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La buona novella del vangelo alle famiglie in tempi di precariet :


nuovi approcci pastorali
Don Gino Rigoldi


Oltre quarantanni di attivit nel carcere minorile di Milano come cappellano e di impegno per realizzare
progetti di inclusione dedicati ai giovani dei quartieri periferici hanno fatto s che io incontrassi soprattutto
famiglie in difficolt. Incontro madri e padri che chiedono aiuto per il figlio o, pi di frequente, incontro i
figli in carcere, nelle comunit per minori in affido e in quelle per tossicodipendenti, nelle scuole e negli
oratori. Lincontro con un ragazzo incomincia con lascolto della sua storia, laccesso principale per dare vita
a una vera conoscenza della persona che si ha di fronte. Sono storie difficili, di povert materiale, ma quasi
sempre anche culturale e spirituale. Storie che chiamano in causa il contesto familiare e abitativo, perch in
carcere arrivano ragazzi che provengono sempre da famiglie sfibrate e dai soliti quartieri dove, pur essendo
maggiore il disagio, minore linvestimento di risorse da parte delle amministrazioni pubbliche, ma anche
da parte delle istituzioni religiose.
Lincontro con queste famiglie rivela quasi sempre una diffusa povert di relazioni, che diventa anche
povert educativa e incapacit di costruire legami solidali nel quartiere. Frequente anche lassenza del
padre e di figure adulte di riferimento autorevoli e positive. Situazioni di grave disagio che sono sempre
accompagnate da altre due grandi questioni che affliggono queste famiglie: il lavoro e la casa, due diritti
fondamentali per ogni persona, due condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per tenere insieme una
famiglia.
Vorrei prima di tutto affrontare le difficolt materiali, soffermandomi in particolare sulla questione della
casa. Credo sia importante riconoscere che senza soddisfare le condizioni materiali qualsiasi altro discorso
intorno alla famiglia rischia di diventare un esercizio accademico. Una famiglia, infatti, ha bisogno di un
luogo concreto dove crescere. Impegnarsi per le famiglie, dunque, significa prima di tutto assicurare loro le
condizioni per nascere.
Ci siamo resi conto che molte, moltissime coppie di fidanzati non hanno la possibilit di accogliere dei figli,
pur desiderandolo. A Milano infatti, come in altre grandi citt italiane, c una fascia estesa di popolazione
giovane che non abbastanza povera per avere accesso alledilizia popolare, ma nemmeno abbastanza
ricca da potersi permettere un affitto ai prezzi di mercato. Si attardano dunque nella casa dei genitori
oppure transitano attraverso condivisioni improbabili e temporanee. Quando riescono a trovare una casa,
devono impegnare ogni risorsa economica per pagare laffitto o, per quella minoranza che ha un lavoro a
tempo indeterminato, il mutuo. Spesso possono permettersi solo case lontano dalla citt e dal luogo di
lavoro, cos che alle ore lavorative si aggiungono quelle di viaggio. Il tempo passato insieme, quel tempo
cos importante per approfondire la relazione, si riduce sia in quantit sia in qualit. Oggi la casa non pi
solo unemergenza per coloro che ne sono privi, ma anche per chi ce lha. E non pu essere pi chiamata
una semplice emergenza materiale quando, per poterla mantenere, non ci si pu permettere il lusso di
avere dei figli.
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Negli ultimi anni ho potuto affrontare in maniera pi organica questo bisogno, grazie alla lungimiranza di
alcuni attori istituzionali. Abbiamo cercato di dare una risposta attraverso alcuni progetti innovativi di
housing sociale, primo fra tutti Abit@giovani. Abbiamo incontrato centinaia di giovani coppie che
esprimevano non solo il bisogno di unabitazione stabile che non assorbisse ogni risorsa, ma anche il
desiderio di vivere in un ambiente dove fare cortile, condividere soluzioni a problemi comuni, costruire
relazioni sociali e solidariet. Ad oggi siamo riusciti ad assegnare quasi 200 appartamenti ristrutturati con
un affitto medio di circa 500 euro e con patto di futuro acquisto. Per rispondere non solo al bisogno
puramente abitativo ma anche al bisogno di socialit, i nuovi abitanti vengono accompagnati per oltre un
anno da un percorso formativo volto a incrementare le capacit di relazione e di progettazione sociale nel
proprio quartiere.
Io credo che per la nostra Chiesa sia giunto il momento di compiere dei gesti profetici capaci di coinvolgere
non solo la comunit cristiana ma tutta la societ civile. Alcune Diocesi possiedono grandi propriet
immobiliari che possono essere messe a disposizione per affermare concretamente il diritto di costruire
una famiglia, progettando interventi di housing sociale che diventino anche progetti di inclusione, di
sostegno e di sviluppo delle giovani famiglie. Io credo che la comunit cristiana nel suo complesso abbia il
dovere di affermare e sostenere una politica dei diritti fondamentali - la casa, il lavoro, la scuola e la
salute - perch questi diritti fanno parte del nostro impegno per la giustizia, ma anche perch permettono
alla nostra giovent di progettare il futuro. Anche questo un modo per farci riconoscere come cristiani.
Vorrei ora affrontare laltro aspetto cruciale: limpoverimento di relazioni allinterno delle famiglie, la scarsa
capacit educativa, lassenza di vero dialogo tra i componenti del nucleo famigliare. Difficolt che, come ho
detto, si presentano costantemente nelle famiglie che incontro, difficolt che si rivelano trasversali rispetto
alla fede, alla condizione sociale ed economica, al paese di provenienza. Conosciamo una grande quantit
di studi sociali, di lettere pastorali e di encicliche che analizzano con grande acume le cause di questa
situazione. Ora mi sembra quanto mai opportuno cercare di rispondere alla domanda: Che cosa possiamo
fare noi?
E la domanda pi urgente di tutte, perch chiama in causa lessenza stessa dellinsegnamento di Ges: ci
ha invitato infatti ad essere costruttori di relazioni, ci ha chiesto di amarci lun laltro, di avere cura
reciproca. Per questo, ha detto, saremo riconosciuti come suoi discepoli. Ci riconosceranno per come
sappiamo stare insieme, perch la relazione indispensabile principio della fede.
In ogni famiglia dovrebbero essere prima di tutto i genitori a saper interpretare e trasmettere questa
capacit relazionale, ma sono invece proprio loro ad essere in difficolt. Ci vale ancor pi per le famiglie
che vivono disagi pi o meno gravi: la situazione, descritta dai figli, parla di assenza di dialogo e di
attenzione, di padri assenti o che non esercitano pi quella necessaria figura di autorevole riferimento. Le
madri, lasciate sole, devono farsi carico di tutti gli aspetti della vita familiare. Un peso quasi sempre
eccessivo.
La capacit relazionale non un aspetto innato del carattere che alcuni possiedono ed altri no, cos come
non una qualit che si possa associare automaticamente a un luogo, come la scuola o loratorio, o ad un
ruolo, come quello del genitore, dellinsegnante, delleducatore o dello stesso parroco.
Saper costruire relazioni, invece, un modo di vivere che si impara e che costantemente deve essere
esercitato e perfezionato. Dovrebbe diventare una materia di insegnamento a scuola e dovrebbe essere
una pratica centrale nelle nostre parrocchie. La relazione cristiana amore intelligente che cerca sempre il
volto di Dio, e a immagine di questa relazione costruisce la relazione con gli altri uomini. E dunque
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importante capire quale volto di Dio stiamo cercando: quello delle regole o quello della carit? Il Dio che
punisce per ogni trasgressione, anche la pi modesta, o quello che accoglie e che ama
misericordiosamente? Mi sembra di poter dire che il Dio di quellamore che Benedetto XVI ha voluto
descrivere in ben due encicliche, Deus caritas est e Caritas in veritate, e che Papa Francesco ci esorta
quotidianamente a perseguire.
La famiglia ha prima di tutto bisogno di costruire relazioni, dunque, e ha bisogno per questo compito di
essere sostenuta attraverso interventi condotti con competenza. Possiamo occuparci noi di formarle
adeguatamente? I preti sono maestri di relazione? Non sufficiente frequentare gli attuali seminari per
diventare esperti in relazione. Anzi, mi sembra che le competenze relazionali non siano particolarmente
curate. Accade cos che ci siano parrocchie e oratori particolarmente vivaci e molto frequentati perch di
solito c un prete capace, entusiasta e creativo. Ma quando viene sostituito pu capitare che la parrocchia
cominci a spopolarsi, a maggior ragione se la parrocchia e loratorio sono curate, come spesso accade,
esclusivamente dal parroco senza il coinvolgimento della comunit. Possiamo lasciare la nostra capacit di
costruire comunit alle qualit e alle propensioni personali del singolo prete? Dovremmo dunque occuparci
della nostra formazione alla relazione per essere poi in grado di dare sostegno con continuit alle famiglie e
per far crescere la comunit, perch la relazione che i cristiani hanno scelto amore che non pu fare a
meno dellintelligenza e della competenza.
Non solo possiamo, ma dobbiamo farlo per la nostra fedelt al Vangelo. Non si tratta di prepararci per
imitare, magari meglio, i servizi alla persona. Ci sono diversi servizi pubblici, privati e del terzo settore, sia
laici sia religiosi, che rispondono a bisogni ed emergenze specifiche. Dobbiamo invece attrezzarci per
aiutare le famiglie, in formazione o gi formate, a fondare la propria vita sul dialogo e sulla relazione che
sempre cerca il bene dellaltro.
Lo possiamo fare, perch gi esistono esperienze che dimostrano quale cambiamento positivo susciti un
incremento della consapevolezza e dellattenzione alle relazioni che costruiamo. Penso, per esempio, ai
percorsi di mutuo aiuto tra famiglie che ho visto nascere a Milano e che producono risultati davvero
sorprendenti quando sono ben strutturati e condotti da formatori esperti che aiutano a mettere in comune
i propri vissuti, condividere preoccupazioni e progetti, confrontare gli stili di vita: le famiglie si rimettono in
gioco ed escono dallisolamento. Questi percorsi non si basano su lezioni frontali, su nozioni e concetti
espressi solo verbalmente, ma su percorsi di esperienze in comune che chiamano in causa il nostro modo di
stare insieme.
A Milano abbiamo attivato un progetto, la La Casa delle buone relazioni, per raggiungere e offrire
opportunit di formazione residenziale principalmente a insegnanti di scuola, ma anche a genitori,
educatori degli oratori e dei gruppi scout. Anche in questo caso la formazione principalmente di tipo
esperienziale. Ebbene, quando ladulto diventa competente in relazione, la classe o il gruppo cambiano, le
tensioni si affrontano e si sciolgono, le dinamiche diventano positive.
Chiunque abbia una funzione educativa deve potersi preparare con competenza a tale compito.
Certamente ognuno deve poi ricevere la formazione specifica relativa al proprio ruolo e alla materia di
pertinenza, ma per noi cristiani alla base di tutto c la capacit di creare e gestire relazioni positive.
Oggi dobbiamo chiederci se dai seminari, dalle scuole cattoliche, dal catechismo, dai corsi prematrimoniali
escono persone capaci di farsi riconoscere cristiani per come amano il prossimo, per come ne hanno cura.
Un prossimo che principalmente deve essere riconosciuto tra le persone vicine a noi: il marito, la moglie, i
figli, gli amici e i conoscenti, i vicini di casa e di quartiere.
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Purtroppo mi sento di rispondere che nei nostri luoghi di formazione riusciamo a fornire dei principi, delle
idee, una cultura teologica pi o meno approfondita, ma generalmente trascuriamo quei processi formativi
di tipo esperienziale che, risvegliando le risorse personali, ci mettono alla prova e trasformano i principi in
vita concreta e quotidiana. E questa limpresa che abbiamo da compiere.
Per questo motivo io credo che un altro grande gesto profetico della nostra Chiesa potrebbe essere un
programma pastorale per le famiglie, ma naturalmente anche per i giovani e per chiunque si avvicini alla
comunit cristiana, che cominci da unadeguata formazione alla relazione indirizzata prima di tutto ai
formatori, a quei preti e laici che hanno funzioni di guida della comunit, affinch possano a loro volta
trasmettere ai giovani e agli adulti quella caratteristica che, come dicevo, ci fa riconoscere come cristiani.
Potr sembrare un paradosso, ma proprio perch seguiamo la religione dellAmore che dobbiamo andare
a scuola di amore. Non solo un bel compito, anche coerenza e obbedienza a quel comandamento al
quale Ges ci ha chiesto di obbedire.

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