Si chiamava Balilla anche il giornaletto che leggevo, una specie di concorrente del Corrierino dei
piccoli. L avevo imparato chi erano i nemici dellItalia. Re Giorgetto dInghilterra. Il ministro
Ciurcillone. Rusveltaccio Trottapiano, presidente americano, che ubbidisce alla signora, la terribile
Eleonora. Ma i pi pericolosi erano i russi che si ammazzavano tra di loro. Il terribile Stalino,
lOrco rosso del Cremlino, dice urlando come un pazzo alle guardie del palazzo: i compagni qui
segnati siano tutti fucilati! Nellestate del 1943, conclusa la seconda elementare, i miei genitori
decisero di mandarmi alla colonia montana delle Regie Poste di Alessandria. Era un luogo triste,
nascosto fra alture basse vicine a Biella, dove pioveva sempre. Le giornate si aprivano con lalza
bandiera e le preghiera del Balilla, recitata a turno da uno dei ragazzini: Signore, benedici il Duce
nostro nella grande fatica che Egli compie. E poich lhai donato allItalia, fallo vivere a lungo per
la Patria e fa che tutti siano degni di lui.... Ogni mattina, dopo il caffelatte, cominciava lora di
dottrina fascista. Ed era lunica vera attrazione della giornata. Il merito andava allinsegnante: una
ragazzona maestosa, un trionfo di capelli rossi e un seno stupefacente, figlia del capostazione della
nostra citt.
Era una cliente della modisteria di mia madre e aveva fatto impazzire il panettiere del negozio
accanto. Quando andavo a comprare il pane, il fornaio mi domandava: Le hai viste quelle tette?
Darei mille lire per poterle pastrugnare! . Ma la maggiorata dai capelli rossi non badava alle
occhiate dei maschi, tanto meno alle nostre di ragazzini troppo arditi. E per tenerci a bada,
escogitava ogni giorno una preghiera per il Duce. A me ne tocc una che recitava: Giovent
italiana di tutte le scuole, prega che la Patria non manchi al suo radioso avvenire. Chiedi a Iddio che
il ventesimo secolo veda Roma centro della civilt latina, dominatrice del Mediterraneo, faro di luce
per le genti del mondo. Un mese dopo, era la fine del luglio 1943, tutto sembr sparire con la
caduta del Duce. In piazza si videro molte manifestazioni di giubilo, ma la maggior parte della
gente se ne rest a casa. La guerra iniziata nel 1940, e i tanti ragazzi morti su troppi fronti, stavano
allontanando dal fascismo un numero sempre pi grande di italiani. Ma nessuno aveva il coraggio di
riconoscere di essere stato un fascista senza pentimento. E di aver sostenuto con entusiasmo un
regime che adesso ci aveva portato al disastro. Il nostro fascismo esistenziale lo si constat sino in
fondo in due momenti terribili che confermarono la natura crudele della dittatura di Mussolini. Il
primo, nel 1938, fu il varo delle leggi razziali contro gli ebrei. Il secondo linizio delle deportazioni
nei campi di sterminio nazisti di migliaia di israeliti, quando lItalia del centro e del nord stava sotto
la Repubblica sociale, un regime sostenuto dai tedeschi.
Mi rammento bene quel che accadde in quei momenti. Per il motivo che non accadde nulla. Nella
mia piccola citt, gli ebrei perseguitati e poi uccisi nelle camere a gas li conoscevamo tutti. Erano
nostri vicini di casa, insegnanti nelle nostre scuole, medici che ci avevano curato, clienti della
modisteria di mia madre. Ma nessuno apr bocca. Pochi li compatirono. Pochissimi gli offrirono un
aiuto. Quando ci ripenso oggi, mi rendo conto di una verit terribile. Pure in casa mia, dove ogni
sera si discuteva di tutto, della guerra, del fascismo, di Mussolini e dei suoi gerarchi, della
Repubblica sociale e dei tedeschi, nessuno disse anche una sola parola sulla fine di persone
identiche a noi. E mi domando se, insieme al nostro fascismo mentale, dentro il cuore di ciascuno
non si celasse il mostro dellindifferenza disumana, della cattiveria, della ferocia. Per tutto questo
mi sembra grottesco che nellItalia del 2014 qualcuno chieda a qualcun altro: tuo padre era fascista,
tuo nonno portava la camicia nera? La verit che tutti eravamo fascisti o ci comportavamo come
se lo fossimo. Oggi la mia speranza che lo sfacelo della nostra classe politica non metta in pista
qualche nuovo signore autoritario che ci obblighi a innalzare la bandiera voluta da lui. Il colore non
importa. Per mi domando quanti accetterebbero di sventolarla. E temo che anche stavolta non
sarebbero pochi.
di Giampaolo Pansa