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ASSESSMENT E VALUTAZIONE

di Vito F. De Giuseppe

Il metodo dell’Assessment Center nella formazione può co-


stituire lo strumento valutativo impiegato per dare una risposta
alle istanze di una società che ha fatto della complessità il suo
elemento caratterizzante. Nel tentativo di offrire un modello
che risponda ad uno dei nodi problematici della valutazione,
cioè la misurazione dell’apprendimento e delle competenze ac-
quisite, si analizza il metodo dell’Assessment Center, pren-
dendo spunto dai suoi primi impieghi, avvenuti negli anni
Sessanta.

1. Il problema della misurazione


Il problema della misurazione di costrutti non quantificabili,
come i comportamenti o le performance cognitive, così come la
possibilità di provare emozioni valutandone l’intensità, ha posto
agli psicologi in primis la difficoltà di trovare strumenti e costrutti
che permettessero a coloro i quali si avvicinavano a questo tipo di
problema, la possibilità di ottenere dati manipolabili, generaliz-
zabili e che soprattutto non fossero soggetti a modifica a secondo
della modalità di osservazione utilizzata.
Uno strumento di misurazione deve essere in grado di misu-
rare ciò che deve misurare, sensibile, cioè che non presenti scarti
per difetto o per eccesso, ovvero che non sia troppo o troppo poco
sensibile rispetto al fenomeno da misurare; che offra dati che
siano oggettivabili, manipolabili e le cui carztteristiche siano ge-
neralizzabili a prescindere dalla situazione contingente legata al-

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l’osservazione Un metro misurerà la lunghezza di un intervallo


posto tra due punti, nello stesso identico modo a prescindere dal
luogo e dal tempo in cui è effettuata l’operazioen di misurazione,
così come il dato ottenuto in seguito all’applicazione dello stru-
mento sarà lo stesso a prescindere dalla situazione in cui detta
misurazione è avvenuta.
Nasceva quindi il problema dello standard, ovvero della crea-
zione di un dispositivo finalizzato alla misurazione di un feno-
meno. questo doveva essere definito secondo criteri formali che
ne determinavano la sua condivisione pubblica, che ne permet-
teva il riconoscimento e l’accreditamento nei termini di strumento
di misurazione a prescindere dalla natura qualitativa o quantita-
tiva del fenomeno osservato, ponendo le basi per la sua misura-
bilità.
Un problema che pedagogisti e psicologi conoscono bene.
Infatti un corretto uso dello strumento di misurazione, sia esso
docimologico o psicometrico, per quanto riguarda la valutazione
della prova, se pure si basa su un una tecnica di siglatura che deve
osservare regole precise, richiede esperienza e preparazione , as-
solutamente in contrasto con qualunque forma di dilettantismo.
Se prendiamo ad esempio un test psicometrico, nell’accezione più
ristretta del termine, inteso cioè come uno strumento di misura,
deve permettere la possibilità di quantificare i dati numerici ot-
tenuti dalla siglatura delle risposte e di elaborarli utlizzando
mezzi statistici.
La standardizzazione del dato è la condizione necessaria e suf-
ficiente per poter arrivare a costrutti falsificabili, quindi scientifi-
camente validi, secondo la definizione di Popper (Popper, 1970).
Cruciale diventa quindi l’elemento che permette la valutazione
nell’assessment di base ed ex post, nel caso di un intervento pe-
dagogico.
Con il termine di Assesment si individua un impianto meto-

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dologico attraverso il quale si effettuano operazioni di raccolta


dati che consentono la valutazione in termini diagnostici del caso.
Il termine è mutuato dalla clinica e fa riferimento a tutte le ope-
razioni di raccolta ed elaborazione dei dati che sfociano nelle ope-
razioni di diagnosi.
Molti strumenti sono nati nei paesi anglosassoni, ma le proce-
dure di standardizzazione prevedono che vengano tarati sulla po-
polazione locale. Quindi gli strumenti in italiano, sono rivolti ad
un target nazionale, dopo essere stati modificati e testati per detta
popolazione.
L’Assessment in ambito Psicologia del Lavoro e delle Orga-
nizzazioni viene eseguito attraverso l’utilizzo di batterie di tests
che danno solitamente un profilo di personalità, una definizione
della motivazione del soggetto e la sua capacità di pensiero in ter-
mini di flessibilità ed elasticità, inoltre viene indagata la sua ca-
pacità di lavorare in team rispetto ad uno scopo e la sue capacità
di leadrships.
In questo campo è più facile sentir parlare di attitudini che non
di capacità o di abilità. Questo perchè per definizione tutti gli es-
seri umani hanno le medesime capacità. Siamo tutti cioè, capaci
di parlare, di camminare, di vedere, di correre, di gustare e di sen-
tire, ma non tutti lo facciamo nello stesso modo. Non tutti rie-
scono a correre i cento metri in nove secondi e novantotto
centesimi di secondo. Non tutti riescono a fare un movimento raf-
finato e complesso come quello di un ballerino. L’abilità differen-
zia gli individui e può essere incrementata con l’allenamento.
Io ho la capacità di parlare, ma non l’abilità di parlare il tede-
sco, se mi alleno riuscirò a farlo, ma se non sono uno che riesce a
modulare il pensiero su linguaggi diversi, cioè se la mia abilità
nel trasdurre il segnale in ingresso elaborarlo e riportarlo in uscita
sempre con lo stesso linguaggio dell’input, avrò grosse difficoltà
di comunicazione, ma non per una deficienza della capacità, ma

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per una scarsa abilità nel parlare il tedesco.


Le attitudini sono invece i precursori, i segni che indicano la
presenza di una capacità che si manifesta solo se si verificano con-
dizioni esterne ambientali e/o interne motivazionali che permet-
tono la manifestazioen della capacità.
Questo sposta però l’ottica sull’annosa disputa tra innatismo e
cultura, intesa quest’ultima come tutte le influenze derivanti dal-
l’ambiente. In Psicologia del Lavoro vengono alutate entrambe
sia le motivazioni sia la capacità dell’individua a reagire agli sti-
moli ambientali. La definizione del profilo di personalità e delle
sue capacità ed abilità cognitive ed attentive rispondono proprio
a questa esigenza.

2. Storia della valutazione in ambito educativo


Il problema della valutazione in ambito educativo, organizza-
tivo ed industriale, in psicologia fa capolino tra la fine degli anni
sessanta e l’inizio degli anni settanta del secolo.
In quel periodo emerse come per la psicologia americana l’in-
teresse per I tratti di personalità non incontrasse l’interesse dei ri-
cercatori.
Autorità nel campo come Ghiselli (1966) e Mischel (1968) so-
stenevano che raramente I tratti di personalità mostravano corre-
lazioni superiori al 0,33 (10 per cento della varianza) con le
prestazioni lavorative, portando a sostenere, di conseguenza, che
la ricerca su queste variabili era di discutibile valore.
Allo stesso tempo erano pubblicati però un crescente numero di
studi che che dimostravano come I test fino ad allora utilizzati si
mostravano efficaci per quello che riguardava la rilevazione di
attitudini riguardo gli studi, di ogni ordine e grado, ed erano dei
buoni predittivi della riuscita scoalstcia o accademica, ma non
erano in grado di predire le prestazioni di lavoro o il successo
nella vita (McClelland, 1973) presentando spesso risultato che evi-

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denziavano pregiudizi nei confronti delle minoranze, delle donne


e di coloro che provenivano da strati socioeconomici più bassi e
che non avevano ricevuto un’istruzione d’elite (Fallows, 1985).
In seguito a questi risultati McClelland (1973) specificò i criteri
per la ricerca, al fien di individuare le variabili che permettono di
fare previsioni sulle prestazioni lavorative, senza essere influen-
zate, o limitandone la portata da variabili quali la razza, il sesso,
o i fattori socioeconomici.
Tali criteri possono essere indicati in due aree:
L’impiego della campionatura, cioè l’uso di campioni, attra-
verso cui confrontare I soggetti che occupano posizioni di suc-
cesso sul posto di lavoro o in altri ambiti, con I soggetti che invece
occupano posizioni più basse e correlare quindi le caratteristiche
associate con le posizioni di successo.
Individuazione di pensieri e comportamenti concreti causal-
mente connessi a tali risultati positivi. Cioè, la valutazione della
competenza dovrebbe essere svolta su situazioni aperte e libere,
cioè non create in laboratorio, nelle quali una persona ha di ge-
nerare un comportamento, distinguendo tale situazione dalle
convenzionali modalità di rilevazione come il self-report ed i test
a scelta multipla, le quali richiedono di scegliere una delle nu-
merose risposte in alternativa rispetto però a situazionei ben
strutturate e predefinite. Le prestazioni lavorative ed altri aspetti
della vita delle persone raramente presenti tali condizioni di
prova. Piuttosto, il miglior predittore di ciò che una persona può
e vuole fare è quello che lui o lei pensa spontaneamente e non in
una situazione strutturata o rispetto a ciò che ha fatto in passato
situazioni simili.
Nel 1971, l’Information Service (USIS) del Dipartimento di
Stato americano si rivolse a McClelland quando scoprì che I pun-
teggi ottenuti dagli aspiranti funzionari del Foreign Service agli
esami scritti non erano predittivi della buona riuscita lavorativa.

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I punteggi ottenuti al al General Aptitude Test ed al General Back-


ground Test erano scarsamente correlati con le prestazioni lavo-
rative(r=-.22, p <.10).
Pochisssimi candidati raggiunsero I punteggi richiesti per es-
sere promossi a funzioni direttive. Inoltre ancora più basso fu il
numero di candidati appartenenti a minoranze etniche riuscrono
ad ottenere gli alti punteggi richiesti per essere selezionati per le
funzioni superiori.
Data l’assenza di validità scientifica del test di valutazione in
termini di predittività della performancce lavorativa, il fatto che
uno scarsissimo nuemro di persone appartenenti a minoranze
avevano superato la prova, fu ritenuto una discriminazione ille-
gale nei confronti di una categoria protetta ai sensi del diritto pre-
visot dalle leggi sui diritti civili (McClelland & Dailey, 1972,1973;
McClelland, 1973).
McClelland diede una risposta alla questione riguardo che
cosa fare se le tradizionali tecniche di rilevazione e di misurazione
non erano predittive della riuscita lavorativa.
Una prima risposta fu quella di fare in modo che il Dipartimento
di Stato Americano stabilisse dei criteri per I ruoli considerati, in
secondo luogo, insime a Daily ( McClelland & Dailey, 1972), svi-
luppò una tecnica chiamata Behavioral Event Interview (BEI), che
combinava la Critical Incident Interview di Flanagan (Flanagan,
1954) con il Thematic Apperception Test (TAT), uno strumento,
quest’ultimo standardizzato da oltre trent’anni di studi sulla mo-
tivazione (McClelland, 1985 ).
La BEI individuò che i diplomatiici di livello superiore pre-
sentavano alti punteggi, superiori alla media, nella sensibilità non
verbale.
Attraverso la BEI si chiedeva alle persone di pensare alle si-
tuazioni più importanti sul lavoro, nelle quali le cose sono andate
“bene o male” e poi di descrivere queste situazioni in un breve

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dettaglaito resoconto, rispondendo a domande come: Che cosa


ha portato fino alla situazione? Chi è stato coinvolto? Che cosa ne
pensa, sente, vuole che accada nella situazione? Che cosa hai
fatto? Qual è stato il risultato?
Una terza risposta, fu quella in cui McClelland e i suoi colleghi
analizzarono I temi delle trascrizioni della BEI, sia quelle in cui
erano descritte situazioni positive, sia quelle in cui erano illustrate
situazioni negative informazioni e confrontate con punteggii og-
gettivi codificati da diversi osservatori terzi.
Le trascrizioni erano codificate utilizzando un metodo chiamato
CAVE (Content Analysis of Verbal Expression) (Zullow ed al.,
1988) attravero il quale la significatività statistica delle caratteri-
stiche mostrate da coloro che ottenevano punteggi medi e supe-
riori in varie prestazioni.
Questo metodo è stato utilizzato ampiamente in un successivo
studio riguardante la rielvazione delle competenze che caratte-
rizzano i diplomatici in servizio regolare esteri (McClelland,
Klemp, Miron &, 1977). Due esempi illustrano queste compe-
tenze:
Interculturalità positiva e sensibilità interpersonale descrivono la
possibilità di sedersi di fronte qualcuno che ha una cultura straniera e
di capire veramente ciò che la persona sta dicendo. Un diplomatico ha
detto di mantenere le amicizie con gli studenti radicali algerini che ave-
vano minacciato di bruciare la sua biblioteca ÚSIS (parole e le compe-
tenze codificate tra parentesi): “Nonostante abbiamo avuto problemi con
loro, io non avevo mai smesso di mostrare di gradire e rispettare i lea-
der studenteschi [riguardo positivo]. Stavano solo diventando consape-
voli del loro nazionalismo [comprensione interpersonale], e che si
preparavano ad essere leader di un paese che era cambiato molto. Si po-
teva capire che avevano bisogno di ribellarsi contro di noi, [compren-
sione interpersonale], anche quando si voleva bruciare la mia biblioteca!
[self-control]. Così li ho invitati ad utilizzare le nostre strutture ed a

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tenere alcune delle loro riunioni da noi [iniziativa, costituzione di rap-


porti]. Ho cercato di invitare I residenti americani, a venire qui ed ascol-
tarli in modo da capire di più su di loro [influenza]. Ho buoni contatti
con alcuni dei leader studenteschi ora. E non abbiamo avuto ancora nulla
di bruciato.”
Velocità di apprendimento critico delle reti. Si evidenzia dalla de-
scrizione di un funzionario in un paese africano, in cui molto rapida-
mente ha dovuto comprendere che la nipote dell’assistente del Primo
Ministro era interessata ad aentrare nel mondo dell’industiroa petroli-
fera, l’ha quindi invitata ad una festa dove ha presentato ed inserito la
nipote della signora nella lobby petrolifera [consapevolezza organizza-
tiva].
Queste e altre competenze, come la gestione stessa delle com-
petenze e la capacità di generare un certo numero di idee pro-
mozionali, furono presi come indici di una buona riuscita
dell’attività di un funzionario del Dipartimento di Stato e non in-
dici discriminatori nei confronti dei candidati, quali razza, sesso
o status socioeconomico (McClelland, 1973).
L’uso del metodo della rilevazione delle competenze è cre-
sciuto rapidamente negli anni 1970, quando è stato adottato da:
- la Marina Militare degli Stati Uniti per la rilevazione delle
competenze di leadership e di gestione dei programmi.
- il Dipartimento dell’Educazione per il Fondo per l’istruzione
post-secondaria (FIPSE), che ha sponsorizzato la rilevazione della
competenza per l’ammissione a progetti e programmi di 33 uni-
versità.
L’American Management Association (AMA), che ha finan-
ziato la ricerca sulle competenze di vigilanza e lo sviluppo di
competenze basato su centri di valutazione e un MBA.
Le ricerche e le applicazioni dell’AMA sono state riassunte nella
definizione del Competent Manager (Boyatzis, 1982), con il quale
viene descritta la metodologia della ricerca e rielvazioen delle

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competenze. Nel 1991, più di 100 ricercatori in 24 paesi hanno


contribuito a un database di circa 1.000 modelli di competenza
(300 sono basati su BEI, e 700 sono stati generati da sistemi
esperti), per l’industria, il governo, I militari, l’assistenza sanita-
ria, l’istruzione e l’occupazione in tutto il mondo (Spencer &
Spencer, 1993).

3. Valutazione
Gli elementi che costituiscono il processo di valutazione pos-
sono essere categorizzati secono due clusters principali: la Valu-
tazione delle risorse e la Valutazione delle prestazioni.
La Valutazione in ambito educativo si svolge lungo un processo
che evidenzia:
- analisi delle risorse e dei limiti dell’individuo. Il costrutto di
base relativo alla valutazione riguarda l’analisi delle risorse e dei
limiti dell’individuo;
- analisi qualitativa e quantitativa delle attitudini, delle capa-
cità e delle abilità di un individuo;
- dimensione quantitativa delle prestazioni.

3.1. Livelli della Valutazione


La valutazione è stata, e lo è tuttora, uno dei nodi problematici
della pedagogia e della psicologia.
Nella progettazione di un intervento formativo, necessaria ap-
pare la definizione di un sistema di valutazione che consenta di
definire tutti i passaggi dell’intervento.
Fino a d oggi ci siamo sempre avvicinati alla formazione os-
servando un sistema di tipo monologico, secondo una struttura
uno a molti. in cui la conoscenza intesa come insieme integrato e
coerente di informazioni, era trasmesso dal formatore al formato.
La valutazione diventava il momento per misurare quanto il com-

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portamento del formato cambiava in funzione del processo for-


mativo che gli era stato erogato.
Il passaggio da una formazione caratterizzata da una comuni-
cazione univoca, dal formatore al formato, non prende in consi-
derazione il feedback che il formatore può ricevere dal processo
di valutazione, in merito alla qualità dalla formazione sia nel
senso dell’erogazione, sia nel senso dell’acquisizione di cono-
scenza da parte del formato.
Ma in questa ottica appare più evidente al necessità di un si-
stema di valutazione che fornisca gli elementi per fornire il feed-
back adeguato al formatore, al fine di determinare eventuali
correzioni da apporre all’intervento formativo.
in quest’ottica la valutazione assume un ruolo fondamentale nella
definizione di un progetto formativo.
Quando ci si pone il problema di come trasmettere conoscenze
non si può prescindere dal definire un modello di mente del for-
mato, ovvero di come funzione e di quali schemi d’apprendi-
mento sono utilizzato dal formato per raccogliere ed elaborare
informazioni.
L’acquisizione di informazioni avviene attraverso il sistema
percettivo sensoriale, da qui le informazioni attraverso le vie ner-
vose afferenti raggiungono le aree cerebrali dove sono processate
ed integrate tra di loro costituendo il sistema di conoscenze che
regolano l’agire umano, ma gli schemi cognitivi non vanno con-
fusi con gli schemi ed i percorsi nervosi attraverso cui sono vei-
colate le informazioni.Gli schemi cognitivi sono strutture grazie
a
lle quali si organizza la conoscenza.
Con il termine di cognizione si definisce però qualcosa di più
ampio, qualcosa che fa riferimento ai processi di formazione del
pensiero oltre che ai contenuti del pensiero stesso (Kovacs M. e
Aaron T. Beck, 1978).

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I prodotti dei processi di pensiero sono definiti “schemi co-


gnitivi”. Essi indicano le rappresentazioni stabili ed organizzate
dell’esperienza.
Esistono diversi livelli di organizzazione della Conoscenza. Ad
un primo livello, consente la creazione di una struttura su cui il
resto dell’organizzazione della conoscenza è costruito (Meadows,
1983; Mayer, 1983; Rumelhart e Ortony, 1977; Wilson e Anderson,
1986).
Ad un secondo livello fornisce una organizzazione di cono-
scenze e consente l’accesso alla conoscenza attraverso modalità
di elaborazione, tutte basate sul fatto che le varie unità di cono-
scenze sono tra loro collegate.
Tali livelli sono necessari per permettere ai soggetti di acquisire
conoscenze e rappresentare l’ambiente ed i propri stati interni con
una maggiore fedeltà (Weber, 1989).
Le strutture che creano conoscenza in termini di concetti,
schemi e reti semantiche devono fornire gli elementi per l’accesso,
la codifica, e lo stoccaggio delle informazioni (Brachman, 1979).
L’accesso delle strutture di conoscenza può essere efficace nel so-
stenere la comprensione .
L’insieme delle strutture definiscono il modo in cui i soggetti
rappresentano il mondo in cui vivono, se stessi e la relazione tra
il mondo e se stessi.
La rappresentazione indica una corrispondenza di un ele-
mento appartenente ad un insieme con un elemento simili ap-
partenente ad un insieme simile. Affinché si verifichi questa
corrispondenza è necessario che il sistema riesca a costruire una
mappa mentale relativa ad eventi esterni, costruita su variabili
mentali o neurali e che vi sia relazione tra eventi e variabili. Que-
sto permette di predire eventi.
Le finalità della corrispondenza tra processi cerebrali, mappa
mentale ed eventi ricade nel dominio delle finalità biologiche,

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dando vita ad un isomorfismo di funzionamento tra sistemi (Gal-


listel, 1990).
Definire la difficoltà che consiste nel dover misurare ruota at-
torno a due ordini di problemi il primo riguardante la situazione
di base, il secondo invece l’efficacia dell’intervento, cioè se lo
scopo che ci si è prefissi, quello di implementare nuove compe-
tenze e valutare l’avvenuta acquisizione da parte del discente.
Per situazione di base si indica la Conoscenza di base che costi-
tuisce l’ambito di applicazione del processo formativo, cioè
quante e quali informazioni formano il bagaglio di conoscenze di
un individuo.

4. Assessment
L’Assessment è una metodologia che si sviluppa lungo diret-
trici che hanno lo scopo di evidenziare:
- la Valutazione globale della personalità e delle differenze in-
dividuali;
- la Stima del potenziale di sviluppo di un individuo
- il Bilancio, in termini di processo, delle aree cognitive e di
personalità dell’individuo
Esistono diversi campi applicativi dove il termine assessment
assume connotazioni che spaziano dal rapporto individuale
(aspetti clinici, patologie) al sociale (aspetti occupazionali, sele-
zione del personale):
- Assessment in Psicologia Clinica;
- Assessment in Psicofisiologia;
- Assessment in Psicologia del Lavoro .
L’Assessment Center nella Formazione diventa uno strumento
predittivo utile per individuare caratteristiche attitudinali e com-
portamentali che rappresentano il potenziale di sviluppo, attra-
verso l’analisi della personalità di un individuo rispetto al bisogno
formativo rappresentato .

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Attraverso l’Assessment Center ci si propone di tratteggiare


un ampio e articolato quadro di personalità di un soggetto che ri-
guardano sia le sue capacità di relazione, sia il suo rapporto con
l’attività lavorativa e produttiva. In un’ottica metodologica si pro-
pone come modello valutativo delle copying-skills (capacità di
gestire emotivamente l’evento) delle persone attraverso l’applica-
zione di tests nei setting di coaching, formazione e selezione, a
cui segue la restituzione dei risultati per costruire un piano di svi-
luppo e crescita personale. Gli obiettivi perseguiti attraverso l’uti-
lizzo dell’Assessment Center nella Formazione riguardano:
- la valutazione delle competenze;
- il bilancio di competenze;
- il bilancio attitudinale;
- il portafoglio di competenze;
- Il riconoscimento e certificazione delle competenze.
Lo scenario di applicazione del metodo dell’Assessment Cen-
ter può essere definito come una fase di analisi del soggetto (as-
sessment), in cui egli è sottoposto a screening diagnostico
riguardante la sua personalità, le sue competenze cognitive, mo-
tivazione, competenze sociali e di leadership, eseguito su steps
successivi per la definizione delle aree di funzionamento dell’in-
dividuo e del suo bilancio di competenze. Successivamente alla
diagnosi, ossia al termine delle operazioni di screening, si stilano
i piani formativi sulla base delle indicazioni giunte dall’Asses-
sment Center (il piano formativo che prevede processo e finalità
del medesimo, il “che cosa e come”). Nello specifico il pro-
gramma di formazione. Conclusa la fase di assessment, i profili ot-
tenuti vengono poi inseriti in strumenti che organizzano e
monitorizzano i dati rilevati durante l’Attività di Assessment e che
andranno a costituire il data base del personale, organizzati solita-
mente in moduli utilizzati per compiere una valutazione delle com-
petenze e delle caratteristiche del soggetto.

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