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Socrate: ironia e dialettica

Platone, Lachete, 190-199e [ca. 398-388 a.C.]: il coraggio


Fonte: Platone.it
Presupposti di ordine filosofico, storico, narrativo:
1. Presupposti filosofici della discussione sono:
1.1. per virt intendiamo la capacit di agire bene;
1.2. chi sa ci che bene (ne ha scienza) non pu non farlo (intellettualismo socratico);
1.2.1. [ergo] la virt si risolve nella scienza del bene.
2. Presupposti storici (contesto) della discussione sono:
2.1. Nell'et arcaica, omerica, prima di Senofane, la virt era intesa soprattutto come la capacit di
acquisire il potere con ogni mezzo (di forza o di astuzia).
2.2. Nell'epoca classica greca (V sec. a. C.) venivano ancora esaltate qualit quali carattere, forza
d'animo, vigore fisico ecc., tutte proprie degli "uomini di guerra", degli "eroi" pronti a morire in
battaglia ai quali spettava, come riconoscimento della loro virt, l'onore, la lode e il prestigio,
ancora maggiori in morte che in vita.
3. Presupposto narrativo (antefatto) il seguente:
3.1. Ncia e Lachte, due anziani generali ateniesi, sono interpellati da Lismaco e Melsia,
preoccupati dell'educazione da dare ai figli, sulla validit dell'esercizio militare. Nicia ne sostiene
l'opportunit, Lachete dubita che sia sufficiente a formare uomini di valore. Socrate, chiamato a
dare il suo giudizio sulla questione, porta la discussione sul coraggio.
Socrate: Che vuoi dire, Lisimaco? Che [riguardo al coraggio] intendi accettare l'opinione che avr il
maggior numero dei nostri consensi?
Lisimaco: E che altro si potrebbe fare, Socrate?
SO.: Anche tu farai lo stesso, Melesia? Se dovessi decidere a che tipo di esercizi addestrare tuo
figlio, ti rimetteresti alla maggioranza di noi, o a chi fosse stato educato e addestrato da un buon
maestro?
Melesia: A quest'ultimo, naturalmente, Socrate.
SO.: Avresti pi fiducia in lui che in noi quattro messi insieme?
ME.: Probabilmente s, Socrate.
SO.: Anche secondo me, in effetti, il valore di un giudizio dipende dalla scienza e non dal numero
delle opinioni.
ME.: E come no?
SO.: Allora, Lachete, cominciamo a dire che cos' il coraggio; dopo, potremo indagare come darlo
ai giovani, per quanto possibile, attraverso l'esercizio e lo studio. Prova dunque a dire cos' il
coraggio.
Lachete: Per Zeus, Socrate, non difficile dirlo. Chi, in battaglia, resta al suo posto, combatte
contro i nemici e non fugge, questo un uomo di coraggio.
Socrate: Dici bene, Lachete, ma forse colpa mia, che non mi sono spiegato chiaramente, se hai
risposto non a ci che pensavo, ma ad altro.
Lachete: Che vuoi dire, Socrate?
Socrate: Te lo spiegher, se riesco. Certo l'uomo che dici, che resta al suo posto e combatte i nemici,
ha del coraggio.
LA.: Almeno credo.
SO.: Lo credo anch'io. Ma quello che, invece, non resta al proprio posto, ma combatte il nemico
indietreggiando?
LA.: Come sarebbe, indietreggiando?
SO.: Come fanno gli Sciti, per esempio. [...] Ma sono io che non ti ho posto bene la domanda. Io
volevo chiederti cos' il coraggio non solo dei fanti, ma anche dei cavalieri e di ogni tipo di

combattenti, e non solo di chi fa la guerra, ma anche di chi affronta pericoli del mare e le malattie
e la povert e gli eventi politici,, e di chi non solo resiste al dolore e alla paura, ma sa combattere le
passioni e i piaceri, sia stando al proprio posto, sia volgendo in fuga. Perch, o Lachete, ci sono
anche degli uomini d coraggio in queste cose.
LA.: E anche molto, Socrate.
SO.: Dunque, tutti questi hanno coraggio, ma alcuni lo mostrano contro i piaceri, altri contro i
dolori, altri contro le passioni, altri contro la paura; cos come altri, nelle medesime circostanze,
mostrano vilt.
LA: Certo.
SO: Io volevo sapere appunto cosa sono il coraggio e la vilt. Prova dunque di nuovo, e dimmi che
cos' il coraggio, cio quel che c' di identico in tutte queste circostanze.
LA.: Dunque, se vogliamo dire quale la sua natura in generale, in tutte queste circostanze, mi pare
che sia una certa forza dell'anima.
SO.: Dobbiamo, se vogliamo rispondere alla nostra domanda. Tuttavia, credo che per te non ogni
forza d'animo sia coraggio; e ci perch credo tu annoveri il coraggio tra le cose pi belle.
LA.: Su questo non aver dubbi.
SO.: Ma la forza non bella e buona quando accompagnata dal senno?
LA.: Certo.
SO.: E quando accompagnata da dissennatezza? Non allora cattiva e dannosa?
LA.: S.
SO.: Non potrai dunque chiamare coraggio questa forza, visto che non bella.
LA.: Hai ragione. SO.: In base a quanto hai detto, allora, il coraggio una forza retta
dall'intelligenza.
LA.: Cos pare.
SO.: Vediamo dunque nei confronti di che cosa deve esercitarsi l'intelligenza. Per esempio, uno che
avesse la forza d'animo di spendere oculatamente, in vista di un maggior profitto, lo diresti
coraggioso?
LA.: Io no, per Zeus.
SO.: E un medico, che di fronte al malato che chiedesse da bere e da mangiare, resistesse con forza
d'animo alle richieste?
LA.: Il suo non sarebbe in nessun modo coraggio.
SO.: E in guerra, uno che, calcolando che stanno per venirgli in aiuto, si limitasse a combattere
contro un gruppo meno numeroso e pi debole del suo, e da una posizione pi vantaggiosa, tu lo
diresti pi coraggioso di un altro che resistesse con tutte le forze tra le schiere nemiche?
LA.: Mi sembra pi coraggioso quest'ultimo, che combatte nel campo avversario.
SO.: E il cavaliere che combatte conoscendo l'arte ippica, lo dirai meno coraggioso di quello che
combatte senza possederla?
LA.: Certo.
SO.: E lo stesso dirai del fromboliere, dell'arciere e di ogni altro che possieda una tecnica?
LA.: Esatto.
SO.: E cos di tutti quelli che mostrano energia nel compiere certe azioni, pur non essendo degli
esperti?
LA.: lo la penso cosi. [...]
SO.: Ma poco fa non eravamo d'accordo che il coraggio e la forza non retti dal senno sono brutti e
dannosi?
LA.: S?
SO.: E anche che il coraggio fosse bello.
LA.: Anche.
SO.: Ma ora, al contrario, affermiamo che brutto, dato che lo poniamo nella forza senza
intelligenza.
LA.: Sembra di s.

SO.: E ti pare che abbiamo ragionato bene?


LA.: Per Zeus, Socrate, mi pare proprio di no.
Nicia: Ma Socrate, voi non riuscite a definire il coraggio perch non utilizzate un'idea che ti ho
sentito esporre bene altre volte.
SO.: E quale, Nicia?
NI.: Ti ho sentito pi volte dire che ciascuno di noi buono nelle cose che sa, e cattivo in quelle che
non sa.
SO.: Per Zeus, vero, Nicia.
NI.: Allora, se chi ha coraggio buono, chiaro che possiede la scienza del coraggio.
SO.: Hai sentito, Lachete?
LA.: S, ma non capisco bene cosa intende.
SO.: Io credo di capire e mi pare che intenda che il coraggio una certa forma di scienza.
LA.: Quale scienza, Socrate?
SO.: Ma non lui che vuoi interrogare?
LA.: S.
SO.: Allora, Nicia, digli che forma di scienza intendi che sia il coraggio...
NI.: Questa, Lachete: la scienza di ci che si deve temere e di ci che si deve osare, sia in guerra
che in tutte le altre circostanze.
LA.: Ma questo assurdo, Socrate!
SO.: In che senso, Lachete?
LA.: In che senso? Ma la scienza non c'entra nulla col coraggio. Nelle malattie, ad esempio, non
sono i medici a sapere quel che c' da temere? O ti sembra che siano i coraggiosi? O chiami
coraggiosi i medici?
NI.: Certo che no. I medici sanno solo distinguere il sano dal malato; ma se per uno sia pi da
temere la malattia o la salute, questo non lo sanno...
SO.: Capisci ci che vuol dire, Lachete?
LA.: Io capisco che chiama coraggiosi gli indovini. Chi altri infatti sapr se preferibile vivere o
morire? [...]
SO.: Vediamo, Nicia: tu affermi che il coraggio la scienza di ci che si deve temere e di ci che si
deve osare?
NI.: Lo affermo.
SO.: E che non da tutti conoscerla, se n il medico n l'indovino potranno conoscerla n essere
coraggiosi, a meno che non aggiungano al loro sapere questa scienza. Questo volevi dire?
NI.: Questo, s.
SO.: Allora come dice il proverbio: non ogni scrofa pu saperlo ed esser coraggiosa.
LA.: Bene, per gli di, Socrate. Di' la verit, Nicia: le fiere, che riconosciamo coraggiose, sono pi
sapienti di noi, oppure osi, contro tutti, negare che abbiano coraggio?
NI.: Ma, Lachete, io non dico coraggiosi n le fiere n alcun altro essere che non tema ci che va
temuto per ignoranza; piuttosto, li chiamo temerari o pazzi... [...]
SO.: Bene, Nicia... Ma non sei d'accordo che le cose da temere sono i mali futuri e quelle da non
temere i beni futuri?
NI.: S.
SO.: Ma la scienza che ha per oggetto le stesse cose la stessa, siano esse future o di ogni altro
tempo.
NI.: cos.
SO.: Allora, il coraggio non solo la scienza di ci che si deve temere e non temere, perch non
conosce solo i beni e i mali futuri, ma anche quelli passati, presenti e di ogni tempo, come le altre
scienze.
NI.: Cos pare.
SO.: Dunque, Nicia, il coraggio di cui parli non sarebbe una parte della virt, ma la virt tutta
intera.

NI.: Sembra di s.
SO.: Noi per dicevamo che il coraggio una parte della virt.
NI.: E' vero.
SO.: Allora, Nicia, non siamo riusciti a individuare che cosa sia il coraggio.
NI.: Evidentemente no.
LA.: E io che credevo che l'avresti scoperto, Nica, visto il tuo disprezzo per le risposte che io davo
a Socrate.
NI.: Son contento che tu non dia peso alla figura che hai fatto, di non sapere nulla sul coraggio, ma
lo dia al fatto che io mi trovi nella stessa situazione...
LA.: lo invece consiglier a Lisimaco e a Melesia di lasciarci perdere entrambi e di rivolgersi a
Socrate per l'educazione dei figli.
Casella di testo: ?
2.
Enucleiamo le principali tesi emergenti dal testo e, quando possibile, le relative
argomentazioni.
2.1.
Per sapere che cosa una cosa meglio sentire il parere della maggioranza o degli
esperti? Perch meglio fare una cosa piuttosto che l'altra?
2.1.1.
Per sapere che cosa una cosa meglio rivolgersi agli esperti.
2.1.1.1.
Ci dipende dal fatto che il valore di un giudizio dipende dalla scienza che esso
incorpora (relativa all'oggetto del giudizio) e non dal numero delle opinioni di coloro che
concordano sul giudizio stesso.
2.2.
Perch la prima risposta di Lachete alla domanda di Socrate (che cosa sia il coraggio)
appare inadeguata?
2.2.1.
La prima risposta di Lachete alla domanda di Socrate (che cosa sia il coraggio)
appare inadeguata perch propone solo un esempio di coraggio, mentre quello che si richiede di
sapere "quel che c' di identico in tutte le circostanze" in cui c' del coraggio, ovvero la "natura
generale del coraggio".
2.3.
Come spiegare storicamente la tesi di Lachete?
2.3.1.
La tesi di Lachete, cio il coraggio sia una certa forza d'animo esemplificata da
coloro che restano al proprio posto durante il combattimento, battendosi contro i nemici senza
fuggire, storicamente spiegabile come segue. Nell'epoca classica greca (V sec. a. C.) venivano
ancora esaltate qualit quali carattere, forza d'animo, vigore fisico ecc., tutte proprie degli "uomini
di guerra", degli "eroi" pronti a morire in battaglia ai quali spettava, come riconoscimento della loro
virt, l'onore, la lode e il prestigio, ancora maggiori in morte che in vita.
2.4.
Su quale base il coraggio appare, a un certo punto, una forza retta dall'intelligenza?
2.4.1.
Il coraggio appare, a un certo punto, una forza retta dall'intelligenza se si ammette
che sia un certa forza d'animo precisando che una forza buona e presupponendo che per essere tale
debba accompagnarsi al senno, o all'intelligenza.
2.5.
Quale la difficolt (aporia) in cui ci si imbatte definendo il coraggio forza retta
dall'intelligenza?
2.5.1.
La difficolt (aporia) in cui ci si imbatte definendo il coraggio forza retta
dall'intelligenza consiste in questo: in molti casi sembra che sia pi coraggioso - di un altro - chi
agisce sapendo meno - di costui - quello che fa.
2.6.
Quale la proposta di Nicia relativa alla domanda che cosa sia il coraggio e perch,
quantunque sembri avvicinarsi all'opinione di Socrate, appare ancora inadeguata?
2.6.1.
Nicia propone di intendere il coraggio come scienza di ci che si deve temere e di
ci che si deve osare. Questa definizione, bench sembri avvicinarsi all'opinione di Socrate, appare
ancora inadeguata. Infatti, ci che si deve temere sono i mali futuri e ci che si deve osare riguarda i
beni futuri. Ma la scienza dei beni e dei mali, che siano presenti, passati o futuri, sempre la stessa.
Dunque il coraggio sarebbe la scienza del bene, semplicemente.

2.7.
Confronta la definizione di Nicia, relativa al coraggio, con la concezione omerica della
virt.
2.7.1.
Nicia definisce la virt come scienza di ci che da temere e ci che da osare.
Nell'et arcaica, omerica, invece, prima di Senofane, la virt era intesa come la capacit di acquisire
il potere con ogni mezzo (di forza o astuzia). Sembrano concetti piuttosto distanti. L'unico punto in
comune un certo ruolo dell'intelligenza da accostare all'energia meramente fisica.
2.8.
Perch il coraggio risulta alla fine essere la virt tutta intera e quale l'aporia insita in
questa definizione?
2.8.1.
Il coraggio risulta alla fine essere la virt tutta intera se ammettiamo che esso
coincida con la scienza del bene, semplicemente. Infatti, se accettiamo il presupposto che la virt si
risolva nella scienza del bene, cio che virtuoso sia semplicemente colui che sa che cosa sia il bene,
allora il coraggio, in quanto scienza del bene, coincide con la virt tutta intera. Ma questa
definizione aporetica se partiamo, a nostra volta, dal presupposto che il coraggio non sia la virt
tutta intera ma solo "una" tra diverse virt, dunque solo una parte della virt tutta intera.
3.
Implicazioni della discussione sono:
3.1.
se voglio dare una definizione di qualcosa non sufficiente che ne porti esempi ma devo
trovare quel che c' di identico in tutti i casi in cui la cosa appare, ossia trovare la natura o essenza
della cosa;
3.2.
se la conseguenza di un'ipotesi ne contraddice i presupposti, ci imbattiamo in una
particolare difficolt, detta aporia, e dobbiamo cambiare l'ipotesi di partenza;
3.3.
non semplice definire che cosa sia il coraggio;
3.4.
in ogni caso il coraggio implica scienza, perch nessuno direbbe coraggioso uno che non
sa quello che fa (ma lo direbbe insensato);
3.5.
il coraggio implica anche bont, perch nessuno direbbe coraggioso uno che fa del male.
4.
Conclusivamente possiamo osservare quanto segue.
4.1.
Secondo una concezione diffusa nel mondo greco arcaico (VIII-V sec. a. C.) e riproposta
oggi in modo esplicito o implicito (per esempio da certa fiction americana) la principale
"caratteristica" che deve possedere colui che vuole agire bene, ossia la dote o abilit principale
(aret, dicevano i greci, che traduciamo con virt) il coraggio.
4.1.1.
Che cosa significa "virt"? La virt (in greco: aret) ci in cui l'uomo (come
singolo o come specie) pu eccellere. Per l'et arcaica era il coraggio (aret eroica), ma la filosofia
(con Socrate) argomenta che non ci pu essere virt senza scienza della virt e che, quindi, virt in
senso proprio solo il sapere (in particolare: la scienza del bene).

Protagora - fonte: Giardino dei Pensieri


scheda interpretativa: nota introduttiva giardino dei pensieri Pievatolo
Cosa un sofista?
SO: "Dimmi, Ippocrate, tu ora ti prepari ad andare da Protagora e a dargli del
denaro come compenso per la tua educazione: ma da chi pensi di andare e chi
vuoi diventare? Supponiamo, per esempio, che ti venisse in mente di andare
dal tuo omonimo Ippocrate di Cos, della famiglia degli Asclepiadi, e di dargli
denaro come compenso per la tua educazione. Se qualcuno ti chiedesse:
Dimmi, Ippocrate, chi questo Ippocrate al quale stai per dare un
compenso?, cosa risponderesti?"
"Direi che un medico".
SO:"E tu cosa vorresti diventare?".
"Un medico".
SO:"Supponiamo invece che tu pensassi di andare da Policleto di Argo o da
Fidia di Atene e di dare loro denaro per la tua educazione. Se uno ti
domandasse: Chi sono Policleto e Fidia ai quali vuoi pagare questo denaro?
cosa risponderesti?"
"Direi che sono scultori".
SO:"E tu cosa vorresti diventare?"
"Evidentemente uno scultore".
SO:"Molto bene. Tu ed io andremo da Protagora, pronti a dargli una
ricompensa in denaro per la tua educazione: se basteranno le nostre ricchezze
lo convinceremo con queste, altrimenti spenderemo anche quelle dei nostri
amici. Se qualcuno, vedendo che ci diamo tanto da fare, ci domandasse:
Ditemi, Socrate e Ippocrate, chi Protagora al quale volete dare i vostri
soldi? cosa gli potremmo rispondere? Con quale altro nome sentiamo
chiamare Protagora? Sentiamo, per esempio chiamare Fidia scultore e Omero
poeta, ma che nome sentiamo dare a Protagora?"
"Socrate, lo chiamano sofista".
SO:"Andiamo dunque a dargli denaro in quanto sofista?"
"S".
SO: [312] "Se poi ti si domandasse: Tu stesso vai da Protagora per diventare
chi?"
E quello, arrossendo - infatti si stava gi facendo giorno, perci lo si poteva
vedere chiaramente -, disse: "Se c qualche somiglianza con gli esempi
precedenti, chiaro che vado da lui per diventare sofista".

SO:"E tu, per gli dei, non ti vergogni di presentarti ai Greci come un sofista?"
"S, per Zeus, Socrate, se devo dire quello che penso".
SO:"Forse, Ippocrate, tu credi che linsegnamento che riceverai da Protagora
non sar di questo tipo, ma come quello che si riceve dai maestri di
grammatica, di musica e di ginnastica. Infatti non hai appreso queste
discipline per esercitare un mestiere, per diventare cio un professionista, ma
per la tua educazione, come si addice a un libero e privato cittadino".
"Mi sembra che sia piuttosto questo il tipo di insegnamento di Protagora".
" SO:Sai quello che stai per fare ora o ti sfugge?"
"Riguardo a che cosa?"
SO:"Riguardo al fatto che stai per affidare la tua anima a un uomo che, come
affermi, un sofista. Mi stupirei, poi, se tu sapessi cosa sia mai un sofista. Se
lo ignori non sai neanche a chi affidi la tua anima e neanche se questo un
bene o un male".
"Credo di saperlo".
SO:"Dimmi, chi pensi che sia un sofista?"
"Io credo che sia un esperto del sapere, come dice il nome".
SO:"Che siano esperti del sapere si pu dire anche dei pittori e degli
architetti. Se qualcuno per ci chiedesse: Di quale sapere sono esperti i
pittori? potremmo dirgli che sono esperti della rappresentazione delle
immagini, e cos di seguito. E se qualcuno chiedesse: Di quale sapere
esperto il sofista?, cosa gli potremmo rispondere, di cosa si occupa?"
"Cosaltro potremmo dire, Socrate, se non che si occupa di rendere abili nel
parlare?".
SO:"Forse diremmo la verit, ma sicuramente non sarebbe sufficiente. La
risposta richiederebbe infatti unaltra domanda: su quale argomento il sofista
rende abili nel parlare? Il maestro di cetra, per esempio, rende abili nel
parlare su quello che sa, cio larte di suonare la cetra. Non vero?"
"S".
SO:"Bene. Su quale argomento il sofista rende abili nel parlare?
Evidentemente su ci che sa".
"E naturale".
SO:"Di cosa esperto il sofista e di cosa pu rendere esperto anche lallievo?"
"Per Zeus, non sono capace di risponderti".

SO: [313] "Allora? Capisci a quale pericolo stai per esporre la tua anima? Se
tu fossi costretto ad affidare a qualcuno il tuo corpo, rischiando che questo
possa diventare forte o debole, rifletteresti a lungo se farlo o meno,
chiederesti consiglio ad amici e familiari, penseresti per molti giorni. Al
contrario, per quanto riguarda la parte che consideri pi importante del
corpo, lanima, e dalla cui condizione dipende la felicit o linfelicit della tua
vita, non hai chiesto il consiglio n di tuo padre n di tuo fratello n di
nessuno di noi, tuoi amici, sulla necessit di consegnare o meno la tua anima a
questo straniero venuto fino a qui: ne senti parlare la sera, come tu stesso
dici, e sul far dellalba ti presenti, senza parlarne prima e senza chiedere se
convenga o meno affidarti a lui. Sei pronto a spendere il tuo denaro e quello
dei tuoi amici, come se ormai avessi deciso che strettamente necessario per
te frequentare Protagora, che neanche conosci - come tu stesso affermi - e con
il quale non hai mai parlato. Per di pi lo chiami sofista, ma chiaro che ignori
chi sia un sofista, al quale pure stai per affidarti".
Sentite queste parole, disse: "Pare proprio cos, Socrate, in base a quello che
dici".
SO:"Il sofista, Ippocrate, non sembra forse una specie di negoziante o
venditore delle merci di cui si nutre lanima? Credo che sia qualcosa di
simile".
"Ma, Socrate, di cosa si nutre lanima?"
SO:"Di conoscenze, certamente. Fai per attenzione, mio caro, che il sofista,
lodando quello che vende, non ci truffi, proprio come coloro che vendono gli
alimenti per il corpo, cio il negoziante e il commerciante. Questi infatti delle
merci che portano non sanno quale sia utile e quale dannosa per il corpo, ma
per venderle le lodano tutte. Non lo sanno neanche quelli che comprano da
loro, a meno che non capiti un maestro di ginnastica o un medico. Allo stesso
modo anche coloro che portano le conoscenze in giro per le citt e le vendono
a chi di volta in volta le richiede, lodano tutto quello che vendono, ma forse
qualcuno, mio caro, ignora cosa sia utile e cosa dannoso per lanima tra le
cose che vendono. Lo stesso succede anche a quelli che comprano da loro, a
meno che non capiti un medico dellanima. Ora, se riesci a sapere quali tra
questi insegnamenti risulti utile o dannoso, potrai tranquillamente comprarli
da Protagora o da chiunque altro. Al contrario, caro amico, stai attento a non
mettere a rischio e a giocare a dadi quanto vi di pi caro.
[314] Si rischia molto di pi nellacquistare gli insegnamenti che non i cibi. I
cibi, infatti, e le bevande, una volta acquistati dal venditore o dal
commerciante, si possono portare via in altri recipienti. Prima di berli o
mangiarli si pu, dopo averli riposti in casa, chiedere consiglio, domandare a
un esperto se va bene mangiarli o meno, in quale quantit e quando. In questo
modo non si rischia molto nellacquisto. Al contrario, non possibile portar via
le conoscenze in un altro recipiente, ma, dopo aver pagato il prezzo pattuito,
acquisito e ricevuto linsegnamento nellanimo bisogna andar via o con un
danno o con un beneficio. Esaminiamo dunque queste affermazioni anche con
coloro che sono pi vecchi di noi. Noi, infatti, siamo ancora troppo giovani per
risolvere una questione cos importante. Ora, come era nostra intenzione,
andiamo e ascoltiamo Protagora e, dopo averlo ascoltato, discuteremo anche

con gli altri. L infatti non c solo Protagora, ma ci sono anche Ippia di Elide credo che ci sia anche Prodico di Ceo - e molti altri sapienti".
Cos' la virt?
Protagora, dopo aver parlato a lungo cos, tacque. E io per molto tempo,
ammaliato, continuai a guardarlo, come se stesse per dire qualcosa, poich
desideravo ascoltarlo. Quando mi accorsi che in realt aveva finito, come
riavutomi a stento, dissi, rivolto a Ippocrate: "Figlio di Apollodoro, grazie per
avermi spinto a venire qui. E una gran cosa aver ascoltato le parole di
Protagora. In passato, infatti, pensavo che nessuna attivit umana potesse
rendere gli uomini virtuosi; ora sono convinto del contrario. Per ho un ultimo
piccolo dubbio, che evidentemente Protagora chiarir con facilit, come ha gi
fatto molte volte. [329] Se qualcuno, infatti, discutesse di questi argomenti
con un qualsiasi oratore da piazza, forse ascolterebbe discorsi simili da Pericle
o da qualcun altro oratore; se poi, per, chiedesse spiegazioni su qualche
punto del discorso, come accade con i libri essi non saprebbero n rispondere
n a loro volta porre domande. Se qualcuno chiede un chiarimento, anche
piccolo, sui discorsi pronunciati da loro, i retori, anche se la questione di
poco conto, fanno discorsi interminabili, proprio come bronzi percossi che
risuonano a lungo e vibrano finch vengono toccati. Protagora invece capace
di pronunciare lunghi e bei discorsi, come dimostrano i fatti stessi, ed
capace anche, se gli viene chiesto qualcosa, di rispondere brevemente. Sa
pure porre domande e, qualit assai rara, attendere e ascoltare la risposta.
Ora per, Protagora, mi manca solo un piccolo particolare per avere il quadro
completo, se rispondi a questo. Tu affermi che la virt insegnabile, e io
credo a te pi che a chiunque altro; mentre parlavi, per, mi sono meravigliato
di una cosa: chiarisci questo dubbio nella mia anima. Hai detto infatti che
Zeus ha inviato agli uomini la giustizia e il rispetto, e poi pi volte nel tuo
discorso hai ribadito che la giustizia, la saggezza, la santit erano nel
complesso una cosa sola, la virt. Spiegami allora precisamente con un
ragionamento se la virt una sola (e la giustizia, la saggezza e la santit
sono parti di questa), o se tutte queste cose che ho elencato sono solo nomi
diversi di ununica essenza, la virt. Questo lultimo tassello".
"Socrate, facile risponderti: la virt una sola, quelle di cui chiedi sono
parti".
"Sono parti come quelle del volto, bocca, naso, occhi e orecchie, o come le
parti delloro, che non differiscono in nulla luna dallaltra, n reciprocamente,
n rispetto al tutto, ma si differenziano solo in base alla misura?".
"Come le parti del volto stanno rispetto allintero volto, Socrate".
"Gli uomini, allora, sono partecipi solo di queste parti della virt, chi di una
chi di unaltra, oppure, se qualcuno ne acquisisce una, deve necessariamente
possederle tutte?"
"Nientaffatto. Molti uomini sono coraggiosi, ma ingiusti, e molti a loro volta
giusti, ma non sapienti".

[330] "Dunque anche sapienza e coraggio sono parti della virt?"


"Senza dubbio; e la sapienza la pi importante fra le parti".
"E ciascuna di esse distinta dallaltra?"
"S".
"E ognuna ha anche una sua particolare propriet? Nelle parti del volto,
locchio non come lorecchio, n uguale la loro funzione; nessuna parte
uguale allaltra, n per la sua propriet, n per il resto. Allo stesso modo
anche le parti della virt sono diverse luna dallaltra, in s e rispetto alla loro
propriet? evidente che cos, se il paragone appropriato".
" cos, Socrate".
"Di conseguenza non vi nessunaltra parte della virt che sia simile alla
scienza, alla giustizia, al coraggio, alla saggezza, alla santit".
"No".
"Bene. Ora esaminiamo insieme le caratteristiche di ciascuna di queste parti.
Prima di tutto: la giustizia un fatto concreto o non esiste? A me sembra che
esista. A te?"
"Anche a me".
"E che risponderemmo allora, se qualcuno chiedesse a me e a te: Protagora e
Socrate, ditemi, la giustizia, che avete nominato ora, in s giusta o
ingiusta? Io gli risponderei che giusta; tu che risposta daresti? La mia o
un'altra?".
"La stessa".
"La giustizia giusta, direi io a chi me lo chiedesse; e tu?"
"Anchio".
"Se poi ci chiedesse: Dite allora che esiste anche la santit?, diremmo di s,
credo".
"S".
"Dunque dite che anche la santit esiste. Diremmo s, o no?"
"Diremmo s".
"La santit per natura empia o santa?. Io mi arrabbierei per la domanda, e
direi: Non parlare a vanvera, mio caro; difficilmente potrebbe esistere
qualcosaltro di santo, se non santa la stessa santit. Che cosa diresti tu?
Non risponderesti allo stesso modo?".

"Certo".
"Se, continuando a fare domande, ci chiedesse: Come dicevate poco fa?
Forse non vi ho capito bene? Affermavate, mi sembra, che le parti della virt
sono tutte diverse luna dallaltra, io direi: Per il resto hai capito bene, ma
hai frainteso se credi che io abbia affermato questo; Protagora infatti ha
risposto cos. Io gli facevo domande. [331] Se poi chiedesse: Dice la verit,
Protagora? Affermi davvero che nessuna parte della virt simile allaltra?
Questo il tuo pensiero?. Cosa gli risponderesti?"
"Dovrei dire di s, Socrate, per forza!"
"Allora, Protagora, se ammetti questo, che cosa risponderemmo se ci
chiedesse: La santit non la stessa cosa della giustizia e la giustizia non
la stessa cosa della santit. Dunque la santit ingiusta e la giustizia
empia?. Cosa risponderemmo? Io, per me, direi che la santit giusta e la
giustizia santa. A nome tuo, se me lo permetti, risponderei le stesse cose: la
giustizia la stessa cosa della santit, o molto simile; senza dubbio la giustizia
simile alla santit e la santit simile alla giustizia. Mi impediresti di
rispondere cos o sei daccordo con me?"
"Socrate, non mi sembra certo che la questione sia cos semplice da poter
affermare con sicurezza che la giustizia santa e la santit giusta. Mi
sembra invece che ci sia qualche differenza. Ma che importa? Se vuoi, per noi
la giustizia sia pure santa e la santit sia giusta".
"Eh no! Non voglio esaminare i se vuoi e i se ti sembra, ma me e te. Dico
me e te perch ritengo che la questione potr essere discussa nel modo
migliore se aboliamo i se".
"Ma s... in qualche modo la giustizia simile alla santit. In un certo senso
ogni cosa assomiglia a qualsiasi altra: infatti il bianco in un certo senso pu
assomigliare al nero, e il duro al morbido, e cos per le altre cose che
sembrano opposte fra loro. Anche le parti del volto, che, abbiamo detto, hanno
ognuna una funzione e sono una diversa dallaltra, in un certo senso si
assomigliano e sono una simile allaltra. Con questo criterio, se volessi,
potresti dimostrare che tutte le cose si assomigliano tra loro. Per non
giusto definire simili le cose che presentano qualche affinit, n chiamare
dissimili quelle che presentano differenze, anche se la somiglianza o la
differenza minima".
E io, meravigliato, gli dissi: "Dunque per te il giusto e il santo si assomigliano
solo per qualche piccolo particolare?"
[332] "Non esattamente cos, ma neppure come credi tu".
"E va bene. Poich mi sembra che tu sia in difficolt su questo punto, lasciamo
stare. Esaminiamo qualche altro aspetto del tuo ragionamento. C qualcosa
che chiami stoltezza?"
"S".

"E la sapienza in tutto contraria a questa?"


"Mi sembra di s".
"Quando gli uomini agiscono giustamente e utilmente, ti sembra che siano
saggi o stolti?"
"Che siano saggi".
"Agiscono saggiamente grazie alla saggezza?"
"Per forza!"
"Di conseguenza quelli che commettono ingiustizie si comportano da stolti e
non dimostrano di essere saggi agendo cos".
"Pare anche a me".
"Agire da stolto dunque il contrario che agire da saggio?"
"S".
"Quindi se si agisce da stolti lo si fa con stoltezza, se da saggi lo si fa con
saggezza?"
"Sono daccordo".
"Di conseguenza se uno agisce con forza agisce vigorosamente, se agisce con
debolezza debolmente?"
"Mi sembra di s".
"E se agisce con velocit, velocemente, se con lentezza, lentamente?"
"S".
"Se dunque si agisce in un certo modo lo si fa per una certa causa, se si agisce
nel modo contrario lo si fa per la causa contraria?"
"S".
"E allora, c qualcosa che sia bello?"
"Certo!"
"C qualcosa contrario al bello, eccetto il brutto?"
"Non c".
"E poi? Esiste il bene?"

"Esiste".
"C qualcosa contrario al bene, eccetto il male?"
"No".
"Esiste qualcosa di acuto nella voce?"
"S".
"C qualcosaltro di contrario allacuto, eccetto il grave?"
"No".
"Dunque a ciascun elemento corrisponde un solo contrario e non molti?"
"Sono daccordo".
"Su, allora, riepiloghiamo ci su cui siamo daccordo. Abbiamo concordato che
per ogni cosa c un solo contrario, non di pi?"
"Cos abbiamo concordato".
"E che quando si agisce in modo contrario lo si fa per la causa contraria?"
"S".
"Abbiamo concordato che chi agisce da stolto agisce al contrario di chi agisce
da saggio?"
"S".
"E chi agisce da saggio lo fa a causa della saggezza, chi da stolto a causa della
stoltezza?"
"Sono daccordo".
"Dunque, se si agisce nel modo contrario, lo si fa per la causa contraria?"
"S".
"Si agisce allora in modo saggio a causa della saggezza, in un altro a causa
della stoltezza?"
"S".
"Al contrario?"
"Certo!"
"A causa del contrario?"

"S".
"Dunque la stoltezza il contrario della saggezza?"
"Cos sembra".
"Ricordi che in principio abbiamo concordato che la stoltezza il contrario
della sapienza?"
"Ricordo".
[333] "E che per ogni cosa esiste un solo contrario?"
"S".
"Allora, Protagora, quale delle due ipotesi dobbiamo abbandonare? Quella in
base alla quale ogni cosa ha un solo contrario o quella in base alla quale la
sapienza diversa dalla saggezza, che entrambe sono parti della virt e che,
oltre ad essere diverse, sono anche dissimili in se stesse e nelle loro propriet,
come le parti del volto? Quale delle due ipotesi dobbiamo abbandonare? Infatti
i due ragionamenti non vanno d'accordo: non "cantano insieme" e non sono in
armonia fra loro. Come potrebbero accordarsi se per ogni cosa deve esistere
un solo contrario, e non di pi, e invece la stoltezza, che una cosa sola,
sembra avere come contrari la sapienza e la saggezza? cos, Protagora, o
no?"
"Ehm... cos".
"Dunque saggezza e sapienza sarebbero una cosa sola? Prima ci sembrato
che giustizia e santit fossero quasi la stessa cosa. Su, Protagora, non ci
scoraggiamo! Esaminiamo anche il resto. Chi commette ingiustizia, ti sembra
che agisca da saggio, se compie un atto ingiusto?"
"Mi vergognerei di affermare una cosa simile, anche se molti lo sostengono".
"Mi devo rivolgere ai molti o a te?"
"Se vuoi, confrontati prima con lopinione della gente comune".
"Ma a me non interessa affatto, voglio solo che tu mi risponda se la pensi cos
o no. Desidero esaminare il discorso in s, anche se a volte capita di essere
esaminati sia a me che faccio domande, sia a chi mi risponde".
Protagora, allinizio, si schermiva davanti a noi - diceva che largomento era
troppo difficile - ma poi acconsent a rispondere.
"Su, rispondimi da capo. Ti sembra che alcuni siano saggi, pur commettendo
ingiustizie?"
"Pu darsi".

"Dici che essere saggi significa pensare bene?"


"S".
"E pensar bene prendere buone decisioni, commettendo ingiustizie?"
"Mi pare di s".
"Si prendono buone decisioni se, commettendo ingiustizie, si hanno risultati
positivi o negativi?"
"Se si hanno risultati positivi".
"Esistono per te cose buone?"
"S".
"Sono buone quelle cose che sono utili agli uomini?"
"S, per Zeus. E alcune cose, anche se non sono utili agli uomini, io le chiamo
buone".
Mi sembrava che Protagora si fosse gi innervosito e, ansioso, si preparasse a
rispondere. Poich lo vidi in quello stato danimo, domandai con calma:
[334] "Protagora, intendi per caso le cose che non sono utili a nessun uomo, o
quelle che non sono utili in assoluto? Anche queste tu chiami buone?"
"Assolutamente no. Ma conosco molte cose che sono dannose agli uomini, cibi,
bevande, farmaci e mille altre e alcune che invece sono utili. Altre poi non
sono n utili n dannose agli uomini, mentre sono utili ai cavalli; altre solo ai
buoi, altre ai cani; altre a nessuno di questi, ma agli alberi. Quelle che sono
buone per le radici degli alberi sono dannose per i germogli. Il letame, ad
esempio, se dato alle radici utile a tutte le piante, se invece fosse usato per i
germogli e i ramoscelli giovani, li distruggerebbe completamente. Lolio poi
assolutamente dannoso per tutte le piante e ancora pi dannoso per i peli di
tutti gli animali, eccetto luomo; infatti utile ai peli delluomo e al resto del
corpo. Il bene cos variegato e multiforme che la stessa sostanza utile
alluomo per le parti esterne del corpo, mentre molto dannosa per quelle
interne. Per questo motivo tutti i medici impongono agli ammalati di non usare
olio, se non in piccolissime quantit nei cibi, quanto basta ad attenuare lodore
fastidioso dei cibi e delle bevande".
Detto questo, i presenti rumorosamente applaudirono, per approvare le sue
parole, e io dissi: "Protagora, sono un po smemorato e, se qualcuno fa discorsi
lunghi , dimentico di cosa si stava parlando. Se io fossi sordo tu capiresti, se
volessi parlare con me, di dover alzare il tono della voce pi che con altri. Allo
stesso modo ora, poich hai incontrato uno smemorato, spezzami le risposte e
abbreviale, cos seguir meglio il tuo discorso".

"In che senso devo rispondere in breve? Devo rispondere pi in breve di


quanto sia necessario?"
"No di certo".
"Quanto necessario?"
"S".
"Devo risponderti nella misura in cui a me sembra opportuno, o quanto
sembra opportuno a te?"
"Ho sentito che tu sei capace di insegnare a fare lunghi discorsi sugli stessi
argomenti, se si vuole, cos da non smettere mai di parlare, e anche brevi
discorsi. Ne deduco cos che nessuno pu parlare pi in breve di te. Se
dunque vuoi parlare con me, usa il discorso breve".
[335] "Socrate, io ho gi gareggiato nei discorsi con molti uomini. Se avessi
fatto quello che tu chiedi, cio discutere nel modo in cui voleva il mio
antagonista, non sarei risultato migliore di nessuno e tanto meno si sarebbe
diffuso il nome di Protagora tra i Greci".
Io compresi che non era soddisfatto di s per le risposte che mi aveva dato
prima. Poich non era disposto a discutere rispondendo alle domande, non
ritenni pi interessante essere presente a quella conversazione.
"Protagora, neppure io voglio conversare contro i tuoi desideri, ma discuter
con te se tu vuoi parlare in modo tale che io possa seguirti. Tu infatti, come si
dice di te, e come tu stesso affermi, sei capace di conversare sia con discorsi
lunghi sia con discorsi brevi: infatti sei saggio. Io invece, anche se volessi, non
saprei fare discorsi lunghi. Sarebbe il caso che mi venissi incontro tu che sei
capace di discorrere in entrambi i modi, affinch ci possa essere
conversazione. Ora dal momento che non vuoi e dal momento che io ho un
impegno e non posso rimanere con te se ti dilunghi - infatti devo andare in un
posto - me ne vado, anche se avrei ascoltato con piacere le tue parole".
E cos parlando, mi alzai per andarmene. E mentre mi alzavo Callia mi afferr
la mano con la sua destra e con la sinistra si attacc a questo mantello e disse:
"Socrate, non ti lasceremo andar via: se infatti te ne vai la discussione non
sar pi la stessa. Ti prego di rimanere con noi: io non ascolterei niente di pi
gradito della conversazione tra te e Protagora. Di, fai questo favore a tutti
noi".
E io dissi - gi mi ero alzato per andarmene -: "Figlio di Ipponico, ho sempre
ammirato il tuo desiderio di sapere, e ancora di pi lo lodo ora e lo apprezzo, a
tal punto che vorrei farti questo favore, se tu mi chiedessi il possibile. Ora
come se tu mi chiedessi di seguire il corridore Crisone di Imera nel pieno delle
sue forze o di gareggiare e seguire uno di quegli atleti che corrono sulle
lunghe distanze o che corrono tutto il giorno. [336] Io ti direi che pi di te
desidererei correre dietro a costoro, ma non posso. Se fosse per necessario
vedere correre allo stesso tempo me e Crisone, chiedi a lui di adattarsi. Io

infatti non posso correre velocemente, ma lui lo pu fare lentamente. Se


dunque tu desideri ascoltare me e Protagora, chiedigli di rispondermi anche
ora cos come prima rispondeva brevemente alle domande che gli venivano
poste. Altrimenti, quale sar il tipo di conversazione? Io infatti credevo che il
riunirsi per parlare insieme e il parlare in pubblico fossero due cose diverse".
"Per vedi, Socrate, mi sembra che Protagora abbia ragione sostenendo che a
lui sia permesso parlare come vuole e che tu, da parte tua, puoi parlare come
vuoi".
Alcibiade, presa a questo punto la parola, disse: "Non sono d'accordo, Callia: il
nostro Socrate ammette di non saper fare lunghi discorsi e cede a Protagora.
Al contrario, riguardo alla capacit di dialogare e di saper spiegare e
interpretare un discorso, mi stupirei se fosse inferiore a qualcuno. Se dunque
anche Protagora ammette di essere pi debole di Socrate nel dialogare, per
Socrate sufficiente. Se invece si oppone, dialoghi allora facendo domande e
rispondendo: non faccia un lungo discorso per rispondere a ogni domanda,
eludendo le argomentazioni e non volendo spiegare il ragionamento. Non lo
tiri, per, neanche alle lunghe al punto che molti degli ascoltatori
dimentichino che domanda era stata fatta. Per quanto riguarda Socrate io
garantisco che non dimentica, anche se scherza e dice di non avere memoria.
Mi sembra che Socrate parli nella maniera pi giusta: infatti necessario che
ognuno manifesti la propria opinione".
Dopo Alcibiade, credo, fu Crizia a parlare: "Prodico e Ippia, mi sembra che
Callia protenda troppo per Protagora, mentre Alcibiade sempre desideroso
di vincere qualsiasi cosa cominci. Noi, per, non dobbiamo affatto desiderare
che vinca n Socrate n Protagora, ma chiedere a entrambi di non
interrompere la riunione nel bel mezzo".

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