divisibile
per
nessun
genere
di
divisione n in atto n in
potenza,
essendo
semplice
sotto tutti
gli
aspetti,
come fu
gi
dimostrato. E
quindi
evidente che Dio somma-
mente uno.123
120)Ibz'd., s,
1.
120112111, 9,
1.
122)1bid.,10,
2.
123112111, 11,4.
550 Parte seconda
- Bont:
Il bene definito
egregiamente
da Aristotele come
ci che tutti
desiderano". Ora,
tutte le cose
desiderano di esistere nella loro
piena
attualit,
secondo il modo loro
proprio,
come
risulta dalla
ripugnanza
naturale che hanno alla distruzione;
quindi
l'esistenza in atto (esse
actu)
costituisce la
ragione
essenziale del bene. Per
questo,
dalla
pri-
vazione dellatto nella
potenza consegue
un male, come
dimostra
Aristotele
(Met. IX,
lect. 19).
Ma Dio ente totalmente in
atto,
non
in
potenza,
come
s' visto
sopra.
Dunque
veramente buono (...). Anzi,
da
questo pu
ricavarsi che Dio la stessa bont. Infatti,
per
qualun-
que
cosa
la
pienezza
dellessere,
ossia l'essere in
atto,
ci che costi-
tuisce il suo bene; ora Dio non
soltanto un ente in
atto, ma il suo
stesso essere (est
ipsum
suum esse) come
si dimostrato
sopra.
Perci
egli
non
soltanto
buono, ma la stessa b0nt>>J24
Vita e
operazioni
di Dio
Dopo
avere accertato l'esistenza di
Dio,
definita la
sua essenza e illu-
strati i suoi
principali
attributi,
S. Tommaso
passa
a
studiare la vita di
Dio e le sue
opere.
Si tratta di una
vita intensissima e
di
una
serie di
operazioni
eccellenti,
che si addicono al suo essere immateriale,
sempli-
ce,
nfinito,
perfetto,
buono,
immutabileecc.
A Dio
competono
due ordini di
operazioni:
1)
ad intra: sono
quelle
che costituiscono la vita intima di
Dio, e
precisamente
le
operazioni
del
conoscere e
del
volere; 2)
ad extra: esse
riguardano
i
rapporti
di Dio con
il
mondo, e sono
la
Creazione,
la
provvidenza
e
la conservazione.
Qui
esporremo
brevemente il
pensiero
di S. Tommaso sulle
operazioni
ad
infra;
per
le
operazioni
ad extra rimandiamoil lettore alle
pagine
suc-
cessive
(pp.
576-590)
nelle
quali
le tratteremo
pi specificatamente.
- La conoscenza
di Dio
Appartiene
alla natura stessa dello
spirito
d'essere
intelligente
e
libe-
ro,
di comunicare con
gli
altri e
di farlo
con
perfetta
autonomia. La ma-
teria
cieca,
tenebrosa e
impenetrabile,
ed inoltre incatenata a
leggi
immutabili.Invece lo
spirito
luminoso e mobilissimo,va
dove
vuole,

libero. dalla condizionestessa della natura
spirituale,
che
compete
a
Dio in modo
sommo,
che S. Tommaso deriva immediatamente la sua
dottrina sulla conoscenza e
sulla volont di Dio.
In
quanto spirito
assoluto Dio sommamente conoscitivo. A chiari-
mento di ci
bisogna
considerare che
gli
esseri conoscitivi si
distinguono
dagli
esseri non conoscitivi in
questo,
che i
non conoscitivi non
hanno
124)C. G. l, 37-38.

Tommasod
'Aquin0
551
che la
propria
forma; mentre
quelli
dotati di
conoscenza sono
fatti
per
avere anche la forma di altre
cose, giacch
in chi
conosce si trova l'im-
magine dell'oggetto
conosciuto
(...). Ma la limitazione viene dalla mate-
ria
(...). Quindi,
essendo Dio
all'apice
della
immaterialit, come risulta
chiaramente da ci che
precede,
ne viene che
egli
sia anche
all'apice
del
conoscere.125
Mentre nell'uomoil
conoscere altra
cosa dall'essere
(ora
conosce,
ora
non conosce),
in Dio
essere e conoscere coincidono
perfettamente:
Dio
sempre
in atto di esistere e di
conoscere
e,
conseguentemente,
non
pu
avere che
se medesimo
come
oggetto intelligibile,adeguato
e
sempre
presente: perci
Dio conosce se in
se stesso. E si
conosce
perfettamente,
cio
conosce totalmente se stesso. Conoscendosi
perfettamente, Egli
conosce
anche ci a cui
pu
estendersi la
sua virt, conosce
quindi
tutte le
cose,
essendone la
causa, e
le
conosce non con
cognizionegenerica,
ma distinta
e
propria,
e in se stesso vede anche le
cose tutte
insieme, mentre l'uomo
conosce le
cose una
dopo
l'altra, con scienza discorsivafl
Dio sa tutto
quello
che
pu
fare lui
e anche
quello
che
possono
fare,
dire,
pensare
le
creature; e
- siccome Dio eterno e
per
lui tutto
pre-
sente -
egli
conosce con scienza di Visione
quello
che
presente
o fu o
sar;
invece
Conosce con scienza di
semplice intelligenza quello
che
non

presente
e
neppure
fu o sar, ma resta soltanto
possibile.
Conoscendo
il beneDio conosce anche il
male,
che o corruzione del bene
o mancan-
za del bene.127
In Dio la
conoscenza delle
cose,
in
quanto
le si
aggiunge
la
volont,

causa delle
cose e le
cose esistono in
quanto
Dio le
conosce e non
gi
Dio
le
conosce
perch
esistonoflz
- La volont di Dio
S. Tommaso
prova
che
a Dio
compete
oltre
all'operazione
del
conosce-
re
anche
quella
del
volere,
richiamandosi al
principio
che
ogni
essere
pos-
siede l'inclinazione
verso ci che
giova
alla
propria
autorealizzazione.
Questa
tendenza al bene
negli
esseri
privi
di
conoscenza si chiama
appetito
naturale. E cos anche
gli
esseri
intelligenti
hanno
una simile
inclinazioneal bene
appreso
mediante una
specie intelligibile,
in
maniera che
quando
hanno
questo
bene vi si
riposano, quando
non
l'hanno lo ricercano.
Questa
duplice operazione appartiene
alla
vo-
15)S. Th.
I, 14,
1.
l25)Cf. ibid,
2-7.
27)Cf. ibid, 9-10.
123)Cf. ibid.,
8.
552 Parte seconda
lont.
Quindi
in
ogni
essere
che ha
l'intelletto,
c' la
Volont, come
in
ogni
essere dotato di senso c'
l'appetito
sensitivo. Perci e necessario
ammettere che in Dio vi la
volont,
essendovi l'intelletto. E come il
suo
conoscere
coincide con l'essere,
cos
per
il suo volere>>fl9
A Dio
compete
avere volont,
essendo dotato di
intelligenza.
Ora,
siccome
egli
intende mediante la sua
essenza,
come s'
provato
in
precedenza,
cos ancora vuole. Pertanto la volont di Dio la sua
stessa essenzamm
Come
l'oggetto
del conoscere
divino anzitutto e
soprattutto
il
pro-
prio
essere (Dio si diletta nella
contemplazione
di
se stesso)
altrettanto
oggetto primario
e
principale
della Volont divina l'infinita ricchezza
del suo essere: Dio si
compiace
e
gusta
le
perfezioni superlative
e meravi-
gliose
del
proprio
essere.
Infatti
oggetto
della volont il beneconosciu-
to. Ora il
primo oggetto
conosciuto da Dio l'essenza divina.
Dunque
l'essenza divina il termine a cui
principalmente
si
dirige
la volont di-
vina
(...). Inoltre,
per
qualsiasi
essere volente,
l'oggetto principale
voluto
il
suo
ultimo
fine;
poich
il fine voluto in se stesso, e
per
esso si
voglio-
no
le altre cose (i mezzi).
Ora l'ultimo fine Dio
stesso, perch
il sommo
bene;
quindi egli
il
principaleoggetto
Voluto dalla sua V0l0nt>x13l
Ma Dio non
vuole
e non ama
soltanto se stesso; con un unico atto
egli
vuole e ama
oltre che
se stesso anche le
cose,
ma non allo stesso modo.
Come infatti conosce
le cose
solo come
imitazioni della divina
essenza,
Cos Vuole e ama le Cose come
partecipazioni
della divina bont. Mentre
per
Dio Vuole se stesso necessariamente,
le cose le vuole liberamente.
La Volont divina ha
un
rapporto
necessario alla
sua bont,
la
quale
il
suo
oggetto proprio.
Dio Vuole
dunque
necessariamente che esista la
sua bont, come
la nostra volont necessariamente vuole la felicit. Tut-
te le altre
cose Dio le vuole in
quanto
sono
ordinate alla sua bont, come
al loro fine
(...). Siccome,
per,
la bont di Dio assolutamente
perfetta
in
se
stessa e
pu
stare senza tutto il
resto, non
traendo da esso nessun
accrescimento di
perfezione,
ne
segue
che volere le cose
da s distinte
non
necessario
per
Iddio di necessit assoluta. Tuttavia
pu
divenire
necessario in forza di
un'ipotesi: supposto
infatti che Dio le
voglia,
non
pu
non volerle,
perch
la sua
volont non
pu
mutareml-
129)lbid., 19, 1.
13)C. G. I,
73.
130112121,
74.
132)s.
Th.
1, 19,
3.
Tommaso
dAquin0
553
Studiando la volont di
Dio,
S. Tommaso affronta anche il tormento-
so
problema
del male e
questa
volta 10 fa in modo
pi profondo
ed
esau-
riente di
quanto
non avesse inteso fare
replicando a coloro che invocano
il fenomeno del male
per negare
l'esistenza di Dio.133 S. Tommaso riaf-
ferma il
principio
che il male
non si
pu
volere
per
s ma soltanto in
quanto congiunto
con
qualche
bene.
Questo
principio
si
applica
anche
a
Dio. Pertanto
Dio, volendo la sua bont
sopra
tutto,
rigetta
il male di
colpa
che ad
essa direttamente
contrario;
quanto agli
altri
mali,
volen-
do Dio le altre
cose in ordine
a s,
pu
volere il male di
pena
in ordine
alla
giustizia
e il male naturale in ordine alla
provvidenzafi
- Trinit
Gi
attingibile
dalla
ragione
attraverso le vie della
teologia
naturalee
della
religione,
il mistero di Dio
assume lineamenti
pi
definiti
e
pi
avvincenti attraverso la Rivelazione
(unicit,
onnipotenza, creazione,
misericordia,
giustizia, amore,
azione liberatrice
ecc.).
Lungo
la storia
della
salvezza, attraverso una vera e
propria
azione
pedagogica,
Dio
stesso ha rivelato all'umanit l'unicit della
sua natura
e,
con Ges Cri-
sto,
la Trinitdelle
persone (ipostasi).
Del mistero della
Trinit,
in
quel possente capolavoro speculativo
che
il De
Trinitate,
S.
Agostino
aveva detto
praticamente
tutto
quello
che
alla
mente umana consentito dire:
egli
aveva trovato le formule
giuste
e le
immagini appropriate
per
chiarire
come in Dio sia
possibile
a un
tempo
la sussistenza di tre individui distinti
e l'identit della
natura,
senza cadere nel
politeismo.
La felicissima intuizione di
Agostino
fu
quella
di
collegare
la sussistenza alla relazione: in Dio si hanno le tre
persone
del
Padre,
Figlio
e
Spirito
Santo
grazie
alla sussistenza delle
relazioni della
Paternit,
della Filiazione
e
della
Spirazionepassiva.
Nella sostanza
l'insegnamento
trinitaro di S. Tommaso ricalca fedel-
mente
quello
di S.
Agostino;
la novit
pi significativariguarda
lo stu-
dio delle due
operazioni specifiche
e immanenti dello
spirito umano,
l'intellezi0ne
e la volizione. S. Tommaso fa Vedere che la
processione
del
Figlio
ha
luogo
mediante la intellezione
e
che si tratta di
una vera e
pro-
pria generazione,
mentre la
processione
dello
Spirito
ha
luogo
mediante
la volizione
comune
del Padre
e del
Figlio,
ma non si
pu
chiamare
generazionefi35
133)Cf. ibinl, 2, 3, 1.
I34)cr. ibid., 19, 9.
135)Cf. ibid., 27,
4.
554 Parte seconda
Conoscibilitdi Dio: la
"
ia"
dellanalogia
Nella Summa
Tlzeologiae
S. Tommaso affronta il
problema
della cono-
scibilitdi
Dio,
quando
si trova a met strada del trattato De Deo:
dopo
aver trattato della esistenza,
della natura e
degli
attributi di
Dio, e
prima
di iniziarela trattazionedelle sue
operazioni.
La
questione
XII tratta del
modo con
cui noi
conosciamo
Dio
(Quomodo
Deus a
nobis
cognoscatur),
mentre la
questione
XIII tratta dei nomi di Dio (De
nominibus Dei).
Noi
abbiamo
preferito
trasferire
queste
due
questioni
alla fine
dell'esposizio-
ne del
pensiero
di S. Tommaso su Dio,
perch
sono
questioni
che non
riguardano
la realt di
Dio,
bens i
poteri
che l'uomo ha nei confronti di
Dio: i
poteri
di conoscerlo e
di nominarlo. Pertanto si tratta di una
verifi-
ca
critica di
quanto
l'uomo
pretende
di fare con
i suoi concetti e con
le
sue
parole, applicandoli
a
Dio. In entrambi i casi S. Tommaso si mantie-
ne
fermamente ancorato alla sua
posizione gnoseologica
(e,
di conse-
guenza,
anche semantica)
del realismo moderato, e
collega
sia la cono-
scenza
sia il
linguaggio
umano
all'esperienza
sensibile. Come s' visto,
le stesse
prove
dell'esistenza di Dio sono
tratte
dall'esperienza.
Perci la
conoscenza
che l'uomo
acquisisce
di Dio e
i nomi che
gli assegna
non
possono
avere
che un
valore
analogico.
Nessun concetto e nessuna
paro-
la
esprime
direttamente e
adeguatamente
ci che Dio in se stesso.
Neppure
il nome
pi proprio
di
Dio,
l'Esse
ipsum
subsistens,
ci consente
di
acquisire
un concetto
adeguato
di Dio. Esso deve
passare
attraverso il
filtromolto stretto
della via
negativa,
la
quale
alla fine salva la
res
signifi-
cata ma
distrugge completamente
il modus
significandi.
Ecco due dichia-
razioni molto
esplicite
di S. Tommaso a
questo proposito:
una tratta
dalla Summa
Theologiae
e
riguarda l'origine empirca"
del nostro
parla-
re
di
Dio;
l'altra tratta dal Commento
alle Sentenze e si riferisce alla
puri-
ficazionedi tutti i nostri concetti
quando
ce ne
serviamo
per
intendere la
realt di Dio. Noi non
possiamo parlare
di Dio se non
partendo
dalle
creature, come
pi sopra
abbiamo dimostrato. E cos
qualunque
termine
si dica di Dio e delle creature si dice
per
il
rapporto
che le creature
hanno con
Dio come
principio
e causa,
nella
quale preesistono
in modo
eccellente tutte le
perfezioni
delle cose.136 Noi
neghiamo
anzitutto a
Dio tutto
quanto

corporeo
e,
secondariamente,
quanto
intellettuale e
mentale,
almeno nel senso
in cui
questo
elemento si trova nelle creature
viventi, come,
per
es.,
bont e
sapienza.
E allora resta nella nostra mente
soloche Dio e
nulla
pi.
Infine rimuoviamo anche l'idea dello stesso
"essere",
cos come
questa
idea di "essere" si trova
presente
nelle creatu-
re e
allora Dio rimane nell'oscura notte
dell'ignoranza,
ed in
questa
136)Ibid., 13,
5.
Tommaso
d'Aquino 555
ignoranza
che noi ci avviciniamoa Dio nella nostra
vita, come dice Dio-
nigi.
Infatti in
questa
nebbia, dicono, abita Dio.137
La
posizione
che S. Tommaso
assume circa
problemi
della conoscibi-
lit
e della ineffabilitdi Dio intermedia tra un eccessivo
apofatismo,
che concede che
su Dio si
possa
fare soltanto
un discorso
negativo,
e un
temerario
catafatismo,
troppo
fiducioso nelle
possibilitumane di
capire
e di
esprimere
ci che Dio in se stesso.
A
Maimonide, massimo
esponente de11apofatismo
ai suoi
tempi,
S. Tommaso
replica
che nella
sua teoria
sparisce ogni
differenza tra dire
che Dio
sapiente,
e
dire che Dio si adira
0 che Dio
fuoco.
Si dice che si
adira
perch
si
comporta
come chi si adira
quando punisce:

quello
che
fanno di solito le
persone
adirate
quando puniscono.
Si dice
fuoco,
per-
ch
opera
come il fuoco
quando purifica,
ci che
a suo modo fa
pure
il
fuoco. Ma ci contrasta con la
posizione
dei santi
e dei
profeti
che hanno
parlato
di
Dio,
i
quali approvano
l'attribuzione
a Dio di determinate
cose,
mentre altre le
escludono; concordano che Dio
vivo,
sapiente
e
cos
via, ma
negano
che sia
un
corpo, oppure soggetto
a
passioni.
Secondo la teoria di Maimonide si
pu
dire
e
negare
indiscriminatamen-
te
tutto, senza nessuna distinzione.138Ma c' di
peggio,
osserva S. Tom-
maso: se fosse
Vera la teoria di
Maimonide,
prima
della
creazione,
oppure
nel
caso
che Dio non avesse creato il
mondo,
di Lui
non si
po-
trebbedire n che
buono, n che
sapiente,
n che vivo ecc..139

innegabile
che l'uomo
parla
di Dio
positivamente
e non solo
nega-
tivamente e
questo significa
che
egli possiede
anche concetti
positivi
e
non solo
negativi
della
sua
realt. Ma che
cosa riesce effettivamente
a
pensare
e dire di Dio
un'intelligenza
cos
povera
come la nostra?
Ci che S. Tommaso ritiene ovvio che
nessun concetto e nessuna
parola
dell'uomo si
possono applicare univocamente,
ossia allo stesso
modo, a Dio
e alle
creature, perch
la distanza tra loro infinita. Non c'
mai
parit
di
senso
quando
si
pensa
e si
parla
di Dio e delle creature.
E
tuttavia,
applicati
a Dio e alle creature i nostri concetti e le nostre
paro-
le
non
divengono
insensati: ci accade
graziealfanalogiaflo
137)] SenL, 8, 1, 1,
ad 4.
I3)De
p0t.,
7, 5.
139)Ibid.
14)
L'analogia

uno
degli argomenti pi
studiati e
pi
dibattuti della letteratura to-
mistica. Ricordiamo in
particolare:
R. Mc
IRNEY,
The
Logic of Analogy,
The
Hague
1961; G. P.
KLUBERTANZ,
St. Thomas
Aqunas on
Analogy, Chicago 1960; C.
FABRO,
Partecipazione
e causalit, cit.;
B.
MONDIN, The
PrincipleofAnalogy
in Protestant and
Theology,
2
ed., The
Hague
1968;
B.
MONTAGNE, La dottrine de
Wanalogia"
de i etre
d
aprs
saint Thomas d
Aquin,
Paris
/ Louvain
1963;
T.
TYN,
Metafisica
della sostanza.
Partecipazione
e
analogia
entis, ESD,
Bologna
1991.
556 Parte seconda
Analogia etimologicamente significa
"secondo
ragione
(dal
greco
analogon).
Gi usato dai
presocratici
e
da
Platone,
Panalogia
assume un
ruolo
importante
in Aristotele,
che
se ne serve sia in
metafisica,
per qua-
lificare un
tipo
di unit tra esseri che
non
appartengono
n allo stesso
genere
n alla stessa
specie,
sia in
logica, per catalogare
termini e concet-
ti che
non sono predicati
n univocamenten
equivocamente.
S. Tommaso
riprende
e
precisa
ulteriormente la dottrina aristotelica e
ne
fa
uno
dei
capisaldi
del suo
pensiero
filosoficoe
teologico:
lo stru-
mento concettuale che
gli
consente di risolvere alcuni
problemi
fonda-
mentali di
logica, gnoseologia,
metafisica
e
teologia,
secondo
quella
linea
di moderato realismo che
salvaguarda
il valore della conoscenza senza
incorrere
negli
errori del razionalismo
(idealismo) o del nominalismo,e
gli
permette
di difendere il valore della creatura senza
compromettere
n la
trascendenza n Yimmanenza del Creatore. Data
l'ampiezza
e
complessit
del
tema,
lo suddividiamo nei
seguenti punti:
1.
Definizione;
2.
Divisione;
3.
Fondamento;
4. Statuto
gnoseologico;
5.
Applicazioniteologiche.
Definizione
Come
per
altri elementi del suo
pensiero
anche
per lanalogia
S. Tom-
maso usa un
linguaggio
vario e
duttile. Le
espressioni
di cui si avvale
pi
spesso,
oltre ad
analogia,
sono:
proportio,
habitudo, similitudo, conzmunitas,
convenientia,
praedicatio
secundum
prius
et
posterius.
Quanto
alla definizione
del
concetto,
S. Tommasola d
per
scontata e non
si
cura
di farne
oggetto
di una trattazione
esplicita.
Di fatto
per egli propone
due distinte defini-
zioni
dellanalogia:
una
riguardante
la
logica
e l'altra la metafisica.
In
logica Yanalogia
definita in
contrapposizione
alla univocit e
allequivocit.
Ecco un testo
esemplare
in cui viene chiarito in che consi-
ste la
analogia
come
categoria logica:
Si deve
sapere
che
un termine si
pu predicare
di molte cose
in tre
modi:
univocamente,
equivocamente
e
analogicamente.
Si
predica
univocamente
quando
si ha identit di
nome e
di concetto (secundunz
idem nomen et secundum eandem
ratonenz)
ossia di
definizione, come
quando
si
predica
animale" dell'uomo e dell'asino. L'uno e
l'altro
sono
infatti
animali,
cio sostanze animate sensibili,
che la definizio-
ne di animale. Si
predica equivocamente, quando
il
nome
lo stesso ma
il concetto diverso
(secundum
idem nomen et secundum diversam ratio-
nem)... Si dice infine che
un termine si
predica analogicamente (analogi-
ce) se si
predica
di molte cose
i cui concetti e definizioni sono
diversi
ma si riferiscono a una stessa realt
(rationes
et
definitiones
sunt diver-
sae,
sed attribuuntur uni alicui eidem). Per
es.,
"sano si dice del
corpo
dell'animale,
della urina e della bevanda, ma non secondo un
signifi-
cato
completamente
identico in tutt'e tre i casi.141
14')De
princ. naL, c. 6, nn. 366-367.
Tommaso d
Vlquino
557
In metafisica
Panalogia
definita in
contrapposizione
alla unit
gene-
rica e
specifica:
un vincolo che unisce tra loro cose
che
non
appartengo-
no allo stesso
genere
e
alla stessa
specie,
e tuttaviahanno
qualche aspetto
in comune. A una cosa si
pu
attribuire l'unit non solo secondo il nu-
mero,
la
specie
0
il
genere,
ma
anche secondo
una certa
analogia
0
pro-
porzione,
e
questa
l'unit
0 comunanza esistente tra la creatura e
Dio.142
L'analogia
metafisica fondata sulla
partecipazione
di vari enti
nella stessa
perfezione;
in definitiva si tratta della
partecipazione
alla
perfezione
dell'essere.
Divisione
Dellanalogia
S. Tommaso
presenta
innumerevoli divisioni e tra
gli
studiosi c' un
forte disaccordo sulla
possibilit
di
operare
una sistema
tizzazione
organica dell'insegnamento dellAngeliCo
su
questo punto.
C' chi ha
pensato
di ridurre tutti i
tipi
di
analogia,
chi a due: attribuzio-
ne e
proporzionalit (Mclnerny);
chi
a tre:
ineguaglianza,
attribuzione e
proporzionalit
(Gaetano);
chi a
quattro:
attribuzione
intrinseca,
attribu-
zione
estrinseca, proporzionalit propria
e
proporzionalit
metaforica
(Suarez);
chi arrivato a un
elenco di dodici
tipi
di
analogia
(Klubertanz).
Pur non condividendo
gli apprezzamenti
di Suarez in merito alla
propor-
zionalit,
ci sembra che la sua
divisione
dellanalogia
in
quattro tipi
sia
esauriente
e
pienamente
soddisfacente. Tra i tanti testi che si
potrebbero
riferire
per
documentare il discorso di S. Tommaso su
questo punto,
due
meritano di essere
segnalati
in modo
speciale.
Il testo del Commento alle
Sentenzem dove si
parla
di tre
tipi
di
analogia:
meramente
logica
(secun-
dum intentionem tantum et non secundum
esse) e
per questa
si cita
l'esempio
di
"sano",
quando

predicato
dellorina,
della dieta e dell'animale; mera-
mente fisica
o
reale
(secundun: esse et non
secundum
intentionem) e
qui
l'e-
sempio
addotto
quello
di
"corpo" quando

predicato
delle cose mate-
riali
e
dei
corpi
celesti;
sia
logica
che reale
(secundum
intentionem et secun-
dum
esse) e
qui
si
porta l'esempio
di. "essere"
quando

predicato
della
sostanza e
dell'accidente.
L'importanza
di
questo
testo deriva in buona
parte
dal fatto che il Gaetano
se n' servito
per
ricavare la
sua
celebre
interpretazione
della dottrina tomistica della
analogia.
L'altro
testo,

bene
ricordare,
si trova nel Commento all'Etica.44
Dopo
avere osservato
che lo stesso nome
pu
essere
predicato
di molte cose secondo nozioni
(rationes)
che
non sono
del tutto diverse
ma
convengono
in
qualche
aspetto,
S. Tommasocos
prosegue:
142)5. 171.1, 93, 1,
ad 3.
143M Senti, 19, 5, 2,
ad l.
144M, lect.
7, nn. 95-96.
558 Parte seconda
Talvolta esse
convengono
nel fatto che si riferisconoa un unico
prin-
cipio
(a unum
principium),
come
quando
cose differenti sono dette
militari"... Talvolta nel fatto che si riferiscono a uno stesso fine
(a unum
finenl)
come
quando
la medicina detta sana"... Talvolta
secondo le diverse
proporzioni
a uno stesso
soggetto
(secundum
diver-
sas
proportiones
a unum subiectum), come
quando
la
qualit
e detta
essere",
perch
una
disposizione
dell'essere, e la
quantit
detta
essere",
perch
ne la sua misura, e simili. Infinesecondo una stessa
proporzione
a diversi
soggetti
(secundum
proportionem
ad diversa
subiccta),
ad cs. la
vista,
rispetto
al
corpo
nella stessa
proporzione
dell'intelletto
rispetto
all'anima.
Nei
primi
due casi si tratta di
analogia
di attribuzione mentre
negli
ultimi due si tratta di
analogia
di
proporzionalit.
Si detto che i
tipi principali delranalogia
sono
quattro:
due
appar-
tengono
all'attribuzione
(intrinseca
ed
estrinseca) e due alla
proporziona
lita
(propria
e metaforica).
Si ha
analogia
di attribuzione
quando
la
predi-
cazione viene fatta secondo
un
rapporto
di
priorit
e
dipendenza
(secun-
dum
prius
et
posterius)
cosicch la
perfezione predicata appartiene
senz'al-
tro
allanalogatoprincipale;
mentre
negli analogati
secondari
pu
essere
presente
ma
anche
non esserlo.
Quando

presente
in tutti
gli analogati
(per
es. la bont detta di
Dio,
degli angeli,
della
Madonna,
del bambino
ecc.)
si ha
analogia
di attribuzione
intrinseca;
mentre
quando

presente
soltanto
nellanalogatoprincipale
(come
nella
predicazione
di
sano")
si
ha
quella
estrinseca. Invece c'
analogia
di
proporzionalit quando
un ter-
mine viene usato
per
Vari
soggetti,
ma
secondo la misura che conviene
(
proporzionata)
ai
singoli soggetti.
Per es. la vita si
pu
dire sia del
fiore,
sia del
cane,
sia
dell'elefante,
sia
dell'uomo,
sia di
Dio, ma non
allo
stesso modo-e
neppure
a motivo di
qualche rapporto
che li unisce tra
loro,
bens
proporzionatamente
al loro diverso
grado
di
essere.
Nell'esempio
citato si ha
analogia
di
proporzionalit propria, perch
la
perfezione predicata
effettivamente
presente
in tutti i
soggetti.
Invece
quando
si
applica
il termine "cane"
all'animale,
alla costellazione e alla
parte
di un fucile,
allora si ha
analogia
di
proporzionalit
metaforica.
Quanto
al valore dei vari
tipi
di
analogia quando
si tratta dei nomi
divini"
e,
in
generale,
del
linguaggio
che noi usiamo
per parlare
di
Dio,
c'
profondo
disaccordo tra
gli interpreti
di S. Tommaso. Il
Gaetano,
che
nega l'analogia
di attribuzione
intrinseca,
giudica
funzionale soltanto
quella
di
proporzionalit propria.
Per cui
quando
si dice che Dio
buono, ci che si intende dire che la bont sta a Dio cos come la bon-
t sta all'uomo; ma in effetti l'unicabont che noi conosciamo la bont
dell'uomo, non
quella
di Dio. Molti altri studiosi di
S. Tommaso
ritengo-
no
che
Yinterpretazione
del Gaetano sia inesatta. In
effetti,
lAquinate,
Tommaso
d'Aquino
559
quando spiega
il
significato
del
linguaggio teologico,
si richiama
pochis-
sime volte alla
proporzionalit,
mentre
parla quasi
sempre
di un'analo-
gia
secundum
prius
et
posterius,
che esattamente
Yanalogia
di attribuzio-
ne e intende riferirsi all'attribuzioneintrinseca
e non
semplicemente
al-
l'attribuzioneestrinseca
perch
soltanto la
prima
conduce
a
qualche
co-
noscenza effettiva di Dio.
Fondamenta
L'analogia
si fonda sulla
causalit, e
precisamente
sulla causaliteffi-
ciente. Il
rapporto
di
causa
comporta
necessariamente
qualche
somi-
glianza
tra la
causa e
il
causato,
tra la
causa e l'effetto: Omne
agens agit
similesibi
(ogni agente produce qualche
cosa di simile a se stesso)
ripete
con insistenza S. Tommaso. Nessun effetto
pu
essere
un'immagine
ade-
guata
della
sua
causa;
ci vale sia
quando
la
causa Dio sia
quando
la
causa una creatura.
Quando
la
causa
Dio,
il
suo effetto essendo
ne-
cessariamente
una creatura
finita, non
pu eguagliarlo, poich
ha solo
un
potere
finito di imitare l'infinita
perfezione
della
sua causa. Quando
la
causa
una
creatura, non
pu
mai
produrre un effetto totalmente si-
mile
a s,
poich nessuna creatura la
causa totale del
suo effetto. Per
S.
Tommaso,
dunque,
il
principio
omne
agens agi!
similesibi
significa
sol-
tanto che c'
una
qualche somiglianza
tra la
causa e l'effetto. S. Tomma-
so, tuttavia, non si accontenta di
questo vago significato
dei
principio,
ma cerca di determinarne
pi
esattamente la
portata, distinguendo
tra
causa univoca
e causa
equivoca.
Nel De
potentia egli
descrive cos
questi
due
tipi
di causalit: La forma dell'effetto
nell'agente
naturale in
quanto l'agente produce
un effetto di natura
simile,
dal momento che
ogni agente produce qualche
cosa di simile a s
(omne
agens agit aliquid
simile
sibi). Ora,
questo
avvienein due modi:
a) Quando
l'effetto
porta
in
s una
perfetta somiglianza
con
l'agente,
in
quanto proporzionato
al
potere dell'agente,
allora la forma
dell'agente
nelleffetto allo stesso
grado;
ci avviene
negli agenti
univoci,
per
es. il fuoco
genera
il fuoco.
b) Quando tuttavia l'effetto
non
perfettamente
simile
all'agente,
non
essendo
proporzionato
al
potere dell'agente,
allora la forma dell'effetto
non
nellagente
allo stesso
grado
ma in
grado superiore: questo
il
caso
degli agenti equivoci, per
es.,
il sole
genera
il fuoco.145 La causalit
equivoca

quella
che interviene
quando
Dio
produce
le creature: essa
non instaura mai
con
gli
effetti
prodotti
- che
sono
sempre
necessaria-
mente finiti
e
imperfetti
-
una
somiglianza generica
o
specifica
ma sem-
plicemente analogica.
E
questo
vale
per
tutte le
perfezioni
che Dio
co-
145)De
pot.
7, 1,
ad
8;
cf. S. Th.
l, 105, 1,
ad 1.
560 Parte seconda
munica alle
creature,
incluse le
perfezioni
trascendentali: non c' mai
parit
di
possesso
tra Dio e
le
creature, ma soltanto una
qualche
somi-
glianza
con
un'abissale
dissomiglianza.
Inoltre il
possesso
avviene sem-
pre per
prius
et
posterius,
ossia secondo il
rapporto
di
priorit
e
dipen-
denza.
Statuto
gnoseologico
Il
problema qui
di
sapere
se esiste un concetto
analogico
(distinto
dal concetto univoco) o se
analoghe
sono
soltanto le relazioni tra le cose.
Ci sono alcuni studiosi che si dicono tomisti
(per
es. Quiles)
che
negano
che ci
possano
essere
concetti
analoghi:
i concetti sarebbero tutti neces-
sariamente univoci, e
quindi
concludono che
Yanalogia
esiste soltanto
come
vincolo reale tra le
cose;
in altre
parole
riconoscono
Fanalogia
come
categoria
metafisica ma
negano
Yanalogia
come
categoria logica.
Ora
questa
tesi non
corrisponde
affatto al
pensiero
di S. Tommaso. Ab-
biamo riferito il testo del Commento alle Sentenze)
dove S. Tommaso
parla esplicitamente
di termini e concetti che
sono analoghi
sia secun-
dum intentionem sia secundum
esse;
ora
analogo
secundam intentionem
significa precisamente analogo
in sede
logica,
cio
analogo
concettual-
mente (oltre
che
realmente). Qui
non il caso
di
approfondire
la natura
del concetto
analogico,
ma certo che S. Tommaso
insegna
che la cate-
goria
dell'analogia
si
applica
sia in sede
logica
sia in sede metafisica.
Applicazione
al
linguaggio teologico (religioso)
Le
applicazioni pi importanti
della dottrina
dellanalogia riguarda-
no
il
linguaggio religioso.
Con
questa
dottrina S. Tommaso trova una
soluzione
adeguata per
il
problema
del senso e del valore del
linguaggio
che l'uomo usa
per
parlare
di
Dio,
problema
che nel medioevo andava
sotto il nome
di
problema
dei n0mi divini"; un
problema
arduo,
gi
attentamente discusso in tutti i suoi
aspetti
dallo
Pseudo-Dionigi
nel suo
De divinis nominibus,
opera
di cui lo stesso S. Tommaso ha
proposto
un
Commento
esemplare.
Con
lanalogia
il Dottore
Angelico respinge
allo stesso
tempo
sia la
teoria di Maimonide che,
troppo scrupoloso
nel difendere la trascenden-
za
di
Dio,
professava Pequivocit
dei nomi divini,
sia la tesi di Scoto che
sosterr una
univocit iniziale di tutti i termini e concetti
che l'uomo
applica
a Dio. Ecco il testo
magistrale
della Summa
Theologiae
in cui
S. Tommaso
espone
la dottrina
dellanalogia
del
linguaggio religioso:
146)! Sent. 19, 5, 2,
ad 1.
Tommaso
d'Aquino
561

impossibile
che alcuna cosa si
predichi
di Dio e delle creature uni-
vocamente. Poich
ogni
effetto,
che
non e
proporzionato
alla
potenza
della causa
agente,
ritraeuna
somiglianza dell'agente
non secondo la
stessa
natura, ma
imperfettamente
(e tale il caso delle creature
rispetto
a Dio) (...). Per
conseguenza, applicato all'uomo,
il termine
sapiente
circoscrive in
qualche
modo e limita la
qualit
che
esprime;
non cos se
applicato
a Dio, ma lascia in tal
caso
la
perfezione
indicata
senza delimitazione ed eccede il
significato
della
parola. Quindi

chiaro che il termine
sapiente
si dice di Dio e dell'uomo
non secondo
Fidentico concetto (formale).
E cos di tutti
gli
altri nomi. Perci nes-
sun nome si attribuisce in
senso univoco a Dio e alle creature.
Ma neanche in
senso del tutto
equivoco,
come alcuni hanno affermato.
Perch in tal modo nulla si
potrebbe
conoscere o dimostrare intorno a
Dio
partendo
dalle
creature; ma si cadrebbe continuamente nel sofi-
sma chiamato
equiVocazione"
(...).
Si deve
dunque
concludere che
tali termini si affermano di Dio e delle creature secondo
analogia
(secundum
analogiam)
cio
proporzione (proportionem) (...).
E
questo
modo di comunanza sta in mezzo tra la
pura equivocit
e la
semplice
univocit,
perch
nei nomi detti
per
analogia
non vi una nozione
unica
(una ratio), come
negli univoci,
n totalmente
diversa, come
negli equivoci;
ma
il
nome
che
analogicamente
si
applica
a
pi sog-
getti significa
diverse
proporzioni
(relazioni)
riguardo
a una medesi-
ma
cosa;
cosi sano detto
dell'orna,
indica il
segno
della
sanit;
detto
della medicinainvece
significa
la
causa della stessa sanitmW
Noi
per sappiamo
che S. Tommaso
distingue
vari
tipi
di
analogia.
Di
quale analogia
si tratta
quando
si dice che il
linguaggio teologico
viene usato
analogicamente:
dell'attribuzione
o della
proporzionalit?
E
poich
ci sono due
specie
di attribuzione
(intrinseca ed
estrinseca) e di
proporzionalit (propria
e metaforica), a
quale
di
esse si ricorre
per
in-
tendere rettamente ci che diciamo
quando parliamo
di Dio?
Abbiamo
gi
chiarito,
trattando della divisione
dellana1ogia,
che l'at-
tribuzioneintrinseca
quella pi
ricca di
spessore
semantico,
in
quanto
riesce a
dire
qualcosa
di intrinseco e di
oggettivo
di tutti
gli analogati,
sia di
quello principale
sia di
quelli
secondari,
anche
se, ovviamente,
non allo stesso modo, ma secundum
prias
et
posterius.
Si deve
quindi
con-
cludere che
lanalogia
che S. Tommaso invoca
per
determinare il
senso
del
linguaggio religioso, quando
rifiuta lunivocit e
Yequivocit,
l'a-
nalogia
di attribuzioneintrinseca.
Per
l'analogia
di attribuzione intrinseca
(come
pure
quella
di
pro-
porzionalit propria)
non vale
per
tutto il
linguaggio religioso,
ma sol-
tanto
per quello
che
esprime perfeziona" semplici (perfezioni
come verit,
147)S. Th.
l, 13,
5.
562 Parte seconda
bont, bellezza, essere, sostanza, causa,
persona
ecc.,
che
possono pre-
scindere dallo
spazio,
dal
tempo,
dalla
materia), non
perfezioni
miste che
come
parlare,
sentire, vedere, camminare,
adirarsi
ecc. sono
legate
al
corpo,
alla materia.
Ora,
il
linguaggio religioso
abbonda di
espressioni
antropomorfiche",
relative
a
perfezioni
miste.
Questo
linguaggio
ha
valore metaforico e
perci,
secondo S.
Tommaso, va
interpretato
secon-
do
Yanalogia
di attribuzioneestrinseca
oppure
di
proporzionalit
meta-
forica.
C' un'ultima
precisazione
che S. Tommasoha
cura
di fare
per
deter-
minare
meglio
il
senso dei "nomi
divini,
anche
quando
si tratta di no-
mi che si riferiscono alle
perfezioni semplici:
la distinzionetra la res si-
gnzficata
e
il modus
praedicandi:
tra ci che si dice e
il modo di dire. Per res
praedicata
S. Tommaso intende la
perfezione
(la
qualit)
indicata da
un
nome;
per
modus
praedicandi
intende il modo secondo cui tale
perfezione
si
realizza,
modo che viene connotato o
consignificato
dallo stesso nome
che indica la
perfezione;
p.
es.,
il nome sensazione"
esprime
allo stesso
tempo
sia la
perfezione
della
conoscenza (ras
praedicata)
sia il modo
secondo cui tale conoscenza si realizza, ossia mediante i sensi (modus
praedicandi). Applicata
ai nomi divini
questa importante
distinzione
chiarisce che tali nomi
(di
perfezioni semplici)
sono
predicati propria-
mente e direttamente di Dio secondo la
res
praedicata
ma non secondo il
modus
praedicandi.
Cos il
nome
sapiente
si addice
propriamente
a Dio
quanto
alla
perfezione
del
conoscere
indicato dal termine
sapiente,
ma
non
quanto
alla modalit finita
(di
qualit
limitata
e accidentale)
che
viene connotata da tale termine. Anche i concetti umani
pi
elevati, a
causa della loro
origine mantengono sempre
un riferimento
implicito
ai
modi
limitati,
dai
quali possono
essere affrancati solo
imperfettamente.
I concetti umani non
significano
mai il modo divino delle
perfezioni
che
noi riconosciamoe attribuiamo a Dio.

per questa ragione
che essi
pos-
sono essere
sempre
esclusi da Dio. Ed
questo
il
compito
della Via
nega-
tiva,
che fa
parte
dell'intero
processo analogico
(insieme
alla Via
positiva
e
alla Via
eminenziale). Per
quanto
concerne la Via
negativa"
lo stesso
S.
Tommaso,
analizzandola
predicazione
della
perfezione
dell'essere,
che nel suo edificio metafisico la
massima,
la
pi
ricca,
la
pi pervasi-
va di tutte le
perfezioni,
ha fissato le
seguenti tappe:
Anzitutto noi
escludiamo da Dio tutto ci che
corporeo; poi quanto

spirituale
o
mentale,
almeno nel
senso
in cui
questo
elemento si trova nelle creature
viventi, come,
per
es.,
bont e
sapienza.
Allora resta nella nostra mente
soltanto la verit che Dio
, e nulla
pi.
Infine,
eliminiamo anche l'idea
dello stesso
essere,
cos come tale idea si trova realizzata nelle stesse
creature. Giunti a
questo punto
Dio rimane avvolto nelloscura notte
dell'ignoranza,
ed in
questa ignoranza
che noi ci avviciniamo aDio
Tommaso d
Aquino
563
durante la nostra
vita, come dice
Dionjgi.
Infatti, in
questa
fitta nebbia
abita D0.148
Da
quanto
siamo andati dicendo risulta che la dottrina tomistica del-
Vanalogia
soddisfa al
duplice
intento: di
salvaguardare,
da
una
parte,
una certa -
seppur
minima -
conoscenza di
Dio; e dall'altra,
di
preservare
intatta la
sua assoluta
trascendenza,
"la fitta nebbia" in cui Dio abita.
L'analogia
d
un senso
al
linguaggio teologico,
ma un senso
che vale di
pi
come indicazione che
come
immagine.
Pertanto
Fanalogia
non va
intesa
come
ingenua rassomiglianza
tra Dio e le
sue creature, bens, come
vuole il Concilio
Lateranense, come minima
somiglianza
l dove
regna
la
pi grande dissomiglianza.
In tal modo
Vanalogia
non
distrugge
ma
salva l'infinitadifferenza
qualitativa
che
separa
Dio dalle
sue creature.
La dottrina tomistica
del1anal0gia
ha valore
perenne.
Studiosi
con-
temporanei
del
linguaggio religioso (Ramsey, Ferr, Mascall,
Bochenski
ecc.)
hanno
mostrato che
essa
rappresenta
la
migliore risposta
alle tesi
dei
positivisti, degli
esistenzialisti,
degli
analisti del
linguaggio,
i
quali
pretendono
che il
linguaggio religioso
sia
privo
di
qualsiasi significato
oggettivo
e
che abbia soltanto
un valore
soggettivo
ed emotivo.
L'analogia
mostra invece che
esso
possiede
un
significatooggettivo, per
quanto
modesto,
povero
e assai limitato.
148M Sent.
8, 1, l,
ad 4.
564
TOMMASO
DAQUINO:
I TRASCENDENTALI
In
ogni
metafisica un
capitolo importante
riservato ai trascendenta-
li. In
precedenza
abbiamovisto come
questo
trattato si and
sviluppan-
do nella
prima
met del secolo
Xlll, e
che
esso
deve alla
penna
di
Filip-
po
il Cancelliere la
sua
prima
sistemazione
completa.
In molte
ontologie
la trattazione dei trascendentali viene collocata subito
dopo
10 studio
dell'ente in
generale.
Ma a nostro avviso l'analisi del
problema
dei tra-
scendentali secondo una tale successione
pu
condurre all'interno di
una
concezione univoca
degli
stessi, come
accade
a Duns Scoto,
il
quale
vede nei trascendentali dei concetti
genericissimi
comuni a tutte le cose.
Per
sapere
che
cosa sono
i trascendentali non
basta
approfondire
il
con-
cetto di
ente, ma occorre
soprattutto
conoscere
che cos' l'asse
ipsum,
perch prima
che
degli
enti i trascendentali sono
propriet
dell'essere
stesso.
Questa
la
ragione per
cui
esponiamo
il
pensiero
di S. Tommaso
sui trascendentali a
questo punto,
cio
dopo
lo studio sull'essere e su
Dio,
perch
la loro
piena comprensione appartiene pi
al momento
discendente che
a
quello
ascendente della sua
metafisica. Osserviamo
inoltre che
l'Angelico
non
ci ha lasciato nessuna
trattazione
organica
di
questo argomento; per
esso
presente
in varie
opere,
specialmente
nel
De
veritate,
dalle
quali
si
pu
ricavare un
quadro
abbastanza
completo
del suo
pensiero.
Rifacendosi a un
celebre
passo
della
Metafisica
di
Avicenna,
S. Tommaso
insegna
che all'essere in
quanto
essere (come
pu-
re
all'ente in
quanto
ente,
in
quanto
cio
partecipa
all'essere)
spettano
di
diritto tutte
quelle propriet
che si
possono
"convertire" con
esso,
vale a
dire
quelle propriet
che hanno la stessa estensione dell'essere,
anche se
non
la medesima connotazione. Tali
sono l'unit,
la verit e la bont.
Infatti
queste
tre modalit
aggiungono
all'essere
qualche
cosa senza
peraltro imporre
delle restrizioni al suo contenuto;
infatti se
imponesse-
ro delle restrizioni non
sarebbero
propriet
universali dell'ente. Perci
1) Questa
Penumerazione
pi
comune e
frequente
che Tommaso d dei trascen-
dentali; ma
qualche
volta
(per
es. nel De ver. l, l)
fornisce una
enumerazione
pi
ampia
che
comprende
oltre a unit, verit, bont,
anche "cosa" (res) e
"qualco-
sa"
(aliquid).
I trascendentali
565
non
pu
trattarsi che di
aggiunte
di ordine
logico
(secundum rationem)
cio delle connotazioni: l'uno
aggiunge
all'ente la connotazione della
negazione
(in
quanto
dice che
indiviso); mentre la verit
e
la bont
aggiungono
la connotazione di
una relazione: relazione con l'intelletto
nel
caso della
verit;
relazione
con la volont nel caso della bont!
Quindi mentre l'essere si dice uno in
quanto
indiviso in se
stesso,
si
dice
vero e buono
per
una sua conformit con le facolt
operative
del-
l'uomo 0 di un altro essere
intelligente,
l'intelletto
e la volont.
Infatti,
la
conformit
come modalit dell'essere
possibile
solo
se esiste una realt
che sia
capace
di stabilire
un
rapporto
di conformit con
ogni
ente
(e
quindi
con l'essere in
quanto
tale). Questa
realt
l'anima, la
quale

in certo
qual
modo tutte le
cose,
come si dice nel III libro dell'Anima
(di Aristotele).
Ma nell'anima ci
sono
due
facolt, una conoscitiva e una
appetitiva.
La conformit dell'ente
(e dell'essere) con la facolt
appetitiva

espressa
dal termine "bene". Tale il
significato
di "bene" all'inizio
dell'Etica,
quando
si dice che "bene ci che tutti desiderano. La confor-
mit dell'ente
con la facolt conoscitiva invece si
esprime
col termine
vero"
(conventiamvero entis ad intellectun:
exprimit
hoc nomen "verum).3
La dottrina dei trascendentali deriva direttamente da
Aristotele,
almeno
per quanto
concerne i tre trascendentali
pi
noti:
unit, bont,
verit,
il
quale per
li
concepiva
come
propriet
universali dell'ente
e
non dell'asse
ipsunt,
che
ignorava.
Ripresa
da S. Tommaso la dottrina dei trascendentali subisce
necessa-
riamente
qualche importante
ritocco,
richiesto dalla
sua
applicazione
oltre che all'ente anche allesse
ipsum,
che sta
all'origine
di
ogni
ente e
che
non
pu
non essere dotato di
unit,
di verit e
di
bont,
perch
l'en-
te
uno,
vero e
buono soltanto
grazie
alla
sua
partecipazione
allesse
ipsum.
Vediamo.
Unit
Trattandodell'unit S. Tommaso ricorda che
questo
termine conosce
due
significati principali:
secondo
un
primo significato
essa dice il
pri-
mo elemento della enumerazione
(principium numeri);
secondo
un altro
significato
essa
esprime
la indivisione interna dell'ente e la
sua distin-
zione
dagli
altri enti
(indioisio entis).4
Ai due
significati corrispondono
due distinti
problemi
metafisici,
di cui si
occuparono
i filosofi
greci
sin
dall'inizio della storia della filosofia: il
problema
della risoluzione di
l) De
pot.
9,
7 ad 6. Cf. anche De ver. 21,
4.
3) De ver. 1,
1.
4)
Cf. S. Th.
I, 11,1.
566 Parte seconda
tutte le
cose,
cio del
molteplice,
all'unit; e
il
problema
della unione
interna dell'ente,
di
qualsiasi
ente.
Il
problema
dell'unit
concepita
come unicit del reale nasce dalla
costatazione della
pluralit degli
enti: il
problema
di
sapere
se nono-
stante la
pluralit apparente
si dia un'unit di fondo. Il
problema
dell'u-
nit cos intesa fra tutti i
problemi
filosofici fu il
primo
a suscitare l'inte-
resse
speculativo degli
uomini. La filosofia
greca
nasce
precisamente
da
questa esigenza
di rinvenire un
principio
unificatore all'interno di una
realt evidentemente
molteplice. Dopo
le
prime
soluzioni
ingenue
dei
naturalisti,
i
Pitagorici
cercano
di risolvere il
problema
ricavandodall'u-
no,
un "uno" inteso non come essere
supremo
ma come unit numerica.
Neppure
Platone e
Aristotele riescono a
dare una
soluzionesoddisfacen-
te al
problema
della unicit della causa
prima, perch
considerano la
materia,
le idee
(o
le forme
per
Aristotele) e
il
Demiurgo
(o
Dio
per
Aristotele) come cause
prime
assolutamente irriducibili.La
prima
solu-
zione
adeguata
dell'unit del
molteplice
la
consegue
la filosofia
cristiana,
soprattutto
nella formulazionedi S.
Tommaso,
dove la
molteplicit degli
enti viene
spiegata
mediante l'atto creativo dell'asse
ipsum
subsistens.
Il
problema
dell'unit
concepita
come indivisione dell'ente nasce
dalla costatazione che
nell'ente, nonostante la
pluralit degli
elementi
che lo costituiscono e la
fragilit
dei loro vincoli,
c'e tuttavia un
princi-
pio
interiore di unit. Tale
propriet compete
a
fortiori
all'asse
ipsum
in
quanto,
come
si
gi
dimostrato,
l'asse
ipsum
esclude
ogni composizione
e
divisione.
I
primi
ad affrontare il
problema
dell'unit dell'ente furono Platone
e
Aristotele. Secondo Platone l'unit
un'esigenza
fondamentale di
ogni
ente:
ogni
ente infatti
concepito
come unit
e,
secondo Platone,
ogni
ente dotato di unit in
quanto partecipa
dell'idea
dell'Uno.
Secondo
Aristotele in
generale
uno

soprattutto
ci la cui intellezione indivi-
sibile,e la cui
pura
essenza
si
apprende
come un atto che non
pu
essere
separato!
L'unit,
precisa
Aristotele,

propriet
universale dell'ente,
perch ogni
ente tale fintanto che rimane indiviso.
Pertanto, come
determinazione costante dell'ente, essa
deve
predicarsi
oltre che della
sostanza anche di tutte le altre
categorie,
e
perci appunto
si
predica
dell'ente in
quanto
ente.
Principio
interiore dell'unit dell'ente
l'atto,
e atto
per
Aristotele
significa
forma.
5)
Pitagora
e Platone,
vedendo che l'uno che si identifica con l'ente non
aggiunge
alcunch di reale all'ente, ma
significa
la sostanza dell'ente in
quanto
indivisa,
stimarono che fosse altrettanto dell'uno che
principio
del numero (S.
Th.
l, 11,
ad
1).
5) ARISTOTELE,
Metafisica
101Gb.
I trascendentali
567
Nella soluzione del
problema
dell'unit
dell'ente,
Tommaso non si
discosta molto dalla soluzionedi Aristotele. Anche
per
l'Aquinate
come
per
lo
Stagirita,
l'unit dell'ente
significa
che
ogni
ente se stesso e non
un
altro. Uno in
se stesso
per
non
vuol dire
semplice,
e
distinto da
un
altro
non
significa
che
non
ha assolutamente
bisogno
di altri
per
esiste-
re: tale unit assoluta
appartiene
soltanto all'esse
ipsum.
Unit,
in
quanto
trascendentale,
significa
soltanto attuale indivisione
dell'ente; e
per
gli
enti - al di fuori dell'asse
ipsum
si tratta naturalmente solo di un'unit
relativa,
essendo essi tutti costituiti di
parti (quanto
meno
di due
parti:
essenza ed
essere).
Ma le
parti,
se si tratta veramente di
un ente e non
di
un
aggregato
di enti, sono tra loro strettamente
congiunte:
la materia
strettamente
congiunta,
unita alla
forma,
la sostanza
agli
accidenti,
l'es-
sere all'essenza.
Negli
enti il
grado
di unit Varia secondo la
molteplicit degli
ele-
menti costitutivi:
maggiore
dove
gli
elementi sono
pochi,
minore
dove
sono molti. Per tutti
gli
enti ne sono dotati. Infatti
ogni
ente o
semplice
o
composto.
Quello semplice
non attualmente diviso
e
nep-
pure
divisibile.
Quello
composto
non esiste finch le sue
parti
sono divi-
se,
ma solo
dopo
che l'hanno costituito e
composto.
Quindi
e manifesto
che l'essere di
qualsiasi
cosa consiste nel1indivisione. Di
qui
deriva che
ogni
cosa come conserva
il
proprio essere,
cos conserva la
propria
unit
(unumquodque
sicut custodit
suum
esse,
ita custodit
suam unitatem)>>.7
Si d
pertanto
una
gerarchia
di
gradi rispetto
all'unit come si d
una
gerar-
chia in ordine all'essere:
quanto pi
elevato il
grado
di essere tanto
pi
elevato il
grado
di unit. Infatti
ogni
cosa si
rapporta
all'essere
come si
rapporta
all'indivisi0ne,
per-
ch, come dice il
Filosofo,
l'ente si dice uno in
quanto
indiviso. Di
conseguenza quelle
cose
che
sono
indivise in forza della loro stessa
natura
(per
se),
posseggono
l'unit
pi
autenticamente (zerius) delle
cose
che
sono indivise solo
accidentalmente, come
per
es.,
il biancoe
Socrate,
i
quali
formano un'unit accidentale
(unum
per
accidens). Ora,
fra le cose
che hanno unit in forza della loro stessa natura
(quae
sunt
unum
per
se),
quelle
che sono indivise assolutamente
posseggono
l'u-
nit
pi
autenticamente(verius)
di
quelle
che
sono indivise
rispetto
a
qualcosa
o
di
generico
o
di
specifico
o
di
analogico.
E, infatti,
quelle
cose
che
non sono indivise assolutamente
neppure
si dicono unite
assolutamentema soltanto con riferimento
o
al
genere
o alla
specie
o
all'analogia (proportione).
Invece ci che assolutamente indiviso
(simpliciter
indivisum)
si dice uno assolutamente ed uno
anche
numericamente. Ma anche fra le
cose
dotate di unit si d
gradazione
7)
s.
T111, 11,
1.
568 Parte seconda
(invenitur
aliquis gradus).
Ce ne sono
infatti alcune che sono
indivise
in atto ma divisibiliin
potenza,
e ci
pu
avvenire in tre modi: o
mediante divisione
quantitativa
o mediante divisione essenziale
oppure
mediante divisione sia
quantitativa
che essenziale. La
prima
riguarda
il
continuo;
la seconda le cose
composte
di materia e
di for-
ma,
oppure
di
essenza e essere (ex esse et
quod
est);
la terza
riguarda
i
Corpi
naturali. Se alcune di
queste
cose non sono
di fatto
(in actu)
divise, ci dovuto a
qualche
cosa di estraneo alla natura della com-
posizione
e divisione, come si riscontra nei
corpi
celesti e simili,
i
quali,
non essendo di fatto
divisi, sono tuttavia divisibilinella mente.
Ci sono
per
delle cose
che
non sono divisibilin in atto n in
poten-
za (indivisibile
actu et
potentia);
e
anche di
queste
si danno varie cate-
gorie.
Alcune includono nella loro definizione
qualcosa
di estraneo
all'idea di
indivisibilit;
per
es.
il
punto,
oltre all'indivisibilitinclude
anche l'idea di
posizione
(situm).
Invece altre cose
contengono
soltan-
to Fidea di
indivisibilit,
per
es. l'unit che
principio
del numero
(unitas
quae
est
principium
numeri); e tuttavia
(per
esistere)
hanno biso-
gno
di
qualche
cosa
che
non sia essa stessa unit,
ossia della sostanza.
Dal che risulta che ci in cui non v' nessuna
composizione
di
parti,
nessuna continuit di
dimensioni,nessuna
molteplicit
di
accidenti,e
non
abbisogna
di nessun
soggetto per poter
esistere,
sommamente e
veramente uno (summe et vere unum est), come
conclude Boezio.
E
quindi
la sua unit
principio
di
ogni
unit e misura
d'ogni
cosa>>fi
Nella sua
trattazionedell'unit trascendentaleS. Tommaso si discosta
da Aristotele su un
punto importante.
Per lo
Stagirita
il
principio
inte-
riore su cui si fonda l'unit dell'ente
l'atto,
cio la
forma,
perch per
l'autore della
Metafisica
la forma costituisce l'atto
supremo.
Anche
per
l'Aquinate
il
principio
inferiore su cui si fonda l'unit dell'ente
l'atto,
ma come
abbiamovisto in
precedenza egli
non
identifica l'atto
supremo
con
la
forma,
bens con l'essere,
l'asse
ipsum.
Per cui
per
l'Aquinate
il
principio
ultimo su cui
poggia
l'unit dell'ente non la forma bens l'es-
se
ipsum.
Questo
sigla
definitivamentel'unione tra la sostanza e
gli
acci-
denti, tra la forma e la
materia, tra la natura e le
potenze
e
impone
il
marchio dell'unit sulle stesse sostanze
separate
e
persino
su
quellente
che essenzialmente l'esse
ipsum. Riguardo
all'esse
ipsum
come
ragione
dell'unit di colui che l'Essere sussistente
stesso,
cio
Dio,
S. Tommaso
scrive
quanto segue:
Siccome l'uno l'ente indiviso
(ens indivisum),
affinch
una cosa
sia massimamenteuna occorre
che sia massimamente
ente e massimamenteindivisa.
Ora,
l'una e
l'altra condizionesi verifica-
no
in Dio.
Egli
infatti massimamente
ente, perch
non ente
grazie
al
5) ISertt.
24, l,
l.
I trascendentali
569
possesso
di
un essere determinato da
qualche
natura (esse
determinatum
per aliquam naturam),
alla
quale
sia stato
unito; ma
perch
10 stesso
essere sussistente illimitatoin tutti i sensi
(ipsum esse subsistens omnibus
modis
indeterminatum).

poi
massimamente
indiviso,
in
quanto
non
divisibile
per
nessun
genere
di divisione n in
atto n in
potenza,
essen-
do
semplice
sotto tutti
gli aspetti.

quindi
evidente che Dio e somma-
mente uno)?
Verit
Trattandodella
conoscenza S. Tommaso
assegna
alla
parola
verit
tre
significati: gnoseologco
o
logico
(verit della
conoscenza),
linguistico
o semantico
(verit
cli
una
proposizione)
e
ontologico
(verit dell'ente).
La verit in
senso
ontologico
per
S.
Tommaso, come
gi per
Aristote-
le,
una
propriet
trascendentale
dell'ente,
vale a dire
accompagna
l'en-
te
sempre
e
ovunque.
Ma che
cosa si intende
precisamente
per
verit
on-
tologica?
La definizioneformale di
questa
verit la stessa che si d
per
la
ve-
rit
gnoseologica
o
logica;
la celebre definizione
adaequatio
rei et intel-
lectus
(corrispondenza
tra la mente e
la
cosa). Si tratta
quindi
essenzial-
mente di
una relazione. Ma mentre nella verit
logica
il
relativo, o come
dice con
grande precisione
S.
Tommaso,
il misurato la mente e
il
"misurante" la
cosa,
nella verit
ontologica
il
rapporto
si rovescia:
il misurato l'ente
(che, come
sappiamo,

sempre
una Certa misura e
partecipazione
all'essere) e
il misurante l'essere
stesso,
che
poi,
in defi-
nitiva, come stato chiarito, non altri che Dio. Ecco
come si
esprime
molto lucidamente S. Tommaso
a
questo riguardo:
Occorre tener
presente
che le cose si
possono rapportare
allintelletto
in due maniere differenti:
a) come misura al misurato (sicut mensura
ad
merzsuratunz); cos,
per
es.,
si
rapportano
le cose naturali allintellet-
to
speculativo umano;
infatti la nostra mente si dice vera in
quanto
si
conforma alle
cose (secundum
quod conformatur
rei), e falsa, in
quanto
discorda da
esse. Pertanto le cose non si dicono
vere
in forza del
rap-
porto
che
esse hanno
con la nostra
mente, come ritennero alcuni anti-
chi
filosofi,
i
quali
facevanoconsistere la verit solo in ci che
appare:
se fosse
cos, ne risulterebbeche
proposizioni
contraddittoriesarebbe-
ro
contemporaneamente
vere. Invece le Cose si dicono
vere o
false
per
il
rapporto
che hanno
con l'intelletto, non essenzialmente o formal-
mente ma efficientemente, ossia in
quanto
sono destinate
a far
nasce-
re un
giudizio
vero o falso nei
propri riguardi;
e
in
questo
modo l'oro
si dice
vero o falso.
b) In secondo
luogo,
le
cose si
possono rapportare
9) S. Th.
I, 10,
4.
570 Parte seconda
all'intelletto non come misura al misurato ma come
il misurato al mi-
surante (sicut
mensuratum ad
mensumm); ci accade
rispetto
allintel1et-
to
pratico
che la causa delle cose.
Onde il lavoro di un
artigiano
dice-
si vero
quando
realizza l'idea che
egli
voleva realizzare;
si dice invece
falso
quando
non la realizza. Ora,
siccome tutte le cose si
rapportano
allintelletto divino come
gli
artefatti al loro
artefice, ne
consegue
che
ogni
cosa si dice vera in
quanto possiede
una forma che imita l'idea di
Dio. Cos il falso oro
ha
pure
una sua
verit come ottone. Perci l'ente
e
il
vero sono convertibili
(ens
et 03mm conventurtur), perch
tutte le
cose mediante la loro forma si confermanoall'idea di Di0.1D
La verit
ontologica
delle
cose
rispetto
a Dio,
allesse
ipsum
subsistens,
detta verit sostanziale o essenziale, perch
la realt delle cose e
quin-
di la loro verit
dipende
dalla loro
partecipazione
(secondo una certa
misura)
all'asse
ipsum.
Invece la verit
ontologica
delle cose
rispetto
all'intelligenza
umana detta accidentale: infatti l'essere delle cose non
dipende
affatto dalla nostra conoscenza.
Le cose conosciute - scrive
1Aquinate
-
possono
avere con
l'intelletto
rapporti
essenziali
oppure
accidentali (ordinem
ve!
per
se vel
per
acci-
dens).
Sono ordinate essenzialmente a
queltintelletto
dal
quale dipen-
dono
per
il loro essere (secundum suum esse);
accidentalmenteall'intel-
letto dal
quale
sono
conoscibili. Come se
dicessimo:
la
casa
importa
relazione essenziale alla mente dell'architetto, e relazione accidentale
a un altro intelletto da cui non
dipende
nell'essere.
Ora, una cosa non
si
giudica gi
in base a
quello
che le convieneaccidentalmente, ma in
base
a
quello
che le si addice essenzialmente:
quindi ogni
cosa si dice
vera assolutamente
per
il
rapporto
che ha
con
l'intelligenza
dalla
quale dipende
(ras
dicitur vera
absolute secundum ordinem ad intellectum
a
quo
dependet).
Perci i
prodotti
delle arti si dicono veri in ordine al
nostro intelletto; vera si dice infatti
quella
cosa
che
riproduce
la forma
che nella mente dell'architetto; vere le
parole, quando esprimono
un
pensiero
vero. Cos le cose
naturali si dicono vere
in
quanto
attuano
la
somiglianza
delle
specie
che sono nella mente di Dio:
per
es.,
si
dice vera
pietra, quella
che ha la natura
propria
della
pietra,
secondo
la concezione
preesistente
nella mente divina.11
La verit
ontologica
accidentalesi chiama anche
intelligibilit,
termine
questo
che
esprime meglio
il fatto dellattitudine delle cose a diventare
pensiero
che non
l'espressione
verit
ontologica
accidentale,
perch
dice i es licitamente la ertura delle cose ris etto alla nostra men-
o
p
u
P
u
p p
n
te, in cui consiste essenzialmente la Verit dell'ente, come
ha iustamente
8
1) In I Perih. lect. 3, nn. 28-29.
11) S. Th.
I, 16,
1. Altri
passi importanti
sulla verit
ontologica
si
possono
trovare nel
De Z181. 1,
2 e 4;
In I Sent.
19, 5; C. G. I,
60-62.
I trascendentali
571
affermato
Heidegger,
il
quale per
non si
preoccupato
di trovare una
spiegazione
e un fondamento di
questa
verit. Invece S. Tommaso ha
sco-
perto
e
ha rivelatoil
suo ultimo fondamento: le cose sono vere e
intelligibi-
li
perch
il loro essere consiste anzitutto nell'essere conosciute: noi le
pos-
siamo conoscere
perch
sono
gi
state conosciute da Dio. Nella metafisica
di S. Tommaso
lntelligibilit
delle
cose,
la loro
apertura",
la loro verit
non nasconde nulla di misterioso: una
propriet primaria,
universale,
trascendentaledell'ente: l'ente essenzialmente
intelligibile,aperto,
vero.
Secondo
lAquinate
la verit
ontologica
essenziale convertibilecon
l'ente. La
ragione
che
questa
verit, come si
Visto, non dice altro che
l'ente stesso considerato in
rapporto
all'esse
ipsum
subsistens,
rapporto
che
gli

essenziale, ma
che sotto
l'aspetto
della conformit
non
esplici-
tato dal termine ente ma soltanto dal termine verit. Tra ente e vero
per-
tanto non si d
nessuna distinzionereale -
quanto
alla realt
sono
perfet-
tamente convertibili
-;
c' solo
una
diversit di concetti e
quindi
di
con-
notazioni. Ente dice
partecipazione
all'essere, mentre verit dice che tale
partecipazione
all'essere avviene secondo le
esigenze
della
propria
essenza,
la
quale
a sua
volta trova la
sua misura nell'esse
ipsum
subsistens,
cio nella mente divina.
Perci fondamento ultimo della verit delle cose come dell'unit
l'esse
ipsum.
Infatti le
cose sono
intelligibili
e vere nella misura in cui
sono in atto. Ma abbiamovisto che
qualsiasi
atto ha la
sua
radice ultima
nell'esse
ipsum,
che l'attualit di tutti
gli
atti.
Quindi
le cose sono intel-
ligibili
e vere nella misura in cui
partecipano
all'essere.
Da
quanto
abbiamo
esposto
risulta che nella
spiegazione
della verit
dell'ente
(verit
ontologica
essenziale)
S. Tommaso molto
pi
vicino a
Platone che ad Aristotele
(il
quale
non esibisce alcuna
ragione
della verit
ontologica
delle
cose). Per,
ponendo
a ultimo fondamento della verit
ontologica
l'asse
ipsum
Tommaso abbandona anche la soluzione
speculati-
va
di Platone
e
propone
una teoria
nuova,
assolutamente
originale.
Bont
I1 termine bene
(bonum)
dice la conformit all'ente
con la facolt
appetitiva
(convenientiamentis ad
appetitum),
come si
legge
all'inizio
dell'Etica: ilbene ci che
ogni
cosa desidera".12
Per,
precisa
Tomma-
so,
la definizione "il bene ci che
ogni
cosa desidera" non va
presa
nel senso che
qualunque
bene sia da tutti
desiderato, ma nel
senso
che
tutto ci che desiderato ha
ragione
di bene.13
12) De ver. 1,
1.
13) S. Th.
l, 6, 2,
ad 2.
572 Parte seconda
La dottrina tomistica della bont trascendentale ricalca da vicino
quella
della verit
ontologica.
In entrambii casi si tratta di una
relazione
logica
(fondata
nella realt delle
cose):
nella verit come
abbiamovisto
la relazione dell'ente
all'intelligenza
e
dice conoscbilite
conformit
della conoscenza
secondo la misura di realt contenuta nell'ente (verit
ontologica
accidentale) e conformit dell'ente con l'idea della mente da
cui trae
origine
(verit ontologica
essenziale).
Nella bont la relazione
dell'ente alla volont e dice
Pappetibilit
dell'ente da
parte
della volon-
t. Anche
per
la volont occorre
distinguere
tra bont
ontologica
essen-
ziale e bont
ontologica
accidentale. La
prima

lappetibilit
dell'ente
da
parte
dell'esse
ipsum
subsistens,
cio da
parte
di Dio che colui che
pone
in atto l'ente: una
relazione essenziale
perch
senza
di essa
l'ente
svanisce. La seconda
l'appetibilt
dell'ente da
parte
della volont
umana o
di
qualche
altro essere
intelligente:
accidentale
perch
l'essere
dell'ente non
dipende
dalla nostra
appetibilit.
S. Tommaso dimostra che tutte le
cose sono dotate oltre che di bont
ontologica
accidentale anche di bont
ontologica
essenziale. Infatti
essendo tutte frutto della volont divina, non
possono
non avere con
essa un
rapporto
di
convenienza,
di
appetibilit,
di amore.
Dio ama tutti
gli
esseri esistenti (omnia
existerztia amat), perch
tutto
ci che esiste in
quanto
esiste
buono;
infatti l'essere di ciascuna cosa
e un bene, come un
bene del resto
ogni
sua
perfezione.
Ora la
volont di Dio causa di tutte le cose e
per conseguenza
ogni
ente ha
tanto di essere e
di bene nella misura che
oggetto
della volont di
Dio.
Dunque
a
ogni
essere esistente Dio vuole
qualche
bene. Perci,
siccome amare
vuol dire volere a uno
del
bene,
evidente che Dio
ama tutte le cose
esistenti. Dio,
per,
non ama come
noi. La nostra
volont infatti non causa
il beneche si trova nelle cose (voluntas
nostra
non est causa
bonitatis rerum);
al contrario mossa
da esso come
dal
proprio oggetto;
e
quindi
il nostro amore con
il
quale vogliamo
del
bene a
qualcuno
non causa
della bont di
costui,
che anzi la di lui
bont, vera 0
supposta, provoca
l'amore che ci
spinge
a
volere che
gli
sia mantenuto il bene che
possiede
e
acquisti quello
che
non ha, e ci
adoperiamo
a
tale
scopo.
L'amore di Dio invece infondee crea
la bon-
t delle cose (Deus
omnia
quae
sunt amat).15
'4) Stranamente
gli
scolastici,
anche i
pi
recenti e
meglio
informati,quando
tratta
no
della bont
ontologica ignorano
la distinzionetra bont
ontologica
accidenta-
le ed essenziale e sembrano ammettere soltanto la
prima.
Nessuna
meraviglia
poi
che le loro dimostrazioni che la bont un
trascendentale siano cavillose.
E naturale che sia
cos, perch pretendono
di
provare
la trascendentalit di una
relazioneaccdentalel.
15)
S. Th.
I, 20,
2. Cf. itesti
paralleli:
In II SEH. 26, 1;
C. G. I, 111;
De ver. 27, 1;
In Ioan
c. 5,
lect. 3;
In Div. 110m. c. 4,
lect. 9.
I trascendentali
573
Anche la bont
come la verit una
facciatadell'ente da cui differisce
soltanto
logicamente,
non realmente: il bene
e l'ente si identificano
secondo la
realt, ma differiscono secondo il concetto
(differunt
secundum
rationem
tantum). Eccone la dimostrazione. La
ragione
di bene consiste
in
questo,
che
una cosa desiderabile
(quod
sit
appetibile).
Infatti Aristo-
tele dice che ilbene ci che
ogni
cosa desidera".
Ora,
chiaro che
una cosa desiderabilenella misura in cui
perfetta, perch ogni
cosa
vuole la
propria perfezione.
Ma
una cosa
perfetta
in
quanto
in
atto, e
cos evidente che
una cosa in tanto buona in
quanto

ente;
l'essere
infatti l'attualit
d'ogni
cosa (esse
est actualitas omrzis
rei), come
appare
da
quanto
si detto in
precedenza.
E cos si dimostra che ilbene
e l'esse-
re s identificano
realmente; ma il bene
esprime
il concetto di
appetibile
(bonum dicit rationem
appetibilis),
non
espresso
dallente.16
Anche nell'analisi della bont
trascendentale, come
gi per quella
della verit
ontologica,
Tommaso
pi
debitore a Platone che ad Aristo-
tele. Infatti lo
Stagirita
ammette s che Dio il
supremo
beneattorno al
quale gravita
tutto l'universo, ma
per
Dio stesso le
cose non sono buone,
in
quanto
non le
conosce,
non le
vuole, non le
crea. Invece secondo
Platone le
cose sono buone anche
per
il
Demiurgo perch questi
som-
mamente buono
e l'effusione della
propria
bont l'unica
ragione
della
creazione delle
cose: Buono
egli
; e mai in chi buono
senso alcuno di
invidia,
per
nessuna
cosa,
viene
insorgendo.
Siccome
egli
remoto di
invidia, cos volle che
ogni
cosa fosse
per
massimo
grado
a lui somi-
gliante
(...). Iddio volle
dunque
che l'universalit delle cose fosse buona
e
che
per quanto possibile,
nullo fosse il malemlfi -
S. Tommaso sottoscrive
l'insegnamento
di Platone solo in
parte,
in
quanto
dice che le cose sono buone
perch partecipano
della bont del
Demiurgo,
Dio. Per il resto lo rinnova facendofare alla bont
un
bagno
salutare nelle
acque
deIYesse
ipsum.
Da
questo bagno
la dottrina della
bont
esce trasformata
su due
punti importanti:
a)
la bont
a cui le
cose
partecipano
non unIdea
ma Dio
stesso; b)
la bont
non costituisce il
fondamento ultimo della realt n nelle
cose n in Dio stesso: essa
rimanda a un
principio superiore,
allesse
ipsum,
che la
perfezione
suprema,
la
perfectio
omnium
perfectionum,
di cui la bont
non dice che
un
aspetto: quello
di
essere
appetibile
dalla volont
e
di
appagarla.
16) S. Th.
I, 5,
1.
17)
Stillbrigine
della dottrina tomistica della bont trascendentalesi veda E.
GILSON,
Elements
ofChristian Philosophy,
New York
1959,
pp.
153-157.
18) PLATONE, Timeo
28, tr. Turolla.
574 Parte seconda
Unit,
verit e
bont sono
secondo S. Tommasole
pi importanti pro-
priet
trascendentali dell'ente e dell'essere, ma non sono le sole. In alcu-
ne enumerazioni!
lAquinate
fa
figurare
tra i trascendentali anche la ras
(cosa) e
aliquid (qualcosa).
Per
quanto
mi risulta non esiste invece in
Tommaso nessuna
enumerazione dei trascendentali in cui
comprenda
anche la bellezza
(pulchrum)
e il valore (valor,
dignitas).
Ma da
quanto
egli
dice intorno alla bont e
alla verit e
dagli argomenti
che
egli
addu-
ce
per
dimostrare che si tratta di
propriet
che
appartengono
all'ente in
quanto
ente e
all'esse
ipsum
(e non
soltanto a un
gruppo
particolare
di
enti, come
accade alle
categorie),
si
pu agevolmente allargare
il
quadro
tomistico dei trascendentali e includervi anche la bellezza e
il valore,
come
hanno
proposto
di fare alcuni tomisti
contemporanei.
Si visto che i trascendentali non sono
qualit
che
aggiungono qual-
cosa
all'ente
o
all'essere realmente ma
soltanto
logicamente:
si tratta
infatti di relazioni che mettono in risalto un
determinato
rapporto
del-
l'ente o dell'essere con le facolt
spirituali
dell'uomo: la verit evidenzia
il
rapporto
di
intelligibilit
che hanno con l'intelletto; mentre
la bont
esplicita
il loro
rapporto
di
appetibilit
che hanno
con
la volont. Se
S.
Tommaso, come Aristotele,
Avicennae
gli
altri filosofi antichi
prima
di lui e Cartesio, Campanella,
Leibniz e
tanti altri moderni
dopo
di lui,
limitano i trascendentali relativi alla verit e
alla bont
perch
nella
sua
psicologia
intelletto e
volont sono le uniche facolt
spirituali
del-
l'uomo.
Ma a
partire
da Kant tra le facolt
spirituali
si fa entrare anche il sen-
timento,
al
quale
si
assegnano
due funzioni fondamentali: la funzione
della
percezione
del bello (funzione estetica) e
la funzione della
perce-
zione del valore
(funzione assiologica).
In tal modo anche il bello e
il
valore
vengono
a trovare una
precisa
collocazione nel
quadro
dei tra-
scendentali. Il bello la
prerogativa
dell'ente e
dell'essere di suscitare
un sentimento di ammirazione
(le cose
belle sono ammirate, e sotto
qualche aspetto
tutti
gli
enti e ancor
pi
l'asse
ipsum presentano
motivi
di ammirazione); mentre il valore la
prerogativa
dell'ente e dell'essere
di suscitare un sentimento di stima
(e non
vi ente che
non
sia
degno
di
stima).
Stabilitoil carattere trascendentaledella bellezzae del valore,
indivi-
duando la relazione
precisa
che tali
qualit
instaurano tra l'ente o l'esse-
re e l'uomo,
si
pu agevolmentecompletare
il discorso su
questi
due tra-
scendentali
applicando
al loro
caso
quanto
stato detto in
precedenza
a
proposito
della bont e
della
verit,
quando
si distinta una verit
19) Cf. De ver. 1,
1.
I trascendentali
575
(o bont)
ontologica
essenziale da
Lina
Verit
(0 bont)
ontologica
acci-
dentale. La distinzione
vale anche
per
la bellezza
e
per
il valore.
essen-
ziale
(o fondante
0
misurante)
la
bellezza dell'ente
quando

oggetto
delrammirazione di Dio.
Altrettanto dicasi del valore. Infatti l'ammira-
zione e Yestirnazioneche
nutre l'asse
ipsum subsistens, Dio,
per gli
enti
determina il loro valore
e la loro bellezza. Mentre accidentalela bellez-
za che
oggetto
della nostra
ammirazione;
ed accidentaleil valore che

oggetto
della nostra estimazione. Gli enti
sono
oggettivamente
belli
e
sono
oggettivamente
validi anche
se non c'
nessun uomo che li ammira
o che li stima.
576
TOMMASO
D'AQUINO:
LA
CREAZIONE,
LA PROVVIDENZA
E L'ORDINEDELLUNIVERSO
Ne1ledificiometafisico di S. Tommaso il discorso sulla creazione vie-
ne alla fine. In entrambele Summae esso viene
posto
a coronamento del
discorso
su
Dio. Tutto
questo

perfettamente
in linea con le
esigenze
di
una
metafisica costruita dal basso.
L'originedegli
enti l'obiettivo
principale
della
metafisica,
ed stato
perseguito appassionatamente
dai metafisici di tutte le
epoche prima
e
dopo
il cristianesimo. Ma
per
raggiungerlo
necessario anzi tutto inter-
rogarsi
sulla natura dell'ente e dell'essere,
dimostrare che esiste l'Essere
sussistente, conoscere
i suoi
attributi,
le sue
perfezioni,
i suoi
poteri,
e
provare
che in
grado
di
progettare
un universo e
di Volerne l'esistenza,
Il Dio di S. Tommaso un
Dio
creatore,
provvidente
e
ordinatore.
La dottrina della Creazione faceva
gi parte
della metafisica sin dai
tempi
di
Filone;
successivamente venne
ripresa
da tutti i
pensatori
cri-
stiani. Ma nel terzo secolo d.
C.,
alla dottrina della Creazione i
neoplato-
nici affiancarono
quella
della emanazionee
la trasmisero ai filosofiarabi
(Al-Farabi,Avicenna, Averro). Cos,
quello
della creazione divenne
per
i filosofi cristiani del sec. XIII,
specialmente per
S.
Tommaso, uno
degli
argomenti pi
discussi di tutta la metafisica. I
punti pi
dibattuti erano
due: creazione
oppure
emanazione;
creazione ab aetemo
oppure
creazio-
ne nel
tempo. L'Aquinate
un
sincero creazionista e
quindi
rifiuta cate-
goricamente
la dottrina della emanazionema allo stesso
tempo
contro
la fortissima corrente
agostiniana guidata
da S. Bonaventura
-
egli
vede
di buon occhio
l'ipotesi
di
una creazioneab aetemo.
Anche nella
speculazione
sulla creazione
l'Ange1ico
fa valere il suo
concetto intensivo
dell'essere, e
questo gli
consente di eliminare tutta
quella
innumerevoleserie di sostanze o
di enti intermediari inseriti dai
neoplatonici
nella
spiegazionedell'origine
delle
cose (dalYUno).
La nozione di creazione
Quale
sia il concetto tomistico di
creazione,
l'abbiamochiarito in
pre-
cedenza
parlando
del
principio
di causalit. Creare
significa
anche
per
S. Tommaso
productio
rei ex
rlihilosui et subiecti. La nozione di creazio-
La
creazione,
la
provvidenza
e
l'ordine dell'universo
577
ne
pone
l'accento sul nulla del
punto
di
partenza
(ex nihilo)
di ci che
oggetto
dell'azione creatrice. S. Tommaso mette bene in luce
quest'a-
spetto
di
origine
assoluta,
di salto
ontologico
radicale,
dalla condizione
del nulla alla condizione
dell'essere,
che ha
luogo
nella
creazione,
nella
seguente
definizione: La creazione la
produzione
di
qualche
cosa in
tutta la sua sostanza senza
che di
questa
ci sia
presupposto
alcunch sia
creato sia increato>>fl
A
proposito
del nulla che
costituisce,
secondo il nostro modo di
clire,.
il
punto
di
partenza
dell'azione creatrice, va
precisato
(e
S. Tommaso
non manca di
farlo)
che si tratta davvero del nulla e non
di
un orizzonte
tenebroso
o
di
un oceano caotico. Noi siamo tentati di entificare il nulla
(come
hanno fatto
Heidegger
e Sartre)
facendodi
esso
il
polo
contrario
all'essere. Ma ci che ha realt soltanto
l'essere; mentre il nulla asso-
lutamente
nulla,
tanto che la stessa
parola
nulla non affatto
nulla,
bens l'emissione di una voce o un insieme di lettere scritte. Il
nulla, se
facciamobene
attenzione,
assolutamenteineffabilee
incogitabile
e non
semplicemente
inconoscibile.Diventa cos evidente che ilmodo di
espri-
mersi e di intendere al
quale
siamo ancorati
quando
diciamo che il
punto
di
partenza
dell'universo il
nulla, resta
antropomorfico.
Noi
significhiamo
in
quei
termini l'emanazione
prima degli
esseri alla
maniera di
un
fieri
(un divenire),
d'un cambiamento
sopravvenute,
di
una
specie
di successione o movimento che
parte
dal nulla
per
sfociare
nell'essere. Ma in
nessun
modo la
creazione,
propriamente parlando,
pu
essere un cambiamento, un
fieri, per
la
semplice ragione
che
un
cambiamento
esige
due termini e
ogni fieri
in
un
soggetto.
Ora
qui
non
c' un
soggetto, poich
il
fieri
in
questione implica
tutto l'essere e
nulla
al di fuori dell'essere. E
nemmeno,
correttamente
parlando,
c'
punto
di
partenza, poich
la sola
immaginazione,
entificando surrettiziamenteil
nulla,
pu presentarlo
come un inizio. Tutto
quello
che si
pu
dire di
una tale azione che si tratta di una relazione
pura,
e
poich
non
si d
creazione
prima
del
creato,
si
capisce
che la relazione in
questione
non
una relazionebilateralema
unilaterale: una
relazione che
va
dal creato
a Dio e non viceversa. La
creazione,
dalla nostra
ragione concepita
come
una relazione intermedia fra il Creatore e
la
creatura,
in effetti
poste-
riore alla
creatura, come
ogni
relazione
posteriore
al
soggetto
che la
pone.
Solo in
quanto
indica Dio come
principio,
la creazione
pu
essere
riguardata
come anteriore,
logicamente,
all'essere del
mondo; ma sotto
questo aspetto, per
cos dire, non
pi
la stessa cosa. Nella sua realt
propria
la creazione una
relazione del creato ed
dunque posteriore
al
1) S. Th.
I, 65, 3.
578 Parte seconda
creato;
cos la
proposizione,
il mondo stato creato
significa
per
noi
due
cose e cio:
primieramente,
il mondo
e; secondariamente,
il mondo
dipende
dalla sua fonte.
Per
quanto
sconcertante,
questa
concezionesi
impone
manifestamen-
te a
chi si rende conto di
quel
che
pu
essere un cominciamentoassolu-
to. Un tale cominciamentonon
pu propriamente
chiamarsi
un cambia-
mento
sopravvenuto,
una successione di
stati, un
passaggio
dal nulla al-
l'essere. Solo la nostra mente
opera
un tale
passaggio,
se tenta di
rappre-
sentarsi
lirrappresentabile.
Non
potendo
considerare il
nonessere asso-
luto
se non sotto la
specie
dell'essere,
immagina
anche il nulla
e a
questo
fa succedere il mondo.
Oppure
dice:
primeramente
il mondo
non ,
secondariamenteil mondo
, senza avvedersi che il
primieramente
non
ha consistenza
alcuna;
che
ne
potrebbe
avere solo
se si trattasse di
un
non essere relativo, sostenuto da
una
potenzialit
reale.
Quello
che
non
nulla assolutamente
non
pu
assolutamente
precedere
nulla, e non c'
dunque
alcun
passaggio,
nessuna
preesistenza,
nemmeno
per quel
nulla
illusoriodi cui si
parla
come
di
una
realt!
L'effetto
proprio
della creazione lessere
e
questo
non
pu
avere
altra
causa
che colui che
gi
lo
possiede
in maniera
eminente,
perfetta,
cio l'Essere sussistente
stesso,
che Dio.
Infatti,
quanto pi
universale
un effetto, tanto
pi
elevata la sua causa
propria; perch
quanto pi
alta la
causa,
tanto
maggiori
sono
gli
effetti a cui si estende la
sua
virt. Ora l'essere
pi
universale del
divenire,
essendovi
degli
enti che
sono immobili,a detta anche dei
filosofi,come le
pietre
e simili. Occorre
dunque
che
sopra
la
causa che solamente
opera
muovendo e trasmutan-
do,
esista
quella
causa
che
principio primo
dell'essere
e
questa
non
pu
essere che l'Essere sussistente stesso.3 Cos risulta
parimenti
dimo-
strato che il
primo
effetto
prodotto
da Dio lessere
stesso,
perch
tutti
gli
altri effetti lo
presuppongono
e su di
esso si fondano. Perci neces-
sario che tutto ci che in
qualche
modo
esiste,
riceva l'essere da Dio.
L'azione creatrice
pertanto
un'azione
singolarissima,
non
soltanto
grazie
al
suo
artefice che
Dio, e
grazie
al suo effetto che e
lessere, ma
anche
grazie
alla sua immediatezza,
pervasivit,
incisivit, intimit,
inarrestabilit.Essa investe non soltanto il
cuore
oppure
la
superficie
degli
esseri, ma
li
attraversa e
li
pervade
totalmente da
capo
a
fondo.
Nulla di
quanto
un ente
possiede
si sottrae all'efficaciadell'azione crea-
tiva: materia e forma, sostanza e accidenti,
qualit
e azioni, strutture e
relazioni, sotto il
profilo ontologico
tutto si
regge
incessantemente sul-
l'azionecreatrice di Dio.
2) Cf. ibid, 45, 2-3.
3) C. G.
II,
16.
La
creazione,
la
provvidenza
e l'ordine dell'universo
579
Nellazionecreatrice Dio
segue
un ordine
logico
che ha
qualche
somi-
glianza
con l'ordine che si
registra
nelle
produzioni
umane: Dio contem-
pla
la sua infinita
essenza e
scorge
in
essa innumerevoli,infinite
possibi-
lit di
riproduzione; quindi
programma
una scelta tra le varie
possibilit
e,
infine, ne decreta liberamentel'attuazione. Solo che
mentre nelle
opere
umane l'ordine
comporta
una successione
temporale,
in Dio che
al di fuori
e
al di
sopra
del
tempo
non esiste
nessuna successione: Dio
opera
nell'eternjt
e nell'assolutaistantaneit.
Creando l'universo
Dio,
in
quanto intelligente
e libero,
si
propone
certamente
degli obiettivi,
i
quali
non
possono
essere diversi da lui stes-
so,
per
il
semplice
motivo che
prima
della creazione non esiste altro
essere dal
quale
e
per
il
quale
Dio
possa
essere indotto ad
agire.
Ma fina-
lizzarela creazione a se stesso,
alla
propria gloria,
non
ha
carattere
egoi-
stico
come si
potrebbe
pensare
a
prima
vista,
perch
proporre
Dio
come
ultimo
traguardo
esaltare al massimo le recondite
aspirazioni
che
ogni
creatura ha iscritte nel
profondo
del
proprio
essere. A
questo riguardo
vale la
pena leggere quanto
scrive S. Tommasonel De verimte:
Dio
principio
e fine di
ogni
cosa
e,
di
conseguenza,
ha
con le crea-
ture un
duplice rapporto: quello
secondo cui tutte le cose arrivano
all'essere
per
causa
sua,
e
quello
secondo cui tutte le
cose si
dirigono
a lui
come a loro ultimo fine.
Questo
secondo
rapporto
si realizza
nelle creature irrazionali diversamente che in
quelle
razionali: nelle
prime
si attua mediante l'assimilazione
(per
siam
assimilationis),nelle
seconde mediante la
conoscenza della divina
essenza oltre che
mediante l'assimilazione.Infatti in tutte le cose che
procedono
da Dio
insita l'inclinazione
verso
il bene da
conseguirsi
mediante
Yagire.
Ora nel
conseguimento
di
qualsiasi
bene la creatura si
rassomiglia
a
Dio. Ma le creature razionali
possono raggiungere
Dio oltre che
mediante
l'assimilazione,
anche
con l'unione mediante le
operazioni
del
conoscere e dell'amare, e
quindi
sono
maggiormente
in
grado
delle altre creature di
essere
felici.4
Quando
si
parla
della creazione c' ancora un
punto
da chiarire:
quel-
lo che
riguarda
la continuit dell'azionecreatrice di Dio.
Il
problema
era
gi
stato affrontato da S.
Agostino,
il
quale
l'aveva
risolto mediante la celebre dottrina delle
ragioni
seminali.
Agostino
prende
alla lettera il testo biblicoil
quale
dice che Dio cre tutto simul-
taneamente
(omnia simul
creavit).
Ci
significa
che Dio ha creato tutto
insieme un mondo destinato a
svolgersi
nel
tempo,
ossia ha dato inizial-
mente al mondo tutte le virtualit che nella storia dell'universo si sareb-
4)
De ver. 20,
4.
580 Parte seconda
bero andate
sviluppando
e
attuando.
Queste
virtualit
impresse
da Dio
nelle cose
al momento della creazione sono
chiamate da
Agostino ragioni
seminalz. Al momento della creazione,
oltre ai
corpi completi,
Dio ha
crea-
to i
germi
di tutte le cose future: Il mondo - scrive
Ylpponate
- come
una
donna incinta:
porta
in s la causa delle cose
che
verranno alla luce
nel futuro. Cos tutte le cose (di
tutti i
tempi)
sono state create da Dio.5
Come nel seme
di
un
albero sono
presenti
invisibilmentetutte le
parti
che si
svilupperanno
successivamente dall'albero
stesso,
cos fin dal-
l'iniziofurono
presenti germinalmente
nel mondo tutti i diversi
corpi.
S.
Tommaso,
collocando l'azione creatrice di Dio assolutamente fuori
(e non soltanto
prima)
dello
spazio
e del
tempo,
non
ha
bisogno
di ricor-
rere alle
ragioni
seminali
e
concepisce
la creazione come un evento
istantaneo e costante: l'azione
fulgidissima
di
un
sole eternamente im-
mobile
e
perennemente raggiante,
attorno al
quale
si
muove,
si distende
e
prende
forma tutto l'universo. Linfluss0
ontologico
di Dio sulle
sue
creature incessante. Essere creatura essere totalmente,
radicalmente
dipendente,
e
dipendente proprio
in ci che
pi
fondamentale e
pri-
mario, l'essere;
cosicch
questo
non
pu
mai diventare sua
propriet.
In
quanto
Esse
ipsum
Deus est universale
etfontale principium
omnis esse (Dio
il
principio
universale e
fontale di
ogni
essere).5
La stessa divina
sapienza
causa
efficiente
(efiectiva)
di tutte le
cose,
e non soltanto d
alle cose l'essere, ma anche,
nelle
cose,
l'essere con ordine,
in
quanto
le
cose si concatenano l'una
all'altra,
in ordine al fine ultimo. E ancora
Causa della indefettibilitdi
questa
armonia e
di
questo
ordine,
che
sem-
pre
rimangono,
in
qualsiasi
modo mutino le cose?
Oltre che
dell'apporto
delle rationes
seminales,
ai
tempi
di S. Tommaso
si discuteva della
possibilit
della collaborazione
degli angeli
nella crea-
zione.
Uipotesi
era stata fatta da
Platone,
il
quale
nel Timeo
parla
di
Potenze che collaborano con
il
Demiurgo
nella
produzione
del mondo
materiale;
nel medioevo
essa aveva incontratoil favore di alcuni filosofi
mussulmani ed ebrei. S. Tommaso trova
questa ipotesi
del tutto inam-
missibile,
perch
Dio nella creazionenon
ha
bisogno
n di aiutanti n di
intermediari. Ecco lacuto
ragionamentodellAngelico:
La causa seconda strumentale non
prende parte
all'azione della
causa
superiore
se non
in
quanto coopera,
mediante una sua
peculia-
rit, a
disporre
un
soggetto
all'azione
dell'agente principale.
Ma se
non causasse
nulla di ci che forma la sua
peculiarit,
il
suo
impiego
5) AGOSTINO,
De Trinitate2,
l.
9, c.
16.
5) De sub.
sep.
c.
I4.
7)
In Div. Nom. c. 7,
lect.
4, n. 733.
La
creazione,
la
provvidenza
e l'ordine deZli-niverso
581
nell'azionesarebbe
inutile, e non ci sarebbe affatto
bisogno
di deter-
minati strumenti
per
determinate funzioni. Vediamo invece che la
scure
tagliando
il
legno,
funzione che deriva dalla
sua
forma caratte-
ristica,
coopera
a
produrre
la
figura
della
seggiola,
che effetto
pro-
prio dell'agente principale
(cio
dell'artigiano).
Ora
l'essere,
che
l'effetto
proprio
di Dio nel
creare,
e il
presupposto dogni
altra cosa.
Perci non si
pu
dare alcun
apporto
a modo di
disposizione
o
di
strumento
per
ottenere
questo
effetto, non
dipendendo
la creazione
da
un
prerequisito qualsiasi,
il
quale possa
ricevere da
una causa
strumentale la
disposizione
a
quell'atto.
Quindi non
possibile
che
una creatura abbia la facolt di
creare,
n
per
Virt
propria
n come
strumento n
per delegazionemg
LIBERTDELLA CREAZIONE
La creazione frutto esclusivo della
bont,
della
sapienza
e della vo-
lont di
Dio, non essendoci nulla nella creatura
(dato
che
ancora non esi-
ste)
che lo
possa
indurre alla creazione. Pertanto la creazione e unazione
assolutamentelibera. Il creatore
per
S. Tommaso il Dio
cristiano, non
l'Un0 inscrutabiledi
Plotino,
il
quale
subisce
per
necessit naturale l'e-
manazione. I1 Dio di S. Tommaso e 1Esse
ipsum
subsistens dotato di in-
finita
intelligenza
e
di assoluta libert. S. Tommaso
argomenta
la libert
della creazione
partendo
sia dalla natura della causa sia dalla
qualit
del-
l'effetto. Da
parte
della
causa nota che
agire
necessariamente
proprio
delle cause naturali; ma Dio non una causa naturale;
quindi
non
agi-
sce
per
necessit di
natura;
ma
dall'infinita
sua
perfezione procedono
ef-
fetti determinati in conformit della determinazionedel
suo volere e del
suo
intelletto.9
Analoga
la conclusione che
egli
ottiene
guardando
al-
l'effetto: La stessa verit si dimostra dal
rapporto degli
effetti
con
la
cau-
sa. Gli effetti derivano dalla causa
agente
in
quanto preesistono
in
essa;
perch ogni agente produce qualcosa
che
gli somiglia.
Ma
gli
effetti
pree-
sistono nella
causa secondo il modo di essere della medesima.
Perci,
sic-
come l'essere di Dio si identifica con la
sua
intelligenza, gli
effetti
preesi-
stono in lui come
intelligibli.
Quindi
deriveranno
pure
da lui alla stessa
maniera. Per
conseguenza
deriveranno
come
oggetto
della volont:
per-
ch
appartiene
alla Volont
l'impulso
a
compiere quello
che stato con-
cepito dallintelligenza.
Quindi
la volont di Dio causa delle cose.1
8)
s. m.
1,45, 5.
9) 112211., 19,
4.
10) Ibid.
582 Parte seconda
LA POSSIBILITDl UNA CREAZIONE ETERNA
Una delle
dispute pi
accese a
Parigi
ai
tempi
di S. Tommaso
riguar-
dava l'eternit del mondo e
quindi
la
possibilit
di
una creazioneab aeter-
no. Aristotele aveva
insegnato
l'eternit del
mondo,
Averro e
i suoi di-
scepoli
sostenevano la tesi dell'eternit della creazione. Uno dei critici
pi
tenaci della tesi della creazione ab aeternoera S. Bonaventura,
il
quale
non la
giudicava
soltanto contraria alla
fede, ma
anche assurda in se stes-
sa,
e cos
pretendeva
di dimostrare la verit della creazione nel
tempo.
Secondo Bonaventura la creazione ab aeterno un concetto contradditto-
rio, perch postula
una serie infinita di
cause e una
serie infinita di
gior-
ni. Su
questo punto,
come su tanti
altri,
S. Tommaso dissente nettamente
da S. Bonaventura.
Egli
non mette in dubbio
l'insegnamento
della Scrit-
tura circa la
temporalit
del mondo ma
nega
che la
temporalit
del mondo
sia razionalmentedimostrabile: si tratta
semplicemente
di
una verit di
fede,
che
va accettata
per
fede come
i misteri della Trinit
e
dell'In-
carnazione. La sua indimostrabilitrisulta dall'esame sia dell'effetto
(il mondo),
sia della causa (Dio). Dio,
essendo
eterno,
ha certamente
po-
tuto causare
da
sempre.
Quanto
al
mondo,
perch
sia
creato,
si
esige
sol-
tanto che sia tratto dal nulla
(ex nihilo) e non
che sia
prodotto
nel
tempo.
Che il mondo non
sia
sempre
esistito si tiene soltanto
per
fede, e non
si
pu provare
con
argomenti
convincenti (demonstrative
probari
non
potest):
come
sopra
abbiamo affermato a
proposito
del mistero della
Trinit. E la
ragione
si che il cominciamento del mondo non
pu
essere dimostrato
partendo
dal mondo medesimo. Infatti
principio
della dimostrazione
(deduttiva e
apodittica)
l'essenza stessa d'una
cosa. Ora,
quanto
all'essenza sua
specifica ogni
cosa astrae dalle cir-
costanze di
luogo
e
di
tempo;
e
per questo
si dice che
"gli
universali
sono
dovunque
e
sempre".
Quindi non si
pu
dimostrare che l'uomo,
il cielo o le
pietre
non
siano
sempre
esistiti. - Parimenti non si
pu
dimostrare la
cosa
neppure
partendo
dalla causa efficiente, se
questa
opera per
liberoarbitrio. Infatti non si
pu investigare
razionalmente
quale
sia la volont di
Dio, se non a
proposito
di
quelle
cose
che
assolutamente necessario che lui
voglia:
ma non
appartiene
a
questo
genere quanto egli
vuole
riguardo
alle
creature, come
si e
spiegato.
La volont divina
pu
essere invece manifestata all'uomo
per
rivela-
zione,
sulla
quale appunto
si fonda la fede.
Quindi
che il mondo ha
avuto inizio cosa
da
credersi, ma non
oggetto
di dimostrazioneo di
scienza.
- E
questa
e una cosa
che
bisogna
tener
presente, perch qual-
cuno, presumendo
di dimostrare ci che soltanto di
fede, non abbia
da
portare argomenti
che
non
provano,
e
offrire cos materia di deri-
sione a coloro che
non credono facendoloro
supporre
che noi si cre-
dano le cose
di fede
per
argomenti
di
questo genere.
'11) S. Th.
I, 46,
2. Oltre che nella Summa la
questione
dell'eternit del mondo
affrontata -
con una vena
polemica
inconsueta
nell'Angelico
-
nellopuscolo
De aeternitate mundi contra murmurantes
(i
murmumntes erano i
teologi parigini
La
creazione,
la
provvidenza e l'ordine dell'universo
583
Stupenda
la
replica
di S. Tommaso allobiezionesecondo cui l'eter-
nit del mondo sarebbe
impossibileperch
essa
suppone
una infinit di
cause e di
giorni.
Essa merita di
essere
riportata integralmente:
Nella concatenazioneessenziale
(per se) non si
pu
retrocedere allin-
finito
(impossibile
est
procedere
in
infinitum);
come sarebbe nel
caso che
si
moltiplicassero
le
cause che
sono essenzialmente richieste
per
un
dato
effetto;
se,
p.
es.,
la
pietra
fosse
mossa dal
bastone, e il bastone
dalla
mano e cos via all'infinito. Ma non assurdo che si
possa
retro-
cedere all'infinito nella concatenazione
non essenziale
(per accidens)
delle
cause efficienti; nel
caso cio che tutte
quelle
cause
moltiplicate
all'infinito
non abbiano che
un solo
rapporto
causale
(appartengano
cio allo stesso ordine
causale), e
che la loro
molteplicit
sia soltanto
qualche cosa di
meramente accessorio e occasionale; come
per
es. che
un
artigiano compia
la sia
opera
con molti
martelli,
per
la sola combi-
nazione che
se ne
rompe
uno
dopo
l'altro. Nel
caso indicato
capita
a
questo
martello di
agire per
combinazione
dopo
un altro martello. E
cos a
questo
uomo
capita pure
di
essere
generato
da
un altro: infatti
egli
genera perch uomo,
e non
perch figlio
di
un altro
uomo; perch
tutti
gli
uomini sono sullo stesso
piano
nella scala delle
cause efficien-
ti,
che il
grado particolare
di coloro che hanno la virt di
generare.
Perci non assurdo che
un uomo sia
generato
dall'altro allindefini-
to. Sarebbeinvece assurdo
se la
generazione
di
quest'uomo dipendes-
se da
quest'altro uomo, quindi
dalla
sua materia
elementare,
poi
dal
sole e cos di
seguito
all'infinjto.1
Con la tesi della non-dimostrabilitdella
temporalit
del
mondo,
S. Tommaso si
preoccupato
di
non confondere ci che si deve ritenere
per
fede
con ci che si
pu provare
con la
ragione, salvaguardando
cos
quella
distinzione formale dei due
campi,
che costituisce
uno
dei
capi-
saldi del
suo
pensiero.
della
corrente
agostiniana).
Come
spiega
S.
Tommaso, ridotta all'osso la
questio-
ne vuole
sapere
se tra le
proposizioni
essere creato da Dio
integralmente
(secundum totam
substantiam) e non avere inizio
rispetto
alla durata
(durationis
principium)
esiste contraddizione
oppure
no.
L'argomento
fondamentale
con
cui
lAngelico
esclude la contraddizione il
seguente:
Nessuna
causa che
pro-
duce il suo effetto
immediatamente,
precede
il suo effetto nel
tempo.
Ma Dio
una causa che
produce
il
suo effetto non attraverso un movimento, ma imme-
diatamente. Perci non necessario che
preceda
il
suo effetto nel
tempo
(Nulla
causa
produccns effecturri suunz subito, necessarie
pracccdit cjectum suum duratione.
Sed Deus est causa
producens efiecturri
suum non
per
motum,
sed subito.
Ergo
non est
necessarium
quod
duratione
praeccdat eficctum suum) (n. 299).
l?) S. Th.
l, 46, 2,
ad 7.
584 Parte seconda
La divina
provvidenza
e
il
problema
del male
La
provvidenza
consiste nella sollecitudine
paterna
e amorosa con
cui Dio
segue
le sorti delle
singole
creature e
di tutto l'universo e
nell'as-
sistenza costante che
presta
loro affinch
possano
raggiungere quella
piena
realizzazionedel
proprio
essere (felicit)
cui sono
chiamate. Sic-
come
Dio e causa
delle cose
mediante l'intelletto e
quindi
la
ragione
di
ogni
sua
opera
preesiste
necessariamentein
lui, ne viene di necessit che
l'ordinamentodelle cose
al loro fine
preesiste
nella mente divina.
Ora,
la
provvidenza
consiste
precisamente
in
questo predisporre gli
esseri al
loro fine
(ratio
ordinandorum in
finem, proprie providentia
est).'3
La
provvi-
denza divina si affianca alla creazione
e,
in certo
qual
modo,
la
comple-
ta. Mentre la creazione
porta
all'essere tutto ci che
ne

privo,
la
prov-
videnza interviene
per
dare un
ordine alle creature e
per
conservarlo.
Con la creazione Dio situa nell'orbitadell'essere le
creature, con
la
prov-
videnza le
accompagna
e assiste
perch possano
realizzare
quel gran-
dioso
piano
che la mente divina
disegna per
l'universo cosmico,
per
l'u-
niverso
spirituale
e
per
l'universo umano.
Perci il termine
provviden-
za non
indica soltanto la
cooperazione,
il
concorso,
Fazione continuata
con
cui Dio mantienenell'essere le
proprie
creature, ma
implica
anche la
ragione
di
scopo,
di
progetto:
il concorso
di Dio teso a realizzare
quel
progetto
che
Egli
stesso ha
predisposto
sia
per
le
singole
creature sia
per
luniverso intero.
Che
Dio,
oltre che
creatore,
sia anche
provvidente,
un
convincimen-
to
ampiamente
condiviso non
solo da tutte le
grandi religioni
ma
anche
da molte filosofie.C' un concetto di
provvidenza persino
nelle filoso-
fie
pagane
degli
stoici e
dei
neoplatonici
che
pure ignoravano
la dottrina
della creazione. Solo i deisti del sec.
XVIII cominceranno a
dissociare li-
dea di
"provvidenza
da
quella
di
creazione,
ritenendo in tal modo di
mettere Dio al
riparo
dai
problemi
del male e della libert.
La
provvidenza
divina, come
la
creazione,
anzitutto verit di fede
che
gli
uomini hanno
appreso
da Dio stesso attraverso la storia della sal-
vezza;
ma
poi
ha
acquisito
anche un solido e
robusto
spessore
razionale
grazie
alla assidua e acuta
speculazione
dei Padri della Chiesa e
degli
Scolastici. Verit basilare della rivelazione biblica,
la
provvidenza

diventata
logicamente
tema costante della filosofiacristiana,
la
quale
un
po
alla volta le ha conferito una caratura razionaledi indiscusso valore.
Della
provvidenza
si sono
occupati
anzitutto i Padri della Chiesa,
in
particolare
Clemente Alessandrino,
Origene, Gregorio
Nisseno,
Ambro-
13) Ibia, 22,
l.
La
creazione,
la
provvidenza
e l'ordine dell'universo 585
gio, Agostino,
Boezio. L0 studio della
provvidenza
venne
poi ripreso
e
ulteriormente
approfondito
dai
grandi
maestri della Scolastica: S. Ber-
nardo,
S. Alberto
Magno,
S. Bonaventura
e S. Tommaso.
Il Dottore
Angelico
nel
pieno
ful
gore
della Scolasticaoffre una tratta-
zione
completa
del mistero della
provvidenza, esplorandone
attenta-
mente tutti
gli aspetti:
dall'esistenza alla
natura,
dalla estensione al
modo,
dando il
giusto peso
alle varie obiezioni che si
possono
addurre
Contro di
essa,
in
particolare
le obiezioni del
male,
del Caso e della li-
bert. Nella
questione
22 della Prima Pare della
Summa,
che interamen-
te dedicata alla
provvidenza (De
proziidentia
Dei),
lAquinate
affronta i
seguenti quesiti:
1. Se in Dio
possa
esserci
provvidenza;
2. Se tutte le
C0-
se siano
soggette
alla divina
provvidenza;
3. Se la divina
provvidenza
si
occupi
immediatamentedi tutte le
cose;
4. Se la
provvidenza
renda
ne-
cessario tutto
quello
a cui
provvede.
Secondo S.
Tommaso, Dio,
essendo
creatore,
e anche
provvidente.
Infatti,
poich
Dio causa di tutte le cose
mediante la
sua
intelligenza,
necessario che
preesista
nella mente divi-
na la
ragione
dellordine delle
cose verso il fine: nel che
appunto
consi-
ste la
provvidenza.
Essa
comprende
due
cose: la
ragione
dell'ordine,
che
la
provvidenza propriamente
detta, e l'esecuzione
dell'ordine,
che il
governo
delle
cose. Dio
provvede
a tutte le cose senza distinzione
conce-
dendo a ciascuna
quella
assistenza che conforme alla
sua natura. Dio
provvede
immediatamente
a tutto, perch
nella
sua mente ha l'idea di
tutti
gli
esseri,
anche dei
pi piccoli,
e a tutte le
cause
che ha
prestabilito
per produrre degli
effetti,
ha dato la
capacit
di
produrre quei
dati effet-
ti.14 La causalit di
Dio,
il
quale
e
l'agente primo,
si estende a tutti
gli
esseri non
solo
quanto
ai
principi
della
specie,
ma anche ai
principi
indi-
viduali,
sia delle
cose incorruttibili,sia delle
cose corruttibili.
Quindi

necessario che
tutto ci che in
qualsiasi
modo ha
l'essere, sia da Dio
ordinato al
suo fine.15 E non
per questo scompare
dal mondo il fortuito
e
il
casuale, come non
scompare
il
contingente
e
il
libero, essendo nel di-
segno
stesso di
Dio,
che alcuni effetti siano fortuiti
rispetto
alle loro
cause
prossime.
La
provvidenza
non elimina il fortuito
e il
casuale, ma
lo fa
essere nelle
cose con
l'efficaciadella
sua causalit. anch'esso
un
modo di
essere,
e
dunque
viene dalla fonte
prima
dell'essere. Con
gran-
de lucidit
e
rigore
S. Tommaso mostra linc0nsistenza delle obiezioni
che si
appellano
al male e alla libert
per
mettere in discussione la
prov-
videnza. Il
male,
ricorda il Dottore
Angelico,
non un modo di
essere,
ma
privazione
di entit e di ordine al fine. E tuttavia entra nei
disegni
14) lbid.,
3.
15) 11nd,,
2.
586 Parte seconda
della
provvidenza
universale
per
una somma
maggiore
di benenel crea-
to.
fatto servire a un
ordine
superiore pur
essendo disordine. Sebbe-
ne
il
male,
in
quanto
esce
dallagente proprio
sia cosa disordinata, e
sotto
questo aspetto
si definisca come
privazione
di ordine,
ossia disor-
dine,
nulla
impedisce
che da un
superiore agente
sia introdotto in un or-
dine;
ed cos che cade sotto la
provvidenza.16
Ancor meno
costituisce un
argomento
contro la
provvidenza
la
libert
umana, perch quanto
all'essere
anche
questa dipende
totalmen-
te da
Dio,
il
quale per
assiste l'uomo senza
fare violenza alla sua
libert.
Proprio
della
provvidenza
divina
governare
tutte le creature
secondo la loro
natura,
in modo conforme al
disegno preconcepito.
Ci sono
nell'universo effetti necessari, perch
Dio ha voluto e
ha
posto
nell'essere cause necessarie; e ci sono
effetti liberi
perch
Dio ha voluto e
posto
nell'essere cause
che
operano
liberamente. Effetto della
provvi-
denza divina non soltanto che una cosa
avvenga
in un
modo
qualsiasi;
ma
che
avvenga
in modo
Contingente
o necessario. Perci
quello
che la
divina
provvidenza
dispone
che
avvenga
infallibilmentee
necessaria-
mente,
avviene infallibilmentee necessariamente;
quello
che il
piano
della
provvidenza
divina
esige
che
avvenga
in modo
contingente,
avvie-
ne in modo
contingente?
L'ordine della
provvidenza
certo e
infallibi-
le, ma
questa
certezza e infallibilit,
proprie
dell'essere di
Dio, non
intaccano minimamente le condizioni
proprie
e le
qualifiche specifiche
delle varie creature che
possono
essere sia necessarie sia
contingenti
(libere).
L'ordine della
provvidenza
Certo e immobile,
perch
le Cose
cadono sotto di essa non soltanto
secondo il loro essere sostanziale, ma
altres secondo il loro
proprio
modo di essere.
Ora
contingente
e neces-
sario sono
due modi di essere
conseguenti
all'essere
creato; quindi
le co-
se cadono sotto l'ordine della
provvidenza
e
secondo l'uno e
secondo
l'altro modo;
sicch
avvengono
tutte nel modo da Dio
prefisso;
cio in
modo necessario o
contingentemlfi
Occorre ricordare che l'ordine increato,
cio l'ordine
propriamente
provvidenziale,
non entra in
composizione
con
l'ordine creato. Quindi
questo
resta
quello
che
,
nella
sua consistenza, ente
per
partecipazione,
tutto
plasmato
secondo le idee divine e incessantemente
legato
all'azio-
ne del
creatore, ma senza
che nessun
elemento divino entri a
costituirlo.
Ha tutte e
sole le
propriet
che
convengono
alla sua natura di ente
per
partecipazione,
collocato in un
modo di essere e
di
operare
o
contingen-
te o necessario,
secondo che la causa
prima
ha
concepito
e
voluto che
16)
De ver. 5, 4,
ad 3.
17) 5. Th.
l, 22, 4,
ad l.
l) 15111., ad 2.
La
creazione,
la
provvidenza
e l ordine dell'universo
587
sia. L'essere di
Dio,
l'asse
ipsum subsistens,
perfettissimo
e infinito de-
terminatissimo e immutabile.Invece
l'universo, creato secondo la scien-
za e il volere di
Dio,
costituisce il mondo della
indeterminazione,
della
contingenza,
della
inutabilit,
della fallibilit.
Questi
due mondi sono
distinti,
separati,
incommensurabili.Non
bisogna
confonderli. Il
secon-
do
dipende
interamente dal
primo
e dal
primo
ha tutto
quello
che
ha,
necessit
o
contingenza.
La
proposizione:
Se Dio ha voluto che
una
cosa
avvenga,
avverr
necessariamente,
perch
non sia unastrazione
deve
essere
completata
cos: Se Dio ha voluto che
una cosa
avvenga
come effetto di
necessit, necessariamente avverr in tal
modo; se Dio
ha voluto che
una cosa
avvenga
come effetto di
contingenza
o di
libert,
necessariamente avverr in tal modo.
Contingente
e necessario sono
modi
conseguenti
l'essere
creato: Dio,
volendo esseri
concreti,
vuole
o
l'uno o l'altro di
questi
modi; e come vuole, cos sar.
S. Tommasoinsiste
giustamente
sulla causalituniversale della scien-
za e della volont di
Dio,
perch questo

perfettamente
conforme con
il
suo concetto di
Dio,
il
quale,
come
sappiamo,
si identifica
con Yesseit:
lEssere sussistente
stesso,
sorgente
unica ed esclusiva di tutto
quanto

dotato di realt. LEssere
per
s sussistente la causa creatrice dell'ente
per partecipazione,
cio
d'ogni
cosa distinta da lui. lJEssere sussistente
oltre che
causa creatrice anche
provvidente: Egli
accompagna
e sostie-
ne incessantemente l'ente
per partecipazione
anche in
ogni
sua azione.
Dio,
principioprimo
dell'ordine dell'universo
L'ordine
con il
quale
l'universo si
presenta agli
occhi ed
all'intelligen-
za
degli
uomini ha esercitato
un
grande
fascino sui
pensatori
sin
dagli
albori della
speculazione filosofica, costituendosi
come uno
degli
argo-
menti
pi
discussi sia della metafisica classica sia di
quella
cristiana.
L'ordine un
aspetto innegabile
ed
una caratteristica evidente del
mondo in cui
gli
uomini vivono e dei cieli che
contemplano.
E
proprio
la
parola
di
origine greca
"cosmo
(kosmos), con la
quale
si
designato
il
mondo in
quanto percepito
come
regolato
e "ordinato da
leggi
immuta-
bili,
significa
ordine. Ma
qual
la
causa
di
questo meraviglioso
fenomeno?
La considerazione
preliminare
da fare che la
questione
dell'ordine,
del
suo
significato
e della
sua
giustificazionerazionale,
strettamente
legata
alla
questione
della
provvidenza
divina:
questa
infatti
per
defi-
nizione, l'ordinamento delle
cose al loro fine
preesistente
nella mente
divina.19
19) Ilrid, 22,
1.
588 Parte seconda
Ordinare
significa collegare
il
molteplice
mediante un
principio
unifi-
catore. Pertanto l'ordine
presuppone
la
molteplicit
e allo stesso
tempo
esige
che
questa molteplicit
sia unificata in forza di
questo
riferimento
a un
principio
comune. Il
principio
unificatore dato da una
delle tre
cause: formale, efficiente,
finale.
L'ordine dell'universo non
pu
avere come
principio primo
altri che
Dio.
Questo
il nucleo della
Quinta
Via.
S. Tommaso
spiega
che Dio ha stabilitol'ordine dell'universo
per
la
sua
gloria.
Creando le cose
per
far
rifulgere
la sua
gloria
Dio non
poteva
crearle tutte
eguali, perch
soltanto
moltiplicandole
e
differenziandole
poteva
offrire un
quadro pi
vasto e
pi
ricco dell'infinita
perfezione
della
propria
natura: La diversit delle cose
proviene pertanto
dalla
intenzione
principale
della Causa
primamfl
Dio
produce sempre
le sue
opere
in base a un
disegno
unificatore ed ordinatore: Ci che Dio ha
soprattutto
a cuore
nelle cose create l'ordine dell'universo? Poich
l'ordine dell'universo ci che voluto in
maggior grado
dal Creatore,
nella sua mente divina deve
preesistere
l'idea dell'ordine
completo,
il
disegno dettagliato
di tutta
l'opera
in tutti i suoi
particolari.
Plotino, Proclo,
Avicennae
Averro avevano
attribuito
a
Dio la deter-
minazionesoltanto
degli aspetti
costanti ed universali dell'ordine cosmi-
co,
mentre avevano
affidato
agli
intermediari (il Nous,
le
Intelligenze)
la
determinazione dei fenomeni
contingenti.
S. Tommaso
respinge questa
dottrina in nome
di
quella
metafisica dell'essere che
assegna
a Dio la
creazione immediatae diretta,
ossia
l'origineprima
di tutte le cose.
Scrive
l'Angelico:
L'ordine dell'universo scientemente ricercato da Dio. Esso
non esiste
per
accidens,
in base a una
successione di
agenti
secondi: Cos
alcuni
pretenderebbero
che Dio abbiacreato
dapprima
una sola
creatura,
questa
una seconda, e cos via fino
all'apparizione
della moltitudine delle
cose. Secondo tale
opinione,
Dio non
avrebbe altra idea se non
quella
della
prima
creatura. Ma se
l'ordine dell'universo e
per
se creato da
lui,
necessario che Dio abbiaun'idea dell'ordine dell'universo?!
L'ordine cosmico
per
Dio
quasi
la
pi
conosciuta e la
pi
amata
delle realt create. La
pi
conosciuta
perch
se
Dio conosce
altre
cose
al
di fuori di se stesso,
conoscer
soprattutto
ci che
ottimo,
cio l'ordine
universale,
cui si ordinano tutti i beni
particolari
del
mondoml
La
pi
20) C. G.
11,44.
21) Ibid. III,
64.
22) S. Th.
I, 15,
2.
23) C. c.
1,
71.
La
creazione,
la
provvidenza e l ordine dell'universo
589
amata, perch
Dio
ancor
pi
ama il benedelluniversalit dei suoi effet-
ti che
non
qualche
bene
particolare, poich
in
esso
maggiormente
raffi-
gurata
la
sua bont>>24
Il male
essenzialmente
disordine,
perci
Dio non
pu
averlo diret-
tamente voluto. Tuttavia
Egli
non lo esclude dal
suo
disegno
ma lo fa
rientrare in
un ordine
ontologico superiore.
Per
questo
S. Tommaso af-
ferma
con S.
Agostino
che
un universo nel
quale
non ci fosse alcun
ma-
le
non avrebbetanta bont
quanta
ne
ha
l'universo realmente
esistente,
perch non vi sarebberoin
esso tante nature buone
quante
in
questo,
nel
quale
esistono nature buone cui il male
non si
pu
unire e altre cui il
male si
unisce; ed
meglio
che
esistano entrambi i
tipi
di
nature
piutto-
sto che
uno solo.25
L'universo
costituisce
una
grande
totalit dinamica
Comprendente
tutti
gli
ordini
particolari, con i loro
principi propri disposti
in scala
gerarchica:
Tutte le
creature
compongono
l'ordine
universale
come una
totalit
integrata
nelle
sue
parti.
Se
vogliamo
assegnare
ilfine di
un tutto
e delle
sue
parti,
troviamo in
primo luogo
che le
singole parti
sono in
funzione dei loro atti
propri,
come l'occhio
per
vedere;
in secondo
luogo
la
parte
meno nobile in funzione della
pi nobile, come il
senso

per
l'intelletto
e il
polmone
per
il
cuore;
in terzo
luogo,
tutte le
parti
sono in funzione della totalit
(...). Inoltre tutto l'uomo si orienta
verso
un fine
superiore:
il
godimento
di Dio.26
Nella visione
teleologica
di S. Tommaso
ogni
cosa
occupa
il
suo
posto
nell'universo, e
ogni
cosa d il
suo
apporto
alla
perfezione
dell'universo
nella misura in cui realizza
pienamente se stessa:
ogni
creatura in
funzione del
proprio
atto e della
propria perfezione>>27
Tuttaviale
crea-
ture meno nobili
sono in funzione delle
pi
nobili,come le
creature infe-
riori all'uomo
sono
per
luomo;28 ma alla fine la totalit dell'universo
con tutte le
sue
parti
ordinata
a Dio
come a suo fine.29
Ogni singola parte
dell'universo ha il
suo Valore
intrinseco,
prescin-
dendo dal fatto che sia ordinata
a realt
superiori;
ma nel
suo insieme
l'universo tuttintero ha
un unico
traguardo:
Dio.
24) lbid.
I,
85.
25)
I Sent.
44, 1, 2,
ad 5.
26)
S. Tlz.
l, 65,
2.
27)
rana.
28) 1m.
29) Ibid.
590 Parte seconda
Cos attraverso
l'ordine cosmico
si
compie quella
circolazione com-
pleta
delle creature,
che termina l dove aveva avuto
inizioil loro exitus:
cio Dio.
Nella trattazione
dei
problemi
della Creazione,
della
provvidenza
e
dell'ordine
del
cosmo,
mediante
felici e
opportune
applicazioni
del suo
ricchissimo concetto
di essere (Yactualitas
omnium actuzem)
S. Tommaso
conferisce una maggiore
intelligibilit
a
questi
meravigliosi
e
ineffabili
misteri.
TOMMASO
D'AQUINO:
GLI ANGELI E L'UOMO
La nostra ricostruzione della metafisica di S. Tommaso
gi
notevol-
mente
avanzata, e
quindi
dobbiamoaffrettarci a concludere
aggiungen-
do
ancora
poche pagine
sulle due
opere principali
della creazione:
gli angeli
e l'uomo.
Gli
angeli
in
quanto
realt
spirituali appartengono
di diritto all'ambi-
to della realt studiato dalla
metafisica,
che il mondo
immateriale, tra-
scendente. Ma anche
l'uomo,
grazie
alla
sua
anima
spirituale
e immorta-
le,
appartiene
all'ordinemetafisico.
Nello studio di
queste
due
realt,
l'angelo
e l'uomo, come nel suo
studio dell'ente
e di
Dio,
S. Tommaso
escogita
soluzioni nuove e
pi
adeguate impiegando
e mettendo a buon frutto il suo concetto intensivo
dell'essere e la
capitale
distinzionetra essenza ed
essere
nelle realt fini-
te. Con le
applicazioni
delle sue
pi
alte
conquiste
concettuali metafisi-
che S. Tommaso
opera
un
profondo
rinnovamento sia
dell'angelologia
sia
dell'antropologia.
Gli
angeli
La
prima
sistemazione
organica
della dottrina
sugli angeli
fu
operata
da
Dionigi l'Areopagita
in un
breve scritto intitolato La celeste
gerarchia
(De
coelesti
hierarchia).
Quest'opera,
anche
grazie
alfautorevole
pseudo-
nimo di cui si era servito
l'autore,
esercit un influsso costante e decisi-
vo su tutti i
pensatori
che
vennero
dopo
di lui. Nel De codesti hierarchia
si definisce la natura
degli angeli
(sono
"intelligenze"
o "menti"),
la loro
funzione
(di
protezione
e
guida degli
uomini) e
la loro distribuzionein
nove cori,
raggruppati
in tre triadi: la
prima comprende
i
Serafini,
i Che-
rubini,
i
Troni;
la seconda le
Dominazioni,
le Virt
e
le
Potest;
la terza i
Principati,gli Arcangeli
e
gli Angeli.
S. Tommaso
riprende
su
larga
scala
l'insegnamento
dello Pseudo-
Dionigi,
ma lo
perfeziona
ulteriormente su alcuni
punti
di essenziale
importanza,
avvalendosi
degli
strumenti concettuali della metafisica ari-
stotelica
e
della filosofiadell'essere.
Degli angeli lAquinate
si
occupa
in
35
opere,
alcune delle
quali
devono
essere considerate
come vere e
pro-
prie monografie sugli
esseri
spirituali;
tali sono in
particolare
il De
spiri-
592 Parte seconda
tualibus
creaturis,
le
questioni
54-64,
98-103 della Prima Pars della Summa
Theologiae,
i
capitoli
73-78 del
CompendiumTheologiae.
A
giudizio
di molti
studiosi il trattato
degli angeli
che troviamo nella Summa
Theologiae
e da
considerarsi
come un vero
capolavoro, per
la
profondit
dei
principi
che lo
sostengono
e
che lo
animano,
per
la
genialit
delle
intuizioni, e
per
l'armoniae
la
coerenza
di tutte le sue
parti
(T, CENTI).
Due sono le tesi
pi originali
e
pi importanti
di tutta
Yangelologia
tomistica: l.a
spiritualit
delle creature
angeliche,
e la loro
composizione
ontologica
di essenza e atto d'essere.
SPIRITUALIT
Ai
tempi
di S. Tommaso la
maggior parte
dei
teologi
- richiamandosi
a S.
Agostino
e
ad
Avicebron, autore del Fans vitae - affermavano che
gli
angeli
non sono
puri spiriti,
ma sono
anch'essi
composti
di materia e
forma, come tutte le altre creature.
Questa (la
composizione
ilemorfica),
a loro
giudizio,
era l'unica
spiegazione possibile
della finitudine
degli
angeli,
della loro distinzioneda Dio e
della differenziazionetra
gli ange-
li stessi. S. Tommaso considera invece assolutamente irrinunciabilela
tesi della
spiritualit degli angeli
e
la assume come cardine fondamenta-
le e
principale
di tutta la sua
angelologia,
derivandone tutte le
logiche
conseguenze,
di cui le
principali
sono:
a)
Esistenza. A
prova
dellesistenza
degli angeli
S. Tommaso non ad-
duce
argomenti
storici
(la
Sacra
Scrittura)
bens metafisici: la loro stes-
sa natura
spirituale
che -
posto
il
disegno
di Dio di creare un universo -
ne
esige
e
giustifica
l'esistenza.
Infatti,
volendo Dio creare un cosmo
che
fosse lo
specchio
della sua
infinita
perfezione,
e non
potendo conseguire
tale obbiettivo
con
la creazione di un solo
tipo
di
creature, era conve-
niente che
producesse,
tra le varie
creature,
anzitutto
quelle
che
mag-
giormente gli rassomigliano:
tali
sono
le creature
angeliche
che
sono
come Dio
puri spiriti, intelligenti
e liberi. Poich
una cosa nobilee
perfetta
nella misura in cui si avvicina alla
somiglianza
con Dio, e
poi-
ch Dio atto
puro,
senza
mescolanza di
potenza;
necessario che
que-
gli
enti che si trovano al massimo
grado,
siano
maggiormente
in atto e
abbiano meno
potenza;
mentre
quelli
che si trovano
pi
in basso, sono
maggiormentesoggetti
alla
potenza
(...).
Pertanto
quelli
che si trovano al
massimo
grado
tra
gli
enti
creati, sono
quelli
che
maggiormente
rasso-
migliano
a Dio, e non c' in essi
potenza
a essere o a non
essere,
ma
hanno ricevuto da Dio un essere
sempiterno.
E
poich
la materia in
forza della sua stessa
natura,
si trova in
potenza rispetto
all'essere che le
viene dalla
forma,
questi
enti in cui non
c'
potenza
a essere o a non es-
Gli
angeli
e l'uomo 593
sere,
non sono
composti
di materia e forma, ma sono
pure
forme sussi-
stenti nel
proprio essere,
che hanno ricevutoda Dio>>J
b)
Finitudine.
Questa
non dovuta alla materia
(come
pretendevano
gli
ilemorfisti),
perch negli angeli
non c'
materia, ma all'essenza: l'es-
senza stessa che
pone
dei confini all'atto
dell'essere,
che in se stesso
infinito. Pertanto anche nelle sostanze
spirituali
(i. e.
gli angeli)
vi
composizione
di atto e
potenza
(solo
Dio atto
puro).
Infatti
quando
in
una cosa
si trovano due
elementi,
dei
quali
uno
complemento
dell'altro,
il
rapporto
dell'uno all'altro e come
il
rapporto
della
potenza
all'atto.
Ora,
nella sostanza intellettuale Creata si trovano due
elementi,
cio l'es-
senza (substanta) e l'essere,
il
quale
non l'essenza stessa: l'essere il
complemento
dell'essenza
esistente, poich ogni
cosa in atto
quando
ha
l'essere. Rimane
dunque
che in
ognuna
delle suddette sostanze si ha
composizione
di atto e
potenza!
c)
Individuazione.
Questa non
causata dalla materia
(come
pensava-
no
gli
ilemorfisti) ma
dalla forma
stessa, l'essenza;
perci gli angeli
non
sono
distinti tra loro solo numericamente ma
anche
specificamente.
Ogni singolo angelo
fa
specie
a s:

impossibile
che vi siano anche due
soli
angeli
della stessa
specie.3
d)
Personzficazione.Agli angeli
sono di diritto
persone;
infatti
gode
della
perfezione
della
personalit
chi sussistente nell'ordine dello
spirito: per-
sona est subsistens in natura intellectuali vel ratiorialifl E tali sono
gli angeli,
creature eminentemente
intellettuali,
sussistenti nel
proprio
essere?
e)
Specificit dell'agire.
Anche
questa
ricavata dalla natura
squisita-
mente
spirituale degli angeli.
La modalit del loro
agire,
sia nell'ordine
conoscitivo sia in
quello
volitivo,
si
distingue
nettamente da
quella
che
caratterizza
l'agire
umano. La conoscenza
intellettuale dell'uomo si rea-
lizza mediante
l'estrazione;
la liberascelta mediante la deliberazionee il
giudizio.
Nulla di
questo
si ritrova
negli angeli.
Per
quanto
concerne
l'ordine conoscitivo essi sono dotati di intuizione
intellettuale,
grazie
alla
quale
vedono immediatamente
(senza astrazione)
gli oggetti
cono-
sciuti:
Dio,
le altre creature
spirituali
e materiali,
i
principi primi
ecc.6
Mentre
per quanto
concerne
l'ordine
volitivo,
le loro scelte non sono
frutto di macchnose deliberazioni, ma sono
rapidissime, pressoch
immediate.
dunque
evidente che
negli angeli
vi liberoarbitrio
pi
perfetto
ancora
che
negli
uomini, come si verifica
per
l'intelligenza?
Conzp.
Theol. c. 74, n. 128.
C. G. II, 53, nn. 1282-1283.
S. Th.
I, 50,
4.
Cf. C. G. IV, 35, n. 3725.
Cf.
Comp.
Theol. c. 74, n. 128.
Cf. S. Th.
l, 58, 3;
Comp.
Thevl. c. 75.
Ibirl, I, 59,
3.
>4
h)
LA
U1
O\
\l
>6:-
xxmxg-xgg/x/x/
594 Parte seconda
COMPOSIZIONE ONTOLOGICA
S. Tommaso era certamente d'accordo con
i
teologi
della scuola fran-
cescana (Alessandro
di
l-lales, Bonaventura,
Giovanni Peckham
ecc.)
nel
ritenere che
gli angeli, per quanto
nobilie
perfetti,
sono esseri
finiti; ma,
come si e
visto, non era
disposto
a
spiegare questa
loro condizioneonto-
logica ripiegando
sulla
composizione
ilemorfica.
Certo, se sono finiti
deve esserci una
ragione
intrinseca della loro
finitezza, ma
poich
sono
realt
squisitamente spirituali,
la
ragione
della finitezza
non
pu
essere
la materia. Ma allora
qual
?
Qui
S.
Tommaso,
grazie
al suo concetto
intensivo
dell'essere,
actualitas omnium actualitatum e
perfectio
omnium
perfectionzim,
intravvede una nuova soluzione,
pi
Corretta e
pi adegua-
ta di
quella
ilemorfistica. La finitezza certamente dovuta a una
diffe-
renza
ontologica
e a una
composizione,
non
per
alla differenza
e com-
posizione
che si incontrano nella materia e forma, ma a
quelle
che si re-
gistrano
nelle creature tra essenza e atto d'essere
(actus essendi).
Mentre
Dio infinito
perch

puro
atto d'essere
e
in Lui l'essenza si identifica
con l'essere
(
l'asse
ipsum
subsistens),
gli angeli
sono finiti
perch
il loro
essere ricevuto e limitato dall'essenza.
Questa non l'essere
degli
angeli
ma
la
potenza
che riceve l'atto dell'essere
e
allo stesso
tempo
si
compone
con
esso, partecipa
all'essere e lo delimita. Pertanto
gli angeli
sono essenze
finite di ordine
spirituale
che ricevono un
determinato
grado
della
perfezione
assoluta dell'essere. Onde nelle cose
composte
si deve considerare un
duplice
atto e una
duplice potenza.
Infatti la
materia come una
potenza rispetto
alla
forma, e la forma il suo atto;
inoltre l'essenza costituita di materia e
forma come
la
potenza rispetto
al suo
essere,
in
quanto
lo riceve.
Pertanto,
rimosso il fondamento della
materia, se rimane una forma sussistente avente una essenza sua
pro-
pria,
essa sar ancora
paragonata
al suo essere come
la
potenza
all'atto.
Non dico come la
potenza separabilc
dall'atto ma come
quella sempre
accompagnata
dal suo atto. In tal modo l'essenza della sostanza
spiri-
tuale,
la
quale
non
composta
di materia e
di
forma,
rispetto
all'essere
come
la
potenza rispetto
al
suo atto)?
GERARCl-IIA
S. Tommaso
segue
lo
Pseudo-Dionigi
nella
questione
della
gerarchia
degli angeli,
ma ne
semplifica
la eccessiva
precisione.
Considerata la tra-
scendenza dell'Essere
assoluto, non vi che un'unica
gerarchia
che
annovera
gli angeli
e le altre creature
ragionevoli
destinate alla
grazia
e
3)
De
Spir.
Creat. c. 1.
Gli
angeli
e Ilomo 595
alla
gloria.
Circa i
soggetti
occorre
distinguere
i
gruppi gerarchici
in
quanto
ricevono in manieranon
uguale gli
ordini del
Principe,
come
pu
avvenire nelle citt sottomesse a un unico
sovrano,
anche
se abbianorice-
vuto
legislazioni
diverse. Gli
angeli
dotati di
una
intelligenza pi
0 meno
possente
conoscono
le
leggi
divine in maniera
diversa;

questo
il fattore
principale
su cui si fonda la variet
gerarchica
in essi. La
prima gerarchia
conosce e
apprezza queste leggi
come
precedenti
da
un
principio
univer-
sale,
che
Dio;
la seconda le
coglie
come
dipendenti
da
cause universali
create,
che
sono
gi pi
o meno
numerose;
la terza
gerarchia
le
coglie
come sono
applicate
a ciascun essere e
dipendenti
da cause
particolari}!
La distinzione
degli angeli
in
gerarchie
e ordini si fonda
non tanto sui
doni naturali della loro essenza
specifica, quanto
sul
grado
della loro
elevazione
soprannaturale
e sulla visione intuitiva
che,
dopo
che ebbero
superato
la
prova,
Dio ha loro
concesso: un mare immenso di beatitudi-
ne,
in cui con
diversa
profondit
si
immerge
la loro estasi)
Essendo sussistenti nell'ordine dello
spirito, grazie
all'anima,
anche
gli
uomini secondo S. Tommaso
possono
entrare nei diversi ordini
degli
angeli,
ma non assumendo la loro
natura,
bens meritando in cielo una
gloria
che li
eguaglia
all'uno
0
all'atro dei Cori
angclici.
ATTIVIT
Si
gi
detto
dell'agire degli angeli
in
generale,
sia
per quanto
C011-
cerne l'ordine conoscitivo sia
per
quello
che
riguarda
l'ordine volitivo.
Per entrambi
gli
ordini
l'oggetto primario
e
principale
Dio. Ma
agli
angeli
viene anche riservato un ambito
operativo speciale,
che
riguarda
l'uomo. Come
gi
lo
Pseudo-Dionigi
anche S. Tommaso esclude che Dio
affidi
agli angeli compiti demiurgici:
la comunicazionedell'essere
(crea-
zione)
compete
esclusivamente a Dio. Il loro ufficio
principale
essere
custodi
dell'uomo,
di difenderlodalle
aggressioni
del demonio
e
di aiu-
tarlo
a
conseguire
la salvezza eterna. Gli
angeli
possono
illuminare
gli
intelletti
umani,
rivelando loro cose divine,
proponendoper
tali verit
sotto
immagini
sensibilie cos adattandosi alla natura
degli
uomini. Pe-
r
gli angeli
non
possono piegare
la volont
degli
uomini,
perch
ci
esclusivo di Dio. Gli
angeli possono
indurre
gli
uomini con
la
persuasio-
9) Ci. S.Th.
I, 112,
4.
w)
Cf.
ibid, 108,
7.
u)
Cf.
ibid, s.
12)
Cf.
ibid, 6D, 5.
I3)
Cf.
ibid, 45, 5, ad 1.
596 Parte seconda
ne
e,
come
possono
fare anche
gli
uomini,
possono
muovere
la volont
eccitando le
passioni.
Gli
angeli
conoscono
il futuro se viene loro rive-
lato
oppure per congetture
ben
pi penetranti
delle
nostre, poich
le
cause delle cose
si disvelano al loro
sguardo
in modo
pi
universale e
perfetto
di
quanto
sia
possibile
alla nostra mente. Del
pari, per pura
con-
gettura,
del resto acuta e finissima,
essi conoscono
i
segreti
dei cuori.
La volont dell'uomo un santuario,
ove
non
penetra
che la
onniveg-
gente
increata
Sapienza.
In
effetti,
la volont
soggetta
soltanto a Dio,
e Dio solo
pu operare
in
essa, perch
ne e
l'oggetto principale quale
ultimo fine.'5
L'uomo
Il
problema
metafisico dell'uomo si concentra tutto nell'analisi dell'a-
nima,
perch
chiaro che il
corpo
non una realt metafisica ma
fisica.
Sennonch
non affatto ovvio che l'anima
umana,
bench
superiore
a
quella
delle
piante
e
degli
animali,
appartenga
all'ordine
immateriale,
ossia metafisico. Tra filosofi
greci
chi
aveva
difeso
con la massima ener-
gia
lo statuto metafisicodell'animaera stato Platone, e, cos,
tutti i filosofi
cristiani,
da
Origene
ad
Agostino,
da Cassiodoro ad
Anselmo,
da Ales-
sandro di Hales
a Bonaventura,
quando
trattavano di
questo problema
attingevano
a
piene
mani
agli
scritti di
Platone,
specialmente
al Pedone.
Incerta era invece la
posizione
di
Aristotele, e
proprio
sul suo inse-
gnamento
relativo allmmortalit
personale
dell'anima,
i suoi commen-
tatori
divergevano profondamente.
Averro,
che nel secolo XIII era
uni-
versalmente ritenuto il commentatore
pi
autorevole, sosteneva che
per
Aristotele non esiste l'immortalit delle
singole
anime, ma soltanto del-
l'intelletto
agente,
il
nous
poictiks.
S. Tommaso non
soltanto scrisse un suo De
anima, una
questione
disputata,
e
si
occup
dei
problemi
relativi all'anima in molte altre sue
opere, specialmente
nelle due
Summae, ma
compili)
anche
un
eccellente
commento al De anima di
Aristotele,
dove
egli
dimostra che
leggendo
Aristotele non
secondo la lettera ma secondo Yintentio auctoris si trova
che lo
Stagirita
difese la
posizione
dell'immortalit
personale
dell'ani-
ma. Cos, con
notevole ardite il Dottore
Angelico
si distacco dalla linea
dellagostinismo
e
del
platonismo imperante
ai suoi
tempi
e si schier
apertamente
con Aristotele,
sicuro della bont sostanziale del suo
pen-
14) Cf. ibid., 111,
1-2.
15) Ibial, 57,
4.
Gli
angeli
e l'uomo
597
siero, non soltanto
negli
ambiti della metafisica
e dell'etica
ma
anche in
quello dell'antropologia. Eppure, per quanto riguarda
l'anima,
quanto
propone
S. Tommaso non
per
nulla
una
semplice fotocopia
delle dot-
trine
aristoteliche, ma
presenta,
come Vedremo, sostanziali novit e
pre-
ziosi arricchimenti.
NATURADELL'ANIMA
L'anima di natura immateriale, cio
spirituale.
Per la
spiritualit
dell'anima
non evidente:
per scoprirla
non basta la
semplice
autoco-
scienza,
Yintrospezione,
come
pretendevano gli agostiniani,
Secondo
S. Tommaso ci vuole
una
diligens
et subtilis
inquisitio (scrupolosa
e
pro-
fonda
indagine);6
occorre dimostrarla. Punto di
partenza
della in-
dagine (inquisitio)
sono le
operazioni
dell'anima, infatti
eo modo
aliquid
operatur quo
est (il
modo di
operare
di una cosa
corrisponde
al
suo modo
di
essere). Ora,
il
principio
intellettivo,
chiamatomente o intelletto,
ha
un'attivit sua
propria
in cui non entra il
corpo.
Ma niente
pu
operare
per
se stesso, se non sussiste
per
se stesso.
L'operazione
infatti
non com-
pete
che all'ente in
atto;
tanto Vero
che le
cose
operano
conformemente
al loro modo di esistere. Per
questo
non diciamo che il calore
riscalda;
chi
riscalda la sostanza calda
(calidunz).
Rimane
dunque
dimostrato che
l'anima
umana,
la
quale
viene chiamata mente o intelletto,
un essere
incorporeo
e sussistentemb"
Per S. Tommaso
sa bene che anche le
operazioni pi squisitamente
spirituali dell'anima, come
la
Conoscenza intellettiva
e
il libero
arbitrio,
non sono esenti da
qualche legame
con
la materia.
Ma, a suo
giudizio,
ci
non
compromette
l'intrinseca
spiritualit dell'anima,
perch
la
sua
dipen-
denza dal
corpo
non e
"soggettiva"
(non tocca l'ordine della causaliteffi-
ciente) ma
"oggettiva" (riguarda
l'ordine della causalit
fonnale).
Si tratta
infatti di
operazioni
che richiedono il
corpo
non come strumento, ma
solo
come
oggetto.
Infatti Yintendere
(intelligere)
non si attua mediante un
organo corporeo,
ma
ha
bisogno
di
un
oggetto c0rpore0.15
Si deve dire
che Yintendere
operazione propria
dell'anima
se si considera il
principio
da cui
nasce
l'operazione;
non nasce infatti dall'anima
per
mezzo di
un
organo corporeo
come la vista mediante
l'occhio;
il
suo
legame
col
corpo
riguarda l'oggetto:
infatti i
fantasmi,
che
sono
gli oggetti
dell'intelletto,
senza il concorso
degli organi corporei
non
possono
esistere>>.19
16) 11nd, s7,
1.
I7) 11nd, 75,
2.
18) In I De An. lect.
II, n. 19.
19) De A71.
1,
ad 12.
598 Parte seconda
Talvolta
per provare
la
spiritualit (incorporeit)
dell'anima,
oltre che
sulle
singole operazioni
dell'intelletto e della
volont,
S. Tommaso fa le-
va su un altro
importante
fenomeno,
quello
dellautotrascendenza: la
tensione verso
l'infinito di tutto
l'agire
umano
preso
globalmente.
L'a-
nima razionale
possiede
una certa infinit
(infinitatem)
sia da
parte
del-
l'intelletto
agente,
con cui
pu
fare tutto (omniafacere),
sia da
parte
del-
l'intelletto
possibile
con cui
pu
diventare tutto (omnia
fieri)
(...) e
questo

argomento
evidente della immaterialitdell'anima,
perch
tutte le for-
me materiali sono
finitemZU
PROPRIETDELL'ANIMA
Della
prima
e massima
propriet
dell'anima
umana,
la
spiritualit,
la
quale
costituisce la
sua
differenza
specifica,
in
quanto
la
distingue
essen-
zialmente dalle anime inferiori
(vegetale
e animale),
si
gi
detto.
Un'altra
propriet
che conta moltissimo,
soprattutto
nella
prospettiva
tomistica,
la sostanzialit. La dimostrazionedi
questa propriet
consen-
te a S. Tommaso di uscire dalle incertezze e
ambiguitdell'antropologia
aristotelica. A
questo proposito l'Aquinate,
nel De
Anima,
che la tratta-
zione
pi profonda
e
completa
che ha dedicato a
questo argomento,
ricorda due tesi che
giudica
inammissibili:sono
le tesi estreme dei mate-
ralisti da
una
parte,
che
non riconoscono all'anima alcun carattere
sostanziale ma
la
equiparano
alle altre forme
naturali, e dall'altra
quelle
dei
platonic,
i
quali
non si accontentanodi affermare che l'anima una
sostanza, ma
ritengono
che da sola basti a definire la realt
umana,
senza alcun riferimento al
corpo.
Contro i materialisti
gli
sufficiente
ribadire
quanto
abbiamo
gi
riferito a
sostegno
della
spiritualit:

necessario che l'anima intellettiva


agisca per
conto
proprio,
avendo
un'operazionepropria
senza l'aiuto di
un
organo corporeo.
E
poich
cia-
scuno
agisce
in
quanto
in
atto,
occorre
che l'anima intellettiva abbia l'es-
sere
per
s non
dipendente
dal
corpo
(opvrtet quod
anima intellectiva
habeat esse
per
se absolutitm non
dependens
a
corpore)
(De
Ari. 1,
resp.).
Tuttavia,
pur
affermandola sostanzialit
dell'anima,
S. Tommasonon
intende
passare
dalla
parte
dei
platonic (gli agostiniani)
che identifica-
Vano l'essere dell'anima con
l'essere dell'uomo.
L'Aquinate
fa vedere
che l'anima
non
fa
specie
a se e
che
pertanto
da sola non esaurisce la
realt umana: Occorre
perci
concludere che
l'anima,
pur
potendo
sus-
sistere
per
s
(per
se
potens
subsistere) non tale da formare
una
specie
completa,
ma entra nella
specie
umana come
forma del
corpo.
Cos si
pu
dire dell'anima sia che forma sia che sostanzaml
20)
H Sent. 8, 2, 2,
ad 2.
31)
De Arz.
1,
resp.
Gli
angeli
e l'uomo
599
Rispondendo
a una obiezioneche
riguarda
la
composizioneontologi-
ca dell'anima 5. Tommaso fa
l'importante
precisazione
che
l'anima,
come
gli angeli,
pur
essendo
semplice, spirituale e dotata di
un
proprio
atto
d'essere, anch'essa
soggetta
alla differenza
ontologica
che distin-
gue ogni
realt finita
dall'Essere sussistente: anche l'anima
composta
di
essenza e atto
d'essere, e
di
consc uenza com osta di
atto e
di
u r u
u
p
u
potenza,
infatti la sostanza dell'anima
non e 1l
suo
essere, ma s1
rappor-
ta a esso come la
otenza all'atto i
sa substantia animata
non est suum
esse,
4 _
l
scd
comparatur
ad
zpsum
ut
potenha
ad
actum).22
UNIONE
SOSTANZIALE DELL'ANIMA
COL CORPO
Messe al sicuro le due verit
capitali
della
spiritualit e della sostan-
zialit
dell'anima, S. Tommaso
non incontra
pi nessuna difficolt
a far
sua la tesi aristotelica dell'unione
sostanziale dell'anima col
corpo,
e
per
dare
espressione
a
questa
verit
impiega
il
linguaggio ilemorfistico,
assegnando
all'anima il ruolo di forma
sostanziale
e al
corpo
il ruolo di
materia: L'anima ci
per
cui il
corpo
umano
possiede
l'essere in atto e
questo

proprio
della forma. Perci l'anima
umana forma del
cor-
po?
A
sostegno
dell'unione
sostanziale S. Tommaso adduce due
argo-
menti che hanno
notevole
peso
anche
a livello
empirico:
1) L'unionedel-
l'anima col
corpo
non
pu
essere accidentale
perch quando
l'anima
scompare,
nel
corpo
non rimane
pi
nulla di
umano se non
l'apparenza.
Perci
se l'anima fosse nel
corpo
come il marinaionella
nave,
non con-
ferirebbe la
specie
al
corpo
n alle
sue
parti;
invece la
d;
prova
ne sia
che, recedendo
l'anima, le
singole parti
non
mantengono
che in modo
equivoco
il
nome
primitivo.
Es.: il
nome "occhio",
parlando
di
quello
di
un
morto,

equivoco,
come
quello scolpito
sulla
pietra
o
dipinto;
cos
dicasi delle altre
parti>>fi4
2) L'unione col
corpo giova
all'anima stessa sia
nell'ordine dell'essere sia in
quello dell'agire:
L'anima unita al
corpo
per
la
sua
perfezione sostanziale, cio
per completare
la
specie umana,
e
anche
per
la
perfezione accidentale,
per perfezionare
cio la
conoscenza
intellettive che l'anima
acquisisce
attraverso i
sensi;
infatti
questo
modo
di intendere connaturale alluomo.25 Facendo dell'anima la forma
e
l'unica forma sostanziale del
corpo
S. Tommaso
pu
disfarsi della teoria
insegnata
da Platone
e
largamente
condivisa dai suoi
contemporanei,
23) bd, l, ad 6.
23) lbid,
rcsp,
ci. ad 7.
24) lbia,
resp.
25) Ibid,
ad 7.
600 Parte seconda
della
molteplicit
delle anime. Nell'uomo si d una
sola anima, quella
razionale,
che
svolge
anche le
operazioni
delle anime inferiori,vegetati-
va e
sensitiva. Essendo l'anima forma sostanziale,
che costituisce l'uo-
mo
in una
determinata
specie
di sostanza, non c' un'altra forma sostan-
ziale intermedia tra l'anima e
la materia
prima,
ma
l'uomo dalla stessa
anima razionale
perfezionato
secondo i diversi
gradi
di
perfezione,
in
modo da essere
corpo, corpo
animato e
anima razionalemfi L'anima ra-
zionale in
quanto
forma
pi perfetta
in
grado
di assolvere
anche le
funzioni
espletate
dalle forme (anime) meno
perfette.
Infatti
pur
essen-
do
semplice quanto
all'essenza,
l'anima
potenzialmente
molteplice
in
quanto

principio
di svariate
operazioni;
e
poich
la forma
perfeziona
la materia in ordine non
solo all'essere ma
anche
all'agire,
necessario
che l'anima,
bench sia forma unica, perfezioni
le
parti
del
corpo
in sva-
riati modi, come
convienea
ogni singola operazione?
IMMORTALIT
DELL'ANIMA
Peri
contemporanei
di S. Tommasoche
seguivano
l'indirizzo
platoni-
co-agostiniano,
l'immortalit dell'anima non
costituiva un vero
proble-
ma, giacch
nella loro
antropologia
l'anima era
concepita
come una
sostanza
spirituale completa
e,
di
conseguenza,
esente da tutte le vicissi-
tudini del
corpo,
inclusa la morte.
Il
problema
della immortalit
dell'a-
nima sussisteva invece
per
coloro
che condividevanole teorie di Aristo-
tele,
in
particolare
nella versione che ne aveva
dato Averro,
il
quale
aveva
negato
l'immortalit
personale.
S. Tommaso, come
s' visto,
fa
sue
le linee fondamentali
dell'antropologia
aristotelica, senza
peraltro
compromettere
la tesi della immortalit dell'anima.
L'argomento princi-
pale
che l'anima incorruttibile,e
pertanto
immortale,
lo ricava dallo
statuto
ontologico peculiare
che
compete
a essa
in
quanto
forma del
corpo,
statuto che le conviene in
quanto possiede
l'atto dell'essere (actus
essendi)
in
proprio,
direttamente, senza dipendere
dal
corpo.
Infatti,
osserva
l'Aquinate,
si danno due
tipi
di forme sostanziali: 1)
forme alle
quali
l'essere
sopravviene
nel momento in cui si costituisce il
composto;
2)
forme alle
quali
l'atto dell'essere
compete
ancor
prima
che si realizzi
il
composto.
Le
prime
sono corruttibili;
le seconde incorruttibili:
Si
ergo
sit
aliqua fornm quae
sit habens
esse,
necesse
est illam
fornmm
incorruptibilem
esse (Se
perci
Vi una certa
forma che ha di
per
s l'essere,
necessario
che
quella
forma sia incorruttibile).28
E tale
precisamente
il caso
del-
25) Ibiri,a. 9.
37) Ibid,
ad 14.
23) Ibid.,
14.
Gli
angeli
e l'uomo
601
l'anima
umana. Infatti
non si
separa
l'essere da
una cosa avente l'essere
(non
separatur
esse
ab
aliquo
habente
esse), sc non in
quanto
si
separa
la
forma da
essa; pertanto
se ci che ha l'essere la stessa
forma,
impos-
sibileche l'essere sia
separato
da
essa. Ora manifesto che il
principio
per
cui l'uomo
svolge
l'attivit intcllettiva forma avente l'essere in s e
non solo
come ci
per
cui
una cosa
(...).
Dunque
il
principio
intellettivo
per
cui l'uomo intende forma
avente l'essere in
proprio;
onde neces-
sario che sia incorruttibile>>fi9Cadono
per
tanto le difficoltdi coloro che
vogliono
che lanima sia mortale se unita sostanzialmente al
corpo.
ln
effetti
gli
assertori della corruttibilitdell'anima dimenticano alcune
cose
gi provate
in
precedenza. Alcuni,
identificandol'anima col
corpo
negarono
addirittura che
essa sia forma
e ne
fecero
un
composto
di
materia
e
forma.
Altri,
sostenendo che l'intelletto
non differisce dal
sen-
so,
di
conseguenza
ammisero che anche la
sua attivit si
svolge
median-
te un
organo corporeo,
e cos non
avrebbel'essere elevato
sopra
la mate-
ria,
onde
non sarebbe forma
avente l'essere
(in
proprio).
Infine altri
ancora,
considerando l'intelletto
una sostanza
separata,
esclusero che
l'attivit intellettiva
appartenga
all'anima stessa. Ma tutte
queste
teorie
sono false, come abbiamo
gi
mostrato in
precedenza.
Perci l'anima
umana inc0rruttibile.3U
Limmortalit dell'anima e dote naturale
essenziale,
diretta
conse-
guenza
della
sua
spiritualit, pertanto
non
pu
essere intaccata dal
pec-
cato
originale.
Infatti,
il
peccato toglie
totalmente la
grazia,
ma
nulla
rimuove dell'essenza della
cosa;
rimuove
qualcosa
circa l'inclinazione
o
Capacit
della
grazia
Ma non mai tolto il bene di
natura,
perch
sotto
disposizioni
contrarie rimane
sempre
la
potenza,
benchsi allonta-
ni
sempre pi
dall'atto.3!
Neppure
Dio,
che
pure
ha il
potere
di ridurre
al nulla tutto ci che ha condotto
all'essere,
priva
l'anima dell'immorta-
lit
annichilendola,
perch
Dio nel
suo
sapiente governo
delle
cose non
va mai contro le
disposizioni
naturali di cui le ha dotatefi Lo studio di
S. Tommaso sull'anima certamente tra i
pi completi
e
complessi
che
siano mai stati
compiuti.
Le
sue tesi filosofichehanno
doppio
valore,
storico e teoretico. Hanno anzitutto valore storico
perch
sono state
avanzate con
grande coraggio
in un momento in cui sarebbestato molto
pi
comodo
sfuggire
ai
pericoli
dell'averroismo
rifugiandosi
nelle tradi-
zionali tesi
dellagostinismo.
S. Tommaso
non
ha
proposto
le
sue tesi n
29) Ibid.
3) lbid.
31) Ibin,
ad 16.
32) Cf.
ibiri,
ad
18; C. G.
II, c. 55;
S. T11.
I, 104,
4.
602 Parte seconda
le ha tenacementedifese
per
amore
di
novit, ma
perch
le trovava mol-
to
pi rispondenti
alla Verit che non le facilisoluzioni
degli agostinismi
platonizzanti.
Ma in S. Tommaso
queste
tesi assumono
anche un
alto
valore teoretica,
perch
sono
basate su un
fondamento razionale
nuovo,
pi
solido di
quello
su cui le aveva
poggiate
Aristotele; esse
hanno
per
fondamento la
sua
originale
concezione dell'essere,
l'essere
concepito
intensivamente, come
ci che immediatiuset intimius convenit rebus
(pi
immediatamentee
pi
intimamenteconvienealle cose):33
l'essere atto
immediato e
diretto dell'anima ancor
prima
che
questa
10 comunichi al
corpo:
anima lmmana esse suum
in
quo
subsistit
corpori
communicat (l'ani-
ma
comunica al
corpo
l'essere in cui essa stessa sussiste).34 Cos,
S.
Tommaso, attingendo
alle enormi risorse della sua
metafisica deltes-
sere,
supera
le
prospettive antropologiche
di Platone
e
di Aristotele,
di
Agostino
e
di
Averro,
prospettive apparentemente
inconciliabili,e
le
unisce in una sintesi
superiore
in cui
Fempirismo
di Aristotele e Averro
si fonde felicementecon
Pdealismodi Platone
e
Agostino.
33)
De An. 9.
34) Ibir, 14,
ad 11.
Gli
angeli
e l'uomo
603
Suggerimenti bibliografici
La letteratura tomistica immensa.
Qui
suggeriamo
soltanto alcune
opere
fondamentali,
per
chi desidera
approfondire gli argomenti
trattati
nel
presente capitolo.
Sulla vita:
I. MARJTAIN,
Le docteur
anglique, Parigi
1934; tr.
it.,
Canta-
galli,
Siena
1935;
A. D.
SERTILLANGES,
Saint Thomas
dAqain, Parigi 1914;
tr.
it.,
2
ed., Morcelliana,
Brescia
1948;
A.
WALZ,
San Tommaso
d'Aquino.
Studi
biografici,
Edizioni
liturgiche,
Roma
1945; I. WEISHEIPL,
Tommaso
d'Aquino, Iaca Book,
Milano1988.
Sulle
opere:
M. D.
CHENU,
Introdaction a l tude de Si. Thomas,
Parigi
1950; tr. it.,
Libreria Editrice
Fiorentina,
Firenze
1953;
M.
GRABMANN,
Die Werke des hl. Thomas
von
Aquin,
Mnster
1945;
P.
MANDONNET,
Des crits
authentiaues
de saint Thonzas d
Aquin, Friburgo
1910.
Introduzioni
generali:
F. C.
COPLESTON,
Aquinas,
Londra
1955;
M. C.
DARCY,
St. Thomas
Aqainas,
Westmnster
1954;
C.
FABRO,
Breve introduzio-
ne al
tomismo,
Roma
1960;
R. MC
INERNY,
St. Thomas
Aquinas,
Boston
1977;
S. VANNI
ROVICHI,
Introduzione
a Tommaso d
Aquino,
Laterza,
Bari 1973.
Sul
pensierofilosofico:
AA.
VV.,
Saint Thomas
dAquin aujourd'hui, Parigi
1963;
D. B.
BURRELL,
Aquinas:
God and
Action,
Notre Dame
1979; I.
DE
FINANCE,
Eire et
agir
dans la
philosophie
de St. Thomas, Universit
Grego-
riana
1960;
L.
EIDERS,
La
metafisica
dell'essere di S. Tonmzaso in una
prospet-
tiva
storica,
2
vol1., Roma,
Citt del Vaticano
1995;
C.
FABRO,
La nozione
metafisica
di
partecipazione
secondo
san Tonzmaso, SEI,
Torino
1939,
1950
2"
ed.; ID.,
Esegesi
tomistica,
Universit
Lateranense,
Roma
1969; ID.,
Tomismo e
pensiero
moderno,
Roma
1969;
A.
FOREST,
La structure
mtafisique
da concret selon S. Thomas d
Aquin,
Paris
1956,
2*
ed.;
E.
GILsoN,
Le thomi-
sme, Parigi
1919, 1948,
6a
ed.;
W.
KLUXEN,
Philosophische
Ethik bei Thomas
oon
Aquin,
Mainz
1964; ]. LEGRAND,
Ijunioers et l'han-rime dans la
philo-
sophie
de S. Thomas,
Parigi
1946;
G.
MATTIUSSI,
Le XXIVtesi della
filosofia
di S.
Tommaso,
Universit
Gregoriana,
Roma
1947;
B.
MONDIN,
La
filosofia
dell'essere di San Tommaso d
Aquino,
Herder,
Roma
1964; ID.,
The
Philosophy
of Being
in the
Commentary
to the Sentences
of
St. Thomas
Aqainas, Nijhof,
The
Hague
1975; ID., Il sistema
filosofico
di S.
Tommaso, Massimo,
Milano
1985; ID.,
Dizionario
enciclopedico
del
pensiero
di S. Tommaso d
Aquino,
ESD,
Bologna 1991; ID., Ermeneutica,
Metafisica
e
Analogia
in S. Tommaso
d'Aquino,
in Divus Thomas 12
(1995);
H.
REITH,
The
Metaphysics of
St. Thomas
Aquinas,
Milwaukee1958
;
A. D.
SERTILLANGES,
La
filosofia
di S. Tommaso
d'Aquino,
Roma 1957.
604
SIGIERI DI BRABANTE
E LA POLEMICA ANTIAVERROISTICA
Il decennio che
va
dal 1270 al 1280 memorabilee denso di
impor-
tanti avvenimenti
per
la storia della
teologia
del secolo XIII. Non
quel-
lo infatti soltanto il momento in cui
scompaiono
le
figure pi prestigio-
se: S.
Tommaso,
S. Bonaventura (1274),
S. Alberto
Magno
(1280), ma
anche
e
soprattutto
il decennio dei durissimi scontri fra tre
opposte
cor-
renti di
pensiero:
la corrente
platonico-agostiniana,
la Corrente aristoteli-
co-tomista e 1a corrente aristotelcoaverroistica. Al centro della
polemi-
ca di
nuovo Aristotele,
l'interpretazione
del suo
pensiero
e
il
suo
im-
piego
in
teologia.
Ricordiamo che la
parte
centrale del secolo aveva
segnato
la decaden-
za dei divieti aristotelici e il
conseguente grande
trionfo di Aristotele. Lo
studio delle sue
opere
era
diventato
obbligatorio
nella facolt delle Arti;
per
merito di Alberto
Magno
e
di Tommaso
d'Aquino,
la filosofia di
Aristotele era
diventata strumento
importante
e
privilegiato
nel lavoro
teologico.
Per un
paio
di decenni sembr che la
questione
aristotelica
fosse definitivamentechiusa. Ma non
fu cos: attorno al 1270 essa
esplo-
se nuovamente e in modo
pi aspro
che mai. Due
fatti, tra loro intima-
mente
congiunti
avevano fatto
agitare
nuovamente le
acque:
1)
La tra-
duzione latina delle
opere
di
Averro,
nelle
quali
la dottrina di Aristote-
le riceveva
un'interpretazione
che la rendeva ancora
pi incompatibile
con la fede
cristiana; 2)
L'accoglienzadell'interpretazione
averroisticada
parte
di alcuni maestri della facoltdelle
Arti,
in
particolare
di
Sigieri
di
Brabante che in
quegli
anni era
diventata la
figura pi rappresentativa
in
campo
filosofico.
Il momento cruciale del durissimo scontro
rappresentato,
come
gi
pi
Volte
detto,
dalla condanna
pronunciata
dal vescovo
Tempier
nel
1277 contro le tesi di
Sigieri
di
Brabante,
che
rispecchiavano
tutti i
punti
fondamentali dell'averroismo.
Quella
condanna non mirava soltanto a
Sigieri
e
ad
Averro, ma
anche ad Aristotele e a tutti coloro che, come
Alberto
Magno
e Tommaso
d'Aquino
avevano
creduto di
poter
rifare la
teologia
cristiana utilizzandoAristotele al
posto
di Platonee
dei
neopla-
tonici.
Quella
drammatica sentenza sembrava vanificare tutto lo sforzo
compiuto
da Alberto
Magno
e
da Tommaso
d'Aquino per
rinnovare la
Sigierz"
di Brabante 605
teologia
usando i metodi
e le
Categorie
di Aristotele. Era
una sentenza
che
poteva compromettere
tutto il futuro della
teologia.
E in
parte
sar
cos.
Ma
prima
di esaminare la condanna del 1277 dobbiamo
sapere qual-
che
cosa di
pi preciso
intorno a
Sigieri
di Brabante.
Sigieri
di Brabante
Per merito di F. Van
Steenberghen,
che alla
figura
cli
Sigieri
di Braban
te ha dedicato
una monumentale
monografia}
ora
possediamo
Cono-
scenze molto
pi ampie
e
pi
sicure intorno alla
vita,
le
opere
e il
pen-
siero di
questo importante personaggio
del secolo XIII.
VITA
Nato nel ducato di Brabante
Verso
il
1240,
Sigieri
studia all'universit
di
Parigi,
dove
consegue
il
grado
di
magister
in artibus tra il 1260 e
il
1265. Diviene chierico secolare
e canonico di San Paolo di
Liegi
(la sua
diocesi
d'origine), ma non
giunge
al
presbiterato.
Sin dai
primi
anni
del
suo
insegnamento Sigieri professa
un aristotelismo
inquietante,
non
rispettoso
della
teologia
e dell'ortodossia cristiana
(VAN STEENBERGHEN).
Contro le sue dottrine
prendono
subito
posizione
sia Bonaventura sia
Tommaso
d'Aquino.
Bonaventura
apre
la
polemica
nel 1267 con le
sue
Collatianes de decem
praeceptis;
nell'anno 1268
prosegue
con le Collationes
de donis
Spiritus
Sancti e nel 1273 torner sul tema con le Collutiones in
Hexaenzeron. Nel 1270 S. Tommaso interviene co] suo trattato De unitate
intellectus contra averroistas. Nello stesso anno si
registra
anche il
primo
intervento dell'autoritecclesiastica. Il 10 dicembre il
vescovo di
Parigi,
Stefano
Tempier,
condannauna serie di tredici errori e scomunica
quanti
li hanno
insegnati consapevolmente: qui
e05 docuernt scienter vel assue-
ruerint.
Questi sono
i concetti condannati: che l'intelletto di tutti
gli
uomini il medesimo dal
punto
di vista
numerico;
che la Volont del-
l'uomo decide
o
sceglie
in modo
necessario;
che tutto ci che accade
sulla terra
governato
dalla necessit dei
corpi
celesti;
che il mondo
eterno;
che l'anima che forma dell'uomo in
quanto uomo,
si
corrompe
anch'essa
con il
corpo;
che Dio non conosce
gli
individui;
che Dio non
conosce altro che
se
stesso;
che le azioni
umane non sono
governate
dalla divina
provvidenza.
1)
F. VAN
STEENBERGIJEN,
Siger
de Brabant d
hprs
ses oeuvres indites, 2
v0ll., Louvain
1931-1942.
606 Parte seconda
Sigieri
scrive allora due nuovi trattati:
Quaestiones
de anima inteliectiva
(1273) e Quaestiones
super
librum de causis
(1275)
in cui rivede
parzial-
mente le
proprie posizioni,
ma non
in misura sufficiente a
soddisfare
S. Tommasoe S. Bonaventura e
neppure
l'autoritecclesiastica di
Parigi.
Il 23 novembre 1276
Sigieri
e alcuni suoi
colleghi
sono citati davanti al
tribunale
delllnquisizione
in Francia. Ma
gli
accusati riescono a
fuggire
prima
della
promulgazione
del decreto di
citazione, appellandosi
al
papa,
Giovanni XXI
(Pietro Ispano),
il
quale
incarica il vescovo
Stefano
Tempier
di condurre un'inchiesta
e
di
informarlo,
il
pi presto possibile,
sugli
errori che si
insegnavano
nell'universit. ll vescovo di
Parigi
assol-
ve con
grande
zelo
quellncarico
e
di
sua
iniziativail 7 marzo
1277
pro-
nuncia la solenne condanna di 219
proposizioni riguardanti l'insegna-
mento di alcuni maestri della facolt di filosofia.
Questa
clamorosa con-
danna sembra abbia troncato l'attivit come maestro di
Sigieri,
che
doveva aver
gi
lasciato
Parigi per
sfuggire
ai fulmini
dell'Inquisizione.
Sigieri
sarebbe
poi
stato assolto dall'accusadi
eresia, ma costretto al
sog-
giorno vigilato
nelia curia
pontificia.
Il
teologo
muore a Orvieto,
duran-
te il
pontificato
di Martino
IV,
fra il 1281 e
il 1282: sembra che sia stato
assassinatodal suo
segretario,
sofferente di turbementali.
OPERE
Sono stati ritrovati finora
una
quindicina
di scritti che
sono
sicura-
mente
opera
di
Sigieri
o
resoconti del suo
insegnamento;
l'autenticitdi
altri sette
contestata,
mentre l'esistenza di alcune
opere
oggi perdute

provata
da diversi documenti. Gli scritti la cui autenticit universal-
mente riconosciutasi
possono
dividere in due
gruppi:
Commenti aristotelici
Sono tre: le
Quaestiones
in
Metaphysicanz.
un'eccellente
parafrasi
ai
primi
sette libri della
Metafisica
di Aristotele ed
l'opera pi importante
di
Sigieri.
Le
Quaestiones
rivelano un
Sigieri scrupoloso
nel rivalutarela
pura
dottrina aristotelica come
espressione
della filosofia
(...). Sigieri
difende il valore di una
filosofia che non soltanto il
preambolo
della
teologia,
ma una scienza autonomadotata di
principi
e
metodi
propri!
Possediamo inoltre le
Quaestiones
in
Physicam
(22
questioni
sulla Fisica) e
le
Quaestiones
in tertium de Anima (17
questioni
sullanima intellettiva,
in cui
Sigieri insegna
l'unit dell'intelletto
agente
e
possibile
e
di conse-
guenza nega
l'immortalit dell'animaindividuale).
2)
C. A. GRAIFF,
lrztroduction a SIGER DE BRABANT, Questions sur
la
mtnplzysiqzte,
Louvain 1948,
p.
XXVIII.
Sigieri
di Brabante 607
Opuscolifliosofici
Quaestiones
logicales
(la
prima
ha
per oggetto
il
significato
dei termini
logici); Impossibilia(stesura
di sei esercizi
sofistici); Quaestio
de necessitate
et
contingentia eausamflz; Quaestiones natumles
(sotto
questo
titolo esisto-
no due
raccolte, una di
Parigi,
con due
questioni,
e un'altra di Lisbona
con sei
questioni);
Tractatus de anima intellectiva
(in
dieci
capitoli
di cui
l'ultimo
o andato
perduto
o non mai
stato
composto; Sigieri
vi tratta
le
questioni pi
dibattute sullintelletto
umano);
Quaestiones
morales
(cin-
que
brevi
questioni
su temi
presi
dal trattato sulle
virt).
PENSIERO
Come si
detto,
l'opera pi importante
di
Sigieri
riguarda
la metafi-
sica,
ed intitolata
Quaestiones
in
metaphysicam.
E
un commento ai
primi
sette libri della
Metafisica
di Aristotele.
Il metodo di
Sigieri
una combinazionedi due
procedimenti:
la
para-
frasi
(breve riassunto del testo
aristotelico) e la discussione dei
punti pi
oscuri
e
pi
dibattuti.
Il testo delle
Quaestiones,
che stato edito
per
la
prima
volta nel 1948
da C. A.
Graiff, sembra
essere una
reportatio
di
qualche
studente
parigi-
no della facoltdelle Arti e non una editio curata direttamente dall'auto-
re. In
questo
scritto
Sigieri
mostra di
conoscere
perfettamente
non sol-
tanto
lopera
di Aristotele
ma anche i commenti di Avicenna
e di Aver-
ro,
nonch il commento di Alberto
Magno
e il
pensiero
di S. Tommaso.
Ed
proprio
per
le vivaci discussioni
con
gli
altri
commentatori di Ari-
stotele,
nelle
quali Sigieri
assume
generalmente
le
posizioni
di Averro
ma
sposando
allo stesso
tempo l'impianto
metafisico dei
neoplatonici,
che
l'opera
di
Sigieri occupa
un
posto importante
nella storia della
metafisica. La caratterizzazione
pi giusta
del
nuovo sistema
quella
che
gli
ha dato F. Van
Steenberghen:
si tratta essenzialmente di
un aristo-
telismo
neoplatonizzante
eterodosso.
Qui
ci limiteremo
a riferire il
suo
pensiero
sulle
seguenti questioni.
La
questione
della distinzione tra
essenza ed
essere nel! en te
Nella
Introductio,
che di fatto
un breve commento al
primo
libro
della
Metafisica, dopo
aver ricordato che il subiectum della metafisica
lens
(videtur
quod
ens
debet
pani
pro
subiecto huius
scientiae)
(q. l,
p.
2),?
Sigieri
affronta la
questione
dei
rapporti
tra essenza ed
essere
negli
enti.
3) 1 numeri delle
pagine
si riferiscono all'edizione in francese delle
Questinries
in
metaphysicam,
SIGFR DE
BRABANT, Questions sur la
mtaphysiquey...
cit.
608 Parte seconda
Come
sappiamo,
Avicennae
S. Tommaso nella loro analisi dell'ente (fi-
nito) avevano
introdotto una nuova composizione-distinzione,
quella
fra essere
ed
essenza,
che veniva ad affiancarsi alle
composizioni
di
materia e forma, e
di atto e
potenza. Sigieri
conosce
molto bene i loro
argomenti
e li riassume fedelmente
e,
schierandosi
apertamente
con
Averroil
quale
l'aveva criticata e
respinta, Sigieri
la trova
ingiustificata
e
inammissibile.Infatti dire "homo"
oppure
homo est" la stessa cosa.
D'altronde non
affatto- vero
che l'esse creato da
Dio, e
Yessentia no:
Haec distinctio nulla
est,
scilicet inter essentiam
quod
unum sii
efiectus
Primi
Principii
et aliud non (Questa
distinzione nulla,
cio fra l'essenza
per
cui
qualcosa
effetto del Primo
Principio
e
un'altra cosa non
lo
) (q.
7,
p.
14)
Sennonch nel
prosieguo
della discussione
Sigieri
anzich attener-
si alla
questione
dei
rapporti
tra essenza
ed essere nell'ente,
sposta
l'a-
nalisi alla considerazione dei
rapporti
tra ens e res e
qui
ha ovviamente
buon
gioco
nel dimostrare che ens e res non sono
due diversi elementi
dell'essenza, ma due modi diversi di intenderla;
nel caso
dell'ente l'es-
senza
viene intesa come atto,
nel caso
della cosa (res)
viene intesa come
habitus: Res et cns
significava!
eandent essentiam, non
tamen sunt duo
synonyma
nei:
significant
duas intentiones sicut homo et risibile,
sed
signifi-
cant eandem intentionem: ununz
tamen ut est
per
modum actus ut hoc
quod
dico
cns,
aliud
per
modum habitus ut ras (La cosa e l'essenza
significano
la
medesima
essenza,
tuttavia non sono due sinonimi n
significano
due
intenzioni come uomo e risibile,ma
significano
la medesima intenzione:
uno
tuttavia in
quanto
a modo di atto come
questo
che chiamo
ente,
l'altro a
modo di abito come
la
cosa)
(q.
7,
p.
17).
Quanto
ad Avicenna
egli
ha errato credendo che esse e res
significa-
no
due essenze diverse, perch significano
(la stessa essenza)
in modo
diverso
(q.
6,
p.
20).
E non
ha valore
neppure
l'argomento
di S. Tomma-
so il
quale,
come
sappiamo,
ricorreva alla distinzionereale tra essenza e
atto d'essere
negli
enti finiti,
per
distinguerli
da Dio. Infatti,
ci sono
altri modi
per
distinguere gli
enti finiti dalla
semplicit
del Primo,
per
esempio
il
conoscere, poich
tutto ci che altro dal Primo Conosce
mediante una
specie
che diversa da se stesso<<
(q.
6,
p.
22).
Ineludibilitdella
questione ontologica
e necessit della
metafisica
Ci deve essere una
scienza che tratta dell'ente in
generale
e
dei suoi
principi, perch
esistono
questioni
universali che toccano
l'ente in
quan-
to tale e
che nessun'altra scienza
affronta. La metafisica si
interroga
sulle
_cause
e
principi
dell'ente, ma
Sigieri
osserva
che
l'interrogativo
sulle
cause e
principi
dell'ente non
pu riguardare qualsiasi
ente, ma
soltanto
l'ente causato. Questo
anche il limite del famoso
interrogativo
che
ge-
Sigieri
di Brabarxte
609
neralmente viene attribuito ad
Heidegger
e
che invece si trova
gi
in Si-
gieri: Quare
est
magis aliquid
in rerum natura
quam
nihil?
(Perch
c'
qualcosa
in natura
piuttosto
che
niente?).
Ecco il
significativo
testo di
Sigieri
su
questo punto:
I
principi
e le cause dell'ente di cui
parla
Aristotele in
questo
testo
della
Metafisica
non vanno intesi nel
senso
che l'ente assolutamente
parlando
abbia cause e
principi,
di modo che abbia delle
cause sem-
plicemente
per
il fatto che
ente, perch
in tal
caso tutti
gli
enti
avrebbero
una
causa; perch
ci che
appartiene
all'ente in
quanto
ente,
appartiene
a
qualsiasi essere,
in
quanto gli
conviene
per
s e
universalmente; ma se
ogni
ente avesse una
causa,
allora
nessun ente
possiederebbe
una causa: mancherebbe infatti
una Causa
prima
c se
manca una causa
prima
non ci sarebbenessun'altra
causa.
Perci
per
cause e
principi
dell'ente in
quanto
ente il Filosofointende
le
cause
per
s e
simpliciter
dell'ente causato non cause accidentali
(secundum accidens) ma cause
per
s della entit
(entitatis)
di
quelle
cose
che hanno
una causa di
essa. Infatti
non tutti
gli
enti hanno
una
causa della
propria
entit n Vale
per
tutti la
questione
che ricerca la
causa dell'essere. Se ci si chiede
perch
nel mondo
(in rerum natura)
esista
qualche
cosa
piuttosto
che
nulla,
riferendosi alle cose
causate,
la
risposta
che esiste un Primo Motore immobilee una PrimaCausa
immutabile.Se invece ci si chiede circa l'intero universo
degli enti,
perch
in
esso ci sia
qualche
cosa
piuttosto
che
nulla, non il
caso di
esibire
una
causa, perch

come chiedere
perch
esiste Dio anzich
no
(quare magis
est Deus
quam
non est),
perch,
senza dubbio,
di
questo
non c' causa (IV,
comm.,
p.
183),
Causa
prima
e
infinito
regresso
Per
respingere
la tesi della
processione
in
infinitum
delle
cause,
invo-
cata dai
negatori
di
un Primo
motore, Sigieri
ricorre
all'importante
distinzione
gi proposta
da Averroe da S.
Tommaso, tra cause efficienti
ordinate essenzialmente
(che sono distinte nella loro essenza e
apparten-
gono quindi
a
generi
diversi) e cause
efficienti ordinate accidentalmente
(e
che
sono dello stesso
genere)
e fa vedere che nelle
cause ordinate
essenzialmenteil
regressus
in
infinitum

impossibile
(II,
q.
10,
pp.
53-54).
Pertanto esiste un'unica
causa efficiente di tutto: Ci che massima-
mente
perfetto negli
enti ci che
causa effettiva di
ogni
cosa (III,
q.
8,
p.
99).
Inoltre in tutto l'universo esiste un'ottima
disposizione
delle
cose,
e
questo
esclude che nell'universo ci sia
una moltitudine di
principi reggitori (principatuum), perch
in tal
caso non avremmo un'ot-
tima
disposizione (ibicL,
p.
100).
Pi avanti
per
sostenere la tesi dell'u-
nit del
principio, Sigieri presenta l'argomento
secondo cui dell'essere
non si d che
un solo
principio:
Un altro
argomento

questo.
L'ordine
610 Parte seconda
degli
effetti
corrisponde
all'ordine delle
cause;
sicch,
quando qualcosa
unificato
negli
effetti, esso
procede
dall'unit di una sola
causa;
infatti
gli
effetti hanno
un
elemento comune
perch procedono
da un'unica
causa. L'uomo e l'asino sono
distinti
perch
le loro cause sono distinte.
Ma tutte le cose
che esistono comunicano
nell'essere, e non c' nulla
negli
effetti che
non sia dalla
causa; pertanto
la
Causa
di tutti una
sola
(III,
q.
12,
p.
108).
Nella stessa
questione
lo stesso
argomento
e
presenta-
to anche nella forma inversa: ci che massimo in un
determinato ordi-
ne anche la causa
di tutto ci che
appartiene
a
quellordine.
Ora il
Primo
perfectissimurrt ens,
maxime
ens; perci
causa
di tutti
gli
enti
(ibid,
p.
109).
Il Primo causa universale ma immediatamente
produce
un
solo ef-
fetto.
Qui
Sigieri
fa
sua una tesi cara a tutto il
neoplatonismo,
da Plotino
fino ad Avicenna. L'effetto immediatodi Dio
unico,
necessario ed eter-
no: la
prima
delle
intelligenze
(V,
q.
ll,
p.
302).
Conoscibilitdi Dio
Commentando il Terzo Libro della
Metafisica Sigieri
affronta, e11
pas-
sant,
la
questione
della conoscibilitdi Dio. Da buon aristotelicosi
oppo-
ne
al drastico
apofatismo
dei
neoplatonici
che ammettevano soltanto
una conoscenza
negativa
di Dio. Anche
per Sigieri
esiste una conoscen-
za
negativa
del
Primo,
per
es.
che incorruttibilee
immateriale. anche
vero
che del Primo non
abbiamonessuna
immagine(phantasrta)
o sensa-
zione. Tuttavia - sostiene
Sigieri
noi siamo in
grado
di conoscere
la
sua essenza
perch
siamo in
grado
di
conoscere
l'essenza delle cose sen-
sibili. Anche
questa
essenza
si trova al di fuori delle sensazioni e
dei
fantasmi, e ciononostante viene conosciuta attraverso le
immagini
sensi-
bilio
fantasmi. Cos risulta che l'uomo assai
esperto
in
filosofia, attra-
verso
gli
effetti causati dal Primo
pu
arrivare alla conoscenza
dell'es-
senza del Primo (lll,
q.
2,
p.
84).
Eternit del mondo c della materia
Tutti
gli
aristotelici,
compreso
S.
Tommaso, avevano
difeso la fonda-
tezza della tesi della eternit del mondo. Su
questo punto Sigieri
ritorna
pi
volte nelle
Quaestiones
in
metaphysicanz. Egli
afferma
categoricamente
che il mondo
sempiterno quiz:
Caret
potentia
ad non esse
(poich
manca
della
potenza
al non essere) (II,
q.
8,
p.
47). Questo
per
non
significa
che il mondo sia incausato. Infatti una cosa dire che
una realt causata
ex
nihilo
e
altra dire che ha inizio
per
transnmtationern: ci che ha
una
causa efficiente
per
transnlututonenzad esse non
sempiterno; per
anche
il
sempiterno
ha
una causa del
proprio
essere (II,
q.
48,
pp.
48-49).
Sigieri
di Brabante 611
Pertanto,
dal fatto che
un ente sia causa e laltro causato non si
pu
dedurre che il secondo non
sia
sempiterno.
E viceversa dal fatto che
una sostanza sia
sempre
esistita e
che in essa non ci sia innovazione
(innovato) non si
pu
concludere che
non sia causata. Dalla esistenza di
sostanze
sempterne
s
pu
desumere che
non hanno
una causa
rispetto
al divenire
(non est causa in eis
quantum
ad
fieri)
ma non
rispetto
all'esse-
re>> (III,
q.
7,
p.
94). L'eternit del mondo
esige logicamente
Peternit
della materia.
Anchessa,
per,
ex nihilo
e
pertanto
creata. E
poich
la
materia
pura potenza
e
questa
non esiste mai
senza l'atto,
la materia
non mai esistita senza
qualche
forma.
Con
Averro,
Sigieri distingue
due
specie
di
materia, una sensibilee
una
intelligibile
0 celeste, e si
oppone
ad Avicenna che invece aveva
insegnato
che c' una sola
specie
di materia. Perci l'individuazionedei
corpi
celesti
non causata dalla
materia, come nelle sostanze sensibili,
ma dal
luogo: ogni corpo
celeste
occupa
un
posto
distinto
(III,
q.
2D,
pp.
157-158).
Partecipazione
ed
analogia
Partecipazione
e
analogia
erano state due elementi essenziali della
teoresi
per distinguere
i
platonici dagli
aristotelici. La
partecipazione
era
la dottrina
tipica
di Platone e dei
neoplatonici,
mentre
lanalogia
era
quella
di Aristotele
e
dei
peripateci.
Ma lo sforzo di conciliarePlatone
con Aristotele,
che durava da
secoli, aveva
operato
una
specie
di sintesi
o
di fusione di diversi elementi
provenienti
dalle due dottrine in un solo
organismo
teoretico
pi
0 meno
definito. Cosi nello stesso S. Tommaso
partecipazione
ed
analogia
si richiamano
a vicenda, e
la
partecipazione
rappresenta
il risvolto
ontologico dellanalogia.
Partecipazione
e
analogia
sono due
procedimenti
diversi che si
pro-
pongono
lo stesso obiettivo: mantenere
legati
ma allo stesso
tempo
for-
temente distinti i due
piani:
limmanente
e
il
trascendente,
il sensibile
e
Yintelligibile,
il finito
e l'infinito. La
partecipazione
fa
questo
sul
piano
ontologico, Yanalogia
sul
piano logico.
Sigieri
tratta
dellanalogia specialmente
con riferimento alla
predica-
zione del termine ente.
Seguendo
Aristotele
egli insegna
che
questo
termine,
bench usato in molti
modi, non ne univoco n
equivoco
ma
analogo.
Mentre nel termine
equivoco (per
es. tra
pesce
costellazione e
pesce
marino) non c' nulla di
comune se non il
nome,
nel termine analo-
go
c'
qualcosa
di
comune e
questa
comunanza consiste nel
rapporto
(ordo) a un unico
soggetto.
Qui Sigieri
ricorda il famoso
esempio
aristo-
telico della
predicazione
del termine sano":
sano detto
dell'animale,
dell'urina
e della dieta:
ma la
ragione
(ratio)
della sanit dell'urina e
della dieta fa riferimento
(ordinem habet)
alla sanit
nell'anima, e cos il
612 Parte seconda
nome
predicato
in
questo
modo bench
non abbiala stessa ratio,
tuttavia
una
ratio che fa riferimento alla stessa cosa (III,
q.
8,
p.
101).
Tale il
Caso nella
predicazione
del termine "ente": ens
in
quanto
viene detto di
tutti
gli
enti causati non viene detto di loro in modo meramente
equivo-
co e a
caso,
ma la ratio essendi che viene detta di
uno,
detta con
riferi-
mento a un altro, cos come avviene
quando
ente detto dell'accidente
con
riferimentoalla sostanza
(IbicL).
La
comunanza, precisa Sigieri,
non
sta nella causa formale,
che sfocia necessariamentenella
univocit,
bens
nella causa
efficiente
(ex
unitate suae causae
efiectivae)
0
della
causa
finale
(a unum
finem).
C'
analogia
nella
predicazione
del termine ente e non
univocit
perch
si
applica
non
allo stesso modo
ma
secondo un ordine
di
priorit
e
posteriorit (per prius
et
posterius):
Di tutte
queste
cose ente
non viene detto secondo la medesima
natura,
ossia univocamente:
per
es.
della sostanza e
dellaccidentenon si dice in modo
puramente
univo-
co
oppure puramente equivoco,
in tal modo che il nome ente sia un
nome
equivoco per
caso
(aequivocum
a casu)
imposto
alla sostanza e
all'accidente
per
ragioni
diverse; ma viene detto di esse secondo
priorit
e
posteriorit, poich
si dice dell'accidente
per
il
rapporto
che l'acciden-
te ha
con
la sostanza (...):
infatti la sostanza ha l'essere
per
s, mentre
Yaccidente lo
possiede
con
riferimento alla sostanza. Pertanto ente si
dice di molte cose
in molti modi
(multipliciter),
ma non
equivocamente,
ma a causa
del
rapporto
a un'unica cosa (a unum
aliquid)
(IV, comm.,
p.
186).
L'analogia
fonda l'unit della filosofia
prima,
la
quale pur
trat-
tando di realt molto diverse tra loro,
tuttavia le considera sotto un
unico
aspetto, quello
dell'essere che comune a tutti
(cf. ibicL,
p.
187).
Nella
questione
21 del commento al Terzo Libro
Sigieri
si chiede
se si
possa parlare
di
partecipazione
dell'ente: Utrunt ens
possit participari.
Richiamandosialla distinzionetra l'Ens
perfectissimum quod
est
lpsum
esse
e l'ens
commune, Sigieri spiega
che si
pu parlare
di
partecipazione
sol-
tanto nel
primo caso,
non nel secondo. E
precisa
che anche
con
riferi-
mento allEsse
ipsum
si
pu parlare
soltanto di una
partecipazione per
imitazione, non di una
partecipazione per
essenza: unde
aliquid potest
participare
Ens Primum non.
per
essentiarm sed
per
imitatiorzem
(p.
161
).
Il
principio
di
partecipazione
non invece
applicabile
allens commu-
ne, perch
la
partecipazione comporta sempre composizione
tra la natu-
ra del
partecipante
e il
partecipato,
i
quali appartengono
a due ordini
diversi. Ma
questo
non avvienenel caso
dell'ente
comune, quia
nihil est
in
ipso quod
sit
dijjfererts
ab ente Uel a ratione entis (Poich non vi nulla in
esso
che sia differente dall'ente o
dalla
ragione
di
ente)(lbid.).
La
nega-
zione della
partecipazione riguardo
all'erta: commune in
perfetta
sinto-
nia col rifiuto della
composizione
di
essenza
ed essere nell'ente,
che
come s' visto uno
dei
punti
chiave della metafisica di
Sigieri.
Sigieri
di Brabante
613
La
provvidenza
La
provvidenza,
secondo
Sigieri,
che anche
su
questo punto
si schiera
con i
neoplatonici,
indiretta
come la creazione: esercitata
per
mezzo di
cause intermedie
e secondo
leggi naturali,
cio attraverso sostanze
spiri-
tuali,
uniche nella loro
specie,
motori delle sfere celesti. Le ultime due
sono l'intelletto
agente
e Pintelletto
possibile(passivo).
Nell'altra
sua
opera
fondamentale,
Quaestiones
de anima
intellectiva,
Sigieri,
da buon
averroista,
insegna
che
nell'uomo l'azione intellettiva viene svolta da
un
unico intelletto
agente
e da
un unico intelletto
possibile,
i
quali
si
servo-
no delle
immagini
della fantasia
(phantasmuta)
per
esercitare l'attivit
astrattiva. La volont
pure
unica
come
l'intelligenza.
Non vi
sono dun-
que
n immortalit
personale
n sanzioni individuali
dopo
la
morte;
le
sanzioni
sono immanenti alle azioni buone
e
malvagie
di
questo
mondo.
I
rapporti
tra
fede
e
ragione
Nellermeneutica del
pensiero
di
Sigieri
la
questione pi
dibattuta
verte sulla
sua
posizione
a
proposito
dei
rapporti
tra fede
e
ragione.
Gli
storici hanno fatto di lui il
padre
della teoria della
doppia
verit:
una verit
filosoficache
coincide sostanzialmente
con
gli insegnamenti
di Aristote-
le, e una verit rivelata che
quella
contenuta nella Sacra Scrittura.
In
precedenza,
trattando di
Averro, abbiamovisto che tale dottrina
estranea al
suo
pensiero.
Per Averro la verit una sola
e di fatto
essa
pu
stare sia dalla
parte
della filosofia sia della
teologia. Qualora una
verit sia
probativamente
dimostrata
con
argomenti filosofici,
in tal
caso
il testo sacro che
pu
sembrare
contraddirla, va
interpretato
simbolica-
mente.
Secondo F. Van
Steenberghen
la teoria della
doppia
verit stata
imposta
a
Sigieri
di Brabante dai suoi
avversari, ma in realt
egli
non
l'avrebbemai
insegnata.
Sigieri
non ha mai affermato che esistesse
una verit filosofica
e una
verit
rivelata, bench
queste
verit fossero
contraddittorie; simile
dottrina
,
del
resto, affatto
incompatibile
con la
sua teoria della
cono-
scenza e con la sua metafisica. Nelle formule
pi
radicali
Sigieri
e i
suoi fautori dichiarano che alcune conclusioni filosofiche
sono neces-
sarie,
ossia inevitabilisul
piano razionale, ancorch contrarie alle
affermazioni della
fede,
le
quali
sono le sole a essere vere (...).
Quando
si riuniscono le indicazioni
sparse negli
scritti di
Sigieri
rela-
tive ai
rapporti
tra fede e
ragione
si ottiene labbozzo di un tentativo
di conciliazioneche
pu
essere cos riassunto: 1. Non
pu
esistere
contraddizionetra il
vero rivelato
e il
vero
scoperto
dalla
ragione,
perch
il vero ci che
, e lo stesso Dio
non
pu
fare che ci che
non sia,
che
l'impossibile
sia
possibile,
che affermazioni contradditto-
614 Parte seconda
rie siano allo stesso
tempo
vere;
2. La verit rivelata ,
per
sua natura,
superiore per
eccellenza e certezza
alla verit intuita dalla
ragione
umana. Perci,
in caso
di conflittotra verit e una
opinione
filosofica,
bisogna scegliere
la
prima
e
riconoscere
che la seconda contraria
alla
verit;
3. Lo sforzo della
ragione
umana
limitato e
spesso
inade-
guato
al
proprio oggetto,
tanto
pi
che
un
intervento
soprannaturale
della Causa
prima pu
introdurre nell'ordine cosmico o nell'ordine
umano
elementi nuovi che
ne
modificano le condizioni,ma
che resta-
no
inaccessibilialla conoscenza
naturaledell'uomo.4
Questa
soluzione
coincide sostanzialmentecon
quella
di S. Tommaso
e
anche
questo spiega perch
alla fine
Sigieri
sia stato assolto dall'accusa
di eresia.
Dalla fine del sec.
Xlll fino alla met del sec. XIX,
Sigieri
stato cono-
sciuto
quasi
esclusivamente attraverso
Pelogio
che Dante ne
fa
per
bocca
di S. Tommaso:
Questi,
onde a me ritorna il tuo
riguardo,
il lume d'uno
spirto,
che in
pensieri
gravi,
a
morir
gli parve
venir tardo.
Essa la luce eterna
di
Sigicri,
che,
leggendo
nel vico delli strami,
sillogizz
invidiosi veri (Paradiso X, 133-138).
Dante colloca
Sigieri
nel
quarto
cielo del
paradiso,
abitato da dodici
saggi
che si sono
distinti
per
la loro fedelt alla missione ricevuta dalla
Provvidenza. A
Sigieri,
che era un
filosofo cristiano,
il
poeta assegna
il
ruolo di
rappresentante
della filosofia(visto
che tutti
gli
altri
grandi rap-
presentanti
di
quella disciplina
erano
pagani
e
pertanto
non
potevano
essere
inclusi nel
paradiso).
Dante era certamente al corrente
dell'asso-
luzione dal crimine di eresia,
per
cui
Sigieri
era stato
osteggiato
dai teo-
logi;
cos nulla si
opponeva
n alla scelta del maestro di Brabante come
personificazione
della filosofia,
n al suo
elogio
da
parte
di S. Tommaso.
La condannadel 1277
La condanna del 1277 non interessa
soltanto l'universit di
Parigi
ma
tutta la cristianit, perch
in
quell'epoca Parigi
era certamente
il
pi
importante
centro culturale di tutto il mondo cristiano. Come ha scritto
4)
F. VAN STEENBERGHEN-A. FoREsr-M. DE GANDlLLAC,
Il nzovimcizto dottrinale
nei secoli IX-XIV,
vol. XIII di A. FLICHE V.
MARTIN,
Storia della Chiesa, cit.,
pp.
381
382.
Si
gieri
di Brabante 615
Gilson,
La condanna del 1277 una
pietra
miliarenella storia della filo-
sofia
e della
teologia
medievalemvEssa
pone praticamente
fine al
grande
sforzo di Alberto
Magno
e di Tommaso
d'Aquino
e dei loro
discepoli
di
armonizzareil cristianesimo
con Yaristotelismo
e la fede cristiana con la
ragione umana;
si
compie
cos
una svolta decisiva
a favore
dell'agostini-
smo e del Volontarismo.
Gi conosciamo le circostanze che hanno
portato
il
vescovo di
Parigi,
Stefano
Tempier,
a
promulgare
la clamorosa sentenza del 7
marzo
1277. Su richiesta del
papa, Tempier
aveva riunito una commissione di
sedici
teologi
(tra cui Enrico di
Gand)
che effettuarono un'inchiesta af-
frettata
e incoerente: le
proposizioni
estratte da
questi
scritti furono riu-
nite
disordinatamente, senza alcuno sforzo di
organizzazione
o di unifi-
cazione, tanto che
non si
sono evitate in
questo
sillabo di 219
proposi-
zioni,
ripetizioni
e contraddizioni.
Nel
Prologo
del decreto si biasima
l'atteggiamento degli
artisti"
che,
trascinati dai filosofi
pagani, insegnano
detestabilierrori e che,
per sfug-
gire
alleresia,
oppongono
la verit della fede cattolica alla verit filoso-
fica
come se
potessero
esistere due verit tra loro contraddittorie. Ven-
gono quindi
condannati in modo
categorico
tutti
gli
errori
presentati
nell'elenco che
pubblichiamo
di
seguito
e sono scomunicati tanto
quelli
che li hanno
insegnati quanto
i loro
ascoltatori, a meno
che si
presenti-
no,
entro sette
giorni,
al
vescovo o al
suo cancelliere
per
ricevere la
pena
commisurata alle loro
colpe.
Si condannano inoltre due
opere,
il De D90
anzoris
e un libro di
geomanzia. Segue poi
il
Vero e
proprio
Sillabo. Il
P. Mandonnet lo ha
pubblicato
introducendovi
un ordine
logico
e
giunse
al
seguente
risultato: 179 errori filosofici
e 40 errori
teologici;
i
primi
riguardano
la natura della filosofia
(7),
Dio
(25),
le
lntelligenze separate
(31),
il mondo
corporeo
(49), l'uomo
e la sua attivit
spirituale (57),
il
miracolo
(10). Gli errori
teologici
interessano la
religione
cristiana
(5),
i
dogmi
(15), le virt cristiane
(13) e i fini ultimi
(7).
Il sillabo" del 1277 include la
precedente
lista del 127D ma con molte
aggiunte,
e non
sempre
facilestabilire
con certezza la
paternit
delle
proposizioni
condannate. Secondo Gilsonla
paternit
delle
proposizioni
principali
sarebbe la
seguente:
9. Che nella
presente
vita mortale Dio
pu
essere conosciuto nella
sua essenza
(Sigieri);
10. Che tutto ci che
noi
conosciamo di Dio che
egli
,
vale
a dire la
sua esistenza
(Tommaso
d'Aquino);
13-15. Che Dio non conosce altri esseri
e non
ha
conoscenza
immediata delle
cose
contingenti (Sigieri);
20. Che Dio
produce
necessa-
riamente ci che
segue
immediatamente da lui
(Sigieri);
33. Che la
5)
E.
GILSON,
History ofChristian Philosophy... cit.,
p.
408.
616 Parte seconda
Prima Causa
pu produrre
soltanto un
unico effetto
(Sigieri);
64. Che
Dio la causa
necessaria del movimento dei
corpi superiori
(Avicenna);
80. Che
l'argomento
con
cui il Filosofo dimostra che il movimento del
cielo eterno non sofistico
(probabilmente
S. Tommaso);
99. Che ci
sono vari
primi
motori
(Sigieri);
117. Che l'intelletto
degli
uomini unico
(Sigier);
133. Che l'anima
inseparabile
dal
corpo
(Averro);
153. Che
l'intelletto e la Volont non sono mossi ai loro atti da se
stessi ma
dai cor-
pi
celesti (Averro);
189. Che la creazione ex
nihilo
impossibile
sebbene
debba essere
accolta
per
fede
(Sigieri).
Alcune delle
proposizioni
condannate sono
di
origine ignota
e
forse
circolavano soltanto oralmente;
per
es.
quelle
che affermano che la reli-
gione
cristiana contraria all'educazione
(quod
lex christiana
impedit
addi-
scere);
che nella
religione
cristiana ci sono
falsit ed errori come
nelle
altre
religioni (quod fabulae
et
falsa
szmt in
lege
christiana sicut in
aliis);
che
studiando la
teologia
non si
impara
nulla di
pi (quod
nihil
plus
scitur
propter
sci-re
theologiam);
che ci che
insegnano
i
teologi
si basa sui miti
(quod
sermones
theologifundati
sunt in
fabulis).
Ricondotte al loro
significatoprofondo
le tesi condannatedal siilabo"
del 1277
equivalgono
all'affermazioneche la vera
saggezza

quella
dei
filosofi,non
quella
dei
teologi (quod sapientes
mundi sunt
philosophi
tantum)
e che,
di
conseguenza,
nessun altro stato
superiore
alla
pratica
della filo-
sofia
(quasi
non est excellentior status
quam
varare philosophiae).
Anche l'uni-
ca
felicit
quella
che l'uomo
saggio pu raggiungere
con
la
pratica
della
virt durante la vita
presente (quod felicitas
habetur in ista vita, non in alia).
Non c'
pertanto bisogno
di virt
soprannaturali
infuse
(quod
non sunt
possibiles
aliae
virtutes,
nisi
acquisitae
vel innatae).
Non c'
pi posto per
l'u-
milt cristiana che consiste nel celare i
propri
meriti,
n
per
la mortifica-
zione che rende
pi
triste l'esistenza. In
breve,
tutto lo stile di vita
"laico", non cristiano,
dei filosofi
greci
e
arabi
(Avicennae Averro)
che in
queste proposizioni
viene rivalutatoin
contrapposizione
al cristianesimo.
La lista delle
proposizioni
tomstiche
implicate
nella condanna varia
a seconda
che
venga
compilata
da studiosi francescani
oppure
domeni-
cani,
oppure
a
seconda che si faccia coincidere con
proposizioni
che si
trovano
nelle
opere
di S. Tommaso alla lettera
oppure
no.
La lista
pi
sicura include una mezza
dozzina di
proposizioni,
che
sono le
seguenti:
27. Che la Causa
prima
non
pu produrre
vari universi;
42. Che Dio non
pu moltiplicare gli
individui nella
specie
senza
la
materia;
52. Che le
Sostanze
separate
non
mutano nelle loro
operazioni perch
la loro
appe-
tizione una sola;
53. Che
un'intelligenza,
un
Angelo
o
un'anima
sepa-
rata non
si trova in
nessun
luogo;
80. Che
l'argomento
con
cui i filosofi
provano
l'eternit del mondo non
un
argomento
sofstico;
162. Che la
conoscenza
di cose contrarie la sola
ragione per
cui l'anima razionale
Sigierz"
di Brabante 617
pu
volere
cose
opposte.
Come vedremo tra
poco,
l'inclusione di una
lista di tesi tomistiche nel sillabo del 1277 rese ancora
pi
baldanzosi i
numerosi avversari di S.
Tommaso, che cercheranno di ostacolare
con
ogni
mezzo la diffusione del
suo
pensiero.
Il decreto di
Tempier
ritar-
der la marcia
progressiva
del tomismo e
porter
un ritorno di vitalit
allaristotelismo eclettico che S. Tommaso aveva voluto
superarew
La
condanna del 1277 ebbe
Conseguenze
di
enorme
portata per
i successivi
sviluppi
della
filosofia,
della
teologia,
della scienza e della cultura in
generale.
Essa
segn
il trionfo della facolt di
teologia
su
quella
delle
Arti,
dei
teologi
sui
filosofi,
della linea conservatrice sulla linea liberale
e
progressista,
dell'indirizzodella filosofia
platonico-agostiniana
sulla
filosofiaaristotelica
e tomistica. Come nota Van
Steenberghen:
il decre-
to del 1277
grav pesantemente
sulla vita scientifica di
Parigi per
un
mezzo secolo.7 Uno
spirito
di
sospetto
verso la filosofia
e la scienza
prese
il
posto
dello
spirito
di fiducia
e collaborazione che Alberto Ma-
gno
e Tommaso
d'Aquino
erano riusciti a instaurare
per
qualche tempo
con la loro revisionecristiana di Aristotelefi
Le
conseguenze pi
marcate in
campo teologico
si
avranno
qualche
decennio
pi
tardi
con Scoto e Occam. Con loro
prender
il
sopravvento
definitivo
quell'indirizzo
volontaristicoche cambieril volto della teolo-
gia,
rendendo assai
precario ogni
tentativo di conferire
carattere razio-
nale ai misteri cristiani e di
giustificare
razionalmentei
preamboli
della
fede. Dalla
"teologia
forte" nutrita di robusta metafisica di S. Tommaso
si
passer
a una
Teologia
debole, con basi metafisiche
povere
e vacil-
lanti.
6) F. VAN SFEENBRGHRN-A. FOREST- M. DE
GANDILLAC,
Il muvinzento dottrinale...
cit.,
p.419.
7) Ibid.
8) Sulle
conseguenze
della condanna del 1277 sulla
teologia
cf. E.
GlLsoN,
History of
Chrisfian
Philosuphy...
cit.,
pp408410.
618 Parte seconda
Suggerimenti bibliografici
P.
MANDONNET,
Siger
de Brabant et Faverroisnze latin
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Parigi
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B.
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Ancora sul
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Siger
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2
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Louvain 1931-1942.
ID.,
Les oeuvres et les doctrirzes de
Siger
de
Brabant,
Bruxelles 1938.
I METAFISICIFRANCESCANI DEL XIII SECOLO
Con S. Francesco
e S. Chiara l'Ordine Francescano ha scritto
pagine
indelebilinella storia della
mistica; ma con i suoi
grandi magistri
(mae-
stri)
del secolo XIII ha scritto
pagine
molto
importanti
anche nel storia
della metafisica.
L'obiettivodi
questa
scienza uno solo: la
scoperta
del
Principiopri-
mo
di tutte le
cose;
ma molte
sono le vie
per raggiungerlo
e molti i modi
per raffigurarlo.
Sulle due vie
principali
che
sono
quelle
tracciate da
Platone e da Aristotele si mossa
praticamente
tutta la metafisica cri-
stiana,
privilegiando
ora l'una ora l'altra, ma rinnovandole
profonda-
mente e cambiandoradicalmente la
raffigurazione
del
Principio
che
ora
assume i lineamenti
precisi
del Dio Creatore del cristianesimo.
Con il ritorno di Aristotele in Occidente tutti i
pensatori
cristiani de-
vono fare i conti con la sua metafisica, ma non tutti lo fanno allo stesso
modo.
C'
una
corrente,
che ha in Alberto
Magno,
Tommaso
d'Aquino
e
Sigieri
di Brabante i suoi
maggiori esponenti,
che
accogliequasi integral-
mente il
pensiero
metafisico di Aristotele
e
lo
integra
talvolta
con
qual-
che elemento
platonico.
C' un'altra corrente che,
pur
non
ignorando
Aristotele, mantiene ancora essenzialmente
l'impianto
metafisico
plato-
nico-agostiniano.
I
maggiori esponenti
di
questa
seconda Corrente sono
i
magistri
francescani. Per essi conferisconoal loro edificio metafisico
uno
spirito nuovo,
un'anima
nuova,
che
precisamente
lo
spiritoflancescarzci.
Cos
appare giustificata
la caratterizzazionedi
agostinismo
aristotelizzante
che F. Van
Steenberghen
ha dato alla loro
metafisica, come
pure quella
di
"metafisica francescana che le ha
assegnato
E. Gilson.
E.
Gilson,
impareggiabile
studioso della filosofiacristiana
medievale,
nel suo
capitale
studio su Bonaventura,
qualifica
il
suo
pensiero
come
sintesi mistica
de1lagostinismo medioevale, metafisica della mistica
cristiana, metafisica francescana.
Uaggettivofrancescana
vuole essere
una
qualifica
intrinseca e non estrinseca, e non si riferisce al fatto che
certi autori
appartengono
all'Ordine
Francescano, ma al loro modo
spe-
ciale di fare
metafisica,
rispecchiandovi
lo
spirito
di S.
Francesco,
la
sua
considerazione mistica della realt. Con tonalit diversa oltre che in
Bonaventura lo
"spirito
francescano"
presente
in tutti
gli
altri
grandi
maestri che l'Ordine ha dato alla Chiesa nel secolo XIII: Alessandro
di
Hales,
Roberto
Grossatesta,
Ruggero
Bacone
e Duns Scoto. Ci che li
620 Parte seconda
accomuna,
oltre al modo francescano di considerare le
cose,
una forte
subordinazione della filosofia alla
teologia,
una
utilizzazionemoderata
e
circospetta
di Aristotele
e una marcata
preferenza per
S.
Agostino.
L'Ordine Francescano fu molto sollecito
nellaprire degli
studia
gene
ralia
per
i
propri
membri nelle due massime universit esistenti nellEu
topa
cristiana
agli
inizi del secolo XIII,
Parigi
ed
Oxford,
che
gi
allora
seguivano
due diversi indirizzi:
pi
scientifico
quello
di Oxford,
pi
filosoficoe
teologico
e
quindi pi speculativo quello
di
Parigi.
Ci era
dovuto anche al fatto che il
privilegio
di conferire i titoli accademici
per
l'insegnamento
della
teologia
era stato dato dalla Santa Sede esclusiva-
mente all'universit
parigina.
Questa
diversa sensibilit
per
la
specula-
zione si manifester chiaramenteanche nei
magistri
Francescani usciti da
Parigi
e da Oxford. La metafisica dei maestri oxoniensi di
stampo pi
fisicalistico, mentre
quella
dei maestri
parigin
di
stampo spiccatamen-
te
spiritualistico.
I fondatori della metafisica francescana:
Alessandro di
Hales,
Roberto
Grossatesta, Ruggero
Bacone
Il
capostipite
e la
guida pi
autorevolee
seguita
della Scuola france-
scana fu,
fino
a
Duns Scoto,
il maestro
parigino
Alessandro di Hales.
ALESSANDRO DI HALES
Alessandro
nacque
ad
Hales,
nella contea di
Gloucester, verso
il 1190
da una
ricca
famiglia,
che lo
invi, ancora molto
giovane,
a
Parigi,
a stu-
diare
prima
le Arti e
poi
la
teologia.
Alessandro vi
consegu
la licentia
docendi in entrambele facolt. Per molti anni fu
reggente
della facoltdi
teologia, acquistandovi
una
grande
fama come maestro

magnus
magi-
ster in
theolugia
sui
temporis,
scrive
Ruggero
Bacone -
dove,
sempre
secondo Bacone,
primus fuit qui legit
(Librum sententarum) e svolse un
ruolo
importante
nella soluzione della crisi che
colp
la Sorbona tra il
1229 e
il
1231, a causa dei conflitti dell'universit col re
di Francia. Nel
1235 Enrico III di
Inghilterra
lo invi
quale
suo
ambasciatore
presso
Luigi
IX di Francia
per negoziare
la
pace
tra i due
paesi,
cosa
che avven-
ne
l'anno successivo. Nel
frattempo
Alessandro aveva
indossato il saio
ne1lOrdine Francescano (1231),
divenendo in tal modo il
primo
frate
minore a
occupare
una
cattedra di
teologia
nella
prestigiosa
universit
di
Parigi.
Continu il
suo
insegnamento
fino al
1238,
quando
lasci la
cattedra a un
discepolo pure
francescano,
Giovanni de la
Rochelle,
cui
doveva succedere
pi
tardi,
nel
1248,
il
pi grande teologo
dell'Ordine,
I
metafisicifrancescani
del XIII secolo
621
Bonaventura da
Bagnoregio.
Questi
chiamer Alessandro
pater
et
magi-
ster nostrae bonae memoriae. Invitato al Concilio di Lione insieme a
Giovanni de la Rochelle, fu incaricatodi esaminare i documenti relativi
alla canonizzazionedi S. Edmondo di
Canterbury.
Mor a
Parigi
il 21
agosto
1245. I suoi funerali furono
presieduti
dal
legato pontificio,
a testimonianza della stima universale che Alessandro
si era
guadagnato
in tutti
gli
ambienti,
ecclesiastici
e
civili.
Il
nome
di Alessandro di Hales
legato
a una monumentale Summa
theologiae, Completata
da alcuni
discepoli.
La Summa una vasta sintesi
delle dottrine
teologiche
che costituiscono il
patrimonio
comune
dell'a-
gostinismo
medievale,
in cui il
linguaggio
filosofico di Aristotele e dei
filosofi arabi da
questi
utilizzato
per
discutere di alcune fra le
pi
importanti questioni
della
metafisica,
viene assorbitoin
un contesto
pla-
tonico-agostiniano
attraverso
l'interpretazione
avicenniana.
Due sono
i tratti
pi
salienti della Summa: l'uso sistematico del meto-
do dialettico e
sillogistico,
e la ricchezza
e variet delle fonti
adoperate
e
citate. Per
quanto
concerne
il
primo punto,
la Sitmma una
perfetta
testi-
monianza dei nuovi
sviluppi
di
quel
metodo che
era nato nelle scuole di
Abelardoe di GilbertoPorretano e
che
aveva
gi
avuto
significativi ap-
profondimenti
per opera
di
Guglielmo
di Auxerre e di Rolando da Cre-
mona. Per
quanto
concerne
il secondo
punto,
all'interno di una tradizio-
ne consolidata ormai da
secoli,
Alessandro
espone
la dottrina della
Rivelazionebasandosi
soprattutto
sulla
Scrittura, ma
ricorrendo
frequen-
temente anche allautorit dei
teologi (Agostino,
Anselmo, Bernardo,
Ugo
di S.
Vittore) e
dei filosofi
(Avicenna, Al-Farabi, Avicebron)
da lui
preferiti.
Nettamente distinte nel loro
oggetto
materiale e formale,
nella
origine
della
conoscenza (fede e
ragione)
e
nel
grado
di
certezza, teologia
e filosofia
convergono
tuttavia nella costruzione della
saggezza
cristiana.
Tracciatala
profonda
linea di demarcazione che
separa
la
teologia
dalla filosofia
e
da
ogni
altra
scienza, e
mantenendo Aristotele e la Sua
metafisica a debita
distanza,
nella sua monumentaleSamara Alessandro
trova il modo di
attingere
a tutte le forme del
sapere
e in
particolare
alle
nuove conoscenze
della natura e dell'uomo
giunte
in occidente
grazie
agli
arabi e
ad Aristotele. Nonostante i divieti delle autorit ecclesiasti-
che e universitarie il
pensiero
dello
Stagirita
stava ormai
conquistando
le universit di
Parigi
e
di Oxford e nessun
magister poteva pi ignorar-
lo. Cos anche Alessandro di Hales ne
fa
largo uso,
pur
considerandolo
sempre
soltanto
qualcosa
di esterno
rispetto
a ci che costituisce essen-
zialmentela
teologia.
Nella Summa si ritrovano alcuni
insegnamenti
che diverranno
tipici
della scuola
francescana,
in
particolare
le dottrine della
illuminazione,
dellilemorfismouniversale
e
dellesemplarismo.
Con la illuminazione
622 Parte seconda
egli spiega l'origine
della
conoscenza dei
principi primi
e delle idee uni-
versali: l'intelletto li
apprende
non mediante Pastrazione
ma
grazie
alla
divina illuminazione.Con
l'ilemorfisn:0
universale
(mutuato
da Avice-
bron)
egli
afferma che
gli angeli
e le anime non
possono
essere
pure
forme, ma sono
anch'essi dotati di materia e forma. Infine
con
l'esempla-
rismo
egli insegna
che Dio la causa
esemplare
di tutto
quanto
esiste
e,
per questo
motivo, tutte le
cose sono
immagini
dell'essere divino.
A fondamento della
teologia
naturale Alessandro
pone
la bont divina
assunta come
principio
della creazione:
ogni
creatura est nata
repleri
divina
bonitate,
aliter
vacua esset
(
destinata ad
essere ricolmata dalla
bont
divina,
altrimenti sarebbe
vuota) (I, n. 44) e
pertanto ogni
Creatu-
ra diviene
l'espressione
della bont divina. Di
qui
la
simpatia
di Ales-
sandro
per l'argomento
anselmiano,
dato che la creatura razionale di-
spone
di immense
possibilit
per
elevarsi a Dio: natura rationalis ahim-
dat in
potenta cognoscendi
Deum
(II, n. 166).
Nella soluzione del
proble-
ma del male evidente l'influssodi S.
Agostino. Uobbligazione
morale
deriva dalla
conoscenza di Dio e
dalla
sua
legge impressa
nella natura
delle
cose,
in modo tale che il valore morale risiede nella conformit del-
l'attivit liberacol Sommo Bene.
Nella
teologia
trinitaria,
rifacendosi alle intuizioni
agostiniane
del
De Trirzitate
(VIII, 10),
Alessandro
propone
una
teologia integrale
dell'a-
more,
la
quale gli
consente di
spiegare
il dinamismodi tutte le
processio-
ni divine
e non
soltanto la
processione
della terza
persona,
lo
Spirito
Santo. L'amore in forma del tutto
gratuita
il
Padre,
l'amore ricevuto e
che si dona il
Figlio;
l'amore
puramente
ricevuto lo
Spirito
Santofl
Egli
cos
non
fa
appello all'intelligenza
per distinguere
le due
processio-
ni:
l'intelligenza
non
per
lui
feconda, cos da
poter produrre
un altro
essere. Il
pensiero,
in
Dio,
quindi appartiene
alla sfera essenziale
e non va
da
soggetto
a
soggetto.
L'amore e il
principio adeguato
di
spiegazione
della vita trinitaria. Il merito di Alessandro la distinzione chiara tra
amore di
compiacenza", per
cui una
persona
ama
"per
s" facendodel-
l'io la ratio
diligendi,
e "lamore di
amicizia,
per
cui si ama un
soggetto
per
se stesso e nel
quale l'oggetto
amato e la ratio
diligendi
coincidono.
Ne
consegue
che l'amore Veramentetende
sempre
verso l'altro ed esclude
l'amore
proprio
e
privato
(Il, n. 176).
A
questa
luce
egli sviluppa
l'intui-
zione di Riccardo di S.
Vittore,
secondo cui nell'Amore
supremo
c' una
pluralit
di
soggetti.
1) Cf. Summa
I, n. 317.
I
metafisicifrancescani
del XIII secolo 623
Alessandro di Hales
godette
di
grande prestigio
sia in vita che
dopo
la morte. S. Bonaventura si riferisce
a lui come a un
padre
e un maestro
spirituale.
S. Tommaso lo raccomandainsistentemente e Giovanni di
Garlandia10
designa
come fiore dei filosofi e solida colonna della Chie-
sa. Molte sue
posizioni
dottrinali furono
riprese
e
integrate
in una
nuova sintesi da S. Bonaventura e Matteo di
Acquasparta,
che le trasmi-
sero a una vasta
posterit.
Mentre a
Parigi
Alessandro di
Hales, con la sua Summa,
forniva
all'Ordine Francescano
un manuale di
teologia
che
rispondeva
in
pieno
alle
esigenze
della
spiritualit
francescana,
ad Oxford Roberto Grossate-
sta e
Ruggero
Bacone
promuovevano
un
profondo
rinnovamento
degli
studi che toccava oltre che la
teologia
anche la metafisica.
ROBERTO GROSSATESTA
Roberto Grossatesta
non
fece mai
professione religiosa
nellOrdinedi
S.
Francesco, ma amava molto i
figli
del Poverello di Assisi fu lui a
introdurli nell'universit di Oxford
-;
contribu inoltre allo
sviluppo
dello Siudium Francescano oxoniense tenendovi
personalmente
lezioni
di SacraScrittura e di
teologia.
Roberto Grossatesta
(nato a Stradbrockverso
il
1175) aveva
compiuto
i suoi studi a Oxford e forse anche
a
Parigi.
Fu il
primo
a
occupare,
nel-
l'universit di
Oxford,
la carica di
Magister
scholarunz
(1214),
assumendo
le funzioni di
primo
cancelliere.
Negli
anni successivi
percorse
tutti i
gradi
della carriera ecclesiastica fino
al1episcopato:
nel 1229 divenne
arcidiacono di
Leiccster;
nel 1235 fu nominato
vescovo
di Lincoln.
In
quegli
stessi
anni,
prima
della nomina a
vescovo,
aveva chiamato i
Francescani a Oxford ed
era
diventato lettore di Sacra Scrittura e di teo-
logia
nel loro Studium.
Assai
vasta,
la
produzione
letteraria di Grossatesta
comprende
tre
generi
di scritti:
trattati,
commenti e traduzioni:
a)
tra i trattati ricordia-
mo: De
sphaera,
De
cometis,
De
luce,
De
iride,
De
colore,
De
finiture
motus
et
temporis,
De libero
arbitrio, De
veritate,
De scientia
Dei; b) tra le traduzio-
ni: molto
importanti per
la cultura latina medievale le
sue traduzioni
delle
opere
di Giovanni Damasceno
(De
fide
orthodoxa e De
haeresibus) e
dell'intero
Corpus areopagiticum,
nonch di alcune
opere
di Aristotele
(il
De coelo e Yfithicaad
Nichomacunz); c)
tra i commenti: ai
Salmi,
alle
Lettere di S. Paolo e ad alcune
opere
di Aristotele:
Analytica posteriore,
Physica,
De
sophisticis
elenchis.
Roberto Grossatesta
appartiene
a
quel singolare
e straordinario mo-
mento storico in cui il mondo cristiano
(la
respublica
christiana)
si
apre
agli
influssi della cultura araba
(Avicenna, Averro) e alla filosofia di
624 Parte seconda
Aristotele, e inizia una nuova inculturazione del cristianesimo in cui
l'asse si
sposta
da Platone /
Agostino
verso Aristotele / Giovanni Dama-
sceno / S. Tommaso
d'Aquino.
In
questa
Vicenda
epocale
Grossatesta ha
avuto un ruolo
importante pi
con le sue traduzioni di alcune
opere
fondamentali di filosofia
e di
teologia
che
come
pensatore originale.
So-
lo in alcuni settori della scienza e della
logica
il suo contributo
antici-
patore (per
es.
la teoria della luce con cui cerca
di
spiegare
tutti i fenomeni
del mondo della
natura,
la classificazionedelle scienze fondata sul
rigo-
re
del
procedimento
dimostrativo e
la divisione delle scienze in
propter
quid
e
quia,
ecc.).
In
campo
teologico
invece e in
quello
dottrinale,
il
suo
atteggiamento

cauto,
legato
alla tradizione
esegetica
delle
generazioni
del XII
secolo, e come vescovo si
preoccupa
di richiamare i
teologi
di
Oxford alla tradizione. Nel Grossatesta si
pu
intravvedere l'inizio di
quellindirizzofilosofico-teologico
conosciuto sotto il nome di
agostini-
smo aristotelizzante,
che avr
come
massimo
esponente
S. Bonaventura:
un indirizzo che si rif ad
Agostino per quanto
concerne
i contenuti
(le
dottrine filosofiche
e
teologiche)
mentre da Aristotele mutua soltanto
espressioni linguistiche, categorie logiche
e
metafisiche}
Il
pensiero
metafisico del Grossatesta tutto racchiuso
negli opuscoli:
La
luce,
Lemanazionedelle
cose
da
Dio,
La conoscenza divina e nella Lettera
a Adamodi Exeter su Dio,
forma
di tutte le cose e
sugli angeli.
In
questi
brevi
scritti
egli
traccia
appena
un
abbozzo della
sua
metafisica della
luce, tut-
tavia i
punti pi importanti
vi sono
chiaramente delineati. Si
parla
di
un
principio primo
di tutte le
cose,
che la
luce,
della informazionedella
materia da
parte
della
luce,
della irradiazione di tutte le creature dalla
luce,
di Dio come forma
esemplare
non solo
degli
universali ma
anche
dei
particolari,
della conoscenza
che Dio ha delle
creature,
della costitu-
zione
psicofisica
dell'uomo e
dei
rapporti
tra l'anima e il
corpo.
Il Tratta-
tus de luce esordisce col
seguente paragrafo:
Ritengo
che la forma
prima corporea,
che alcuni chiamano
corpo-
reit,
sia la luce. La luce infatti
per
sua natura si
propaga
in
ogni
dire-
zione,
cos che da un
punto
luminoso si
genera
istantaneamente una
sfera di luce
grande
senza limiti, a meno che non si
frapponga
un
corpo opaco.
La
corporeit
ci che necessariamente
prodotto
dal-
lestendersi della materia secondo le tre dimensioni,
sebbene l'una e
l'altra,
cio la
corporeit
e la
materia,
siano sostanze in se stesse sem-
2) Cf. D. A. CALLUS (ed.),
Robert Grosseteste,
Bishop of
Lincoln.
"Essays
in
Commemoration of the Seventh
Centenary
of his
Death,
Oxford
1955;
A. C.
CROMBIE,
Robert Grosseteste ami the
origins of Experimental
Science 1100-1700,
Oxford
1953;
S. P.
MARRONE,
Williazn
of Auvergne
and Robert Grosseteste. New Ideas
ofTruth
in the
Early
Thirteenth
Century,
Princeton1983.
I
metafisicifrancescani
del XIII secolo 625
plici, prive
di
qualsiasi
dimensione. Non fu in verit
possibile
che la
forma,
in se stessa
semplice
e
priva
di
dimensione,
conferisse la
dimensionalitin
ogni parte
della
materia, a sua
volta
semplice
e
pri-
va di
dimensione, se non
moltiplicando
se stessa ed estendendosi im-
mediatamente
per ogni
dove,
trascinando la materia nel suo esten-
dersi,
da] momento che la forma in
quanto
tale non si
pu separare
dalla
materia, perch
non scindibileda
essa,
n la materia
pu
esse-
re
privata
della forma. Ora io ho indicato nella luce ci che ha
per
natura
questa capacit,
cio di
moltiplicare
se stessa e
di
propagare
istantaneamente in
ogni
direzione.
Quindi
qualunque
cosa
produce
questo
effetto o la luce
oppure
la
produce
in
quanto partecipe
della
natura della
luce,
la
quale agisce
in tal modo
per propria
virt.
Quindi, o la
corporeit
la luce stessa
oppure
essa
agisce
in
quel
mo-
do e
conferisce le dimensioni alla materia in
quanto partecipa
della
natura della luce e
agisce
in virt di essa.3
In
questo
testo come
pure negli
altri scritti su Dio,
forma di tutte le
cose,
e sull'emanazione delle cose
da Dio
significativo

iimpiego
che
Grossatesta fa del termine forma che viene usato sia nel senso
aristoteli-
co
di attuazione di
qualche cosa,
sia nel senso
pi generale
di
principio.
Alla luce
egli assegna
entrambele funzioni.
Con il
principio
della luce Grossatesta intende
rispondere
a
quello
che dai
tempi
di Talete era stato il
problema principale
della filosofiae
della metafisica: ricondurre a un solo e unico
principio
tutto il reale.
Nella
sua
risposta
a
questo
fondamentale
quesito
Grossatesta si colloca
a met strada tra i naturalisti e
gli
idealisti,
tra i fisicalisti
e
i metafisi-
ci. Infatti la luce
qualche
cosa
di assai meno sensibile
dell'aria,
dell'ac-
qua
e
del
fuoco, e tuttavia decisamente molto
pi
sensibile
dellUno,
del
Bene,
del
Bello,
dell'Essere. Anche i
platonici, specialmente
Platone,
Plotino,
Agostino,
lo
Pseudo-Dionigi,
nelle loro
speculazioni
metafisiche
avevano
fatto ricorso alla
luce, ma usandola
pi
come
immagine
che
come
principio
reale. Crossatesta invece Considera la luce
come vero
principio primo d'ogni cosa,
contenente
implicitamente
la totalit della
materia
prima
informe. Su
questo punto poteva
invocare anche l'auto-
rit della Scrittura la
quale
nel racconto della creazione
pone
la luce al
primo posto
tra tutte le creature.
La
produzione
delle altre creature dovuta
allautopropagazione(dif-
fusio)
della luce.
L'opera
dei sei
giorni
della creazione si
compie
cos con
la costituzione
complessiva
di un universo
unico, perfetto,
armonico e
proporzionato:
lirradiazionedella
luce,
forma
prima corporea
(prima
3)
R. GROSSATESTA,
Metafisica
della luce.
Opuscoli filosofici
e
scientifici,
a Cura
di
P.
Rossi,
Milano
1986,
p.
113.
626 Parte seconda
forma corporalis)
e infatti il
principio
di determinazionedi
un unico siste-
ma,
nel
quale
la
prima
sfera contiene in s i
principi
di determinazione
di tutte le altre. Scrive il Grossatesta: Poich il
primo corpo
stato ori-
ginato
dalla luce che
per
sua natura si
moltiplica,
dal
primo corpo per
necessit si diffonde
verso il centro la
luce, che, essendo forma
per
nulla
separabile
dalla
materia,
nel diffondersi dal
primo
corpo
trascina con se
la
spiritualit
della materia del
primo
corpo.
La
luce,
dunque,
emana dal
primo
corpo,
che e un
corpo spirituale 0,
se si
preferisce,
uno
spirito
cor-
poreo.
Poich la luce al
suo
passaggio
non divide il
corpo
che
attraversa,
per questo passa
istantaneamente dal
corpo
del
primo
cielo fino al
cen-
tro.4 La teoria del1'autodiffusione
energetica
della luce
e della
moltipli-
cazione
prodigiosa
della materia che
essa
produce, spiegata
da Grossa-
testa,
sottintende una
cosmologia
differente da
quella
di
Aristotele,
che
distingue
risolutamente la materia costitutiva delle sfere celesti da
quel-
la del mondo sublunare. Anche
se correda la
propria esposizione
con
qualche
citazione
aristotelica,
le sue fonti di
ispirazione
sono ben
altre,
tutte riconducibilial
neoplatonismo,
e
da lui
sapientemente coniugate
con la dottrina biblica della creazionefi Muovendo dalla concezione
della luce
come
corporeit
Grossatesta
giunge
a una concezione del
rea-
le sistematica
e totalizzante, ossia
comprensiva
di Dio e dell'uomo. Con
la
sua teoria,
superati
i confini settoriali della
cosmologia
o filosofia
della
natura,
Grossatesta in effetti in
grado
di
raccogliere,
nella struttu-
ra di
una visione metafisica
unitaria,
l'intera realt divina e umana. Dio
luce. E
se Dio non metaforicamente la
luce, tutto ci che ha creato
oltre che
essere a sua
somiglianza,
a
maggior ragione
a sua
inzmagine:
in
quanto
tale
ogni
esistente
appartiene
a un
qualche
genere
di luce
(ali-
quid
genus
lucis).
Nella Lettera
su Dio
forma
di tutte le cose il Grossatesta dichiara: Dio
forma ed forma di tutte le
cose,
e inoltre, in
quanto
forma,
necessario
che
egli
sia forma
prima, poich
nulla e
prima
di
lui;
egli
infatti il
prin-
cipio
e
la fine.6 Ne
segue
che tutte le cose sono il riflesso della
sua im-
magine
e
che
ovunque
nella creazione si
rinvengono exempla
ossia im-
magini speculari
della
Trinit,
che
compongono,
nel diversificarsi
gra-
duale di intensit della luce riflessa
per
ciascun
grado
dell'essere
creato,
un itinerario di riconoscimento
dellintelligibilit
totale di
Dio,
del
mondo creato e dell'uomo.
4) 11nd,,
p.
11s.
5) Cf. G. BATTISTI
SACCARO,
Il Grossatesta e la
luce, in Medioevo2
(1976),
pp.
21-75.
5) R.
GROSSATESTA,
Metafisica
della luce
cit,
p.
159.
I
nxetafisicifiancescani
del XIII secolo 627
L'uomo,
l'ultimo ad essere creato,
collocato al confine tra realt mate-
riale e
spirituale,
l'asse
lungo
il
quale
si snoda sia Yexitus sia il reditus.
Alrexitus creativo-illuminativo
ordinato,
corrisponde
Paltrettanto ordi-
nato reditus illuminativomentale. La centralit della
posizione
dell'uo-
mo
nell'universo
creato,
per
Grossatesta
concerne tanto l'ordine delle
propriet
dell'essere
quanto
l'ordine delle
propriet
della conoscenza.
Sul
piano
dell'essere la natura di tutto l'universo si riassume e si con-
centra nell'unit
personale
dell'uomo,
costituita nell'unionetra
l'organi-
cit dei
quattro
elementi
fisici,
nella
sua
corporeit,
e
le
potenze
dell'ani-
ma, nel1'incorporeit;
unione realizzata dalla mediazione dello
spirito
incorporeo (spiritus incorporezis
sive lux)
che trasmette al
corpo
e
alle
sue
parti
la vitalit
spirituale propria
dell'anima. Grossatesta
coniuga
cos,
nel contesto della dottrina della
creazione,
il tema dell'uomo
come
immagine
di Dio con
quello
dell'uomo come microcosmo}
RUGGERO BACONE
Ruggero
Bacone, nato a Ilchester,
in
Inghilterra,
intorno al
1215,
comp gli
studi
a
Oxford
e a
Parigi.
Ammiratore entusiasta di Roberto
Grossatesta,
da lui attinse
quello spirito enciclopedico
che lo
spinse
a
studiare le scienze e le
lingue
con una
passione
rara ai suoi
tempi.
Dal
1240 al 1247
insegn
all'universit
parigina,
contribuendo alla diffusio-
ne del
pensiero
aristotelico nella facolt di
teologia.
La
sua entrata
nell'Ordine Francescano avvenne con tutta
probabilit
nel 1256-1257.
Per il
papa
Clemente
IV,
salito al
soglio pontificio
nel
1265,
Baconescris-
se le sue
opere principali: Opus
maius,
Opus
mirzus
e
Opus
tertiurz nelle
quali
traccia un
ampio programma
di riforma
degli
studi. Ma il
pontifi-
cato di Clemente IV fu di breve durata
(mor
nel
1268),
per
cui il
proget-
to baconianonon solo rest lettera
morta, ma
espose
lo stesso autore a
severe
critiche. Nel 1277 alcune sue tesi relative
allastrologia
Vennero
condannate
e lui stesso venne
imprigionato.
In carcere
compose
il
Compendium
studii
theologiae.
Mor nel 1292.
Con
lOpus
maius
Ruggero
Bacone intendeva
persuadere
il
papa
di
quanto
sia Vasto il
campo
del
sapere:
quindi
vi tratta di
ogni
cosa.
Nella
prima parte
si
occupa degli
ostacoli del
sapere
(anticipando quasi
alla
lettera i famosi idola del
suo
pi
celebre
omonimo,
Francesco Bacone):
7) Cf.
ID., Quod
homo sit minor
mundus,
ed.
Baur,
Miinster
1912; ].
MC
EVOY,
The
piri-
losoplzy of
Robert
Grosseteste,
Oxford 1982.
628 Parte seconda
l'eccessivo
peso
dato
all'autorit,
la
consuetudine,
il
seguire l'opinione
volgare,
facendo
sfoggio
di un
sapere apparente.
Nella seconda
parte
tratta dei
rapporti
tra filosofiae
teologia.
La
filosofia,
intesa come
il
com-
plesso
di tutto il
sapere,
serve
alla
teologia
che scientia dominatrix alia-
rum e le necessaria. Del resto non c' nulla di strano che le dottrine dei
filosofi ci servano
per spiegare
la Sacra Scrittura,
perch
anche ai filosofi
Dio rivel molte verit. Nella terza
parte
Bacone insiste sull'utilit della
grammatica
e della conoscenza delle
lingue per
lo studio della Sacra
Scrittura
(e
insiste in
particolare
sulla conoscenza della
lingua
ebraica).
Nella
quarta
si
occupa
della
matematica;
nella
quinta
dell'ottica
(perspec-
tizia);
nella sesta della scientia
experimentalis,
che una delle radici della
sapienza.
Nella settima e ultima
parte,
infine, tratta della morale.
Gran
parte
della tematica
dell'Opus
nzaius viene
ripresa
e
sviluppata
nell'Opus
tertiunz. Bacone vi ribadisce il concetto che la
teologia
non
ha
nulla da temere dalla filosofiae dalle scienze e cos raccomandaal teolo-
go
di farsi
una buona cultura filosofica, matematica, scientifica, tutte
forme di
sapere
che
gli
sono
utili nello studio della Sacra Scrittura.
Possedendo uno
spirito positivo",
nel commento della Scrittura
egli
privilegia
il
senso
letterale
e storico, ma
questo
non
gli impedisce
di
avvalersi
ampiamente
anche dell'autorit dei
filosofi,
soprattutto
cli
Platonee
di Aristotele.
L'obiettivoChc Bacone si
propone
sia
nell'Opus
maius che
nell'Opus
teriium e
quello
di
gettare
le basi culturali di
una societ
cristiana,
che ha
come fonte di
ispirazione
la
sapientia
christiana. Solo dentro i confini di
tale
sapienza
trovano
posto
le varie
scienze,
le
quali
in tal modo
vengo-
no a
occupare
un
posto
che di fatto non avevano mai avuto e
che soltan-
to S.
Agostino
nel
suo
De doctrina christiana aveva
preconizzato.
Ruggero
Bacone aveva una
spiccata
sensibilit
per
il mondo della
scienza e
per
la ricerca
sperimentale,
e insieme ad Alberto
Magno
e a
Roberto Grossatesta fu tra coloro che
maggiormente
contribuirono alla
ripresa degli
studi scientifici nel medioevofi Che
tempra
di studioso
fosse
Ruggero
Bacone, con
quanto impegno
e
quale
ardore si fosse vota-
to alla ricerca scientifica, lo si desume non
soltanto dalla vastit delle
informazioni e
delle
competenze,
di cui d
prova
nelle sue
opere,
ma
anche da
quello
che
egli
scrive di s: mi
applicai sempre
allo studio e
all'infuori di due
anni,
nei
quali
mi
presi
un
po
di
svago
e
di
riposo per
8) Cf. B.
TORRhblNl,
L'illuminazionedirvina in S. Bonaventurae
Ruggero
Bacone,
Padova
1969; ].
M.
HACKETT,
The
Meaning of Experimental
Science (Scientia
experimentalis)
in the
Philosuphy of Roger
Bacon,
Toronto 1983;
D. C.
LINDBERG,
Roger
Bacon's
Philosophyof nature,
Oxford 1983.
I
metafisicifmnccscani
del XIII secolo 629
poter
rimettermi con
pi
lena al lavoro
(Lettera
prefazione all'Opus
majzis).
In
questi quarant'anni
attesi
sempre
allo studio e sostenni molte
spese
(...).

noto che
nessuno si affatic
come me intorno a cos
gran
numero di scienze e
di
lingue,
n con tanta dedizione: la
gente
infatti
quand'ero
ancora
borghese,
si
meravigliava
del mio
esagerato
lavoro; e
tuttavia anche
dopo
che mi feci frate mi
applicai
allo studio con lo stesso
ardore di
prima (Opus
tertium).
Pur concedendo
largo spazio
alle
discipline
scientifiche
e alle dottrine
dei filosofi
antichi,
Ruggero
Bacone riusc a mettere insieme una cosmo-
visione
unitaria,
ricorrendoai
principi ontologici
del
neoplatonismo
(teo-
ria della
partecipazione)
e alle dottrine
gnoseologiche
di S.
Agostino
(teo-
logia
della
illuminazione).
Ruggero
Bacone, se
vogliamo
collocarlo in
una o l'altra delle scuole
filosofiche,
che fiorirono nel secolo
XIII,
ha titoli
sufficienti
per
essere ammesso tra i
seguaci dell'agostinismo
medievale.
Il suo certamente un
agostinismooriginale,
accentuatamenteoxfordia-
no,
ma
nel
suo
fondo facilmentericonoscibile.Altrettanto
scoperte
mi
sembrano le affinit
spirituali
di Bacone con
il
francescanesimo,
che
egli
ha
consapevolmente
abbracciato. Alla fondamentale fedelt
con
la tradi-
zione filosofica
dellOrdine,
bisogna aggiungere
lo
spiccato
carattere
Volontaristicoe
pratico
della sua concezionedel
sapere
e il
profondo
otti-
mismo con cui
egli guarda
alla natura e
alla storia.9
La metafisica di Bacone
presenta
chiare affinit con
quella
del Gros-
satesta.
Principio primo
di tutte le
cose
per
lui
come
per
il Grossatesta
la luce. Pertanto soltanto chi
conosce
in modo
rigoroso
l'ottica
pu
essere un
buon metafisico. Nel
linguaggio preciso
di
Bacone,
l'ottica non
solo il
mezzo
per
conoscere
quelle
cose
che
sono comuni in
una teoria
della
visione, ma anche la chiave
Verso tutte le cose sensibili Verso
lintera macchina del mondo sia nei cieli che nelle realt inferiori
(totam
mundi
machinam,
et in coclestibus et in
inferioribus).
Di fatto
Ruggero
Bacone non
ha elaborato
nessun sistema metafisico
personale,
e
il
suo
apporto principale
alla storia della cultura non
riguarda
la metafisica bens la scienza.
Egli
ha della scienza un concetto
rnoderno". Di
qui
la
sua insistenza sul valore
pratico
e
tecnologico
del-
la scienza e
sulla Verifica delle conclusioni scientifiche tramite
Fexperi-
mentum.
9) E.
BETTON],
Ruggero
Bacone,
in Grande
enciclopediafilosofica
1V,
pp.
1270-1279.
1) Grossatesta influenzfortemente
Ruggero
Baconein
questo
stesso orientamen-
to
pitagorico quando
Bacone,
divenuto
francescano, ritorn da
Parigi
ad
Oxford,
circa nel
1247,
sebbene Bacone fosse stato uno dei
primi
a tenere lezioni sulla
scienza naturale di Aristotele a
Parigi,
e
sempre parlasse
di Aristotele come il
maggiore
di tutti i filosofi
(B.
M.
ASHLEY,
S. Alberto e la natura della scienza natu-
rale, in
].
A. WEISHEIPL
(ed.), Alberto
Magi-m
e le
scienze, cit.,
p.
86).
630 Parte seconda
Suggerimenti bibliografici
ALESSANDRO DI HALES
Opere:
Santina
theologica
(Summa
flatris
Alexaizdri = Summa
Halensis),
a cura
dei Padri del
collegio
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Bonaventura,
4
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FORNARO, La
teologia dell'immagine
nella Glossa di Alessandro di
Hales, Vicenza
1985; J. FUCHS,
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Proprietaten
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Hales,
Mnchen
1930;
I. GORLANI, La conoscenza naturale di Dio secondo la
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teologica
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Hales,
Milano
1933;
G.
MOHAN,
The
System of Metaphysics of
Alexander
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Hales,
in Franciscan Studies
5
(1945),
pp.
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ROBERTO GROSSATESTA
Opere:
Conmzentarius in Posteriorum
Analyticortzrrz,
ed. P.
Rossi,
Firenze
1981;
Commevitarius in VIII lihros
Physicorurn
Aristotelis,
ed. R. C.
Dales,
Bolder
(Col.) 1963;
Die
philosophischen
Werke des Robert
Grosseteste,
ed. L.
Baur,
Mnster
(Westf) 1912: contiene
quasi
tutti
gli
scritti filosofici
e scientifici;
Metafisica
della luce.
Opuscoli filosofici
e
scientifici,
ed. P.
Rossi,
Milano1986: traduzione italiana di alcuni
opuscoli
filosofici
e
scientifici.
Stadi: E.
BETTONI,
La
formazione
dell'universo nel
pensiero
del
Grossatesta,
in AA.
VV.,
La
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della natura nel
Medioevo,
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1966,
pp.
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A. C.
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Robert Grosseteste and the
Origin of Experimental
Science,
1100-1700,
Oxford
1953;
L. E.
LYNCH,
The Doctrine
of
Divine ldeas anni
Illuniinationin Robert
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Bishop of
Lincoln,
in MS
3, (1941),
pp.
163-173; I. MCEVOY,
The
Philosophyof
Robert
Grosseteste,
Oxford 1982.
RUGGERO BACONF
Opere: Opus
Maius,
3
Voll.,
Oxford 1897-1900
(ristampa:
Frankfurt

a. M., 1964, con introduzione di


].
M.
Bridgcs; Opera
hactenus
inedita,
ed.
Steele,
F. M. Delorme e altri,
16
voll.,
Oxonii.
1905-1947;
Part
of
the
Opus
Tertium,
lncluding
a
Fragment
now Printed
for
the First
Time,
ed.
Little,
Aberdeen 1912
(ristampa: Farnborough 1966);
An Llnedited Part 0t
Roger
Bacorfls
Opus
Maius: De
signis,
ed.
Fredborg,
Nielsen e
Pinborg,
in Traditio34
(1978),
pp.
75-136.
I
metafisicifrancescani
del XIII secolo 631
Studi: F.
ALESSIO,
Mito e scienza in
Ruggero
Bacone,
Milano
1957;
D.
BIGALLI,
I Tartari e
lflpocalsse:
Ricerche
sullflescatologia
in Adamo di
Marsh e
Ruggero
Bacone,
Firenze
1971;
E.
MASSA,
Ruggero
Bacone,
Etica
e
poesia
nella storia
delMOpus
maius,
Roma
1955;
S. VANNI
ROVICHI,
I/immortalit delFaninza nei maestri
fiancescani
del secolo
XIII,
Milano
1939;
C.
VASOLI,
Ruggero
Bacone,
Milano1967.
632
BONAVENTURADI BAGNOREGIO
Nel vasto cielo della
grande
Scolastica la stella di Bonaventura una
delle
pi splendenti
e luminose. Gi Dante la collocava accanto a
quella
di S. Tommaso nel
suo
Paradiso
(c. 11).
Nel 1588 Sisto V
afferm, e nel
1879 Leone XIII lo
ribad,
che furono Tommaso e Bonaventura a costrui-
__re
la sintesi del
pensiero
scolasticonel medioevo e
grazie
alla straordina-
ria ricchezza del loro
pensiero
essi restano tuttora delle luci
splendenti
nella casa
del
Signore:
duo olivaeet duo candelabro: in danza Dei lucentia.
Ci che Bonaventura ci ha lasciato nei suoi scritti molto diverso da
quello
che ci ha trasmessoS. Tommasonelle sue Summae: non un siste-
ma
filosofico
e, rigorosamente parlando, neppure
un sistema
teologico,
bens una "sintesi
mistica", e come
ha detto
Gilson, una sintesi mistica
dellagostinismo
medioevalem Lelemento mistico
proviene dall'ispira'
zione
francescana, mentre
l'apparato
concettuale,
pur
non
trascurando
le recenti
acquisizioni
aristoteliche
dell'epoca,
discende
principalmente
dal filone
neoplatonico
attraverso S.
Agostino.
Bonaventura non il
primo pensatore
n il
primo teologo
dell'Ordine
francescano, e
neppure
la sola
figura
eminente fra i
figli
di S.
Francesco,
ma certamente
quella pi rappresentativa
e influente. E
cos, se non
si
pu
dire che Bonaventura il
padre
della Scuola
Francescana,
di fatto
lui il
vero
caposcuola.
ln
Bonaventura, infatti,
pi
che inlAlessandro di
I-Iales e in Roberto Grossatesta viene
portato
a maturazione
quel proces-
so
di introduzione delle
categorie proprie
della
spiritualit
francescana
fra
gli
strumenti
impiegati per
lo studio della realt: il carisma della
carit,
della
pace
e
dell'amore
per
le creature. In Bonaventura S. France-
sco
ha trovato
l'interprete pi
fedele e
pi
autorevoledella
sua
spiritua-
lit a livello
teologico
e
metafisico. Perci il titolo di "metafisica della
mistica francescana
oppure,
pi semplicemente,
di "metafisica france-
scana si addice
perfettamente
al
pensiero
filosoficodel Dottore Serafico.
1)
E.
CILSON,
La
philosoplzic
de Suini Bonaventure,
Paris 1953, 3ed.,
p.
393,.
Bonaventura di
Bagnoregio
633
Vita
e
opere
Giovanni
Fidanza,
detto Bonaventuraiforse
perch
da fanciullo ebbe
la buona ventura d'essere
guarito
da
una
gravissima
malattia)
nacque
a
Bagnoregio
con
molta
probabilit
nellanno 1217
(ma
secondo altri nel
1221).
Entr nell'Ordine Francescano nel
1243,
dopo
aver
compiuto gli
studi nella facolt delle Arti a
Parigi.
Qui
effettu anche
gli
studi teolo-
gici,
sotto la
guida
di Alessandro di
Hales,
che
egli
ricord come suo
"padre
e maestro" e
del
quale
volle
seguire
la dottrina. Per
conseguire
il
titolo di baccelliere in
teologia
comment, come voleva la tradizione, le
Sentenze di Pier
Lombardo,
ricavandone
un'opera
monumentale che
co-
stituisce a buon diritto la vera Summa del suo
pensiero.
Nel 1253 diven-
ne
magister
ma non
fu riconosciutocome
tale nella facoltdi
teologia per
la lotta che allora
divampava
fra il clero secolare e
gli
Ordini Mendican-
ti.
Quando
il
papa
Alessandro IV decise la
disputa
dando
ragione agli
Ordini
Mendicanti,
anche Bonaventura fu
reintegrato
nell'Universit,
ma solo
per
breve
tempo.
Infatti,
appena
un
paio
d'anni
dopo
(1257),
quando
fu nominato Ministro Generale dell'Ordine
Francescano,
dovet-
te rinunciare definitivamente alla cattedra. Da allora
egli pot
dedicare
poco tempo
allo
studio,
assorbito com'era dal
piano
di
riorganizzazione
del suo Ordine,
che
dopo
la morte di S. Francesco aveva attraversato
momenti assai
difficili,con
gravi
dissensi e
profonde spaccature
tra co-
loro che volevano
seguire
la
Regola
alla
lettera,
sine
Glossa, e coloro inve-
ce
che volevano
adeguarla
alle
esigenze
dei
tempi.
Bonaventura riusc
comunque
a trovare il
tempo per
scrivere alcune
opere, quasi sempre
di
modeste
proporzioni,
ma
di
grande
Valore,
che ottennero un enorme
successo.
Tra
queste
sono
particolarmente significativi gli opuscula,
a
partire
dal
Breviloquium
(1257), un'autentica "summula"
teologica.
L'autoredice nel
Prologo
che,
poich
la Sacra Scrittura una selva nella
quale
non facilemuoversi e
gli insegnamenti
che
essa contiene sono
stati
gi
diffusamente
esposti
dai Padri e dai Dottori
egli
intende riassu-
mere
alcuni
punti fondamentali (magis opportuna
ad
tenendamhdpella
verit che vi contenuta e
indicare anche le
ragioni
che aiutano a
capire
tale verit. Caratteristico della mentalit bonaventuriana lo scritto
De reductione artium ad
theologiam, poich,
come
dice
gi
il
titolo,
in
ogni
scienza e arte umana nascosta un'allusione alla multiforme
sapienza
di Dio e
poich d'ogni
scienza e arte
pu
servirsi la
teologia per espri-
mere
la verit intorno a Dio. Ma il
pi tipico
e meritatamente famoso
opusculutn
di Bonaventura ltinerariummentis in
Deum,
composto
durante l'estate del 1259 alla Verna: in
questo
scritto filosofia,
teologia
e
mistica trascinanol'anima verso la
contemplazione
di Dio.
634 Parte seconda
Il
generalato
di Bonaventura fu
lungo:
dal 1257 al
1274,
poco prima
della sua morte. Forte e abile
organizzatore, pur
dovendo
viaggiare
spesso
e recarsi in vari
paesi europei per presiedere
i
Capitoli generali
dell'Ordine,
che si tenevano
ogni
tre anni,
rimase
sempre
vicinolalfifi-
do universitario
parigino,
e a
Parigi pronuncio quelle Collatiorigsie
decenz
praeccptis
(l 267),
Collatinnes de
septenz
donis
Spiritus
Saricfi
(268) e
Collationes in Hexaemerorz (1273),
nelle
quali prende posizione
di fronte al
progressivo
affermarsi
dell'aristotelismo,
in Cui vedeva un
grave perico-
lo
per
la fede cristiana.
Nominato cardinale nel
1273,
pot partecipare
al Concilio di Lione
del 1274: mor il 15
luglio
di
quello
stesso anno.
Delle
principali opere
di Bonaventura si
gi
fatta
menzione. Per
completare
la
rassegna bisogna
ancora
aggiungere:
i Commenti ai
Vangeli
di
Giovanni (d_l_,i_e___red_g__z_igli)
e Luca,
le
Questioni disputate:
De scientia
Christi,
De"
mysterio
Trinitatis,De
perfectibne evangelica; laliilpologia
paiipe-
rum (Difesa
dei
mendicanti);
la
Legenda
maior S. Francisci e
la
Legenda
minor S. Francisci
(due
vite di S.
Francesco) e i Sermones
(circa 400).
Il
pensiero
di Bonaventurain
generale
/
Il
pensiero
di Bonaventura
specchio
fedele di
quel
mondo
spirituale
e culturale in cui
germinato,
un
mondo
impregnato
da
capo
a fondo di
cristianesimo: cristiani infatti
erano il
linguaggio,
le
idee/l costumi,
i
valori,
le
istituzioni, e cristiane erano
anche
l'arte,
la filosofiae la mora-
le. Ma si tratta di
un cristianesimo che nel
sec. Xlll,
in cui vive
'
Bonaventura, sa anche
attingere
abbondantemente ai
prodotti
della Cul-
tura
greca
(Platone, Plotino, Aristotele),
della cultura araba
(Avicenna,
Al-Farabi,Averro) e
ebraica
(MaimonidekCos
il
pensiero
di Bonaven-
tura anzitutto cristiano e
agostiniano,
ma anche
platonica
con
qualche
venatura di aristotelismo. Con tutto ci ha
peri)
una sua
specificit
che
lo
distingue
dal
pensiero, per
es.
di
Agostino,
Anselmo, Bernardo,
Tommaso: essa data dal misticismo
franccscarikhBonaventura
un au-
tentico
figlio
di S. Francesco. Del Poverello di Assisi
egli

appassionato
ammiratore,
devoto
discepolo
ed eccellente
biografo.
Nella sua
filosofia
e
teologia egli
sa
trasfondere
quellansia reiigiosa
e
spirituale, quella
fiamma d'amore
appassionato per
il
Cristo,
queltestatica
ammirazione
per
le creature che
avevano
incendiato l'anima di Francesco. Cos in
Bonaventura la
grande
tradizione
platonico-agostinia-nasi
arricchisce
con
l'apporto
ideale del
francescanesimo,
cio con
l'esperienza
mistica
di S. Francesco
e con una
pi ampia
visione,
francescana e
propria,_della
vita.
L'esperienza
dell'amore del Poverello
d'Assisi,
in
parte
da lui rivis-
suta e
soprattutto
intensamente meditata,
viene tradotta da Bonaventu-
Bonaventuradi
Bagnoregio
635
ra stesso sulla scia
agostiniana
in termini metafisici e
teologici,
cos da
illuminare,
nella vera ricerca
sapienziale,
la realt concreta della
vita,
i
fatti
e i misteri della
Creazione,
della Redenziones del destino
sopran-
naturale
dell'uomo.
Altri tratti
tipici,
che danno un volto
originale
e
personale
al
pensiero
di Bonaventura sono: 1)
lflesemplarisrno:
tutte le
cose sono studiate alla lu-
ce di
Dio,
l'essere infinito
e
perfetto,
il modello
supremo
di cui tutte le
creature sono
copie pi
0 meno fedeli; 2)
il cristoccntrismo: il
suo
esempla-
rismo diviene
cristocentrico,
perch
Ges
Cristo,
il Dio fatto
carne,
rende
visibile
Yarchetipo
divino, e restaura
Timaggo
Dei che nell'uomo
era stata
deturpata
dal
peccato;
3)
l'amore
per
la Sacra
Scrittura,
che il libro che
Bonaventura ha costantemente letto,
meditato
e commentato, perch
il
libroche contienela Paroladi
Dio,
che lunica
parola
di Verit.
subordinazionedella filosofiaalla
teologia
Ai
tempi
di Bonaventura la
questione
dei
rapporti tra
fede
e
ragione,
tra
teologia
e
filosofia
era vivacementedibattuta. Ad acuirellasituazione
avevano contribuito
soprattutto
Averro e
i suoi
discepoli parigini,
ca-
peggiati
da
Sigieri
di
Brabante, con la loro tesi della
doppia
verit: una
verit della
ragione
(e
della
filosofia) e una verit della fede
(e
della teo-
logia),
verit diverse
e
separate,
che
non
possono
mai entrare in conflitto
tra di loro anche
quando
sembrano
esprimere
tesi contraddittorie
(per
es.,
mortalit dell'anima in filosofia
e
immortalit dell'anima in teolo-
gia).
Contro la tesi
degli
averroisti aveva
gi preso posizione
S. Tomma-
so,
il
quale
aveva s riconosciuto la distinzione delle due
discipline
e
delle
rispettive sorgenti
di conoscenza (fede e
ragione)
e aveva
anche af-
fermato la loro
autonomia;
per
allo stesso
tempo
aveva escluso
qualsia-
si forma di
separazione
e
soprattutto
la
possibilit
che esistano due
Verit, una filosofica
e
un'altra
teologica.
ln
un
primo tempo
nel De reductione artiunz ad
theologiam
- Bonaven-
tura sembra muoversi sulla stessa linea di S. Tommaso.
Egli rifiuta
la
separazione
della filosofia
e
delle scienze dalla
teologia
e invoca la loro
subordinazione a
quest'ultima,
ma manifesta
grande apprezzamento
e
rispetto per queste
forme dell'umano
sapere.
Ci che
insegna
Bonaven-
tura nel De reductione artium la
gerarchia degli
ordini del
sapere
e
quin-
di la subordinazionedella scienza alla
teologia,
subordinazioneche
pero
non
significa disprezzo
o scarsa considerazione; tutt'altro. Anche le
scienze e
la filosofiahanno il loro
valore; esse aiutano a
scoprire
Dio
an-
che nella
natura, come la
teologia
ce lo fa
scoprire
nella Scrittura.
636 Parte seconda
La conoscenza
di
Dio
a sua volta conduce al
possesso
di Dio. Infatti il
frutto di tutte le scienze culmina nel
possesso
di Dio e
nella sua fruizio-
ne. Cos viene indicatonella chiusa del De
reductione
artium: E
questo

il frutto di tutte le
scienze,
che in tutte si edifichi la
fede, si onori
Dio,
si
cornpongano
i
costumi,
si
attingano
le
consolazioni,
che
sono nell'unio-
ne
dello
sposo
e
della sposa.
E
questo
avviene
per
la
carit, a cui si
indi-
rizza tutto lo
scopo
deIlaScrittura, e
per conseguenza ogni
illuminazio-
ne
che discende
dall'alto, e senza la
quale
vana
ogni cognizione, per-
ch
non si
perviene
mai al
Figlio
se non
per
mezzo dello
Spirito
Santo,
il
quale
ci
insegna ogni
verit.
Ma
negli
ultimi
scritti,
specialmente
nelle Collationes in
Hexaenzeron,
conferenze tenute all'universit di
Parigi proprio
nel momento in cui la
polemica
con
gli
averroisti era
maggiormente
infuocata,
Bonaventura
prende
una
posizione
di ferma e dura condanna
per
qualsiasi
forma di
sapere
umano
che
pretenda
di
raggiungere
la verit
indipendentemente
dalla
federSa-sqyestione
dei
rapporti
tra
fede_e_ ragione,
a
questo
puntoBonaventura
sembra far
proprie
le tesi di
Agostino
sui
rapporti
tragrazia
enatura,
durante la
polemica antipelagiana.
L'albero,
dice Bo-
naventura,
si conosce dai
frutti, e
i frutti sono
questi: i_
filosofi si
glo-
riano
degli splendori
delle scienze ma sono
privi
ldello
spiritoi
devo-
zione, sono
simili alle
vespe
che costruiscono anche loro Falveare ma
non
producono
il
dolce
miele;
lo
spirito
di
presunzione
e
di curiosit
rovescia
ogni
valore, disconosce l'ordine dell'essere. necessario allora
che si lotti
perch
venga
ristabilito
l'ordine
dell'essere,
perch
nella vita
venga
restaurata la
perfetta
imitazione della Vita del Redentore. Non si
ritorni alla schiavit
d'Egitto,
non
si
pospongano
ancora una volta i vili
frutti della terra ai beni
celesti, non
si metta in
primo luogo
lo studio
della
filosofia, non ci si unisca all'ancella
come se
fosse la
regina,
e non
si
gozzovigli
con essa. Il
porre
in
primo luogo,
nella ricerca della
verit,
lo studio della
filosofia,
giudicato
da Bonaventura un errore
gravissi-
mo.
Discendere
per
alla filosofia un
gravissimo pericolo
(...).
Per cui
i maestri devono fare attenzione a non
raccomandare
e
apprezzare trop-
po
le
parole
dei
filosofi,
perch
con
questa
scusa
il
popolo
non
ritorni in
Egitto,
o sul loro
esempio
lasci le
acque
di
Siloe,
nelle
quali
la somma
perfezione
e vadano alle
acque
dei filosofi,
nelle
quali
c' l'errore eterno
(Descendere
autem ad
philosophiam
est maximum
periculum
l). Unde
magi-
stri CHUBTE ciebent, ne nimis commendent et
appretientur
dieta
philosophorurrz,
ne
hac occasione
populus
revertatur in
Aegyptum,
val
exemplo
eorum
dimittat
aquas
Siloe,
in
quibus
est summa
perfcctit)
et vadant ad
aquam
philosophorum,
in
quibus
est aeterna
deceptiobx
A
questo punto
Bonaventura sembra an-
2) C011. in HEIIIEYII. XIX, n. 12.
Bonaventura di
Bagrzoregio
637
nullare totalmente il valore della filosofia.
Egli
afferma che
bisogna
imi-
tare
lesempio
del beato Francesco il
quale oppose
un rifiuto all'invito
del Sultano di difendere la sua fede discutendo con i sacerdoti
perch
non
poteva disputare
sulla fede n con la
ragione, perch
la fede
supe-
riore alla
ragione,
n
per
mezzo
della Sacra
Scrittura,
poich quei
sacer-
doti non Yammettevanocome vera. Perci non
bisogna
mescolare l'ac-
qua
della filosofia
con il vino della Sacra
Scrittura,
in modo che il vino
diventi
acqua; questo
sarebbe un
pessimo
miracolo; mentre
leggiamo
che Cristo
dall'acqua
fece il vino e non il contrario
(Non
igitur
tantum
miscendurrz est de
aqua philosophiae
in vinum sacrae
Scripturae, quod
de vino
fiat
aqua;
hoc
pessimum
miraculum
esset;
et
legimus, quod
Christus de
aqua
fecit
vinum, non e c0nver50).3
La
verit,
insiste
Bonaventura,
nostra.
La filosofia sostanzialmente
erronea
perch
essa vuole
spiegare
la
realt
con la realt
stessa,
la creatura con la stessa creatura. Ma
questo

un metodo erroneo
perch
alla
conoscenza della creatura non si
pu
pervenire
se non
per
mezzo di ci
per
cui stata fatta,
n la conoscenza
della verit
pu
aversi
se
la mente non in
possesso
del criterio del
Vero,
cio se non conosce la Verit. In breve: Il nostro obiettivo
quello
di far vedere che in Cristo sono
rinchiusi tutti i tesori della
sapienza
e
della scienza di
Dio, e
che lui stesso costituisce il mezzo (medium)
di tut-
te le scienze.4
LO stesso
punto
di Vista viene ribadito nelle
Conferenze
sui sette doni
della
Spirito
Santo, dove, nuovamente,
la scienza filosoficanon viene Con-
dannata in
se stessa, ma
per
l'abuso che
se ne
fa
quando
si
pretende
di
farne
una
fonte autonoma di
verit,
assolutizzandola.Chi si affida solo
alla filosofia cade in
errore. Il filosofo che crede di
poter
bastare a se
stesso nella determinazionedel
vero,
del
bene,
del
giusto guadagner
il
mondo
ma
perder
se stesso;
potr
anche
conoscere Dio ma non lo ado-
rer come Dio. La scienza filosoficadeve
essere
integrata
dalla scienza
rivelata;
la scienza filosoficaha
una utilit solo come via a una scienza
superiore: Philosophica
scientia via est ad alias
scientias;
sed
qui
ibi vult
stare cadit in tenebras
(La scienza filosofica strada
per
altre
scienze; ma
chi si vuol fermare l cade nelle
tenebre).5
Lo
splendore
della scienza
filosoficacede cos il
posto
a
quello
delle scienze
superiori:
Grande lo
splendore (claritas)
della scienza filosoficanella stima
degli
uomini mon-
dani; mentre
piccolo
a
paragone
dello
splendore
della scienza cristia-
na. Ancora
piccolo
lo
splendore
della scienza
teologica agli
occhi
degli
3) 11nd,,
n.7.
4) Ibid.,I,n.1].
5) De
scptem
dons, IV, n. 12.
638 Parte seconda
uomini mondani; ma in verit esso e assai
grande.
Per lo
splendore
della scienza
gratuita
ancora
pi grande
e massimo lo
splendore
della scienza
gloriosa,
che
rappresenta
il
traguardo
finalem
La
ragione
fondamentale additata da Bonaventura a
sostegno
della
sua tesi della fallibilitdella filosofia e che
questa, separata
dalla teolo
gia,
cade in errori
gravissimi
e
distrugge
la retta filosofianel suo
triplice
ordine:
naturale, intellettuale,
morale: Nelle scienze filosofichetre sono
gli
errori da
evitare,
in
quanto
sono
errori
gravissimi
che
distruggono
la
Sacra
Scrittura,
la fede cristiana e
qualsiasi sapienza:
il
primo
errore va
contro la causa dell'essere
(Causam essendi);
il secondo va contro l'ordine
del conoscere (rationem
intelligendi);
il terzo va contro l'ordine del vivere
(ordinem vivendi).
L'errore contro la causa
dell'essere la tesi dell'eternit
del
mondo,
ritenere cio che il mondo
eterno;
l'errore contro l'ordine
del
conoscere la tesi della necessit fatale
(de
necessitatefatali),
sostenere
cio che tutto accade
per
necessit. Il terzo errore
riguarda
l'unit dell'in-
telletto e consiste nell'affermareche l'intelletto e unico
per
tutti
gli
uomi-
ni.7 L'errore contro la causalit
dell'essere, errore antico e funestissimo,
sminuisce, annulla,
il concetto di Dio
poich
ne misconosce la causalit
piena,
cio l'attivit
creatrice;
l'errore del
fatalismo,
affermandoche tutto
avviene
necessariamente,
distrugge
il libero
arbitrio,
toglie
il merito e
il
demerito;
l'errore contro l'intelletto,
dichiarandoche
uno
solo l'intellet-
to di tutti
gli
uomini,
distrugge
la individualit
umana, poich
l'intellet-
to
ha l'essere distinto nei diversi
soggetti: dunque
ha i
propri principi
essenziali distinti e
individuanti
(qua
in diversis intellcctus lmbet esse
distinctum:
ergo
habet
principia
suae essentiae
propria
et distinctcz et indivi-
duantia),8
Ora,
la Verit rivelata elimina
questi
errori e ristabiliscel'ordine sia a
livello
ontologico
(essere)
che a livello
gnoseologico
(conoscere) e antro-
pologico (molteplicit degli
intelletti umani). Cos,
per
Bonaventura,
la
subordinazione della filosofiaalla
teologia
diventa una
necessit mora-
le: allo stato attuale di alienazionedal vero
pu porre
rimedio solo lo
Spirito
Santo con
i suoi doni della
sapienza
e
dell'intelletto.
La
complessit
della metafisicabonaventuriana
Sulle basi di
ufiepistemologia
che tiene strettamente
legate
tra loro
fede e
ragione,
Bonaventura costruisce la sua
magistrale
sintesi mistica
dell'universo. Si
pu
dire che la sintesi bonaventuriana anche
una
sin-
tesi metafisica?
a) lbid.,n.3.
7) nani, VIII, n. 16.
S) una, n. 19.
Bonaventuradi
Bagnoregio
639
Data la
profonda
avversione di Bonaventura
per qualsiasi interpreta-
zione e sistematizzazione
puramente
razionale della
realt,
che faccia
astrazione dalla
conoscenza dei contenuti di
fede, c' chi ha
negato
a
Bonaventura il titolo di filosofo
e
di metafisico.
Ma, come
ha mostrato
Gilson,
questa
esclusione
non
pare legittima, perch
quasi
mai
lungo
il
corso
della storia della metafisica c' stata
un'interpretazione puramente
razionaledella
realt, n nei
presocratici,
n nei
platonici
e nei
neoplato
nici e
neppure
nei
peripatetici
e
negli stoici,
per
non
parlare
delle meta-
fisiche
religiose degli
ebrei,
dei cristiani e
degli
islamici. In secondo
luogo,
all'interno della cosmovisionebonaventuriana indubbiamente
presente
e
operante
tutto il
grande apparato
metafisico aristotelico
e
neoplatonico.
Sennonch il
pensiero
di Bonaventura nell'analisi dei
gradi superiori
e trascendenti della realt in effetti si estende molto al di
l dei classici limiti definiti dalla metafisica filosofica
e abbraccia anche
gli
ambiti della
teologia.
Bonaventura ha
una visione cristiana dell'uni-
verso, una visione in cui l'ambitodel trascendente molto
pi
esteso e
pi
ricco di
quanto
non lo sia
generalmente
nella metafisica
puramente
speculativa:
oltre
agli
elementi
meramente razionali ci
sono
quelli
dati
dalla
fede, dalla
cristologia
e dalla mistica.
Cos si
pu
arrivare a definire che cos' la metafisica di
Bonaventura
soltanto
con una serie di
approssimazioni, partendo
da ci che
essa
ha
in
comune con le altre metafisiche
e
precisando poi
ci che ha di
specifi-
co. Ci che ha in
comune con tutte le metafisiche lo studio
dell'essere,
ci che invece ha di
proprio
la
triplice prospettiva
sotto il
quale
l'esse-
re viene considerato:
teologica,
mistica, cristica. Vediamo una
per
una
queste quattro
note della metafisica
bonaventuriana.
Metafisica
dell'esemplarit
Come
per
Aristotele anche
per
Bonaventura la metafisica essenzial-
mente studio dell'essere.
Ma, come abbiamovisto
poco sopra,
Bonaven-
tura condanna
una metafisica dell'essere
che, come
quella
di
Aristotele,
neghi
la causalitefficiente
e liberadi Dio. Cos alla metafisica aristoteli-
ca della sostanza
e della forma
Bonaventura,
ispirandosi
a Platone, con-
trappone
la metafisica della
esemplarit
la
quale
non considera l'essere
in
se stesso
ma in
rapporto
a Dio, considerato
come essere
perfetto
e
infinito che
funge
allo stesso
tempo
da
causa
agente
e da
archetipo
di
tutte le
creature,
le
quali
sono tutte senza eccezione
immagini
di Dio:
onmis enim creatura ex natura est illius aetemae
sapientiaequaedari ejfigies
et similitudo
(infatti
ogni
creatura
per
natura
un'immagine
e similitudi-
ne di
quella
eterna
sapienza).9
Pertanto << essere
immagine
di Dio
non
9) Hinerarizmt
Il, 12.
640 Parte seconda
accidentale
per
l'uomo ma
piuttosto
sostanziale (esse imaginem
Dei non
est homini accidens sed
potius
substantialebflo
Tutte le cose sono
imitazioni
di
Dio, ma in
grado
diverso: alcune sono
vestigia,
altre
immagini,
altre
somiglianze
di Dio: La creatura del mondo come un
libro in cui
risplende,
viene
rappresentata
e letta la Trinitcreatrice,
secondo un
tri-
plice grado
di
espressione,
cio
per
modo di
impronta,
di
immagine
e
di
somiglianza,
cos che il Carattere
dell'impronta
si trova in tutte le creatu-
re,
il carattere
dell'immagine
in tutti
gli
intelletti
spirituali
e razionali,
il
carattere della
somiglianza
solamente
negli
enti deitormi.11
Si
pu
ben
dire, come
afferma Gilson,
che
quella
di Bonaventura una
metafisica dell'essere, come
lo indubbiamente
quella
di S. Tommaso. In
effetti,
anche Bonaventura ha
un concetto forte,
pregnante,
intensivo
dell'asse.
Egli
non
concepisce
l'esse come
perfezione
minima, come
il
sostrato comune
di tutte le
cose,
come
il
pi generico
di tutti i
generi:
ipsunz
esse est extra omne
genus,
licei
primo
occurat menti et
per
ipsum
alia
(l'essere
stesso al di fuori di
ogni genere,
bench si
presenti per
primo
alla conoscenza e le altre cose
attraverso di esso):12
l'essere al di fuori e
al di
sopra
di tutti i
generi,
ed la
prima
idea che
risplende
nella mente
umana,
anche se
questa
non se ne
rende conto. L'asse e il centro di
qual-
siasi
perfezione
e
per
questo
motivo merita anche
per
Bonaventura come
per
S. Tommaso d'essere considerato come
il
nome
pi proprio
di Dio:
Primo enim menti Creatae innotescit
esse;
uizde nihil
manzfestius. Perfectis-
simum est,
quia quidquid
de Deo dicitur reducitur ad
esse;
unde esse
est
pro-
piull
nonren
Dei (Infatti,
per
primo
alla mente creata
appare
l'essere;
per
cui non
c' nulla di
pi
evidente.

perfettissimo, poich
tutto ci che si
dice di Dio si riduce all'essere;
per
cui l'essere il nome
proprio
di
DO)>>.14
Oltre che nel concetto di
essere,
c' una certa coincidenza con S. Tom-
maso
anche
per quanto
concerne
il modo di salire a Dio
partendo
dalle
creature: come
il Dottore
Angelico,
similmenteil Dottore Serafico,
molte
volte ascende a Dio e ne
prova
l'esistenza
percorrendo
la via dell'essere,
cio constatando che le creature sono
esseri
imperfetti
che rinviano al-
l'essere
perfetto, potenziali
che rinviano all'essere attuale,
mutevoli che
rinviano all'essere immutabile,
relativi (secundum quid)
che rinviano al-
l'essere assoluto (esse simpliciter)
ecc.
Ogni
creatura dice che Dio il
primo
essere
grazie
alla
completezza
dell'essere
primo,
cos come se
c'
l'essere
potenziale,
c' l'essere attuale,
infatti l'essere
potenziale
viene
11)
H Seni. 2,
2.
11) Breviloquiun:
Il,
12.
13) Itinerarium5. n.
4.
13)
Cf. ibid.
14) Coli. in Hexaem. II, 3, n.
11.
Bonaventura di
Bagnoregio
641
dall'essere attuale e
dipende
essenzialmente da
esso. inoltre, se c' l'es-
sere mutevole,
c' l'essere
immutabile;
infatti differiscono secondo il
carattere della
completezza
e doll'incompletezza:
il mutevole e fluente,
Yimmutabilee fermo e fisso; ora, ogni
fluente da
un
fisso.
Ancora, se
c' ci che essere
in
qualche
modo,
c' ci che essere
assolutamente
(...). Ancora, se c' l'essere
dipendente,
c' l'essere
assoluto;
infatti essen-
zialmente
ogni
creatura, e
soprattutto
la materia e
la
forma,
dipende
dal
primo.15
La riflessione
quindi
sulla
precariet
dell'essere
negli
enti
conduce a
quell'essere primo
che tutte le creature
rappresentano.
E
quell'essere
oltre che
primo,

sommo,
incausato,
fine a se stesso
(prop-
ter se
ipsum), semplice,
uniforme, attuale, immutabile,
indipendente,
al
di fuori di
qualsiasi genere.16
Per,
nonostante le sensibili
convergenze
e coincidenze,
la metafisica
dell'essere di Bonaventura ha
una sua
specificit
che la
distingue
dalla
metafisica dell'essere
dellAquinate.
La
sua essenzialmente una meta-
fisica
deIYeSempZarit:
l'essere,
che certamente il centro
d'ogni perfezio-
ne,
visto
soprattutto
nella sua
funzione di causa
esemplare:
ci che
tutte le cose
rappresentano
e
riproducono.
Invece
quella
di S. Tommaso
eminentemente metafisica dell'attualit: l'essere
concepito
anzitutto
e
soprattutto
come atto,
lictualitas omnium actuum. Cos Bonaventura
vede nelle creature
soprattutto
delle
immagini pi
o meno
fedeli dell'es-
sc
primum,
mentre S. Tommaso vede in esse delle attuazioni limitate
dellesse
ipsunz;
Bonaventura vede nelle essenze delle
copie
dell'essere,
invece S. Tommaso vede in esse
delle
potenze
dell'essere,
che l'actuali-
tas omnium actuum.
Pertanto si
pu
essere d'accordocon E. Gilson
quando
scrive:
muovendo da una diversa concezione
dell'essere,
la dottrina di
S. Bonaventura non mai
rigorosamente paragonabile
in nessun
punto
alla dottrina di S. Tommaso
d'Aquino
(...).
I tentativi
compiuti
talvolta dai loro
interpreti per
trasformare in identit di contenuto
l'accordo fondamentale
possono dunque
essere considerati in antici-
po
come
inutili e vani nel loro stesso fondamento;
chiaro
infatti,
che
se due dottrine sono
organizzate
secondo due
preoccupazioni
iniziali
diverse, non considerano mai
gli
stessi
problemi
sotto lo stesso
aspet-
to e che,
di
conseguenza,
l'una non
risponder
mai al
problemapreci-
so
posto
dall'altra. La filosofiadi S. Tommaso e
la filosofia di
S. Bonaventura si
completano
come
le due
interpretazioni pi
univer-
sali del cristianesimo:
per, per
il fatto stesso che si
completano
non
possono
n escludersi n coincidere?
I5)
Ihid.
n. 17.
m)
Ihid. n. 18.
I7)
E.
GnsoN,
La
philnsophie
cit,
p.
396.
642 Parte seconda
Metafisica
teologale
La seconda nota caratteristica della metafisica di Bonaventura la
teologalit:
essa studia l'essere nella sua interezza ma lo scruta e lo vede
sotto 10
sguardo congiunto
della
ragione
e della
fede, o
meglio
di una
ragione
che si lascia
correggere
e
guidare
dalla
fede,
evitando cos
gli
errori in cui
incappata ogni
metafisica che ha
preteso
di
conoscere
il
Primo
principio
soltanto
con
le risorse della
ragione.
Gi Aristotele aveva definito la metafisica come scienza divina e teo-
logica,
in
quanto
essa include lo studio di Dio. Ma la metafisica di
Bonaventura
pi
che
teologica:

teologale
in
quanto
non
concepita
come scienza
puramente
razionalebens come
la scienza di una
ragione
che si lascia illuminaredalla fede. I
problemi
che
essa studia sono anco-
ra
i
problemi specifici
della metafisica, ma lo studio non
pi
fatto dalla
pura ragione
del filosofo
pagano
ma
dalla
ragione
credente del filosofo
cristiano,
il
quale percorre
il
suo cammino verso la verit lasciandosi
guidare
da
quella
luce che ha
gi
illuminatotutto l'ambito della verit.
La
ragione accoglie
la collaborazionedella fede
per
conoscere
meglio
la
verit. Essa non
pretende pi
di costruire un sistema
proprio,
utono-
mo,
di
verit, un sistema
puramente
filosofico, meramente razionale,
perch
una
ragione
che ricusa la fede non
pu
che sfociare nell'errore.
Mentre S. Tommaso crede nella
possibilit
di
una metafisica autono-
ma e
quindi separata
dalla
teologia,
5. Bonaventura sostiene la necessit
di
una
reductio
metaphysicae
ad
theologiarrx.
Conformemente alla idea
direttrice del suo maestro Alberto
Magno,
S. Tommaso coordina e su-
bordina la metafisica alla
teologia,
ma secondo criteri tali da farla
appa-
rire
come autosufficientefintanto che
essa dimora entro il
proprio
terre-
no.
Egli
sa
che difficile
ma non teoricamente
impossibile
conoscere
tutte le verit metafisiche
con
il
soccorso della
ragione,
tuttavia
egli
ritie-
ne
che sia
compito
del filosofo considerare le cose in modo diverso dal
teologo:
Il filosofo
e
il credente considerano
cose
diverse nelle creature
(...). Tuttavia, se considerano
qualcosa
di
comune,
lo
spiegano
con
prin-
cipi
diversi
(Alia et alia circa creaturas et
philosophus
et
jdelis
considerant
f...) si
qua
vero circa creaturas communiter a
philosopho
et
jdeli
considerantur
per
alia et alia
principia
traduntur).18 Questa
concezione della filosofia
e
della metafisica
era destinata ad
avere un
grande
futuro:
l'epoca
moder-
na
la far
sua e la
porr
a fondamentodi tutto il suo filosofare.
l) S. TOMMASO, Sunmm contra
gentiles
II,
4.
Bonaventura di
Bagrzoreggio
643
La metafisica di S. Bonaventura visibilmenteanimata da
una
ispira-
zione molto differente.
Egli
non considera i
problemi
in astratto ma
nella situazione
storica,
in statu viale. E cos
gli
risulta evidente che la
ragione
non
competente neppure
nel
suo ambito
se non conserva lo
sguardo
fisso sulle verit che le
vengono proposte
dalla fede. Perci solo
una
ragione
illuminatadalla fede in
grado
di fare della buona metafi-
sica. Per
questo
motivo la metafisica bonaventuriana essenzialmente
una metafisica
teologalc.
Metafisica mistica
Sin dall'inizioabbiamo
qualificato
la metafisica di Bonaventura
come
mistica. C'
un afflato mistico in tutte le
pagine
delle
opere
di Bonaven-
tura,
anche in
quelle,
anzi
soprattutto
in
quelle
in cui affronta i
pi
ardui
problemi
della metafisica. La metafisica di Bonaventura e mistica
perch
oltre che
con le
ragioni
della mente fatta anche
e
primariamente
con le
ragioni
del
cuore. Mentre le
grandi
realt della metafisica
(Dio e l'ani-
ma) risultano inaccessibiliallo
sguardo
scrutatore della
ragione,
esse
vengono
toccate, sentite,
vissute dalle vibranti
percezioni dellfizfiectus;
e
cos
lfizfiectusprende
il
posto
dell'intellectzis.
Mentre S. Tommaso eccelle
su
ogni
altro metafisico cristiano nel far
valere le
ragioni
della
mente, dell'intelletto,
S. Bonaventura
supera gli
altri metafisici nel far valere le
ragioni
del
cuore, dellhfiectus.
La
sua
una metafisica
sapienziale,
la
quale
Viene iniziata nella
conoscenza e
viene
consumata
ne1laffetto
(in
cognitione
inchoatur et in
afiectione
con-
summatztr).19
Spetta
a
Gilsonil merito di
aver messo in chiara evidenza
questa
nota
peculiare
della metafisica bonaventuriana. Ecco
quanto
scrive il
grande
medievalistafrancese
a
questo proposito:
La tendenza
profonda clelfagostinismomedioevale,
che consisteva
nel far
passare
in
primo piano, subordinandogli
tutto il
resto,
l'ele-
mento mistico della
dottrina, in Bonaventura otteneva
per
la
prima
volta
piena
soddisfazione. Sostenendosi e arricchendosi
a vicenda,
il
desiderio dell'estasi
e la scienza delle
cose si
sviluppano
in una vasta
architettura, in cui trova
posto
la totalit della
esperienza umana,
della
quale
anche il filosofo
era un
erede:
una dottrina della
cono-
scenza,
una teoria dei
principi
metafisici della
natura,
nonch
una
regola dell'azione,
il tutto
penetrato, sostenuto, legato
da
un'ispira-
zione cos
perfettamente unitaria,
che il
pensiero
si innalza dalle
ope-
razioni
pi
umili
degli oggetti
materiali fino alle effusioni
pi
elevate
della
grazia,
senza mai incontrare alcuna soluzionedi continuitmm
19)
111 Seni.
35,
1.
20) E.
GILSON,
La
philosophie...
cit.,
p.
394.
644 Parte seconda
Metafisica cristica
In molte metafisiche il
Logos,
il
Nous,
il Verbum
occupano
un
ruolo
importante,
fondamentale. In tutte le metafisiche
neoplatoniche
la
prima
Intelligenza
il
primo
e
principale
mediatoretra lUno e
l'universo crea-
to. Nel cristianesimo
questo
ruolo viene trasferito al
Logos
(Verbo)
che si
fatto
carne,
cio a Ges Cristo. S.
Agostino
nelle bellissime
pagine
con-
clusive del decimo libro del De civitate Dei fa vedere che Cristo e l'unico
mediatore tra Dio e l'uomo e
che lui l'unica via in
grado
di ricondurre
l'uomo a Dio. Cristo la via universale
per
la liberazionedell'anima
(...). Quanti non
credono alla rettitudine di
questa
via che culmina nella
visione di Dio e nella eterna unione a lui,
nella verit
propugnata
ed as-
serita dalle Scritture
sante, e
perci
non
la
comprendono, possono
com-
batterla ma non
possono
distruggerlam
Su
queste
coordinate si muove
anche la metafisica di
Bonaventura,
il
quale,
come
sappiamo,
non costruisce una
metafisica astratta ma una
metafisica
concreta,
st0rica. E
cos,
mentre nellflexitus della metafisica
astratta il ruolo centrale
spetta
al
Logos
divino,
nellaxitusdella metafisi-
ca storica il ruolo centrale
spetta
a Ges Cristo.
Del Cristo Bonaventura sottolinea
soprattutto
la centralit. Con il ter-
mine centrum di cui Bonaventura fa uso
copioso
nella sua ultima
opera,
lHexaen1cr0n,
egli
vuol
significare qualche
cosa
di
pi importante
di
quanto
indichi il termine medium,
che
pure
usa
spesso per
definire la
posizione
di Cristo nel
cosmo.
Certamente il Cristo
occupa
una
posizio-
ne
mediana tra Dio e l'uomo,
essendo l'uomo-Dio, e come
medio
egli
occupa
una
posizione
intermedia tra i due
estremi, e
pertanto svolge
la
sua
funzione di mediatore tra Dio e
l'uomo. Ma mentre col termine
medium si indica
una
posizione
centrale
rispetto
a
due
punti
soltanto,
col
termine centrum si
esprime
la
posizione
centrale
rispetto
a tutti i
punti:
infatti ccntrum si dice
rispetto
alla sfera mentre medium si dice
rispetto
a
una linea. Chiamando Cristo centrum Bonaventura intende affermare la
sua
posizione
centrale
rispetto
a tutto l'universo: fisico,
spirituale
e sto-
rico.
Egli
in
posizione
centrale
rispetto
a tutte le creature e a tutti
gli
eventi. La
parola
centrum
applicata
a Cristo riassume da sola tutto ci
che Bonaventuravuol dire circa i
rapporti
di Cristo con l'universo creato
e con
l'universo di
Dio, e
quindi
Vuol
significare
che
egli
il
punto
medio,
la
misura,
il centro di
significato,
il
legame
che tutto abbracciae
tutto
conserva; quellunit
cio che mantiene la
molteplicit,
la unifica
3) AGOSTINO,
De civitate Dei 10,
32.
Bonaventuradi
Bagnoregio
645
pur
lasciandola
molteplice
e le conferisce
un senso
profondamente
uni-
tario: In Cristo - scrive Bonaventura -
ogni
tesoro di scienza
e di
sapienza
del Dio
nascosto;
egli
il centro di tutto le
conoscenze.
Egli
il
punto
centrale in sette modi: dell'essere che
l'oggetto
della
metafisica;
della
natura,
che
l'oggetto
della
fisica;
della distanza che
l'oggetto
della
matematica;
della dottrina che
l'oggetto
della
morale;
della
modestia che
l'oggetto
della
politica;
della
giustizia
che
l'oggetto
della
teologia;
della concordia che
l'oggetto
della
logica
(...). Centrale
la
posizione
di Cristo nella
sua
generazioneeterna,
nella
passione,
nella
risurrezione, nell'ascensione, nel
giudizio futuro, nelleterna retribuzio-
ne o felicitml
In linea
con le
esigenze
della sua metafisica
esemplaristica
nel Cristo
Bonaventura oltre che la centralit sottolinea anche
l'esemplarit.
Cristo

sommo modello
(exemplum),
sia nell'ordine dell'essere che
dell'agire.
Egli
modello
sommo nell'ordine dell'essere
perch
in
quanto
Verbo di
Dio
egli
contiene in se i
modelli,
gli archetipi
di tutte le
cose: Perci il
Verbo
esprime
il Padre
e le
cose che
sono state fatte
per
mezzo di lui
(Verbum
ergo exprimit
Patrem et res
quae per ipsum factaesunt).23
La sola
metafisica che Bonaventura riconosce
per
vera la metafisica
insegnata
da Ges
Cristo, e non si tratta di altra metafisica che
quella
della
esem-
plarit. Questa
si riassume nella derivazione di tutta la realt da lui.
Cristo dev'essere
quindi
"la
logica nostra",
che
dobbiamo
seguire
contro
il diavolo che
continuamente
disputa
contro di noi:
Questo
il
mezzo
metafisico che ci
guida,
e
questa
l'intera nostra metafisica: cio
essere
illuminatiattraverso i
raggi spirituali
e circa
l'emanazione,
Pesemplarit
e il
compimento
essere ricondotti al
sommo. E cos sarai
un vero metafi-
sico
(Hoc est nzedium
metaphysicunz reducens, et haec est tota nostra
metaphy-
sica: de
enmnatione,
de
exemplaritate,
de
consummatione, scilicet illuminari
per
mdios
spirituales
et reduci ad
summum. Et sic eris
verus
metaphisicus).24
Non
meno incisiva
Pesemplarit
di Cristo nell'ordine
dell'agire.
Tutta la
sua vita vale come modello
per
la condotta del cristiano, Cristo
ci
guida
in
quanto
ci fa
camminare secondo il
suo modello,
in confor-
mit
con una vita
nuova, come dice S. Paolo ai Romani
(6, 4).25
Come in
Agostino,
anche in Bonaventura
platonismo, neoplatonismo
e cristianesimo si
compongono
in
una sintesi
perfettamente
riuscita.
22) Coll. in
Hcxaem, 1, n. 11.
23) Ibid, 1,
8.
34) Ibid.
25) III Seni.
19, l, 1.
646 Parte seconda
Si tratta di
una
splendidaopera
darte che
parla
il
linguaggio
di Platone
e
dei
neoplatonici,
ma
proclama
ad alta Voce
la verit di Cristo. La strut-
tura scalare della
grande
sintesi
quella
dei
neoplatonici,
ma
colui che
porta
a
compimento
l'ascesa verso
la
patria
celeste Ges Cristo. Lo di-
chiara
apertamente
il Dottore Serafico nel
primo capitolo
del Brevilo-
quium.
Tutto avviene
per
mezzo
di Ges Cristo il
quale
stato fatto da Dio
per
no
sapienza, giustizia,
santificazionee
redenzione. Il
quale,
essendo virt di Dio e
sapienza
di
Dio,
essendo il Verbo incarnato
pieno
di
grazia
e
di verit ci ha dato la
grazia
e la
Verit,
ci ha dato la
grazia
della
carit,
la
quale,
uscendo da un cuore
puro,
da una scien-
za buona e
da una fede non finta,
rettifica tutta
quanta
l'anima nel
suo
triplice aspetto
di cui abbiamo
parlato;
ci ha dato la scienza della
verit con le tre forme della
teologia,
cio la simbolica,
la
propria
e
la
mistica,
affinch con
la simbolica rettamente usiamo delle cose sensi,
con la
propria
rettamente usiamo delle cose
intelligibl,
con
la mistica
siamo
rapiti
nellestasi.
La reductio bonaventurianadella metafisica alla
teologia
fa assumere
alla
prima quelle quattro
note su
cui ci siamo soffermati, e
che fanno di
essa una
metafisica
esemplaristica, teologale,
mistica e cristica. Lauten-
tica metafisica di Bonaventura soltanto
questa
sintesi
globale
di esem-
plarismo,
fede,
mistica e Cristo. Essa
incorpora
certamente anche la
metafisica dei
filosofi,ma
vuole essere ed infinitamentedi
pi.
Perci chi cercasse
di ricostruire la metafisica di Bonaventuralimitan-
dosi ad
estrapolare
dal suo
pensiero quegli
elementi che
corrispondono
alle dottrine della metafisica classica ne
falserebbe
completamente
il
senso.
Forse si farebbeun'idea
pi
o meno esatta delle sue
fonti
platoni-
che,
neoplatoniche,
aristoteliche
e arabe, ma non
giungerebbe
a una con-
cezione
adeguata
del suo
grandioso
edificio. Bonaventura ci dice con
insistenza che ci che
egli
ci vuole dare non la metafisica dei filosofi,
bens un
metafisica radicalmente cristiana,
che vuole
leggere
tutta la
realt con
gli
occhi e
il
cuore
di
Cristo,
ponendo
Cristo al centro di tutto.
Esistenza e
conoscibilitdi Dio
Illustrandoi caratteri
propri
della metafisica bonaventurianaabbiamo
avuto modo di esaminare due tematiche fondamentali: Dio
principio
di
tutte le cose come causa
efficiente ed
esemplare,
Cristo momento centrale
delYexitus e
del reditus di tutte le creature. Ora dobbiamo
completare
la
trattazioneesaminando il
pensiero
di Bonaventurasull'esistenza e natura
di Dio e sulla creazione del
mondo,
degli angeli
e
delluomo.
Bonaventura di
Bagnoregio
647
Per uno
che
come S. Bonaventura ha il
gusttclel
divino e del
sopran-
naturale
chiedersi: esiste il
Principioprimo,
Dio? di
per
s non
ha
senso.
E un
interrogativo irrispettoso,
un insulto, una bestemmia
(come
lo sar
per Kierkegaard).

una domanda che
nasce
da una
profonda
Cecit
mentale,
pari
a
quella
di chi
nega
che c' il sole soltanto
perch

privo
di vista 0
perch
non 1o vuole vedere. Per Bonaventura sa bene che ci
sono
degli
atei
e
che
l'interrogativo
sull'esistenza di Dio stato
posto,
e che
compito
della metafisica fornire la
risposta.
Cos
anch'egli
lo af-
fronta in varie
opere,
in
particolare
nel Continente alle
Sentenze,
nella
Quaestiodisputata
de
mysterio
Trinitatise
nellltinerariummentis in Deum.
UESISTENZA Dl DIO NEL "COMMENTO ALLE SENTENZE"
La Distinzione terza del Libro
primo
delle Sentenze di Pier Lombardo

quella
in cui l'autore tratta la
questione
dell'esistenza di Dio.
Questa
distinzione diventata il locus classicus in cui i commentatori
presentano
le loro
prove
dell'esistenza di Dio.
quanto
fa anche Bonaventura nel
suo commento.
Egli
adduce tre
prove
o tre
gradi per
ascendere a Dio: Il
primo grado quanto
dell'ascesa alla visione sta nella considerazione
delle cose visibili;
il secondo nella considerazione delle Cose invisibili,
come l'anima
o
un'altra sostanza
spirituale;
il terzo dall'anima
verso
Dio,
poich l'immagine
Viene formata dalla stessa verit e si
congiunge
immediatamente a Dio>>.26
Questo
testo contiene
gi
tutti
gli
elementi
che
saranno
poi sviluppati
ed accentuati nelle
opere posteriori.
Come S.
Anselmo,
di cui accetta
l'argomento
del
Proslogion,
Bonaven-
tura ritiene che si
possano pensare
le
parole
Dio
non esiste" ma non Ci
che
espresso
nelle
parole.
Si
pu
avere un falso concetto di Dio e
figu-
rarselo come un idolo,
poich
l'intelletto umano non
coglie
l'essenza di
Dio, e
questa
una
implicita negazione
del vero Dio, ma resta
pur
sem-
pre
la
persuasione
dell'esistenza di
un Dio: E
poich
chi
pensa
che Dio
non ci che
, come
giusto,
di
conseguenza pensa
che
non e;
perci
a
ragione
della mancanza dell'intelletto si
pu pensare
che Dio non , o
non la
somma Verit;
tuttavia non
semplicemente
o
generalmente,
ma
per conseguenza,
come
chi
nega
che in Dio
non vi la
beatitudine,
nega
che Dio esistem?
36) 156m. 3, 1,
2 ad 4.
27) lbid.
8, 1, l,
2.
648 Parte seconda
UESISTENZA DI DIO NELLA QUAEsTio
DISPUTATA"DE MYSTERJOTRIWTATIS
Analogo procedimento
a
quello
del
Commento, ma con
pi ampi
svi-
luppi
si trova nella
prima questione
del De
mysterio
Trinitatis, ove
chie-
dendosi
se
l'esistenza/di
Dio sia una
verit della
quale
non si
possa
dubitare
(si!
trenini
irjdutritabile),Boriaventura risponde
affermativamente
qpfi-ina triplice
villa prima
via
(
quella
della
esperienza
interna ana-
i
lizzatanellesuev-arie tensionila
secondarie
quella
fondata
sull'esperien-
za esterna del
mondo,
conosciuto nella
sua
intima
essenza
di
essere con-
tingente
mutabile
0
di
essere
partecipato;
la terza
vi;

legata all'argo-
mentazione anselmiana e
in
particolare
alla
presenza
delle
ragioni
eter-
ne
nella mente umana.
Che l'esistenza di Dio sia una
verit naturalmente
impressa
nelle
nostre
menti
provato
sia con
argomenti
d'autorit (asserzioni
di S. Giovanni
Damasceno, Boezio,
Ugo
di S.
Vittore)
sia con altre considerazioni come
queste:
abbiamo innato il desiderio della
sapienza,
della beatitudine,
della
pace,
dunque
dobbiamo averne un'idea; ora
Dio la
sapienza,
la
beatitudine,
la
pace,
dunque
innata in noi la nozione di Dio. ln
questa
via
psicologica

compreso
anche
questo argomento:
l'anima nostra
porta
in s
l'immagine
di
Dio, se
dunque
naturalmente
impresso
nell'ani-
ma
che
essa

immagine
di
Dio,
l'anima ha innata la nozione di Dio.
Nella seconda via che
quella cosmologica (ogni
creatura
proclama
l'esistenza di
Dio)
Bonaventura elenca dieci
aspetti
delle cose
che
po-
stulano necessariamente l'esistenza di Dio. Si tratta
precisamente degli
aspetti
della subordinazione,
della
dipendenza,
della
possibilit,
della
relativit,
della
limitazione, dell'ordine,
della
partecipazione,
della
scomposizione,
della
potenzialit,
del mutamento.
Il
prinlo (aspetto)

questo:
se c' l'ente che viene
dopo (posterias)
c'
l'ente che viene
prima;
se
dunque
vi l'insieme
degli
enti che
vengono
dopo,
necessario che vi sia un
primo
ente. Se
dunque
necessario
ammettere un
prima
e un
poi
(ossia una
dipendenza
causale)
nelle crea-
ture,
necessario che l'insieme delle creature
implichi
e
proclami
l'esi-
stenza di un Primo
principio.
Secondo dove c' un ens ab
alio,
deve
esserci un ente che non
dipende
da altro. ljens ab alia
corrisponde
all'en-
te
creato,
il non ab alia all'ente increato.
Terzo, se
vi un ente
possibile,
dev'esserci un ente necessario.
Quarto,
se c' un ente relativo,
dewesserci
un
assoluto.
Quinto, se
vi un ente limitato,
parziale
(diminuturtt)
dev'es-
serci l'ente
simpliciter,
e l'ente
simpliciter
dev'essere
perfetto.
Sesto, se
vi
un ente ordinato ad altro
(propter
aliud),
dev'esserci un ente autosuffi-
ciente,
che ha valore
per
s, e
questo
l'ente di cui non
pu
esserci mi-
13)
Cf. De
rnyst.
TriniL,1,
1.
Bonaventura di
Bagnoregio
649
gliore.
Settimo, se vi un ente
per partecipazione,
dev'esserci un
ente
per
essenza. Ottavo, se
vi un ente in
potenza,
dei/esserci un ente in
atto, ma
l'ente che
puro
atto Dio.
Nono, se vi un ente
composto,
clev'esserci
un ente
semplice.
Decinzo, se c' un ente mutevole,
dev'esserci un
ente
immutabile,
poich
ci che muta mosso
da un ente in
quiete.
Da
que-
sti dieci
presupposti
necessari ed evidenti - si inferisce che tutti i diver-
si
tipi
o zone
dell'ente
implicano
e
proclamano
l'esistenza di Dio. Se
dunque ognuna
di
queste
verit indubitabile,
e necessario che l'esi-
stenza
di Dio sia una verit indubitabile?!
Della terza
via,
che
quella ontologica
Bonaventura cita varie Versio-
ni,
anzitutto la celeberrima formulazione anselmiana del
Proslogion,
basata sull'1'd
quo
maius
cogitari nequit, poi
la
seguente
formulazione
ago-
stiniana dei
Soliloquz:
Quanto maggiore
e
pi
universale e una verit
tanto
pi
nota; ma
questa
verit con
la
quale
si dice che esiste il
primo
ente la
prima
fra tutte 1c verit sia nell'ordine
ontologico
che in
quello
logico; perci
necessario che
essa
stessa sia evidentissima e certissi-
ma.30 Infine Bonaventura
aggiunge
una
formulazione
personale
che
la
seguente:
Nessuno
pu ignorare
che
questa proposizione:
l'ottimo e
ottimo,
sia
vera,
oppure pensare
che sia
falsa; ma l'ottimo un ente
completissimo
ed
ogni
ente,
per
il fatto stesso di essere
completissimo,

anche in
atto;
pertanto
se
l'ottimo
ottimo,
l'ottimo .
- Similmente si
pu argomentare:
se Dio
Dio,
Dio
; ma Pantecedente vero a tal
punto
che
non
pu
essere
pensato
non esistente,
pertanto
l'esistenza di
Dio una
verit indubtabile>>.3
JESISTENZA DI DIO NELUITINERARIUM MI-NTIS IN DEUM
La seconda via della
Q.
d. de
mysterio
Trinitatis
ripresa
e
notevolmen-
te
approfondita
nel
capitolo
terzo dellfitinerariumnzentis in Deum.
L'ascesa a Dio
presentata
da Bonaventura nelltinerario la
tipica
ascesa
(o
navigazione)
metafisica che dal mondo
dell'esperienza
conduce al
mondo della trascendenza. Il
passaggio
decisivo
quello
in cui si affron-
ta la
questione
della consistenza dell'ente finito. Ecco il bel testo bona-
venturiano:
Ogni
definizionesi fa
con
riferimentoa dei termini
superiori,
e
que-
sti si definiscono con riferimentoa termini
pi generali ancora,
finch
non si
pervenga
a
quei principi supremi
e
generalissimi, ignorati
i
quali
non
possono
essere intesi in maniera definitiva le cose
inferiori.
29) 11nd,, 1,
29.
30) lbid.,
27.
31) Ibid.,
29.
650 Parte seconda
Quindi, se non si conosce
l'ente
per
s, non si
pu
conoscere
piena-
mente la definizionedi nessuna sostanza
particolare.
N l'ente
per
s
pu
essere conosciuto, se non si conosce le sue
propriet
che sono:
l'uno,
il
vero,
il bene.
Ora,
potendosi
l'ente
pensare
come
incompleto
0 come
completo,
come
imperfetto
0 come
perfetto,
come ente in
potenza
e come ente in
atto, come ente sotto un
aspetto particolare
e come ente assoluto,
come ente
parziale
e come ente totale, come ente transeunte e come
ente immanente, come ente condizionatoe come ente incondizionato,
come ente misto al non-ente e come ente
puro,
come ente
dipendente
e come ente assoluto, come ente
posteriore
e come ente
primo,
come
ente mutabilee come ente immutabile, come ente
semplice
e come
ente
composto, poich
"la
privazione
e
il difetto non
possono
cono-
scersi se non
per
mezzo di ci che
positivo",
la nostra mente non
pu pienamente
intendere nessuno
degli
enti
creati, senza servirsi
della nozione dell'ente
purissimo,
attualissimo,
completissimo
e asso-
luto;
il
quale
l'ente
semplicissimo
ed
eterno,
in cui
sono,
nella loro
purezza,
le
ragioni
di tutte le cose. Come, infatti,
il nostro intelletto
potrebbe
conoscere
che
questo
ente difettoso e
incompleto
se non
avesse Conoscenza
dell'ente assolutamente
perfetto?
Lo stesso vale
per
le altre condizioni dell'essere
gi
accennate>>.32
Come
agevole
constatare Bonaventura non si accosta alle
prove
del-
l'esistenza di Dio con
quella
sensibilitcritica che abbiamo incontrato in
S. Tommaso
(e
che diventer molto acuta nella filosofia
moderna),
che si
preoccupa
di
distinguere
tra
argomentazioni
valide
e non
valide. Pratica-
mente,
per
Bonaventura,
tutte le
argomentazioni
sono valide,
perch
non
hanno valore
probativo:
non si
propongono
di dimostrare che Dio
esiste,
ma
semplicemente
di confermareci che
gi risaputo
da tutti. verit
assolutamenteindubitabileche
se Dio Dio,
egli
non
pu
non esistere.
A
questo riguardo
sono assai
pertinenti
le
seguenti
osservazioni di
E. Gilson:
(Nellelaborazione
delle
Vie)
l'obiettivodi Bonaventura non
quello
di costruire
quattro
o
cinque prove
convincenti a causa della loro
intrinseca solidit, ma
piuttosto
di mostrare che Dio cos universal-
mente attestato dalla natura che la sua esistenza
qualche
cosa
di evi-
dente e che c'
appena
bisogno
di dimostrarla. S. Tommasoinsiste sul
fatto che l'esistenza di Dio non evidente;
egli
concentra
quindi
tutto
il suo sforzo sulla scelta di uno o
pi punti
di
partenza privilegiati
e
sulla solidit dialettica della
prova.
Per contro S. Bonaventura insiste
sul fatto che la natura tutta
quanta proclama
l'esistenza di Dio come
una verit
indubitabile,
purch
ci si dia soltanto la
pena
di
guardarla;
32) Itin.
3,
3.
Borzaventura di
Bagnoregio
651
egli
obbedisce
quindi semplicemente
al sentimento francescano della
presenza
di Dio nella
natura,
allorch fa
passare
sotto i suoi occhi la
lunga
serie delle creature di cui ciascuna
grida
a suo modo l'esistenza
di D0>>.33
Per Bonaventura l'esistenza di Dio una tra le verit
pi
evidenti.
Se tutti non la
percepiscono,
ci non
dipende
dal fattoche
non sia cono-
scibile, ma dalla mancanza di considerazioneda
parte
nostra. Ossia l'esi-
stenza di Dio non
indiget proballone propter defectum
evidentiae
ex
parte sua,
sed
propter
defectum considerationis
ex
parte
nostra. Pertanto le
argomen-
tazioni sono delle esercitazioni dell'intelletto
piuttosto
che
argomenti
che danno l'evidenza
e
che manifestano la stessa Verit dimostrata
(ratio-
nes dantes evidentiamet
manzfestantes ipsum
verum
pr0batun1).34
Data la natura dell'anima
umana e
della nostra mente essenzialmente
legata
all'essere
e alla luce delle
ragioni
eterne la nozione di Dio diventa
per
Bonaventura una
specie
di idea innata. Non nel senso che sia tutta
formata
e non
richieda
nessuno
sforzo
e nessuna riflessione da
parte
della nostra mente
per
essere conosciuta, ma
nel
senso
che vi tale e
tanta luce
nell'anima,
per
il fatto di
essere
flflgl}
Dei che facilmente
pu
rendersi
consapevole
che
non
possibileragionevolmente
dubitare del-
l'esistenza di
Dio;
perci
scrive Bonaventura nello Hexaemeron: L'essere
divino infatti il
primo
ad
esser conosciuto
(Esse
enim divinum
primum
est
quod
zienit in
mente) (10, 6).
Ed
ancora in maniera
pi
forte: Perci
l'essere ci che
per primo
l'intelletto
apprende
(Esse
igitur
est
quod
prinro
cadit in
HEECZJ).
E di ci nessuno
pu
dubitare.
Spesso
Bonaventura stato
presentato
come un
ontologista,
e in
quanto
condivide in
pieno l'argomento
anselmiano lo certamente. Ma
i suoi
argomenti preferiti
nella
Q.
d. De
mi/sterio
Trinitatis e nelfitinera-
rium sono
quelli
tratti dalla
presenza
di Dio nell'anima
e
nella natura.
Perci,
pi
che
un
ontologista
Bonaventura un intuizionista. L'occhio
della nostra mente fatto
per
vedere
Dio,
ed una strana cecit
quella
che
affligge
l'intelletto che
non riesce a
percepire
Dio:

perci sorpren-
dente
quella
cecit dell'intelletto che
non considera ci che vede
per
primo
e senza il
quale
non
pu
conoscere alcunch. Ma come
l'occhio
che
guarda
le varie differenze dei colori
non vede la
luce, e se
la vede
non la
percepisce,
cos l'occhio della nostra
mente,
rivolto
agli
enti
parti-
colari
e universali, tuttavia non si
accorge
dello stesso essere al di
fuori
di
ogni
genere,
bench
per primo
si
presenti
alla mente e attraverso di
esso
si
presentino
anche le altre cose.35
33) E.
GILsoN, La
philosophie...cit.,
p.
107.
34) De
myst.
Trirzit.
1, 1,
ad 11.
35) ltin.
5,
4.
652 Parte seconda
Messa al sicuro la verit della esistenza di Dio
(si est),
Bonaventura
passa
ad esaminare la
questione
della sua natura
(quid
est) e
1affronta
con
quello spirito neoplatonico-agostiniano-dionisiano
che caratterizza
tutto il
suo
pensiero.
E cosi
egli
confessa
ripetutamente Pimpotenza
della mente umana
di fronte al mistero di Dio: di Lui noi
possiamo
for-
marci soltanto dei concetti
negativi.
La realt di
Dio,
per
difetto e limita-
zione della nostra
intelligenza,
ci resta totalmente ineffabile. Essa
conosciuta solo da
Dio,
che
perfetta
autocoscienza, o
pensiero
di se
stesso come diceva Aristotele: Per
perfectanz comprehensionem
seu
per per-
fectam expressionem
(...). Deus sibi soli est
intelligibilis,
sicut sibi soli est
efia-
biliset nominabilismPer
cui,
mentre ci massimamente chiara la
sua
esistenza,
ci massimamentenascosta la sua essenza: maxime n05 latet
quid
est,
sed tamen maxime
patet
si est.37
A tale
imperfetta
conoscenza noi
perveniamo
attraverso le creature:
non
cognoscimus
Deum nisi
per
creaturas,38
le
quali
conducono a Dio
per
nwdunz
umbme,
per
modunz
vestigii
e
per
modum
imaginis,
secondo la diver-
sa
perfezione
della loro entit. Naturalmente non tutto ci che troviamo
nelle creature lo
possiamo
attribuire a Dio nella stessa
maniera,
perch
a
lui non
possiamo
attribuire le
imperfezioni,
le
limitazioni,
la
materialit,
la
corporeit,
la
composizione.
Tutte
queste imperfezioni
creaturali
vanno
semplicemente
rimosse da Dio. Essendo
Egli
l'essere
perfettissi-
mo,
a lui dobbiamo attribuire solo le
perfezioni
delle
creature, come la
sapienza,
la
bont,
la
bellezza, l'essere,
la
potenza
e tutte le
altre, ma
senza le limitazioni che
esse
hanno nelle creature. Le dobbiamo
quindi
attribuire a Dio in maniera eccellentissima. Si hanno cos tre modi di
conoscere ci che Dio attraverso le creature: il modus
causalitatis,
il
modus ablationis
e
il nzodus
superexcellentiae. Quindi
Bonaventura scrive
lapidariamcnte:
Deus innotescit nobis
tripliciter,
scilicet
per
causalitutem,
per
ablutionem et
per
excellentiam
(conosciamo Dio in tre modi,
cio
per
causalit,
per negazione
e
per
eminenza).39 Sono i tre
grandi
momenti
della
conoscenza
analogica egregiamente
illustrati dallo
Pseudo-Dionigi
nel De divinis nominibizs.I titoli
pi
belli
(e
le
perfezioni pi pregiate)
che
noi
assegnamo
a Dio sono
quelli
ricavati attraverso la via eminenziale.
Bonaventura ce ne
d
un
saggio
neIYItinerarium esaminando il con-
cetto di
essere, plesso
di
ogni
altro concetto e radice di
ogni
altra
perfe-
zione. Ecco alcuni brani di
queste pagine stupende:
36) 1 Sent. 22, 1, concl.
37) 11nd,, s, 1, 1,
2 ad 4.
38) una, 22,3,
concl. ad 2.
39) fbiti,
2 concl.
Bonaventura di
Bagnoregio
653
...
L'essere
dunque
che essere
puro,
essere
semplice
ed essere asso-
luto,
l'essere
primario, eterno, semplicissimo,
attualissimo,
perfettis-
simo e sommamenteuno (|rv)w
Lo stesso essere
primo
e ultimo, eterno
e
presentissimo,

semplicissimo
e massimo, attualissimo
e immutabilissimo;
perfettssimo
e immenso,
sommamente uno e
tuttavia immensamenteVario
Di
nuovo riassumendo diciamo:
poich dunque
l'essere
purissimo
e assoluto,
l'essere
senz'altro,

primo
e ultimo,
per questo principio
e fine che d
compimento
ad
ogni
essere.
Poich eterno e
presentissi-
mo,
per questo
circuisce e
penetra ogni
istante del
tempo,
come ne

insieme il centro e la circonferenza. Poich
semplicissimo
e massimo,
per questo
tutto dentro le cose e tutto fuori le
stesse,
per questo

come una sfera
intelligibile,
il cui centro
ovunque,
e
la circonferenza
in nessun
luogo.
Poich attualissimo e immutabilissimo,
per questo
rimanendofermo d il movimentoa tutte le
cose.
Poich
perfettissimo
ed
immenso,
per questo
tutte le cose ma non circoscritto da
nessuna,
fuori di tutto ma non escluso,
sopra
di tutte le
cose, ma non
separato,
sotto tutte le Cose ma non
oppresso.
Poich sommamente uno ed
ogni cosa,
per questo
tutto in tutte le
cose,
benchle
cose siano molte
ed
egli
non
che
uno e
questo perch
per
la sua
semplicissima
unit,
per
la sua Serenissima Verit e sincerissima
bont,
trovansi in lui
ogni
potenza, ogni esemplarit, ogni
comunicabilit;e
per questo
da lui e
per
lui e in lui sono tutte le
cose,
e
questo perch

onnipotente,
onni-
sciente e assolutamente
buono,
nella cui
contemplazione
consiste l'es-
sere beato, come fu
promesso
a Mos: Io ti mostrer
ogni
bene,40
Le
operazioni
divine:
conoscenza e
volont
Diversamente dalla metafisica classica che riconosceva a Dio o
sol-
tanto il
conoscere (Aristotele) o soltanto il volere
(Plotino),
la metafisica
cristiana ha
sempre assegnato
a Dio entrambe
queste operazioni.
Su
questo punto
Bonaventura
riprende
il tradizionale
insegnamento
di
Agostino
e
di Anselmo
sottolineando, come loro,
il
primato
del volere
(e
dell'amore)
rispetto
al conoscere (e
alla
contemplazione).
Il
conoscere
di Dio universale e infinito, mentre il suo Volere onni-
potente
e sconfinato.
In una
pagina
famosa delle Collationes in
Hexaemeron,
in cui Bonaven-
tura insiste sulla
impossibilit
di una filosofia
separata
dalla
conoscenza
rivelata dal
cristianesimo,
egli
fa risalire
gli
errori della filosofiaaristote-
lica alla
negazione
della verit fondamentale del
platonismo:
la teoria
delle idee
come cause
esemplari
del mondo. S. Bonaventura
interpreta
le idee
platoniche
come idee della mente divina e osserva
che
negare
tali
49)
Itin.
5,
5-8.
654 Parte seconda
idee
porta
a
negare
la
provvidenza
e ad introdurre
quella
necessit fa-
tale di cui
parlano
infatti
gli interpreti
arabi di Aristotele: e tolta cos la
finalit dell'universo ed e
negata
la libert umana. Di
qui l'importanza
che Bonaventura annette
allesemp1arismo
divino. In Dio ci sono le
idee,
ossia i
modelli, le similitudini di tutte le cose. E
spiega
in che modo le
idee divine sono similitudini delle
cose, distinguendo
tra due forme di
similitudine:
una
importa
la Convenienza di due
cose a una terza,
la se-
conda dice
somiglianza
di una cosa
rispetto
a un'altra. Ma
questa
secon-
da forma di
somiglianza
si
pu
realizzare in due modi:
imitative, e cosi
la creatura similitudinedel
Creatore,
oppure
eserrzplatizio,
e
questo
il
caso della
somiglianza
delle cose
rispetto
alle idee divine. Dal carattere
esemplare
di cui sono dotate le idee
divine,
Bonaventura ricava la con-
clusione che l'intelletto divino conosce tutte le cose. Ecco il
passo pi
interessante al
riguardo:
Il divino
intelletto,
in virt della sua somma verit,
esprimendo
eter-
namente tutte le
cose, possiede
in se stesso le similitudini
esemplari
di
tutte le
cose,
le
quali
similitudini
non sono
qualcosa
di diverso da
lui,
ma sono essenzialmente ci che
egli
stesso. Inoltre,
poich
somma
luce ed atto
puro, perci
l'intelletto divino
esprime
le cose con somma
lucidit,
espressivit
e
perfezione,
e
perci
senza alcuna diminuzione
dell'uguaglianza
e della intenzionalit
proprie
della similitudine!
Onde
segue
che l'intelletto divino conosce
ogni
cosa con la massima
perfezione,
distinzionee
integrit
(...).
E da ritenere che Dio senza dubbio conosce le
cose,
che le conosce in
se stesso,
che le conosce
in
se stesso come similitudine e che
quella
similitudine,
per
la
quale conosce,
non e una
similitudinericevuta dal
di
fuori,
n una similitudinedovuta alla convenienza a una terza natu-
ra;
ma
quella
similitudine
non altro che la verit
espressiva.
Dire,
quindi,
che Dio conosce tutte le cose
in
se stesso,
in
quanto
similitudi-
ne,
non altro che dire che Dio conosce
le
cose in se stesso,
in
quanto

verit o luce somma
esprimente
le altre cose. E
poich
la divina verit

potentissima
ad
esprimere
totalmente tutte le
cose, perci
Dio cono-
sce
in se stesso, come verit
esprimente,
le cose tutte e t0talmente.43
Senonch a
questo punto
nasce un
problema.
Infatti il
quadro
della
realt molto vario: esso include cose buone e cose cattive, cose
passate
e cose future, Cose
possibili
che
non
accadranno
mai, cose
contingenti
e
cose
necessarie.
Uinterrogativo
: Dio le conosce tutte allo stesso modo 0
ci sono in Dio varie forme di conoscenza?
41) Cf. C011. in Hexacm. 6, nn. 2-5.
43) Cf. De scientia Chrisfi
q.
2 concl.
43) De scientia Christi
qq.
2-3.
Bonaverztura di
Bagnoregio
655
Assumendo
Vesemplarit
come
ragione
della conoscenza delle
cose,
Bonaventura costretto a
distinguere
in Dio tre forme di conoscenza: di
ZSOHC,
di
approvazione
e di
intelligenza.
Triplice
il modo di conoscere divino, non
per
la diversit della
scienza in
se stessa, ma
in relazione alle cose conosciute. Vi
infatti,
in Dio la
cognizione
di
approvazione,
di visione e di
intelligenza.
La
cognizione
di
approvazione

propria
dei beni
e
delle
cose
finite.
La
cognizione
di visione
propria
solo dei mali e dei beni in
quanto
essi sono finiti
per
ci che
riguarda
il
tempo,
in
quanto
cio essi furo-
no,
sono e saranno. La terza
cognizione riguarda
le cose infinite,
in
quanto
Dio intende non soltanto le
cose future ma anche le cose
possi-
bili;e le cose
che
sono
possibili
a Dio non sono finite bensinfinite.44
Il
passaggio
dal mondo ideale dei modelli al mondo reale delle cose
avviene
per opera
della
potenza
di Dio
e ancor
pi
della
sua
volont.
ll flusso delle
cose
da Dio non un flusso
automatico,
meccanico ma
causato da una libera
scelta, e
questa appartiene
alla Volont. La
poten-
za
pu
molte
cose e ne contiene di
pi
di
quante
ne realizzi,e in se stes-
sa non contiene la
ragione
della scelta da effettuare tra ci che
porta
all'attuazione
e ci che lascia irrealizzato. La
scienza,
da
parte
sua cono-
sce tutte le
possibilit,
rna non essa a conferire la realt alle
possibilit.
Tutto ci che reale lo diviene mediante l'efficacia della volont: solo
essa cocstcnsiva a tutto ci che
possiede
l'essere, e nulla si
pu scopri-
re
nell'ambitodel reale che
non debba ad
essa la sua realt
o,
al di fuori
di tale
ambito,
che
essa sia stata
impotente
a
realizzare.
dunque
alla
Volont che
appartiene
il
privilegio
di far
passare
i
possibili
all'essere,
mentre scienza e
potenza
non
partecipano
alla causalit efficiente che
per
il tramite della volont: Nella volont si trova innanzitutto il carat-
tere dell'attualit. Infatti la
potenza
e
la
scienza,
anche
se
hanno caratte-
re
di
cause abituali,
tuttavia
non sono attuali se non attraverso la
volont. Per cui la volont fa della scienza una
disposizione,
cio fa in
modo che la scienza
disponga
e sia una
potenza
esecutrice
(In
voluntate
prima
invenitur ratio actualitatis. Potentia enim et scientia,
etsi habeant ratio-
nem causaehabitualis, non tanzen actualis nisi
per
voluntatem. Umile voluntas
facit
de scientia
dispositionem,
sive
facit
scientiam
esse
disponentem
et
poten-
tiam
exsequentembfl?
La volont divina
non
agisce
arbitrariamente,ma secondo i criteri del
bene,
che
corrispondono
ai criteri del
fine,
che
sono noti allntelletto.
44) Ilari,
q.
1
resp.
45) ISent.
45, 2, 1,
4 ad 2.
656 Parte seconda
Affinch la volont
intervenga,
necessario che la fecondit del bene
entri in contatto con
la
sua finalit, e
questo
contatto si stabilisce nel
momento in cui il
bene,
prendendo
coscienza del suo contenuto totale,
trova nella sua
perfezione
la
ragione
di
dispiegarsi
al di fuori di se stes-
so,
secondo le
esigenze
della sua
fecondit.
proprio
a
questo punto
che
sorge
la volont divina,
riflessionedel bene
su se stesso, congiunzio-
ne immanente di tutto ci che
esso
contiene di
fecondo, con
ci che ha di
desiderabile: la volont l'atto secondo il
quale
il bene riflette
sopra
se
stesso Cio la
bont;
perci
la volont unisce l'effettivo con
il fine
(volum-
tas est actus secundum
quem
bonum
reflectitur supra
bonum sive bonitatent;
ergo
voluntas unit
efiectivum
cum
fine).45
La
sequenza
delle facolt
e
delle
operazioni
in Dio non
diversa da
quella
che c' nell'uomo:
prima
viene l'intelletto,
poi
la volont. Per
que-
sto motivo Gilson esclude che
se
per
Volontarismosi intende il
primato
della volont sull'intelletto,
si
possa designare
Bonaventura come vo-
lontarista. Per san
Bonaventura non c' in Dio che
un
solo
primato,
quello
di Dio stesso. Alla
sorgente
e
alla radice di tutto c' 1'Essere, ocea-
no
infinito di
sostanza,
ed sulla ricchezza
originaria
di
questo
Essere
che si innesta immediatamentel'atto mediante il
quale egli
si conosce e
si vuole, conosce
le cose e vuole le cose. Qualsiasi
altra
interpretazione
del suo
pensiero
rischierebbeinevitabilmentedi falsarlo>>.47
Al
quesito
se
ci che Dio ha creato sia il
migliore
dei mondi
possibili,
Bonaventura
risponde negativamente:
la
potenza
di Dio infinita
e
pu
sempre
produrre
mondi
migliori
di
quello
che ha
gi
realizzato. Dio ha
creato il mondo attuale
perch
l'ha voluto e lui solo ne conosce
la
ragio-
ne. Noi
sappiamo
che ci che
egli
ha donatol'ha donato del tutto
gratui-
tamente,
in
un atto di bont che non
pu
dar
luogo
al
sospetto
di
qual-
che invidia. Il resto rimane un suo
segreto:
e
perci
tale
questione

irrazionale, e non
si
pu
dare come
soluzione se non
questa,
che lo ha
voluto e lui stesso ne conosce
la
ragione
(et
idea talis
quaestio
est irrationa-
lis, et solutio non
potest
dari nisi
haec,
quia
voluit et rationenz
ipse
n0vit).48
La creazione del mondo
Con tutti i metafisici cristiani Bonaventura
insegna
che il mondo ha
origine per
creazione, e
respinge
la teoria della emanazionetanto cara
ai
neoplatonici greci
ed arabi.
45) lbid, 45, 2,
1 concl.
47)
E.
GILSON,
La
philosophie...
cit,
p.
149.
48)
1 Seni. 44, 1,1
concl.
Bonaventumdi
Bagrzoregio
657
Per
meglio
chiarire il concetto di creazione ex nihiloil Dottore Serafico
passa
in
rassegna
il
pensiero degli
antichi filosofi circa
l'origine
del
mondo,
dagli
ionici
agli
aristotelici, ne fa Vedere le
difficolt, e conclude
che il mondo stato creato
integralmente
anche nei suoi
principi
intrin-
seci,
costitutivi dellessere finito. Ecco un
passo significativo
su
questo
punto: Bisogna
ammettere che
questa
la verit: il mondo stato
pro-
dotto nel suo
essere,
non solo secondo la
sua totalit, ma
anche secondo
i suoi
principi
intrinseci,
i
quali
non
da altri
principi,
ma dal nulla sono
stati
prodotti.
Ma
questa
verit,
bench
ora sia chiara
e senza difficolt
per ogni
fedele,
tuttavia rest nascosta alla
saggezza
della
filosofia,
la
quale
per
lungo tempo
cammin fuori strada nella ricerca della soluzio-
ne
alla
questione
sulla
origine
del mondo.49
Dopo
aver
chiarito il concetto di creatio ex nihilo,
Bonaventura si chie-
de
se
possibile
ritenere che il mondo sia stato creato ab aeterno. Alla
quale
domanda, a
differenza di S.
Tommaso,
risponde negativamente.
Ecco le
sue testuali
parole:
Bisogna
dire che ritenere che il mondo sia
eterno,
ossia eternamente
prodotto
e ritenere che tutte le cose siano state
prodotte
dal nulla
(ex nihilo),
semplicemente
contrarioalla verit e alla
ragione
(contra
veri-
tatenz et
rationenz),
ed talmente contro la
ragione
che non crederci che
qualche
filosofo,
per quanto
di corta
intelligenza,
l'abbiaammesso>>fi

impossibile
che ci che ha l'essere
dopo
il non essere abbia
un
essere eterno, perch
vi
unflmplicita
contraddizione; ma
il mondo
ha l'essere
dopo
il non
essere; quindi

impossibile
che sia eterno. Che
abbial'essere
dopo
il
non essere si
prova
in
questo
modo: ci che rice-
ve totalmente l'essere da
qualcuno,
da
questo prodotto
ex nihilo; ma
il mondo il
suo essere lo ha totalmente da
Dio,
perci
il mondo
pro-
dotto ex nihilo. Non dal nulla materialmentema
originariamente
inte-
so.
E che tutto ci che totalmente
prodotto
da
uno
che ha un'essen-
za differente,
ha l'essere dal
nulla,

chiaro,
perch
ci che
prodotto
totalmente,
prodotto
secondo la materia e la
forma, e siccome la
materia non
pu
essere tratta da un altro
soggetto preesistente,
n da
Dio,

perci
manifestoche e
prodotta
dal nulla.51
Un'altra dottrina molto in
voga
tra i filosofi arabi era
quella degli
intermediari.
Appellandosi
al
principio
"ex uno nonnisi
unum,
dall'Uno
essi facevano
procedere
immediatamente soltanto la
prima Intelligenza
e successivamente tutte le altre fino alla
decima,
quindi
l'anima del
mon-
do e
alla fine il mondo materiale. Tutti i metafisici cristiani avevano
49)
Il Sent.
1, 1, 1,
1 concl.
50) lbid., 1, 1,
2.
s1) Ibid.
658 Parte seconda
respinto questa posizione.
Bonaventura la trova insostenibile
per
duc
ragioni.
1)
Perch
non si
pu capire
come un
agente
di
potenza
finita
possa
produrre
un essere ex nihilo. N credo che
qualcuno
dei filosofi
l'abbia s0stenuto.5= 2)
Perch la
ragione
della
semplicit
di Dio non
regge;
vero anzi il
contrario,
infatti
quanto pi
un
principio

sempli-
ce,
tanto
pi

potente;
e
quanto pi

potente,
tante
pi
cose
pu pro-
durre.
Onde, se Dio un
principio semplicissimo, per
ci stesso
pu
tutto senza
alcun intermediarionfl
Altre dottrine caratteristiche della metafisica bonaventurianae
gene-
ralmente condivise da tutta la scuola francescana sono
Yilemorfismo
universale,
la
pluralit
delle forme
e
le
ragioni
seminali.
Sullesempio
di Ibn Gabirol Bonavcntura considera la materia come
l'elemento costitutivo di tutti
gli
enti finiti
e
soggetti
a cambiamento,
inclusi
gli angeli (ilemorfismo
universale).
I
puri spiriti
o
angeli,
a suo
parere,
non sono
composti
soltanto di sostanza e accidenti,
di atto e
potenza,
di essenza
ed
esistenza, ma
anche di materia e
forma. Ecco il
suo
ragionamento:
Vi dubbio sulla
composizione
di materia e
forma o dell'elemento
materiale e
formale. Alcuni vollero dire che tale
composizione
da
escludersi
nell'angolo
e che vi
sono
solo le
composizioni sopra
nomi-
nate. Ma
poich,
come
gi
stato dimostrato,
nelYangelo
vi la
ragio-
ne della
mutabilit,non solo verso
il
non
essere,
ma
anche secondo le
diverse
propriet,
vi anche la
ragione
della
possibilit,
ed inoltre la
ragione
della individuazionee limitazione,
ed infine la
ragione
dell'es-
senziale
composizione
secondo la
propria
natura, non
vedo la causa
n la
ragione
di
poter
difendere che la sostanza
angelica,
e
l'essenza
di
ogni
creatura esistente, non sia
composta
da diverse nature. E se
composta
da diverse
nature,
quelle
due nature stanno tra loro come
ci che e attuale e
potenziale,
e
perci
come
la materia e la forma.
Perci
quella
soluzione che ammette
nelfangelo
la
composizione
di
materiae forma sembra la
pi
vera.54
Come risulta anche dal testo
qui
citato Bonaventuranon
concepisce
la
materia tanto come
principio
della
corporeit quanto
come
principio
del-
la finitudine e
della
potenzialit.
La materia considerata in se stessa
-
scrive lo stesso Bonaventura

non n materiale n
spirituale,
ma

semplicementeprincipio
di
potenzialit.
52) Ibid, 1, 1, 2,
2.
53)
lbid.
54) lbid., 3, 1, 1,
l concl.
Bonaventura di
Bagnoregio
659
L'individuazione
non dovuta alla materia
soltanto, ma alla materia e
alla forma. Infatti
perch
ci sia distinzione
e
molteplicit
non
basta la
materia, occorre anche la forma. L'individuazione
(discretio
personnlis)

dovuta all'unione della materia con la forma. C' individuazioneanche
negli angeli.
Vi
sono
quindi
molti
angeli
della stessa
specie.
Ogni grado
di realt determinato da
una forma
speciale.
Un
essere
che include vari
gradi
di
realt, come l'uomo, costituito dalla
presenza
di molte
forme.
Cos nell'uomo c'e una forma
per
la
corporeit,
una
per
la
vita, una
per
la sensibilit
e una
per
la razionalit.
Da
Agostino
Bonaventura
riprende
la teoria delle rationes seminales.
Questa a suo avviso,

una dottrina che necessario sostenere se si
vuole intendere rettamente l'affermazionebiblica: Deus simul omnia
creavit. Sin dall'inizio Dio ha fatto tutte le
cose,
ma alcune in modo
completo,
altre soltanto in
germe.
I
germi
delle
cose sono contenuti nella
materia
e si
sviluppano
(educuntur in
actum) sotto
l'impulso
di
qualche
agente.
S. Bonaventura chiama
questa presenza
dei
germi
delle
cose
nella materia Iatitatio
formarum
in nzateria.
L'uomo,
icona di Dio
Mentre
Dio, se considerato in chiave
eSefflplfirlfillCfl,
e
Yarchetipo
del-
l'universo, l'uomo,
letto nella stessa
chiave, l'icona
(imagu) principale
di Dio. In effetti
quella
di Bonaventura essenzialmente
unntropologia
iconica.
Bonaventura analizza
con
compiaciuta
curiosit i tanti
aspetti
o
gradi
in cui l'essere
umano
presenta
delle similitudini
con l'essere
divino, a
partire
dal
grado pi
basso del
semplice vesttgium
fino a
quello pi
ele-
vato della
conformi
tas
expressa,
o
expressa
sinzilitudo.
L'uomo ha in
comune con tutte le altre creature la
rassomiglianza
indeterminata del
tipo
causa-effetto,
che la
somiglianza
indicata dal
termine
vestigium.
Ma ha in
pi
una
rassomiglianza pi spiccata
in
quanto
la
sua struttura interiore
paragonabile
a
quella
della
Trinit,
di
cui
pu
essere considerata una
somiglianza
manifesta
(expressa sinzilitudo).
Ogni
creatura detiene
qualche
rapporto per
cui si conforma in
qualche
modo
a Dio in
quanto
causa delle creature: tale il
rapporto
dell'effetto
con la sua causa. Questo
rapporto
di Dio
con le sue creature simile
anche
se non
eguale,
a
quello dell'agente
creato con i suoi effetti. Per la
creatura
ragionevole
non
rassomiglia
a Dio solo
per questo
motivo, ma
anche
per l'origine,
l'ordine
e la distinzione delle sue facolt interiori
(intrinsecamm
potentiarum), rispetto
alle
quali
essa
risulta simile alla
distinzione
e all'ordine che si
registra
nelle tre
persone
divine. Ed in
questo,
come
ha
mostrato
Agostino,
che consiste il
suo essere
immagine
660 Parte seconda
di Dio
(imaginem
Dei).55
L'uomo
rappresenta
Dio
rispetto
a
quell'atto
nobilissimoche il
conoscere;
infatti non
rappresenta
Dio soltanto in
quanto
ente e
in
quanto
vivente, ma
anche in
quanto intelligente,
e
in
pi rappresenta
l'ordine e la distinzione che ci sono tra le
persone
divi-
ne,
mediante la
memoria,
l'intelletto e la volont. E cos l'uomo vera-
mente
immagine
di Dio.5b
Per
l'image
Dei, osserva Bonaventura, non il risultato automatico
della struttura ontica interiore dell'uomo. Tale struttura lo rende
capace
della
imago
Dei ma non lo costituisce
gi
di fatto simile a Dio. Come
per
Agostino
anche
per
Bonaventura l'attuazione della
imago
Dei si ottiene
quando
l'uomo diviene
consapevole
della sua
rassomiglianza
con
Dio e
si
comporta
nella maniera conveniente,
ossia
quando rivolge
la sua
attenzione e
il
suo amore a Dio.
Quando
invece si
rivolge
alle creature
inferiori,
egli
si rende simile a cose
in cui non
presente
Vimago
Dei ma
soltanto un
vestigium.
Pertanto le
potenze
dell'anima,
nella misura in cui
hanno
per oggetto
cose inferiori,
recedono dalla
ragione
di
immagine
in
quanto
mancano della conformit
esplicita (conformitateexpressa).57
Vera
e
propria intrigo
Dei si d
quindi
soltanto in colui che
consapevole
di
essere una
partecipazione
dell'essere divin0.58
Stabilitesu
basi
razionali,
oltre che
rivelate,
l'origine,
la natura e
l'e-
stensione
delfimago
Dei, Bonaventura ne
segue
le sorti attraverso la sto-
ria della
salvezza,
la
quale
essenzialmente la storia della costituzione,
della deformazione e
della restaurazione della
imago
Dei. La deforma-
zione fu causata dalla
superbia
dei
progenitori.
Invece la restaurazione

voluta da tutt'e tre le Persone divine - di fatto stata


operata
mediante
l'incarnazionedella seconda
(che
anche
l'image
Dei connaturalis et con-
sustantialis)
in Ges di Nazareth,
il
quale,
in tal modo diviene anche l'e-
semplare,
il
modello,
il
prototipo
che
ogni
uomo
deve
seguire
al fine di
realizzare
pienamente
in
se stesso
Yimago
Dei.
In
quanto
icona di
Dio,
all'uomo
compete
una
singolare dignit
nel
mondo delle creature. Bonaventura accenna
spesso
a
tale
dignit
della
persona
umana,
alla funzione centrale che essa
occupa
nell'economia
della creazione. L'uomo
esplica
una
mediet (centralit)
nel creato. Il
mondo creato
prima
della sua venuta era senza
significato. Vagava
nei
cieli sconfinati,
fioriva nella
gioiosa primavera
dell'infanzia, ma un
silenzio di tomba
gravava
sulla creazione. Non una voce
si elevava a
55) Ibid, 16, 1,
l.
56)
Ibid.
57') 15cm. 3, 2, 1,
2.
58)
Cf. II Sent. 16, 1,
1.
59) Cf. I Sent. 31, 2,
1.
Bonaventura di
Bagnoregio
661
Dio
creatore, non un
occhio abbracciava con uno
sguardo
d'amore la
sua
opera.
Venne l'uomo e venne anche il
pensiero.
Il mondo
acquist
un
significato,
ebbe
una Voce. Le creature inferiori
vennero cos ordinate
e subordinate all'uomo
perch
servissero a lui
e
perch
attraverso l'uo-
mo venissero indirizzatc al fine ultimo della
creazione,
Dio. L'uomo
compendia
in s tutto l'universo. Lo
compendia
in
una maniera meravi-
gliosa
in
quanto
lo
Conosce e in
quanto
lo ricrea in se stesso. Poich la
creatura
ragionevole
mediante l'intelletto in certo
qual
modo
ogni
cosa
e
poich
tutte le cose sono atte a esservi inscritte e tutte le
immagini
a
esservi
dipinte,
ne
consegue
che
come tutto l'universo
rappresenta
Dio
mediante
qualche qualit
sensibile,
analogamente
la creatura
ragionevo-
le lo
rappresenta
mediante
qualche qualit spirituale;
ma mentre
qual-
siasi altra creatura irrazionale
rappresenta
Dio soltanto
parzialmente,
l'uomo L0
rappresenta
interamente>>fiL'essere uomo creato a
immagine
di
Dio,
comporta
tutto ci; ma in
questa
mediazioneuniversale
tipico
dell'uomo
fungere
da
voce di tutto il creato: lui che
raccoglie
il
pensie-
ro
inespresso
delle creature tutte e
che
completa
la creazionefll
Conclusione
Che valore ha la metafisica di S. Bonaventura?
Se la si riduce
a
quell'insieme
di dottrine che ricalcano
pi
o meno da
vicino le tematiche della metafisica
platonica
ed
aristotelica,
il
suo
apporto
alla storia della metafisica decisamente modesto
e si
qualifica
pi per
i severi
giudizi negativi pronunciati
nei confronti di
una metafi-
sica costruita
con
i criteri della
pura ragione
che
per
la elaborazione di
un
solido edificiometafisico.
Quella
che Bonaventura ha inteso costruire non e affatto una metafi-
sica della
pura ragione
ma una metafisica
teologale
e mistica. La
sua
ricerca
(itinerarium) metafisica in
quanto
una
possente
e
appassionata
navigazione
verso il
Trascendente,
Dio:
un itinerario
compiuto
con tutte
le forze
dell'uomo, sia
quelle
della
ragione
che
quelle
del
cuore,
sia
quel-
le naturali che
quelle soprannaturali.
la
navigazione
di tutto l'uomo,
dell'uomo
credente,
dell'uomo cristificato. Cos Bonaventura costruisce
il
pi perfetto
modello di
una
metafisica mistica,
che si
distingue
netta-
mente dai
precedenti paradigmi enologici
e
ontologici.
Essa insieme
ontologica
ed
enologica,
ma
questi
due elementi
sono sussunti e trasferi-
ti a un livello
superiore
dallelemento
teologale.
5) Ibid., 16, 1,
2.
m)
Cf. Il Sent.
16, l,
l. Per una
pi ampia
e
approfondita esposizione
della dottrina
bonaventurianasull'uomo vedi E.
GILSON,
La
philosophie...
cit.,
pp.
254-273.
662 Parte seconda
la cosmovisionemistica che costituisce la novitas bonaventurfana ed

questa
la
grande
eredit che il Dottore Serafico ha trasmessoai
posteri.
Dopo
Bonaventura tutta una serie di
pensatori
ha
cercato di
approfondi-
re e
sviluppare
i suoi
principi
metafisici. Matteo
dficquasparta,
Giovanni Peckham,
Eustachio d'Arras, Guglielmo
de la
Mare,
Giovanni
Olivi subiscono in Vario
grado
il suo
influssoe
preparano
le nuove
sin-
tesi dottrinali del secolo
XIV, ma
soprattutto
rimane influenzatoDuns
Scoto che ha cercato di dare
un'espressione pi rigorosa
al
pensiero
bo-
naventuriano. Lintera
opera
di Raimondo Lullo risulta
completamente
inintelligibile
se si fa astrazione dal simbolismo di S. Bonaventura. At-
traverso Gerson
questo
influsso dottrinale si estende alla
spiritualit
moderna. Ormai essa
penetra, occupandola per
secoli,
la coscienza cri-
stiana. Come attesta Gilson, non sar assurdo cercare se ci che
oggi
viene chiamata scuola francese in materia di
spiritualit
non
tragga
ori-
gine
in
parte
dalla scuola francescana di
spirito
bonaventuriano. La sto-
ria dellinflusso esercitato dalla dottrina di san Bonaventura attual-
mente
impossibile,
ma il
poco
che si conosce
permette
dfiaffermaresenza
timore d'errare che essa
fu di una
straordinaria fecondit.62
63) E. GILSON,
La
philoscvpfiie...
cit.,
p.
393.
Bonaventura di
Bagnoregio
663
Suggerimenti bibliografici
Opere: Opera
onmia,
edita studio et cura PI.
Collegi
a S. Bonaventura
11
volL,
Ad cIaras
Aquas
1882-1902;
Opuscoli mistici,
ed.
Gemelli,
Milano
1957;
Il
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della
conoscenza. De humanae
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Il maestro interiore. Christus
unus omnium
magister,
ed.
Muzio,
Roma
1966;
Itinerariodella mente in Dio e Riduzionedelle arti alla
teologia,
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Martigno-
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Bologna 1969;
Lascesa a Dio. Itinerariurn nzentis in
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Antologia
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di S. Bo-
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Gli
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G.
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F.
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E. DEL
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E.
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Paris 1943
(ristampa: 1978);
L.
MAURO,
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Dalla
Philosophia
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Contempzatjo,
Genova
1976;
S. VANNI
ROVIGHI,
San
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1974; ID.,
Studi
di
filosofia
medioevale,
ool. Il:Secoli XIII e XIV,
Milano
1978,
pp.
40-71.
664
GIOVANNI DUNS SCOTO
Con Giovanni Duns Scoto arriviamo all'ultimo
grande esponente
della metafisica cristiana.
Senzadubbit)
inferiore a S.
Tommaso,
ma
superiore
a S. Bonaventura,
Duns Scoto il massimo
rappresentante
.
e
della scuola francescana.
Non esiste una "sintesi metafisica di Duns
Scoto,
oppure
se ne esi-
ste
una,
essa non
costituisce la visione
globale
del mondo che
gli
fu
propria.
La sola sintesi
completa
che Duns Scoto
abbia concepita

una sintesi
teologica,
al centro della
quale
si colloca l'affermazionedi
S. Giovanni: Dcus caritas est (I G114, 16).1
Duns Scoto avrebbe
potuto,
come
si fa
oggi giorno,
elaborare innan-
zi tutto una metafisica,
poi
utilizzarlanella
teologia. Egli
non
l'ha
fatto, e non
pare
nemmeno
che vi abbia
pensato,
eccettuato il caso
della
logica.
Lo si Vede
dunque
introdurre le tesi metafisiche nel
momento in cui il
teologo
ne
ha
bisognoper
l'intelligenza
della fede,
c
richiamarle
ogni
volta che
giudica opportuno
farne uso.
Anche
quando
vi si
appella,
non una
Verit filosofica
quella
che
egli perse-
gue,
bens una verit
teologica?
Questi giudizi
del
Gilson,
che il
pi grande
studioso di Duns Scoto
del nostro secolo, e
che
gli
ha dedicato una
delle sue
migliori
mono-
grafie,
credo che non
possano
essere
messi in discussione da nessuno
Questo
per
non ci
impedisce
di affermare che Duns Scoto oltre che
un
eminente
teologo
stato anche
un
eccellente metafisico, e
che stato
capace
di immettere nel suo
imponente
edificio
teologico
anche le
pi
avanzate
acquisizioni
della metafisica
cristiana.
Dai
tempi
di Porfirio e
di Proclo lo sforzo di molti filosofi era stato
inteso a creare una sintesi tra
platonismo
e
aristotelismo. Avicennac'era
riuscito
meglio
di
qualsiasi
altro.
Ispirandosi
al filosofoarabo e
citando-
10 continuamente,
Duns Scoto
persegue
un
obiettivo
analogo:
creare una
grande
sintesi tra
agostinismo
ed
aristotelismo.
1)
E. GILSON, jean
Duns Scotus. Introducfion ses
positions fondamentalcs,
Paris 1952,
p.
339.
2) Ibid.,
p.
635.
Giovanni Duns Scoto
665
Anche
quella
di Duns
Scotog
una
metafisica
cristiana, sotto molti
aspetti
alternativa a
quella
di S. Tommaso,
pi
sottile nei
ragionamenti
ma
per questo
anche
pi oscura; pi
sensibilealla storia e all'individuo
ma anche
meno ordinata e meno sistematica. Scoto il massimo
rappre-
sentante della scuola francescana
inglese;
erede allo stesso
tempo
dello
spirito
mistico di S. Francesco e S. Bonaventura
e del
gusto
della scientia
experimentalis
di Roberto Grossatesta e di
Ruggero
Bacone.
Vita
Giovanni
nacque
in
Scozia
Verso il
1266 da
un nobile
proprietario
ter-
riero del
villaggio
di uns. All'et di '13 anni entr nellOrdine France-
scano;
trascorse il decennio tra la fine del noviziato e l'ordinazione
sacerdotale
(1281-1291)
studiando non solo a Oxford, come si
presume-
va fino a
poco tempo
fa, ma in vari altri
luoghi, specialmente allarigi.
Qui
complet
la sua formazione
scientifica e filosofica,
studiandole
materie del
triyio
e del
quadrivio.
A
Parigi
torn nuovamente
dopo
l'or-
dinazionesacerdotale
(1291)
per
perfezionare
la
propria
cultura
teologi-
ca e
per prepararsi
al
conseguimento
del titolo di
magister theologine.
Fu baccelliere biblicoverso il
1296-1297, e baccelliere sentenziario nei
due anni successivi. Nel 1299 venne richiamato
in Inghilterraper
Corn-
mentare le Senterze di Pier Lombardo nelle universit di Oxford
e
di
Cambridge.
ll commento di Oxford detto
Lecturaprima
(o
anche
Opus
oxoniense o Ordinatio
oxoniensis),
quello
di
Cambridge Reportatio
Cambri-
genss.
Nel 1301 Scoto di
nuovo a
Parigi,
ove tiene lezione commentan-
do nuovamente le Sentenze.
Questo
terzo commento chiamato
Reportam parisiensia.
Durante il conflitto tra BonifacioVIII
e
Filippo
il
Bello Scoto si schier
apertamente
a favore del
primo:
ci scaten la
rap-
presaglia
del
re,
il
quale gli impose
di
interrompere l'insegnamento
e
di
rientrare in
Inghilterra.
Tornato a Oxford vi
insegn
nell'anno scolastico
1303-1304. Nel
1308,
dopo
un
altro breve
soggiorno
a
Parigi,
venne in-
viato dai suoi
superiori
allo studentato francescano di Colonia. Ma a
pochi
mesi dal suo arrivo,
nello stesso anno 1308,
mor: aveva
appena
compiuto
43 anni.
Opere
Se si tiene conto della brevit della vita di Duns
Scoto,
la
sua
produ-
zione letteraria ha del
prodigioso.
Essa
comprende,
nella famosa edizio-
ne
Vivs,
26 volumi in
folio.
Per la massima
parte
costituita dai tre
commenti alle Sentenze di cui si detto
sopra: Opus
oxoniense
(0
Ordinatio
666 Parte seconda
oxoniensis),
Reportatio cambrigensis
e
Reportata parisiensia.
Scoto ha
com-
mentato anche alcuni scritti di
Aristotele, e
precisamente:
In duos libros
Perihermerxeias;
In Iibros Elenchorzim Aristotelis
quaestiones;
In librum
Praedicamentorum
quaesfioncs;
In librus
Metaphysicorum
Aristotelis
expositiv
textualis. Fondamentale il
suo
opuscolo
di metafisica De
printo principio,
un'opera impareggiabile
per rigore,
sistematicit e robustezza teoretica
(A. POPPI).
Da non
dimenticare infine il
Quodlibetum,
l'ultima
opera
di
Scoto. L0 studio delle 21
questioni
di cui si
compone questo
scritto riesce
utilissimoanche
perch
le dottrine vi sono
esposte
con
maggior
chiarez-
za,
con metodo
pi
facilee con
argomenti pi
solidi
(WADDINGO).
L'opera principale
di Scoto senza
dubbio
lOpus
oxoniense,
che
con-
sta,
sempre
nella edizione
Vivs,
di ben 14 volumi
e
che considerato il
suo
capolavoro.
Questo
scritto non un
frutto immediato
dell'insegna-
mento,
bens
un
lavoro sistematico che
egli
andava
man mano
compo-
nendo e ordinando e
nel
quale raccoglieva
il
meglio
delle sue lezioni,
dando
prova
della Vitalit del suo
pensiero.
Il momento storico
.1.
r
7 i

7
l
i
Per
capire
un autoreoccorre semprecontestualizzarlo.
Ci vale anche
per
Duns Scoto. Dai dati
biografici risulta
che il
suo
pensiero
si andato
maturando nellultimo ventennio del secolo
XIII,
risentendo di tutte le
profonde
trasformazioni culturali
dell'epoca. Dopo
il 125D la vita intel-
lettuale,
specialmente
a
Parigie
a/Qgcford
aveva
registratdun grande
risveglio
e nuovo
vigore.
La
scomparsa quasi contemporanea,
nel
1274,
di Bonaventura e
di Tommaso aveva favorito la formazionedelle scuo-
le"
e, quindi,
anche dei
conflitti,
dovuti
a
meschine rivalit oltre che a
una sincera
preoccupazione per
la
salvaguardia
dell'ortodossia. Come
sappiamo questi
contrasti sfociano nel 1277 nella solenne condanna da
parte
del
Vescovo
di
Parigi,
Stefano
Tempier
di ben 219
proposizioni
di
carattere filosoficoe
teologico.
Qui non il
caso
di entrare nei
dettagli
di
quellmponente
sillabo".
Ci che conta la sostanza di
quellntervento
che
era una chiara e forte
presa
di
posizione
da
parte
del
magistero
nei confronti dei
filosofi,e
di
l
igieri
diBrabante in modo
particolare.
Le tesi condannate affermavano
in buona sostanza che la Vera
saggezza

quella
dei
filosofi,non
quella
dei
teologi (quod sapientes
mundi sunt
philosophi
tantum) e che,
di conse-
guenza,
nessun
altro stato
superiore
alla
pratica
della filosofia
(quod
non est excelletztior status
quam
varare
philosophiae);
che l'unica felicit
quella
che l'uomo
saggio pu raggiungere
con la
pratica
della virt
durante la vita
presente (quod felicitas
habetur in ista vita, non in alia);
che
non
c'
pertanto bisogno
di virt
soprannaturali
infuse
(quod
non sunt
Giovanm Duns Scoto
667
possibiles
aliae
virtutes,
nisi
acquisitac
vel
innatae); non c'e
pi posto per
l'umiltcristiana che consiste nel celare i
propri meriti,
n
per
la mortifi-
cazione che rende
pi
triste l'esistenza. In
breve, tutto lo stile di Vita
"laico", non cristiano dei filosofi
greci
ed arabi
(Avicennae Averro)
che A
viene denunciato.
_*
4*
abbastanza naturale che il
giovane
Duns Scoto; che inizia
freguen-j/
i
'
"
tare
l'universit parigina,
subito
dopo
la
pubblicazionedeljs-ivlabo"
di
,_
empier
ne restasse
profondamente impressionato
e che, inoltre/l'ala
'
buon"
francescano condividesse le tesi di Bonaventura il
quale
con le sue
j
""1:
g
durissime critiche contro i filosofi e
specialmente
contro Aristotele
era
"
stato uno dei
principali ispiratori
del sillabo. Nasce da
qui
la costante
'
premura
di Duns Scoto di
assumere
sempre
come metro di
verit,
anche
nelle
questioni
metafisiche,
l'insegnamento
ufficiale della Chiesa.
La reductio
phlosophiae
in
theologiam
divenne il criterio fondamentaledel
suo filosofare, cos come lo era stato
per
Bonaventura.
\
T
La condanna del 1277
segn
il trionfo della scuola francescana
e dei
suoi
teologi.
Subito
dopo
la
pubblicazione
del sillabo del
Tempier,
tre
maestri
insigni
dell'Ordine di S.
Francesco,
Guglielmo
de la
Mare,
Matteo
d'Acquasparta
e Giovanni
Pecham
si schierarono
apertamente
contro S. Tommaso
e ne criticarono duramente tutte le dottrine
pi
ori-
ginali,
richiamandosi alla tradizione
agostiniana.
Questa divenne la
linea vincente
negli
ultimi decenni del secolo XIII e
in tutto il secolo suc-
cessivo, tanto da attrarre dentro la
sua orbita anche la
maggior parte
dei
maestri secolari e
persino qualche teologo
dell'Ordine Domenicano.
A dare
grande prestigio
alla scuola francescana contribu
soprattutto
proprio
Giovanni Duns
Scoto,
l'ultima
figura
eminente della
grande
Scolastica.
j
- x
v
Il metodo di Duns Scoto
Duns
Scoto,
che
aveva davanti
agli
occhi le condanne
ecclesiastiche
di
Parigi
(ribadite
poi
anche da
Canterbury)
contro le tesi averroistiche
e
tomistche,
colpito
dallo sforzo immenso
compiuto per
l'assimilazione
del
pensiero
aristotelico
e
dalla lotta sostenuta
per
conservare
integra
la
dottrina tradizionalesent la necessit di fare un bilancio,un lavoro di
critica
spassionata
e
oggettiva
di
quanto
era stato fatto fino ad allora
e di
costruire una nuova
poderosa
sintesi della dottrina cattolica.
Duns
gcoto
non
guidato
dalla
preoccupazione
che le conclusioni
delle
sue/ricerche
siano
convergenti
con le conclusioni di S. Tommaso o
con
quelle
di Bonaventura
o
degli
altri suoi
contemporanei;
ma
piutto-
sto interessato a che i risultati delle
sue
ricerche siano in accordo con
le
Verit
definite, ossia con
i
dogmi
e con
il
Magistero
della Chiesa. Certa-
reflefiza
e alla
profondit
della
visonsuotlpensiero
storicamente
si_coL-..
v

,/
668 Parte seconda
mente Duns Scoto non
ha chiesto ai
dogmi
la sua metafisica,
n le sue
tesi filosofiche
possono
considerarsi un
corollario dedotto dalle verit
rivelate. Sarebbe tuttavia un errore
pensare
che
questa
filosofiasia stata
elaborata
indipendentemente
dalle verit rivelate e senza nessun
rap-
porto
alle loro formule. Non senza
significato
notare che Duns Scoto
elabora la sua
teoria sulla forma di
corporeit soprattutto
l
dove
parla
del mistero della S8. Eucaristia, e
le famose
teskigsullinivfiocxit
dell'ente e
sulla distinzione formale l dove
dimostra
l'esistenza di Dio
e
studia il
mistero della S5. Trinit)

i
Gilson ha detto
giustamente
che i veri filosofi scolastici saranno sem-
pre
dei
teologi
e
questo
vale tanto
per
i tomisti,
quanto per gli
scotisti. Il
Dottorfottle

questo
il titolo con
cui Scoto viene ricordato),
come in
"
scolastici,
ha
creato
la sua
metafisica nello sforzo cli com-
prendere
i misteri della
fede,
di formarsi
un
intellectus
fidez.
E come
controprova
di aver
raggiunto
o no
questo
intcllectus
fidei,
utiliz-
zava il
Magistero
della Chiesa. Dice infatti: Se
vengono proposte
alcune
nuove
verit (...) non
si tenuti ad
assentire, ma
prima bisogna
consulta-
re
la Chiesa e cos evitare l'errore (Si
aliqua
de novo
proponuntur
(...) non
tenetur
quis
assentre,
sed
prius
tenetur consulere Ecclesiam et sic errorem
vita-
re).4
Ed il motto costante del suo
pensiero
era:
Bisogna
sentire come
sente la Chiesa Romana (Sentiendunz
est (...) sicut sentit Romana Ecclesia).5
Filosofare
nella
fede
e
in armonia con
il
Magistero
il
procedimento
seguito
costantemente dal Dottore Sottile. Dalla fede ha tratto
origine
la
sua
segreta
forza
ispiratrice,
e
della
parola
di Dio ha fatto il
campo
delle
sue attente riflessioni. Di fronte ai
problemi
dell'essere in
genere
e
del-
l'esistenza umana
in
particolare
il suo
pensiero
si trova
sempre
a dover
sceglierefrafiue
chiavi di lettura alternative: una
offerta
dall'ambito
delle; ragione, manifestata
dal mondo
pagano,
espressione
di_un_pa_r_t_igo-
Larestile
esistenziale, e l'altra dell'orizzonte
sapienziale
del mondo cri-
stiaioli
cui viene sottolineata la razionalit
tegretica,
insieme-allacoe-
Vloca
mal quadri) della_t_radizione
agostiniano-ansjekflniaafidellafides quae-
rens
intllectum,
arricchito datteirrtuizioni
mistico-speculative
di
S.
Francesco_ e
S.
Bonaventura.
La sua
rielaborazionedei
principali pro-
blemi filosofici,
analizzati storicamente e criticamente,
tende a rendere
pi
accessibileil mondo della fede e a valorizzareal massimo i risultati
raggiunti
dai filosofi.
3) C. BALIC,
"La scolastica
postomistica:
Giovanni Duns
Scoto",
in Grande
enciclope-
dia
filosofica
IV,
p.
1349.
4)
Rcp.
Par.
III,
d.
25, v. unica, n. 6.
5)
Ordinatio
IV,
d.
6,
q.
9, n. 14.
Giovanni Duns Scoto 669
Il ricorso alla
fede, infatti, non
negativo
per
l'uomo,
quasi
fosse
inintelligibile
e
insensato. ll discorso della fede
per
Duns Scoto non
attenta alla libert
dell'uomo,
ma,
al
contrario,
riconduce l'uomo al tra-
scendimento delle
implicanze
della
pura
immanenza,
proiettandolo
nella sicura libert del
divino,
da cui deriva
ontologicamente
e verso cui
esistenzialmentein cammino.
'
'
Proprio
dalla visione storico-critica del
pensiero greco-arabo
e dalla
novit della rivelazione cristiana
prende
occasione e inizio la
specula-
zione di Duns
Scoto,
che sintetizza da
un lato la tensione dell'uomo ver-
so Dio e dall'altro la liberalitdi Dio Verso l'uomo,
scoprendo
il
segreto
filoche unisce la creatura e il
creatore,
gli
enti e l'Essere.6
Mentre nella sostanza il metodo di Duns Scoto
palesemente teologi-
co,
con una costante sottomissione della scientia alla
sapientia,
della
metafisica alla
teologia,
nella forma fortemente
e
pesantemente
razio-
cinativo, con una
rigorosa
sottomissione al
procedimento sillogistico
di
tutte le tesi
proposte
e discusse. Nessuna
proposizione
viene accolta se
non
passata
sotto il torchio delle
regole
della
logica:
una eccessiva uti-
lizzazionedella
logica
aristotelica che rende assai faticosa la lettura dei
testi del Dottore Sottile.
A Duns Scoto e stato
assegnato
il titolo di Dottore Sottile. In effetti la
subtilitas un altro
importante aspetto
della
sua
metodologia. Una
subti-
litas
quasi
cavillosa lo
porta
a
vagliare
tutte le
posizioni
e tutte le auto-
rit con
piglio severo,
a
porre
nuove distinzioni nell'uso dei
termini,
ad
introdurre nuovi concetti. Molte volte le
lunghe
discussioni storico-criti-
che condotte dal Dottore Sottilesono
volte
meno a
risolvere la
questione
in
esame che
a
precisare
criticamente la stessa
questione
attraverso l'a-
nalisi della
terminologia
in uso o a creare nuovi termini
per esprimere
un contenuto concettuale nuovo o
imprecisato.
L'uso di una simile
metodologia
rende,
molte
volte, non
solo difficile
leggere
il
testo, ma
anche
seguire
lo
svolgimento
della stessa analisi
argomentativa.
Fede
e
ragione,
metafisica
e
teologia
5:4
l .2,
Per
capire quale genere
di metafisica abbia inteso
costruire
Duns
Scoto necessario conoscere
il
suo
pensiero
sui
rapporti tra
fede
e
ragio-i
_,
ne,_tra
metafisica e
teologia.
In effetti e
proprio
a
motivo del modo
diverso
"dimeoneepire questa
relazione che
Tommaso,
Bonaventura e
Scoto costruiscono tre metafisiche
profondamente
differenti. La metafi-
6)
Cf. C.
LAURIOLA,
Introduzione a C. DLNS
SCOTO,
Antologia,
Alberobello
1996,
pp.
40-41.
670 Parte seconda
sica di S. Tommaso
conforme
alla
fede; quella
di Bonaventura una
metafisica
mistica,
totalmente assorbita dalla
fede;
la metafisica di Scoto
una
metafisica
di
confine, disgiunta
dalla fede
e tuttavia
aperta
ad
essa.
Coninotofilametfgsica
cristiana il risultato di un felice connubio
tra fede
e ragione;
non solo la
ragione
non ostile alla
fede, ma
neppure
rivendi-ca una totale
indipendenza
dalla
fede; essa si mostra invece assai
interessata
agli insegnamenti
della rivelazione
e ne
fa tesoro
per
allargare
gli
orizzonti della verit filosofica. Tutti i filosofi cristiani
accolgono
in
linea di
principio
la teoria
dell'armonia
tra fede e
ragione,
ma non
lo
fanno allo stesso modo.
C
chi
con Alberto
Magno
e Tommaso
d'Aquino;
riconosce alla
ragione
una
considerevole
autonomia,
un'autonomia
che
ancliesul
piano
storico ha dato frutti
positivi
con
le
possenti speculazioni
metafisiche di Platone e
diuArjstgtgele,
Per contro ci sono altri autori che
con Alessandro di Hales e Bonaventura reclamano una
rigorosa
subordi-
nazione
(reductio)
della
ragione alla
fede: solo nella sottomissione alla
fede
la ragione pu
filosofarecorrettamente. Per
questo
motivo nessuna
metafisica costruita fuori dal cristianesimoha
raggiunto
la
verit.
Scoto,
filosofo
francescano,
condivide la soluzione dei suoi
maestri,
Alessandro di Hales e Bonaventura, ma
simpatizza
anche
per
la soluzio-
ne di S.
Tommaso, e cos
opta per
una
soluzioneintermedia tra Tomma-
so e Bonaventura.

La
questione
dei
rapporti
tra fede
e
ragione
viene
affrontata
eda_l_ Dot-"
tore Sottilenel celebre
Prologo
della Ordinatio nella
questione
che ha
per
titolo Controoersia tra
filosofi
e
teologi
(Prol.
p.
l,
q.
un).
Come risulta dal
titolo la
questione
non viene formulata in termini astratti ma concreti,
storici,
tenendo conto delle soluzioni che
essa
ha
gi
ricevuto nel corso
dei secoli da
parte
dei
filosofi,
che difendonoi diritti della
ragione,
e
da
parte
dei
teologi
che, invece,
difendonoi diritti della fede e della rivela-
zione. Scrive Duns Scoto introducendo
l'argomento:
In
questa questio-
ne sembra che ci sia controversia tra filosofi
e
teologi.
l filosofi
sostengo-
no la
perfezione
della
natura, e
negano
la
perfezione soprannaturale.
I
teologi,
invece,
sostengono
la debolezza della
natura,
la necessit
della
grazia
e
la
perfezione soprannaturale
(lbid, n. 5).
Poi,
Scoto
passa
subito in
rassegna gli argomenti
dei filosofi. Il
primo
si basa sul
potere
conoscitivo dell'uomo:
nessuna conoscenza
sopran-
naturale necessaria all'uomo nella sua
presente
situazione storica
(nulla est
cognitio supernaturalis
homini necessaria
pro
statu
isto),
perch
pu acquistare ogni
conoscenza
che
gli

necessaria,
mediante l'azione
delle cause naturali
(Ibid), e le cause
naturali
sono
lintelletto
agente
e
l'intelletto
possibile.
Ora l'intelletto
possibile
naturalmente desidera
conoscere
ogni
conoscibile,
ed naturalmente
perfezionato
da
ogni
conoscenza (Ibid, n. 7).
Inoltre
poich possiamo
naturalmente cono-
Giovanni Dzms Scoto 671
scere
i
principi primi,
in cui
sono incluse virtualmente tutte le conclusio-
ni, ne
consegue
che
possiamo
naturalmente
conoscere tutte le conclusio-
ni conoscibili
(IbicL, n. 10).
Allelenco
degli argomenti
dei filosofiScoto fa subito
seguirexfla criti-
ca
(inzprolntio) dell'opinione
dei filosofi.
Egli
osserva che la critica non
pu
essere costruita
dall'esterno, invocando l'autorit della
rivelazione,
perch
si incorrerebbe in
una
petitio principi?
ma deve
essere costruita
dall'interno, mostrando l'infondatezza
degli argomenti
addotti dai filo-
sofi
e dellusoFa"rb'itrario che essi fanno dell'autorit di Aristotele.
L'uom_o_risulta
infatti
imperfetto
sia nell'ordine del
conoscere sia in
quello
del
volere.
Il
suo intelletto bench dotato di una
capacit
illimita-
ta di fatto non
conosce tutte le
cose,
n
pu raggiungere
la conoscenza
della natura delle sostanze
separate,
n tantomeno
quella
di Dio. Ancora
pi grave
la debolezza della
sua conoscenza nell'ordine
pratico;
inade-
guata

lasua
conoscenza sia del fine
ultimo,
sia dei mezzi
per
conse-
gurlo.
Infatti la felicit eterna si concede
come
premio
per
i meriti che
'
Dio
accetta come
degni
di tale
premio.
Perci
essa non
consegue
di
necessit naturale
a
qualsiasi
atto
umano,
ma viene data liberamenteda
Dio,
che accetta come meritori alcuni atti a lui rivolti.
Ci, come sembra,
non naturalmente
conoscibile,
perch
in
questa questione
i filosofi sba-
gliano,
in
quanto ritengono
che tutto ci che
proviene
direttamente da
Dio,
proviene
necessariamenteda Lui
(lbid, n. 18).
Risulta
pertanto
chiarito che la
ragione
non
pu
esaurire l'orizzonte
della Verit e
che
quindi,
la filosofia da sola
non basta. Esistono verit
soprannaturali
la cui conoscenza necessaria all'uomo
per raggiungere
la felicit
e che fanno
parte
del mondo della fede
e
della
teologia.
_
L'ambito della fede
e della
teologia
il
soprannaturale.
Soprannaturale
sia la
causa efficiente del
conoscere,
che
non
pi
l'in-
telletto
agente
ma Dio
stesso,
sia
gli oggetti
rivelati,
che
superano
tutto
l'ordine della natura
(Trinit, lncamazione,
Grazia
ecc.).
Nella rivelazio-
ne divina,
che
soprannaturale
sia dalla
parte dell'agente,
sia dalla
parte
dei
contenuti,
l'agente
fa le veci
dell'oggetto soprannaturale,
cau-
sando la
conoscenza di verit che sarebbero
per
s evidenti
se
l'oggetto
in
questione
fosse conosciuto in s.
La
teologia

per
definizionescienza di
Dio,
il
suo subiectum
Dio,
in
quanto
rivelante e rivelato. Ma di Dio non si
occupa
anghela
ra_r_i_regt_eigf_i_si_c__a_
Gi Aristotele
aveva
qualificato
la filosofia
prima come
teologicafMa
se
di Dio si
occupano
sia la metafisica sia la
teologia dogmatica,
in che
modo si
distinguonoqueste
due
discipline?
Del
problema
si erano
gi occupati
Avicenna
e Tommaso,
i
quali
ave-
vano chiarito che Dio rientra nella metafisica
non come
oggetto
ma
come termine della ricerca.
L'oggetto
l'ente in
quanto
ente, mentre il
672 Parte seconda
termine l'Esse
ipsum,
Dio. Della distinzione tra metafisica e
teologia
S. Tommaso si interessa all'inizio della Summa
Theologiae; egli
fonda la
loro distinzione sulla diversa ratio
cognoscibils.
Cos
per es.,_
la
rotondit
della terra
pu
essere
dimostrata sia dall'astronomo,
attraverso la mate-
matica,
sia dal fisico
attraverso l'analisi
della
materia. Quindi
niente
impedisce
che delle stesse cose
delle
quali
tratta la filosofia con i suoi
lumi della
ragione
naturale,
tratti anche un'altra scienza che
proceda
alia
luce della rivelazione. Perci la
teologia
che fa
parte
della sacra
dottrina
differisce secondo il
genere,
dalla
teologia
che rientra nelle dottrine filo-
sofiche?
Prendendo
parzialmente
le distanze da
questa spiegazione
tomista,
Scoto
precisa
che la conoscenza
delle scienze
speculative
solo teorica-
mente verte su tutto il conoscibile,
nel senso
che una conoscenza astrat-
ta che
raggiunge
l'essere solo in un'accezione
generalissima;
l'essere divi-
no,
inteso con
i caratteri
personali,
resta
perci specifico oggetto
della
teologiafi
N a
risultati
pi
convincenti si
giunge
secondando l'ulteriore
istanza dei filosofi
per
cui chi
comprende
i
primi principi comprende
tutto ci che
ne
segue; per
Duns Scoto non vero
che nei
primi principi
siano incluse virtualmente tutt'e lelflconclusioni
possibili.
Le conclusioni
che si
traggono
dai
primi principi
non
possono
essere
che astratte e
gene-
ricissime: ma
oltre alle affezioni comunissime ci sono
molte affezioni
conoscibili,
per
la conoscenza
delle
quali
le affezioni dei
primi principi
non
possono
fungere
da medio,
poich
non
le includon0.
Per S. Tommaso il fatto che il filosofoe
il
teologo
considerino e
studi-
no la realt secondo una
prospettiva
diversa non
implica
che essi
perven-
gano
inevitabilmentea conclusioni fra loro
opposte; possono
giungere
anzi a
risultati
complementari,
cio destinati a
completarsi
fra
loro;
Scoto
invece
pensa
che il filosofo,
oltre che a conclusioni
parziali
e
imperfette
dal
punto
di vista della
teologia, giunger
fatalmente a
risultati intrinse-
camente inaccettabili.
E
questo perch
esercitando la sua
riflessionesulle
nature in se
stesse il filosofosi chiude in un'ottica
puramente
naturalisti-
ca,
mettendosi cos nella
impossibilit
di includere nel suo orizzonte il
momento della libert. Cos l'universo dei filosofi non
pu
essere
che un
universo senza storia,
dominato da un
determinismo
rigoroso,
che non
potr
mai coincidere con
quello
dei
teologi.
Anche
se i due universi non
risultano necessariamente conflittuali, restano tuttavia essenzialmente
diversi:
quello teologico
inizial dove finisce
quello
filosofico.
7)
S.
T111, l,
1 ad 2.
3)
Cf. Ordinaria,
Prol.
p.
1,
q.
un.,
nn. 79-82.
9) Ibid, n. s7.
Giovanni Duns Scoto 673
Per
questo,
al
pari
di san Bonaventura,
Duns Scoto diffida
diuna
filosofia
pura o separata
ed
sempre
attento a denunciare
non solo i
limiti, ma
anche
gli
inevitabilierrori. Tuttaviala
sua
posizionenei con-
fronti della filosofiain
genere
e delraristotelismoin
specie
non coincide
del tutto con
quella
del Dottore Serafico
e
degli agostinisti.
Scoto infatti
non si limita a mettere
in
chiaro la
superiorit della Vsapientia sulla
seta:-
tia,
cio la
completezza
delle soluzioni
teologiche rispetto _a quelle
elab0
fate dai
filosofi,
ma crede di essere
anche in
grado
di
svelare,
in veste di
quali
Aristotele e
i suoi Commentatori arabi
giungono
alle loro infelici
conclusioni.
Egli,
in altre
parole,
divide il
processo
critico intentato con-
tro i filosofi in due momenti:
dopo
avere discusso
e condannato le loro
opinioni
in veste di
teologo,
in un secondo momento fa vedere che
anche sul
piano puramente
razionale le loro
argomentazioni
risultano
tutt'altro
che
ineccepibili.10
L'oggetto
della metafisica:
ens
in
quantum
ens
La metafisica
per
sua intrinseca costituzione
una
disciplina
di confi-
ne. Essa afferma che
questo
mondo
empirico
e sensibilenon
tutto, e lo
supera,
inoltrandosi in
un mondo
superiore,
costituendosi
come la
scienza di
quel
mondo,
del trascendente. Posta
questa
concezione della
metafisica
ne
consegue
che la metafisica cristiana a sua volta si colloca
tra due confini: il confinedel mondo inferiore della fisica
e
il confinedel
mondo
soprannaturale
della
teologia.
=
Duns Scoto costruisce intenzionalmente una metafisica di
confine,
una metafisica cio i cui contenuti
sono
propri
della filosofia
prima
e
che
al
contempo possono
essere sussunti anche dalla
teologia
e
dove il terre-
no comune a
queste
due scienze costituito dal concetto di
ens in
quan-
tum ens.
Ma che
cosa indica
questo
ens
di cui si
occupa
la metafisica:
a
che
cosa
corrisponde?Quali sono i contenuti di
questo
concetto cos comune
e cos
ambiguo,
che
pu
dire tutto e nulla? E
a
quale
concetto
di ens si
riferisce la metafisica? Ovviamente non si
pu
trattare che di
quellflzns
che costituisce
l'oggetto proprio
dell'intelletto
umano. Ma
qui sorge
il
problema: qual

l'oggetto proprio
dell'intelletto umano?
1)
E.
BETIONI, Duns Scoto
filosofo,
Milano
1966,
pp.
35-36. Sulla concezione scotista
dei
rapporti
tra filosofia e
teologia
si veda l'eccellente trattazione di
E.
GILSON, Iean
Duns Scotusw
cit.,
pp.
11-84.
r
{i
filosofo, lintrinseca debolezza dei
procedimenti
razionali attraverso l
i
l
674 Parte seconda
Duns Scoto il
primo
scolastico che analizza con
attenzione
questo
problema.
In realt le
pagine
che
egli
dedica all'esame del nostro
pro-
blema
segnano
una svolta nella storia della scolastica: viene in luce
perla
prima
volta
l'esigenza
di
interrogarsi
sulla
legittimit
o meno
di
quel
fer-
vore
metafisico a cui si erano
abbandonati i maestri del secolo XIII. In
questo
modo Duns Scoto
segna
il
passaggio
dal
periodo prevalentemente
costruttivo della scolastica al successivo
periodo
critico.
la
ragione per
cui molti storici del
pensiero
medioevalesi sentirono autorizzatia
vedere
in Duns Scoto il
primo responsabile
della decadenza della
scolasticanm
Due sono
le
soluzioni
311.
SCO
Considera inaccettabili
per questo pro-
blema. La
prima= quella
tomisticashe fa consistere
l'oggetto proprio
del-
l'intelletto
umanofiellaes-sieidfifiecose materiali,e
che
quindi}; giudi-
zio di Scoto
pecca per
difetto. L'altra
soluzionesquellaanpselmianafhe
fa
consistere
l'oggetto proprio
nellbsserfa
divinappecca perreccessol
i
Scoto ammette che nello stato attuale,
in cui l'anima unita al
corpo,
l'oggetto proprio
dell'intelletto umano costituito dalle essenze
delle
cose
materiali astratte dai
fantasmi; ma
questo
non
l'oggetto
dell'intel-
letto in
quanto
tale,
perch
l'intelletto,
restando naturalmente
sempre
la stessa
potenza,
conoscer
per
s
1g quiddit
della
sostanzaimmateria-
le, come chiaro secondo la fede
pierl'anima
beata.
Ora,
la
potenza
clel-
l'intelletto,
restando la
medesima, non
pu
esercitare il
suo atto intellet-
tivo circa
qualche
cosa
che non contenuta nel suo
oggetto propriow
Tanto meno
pu
essere
oggetto proprio
del nostro intelletto l'essenza
divina,
perch
non vero
che nel nostro concetto
di esserenoi intuiarrrg
Dio. Infatti Dio non
ha
un
rapporto naturalegolnostrointellettoper
quanto riguarda
l'azionedi
movente,
eccetto forse
per
la
ragione
di
qual-
che naturale
attributo, come viene ammesso dalla stessa
opinione
in
esame.
Pertanto
oggetto primario

quell'attributo generale.
CosLDio
non conosciuto se non sotto la
ragione
di ente (sub
ratione entis) e non
ha
un
rapporto
naturale col
nostrojntelletto
che
grazie
a tale concetto
1-...
a _,.--
universale>>fl3
Eliminate le tesi
diAnselmo e
di
Tommaso, Scoto
propone
la
sua
soluzionesecondo la
quale oggetto primario delnostro
iiatelletto l'ente-
'
(ens).
Ecco le
ragioni
che
egli
adduce a sostegno-della propria posizione:
Affermo che
l'oggetto primario
del nostro intelletto l'ente, perch
in esso concorre una
duplice priorit (primitas), quella
della universa-
lit
e
quella
della
virtualit,
poich
tutto ci che
per
s
intelligibile
o
H)
E.
BETTONI,
0p.
cit,
pp.
43-44.
13) Ordinatio
I,
d.
3,
p.
1,
q.
3, n. 113.
13) 11nd,, n. 126.
Giovanni Duns Scoto 675
include essenzialmentela
ragione
di
ente,
oppure
contenuto virtual-
mente o essenzialmente in ci che include essenzialmente la
ragione
di ente. Tutti i
generi
infatti,
le
specie
e
gli
individui, e tutte le
parti
essenziali dei
generi
e l'ente increato includono
quidditativamente
l'ente.
Inoltre, tutte le differenze ultime
sono incluse essenzialmente
in alcuni di
questi generi;
mentre tutte le
propriet
trascendentali del-
l'ente
sono
incluse virtualmente nell'ente e nei suoi inferiori. Di
con-
seguenza,
quelle propriet
di cui l'ente
non si
predica
univocamente
in modo
essenziale, sono incluse nelle altre
(propriet)
di cui l'essere
si
predica
univocamente ed essenzialmente. E cosi evidente che
l'ente
possiede
la
priorit
di universalit
rispetto
ai
primi intelligibil,
cio
rispetto
ai concetti
quidditativi
dei
generi,
delle
specie, degli
individui,
delle
parti
essenziali di tutti
questi
e dell'ente
increato; e
possiede
anche la
priorit
di virtualit
rispetto
a tutti
gli intelligibili
inclusi nei
primi intelligibil,
ossia
rispetto
ai concetti
qualitativi
delle
differenze ultime e delle
propriet
trascendentalimH
A chi obbietta che
se
l'ente

oggetto primario
del nostro intelletto si
dovrebbe concludere che anche Dio e le sostanze
separate, grazie
alla
ragione
di
ente,
dovrebberoessere conosciute naturalmenteda noi
Scoto
replica
richiamandola distinzionetra
l'oggetto
di
una
facolt considera-
ta in se stessa e
l'oggetto
della stessa facolt vista in una determinata
situazione
(storica) e afferma allo stesso
tempo
che alla
potenza
viene
assegnato
come
oggetto primario quello
che
adeguato
alla
potenza
in
quanto potenza
e non
quello
che
adeguato
alla
potenza
in
qualche
situazione
particolare
(...). Ora, niente
pu
essere
adeguato
al nostro
intelletto in
quanto potenza
intellettiva come
Oggetto primario,
se non
l'ente universalissimo
(communissimunz).
Tuttavia nella
presente
situa-
zione
(pro
statu isto)
al nostro intelletto
adeguato,
come
oggetto
movente, la
quiddit
della realt
sensibile;e
perci
nella
presente
situa-
zione,
lintelletto naturalmentenon conosce se non ci che sia contenuto
nei limiti di
questo primo
moVente.15
Tutto sommato la tesi di Duns Scoto circa
l'oggetto primario
del no-
stro intelletto coincide col
punto
di vista
degli
aristotelici e dello stesso
S. Tommaso. In un
celebre
passo
della sua
Metafisica
Avicenna aveva
affermato: ens est
prima
animae
impressio.
Da
parte
sua S. Tommaso
aveva distinto nettamente tra
oggetto proprio
dell'intelletto
umano
unito al
corpo
che l'essenza delle cose materiali
e
oggetto adeguato,
che l'essere in tutta la
sua estensionefl
14) Ibid, n. 137.
15) 11nd,, n. 186.
15) Cf. S. Th, I, 84,
7.
676 Parte seconda
Dove invece Scoto si discosta nettamente dalla intera tradizioneme-
tafisica sia classica
che cristiana
quando
sostiene che
quello
di ente non
un concetto
analogo
bens univoco. Ma non forse evidente che i ter-
mini ente ed
essere non si
predicano
allo stesso modo della sostanza e
dellaccidente,
della materia e della
forma,
dell'uomo e
di Dio? E allora
quali
sono
le
ragioni
che hanno indotto Scoto a sostenere la tesi della
univocatio entis?
Lunivocit dellente
La
ragione principale
che sembra aver
indotto Duns Scoto a sostenere
la tesi dell'univocit dell'ente il desiderio di
salvaguardare
la conosci-
bilitdi Dio da
parte
della
ragione
umana e di
scongiurarequell'apofati
smo eccessivo in cui cadevano molti
seguaci
e sostenitori della
teologia
negativa
dello
Pseudo-Dionigi.
Secondo E.
Bettoni,
la teoria scotista
dellunivocit costituisce il tentativo
pi
serio di
giustificare
la
positivit
del discorso
teologico.
Non
quindi
fuor di
luogo supporre
che Duns
Scoto sia stato
spinto
a
proporla
e a
difenderla
proprio
dalla
preoccupa-
zione di
portare
un
contributo decisivo alla lotta contro le tendenze
agnostiche
di chi
sopravvalutava
la
teologia negativam"
Per univoco
Scoto intende
quel
concetto che uno
in modo tale che la sua unit ba-
sta alla
contraddizione, se si afferma o si
nega
la stessa cosa
del medesi-
mo
soggetto;
e
basta anche
per
il termine medio del
sillogismo,
in ido
che circa
gli
estremi uniti in un medio siffatto si concluda che si unisco-
no
fra loro senza cadere nella fallaciadella
equivocazionem
Uunivocit del concetto di essere
si
configuraquindi, per
Duns
Scoto,
come
un'unit minimaledi senso
eppure
sufficiente
a
fungere
da fonda-
mento del
principio
di
non contraddizione; essa
prescinde
non
solo
dalle determinazioni
categoriali,
ma
anche dai modi intrinseci dello
stesso ente. Nella nozione di ente cos intesa non rientrano i modi di
essere
radicalmente
divergenti
del finito e dell'infinito,
ossia l'ente come
concetto
primo
dell'intelletto al di
qua
delle determinazioni che l'ente
assume in
quanto
esistente, e
perci
solo un concetto che
per
la sua
indeterminatezza e
tenuit di
significato

predicabile
univocamente,
cio totalmente e senza riserve,
di tutto ci che
a
qualsiasi
titolo non

nulla. L'assoluta
semplicit
del concetto di
ens,
infatti,
gli impedisce
di
variare di
significato;
di
qualunque soggetto
si
predichi,
si
predica
sem-
pre
nello stesso
significatomlfl
l'7
18
19
E.
BE'l'l'ONl,
0p.
cit.,
p.
66.
Ordinatio
I,
d.
3,
p.
1,
q.
2, n. 26.
E.
BETTONI,
0p.
cit,
p.
73.
xx/x;
Giovanni Duns Scoto 677
Le
ragioni
dellunivocit dell'ente
sono
spiegate per
esteso da Scoto
trattando del tema della conoscibilitdi Dio. Le
ragioni principali
sono
cinque:
1.
Qualsiasi
filosofofu certo che ci che
per
lui era
il
primo principio,
era un ente. Per
es.
colui che ritenne come
principio
il fuoco o
l'acqua
era certo che
era un
ente, ma non era certo che fosse
un ente creato
0 increato,
primo
0 non
primofiu
2. Nessun concetto
oggettivo
causato naturalmente nellintelletto
dell'uomo nella vita
presente,
senza l'azione di
quei
fattori che
sono
i
moventi naturali del nostro intelletto,
cio il fantasma
e
l'intelletto
agen-
te. Di
conseguenza,
nessun concetto
semplice
si
produce
naturalmente
nel nostro
intelletto,
che
non sia
prodotto
da
questi
due moventi. Un
concetto che
non
fosse univoco
all'oggetto
che riluce nel
fantasma, ma
del tutto diverso
e anteriore a
quello
al
quale
ha
analogia,
non
pu
esse-
re
prodotto
in virt dell'intelletto
agente
e
del fantasma. Un tale concet-
to
diverso,
che si ritiene
analogo,
non
pu
mai trovarsi naturalmente
nellintelletto
umano nella
presente
vita;
per
cui non si
potr
mai avere
naturalmente
un concetto di
Dio,
il che falso?
3. Il Concetto
proprio
di
un
oggetto
la
ragione
sufficiente
per
dedurre tutti
gli
attributi di
quell'oggetto,
che ad
esso ineriscono neces-
sariamente. Di
Dio, invece, non abbiamo alcun concetto
per
mezzo del
quale possiamo
conoscere sufficientemente tutti
gli
attributi da noi
conosciuti
e
che
gli
ineriscono
necessariamente, come chiaro
a
chi
con-
sidera la Trinit
e le altre verit credute necessariamente>>22
4.
Ogni
ricerca su Dio
suppone
che l'intelletto abbialo stesso concet-
to univoco,
che ha ricavatodalle creature_23
5. Tutti i maestri e i
teologi
sembra si
servano di
un concetto comune
a Dio e alla
creatura,
bench
nell'applicazione
differiscano a
parole.
Tutti,
infatti,
convengono
in
questo:
assumono
i concetti metafisici
e,
rimuo-
vendo ci che di
imperfezione
hanno nelle
creature,
attribuiscono
a Dio
quel
che hanno di
perfezione,
come la
bont,
la verit e
1a
sapienza>>24
Con lunivocit Scoto difende la stessa
causa,
vale a dire la conoscibi-
lit di
Dio,
che difendonoanche tutti i
patrocinatori
della dottrina dell'a-
nalogia.
20) Cf.
ibid, n. 17.
21) una, n. 18.
29) Ibid, n. 19.
23} Ibid., n. 21.
24) Ibici,n. 25.
678 Parte seconda
Ci che risulta abbastanza chiaro da tutti i testi in cui Scoto
parla
del-
Yanalogia
e
del concetto
analogo
che
egli
intende una cosa
molto
diversa da ci che intendono Aristotele,
10
Pseudo-Dionigi
e Tommaso
d'Aquino
mediante
questa categoria.
Non si tratta affatto, come
suppo-
ne Scoto,
di
un
secondo
concetto, applicabile
a Dio,
in
quanto
simile
a
un concetto che noi
possediamo
delle
creature,
pertanto
di un concetto
che viene
dopo quello
univoco,
rispetto
al
quale
habet
analogiam.
Il concetto
analogo
non un concetto secondo,
il
quale
si dice
analogo
rispetto
a
qualche
altro
concetto,
ma un concetto
primo,
dotato di una
unit di
significato,
anche se
si dice di cose
che
non
appartengono
n allo
stesso
genere
n alla stessa
specie.
Senonch la comunanza
di
significato
non sta in
un
minimo denominatorecomune
-
come nella univocit scoti-
sta
bens
nelIappartenenza
secondo un certo ordine (secundurtr
prius
et
posterius)
della
perfezione,
ai vari concetti
analogati,
intenzionata dal
concetto
analogo. L'origine
del concetto
analogo
non diversa da
quella
del concetto univoco: tutte due hanno
origine per
astrazione. Sia i
con-
cetti
analoghi
sia
quelli
univoci sono
astratti dalle creature. Ci che li
distingue riguarda
il modo di essere
predicati:
Yunivocosi riferisce a una
determinata
perfezione
(animalit, umanit, bianchezza,
pianta
ecc.) e
viene detto secondo una
perfetta
identit di
significato. Uanalogo
si rife-
risce
pure
a una determinata
perfezione
(verit, bont, bellezza,
potenza
ecc.) ma viene
predicato
secondo una scala di
significati
che sono
in
parte
eguali
e
in
parte
diversi. Il
seguente
asserto di Duns Scoto: Dio e la crea-
tura non sono
principalmente
diversi nei
concetti, ma sono
principal-
mente diversi nella
realt,
poich
non
convengono
in nessuna
realt
(Deus
et creatura non sunt diversa in
conceptibus;
sunt tamen
primo
diversa in
crealitatc
quia
in nulla realitate conveniuntl>>l5
pu
essere condiviso
piena-
mente anche da coloro che difendonola dottrina
delranaiogia,
anche
se
non lo intendono
perfettamente
allo stesso modo.
I trascendentali e
la distinzioneformale
Un'altra dottrina scotista di
grande
rilevanza
per
la metafisica
riguar-
da la distinzione
formale,
che viene affiancata alle altre tre distinzioni,
logica,
reale e modale,
generalmente
riconosciute da tutti
gli
scolastici.
La distinzione
logica
o di
ragione dipende
esclusivamente dalla
capa-
cit di analisi
dell'intelletto,
per
es.
la distinzionetra uomo e
animale
ragionevole".
25) una,
d.
s,
p.
1,
q.
3, n. s3.
Giovanni Duns Scalo 679
La distinzione reale
quella
che ha
luogo
tra due
cose
separabili,
per
es.
la distinzionetra anima e
corpo.
La distinzione modale
quella
che si instaura tra una
perfezione
e
il
suo
grado
di
intensit,
per
es. tra ente finito
e infinito.
La distinzione
formale

quella
che si evince dalla Considerazione di
due concetti irriducibilil'uno
all'altro, ma realmente identificati nell'u-
nica
realt, come ad
es., l'intelligenza
che formalmente distinta dalla
Volont, ma
che coesiste insieme alla volont stessa nell'unico
essere
dell'uomo. Non
,
secondo Duns
Scoto, una distinzionemeramente con-
cettuale,
in
quanto precede ogni
atto di
intelligenza
creato e increato
(praecedens omnem actum HBGCHS creati et increati).26
Della distinzione formale Scoto fa
largo uso,
e nella
categoria
delle
distinzioni formali include distinzioni che S. Tommaso considera come
reali
(per
es. la distinzionetra essenza ed
esistenza)
oppure
come distin-
zioni
logiche
cum
fundamento
in re
(per
es. la distinzione tra
gli
attributi
di Dio
oppure
tra i
trascendentali).
Una delle
applicazioni pi importanti
della distinzione formale
riguarda
i
trascendentali,
vale
a
dire
quelle perfezioni
che
sono
insepa-
rabilidall'ente e che
tuttavia, concettualmente, non coincidono
con esso.
Mentre S. Tommaso aveva
proposto
una deduzione
puramente
meta-
fisica delle
propriet
dell'ente, Scoto le situa
primariamente
in un'ottica
teologica.
Il testo chiave del Dottore Sottile sui trascendentali in
genere
si trova nella Ordinario
I,
cl.
8,
q.
3, nn. 18-19.
Per Scoto tutti i
predicati
che
appartengono
all'ente in
quanto
tale,
prima
che
venga
suddiviso in finito e infinito
(e
quindi
anche nelle dieci
Categorie),
sono trascendenti. Scoto
usa
il termine "trascendente" in
senso
pi ampio
che
quello
di
propriet
e
di
predicato
convertibilecon
l'ente. Anteriore" e
posteriore",
"atto" e
"potenza"
fanno
parte
di
questo
gruppo.
Poich
Dio,
l'essere
infinito, non suddiviso in
catego-
rie,
egli
chiamato alterit trascendente.
Questa estensionedelYusodel
termine Ti-ascendente
implica
che
per
Scoto i concetti trascendentali
non sono
pi
entia rationis ma intenzioni
primarie
che
esprimono
altret-
tante essenze formali. Scoto
precisa
che trascendentale
qualsiasi
cosa
non
compresa
in
un
genere. Dunque
non avere alcun
predicato
al di
sopra
di
esso eccetto l'essere
appartiene
alla
vera nozione di concetto
trascendentale.
Oltre
all'unit,
la verit e
la
bont,
alla classe dei trascendentali
ap-
partengono
anche atto e
potenza,
necessario e
contingente.
26) Cf.
ibid.,
d.
2,
p.
2,
q.
4, n. 389.
680 Parte seconda
Come l'ente anche i trascendentali,
per
Scoto, sono concetti univoci:
In
ogni
entit fisica o res
le
perfezioni espresse
dai concetti: ente, uno,
vero e bene sono tutte unitive contenta (contenute
in unit) in un tutto
reale ed indivisibile?Come fa notare Wolter,
assumendo
questa
distin-
zione Scoto intendeva fornire una
base
oggettiva per
il fatto che noi
abbiamo concetti distinti??? Tuttavia ci che Scoto fa effettivamente
proiettare
nella realt il modo in cui
pensiamo questi
concetti. difficile
dire come
in una stessa cosa
possano
esserci distinzioni formali ma non
reali tra l'ente e
le sue
propriet
trascendentali.
Questa
difficolt
pu
essere
superata
se
si ritiene con
Wolter che
una
tale distinzione formale
debba essere
vista come
quella
di un contenuto
oggettivo intelligibile
che
rappresenta
una
parte
della realt stessa. La conclusioneche
segue
da
quanto
detto che secondo Scoto
unit,
bont e Verit non sono
pi
formalmente l'ente. I concetti trascendentali sono diversi dall'ente a
causa
del loro contenuto reale
(rationes reales). Questa
posizione
conduce
a una
sostantificazionedei concetti trascendentali e
inaugura
un
modo
di
pensare
che
priva
l'essere della sua unit,
verit e bont.
Passando ora ad esaminare il
pensiero
di Scoto sui tre concetti tra-
scendentali di
unit,
bont e verit,
dobbiamonotare che
egli
non sem-
bra ammettere una
distinzione reale ma soltanto modale tra unit
numerica e
trascendentale. Tutto ci che esiste numericamente uno.
L'unit
pi perfetta

quella
dell'individuo. In Dio l'unit numerica
caratteristica della natura divina, con
la
quale
essa
coincide. Invece nelle
creature dobbiamo
distinguere
due modalit dell'unit: la natura in
quanto
comune a diversi individui e
la "ecceit"
(haecceitas)
di ciascuno.
Per
quanto
concerne
la verit Scoto ritiene che
ogni
ente
possiede
ufiattitudinea
manifestare
se stesso allintelletto. Vero ci che e cono-
sciuto dallintelletto. Per Scoto la verit dell'essere non
ha la stessa
importanza
che ha
per
S.
Tommaso,
in
quanto
non la fonda sulla confor-
mit
degli
enti al modello divino.
La bont
pi
che
come
desiderabilite
concepita
da Scoto come at-
tuazione di
una
perfezione.
Dio buono
perch
la
pienezza
dell'esse-
re. ln effetti Scoto afferma che bene
e
perfezione significano
la stessa
cosa:
ogni
ente buono dal momento
che
possiede
la sua
perfezione.
A motivo di
questa
risoluzionedella bont nella
perfezione,
la nozione
di bont trascendentale come
propriet
universale dell'essere
perde
molto del suo
significato,
in
particolare
se viene intesa nel
suo
significa-
27) Ordinatia II,
d.
16,
q.
un,
n. 17.
28) Cf. A. B.
WOLTFR,
The Trascendentals ami their Function in the
Metaphysics of
Duns
Scotus,
St.
Bonaventura,
N. Y. 1946,
p.
28.
29) Cf. ibd,
p.
30.
3) Cf. Ordinatio
I,
d.
23,
q.
1, n. 2.
Giovanni Duns Scoto
681
to
originario platonico.
Non
sorprende dunque
di trovare in Scoto
poco
pi
d'un
fuggevole
accenno a tale attributo.31
A
prescindere
dalle difficoltcausate dalla
sua distinzione
formale,
la
dottrina dellunivocit dell'ente
e delle sue
propriet
trascendentali avr
un
grosso impatto
sui filosofi
posteriori.
Il sistema di Scoto tende ad
estrapolare
l'ente dalle
sue
propriet.
Gli
sviluppi
ulteriori della teoria
dei concetti trascendentali hanno
seguito
la direzione tracciatada Scoto.
La dimostrazionedell'esistenza di Dio
e
gli
attributi divini
La dimostrazionedell'esistenza di Dio costituisce il
cuore di
ogni
me-
tafisica.
Questo
e vero sia nella metafisica classica
(Platone, Aristotele,
Plotino)
sia in
quella
cristiana
(Agostino, Anselmo, Tommaso).
E
l'origi-
nalit di
una metafisica si
rispecchia
sempre
sia nella
prova
dell'esistenza
di Dio sia nella caratterizzazionedella
sua natura.
Cos,
la metafisica di
Aristotele,
che una metafisica della
sostanza,
definisce Dio come So-
stanza
Prirna,
la metafisica di
Plotino,
che la metafisica
dell'unit,
defini-
sce Dio
come Uno,
la metafisica di
Agostino,
che la metafisica della
verit,
definisce Dio come Summa
Veritas,
la metafisica di S.
Tommaso,
che
la metafisica
dell'essere, definisce Dio
come Esse
ipsum
subsistens.
Scoto costruisce tutta la
sua metafisica intorno all'ente e alle
sue
modalit
e
perci
definisce Dio come ens
infinitum
in
actu,
Di tutti
gli
scolastici Duns Scoto colui che si
appassionato mag-
giormente
al
problema
dell'esistenza di Dio
e, praticamente, incorpora
tutta la sua
teologia
filosofica nella dimostrazione della esistenza del-
l'ente infinitoin atto.
Gi
ogni
prova
tomistica dell'esistenza di Dio conduceva
a un
deter-
minato attributo divino
(essere sussistente, motore immobile, causa
prima,
essere necessario
ecc.).
Ma le
prove
di S. Tommaso
sono molte e
cos anche
gli
attributi di Dio diventano molto numerosi.
Invece,
la
lunga
e
complessa
dimostrazionedi Scoto una sola,
per
cui anche l'at-
tributo che caratterizzala natura divina uno solo: l'infinita.
L'obiettivodi Scoto nella discussione del
problema
dell'esistenza di
Dio
quello
di elaborare una vera dimostrazione
quid,
che diversamente
dalla
prova ontologica
del
Proslogion
di S. Anselmo Vuole
avere un ca-
rattere
rigorosamente
induttivo. Inoltre Scoto intende costruire
un'arg0-
mentazione
genuinamente metafisica, totalmente svincolata dalla
fisica,
ci che
non succedeva invece nella dimostrazionearistotelica basata sul
moto
degli
astri.
Quindi,
quella
di Scoto
non n una
prova
fondata sui
puri
concetti come la
prova ontologica,
n una
prova
fondata su fatti
em-
3T) A. B.
WOLrsR;
0p.
cit,
p.
119.
682 Parte seconda
pirici
come
la
prova
cosmologica.
La sua
argomentazione
- esclusiva-
mente
metafisica si richiamaa
princpi primi
ritenuti inconfutabili.
Pur cercando di costruire una
prova
rigorosamente
razionale,
il con-
testo in cui Scoto si colloca
quello religioso:
Dio
gi pienamente
rico-
nosciuto in tutta la sua
grandezza, potenza
e
perfezione
sul
piano
della
fede, e a lui la
ragione
vuole
prestare
il
proprio ossequio.
Cos l'esordio
del De
principio
di Scoto
presenta
molte
analogie
con
quello
dei
Soliloqui
di
Agostino
e
del
Proslogion
di Anselmo,
nel senso
che anch'esso si con-
figura
come una
elevatio mentis in Deum. Scrive Duns Scoto:
Il Primo
Principio
di tutti
gli
esseri mi conceda di credere,
di
gustare
e
di
esprimere quanto

gradito
alla sua maest, e
innalzi la nostra
mente
alla sua
contemplazione. Signore
Dio nostro, quando
Mos,
tuo
servo,
ti domand come a
dottore sommamente Verace, quale
nome
avrebbe dovuto darti davanti ai
figli
di Israele, tu
sapendo
cio
che l'intelletto umano
pu concepire
di
te,
svelandoti il tuo nome
benedetto,
hai
risposto: Ego
sum
qui
sum.
Tu,
Signore,
sei YEssere
vero;
tu sei l'Essere totale
(tu es verum esse,
tu
es totum esse). Questo

quanto
vorrei conoscere,
se mi
possibile.
Aiutami,
Signore,
a comprendere quanto
pu
conoscere
dell'Essere
vero,
che tu sei,
la nostra
ragione
naturale.
Signore,
tu sei l'unico Essere Primo nonch ultimo (novissinzmn),
e
tutto ci che non sei tu
proviene
da te
quale
essere
primo
nell'ordine
dell'efficienza,
della eminenza e
della finalit
(prirmun efficiens, pri-
mum
eminens
finemqzie
ultimum);
tutto ci o
Signore
concedimi di
dimostrare con
la
ragione,
mentre
gi
lo
ritengo
certissimo
per
fede...
Signore,
Dio
nostro,
molte tue
perfezioni
sono state conosciute dai
filosofi, ma
possono
essere
dimostrate anche dai cattolici. E
precisa-
mente
che tu sei il Primo Efficiente; tu sei il Fine Ultimo; tu sei
supre-
mamente Perfetto,
trascendente tutte le cose... Tu, o
Signore,
se total-
mente incausato e
perci ingenerabile
e
incorruttibile.Tu
sei, o
Signore,
certamente
ed assolutamente
incapace
di non esistere,
per-
ch sei intrinsecamente
necessario (ex te HECESSE esse)...
Tu, 0
Signore, puoi
volere e
volendo causare
ogni
effetto
possibile
simultaneamente, contingentemente
e liberamente. Veramente o
Signore,
la tua
onnipotenza
infinita. Tu, o
Signore,
sei
incomprensi-
bile,
sei infinito;
infatti nessun essere
finito onnisciente. Nessun
essere
finito
onnipotente.
Nessun essere
finito e
primo
e ultimo tra
gli
enti. Nessun essere
finito
primo
e ultimo. Nessun essere
finito
semplicemente semplice.
Tu, o
Signore,
sei al vertice della
semplicit,
perch
non
hai
parti
distinte,
n hai entit che non
siano realmente
identiche con
la tua essenza
,33
33) De
prima prinriyiio
l, 1; III, 42; IV, 80; IV,
155. Abbiamo
qui
riuniti i brani intro-
duttivi ai vari
passaggi
della
prova
scotista della esistenza di Dio.
Giovanni Duns Scoto 683
Come si
vede,
nella
sua elevatio mentis in
Deum,
Scoto fissa tutti i
punti
principali
del
suo discorso metafisico
su Dio, e
li
inserisce, come s'
detto,
nell'am io tracciatodella
sua dimostrazionedell'esistenza di Dio.
u
p
q . r .
La dimostrazionescotista non
e,
come le vie di S.
Tommaso, uifasce-
sa veloce
verso la vetta del
Principio Primo, ma una
lunga,
tortuosa e
faticosa
ascensione,
che si snoda in varie
tappe
con numerosi momenti
di sosta e
di
riflessione,
che
portano
lentamente
sempre pi
in alto
e
sempre pi
vicino alla vetta. Nella
prima tappa
Scoto dimostra che esi-
ste una causa efficiente
e incausabile,una causa finale
suprema
e un
essere che
supera
in
perfezione ogni
altro
essere
possibile.
Nella seconda
tappa
dimostra che la
causa efficiente incausata
e
incausabilesi identifi-
ca con la
causa finale
suprema
e con l'essere
perfettissimo,
e
che l'essere
che realizza in s
questi
tre
primati
e unico.
Infine,
nella terza
tappa,
dimostra che Dio
intelligenza
e volont eternamente in
atto, e
che
potenza, verit,
bene
e
perfezione
infinita. Ma vediamo finalmente
come
Duns Scoto
svolge punto per punto
la
complessa argomentazione
di cui
abbiamodelineato il filo
logico.
Il
primo
assunto da dimostrare formulato dal Dottore Sottile in
questi
termini:
quod aliquid cfiectivum
si!
simpliciter primum
a
quod
nec
est
efiectibile,
nec virtute alterius
a se
effectivuiriuufl
come a dire:
a
fonda-
mento dell'attivit
produttiva
che si
dispiega nell'universo,
ci deve
esse-
re una causa efficiente
primordiale
e assolutamente autonoma. Infatti
comincia
a dire Duns Scoto -
aliquod
ens est
ejffectibile>>fi4
Qui

importante
notare che il
punto
di
partenza
di Scoto non un
fenomeno, come nelle vie di S.
Tommaso, non un dato di
fatto,
bens
una
possibilit.
Duns Scoto
non dice:
qualche
cosa
prodotta,
ma
qual-
che
cosa
pmducibile,

eficttuabile.
Questa
per
lui una
rgorizzazione
importantissima.
Infatti la
conoscenza umana
potrebbe
anche
ingannar-
si sul fatto che esistano dei
fenomeni, ma non sul
principio
che il contin-
gente

producibile.
Ecco il momento centrale di
questa prima tappa
dclfargomentazione
scotista:
Esiste
qualche
natura
capace
di
produrre (effectivum) semplicemente
prima
che
non sia
prodotta (effectibile),
n
producibile
per
virt di
un'altra natura. L0
provo
cos.
Esiste
qualche
essere
proclucibile.
O
producibile
da
se stesso, 0 dal
nulla o da
qualche
altro. Non
pu
essere
prodotto
dal
nulla,
perch
il
nulla
non
pu
essere causa di ci che e. Non
producibile
da se stes-
so, perch
non c' alcuna
cosa
che
produca
o faccia se
stessa, come
scrive
Agostino
nel De Trfriitate.
Dunque

producibile
da
un altro.
33) Ordinario
I,
d.
2,
p.
1,
q.
1.
lbid.
684 Parte seconda
Questo
altro lo si chiami A. Se A
primo,
di modo che al di
sopra
di
s non vi sia altra
causa,
ho la conclusione.
Se, invece, non
primo,
vi
un altro
prima
di lui,
per
la cui virt stato
prodotto.
Si ammetta
questo
altro e lo si chiami B. Intorno a B si
ragiona
come
si
ragiona-
to intorno ad A. In
questo
modo 0 si
procede
all'infinito,
nel
quale
processo
ciascuna causa
rispetto
all'anteriore
seconda, 0 si arriver
a un essere
che non ha un altro anteriore. Ma una serie ascendente di
cause
che va
all'infinito
impossibile. Dunque
la
prima
causa
necessaria, perch,
non avendo alcuna causa
prima
di
s, a nessuna

posteriore.
Il
processo
all'infinito, infatti,
nelle cause
essenziali non

possibile>>.35
Nella seconda
tappa
Scoto
dimostra, con lo stesso
procedimento,
che
oltre alla causa
efficiente
prima,
esiste anche una causa
finale
suprema
e
un essere
perfettissimo.
Come nell'ordine delle cause
efficienti cos in
quello
delle cause
finali non si d il
processo
all'infinito, ma
bisogna
far
capo
a un fine che non sia ordinabilea un
fine
superiore.
La
possibilit
che si dia una realt ordinabilea un
fine
implica
e
postula
la
possibilit
che ci sia un
fine
superiore
e
primo,
cio un Essere incausabile.Dalla sua
possibilit
si deduce,
per
analogo procedimento,
la
sua
effettiva esistenza.
Come l'ordine delle cause
efficienti determina un
corrispettivo
ordine
di cause finali,
cos all'ordine dei fini
corrisponde
un
ordine
gerarchico
di
perfezioni. Ugualmente,
alla natura di
una causa
finale
suprema

intimamente connessa
la
possibilit
di una natura
perfettissima,
ossia
semplicemente prima
nell'ordine della
perfezione.
Una tale natura
possibile
solo come causa
incausabile.Dalfevidenza della sua
possibi-
iit si deduce,
quindi,
l'evidenzadella sua esistenza.
Come si
pu
facilmentenotare il metodo con
cui Scoto costruisce le
tre
argomentazioni

sempre
identico, e tranne
per
il
punto
di
partenza
coincide col metodo delle vie tomistiche. Il
punto
di
partenza
scotista
costituito dalla
possibilit
della
realt,
che ha la sua
evidenza diretta-
mente nellintelletto,
la cui forza
maggiore
di
quella proveniente
dal-
l'evidenza
dell'esperienza
sensibiledella stessa realt,
che risulta sem-
pre contingente.
Il
corpo
dell'argomentazione,
invece,

imperniato
sul-
l'applicazione
dei due
principi
(utilizzati
anche da S. Tommaso): nessu-
no
causa
di se stesso e
nella ricerca delle
cause
essenziali non
si d il
processo
all'infinito. Dalla loro analisi si ricava che la
possibilit
di
qualcosa
non
concepibile
senza la
possibilit
di una Causa, con
il tri-
plice primato
di cui si detto. La Conclusioneinfine
sempre
identica in
tutte e tre le dimostrazioni: nella
possibilit
delle conclusioni
gi
implicita
l'esistenza di fatto di una Causa efficiente
prima,
di una Causa
35) lbid,
q.
2, n. 43.
Giovanni Duns Scoto
685
finale
suprema
e di un Essere
perfettissimo,
e che l'essere che realizza in
s
questi primati
e unico.
Nella terza
tappa
della sua dimostrazionedell'esistenza di Dio Scoto
dimostra che lEssere necessario e unico anche
infinito.
La Via
proposta

quella
finalistica: lEssere necessario
opera
con
intelligenza
e volont
a modo di artista. L'inizio desunto dalla constatazione che
ogni
causa autonoma
agisce per
un fine.
assurdo che
una causa efficiente
essenziale
agisca
a
caso,
cio senza uno
scopo
ben
preciso.
Ora, nessu-
na causa merita la
qualifica
di causa autonoma
come
la
causa efficien-
te
prima, per
cui
questa agisce sempre
finalisticamente.
Una simile azione
possibile
unicamente in
quanto
la Causa
prima
non solo
conosce
il fine da
raggiungere
ma
anche lo ama. In
questo
modo Scoto
supera
lo
scoglio
in cui
sempre incappata
tutta la metafisi-
ca classica, ossia
l'agire
necessario di Dio. Viene esclusa da Dio
qualsiasi
influenzaab exstrinseco. Cos Dio
superiore
ai fini che
persegue
nell'u-
niverso,
perch
li
pone
liberamente,
volens causat. Dire causare volen-
do e dire causare liberamente la stessa
cosa,
in
quanto
volont
e
libert,
secondo Duns
Scoto,
coincidono. Onde la sua felicissima
espres-
sione: Dio vuole in modo razionalissimo
(Deus
vult
rationabilissime).
Dopo questo
interludio sulla
intelligenza
e
la libert di
Dio,
Scoto
riprende
la dimostrazione dell'infinit
divina,
ultima
tappa
del
suo iti-
nerario metafisico. Ecco le
parole
iniziali dell'ultimo
processo argomen-
tativo:
Dopo
avere manifestato
questi preamboli,
dimostro l'infinita di
Dio con
quattro
vie.
Leggiamo
insieme alcuni brani dellOrdinatio in
cui con il
suo consueto
rigore logico
Duns Scoto tracciale
quattro
Vie:
Della
prima
via, ex
parte
causae
(efiicientis)
tratta Aristotele nell'VIII
libro della Fisica e nel XII libro della
Metafisica, quando
afferma che il
primo
motore muove
di moto infinito, e
perci
ha
una
potenza
infini-
ta (...).
La
conseguenza
si
prova
cos: se il
primo
motore
per
s e non
in virt di un altro muove con moto infinito, ne
segue
che
non riceve
da un altro il
potere
di
muovere in tal
modo, ma
possiede
nella
sua
propria
virt tutto l'effetto
simultaneamente,
perch
lo
possiede
indi-
pendentemente.
Ma colui che ha nella sua
propria
virt un
effetto
infinito, infinjto.36
Dimostrata l'infinita di Dio
per
mezzo della via della
prima
causa
efficiente,
segue
la seconda
tria,
basata sul fatto che il
primo
efficiente
conosce distintamente tutto ci che fattibile
(omnia
factibila).
Lo si
prova
cos:
gli intelligibili
sono infiniti in atto nellintelletto che li
conosce. Lintelletto che simultaneamente
e attualmente
conosce tutti
i fattibili infinito. Tale l'intelletto del
primo
essere.37
35) IbicL,
q.
2, nn. 111-113.
37) Ibid, n. 125.
686 Parte seconda
Anche
per
la terza via,
quella
che
parte
dal
fine, si
argomenta
cos: la
volont umana
pu
desiderare ed amare
qualcosa
di
pi grande
di
ogni
bene finito, come lo
pu conoscere,
ora
pare
chiaro che la sua
inclinazionenaturale
maggiore
nellamare sommamente il bene
infinito. Uinclinazionenaturale nella volont Verso
qualcosa,
infatti,
la si desume dal fatto che
per
se, senza alcuna abitudine,
la volont
liberaVuole
quell'oggetto prontamente
e dilettevolmente.E cos
spe-
rimentiamo la volont libera nell'atto di amare
il bene infinito,
anzi
sembra che essa non
riposi perfettamente
in nessun altro bene.38
Nella
quarta
via,
si
consegue
lo stesso intento mediante la Via delle-
minenza
(per
"uiam
eminentiae) e lo
provo
cos:
impossibile
che ci sia
qualcosa
di
pi perfetto
dellessere eminentissimo (eminentissinio
incompossilvile
est
aliquid
esse
pcrfectius).
Invece, non
impossibile
che
ci sia un essere
pi perfetto
dell'essere finito.
Dunque
l'essere
perfet-
tissimo non finito.39
Lo stesso Scoto nota che la sua
quarta
via ha
una
grande
affinit con
la
via anselmiana del
Proslogioiz.
Questa
una
via che
egli giudica
sostan-
zialmente
valida,
purch
venga
leggermente
ritoccata
(paresi
colorari), con
una
piccola aggiunta
nella definizionedi
Dio,
definendolonon
semplice-
mente come l'essere di cui non si
pu pensare
nulla di
pi grande,
bens come l'essere
pensato
senza contraddizione,
di cui non
si
pu pensa-
re uno
maggiore,
senza contraddizione. Ecco allora come
il Dottore Sottile
rielabora la
prova ontologica
di Anselmo:
Con ci si
pu
colorare
l'argomento
del
Proslogion
di Anselmo circa
il
sommo
bene
pensabile,
e intendere la sua descrizione cos: Dio
l'essere
pensato
senza
contraddizione
(cognito
sine contradictiane),
di
cui non
si
pu pensare
uno
maggiore
senza contraddizione. E che
bisognaaggiungere
"senza contraddizione" chiaro.
Infatti,
la cono-
scenza di
qualcosa
o
il
semplice pensare qualcosa
che includa con-
traddizione, non

pensabile,
altrimenti si darebbero due
pensabili
opposti
che in nessun
modo farebberoun
solo
pensabile, perch
nes-
suno dei due determinerebbelaltro.40
Dunque,
se
concepibile
senza contraddizione,
il sommo
pensabile
(Dio)
esiste anche in realt. Per
questo,
Dio viene
concepito
come
primo
essere
per
s
quidditativamenteperch
in esso
l'intelletto trova
la sua massima soddisfazione,
per
cui
bisogna
dire che Dio
possiede
la natura di
oggetto primo
dell'intelletto,
vale a dire dell'ente e
questo
in
sommo
grado
(ratio
primi
obiecti intcllectus,
scilicet entis et in summa).
38) lbid, n. 13o.
39) iena, n. 131.
40) una, n. 137.
Giovanni Duns Scafo 687
Inoltre,
l'essere in
questione
l'essere realmente esistente
(esse
existen-
tiae).
Infatti non esiste solo nell'intelletto
pensante, perch
in tal caso
potrebbe
sia essere
che
non essere mentre
ripugna
al concetto di
esse-
re
il
massimo,
di
dipendere
da altri. Il
pensabile, quindi,
che esiste
anche fuori dal'intelletto
maggiore
di
quello
che esiste solo nell'in-
telletto. Non nel senso
che
uno stesso
essere, pensato
soltanto,
diventi
maggiore
se esiste in
realt, ma nel senso
che
un
pensabile
esistente
maggiore
di
ogni pensabile
soltanto
pensatowfl
l
Giunti al termine della
lunga
ricerca
scotista,
che ci ha
portato
alla
scoperta
di Dio come ens
infinitum
in
actu,
vale la
pena
osservare
che
per
Duns Scoto l'infinitanon
propriamente
un attributo di
Dio, ma
il costitutivo formale dell'essenza divina.
Dinfinitas,
infatti,non una
propriet,
ma un modo intrinseco dell'essere. Linfinit si
rapporta
all'essenza in maniera diversa da come si
rapportano gli
altri attribu-
ti,
la
bont,
la
sapienza,
la
potenza
ecc..
Poich
quando
si afferma che
Dio
somma bont, eterna
sapienza,
ecc. si dice una cosa esattissima,
ma non si
sfugge
alla
suggestione
di
configurarsi questi
attributi
come
qualit
che ineriscono all'essenza divina a modo,
quasi,
di acci-
denti.
Questo
invece non succede
quando
si dice che Dio infinito
(...).
La
qualifica
di infinito invita ad
entrare,
per
cos dire,
nell'inti-
mit dell'essere e a misurare l'intensit
ontologica
con
cui
quell'essere
si
oppone
al nulla e si caratterizza radicalmente di fronte ad
ogni
altro essere. Mentre le altre
perfezioni
divine sono
partecipate
in
qualche
modo dalle
creature,
l'infinita esclusiva di
Dio;
ci che lo
separa
e lo
fissa,
per
cosi dire,
nellinviolabilemistero della sua divi-
nit.
Proprio perch
Dio
infinitum, egli
un essere
singolarssimo,
unico e
perci
sovranamentelibero>>.42
Con la
scoperta
dell'aria:
infiniturn
in actu la metafisica ha
praticamente
esaurito il
suo
compito
e
deve cedere il
passo
alla
teologia.
Solo la rive-
lazione oramai
pu
mettere l'uomo in condizione di continuare il
discorso intorno a Dio.
Come
sappiamo,
Scoto
opera
una cesura
profonda
tra
teologia
filoso-
fica
(metafisica) e
teologia
rivelata. ll Dio dei
filosofi, a suo
giudizio,
rimane ancora un Dio
anonimo,
molto vicino alle creature dalle
quali
l'uomo ricava una certa conoscenza di esso.
sul
piano
dellunivocit
che
egli
si forma l'idea di Dio. Sono le stesse
perfezioni
delle creature
che
Vengono proiettate
su
Dio
aggiungendo
il
qualificatoreinfinito.
Cosi
la bont divina divienebont
infinita,
la
sapienza
divina diviene
sapien-
41)
De
printo principio
IV, nn. 134-135.
42)
E.
BETTONI,
0p.
cit.,
pp.
230-231.
688 Partc seconda
za infinita ecc. Ma dell'infinito l'uomo non
possiede
nessun concetto
positivo,
cos
neppure
i metafisici
possono
elevarsi a un concetto
positi-
vo della natura e
degli
attributi divini.
Tuttavia
quello
della metafisica,
secondo
Scoto, non un
Dio
falso,
come lasciava intendere Bonaventura con
le sue durissime critiche ai
filosofi, ma un Dio estremamente
povero,
ancora tutto avvolto nella
nebbia,
che nulla o
quasi
nulla svela del suo volto. Per conosce il vero
volto di Dio occorre la rivelazionedivina,
la
quale
ci istruisce sulla natu-
ra e
sull'attivitad infra e
ad extra di Dio.
L'origine
del mondo: la dottrina della creazione
Messa al sicuro l'esistenza del
Principioprimo, implicitamente
stata
spiegata
anche
l'origine
del mondo: il mondo non
autonomo,
n auto-
sufficiente, ma stato causato. Colui che l'ha
prodotto
il Primo
Principio,
Dio. Ma in che modo il mondo
procede
da Dio?
Per
emanazione, avevano
risposto
la metafisica classica
(Plotino,
Proclo) e
la metafisica araba
(Al-Farabi,Avicenna, Averro).
Per creazio-
ne,
aveva
risposto
la metafisica cristiana
(Origene, Agostino,
Anselmo,
Tommaso, Bonaventura).
La dottrina creazionjsta al
tempo
di Scoto non
solo
era unanimementeaccettata dai filosofi
cristiani, ma
anche
precisa-
ta nei suoi assunti
principali
e sottratta a fraintendimenti
pericolosi.
Dopo Guglielmo dAuvergne,
Tommaso
d'Aquino
e Bonaventura non
era
pi possibile
confondere il creazionismo cristiano con
il creazioni-
smo
imperfetto
di
Al-Farabi,Avicennae Averro: tutte le cose
-
era
chia-
ro ormai
-
procedono
da Dio
direttamente,
integralmente,
e
per
via di
conoscenza e di
amore,
cio liberamente.
Pi che sullatto
creativo,
che una
productio
rei ex
nihilosui et subiecti,
un atto che avrebbe
potuto
aver
luogo
ab
aetemo,
Scoto si sofferma
su ci
che 1o
precede
e
sugli
effetti che lo
accompagnano.
Ovviamente
prima
di essere create le cose erano
gi presenti
nella
mente divina.
Qui
Scoto si chiede in che modo la mente divina si formi
le idee delle cose. Le idee sono
ordinate alla
creazione,
quindi
non sor-
gono
nella mente divina autonomamente. Perci,
secondo
Scoto,
per
spiegare
la formazionedelle idee in Dio non
basta
un atto dell'intelletto
divino che
contempli
la
molteplice
imitabilitdella divina
essenza,
come
aveva
insegnato
S. Tommaso. A
parere
di
Scoto,
questo
modo di
intendere le
cose,
sembra svilirel'intelletto
divino,
poich
allora sareb-
be
passivo rispetto agli
altri
oggetti
conosciuti attraverso
queste
idee,
perch quegli oggetti
lo attuerebbero alla
conoscenza
di
queste
idee
(zridetur
vilzficare
intellectum
divinum,
quid
tunc esset
passivus respectu
alia-
Giovanni Duns Scafo 689
rum
objectorunz Cognitorum per
istas
rationes,
per quale
actuabiturad
cognitiv-
nem istarum rafi0nurn).43
Duns
Scoto, a
differenza di S.
Tommaso, non
ritiene che Dio vede i
possibili
come esistenti nella sua essenza
in
quan-
to imitabile,ma
che
prima
li
pone
e li fa esistere in esse
intelligibili
con
il
suo intelletto, e
poi coglie
il
rapporto
di imitabilitche esiste tra essi e
la
sua essenza.
Risulta cos che Dio conosce
le creature non
in
quanto
conosce
la
sua essenza come
mitabile
all'infinito, ma, Viceversa, conosce
la sua essenza come
infinitamente imitabilein
quanto
il suo
intelletto
nellidea di s
produce
anche le idee delle cose
possibili.
In
questo
modo
Pintelligibilit
delle Cose
riportata
all'intelletto divino come al
luogo
originario
di
ogni
verit. In
questo
modo anche il mondo delle essenze
ripete
la
sua
origine,
come
effetto da
causa,
da Dio
e, precisamente
dal-
Yintelligenza
divina.44
La creazione del mondo il frutto di
una
libera
opzione
della volont
divina.
Questo
un concetto che,
secondo
Scoto,
i "filosofi"non
hanno
mai
raggiunto
ed
egli
dell'avviso che il concetto di creazione estra-
neo
alla ricerca razionale
e
appartiene
all'ambitodella fede.
Mentre,
secondo
Scoto,
il costitutivo metafisico di Dio l'infinita,
il
costitutivo metafisico del mondo la
contingenza,
una
contingenza
radi-
cale che
non
riguarda
solo il divenire ma l'essere stesso del mondo.
Il
mondo, come insieme di esseri
contingenti,
non
pu
essere
che contin-
gente,
svelando cos che esso non
dipende
da
s, ma
da
un essere-causa
che liberamentene fonda l'esistenza e ne
garantisce
la consistenza e
la
durata. La
dipendenza
del mondo da Dio non
pu
essere
spiegata
ade-
guatamente
dalla relazione di
causalit,
perch
non
salverebbe dal
necessitarismo, ma solo dalla relazione creaturale che traduce il vincolo
liberoe amoroso
di Dio verso
il mondo. La relazione
creaturale, a
diffe-
renza
di
quella
causale,
implica
e
comporta
una
dipendenza ontologica
da Dio che condiziona la struttura intima dell'essere
contingente.
In
quanto
modalit intrinseca e
positiva
dell'essere,
il concetto di contin-
genza presenta
due caratteristiche essenziali:
dipendenza
nell'essere e
necessit
nelfagire.
Caratteristiche
che,
secondo Duns
Scoto,
postulano
un
Essere che sia necessario nell'esistenza e
contingente nelloperare.
Con tutta la scuola francescana Duns Scoto sostiene la teoria dell'ite-
morfismo
universale. Secondo il Dottore Sottile non
solo la materia la
prima
creatura di Dio ma anche un elemento costitutivo
per
tutte le
creature, terrestri,
celesti ed
angeliche.
Inoltre,
diversamente da S. Tom-
maso
che non riconosceva alla materia alcuna autonomia
ontologica
43) Ordinati};
l,
d.
35,
q.
un.
44) E.
BETTONI,
0p.
cit.,
p.
235. Cf. E.
GILSON, [san
Duns Scotus... cit.,
pp.
279-315.
690 Parte seconda
(essendo
pura potenza passiva),
Duns Scoto
assegna
alla materia una
propria
realt,
poich,
se non fosse
cos,
la materia
non
potrebbe
essere il
"ricettacolo" della forma. In
quanto
termine immediatodi
un atto creati-
vo,
la materia
prima possiede
una
propria
identit
ontologica,
minima
quanto
si
vuole, ma
propria
e
specifica.
Per il
grande
Dottore francesca-
no sembra contraddittorio affermare nello stesso
tempo
che la materia
creata e che riceve dalla forma la
propria
attualit. Ci che
era
possibile
nel necessitarismo
aristotelico,
cui era
ignota
la verit della
creazione,
non
pi possibile
nella
nuova concezione creazionistica del mondo.
La
materia,
perci,
secondo il Dottore Sottile
non solo una
potenza
oggettiva
ma anche
una
potenza soggettiva,
cio un
soggetto
con una sua
specifica
identit anche
se minima
e
imperfetta.
Tale identit viene chia-
mata
agostinianamente
prope
nihil ed entra nella sfera della dottrina del-
l'oggetto proprio
dell'intelletto
e del concetto univoco dell'essere.
Dove Duns Scoto
prende
le distanze da tutti
gli
altri
scolastici,
france-
scani
inclusi,
nella dottrina della individuazione.La distinzione tra
gli
individui
era
generalmente
attribuita alla materia e
pi precisamente
alla materia
segnata
dalla
quantit (quantitate signata).
Per Duns Scoto
questo significa
misconoscere il valore
e
l'importanza
dell'individuo.
Per il filosofo
scozzese l'individuoconcreto
possiede rispetto
alla natura
comune o
specie
un
grado pi
elevato di
perfezione.
Di
conseguenza,
l'indi.viduoconcreto
pi perfetto
della
specie,
e nella relazione indivi-
duo-specie prevale
l'individuo sulla
specie,
come a dire che la
specie

per
l'individuoe non l'individuo
per
la
specie,
come avevano
insegnato
Aristotele e Avicenna. Perci l'individuazionedella sostanza concreta
dev'essere
posta
in una entit
positiva,
intesa
come attualizzazionecom-
pleta
dell'essere sostanziale.
Questa
entit
singolare
che caratterizza
l'essere
singolare
chiamata da Duns Scoto con
il termine
haecceitas,
che
letteralmente si
potrebbe
tradurre
questa
entit o
questit
e
che invece
propriamente significa
l'ultima determinazionedi
un ente che lo indivi-
dua nella sua
irripetibilesingolarit.
Per es. nel
caso dell'uomo,
la Imec-
ceitas il
coronamento della forma
umana in forza del
quale
non
pi
soltanto
uomo,
ma
questo
uomo come essere
singolare
e
irripetibile:
la
platonicit
per
Platone,
la
petrinit per
Pietro ecc.
La soluzione offerta da Duns Scoto veramente rivoluzionariain
quanto
si
contrappone
aila tradizione
greca,
che affermava la
priorit
delfuniversale,
la
specie,
sul
singolare,
e riconosce un valore
ontologico
all'individuo,
la cui essenza risulta anche la
pi perfetta.
In
questo
modo Duns
Scoto,
superando
la tradizione
scolastica,
apre
la strada
all'umanesimo,
l'epoca
del trionfo dell'individuo.
Giovanni Duns Scoto
691
L'uomo
e
il
suo destino
Abbiamovisto che Duns Scoto traccia un solco
profondo
tra il discor-
so metafisico che luomo
pu
fare su Dio e il discorso invece che
pu
fare
guidato
dalla rivelazione. La
"navigazione
metafisica" in
grado
di
toccare
terra,
di
giungere
a conclusioni
certe, ma
l'approdo
avviene in
un territorio nonostante tutto ancora misterioso
e
in
gran parte
scono-
sciuto. La stessa divaricazionesi attua nella
speculazione
scotista
su
quell'essere profondamente
metafisico che l'uomo. Anche
qui
il di-
scorso metafisico riesce
appena
a
sfiorare il mondo dello
spirito,
mentre
ogni
ulteriore chiarificazione rimandataalla
teologia.
Tra le diverse forme di
antropologia
formulate dai
pensatori
medioe-
vali,
quella
di Duns Scoto si
distingue
per originalit
e
profondit.
La caratteristicafondamentaleche
qualifica l'antropologia
scotista
appa-
re con tutta evidenza dalle
problematiche
sollevatenella controversia tra
filosofi
e
teologi.
Dal suo contesto risulta che vi
sono
due modi
essen-
zialmente diversi di
leggere
la
complessa
realt dell'uomo: l'uno fonda-
to sul
presupposto
che la natura umana sia
qualcosa
di
stabile, non
sog-
getto
al divenire e immutabilenella
sua
essenza,
l'altro invece sulla
visione dell'uomo
come di
un essere storico e mutevole nella
sua essen-
za. La
posizione
di Duns
Scoto,
pur
collocandosi in una
prospettiva
teo-
logica,
in
quanto
tiene conto della condizione"storica" dell'uomo
come
si rivela dal dato
biblico, si
sviluppa
in chiave
filosofica,
perch guarda
la realt
umana nella sua tensione
verso l'infinito e
il trascendente.
ljoriginalit
della
posizione
di Duns Scoto consiste essenzialmente nel
condurre l'analisi in modo da
porre
l'uomo nella condizionedi fare
una
scelta critica tra le due forme di
antropologia,
naturale l'una e naturale
aperta
al
soprannaturale
l'altra. Scelta che rimanda
sempre
a un atto di
fede. Di
conseguenza l'antropologia
scotista si
polarizza
sul concetto di
libert, sia nelle
sue manifestazioni esistenziali che nella
sua
radice onto-
logica.
Libert che Duns Scoto Considera come un riflesso della Libert
di Dio che si manifestatain
Cristo,
onde la
sua ricerca sulla realt "sto-
rica dell'uomo
come creatura che sintetizza in se il carattere naturale
dell'essere ordinato al
soprannaturalew
In forza di tale visione
antropologica,
le manifestazioni
principali
della libertdell'uomo si
possono polarizzare
intorno
a
quelle
tre
speci-
fiche domande che da Kant in
poi
diventeranno
imprescindibili:
che
cosa
l'uomo?,
che
cosa
pu
fare
l'uomo?,
che
cosa
pu sperare
l'uomo?
45) G.
LAURlOLA,
op.
cit,
p.
71.
692 Parte seconda
CHE COS' L'UOMO?
A
questa prima
domanda sull'essere dell'uomo Duns Scoto
risponde
che l'essere umano
una
realt unitaria e
complessa
a un
tempo.
L'unit
appare
in tutta la
sua
portata
nella
singolarit
che,
pur
non
identifican-
dosi formalmente con l'essere,
coestensiva con
l'essere reale dell'uo-
mo. La
singolarit designa
l'unit fondamentale dell'essere umano e
costituisce una
delle caratteristiche
peculiari
della
persona
definita come
esistenza incomunicabiledi
una natura intellettuale.
La realt
umana,
pur
essendo unitaria, non
semplice
ma
palesemen-
te
complessa:

composta quanto
meno
di due elementi fondamentali,
anima e
corpo.
Discutendo
questa innegabileComposizione,
Scoto del-
l'avviso che la forma sostanziale. che conferisce l'essere reale all'uomo
non
sia data esclusivamente dall'anima, ma
contemporaneamente
anche
dal
corpo,
mediante la
forma corporeitatis,
senza
togliere
al
corpo
stesso la
funzione di materia. La
forma corporeitatis
conferisce ad
ogni singolo
corpo
la
sua
attualit di
composto
fisico vivificabiledalla
forma
animae,
come si evince al momento della morte. La
forma corporeitatis
l'ultima
disposizione
della materia
organizzata,
e la rende idonea a essere
infor-
mata dal
principio
vitale. In
questo
modo,
il
corpo
stesso diviene una
dimensione essenziale, con una
propria specifica dignit,
dell'essere
umano.
L'altra dimensione essenziale del
composto
umano l'anima.
Essa
svolge
la funzione di forma sostanziale, ma non unica,
del
compo-
sto
umano,
e non esaurisce la
propria
realt nellinformareil
corpo.
DelYanimanon si ha
conoscenza
diretta e
immediata. La sua
natura
spiri-
tuale viene colta
specialmente
dalle manifestazioni
peculiari
dell'attivit
conoscitiva e
del volere libero. E cos si
passa
alla seconda domanda.
CHE COSA PU FARE L'UOMO?
L'uomo
dispone
di molte facolt
vegetative
e sensitive, ma
anche
e
soprattutto
di due facolt
spirituali:
l'intelletto e
la volont. A
quale
di
queste
due facolt
spetta
il
primato?Sappiamo
che tutta la metafisica clas-
sica aveva
assegnato
il
primato
all'intelletto, mentre la metafisica cristiana,
gi
a
partire
da
Agostino
si muove verso il riconoscimentodi
un
primato
della volont. Il
primato
dell'intelletto era stato nuovamente riaffermato
dall'aristotelico
Tommaso;
invece Scoto ritorna decisamente ad affermare
la
superiorit
della volont. La
ragione
di
questa priorit
dovuta
princi-
palmente
alla
libert,
che una
prerogativa
esclusiva della volont. Infatti
mentre l'intelletto una
facolt necessaria che non si
pu
sottrarre all'a-
zione
dell'oggetto
conosciuto,
la Volont un
potere perfettamente
libero,
che
pu accogliere
e
respingere qualsiasi oggetto,
Dio
compreso.
La
volont
padrona
di se stessa,
dei
propri
atti e dei suoi
oggetfi.
Giovanni Duns Scoto
693
In Duns Scoto la dottrina della
preminenza
incondizionatadella vo-
lont,
che
giustifica l'appellativo
di volontarismo che viene dato al
suo
sistema,
raggiunge,
nell'ambitodella tradizione
scolastica,
gli antipodi
rispetto
allintellettualismodell'antichit. La visione della Vita e
del
mondo cristiano
perviene
cos a
un'espressione
concettuale
propria
come mai in
precedenza
si era verificato,
neppure
in
Agostino.
Il distac-
co da Plotino
e da
ogni
forma di
platonismo
intellettualistico altrettan-
to
perfettamente
e
chiaramente concluso in
questo campo,
come il di-
stacco da
Aristotele, contro le cui influenze nel tomisrno combatte so-
prattutto
Duns Scoto.
Che l'atto di volizione sia determinato dalla
conoscenza
precedente
dell'oggetto
del volere e
espressamente
rifiutato da Scoto. Per
quanto
nell'agire particolare
su Cose reali il
sapere
di esse
possa
dirsi una causa
sine
qua
non
dell'operazione,
il
principio agente
tuttavia la
volont,
che
in se stessa
non
per
nulla condizionatadalla
conoscenza. Piuttosto la
volont determina
se stessa in modo
completamente
autonomo ed il
movens
per
se
di
ogni
azione,
la
causa unica e totale delle
sue Volizioni,
causa
sufficiens
omnis actus sui. La
questione
del fondamento ulteriore
della volont
priva
di
senso: essa
qualcosa
di assolutamenteultimo.
Il volere libero
per
sua
essenza,
anche nei confronti dei fondamenti
di determinazione dell'intelletto. La decisione
sempre
un
puro
atto di
Volont; essa non
giunge
all'azione
perch

spinta
ad
essa da
una cono-
scenza. La
sua decisione
non in alcun modo
gi
fissata dallo stato della
conoscenza. La volont ha
pur sempre
la
possibilitas
ad
utrumqzae,
essa
pu
decidersi in modi tra loro
opposti, volgersi
al bene o
al
male, a ci
che conosciuto come
superiore
o a ci della cui inferioritsi ben
con-
sci. La volont
non solo
pu opporsi agli
allettamenti dei
sensi, ma
anche ai beni
presentati
dall'intelletto: accade
spesso
che la volont si
decida anche contro
una
migliore
visione della
ragione.
Per
quanto
sus-
sista una naturale inclinazioneal bene e alla
felicit,
la volont rimane
sempre
libera di
respingere
i beni
pi
alti,
anche
quelli gi
conosciuti
come tali. La libera
potest
del volere
pu
decidersi
una
volta
positiva-
mente, e
poi
di nuovo
negativamente
nei
riguardi
di
un medesimo
oggetto,
senza che nulla sia mutato
quanto
alla conoscenza che si ha di
quello.
La volont
come tale
sempre
causa z'ndeterrnz'nata ad alterutrum
oppositorum.
Che Vi sia una tale
Volont, come
principio
della "contin-
genza"
e come causa totale di
per
s
incondizionata, mostrato non solo
da una immediata evidenza
interiore,
ma,
secondo
Scoto,
anche
una
conseguenza
necessaria dell'esistenza in noi della coscienza della re-
sponsabilit
morale. Non l'intelletto che viene biasimatonel
giudizio
morale, ma
la
volont; non l'intelletto
a essere sentito come causa del-
l'azione
peccaminosa,
ma la sola volont
a essere
posta
a fondamento
694 Parte seconda
della decisione. Se Yobiectunz
cognitum,
se
la conoscenza
dell'oggetto
determinasse l'atto di
volizione,
si
imporrebbe
un nesso
necessitante: il
volere sarebbe costantemente fissato in modo univoco dal
processo
naturale dell'azione
dell'oggetto
sul
soggetto:
cos la
contingenza
di
possibilit
contrarie non
potrebbe
mai aver
luogo
sebbene essa
sia la
base di
ogni
concetto di
responsabilit.
Certo non
v' nessun
volere
completamente
cieco,
privo
di
ogni lega-
me con la conoscenza
dell'oggetto.
Questo
lo riconosce anche Scoto. Ma
in
questo
contesto rimanevalida
l'immagine
dell'intelletto come
portato-
re della fiaccola
per
la volont,
che e Yautentico
principio
di movimento
per
tutte le facolt dell'anima. Lintelletto solo causa
subserviens volum-
tati, e non
fondamentodi determinazionedell'azionevolontaria;
per
con-
tro la volont che comanda l'intelletto in
rapporto
al suo atto la causa
superiore. Cos
non la
conoscenza a
determinare il benee il male della
volont, ma
questa
stessa il fondamentodello
sviluppo
della conoscen-
za. Non l'intelletto a determinare la
volont, ma inversamente,
voluntas
imperat
intellectui. La direzione
peccaminosa
della volont causa
dell'ac-
cecamento; l'orgoglio,
ad
esempio,
conduce al disconoscimento dei valo-
ri
altrui,
condiziona Yallontanarsi dal bene che si
potrebbe
conoscere.
E
cos, inversamente,
la volont buona ad
aprire
l'anima alla conoscen-
za dei veri beni
raggiungibili
e
delle Vie che ad essi conducono.
CHE COSA PU SPERARE L'UOMO?
Come abbiamo
gi anticipato,
l'analisi metafisica dell'uomo in Duns
Scoto si ferma a met strada:
egli
dell'anima riconosce la
spiritualit
ma
non
l'immortalit. A
suo
parere
nessuno
degli argomenti
addotti dalla
metafisica classica e cristiana
rigorosamenteprobante.
Non tiene
l'argomento
che ha
come
premessa
Yimmaterialit dell'a-
nima. Duns Scoto osserva acutamente
che in
questo argomento
si
pre-
suppone
ci che si vuole
provare.
Per essere
probante l'argomento
do-
vrebbe
portare
all'evidenza che
ogni
essere
immaterialesia
ontologica-
mente necessario. Conclusione che
non
si
pu applicare
all'anima,
per-
ch almeno
nell'origine

contingente.
Anche
gli argomenti
tratti dall'autoritdi S.
Agostino
non
sembrano
a Duns Scoto
rigorosamente
dimostrativi. ll
primo
si fonda sull'istintivo
orrore
che l'uomo ha della morte. Il Dottore Sottileribatte
semplicemen-
te che tale istinto non identificabilecol desiderio naturale di immorta-
lit. Perch vi sia identificazioneoccorre
che sia evidente che l'anima
destinata a
sopravvivere
al
corpo.
Ci,
per,
non
appare!
45) Cf. E. GILSON, jean
Duns Scotus...
cit.,
pp.
574- 624.
Giovanni Duns Scoto
695
L'altro
argomento prende spunto
dal desiderio di felicit insito in
ogni
uomo: una felicit che
non
pu
essere
perfetta
se non eterna. An-
che
riguardo
a
questo
modo di
argomentare
Duns Scoto osserva: la vali-
dit
dell'argomento riposa
sulla certezza che la visione beatificadi Dio
costituisce la felicit dell'uomo.
Ora, una similetesi non filosoficamen-
te
provata
n
provabile.
Sarebbe
possibile
una simile conclusione
se si
dimostrasse
vero
che
oggetto proprio
dell'intelletto Dio.
Ma,
per
Duns
Scoto, come
abbiamo Visto,
l'oggetto proprio
dell'intelletto l'ente in
quanto
tale. Al massimo con
questo argomento
si
pu
arrivare a
provare
che l'uomo ha la
"possibilit"
di
essere
elevato all'ordine
soprannatura-
le, ma non alla dimostrazioneche ci costituisca
una
esigenza
intrinseca
della natura umana."
In sintonia
con tutta la metafisica
scotista,
si
pu
concludere:
rigoro-
samente
parlando
la tesi dell'immortalit
dell'anima, come in altre
que-
stioni-limite,
pi
una verit da credere che
una conclusionedimostrata
filosoficamente. Duns
Scoto, infatti,
spinge
al massimo consentito dalla
ragione l'apertura
dell'ordine naturale
verso l'ordine
soprannaturale,
cos da
esigerlo
come dono da
parte
della fede.
Filosoficamente,
quindi,
Duns Scoto riesce a concludere intorno alla
possibilit
e convenienza
dell'immortalit
dell'anima, mentre
spetta
al
teologo
dimostrarne la
necessit
e
la
certezza,
tenendo conto del dato rivelato.
Conclusione:
grandezza
e
importanza
di Duns Scoto
Con Alberto
Magno,
Bonaventura e Tommaso
d'Aquino,
Duns Scoto
uno dei
quattro grandi dell'epoca
d'oro della
Scolastica,
di cui
egli
rappresenta
anche la vera e
propria
conclusione. Lo
splendore
della
sua
stella stato
per alquanto
oscurato dalla
grandezza
della
figura
di
S.
Tommaso,
soprattutto dopo
che le dottrine
dell'Angelico
ricevettero
la consacrazioneufficialedel
Magistero
ecclesiastico. Ma da vari decen
ni
gli
studi sul
pensiero
del Dottore Sottile si sono andati
moltiplicando
e
grazie
ai
saggi importanti
di P.
Minges, J. Klein,
P.
Balic,
B.
Landry,
E.
Longpr,
C. R. S.
Harris,
E.
Gilson,
E.
Bettoni,
L.
Veuthey,
M.
Heidegger
e O. Todisco si
registrata
una sostanziale rivalutazione della
figura
e
del
pensiero
di Duns Scoto.

superfluo
dire che Scoto la
figura pi rappresentativa
della scuola
francescana, nella
quale gode
il
prestigio
di
un Vero
capo-scuola.
I fran-
cescani sono stati attratti da Duns Scoto e
hanno fatto di lui il loro
capo-
47) Cf. Ordinatio
IV,
d.
43,
q.
2.
48) Cf. E.
GILSON, Iean
Duns Status...
cit.,
pp.
480-486;
E.
BFTTONI,
0p,
cit.,
pp.
134-140.
696 Parte seconda
scuola, non
solo
perch
nella sua
opera
fervono il bellissimo
aspetto
della
perfezione
di S. Francesco e
gli
ardori dello
spirito
serafico, ma
perch
Scoto stesso afferma la
supremazia
della carit sulla scienza,
il
primato
universale di
Cristo, somma
opera
di
Dio,
esaltatore della
SS.
Trinit,
redentore del
genere
umano,
Re nell'ordine naturale e so
prannaturale, presso
il
quale splende
di
congenita
bellezzaMaria Imma-
colata,
Regina
del rnondo.49 Meno
palesemente
mistico di
Bonaventura,
pi
desideroso
soprattutto
di
purificare
l'eredit cristiana dalle formule
talvolta
ambigue
di un
mondo
platonico concepito
come
imago
Dei,
in
cui la ricerca e le similitudini
possono
far disconoscere tanto la funzione
decisiva della Volont divina
quanto
l'infinita distanza che
separa
la
creatura dal
Creatore,
Duns Scoto,
anche nelle analisi
pi
sottili, resta
fedele
pi
di
quanto
non sia stato detto,
alla tradizionedi S. Francesco,
quando pone
l'amore come
intenzione
prima
di tutti i voleri divini
ad extra.50
Gli studiosi non sono invece d'accordosulla
precisa
caratterizzazione
del
pensiero
di Duns Scoto. Ci che abbastanza evidente che il Dot-
tore Sottileha tentato di
operare
una sintesi tra
agostinismo
e
aristoteli-
smo a
partire
da S.
Agostino.
In
questo
egli
ha
compiuto l'operazione
inversa
rispetto
a S.
Tommaso,
il
quale
aveva cercato una sintesi del
pla-
tonismo
agostiniano
con
Paristotelismoa
partire
da Aristotele. Per alcu-
ni studiosi il tentativo di Scoto non
sarebbe riuscito. Tale il
parere, per
es.,
di L.
Veuthey,
il
quale
scrive: Scoto ha tentato di effettuare
questa
sintesi, ma non
ha
rispettato
nelle
sue
formule la dualit necessaria del-
l'uno e
dell'altro
spirito;
in tal modo ha ottenuto una
lega
che
spesso

una
miscela tra
spirito agostiniano
e
spirito
aristotelico,
mentre lo
scopo
da
conseguire
non
deve essere una miscela, ma una
sintesi che
rispetti
l'uno e
l'altro
spirito, distinguencloli
dalle loro
proprie
formule; non
potendo
essi affatto
esprimersi
con
formule identiche senza
pericolo
di
confusionee
di contraddizione.51
Di
parere opposto
invece E.
Longpr,
il
quale
sostiene che Duns
Scoto un costruttore
potente, per
l'altezza come
per
la
profondit
delle dottrine.
Egli
ha elaborato un sistema di
spiegazioni
coerenti,
anche
se
calate in uno
stile un
po
tormentato. Alcune
grandi
idee illu-
minano e
sorreggono
le sue costruzioni metafisiche e
teologiche:
affer-
49)
R. ZAVALLONI,
Giovanni Duns Scoto,
maestro di trita e
pensiero, Bologna
1992,
p.
100.
50)
F. VAN STEENBERGHEN-A. F()I<Es'i-M. DE GANDILLAC,
Il movimento dottrinale... cit,
p.497.
51)
L. VEUTHEY,
La scuola
francescana
e
la critica
filosofica
rrioderna,
in Miscellanea
francescana 36 (1936),
p.
33.
Giovanni Dzms Scoto
697
marle e farle
trionfare, ecco l'obiettivodei suoi sforzi
e della
sua dialetti-
ca incisiva.
E, anzitutto,
Duns Scoto ebbe la
preoccupazione squisita-
mente francescana di elaborare
una concezione
generale
dell'intero
piano
della realt dal
punto
di vista dell'amore. Duns Scoto ha fatto
vedere che le
cose,
a
qualsiasi
ordine
appartengano,
si
organizzano
intorno
all'amore; in
pi egli
ha dimostrato in
qual
modo la
potenza
co-
noscitiva
dell'intelletto,
l'unit del
sapere,
l'esistenza della
metafisica,
l'incrollabilefermezza dei
principi,
la conoscibilitdi
Dio,
si fondano
sull'idea univoca di
essere e sul suo valore assoluto e trascendente?
Come
gi precedentemente riportato,
secondo Gilson la sola sintesi
completa
di Scoto la sintesi
teologica,
con
al centro
l'espressione gio-
vannea Deus caritas est.53
A mio
parere
la diversit
degli
esiti dei tentativi di
comporre
una
grande
sintesi tra aristotelismo
e
platonismo agostiniano compiuti
da
Tommaso e
da Scoto
dipendono
dal diverso concetto di
essere con cui i
due sommi Scolastici hanno cercato di
operare
la mediazionee la fusio-
ne. S. Tommaso lo ha fatto ricorrendo al concetto "forte" di essere (esse
ut
actus): esso
gli
consent di elaborare
una metafisica forte
e,
di
conse-
guenza,
di
forgiarsi
uno strumento forte
per compiere
il
suo lavoro teo-
logico,
ottenendo
splendidi
risultati nelle dottrine su Dio, su Cristo,
sugli angeli,
sull'uomo,
sullanima
umana,
sulla
grazia
ecc. Invece Scoto
ha fatto ricorso al concetto debole" di
essere (esse commune);
questo gli
ha fornito
una
metafisica debole
e, quindi,
uno strumento
povero per
compiere
la
sua riflessione
teologica.
Le
rispettive
definizioni di Dio:
l'asse
ipsum
subsistens di S.
Tommaso, e Fans
infinitum
in acta di Scoto
sono emblematiche.
Esse,
logicamente,
danno vita a
due visioni
teologi-
che molto differenti: alla visione fiduciosa di
acquisire
mediante l'analo-
gia
una
qualche
conoscenza
positiva
e veridica di Dio: e
questa
la
visione del Dottore
Angelico;
e alla visione che
mette fortemente l'ac-
cento sulla trascendenza di
Dio, e
che lo rende assolutamenteinaccessi-
bilealle
categorie
limitate
e
finite della
ragione
umana: ed la visione
del Dottore Sottile.
Non si
possono
certo minimizzare i numerosi
punti
di
convergenza
che esistono tra Tommaso e Scoto,
grazie
alla loro
comune eredit
ago-
stiniana. Ma le differenze
rimangono
tante e
profonde.
Come ha scritto
C. R. S.
Harris,
le
principali
differenze consistono in
questo:
mentre
Tommaso mette in
particolare
rilievol'elemento "necessario" della rive-
lazione
divina, cio le verit relative all'essere divino nella
sua natura
intrinseca,
Scoto
pone
l'accento
sull'aspetto contingente
della
teologia,
52) E.
LONGPR,
La
philosophie
du B. Duns
Scot, Paris
1924,
pp.
272-273.
53) Cf. E.
GlLSON, Ietm
DLHIS Scotus...
cit.,
p.
339.
698 Parte seconda
cio sullinsiemedei
rapporti
fra Dio e
il
mondo,
i
quali dipendono
inte-
ramente dal libero
agire
della volont divina e non sono
per
trattabili
razionalmente. In ultima analisi
questa
differenza deriva dalle loro di-
verse
concezioni
psicologiche.
Tommaso in
ogni
caso un
intellettuali-
sta, e
per
lui l'intelletto la facolt
pi
nobile,
sia nell'uomo sia in
Dio;
di
qui
la sua
tendenza a
interpretare
i fenomeni volitivi in modo deter-
ministico. Non cos Duns Scoto:
per
lui la
Volont,
sia nell'uomo sia in
Dio,
gode
il
primato
e diventa,
in fin dei
conti,
il
principio supremo
della sua
cosmologia
a4
Dal
punto
di Vista storico col suo volontarismo,
il suo criticismo e
soprattutto
con
la scissione dell'armonia tra fede e
ragione,
Duns
Scoto,
che si trova a cavallo tra la
grande
e
l'ultima Scolastica,
spalanca
la
porta
alla via moderna,
che sia la via nominalistica di Occam sia la via
mistica di Eckhart.
Infatti,

esplicitamente
in
rapporto
a Duns
Scoto,
sia
rigettando
la sua
ontologia,
sia servendosi dei suoi metodi dialettici,
che i
pionieri
della via moderna daranno un nuovo
aspetto
all'ultimo
periodo
della Scolastica. In
questo
senso
bisogna
situate il dottore fran-
cescano
alla
congiuntura
delle due
epoche.55
54)
C. R. S.
HARRIS,
Duns Scotus,
Oxford 1927,
vol. I,
p.
94.
55)
F. VAN STEENBERGHEN-A. FoREsT-M. DE CANDILLAC,
Il movimento dottrinale... ciL,
p.
496.
Giovanni Duns Scoto 699
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700
LA SCUOLA AGOSTINIANA:
ENRICO DI GAND E EGIDIO ROMANO
Nella storia della Chiesa,
della
teologia,
della
spiritualit,
della filoso-
fia
e
della metafisica,
il secolo XIII dominatodai due nuovi Ordini reli-
giosi
fondati da S. Francesco e S. Domenico. Grazie ai
singolari
carismi
dei fondatori
degli
Ordini
Mendicanti,non
solo la vita della Chiesa e la
predicazione registrano
una
profonda
trasformazione, ma
anche il livel-
lo culturale della cristianit sale notevolmente. Ci avviene
soprattutto
con
l'ingresso
dei Francescani e
dei Domenicani nelle universit di Pa-
rigi,
Oxford,
Napoli, Bologna,
Padova. Non un caso
che tutte le
figure
pi prestigiose
della
teologia
e della filosofiadel secolo XIII
appartenga-
no
agli
Ordini di S. Francesco e S. Domenico.
La
possente
crescita dei nuovi Ordini mette in difficolt il clero seco-
lare e
i vari Ordini
religiosi
che si richiamavanoalla
regola
di S.
Agosti-
no,
ma non
li soffoca
completamente.
Anche nelle loro fileci sono
uomi-
ni di valore che danno un
significativoapporto
al rinnovamentodella fi-
losofia e
della
teologia.
Per
quanto
attiene la metafisica il contributo
pi
importante
viene da
Egidio
Romano e
Enrico di Gand.
Enrico di Gand
Fin
dagli
inizi del secolo XIII l'indirizzometafisico dominante era
stato
quello agostiniano,
il
quale
aveva avuto tra i suoi sostenitori oltre
ai
pensatori
dell'Ordine Francescano anche numerosi maestri del clero
secolare. Tra di essi il
pi
celebre fu
Enricopdi
Gand.
Questi
nasce a Gand intorno al 1217. E
gi
da alcuni anni canonico
della cattedrale di
Tournai,
quando,
nel 1276
gli
viene
assegnata
una
cat-
tedra di
teologia
a
Parigi,
che
ricopre
fino al 1293. Il suo
insegnamento

egualmente
distante sia dalle
posizioni
filosofiche
degli
averroisti sia da
quelle
dei tomisti. Ebbe un
ruolo
importante
nella elaborazione del "sil-
labo" con cui il Vescovo
Tempier
condann nel
1277,
oltre a un Conside-
revole numero
di tesi di
Sigieri
di
Brabante,
anche alcune
proposizioni
di S. Tommaso
d'Aquino. Appartenendo
al clero
secolare,
per
quanto
apprezzato
dai suoi
contemporanei
Enrico di Gand non riusc a
crearsi
una
propria
scuola e
anche
per questo
molti dei suoi scritti andarono
perduti.
La scuola
agostiniana
701
Le
opere pi significative
di Enrico che ci
sono
pervenute
sono
la
Summa
quaestionum
ordinariarum
e le XV
Quaestioncs quodlibetales.
Tra
gli
inediti
figurano: Syncategorematumliber, Quaestones
in libros
metaphysicae,
Commentariumin libros
physicortzm.
Enrico di Gand ebbe
una rilevante
partecipazione
alla
dispute
del
suo
tempo.
Ma
come
pensatore
non facilmenteclassificabile:
per
una
certa sua assimilazionedel
pensiero
di Avicennae
per
una sua adesione
sostanziale alle linee
speculative
di
Agostino
si
potrebbe
definire la sua
filosofia
come una
specie
di
agostinismo
avicennizzante.
Uagostinismo
viene immediatamentealla luce nella
sua dottrina della
conoscenza. Anche Enrico
ritiene, come
Agostino,
che soltanto
con la teo-
ria della illuminazionesia
possibilespiegare
la conoscenza della verit
da
parte
dell'uomo. Ma l'illuminazione vista da Enrico
pi
come un
dono
speciale
che Dio concede soltanto ad alcuni uomini
come
quindi
un intervento ad modum actus

e non a tutti
(ad modum
habitus).
Secondo
Enrico l'uomo
con
i suoi mezzi naturali
pu
conoscere le
cose,
che
sono
vere,
ma
questo
non vuol dire ancora conoscere la verit: altro cono-
scere ci che vero nella
creatura, e altro
conoscere
la
sua verit: cos
come diversa la
conoscenza con cui si
conosce
la
cosa,
da
quella
con cui
si
conosce la sua verit! La veritas delle
cose la loro conformit all'idea
divina sulla
quale
sono modellate: non si
pu quindi
conoscere la verit
delle
cose senza
che
Dio,
in cui sono
gli esemplari
delle
cose,
ci illumini.
L'avicennismodi Enrico
emerge specialmente
in
metafisica,
soprat-
tutto nei concetti di essere e di necessario:
questi
sono
per
Enrico
come
per
Avicennai due concetti fondamentali della
metafisica,
la
quale
ha
come
oggetto proprio
lo studio dell'essere in
quanto
tale, ma l'essere
viene immediatamente
collegato
a ci che
necessario, e
questo pu
essere tale in due
modi, o in se stesso o nella
sua causa. Il
primo
sussi-
stente in se stesso,
il secondo creato.
Questa
divisione domina tutta la
speculazione
metafisica di Enrico.
Dellesistenza di Dio si
possono
certamente dare
prove cosmologiche,
ma a suo avviso
ancora
pi
solida la
prova
a
priori. Questa
prova
trat-
ta immediatamentedal concetto di
essere,
inteso come
puro
essere iden-
tico a se stesso,
nel
quale
l'essenza si identifica
con l'esistenza. In tal
modo, formandosi il concetto di
essere,
l'uomo si forma
implicitamente
il concetto di Dio:
poich
se l'uomo si
rivolge
all'ente
e lo
concepisce
come in
se sussistente,
comprender
distintamente Dio
(quod
si adversat
homo et
concipiat
ens ut in
se subsistens, Deum distincte
intelliget).
Sulla
questione
della distinzione tra essenza ed esistenza Enrico di
Gand
prende posizione
sia contro Tommaso che contro
Egidio
Romano
(per
il
quale
vedi
a
pp.
704-705),
affermandoche tra i due concetti non si
d
nessuna distinzione
reale, ma
semplicemente
intenzionale": l'esi-
l) Sumnta
quaestionum
0rd.
l, 2, 13.
702 Parte seconda
stenza non
aggiunge
all'essenza se non
il
respectus
(riferimento) a Dio
come creatore. L'esistente non nient'altro che lo stesso ente
possibile
realizzato dalla sua causa.
Anche
qui traspare
l'influssodi
Avicenna,
il
quale gi
caricava i
possibili
(le essenze)
di tale realt da rendere del
tutto accidentale
l'aggiunta
dell'esistenza.
Dio
possiede
le idee di tutte le cose ancor
prima
di crearle e non solo
di
quelle
a cui dar l'esistenza ma
anche di
quelle
che non saranno
mai
create. Le idee sono
per
intese in modo differente, a
seconda che siano
considerate dal
punto
di vista filosofico
oppure
teologico.
Nel
primo
caso,
le idee sono
le essenze
delle cose nella mente divina;
nel secondo
caso sono
le relazioni di imitabilitdell'essenza divina da
parte
di tutto
ci che
pu
essere creato. Enrico
distingue
tra ci che
oggetto primario
della conoscenza divina,
che la divina
essenza,
e
l'oggetto
secondario
(objectunz
secundarium),
che e tutto ci che distinto da Dio. La
conoscen-
za
dell'oggetto
secondario, tuttavia,
pu
avvenire in due modi: a) secon-
do il modo di trovarsi della creatura
in Dio
(id
quod ipsa
est in dea); b)
secondo il modo di essere
della creatura fuori da Dio
(cognoscendo
de
ipsa
id
quod ipsa
habet esse in
seipsa
aliud a Deo).
In
quanto
conosciute da Dio
nella condizionedi idee le
cose
hanno in Lui un esse diminutum,
in
quan-
to esistono soltanto in esse
cognito: posseggono
infatti l'essere di un'essen-
za
che
pu
essere tramutato nell'essere di un esistente reale che il modo
di essere
pi perfetto.2
Il
passaggio
delle cose
dalla condizione di
pure
idee, e
quindi
di essenze
possibili,
alla condizionedi esistenti reali, e
quindi
di essenze attuali,
secondo Enrico
opera
della volont di
Dio,
1a
quale
acconsente liberamentealla creazione di determinati
possibili
mediante la
potenza
divina. Il fatto che Dio
scelga
liberamentetra un'in-
finit di
possibili
non
modifica il contenuto delle loro essenze:
cambia
soltanto la loro condizioneche
passa
da
quella
di mere essenze a
quella
di essenze
realmente esistenti, e
questo
l'effetto
proprio
della creazione.
Nellantropologia
Enrico
segue
la tesi della scuola
francescano-ago-
stiniana la
quale
afferma una
pluralit
di forme nell'uomo: c' anzitutto
una
forma corporeitatis per
il
corpo,
e
poi
c' una
forma
speciale per
l'ani-
ma
intellettiva o
spirituale.
Il motivo di
questa
distinzione che l'anima
intellettiva,
la
quale
viene creata direttamente da
Dio,
nel momento in
cui viene infusa nel
corpo
non
interferisce con
la forma naturale che
gi presente
nell'embrione. Tuttavia,
precisa
Enrico,
la creazione dell'a-
nima intellettiva avvienenel momento stesso in cui
agisce
la forma cor-
porea
sulla materia dell'embrione.
Questo
sta a
significare
che l'uomo
non n interamente creato n interamente
generato:
la
generazione
riguarda
il
corpo
con
la sua
forma e
la creazione
riguarda
l'anima con
la
sua
forma} Per
quanto
concerne
la
questione
dei
rapporti
tra volont e
3)
Cf.
Quodl. IX,
q.
2.
3) Cf. ibid, IV,
q.
13.
La scuola
agostinana 703
intelletto, Enrico si attesta sulla
posizione
volontaristica
tipica
dell'indi-
rizzo
agostiniano: egli
sostiene
l'indipendenza
della volont dallintel
letto
e la
sua
superiorit
nella Vita
psichica.
A
sostegno
di
questa posi-
zione Enrico d Gand adduce tutta una serie di
argomenti,
su cui ritor-
ner
qualche anno
dopo
Duns Scoto: la Volont
superiore
all'intelletto
in virt del
proprio habitus,
del
proprio
atto e del
proprio oggetto.
Infatti
Yhabitus
proprio
della volont la
carit,
che
superiore
all'abito del-
l'intelletto, cio la
sapienza.
Anche l'atto della volont e
superiore
a
quello
dell'intelletto: infatti la volont che
muove l'intelletto, avendo
essa il
potere
di
muovere tutte le facolt dell'anima:
zirziversalis et
primus
motus in toto
regno
aniznac. Infine la Volont
Va verso
l'oggetto qual
in
se
stesso, mentre l'intelletto riceve
l'oggetto
secondo il
proprio
modo
imperfetto
di
conoscere. E c' di
pi: l'oggetto
della volont il bene
universale mentre
l'oggetto
dell'intelletto il benesoltanto sotto
l'aspet-
to di vero/l A chi obbietta che e la
ragiono
a
guidare
la
volont, Enrico
replica
che ci
sono due modi di
guidare (dirigere):
o
per
autorit:
come
il
padrone guida
il
servo:
questo
modo di
guidare

superiore;
come la
volont
dirige
l'intelletto.
Oppure
in modo
servile, come
il
servo
guida
il
padrone, portando
innanzi la lanterna di notte
perch
il
padrone
non
cada: tale modo di
guidare

inferiore; e cos l'intelletto
guida
la volont
(ve! auctoritate,
sicut dominus
servwn: illeest
superior;
sicut voluntas
dirigit
irztellectum. Vel
ministerialiter,
sicuf
serws dominum,
praeferendo
lucernam
de nocte ne dominus
ofiendat:
tale
dirigerzs
est
inferius;
et sic intellectus
dirigit
v0luntatem)>>.5 Certo anche l'intelletto
pu guidare
la
volont, ma lo fa in
modo servile
(ministerialiler),come
quando
il
servo
guida
il
padrone
portando
la candela.
Assegnando
il
primato
assoluto alla volont Enrico
intende allo stesso
tempo
difendere anche
l'appartenenza
esclusiva
della dote della libert alla volont: la libert secondo la definizione di
Enrico di Gand
non un'attivit
dell'intelletto, una libertas
judicii,
ma
della volont: est libertas
eligendi
arbitratum.
Propriamente parlando,
la
libert
non esiste che nella
volont,
e
quando
la
ragione
rimane incerta
e
indeterminata,
questo
dovuto
ancora alla volont. La volont
pu
es-
sere inclinata dalla
ragione
verso
questo
o
quell'oggetto
dal
giudizio,
ma
questo giudizionon che un'occasione
per
la
sua scelta: la vera cau-
sa della scelta la stessa volont:
flectitur
ooluntas
per seipsamf-
Con
que-
sto evidentemente Enrico
non intende eliminare il
concorso divino: Dio
il
movente
primo d'ogni
cosa e
quindi
anche della volont: la
sua
mozione talmente necessaria che
senza il
suo influsso
e
il
suo indiriz-
zo, nessun
agente pu
esercitare la
propria
azionei
4) Cf.
una, 1,
q.
14.
5) Ibid.
6) Cf.
ibid,
q.
16.
7) Ctibid.
704 Parte seconda
Egidio
Romano
Egidio
Romano,
detto Doctor Pundamerztalissimus,
nacque
a Roma,
probabilmente
dalla
famiglia
dei Colonna. In
passato
si accettava come
data di nascita il
1247; oggi
si tende ad
anticiparla
al
1243,
tenendo con-
to dell'et richiesta
per
conseguire
i
gradi
universitari. Era
gi
istruito in
grammaticalibzis
et
logicalibus quando
entro nell'ordine dei Frati eremita-
ni di S.
Agostino,
forse nel convento romano
di S. Maria del
Popolo.
Terminatoil noviziatoa
Parigi
fece
prima gli
studi filosofici (conclusi
col
magister
artium nel 1266) e
quindi quelli teologici, per
i
quali
ebbe
l'op-
portunit
di assistere anche alle lezioni di S. Tommaso
d'Aquino
duran-
te il suo
secondo triennio di
insegnamento
a
Parigi
(1269-1272).
Fu a
fianco
dellAquinate
nell'asprabattaglia
contro
gli
averroisti e contro
gli
agostinisti.
Nel 1277 fu coinvolto nella condanna di alcune tesi dell'ari-
stotelismo tomista, e
questo gli imped
di
conseguire,
anche se
solo
per
breve
tempo,
il dottorato in
teologia.
Subito
dopo
la condannafece ritor-
no
in
Italia,
dove il suo
Ordine lo dichiar suo maestro ufficiale. Nomi-
nato vescovo
di
Bourges
nel 1295
partecip
nel 1299 al Conciliodei ve-
scovi francesi indetto da BonifacioVIII contro
Filippo
il Bello. Nel 1311
partecip
al Conciliodi Vienne in Francia. Mor nel 1316 mentre si tro-
vava
alla corte
pontificia
in
Avignone.
Egidio
Romano ha scritto moltissimo sia in
campo
filosoficoche teo-
logico, prendendo posizioni
molto nette e
ferme su tutte le
questioni
filosofiche, teologiche
e
politiche
dibattute ai suoi
tempi.
a)
Scritti
filosofici
di
maggior
interesse: i Commenti alle
seguenti opere
di Aristotele: Primi e
Secondi Analitici, Fisica,
Metafisica,
Politica, Retorica,
L'Anima;
i trattati: De ente et essentia,
De erroribus
philosophorum,
De uni-
versalibus,
De materia coeli contra averroistas,
De
plurificatione
intellectus
possibilis,
De
regimine principum.
b)
Scritti
teologici pi importanti:
Commento alle Sentenze di Pier Lom-
bardo
(ll. I-III), e
i
seguenti
trattati: De distinctione articulorum
fidei;
De
praedestnatione, praescientia, paradiso
et
inferno;
De
peccato
originali;
De subiecto
theologiae;
De ecclesiastica
potestate
sive de summi
pontzficis pote-
state.
La
posizione speculativa
di
Egidio
Romano
complessa:
vicina in
pi punti
a
quella
di S. Tommaso, se ne discosta sovente a motivo di
alcune diverse influenze
(agostiniane, neoplatoniche,
arabe),
conferendo
cos uno
svolgimento originale
al suo
pensiero
tanto da dar vita a una
propria
scuola. Cos,
per
es.,
in
polemica
con
Enrico di Gand,
afferma
con
S. Tommaso la distinzione reale tra essenza
ed
esistenza,
che
per,
diversamente
dallAquinate,
il
quale
non
vede in esse
due sostanze ma
due
comprincipi
metafisici dello stesso ente, Egidio interpreta
come
due
res (cose),
dotate ciascuna di una
propria
entit. In
psicologia Egidio
Romano attribuisce allintelletto
agente
non una
capacit
astrattiva ma
una
capacit
di illuminazionedelle
immagini
dalle
quali procede
il con-
La scuola
agostiniana
705
cetto astratto. Altre
tesi,
che
pure
sono di matrice
tomistica,
in
Egidio
Romano
Vengono
a
subire
una
forzatura
e un
irrigidimento
che in
S. Tommaso sono assenti. Cos
per
es.
la tesi della dimostrabilitdella
creazione del
mondo,
quella
della unicit della forma sostanziale e del
primato
dell'intelletto.
Quanto
alla
prima,
a suo avviso,

pienamente
valida la dimostrazione razionale della creazione del mondo.
Egli rag-
giunse questo
convincimento
dopo
che in
un
primo tempo
aveva condi-
viso la
posizione
di S. Tommaso il
quale,
come
sappiamo,
riteneva
plau-
sibilela tesi dell'eternit del mondo.
Anche nel
problema
della unicit della forma sostanziale si
registra
un'evoluzione nel
pensiero
di
Egidio. Negli
Errores
plzilosophorumegli
ammette la
pluralit
delle forme in taluni enti
composti;
nei Theoremata
de
corpo-re
Christi afferma che l'unicit della forma nell'uomo valete
pro-
babilis;
infine nel Contra
gradus
nega
la
pluralit
delle forme in tutti i
composti compreso
l'uomo. In
quest'opera Egidio
contesta ai sostenitori
della
pluralit
delle forme il
pericolo
che
essa
possa portare
ad ammet-
tere la tesi
averroistica,
ben
pi pericolosa per
la
teologia,
dellunicit
dell'intelletto:
se, infatti,
l'anima non si
congiunge
al
corpo
umano
per
se stessa, non si dovrebbe
neppure
ammettere la
sua
moltiplicazione
e
cos sarebbenumericamenteuna
in tutti.
A
margine
della
composizione
di materia e forma,
prevista
solo
per
i
corpi, Egidio
identificail
principio
di
individuazione,
nell'ambitodi
una
stessa
specie,
con la materia
signata quantitate
che considera
gi,
in
quan-
to estensione, una sorta di
principio ontologico rispetto
all'individuo.
Essendo stata criticata anche
questa
dottrina,
in
seguito Egidio
tenta di
correggerla
affermando che
non
la
quantit
il
principio
di individua-
zione ma
il modus
quantitativus
della
materia,
ossia
qualcosa
di non acci-
dentalefi
3) Cf. S.
DONATI,
La dottrina delle dimensioni indeterminate in
Egidio
Romano,
in Medioevo16 (1988),
pp.
149-233.
706 Parte seconda
Suggerimenti bibliografici
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Edizioni: Summa
quaestionum
ordinariarum,
2 VOIL, New York 1953.
Studi: E.
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Il
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Milano
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P. GLORIEUX,
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sicles,
Louvain 1942-1949,
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Thought of Henry of
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La critica di Duns Scoto
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EGDlo ROMANO
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Studi: S.
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Gilies de Rame et son
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potesiate;
Paris 1930;
G. BRUNI,
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opere
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Firenze
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A.
TRAP,
Il concorso divino nel
pensiero
di
Egidio
Romano,
Tolentino 1942.
LA CRISI DELLA CIVILT
MEDIOEVALE
E ILTRAMONTODELLA METAFISICACRISTIANA
NEL XIV SECOLO
Al secolo d'oro della metafisica cristiana il Duecento -
non
segue
im-
mediatamentela crisi della
stessa; ma nel secolo successivo - il Trecento -
sono
gi
chiari
quei segni
che indicano
come il destino della metafisica
cristiana,
espressione
massima della civilt
medioevale,
sia ormai avviato
al
suo declino. Durante il secolo XIV ha
luogo
un cambiamentoCulturale
epocale.
Lo si nota
ovunque:
in filosofia
come in
teologia,
in
politica
come in
religione,
in arte come in letteratura. Da una concezione forte-
mente sacrale di
ogni
struttura e attivit
umana ci si
sposta rapidamente
verso una concezione
pi
umanistica e naturalistica. Si sta concludendo
l'era delle cattedrali
gotiche e
delle Somme
teologiche,
e si
apre
l'era dei
palazzi
delle citt e delle
opere monografiche
di carattere scientifico
e
fi-
losofico. Nel
nuovo clima socio-culturale
e
religioso
sorgono
nuove esi-
genze
e si
maturano nuove idee,
che annunciano
tempi
diversi e causano
il
rapido
tramonto di tutto il
grande
assetto della
respublica
christiana e
della
sua civilt. Ormai si
va
rapidamente
verso la fine del
medioevo,
verso la decadenza della Scolastica
e l'esaurimentodella
speculazione
metafisica. Pi che nella metafisica l'uomo del secolo XIV
ripone
la
pro-
pria
fiducia nella
logica
e nella scienza
e,
al
limite, nella mistica.
Le
cause del declino della Scolastica
Per
quanto
attiene la
produzione
filosofica
e
teologica,
il secolo XIV
non
povero
di
ingegni
e di idee. Non ha,
certo,
figure prestigiose
come
Bonaventura, Tommaso
e Scoto, ma
possiede figure
storicamente
impor-
tanti come Occam ed
Eckhart,
che
pongono
fine alla via
antiqua
e danno
inizioalla cosiddetta via moderna.
Molti
sono i fattori che hanno contribuito al declino della Scolastica.
Anzitutto il
fattore
culturale: l'abbandono della
metafisica,
praticamente
di
ogni metafisica, sia di
quella
cli
stampo
aristotelico sia di
quella
di
stampo platonico-agostiniano,a favore del nominalismo
(Occam)
oppu-
re del misticismo
(Eckhart). In entrambi i casi si
passa
dal realismo al-
lempirism0:
non
pi
un serio studio dellessere
e della
realt, ma un
mero
sperimentalismo
logico
(Occam) o mistico
(Eckhart). Viene
poi
il
708 Parte seconda
fattore religioso:
il declino del
papato,
che deve abbandonare la sede ro-
mana
per
trascorrere buona
parte
del Trecento ad
Avignone
e
che vede
le sue
prerogative
ulteriormente ridimensionatedal Concilio(conciliari-
smo)
quando, dopo
il rientro di
Gregorio
XI a Roma, esplode
il
grande
Scisma d'Occidente. C' inoltre il
fattore politico:
la debolezza
dell'impe-
ro,
che
era stato sin dai
tempi
di Carlo
Magno,
la struttura
politica
che
aveva
assicurato l'unit della.
respublica
Christiana. Nel secolo XIV
grandi
nazioni come
la Francia e
lInghilterra
e
potenti signorie
come Firenze,
Milanoe Veneziarivendicanola loro
indipendenza dallimpero
e
spesso
agiscono
contro
gli
interessi comuni della cristianit. Infine c' il
fattore
della secolarizzazionedella vita civile. La societ ormai non
pi disposta
a
seguire
fedelmente e
passivamente
le norme della fede cristiana. Essa
si
regola
secondo le
leggi
del
profitto
in
economia,
le
leggi
del
potere
in
politica,
le
leggi
della coscienza in morale,
rivendicandouna
completa
autonomia
rispetto
all'autoritecclesiasticafl
La crisi della
teologia
un momento
particolare
della crisi
generale
della cultura. Nella crisi della Scolastica si
specchia
fedelmente la
grave
crisi
religiosa
che investe tutta la civiltmedievale.
La natura della svolta che ha
luogo
nel mondo filosofico
e
teologico
del secolo XIV viene cos efficacementedescritta nella Storia della Chiesa
dello
Iedin:
In termini
generali
la si
pu
caratterizzare come
il dissolversi di
quell'universalismo
e obiettvismo,
che avevano avuto la loro
pi
grandiosa espressione
nelle Summe" dell'alta Scolastica. Le sintesi
filosofichee
teologiche vengono
ora
sostituite dall'esame critico dei
singoli problemi.
Fino ad allora si era
voluto ricondurre tutto al
gene-
rale,
di cui le
singole
cose sono una
parte;
adesso invece l'interesse
volto
pi
alla cosa
concreta.
Questa
infatti immediatamenteconosci-
bilee non
c'
bisogno
di
passare
attraverso il
generale.
Si
pone
l'ac-
cento sullndividuale, e il
soggetto
conoscente diventa molto
pi
di
prima oggetto
a se stesso. Si d la
preminenza
alla conoscenza
razio-
nale e nei confronti della tradizionee dell'autorit
magisteriale
si
afferma
pi
che
per
il
passato
il diritto alla critica. In tal modo la teo-
ria
gnoseologica
e la
logica
formale
acquistano maggior peso.
Le
grandi imprese
del secolo successivo saranno
proprio
nel
campo
della
logica.
Questo
riconoscimentonon
esclude di vedere in
questo
spostamento
dalla filosofia dell'essere alla
logica gi
un
inizialedis-
solversi del medioevo?
1) Cf. G. DE
LAGARDE,
Alle
origini
della
spirito
laico,
ll. Stato e societ nei secoli XIII
e XIV,
Brescia 1965.
2)
I-I.
JEDIN (ed.),
Storia della Chiesa V-2,
Milano 1975,
p.
65.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XI V secolo
709
L'esclusione della
metafisica,
la rottura dell'armonia tra fede
e
ragio-
ne,
il
Volontarismo, il nominalismofideista
e
positivista
sono i tratti
pi
salienti della
nuova
teologia
del secolo
XIV, e sono anche le
ragioni
della
decadenza
e della fine della Scolastica. La
nuova
teologia
non va ricor-
data soltanto
per
l'azione critica
con cui ha demolito il
grandioso
edifi-
cio costruito dai
magistri dell'epoca
d'oro della Scolastica
ma anche
per
lo sforzo di
aprirsi
nuove strade,
di
porsi
nuovi
problemi
e
di dare
nuove
risposte
alle istanze
spirituali
del
proprio tempo.
Da Eckhart
a
Ruysbroeck,
i mistici renani
e
fiamminghi
rappresentano
un vertice
spi-
rituale che
lega,
attraverso i
secoli,
S.
Gregorio
di Nissa
e S. Bernardo a
S. Teresa
e a S. Giovanni della Croce. Dal canto loro
gli umanisti, met-
tendosi
per
una via
aperta
da S.
Giustino, difendono
una concezione
dell'uomo in cui socratismo
e stoicismo si
presentano
come
preparazio-
ne e non come
negazione
del
Vangelo.3
Il
trapasso epocale
del secolo XIV
non avviene in modo
pacifico
e in-
dolore. Il
nuovo si
apre
la strada
faticosamente, combattendo
aspre
batta-
glie
contro l'antico: la via moderna si scontra continuamente
con
la via
antiqua.
A
pi riprese
il
papa
riafferma i suoi diritti sull'ordine
temporale
lanciando scomuniche
a re
(Filippo
il
Bello) e a
imperatori (Ludovico
il
Bavaro). Contro i nuovi
teologi

Occam,
Marsilio da
Padova, Eckhart,
Wycliff
-
vengono pronunciate
condanne
per
eresia. Da
parte
loro i
rap-
presentanti
della via nloderna contrattaccano
duramente, contestano e
rifiutanola via an
tiqua
a causa del
suo eccessivo razionalismo.
ljideatore della via moderna
Guglielmo
di Occam. Ma l'azione criti-
ca nei confronti della via
antiqua
era
gi
stata iniziatada due valenti teo-
logi:
il domenicano Durando di
san Porciano
e
il francescano Pietro
Aureolo. Ambedue si ribellano alle
grandi
autorit dottrinali dei loro
Ordini,
cio
a Tommaso
d'Aquino
e a Duns Scoto. Per
questo
motivo,
prima
di
occuparci
di
Occam,
che la
figura pi rappresentativa
della
rivoluzione
teologica
del secolo
XIV, esamineremobrevementeil
pensie-
ro
di
questi
due autori.
Durando di San Porciano
Durando
nacque
verso il 1270 a
Saint-Pourcain,
nella Francia centra-
le.
passato
alla
storia,
sin da
quando
era ancora in
vita,
col
nome di
"Dottore moderno"
(o
anche Doctor
resolutissimus).
Compi gli
studi teo-
logici
nell'universit di
Parigi,
dove divenne maestro di
teologia
nel
1312
e incorse subito nelle
censure dell'Ordine cui
apparteneva, quello
3) F. VAN STEENBERGEN-A. FOREST- M. DE
CANDILLAC,
Il movimento dottrinale...
cit.,
p.
460.
710 Pizrte seconda
domenicano,
per
le sue singolarit
dottrinali. Nonostante ci Clemen-
te V 10 nomin lettore del sacro
palazzo
ad
Avignone.
Restando
legato
alla tradizione
agostiniana
egli sviluppa
il suo
pensiero
in
opposizione
a
S. Tommaso.
Nel 1313 il
capitolo
di Metz condanna le dottrine
di Du-
rando contenute
in una
lista di 91
proposizioni.
Egli
si difende nelle
EJCCZISLIDHES,
che tuttavia non
migliorano
la sua
posizione
dinanzi al Ma-
gistero,
che condanna una
pi ampia
lista di sue
tesi antitomiste. Tutto
ci
peraltro
non
impedisce
a
Durando di essere
nominato vescovo
di
Meaux (1326);
interviene
poi
nella
polemica
sui limiti della
giustizia
regale
(1329) e
dissente da Giovanni XXII sulla visione delle anime san-
te
prima
del
giudizio
universale.
Durando muore
il 10 settembre 1334.
Tra le sue
opere
principali
segnaliamo:
Commento alle Sentenze;
Quaestiones disputatae;
Tractatus de habitibus; Quaestiones
de libero arbitrio;
Quaestiones quodlibetaies.
In tutta la
speculazione
filosofica e
teologica
di Durando
l'esigenza
dominante la ricerca di
un
modo di
pensiero
semplice
ed essenziale
che elimini
ogni
inutile
molteplicit
di concetti e
riduca a un
nucleo mi-
nimo le
categorie
della conoscenza.
Per
questo egli
sostiene che il senso
e
l'immaginazione
bastano a
fornire alla mente il contenuto di cui essa
ha
bisogno per
conoscere,
e
riduce
gli
universali a una
pura
nozione
logica
il cui fondamento sta nei caratteri comuni
propri
di
un certo
numero
di individui e
di
cose.
Per Durando, come
per
Duns Scoto,
esi
ste nelle cose una
"comunit di natura",
ed ad
essa
che si riferisce la
mente
quando pensa
alluniversale.
Analoga
la
posizione
assunta da Durando in
cosmologia
sulla
que-
stione della individuazione,
che
egli concepisce
come
dovuta non tanto
alla
materia, come avevano
insegnato
Aristotele e
Tommaso
d'Aquino,
quanto
a una
forma
speciale
come aveva sostenuto Scoto. Per
spiegare
il
continuo succedersi di forme accidentali in un
soggetto
che
passa
da un
grado
di
qualit
a un
diverso
grado
della stessa
qualit,
Durando intro-
duce la teoria della latitudo
formarum
(1occultamento
delle forme):
tali
forme si
svolgono
in sostanziale continuit, analogamente
a
quanto
si
verifica nei
processi
di incrementoe
d diminuzione
quantitativa.
La teoria
pi importante
e
pi originale
della metafisica di Durando
riguarda
il
predicamento
della relazione.
Egli distingue
la relazione reale
dalla relazione
logica:
la
prima
si d
quando
ci sono cose distinte, men-
tre la seconda
semplicemente
il risultato dell'analisi razionale. La rela-
zione reale,
sebbene non sia una cosa ma
soltanto un
modo di
essere,

tuttavia distinta effettivamente dalla realt individualedei suoi
soggetti
e non entra
neppure
nel
compositum
cui essa
riferita: relatio est alia res
a suo
fundamento
et tamen non
facit compositionern.
Cos si dir che in Dio
l'essenza e
le relazioni differiscono realmente in
qualche
modo. Con
questa
formula non
pare
che Durando sia caduto nel triteismo, come
sospettavano
i suoi avversari: Distinto dal Padre come
persona,
il Fi-
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
711
glio
non costituisce
pertanto
una
specie
di
sostanza
indipendente,
ag-
giunta
al
suo fondamento!
In
teologia numerose
posizioni
di Durando
erano suscettibili di criti-
ca e vari suoi confratelli lo
accusarono di eresia. Oltre che di triteismo
era
sospettato
di
pelagianesimo,
per
la
sua dottrina sul
peccato origina-
le. A
questo riguardo
Durando voleva
distinguere
nettamente
l'imputa-
zione della
colpa
di
Adamo,
che
applicata
a tutti i suoi
discendenti, e il
peccato stesso,
che
egli
considera unicamente
come atto
personale
di
volont
e che, come tale, non
pu
essere trasmesso. Il timore di "reifica-
re" l'azione causaledei sacramenti
spinse
Durando
verso lmoccasional-
sino",
che vede nel sacramento
una causa meramente occasionale
(e non
strumentale)
del conferimentodella
grazia.
Nonostante
l'opposizione
del suo ordine, Durando
godr larghissi-
ma stima nelle scuole
dei
sec. XIV
e XV
e Gerson raccomander il
suo
commento alle Sentenze. E
per
un fatto doloroso che
gli
storici abbiano
male
interpretato,
separandole
dal loro
contesto, talune formule
appa-
rentemente moderne" di
questo
tradizionalista che
preferisce
S.
Ago-
stino a S. Tommaso. Ma resta
sempre
molto indicativoil fatto che i con-
temporanei giudicassero
moderno" il
suo distaccoda S. Tommaso?
Pietro Aureolo
Aureolo il
nome italianizzatodi Auriol o Auriole. Pietro
nacque
verso il 1280 a Gourdon, in
Francia,
da
famiglia
nobile.Entr
ancora
gio-
vane nelIOrdine dei Frati minori.
Comp gli
studi
teologici
a
Parigi,
senza
conseguire
nessun titolo
accademico;
dopo
avere
insegnato
a
Bologna (1312) e a Tolosa
(1314) torn a
Parigi
per completare gli
studi,
col
conseguimento
del
magister theologiae
nel 1318. Alla fine del 1320
venne eletto
provincialedAquitania,
ma
dopo pochi
mesi Giovanni XXII
lo
nomin
vescovo di Aix il 14
giugno
1321. Mor all'iniziodel
1322,
pro-
babilmentead
Avignone.
Pietro
Aureolo,
soprannominato
Doctor
facundus,
lasci
una vasta
produzione letteraria, tra cui i
seguenti
trattati: Tractatus de
principiis,
Tractatusde
paupertate,
Tractatusde
conceptione
Beatae Marine
Virginis,
che
la
prima
opera teologica
sullImmacolataConcezione. La sua
opera
principale
lo
Scriptum
super
IV libros
Sententiarum,
che conobbe varie
edizioni.
4) Ibid,
p.
512.
5) lbid.,
pp.
312-313.
712 Parte seconda
Gli scritti di Aureolo si sono
prestati
alle
interpretazioni pi dispara-
te. Alcuni storici (K. Werner)
lo hanno
presentato
come un
severissimo
critico di S. Tommaso,
che avrebbe mutilatoe
deformato in
ossequio
ai
principi
del nominalismo.
Altri
(B. Haureau)
hanno visto in lui il
grande
avversario di Duns Scoto,
del
quale
critica
aspramente
sia la
gnoseolo-
gia
sia la metafisica. Altri ancora (M.
De Gandillac)
hanno accostato
Aureolo a Occam, a causa
della sua
abilitnel
maneggiare
il famoso
rasoio di Occam,
che limita al minimo il numero
delle entit. Ci che
risulta abbastanza chiaro,
anche dalla
disparit
delle valutazioni,
che
Aureolo un
pensatore
indipendente,
che conosce
assai bene sia i
gran-
di maestri che l'hanno da
poco
preceduto,
Tommasoe Scoto,
sia i
grandi
filosofi dell'antichit e
del medioevo,
Aristotele e Avicennain modo
particolare;
ma indubbiamente
pi
vicino alla via moderna che alla via
antica. Sant'Antonino
di Firenze,
nel XV secolo,
afferma che la sua
mano non
ha
risparmiato
nessun autore; egli
ha rimesso in discussione
tutto
quello
che era stato
affermato dai suoi
predecessori: perci
la mano
di tutti si levata contro
di lui. E
aggiunge,
non senza
malizia: Con
tutto ci,
divent arcivescovomfi
Giovanni XXII,
nella bolla di nomina
all'episcopato,
lodava la maturit del suo
giudizio.
D'altronde,
neppure
a
questo papa
dispiaceva
rimettere in discussione le idee
generalmente
accettate e
opporre
tra di loro i
sapienti
dottori:
per questo
non
poteva
serbare rancore
al
vigoroso
frate di
Linguadoca per
le sue
audaciedot-
trinali,
tutt'altro?
Secondo G. De
Lagarde
si deve evitare
di
collegare
Aureolo con
qual-
che scuola.
Egli attinge
a tutte le fonti
per
costruire il suo
universo.
Critica insieme
gli
antichi
e
i moderni.
Rimprovera
ai
primi gli
errori che
crede di
scoprire
nelle loro
opere,
ma non
segue
gli
altri nel
giudizio
sprezzante
che essi formulario contro
gli
antichi in nome
della "scienza
del
linguaggio"
e
della
logica".
Aureolo non
crede alle virt della
logi-
ca
terministica. Questo
strumento
nuovissimo che Scoto e
Occam ma-
gnificano
a
ogni
occasione,
gli ispira
un'estrema diffidenza. Meccanica
sapiente
che ci
separa
dal reale: essa
ci
spinge
a
prendere
le nostre fanta-
sie
per
la verit e ci allontana dal buon senso (...).
In
qualsiasi
materia,
l'opinione
moderata ha delle buone
probabilit
di essere
la
miglioremfi
Nella dottrina della conoscenza
Aureolo
respinge
la tesi
agostiniana
della illuminazione.Le rationes aeternaeo
regulae
incommutabilesdelle
quali parla
S.
Agostino
sono
le
proposizioni
necessarie che si formano
su
concetti
oggettivi
(cio su ci che i concetti
rappresentano
e non
sui
concetti intesi come atti della mente); ora,
i concetti ce
li formiamo dal-
6) S. ANTONINO,
Chronica III, 8,
2.
7) G. D5 LAGARDE,
0p.
cit,
p.
348.
3) Ibiti,
pp.
348-349.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
713
l'esperienza. Analogamente
Aureolo
respinge
la teoria ultrarealistica dei
platonici
per quanto
concerne
il valore dei concetti universali: Platone
ha
posto
nelle
cose 10 stesso ordine che noi
poniamo
nella
mente, e cos
non
ha
potuto
evitare di
porre
un mondo di Idee sussistenti in
se stesse.
Ma
questa ipotesi,
osserva Aureolo,
del tutto arbitrariae
ingiustificata,
perch
le idee
sono frutto dell'azioneuniversalizzatricedella
mente,
che
le ricava
dall'esperienza.
Perci se mi chiedi in che
cosa consiste l'unit
specifica dell'umanit, ti
rispondo
che consiste nella umanit e non nella
animalit, ma nella umanit
come
pensata.
E in
questo
sta il valore
oggettivo
del concetto di umanit. Ma
questa
unit esiste in
potenza
e
incoativamentenella realt
estramentale,
per
il fatto che
questa pu
cau-
sare nellintelletto
un'impressione perfetta
simile alla
impressione
cau-
sata da
qualsiasi
altra cosa.9 La soluzione che lAureolo
propone per
il
problema degli
universali non
ultrarealistica, n
nominalistica,
n
con-
cettualistica, ma moderatamente realistica. Per lui i concetti hanno valo-
re
oggettivo,
sono "concetti
oggettivi",
fondati nella natura delle
cose,
anche
se nelle cose Puniversale
non si trova formalmente
ma soltanto
potenzialmente.
Riferita ad
Aristotele,
di cui mette in luce una delle
possibili interpretazioni, Vepistemologia
di Aureolo si
distingue
dalle
variet tomistica e scotistica
per quello
che talvolta viene chiamato il
"realismo
moderato",
in
quanto
rifiuta
quelle "immaginazioni"equivo-
che
o,
come dice
l'autore,
quelle
"soluzioni ultrafantastiche" che
per
lui
costituiscono sia delle
specie" concepite
come similitudini delle
"forme" sia delle formalit" reali
e irreali insiememw
In
antropologia
Aureolo difende l'unione sostanziale tra anima e
corpo,
ma
nega
che l'anima sia forma del
corpo
secondo
quella
relazio-
ne
di
dipendenza
per
cui nelle altre sostanze
composte
la forma unita
alla materia. Nello stesso
tempo, per,
afferma che
impossibile
provare
razionalmentel'immortalit
dell'anima, condividendo cos la
posizione
dell'aristotelism0 averroistico. Secondo Aureolo tutti
gli argomenti
che
sono stati addotti
per provare
razionalmente l'immortalit dell'anima
sono inconcludenti.
Riguardo
all'esistenza di Dio Aureolo afferma che
essa
per
se nota e
conosciuta da tutti
gli
uomini naturalmente
grazie
alla tendenza insita
nell'animo
umano verso ci che
migliore.
Ma
non si
pu
dedurre,
come
pretendeva
Anselmo,
l'esistenza di Dio dall'idea che
ne abbiamo,
perch
non evidente che i concetti di
necesse esse o di
quo
maius
cogitari
nequit
siano accessibili
all'intelligenza
umana.
9) 11 Scnt.
9, 2, 3.
10)
F. VAN STEENBERGHEN-A. FOREST-M. DE
GANDILLAC, Il movimento dottrinale...
cit.,
p.515.
11) Cf. H Sent.
19,
1.
714 Parte seconda
Speciale
attenzione riserva l'Aureolo alla
questione
della
prescienza
divina
degli
atti liberi.
Questi sono certamente conosciuti da
Dio, ma
Aureolo
nega
che si
possa
parlare propriamente
di
pre-scienza, perch
il
pre
ha
una connotazione
temporale
che inconciliabilecon
la realt eter-
-na
di Dio.
<< assai arduo trovare il modo
giusto
di
esprimere
la cono-
scenza
che Dio ha del futuro (...).
Nessuna
proposizione
che contiene un
riferimento al futuro
esprime propriamente
la
prescienza
divina;
anzi
strettamente
parlando,
una
proposizione
di
questo genere
falsa
(...).
Ma
possiamo
dire che
un evento
contingente
(libero) era
noto a Dio dal-
leternit mediante una conoscenza
che
non era n lontana dall'evento
n lo
precedeva,
sebbene la nostra mente sia
incapace
di afferrare che
cosa sia tale conoscenza
in se stessan.
Valutando
globalmente
il
pensiero
di Pietro Aureolo,
M. De Gandil-
lac formula i1
seguente giudizio:
Aureolo si
collega
(...) a
quella
forma
di arstotelismo cristiano che era
quella
stessa di S. Tommaso e
che non
implicava
nessuna concessione alle evidenti
empiet
del1averroism0
latino.3
Guglielmo
di Occam (Ockham)
Nel mondo filosoficoe
teologico
del secolo XIV
quella
di
Guglielmo
di Occam certamente
la
figura
dominante.
Guglielmo
colui che
espri-
me
meglio
di
ogni
altro la
grave
crisi culturale che attraversa la cristia-
nit nel momento in cui essa
volta le
spalle
alla Civitas medioevalis
per
imboccare la strada dellumanesimoe
del rinascimento. Occam il Venc-
rabils
Inceptor,
Ynziatoree
l'artefice della "sia moderna.
Questa
Consiste
essenzialmente nel rifiutodi tutti i
grandi pilastri
su cui si
reggeva
la via
antiqua.
Occam rifiuta la metafisica in nome
della
logica;
si
oppone
al
realismo in nome
dei criticismoe
del nominalismo;
spezza
la tradiziona-
le armonia tra fede e
ragione
e accentua
allo stesso
tempo
sia il fideismo
sia il razionalismo;
infineal
primato
dell'intelletto
contrappone
il
prima-
to della volont
e
della libert.
L'arma di Occam contro
gli
abusi della
ragione
non la fede, come
in
Bonaventura e Scoto, ma
la
ragione,
la
quale,
nella decostruzione dei
grandi
sistemi metafisici e
teologici
non si mostra meno
abiledi
quanto
lo fosse stata nella loro costruzione. Francescano come
Bonaventura e
Scoto,
Occam di fatto
privo
di
quelYafflato
mistico che caratterizza le
opere
del Doctor
Seraficus
e del Doctor Si-sbtilis.
l?)
ISent. 39,
3.
13)
F. VAN STEENBERcHEN-A. FoREsT-M. DE GANDILLAC,
Il nrovinzento dottrinale... cit.,
p.
519.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo 715
Il
grande
successo che incontrer la scuola di
Occam,
che
per
un
paio
di secoli sar
quella pi seguita,
lo si deve al fatto che le
posizioni
del
suo fondatore
sono
quelle
che
rispecchiano
fedelmente la crisi
epocale
che
era in atto sin dai
primi
decenni del secolo XIV: tutto l'ordine
politi-
co, religioso,
culturale
e
ideologico
della civilt medievaleveniva conte-
stato,
mentre si invocava una riforma e una trasformazionesostanziale
della Chiesa
e dello
Stato,
della cultura
e della
societ, e
di
conseguenza
della filosofia
e della
teologia.
Pi che
per
l'edificazionedel
nuovo che avverr soltanto nei due
secoli
successivi,
l'apporto
di
Guglielmo
di Occam fondamentale
per
la decostruzione dell'antico.
Egli
demol
un'opera
che
aveva
perduto
la
consistenza dei suoi
principi
fondamentali, ma non ebbe la mentalit
adatta
per
costruire un sistema e metterlo al
posto
di ci che
aveva di-
strutto. La critica lo
porto
unicamente verso la
negazione:
in
gnoseolo-
gia
verso il nominalismo
e in metafisica
verso
Yagnosticismo.Bisognava
certamente confutare
e criticare il realismo
esagerato
scotistico; ma era
necessario trovare una dottrina che
non
portasse
allo scetticismo. Invece
Occam col
suo nominalismo,
che
nega
il valore
oggettivo
della scienza
e
della
conoscenza,
col
suo
soggettivismo
e
conseguente agnosticismo,
che
sopprime
le basi razionali della
fede, non solo non torn verso
S.
Tommaso, ma si allontan
sempre pi
dalle tesi
generiche
della filoso-
fia cristiana
(...) e influsulla formazionedi
quella
filosofia
moderna,
che
si
svilupp
in contrasto col cristianesimo>>fl4
Interpretazioni pi
recenti del
pensiero
di Occam -
specialmente
di
Filoteo Bohner
e dei suoi
discepoli
- hanno
messo in luce alcuni suoi
importanti legami
con la Tradizione.Ma
questo
non
pu giustificare
la
pretesa
di fare di Occam
uno scolastico, un continuatore di S. Tommaso
e di Scoto.
Ritengo
che abbia
ragione
De
Lagarde quando
scrive che
errata sia la tesi di chi vede in Occam
un
precursore
di Lutero sia la tesi
di chi lo considera un continuatore
degli
scolastici del secolo Xlll:
Que-
ste due
posizioni
ci sembrano
ugualmente sbagliate. Occam, chiaro
sino alla
evidenza,
rifiuta i
principi
della filosofia
scolastica, ai
quali
da
parte
di alcuni si tenta di
piegare
la
sua dottrina. Ma
egli ignora
anche la
filosofiamoderna
e la
Riforma, a cui altri
cercano
di vincolarlo. Occam
non uno scolastico
ligio
alla tradizione.
Egli, per,
non nemmeno un
protestante
"avant la lettre>>.16
14) C.
GIACON, Ocfflm, Brescia
1943,
p.
120.
'5) Cf. PH.
BIINER, CDHECBL Articles un Ockham,
Louvain-Paderborn
1958; M. C.
MENGES,
The
Concept of Univocity regardiizg
the Predication
of
God ami Crcatures
according
to W.
Ockham, New York
1952;
D.
WEBERING,
Theory of
demonstratio
accurding
to Ockham,
New York 1953.
15) G. DE
LAGARDE,
La naissance de
l'esprit laique
au declin da
moyen zge,
vol.
V,
Guillazimed
Ocklzam,
critiquc
des structures ecclsiales, Louvain-Paris
1963,
p.
268.
716 Parte seconda
Anche il tanto
deprecato
nominalismodi
Occam,
probabilmente
non
va inteso in senso cos drasticamenteantirealistico come
si fatto in
pas-
sato. A
giudizio
di H. Oberman,
<<l'opinione
corrente
secondo cui il no-
minalismo della fine del medioevo
rappresenta
un
divorzio tra fede e
ragione,
nei confronti di tale
rapporto
deve essere
precisato
e
riformula-
to in termini
pi prudentim"
VITA
Guglielmo
nasce
ad Occam (Ockham), villaggio
del
Surrey,
a
sud-est
di Londra. Inizia
gli
studi nel convento
francescano di Occam verso
il
1307. Dai rari accenni
autobiografici
che si incontrano nelle sue
opere,
apprendiamo
che nella sua
giovinezza
si dedic con
impegno
allo stu-
dio della
logica
e
che vi si
appassion
moltissimo,
convinto com'era che
la mancanza
di una
solida formazione
logica espone sempre
al
pericolo
di imbattersi in difficolt
insuperabili.
Non si sa
quali
siano stati i suoi
maestri
negli
studi.
L'opinione
accreditata da molti
storici,
secondo la
quale
Occam avrebbe studiato al Merton
College
e
sarebbe stato disce-
polo
di Duns
Scoto, non
ha alcun fondamento.
Diventate BaccalaureatusSententiarum nel 1318,
Occam rimaneal-
la universit di Oxford anche
negli
anni immediatamentesuccessivi,
fi-
no
al
conseguimento
del
Magister
in
sacra
pagina
nel 1324. In
quello
stesso anno
viene convocato dal
papa
ad
Avignone, per
difendersi dalle
accuse
di
insegnare
dottrine
pericolose.
In
effetti,
la commissione incari-
cata da Giovanni XXII di
vagliare
le dottrine contenute nel "Commento"
di Occam alle Sentenze di Pier Lombardo,
al termine di un
lavoro che si
era
protratto per
tre anni,
elabora un
documento nel
quale
sono
esplici-
tamente riconosciuti come
eretici sette articoli estratti
dagli
scritti ockha-
misti,
37 sono
dichiarati falsi e
quattro
temerari o
almeno
ambigui.
Intanto,
ad
Avignone,
era
giunto
anche il Generale dell'Ordine France-
scano,
Michele da
Cesena,
accusato a sua
volta di eresia
per
le sue
dot-
trine sulla
povert.
Occam
prende apertamente posizione
a
favore del
suo
superiore,
e
i
due,
il 26
maggio
1328,
insieme a un
gruppo
di altri
frati
ribelli,
decidono di
fuggire
da
Avignone,
dove si sentivano
poco
sicuri,
per
riparare
in Italia e mettersi sotto la
protezione dell'imperatore
Ludovicoil Bavaro.
L'incontro tra i francescani ribelli e
l'imperatore
avviene a Pisa alla
fine di settembre 1328. I frati inducono
l'imperatore
a
dichiarare deca-
duto Giovanni XXII,
tacciandolodi
eresia, ma
vengono
a
loro volta SCO-
municati.
Quando
Ludovico il
Bavaro,
nel
1330,
costretto a
lasciare
17) li. BERMAN,
The Harvest
of
Medieval
Theology, Cambridge
1963.
18) Cf. L. BAUDRY,
Guillaunzedfickham, sa arie, ses oeuvres, ses
ides sociales et
politiques,
Paris 1950.
La crisi della
nzetafisica
cristiana nel XIVsecolo 717
l'Italia
e a
riparare
in
Germania, essi lo
seguono
stabilendosinel
conven-
to francescano di Monaco di
Baviera,
roccaforte del
partito imperiale.
da
quest'ultimo
baluardo che
Ockham,
per
circa
vent'anni,
condusse
una lotta senza esclusione di
colpi
contro i
pontefici
Giovanni
XXIX,
Be-
nedetto XII e Clemente
VI,
scuotendo le coscienze con
i suoi trattati e
libelli,
fino alla fine della
sua vita
(A. GHISALBERTI).
OPERE
Non stato ancora criticamente fissato l'intero
patrimonio
letterario
di Occam. L'edizioneCritica
dell'Opera
Onmia curata dall'Istituto fran-
cescano dell'universit di Bonaventure
(New York),
che finora ha
pub-
blicato tre volumi contenenti il
Prologo
e alcune distinzioni del
primo
libro del Commento alle Sentenze.
Si soliti dividere
gli
scritti di Occam in due serie: la
prima
compren-
de le
opere
filosofiche
e
teologiche, composte prevalentemente
nel
primo periodo
della
sua vita;
la seconda abbraccia tutti
gli
scritti
pole-
mici
composti
dal 1328 in
poi,
a
sostegno
delle
proprie posizioni
contro
l'autorite il
potere
della Curia romana e
del
pontefice.
a)
Operefilosofiche
e
teologiche
l)
Expositio
in librum
Porphyrii"
de
praedicabilibus;2)
Expositio
super
librunz
primum Perihermeneias; 3)
Expositio
super Physicam Aristotelis;
4)
Philosophia
nataralis sive Summulae in libros
physicorum;
5) Ordinatio
Ockham sive
scriptum
in libram I
Sententiarum; 6)
Reportatio
Ockham sive
quaestiones
irz
II, III,
IV librum
Sententaram; 7)
Summa
logicae
sive summa
totius
logicae; 8) Quodlibeta
septem;
9)
De sacramentoaltaris; 10)
Tractatusde
praedestinatione
et de
praescientia
Dei et de
faturis contingentibus;
11) De re-
latione; 12)
Compendiumlogicae;
13) Elementarium
logicae.
b)
Opere polemico
-
politiche
1)
Opus nonaginta
dierum
(e
la
prima
opera polemica,
scritta in
novan-
ta
giorni,
da cui il
titolo, contro Giovanni XXII
e tratta il
problema
della
povert francescana); 2)
Epistola
ad
fratres
minores in
capitato apud
As-
sisium
congregatos;
3)
Dialogus, prima
pars
(vi
si discute
sulferesia, su a
chi
spetta
il
giudiziodell'ortodossia,
sulle
pene
da
infliggereagli
eretici);
4)
De
dogmatibus
papae
[ohannis XXII; 5)
Compendium
errorum
papae
Iohannis XXII; 6) Tractatus contra
Iohanrzeiri XXII; 7) Tractatus contra
Benedictum
XII; 8)
Allegationes
de
potestate imperiali;
9)
Breviloquium
de
potestate Papae,
10)
Tractatus de
jarisdictione imperatoris
in causis matri-
monialibus; 11)
De
imperatorum
et
ponfzficumpotestate.
718 Parte seconda
IL "RASOIO DI OCCAM"
Occam
opera
una
svolta decisiva nella Scolastica medievale,
metten-
done in discussione i
presupposti
fondamentali: l'armonia tra fede e
ragione,
e
la fiducia nel
potere
stesso della
ragione.
Pone
quindi
fine al-
l'ambizione
degli
Scolastici di elaborare una
grande
Somma
comprensiva
e
ordinata di tutto lo scibile
umano,
sia di
quello acquisito
sia di
quello
rivelato. C' una
frase che Occam ama
ripetere
nei suoi scritti e
che e
passata
alla storia col nome di "rasoio di Occam". La frase dice: PLJM-
tas non est
ponenda
sirze neccssitate (non bisognamoltiplicaregli
enti senza
necessit).
Essa
equivale
al
"principio
di economia,
il
quale prescrive
di
utilizzarenella
spiegazione
di una cosa o
di
un evento il minor numero
di
leggi possibili.
Avvalendosi di
questo
criterio in modo sistematico
Occam
opera
una
riduzione radicale di tutte le teorie metafisiche,
logi-
che,
cosmologiche
e
teologiche
costruite dai suoi
predecessori,
e
spazza
via tante famose distinzioni,
presentandole
come
inutili
doppioni:
la
distinzione tra essenza
ed
esistenza,
tra atto e
potenza,
tra natura e
sostanza,
tra
gli
attributi in Dio ecc.
Un caso
emblematico
dell'applica-
zione del "rasoio" la eliminazione di una
duplice
conoscenza
di
Dio,
una
naturale
e una
rivelata. Secondo Occam la
conoscenza
naturale non
giunge
sino a Dio, ma soltanto a un
principio primo
del mondo. L'idea
di Dio frutto della rivelazionedivina.
ROTTURADEI RAPPORTI TRA FEDE E RAGIONE
Il
primo passo
che conduce alla dissoluzionedella
respubliccz
christiana
e della metafisica cristiana e la
negazione
dell'esistenza di
un
rapporto
di armonia tra fede e
ragione.
Infatti,
l'imponente
edificio culturale e
metafisico costruito dalla societ cristiana del Medioevo muove
dal
pre-
supposto
che tra fede
e
ragione
non solo non esiste alcun
contrasto, ma,
al contrario,
regna
una
profonda corrispondenza,
in
quanto gratin
samzt
et
pcrficit
HLILITLIII.
Occam il
primo
teorico
importante
che
nega
l'esistenza di
qualsiasi
relazione tra fede e
ragione.
Una delle affermazioni ricorrenti nei suoi
scritti
questa:
le verit di fede non
possono
diventare
oggetto
di dimo-
strazione razionale. L'affermazionein se stessa non era
del tutto
nuova,
ma nuova fu
l'interpretazione
che Occam ne diede,
almeno
rispetto
alle
posizioni
di
quegli
Scolastici del secolo XIII che, come
S. Tommaso, ave-
vano
visto nei
praeanzbulafidei
il
punto emergente
dell'incontro tra fede e
ragione.
Anche
per
S. Tommaso un
articolo di fede non
pu
in
quanto
tale essere
oggetto
di dimostrazione: la
ragione
tuttavia
capace
di
gua-
dagnare
per
via dimostrativa alcune
verit,
quali
l'esistenza di
Dio,
la
sua unicit,
la
creazione,
la
provvidenza,
l'immortalit dell'anima;
verit
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo 719
queste
che
appartengono
anche all'orizzontedella
conoscenza
per
rive-
lazione.
su
questa premessa
che i
padri
e
gli
scolastici
avevano costrui-
to la metafisica cristiana. Occam si
oppone
a
questa
soluzione, afferman-
do la necessit di
una netta distinzionetra dato razionale
e
dato rivelato:
tra i due ambiti
non c' nessuna
base
comune,
dal momento che
non
pu
mai succedere chela verit
propria
di
un articolo di fede sia
passibi-
le di dimostrazione:
Articulusfidei
non
potest
evidenter
pr0bari>>J9
Le
ragioni
che hanno
spinto
Occam ad abbracciare
questa
drastica
posizione
nella
questione
dei
rapporti
tra fede
e
ragione
si devono ricer-
care,
come
suggerisce giustamente
A.
Ghisalberti, nel carattere radicale
della
sua
speculazione,
sempre pronta
a Valutare il
peso
delle
conse-
guenze
di
ogni
affermazione teorica. Se le
cose non stessero come
Occam
ritiene, se cio alcune Verit rivelate si
potessero attingere
razio-
nalmente,
la loro rivelazionesarebbe
perfettamente
inutile.
Ora, Dio non
rivela all'uomo delle verit che luomo
gi
conosce o che
pu raggiunge-
re usando la
ragione,
e cio in base
a un mezzo
adeguato
per
conoscere
la verit che in ultima analisi viene da
Dio,
il
quale
creando luomo l'ha
dotato della razionalit. Se c' stata la rivelazionedi certe verit da
parte
di
Dio,
significa
che da solo luomo
non
poteva raggiungerle.
Come si
vede,
gi
in
questa questione preliminare
sui
rapporti
tra fede
e
ragione,
Occam si
serve del
suo rasoio,
cio del
principio metodologico
di
non
moltiplicare gli
enti senza necessit, e
che nel nostro caso
specifico
pos-
siamo
parafrasare
cos: Dio non
fa le
cose
due
volte;
oppure:
Dio
non
opera
cose inutili. Se Dio ha
messo
luomo in condizioni di
raggiungere
una verit inutileche
egli
stesso si
preoccupi
successivamente di offrir-
gliela
attraverso una
rivelazione
soprannaturale.
METAFISICAE GNOSEOLOGA
Metafisica
e
gnosetlogia
sono
due
parti
della filosofia
profondamen-
te
legate
l'una all'altra
e si trovano in
un
rapporto
di
dipendenza
reci-
proca,
nel
senso
che
una metafisica debole
non
pu
che
rapportarsi
a
una
gnoseologia
debole, mentre una
gnoseologia
forte
sempre
il
pre-
supposto per
una
metafisica forte.
A
Un indebolimento della
ragione
era
gi presente
sia in Bonaventura
sia in Duns
Scoto; ma mentre Bonaventura era ancora riuscito a costrui-
re una
metafisica forte collocandola sotto lo scudo della
fede,
Duns
Scoto
invece,
isolando
completamente
la
ragione
dalla
fede, aveva
ela-
borato
un sistema metafisico
privo
di serie
esigenze speculative:
come
abbiamo
gi
visto,
la
sua
navigazione"
riusciva
con
difficolt ad attin-
gere
lambitodel mondo
superiore, spirituale,
trascendente
e divino.
19) Quodl. I,
q.
1.
3)
Cf. A.
GHISALBERTI,
Guglielmo
di
Ockham, Milano
1972,
pp.
123-124.
720 Parte seconda
Occam
percorre
sostanzialmente 1a stessa strada di
Scoto, ma
depo-
tenziando ulteriormente, se
possibile,
la
capacit
di conoscenza
del tra-
scendente da
parte
della
ragione.
Essa diventa
potente
e assai efficace
nella critica e nellautocritica, ma
debolissima
nell'indagine
metafisica.
L0 strumento che
essa sa
maneggiare
con
grande perizia
e con
innegabi-
le successo la
logica:
ma
questa
un mero
calcolo di concetti e non una
conoscenza
oggettiva
della realt. Occam si sente
pienamente
autorizza-
to a
limitarsi a
un'indagine logica
senza
preoccuparsi
di verificare ad
ogni passo
se e
fino
a
che
punto
il ritmo dei concetti e
delle
parole
si
adegui
a
quello
delle cose.
Cos, con una attezzatura concettuale assai debole e
privata
di una
reale
capacit
conoscitiva Occam incontra enormi difficolt
a
compiere
la faticosa e
impegnativa
traversata verso
la
sponda
del trascendente. In
lui esiste ancora un
impegno speculativo
e una
esigenza
metafisica, ma
i
risultati dell'attivit della sua
ragione,
che critica ed
empiricistica
a un
tempo,
non
possono
essere
che assai modesti. Occam in ultima analisi
non
deve essere
considerato tanto un antimetafisico,
quanto
un
metafisi-
co
debole che si
pone
al livello
esigenziale
di
un
minimalismo
metafisico.
DOTTRINADELLA CONOSCENZA
L'oggetto proprio
della conoscenza umana,
secondo Occam, sono
le
cose
singolari: primum cognitum
est
singulare.
Esso viene conosciuto
intuitiva notitia,
cio intuitivamente, senza
bisogno
della
specie impres-
sa.
La
conoscenza
degli
individui
non

rappresentativa
ma
intuitiva.
Occam
parla
anche di concetti universali,
di idee universali e
di astra-
zione; ma
pare
che la
sua
teoria dell'astrazi0nesia assai lontana da
quella
di Aristotele. Sembra che si tratti di unastrazone
operata
dalla fantasia
piuttosto
che dall'intelletto, e
che sfoci in
immagini
comuni anzich in
concetti universali. Infatti il concetto
universale dice
qualche
cosa
di
identico a tutti
gli
individui,
mentre le idee di Occam
rappresentano
semplicemente qualche
cosa
di simile. Il concetto in
quanto
universale
puramente
estrinseco alle
cose, proprio
come
le
parole
dalle
quali
le cose
vengono espresse:
in
esse non c' un
punto
di
appoggio,
un
appiglio,
che
dia modo alluniversaledi insinuarsi nella realt a un
titolo
qualsiasi.
Il concetto un
segno
e
basta: un
segno
mentale che,
nell'ambitodel
pensiero,
sta al
posto
di tutti i
particolari
da
esso
significati.
Occam con
questo
non
pretende
che di
spingere
alle sue
ultime e
logiche
conse-
guenze
le critiche aristoteliche al
platonico
mondo delle essenze:
egli
queste
essenze
le
perseguita,
le scaccia inesorabilmenteanche dalle
estreme e
fragili
trincee metafisiche,
davanti alle
quali
si erano
arrestati
gli
assalti
degli
aristotelici
pi
risoluti. Occam restituisce alla metafisica
la realt che individuale e
soltanto individuale, sanata da tutte le
manomissioni della
logica,
e
affidando a
questa
e
solo ad
essa
il
pieno
e
assoluto dominio delle essenze.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo 721
Il Venerabilis
lnceptor dunque
non
rinnega quella corrispondenza
tra
essere e
pensiero
che l'eredit
pi preziosa
della filosofiaclassica e sco-
lastica: Yintende
per
in modo diverso. Non si
pu
dire che l'essere si
riveli al
pensiero
con
quella pienezza
di
significato
e
ricchezza di conte-
nuti affermata dai
grandi
maestri della Scolastica. Per Occam il sistema
dei concetti si
svolge,
diremmo,
in
piena
autonomiadalla
realt;
sebbene
il concetto non abbia
perso
del tutto i contatti con
la
realt,
in
quanto
segno
naturaledelle
cose,
tuttavia non si
pu pi
affermare
propriamen-
te che
ce
la riveli: la
significa
infatti, ma non la
esprime
nella sua
inti-
mit metafisica. La
corrispondenza
fra l'essere e
il
pensiero
tutta affi-
data a
quel rapporto
naturale che si stabiliscefra il
segno
e
la
cosa
signi-
ficata: il realismo classico
ridotto, come si
vede, a un
filo
tenuissimo,
che si
spezzer
del tutto
agli
inizi del
pensiero
moderno. Dalla
posizione
occamistica al
soggettivismo
moderno
non c' che
un
passo
brevissimo.
OGGETTODELLA METAFISICAZL'ENS COMMLINE
Nel definire
l'oggetto
della metafisica Occam fa sue le due tesi fonda-
mentali della metafisica scotista: cio che
l'oggetto proprio
della metafi-
sica l'ens commune e
che l'ente un concetto univoco.
L'oggetto
della metafisica non
pu
essere
che
l'oggetto proprio
del-
l'intelletto umano. Ora,
oggetto proprio
dell'intelletto umano non
que-
sto 0
quell'ente particolare,
bens l'ente in
generale,
l'ens commune.
L'ente in
quanto
concetto univoco
generalissimo

l'oggetto adeguato
dell'intelletto
umano, perch quell'ultimo
atto conoscitivo con cui
penso
l'ente mi mette in condizionedi
potermi
riferire
a tutti
gli oggetti
che
possono
entrare nella mia
conoscenza:
l'ente
l'oggetto adeguato
del
nostro intelletto
poich
univoco, comune
ad
ogni intelligibileper
s
(ens
est obicctunz
adaequatum
intellcctus nostri
quid
commune univocum omni
per
se
intelligibilibfl
Nel concetto di ente si costituisce
l'apertura
stessa del
pensiero
verso la realt. L'orizzonte dell'essere anche
per
Occam lo
stesso orizzonte del
pensiero,
che cos strutturalmente messo nella
condizione di abbracciare tutta la
realt, non tutta insieme in
un atto
unico ma
potenzialmente:
l'intelletto
non arriva a
cogliere
direttamente
tutto ci che contenuto di
per
s nella nozione di
ens
corrzmune,
tuttavia
la natura dell'intelletto e tale da
non
escludere nulla dalla
sua
potenzia-
lit
conoscitiva,
dalla
sua inclinazionenaturale al
conoscere.
Il Venerabilis
Inceptor distingue opportunamente
tra
oggetto adeguato
dell'intelletto che e naturalmente
attingibile
in
s, e
oggetto adeguato
come ci a cui l'intelletto tende
naturalmente,
sia che di fatto
pervenga
allo stato di concetto sia che
non
V arrivi. Scrive Occam: A
proposito
dell'oggetto
naturale si
pone
una distinzione,
poich qualche
cosa si di-
Zl)
In I Seni, d.
3,
q.
8.
722 Parte seconda
ce
oggetto
naturale in
quanto

attingibile
naturalmente
oppure
in
quan-
to la
potenza
Vi naturalmente
inclinata,
sia che la
potenza possa
attin-
gerlo
naturalmente
oppure
no. Nel
primo
modo l'ente comunissimo
(ens
communissimzim),
che
l'oggetto adeguato
dell'intelletto non
oggetto
naturale
deli'intelletto, ma naturale nel secondo
modo;
pertanto
non
occorre
che l'intelletto
possa attingere
naturalmente
ogni
contenutom?
Il
presupposto
e la condizionenecessaria
d'ogni
conoscenza i1 con-
cetto di ente. Infatti il
procedimento
conoscitivo,
che concretamente si
esplica sempre
in atti di intuizione di cose
singole,
non si esaurisce in
questa
stessa
intuizione, ma si
prolunga
in
un'astrazione,
(issia nella
conoscenza astrattiva che
accompagnasempre
quella
intuitiva: orbenela
caratteristica fondamentaledi
questa
notizia astrattiva
quella
di
coglie-
re
Yoggetto
sempre
e
prima
di tutto nella luce dell'essere
e
di
implicare
sempre
il concetto di ente. Ecco
quanto
scrive al
riguardo
il nostro autore
nei
Quodlibeta:
Se mi chiedi:
quale
notizia astrattiva si ottiene mediante
quella
intuitiva? ecco la
risposta:
talora soltanto il concetto di ente (con-
ceptzis
entis), altre volte il concetto di
genere,
altre volte ancora
il concetto
di una
specie specialissima,
a seconda che
l'oggetto
sia
pi
o meno remo-
to. Pero
sempre
si
imprime
nella mente il concetto di
ente, perch
quan-
do
l'oggetto
sufficientemente
vicino,
dalla
cosa esterna
singolare
viene
causato sia il concetto
specifico
sia il concetto di ente,13
La conoscenza dell'ente come
dell'aspetto pi
universale
implicito
in
ogni
altro
aspetto
della realt rivela che la conoscenza umana deve sem-
pre progredire
e
che ha
bisogno
di
porre
nuove determinazioni
per
approssimarsi
il
pi possibile
alla realt nella sua essenza
individuale.
Come
Scoto,
contro Aristotele e Tommaso
d'Aquino,
Occam sostiene
che
quello
di Ente un concetto univoco e non
analogo.
A suo
parere
si
deve
parlare
di univocit di
predicazione
di un termine,
solo in
quanto
la
predicazione
intende il termine secondo
una certa unit di
senso.
Con
Scoto,
il Venerabilis
Inceptor distingue
tre
generi
di
univocit,
che
potrem-
mo
chiamare
forte,
media
e
debole. Lunivocit forte si d tra
gli
indivi-
dui della stessa
specie:
sic
accipiendo
fitrzizvocunl",
conceptus
solus
speciei
specialissinzae
est univocus>>fl4 L'univocit media ha
luogo
tra individui che
appartengono
allo stesso
genere:
hoc nzodo homo et asinus conveniunt in
conceptu
animalis sicut in
concepita
univ0c0_25 Uunivocit debole esiste nel
caso
che ci sia una certa
somiglianza
o un certo
rapporto
tra entit che
non
appartengono
n allo stesso
genere
n alla stessa
specie:
Tertio modo
accipitur
"unizzocum"
pro conceptit
communi multis non habentibits
aliquam
sinzilititdinem, nec
quantum
ad substantianz nec
quantunz
ad accidentalamb
32) Itdu
d.
3,
q.
6.
23) Quodl. 1,
q.
13.
24)
In IH Seni. d.
9,
q.
un.
25) Ibid.
25)
Ibd.
La Crisi della
rrzetafisica
cristiana nel Xl V secolo 723
Il terzo
tipo
di
univocit,
quella
debole,
si
pu
chiamare anche analo-
gia.
Ora,
Occam sa beneche ci sono vari
tipi
di
analogia
e
che S. Tomma-
so ne.
distingueva
due di fondamentali:
analogia
di
proporzione
(o
attri-
buzione) e
analogia
di
proporzionalit.
La
proporzionalit
veniva a sua
volta distinta in
propria
e metaforica; mentre l'attribuzioneera suddivi-
sa in intrinseca ed estrinseca. A
questo proposito
per
Occam
pareva
necessario
aggiungere qualche precisazione. Egli
riconosce sia
Yanalogia
di
proporzionalit
sia
quella
di
attribuzione, ma
per spiegare
l'unit del
concetto di ente ricorre
principalmente allanalogia
di
attribuzione,
inte-
sa estrinsecamente e non intrinsecamente. Per chiarire
poi
il concetto di
analogia
di attribuzione intrinseca ricorre al classico
esempio
usato da
Aristotele: il termine sano" che si dice del
bambino,
della
medicina,
del
colorito,
del
clima,
dell'urina
ecc.,
dove evidente che
primariamente
e
propriamente
il concetto di sano
predicato
del
bambino, mentre delle
altre cose Viene detto
grazie
a un loro
rapporto
con
la salute del bambi-
no. Questo,
secondo
Occam,
e anche il caso del concetto di ente: esso
viene detto di
pi
cose di cui non si
pu
dare la stessa definizionenomi-
nale.
Questo
tipo
di
analogia corrisponde
a
quella equivocit
che Aristo-
tele aveva chiamato
equivocit
non casuale ma intenzionalee deliberata
(a consilio).
La conclusione
generale
che
non
ha
senso
parlare
di analo-
gia
come
qualche
cosa di distinto dalla univocit e
dallequivocit,
in
quanto
tra univocit ed
equivocit
non c' una via di mezzo.
KIDUZIONISMOONTOLOGICO
sul terreno della metafisica che il rasoi0 di Occam miete le
sue
vittime
principali.
Da Occam la realt viene ridotta a ci che
empirica-
mente verificabile,
precedendo
cos di molti secoli
quello
che sar il
qua-
dro
ontologico
del Inctatus di
Wittgenstein.
Delle dieci
categorie
il maestro Occam salva soltanto la sostanza e
la
qualit:
mentre tutti
gli
altri accidenti
sono
definiti
come termini conno-
tativi della sostanza. Cos la
quantit designa principalmente
la sostanza
o
le
qualit
materiali
e
indirettamenteindica Yesterioritdelle loro
parti;
lo
spazio
non altro che la
superficie
stessa dei
corpi;
il moto consiste
semplicemente
nel fatto che
un
corpo
si trova successivamente in
luoghi
diversi; a sua volta il
tempo
la misura del
movimento,
anzi il movi-
mento stesso: il movimento con cui si misura un
altro movimento e
questo
tutto il
significato
di
questo
nome
preso
nella
sua
forma.
Fra le dieci
categorie
aristoteliche, una delle
pi
studiate
e
discusse
nel secolo XIII certamente
quella
della
relazione,
per
la
sua evidente
connessione con la
teologia
trinitaria. Tutti i
grandi
scolastici concorda-
no nel ritenere che la relazione
possiede
una realt sui
generis,
distinta in
27) Cf. In I Seni. d.
2,
q.
9.
724 Parte seconda
qualche
modo da
quella
del suo
fondamento. La
paternit,
ad
es.,
ag-
giunge
alla realt di
un uomo,
che diventa
padre,
un
qualche
cosa
che
prima
non
possedeva.
Fra
padre
e
figlio
si instaura Veramente un
rap-
porto
di ordine
metafisico,
che
non esiste tra due uomini
qualsiasi.
Indipendentemente
da
ogni
considerazione dell'intelletto
sorge
tra il
padre
e il
figlio
un fatto
nuovo,
per
cui l'uno si riferisce all'altro in modo
diverso da
come si riferiscono l'uno all'altro due uomini estranei tra di
loro.
Comunque
si intenda la distinzione fra la realt del fondamento e
quella
della
relazione,
certo che
non si tratta n di
una
distinzione
reale n di
una
distinzione
puramente logica.
Il Venerabilis
Inceptor
non
di
questo parere,
perch
nel suo
quadro
metafisico non c'
spazio per
una struttura intermedia tra il reale e il
logico.
Perci la relazionenon
pu
essere
che
una
categoria
del
pensiero.
La
paternit
non altro che il
padre,
e
la filiazionenon altro che il
figlio,
oppure
la
paternit
un
termine che indica il
padre
direttamente
e il
figlio
indirettamente, mentre la filiazione un termine che indica il
contrario. Se la
relazione,
per
es.
della
paternit,
fosse una realt distin-
ta da
quella
del fondamento
(padre
e
figlio
nel nostro caso)
sarebbe
anche
separabile
e
perci
Dio
potrebbe
crearla ex
novo,
per
conto
suo,
indipendentemente
dall'atto
generativo
e conferirla a
chi vuole: cos non
sarebbe
pi
assurdo che
un uomo sia
padre
senza
generare
figli.
Un altro
argomento
che dai
tempi
di Boezio era stato al centro di ani-
mate discussioni era
la distinzione tra essenza
ed esistenza
negli
enti
finiti. Nessuno aveva
considerato
questa
distinzione
semplicemente
logica
ma o
reale
(Boezio, Avicenna,Tommaso) o
formale
(Scoto).
Anche
su
questo punto
il rasoio di Occam" fa
pulizia.
Poich
non si tratta di
elementi fisicamente
separabili,
Occam esclude che tra essenza
ed esi-
stenza
possa
esserci una
distinzione reale;
per
lui si tratta
semplicemen-
te
di
una
distinzionenominale: l'essenza
significa
la cosa nominalmente,
mentre l'esistenza
(esse)
la
significa
verbalmente,
essendo un
predicato
verbale: L'essenza e l'esistenza (existentia) non sono
due cose. Queste
due
parole
"cosa"
(res)
ed essere
(esse)
significano
la stessa identica
cosa,
ma una
nominalmentee
l'altra verbalmente... Perci non
pensa-
bileche l'essenza sia indifferente ad essere
oppure
a non
essere, pi
di
quanto
non sia indifferenteall'essenza
oppure
alla non essenza stessaml?
Per Occam essenza
ed esistenza sono
ovviamente non
soltanto una
unica
cosa,
ma la stessa identica realt: non c' nessuna
distinzionereale
e
neppure
concettuale, ma
soltanto verbale!
23) Cf. in f Seni. d.
30,
q.
l;
Tractaiusde
principiis theologiae,
c. 1.
29) Summa
logicae
III, 2,
27.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
725
ESISTENZA E NATURAD[ D10
Nonostante
questa grande povert ontologica,
Occam cerca
di effet-
tuare
ugualmente
la seconda
navigazione.
Ma con un
impianto ontologico
cos ridotto le rotte che
pu
battere sono
pochissime
e inscure.
Secondo Occam l'esistenza di Dio non
pu
essere
provata
a
priori,
come
pretendeva
S.
Anselmo,
perch
l'uomo
ignora
l'essenza di Dio. La
si
pu
dimostrare soltanto a
posteriori.
Le
prove
a
posteriori per,
a suo
giudizio,
non
hanno
un valore
assoluto, ma soltanto
probabile, perch
tale il valore del
principio
di causalit al
quale
esse
si richiamano. Alle
varie
prove
della causalit
proposte
da
Aristotele,
Tommaso e Scoto,
Occam
preferisce
sostituire
quella
della
conservazione,
dove evidente
che
un
regresso
all'infinito
impossibile.
Ecco il
ragionamento
di Oc-
cam: essendo
contingente,
il mondo ha
bisogno
di
qualcuno
che lo con-
servi.
Ora,
nella serie dei "conservatori" non si
pu procedere
all'infini-
to; quindi
Dio esiste. Occam ritiene che sia
improponibile
un
processo
all'infinitonell'ordine della conservazione:
infatti,
la causa
che mantiene
qualche
cosa
nell'essere direttamente o mediante cause seconde,
coesiste
attualmente
con
questo qualche
cosa. Il
processo
all'infinito
impliche-
rebbe
pertanto
la coesistenza in atto di un numero
infinito di cause con-
servanti: ma
l'infinito in atto assurdo:
non
possibileporre
un
pro-
cesso all'infinitonella serie delle cause conservanti, poich
allora sareb-
bero infinite in
atto,
il che
impossibile
(non est
ponere processum
in
infi-
nitunz in
conservantibus, quia
tunc
aliqua infinita
essent in
actu, quod
est
i-mpossibilebflfl
E necessario
perci
affermare l'esistenza di
una causa
che
conserva
le
cose nell'essere, e
che
non
dipenda
a sua
volta da nessun'al-
tra causa. La novit
dell'argomento
di Occam
rispetto
a
quelli degli
sco-
lastici
precedenti
sta tutta
qui:
Occam ritiene che la causa
prima
neces-
saria non
per
togliere
la contraddizionedi
una
realt tratta dal
nulla, ma
per
eliminare l'altra contraddizioneche
emerge
dal fatto che
una realt
si
mantenga
nell'essere,
sebbene non abbia
nessun diritto a
essere,
es-
sendo stata tratta dal nulla.
Della natura di
Dio,
secondo
Occam,
l'uomo non
pu
formarsi con-
cetti
propri
ma solo comuni (comuni alle creature e a Dio),
che
non
rap-
presentano
l'essenza divina
(quid
rei). Sono concetti che
non
hanno valo-
re reale,
bens nominale
(quid
nominis): servono
per
indicareDio non
per
rappresentarlo.
Il
punto pi originale dell'insegnamento
di Occam in
questo campo
riguarda
il
primato
assoluto della volont in Dio. La dottrina del
prima-
to assoluto della volont c'era
gi
in
Scoto, ma
questi
conservava inalte-
rata la distinzione tra intelletto
e Volont, e attribuiva a Dio entrambe
queste
facolt. Il
primato
della volont in Occam assume un'ulteriore
3) ln l
Semi,
d.
2,
q.
10.
726 Parte seconda
accentuazione,
in
quanto egli
fa
scomparire
totalmente
qualsiasi
distin-
zione tra intelletto e
volont e riconduce tutto alla volont: in Dio c'
perfetta
coincidenza tra conoscere e
volere e
il
suo conoscere
coincide
sempre
col suo volere; non ci sono
perci
cose
conosciute che non siano
anche volute. Non esiste un
ordine delle cose
preconcepito
dalla mente
divina
e successivamente chiamato all'essere dalla volont di Dio: la
volont di Dio come anche l'essenza di Dio la
causa
immediata di tutte
quelle
cose
che
avvengono
(tioluntas
Dei sicut et essentia Dei est causa
immediata earum omnium
quae
fiunt).31
Tolta
ogni
distinzione tra cono-
scere o Volere,
Occam elimina
qualsiasi
distinzionetra il
possibile
e l'im-
possibile,
tra il razionalee
Yirrazionale che sia anteriore e
indipendente
dalla Volont divina. Cos il discrimine che
separa gli
atti
logici
da
quelli
assurdi viene
posto
definitivamente solo nella
potenza imperscrutabile
di Dio e
affidato al
segreto ignoto
di
una
volont sconfinata: Non
spet-
ta
maggiormente
a Dio di
non
poter
fare di
quanto
non
spetti all'impos-
sibiledi non
poter
esser fatto; n
compete maggiormente all'impossibile
di non
poter
essere fatto di
quanto
non
competa
a Dio di
non
poter
fare
l'impossibile
(Non
prius corrzpetit
D90 non
passe
facere
quam
non
competat
impossibili
non
posse
fieri;
nec
prius Competit inzpossibli
non
passe fieri quam
Deo non
passe
facere inzpossibiliabfi
Se Dio volesse dare realt alla
Chimera
o se volesse attuare nel mondo le individualit
pi
irrazionali e
assurde,
egli potrebbe
certamente farlo,
usando liberamente della sua
potenza
che l'unica
regola
dell'essere e
del
non essere.
Secondo
Occam,
persino
la trasformazioneimmediata
e
violenta
o
il sovverti-
mento dei criteri di
semplicit
e
di economia che dominano la sua crea-
zione non
sarebbero nella mente divina un
proposito
scandaloso e as-
surdo. N certo si
potrebbero
considerare nocivi o irrazionali
quegli
atti
che la nostra
ragione
vuole
evitare, ma che Dio ha scelto come criterio e
che
egli
ci ordina di
compiere.
E0
ipso quod ipse
vult,
bene et
justunzfac-
tam est (Per
il fatto stesso che
egli
vuole,
ci che fatto buono e
giu-
sto).
Le stesse
leggi
del
decalogo,
secondo
Occam,
obbligano
soltanto
perch
Dio ha voluto
cos, non
perch
siano richieste dall'ordine univer-
sale e dalla natura umana o
dalla convivenza sociale.
LA POTENZA ASSOLUTA E LA POTENZAORDINATA
Alla
pari
di Duns
Scoto,
Occam
pone
una netta distinzione tra la
potentia
Dei absoluta c la
potentia
Dei ordinata.
Dio, infatti, una
volta
decretati i suoi ordini vi si attiene e cos essi assumono
per
l'uomo carat-
tere assolutamente vincolante. Ci che di
per
s Dio
pu,
non lo
pu
in
seguito
all'ordinamentoda lui stesso stabilito;
ci che
egli pu
de
poten-
31) Ibfd, 45,
1.
32) Ibid, 43,
2.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo 727
tria sua absoluta, non lo
pu
de
potentia
sua ordinata. Per chiarire la contin-
genza
dell'ordinamento
concreto,
Occam mette volentieri in evidenza le
possibilit
esistenti in base alla
potentirz absoluta, e da
queste
ne deduce
altre. Nel
corso
di
queste speculazioni
sulla
potentia
Dei
absoluta,
che
spesso superano
il limite
dellammissibile,
egli sviluppa
una
teologia
del
"come
se",
perdendo praticamente
di vista la via della salvezza adottata
da Dio. Tanto
meno
egli
cerca di darle
un fondamento,
cio di riflettere
con
rispetto
sulla
sapienza
delle vie di Dio.
L'esposizione
della storia
della salvezza cede il
passo
di fronte alla discussione delle
pure
possibi-
lit, e
la
teologia
diventa
un
campo
di esercitazione dell'abilit
logico-
dialettica. Occam si
muove esattamente su
questa
linea
quando prende
preferibilmente
in considerazione casi limite
o eccezionali e ne deduce
ulteriori
possibilit.
Poich tutto ci che Dio
opera per
mezzo delle
cause
seconde
pu produrlo
anche direttamente
per
se stesso, non si
pu
per
esempio
dimostrare che
qualcosa
stato
prodotto
da
una causa seconda
attuale. Perci si
pu
stabiliresoltanto
un
post
hoc
e non un
propter
hoc.33
Le
conseguenze pi gravi
di
questo
modo di
procedere
- occasionali-
stico - Occam le trae nella sua dottrina sacramentariu: la causalit stru-
mentale dei sacramenti viene totalmente eliminata. l sacramenti sono
segni posti
da Dio del tutto arbitrariamente. Dio
potrebbe
infatti
legare
la
grazia
del sacramento al
semplice
contatto con un
pezzo
di
legno
e
stabilireche
con
l'acqua
battesimale
venga
amministrata anche la cresi-
ma.34 Nel sacramentodelYeucaristia
egli
si attiene al
dogma
della transu-
stanziazione, ma con molte riserve. Di
per
s
egli preferirebbe
la dottrina
della coesistenza del
pane
e del
corpo
di Cristo. Una similedottrina
non
,
secondo
lui,
in contrasto con la
ragione,
n con la Sacra
Scrittura;
anzi
ratiorzabilior
e
pi
conciliabilecol
principio
di economia divina che
sug-
gerisce
di
ammettere il minor
numero di miracoli
possibile.
In
questo
caso infatti cadrebbela
pi grossa
difficolt, e cio l'esistenza di acciden-
ti
senza un
soggetto
che li
sostengafi
Tuttavia,
poich
la dottrina della
Chiesa lo
esige,
Occam resta fedele alla dottrina della transustanziazio-
ne. Il miracolo in
essa
implicito
del
perdurare degli
accidenti anche
dopo
la distruzione della
sostanza,
diventa
per
lui la
prova migliore
che
la sostanza
corporale
e di
per
s estesa
e non
ha
bisogno
dellaccidente
della
quantit
realmente distinto. Se
infatti,
prosegue
Occam,
Dio
pu
far esistere
gli
accidenti da
soli,
egli pu
senz'altro anche
distruggerli
e
Conservare
la sostanza senza muovere
le
sue
parti
nello
spazio.
In tal
caso la sostanza sarebbe estesa senza
qualitfi
Se inoltre Dio
pu
di-
33) H.
IEDIN (ed.), Storia della
Chiesa, V-Z, Cit.,
pp.
69-70.
34) Cf. IV Sent.
q.
1.
35) Cf. ibid.
q.
6.
35) Cf. De sacramentoaltaris c. 25.
728 Parte seconda
struggere gli
accidenti del
pane
e Conservare
il
corpo
di
Cristo,
questo
deve essere
presente
sul
posto
direttamentee non
per
mezzo
delle forme.
Il volontarismoe l'occasionalismoconducono Occam anche
a svuota-
re
la dottrina della
grazia.
Per Occam la
grazia
non una
forza che viene
comunicataall'uomo,
rinnovandoloe
rendendolo
capace
di azioni meri-
tevoli, ma un
favore divino con cui il
Signore
accetta o meno l'uomo,
secondo la
propria
volont.
IL Dio DEI FILOSOFI NoN i3 IL DIO CRISTIANO
Come abbiamo
gi
avuto modo di rilevarein
precedenza, Guglielmo
di Occam con
il suo
minimalismometafisico scava un
solco ancora
pi
largo
e
pi profondo
di
quello
che aveva tracciatoScoto tra ci che l'uo-
mo
pu pensare
di Dio con la
ragione
e ci che
pu
conoscere
di Lui
mediante la rivelazione. Il Dio che il filosofo
raggiunge
con
la seconda
navigazione
un
Dio che ha ben
poco
in Comune
col "Dio di
Abramo,
Isacco e Giacobbee con il Dio di Cristo". Mentre il Dio della rivelazio-
ne un essere
infinitamente
perfetto,
dalla bont e dalla
perfezione
insuperabili,
il Dio dei filosofi solo l'essere che
supera
ogni
altro essere
possibile
in
perfezione
e
in valore. Solo dalla rivelazione noi
sappiamo
che Dio l'essere che
non
solo non ammette d'essere
superato
da nes-
sun
altro
essere,
ma
non
tollera nemmeno
che
qualcuno
lo
eguagli
in
perfezione
e
in valore. E
questo
il Dio della
Bibbia, sovranamente tra-
scendente su tutto e su tutti,
infinitoe
onnipotente.
Il
punto
su cui Occam insiste
giustamente
che
quando
il filosofo
elabora un
discorso di
teologia
razionale,
deve stare attento a non
confondere
quello
che il Dio della rivelazione con
il Dio cui si
giunge
per
via dimostrativa;
per
via di
dimostrazione,
rigorosamente
si
pu
provare
solo l'esistenza di una natura che
non
superata
da nessun'al-
tra in
perfezione,
mentre non si
pu
dimostrare che di tali nature ne esi-
sta una
sola. Il fatto che sia
prima
e
perfettissima
non
implica
necessa-
riamente la
sua
unicit:
pu
essere la natura
suprema
relativamentea un
ordine naturale. La
teologia
razionale elabora un
discorso minimale e
imperfetto
su Dio, un
discorso limitato alle
possibilit
conoscitive del
viatore che
per
forza di
cose
deve fare i conti con
questo
mondo attuale,
che l'unico mondo di cui l'uomo
possa
parlare
in termini di evidenza.
I limiti di
questo
discorso risaltano non
appena
si
pensi
come
il nostro
mondo non
sia che
uno
dei tanti mondi
possibili:l'apertura
dell'oriz-
zonte della
possibilitporta
la
ragione
umana a
dichiararela sua
incapa-
cit a
risolvere in maniera definitiva i
problemi, soprattutto quelli
di
natura
teologica.
37)
Cf. IV Sent.
q.
5.
La crisi della
metafisica
cristiana nel Xl V secolo
729
Ghisalberti
nota
opportunamente
che la
teologia
razionaledi
Occam,
che una
teologia
minima e minimalisticaalla
pari
della
sua metafisica,
vuole levare
un monito alla
ragione, perch
non vada oltre le sue
possi-
bilitnel discorso
teologico; quello
che
essa
scopre
di Dio ben
poca
cosa
rispetto
a
quello
che Dio le rivela di
se stesso.38
JINFLUSSODI OccAM
Uinflusso che Occam esercit sul
pensiero
filosofico
e
teologico
alla
fine del medioevo
e
agli
inizi
dell'epoca
moderna fu enorme e contribu
in modo decisivo allo sfaldamento
e
alla dissoluzionedi
quel grandioso
e
compatto
edificio culturale delle Summae in cui filosofia
e
teologia
si
integravano
felicemente. Le dottrine filosofiche
e
teologiche
di Occam si
diffusero
rapidamente, dapprima
all'universit di
Parigi
e
poi
in
nume-
rose altre universit
europee,
ove i maestri ritenevano
legittimo
far rife-
rimento al sistema di
Occam,
considerandolonon meno
valido di
quelli
di Tommaso
o
di Scoto. Molte di
queste
universit fondarono cattedre in
cui si
insegnava
filosofia
e
teologia,
da
una
parte
secondo la m'a
antiqua
sancti Tizomae
e dall'altra secondo la via moderna di Occam
e dei suoi
sostenitori. Nomi
importanti
e universalmente
rispettati
aderirono ai
principi proposti
dal restauratore del nominalismo: il cardinale Pietro
dAilly
e il cancelliere Giovanni
Gerson,
per
non citare
altri, si riferivano
apertamente
a
quella
dottrina,
in armonia col
segreto
misticismo del
loro
pensiero.
Il
successo di Occam si
spiega soprattutto per
la combina-
zione - assai difficilead attuarsi - che
egli
era riuscito a effettuare tra l'i-
deale scientifico di Oxford da
una
parte
e l'ideale
religioso
del suo
Ordine dall'altra. Occam li aveva
professati
entrambi
con
rigore
intran-
sigente.
Sul terreno delle
scienze,
egli
conservava l'ideale della
cono-
scenza matematica,
sperimentale
e intuitiva
preconizzata
da
Ruggero
Bacone; e
per questo
mondo della scienza Occam
aveva rivendicatola
pi completa
autonomia: Le dottrine di
fisica,
che
non si riferiscono
alla
teologia,
non devono essere solennementecondannate
o
proibite
da
nessuno;
in
queste
materie ciascuno deve
essere libero di decidere ci
che
pi gli aggrada.
Ma con non minor fermezza Occam si era battuto
per
la
purezza
dellidealefrancescano. Per
questo
motivo
egli
aveva cer-
cato di assicurare alla fede autonomia e
piena indipendenza
da
ogni
insidia
mondana,
incluse
quelle
della
ragione
e della filosofia. Per
que-
sto
aspetto
del suo
pensiero, Guglielmo
di Occam seduce le
grandi
anime di
un Pietro
dAilly
o
di
un Gerson: stanchi di tante vane
grandi
dispute
e di incessanti lacerazioni tra
opposte
scuole,
questi
uomini se-
38) A.
GHISALBERTI,
0p.
ciL,
p.
146.
730 Parte seconda
guirono
la corrente che avrebbe finito
per
fondare una scienza
positiva
da un lato e una
teologia positiva
dall'altro. Per
quante
lacune 0
insuf-
ficienze vi siano
nell'opera
di
Oceani, non
si
potr negare,
senza
peccare
di
ingiustizia,
che contenesse
germi
fecondi.
Nicola dAutrecourt
Si
gi
detto della
grande
diffusione e influsso che ebbe il
pensiero
di
Guglielmo
dOccam subito
dopo
la sua morte. Esso fu accolto con
entusiasmo non solo ad Oxford ma
anche a
Parigi
e in molte altre uni-
versit. Per un
paio
di secoli la scuola occamista la
pi seguita
e
la
pi
influente della cristianit. Nel
giro
di
pochi
decenni la via moderna oltre
che un metodo diviene anche
un insieme ben strutturato di
posizioni
filosofiche,
teologiche,
morali e
politiche
caratterizzanti la scuola di Oc-
cam e dei suoi
adepti.
Pi che sul terreno filosoficoloccamismosi affer-
ma in
quello teologico,
dove
pu
vantare il
sostegno
di
importanti per-
sonalit
come
Marsilio
dlnghen,
Pietro
dAi1ly,
Gabriele Biel. Ma nel
secolo XIV alloccamismo aderiscono anche alcuni eminenti filosofi,
in
particolare
Nicola dAutrecourt
e
Giovanni Buridano.
Nato verso
il 1300 a Autrecourt,
presso
Verdun,
Nicola studi a Pa-
rigi,
dove divenne
nzagister
in artibus
e successivamente baccellieree ma-
gister theologiae.
Nel 1333 nominato
priore
del
Collegio
della Sorbona.
Nel 1340 Benedetto XII lo convoca insieme ad altri docenti
per
ri-
spondere
del loro
insegnamento;
il
processo, proseguito
sotto ClementeVI,
si conclude nel 1346 con la condanna di 65 tesi. Il 25 novembre 1347 ha
luogo
la solenne abiura: Nicola destituito dai suoi
gradi
accademici,

dichiarato inabile
all'insegnamento
in
teologia
e tutti i suoi scritti so-
spetti vengono
bruciati. Ci non
gli proibisce
di ottenere una
prebenda
presso
la cattedrale di Metz e
di divenire decano del
capitolo
nel 1350.
La sua morte avvenne
poco
dopo.
Della vasta
produzione
letteraria di Nicola dAutrecourt c rimasto
piuttosto poco:
la
questione
Utrum visio creaturae
possit
naturaliter
intendi,
il trattato
Exigit
orde
(detto
anche Satis
exigit
orde),
il commento alla P0-
litica di
Aristotele,
il commento al
primo
libro delle Sentenze di Pier
Lombardo
e
le Lettere a
Bernardo di Arezzo.
Audace assertore della via moderna,
Nicola fa sue tutte le tesi basilari
delfoccamismo: rottura dell'armonia tra fede
e
ragione, primato
della
fede,
funzione critica della
ragione
(con
l'applicazione
del famoso "ra-
soio di
Occam"),
decostruzione della metafisica,
empirismo
(di
stampo
atomistico).
Nicola
svolge
tutto il
suo
pensiero
intorno a un
problema
centrale:
quale
certezza si
possa
avere
da
parte degli
uomini intorno alla verit?!
39)
M. DAL
FRA,
Nicola di
Atitrecoitrt,
Milano
1951,
p.
34.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
731
Per,
precisa
Nicola di
Autrecourt, con la ricerca
egli
non
intende
asso-
lutamente mettere in dubbio alcuna verit di
fede,
anzi il
suo
obiettivo
esattamente
quello opposto:
mostrare la debolezza della
ragione
onde
rafforzare lautorita della fede: Affermo che n in
questo
trattato n in
altri
voglio
dire
qualcosa
che sia contrario
agli
articoli di fede
o contro la
determinazionedella Chiesa
o contro
gli
articoli i cui contrari
sono stati
condannati
a
Parigi ecc;
ma
voglio
solamente
cercare,
circoscritta
ogni
legge positiva, quale
certezza si
possa
avere sulle cose e se
gli argomenti
di Aristotele fossero dimostrativi>>fl0Nicola
sostiene,
anche di fronte ai
prelati
che lo
giudicano,
la netta distinzione da lui introdotta fra verit
di fede
e
indagine naturale;
per questo
anzi
egli
rifiutadi accettare come
proprie
alcune delle
proposizioni
che
gli vengono
contestate;
ed
eccepi-
sce contro la forma
con la
quale
esse
vengono presentate.
Non si tratta
dunque
di
muovere delle riserve nei confronti del mondo della fede. Il
mondo della fede
comporta poi
oltre
a un
complesso
di verit da crede-
re,
anche
un insieme di ordinamenti
pratici
da
seguire;
a
questi
Nicola
d
una
particolare importanza
e con motivazione
esplicita
intende
porli
fuori da
ogni indagine
intorno alla certezza. Il
suo studio intende
pro-
porsi, circumscripta
omni
lege positiva,
cio
una volta che stata determi-
nata la
legge positiva;
l'ordinamento
etico-religioso
oltre, ovviamente, a
quello teologico
non
dunque
in discussione.
Anzi,
a difesa di
questo
che Nicola dichiara di muovere contro il
logicismodegli
aristotelici.
Egli
si
schiera,
per questo
lato, con
la tradizionedel movimento antidialetti-
co,
di coloro
appunto
che, nell'ambitodel
cristianesimo,
si erano mo-
strati
preoccupati
del fatto che si desse eccessivo
peso all'indaginelogi-
ca,
dimenticando d'altra
parte l'importanza
sia
dell'indagine
etica
sia,
soprattutto,
dell'azione concretamente inserita nell'ordinamento etico-
religioso
cristiano.
Qui
si chiarisce il
compito
che il
pensatore
di
Autrccourt si
propone
di
conseguire:
chiarire i limiti della
conoscenza
naturale del mondo
per persuadere gli
uomini a dedicare ad
essa soltan-
to
quanto
di
tempo
risulti allo
scopo
strettamente
necessario,
persuade-
re tutti a riservare il
maggior tempo
dell'esistenza al
perfezionamento
della azione e della
vita,
al
progresso
morale
e
religioso
dell'individuo
e
della collettivit.41
In
gnoseologia
Nicola
professa
una teoria
empiristica,
basata esclusi-
vamente sulla
conoscenza sensitiva,
che
pretende
tuttavia di
essere
obiettiva
e realistica.
Lungi
dallassumere
una
posizione
scettica,
egli
af-
ferma contro
gli
accade1nici la certezza evidente"
degli oggetti
dei
cinque
sensi
e
degli
atti interiori immediatamenteavvertiti come tali.
4)
Exigitordo,
182.
41) M. DAL
PRA,
0p.
ciL,
p.
39.
732 Parte seconda
Ma dal fatto di coscienza
egli
si rifiuta di inferire l'esistenza di una so-
stanza
esterna,
sostrato dei suoi accidenti visibilie
quella
di
un
sogget-
to
capace
di avvertirsi come
substantiu
spiritualis.
Inoltre, giacch gli
esseri e
le loro
propriet
sono
conosciuti solo da atti sensoriali distinti,
\
non e
possibilepensare
tra essi n
gerarchia
di
valore,
n
processo
di
mutamento,
n causalit necessaria.
Anticipando
Hume di molti secoli,
il filosofo dAutrecourt,
sostiene che non esistono
rapporti
necessari tra
causa
ed effetto 0
viceversa. L0 stesso sostiene
riguardo
alla finalit e
all'idea di
gerarchia
tra
gli
esseri: non
si
pu passare
da
una cosa
all'altra:
ciascuna
perfetta
nel suo ordine; non ce
n' una
inferiore
e
un'altra
superiore.
Il mondo eterno:
rifacendosi all'atomismodi
Democrito,
Ni-
cola sostiene che le
particelle (gli
atomi)
di cui il mondo
composto
sono
eterne e incorruttibili;
ci che cambia sono le loro combinazionie
di-
sgregazioni.
A chi
gli
obiettache si tratta di una teoria atea e
materialisti-
ca,
Nicola
replica
che il suo unico obiettivo
semplicemente
di renderla
dialetticamente
pi compatibile
col
dogma
cristiano di
quanto
non
lo sia
laristotelism0da cui Alessandro di Afrodisiae Averrohanno dedotto a
buon diritto le
empie
conclusioni in esso
racchiuse. Per sostenere
il suo
"gioco",
Autrecourt costretto a
integrare
il suo atomismo
ipotetico
con
elementi non
epicurei,
come l'esistenza nell'uomo di due
spiritus
(intelli-
genza
e senso),
i
quali
staccati
dallaggregato corporeo
degli
atomi,
potrebbero
ritrovarele condizioninecessarie al loro
perfetto
esercizio. Ma
la
logica
del sistema
porta
Autrecourt a
concepire
tosto una
riaggregazio-
ne
degli
stessi atomi e
il
nuovo
imprigionamento
dei medesimi
spiritus,
il
che non affatto
compatibile
col
dogma>>fi3
Giovanni Buridano
Originario
di
Bthune,
Giovanni Buridano
nacque
intorno al 1300.
Consegu
il
grado
di
magister
in artibus a
Parigi prima
del
1328,
data in
cui
gi
rettore dell'universit. Carica che
gli
venne
assegnata
una se-
conda volta nel 1340. Trascorse tutta la sua vita nella facolt delle Arti,
dove
per
oltre trent'anni
insegn
filosofia (vale a
dire
logica,
fisica,
psi-
cologia,
morale, retorica, politica),
servendosi dei testi di Aristotele che
spiegava
sia col metodo della
expositio
sia col metodo della
quaesto.
E. tutto
questo
lo fece a
pi riprese.
Cos,
per
es.,
comment la Fisica
almeno
quattro
volte.
43)
Cf. H. RASHDALL,
Nicolas de Ultricztra, a Medioevali Hume,
in
Proceedings
of the
Aristotelian
Society
8 (1907),
pp.
1-27.
43)
F. VAN SrEENBERcHrN-A. FoREsT- M. DF, GANDILLAC,
I ntovimento dottrinali... cit.,
p.
63}, nota 218.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo 733
Buridano si
guadagn
una
grandissima riputazione
e
divenne
un
autentico
capo-scuola.
Gli furono
assegnati
numerosi beneficiecclesiasti-
ci,
tra cui il canonicato di Arras nel 1342 e
la
cappellania
di S. Andr-des-
Arcs. In
questa
chiesa
egli
venne
sepolto
al momento della
sua
morte,
della
quale ignoriamo
la data esatta (sicuramentesuccessiva al
1358).
Dell'insegnamento
di Buridano esistono molte testimonianze mano-
scritte,
sparse
un
p0 ovunque,
in
particolare
a Vienna, Erfurt,
Praga,
Cracovia,
ossia in tutti i nuovi centri
universitari,
in cui il suo
influsso
nell'ambitoscientifico si fece subito sentire. Tra le
opere pubblicate
le
pi importanti
sono:
Sunzmulae
logicae, Quaestiones
super
octo
Physicormn
libros,
i commenti al De
anima,
ai Parva naturalia
e
alla Politica.
Buridano
un
occamista" moderato che tanto
pi
si concilia coi
teologi quanto
meno sconfina nel loro
campo
(...);
malgrado
la
sua fama,
non
originale
n in
logica
n in
psicologia.44
La sua
originalit,
come
pure
il
suo influsso, si trovano nel
campo
della
fisica,
in
particolare
gra-
zie alla
sua teoria
dellfimpetus
(forza)
per spiegare
l'accelerazionenella
caduta dei
gravi
e la rotazione ne] movimento della terra. Inizialmente
- scrive Buridano nel suo commento alla Fisica - il solo
peso
muove
il
grave;
ma, muovendolo,
gli imprime
un
impetus
che
aggiunge
il
suo
effetto motore al
peso,
in modo che il movimento diventa
pi rapido e,
mano mano
che si
accelera,
lfiimpetus
aumenta di
intensit,
per
cui il
movimento risulta continuamente accelerato Il
motore,
muovendo
il
mobile,
gli imprime
un certo
impetus,
ossia una certa forza motrice
verso
la direzione che
era
quella
del motore.45
Nel commento allEtica di
Aristotele,
trattando la
questione
del libero
arbitrioBuridano afferma che la libertconsiste nella
capacit
di
sospen-
dere lassenso del volere. A
questa
tesi
legato
il famoso
apologo
dell
asino di
Buridano;
si tratta di un asino che tra due mucchi di
fieno,
non
sapendo
decidere
per
l'uno
o
per
l'altro,
morirebbedi fame.
L'ape-
logo
vuol
significare
che
nellanimale, a differenza
dell'uomo, manca
la
capacit
di autodeterminazione.
Giovanni di
Iandun
Nel secolo
XIV,
allorch la metafisica cristiana
correva
velocemente
verso il tramonto Giovanni di
Iandun
si
presenta
come una vera e
pro-
pria
eccezione.
Egli
infatti il
pi
tenace difensore della metafisica del
suo
tempo
e
il
pi importante
fautore della
ripresa
della metafisica
secondo la linea aristotelico-averroistica.
44) Ibid,
p.
633.
45)
In VIII
Physicorurrt
12,
120.
734 Parte seconda
VITA E OPERE
Giovanni di
jandun
nacque
nel
piccolo villaggio
di
Iandun,
nella val-
lata
dellOise, tra il 1285 e
il 1289. Studi nella facoltdelle Arti dell'uni-
versit di
Parigi, probabilmente
sotto la
guida
del medico
c
filosofoPie-
tro d'Abano.
Conseguito
il
magistcr
artium a
partire
dal 1310 Giovanni
insegn per
alcuni anni in
quella
facolt, mentre nel 1315 divenne mae-
stro delle Arti al
Collegio
di Navarra di
Parigi.
Nel 1324 collabor con
Marsilio da Padova alla stesura del
Defensor pacis;
con
Marsilio abban-
don
Parigi
(1326), venne
raggiunto
dalla scomunica
papale
(1327), e
si
rifugio
da Ludovico il
Bavaro,
al cui
seguito comp
il
viaggio
in Italia del
1327-28,
dove
mor,
nei
pressi
di Pisa tra il 10 e
il 15 settembre 1328.
Durante
gli
anni del suo
magistero parigino,
Giovanni aveva
compo-
sto dei commenti a numerose
opere
di Aristotele
(Fisica,
Metafisica,
De coelo et mando,
De
anima,
Parva
naturalia, Retorica) e
al De substantia
orbis di Averro.
PENSIERO METAFlSlCO
Nelle
Questioni
sulla
Metafisica,
commentando
Aristotele, Iandun
assegna
alla metafisica
gli
stessi obiettivi
gi
definiti dallo
Stagirita:
studio dell'ente in
quanto
ente,
studio delle
cause
per
il fatto che
l'ente causa
di tutte le
cose,
studio della
sostanza,
dal momento che
la sostanza la
parte principale
dell'ente.
Jandun
afferma che la metafi-
sica trova il
suo
culmine
nell'indagine
intorno a Dio,
che l'ente
supre-
mo, principio
e
fine ultimo di tutte le
cose.
Nel
precisare
le caratteristiche della causalit divina nei confronti di
tutte le
cose,
si
presentano
alcuni
interrogativi
sollecitati dalla diversit
fra
l'insegnamento
di Aristotele
e
la tradizione
teologica.
Anzitutto,
come
possono
procedere
molte
cose
da
Dio,
dal momento che
uno stes-
so
principio
non
pu
causare
effetti diversi? Giovanni
risponde
dicendo,
con
Avicenna e Averro,
che Dio causa
immediatamente la
prima
Intelligenza
e
solo mediante
questa
causa
le
altre;
la causalit divina si
esercita solo mediatamentenei confronti di effetti
molteplici;
mentre l'o-
pinione
dei
teologi
che Dio
pu
causare
immediatamente
molteplici
effetti,
secondo diverse
perfezionifl
Ci si domanda
poi
come
possano
essere
prodotte
da Dio cose nuove,
essendo
egli
immobileed eterno. Per
Jandun
la
semplicit
o
la
comples-
sit
degli
effotti
dipende
dalla loro minore o
maggiore
lontananza da
Dio,
il
quale peraltro
non
pu
causare
nulla che
non sia buono: il male
perci
da
collegare
alla
complessit propria
della
materia, a sua
Volta
spiegabile
a causa
della estrema lontananza da Dio. Il movimento dei
46) Cf.
Quaest.
in
Metaph.
llI,
q.
l.
La crisi della
rrzetafisica
cristiana nel XI V secolo
735
cieli
originato
dal
primo mobile,
il
quale
a sua volta
mosso dall'amo-
re e dal desiderio del
primo
motore
immobile, che Dio. Muovendo
come
oggetto
d'amore
e fine desiderato di tutte le
cose,
Dio suscita il
movimento dei cieli
e tale movimento
eterno,
poich
il moto circolare
del cielo senza
interruzione; Dio
quindi
muove
eternamente,
stando
alle conclusioni cui si
giunge
per
via filosofica.
Jandun
per
osserva che
secundum
fidem
et veritatenz si deve concludere
diversamente,
perch
dalla Rivelazione
sappiamo
che il mondo stato creato e
quindi
che
Dio,
prima
della
creazione, non "muoveva.
Dio immobileed eterno e la
sua eternit ben si addice alla totale
irnmaterialit:
ogni potenza
e limitazione
provengono
dalla
materia,
mentre
Dio, atto
puro,
si mantiene
eternamente nella
sua condizionedi
sommamente
semplice
e sommamente
perfetto.
.
Per tutti
gli interpreti
di Aristotele
uno dei
punti pi spinosi riguarda-
va la
conoscenza da
parte
di Dio
degli
enti diversi da Lui.
Iandun
in base
alla considerazione che la nobiltdellintendere deriva
non dal
soggetto
che
intende, bens dalla nobilt
dellintelligibile,
incomincia col
proporre
la tesi
aristotelica, secondo cui Dio
non
pu
intendere altro da s: essen-
do
sommamente
intelligente, egli
deve intendere il
sommamente intelli-
gibile,
cio deve intendere
se stesso. TuttaviaDio
conosce la natura del-
l'ente,
in
quanto
lens
simpliciter,
e
perci
conosce se stesso come causa
di tutti
gli
enti: si deve cos concludere che
Dio, conoscendo
se stesso in
quanto
dotato della causalit di tutte le
cose, non
ignora
le altre
cose.
Pi
avanti,
sempre
nelle
Questioni
sulla
metafisica, Iandun
si
interroga
se si
possa parlare
di libert in Dio
e
risponde
facendo ricorso alla
nozione di libert intesa
come
agire gratin sui, senza
dipendere
da altri.
Libero
non
significa dunque contingente,
nel
senso di ci che
pu
essere
o non
essere;
libero colui che vuole ci che la
ragione giudica
che
debba
essere voluto. Dio libero
non
perch
possa
non
causare,
ma
per-
ch
muove il
primo ente,
che
sceglie
e vuole muovere
gratia
sui, con
totale
autodeterminazione."
La
particolare
concezione della libert adottata da
Iandun
gli
consen-
te di asserire
contemporaneamente
un certo determinismo nell'univer-
so: in
questo
tutto accade
necessariamente,
anche
gli
eventi
contingenti.
Tale il
punto
di vista della filosofia. Diversa l'indicazione
provenien-
te dalla
fede,
la
quale
ci attesta che Dio libero nel
creare e l'uomo
libero
nellagire,
secondo unaccezione
precisa
della
libert,
quella
per
cui si
pu scegliere
o non
scegliere, compiere
o non
compiere
una deter-
minata azione.
Questa
posizione
non
pu
tuttavia
essere dimostrata, in
quanto
eccede le
possibilit
dell'indagine razionale; va accolta ferma-
mente
per
via di fede
e cos
facendo, accettando cio di credere
a delle
verit in forza della
gloriosa
potenza
divina si
acquistano
dei meriti.
47) Cf. ibd.
1x.
q.
5.
736 Parte seconda
Degli argomenti antropologici
Iandun
tratta occasionalmente
anche
nelle
Questioni
di
Metafisica
ma
li affronta di
proposito soprattutto
nelle
Quaestiones
de anima. Sulla dibattutissima
questione
dell'intelletto
agente
egli segue
fondamentalmente
la dottrina averroistica dell'unit dell'in-
telletto, ma con
alcuni correttivi che si richiamano alle
posizioni degli
ultimi scritti di
Sigieri
di Brabante:
l'anima intellettiva unica
per
tutti
gli
uomini, mentre le anime
cogitative
sono
numericamentedistinte nei
vari individui e
conferiscono loro l'essere sostanziale. Pur non
inerendo
alla materia secondo l'essere sostanziale, ma
solo secondo
l'appropria-
zione,
l'intelletto ha
bisogno
di unirsi all'uomo "secundum esse", attra-
verso
l'operazione
intrinseca che suscita con
lo
sviluppo
del
pensiero
dell'uomo. Forma sostanziale dell'uomo l'anima
cogitativa,
alla
quale
si
ricollega
l'anima intellettiva
quando
intende: in
questo rapporto
di
reciproca dipendenza
sta il
legame
nell'essere di intelletto e
corpo.
L'anima
cogitativa
in
quanto
forma inerente,
attua la materia e
l'anima
intellettive necessita dell'uomo
per
sviluppare
l'intellezione; non essen-
do forma materiale,
l'intelletto non
edotto dalla
potenza
della materia
e
per questo

separato
da
essa; perci
incorruttibile.
Secondo
Iandun
la
pienezza
del conoscere
spetta
all'anima intelletti-
va,
la
quale,
a sua volta,
si
compone
di
una
facolt attiva o
intelletto
agente,
e
di una
facolt
passiva,
o
intelletto
possibile;duplice
di conse-
guenza
l'attivit dell'intelletto:
mediante Yastrazione,
l'intelletto
agente
attualizzaci che
intelligibile
solo in
potenza;
l'intelletto
possibile
rice-
ve
in s
gli intelligibili,
e
realizza
lntelligere
vero e
proprio.
L'azione dell'intelletto
agente, preliminare
ad
ogni
intellezione del-
l'intelletto
possibile,
ha
bisogno
dei "fantasmi",perch
solo a
partire
dai
fantasmi l'intelletto
agente pu
astrarre le
specie intelligibili
che danno
all'intelletto
passivo
la
possibilit
di conoscere
in atto.
Uimprescindibili-
t dei fantasmi
comporta
che l'intelletto
agente
non
sia
sempre
forma
dell'intelletto
passivo; questo pu
verificarsi solo nella
disposizione
otti-
male,
nella conoscenza
assolutamente
perfetta,
ossia nel caso
della cono-
scenza
di Dio e
delle sostanze
separate,
che
sono
prive
di materia e
quindi ontologicamentepi perfette
delle sostanze
sensibili.
La metafisica,
che il
sapere
pi
alto cui
pu giungere
l'intelletto
umano,
in
grado
di
attingere
sia Dio sia le sostanze
separate,
che, come
si visto,
secondo
Jandun,
fanno
parte
del
suo
oggetto;
ma non
pu rag-
giungere
la certezza in
rapporto
alle dimostrazioni che
pu
elaborare
circa
gli
enti massimamente
intelligibili,per
il fatto che
pu argomentare
solo con
dimostrazioni
quia,
cio
dagli
effetti alla causa.
Non si
potr per-
tanto
giudicare
contrario alla natura dell'uomo l'intervento della fede,
la
quale, appoggiandosi
sulla Rivelazione,
fornisce all'uomo un
ordine di
conoscenza
circa Dio non raggiungibile
dalla
speculazione
razionale.
Nonostante
la
sua
aperta
adesione allaverroismo,Iandun
non
condi-
vide la
posizione
di certi averroisti latini che
insegnavano
la teoria della
doppia
verit. Piuttosto, egli
riconosce i limiti della
ragione
su
certi
pro-
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
737
blemi fondamentali
e
la necessit della rivelazione
per
conoscere con
certezza le verit
pi importanti
intorno a Dio
e
all'uomo. La sua
ade-
sione alla fede
appare
ferma
e senza riserve,
anche
se Gilson lo mette in
dubbioflt
Cos,
per
03.,
a
proposito
della
spiritualit
e allimm0rtalit
dellanima
egli
scrive: Sebbene l'anima si trovi nella
materia,
tuttavia
essa resta un atto di cui la materia
corporea
non resa
partecipe; questi
attributi dell'anima le
appartengono
realmente,
semplicemente
e assolu-
tamente,
secondo la nostra fede. Credo inoltre che l'anima immateriale
pu
soffrire
a causa di
un fuoco
corporeo
e
che
pu
essere riunita al
corpo dopo
la morte
per
ordine del Dio creatore. Non sono in
grado
di
provare
tutto
questo,
ma
penso
che
queste
cose Vanno
credute
con fede
semplice,
come
pure
molte altre che si devono credere solo in base
all'autoritdella Sacra Scrittura e
dei
miracoli,senza
il
bisogno
di alcu-
na
ragione
dimostrativa.
Inoltre,
questo
il motivo
per
cui la nostra fede

meritoria,
infatti i Dottori
insegnano
che
non c' nessun merito
a cre-
dere ci che la
ragione pu
dimostrare.
In
conclusione,
pur
mantenendosi fuori della corrente
occamistica,
Iandun,
sposando
le tesi
de11averroismo,
dava
man forte
a
colui che
riputava
il suo
principale
avversario,
Guglielmo
di Occam.
Meister Eckhart
Il secolo
XIV, come s'
Visto,
registra
la crisi
profonda, epocale
non
soltanto della Scolastica ma
di tutto il
grandioso
e
stupendo
edificio
della civilt medioevale: vacillanole istituzioni
politiche
e
religiose
del
papato
e
dell'impero,
si
spezza
l'armonia tra fede
e
ragione,
viene
meno
il
primato
dell'ordine
spirituale rispetto
a
quello temporale,
cessa
il
monopolio
culturale del
clero,
viene contestata la teocrazia.
Per
quanto
attiene la metafisica i
periodi
di crisi culturale
sono carat-
terizzati da due
atteggiamenti opposti,
che abbiamo
gi
incontratonella
fase conclusiva della metafisica classica:
un
atteggiamento
di sfiducia
nei
poteri
della
ragione
che
porta
alla decostruzione della metafisica: il
caso
degli
scettici e
degli
accademici; e un
atteggiamento
che
rifugge
dalla
ragione speculativa
per
affidarsi alle risorse della mistica: e il
caso
dei
neoplatonici.
Nel secolo XIV
quando esplode
la crisi della societa
medioevale,
il
primo atteggiamento

espresso
dal nominalismo di
Occam
e della
sua scuola,
di cui si
parlato
fin
qui;
mentre il secondo
atteggiamento

quello
che ha nel
grande
mistico
tedesco,
Meister
Eckhart, il
suo
pi
valido
e
pi qualificatorappresentante.
43) Cf. E.
GILSON,
History ofChristian Philosophyu
cit.,
p.
524.
738 Parte seconda
VITA E OPERE
Non esiste alcuna notizia su
Eckhart che
risalga
antecedentemente
al
suo trentesimo anno
di vita>>fi9Si sa
per
certo,
comunque,
che
egli
era
nato verso
il 1260 da
una
famiglia
di cavalieri della
Turingia
a Hochheim,
nei
pressi
di Gotha. Entr assai
giovane
nel noviziato domenicano di
Erfurt;
fu
poi
inviato allo studium di
Colonia,
dove forse ascolt le ulti-
me
lezioni
dell'ottuagenario
Alberto
Magno
e certamente lesse le sue
opere,
in
particolare
i suoi Commenti a
Dionigi Areopagita
(Pseudo-
Dionigi). Prosegui gli
studi
a
Parigi,
nel convento di
Saint-Iacques,
dove
consegu
il baccellierato in
teologia.
Venne
quindi
nominato
priore
di
Erfurt
e vicario
provinciale
della
provincia
di
Turingia
(1298).
Nel 1300
era
di
nuovo a
Parigi
in veste di
magister regens
e cominci la
polemica
con Scoto sulla
questione
del
primato
tra intelletto
e
volont nel
proces-
so
della deificazione dell'uomo. Verosimilmente
espulso
dalla Francia
nel
1303,
insieme allo stesso Scoto,
per
aver ricusato di
rispondere
all'appello
di
Filippo
il Bello in favore di un Concilio contro Bonifacio
VIII,
ritorn in
Germania,
dove venne nominato
provinciale
della nuova
provincia
di Sassonia. Nel 1311 venne inviato
per
la terza volta a
Parigi,
dove svolse un breve
periodo
di
insegnamento.
Una volta
concluso,
nell'estate del
1313,
il
magistero parigino,
Eckhart
fu nominatovicario
generale
di
Berengario
di
Landora,
ministro
genera-
le della
Teufonia, e conservo
questo
titolo anche sotto il
suo
successore,
Herveus Natalis
(1318-1323).
A Meister Eckhart furono affidati la
cura e
il controllo dei monasteri femminili dell'Ordine del sud della
Germania,
con
sede
a
Strasburgo.
La cura
moniuliunz
era
diventato
per
l'Ordine
un
problema
scottante e
pressante
dal momento in cui il
ramo
femminile
aveva
acquistato proporzioni
vistose. Solo nella
provincia
della Germa-
nia
meridionale,
intorno al
1300,
c'erano ben65 conventi femminili.Nel-
la Teutorzia l'assistenza
era
quindi
diventata molto
importante
e
l'Ordine
Domenicano aveva emanato vari decreti che
prescrivevano
che la
cura
monialiizm fosse affidata a
fratres
docti. Il
nuovo incarico era assai
conge-
niale a Eckhart,
che trov nei conventi femminili una
spiritualit
forte-
mente intrisa di misticismo: nei conventi che sottostavano alla
sua cura
e
al
suo
controllo trov non
soltanto
povert evangelica
e
sequela
Christi
come base della vita
conventuale, ma
anche
una
disposizioneparticola-
re
per
la vita mistica di
perfezione,
ottenuta
grazie
all'ascesi
e
alla visio-
ne.5" Allo stesso
tempo
Eckhart si afferm
come
eccellente
predicatore.
Ma sia la
sua
predicazione
sia alcuni suoi scritti suscitarono
sospetti
di
eresia. Nel 1325 il
capitolo
di Veneziavenne incaricatodi
svolgere
un'in-
chiesta sulla dottrina del maestro. Uarcivescovo di Colonia affid allora
49)
K. RUI
l,
Meister Eckhart,
teologo, predicatore,
ittistico,
Brescia
1989,
p.
24.
5) Ibid,
p.
64.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo 739
l'indagine
a due
inquisitori,
l'uno domenicano e l'altro canonico della
cattedrale. Nel
corso dell'estate del
1326, entrambi
prepararono
un elen-
co
di 49
proposizioni
estratte dalle
opere
e dai sermoni di Eckhart, che
ritenevano condannabili.Eckhart
rispose
alle obiezioni il 26
settembre,
rifiutando
come non autentiche
un certo numero
di
proposizioni
e
spie-
gando
le altre in modo ortodosso. Poco
tempo dopo gli inquisitori gli
presentarono
un nuovo elenco di 59
proposizioni parzialmente
simili al-
le
precedenti,
alle
quali egli
diede la stessa
risposta.
Il 13 febbraio 1327
comp
una
professione
di fede
pubblica
e solenne, ma allo stesso
tempo
si
appello
alla Santa Sede.
Dopo
avere ascoltati)
l'accusa-ato, una commis-
sione di Colonia invi un suo
rapporto
al
papa.
La bolla In
agro
Domini
del 27
marzo 1329 condann 28
proposizioni
come
eretiche
o
sospette.
A
questa
data Eckhart
era
per gi
morto.
Vale la
pena
di
conoscere sommariamenteil contenuto delle
proposi-
zioni condannate. Diciassette
sono dette contenere errori o essere
infet-
te di eresia. Le
pi importanti
sono le
seguenti:
Non
appena
Dio
fu, cre il mondo.
Egualmente,
si
pu
ammettere
che il mondo esistito da tutta l'eternit. Nel medesimo
tempo
in cui
gener
il
Figlio suo,
coeterno e
coeguale
in
ogni cosa,
Dio ha creato il
mondo. In
ogni opera,
buona
o cattiva,
risplende ugualmente
la
glo-
ria di Dio. Chi
pecca
e chi bestemmia loda Dio. Domandare
questo
o
quello
domandare
a Dio di
negare
se stesso. Dio
glorifcato
in
quelli
che
non ricercano n la devozione n la santit n la
ricompen-
sa del
regno.
Se desiderassi di ricevere
qualche
cosa da
Dio, sarei suo
servitore o suo schiavo. Noi siamo totalmente trasformati in Dio
come il
pane
mutato nel
corpo
di Cristo. Tutto ci che il Padre d al
suo unico
Figlio
lo d
pure
a me. Tutto ci che la Scrittura dice di
Cristo vale
per
l'uomo buono e divinizzato. Poich Dio vuole che io
abbia
peccato,
io vorrei non aver
peccato.
Vi
qualche
cosa nell'ani-
ma che
non n creata ne creabile. Chiamare Dio
buono,

parlare
tanto male
come chiamarebiancoilnero.
Altre undici
proposizioni
sono malsonanti, temerarie e
sospette
di
eresia,
sebbene mediante
impegnative spiegazioni
e
integrazioni,
possa-
no assumere un
significato
cattolico.
Queste
affermano
che, a
rigor
di
termini,
Dio
non comanda
nessun atto
esterno;
che Dio assolutamente
trascendente
a
ogni pluralit;
che l'amore
non si
compone
di
gradi;
che
la
creatura, infine,
puro
nulla.51
Gli scritti di Eckhart
comprendono
opere
in
lingua
latina e tedesca.
Tra le
opere
latine,
le
principali
sono: Collatio in libros
Sententiaruwz,
Quaestiones
parisienses
e
lOpus tripartitunz.
Gli scritti in
lingua
tedesca
comprendono
alcuni trattati
e
i Sermoni. In
questi
scritti Eckhart contri-
51) Cf. il testo della bolla In
agro
Donrini in H.
DENIFLE, Archives
II,
pp.
637-639.
740 Parte seconda
bu a fissare il lessico filosoficoe
teologico
della
lingua
tedesca,
per
cui
si
guadagnatogiustamente
il titolo di creatore della
prosa
tedesca.
L'Opus tripartitum

l'opera maggiore
di Meister Eckhart: e una
nuova
Summa
theologica, progettata
in modo
originale.
Pi
precisamente:
sta al
posto
di una Summa
theologica.
Questa,
insieme ai Commenti alle
Sentenze,
costituiva la traccia essenziale dell'intero
sapere concepito
come sistema, e
corrispondeva
alla tendenza
enciclopedica
del
tempo.
oltremodo
significativo
che Eckhart rinunci alla forma
espressiva
della
Summa,
rompendo
con una
tradizioneconsolidata,
alla
quale
si sentiva-
no
obbligati proprio
i
teologi parigini>>.52
Come l'autore
spiega
nel
Prologo generale", esponendo
il
progetto dell'opera, lOpus tripartitum
doveva
comprendere
tre
parti:
1.
Opus propositionum;
2.
Opus quaestio-
num;
3.
Opus expositionum.
Particolarmente
ampio
era
previsto lOpus
propositionum
che doveva
comprendere pi
di mille
tesi,
divise in
quat-
tordici trattati.
LOpus quaestionum
era
pensato
nella scia della Summa
Theologica
dell'illustre dottore e venerabileconfratello Tommaso d'A-
quino,
e doveva
Comunque
affrontare solo
poche questioni
a
seconda
dell'occasione.
LOpus expositionum
doveva
comprendere
il commento
di tutti i libri della Sacra Scrittura. Delle tre
parti
di
questo
vastissimo
progetto
solo la terza stata
portata
abbastanza avanti. Mancano com-
pletamente lOpus propositionum
(a
parte
il
Prologo)
e
YOpus qaaestio-
num.
DellOpus expositionum
ci sono
pervenuti
i
seguenti
commenti:
Commento alla
Genesi,
Commento aIlEs0d0, un Liber
paraliolarum
Genesis,
Commento alla
Sapienza,
Commento al
Vangelo
di Giovanni. E andato invece
perduto
il Commento a Matteo.
METAFISICAE ANALOGIA
Dagli
storici della filosofia e della
teologia
il
nome
di Eckhart viene
generalmente collegato
con
la
spiritualit
e
la mistica. Di
fatto,
per, egli
fu un
grande
e
profondo speculativo
e
la sua
originalit
consiste
princi-
palmente
nella
speculazione
metafisica di
stampo
marcatamente
neopla-
tonico e dionisiano, a cui la
componente
mistica
sempre congenita.
In
passato
molti
studiosi,
basandosi
sugli
scritti del
primo insegna-
mento
parigino,
hanno fatto di Eckhart un idealista, un
precursore
di
Fichte
e
di
Hegel.
In effetti nelle
Quaestiones parisierzses
Meister Eckhart
assegna
un
primato
assoluto al conoscere
rispetto
all'essere.
Egli
sostie-
ne,
con
i
neoplatonici,
che il
pensiero
il fondamento dell'essere
(est
ipsum intelligerefundamentum ipsius
esse).
Dio viene
pertanto
identi-
ficato col
conoscere,
mentre l'essere una
propriet
delle creature.
Nella
stessa
opera
leggiamo:
Dio
opera
al di
sopra
dell'essere,
in
quella
ampiezza
in cui
pu
muoversi.
Egli opera
nel non essere.
Dio
operava
52)
K.
RUH,
0p.
cit,
p.
106.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
741
anche
prima
che vi fosse l'essere. Alcuni maestri dallo
spirito
rozzo di-
cono che Dio
un
puro
essere (esse
purum),
ma
egli
cos elevato al di
sopra
dell'essere
quanto
il
pi
elevato
degli angeli
lo al di
sopra
del
moscerino. Se chiamassi Dio
essere, parlerei
tanto falsamente
quanto
se
dicessi che il sole
pallido
0 nero. Dio non n
questo
n
quello
(hoc vel
hoc). Un Maestro dice: chi crede di
aver conosciuto
Dio, e con ci di
aver
conosciuto
qualcosa,
non lo
conosce affatto. Ma
quando
ho detto che
Dio
non era un essere e
che
era al di
sopra
dell'essere, non
gli
ho
con
questo negato
l'essere, bens,
al
contrario,
gli
ho attribuito
un essere
pi
elevato. Se mescolo del
rame nelloro, esso l secondo
un modo
pi
elevato di
quanto
sia in
se stesso>>. Per non intendere
erroneamente
que-
ste
sorprendenti
affermazioni
occorre collocarle nel contesto della teolo-
gia apofatica,
che il
neoplatonico
Eckhart
predilige
e di cui
certamente si
avvale in modo
eccessivo, senza
integrarla adeguatamente
con la via
eminenziale. Eckhart dice bene che Dio
non hoc et hoc
(n
questo
n
quello),
ma non
spiega
in
quale
modo la
perfezione
limitata dellhoc
(la creatura)
si trova in Dio
stesso,
dal
quale
essa necessariamente
procede.
Ma
per
conoscere con esattezza
quale
sia stata la dottrina metafisica
di Eckhart
pi
che
agli
scritti
giovanili
del
magistero parigino,
occorre
rivolgersi agli
scritti
pi maturi,
specialmente
al
suo
Opus tripartitum.
Qui
la tesi della
priorit
del
conoscere sull'essere viene
abbandonata,
ed
Eckhart fa
sue due tesi fondamentali della metafisica tomistica dell'esse-
re: 1)
che
senza l'essere lo stesso
pensiero

nulla; 2)
che l'essere Dio
stesso: esse est Deus. Ma l'accordodi Eckhart
con S. Tommasofinisce
qui.
I
tentativi, a
partire
da Otto Karrer
(1928)
di conciliarela sua dottrina col
tomismo, sono da considerarsi falliti. Il fondamento
e il fine del siste-
ma
di
pensiero
eckhartiano,
compiutamente
espresso
(...) sono
incompa-
tibili
con la dottrina tomista in
punti
essenziali.54 E
quali
sono i
punti
essenziali? Sono tre: l'assoluta trascendenza di
Dio,
la nullit delle
crea-
ture,
l'immanenza delle creature in Dio. Immediatamente
collegata
con
questi punti
la dottrina eckhartiana
dellanalogia
e dellunivocit che
differiscono toto coelo dalla dottrina tomista.
La trascendenza assoluta di Dio
Nel
Prologo dell'Opus tripartitunt
Eckhart dichiara che l'essere in
s, e
con esso l'uno,
il
vero e il
bene,
si addicono soltanto
a Dio. Secondo la
tradizioneche discende da Giovanni
Damasceno, e che
qui
viene
citato,
questa proposizione
si rif al celebre
passo
dellflEsodo
3,
14: Io
sono co-
lui che
sono
(Ego
sum
qui
sum),
che
esprime
il
vero e
proprio
nome
di
Dio.
Perci, tutte le
Cose hanno soltanto da Dio
l'essere, l'unit,
la
verit,
il bene. Come in
effetti,
qualche
cosa sarebbe, se non fosse del-
53) Cf. O.
KARRER, Das
gtittliche
in der Scele bei Meister
Eckhart,
Wiirzburg
1928.
54) K.
RUH,
0p.
ciL,
p.
126.
742 Parte seconda
l'essere; 0 come
potrebbe
essere una se non dall'uno, 0
grazie
all'uno e
all'unit; o come
potrebbe
essere
buona se non
grazie
alla bont,
cos
come
ad
esempio,
tutto ci che bianco lo
per
la bianchezza?
(n. 9).
Ed Eckhart
soggiunge poi: Ogni
e ciascun ente non
solo ha da Dio tutto
il suo
essere,
tutta la sua bont e la sua verit, ma lo ha da lui immedia-
tamente, assolutamente, senza alcuna mediazione
(n. 13).
Nullit della creatura
Tutto
procede
da
Dio, ma tutto rimane
sempre
suo,
di Dio. In
quanto
questo
0
quel1o",
nulla
appartiene
di fatto alla creatura.
Dunque que-
sto o
quellente, questo
o
quelluno, questo
o
quel vero, questo
o
quel
bene,
in
quanto
sono
questo
o
quello,
non
aggiungono
n conferiscono
affatto nulla di
entit,
di
unit,
di verit e
di bont
(n. 15). Questa
affer-
mazioneha molta
importanza per
la
spiritualit
eckhartiana: la nullit di
tutto ci che non da Dio un
motivo conduttore della sua
predicazione:
Tutte
le creature (in
quanto
creature) sono un
puro
nulla. E nel Com-
mento a Giovanni si
legge:
In
ogni
creatura si avverte l'ombra del nulla.
Immanenzadelle creature in Dio
La
ragione per
cui la creatura in se stessa una
nullit che tutto Ci
che essa
possiede appartiene
a Dio,
anzi Dio stesso. La totale immede-
simazionedella creatura con
Dio
vigorosamente
affermata da Eckhart
nel famoso Liber benedictus 0 Libro della consolazione,
che fu il testo
pi
discusso dai suoi
giudici
di Colonia. Occorre innanzitutto
sapere
- scri-
ve
Eckhart - che il
sapiente
e
la
Sapienza,
l'uomo vero e la
Verit,
il
giu-
sto e la Giustizia,
l'uomo buono e
la Bont sono
in
rapporto reciproco,
e
si
rapportano reciprocamente
cos: la Bont non n
creata,
n fatta, n
generata;
e
l'uomo buono in
quanto
buono
non
ne
fatto,
n
creato,
e
tuttavia
generato Figlio
e
Figlio
della bont. La Bont
genera
se stessa,
con tutto
quel
che essa e,
nell'uomo
buono, e
questo
riceve tutto il suo
essere,
sapere,
amore e
agire
dal cuore e
dal1intimo della bont e
solo da
essa (...).
L'uomo buono
e
la Bont non sono
che un'unica
cosa,
assoluta-
mente una
sola bont, con
la differenza che
una
genera
e il fatto di esse-
re
generato per
l'uomo buono, non costituiscono altro che un
solo essere e
una stessa vita. Tutto
quel
che
appartiene
all'uomo
buono,
egli
lo riceve
dalla
bont,
nella Bont. E in essa che
egli
,
vive e dim0ra.55
La chiave
linguistica
di cui Eckhart si avvale
per
leggere
i
rapporti
tra
Dio e
la creatura
lanal0gia
di attribuzioneestrinseca intesa univocamente e
non
-
come
insegnava
S. Tommaso -
Panalogia
di attribuzioneintrinseca
oppure
Fanalogia
di
proporzionalit propria,
le
quali
darebbero alla
55) ECKHAR, Opere
tedesche, a cura
di M. Vannini,
Firenze 1982,
pp.
3-4. Il corsivo
mio,
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
743
creatura
quella
consistenza
ontologica
che
toglierebbe
sia la
sua nullit
sia la
sua identit
(assoluta
immanenza)
in Dio. Per
questa
chiave lin-
guistica
Eckhart si
ispira
direttamente ed
espressamente
a Maimonide,
che
proprio
su
questo punto
nella Summa
Theologiae
(I, 13, 5-6)
l'Aquinate
criticava
severamente. Il
passo
fondamentale in cui Eckhart
formula il
suo concetto di
analogia
nella seconda Lezione suZFEccIes-ia-
stico
(nn. 52-53),
di cui
ecco lessenziale:
Si devono notare le differenze tra
questi tre, Vunivoco,
Yequivoco e
l'analogo.
Mentre
l'equivoco

distinguibile
tramite le cose diverse da
esso
contrassegnate,
l'univoco dal diverso
genere
della stessa
cosa,
l'analogo
non si
pu
articolare n in base alle
cose ne alle differenze
tra le
cose,
bens soltanto in base al modo di
essere
(per modus)
di una
medesima
cosa in assoluto. Un
esempio:
la medesima salute che
nell'essere animato -
e non un'altra nel cibo e nell'urina, e tuttavia
in modo tale che della salute
propriamente
non vi nulla nel cibo
e
nell'urina, non
pi
di
quanto
vi sia nella
pietra.
Piuttosto si chiama
sana l'urina solo
perch
mostra
quella
salute che nell'essere anima-
to,
proprio
come il cerchio della botte
(sulla
porta
dellosteria) indica
il vino che
non ha affatto in s. Ma l'ente
(ens) o l'essere
(esse) e
ogni
perfezione, specialmente quelle generali come
essere, uno, vero, bene,
luce,
giustizia
e simili,
vengono
asseriti in modo
analogo
di Dio
e
nelle
creature. Ne
consegue
che
bont,
giustizia
e simili
(nelle creatu-
re)
hanno la loro bont
completamente
da
un essere al di fuori di
loro,
con il
quale
stanno in una relazione
analogica,
cio Dio.
Nella stessa
opera prosegue
citando
Agostino:
La dimostrazionein breve si
pu
riassumere cos:
gli analogati
(ana-
logata) (secondari) non hanno in s alcun radicale fondamento
per
la
forma
con cui stanno in
rapporti
di
analogia.
Ma tutto
quel
che
crea-
to (ens crcatum) sta,
dal
punto
di vista
dell'essere,
della verit e della
bont,
in
un
rapporto
di
analogia
con Dio;
dunque ogni
ente creato ha
essere,
vita
e
pensiero
veramente e radicalmenteda Dio e in
Dio, non
in
se stesso in
quanto
creato. E cos vive
sempre
(di Dio),
in
quanto
ne

prodotto
e
creato, e ne
ha
sempre
fame,
perch non da
se stesso
ma
sempre
da
un altro.
Come risulta
dagli esempi
addotti da Meister
Eckhart, saluteci-
bo/urinae
vino-cerchio,
l'analogia
a cui
egli
si riferisce chiaramente
quella
di
attribuzione
estrinseca,
la
quale

esattamente
quelfanalogia
in
cui la
perfezione (qualit) predicata
di
pi analogati appartiene
esclusi-
vamente
allanalogatoprincipale
e si dice
degli analogati
secondari solo
per qualche nesso di ordine causale
con il
principale. Questo
tipo
di
analogia,
per
un verso svuota le creature di
tutto
quanto
attiene l'essere
e
ogni
altra
perfezione semplice,
ma
per
un altro
verso le riconduce
e le
riduce
interamente all'essere e alle
perfezioni
del loro
creatore,
Dio.
744 Parte seconda
A
questo punto
Eckhart
pu
sostituire come
fa
talvolta, l'analogia
con
Punivocit, perch
il
nome
predicato possiede
un
medesimo e unico
senso.
Nel Commento a Giovanni (n. 23)
Eckhart
esprime
la stessa idea
ricorrendo
all'esempio
dello
specchio.
Come un
oggetto
si riflette nello
specchio,
cos l'essere divino nel creato.
L'immagine
nello
specchio

uguale
al suo rnodello", l'oggetto,
e
riceve tutto il suo essere dall'og-
getto
e non le
appartiene
un essere
proprio.
Cos il creaturale si
rappor-
ta all'essere divino; come
nel caso
della salute e dell'urina,
c' una certa
somiglianza,
ma nessuna
effettiva
partecipazione.
Coerente con
il discorso sull'essere delle creature e
sull'analogia,
la
teoria eckhartiana sul valore dei nomi divini e
del
linguaggio teologico
in
generale.
Essi hanno un
valore meramente
apofatico, negativo:
non
ci
possono
far conoscere
ci che Dio ma soltanto ci che
non
. Alla nul-
lit
ontologica corrisponde
unidentica nullit semantica. La
povert
infi-
nita della creatura non
pu
svelare l'infinitaricchezza di Dio. Nella sua
semantica
teologica
come nell'ontologia
Eckhart
paga
apertamente
il
suo
tributo allo
Pseudo-Dionigi.
Commentando il versetto Beatus homo
qui
invenit
sapientiam
(Pr 13, 13),
nel
sermone
46 del Paradisus animale
intellgentis,
Eckhart scrive:
Un Maestro dice: tutto
quel
che si
pu
affermare di
Dio,
e Dio.
Un altro dice: tutto
quello
che si
pu
affermare, non
Dio. Entrambi
dicono il vero.
Agostino
dice: Dio
potenza, sapienza
e
bont.
Diongi
dice: Dio
sovrasapienza
e sovrabont e
sopra
tutto
quel
che
si
pu
affermare. Perci nella Scrittura si danno molti nomi a nostro
Signore,
e
per
due motivi: il
primo
e che non si
pu cogliere
la sua
nobilt con nessuna
parola, perch egli
al di fuori e al di
sopra
di
ogni
natura e
ha
una
nobiltnon naturale. Ora 1o si chiama
potenza,
ora
lo si chiama luce, ma
egli
al di
sopra
di tutte le
luci.
Perci lo si
chiama
"questo
e
quello"
(hoc
et hoc), e ci
perch egli
non ,
in senso
proprio,
nessuna
di
queste
cose.
Se si
potesse cogliere
con
qualche
nome
la sua nobilt,
egli
manterrebbe
sempre
tali nomi. Pu
parlare
maggiormente
di Dio chi
pi
lo
nega

come
si
pu
dimostrare con
l'esempio
della nave.
Se io (in
quanto
armatore)
volessi dare l'idea di
una nave a uno
che non ne
ha mai
viste, gli
direi che
non n di
pie-
tra n di
paglia,
e cos
gli
avrei comunicato
qualche
cosa
di
questa
nave (...).
Nostro
Signore
dice: "Se il chicco di
grano
non cade in terra
e non muore,
non
pu
divenire frutto". Tale morte l'anima deve avere
nella conoscenza
di
Dio,
per
cui
germini
in se stessa e
divengano per
essa
fetide tutte le cose
che non sono
Dio. Allora Dio si effonde
gra-
ziosamente nell'animaed essa si radica nella fede e divieneessenziale
nell'amore.
Tutte le teorie di Eckhart che siamo andati
esponendo
-
se
prese
alla
lettera -
non
sfuggono
certo alle accuse
di eresia che
sono state
sollevate
contro di lui dai suoi stessi confratelli e
dai commissari di Colonia.
La crisi della
metafisica
cristiana nel XIVsecolo
745
Lapofatismo semantico,
il nichilismo
ontologico
e Pimmanentismoteo-
logico
sfociano inevitabilmentein concezioni monistiche di
stampo pan-
teistico. Ma
gli
scritti di Meister
Eckhart, il
quale
si
proponeva
finalit
pratiche pi
che
speculative,
obiettivi ascetici
e mistici
pi
che filosofici
e
teologici,
vanno letti secondo la intento auctoris. Il
suo
scopo principa-
le
era
quello
di radicare le anime nella fede"
e di accenderein
esse la-
more
di Dio.
Di fatto errori dottrinali in Eckhart esistono e sono
piuttosto gravi
e
vistosi. Il
primo
errore la
sua
esplicita
identificazionedi
ens ed
esse.
Questo
lo
porta
inevitabilmente
a dissolvere Yens nellesse. Un secondo
errore non meno
grave
la eliminazionedella distinzione tra "natura
e
"sovrannatura.
Egli
lascia ai
grandi
chierici l'incarico di far luce
su
questa
come su altre distinzioni che
egli giudica troppo
sottili
e mal
rispondenti
alla reale
esperienza.
746 Parte seconda
Suggerimenti
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Faggin,
Milano
1982;
I sermoni latini, a cura
di M.
Vannini,
Roma 1989.
Studi: S.
BRETON,
Deux
nzystiqaes
de Fexcs:
]. I.
Surin et Meister Eckhart,
Paris
1985;
H.
DELACROIX,
Essai su?
le
mysticisme spculatf
en
Allenzagne
au
XIV siede,
Paris
1900;
A. DE
LIBERA,
Le
problme
de I tre chez Meister
Eckhart:
logiqae
et
nztaphysique
de
Fanatogie,
Genve
1980;
A.
DEMPF,
Meister Eckhart. Eine
Einfilhrang
in sein Werk,
Leipzg
1934;
G. FAGGIN,
Meister Eckhart e la mistica tedesca
protestante,
Milano
1946; J. KOCH,
Kritische Studien zam
Leben Meister Eckhart,
in ArchiviumFratrumPrae-
dicatorum 29 (1959),
pp.
5-51;
30 (1960),
pp.
5-52;
V.
LOSSKY, Thologie
negative
et connaissance de Diea che: Meister Eckhart,
Paris 1960;
K.
RUH,
Meister Eckhart,
teologo, predicatore,
mistico,
Brescia
1989;
R. SCHURMANN,
Meister Eckhart et la
joie errante,
Paris
1972;
W.
TRUSEN,
Der Prozess
gegen
Meister Eckhart.
Vorgeschichte, Verlaaf
and
Folgen,
Paderborn - Mnchen -
Wien - Zurich
1988;
B.
WELTE,
Meister Eckhart. Gedanken zu
seinen
Gedanken, Freiburg
- Basel - Wien 1979.
CONCLUSIONE GENERALE
La metafisica cristiana non certo un evento culturale esclusivo del
medioevo:
essa esistita
prima
e
continuer
anche
dopo.
Ma come
feno-
meno che investe tutta la cultura di
una societ e di
un'epoca,
la metafi-
sica cristiana
un'espressione tipica
della
respublica
chrstiana
medievale,
il cui distintivo
principale era,
come
sappiamo,
una totale armonia tra
fede
e
ragione.
La filosofia
sempre
la manifestazionedellhutocoscienza riflessa di
una societ,
di
un
popolo,
di
una nazione. Tutte le
societ,
tutti i
popoli,
tutte le nazioni fanno della
filosofia,ma non tutti fanno della metafisica.
Cos,
per
es., oggi
si fa molta
filosofia,ma
pochissima
metafisica.
La societ medioevale che viveva
profondamente
e intensamente la
sua fede
religiosa
non
poteva
non avere una coscienza altamente metafi-
sica. La dimensione metafisica
dellhltraterreno, dellimmateriale, dello
spirituale,
del
trascendente, dell'eterno, dell'infinito,
dellassoluto
era
gi
colta nella
fede; ma man mano
che la societ medioevale
Cresce
anche
culturalmente, essa avverte
l'esigenza
di
esprimere
in concetti le
verit
gi
accolte
per
fede. Cred0 ut
intelligam"
era il motto
degli
intel-
lettuali della
respublica
christiana.
Per elaborare
una metafisica cristiana
gli
studiosi del medioevo si
mettono alla scuola di Platone
e Aristotele,
di Plotino
e Proclo,
nonch
dei musulmani
Al-Farabi,
Avicennae Averro
e
degli
ebrei Avicebrone
Maimonide, ma lo fanno
senza mai tradire la metafisica dellEsodo"
e la "metafisica dell'Amore.
C' nella metafisica cristiana dei
medioevali, come
gi
in
quella
dei
neoplatonici,
uno sforzo incessante di
operare
una sintesi tra i due
gran-
di metafisici
dellantichit,
Platone
e Aristotele. Nel secolo d'oro della
metafisica
cristiana,
il
sec. XIII,
quando
finalmente
gli
scolastici
scopro-
no l'immenso tesoro del
pensiero
aristotelico,
essi
cercano di realizzare
una sintesi tra Platone
e Aristotele, e
questo
diviene il loro
principale
obiettivo. Per tutti l'edificio metafisico abbraccia elementi
cristiani,
pla-
tonici e aristotelici,
che
per
non
vengono
utilizzatiallo stesso modo
e in
eguale misura, ma con
dosaggi
molto differenti. Lo
specifico

sempre
costituito dalle1emento
cristiano, ma
poich questo
include sia
una
componente ontologica
(la metafisica
dell'essere)
sia una
componente
agapica
(la
metafisica
dell'amore)
anche
rispetto
allo
specifico
cristiano
si
registrano
delle
divergenze.
Cos mentre
Guglielmo dAuvergne,
Al-
750 Parte seconda
berto
Magno,
Tommaso
d'Aquino pongono
l'accento sulla
componente
ontologica,
Bonaventura,
Ruggero
Baconee
Scoto sottolineano viceversa
la
componente agapica.
L0 stesso accade nel ricorso a
Platone e
ad
Aristotele. I metafisici che
prendono
in considerazione
soprattutto
la
dimensione dell"'amore",
danno
pi spazio
a Platone; mentre coloro
che mettono
in evidenza
l'importanza
dell'essere,
fanno
pi ampio
rife-
rimento ad Aristotele.
Pur in modo diverso tutte le metafisiche cristiane elaborate in
questo
periodo
sono
metafisiche dell'essere, e come
avrebbero
potuto
non esser-
lo se
la metafisica ,
per
definizione,
scienza dell'ente in
quanto
ente?
Senonch l'ente
pu
essere
pensato
in vari modi: essenzialisticamente
(Agostino),
attualisticamente (Tommaso), esemplaristicamcnte
(Bona-
ventura) e
minimalisticamente(Scoto).
Come ha mostrato
il
grande
me-
dioevalista Gilson,
le
divergenze
tra i
quattro
massimi
esponenti
della
metafisica cristiana:
Agostino,
Tommaso, Bonaventura,
Scoto
riguarda-
no
essenzialmente
Yoggetto
della metafisica. Con un concetto diverso
dell'ente essi hanno costruito
quattro
metafisiche che sono tutte cristiane
e
tuttavia
profondamente
differenziate. E
poich
hanno
punti
di
parten-
za cos differenti anche difficileinstaurare dei confronti tra loro,
cos
come
risulta difficileun
confronto tra le metafisiche di Platone,
Aristotele e
Zenone.
Uimproponibilit
di un
confronto tra le metafisiche
di Tommaso e di Scoto, su cui insiste
giustamente
Gilson,
vale anche
per
le altre metafisiche cristiane del medioevo. A seconda che si
accolga
l'una o l'altra,
si
preferir
un
punto
di
partenza
metafisico
per
le
prove
dell'esistenza di Dio
oppure,
al contrario,
si riterr necessario
appog-
giarle
su una
base fisica. Se
l'oggetto primo
della conoscenza non
lo
stesso
nelle due dottrine,
le loro
gnoseologie
saranno necessariamente
differenti. In
breve,
diventer ormai
impossibilerespingere
un
punto
quaisiasi
di una
di
queste
dottrine a
partire
dal
punto parallelo
dell'altra
dottrina;
lo sfasamento iniziale dovuto alle
ontologie
differenti da cui
muovono, impedisce
loro di incontrarsi.
Principiis
obsta... in
ragione
dei loro
principi
che si
pu
e si deve
scegliere
tra le
due; ma
solo la filo-
sofia
pu scegliere,
non la
storia,
la cui unica funzione
quella
di aiuta-
re a
comprendere, per
consentire la sceltaw
La
montagna
dell'essere altissima.
Uambizionedella metafisica
quella
di
conquistare
la vetta
pi
alta.
La metafisica cristiana
meglio
informata circa le caratteristiche della
vetta (Dio) ma non
dispone
di unattrezzatura
migliore
della metafisica
classica
per
effettuare la scalata. Infatti,
per
tutte le metafisiche l'unica
attrezzatura
disponibile

quella
fornita dalla
pura
ragione.
1) E.
C1LSON,Ie'an
Duns Scot... cit.,
pp.
114-115.
Conclusione
generale
751
Alcune Vie
verso la
vetta erano
gi
state
aperte
da
Platone,
Aristotele
e Plotino. I
grandi
metafisici cristiani
aprono
altre vie. Ma l'ascesa
sempre
difficile
e faticosa
per
tutti, sia
per
i metafisici dell'antichit clas-
sica sia
peri
metafisici del medioevo
cristiano, sia
per
i metafisici islami-
ci sia
per gli
ebrei. Ma
una
impresa
che
occorre affrontare,
perch
al
suo buon esito
legato
il destino
dell'uomo,
il
senso della
vita,
il fonda-
mento dei valori. Fare della
metafisica, e
possibilmente
della buona
me-
tafisica,

per ogni
epoca
e
per ogni
cultura, uno
degli impegni primari
e
inderogabili.
La
grandezza
di
qualsiasi
societ
e di
qualsiasi
cultura
sempre legata
alla
grandezza
della
sua metafisica.
INDICE
Introduzione
.......................................................................................... ..p.
Dalla metafisica classica alla metafisica cristiana
.............................. ..p.
Il
potenziale
filosoficoe
metafisicodel cristianesimo
.........................p.
Il concetto di creazione
....................................................................... ..p.
Il concetto di
spirito
............................................................................ ..p.
Il valore assolutodell'uomo e il concetto di
persona
..........................p.
Il concetto di libert
............................................................................. ..p.
Il concetto di storia
.............................................................................. ..p.
Un nuovo concetto di Dio
.................................................................... ..p.
Il concetto di carit (caritas,
agape) .................................................. ..p.
Le caratteristichedella metafisica cristiana
........................................ ..p.
Divisione della storia della metafisica cristiana
................................. ..p.
PARTE PRIMA
LA METAFISICACRISTIANA
NELLEPOCA DEI PADRI
Clemente e
Origene:
i creatori della metafisicacristiana
..............
..p.
La scuola di Alessandria
........................................................................ ..p.
Clemente Alessandrino
......................................................................... ..p.
Vita
e
opere
........................................................................................... ..p.
Gli obiettivi
apologetici
e
speculativi degli
Stromati
..........................
..p.
La
legittimazione
della
filosofia............................................................ ..p.
Il
platonismo
di Clemente
.................................................................... ..p.
I/esegesi allegorica
e
l'influsso
di Filone
.............................................. ..p.
Divisionedella
filosofia........................................................................ ..p.
Esistenza e natura di Dio
..................................................................... ..p.
Inconoscibilite
inefiabilit
di Dio
...................................................... ..p.
21
21
23
23
24
25
27
29
30
31
34
754
II teorema della creazione
.....................................................................
..p.
35
Il
Logos .................................................................................................
..p.
37
Il mondo
...............................................................................................
..p.
38
L'uomo,
icona ali Dio
............................................................................
..p.
39
Conclusione
..........................................................................................
..p.
41
Ori
gene.....................................................................................................
..p.
43
Vita
.......................................................................................................
..p.
43
Opere ....................................................................................................
..p.
44
Il
genio
di
Origene ...............................................................................
..p.
46
Il sistema dei
Principi ..........................................................................
..p.
47
Sapienza
umana e divina:
importanza
della
filosofia...........................
..p.
49
Una
metafisica
cristiana della libert
...................................................
..p.
51
Dio
e
la Trinit
.....................................................................................
..p.
52
La creazione
..........................................................................................
..p.
55
Le creature razionali
.............................................................................
..p.
57
L'uomo
..................................................................................................
..p.
59
ll metodo
allegorico ..............................................................................
..p.
62
Origene
e
l
brigenismo.........................................................................
..p.
67
Idiscepoli
di
Origene:
Gregorio
il
Taumaturgo
e
Panfilo
di Cesarea
.......................................
..p.
7D
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
72
Gli antimetafisici:
Ireneo,
Ippolito,
Tertulliano
..............................
..p.
75
L0
gnosticismo........................................................................................
..p.
75
Valentino
..................................................................................................
..p.
78
Marcione
..................................................................................................
..p.
79
Ireneo
........................................................................................................
..p.
81
Opere ....................................................................................................
..p.
82
Critica dello
gnosticisnzo......................................................................
..p.
83
L'unit di Dio
.......................................................................................
..p.
86
L'uomo
..................................................................................................
..p.
88
Ippolito, discepolo
di Ireneo
.................................................................
90
Tertulliano
................................................................................................
..p.
93
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
94
Apologia
del cristianesimo
...................................................................
..p.
95
Critica delle eresie
................................................................................
..p.
96
Esistenza e natura di Dio
.....................................................................
..p.
99
La Trinit
..............................................................................................
..p.
100
Antropologiafilosofica
e
teologica........................................................
..p.
102
Conclusione
.............................................................................................
..p.
103
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
104
755
I Padri
Cappadoci
e il rilanciodella filosofiacristiana
...................................................
..p.
106
L'incontro
con il
neoplatonismo...........................................................
..p.
106
Basilio
.......................................................................................................
..p.
109
Vita
.......................................................................................................
..p.
109
Opere teologiche
e
pensierofilosofico....................................................
..p.
110
Gregorio
di Nissa
....................................................................................
..p.
111
Vita
.......................................................................................................
..p.
111
Opere ....................................................................................................
..p.
113
Il
pensiero
in
generale...........................................................................
..p.
113
Trascendenza
e
inefiabilit
di Dio
.........................................................
..p.
114
La dottrina sulla Trinit
.......................................................................
..p.
115
Ijuonzo, icona di Dio
............................................................................
..p.
117
Caduta
e restaumzione
.........................................................................
..p.
118
Conclusione
..........................................................................................
..p.
120
Gregorio
di Nazianzo
.............................................................................
..p.
121
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
121
Pensiero
................................................................................................
..p.
121
Nemesio
...................................................................................................
..p.
125
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
131
Il
platonismo
cristiano
di Mario
Vittorino,
S.
Agostino
e
Boezio
..........................................
..p.
133
Il contesto storico
....................................................................................
..p.
133
Mario Vittorino
.......................................................................................
..p.
134
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
134
Speculazionemetafisica
sui misteri di Dio
e della Trinit
...................
..p.
135
Agostino
di
Ippona ...............................................................................
..p.
14D
Vita
............................................................................................................
..p.
140
Opere .....................................................................................................
..p.
143
Il
genio
di
Agostino................................................................................
..p.
144
Lnquietudine
metafisica
e
religiosa ...................................................
..p.
146
Fede
e
ragione:
lo
spazio
della metafisica......
.....................................
..p.
146
La filosofia
...............................................................................................
..p.
148
L'opzioneplatonica................................................................................
..p.
150
Il metodo dellinteriorit
.......................................................................
..p.
152
Metafisica della
partecipazione............................................................
..p.
157
756
Il
problema
di Dio e
il mistero della Trinit
........................................ ..p.
160
Condizioni
psicologicheper
conoscere
Dio
.......................................... ..p.
161
Esistenza e natura
................................................................................ ..p.
164
Trascendenzae
ineffabilitdi Dio
........................................................ ..p.
174
Trascrizionemetafisica del mistero trinitario
..................................... ..p.
177
Illustrazione
psicologica
del mistero trinitario.
................................. ..p.
184
Angeli
e
demoni
...................................................................................... ..p.
189
Il
problema
del mondo:
origine,
durata, dinamismo,
finalismo
.....
..p.
193
La creazione del mondo
........................................................................ ..p.
194
La natura del
tempo ............................................................................. ..p.
197
Il divenire del cosmo............................................................................. ..p.
201
L'ordine
nretafisieo
e
il
problema
del male
............................................ ..p.
203
Il
problema antropologico
..................................................................... ..p.
206
La natura dellhninza
............................................................................ ..p.
207
Origine
dell'anima
............................................................................... ..p.
208
Propriet
dell'anima
............................................................................. ..p.
210
Nobiltdell'anima
................................................................................ ..p.
213
Rapporti
dell'anima col
corpo
.............................................................. ..p.
216
Lmmortalit dell'anima
...................................................................... ..p.
218
Le attivit
spirituali
dellhnima e
il suo
ritorno a
Dio
.............. ..........p.
221
Conclusione
............................................................................................. ..p.
225
Boezio
...................................................................................................... ..p.
226
L'importanza
di Boezio
.......................................................................... ..p.
226
Vita e
opere
.............................................................................................. ..p.
227
Il
progetto
di un
platonismo
aristotelico
e
cristiano
............................p.
228
Il De hebdomadibus: labb0zzodi una nuova
metafisica
......................p.
230
Il De consolatione
philosophiae:
una
metafisica
del benee
del
male,
della
provvidenza
e
della libert
........................p.
235
L'esistenza di Dio
.................................................................................... ..p.
236
La
provvidenza,
il male e la libert
...................................................... ..p.
237
Il De Trinitate:
ontologia
trinitaria
........................................................ ..p.
241
Agostino
e
Boezio
................................................................................... ..p.
242
Conclusione
............................................................................................. ..p.
243
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
245
757
La metafisica cristiana nel mondo bizantino:
Dionigi lAreopagita,
Massimo il
Confessare,
Giovanni
Damasceno, Michele Psello
..............................................
..p.
247
Dionjgi lflreopagta
...............................................................................
..p.
247
Vita
e
opere
...........................................................................................
..p.
248
Neoplatonisnzo
cristiano
......................................................................
..p.
248
Dio:
primato
del Bene suilEssere
........................................................
..p.
249
La
ripartizione
gerarchica
del mondo delle creature
............................
..p.
252
Simbolismo,
analogia, anagogia
...........................................................
..p.
255
Massimo il Confessore
...........................................................................
..p.
261
Vita
....................................................................................................... ..
p.
262
Opere
....................................................................................................
..p.
262
La cosmovisione
....................................................................................
..p.
263
La dottrina
su Dio
................................................................................
..p.
264
La dottrina
antropologica
.....................................................................
..p.
265
La
cristologia
........................................................................................
..p.
266
Giovanni
Damasceno
.............................................................................
..p.
267
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
267
Pensiero
................................................................................................
..p.
268
Esistenza
e natura di Dio
.....................................................................
..p.
268
La
creazione,
gli angeli
e l uomo
..........................................................
..p.
269
Michele Psello
.........................................................................................
..p.
272
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
272
I
programmi
dell'accademiadi
Costantinopoli ....................................
..p.
273
L'opzioneplatonica
...............................................................................
..p.
274
La
metafisica
.........................................................................................
..p.
275
Suggerimenti bibliografici
.....................................................................
..p.
278
758
PARTE SECONDA
LA METAFISICACRISTIANA
NELLEPOCA
DEGLI SCOLASTICI
La metafisica cristiana nell'alto medioevo:
Scoto
Eriugena,
Ansehno d'Aosta,
GilbertoPorretano
............................p.
283
Giovani Scoto
Eriugena
......................................................................... ..p.
284
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
284
Fede e
ragione:
il razionalismo
teologico
di Scoto
Eriugena ..................p.
285
La natura e
le sue
divisioni
.................................................................. ..p.
287
Dio:
esistenza, natura,
conoscibiiit
.................................................... ..p.
288
Le Idee divine
........................................................................................ ..p.
290
Creazione e
partecipazione
................................................................... ..p.
291
Le creature
angeliche
e
l'uomo
............................................................. ..p.
293
Giudizi sul
pensiero
di Seoto
Eriugena
................................................ ..p.
295
Anselmo d'Aosta
.................................................................................... ..p.
297
Vita
....................................................................................................... ..p.
297
Opere
.................................................................................................... ..p.
298
Verit,
fede, ragione
.............................................................................. ..p.
299
Lesistenza di Dio
................................................................................. ..p.
303
Natura e
attributi di Dio
...................................................................... ..p.
308
La trascendenza divina
......................................................................... ..p.
309
La creazione
.......................................................................................... ..p.
312
La Trinit
.............................................................................................. ..p.
314
L'anima
................................................................................................. ..p.
316
Verit e
sistema
.................................................................................... ..p.
317
Male e
libert
........................................................................................ ..p.
319
Conclusione
.......................................................................................... ..p.
322
GilbertoPorretano.................................................................................. ..p.
323
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
324
La
ripartizione
delle scienze
................................................................. ..p.
324
ll metodo assioinatico
........................................................................... ..p.
327
Essere ed enti,
Essentia e
subsisteptia
............................................... ..p.
328
Creazionee
partecipazione
................................................................... ..p.
331
La condanna di Gilbertoe
Pinflusso
del suo
pensiero
............................p.
332
Suggerimenti
bibliografici..................................................................... ..p.
334
759
La metafisica islamica del medioevo
.................................................
..p.
336
Origini
della filosofiaislamica
..............................................................
..p.
336
Al-Kind
...................................................................................................
..p.
338
Vita
e
opere .................................................................................. ......
..p.
338
Il
platonismo
aristotelizzantedi Al-Kindi
...........................................
..p.
339
La
metafisica
e i suoi
conzpiti ...............................................................
..p.
340
Esistenza di Dio e creazionedel mondo
...............................................
..p.
341
Al-Farabi
..................................................................................................
..p.
343
Vita
e
opere
...................................
.1"
......................................................
..p.
343
La divisione delle scienze
......................................................................
..p.
344
Il sistema
metafisico .............................................................................
..p.
346
Lntelletio
umano e l'immortalit dell'anima
.....................................
..p.
348
Avcenna
..................................................................................................
..p.
349
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
349
La
metafisica: oggetto, propriet,
divisione
..........................................
..p.
350
Le
categorie
e le strutture dell'essere
....................................................
..p.
353
Essenza-esistenza,
necessario-possibile................................................
..p.
354
Le
quattro
cause
...................................................................................
..p.
357
L'esistenza di
Dio,
l Essere necessario
per
s
.......................................
..p.
359
Gli attributi di Dio e il
significato
dei nomi divini
..............................
..p.
360
Origine
e ordine dell'universo
.............................................................
..p.
363
La
provvidenza
e
il nzale
.......................................................................
..p.
365
L'anima
umana,
lntelletto
Agente
e
il destino dell'uomo
dopo
la morte
.....................................................
..p.
367
Importanza
ed eredit di Avicenna
.......................... .........................
..p.
370
AI-Ghazali
................................................................................................
..p.
372
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
372
Critica della
filosofia.............................................................................
..p.
374
Gli attributi di Dio
...............................................................................
..p.
376
Ibn-Bajja (Avempace).............................................................................
..p.
379
Ibn Tofail
(Abubacer)
.............................................................................
..p.
381
Averro
.....................................................................................................
..p.
383
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
383
Ragione
e
fede .......................................................................................
..p.
384
Importanza
e
necessit della
filosofia...................................................
..p.
385
Difesa
della
filosofiadagli
attacchi dei
teologi
(Al-Ghazali)
................
..p.
386
Desegesi
averroistica di Aristotele
.......................................................
..p.
389
Suggerimenti bibliografici.......................................... ........................
..p.
393
760
La metafisicaebraica nel medioevo
................................................... ..p.
395
Origini
e
Caratteristiche della Scolasticaebraica
................................
..p.
395
Ibn Gabirol
............................................................................................... ..p.
396
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
396
La teoria
dclFllemorfismo
Universale
.................................................. ..p.
397
Dio e i suoi attributi: la volont
........................................................... ..p.
398
Maimonide
.............................................................................................. ..p.
401
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
401
Dio: esistenza
....................................................................................... ..p.
403
Dio: attributi e
significato
dei nomi divini
.......................................... ..p.
404
L'uomo e
I universo
.............................................................................. ..p.
406
La scuola di Maimonide
....................................................................... ..p.
407
La cabbala
........................................................................................... ..p.
407
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
409
Il secolo d'oro della metafisica cristiana
...........................................
..p.
410
La fondazionedelle universit
............................................................. ..p.
410
Origine
delle universit
........................................................................ ..p.
411
Struttura della istituzione universitaria
e
metodi di
insegnamento..................................................................... ..p.
413
L'ingresso
di Aristotelee
dei filosofi arabi nel mondo
latino
415
Le recezioni di Aristotele nel XIII secolo
.............................................
..p.
421
I nuovi Ordini
religiosi
di San Domenicoe San Francesco
................p.
423
L0
sviluppo
della
teologia..................................................................... ..p.
425
I
principali
indirizzidella metafisica cristiananel XIII secolo
.........
..p.
426
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
428
I
primi
albori della rinascitadella metafisica cristiana:
Guglielmo dAuvergne......................................................................... ..p.
429
MaestroAdamo
...................................................................................... ..p.
429
Guglielmo d'Auvergne.......................................................................... ..p.
431
Filippo
il Cancelliere
.............................................................................. ..p.
442
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
445
Alberto
Magno,
commentatore di Aristotele
................................... ..p.
446
Vita
............................................................................................................ ..p.
446
Opere ........................................................................................................ ..p.
449
La
personalit.......................................................................................... ..p.
449
Il
programma
.......................................................................................... ..p.
451
76]
Le
parafrasi
aristoteliche
.......................................................................
..p.
455
Classificazionedelle scienze e
oggetto
della metafisica
...................
..p.
459
l trascendentali
.....................................................................................
..p.
461
Esistenza e natura di Dio
.......................................................................
..p.
463
La creazionee le creature
......................................................................
..p.
465
L'anima umana:
origine, spiritualit,
immortalit
.............................
..p.
467
L'apporto
di Alberto
Magno
alla metafisica
.......................................
..p.
471
La scuola albertina
..................................................................................
..p.
474
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
475
Tommaso
d'Aquino,
metafisico dell'essere
......................................
..p.
476
Vita
............................................................................................................
..p.
478
Opere
........................................................................................................
..p.
483
a) Commenti alla Sacra Scrittura
........................................................
..p.
484
b) Commenti ad Aristotele
...................................................................
..p.
484
c)
Opere
sistematiche
...........................................................................
..p.
484
d)
Opuscoli
autentici
............................................................................
..p.
485
e) Varie
.....................................................................
a
..........................
..p.
486
j)
Altri continenti
.................................................................................
..p.
486
Gli scritti di metafisica
...........................................................................
..p.
486
Le fonti della metafisica di S. Tommaso
..............................................
..p.
488
S. Tommaso e Aristotele
.......................................................................
..p.
489
S. Tonzmaso
e Avicenna
........................................................................
..p.
493
Il sistema metafisicodi S. Tommaso
....................................................
..p.
496
L'oggetto,
le
propriet
e il metodo della metafisica
..........................
p,
499
Il cardine della metafisica di S. Tommaso:
il concetto forte di
essere
.......................................................................
..p.
508
L'esse
ipsum
.......................................................................................
..p.
509
La
conoscenza dell'essere
......................................................................
..p.
514
I
principi primi
della metafisica
...........................................................
..p.
516
Le strutture
primarie
dell'ente
..............................................................
..p.
524
Atto
e
potenza ......................................................................................
..p.
525
Essenza ed
essere
..................................................................................
..p.
528
La
grande
resolutio
degli
enti nell'esse
ipsum
.......................................
..p.
533
Dio:
esistenza, natura, attributi,
operazioni .......................................
..p.
537
Esistenza di Dio
...................................................................................
..p.
538
Le
"Cinque
Vie" della Summa
............................................................
..p.
540
Conoscibilitdi Dio: la "Via"
dellanalogia........................................
..p.
554
762
Tommaso
d'Aquino:
i trascendentali
................................................. ..p.
564
Unit
......................................................................................................... ..p.
565
Verit
......................................................................................................... ..p.
569
Bont
......................................................................................................... ..p.
571
Tommaso
d'Aquino:
la
creazione,
la
provvidenza
e
l'ordine dell'universo
....................
..p.
576
La nozione di creazione
......................................................................... ..p.
576
Libert della Creazione
.......................................................................... ..p.
581
La
possibilit
di una creazione eterna
.................................................. ..p.
582
La divina
provvidenza
e
il
problema
del male
.................................. ..p.
584
Dio,
principio primo
dell'ordine dell'universo
.................................. ..p.
587
Tommaso
d'Aquino: gli angeli
e l'uomo
........................................... ..p.
591
Gli
angeli .................................................................................................. ..p.
591
Spiritualit........................................................................................... ..p.
592
Conzposizioneontologica...................................................................... ..p.
594
Gerarchia
.............................................................................................. ..p.
594
Attivit
................................................................................................. ..p.
595
L'uomo
..................................................................................................... ..p.
596
Natura dell'anima
................................................................................ ..p.
597
Propriet
dell'anima
............................................................................. ..p.
598
Unione sostanziale dell'anima col
Corpo
.............................................. ..p.
599
lmmortalit dell'anima
......................................................................... ..p.
600
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
603
Sigieri
di Brabante e la
polemica
antiaverroistica
..........................
..p.
604
Sigieri
di Brabante
.................................................................................. ..p.
605
Vita
....................................................................................................... ..p.
605
Opere .................................................................................................... ..p.
606
Pensiero
................................................................................................ ..p.
607
La condannadel 1277
............................................................................. ..p.
614
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
618
I metafisici francescani del XIII secolo
............................................. ..p.
619
I fondatori della metafisica francescana:
Alessandro di
l-Iales,
Roberto Grossatcsta,
Ruggero
Bacone
...........
..p.
620
Alessandro di Hales
.............................................................................. ..p.
620
Roberto Crossatesta
.............................................................................. ..p.
623
Ruggero
Bacone
.................................................................................... ..p.
627
Suggerimenti bibliografici.......... ......................................................... ..p.
63D
763
Bonaventura di
Bagnorego.................................................................
..p.
632
Vita e
opere ..............................................................................................
..p.
633
Il
pensiero
di Bonaventurain
generale ...............................................
..p.
634
subordinazionedella filosofiaalla
teologia........................................
..p.
635
La
Complessit
della metafisica bonavcnturiana
...............................
..p.
638
Metafisica
dellesemplarit...................................................................
..p.
639
Metafisica
teologale................................................................................
..p.
642
Metafisica mistica
...................................................................................
..p.
643
Metafisica cristica
...................................................................................
..p.
644
Esistenza
e conoscibilitdi Dio
............................................................
..p.
646
L'esistenza di Dio nel "Commento alle Sentenze"
...............................
..p.
647
L'esistenza di Dio nella
Quaestiodisputata"
De
mysterio
Trintatis
...p.
648
L'esistenza di Dio nellltinerarummentis in Deum
.......................
..p.
649
Le
operazioni
divine: conoscenza e volont
....................................... ..p.
653
La creazione del mondo
........................................................................
..p.
656
L'uomo,
icona di Dio
..............................................................................
..p.
659
Conclusione
.............................................................................................
..p.
661
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
663
Giovanni Duns Scoto
............................................................................
..p.
664
Vita
............................................................................................................
..p.
665
Opere ........................................................................................................
..p.
665
I1 momento storico
..................................................................................
..p.
666
Il metodo di Duns Scoto
........................................................................
..p.
667
Fede
e
ragione,
metafisica e
teologia ...................................................
..p.
669
L'oggetto
della metafisica:
ens
in
quantum
cns
....................................
..p.
673
Uunivocit dell'ente
...............................................................................
..p.
676
I trascendentali
e la distinzioneformale
............................................. ..
p.
678
La dimostrazionedell'esistenza di Dio e
gli
attributi divini
............
..p.
681
L'origine
del mondo: la dottrina della creazione
...............................
..p.
688
L'uomo e
il
suo destino
..........................................................................
..p.
691
Che c0s Yuomo?
.................................................................................
..p.
692
Che cosa
pufare
l'uomo?
....................................................................
..p.
692
Che
cosa
pu
sperare
Monza?
..............................................................
..p.
694
Conclusione:
grandezza
e
importanza
di Duns Scoto
......................
..p.
695
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
699
764
La scuola
agostiniana:
Enrico di Gand e
Egidio
Romano
................p.
700
Enrico di Gand
........................................................................................ ..p.
700
Egidio
Romano
....................................................................................... ..p.
704
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
706
La crisi della civiltmedioevale
e
iltramonto della metafisica cristiana nel XIV secolo
....................p.
707
Le Cause
del declino della Scolastica
................................................... ..p.
707
Durando di San Porciano
...................................................................... ..p.
709
Pietro Aureolo
......................................................................................... ..p.
711
Guglielmo
di Occam (Ockham)............................................................ ..p.
714
Vita
....................................................................................................... ..p.
716
Opere .................................................................................................... ..p.
717
Il "rasoio di Occam

............................................................................ ..p.
718
Rottura dei
rapporti
tra
fede
e
ragione
................................................. ..p.
718
Metafisica
e
gnoseologia
....................................................................... ..p.
719
Dottrina della conoscenza
............. .................................................... ..p.
720
Oggetto
della
metafisica:
I 'ens commune.......................................... ..p.
721
Riduzionismo
ontologico...................................................................... ..p.
723
Esistenza e natura di Dio
..................................................................... ..p.
725
La
potenza
assoluta e la
potenza
ordinata
............................................ ..p.
726
Il Dio
deifilosofi
non il Dio cristiano
................................................ ..p.
728
L'influsso
di Occam
.............................................................................. ..p.
729
Nicola dAutrecourt
............................................................................... ..p.
730
Giovanni Buridano
................................................................................. ..p.
732
Giovanni di
Jandun................................................................................ ..p.
733
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
734
Pensiero
metafisico
............................................................................... ..p.
734
Meister Eckhart
....................................................................................... ..p.
737
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
738
Metafisica
e
analogia
............................................................................ ..p.
740
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
746
Conclusione
generale
........................................................................... ..p.
749

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