dopo aver ascoltato le lamentele di Sire Paganus, glio di Drimo barone de castillo Cilii, ordina uninchiesta per accertare i conni dei territori di Ostuni e Ceglie. Pa- gano aveva infatti accusato i cittadini di Ostuni di aver invaso il suo territorio, quello di Ceglie, devastandolo. Accardo ordina dunque ad alcuni vassalli, ai baiuli e ai proprietari delle terre in prossimit dei conni tra le due citt, di operare una verica della connazione, riper- correndo passo a passo le linee dei conni stessi e con- fermandole per iscritto in un atto notarile che avrebbe inoltre sancito la sanzione pecuniaria a carico di chi, da quel momento in poi, avesse violato gli accordi stipulati concordemente dagli ufciali e dai boni homines delle due terre connanti 1 . Qualsiasi analisi storica sino ad oggi prodotta su Ceglie de Gualdo, oggi Messapica, e sul suo territorio, si soffermata su questo documento pubblicato in varie sedi tra la ne del secolo XIX e il secolo XX 2 e oggi compiutamente inquadrato da Francesco Magistrale 3 . Va per evidenziato che da questo momento le attestazioni documentarie dirette del castillum Cilii scompaiono per un lungo periodo e si fanno pi problematiche. La documentazione riguardante Ceglie de Gualdo nei secoli XII, XIII e XIV infatti irrisoria. Si tratta per lo pi di documentazione pubblica: mandati dei sovrani svevi e angioini, assegnazioni di beni feudali o risoluzioni di controversie. La documentazione diplo- matica invece pressoch inesistente almeno sino alla met del secolo XIV e consiste per lo pi in contratti matrimoniali e assegnazioni dotali oltre ad un contro- verso documento ponticio e a poche altre attestazioni indirette 4 . Cercare di offrire dati rilevanti sui vari aspetti inerenti le strutture sociali, economiche e istituzionali DINAMICHE ISTITUZIONALI, TERRITORIO E UOMINI A CEGLIE DE GUALDO TRA XII E XIV SECOLO Victor Rivera Magos Teatro Comunale di Ceglie Messapica, Giornata di Studi Dal castello al territorio; il dott. Victor Rivera Magos 74 Victor Rivera Magos del luogo dunque impresa impossibile e daltronde non pretesa di questo intervento proporre un quadro di questo genere. Osservando tuttavia la produzione storiograca a disposizione emerge la necessit di capire quali fosse- ro gli equilibri politici in cui il territorio di Ceglie de Gualdo si and a inserire sin dalle prime attestazioni della sua esistenza. Si deve inoltre provare a comporre un quadro di patrimoni e dipendenze signorili nel quale quel territorio si and a collocare, possibile solo con una analisi di tipo verticale e sul lungo periodo, cercan- do di fare luce su una questione ancora oggi irrisolta. Non sono infatti chiare le dinamiche secondo le quali il territorio cegliese sarebbe passato, a met del seco- lo XIV inoltrato, nelle mani della famiglia Sanseverino, come risulta attestato da un documento cartaceo datato Brindisi 14 maggio 1361, Indizione XIV, attualmente conservato presso la Biblioteca Diocesana Annibale De Leo di Brindisi 5 . quanto questo intervento, senza al- cuna pretesa di completezza, si propone. utile tuttavia iniziare, per cercare di fare ordine su questa questione, da quanto comincia ad essere visi- bile dalla met del secolo XIII dopo circa un secolo di silenzio della documentazione, interrotto solamente da sporadici riferimenti al territorio cegliese presenti in un pugno di documenti sui quali si torner in seguito. Nel 1269 Carlo I dAngi, dopo aver conscato a Glicerio de Matino la citt di Mottola, le terre di Ceglie de Gualdo e di Soleto e il casale di San Pietro in Galatina, le assegna in capite a Anselin de Toucy, esponente di spic- co di quel ceto di milites, in questo caso borgognoni, sce- si in Italia meridionale al seguito del sovrano angioino 6 . Ancelin de Toucy risulta tuttavia morto il 3 aprile 1273. Ce lo attesta un breve mandato nel quale la curia regia ratica la consegna alla corona da parte di Phi- lippe de Toucy, glio di Ancelin, delle terre di Mottola, Ceglie del Gualdo, Soleto, San Pietro in Galatina e di ci che lo stesso Philippe aveva in Iurdiniano, Palme- ricio, Malle, Iuyanello, Moricio et Serrano nel giusti- zierato di Terra dOtranto. Tutte queste terre vengono da Carlo I revocate per mortem Anselini de Tucziaco. A Philippe vengono assegnate le terre Neritoni, casa- lium Furciniani, Sagnie et Bellovidere cum Turricella 7 . Precedentemente il sovrano aveva ordinato uninchiesta al Maestro Portolano e ai procuratori del re in Puglia, perch indagassero de proventibus et redditibus annuis [] ac numero focolariorum delle terre consegnate da Anselin stesso per eorum excadentiam. Le terre sono, nellordine e ancora una volta, quelle di Mottola, Ceglie de Gualdo, Soleto, San Pietro in Galatina conscate a Glicesio de Matina e a questo particolare si aggiungo- no le terre, denite dotali, di Giurdiniano, Palmiericcio, Malle, Giovannello, Moricio e Serrano 8 . Immediatamente dopo lo stesso Philippe, glio di Anselin, ottiene la riassegnazione degli stessi beni 9 che passano successivamente, dal 1277, a Narjaud de Toucy, glio di Philippe, che li terr no alla morte avvenuta forse tra l8 e il 16 agosto 1293 10 . A questi succede, at- traverso un accordo tra il fratello di Narjaud, Odon, e la moglie di quello, la principessa Lucia di Antiochia, Odon stesso 11 , con lobbligo annuo di un assegno dotale da versare alla vedova di Narjaud e probabilmente in at- tesa che il glio di Narjaud, anchegli di nome Philippe, uscisse dalla minorit e potesse dunque ricevere lasse- gnazione degli stessi beni in capite dal sovrano 12 . Solo sette anni dopo, l8 settembre 1300, morto forse non ancora maggiorenne Philippe de Toucy, glio di Lucia di Antiochia e di Narjaud de Toucy, nulli ex eo legitimis heredibus derelictis 13 , la terra di Ceglie de Gualdo insieme alla terza parte di Soleto, dopo trentun anni di possesso dei de Toucy, vengono assegnate dal re a Giovanni Pipino, barlettano divenuto in breve tem- po molto inuente negli ambienti pi vicini a Carlo II dAngi 14 . In questa occasione veniamo a sapere che la terram Cilii de Gualdo [] cum hominibus, vassallis, fortilliciis, iuribus et pertinenciis suis omnibus frutta annualmente 80 once ed tenuta ad armare 4 cavalieri 15 . in questo momento che avviene lo smembra- mento della parte pi meridionale del feudo cegliese e che interessa, come abbiamo visto, il castrum Soleti che per un terzo, equivalente a 20 once, viene afdato sempre al Pipino. Appare tuttavia interessante evidenzia- re come sia proprio questo il momento fondante della nascita dei possedimenti che nel Salento meridionale caratterizzeranno lo zoccolo della espansione dei Del Balzo Orsini, dipanatasi nel secolo XIV e per tutto il secolo XV. Solo del 1301 infatti la cessione da parte del Pipino della terza parte di Soleto alla corona in cam- bio dellintero castrum Balbani in Principato Ultra 16 . 75 Dinamiche istituzionali, territorio e uomini a Ceglie de Gualdo tra XII e XIV secolo A questo quadro aggiungiamo quanto riferisce il Ca- mera, secondo il quale del 1308 la donazione da parte di Carlo II delle terre di Soleto e San Pietro in Galatina a Ugo Del Balzo 17 . Lo smembramento del feudo dei de Toucy denitivamente avvenuto e Soleto e Galatina rimarranno nelle mani dei Del Balzo almeno sino alla morte di Raimondo del Balzo di Courthezon, avvenuta nel 1375, per poi passare agli Orsini e successivamente ai Del Balzo Orsini. Su queste cose si convincentemente soffermato un recente lavoro di Andreas Kiesewetter 18 . Questa vicenda apre una serie di riessioni che si vanno ad incastrare in letture pi generali e che, da que- sto momento in poi, legano la terra di Ceglie de Gualdo al generale contesto di successioni feudali e di guerre guerreggiate che coinvolsero in questa zona della Puglia le pi grandi famiglie signorili meridionali, a cominciare dai Del Balzo, per continuare con i Pipino, i Caracciolo, i Della Marra e i Sanseverino 19 . Non pretesa di questo intervento dipanare lintricata matassa che leg tra loro alcune di queste famiglie e che coinvolse in unenor- me vicenda bellica proprio i discendenti di Giovanni Pipino, il primogenito Niccol, ma soprattutto i nipoti, Giovanni, Pietro, Luigi e Matteo 20 . Se tuttavia la vicenda delle successioni nel territorio cegliese appare confusa, ci si deve con buona probabilit sia alla scarsezza do- cumentaria, sia alla particolare confusione che proprio a causa di quelle guerre interess il territorio in questione. Pur nella lacunosit delle fonti, oggi possibile proporre delle ipotesi sulla vicenda successoria, inserendola nel generale quadro bellico del periodo, anche grazie ai la- vori degli eruditi che ebbero modo di spogliare le carte dellarchivio napoletano prima del rogo di San Paolo Belsito del 1943 21 . Almeno sino alla morte di Giovanni Pipino, avve- nuta nel 1316, il suo patrimonio, tra i pi cospicui del regno, si mantenne sostanzialmente stabile 22 . Su Ceglie de Gualdo tuttavia le notizie appaiono frammentate. Il Camera infatti accenna ad una permuta avvenuta tra il Pipino stesso e Rinaldo Cognetta, barlettano e tesorie- re del re, nel 1307, sul castello e sulla terra di Ceglie. La notizia cos riportata: Rinaldo Cognetta, milite, e sua moglie Nicolia, permutarono il castello di Rodi in Capitanata, con Giovanni Pipino da Barletta, milite e maestro razionale della Curia, ricevendone in permuta il castello e la terra di Ceglie 23 . Va tuttavia considerata unulteriore notizia, ancora una volta tramandataci dal Camera, secondo la quale nel 1338 Margherita Pipino, glia di Giovanni, si rivolse a re Roberto perch potesse disporre della somma di 300 once sui redditi del suo castello di Ceglie de Gualdo quia gravida est et timet mor- tem 24 . Dello stesso anno la ricevuta di un pagamento di 200 once fatto dalla contessa Giovanna dAltamura pro [] adohamenti seu feudalis servicii [] pro bonis feudalibus que dicitur teneri ab ipsa curia in feudum novum in iustitiariatibus Terre Bari, Terre Ydronti, Basi- licate et Principatus 25 . Si tratta dunque di una matassa difcile da scioglie- re. Restando sulla questione possiamo tuttavia ipotizzare che ancora in quellanno i beni dei Pipino fossero so- stanzialmente rimasti immutati e che Ceglie de Gualdo abbia costituito parte del lascito dotale di una delle tre glie di Giovanni, Margherita, nel matrimonio contratto con Gasso de Denicy, conte di Terlizzi, signore di Ruvo e maresciallo del regno 26 . Il fatto che Margherita si ri- volga al re per usufruire dei suoi beni probabilmente dovuto alla particolare situazione bellica che in quegli anni stava coinvolgendo i discendenti maschi di Nicco- l, a cominciare dal Palatino dAltamura, Giovanni. dunque possibile che la donna disponesse dei proventi, in toto o in parte, del possesso cegliese ma che, come gi era stato sancito nelle clausule dellaltro matri- monio, quello di Niccol Pipino con Giovannella dAl- tamura nel 1298, alla morte di Margherita i beni dota- li sarebbero tornati in possesso dei Pipino, secundum morem et consuetudinem civium Baroli, longobardo iure vivencium 27 . quanto avviene, ad esempio, nel 1332 con i beni dotali di Caterina dAltamura, sorella di Giovanna, morta prematuramente e senza eredi, tornati nelle mani di Giovanna stessa 28 . Sembra questo uno dei punti cruciali di tutta la vi- cenda oggetto della nostra analisi. Se Ceglie sia o meno, a Trecento inoltrato, nelle disponibilit di Niccol Pi- pino e, dopo la sua morte, della moglie Giovanna dAl- tamura, non possibile affermarlo con certezza. Alcune considerazioni vanno tuttavia fatte, a cominciare dalla notizia secondo la quale nel 1341 29 , alla ne di una lun- ga belligeranza, i beni dei quattro gli maschi di Nicco- l Pipino, morto nel 1332, furono conscati ed a mano a mano venduti o donati dal governo ad altri; tranne 76 Victor Rivera Magos per le ragioni dotali della loro madre Giovanna dAl- tamura, anche queste tuttavia continuamente soggette a consche, invasioni e sequestri forzosi 30 . La vicenda infatti non si conclude facilmente e ancora nel 1343 la regina Giovanna ordina la restituzione a Giovanna dAltamura dei beni mobili che la contessa possedeva a Bari e ad Altamura e di terre per un valore complessivo di 3000 once. I beni erano stati sequestrati alla stessa contessa a seguito dei crimina dei gli ed erano stati as- sunti ipsa propria auctoritate da Roberto Sanseverino e Raimondo Del Balzo, inseritisi a loro volta in un qua- dro complesso che aveva coinvolto anche il signore di Terlizzi Gasso de Denicy. Tra le terre restituite alla con- tessa non viene menzionata la terra di Ceglie de Gual- do. Tuttavia ancora in questa data Giovanna dAltamura rivendicava il possesso del castrum Balbani, che avevamo trovato assegnato a Giovanni Pipino nel 1301 31 . Che lordine della regina Giovanna sia stato effet- tivamente attuato non possibile affermarlo. Ma quella dei Pipino fu una vicenda che non si chiuse cos pe- rentoriamente e, di fatto, si trascin no alla morte di Giovanni II conte di Altamura nel 1357 e a quel- la dellultimo superstite della famiglia, Pietro conte di Vico, nel 1361, fuggito dal regno alla volta di Avignone nel 1357 32 . Tuttavia, stando a quanto avvenne in quegli anni, testimoniato da diverse fonti coeve, a cominciare dal noto Chronicon di Domenico da Gravina 33 , i titoli dei gli di Niccol e Giovannella rimasero, no alla loro morte, puramente onorici o sempre in discussione e i Pipino furono costretti a continue azioni belliche e a cambi repentini di alleanza sino alla ne della loro vi- cenda familiare. Solo a Pietro, e per un breve periodo, furono nel 1352 rimesse le colpe e furnono restituiti i beni conscati. Ma, come detto, il barone torn presto ribelle e termin la sua vicenda da fuggiasco. Altro invece riconsiderare la gura di Giovanna che, anche dopo la morte del marito, mantenne parte dei titoli do- tali e rest inuente e ben voluta anche negli ambienti della corte ponticia di Avignone. In tutta la vicenda cegliese, dunque, appare proprio quello tra il 1338 e il 1361 il periodo pi problemati- co. noto infatti che una parte della storiograa lo- cale ha riportato la notizia secondo la quale nel 1361 un documento brindisino accerterebbe il passaggio del territorio di Ceglie dalle mani dellarcivescovo di Brin- disi, Pino Giso 34 , in quelle di Francesco Sanseverino. Il documento, segnalato da Rosario Iurlaro, attualmente conservato nella Biblioteca De Leo a Brindisi 35 . Pasquale Elia, pur non trascrivendo integralmente il testo del documento, ne aveva confusamente riportato una piccola parte centrale secondo la quale il 14 mag- gio della XIV indizione archiepiscopus Brundusinus et Horitanus, dominus frater Pinus, magister in sacra pa- gina miseratione divina, [] vende al Magnicus et potens vir dominus Franciscus de Sancto Severino, mi- les, villa Cilij de Gualdo [] cum hominibus et vassallis, silvis, nemoribus, aquis, pascuis, juribus et pertinentiis suis pro orenis aurej mille computato qualibet oreno pro sexaginta IIJ carlenis argenteis duobus 36 . LElia, in una azzardata lettura critica fondata sullanalisi lologica di alcuni termini usati nel documento, aveva sostenuto si trattasse di un falso cinquecentesco proponendo una datazione coeva alla divisione della diocesi di Brindisi e Oria del 1591 37 . Questa teoria viene smentita dalla ana- lisi che Pasquale Cordasco propone nel suo intervento in questo stesso volume 38 . Ci si trova di fronte ad una scrittura privata nella quale si sancisce lacquisto dal Sanseverino del territorio cegliese direttamente dalle mani dellarcivescovo Pino Giso e il Sanseverino stesso si impegna a rispettare una serie di accordi riguardanti le rispettive pertinenze ter- ritoriali. A questo atto sembra dovesse corrisponderne uno analogo rmato dallarcivescovo stesso e consegna- to al Sanseverino, oggi probabilmente perso. Il docu- mento attesterebbe dunque una vendita completa, con ogni diritto signorile sullintero territorio cegliese ce- duto dallarcivescovo al Sanseverino. Per comprendere pienamente il contesto nel quale questo documento di inserisce e per provare a sciogliere un problema di pertinenze territoriali e di poteri signo- rili sul territorio necessario fare un passo indietro e proporre una soluzione che, per quanto puramente ipo- tetica poich non suffragata da dati provabili, potrebbe spiegare la successione del territorio cegliese non tanto nelle mani del Sanseverino, quanto in quelle del vescovo di Brindisi. Ci che in questa sede preme chiarire ri- guarda il modo in cui, ancora nel documento del 1361, il toponimo cegliese viene trascritto e utilizzato dalla diocesi brindisina. 77 Dinamiche istituzionali, territorio e uomini a Ceglie de Gualdo tra XII e XIV secolo Cosimo Damiano Poso legava lestensione della diocesi di Brindisi-Oria ai conni delle omonime cir- coscrizioni amministrative normanne di Brindisi e Oria. Questultima, come sembra evidente proprio da quel documento del 1120 con il quale questo intervento si apre, con buona probabilit circoscriveva anche il terri- torio di Ceglie de Gualdo. Va chiarito, tuttavia, che Poso si riferiva al pieno periodo normanno, e cio alla prima met del secolo XII; in secondo luogo solo sulla base di supposizioni fondate che egli giunse ad affermare che il territorrio di Ceglie fosse parte della contea di Oria, a sua volta inquadrata nella circoscrizione diocesana della chiesa brindisino-oritana 39 . Questa confusione di attribuzio- ni ha forse generato un equivoco. Poso infatti cita gli unici due documenti diretti che sono ancora oggi a nostra disposizione. Il primo sem- pre quello del 1120, gi menzionato; il secondo invece il decreto di Papa Lucio III datato 1183 e indirizzato al Vescovo di Brindisi Pietro, nel quale il pontece con- ferma i diritti goduti precedentemente e i possessi di alcune chiese 40 . In quel caso Poso sostenne che Lucio III, ricon- fermando i precedenti possedimenti alla Chiesa brin- disina, vi aggiunge il casale di Ceglie, no ad allora mai citato nelle precedenti riconferme 41 . Stando cos le cose si potrebbe supporre una sostanziale identica- zione della circoscrizione ecclesiastica e di quella co- mitale nel corso del secolo XII. Ma, nel notare che il decreto di Lucio III, pervenutoci solo in una copia su carta, nel citare il possesso cegliese indica i possedi- menti diretti dellepiscopio brindisino in alcune chiese sulle quali il vescovo di Brindisi esercitava e avrebbe continuato a esercitare poteri che potremmo deni- re signorili, non invece possibile confermare che tra questi fossero previsti dei poteri di carattere pubblico su quella che nel documento viene denita villa di Ceglie de Gualdo. Lucio III, infatti, conferma e amplia i diritti della cattedra arcivescovile brindisina sulla cir- coscrizione ecclesiastica della diocesi di Brindisi-Oria al termine di un lungo periodo di incertezza causato dalla particolare situazione del regno dopo la morte di Ruggero II. Vengono confermati, infatti, allarcivesco- vo Pietro di Bisignano, i diritti vescovili acquisiti sul- le citt di Brindisi, Oria, Ostuni, Carovigno Mesagne e su omnes villas locorum ipsorum, e in particolare Villam Sancti Donaci, Villam Sancti Pancratii, Villam Calonis, Villani pazzani, Villam Cilie, Suburbium Sancti Cataldi ante Oriam et omnes ecclesias ipsarum villa- rum et ceterorum locorum tam grecas quam latinas tui episcopatui 42 . Il decreto di Lucio III appare molto contradditto- rio. Questo atto ponticio sembra inserirsi pienamente nella documentazione territoriale del tempo ed pre- ceduto da altri due interventi sulle stesse questioni da parte del pontece Alessandro III, nel 1171 e nel 1173 43 . Si deve, tuttavia, evidenziare la forte contraddizione tra questi documenti e la documentazione successiva. Nei due precedenti interventi di Alessandro III, in- fatti, la villa di Ceglie de Gualdo non compare tra i possedimenti della chiesa brindisina. Pu, questo, essere valutato come un problema marginale se si considera- no due questioni: la prima riguarda il precedente co- stituito dalla comparsa, a soli due anni di distanza dal primo intervento di Alessandro III, di due casi analoghi a quello cegliese. Nel 1173, infatti, oggetto dellamplia- mento delle prerogative dellarcivescovo brindisino sul territorio sono una villa, Pazzano, e il suburbio di San Cataldo a Oria, inesistenti nel documento del 1171. Rosanna Alaggio in una breve nota al suo recente volu- me su Brindisi ne ha valutato tale comparsa come una conferma 44 . Va probabilmente accettata questa ipotesi, nonostante si debba porre il dubbio riguardante la reale effettiva disponibilit di questi territori nel patrimonio della chiesa brindisina, oltre che la reale portata della signoria del vescovo sugli stessi. Questione che va con- siderata anche attraverso lincrocio con la documenta- zione successiva e di diversa tipologia. Limprovvisa comparsa, nel 1183, della villam Ci- lie, precedentemente assente, tra le pertinenze della chiesa brindisina pu dunque non sorprendere e pu essere considerata, quandanche si ritenga attendibile la trascrizione documentaria dalloriginale oggi per- duto, come una atto politico della curia ponticia e dellepiscopio brindisino interessato ad ampliare i propri poteri signorili sul territorio. Ma se lattendibilit del documento pu non essere discussa e esso dovette sicu- ramente costituire un precedente importante sul quale fondare le prerogative istituzionali e le rivendicazioni successive nei confronti della corona, altro oggi va- 78 Victor Rivera Magos lutarne la effettiva immediata attuazione. Per fare que- sto va considerato attentamente quanto nel decreto di Lucio III, a conferma e ampliamento dei precedenti di Alessandro III, si stabilisce. Come detto il pontece non sembra attribuire alla cattedra arcivescovile brindisina una vera e propria si- gnoria sulle localit menzionate; tuttaltro, egli ne stabi- lisce le prerogative: il diritto alla quarta parte delle en- trate sui defunti e la decima parte sui proventi del porto di Brindisi. In secondo luogo viene ribadita lautorit dellarcivescovo sui chierici e sui loro beni mobili e im- mobili e la piena potest su di essi. Inne vengono spe- cicati i beneci concernenti lautorit religiosa dellar- civescovo e luso del Pallio nelle funzioni liturgiche pi importanti 45 . Si tratta dunque di poteri pubblici limitati esclusivamente allesercizio delle funzioni ecclesiastiche e ai diritti scali sui tradizionali cespiti concernenti le entrate in benecio della chiesa brindisina. Per ci che invece concerne le preogative diret- te attribuibili allarcivescovo, esse riguardano esclusiva- mente alcune imprecisate possessiones e bona nei territori menzionati e, pienamente, solo i diritti su al- cune chiese particolari ascrivibili direttamente nelle di- pendenze della cattedra brindisina. Tra queste labbazia benedettina di SantAnna in villa Cilie, sulla quale gi Rosario Iurlaro si era spinto, seppure brevemente, in una valutazione netta e condivisibile 46 . Non dunque sulla in- tera villa Cilie, che invece deve essere considerata, in mancanza di un riscontro contrario diretto, gi passata al demanio regio insieme al territorio oritano, come sem- bra attestato dal 1130 47 o forse infeudata ad altri deles normanno-svevi, sino a ritrovarla tra i beni afdati ai De Matino in epoca manfredina 48 . Ci che accade da quel momento in poi non si pu conoscere con certezza a causa della particolare situa- zione delle fonti coeve, non in grado di produrre dati quantitativamente rilevanti e oggettivamente vericabi- li 49 . Va tuttavia evidenziato lo smembramento del terri- torio oritano avvenuto forse alla met del XIII secolo, dal momento in cui il territorio cegliese ricompare tra i beni strappati a Glicesio de Matino, glio di Gervasio de Matino, potente feudatario 50 che gi il 17 novem- bre 1268, manifestum proditorem, dopo essere stato catturato a Otranto di ritorno dalle terre di Romania, processato, condannato allespoliazione dei beni e alla detenzione nel castello di Brindisi, in attesa dellimpic- cagione da tenersi nella stessa citt 51 . Questo passaggio, oltre a porci di fronte a un pro- blema di smembramento e parcellizzazione del dema- nio regio e di gestione degli equilibri politici in epoca manfredina, potrebbe indurre ad aprire successivamente anche un capitolo sulla ennesima distribuzione dei be- neci legati ai patrimoni signorili avvenuta con il pas- saggio del regno alla dinastia angioina, con limmediata visibilit, in periodi di crisi del sistema, anche delle ten- sioni generate dal riordino politico e istituzionale delle pertinenze territoriali e della loro gestione amministra- tiva e scale 52 . Dalla seconda met del Duecento gli equilibri istituzionali, ricomposti dopo la rivolta antiangioina del 1268 a favore di un ceto militare in parte di origi- ne transalpina, videro tra gli altri la concessione al mi- les Tommaso de Bruer delle terre di Oria e Mesagne nonostante, come viene precisato dal sovrano in alcu- ni documenti seguenti, per quello che riguarda Oria la concessione si limitasse alla terra Orie, excepta fore- sta Regis 53 . La documentazione a nostra disposizione evidenzia, da questo momento, sui territori di nostro interesse, una serie di liti e cause tra signori e popolazio- ni locali, tutte indistintamente riguardanti motivi legati alluso delle acque, delle terre a pascolo e seminatorie o incidendum ligna in foresta 54 . quanto avvenne anche dopo la fondazione di Villanova Petrolla del 1277. Nel 1297 infatti il sovrano dovette intervenire per limitare gli abusi degli ufciali dei territori di Ostuni, Carovi- gno, Monopoli, Oria, Taranto e Ceglie de Gualdo nei confronti dei privilegiati abitanti della neofondazione 55 . Dunque, discutendo questa situazione e tornando a riconsiderare leditto di Lucio III del 1183, evidente che ci si trovi di fronte a un precedente che la diocesi brindisina dovette tenere ben presente ancora nei secoli successivi e che si sarebbe potuto utilizzare nelle even- tuali rivendicazioni territoriali scaturite dalla confusio- ne patrimoniale seguita alla ne della vicenda familiare dei Pipino e allo smembramento e alla parcellizzazione dei loro beni. In un momento, in sostanza, di grande debolezza politica della corona e nuovamente di grande confusione territoriale. Va infatti sottolineato che, cos come nel documen- to del 1183, anche nella vendita al Sanseverino del 1361 79 Dinamiche istituzionali, territorio e uomini a Ceglie de Gualdo tra XII e XIV secolo ritroviamo il toponimo cegliese preceduto dal termine villa. Tuttavia Ceglie de Gualdo nella documentazio- ne pubblica che costituisce quasi interamente il mate- riale documentario a nostra disposizione, e in parte di quella diplomatica pi tarda e che senza alcun dubbio inseriscono il territorio nelle disponibilit indirette della corona, attraverso lassegnazione o revoca in capite della terra cegliese, certamente sino al 1338 56 , sempre de- nita come castillum, castrum, terra. Il termine villa risul- ta utilizzato solamente nei due documenti della diocesi brindisina. Il decreto di Lucio III del 1183, promulgato dalla cancelleria ponticia, pu in questo senso consi- derarsi di marginale problematicit, pur ribadendo che esso accertava soltanto la dipendenza diretta della chiesa di SantAnna e non dellintera villa di Ceglie e eviden- ziando ancora che di esso non ci pervenuto loriginale. La dipendenza della chiesa di SantAnna dallarci- vescovo di Brinsisi testimoniata anche in una vicenda del 1356 quando sempre il titolare della cattedra brin- disina, lattivissimo Pino Giso, destituisce Margarito de Aquila, abate del Monastero di Santa Maria della Croce oggi a San Pancrazio Salentino, il quale aveva concesso il monastero di SantAnna di Ceglie allabate Giacomo, di rito latino, invece che a un presule di rito greco come normalmente avveniva 57 . Non sembra il caso di soffer- marsi su considerazioni nel merito delle questioni ec- clesiastiche che tuttavia, anche in questo caso, appaiono oscure a causa della deperdita del documento origina- le 58 . tuttavia utile notare la fortissima attivit dellar- civescovo Giso sul territorio, testimoniata da diversi atti prodotti, negli anni del suo vescovado brindisino cor- rispondenti al periodo che va dal 1352 al 1378. Inoltre, per quel che riguarda Ceglie de Gualdo, anche questat- to testimonia un diretto interesse della diocesi brindisina sulla terra in questione 59 . Nel documento del 1361, inne, luso del termine villa per denire la terra di Ceglie de Gualdo, seppure coerente con la terminologia degli atti ecclesiastici n qui incontrati, sembra parziale e discutibile. E, daltron- de, il toponimo in una prima occasione terra seu villa Cilii de Gualdo; in un secondo momento e denitiva- mente diventa terra Cilii 60 . Non possibile affermare in che modo la terra di Ceglie de Gualdo sia potuta entrare nelle dipendenze dellarcivescovo di Brindisi dopo la ne del possesso dei Pipino. Ma, anche accettando che dopo la morte di Gio- vanna dAltamura i beni feudali siano stati mantenuti dal glio Pietro, ci si troverebbe comunque di fronte ad un vuoto documentario di circa dieci anni (dal 1352 al 1361) a privarci di informazioni essenziali. Si pu tuttavia ipotizzare che, alla ne del lungo pe- riodo di guerra nella regione, i beni dei Pipino, occupati ipsa propria auctoritate 61 da alcune famiglie in forte ascesa, i Sanseverino e i Del Balzo, e nel 1343 riassegnati in parte e forse solo giuridicamente alla contessa Gio- vanna dAltamura-Pipino, siano stati successivamente revocati dalla corona e forse riassegnati. La regina stessa, comera avvenuto anche in precedenza, dovette prov- vedere a sanare le rivendicazioni territoriali pendenti e ad attribuire nuovi privilegi considerando attentamente i nuovi equilibri politici e militari derivati da un lungo periodo di crisi. Potrebbe essere dunque proprio nellarco di tempo che va dalle ultime attestazioni documentarie che lega- no anche debolmente Ceglie de Gualdo ai Pipino, tra il 1338 e il 1343, e il nostro documento del 1361, che sul territorio cegliese, dopo intricate vicende istituzionali, occupazioni manu militari e forse interventi diretti da parte di una corona sempre pi debole, si siano inseri- te le rivendicazioni dellarcivescovo di Brindisi e forse lassegnazione della terra di Ceglie allo stesso. Si pu pensare che in quel periodo larcivescovo appena inse- diato Pino Giso, attivissimo nella gestione patrimoniale delle proprie dipendenze e di grande inuenza presso i principi di Taranto, sia riuscito a recuperare la memoria del decreto di Lucio III per fondare le proprie richieste, forse favorito dagli stessi Principi di Taranto. possi- bile ipotizzare anche che abbia provveduto a governa- re il territorio cegliese e a sfruttarne le caratteristiche agro-silvo-pastorali, no al patto di vendita a Francesco Sanseverino, interessato a rafforzare il proprio potere politico attraverso la graduale e sempre pi ampia ac- quisizione di beni feudali un tempo gestiti direttamen- te dalla corona e probabilmente direttamente occupati dalla sua famiglia, insieme ad altre grandi famiglie locali, durante la belligeranza con i Pipino e la confusione da essa scaturita. Tutto questo appare ancora oggi da vericare e solo uno studio accurato della questione, di per s interessante per la sua complessit, potr in futuro proporre dati certi. 80 Victor Rivera Magos Note 1. LAccardo dominus Accardo II attestato dal 1133 come domi- nator Licii nella donazione del casale di Cisterno al monastero di San Giovanni Evangelista a Lecce (Le pergamene di San Gio- vanni Evangelista in Lecce, a cura di M. Pastore, [Monumenti I], Lecce 1970, n. I, pp. 1-3; la stessa formula ricompare nella donazione del casale di Dracone alla stessa chiesa nel 1137, su cui ivi, n. IV, pp. 10-11). Si veda anche ivi, n. VII, dicem- bre 1152, pp. 16-19 (ma 1151 su cui H. Houben, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa, in Storia di Lecce. Dai Bizantini agli Aragonesi, a cura di B. Vetere, pref. di C. D. Fonseca, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 395-417, p. 402; C. D. Poso, Il Salento Normanno. Territorio, istituzioni, societ, Congedo, Galatina 1988, pp. 52-54). Inoltre B. Vetere, Civitas e Urbs. Dalla rifonda- zione normanna al primato del Quattrocento, in Storia di Lecce cit., pp. 55-195; P. De Leo, Tancredi conte di Lecce, in Tancredi Conte di Lecce e Re di Sicilia, Atti del Convegno internazionale di studio, Lecce, 19-21 febbraio 1998, a cura di H. Houben e B. Vetere, Congedo, Galatina 2003, pp. 65-72, pp. 66-67; A. Fra- scadore, Le badesse del monastero di San Giovanni Evangelista di Lecce attraverso la documentazione degli anni 1133-1525, in ivi, pp. 233-286, pp. 245-249. 2. Il libro rosso della citt di Ostuni. Codice diplomatico compilato nel MDCIX da Pietro Vincenti, a cura di L. Pepe, Valle di Pompei 1988; G. Guerrieri, Un diploma di Goffredo I Conte di Lecce, in Numero unico per le Feste del Gonfalone di Lecce nel giugno 1896, a cura di G. Doria, Lecce 1896, pp. 31-34. P. F. Palumbo, I do- cumenti della storia medievale di Ostuni, Centro di studi salentini, [Monumenti 3], Fasano 1997, pp. 16-17. 3. F. Magistrale, Ceglie Messapico (Brindisi). La pi antica docu- mentazione scritta, in De litteris, manuscriptis, inscritionibus. Fest- schrift zum 65. Geburstag von Walter Koch, herausg. von T. Kl- zer, F.-A. Bornschlegel, Ch. Friedel, G. Vogeler, Bhlau Verlag, Wien-Kln-Weimar 2007, pp. 79-88. 4. Si veda, su questo, lintervento di P. Cordasco, Ceglie Mes- sapica e i suoi documenti, in questo stesso volume. Inoltre F. Magistrale, Ceglie cit. 5. Biblioteca Diocesana A. De Leo Brindisi, AN/1, doc. n. 7, 14 maggio, Ind. XIV [1361, Brindisi]. 6. I registri della cancelleria angioina ricostruiti da R. Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani (dora in poi RA), XLIX voll., Accademia Pontaniana, Napoli 1950-in corso, I (1265- 1269), a cura di R. Filangieri, Napoli 1950, n. 261, 28 gennaio 1269, p. 254; ivi, V, n. 148, 18 giugno 1270, p. 33, dove riceve il castrum Motule. Sullorigine borgognona della famiglia de Toucy, vd. J.-M. Martin, Lancienne et la nouvelle aristocratie fodale, in Le eredit normanno-sveve nellet angioina. Persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno, Atti delle quindicesime giornate normanno-sveve, Bari, 22-25 ottobre 2002, a cura di G. Mu- sca, Dedalo, Bari 2004, pp. 101-135, p. 115. 7. RA, X (1272-1273), a cura di R. Filangieri, Napoli 1957, n. 89, 3 aprile 1273, p. 23. Stando ad un mandato del re a lui in- dirizzato riguardante una somma di 400 once che Anselin de Toucy avrebbe dovuto versare nelle casse dellerario, lo stesso Anselin a cavallo del 1 aprile 1273 risulta alla cancelleria an- gioina ancora vivo. La morte dunque si potrebbe collocare nei tre giorni tra il 1 e il 3 aprile 1273 (ivi, X, n. 105, 1 aprile 1273, p. 235; inoltre ivi, IX (1272-1273), a cura di R. Filan- gieri, Napoli 1957, n. 304, settembre 1272, p. 267). 8. Ivi, IX, n. 173, 23 gennaio 1273, p. 51. 9. Ivi, XIV (1275-1277), a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1961, n. 388, 1277, p. 230 dove Narjon succedit a Philippe in Mo- tula, Cilia, Soleto, Sancto Petro in Galatina, que bona fuerunt Eligesii de Martino (sic) proditoris nostris. 10. Ivi, XLVI (1276-1294), a cura di M. Cubellis, Napoli 2002, n. 600, 1294, p. 140. 11. Notatur nobili Lucie principisse Antiocie uxori quondam nobilis Narzonis de Tussiaco militis regni Sicilie ammirati, consanguinei nostri, provisio pro dodario sibi constituto su- per bonis dicti ammirati in regno Francie et Sicilie et conve- nit cum Odone de Duxiaco, milite, regni Sicilie magistro iu- stitiario, frate et herede dicti Nardonis, et fuerunt ac assignata castra ciliaria de Gualdo et Soleti et baroniam Serranicam, exceptis casalibus possessis per Iohannem de Pertis et Raynal- dum de Bonavilla milites, casalibus provisio pro assecuratione vassallorum (Ivi, XLVI, n. 603, 1294, pp. 140-141). 12. Si veda, oltre a ibidem, anche il sollecito da parte di Lucia di Antiochia in Ivi, XLVII (1268-1294), a cura di R. Pilone, Napoli 2003, n. 203, 6 maggio 1294, p. 58. Questo forse uno dei risultati di quanto sancito dalle nuove Constitutiones super ordinatione Regni Sicilie, promulgate da papa Onorio IV il 17 settembre 1285 durante la reggenza del regno a causa della prigionia di Carlo II dAngi, nelle quali, tra le altre cose, era stato affermato il diritto dellautorit regia nella assegnazione delleredit di beni feudali al parente pi prossimo in caso di minorit del legittimo successore (su queste cose vd. Martin, Lancienne cit.).. 13. Codice diplomatico dei saraceni di Lucera (dora in poi CDS), a cura di P. Egidi, Stabilimento Tipograco L. Pierro & glio, Napoli 1917, n. 324, 8 settembre 1300, pp. 132-136. 14. Sul Pipino vd. R. Caggese, Giovanni Pipino, conte di Altamu- ra, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schi- pa, Napoli 1926; Idem, Roberto dAngi e i suoi tempi, 2 voll., Bemporad, Firenze, 1922; S. Loffredo, Storia della citt di Barletta con corredo di documenti, voll. 2, Vecchi, Trani 1893 (rist. an. Bologna, Forni, 1987); P. Egidi, La colonia saracena di Lucera e la sua distruzione, in Archivio Storico per le Pro- vince napoletane, XXXVI (1911, pp. 587-694; XXXVII (1912), pp. 71-89 e 664-696; XXXVIII (1913), pp. 115- 144 e 681-707; XXXIX (1914), pp. 132-171 e 697-766. 15. CDS n. 324, p. 133. Si veda anche ivi, n. 410, 10 novembre 1300, pp. 193-194, in cui il sovrano ingiunge a Pietro Della Marra, giustiziere di Capitanata, di solvere 100 once doro a Giovanni Pipino dai proventi della tassazione di Troia e Lu- cera. E la comunicazione ufciale in ivi, n. 411, 10 novembre 1300, p. 194. Su questa questione parte della storiograa lo- cale ha compiuto diversi errori di interpretazione. Il Magno, 81 Dinamiche istituzionali, territorio e uomini a Ceglie de Gualdo tra XII e XIV secolo che riprende questo documento, attribuisce la paternit del mandato a Philippe de Toucy, addirittura affermando che, poich, come abbiamo visto, alla sua morte non aveva eredi, don lintero feudo di Ceglie alla Curia Vescovile di Brindi- si (G. Magno, Storia di Ceglie Messapica, Schena, Fasano 1967, pp. 86-87). Questo passaggio non tuttavia supportato da alcun documento. Ma lerrore del Magno sta principalmente nel non riconoscere, nel testo di questo lunghissimo docu- mento, il percorso che attraverso la revoca dei beni attuata da Carlo II, secondo le chiarissime norme vigenti nel regno, giunge allassegnazione di parte degli stessi ad unaltra fami- glia cavalleresca di recente ascesa, quella appunto dei Pipino. Qualsiasi riferimento alla diocesi di Brindisi nel documento assente. C poi un secondo errore che va dichiarato. Secon- do lElia addirittura nel 1273 che, dopo un passaggio alla corona delle terre dei de Toucy, il re (evidentemente Carlo I, dunque) avrebbe donato Ceglie a Giovanni Pipino (P. Elia, Ceglie Messapica. La Storia (dalle origini ai giorni nostri). Nuova edizione aggiornata, ampliata, riveduta e corretta, Ceglie Messa- pica 2004, pp. 30-31, pubblicata in dispense su http://www. ideanews.it/antologia/indice.htm). Ma anche questa una teoria che non poggia su alcuna base documentaria. Va poi aggiunto che Giovanni Pipino compare per la prima volta nella documentazione barlettana solo nel 1287 (Codice Di- plomatico barlettano, I, ed. di S. Santeramo, Barletta 1924, n. 48, 10 novembre 1287, pp. 140-142) quando egli gi iu- dex e tuttavia non ha ancora cinto il cingolo di cavaliere, cosa che avverr nel 1290 (P. Egidi, La colonia cit., p. 136). Deve ancora sostanzialmente cominciare la sua ascesa che, seppure rapidissima, non giustica in alcun modo lattribuzione di un feudo ad un uomo che non ancora miles n che ha rivestito cariche pubbliche di rilievo. Su questa tematica e esclusiva- mente per quanto concerne let angioina mi permetto di rimandare sinteticamente a S. Pollastri, Laristocratie napoli- taine au temps des Angevins, in Les princes angevins du XIIIe au XVe sicle. Un destin europen, Actes des journes dtude des 15 et 16 juin 2001 organises par lUniversit dAngers et les Archives dpartementales de Maine-et-Loire, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2003, pp. 318, pp. 155-181. 16. Nunc autem tertiam per Iohannem ipsum (Pipino) dictam tertiam partem castri Soleti in manibus nostre Curie resigna- ta, non castrum Balbani, situm in provincia Principatus, quod per obitum Margarite de Chimili, mulieris, absque legitimis heredibus est ad manus nostre Curie rationabiliter devolutum, [] cum hominibus, vassallis etc in excambium dicte tertie partis castri Soleti, pro prescripto valore annuo uncie auris XX, damus [] (ivi, n. 626, 18-25 ottobre 1301, p. 302). 17. M. Camera, Annali delle Due Sicilie, II, Napoli 1860, p. 162. In quelloccasione si fa anche menzione del passaggio delle citt di Muro e di Isernia a Oddone de Toucy (ibidem). 18. A. Kiesewetter, Problemi della signoria di Raimondo Del Balzo Orsini in Puglia (1385-1406), in Dal Giglio allOrso. I Principi dAngi e Orsini del Balzo nel Salento, a cura di A. Cassiano e B. Vetere, Congedo, Galatina 2006, pp. 37-89, in particolare pp. 58-60. Si deve dunque concordare con Kiesewetter sulla erroneit delle attestazioni di E. G. Lonard, Histoire de Je- anne I re reine de Naples, comtesse de Provence (1343-1382), voll. 3, Monaco 1932-1937, I, p. 31, e di J. Gbbels, Del Balzo, Raimondo, in Dizionario Biograco delgi Italiani, vol. 36, Istituto Enciclopedia Italiana, Roma 1988, pp. 320-326, secondo le quali la contea di Soleto sarebbe stata donata da Carlo I, in concomitanza con la sua discesa nel regno a Ugo Del Balzo, il quale aveva sposato Iacopa Della Marra e dal quale sarebbe nato quel Raimondo Del Balzo che poi avrebbe dato il via alle sorti della famiglia nel meridione. La data apparentemen- te identicativa di questo passaggio secondo il Leonard e il Gbbels quella del 1304. tuttavia questa una notizia per lo meno confusa se, come abbiamo visto, le fonti a nostra dispo- sizione indicano il feudo di Soleto almeno sino al 1300 salda- mente nelle mani dei De Toucy e solo dal 1308 nelle mani dei Del Balzo. Inoltre va sottolineato, riprendendo Kiesewetter, che i primi documenti che ci attestino una contea a Soleto sono databili non prima del 8 agosto 1351 (Kiesewetter, Pro- blemi cit., pp. 62-63, n. 104). 19. Sulla vicenda su tutti vd. Caggese, Giovanni Pipino cit. 20. I quattro erano gli di Niccol Pipino e di Giovanna dAlta- mura (Camera, Annali cit., II, p. 447). 21. Sul rogo si veda S. Palmieri, Napoli, settembre 1943, in Studi in memoria di E. Lepore, Atti del convegno di internazionale, Anacapri, 24-28 marzo 1991, a cura di C. Montepaone, Lu- ciano editore, Napoli 1996, pp. 263-79 ora in Idem, Degli ar- chivi napoletani. Storia e tradizione, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 257-292; Idem, Archivio di Stato di Napoli: distruzioni durante la seconda guerra mondiale e successiva ricostruzione, in Archivum, 42 (1996), pp. 239-253; R. Filangieri, Larchivio di stato di Napoli durante la seconda guerra mondiale, a cura di S. Palmieri, LArte Tipograca, Napoli 1996. 22. Il Pipino fu Signore di Cerignola, di Minervino (comprata nel 1309 da Agnese de Dornay) e di Rodi (oggi Rodi Gar- ganica); di Pretore in Abruzzo; di Cirigliano, Picerno, Vignola, Balvano, Rapone, Castelgrande, Accettura, Balbano, Castel- mezzano, Bellotto e Trifoglio in Basilicata; di Roccascagliosa in Principato Citra; di Castrignano, Maglie e Supersano e Ceglie de Gualdo (che il Camera, Annali cit., II, p. 447, n. 4, errone- amente colloca in Terra di Bari) in Terra dOtranto. 23. Ivi, II, p. 150. Va tuttavia evidenziato che la situazione patri- moniale del Pipino a questa data piuttosto complessa. Inol- tre, in mancanza del toponimo identicativo de Gualdo sinora sempre presente nella documentazione pubblica, si potrebbe essere molto cauti nellaffermare senza dubbi che si tratti della nostra Ceglie piuttosto che del casale di Ceglie presso Bari, anchesso nelle mani della famiglia Pipino-Altamura (V. Ti- relli, La universitas hominum Altamure dalla sua costituzione alla morte di Roberto dAngi, in Archivio Storico Pugliese, IX (1956), pp. 51-144, p. 123), nonostante il riferimento ad un castrum potrebbe spingere verso la prima ipotesi. Per quel che concerne lanalisi del toponimo e il suo utilizzo per iden- ticare il luogo in questione vd. Magistrale, Ceglie cit., p. 88. 82 Victor Rivera Magos 24. Camera, Annali cit., II, p. 447. 25. Codice Diplomatico Barese (dora in poi CDB), XII, Le carte di Altamura (1232-1502), a cura di A. Gian- nuzzi, Bari, 1935, n. 177, 15 maggio 1338, p. 303. 26. Su Gasso de Denicy si veda S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, voll. 2, Firenze 1580 (rist. an. Bologna 1973), I, p. 197. Inoltre G. Valente, Feudalesimo e feudatari in sette secoli di storia di un comune pugliese (Terlizzi 1073-1779), III, Periodo angioino (1266-1435), intr. di G. Liberati, Molfetta 1985. 27. Sulle clausule del matrimonio tra Niccol Pipino e Gio- vannella dAltamura si veda CDB, XII, Le carte di Altamura (1232-1502), a cura di A. Giannuzzi, Bari, 1935, n. 77, 4 set- tembre 1298, pp. 75-76. In precedenza a Giovanella era stata assegnata in dote dai suoi tutori la terra di Vico, presso Sor- rento (CDB, XII, n. 73, 3 settembre 1296, pp. 71-72). Sulle consuetudini barlettane Loffredo, Storia cit. Sulla annosa e ancora irrisolta analisi della questione Pipino rimando agli studi di Caggese, Giovanni Pipino cit.; Idem, Roberto dAngi cit. Sulla vicenda successoria cegliese la storiograa locale forse stata indotta in errore da un ulteriore documento, riportato ancora dal Camera il quale, nellenumerare la si- tuazione dei feudi della famiglia barlettana immediatamente dopo la notissima rivolta dei fratelli ribelli prima della morte di Roberto dAngi, sostenne che le terre di Cervaro, di Gualdo e di Pescarola in Terra di Lavoro, gi assegnate ai Pipino per lannuo valore di 40 once, furon vendute a Bar- tolomeo Brancaccio arcivescovo di Trani, vicecancelliere del regno, che comperolle per s e per i suoi fratelli, Tommaso e Guglielmo (Camera, Annali cit., p. 450). chiarissimo che qui il Camera si riferisca a tre territori diversi compresi nella provincia di Terra di Lavoro e dunque di per s il toponi- mo gualdo non risolutivo per accettare indiscriminata- mente che si tratti di Ceglie Messapica. 28. CDB, XII, n. 167, 23 febbraio 1332, pp. 292-293. V. Tirelli, Un feudatario nella crisi della monarchia angioina alla met del sec. XIV: Giovanni Pipino, Palatino di Altamura, Conte di Minervino, in Archivio Storico Pugliese, Fasc. I-IV (1958), pp. 108-159, p. 114. La contesa sul possesso dei beni dotali di Caterina, tra Giovanna dAltamura e Simone di Sangro, dovette tuttavia continuare ancora. Si veda quanto accade nel 1334 in CDB, XII, n. 170, 4 aprile 1334, p. 299. E i precedenti in CDB, XXXIV, Le pergamene della Cattedrale di Altamura (1309-1381), a cura di P. Cordasco, Bari 1994, n. 40, 19 agosto 1331, pp. 85-87 e n. 41, 18 settembre 1331, pp. 87-89. Inoltre Tirelli, La universitas cit., pp. 129-130. 29. C. Minieri Riccio, Genealogia di Carlo II dAngi re di Na- poli, in Archivio Storico per le Province Napoletane, VIII (1883), p. 383, secondo il quale leditto di consca datato 3 giugno 1341. 30. Camera, Annali cit., II, p. 449, che data leditto al 1339. Sem- pre il Minieri Riccio tuttavia cita un altro editto datato 12 ottobre 1339, secondo il quale nessun Conte, Barone, possa pi abitare o tenere beni stabili, mobili, semoventi a Lucera, eccetto Pietro Pipino Conte di Vico per il suo ufcio di Co- nestabile della stessa citt di Santa Maria (Minieri Riccio, Genealogia cit., pp. 214-215). 31. CDB, XII, n. 190, 23 settembre 1343, p. 313-314. Vd. Anche Tirelli, La universitas cit., pp. 131. 32. Loffredo, Storia cit., I, p. 348. 33. Domenico da Gravina, Chronicon de rebus Apulia gestis, in Rerum Italicarum Scriptores, a cura di L. A. Muratori, Na- poli, Anfossi, 1890. 34. Giso fu vescovo della diocesi di Brindisi-Oria dal 1352 al 1378 (Cronotassi, iconograa e araldica dellepiscopato pugliese, a cura di C. DellAquila, Bari 1984, p. 138). 35. Biblioteca Diocesana A. De Leo Brindisi, AN/1, doc. 7, 14 maggio, Ind. XIV [1361, Brindisi]. Si veda inoltre linter- vento di P. Cordasco, Ceglie Messapica e i suoi documenti, in questo stesso volume. 36. La trascrizione in P. Elia, Ceglie Messapica cit., il quale ripor- ta la seguente collocazione: Biblioteca Capitolare Duomo di Brindisi, A. De Leo, Atto notarile n. 55, fasc. 24, oggi modicata secondo quanto riportato alla nota precedente. 37. Elia, Ceglie Messapica cit., pp. 30-31. 38. Va inoltre evidenziato che la titolatura del Vescovo Pino Giso di Brindisi, cos come proposta nel nostro documento, non appare incoerente rispetto a quanto riportato in altri docu- menti coevi datati 1362 e 1363 e la stessa scrittura con la qua- le latto vergato appare coerente con le tipologie grache in uso nel secolo XIV. Si veda CDBr, II, n. 74, 24 aprile 1362, pp. 184-189, dove un atto di locazione in favore del vescovo di Brindisi la dicitura la seguente: in presencia reverendi in Christo Patris Domini fratris Pini Magistri in theologia Dei et Apostolice sedis gracia Archiepiscopi brundusini et hori- tani. Ancora in ivi, n. 77, 29 novembre 1363, pp. 195-196: frater Pinus magister in sacra pagina miseracione divina Ar- chiepiscopus brundusinus et horitanus; ivi, n. 78, 3 gennaio 1363, pp. 197-200: reverendo in Christo Patri Domino fratri Pino Archiepiscopo brundusino et horitano magistro in sacra pagina consiliario et cappellano nostro dilecto. E in un atto rogato nello stesso giorno da Filippo di Taranto, nel quale Pino viene nominato logoteta: reverendus in Christo pater dominus Pinus Dei gracia archiepiscopus brundusinus sacre theologie doctor dilectus imperialis fraternus et noster col- lateralis et consiliarius cui segue latto di nomina a logoteta (ivi, n. 79, 3 gennaio 1363, p. 201). 39. C. D. Poso, Il Salento cit., pp. 69-77, in part. pp. 76-77, nono- stante egli stesso poi si smentisca e affermi il contrario (ivi, p. 202). Ma a conferma si veda anche H. Houben, I benedettini e la latinizzazione della Terra dOtranto, in Ad Ovest di Bisanzio. Il Salento medievale, Atti del seminario di studio, Martano 29-30 aprile 1988, a cura di B. Vetere, Congedo, Galatina 1990, p. 98. 40. Codice Diplomatico Brindisino, I, n. 21, 2 gennaio 1182 (ma 1183), pp. 40-42; inoltre Poso, Il Salento cit., p. 154; su cui cfr. Magistrale, Ceglie cit., pp. 85-86. 41. Poso, Il Salento cit., p. 77, n. 138. 42. [] sancimus ut ipsam Brundusii Civitatem, Oriam, Ostu- nium, Carvinium et omnes villas locorum ipsorum et Misa- 83 Dinamiche istituzionali, territorio e uomini a Ceglie de Gualdo tra XII e XIV secolo nium tam tu quam successores tui episcopali deinceps jure disponere ac possidere in perpetuum debeatis. Preterea qua- scumque possessiones quecumque bona eadem Ecclesia in presentiarum juste et canonice possidet aut in futurum con- cessione Ponticum largitione Regum vel Principum obla- tione delium seu aliis justis modis prestante Domino poterit adpisci rma tibi tuisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis Villam Sancti Donaci, Villam Sancti Pancratii, Villam Calonis, Villani pazzani, Villam Cilie, Suburbium Sancti Cataldi ante Oriam et omnes ecclesias ipsarum villarum et ceterorum locorum tam grecas quam latinas tui episcopatui [] (CDBr, I, n. 21, 2 gennaio 1182 (ma 1183), p. 40-41). 43. CDBr, I, n. 18, 1171, pp. 33-35; ivi, I, n. 19, 1173, pp. 35-37. Inoltre R. Alaggio, Brindisi medievale. Natura, Santi e Sovrani in una citt di frontiera, Editoriale Scientica, Napoli 2009, p. 27. 44. Alaggio, Brindisi cit., p. 27. 45. CDBr, I, n. 21, 2 gennaio 1182 (ma 1183), p. 40-41. 46. R. Iurlaro, Ceglie Messapico (BR). S. Anna, in Monasticon Ita- liae, III, Puglia e Basilicata, a cura di G. Lunardi, H. Houben, G. Spinelli, pres. C. D. Fonseca, Centro Benedettino Italiano, Cesena 1986, n. 96, p. 49. 47. Durante la ribellione del conte di Oria, Roberto di Riccar- do attestato dal 1087 a Boemondo I nel 1091, Oria fu afdata allo stratega Goffredo di Blois, funzionario dello stes- so Boemondo. Dunque la citt e il suo territorio entrarono direttamente nei possessi pugliesi del conte di Conversano comprendenti anche Taranto, Gallipoli e Otranto (Poso, Il Salento cit., pp. 69-71; inoltre R. Licinio, Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo I dAngi, pref. di G. Musca, Dedalo, Bari 1994, p. 78). Questa situazione appare sanata nel 1097 quando Goffredo di Conversano, oltre alla contea omonima che detiene almeno dal 1072 appare anche come conte di Brindisi e Nard (Poso, Il Salento cit., pp. 72-73). Brindisi rest nella sfera di dipendenza dei conti di Conversano sino al 1132, quando Ruggero II, compran- dola per 20 schifati dal ribelle Tancredi di Conversano, la rese demaniale. Di solo due anni prima sembra il passaggio al de- manio regio di Oria (F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicilie, voll. 2, Paris 1907, II, p. 55). 48. In tale situazione giuridica Oria sembra permanere stando a quanto conosciamo dalle carte di epoca tardo normanna e federiciana, a cominciare dal conosciutissimo Statutum de re- paratione castrorum. Lo Statutum edito in E. Sthamer, Lammi- nistrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I dAngi, a cura di H. Houben, (tit. orig. Die Verwaltung der Kastelle im Knigreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. und Karl I. von Anjou, Leipzig, 1914), trad. di F. Panarelli, Bari, Adda, 1995. 49. Un ulteriore, debole, sostegno ci viene da un diploma di re Tancredi del 1193, nel quale lultimo sovrano normanno conferma tutti i diritti precedentemente concessi allammi- nistratore montenegrino del monastero di San Benedetto di Conversano, Nicola vescovo di Ultschinj, tra i quali quello riguardante il pascolo libero nei territori di Ceglie e di altri centri pugliesi (Tancredi et Willelmi regum diplomata, in Codex Diplomaticus regni Sicilie, serie I, Diplomata regum et principum e gente Normannorum, V, a cura di H. Zielinski, Kln-Wien, 1982, n. 34). 50. Licinio, Castelli cit., p. 201. Sui due si veda anche Acta Imperii inedita speculi XIII et XIV. Urkunden und Briefe zur Geschichte des Kaiserreichs und des Knigreichs Sizilien, herausgegeben von E. Winkelmann, Band I, In den Jahren 1198 bis 1273, (Neudruck der Ausgabe, Innsbruck 1880) Scientia, Innsbruck 1964, n. 752, 1273, pp. 593-594; ivi, Band II, In den Jahren 1200 bis 1400, (Neudruck der Ausgabe, Innsbruck, 1885), Scientia, Innsbruck 1964, n. 1044, 25 marzo 1255, pp. 276-279. 51. RA, I, n. 257, 17 novembre 1268, pp. 252-253; Licinio, Ca- stelli cit., pp. 198-199. Inoltre M. Pastore Doria, Fonti per la storia di Puglia. Regesti del Libri Rossi e delle Pergamene di Gallipoli, Taranto, Lecce, Castellaneta e Laterza, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, voll. 2, Congedo, Ga- latina 1973, II, n. 3, 16 novembre 1268, p. 174. I de Matino furono una delle famiglie pi vicine allentourage di Manfredi di Svevia e dei suoi pi dati alleati, i Lancia e tra i capi in Puglia della rivolta antiangioina seguita alla discesa nel regno di Corradino di Svevia. Lo si deduce, tra le altre cose, da un documento del 1269 nel quale Stefanus de Comito Melo de Monopoli viene assolto dallaccusa di aver ucciso un tale Bonostruvi e i suoi seguaci durante la rivolta di Monopoli e per aver fatto deviare civitatem Monopolim a de regia et a Glicesio de Matino pro parte quondam Conradini jurare. Sembra che le responsabilit di Glicerio fossero abbastan- za chiare sia al giustiziere di Terra dOtranto che al sovrano (RA, II (1265-1281), a cura di R. Filangieri, Napoli 1951, n. 325, 29 maggio 1269, p. 89). Sappiamo inoltre che Gervasio de Matino aveva posseduto delle vigne a Oria (ivi, V (1266- 1272), a cura di R. Filangieri, Napoli 1953, n. 1881, 1271, pp. 345-373). Gli interessi dei de Matino a Oria dovettero essere compositi se ancora nel 1274 si ricorda in un mandato del re al giustiziere di Terra dOtranto che al tempo della rivolta di Corradino i seguaces Glicesii de Matina proditoris diruerint in civitate Horie domos Constantie, moglie di Pietro de An- got, Vice Maresciallo del Regno. In quelloccasione il sovrano ordin che i proditores risarcissero Costanza dei danni inferti (ivi, XI (1273-1277), a cura di R. Filangieri, Napoli 1958, n. 225, 10 marzo 1274, p. 72). E tuttavia solo dieci anni dopo quegli stessi beni vengono revocati da Carlo II e assegnati a Ildebrandino Acquarelli di Firenze, una delle gure di spicco del panorama mercantile toscano che aveva nanziato la con- quista del regno e che, sul territorio, si era stabilito a Barletta sin dal 1269 (ivi, XXVIII (1285-1286), a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1969, n. 16, 1285, p. 75). Sui de Matino si veda inol- tre E. Pispisa, Il regno di re Manfredi. Proposte di interpretazione, Sicania, Messina 1991. Su Ildebrandino e la colonia orenti- na a Barletta mi permetto di rimandare a V. Rivera Magos, Una colonia nel Regno angioino di Napoli. La comunit toscana a Barletta tra 1266 e 1345. Presenze e inuenze in un rapporto di 84 Victor Rivera Magos lungo periodo, pref. di D. Balestracci, C.R.S.E.C., Barletta 2005, pp. 159; Idem, La chiave de tutta la Puglia. Presenze straniere, attivit commerciali e interessi mediterranei a Manfredonia, agriporto di Capitanata (secoli XIII-XVI), in Storia di Manfredonia, I, Il Medioevo, a cura di R. Licinio, Edipuglia, Bari 2008, pp. 63-99. 52. Sinteticamente si veda G. Vitolo, Il Regno Angioino, in Sto- ria del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso e R. Romeo, IV-1, Roma 1986, pp. 11-86. 53. La concessione in RA, III (1269-1270), a cura di R. Filan- gieri, Napoli 1951, n. 458, 2 febbraio 1270, p. 186. Le retti- che sono in ivi, III, n. 678, s.d. (ma 1270), p. 232; ivi, III, n. 750, 1270, p. 245; ivi, V, n. 266, 1270, p. 61. Oria viene conscata a Manente, che perde anche il casale di Retilliano a favore di Morello di Saurs. 54. Ivi, XI, n. 67, 29 ottobre 1273, pp. 21-22. Si tratta di un mandato al Giustiziere di terra dOtranto nel quale si intima agli uomini di Casalvetere, (in territorio oritano nei pressi dellattuale Francavilla Fontana) di propriet della abbazia della Santissima Trinit di Venosa, linibizione ad laboran- dum et sumendum pascua ac incidendum ligna in foresta [] terre Orie intrare. Il mandato risolutivo a favore di Tommaso de Brueris, dominus Orie miles. Si veda tuttavia an- che ivi, XVIII (1277-1278), a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1964, n. 875, agosto 1278, p. 418, questa volta pro mona- sterio Sancte Trinitatis de Venusio. Altre tensioni di questo tipo in ivi, XLIII (1270-1293), a cura di M. Cubellis, Napoli 1996, n. 465, 1292, p. 89 (contro Odon de Sully dominum Massafre molestantem territorium terre Motule); e inoltre per lo stesso motivo ivi, XLIII, n. 509, 1293, p. 95, dove si nominano il vescovo Giovanni di Rapolla, Guglielmo Della Marra e il giudice Basilio di Bisceglie in qualit di giudici sulla questione della connazione dei possessi di Narjaud de Toucy e Odon de Sully, denita in ivi, XLIV (1269-1293), prima parte, a cura di M. L. Storchi, Napoli 1998, n. 187, agosto 1293, p. 202 gravis contentio. Ancora si veda la ri- volta allo stesso Odon de Sully degli abitanti di Castellaneta (ivi, XLVI, n. 605, 1294, p. 141). 55. Palumbo, I documenti cit., n. CI, 9 settembre 1297, p. 142, al quale rimando anche per la completa visione della docu- mentazione riguardante la fondazione della citt nei pressi di Ostuni. 56. Camera, Annali cit., II, p. 447. 57. Acta Innocentii VI (1352-1362), ed. A. L. Tutu, in Ponticia commissio ad redigendum codicem iusris canonici orientalis, Fontes, s. III, vol. X, Citt del Vaticano 1961, pp. 176-177; inoltre Poso, pp. 127-128. 58. Due casi simili per caratteristiche e contesto riguardarono il tenimentum Montis Fusculi e il casale di San Pancrazio Salenti- no, sui quali R. Alaggio, Brindisi cit., pp. 272-281. 59. Ibidem. 60. BDBr, AN/1, doc. n. 7, 14 maggio, Ind. XIV [1361, Brindisi]: in terra seu villa Cilii de Gualdo; in dicta terre Cilii; dicte terre Cilii. Sul signicato con il quale va inteso il termine villa, pi che con il pieno signicato di casale (R. Alaggio, Brindisi cit., p. 27), si deve concordare con F. Magistrale, Ce- glie cit., p. 86, il quale, in riferimento allet normanna, so- stiene possa trattarsi di una realt urbana piuttosto semplice, tipica dei piccoli borghi medievali nei quali le costruzioni [] potevano alternarsi con terreni incolti, orti, spiazzi. 61. Infra, nota 31.